Il sogno in Grecia
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Table of contents :
Indice......Page 257
Frontespizio......Page 2
Indice dei Nomi......Page 211
Indice degli argomenti......Page 217
Introduzione di Giulio Guidorizzi......Page 225
Eric R. Dodds Modello onirico e modello culturale......Page 3
Metamorfosi di un'immagine: le statue animate e il sogno. Carlo Brillante......Page 17
Il sogno delle Erinni. Georgese Devereux......Page 35
Sogno e nascite di eroi. Ezio Pellizer......Page 53
Asclepio: la medicina del Tempio. Emma J. e Ludwig Edelstein......Page 67
Sogno, diagnosi, guarigione: da Asclepio a Ippocrate. Giulio Guidorizzi......Page 87
Platone e il sogno della notte. Eugénie Vegleris......Page 103
Aristotele e i sogni. Giuseppe Cambiano e Luciana Repici......Page 121
Il sogno erotico nell'antichità greco-romana: L'Oneirogmòs......Page 137
C'è del metodo in questa follia: Artemidoro. Dario Del Corno......Page 147
Predizione e simbolo in Artemidoro alla luce della moderna psicologia del sogno. Hans Bender......Page 161
L'autobiografia onirica di Elio Aristide. Salvatore Nicosia......Page 173
Sinesio: il «Trattato sui sogni». Christian Lacombrade......Page 191

Citation preview

E . R. D odds C. Brillante G . D evereux E . Pellizer E. J. e L. Edelstein G . Guidorizzi E . Vegleris G . Cambiano e L. Repici J . Pigeaud D. Del Corno H . Bender S. Nicosia C. Lacombrade

IL SOGNO IN GRECIA a cura di Giulio G uidorizzi

Editori Laterza

1988

E ric R . D o d d s M O D E L L O O N IR IC O E M O D E L L O C U LTURA LE *

L ’uom o ha in com une con pochissimi mammiferi superiori il curioso privilegio della cittadinanza di due mondi; egli infatti incontra ogni giorno alternativam ente due distinti tipi di esperienza — hypar e ònar li chiamavano i greci — ciascuno con la propria logica e i propri limiti, e non ha ragione di ritenere l’uno più valido dell’altro. Il m ondo dello stato di veglia ha, sì, certi vantaggi di concretezza e continuità, ma le sue possibilità sociali sono assai ristrette: vi incontriam o soltanto i nostri conoscenti, mentre nel m ondo dei sogni si possono avvicinare, sia pure di sfuggita, gli amici lontani, i morti, gli dèi; norm alm ente è l’unica esperienza che ci sottrae alla tirannia penosa e incom prensibile del tempo e dello spazio. N on è quindi sorprendente che si sia esitato ad attribuire realtà ad uno solo di questi due mondi, liquidando l’altro come mera illusione. N ell’antichità raggiunse questo livello soltanto un num ero lim itato di intellettuali, ed ancor oggi molte popolazioni prim itive attribuiscono a certi tipi di esperienze oni­ riche una realtà pari a quella dello stato di veglia, anche se qualitativ'amente diversa da essa. Q uesta semplicità m uoveva a un sorriso di com passione i missionari del secolo scorso, ma il nostro tempo ha scoperto che i prim itivi, in linea di principio, erano più prossim i al vero dei missionari. Oggi si sa quanto i sogni, in fondo, siano ricchi di significato; ancora una volta l’antica arte dell’onirocritica procura buoni guadagni a chi sa valersene con intelligenza, e anche le persone più colte si affrettano a con­ fidare i propri sogni allo specialista, con l’ansia e la serietà del «superstizioso» di Teofrasto (Caratteri 16). Su questo sfondo sto­ * Da Eric R. Dodds, The Greeks and thè lrrational, Berkeley-Los Angeles 1951 (trad. it. I Greci e l’irrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1959, pp. 119-143). Traduzione di Virginia Vacca De Bosis per la Nuova Italia.

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rico, vale la pena di riesam inare l’atteggiam ento dei greci verso le loro esperienze oniriche. I docum enti delle esperienze oniriche di civiltà scomparse si possono considerare in due modi: cercar di vederli con gli occhi stessi del sognatore, ricostruendo così, per quanto è possibile, quale valore avessero i sogni per la coscienza vigile del soggetto; oppure tentare, applicando ad essi i princìpi della m oderna analisi dei sogni, di penetrare dal contenuto m anifesto del sogno a quello latente. Q uest’ultim o procedim ento, evidentem ente, è rischioso: si basa sulla presunzione indim ostrata che il simbolismo onirico sia universale, cosa che non possiamo controllare ricostruendo le associazioni m entali del sognatore. A doperato con perizia e cautela, potrebbe tuttavia offrire risultati interessanti: sono disposto a cre­ derlo, non a tentarlo, perché quel che mi interessa non è l’espe­ rienza onirica dei greci, ma piuttosto il loro atteggiam ento verso tale esperienza. Nel definire così il nostro argomento, occorre però tener presente che le differenze tra la posizione greca e quella m oderna riguardo ai sogni possono riflettere non soltanto diverse maniere di interpretare lo stesso tipo di esperienza, ma anche variazioni nella natura dell’esperienza stessa. Infatti ricerche recenti sui sogni dei prim itivi del nostro tem po lasciano intravedere che, accanto ai consueti sogni angosciosi e di adem pim ento di desideri, comuni a tutti gli uomini, vi sono altri sogni modellati, per lo meno quanto al contenuto manifesto, su schemi di civiltà locale h N on intendo dire semplicemente che ove un americano moderno sognerebbe, per esempio, di viaggiare in aereo, il prim i­ tivo sogna di essere trasportato in cielo da u n ’aquila; ma che presso molte società prim itive si trovano tipi di struttura onirica che dipendono da schemi di credenze trasmessi per il tram ite della società 2 i quali non ricorrono più quando dette credenze scompaiono. N on solo la scelta di questo o quel simbolo, ma la natura stessa del sogno, sembra conform arsi a rigidi schemi tra­ dizionali. È evidente che tali sogni sono strettam ente connessi al mito, e fu detto con ragione che il mito è il pensiero sognante di un popolo, come il sogno è il mito dell’individuo h Tenendo presente questo, vediamo che sorta di sogni descrive O m ero e come sono presentati dal poeta. Nel suo ottim o volum etto Primitive Culture in Greece, H .J. Rose distingue tre punti di vista pre-scientifici circa il sogno: a) «considerare realtà oggettiva la visione di sogno»; b) «ritenerla... cosa vista dall’anima, o da una delle anime, m entre si trova tem poraneam ente fuori del corpo, avvenim ento che ha per teatro il m ondo degli spiriti, e simili»; c) «interpretarla m ediante un simbolismo più o meno complica­ to» 4. Il Rose ritiene che questi siano «tre stadi di progresso»

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successivi, e logicamente parlando, senza dubbio lo sono. Ma in questi campi lo sviluppo reale delle nostre nozioni raram ente segue un corso logico. Considerando O m ero, vediamo che il prim o e il terzo degli «stadi» di Rose coesistono in am bedue i poemi, apparentem ente senza che il poeta abbia coscienza di questa in­ congruenza, m entre il secondo «stadio» manca del tutto, ed è assente da tu tta la letteratura greca che possediamo, sino al V secolo, quando appare per la prim a volta, in modo sensazionale, in un noto fram m ento di Pindaro (fr. 131 Sn.-M.). I poeti omerici, in quasi tutte le loro descrizioni di sogni, trattano le cose vedute come realtà oggettiva 5. D i solito il sogno assume la form a di una visita resa a un dorm iente da una sola figura onirica (la parola stessa òneiros in O m ero significa quasi sempre figura, non esperienza onirica). Q uesta figura onirica può essere un dio, uno spettro, un messaggero onirico preesistente o un’«immagine» (èidolon) creata per l’occasione 6, però, quale che sia, esiste oggettivam ente nello spazio ed è indipendente dal so­ gnatore. E ntra dal buco della chiave (le camere da letto omeriche non hanno finestre né camino); si pianta a capo del letto per comunicare il suo messaggio, e fatto questo si ritira per la stessa strada. Il sognatore, intanto, è quasi sempre com pletam ente pas­ sivo: vede una figura, ode una voce, e questo è tutto; è vero che talvolta risponde nel sonno, e una volta tende le braccia per abbracciare la figura onirica, ma questi sono gesti fisici og­ gettivi, che si vedono fare ai dorm ienti. Il sognatore sa di trovarsi nel suo letto e non altrove, anzi sa di essere addorm entato, poiché la figura onirica ha cura di farglielo notare: «Tu dormi, Atride», dice il sogno cattivo nel II libro delVIliade; «Tu dormi, Achille», dice lo spettro di Patroclo; «Tu dormi, Penelope», dice l’«immagine evanescente» àelYOdissea (IV, 804). Q ueste scene somigliano ben poco ai sogni delle nostre espe­ rienze, e gli studiosi tendono a relegarle, come tante altre cose in O m ero, tra le «convenzioni poetiche» e i «meccanismi epici» 7. Certo sono m olto stilizzate, come dim ostrano le formule ricorrenti, e su questo punto tornerò fra poco. Possiamo intanto notare che in ogni epoca i greci quando descrivono un qualunque tipo di sogno, si servono di un linguaggio che sembra suggerito da sogni in cui il sognatore riceve passivam ente una visione oggettiva. I greci non parlavano mai di avere o fare un sogno, ma sempre di vederlo (ònar idèin). Q uesta espressione si adatta soltanto a sogni di tipo passivo, ma la troviam o anche quando il sognatore stesso è la figura centrale dell’azione sognata. Ancora: non solo si dice che il sogno «visita» il sognatore (phoitàn, proselthèin), ma anche che gli «sta sopra» (epistènai) 8. Q uest ultim a espressione

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è particolarm ente frequente in Erodoto, ove è stata presa per una reminiscenza dell’omerico «stava sopra la sua testa» (stè d ’ ar’ hypèr kephalès)-, ma il fatto che l’espressione ricorra nelle cro­ nache dei tem pli di Epidauro e di Lindo, e in m oltissimi autori posteriori, da Isocrate agli A tti degli Apostoli, difficilmente può essere spiegato in questo m odo 9. Sembrerebbe che il sogno che si concretizza in un oggetto o in una visione avesse affondato radici profonde non solo nella tradizione letteraria, ma anche nel­ l’immaginazione popolare. Q uesta conclusione è in certa misura confermata dalla comparsa, nei miti e nelle leggende edificanti, di sogni che com provano la propria realtà oggettiva, lasciando dietro di sé un segno materiale, quel che gli studiosi di m etapsi­ chica chiamano un «apporto»; l’esempio più noto è il sogno in­ cubatorio di Bellerofonte in Pindaro, ove l’apporto è una briglia d ’oro 10. Ma torniam o ad O m ero. G li stilizzati sogni oggettivi che ho descritto non sono i soli sogni noti ai poeti epici. Che il comune sogno angoscioso fosse familiare all’autore òe\YIliade non meno che a noi, risulta da una famosa sim ilitudine: «Come in sogno non si riesce a inseguire un fuggente, ché né l’uno riesce a scampare né l’altro a raggiungerlo, così né Achille riusciva a raggiungere E ttore con la corsa, né E ttore a sottrarglisi» 11. Il poeta non attribuisce incubi simili ai suoi personaggi, ma sa bene che cosa siano, e si ' serve efficacemente della propria esperienza per espri­ mere la frustrazione. Ancora, nel sogno delle oche e dell’aquila, fatto da Penelope, nel X IX àéKOdissea, abbiamo un semplice sogno di adem pim ento di desiderio, con simbolismo, e con quel che Freud chiama «condensazione» e «dislocazione»: Penelope piange la strage delle sue belle oche, quando improvvisamente l’aquila parla con voce um ana e le spiega di essere Odisseo. Q uesto è l’unico sogno interpretato simbolicamente in Om ero. D obbiam o allora dire che qui è intervenuto un poeta tardo, com­ piendo il salto dalla fase prim itiva del prim o stadio del Rose, a quella elaborata del terzo stadio? Ne dubito. Nessuna ragionevole teoria sulla composizione àeìYOdissea perm ette di supporre che il X IX libro sia molto più tardo del IV, in cui troviamo un sogno di tipo prim itivo, «oggettivo». N on solo, ma l’interpretazione simbolica dei sogni era nota all’autore del V libro àeWIliade, generalm ente ritenuto una delle parti più antiche del poema: ivi troviamo un (oneiropòlos) che non era riuscito ad interpretare i sogni dei propri figli partenti per la guerra di Troia (V, 148 sgg-)Mi sem bra che la spiegazione buona non consista in una giu­ stapposizione di atteggiam enti arcaici e recenziori verso l’esperienza

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onirica come tale; si tratta piuttosto di una distinzione tra diversi tipi di esperienza onirica. Per i greci, come per altri popoli antichi, la distinzione fondam entale era tra sogni significativi e sogni non significativi; la troviam o in O m ero, nel passo sulle porte di avorio e di corno (Odissea X IX , 560 sgg.) e si m antiene durante tutta l’antichità. Ma alPinterno della categoria dei sogni significativi, se ne conoscevano vari tipi. In una classificazione trasmessa da Artem idoro, M acrobio ed altri autori tardi, ma che potrebbe avere origine molto più antica, si distinguono tre tipi 12. A nzitutto il sogno simbolico, che «veste di metafore, come una specie di in­ dovinello, un significato che è incomprensibile senza la spiegazio­ ne». Secondo tipo, hòrama o «visione», esplicita pre-rappresentazione di un avvenim ento futuro, come i sogni descritti nel libro dell’ingegnoso J.W . D unne. Il terzo si chiama chrematismòs, «oracolo», riconoscibile «quando nel sonno uno dei genitori del sognatore, o qualche altro personaggio rispettato o solenne, magari un sacerdote, od anche un dio, rivela senza simbolismo quel che avverrà o non avverrà, o quel che si deve o non si deve fare». Credo che quest’ultim o tipo non sia affatto frequente nella nostra esperienza onirica, ma vi sono abbondanti testim onianze che tali sogni fossero familiari agli antichi: figurano infatti in altre antiche classificazioni. Calcidio, che segue uno schema diverso da quelli degli altri sistem atizzatori 13, chiama admonitio questo tipo di sogno, «quando siamo guidati e amm oniti dai consigli della bontà angelica», e cita l’esempio dei sogni di Socrate nel Critone e nel Fedone. Ancora, l’antico autore di opere mediche Erofilo (principio del I I I secolo a.C.) pensava probabilm ente a questo tipo distinguendo i sogni «m andati dagli dèi» da quelli originati sia da chiaroveggenza «naturale» della m ente, sia dal caso, sia dall’adem pim ento di desideri 14. La letteratura antica è piena di questi sogni «m andati dagli dèi», in cui una singola figura onirica si presenta al dorm iente, come in O m ero, con pro­ fezie, consigli o avvertim enti. Così un òneiros «stette sopra» a Creso e lo avvertì delle catastrofi im m inenti; Ipparco vide «un uomo alto e di nobile aspetto», che gli diede un oracolo in versi, come la «donna bella e di nobile aspetto» che rivelò a Socrate il giorno della sua m orte, citando O m ero; Alessandro vide «un uomo canuto, di aspetto venerabile», che citò anch’egli O m ero, e che secondo Alessandro era proprio O m ero in persona 15. Ma non disponiam o soltanto di queste testim onianze letterarie, la cui singolare uniform ità può essere naturalm ente ascritta allo spirito conservatore della tradizione letteraria greca. Un tipo co­ mune di sogno «m andato dagli dèi», in G recia e altrove, è il sogno che prescrive una consacrazione od altro atto religioso;

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tali sogni hanno lasciato prove concrete del loro m anifestarsi in numerose iscrizioni, ove è detto che il tale fa una consacrazione «in base a un sogno», o «perché ha visto un sogno» 16. È raro che si diano particolari, ma abbiam o u n ’iscrizione in cui Serapide dice ad un sacerdote, in sogno, di costruirgli una casa tutta per lui perché è stanco di stare in casa d ’altri; u n ’altra iscrizione stabilisce regole particolareggiate per l’organizzazione di un sacello, regole che si assicura di aver ricevuto in sogno da Zeus. Quasi tutte le testimonianze epigrafiche sono di età ellenistica o romana, ma ciò è probabilm ente dovuto al caso, perché Platone parla nelle Leggi (909e-910a) di consacrazioni com piute in base a sogni o a visioni in stato di veglia «specialmente da donne di ogni specie e da uom ini m alati o che si trovano in qualche pericolo o difficoltà, oppure che hanno avuto un eccezionale colpo di for­ tuna», e di nuovo nelVEpinomide (985c) è detto che «molti culti di dèi furono fondati e continueranno a fondarsi, a causa di in­ contri, nei sogni, con esseri soprannaturali, di presagi, oracoli e visioni sul letto di m orte». La testim onianza di Platone circa la frequenza di tali avvenim enti è tanto più convincente, in quanto egli stesso credeva poco alla loro qualità soprannaturale. D i fronte a queste testim onianze, mi sembra si debba ricono­ scere che la stilizzazione del «sogno divino» o chrematismòs non è unicam ente letteraria; esso è un sogno conforme a uno «schema culturale» nel senso da me definito al principio di questo capitolo, ed appartiene all’esperienza religiosa del popolo, benché i poeti, da O m ero in poi, l’abbiano adattato ai loro fini, adoperandolo come motivo letterario. Q uesti sogni rappresentavano una parte im portante nella vita di altri popoli dell’antichità, e la rappresen­ tano ancora per m olte popolazioni del giorno d ’oggi. La maggior parte dei sogni riferiti nella letteratura degli assiri, degli hittiti e degli egizi, sono «sogni divini», in cui un dio appare al dorm iente e gli trasm ette un messaggio chiaro, talvolta predicendo l’avvenire, talaltra dom andando che gli sia reso omaggio culturale. Come è logico attendersi in società a regime monarchico, i sognatori pri­ vilegiati sono di solito dei re (l’idea compare anche nelYIliade ’7); la gente comune doveva accontentarsi del normale sogno simbolico, che veniva interpretato facendo ricorso a libri dei sogni. U n tipo corrispondente al chrematismòs greco appare anche tra i sogni dei prim itivi del nostro tempo, i quali sono soliti attribuirgli par­ ticolare importanza. Che la figura onirica sia identificata in un dio o in un antenato, dipende naturalm ente dallo schema di cultura del luogo. Talvolta è soltanto una voce, come il Signore che parla a Samuele; talaltra è un «uomo alto» senza nome, quale troviam o nei sogni dei greci. In certe società è abitualm ente iden­

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tificato col defunto padre del sognatore; in altri casi lo psicanalista può anche vedere in lui un sostituto del padre, che esercita le funzioni paterne di am m onitore e guida 18. Se quest’opinione è giusta, potrà forse sembrarci particolarm ente significativa la frase di Macrobio: «un genitore o qualche altro personaggio rispettato o solenne». Possiam o inoltre supporre che finché si m antenne l’antica solidarietà familiare, tale continuità di contatti con l’im­ magine paterna nel sogno dovette avere significato più profondo e autorità più indiscussa, di quanto non ne abbia nella nostra società più individualistica. Il carattere «divino» dei sogni greci, tuttavia, non sembra dipendere esclusivamente dall’identità m anifesta della figura oni­ rica: era im portante anche l’immediatezza (enàrgheia) del messag­ gio. In vari sogni, in O m ero, il dio o èidolon appare al sognatore sotto le sembianze di un amico vivo: può darsi che nella vita reale i sogni che concernevano dei conoscenti fossero spesso in­ terpretati in questo modo. M entre Elio Aristide sollecitava una cura nel tem pio di Asclepio a Pergamo, il suo domestico sognò di un altro paziente, il console Salvio, che nel sogno gli parlava delle opere letterarie di Elio. Q uesto bastò a convincere Aristide che la figura onirica era il dio stesso, «travestito da Salvio» 19. C’era tuttavia il fatto che questo sogno era stato «sollecitato», anche se la persona a cui si era m anifestato non era il sollecitante; ma qualsiasi esperienza onirica avvenuta nel tem pio di Asclepio si presum eva m andata dal dio. Si adoperavano e ancora si adoperano, in molte società, certe tecniche per provocare il sogno «divino» tanto desiderato: esse com prendono l’isolamento, la preghiera, il digiuno, l’auto-mutilazione, il dorm ire sulla pelle di un animale sacrificato o a contatto con qualche altro oggetto sacro, e infine l’incubazione (cioè il dorm ire in un luogo sacro), o una qualche com binazione di queste pratiche. Il m ondo antico confidava soprattutto nell’incubazione, praticata ancor oggi dai contadini greci, ma non mancano tracce delle altre pratiche. Così era necessario il digiuno presso certi oracoli onirici, come la «G rotta di Caronte» in Asia M inore e il santuario dell’eroe Anfiarao ad O ropo; in quest’ultim o si dormiva anche sulla pelle di un ariete sacrificato20. Nelle leggende di Epim enide e di Pitagora figura anche il ritiro in una grotta sacra, all^ ricerca della sapienza per mezzo di una visione. Perfino la pratica dei pellirosse, di mozzarsi la falange di un dito per ottenere sogni, ha almeno in parte uno strano parallelo 21. Nella tarda antichità c’erano anche maniere m eno dolorose di ottenere un sogno oracolare: i libri dei sogni consigliavano di dorm ire con un ramoscello di alloro sotto il cuscino; i papiri magici sono

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pieni di incantesimi e di rituali privati rivolti a tale scopo; e a Roma certi ebrei vendevano qualsiasi sogno, su ordinazione, per pochi d e n a ri22. O m ero non ricorda alcuna di queste pratiche, e neppure l’in­ cubazione, ma abbiamo visto che trarre conclusioni dal suo silenzio è, in questa materia, assai pericoloso. L ’incubazione era praticata in E gitto almeno dal XV secolo a.C., e dubito che i minoici la ignorassero. In G recia la troviam o infatti dapprim a associata di solito ai culti della Terra e dei m orti, che hanno tutta l’aria di culti pre-ellenici. Diceva la tradizione, probabilm ente verace, che l’oracolo originario della Terra a Delfi era stato un oracolo onirico; in tem pi storici si praticava l’incubazione presso i santuari degli eroi (sia uom ini defunti che dem oni ctonii) e presso certe voragini ritenute ingressi del m ondo dei m orti {nekyomantèia). G li dèi olimpici non patrocinavano l’incubazione (basta questo a spiegare il silenzio di O m ero); fa eccezione A tena nella storia di Bellerofonte (Pindaro, Ol. X III, 75 sgg.), ma il suo caso può essere una sopravvivenza del passato pre-olimpico della dea. L ’incubazione, fosse o no praticata su più larga scala nella G recia arcaica, in tempi storici la troviam o adoperata per due scopi specifici: per ottenere sogni divinatori dai morti e per ot­ tenere guarigioni. Nel prim o caso l’esempio più noto è quello di Periandro, che consultò su una questione d ’affari la defunta moglie Melissa presso un nekyomantèiom allora l’«immagine» della morta apparve all’interm ediario del marito, dim ostrò la propria identità, ordinò che le si facesse un sacrificio e volle soddisfazione su questo punto prim a di rispondere alla d o m a n d a 23. Q uesta storia non ha niente di incredibile; vera o falsa, rispecchia in ogni caso un antico schema di civiltà, che ha dato origine, in alcune società, ad una specie di spiritismo. In Grecia u n ’evoluzione in questo senso deve aver trovato un ostacolo tanto nella omerica credenza nell’A de quanto nello scetticismo dell’età classica; e difatti sembra che i sogni divinatori dovuti ai m orti abbiano avuto un’importanza del tutto secondaria nei tem pi classici. Acquistarono forse im por­ tanza maggiore in alcuni am bienti ellenistici, dopo che i pitagorici e gli stoici ebbero avvicinati i m orti ai vivi, trasferendo la sede d ell’Ade nell’aria. Leggiamo in Alessandro Poliistore che «l’aria è tutta piena di anime, venerate come dem oni ed eroi; sono esse che m andano agli uom ini sogni e presagi»; una teoria analoga è attribuita a P o sid o n io 24. Però chi professava queste opinioni non aveva nessun m otivo di sollecitare sogni in luoghi appositi, dato che i m orti stavano dappertutto; nel m ondo antico i nekyomantèia erano destinati a non avere un avvenire. L ’incubazione medica ebbe invece una brillante rinascita quan­

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do, alla fine del V secolo, il culto di Asclepio im provvisam ente assunse im portanza panellenica che conservò poi sino alla fine del paganesimo. Fin dalla pubblicazione, nel 1883, della Cronaca del tem pio di E pidauro, tali sogni sono stati molto discussi, e le opinioni degli studiosi hanno riflettuto il graduale modificarsi del nostro atteggiam ento in genere verso gli elem enti non razionali dell’esperienza um ana. I prim i com m entatori si accontentarono di m etter da parte la Cronaca definendola un deliberato falso dei sacerdoti, oppure di proporre le poco convincenti spiegazioni che i m alati venissero drogati, o ipnotizzati, o che in qualche modo confondessero lo stato di veglia col sonno e scambiassero un sacerdote m ascherato per il G uaritore divino. Pochi oggi forse sarebbero soddisfatti di queste grossolane spiegazioni; e in quelli che sono i tre principali contributi della nostra generazione alla discussione, quelli cioè di W einreich, H erzog e E delstein 25, pos­ siamo notare una sempre crescente insistenza sul carattere schiet­ tam ente religioso di tale esperienza: cosa che mi sembra del tutto giustificata. Ma le opinioni differiscono ancora circa l’origine della Cronaca: H erzog la crede in parte basata su tavolette votive au­ tentiche, offerte dai singoli pazienti, ma forse elaborate ed ampli­ ficate al m om ento in cui vennero incorporate nella Cronaca, e in parte derivata anche da una tradizione del tem pio, la quale aveva raccolto in sé, da fonti disparate, storie di miracoli; Edelstein, invece, accetta le iscrizioni, riconoscendovi, in un certo senso, la fedele riproduzione delle esperienze dei pazienti. In questa m ateria è difficile raggiungere certezze. Ma il con­ cetto del sogno o visione conforme ad uno schema di cultura può forse condurci più vicino ad intendere la genesi di certi docum enti quali la Cronaca di E pidauro. Le esperienze di questo tipo riflettono uno schema di credenza accettato non soltanto dal sognatore, ma di solito da tutte le persone del suo am biente; la loro form a è determ inata dalla credenza e a sua volta la con­ ferma; quindi esse diventano sem pre più stilizzate. Come fece notare il Tylor m olto tem po fa, «si tratta di un circolo vizioso: ciò che il sognatore crede, per ciò stesso lo vede, e ciò che egli vede, per ciò stesso lo crede» 26. M a che succede se, malgrado tutto, il credente non vede? D ev’essere avvenuto spesso in E pi­ dauro; come dice Diogene a proposito di tavolette votive dedicate ad altra divinità, «ce ne sarebbero tante di più, se le avessero offerte anche quelli che non furono esauditi» 27. Senonché l’insuc­ cesso non aveva im portanza (salvo per l’interessato); infatti la volontà di un dio è im perscrutabile, «egli compassiona quelli che vuol com passionare». Dice il lenone m alato in Plauto Curculio 216 sgg.: «Sono deciso ad abbandonare subito il tem pio perché

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ho com preso la decisione di Asclepio: non si occupa di me né si cura di salvarmi». M olti ammalati debbono aver parlato così, ma il vero credente, senza dubbio, aveva una pazienza infinita: sappiam o con quanta pazienza i prim itivi aspettano la visione significativa e come la gente torni a Lourdes più e più volte. Spesso, in pratica, i sofferenti dovevano contentarsi di una rive­ lazione, a dir poco, indiretta: abbiamo visto che il sogno di una terza persona circa un console fu potuto utilizzare, in mancanza di meglio. Ma A ristide (4 8 ,3 1 ) aveva anche sperim entato, così credeva, la presenza personale del dio, e l’ha descritta con parole che m eritano una citazione: «Era come se sembrasse di toccarlo — dice —, una specie di sensazione che il dio fosse lì presente in persona; si stava fra il sonno e la veglia, si voleva aprire gli occhi, eppure si tem eva che il dio troppo presto si ritirasse; si ascoltavano e udivano cose, ora come in un sogno, ora come in stato di veglia; si drizzavano i capelli in capo; si piangeva sen­ tendosi felici; il cuore si gonfiava ma non di vanagloria. Qual è l’essere um ano che potrebbe rendere con parole questa esperienza? Ma chiunque l’ha provata è partecipe della mia cognizione e ri­ conosce tale stato d ’animo». Q uel che Aristide così descrive è uno stato di trance auto-provocata, nel quale il paziente sperimenta interiorm ente e con forza il senso della presenza divina, e magari anche ode la voce divina, esteriorizzata soltanto a metà. È possibile che spesso il paziente si trovasse in questo stato, anziché in stato onirico propriam ente detto, m entre riceveva le prescrizioni più particolareggiate del dio. L ’esperienza di Aristide è evidentem ente soggettiva, ma talvolta può intervenire anche un elem ento oggettivo. Nella Cronaca di Epidauro leggiamo che un tale si addorm entò di giorno fuori del tem pio, ed una delle serpi addom esticate del dio venne a leccargli l ’alluce infiammato; si svegliò «guarito» e dichiarò di aver sognato che un giovane di nobile aspetto gli aveva medicato l’alluce. Q uesto ricorda la scena del Fiuto di Aristofane, in cui sono le serpi ad effettuare il trattam ento curativo, dopo che i malati hanno avuto una visione del dio. Leggiamo anche di cure effettuate dai cani del tem pio, che vengono a leccare la parte malata al paziente com pletam ente sveglio. E d in questo non c’è niente di incredibile, purché si sorvoli sulla durevolezza della «guarigione»; sono note le abitudini dei cani e le virtù terapeutiche della saliva, e tanto i cani che i serpenti ceran o davvero. U n’i­ scrizione ateniese del IV secolo ordina l’offerta di focacce ai cani sacri, e c’è la storia, raccontata da Plutarco (Soli. anim. 13,969c), del cane sagace di un tempio, il quale colse un ladro a rubare le offerte votive, e fu prem iato con lauti pasti a pubbliche spese

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finché visse. Il serpente del tempio figura in un mimo di Eroda (4, vv. 90 sgg.): le visitatrici si ricordano di introdurre un boccone di polentina nella sua tana, «con reverenza». Quelli che erano stati onorati la notte dalla visita del dio, la mattina dopo raccontavano le loro esperienze. E qui bisogna fare una larga tara air«elaborazione secondaria», come la chiama Freud, grazie alla quale, sempre secondo Freud, «il sogno perde l’appa­ renza di assurdità e incoerenza e comincia ad assomigliare ad un avvenim ento com prensibile» 28. In questo caso la elaborazione secondaria avrà, senza inganno cosciente, reso il sogno o visione più conform i allo schema di civiltà tradizionale. Ad esempio, nel sogno dell’uomo con l’alluce infiammato, la divina bellezza della figura onirica è proprio uno di quei tratti tradizionali che facil­ mente si aggiungono in questo stadio. O ltre a ciò, credo che in molti casi si possa presum ere u n ’elaborazione terziaria, opera di sacerdoti, o forse più spesso di altri pazienti. O gni notizia di qualche guarigione, portando nuove speranze a chi disperava, sarà stata colta al balzo e magnificata dalla com unità dei sofferenti in attesa, legati gli uni agli altri, come dice Aristide, da una solidarietà più stretta di quella tra condiscepoli o dell’equipaggio di una nave 29. A ristofane (Plut. 742 sgg.) è psicologicamente nel vero quando descrive gli altri ammalati che fanno ressa intorno a Plauto per congratularsi con lui di aver recuperato la vista e troppo eccitati per riprender sonno. A d un siffatto am biente vanno probabilm ente ricondotti gli elem enti di novellistica popolare che troviamo nella Cronaca, ed anche i racconti meravigliosi di ope­ razioni chirurgiche eseguite dal dio sui malati dorm ienti. È signi­ ficativo che A ristide (50, 46) non conosca alcuna guarigione chi­ rurgica contem poranea, ma creda che esse fossero frequenti «ai tempi del nonno dell’attuale sacerdote». Anche ad Epidauro e a Pergamo bisognava dare alle storie il tem po di crescere.

Note ' Cfr. B. Malinowsky, Sex and Repression in Savage Society, London 1927, pp. 92 sgg. [trad. it. Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, Boringhieri, I orino 1969, pp. 128 sgg.] e specialmente J.S. Lincoln, The Dreams in Primitive C.ultures, London 1935 [reprint New York 1970, con introduzione di G. Devcreux]; cfr. anche G. Kelchner, Dreams in Old Norse Literature and their Affihities in Folklore, Cambridge 1935, pp. 75 sg. 2 C.G. Jung riterrebbe questi sogni basati sulle immagini archetipiche tra­ smesse mediante una presunta memoria razziale. Ma, come nota Lincoln, op. cit., p. 24, la loro scomparsa nel crollo di una civiltà dimostra che queste immagini sono trasmesse culturalmente. Jung stesso in Seelenprohleme der

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Gegenwart [trad. it. Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, Einaudi, Torino 1973, pp. 160-61] riferisce la dichiarazione significativa di un medico­ stregone il quale confessò che non faceva più sogni perché adesso avevano il Commissario Distrettuale. «Da quando nel nostro paese ci sono gli inglesi — diceva — non sognamo più. Il Commissario Distrettuale sa tutto sulla guerra e le malattie, e su dove dobbiamo abitare». 3 J. Harrison, Prolegomena to thè Study o f Greek Religion, Cambridge 1903, p. 32. 4 H.J. Rose, Primitive Culture in Greece, London 1925. ’ Lo studio più recente e approfondito sui sogni in Omero è quello di J. Hundt, Der Traumglaube bei Homer, Greifswald 1935, dal quale io ho imparato molto. Secondo la sua terminologia, i sogni oggettivi sono Aussentràume contrapposti agli Innentràume, considerati pure esperienze mentali, anche se possono essere provocati da cause esterne. 6 Spettro: Iliade X X III, 65; dio: Odissea VI, 20; messaggero onirico: Iliade 11,5; èidolon creato ad hoc, Odissea IV, 795. In Iliade 11,5 e nei due sogni dell’Odissea la figura onirica è travestita da persona vivente, ma non vedo ragione di supporre, con Hundt, che sia realmente la Bildseele o anima-ombra della persona in questione che visita quella del sognatore. 7 Cfr. Hundt, op. cit., pp. 42 sg.; G. Bjòrck, «Onar idèin»: de la perception de rève chez les anciens, in «Eranos» 44 (1946), p. 309. 8 Cfr., ad es., Aesch., Prom. 657; Eur., Ale. 355; Herod. 7, 16; Plat., Crit. 44a, ecc. 9 Herod. 1,34; 2, 139; 5,56; 7, 12. Cronaca di Lindo D 14,68,98 Blinkenberg; Isocr. 10, 65; Cronaca di Epidauro 4, 7 (ecc.) ed. Herzog; A tti 23, 11. Molti altri esempi di quest’uso sono raccolti da L. Deubner, De incuhatione, Leipzig 1900, pp. 11 e 71. 10 Pind., Ol. X III, 65 sgg.; cfr. anche Paus. 10,38,13 dove la figura onirica di Asclepio lascia una lettera [cfr. anche, in questo volume, p. 17]. 11 Iliade XXII, 199 sgg. Sembra che Aristarco rifiutasse questi versi, ma le ragioni addotte negli scolii — che sono volgari di stile e di concetto e che distruggono l’impressione della velocità di Achille — sono evidentemente futili, e le obiezioni di alcuni moderni non valgono molto di più. Wilamowitz (Die Ilias und Homer, Berlin 1916, p. 100) giudicò la similitudine ammirevole, ma unertràglich nel suo attuale contesto: la sua analisi mi sembra ipercritica [cfr. anche p. xxxvii n. 54]. u [Cfr. Introduzione a p. xi], 13 Come ha dimostrato O. Waszink, Die sogennante Punfteilung der Tritume bei Chalcidius und ihre Quellen, in «Mnemosyne» 9 (1947), pp. 65 sgg., la classificazione di Calcidio è una combinazione di idee ebraiche e platoniche; Waszink congettura che egli labbia derivata da Numenio tramite Porfirio. Una conversazione diretta con un dio compare anche nella classificazione di Posidonio in Cicerone, De divinatione 1,64 [cfr. anche, in questo volume, la p. x x x 6i i n. 54]. 14 [Per la classificazione di Erofilo, cfr. in questo volume le pp. 141 sgg). 13 Herod. 1,34; Plat., Crit. 44a; Plut., Alex. 26 (basato sull’autorità di Eraclide). L’uniformità della tradizione letteraria è stata notata da L. Deubner, De incuhatione, Leipzig 1900, p. 13, che cita molti altri esempi. Questo tipo è altrettanto comune nell’antica letteratura cristiana quanto in quella pagana (cfr. A.J. Festugière, L ’astrologie et les Sciences occultes, p. 51). 16 Per esempio, la moglie di un antico re spartano costruisce un tempio di Teti «per la visione di un sogno» (Paus. 3, 14,4); sogni relativi a statue sacre: Paus. 3, 16, 1; 7 ,2 0 ,4 ; 8 ,4 2 ,7 ; Athen. 543 F. Sofocle dedica un sacello in seguito ad un sogno: Vita Sophocl. 12; Cic., De div. 1,54. Per l’iscrizione di Serapide, cfr. Dittenberg, Sylloge’’ 663; cfr. anche, in proposito, nel Pap.

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Cair. Zenon I, 59034 i sogni di Zoilo (che sembra fosse un impresario edile e aveva quindi tutte le ragioni di sognare che Serapide aveva bisogno di un tempio nuovo). Molti sogni di Elio Aristide ordinano sacrifici o altri atti di culto. 17 II. 11,80 sgg. sembra implicare che l’esperienza onirica di un gran re è più fededegna di quella di un uomo comune (cfr. J. Hundt, op. cit., pp. 55 sgg.). In seguito fu convinzione dei greci che l’uomo di valore godesse il privilegio di ricevere soltanto sogni significativi (Plut., De genio Socratis 589b), il che corrisponde alla speciale funzione, per quanto concerne il sogno, rico­ nosciuta dai primitivi al medico-stregone; forse tale convincimento era basato su idee pitagoriche [cfr. Cic., De div. 2, 119; e in questo volume a p. xn). 18 Voce: J.S. Lincoln, op. cit., p. 198; uomo alto: J.S. Lincoln, op. cit., p. 24; L. Deubner, op. cit., p. 12. Anche alcuni pazienti di Jung riferivano sogni in cui si udiva una voce oracolare o incorporea o proveniente da una figura autorevole; Jung chiama questo un fenomeno fondamentalmente religioso (Psychology and Religion, pp. 45 sg.). 19 Arist. 48,9 (11,396,24 K.). 20 Paus. 1,34,5. Altri esempi in L. Deubner, op. cit., pp. 27 sg. Cfr. anche W.R. Halliday, Greek Divination, pp. 131 sg. che cita lo strano rito d’incubazione gaelico detto Tagahirm, in cui il soggetto veniva avvolto in una pelle di toro. 21 Arist. 48,27. Veri sacrifici di dita vengono praticati dai primitivi per svariati scopi (cfr. G. Frazer, comm. a Paus. 8 ,3 4 ,2 ). Uno dei fini è quello di ottenere sogni o visioni significative: cfr. J.S. Lincoln, op. cit., pp. 147 e 256, dove la pratica viene spiegata come atto simboleggiante la auto-evirazione allo scopo di placare la figura paterna, quando si desidera di vederla apparire. 22 Ramo d’alloro: Fulgent., Mythol. 1, 14 (sull’autorità di Antifonte ed altri). Incantesimi: Artem. 4 ,2 . Vendita di sogni: Giov., Sat. 6, 546 sgg. 23 Herod. 5,92. Melissa era morta di morte violenta e questo rendeva più accessibile il suo èidolon a chi lo volesse consultare. 24 Alex. Pollst. (apud Diog. Laert. 8,32); Posid. apud Cic., De div. 1,64. 25 [Il saggio degli Edelstein è in questo volume, alle pp. 67-86]. O. Weinreich, Antike Heilungswunder, Giessen 1909; R. Herzog, Die Wunderkeilungen von Epidauros, Leipzig 1931. 26 E.B. Tylor, Primitive Culture, voi. II, London 1871, p. 49. G .W . Morgan, Navaho Dreams, in «American Anthropologist» 34 (1932), p. 400: i miti in­ fluiscono sui sogni e questi sogni a loro volta contribuiscono a conservare l’efficacia delle cerimonie. 27 Diog. Laert. 6, 59. 28 S. Freud, L ’interpretazione dei sogni, trad. it., Boringhieri, Torino 1973, p. 358. 29 Arist. 23, 16.

Carlo B rillante M E T A M O R FO SI D I U N ’IM M A G IN E: LE STATUE A N IM A T E E IL S O G N O *

Pindaro, nell’Olimpica X III (vv. 63 sgg.), narra come Bellerofonte ottenne da A tena il morso d ’oro che gli permise di domare Pegaso. L ’eroe, su consiglio dell’indovino Poliido, aveva dorm ito nella notte sull'altare di Atena : la dea gli era apparsa e gli aveva offertcTil morso d ’oro. Il processo di materializzazione viene espresso con le parole «e da sogno subito si fece realtà» (ex onèirou d ’autìka en hypar, vv. 66 sgT-“ D odds accbstà~Tepisodio al cosiddetto «apporto» della m etapsichica2: è un mezzo questo, secondo Dodds, in cui, nei m iti e nelle leggende edificanti, i sogni com provano la loro realtà oggettiva. Quella di Pindaro rap­ presenta la testim onianza più antica, ma non l’unica. Pausania raccontava, ad esempio, una esperienza analoga occorsa alla poe­ tessa A nite 3, che si vide recapitare in sogno una lettera da Ascle­ pio. Anche qui incontriam o la tradizionale opposizione tra visione del sogno e realtà: «questo apparve alla donna come visione di sogno, ma subito si fece realtà». Q uesti sogni presentano un chiaro carattere incubatorio 4, che richiama i riti praticati in numerosi santuari dedlcatTaTlivinità ctonie e ad eroi. Il caso dLB.ellerpfonte che dorm e sull’altare di Atena si rifà al modello più comune di questo genere di sogni. In Pindaro si fa menzione dell’altare, ma non della statua della dea. In genere, tuttavia, la figura del dio che appariva in sogno al dorm iente era im maginata simile alla statua di culto abitualm ente venerata 5. Ad esempio, nel san­ tuario di Asclepio presso T ithorea un letto era posto accanto alla statua del dio, certo per chi intendeva ricevere responsi nel sogno 6. Più spesso le fonti ci dicono che la divinità appare al dorm iente in form e simili alle statue di culto 7. D eubner ne conSaggio originale scritto per questo volume.

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eludeva giustamente che l’immagine della divinità veniva a con­ fondersi con quella della statua, sì che era possibile ritenere che fosse la stessa statua a offrire responsi. Si potrebbero citare vari casi in cui la statua, per lo più rappresentante una divinità, acquista movimento e parola durante il sogno. Sappiamo, ad esempio, di un personaggio di nome Plutarco che si recò per cura nel santuario di Asclepio ad A tene s. Il dio gli apparve in sogno e gli consigliò di mangiare carne di porco. A quel punto il paziente si svegliò e, fissando la statua del dio, osò muovere obiezioni alla dieta prescritta. Il dio, o piuttosto la sua statua, gli rispose prescriven­ dogli una dieta diversa. In questo caso non solo il paziente rivolge la parola alla statua, ma questa, accogliendo l’osservazione, risponde. f Affinché il sogno sia propizio è necessario che la divinità si | presenti al dorm iente nella sua forma abituale e con gli attributi Itradizionali. Ciò viene afferm ato a più riprese da A rtem id o ro 9: se così non accadesse, il messaggio del sogno potrebbe essere ingannevole. Il sogno favorevole, cioè, è legato alle apparizioni della divinità nelle sue condizioni di normalità, meglio ancora se questa si presenta lieta, ridente e nell’atto di affermare o conferire al dorm iente cose buone 10. Se tali condizioni si presentano alterate, anche il messaggio contenuto nel sogno m uta di significato. Ciò , può contribuire, tra l’altro, a chiarire perché nelle iscrizioni votive ! si affermi che la divinità sia apparsa quale si trova rappresentata * nelle immagini di culto: la precisazione è da m ettere in relazione con l’atteggiam ento benevolo del dio e l’esito felice della cura. Ancora A rtem idoro dichiara che non vi è alcuna differenza nel sognare la divinità quale noi ce la immaginiamo e la sua immagine di culto 11. Ciò che viene valorizzato della rappresentazione onirica non è il fatto che essa ripeta l’originale o una sua immagine, ma piuttosto la forma particolare di tale apparizione. Il sogno è già per sua natura u n ’immagine (nel sogno i greci valorizzavano soprattutto l’aspetto visivo) e poco im porta se in sogno ci appare la divinità stessa o una immagine che la rappresenta: l’esito finale sarà pur sempre costituito da u n ’immagine. Solo nella m isura in cui sia l’immagine stessa a presentarsi alterata m uterà il contenuto di cui essa è portatrice. La prossim ità tra immagine e modello, decisamente forte in condizioni particolari, viene ribadita dalla possibilità di realizzazione del caso inverso: dall’immagine apparsa ' in sogno è possibile risalire alla statua di culto. Una storia di questo genere si raccontava a proposito dell’introduzione in Egitto del culto di Serapide 12: Tolom eo Soter ebbe in sogno la visione di una statua che fu possibile identificare con una reale statua di culto venerata a Sinope.

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Il fenom eno della statua che si presenta in sogno al dorm iente richiama una tem atica più V asta, relativa alle cosiddette statue animate, che dovettero svolgere un ruolo di rilievo anche nella Grecia arcaica e classica. Nilsson, in verità, tendeva a ridim ensio­ nare molto il fenomeno, almeno per quanto riguarda il periodo più antico 13. Il razionalismo avrebbe evitato ai greci per molto tempo di accogliere queste pratiche religiose; solo in età tarda, con il rafforzarsi delle credenze in forze soprannaturali, si sarebbe sviluppata una credenza nelle statue animate. Il fenom eno sarebbe da m ettere in relazione con la dottrina della sympàtheia stoica e il diffondersi del neoplatonism o. In precedenza '"'XGllì aveva’ va­ lorizzato m aggiorm ente il fatto che le statue di culto ricevessero un trattam ento particolare (venivano lavate, unte, ricevevano of­ ferte alim entari), che le assimilava in una certa m isura alla divinità rappresentata, e aveva richiam ato vari dati sulla loro consacrazione già in età classica 14. In realtà la tesi di Nilsson appare piuttosto riduttiva. Sono numerose, in Grecia, anche riguardo al periodo arcaico, le storie di statue che in vario m odo reagiscono alle azioni o alle provocazioni esterne. Una tradizione come quella relativa allo xòanon di Artemis O rth ia a Sparta, che diveniva più pesante tra le mani della sacerdotessa se i ragazzi non venivano frustati con la dovuta forza, diventa abbastanza incomprensibile se non si pensa a una qualche presenza della divinità nell’immagine stessa. Ci sarebbero inoltre vari rituali, come l’uso di frustare o legare le statue della divinità in determ inate circostanze o la ven­ detta praticata dalle statue verso i provocatori, che implicano una certa identificazione o almeno la presenza occasionale della divinità o dell’eroe nell’immagine di culto. Anche il mito conosce episodi analoghi: il Palladio che volge gli occhi quando Aiace fa violenza a Cassandra o l’episodio analogo relativo all’A tena di Siris si collocano in questa medesima tradizione 15. In generale appare probabile che anche nella G recia più antica questa credenza relativa alle statue animate, legate o m eno a rituali, avesse una certa diffusione. U na credenza come questa è agevolmente riconducibile all’azione della magia simpatica, che opera attraverso u n ’attrazione e u n ’azione reciproca fra simili. N é meraviglia constatare che in una società arcaica la potenza della divinità risieda nella sua ef­ figie 16. La statua, in quanto immagine, resta necessariam ente legata al modello. Per l’età più antica le testim onianze dirette sono scarse, pur se le tradizioni relative alle statue, dianzi ricordate, andranno inquadrate in questa generale prospettiva; per l’età successiva la docum entazione è più ampia. Essa, pur risentendo di una generale caratterizzazione filosofica nella presentazione, per lo più dipen­ dente dal pensiero neoplatonico, esprime i a ^ n ^ forma appena

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m utata queste medesime credenze. La consacrazione di statue era ; particolarm ente diffusa in età romana. Ricorrendo a mezzi parti• colari (symbola, synthèmata) che utilizzavano la magia simpatica, attraverso, cioè, tecniche basate su presunte affinità tra i simboli stessi e la divinità, si riteneva di poter far intervenire la divinità nell’oggetto m ateriale predisposto ad ospitarla. Se la statua era stata costruita secondo norm e rigorose e debitam ente consacrate, la presenza della divinità era praticam ente sicura. Così la telestikè rappresentava una vera consacrazione della statua, cui si attribuiva il potere di animare l’immagine («renderla adatta, con alcuni mezzi simbolici, ad essere partecipe del dio, a ricevere il movimento da lui e a predire il futuro») 17. Certo la statua, in quanto immagine della divinità, non raggiungeva la perfezione del modello, piuttosto essa partecipava della natura divina a un livello inferiore. Qui troviam o operante il concetto di imitazione (mìmesis), che agisce anche attraverso la metafora dello specchio, di tradizione platonica r attraverso l’immagine riflessa nello specchio è possibile carpire l’immagine della divinità e assicurarsene la presenza e il beneficio. A credenze analoghe si rifacevano alcuni tipi di divinazione, come quella che operava attraverso specchi o vasi che lasciavano tra­ sparire l ’immagine (lekanomantèia) 18. A ttraverso determ inate ce­ rimonie, la semplice m ateria rude (h'yle) rende disponibile per l’uomo la presenza della divinità. Considerata sotto questo aspetto, la statua è vista come un corpo vuoto, un ricettacolo (hypodochè), i che la divinità era chiamata a riem pire con la sua presenza. Teol ricamente resta aperta la via anche a un processo inverso. E '. possibile, cioè, allontanare, tram ite l’immagine, spiriti o m alattie dalla com unità, facendole confluire su immagini umane. È un caso largam ente diffuso presso vari popoli prim itivi 19. Il processo che s’immagina operante è il medesimo: si tratta in un caso di attirare l’essere soprannaturale in u n ’immagine, che può essere .quella della divinità quando ci si attende che sia questa a entrare in contatto con l’uom o (come nel sogno incubatorio e nelle statue animate), oppure l’immagine può assumere forma umana, quando si desidera che dem oni o m alattie entrino in essa e si distolgano dall’uomo. Per la Grecia è notevole il caso dell’eroe Aktaion 20. Presso gli O rcom eni si aggirava 1’èidolon di Aktaion, che devastava la regione. L ’oracolo di Delfi, consultato, ordinò di seppellire quan­ to restava del corpo dell’eroe, di costruire una statua e di legarla con il ferro alla roccia presso la quale A ktaion si manifestava. Fissato nella statua, Yeìdolon di A ktaion cessava di recar danno agli Orcom eni. La com unità evita i danni provocati dall’errare incontrollato della psychè fissandola in u n ’immagine. U n’aspettativa analoga si esprimeva presso i greci con la costruzione di un ko-

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lossòs: esso doveva attirare e fissare al proprio interno, e quindi al suolo, l’anima del defunto 21. Nei vari casi esam inati l’immagine rappresenta l’abitacolo in cui s’invita ad entrare l’essere sopranna­ turale, sia esso caratterizzato positivam ente o negativamente. La statua, e in genere l’immagine, m antiene costantem ente aperta la possibilità, espressa in term ini generali, di essere piena o vuota, di racchiudere la presenza della persona rappresentata o viceversa di escluderla, di rappresentarla come viva o viceversa di sottolinearne l’assenza. Le statue anim ate tentavano di realizzare, attraverso precisi rituali, la prim a possibilità, in un certo senso reclamavano l a presenza della divinità rappresentata. L a -n a tu ra , stessa della statua, in quanto rappresentazione simbolica, implica un confronto tra essa e il suo modello. Jakobson ha illustrato alcuni mom enti fondam entali che regolano i rapporti tra l’oggetto e la sua rappresentazione 22. La statua può giungere ad TdenTIfìcàrsi con l’essere rappresentato attraverso la negazione di ciò che la distingue da esso, cioè la sua natura m orta. Se la riflessione sulla statua è allo stesso tem po una riflessione sul passato, un ricordo, la durata e l’im mobilità della statua vengono ad opporsi alla ca­ ducità dell’essere vivente. Ciò che in ogni caso si trova valorizzato nella simbologia della statua non è un rapporto di similitudine (legame im itativo, di tipo m etaforico), ma un rapporto di prossimità (legame di contatto, metonimico). In quest’ambito l’immagine può valorizzare varie possibilità di partecipazione al modello. T ornando a quanto abbiamo illustrato finora sulla consacrazio­ ne delle statue nell’antichità (e in genere al fatto che esse venissero trattate o agissero com e, fossero esseri animati), possiamo consi­ derare questo rituale come inteso a negare un aspetto preciso della statua, il suo carattere puram ente materiale, che ne ostacola la com pleta identificazione con l ’essere rappresentato. Espresso in term ini positivi, ciò significa che la consacrazione attribuisce alla statua un carattere che le è estraneo e le perm ette una maggiore approssimazione al modello. Nel caso della statua del defunto opera un diverso legame, ugualm ente di tipo metonimico. Da un lato la durata e, in un certo modo, la tendenziale eternità della statua si oppongono allo status del defunto, dall’altro il legame stesso che lega il defunto alla statua contribuisce in qualche modo a renderlo eterno, nella misura almeno in cui esso partecipa della statua che lo rappresenta. Sotto questo aspetto il legame con la statua giova al defunto in quanto viene a conferirgli delle qualità che egli non possiede, ma cui tuttavia aspira; opera qui un legame affine ma inverso rispetto al caso precedente. Nel primo, attraverso la consacrazione, è la statua che si innalza al livello dell’essere rappresentato, nel secondo è l’essere rappresentato che aspira alla

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condizione della statua. In altri casi, tuttavia, quando ad essere rappresentato sia un essere vivente, il rapporto può rivelarsi pe­ ricoloso. L ’uomo non ha alcun m otivo di desiderare che gli si comunichi la m ateria della statua. A ttraverso il medesimo legame di contiguità, la m ateria della statua — cioè la pietra, la cui natura i greci sentivano opposta a quella della vita (si pensi all’espressione «morte pietrificata» lìthinos thànatos) — com unicandosi al vivente, può fare di lui un morto. Un ruolo fondam entale gioca, in tutti questi casi, la relazione di tipo metonimico evidenziata da Jakob­ son. Il legame di tipo metaforico può essere presente in forma più o meno accentuata, ma svolge un ruolo subordinato. Ciò era stato in parte intuito da Kris e Kurz, quando osservavano: «Q uanto più è forte la credenza nella funzione magica dell’immagine, nel­ l’identità tra realtà effettiva e rappresentazione figurata, tanto meno im portante è il carattere dell’immagine stessa» 23. Più recentem ente V ernant notava, a proposito del kolossòs, che esso «non mira a riprodurre i lineam enti del defunto, a dare l’illusione della sua apparenza fisica. Ciò che esso incarna e fissa nella pietra non è l’immagine del m orto, ma la sua vita nell’al di là, quella vita che si oppone a quella dei vivi come il m ondo della notte al m ondo della luce. Il kolossòs non è u n ’immagine, è un doppio, come il morto stesso è un doppio del vivo» 24. Sotto questo aspetto il kolossòs si oppone alla psychè, come ha giustam ente notato lo stesso V e rn a n t25. Tanto l’uno è solido, fisso, immobile, quanto l’altra è eterea, sfuggente. T ra questi due opposti operano una serie di mediazioni, che presuppongono una determ inata rap­ presentazione dell’uomo stesso. Ciò tuttavia, lungi dal sottrarre all’èidolon, di cui la psychè è una manifestazione, le proprie qualità di doppio, contribuisce ad evidenziare la sua natura di rappresen­ tazione attraverso una serie di relazioni che lo circoscrivono e lo definiscono. Certo, nella caratterizzazione dcll’èidolon svolge un ruolo fondam entale la vista: Vèidolon non si distingue in nulla dal suo originale per l’aspetto esterno. Q uando nel sogno viviamo u n ’esperienza fatta prevalentem ente di immagini, queste non sono più distinguibili dall’essere che rappresentano. Anche ciò costitui­ sce un significativo elem ento di opposizione con il kolossòs, la cui rozza fattura non si proponeva affatto di ripetere l’aspetto esterno dell’essere rappresentato. Il carattere com une a tutti questi fenomeni è fondam entalm ente riconducibile alla loro natura di rappresentazione e quindi di riproposizione solo parziale del mo­ dello. E un aspetto, questo, sul quale insisterà particolarm ente la riflessione platonica, valorizzando il carattere di imitazione {mtmesis) che lega queste realizzazioni parziali al m ondo reale da cui traggono origine. Ma i confini tra realtà e rappresentazione

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non sono sem pre ben definiti. Le immagini conservano costantemente un certo grado di am biguità che le fa apparire da un lato come semplice oggetto materiale, dall’altro tende ad assimilarle all’oggetto rappresentato. In vari casi tali limiti possono risultare incerti o essere messi in crisi. Resta, cioè, costantem ente inerente alla natura delle immagini una tendenziale appropriazione dell’in­ tera realtà rappresentata, che in alcuni casi lim ite porta l’oggetto a presentarsi come alternativo al modello stesso. Uno strano racconto su Eracle illustra, in forma abbastanza lineare, alcuni degli elementi esaminati fin q u i 26. In ringraziam ento a Eracle, che aveva sepolto il figlio Icaro nell’isola che poi da lui prese nom e (Ikaria), Dedalo costruì con la consueta abilità un’immagine in tu tto simile a Eracle stesso. Avendola Eracle in­ contrata di notte e non avendola riconosciuta, le scagliò una pietra come se fosse viva. Una interessante variante narrava che, colpita da Eracle, la statua si volse contro di lui e ricam biò il colpo 2'. Q ui non è solo da rilevare la possibilità, che costantem ente inerisce alla statua, di divenire animata. Alla realizzazione dell’episodio contribuiscono altri elementi di grande interesse: la statua presenta la massima approssimazione al modello (è opera del prim o degli artefici mitici), inoltre l’incontro con Eracle si svolge di notte. O ra la notte, legata alla sfera preolim pica 28, rappresenta il mondo per eccellenza opposto a quello in cui opera norm alm ente l’uomo e nel quale appaiono sospese le leggi che governano il cosmo. Il buio della notte, che non perm ette una normale percezione del reale, e la dim ensione extra-um ana nella quale è inserito l’e­ pisodio, facilitano una confusione tra esseri che, essendo già per loro natura simili, rischiano di apparire assolutam ente identici. Nel caso del sogno incubatorio, e in genere in quelli in cui la divinità si rivela al dorm iente sotto l’aspetto dei vari simulacro, vediamo operante il medesimo processo. Solo che in questo caso esso appare provocato, voluto dal dorm iente: quest’ultim o, cioè, crea quelle particolari condizioni per l’avverarsi del fenom eno che nel caso di Eracle appaiono puram ente casuali. La notte e lo stato di sonno sono chiamati a svolgere un ruolo m ediatore nel­ l’attribuzione di m ovimento e di vita alle immagini. Alcuni passi di Platone ed Aristotele sem brano confermare questa generale impressione per cui l’immagine onirica tendeva a confondersi con il modello, anche quando presentava con esso una somiglianza solo parziale. «Forse che —afferma Platone nella Repubblica (476c) — il sognare non è proprio questo, che sia nel sonno sia nella veglia, ciò che è simile a qualcosa appare non simile ma identico alla cosa stessa alla quale somiglia?». Secondo Aristotele, il dor­ m iente riceve delle sensazioni affini a colui che è vittim a delle

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p a ssio n i29. Come questo è soggetto ad errare, così chi dorme può essere ingannato dal sonno o dai vari stimoli che colpiscono gli organi sensori in tale stato, di m odo che ciò che presenta una piccola somiglianza si confonde con l’oggetto stesso cui è simile. Così Eracle appare vittima, in circostanze particolari, di u n ’esperienza che norm alm ente si realizza solo nel sogno, e che possiamo generalm ente ricondurre alle condizioni di alterazione nelle quali il soggetto si trova ad operare nei due casi. Va richiamata in tale am bito la tradizione che diceva i sogni figli della N otte oppure della T e r r a 30. Entram be queste divinità appartengono a quelle potenze precosmiche che, sospendendo l’or­ dine divino, rendono incerti i limiti tra ciò che trova stabile collocazione nel m ondo um anam ente organizzato e ciò che ancora partecipa dell’am biguità delle origini. Il sogno si trova ad operare in uno spazio e in un tem po indefiniti, dove è sospeso l’ordine divino. Nel sogno è possibile ristabilire relazioni con le potenze primigenie, preolimpiche, depositarie di una sapienza che è anche conoscenza delle cose future, dalla quale le stesse divinità olim ­ piche, e in primis Apollo, dipendono per le loro facoltà o ra co lari31. È possibile che proprio questo tipo di azione alla quale si ricol­ legava il sogno rendesse meno accetta, nella G recia arcaica e classica, questo tipo di divinazione. Essa, creando rapporti diretti con il tem po delle «origini», e per ciò stesso trascurando in qualche modo l ’ordine stabilito dagli dèi, veniva ad attingere in una forma troppo diretta alle fonti prim e della conoscenza. D el racconto su Eracle è possibile valorizzare anche altri aspetti. L ’eroe colpisce la statua perché, non riconoscendo la sua natura di immagine, scorge in essa un altro se stesso. Per questo verso, l’episodio s’inserisce in una tradizione ben consolidata, che attribuiva a Dedalo la costruzione di statue aventi la capacità di parlare, di guardare, di m uoversi da sole, del tutto simili in questo ad esseri a n im a ti32. Anche la reazione della statua sarà da con­ siderare in questa medesima prospettiva, ma non solo in questa. N ell’episodio è valorizzato il fatto che l’eroe scambia l’immagine per la realtà, con la complicità del fatto che l’incontro avviene di notte. Che i suoi tim ori non fossero del tutto infondati è m ostrato dalla variante che narra della reazione della statua. Essa cioè replica all’eroe su un piano di parità. O riginale e rappresen­ tazione hanno non solo lo stesso aspetto, ma anche la medesima reazione: come se l’eroe vedesse la propria azione riflessa in uno specchio. La statua diventa un sosia dell’eroe. La rappresentazione ha raggiunto un tale livello di perfezione che non risulta più distinguibile dal modello, ovvero non vi è più un modello e una rappresentazione, ma perfetta identità. In un m om ento par­

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ticolare, nel quale i confini tra fantasia e realtà diventano parti­ colarm ente sottili a causa di una serie di circostanze concomitanti (natura dell’immagine, eccellenza dell’artista, condizione di notte) e incerto il giudizio tra ciò che è vero e ciò che è falso (ovvero tra realtà e rappresentazione) 33, il soggetto rischia di essere scal­ zato da quella che doveva essere solo una rappresentazione e che invece si è avvicinata pericolosam ente al modello. Considerata in questa prospettiva, la reazione di Eracle mira allora a salva­ guardare la propria identità e la propria esistenza, ristabilendo le distanze tra soggetto e immagine, tra modello e rappresentazione. Vari elem enti esaminati fin qui hanno dato vita a realizzazioni letterarie di notevole effetto. O rganizzati in un insieme di rara efficacia, ricorrono nel prim o stasimo deìl’Agamennone di Eschilo. Qui il coro rievoca la partenza di E lena da Sparta e la profonda impressione che l’abbandono provocò sullo sposo M enelao. Di particolare interesse sono i versi 414 sgg. Nel desiderio struggente della sposa fuggita oltre il mare, M enelao ha l’im pressione che un fantasm a regni sulla casa (v. 415: phàsma dòxei dòmon anàssein). La bellezza delle statue è venuta in odio allo sposo (vv. 416 sg.); nelle orbite vuote degli occhi è venuta a mancare ogni bellezza (v. 418). A ppaiono visioni luttuose di sogno, recanti una vana bellezza (vv. 420 sg.). Ma tutto ciò è vano, come quando in sogno si vedono immagini piacevoli, che tuttavia non si lasciano cogliere dal dorm iente e continuano per loro conto a percorrere i sentieri alati del sonno (vv. 423-26). Q uesti versi hanno posto vari problem i esegetici. Al v. 411 stìboi è stato inteso sia nel senso di «passi, orme», con riferim ento ai passi di Elena nell’atto di avvicinarsi al letto nuziale, sia con il valore più puntuale di «im pronte», con riferim ento alle tracce lasciate dalla sposa sul letto abbandonato 34. Nel phàsma del v. 415 si è riconosciuto sia M enelao sia Elena. Analoga incertezza è stata espressa per gli occhi (om m àton) del v. 418. Per quanto riguarda questi ultim i due casi, non avremmo soverchi dubbi nel seguire Fraenkel e attribuire entram bi i term ini a E le n a 35. L ’in­ tensa rievocazione proposta dal coro in questi versi è infatti da riferire interam ente al personaggio che qui è al centro dell’atten­ zione e cioè a M enelao. N on che qui sia rappresentato direttam ente lo stato d ’anim o del personaggio. Eschilo ci offre una presentazione indiretta, fatta dall’esterno (ad opera del coro, appunto), nella quale tuttavia la rappresentazione degli oggetti e delle persone riflette il m odo particolarissim o in cui M enelao li osserva in un momento critico della sua vita: quello in cui scopre l’abbandono della sposa. T utto gli parla ancora dell’amata assente. Il dolore

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e lo scoram ento prendono il sopravvento, il pensiero perde l’abi­ tuale lucidità, le visioni che si presentano alla m ente sono quelle di un soggetto profondam ente provato e abbattuto. Il coro ha colto con estrema finezza questo m om ento e lo descrive in rapporto alla maniera in cui il protagonista «vede» gli oggetti. La condizione in cui versa l ’eroe fa apparire alterate le immagini del mondo esterno. Le luttuose fantasie oniriche sono direttam ente richiamate ai vv. 420-21, ma sin dall’inizio della descrizione del coro sono esse a dettare le condizioni del pensiero. L ’intero passo è costruito sul motivo della presenza e insieme dell’assenza di Elena. Il de­ siderio struggente della sposa assente (v. 414: pòthoi d ’hyperpontìas) costituisce il motivo di fondo di quest’am bientazione. Ad esso si accompagna costantem ente l’incredulità da un lato, dall’altro la frustrazione, frutto dell’incapacità del personaggio di negare quanto è realm ente avvenuto. La condizione di estraniam ento in cui si trova M enelao non è sufficiente, infatti, ad allontanarlo com pletam ente dal m ondo reale e ad isolarlo totalm ente in un mondo di sogno. G li oggetti che colpiscono la vista dell’eroe richiamano la pre­ senza della donna nel palazzo, ma solo perché questa venga allo stesso tem po negata. Si inizia con l’evocazione del letto e delle «orme» (stìboi) lasciate da Elena (v. 411). Stìboi, come si è detto, è stato variam ente inteso. Un riferim ento ai «passi» con i quali la sposa si dirige al letto nuziale appare in questo contesto ab­ bastanza inappropriato e forse banalizzante. È più probabile che il term ine faccia riferim ento alle «im pronte» lasciate nel letto nuziale. La descrizione ne guadagnerebbe in efficacia. Il motivo delle orm e lasciate dalla persona amata nel luogo del convegno amoroso godette di larga fortuna nella poesia amorosa dell’anti­ chità 36. Esse da un lato perm ettono la rievocazione dell’assente, dall’altra evidenziano il fatto che la persona amata non è più raggiungibile, che è definitivam ente perduta. Il motivo risulta per­ fettam ente inserito nella tematica che è al centro di questo passo: le orme lasciate sul letto rievocano la presenza della donna e insieme la sua partenza. Subito dopo, ai vv. 412-13, il m otivo dell’abbandono viene espresso direttam ente: «si può vedere il silenzio di chi è stato lasciato, senza onore, senza parole di sdegno, senza speranza» 37. Anche in questo caso sono possibili due interpretazioni: l’abban­ dono può essere riferito sia a M enelao sia agli oggetti osservati dall’eroe. Nel prim o caso sarebbero il silenzio e lo stato di ab­ bandono del protagonista ad essere evocati. Nel secondo si con­ tinuerebbe nel tipo di descrizione fin qui seguito: l’assenza di Elena sarebbe ribadita dal silenzio e dall’abbandono degli oggetti

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da lei usati fino alla sua partenza. La descrizione si sposta quindi suirim m agine stessa dell’assente. Un fantasm a (phàsma) sembra regnare nella casa. Ma la chàris che emana dalle statue (kolossòi) appare odiosa a M enelao, ogni allettam ento ha abbandonato i suoi occhi. In questi kolossòi si sono riconosciute sia statue di Elena, sia delle statue poste dinanzi al palazzo di M enelao 38. D opo quanto si è detto sui kolossòi la prim a ipotesi risulta al­ tam ente im probabile. È possibile, invece, come riteneva Fraenkel, un riferim ento alle statue di kòrai attiche, che dovevano essere numerose nei santuari di A tene alla fine del secolo VI. D i queste statue si richiama la bella fattura (eumòrphon), ma allo stesso tem po la chàris che ne emana appare odiosa a M enelao. L ’eroe, nella condizione di esaltazione in cui versa, proietta su di esse l’immagine e il ricordo della sposa. Ciò viene esplicitato nei versi che seguono im mediatam ente: ommàton d ’en achenìais (v. 418) evidenzia la mancanza degli occhi nelle statue. In Esichio achenèis è glossato come k e n ò i39. L ’espressione fa riferim ento alla vuotezza degli occhi, ossia alle orbite vuote degli occhi delle statue. È noto quale im portanza fosse affidata agli occhi nelle immagini. Secondo un diffuso aneddoto, l’artista evita di fare gli occhi ad un ritratto per im pedirgli di diventare com pletam ente vivo 40. Per la G recia potrem m o richiamare i casi in cui la divinità m uove o distoglie gli occhi, ad esempio per non assistere al compimento di un’azione empia. Anche in questi casi la reazione della divinità tradisce la sua presenza nell'immagine. A ll’artefice mitico Dedalo, autore di statue «viventi», era attribuita anche la costruzione di statue capaci di vedere. Viceversa la m orte è associata con la perdita degli occhi e dello sguardo: la caduta degli occhi dalla statua di Ierone spartano preannuncia la sua prossima f in e 41. G li occhi contribuiscono in maniera determ inante a dar vita ad un ritratto. C om m entando questo passo, Thom son richiamava giu­ stam ente come la rappresentazione del sentim ento amoroso che penetra attraverso gli occhi sia tradizionale nel pensiero dei g re c i42. La reazione di M enelao in questa occasione è perfettam ente com­ prensibile. Egli non scorge più gli occhi della statua: in essa è ormai assente ogni richiamo amoroso (v. 419). La chàris, pur pre­ sente nell’immagine, o piuttosto nella fantasia del personaggio (eumòrphon dè kolossòn), viene subito sm entita e negata dalla assenza delle pupille negli occhi. Anche in questo caso l’accento non è posto sull’immagine effettivam ente rappresentata nelle sta­ tue, ma sulle «visioni» dell’eroe, che integra gli oggetti che po­ polano il m ondo circostante con le proiezioni della sua fantasia. Assistiamo a un gioco di illusioni e di attese, cui seguono delusioni e smentite 43. A proposito di questi versi D evereux ha sostenuto

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come l’eroe dapprim a neghi l’accaduto (v. 412: sigàs... apìstous), quindi cerchi sollievo nelle immagini di sogno, affinché ricostitui­ scano lo stato iniziale, precedente la perdita 4\ V errebbero cioè adottate delle tecniche dilazionanti al fine di rendere gradatam ente accettabile al soggetto la dolorosa situazione del presente. Q uesto progressivo allontanam ento dal m ondo reale perm ette certo all’eroe l’acquisizione di una sensibilità particolare: le rappresentazioni che ne conseguono appaiono estranee l’una all’altra e fra loro contraddittorie: la sposa è insieme presente ed assente, desiderata ed odiata, la sua bellezza è rim pianta e respinta. Ci moviamo in u n ’atmosfera onirica, ma non propriam ente in una condizione di sogno. La realtà non viene negata; è anzi dolorosam ente presente, pur se offuscata, nella m ente di M enelao. Egli non si rifugia com pletam ente nella propria immaginazione, isolandosi dal mondo reale. La m ente estraniata crea u n ’atmosfera ambigua, dove sono possibili rappresentazioni contraddittorie. L ’ambivalenza dei sen­ tim enti che si afferma al mom ento della scoperta dell’abbandono 45, viene proiettata da M enelao nell’immagine trasfigurata (di sogno) attraverso la quale viene percepito il m ondo esterno. Nel desiderio di Elena assente M enelao vede un fantasma regnare nel palazzo, oppure vede le statue prender vita, nonostante si tratti di semplici kolossòi, fino al punto di scorgere in esse l’immagine desiderata dell’amata. D ’altra parte il motivo dell’assen­ za di Elena è qui dom inante. Delle statue viene evidenziato il fatto che si tratta di kolossòi, di rozze immagini di pietra richia­ m anti la morte o piuttosto quella form a mitigata di m orte che è l’assenza. D a un lato l’assenza dell’amata richiede, nell’immagina­ zione esaltata di M enelao, delle forme di sostituzione (il phàsma, il carattere anim ato dei kolossòi), dall’altra la stessa natura di kolossòi con cui vengono definite le statue (eumòrphon dè kolossòn è probabilm ente un ossimoro e si spiega con le precedenti con­ siderazioni) richiama il fatto ormai com piuto, che è ormai inutile negare: l ’assenza di Elena. Il ruolo di doppio dei kolossòi trova in questi versi un’utiliz­ zazione particolare che, pur ricalcandone fedelm ente la funzione tradizionale, ne esalta enorm em ente gli effetti. La presenza e in­ sieme l ’assenza di Elena nelle statue, che pure non costituiscono un ritratto, richiam ano la possibilità dell’immagine di essere «pie­ na» o «vuota», di ospitare o m eno in se stessa la persona rap­ presentata. Solo, in questo caso, non sono riti e cerimonie par­ ticolari a determ inare la presenza dell’essere rappresentato nel suo ricettacolo, ma è la fantasia di un uomo a dar vita all’immagine, proiettando in esse le proprie attese deluse e le malcelate speranze. Vari tem i che abbiamo incontrato in questi penetranti versi

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dell’Agamennone ricorrono nella nota rhèsis di Adm eto, nell’Alcesti di Euripide. D opo aver assicurato la sposa che il suo posto non sarà occupato da nessun’altra donna nella casa abbandonata, il personaggio si propone di esperire tu tti i sistemi possibili per annullare o almeno lim itare le conseguenze del prossimo e defi­ nitivo abbandono (vv. 348 sgg.). Egli giunge fino al punto di prospettare una sepoltura comune con l’amatissima sposa, perché anche m orto — ci assicura — egli non saprebbe rinunciare alla compagnia della fedele Alcesti (vv. 365-68). Nei versi precedenti sono passati in rassegna, con riferim ento al paradigma mitico, i vari tentativi tradizionali di assicurarsi ancora in vita la presenza della persona amata. Il sistema più semplice e diretto sarebbe quello di scendere nell’Ade come O rfeo e riportare con sé la sposa (vv. 357-60), ma Adm eto non ha la voce e il canto indi­ spensabili a piegare le divinità infere. Egli ricorre a m etodi più complicati e meno soddisfacenti, ma nel complesso più accessibili a un uom o 46. Ricorrendo alla sapiente m ano degli artefici, Adm eto si costruirà una statua di Alcesti che distenderà sul letto nuziale (vv. 348 sg.). In seguito tenterà d ’integrare l’immagine con ciò che le manca affinché si avvicini il più possibile alla persona rappresentata. Così, abbracciando la statua, invocherà il nome della sposa (v. 351) affinché essa sia presente nell’immagine 41. In tal modo gli sem brerà di avere tra le braccia la donna pur non avendola. Si tratterà di una gioia incompleta, non dissociabile dal ricordo che la sposa in realtà è m orta (v. 353), ma essa gli recherà tuttavia sollievo. La medesima difficoltà di recupero par­ ziale della persona è poi affrontata ricorrendo al sogno. Certo Alcesti allieterà lo sposo visitandolo nei sogni (vv. 345 sg.). Il motivo è tradizionale: s’invocano le persone perdute o la divinità perché ci visitino nella notte. Nelle parole di Adm eto incontriamo successivamente varie forme di rappresentazione, ricalcanti ciascu­ na soltanto alcuni tratti del modello: la statua, il nome, l’immagine onirica. Esse non costituiscono delle form e alternative di riacquisto della persona amata, ma piuttosto degli espedienti fra loro com­ plementari 48. O gnuna di esse costituisce un sostituto solo parziale della realtà. D alla loro azione sim ultanea e orientata verso un unico fine è lecito attendersi il risultato desiderato, o almeno il risultato massimo raggiungibile per l’uomo. Il recupero, infatti, non sarà completo. Ciò che A dm eto si riprom ette di raggiungere sarà pur sem pre una «gelida gioia» (psychrà tèrpsis). L ’espressione richiama gli èumorphoi kolossòi del luogo dell’Agam ennone. L ’idea di freddezza, di rigidità, di m orte è spostata, nel luogo dell 'Alcesti, sull’aggettivo. D iversam ente dalVAgamennone, dove il carattere di rigidità dei kolossòi veniva sfum ato dalle «belle forme» che la

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fantasia di M enelao proiettava in essi, neWAlcesti è il godimento dello sposo a prospettarsi come «freddo». Tali espressioni eviden­ ziano il fatto che in entram bi i casi si tratta pur sempre di recuperi parziali, semplicemente consolatori, non suscettibili di sostituirsi al reale. Le immagini possono prender vita in m om enti particolari, ma non riescono, nonostante l’eccellenza degli artefici e i desideri degli uomini, a sostituirsi interam ente al modello. A meno che non si viva in una condizione di sogno.

Note ' Così è da intendere ana bomòoi theàs (v. 75). Lo scolio intende «accanto all’altare» (I p. 379, 13s. Dr.). 2 E.R. Dodds, I Greci e l’irrazionale, trad. it., Firenze 1973, p. 125 [cfr. p. 6 in questo volume]. 5 Paus. 10,38, 13. 4 L.R. Farnell, Pindar. A Commentary, London 1932, p. 96. 5 Cfr. L. Deubner, De incubatione, Leipzig 1900, p. 9 [cfr. anche in questo volume p. 70]. 6 Paus. 10, 32, 12. 7 L. Deubner, op. cit., pp. 9 sgg.; O. Weinreich, Antike Heilungswunder («RGVV» V ili 1), Giessen 1909, pp. 155 sgg.; cfr. ad esempio Ov., Met. XV, 654 sg. (Esculapio appare ad Ogulnio qualis in aede esse solet). In seguito è espressa l’idea che il dio, per recarsi a Roma, abbandonò le proprie statue: v. 658: «Pone metus, veniam, simulacraque nostra relinquam», quasi la divinità risiedesse nella statua. Long. Soph., Past. 11,23,1; «e a lui comparvero in sogno tre ninfe... simili alle statue», cfr. schol. Pers., Sat. 11,56. 8 Suida s.v. Domnìnos. Cfr. E.J.-L. Edelstein, Asclepius. A Collection and Interpretation o f thè Testimonies, I, New York 1945, p. 240, n. 427. 9 Artem. II 35; 40. 10 Artem. I 5. 11 Artem. II 35; 37; IV 31. 12 Plut., Mor. 361f-362a; Tac., Hist. 83 sg. 13 M.P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion, I, Miinchen 19673, pp. 80-84; II 19743, pp. 524-27. 14 G. Wolff, De statuarum consacratone, in Porphyrii de philosophia ex oraculis haurienda librorum reliquiae, Berlin 1856, app. I li, pp. 206 sg. Cfr. E.R. Dodds, op. cit., pp. 351-60, e i luoghi ivi citati. 15 Cfr. in genere M.P. Nilsson, op. cit., I, p. 82 sg. 16 Così già E. Rohde, Psiche, I, trad. it., Bari 1970, p. 198. 17 Proci, in Plat., Tim. IV, 287. Giamblico era un convinto sostenitore della consacrazione delle statue, della loro natura divina e dell’efficacia del loro uso per la conoscenza del futuro (cfr. Phot., Bibl. 215, e in genere E.R. Dodds, doc. cit.). Nonostante il tono polemico, rimane efficace la presentazione di Minucio Felice (Oct. XXIV, 8): «Quando igitur hic [se. deus] nascitur? ( Ecce funditur, fabricatur, sculpitur: nondum deus est; ecce plumbatur, construi1 tur, erigitur: nec adhuc deus est; tunc postremo deus est, quum homo illum voluit et dedicavit (cfr. G. Wolff, op. cit., p. 210). 18 Cfr. A. Bouché-Leclercq, Histoire de la divination dans l’a ntiquité, I, Paris 1879, pp. 184-86; id., Dict. des Ant., s.v. Divination (1892), p. 309; A.

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Delatte, La catoptromancie grecque et ses dérivés, Liège-Paris 1932, pp. 133 sgg19 Cfr. J.G. Frazer, Il ramo d’oro, II, trad. it.; Torino 1973, pp. 767 sg., 869 sg., 875 sg. 20 Paus. 9 ,3 8 ,5 ; E. Benveniste, Le sens du mot kolossòs et les noms grecs de la statue, in «Revue de Philologie» 6 (1932), p. 120; J.P. Vernant, Figu­ razione dell’invisibile e categoria psicologica del doppio: il kolossòs, in Mito e pensiero presso i Greci, trad. it., Torino 1970, p. 356. 21 Cfr. G. Roux, Q u’est-ce qu’un kolossòs?, in «Revue des Etudes Anciens» 62 (1960), p. 35; J.P. Vernant, art. cit. Il carattere ambiguo della statua, nella quale può essere valorizzato di volta in volta il carattere di semplice oggetto, venerabile ma senza vita, e viceversa il carattere di forza attiva, si riflette anche nell’ampia gamma di termini che in greco definiscono la statua: cfr. E. Benveniste, art. cit. Alla seconda serie appartengono termini quali Andrìàs, Kolossòs, eikòn: cfr. P. Chantraine, Greek kolossòs, in «Bull. Inst. Frangais d’arch. orient. du Caire» 30 (1931), pp. 449-52; id., Dict. Étym. de la langue grecque, s.v. kolossòs-, K. Kerenyi, Griechische Grundbegriffe, Ziirich 1964, soprattutto pp. 37-41. 22 R. Jakobson, Le statue dans la symbolique de Pouchkine, in Questions de poétique, Paris 1973, pp. 184 sg. 23 E. Kris-O. Kurz, La leggenda dell’artista, trad. it., Torino 1980, p.74. Rifacendosi a Gompertz, essi ritenevano che l’analogia e la somiglianza si affermavano in proporzione inversa alla credenza tra realtà effettiva e rappre­ sentazione. Il rapporto metaforico appare qui come complementare e secondario rispetto a quello metonimico. Una diversa forma di realizzazione del legame metonimico potrebbe riconoscersi nell’utilizzazione allegorica delle immagini: M. Bettini, Tra Plinio e Sant’Agostino. Francesco Petrarca sulle arti figurative, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, Torino 1984, p. 229. 24 J.P. Vernant, art. cit., p. 220. 25 Ivi, pp. 227-29. 26 Apollod. Bibl. 116,3. La medesima storia era narrata da Esichio s.v. plèxanta kài pleghènta. Cfr. Paus. 9, 11,4 sg., che tuttavia non narra la con­ clusione dell’episodio. Un incidente simile a quello di Eracle era narrato nelPEuristeo di Euripide (fr. 372 N.2); cfr. C. Robert, RE IV, 2 (1901), s.v. Daidalos, col. 2003; J. Overbeck, Die antike Schriftquellen, Leipzig 1868, nn. 102, 107, 117; cfr. E. Kris-O. Kurz, op. cit., p. 65. È possibile che questa impresa di Eracle derivi all’eroe da una tradizione mesopotamica, che vedeva protagonista Gilgames: in occasione del viaggio da Utnapistim alla ricerca deH’immortalità, l’eroe — non se ne conosce la causa — lancia un pugnale contro due statue di pietra: cfr. G. Furlani, M iti babilonesi e assiri, Firenze 1958, pp. 220 sg. (tav. X, col. I l i ,2 8 sg.; col. IV, 1; cfr. p. 275, n. 29). Cfr. E. Benveniste, art. cit., p. 125. È da notare che nella Biblioteca l’episodio che vide protagonista Eracle è collocato nel periodo in cui l’eroe si trovava presso la regina Omphale. 27 Eust. ad Hom. 749, pp. 882, 38 sgg. È la medesima narrazione presup­ posta dalla glossa di Esichio, loc. cit. 28 Cfr. Hes., Theog. 211-16. 29 Aristot., De insomn. 461b, 7-11. 30 Ad esempio Hes., Theog. 211 sg.; Eur., Hec. 70 sg.; lph. Taur. 1259 sgg.; A. Brelich, The Place o f Dreams in thè Religious World o f thè Greeks, in G.E. von Grunebaum (a cura di), The Dream and Human Societies, Berkeley-Los Angeles 1966, p. 293 sgg. (trad. it. Il sogno e le civiltà umane, Bari 1966). 31 Un ruolo per questo aspetto analogo svolgono i sogni nella società mohave, secondo la descrizione di G. Devereux, Réves pathogènes dans les

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sociétés non occidenlales, in Essais d ’ethnopsychiatrie générale, Paris 1970, pp. 325 sg. 32 Eur. fr. 372 N.2; Diod. Sic. IV 76; schol. Plat., Men. 97b; schol. Lue., Philops. 19; cfr. Overbeck, op, cit., pp. 15 sg. S. Freud, Il perturbante, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio I, trad. it., Torino 1969, pp. 267 sgg.; O. Rank, Der Doppelgànger, Leipzig-Wien 1914 (trad. it. Il doppio, Milano 1979). 34 Per il primo valore cfr. E. Fraenkel, Aeschylus. Agamemnon II, Oxford 1962, p. 215; J.D. Denniston-D. Page, Aeschylus. Agamemnon, Oxford I9602, p. 106. Per il secondo valore cfr. da ultimo G. Devereux, Dreams in Greek Tragedy, Oxford 1976, pp. 86-88. 35 E. Fraenkel, op. cit., II, pp. 218 e 220. L’obiezione di Denniston e Page («Helen’s ghost cannot well be said to rule thè house») è decisamente razionalistica (op. cit., p. 106). 36 Cfr. ad esempio Ov., Her. XV, 147-49; Prop. 11,29,35 sg.; Petr., Sat. 97; Aristaen. 11,22 ( = Epistol. Gr., ed. Hercher, p. 171). Cfr. Aristoph-, Nub. 973-76; Liv. 1,58,7. 37 Apheimènon è probabilmente la lezione migliore (Hermann, Fraenkel). Hermann riferiva il verbo alla casa e agli oggetti abbandonati da Elena, Fraenkel invece allo stesso Menelao. 38 E. Fraenkel, op. cit., II, p. 218 sg. (vi scorge un riferimento alle statue di kòrai attiche della fine del secolo VI). Picard scorgeva nei kolossòi, l’uso di immagini di sostituzione, rappresentanti Elena (Le cénotaphe de Midéa et les colosses de Ménelaos, in «Revue de Philologie» 59 [1933], p. 352; id., Les religions préhelléniques (Créte et Mycènes), Paris 1948, pp. 269 sgg.; 291). Così anche J.D. Denniston-D. Page, op. cit., p. 107. Secondo Roux si tratterebbe di veri e propri kolossòi, una sorta di divinità pilastro, frequenti nelle case e nelle strade dell’Atene contemporanea (art. cit., p. 27). 39 Hesych. s.v. achenèis' chenòv, s.v. echènes' chenòi. Cfr. P. Chantraine, Dict. Étym. s.v. achèn. 40 Cfr. E. Kris-O. Kurz, op. cit., p. 81. 41 Su Dedalo cfr. Eur. fr. 372 N.2; schol. Plat., Men. 97b; Diod. Sic. IV, 76. Su Ierone spartano cfr. Plut., Mor. 397e. 42 Cfr. G. Thomson, The Oresteia o f Aeschylus II, Amsterdam-Prague 1966, p. 41. In genere si riteneva che il flusso emanante dagli occhi verso gli oggetti convogliasse materiali sia sensibili sia psicologici, e in primis le passioni. Nella passione amorosa il flusso emanava dall’oggetto d ’amore verso il soggetto: cfr. Ch. Mugler, La lumière et la vision dans la poesie grecque, in «Révue Etudes Grecques» 73 (1960), pp. 40-72. 43 È noto come di fronte ad un’opera d ’arte l’osservatore proietti contenuti psichici propri sull’oggetto rappresentato, integrandolo così nella propria espe­ rienza personale: cfr. E.H. Gombrich, Arte e illusione, trad. it., Torino 1965, pp. 221 sgg. 44 G. Devereux, op. cit., p. 97. Tale aspetto è stato largamente valorizzato da Devereux, che ritiene il phàsma di v. 415 il risultato di allucinazioni restitutive (op. cit., p. 105), tendenti a negare la perdita attraverso forme di compensazione. L’interpretazione che Devereux propone del «sogno» di Me­ nelao non risulta tuttavia sempre persuasiva. Egli scorge nei vv. 410-26 un progressivo estraniarsi del personaggio dalla sua identità personale e sociale, che lo conduce ad una condizione di totale isolamento (op. cit., p. 68, passim). Appare tuttavia alquanto forzato trovare una conferma di una tale evoluzione nelle parole del coro. Esse propongono piuttosto la descrizione di un’unica condizione: quella di Menelao in un momento di profondo abbattimento. Così è solo parzialmente vero che nei vv. 420-26 si debba scorgere un tentativo, non riuscito, di ricostruzione, nella forma di un sogno, delle condizioni pre­

Brillante, Metamorfosi di un’immagine

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cedenti alla partenza di Elena. L’accento è posto —direi —sul gioco di presenza e di assenza dell’amata, che genera angoscia nella mente sconvolta di Menelao, che pure conserva un profondo desiderio della sposa. S. Freud, Lutto e melanconia, trad. it. in Opere, voi. V ili, Torino 1976, pp. 102 sgg. 46 Può essere interessante rilevare come entrambi i sistemi qui menzionati da Admeto fossero messi in atto in un altro caso famoso del mito, trattato da Euripide. Quando apprese che lo sposo Protesilao era caduto a Troia, Laodamia chiese che esso potesse ritornare una volta sulla terra per un ultimo convegno con lei. La preghiera fu esaudita, ma quando Protesilao l’abbandonò per la seconda volta, essa si costruì un’immagine che collocò nel letto nuziale al posto dello sposo: cfr. Eur. fr. 647-57 N.2; schol. Arist. pp. 671 sg.; Hyg., Fab. 103, 104. 47 II nome era considerato parte integrante della persona. Pronunciare il nome equivale a invocare la presenza della persona, come avviene, ad esempio, nell’inno in onore della divinità, nel quale l’invocazione figura spesso all’inizio della composizione. In questo luogo AeWAlcesti l’invocazione contribuisce alla ricostituzione artificiale della persona nel senso dichiarato da Admeto. Per tale aspetto del nome proprio cfr. Rohde, op. cit., I, pp. 68-70; J.G. Frazer, Il ramo d’oro cit., pp. 382 sgg.; M.P. Nilsson, Geschichte cit., I, pp. 41 sg., 159. Per il ruolo del nome proprio in rapporto all’identità, personale e sociale, del portatore cfr. C. Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, trad. it., Milano 1964, pp. 190 sgg.; da ultimo C. Calarne, Le nom d ’Oedipe, in Edipo. Il teatro greco e la cultura europea, a cura di B. Gentili e R. Pretagostini, Roma 1986, pp. 395 sgg. 48 E possibile che Admeto non dichiari in questi versi il fermo proposito di riacquistare la sposa che si accinge a lasciarlo (cfr. A.M. Dale, Alcestis, Oxford 1954, p. 79). Le sue potrebbero essere semplicemente le parole di uno sposo disperato. Certo i temi utilizzati per esprimere questi sentimenti richiamano i tradizionali sistemi sostitutivi, atti ad assicurare la presenza della persona assente nella sua immagine.

G eorges D evereu x IL SO G N O D E L L E E R IN N I *

s p e t t r o d i c l i t e m n e s t r a (appare sulla scena e rimprovera le Erinni dorm ienti): G uardate queste ferite nel mio cuore, donde vengono. (continua i suoi rimproveri) (v. 103) Come in sogno io, Clitem nestra, ora vi chiamo. (v. 116)

coro

(un mugolio)

G em ete pure, e quell’uom o se n ’è andato, fuggendo lontano: perché ha degli amici non simili ai miei. spettro

coro

(un altro mugolio)

s p e t t r o Profondam ente tu dorm i, e non hai pietà del mio dolore: O reste, il matricida, è fuggito.

coro

(un gemito)

s p e t t r o Tu gemi, e dormi: non ti alzi, dunque, subito? Quale cura t e assegnata se non far del male? (V. 125)

coro

(un altro gemito)

Sonno e fatica, congiurati potenti, hanno fiaccato il vigore del terribile drago. spettr o

coro

bada!

(un mugolio più insistente ed acuto) Prendilo, prendilo, (v. 130)

* Da Georges Devereux, The Dream o f thè Erinyes, in Dreams in Greek Tragedy. A n Ethno-Psycho-Analytical Study, ed. Blackwell, Oxford 1976, pp. 150-164. Traduzione di Marina Montanari.

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Il sogno in Grecia

s p e t t r o In sogno insegui la belva, latri come un cane che mai non ceda all’affanno della stanchezza. Che fai? Lévati, non lasciarti vincere dalla fatica, e non ignorare, infiacchita dal sonno, la mia sventura. Ti dolga il fegato per i giusti rimproveri. (v. 135) (Lo spettro termina i suoi rimproveri e scompare, le Erinni si svegliano l’un l’altra, adirate per la fuga di Oreste.)

II rim provero, venendo dal sonno, mi colpì, come un pungolo agitato da un auriga, nel cuore, nel fegato. O ra posso sentire il brivido della sferza, di un crudele, troppo crudele carnefice. (v. 154) CORO

[Eschilo, Eumenidi\ La splendida audacia del sogno delle E rinni nella sua rappre­ sentazione scenica tende a distogliere l’attenzione dalla sua com­ plessità escatologica e dalla sua plausibilità psicologica. E, a dire il vero, è la combinazione di questi due elementi che tram uta ciò che avrebbe potuto essere soltanto m elodram m a in un episodio di impareggiabile tensione drammatica. Il colpo di genio che ha posto sulla scena sia le Erinni che sognano sia la loro visione onirica, ha descritto l’apparizione del «doppio» di C litem nestra in form a di sogno e, contem poraneam en­ te, di visione ossessionante. P er contrasto, la com parsa dello spettro di D ario (Persiani, vv. 681 sgg.), benché pure effettivam ente dram ­ matica, non suscita particolari riverberi emotivi, dal m om ento che un semplice spettacolo, per quanto incisivo e coinvolgente, non può misurarsi col penetrante e magnetico realismo psicologico del sogno delle Erinni. È impossibile provare l ’autenticità psicologica di questo sogno se non occupandosi prim a degli aspetti oggettivi della rappresen­ tazione e solo in seguito riconsiderando le sue implicazioni psi­ cologiche, e cioè la reciprocità sorprendente e di profonda intercorrenza tra le Erinni, C litem nestra e lo stesso O reste. E questo perché una com prensione escatologica soddisfacente di questa sce­ na presuppone un suo esame dal punto di vista psicologico, e la com prensione psicologica u n ’analisi escatologica. Caratteristiche oggettive Il sogno delle Erinni, ispirato da Apollo, dà ad O reste il tem po di preparare la sua assoluzione finale. La tematica di un dio che spinge un altro al sonno per guadagnare tem po per i

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suoi protégés, è m olto antica Le E rinni stesse confrontano il loro sonno con lo stratagem m a grazie al quale Apollo narcotizzò le Moire per strappare loro particolari privilegi per Admeto. Anche questo è un m otivo arcaico: D ioniso placa Efeso adirato con una bevanda per persuaderlo a tornare all’O lim po 2. Le Erinni addorm entate sui troni all’interno del santuario di Apollo (vv. 46 sgg.) sbuffano e trasudano dagli occhi lacrime di sangue. Q uan­ do divengono visibili agli spettatori, piagnucolano e gemono nel sonno. Il paragone che Clitem nestra ne fa con cani che sognano la caccia (v. 131) suggerisce fortem ente che i loro arti si contrag­ gano. È questa comparazione che perm etterà una analisi del loro (visibile) sogno.

Aspetti form ali del sogno 1) Il sogno visibile si ricollega strettam ente a precedenti omerici: una figura onirica appare al sognatore, si ferma accanto a lui e dice «Tu stai sognando». La differenza principale è che nelle E um enidi (v. 94) questa relazione è reciproca e ironica. 2) Il fatto che tutte le E rinni sognino le medesime cose è, per contrasto, unico, sebbene psicologicamente plausibile: le Erinni sono prive di identità individuale, e non solo in questo dramma. Il loro «Io» è più di una convenzione determ inata dalla loro funzione di coro: nel mito, solitam ente appaiono ed operano come gruppo. In pratica, se considerate collettivam ente, non hanno in­ dividualità più distinta e separata di quanta ne abbiano le mol­ teplici teste di C erbero o i tre corpi di G erione, sebbene possa esistere una singola E rinni (Iliade IX , 571).

La natura delle Erinni L ’aspetto delle Erinniv di Eschilo è descritto con una certa estensione. In accordo alla tradizione, il loro aspetto spaventoso provocò aborti a donne incinte che assistevano allo spettacolo 3. Ma il loro aspetto effettivo (il costum e che indossavano sulla scena) è di gran lunga meno rilevante, per la com prensione del loro ruolo e del loro sogno, del fatto che, concordem ente con la tradizione greca, Eschilo attribuì loro una natura canina e serpentina. Le E rinni erano spesso dette «cagne», ma sulla base del loro com portam ento piuttosto che sulla loro configurazione effettiva 4. Esse inseguono il criminale attraverso la traccia di sangue che gli rim ane attaccata 5, e questo odore spaventoso le riem pie di

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gioia. Si può dedurre dai loro uggiolìi m entre sognano una caccia che, come segugi, guaiscono con avidità quando seguono una trac­ cia di sangue. Esse suggono il sangue dagli arti (sanguinanti?) della loro vittim a in fuga e lo prosciugano fino all’ultim a goccia. Il colpevole è raffigurato come un animale braccato: O reste è un cerbiatto o una lepre (vv. I l i , 147 sgg., 246), la cui caccia è anticipata da un riferim ento al destino di Penteo, cioè quello di essere una lepre braccata. Anche questo m ostra come le Erinni siano «cagne» solo dal punto di vista del loro comportamento, dal mom ento che anche le M enadi umane che inseguono e dila­ niano Penteo, sono definite così (Euripide, 'Baccanti, vv. 731, 977), ma solo in questo senso. Allo stesso tem po la funzione delle Erinni è di essere non solo cagne ma anche cacciatrici, e, speci­ ficamente «signore dei segugi» 6. Ciò che im porta maggiormente ai fini della comprensione di questo sogno è il paragone delle E rinni dorm ienti con segugi che sognano di cacciare; l’antica e diffusa credenza che i cani addorm entati quando guaiscono e m uovono le zampe sognino di cacciare, ha ora ricevuto un potente appoggio sperimentale: i tipi di onde cerebrali che indicano un sogno (e che non sono dissimili da quelle dello stato di veglia) ricorrono molto più spesso nei predatori (cani, gatti, uom ini) che negli animali erbivori. Sebbene Eschilo certam ente non abbia dato origine a questa interpretazione del com portam ento dei cani addorm entati, ne ha fatto uso con consum ata abilità dram matica e capacità persuasiva. La natura serpentina delle E rinni è naturalm ente m enzionata a sua volta (v. 126), dal m om ento che l’opinione che siano serpenti (Coefore, v. 1050: dràkousin), o che possiedano e maneggino ser­ penti, o che facciano germogliare serpenti, è tradizionale e si riflette anche in campo artistico. Ma è interessante il fatto che Eschilo nelle Eum enidi menzioni spesso il loro veleno e solo una volta la loro natura serpentina (v. 128). Q ueste ripetute allusioni al loro veleno possono avere il significato di ricordare uno dei morsi velenosi, «serpentini», di O reste nel sogno di Clitem nestra (in Coefore, vv. 527 sgg.). Ancora più interessante è il fatto che Apollo minacci le Erinni con i suoi «serpenti alati» (cioè, le frecce avvelenate, v. 181). Abbiamo così serpenti che minacciano serpenti e perciò un paral­ lelismo con il sogno di Clitem nestra, dal m om ento che essa, ri­ petutam ente definita «serpente» nelle Coefore (vv. 994, 1047) e u n ’anfesibena dalle due teste nell’Agamennone (v. 1233), sogna di venire morsicata da O reste in forma di serpente (Coefore, vv. 527 sgg., 928) anche se in realtà saranno il suo collo o la sua gola a venire tagliati. Il carattere serpentino delle Erinni, di Cli-

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tem nestra (che vendica la m orte di Ifigenia), e di O reste (che vendica Agamennone) non può fare a m eno di sottolineare che le Erinni non sono solo spettri, ma anche esseri quasi-umani, che uccidono chi uccide un parente. Un passaggio curioso (Coefore, v. 119) sem bra suggerire che il vendicatore di Agamennone può essere un dem one altrettanto che un uomo.

Erinni = Clitemnestra Viene spesso detto che Eschilo, chiam ando le Erinni figlie della N otte (vv. 322, 416, 745, 792) ha ripudiato im plicitamente la tradizione precedente (Esiodo, Teogonia, v. 185) secondo la quale sarebbero nate dal sangue di U rano evirato, al suo contatto con la terra. Tuttavia, a mio parere, si tratta nell’insieme di una questione d ’im portanza secondaria. Eschilo può semplicemente aver cercato di risolvere, in questo modo, una difficoltà ben mag­ giore: il problem a dell’esistenza delle E rinni nel tempo. La tradizione esiodea implica un paradosso: dal m om ento che sono nate da un quasi-parricidio (dal sangue di Urano), ci si potrebbe aspettare che le Erinni perseguitino Crono. Tuttavia, anche se secondo alcune versioni Crono viene in seguito evirato dal suo stesso figlio, Zeus, di modo che si potrebbe parlare di un m eritato castigo, un elem ento che è lecito aspettarsi è singo­ larmente m ancante: non conosco alcun testo che alluda ad una persecuzione delle Erinni nei confronti del parricida Crono. Q uesto suggerisce che il suo delitto abbia portato al form arsi di una classe o di un tipo di divinità vendicatrici che in pratica non disturbano l’originale parricida Crono, ma solo i m ortali che com­ m ettano un crimine equivalente e cioè divino. È impossibile trat­ tare qui più a lungo questo concetto, evidente quanto spesso trascurato: com m ettere un crimine «divino» è una fondam entale caratteristica degli dèi, di re divini, ed anche di quei mortali che acquistino tem poraneam ente i poteri soprannaturali che li ren­ dono capaci di azioni vietate ai m ortali. Alcune persone di questo genere, quindi, divengono realm ente sovrum ane (o acquistano tem ­ poraneam ente il potere di compiere azioni quasi impossibili) pro­ prio per mezzo di un crimine rituale. I più grandi greci del periodo classico apparentem ente non riuscivano a com prendere questo concetto tipicam ente arcaico e tentarono di giustificare i «misfatti» degli dèi fornendone versioni purgate, e preparando così il terreno per il declino della religione. Ma la difficoltà maggiore risiede altrove. Incuranti del fatto che le E rinni siano nate dal sangue di U rano o siano figlie della

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N otte, Eschilo ed altri suggeriscono anche che, come Gelegenheitsgótter, esse si materializzino ogni volta che un uom o offenda im perdonabilm ente un m em bro della sua famiglia o ne versi il sangue. Si può notare, in particolare, che in tal caso il nome E rinni compare a volte al singolare, benché Esiodo, Eschilo e m olti altri parlino delle E rinni al plurale: si tratta solitamente di tre Erinni, prive di caratteristiche individuali e che operano in gruppo. Q uesta scoperta giustifica l’opinione 7 secondo la quale le (o la) E rinni erano in origine semplicemente lo spettro vendi­ catore, oppure, al limite, nate dal sangue versato di un parente la cui m orte non poteva venire vendicata, dal m om ento che l’as­ sassino era proprio colui che avrebbe dovuto farlo. Solo più avanti questi fantasm i della vendetta vennero ridefiniti come spiriti in­ fernali, con una sorta di esistenza continuata nel tempo, ma del tu tto inoperosi fino a quando non venivano rianim ati e mobilitati da un fatto di sangue tra parenti ed attribuiti alla vittim a. Questo, p iù delle due genealogie alternative delle E rinni «originali», è il vero problem a. Sem brerebbe che i greci abbiano m antenuto con­ tem poraneam ente due credenze divergenti riguardo alle origini delle (o della) Erinni: simili doppie credenze sono abbastanza fre q u e n ti8. Tuttavia, come nel caso dei due gruppi di credenze mohave riguardo ai gemelli, è possibile cogliere un nesso tra le due teorie greche sulle origini delle Erinni. Una considerazione fondam entale è che, indipendentem ente dalla loro esistenza con­ tinuata, le E rinni divengono attive solamente se viene versato sangue fra parenti, e cessano di esserlo nel m om ento in cui l’as­ sassino viene punito 9. Sarebbe anacronistico ritenere l’esistenza continuata delle E rinni paragonabile alle forme ideali platoniche, dalle quali vengono m odellate le E rinni «operative», che si ma­ terializzano dopo u n omicidio tra consanguinei, e dalle quali sono fatte derivare: l’effettivo rapporto tra Erinni inoperose e in attività si può far derivare da dati di m olta maggior consistenza escato­ logica. La Nèkyia omerica m ostra chiaram ente che gli spiriti dei mor­ tali sotto form a di om bre e privi di facoltà sensorie si trovano semplicemente ibernati nell’Ade: solamente quando vien dato loro del sangue da bere si rianim ano e divengono operanti 10 (Odissea XI, 36 sgg.): e sembra che la stessa cosa valga anche per le Erinni. Come om bre vaghe, esistono nel tem po anche quando non vi sono omicidi di parenti da vendicare u , ma, proprio come i fantasm i dell’Ade vengono rianim ati dal sangue, così le Erinni vengono vivificate dal suo penetrante sentore e sono particolar­ m ente attive quando lo bevono. Poi, una volta che l’omicida è

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stato dissanguato, le E rinni —come gli spiriti della N èkyia omerica — sembrano ricadere nella loro indistinta pseudo-esistenza. Vi sono riferim enti espliciti a questo alternarsi nelle Erinni dello stato attivo e di quello passivo: trascurando per il momento il loro sonno ed il loro risveglio (Eum enidi vv. 46 sgg.), i versi 313 sgg. dicono chiaram ente che divengono attive solamente quan­ do sono irritate da un assassinio di consanguinei: se un uomo non desta la loro collera, non gli prestano alcuna attenzione e rimangono come assopite. Vi è anche un accenno al fatto che il sangue della vittim a stessa possa divenire inattivo od inefficace attraverso purificazioni (vv. 280 sgg.). In breve, quando non sono adirate dal sangue versato tra parenti, le Erinni potrebbero venire paragonate alla spada di D a­ mocle: al m om ento dell’omicidio il capello che regge la spada si spezza ed essa — come le E rinni attive — diviene operante. Ma, non appena ha trafitto la sua vittim a, la spada cessa di esserlo (fino alla prossima occasione): così fanno anche le Erinni saziate. Può venire in aiuto anche u n ’analogia fisica: quando non vi è alcun assassinio di consanguinei da vendicare, le Erinni esistono solamente nel senso in cui esiste l’energia potenziale di un vaso di fiori sul davanzale di una finestra. Q uando avviene il fatto di sangue da vendicare, le E rinni divengono attive come, quando il vaso di fiori viene urtato e cade verso il basso, la sua intangibile energia potenziale si è tram utata in tangibile energia cinetica. La migliore conferma di questo è il fatto che non esiste alun mito sulle E rinni, ma : esse com paiono (come vendicatrici) solo nei miti accentrati su grandi peccatori. Ma c’è di più: quando le Erinni di un parente assassinato compiono la vendetta suggendo il sangue dell’uccisore, il sangue che bevono è uguale a quello della vittim a. Infatti, la questione chiave delle Eum enidi è proprio se il figlio sia parente di sangue della m adre (v. 606 e altrove). Prosciugandolo del suo sangue e perciò m utandolo in u n ’om bra priva di sangue, sembra che sosti­ tuiscano quello perduto dalla vittim a con quello, uguale, dell’uc­ cisore: questo rappresenta una sorta di «trasfusione» di rappre­ saglia. Q uesto fatto, assieme al prender corpo (e azione) delle Erinni in diretta conseguenza di un omicidio di consanguinei e del sangue della vittim a, prova — come ha indicato Rohde — che, l’Erinni (soprattutto al singolare) è originariam ente la vittim a stessa o piuttosto un suo prodotto. Q uesto, a sua volta, spiega perché il term ine autophònos (uccisore di se stesso) indichi originariam ente non il suicida ma chi uccida persone del suo stesso sangue 12. La mia argom entazione conclusiva è che le E rinni non raggiun­

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gono uno stato di esistenza attivo e continuo nem m eno dopo la loro trasform azione in Eum enidi. M ostrerò, più oltre, come esse continuino ad essere semplici deterrenti potenziali (vv. 696 sgg.) che si lim itano a trattenersi dall’alterare la fertilità se l’uom o si com porta bene, ma non fanno nulla per favorirla attivamente, come ricompensa per l’uomo onesto e pio. Q uesta è una nozione culturalm ente prim itiva. Q uesta esposizione prelim inare un p o ’ prolungata sull’esistenza delle E rinni nel tem po è indispensabile per una piena com pren­ sione del rapporto di reciprocità tra il «doppio» di Clitem nestra (èidolon) e le E rinni addorm entate. È implicito nella teoria di Rohde — che le mie argomentazioni si lim itano ad affinare e rafforzare — che le E rinni sono da un lato lo spettro di Clitem nestra e dall’altro u n ’emanazione del suo sangue versato. Q uesto conduce all’intuizione apparentem ente im­ barazzante che la Clitem nestra che appare in sogno sia un prodotto delle sue stesse emanazioni, cioè delle E rinni: i fantasmi della sua vendetta sognano il suo «doppio» vendicatore. Inizierò col rilevare che il sognatore greco antico sogna generalm ente cose o persone che esistono prim a del suo sogno: così, A tena deve forgiare un personaggio prim a che questo possa inserirsi nel sogno — cioè venire sognato — da Penelope (Odissea IV, 795 sgg.). Lo spettro di Clitem nestra, a sua volta, esiste prim a della sua intrusione nel sogno dei suoi (o del suo) stesso spettro. Q ui compare una curiosa relazione di reciprocità: se il doppio di Clitem nestra non si fosse introdotto (come Super-ego) nel sogno delle Erinni, queste sarebbero rimaste inattive, dal m om ento che Apollo le aveva fatte cadere nel sonno. Ma se le E rinni non avessero sognato lo spettro di Clitem nestra, esso stesso sarebbe rim asto inoperoso: è il sogno delle E rinni su Clitem nestra che lo rende in grado di esistere «attivam ente». Q uesta è chiaram ente una situazione di scatole concentriche: l’immagine in uno specchio replica quella in un altro e viceversa: ognuno volge l’energia potenziale dell’altro in cinetica. D al punto di vista logico, questa situazione è abbastanza vicina al cogito ergo sum cartesiano, dal m om ento che colui la cui esistenza è provata dal suo pensiero è esattam ente chi produce quel pensiero che prova la sua esistenza. Non è sicuro che questo circolo vizioso possa venire risolto in modo convincente ricorrendo alla «teoria dei tipi» di Bertrand Russell; ma anche se così fosse, ciò che im porta è che Eschilo stesso sia vissuto prim a della nascita di questa teoria. Questa situazione di scatole concentriche è ciò che viene detto «sapienza» in teologia e in metafisica: è una sorta di inutile sapienza che

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affascina il bam bino quanto l’adulto, perché produce una vertigine mentale. Ciò che è rilevante in questo contesto è che il fenomeno della riproduzione dell’immagine del produttore da parte dei suoi stessi prodotti è presente in Eschilo anche altrove. M a si deve sottolineare, a suo onore, che egli ne fa uso solamente come immagine poetica sensazionale e non come ventriloqua sapienza. ÌAeWAgamennone, al v. 839, troviam o la inquietante espressione eìdolon skiàs ( = lo spettrale doppio di u n ’ombra) che, per quanto 10 sia in grado di determ inare, è unica nella letteratura classica, e crea una sensazione di profondità emozionale — e non filosofica — tram ite una costruzione di specchi che riflettono specchi. A ltret­ tanto spesso, è il corretto uso (emozionale-estetico) da parte del poeta di un simbolismo affettivam ente radicato, che mostra più crudelm ente quanto sia logoro l’illecito tentativo del filosofo di volgere reali elem enti affettivi in profondità metafisiche. C onsiderando ancora la scena su di un piano puram ente poetico-drammatico, mi richiamo a quanto rilevato all’inizio: gli occhi corporei dello spettatore sanno che ciò che è apparso loro come spettro persecutore, per le E rinni risulta essere una percezione dell’occhio interiore. In breve, dal m om ento che le E rinni sono lo spettro (o gli spettri) di Clitem nestra, nate dal suo sangue e dalla sua collera, 11 suo spettro è sognato dal suo spettro. Finora, ho semplicemente posto in rilievo che alcuni problem i di esistenza nel tem po e di esistenza indipendente possono venire risolti prim a di com prendere com pletam ente la semplice irresistibilità poetica di questa scena. E com prenderla, anzi riviverla come dram m a poetico è un requisito indispensabile per la sua interpretazione psicologica come sogno.

Erinni = Oreste M entre l’affinità tra C litem nestra e le E rinni che lei stessa genera è generalm ente accettata come vera, la fondam entale so­ miglianza tra O reste e le E rinni tende a venire più o m eno tra­ scurata, forse a causa dell’asserzione, costantem ente ripetuta, che le Erinni di Eschilo sono oggettivam ente reali, m entre le Erinni delYOreste di Euripide, sono semplici allucinazioni (Euripide, Oreste, v. 396). Q uesto punto di vista è discutibile, e non solo perché nelle Eumenidi, al v. 417, le Erinni vengono definite semplicemente come «M aledizioni» (Arai), forse incarnate, che colpiscono Oreste, o anche come allucinazioni punitive (àte), nelle Coefore al v. 467.

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Anche più im portante è che nelle Coefore ai vv. 1051 sgg. il Coro insiste nel dire che sono illusioni, ed una lettura attenta del testo m ostra che anche O reste asserisce che solo lui le vede, e che sono reali per lui (Coefore, vv. 1048 sgg., 1053 sg.). La specificazione «non sono apparenze di queste mie sventure» lascia aperta la possibilità che egli sia solo in parte inform ato del carattere soggettivo delle sue percezioni, come i malati che soffrono di allucinazioni talvolta si rendono conto solo parzialm ente della sog­ gettività di ciò che sembra loro di vedere, sebbene reagiscano alle loro allucinazioni come se fossero reali. N on posso asserire in modo dogmatico che questa scappatoia rifletta u n ’intuizione oggettiva da parte di Eschilo, dal m om ento che l’ambiguità di questo brano può, a ragione, appartenere solo alla poesia. Ma anche se così fosse, potrebbe solo provare una volta di più ciò che Freud non si è mai stancato di dire, e cioè che molte intuizioni della psicoanalisi erano state inconsapevolmente anticipate dai poe­ ti. L ’opinione che in un certo senso le Erinni siano allucinazioni può in parte venire condivisa anche nell’interpretare il loro aspetto effettivo sulla scena, dal m om ento che il «doppio» di Clitem nestra appare anch’esso in scena in forma di sogno. L ’opinione di Se­ nofane (fr. 15 D-K) che gli esseri sovrannaturali sono la proiezione della m ente um ana è latente, io credo, anche dietro il pensiero conscio di Eschilo e la sua volontà di credere. Ugualmente im portante è il fatto che, anche dopo la loro trasformazione, le Eum enidi non accettano mai completamente l’idea che la madre non è parente dei propri figli, ossia che non hanno lo stesso sangue: questa teoria è proposta dal solo Apollo (vv. 657 sgg.). Le Eum enidi non m anifestano esplicitamente di accettarla: sono semplicemente state indotte a com portarsi come se lo facessero. In pratica, questo significa che esse conservano il diritto di punire il matricida sotto una nuova legge: non come l’assassino di un parente, ma come chi uccide un m em bro della com unità sociale — come custodi della pace all’interno della città. E il sociologo concluderà che, anche agendo nell’esercizio di questa nuova funzione, continueranno a punire il m atricida più severa­ mente dell’uccisore di un norm ale cittadino — così come Zeus colpisce chi uccide un intim o amico più duram ente dell’assassino di uno straniero di passaggio. In pratica, possono anche esservi notevoli discrepanze tra il vincolo preteso dal formale rapporto di discendenza (parentela) e quello risultante dal raggiungimento di ciò che Befu chiama «parentela personale» 13. Inoltre, non è un caso che, in un mito m anifestam ente non m atriarcale l’uccisione del suocero da parte di Issione venga definita come il primo

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assassinio di un parente (Pind., Pyth. II, 32). In breve, anche la teoria della discendenza proposta da Apollo non nega il vincolo sociale tra m adre e figlio, ciò che rende il matricidio così atroce. Il fatto ovvio che le Eum enidi non accettino mai esplicitamente l’idea che m adre e figlio non siano dello stesso sangue, implica che le Erinni, che sorgono dal sangue della m adre uccisa, sono anch’esse, in un certo senso, omicide di consanguinei («figlicide»), dal m om ento che — secondo loro — il sangue della madre, da cui nascono è uguale a quello del m atricida, di cui intendono nutrirsi. In questo senso esse sono prodotti del sangue (uguale) sia di C litem nestra che di O reste. Ma ci sono affinità anche più tangibili tra O reste e le Erinni: 1. Se le mani di O reste sono macchiate di sangue (Coefore, vv. 280 e 1055 sg.), lo sono anche quelle delle E rinni (Eum enidi, v. 41) e quelle di Egisto (Coefore, vv. 72 sgg.). 2. Se le E rinni sono serpenti, lo è anche O reste nel sogno di Clitem nestra (vedi sopra); il loro veleno, proprio come il loro nutrirsi di sangue, si può ben paragonare al morso vendicatore (ancora una volta simile alle E rinni) e velenoso di O reste e al suo alimentarsi col sangue nel sogno delle Coefore. Ancora più significative, poi, sono alcune equivalenze funzio­ nali: 1. Come il fuggitivo O reste, le E rinni sono bandite. Anche loro spargono contaminazione, danneggiano la fertilità di qualsiasi cosa tocchino, sono odiate e disprezzate sia dagli dèi che dagli uomini. U n passaggio è particolarm ente illum inante: come O reste, esse danno alla loro genitrice, la terra che le ha date alla luce (v. 58), m otivo di pentirsi di averle allevate. Inoltre, in quanto esiliate, fuggitive assassine di parenti, anch’esse sembrano non avere una casa. Si dirà di più a questo proposito in relazione con il loro acquisto di una casa dopo essere divenute Eum enidi. 2. Come stabilito sopra, le E rinni si com portano come assas­ sine di parenti: a) come rappresentanti di C litem nestra, la loro aggressione contro O reste equivale all’uccisione di un figlio, uccisione che Clitem nestra ha tentato, senza riuscire ad effettuarla (Coefore, v. 888): per questo motivo, anch’esse si qualificano come vere e proprie «parenticide»; b) una persona che com m ette un omicidio infam ante pone nella propria bocca il sangue coagulato della vittim a per poi spu­ tarlo. Anche le E rinni suggono il sangue delle loro vittim e e possono venire costrette a sputarlo o rigurgitarlo (vv. 183 sgg.); esse, inoltre, possono sbavare veleno o sangue (vv. 477, 780 sgg.i; c) tali assassini tagliano gli arti —e certam ente anche gli organi

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genitali — delle loro vittim e, e delle E rinni è detto esplicitamente (v. 186) che presiedono a varie mutilazioni, specialmente l’evira­ zione di ragazzi. La loro simbolica femminilizzazione degli uomini è illuminata anche dal loro essere patronesse delle im palature 14. Ritornerem o su questo argomento al m om ento di parlare di fertilità e sterilità. D i gran lunga più im portante di queste equivalenze funzionali tra O reste e le Erinni è un fatto spesso trascurato: nelle Eum enidi Eschilo ci dà la descrizione non di una, bensì di due purificazioni e reintegrazioni sociali: quella del vendicatore e m atricida O reste e quella delle vendicatrici e figlicide Erinni ( = Clitemnestra). L ’esiliato O reste riguadagna il suo dom inio e la sua condizione regale. Le Erinni, vaganti e senza dimora, trovano una casa ad Atene e, da esseri proscritti, disprezzati, portatori di contam ina­ zione, si m utano in divinità onorate. Ma c’è di più: O reste, il contam inato, l’assassino, è, per de­ finizione, condannato a non avere discendenti (Coefore, vv. 354 sgg., 1006), dal m om ento che una simile contam inazione rende sterile ogni uccisore di parenti che non sia purificato. Solo lo scolio a Sofocle, Antigone 126, sostiene che le Erinni non sono sterili. Tuttavia, al m om ento stesso della sua assoluzione, O reste dà per certo che, ora, potrà avere dei discendenti, o perlom eno che la sua stirpe, precedentem ente contam inata e resa sterile dal suo gesto, non si estinguerà (vv. 762 sgg.). Q uesto recupero può venire strettam ente collegato alla trasform azione delle Erinni, di­ vinità della sterilità, in Eum enidi, dee della fertilità. U n’evoluzione parallela può essere rilevata anche in relazione alla guarigione di O reste dalla pazzia. O reste è chiaram ente pazzo all’inizio delle Eum enidi (vv. 378 sgg.), come già alla fine delle Coefore. Da principio, anche le E rinni sono pazze: è proprio grazie alla loro stessa follia che sono in grado di far impazzire le loro vittime. Com unque, non appena esse vengono em endate non ci si aspetta più da parte loro che provochino frenesie omicide non causate da ubriachezza (vv. 858 sgg.). Q uesto implica che le E u­ menidi cessano dal provocare violenti attacchi di follia perché esse hanno (tem poraneam ente) abbandonato questa condizione. Donde, l’assoluzione di O reste ed il placarsi delle E rinni rappre­ sentano anche una sorta di psicoterapia rituale che placa il furore sia dell’assassino che del vendicatore. In breve, la fondamentale somiglianza tra O reste e le E rinni si manifesta in diversi modi in ogni parte delle Eumenidi. Q uesto è vero sia per quanto riguarda le analogie tra O reste ancora contam inato e le Erinni, sia per quelle tra O reste, dopo la sua assoluzione, e le Eum enidi.

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Ma, come nel caso di tu tta la psicoterapia rituale (che non consegue un vera com prensione), anche qui è lecito aspettarsi che i suoi effetti benefici siano solo transitori o discontinui. Per quanto riguarda O reste, se ne fa allusione già nelle Eum enidi ai vv. 443 sgg.: sebbene purificato più volte, non è ancora assolto legalmente. D i conseguenza, nonostante m om enti di sollievo (vv. 280 sgg.), plausibili da un punto di vista psichiatrico, i suoi disturbi e la sua pazzia continuano senza dim inuire m inim amente: non è migliorato di molto in seguito alla sua assoluzione da parte del­ l’Areopago. A ltri m iti ci ricordano suoi successivi attacchi di follia. Egli non guarisce com pletam ente finché non castra se stesso, pu­ nizione tipicam ente operata dalle E rinni (v. 188), perlom eno sim­ bolicamente, staccandosi un dito con un morso 15. Ultima cosa, ma non m eno im portante, O reste, il serpente del sogno, morirà alla fine per un morso di serpente (Scolio a Euripide, Oreste, v. 1640). L ’incom pleta o transitoria riabilitazione sociale delle Erinni è un problem a più complesso: verrà esaminato approfonditam ente nel prossimo paragrafo, che devia dal nostro tema meno di quanto possa sem brare a prim a vista.

Erinni — Eum enidi Sterilità/fertilità: parente/straniero. Teorie teologiche inutil­ mente complesse tentano di spiegare il ruolo che le Erinni, le quali generalm ente provocano la sterilità, giocano provatam ente nel garantire la fertilità. Anche se questo ruolo fosse effettivam ente attivo, basterebbe sottolineare che, nel pensiero prim itivo, una persona che esercita un controllo su qualche cosa, può farne uso per propositi sia benefici che nocivi: il suo «controllo» è assoluto ed eticam ente neutrale. In questa organizzazione teorica le Erinni corrispondono al sacerdote in veste di mago: le Eum enidi equi­ valgono alle sue capacità di guaritore. A ttenendoci rigorosam ente alle Erinni-Eum enidi di Eschilo, vediamo che la prim a parte del dram m a sottolinea esclusivamente la loro capacità di rendere sterili, m enzionata sia da loro stesse che dai loro interlocutori. Ciò è coerente alle aspettative, dal momento che esse rifiutano apertam ente di rendere onore a Ci­ pride, dea dell’amore (v. 215). Le cose cam biano quando appare il loro ruolo di prom uovere la fertilità. Solo A tena parla di questo (vv. 895, 907, ecc.) come di un’azione effettiva che le E um enidi com piranno realmente. Le Eum enidi stesse parlano in term ini diversi del loro ruolo nei

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confronti della fertilità: nel v. 921 propongono di pregare per la fertilità; nel v. 938 sperano che la sterilità sarà allontanata; nel v. 958 pregano perché le fanciulle possano vivere abbastanza a lungo da trovare un compagno. T utto ciò non suggerisce propria­ mente che le Eum enidi abbiano il potere di prom uovere la fertilità diversam ente che per mezzo di preghiere a divinità più potenti. Ancora più im portante è il fatto che nella seconda di queste invocazioni e, per induzione, anche nella terza, esse parlano per­ lopiù di allontanare ciò che potrebbe com prom ettere la fertilità. Possiamo fare in breve il punto della situazione: le Eum enidi, divinità decisamente prim itive, sono indotte a non sguinzagliare i loro poteri, di ostacolo alla fertilità. Sono rappresentate come divinità fondam entalm ente malvagie, che possono però venire cor­ rotte: i sacrifici e gli onori loro attribuiti sono «pedaggi di pro­ tezione». In breve, le Eum enidi sono E rinni che accettano di venire corrotte: si dà loro qualcosa perché non venga preso tutto. U na simile concezione degli dèi si incontra in m olte società pri­ mitive. Anche in rapporto alla punizione dei crimini, la riabilitazione delle Erinni è condizionale: nel m om ento in cui un uom o uccida un suo parente, le Eum enidi tornano ad essere Erinni e lo pu­ niscono con la brutalità di sempre (vv. 696 sgg., 930 sgg.). In pratica, esse equivalgono ad una spada di Damocle, dal momento che il tim ore di un castigo è necessario per il buon funzionam ento della città (v. 696). Si potrebbe dire che il pacchetto di accordi offerto loro da A tena includa la promessa che, qualora la situazione 10 giustifichi, saranno libere di m anifestare la loro ira nel vecchio sistema di E rinni (vv. 927 sgg., 952 sgg.). D etto questo, sono Eschilo e la sua A tena piuttosto che le Eum enidi (domate) a sottolineare il loro ruolo nel prom uovere la fertilità. E, se posso azzardare u n ’opinione, Eschilo si rivela ottim o psicologo nel porre 11 diritto delle Eum enidi, in circostanze appropriate, a comportarsi come Erinni, nell’«affare» con Atena. Se questa clausola-via d ’u­ scita non fosse stata inclusa, le Erinni non avrebbero accettato il patto, ed anche qualora lo avessero fatto, il loro consenso non sarebbe stato psicologicamente plausibile, dal m om ento che l’etiope non può m utar colore alla sua pelle, né il leopardo le sue macchie. Q uesto ci porta ad una intuizione di Eschilo che sia Frazer che Freud hanno espresso, in term ini diversi, credendo che si trattasse di una novità. E indispensabile una legge severa, form u­ lata in term ini precisi, contro l’uccisione di consanguinei, per timore che questo crimine divenga un luogo comune (vv. 496 sgg., 513 sgg.), dal m omento che il delitto di E dipo è una tentazione co­ stante.

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Egualm ente straordinario ed ancora più rilevante dal punto di vista sociale è il fatto che Eschilo due volte (vv. 545 sgg., 270 sgg.) colleghi i crimini contro consanguinei a quelli contro stranieri. Q uesta equazione apparentem ente paradossale fra parente e straniero non è proprio specificamente greca: è, piuttosto, comune a tutto il genere umano. Inoltre, non si può considerare decisivo il fatto che, in O m ero, «straniero» (xènos), — specialmente al vocativo — significhi perlopiù «amico», dal m om ento che la de­ nominazione di una legge spartana anti-straniera (xenelasìa) rivela che questa parola ha anche sfum ature ostili. Il rapporto tra xènos — amico e xènos — estraneo ( = nemico) rispecchia molto quello tra Eum enidi ed Erinni: entram bi riflettono una fondam entale ambivalenza dell’uomo: la sua schopenhaueriana «normale incapa­ cità neurotica» di tollerare sia una distanza eccessiva (diversità), sia una completa affinità. La prim itiva cancellatura della sfum atura xenofobica di xènos tram ite la sua interpretazione eufemistica (amico), riflette, come l’invenzione di uno Zeus Xenios, la necessità di frenare l’ostilità autom atica contro lo straniero, ispirata dalla paura. Il significato fondam entale del term ine, anche quando viene introdotto per designare un amico, non perde mai la sfum atura «membro del gruppo di fuori»; tende ad indicare coloro che non sono né parenti né concittadini. T utto ciò m ostra come lo straniero risulti essere il bersaglio dell’ostilità deviata (in seguito a pressioni) dal consanguineo, che, proprio per la sua vicinanza, può ferire molto più di un estraneo. Eschilo, dunque, intende giustam ente che è la medesima legge a tutelare entram bi, dal m omento che l’omicidio di un consanguineo e di uno straniero sono psicologicamente equivalenti. Q uesta pseu­ do-dicotomia può venir collegata facilmente a quella tra sterilità e fertilità, come «regolata» dalle Erinni-Eum enidi, dal momento che anche nella sfera erotica l’uom o può trovare un equilibrio tra l’estrem a endogamia (l’incesto) e l’estrem a esogamia (l’incrocio di razze), entram be vietate in Grecia. Così come fa deviare l’ag­ gressività nell’equazione consanguineo-nemico, anche nel corso del suo sviluppo psico-sessuale l’uom o deve far deviare i suoi impulsi erotici prim a dalla madre alla sorella (Coefore, v. 240) e solo in seguito su di u n ’estranea, la moglie, ed è qui indispensabile ricor­ dare, anche con una certa audacia, l’estensione con cui nelle E u­ menidi viene posta in rilievo la condizione di «estraneità» della moglie (vv. 657 sgg.) 16. Ricapitolando, le Eum enidi possono venire ritenute predatrici em endatesi nelle vesti di protettrici della fertilità, solam ente in term ini di speranzoso rispetto: al di sotto di questa facciata eu­ femistica, e malgrado la caparbia insistenza di A tena riguardo al

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bene che com piranno, le E um enidi altro non sono che Erinni corrotte, predatrici della naturale fertilità della buona terra, che prom uovono la fecondità solamente col non ostacolarla, almeno per il tem po che gli uomini im piegheranno rendendo loro onori e com portandosi bene. Ma nel m om ento in cui l’uom o peccasse, le Eum enidi riesum erebbero prontam ente le antiche vesti di Erinni. E d in questo contesto ricopre una fondam entale importanza il fatto che l ’aspetto dellé Eum enidi em endate rimanga repellente quanto quello delle E rinni (v. 990). In breve, qualsiasi altra concezione delle Eum enidi si ispira a devozioni m oderne o a speranze antiche, piuttosto che alla spie­ tata logicità del dram m a di Eschilo.

Analisi del sogno delle Erinni L ’interpretazione del sogno delle E rinni è un gioco da ragazzi. La loro natura, le loro funzioni, la loro sete di sangue le spingono a cacciare O reste. Indotte al sonno da Apollo, così abile nell’ostacolare le divinità arcaiche quando minacciano i suoi favoriti, le Erinni sognano di proseguire nella loro caccia (Eum enidi, vv. 131 sgg.) e si com portano come segugi nel sonno. Q uesto dettaglio è, dal punto di vista psicologico, il più realistico. Un sogno nel quale ci si dedica ad un lavoro che non si è portato a term ine in stato di veglia è un «tutore del sonno». Il Super-ego, qui rappresentato sia dal dovere delle Erinni che da Clitemnestra, viene tem poraneam ente placato dalla realizzazione, nel sogno, di un’azione non com piuta in stato di veglia: questo dispensa chi sogna dal doversi alzare e realm ente portare a term ine il suo compito. L ’efficacia di simili autoinganni o finte azioni in sogno è regolarm ente rafforzata dalla vividezza estrem a di tali sogni, che possono anche indurre al com pim ento, schematico o sommario, da parte di chi dorm e, dei movim enti e degli atti vocali, che, in modo più ampio, avverrebbero norm alm ente nella realizzazione in stato di veglia dell’atto sognato. Io credo che questi m ovimenti incom pleti nel sonno possano anche corrispondere a quello che alcuni psicologi sperim entali denom inano «gruppo preparatorio». N oto qui una curiosa coincidenza: le E rinni cacciano nel sonno; nelle Coefore al v. 897 si dice di O reste bam bino che si alimentasse praticam ente nel sonno. In term ini concreti, le Erinni, che sono effettivam ente cagne, si com portano nel sonno come cagne che sognino una caccia. N aturalm ente, il Super-ego non può venire soddisfatto per sempre dall’esecuzione soltanto in sogno del compito assegnato: presto

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o tardi si introm ette, sotto qualche travestim ento, nel sogno stesso: in questo caso è l’im paziente e vendicativo doppio di Clitem nestra che forza le E rinni dorm ienti a svegliarsi e obbedire al loro dovere. Ma, dal m om ento che questo «delegato» del Super-ego fa parte in realtà della psiche stessa di chi sogna, è una parte delle Erinni stesse che le spinge ad alzarsi. E d anche questo viene realizzato chiaram ente nella rappresen­ tazione che Eschilo fa del sogno: il doppio di C litem nestra pa­ ragona i suoi rim proveri ad un pungolo (v. 136: kèntron), e dopo il risveglio le E rinni stesse com parano il rim brotto giunto loro nel sonno (non dicono di aver sognato Clitem nestra!) ad un pungolo che le abbia colpite nelle parti vitali (v. 156). È facile vedere come per le E rinni il colpire col pungolo sia autopungolarsi. Il pungolo è l’arma originale e più caratteristica delle Erinni, quella che usano regolarm ente secondo O m ero (Odissea XV, 234). E perlopiù in testi posteriori che fanno uso della frusta piuttosto che del pungolo, parallelam ente all’evoluzione della tecnica dell’e­ quitazione in Grecia. È una caratteristica arcaica delle Eum enidi il fatto che i pungoli siano nom inati solo in rapporto al sogno delle Erinni, dal momento che ai vv. 136 e 156 non maneggiano il pungolo contro le loro vittime, ma si dice che si trafiggono come autopunizione e, al risveglio (v. 156), confessano che il pungolo del rim provero le ha colpite nelle «parti vitali» (phrèn). L ’analogia tra questi passaggi, in cui l’arma propria delle Erinni è rivolta contro di loro, e quello in cui Apollo minaccia le Erinni (serpentiform i) con le sue frecce serpentine avvelenate è perlom eno sorprendente. Anche questo parallelism o conferma la mia dim o­ strazione del fatto che le Erinni risultano essere, sotto m olti aspetti, assai simili alle loro vittim e designate: tu tto questo m ostra l’elevato grado di plausibilità psicologica del sogno.

Note 1 Era convince il Sonno ad addormentare Zeus: Iliade XIV, 231 sgg. 2 Paus. 1, 20, 3: la scena è sul vaso Francois. 3 Vita Aesch., p. 7 Dind.: «alcuni dicono che nella rappresentazione delle Eumenidi...sbigottì (ekplèxai) a tal punto il pubblico che i bambini svennero e le donne incinte abortirono». 4 Aesch., Choeph. 924, Eum. 131; Soph., El. 1388; Eur., El. 1342; Aristoph., Ran. 472. 5 Aesch., Eum. 230; Eur., El. 1342. 6 Aesch., Eum. 231; Nonn. Panop., Dyon. XXXII, 100. Nell’arte sono

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rappresentate come cacciatrici. Nelle Baccanti di Euripide la guida delle Me­ nadi-segugi è Agave, in rappresentanza di Dioniso (vv. 731, 872), oppure Lyssa (v. 977). Ma vi è anche una curiosa reciprocità tra queste Menadi-cagne e la loro preda: nel v. 731 sono loro a venire inseguite e nel v. 872 sono un’antilope cacciata dai segugi di Penteo. Questo dettaglio risulterà rilevante più oltre, nella mia esposizione del nesso tra le Erinni e Oreste. 7 Proposta da E. Rohde, Psyche, Freiburg 1890 [pp. 271-273 dell’ed. it., Bari 1970]; M.P. Nilsson, Gescbichte der griechischen Religion, Mùnchen 1955, voi. I, p. 100. Contra E.R. Dodds, The Greeks and thè Irrational, Berkeley-Los Angeles 1951 [p. 12, n. 1 dell’ed. it. La Nuova Italia, Firenze 1959 ]. 8 Si vedano le due teorie che presso gli indiani Mohave spiegano l’origine dei parti gemellari e l’esposizione di R. Linton, The Study o f Man, New York 1936, p. 362 sulle credenze tra loro incompatibili sviluppate dall’uomo moderno a proposito dei fantasmi. Queste scoperte implicano che la discrepanza tra l’escatologia della Nèkyia omerica ed il resto del ciclo epico non sia prova bastevole del carattere estraneo ed intruso della Nèkyia stessa. Tale prova deve venire addotta con mezzi diversi. 9 Eum. 603: l’uccisione di Clitemnestra espia il fallo della morte di Aga­ mennone. Questo significa che la (o le) Erinni di Agamennone interrompe la sua esistenza attiva. Si può anche rilevare che Oreste dà ripetutamente per certo che l’uccisione di sua madre porterà automaticamente alla sua stessa morte (Choeph. 438, ecc.). 10 II ritorno in vita di esseri normalmente residenti nell’Ade è un luogo comune. Persefone trascorre una parte dell’anno fuori dall’Ade; i Dioscuri s’alternano tra l’Ade e l’Olimpo. Solo l’ombra di Eracle dimora sempre nell’Ade: il vero Eracle festeggia assieme agli dèi. 11 Sebbene non semper arcum tendit Apollo questo dio esiste anche quando non si trova occupato in qualche caccia particolare. Il caso delle Erinni è del tutto differente. 12 Si veda il rammarico di Oreste per il fatto che Clitemnestra ed Egisto non sono stati uccisi dai loro stessi parenti, invece di uccidere Agamennone (Choeph. 367). Cfr. anche Choeph. 438: «lasciate che io la uccida e poi muoia». 13 Cfr. Harumi Befu, Patrilineal descent and personal kindred in Japan, «American Anthropologist» 65 (1963), pp. 1328-1341. 14 Eum. 189 sg. Cfr. Plat., Resp. 361e, Gorg. 473c. Per l’aggressione contro l’ano dell’adultero come una femminizzazione di rappresaglia, cfr. Aristoph., Nub. 1083, Plut. 168; Xenoph., Mem. 2, 1, 5; Catull. 15, 19; Hor., Sat. 1 ,2 ,4 4 ; Val. Max. 6,1,13; Apul., Met. 12; D. Fehling, Ethnologische Ueberlegungen auf dem Gebiet der Altertumskunde, in «Zetemata» 61 (1974), pp. 18 sgg. 15 In Paus. 8, 34, 2. Per la mutilazione di dita come simbolo di castrazione, cfr. in questo volume p. 15 n. 21. 16 E. Rohde, op. cit. [p. 562 dell’ed. it.] sostiene inoltre che, data la cir­ costanza che nel matrimonio greco era la moglie a trasferirsi nella casa del marito, il sangue della prima necessitasse in particolare della protezione delle Erinni contro il marito e i consanguinei di lui. I melanesiani di Dobu hanno risolto il problema con maggiore equità: la coppia vive a periodi alterni nei villaggi d’origine della moglie e del marito, di modo che entrambi gli sposi si trovino esposti a turno alla cattiveria e alle arti magiche della rispettiva parentela (R.F. Fortune, Sorcerers o f Dodu, London 1932, pp. 2 sgg.).

E zio P ellizer SO G N O E N A SC ITE D I E R O I * (Form e narrative della profezia in alcuni racconti greci)

Comincerò col ram m entare una storia, non troppo nota, che riguarda la fondazione dell’oracolo dei Branchidi a Didima. È la storia di Brànchos, che comincia con le disavventure di un certo Smìkros, che da piccolo fu abbandonato da suo padre Dèmoklos su una spiaggia presso Mileto, in Asia M inore. Il fanciullo dim en­ ticato sarà accolto da un brav’uomo di nome Erithàrses, e un giorno catturerà, insieme col fratello adottivo, un grosso cigno, che i due bam bini si divertiranno ad abbigliare come un uomo; ma lasciamo la parola al m itografo Conone (Narr. 33, in Phot., Bibl. 136b, cfr. FG r. H ist. 26 F 1; la storia, con alcune varianti, si trova in Varrone, Antiquit. rer. div. fr. 252 Cardauns = Lact. Plac. ad Stat., Theb. V ili, 198, cfr. M yth. Vat. 1,81; 11,85, e Boccaccio, Geneal. deor. gent. V, 10): ...Smìkros sposò allora la figlia d i u n uom o in vista fra i M ilesii. Costei, m entre era incinta, vide in sogno che il sole le p enetrava a ttra­ verso la bocca, passava p er il suo v entre ed usciva finalm ente attraverso la vulva: si trattava di un sogno m olto favorevole p er gli indovini. E mise al m ondo un bam bino, che volle chiam are Brànchos a causa di quel sogno, poiché il sole le era passato attraverso la trachea (brànchos). Q uesto figlio crebbe di bellezza straordinaria tra gli uom ini, tan to che lo stesso A pollo, che se ne era innam orato trovandolo a pascolare le pecore, gli diede un bacio nel luogo ove si trova l’altare di A pollo A m ante (in altre fonti: A pollo del bacio, o Baciatore). B rànchos fu così ispirato da A pollo al sapere profetico, e dava responsi oracolari nella zona di D idim a; e fino ai tem pi nostri, di tu tti gli oracoli greci che conosciam o, tu tti concordano che, d o po quello d i D elfi, il p iù im ­ portante è quello dei Branchidi.

Saggio originale scritto per questo volume.

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Il sogno della m adre di Brànchos (che rim ane anonima) è definito hòrama (agathòn) e òpsis, con oggetto interno (la donna «vede una visione», horà(i) òpsin) *, e ciò le avviene durante la gravidanza (vedremo che non è un caso raro); è una visione di inghiottim ento ed evacuazione, una sorta di parto prodigioso (tòn aidòion diekselthèin) di un sole che si immerge nella gola, ed esce dalla vagina dopo aver attraversato il corpo femminile dall’alto in basso, in tutte le sue parti interne (dià toù stòmatos... dià tès gastròs) 2. Poco dopo, viene usato esplicitamente, per questa visio­ ne, il vocabolo òneiros. I tipi di relazione istaurati dal racconto sono: a) di ordine etimologico e onomastico, dato che il passaggio del sole attraverso la trachea della m adre è causa dell’attribuzione del nome proprio al bam bino (Brànchos, hòti ho hèlios... dià toù brànchou dieksèlthe); b ) di implicazione simbolica, che presuppone la doppia relazione sole-Apollo e Apollo-indovini, e garantisce della qualità favorevole del presagio; è una relazione assodata, per la cultura presa in esame, e si può facilmente ribadire, ad esempio, con le parole dell’onirocritico A rtem idoro 3; c) di logica narrativa interna: il bam bino, raggiunta l’età efebica, è amato da Apollo, il dio solare della scienza profetica, che lo bacia e gli dona la corona e la verga, per cui diviene effettivamente un ispirato in­ dovino (màntis), tanto da essere il fondatore di un celebre oracolo e di una dinastia di addetti a quell’arte, che ne cureranno la gestione fino al tem po attuale del narratore (Conone o la sua fonte) e dei suoi destinatari. Q uesta è l’origine del santuario dei Branchidi a Didim a, secondo per im portanza soltanto a quello di Delfi. Tra i tanti racconti di sogni profetici che riguardano il destino di un neonato (e futuro eroe), questo esempio appare singolar­ mente lineare e coerente, ed è costruito su una rete di relazioni simboliche abbastanza semplici, nella quale i legami di conform ità tra i diversi livelli semantici messi in opera sono facilmente de­ cifrabili, e del resto vengono puntualm ente confermati — com e normale — dal racconto stesso. A ppare esemplare la specifica in­ sistenza sulla connessione esistente tra il sogno e l’arte profetica, che viene realizzata m ediante un corto circuito di senso, per il quale la previsione del futuro si pone contem poraneam ente come oggetto e soggetto del sapere di cui lo stesso dio della previsione e della mantica si fa destinatore e garante. U n sogno profetico preannuncia dunque la nascita di un profeta, che sarà amato e ispirato al vaticinio dal dio della profezia, e fonderà uno dei più celebri oracoli, nel quale opererà per secoli, e fino al tempo del racconto, una dinastia di profeti. Secondo u n ’interpretazione medievale già implicita nelle fonti greche e latine a noi note,

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che da Varrone, Conone e Lattanzio Placido attraverso i Mithographi Vaticani arriverà ad esplicitarsi nelle Genealogie di G iovanni Boccaccio, la relazione sole-Apollo-vaticinio si arricchisce di un quarto elem ento, il cigno, animale solare ed apollineo, sapiente e cantatore, che sa presagire l’approssim arsi della propria morte. Lum inosità e sapienza, chiarezza e preveggenza sono i tratti se­ mantici com uni che perm ettono di instaurare una relazione sim­ bolica coerente ed attendibile, e di integrare nel significato «pro­ fondo» del racconto anche l ’episodio (a prim a vista aberrante) del cigno di Leucotea, che Smìkros, prim a di diventare il padre del celebre indovino, aveva catturato e rivestito come un essere um ano 4. La storia di Brànchos nel suo insieme si articola così in maniera specifica (e in un certo senso ridondante) sull’origine divina del sapere profetico, che investe in particolare il racconto del sogno di una m adre come veicolo privilegiato di una profezia vertente sulla vita futura del nascituro. U n tem a narrativo già noto e diffuso da secoli tanto nella cultura greco-latina che in culture conterm ini e contem poranee viene utilizzato come struttura portante di una serie di elem enti simbolici che interessano la credenza nel sapere mantico. Altri più noti sogni profetici di m adri in attesa di partorire (o di altri sognatori, pur sem pre in relazione con una nascita im minente) sono quello che nella leggenda troiana farà cadere sinistri presagi sulla im m inente nascita di Paride-Alessandro, e quelli che precedono la nascita di Ciro il Vecchio, personaggio «storico» che realizzerà il passaggio dal regno dei medi a quello dei persiani, nella M esopotam ia del V I secolo a .C .5. N ell’intenzione di esaminare soprattutto come questo genere di sogni si articola nell’economia dei racconti, tenterem o un breve esame delle varianti — di ogni epoca — che queste storie fanno apparire attraverso le m olte visioni (e «interpretazioni») che di esse sono state fornite nei modi e negli intenti più diversi. Co­ minciamo con un breve riepilogo delle prem onizioni oniriche che si verificarono in occasione della nascita di Ciro di Persia, che si raccontano in modo assai differente: 1) In E rodoto ( 1 ,107-108), il re Astiage sogna per ben due volte. D apprim a a) che sua figlia M andane orina con tale abbon­ danza da ricoprire e sommergere l’intera Asia; il sogno è sottoposto agli interpreti, la risposta dei quali non è nota, ma in ogni caso (come si ripete per due volte) produce nel sognatore una grande paura, che lo spinge a sposare la figlia a un uom o socialmente inferiore, il persiano Cambise; b) più tardi, il re sognò u n ’altra volta che la stessa M andane (nel frattem po rimasta incinta) fa

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uscire dalla propria vagina una vite, la quale cresce tanto da ricoprire tu tta l’Asia; questa volta i Magi interpretano il sogno nel senso che il nascituro spodesterà fatalm ente il nonno materno, e consegnerà il potere nelle mani dei persiani. Astiage allora, più spaventato che mai, si ingegna a cercar di sopprim ere il bam ­ bino (invano). 2) Ctesias (Persikà, ap. Nicol. Damasc., FG r. H ist. 90 F 66, pp. 361 sgg. Jacoby) sem bra avesse raccontato le cose in modo diverso: la m adre di Ciro, che non è più la principessa M andane, ma u n ’umile pastora di nome Argòste, moglie di un brigante chia­ m ato Atradàtes, m entre è incinta sogna di orinare tanto che l’orina emessa va a form are un grande fiume, la cui corrente invade tutta l’Asia; il padre Atradàtes, quando Ciro è ormai adulto, sot­ topone il sogno al più esperto e com petente dei caldei di Babilonia; questi lo interpreta come vantaggioso per Ciro, che avrebbe ot­ tenuto la maggior dignità e i più grandi onori su tutta l’Asia, ma consiglia nel contem po di tenere segreto il responso che, se risaputo da Astiage, avrebbe com portato un grave pericolo di m orte tanto per il predestinato che per lo stesso interprete. 3) Georges Devereux, nel suo libro sui sogni nella tragedia 6, per ben due volte afferma che nel racconto di Ctesias è la stessa figlia del re Astiage, cioè M andane, e non Argòste, la pastora di capre, la madre in attesa che sogna il diluvio di orina su tutta l’Asia; si tratta certam ente di una svista, ma non banale, anzi per noi è del più grande interesse, poiché si può intendere come u n ’inconsapevole, ulteriore variante generata dal modello narrativo che stiamo esaminando. 4) Pom peo Trogo, Philipp., ap. Iustin., Epit. 1,4, sembra se­ guire E rodoto abbastanza da vicino, pur con qualche significativa differenza. Astiage sogna una sola volta, di una vite che nasce dalla vagina della figlia e cresce fino a ricoprire d ’om bra l’intera Asia. Terrorizzato dagli indovini (arioli) che gli predicono la futura grandezza del nipote e la perdita del regno, fa allora sposare la figlia al persiano Cambise, e quando questa ingravida, la manda a chiamare, affinché il neonato sia trucidato proprio sotto gli occhi del nonno, «ut sub avi potissim um oculis partus necaretur», cosa che, come spesso accade in questi casi, non va a buon fine. Cambia dunque la persona che sogna, cambia il contenuto del sogno (orina e vite, o solo orina, o solo vite), cambia il tem po in cui si verifica, cambia l’interprete, ora collettivo, ora singolo, cambia la stessa m adre: la sola costante è il presagio — sempre nefasto per il vecchio re — veicolato dal sogno e decifrato dagli esperti interpreti, nonché l’effetto di paura che esso provoca nel vecchio sovrano.

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Nella storia della nascita di Paride-Alessandro, della quale esistono num erose versioni, si riscontra nel complesso una coerenza maggiore: l’autrice del sogno, per esempio, è sempre Ecuba, la madre. Soltanto nell’interpretazione di qualche filologo m oderno 7 l’autore del sogno diventa il futuro padre di Paride e m arito di Ecuba, cioè lo stesso re Priam o; la maggiore o m inor correttezza di questa ipotesi esegetica — che d ’altronde appare facilmente confutabile 8 — non ha qui evidentem ente la minima importanza. Varia invece alquanto Voggetto che Ecuba sogna di partorire, che può essere una fiaccola accesa, un tizzone (dalòs) ardente, una torcia (fax) dalla quale escono num erosi serpenti, o ancora una fiaccola insanguinata o un tizzone o ram o acceso (grynòs), e persino «una fascina di legna brulicante di serpi» nella parafrasi ad ac­ centuato colorismo di R obert Graves, con gravi conseguenze per le diverse interpretazioni della referenza simbolica di questi vari elementi, se interpretati singolarm ente, anziché come parti di un unico sistema. U na varietà ancor maggiore, nella storia di Paride, è quella che si riscontra in ciò che concerne l’istanza di mediazione del sapere profetico di cui il sogno rappresenta il veicolo: la decifrazione del «senso nascosto» d ell’occorrenza visualizzata nel sogno m anifesto viene affidata ai più diversi interpreti, dandosi così luogo a non meno di otto varianti; rimane invece costante, in tanto m utare dei m ediatori, la sostanza dell’infausto messaggio decifrato. E proprio questa diversità, questa m utevole instabilità dell’investim ento attoriale àe\Vinterprete (il più delle volte profes­ sionale, singolo o collettivo), dell’indovino o àcVt’oneirokrìtes che intende correttam ente il sapere comunicato dal dio, ci fa riflettere sul fatto che tu tti questi racconti sem brano voler porre in luce proprio l’im portanza — e la credibilità — di questa competenza specifica, la necessità di u n ’istanza di mediazione tra gli attori ed il D estinatore — iniziale e finale — della sanzione 9. La valutazione dei possibili elem enti di correlazione tra i con­ tenuti narrativi specifici (l’orina, la vite, il sangue, i serpenti, la fiaccola o il tizzone, ecc.) ed un vasto campionario di «significati profondi» di ordine storico-politico, sessuale, passionale, generazio­ nale, e così via, può essere in qualche caso del più grande interesse, così come può darsi che le differenti possibilità di determ inare di volta in volta se il sogno sia sognato dalla madre, dal padre o dal nonno possa avere conseguenze significative sulla retta com­ prensione del racconto. Certo è che dal punto di vista narratologico l’insieme — come si vede, assai m utevole — degli investim enti figurativi della scena rappresentata da questi sogni appare gerar­ chicamente m eno im portante della più ampia struttura generale soggiacente, che sembra comune a tu tti i sogni esaminati: la nascita

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dclVErwahlte è correlata con u n ’arci-sanzione divina, che si m ani­ festa come la trasm issione di un sapere 10 che presuppone l’esercizio di particolari competenze, cioè la messa in opera di un fare in­ terpretativo dal quale dipende in larga misura lo sviluppo succes­ sivo del racconto stesso. A rticolato sulle categorie semantiche ve­ ro/falso, favorevole/sfavorevole (o buono/cattivo, con effetto patemico euforico/disforico), il sapere m antico (cioè questa istanza attoriale di mediazione interpretativa) si m ette alla prova e si au­ todefinisce all’interno del racconto, giocando sull’am biguità di di­ versi codici simbolici, in m odo da consentire l’instaurarsi di una soddisfacente varietà di possibili narrativi, i quali a loro volta contribuiscono nel loro insieme a costituire la realtà (l’esistenza semio-narrativa e la credibilità) del sapere profetico, radicandone profondam ente la consistenza e la plausibilità nell’universo assioìogico condiviso dai narratori. Leggendo la parafrasi della storia di Tèlephos nel libro di O tto Rank, Der M ythus von der Geburt des Helden " , troviamo un veniale, ma curioso errore: nel racconto dei sinistri presagi che accompagnano la nascita di questo travagliato personaggio, Rank dice che il nonno m aterno, Aleòs, fu avvertito in sogno da un oracolo che un figlio di sua figlia (Aughe) avrebbe provocato la morte dei propri zii m aterni (rispettivam ente figli maschi di Aleòs e fratelli di Aughe). Ebbene, nessuna delle fonti a noi note sulla nascita di Tèlephos fa mai menzione di un sogno. Q uesto lieve lapsus di O tto Rank non fa che confermare un principio generale che sembra em ergere chiaram ente dall’esame di molte altre storie dell’infante perseguitato: il sogno non è che un caso specifico della profezia, e l’interpretazione dei suoi singoli contenuti, con tutte le più svariate (e a volte cervellotiche) «spie­ gazioni» simboliche che se ne possano dare, appare il più delle volte un esercizio di importanza del tu tto secondaria. L ’elemento che resta costante, all’esame com parativo dei racconti di questo tipo, è sem pre l’instaurarsi del sapere profetico e del gioco di interpretazione dei segni prodigiosi (sogni, pestilenze, carestie, re­ sponsi oscuri, m ostri marini, ecc.), in particolare quando questi si presentano con tratti ambigui o di incerta lettura 12. Se, come afferma la celebre massima di Eraclito che è quasi d ’obbligo citare in questo contesto 13, il dio del sapere oracolare «non dice e non nasconde, ma fornisce (comunica) segni (...allà semàinei)», i sogni fanno parte di questi segni ambigui, non evidenti 14 né del tutto nascosti, ma come mascherati e confusi in un gioco di trasform azioni simboliche, immagini riflesse in uno specchio d ’ac­ qua la cui superficie viene turbata da u n ’agitazione più o meno

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violenta 15. Fantasm i notturni e inquietanti (nyktìphoita o nyktìplankta dèimata, Lycoph., Alex. 224; Aesch., Choeph. 524) che si aggirano per l’aere oscuro e nebbioso della coscienza addorm en­ tata (eeròphoitoi, Tzetz., Antehom. 40) volando sinistram ente su nere ali (melanoptèryghes, E ur., Hec. 71), questi inquietanti segni del sapere divino non affiorano al ricordo consapevole della veglia senza essere accompagnati da effetti passionali (patemici) che da soli sono sufficienti a connotare la visione notturna come portatrice di verità nascoste e simboliche venute da una lontananza sopran­ naturale, ciò che fa del micro-racconto onirico una sorta di «col­ lettore di isotopie», caricando i suoi contenuti di polivalenze al­ lusive, di relazioni m etonimiche, di metafore, di orientam enti se­ mantici diversam ente — e spesso capricciosamente — attualizzati. Nei sogni che stiamo esam inando (ed anche qui chi sia il sognatore appare un problem a del tutto secondario) si ripresenta con signi­ ficativa ricorrenza il patem a/paura, tanto nel sognatore stesso (Ecuba, o altrove Clitem nestra o la m adre di G iuda Iscariota) quanto nel vecchio re che si sente minacciato dal suo possibile successore, ghenèthlen hypotrèion, cfr. Tzetz., Antehom. 48, fino agli esempi estrem i di improvvisi risvegli accompagnati da urla e brividi di angoscioso terrore. È in genere m olto raro che il sognatore stesso o i suoi parenti si ingegnino a interpretare il sogno per conto proprio. D i solito si affiderà a un indovino il com pito di rendere paradigmatica una visione sintagmatica e sim ultanea: qualcuno — un professio­ nista — dovrà accettare la sfida, come vedrem o a volte rischiosa, di compiere questo azzardato «esperim ento col tem po». Nella citata versione della storia di Ciro il G rande, quella narrata da Ctesias di Cnido, quando la umile Argòste (madre dell’eroe che ha già fatto una cospicua carriera, sistem ando anche i suoi m odesti genitori) racconta di aver avuto, m entre era incinta, il sogno dell’orina, il m arito (e padre di Ciro) A tradàtes, che per vivere aveva fatto persino il brigante, consiglia subito di sot­ toporre il sogno ai famosi caldei di Babilonia. Ciro allora interroga il più esperto (loghiòtatos) di costoro, che interpreta il sogno come assai favorevole, dal m om ento che presagiva a Ciro il più alto onore in tu tta l’Asia, e preannunciava evidentem ente il con­ trario per il re Astiage. Nel contem po, l’accorto interprete consi­ gliava di tener segreto tale responso al re, perché aveva paura che questi fosse per m ettere a m orte, e nel m odo più truce, tanto Ciro che lui stesso. In seguito, lo stesso saggio caldeo cer­ cherà di «dare una mano» al destino cosi lucidam ente decifrato nel sogno, adoprandosi con saggi e opportuni consigli per favorire

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l’ascesa di Ciro ai danni di Astiage. L ’oneirokrìtes può dunque correre anche dei rischi nell’atto stesso di interpretare un vaticinio come favorevole ad A, e contrario a B, e a volte può persino influire — magari debolm ente — sullo svolgersi degli eventi, orien­ tando i com portam enti um ani nei m odi e nei m om enti più op­ portuni. In alcuni casi, dunque, la profezia può venire «aiutata» a realizzarsi. In altri, il presagio si presenta invece come del tutto favorevole: un destino tragico e senza scampo attende il nascituro, i suoi genitori, la sua stirpe e a volte l’intera nazione, e allora anche il sogno che accompagnerà la sua venuta al mondo sarà del tutto infausto. Il bam bino dovrà essere messo a morte, nel tentativo (generalm ente vano) di evitare che il destino si compia, a onta delle sentenze di indovini e oracoli. La vicenda prende in questi casi direzioni narrative che possono essere ab­ bastanza variate, ma nel loro insieme sono largam ente canoniche. D i solito il re (padre, nonno o altro) è preso da paura, e ordina di sopprim ere senz’altro il bam bino. La madre, o qualche altro m ediatore incaricato della triste bisogna, sono allora presi dalla compassione di fronte a un atto tanto crudele e spietato, e for­ niranno al piccolo uno spiraglio, una possibilità di salvarsi, facendo così fatalm ente avverare la profezia. In un caso estremo, questo meccanismo è messo in risalto da un paradosso narrativo di grande efficacia: il profeta può aver avuto il dono di antivedere il futuro, accompagnato dalla condanna a non essere mai creduto. È lo straor­ dinario caso di Cassandra, vergine infelice alla quale Apollo aveva infuso il dono della preveggenza sputandole in bocca da bambina (dopo una incubazione in un santuario), o secondo altre fonti in cambio di un rapporto sessuale, peraltro poi rifiutato. La storia di Cassandra porta alle estrem e conseguenze la paradossale am­ biguità del sapere profetico: il messaggio divino comunica un sapere reale, spesso nascosto sotto le apparenze mutevoli delle visioni oniriche, o sotto l’incerta formulazione dell’enunciato ora­ colare. Ma perfino quando tale enunciato è più esplicito, e non dipende dalla mediazione più o meno com petente degli interpreti, la volontà capricciosa e beffarda dello stesso dio che invia il messaggio fa sì che esso non sia creduto, in modo che il destino possa compiere il suo corso senza che gli uom ini possano porvi rimedio. Se l’effetto di persuasione che il sogno esercita sulla credenza dei destinatari viene messo in evidenza da soluzioni paradossali come quella che si trova nella storia di Cassandra 16, altri racconti fanno invece em ergere il problem a delle difficoltà poste dall’in­ terpretazione, ponendoci a confronto con le possibilità di un errore dell’interprete, un hamàrtema per il quale l’indovino — anche prò-

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fessionista! — può fallire il suo bersaglio interpretativo, o anche colpire un bersaglio sbagliato. Alcuni casi interessanti di errori um ani (soprattutto da parte di «dilettanti») sono riportati da Crahay per Cambise e Creso 11. Ma varrà forse la pena di soffermarci ancora un poco sul duplice sogno di Astiage e sui suoi sviluppi narrativi (H erod. I, 107-108, 120-121 e 128). In entram bi i casi, il re aveva consultato «quelli dei magi che erano interpreti di sogni», ed era rim asto spaventato dal loro responso. Q uando in seguito Ciro, m iracolosamente so­ pravvissuto e giunto all’età dell’adolescenza, viene riammesso alla presenza di Astiage, e racconta che i suoi compagni per gioco lo avevano eletto re, il vecchio m anda a chiamare gli stessi indovini che avevano dato il prim o responso, e chiede loro di interpretare nuovamente quei sogni. Quelli conferm ano la loro interpretazione, e ripetono che «era destino che il bam bino regnasse, se fosse sopravvissuto e non fosse m orto prim a». Poi, seguendo qualche suggerimento interpretativo dello stesso Astiage, con un procedi­ mento di escamotage (che ricorda il meccanismo della litote) per­ suadono il re che Ciro aveva in effetti già regnato, nei suoi giochi di fanciullo, e tanto si poteva considerare sufficiente per soddisfare il presagio, e proseguono: «Del resto perfino alcuni degli oracoli, a quanto noi sappiamo, si sono rivolti in avvenim enti di poco conto, e certo anche i sogni possono risolversi in cose del tutto insignificanti» (trad. di Augusta Izzo d ’Accinni). Così cercano di convincere Astiage del fatto che il sogno se ra già avverato, e non c’era più niente da tem ere; e poiché questi rim aneva incerto, e chiedeva ulteriore consiglio, aggiunsero che sarebbe stato contro il loro interesse, se vi fosse stato qualche pericolo nel fanciullo, rischiare come M edi di diventare schiavi di un Persiano: Perciò noi dobbiam o in ogni m odo aver cura di te e del tu o regno. E se ora avessim o visto qualche cosa di preoccupante, tu tto t ’avrem m o preannunciato. M a adesso, dal m om ento che il sogno si è risolto in una cosa da nulla, noi siamo tranquilli e consigliam o a te di fare lo stesso. T uttavia allontana questo bam bino e rim andalo in P ersia presso i suoi genitori (corsivo mio-, trad. Izzo d ’A ccinni).

Q uesti discorsi ottengono un tranquillizzante effetto persuasivo (di tipo «euforico»): Astiage depone la paura, si rallegra (echàre), e rispedisce Ciro con onore e in gran letizia (chàiron) dai suoi veri genitori, Cambise e M andane, in terra di Persia. Procedure di attenuazione della referenza, di sostituzione della

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realtà con un gioco infantile, di litote interpretativa («è stato un re tra i bambini, dunque non un vero re, ma il sogno si è avverato lo stesso») costruiscono, in questa magistrale pagina di sapienza narrativa, il dispositivo dell’errore (hamàrtema) che porta il sapere profetico su un bersaglio sbagliato. U na raffinata ironia erodotea si sovrappone e viene a coincidere con l’«ironia della sorte». Un ingannevole apparire nel quale sono presenti gli indizi della verità, un segreto insinuato e fatto trasparire da un Enunciatore ironico (la sorte, il destino, o il dio, com unque l’arci-Destinatario) viene recepito come verità dall’enunciatario (dal re Astiage, e anche dagli indovini) che valuta erroneam ente e sancisce come realtà ciò che noi sappiam o già (o cominciamo a sapere) essere una menzogna, nel m om ento stesso in cui smentisce come menzogna ciò che il racconto stesso (cioè il destino) sta costituendo come verità. Anche chi non conoscesse il finale del racconto erodoteo, può ormai immaginare la logica conclusione: Ciro si ribella, scon­ figge il nonno m aterno e instaura il nuovo regno persiano sulle rovine di quello dei M edi; ma prim a di cedere, il vecchio Astiage — ancor che tardi! — si preoccupa di punire in m odo adeguato i magi onirocritici che erano incorsi in un errore di interpretazione tanto marchiano: «...prim a di tutto fece impalare (aneskolàpise) quei magi interpreti di sogni che lo avevano persuaso a lasciar andare Ciro...» (I, 128, trad. Izzo d ’Accinni). G li indovini che non intendono correttam ente i sogni, e ven­ gono meno alla loro competenza m eritano dunque — con una fine atroce ed agghiacciante —di pagare con la vita i loro errori 18. Vediamo ora, per concludere, di riform ulare il racconto in term ini più schematici e generali: 1) Ej (il sogno, o l’oracolo divino) enuncia P + : un apparire nascosto, coperto da un linguaggio simbolico o metaforico, e in­ sinua così u n sapere segreto S, che dev’essere decifrato dall’inter­ prete, e può rivelarsi euforico o disforico per ec: re, genitore, nonno, il destinatario del messaggio misterioso. 2) E c: interprete (profeta, indovino, ecc.) interpreta P + : ap­ parenza, in m odo erroneo, non-S, con conseguenze illusoriam ente euforiche per ec: il destinatario del responso; in realtà, S è sia vero che disforico. 3) E e: arci-Destinatore del sapere, parzialm ente sincretico con E,, sanziona E c in errore (non-S) secondo L: legge religiosa e sociale alla quale il racconto fa riferim ento per rinforzare la cre­ denza nella verità del sapere profetico corretto. Si ribadisce così la realtà di S, se qualcuno ha la com petenza di «svelarla», scoprirla, decifrarla a partire da u n ’ambigua oscurità (non-P) o sotto un

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apparire inquietante P + , che lascia trasparire le marche, i segnali ( + ) di un sapere «vero», reale, avvertendo con segni prodigiosi sia l’interprete E c che il destinatario ec — fatti così bersaglio di una possibile beffa del destino — che sotto un linguaggio dissi­ mulato e nascosto (èiron) si nasconde una verità ineluttabile, anche se tragica. Abbiam o così: apparire con «segni»

essere

L’enunciatore-valutatore del messaggio profetico (Ee, qui sincretico con E;) fa in seguito apparire coi fatti le prove dell’errore in cui E c ed ec sono voluti cadere, falsando essi stessi la referenza (S) con vani tentativi di riduzione e di slittam ento semantico. Cercando di spostare la /reg alità/ dal piano del reale a quello del gioco infantile, non hanno ottenuto che di illudere se stessi, sottoponendosi a una ridicola autopersuasione della quale il lettore (o l’ascoltatore) del racconto percepiscono m olto bene la debolezza. Il fittizio escamotage, il «gioco di parole» dei magi finisce per ripercuotersi atrocem ente a danno delPenunciatario regale che si è fidato di interpreti insufficienti. E una volta che sia apparsa evidente — e in m odo severam ente ironico — la verità del sapere comunicato attraverso le forme evanescenti del sogno, la sola cosa che resta da fare al vecchio re beffato dal destino è di far impalare i magi onirocritici, che hanno m illantato una competenza ben lontana dall’essere reale. Il quadro complessivo che la comunicazione onirica, e in genere quella profetica, sembra m ettere in gioco, nel racconto, sembra dunque articolato su una struttura veridittiva che implica a sua volta una duplice struttura soggiacente, manipolatorìa e sancitiva. Come tale, esso presenta singolari analogie con lo schema di analisi dell’enunciazione ironica proposto da P er Aage B randt nel Dictionnaire raisonné de la théorie du langage II 19, schema che infatti ho ripercorso da vicino, nel tentativo di ricavarne, mutatis mutandis, un possibile quadro teorico della comunicazione profetica in rac­ conti di questo tipo (non a caso nell’analisi di Brandt troviamo compresa anche l’ironia polemica dei veggenti, e «le ton prophé-

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tique des justes fulm inant con tre les impies»). Certo è che tali analogie sembrano render conto molto bene del manifestarsi dell’«ironia della sorte» in tanti racconti che riguardano sogni, profezie o altre forme di sapere nascosto che pretenda di vertere su una più o meno verace prescienza del futuro. E forse proprio l’attesa del rivelarsi di questa ironia può essere una delle ragioni dell’in­ teresse e della fortuna che storie di questo genere hanno sempre avuto, nelle più diverse culture di ogni epoca e di ogni paese. Un rassicurante e piacevole effetto — la conferma di un sapere coesivo e condiviso — sembra prodursi nei destinatari, che hanno continuato a seguire nei racconti lo stesso scorrere degli eventi, descritto in modo diverso ma sempre uguale da innumerevoli narratori, nella più grande varietà di forme espressive e di infles­ sioni narrative. E ogni racconto avrà cura di sancire la verità finale, quella che il volere — talvolta bizzarro — e il sapere so­ vrum ano degli dèi avevano stabilito fin da principio; il manifestarsi di questo sapere è appunto la molla che m ette in movimento, attraverso la manipolazione dei diversi attori, la vicenda narrata, la peripezia dell’eroe e tutte le sue disavventure. Il bam bino tor­ m entato e perseguitato si salverà, e prim a o poi l’avrà vinta; il vecchio re finirà fatalm ente per soccombere, e si renderà così possibile l’instaurarsi di un nuovo regno: salvo ricominciare la storia dal principio, con l ’avvento di una successiva natività, con nuovi sogni sognati per u n ’altra Geburt des Kindes, e così via.

Note 1 Per i diversi tipi di sogno e la loro definizione, cfr. il commento di D. Del Corno alla traduzione di Artemidoro, Il libro dei sogni, Milano 1975, pp. 300-301, n. 10. Sulle differenze tra enypnion e òneiros (cfr. Artem. I, 1-2), hypar e ònar, si vedano le acute osservazioni (la sola cosa non molto pertinente, mi sembra, è proprio l’impiego della categoria legato/slegato per l’analisi del sogno e del sonno nella mentalità greca antica) di Laurence Kahn, Lier le songe et le délier, in «Nouv. Rev. de Psychanal.» 28 (1983), pp. 111-27 (se­ gnalatomi da Nicole Loreaux, sempre prodiga di suggerimenti e osservazioni preziose). 2 Sui rapporti tra la mantica e il corpo femminile, cfr. Giulia Sissa, Il segno oracolare, una parola divina e femminile, in Mondo classico. Percorsi possibili, Ravenna 1985, pp. 243-52, e il cap. 4, Parthenos audeessa, nel suo recente (e straordinario) volume Le corps virginal, Paris 1987, pp. 59-65. 3 René Henry, nella sua edizione di Fozio, Bibliothèque III, p. 24, traduce così il testo di Conone: «Cette vision, selon les devins (corsivo mio) était de bon augure», e in effetti il greco ammette anche questa traduzione; d ’altronde, è del tutto normale (cfr. infra) che in racconti di questo genere si ricorra alla mediazione degli indovini per interpretare il sogno. La mia traduzione, «si trattava di un sogno favorevole per gli indovini» si appoggia però a un

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passo di Artem. 11,35: «(sognare) Apollo è buon segno... per indovini e iilosofi»; poco dopo si dice che «disvela anche i segreti, in quanto viene identificato con il Sole» (trad. di Del Corno). 9 Cfr. Lact. Plac. ad Stat., Theb. V ili, 198; sono di grande interesse le interpretazioni di Giovanni Boccaccio, Geneal. V, 10, De Brancho V II Apollinis (!?!) filio, coerenti con l’intero sistema simbolico soggiacente al racconto, anche quando cadono nel semplicismo e nella banalità. 5 Per il sogno di Ecuba, cfr. per esempio, Ps. Apollod., Bibl. I li, 12,5; per quelli di Astiage, Herod. I, 107-108, e in proposito P. Frisch, Dìe Traiime bei Herodot, Meisenheim am Gian 1968, pp. 6-11; R. Bichler, Die Reichtraùme bei Herodot, in «Chiron» 15 (1985), pp. 125-47, in particolare le pp. 130-35. 6 Dreams in Greek Tragedy, Oxford 1976, libro che Joachim Latacz dichiara forse un po’ severamente — essere per lui «nicht diskussionsfàhig»: cfr. Funktionen des Traums in der antiken Literatur, in Th. Wagner-Simon e G. Benedetti (a cura di), Traum und Traumen. Traumanalysen in Wissenschaft, Rehgion und Kunst, Gottingen 1984, pp. 10-31: p. 29. Devo la conoscenza di questo lavoro alla dottrina e alla cortesia di Wolfgang Rosler, che ancora ringrazio. La svista di Devereux su Mandane in luogo di Argòste si trova a p. 223, n. 14, ed è ripetuta a p. 235. 7 Cfr., per esempio, la traduzione di R. Giomini, che intende: «quella (scil. visione) che turbò tanto Priamo, perché gli sembrò in sogno che Ecuba, la madre, incinta, partorisse una fiaccola fiammeggiante», Cicerone, Della di­ vinazione, a cura di R. Giomini, Mondadori, Milano 1968, pp. 188-189 (Cic., De div. I, 21). 8 Si veda, ad esempio, il commento a Ennio di H.D. Jocelyn (a cura di), 'The Tragedies o f Ennius, Cambridge 1969, pp. 220-223, che cita molto oppor­ tunamente (p. 223) il risolutivo Ov., Heroid. 17,237-238, «fax quoque me terret quam se peperisse cruentam / ante diem partus est tua visa parens». 9 Le diverse istanze di mediazione che compaiono nelle diverse versioni, sono: 1) l’indovino e interprete di sogni 'Aisakos, fratellastro di Paride, Ps. Apollod., Bibl. 111,12,5; 2) la sorella e profetessa Cassandra, Eur., Andr. 293-300; 3) un gruppo collettivo di coniectores, o interpreti, Hyg., Fab. 91; l’oracolo di Apollo, Énn., Alex. fr. 18 Joc. ap. Cic., De div. 1,21,42; 5) la profetessa di Apollo Delfico, Herophìle, Paus. 10, 12, 5; 6) l’indovino Thymòites (fraintendimento di Serv. ad Aen. II, 32, di Giovanni Boccaccio, Geneal. VI, 46; 7) un collettivo di mànteis, e anche un singolo — e singolare! — in­ terprete individuale chiamato Apollo, profeta e sacerdote di Hèlios e di Phòibos, Tzetz., Antehom. 50-53; e infine 8) una sorta di «do it yourself» per cui lo stesso Priamo si ingegna a «intendere» il significato del sogno, Myth. Vat. II, 197, «intellexit (scil. Priamus) puerum, qui nasceretur, causam futurum incendendae urbis»; in proposito, cfr. il mio L ’enfant et l’oracle. Esquisse d'une analyse sémio-narrative, in corso di stampa negli Atti del Convegno Les formes narratives des mythes grecques, Lausanne 1987. 10 O meglio, di un arci-sapere che comprende l’inizio e la fine della storia, ed è connotato da quella particolare «contemporaneità» che J.L. Borges descrive appunto a proposito della percezione onirica, nella conferenza L ’incubo, in Sette notti, pp. 32-33 dell’ed. it., Milano 1983, e che potremmo chiamare «com­ petenza paradigmatica» esercitata da un arci-Destinatore che garantisce della credibilità fondamentale del sapere profetico. 11 O. Rank, Der Mythus von der Geburt des Helden. Versuch einer psychologischen Mythendeutung, Leipzig-Wien 19091 (19222, accresciuta); ho usato la trad. francese, Paris 1983 (sulla seconda ed.). 12 Per le ambiguità e gli errori di lettura umana degli oracoli - ciò che comporta non di rado equivoci fatali —cfr. R. Crahay, La bouche de la vérité. Grece, in J.P. Vernant (a cura di), Divination et rationalité, Paris 1974,

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pp. 201-19: pp. 206-14 [trad. it. Divinazione e razionalità, Einaudi, Torino 1982, pp. 222-28]. Dello stesso, si ricorderà il volume La littérature oraculaire chez Hérodote, Paris 1956. 13 Heracl. fr. 93 D.-K., = Plut. De Pyth. or. 21,404d, cfr. ancora R. Crahay, La bouche cit., p. 217, e G. Sissa, Il segno oracolare cit., pp. 250-51. 14 Tutti sono capaci di comprendere un sogno manifesto, eutbyoneirìa, il cui significato si presenti con immediatezza ed evidenza nel suo senso letterale, cfr. Aristot., De div. in somn. II, 464b. 15 Aristot., ibidem. 1‘ Sull’effetto di persuasione prodotto dalla «narratività», cfr. M. de Certeau, Le croyable. Préliminaires à une anthropologie des croyances, in H. Parret e H .G. Ruprecht (a cura di), Exigences et perspectives de la sémiotique. Recùeil d ’hommages pour A.J. Greimas II, Amsterdam-Philadelphia 1985, pp. 689-707; su questo problema — tuttora attuale nei moderni sistemi di persuasione di massa — vertono tutti i racconti che trattano di «veri» e «falsi» interpreti o profeti; si veda ad esempio il biblico Libro di Daniele, che verte sull’abilità di interpretare i sogni. 17 R. Crahay, La bouche cit., pp. 233-37 dell’ed. it.; anche la storia di Mykerìnos, narrata dallo stesso Erodoto (II, 133) mi sembra interessante in proposito: cfr. R. Crahay, La littérature cit., p. 226, e il mio Attraversare Gorgo, in «Media & Messaggi» 4 (1987), pp. 46-53. 8 Rischiano grosso anche i «sapienti di Babilonia» che dovrebbero inter­ pretare i sogni di Nabucodonosor nel citato Libro di Daniele 2, 1-49. 19 A.J. Greimas, J. Courtés (e altri), Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage II, Paris 1986, s.v. Ironìe, pp. 126-27 (di Per Aage Brandt e Ph. Hamon).

E m m a J. e L u d w ig E d elstein A SC L E PIO : LA M E D IC IN A D E L T E M P IO *

Q uando, nel diciassettesim o secolo, le testim onianze relative alle guarigioni di Asclepio furono esam inate criticamente per la prima volta da M eibom, un medico che era anche un filologo e uno storico, costui non esitò ad accettare alla lettera la realtà delle cure operate da Asclepio L P er lui si trattava di miracoli e non, secondo u n giudizio razionale, di un aspetto della medicina da cui il medico potesse apprendere qualcosa di significativo. Inoltre, per M eibom questi miracoli erano opera diabolica e, es­ sendo egli protestante, non poteva trattenersi dallo schernire i cattolici, nelle cui chiese —accusava —i santi ripetevano gli inganni dei dem oni pagani. Un tale ingenuo atteggiam ento verso il miracoloso — rem ini­ scenza di quello dei prim i cristiani — era ancora generalizzato ai tem pi di M eibom ed iniziò a modificarsi lentam ente solo quando la filosofia cartesiana penetrò nelle scienze naturali. Intorno alla metà del diciottesim o secolo gli studiosi in genere non accettavano più la nozione che l’onnipotenza di D io o l ’intervento dei demoni potessero farsi sentire attraverso azioni soprannaturali, contrarie alla com une esperienza umana, e questa distruzione della credenza nella imm ediata evidenza dei miracoli diede di necessità origine alla discussione intorno ai modi delle guarigioni di Asclepio. Sembrò ovvia conclusione che non ne erano artefici né Dio né Satana: solamente gli uom ini erano responsabili per le cure prestate. Q uindi la questione era lim itata a quale tecnica essi avessero seguito. In un prim o tempo, il successo delle cure fu spiegato con l’impiego di rim edi naturali, indipendentem ente da quali potessero * Da Emma J. e Ludwig Edelstein, Asclepius, Baltimore 1945 (reprint ed. Arno Press, New York 1965), pp. 142-145; 151-153; 155-166; 168-173. Traduzione di Giovanna Saronni.

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essere le finzioni di pazienti e sacerd o ti2. Ma presto fu avanzata una diversa interpretazione: i miracoli dell’antico dio della medi­ cina furono considerati come la prima testim onianza dell’efficacia del magnetismo animale e del sonnam bulism o. Asclepio, o meglio i suoi sacerdoti, furono considerati precursori di Mesmer, di cui sem brarono nelle loro pratiche avere anticipato le teorie. Contro una simile affermazione, che vedeva in Asclepio un rappresentante delle scienze occulte, protestarono sentitam ente filologi razionalisti e teologi. Essi sostenevano che il magnetismo animale era scono­ sciuto nell’antichità e, nel contem po, condannavano l’incubazione come u n ’im postura, fantastica come il sonnam bulismo. Ma gli spi­ ritisti non si lasciarono turbare da queste critiche e, ancora nel diciannovesimo secolo, continuarono a considerare Asclepio come uno di loro 3. Inoltre, alcuni scienziati, accettando la validità delle notizie antiche, tentarono di spiegare le guarigioni per mezzo del­ l’inclinazione alla nevrosi dei pazienti; essi, cioè, fecero rilevare l’influenza dell’anima sul corpo. G li umanisti, dal canto loro, m et­ tevano l’accento sul potere terapeutico dell’esperienza religiosa; i malati guarivano — essi sostenevano — dal m om ento che credevano nell’aiuto divino 4. Sull’altro versante cresceva invece il num ero di coloro che ritenevano che le cure di Asclepio non avessero prodotto risultati concreti e fossero quindi mera ciarlataneria, n ient’altro che mac­ chinazioni di abili sacerdoti, i quali fingevano che i loro rozzi artifici fossero opera di un dio, poiché speravano di increm entare in questo modo gli introiti dei loro tem pli 5. N on si ebbe u n ’interpretazione unanim e fino a che, nel 1883, lo scarso materiale su cui si era basata sino ad allora la spiegazione delle cure — costituito in massima parte da iscrizioni rom ane e dalle orazioni di A ristide — fu grandem ente accresciuto dalle sco­ perte archeologiche: furono pubblicate le tavolette di Epidauro, che sembravano dare una conferma assoluta al verdetto degli scien­ ziati scettici. Fu chiaro a tu tti che le cosiddette cure altro non erano che inganni, pure e semplici truffe \ Ma non mancarono reazioni. Prim a di tutto si affermò che le iscrizioni di E pidauro non potevano essere prese a testim onianza delle terapie effettivam ente praticate nei tem pli di Asclepio e furono considerate come dei tipici racconti di miracoli, quali se ne trovano in tutte le religioni. Le cure effettive, si disse, consistettero sempre nell’interpreta­ zione dei sogni, affidata a dei sacerdoti esperti di m edicina e che decidevano le terapie secondo procedim enti razio n ali7. In seguito si sottolineò che, anche se il tem pio di E pidauro era teatro di miracoli fraudolenti, altri templi, come quelli di Cos e

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Pergamo, facevano essenzialmente affidam ento sull’aiuto di medici e sul beneficio di una stazione termale, oltre che su u n ’accurata interpretazione dei sogni dei pazienti. Il miracolo, lim itatam ente a quanto se ne am metteva la realtà, venne spiegato secondo le leggi dell’ipnosi e della suggestione o autosuggestione 8. Da ultimo si tentò di distinguere diverse fasi della medicina praticata nel tempio, caratterizzate da diversi m etodi di guarigione: nei secoli prerom ani si considerava il dio come un tipico artefice di miracoli, mentre, nel corso del tempo, gli si attribuirono caratteristiche maggiormente razionali — avrebbe quindi «im parato l’arte m edi­ ca» 9. D i conseguenza i tem pli stessi divennero delle case di cura, i sogni vennero abilm ente interpretati, cosi da accordarsi con le altre prescrizioni e in questo m odo si riuscì, se non altro, ad accostare le prassi terapeutiche seguite alla fine dell’età antica con le m oderne scoperte scientifiche 10. In tu tte queste teorie più recenti i sacerdoti di Asclepio — e non c’è alcun dubbio che fossero essi le figure principali — non furono più intesi come dei ciarlatani; i sacerdoti avvezzi all’inganno erano dunque divenuti buoni e benevoli medici. E m entre un tempo si era sostenuto che la medicina laica traeva origine da quella religiosa, ora la seconda sem brava dipendere dalla prima. Il miracolo, un piatto così sgradevole per il palato m oderno, era stato cucinato sino a renderlo accettabile e digeribile; l’aspetto irrazionale era stato manipolato sino a farlo risolvere in nulla; quanto vi era di amorale era stato setacciato sino a ridursi ad u n ’essenza utile e composta. Solo pochi studiosi osarono ancora insistere sul fatto che, dall’inizio alla fine, le cure di Asclepio erano state per gli antichi u n ’esperienza religiosa posta al di là di ogni com prensione um ana e che, come tale, dovevano essere interpretate. Furono tuttavia messi a tacere dalla richiesta, avanzata dai loro oppositori, che esigevano una spiegazione naturale dei fenomeni in questione. Dal m oderno punto di vista questa richiesta è del tutto giu­ stificata. E non sarebbe fuori luogo dire che le guarigioni di Asclepio sono attestate da persone che vi assistettero e che, seppure oggi non avvengono più miracoli di questo genere, essi possono com unque essersi verificati nell’antichità e che sono fatti storici alla pari di m olti altri che devono essere accettati come veri poiché la loro realtà non può essere confutata. Q uesto fu l’atteggiam ento del maggior razionalista dell’Illuminismo verso le cure miracolose di C risto; questo è l’atteggiamento del filosofo pragm atista verso coloro che, ai giorni nostri, sosten­ gono di essere stati guariti dal loro dio. Egli am m ette la realtà della loro esperienza, dal m om ento che essa è conferm ata da ri­

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sultati pratici. Q uesto dovrebbe essere l’atteggiam ento di chiunque riconosca l’esperienza come unico criterio di verità, poiché non ha modo di sm entire l’esperienza altrui. Che le cure di Asclepio richiedano una spiegazione in term ini naturali può essere sostenuto solamente sulla base su cui fu fondato il dibattito per la prima volta nel diciottesim o secolo: e cioè che D io non esiste o che, se esiste, non interferisce mai nelle cose terrene. E solamente sulla base di questa ipotesi che si può e si deve indagare su come guarissero i pazienti di Asclepio se non era il dio a curarli. Ma prima di pronunciare giudizi e di scegliere tra le diverse soluzioni prospettate sin dal m om ento in cui fu intrapresa la prima disam ina critica delle testim onianze, o prim a di suggerire u n ’altra spiegazione se le teorie precedenti dovessero dim ostrarsi inadeguate, bisogna scoprire nel modo più esatto possibile che cosa effettivam ente accadeva nei tem pli di Asclepio. Questa, in verità, non è impresa facile o che si possa affrontare senza esi­ tazione: non che manchi il materiale, giacché sono conservate notizie relative a guarigioni dal V secolo sino alla fine dell’età antica, ma esse sono di un genere che difficilmente potrebbe apparire soddisfacente. Il dio era visto da parte di chi si sottoponeva alla pratica incubatoria o durante il sonno o in uno strano stato tra sonno e veglia 11 e la sua divinità era annunciata da ogni particolare della sua epifania: egli si presentava infatti così come era ritratto nelle statue sacre e cioè come un uomo barbuto dall’espressione gentile e tranquilla, che teneva in mano un bastone rustico, oppure come un giovane di aspetto bello ed elegante. Parlava con voce armoniosa e talora rideva —era dotato anche di senso dello hum our —: non c’era dunque nulla di spaventoso nel suo aspetto 12. Dopo aver avvicinato il paziente ed essere entrato in contatto con lui, il dio passava subito a guarire la m alattia proposta alle sue cure, oppure consigliava una terapia da seguire. La prima eventualità è quella attestata fin dall’età più antica ed è menzionata nella commedia di Aristofane in cui Asclepio in un attim o resti­ tuisce la vista a Pluto. Le iscrizioni di Epidauro magnificano il dio, i cui pazienti, qualsiasi fosse la m alattia che li affliggeva, si alzavano la m attina seguente guariti. Asclepio venerato a Cos eliminava la m alattia con la sua mano divina, Asclepio di Pergamo guariva invece di notte, m entre a Lebena il dio risanava in un attim o; in ogni tem po e in ogni luogo Asclepio diede dunque prova di essere un guaritore veloce 13. Inoltre può, sin dall’inizio della sua carriera, aver agito in qualità di consulente medico, sebbene le testim onianze più antiche non parlino di lui in questo

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ruolo 14. A d ogni modo, dal periodo ellenistico in poi il dio pro­ pone ai suoi pazienti mezzi terapeutici e sembra dare una certa preferenza a questo m etodo, benché non sm etta di operare gua­ rigioni miracolose e di intervenire con la sua mano divina anche in un periodo in cui, nella maggior parte dei casi, si lim ita a prescrivere cure. A pparentem ente si divertiva sem pre più ad elaborare com pli­ cate tabelle per i suoi supplici e a suggerir loro bagni e diete. I suoi consigli erano quasi sem pre chiari e diretti e solo raram ente richiedevano di essere chiariti attraverso un interprete di profes­ sione, o attraverso un sacerdote, o attraverso il paziente stesso e i suoi amici. Ma cosa faceva effettivam ente il dio quando guariva all’istante i suoi pazienti, o che cosa ordinava quando prescriveva una te­ rapia? Come guaritore dim ostrava di essere un ottim o e coraggioso chirurgo: non si lasciava impressionare dall’eventualità di dover tagliare l’intero corpo, e praticava incisioni nelle parti più interne di esso. Ciononostante i suoi pazienti, allorché si svegliavano la m attina seguente, erano in grado di passeggiare e non sentivano alcun fastidioso disturbo post-operatorio. Le testim onianze riportano sol­ tanto pochi dettagli relativi alla tecnica operatoria impiegata dal dio: sappiam o che usava un coltello e altri strum enti, ma, nel complesso, la m etodica chirurgica di Asclepio resta vaga 15. Inoltre il dio contava sulle sue conoscenze in campo farm a­ cologico. È fatta m enzione di unguenti e farmaci che il dio estraeva dalla sua «cassetta di pronto soccorso», ma essi non sono speci­ ficati. O ltre a ciò vi erano degli animali ad assisterlo, e come effettivam ente accadeva che dei pazienti venissero curati per mezzo delle leccate dei cani o dei serpenti a lui sacri, così dei serpenti potevano apparire in sogno ai malati. In un caso il dio, forse scherzando, usò una spazzola per elim inare la malattia, ma poteva anche scacciarla in un pezzo di tessuto. D a ultim o im poneva la sua mano, toccando con essa il corpo del paziente o attirandolo a sé e, inoltre, in E pidauro e A tene il bacio divino era uno dei mezzi m ediante i quali la m alattia veniva rimossa istantaneam ente. Per quanto riguarda la forma particolare con cui Asclepio forniva il suo aiuto, le sue epifanie, le sue guarigioni effettive o i suoi consigli profetici, in genere si am m etteva che le epifanie divine avessero realm ente luogo. Platone (Repubblica 3 8 ld ), certo, respinse questa credenza, in quanto riteneva che non si accordasse con la dignità di un dio apparire in sem bianti umani, ma il suo punto di vista non colpì la gente e nem m eno i filosofi. L ’esperienza

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delle epifanie continuò, benché con m inore frequenza che nei tem pi antichi, ed esse non cessarono mai del tutto. Inoltre si dovrebbe tener presente che ogni festa ed ogni cerim onia religiosa presupponeva la presenza del dio. Plutarco, filosofo dell’Accademia e sacerdote di Delfi, riassum e chiaram ente la credenza generale con queste parole: «Perché non sono né l’abbondanza del vino né l’arrostim ento della carne a creare l’atmosfera gioiosa delle feste, bensì la speranza e la convinzione che il dio sia presente con la sua benevolenza e benignam ente accetti quanto gli viene offerto» 16. In breve, le epifanie di Asclepio si verificavano in un mondo nel quale simili eventi erano usuali ed erano accettati come una cosa naturale, come una conseguenza necessaria dell’e­ sistenza degli dèi. L ’unico aspetto che distingueva le sue appari­ zioni da quelle delle altre divinità era la loro costante collocazione notturna. Ma Asclepio era un semidio: si accordava con la sua natura vivere sulla terra ed essere in contatto costante con gli uomini. Egli non solo appariva ai malati, ma li guariva: era quindi in grado di fare ciò che era precluso agli uomini. Sembra logico che un dio abbia poteri più ampi degli uom ini e che possa compiere cose ad essi impossibili. Q uesto fatto, in sé, non era per gli antichi un miracolo in senso m oderno; era piuttosto un portento, una meraviglia e gli uomini erano stupefatti e profondam ente colpiti dalla potenza della divinità. Per quanto riguardava il dio, egli non faceva altro che dar prova della sua virtù divina e, per lui, non era straordinario agire così come faceva: le sue azioni superum ane erano la conseguenza naturale della sua natura divina. N eppure gli scienziati e i filosofi antichi avevano alcuna prova certa capace di dim ostrare che simili azioni divine fossero im pos­ sibili e, sebbene generalm ente insistessero su una spiegazione cau­ sale dei fenomeni, non potevano com unque escludere l’intervento divino, fino a che la possibilità di u n ’azione divina fu ammessa. Inoltre, la nozione antica delle leggi naturali non era così rigida come quella m oderna e si applicava soltanto ai fenomeni che rim anevano nell’am bito del consueto; ma eventi e circostanze straordinari erano ad un altro livello. Vi erano alcuni fatti che dovettero essere ammessi — anche se non si poteva trovare per essi una spiegazione razionale — fino a che furono accreditati da testim onianze di valore, e miracoli o gesti divini costituivano parte di questi inspiegabili, quantunque ben attestati, eventi. In altre parole: gli antichi, anche se scienziati o filosofi, non discutevano tanto la possibilità dei miracoli, quanto la loro realtà. Asclepio, dal mom ento che effettivam ente guariva i suoi pazienti operandoli oppure mediante farmaci — come questi pazienti confermavano —

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andava sicuram ente considerato come un esecutore di azioni divine. È certam ente vero che alcuni si dom andavano perché il dio dovesse essere migliore di qualsiasi medico umano, e attribuivano risultati maggiori ad Ippocrate che non ad Asclepio. Alcuni scettici arrivarono addirittura a sostenere che Asclepio non era assolutamente in grado di prescrivere cure, dal m om ento che, a quanto essi ne sapevano, Poseidone non dava consigli di marineria. Ma nel caso delle cure riferite un simile argom ento per analogia non era convincente e, parlando in term ini generali, tutti convenivano sul fatto che i m alati venissero guariti dal dio nei suoi templi. Ugualmente positivo era il giudizio degli antichi sulla realtà dei sogni che si supponeva rendessero gli uom ini partecipi della sapienza divina. Nobili e popolo, gente di città e gente di campagna credevano in simili rivelazioni; filosofi e scienziati ammettevano che i sogni erano m andati dagli dèi e solo gli epicurei e i seguaci della N uova Accademia si opponevano a tale credenza; tuttavia, persino essi non negavano necessariam ente il carattere profetico e rivelatore dei sogni. Asclepio, quindi, in qualità di donatore di oracoli onirici, faceva semplicemente ricorso a quel mezzo mediante il quale si pensava che comunicassero dio e uomini. D urante i sogni l’anima entrava in contatto con quei poteri divini che cir­ condano gli uom ini e il m ondo, e che essa non poteva percepire in stato di veglia. Il fa tto /d u n q u e , che Asclepio apparisse ai suoi fedeli, che in persona li curasse, o che dicesse loro come curare le loro malattie, non costituiva nulla di strano per il m ondo antico. Nel fare tutto ciò, il dio non agiva contrariam ente a nessuna delle teorie scien­ tifiche o filosofiche consolidate, né assumeva alcuna posizione eccezionale: semplicemente si com portava come un dio. D a ogni punto di vista le cure di Asclepio, praticate ininterrottam ente negli Asclepieia, erano com pletam ente entro i limiti di quel mondo che gli antichi riconoscevano come reale. M entre è del tutto com prensibile che, per gli antichi, le cure di Asclepio fossero soddisfacenti e che la loro fiducia nelle sue azioni divine non venisse mai scossa, diverso è il problem a relativo a come l’interprete moderno le debba spiegare e a come debba chiarirne l’efficacia, qualora fossero effettivam ente efficaci. D al m om ento che per lui non può essere stato il dio a curare o a consigliare una cura, egli sarà in prim o luogo portato a ritenere che fossero degli uom ini a provvedere a ciò. Inoltre, sulla base del carattere medico dei miracoli di Asclepio, sembra ragionevole supporre che le terapie effettivam ente praticate negli Asclepieia fossero di tipo medico, affidate a medici e sacerdoti, che gli A-

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sclepieia fossero delle case di cura e che i sogni fossero sempli­ cemente un mezzo per accrescere la fiducia del paziente, rinfor­ zandone così la forza di volontà, fattore di grande im portanza ai fini del recupero della salute. Ma, alla luce dei fatti, una simile tesi è insostenibile; non vi sono prove di nessun genere che dei medici avessero parte alle pratiche terapeutiche operate nei templi. Inoltre, le cure prestate dal dio — il vero medico — erano in m olti casi contrarie a tutta l’antica teoria medica. Si dovrebbe dunque postulare l’esistenza di una medicina altera, diversa da quella di Ippocrate e Galeno, invenzione cioè dei sacerdoti e dei medici che presum ibilm ente lavoravano insieme negli Asclepieia 17. Ultimo, ma non per questo meno rilevante, è il fatto che non bisogna attribuire fondam ento all’idea che i tem pli di Asclepio fossero delle stazioni climatiche, famose per la loro ubicazione particolarm ente favorevole; da tem ­ po, infatti, è stato fatto notare che il tem pio nei pressi di Epidauro non godeva di un clima migliore di quello della città stessa, che l’isola Tiberina non era certam ente un luogo ideale per gli ammalati e che il tem pio di Asclepio in Laconia, situato in una zona pa­ ludosa, difficilmente poteva essere definito una stazione term ale 18. Occasionalm ente l’effetto benefico del luogo in cui si trovava l’Asclepieion può aver contribuito al successo di lunghe cure, ma difficilmente si può andare oltre, dal m om ento che anche le più miracolose sorgenti, quali che fossero le loro proprietà minerali, non possono aver prodotto quanto gli antichi ritenevano che esse potessero operare, e cioè restituire la vista ai ciechi e far camminare gli zoppi. D i sicuro il dio faceva uso di rim edi naturali, ma in che modo e a quale scopo! N on è dunque opportuno fare rife­ rim ento solo alla medicina e all’aria buona per spiegare le gua­ rigioni di Asclepio. O ra, è concepibile che le cure fossero ottenute con il sonnam bulism o? Ciò potrebbe dar conto, se non altro, dei sogni che la gente faceva negli Asclepieia, ma è assai incerto se il sonnam bulism o possa essere mai stato un fenom eno di massa. Inoltre, chi prova questa esperienza in genere non ricorda il con­ tenuto dei propri sogni, come invece facevano i fedeli di Asclepio e non vi è alcun indizio che, nella preparazione della pratica incubatoria, venissero usati dei mezzi artificiali per influenzare i supplici, ai quali, prima di entrare in com unione con il dio, si richiedevano i gesti più semplici e più comuni, richiesti a chiunque si accostasse a una divinità. D a ultim o, attribuire ai sacerdoti di Asclepio fiducia in mezzi come il sonnam bulismo significa collo: carli sullo stesso piano dei maghi, m entre nell’antichità religione e magia erano com pletam ente separate: nessun sacerdote di un

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vero dio avrebbe sostenuto la magia, che era u n ’arte sacrilega, non degna di chi credeva negli dèi. Ma è forse inutile cercare una spiegazione complessa: i sacer­ doti personificavano il dio e, sia che usassero un mezzo o un altro, il successo dei loro artifici era puram ente accidentale e basato sull’inganno e la frode. O ra, sicuram ente v’erano dei sa­ cerdoti im broglioni, e gli antichi certam ente se ne accorgevano. Spesso condannavano i miracoli come trucchi e, per quanto cre­ dessero alle m anifestazioni del divino, era una cosa usuale che epifanie divine fossero spesso inscenate da degli uomini, così da trarre in inganno i creduloni i9. Una volta persino un propagatore del culto di Asclepio fu smascherato come ciarlatano, e il culto che egli aveva fondato in una città di provincia nel II secolo d.C., e che presto fu ripristinato, fu accusato di inganno nei con­ fronti del popolo. Fu Luciano a smascherare così Alessandro, il falso profeta, come egli lo chiama 20. A ltrim enti gli Asclepieia rimasero esenti da ogni accusa di frode. I sacerdoti di Epidauro, Cos, Pergam o non furono mai accusati di essere degli impostori, di aver essi stessi architettato i miracoli attribuiti al loro dio e neppure coloro che erano scettici sulle guarigioni osarono affermare tanto. Anche se l’inganno viene occasionalm ente ammesso, gli an­ tichi difficilm ente si lasciavano raggirare, al punto da non scoprire o m ettere sotto accusa, o perlom eno sospettare, una pagliacciata inscenata quotidianam ente in centinaia di posti per secoli. Resta il fatto che nei tem pi antichi la maggior parte della gente, ricchi o poveri, colti o ignoranti, scienziati o poeti, non aveva alcun dubbio che Asclepio effettivam ente apparisse ai suoi fedeli e ne curasse personalm ente le malattie. Anche i cristiani am m ettevano che nei tem pli di Asclepio si operavano miracoli, ed essi si di­ scostavano dai pagani solo per il fatto che li considerarono opera di Satana piuttosto che del vero Dio. Le teorie che presuppongono un intervento umano, sia da parte di medici che di sacerdoti, non possono essere provate. E ciò non accresce la probabilità che le cure di Asclepio derivassero dalla supremazia dell’anima sul corpo, e cioè che fosse la fiducia nel dio a guarire i malati? È difficile discutere a favore o contro l’influenza dell’anim a sul corpo e chi vi crede è portato ad am­ m ettere di non essere riuscito a scoprire chiaram ente il potere, il cui m anifestarsi sem bra evidente. E possibile che alcuni tra i pazienti di Asclepio venissero guariti per mezzo dell’autosuggestio­ ne, ma difficilm ente si possono spiegare in questo modo tutti i casi. E che dire dei sogni che le persone riconoscevano di aver fatto? E che dire inoltre delle cure mediche che, secondo gli antichi, erano responsabili del successo ottenuto? La tesi m oderna

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è troppo vaga e spiega troppo poco per essere ritenuta soddisfa­ cente. D ’altra parte, sebbene le cure di Asclepio nei loro esiti siano simili a quelle di Cristo, tuttavia non possono assolutam ente esservi paragonate: i seguaci di Cristo guarivano grazie alla loro fede nel Salvatore, m entre l’aiuto fornito da Asclepio non implicava u n ’adesione fideistica. Anche i non credenti erano guariti dal dio; inoltre, essendo Asclepio una divinità pagana e un greco, quasi si divertiva a curare delle persone che dubitavano del suo potere, sebbene talora fosse portato a punire chi non riconosceva la sua p o te n z a 21. Sembra quasi essere caratteristica dei pazienti del dio il fatto che la saldezza della loro fiducia non si accompagnava con la grandezza delle azioni divine; anche Aristide, devoto quant ’altri mai, spesso m ostrò diffidenza verso quanto gli era stato detto dal suo santo patrono. La maggior parte dei pazienti di Asclepio, in verità, sperava che il dio potesse e volesse aiutarli, m entre il dio chiedeva loro di aver fiducia e disprezzava i vili. Allo stesso modo il medico si aspettava che il proprio paziente avesse speranza e credesse nella possibilità di guarire, per aiutare così il medico a com battere la malattia, poiché altrim enti non si sarebbe o ttenuto nulla. La fiducia del paziente era quindi un fattore che entrava in gioco nella medicina um ana così come in quella divina, m entre l’unico tratto distintivo delle guarigioni di Asclepio consisteva nel fatto che esse superavano tutte le speranze e le attese umane. Talvolta la fiducia dei pazienti può aver contribuito al loro ristabilim ento, ma questa disposizione m entale non era un fatto cosciente nel processo di guarigione, né poteva essere un fattore comune a fare del fenomeno della medicina nel tem pio un tutto comprensibile. T utte le spiegazioni avanzate nel dibattito m oderno sembrano perciò in un certo senso venir meno al loro proposito; è dunque necessaria u n ’altra spiegazione dei fatti riferiti dalle testimonianze antiche. Io propongo di fare un tentativo di spiegare storicamente le cure di Asclepio, dal m om ento che anche i miracoli possono essere spiegati solo sullo sfondo della società in cui si verificano e con particolare attenzione alla m ateria cui si riferiscono. Le guarigioni di Asclepio quindi, essendo opera di un dio greco, devono essere interpretate in relazione alla vita greca e alla me­ dicina greca e così si deve presupporre che le cure fossero operate proprio nel modo in cui sono descritte e che m olte di esse fossero coronate dal successo. Q uesta ipotesi può sicuramente essere avanzata, dal m om ento che, se tutte le cure fossero fallite, gli Asclepieia non sarebbero di certo esistiti per così tanti secoli. Delle dediche ad Asclepio con le quali i pazienti esprimevano

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la propria gratitudine al dio per l’aiuto ricevuto si potrebbe si­ curamente dire ciò che Diogene il cinico diceva degli ex voto di Samotracia, con cui i fedeli rendevano grazie per essersi salvati da un naufragio: «Sarebbero stati m olti di più se coloro che non si salvarono avessero fatto delle offerte» (Diog. Laert. 6 ,5 9 ). Nondim eno siamo a conoscenza di un num ero sufficiente di cure che giustificherebbe o addirittura esigerebbe una spiegazione. O ra, due problem i hanno effettivam ente bisogno di essere chiariti: come poteva la gente fare dei sogni come quelli che sosteneva di fare? come potevano sentirsi poi guariti o stare meglio grazie all’impiego dei mezzi terapeutici proposti nei sogni o dedotti da questi per mezzo dell’interpretazione del loro significato? Poiché, se suppo­ niamo che il dio non agisse e che non vi fosse alcun intervento dei sacerdoti, restano solo i sogni e le guarigioni improvvise o ottenute col tem po, grazie a una cura medica desunta da prescri­ zioni avute in sogno. Che le persone che si recavano nei santuari di Asclepio so­ gnassero sembra com prensibile; venivano con questa idea in testa e anche se qualcuno non riusciva a sognare, come esplicitamente am m ettono le testim onianze, si trattava certo di una minoranza. È allo stesso m odo com prensibile che i malati sognassero Asclepio e le loro m alattie, che vedessero il dio nell’atto di assisterli o di consigliarli, come veniva rappresentato nelle statue. Cercando l ’aiu­ to divino, messi in agitazione dal lungo viaggio che talvolta ave­ vano intrapreso p er lo stesso motivo, preoccupati come dovevano essere per le proprie sofferenze, avendo visto le immagini del santuario ed essendosi trattenuti nei suoi dintorni per almeno qualche ora, avendo letto le tavole su cui erano inscritte le cronache di sogni miracolosi e di cure fortunate, come avrebbero potuto i supplici non fare i sogni che effettivam ente facevano? N on è esagerato dire che, in un mondo in cui gli dèi erano ancora vivi, chiunque visitasse un tem pio e aspettasse una visione divina avrebbe fatto un tale sogno: in simili circostanze queste visioni erano del tutto naturali. Per quanto riguarda il contenuto specifico dei sogni, è in primo luogo necessario ricordare che visioni delicate come quella riferita da H ippys (Ael., Nat. Anim . 9 ,3 3 ) o come quella avuta da Apella (Inscript. Gr. IV, 1, 126) erano, per così dire, conquiste individuali di buoni sognatori. Le iscrizioni di Epidauro forniscono esempi di sogni molto semplici, così come i casi citati da A rte­ midoro sono per lo più privi di complesse sequenze di azioni. Se un sogno in cui apparivano insieme Asclepio ed Atena signi­ ficava che al paziente doveva essere praticato un clistere di miele dell’Attica, non era certo difficile ascoltare in sogno un oracolo

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terapeutico, e il sogno tipico del fedele era sicuram ente di questo genere semplice e chiaro. Ma molte persone con una disposizione particolare per i sogni vivaci avevano lunghe e dettagliate visioni, ricche di significato medico; vedevano svolgersi interventi chirurgici e assistevano a pratiche terapeutiche, sentivano parlare di oggetti carichi di im­ plicazioni mediche. Come va interpretato tutto ciò? La cornice di simili visioni era fornita dal fatto che il dio a cui ci si accostava era un medico e perciò poteva agire solo in arm onia con il ruolo riconosciuto dalla sua attività, ed esso era ben noto a chi sognava, giacché nell’antichità la medicina non era ancora una scienza che operava nel chiuso degli ospedali e delle università, incom prensibile nei suoi dettagli tecnici ai profani. Le cure chirurgiche, così come quelle basate sui farmaci e sulla dieta, erano un argom ento noto a tutti e chiunque poteva vedere come i medicinali venissero preparati e som m inistrati e come venissero eseguite le fasciature. La gente era dunque abituata ad assistere alle operazioni chirur­ giche e ad ogni altro genere di intervento terapeutico, ed era addirittura esperta di teorie mediche, dato che i medici erano avvezzi a discutere i casi con i pazienti stessi o con le loro famiglie e gli amici dei loro clienti, così come a tenere pubbliche letture su problem i connessi alla loro arte. Le classi più elevate furono sempre esperte di medicina e, nella tarda antichità, l’inse­ gnam ento di questa costituì una parte dell’educazione generale. La gente di condizione più modesta, dall’altro lato, era abituata a curarsi da sola, poiché la più parte delle zone di campagna non ebbe mai medici residenti, e così le persone alla buona scam­ biavano le loro esperienze con i propri simili, ma soprattutto con coloro che erano stim ati per la propria saggezza e così cer­ cavano di imparare il più possibile, in m aniera tale da essere pronti per le emergenze. Esistendo dunque una situazione di questo tipo ed essendo in qualche m odo il profano in relazione con la salute e la sua conservazione e con la m alattia e la sua cura, non ci si stupisce di trovare che alcuni sogni, anzi una gran quantità di essi, fossero di contenuto così tecnico. D i certo tutti gli aspetti principali di queste visioni sono evidenti riflessi dell’esperienza quotidiana dei pazienti. Essi non solo vedevano il dio operarli, così come avevano visto i medici operare i loro amici, non solo lo sentivano dare consigli, così come era avvenuto a loro da parte dei loro medici, ma anche discutevano con il dio quando le cure da questo prestate non li soddisfacevano, così come erano soliti discutere con i loro medici. Si rivolgevano al dio per avere una pronta guarigione,

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così come chiedevano di ristabilirli velocemente a quelli che so­ litamente li curavano; inoltre il dio ricordava loro di pagare la sua parcella, come di solito accadeva quando si affidavano alle cure degli uomini. Sappiamo così che un bam bino avrebbe offerto al dio come onorario dieci dadi e che un pugile, oltre ad essere guarito, avrebbe appreso dal dio dei trucchi pugilistici. Certam ente nei sogni il dio appariva com piere cose impossibili, ma non era forse un dio? Nei sogni egli prescriveva cure che un medico um ano non avrebbe mai prescritto, ma altrim enti perché i pazienti avrebbero consultato il dio? Inoltre, benché in tutti questi sogni Asclepio sembrasse com piere l’impossibile e dare delle prescrizioni addirittura paradossali, egli tuttavia non faceva nulla che non derivasse, con perfetta logica, da ciò che la gente aveva visto e sentito e i suoi interventi si tenevano aggiornati con il mutare delle conoscenze nei secoli, ma nel contem po erano supe­ riori ed in grado di appagare i più arditi desideri dell’uomo. Q uindi i sogni che la gente sosteneva di aver fatto, e che senza dubbio aveva fatto, sono facilmente comprensibili, a dispetto del loro contenuto tecnico. Ma come potevano i pazienti stare bene solo grazie ad un sogno? Come potevano provare un im­ m ediato sollievo dopo aver avuto una semplice visione? Come potevano guarire grazie ad una cura fortuita, basata su terapie che si erano sognate, o su u n ’interpretazione fantastica delle im ­ magini di un sogno? Per quanto riguarda le guarigioni improvvise, non vi è dubbio che in alcuni casi si trattasse di disturbi nervosi, curati m ediante l’eccitazione della psiche e la fiducia nel miracolo che doveva verificarsi. Non era certo senza m otivo il fatto che il dio nella visione onirica chiedesse al paziente di avere coraggio, di non essere vile, di camminare anche se prim a non ne era stato capace, di portare al tem pio un macigno grosso tanto quanto era in grado di reggere, sebbene paralizzato. Effettivam ente può accadere che le persone riacquistino im provvisam ente la facoltà di muovere le proprie m embra grazie ad u n ’emozione improvvisa e violenta e che ridiventino capaci di m uovere le dita, anche se rimaste rigide per un lungo periodo, grazie a qualsiasi forma di agitazione, sia essa gioia o tristezza. E altresì possibile che un ragazzo ritrovi la sua voce e torni a parlare, così come talvolta può ritornare all’improvviso la vista e, in tal caso, la cecità altro non è se non un disturbo m om entaneo. D ’altra parte, in molti casi, alcune guarigioni spontanee possono essere state tem pestive solo per caso: la febbre poteva sopravvenire e guarire l’epilessia, un ascesso poteva aprirsi da sé e quindi il sangue coprire il terreno, una punta di freccia poteva uscire da una ferita purulenta

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grazie al potere curativo della natura ed è pure immaginabile che insieme ad u n ’emissione di liquido seminale venisse espulso un sasso. E non si possono neppure sollevare eccessive obiezioni contro l’affermazione che i malati vom itassero e, in questo modo, espellessero la causa della malattia, cosicché, quando si faceva giorno, si trovavano ovunque sui loro abiti macchie di vomito, dopodiché stavano bene 22. Q uesto dio non si rivolgeva solo all’anima del suo paziente per aiutarlo a recuperare la salute del corpo; torm entato dai malati come ogni medico umano, era disposto «a vedere spettacoli tre­ mendi, a toccare cose sgradevoli e a raccogliere dolore per sé nei dolori degli altri»; egli perm ise che il suo àbaton sacro di­ venisse una corsia d ’ospedale; egli non aveva m otivi d ’avversione contro la natura, e perciò la natura stessa può avergli fornito u n ’insolita cooperazione. Ma sappiamo che non tutte le malattie — e in particolar modo di certo non le più serie — guarivano spontaneam ente o grazie ad uno sforzo dell’anima. Se si presuppone, come sicuramente bisogna fare, che attraverso i secoli la gente negli Asclepieia gua­ risse in un batter d ’occhio, quali che fossero le loro malattie, allora la medicina praticata nei tem pli non sem bra essere altro che un miracolo, il più grande da che gli uom ini si rifugiarono nei santuari quando l’aiuto um ano non bastava più, quando erano stati abbandonati dai loro medici, quando erano considerati casi senza speranza. T uttavia non bisogna lasciarsi fuorviare da simili constatazioni. N ell’antichità l’assistenza medica falliva molto prima di quanto non accada oggi, le conoscenze di un medico dell’an­ tichità erano infinitam ente minori rispetto a quelle di un collega m oderno e il medico poteva essere d ’effettivo aiuto in un num ero estrem am ente m inore di casi di quanto sia possibile oggi; inoltre, il medico greco era riluttante ad assumersi responsabilità se non era certo del suo successo. Egli doveva salvaguardare la propria reputazione, che, in caso di fallimento, sarebbe stata seriamente minacciata ed era inoltre considerato dovere e corretto atteggia­ mento di un buon medico quello di non assumersi impegni che non era in grado di assolvere. Di conseguenza, il num ero di casi senza speranza e di pazienti abbandonati dai medici era m olto più elevato di quanto non sia oggi e, quindi, vi erano molto maggiori possibilità che tra questi cosiddetti casi senza speranza vi fossero alcuni che potevano gua­ rire spontaneam ente o, per lo meno, sentirsi meglio. In ogni caso questo è certo: i pazienti di Asclepio erano facilmente soddisfatti ed erano riconoscenti anche per piccoli benefici. Libanio dichiara che nel corso di tre sogni il dio sanò gran parte della sua m alattia

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e aggiunge che così questa fu condotta ad un livello «che egli non può mai elim inare». Anche l’attenuarsi della malattia era un miracolo 23, anche se in m olti casi erano solo i sintomi a scomparire e così i dolori cessavano di assillare il malato. Nessuna testim o­ nianza riferisce quanto a lungo durasse l’effetto salutare, così come solo raram ente sono descritte le m alattie. E inoltre, sebbene mai così frequentem ente come per la scom­ parsa dei sintomi, l’attenuarsi della m alattia può aver coinciso con una guarigione naturale; m olti pazienti che furono guariti dal dio lì per lì, ottenendo una vittoria sui suoi rivali umani, non erano dopo tutto così malati. Il fatto che alcuni pellegrini soffrissero di disturbi relativam en­ te leggeri, benché nell’antichità fossero considerati seriam ente ma­ lati, e che ai santuari arrivasse m olta gente che non aveva pre­ cedentem ente consultato un medico, o perché non lo aveva trovato o perché preferiva curarsi da sola, dovrebbero essere tenuti presenti se ci si rivolge ad esaminare quei casi in cui il dio prescriveva una cura precisa, curando così i suoi pazienti per mezzo di un miracolo m inore e non così onorevole per lui, ma che tuttavia egli sembra aver preferito dall’età ellenistica. Talvolta, prescrivendo farmaci o consigliando una dieta o degli esercizi fisici o mentali, il dio faceva esattam ente ciò che avrebbe fatto un medico umano. E così la gente sognava secondo le proprie conoscenze oppure, stimolata dai propri sogni, sem plicem ente si sentiva incitata a ricorrere alle medicine cui era solita ricorrere, come riferisce Aristide, il quale dice che egli, per ordine di Asclepio, riuscì a tollerare una medicina che prim a aveva rifiutato. Inoltre molte persone, avendo il dio detto loro cosa fare, curavano le loro af­ fezioni, m entre altrim enti non l’avrebbero fatto o, per lo meno, non così accuratam ente, se la terapia fosse stata prescritta loro da un medico umano; essi erano disposti a far cose che non avrebbero mai fatto su ordine dei loro medici, come dice Galeno. E in simili casi il successo di Asclepio non è molto più straor­ dinario di quello dello stesso G aleno o di Ippocrate, o di qualsiasi altro medico dell’antichità. Inoltre, seguendo il suggerim ento del dio, i malati potevano fare del moto, quando essi o i loro medici sarebbero stati favorevoli a prescrivere un periodo di riposo, oppure si trovavano ad usare l’acqua calda laddove un medico famoso avrebbe consigliato la fredda, o viceversa. In questi casi il com portam ento terapeutico era paradossale, e cioè contrario ai principi istituzionalizzati della medicina greca. P er di più vi era chi adottava cure bizzarre e seguiva regole casuali, desunte dall’interpretazione personale dei sogni. E allora, come potevano guarire? Per quanto riguarda riposo

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e moto, abluzioni in acqua calda o fredda come terapie di alcune malattie, non è forse vero che divergenze d ’opinione vi furono tra i medici del diciannovesimo e del ventesimo secolo, o addi­ rittura tra medici della medesima generazione? E i pazienti non sono forse guariti o morti, indipendentem ente dalle cure loro pre­ state? N on si verifica più o meno la stessa cosa quando si tratta di fare la dieta o di digiunare, di bere vino o di farne a meno, e via dicendo? Per quanto riguarda i farmaci e i loro poteri, è chiaro che non si deve im plicitam ente paragonare la medicina antica a quella moderna e giudicare le prescrizioni del dio alla luce della scienza odierna. Ma occorre comunque tener presente che ceneri sacrificali o altre cure del genere non erano necessariamente meno valide degli escrem enti di colombo o di capra, adoperati dai medici antichi. Inoltre Ippocrate e G aleno, quando som m inistravano dei farmaci, facevano le loro scelte in base all’esperienza personale e G aleno si atteneva addirittura a fantasiose teorie sulle qualità di piante, minerali o animali, così come la posologia, sebbene si basasse sull’osservazione, rimaneva un fatto arbitrario. Quelle scienze che garantiscono alla medicina m oderna una certa esattezza, studiando da una parte le reazioni dei farmaci e, dall’altra, dei tessuti umani, e perm ettendo così di stabilire una correlazione precisa tra l’effetto della cura e il fabbisogno dell’or­ ganismo, queste due scienze —chimica e farmacologia sperim entale — erano sconosciute nell’antichità. Non esisteva una norm a ogget­ tiva alla quale attenersi nel curare i malati, fatto questo che i medici antichi non smisero mai di am m ettere e di lam entare. Anche la farmacologia di Asclepio era basata sulla esperienza ed anche i suoi pazienti, nell’applicare le prescrizioni ricevute in sogno, che nella maggior parte dei casi erano costituite dai mezzi terapeutici consueti, le interpretavano talora esattam ente e talora scorrettam ente, anzi, forse più spesso in m aniera errata, dal m o­ mento che, a dispetto delle loro considerevoli conoscenze mediche, mancava loro quell’esperienza di tu tta una vita di cui godeva il medico. D ’altra parte, può anche essere che le semplici prescrizioni, che i profani desum evano dai sogni, fossero più efficaci di quei complicati unguenti o medicine che i medici antichi amavano preparare e che il soggiorno nell’Asclepieion avesse sul paziente un effetto benefico, simile a quello ottenuto grazie alla pratica di portare in giro i pazienti sulle portantine, o ad altre m etodiche terapeutiche che i medici greci o rom ani pensavano contribuissero alla guarigione o al ristabilim ento dalla malattia. In breve, se la medicina antica è considerata così come era effettivam ente, se le

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cure che poteva fornire sono prese nel loro valore reale, allora i miracoli del dio sem brano meno miracolosi, altrim enti, credo, si deve am m ettere che in simili circostanze era quasi altrettanto miracoloso che quanti venivano curati da medici um ani guarissero così di frequente. Inoltre, anche se i pazienti di Asclepio sognavano solamente, anche se le loro cure altro non erano se non la razio­ nalizzazione di ciò che pensavano di aver visto, non è sorprendente che gli Asclepieia potessero vantare così num erose guarigioni ef­ fettive. Il dio in persona, o i suoi sacerdoti, non sostennero mai di essere in grado di operare alcunché, né promisero l’immortalità: essi prom ettevano solo aiuto 24. G li antichi, credendo negli dèi così come facevano, erano av­ vezzi a rivolgersi alla divinità in cerca d ’aiuto; si com portavano così in ogni circostanza, per quanto irrilevante ed insignificante, e quindi tanto più in casi seri e minacciosi. La m alattia e la paura della m orte erano condizioni che facevano anche dello scet­ tico un devoto della divinità e la gente trovava aiuto, o almeno sollievo dalla sofferenza, nella fam iliarità con quella che, tra le divinità, era la più versata in medicina. N on capita frequentem ente che m alattie anche gravi talora guariscano, contrariam ente alle attese dei medici più esperti e preparati del ventesim o secolo? N on accade sovente anche oggi che, quando sia stato fatto tutto ciò che è um anam ente possibile per il paziente, il medico debba am m ettere che solo un miracolo può salvarlo? E il miracolo talvolta si verifica. G li uom ini di oggi lo attribuiscono alla natura, gli antichi lo attribuivano invece alla divinità, sebbene talora, alla richiesta che il dio formulava loro di pagare il suo onorario, essi ricordassero che le malattie si guariscono da sole. A meno che non am mettiam o semplicemente che gli dèi dell’antichità operarono miracoli e lasciarono questo nostro m ondo allorché in tem pi rem oti «la G iustizia ebbe disgusto per la razza um ana e volò in cielo», dobbiam o ritenere che la natura e l’esperienza dei supplici ottennero nei tem pli di Asclepio, buoni successi.

Note 1 H. Meibom, Exercitatio philologico-medica de incubatione, Helmstadt 1 6 5 9 -

2 Cfr., per esempio, K.F. Hundertmark, De incrementis artis medicae, 1749; D. Le Clerc, Histoire de la médicine I, La Haye 1729. 3 La letteratura di questo tipo è stata raccolta da F.G. Welcker, Inkubation,

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in Kleine Schriften III, Bonn 1850, p. 152. Una tarda eco della teoria del sonnambulismo si ritrova in C. Du Prel, Die Mystik der alten Griechen, Leipzig 1888, pp. 1 sgg. 4 Per la teoria «scientifica», cfr. A. Gauthier, Recherches historiques sur l’exercice de la médicine dans les temples chez les peuples de l’antiquité, Paris 1844; per quella «umanistica», cfr. F.G. Welcker, op. cit., I li, p. 124: egli trova in Aristide un’attitudine simile a quella del pietismo. 5 Cfr., ad esempio, Ritter von Rittershain, Der medizinische 'Wunderglaube und die Inkubation in Altertum, 1878. 6 Più enfatico era il verdetto di H. Diels, Nord und Sud, Leipzig 1888, pp. 29 sgg.; cfr. anche S. Reinach in Daremberg-Saglio, s.v. medicus-, J. Heiberg, Geschichte der Mathematik und Naturwissenschaft im Altertum, Mùnchen 1925, p. 29; U. Wilamowitz, Der Glaube der Hellenen II, Berlin 1932, p. 231. 7 Cfr. E. Thraemer, in RE, s.v. Asklepios, II, coll. 1686 e 1690. 8 U. Wilamowitz, Isyllos von Epidauros, Berlin 1886, p. 37, per primo confrontò la «ciarlataneria truffaldina» di Epidauro con le cure fornite a Cos e a Cnido. R. Herzog, Koische Forschungen und Funde, Leipzig 1899, pp. 202 sgg., elaborò questo punto di vista (da lui ripreso in Die Wunderheiìungen von Epidauros, Leipzig 1931, pp. 139 sgg.). La spiegazione dei miracoli secondo le moderne teorie psicologiche è abbozzato da R. Herzog, Die Wunderheiìungen cit., pp. 67 sgg. (cfr. anche C.A. Meier, Antike Inkubation und moderne Psychoterapie, Zùrich 1949); O. Hirschberg, Geschichte der Augenheilkunde, 1899, p. 56, parla di una «mescolanza tra Lourdes e Karlsbad». 9 Questa distinzione tra differenti periodi è sottintesa da O. Weinreich, Antike Heilungswunder, Giessen 1909, pp. 110 sgg.; cfr. anche J. Ilberg, in «Abhandlungen Akadem. Leipzig» XLI (1930), p. 32: «il Dio ha studiato la medicina: sull’attività del tempio si scorge l’influsso della scienza attorno al 100 d.C.». 10 Sulla medicina nel tempio in generale, e in particolare sull’incubazione, cfr. F.G. Welcker, op. cit., pp. 89 sgg.; Thraemer in RE s.v. Asklepios, II, coll. 1686 sgg.; R. Caton, Two lectures on thè temples and rituals o f Asklepios, 1899; L. Deubner, De incubatione, Leipzig 1900; M. Hamilton, Incubation, London 1906; R. Herzog, Die Wunderheiìungen cit. (passim)-, C.R. Simboli, Disease spirits and divine cures among thè Greeks and Romans, Diss. New York 1921, pp. 57 sgg.; W.R. Halliday, On treatment o f disease in antiquity, in Greek poetry and life. Essays presented to Gilbert Murray, London 1936, pp. 277 sgg. [cfr. anche R.O. Steuer-J.B. Saunders, Ancient Ègyptian and Cnidian Medicine, Berkeley 1959; G. Lanata, Medicina popolare magica e religione popolare in Grecia, Roma 1967; G.E.R. Lloyd, Magic, Reason, Experience, Cambridge 1979 (trad. it. Magia, ragione, esperienza, Boringhieri, Torino 1982)]. 11 È importante sottolineare che le epifanie di Asclepio erano visioni du­ rante i sogni. Anche i protetti dal dio, come Proclo, non lo vedevano da svegli ma in uno stato intermedio tra sonno e veglia (Marin, Vita Proeli, 30). Per quanto ne so, soltanto una volta Asclepio apparve ad una sua paziente da sveglia (Cronaca d’Epidauro, guarigione 25), ma ciò accadde fuori dal tempio, sul margine della strada. Non occorre aggiungere che l’affermazione di Aristo­ fane (Plut. 740-41) secondo la quale il testimone di una scena d ’incubazione non è addormentato è una licenza poetica [va anche ricordata, a conferma di ciò, la scena narrata nella Cronaca d ’Epidauro, guarigione: un sacrilego che aveva tentato di spiare da un albero ciò che avveniva di notte nell’àbaton cade malamente per opera del dio e deve lui stesso ricorrere all’assistenza del tempio]. In situazioni diverse dalle guarigioni nei templi, Asclepio poteva, naturalmente, essere visto in stato di veglia: cfr., ad esempio, Max Tyr, 9, 7. 12 L’aspetto spaventoso di Trofonio era proverbiale (Aristoph., Nub. 508) [cfr. anche la suggestiva descrizione di Pausania (9,39,5-14), che racconta

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un’esperienza personale]; era del resto terribile vedere gli dèi nel loro aspetto comune (cfr. Iliade XX, 131). Solo una volta, in un passo letterario, l’apparizione d’Asclepio è descritta come spaventosa o solenne e la differenza tra il suo atteggiamento e quello delle statue di culto è espressamente menzionato: cfr. [Hìpp.], Epistulae 15 ( = IX, 340 L.). Aristide, che nelle sue mistiche rivelazioni vede Asclepio come un uomo di bellezza e dimensioni mirabili (49,46-48 K .), una volta lo vede con tre teste circondate di luce. 13 R. Herzog, op. cit., p. 67 dice che le iscrizioni di Epidauro danno l’im­ pressione che le guarigioni avvenissero istantaneamente, ma in alcuni casi è possibile dare un’occhiata dietro il sipario e scoprire che in realtà occorreva del tempo. Certamente le guarigioni citate da Herzog (alle pp. 67 e 79) non sono «guarigioni postume», ma miracoli avvenuti fuori del tempio, oppure bisogna supporre che la guarigione sia avvenuta più tardi, ancorché spontanea­ mente. 14 Thraemer, RE, II, col. 1688 sostiene che il Curculio di Plauto dimostra che ancora nel IV secolo ad Epidauro si dessero oracoli nei sogni e questa pratica fosse consueta. Ma il Curculio riferisce solamente che Asclepio non si prendeva cura del suo paziente, benché gli apparisse, e che il paziente chiedeva all’interprete quale fosse il significato dell’apparizione. Nulla di certo può essere dedotto da questa testimonianza per quanto riguarda le guarigioni. D ’altra parte le tavolette, ovviamente, celebravano i risultati migliori ottenuti dal dio e le sue cure miracolose, cosa che non significa necessariamente che egli non prescrivesse cure, una forma (per così dire) di miracolo minore. 15 Va segnalato che il dio continuò durante i secoli la sua attività di chirurgo. La generazione precedente a quella di Elio Aristide testimonia esempi particolarmente soddisfacenti della sua abilità (Arist. 50, 64 K.). Interventi chi­ rurgici sono attestati anche in un’iscrizione di Lebena, datata al II secolo d.C. (Inserii. Cret. I, XVII, 9). 16 P lu t, Non posse suaviter vivi 1102a. 17 Va anche sottolineato che la maggior parte delle persone si recavano dal dio quando era fallito l’aiuto umano. Indipendentemente dalle molte di­ chiarazioni che confermano ciò, i casi sottoposti all’attenzione di Asclepio va­ riano a seconda dei tempi. Quando i medici ebbero imparato a curare le malattie croniche, simili affezioni vennero nominate meno frequentemente nelle iscrizioni. È difficile comprendere come Herzog, op. cit., p. 147, potesse inferire dalle testimonianze di Aristide, Galeno, Rufo una partecipazione nelle cure di Pergamo da parte della «medicina scientifica», dal momento che questi autori parlano solo di cure operate dal dio. 18 Herrlich, Antike Wunderkuren, «Wiessenschaftl. Beilage, HumboldtGymnasiums zu Berlin», 1911, pp. 29 sgg., insisteva sul fatto che molti Ascle­ pieia e anche Epidauro non fossero costruiti in luoghi salubri. La discussione moderna su ciò è determinata non tanto dai ritrovamenti archeologici, quanto piuttosto dalla teoria di Vitruvio riguardo alla fondazione dei templi in generale e degli Asclepieia in particolare: Vitruvio esorta che tutti siano edificati in luoghi salubri perché tale collocazione fa da ornamento al tempio e per quanto riguarda i santuari di Asclepio e Salute consente, in caso di epidemie, di vivere per qualche tempo in un clima salutare. La giustificazione di Vitruvio è forse un effetto delle condizioni prevalenti in Italia a causa della malaria. Non è necessario discutere qui le diverse analisi scientifiche delle acque negli Asclepieia (alcuni risultati sono raccolti in R. Herzog, op. cit., p. 155). Herrlich, op. cit., p. 30, ha fatto notare che gli antichi medici non avevano un’alta considerazione delle acque minerali: se i sacerdoti avessero usato l’acqua per le sue qualità minerali, avrebbero fatto ciò contrariamente all’opinione degli scienziati antichi. 19 Anche il pio Senofonte (Hellen. 6 ,4 ,7 ) non si trattiene dal notare che

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un evidente miracolo era da qualcuno considerato un inganno, e neppure Erodoto (1,60) si astiene daU’esprimere giudizi quando parla dell’apparizione di Atena nell’episodio di Pisistrato. Per le età successive, cfr. ad esempio Liv. XXXIX, 13, 13; Paus. 3, 19, 10; Serv. ad Aen. XI, 787; per le apparizioni ingannevoli di dèi, cfr. RE, s.v. Epiphanie, suppl. IV, col. 294. Questo va ovviamente distinto dai casi in cui era abituale che uomo personificasse la divinità, come nelle processioni. 20 Lue., Alexander, ed. Me Leod, Oxford 1972. 21 È il solo Eliano (fr. 89) a sapere che Asclepio si era rifiutato di guarire un seguace d’Epicuro, e anche in questo caso il dio sembra maggiormente disturbato dalla scarsa religiosità del suo paziente che dal disprezzo di questi verso il suo potere. Riguardo al cosiddetto «miracolo di punizione», cfr. O. Weinreich, Antike Heilungwunder cit., pp. 189 sgg.; R. Herzog, op. cit., pp. 123 sg22 In alcune chiese cristiane dove i santi operavano le loro guarigioni c’era un’atmosfera analoga a quella di una sala operatoria; ma simili tratti naturalistici sono solo casuali e ovviamente alcuni resoconti erano scritti in competizione con i miracoli di Asclepio [per l’incubazione cristiana, cfr. p. xxxv n. 33, in questo volume]. 23 Le tavolette di Epidauro fanno sufficiente attenzione a non menzionare cosa il dio facesse in casi di tubercolosi e come la sua cura fosse efficace; esse preferiscono invece riferire che il paziente tornò a casa e fondò un santuario di Asclepio nella propria città. Non occorre dire che non ho intenzione di dimostrare che tutte le guarigioni di Asclepio possono essere spiegate razio­ nalmente: certamente ciò non è possibile. Lasciando da parte i miracoli non medici registrati nelle tavolette d ’Epidauro, storie come quelle mostrate sono evidenti miracoli, benché sia vero, come ha mostrato Herzog (op. cit, p. 71), che i medici di scuola ippocratica non considerassero impossibile una gravidanza di molti anni. L’elemento significativo anche nei confronti delle storie più incredibili è che se non altro i presupposti di base concordano con le credenze scientifiche del periodo. È anche bene ricordare che alcuni miracoli sono con grande difficoltà da considerare miracolosi (come il caso della nascita di un bambino un anno dopo la visita ad Epidauro) e che alcuni non fingono nemmeno di esserlo, come nel caso di un uomo morsicato da un’oca e curato perché ciò lo faceva sanguinare. 24 Pausania (2, 27, 6) ci dice chiaramente che il santuario d ’Epidauro com­ prendeva un edificio dove i fedeli potevano morire senza profanare la sacralità del recinto sacro. Herzog (op. cit., p. 142) ha prestato attenzione al fatto che per il culto di Asclepio il miracolo di far resuscitare i morti non è mai attestato: ciò è significativo e sintomatico dell’attenzione e della razionalità sia dei sacerdoti che dei fedeli. Ma aggiungerei che le guarigioni stesse erano intese dai pazienti come rinascite, in cui essi tornavano alla vita grazie ad Asclepio.

G iulio G u idorizzi S O G N O , D IA G N O S I, G U A R IG IO N E : D A A SC L E PIO A IP P O C R A T E *

Sogno e condizioni di salute Q uando Freud scrisse L'interpretazione dei sogni, era ancora diffusa l’ipotesi che i sogni — o almeno m olti di essi — derivassero da cause fisiologiche: una malattia, un disordine alimentare, uno stimolo degli organi interni. I sostenitori della teoria somaticista pensavano anche che un particolare organo eccitato conferisse un aspetto speciale al contenuto dei sogni: sogni brevi e terrificanti sarebbero tipici degli ammalati di cuore; chi soffre ai polmoni sogna soffocamenti e incubi; la tensione sessuale produce sogni erotici h Ancora alla fine del secolo passato, dunque, il pensiero medico manifestava una sorprendente continuità con quanto gli antichi medici avevano osservato. G aleno, nel suo breve trattato La dia­ gnosi dai so g n i2, scriveva: Q uel lo ttatore che sognò di stare in una vasca di sangue e di tenersi a galla con fatica, scoprim m o poi che soffriva d ’ipertensione e aveva bisogno di un salasso; alcuni, prim a di una crisi decisiva di sudore, sognarono di lavarsi e tuffarsi in vasche d ’acqua calda. Così pure, l’im m agine di bere senza mai saziarsi capita agli assetati, di m an­ giare voracem ente a chi ha fame, d i avere rap p o rti sessuali a chi ha una pienezza sperm atica... e se le cose stan n o così, non c’è da stupire che quando la forza psichica è tu rb a ta da qualche gravezza, si sognino m ovim enti faticosi, e di portare pesi; al contrario, q uando lo stato fisico è lieve e privo d ’eccessi, coloro che si trovano in queste condizioni sognano di volare o di correre velocem ente.

* Il saggio riprende, in forma completamente rielaborata, un articolo com­ parso su «Quaderni di Acme», 5, Milano 1985, pp. 59-74.

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L ’idea che il sogno segnali uno stato fisiologico era assai più antica di G aleno; già solidam ente afferm ata alle origini della m e­ dicina greca, nel Corpus Hippocraticum, si m antenne nel pensiero scientifico per tutto l ’arco dell’epoca antica: ne parlano Aristotele, l’alessandrino Erofilo, Cicerone, Plutarco 3. L ’impiego diagnostico dei sogni non rimase confinato all’epoca antica. Soprattutto attra­ verso G aleno, il cui opuscolo sui sogni godette durante il Medioevo di una larga fortuna e, tradotto in latino, fu noto anche alla medicina salernitana 4, l’idea che tra sogno e disposizioni organiche esistesse un nesso preciso si conservò sino all’epoca rinascimentale, quando i testi originali di Ippocrate e G aleno furono nuovam ente accessibili ai medici occidentali. Il punto di partenza di questa teoria, in campo medico, è il trattato Sulla dieta (Perì diaìtes), databile probabilm ente nella pri­ ma m età del IV secolo a.C. Se l’impiego di una diagnostica onirica non era sconosciuto all’antica medicina assiro-babilonese 5, al trat­ tato Sulla dieta va ascritto il m erito di avere inserito questa pratica in un sistema dottrinale e di avere aperto la strada ad u n ’indagine teorica del fenomeno. L ’autore (un medico di ampia cultura filo­ sofica 6) riponeva una grande fiducia nel valore diagnostico dei sogni e affermava, non senza esagerazione, che «chi sa interpretare i sogni conosce una gran parte della scienza medica (mèga mèros epìstatai sophìes)» (IV , 86). Il trattato sosteneva un tipo di medicina preventiva, fondato sulla dieta e sulla ginnastica; di qui l’im portanza attribuita a qual­ siasi indizio che, come il sogno, possa annunciare i sintomi di un disordine organico che non si è ancora trasform ato in m alattia; intendere attraverso l’immaginazione onirica qual è la condizione generale di un organismo, e l’equilibrio degli umori che lo formano (poiché, occorre prem ettere, l’autore si occupa dei sogni di persone sane altrettanto che di persone debilitate), significa consentire al medico d ’intervenire con una dieta per ristabilire im m ediatam ente l’equilibrio dell’organismo. Su questa base, l’autore elaborò il pro­ getto di una vera e propria onirocritica medica, rivolta a indivi­ duare gli impulsi fisiologici che producono le fantasie oniriche: il quarto libro di questo trattato è interam ente dedicato ai rapporti tra sogno, dieta e m alattia e costituisce una sorta di «libro dei sogni» medico, l’unico di questo genere che la tradizione antica ci abbia trasmesso. Certam ente, l’idea che il sogno abbia qualche relazione con lo stato di salute era diffusa anche al di fuori di un ambito medico. In generale, le possibili relazioni tra sogno e malattia, in una cultura arcaica o prim itiva, sono di triplice natura: il sogno annuncia una malattia, apporta la guarigione o anche produce

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una m alattia (sogno patogenetico '). Il discorso proposto dall’au­ tore del trattato Sulla dieta andrà dunque visto anche in rapporto con quel complesso di credenze tradizionali con cui il medico ippocratico doveva misurarsi. In effetti, la medicina si trovava a condividere l’interesse per il sogno con due concorrenti: la divi­ nazione onirom antica da un lato, la (cosiddetta) medicina del tem ­ pio dall’altro, specialmente in rapporto alle pratiche incubatorie collegate al culto panellenico di Asclepio e a culti locali come quelli di Trofonio e Amfiarao. Indizio di m alattia per i medici, il sogno era mezzo miracoloso di cura per i fedeli di Asclepio; per gli interpreti di sogni, poteva essere nuovam ente un segnale di malattia, ma da una prospettiva assai diversa da quella secondo la quale operavano i medici. Il sogno era dunque uno dei campi in cui la nascente scienza medica doveva trovare uno spazio tra un complesso di credenze tradizionali saldam ente radicate; l’atteg­ giamento intellettuale dell’autore del trattato Sulla dieta, e gli esiti a cui giunge la sua trattazione del sogno diagnòstico, sono influenzati da questo stato di cose.

IIna teoria medica dei sogni C onstatato che un sogno può segnalare stati fisiologici, i pro­ blemi che all’antica teoria medica si ponevano erano essenzialmente due: l’organismo determ ina tu tti i sogni, oppure soltanto alcuni di essi? E poi, quali sono i meccanismi psicosomatici che provo­ cano la com parsa di un sogno? A ll’autore del trattato Sulla dieta non sfuggivano questi pro­ blemi; e tuttavia, le risposte che egli fornisce e specialmente l’im­ postazione intellettuale che vi sta alla base m ostrano una carat­ teristica oscillazione tra una posizione scientifica e una, per così dire, «magica» della questione: tanto che anche la critica m oderna si è divisa sulla valutazione di q u est’opera, giudicata da alcuni il frutto di u n ’infantile superstizione, da altri come un testo piena­ mente degno della grande tradizione ippocratica 8. È noto che nel Corpus Hippocraticum l’atteggiamento intellet­ tuale caratteristico della medicina sia di contrapporre alle opinioni superstiziose e fallaci degli inesperti quelle del medico, che si attiene a una retta indagine sulla natura e scopre le leggi fisiche che determ inano salute e m alattia; il passo più noto ed esemplare è probabilm ente l’esordio del trattato Sul morbo sacro, in cui l’epilessia è studiata come fenom eno clinico e non più nel quadro della follia divina. «Per nulla questo male — scriveva l’autore — è più divino o più sacro delle altre m alattie, ma ha struttura

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naturale e cause razionali [...] io credo che i prim i a definire sacra questa malattia siano stati maghi e purificatori, ciarlatani e im postori [...] costoro, non sapendo che cura adottare, si rifugia­ rono sotto la protezione del divino». Concetti di questo genere si leggono spesso nel Corpus Hippocraticum-, ma il trattato Sulla dieta offre un quadro in qualche m odo differente. Anche l’autore di quest’opera aveva a che fare con una sapienza popolare estranea alla medicina, con un sistema consolidato di credenze sul sogno e con una categoria di persone che si occupavano di queste cose, non molto dissimili nella funzione da quei «maghi» contro cui si scaglia il trattato Sul morbo sacro-, costoro erano gli interpreti di sogni, accusati anch’essi sovente, dalle persone colte, di truffa e ciarlataneria 9. E ppure, malgrado che alla fine dell’opera (IV, 93) l’autore proclam i (seguendo uno schema caro ai medici del Corpus) di avere «scoperto la dieta com ’è possibile ad un uomo, con l’aiuto degli dèi», a proposito dei sogni egli si m ostra incline ad accettare il patrim onio di credenze tradizionali. Il suo sforzo fon­ dam entale non è di contrapporre una teoria medica del sogno a quelle tradizionali (come farà in term ini assai più radicali A risto­ tele), ma piuttosto di conciliarle. Egli non m ette m inim am ente in dubbio che esistano sogni divini; afferma piuttosto (e questa è la sua fondam entale novità) che occorre delim itare il campo di competenze tra chi cerca nel sogno un responso profetico e chi richiede da loro informazioni diagnostiche: quei sogni che provengono dagli dèi e preannunciano alla città o ai privati fortune o sciagure, v ’è chi li in terp re ta possedendo l’arte (tèchne) di tali cose. E le m alattie p red ette d all’anim a p er pienezza o svuotam ento o m utam ento d ’abitudini, anche queste gli indovini p red i­ cono, alcune volte con successo, altre sbagliando, e in entram bi i casi non conoscono né la ragione del successo né degli errori. Si lim itano a consigliare di stare in guardia, m a com e stare in guardia, questo non lo insegnano: consigliano di supplicare gli dèi. Supplicare gli dèi è una buona cosa, m a p u r chiedendo aiuto agli dèi, conviene aiutarsi da sé (IV , 87).

In queste parole si scorge una polemica contro le superstizioni popolari, la presunzione degli interpreti di sogni e l’uso di esor­ cizzare sogni infausti, con tecniche magiche che ci sono note da altre fonti. Tuttavia, questo atteggiam ento critico non deve essere sopravvalutato. Il razionalismo medico, qui fieram ente affermato, viene poco dopo a patti con quelle credenze superstiziose su cui l’autore aveva ironizzato: «[dopo questi sogni] bisogna prendere precauzioni, seguire una dieta e invocare gli dèi: Elios, Zeus Kte-

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sios, Zeus Uranios, Atena, Ermes, Apollo... perché tu tti questi segni sfavorevoli siano scongiurati» (IV, 89). Seguire una dieta scientificamente organizzata, dunque, non basta: per allontanare il segno infausto che viene da un sogno bisogna ricorrere a quegli scongiuri (apotròpaia) che indicavano anche indovini e purificatori, ed è significativo che tra le divinità che l’autore elenca con una certa pedanteria medica almeno due siano collegate strettam ente ai rituali popolari: Elio, a cui i superstiziosi raccontavano i sogni perché fossero dispersi alla luce del giorno; Ermes, il «conduttore di sogni» (oneiropòmpos) della tradizione religiosa arcaica 10. È ancora più notevole che l’autore accetti come un dato di fatto che esistono sogni profetici che non hanno nulla a che fare con stati fisiologici: questi sono divini (thèia) e hanno un carattere prem onitorio; inoltre, chi si occupa d ’interpretare tali sogni non è, per l’autore, un ciarlatano, ma possiede u n ’arte (tèchne)-, una parola decisam ente im portante, nel lessico scientifico dei greci, poiché presuppone un sistema di norme organizzate e un procedim ento em pirico d ’apprendim ento. L ’autore, dunque, non rivendica a sé, come medico, una spie­ gazione naturalistica che si adatti a tu tti i sogni, ma riconosce una duplice origine del fenomeno: da un lato, un impulso sopran­ naturale, sul quale il fisico non estende la sua indagine; dall’altro, una serie di sogni organici che sono, quelli sì, di esclusiva com­ petenza di un medico. L ’errore degli interpreti sarebbe d ’invadere il campo della medicina, dando responsi sulle condizioni di salute (come si vede fare sovente ancora in A rtem idoro), non, in assoluto, di applicare ai sogni un m etodo divinatorio d ’indagine. Q uesti responsi medici (am m ette l’autore del trattato) sono talvolta esatti, ma per caso: infatti gli indovini ignorano la causa dei successi e degli insuccessi. La sua posizione è dunque scientifica in linea di principio, in quanto contesta l’invadenza delle credenze tradi­ zionali nel campo della filosofia naturale non perché siano errate in sé, ma per un difetto di metodo: infatti, egli am m ette come un dato di fatto provato dall’esperienza che davanti ai sogni divini la parola dell’interprete conserva qualche valore. N on si può dunque contrapporre in m odo netto una posizione laica e scientifica della medicina alla credenza tradizionale che vedeva nel sogno un fenom eno soprannaturale. Q uesto non era solo un tratto superstizioso dell’autore del trattato Sulla dieta, ma un atteggiam ento norm alm ente accettato dalla medicina: i me­ dici greci, come in genere i loro contem poranei, am m ettevano che il sogno potesse essere anche u n ’esperienza divina, e questo è confermato da notizie biografiche: Ippocrate (secondo la biografia di Sorano di Efeso) emigrò dalla patria seguendo l’avvertim ento

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di un sogno; e se quest’inform azione può parere leggendaria — ma è conforme, comunque, a uno schema di credenze perfettam ente verosimile in G recia — è certo che lo stesso G aleno operò dei pazienti obbedendo a un sogno divino, e riconosceva, del resto, che vi fossero sogni profetici (m antikà) n . Accanto a queste due spiegazioni dell’origine dei sogni, nei medici più tardi, come Erofilo e G aleno, ne compare una terza 12, a proposito di quelli che A rtem idoro definiva enypnia, cioè i sogni che non possiedono valore profetico, e d ’altra parte non offrono neppure dati diagnostici. Q uesti hanno u n ’origine puram ente psi­ cologica e provengono da ciò che noi oggi chiam eremmo «residui diurni»: le occupazioni della m ente restano incise nella mente, e form ano il m ateriale di questi sogni, che si risolvono in un gioco dell’anima con se stessa; così, accade che si sogni ciò che si desidera o di cui si ha avuto paura, e che alcuni stimoli fisiologici (fame, sete, ecc.) determ inino ugualm ente visioni oniriche di simile natura, che tendono a soddisfare im m ediatam ente queste pulsioni elementari. Anche nel trattato Sulla dieta (IV, 88) s’affaccia que­ st’idea: accade spesso — dice l’autore — che l’anima rimanga fissa sulle occupazioni giornaliere e quando questo avviene è segno di buona salute, perché nessuno stimolo esterno sopraggiunge a modificare l’attività della m ente. Si potrebbe dedurre da queste parole che per l’autore del trattato tale è la condizione normale di chi sogna: soltanto quando fattori perturbanti (un dio per i sogni divini, una malattia per quelli medici) intervengono ad ec­ citare l ’anima, il sogno assume una particolare portata semantica e diviene indizio di qualcosa che sta per accadere, nell’interno dell’organismo o nel m ondo esteriore.

Perché l’anima sogna il corpo Se il trattato Sulla dieta, distinguendo le varie funzioni dei sogni, non confuta sistemi di credenze tradizionali, ma si limita ad includerle nel suo sistema diagnostico, dando loro una veste razionalistica, lo stesso atteggiam ento pare ritornare quando affron­ ta la spiegazione dell’origine dei sogni psicosomatici. Perché l’a­ nima sogna il corpo? La spiegazione è data in IV , 86: quando il corpo riposa, l’anim a che è desta si m uove e governa la propria casa (dioikèei tòn eoutoù ò iko n) e com pie tu tte le funzioni del corpo. Il corpo addorm entato non prova sensazioni, m a l’anim a desta conosce tu tto , vede ciò che va visto, ode ciò che va udito, camm ina, tocca, prova dolore, prova ira, racchiusa in un piccolo spazio: tu tte le

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funzioni del corpo e d ell’anim a, tu tte qu este l’anim a com pie d u ran te il sonno.

In queste parole si delinea chiaram ente una teoria dualistica dell’individuo; l ’anim a «è serva del corpo»: «è al servizio (hyperetèousa) del corpo desto — dice l’autore nello stesso passo —, non è padrona di se stessa ma si divide tra le varie sensazioni, l’udito, la vista, il tatto, e tutte le attività del corpo; non ha consapevolezza di se stessa». D iviene se stessa solo nel momento in cui, per così dire, il corpo m uore durante la notte e lascia libera l’anima di agire secondo la sua vera natura. Q uest’idea è in assonanza con un sistema di credenze che comincia a diffondersi in G recia nell’epoca del tardo arcaismo e agisce in vari ambiti, sia filosofici che poetici. Che l’anima, quando è sciolta dai lacci del corpo, viva una sua esistenza autonom a e acquisti facoltà superiori (e non quell’esistenza larvale a cui sono costrette le anime dei morti nei poem i omerici), tanto che il sogno consente all’uomo di accedere a u n ’esperienza superiore, è detto in un famoso fram m ento di Pindaro (fr. 131 Sn.-M.): «il corpo di tutti cede alla morte possente, ma vivo rimane un simu­ lacro d ’esistenza — questo solo viene dagli dèi — e dorm e quando le mem bra si m uovono, ma a chi dorm e in molti sogni rivela il giudizio dei beni e dei mali». Seguire lo sviluppo di quest’idea significherebbe ripercorrere un lungo tratto del pensiero religioso e filosofico dei greci, a cominciare da Platone (Phaed. 67cd). La sua presenza nel trattato Sulla dieta è stata generalm ente spiegata con l’influsso di idee orfiche, intendendo con questa parola quel­ l’insieme di credenze di natura mistica variam ente diffuse nella Grecia arcaica 13 : tra le quali vi era sia il dualismo corpo-anima (il corpo, sòma, visto come la tom ba, sèma, dell’anima), sia l’opi­ nione che l’anima, liberata dalla servitù della materia, possa espri­ mere finalm ente la sua vera natura. A questa teoria sem bra aderire anche Aristotele, nel giovanile trattato Sulla filosofia (fr. 10 Rose) («quando nel sonno l’anima si raccoglie in se stessa, allora, ripresa la sua vera natura, diviene profetica e annuncia il futuro»). In una fase più m atura del suo pensiero, invece, A ristotele m anifestò un criticismo scettico sulla possibilità dell’anima di essere profetica durante il sonno; egli ammetteva sogni diagnostici, ma solo relativam ente a disposizioni organiche: dato che nel sonno — argomentava — le piccole sen­ sazioni s’ingigantiscono, accade che m inim i stimoli corporei ignorati nella veglia divengano percettibili nel sonno. In tal modo, il di­ scorso è com pletam ente rovesciato rispetto al trattato Sulla dieta: in questo è l’anima che diviene più percettiva nel sonno mentre

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il corpo non percepisce alcuno stimolo; in Aristotele, la capacità percettiva dell’anima rim ane inalterata, m entre sono piuttosto i segnali inviati dall’organism o a divenire più distinti. La spiegazione proposta nel trattato Sulla dieta (e ripresa più tardi da G aleno in term ini analoghi, anche se con un linguaggio meno immaginifico 14) non era la sola che circolava in am biente medico; ne esistono altre (le cui tracce si trovano per esempio nel trattato Perì hebdomàdon e in A ristotele stesso 15) che fanno derivare il sogno dai processi di raffreddam ento e riscaldamento dell’organismo per opera della digestione. Anche per questo, sarà difficile negare che l ’autore del trattato abbia attinto la sua spie­ gazione daH’interno della tradizione medica; d ’altra parte, anche in questo caso il trattato Sulla dieta non accetta tout court u n ’idea tradizionale, ma la modifica nell’intento d ’inserirla nel quadro della sua teoria medica. A differenza, infatti, delle credenze orfiche, secondo le quali l’anima si allontana dal corpo come da una prigione, qui essa si dedica a lui più intensam ente: non vi è dunque separazione, ma una maggiore concentrazione sull’organism o nel quale essa si trova pur sempre ad essere inclusa. Ciò che m uta, è la qualità della sua azione: durante il sonno agisce da sola (al contrario che nella veglia, durante la quale anche il corpo agisce) ma non è sola con se stessa: se lo fosse, trascurando il corpo, come potrebbe percepirne i segnali? L ’anima, dunque, da sola produce una sua spontanea attività: vede, ode, prova sensazioni ed emozioni contrastanti. Che rapporto hanno queste azioni con i sogni? Le spiegazioni possibili sono almeno tre: a) sono il contenuto dei sogni, dove la psiche recupera in una dim ensione fantastica lo stesso tipo d ’esperienza sensoriale ed emotiva della veglia; b) sono le attività che danno luogo ai sogni, per mezzo di trasform azioni simboliche 16; c) il sogno è in realtà la funzione essenziale dell’anima: essa non «produce» sogni, ma quello che viene percepito come sogno è in realtà il riflesso dell’attività dell’anima che agisce nel sonno secondo le sue autonom e leggi.

ha simbolica dei sogni: tra medicina e divinazione Q uando dalla teoria si passa all’esame dei sogni descritti nel trattato, si ha l’im pressione d ’assistere a una formalizzazione al­ quanto artificiosa dell’esperienza onirica. Il sistema proposto dal­ l’autore pare costruito su rapporti astratti e aprioristici — tanto che un m odesto interprete professionista come A rtem idoro mani­

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festa una conoscenza del linguaggio onirico m olto più acuta, quan­ do parla dell’incoerenza, degli spostam enti e delle condensazioni simboliche che costituiscono la caratteristica specifica della trama onirica. Tuttavia, la portata teorica del trattato Sulla dieta non va affatto sottovalutata: da qui avrebbe potuto svilupparsi nell’an­ tichità u n ’autonom a scienza del sogno, indipendente da quella at­ testata nei libri onirocritici, tanto più che nel trattato si affaccia anche l’ipotesi che i sogni segnalino disfunzioni psicologiche e non soltanto organiche: «una stella che vaga qua e là nel cielo segnala uno sconvolgimento della psiche a causa di qualche an­ goscia; e in questo caso conviene il riposo, e volgere la m ente a spettacoli comici o a quelli che m aggiorm ente cagionano diletto» (IV, 89). Ma quest’ipotesi di lavoro non venne pienam ente sviluppata dalla medicina successiva: non solo perché i tecnici dell’interpre­ tazione dei sogni nell’antichità rim asero gli oneirokrìtai professio­ nisti, ai quali si deve l’elaborazione del particolare dizionario sim­ bolico che offriva un sistema di riferim ento essenzialmente estraneo alla simbologia medica, ma anche perché l’applicazione diagnostica del sogno trovava ovvi limiti nella pratica terapeutica. Se l’ipotesi che il sogno fosse uno strum ento diagnostico si m antenne vitale anche in seguito, nella pratica l’esattezza del sistema proposto così rigidam ente nel trattato Sulla dieta doveva sovente essere delusa dai fatti. G aleno 17, per esempio, quando parla dei sogni diagnostici, si rassegna a concludere che questo è un tipo di diagnosi difficile e insicura. In effetti, i sogni descritti nel trattato non hanno nulla di tipicam ente patologico. Essi sono raggruppati in alcune categorie fondam entali: segni celesti (cielo, stelle, divinità), terrestri (fiumi, alberi, sorgenti), vesti e calzature, m orti, sogni m ostruosi (allòkota). Sono categorie ben note alla divinazione onirom antica, che si po­ tranno facilmente rintracciare anche in Artemidoro. Il principio fondam entale sul quale sono fondate le interpre­ tazioni è quello dell’analogia. Ciò rientra, del resto, nel principio generale che l’autore sostiene anche nei libri precedenti; egli de­ scrive il m ondo come un vasto piano di relazioni tra microcosmo e macrocosmo, grazie alle quali «ciò che è visibile perm ette di conoscere ciò che è invisibile» (I, 12). «G li uomini non si accor­ gono — dice in I, 11 — che anche le arti che utilizzano sono simili alla natura um ana [...] perché tu tte le cose sono simili, pur essendo differenti». L’associazione binaria e l’analogia (due procedim enti ben noti nel pensiero greco arcaico 18) offrono così all’autore gli strum enti per applicare anche ai sogni questi principi di conoscenza, perché nell’ordine cosmico si integra anche l’attività

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dell’anima addorm entata: così, nelle visioni notturne, accade che l’anima colleghi sulla base di uno stesso principio il microcosmo dell’organismo alle immagini dell’universo che si riflettono nelle forme del sogno. Secondo l’antica teoria dei quattro umori, la bile gialla pos­ sedeva le qualità del secco e del caldo: perciò i sogni di fuoco segnalano una secrezione biliosa (IV, 89); sogni di gelo e pioggia indicano eccesso di flegma, che al contrario è freddo e umido. Un fiume che scorre, in sogno, simboleggia la circolazione di quel fiume dell’organismo che è il sangue (IV, 90); la terra bru­ ciata, in sogno, segnala un eccesso di secchezza nell’organismo (IV, 90); i pozzi, alludono alla vescica (IV, 90); astri che salgono verso il cielo o si tuffano in mare alla circolazione di um ori verso la testa o il ventre (IV, 89); una terra inondata dal mare, un eccesso d ’um idità nel corpo (IV, 90). In questo tipo d ’elaborazione simbolica, non mancano i tratti recuperati dalla tradizione popolare: i m orti indicano che il so­ gnatore si nutre in modo sano e appropriato perché è da loro (in quanto esseri sotterranei) che provengono il nutrim ento ed i semi (IV, 92); le vesti nere sono un segno nefasto, per analogia con il colore del lutto (IV, 91). Bisogna riconoscere, inoltre, che la stessa teoria medica del sogno muove da un presupposto culturale analogo a quello dell’onirom antica: per entram be il sogno non è un vano e caotico affollamento d ’immagini nella m ente di chi dorme, e neppure u n ’esperienza mistica, ma un linguaggio dotato di una coerenza e di sue proprie leggi. Un altro notevole punto di contatto è la percezione della natura simbolica del linguaggio onirico: da ciò deriva il fatto che la medicina adotta per la descrizione e l’inter­ pretazione del sogno lo stesso modello dell’onirocritica popolare. Il m odulo formale del trattato Sulla dieta è sostanzialmente iden­ tico a quello di Artem idoro, tranne che per una serie di differenti associazioni simboliche: non è certo una differenza di poco conto che nel trattato Sulla dieta i pozzi simboleggino la vescica e in A rtem idoro (2, 47) invece la ricchezza, ma il meccanismo interpre­ tativo è analogo: il sogno viene scomposto in una serie di fram­ menti, e dalla trama onirica così sm antellata si estrae u n ’unica immagine fondam entale, che viene fatta corrispondere a una precisa interpretazione, nella persuasione che la simbologia onirica sia universale (secondo una tecnica che Freud definiva Chiffriermethode). Ma vi è anche un altro aspetto che collega l’operare del medico a quello dell’indovino. D ivinare il futuro partendo dai labili indizi

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di un sogno, così come trarre una diagnosi da sintomi incerti e contraddittori, com portano lo stesso tipo d ’intelligenza: un’intelli­ genza fatta di prontezza (eustochìa), di intuizione di capacità di valutare contem poraneam ente una quantità disparata d ’indizi, di stabilire una serie d ’analogie, di pronunziare il responso opportuno e pertinente, perché non accada «di fare a mezzogiorno ciò che va fatto al m attino» 19: del resto, accomunare medico e indovino per la loro capacità di agire su una m ateria sfuggente e insidiosa era u n ’analogia tipica della tradizione antica. L ’interpretazione del sogno è un campo che avvicina, più che dividere, medicina e divinazione. In effetti, l’impiego diagnostico del sogno viene elaborato in una cultura in cui era profondam ente radicata la credenza del sogno come segnale profetico, che la medicina antica accettò e rielaborò, inserendola nel suo sistema dottrinale. Pratica correntem ente impiegata dalla medicina popo­ lare, l’impiego del sogno come indizio di malattia passò nella medicina scientifica, assieme al patrim onio di erbe, pozioni e rimedi tradizionali, di cui anche i medici ippocratici continuavano a ser­ virsi 20. La teoria dei sogni esposta nel trattato Sulla dieta è in definitiva la trasposizione medica di uno schema di pensiero tra­ dizionale: la possibilità riconosciuta all’anima di percepire in sogno gli eventi futuri, e tra essi anche l’evoluzione delle condizioni fisiologiche di un organismo, si ricollega a uno stadio antropolo­ gicamente arcaico della cultura greca ed è un altro elem ento di contatto tra la nascente scienza medica e il complesso sostrato culturale da cui essa si andava strutturando.

Il sogno che guarisce Sogno diagnostico e sogno divinatorio: ma vi è un terzo aspetto della questione, ossia la funzione terapeutica del sogno. Il com­ plesso di cure praticate nei santuari di Asclepio (ma anche di varie altre divinità minori) era fondato, co m e noto, sull’incuba­ zione, ossia sul sogno autoprovocato in certe condizioni di purezza e di suggestione rituale, dove il dio appariva al fedele e gli indicava la cura oppure gli elargiva senz’altro una miracolosa guarigione. In Grecia l’incubazione trovò una nuova e straordinaria dif­ fusione a partire dalla metà del V secolo a.C., quando Asclepio divenne una grande divinità panellenica, soprattutto grazie all’at­ tività del santuario di Epidauro. N ilsso n 21 collocava il culto d ’Asclepio tra le forme di religione individualistica, che si affermarono quando entrò in crisi il sistema della polis e dei culti ufficiali ad essa collegati; è com unque notevole e in apparenza contrad­

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dittorio che i santuari d ’Asclepio si m oltiplichino proprio nell’epoca che vide la nascita della medicina scientifica. D el resto, il quadro di coloro che si dicevano capaci di alleviare le m alattie era, al­ l’epoca, assai complesso: accanto al medico ippocratico, vi erano erboristi («tagliatori di radici», rizotòmoi), venditori di pozioni, levatrici, istruttori di ginnastica, che non necessariamente si rivol­ gevano a un pubblico diverso rispetto al medico. Il personale dei tem pli di Asclepio sembra essere stato estraneo a queste categorie: i sacerdoti del dio non erano medici, ma neppure guaritori popolari. Col trascorrere del tem po, anzi, la distanza che separava la medicina scientifica da quella del tempio si ridusse (il dio «im parò la medicina»). In linea di principio, però, medicina ippocratica e medicina di Asclepio si trovano agli antipodi: lu n a vede le m alattie come processi naturali e come fenomeni fisiologici, l’altra non presta la minima attenzione all’e­ ziologia dei morbi; nei santuari d ’Asclepio, la guarigione (anche quando avviene per le cure prestate dal personale) è considerata conseguenza del miracoloso intervento del dio. Cicerone (De natura deorum 3 ,9 1 ) scriveva che pochi malati devono la salute ad Asclepio piuttosto che ad Ippocrate; ma la propaganda religiosa affermava che il dio pietoso non negava soccorso ai disperati; i tem pli di Asclepio furono — e rimasero, sino al tram onto del paganesimo — m eta di pellegrinaggi, ed Epidauro divenne una sorta di Lourdes pagana 22. Il nucleo della cura, com ’è noto, avveniva durante il sonno: Asclepio appariva in sogno all’ammalato che era stato trasportato nella cella del tempio e lo risanava oppure gli indicava le cure da praticare. E questa una concezione assolutam ente particolare del sogno: non più un messaggio (come in m odi diversi sostene­ vano la medicina e la divinazione), ma un veicolo magico di guarigione e insieme u n ’esperienza mistica, uno spazio in cui il fedele può trovarsi in com unione con il suo dio. In effetti, i sogni incubatori descritti dalle antiche testim onian­ ze presentano un carattere decisamente arcaico: essi sono spogli di ogni simbolismo e com portano un dialogo diretto tra il divino guaritore e il dorm iente: il dio «fattosi accanto» al capezzale del malato, dialoga con lui, si m ostra benevolo, talora ride e scherza. Nella guarigione V II delle Cronache di E pidauro, il bam ­ bino Euphanes di Epidauro, paralizzato, viene trasportato al tem ­ pio. D urante la notte sogna Asclepio accanto al suo letto: «che mi darai se ti guarirò?», dom anda il dio; «dieci dadi», risponde il bambino. Asclepio sorride e scompare. Il giorno dopo, assicura la Cronaca, hyghiès apèlthe, «s’allontanò guarito». U n’altra serie di sogni m ostra piuttosto le tracce di una rie­

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laborazione propagandistica: il culto di Asclepio doveva affermarsi sullo scetticismo di chi era legato alla religione tradizionale, e com battere la concorrenza dei medici. In effetti, l’autore del trattato Sulla dieta fa m ostra d ’ignorare com pletam ente le cure di Asclepio: se polemizza con gli interpreti di sogni, non prende in esame nemmeno di sfuggita il sogno terapeutico che aveva luogo nei santuari d ’incubazione: eppure, il fenom eno dell’incubazione non poteva non essergli noto. L’ipotesi che un sogno possa risanare pareva già inverosim ile all’antico medico, come è parsa tale in seguito ai critici dell’epoca moderna, dai quali le guarigioni di Asclepio sono state giudicate, spesso, u n ’im postura 23. Ma se i medici ostentavano d ’ignorare i miracoli di Asclepio, Asclepio non ignorava i medici. Le Cronache di E pidauro (come più tardi i miracoli incubatori cristiani) non mancano di contrap­ porre l’efficacia delle cure elargite dal dio pietoso ai vani tentativi della medicina scientifica di alleviare le m alattie. Nella guarigione X L V III, un tale Eratocle di Trezene, ammalato di un ascesso, stava per farsi cauterizzare da un medico: ma Asclepio gli appare in sonno e gli vieta di sottoporsi a questa cura; recatosi ad Epidauro, l’ascesso scompare spontaneam ente. Il tema, tipico della letteratura agiografica, dell’incredulo con­ vertito ritorna sovente nelle Cronache. «Credi tu che non mi basti la forza di guarirti anche contro la tua volontà?», sussurra in sogno la Vergine (nei Sotterranei del Vaticano di A ndré Gide) al paralitico dotto r Anthime, e la m attina dopo l ’ateo si risveglia guarito (ma solo provvisoriam ente, come doveva certam ente acca­ dere spesso anche ad Epidauro). Il dram m a di chi crede nella ragione, ma deve sottom ettersi alla fede, si scorge in alcune di queste guarigioni. Il nobile Cafisia non crede ai miracoli di Asclepio: «Il dio m ente quando afferma di guarire gli. zoppi: se avesse questo potere, perché non risanò E festo?». Ma pochi giorni dopo, l’incredulo cade malamente da cavallo e, deposta la sua arroganza, deve essere trasportato al tempio, dove, dopo molte preghiere, il dio infine lo risana (guarigione X X X V I). L ’autore del trattato Sulla dieta pensava che per guarire da una malattia occorressero una buona dieta e buoni sacrifici agli dèi; ad Asclepio bastavano i brevi m om enti di un sogno. Ma come può un sogno guarire una m alattia? Q uesto è un problem a che difficilmente si potrà risolvere sulla base della scienza speri­ mentale; il fenom eno dell’incubazione, del resto, appartiene più alla storia d ell’esperienza religiosa che a quella della scienza. Cer­ tamente, i sogni terapeutici trasmessi dalle fonti antiche testim o­ niano nei malati una ferrea volontà di guarire; lo schema della narrazione onirica si riproduce in tu tti i casi in forme non equi­

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voche, che m anifestano nei sognatori la tensione a lottare contro il male che li torm enta: Asclepio compare, e con la pietosa violenza che gli proviene dalla sua natura divina, elimina la m alattia: un paralitico sogna che le sue dita anchilosate vengono distese con la forza dal dio; un altro, infestato da parassiti, che Asclepio lo ripulisce energicamente con una scopa; un invalido sogna che il dio gli comanda di portare un masso sino all’uscita del tempio. Sogni come questi sono perfettam ente verosimili, nella mente di un ammalato; essi rappresentano una forma di esorcismo contro la m alattia, tanto che alcune di queste guarigioni possono realmente essere derivate da una «Selbstheilungtendenz der Psyche», una tendenza autoterapeutica della psiche 24. I casi clinici di Epidauro manifestano una concezione psicosomatica della m alattia; i sacer­ doti di Asclepio ne erano consapevoli, e operavano soprattutto su meccanismi psicologici. In alcuni casi, la forte emozione provata e la tensione autosuggestiva possono avere risolto in soggetti neu­ rolabili i loro blocchi psicosomatici: nelle Cronache, si registrano casi di gravidanze isteriche, emicranie, arresti della parola, difficoltà di deambulazione che possono avere avuto u n ’origine propriam ente psicologica; inoltre, post hoc, sed non propter hoc-, una guarigione avvenuta dopo il rito incubatorio poteva com unque essere attri­ buita al dio, come nel caso di Agameda di Ceo, sterile, che andò a sognare nel tem pio; su di lei, la grazia del dio si riversò poi con particolare abbondanza, tanto che le nacquero cinque figli (guarigione X X X IX ). I sacerdoti di Asclepio non avevano forse una conoscenza scientifica dell’organismo, ma certo erano ottim i psicologi: tutto, nel rituale dell’incubazione, trasporta il malato verso uno stato di tensione emotiva, e lo predispone alla visione, e, in qualche modo, al miracolo. Peraltro, l’apparizione del dio nella notte (o anche in uno stato interm edio tra sonno e veglia, in una sorta di allucinazione) era considerato un segno particolare del favore e della grazia divina, qualcosa di simile a quei «grandi sogni» che secondo Jung lasciano u n ’im pronta profonda nella psiche di un individuo, e contribuiscono ad indirizzarlo verso una nuova forma di esistenza.

Note 1 S. Freud, L ’interpretazione dei sogni, Boringhieri, Torino 1973, pp. 52-58; 98-100. 2 Galeno, De dignotione ex insomnìis, ed. G. Guidorizzi, in «Bollettino

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per l’edizione nazionale dei classici greci e latini», N.S. 21 (1973), pp. 103 sgg. ( = VI, 832 sgg. K.). 5 Aristot., De div. per somn. 463a; Cic., De div. 2, 142; Herophil., in H. Diels, Doxographi graeci 416 = 640; Plut., De tuenda sanit. 14, 129b. Nel Corpus Hippocraticum, cfr. Epidemlai 1,10 (II, 670 L.); Perì chymòn 4 (V, 480 L.); Perì hebdomàdon 45 (IX, 460 L.). 4 Cfr. Galeno, De dignotione cit., pp. 89 sgg. Per la permanenza nella tradizione medica e filosofica medioevale di quest’idea, cfr. M. Fattori, Sogni e temperamenti, in I sogni nel Medioevo (a cura di T. Gregory), Roma 1985, pp. 87-109. Tappe importanti nella trasmissione della teoria del sogno diagno­ stico furono il Liber thesaurì occulti di Pascale Romano, composto a Costan­ tinopoli nell’anno 1165, ed. S. Collin-Roset, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age», 30 (1963), pp. 112-98; la medicina araba di Rhazes, All Abbas, Avicenna e dei loro divulgatori latini; il trattato dello pseudo Agostino De spirita et anima. Dal dibattito sui rapporti tra temperamenti e tipologie psicologiche, che si riverberano nei sogni, prese lo spunto quel grande mito rinascimentale della melancholia, l’umore che determina manife­ stazioni intellettuali straordinarie in chi ne è affetto, per cui cfr. R. Klibansky-E. Panofsky-F. Saxl, Saturn and Melancholy, London 1964 (trad. it. Saturno e la melancolia, Torino 1983). 5 Cfr. P. Diepgen, Geschichte der Medizin, I, 1923, pp. 13 sg. 6 Anche in epoca antica l’opera era variamente attribuita, come informa Galeno (VI, 473 K.; XV, 455 K.; XVIII, 1 9 K.). Si è pensato anche di colle­ garla ai due più illustri dietetici dell’antichità, Erodico di Selimbria (W.H.S. Jones, The medicai writings o f Anonymus Londiniensis, Cambridge 1947, p. 49, n. 35) o Diocle di Caristo (W. Jaeger, Diokles von Karystos, Berlin-Leipzig 1938); la datazione più probabile dell’opera è la fine del V secolo a.C. o i primi decenni del IV (C. Friedrich, Hippokratische Untersuchungen, Berlin 1899, pp. 219 sgg.; R. Joly, Recherches sur le traiti pseudo-hyppocratique du Re'gime, Paris-Liège 1961, pp. 208 e 217). Il testo è pubblicato da R. Joly, Hyppocrate. Du Regime, Paris 1967. 7 Cfr. G. Devereux, Il sogno patogenetico nelle società non occidentali, in Il sogno e la civiltà umana, Laterza, Bari 1966, pp. 141-59. 8 Per la prima posizione, cfr. ad esempio, T. Gompertz, Pensatori greci, trad. it., Firenze 1967, II, pp. 23-27; per la seconda, R. Joly, op. cit. (passim) e G. Cambiano, line interprétation «matérialiste» des rèves: Du régime, IV, in «Hippocratica. Actes du Colloque hippocratique de Paris», Paris 1980, pp. 87-96. ’ Ad esempio Theophr., Charact. 16; Artem., Proem.\ cfr. anche p. xix in questo volume. 10 Per le tecniche d’esorcismo dei sogni, cfr. in questo libro p. xx. 11 Gal. XVI, 219 K.; sogni profetici: Gal., De dignot. ex ins., ed. Guid., p. 103 ( = VI, 833 K., dove il testo dell’edizione di Kuhn va corretto). 12 Flerophil., loc. cit. (per la sua classificazione dei sogni, cfr. in questo volume a pp. 141 e sg.); Galeno, loc. cit., oltre ai sogni diagnostici, constata l’esistenza di quelli profetici, mentre alcuni derivano dalle occupazioni giorna­ liere (tòn kath’hemèran prattomènon e phrontizomènon). 13 Quest’opinione risale a A. Palm, Studien zur Hippokratischen Schrift Perì Diaìtes, Tubingen 1933, pp. 66-9, ed è accettata da E.R. Dodds, I Greci e l’irrazionale, trad. it., Firenze 1959, p. 153; R. Joly, op. cit. Contesta l’influsso orfico G. Cambiano, art. cit., pp. 93 sg. L’espressione «governa la propria casa» (dioikèei tòn eoutoù òìkon) ha l’aria di derivare da un’idea orfica che vede nel corpo la provvisoria dimora dell’anima (cfr. anche M. Detienne, La notion de dàimon dans le pythagorisme ancien,. Paris 1963, pp. 71 sg., che collega quest’immagine con Plat., Phaed. 67ce, 81 bc) ; questa formulazione

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però (osservava già Wilamowitz) potrebbe essere solo un’espressione idiomatica equivalente a «si occupa delle cose sue» come in Eur., Andr. 581; Aristoph., Ran. 105. 14 «Durante il sonno, a quanto pare, l’anima, penetrando nelle profondità (bàthos) del corpo, completamente separata dalle sensazioni che vengono dal­ l’esterno, prende coscienza delle condizioni dell’organismo...» (Gal., loc. cit.). 15 Perì hebdomàdon 45: «quando l’anima cade addormentata, immagina di sognare ciò che prova in seguito alle sensazioni che provengono dal calore prodotto dal cibo»; per Aristotele, cfr. alle pp. 123 e 126. 16 Cfr. G. Cambiano, art. cit., p. 94. 17 Gal., De dignot. ex ins., p. 103 Guid. ( = VI, 833 K.). 18 Cfr. G.E.R. Lloyd, Polarity and analogy, Cambridge 1968. 19 Hippocr., De morbis 1,5. Sul particolare tipo di razionalità proprio della divinazione, è particolarmente stimolante J.P. Vernant, Parole et signes muets, in Divination et rationalité, Paris 1978 (trad. it. Divinazione e razionalità, Einaudi, Torino 1982). Per il carattere induttivo e polimorfo dell’intelligenza medica, cfr. M. Detienne-J.P. Vernant, Les ruses de l’intelligence, Paris 1974 (trad. it. Le astuzie dell’intelligenza, Laterza, Roma-Bari 1978, pp. 239 sgg.). Medici e indovini accomunati per il medesimo tipo di operazioni mentali: Cic., De div. 1, 24 (ulteriori testimonianze nella nota ad locum di A.S. Pease, nella sua edizione del De divinatione, Urbana 1920-23, reprint Darmstadt 1963). 20 Per i rapporti tra medicina scientifica e medicina magica, cfr. da ultimo G.E.R. Lloyd, Magica, Reason, Experience, Cambridge 1979 (trad. it. Magia, ragione, esperienza, Boringhieri, Torino 1982, pp. 36-39). Cfr. anche G. Lanata, Medicina magica e religione popolare in Grecia, Roma 1967. 21 M.P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion, Miinchen 19673, I, pp. 538-40. 22 Per il culto di Asclepio in generale, cfr. il classico libro di E.J. e L. Edelstein, Asclepius, Baltimore 1945 (reprint New York, ed. Arno Press), che contiene un’ampia raccolta di testimonianze relative al suo culto; utili anche K. Kerenyi, Asclepius: Archetypal Image o f thè Physician’s Existence, New York 1959; Thràemer, RE, s.v. Asklepios. Il culto del dio sembra derivare dalla Tessaglia, da dove si estese sovrapponendosi a culti locali (cfr. G. Solimano, Asclepio. Le aree del mito, Genova 1976). Ad Epidauro Asclepio si sovrappose all’eroe locale Maleatas e ad Apollo, che vi avevano un tempio già nel VI secolo a.C.: cfr. A. Burford, The Greek tempie builders at Epidauros, Liverpool 1969. Le Cronache di Epidauro (ufficialmente, le Guarigioni di Apollo e Asclepio) sono pubblicate, con un ampio commento, da R. Herzog, Die Wunderheilungen von Epidauros, Leipzig 1931. 23 Cfr. in questo libro il saggio di Edelstein, alle pp. 67 sgg. 24 Questa è la spiegazione avanzata da C.A. Meyer, Antike Inkubation und moderne Psychoterapie, Zurich 1949.

Eugénie Vegleris P L A T O N E E IL S O G N O D ELLA N O T T E *

La riflessione platonica sul sogno è caratterizzata dalla diversità delle vie intraprese e anche dai valori diversi, perfino contraddit­ tori, che essa conferisce al sogno. D i fatto Platone tenta parecchi approcci senza cercare di ricondurli all’unità di una definizione rigorosa. Perciò occorre riconoscere senz’altro la realtà di una certa incoerenza del pensiero platonico a questo riguardo, se si vuole esaminare a fondo, senza tradirli troppo, gli aspetti e le funzioni che il sogno ricopre all’interno della sua filosofia. I term ini stessi ònar e oneiròttein testim oniano, nelle loro mol­ teplici accezioni, questa irriducibile am biguità. In fatti ònar indica innanzitutto il sogno che affiora durante il sonno, e come tale è sinonimo di enypnion 1. M a ònar è utilizzato spesso per designare il contrario della veglia (hypar); e ciò allarga di colpo il suo campo semantico perché, nella misura in cui hypar richiama simul­ taneam ente la condizione di chi non dorm e e la lucidità di uno spirito in stato di veglia, ònar esprime la produzione di immagini oniriche e insieme la situazione di un pensiero confuso, incapace di cogliere con precisione il reale ’. D unque, poiché il pensiero può essere lontano dal reale in diversi modi, ònar, in quanto attività mentale, com porta parecchi significati. Così questo term ine può denotare l’opinione falsa 3, o più sem plicem ente il racconto che deform a la realtà 4. Ònar e oneiròttein sono impiegati d ’altro canto per indicare l’approccio, ancora confuso e parziale, ad una realtà. Perciò le parole «sogno» e «sognare» possono esprimere l’ipotesi da verificarsi, l’intuizione insufficiente e lontana dell’E s­ sere, l’impressione vaga che corrisponde a una conoscenza virtuale, * Da Eugénie Vegleris, Platon et le rève de la nuit, in «Ktema» 7 (1982), pp. 63-65. Traduzione di Giuseppe Lozza.

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l’idea imprecisa che richiede una illustrazione metaforica, il pro­ getto che deve essere precisato nelle sue condizioni di realizzazione, infine lo stato di chi crea u n ’opera d ’arte in opposizione all’arti­ giano che fabbrica un oggetto utile 5. Perciò il sogno copre attività mentali diverse, che coincidono soltanto nella distanza dall’esercizio limpido e pieno di u n ’intelligenza a contatto diretto con il móndo intelligibile: contatto da cui dipende, agli occhi di Platone, il rapporto autentico dell’uomo con le realtà del m ondo sensibile. La limitazione dell’indagine al sogno della notte non può cor­ rispondere a una semplificazione dei problem i. Infatti le prospet­ tive adottate da Platone per affrontare il sogno notturno sono tanto diverse da rendere una volta ancora impossibile un discorso univoco su ònar in quanto enypnion. Effettivam ente, talvolta il sogno notturno è situato in rapporto alla conoscenza vera, e trova un posto nel cammino um ano verso il sapere: tale è il punto di vista di certi passi della Repubblica e del Teeteto, che sottolineano l’opposizione fra ònar e hypar. Talora il sogno è considerato nel suo legame con l’anima e valutato come un fenom eno psicologico: questa è la prospettiva della famosa descrizione dei sogni del tiranno nel libro IX della Repubblica. Talora, infine, il sogno è visto come un mezzo di comunicazione fra l’uom o e la divinità, come u n ’apertura sul futuro: i sogni attribuiti a Socrate neVòApo­ logia, nel Critone, nel Fedone sono portatori di messaggi divini, e il Timeo si sforzerà di spiegare con la fisiologia la distinzione fra sogni veridici e sogni menzogneri, facendo propria l’idea del carattere profetico di certi sogni. I contesti variano dunque nella misura in cui Platone sem bra esitare fra l’attraente eredità della poesia e le esigenze del suo stesso razionalismo, che tende a screditare tu tto ciò che rim ane estraneo al lògos. Per presentare la riflessione platonica sul sogno notturno nel modo m eno confuso che sia possibile, occorre porsi successivamen­ te nei diversi punti di vista che il filosofo stesso adotta per parlarne. Tuttavia, malgrado gli scarti effettivi, uno sforzo per cercare alcuni nessi e alcune costanti sembra corrispondere all’e­ sigenza di unità che anima ogni analisi platonica e che il Fedro innalza a regola fondam entale del pensiero: O gni discorso deve essere costituito com e u n essere anim ale: avere cioè un corpo che sia suo, così da n o n restare senza testa né senza piedi, m a da possedere u n centro e due estrem ità, scritti in m aniera tale da adattarsi fra loro e con il tu tto 6.

Vegleris, Platone e il sogno della notte

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Approccio descrittivo al sogno: definizione Per studiare il sogno, Platone non adotta mai l’atteggiamento scientifico di un A ristotele. Q uando, p er la prim a e unica volta, definisce il fatto di sognare nel libro V della Repubblica, egli rimane indifferente alle sue condizioni obiettive, interessandosi soltanto al m odo in cui il sognatore percepisce il suo sogno. Ciò che Platone ritiene costitutivo dell’essenza del sogno è soprat­ tutto l’unità di u n ’esperienza. In qualche m isura Platone tenta un approccio fenomenologico al sogno. Allorché si tratta di distinguere la conoscenza dall’opinione, Platone avanza una breve definizione del sognare, definizione che com prende tanto il sogno notturno quanto le fantasticherie diurne: Sognare non significa forse, sia d u ran te il sonno sia allo stato di veglia, prendere un oggetto che assom iglia a un altro non p er una pura rassom iglianza bensì per l’oggetto m edesim o a cui esso assom iglia 7.

L ’essenza del sogno sta nella confusione fra la realtà sensibile e la sua apparenza a causa della somiglianza di questa con quella. Provocato dall’aspetto ingannatore di certe apparenze, il sogno risiede dunque nell’inganno dell’uom o a loro riguardo. Sognare equivale, insomma, a giudicare reale ciò che non lo è, a credere che esista ciò che non esiste affatto. Per questo il sogno non è separabile dall’opinione (dòxa 8) e non è né essenzialmente né esclusivamente in dipendenza dal sonno, sebbene si presenti per lo più quando dorm iam o. Effettivam ente chi da sveglio confonde la bellezza in sé con la cosa bella, vive come in un so g n o 9. Il legame fra il sogno e l’opinione testim onia dello statuto del sogno. D a un lato esso è un fenomeno soggettivo, che dipende dal giudizio personale dell’individuo che sogna 10. D all’altro, nella misura in cui è apparenza, il sogno si trova aperto alla doppia possibilità dell’errore e della verità. In questo specifico testo Platone con­ sidera il sogno come u n ’opinione falsa, come un giudizio che si lascia ingannare dalle apparenze e perciò si oppone alla conoscenza. Tuttavia Platone non utilizza nessuna parola che indichi l’inganno o la menzogna. Senza dubbio questa mancanza a livello lessicale non è casuale,.bensì fa supporre la possibilità che il sogno sia animato da u n ’opinione retta e con ciò comunichi una verità n . La definizione della Repubblica è illum inante, ma troppo ge­ nerica per dare conto della natura specifica del sogno notturno. Certe indicazioni del Teeteto forniscono su questo punto un com­ plem ento indispensabile. Ancora una volta le osservazioni sul so­ gno si inscrivono nel quadro di una riflessione sulla naturatateli»'

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scienza; ma con la differenza che qui Platone segue il cammino inverso rispetto a quello della Repubblica. Partendo dalla tesi che «chi sogna nutre u n ’opinione falsa» 12, Platone si sforza di distinguere il sogno notturno dallo stato di veglia, facendo inter­ venire il criterio della sensazione dello stato di veglia (àisthesis). Il Teeteto afferma chiaram ente che le sensazioni costitutive del sogno sono false (pseudèis aisthèseis) I3, in contrasto con le sen­ sazioni della veglia, che sono vere. D i conseguenza le apparenze delle immagini oniriche (phainòmena) hanno uno statuto diverso da quelle percepite dai sensi nella veglia: m entre queste, in quanto copie delle form e intelligibili, danno luogo a sensazioni vere, quelle suscitano sensazioni che non corrispondono a nulla 14. Così al sogno notturno manca perfino la realtà della sensazione. Il sogno della notte è dunque illusione integrale, ignoranza della realtà esteriore sensibile e ignoranza di ignorare. E l’illusione è tanto più forte in quanto il sognatore è convinto della realtà di questo irreale, guidato nel sonno da una fiducia pari a quella che accorda da sveglio alle cose veram ente sensibili e sentite 15. E Platone osserva, da precursore di M ontaigne e di Descartes, che tale è la vicinanza della nostra fede nella realtà del sogno al nostro sentim ento di essere nel m ondo concreto, che si giunge a non sapere più su quale indizio fondare la distinzione fra le immagini dei sogni e le sensazioni della veglia («si cerca invano quale indizio occorra fornire come prova») 16. Le inform azioni del Teeteto vengono a loro volta illuminate da alcune considerazioni sulla creazione artistica. Nella Repubblica, l’artista è presentato come un creatore di apparenze, che perciò si tiene lontano di tre gradi dalle Idee: la sua opera è l’imitazione di cose sensibili che sono, per la loro stessa natura, imitazioni dei modelli intelligibili. Continuando questo studio critico, il So­ fista considera la produzione artistica come una specie di sogno (hòion ònar) messo davanti a occhi svegli dalla mano di un uo­ mo 17: accostato così ai frutti dell’arte, il sogno si trova collocato nel punto più lontano possibile dal m ondo intelligibile. Esso viene infatti dopo le cose sensibili, dopo le produzioni artigianali che im itano gli oggetti sensibili a scopo di utilità, e anche dopo le realizzazioni artistiche che suscitano soltanto illusioni per mezzo di forme e colori sensibili. Tale distanza massima del sogno rispetto alla realtà vera è inseparabile dalla situazione particolarissima in cui si trova la coscienza che sogna. Tagliata fuori dal mondo esterno, sprovvista di un sistema di riferim ento oggettivo, abban­ donata a se stessa 18, la coscienza che sogna è per così dire con­ dannata a restare estranea al sapere fondato sulla ragione, che sola è in grado di com prendere le realtà intelligibili. Si potrebbe

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senza dubbio parlare di una fatalità dell’opinione erronea nella maggior parte dei sogni notturni, e con questo espediente intro­ durre la distinzione fra il sogno e la veglia. M entre nella vita cosciente ogni opinione falsa può diventare vera 19, o meglio può essere superata e negata dall’acquisizione della conoscenza, nella vita onirica l’opinione falsa resta irrim ediabilm ente tale. L ’approccio descrittivo al sogno lo rivela separato dalla scienza, che è attività della ragione e com prensione dell’intelligibile. Perciò si capisce perché le riflessioni platoniche sul m odo in cui chi sogna accoglie le immagini e sulla natura di esse intervengano quando si tratta di tracciare le vie del sapere e i pericoli della falsa opinione. In fatti il sogno, com posto di credenza soggettiva e di apparenze, può essere la radicalizzazione dell’illusione e serve a sottolinearne i rischi enfatizzandoli.

Approccio psicologico del sogno: analisi Sede di sensazioni false,' il sogno non è per questo sfornito di consistenza affettiva. Il Filebo lo ribadisce con decisione: Nessuno... né in sogno, né da sveglio, né in stato di follia (manìa), né durante nessun’altra aberrazione mentale (paraphrosyne), in nessuna circostanza crede di soffrire pur non soffrendo affatto (Phil. 36e). Questa dichiarazione spiega la singolare efficacia del sogno sull’animo. Infatti, se il sogno è così verosimile e credibile da poter essere preso per il suo contrario, la veglia, questo accade perché esso è veram ente anim ato dalle tendenze più forti, da quelle che testim oniano il nostro essere radicati nella vita. Se l’opinione che riguarda le immagini oniriche s’inganna, se le sen­ sazioni inerenti al sogno sono illusorie, tuttavia il piacere e la gioia provati in sogno sono di per sé reali. E dunque la presenza effettiva delle emozioni di dolore e di pena che fa apparire vero anche l’irreale e determ ina l’adesione totale del sognatore alle apparenze oniriche 20. Così dice il Fedone (83c): In ogni anima umana necessariamente l’intensità del piacere o del dolore si accompagna all’idea che appunto l’oggetto di tale sentimento sia assolutamente evidente (enarghèstaton) e vero. Capace d ’ingannare sotto ogni riguardo fuorché per il piacere e il dolore, il sogno è tanto più pericoloso in quanto appende le sue immagini al «chiodo» (hèlos) del piacere e della sofferenza

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che, sem pre secondo il Fedone, avvinghia l’anima al corpo e la allontana dal desiderio di conoscenza 21. Q uesta nuova determ inazione del sogno come luogo di piacere e di dolore indica senza ambiguità il principio psichico da cui esso deriva: il fondam ento psicologico dell’attività onirica è ap­ punto l’anima concupiscente e asservita sia al godim ento che alla sofferenza22. La condizione del principio concupiscente, che è indifferente al sapere, spiega la situazione del sogno, che è pure altrettanto estraneo alla conoscenza razionale. Ma a sua volta il sogno esprime l’anima concupiscente rappresentando le sue ten­ denze. Così il sogno notturno, che ha soltanto un posto secondario all’interno di una riflessione consacrata alla ricerca del vero me­ diante il lògos, acquista singolare im portanza nel quadro di un’in­ dagine sulla profondità dell’anima umana: perché il sogno è lo specchio del desiderio. L ’esame più ampio accordato da Platone al sogno notturno interviene nel libro IX della Repubblica, al m om ento di descrivere la natura dell’uom o tirannico. Q ui il sogno vale a manifestare un carattere (èthos), a rivelare l’amore tirannico 23 che rende un individuo tiranno degli altri e schiavo di se stesso. Per studiare il sogno Platone adotta ora l’atteggiam ento di un osservatore obiettivo che cerchi di sondarne il contenuto. L ’approccio descrittivo cede così il posto a una vera e propria psicologia del profondo, che indaga le cause generatrici del sogno e nello stesso tempo le forze dinam iche che lo organizzano. In questa nuova prospettiva le immagini non sono più considerate in rapporto alle cose esteriori a cui assomigliano, bensì in relazione al substrato irrazionale del­ l’anima. Perciò l’analisi psicologica del sogno notturno presenta quest’ultim o non in term ini d ’immagini ma in term ini di tendenze. La condizione psicologica del sogno è il cedim ento del prin­ cipio razionale dell’anima (loghistikòn), cedim ento prodotto grazie al sonno. Il sogno è dunque innanzitutto il sonno della ragione 24, e perciò strappa l ’anima sia alla facoltà di conoscere sia alla capacità di controllarsi. Tale situazione coincide con il risveglio delle in­ clinazioni concupiscenti che, libere da ogni ostacolo, si m anifestano senza ritegno né ragionevolezza23. La sede psicologica del sogno è dunque Yepithymetikòn come centro dei desideri e dei piaceri inferiori, delle tendenze legate alla sessualità, alla nutrizione, al­ l’aggressività. Q uesti desideri presentano certe caratteristiche che determ inano il tem a del sogno o, per usare un term ine contem ­ poraneo, il suo «contenuto manifesto». Si tratta, infatti, di desideri che non sono necessari (mè anankàiai) ed estranei o contrari ad ogni regola (parànomoi) 26. D el resto, questi desideri si possono ritrovare in ogni uomo, possono nascere nell’intem perante come

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nel sag g io 27. Prodotto da tali inclinazioni, il sogno notturno è una costruzione fittizia di incesti, di stupri, di assassini, di sacrilegi, insomma di follie é indecenze d ’ogni sorta: gli atti com piuti in sogno 2S, grazie alla messa in scena delle immagini oniriche, tra­ sgrediscono le più potenti interdizioni. F rutto di desideri contrari alla ragione e anche al cuore illum inato dalla ragione, il sogno ha la funzione di soddisfare (apopimplànai) le inclinazioni che l’hanno determ inato. Se dunque le immagini sem brano situazioni reali, se si presentano alla coscienza di chi sogna con le caratte­ ristiche della chiarezza e della verità 29, è per soddisfare meglio le tendenze che esse interpretano. Sebbene abbiano falsi sembianti, le apparenze oniriche rinviano tuttavia a desideri reali e suscitano piaceri altrettanto reali al fine di soddisfarli. E la natura di tali desideri, insieme ai godim enti che essi portano con sé, testim onia la presenza in ogni anima um ana di un fondo bestiale e selvaggio (theriòdes kài àgrion) 30. Il sogno attesta l ’esistenza di una strana uguaglianza fra gli uomini: dal punto di vista dell’anima concu­ piscente un uom o vale l’altro, e senza volerlo il saggio desidera ciò che agogna l ’insensato. In fin dei conti, il significato del sogno notturno è quello di rendere manifesta la stoltezza dei desideri sfuggiti al controllo della ragione. L ’analisi del sogno, destinata a penetrarne il carattere tirannico, va dunque oltre il suo scopo iniziale e diventa, quasi suo malgrado, una vera e propria «psicoanalisi». E Freud non m ancherà di citare Platone 31. Proprio ciò che il teorico della conoscenza considerava una tram a di menzogne e di illusioni che separano l’uomo dal sapere razionale diventa, agli occhi del filosofo della psiche, il luogo in cui si rivela senza infingim enti la verità dell’uomo sen­ sibile. Così, ciò che sembrava essere un ostacolo alla conoscenza dell’intelligibile risulta offrire un form idabile itinerario, una «via regia» — per riprendere l’espressione di Freud — alla scoperta delle profondità um ane. Platone, tuttavia, non perde affatto di vista la sua intenzione primaria. D opo aver constatato la comunanza di natura fra le inclinazioni irrazionali degli uomini, egli riconosce la differenza di grado che esiste fra queste stesse inclinazioni a seconda che si tratti dell’uom o tem perante o dell’uom o depravato. Meglio do­ m inati dalla ragione durante la sua esistenza in stato di veglia, i desideri del saggio sorgono dprante il sonno soltanto attenuati. Alla condizione generale e necessaria per la formazione del sogno costituita dal cedim ento della ragione, Platone aggiunge una cir­ costanza accidentale e particolare, ossia le disposizioni dell’anima al m om ento di addorm entarsi 32. Perciò u n ’educazione preventiva del principio concupiscente, che eviti sia la frustrazione sia la

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condiscendenza, può riuscire a ridurre le visioni m ostruose dei sogni. Ancor più esattam ente e fortem ente, l’educazione del de­ siderio perm ette il ribaltam ento della situazione precedente, sve­ gliando la parte razionale prim a addorm entata e addorm entando la parte irrazionale prim a in stato di v e g lia 33. Una simile inver­ sione dei rapporti fra le diverse parti dell’anima 34 non solo evita la perversione, ma offre inoltre a chi sogna la possibilità di uno sguardo chiaro e penetrante sul passato, sul presente e sull’avvenire, l’occasione di un contatto con la verità 35. Tale distinzione fra il sogno del saggio e il sogno dello stolto rende appunto possibile l’individuazione del carattere tirannico. Infatti esso s’appropria della totalità delle immagini oniriche per comunicare e soddisfare se stesso, realizzando in questo modo l’intera alienazione del sogno al desiderio. D ’altro canto, il tem ­ peram ento tirannico supera fatalm ente le soddisfazioni illusorie dei sogni per realizzare di giorno ciò che sognava la notte 36. Si potrebbe parlare di un vero e proprio fenom eno d ’invasione della notte nel giorno, e sottolineare la duplice conseguenza di questo passaggio all’attuazione. D a un lato il tiranno, rendendo effettiva la propria brutalità, testim onia di u n ’alienazione supplem entare, perché d ’ora in poi la sua esistenza cosciente sarà anch’essa as­ servita ai desideri che dom inano i suoi sogni. D all’altro lato, at­ tualizzando i suoi mostruosi fantasmi, il tiranno determ ina ormai la schiavitù di un intero gruppo, sottom ettendolo alla violenza anarchica di desideri estranei alla legge. Paradossalm ente i sogni dell’uomo che si pone alla massima distanza possibile dal vero cessano di essere menzogneri e comunicano invece una verità im portantissim a. Ma si tratta di una verità molto particolare, che non inform a sul reale intelligibile, bensì sulla realtà dell’anima um ana prigioniera di un corpo m ortale, di quest’anima che affonda le radici nel sensibile e che, fin dalla sua nascita nel m ondo, è piena di inclinazioni disordinate e priva di ragione 37. Le osservazioni del libro IX della Repubblica si concludono con u n ’autocritica: «Mi sono lasciato trascinare troppo oltre a trattare quest’argomento», osserva Platone. Ma ciò che egli aggiun­ ge subito dopo tradisce e riassum e nello stesso tem po il significato fondam entale della sua riflessione sul sogno: Ciò che noi vogliamo sapere è che in ognuno di noi c’è una specie di desideri terribili, selvaggi, sfrenati, che si ritrovano anche nel piccolo gruppo di coloro che paiono veramente equilibrati, ed è appunto questo che i sogni mettono in evidenza 38. O ltre alla funzione di illustrare l ’uom o tirannico, il sogno si

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conferma dunque nel suo valore di segno della realtà umana. Il sogno resta il migliore tram ite per cogliere le tendenze dell’anima inferiore, e nello stesso tem po l’unico mezzo a nostra disposizione per penetrare al di là delle apparenze del saggio stesso. In fin dei conti, il sogno notturno perm ette di com prendere che le dif­ ferenze m orali fra gli uom ini non cancellano affatto una natura disordinata e tem ibile, che è comune a tutti.

Approccio metafisico al sogno: rivelazioni Resta com unque vero che anche il libro IX della Repubblica riconosce al filosofo la possibilità di raggiungere il vero attraverso il sogno preparato dall’educazione del desiderio. Q uesta afferma­ zione, che contrasta con la denuncia del sogno come menzogna, si limita però a riprendere u n ’idea cara a certi dialoghi anteriori, e ancora presente in quell’opera tarda che è il Timeo. Sembra che tutto si svolga come se il razionalism o di Platone non giungesse a liberarsi della fede, fortem ente ancorata nella tradizione greca, nella provenienza divina di alcuni sogni. Tale esitazione fra la diffidenza e l’attrazione, fra il processo e la consacrazione, potrebbe essere annunciata dalla ripresa nel Carmide della distinzione omerica fra i sogni m enzogneri che giun­ gono dalla porta d ’avorio e i sogni veritieri che passano dalla porta di c o rn o 39. Si può presum ere che, se Platone conserva soprattutto l’aspetto ambiguo del sogno, se lo considera innanzi­ tutto come un ostacolo alla conoscenza razionale e come manife­ stazione della parte peggiore dell’uomo, egli non manchi tuttavia di sottolineare — nel solco di O m ero, di Pindaro e dei tragici — l’origine soprannaturale di certe visioni che vengono a visitare il sonno del saggio. Così Socrate considera il sogno come possibile sede della ri­ velazione della volontà divina. NeTCApologia egli spiega la sua missione fra gli ateniesi con l’obbedienza agli ordini che Dio gli ha dato con i vari mezzi di cui si serve per im porre qualcosa agli uomini, e di questi mezzi fa parte il sogno 40. Tale fede nell’origine divina in certi sogni è illustrata dal racconto di due tipi di sogni che Platone attribuisce a Socrate, m entre in prigione attende la m orte. Nel Critone Socrate sogna una donna alta e bella che lo chiama per nome e gji dice: «Tu giungerai dopodom ani nelle fertili pianure di Ftia» 41. Q uesto sogno, che sembra strano, assurdo (àtopon) a Critone, è invece perfettam ente chiaro (enarghès) per Socrate, che vi scorge la necessità di m orire a una data precisa. Semplice in apparenza, tale sogno rim anda a una

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realtà complessa ed esprime una verità a diversi livelli. Per la sua fonte, esso si ricollega alla divinità, di cui manifesta il sapere e insieme la volontà. P er il contenuto, questo sogno è doppiam ente significativo: se annuncia a chi sogna il m om ento esatto della morte esortandolo a rassegnarsi al fatale avvenimento, esso informa Socrate del destino che lo attende. Per la funzione simbolica delle sue immagini e delle sue parole, questo sogno rivela la verità sulla morte e mira con ciò a dissipare i tim ori che l’uomo nutre su di essa: venendo a consolidare la speranza di Socrate contro il suo scetticismo nei confronti della m orte 42, questo sogno si fa portatore di un messaggio escatologico, perché afferma la realtà dei campi elisi. Come i sogni presentati da Eschilo, quello di Socrate sem bra obbedire a una duplice determ inazione e rim an­ dare sim ultaneam ente al verdetto divino e alla condizione psico­ logica dell’individuo: perché la divinità dice a Socrate solo quello che egli sa già, e gli ordina soltanto ciò che egli ha già deciso in se stesso. Il sogno viene dunque a confermare il presentim ento del saggio, a incoraggiare il suo impegno, a illum inare l’oscura speranza in una vita oltre la m orte. Ma a differenza dei sogni descritti dalla poesia, quello di Socrate contiene una verità di ordine metafisico, che si esprim e in immagini, come Platone stesso farà ogni volta che dovrà tentare l’approccio a realtà che sfuggono all’analisi razionale. D ietro questo sogno così semplice di Socrate si profila già la singolare mitologia di Platone, fatta di racconti su una realtà tanto inafferrabile dalla pura ragione quale è l’anima, che testim oniano la possibilità di un approccio non razionale alla verità. Il curioso passo del Fedone in cui Socrate si m ette a comporre versi in seguito a una serie di sogni, perm ette di com prendere meglio il nesso fra il sogno del saggio e l’approccio alla verità grazie alla mediazione del mito. In effetti, è ancora una volta alla veglia della sua m orte che Socrate cerca di penetrare il senso di un sogno ricorrente che, attraverso visioni diverse 43, prescrive con le sue parole, invariabilm ente, un com portam ento preciso ma insolito: la necessità, per il filosofo che ha sistem aticamente evitato la poesia, di scrivere poesie. Anche qui il sogno è di provenienza soprannaturale e esprim e la volontà divina. Ma contrariam ente al sogno del Critone, che s’inquadrava con la massima naturalezza nella storia concreta del sognatore e corrispondeva alla sua attesa, il sogno del Fedone introduce un elem ento inatteso, che sorprende Socrate. Perciò il sogno del Fedone non è im m ediatam ente com­ prensibile e richiede uno sforzo d ’interpretazione. Tale sforzo si scontra con l’am biguità di cui Socrate circonda l’ordine divino: «Alla musica tu devi applicarti!» (mousikèn pòiei kài ergàzou).

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Infatti, convinto che la filosofia, quale opera bella dello spirito, sia «la musica suprem a» 44, Socrate dapprim a vede in questo sogno il simbolo dell’assenso e dell’incoraggiam ento divini per proseguire la meditazione filosofica. Ma il ripetersi del sogno, testim oniando una certa distanza fra il senso del comando e il contenuto del­ l’obbedienza, obbliga Socrate a tentare una seconda spiegazione prendendo la parola «musica» nell’accezione corrente di poesia in versi 45. Il testo del Fedone conserva l’oscillazione fra le due interpretazioni, senza dubbio perché a tale livello Platone non accorda im portanza. Per quanto riguarda il sogno di Socrate, è chiaro che esso appartiene alla categoria di segni di cui gli dèi si servono per ordinare qualcosa di utile a un uomo virtuoso. Non sarebbe però possibile sospettare che Platone volesse far accettare un messaggio d ’ordine metafisico attraverso ciò che appare soltanto come un aneddoto della storia di Socrate? Nelle conversazioni attribuite a Socrate che definiscono il poeta come creatore di «racconti» (m ythoi) e non di «ragionam enti» (lògoi) 46, non c e forse l’intenzione di indicare l’insufficienza di una filosofia che si limiti al discorso razionale? L ’ordine dato dagli dèi a Socrate di divenire «autore di racconti» (mytologhikòs) suo malgrado non può suggerire l’idea propria di Platone che la filosofia, se vuole com prendere qualcosa delle realtà che sfuggono alla ragione, deve rinunciare al lògos per ricorrere al m ythosì O ra, è interessante ricordare che il Fedone, che si apre sul curioso fatto di un Socrate poeta, si conclude con un mito sul destino dell’anima, delim itando cosi i confini di uno studio razionale della psychè che pur tuttavia è stato condotto. Se si paragona la breve indicazione del sogno nel Critone con i m iti escatologici di Platone, si è tentati di stabilire uno stretto legame fra le immagini oniriche del saggio e i racconti del filosofo, tanto più che il Fedone consacra, per così dire, il passaggio dal sogno del saggio alla composizione di miti, non soltanto presentando il m aestro come poeta, ma precisando egli stesso, alla fine del medesimo dialogo, il modo in cui il mito filosofico deve essere sviluppato. In qualche misura si potrebbe affermare che il sogno del saggio è il m ito del filosofo. M anifestazioni della possibilità per l’uom o saggio di entrare in relazione con il vero durante il sonno, i sogni del Critone e del Fedone m ostrano nettam ente la natura della verità in tal modo compresa. N on si tratta infatti di, una verità razionale, fondata esclusivamente sulle forme intelligibili e accessibile soltanto alla ragione. Si tratta di una verità di ordine esistenziale ed etico, relativa ora alla sorte concreta dell’uom o nel mondo, ora al destino dell’anima in un altrove che la ragione non sarebbe in grado di

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immaginare. Si intendono dunque meglio le affermazioni del libro IX della Repubblica 47, in cui Platone attribuisce al saggio il duplice potere di raggiungere in sogno una visione chiara del passato, del presente e dell’avvenire, e di com prendere la verità. Libero dalle ambigue esigenze dei desideri inferiori, il sogno notturno diverrebbe il luogo in cui si incrociano le aspirazioni legittime degli uom ini e i disegni degli dèi. T utto accadrebbe come se Platone accordasse alla divinità il privilegio di strappare talora le fantasie notturne alla menzogna alla violenza per convertirle in rappresentazioni simboliche di un evento che riguarda la condi­ zione dell’uomo o il destino della sua anima. Riconoscendo la natura eccezionale di alcuni sogni, Platone riprende dunque le credenze popolari e i detti dei poeti, ma vi aggiunge una preci­ sazione e una novità essenziali. D a un lato è afferm ata la veridicità di tutti i sogni portatori di messaggi so p ran n atu rali48: «perché in nessun caso la divinità sarebbe capace di ingannare gli uomini, né m ediante fantasmi, né con discorsi, né con segni da lei inviati nella veglia o nei sogni». D ’altra parte, la verità com unicata dai sogni eccezionali del saggio non concerne solo la storia concreta degli uomini, ma può anche rivelare alla sensibilità un mistero che sfugge alla ragione. Così il razionalismo platonico intrattiene con il sogno rapporti ambigui. P u r tracciando chiaram ente i limiti del sogno veridico, esso sperim enta, considerando questo tipo di sogno, i suoi stessi limiti. Perché se la verità può apparire in sogno, velandosi di quelle apparenze di apparenze che sono le immagini oniriche, la filosofia stessa deve impegnarsi in vie diverse da quelle del lògos, e come l’Am ore diventare perfino maga 49.

Approccio fisiologico al sogno: lo specchio Segno divino o m anifestazione del profondo dell’uomo, veridico o ingannatore, il sogno è incontestabilm ente una realtà ibrida. Infatti, pur derivando dalla parte concupiscente dell’anima, quella che è sorda agli insegnam enti dell’intelletto, il sogno m antiene con la ragione un rapporto sicuro nella m isura in cui è fatto d ’immagini, di parole e di opinioni. A ppunto di tale difficoltà pare voler rendere conto il Timeo, presentando le stratificazioni corporee dell’anima, di cui la Repubblica descrive la struttura tri­ partita. D istinguendo l’anima razionale da quella irascibile e concupi­ scente, il Timeo propone una topologia significativa. Platone col­ loca l’anim a pensante, principio im m ortale e divino, nella testa, l’anima passionale nel petto e l’anima concupiscente nel fegato 50.

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Posta appena al di sopra dell’ombelico, l’anima concupiscente si trova separata dalle altre due dalla parete del diafram m a 51. Q uesto isolamento della parte concupiscente e mortale, che è pure la sede del dolore e del piacere, determ ina la sua situazione parti­ colare in rapporto alla ragione. Effettivam ente incapace di com u­ nicare direttam ente con la parte razionale, l’anima del desiderio e delle sensazioni è priva d ’intelligenza, animata soltanto da sen­ tim enti penosi o sgradevoli, fondam entalm ente passiva 52 e per na­ tura guidata, di giorno come di notte, da immagini e fa n tasm i53. Si potrebbe quasi dire che l’anima concupiscente sogna continuamente, dando al fatto di sognare il senso più vasto di accettazione passiva di immagini confuse. Tuttavia il sogno notturno è una forma di attività, e non si potrebbe per questo spiegare con l’inerzia caratteristica dell’anima concupiscente. P er rendere conto della formazione del sogno, Pla­ tone è dunque indotto ad am m ettere l’esistenza di un certo rap­ porto fra l’anima irrazionale e l’anima razionale. Così il Timeo stabilisce che, malgrado la sua distanza dal capo, il fegato, che è sede dell’anima inferiore, riceve sulla propria superficie i raggi delle riflessioni dell’intelletto, e che da tale irraggiamento (ri-fles­ sione) nascono le immagini come altrettanti riflessi della ragione sul desiderio. Il fegato è come uno specchio che riflette le luci deH’intelligenza 54. A questa descrizione del processo di formazione delle imma­ gini, il Timeo ne aggiunge u n ’altra, destinata a spiegare le diverse forme assunte dai sogni e la loro situazione nei confronti del vero. Lo stato del fegato e il modo in cui i raggi vi sono proiettati determ inerebbero il grado di chiarezza delle immagini, nonché il loro carattere agitato o tranquillo. Perciò l’amarezza del fegato, insieme con l’azione violenta del pensiero su di esso, provocherebbe visioni da incubo e ingannatrici,- m entre la dolcezza rispettiva del fegato e dei riflessi farebbe nascere sogni sereni, portatori di messaggi divini o p re m o n ito ri55. Fenom eno psicosomatico, il sogno è ora attirato dalla pesan­ tezza del corpo e dal disordine della m ateria 56, ora influenzato dall’elem ento divino dell’anima e dalla luce della ragione. È sol­ tanto in questo secondo caso che il fegato diventa uno specchio limpido che cattura senza deform arli i raggi dell’intelligenza e, al di là della ragione stessa, i messaggi provenienti dagli dèi a cui essa è affine. E appunto come specchio lim pido il fegato diventa organo della divinazione, vero e proprio «oracolo» (mantèion) collocato nell’anima e funzionante come se si trattasse di follia o di sogni is p ira ti37. L ’analisi platonica della divinazione, che com prende il sogno notturno veridico come un caso particolare

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ma altrettanto im portante delle altre forme della mantica, fornisce informazioni interessanti sull’origine e sulla natura dei sogni ec­ cezionali. In prim o luogo il potere divinatorio è un dono, non del de­ m iurgo creatore del m ondo ma dei «demoni» (dàimones), divinità interm ediarie generate per creare la stirpe umana e per stabilire dei legami fra questa e il d iv in o 58: così risulta conferm ata la fonte demonica dei sogni v e rid ic i59. Tale facoltà di comunicare con la divinità e di prevedere è stata data agli uomini con il preciso scopo di correggere la parte malvagia della loro anima, rendendola capace di toccare in qualche misura la verità. D unque la divinazione è stata accordata agli uom ini in virtù di un favore speciale, ed è effettivam ente una parte divina (thèia mòira) che, contro ogni aspettativa, dà alla parte passima e cieca dell’anima la capacità di vedere. Ma la spiegazione di Platone non si ferma qui. Il potere proprio dell’anima concupiscente è anch’esso spiegato con la debolezza inelim inabile deH’intelligenza umana. E proprio perché la ragione è incapace di cogliere certe verità che i demoni hanno dotato l’anima concupiscente della possibilità di accedere ad esse 60. Per una singolare connivenza, le profondità irrazionali dell’anima sarebbero le uniche in grado di avvertire le realtà non razionali, di diventare la «sede» (chòra) in cui vengono a depo­ sitarsi i segni divini. Portatori di una verità che la ragione non può raggiungere da sola, come gli oracoli, i sogni veridici sono ambigui, veri enigmi (ainìgmata) che esigono l’interpretazione dei propri s e g n i61. D opo aver parlato della natura dei sogni demonici, Platone si dedica perciò all’arte di decifrarne il messaggio. Non riconoscendo all’uo­ mo ispirato, sognatore o indovino, il potere di com prendere le sue visioni, Platone riserva al saggio (sòphron), pieno del proprio buon senso (èmphron), l’esclusività della competenza in materia d ’interpretazione: perché soltanto l’uomo razionale è capace di pensare con chiarezza 62. E d ecco che Platone corregge la term i­ nologia corrente chiamando «profeti» (prophètai) gli interpreti dei sogni e degli oracoli, a differenza degli indovini (mànteis) che in stato di trance, in sogno oppure da svegli, ricevono strani se g n i63. L ’impossibilità radicale, per chi sogna, di erigersi a giudice del proprio sogno provoca la necessità degli interpreti (hypokritài) o profeti (prophètai), uomini che parlano in maniera sensata di cose apparentem ente insensate 64. Se una simile distinzione fra divinazione e profezia sembra rientrare da sé nel quadro di una filosofia razionalista che concede la facoltà di giudicare la verità solo alla parte superiore dell’anima, essa sem bra tuttavia in contraddizione con i sogni attribuiti a

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Socrate e con l’affermazione della Repubblica sui sogni del saggio. Non era forse Socrate a sognare e nello stesso tem po a interpretare il sogno? Il discorso di Platone nel Fedro, che valorizza il delirio {manìa) d ’origine divina (thèia) 65 per la bocca stessa di Socrate, può consentire di superare questa difficoltà. Ispirato e razionale, amoroso e ragionevole, tale è la condizione eccezionale del saggio platonico. Sognatore d ’eccezione, il filosofo è nel contem po il giudice privilegiato, perché in lui funzionano altrettanto bene l’in­ telletto chiaroveggente e il desiderio, lim pido specchio dell’intel­ letto. Le analisi del Timeo m ettono in rilievo la natura ambigua del sogno, la sua collocazione interm edia e mobile fra i m ovimenti disordinati della m ateria e l’energia disciplinata dell’intelletto. In ­ term ediario fra il desiderio e la ragione, fra il corpo e lo spirito, fra la passione e l’azione, il sogno si presenta come un composto di realtà contraddittorie, composto in cui ora prevalgono gravami non razionali e che talora si trova penetrato dai lumi dell’intel­ ligenza. Perciò, m entre il sogno del filosofo testim onia di u n ’anima che aspira al cielo, i sogni del tiranno provano la schiavitù di u n ’anima inchiodata al corpo per effetto delle passioni. «O ndeggiante e diversa»: tale appare la natura del sogno notturno agli occhi di Platone. Luogo d ’illusione e luogo di ri­ velazione. Scaturigine del desiderio e specchio dell’intelligenza. D i primo acchito, il sogno sembra costituire u n ’esperienza umana così singolare da sfuggire a ogni tentativo di analisi rigorosa e da non avere perciò se non un posto marginale in seno a una filosofia in cerca di certezze sull’uom o e suU’anima. Tuttavia, os­ servato più da vicino, il sogno non manca di rinviare a una realtà fondam entale, a quella realtà stessa che si trova al centro delle preoccupazioni di Platone e che, per le difficoltà che suscita, impedisce alla riflessione platonica di sclerotizzarsi in un sistema. Infatti, a causa della sua ambiguità, dei segni contraddittori da cui è connotato, della sua collocazione interm edia fra la carne mortale e lo spirito immortale, il sogno è l’espressione più fedele della finitezza um ana. Perché esso nasce soltanto al livello di u n ’anima incarnata che incontra fatalm ente l’opposizione dei de­ sideri e l’inerzia dell’ignoranza. Perché il sogno testim onia i limiti ineliminabili del pensiero umano, incapace di im porsi del tutto ai desideri negativi, incapace anche di cogliere direttam ente i se­ greti divini. Q uale ingannatore, il sogno riflette l’abisso della nostra ignoranza e della nostra violenza, non appena noi cediamo alle esigenze confuse del corpo. In quanto veridico, il sogno attesta che noi siamo affini agli dèi non appena rispondiam o energica­

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m ente ai richiami dell’anima im mortale. Al di là della varietà dei suoi significati, il sogno n otturno è il segno della nostra con­ dizione di esseri presi nelle om bre della caverna ma destinati a uscire in un m ondo di luce.

Note 1 Crit. 44a; Apoi. 33c; Phaed. 60e. 2 Resp. 520cd, 574de, 576b; Theaet. 158cd, 201d; Carm. 173a; Men. 85c. 3 Resp. 414d, 476cd. 4 Syrnp. 175e. 3 Ipotesi da verificare: Crat. 439c; Theaet. 201e; Phil. 20b. Intuizione: Resp. 533cd. Impressione vaga: Men. 85c; cfr. anche Y. Brès, La psychologie de Platon, Paris 1968, cap. VI, in cui il sogno è ricondotto al tema della reminiscenza. Idea imprecisa: Polit. 277d; Tim. 51 bc. Progetto: Leg. 969b. Opera d’arte: Soph. 266c. Occorre notare che i termini utilizzati per indicare il pensiero confuso sono ònar, mai òneiros che compare solo una volta in Leg. 910a per designare le immagini notturne, oneìroxis [Tim. 52b), oneiròttein e raramente oneiropolèin. 6 Phaed. 264c. 7 Resp. 476c. 8 Resp. 476d: il pensiero di chi sogna è qualificato come dòxa, e il sognatore presentato come doxàzon. 9 Resp. 476cd: «Al contrario, chi ammette l’esistenza della bellezza assoluta ed è in grado di comprendere tale bellezza e le cose che vi partecipano, senza confondere luna con le altre, ti sembra che la sua vita sia realtà o sogno?». 10 Occorre rilevare che il verbo dokèin, già associato al sogno da Erodoto e da Eschilo, sottolinea appunto il suo carattere soggettivo. 11 Platone ammette l’esistenza di sogni veridici: Crit. 44ab; Phaed. 60c-61c; Resp. 572a; Tim. 71e-72a. 12 Theaet. 158b: oneiròttontes [...] pseudè doxàzousi. 13 Theaet. 158a. 14 Theaet. 157e-158a. 13 Theaet. 158d: «essendo uguale il tempo in cui dormiamo e il tempo in cui siamo svegli, nell’uno e nell’altro la nostra anima si affanna a sostenere che le sue opinioni di allora sono quanto ci sia di più vero». Va notato l’uso dei termini dògmata e diischyrìzesthai per denotare la sicurezza dell’anima di fronte alle visioni dei sogni. Forse sarebbe opportuno insistere sulla situa­ zione particolare di chi sogna che, addormentato, si trova tagliato fuori dal mondo esterno e isolato in se stesso: cfr. Eraclito, fr. 26 D.-K.: «l’uomo nella notte accende la luce per se stesso». 16 Theaet. 158c. 17 Resp. 596a-608a; Soph. 266c. 18 La solitudine di chi sogna è sottolineata in Theaet. 158a: le sensazioni false costitutive del sogno (e della follia) sono immediatamente connesse a «ciò che appare a ciascuno» (tà phainòmena hekàsto). La solitudine è comunque tipica della natura soggettiva del sogno; a questo proposito si può citare E.R. Dodds, I Greci e l’irrazionale, trad. it., Firenze 1959 (cfr. pp. 5 sgg. di

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questo volume), che vede nell’affermazione del sogno quale fatto soggettivo la sua dequalificazione in quanto messaggio di verità. 19 Cfr. il paragone tra le dòxai e le statue di Dedalo in Men. 97d-98a: senza vincoli, esse sono mobili; come vere, rischiano di sfuggire all’anima, ma come false hanno la possibilità di evitare l’errore. 20 Senza dubbio occorre distinguere le aisthèseis che possono essere false, dai pàthe che sono reali anche se sbagliano oggetto. 21 Phaed. 85d: «Ogni piacere e ogni pena possiedono una specie di chiodo (hèlon) con cui inchiodano l’anima e la avvolgono su di essa, facendo in modo [...] che essa giudichi la verità delle cose secondo le affermazioni del corpo». 22 SìAVepithymetikòn, cfr. Resp. 439a-440a; Tim. 70d-71a, 77bc. 23 Resp. 573d: èros tyrannos. 24 Resp. 57le: «quando dorme l’altra parte dell’anima che è razionale, tranquilla e che serve da guida». 2 Resp. 57lb: «liberato e sciolto da ogni senso di pudore e assennatezza». Cfr. anche 57 le, dove il termine «deste» (egheiromènas) indica le tendenze concupiscenti in contrasto con il sonno che segnala lo stato della parte razionale. 26 Resp. 57 lb. 27 Resp. 57 lb: kindynèousi enghìgnesthai pantì. 28 Resp. 571a-d; cfr. i termini poìèin/epicheìrèin che indicano l’agire. 29 Resp. 576c; Theaet. 157c-158a. 30 Resp. 571c: «i desideri [...] che si risvegliano durante il sonno, quando la parte dell’anima che è razionale, tranquilla e in grado di comandare l’altra, è addormentata, e la parte bestiale e selvaggia, piena di cibo o di bevande, si agita e rifiutando il sonno cerca di andarsene e di soddisfare i propri desideri. Tu sai che in tale stato essa è pronta a tutto, come se fosse staccata e libera da ogni pudore e da ogni ragionevolezza. Cerca infatti di unirsi a sua madre o a chiunque altro uomo, o dio o animale; non c’è assassinio di cui non si macchi, né cibo da cui si astenga; insomma, non c e follia né svergognatezza che si risparmi». 31 S. Freud, L ’interpretazione dei sogni, trad. it. in Opere, Boringhieri, Torino 1980 3, voi. I li, p. 564: «Platone [...] ritiene che i migliori tra noi si limitino a fare nei sogni ciò che altri fanno assolutamente svegli». È tuttavia strano che Freud non abbia sfruttato le analisi di Platone e si riferisca più spesso ad Aristotele: forse perché Platone ammette la manifestazione immediata del profondo, eliminando censura e simbolismo? Forse anche perché Platone am­ mette la possibilità di dominare, grazie a una certa tecnica, il desiderio con la ragione? Resp. 571de. 33 Resp. 571d: «destata la parte razionale» (tò loghistikòn egheìras); 571e «quando dorma la parte concupiscente» (tó epithymetikòn [...] koimethè). 34 Occorre notare che tutta quest’analisi del sogno si basa sulla struttura tripartita dell’anima, esposta nel libro IV della Repubblica. È il risveglio di un certo principio psichico determinato a provocare la natura del sogno. 33 Resp. 571e-572a: «quando un uomo si lascia andare nel sonno dopo avere svegliato la sua ragione e averla nutrita di bei pensieri e di belle me­ ditazioni, dedicandosi alla riflessione interiore, quando ha calmato il desiderio senza sottometterlo al bisogno né all’eccesso per addormentarsi e non turbare con le sue gioie e i suoi dolori il principio migliore, ma gli permette di guardare da solo e libero da desideri e percepire qualcosa che gli sfugge del passato, del presente o dell’avvenire... quando ha stimolato la terza parte del­ l’anima dove ha sede la saggezza, e infine s’abbandona al riposo: è in queste condizioni ... che l’anima raggiunge nel modo migliore la verità e che visioni mostruose dei sogni appaiono meno».

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36 Resp. 574d-575a; 576b: «il perfetto scellerato è [...] colui che in stato di veglia è come l’uomo che abbiamo descritto in stato di sogno». 37 Resp. 44 lab; nelle Leggi a più riprese la «natura umana» (anthròpinos physis 713c) o «l’uomo secondo natura» (ànthropos physei 732e) sono rappre­ sentati come se fossero in partenza guidati dai desideri, dai dolori, dai piaceri disordinati (728cd; 732e; 782e) e in cui l’educazione è considerata come una disciplina dei sentimenti innati e caotici dell’infanzia (559d, 664e, 653bc). Platone sembra sempre più convinto della realtà di una violenza irriducibile inerente l’uomo. 38 Resp. 572b. 33 Carm. 173a: implicita allusione a Omero, Odissea XIX, 564-567. 40 Apoi. 33c: «quanto a me, io l’affermo: è un dovere che la divinità mi ha prescritto con oracoli, sogni, con ogni mezzo di cui un divino destino (thèia mòira) abbia mai usato per imporre una cosa a un uomo». 41 Crit. 44b: allusione a Omero, Iliade IX, 363. 42 Apoi. 29ab. 43 Phaed. 60e. 44 Phaed. 61a. 45 Phaed. 61a: demòdes mousikè. L’insieme del passo 60d-61c mostra con quanto zelo Socrate si metta ad obbedire al sogno, iscrivendosi così nell’atteg­ giamento tradizionale riguardo ai sogni. 46 Phaed. 61b. 47 Resp. 672d. 48 Platone si oppone perciò vigorosamente a Omero, che attribuiva agli dèi la possibilità d’ingannare i mortali inviando loro sogni menzogneri. 49 Symp. 203ce: l’Amore, come uno stregone, non è quel dio (dàimon) che, desideroso di sapere, inventando sempre nuovi espedienti, trova vie nuove, nuovi passaggi per arrivarci? 30 Tim. 69c. 51 Tim. 70a. 52 Tim. 77b. 33 Tim. 7 la. 54 Tim. 71ab; cfr. l’espressione hòion en katòptro («come in uno specchio»). Alla lettera: «la potenza dei pensieri giunti dall’intelletto si riversa su di esso, che riceve le impressioni come in uno specchio e produce le immagini». 55 Tim. 71bd. 36 Tim. 48e-51b. 37 Tim. 7 le; cfr. l’uso del termine èntheos. 38 Tim. 40de. 39 Questa origine del sogno veridico testimonia la sua partecipazione ai caratteri e ai poteri misteriosi che Platone attribuisce ai «demoni». 60 La differenza di contesto in rapporto a Resp. 572ab va segnalata: qui è Vepithymetikòn a diventare lucido, mentre là è il loghistikòn a conservare nel sonno la propria capacità naturale di comprendere il vero. 61 Tim. 72bc. 62 Tim. 71e-72a. 63 Tim. 72ac. 64 Tim. 72ac. Il prophètes precede dunque la phème, che è la parola ascoltata in sogno e nello stesso tempo l’opinione che ci si crea e che si diffonde, senza cognizione di causa, a questo riguardo. 63 Phaed. 244a; 244d: «gli antichi apprezzano tanto più la follia della saggezza, in quanto l’una è dalla divinità, mentre l’altra proviene dagli uomini».

G iuseppe Cam biano e Luciana R epici A R IST O T E L E E I S O G N I *

Che cosa sono i sogni? Come tu tti i fenom eni psichici, anche il sonno e i sogni ap­ partengono secondo Aristotele al campo della filosofia della natura. E come la maggior parte dei fenom eni psichici, anch’essi hanno un imprescindibile legame con i processi fisiologici. Per Aristotele il sogno è u n ’apparizione, un phàntasma '. L ’aver sogni è quindi proprio della facoltà percettiva, ma in quanto phantasìa 2. In ge­ nerale, infatti, un phàntasma è definito come u n ’affezione (pàthos) del senso comune, che è il punto di convergenza dei dati percepiti dai singoli organi di senso 3. Anche quando gli oggetti della per­ cezione sono scomparsi e non è possibile esercitare una sensazione in atto, perm angono tuttavia negli organi di senso residui della percezione stessa \ Ma Aristotele è consapevole che non tu tti i phantàsmata sono necessariam ente sogni. Tali sono, ad esempio, immagini in m ovim ento che possono apparire nell’oscurità 5. Per poter attribuire i caratteri di sogno ad un phàntasma, occorre che questo si presenti in una particolare condizione, ossia nel sonno 6. N on a caso Aristotele usa sistem aticam ente il term ine enypnion — letteralm ente «ciò che ha luogo nel sonno» — per indicare il sogno e non i term ini ònar o òneiros, che pure vantavano una lunga tradizione. Diventa allora essenziale, per com prendere la concezione ari­ stotelica del sogno, tener conto della sua teoria del sonno e delle differenze intercorrenti tra sonno e veglia. La veglia è caratterizzata in prima istanza dalla percezione e il sonno è definito essenzial­ m ente in term ini negativi rispetto alla veglia. Il sonno, infatti, è * Saggio originale scritto per questo volume. I paragrafi 1-3 sono redatti da Luciana Repici; i paragrafi 4 e 5 da Giuseppe Cambiano. Ma il saggio è frutto di un’impostazione e discussione comune.

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u n ’affezione della parte percettiva dell’anima, una sorta di legame e im pedim ento di essa, in particolare del senso comune, che viene a trovarsi in una condizione di immobilità, sicché nel sonno diventa impossibile esercitare in senso proprio e com pleto le attività per­ cettive. Ciò significa che gli organi di senso durante il sonno sono inoperanti, ma non come avviene in casi infrequenti e pa­ tologici quali il soffocamento o lo svenimento, bensì in relazione aH’insorgere costante di un fenom eno naturale quale è appunto il sonno 7. Secondo A ristotele occorre tuttavia operare una ulteriore re­ strizione, nel senso che non ogni phàntasma ricorrente nel sonno può essere definito im m ediatam ente un sogno. Nel sonno, infatti, è possibile avere percezione di rum ori, luci, sapori, contatti, anche se in maniera debole e come provenienti da lontano, oppure ri­ spondere a dom ande o form ulare pensieri, senza che ciò possa essere ricondotto alla dim ensione onirica 8. O ra, tutti questi feno­ meni avvengono durante il sonno, ma non a causa del sonno. Il sogno, invece, è un phàntasma proveniente dal m ovimento delle tracce lasciate dalla percezione, ma costitutivam ente legato alla dim ensione psico-fisiologica che caratterizza il sonno 9. In certo modo, secondo Aristotele, l’apparizione onirica è come il residuo di una percezione in atto. Ma, come sappiamo, questa nel sonno non può aver luogo. Come è possibile dunque che in esso ne perm angano gli effetti? Per spiegare la persistenza di effetti anche in assenza delle cause che li hanno prodotti, A ristotele fa ricorso ad una serie di analogie, quali il m oto dei proiettili o la trasm issione di calore da un corpo all’altro, che continuano anche quando la causa iniziale è lontana o inoperante. A nalogamente, gli effetti di una percezione continuano a sussistere come quando si passa dalla luce al buio o dalla percezione protratta di un colore a quella di un altro 10. La conclusione generale che A ristotele trae da queste analogie è che, quando gli oggetti della percezione si sono allontanati, per­ mangono tuttavia gli effetti che essi hanno prodotto sugli organi di senso e che in certo m odo continuano ad essere percepibili 11. E proprio questa persistenza che spiega come nel sonno possano affiorare piccoli movim enti im percettibili allo stato di veglia a causa del predom inare in essa delle attività sensoriali e intellettive in atto, le quali fanno scomparire questi piccoli movimenti come un fuoco piccolo scompare di fronte ad uno grande o piaceri e dolori m eno intensi scompaiono di fronte ad altri più intensi. D urante il sonno, infatti, l’inoperosità degli organi di senso con­ sente ai piccoli m ovimenti di portarsi verso il principio della percezione, diventando così evidenti (phanerài), quando è cessato

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lo scompiglio (tarachè) 12. Ma che cosa intende qui Aristotele con «scompiglio»? E qual è il principio della percezione di questi movimenti onirici?

Il sonno e i sogni Per rispondere a questi interrogativi è necessario far riferim en­ to alla dinamica della situazione nella quale avvengono i sogni, ossia al prodursi del sonno. Nel De somno Aristotele fornisce alcuni modelli esplicativi di questo processo non sempre del tu tto congruenti fra loro. In tutti, com unque, è operante il riferim ento agli effetti prodotti dall’ingestione del cibo. In un prim o modello, Aristotele sembra privilegiare come causa del sonno i movimenti in salita o in discesa del prodotto dell’evaporazione, in seguito alla cozione del cibo e alle conseguenti variazioni di tem peratura delle varie parti del corpo. In un altro modello, invece, invocato esplicitamente da Aristotele anche nel De insomniis quando si tratta di spiegare la formazione dei sogni, la causa del sonno è ravvisata nelle qualità assunte dal sangue in seguito alla trasform azione del cibo in sangue. In tale circostanza, infatti, il sangue diventa più torbido e indistinto, e solo quando la parte più pura di esso si separa e si porta verso l’alto, m entre quella più densa si porta verso le parti inferiori, ha luogo il risveglio, liberati dalla pesantezza pro­ dotta dal cibo 13. In un passo decisivo del De insomniis Aristotele collega il processo di formazione dei sogni al m ovimento del sangue. Il sonno è qui interpretato come il risultato di una discesa verso il cuore della maggior parte del sangue che trasporta con sé alcuni m ovimenti in potenza e altri in atto. In questo processo, uno di essi affiora alla superficie e, quando questo si dissolve, ne affiora un altro. Per chiarire questa relazione di avvicendamento, A risto­ tele ricorre all’analogia delle rane artificiali le quali, quando il sale contenuto in esse si scioglie, em ergono alla superficie dell’ac­ qua 14. Ciò presuppone che il passaggio dalla potenza all’atto di questi movimenti portati dal sangue implichi la rimozione di un ostacolo, sul quale tuttavia Aristotele non fornisce precise indica­ zioni. In ogni caso, essi possono allora muoversi liberam ente nel poco sangue rim asto negli organi di senso, dal m om ento che la maggior parte di esso rifluisce verso il cuore. Ciò potrebbe indurre a ravvisare l ’ostacolo nella grande quantità di sangue; ma ovvia­ mente questa è soltanto una congettura. Ma quale connessione presenta questa dinamica del sangue

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con la formazione dei sogni? A ristotele afferma che questi mo­ vim enti presentano una somiglianza con oggetti reali allo stesso modo in cui le forme assunte dalle nuvole, m utando rapidam ente, assomigliano a uom ini o centauri. Su questa base il sogno può appunto essere interpretato come il residuo (hypòleimma) di una percezione in atto, il quale continua a sussistere anche quando il dato sensoriale vero e proprio si è allontanato. L ’apparizione onirica non è altro che l’affiorare alla superficie di questi residui dell’attività percettiva in connessione alla dinamica del sangue durante il sonno. Instaurato così il legame tra sonno e sogni, A ristotele tuttavia imposta diversam ente la spiegazione dei due fenomeni: m entre per il sonno egli fa riferim ento alle consuete quattro cause e in particolare a quella finale, per il sogno le uniche cause mobilitate) sembrano essere quelle materiali ed efficienti. Aristotele, infatti, non si accontenta di dar ragione del sonno come di un processo fisiologico; ma si pone esplicitamente il problem a del fine per cui esso avviene e qualifica questo fine come «un bene» (agathòn ti) 15. Per determ inare questo fine, egli assume che il muoversi sempre e continuam ente non può aver luogo, in enti naturali quali gli animali, senza dolore e senza danno, e ciò rende per loro necessaria una pausa (anàpausis). La metafora dell’anàpausis è ritenuta da A ristotele pienam ente pertinente per descrivere il sonno I6. Ma su quale base è legittim a questa estensione m etafo­ rica? Negli esseri dotati di percezione e di pensiero, il fine è costituito dall’esercizio in atto della percezione e del pensiero 17. Ma per l’uomo è impossibile che ciò avvenga ininterrottam ente, perché, oltre un determ inato tem po, queste facoltà si ottundono 18. Ma la condizione nella quale percezione e pensiero operano in atto è la veglia; dunque è impossibile per l’uomo vegliare inin­ terrottam ente e da ciò scaturisce la necessità di una pausa che, in opposizione alla veglia, è definita appunto sonno. Ciò significa che, se la veglia è lo stato nel quale l’attività delle facoltà conoscitive può esercitarsi e questa attività è il fine, il sonno sarà in vista di questo fine e contribuirà alla sua piena realizzazione. Aristotele afferma infatti esplicitam ente che il sonno è presente negli esseri viventi in vista della loro conservazione ed esprim e quella che egli chiama necessità ipotetica, nel senso che se l ’esercizio nello stato di veglia delle capacità conoscitive è proprio della natura dell’essere vivente, allora, ad esso deve appartenere anche il dorm ire come condizione necessaria della possibilità del vegliare 19. Per il sogno, invece, Aristotele non indica un tèlos, un bene in vista del quale esso si verifica e rispetto al quale si configura

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come condizione necessaria. Se ne deve allora concludere che il sogno rappresenta un evento accidentale che smentisce, o addirit­ tura si oppone, al ben noto principio aristotelico secondo il quale la natura non fa nulla invano? P er poter trarre questa conclusione bisognerebbe sostenere che il verificarsi del sogno non presenta alcuna regolarità. M a Aristotele, come si vedrà meglio in seguito, sembra escludere che il sogno sia un fenom eno raro o che scarso sia il num ero dei sognatori. Si deve anzi presupporre che esso sia per lui qualcosa che si verifica per lo più. In un passo del De anima, un unicum nel corpus aristotelico, Aristotele dà una classificazione delle cose naturali (tà physei), la quale potrebbe rendere conto dello status che egli attribuisce al sogno. Dice infatti che esse sono tu tte o in vista di un fine (hènekà tou) oppure concom itanti (symptòmata) a cose che accadono in vista di un fine 20. Il sogno, per Aristotele, non ha dunque la dim ensione del fine né si form a in vista di un fine; tuttavia, è intrinsecam ente connesso a qualcosa che è in vista di un fine, ossia con il sonno. Il sonno è perciò la causa efficiente dei sogni, sicché, quando esso ha luogo, necessariamente, sem pre o per lo più, si produce anche il sogno. Il caso dei sogni non può quindi essere assimilato a quello dei mostri, i quali rappresentano delle eccezioni rispetto al corso regolare della natura. Piuttosto si può pensare che Ari­ stotele, definendo il sogno come residuo (hypòleimma), lo interpreti in analogia con i residui (perittòmata) inutili che si form ano a conclusione del processo digestivo e che vengono e sp u lsi21.

I soggetti dei sogni Per A ristotele il sogno è prerogativa non delle piante ma degli animali, in particolare dell’uomo, perché soltanto essi sono dotati della facoltà p e rc e ttiv a 22. In base all’osservazione diretta, Aristotele sembra sostenere che quasi tu tti gli animali dorm ano; solo degli ostracoderm i egli segnala che ciò non appare ancora c h ia ro 23. D ’altra parte, tra sonno e sogno esiste una correlazione stretta, nel senso che è il medesimo essere che dorm e e sogna ed è invece escluso che alcuni animali dorm ano e altri sognino 24. Tuttavia, in apertura al De somno, Aristotele si pone il pro­ blema se ai dorm ienti succeda di sognare ma di non averne sempre ricordo, oppure se essi ora sognino e ora n o 25. In questione è qui dunque soltanto l’ugual durata di sonno e sogno. Aristotele è consapevole che alcuni non hanno mai visto alcun sogno durante la loro vita, m entre altri ne hanno visti solo in tarda età. La

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ragione di ciò deve essere rintracciata nella particolare costituzione fisica di questi oggetti. In essi infatti, in conseguenza dell’ingestione di cibo, si produce una abbondante evaporazione che a sua volta causa una grande quantità di m ovim ento. Q uesto impedisce l’ap­ parizione dei sogni. Quando, con l’avanzare dell’età, avviene un m utam ento nella costituzione (non si deve dim enticare che la vecchiaia per A ristotele implica secchezza), è possibile che i sogni appaiano 26. Una spiegazione in term ini fisiologici è anche fornita dal fatto che alcune classi di individui, in particolari condizioni o momenti, dorm ono di più o sognano di più. Aristotele sembra sostenere che nel periodo in cui si dorm e più intensam ente, si sogna meno e viceversa, quando si dorm e m eno intensam ente, si sogna di più. Il m om ento in cui il sonno è più intenso è quello successivo al pranzo, allorché si produce u n ’abbondante evaporazione versb la regione superiore del c o rp o 27. Qui, anziché far riferim ento alla qualità del sangue, Aristotele impiega come m odello esplicativo il m ovim ento endocorporeo verso l’alto o verso il basso dell’um idità e del calore in seguito all’ingestione di cibo. A ciò fa talora riscontro una particolare costituzione anatomica, come nel caso dei bambini, dei nani e dei macrocefali, oppure di soggetti con vene strette che non lasciano fluire facilmente l’um idità. Nei bam ­ bini, infatti, tutto il nutrim ento si porta verso l’alto, dove avviene l’accrescimento, e questo spiega la sproporzione sussistente nel loro corpo tra regioni superiori e regioni inferiori. La condizione dei bam bini può dunque essere avvicinata per un verso a quella dei nani e dei macrocefali e per l’altro a quella degli ubriachi: in tutti questi soggetti, infatti, l’abbondanza dell’evaporazione verso l’alto è causa di sonno profondo 28. Ma proprio quando il sonno è più profondo, ossia dopo l’in­ gestione di cibo, i sogni non avvengono. E la stessa cosa avviene per i bam bini. La causa di ciò è ravvisata da A ristotele nella grande quantità di m oto prodotta dal calore proveniente dal cibo 29. N on si deve dim enticare che i phantàsmata onirici consistono per Aristotele in piccoli m ovim enti i quali, in condizioni di grande m ovimento, sono ostacolati e non possono affiorare. Perché i sogni possano affiorare, occorre dunque un lasso di tem po dopo l’inge­ stione dei cibi, in modo che il calore e il m ovim ento che ne derivano si attenuino. Ciò fa pensare che si sogni soprattutto lontano dai pasti e a sonno avanzato, e che sognino maggiormente quelli che dorm ono meno. P er spiegare il fatto che l’eccessivo movimento endo-corporeo impedisce l’avvento dei sogni, Aristotele ricorre all’analogia con la condizione di quiete e di moto dei liquidi: «Come in un liquido che sia intensam ente smosso talvolta

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non appare alcuna immagine, talvolta invece appare ma del tutto distorta, sì da apparire diversa da quello che è, m entre se l’acqua è in quiete le immagini appaiono pure nitide, così anche nel dorm ire talora le apparizioni e i movimenti residui derivanti dai dati sensibili sono com pletam ente dissolti a causa della maggiore intensità del suddetto movimento, talora invece le visioni appaiono disturbate e m ostruose e i sogni non persistenti» 30. Il fatto che Aristotele menzioni tra i soggetti che hanno sogni perturbati e labili i febbricitanti e gli u b ria c h i31, che nel De somno erano inclusi tra coloro che dorm ono di più accanto ai bam bini, sembra conferm are che l’attività onirica sia inversam ente proporzionale all’intensità del sonno. In ogni caso, essa è una variabile della quantità di movim ento operante durante il sonno. Una eccezione, tuttavia, riduce l’universalità di questa correlazione: il caso dei malinconici, ossia di quei soggetti caratterizzati da una prevalenza di bile nera. La bile nera infatti, essendo fredda, raffredda anche i luoghi preposti ad accogliere il cibo e concuo­ cerlo, sicché si produce scarsa evaporazione qualunque sia la quan­ tità ingerita di cibo, di cui essi pure sono a v id i32. La conseguenza è che i malinconici dorm ono poco. D ’altra parte, essi hanno sogni turbati e la b ili33 e, come sappiamo, ciò dipende dalla presenza di forti movim enti interni. In che senso ciò è possibile, dal mo­ m ento che questi soggetti sono caratterizzati da un eccesso di freddo e ciò che è freddo è sprovvisto di capacità cinetiche? Non avvenendo nei malinconici una grande evaporazione, il cibo non è assimilato e perm ane a produrre un grande scompiglio (.tarachè). Ciò può forse spiegare perché essi dorm ono poco e possono avere solo sogni turbati e labili. N on è un caso che ncìì’Ethica Nicomachea Aristotele attribuisca ai malinconici una incontinenza avventata, non frutto cioè di deliberazione, e desideri in te n si34.

I l sogno, la previsione e l’inganno Con le sue teorie fisiologiche del sonno e del sogno Aristotele ha posto tu tte le premesse per ridurre il sogno ad una forma di inganno (apàte). O ccorre intanto ricordare che per Aristotele, se la percezione dei sensibili propri di ciascun organo di senso è sempre vera, la maggior parte delle phantasìai — apparizioni — è falsa anche in relazione a cose di cui vi sia una presupposizione vera: per esempio, il sole appare lungo un piede anche se si è convinti che sia più esteso della terra a b ita ta 35. La condizione del sognatore è assimilata da A ristotele non solo a quella di chi

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è ingannato a causa di una m alattia, ma anche a quella di chi ha u n ’apparizione fallace pur essendo sano: anche a questi, infatti, il sole appare lungo un piede 36. Ai febbricitanti, tuttavia, sfugge che le figure di animali, che essi immaginano di vedere sui muri formate da un insieme di linee connesse, sono false. La ragione è che nello stato febbrile come nel sonno è inoperante la facoltà in grado di discernere le apparizioni vere da quelle false e di opporsi a queste ultim e 37. La causa del blocco della capacità giudicatrice durante il sonno è ravvisata da Aristotele ancora una volta nel sangue che, come già si è detto, rifluisce per la maggior parte nel cuore, che è la sede del principio di ogni percezione. Solo la coscienza di star sognando impedisce che le apparizioni oniriche si trasform ino au­ tom aticam ente in opinioni e si arrivi a scambiarle, in base ad una piccola somiglianza, per oggetti realm ente esistenti. M a in] generale il sonno ha una potenza tale da far sì che sfugga la' distinzione tra l’immagine onirica e l’oggetto corrispondente 38. E in ciò consiste l’inganno. Il sogno è il dom inio delle piccole so­ miglianze ed è a partire da piccole somiglianze che si esercita più facilmente l’inganno 39. D el resto, già le analogie alle quali Aristotele ricorreva nel De somno per spiegare la persistenza degli effetti prodotti dalla sensazione anche in assenza della causa che li aveva generati, m ettevano in luce che questa persistenza di effetti è intrisa di errore, nel m om ento in cui è venuta m eno la situazione percettiva di partenza 40. Si deve infine ricordare l’altra analogia delle apparizioni oniriche con le immagini che si formano in un liquido in m ovim ento: come nei piccoli vortici dei fiumi, il m oto dà sovente origine ad immagini estrem am ente labili. Analogamente, l’estrem a m obilità delle nuvole fa apparire immagini somiglianti a uom ini o c e n ta u ri41. E, come già sappiamo, a ciò corrisponde, nel caso della formazione dei sogni, il movimento del sangue: se questo non è agitato né torbido, le immagini oniriche appaiono più salde e p e rsiste n ti42. La sostanziale riduzione del sogno ad una forma di inganno rende com prensibile il fatto che Aristotele non ne abbia dato una spiegazione in term ini di causa finale. D el resto, sarebbe stato paradossale ravvisare in qualcosa di ingannevole un fine, che per definizione è qualcosa di buono, o un fenom eno che avviene in vista di un fine. Rimaneva aperta soltanto la strada di considerare il sogno un evento concom itante al prodursi del sonno. M a diventa anche com prensibile in questa prospettiva l’at­ teggiamento critico che Aristotele assume nei confronti del valore conoscitivo e predittivo dei sogni. Q uesto atteggiam ento n o a sem­ bra essere stato proprio di A ristotele in tutte le fasi della sua

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attività. In un prim o momento, infatti, egli avrebbe attribuito ai sogni una funzione precognitiva e divinatoria, derivante dalle ca­ pacità irrazionali, superiori all’intelletto, di alcuni individui privi­ legiati, tra i quali già facevano la loro comparsa i m alinconici43. Nel De divinatione per somnum, invece, A ristotele si m ostra più cauto perché constata che tu tti o buona parte degli uom ini rico­ noscono ai sogni un valore semeiotico. E Aristotele è sempre attento a non contraddire frettolosam ente le opinioni diffuse: esse, infatti, sem brano esser fondate sull’esp erien za44. Tuttavia, il fatto che non sia visibile alcuna causa ragionevole della predizione onirica, lo induce a dubitare. In prim o luogo egli si sbarazza della concezione secondo la quale i sogni sarebbero inviati dagli dèi m ediante l’argom ento che, in tal caso, essi dovrebbero inviarli agli uomini migliori e più saggi, non ai prim i che capitano. Ma eliminata questa causa divina, nessun’altra appare ad Aristotele ragionevolm ente assumibile. Trovare il principio esplicativo della previsione di eventi geograficamente lontani rispetto a chi li pre­ dice è da lui considerato superiore alle sue capacità di com pren­ sione 45. Per poter parlare di funzione predittiva dei sogni occorre pre­ supporre che possano essere ravvisate relazioni tra essi ed eventi reali collegati ad essi. Aristotele individua tre tipi di relazioni possibili. Il prim o tipo è una relazione di causalità, nel senso che il sogno sarebbe causa di eventi distinti da esso cosi come la luna è causa dell’eclissi di sole o la fatica della febbre 46. In questo senso, le visioni oniriche possono anticipare azioni che saranno eseguite nella vita diurna, allo stesso m odo in cui azioni in procinto di essere com piute o in corso di compimento o già compiute durante la veglia possono essere il contenuto dei sogni e svolgersi nel sogno stesso 47. Ciò non significa che Aristotele attribuisse a questi sogni valore predittivo. Egli intendeva piuttosto sottolineare la connessione stretta tra sogno e veglia. Il sogno può anticipare ed aprire la via ad una azione della vita diurna e in questo senso esserne causa, ma non è né precognizione né predizione di essa. Il sogno non è affatto il luogo della com uni­ cazione di un evento che avverrà necessariam ente, ma nella mi­ gliore delle ipotesi soltanto la preparazione all’esecuzione di u n ’a­ zione. Il secondo tipo di relazione tra sogno ed eventi è descritto da Aristotele m ediante la nozione di segno. La visione onirica appare allora segno di un evento, così come il frapporsi della luna è segno dell’eclissi o l’asprezza della lingua lo è della febbre 48. A ristotele m ostra maggiore disponibilità ad accettare la funzione semeiotica dei sogni. Egli aveva qui di fronte probabilm ente una

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tradizione medica che aveva riconosciuto nei sogni u n ’im portante elem ento per poter formulare una diagnosi soprattutto di stati patologici difficilmente individuabili soltanto in base ai sintomi. Una posizione di questo genere è ad esempio rintracciabile in uno scritto del Corpus Hippocmticum, risalente con buona proba­ bilità alla fine del V secolo a.C., intitolato Sul regime (Perì diàites) 49. N on è un caso che qui A ristotele faccia riferim ento a medici particolarm ente avveduti, secondo i quali bisogna prestare grande attenzione ai sogni in relazione a processi che interessano il corpo, e ritenga ragionevole che anche coloro che non esercitano professionalm ente la medicina, ma hanno interessi scientifico-filo­ sofici, accettino questa t e s i 50. Ma Aristotele giustifica la funzione semeiotica dei sogni anche in base alla propria teoria sulla genesi del sonno e dei sogni. Come si è visto, il sogno consiste nell’affiorare di piccoli movimenti che durante il giorno erano resi im ­ percettibili da m ovim enti maggiori e più intensi. D urante il sonno, afferma A ristotele, questi piccoli m ovim enti appaiono grandi. Le varie parti del corpo possono essere affette da processi quali lo scorrere di um ori o riscaldamento, ma in m isura così ridotta da essere im percettibili allo stato di veglia. D urante il sonno, invece, questi processi ingenerano la credenza di star gustando sapori dolci oppure di star attraversando una fiamma 51. Ciò significa che il contenuto dei sogni è segno di fenom eni che riguardano il corpo del sognatore. L ’autore del Perì diàites aveva sostenuto che «le m alattie non sopraggiungono improvvisam ente; esse si sviluppano invece a poco a poco e poi si m anifestano in blocco» 52. Analogamente, A ristotele sostiene che gli inizi di tutte le cose sono piccoli e questo vale anche per le m alattie e le affezioni che stanno per interessare i corpi. Ma è durante il sonno che questi piccoli inizi dei processi patologici sono più m anifesti. Da ciò scaturisce l’attribuzione di u n valore diagnostico ai s o g n i53. Q uesto sem bra l’unico caso nel quale Aristotele è disposto ad attribuire un valore inform ativo e conoscitivo al sogno; ma non senza ragione esso riguarda eventi corporei non futuri, bensì già in qualche m odo presenti; pertanto i sogni non hanno neppure in questo caso funzione divinatoria. Ma il tipo più frequente di relazioni tra sogni ed eventi reali è riconducibile secondo Aristotele ad un nesso puram ente casuale, una coincidenza (symptoma), come quella che sussiste per esempio tra il verificarsi deil’eclissi e lo star camminando. L ’uso del concetto di symptoma ha l’obiettivo di escludere un rapporto causale o semeiotico tra la maggior parte dei sogni e gli eventi concom itanti ad essi. Esso individua invece una relazione analoga a quella intercorrente tra il ricordarsi di una persona e l’im battersi in questa

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persona stessa: anche in questo caso, il ricordo non è né causa né segno del verificarsi dell’incontro. Ciò vale soprattutto per «i sogni straordinari e quelli che non hanno origine in noi stessi, come sogni di battaglie navali o di eventi lontani» 54. M a anche quando non sono il risultato di coincidenze casuali, questi sogni straordinari possono essere spiegati secondo Aristotele senza dover ricorrere alla teoria di Democrito, che aveva ipotizzato un inces­ sante fluire dagli oggetti di immagini (èidola), le quali penetrereb­ bero negli organi di senso e durante la notte produrrebbero i so g n i53. A ristotele ritiene invece migliore la propria spiegazione, che riconduce le immagini oniriche agli effetti prodotti dai moti percettivi anche in assenza dell’oggetto che li ha generati. È a partire da queste immagini che vengono form ulate previsioni su eventi f u tu r i56.

Divinazione e interpretazione dei sogni Tuttavia, i tre tipi di relazione possibili tra sogni ed eventi futuri che A ristotele ha individuato, consentono a suo avviso di spiegare perché m olti sogni non si avverano. Q uesto sem bra con­ fermato dal fatto che in generale, anche al di fuori della dim ensione onirica, non sussiste relazione causale e necessaria tra una deli­ berazione assunta o un evento interpretato come segno e la loro realizzazione. A maggior ragione ciò deve valere per gli eventi casuali che per definizione, secondo A ristotele, non avvengono appunto né sem pre né per lo pii!, ossia non presentano alcuna regolarità 57. La riduzione della maggior parte dei sogni a sympto­ rnata consente così ad A ristotele di privarli di ogni valore predittivo e al tem po stesso d i non collegarli in linea generale a categorie privilegiate di soggetti. Una delle ragioni che già gli aveva fatto escludere l’invio dei sogni da parte degli dèi era proprio il fatto che i sogni predittivi non si presentano agli uom ini migliori e più saggi, ma a chi càpita 58. A ciò si aggiunge ora la circostanza che anche alcuni animali sognano e che non occorre disporre di doti particolari per poter avere sogni predittivi, ma è sufficiente essere soggetti ad una m olteplicità e ad una varietà di moti, come è il caso di soggetti loquaci e malinconici, i quali hanno visioni di ogni tipo e (nel caso dei malinconici) particolarm ente mobili e labili. A ristotele assimila la loro condizione a quella di giocatori che più tiri fanno, maggiori possibilità hanno di conseguire il risultato, oppure di arcieri dal tiro mobile e rapido 39. Q uesto conferma ancora una volta che egli non intende abbandonare il terreno della spiegazione fisiologica. U n elem ento nuovo è invece

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costituito dal riferim ento ad una sorta di grado di probabilità per rendere conto del perché certi sogni predittivi si realizzino. Bisogna d ’altra parte ricordare che la distinzione tra la gente comune, che ha talora sogni predittivi, e le persone sagge e in­ telligenti, presuppone appunto che nei prim i la ragione (diànoia) sia come vuota e in preda a m oti ed emozioni: un motivo essen­ ziale, come sappiamo, per poter essere ingannati dai sogni. Q uesta stessa causa, ossia l’alto grado di dipendenza da influssi esterni, spiega anche il fatto che alcuni di coloro che A ristotele chiama «estatici» prevedano il futuro 60. Un problem a a parte è costituito dalla possibilità di individuare in anticipo l’evento rispetto al quale il sogno possa configurarsi come predizione. Em erge qui la questione dell’interpretazione dei sogni. In determ inati casi, il rapporto tra sogno e oggetto corri­ spondente è diretto, nel senso che il contenuto del sogno è l’oggetto stesso e questo caso costituisce ciò che Aristotele designa col term ine euthyoneirìa, con evidente riferim ento alla linearità del tracciato che va dal sogno all’oggetto. O vviam ente, di questo tipo di sogni chiunque può essere interprete. Ma un caso ben più complesso è quello dei sogni nei quali il contenuto non è imme­ diatam ente l’oggetto stesso, bensì qualcosa che rinvia ad esso. Ancora una volta Aristotele pone al centro dell’attenzione il con­ cetto di somiglianza: infatti, «l’interprete più abile dei sogni è colui che è in grado di scorgere le somiglianze» 61. E ancora una volta egli impiega l ’analogia con le immagini che si formano nelle acque agitate. Se il m ovim ento è intenso, l’immagine di un oggetto riflesso in esse non appare simile all’originale, perché le linee che descrivono l’oggetto risultano o scisse lu n a dall’altra o capovolte. Per rintracciare un rapporto di somiglianza tra queste immagini così modificate e gli oggetti corrispondenti (un uomo, un cavallo e così via) occorrerà una particolare capacità visiva di distinguere ciò che è confuso e di connettere ciò che è separato. Ma, come sappiamo, le immagini oniriche sono l’analogo di quelle che si form ano nelle acque. L ’abile interprete dei sogni sarà dunque colui che è in grado di ricom porre le linee degli oggetti che sono risultate spezzate in questo tipo di so g n i62. M a a ben vedere, con il ricorso a questa analogia Aristotele ha dato ragione della possibilità di interpretare e rintracciare la relazione corretta tra sogno e oggetto corrispondente; quest’ultim o però in qualche m odo antecede il sogno o coesiste con esso e non è invece un evento futuro rispetto al sogno. Sembra difficile quindi attribuire ad Aristotele, sulla base di questi passi, il rico­ noscimento della possibilità e della legittim ità di una interpreta­ zione dei sogni in senso predittivo. Nella migliore delle ipotesi,

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le considerazioni aristoteliche possono implicarsi ai sogni di ca­ rattere telepatico o chiaroveggente 63. M a è soprattutto la dim en­ sione semeiotica di determ inati sogni che può costituire il campo di una interpretazione legittima, come era quella praticata in am ­ bito medico.

Note Per indicare opere di Aristotele si farà uso delle seguenti sigle: SV = De somno et vigilia-, IN = De insomniis-, DS = De divinatione per somnum. 1 IN 1, 458b 1; 459a 18-19; 3, 462a 16. 2 IN l,4 5 9 a 21-22. Sul problema della -phantasìa in Aristotele cfr.D.A. Rees, Aristotle’s Treatment o f Phantasia, in Essays in Ancient Greek Philosophy, a cura di J.P. Anton e G.L. Kustas, State University of New York Press, Albany 1971, pp. 491-504, e soprattutto M. Schofield, Aristotle on thè Immagination, in Aristotle on Mind and thè Senses, a cura di G.E.R. Lloyd e G.E.L. Owen, Cambridge University Press, Cambridge 1978, pp. 99-140. 3 De memoria, 1, 450a 10-11. Sulla nozione di senso comune cfr. Ch.H. Kahn, Sensation and Consciousness in Aristotle’s Psychology, in «Archiv fùr Geschichte der Philosophie» XLVIII (1966), pp. 43-81, ripubblicato in Articles on Aristotle, a cura di J. Bernes, M. Schofield, R. Sorabji, Duckworth, London 1979, voi. IV, pp. 1-31, in particolare pp. 14-15. 4 De anima III, 2 ,425b 22-25; 3 ,428a 5-8. 5 IN 3 ,462a 8-17; De anima III, 3 ,428a 16. 6 IN 1, 459a 19-20; 3,462a 16. 7 SV 1 ,454a 2-11, a 23-24, b 9-14, b 23-27; 2 ,455a 25-26, b 2-13. 8 IN 3,462a 19-29; cfr. anche l,4 5 8 b 10-25, nonché De generatione animalium V, 1, 779a 12-19. 9 IN 3,462a29-31. Sulla base fisiologica della psicologia aristotelica nei suoi vari aspetti, cfr. R. Sorabji, Body and Soul in Aristotle, in «Philosophy» IL, 1974, pp. 63-89, ripubblicato in Articles cit., pp. 42-64. 10 SV 2, 459a 28-b 23. 11 IN 2 ,460b 1-3. 12 IN 3 ,460b 33-461a 8. 13 SV 3, 458a 21-25. Sul problema cfr. J. Wiesner, The Unity o f thè Treatise «De somno» and thè Physiological Explanation o f Sleep in Aristotle, in Aristotle on Mind and thè Senses cit., pp. 241-280; cfr. anche G.E.R. Lloyd, The Empirical Basis o f thè Physiology o f thè Parva Naturalia, ivi, pp. 215-239, in particolare p. 225. 14 IN 3,461b 11-23, con il commento di Siwek ad hoc. 15 SV 2,455b 13-18. 16 SV 2 ,455b 18-21. 17 Cfr. R. Kent Sprague, Aristotle and thè Metaphysics o f Sleep, in «The Review of Metaphysics» XXXI (1977), pp. 230-241. 18 SV 1 ,454a 24-b 9. 19 SV 2 ,455b 22-28; 3 ,458a 29-32. Cfr. De generatione animalium V, l,7 7 8 b 29-32. 20 De anima III, 12,434a 31-32. Questa classificazione non deve essere confusa con le obiezioni che egli muove alle teorie della respirazione, che

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pretendono di spiegare un fenomeno che avviene in vista di un fine mediante la categoria di symptoma (De respiratione 5 ,472b 24-27, nonché Physica II, 8, 198b 34-199a 5, dove symptoma è usato come sinonimo di tyche e contrap­ posto a hènekà tou). Nel passo del De anima, invece, non si parla di symptòmata semplicemente, ma di symptòmata tòn hènekà tou. Su questa stessa linea deve forse essere interpretata anche l’espressione symptòmata physikà in De genera­ tone animalium IV, 10,777b 6-8. Il carattere non finalistico del sogno era già stato riconosciuto da W. Wili, Probleme der aristotelischen Seelenlehre, in «Eranos-Jahrbuch», X II (1945), pp. 55-93, in particolare pp. 74 sgg., citato da H . Flashar in F. Ueberweg, Die Philosophie der Antike, voi. I li, Schwabe, Basel-Stuttgart 1983, p. 415. 21 Sulla nozione di perìttoma cfr. De generatone animalium I, 18, 724b 26-28; 725a 3-7; II, 6, 744b 11-16. In De longevitate et brevitate vitae, 3, 465b 18; perìttoma è esplicitamente designato come hypòleimma. 22 SV l,4 5 4 a 11-19; 454b 27-455a 3; De generatone animalium V, 1, 779a 2-4. 23 SV l,4 5 4 b 14-22. 24 IN 1 ,459a 13-14. In un passo della Historia animalium (IV, 10, 536b 24-537b 13) Aristotele, pur attribuendo il sonno a tutti gli animali, non si pronuncia sui fatto che tutti sognino. Resta comunque escluso che sia possibile sognare senza dormire. 25 SV 1 ,453b 17-20. 26 IN 3,462a 32-b 11; Historia animalium IV, 10,537b 16-20. 27 SV 3, 456b 32-34. Riconducibili a processi digestivi sono anche gli effetti prodotti da alcuni tipi di fatica e di malattia, i quali hanno come conseguenza un sonno abbondante: ivi, 456b 34-457a 3. 28 SV 3,457a3-7, 14-27; Historia animalium VII, 10, 587b 8-16; De partibus animalium IV, 10, 682b 3 sgg.; Rhetorica II, 12, 1389a 18-19; Ethica Nicomachea VII, 14, 1154b9-10. Il netto predominio del sonno nei bambini si può anche spiegare in base al fatto che essi non hanno ancora raggiunto la piena attualità della natura umana, la quale, come già si è detto, è contrassegnata dalla veglia. 29 IN 3 ,461a 12-14. 30 IN 3 ,4 6 1 al4 -2 2 . Per il testo si è qui seguita l’edizione Ross, tranne che in 461a22 dove Ross adotta l’emendazione di Lulofs, che legge eiròmena anziché erromèna del Manoscritto M, seguita d a P. Siwek e R. Mugnier nelle loro edizioni. 31 IN 3 ,461a 23. 32 SV 3 ,457a 27-33. 33 IN 3 ,461a 22. 34 Ethica Nicomachea VII, 7, 1150b 25-28; 10, 1152a 19,27-29; 14, 1154a 11-13. In generale, cfr. H. Flashar, Melancholie und Melancholiker in der medizinischen Theorien der Antike, De Gruyter, Berlin 1966. 35 De anima III, 3 ,428a 11-12, b 2-4. 36 IN l,4 5 8 b 25-34; cfr. anche l,4 5 9 a6 -8 . 37 IN 2 ,460b 11-27. Nel De anima (III, 9, 432a 15-16) la capacità giudi­ catrice è considerata propria della ragione- e della percezione che, come sap­ piamo, nel sonno sono inoperanti. Cfr. anche De anima III, 3, 429a 7-8, dove si dice che l’occultarsi dell’intelletto è prodotto da un pàthos o da malattie o dal sonno. 38 IN 3 ,4 6 1 b 3 -ll; 461b21-462a8. 39 L’espressione «piccole somiglianze» è una costante del discorso aristo­ telico: cfr. IN 2 ,460b 6, b 8, b 12; 3,461b 10, nonché 3 ,461b 19 e b 29. 40 Cfr. in particolare IN 2 ,459b 20-22; 460b 1-5.

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41 IN 3 ,4 6 1 a 8 - ll,b 17-21. 42 IN 3, 461a 25-30. 43 De philosophia, fr. 12a Ross; Ethica Eudemia V ili, 2, 1248a 25-b 2 (testo corrotto, ma sufficientemente chiaro nel suo significato generale). Su questo punto cfr. E.R. Dodds, Supernormal Phaenomena in Classical Antiquity, in The Ancient Concept o f Progress and Other Essays on Greek Literature and Belief, Clarendon Press, Oxford 1973, pp. 163, 180-1. 44 DS 1, 462b 12-18. Sull’importanza del riferimento alle opinioni diffuse nel metodo d’indagine aristotelico, cfr. G.E.L. Owen, Tithènai ta phainòmena, in Aristotele et les problèmes de méthode, a cura di S. Mansion, Publications Universitaires de Louvain, Louvain 1961, pp. 83-103, ripubblicato in Logic, Science, and Dialectic. Collected Papers in Greek Philosophy, a cura di M. Nussbaum, Cornell University Press, Ithaca 1986, pp. 239-251. 43 DS 1 ,462b 18-26. 46 DS l,4 6 2 b 28-30. 47 DS l,4 6 3 a 21-30. 48 DS l,4 6 2 b 30-31. 49 Su questo scritto cfr. G. Cambiano, Une interprétation ‘matérialiste’ des rèves: Du regime IV, in Hippocratica, a cura di M.D. Grmek, Éditions du CNRS, Paris 1980, pp. 87-96. Per un quadro generale degli atteggiamenti della letteratura medica antica verso i sogni, cfr. G. Guidorizzi, Sogno, malattia, guarigione: da Asclepio ad Ippocrate, in «Quaderni di Acme» n. 5 (1985), pp. 55-74 (con altra bibliografia). 50 DS 1 ,463a 3-7. 51 DS 1,463a 7-17. 32 11,4 = p. 4,9-11 Joly. 33 DS l,4 6 3 a 18-21. 54 DS 1,463a 31-b 9. 55 Sulla posizione di Democrito cfr. G. Cambiano, Democrito e i sogni, in Democrito e l’atomismo antico, a cura di F. Romano, Catania 1980, pp. 437-450. 56 DS 3, 463b 32-464a 19. 37 DS l,4 6 3 b 10-11; 2,463b22-31. 38 DS 1 ,462b 20-22. Diversa sembra invece la posizione assunta da Ari­ stotele neW’Ethica Nicomachea (I, 13, 1102a 33-b 11; cfr. anche Ethica Eudemia II, 1, 1219b 22-25), dove i sogni degli uomini migliori sono considerati migliori di quelli dei tychontes. 39 DS 2, 463b 12-22; 464a 32-b 5, con il commento di Ross ad locum. 60 DS 2, 464a 19-27. Nei Problemata pseudo-aristotelici (XXX, 1, 953b 15) gli «estatici» sono inclusi tra i malinconici. 61 DS 2, 464b 5-7. 62 DS 2 ,464b 8-16. 63 Cosi giustamente ha sottolineato E.R. Dodds, op. cit., p. 181.

Jackie P igeaud IL SO G N O E R O T IC O N E L L ’A N T IC H IT À G R EC O -R O M A N A : L 'O N E IR O G M Ò S *

Il nostro proposito non è direttam ente quello di parlare di sessualità, benché, in ultim a analisi, il nostro studio possa contri­ buire alle ricerche sulle concezioni mediche dell’antichità a pro­ posito della sessualità. Il nostro interesse per il sogno erotico, così come è inteso sotto il concetto di oneirogmòs, sta nel fatto che esso m ette in rapporto l’anima e il corpo e che implica la presenza sim ultanea di due fenomeni, immagini m entali ed emis­ sione seminale, insieme al problem a dell’interazione di corpo e anima. E d è in questa direzione che intendiam o indirizzare il nostro lavoro. Dal punto di vista specifico della storia letteraria, il nostro scopo è di com prendere l’importanza e il significato del sogno erotico nel IV libro di Lucrezio (vv. 1030-1036).

L'oneirogmòs: sue definizioni e sue cause Conserviamo il nome greco. È cattiva abitudine tradurlo, come talvolta si fa ancora, come «polluzioni» o «polluzioni notturne», poiché il più delle volte ciò non costituisce che un aspetto del fenomeno. Iniziam o con il citare il testo di Celio Aureliano, poiché, come molto spesso in questo autore, le definizioni sono espresse tanto chiaram ente quanto le problem atiche '. Nelle Malattie cro­ niche (M .C .) Celio tratta rapidam ente in prim o luogo della «go­ norrea» 2 (M.C. V, V I = D rabkin, pp. 956-959), semplice emis­ sione di seme, e poi passa subito alla definizione del sogno erotico * Da Jackie Pigeaud, Le rive érotique dans l’antiquité greco-romaine: l’oneirogmòs, in «Littérature, médicine, societé», 3 (1982), pp. 10-23. Traduzione di Giovanna Saronni.

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(M .C . V, V II, 80 sgg. = D rabkin, pp. 958-963): de somno venerio, quem Graeci onyrogmon appellant. D iam o qui la traduzione dei passi essenziali: «D urante il loro sonno, sotto l’effetto di immagini senza realtà (inanìbus visis), alcuni pazienti hanno emissioni spermatiche. O ppure il nome (oneirogmòs) viene dal sintomo, poiché il sogno (òneiros) è pure all’origine d ell’effetto venereo, provocandolo. Ma, in generale, que­ sta non è una m alattia e neppure la manifestazione di una m alattia —che i greci chiamano sintom o —, ma è la conseguenza di immagini, alle quali i greci danno il nome di phantasìa, che colpiscono i pazienti durante il sogno, a causa dell’appetito sessuale, cioè di un desiderio costante ed ininterrotto, così come, al contrario, a causa di una lunga interruzione della pratica sessuale e di un periodo di astinenza. Ma ciò può, molto spesso, trasform arsi in malattia e, allo stesso modo, essere talora l’annuncio di u n ’altra malattia, come l’epilessia, la m ania...» (p. 958 D rabkin). Celio, poi, distingue 1’oneirogmòs dalla gonorrea che ha descrit­ to prima. I segni distintivi sono i seguenti: la gonorrea colpisce anche durante la veglia e in essa non vi è alcuna immagine che provochi la reazione sessuale, tanto che «il sogno venereo non si ha se non nel m om ento in cui i pazienti, addorm entati, imma­ ginano il coito nel corso di visioni senza realtà» (V II, 81). Alcuni — dice Celio — affermano che si debba distinguere Yoneiropòlesis dall ’oneirogmòs, dal m om ento che il prim o fenomeno si riduce al sogno del coito senza emissione seminale, m entre il secondo si definisce attraverso l’unione del sogno del coito con l’eiaculazione completa. Un certo M ilesio aveva riflettuto su ciò; per lui questa distinzione non è affatto essenziale; nella condotta sessuale si produce lo stesso sforzo e l’emissione è lim itata a condizioni esterne. Il trattam ento sarà quello di un caso benigno di gonorrea, poiché Yoneirogmòs può portare alla gonorrea pura e semplice. Ma bisogna trattare l’anima contem poraneam ente al corpo, cioè spostare dalla preoccupazione sessuale {ab intentione veneria) le rappresentazioni dello spirito del malato (visa m entis), dirigere i suoi pensieri verso altri centri di interesse, «poiché anche le percezioni che si ricevono in stato di veglia si trasform ano in immagini durante il sogno, e spingono il paziente all’atto, at­ traverso movimenti che inducono a congiungersi con loro, e, per questo motivo, il corpo si trova ad em ettere». Il secondo aspetto della cura mira al corpo; bisogna domare, correggere, far soffrire: un letto duro, freddo; una posizione sul fianco a letto; placche di piom bo sotto i r e n i 3; iniezioni nell’uretra di sostanze di natura fredda; cibi freddi ed astringenti; bagni freddi, ecc.

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Ritroviamo in Celio il tipo di trattam ento descritto, a proposito della mania, nella nostra opera La maladie de l ’àme 4. Esiste dunque una forma non patologica di oneirogmòs e, se esso è patologico, mostra una patologia benigna e bisogna stare attenti per evitare il passaggio alla gonorrea debilitante o alla mania. A dire il vero, Xoneirogmòs ha una struttura duplice; esso m ette in rapporto anima e corpo, pone il problema dell’azione delle immagini sul corpo, immagini che, seppur prive di realtà e di fondam ento reale come nella percezione, sono tuttavia sufficien­ tem ente efficaci a produrre l’illusione d ell’amplesso e a produrre pure un fenom eno corporale evidente: l’emissione seminale. N on solo Xoneirogmòs rinvia ai problem i della percezione, dell’allucinazione, dell’illusione, del sogno, ma si tratta di un sogno che ha efficacia immediata (cioè senza la mediazione della volontà) e, contrariam ente a quanto accade durante il coito, l’emissione ha luogo senza sforzo.

Alcuni aspetti dell’oneirogmòs nella letteratura medico-filosofica an­ tica Il Corpus Hippocraticum indica con Io stesso term ine (exoneirogmòs) ciò che talvolta sem bra essere una semplice «gonorrea» ed il sogno erotico come l’abbiamo definito. Così in Epidemie IV, 57 ( = V, 196 L.) è equivoco il caso di Nicippo che, nel corso di uno stato febbrile, exoneìroxe. In Epidemie 29 ( = V, 354 L.), si riferisce certam ente un caso di gonorrea, quello cioè di Satiro di Taso che, a venticinque anni circa, fu colpito da questa affezione e ne morì. Pure interessante è il caso riferito in Malattie 11,51 ( = V II, 78-80 L.): si tratta di ciò che l’autore presenta come una forma gravissima di tisi dorsale: «la tisi dorsale viene dal m idollo; essa colpisce in particolar m odo coloro che sono da poco sposati e le persone dedite ai piaceri venerei; essi non hanno febbre, godono di buon appetito, eppure dimagriscono. Se li interrogate, vi rispondono che sem bra loro di sentire delle specie di formiche scendere dalla testa lungo la spina dorsale; dopo la minzione o la defecazione em ettono in abbondanza sperma acquoso; essi non procreano ed hanno delle polluzioni notturne, che giacciano o no con una donna». La m alattia può portare sino alla m orte. Q uesti testi non illustrano che l’aspetto fisico della malattia, ma l'oneirogmòs, così come l’abbiam o definito grazie a Celio, si trova in un passo molto interessante del De genitura 1,3: «ecco le ragioni dell 'oneirogmòs-, quando l’um ore del corpo è fluido e

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riscaldato in seguito ad uno sforzo o per un altro motivo, esso schiuma, e, al m om ento dell’eiaculazione, l’azione del coito è li, presente alla vista, poiché l’um ore è nello stesso stato che durante il coito». Troviamo in questo passo il doppio carattere del sogno erotico: la coincidenza dell’emissione seminale e della visione della scena erotica. L ’autore ci fornisce una spiegazione com pletam ente fisica, affermando che, poiché l’um ore si trova nello stesso stato che durante il coito, il paziente sogna la scena erotica al momento dell’eiaculazione. D al punto di vista òéYYoneirogmòs è istruttivo anche il corpus aristotelico. Nei Problemi l’autore si interessa al legame tra im­ maginazione ed emissione sperm atica; così, secondo il Problema X (892b 15), l’uomo è sicuramente l’unico tra gli animali a co­ noscere il sogno erotico: «Perché la maggior parte degli animali, diversi dall’uomo non em ette mai seme durante il sonno e gli altri raram ente? E perché nessun essere, oltre all’uomo, dorme sul dorso 5 e perché l ’emissione sperm atica ha luogo solo in questa posizione? O ppure è perché gli altri animali non sognano del tutto e perché Yoneirogmòs è accompagnato dall’im maginazione?» Il Problema I V (877a 9) rileva che Yoneirogmòs si produce senza sforzo, m entre in stato di veglia l’atto sessuale richiede dello sforzo. Il carattere spontaneo è im portante: m olti passi dei Problemi ten­ dono a stabilire una teoria psicologica del sogno erotico e a negare una causalità alle immagini. Anche il Problema V (884a), dedicato alla fatica, pone la questione del perché siano le persone stanche o esaurite a conoscere Yoneirogmòs. Il m otivo è che esse sono di natura calda; a ciò si aggiunge il caldo del sonno, che fa sì che sia sufficiente un minimo impulso per l’emissione, impulso proveniente dall’interno e non dall’esterno.

I l caso delle donne Anche le donne conoscono Yoneirogmòs-, polluzioni patologiche sono nom inate nelle Malattie delle donne 11,175 ( = V ili, 358 L .), m entre il sogno erotico femminile è citato da A ristotele nella Generazione degli anim a li6. Pure l’ultim o libro della Storia degli animali (637b) ne parla, ma per dim ostrare che la donna em ette dello sperma. Anche Celio A ureliano conosce le emissioni invo­ lontarie delle donne 7. È evidente che la letteratura medica 8 e paramedica suYYoneirogmòs non è trascurabile; che il fenom eno ha prodotto dell’at­ tenzione; che si esita tra forme patologiche e normali, tra inter­

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pretazioni riduttive (legate unicam ente al seme) e interpretazioni miste (immaginazione e corpo), come ci ha chiaram ente m ostrato il testo di Celio Aureliano.

Erofilo e la classificazione dei sogni O ra possediam o degli elementi, grazie ai quali abbiamo potuto mostrare la struttura dell 'oneirogmòs, per interpretare i frammenti del medico Erofilo sulla classificazione dei sogni. Q uesto testo ci consente di passare dalla medicina alla filosofia e, dunque, di com prendere l’im portanza del concetto di oneirogmòs nel IV libro di Lucrezio. D obbiam o subito dire in che m odo interpretiam o questo fram ­ mento: «Erofilo distingue tra i sogni quelli inviati dalla divinità (theopèmptous) che si producono di necessità; quelli di origine naturale (physikoùs), allorché l’anima si immagina ciò che le è conveniente e ciò che m olto probabilm ente è destinato a verificarsi; quelli misti (synkramatikoùs), che si producono spontaneam ente, a seconda dell’incontro di immagini quando vediam o ciò che de­ sideriamo, come accade nel sonno, quando i dorm ienti vedono le donne che am ano» (Diels, Doxographi Graeci = A etii Plac. V, p. 416). Il testo della traduzione di G aleno presenta la variante seguente (Diels, Doxographi Graeci, p. 640): «e i sogni misti, secondo l’in­ contro delle immagini quando contem pliam o ciò che desideriamo, come accade agli amanti, che nel sonno amano fisicamente le donne che amano». Q uesto sogno misto, benché il term ine tecnico non sia utiliz­ zato, è Poneirogmòs. Il carattere misto di questa terza specie deriva — per parlare come Schrijvers 9 — dal carattere insieme endogeno ed esogeno del sogno; o piuttosto, oserei dire, dall’incontrarsi di due condizioni: l’arrivo di immagini che coincidono con il desiderio dell’anima, senza che vi sia creazione di immagini da parte del­ l’anima. Questa terza classe di sogni corrisponde — se così si può dire — alla possessione ad opera di fantasmi, ma ciò non si basa su un meccanismo spontaneo dell’anima che farebbe scattare, per mezzo di immagini, l’atto sessuale. Q uesto atto non è direttam ente dipendente dall’anima, bensì si produce attraverso il contatto con un altro, fantasm a od essere in carne ed ossa che sia. D a ciò deriva questa esteriorità dell’immagine; sogni m andati dagli dèi, invece, hanno carattere necessario o fortuito, cosa che, dal punto di vista del ragionam ento, è lo stesso: ciò viene dall’esterno e

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del sogno naturale ha la preparazione, l’attitudine a m ostrarsi e a rappresentarsi. Q uesta distinzione tra carattere endogeno e ca­ rattere esogeno del sogno erotico, cioè — lo ripetiam o — l’incontro di due condizioni (esteriorità delle immagini e loro rielaborazione interna), ci perm ette di com prendere una frase del Problema V (884a), che più sopra avevamo lasciato da parte: «E perché le persone sono di natura calda, che s’aggiunge il calore del sonno, e allora non occorre che un piccolo impulso per em ettere sperma. Q uesto im pulso viene dall’interno e non dall’esterno». Q uesta frase m isteriosa si chiarisce se la si colloca bene nel dibattito sul carattere endogeno ed esogeno del sogno erotico; è una presa di posizione per la causalità interna contro la causalità esterna o la mescolanza di questi due aspetti. Il sogno erotico è dunque la semplice con­ seguenza di una disposizione organica.

La tradizione epicurea a) Diogene di Enoanda N.F. 1. Forniam o qui l’interpretazione di A ndrè Lacks e Claire M illot 10: «[...] noi compiamo l’atto d ’a­ more come in stato di veglia; non è corretto dire che ne ricaviamo un piacere immaginario, perché stiamo dorm endo. Egli dunque non dice che questi idoli siano vuoti, dal m om ento che possiedono un tale potere. Se essi non sono vuoti, non è tuttavia vero, d ’altro canto, che siano dotati di sensazione e ragione, e che parlino con noi, come suppone Democrito. Non è effettivam ente possibile che queste facoltà appartengano a delle m em brane sottili, le quali, dunque, non hanno la profondità dei corpi solidi. G li stoici e D em ocrito hanno fatto dunque l’errore contrario: gli stoici privano le visioni di un potere che esse hanno, Dem ocrito accorda invece loro un potere che non hanno; ma la natura dei sogni...». È — possiamo esserne certi — Epicuro. Il dibattito riguardan­ te la realtà del potere delle visioni si colloca contro Democrito, che accordava loro tutti i poteri della vita, e contro gli stoici, che non ne accordavano alcuno. N on entrerem o nel vivo di questo dibattito, ma faremo rilevare l’im portanza del sogno erotico da questo punto di vista. Se si vuole andare più lontano nell’inter­ pretazione, bisognerebbe pensare che per Dem ocrito la realtà delle visioni e il potere dell’elem ento esterno fossero sufficienti a spie­ gare il còito durante il sonno; in fondo, giacere con delle rappre­ sentazioni o con delle donne in carne ed ossa è la stessa cosa. Q uanto agli stoici, essi sarebbero portati a negare ogni potere a questa esteriorità sulla nostra fisiologia. Epicuro si colloca tra i due estrem i; riconosce una certa efficacia alle immagini, poiché

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esse provocano un fenom eno fisiologico e provocano un piacere i cui effetti sono tangibili, ma non è disposto a riconoscere loro un potere com pleto. Così Epicuro si pone tra coloro che intendono l'oneirogmòs come una struttura mista. b) Lucrezio e l’oneirogmòs. D obbiam o ora collocare il sogno erotico di Lucrezio IV, vv. 1030-1036 nella teoria dei sogni, così come la si ritrova nei vv. 962 sgg. Q uesta teoria è interessante nella misura in cui essa presenta in azione una fisiologia diver­ sificata. AH’improvviso Lucrezio constata il rapporto tra le occu­ pazioni favorite o abituali e i sogni che facciamo (vv. 962-986). Si tratta di un luogo comune che troviam o da Em pedocle (fr. 108 D.K.) a Celio Aureliano. Viene fornita una spiegazione (vv. 976-977): «relicuas tam en esse vias in m ente patentis / qua possint eadem rerum simulacra venire». D unque le strade restano aperte, che siano comodi accessi o esse stesse simulacri. L ’eziologia è di tipo meccanicistico, non interviene alcuna attività dell’anima e del corpo, né, soprattutto, alcun riferim ento al ricordo. N on si tratta, dunque, di n ien t’altro che della disponibilità fisica ad ac­ cogliere, da parte dell’anima, alcuni simulacri che sollecitano nei sognatori — di animali o re che siano — u n ’attività talora intensa e drammatica. D opo u n ’allusione all’incubo, che fa sì che alcuni uomini si risveglino come impazziti (quasi m entibu’ capti, v. 1022) e facciano fatica a tornare in sé, si giunge a tre casi di sogni sui quali occorre soffermarsi: l’illusione di bere e di trangugiare un intero fiume, tanta è la sete (vv. 1022-1025); l’illusione che si risolve in u n ’emissione di urina (vv. 1026-1029); quella che si risolve in u n ’emissione seminale, cioè ciò che comunemente viene detto sogno erotico (vv. 1030-1036). Q uesti tre passi sono in genere ignorati o censurati, perché, forse, colpiscono per la loro volgarità, m entre, secondo noi, è indispensabile commentarli. Iniziam o con il caso dell’emissione di urina, definita come totius umorem saccatum corporis (v. 1028), cioè «liquido filtrato di tutto il corpo». Interessante la precisazione che l’urina provenga da tutto il corpo e sia il risultato di un filtraggio, argomento questo su cui bene ci informa la teoria di Asclepiade 11. Per costui, che nega la funzione del rene e dell’uretra, bisogna invece credere ad u n ’evaporazione di liquido inghiottito, che passa dalla vescica e viene poi ricondotto al suo aspetto originario grazie ad un riavvicinam ento dei vapori, essendo dunque la vescica come una spugna o un vello. [...] La terza categoria di sogni di cui parla Lucrezio è il sogno sessuale, Yoneirogmòs: M a dagli oggetti esteriori, a quelli a cui p er la prim a volta entra

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il sem e nei vasi, quando, m atura, la stessa età lo crea nelle m em bra, i sim ulacri si affollano nunzi di un volto, leggiadro e d ’un gentile colore che eccita e punge le parti gonfie d i seme, onde, com e se avesse luogo il possesso, spesso ne versano fuori a grandi fiotti il profluvio, e ne im brattano i panni» (IV vv. 1030-1036) (trad. di B. P inchetti).

O ra, a nostro avviso, lo schema del carattere misto dell’oneirogmòs si addice perfettam ente a questi versi; l’oneirogmòs lucreziano conserva il carattere delle due condizioni, esterna ed interna, stabilite da Erofilo. Ma, distinzione im portante, lascia compietam ente al di fuori l’anima, nella sua facoltà di desiderio. Il carattere ibrido deNoneirogmòs si esplica in Lucrezio non attraverso il de­ siderio dell’altro, ma attraverso il bisogno del corpo. L ’oneirogmòs lucreziano m ostra che l’amore è un desiderio, così come lo sono la voglia di bere o di urinare. Come quest ultima, lo si può sod­ disfare da soli, spontaneam ente. La descrizione d eYConeirogmòs è collocata in un punto determ inante del IV libro, là dove viene criticato il sentim ento d ’amore, che non è dovuto al caso ed è fondam entale. Uoneirogmòs illustra la verità dell’amore in due modi, e innanzitutto prova che l’essenza dell’amore è fisiologica. Presso gli stoici, la questione del legame tra anima e corpo si definisce dal punto di vista della passione: essa è il rapporto tra aspetto psicologico, giudizio, e aspetto fisiologico, dal momento che le passioni sono accompagnate da intervalli, remissioni, recru­ descenze. La passione, sin dalla sua origine, è per gli stoici co­ stituita di giudizio e di fisiologia, attribuiti ad un tu tto indiviso. La teoria lucreziana risponde che non è così, ma che la fisiologia precede il giudizio, che il bisogno precede il desiderio e, più ancora, come m ostra il seguito del libro, che il desiderio non è altro che della retorica innestata sul bisogno. Il passaggio dal bisogno al desiderio si esprime, per esempio, ai versi 1045-1046: irritata tum ent loca semine fitque voluntas / eicere di quo se contendit dira lubido (s’enfiano, al seme, irritati, e lo si vuol scaricare là dove spinge il furore della libidine, e allora la mente corre a quel corpo che la ferì con l’amore [trad. di B. Pinchetti]. La verità dell’amore è l’umore; Bailey ha ben visto l’assonanza amorem / umorem dei vv. 1054-1056: Seu m ulier toto iactans a corpore amorem, / unde feritur, eo tendit gestitque coire / et iacere um orem in corpus de corpore ductum (così, lo tocchi fan­ ciullo dalle domestiche movenze, ovvero donna che spira da tutto il corpo l’amore, chi dagli strali di Venere resta piagato si tende là verso chi lo ferisce, smania di unirsi con lui e di versargli l’umore tratto dal corpo nel corpo [trad. di B. Pinchetti]. E ancora, contrariam ente agli stoici, il rimedio non è nella

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volontà, ma nella soddisfazione del bisogno; questa è la terapia del mal d ’amore. Se non si bada a questo, si ha la fissazione del bisogno su questo o quell’individuo, che segna il passaggio dal bisogno al desiderio e al delirio retorico-grottesco di ogni amante che esalta la propria amata. M a — e questo è il secondo aspetto àeW’oneirogmòs che bisogna tenere presente — bastano dei simulacri a provocarlo. Infatti, nel sonno come nella veglia, non è nient’altro che il simulacro ad eccitare il desiderio. Lì giace la seconda verità dell’amore e la sua fatalit^: esso non può nutrirsi che di simulacri, nutrim ento vano, parodia di nutrim ento: «Sono assorbiti dal corpo cibi e bevande e siccome possono em pir certe parti, agevolm ente si estingue la voglia d ’acqua e di pane. Ma, dell’aspetto dell’uom o e del colore leggiadro non en tra nulla nel corpo di cui si possa godere, fuorché, sottili, le im m agini che la speranza tapina rapisce il vento talvolta» (IV, vv. 1091-1096) (trad. di B. Pinchetti).

C ontrariam ente al nutrim ento, che è assorbimento, appropria­ zione, ristorazione, l’amore è ferita (IV, vv. 1048 sgg.) e sfogo, non trova avanti a sé che fantasm i e non fa sua alcuna realtà. Questa verità era già presente nello schema òeWoneirogmòs, che mostra l’essenza dell’amore, cioè la realtà della fisiologia, associata all’illusione delle immagini. Non vi è una differenza sostanziale tra l’amore reale e l’amore nei sogni: 1’oneirogmòs è la verità di ogni forma d ’amore. Così occorrerebbe guardarsi dal relegare Yoneirogmòs tra le curiosità. I medici hanno distinto, come abbiamo visto, la gonorrea, semplice emissione involontaria, ed il sogno erotico che, proprio in quanto sogno, non si fonda sulla volontà; ma, d ’altra parte, il sogno erotico si distingue dalla gonorrea nella misura in cui vi è un rapporto, che resta ancora da spiegare, tra le immagini del sogno e l ’eiaculazione. Come possono delle immagini vane e senza realtà produrre un atto fisiologico? Forse è perché tutto viene dal corpo, da una sua disposizione particolare? Bisogna vedere in ciò l’influenza diretta dell’anima sul corpo? Ciò è forse dovuto al coincidere dell’incontro di immagini provenienti dall’esterno con una dispo­ sizione dell’individuo a recepirle? Ma allora quale realtà bisogna attribuire a tali immagini? La cosa più sorprendente è vedere l’utilizzazione che Lucrezio fa dell’oneirogmòs; sicuramente egli ne conosce il problem a. Ma nel IV libro, dedicato essenzialmente

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alla fisiologia, egli attribuisce Y o n eiro g m ò s il carattere strutturale che è il fondam ento dell’amore. La volontà e l’amore sono delle aggiunte secondarie che mascherano la realtà della compresenza di immagini e condizioni fisiologiche. L ’utilizzazione etica di un problem a psicofisiologico fa risuonare, in Lucrezio, il rintocco del­ l’amore.

Note 1 Celio Aureliano è un autore che si suole collocare nel V secolo d.C. e che altri non sarebbe se non un traduttore di Sorano di Efeso. Nulla è più incerto di ciò. 2 Con questo termine, la medicina antica non intendeva definire la malattia oggi nota con lo stesso nome [N.d.C.]. 3 Questo rimedio è conosciuto da Galeno (VI, 446 K.). 4 Ed. Belles Lettres, Paris 1981, pp. 107-112. 5 Questa posizione favorisce Yoneirogmòs, così come, d ’altronde, la dispnea e l’epilessia, secondo Diocle (cfr. M. Wellmann, Die Fragmente der sizilischen Aerzte, Berlin 1901, fr. 141, p. 182), che utilizza il termine exoneirosmòi. 6 739a 20: «L’umore prodotto nelle femmine al momento dell’orgasmo non gioca alcun ruolo nel concepimento [...] La miglior prova del contrario sembrerebbe essere che una emissione di questo genere ha luogo di notte nelle femmine, così come nei maschi; è ciò che si chiama oneirogmòs». I Gynaecia, edizione M.F. Drabkin, e LE. Drabkin, Baltimora 1951, p. 89: «Non solum in viris set etiam in mulieribus seminis lapsus efficitur. Est autem egestio seminis involontaria parvulis intervallis variata, ex quo pallor atque frictio et tenuitas corporis sequitur. Set hec passio natura tarda iudicatur atque solutioni ascribitur». Cfr. anche Galeno, De Semine IV, 601 K. 8 Bisognerebbe aggiungere - ma non pretendiamo di essere esaurienti — Rufo di Efeso; cfr. edizione Daremberg-Ruelle, Baillière, Paris 1879, ristampata ad Amsterdam, Hakkert 1963, p. 123, ed Areteo, edizione Hude, C.M.G., Akademie-Verlag, Berlin 1958, p. 71. 9 P.H. Schrijvers, La classification des réves selon Hérophile, in «Mnemo­ syne» 30, (1977), fase. 1, pp. 19 sgg. 10 Reexamen de quelques fragments de Diogene d ’Oenoanda sur l’àme, la connaissance et la fortune, in «Cahiers de Philologie 1, Etudes sur l’epicurisme antique», Centre de Recherche Philologique de l’Universitè de Lille III, diretto da J. Bollack, 1976, pp. 345-348; cfr. M.F. Smith, New readings in thè text o f Diogenes o f Oenoanda, in «Classical Quarterly» 22, (1972, pp. 161-162; cfr. anche Diskin-Clay, An epicurean interpretation o f dreams, in «American Journal of Philology» 101 (1980), p. 361. II Si tratta di Asclepiade di Prusa o di Bitinia, medico del I secolo a.C., spesso erroneamente accostato all’epicureismo; cfr. la nostra La maladie de l’àme (cit. nota 4), pp. 171-196.

D ario D e l C om o C ’È D E L M E T O D O IN Q U ESTA FO L L IA : A R T E M ID O R O *

Le scarse notizie sulla vita di A rtem idoro provengono per lo più da occasionali allusioni del suo stesso trattato. Le date della nascita e della m orte sono ignote; ma diversi riferim enti interni accertano che visse nel corso del II secolo d.C., il periodo più tranquillo e prospero dell’im pero rom ano. Egli dichiara di essere nato a Efeso, la grande e ricca città dell’Asia M inore; tuttavia preferisce definirsi di Daldi, una piccola località della Lidia di cui era originaria sua madre. A rtem idoro spiega questa scelta con un ragionam ento tipico della sua im perturbabile e ingenua sicu­ rezza nei propri m eriti e nel proprio successo: Efeso è una città im portante e già illustrata da molti gloriosi cittadini; m entre Daldi è un borgo oscuro, ed egli si sente obbligato quasi per pietà filiale ad essere il primo che ne divulgherà il nome nel m ondo (III, 66). A D aldi godeva di particolare venerazione Apollo Miste; e Artem idoro — secondo un m odulo tradizionale, che tuttavia nel suo caso acquista un particolare sapore — professa di aver intra­ preso il trattato onirom antico in obbedienza alle esortazioni del dio, che gli era frequentem ente apparso in sogno (II, 70) L Pagato così in un sol colpo il debito alla convenzione letteraria e agli obblighi verso il trascendente, A rtem idoro è libero di ascol­ tare anche il suo senso pratico, sem pre vigile, e di dedicare in prima istanza la sua opera a un influente personaggio di cui gode l’amicizia e la protezione, un letterato di grande fama che evidentem ente era in grado di dispensarne pure agli altri. Egli si rivolge a lui chiamandolo Cassio M assimo, e alludendo alla sua origine fenicia (11,70): u n ’informazione preziosa, perché per­ * Da Dario Del Corno (a cura di), Artemidoro, Il libro dei sogni, Adelphi, Milano 1975, pp. X X V III-XLIII.

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m ette di identificarlo in M assimo di Tiro, un filosofo e conferen­ ziere alla moda, del quale sono rim asti quarantuno discorsi. A lui, che a detta di A rtem idoro era vivam ente interessato ai pro­ blemi della mantica e l’aveva esortato a m ettere per iscritto i risultati delle sue ricerche, sono intitolati i primi tre libri del trattato; i due restanti furono dedicati (dopo la m orte di M assi­ m o?) da A rtem idoro al figlio che portava il suo stesso nome, per introdurlo alla professione paterna. Il trattato intorno ai sogni fu verosim ilmente l’opera più im ­ pegnativa e rinom ata di A rtem idoro, non certo la sola. Egli stesso allude a scritti composti in precedenza, uno ancora di teoria onirocritica (I, 1), altri di diverso argom ento (111,66); e il Lessico Suda gli attribuisce pure un trattato sulla divinazione per mezzo degli uccelli (Oionoscopica) e uno chirom antico (Cheiroscopica). Il prim o è citato da G aleno 2 tra i libri più autorevoli sull’argo­ m ento; m entre l’autenticità del secondo suscita dubbi, visto il radicale rifiuto opposto da A rtem idoro a questo tipo di divinazione (II, 69). Per il resto, la biografia di A rtem idoro si concentra ai nostri occhi nei suoi viaggi e nella sua professione. In un passo (I, proemio; cfr. anche V, proem io) già m enzionato egli rievoca le sue frequenti trasferte attraverso l’Asia e le isole dell’Egeo, in Grecia e in Italia, dovunque festività e celebrazioni pubbliche)' luoghi di culto e mercati famosi richiamassero gli indovini giro­ vaghi, dai quali egli attingeva un m ateriale prezioso di tradizioni e di tecniche. La caratteristica frequenza con cui riporta sogni relativi ad atleti im pegnati nei grandi giochi, soprattutto ad O lim ­ pia, fa supporre che A rtem idoro fosse un assiduo spettatore di queste manifestazioni; e a Roma verosim ilm ente egli conobbe al­ cuni tra i personaggi altolocati che nom ina nel trattato, fra i quali il celebre retore M. Cornelio Frontone, intim o della famiglia imperiale. Il secondo secolo fu il tem po aureo del turism o antico, l’epoca dei letterati itineranti; e A rtem idoro non si sottrae alla norma. Il suo viaggiare era motivato da ragioni di studio; ma possiamo chiederci fino a quale punto fosse pure connesso con l’esercizio della professione. Senza volerlo beninteso ridurre al rango degli indovini di piazza, è lecito supporre che inviti e consulti di ogni parte del mondo gli fossero procurati dalla fama non soltanto delle sue pubblicazioni, ma anche delle sue capacità professionali. In effetti A rtem idoro non fu un dilettante, né un teorico puro. Grazie all’esercizio dell’onirom antica egli si guadagnava da vivere, e a quanto pare qualcosa di più. Nel trattato la divinazione è sempre vista come un ram o del sapere, ma anche come un mestiere.

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Soprattutto nelle istruzioni al figlio — e come è naturale questo desiderio di trasm ettere la propria bottega alla discendenza! — spira un senso molto concreto della professione: delle sue risorse, dei suoi segreti e anche dei suoi trucchi, delle esigenze della clien­ tela e degli accorgimenti pubblicitari che esse im pongono. Nella casistica gli si presenta a volte l ’occasione di appellarsi alla sua esperienza diretta; ed egli lo fa convinto della validità dei suoi principi interpretativi, ma soprattutto con la tranquilla fiducia di conoscere a fondo la pratica dell’arte, e di tenersi scrupolosamente a essa. Forse sono proprio la solidità del suo impegno professio­ nale, l’amore che egli porta al suo m estiere a conferire una singolare im pronta di concretezza alla trattazione di una tematica così ef­ fimera. N el m ondo greco la simbiosi di teoria e pratica non è frequente, se non nel campo della medicina; al tempo nostro l’interpretazione dei sogni è affidata ai medici della psiche: A r­ tem idoro si proponeva altri fini, ma non sarà fuori luogo richia­ marsi anche allo sperimentalism o diretto dei suoi m etodi per ri­ conoscerlo come il loro rem oto antenato. Nella doppia dedica a Cassio M assimo e al figlio, e forse anche alla tradizione dell’opera, si riflette la complessa storia com­ positiva del Libro dei sogni: che ha condizionato la sua caratte­ ristica struttura interna, dove i singoli libri formano quasi un conglomerato di blocchi non omogenei e aggiunti in momenti diversi, conferendo al tutto un curioso aspetto di ivork in progress. Quando iniziò a scrivere il suo trattato, A rtem idoro progettava di com prenderlo in due libri; e per tu tta la stesura di questi si attenne al suo piano, che com prendeva una parte teorica generale e l’analisi dei singoli sogni raccolti in categorie secondo l’affinità d ’argomento: sì che alla fine del libro II egli si congeda dall’opera nella convinzione di aver esaurito la sua m ateria. Egli tuttavia non tardò ad accorgersi, anche in seguito alle osservazioni di alcuni pedanti, che aveva tralasciato un certo num ero di fenomeni; e li raccolse in ordine sparso in un terzo libro concepito come u n’appendice dei precedenti e di essi assai più breve, che intitolò L'amico della verità o II viatico (111,28) dedicandolo ancora a Cassio Massimo. Ma all’insieme vennero rivolte più consistenti critiche, delle quali A rtem idoro appare amareggiato anche se non m ettevano in dubbio (a quanto pare, perché egli non è chiaro su questo punto) l’attendibilità delle interpretazioni, bensì rilevavano una certa ca­ renza nelle m otivazioni e, ancora, delle lacune nella casistica (IV, proemio). Così, dopo un certo tem po egli si risolse a scrivere un quarto libro, destinato a offrire una risposta a queste critiche, ma soprattutto a introdurre alla pratica dell’onirom antica il figlio,

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che anzi esorta a non divulgare l’opera tenendola per il suo uso privato: con una certa inconseguenza rispetto alla prima motiva­ zione, ma probabilm ente soltanto per un artificio letterario, o piuttosto pubblicitario 3. N ell’introduzione egli afferma di voler riprendere ancora tu tta la tem atica dei prim i due libri, nello stesso ordine; in realtà, dopo avere riproposto in forma più concisa la parte teorica, si lim itò a form ulare una serie di aggiunte e pre­ cisazioni. T uttavia la destinazione pratica di questo libro emerge nei frequenti richiami alla tecnica interpretativa, inoltre nel ricorso più ampio e pregnante all’esemplificazione diretta. Q uesta tendenza anticipa il carattere deH’ultim o libro, affatto diverso dagli altri, annunciato da A rtem idoro alla fine del precedente e concluso dopo un considerevole lasso di tem po impiegato nella raccolta del materiale (V, proemio): novantacinque sogni accompagnati dai rispettivi esiti, attraverso i quali egli intendeva docum entare in concreto il sistema di corrispondenze fra simboli ed eventi, come esercizio pratico per il figlio. Artem idoro prem ette dunque ai libri I e IV la teoria generale sui fenom eni onirici, che sta alla base del suo metodo. N on si deve tuttavia pretendere da lui un sistema organico completo^-— Egli non è un filosofo, bensì un professionista che tenta di conferire credibilità scientifica alla sua materia, ricorrendo a dottrine pro­ venienti da varie fonti; e i lim iti dei suoi interessi sono denunciati dalle incoerenze e dalle lacune in cui incorre. La problem atica fisiopsicologica oppure metafisica della genesi dei sogni lo interessa m ediocrem ente, e su questo punto si cercherebbe invano una ri­ sposta m otivata e univoca. D i fondam entale importanza per lui sono invece i princìpi classificatori, che perm ettono di stabilire quali sogni siano da interpretare e quali non lo siano. Subito all’inizio si trova infatti la distinzione tradizionale tra sogni profetici e non profetici, corrispondente alla differenza les­ sicale in uso fra òneiroi e enypnia-, i prim i sono indizio di ciò che accadrà, i secondi di ciò che esiste, ossia delle ‘passioni’ sia dell’anim a che del corpo o di entram bi nello stesso tem po, le quali hanno per natura la prerogativa di riaffiorare alla psiche durante il sonno. Scartate dunque le visioni di questo tipo, i sogni profetici si suddividono a loro volta in diretti e simbolici (o allegorici). Prelim inarm ente occorre però procedere a una de­ finizione del sogno: esso «è un movim ento o u n ’invenzione m ul­ tiforme dell’anima, che segnala i beni o i mali futuri» (1,2). A rtem idoro afferma recisamente che tale definizione non abbisogna di molte parole per chi non ama la polemica; e non resta allora che amm irare la sua sovrana indifferenza per secoli d ’indagine

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sui meccanismi form ativi del sogno e sulla causa delle sue proprietà manticlle. In effetti, se in altro passo si am m ette che siano gli dèi a donare il sogno profetico alla psiche, alla quale tuttavia appartiene il meccanismo produttivo di esso, questa posizione (che alla lontana sem bra richiamarsi alla dottrina di Posidonio) viene comunque subito stem perata nella rinunciataria tautologia «in quanto essa [la psiche] possiede per natura facoltà divinatorie»: sentita tuttavia ancora troppo audace, se viene tosto corretta «op­ pure qualunque altra sia la causa del sogno» (IV, 2). L ’anima dunque, quando deve annunciare avvenimenti che si svolgeranno in un futuro immediato, offre una rappresentazione che corrisponde direttam ente a essi; quando invece fra presagio ed evento intercorre un tem po sufficiente perché il primo venga delucidato dal ragionam ento, simboleggia il secondo per mezzo di «immagini proprie e naturali»: anche qui si desidererebbe di più, ma A rtem idoro non va oltre questa vaga form ula. Com unque queste immagini danno origine ai sogni simbolici, sui quali soltanto si esercita l’interpretazione, e che dunque forniranno esclusivamen­ te il tema del trattato. Ma anche per procedere a una corretta interpretazione dei sogni simbolici occorre prelim inarm ente inquadrarli entro un co­ dice di classificazioni secondarie. Q ui soprattutto è palese l’intento deH’onirom antica di atteggiarsi esteriorm ente nelle strutture di un metodo scientifico, accentuando nel contem po un carattere specia­ listico che scongiurasse nei profani la tentazione di interpretare da sé i propri sogni. Almeno per le prim e due serie si tratta di princìpi da tem po invalsi nell’uso, che A rtem idoro accetta con precisazioni e limitazioni dettate dalla sua tipica tendenza al re­ lativismo. I sogni dunque si suddividono in cinque tipi: personali, impersonali, comuni, pubblici e cosmici, a seconda del loro soggetto che a sua volta determ ina il destinatario del messaggio (1 ,2 e IV, 1). Inoltre i sogni possono trovarsi in accordo o in contrasto rispetto a sei elem enti fondam entali: natura, legge, uso, professione, nome e tempo, offrendo una prim a indicazione di massima sul presagio, favorevole nel prim o caso e sfavorevole nel secondo (1,3 e IV, 2). Infine tra i segni dell’immagine onirica e gli acca­ dim enti della realtà futura si può istituire un rapporto sia quan­ titativo sia qualitativo, che A rtem idoro preferisce analizzare sotto le categorie del genere e della specie, rispettivam ente (I, 4-5). Finalità pratiche e debolezza di speculazione sistematica con­ corrono all’im pressione di artificiosa arbitrarietà e inconsistenza di questo sistema. E ppure nel corpo del trattato è possibile im­ battersi in osservazioni acute e geniali suggerimenti, quasi che A rtem idoro si sentisse più libero di sottrarsi allo schematismo

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della teoria in favore dei freschi rilievi della sua esperienza nelle parti descrittive o in quelle riservate alla precettistica interpreta­ tiva. Q ui egli avanza ipotesi sorprendentem ente anticipatrici, dove gioca una parte di rilievo l’attività che noi definirem m o dell’in­ conscio. Egli ripropone, ad esempio, l’opinione di due suoi pre­ decessori, secondo la quale pure la visione di miti non rispondenti a verità vale tuttavia a preannunciare il futuro, in quanto l’anima proietta in essi le proprie prem onizioni senza analizzarne razional­ mente l’attendibilità (II, 66) — e dunque, direm m o noi ora, in rispondenza al loro carattere archetipico. In m odo analogo è mo­ tivato l’aspetto antropom orfico che nel sogno assumono gli dèi: in questo caso la psiche recepisce e riproduce autom aticam ente le convinzioni e le convenzioni dello stato di veglia (11,44). Al­ trove si presenta un più complesso e suggestivo sviluppo: un soggetto esperto nei rudim enti dell’oniromantica, quando abbia le visioni oniriche sprovviste di valore profetico che di solito si presentano in forma diretta, sostituisce anche in queste gli oggetti della propria passione con i simboli ad essi corrispondenti; così in luogo della donna amata vedrà un cavallo o uno specchio o una nave, e così via. D i quest’inganno — poiché dalla presenza dei simboli propri ai sogni allegorici si è indotti ad attendersi la realizzazione del sogno, che invece non avverrà — è responsabile l ’attività della psiche nel sonno, vista come qualcosa di indipen­ dente dal soggetto conscio (IV, proem io). Sempre all’opera auto­ noma della psiche sono attribuiti in un altro passo i particolari esornativi, che decorano il racconto onirico senza tuttavia m odi­ ficare il significato profetico: il suo agire è paragonabile a quello della natura, che fa crescere i viticci sui tralci «tenendo di vista non soltanto la necessità, ma anche gli ornam enti» (IV, 42). Resta tuttavia il fatto che l’esposizione artem idorea dei sogni tende in genere a eliminare drasticam ente questi dettagli, con il risultato di am putare sovente il sogno delle sue più vistose tra­ sgressioni alla dim ensione spazio-temporale della realtà. Ciò dipen­ de soprattutto da u n ’esigenza professionale; da passi come quelli sopra citati ricaviamo l’impressione che la sua capacità di osservare i fenomeni e di investigarne le ragioni potesse andare oltre la portata degli obiettivi che egli si propose. Ma forse non fu solo la tirannia del m estiere a provocare uno scompenso fra queste illum inanti intuizioni e il greve, astratto schematismo del sistema. Pure nella sua umile m ateria A rtem idoro si colloca entro una grande tradizione di pensiero; e in quest’alternanza sarà anche possibile riconoscere un esito della tipica dialettica dello spirito greco fra il ricorso all’esperienza e un razionalismo che non esita

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a intervenire sui dati del reale, per inserirli in una struttura cosmica controllabile dall’intelletto in ogni sua parte. Ma il dualism o fra rilevam enti empirici e sovrastrutture razio­ nalistiche è ancora piti pronunciato nella sterm inata casistica delle corrispondenze tra segno onirico ed evento. Ciò non sfugge ad Artem idoro, che con la penetrante spregiudicatezza dei suoi mo­ m enti migliori ne diagnostica pure il m otivo: «M olti esiti seguono a certi presagi costantem ente, e noi sappiam o che ciò avviene secondo una regola perché in ogni caso le conseguenze sono uguali, ma non siamo in grado di scoprire le cause per le quali si pro­ ducono tali esiti. Perciò riteniam o che gli esiti siano stati scoperti grazie all’esperienza, e le cause da noi stessi, ciascuno secondo le proprie capacità». Infatti, come egli ha avvertito poco sopra, «anche se tu dicessi cose assolutam ente vere, esponendo le pure e semplici conseguenze sembrerai m eno esperto dell’arte» (IV, 20). L ’autore di un trattato di oniromantica, ossia il professionista dell’interpretazione dei sogni, deve vendere la sua merce, e ciò esige due requisiti: l’attendibilità e la novità. A entram bi gli scopi rispondeva il conclamato appello all’esperienza: garanzia di esatti presagi già verificati, e affermazione di originalità rispetto ai pre­ decessori che avevano preferito elaborare in astratto le loro inter­ pretazioni (I, proemio). D ’altra parte, il pubblico era avvezzo da una lunga tradizione ad apprendere una causa razionale delle pre­ dizioni onirom antiche, e non si appagava delle nude equivalenze di messaggio ed esito enunciate dall’esperienza. Ecco dunque l’op­ portunità di inserire il pronostico in un sistema interpretativo, che sopperiva egualm ente alle suddette esigenze: l’attendibilità assicurata dall’im pronta scientifica dei procedim enti esegetici, la novità offerta dagli sviluppi praticam ente illimitati che tali moduli dischiudevano. Ma, ancora una volta, il sistema finisce per sovrapporsi all’e­ sperienza: i cui apporti restano in genere impliciti, nonostante le ripetute proteste di attenersi a essa come al param etro prevalente di verità, e trovano applicazione solo nei rari casi in cui l’autore contrappone due interpretazioni dichiarando di preferirne una per­ ché collaudata nella realtà. D ’altronde, era soprattutto nella spie­ gazione delle cause che l’interprete poteva esibire tu tta la propria valentia; e si deve riconoscere che A rtem idoro vi dispiega u n ’in­ ventiva pressoché inesauribile nell’arte della variazione. Egli afferma che «l’interpretazione dei sogni non è altro che accostamento di simili» (11,25), ossia consiste nella scoperta dei pensieri richiam ati dall’immagine onirica: offrendo dunque il pre­ cedente del principio associativo freudiano, con la differenza —

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rilevata dallo stesso Freud 4 — che A rtem idoro si riferisce all’as­ sociazione suscitata nella m ente dell’interprete, m entre per Freud ha rilevanza l’associazione presente alla coscienza del sognante. Comunque, per rintracciare tale associazione A rtem idoro opera lungo due tendenze di fondo: l’analisi razionalistica delle categorie di raffronto tra segno m antico e accadimento, e i criteri relativistici cui vengono sottoposti sia il sim bolo stesso che il soggetto sognan­ te. A ll’interno di queste tendenze, tuttavia, A rtem idoro applica un’estrem a varietà di procedim enti, solo in linea generale impliciti nelle classificazioni prelim inari della parte teorica. Così, nel mo­ m ento analitico il messaggio onirico m anifesta nel suo tessuto narrativo e verbale l’evento futuro secondo equazioni fondate su princìpi di continuità e inversione nell’àmbito di un medesimo campo di realtà, o di analogia e antitesi rispetto a campi diversi; inoltre su operazioni linguistiche, come l’etimologia, la scomposi­ zione e ricomposizione di term ini, la polivalenza semantica in senso sia sincronico che diacronico, oppure grafico-aritmetiche del genere dell’isopsefia 5 e fatti affini. In secondo luogo, un me­ desimo sogno non com porta un eguale significato in ogni caso e per ogni individuo. Lo stesso simbolo può variare la propria valenza a seconda dei luoghi e dei tem pi in cui si presenta, o delle sue caratteristiche quantitative e qualitative. Ma il relativismo dei significati mantici opera soprattutto al livello del destinatario. Q ui un prim o criterio è costituito da una serie di distinzioni polari: uom ini e donne, sani e ammalati, liberi e schiavi, ricchi e poveri; ma possibilità di frazionam ento praticam ente illimitate sono offerte dall’età, dal grado di parentela, da professioni e cariche pubbliche, da situazioni biografiche e stati psicologici, dalle aspi­ razioni e predisposizioni individuali, e così via. Infine, anche l’esito simboleggiato nel sogno amm ette diversi m odi di qualificazione. In genere, esso esprime la prognosi di un accadimento a venire, ma talvolta offre pure la diagnosi di una situazione presente; e soprattutto, se a volte il pronostico può venire semplicemente valutato secondo le categorie popolari di ‘buono’ e ‘cattivo’, di solito contem pla la puntuale previsione di un evento specifico tra gli infiniti casi che la vita reale riserva. M a alla considerevole ampiezza del trattato contribuisce anche il fatto che A rtem idoro mira a esaurire il campo non solo dei temi onirici effettivam ente controllati, ma anche di quelli sia pure rem otam ente possibili. Le sezioni relative agli animali, soprattutto ai pesci (11,12-22), e al m ondo vegetale (1,67 sg. e 11,25) di­ m ostrano a quali minuzie elencatorie potesse condurlo l’ossessivo horror vacui derivante da questo proposito. D i tutte le condizioni o azioni constatabili nella vita del suo tempo, di tu tti gli esseri

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animati o inanim ati di cui si aveva conoscenza egli tende a offrire una rassegna enciclopedica in chiave divinatoria. Con una certa ipocrisia, A rtem idoro protesta di volere m ettere chiunque in grado di interpretare da sé i propri sogni (111,66); ma è evidente che una casistica così analitica e procedimenti di tale complessità postulassero necessariam ente l’intervento di un professionista dell’interpretazione. In effetti, alla formazione pro­ fessionale dell’interprete e alla tecnica esegetica è rivolta una serie di precetti, che si trovano in vari passi del trattato, soprattutto nel IV libro. In essi Artem idoro, come sovente altrove, opera con un’equilibrata m isura di scrupoloso mestiere ed empirico eclettismo, dove traspaiono alcune valide intuizioni. Poiché la psiche può rivelare le sue premonizioni ricorrendo ai più disparati m ateriali sedim entati nel sapere e nell’inconscio del soggetto, occorrerà che l’interprete sia provvisto di u n ’approfondita cultura generale, che spazia dalla medicina alla geografia, dalla storia alla letteratura, soprattutto d ’argom ento mitologico e antiquario. E però nello specifico campo d ell’onirom antica una preparazione esclusivamente libresca riesce insufficiente, anzi no­ civa; e l’interprete deve confidare soprattutto nella sua intelligenza e in certe doti naturali (I, 12). A rtem idoro evita una definizione aprioristica di queste doti, lasciandone tuttavia individuare il ca­ rattere dalle istruzioni pratiche. Per quanto riguarda la lettura del sogno, queste rim angono piuttosto scontate: è necessario in­ terpretare i sogni nel loro complesso, non tralasciare alcun par­ ticolare, prendere in considerazione solo i sogni ricordati per intero. Ma i sogni non vanno interpretati in assoluto, bensì in relazione alla personalità del sognante: come dim ostra il caso clamoroso di uno stesso simbolo che com portò ben sette esiti diversi in rapporto ad altrettanti individui (IV, 67). A rtem idoro quindi rac­ comanda ripetutam ente u n ’accurata anamnesi del soggetto (ad esempio in I, 9 e IV, 59): non solo, ma l’interprete non deve avere ritegno di investigare tu tti i più reconditi particolari del sogno, perché anche la reazione affettiva del sognante durante la visione concorre a determ inarne il significato m antico (IV, 4). Siamo allora in grado di com prendere per intero la portata del metodo di A rtem idoro, andando oltre le sue stesse indicazioni e, forse, intenzioni. Esso non si esaurisce nella casistica del trattato, la quale offre la m ateria statica per un prim o approccio; ma questa va poi reinterpretata applicandola sperim entalm ente ai sin­ goli casi sottoposti all’analisi. A questo punto le nozioni del ma­ nuale non soccorrono più, e subentrano la perizia dell’interprete, le sue doti naturali: che potrem o allora definire come un concorso di diligenza nel procurarsi tutte le informazioni, e soprattutto di

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intuizione e sensibilità nel valutarle 6. In questa concezione dina­ mica del fatto interpretativo trovano finalm ente conciliazione due raccomandazioni apparentem ente contrastanti: si deve ammettere l’impossibilità di motivare alcuni sogni (IV, 24), e però non si deve tem ere di protrarre la spiegazione fino al m argine estremo di possibilità (IV, 33) — a meno che anche qui non occorra rico­ noscere due costanti della concezione esistenziale della Grecità: il delfico senso del limite, l’aspirazione odissiaca a superarlo. Per la massima parte, com unque, il trattato consiste in u n ’e­ sposizione di sogni; e viene da chiedersi fino a che punto si estenda l’attendibilità dei referti onirici in esso contenuti, e in quale m isura invece essi siano stati sottoposti a un adattam ento secondario: insomma, entro quali lim iti dalla testim onianza di A r­ tem idoro si possa ricostruire il m ondo dei sogni dei suoi contem ­ poranei. Ma per quanto riguarda la più estesa sezione dedicata alla casistica, la risposta risulta invero poco confortante, per un duplice ordine di motivi. I simboli, catalogati singolarmente in rigidi schemi di classificazione, risultano in genere avulsi dal con­ testo narrativo del sogno; di conseguenza, a questo risulta sottratta la molteplicità di dim ensioni che lo caratterizza nei confronti dello stato di veglia. Tale limite non sfugge ad A rtem idoro che one­ stam ente lo denuncia, sia pure entro la prospettiva che lo riguarda: «Non c’è nulla così difficile e ingrato, quanto abbracciare in un quadro d ’assieme la mescolanza e la fusione delle visioni che si hanno nel sonno e trarre dal loro complesso u n ’interpretazione unitaria, poiché sovente accade di sognare cose discordanti fra sé e per nulla simili... I sogni, poiché i presagi che si trovano in essi sono fram m isti gli uni agh altri, riescono naturalm ente complessi e difficili da interpretare per la massa dei profani. Io dunque, affinché si riuscisse a seguire facilmente ciascuno dei presagi, li ho trascritti in ordine e sistematicamente, e in modo che si potesse apprenderli con la maggiore facilità» (III, 66). Ma è proprio la rigorosa e inesorabile coincidenza logica tra simbolo e significato a prom uovere ulteriorm ente il dubbio che i fenomeni descritti siano stati oggetto di una vistosa rielaborazione anche per consentire all’esegeta lo sfoggio di tu tta la propria infallibile sottigliezza. Uno schema formale diverso contraddistingue i sogni contenuti nel libro V, dove il m odulo narrativo riserva al m ondo onirico una certa più pronunciata autonom ia rispetto alla veglia. E tuttavia pure qui l’attenzione è prevalentem ente rivolta al fatto interpre­ tativo: con la conseguenza che la vicenda è per lo più ridotta a una sola azione coerente e conclusa in se stessa, e che i particolari

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non funzionali all’interpretazione vengono eliminati. Per trovare allora un racconto che rispetti con maggiore fedeltà la struttura del sogno nella successione di elem enti almeno parzialmente non omogenei, dovrem o piuttosto rivolgerci a un ridotto num ero di casi esposti nel corpo della precettistica, per i quali A rtem idoro si concede qualche maggiore libertà di registrare i dati dell’espe­ rienza diretta. N ell’avventura dello spettatore di una partita a dadi fra Caronte e un terzo, il quale diviene a sua volta prota­ gonista dell’inseguim ento del dio fino all’ ‘O steria del cammello’ (1 ,4), in quella di un atleta che vive il suo proprio funerale fino a che il suo allenatore non lo richiama in vita massaggiandolo (IV, 82), A rtem idoro esprime almeno un lampo della complessità delle vicende oniriche, che il suo contem poraneo Aristide, al quale giovava l’inestimabile vantaggio di non essere condizionato da obblighi interpretativi, seppe riprodurre negli esemplari resoconti delle sue visioni. Ma, d ’altro lato, quante cose rivela A rtem idoro sul mondo della veglia dei suoi contem poranei, quando si cerchino nel trattato non la storia ufficiale e i suoi protagonisti, ma la vita quotidiana, le occupazioni e i sentim enti di una società. Sotto quest’aspetto la sua opera offre una testim onianza di valore inestimabile, per l’ampiezza stessa del panoram a e perché la sua destinazione ga­ rantisce uno specchio fedele e totale della realtà. G li eventi e le strutture, i costum i e le attività di questa realtà trovano spazio anche nei sogni, ma soprattutto nell’anagrafe dei sognanti e nelle interpretazioni, le quali naturalm ente devono prospettare casi de­ stinati a prodursi di fatto. Tentare una rassegna di questi motivi è evidentem ente fuori luogo: da vicende meno consuete come la parzialità di un arbitro che falsa il risultato di una gara sportiva (V, 78) o la disastrosa serie di sciagure che s’abbatte su un pro­ fumiere sfortunato (IV, 27), si passa ai casi norm ali dell’esistenza, affari e viaggi, m atrim oni e processi, eredità e adultèri, successi e fallimenti, e al ciclo delle generazioni, la nascita dei figli, la morte degli anziani. N ell’opera vive una folla di personaggi, in gran parte anonim i e contraddistinti dalle loro occupazioni: attori e insegnanti, gabellieri, sacerdoti e osti, m agistrati e finanzieri, medici e gente di mare, e tutta una schiera di artigiani, operai, contadini. In pochi testi della classicità si parla tanto del lavoro, soprattutto di quello degli uom ini che ne traggono di che campare, e della sua faccia negativa, la disoccupazione, un livido presagio che i sogni talvolta portano in sé, e che A rtem idoro deve im pas­ sibilmente registrare.

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In effetti, quest’aspetto del trattato consente un secondo, più suggestivo registro di lettura. Esso non descrive soltanto avveni­ m enti e situazioni, ma è anche un riflesso verace degli affetti, delle aspirazioni, dei tim ori che agitavano i contem poranei. N on si tratta certo delle tragiche passioni che muovono i magnanimi eroi della storia plutarchea; è la commedia degli uom ini comuni che chiedono alla vita un m atrim onio, dei figli, un tetto, qualche soldo di più, un socio fidato o un amico sicuro. Poiché il connotato di questa società è l’insicurezza — tanto che la realtà a cui si aspira la si chiede ai sogni —; e la minaccia possono essere la malattia e la m orte, eventi naturali, ma anche l’allontanam ento dai propri luoghi, la mancanza di lavoro o la bancarotta, la rapina e il delitto, e la voce più im pressionante di questo spassionato referto: un tim ore che appare improvviso e rim ane immotivato, quando un presagio si rivolge «a chi ha paura». T utto ciò trova in A rtem idoro un cronista puntuale e completo, come è difficile trovarne nell’antichità. Accade di solito che la tradizione classica intervenga in modo tipicam ente selettivo sulla tematica dell’opera letteraria; ma egli era costretto ad allargare la sua visuale dal genere stesso e dalla destinazione del suo scritto. In esso sentiam o spinte, che in altri settori della letteratura trovano raram ente voce. La sua è la letteratura della povera gente, degli oppressi: quanti schiavi chiedono ai sogni un messaggio di libertà, quante volte abbiamo l’impressione che il pane e il sesso — di cui Artem idoro parla con popolaresca naturalezza, tanto che nep­ pure certe punte di moralismo riescono a scalfirla, e anche le situazioni più scabrose non diventano mai oscene — siano l’unica realtà dei suoi personaggi. Se lo si legge in questa chiave, troviamo nel trattato la testim onianza antica forse più globale e diretta di una società còlta nei moti e nei sentim enti, che dalla collettività si levano per form are la storia.

Note 1 [Cfr. p. v i i e n. 2], 2 Nel Commento della «Dietetica delle malattie gravi» di Ippocrate, I, 15 K. dove attesta pure che il padre di Artemidoro si chiamava Foca. 5 Dello stesso motivo fa ripetutamente uso l’astrologo Vettio Valente, vis­ suto pure nel II secolo d.C. 4 S. Freud, L ’interpretazione dei sogni, trad. it., Boringhieri, Torino 1973, p. I l i n. 1. 5 L’isopsefia si fonda sul principio che due parole siano equivalenti quando

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i valori numerici ottenuti sommando le lettere dell’una e dell’altra sono eguali (si ricordi che i greci indicavano pure i numeri mediante le lettere dell’alfabeto). 6 Cfr. ancora S. Freud, L ’interpretazione dei sogni cit., p. 110: «La riuscita è legata all’ingegnosità, all’intuizione immediata, e per questa ragione l’inter­ pretazione del sogno riuscì mediante la simbolistica a elevarsi a esercizio d ’arte legato in apparenza a doti particolari».

H a n s B en d er P R E D IZ IO N E E SIM B O LO IN A R T E M ID O R O ALLA LUCE D ELLA M O D E R N A P S IC O L O G IA D E L SO G N O *

I libri sull’interpretazione dei sogni e soprattutto le raccolte di sogni hanno avuto da sempre un effetto affascinante. Solo la persona «illum inata» si priva della loro attrattiva, dato che gli sembrano sospette e inutili le parti notturne della vita dell’anima e l’immaginazione non controllata dalla ragione. Il num ero dei detrattori che, per dirla con T heodor G om pertz sono capaci di vedere nel Libro dei sogni di A rtem idoro solo «un contributo alla patologia dello Spirito um ano», è certam ente dim inuito grazie all’influenza esercitata dalla psicologia del profondo; tuttavia esi­ stono ancora oggi m olte persone colte che sono costituzionalm ente im pedite a prendere in qualche modo sul serio il linguaggio del­ l’inconscio. L ’opera di A rtem idoro fornisce una straordinaria raccolta di materiale di racconti onirici vecchi duem ila anni. In essa, la vita inconscia dell’anima dei popoli del II secolo dopo Cristo si presenta viva davanti a noi, con un taglio che abbraccia tutte le sfere e le situazioni della società di allora, che si estendeva per tutta l’Asia M inore, la Grecia e Roma. Non appena si leggano questi racconti di sogni sorge immediata la dom anda: in che m odo il contenuto immaginifico dei sogni dei popoli antichi si distingue da quello degli uomini d ’oggi? Con quali parabole e simboli si m anifestava la psiche sognante nelle epoche storiche passate? La somiglianza appare di primo acchito: come oggi, la maggior parte delle immagini si riferisce alle sfere concrete della vita. Basta confrontare la classificazione * Hans Bender, Prognose und Symbol bei Artemìdor im Lichte der modernen Traumpsychologie, in Artemidor aus Daldis, Traumbuch, a cura di F.S. Krauss, rielaborato e integrato da M. Kaiser, Basel-Stuttgart 1965, pp. 355-369. Traduzione italiana di Sabina von Anrep.

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II sogno in Grecia

del materiale onirico nei primi due libri di A rtem idoro con un’e­ sposizione m oderna, come per esempio quella fornita da E. Aeppli, molto vicina alle posizioni di C .G . Jung, nel suo libro II sogno e la sua interpretazione1, per verificare l’estesa concordanza del contenuto. I tipi onirici che riguardano nascita e m orte, genitori e figli, corpo e parti del corpo, nutrizione e coito, paesaggio, piante, animali, agricoltura e navigazione e cose simili, sono espres­ sioni perenni del sogno. O gni epoca storico-culturale arricchisce l’arsenale delle immagini oniriche con i suoi m odi di vivere, via via più raffinati, ma la sostanza di fondo resta la stessa. La psiche sognante sem bra essere sottratta al cammino della storia, le tra­ sformazioni dello spirito la sfiorano solo con una debole risonanza. O ra si pone u n ’ulteriore dom anda: le immagini, le analogie e i simboli di quegli antichi sogni hanno lo stesso significato di oggi, sono espressione di analoghe situazioni psicologiche, tali che noi potrem m o vederle adattate anche all’uomo m oderno? Q uan­ to era facile rispondere alla prim a dom anda sull’analogia del con­ tenuto, tanto è complicata questa seconda questione. Essa ci porta nel bel mezzo di una problem atica ulteriore: la m oderna diagno­ stica del sogno, le cui diverse scuole (delle quali le più rimar­ chevoli rim angono quelle vicine a S. Freud e a C.G. Jung), rap­ presentano posizioni che nonostante tutte le coincidenze si pre­ sentano in parte come contrapposte, giacché, per una analisi com­ parata non abbiamo tutto som mato a disposizione m etri univer­ salmente accettati. Tuttavia questa non è che una delle difficoltà, come apparirà chiaro, più avanti. Innanzitutto dobbiam o chiederci in che m odo l ’interprete A rtem idoro abbia provato a cogliere il senso dei sogni dei suoi contem poranei. Come per tu tti gli antichi interpreti, A rtem idoro si serviva dei sogni per rivelare il futuro. I suoi clienti si aspettavano da lui una predizione e non una sottile disquisizione sulle condizioni della loro anima. Nel IV libro della sua opera^Artemidoro istruisce il figlio in questi term ini: «La divinità [...] dona all’anima sogni che riguardano il futuro del sognatore, in quanto essa possiede per natura facoltà profetiche, oppure qualsiasi altra sia la causa del sogno» (4 ,2 ). Solo queste visioni profetiche hanno un valore, non vengono invece prese in considerazione quelle «senza effetto» che derivano dai desideri e dalle preoccupazioni del giorno o dagli stim oli del corpo. Secondo A rtem idoro, le immagini oniriche si dividono in due gruppi: le teorem atiche e le allegoriche. Egli scrive: «Le teorem atiche sono quelle che hanno la pienezza del loro significato così come vengono viste, le allegoriche al contrario comunicano il loro significato in forma di enigma» (1 ,2 ). Quello che è di natura teorematica, secondo A rtemidoro, va verso l’im­

Bender, Predizione e simbolo in Artemidoro

mediato presente e si avvera ben presto; quello che è invece di natura allegorica (i sogni simbolici) solo al term ine di un periodo di tem po più o m eno lungo (4,1)- A rtem idoro fa intendere che queste regole si basano sull’esperienza; egli afferma di conoscere un solo sogno teorem atico che non si avverò nelPimmediato pre­ sente: «Rusone di Laodicea sognò di aver comprato la casa rii un suo amico e in effetti la com prò tre anni dopo» (4,1 )• I sogni teorem atici e manifesti sem brano presentarsi prevalentem ente a persone la cui anima non è ottenebrata da tim ori o da desideri e che si elevano al di sopra dei desideri fisici — un riferimento interessante ai motivi psicologici che portano a una traslazione enigmatica del sogno dove «una cosa viene indicata attraverso un’altra». In u n ’altra form ulazione (1 ,2 ): «Nei sogni allegorici l’anima si esprime, secondo determ inate leggi, in forma enigma­ tica». L ’interprete dei sogni dell’antichità cerca di sciogliere questo messaggio in chiave ricorrendo al «m etodo di decifrazione» (Chiffrierm ethode): egli traduce in espressioni verbali le singole imma­ gini oniriche, tram ite chiavi fisse fornite da u n libro di sogni. F, bene richiam are subito l’attenzione sul fatto che il metodo di Freud si distingue da quello di tu tti i suoi predecessori, i quali avevano cercato di ricavare il senso del sogno direttam ente dal suo contenuto manifesto. Per Freud è il sognatore stesso che deve fornire illuminazioni alle singole immagini del sogno: così egli stesso diventa il libro dei sogni, l’interpretazione emerge dalle sue associazioni. A rtem idoro è già passato m olto vicino a questa m oderna via per la com prensione dei sogni, anche se la sua tecnica di differenziazione delle chiavi a seconda dei casi resta u n ’opera­ zione dall’esterno, e anche se, nonostante le sue straordinarie in­ tuizioni sulla motivazione dei sogni, non è riuscito ad afferrare la dinamica interna della vita psicologica. Egli infatti ritiene ne­ cessario che «l’interprete dei sogni sappia con precisione chi è il sognatore, che ne conosca la professione, la provenienza, lo stato patrim oniale, lo stato di salute fisica e l’età» (1,9). Una medesima visione onirica può significare qualcosa di molto diverso a seconda che sia sognata da un uomo libero o da uno schiavo, da un ricco o da un povero, da una persona sana o da un malato, da un uomo o da una donna e così via. Spesso la classificazione scivola nella pedanteria. A rtem idoro richiede inoltre una memoria completa: «L ’esatta concatenazione del sogno deve essere chiara al sognante» (4,3), e l’interprete deve poter raccogliere informa­ zioni sulle usanze locali e sulle caratteristiche dei luoghi, dal mo* mento che le immagini possono desum ere m ateriale da tali pN(f* ticolarità. Visioni ricorrenti possono significare ogni volta qualcoM

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di diverso anche presso il medesimo sognatore, q uand’egli si trovi in situazioni diverse. Come esem pio vengono narrati (4 ,2 8 ) tre sogni di un commerciante di unguenti che si riferiscono alla perdita del suo naso. Perse il suo capitale e smise di commerciare in unguenti: il sogno indicava questo esito poiché egli non possedeva più l’organo per saggiare i profum i. La stessa persona sognò, quando orm ai non era più m ercante di unguenti, di non avere più il naso: venne sorpreso nella falsificazione di docum enti e dovette lasciare la patria. Un difetto nel viso infatti lo deturpa e disonora, e il viso è l’immagine dell’onore e della rispettabilità; costui quindi ebbe ovviamente a perdere l’onore. Q uando lo stesso, durante una m alattia, sognò la perdita del naso, ben presto morì «perché anche i teschi dei m orti non hanno un naso». Come sempre, nei giochi sul sogno di A rtem idoro la realizzazione pre­ sunta viene presa come criterio per dim ostrare l’interpretazione proposta. Si vede come in questa tecnica interpretativa si congiun­ gano le deduzioni tratte dall’esito dei sogni e una sofisticheria razionalistica. A ll’inizio del I libro A rtem idoro fornisce una base di principio a quello che è l’unico e reale obiettivo dell’interpretazione dei sogni, ossia la com prensione della funzione profetica della visione. Là si dice che la visione da un lato serve come immagine del sonno e induce l’anima a prevedere il futuro. D all’altro lato agi­ rebbe anche dopo il sonno, e provocherebbe azioni determ inanti. Il sógno quindi starebbe lì a risvegliare ed eccitare l’anima. Con questja form ulazione diventa psicologicamente comprensibile il nes­ so tra l’inform azione del sogno e gli avvenim enti futuri, nel senso delle m oderne interpretazioni, di cui è esempio l’affermazione di M eder: «M olti sogni si com portano come esercizi preparatori, come preparazione a u n ’attività da sveglio, cercano e forniscono tentativi di soluzione ai conflitti in atto» 3. W . Kemper, nel suo libro II sogno e il suo significato, interpretazione a proposito della tesi delle «previsioni nel sogno», così si esprime: «Se nel sogno siamo immersi in un tipo di esistenza che, sopprim endo la categoria del tempo, ci sottopone presente e passato indifferentem ente in­ trecciati allora bisogna che anche la dim ensione del futuro coincida con questa unità». Q uando ci si interroga sul futuro, è insito nella natura della dom anda che l’accento sull’inform azione tanto attesa si muova nella polarità di favorevole / sfavorevole. Così si esprime anche Artem idoro: «La visione onirica è u n ’emozione o u n ’immagine m ultiform e dell’anima, che indica le cose buone o cattive che verranno» (4,2). L ’anima — egli continua — predice tutto ciò che si verificherà presto o tardi, attraverso particolari immagini sim­

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patetiche. La sfera di queste «profezie», senza u n ’ulteriore discus­ sione teorica viene estesa da A rtem idoro a ciò che, del com por­ tam ento futuro, può essere dedotto dall’attuale «emozione dell’a­ nima» (che «stimola» azioni effettive); ed è ciò che può essere inteso come funzione profetica del sogno nel nostro senso. Q uesta funzione abbraccia anche avvenim enti futuri, che non sono psico­ logicamente m otivati o quantom eno includono dettagli che non possono essere dedotti da tendenze com portam entali conscie o inconscie. Così, per esempio, (in 5,59): «Un tale sognò di essere stato ferito ad un piede da una lancia caduta dal cielo. Ebbene quest’uomo venne m orso a quel piede da un serpente denom inato ‘dardo’, fu colpito dalla cancrena e ne m orì». O ppure il sogno (4, 84) dei semi di grano che germogliano dal petto e poi vengono strappati e che stanno a indicare i figli ammazzati in seguito da una banda di briganti. Sono scarsamente rappresentati esempi con­ vincenti di «sogni veri» suscettibili di essere visti come autenti­ camente precognitori nel senso della parapsicologia, e che quindi non possono essere riportati ad una causalità com prensibile; non­ dimeno si trovano tu tte le forme che vengono osservate anche oggi, anche se non accettate com pletam ente, come per esempio la profezia d ’am m onimento: «un tale sognò che qualcun altro gli dicesse: ‘sacrifica ad Asclepio’. Il giorno successivo gli capitò una grande disavventura. Scaraventato giù da un carro ribaltato, gli venne schiacciata la mano destra e questo era ciò che gli era stato predetto dalla visione: cioè che avrebbe dovuto stare in guardia e offrire sacrifici agli dèi per prevenire la sventura» (5,66). A rtem idoro cita anche esempi di sogni teorem atici chiaroveggenti: «Un tale sognò di essere stato ferito da un uomo con il quale aveva fissato una partita di caccia per il giorno seguente e [...] costui lo ferì nella realtà dei fatti alla spalla, proprio come nel sogno» (1,2); ma sogni di questo tipo sono com unque pochi. Riguardo a questi sogni, palesi anticipazioni del futuro, A rtem idoro non potè dim ostrare la sua arte dell’interpretazione: essi non sono im portanti per il suo manuale. Lo scarso num ero di esempi non consente quindi alcuna conclusione sulla diffusione di tali sogni precognitori della realtà presso gli antichi. Artem idoro, dunque, non vede alcuna differenza di principio tra sogni prem onitori psicologicamente com prensibili e sogni pro­ fetici inspiegabili (nel senso della parapsicologia), dal momento che egli riconduce tu tte le forme dei sogni «mantici» ad u n ’origine divina. Aristotele, al contrario, ricerca delle ragioni che spieghino il dato di fatto della preveggenza nei sogni. Egli sa che le m alattie proiettano la loro om bra nel sogno e che in esso si notano meglio che in stato di veglia. Q uesta è una «causa ragionevole» della

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visione onirica, che annuncia la m alattia imminente. D ubitando dell’origine divina delle visioni m antiche cerca spiegazioni naturali. Nel suo scritto sulla predizione attraverso i sogni, sostiene che «una volta che escludiamo questa via di spiegazione [ossia l’as­ sunzione che i sogni vengano dagli dèi], non ce n ’è altra che si m ostri più ragionevole. Giacché, se anche qualcuno potesse pre­ vedere che cosa accade alle colonne d ’Èrcole o al Boristene (D nepr), il trovare una causa che spieghi quel fenom eno è al di là della nostra com prensione». Q uello che oggi indichiamo come sogno telepatico o chiaroveggente (sogno che fornisce informazioni su uno spazio lontano, inaccessibile alle norm ali attività sensoriali) riporta Aristotele sul fatto che i dorm ienti colgono al loro interno le piccole stimolazioni meglio di chi è sveglio. A rtem idoro non entra in simili argomenti, anche se nel sogno della piccola M usa (5, 50) propone un caso esemplare di telepatia 4. Riprendiam o la dom anda posta all’inizio, e cioè se le immagini, le analogie e i simboli dei sogni in età ellenistica abbiano lo stesso significato di oggi. Direm o subito che non si può rispondere alla dom anda in term ini generali, in prim o luogo perché non conosciamo le idee dei sognatori —il «contesto», in senso junghiano — che oggi vengono viste come indispensabili per l’interpretazione della maggior parte dei sogni, e in secondo luogo perché la mo­ derna interpretazione dei sogni si differenzia ancora fortem ente a seconda dei punti di vista delle varie scuole. La spiegazione freudiana, che ne riduce la causa a situazioni istintuali, vede nel contenuto dell’immagine del sogno m anifesto un rivestim ento in chiave enigmatica determ inato dalla censura di pensieri onirici penosi', e nell’interpretazione la risoluzione del «lavoro del sogno» (il quale cela prevalentem ente desideri sessuali rimossi), ed è una spiegazione, quella di Freud, che si differenzia com pletam ente dalla concezione di Jung, il quale intende le immagini del sogno come l’espressione imm ediata d ell’inconscio e sottolinea l’aspetto finale com pensatorio del sogno. In terpreti del sogno non vincolati a scuole prendono in considerazione la strada indicata da Freud, da Jung e altre ancora per la com prensione del sogno e, attenendosi a una «scala graduale d ’interpretazione» (Bossard), valutano i sogni chiedendosi se il punto di vista riduttivo (Freud) o finale (Jung) corrisponda meglio alla loro struttura individuale e se siano en­ tram bi utilizzabili contem poraneam ente. M entre Freud vede i sogni come adem pim enti di desideri e i simboli essenzialmente come segnali di contenuti sessuali (secondo uno schema per cui lungo­ vuoto corrisponderebbe a maschile-femminile), Jung m uove contro quest’interpretazione con le seguenti parole: «Che i sogni siano soltanto adem pim enti di desideri rimossi è un punto di vista

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largamente superato. Certam ente vi sono anche sogni che presen­ tano in maniera manifesta desideri appagati o tim ori. Ma c’è ben altro, oltre a ciò. I sogni possono essere verità inesorabili, sentenze filosofiche, illusioni, fantasie selvagge, ricordi, progetti, anticipazio­ ni, anzi persino visioni telepatiche, esperienze irrazionali». Jung vede nei simboli immagini archetipiche dello spirito, della dom i­ nante dell «inconscio collettivo», in cui trovano espressione — con accentuazione em otiva — disposizioni universali nella storia dell’u ­ manità non esprim ibili concettualm ente. Anche Freud — e spesso non ci si pensa — considerava la rappresentanza simbolica di un oggetto attraverso un altro come una conoscenza originaria, u n ’e­ redità arcaica indipendente dal lavoro del sogno. I simboli sono un linguaggio fondam entale e appartengono alla vita inconscia dello spirito. Egli scrive che della medesima simbologia si servono miti e racconti, il popolo nei suoi detti e canti, l ’uso corrente della lingua e la fantasia poetica 5. Il campo del simbolico è straordinariam ente grande, e la simbologia del sogno non ne è che una piccola parte. Freud, tuttavia, dava grande importanza al fatto che si può dim ostrare come m entre in altri campi il simbolismo non ha solo carattere sessuale, nel sogno i simboli vengono adoperati quasi esclusivam ente per esprim ere oggetti e relazioni di carattere sessuale 6. T uttavia l’equivalenza o l’identi­ ficazione degli oggetti (per esempio serpente = membro maschile) non rappresenta ancora una simbologia in senso psicanalitico. Per avere questo, infatti, si deve aggiungere il m om ento della rim o­ zione: solo dal m om ento in cui, a seguito dell’educazione culturale, un elemento della analogia (e precisamente il più im portante) viene rimosso, l’altro raggiunge la «sovrasignificanza affettiva e diventa un simbolo di ciò che è rimosso» (Ferenczy). C ’è da chiedersi se la frequenza indiscutibilm ente alta con cui compaiono simboli sessuali nel m ateriale onirico di A rtem idoro —che vengono interpretati in senso freudiano, e sono ben noti nell’antichità anche al di fuori della sfera del sogno —, sia da attribuirsi alla rimozione della sfera genitale a causa dell’educazione culturale. È molto problem atico ed è ancora tutto da discutere. O ra, è vero che sopra abbiamo lim itato la possibilità di com parare il contenuto delle immagini nei racconti di A rtem idoro, con quello di sogni attuali, in quanto mancano le associazioni con i sogni; per i sogni simbolici in senso stretto, tuttavia bisogna fare u n ’eccezione. Per i veri sogni simbolici non si presenta, come l’esperienza dimostra, nessuna associazione di idee. I simboli vanno distinti dalla «dram ­ matizzazione» (Freud): sono la traduzione dell’astratto in immagini plastiche, visibili — che Jung ancora una volta considererebbe non già come «traduzione», ma come diretta espressione del moto

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dell’anima in immagini evidenti. P er i simboli, Freud assunse un significato costante, e al riguardo dice: «Dato che i simboli sono traduzioni im m utabili, essi realizzano in una certa m isura l’ideale degli antichi, come pure dell’interpretazione popolare dei sogni, dalla quale il nostro m etodo si allontana di molto. Essi ci per­ m ettono in date circostanze di interpretare un sogno senza dover interrogare il sognante, il quale a proposito di simboli non sa assolutam ente cosa dire. Se si conoscono i simboli onirici correnti e in più anche la personalità di chi sogna, la rete di rapporti in cui vive e le im pressioni seguite all’accadimento del sogno, allora spesso si è in grado di interpretare un sogno senza bisogno d ’altro, di tradurlo in qualche m odo a prim a vista» 7. W olfram K urth, in un suo articolo 8 arriva alla conclusione che «i greci già duem ila anni fa usavano nei loro sogni la stessa simbologia delle persone d ’oggi» e che «i pensieri latenti del sogno, almeno per quel tanto che possiamo capire dai simboli, avevano a che fare con le stesse rappresentazioni e problem i che Freud ha stabilito per i nostri tem pi. D a ciò deriva in particolare che la vita sessuale nel sogno del greco adulto m ostra le stesse rimozioni e i medesimi complessi dell’uomo d ’oggi». L ’interpreta­ zione di A rtem idoro è secondo K urth, di due tipi: una razionalistica e una psicologica. Come esempio di interpretazione razionalistica egli propone tra l’altro, la seguente (5,51): «Un tale sognò che il suo bastone si era frantum ato in pezzi. Si ammalò e rimase paralizzato; il sostegno del corpo, vale a dire della forza fisica e della buona salute, erano state infatti indicate dal bastone. La stessa persona, turbata e irritata per la paralisi, sognò che il suo bastone si era rotto di nuovo. T ornò ad essere im provvisamente sano, non aveva infatti più bisogno di alcun appoggio». Per l’in­ terpretazione psicologica, K urth, da perfetto freudiano, si serve prevalentem ente di «sogni con simbolismo chiaramente decifrabile, che concordano con la simbologia freudiana». Im peratore, Im pe­ ratrice = G enitori (in A rtem idoro sostituiti dagli Dèi: 2,33; 4,69), nascita = acqua (4,53), pene = rettili e serpenti (2,3), genitali femminili = cavità, vasi, stanze, armadi, ecc. (1,74; 2,10; 2,12; 5,20), piacere sessuale = dolcezza (1,73), persone sessualmente eccitate = bestie selvagge (2,12) e così via. Interpretato psico­ logicamente in senso freudiano sono anche i sogni che impiegano proverbi e giochi di parole, come ad esempio (2,12): m andrie di buoi rappresentano, per via del loro nome, disordini e maldicenze (bòes = bovi; boèo = grido). La corrispondenza del simbolismo sessuale non si può disco­ noscere; e purtuttavia la conclusione sulle «stesse rimozioni e i medesimi complessi» non è affatto convincente. Lo stesso K urth

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si trova in un dilemma, quando da un lato stabilisce che «la massima parte dei sogni a carattere sessuale sono manifesti», e dall’altro si meraviglia del fatto che «ricorra tuttavia con tanta frequenza la censura onirica con la sua simbologia», dal che egli deduce che il greco, nonostante la maggiore ingenuità e libertà nella sfera sessuale, «doveva avere com unque riserve etiche contro i desideri sessuali troppo scoperti». Q uesto dilemm a si risolve se ci si libera da un modo di vedere che i discepoli di Freud hanno in parte forzato anche al d i' là delle posizioni del loro maestro: che cioè il simbolismo onirico sia sem pre il risultato della rimozione e che manifesti qualcosa che non si dovrebbe m ostrare apertam ente e dovrebbe sottostare alla censura. La teoria della censura come «polizia del pensiero» deve essere vista nella sua dipendenza dalle condizioni culturali generali a cavallo del secolo scorso e del nostro secolo. La maggior parte del m ateriale onirico raccolto da Freud sui pazienti proviene sostanzialm ente da borghesi residenti in grandi città e appartenenti alla classe m edioalta, e riflette l’inconscio contrasto prodotto dalla prosperità esteriore del periodo vittoriano, incapace di coscienza e quindi incline a considerare universale la deformazione onirica (conseguenza di una rimozione), che fu una scoperta culturale di quell’epoca. N on solo Jung, ma anche psicoterapeuti lontani dalla «psico­ logia analitica» come L. Binswanger e M edard Boss, così come molti psicologi, vedono nel contenuto dell’immagine del sogno innanzitutto u n ’imm ediata funzione espressiva. Lo psicologo am e­ ricano C.S. H a ll 9 ha delineato la comparsa dei simboli nel sogno come un accorgimento espressivo, non un messo di sviamento, e ha quindi segnalato come i simboli, lungi dal nascondere il senso del sogno, rivelano al contrario non solo l’agire delle figure che compaiono nel sogno, ma anche le concezioni di chi sogna su di esse e su ciò che trattano. Un esempio di H all: i rapporti sessuali possono avere per persone diverse u n ’accentuazione di significato largamente differente. Possono essere visti come attività generativa o riproduttiva, oppure come attacco psichico di carattere aggres­ sivo. Q uesti diversi aspetti di un evento in sé uguale trovano espressione nella scelta specifica dei simboli onirici. Se si sogna di arare un campo o di seminare, ecco che viene presentata la sessualità nel suo aspetto generativo; se si sogna di pugnalare una persona o di sparare con una pistola o con un fucile, si presenta l’aspetto aggressivo. Anche nella vita reale si utilizzano queste immagini, perché allora nel sogno dovrebbero sempre e solo servire come occultamento? Da questo punto di vista bisognerebbe dom andarsi quali delle

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interpretazioni di A rtem idoro possano qualificarsi come «psicolo­ giche» e quali come «razionalistiche». Il sogno (5,51) del bastone rotto come simbolo di paralisi e, per rovesciamento interpretativo, come simbolo di guarigione, è per K urth esempio di un tentativo razionalistico d ’interpretazione. Secondo lui andrebbe visto «anche nel senso di un sogno di castrazione, se si prendesse il bastone come simbolo di un pene». In questo caso si tratterebbe di un ’interpretazione psicologica. Q uanto più una condizione di spirito si allontana dalle fonti originarie deU’immaginazione e perde la comprensione delle immagini, tanto più forte sarebbe l’elemento sofistico nell’interpretazione dei sogni. L ’esperienza insegna che i sogni comprensibili, che propongono una situazione psicologica o eventi della vita in modo verosimile, possono essere compresi direttam ente come una parabola, senza ricorso ad una teoria del sogno, posto che si lascino parlare le immagini in modo naturale. Il m otivo di fondo di questi sogni si rintraccia anche senza contesto, l’interpretazione viene confer­ m ata dalla conoscenza della situazione di vita. Sono sogni che nel complesso propongono una fisionomia comprensibile. Nella raccolta di A rtem idoro si trovano parecchi sogni di questo genere, il cui senso può essere dedotto direttam ente. P er esempio: «Una donna sognò che il suo innam orato le regalava una testa di maiale. Cominciò a detestarlo e alla fine lo abbandonò; il maiale, infatti, non è afrodisiaco» (5, 80); oppure: «Un tale sognò di essere buttato fuori dal ginnasio da parte del m agistrato della sua città. E venne di fatto buttato fuori di casa da suo padre; il padre infatti ha in casa lo stesso rango del prim o cittadino di una città» (5,36). A questa simbologia trasparente e di per se stessa comprensibile (per la quale nell’ultim o sogno lo spostam ento simbolico viene posto in relazione con l’idea di autorità) appartiene anche il sogno del macellare o del vendere la carne della propria moglie, che venne sposata per interesse, oppure quello di perdere la lettera giustificatòria per un processo che term inava con u n ’assoluzione (5,10), oppure quello del m atrim onio contro volontà seguito da una separazione, per la analogia con un m antello diviso a metà, che una donna fa indossare a forza al sognatore, che ella sta inseguendo (5,29). Jn questo senso sono anche chiari una serie di sogni di organi che m ostrano una m alattia vicina o lo spegnersi di forze vitali, come il sogno del bastone sopracitato (5,51) o similmente il sogno (5,3) dove una prossim a paralisi si annuncia nell’immagine di una statua, il cui piedistallo si rom pe. Come semplici somiglianze sono da vedere anche alcuni sogni di morte, come per esempio (4,40): «Una donna sognò di tessere la sua tela. M orì il giorno dopo, perché non aveva più niente da fare,

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era cioè term inato il filo della sua vita». A ltrettanto trasparente è il sogno della donna ricca e dei corvi prem onitori di morte (4,32). Per l’interpretazione di questi sogni, la cui simbologia è diretta, valgono le parole di Aristotele: « Il miglior interprete di sogni è colui che ha l’occhio per le analogie». Ma l’«occhio per le analogie» non basta per l’interpretazione dei sogni più complessi. Dove il contenuto dell'im magine non lascia intravedere il tem a di fondo in una forma complessiva, come in m olti sogni della raccolta di esem pi del quinto libro di Artem idoro, l’interprete ricorre al «m etodo di decifrazione» (Chiffriermethode) e traduce alla maniera di un mosaico seguendo ie regole date nel lessico del sogno. Le corrispondenze lì indicate in sconvolgente abbondanza, abbracciano tutte le sfum ature di una prospettiva fisiognomica, di una visione psicologica (anche in legami che sono accessibili solo all’esperienza), di peculiarità legate alla lingua, attraverso miti, usi e costum i con determ inate concordanze fino a deduzioni sofistiche, con apparenza di esperien­ za, ma che sono chiaram ente solo speculazioni, le quali possono poi in effetti essere indicate come piatti tentativi di interpretazione razionalistica. Sarebbe un lavoro m eritevole esaminare questo ca­ talogo, una volta tanto in modo indipendente da u n ’interpretazione del sogno preordinata, alla luce dei suoi rapporti con una visuale m oderna del problem a del sogno, nella sua universalità umana.

Note 1 Nella recensione a F.S. Krauss, Artemidor aus Daldis. Traumbuch, in «Zeitschrift fiir die Oesterreich. Gymnasien» 32 (1881), p. 501. 2 E. Aeppli, Der Traum und seme Deutung. 3 Meder, Selbsterhaltung und Selbstheilung, 1949, p. 142. 4 [Cfr. n. 32 a p. xxxv], 5 S. Freud, L ’interpretazione dei sogni, Boringhieri, Torino 1973, p. 325. 6 S. Freud, Introduzione alla psicanalisi, Boringhieri, Torino 1974, p. 151. 7 S. Freud, Introduzione alla psicanalisi, cit., p. 138. 8 W. Kurth, Das Traumbuch des Artemidoros im Lichte der freudschen Traumlehre, «Psyche» 4 (1950), pp. 488-512. 9 C.S. Hall, The Meaning o f Dreams, 1954.

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Salvatore N icosia L ’A U T O B IO G R A F IA O N IR IC A D I E L IO A R IST ID E *

U n’opera autobiografica nella quale l’autore, un letterato ipo­ condriaco e megalomane, inserisce l’esposizione di un centinaio di sogni, desum endoli in parte da un diario di visioni notturne ed eventi diurni, e non di rado interpretandoli personalm ente in funzione delle proprie m alattie e delle proprie nevrosi: se Sigmund Freud avesse conosciuto i Discorsi sacri di Elio Aristide, il famoso retore vissuto in Asia M inore nel II secolo d.C. ‘, certamente ne avrebbe tratto qualche spunto per le sue riflessioni sul feno­ meno onirico nel m ondo greco, perlopiù suggeritegli dalla lettura del Libro dei sogni del contem poraneo e conterraneo A rtem idoro 1. Ma il trattato artem idoreo aveva conosciuto una varia e ininterrotta fortuna fin dal Rinascimento 3, ed era a Freud direttam ente noto attraverso la traduzione tedesca di F.S. Krauss 4; m entre la straor­ dinaria autobiografia onirica di A ristide, sommersa nella congerie dei suoi scritti retorici, doveva attendere i decenni a noi più vicini perché si creassero le condizioni di una sua corretta valo­ rizzazione 5: come docum ento di una particolare forma di religio­ sità fiorita nell’«età dell’angoscia», come testimonianza — tra le più significative — del clima culturale di u n ’epoca che smarriva sempre più decisam ente il senso della solidità del reale, e soprat­ tutto come unico corpus di sogni individuali che il m ondo antico ci abbia trasmesso. A fondam ento dei Discorsi sacri c’è una singolare vicenda um ana e intellettuale. Colpito dall’età di ventisei anni da una misteriosa m alattia che gli inibisce la realizzazione di una precoce ed esclusiva vocazione retorica, A ristide si ricovera, dopo aver sperim entato l’inadeguatezza della m edicina um ana di fronte ai * Saggio originale scritto per questo volume.

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suoi mali, nel santuario incubatorio di Asclepio a Pergamo. Qui, durante un soggiorno che si protrae per alcuni anni, si sottopone con fede cieca a tutte le prescrizioni (mediche, farmacologiche, igienico-dietetiche) che il dio gli impartisce per il tram ite dei sogni senza troppo discostarsi dalla prassi della medicina laica del tem po; sperim enta gli effetti benefici che hanno su di lui, certam ente malato anche «per la disposizione dell’anima», certe cure psicologiche (meloterapia, «logoterapia» attiva) cui si fa ri­ corso nell’Asclepieo 6; partecipa intensam ente ai riti e alle pratiche cultuali; riceve dagli stessi sogni, oltre che dalle necessità dell’i­ stituzione religiosa e dall’am biente colto che gravita attorno al santuario, stimoli e sollecitazioni a riprendere l’attività oratoria bruscam ente interrotta. Q uando finalm ente troverà la forza di allontanarsene, il rapporto con Asclepio si è ormai definitivam ente consolidato. A lui, e cioè ai propri sogni, Aristide ha delegato non soltanto la cura di un corpo che è il ricettacolo di ogni possibile malanno, ma tu tte le scelte e le decisioni dell’esistenza. Saranno i sogni a suggerirgli, in una ininterrotta quotidiana visi­ tazione, gli atti che deve compiere, siano essi eccezionali o irri­ levanti; le cure, le diete e il regime di vita cui deve sottoporsi; i viaggi, gli spostam enti, le soste, i luoghi in cui deve dimorare; le orazioni che deve com porre o pronunziare. M alattie di ogni genere, e non solamente «immaginarie», continueranno a torm en­ tarlo senza tregua costringendolo a periodi di inerzia e di isola­ mento; ma Aristide è ormai nella condizione di chi aspetta fer­ m amente non più il miracolo della guarigione definitiva, ma la serie continua dei miracoli in cui consiste la sopravvivenza; e immancabilm ente il dio che «sa come lenire tu tte le um ane sof­ ferenze» (IV, 37) interverrà a stendere sul suo protètto la propria mano risanatrice, consentendogli di superare i sessant’anni, e di lasciare ai posteri una vasta produzione letteraria per m olti secoli considerata Esemplare. A voler spiegare in term ini estranei alla cultura di Aristide il miracolo di questa salvazione, si direbbe che, affidandosi inte­ ram ente ad Asclepio, egli non abbia fatto altro che proiettare su una entità esterna la propria ambizione retorica conflittuale. Il dio gli offre, attraverso le continue conferme dei sogni, la piena legittimazione delle fantasie di onnipotenza — persecutoriam ente vissute — inerenti all’attività oratoria; ma nello stesso tem po è come se la persecutorietà si riproponesse nella forma di ansie rivolte al corpo, di insistenti e pur controllabili fantasie di morte, di prescrizioni autopunitive, di un assedio ipocondriaco che il sistema culturale rappresentato dall’Asclepieo e dalla religione del dio guaritore riesce a contenere entro limiti di tollerabilità sociale.

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Si pongono così le prem esse di un rapporto destinato — in quanto condizione per il m antenim ento di un p u r precario equilibrio psi­ cologico — a durare nel tem po, riproducendo continuam ente gli elementi che ne costituiscono l’essenza: le insistenti m alattie e l’immancabile guarigione, il sostegno e gli im pedimenti, il senso della colpa e l’espiazione. I Discorsi sacri sono il resoconto autobiografico di questo complesso e duraturo rapporto instauratosi tra un individuo e il dio che egli ha eletto a governatore della propria vita. La loro genesi è in un ordine di Asclepio che im pone al suo nuovo adepto, fin dal suo prim o manifestarsi, di tenere un diario dei propri s o g n i1. Perseguita con straordinaria tenacia anche nelle situazioni più difficili, e per un lunghissimo periodo, questa attività si concreta alla fine in una immensa mole di appunti contenenti «rimedi d ’ogni tipo, e alcuni dialoghi, e lunghi discorsi, e visioni le più disparate, e tutte le possibili profezie, e responsi sui più vari argomenti, sia in prosa che in versi» (II, 8). Quando, in età ormai avanzata 8, insistenti visioni oniriche lo convincono a narrare, a maggior gloria di Asclepio, la propria straordinaria e privilegiata esperienza, A ristide dispone di un materiale informe che mal si presta ad una esposizione coerente: la cronologia degli eventi non sempre può essere fissata con precisione, la quantità e l’am­ piezza delle notazioni variano a seconda dei periodi, e ci sono persino delle irrim ediabili lacune dovute alla perdita di una parte degli appunti. Ne è venuta fuori una narrazione disarticolata e confusa nella quale si susseguono, al di fuori di ogni ordine cro­ nologico, eventi storici e brandelli di vita quotidiana, miracoli veri o presunti, trionfali esibizioni oratorie, malattie, cure, farmaci, bagni, viaggi, e sogni soprattutto, non sorretta da alcuna coerenza strutturale, e per di più ingarbugliata da continue ripetizioni, ri­ prese, rinvìi interni. Ma è anche vero che il caos com positivo si rivela più apparente che reale non appena si individuino nell’a­ nalogia e nell’associazione memoriale i princìpi che presiedono all’organizzazione della m ateria; e che proprio l’intreccio di vita onirica e vita vissuta, realtà e fantasm i, eventi esterni ed esperienze intime, religiosità e interessi m ondani fa dei Discorsi sacri uno dei prodotti più singolari della letteratura greca. La registrazione dei sogni non è un aspetto peculiare del personale rapporto che Aristide intrattiene con il suo dio, ma rientra in una prassi abbastanza docum entata nei santuari delle divinità g u a ritric i9. E probabile che essa rispondesse ad una fi­ nalità pratica, offrendo una sorta di «anamnesi» dei vari interventi

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del dio, e il supporto indispensabile all’azione m ediatrice di medici e ministri del c u lto 10; ciò che com unque risulta am piam ente te­ stim oniato è l’impiego di questi sogni nelle forme dell’aretalogia templare: con le indicazioni terapeutiche da essi fornite, e con la notizia dell’immancabile guarigione, i sogni entravano a far parte di quei resoconti di guarigioni miracolose che costituivano l’archivio della mem oria storica del santuario, e servivano, oppor­ tunam ente propagandati, a celebrare la potenza del dio e a dif­ fondere la fede nei suoi poteri taum aturgici n . Ma se per i comuni pazienti dei santuari incubatori tutto si esaurisce in un breve resoconto della malattia, del sogno e della guarigione, per Aristide, che non è un miracolato una tantum, ma l’oggetto costante della divina provvidenza, la celebrazione delle virtù risanatrici di Ascle­ pio ha assunto le dim ensioni di una sm isurata aretalogia. D ’altro canto, poiché la sollecitudine del dio si estende a regolare attra­ verso i sogni tutti gli aspetti e le vicende della vita del suo protetto, e costui ha per parte sua una irrefrenabile vocazione a raccontarsi e a farsi protagonista egli stesso, l’assunto aretalogico si è risolto in una forma particolarissim a di Traumbiographie 12 nella quale realtà e sogno si intrecciano e interferiscono continuamente: pensieri, eventi e desideri della veglia irrom pono nelle visioni nottune, e queste a loro volta determ inano gli atti e i com portam enti diurni, in un rapporto di reciproca dipendenza e in una diseguale m isura narrativa che ora indulge alla distesa articolazione dei contenuti onirici, riservando solo qualche cenno ai loro esiti concreti, ora invece si dilunga nella esposizione di vicende reali introducendo assai condensati riferim enti al ruolo dei sogni. Fra tanto fluire e discorrere di sogni, ciò che più stupisce è l’assenza di qualsiasi elaborazione concettuale o semplice riflessione sul fenom eno onirico. La lunga tradizione di pensiero che a partire da Eraclito aveva indagato sulla natura, l’origine e la fun­ zione del sogno, sui processi psichici e fisiologici che lo producono, e sulle possibili cause delle sue proprietà mantiche, pervenendo in alcuni casi a straordinarie intuizioni 13, appare com pletam ente ignorata nei Discorsi sacri, e non certo per deliberato proposito dell’autore; così come disattese appaiono, d ’altro canto, le distin­ zioni concettuali e term inologiche con le quali l’onirologia greca aveva cercato di m ettere ordine nella varia fenomenologia del fatto o n iric o 14. Per A ristide — spirito religioso alieno da ogni tentazione speculativa, e appassionato sognatore in proprio — i sogni sono, semplicemente, una emanazione di Asclepio, cui è da ricondurre in ultim a istanza ogni messaggio onirico, in qualun­

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que forma esso si presenti; e di tutto il patrim onio di idee ela­ borato dall’indagine filosofica e medico-scientifica, e dalla secolare tradizione onirocritica, non rim angono nella sua concezione se non i due caposaldi essenziali della cultura popolare: il principio dell’origine divina dei sogni, e la fede nella loro qualità di pro­ duzione significativa in senso pragmatico, iatrom antico e profetico. È, in sostanza, il nucleo elem entare di credenze su cui si fonda l’incubazione, l’antico rito diffuso presso le culture più di­ sparate nel tem po e nello spazio: il ricorso al sonno in un luogo sacro in attesa di una divina visione risolutrice dei problem i ma­ teriali, delle difficoltà esistenziali, e soprattutto delle malattie che minacciano il corpo 15, trova il suo presupposto nella convinzione che i sogni siano una via di comunicazione tra l’uomo e la divinità, e contiene le premesse per una immissione dell’esperienza onirica nella sfera dell’esperienza religiosa. AlPinterno di questo antico schema culturale lungam ente spe­ rim entato a Pergam o si inquadra l’attività onirica di Aristide, anche quando essa si svolge al di fuori del contesto istituzionale del santuario; al punto che i Discorsi sacri si configurano come il resoconto di una incubazione durata tu tta la vita. Le potenzialità religiose implicite nell’antico rito hanno assunto in lui una straor­ dinaria intensità, in sintonia con gli orientam enti culturali di un ’epoca percorsa da profonda inquietudine spirituale. E il sogno è divenuto per lui lo spazio privilegiato di una divina comunica­ zione con il grande taum aturgo che lo guarisce dalle m alattie, lo consola nella disperazione e lo esalta nell’abbattim ento, risolve i suoi problem i pratici illum inandolo sul presente e rivelandogli il futuro; una m aniera di entrare in contatto con un dio filantropico e benefattore per riceverne consigli, cure, prem onizioni, direttive per la vita materiale e intellettuale; una forma di esperienza re­ ligiosa capace di attingere l’intensità dell’esaltazione mistica: «rien­ tra infatti nella mia esperienza avere la sensazione come di toccarlo, e percepire distintam ente il suo arrivo, e rim anere in uno stato interm edio tra il sonno e la veglia, e voler fissare lo sguardo su di lui, e trepidare per un suo prem aturo commiato, e tendere le orecchie ad ascoltare, tra il sogno e la realtà, con i capelli ritti sulla testa, e versare lacrime di gioia, e sentire leggero il peso della mente. Q uale essere um ano è capace di esprimere tutto ciò a parole? Ma chi è un iniziato, sa e com prende» (II, 32-33). Sono in effetti num erosi i sogni nei quali la figura onirica è rappresentata da una divinità che gli appare direttam ente, secondo un m odulo arcaico rim asto con varia intensità sempre operante nella cultura greca, ma assurto ad esperienza canonica nella prassi incubatoria. A ristide vede in sogno Serapide che con un bisturi

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in mano gli pratica u n ’incisione tu tt’intorno al volto ( 111, 47 ), Ermes «con l’elmo di cuoio in testa, meraviglioso nella sua bellezza e maestoso nel portam ento» (IV, 40 ), Telesforo nell’atto di danzare attorno al suo collo sofferente «m entre sulla parete di fronte splendeva un bagliore come di sole» ( 111, 23 ), Iside che gli invia «una luce, ed altri segni ineffabili, forieri di salvezza» ( 111, 46 ). Asclepio, in particolare, non cessa di manifestarglisi in forme mol­ teplici: gli prescrive a viva voce un «unguento regale» (111,21), gli ordina di recarsi a Chio per una purgazionè (II, 11), gli compare in occasione della m alattia di Zosimo, e per tre volte A ristide lo supplica, tenendogli la testa, di salvargli il fedele istitutore (I, 71 ). La «vivida evidenza» (enàrgheia), connotato tradizionale (già a partire da O m ero, Odissea IV, 841 ) delle divine a p p ariz io n i16, è la caratteristica, energicam ente rivendicata 17, dei sogni divini che si presentano ad Aristide; la cui conform ità ad uno statuto religioso è evidente, del resto, nella frequenza con cui essi si risolvono in prescrizioni cultuali (sacrifici, preghiere, offerte votive, incubazio­ ni) 1S, e nell’impiego di una term inologia che tende a ricondurli nella sfera religiosa: oltre che com uni «sogni» (onèirata, enypnia, òpseis), quelli di A ristide sono anche «vaticini» (chresmodìai), «re­ sponsi» (chresmòi), «oracoli» (lòghia), «epifanie» (epifàneiai), «di­ vine visioni» (thèiai òpseis) 19. E possono anche assumere, lungo una linea «pitagorica» che individua nel sogno un m om ento di contatto col m ondo ultraterreno 20, la forma della rivelazione co­ smica, dell’esperienza ineffabile, del rito di iniziazione rivelatore di realtà com unem ente precluse alla conoscenza um ana: è il caso di Serapide che gli dischiude la visione dell’aldilà, mostrandogli «le scale che delim itano il m ondo sotterraneo da quello superiore» (III, 48 ), di Asclepio che gli si rivela come «anima del mondo» (IV, 55 - 56 ), e dello stesso dio che gli appare come statua tricefala tutta circonfusa di fuoco, accordandogli l’inestimabile privilegio di rivolgere a lui l ’acclamazione liturgica «Tu sei l’Unico» (IV, 50 ) 21. Il sogno dunque come conoscenza religiosa, veicolo di espe­ rienza mistica, punto di contatto tra m ondo um ano e m ondo divino, rivelazione di verità superiori; ma anche come strum ento di do­ minio del presente e controllo del futuro, guida all’agire, esperienza terapeutica, conquista di un sapere retorico più elevato di quello che l’uomo può acquisire con i soli mezzi u m a n i22. Si riafferma così, nell’em piria del concreto sognare di un tardo retore, e al di fuori di qualsiasi teorizzata consapevolezza, quello che sembra — pur nella diversità delle formulazioni, e con la sola significativa eccezione di A ristotele — il principio unificante di tu tta la specu­ lazione greca sul fenom eno onirico: la valorizzazione del sogno

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come fonte di vario sapere e come esperienza capace di dischiudere nuovi orizzonti conoscitivi23. Dalla riduzione dell’attività onirica ad un principio sopranna­ turale esterno, al soggetto sognante derivano due im portanti con­ seguenze: la fede assoluta nella veridicità dei sogni, e la fanatica determ inazione con cui vengono messe in atto le prescrizioni da essi fornite o desunte. Aristide ignora l’omerica porta d ’avorio da cui escono i sogni che non si realizzano, e conosce soltanto quella di levigato corno apportatrice di visioni veritiere. Si tratti di profezie esplicite, o di prefigurazioni di eventi futuri, o di banali previsioni meteorologiche, la luce del giorno si incaricherà di offrire inoppugnabili riscontri di verità alle visioni notturne; e i messaggi onirici, siano essi enunciati in forma esplicita, o ricavati da figurazioni simboliche, si im porranno con l’ineludibile perentorietà delle divine ingiunzioni, e saranno portati a compi­ mento con una fede che non è estranea, nel caso di prescrizioni mediche, alla loro efficacia terapeutica: «come non considerare somma prova della potenza del dio il fatto che il medesimo regime e i medesimi atti, quando era lui a deciderli e ad indicarli con chiarezza, mi procuravano salute vigore sollievo benessere serenità e ogni più desiderabile beneficio, sia al corpo che allo spirito, e invece, quando erano altri a consigliarmeli fallendo le sue inten­ zioni, sortivano effetti com pletam ente opposti?» (11,73). La veridicità non è il contrassegno solo delle visioni che Asclepio invia spontaneam ente, ma anche di quelle che Aristide, fedele a schemi religiosi tendenti ad instaurare un dom inio sulla incontrollata casualità dell’esperienza onirica, richiede espressam en­ te — e può richiedere proprio perché esse hanno origine divina — in relazione a determ inati p ro b le m i24; e cioè di quei sogni «ansiosi» (merim nem atikòi) o «provocati» (aitematikòi) ai quali A rtem idoro nega qualsiasi valore m antico in quanto troppo legati alle passioni dell’in d iv id u o 25. T utto ciò che A ristide sogna si av­ vererà; magari con una certa approssimazione, come quando il promesso intervento dell’im peratore Adriano si realizza in qualche modo tram ite il governatore della provincia (IV, 106-108); o con la fattiva collaborazione di un addetto al culto, che gli procura prontam ente l’unguento preannunziatogli in sogno (III, 21-23) 26; o infine con la determ inante cooperazione dello stesso Aristide, che avendo dedotto da un sogno l’opportunità di avere soltanto una cinquantina di ascoltatori, rinunzia una volta tanto alla con­ sueta esibizione pubblica del proprio talento oratorio, e fa di tutto perché nella realtà l’uditorio non superi il limite numerico indicato dalla visione notturna (V, 44-46): un esempio significativo

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di sogno che inducendo a determ inati atti produce il proprio adem pim ento, come già osservava A ristotele 27. L ’esperienza della teofania onirica, certam ente diffusa in u n ’e­ poca che vede fiorire il culto di Asclepio e delle altre divinità guaritrici in centinaia di santuari sparsi in tutte le regioni dell’im­ pero romano, risulta particolarm ente esaltata, nei Discorsi sacri, dalle stesse finalità aretalogiche dell’opera, e dalla tendenza di Aristide a ricondurre ogni atto della propria vita, diurna e notturna, sotto il segno dell’eccezionaiità. Asclepio e gli altri dèi compaiono senza dubbio ad Aristide, cosi come ad altri devoti della sua cerchia 28. Ma l’impressione di una ininterrotta sequela di divine visioni, che si ricava dalla lettura dell’opera, si dissolve di fronte alla constatazione che Asclepio non è, in molti casi, se non il presupposto teorico, continuam ente esibito, di rappresentazioni oniriche che obiettivam ente nulla hanno a che fare con lui. Se Aristide vede in sogno una nave fracassata, è il dio che lo dispensa dall’intraprendere un certo viaggio (II, 17); se desume da una articolata sequenza di immagini l’indicazione che deve fare un bagno nel fiume, quello è un ordine del dio (V, 49-52); e se gli compare il neòcoro Asclepiaco che gli prescrive un rim edio (I, 58), o il console Salvio che definisce «sacri» i suoi discorsi (II, 9), è sempre il dio che ha voluto assumere le altrui sembianze. N on tutti gli «ordini di Asclepio» vengono dunque direttam en­ te da Asclepio. La form ula generica può coprire non soltanto esperienze oniriche personali (auto- o eterointerpretate), ma anche sogni com unicati da altri, interventi «provvidenziali» —più o meno finalizzati al conseguimento di determ inati scopi — da parte degli addetti al santuario, solidali azioni di sostegno da parte di amici consapevoli delle difficoltà in cui A ristide si dibatte. Nei casi peggiori, essa com porta anche una drastica mutilazione del contesto narrativo del sogno, e l’impossibilità di cogliere, per l’esclusivo rilievo accordato alla sostanza del messaggio onirico piuttosto che alla dinamica che lo produce, la correlazione tra segno e significato. M algrado questo frequente appiattim ento, rim angono num erosis­ simi i casi in cui i sogni vengono com piutam ente narrati, e quasi sempre con straordinaria verità e credibilità psicologica: nella evanescente scansione delle immagini sottratte al controllo razionale, nell’im percettibile trasm utare delle identità di persone luoghi og­ getti e situazioni, e nel vistoso sconvolgimento della organizzazione spazio-temporale della realtà 20. Un solo esempio, tra i tanti che si potrebbero a d d u rre 30: «Il ventiquattro sognavo di trovarm i in un im precisato stabilim ento termale. Nelle vicinanze vi erano uomini armati di pugnale, e in atteggiam ento piuttosto sospetto. Ed ecco che alcuni di loro mi si avvicinavano come se avessero

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bisogno di un qualche patrocinio, in quanto accusati da certe altre persone. Circondato da ogni parte, non sapevo che cosa fare, perché non mi fidavo di loro, e d ’altro canto non volevo m ostrare che non mi fidavo. Q uindi mi incamminavo per una strada che imm etteva in una lunghissima galleria, nella quale avevo il terrore che mi assalissero. Uscitone fuori con gran sollievo, mi ritrovavo a Smirne, nella piazza, e pensavo come fare per radunare al più presto m olta gente e richiam are la loro attenzione su ciò che stava accadendo. Prendevo quindi in mano una fiaccola, e tutti quelli che erano nella piazza partecipavano alla fiaccolata recitando questo verso di Euripide: ‘O Sole che volgi con veloci cavalle la tua fiam m a’ — mi sembrava infatti di esservi entrato proprio allo spuntar del sole. Q ueste cose mi pareva poi di narrarle come sogno al governatore Q uadrato, il quale mi diceva: ‘E così devi fare’. N iente bagno, e fu innalzata la fiaccola 31» (1,22). La varietà fenomenologica dell’esperienza onirica testim oniata nei Discorsi sacri è straordinaria. Ci sono sogni nei quali la singola figura onirica, rappresentata da Asclepio o altra divinità o persona, appare ad Aristide im partendogli espliciti ordini e prescrizioni, e quelli che richiedono una esplicitazione esegetica del loro conte­ nuto simbolico; le visioni che com paiono contem poraneam ente a più persone 32 e quelle che si presentano insistentem ente a ripro­ porre il medesimo m essaggio33; i sogni prem onitori e quelli che si esauriscono in se stessi, sottratti ad ogni funzione pragmatica o profetica. L ’attenzione di Aristide è talm ente polarizzata sulla propria attività oniropoietica che egli arriva a percepire distintamente nel sogno il significato simbolico delle immagini che gli appaiono; discute con altri, nell’atto stesso di sognare, l’interpre­ tazione dei propri s o g n i34, ne m ette in pratica le indicazioni 15, e ne ordina persino la trascrizione, come è solito fare nella realtà 36 ; conserva in qualche caso un tale residuo di coscienza vigile da cogliere la contraddizione del sogno rispetto alla realtà 37, e da modificare consapevolm ente una prescrizione onirica che sa di non poter attuare 3S, sogna di aver sognato (il freudiano «sogno nel sogno») 39, e di narrare a qualcuno le apparizioni precedenti con la chiara consapevolezza che si tratta di so g n i40. Un rilievo particolare assume, in tanta varietà di manifestazioni, lo sconcertante diario che occupa quasi per intero il primo discorso (1,5-57): un esempio, unico nel m ondo antico, di registrazione fedele e completa dell’attività onirica di un individuo nell’arco di quaranta giorni, non sottoposta ad alcun filtro se le ttiv o 41, né piegata — come invece può accadere in seguito, quando l’opera assume un andam ento più decisamente narrativo — alle esigenze letterarie e all’immagine che l’autore vuol dare di sé. Resoconti

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di sogni, lunghi o brevi, si susseguono con cadenza quasi quoti­ diana, perlopiù seguiti da un secco accenno alle implicazioni prag­ matiche 42. La forma trasandata e cursoria, la persistenza di incon­ gruenze e lacune nel tessuto onirico, l’assoluta assenza di interventi epesegetici, il procedim ento diaristico, tutto tradisce il carattere di notazione provvisoria di questo singolarissimo docum ento; il cui interesse per noi è accresciuto dall’impressione di una incidenza minima dell’elaborazione secondaria connessa al racconto 43, e dal­ l’inclusione di quei sogni «non significativi» — e cioè sprovvisti di valore mantico, e senza esiti sul piano della realtà — di cui è difficile trovare traccia nella docum entazione antica 44. A ltrettanto cospicua è la varietà dei contenuti onirici. Aristide sogna soprattutto in relazione ai due grandi problemi che lo as­ sillano: una salute costantem ente minacciata, e una vocazione re­ torica vissuta in forma conflittuale. Assediato da una serie di m alanni così m ultiform e da giustificare l’im pressione che fra tante m alattie vere di cui egli soffre, la più vera sia la m alattia della malattia, cioè l’ipocondria 45, A ristide vive spasmodicamente pro­ teso a cogliere nei propri sogni terapie capaci di alleviare le sue condizioni; e ne riceve prescrizioni di farmaci, bagni, salassi, esercizi fisici, digiuni, diete 46, ma anche annunzi di nuove malattie e delle cure cui deve sottoporsi per guarire, profezie di morte imm inente e indicazioni dei riti da compiere per stem perare l’e­ vento nelle forme attenuate e simboliche del morire 47. In rapporto ad una vocazione retorica totalizzante frustrata dalla m alattia e caricata di fantasie di onnipotenza si collocano invece i molti sogni di gloria, le visioni di Lisia (IV, 59), Sofocle (IV, 60-61), Platone (IV, 57), gli incontri con gli im peratori (1,23,36-39, 46-50), le parole che lo proclam ano superiore a Dem ostene (IV, 19), le esortazioni a dialogare con Socrate, D em ostene e T u­ cidide (IV, 15), fino alla delirante visione del proprio m onum ento funebre accanto a quello di Alessandro M agno (IV, 48-49). A ttorno a questi due tem i fondam entali si addensa l’attività onirica di Aristide, che tuttavia include anche sogni di angoscia (I, 22; III, 3), rappresentazione di carattere religioso e cultuale 4S, visioni più banalm ente legate a problem i c o n tin g e n ti49, immagini determ inate da stimoli c o rp o re i50, e un grande sogno — senza dubbio la pagina più intensa di tutta l’opera — che fonde il senso dell’infelicità presente al ricordo di anni lontani trascorsi ad A tene (V, 56-67). Rispetto alla ricchezza morfologica e contenutistica di questi sogni, la traduzione in term ini operativi appare condotta secondo procedim enti esegetici piuttosto elem entari. O rdini espliciti da par­ te di figure oniriche, chiari responsi oracolari, voci incorporee

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distintam ente udite in sogno, non richiedono se non la volontà — che Aristide ha fermissima — di porre in atto le indicazioni ricevute. L ’esegesi interviene invece nei m olti casi in cui le rap­ presentazioni oniriche non assumono una dim ensione così m ani­ festamente prescrittiva. Si offre allora la possibilità di valutare l’interpretazione che Aristide dà dei propri s o g n i51, sia direttam en­ te, tutte le volte che ne enuncia i criteri, sia in forma indiretta, attraverso una verifica a posteriori delle scelte operative che essi determ inano. In genere, A ristide si limita à compiere nella realtà gli atti com piuti in sogno, e ad astenersi da quelli incompiuti. E così accende una fiaccola (I, 22), si convince che deve andare a Pergamo (1,51), sacrifica (III, 13), vom ita (1,28), si applica un impiastro (111,25), fa il bagno (1,34), se ha sognato una fiaccolata, il san­ tuario di Pergamo, tracce di sacrifici, l’espulsione di un osso in­ goiato, un medico che gli applicava un certo im piastro, un amico retore che usciva raggiante dal bagno; viceversa, si astiene dal cibo (1,40), dal bagno (1,29), dalla carne di bue (111,37), se ha sognato di rifiutare il cibo che gli veniva offerto, di ungersi senza bagnarsi, di ricevere un oracolo che concedeva vita all’istitutore Zosimo «finché vive la mucca dei campi». A un livello appena più complesso si collocano certe interpre­ tazioni che richiedono un minimo sforzo di elaborazione. Udire in sogno il verso iniziale dei Sette contro Tebe di Eschilo («Popolo di Cadmo, bisogna dire ciò che l’ora esige») è chiaro segno che deve parlare in pubblico (IV, 89); la lettura delle N uvole di Aristofane, palese indizio di pioggia imm inente, im pone di non m ettersi in viaggio (V, 18); la visione di persone sospette che gli si avvicinano arm ate di pugnale m entre si trova alle terme com porta la proibizione del bagno (I, 22), quella di «simboli di Dioniso», unita alla lettura di un libro di A ntistene Sull’uso del vino, significa fine della interdizione di bere vino (111,32-33), quella di A tena si traduce, attraverso una catena associativa (la dea è signora dell’Attica, regione produttrice di miele rinom ato), nella prescrizione di un clistere di miele attico (11,40-43 ) 52. Aristide sa anche, in adesione ad un principio delPonirocritica teo­ rizzato in particolare da A rtem idoro (III, 38), che l’etimologia — vera o presunta — dei nom i propri è elem ento significativo nel­ l’interpretazione di un sogno: Sosimene (Sosimènes < sòzo «salva­ re») gli annunzia la salvezza (V, 24), Lisia (Lysìas < lyo «scioglie­ re») la soluzione della m alattia (IV, 59), e M enandro (Mènandros, interpretato come mènein tòn andrò) la necessità di «rimanere» dove si trova (1,51-52). E del resto, quando il segno non fosse del tutto perspicuo, A ristide ha sempre la possibilità di chiedere

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ad Asclepio, dopo il risvegliò, un sogno supplem entare che chia­ risca senza possibilità di equivoco il senso della volontà divina 53. I medesimi criteri esegetici appaiono applicati nei m olti casi in cui Aristide arriva nel sogno stesso a chiarire il significato delle immagini che gli si presentano, o per intuizione propria, o perché ne discute, sempre in sogno, con altri. In 1 ,42-45 gli pare di vedere il poeta M etrodoro che mangia uova e porri, e ne desum e evidentem ente una analoga prescrizione per sé; ta n te vero che, nel seguito del sogno, alla nutrice che gli apparecchia da mangiare comunica che per quel giorno il dio gli ha ordinato di cibarsi di uova e verdura. In I, 18-21 sogna di fare il bagno, ma con una certa titubanza che gli deriva dalla consapevolezza che quello è un periodo di astensione; in seguito ad un lungo dialogo con un giovane sconosciuto si convince della necessità di farlo, e si accorda con un suo amico per raggiungere ad una data ora le term e fuori città: e così il sogno prosegue in coerenza con una interpretazione elaborata, in forma implicita, nel sogno stesso. In I, 9 si vede prigioniero di certi barbari, uno dei quali gli caccia un dito in gola versandovi qualcosa che chiama «acidità»; dopo aver discusso con altri del significato di quella visione ne deduce, sem pre in sogno, che deve vom itare 54. I casi più interessanti sono quelli in cui l’interpretazione si fonda sulle associazioni di idee suggerite alla coscienza vigile dalle immagini oniriche. Aristide m ostra in generale una spiccata ten­ denza a incentrare la propria attenzione, ai fini esegetici, su un singolo elem ento — e precisamente quello che più si presta ad una lettura medica — e a caricarlo di tutto il peso semantico, anche se si tratta di un particolare irrilevante nell’economia di visioni oniriche complesse. Così, per esempio, il cavallo che gli appare sulla spiaggia, e che gli evoca l’idea di una cavalcata (una terapia in uso nell’Asclepieo di Pergamo, stando all’autorevole testim onianza di Galeno) ” , non è che un singolo elem ento all’interno di un sogno angoscioso (111,3-4) in cui gli pare dapprim a di essere naufrago su una zattera nel mare egiziano, poi di attra­ versare la città di Alessandria, e infine di sentire con grande sorpresa i bam bini di una scuola che cantano certi versi da lui composti in onore di Asclepio. Il medesimo procedim ento inter­ pretativo risulta ancor più evidente nel sogno dei due im peratori (I, 46-50), dove la prescrizione di vom itare è desunta — per un dichiarato processo associativo — dal ricordo «della terra scavata e asportata» durante lo scavo di un fossato: non più che un lampo nella totalità di una complessa tram a onirica che si snoda in azioni e dialoghi. Come si vede, l’ermeneutica aristidea non ha nulla di eccezio-

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naie, fondata co m e sulla decifrazione di valori simbolici abbastanza ovvi, o su semplici operazioni linguistiche, o su elem entari richiami analogici e associativi: quanto di più lontano, nel complesso, dalle cerebrali e artificiose elucubrazioni di A rtem idoro. Ma una volta tanto si ha a che fare con sogni autentici interpretati dal sognatore stesso, e non da u n ’autorità esterna che vi sovrappone schemi precostituiti. Si offre così, per questa collaborazione del soggetto sognante che Freud considera di fondam entale importanza nell’a­ nalisi dei s o g n i56, e per la varietà dei contenuti onirici e del loro articolarsi, la rara possibilità di penetrare nell’intima vita psichica di un individuo lontano nel tem po non più soltanto at­ traverso le sue creazioni consapevoli, ma per l’inconsueto tram ite dei suoi fantasm i n o ttu r n i57. Anche per questo aspetto si conferma l ’eccezionaiità docum entaria dei Discorsi sacri nell’am bito dell’an­ tica letteratura sul sogno.

Note 1 Tra il 117 e il 180 circa. I Discorsi sacri sono sei, ma del sesto ci rimane soltanto l’inizio. Nell’ordine ormai canonico delle orazioni aristidee essi occupano i numeri XLVII-LII; per comodità saranno qui designati con la numerazione romana da I a VI. 2 Freud si richiama ad Artemidoro in vari punti della sua opera, e soprat­ tutto nelVInterpretazione dei sogni (S. Freud, Opere, voi. I li, Boringhieri, Torino 19803). Altra sua fonte di conoscenza, anch’essa citata (ivi, p. 12, n. 1), è il volumetto di B. Buchsenschùtz, Traum und Traumdeutung im Alterthume, Berlin 1868. 3 Cfr. Artemidoro, Il libro dei sogni, a cura di D. Del Corno, Adelphi, Mi­ lano 1975, pp. XLVI-L. 4 F.S. Krauss, Artemidoros aus Daldis, Symbolik der Tràume, con traduzione e note, Wien-Pest-Leipzig 1881. Freud, op. cit., la cita espressamente a p. 552, n. 1, giudicando ridicola «l’indignazione morale» che lo aveva indotto a cen­ surare il capitolo sui sogni sessuali. 5 Non sarà un caso che l’opera abbia avuto soltanto negli ultimi due decenni l’onore di ben tre traduzioni, peraltro le sole condotte a termine dopo quella latina di W. Canter (Basileae 1566): in inglese (Aelius Aristides and thè Sacred Tales, a cura di C.A. Behr, Amsterdam 1968; ed. riveduta: P. Aelius Aristides, The Complete Works, II. Orations XVII-LIII, Leiden 1981), in italiano (Elio Aristide, Discorsi sacri, a cura di S. Nicosia, Milano 1984, «Piccola Biblioteca Adelphi» 162), e in francese (Aelius Aristide, Discours sacrés. Rève, religion, médicine au IT siècle après J.C., con introduzione e traduzione di A.J. Festugière, note di H.-D. Saffrey, prefazione di J. Le Goff, Paris 1986). Per tutte le citazioni dei Discorsi sacri mi rifaccio alla traduzione da me curata sulla base del testo critico di B. Keil (Berolini 1898), qua e là emendato; ad essa rinvio anche per l’approfondimento di questioni qui soltanto accennate, e per più esaurienti indicazioni bibliografiche. 6 La meloterapia ha in Grecia una lunga tradizione che risale a Pitagora. La «logoterapia» attiva, e cioè la cura fondata sull’esercizio della parola (di­

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scorso, recitatone, declamazione) da parte del paziente, è invece una conquista della medicina laica del tardo ellenismo, recepita e messa in atto nell’Asclepieo pergameno (cfr. S. Nicosia, op. cit., pp. 18-9, 24-5). Aristide sperimenta la forza guaritrice di entrambe in relazione a difficoltà respiratorie e mal di denti (IV, 22, 30, 38). Di «esercizi psichici» prescritti da Asclepio a persone sofferenti «per la disposizione dell’anima» parla Galeno VI, pp. 41-42 Kuhn. 7 I pochi dati relativi alla genesi e alla composizione dell’opera li fornisce lo stesso autore nel corso della narrazione: cfr. in particolare II, 1-4. 8 Certamente dopo il 166. 8 Cfr. O. Weinreich, Antike Heilungswunder. Untersuchungen zum Wunder-glauben der Griecken und Ròmer, Giessen 1909 (RGVV V ili 1), pp. 6-7; V. Longo, Aretalogie nel mondo greco. I, Epigrafi e papiri, Genova 1969, pp. 25-31. 10 Entrambi intervengono spesso sulla base dei sogni che Aristide comunica loro: cfr. 11,34-35; 111,22; IV, 38. 11 II più antico e insigne monumento dell’aretalogia templare è costituito dalle Settanta guarigioni di Apollo e Asclepio recuperate in quattro grandi stele di Epidauro (IV secolo a.C.). Per altri testi restituitici da epigrafi e papiri si veda V. Longo, op. cit. 12 La definizione è di G. Misch, Geschichte der Autobiographie I, 1-2, Das Altertum, Frankfurt-Bern 1949-19503 (19071), p. 512. 13 Nelle sue linee essenziali l’onirologia greca è ricostruita da E.R. Dodds, I Greci e l’irrazionale, trad. it., Firenze 1959 (Berkeley and Los Angeles 1951), pp. 149-57, e da D. Del Corno, Artemidoro cit., pp. XI-XX; in maniera più approfondita, ma limitatamente all’età arcaica e classica, nel volume di R.G.A. van Lieshout, Greeks on Dreams, Utrecht 1980. 14 Schematizzando, e non tenendo conto delle inevitabili oscillazioni, si può affermare che la tarda onirologia distingue tra enypnion (insomnium), manifestazione onirica sprovvista di valore mantico, òneiros, òneiron, ònar (somnium), sogno simbolico che affida all’interpretazione l’intelligenza del proprio significato, chrematismòs (oraculum), rivelazione o premonizione in forma diretta, hòrama (visio), esplicita prefigurazione di eventi futuri, e phàntasma (visum), visione comprendente le fantasie ipnagogiche e gli incubi (cfr. anche p. xi). All’interno di questa terminologia, in parte ignorata e in parte arricchita con apporti e combinazioni personali, Aristide si muove con assoluta disinvoltura discostandosi da ogni rigido schema classificatorio. 15 La funzione iatromantica dell’incubazione è primaria rispetto a quella genericamente divinatoria, che poteva concernere qualsiasi aspetto dell’esistenza umana. 16 Cfr. R.G.A. van Lieshout, op. cit., pp. 18-19. 17 11,31: «Poi veniva fuori in qualche modo la rivelazione dell’assenzio, anzi nella maniera più chiara ed evidente, come negli infiniti casi in cui chiara ed evidente mi si è rivelata la presenza del dio». 18 Un tratto tipico dei sogni «mandati dagli dèi» (theòpemptoi): cfr. E.R. Dodds, op. cit., pp. 130-31. 19 Cfr. per esempio 11,24; V, 21; 11,36; 11,45; 1,38. 20 Cfr. R.G.A. van Lieshout, op. cit., pp. 2, 28-33, 187, 216. 21 Proprio come se si trattasse di esperienze misteriche,Aristide esprime in questi casi il timore di essersi macchiato di una colpa nel momento in cui le rivela. 22 Nel lento processo di recupero della capacità oratoria, narrato in IV, 14 sgg., il ruolo dei sogni è determinante (cfr. S. Nicosia, Elio Aristide nell’Asclepieo di Pergamo e la retorica recuperata, Palermo 1979); e l’esercizio retorico notturno è per Aristide superiore a quello della veglia: «In sogno, infatti, ascoltai spesso esempi retorici che per purezza superavano e si elevavano decisamente

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al di sopra dei modelli disponibili, e sognai più volte di dire io stesso cose superiori al mio livello abituale, e mai prima concepite» (IV, 25). 23 Per questo aspetto della concezione greca del sogno si veda, oltre R.G.A. van Lieshout, op. cit., pp. 136-38, l’ottimo contributo di Francesca Calabi, Gli occhi del sonno, in «Materiali e discussioni» 13 (1984), pp. 23-43. 24 Cfr. le esplicite richieste di sogni in IV, 75: «Venne la sera, ed io chiesi al dio come stavano le cose, e che dovevo fare. E dal sogno mi venne», ecc.; e IV, 80: «Di nuovo mi rivolsi al dio supplicandolo e chiedendogli che cosa mai si dovesse fare in quella circostanza. Ed egli mi mandò un sogno straordinario», ecc.), entrambe in relazione ad una controversia giudiziaria con il governatore della provincia, e in contesti non incubatori. 25 Artem. I, 6 e IV, 2, pp. 15-6 e 246 Pack. 26 Aristide non trova l’unguento ai piedi della statua di Telesforo, dove avrebbe dovuto trovarlo; ma un neocoro del santuario, udito il sogno, si allontana un momento e glielo porta, specificandogliene addirittura la compo­ sizione; ed è inutile dire che esso risulterà efficacissimo. È l’esempio più vistoso di una certa cooperazione, da parte degli addetti al culto, alla realiz­ zazione dei «miracoli» di Asclepio. 27 Aristot., De div. in somn. 463 a 21-31. 28 Per esempio all’istitutore Nerito (III, 15) e al neòcoro Asclepiaco (III, 14). Della vita che si svolge attorno al santuario, con i riti religiosi, i rapporti tra i fedeli, lo scambio di informazioni sui sogni ricevuti, la mediazione degli addetti al culto, l’attesa collettiva della rivelazione divina, i Discorsi sacri offrono, dall’interno, il quadro più vivo e diretto. Ma la totale dipendenza di Aristide dai propri sogni appare eccessiva anche alle persone che lo circon­ dano, tutte gravitanti in un contesto profondamente intriso di cultura onirica: si veda l’accenno agli amici che lo accusano di lasciarsi troppo condizionare dai sogni in tutte le sue cose (I, 63). 29 Le peculiarità strutturali della sintassi onirica (Freud, op. cit., pp. 286-311) trovano adeguato riscontro sul piano espressivo e stilistico: cfr. Daria Gigli, Stile e linguaggio onirico nei «Discorsi sacri» di Elio Aristide, in «Cultura e scuola» 61-62 (1977), pp. 214-24. 30 I, 10-14, 36-40, 42-45, 46-50; V, 56-67, ecc. 31 L’ultimo periodo si riferisce alle indicazionioperative tratte, secondo un’ovvia interpretazione, dal sogno. 32 In particolare 11,30-35; cfr. anche 1,66; 11,48; 111,11-14, 44, 45; IV, 43. Quello del «sogno parallelo» è un motivo ricorrente nella letteratura antica, sia pagana che cristiana; la documentazione l’ha raccolta A. Wikenhauser, Doppeltràume, in «Biblica» 29 (1948), pp. 100-11. 33 A sogni ricorrenti si accenna in I, 69 e II, 35. 34 1,26; III, 37; IV, 57; V, 20, 23, 64, 65-66. 35 1, 27; V ,51. 36 V, 66: «E dopo aver avuto tutte queste visioni mi pareva di chiamare Eudosso perché le trascrivesse: erano infatti piuttosto lunghe, e volevo con­ servarne esattamente il ricordo». 37 In I, 54 sogna di trovarsi a Smirne, incredulo di fronte a ciò che vede perché ha la consapevolezza di non aver fatto alcun viaggio. Che un residuo di coscienza possa prospettare al dormiente il sogno in quanto tale lo aveva già osservato Aristotele, De insom. 459a 6 e 462a 5-7. 38 Uno strano sogno. Da un dialogo tra due medici Aristide ricava l’in­ dicazione che deve fare un bagno «nel mare»; poi, sempre in sogno, gli pare di vedere i due medici e di riferire loro la prescrizione udita in precedenza: ma consapevolmente la trasforma in un bagno «nel fiume», perché ha la chiara consapevolezza di trovarsi, in quel momento, in una regione interna (V, 49-50).

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35 Per Freud, op. cit., p. 311, collocare un certo contenuto onirico in un «sogno nel sogno» equivale ad un tentativo di negare la realtà di ciò che esso esprime. In qualche caso — ma non sempre — la spiegazione che Freud dà del fenomeno sembra potersi adattare ad Aristide: cfr. Daria Gigli, Onirocrìtica e Traumdeutung, in «Cultura e scuola» 49-50 (1974), pp. 339-47, in particolare 340-42. 40 1,9, 17, 22, 39, 52; IV, 69; V ,50; altri sogni (1,12,43; IV, 54; V, 45, 66) contengono il riferimento a visioni oniriche, sue o di altri, non narrate in precedenza. All’esperienza del sogno narrato nel sogno accenna Platone, Theaet. 58c. 41 Solo in rari casi (1,6, 9, 21) si parla delle conseguenze di sogni che non vengono narrati. 42 L’esempio riportato sopra (pp. 180 sgg.) può fornire un’idea di questa ma­ niera di procedere. 43 Almeno per i sogni del diario, ma anche per molti altri, non credo si possa condividere l’opinione di G. Devereux, Dreams in Greek Tragedy. An Ethno-Psycko-Analytical Study, Oxford 1976, che a più riprese (pp. XXV, XXXIV, 5, 249) parla di pesante elaborazione secondaria. 44 Cfr. I, 16, 23, 30-31, 33, 35. Gli innumerevoli resoconti sparsi nel contesto delle opere antiche più disparate riguardano quasi esclusivamente sogni la cui pregnanza semantica si misura nel rapporto con la realtà; gli altri, quelli «che hanno efficacia soltanto nel sonno» (Artemidoro, proemio nel libro IV, p. 239 Peck; cfr. anche I, 1), non vengono, per ovvie ragioni, presi in considerazione: lo stesso Artemidoro, per esempio, li esclude a priori, in quanto «insignificanti» (asèmantoi), dal proprio trattato. 45 La diagnosi di ipocondria e/o isteria è ricorrente nelle varie indagini volte a definire la patologia evidenziata nei Discorsi sacri: basterà scorrere il capitolo dedicato al «caso Aristide» da Danielle Gourevitch, Le triangle hippocratique dans le monde gréco-romain. Le malade, sa maladìe et son médecin, Roma 1984 (B.E.F.A.R. 251), pp. 17-59. 46 Dai propri sogni Aristide non riceve miracoli, ma rimedi; e sono, in linea di massima, le risorse della medicina laica contemporanea. E ormai re­ motissimo il tempo delle folgoranti guarigioni operate dalPAsclepio di Epidauro (cfr. sopra p. 186 n. 11) e incise sulla pietra a perenne edificazione di chi chiedeva al dio anche l’impossibile. 47 II destino di morte per mare, rivelatogli da un sogno, viene soddisfatto — ed esorcizzato — attraverso un simulato naufragio su una barca che si ca­ povolge nelle basse acque del porto di Focea (II, 13-14); la morte entro tre giorni, annunziatagli da Asclepio, si attenua nel taglio di un dito (parte per il tutto), poi commutato dallo stesso dio nella semplice offerta di un anello (11,26-28); e cospargersi di terra bianca è un rito che un sogno gli prescrive «in sostituzione della sepoltura» (IV, 11). 48 II santuario di Pergamo con i suoi ministri del culto, i suoi riti e le sue pratiche religiose ha una presenza consistente nell’universo onirico di Aristide: cfr. I, 10-13, 17, 30-31, 42-45; II, 31, 77, ecc. 44 Per esempio IV, 75, 80-81, 97, 106, tutte relative a controversie giudi­ ziarie. 50 In I, 13-14 Aristide sogna che un toro gli si avventa contro colpendolo al ginocchio destro e provocando una ferita che un medico poco dopo ripulisce con un bisturi; al risveglio constata che proprio in quella zona gli è spuntato una specie di foruncolo. È un tipico esempio di sogno che drammatizza in immagini la sensazione derivante da uno stimolo somatico percepito nel sonno ancor prima che nello stato di veglia. La teoria dello stimolo organico come fonte di sogni è discussa da Freud, op. cit., pp. 41-6 e 206-24. Sulla capacità dell’anima di percepire nel sonno le affezioni corporee la speculazione antica

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fondava il principio del valore diagnostico dei sogni: cfr. Hippocr., De victu LXXXVI-LXXXVII, Aristot., De dm. in somn. 463 a 4-21, Galeno VI, pp. 832-35 Kuhn; e G. Guidorizzi, Sogno, malattìa, guarigione: da Asclepio ad Ippocrate, in Graeco-latina Mediolanensia, Milano 1985 («Quaderni di Acme» 5), pp. 59-74, in particolare le pp. 66-7. 51 Oltre che interpretare da sé i propri sogni, Aristide ne discute anche con amici, sacerdoti, medici; ma il rimorso per aver prestato in qualche caso più fede agli altri che a se stesso (II, 52), mostra che in questo, come in altri campi, egli riteneva di non essere secondo a nessuno. 52 Non importa che in quest’ultimo caso si tratti non di sogno, ma di evidente allucinazione, l’unica in tutta l’opera. ” Nell’incertezza se il sogno in cui gli pareva di mangiare fichi avvelenati significhi digiuno o vomito, Aristide prega il dio di fornirgli più chiare indi­ cazioni; si riaddormenta, e la visione che gli compare chiarisce ogni cosa (1,54-56). Altrove (111,39) sogna di chiedere ad Asclepio conferma di una prescrizione onirica ricevuta qualche tempo prima. 54 Di sogni interpretati nel sogno ce ne sono molti altri: cfr. 1,8, 24-26, 40; IV, 49, e le note 34 e 35. ” Galeno VI, pp. 41-2 Kuhn; cfr. anche Marco Aurelio V, 8. Dai modelli culturali dell’incubazione Aristide appare condizionato non soltanto nei conte­ nuti delle proprie elaborazioni oniriche, ma anche nell’interpretazione che ne fornisce. 56 S. Freud, op. cit., pp. 101, n. 1, pp. 105-6, 324-25, 331. 57 «I suoi sogni in sé meritano l’attenzione di uno psicologo professionista, e io spero che possano un giorno attirarla» scriveva E.R. Dodds, Pagani e cristiani in un’epoca dì angoscia. Aspetti dell’esperienza religiosa da Marco Aurelio a Costantino, trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1970 (Cambridge 1965), p. 41. Nel frattempo qualcosa si è fatto, con risultati non sempre soddisfacenti: G. Michenaud, J. Dierkens, Les réves dans les «Discours Sacrés» d’A elius Aristide, IL siècle ap. J-C. Essai d’analyse psychologigue, pubblicato per iniziativa e con il contributo di R. Crahay, Mons 1972 (Ed. univ. de Mons, Sèrie Sciences humaines 2).

Christian Lacom brade S IN E SIO : IL «TR A TTA TO SUI SO G N I» *

N ulla di più caratteristico delle condizioni in cui Sinesio af­ ferma di avere scritto questa nuova opera. M entre nel Dione si annoverava con civetteria fra gli intelletti mediocri che non pos­ sono raggiungere le vette se non attraverso la conoscenza discor­ siva, qui egli fa l ’ispirato. Come i corifei della saggezza — gli Ammoni, gli H erm es visitati dallo spirito divino o (per fare esempi più precisi se non altrettanto opportuni, tratti da citazioni di questo inizio del V secolo), come Plotino, «che scriveva senza interruzione tutti i pensieri che aveva elaborato» ', o come G iuliano, che com­ poneva in meno di una notte il suo Discorso sulla Madre degli d è i2 — così anche Sinesio si è messo all’opera in obbedienza a un ordine venuto dall’alto, impiegando — egli afferma — solo le ultim e ore di una notte in cui, come in preda a u n ’allucinazione, si trovava fuori di sé 3: uno stato straordinario che si ripete ancora alla rilettura di alcuni passi della sua meditazione. Q ual è dunque il tem a di quest'ultim a? Secondo l’enunciato stesso del titolo, si tratterebbe unicam ente di uno studio sui sogni. Tuttavia rileggendo il passo della lettera a Ipazia, da cui sono tratte le informazioni precedenti, appare chiaro che la meditazione di Sinesio insegue uno scopo più lontano: «È un omaggio — egli sostiene — alla facoltà im m aginativa; in esso tutta l’anima viene studiata nel rapporto che la unisce all’èidolon; e vengono presi in considerazione altri problem i che la filosofia greca non ha ancora esam inato». Senza dubbio una terminologia così vaga sarà chiarita dalla lettura del trattato. Ma intanto Sinesio ha avvertito gli amici che essi si troveranno di fronte non a un m anuale di onirocritica * Da Christian Lacombrade, Synesios de Cyrène, bellétte et chrètien, ed. Belles Lettres, Parigi 1951, pp. 150-169. Traduzione di Giuseppe Tozza.

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come quelli di A rtem idoro di D aldi o i Discorsi sacri di Aristide, bensì a una ricerca più originale, che studia non tanto il sogno in sé e per sé quanto l’energia psichica da cui esso emana. Del resto si pretenderebbe invano di cogliere fin d ’ora, in questa form ula troppo evasiva, la somma delle indagini complesse che Sinesio ci prom ette. Solo l’esame accurato dell’opera consentirà forse di com prenderne il significato e illum inarne la portata. Fin dall’introduzione appare conferm ata questa prim a im pres­ sione: che cioè il sogno fornisca solo un pretesto a speculazioni di ben altra ampiezza. Così ha fatto Platone, che tratta i problemi più seri sotto i tem i più banali (1281 B). D opo aver così suscitato l’attenzione del lettore, Sinesio affron­ ta il suo argomento. N ulla di più ovvio delle prime righe. Con grande spreco di citazioni da Esiodo e soprattutto da O m ero, viene pronunciato l’elogio della divinazione che, assimilando il saggio alla divinità, m erita con pieno diritto l’esame di cui è fatta oggetto (1284 C). E d essa lo m erita anche di fatto. Il m ondo — e qui si riconosce il tema essenziale del Timeo e di tutta la fisica stoica — non è un grande essere vivente i cui elem enti si corrispondono? 4 Per illustrare questo dogma del legame (syndesmos) e della simpatia (.sympàtheia) Sinesio ricorre a m etafore pur esse familiari ai suoi predecessori: l’immagine del grande libro di cui il saggio decifra le lettere e poi combina le sillabe, ricorreva già in Plotino 5 — così come quella della lira, simbolo dell’armonia cosmica 6. Ancora Plotino spiegava — come si può leggere poco oltre — i sortilegi magici con le affinità nascoste che legano fra loro le varie parti dell’universo 1. E occorre forse ricordare anche gli innumerevoli trattati ermetici «sulle piante e le pietre» (Perì phytòn kài lìthon), tutte sostanze interm edie di cui i saggi conoscono le proprietà? 8 E già l’autore delle Enneadi aveva definito i limiti che Sinesio assegna al potere dell’incantatore, il cui influsso è effettivo nel nostro m ondo com posito ma si arresta al di qua deH’intelligenza divina 9. Insom m a la divinazione è, come l’universo, una e molteplice. Per la verità, certe sue forme — i m isteri — sono stati vietati dalla legge. Il nostro filosofo perciò non si preoccuperà di parlarne. Egli ci intratterrà piuttosto sul m odo di divinazione — non più né meno insicuro dei precedenti — che si attua in noi e da noi attraverso i sogni. Come giustificarlo? La dimostrazione che segue è troppo curiosa per non essere tradotta alla lettera. Essa applica alle m utevoli realtà dello spirito la ben nota legge matematica secondo cui in ogni proporzione il prodotto degli estremi deve

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essere uguale al prodotto dei medi. Tale è il principio a cui Sinesio intrepidam ente si appella per conferm are la legittim ità della divinazione onirica, grazie a u n ’im proprietà metodologica piuttosto rivelatrice delle manie num eriche del suo tempo: L ’intelletto (nous) assicura la sapienza antica, racchiude le im m agini dell’essere. M a non possiam o form ulare anche l’ipotesi che l’anim a (psychè) racchiuda quelle del D ivenire? D ata la proporzione In telletto /A n im a = E ssere/D ivenire, invertendo i fatto ri si ottiene: In te lle tto /E sse re = A nim a/D ivenire. N uova form ula di uguaglianza che secondo le regole m atem atiche non è m eno esatta — e questo dim ostra il nostro postulato che l’anim a contiene le im m agini del divenire (1298 B).

Un simile «ragionam ento», che lascia interdetto il lettore mo­ derno, costituisce tuttavia per Sinesio la garanzia che l’anima sia pienam ente in grado di indovinare l’avvenire. Veramente, egli pro­ segue, quanti servizi preziosi ci rendono i sogni, che provocano m olte scoperte: il luogo di un tesoro perduto, l’ispirazione poetica, pericoli im m inenti, rim edi salutari! [...] Con quanto piacere gli oracoli ne celebrano l’utilità 10. Dopo questo passo abbastanza incoerente, volto a dim ostrare «l’eccellenza della vita immaginativa a coloro che ne m ettono in dubbio l’im portanza» (1288 A) (e non vale la pena di lasciare all’esposizione quell’andam ento ispirato che deve esserle proprio?), Sinesio abbandona il sogno vero e proprio per dedicarsi alla facoltà che lo produce, la fantasia (phantasìa), di cui il nostro term ine «immaginazione» offre soltanto, come si vedrà, un equivalente molto approssimativo. È chiaro infatti che si troveranno riunite sotto questa parola generica molte nozioni vicine eppure distinte, alcune inerenti alla psicologia, altre alla metafisica, altre infine alla morale. Occorre provare subito tale complessità? N ulla di più significativo dell’o­ scillazione di una terminologia che di volta in volta esprime le parole immaginazione (phantasìa), «natura immaginativa» (phantastikè physis), «soffio immaginativo» (pnèuma phantastikòn) e, per finire, con valori quasi equivalenti, «anima immaginativa» (eidolikè psychè) e «sostanza corporea» (somatikè ousìa). L ’esposizione prosegue dunque con la definizione della «im­ maginazione» (phantasìa). C oordinando le indicazioni dello scrit­ tore sparse in un insieme sovrabbondante, si ricava che essa è lo specchio psichico che riflette sulla superficie dell’anima le im­ magini che l’anima stessa contiene (1288 B-C). Si può considerarla

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come una forma di vita inferiore, dotata di caratteri originali suoi propri. Perciò essa possiede organi sensoriali indipendenti, più acuti dei sensi fisici, che vengono particolarm ente stimolati dal sonno. Essa è in qualche m isura il senso suprem o (1289 A-C). Indicata con l’espressione pnèum a phantastikòn, che a questo punto del trattato sostituisce quasi com pletam ente il term ine phantasìa, questa facoltà em inente partecipa nello stesso tem po dello spirito e della materia, in qualità di «prim o corpo dell’anima». Essa ha sede nella testa e da lì, come da una fortezza, regna sui sensi fisici, che le riportano, come portieri alla loro padrona, le loro inform azioni sul m ondo esterno 11. Per essere esatti, è dunque il pnèum a che ascolta e vede. T utti i sensi fanno capo a lui, come i raggi al centro di una circonferenza. Nella sua qualità di senso im m ediato in diretto contatto con l’anima, esso è il più alto fra i nostri modi di per­ cezione (1289 D ): «Insom m a, il pnèuma funge da interm ediario fra l’irrazionale e il razionale, fra l’incorporeo e il corporeo, e ne costituisce il confine comune» (1292 B). Come stupirsi dunque se esso è talvolta vittim a delle illusioni a cui i nostri sensi pro­ priam ente detti sono abituati? (1292 A). Bella occasione per il nostro autore di incamminarsi per un istante su una via traversa. Come si può restituire al pnèuma phantastikòn la sua salute pericolante? Insegnarci questo è compito della filosofia, che conosce le purificazioni mistiche. A seconda che si allontani dalla virtù o dal vizio, esso diventa più leggero o più pesante, più etereo o più terrestre, come quel «cocchio dell’anima» di cui ricopre la funzione 12. Ma riprendiam o la nostra definizione. Q ual è il posto assegnato al pnèuma nella gerarchia degli esseri viventi fra i quali è stato largamente ripartito? Esso è evidentem ente in rapporto con il grado di spirito e di m ateria che ciascun essere assomma in sé stesso. N ell’animale bruto il pnèum a sostituisce la ragione. L ’esi­ stenza di certi dèmoni, all’apparenza puram ente fantomatici, ha appunto solo questo fondam ento. N ell’uomo esso costituisce — occorre ricordarlo — l’elem ento norm ale della vita psichica, ed è associato all’intelligenza (1292 D-1293 A). Ma ormai il filosofo s’interessa m eno alla vita quotidiana che a quella ultraterrena. Q uesto «soffio dell’anima» (pnèuma psychikòn) — o ancora, come lo chiamano i sapienti, questa «anima pneumatica» (pneum atikè psychè) — è chiam ato infatti a espiarne le colpe in forma di divinità, di dem one o di fantasma 13. Come Sinesio ha suggerito poco prima, come aveva dichiarato assai prima di lui Eraclito — ma il ricordo di Platone, che non

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è nom inato, affiora con maggiore evidenza alla superficie del te­ sto 14 — una immaginazione legata a u n ’anima virtuosa è secca e leggera; legata invece a u n ’anima im pura, si appesantisce a causa dell’um idità e scende nelle profondità sotterranee, dove conduce u n ’esistenza dolorosa (1293 A-B). Non appena giunta alla vita, l’anima trovava aperte davanti a sé queste due vie. La prima anima — ossia l’anima pura, prima della sua collusione con la materia — ha preso il pnèum a come uno scafo (Sinesio ha appena detto «un cocchio») 15 per affrontare la traversata del m ondo ma­ teriale. Ritornando poi al mondo celeste, essa si sforza di trascinarsi dietro il pnèum a, «perché sarebbe per lei una vergogna se, mentre risale verso le sfere, invece di essere liberata da ogni elemento estraneo, abbandonasse sulla terra l’elem ento superiore che aveva portato con sé laggiù» (1293 B). In via indubbiam ente eccezionale, l’associazione fra l’anima e il pnèuma può essere infranta da certi riti misterici. Ma quasi sempre essa persiste; e questo pericolo viene segnalato a buon diritto dagli oracoli, allorché parlano di quegli «abissi oscuri» in cui il pnèuma dopo la m orte trascina l’anima, indebolita dal fatto di avergli ceduto. Così um iliata — come l’autore diceva poco sopra —, essa prende orm ai il nom e di «fantasm a» (èidolon, 1293 B-D). D i qui l’utilità di un pentim ento cosciente e volontario per prevenire tale annegam ento dell’intelligenza nelle regioni inferiori in cui il fantasm a si compiace di stare. A questo riguardo le cosiddette prove della vita sono straordinariam ente opportune per allontanarci dalle cose di quaggiù. Anziché indurre il sapiente a negare la Provvidenza, esse ne conferm ano ai suoi occhi il potere. Invece i piaceri, che pure sono tanto apprezzati, sono altrettanti inganni che «gli efori infernali» tendono alle anime (1296 A). L ’anima, infatti, beve la bevanda dell’oblio non alla fine del­ l’esistenza, come si afferma di solito, bensì al suo ingresso in questo mondo. Essa vi è discesa come serva volontaria, non come schiava 16. O ra, sedotta dalla m ateria, dim entica della sua condi­ zione originaria, si piega ai suoi capricci in un patto terribile che si può infrangere soltanto con l’energia e l ’aiuto divino. Di questa lotta eroica sono un simbolo le fatiche di Eracle, così come le due anfore da cui Zeus ci versa, secondo O m ero, i beni e i mali mescolati gli uni agli altri, quando pure non ci vengano dispensati soltanto i mali 17. Esposto al pericolo di precipitare nell’abisso, il pnèuma può anche, secondo gli oracoli, essere trascinato verso l’alto dall’anima: «Tu non lascerai al precipizio il residuo della materia, anche il fantasma partecipa al soggiorno lum inoso» (1297 B). Comunque, fra i due estrem i della pura luce e della tenebra

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assoluta esistono indubbiam ente n ell’universo parecchi spazi inter­ medi riservati alle anime e ai loro pnèumata, secondo il grado della loro rispettiva purezza (1297 D ). Di qui l’interesse eccezio­ nale dei sogni che l’immaginazione ci propone, secondo i due postulati platonici che qui occorre ricordare: ossia che il Male va sempre di pari passo con l’Ignoranza e il Bene con la Verità, e che il prim o si identifica con la M ateria im pura e il secondo con lo Spirito. Le nostre visioni si presentano come il riflesso fedele delle cose, e la condizione della nostra anima è eccellente: questo invero è l’effetto di una virtù contem plativa che ci distoglie il più possibile dalla m ateria (1300 A in fine). Se al contrario le nostre visioni appaiono confuse e sregolate, allora la nostra «immaginazione» è appesantita, e questo è il meritato castigo di coloro che hanno macchiato in se stessi quel principio divino (1300 C). Così l’autore ha term inato la ricerca speculativa. O rm ai egli si propone di parlare dei vantaggi che nella vita quotidiana ci procura la divinazione in base ai sogni (1300 D). Il più evidente è certo l’ascesi salutare a cui si dedicano i suoi adepti. Sebbene la tem peranza e la continenza che essi os­ servano abbiano innanzitutto un fine interessato a causa del loro desiderio di conoscere il futuro, tuttavia l’unione con D io è co­ m unque alla fine il coronam ento di questa ricerca; e questo ri­ sultato, allargando la loro capacità di giudizio, è tu tt’altro che inutile per le cose di quaggiù (1301 A). Dal canto suo, Sinesio entrerà in possesso di tale scienza di­ vinatoria e la trasm etterà ai suoi figli. N iente di più facile, infatti! Per questo scopo non occorrono le grandi spese necessarie alla divinazione esteriore, che richiede rem ote ricerche a Delfi o nel deserto di Ammone, oppure raccoglie con grande fatica gli ingre­ dienti più rari: erba di Creta, uccello d ’Egitto, ossa di Iberia. Per i suoi fedeli non è necessario discendere da una dinastia di ierofanti come gli E teobutadi di Atene. Inoltre, l’oniromanzia si può praticare dovunque. A differenza degli altri modi di divina­ zione, essa non ci sottrae alle nostre occupazioni. N on esige affatto quell’arredo ridicolo che un tem po ingom brava le m ura delle pri­ gioni. E non è nem m eno esposta a profanazioni sacrileghe. Infine, non è odiosa alla divinità di cui alcuni vorrebbero carpire i segreti. In ogni nazione è accessibile a tutti. Q uale tiranno potrebbe esercitare l’interdetto sui sogni? (1301 B-1304 D). E la facile amplificazione prosegue con l’elogio della speranza, mentre il filosofo scompare sempre più dietro il retore. La speranza non è forse ravvivata in noi dai sogni che ci fanno dim enticare

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le nostre pene e raddoppiano, annunciandoli, i godimenti delle nostre gioie? (1305). Soprattutto non si deve obiettare che tale forma di divinazione sia condannata da O m ero, che anzi ne ha parlato splendidam ente (1308 A-B). Dal canto suo Sinesio non si sente di passare sotto silenzio tutto ciò che deve allonirom anzia. la composizione dei suoi scritti, gli accorgimenti di stile, gli stratagemmi di cacciatore, i pericoli che l’hanno minacciato al tem po della sua ambasceria, i sortilegi di certi stregoni: a quali preziose scoperte l’ha condotto questa scienza del sogno! (1308 B-1309 A). A chi libera veram ente la propria anima dal tum ulto dei sensi per riavvicinarla a Dio, la divinazione offre visioni perfettam ente limpide. Ma come spiegarle? Su questo punto trionfa l’eclettismo di Sinesio. Il mondo fisico, essendo un insieme di forme e di materia — e si riconosce incidentalm ente una delle idee care ad Aristotele — è trascinato in un continuo divenire, in cui si con­ fondono passato, presente e futuro. D a questo universo si liberano delle immagini — altra teoria, presa a prestito questa volta dall’a­ tomismo —, e tali immagini errano a caso finché incontrano l’«immaginazione» (tò phantastikòn pnèum a), l’unica in grado di racco­ glierle. Perché questa capacità, ci si chiederà? L ’affinità term ino­ logica lo indica: l’immaginazione non è denom inata anch’essa èidolonì Si può forse dim enticare il principio fondam entale che «il simile si conosce col simile»? Così queste analogie verbali sostituiscono le spiegazioni logiche, e Yèidolon viene considerato di volta in volta come oggetto e come soggetto: ed ecco dim ostrato am piamente il fatto che l’immaginazione contiene in sé tutte le immagini possibili. A dire il vero, quelle del futuro rimangono vaghe. Un paragone risolverà, in questo caso, la difficoltà: le cose future sono in tutto assimilabili a «germogli ancora mal formati» (1309 B-D). Allora, convinto di potersi prospettare il futuro, il sapiente si accingerà ad accogliere questa verità dall’intelligenza divina. Praticando una vita frugale e ben regolata, eviterà il turbam ento dei sensi, che si comunica così in fretta aH’immaginazione (1312 A-B). Del resto, ecco una regola fissa che deve consentire a ognuno di profittare dei propri sogni: due sogni identici annunciano due avvenimenti identici. Negli stessi segni celesti il marinaio di Arato riconosce l’avvicinarsi della tem pesta; e applica a suo modo la sentenza di Aristotele: la percezione crea la memoria, la memoria genera l’esperienza, e l’esperienza la scienza (1312 C-D). Tuttavia, nulla sarebbe più ridicolo e vano dell’assegnare all’fnterpretazione dei sogni regole m olto più precise! Se esiste una

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scienza dei corpi la cui affinità autorizzi a ricondurre alle medesime cause i medesimi effetti, nulla di più dissimile delle nostre im­ maginazioni individuali che, come acque più o meno torbide o specchi più o meno lisci, variano secondo la proporzione di spirito e m ateria che esse riuniscono. È dunque un singolare malinteso pretendere di fondare su basi così precarie certezze universali (1313 A-D). Perciò ognuno si renda interprete dei propri sogni; si applichi a penetrarne il significato; si dedichi a m etterli in ordine, e a registrare parallelam ente le proprie giornate e le proprie notti! Allora la sua biografia sarà completa! (1316 A-B). Lo scrittore vi troverà inoltre un utile esercizio. Userà tutta la sua arte per fissare i contorni di tali visioni, così come per ritrovare, al risveglio, la tonalità di quelle emozioni così complesse. Il sogno, espresso così nella vita, ne allargherà i confini. A ppunto­ questa, e non altra, è l’origine degli apologhi che attribuiscono agli animali il linguaggio. Q uanti vantaggi invero ad acquistare in un sol colpo i segreti sublimi del futuro e quelli, non disprez­ zabili, dell’arte di scrivere! Con questi divertim enti letterari il filosofo, come lo scita dopo la battaglia, allenterà il suo arco (1316 C-1317 D). E d ecco che Sinesio, al term ine della sua esposizione, m ette in pratica per prim o i suoi consigli. Che ridicolo spettacolo — egli esclama — quelle gare di oratoria in cui retori carichi di anni si sforzano ancora in teatro di interessarci ai discorsi fittizi di eroi dim enticati come Cimone o Milziade, se non addirittura di un personaggio anonimo. Chi vuole ottenere la gloria postum a non esiterà a preferire a quelle vie senza uscita il nuovo cammino appena scoperto (1317 D-1320). Q uanto si è detto basta per com prendere come possa essere ricca di insegnam enti u n ’analisi sistematica del Trattato sui sogni. Essa è stata felicemente condotta da W . Lang, che ne ha iden­ tificato tutti i temi. Però, se un simile bilancio è in grado di far progredire il com pito del biografo, certe esigenze sue proprie ri­ mangono insoddisfatte. Egli è costretto a considerare una certa opera non dal punto di vista dell’eternità, ma come la testim onianza provvisoria di un pensiero individuale. E davvero è ormai in grado di ricavare l’idea fondam entale che conferisce al Trattato sui sogni la sua unità organica e il suo valore di testimonianza? Ritorniam o al punto di partenza, e riprendiam o il passo in cui Sinesto esponeva a Ipazia le proprie intenzioni. Si tratta, egli diceva, «della facoltà rappresentativa e di tu tta la psychè eidolichè» — concetti vaghi e sfuggenti, che a prim a vista si sottraevano a

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qualsiasi analisi. Ma ora non si possono afferrare? Occorre rifarsi al passo sottolineato più sopra, in cui l’autore gioca sul doppio significato di èidolon, considerato di volta in volta come «imma­ gine» e, secondo un valore non meno classico, come «fantasma». Tale ragionam ento artificioso ci offre la chiave di una definizione rimasta finora incomprensibile. L ’eidolikè psychè nel passo preso in esame è im plicitam ente definita come il soggetto che continua a conservare, nell’al di là e sotto form a di fantasma (èidolon), le immagini degli oggetti (èidola) ricevute durante l’esistenza tram ite la «facoltà rappresentativa». Lo studio del sogno —secondo Sinesio successione di immagini indipendenti da ogni influenza fisica — è dunque m otivato soltanto dal desiderio d ’introdurre nel dibattito il problem a fondamentale della perm anenza delle immagini (èidola) registrate dall’anima du­ rante la vita terrena, che tuttavia continuano a rappresentare, in quell’al di là in cui l’anima stessa è ridotta allo stato di «immagine», l’aspetto più notevole della sua individualità. In altre parole, tutta questa onirocritica, fondata - come si è già visto — su una psi­ cologia non meno arrischiata, converge verso una speculazione metafisica, i cui dati si potrebbero definire come segue: in quale misura la coscienza individuale, fatta di un agglomerato d ’immagini proprie di una certa anima, sopravvive all’annullamento dell’essere fisico? Ecco finalm ente chiarito il problem a essenziale di cui Sinesio ha cercato la soluzione. T utto il resto è soltanto fatto di incidenze, digressioni, parentesi accumulate a piacere per confondere i profani, m andare in estasi i veri elleni. L ’accademismo del IV e del V secolo, come il preziosismo del X V II secolo, ha leggi sue proprie. Il percorso del pensiero filosofico vi è celato non meno delle vie della Carta del Tenero. Secondo la confessione più volte ri­ petuta del nostro autore, occorre impiegare le astuzie di Proteo e portare, come Socrate, le verità più divine sotto la maschera di Sileno 18. Ma una volta chiarito il nucleo della ricerca, occorre prescin­ dere per questo dai molti sviluppi secondari in cui essa si nascon­ de? E regola di buona logica passare in rassegna tali tem i secondari prima di concentrarsi sul soggetto centrale. Sebbene per lo più le digressioni siano attinte al patrim onio com une dell’ellenismo, è tu tt’altro che inutile esaminare come Sinesio le abbia sviluppate, arricchendo talvolta grazie a una variazione inedita questo insieme di voci proseguito senza sosta dall’origine dei tempi. Non è il caso di ritornare sulla dottrina della «simpatia», pietra angolare della mantica. Predicata già da Posidonio, da cui discende direttam ente il De divinatione di Cicerone, essa rim ane

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attuale e vivissima alla fine del IV secolo. T utta la pseudoscienza degli ermetici (astrologia, iatrom atem atica, botanica astrologica, la «fisica» dei ciranidi, l’alchimia, la magia), poggia solo su questa base 19. Sotto tale riguardo il nostro filosofo ha l’unico merito di esporre con chiarezza un precetto saldamente stabilito e divenuto moneta corrente nel pensiero contem poraneo. Per contro, sebbene non si possa affatto pretendere di deter­ minare esattam ente il suo contributo personale fra tante testim o­ nianze ininterrotte, si colgono sotto la sua penna alcune osserva­ zioni suggestive sui sogni, che ai nostri giorni hanno un sapore singolarmente attuale. Sinesio non è certo il prim o ad avere riconosciuto quale fonte d ’ispirazione potesse rappresentare il sogno per una letteratura ammalata di metam orfosi. Prim a di lui, l’autore dei Discorsi sacri aveva parlato dell’importanza di quei diari intimi (epinyktìdes) in cui egli annotava per sé con cura le apparizioni fuggevoli che avevano visitato il suo s o n n o 20. T uttavia il suo scopo era diverso. Desiderando proclam are urbi et orbi lo speciale favore che Asclepio rivolgeva alla sua preziosa persona, A ristide — ottuso bigotto e retore vanesio — aveva scritto nel II secolo u n ’opera puerilm ente edificante in lode del dio guaritore. Sinesio ha il merito di sba­ razzarsi di questa ipoteca religiosa, di sottolineare quanto il sogno si presti, in primo luogo, a u n ’elaborazione consapevolmente let­ teraria. Non si ha allora il diritto di salutare in lui, come già si fece in passato, uno dei precursori dim enticati del surrealismo contem poraneo ? Sul piano psicologico, d ’altro canto, se è vero che Platone e perfino Senofonte nella Ciropedia avevano da lungo tem po apprez­ zato la profondità della conoscenza introspettiva che si apre al­ l’anima liberata dai legami del corpo 21, si troverebbe difficilmente un filosofo greco che meglio di Sinesio abbia intravisto l’im por­ tanza dell’elem ento affettivo nella vita profonda dello s p irito 22. E anche in questo il Trattato sui sogni offre una curiosa antici­ pazione delle teorie di studiosi come Ribot e Freud 23. Ma è soprattutto il valore prem inente accordato al sogno, definito come il più autentico specchio dell’anima, che autorizza a sviluppare il confronto fra Sinesio e i moderni maestri della psicanalisi. L ’analogia dei principi non deve però nascondere im­ portanti divergenze. G li intendim enti di Sinesio, anche quando non sono puram ente letterari, non esorbitano dalla sfera morale: egli sembra chiedere ai sogni soltanto una garanzia supplem entare per la pace della sua coscienza, oppure, in caso di errore, degli scrupoli salutari. Alle sue visioni non attribuisce alcun simbolismo latente, i cui diversi aspetti celino eventualm ente certe tendenze

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comuni alla specie, sia che queste le appartengano in proprio — come la libido di Freud —, oppure che la incitino, come pensano altri, a superare se stessa. Sinesio, al contrario, nega qualsiasi diritto d ’esistenza a tali leggi universali che alcuni vorrebbero im porre ai fantasmi così vari del sonno. E non risparmia il suo scherno agli innum erevoli autori di Interpretazioni dei sogni — Artem idoro o altri —, che rintracciano nelle associazioni d ’immagini, tanto diverse a seconda dell’esperienza individuale di chi sogna, delle affinità che egli ritiene illusorie. Inoltre, in un campo così mobile come quello delle realtà spirituali, si potrebbe trovare per Sinesio qualche garante autore­ vole fra gli attuali rappresentanti della psicoanalisi. Le ultime critiche del filosofo del V secolo sem brano trascritte alla lettera in queste righe recentissime: L e Interpretazioni dei sogni popolari com m ettono l ’errore fondam en­ tale di voler sem plificare con interpretazioni stereotipe valide per tu tti i lettori, senza preoccuparsi del clima affettivo del sogno, della poliva­ lenza dei sim boli e della vita di chi sogna, che sta alla base di ogni produzione onirica (A. T eillart, L e sym bolism e du riv e , Paris 1944, p. 19).

Sinesio, al suo tem po, affermava la stessa cosa. Con una serie di conquiste progressive, la phantasìa ha riunito — è bene ricordarlo —nel corso del Trattato sui sogni, un complesso di nozioni che, pur sem brando molto eterogenee, apparivano allora, alla luce falsa delPeclettismo, tenute insieme da affinità profonde. Essa è, in partenza, organo di percezione e nello stesso tempo una facoltà intellettuale, grazie alla quale l’essere pensante prende coscienza di se stesso. Comune, d ’altra parte, all’essere fisico e intellettuale, e chiam ata perciò «primo colpo dell’anima», offre una singolare analogia con il pnèum a delle teorie caldee, con quel prim o rivestim ento che si applica alla psychè quando essa discende dalle sfere per im prigionarsi in un organismo c o rp o reo 24. Ecco dunque ciò che autorizza, secondo Sinesio, una prim a assimilazione della phantasìa con il corpo astrale, ben noto all’astrobiologia con­ tem poranea 24. Resta un altro passo da compiere per seguire fino in fondo lo sviluppo del suo pensiero. Poiché, secondo le medesime teorie astrobiologiche, l’anima, rivestita del corpo astrale, risale alle sfere celesti solo dopo essersi com pletam ente disincarnata e purificata da ogni macchia 26 ; e poiché, d ’altra parte, questa fede nell’immor­ talità, im m anente nel pensiero greco, dà a tale principio spirituale

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il nome di èidolon 27, non c’è nulla di più naturale per il nostro filosofo che estendere l’equivalenza phantasìa-pnèuma con pnèu­ ma = èidolon. E ai suoi occhi questa successione è ancora meglio consolidata dal fatto che il medesimo term ine èidolon denota correntem ente in greco le immagini che provengono dagli oggetti e ciò che resta del soggetto pensante nell’esistenza misteriosa dell’al di là. Q uanto al modo in cui Sinesio concepisce dal canto suo questa esistenza fantom atica, possiamo arrischiarci ad affermare che ap­ punto qui sta il fine segreto della sua indagine: prim a d ’allora nessuno avrebbe ancora saputo com prendere come lui la natura e le prerogative della psychè eidolikè. O rm ai abbiamo la possibilità di assicurarcene, paragonando le sue teorie con l’insegnam ento dom inante alla scuola di Ipazia, che si ispira, molto probabilm ente, a Porfirio e a Giamblico. Sinesio adotta forse le dottrine del più recente fra i maestri neoplatonici? Senza voler asserire, come alcuni hanno sostenuto, che egli ignorasse com pletam ente la teologia del filosofo siriano 28 (in realtà gli è familiare la distinzione degli «intellettuali» e degli «intelligibili» 29), è del tutto giustificato, dopo Lang, ripetere che Sinesio se ne discosta almeno in due punti essenziali30. In prim o luogo nulla di più diverso della sua concezione della demonologia. Infatti, m entre il m aestro di Calcide considera i demoni, con tutto ciò che si ricollega alle forze superiori, come assolutam ente privi di sen sib ilità31, l’autore del Trattato insiste al contrario sul loro carattere passionale, sulla loro condizione perm anente di rivolta e sulla loro malizia insidiosa. M entre il primo, d ’altra parte, rav­ visava nella teurgia l’attività essenziale del filosofo, il secondo considera abom inevoli e sacrileghe simili pratiche 32. Al contrario, se nulla o quasi del pensiero di G iam blico tra­ spare nel Trattato sui sogni, quello di Porfirio assicura più volte la propria presenza. N on c’è affatto bisogno, per rendersene conto, di soffermarsi sulle analogie formali, talvolta sottili, di cui Lang ha saputo ritrovare le tracce nei testi affini come i Commentari di Proclo, o il Commento al sogno di Scipione di M acrobio. Le analogie concettuali perm ettono facilm ente di confermare tale fi­ liazione. In m olti punti essenziali per le sue tesi Sinesio è debitore del filosofo di Tiro. Il suo trattato e, fra le opere del maestro, soprattutto YIntroduzione agli Intelligibili e il De regressu animae (giunto a noi, come è noto, soltanto attraverso il De civitate Dei di S. Agostino) manifestano concordanze indiscutibili. Ecco le più im portanti: 1) Della funzione dei dem oni Porfirio dà una definizione si­ mile a quella che abbiam o appena letta sotto la penna di Sinesio 33.

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2) Come lui egli condanna la teurgia e ricorda parim enti la condanna ufficiale da cui era stata colpita 34. 3) Il concetto di pnèum a = psychè phantastìkè, tradotto da S. Agostino come anima spiritalis, gli è altrettanto familiare. P or­ firio gli attribuisce una funzione identica nell’elaborazione della conoscenza 35 e, come nel Trattato sui sogni, questa «anima» occupa soltanto un posto secondario, poiché ad essa viene contrapposta u n ’anima intellectualis superiore 36. 4) Come Sinesio, l’autore del De regressu animae ammette certi riti catartici per liberare quest’anim a inferiore dalla macchia del corpo; ma anch’egli ritiene più efficace l’azione della sofferenza e sembra anche am m ettere l’aiuto onnipotente di una grazia so­ prannaturale 37. 5) C ’è infine un testo delle Aphorm ài che, nella sua oscura densità (tratta infatti insieme le questioni dell’origine e del destino delle anime), è di straordinaria importanza in quanto raggruppa, come il Trattato sui sogni e per il medesimo scopo, i tre concetti affini di phantasìa, pnèum a e èidolon. Perciò ne offrirem o qui il passo significativo in cui sono de­ scritte le prim e vicissitudini dell’anima subito dopo la morte: L’anima — scrive Porfirio — trascina con sé Yèidolon. Una volta uscita dal corpo materiale, infatti, la accompagna il pnèuma che essa aveva raccolto nelle sfere. E poiché, a causa della sua propensione verso il corpo, essa ha comunicato a lui la ragione che le era stata concessa per il tempo in cui era in relazione con il corpo durante l’esistenza, a causa di questa propensione l’impronta della phantasìa si trova segnata sul pnèuma, e in queste condizioni essa trascina con sé Yèidolon 38. Qualsiasi cosa si pensi di questa filosofia, non offre forse una stupefacente somiglianza di espressione e di pensiero con quella di S in esio 39? Si obietterà che nel nostro autore Porfirio non è mai nom inato. Abbiam o già risposto a questo argomento privo d ’im portanza. Ma qui sorge una nuova difficoltà: in che misura questa fonte di ispirazione si accorda con gli Oracoli caldaici a cui il Trattato sui sogni allude a più riprese? W . Lang ritiene a buon diritto che proprio la lettura del m aestro di Tiro, e specialmente del De regressu animae, abbia rivelato a Sinesio quella sapienza escatologica. La prova? Egli non cita le sentenze in nessun altro dei suoi scritti, m entre qui le sfrutta con un fervore da neofita 40. E anche su questo punto il com m entatore del De regressu animae fornisce l’appoggio della sua testim onianza: «E t utique, se a Chaldaeis oracula divina sum-

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psisse, quorum adsiduam comm em orationem facit, tacere non potuit» 41. Allora la ricerca si restringe. Fino a che punto Sinesio, pro­ babilm ente iniziato da Porfirio agli oracoli, ha seguito il pensiero del maestro di Tiro? In che m isura se n e al contrario liberato per dare — come egli si vanta di aver fatto — un contributo originale al problem a del nostro destino? Le sue omissioni sono altrettanto im portanti delle sue affermazioni, a questo riguardo. Porfirio rifiuta, scrive S. Agostino, m algrado Platone e il suo m aestro Plotino, l’idea di una reincarnazione nel corpo degli ani­ mali. Tale palingenesi concerne, a suo parere, solo «altri corpi umani» 42. Insomm a, con questa stessa limitazione egli riconosce all’anima umana, rispetto ai suoi predecessori, una maggiore di­ gnità. Sotto la spiccata influenza delle idee cristiane, Sinesio va ancora oltre: non fa parola di un problem a che, a suo parere, ha perso qualsiasi senso. In realtà, a dispetto delle sue precauzioni oratorie — non ci si scontra im punem ente con autorità così alte — è chiaro che egli propende per una soluzione che salvi nell’al di là la sopravvi­ venza dell’individuo. E nella circostanza egli si arrischia a opporre alla dottrina tradizionale deH’ellenismo quella degli Oracoli caldaici\ «Tu non perm etterai che ritorni alla terra la macchia della m ateria perché nella vasta regione della luce c e posto anche per Yèidolon». E com m enta così il distico: A quanto pare, non risale verso le sfere soltanto la natura che ne è discesa; ma tutte le sottili particelle di aria e di fuoco, che essa ha trascinato nella sua caduta quando divenne una natura «idolica» prima di rivestire il suo involucro terrestre, tutto ciò, dicono gli oracoli, ac­ compagna nel suo ritorno verso le vette la miglior parte di lei stessa... La «macchia della materia» non può essere infatti il corpo divino (ossia il puro intelletto, il noùs)\ e si può credere con ragione che una com­ binazione naturale e perfettamente integrata non si sciolga mai più (1297B). Ecco, a quanto pare, ciò che piega verso la dottrina cristiana il pensiero di Porfirio. E d ecco l’origine delle riserve con cui l’autore accompagna la sua tesi, dato che il trattato è pur dedicato agli ultimi fedeli della Grecia: «È perm esso riguardo a questo argomento — egli conclude —dubitare o credere». Com unque sia, la sua opinione personale è stata esposta con sufficiente chiarezza per poter ora essere compresa. Fra l’eternità impersonale e puram ente immateriale garantita alle anime dai dog­ mi ellen istici43 e l’im m ortalità personale, conseguenza inevitabile di una resurrezione della spoglia carnale che Sinesio si rifiuta di

ÌMeombrade, Sinesio: il «Trattato sui sogni»

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ammettere, egli suggerisce una soluzione di compromesso partico­ larmente curiosa. Più tardi, in procinto di essere eletto vescovo, dichiarerà di avere un m odo tutto suo di interpretare il dogma della resu rrezio n e44. In fin dei conti, il m erito essenziale del Trattato sui sogni consiste nell’averlo condotto, lungo il cammino imprevisto della divinazione, fino alla soglia misteriosa contro cui si scontra l’inquietudine effimera degli uomini.

Note 1 Porph., Vita Plotini 8. 2 178 D Hertlein. 3 Non senza motivo egli colloca a questo momento della notte la visita dell’ispirazione: soltanto i sogni sopraggiunti poco prima dell’alba erano con­ siderati veritieri, come Sinesio avrà certamente letto in Filostrato, uno dei suoi autori preferiti: cfr. Apoll., Vita Tyan. [e anche in questo volume a p. xi e n. 12]. 4 Cfr. Tini. 30 B; W. Theiler, Vbrbereitung des Neuplatonismus, Berlin 1930, pp. 90-2. 5 Cfr. De insomniis 1284 D; Plot., Enn. I li, 1, 6; II, 3, 7. 6 Cfr. De insomniis 1285 B; Plot., Enn. IV, 4, 8; IV, 4, 11. 7 Cfr. De insomniis 1285 A; Plot., Enn. IV, 4,32; e cfr. anche Proclo, De art. sacerdot. 8 Cfr. De insomniis 1285 B e, fra gli altri testi, la Lettera di Porfirio a Anebone 36,23 Gale. 9 Cfr. De insomniis 1285 C-D; Plot., Enn. II, 3, 9; IV, 4, 44. 10 De insomniis 1288 C-D - 1289 A. Si tratta evidentemente degli «oracoli caldaici», la cui diffusione fra gli ultimi neoplatonici è ben nota. Cfr. W. Kroll, De oraculis Chaldaicis, Breslau 1894, che raccoglie i testi giunti fino a noi. 11 Cfr. De insomniis 1289 A-C; Plat., Tim. 43 D -45 B, 70 A. 12 Cfr. De insomniis 1292 D: «veicolo dell’anima più divina». L’immagine è platonica: cfr. Tim. 41 D, 69 C. Su questo concetto fondamentale di pnèuma «corpo astrale dell’anima», cfr. l’articolo di R.C. Kissling, in «American Journal of Philology» 43 (1922) pp. 318-30, e soprattutto l’analisi di E.R. Dodds, Proclus. The Elements o f Theology, Oxford 19632, appendice II (The Astrai Body in Neoplatonism), pp. 313-21. 13 De insomniis 1293 A; E.R. Dodds, op. cit. 14 Cfr. Plat., Phaed. 81 C. Questa antica dottrina aveva affascinato molto i neoplatonici, che l’integrarono alla loro visione astrologica del mondo. W. Lang, Das Traumbuch des Synesios von Kyrene, Tùbingen 1926, segnala giu­ stamente la sorprendente concordanza, anche terminologica, fra la teoria pro­ fessata qui e quella esposta da Porph., De intelleg. fr. 29 Mommert. ” De insomniis 1293 B: «montando su un’imbarcazione». Questa immagine è già in Plot., Enn. I li, 4, 6 e in lambì, cfr. Stop., Anthol. I, 371, 16 Wachsmuth. 16 Queste due teorie derivano, come ha dimostrato W. Lang, op. cit., p. 66, dagli Oracoli caldaici. La prima, che si oppone alla tradizione platonica, si trova in Michele Psello, PG 122. 1148 A (cfr. W. Kroll, op. cit., p. 50); la seconda è pure riportata da Psello, PG 122. 1129 C (cfr. W. Kroll, De insomniis p. 51). L’immagine della «serva» e della «schiava» è ripresa da

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Sinesio, Inno 1570-5: «L’anima scendendo infatti come salariata, invece di servire diventa una schiava. Ma quella funzione significava adempiere un ser­ vizio». Ael., VH 111,11, ne chiarisce l’origine: «I peripatetici dicono che di giorno l’anima lavora per il corpo e si mescola ad esso... Ma di notte, libera da questo servizio, essa diventa più profetica» [cfr. anche la teoria «orfica» ripresa nel trattato Sulla dieta: pp. 93 sgg. di questo volume], 17 Cfr. De insomniis 1296 B-D. Porfirio non ha tralasciato, per illustrare il medesimo concetto, di proporre nell’/W Marceli. 278, 19 Nauck, questo stesso esempio di Eracle, familiare per la verità a tutta la letteratura cinica. Anche il paragone delle due giare era diffusissimo. 18 Cfr. Epistola 154,1556 B-C, dove si tratta, per la verità, del Dione. Ma questa osservazione vale anche per il Trattato sui sogni: cfr. 1281 B. 19 Cfr. A. Festugière, La révélation d'Hermès Trismégiste I, L ’astrologie et les Sciences occultes, Paris 1944, pp. 89-94, 196. 20 Arist., Discorsi sacri 47-52, passim. 21 Cfr. Plat., Resp. IX, 571 e-272 a: «Quando l’uomo ha placato il desiderio senza sottometterlo al digiuno né rimpinzarlo, affinché si addormenti e non turbi con le sue gioie o le sue tristezze il principio migliore [...]; quando quest’uomo abbia anche addolcito la collera e senza essere irritato contro nessuno si addormenti e non turbi con le sue gioie o le sue tristezze il principio migliore [...]; quando abbia calmato queste due parti dell’anima e stimolato la terza in cui risiede la saggezza, e infine si abbandoni al riposo, è proprio in tali condizioni, come tu sai, che l’anima raggiunge meglio la verità»; e Xen., Cyr. V ili,7,21: «È indubbiamente nel sonno che l’anima rivela meglio la sua essenza divina; è questo il momento in cui predice l’av­ venire, certamente perché allora essa è più libera del corpo». 22 Cfr. De insomniis 1316 D: «Ben lungi dal lasciarsi indifferenti, queste visioni provocano il nostro assenso, le nostre inclinazioni, nei casi in cui, al contrario, non le respingiamo con orrore. I loro molteplici sortilegi s’impongono al sonno. Non c’è nessun altro istante in cui la voluttà abbia maggiore attrattiva, e così le nostre anìfne sono segnate da questi odi e da questi amori anche oltre il risveglio». \ 23 Per questo aspetto della questione cfr. A. Ludwig, Die Schrift perì enypnìon des Synesios von Kyrene, in «Zeitschrift fùr Theologie und Glaube» 7 (1915), pp. 547-58. 24 Cfr. J. Bidez, «Revue Belge de Philologie et d’Histoire» 7 (1928), p. 152: «Nel suo Trattato sui sogni Sinesio si serve di una teoria dell’imma­ ginazione che sfiora da vicino una concezione della vita futura su cui F. Cumont ha più volte attirato l’attenzione [...] ciò che caratterizza la dottrina professata da Sinesio è il fatto che il rivestimento astrale dell’anima - chiamato pnèuma phantastikòn —diventa in essa un organo dell’immaginazione». 25 Cfr. Corpus Hermeticum X, 17 (Nock-Festugière), p. 121. 26 Cfr. Poimàndres I, 25. 27 Cfr. Od. XI, 476. Questo valore è affermato con chiarezza anche mag­ giore in Plat., Phaed. 81 C. 28 Cfr. W. Lang, op. cit., p. 82 29 Cfr. Ep. 154, 1556 C; Inno V ,23. 30 Cfr. W. Lang, op. cit., pp. 82-5. 31 Cfr. De myst. 1 ,10. 32 In questo passo, 1304 C, la teurgia è formalmente condannata. Dopo aver ricordato le pratiche materiali di cui essa ha bisogno, Sinesio prosegue così: «Oltre al fatto che, secondo me, è una cosa riprovevole abbassarsi a simili pratiche, ciò è pure inviso a Dio: infatti non attendere il buon volere di una persona, ma spingerla con urti e ordigni, significa farle violenza». 33 Cfr. De abst. 171, 22 Nauck.

Lacombrade, Sinesio: il «Trattato sui sogni»

207

34 Cfr. De civ. Dei X, 9. 27. 35 Cfr. ivi X, 9: anima spiritalis [...]per quam capiuntur imagines. 36 Ivi X, 27,32. 37 Ivi X, 29 e, a proposito dell’utilità della sofferenza, il passo delì’A d Marceli., citato alla nota 17. 38 Cfr. fr. 29,13 Mommert. 39 Occorre osservare, tuttavia, che la phantasìa e il pnèuma sembrano essere qui due facoltà distinte. Sinesio segue senza dubbio la versione del De regressu animae (cfr. n. 35), che segna una fase successiva del pensiero di Porfirio. 40 Cfr. W. Lang, op. cit., p. 53. 41 Cfr. De civ. Dei X, 32. 42 Cfr. ivi X, 30. Una volta di più egli segue la teoria degli Oracoli (cfr. W. Kroll, op. cit., p. 62), che concorda dal canto suo con quella ermetica (cfr. Corpus Hermeticum X, 19, p. 123 Nock-Festugière). 43 La posizione di Porfirio considerata da S. Agostino è ben nota-, «Dicit corpus omne fugiendum» (XII, 27) e, più chiaramente ancora: «[...] resurrectionem incorruptibilium corporum negans» (X III, 19). 44 Cfr. Epistola 105, 1485 B.

I

IN D IC I

IN D IC E D E I N O M I

Abonuteuco, xvii. Achille, xvm, xxiv-xxv, 5-6, 14. Achmet, xxxvi-xxxvii. Ade, xiv-xv, 10, 29, 40, 52. Admeto, 29, 33, 37. Adriano, 179. Aeppli, E., 162, 171. Agameda, 100. Agamennone, xn, xiv, 39, 52. Agave, 52. Agostino, 101, 202-4, 207. Aiace, 19. Aidòs, xiv. Aktaion, 20. Alcesti, 29. Alcifrone, xxxvi. Aleòs, 58. Alessandria, 184. Alessandro, xvn, xx, 7, 75. Alessandro Magno, xix, xxv, 182. Alessandro Poliistore, 10. Alessandro di Tralles, xxxiv. Amfiarao, xvn, xxi, xxxvi, 9, 89. Amficlea, xxi. Ammone, 196. Anite, xv, xxxv, 17. Antifonte, xxxvi, 15. Antistene, 183. Anton, J.P., 133. Apella, 77. Apollo, xvin, xxxvi, 24, 36-8, 42, 44-5, 50-1, 54-5, 60, 65, 91, 102, 147, 186. Apollodoro (pseudo), xxiv, xxxvi. Arài, xiv, 43. Arato, 197. Archinos, xvi. Aeropago, 47. Areteo, xxxiv. Argòste, 56, 59, 65. Aristandro di Telmesso, xxv, xxxvi.

Aristarco, 14. Aristide, xx-xxi. Aristide, Elio, vii-viii , xvi, xxiv, xxxn, xxxvm, 9, 12-3, 15, 68, 76, 81, 85, 157, 173-84, 186-9, 192, 200. Aristofane, xxi, 12-3, 70, 84, 183. Aristotele, xxviii, xxix-xxxi, xxxiv, 23, 88, 90, 93-4, 119, 121-33, 135, 139-40, 165-6, 178, 180, 187, 197. Artabano, xvi, xxxvm. Artemide, 19. Artemidoro, vii, ix, xi-xii, xix-xxn, xxiv-xxvii, xxxii, xxxvm, 7, 18, 54, 64, 77, 91-2, 94-6, 147-58, 161-8, 173, 179, 183, 185, 188, 192, 201. Asclepiaco, 180, 187. Asclepiade, 143, 146. Asclepio, vii, xv, xvn, xxi, xxxv, 9, 11-2, 17-8, 67-77, 79-86, 89, 97-100, 102, 165, 174-6, 178-81, 184, 186-9, 200. Astiage, 55-6, 59-62, 65. Atena, xxxv, 17, 19, 42, 47-9, 77, 86, 91, 183. Atene, xx, 18, 27, 46, 71, 182, 196. Atradàtes, 56, 59. Attica, 77, 183. Aughe, 58. Babilonia, 56, 59, 66. Bailey, C., 144. Barb, A., xxxvi. Basilio di Seleucia, xxxv. Bastide, R., xxm , xxxm, xxxvn. Befu, 44. Behr, C.A., 185. Bellerofonte, xv, xxxv, 6, 10, 17. Bender, H., xxn, xxiv, xxxi. Benedetti, G., 65. Ben veniste, E., 31. Bernes, J., 133.

Indice dei nomi

212

Bettini, M., 31. Bichler, R., 65. Bicknell, P.J., xxxvn. Bidez, J., 206. Binswanger, L., 169. Bjòrck, G., x x x v iii , 14. Boccaccio, 53, 55, 65. Bollack, J., 146. Borges, J.L., xv, xxxv, 65. Boristene, 166. Boss, M., 169. Bossard, 166. Bottéro, J., xxxvi. Bouché-Leclercq, A., xxxm, xxxv, 30. Branchidi, 53-4. Brànchos, 53-5. Brandt, P.A., 63, 66. Brelich, A., x, 31. Brillante, C., xiv, xxxi, xxxvn. Biichsenschutz, B., 185. Burford, A., 102. Cadmo, 183. Cafisia, 99. Calabi, F., 187. Calarne, C., 33. Calcide, 202. Calcidio, xi, 7, 14. Callimaco, xxxv. Cambiano, G., xxx-xxxi, xxxv, xxxvn, 101-2, 135. Cambise, 55-6, 61. Canter, W., 185. Caria, xix. Caronte, 9, 157. Cassandra, 19, 60, 65. Cassio Massimo, 147, 149. Caton, R., 84. Celio Aureliano, 137-41, 143, 146. Cerbero, 37. Certeau, M. de, 66. Chantraine, P., 31-2. Chio, 178. Cicerone, x x v iii , xxxm, 14, 65, 88, 98, 199. Cimone, 198. Ciro, 55-6, 59-62. Clitemnestra, v ii , 35-8, 42-6, 50-2, 59. Cnido, 59. Conone, 53-5, 64. Cos, 68, 70, 75. Costanzo II, xxxvi. Courtés, J., 66. Crahay, R., 61, 65-6, 189. Creso, xxxvi, 7, 61.

Creta, 196. Critone, 111. Crono, xv, 39. Crotone, ix. Ctesias, 56, 59. Daldi, 147, 192. Dale, A.M., 33. Damocle, 41, 48. Danaidi, xxv. Daniele, xxxvi. Dario, 36. Dedalo, 23-4, 27, 119. Delatte, A., xxxv, 31. Del Corno, D., xxi, xxxi-xxxu, xxxvi, 64-5, 185-6. Delfi, 10, 20, 54, 72, 196. Democrito, xvi, xxix, xxxi, 131, 142. Dèmoklos, 53. Demostene, 182. Denniston, J.D., 32. Descartes, R., 106. De Stoop, E., xxxvo. Detienne, M., 101-2. Deubner, L., xxxm, xxxv, x x x v ii , 14-5, 30, 84, 86. Deucalione, x x x v ii . Devereux, G., x, xv, xx iv -x x v i , xxxixxxii, x x x v ii , 27, 31-2, 56, 65, 101, 188. Didima, 53-4. Diels, H., 84, 101, 141. Diepgen, P., 101. Dierkens, J., x x x v ii , 189. Diocle di Caristo, 101, 146. Diogene, 11. Diogene di Enoanda, 142. Dione Cassio, v ii , x x x ii . Dioniso, 37, 52, 183. Dioscuri, 52. Diskin-Clay, 146. Dodds, E.R., x, xm , xxiv, xxvi, xxxixxxv, x x x v iii , 17, 30, 52, 101, 118, 135, 186, 189, 205. Drabkin, I.E., 146. Drabkin, M.F., 146. Druso, x x x ii . Dunne, J.W ., 7. Du Prel, C., 84. Ecuba, 57, 59, 65. Edelstein, E.J., xvn, xxxi, 11, 15, 30, 102 . Edelstein, L., x v ii , xxxi, 11, 15, 30, 102 .

213

Indice dei nomi Edipo, xxvi, 48. Efeso, 37, 147. Efesto, 99. Egisto, 45, 52. Elena, 25-8, 32-3. Eliade, M., xxxm. Eliano, 86. Elio Aristide, v. Aristide. Empedocle, 143. Ennio, xxxv, 65. Epicuro, x i i i , 86, 142-3. Epidao, 11, 17, 40, 45. Epidauro, xv, xxi, xxxv, 6, 11-3, 68, 70-1, 74-5, 77, 85-6, 97-100, 102, 186, 188. Epimenide, xxxv, 9.

Fraenkel, H., 25, 27, 32. Frazer, J.G., xxxiv, 15, 31, 33, 48. Friedrich, C., 101. Frère, J., x x x v iii . Freud, S., vili, x-xi, x x i -x x ii , xxvn, x x ix -x x x iii , x x x v ii -x x x v iii , 6, 13, 15, 32-3, 44, 48, 87, 96, 100, 109, 119, 154, 158-9, 162-3, 166-9, 171, 173, 185, 187-9, 200-1. Frisch, P., 65. Frontone, 148. Ftia, 111. Funari, E., xxxiv. Furlani, G., 31.

Eracle, 23-5, 31, 52, 166, 195, 206. Eraclide, 14. Eraclito, vili, x x v iii , 58, 118, 176. Eratocle, 99. Erinni, v ii , x iv , 35-52. Erithàrses, 53. Ermes, xxxiv, 91, 178, 191. Eroda, 13. Erodico di Selimbria, 101. Erodoto, xvi, x x v iii , 6, 55-6, 66, 86, 118. Erofilo, 7, 14, 88, 92, 144. Eschilo, v ii , x v , x v iii , x x v i, 25, 37-40, 42-4, 46-51, 112, 118, 183. Esiodo, xxxv, 40, 192. Eteobutadi, 196. Ettore, xxiv, 6. Eudosso, 187. Eumenidi, xxvi, 42, 44-51. Euphanes, 98. Euridamante, xix. Euripide, xvm, xxxvi, 29, 31, 33, 38, 43, 52, 181.

Galeno, v ii , x x ix , x x x ii , 74, 81-2, 85, 87-8, 92, 94-5, 100-1, 141, 146, 148, 184, 186, 189. Galeotai, xix, xxxvi. Gauthier, A., 84. Gerione, 37. Giamblico, x x v iii , 30, 202. Giessen, 30. Gigli, D., x x x v ii, 187-8. Gilgames, 31. Giocasta, x x v i . Giomini, R., 65. Giovanni di Salisbury, xi. Giuda Iscariota, 59. Giuliano, 191. Gombrich, E.H., 32. Gompertz, T., xxi, 101, 161. Gourevitch, D., 188. Graves, R., 57. Gregory, T., 101. Greimas, A.J., x x x ii , 66. Grodzinsky, D., xxxvi. Grunebaum, G.E. von, 31. Guidorizzi, G., x x x i -x x x iv , xxxvi, 135, 189.

Fahd, T., xxxvi. Farnell, L.R., 30. Fattori, M., 101. Fehling, D., 52. Ferenczy, 167. Festugière, A.J., 14, 185, 206. Filarco, ix. Filone Alessandrino, x x v iii . Filostrato, 205. Flashar, H., 134. Foca, 158. Focea, 188. Fortune, R.F., 52. Fozio, 64.

Hall, C.S., 169, 171. Halliday, W.R., 15, 84. Hamilton, M., xxxv, 84. Hamon, Ph., 66. Harrison, J., x, xxxm, 14. Heiberg, J., 84. Hèlios, 65, 90-1. Henry, R., 64. Hermann, G., 32. Herrlich, 85. Herzog, R., 11, 15, 84-6, 102. Highbarger, E.L., xxxiv. Hillman, ]., x, xxxm. Hippys, 77.

214 Hirschberg, O., 84. Hoffmann, xm. Hundertmark, K.F., 83. Hundt, ]., xxxiv, 14-5. Iaccos, xx. Ikaria, 23. Ierone, 27, 32. Ifigenia, 39. Ilberg, J., 84. Ino, xii. Ipazia, 191, 198, 202. Ipparco, 7. Ippocrate, xxix, 74, 81-2, 88, 91. Iside, 178. Isocrate, 6. Issione, 44. Jaeger, W., 101. Jakobson, R., 21-2, 31. Jocelyn, H.D., 65. Joly, R., 101. Jones, W.H.S., 101. Jung, C.G., x, xxn, xxx, xxxm, xxxvm, 13, 15, 100, 162, 166-7, 169. Kahn, Ch.H., 133. Kahn, L., 64. Kambylis, A., x x x ii . Keil, B„ 185. Kelcbner, G., 13. Kemper, W., 164. Kenner, H., xxxiv. Kent Sprague, R., 133. Kerenyi, K., 31, 102. Kessels, A.H., xxxiv. Kissling, R.C., 205. Klibansky, R., 101. Krauss, F.S., xxi, xxxvi, 171, 173, 185. Kris, E., 22, 31-2. Kroll, W „ 205, 207. Kurth, W „ 168, 171. Kurz, O., 22, 31-2. Kustas, G.L., 133. Lacks, A., 142. Lacombrade, C., xxvm, xxxi. Laconia, 74. Lanata, G., 84, 102. Lang, W., 198, 202-3, 205-7. Laodamia, 33. Latacz, J., 65. Lattanzio, 55.

Ìndice dei nomi Lawson, J.C., xxxv. Lebena, 70, 85. Le Clerc, D., 83. Le Goff, J., xxxii. Leucippo, xxix. Leucotea, 55. Lévy Bruhl, L., ix, xxxii-xxxm. Lévy Strauss, C., 33. Lieshout, R.G.A. van, 186-7. Lincoln, J.S., 13, 15. Lindo, 6. Linton, R., 52. Lisia, 182-3. Lisimaco, xx. Lloyd, G.E.R., 84, 102, 133. Longo, V., 186. Loreaux, N., 64. Lourdes, 12, 98. Lozza, G., xxxvi. Luciano, v ii , xv , x v ii , xx, xxxii, xxxv, 75. Lucrezio, 137, 141, 143-6. Ludwig, A., 206. Macrobio, xi, 7, 9, 202. Magi, 56. Maleatas, 102. Malinowsky, B., ix-x, xxxn-xxxni, 13. Mandane, 55-6, 61, 65. Marco Aurelio, 189. Massimo di Tiro, 148. Meder, 164, 171. Megara, xvi. Meibom, H., 67, 83. Melissa, 10, 15. Menadi, 38, 52. Menandro, xxxii, 183. Menelao, 25-8, 30, 32-3. Mesmer, 68. Mesopotamia, 55. Metrodoro, 184. Meyer, C.A., 84, 102. Michenaud, G., x x x v ii, 189. Mileto, 53. Millot, C., 142. Milziade, 198. Minucio Felice, 30. Misch, G., 186. Moire, 37. Momigliano, A., xxxvi. Montaigne, M., 106. Morgan, G.W ., 15. Mykerìnos, 66. Mugler, C., 32. Musatti, C., xxxvii.

215

Indice dei nomi Nabucodonosor, 66. Nerito, 187. Nestore, x ii , xiv. Niceforo (pseudo), x x x v ii . Nicippo, 139. Nicosia, S., vili, xxxi, xxxv, 185-6. Nilsson, M.P., 19, 30, 33, 52, 97, 102. Numenio, 14. Odisseo, 6. Olimpia, 148. Olimpo, 37, 52. Omero, x iii -xv , xix, xxxi, xxxiv, 4-10, 49, 51, 111, 120, 192, 195, 197. Omphale, 31. Orazio, xxm, xxxv. Oreste, 35-6, 38-9, 43-7, 50, 52. Orfeo, 29. Oropo, xxi, 9. Overbeck, }., 31-2. Owen, G.E.L., 133, 135.

Platone, x i i , xxvm, xxx, 8, 23, 71, 93, 103-6, 108-20, 182, 188, 192, 194, 200, 204. Plauto, 11, 13, 85. Plinio il Vecchio, x x x ii . Plotino, 191-2, 204. Plutarco, xiv, 12, 18, 72, 88. Pluto, 70. Poliido, 17. Pompeo Trogo, 56. Porfirio, xxvm, 14, 208-4, 206-7. Poseidone, 73. Posidonio, xv, xxxiv, 10, 14, 151, 199. Priamo, 57, 65. Proclo, 84, 202, 205. Prometeo, xvm , xxxvi. Proteo, 199. Protesilao, 33. Psello, M„ 205. Quadrato, 181.

Page, D., 32. Paleologo, Manuele, xxxvi. Palladio, 19. Palm, A., 101. Panezio, xxvm. Panofsky, E., 101. Paride, 55, 57, 65. Parrei, H., 66. Pascal, B., vili, x x x ii . Pascale Romano, 101. Pasiphae, x i i . Patara, xxvi. Patroclo, 5. Pausania, xvm, xxi, 17, 85-6. Pease, A.S., xxxm, 102. Pegaso, xxxv, 17. Pellizer, A., x ii , x x x i -x x x ii . Penelope, xiv, xxv, 5-6, 42. Penteo, 38, 52. Pergamo, xxi, 9, 13, 69-70, 75, 85, 174, 177, 183-4, 188. Periandro, 10. Persefone, 52. Persia, 55, 61. Phòbos, xiv. Phòibos, 65. Picard, C., 32. Pigeaud, F., xi, xxxi. Pindaro, 5-6, 10, 17, 93, 111. Pirra, xxxvii. Pisistrato, 86. Pitagora, 9, 185. Pittau, M., xxxv.

Rank, O., xxxiv, 32, 58, 65. Rea, x v iii . Rees, D.A., 133. Reinach, S., 84. Repici, L., xxx-xxxn. Ribot, 200. Rittershain, R. von, 84. Robert, C., 31. Ròsler, W., 65. Rohde, E., x i i i , xxxiv, 30, 33, 41-2, 52. Roma, 10, 148. Roscher, W .H., xxxm. Rose, H.J., x, 4-6, 14. Roux, G., 31-2. Rubenshon, O., xxxvi. Rufo, 85, 146. Ruprecht, H .G ., 66. Rusone, 163. Russell, B., 42. Salute, 85. Salvio, 9, 180. Samuele, 8. S. Ciro, xxxv. S. Cosma, xxxv. S. Damiano, xxxv. S. Giovanni, xxxv. S. Michele, xxxv. S. Tecla, xxxv. Saqqara, XX. Sassi, M.M., xxxvii.

216 Satana, 67, 75. Satiro di Taso, 139. Saunders, J.B., 84. Sauneron, S., xxxvi. Saxl, F., 101. Schofield, M., 133. Schrijvers, P.H., 141, 146. Senofane, 44. Senofonte, 86, 200. Serapeion, xx. Serapide, v ii , x v ii , xx x v i , 8, 14, 18, 177-8. Serse, xvi, x x v iii . Sibari, ix. Sileno, 199. Simboli, C.R., 84. Sinesio, v ii , x, x x ii , x x v iii , x x x ii , 191-207. Sinope, 18. Siris, 19. Sisifo, xxv. Sissa, G., 64, 66. Smìkros, 53, 55. Smirne, 181, 187. Smith, M.F., 146. Socrate, vii, 7, 104, 111-3, 117, 120, 199. Sofocle, xxvi, 14, 46, 182. Sofronio, xxxv. Solimano, G., 102. Sorabji, R., 133. Sorano, 91, 146. Sosimene, 183. Sparta, 19, 25. Steuer, R.O., 84. Stevenson, xm. Suida, xxxv, 30. Talame, XII. Tantalo, xxv. Tèlephos, 58. Telesforo, 178, 187. Telmesso, xix, xxv, xxxvi. Teofrasto, xx, 3. Tertulliano, xm , xxxm. Teti, 14.

Indice dei nomi Themis, x x x v ii . Thomson, G., 27, 32. Thraemer, E., 84-5, 102. Thymòites, 65. Tiberina, isola, 74. Tiro, xxv, x x x v ii , 202-4. Tithorea, 17. Tolomeo Soter, 18. Tralles, xxi. Trofonio, x v ii , 84, 89. Troia, 6, 33. Tucidide, 182. Tylor, ix, x iii , 11. Ueberweg, F., 134. Urano, 39. Utnapistim, 31. Vegleris, E., xxx-xxxi. Venere, 144. Vernant, J.P., xiv, xxxiv, 22, 31, 65, 102.

Vettio Valente, 158. Virgilio, xxxiv. Vitruvio, 85. Wagner-Simon, Th., 65. Waszink, O., xxxm, 14. Weinreich, O., xxxv, 11, 15, 30, 84, 86, 186. Welcker, F.G., 83-4. Wellmann, M., 146. West, M.L., xxxv. Wiesner, J., 133. Wikenhauser, A., xxxv, 187. Wilamowitz-Moellendorf, U., xxiv, x x x v ii , 14, 84, 101. Wilde, O., xm. Wolff, G., 19, 30. Zenone, xxv. Zeus, x ii , xiv-xv, x v iii , 8, 39, 44, 49 51, 90-1, 195. Zoilo, 15. Zosimo, 178, 183.

IN D IC E D E G L I A R G O M E N T I

Accademici, 72 sg. allegoria, xxn. allucinazioni, 46, 32 n. 44, 43 sg., 70, 84 n. 11. alimentazione, x i, x v ii , 123, 126. analogia, xxx, 31 n. 23, 95, 128, 132, 153, 171, 175. angoscia (vedi anche emozioni), 59. anima: — concupiscente, 108, 115 — credenze primitive sull’a., xm — libera dal corpo durante il sonno, 206 n. 16. — possiede facoltà divinatorie, 151 sg. — le sue passioni si rivelano nei sogni, 110 sg. — tendenza terapeutica dell’a., 100. animali (sogni di), 37 sg., 131, 134 n. 24, 140. apporto onirico, xv, xxxv n. 28, 6, 17. aretalogia, 176. archetipi onirici (vedi anche simboli), 13 n. 2, 162, 167. arte (come sogno), 106, 112. associazioni (d’immagini o di idee), 153, 163, 184 sg. Atomisti, xxvn sgg., 131, 142. automutilazione, 9, 15 n. 21, 188 n. 47. autosuggestione, 69, 75, 79, 100. baci, 71. Bizantini, xxn, xxvn. Caldei, 56, 59. cani, 12, 37, 71. censura onirica, xxiv, xxvn, 119 n. 31, 166, 169. chiaroveggenza, vedi telepatia. Chifriermethode, 96, 163, 171.

chirurgia (in sogno), 13, 71, 77, 85 n. 15, 178. chrematismòs, xi, 7 sg. cigno, 55. classificazione dei sogni, x sg., 141, 146, 150 sgg., 162, 186 n. 14. consacrazioni, 7 sg., 19 sgg., 30 n. 17. contaminazione, ix, 46. contenuto latente e manifesto dei so­ gni, 4, 108, 163, 166, 168. Cristianesimo, vm , xxn, xxvn, 75. Cronache di Epidauro, 6, 11 sg., 68 sg., 77, 98 sgg. ctonie, divinità, 17. culti (fondati dopo un sogno), 8, 14 n. 16, 18. cure (prescritte in sogno), 70, 73, 174 sggdeformazione onirica, xxxii. demoni, xv, 10, 67, 116, 202 sg. desideri soddisfatti in sogno, 6, 144 sg. diagnosi medica (derivata da sogni), xxix, 88 sgg., 130. diari di sogni, 175 sg., 181, 200. divinazione, xvm, xxn, 24, 116, 129, 192 sg., 196. divinità dei sogni, xxxiv n. 23. divinità apparse in sogno, 70, 152, 177 sgg. doppio, x m sg., 28, 36, 42, 44, 51. eidolon, xm , xxix, 9, 22, 42, 131, 197 sggelaborazione secondaria, ix, xxm , 13, 152, 188 n. 43. emozioni (procurate dai sogni), vii, x v iii , xxx, 12, 100, 107, 177. enypnion, xi, 64 n. 1, 103 sg., 121, 150.

218

Indice degli argomenti

Ephiàltes (vedi anche incubo), XI. Epicurei, x x v iii , 73, 86 n. 21, 142 s g-

epifania onirica, 71 sg., 180. Ermetici, 192, 200. eroi, 10, 19. esisten za n el te m p o e sogni, fan tasm i), xv estasi, vedi tran ce. euthyoneirìa, xi, 66 n. evirazio n e, xxv, 15 n.

n ello spazio (di sg., 40 sg., 43.

14, 132. 21, 39, 46.

fantasie:

— di morte, 182, 188 n. 47. — d i o n n ip o ten za, 183. fantasm i, 25, 40, 42, 59. fegato (come produttore di sogni), 115 sgfollia, 46. genealogia dei sogni, 24. guarigione in sogno (vedi anche incu­ bazione), 12, 70 sg., 77, 85 n. 13. hòrama, xi, 7. hypar, vili, 3, 103. im m aginazione, 121, 193 sgg. incesto, xxvi, 49. incoeren za d e i sogni, xxm . inconscio co llettiv o , xxiv. in cub azio n e, x ii , xv, xxxv, 9 sgg., 17 sg-, 70 sgg., 97 sgg., 177. incub o , 143. in dov in i, x ix , 56 sg., 59, 148. in terp retazio n e d ei sogni, xvm sgg., 55 sgg., 116, 132, 151 sgg., 155, 163, 196 sgg. in te rp re ti d i sogni, xvm sgg., xxxvi n. 40, 6, 55, 64 sg., 66 n. 18, 68, 71, 91, 116, 148 sg., 155 sg. ipnosi, 69. isola d e i sogni, xv. isopsefia, 154, 158. ispirazio n e in so gno (d i o p e re le tte ra ­ rie), v ii , xxxv, 191, 205.

kolossòs, 21 sgg., 27 sg., 29. magia, 9, 19, 22. malinconia, xn, 127, 131. malocchio, xxix. m asch eram en to o n iric o (vedi anche d e ­ fo rm azio n e o n irica), xxvn. .

medicina e medici, x ii , xxix, 74, 89, 130, 139 sgg. meloterapia, 185. memoria dei sogni, 125. metafora, 21, 59. metonimia, 21, 59. mimesi, 22. mito, ix, xv, xxiv, 4, 19, 113. morti (in sogno), 10, 21, 40, 96. nekyomantéion, 10. nevrosi, 68. Neoplatonici, 19, 192, 202 sgg., 205 n. 14. notte (o Notte), 23, 39, 104, 176, 191. occhi, 27, 43. ònar (o àneiros), v ii , x i , 3, 7, 54, 64 n. 1, 103 sgg., 121, 150, 186 n. 14. oneirogmòs, XI, 137 sgg. oniromantica, vedi interpretazione dei sogni, oracoli, 53 sg. oracoli onirici, x v ii sg., 10, 85 n. 14. orfismo, xxx, 93 sg. origine dei sogni: —da stimoli organici, 87, 94, 123, 188 n. 50. —da residui diurni, x x v iii , 92 —dall’autonoma attività dell’anima, x x v iii , 92 sgg., 141, 150 sg., 191, 141 —da impulsi esterni (dei, demoni), x x v iii , 5 sgg., 91. orina, 55 sgg., 143. padre, 9, 15 n. 21, 39. papiri magici, 9. parole e giochi di parole in sogno, x x ii , 154, 183. phàntasma, 121, 126. phantasìa (vedi anche immaginazione), xxx, 121, 127, 203. Pitagorici, xv, 10. polluzioni, 137, 140. porte dei sogni, xiv, 111, 179. preolimpica, religione, xvm , 10, 23 sg-, 39. prescrizioni oniriche (vedi anche cure prescritte in sogno), 82, 174 sgg. Primitivi, ix, 3 sg., 9, 20. profezie, 54 sg., 58, 60. psiche, vedi anima.

219

Indice degli argomenti psicosomatica, teoria: — nelle cure incubatone, 75, 100 — nella formazione dei sogni, 87 sgg. purificazioni, xx, 20, 203. residui diurni (vedi anche origine dei sogni), xxvm, 92. rimozione, 166 sg. sacerdoti, xxi, 68 sg., 73 sg. sangue, 37, 40 sg., 45, 124, 128. sapiente, sogni del, XII, 109 sg., 116 sg., 131. scongiuri (vedi anche purificazioni), 91. scrittura del sogno, xxvm, 5. sensazioni, 23, 106, 122. serpenti, 12, 37, 45, 71. simboli e simbolismo, xxiv, 4, 58, 112, 152, 154, 156, 161, 167 sgg., 200. sogno: — angoscioso, xxiv — autoprovocato, 179

— iniziatico, x, xxxv — in ra p p o rto alla p erso n alità del so­ g n ato re, x ii , 155, 163 — in te rp re ta to d a l so g n ato re stesso, 180, 189 n. 51. — m o d ellato su schem i cu ltu rali, xxv sg., 4 sgg. — o g g ettiv o (« d rea m -v iv itatio n » o « A u ssertrau m » ), xv sg., xxvi, 5 sgg-, 37 — p ato g en etico , 89, 101 — p ro fetico o p rem o n ito re, 91, 129,

151, 164 — p resso

altre

c u ltu re

an tich e,

xix,

xxxvi

— au tu n n ale, XII — collettivo, IX, 37

— rico rren te, 112 — rivela la v o lo n tà d iv in a, 111 — telap atico , vedi telep atia — ufficiale, x, xii. so n n am b u lism o , 68, 74. so n n o , 124 sgg. specchio, xiv, xvi, 20, 24, 42 sg., 115. sp e ttri, vedi fantasm i, statu e, xiv, 17 sgg., 23. Stoici, x i i , xvi, xvm, 10, 19, 142 sg.,

— del mattino è veritiero, xi, xvi, 205 — d i arresto , xxiv sg., xx xv ii

Super-E go, 50 sg.

— d i au to d istru zio n e,

sympàtheia, 19, 192, 199.

— di — di — di — di

xx xv ii

bambini, ebbri e malati, 127 donne gravide, x ii , 53, sgg. mutilazione, xxv narcisismo, xxv

— d i re,

x ii

— di volo, xxv — di nudità, xxxvii — doppi, xvi — è un£ forma di inganno, 105 sgg., 128 — edipico e incestuoso, xxvi, xxxvii, 109 — erotico, 87, 140, 143

192.

ta b ù , xi, xxvi. telep atia, xvi, xxix, 133, 166. teo ria d e i tipi, 42. teu rg ia, 203, 206. tira n n o , 110 sg. tran ce, x, xxi, 12, 116. um o ri,

x ii ,

96, 131.

veglia (vedi anche hypar), 106, 124 sggv en d e tta , 39, 48.

IN D IC E D EL V O LU M E

Introduzione rizzi

Sogno e funzioni culturali

di Giulio Guidov ii

M odello onirico e modello culturale

di Eric R. Dodds

3

M etamorfosi di u n ’immagine: le statue anim ate e il sognodi Carlo Brillante

17

Il sogno delle E rinni

di Georges Devereux

35

di Ezio Pellizer

53

Sogno e nascite di eroi

Asclepio: la medicina del tempio Edelstein

di Emma J. e Ludwig 67

Sogno, diagnosi, guarigione: da Asclepio a Ippocrate Giulio Guidorizzi Platone e il sogno della notte Aristotele e i sogni

di 87

di Eugénie Vegleris

103

di Giuseppe Cambiano e Luciana Repici

Il sogno erotico nell’antichità greco-romana: Yoneirogmòs ]ackie Pigeaud C ’è del m etodo in questa follia: A rtem idoro Corno

di 137

di Dario D el

Predizione e simbolo in A rtem idoro alla luce della m oderna psicologia del sogno di H ans Pender L ’autobiografia onirica di Elio Aristide

121

di Salvatore Nicosia

147

161 173

222

Sinesio: il «T rattato sui sogni»

Ìndice del volume

di Charles Lacombrade

191

Indice dei nomi

211

Indice degli argomenti

217

IN T R O D U Z IO N E d i G iulio G uidorizzi

a Enrica

S O G N O E F U N Z IO N I CULTURALI

Q uando Eschilo portò sulla scena l’om bra di C litem nestra che appariva in sogno alle Erinni addorm entate, il pubblico ateniese fu preso da uno sm arrim ento collettivo: vi furono donne (assicura l’antico biografo) che abortirono e bam bini che svennero La potenza dell’evocazione fantastica innescata dalla descrizio­ ne dei fantasm i onirici per m ano di un grande poeta trova un parallelo nell’atteggiamento di un uom o come Elio Aristide, che dai sogni traeva nutrim ento per u n ’esistenza percorsa da brividi mistici, da stati di esaltazione allucinatoria, e all’immaginazione onirica doveva persino ispirazioni retoriche, come dal canto loro conferm ano Luciano, D ione Cassio, Sinesio, a cui i sogni seppero suggerire intuizioni letterarie 2; del resto G aleno, che non può certo essere considerato uno spirito superstizioso, afferma di avere operato un paziente seguendo le istruzioni di un sogno 3, e Socrate — uno dei padri del razionalismo occidentale — compose poesie e racconti per obbedire all’im pulso di u n ’immagine onirica. A volte illusione, a volte messaggio che contiene una sapienza nascosta, il sogno rappresentava per i greci una sfida davanti alla quale le risorse deH’intelligenza rischiavano di sem brare in­ sufficienti: anche solo per poter com unicare a un ascoltatore la varietà delle immagini e delle sensazioni che si provano in sogno — scriveva Sinesio già sul lim itare dell’epoca antica — bisognerebbe poter utilizzare parole dotate loro stesse di m ovim ento 4. Nella cultura greca, il sogno appare dunque come un’esperienza di grande rilievo, le cui tracce si possono osservare in diversi aspetti della vita sociale. Esso era collegato a fenom eni di massa, come la divinazione o l’incubazione; a culti, come quello di Asclepio o Serapide; a u n ’ampia produzione scientifica e filosofica (non c’è, si può dire, nessun intellettuale greco di una certa importanza che non abbia dedicato al sogno qualche m om ento del suo inte­ resse), oltre che a una letteratura tecnica di carattere popolare, fatta di «chiavi dei sogni» (come quella di A rtem idoro), di raccolte di sogni oracolari, di scritti e iscrizioni di carattere aretalogico,

V ili

Introduzione

in cui la D ivina Sapienza interviene a miracolare o a indicare la via della salvazione a un suo devoto. In seguito a un sogno, venivano istituiti culti, costruiti templi, fondate città (tav. I li) ; c’era chi in seguito a un sogno, guariva da una malattia (o per­ lomeno pensava di poterlo fare), intraprendeva una nuova attività, sospendeva un viaggio. Il sogno appare poi, nella G recia arcaica, correlato a un complesso di credenze di notevole im portanza an­ tropologica, come ad esempio quelle relative alla nozione di «dop­ pio». D a questa rassegna, ovviam ente sommaria, di funzioni assunte dall’esperienza onirica nella civiltà greca, si può im m ediatam ente percepire la distanza che separa la m oderna concezione del sogno da quella degli antichi greci, per i quali esso non rimase un fenomeno circoscritto alla sfera individuale di una persona; l’af­ fermazione di Freud, secondo il quale «il sogno è un fenomeno assolutam ente egocentrico» 5 sarebbe certam ente stata contestata nel m ondo antico. Se Eraclito (fr. 89 D .K .) aveva asserito che chi dorm e si chiude in un suo m ondo particolare, al contrario dell’uomo desto che è partecipe di un m ondo comune, è pur vero che tra questi due m ondi (che i greci chiamavano ònar e hypar) il rapporto era d ’integrazione piuttosto che di esclusione. L ’idea di Pascal, secondo cui un artigiano che sogna per dodici ore al giorno di essere re è felice come un re che sogna per dodici ore al giorno di essere un artigiano, è il prodotto di una cultura abituata a vedere nel sogno u n ’esperienza esistenziale com­ pletam ente alternativa alla veglia; ma per un uom o greco un sogno del genere avrebbe piuttosto costituito un impulso, la cui portata si sarebbe m anifestata naturalm ente nello scenario della vita diurna 6. La collocazione del sogno in un am bito individuale e segreto, in interiore homine, iniziò a divenire progressivam ente più evidente verso la fine dell’epoca antica, come già segnala la vicenda di Elio Aristide, tu tto teso al dialogo onirico col suo dio privato (in un ’eccezionale autobiografia onirica, di cui Nicosia delinea i tratti in questo volum e); divenne poi definitiva quando il cristia­ nesimo operò per ridurre l’im portanza dei sogni nella vita spirituale dell’individuo, e ancora di più per elim inarlo dai com portam enti collettivi, giungendo persino a interdire la divinazione oniromantica 7. Ma nella cultura greca per lungo tem po il sogno conservò una funzione socialmente rilevante; con questo intendo dire che esso poteva contribuire a determ inare o a inibire una serie di com portam enti nella vita di relazione di un individuo o della collettività, o anche a innescare fenom eni di em otività collettiva,

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che sono ben docum entati nelle testim onianze antiche. L’atteggia­ m ento psicologico verso il sogno rifletteva in realtà u n ’organizza­ zione m entale e una disposizione verso i fenom eni dello spirito essenzialm ente diversa dalla nostra. Nei confronti dei sogni, l’at­ teggiamento degli antichi sem bra essere stato di maggiore parte­ cipazione em otiva; spesso il sogno (o almeno, certi sogni) si ac­ compagnava a stati di ansia o angoscia da parte di chi lo faceva; altrove, i sentim enti descritti sono di terrore, gioia, esaltazione, e la scossa emotiva provata da m olti pazienti durante un sogno incubatorio era tale da poter produrre la guarigione da malattie di natura psicosomatica, come gravidanze isteriche, paralisi, perdita della favella. A rtem idoro (1 ,2 ) parla come di un fatto normale di sogni collettivi, vere e proprie epidem ie di sogni che sembrano intervenire nei mom enti critici della vita pubblica: «è accaduto che un sogno relativo a un medesimo soggetto sia apparso a diversi uomini. [...] infatti, quando un bene comune attende la città, si può sentire in giro il racconto d ’infiniti sogni, che narrano il futuro con visioni diverse e distinte». La testim onianza, in questo campo autorevole, di Artem idoro non è unica. Così, apprendiam o da Filarco (F G H 8 1 ,4 5 ) che i magistrati di Sibari, che si erano macchiati di sacrilegio m ettendo a m orte gli am basciatori di Crotone, sognarono tu tti insieme nella medesima notte la dea Era che vom itava bile nel mezzo della piazza: presagio funesto, dato che di lì a poco la città sarebbe stata annientata dai crotoniati. Filarco, com ’è noto, era incline a racconti meravigliosi e fantastici; in questo caso, tuttavia, la storia ha un aspetto verosimile, collegata agli schemi di una «civiltà di colpa»: la violazione di un tabù (poiché in G recia gli ambasciatori sono figure sacramente tutelate) e la contam inazione (miasma) che ne consegue determ inano in varie persone incubi, in cui la medesima im pressione angosciosa viene riconosciuta il giorno suc­ cessivo, e nell’elaborazione secondaria operata da chi racconta il sogno assume l’aspetto di una visione collettiva. D ovendo definire in term ini essenziali l’atteggiam ento dei greci verso la propria esperienza onirica, si potrebbe dire che il sogno era recepito in m odo pragmatico, proiettato verso il m ondo desto e integrato negli schemi di com portam ento della civiltà antica. Q uesta funzione culturale (in. senso antropologico) del sogno non era del resto una prerogativa dei greci, poiché esso, come pure altre m anifestazioni dell’irrazionale quali l’estasi o la trance, è un mezzo d ’espressione sociale del tu tto legittim o presso le civiltà prim itive 8. G li studi sul sogno nelle società prim itive — un tema classico dell’antropologia culturale, da Tylor a Lévy-Bruhl a Ma-

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linowsky a D evereux — hanno posto in chiaro che certe categorie di sogni, lungi dal rappresentare un aspetto puram ente idiosincratico nella vita psicologica di una persona, occupano una serie di funzioni propriam ente culturali: per esempio, tendono a consoli­ dare gli schemi di credenze sui quali si fonda la vita sociale, ad integrare un individuo nella collettività, a fornire una serie d ’in­ formazioni da applicare concretam ente alla vita quotidiana; costi­ tuiscono, in definitiva, un serbatoio di sapienza a cui un individuo o l’intero gruppo um ano fanno riferim ento. Q uesto è il caso dei sogni iniziatici, in cui una persona vede il proprio totem individuale o uno sciamano riceve i suoi poteri magici dagli spiriti; dei sogni in cui gli dèi o gli antenati rivelano alla com unità un m ito che fonda nuovi com portam enti; dei sogni che potrem m o definire «uf­ ficiali» in cui un capo vede la preparazione di una battuta di pesca o di caccia e organizza sulla base del sogno le attività economiche del suo gruppo. È facile scoprire che residui di simili sistemi di credenze si conservano ancora nella G recia arcaica; il problem a, tuttavia, non sarà di istituire una serie di analogie sulla base di metodo indi­ scrim inatam ente com parativo che è certo invecchiato, ma di indi­ viduare di volta in volta quali funzioni specifiche queste idee «primitive» occupassero nell’am bito del sistema culturale elaborato dalla civiltà greca. È difficile, in effetti, pensare ai greci (anche a quelli di epoca arcaica) come a una cultura prim itiva, né pare sostenibile che queste forme di pensiero abbiano rappresentato solo il relitto di u n ’epoca oscura, una specie di scheletro nell’ar­ madio destinato ad essere elim inato quando la luce del pensiero razionale incominciò a splendere sull’orizzonte ellenico. In effetti, per circoscrivere la categoria «sogno» nella cultura greca, occorrerà porla in relazione di volta in volta con una serie di altri fenomeni: dal punto di vista delle manifestazioni dell’irrazionale, con l’estasi, la visione, la trance; da quello delle pratiche divinatorie, con le varie forme di divinazione artificiale o anche con la consultazione oracolare e la m antica ispirata; dal punto di vista dell’immaginario, con la fantasia m itopoietica. La contiguità, che non è solo seman­ tica, ma anche funzionale, tra sogno e m ito è stata pienam ente intesa dalle scienze um ane della nostra epoca, non solo da psicologi come Freud, Jung o H illm an, ma anche da storici della cultura come Rose e D odds, studiosi di storia delle religioni come Jane H arrison o Brelich; l’idea non era ignota neppure nell’antichità: Sinesio, per esempio, affermava che proprio dai sogni gli uomini trassero lo spunto per creare i m iti9. D el resto, anche ciò che noi chiamiamo «sogno» andava sog­ getto in G recia a una pluralità di definizioni. Una classificazione

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trasmessa da A rtem idoro (II secolo d.C.) — e poi ripresa da autori successivi, come Calcidio e M acrobio, per giungere sino a G iovanni di Salisbury, nel X II secolo 10 - definiva cinque diverse funzioni del sogno, ognuna distinta da un nom e particolare: ònar, enypnion, phàntasma, hòrama, chrematismòs. La contrapposizione fondam en­ tale era tra enypnion e ònar. Uenypnion deriva da ciò che noi chiameremmo «residui diurni», cioè dai resti dei pensieri quotidiani che si presentano nei sogni in form a ormai frantum ata e disor­ ganica: è inevitabile — osservava A rtem idoro — che uno sogni ciò di cui ha avuto paura durante il giorno, o di mangiare se ha fame, o di fare l’amore se è innam orato; a questa categoria ap­ partiene anche Yoneirogmòs, o sogno erotico, di cui parla in questo libro il saggio di Pigeaud, che lo studia soprattutto alla luce della teoria medico-filosofica, per la quale questo tipo d ’esperienza notturna assumeva tratti specificamente patologici (cfr. tav. IV). Se Yenypnion è il sogno non semantico, prodotto dal passato per­ sonale di un individuo, Yònar è invece il sogno investito di un valore semiotico, attraverso il quale per misteriose vie l’anima percepisce il futuro: qui, l’esperienza onirica si emancipa dall’an­ gusta dim ensione della psiche individuale per assumere un carat­ tere superiore e divino. Nel versante deiYenypnion, Artem idoro colloca il phàntasma, l’allucinazione, accanto al quale potrebbe essere aggiunto YEphiàltes, ossia l’incubo prodotto secondo la tra­ dizione popolare da un dem one che «balza sopra» il corpo del­ l’addorm entato, producendo visioni angosciose " . Nel versante delYònar si collocano altre due forme di sogno significativo, in questo caso non velato da simboli: hòrama, o nitida visione (questa talora compare in uno stato interm edio tra sonno e veglia, e può essere accostata alle allucinazioni ipnagogiche) e chrematismòs, o sogno oracolare. Il sogno, dunque, aveva m olti nom i nella lingua greca, e ciò è la spia di una pluralità di funzioni. Esso non era concepito come un fenom eno unitario, una realtà psichica omogenea; non esisteva un solo modo di sognare, né il sogno possedeva un solo valore. Accanto al sogno quotidiano e abituale, stavano sogni, per così dire, speciali (ad esempio, quelli autoprovocati, collettivi, profetici, estatici); a definire il senso di un sogno concorrevano vari elementi: il sogno visto al m attino era considerato più vero di quello notturno; effettivam ente, Freud nota che più ci si av­ vicina all’alba più è complesso il procedim ento di elaborazione prim aria del contenuto latente: dunque risulta vero, in qualche modo, che il sogno è più «veridico» 12. Si pensava che l’attività onirica potesse essere influenzata dall’alim entazione (di qui una serie di tabù alim entari, che avevano lo scopo di favorire Yeuthyo-

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neiria, cioè la capacità percettiva della m ente addorm entata) 13; e che anche il periodo dell’anno potesse condizionare la qualità dei sogni (i sogni più ingannevoli compaiono d ’autunno, quelli più veridici in prim avera 14); un sogno comparso quando il dor­ miente si trova in un tempio o nei pressi di un luogo consacrato aveva un valore particolare; il sogno di una donna incinta era talvolta un oracolo, che annunziava al m ondo la prossima nascita di un «eletto»: il saggio di Pellizer m ostra in questo volume le variabili narrative di questo schema di pensiero in una serie di racconti mitici di sogni. Anche lo status sociale del sognatore influisce sulla qualità della produzione onirica: il sogno di una persona ragguardevole ha un valore semantico assai più rilevante di quello di una .persona qualunque. Un buon esempio di questo schema di credenza («sogno ufficiale») si trova nel II canto delYlliade (vv. 2 sgg.), quando Zeus invia ad Agamennone u n ’im m a­ gine onirica, che lo ammonisce a preparare l’esercito per la bat­ taglia. Una visione di questo genere, che riveste u n ’importanza collettiva, viene considerata degna di fede solo in quanto è apparsa a un re, come nella circostanza osserva Nestore: «se qualche altro Acheo ci raccontasse un sogno, noi lo direm m o ingannevole, e ce ne terrem m o lontani, ma lo vide colui che tra gli Achei si vanta il migliore di tutti: vediamo dunque come armeremo gli Achei». Q uesto non è solo un dato letterario, se è vero che in epoca storica gli efori spartani andavano a cercare sogni signifi­ cativi per la com unità dorm endo nel santuario incubatorio di Ino e Pasiphae a Talam e 15. Anche A rtem idoro codificò questa cate­ goria di sogni, per i quali offriva una spiegazione razionalistica: è naturale (egli scrive) che sogni di im portanza pubblica appaiano prevalentem ente a re e m agistrati, i cui pensieri ogni giorno si m uovono attorno agli affari dello Stato. N ell’antichità greca, questa concezione gerarchica del sogno, secondo la quale un sogno veridico compare a determ inate cate­ gorie di persone, continuò ad agire anche in am biente filosofico, assumendo forme diverse: per Platone e lo stoicismo, è al sapiente che si presentano sogni più veri, grazie alla purezza della sua m ente e all’acutezza del suo spirito; per la medicina, le persone maggiormente predisposte a sogni veridici sono quelle di tem pe­ ram ento melancolico: questa teoria si trasm ise alla filosofia me­ dioevale e rinascimentale, nel quadro di quel mito antropologico che identificava nell’uom o melancolico il tem peram ento più pre­ disposto a straordinarie manifestazioni sp iritu a li16. Per quanto riguarda i sogni «speciali», è possibile definire (specialmente per l’epoca arcaica) una serie di m anifestazioni o­

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niriche caratteristiche che vanno messe in rapporto con schemi di credenze specifiche della cultura greca. La form a più caratteristica è quella che descrive il sogno come u n ’entità dotata di una personale autonom ia. D i tale natura è la maggioranza dei sogni omerici, in cui la scena onirica non si svolge nella psiche di chi dorme, ma in uno spazio fisico reale: il sogno penetra nella stanza, assume una sembianza umana, sta sopra al capezzale dell’addorm entato, gli comunica il suo messaggio (benché generalm ente i greci privilegiassero l’aspetto visivo del sogno, questi sono fatti essenzialm ente di parole, come una con­ versazione quotidiana); infine, l’immagine si allontana. Q uesto tipo d ’esperienza onirica (di cui tratta diffusam ente il saggio di Dodds) è stato definito Aussertraum o dream-visitation 17 (noi lo definirem ­ mo «sogno oggettivo»), ed è stato variam ente interpretato: come un puro espediente narrativo (e così certam ente era negli autori latini, che m odellavano su O m ero i loro sogni epici); come u n ’e­ sperienza reale, una sorta di visione allucinatoria, a cui l’uomo d ’epoca omerica poteva essere particolarm ente predisposto; come il riflesso di uno schema di pensiero che considerava il sogno e le altre m anifestazioni psichiche (quali la paura o l’ira) fenomeni esogeni all’anima, che intervenivano dall’esterno a perturbarla; co­ me un sogno tipico, derivato da schemi culturali. E probabilm ente più esatto parlare di una particolare conce­ zione del sogno, che va posta in rapporto con l’idea di «doppio», proiezione esterna di un io cosciente. Q uesto tem a ha assunto u n ’im portanza sem pre più rilevante a partire dall’epoca romantica e vittoriana, quando l’esistenza di una doppia realtà psichica al­ l’interno del medesimo individuo ha cominciato non solo ad af­ fascinare la fantasia di scrittori come H offm ann, Stevenson o Wilde, ma è penetrata anche nelle scienze umane. Tylor, com’è noto, faceva discendere proprio dall’idea di «doppio» il punto di partenza della nozione di anima e dei fondam enti della religione; oggi pochi accetterebbero la teoria di Tylor così come fu formulata, ma certam ente essa ha aperto nuove vie di ricerca ls. L ’idea fu presto ripresa nell’am bito degli studi classici da E rw in Rohde: «non già dai fenom eni del sentire, del volere e dell’intendere nell’uomo desto e cosciente (scriveva Rohde 19) ma da quelli del sogno, del deliquio e d ell’estasi si è dedotta l’esistenza di due esseri viventi nell’uomo, l’esistenza di un “secondo io” nell’interno dell’io di tutti i giorni, da cui può staccarsi e vivere da sé»; nell’antichità, persone di m entalità così lontana tra loro come Epicuro e Tertulliano pensavano cose non m olto diverse, attribuendo ai sogni l’origine nell’uomo della credenza negli d e i 20. In questa prospettiva, il sogno oggettivo è ciò che i greci

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chiamavano un èidolon, ossia una form a che prolunga e continua una realtà fisica. Essa appartiene a una categoria di fenomeni ben definiti, a cui nella G recia arcaica si applicava questo termine: al pari dei sogni, sono un èidolon le anim e dei morti, le ombre, le statue che riproducono le fattezze di una persona, le apparizioni, le immagini riflesse nello specchio. Certo, può apparire strano (a noi) che il sogno fosse associato a manifestazioni in apparenza così lontane tra loro; ma, come scrive V e rn a n t21, l’unità di questi fenom eni p er noi così disparati sta nel fatto che nella Grecia arcaica erano apparentati nella m odalità di percezione, il che pre­ suppone u n ’organizzazione m entale lontana dalla nostra. Il sogno oggettivo pare dunque perfettam ente inserito in una serie di credenze omogenee alla cultura greca arcaica: in questo volume, il saggio di Brillante mostra, in tale prospettiva, il rapporto funzionale tra il sogno e quel particolare fenom eno che fu, nel sistema culturale della G recia arcaica, la statua animata. Se il sogno è una forma autonom a, e non un aspetto della vita psichica, dovrà avere una sua (larvale) esistenza nel tempo e nello spazio, nonché delle precise m odalità di entrata nell’esi­ stenza e di regressione da essa. A ppunto a questa area speculativa pertengono vari m iti onirici della grecità, da O m ero a Plutarco. N el X IX canto àcYt'Odissea (vv. 562 sgg.) compare un’allegoria dei sogni, destinata a rim anere paradigmatica: esistono (dice Pe­ nelope) due porte, attraverso le quali i sogni escono per visitare i m ortali; i sogni veri da una porta di corno, quelli falsi da una d ’avorio 22. In un altro passo del poem a (X X IV vv. 12 sg.) il popolo dei sogni (dèmos onèiron) è collocato vicino alle porte d ell’Ade, presso le correnti dell’O ceano e le porte del Sole, dove si alza una rupe chiam ata «la bianca» (Leukàs). Nel I I canto dell’Iliade, Zeus invia ad Agam ennone una figura demonica di sogno, chiam ata «Sogno Cattivo» (Oùlos Òneiros), che si materializza di fronte al dorm iente assum endo l’aspetto di N estore 23. In questi episodi, i sogni (o Sogno) appaiono dotati di una loro esistenza nel tem po, non circoscritta al m om ento della visione onirica; reclusi in un luogo da cui li trae qualche im pulso estraneo alla m ente di chi dorm e, essi divengono attivi solo in determ inate circostanze: allo stesso modo, le om bre dei m orti nell 'Odissea conducono u n ’esistenza larvale finché non gustano il sangue, o le Erinni finché non viene commesso u n delitto. È questo, del resto, il m odo prevalente in cui nella poesia epica erano descritte altre forze della sfera psicologica, come la Paura (Pbòbos), la Vergogna (Aidòs), le M aledizioni {Arài)\ i meccanismi di attiva­ zione e di controllo di tali esseri demonici sono trattati in questo

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volume nel saggio di D evereux sul sogno delle E rinni nelle Eumenidi di Eschilo. Il «luogo dei sogni» restò anche in seguito, come modello ideologico e mitico: si tratta di uno spazio marginale, inaccessibile alla esperienza um ana, da cui le immagini oniriche m uovono per diffondere tra gli uom ini il loro ambiguo messaggio: l’A de in O m ero, u n ’isola nel cuore dell’O ceano in L u c ia n o 24. Per Posidonio, gli operatori di sogni erano esseri demonici vaganti nell’aria (un’idea che era già stata espressa dai p itag o rici25); allo stesso sistema di credenze riportano anche due miti onirici narrati da Plutarco. Ne I ritardi della punizione divina 26 i sogni sono fatti provenire dal flusso variopinto di una sorgente che sgorga nel mondo aereo delle anime. Lì vi è un gran cratere, in cui si riversano diverse fiumane, una più candida della neve o della spuma marina, u n ’altra simile ai riflessi dell’arcobaleno, altre ancora di diversi colori. Tre esseri divini mescolano le diverse sorgenti: è questo l’oracolo della N otte e della Luna, che vaga tra gli uomini con sogni e fantasmi, da dove i sogni derivano la loro natura, mista di verità e di inganno. Il m ito raccontato nel Volto nel disco della Luna ha qualcosa di vertiginoso, che trova un’eco forse non casuale in un racconto di Borges 27: in un’isola dell’o­ ceano vi è un caverna in cui Crono, lo spodestato re degli dèi, dorm e un sonno senza risveglio (è questa l’unica catena che Zeus gli ha im posto); ciò che Zeus pensa, egli lo sogna, ed alcuni demoni che stanno accanto a lui trasm ettono agli uomini, come oracoli, le immagini che si inseguono nella m ente del gran dio addorm entato. Lo schema del sogno oggettivo non è del resto lim itato all’epica né alla sola epoca arcaica. Lo stesso tipo d ’esperienza si osserva nei sogni che si verificavano nei santuari incubatori di Asclepio, in cui il dio che appare ai pazienti è percepito come una forma reale che interviene sul corpo del dorm iente il quale, a sua volta, resta spettatore passivo dell’azione. Talvolta questi sogni lasciano un segno di sé nella veglia, una specie di spada nella roccia che testim onia la realtà dell’esperienza provata: una briglia d ’oro nel mitico sogno di Bellerofonte, un libro in quello di A nite; più modestam ente, ad Epidauro, pietre, punte di freccia, calcoli, i resti della m alattia estirpata 28. In questi casi, l’espressione formulare «il sogno divenne realtà» (ex onèirou autìka èn hypar) assume un valore decisam ente non m etaforico: un sogno del genere è un tipo d ’esperienza particolare, diversa certam ente da quella del mondo desto, ma non di m eno reale e concreta. Così pure, nel linguaggio figurativo delle steli che celebrano il soccorso di un

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dio guaritore, il sogno è descritto costantem ente nelle forme del­ l’omerico sogno oggettivo: si veda il rilievo di Archinos tratto dal santuario di O ropo (tav. V ili) . Allo stesso schema di credenze vanno collegati quei racconti di sogno doppio, in cui la stessa immagine onirica compare a persone differenti in tem pi o m odi diversi: a una persona nella veglia in form a di visione, all’altra contem poraneam ente nel sonno; oppure a due persone in mom enti diversi. Un esempio antico è il sogno di Serse e A rtabano in E rodoto (7,12-18), in cui la stessa immagine onirica appare in tem pi successivi ai due perso­ naggi; per l’epoca ellenistico-romana, un caso interessante è il sogno trasmesso in un Papiro d ’O ssirinco 29 : mi ardeva fortemente la febbre, mi agitavo per il dolore che mi saliva dai polmoni con asma e tosse. Alla fine, sfinito dalla sofferenza, mi abbandonai a un sonno pesante. Mia madre, che è di natura amorevole, addolorata per le prove a cui ero sottoposto, sedeva accanto al figlio, senza prendere un attimo di sonno. E improvvisamente — non era un sogno, non dormiva, ma i suoi occhi erano aperti... era una figura maestosa più dell’umano, abbigliata in chiare vesti di tela con un libro nella mano sinistra, che dopo avermi scrutato due o tre volte dalla testa ai piedi disparve. Lei, ancora in preda al timore, cercava di destarmi, e mi trovò libero dalla febbre e sudato; e avendo iniziato a raccontare, io precedendola le narrai tutto: quanto lei aveva visto, io lo avevo immaginato in sogno. Si ha qui l’im pressione d ’assistere a un gioco incrociato di specchi: un sogno si proietta nella realtà, e questa a sua volta conferma la veridicità del sogno; queste esperienze s’accompagna­ vano spesso a una forte tensione emotiva, tanto che il sognatore ne veniva sconvolto o intim am ente toccato, come dal canto suo ben sapeva Elio Aristide 30. La credenza che un sogno possa porre in relazione due indi­ vidui distanti tra loro (sogno telepatico o chiaroveggente) era norm alm ente accettata anche nell’antichità, al punto che Democrito ne elaborò una spiegazione scientifica31. Per gli stoici, eventi come questi erano la dim ostrazione della sympàtheia che collega tra loro tu tti gli esseri del cosmo come parti di un solo, immenso, organismo vivente; appunto da am biente stoico deriva il racconto più diffuso nell’antichità, di sogno chiaroveggente32: due viaggia­ tori arrivano a Megara e prendono alloggio in luoghi diversi; uno sogna che il suo compagno sta per essere assassinato dall’oste e si sveglia di soprassalto; riprende sonno e nuovam ente gli com­ pare l’immagine dell’amico, orm ai m orto, che gli indica il luogo

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in cui è stato nascosto il cadavere. Il giorno seguente, il corpo viene ritrovato nel luogo indicato dal sogno. N on si può concludere una rassegna delle funzioni speciali del sogno nella cultura greca senza parlare dell’aspetto più par­ ticolare della questione, ossia del sogno autoprovocato, che si verificava durante il rituale incubatorio. L ’incubazione (enkòìmc sis) 33, ossia l ’usanza di dorm ire nel tem pio di un dio per ottenere un sogno miracoloso, è una pratica diffusa in tutte le culture antiche, e non era ancora scomparsa in certe zone d ’Europa sino ai nostri giorni. In Grecia, essa assunse tratti specifici quando passò sotto il patronato di Asclepio, a partire dalla m età del V secolo a.C'..; l’incubazione di Asclepio aveva una carattere essenzialmente m e­ dico: non vi si ricercava dunque un oracolo, ma una guarigione operata per mezzo di un sogno divino. Il saggio degli Edelstein, tratto da un libro ancora oggi paradigm atico sul culto di Asclepio, passa in rassegna la storia di questo problem a, così imbarazzante nella nostra cultura scientifica, per la quale il sogno che guarisce resta un fenom eno difficile da decifrare; a ragione gli Edelstein insistono sull’attendibilità delle testim onianze antiche, nel quadro della cultura in cui vanno inserite, e sul quadro clinico che si accompagnava a tali episodi. Asclepio non era il solo dio incubatorio: m olti altri santuari erano posti sotto il patronato di eroi o divinità minori: lì, l’in­ cubazione aveva uno scopo prevalentem ente oracolare, residuo di una forma pre-greca di divinazione. Consultazioni oracolari per mezzo di sogni si praticavano nei tem pli di Trofonio, Amfiarao o Serapide; in epoca imperiale, il profeta Alessandro (una specie di guru truffaldino, secondo Luciano, che lo diffamò in un suo famoso p a m p h le t34) aveva fondato un culto personale ad Abonuteuco in Asia M inore, e impiegava anche l’incubazione tra le varie forme di divinazione, grazie alle quali poteva raccogliere intorno a sé folle di sprovveduti pellegrini. In questi casi, il problem a centrale è la capacità dei dormienti di determ inare il sogno desiderato, quasi riuscendo a controllare le proprie fantasie oniriche: occorre dire, del resto, che tali espe­ rienze si realizzavano in condizioni di forte pressione psicologica, al term ine di u n rituale che poteva durare anche diversi giorni e com prendeva atti purificatori, sacrifici, divieti alimentari, sì che il supplice si avviava alla divina visione orm ai intim am ente de­ term inato a riceverla; e com unque non a tutti, ma a pochi prescelti il dio com pariva nel sonno. Una diretta testim onianza dello stato di alienazione in cui i consultanti si venivano a trovare dopo

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questa esperienza è offerta da Pausania (9, 39, 7-14), che si sot­ topose lui stesso a quest’esperienza nell’antro di Trofonio, e ne offrì una vivida descrizione: il fedele usciva dalla consultazione onirica «fuori di sé per il terrore, inconsapevole di se stesso e di coloro che gli stavano accanto» e solo a poco a poco poteva recuperare i sensi. In simili circostanze, il sogno veniva ad equivalere a uno spazio mistico, contenitore di u n ’esperienza che segnava profon­ dam ente la vita psicologica di un individuo: e costui diveniva partecipe di un vero e proprio coinvolgim ento iniziatico.

Interpreti di sogni Q uando nell’Iliade (I, 62 sg.) una pestilenza sta decimando l’esercito acheo, Achille propone di consultare un sacerdote, un indovino, o un interprete di sogni («perché anche il sogno viene da Zeus»). G ià per l’età omerica si constata dunque l’esistenza di una figura specifica a cui ricorrere quando vi è un sogno da decifrare. E significativo che questo personaggio (l’oneiropòlos, che più tardi sarà chiam ato com unem ente oneirokrìtes) nel passo om e­ rico compaia già ben distinto dall’indovino (màntis) e dal sacerdote (hierèus), il prim o tecnico essenzialmente dell’aruspicina oppure veggente, il secondo esperto nel decifrare i segni provenienti dalle viscere delle vittim e sacrificali. L ’interpretazione dei sogni nell’epoca antica va dunque essen­ zialmente inserita nel quadro della divinazione; in seguito, gli stoici distingueranno tra divinazione artificiale (ieroscopia, aruspicina, interpretazione di presagi) e naturale 35, consistente nel sogno e nei fenom eni della trance e dell’estasi, grazie ai quali i messaggi della divinità si m anifestano direttam ente agli uomini. L ’interprete di sogni rimase però una figura solo in parte collegata alla sfera religiosa, e com unque ai margini della religione ufficiale: in generale, gli dèi olimpici non erano patroni di sogni, né Apollo, il dio m antico per eccellenza, pare collegato all’oniromanzia 36. G li stessi greci concepivano l’interpretazione dei sogni in rapporto a una fase passata della loro cultura religiosa: i sogni erano considerati «l’oracolo più antico» (tò presbytaton mantèion) 37, la cui origine veniva dalla terra: secondo una diffusa tradizione mitica, fu Rea a insegnare per prim a quest’arte; in Eschilo, Prom eteo (un altro dio della generazione precedente) si vanta di avere donato agli uom ini l’arte di prevedere il futuro per mezzo dei sogni, e ancora in E uripide la terra viene chiamata «madre dei sogni dalle nere ali» 38 (tav. IV).

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L ’interprete dei sogni, in Grecia, aveva dunque un suo ambito ben preciso di competenze, ed era un personaggio che agiva es­ senzialmente in una sfera laica: con questo, voglio dire che non era collegato con i culti ufficiali della città e che in generale conservava i tratti, più che dell’indovino ispirato dal dio, del pro­ fessionista padrone di u n ’arte e di un sistema di conoscenze, in una parola di una forma di razionalità che non è il prodotto di un dono divino ma il risultato di una conoscenza umana, appresa dall’esperienza e insegnabile em piricamente. Lo statuto sociale di tali personaggi era generalm ente modesto. In O m ero (Iliade V, vv. 148 sgg.) si nom ina Euridam ante, un «vecchio interprete di sogni», in am biente aristocratico, dato che i suoi figli com battono come guerrieri nell’esercito troiano; costui non doveva essere particolarm ente abile nella sua arte, se è vero che non seppe capire dai sogni che i suoi figli sarebbero morti in guerra. In seguito, quanto sappiam o degli interpreti di sogni li pone piuttosto in un demi-monde socioculturale che in am bienti di spicco. Essi non godevano di particolare prestigio presso gli intellettuali, al contrario di quanto accadeva in altre civiltà antiche come quella egiziana o mesopotamica, e in seguito presso gli a ra b i59. In epoca storica, l’interprete di sogni era generalmente un professionista itinerante, che esercitava la sua arte a pagamento e operava presso le corti reali (anche Alessandro Magno ebbe un suo personale interprete di sogni), ma specialmente nelle piazze e nei trivii; A rtem idoro (1, proem .) testim onia che alla sua epoca gli interpreti di sogni si potevano incontrare ovunque sulla piazza del mercato o in occasione di feste religiose, ed erano considerati dalle persone colte ciarlatani, maghi da strapazzo, parassiti (proìktai, gòetes, bomolòchoi). Il livello più basso della professione era appunto esercitato da costoro: indovini vaganti, talora provenienti da regioni semi­ barbariche; famosi in particolare per l’onirom anzia erano i G aleotai in Sicilia o gli abitanti di Telmesso in Caria 40. Questi personaggi erano depositari di un patrim onio orale di interpretazioni simboliche, che poi andarono a confluire nei «libri dei sogni», di cui quello di A rtem idoro è l’unico superstite: ma libri di onirom antica cominciarono ad essere scritti già a partire dal V secolo a.C. 41. L ’interpretazione orale (i cui procedim enti sono ben individuabili in A rtem idoro, ed esemplificati da una raccolta di «casi clinici» nel quinto libro della sua opera) rimase com unque la pratica corrente, e certo la più rilevante; in effetti, i libri dei sogni costituivano un circuito comunicativo ristretto a poche decine di persone, m entre la consultazione orale raggiungeva un pubblico molto più ampio. La variopinta clientela che compare

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in Artem idoro è uno specchio fedele del pubblico che s’affollava intorno &\Yoneirokrìtes-. donnette del popolo, schiavi, contadini, oppure cittadini dei ceti medio-bassi: artigiani, marinai, atleti pro­ fessionisti, piccoli bottegai. A questi interpreti che attendevano clienti sul ciglio delle strade fa riferim ento Teofrasto (Caratteri, 16); essi si occupavano non solo di spiegare ai clienti il significato dei loro sogni, ma anche di esorcizzare quelli infausti. In questo senso, l’interprete di sogni m ostra di avere qualcosa in com une con quella categoria di purificatori che la religione popolare dell’epoca antica ben co­ nobbe. P er un sogno cattivo esistevano diverse form e di esorcismo: disperderne il potere maligno raccontandolo alla luce del sole; purificare con acqua il sognatore; fare sacrifici agli dèi o agli eroi apotròpaioi42. Certam ente da una prospettiva m oderna ci si potrebbe dom andare come sia possibile rendere vano un sogno (anche am m ettendo che il sogno abbia un valore profetico); ma questa pratica si spiega alla luce di una concezione tradizionale, di cui gli interpreti e il loro pubblico erano compartecipi: se esso è un èidolon, ciò che si esorcizza non è il sogno come esperienza psicologica, o come messaggio profetico, ma la sua forma demonica, il «doppio» carico di una forza magica ostile, che agisce attraverso il sogno, proprio come si purifica una casa infestata dallo spirito di un m orto o da un fantasma. A un livello socialmente (e forse anche culturalm ente) supe­ riore rispetto a questi indovini popolari erano i professionisti che aprivano bottega in prossim ità di tem pli e santuari e godevano di una certa protezione da parte del personale del tem pio o talora ne facevano parte. Che sul finire del V secolo a.C. questi per­ sonaggi agissero anche ad Atene, lo testim onia il caso di Lisimaco, un nipote del famoso uomo politico Aristide, caduto in miseria e costretto a campare interpretando sogni nei pressi del tempio di Iacchos (Plut., Arist. 23). In epoca ellenistica, un personaggio simile era l ’anonim o Cretese, che interpretava i sogni vicino al Serapeion di Saqqara, in Egitto, di cui si conserva l’insegna pub­ blicitaria (cfr. tav. I); iscrizioni e papiri trovati in vari luoghi ricordano altri interpreti di sogni, tra i quali non mancavano le d o n n e 43. U n m anipolo di oneirokrìtaì agiva, nel II secolo d.C., presso il tem pio di Asclepio-Glykon il cui culto era stato inventato dal «falso profeta» Alessandro: secondo Luciano {Alex. 49), essi, per il diritto di svolgere la loro professione, versavano al tempio una royalty di un talento attico d ’argento all’anno per ciascuno: la somma è enorme, e certam ente esagerata da Luciano per intenti polemici, ma testim onia l’intreccio d ’interessi economici che stava dietro a quest’attività, e il fatto che talvolta gli interpreti operavano

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sotto il controllo delle istituzioni templari. Certo più modeste erano le rendite degli indovini di quartiere o di villaggio, dove il concorso di pubblico era m inore, sicché il nipote di Aristide avrà dovuto contare su introiti più ridotti, anche se non del tutto miserevoli: se dobbiam o credere ad A risto fan e44, nel V secolo a.C. occorrevano due oboli per una consultazione, e due oboli per un certo periodo equivalsero all’indennità giornaliera ricono­ sciuta dallo Stato ai m embri del tribunale popolare o dell’assem­ blea. I santuari di incubazione erano naturalm ente luoghi privilegiati per gli interpreti, anche se la situazione variava da caso a caso: se ad Epidauro o a Pergam o non pare che vi fossero interpreti professionisti (ma l’incubazione di Asclepio aveva un carattere particolare), in altri casi ad esercitare il ruolo d ’interpreti erano i sacerdoti stessi; così avveniva nell’antro Charonion presso Tralles, dove sorgeva un culto locale d ’incubazione, e Pausania ricorda anche il tem pio di Amfiarao ad O ropo, in cui i sacerdoti erano rinom ati per l’abilità nell’interpretare i sogni; ad Amficlea erano i sacerdoti di Bacco ad interpretare i sogni «in stato di estasi» 45. La figura per noi paradigm atica dell’interprete è Artem idoro, a cui un libro come questo non poteva non riservare un posto di rilievo. Egli appare come il rappresentante di una tradizione nello stesso tem po letteraria e popolare: perfetto conoscitore della letteratura tecnica (si vanta di avere nella sua biblioteca tutti i libri disponibili sull’argomento) era soprattutto un professionista che aveva esercitato sul campo il suo acume nell’interpretazione dei sogni. Il suo Libro dei sogni (Oneirokritikà), che ancora qualche decennio fa uno studioso del calibro di Theodor G om pertz definiva «un contributo alla patologia dello spirito umano» 46, ha conosciuto una rinnovata fortuna nella nostra epoca, a partire da Freud stesso, che poteva leggere A rtem idoro nella traduzione tedesca di F.S. Krauss. A rtem idoro è visto in questo volum e da due prospettive dif­ ferenti. Il saggio di D el Corno lo colloca nel quadro storico e culturale della sua epoca, rivalutandone il m etodo interpretativo, ormai depurato da quei tratti superstiziosi che erano propri degli indovini da piazza, sino a riconoscere in lui l’eredità di una grande tradizione di pensiero, a cui A rtem idoro, p u r nella m odestia della personalità intellettuale, si ricollega: la dinamica, così caratteristica del pensiero greco, tra dati empirici e im palcatura teorica in cui i prim i vengono organizzati, la tendenza a fare della sua arte una scienza, la prospettiva razionalistica che trasform a la m ulti­ forme immaginazione onirica in un sistema organizzato di segni, la cui im postazione è essenzialmente metalinguistica: il metodo

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di A rtemidoro, in effetti, si basa sul postulato che la simbologia onirica risponda ad alcune leggi universali, e che i sogni nel loro complesso costituiscano un sistema semiotico e si possano decodificare al pari di ogni altro linguaggio. L ’articolo di Bender muove dalla prospettiva di uno psicanalista che intende rivisitare il m etodo di A rtem idoro alla luce delle teorie di Freud e di Jung; egli am m ette che A rtem idoro, nei suoi limiti, era giunto molto vicino alla m oderna via per la com­ prensione dei sogni, anche se, naturalm ente, i presupposti da cui moveva gli im pedivano di afferrare (ma forse non di intuire) la dinamica interna della vita psicologica. Artem idoro, del resto, era un grande conoscitore del linguaggio onirico, dal punto di vista empirico, e aveva dietro di sé una tradizione secolare, che si era addestrata nell’osservazione dei sim­ boli (o come diceva A rtem idoro, delle «allegorie» 47) attraverso cui il sogno si manifesta. Il m etodo che gli antichi interpreti impiegavano appare, nelle pagine di Artem idoro, in tutta la sua complessità; interpretare un sogno è u n ’arte per la quale si richiede non solo una conoscenza mnemonica delle chiavi simboliche, ma un’intuizione esercitata dalla pratica; l’interprete deve informarsi sulla personalità e la storia privata del sognatore (1 ,9 ); deve farsi raccontare più volte lo stesso sogno per recuperare particolari dim enticati in una prim a descrizione (1 ,9 ; 4 ,3 ), deve chiedere se la visione era associata a sensazioni piacevoli o penose (1, 12); deve interpretare a seconda dei casi partendo dall’inizio o dalla fine (1, 11); deve porre attenzione quando il sogno sembra giocare con le parole, ossia quando per l’interpretazione bisogna ricorrere ad anagrammi o chiavi verbali (4, 23). Artem idoro rappresenta per noi la summa dell’antica onirocritica; dopo di lui, l’arte dell’interpretare i sogni entrò progressiva­ mente in crisi, rim anendo coinvolta nel declino del sistema cul­ turale antico durante gli ultim i secoli dell’impero, che videro tra l’altro il trionfo del cristianesim o e una serie di persecuzioni da parte del potere politico contro ogni form a di divinazione, com­ presa quella onirom antica 48. La letteratura oniromantica prodotta in epoca bizantina denuncia pienam ente la posizione ormai m ar­ ginale e degradata che essa assunse in età medioevale: i libri dei sogni bizantini non sono altro che poveri e rozzi canovacci, che si risolvono in una schematica serie di corrispondenze tra simbolo ed e v e n to 49. Essi com unque testim oniano che l’interesse verso la vita onirica non fu soffocato neppure dalla dura vicenda di quell’epoca tragica: infatti nessun tiranno (scriveva Sinesio) può im pedire ai suoi sudditi di ricercare la saggezza segreta che

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viene dai sogni, a meno che non mandi in esilio dai suoi regni il sonno 50.

Sogni tipici? Il sogno, come scrive Roger Bastide 51, si colloca all’incrocio tra natura e cultura: se gli impulsi che lo determ inano sono regolati da leggi psichiche, e quindi universali, le immagini che lo formano e il significato che assumono per il sognatore appartengono alla cultura. L ’uomo desto che riflette sulla propria esperienza notturna si trova nella necessità di inserire il sogno tra le forme culturali che gli sono accessibili, ossia gli schemi linguistici, simbolici e narrativi del proprio gruppo umano. È qui che il patrim onio onirico recuperato dalle civiltà passate potrà dire qualcosa d ’im­ portante; ammessa l’im possibilità di interpretare un sogno a di­ stanza di duemila anni dall’evento, resta il fatto che un certo modo di ricordarlo o di trascriverlo ci dirà qualcosa sulle strutture culturali (in senso lato) di quella civiltà. O gni cultura, certam ente, ha un suo modo di scrivere i sogni, e anche in G recia era cosi; in effetti, i sogni trasmessi da fonti greche hanno qualcosa di particolare per il loro aspetto realistico, troppo realistico, direi: mancano quei caratteristici scarti che noi riconosciamo come tipici della nostra esperienza onirica, le im prov­ vise infrazioni alle leggi spazio-temporali, Pincoerenza del tessuto narrativo. E rano i G reci apollinei anche nei loro itinerari dell’in­ conscio, oppure è questo il risultato di una tipica forma di ela­ borazione secondaria, per la quale il sogno, quando veniva trascrit­ to, era assimilato il più possibile alla veglia, elim inando le più vistose trasgressioni al reale? In definitiva, un sogno era consi­ derato tanto più vero quanto più si avvicinava al linguaggio della veglia; i sogni confusi, disorganici, quelli in cui noi saremmo più portati a vedere i tratti tipici del linguaggio onirico, erano considerati i più falsi e irrilevanti: ad esempio, i sogni dei malati, degli ebbri, dei folli, quelli che O razio (Ars. Poet. v. 7) indicava come un m odello di delirio in cui vanae fingentur species: quando invece si vuole sottolineare il tenore divino di u n ’apparizione onirica, come nel caso dei sogni incubatori, il narratore sottolinea che il dio compare «simile alle statue di cubo» 52, cioè nella sua forma tangibilm ente reale, e che parla, agisce, si atteggia in modi non dissimili da quelli della veglia. In questi casi, è probabile che intervenisse l’elaborazione se­ condaria del sognatore, il quale, al suo risveglio, poteva ricordare di un sogno ciò che gli era consentito dagli schemi culturali entro

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i quali si trovava circoscritto ed era com unque condizionato a riprodurlo seguendo modelli narrativi abbastanza convenzionali: la psicanalisi, del resto, ci dice che la censura onirica perm ette che di un sogno noi ram m entiam o generalm ente solo le immagini accettate dalla morale collettiva, e che anzi è la censura onirica in un certo senso a m odellare le forme manifeste di un sogno; i simboli prodotti dalla immaginazione onirica non sarebbero altro che immagini derivate da un inconscio collettivo. Non siamo dunque in grado di penetrare sino in fondo nel m ondo notturno dei greci; ma quanto sappiamo dei loro sogni costituisce com unque per noi una via regia non tanto verso una dim ensione inconscia individuale — anche se, con risultati molto dubbi, si è cercato di distendere sul lettino dello psicanalista qualche antico sognatore, e naturalm ente il soggetto preferito per quest’operazione è stato Elio Aristide 53 — quanto verso quella dell’immaginario collettivo. Ciò conduce verso un discorso nodale, di cui in questo volume D odds (in un saggio divenuto ormai classico) e Bender esplorano i limiti: la simbologia onirica è una costante della psiche, o è collegata anche alle forme di una cultura? In tal caso, dovremmo individuare alcuni sogni tipici accanto ad altri destinati a scom­ parire quando si trasform a il sistema simbolico e culturale di una civiltà. In un argomento come questo è difficile raggiungere certezze, e l’indagine deve necessariam ente appoggiarsi su indizi, spie, ipotesi: e tuttavia, deve essere tentata. Certam ente nell’esperienza onirica dei greci ricorrevano alcune categorie di sogni di cui anche oggi riconosciamo l’esistenza. Un caso emblematico è il sogno angoscioso in cui si prova un’im pres­ sione di arresto malgrado ogni sforzo per muoversi, di cui l’Iliade (X X II, vv. 199 sg.) offre una nitida trascrizione: come in sogno non si riesce a inseguire un fuggente, e uno non riesce a fuggire né l’altro a raggiungerlo, così Achille non riusciva a ghermire E ttore inseguendolo, né l’altro a scappare. W ilam owitz negava plausibilità a questo sogno 54, ma ognuno di noi l’avrà potuto sperim entare qualche volta, nelle sue imma­ ginazioni notturne; ancora più verosimili, perché tratti dall’espe­ rienza professionale di un interprete anziché da un testo letterario, sono gli analoghi sogni d ’im pedim ento ricordati in Artem idoro: ad esempio, un tale sognò che voleva levarsi in volo ma che un amico lo aveva im pedito trattenendolo per un piede (5, 70). Sogni inibitori di questa natura, come osserva anche Georges Devereux, si proiettano in una serie di narrazioni mitiche: si può citare a raffronto il racconto di Apollodoro sul cane cretese che insegue la volpe di Teum esso senza mai raggiungerla (11,4,7), oppure

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Tantalo che tenta di avvicinarsi al cibo che sempre gli sfugge, le D anaidi che attingono l’acqua senza mai riem pire il loro vaso, Sisifo che spinge una pietra senza mai riuscire a portarla sulla cima di una collina, o la stessa eterna tela di Penelope, fatta e disfatta senza fine. Allo stesso principio riconduce certam ente an­ che l’argom ento impiegato da Zenone per negare l’idea del mo­ vimento, in cui vediamo l’immaginazione onirica trasform arsi in un paradosso dialettico: Achille insegue la tartaruga, ma non ar­ riverà mai a raggiungerla. A ltre manifestazioni tipiche del linguaggio onirico si possono riconoscere nei casi in cui i sogni giocano con le parole, come in quello di Alessandro M agno durante l’assedio di Tiro, acuta­ mente interpretato dal suo indovino A ristandro di Telmesso: il re aveva sognato un satiro che danzava sopra uno scudo, e l’in­ terprete decifrò «tua {sà) sarà Tiro (Tyros)» 55. Una serie di sogni tipici si possono recuperare senza dubbio nel libro di Artem idoro: sogni di volo (5 ,6 9 ; 2 ,6 8 ); d ’im pedim ento (1 ,3 2 : voler parlare ma non riuscirvi; 1,48: avere i piedi legati); di narcisismo (5, 12: una donna sogna di vedere riflesse nella luna tre immagini di se stessa; 5 ,6 7 : un uomo si specchia in mezzo alla piazza); di mutilazione (1 ,3 1 : caduta dei denti; 1,3 5 : essere decapitati); di evirazione, diretti (5 ,8 6 ; 5 ,9 5 ) o simbolici (5 ,5 1 ), oltre che co­ muni sogni di adem pim ento dei desideri prim ari: e l’elenco po­ trebbe allungarsi. Vi sono invece casi in cui le immagini oniriche sono eviden­ tem ente m odellate su schemi culturali del tu tto peculiari: ed è qui che con maggiore potenza agisce il nesso tra linguaggio onirico e mitico. Q uesto sembra il caso dei sogni in cui il corpo appare deform ato o addirittura m utato in forme animalesche. Devereux, che aveva una lunga esperienza professionale di terapeuta, sostiene che tale sogno compare solo a soggetti psicotici, e anche in questo caso m olto raram ente 56. E ppure, gli esempi di questo sogno sono così num erosi in A rtem idoro da costituire una delle categorie più ricorrenti: ad esempio, una donna sognò che dal suo petto crescevano spighe di grano (5 ,6 3 ); un tale, che dal corpo della figlia germogliava un tralcio di vite (5, 39); e poi ancora, avere orecchie di lupo (1 ,2 4 ), essere coperti di setole suine (1,20), mentre un intero capitolo è dedicato ai sogni di metamorfosi (1 ,5 0 ). Potrem m o dunque supporre che queste immagini oniriche avessero qualche profondo legame con forme simboliche di natura totemica, radicate nell’inconscio collettivo della società antica (che ancora in qualche modo riem ergono nella favolistica popolare eu­ ropea), le quali del resto ricom paiono tipicam ente, nel mondo antico, nello schema letterario e mitologico della metamorfosi.

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Certam ente, per poter affermare che un sogno è culturalm ente tipico occorrerà rintracciare lo stesso modello onirico non solo in A rtem idoro o in qualche testo letterario, ma entro un complesso di funzioni fantastiche o mitiche presenti nella cultura greca: è quanto si propone di fare, con accostamenti talora audaci, D evereux nel suo saggio sulle E um enidi di Eschilo, dal quale emerge un vasto panoram a di referenze simboliche che abbraccia il sistema mitico, rituale, socio-culturale del pubblico ateniese contem poraneo. D odds pensava che una categoria di sogni prodotti dagli schemi culturali della grecità fosse il sogno oggettivo, in cui il sognatore immagina di ricevere, come soggetto passivo, la visita di un per­ sonaggio onirico, ed è appunto questa la tesi di fondo che intende dim ostrare nel suo saggio, che contiene alcune delle più stim olanti pagine scritte sull’argom ento. Un altro capitolo delicato è quello relativo ai sogni incestuosi, di cui Sofocle offrì una famosa de­ scrizione nelYEdipo re (vv. 981 sg.): molti, dice Giocasta ad Edipo, sognarono di giacere con la propria madre. Tale sogno, che è ricordato anche in altre testim onianze (Erodoto, 6, 107; Plutarco Vita di Cesare 32; D ione Cassio 3 7 ,5 2 ,2 ) fu registrato da A r­ temidoro, che gli dedicò un intero capitolo del suo libro (1 ,7 9 ), il che garantisce che si trattava di u n ’esperienza onirica ricorrente, poiché altrim enti non avrebbe trovato posto in un manuale come il suo, di finalità em inentem ente pratiche. D evereux 57 afferma che sogni di questa natura sono assenti dall’esperienza clinica di uno psicanalista: in effetti, i sogni di contenuto incestuoso sareb­ bero sottoposti a una censura onirica così marcata, da impedire la loro comparsa in forma diretta; su questo presupposto, Devereux deduce che anche in epoca antica tali sogni si presentassero in forma mascherata. Spiegazione assai poco convincente, se non altro perché attribuisce al pubblico ateniese, che ascoltava le parole di Sofocle, una com petenza decifratoria di massa, che è al di fuori di ogni verosimiglianza. Ammesso dunque che il sogno edipico così come è descritto dalle fonti antiche manchi (o com un­ que sia estrem am ente raro) nelle visioni oniriche di un sognatore di oggi, si tratterebbe di un altro sogno tipico, proprio della cultura greca; alla riserva di D evereux si potrà rispondere che o il tabù dell’incesto aveva un valore differente nella cultura greca, o più probabilm ente a livello profondo questo tipo di sogno non aveva un valore incestuoso: in effetti, nel sistema mitico e sim­ bolico elaborato dalla cultura greca, il tem a delle «nozze con la madre» può essere inserito nel quadro dell’analogia simbolica tra terra e m adre feconda, che ricompare sia in racconti mitici che nel linguaggio oracolare 58. Se si raffrontano i sogni trasmessi da A rtem idoro con quelli

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dei libri bizantini, che pur nell’identità della lingua rispecchiano ormai una nuova situazione culturale, emergono altre conferme, in questa direzione; il mondo onirico delineato da queste opere sembra in alcuni aspetti differente da quello antico: ciò dipenderà verosim ilm ente dall’attività della censura onirica, che produce i tipici meccanismi di m ascheram ento e di dislocazione dei s o g n i59. Vi sono, infatti, intere categorie di sogni che scompaiono nei libri onirom antici medioevali: sogni ginnici e agonali (Artem. 1,54-63), cibarsi delle proprie carni (Artem. 3 ,2 3 ), danza e re­ citazione (Artem. 1, 76; 4, 37), trasform arsi in divinità e commercio sessuale con esseri divini (Artem. 3, 13; 5 ,8 7 ), piazza e vita nella piazza (Artem. 1 ,5 0 ; 3 ,6 2 ; 4 ,4 9 ; 4 ,7 2 ). Si tratta, come si vede, di simboli profondam ente radicati nella cultura antica, che quella medioevale tende a rim uovere e a sostituire: ad esempio, la figura del thèios anèr, cui un ovvio tabù religioso avrà im pedito di comparire nei sogni dell’uomo medioevale. Il discorso è, naturalm ente, reversibile. Vi sono nuove categorie di sogni che com paiono con l’evolversi di nuove forme culturali. Uno può essere considerato esemplare: è tipico dell’esperienza onirica contem poranea il sogno di essere svestiti in pubblico, che s’accompagna spesso a u n ’impressione d ’imbarazzo 60. Tale sogno incomincia ad affacciarsi nei manuali bizantini, ma non compare in Artem idoro, il che significa perlom eno che non era considerato un tipo di esperienza onirica caratterizzante. Anche questo fatto può essere spiegato per via culturale, ove si pensi al valore del tutto diverso che assumeva la nudità pubblica in un sistema cul­ turale come quello greco, in cui essa non era certo sottoposta ai tabù sociali che vi impose la nuova visione del corpo delineata nella religione cristiana, e ancora ben attiva nella società moralista e vittoriana da cui Freud trasse lo spunto per le sue osservazioni sul fenom eno onirico.

Verso una scienza del sogno D al complesso di credenze che la cultura della G recia arcaica possedeva a riguardo dei sogni, si andò elaborando una specula­ zione teorica che indagava il sogno come fenom eno naturale, pro­ dotto da leggi psichiche o fisiologiche, e non più come evento soprannaturale. N on bisogna però dim enticare che il pensiero an­ tico affrontò il sogno solo in parte secondo una prospettiva na­ turalistica, poiché esso non cessò mai di essere collegato a una dim ensione etica e religiosa, come espressione m isteriosa di facoltà misteriose insite nell’anima umana.

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In effetti l’evoluzione della riflessione sul sogno entro la fi­ losofia greca m ostra a questo proposito un andam ento parabolico: esso è una forma di conoscenza superiore nei pitagorici, in Eraclito e, parzialm ente, in Platone; diviene oggetto di u n ’indagine pura­ m ente naturale nella medicina, negli atomisti, in Aristotele, negli epicurei, per rioccupare in seguito il suo spazio tra i fenomeni trascendenti: per gli stoici (con l’eccezione di Panezio) il sogno è nuovam ente un fatto divino o demonico, e va collegato a quella serie di segnali per mezzo dei quali la divinità m anifesta la sua provvidenza verso gli uomini: in questo senso, anche il cristiane­ simo accetterà l’idea che santi e profeti possano talvolta essere ispirati da D io per mezzo dei sogni. Il dibattito sul valore profetico dei sogni è esposto ecletticamente nel D e divinatione di Cicerone, in cui le due posizioni opposte ancora si fronteggiano. In seguito, m entre sempre di più perdeva interesse l’indagine sui meccanismi psicologici che determ inano il sogno, esso tornò ad essere assimi­ lato ai fenom eni trascendenti, a partire dall’opera di Filone Ales­ sandrino 61, in cui ben s’esprime il sincretismo greco-giudaico, sino agli ultim i secoli dell’epoca antica. Con Sinesio, l’ultim o intellettuale dell’antichità che abbia rivol­ to al sogno il suo interesse, si può orm ai misurare la distanza rispetto alla concezione classica del sogno; il saggio di Lacombrade definisce il complesso retroterra culturale da cui muove quest’opera così oscura eppure affascinante: echi neoplatonici, da Porfirio a Giamblico (per i quali il sogno era essenzialmente un veicolo d ’esperienze mistiche e iniziatiche), gnostici, ermetici, tratti a piene mani da quel crogiolo sincretistico che fu la tarda antichità. Il problem a di spiegare i sogni, elim inate le cause divine, m uove dall’ipotesi che essi elaborino in m odo autonom o le fantasie prodotte dall’anima. Il dibattito sull’origine esogena o endogena del sogno ha u n ’eco già in E rodoto (7, 12-18), in un passo che riflette posizioni m utuate dal razionalism o filosofico: un uomo «di grande statura e di bell’aspetto» (la tradizionale ipostasi del divino consigliere) appare ripetutam ente in sogno a Serse per dissuaderlo dal progetto d ’invadere la Grecia. La spiegazione of­ ferta al re dal suo consigliere A rtabano tende a collocare il sogno in una dim ensione puram ente mnestica, offrendo il più antico esempio della teoria dei Tagesreste: i sogni non sarebbero altro che «residui diurni», riflesso delle preoccupazioni del giorno pre­ cedente che si riverberano nella mente addorm entata, determ inando la formazione della scena onirica. Un ulteriore contributo alla teoria del sogno fu offerto dagli atomisti, Leucippo e soprattutto D em ocrito 62, ai quali risale la prima teoria organica del fenom eno onirico: presso di loro, a

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produrre i sogni sono «forme» (èidola) che, penetrando nei dor­ mienti attraverso i pori, modellano le fantasie notturne. E stato osservato 63 che la spiegazione di D em ocrito m uoveva da una nozione tradizionale (che si riflette anche nella term inologia im­ piegata): gli èidola sono infatti form e estranee al soggetto, del quale costituiscono un «doppio» che penetra d all’esterno nella psiche addorm entata di u n ’altra persona. I sogni, dunque, se sono visti come un fenom eno psichico, vengono ancora considerati di origine esogena: ma per D em ocrito Vèidolon è qualcosa di fonda­ m entalm ente diverso da quello della cultura tradizionale, poiché si tratta di un evento sottoposto a una legge fisica e non prodotto da un im pulso soprannaturale. M uovendo da questa teoria, D e­ mocrito tentava di spiegare su base scientifica altri fenom eni «mi­ racolosi» come la preveggenza, la telepatia, il malocchio (trasmesso da èidola di persone ostili o invidiose): le forme che generano il sogno, infatti, non sono em anate solo da entità corporee, ma anche da pensieri e stati d ’animo. La medicina, già nel Corpus Hippocraticum, vedeva nel sogno un elem ento di diagnosi; quest’idea è sviluppata nel trattato Sulla dieta in cui (come si leggerà nel saggio di chi scrive) confluiscono in m odo caratteristico l’atteggiam ento razionalistico e scientifico del medico em pirico e il sistema di credenze tradizionali con cui il medico doveva misurarsi: per uno scienziato, infatti, l’esistenza di sogni divini era un dato di fatto difficile da discutere, quasi altrettanto reale (nella prospettiva della cultura antica) di un ac­ cesso di febbre o di u n ’infiammazione polm onare; questo spiega perché anche Aristotele 64, il quale da un punto di vista teorico escludeva le capacità divinatorie della mente, prende atto del fatto che «m erita credibilità come un dato di fatto ricavato dall’espe­ rienza, che i sogni possiedano qualcosa di significativo (ti semeiòdes), e non è incredibile che in alcuni casi possa esservi una divinazione nei sogni». Alla medicina antica spetta dunque il merito di aver reclamato una dim ensione fisiologica in cui collocare almeno una categoria di sogni (quelli diagnostici), visti come un fenomeno psicosomatico, inaugurando una linea di pensiero che attraverso la mediazione della medicina e della filosofia medioevali e rinascimentali giunge alle soglie del nostro secolo: ancora all’epoca di Freud, la teoria somaticista del sogno (form ulata in term ini non molto dissimili da quelli di Ippocrate e G aleno) aveva i suoi seguaci. C o m e logico, le posizioni di maggiore spicco restano quelle di Platone e Aristotele. La posizione platonica sui sogni è stata liquidata dagli studiosi come tradizionalista o addirittura supersti­ ziosa e ridotta a pochi spunti fo n d am en tali65 : la famosa descrizione

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del sogno del tiranno nella Repubblica o l ’idea «orfica» dell’anima che nel sonno o dopo la m orte diviene finalm ente libera di re­ cuperare la sua perduta dignità, e può vaticinare in quanto sciolta dai lacci della m ateria (idea espressa, d ’altronde, assai prima di Platone, anche in un famoso passo p in d a ric o 66). Il saggio della Vegleris ha il merito di analizzare la complessità del pensiero platonico riguardo al sogno, recuperando quanto esso ha di con­ traddittorio e tuttavia di genialm ente innovativo. Nella diversità di funzioni che in Platone occupa l’idea di sogno, si riconosce u n ’attenzione rivolta al suo aspetto più propriam ente emozionale e regressivo: è proprio in Platone, più che in A ristotele (osserva la Vegleris), che Freud avrebbe potuto trovare un suo lontano precursore; il sogno notturno, con quanto esso ha di torbido e di scandaloso, attesta una strana uguaglianza tra tu tti gli individui, poiché dal punto di vista dell’anima concupiscibile il saggio vale 10 scellerato: è in questo senso che l’analisi platonica del sogno può giungere sino «ai margini di una vera e propria psicanalisi». In Aristotele, si può assistere a u n ’evoluzione di prospettive da cui il sogno viene considerato: da una posizione ancora tribu­ taria al pensiero religioso (nell’Eudemo e nel trattato Sulla filosofia), ad una decisam ente naturalista e rigorosamente scientifica nei tardi opuscoli dei Parva Naturalia 67. All’epoca dell’Eudemo, il filosofo pensava ancora che il sogno potesse comunicare una misteriosa sapienza esogena. Ma nella fase finale del suo pensiero, esso ormai è com pletam ente collocato nel campo della filosofia della natura; 11 saggio di Cam biano e della Repici esamina la trattazione ari­ stotelica sul sogno, inserendola nel più vasto quadro della sua teoria delle sensazioni. In questo senso, il sogno è una forma in cui si manifesta la phantasìa, le cui leggi sono quelle, necessarie e universali, della psiche umana. Certam ente, le parole che Aristotele dedica al fenom eno onirico rappresentano un m om ento molto alto e significativo della sua indagine sulla natura. La vastità e la profondità della sua riflessione può essere valutata dalla qualità dei problem i che egli affronta sulla fisiologia del sogno; ammessi i sogni diagnostici (riprendendo la tradizione medica), A ristotele spiega la preveggenza onirica con il caso, la capacità di intuire analogie, oppure anche rovesciando il nesso tra causa e effetto. Se alcuni sogni si realizzano, è perché essi stessi producono il loro adempim ento, poiché suggeriscono al sognatore determ inate azioni in un certo senso preparano le attività della veglia (una spiegazione che avrebbe trovato consen­ ziente Cari G ustav Jung 68). Esclusa la teoria atomistica di D e­ mocrito, A ristotele indaga acutam ente sulla natura delle fantasie notturne: sui fenom eni di deformazione operati daH’immaginario

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onirico, per cui avviene che, quando alle orecchie di chi dorme giunge un piccolo rumore, si sogna di essere in mezzo a una tem pesta con tuoni e lampi; quando una piccolissima goccia d ’u ­ more cola, si sognano sapori dolci; quando una parte del corpo si riscalda, si sogna di camminare in mezzo alle fiamme. G li opuscoli aristotelici rappresentano senza dubbio il punto più avan­ zato a cui nell’antichità pervenne lo studio sulla fisiologia del sogno, al punto che lo stesso Freud giudicò Aristotele il fondatore della scienza onirica del pensiero occidentale 69. Q uesto libro, dunque, vuole parlare del modo in cui i greci, nel corso della loro storia, hanno variam ente pensato il rapporto con la parte segreta della loro psiche, per mezzo della quale «l’uomo nella notte accende una luce per se stesso» 70, ma anche di come il sogno ha agito sulle forme di pensiero della vita cosciente e sulle istituzioni culturali della G recia antica. Vi si ritroverà una dim ensione diacronica: i saggi qui contenuti seguono lo sviluppo del pensiero greco sui sogni da O m ero sino all’età tardo-antica, delineando alcuni m om enti nodali: dagli schemi di credenze della G recia arcaica (saggi di D odds, Brillante, Devereux, Pellizer, Edelstein), ai tentativi di definire una teoria dei sogni nella filosofia e nella medicina (Guidorizzi, Vegleris, Cambiano e Repici, Pigeaud), alle forme che le credenze sui sogni assunsero in epoca tarda a livello popolare (Del Corno, Bender) o presso gli intellettuali (Nicosia, Lacombrade). Nella cura del volume, naturalm ente, ho inteso privilegiare alcuni aspetti del problem a: dal punto di vista dei contenuti, ciò che di particolarm ente tipico e peculiare sui sogni ha elaborato la civiltà greca. Ciò ha com portato l’insistenza su alcuni aspetti centrali, e certo alquanto lontani dalla moderna percezione dei sogni: l’incubazione; la funzione mantica del sogno; i sistemi di credenze più conform i alla cultura greca arcaica, come quella di «doppio», di sogno mitico, di dream-visitation. D al punto di vista del metodo, sono partito dal presupposto che il sogno è per chi lo studia un terreno di frontiera, in cui occorre m obilitare prospettive d ’indagine differenti: la filologia e la storia, ma anche (e forse, soprattutto) linguistica, antropologia, psicanalisi, scienze che la nostra epoca ha visto nascere e penetrare progressivamente, ma spesso con grande profitto, anche nel campo degli studi classici. E per questa ragione che il lettore vedrà sfilare nelle pagine di questo libro le idee di un etno-psicologo come D evereux, di uno psicanalista come Bender, di uno studioso di mitologia su cui giocano gli influssi dei m odelli linguistici di Greimas, come Pellizer; di storici della scienza e della filosofia

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come Edelstein, Pigeaud, Cambiano, Repici; oltre che di grecisti aperti agli influssi dell’antropologia culturale come D odds (nelle cui pagine si potranno ravvisare gli echi di u n ’epoca della ricerca antropologica, in m odo particolare di M alinowsky e Lévy-Bruhl), Brillante e chi scrive queste parole; oltre che di studiosi di storia culturale e letteraria dell’antichità come D el Corno e Nicosia, che ai sogni hanno dedicato una non piccola parte del loro impegno scientifico e sono meritevoli presso il pubblico italiano di avere fatto conoscere le opere di A rtem idoro ed Elio Aristide 71. L ’idea di questo libro è nata da una conversazione con Bruno G entili, che, con il consueto entusiasmo, ha stim olato il progetto e ha discusso con me il piano complessivo del volume: a lui devo i più sentiti e affettuosi ringraziam enti. Ringrazio anche Simone Beta, M aria Lyghounis e G iovanni Saronni che hanno collaborato alla compilazione degli indici.

1 Vita Aesch. 7; cfr. in questo volume il saggio di G. Devereux, specialmente a p. 37. 2 Dione Cassio (7 3,23 ,2 ) intraprese la sua opera storica seguendo l’am­ monimento di un sogno; Luciano abbandonò la statuaria per la letteratura dopo una complessa scena notturna (Somn. 4-13); per Sinesio, cfr. in questo volume a p. 191. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi: Plinio il Vecchio scrive un libro sulle guerre germaniche per esortazione del morto Druso, comparsogli in sogno (Plin. Iun., Epist. 3 ,5 ,4 ); il retore Menandro {De encomiis, p. 249) presenta un modello tipico di esordio retorico, in cui l’autore proclama di avere composto la sua opera per suggerimento di un sogno. Per altri esempi di questo motivo, cfr. A. Kambylis, Die Dichterweihe und ihre Symbolik, H ei­ delberg 1965, pp. 106 sgg. 3 Galeno, Comm. Hippocratis De Humoribus (XVI, 222 K.); lo stesso Ga­ leno fu indirizzato allo studio della medicina in seguito a un sogno apparso al padre {De libris propriis XIX, 59 K.). 4 Synes., De insom niis 19, 154a. 3 S. Freud, L ’interpretazione dei sogni, trad. it., Boringhieri, Torino 1973,

P '301' 6 B. Pascal, Pensées, 803-261 ed. Lafuma: «Si un artisan était sur de rèver toutes les nuits, douze heures durant, qu’il est roi, je crois qu’il serait presque aussi heureux qu’un roi qui rèverait toutes les nuits, douze heures durant, qu’il serait artisan». Artem. 1,30: «se un povero sogna di essere re, compirà molte azioni che gli daranno fama ma nessun profitto». 7 Per l’atteggiamento del cristianesimo verso i sogni, in generale, cfr. J. Le Goff, I sogni nella cultura e nella psicologia collettiva dell'Occidente medioe­ vale, in Tempo della Chiesa e tempo del mercante, trad. it., Einaudi, Torino 1977, pp. 279-286 (l’articolo originale è pubblicato in «Scolies» 1 (1971), pp. 123-130); J. Le Goff, Il cristianesimo e i sogni,inL ’immaginario medie Laterza, Roma-Bari 1988; G. Guidorizzi, L ’interpretazione dei sogni nel mondo tardoantico, in I sogni nel Medioevo, a cura di T. Gregory, Roma 1985, pp. 149-160; E.R. Dodds, Pagan and Christian in a Age o f Anxiety, Cambridge

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1965 (trad. it. Pagani e Cristiani in un’epoca d ’angoscia, La Nuova Italia, Firenze 1970, pp. 37-68). 8 Per tali funzioni oniriche presso le culture primitive, cfr. ad esempio L. Lévy-Bruhl, La mentalità primitive, Paris 1922 (trad. it. La mentalità primitiva, Einaudi, Torino 1966, pp. 84-109); B. Malinowsky, Sex and Repression in Savage Society, London 1927 (trad. it. Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, Boringhieri, Torino 1969, pp. 128-137); G. Devereux, Essais d ’etnopsychiatrie générale, Paris 1970; M. Eliade, Le Chamanìsme, Paris 1974; R. Bastide, Le rève, la trance la folle, Paris 1972 (trad. it. Sogno, trance, follia, Jaca Book, Milano 1976: «Il sonno è considerato nel nostro mondo come un primo simulacro della morte, cioè come esperienza di annullamento [...] i primitivi al contrario considerano il sonno come più-vita, poiché è il momento dei sogni, ed i sogni ci fanno accedere a una surrealtà», p. 52). 9 Synes., De insomniis 19, 154d-155a, dove mythos si riferisce alle favole, nelle quali vengono introdotti animali parlanti, e in generale ai racconti fan­ tastici. Per i rapporti tra sogno e mito (che richiederebbero da soli un lun­ ghissimo elenco bibliografico), rimando a titolo d ’esempio a J. Harrison, Prolegomena to thè Study o f Greek Religion, Cambridge 1903, p. 32; L. Lévy-Bruhl, L ’experience mystique et les symholes chez les primitives, Paris 1938; M. Eliade, Mythes, rèves, et mystères, Paris 1957 (trad. it. Miti, sogni e misteri, Milano 1976); C.G. Jung (e altri), Man and bis Symbols, London 1964 (trad. it. L ’uomo e i suoi simboli, Casini, Firenze-Roma 1967); J. Hillman, The Dream and thè Undenoorld, New York 1979 (trad. it. Il sogno e il mondo infero, Edizioni di Comunità, Milano 1984). 10 Per l’antica suddivisione del sogno in cinque classi, citata in Artem. 1,2, cfr. L. Deubner, De incubatione, Leipzig 1900, pp. 2-4; O. Waszink, Die sogenannte Pùnfteilung der Tràume bei Chalcidius und ihre Quellen, in «Mnemosyne» 9 (1947), pp. 65-85; A.H. Kessels, Ancient Systems o f Dream Classification, «Mnemosyne» N.S. 4 (1969), pp. 389-424. Esisteva un’altra clas­ sificazione in tre sole categorie, ricordata da Cicerone, De divinatione 1, 64 e Tertulliano, De anima Al (forse di origine stoica, ma la questione è ancora irrisolta, cfr. Kessels, art. cit., pp. 396-399). 11 Cfr. W .H. Roscher, Ephiàltes: eine patologisch-mythologische Abhandlung iiber die Alptràume und Alpdaemonen des klassischer Altertums, Leipzig 1900. 12 Sogni del mattino veritieri: Artem. 1, 7. Questo fatto era talvolta posto in relazione con gli effetti della digestione, che nella prima parte della notte perturbano le capacità profetiche dell’anima: cfr. Plat., Resp. 571c-572B; Cic., De div. 1,60 (e nota di A.S. Pease, in M.T. Ciceronis De divinatione, Urbana 1920-23 reprint Darmstadt 1963, p. 200, con ulteriori esempi); l’idea si conservò anche in età medioevale, cfr. Dante, Inferno XXVI, 7: «ma se presso al mattin del ver si sogna». Per quanto riguarda l’osservazione di Freud, cfr. L ’interpre­ tazione dei sogni cit., p. 310: «il primo in ordine cronologico di questi sogni omologhi è allora spesso quello più deformato e reticente, il successivo è più sfrontato e più chiaro». 13 Cfr. G. Guidorizzi, Tabù alimentari e funzione onirica, in corso di stampa negli atti del convegno «Homo edens», Verona 1987. 14 Sogni autunnali fallaci: cfr. Plut., Quest. Conviv. 8, 10,2-3; Servius ad Aen. 6,284; A. Bouché-Leclerq, Elistoire de la divination dans l’antiquité, Paris 1879 (reprint Bruxelles 1963), voi. I, p. 287. Credenze analoghe si osservano presso i primitivi: così i «Cafri» in Africa ritengono che i sogni estivi siano veri, mentre l’inverno produce immagini confuse e inintellegibili (cfr. L. Lé­ vy-Bruhl, La mentalità primitiva cit., p. 97, che cita C.H. Callaway, The Relìgious system o f thè Amazulu, pp. 178 sgg.). 13 Plut., Cleomen. 7; Cic., De div. 1,96; il santuario è descritto in Paus. 3,26, 1.

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16 La tesi era sostenuta da Aristotele (De div. per somn. 464a; Eth. Eud. 1248a) e da medici come Areteo (Morb. Chron. 1,5) e Alessandro di Tralles (1,511,591 Puschm.); cfr. anche, in questo volume, a p. 101 n. 4; 120 n. 43. 17 Lo studio più importante sull’argomento resta ancora oggi J. Hundt, Der Traumglaube bei Elomer, Greifswald 1935, a cui risale la distinzione tra sogno esterno (Aussertraum) e sogno interno (Innertraum)-. cfr. anche, in questo volume, il saggio di E.R. Dodds alle pp. 5 sg. Poco di nuovo aggiunge su questo tema A.H. Kessels, Studies on Dream in Greek Literature, Utrecht 1978. 18 L’ipotesi di Tylor è sostenuta principalmente in Primitive Culture, Lon­ don 1871. Cfr. anche J.G . Frazer, The golden bough (trad. it. Il ramo d ’oro, Boringhieri, Torino 1965, pp. 281-303). Lo studio classico è quello di O. Rank, Der Doppelgdnger, Leipzig-Wien 1914 (trad. it. Il Doppio, Sugar, Milano 1979); cfr. anche, da ultimo, E. Funari (a cura di), Il doppio, Milano 1987. 19 E. Rohde, Psyche, Freiburg 1890-1894 (trad. it. Psiche, Laterza, Bari 1970, pp. 6 sg.). 20 Tertull., De anima 47,2: «la maggior parte dell’umanità deve ai sogni la conoscenza di Dio». Epicuro, fr. 353 Us. 21 J.P. Vernant, Mythe et pensée chez les Grecs, Paris 1965 (trad. it. Mito e pensiero presso i Greci, Einaudi, Torino 1978, p. 348). 22 La stessa allegoria è ripresa da Virgilio (Aen. VI, 893-896). L’intero episodio, e specialmente la scelta di corno e avorio come simboli di verità e menzogna, è enigmatico; una spiegazione etimologica —e perciò evidentemente posticcia — è offerta da Omero stesso: le porte di corno (kèras) favoriscono i sogni veritieri che «hanno un compimento» (kràinousi), quelle d ’avorio (elèphas) i sogni «che ingannano» (elephàirousi). A un’origine orientale del mito (in rapporto con la leggenda delle «porte del Sole») pensava E.L. Highbarger, The Gates o f thè Dreams, Baltimore 1940; cfr. anche A. Amory, The gates o f horn and ivory, «Yale Class. Stud.» 20 (1966), pp. 1-59. Per Luciano (Vera Hist. 11,33) le porte dei sogni sono diventate quattro: alle due omeriche si aggiungono la porta di ferro e quella di ceramica, da cui escono i sogni paurosi e quelli osceni. 23 II. II, 1 sgg. Òneiros non è un dio del sogno, che in Grecia non esisteva: si può piuttosto pensare a un genio della mitologia popolare (Kenner, RE s.v. Oneiros, col. 450) o a un’allegoria poetica. Il dio del sogno non compare neppure in seguito come figura cultuale. La divinità che più si avvicina a questo ruolo, in epoca arcaica, era Hermes nella stia funzione di «conduttore dei sogni» (Oneiropòmpos), un’estensione del suo compito di «conduttore delle anime all’Ade» (Psychopòmpos): ad Hermes i Feaci offrono l’ultimo calice prima di andare a dormire (Od. VII, 137 sg.), e si foggiavano i piedi dei letti nella sembianza di questa divinità per essere protetti dagli incubi ed avere sogni piacevoli (Schol. ad Od. X XIII, 198), ma il patronato dei sogni non era comunque riservato ad una sola figura divina. 24 Lue., Vera Hist. II, 32-35. 25 Diog. Laert. 8,32: per i pitagorici i demoni che vagano nell’aria inviano agli uomini «i sogni e i segni di salute e di malattia» (evidentemente, quelli che si ricavano dai sogni). La teoria di Posidonio è riferita da Cic., De div. 1,30,64. Cfr. inoltre lambì., De myst. 111,3; Tertull., De anima 47; Phil. Alex., De somniis I, 2. 26 Plut., De sera numinis vindicta 566c (trad. it. I ritardi della punizione divina, Adelphi, Milano 1982, p. 171). 27 Plut., De facie in orbe lunae 94 lf; L. Borges, Le rovine circolari in Finzioni, trad. it., Einaudi, Torino 1961. 28 Bellerofonte riceve in sogno da Atena il morso d ’oro con cui domerà

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Pegaso (Pind., 01. X III, vv. 63 sgg.); Anite riceve una lettera da Asclepio (Paus. 10,38, 13). Per quanto riguarda i miracoli di Epidauro, cfr. ad esempio le guarigioni X II, XV Herzog. Molti sogni di questa natura presentano un chiaro valore iniziatico: l’evento notturno segna il destino di una persona e inaugura in lei nuovi poteri. L ’esempio più antico è quello di Esiodo (Theog., vv. 22 sgg.): le Muse gli offrono il dono della poesia e lasciano come segnale un ramo d’ulivo. Sulla natura di questa visione poetica molto se discusso; tuttavia, va notato che gli antichi consideravano generalmente quest’episodio come un sogno (cfr. la discussione di M.L. W est in Hesiod, Theogony, Oxford 1966, pp. 158 sgg.), tanto che su questo episodio modellarono la loro iniziazione poetica Callimaco, Ennio, Orazio, Luciano; inoltre, l’idea delI’«apporto psichico» - come la briglia d’oro di Bellerofonte - è uno schema perfettamente plausibile in rapporto a un sogno. Anche Epimenide, secondo certe tradizioni, ottenne i suoi poteri sciamanici nel sonno, e in sogno «incontrò gli dèi» (Max. Tyr. 16, 38, 3; Apoll., Hist. Mirab. 3). 29 Pap. Oxy. 1381 (sec. II d.C.). 30 Cfr. in questo volume il saggio di S. Nicosia a p. 173. Una serie di sogni doppi, in testimonianze antiche, è riportata in A. Wikenhauser, Doppeltràume, «Biblica» 29 (1948), pp. 100-111. 31 Cfr. A. Delatte, Les conceptions de l’enthousiasme chez les philosophes présocratiques, Paris 1934, pp. 46 sgg.; E.R. Dodds, Supernormal Phaenomena in Classical Antiquity, in The ancient concept o f progress, and Other Essays n Greek Literature and Belief, Oxford 1973, pp. 161 sgg.; G. Cambiano, Democrito e i sogni, «Siculorum Gymnasium» NS X X X III (1980), pp. 437

sg8' 32 Narrato da Cic., De div. 1,27,57 («admodum clarum somnium»)-, Val. Max. 1, 7 ext. 10; Suida s.v. Timoroùntos\ Chrysipp. SVF 1205 Arnim; cfr. tinche Dodds, Supernormal Phaenomena cit., pp. 172 sg. Un altro caso di te­ lepatia onirica, meno illustre letterariamente ma certo più verosimile, è quello raccontato in Artemidoro (5,50), che conserva un commosso sapore di vita vissuta: un tale che si trovava all’estero sognò la moglie che gli diceva: «la piccola Musa è morta». Poco dopo ricevette una lettera dalla moglie, che gli comunicava la morte del figlio più piccolo, «un bimbo amabile e dolce come le Muse». 33 Sull’incubazione in generale, cfr. L. Deubner, De incubatione cit.; M. I lamilton, Incubation or thè cure o f disease in pagan temples and christian curches, London 1906; O. Weinreich, Antike Heilungsuiunder, Giessen 1909; dr., in questo volume, specialmente il saggio di Emma e Ludwig Edelstein alle pp. 67 sgg. L’incubazione cristiana si sviluppò generalmente sulla base di quella pagana, ereditando sovente anche le località di culto. Santi propriamente incubatori erano S. Tecla a Seleucia (i cui miracoli sono narrati nella cronaca di Basilio di Seleucia, De vita et miraculis S. Theclae, ed. G. Dagron, Paris 1978); Ciro e Giovanni ad Abukir (Sofronio Patriarca, Miracula SS. Cyri et lohannis, ed. N. Fernandez Marcos, Madrid 1975), Cosma e Damiano, Michele. Casi d’incubazione in santuari cristiani moderni sono registrati in varie località del Mediterraneo, dalla Grecia (cfr. J.C. Lawson, Modem Greek folklore, New York 1964 (reprint), pp. 60 sgg.) alla Sardegna (cfr. M. Pittau, Sardegna nuragica). 34 Lue., Alex. 35 Cfr., in generale, A. Bouché-Leclerq, Histoire de la divination dans l’antiquité, Paris 1879 (reprint Bruxelles 1963), voi. II, cap. 1: La divination par les songes ou oniromancie. Per la distinzione tra divinazione naturale e artificiale, cfr. Cic., De div. 1, 18, 34. 36 Un’eccezione era costituita dall’oracolo di Patara in Licia, dove la sa­ cerdotessa riceveva il vaticinio del dio reclusa di notte nel tempio (verosimil­

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mente, in sogno): cfr. Herod. 1,182. Una tradizione (Paus. 1,341) vuole che Amfiarao abhia appreso da Apollo l’onirocritica. 37 Plut., Sept. Sap. Conv. 15. 38 Rea maestra di onirocritica: Apoll. 3, 12, 163; Part., Erot. 4; Clem. Alex., Strom. I, p. 334. Prometeo: Aesch., Prom. 484 sgg.; Euripide, Hec. 71 .

39 Cfr. S. Sauneron, Les réves et leur interprétation dans TEgypte ancien, in Sources Orientales, Paris 1959, pp. 33-38; T. Fahd, Les rèves et leur inter­ prétation selon l’IsIam, ivi, pp. 125-158; J. Bottéro, Symptomes, signes écritures, in Divination et rationalité (a cura di J.P. Vernant), Paris 1978, pp. 70-192 (trad. it. Divinazione e razionalità, Einaudi, Torino 1982). 40 Ai Telmessi era attribuita l’invenzione dell’onirocritica (Clem. Alex., Strom. I, 16; Tertull., De anima 46; Euseb., Praep. Evang. X, 6, 3), per opera dell’eroe eponimo Telmesso, figlio di Apollo (Paroem. Grec. 2,663; Clem. Alex., Protrept. 3). La loro fama era stabilita già in epoca arcaica, tanto che Creso, prima della sua infelice guerra contro i persiani, mandò a consultare indovini di Telmesso (Flerod. 1,78). Da Telmesso provenivano appunto i famosi interpreti di sogni Aristandro e Apollodoro. Per i Galeotai, cfr. Cic., De div. 1,20,30; Hesych. s.v. Galeòi\ Steph. Byz. s.v. Galeòtai\ Porphyr., De Philos. ex oraculis 200-201 Wolff. 41 Tra i primi autori di libri sull’interpretazione dei sogni fu il sofista Antifonte, alla fine del secolo V a.C. La letteratura specifica era molto abbon­ dante; i frammenti superstiti sono raccolti in D. Del Corno, Graecorum de re onirocritica scriptorum reliquiae, Milano 1969, dove sono contenute notizie su trentadue scrittori. 42 Raccontare il sogno al sole: Soph., Electr. 424; Eur., Iph. Taur. 42. Abluzioni: Aristoph., Ran. 1339; Apoll. Rhod. IV, 461; Plut., De superst. 166a (e il commento di G. Lozza, Plutarco De superstitione, Milano 1980, con ulteriori esempi). Sacrifici agli dèi: Hipp., De victu IV, 89. 43 Cfr. O. Rubenshon, Das Aushàngeschild eines Traumdeuters, in Festschrift Vahlen, Berlin 1900, pp. 3-15. Interpreti di sogni in Deio (in rapporto al culto di Serapide): Inscript. Del. 2071-2073. 44 Aristoph., Vesp. 52. Alcifrone (III, 1) nel II secolo d.C. parla di due dracme. 45 Paus. 1,34,4; 10,33, 11. 46 Nella recensione alla traduzione tedesca di Artemidoro di F.S. Krauss (Leipzig 1881) in «Zeitschrift fiir die òsterreich. Gymnasien» 32 (1881), pp. 501 sgg. 47 Artem. 1, 2. Per quanto riguarda la capacità di decifrare immediatamente il simbolismo onirico, da parte di individui particolarmente predisposti, cfr. anche le osservazioni di S. Freud, L ’interpretazione dei sogni, cit., p. 324. 48 Costanzo II emanò (nel 357) un decreto apposito, che condannava a morte gli interpreti di sogni (Cod. Theod. IX, XVI, 4-6: Cod. Just. IX, X VIII, 5-7); cfr. anche A.A. Barb, La sopravvivenza delle arti magiche, in 11 conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, a cura di A. Momigliano, Einaudi, Torino 1968, pp. 118 sgg. (titolo originale: The conflict between Paganism and Christianity in thè Fourth Century, Oxford 1963); D. Grodzinsky, Par la bouche de l’empereur, in Divination et rationalité cit., pp. 267 sgg.; G. Guidorizzi, L ’interpretazione nel mondo tardoantico: oralità e scrittura, cit., pp. 151-158. 49 L’epoca bizantina produsse fondamentalmente tre tipi di opere onirocritiche: manuali (Achmet, ed. F. Drexl, Leipzig 1925; Manuele Paleologo, ed. A. Delatte, Paris-Liège 1927); prontuari (Daniele, ed. F. Drexl, «Laographia» 8 [1925], pp. 347-375; «Byzantin. Zeitschrift» 36 [1926], pp. 290-314, in due diverse redazioni, e E. De Stoop, «Revue de Philologie» 33 [1909],

Sogno e funzioni culturali

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pp. 93-111 in una terza redazione; ps. Niceforo, ed. G. Guidorizzi, ed. Koinonìa, Napoli 1981); lunari (brevi testi anonimi a metà strada tra la tradizione onirocritica e quella astrologica). Cfr., in generale, G. Guidorizzi, I prontuari oniromantici bizantini, in «Rendiconti dell’Istituto Lombardo» 111 (1977), pp. 135-155. 50 De insomn. 12, 145d. 31 R. Bastide, Sogno, trance, follia cit., p. 64. 32 Cfr. L. Deubner, De incubatione cit., pp. 9 sgg. e, in questo volume, il saggio di C. Brillante a p. 18. 33 G. Michenaud-J. Dierkens, Les rèves dans les «Discours sacrés» d ’A elius Aristide. Essai d'analyse psychologique, Mons 1972. A migliori esiti perviene D. Gigli, Stile e linguaggio onirico nei «Discorsi sacri» di Elio Aristide, «Cultura e scuola» 61-62 (1977), pp. 214-224. 34 Cfr. U. Wilamowitz-Mòllendorf, Die Ilias und Homer, Berlin 1916, p. 100 e l’osservazione di G. Devereux, Dreams in Greek Tragedy, Oxford 1976, p. XXI: «Wilamowitz reagì a questo fatto con uno shock di riconoscimento: definì l’immagine bella ma inverosimile. Questo non ci costringe a presumere che Wilamowitz vide se stesso in sogno, vestito con le armi di Ettore, inseguito da Achille... forse sognò solamente di correre per prendere un treno, senza riuscire ad avanzare di un passo». 33 Artem. 4,24. Freud considerava questo il più bell’esempio di interpre­ tazione onirica trasmesso dall’antichità (Interpretazione dei sogni cit., p. I l i e n. 2). Gli abitanti di Tiro, alcuni secoli dopo, mostravano ancora la fontana presso la quale Alessandro ebbe questo sogno: cfr. Plut., Alex. 24. 36 G. Devereux, Dreams in Greek Tragedy cit., p. XXVI: «siala mia per­ sonale esperienza clinica che quella dei colleghi che ho consultato indicano che una distruzione così radicale della propria ‘immagine corporea’ in sogno si riscontra solo tra gli psicotici (e molto raramente anche tra loro)». 37 G. Devereux, Dreams in Greek Tragedy cit., pp. XXV sg. Non dissimile era anche l’opinione di Freud, L'interpretazione dei sogni cit., p. 366 (e n. 2). 38 Cfr., ad esempio, Artem. 1,79; tra gli oracoli che esprimono l’identità terra = madre, cfr. quello reso da Themis a Deucalione e Pirra (Ov., Metam. I, vv. 381 sgg.), quello di Bruto (Liv. 1,56), ed inoltre la serie di metafore sessuali ricavate dalla sfera agricola (àlox, «solco» e «vagina»; spèiro «semino» e «ingravido», ecc.), che riconducono alla stessa sfera simbolica. J. Bremmer, Oedipus and thè Greek Oedipus Complex, in Interpretations o f Greek mythology, London-Sydney 1987, pp. 54 sg. ritiene che la comparsa di sogni edipici nella letteratura del V sec. a.C. dipenda da motivi sociologici: in epoca precedente, le madri della upper-class avevano contatti molto limitati con la loro prole, che era affidata a nutrici. Il sogno edipico in Grecia sarebbe dunque (secondo lui) il prodotto di un’evoluzione dei costumi. 34 È significativo il caso di quei sogni che, rispetto ad Artemidoro, vengono associati nei libri bizantini a differenti interpretazioni, il che può indicare una diversa percezione simbolica di alcune tipiche immagini oniriche: ad esem­ pio, l’eunuco (Artem. 2,6 9 e Niceph. 34), il tuono (Artem. 2 ,8 e Niceph. 16), il libro (Artem. 2, 45 e Niceph. 13). 60 I sogni di nudità sono citati da Freud, L ’interpretazione dei sogni cit., pp. 231 sgg.; altri casi in C. Musatti, Trattato di psicanalisi, Boringhieri, Torino 1972, p. 207. Nei libri dei sogni bizantini, questa categoria onirica è registrata in Achmet, p. 127 Dr.; ps. Niceph. app. I, 24 Guid. 61 Phil. Alex., De somniis. 62 Cfr. M.M. Sassi, Le teorie della percezione in Democrito, Firenze 1978; P.J. Bicknell, The seat o f mind in Democritus, in «Eranos» 66 (1968), pp. 10-23; G. Cambiano, art. cit. 63 E.R. Dodds, I Greci e l’irrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1959, p. 150;

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Introduzione

G. Bjòrck, Ònar idèin, in «Eranos» 44 (1946), p. 313; G. Cambiano, art. cit., pp. 443 sg. 64 Arist., De div. per somn., 462b. 65 Cfr., ad esempio, ancora E.R. Dodds, I Greci e l’irrazionale cit., p. 154. 66 Pind. fr. 13 lb Sn.-M. 67 Cfr. in generale J. Frère, L ’aurore de la Science des rèves: Aristote, in «Ktema» 8 (1984), pp. 27-37. 68 Cfr. C.G. Jung, L ’uomo e i suoi simboli cit., p. 50, che analizza in questo modo due sogni «profetici» apparsi a suoi pazienti. 69 Freud, L ’interpretazione dei sogni cit., p. 24. 70 Heracl. fr. 26 D.K. 1 Artemidoro, Il libro dei sogni (a cura di D. Del Corno), Adelphi, Milano 1975; Elio Aristide, Discorsi sacri (a cura di S. Nicosia), Adelphi, Milano 1984.

Indice Indice dei Nomi _______________________________211 Indice degli argomenti __________________________217 Introduzione di Giulio Guidorizzi __________________225 Eric R. Dodds Modello onirico e modello culturale________3 Metamorfosi di un'immagine: le statue animate e il sogno. Carlo Brillante _________________________________17 Il sogno delle Erinni. Georgese Devereux______________35 Sogno e nascite di eroi. Ezio Pellizer _________________53 Asclepio: la medicina del Tempio. Emma J. e Ludwig Edelstein ____________________________________67 Sogno, diagnosi, guarigione: da Asclepio a Ippocrate. Giulio Guidorizzi____________________________________87 Platone e il sogno della notte. Eugénie Vegleris ________103 Aristotele e i sogni. Giuseppe Cambiano e Luciana Repici _121 Il sogno erotico nell'antichità greco-romana: L'Oneirogmòs ________________________________137 C'è del metodo in questa follia: Artemidoro. Dario Del Corno ______________________________________147 Predizione e simbolo in Artemidoro alla luce della moderna psicologia del sogno. Hans Bender___________161 L'autobiografia onirica di Elio Aristide. Salvatore Nicosia _173 Sinesio: il «Trattato sui sogni». Christian Lacombrade ___191