Pubblicato nel 1913, questo saggio di Söderblom rappresenta la prima riflessione sul sacro del Novecento. «Sacro è la pa
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Italian Pages 128 [102] Year 2019
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Sullo stesso argomento nel catalogo Morcelliana:
P. Sacchi, Sacro/profano impuro/puro nella Bibbia e dintorni, pp.272
R. Otto, Il sacro. Sull'irrazionale nell'idea del divino e il suo rapporto con il razionale, pp. 256 W. James, le varie forme dell'esperienza religiosa. Uno stu dio sulla natura umana, pp. 464, 2a ed.
NATHAN SODERBLOM
Il sacro a cura di Francesco Della Costa
MORCELLIANA
Titolo originale dell'opera: Holiness (1913)
© 2019 Editrice Morcelliana Via Gabriele Rosa 71 - 25121 Brescia
Traduzione di Francesco Della Costa
Prima edizione: settembre 2019
Graphic Design: Asborsoni
www.morcelliana.com I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm), sono riservati per tutti i Paesi. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di cia scun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dal!' an. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carat tere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.
ISBN 978-88-372-3316-7 LegoDigit srl - Via Galileo Galilei 15/1 - 38015 Lavis (TN)
Introduzione IL SACRO DI SODERBLOM
1. Nathan Soderblom, storico delle religioni Lars Olof Jonathan Soderblom', chiamato Nathan fin dall'infanzia, nacque il 15 gennaio del 1866 a Trono, un piccolo villaggio nel nord della Svezia. Suo padre, Cari Olof Rosenius, era un pastore luterano revivalista dedito alla sua attività religiosa e alla cura di un piccolo podere agricolo nel quale anche i figli furono chiama ti a lavorare già da piccoli. La madre, Sophia Blume, proveniva da una famiglia borghese di Copenaghen, ed era dotata di una spiccata sensibilità artistica e del buo numore che trasmise al figlio, mitigando la durezza di carattere del padre, da cui comunque il ragazzo apprese la disciplina e l'abnegazione. 1 Non esiste, a tutt'oggi, una biografia di Sè\derblom in italiano e man cano anche traduzioni delle biografie esistenti, per questo si fa riferimento e si rimanda il lettore alle notizie pubblicate in lingua inglese: innanzitutto la sezione biografica di Charles Curtis 1966, The Theo/ogian of Revelation, la storica biografia di Bengt Sundkler (1968), Natan Soderblom: his Life and his Work e lo studio su SOderblom storico delle religioni di Eric Sharpe (1990); tra le pubblicazioni più recenti, si veda l'articolo di Dietz Lange (2015), molto ricco anche di particolari biografici, e la nuova biografia pubblicata da Jonas Jonson in Svezia nel 2014 e tradotta in inglese nel 2015. Il lettore italiano può trovare notizie sull'autore nella voce a lui dedicata dall'Enciclopedia delle Religioni, diretta da Mircea Eliade e pubblicata in Italia da Jaca Book (Volu me 5, Lo studio delle religioni. Discipline e autori, I 995, pp. 530-531).
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Versato negli studi fin da bambino, Nathan ricevet te una solida fonnazione classica: imparò il latino così come il tedesco e il francese e dimostrò immediato inte resse nelle Sacre Scritture e nella storia della Chiesa. Nel 1883 si iscrisse alla Facoltà di teologia dell'Università di Uppsala, dove si dedicò anche allo studio dell'arabo e del greco, ma risentì molto della ristrettezza dell'am biente svedese, chiuso nella difesa dell'ortodossia lute rana e refrattario ai fermenti che percorrevano le realtà evangeliche in tutto il continente europeo e in particola re in Germania. Proprio da quei fermenti, di cui in Sve zia non arrivava che un'eco, Soderblom si dimostrò at tratto fin dagli anni universitari: in particolare in questi anni egli lesse i lavori dell'attivissima scuola di studi storico-religiosi di Gottinga, tra cui quelli rilevantissimi di Albert Ritschl, assorbendone le palesi tendenze libe rali e l'idea di una rivelazione divina manifestatasi nella Storia e non fuori di essa. Furono questi gli anni in cui Soderblom ebbe modo di studiare l'opera filosofica di Friedrich Schleiermacher, lo studioso che aveva ripor tato la religione al centro della speculazione filosofica e che sicuramente ebbe la maggiore influenza su di lui. Le tensioni intellettuali e spirituali conseguenti all'in contro di una tradizione teologica così distante da quella in cui era stato formato introdussero il giovane Nathan in un periodo particolarmente critico, marcato anche, a livello familiare, dal deteriorarsi dei suoi rapporti col padre. Da tale crisi lo studente di teologia venne fuori attraverso un progressivo bilanciamento dei contenuti liberali con la rivalutazione della figura di Martin Lu tero a cui egli pervenne proprio attraverso Rischi e che,
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in seguito, Soderblom elesse e mantenne come propria guida spirituale e filosofica. Non solo: nel 1890 Nathan ebbe la possibilità di partecipare come delegato svede se alla conferenza dello Student Christian Movement, negli Stati Uniti, dove poté assistere a un proficuo con fronto tra membri di diverse denominazioni protestanti, sia conservatrici che liberali e ne rimase profondamente e positivamente colpito. Nel 1891 Soderblom incontrò Anna Forsell, figlia di un capitano di marina e studentessa di storia, la donna con cui si fidanzò ufficialmente l'anno seguente, imme diatamente dopo il conseguimento della laurea in teolo gia. Sempre nel 1892, il venticinquenne venne ordinato al ministero della Chiesa di Svezia e divenne cappella no di un ospedale psichiatrico alla periferia di Uppsa la. Nel 1894, Soderblom fu scelto come pastore della comunità svedese a Parigi e il suo trasferimento nella capitale francese determinò una vera e propria svolta nella sua vita. Innanzitutto ci furono il matrimonio e la nascita del primo dei suoi dodici figli. Poi il 1894 è l'anno dell'affaire Dreyfus, caso che impressionò in delebilmente il giovane pastore, così come fu colpito dalle condizioni di povertà delle masse operaie parigi ne, ma anche dei marinai scandinavi di cui si prendeva cura nella zona portuale di Calais: inevitabile fu il con fronto, aperto e conflittuale, con le posizioni marxiste che animavano, all'epoca, quegli ambienti sociali. Ma ancor di più, in quegli anni francesi, condizionarono il futuro di Soderblom gli studi di dottorato alla Sorbona e la frequentazione di storici delle religioni come An toine Meihet, Aibert Réville, del filosofo Henri Bergson 7
e soprattutto del teologo protestante Auguste Sabatier, di cui tradusse in svedese il saggio del 1897 Esquisse d'une philosophie de la religion. Da quest'ultimo il dot torando imparò a considerare la natura simbolica delle manifestazioni religiose, una prospettiva che lo guiderà sempre e che lo porterà allo studio della religione irani ca. In quegli anni Soderblom pubblicò, infatti, due studi in francese sull'argomento: Les Fravashis ( 1899), uno studio sulle tracce di un'antica concezione della soprav vivenza dei morti nel mazdeismo, come recita il sottoti tolo, e La vie future d'après le Mazdéisme, uno "studio di escatologia comparata" che gli valse il conseguimen to del dottorato nel 190 1. Come è stato rilevato da Eric Sharpe ( 1969: 267), il comparatismo messo a punto da Soderblom in Francia, non punta a mettere in luce le so miglianze tra le diverse esperienze religiose considera te, ma ad evidenziarne il carattere sui generis. A questo metodo e a questo scopo conformerà anche il suo in segnamento, una volta tornato in Svezia con l'incarico di professore di Storia delle religioni nella Facoltà di teologia di Uppsala; immediatamente scosse quell'am biente retrivo, lo stesso in cui egli si era formato, con due corsi: uno su Schleiermacher e l'altro su una com parazione delle figure di Zoroastro, Buddha e Cristo, di cui gli studenti furono entusiasti. Soderblom puntava a riconciliare l'ambiente pietista svedese con le tendenze più moderne della teologia protestante e intendeva usa re lo studio storico-comparativo delle religioni antiche come base teorica per il suo scopo: la sua idea era quel la di dimostrare, attraverso il confronto con altre ma nifestazioni religiose, l'essenza storica, esperienziale e
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non dogmatica della rivelazione cristiana. È del 1903 la pubblicazione di uno dei suoi saggi più importanti, in cui lo studioso formulò specificatamente proprio queste sue conclusioni teologiche: in Uppenbarelsereligio, let teralmente La religione della rivelazione2, Soderblom sostiene un concetto dinamico di rivelazione che rin traccia anche nei sistemi religiosi non-cristiani l'inter vento rivelatore di Dio che nell'incarnazione del Cristo e, dunque, nella fede cristiana, assume il suo compi mento più pieno e definitivo. A livello metodologico vale la pena ricordare come Soderblom suddivida le religioni storiche in "religioni profetiche" o "rivelate" e "religioni di natura" o "di cultura", di cui sarebbero, rispettivamente, un esempio la religione ebraica e quel la babilonese; mentre le religioni di natura-cultura assu mono la forma di una reazione sociale all'esperienza del sacro, le prime dipendono strettamente da quello che lo studioso chiama "il genio", un personaggio come, per esempio, Mosé o Zoroastro, capace di entrare in con tatto diretto con Dio nel dispiegarsi della sua azione attraverso la Storia e di accoglierne, così, la rivelazio ne. Tale distinzione, però, in Soderblom, non ricalca un dislivello di valore, per quanto il pastore non si sposti mai dall'idea della centralità del cristianesimo nella ri velazione divina: nel suo saggio, come sarà ancora più chiaro nelle opere successive, il sacro è il fondamento innegabile sia delle religioni profetiche che di quelle di natura-cultura e per questo egli parla di misticismo per 2 Si veda la traduzione inglese, The Nature of Revelation, ad opera di Frederic Emest Pamp, pubblicata ad Oxford nel 1933.
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intendere l'esperienza religiosa nel contesto delle une e delle altre; con la specificazione terminologica per la quale si può distinguere tra "misticismo di personali tà" e "misticismo di natura" o, meglio, "misticismo di infinito". Mi sembra evidente la portata innovatrice di un simile contributo, che, oltre ad offrire un mirabile esempio di teologia comparata, apre di fatto le porte a una concezione fenomenologica della religione basa ta sull'esperienza del divino e si oppone risolutamente alle concezioni naturalistiche e sociologiche della scuo la francese di Émile Durkheim, attraverso la valutazio ne attenta della dinamica storica del fenomeno religioso considerato in quanto tale e non solo come dispositivo culturale di ipostasi del sociale. Per tutto il primo decennio del Novecento, all'attività di docente, di animatore della neonata scuola svedese di storia delle religioni e di fecondo studioso, Soderblom unisce quella di pastore, che lo vede impegnato nel rin novamento del panorama evangelico del suo Paese e nell'impegno per la causa dell'ecumenismo. L'impo nente carico di lavoro, comunque, non gli impedisce di pubblicare diversi saggi di argomento storico.:.religioso che seguono il filone inaugurato nel 1903, come, per esempio, Kristendomen och religionerna: en overblick ( 1904)3 o Studiet av religionen ( 1908), Religionspro blemet inom katolicism och protestantism ( 191 O). Ma è nel 1912 che la carriera accademica e scientifica di Soderblom incontrano una nuova svolta: è chiamato J Tradotto in italiano nel 1908 col titolo di Le religioni del mondo; se ne parlerà più avanti.
all'Università di Lipsia, in Germania, a ricoprire la catte dra di professore di Storia delle religioni, senza per que sto dover lasciare l'incarico a Uppsala. È questo proba bilmente il momento più intenso e produttivo della sua attività di studioso: tiene corsi sull'escatologia e il sacro attraverso le religioni antiche e le religioni etniche cui, in questo periodo, egli riserva particolare attenzione. È il momento della pubblicazione, in tedesco, di Natiirliche Theologie und allgemeine Religionsgeschichte ( 19 13a), di Holiness, in inglese, nella prestigiosa Encyclopaedia of Religion and Ethics curata da James Hastings (e qui pubblicato per la prima volta in traduzione italiana) e di Gudstrons uppkomst ( 19 14), forse il suo studio più rile vante, sull'argomento e in assoluto, tradotto in tedesco nel 19 16 col titolo Das Werden des Gottesglaubens. In questi scritti maturano i germi presenti nel saggio sulla rivelazione del I 903 e si applicano, con una ricchezza e una dedizione comparatista ancora maggiori, al tema del sacro, definitivamente posto al centro dell'esperienza re ligiosa dell'uomo, tratto comune e legittimante per ogni tradizione, in ogni contesto culturale e storico. All'acme della sua carriera di studioso, il 20 mag gio del 19 14, Soderblom venne nominato arcivescovo di Uppsala e primate di Svezia dal sovrano svedese Gu stavo v. L'incarico, che segnò una vita spesa per la pro pria fede e per il dialogo con le fedi degli altri, coincise, di fatto, con un rallentamento della produzione scien tifica e un incremento, invece, dell'attività pastorale e dello sforzo ecumenico. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, immediatamente successivo alla sua nomina, non fece che accrescere in Soderblom la convinzione del li
ruolo di mediazione a cui le Chiese cristiane erano chia mate e, conseguentemente, dell'unità che esse avrebbe ro dovuto ritrovare. L'attivismo dell'arcivescovo si con cretizzò anni dopo in quello che resta probabilmente il suo merito pastorale maggiore legato alla storia dell'e cumenismo: nel 1925 Soderblom organizzò a Stoccol ma la prima conferenza mondiale delle Chiese cristiane, cui presero parte, però, soltanto Anglicani, Protestanti di varie confessioni e Ortodossi. La conferenza fu il pri mo grande incontro internazionale di "Work and Life", l'ala più riformista del movimento ecumenico e all'or dine del giorno furono i temi della dottrina sociale, del lavoro e della condizione socio-economica delle masse, e del confronto con la montante ideologia marxista, ol tre che, ovviamente, dell'anti-nazionalismo, del dialogo e della pace. Grazie al successo di questa iniziativa che concludeva una lunga militanza ecumenista dell'arcive scovo, nel 1930 Soderblom ricevette il Premio Nobel per la pace e fu invitato a tenere, nel 193 1 e nel 1932, due cicli delle celebri Gifford Lectures a Edimburgo. Fece in tempo a concludere il primo ciclo di lezioni, pubblicate in inglese ad Oxford nel 1933, col titolo The Living God, come una summa delle sue acquisizioni e del suo metodo. Morì il 12 luglio del 193 1 e, secondo i biografi, le sue ultime parole furono: «So che Dio vive, lo posso provare attraverso la storia delle religioni».
2. Il saggio sul sacro e i rapporti con Rudolf Otto A voler parlare de Il sacro di Nathan Soderblom si è portati, di necessità, ad un confronto con Das Heili12
ge, l'opera di Rudolf Otto sul sacro come fondamento dell'esperienza religiosa, un'opera infinitamente più co nosciuta del saggio del pastore svedese, ma che con esso intrattiene vistosi rapporti di analogia. Sarà bene, dun que, ricapitolare brevemente, e nel modo più didascalico possibile dato lo scopo solo introduttivo di questo scrit to, i momenti storici di contatto tra Soderblom e Otto, )a genesi dei due saggi, le convergenze e le divergenze. Quasi coetanei, Otto, che nacque nel 1869, e Soder blom si ritrovarono a condividere da studenti di teo logia, seppure in due Paesi diversi, la fase di rinnova mento della loro disciplina e le tensioni tra tendenze conservatrici e tendenze liberali del protestantesimo luterano: avrebbero seguito strade sempre più conver genti, fino a quando non si sarebbero incontrati ed in fluenzati reciprocamente. Il giovane Rudolf si iscrisse inizialmente all'università di Erlangen che predilesse, come ci dice egli stesso ( 1996: 52), per il suo essere ancora lontana dalle correnti più innovatrici e iniziò, quindi, anch'egli, la propria fonnazione in un ambien te piuttosto conservatore. Nel 189 1 tuttavia, proprio mentre Soderblom scopriva la scuola storico-religiosa di Gottinga, Otto si iscrisse alla Facoltà di Teologia di quella città e cominciò a seguire i corsi di Albert Ritschl, restandone profondamente impressionato. A parte una breve parentesi francese, a Cannes, dove si dedicò, come Soderblom, alla cura pastorale della lo cale comunità evangelica tedesca, e un viaggio in Pa lestina, Otto sarebbe restato a lungo a Gottinga come docente di teologia, prima di trasferirsi a Breslavia nel 19 14 e poi a Marbug nel 1929.
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Secondo alcune ricostruzioni biografiche (Schinzer 197 1: 12; Bancalari 2009: 48), fondate su una lettera in cui Otto dà notizie di un suo viaggio in Russia4 tra l'agosto e il settembre del 1900, sembra che i due stu diosi, ancora giovani, si fossero incontrati a Karlsruhe, in Germania, dopo essersi già incontrati a Parigi, dove, come sappiamo, Soderblom si era trasferito nel 1894 e aveva iniziato i suoi studi dottorali sulla religione irani ca. I due restarono in contatto epistolare per tutta la vita, sebbene non costantemente, e la loro stima ed influenza reciproca è testimoniata da diversi episodi. Tornato ad Uppsala nel 190 I, da professore di teologia, Soderblom lavorò ad aprire quella realtà tradizionalista e conser vatrice alle esperienze intellettuali europee: grazie alla Fondazione Olaus Petri mandò molti studenti a studiare all'estero e organizzò numerose conferenze internazio nali, invitando studiosi di prestigio, tra cui l'amico Ru dolf Otto. Non è un caso nemmeno che in questi stessi anni Soderblom tenesse un intero corso sugli scritti di Schleiermacher, considerato il pensatore che aveva ri dato dignità intellettuale agli studi sulla religione e che Otto pubblicasse il suo studio sulla riscoperta della re ligione da parte del filosofo tedesco: Wie Schleierma cher die Religion wiederentdeckte ( 1903 ) 5 • Sono ancora questi gli anni in cui entrambi, proprio sulla scorta di Schleiermacher, arrivarono a concepire lo studio della storia delle religioni come studio di un'esperienza sui generis, irriducibile alle differenze socio-culturali e di 'Biblioteca dell'Università di Marburg, Manoscritto 797: 692. 5 Un lavoro poi ripreso e ripubblicato col titolo Der neue Auf bruch des sensus numinis bei Schleiermacher ( 1932).
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contesto: una concezione che avrebbe portato entram bi e più o meno contemporaneamente, alla scoperta d;I sacro come fondamento dell'Erlebnis religiosa. Nel· saggio di Soderblom sulla rivelazione ( 1903), quest'ap proccio è già rintracciabile, così come è evidente che il suo articolo Il sacro venne pubblicato nell'Encyclopae dia di Hastings nel 19 13, ben quattro anni prima dell'u scita di Das Heilige. Ma non si tratta qui di stabilire primati, come pure qualcuno ha provato a fare (Sharpe J 969: 272; Lange 20 15: 49; Ries 2009: 18), sostenendo un'influenza unidirezionale dello studioso svedese, che Ries chiama «il maestro di Uppsala», su Otto: è appena il caso, comunque, di sottolineare un percorso intellet tuale comune ad entrambi i pensatori, che non giusti fica, se non facendo ricorso a ragioni storiche e conte stuali, la sproporzione tra l'eco che l'opera di Otto ha creato lungo tutto il Novecento e fino ad oggi, e l'oblio,. relativo, cui Soderblom è stato condannato, specialmen te in Italia. Quello che è certo è che Otto cita esplicitamente So derblom nel suo Das Heilige: nella prima edizione lo ri corda a proposito della «differenza di carattere tra la se verità di Jahweh e la familiarità patriarcale di Elohim» (Otto 19 1 7 [20 1 1 ]: 1 15) nella tradizione ebraica, senza. dirne molto di più; nella seconda edizione, quella del 1936 in cui Otto introduce alcune aggiunte, l'autore parla, in una nota (ibi: 42), delle acquisizioni teoriche dello svedese come di «una gradita conferma» alle pro prie affermazioni sul sensus numinis quale fondamen to storico della religione contenute in un suo saggio del 19 1 O e quindi precedente al lavoro di Soderblom 15
che egli cita. Si tratta di Das Werden des Gottesglau bens, la versione tedesca uscita nel 19 16 dell'originale Gudstrons uppkomst, pubblicato nel 19 14 e recensito proprio da Otto su «Theologische Literaturzeitung» già nel 19 15. Non solo, dunque, egli aveva letto e studia to il testo in cui Soderblom riassume tutta la sua teo ria del sacro quando pubblicò Das Heilige: c'è un altro elemento da mettere in luce rispetto a questa "gradita conferma". La nota di Otto in questione, infatti, sem bra quasi voler documentare l'antecedenza della pro pria concezione rispetto a quella dello studioso svede se, provandola con un riferimento al proprio saggio su Wundt che risale al 19 10; in realtà Soderblom già in quello stesso 19 1 O, nel suo Religionsproblemet, lo stu dio comparativo dei problemi storico-religiosi inerenti a cattolicesimo e protestantesimo, aveva posto l'atten zione sul sacro come fondamento dell'esperienza re ligiosa ed aveva elaborato già (cfr. Sharpe 1969: 273) la sintetica definizione di uomo religioso che ritrovia mo nelle pagine del suo Il sacro: «Religioso è l'uomo per il quale qualcosa è sacro» ( 19 1 O: 394; infra: 48). E prima ancora, nel 1909, Soderblom aveva curato la breve voce "Helig, Helighet" (Sacro, sacralità) per la seconda edizione della storica enciclopedia svedese Nordiskfamiljebok. D'altra parte, per Soderblom il sa cro non è che il nome per l'origine sovrannaturale del religioso, un'origine che procede direttamente dalla sua idea di rivelazione. In un certo senso, quindi, tale princi pio sovrannaturale era presente nel sistema teorico dello studioso svedese fin dal 1903, dal saggio sulla rivela zione, e forse anche prima, se si considera la recensione 16
del I 900 al libro di Emst Siecke, Die Urreligion der in Francia su «Revue de Germanen ( 1897), pubblicata 6 : pur senza usare la parola "sa Religions» des H oire st i l' cro ", infatti, Soderblom aveva definito lì come origine sovrannaturale del religioso un sentimento di fiducia e di paura che viene accompagnato da culto e che influen za la totalità della vita. Ad ogni modo, il primo studio sistematico di Soder blom sul sacro fu quello per il suo corso del 1 9 12 all'u niversità di Uppsala: qui il terreno di discussione rima se la religione giudaico-cristiana e la principale fonte non poté che essere la Bibbia, in particolare l'Antico Testamento, ma i riferimenti ad altre tradizioni religio se, in particolare le religioni "primitive" si fecero co stanti ed essenziali (Lange 20 1 5: 50-5 1 ). L'apertura al mondo dell'etnografia seguiva, per la verità, la passione missionaria che Soderblom aveva dimostrato fin da ra gazzo (Sharpe 1 988) e comunque ricalcava la sua in soddisfazione per tutte le interpretazioni antropologiche della religiosità primitiva, quali l'animismo, o il totemi smo, o lo sciamanesimo, o il magismo, che riteneva non completamente errate, ma parziali 7. La proposta dello studioso svedese aveva già e avrà anche nel saggio sul sacro una prospettiva ben definita e degli scopi confu tativi precisi: in quanto opera della rivelazione trascen dente che il sacro attesta, nessuna religione, neanche la più semplice, può essere considerata di derivazione filosofica o socio-culturale. Né Feuerbach, dunque, né «Revue de l'Histoire des Religions» 4 ( 1 900), pp. 275-278. ' È proprio intorno a questo discorso che Otto cita SOderblom nel passo già citato dell 'edizione del 1 936 di Das Heilige. 6
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Durkheim potevano aver ragione. Conseguentemente, poi, se la religione non è lo strumento che l'individuo e/o la società si danno per regolare il vivere collettivo, essa non può essere considerata in nessun caso una ru brica di comportamenti morali. La religione, infatti, pur avendo evidenti funzioni sociali e mantenendo una con tiguità stringente all'etica, non può essere ridotta a tali funzioni e a tale contiguità, perché le trascende. Nel 19 13, il corso all'Università di Uppsala si arric chì di tutti gli elementi che troviamo ne Il sacro e in particolare del riferimento, che si fece insistente, alle ca tegorie di mana e di tabu, derivati proprio dalla lettura di Les formes élémentaires de la vie religieuse di Durkheim ( 19 12), pubblicato l'anno prima. In realtà, secondo Lan ge (20 15: 52), nel saggio di Soderblom ci sarebbe una sproporzione dell'attenzione prestata agli aspetti del tabu, con il conseguente ingigantimento della relazione di paura tra l'uomo e il sacro: una sproporzione che sa rebbe stata corretta l'anno dopo in Gudstrons uppkomst e che comunque non impediva al discorso di sottomette re le due categorie antropologiche al proprio scopo argo mentativo. Soderblom definisce l'opposizione tra il tabu e il mana come interna alla realtà del sacro, che a sua volta è opposto al profano, in quanto «separato dalla vita quotidiana» (infra: 48). Dopo aver ricondotto, poi, le di verse manifestazioni etniche e le diverse terminologie apprese dalla letteratura etnografica alle due categorie principali di tabu e mana, l'autore specifica il carattere ambiguo del sacro, che sarà poi al centro anche dell'o pera di Otto: «l'origine psicologica della concezione del sacro sembra dovuta ad una reazione allo spaventoso, 18
allo stupe facente, al nuovo, al terrificante», in quanto tale, dunque, esso «è la più valida fonte di salute, di for za, di cibo, di successo, di autorità; allo stesso tempo, però, comprende un pericolo costante» (infra: 53). Da questa ambiguità essenziale del sacro derivano dunque le diverse forme culturali con cui si interagisce con esso: i riti positivi, come i riti propiziatori o divinatori, e quelli negativi, come gli interdetti. Riti che spesso, nella storia delle religioni, hanno assunto anche il senso e lo scopo di una ulteriore polarizzazione, quella tra puro e impuro. Ma, avverte Soderblom, ritenere il puro una categoria del sacro è il frutto di una evoluzione spiritualistica, per sonalistica e nomistica della religione, mentre in origine era proprio l'impuro ad essere collegato con lo straordi nario. Un processo che l'autore definisce di "ritualizza zione" e di "secolarizzazione" (infra: 78) della religione ha portato contemporaneamente ad una svalutazione del profano e alla riduzione del sacro al puro, con la con seguente perdita di gran parte del suo carattere tabu e quindi della soggezione che esso ispirava. Allo stesso modo, Soderblom dimostra l'evoluzione storica del con cetto di santità e i rapporti di tale concetto, modificatisi, specie nelle tradizioni storiche più complesse, ma ancora presenti, con la propria origine sovrannaturale. Quello che Soderblom intendeva fare con il suo studio era sta bilire una categoria sotto la quale l'esperienza religiosa potesse essere vista come tale e contemporaneamente si potesse leggere ed interpretare il percorso lungo e affa scinante della storia delle religioni. Alla luce di questa prospettiva, dunque, mi risulta difficile non considerare sbrigativa la ricostruzione che 19
Stefano Bancalari, nella sua peraltro dottissima introdu zione alla recente edizione delle Opere di Rudolf Otto, fa del contributo del lavoro di Soderblom al sistema teo rico dello studioso tedesco: «È interessante osservare che Otto, che senz'altro si richiama esplicitamente alla portata trascendentale del concetto di "sa cro", come dimostra, tra l 'altro, la definizione di quest'ultimo in termini di "categoria a priori", non ritiene che ciò precluda un'appropriazione positiva delle acquisizioni guadagnate sul versante storico-empirico: l'influenza di alcune figure centra li di questo secondo approccio è esplicita e inequivocabile. Con Nathan Soderblom, per esempio, che in un fondamen tale articolo del 1 9 1 3 individua l'origine empirica della reli gione nella reazione spirituale di spavento e sconvolgimento di fronte al sacro (ho/iness) inteso come potenza, Otto è in rapporto personale già dall 'estate del 1 900 (e non a caso lo studioso svedese è menzionato sin dalla prima edizione del Sacro) (Bancalari 2009: 28)».
Al di là del riferimento biografico e dell'indicazio ne di una conseguente frequentazione e probabile in fluenza tra i due, quello su cui Bancalari procede un po' troppo rapidamente è forse la portata "empirica" del sacro di Soderblom, che lo distinguerebbe dal sa cro, o meglio dal "numinoso", come categoria a prio ri di Otto. Ovviamente la semplificazione di Bancalari si basa, in realtà, proprio su un'attenta lettura di Das Heilige. Nella versione del 1936, precisamente nella nota già citata in cui Otto menziona Soderblom, il te desco precisò la distanza della propria interpretazione dall'errore del collega svedese: Soderblom non aveva 20
sottolineato «con tutta la nitidezza necessaria il caratte re a ssolutamente unico, qualitativamente differente da ogni sentimento "naturale", del "timore"». In qualche modo Otto rimprovera a Soderblom di non aver corret tamente evidenziato la portata aprioristica, categoriale e, quindi, trascendentale e sui generis del sacro, cosa che, come spiega bene Bancalari, nell'introduzione a cui ho già fatto riferimento e in un interessantissimo saggio del 2007, è centrale e inderogabile per l'autore di Das Heilige. Eppure lo stesso Otto, nel saggio Was ist Siinde? ( 1932a), aveva riconosciuto a Soderblom di aver testimoniato con la sua opera, a scapito dei mani sti, che al fondo di qualsiasi esperienza religiosa esiste una potenza nei confronti della quale «non c'è soltanto una paura ordinaria, ma un aver paura di tipo del tut to specifico, che abbiamo indicato nel nostro simbolo del "timore" numinoso» (ibi, 39 1 ); non solo: lo studio del teologo svedese aveva già dimostrato anche «che in questo "timore" non c'è affatto soltanto timore di fronte a qualcosa di ultrapotente, spaventoso, pericolo so, minaccioso, ma che in esso è espressa in pari tem po una specie di "timore reverenziale", ossia, con la nostra espressione, una specie di ossequio» (ibidem). In qualche modo, insomma, Otto nel 1932 riconobbe a Soderblom la definizione, seppure implicita, del carat tere ambivalente del sacro, rionché la sua dimensione specifica, straordinaria, altra. Già a seguire il percor so tracciato dallo stesso studioso tedesco, mi sembra allora che si possa mettere in dubbio la prospettiva di un Soderblom empiricista. Se si guarda poi al testo di Holiness si può riconoscere un passaggio teorico essen21
ziale a riguardo, pur immerso nella copiosa messe degli esempi etnografici e storici addotti: « Per quanto possiamo andare lontani, l' origine psicologica della concezione del sacro sembra dovuta ad una reazione allo spaventoso, allo stupefacente, al nuovo, al terrificante. Questa reazione può esprimersi in un pianto o in un' esclama zione: le esperienze individuali hanno influenzato la mente col lettiva, la quale gradualmente ha creato forme di linguag gio capaci di dare una più durevole espressione alla reazione mentale di fronte a ciò che realmente era nuovo e di fronte a certi fenomeni ricorrenti che non cessano mai di spaventare e di destare vivide emozioni (infra: 52-53)» .
Fenomeni che non sono affatto considerati come na turali, ma che escono «dal corso ordinario delle cose» (infra: 52): «è evidente che l'idea dello straordinario come qualcosa che si distingue dall'ordinario già mo stra una tendenza verso la concezione del soprannatura le» (infra: 53). Si potrebbe obiettare qui che l'a priori in Otto non va confuso con il soprannaturale (Bancala ri 2007: 178), visto che anche un oggetto naturale può essere un oggetto numinoso, ma, allo stesso tempo, va considerato che anche in Sèiderblom il termine "sopran naturale" non ha necessariamente il senso di "non-natu rale": «l'uomo primitivo è incapace, infatti, di concepi re qualcosa al di là o al di sopra della Natura eppure il termine "soprannaturale" può essere utile a rendere, il meglio possibile, ciò che egli concepisce come il "sa cro"». Insomma, il sacro, anche per Sèiderblom, è la ca tegoria trascendente a cui si possono ridurre le diverse esperienze religiose che condividono tutte un nucleo
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irri ducib ile e fondamentale: l'esposizione dell'uomo allo straordinario, ad un'eccedenza di senso riconosci b ile solo attraverso un'intuizione, una predisposizio n e i m - mediata ad essa. In questo si può riconoscere la prospettiva fenomenologica di Soderblom e la stretta comunanza di temi tra la sua impostazione e quella di Otto: la differenza di prospettiva sta, probabilmente, n ell'attenzione dello svedese ai comportamenti dell'uo mo di fronte al sacro, mentre per Otto è più rilevante focalizzare "i sentimenti" che il sacro suscita. Di sicuro a quest'ultimo va riconosciuto il merito di aver conia to un termine più preciso e meno usurato (e perciò di successo) come "il numinoso" per designare quello che in Soderblom era genericamente "il sacro", mentre allo svedese va ascritta una predisposizione peculiare alla comparazione e una derivazione, del tutto personale per quanto di ascendenza schleiermacheriana, della manife stazione del sacro dalla rivelazione, anche al di fuori del contesto giudaico-cristiano. 3. Fortuna e sfortuna di Nathan Soderblom Una tale contiguità tra il pensiero e l'opera di Soder blom e quella di Otto è implicita ed evidente anche in un passaggio di Phiinomenologie der Religion ( 1933 ), testo con il quale l'olandese Gerardus van der Leeuw si pone nel solco scavato dai due studiosi del sacro: «SMerblom ha dato un'esposizione ormai classica delle due nozioni contrarie di sacro e di profano, nelle quali si affer ma l'opposizione fondamentale e primitiva insita in tutte le 23
religioni. Ha mostrato come l'antica concezione che fa co minciare la filosofia dal 0auµaçeiv si applichi ancor più giu stamente alla religione. Posto di fronte ad una potenzialità, l' individuo ha coscienza di trovarsi davanti ad una qualità che non è possibile far derivare da nul la, ma che sui generis e sui iuris può essere designata soltanto in term ini religiosi come santo8 o parole equivalenti, le quali sempre significa no il sospetto o il presentimento dell' assolutamente diverso. L' inclinazione istintiva porterebbe ad evitarlo, tuttavia si è anche spinti a ricercarlo. L'uomo deve scostarsi, allontanarsi dalla potenza, eppure deve interessarsene. [ . . . ] Soderblom ha certo ragione quando, cogliendo in questo rapporto l'essenza di religione, la definisce un mistero. Ciò fu presentito ancora prima di invocare qualsiasi divinità; infatti nella religione Dio è arrivato in ritardo ( 1 93 3 [2002] : 28-29)» .
I l sacro come fondamento di ogni esperienza reli giosa, la trascendenza della religione in quanto vissuto unico e sui generis determinato dall'incontro dell'uomo con ) "'assolutamente diverso" che, al di là di ogni com prensione culturale si rivela come mistero e la relativiz zazione della presenza di una divinità riconosciuta nella manifestazione storica delle diverse tradizioni religiose sono gli elementi cardine della teoria di Soderblom. Ep pure, a ben vedere, tutto questo è presente anche nell'o pera di Otto, seppure declinato secondo la personalità, il lessico e gli intenti dello studioso tedesco. Nondimeno, Soderblom non godette mai, a livello internazionale, della fortuna intellettuale che arrise al collega, rimasto un punto di riferimento per gli studi " La parola originale è, ovviamente, Heilige, da cui l'ambiguità nella traduzione italiana
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storico-religiosi di tutto il Novecento e oltre, fino ad o ggi. Non lo c ita Roger Caillois, nel suo L'homme et le sacré, del 1939, troppo vicino alla scuola sociologica di our kheim e Mauss per poter considerare un "nemi co" come Soderblom. Ma non lo cita nemmeno Mircea Eliade, anni dopo, nel 195 7, quando scrive il suo saggio Das Heilige und das Profane, che apre con un riferi mento, e quasi un omaggio, alla fama mondiale del Das Heil ige di Otto, pur dichiarando, poco dopo, di voler seguire un'altra prospettiva rispetto al maestro tedesco: il sacro nella sua complessità e non circoscritto soltanto al suo momento irrazionale. E nemmeno René Girard cita Soderblom nel suo fondamentale La violence et le sacré ( 1972), dove pure riprende, tra gli altri punti di riferimento, le acquisizioni di Otto, Caillois ed Eliade. Quanto al panorama italiano è forse interessante mi surare la fortuna (o la sfortuna) di Nathan Soderblom attraverso l'incontro mancato con Ernesto De Martino, sicuramente l'intellettuale italiano più aperto, e allo stes so tempo più critico, verso la fenomenologia religio sa. Nessun riferimento al teologo svedese si trova ne Il mondo magico ( 1948 [ 1997]), dove troviamo un accen no, seppur frettoloso, a Rudolf Otto; ma, cosa ancor più strana (e per questo interessante) non c'è riferimento a Soderblom nemmeno nel suo articolo Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto (1953- 1954), nel quale, come si può arguire già dal titolo, De Martino mette in piedi una serrata critica dell'opera principale di Van der Leeuw (di cui, si noti, egli stesso favorì la pubblicazione in Italia) e, attraverso di essa, del metodo fenomenologi co. Allo stesso modo non c'è traccia di Soderblom e del
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suo lavoro nemmeno nell'articolo Storicismo e irrazio nalismo nella storia delle religioni, di poco successivo ( 195 7), dedicato alla critica dell'irrazionalismo, il cui caposcuola, preso come punto di riferimento dialettico dall'antropologo napoletano, è ovviamente Rudolf Otto. In entrambi gli scritti, De Martino dimostra una profon da conoscenza delle opere di cui tratta e, allo stesso tem po, non fa segreto della sua parziale approvazione per un approccio che si oppone a quello naturalistico e socio logico di Durkheim, Mauss e Levy-Bruhl; però, l'auto re non può che constatare come un simile approccio sia esso stesso incompleto e, alla fine, inutile per lo storico delle religioni. La descrizione del sacro come mistero, operata sia da Otto che da Van der Leeuw, ricalca l'e sperienza del fedele e, perciò, non è in grado di andare a cercare la sua "genesi umana" e, quindi, di storicizzare il fenomeno. In questo modo, sia gli irrazionalisti, sia i fe nomenologi, nell'ardore del rivivere, eludono "il capire" (De Martino 1953-1954: 9)9 • Per lo storicista, ovviamen te, vale il contrario: capire la genesi umana, dunque, sto rica e culturale, delle diverse manifestazioni del sacro, o meglio, dei diversi comportamenti religiosi. Quello che è interessante notare, comunque, è che nel suo articolo su Van der Leeuw De Martino prende in prestito un pas saggio del testo originale dell'olandese, all'epoca non ancora pubblicato in italiano 1 0, e lo inserisce immutato 9 Per un'analisi più dettagliata della posizione demartiniana rispetto al concetto di "sacro", rimando al saggio di Marcello Massenzio, Sacro e iden tità etnica del 1994 e alla raccolta di saggi, sempre a cura di Massenzio, Storia e metastoria (De Martino 1 995 ). w La prima edizione italiana di Fenomenologia della religione, nella
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n�Ila trama del suo discorso. Non solo: il passaggio in estione, che dovrebbe illustrare il cuore della teoria d Van der Leeuw è esattamente il brano, che ho citato i pi ù sopra, in cui l'a_utore di Phii�om �no!.ogie der Reli gion riassume proprio la prospettiva dt Soderblom. Vale la pena riportarlo qui, pressoché integralmente, perché si possa a ppr��are l'aderenza all'originale e le significa tive var1az 10m: « Po sto davanti alla manifestazione di una potenza sacra, l ' ind ividuo ha coscienza di trovarsi di fronte a una qu a lità eh � non è possibile derivare ulterionnente dal nulla, ma che, su; generis e sui iuris, può essere designata solo con tenni ni religiosi come "sacro" o con parole equivalenti, le quali significano il sospetto o il presentimento dell ' assolutamente di"erso, del tutt'altro ("ganz Anderes"), nel senso di Rudolf Oto. Per istintiva inclinazione si sarebbe portati ad evitarlo, tuttavi a si è spinti anche a cercarlo: l'uomo è costretto ad al lontan arsi dalla potenza, eppure, al tempo stesso, non può non trac:uzione di Virginia De Bonis Vacca, esce da Bollati Boringhieri solo nel 1 9f0, nella collana "Biblioteca di studi etnologici e rel igiosi", che continua la '-Collana viola" einaudiana voluta da Cesare Pavese e curata da Ernesto De Ma-tino tra il 1 948 e il I 956. Virginia De Bonis Vacca, islamista e arabista, è negli anni Cinquanta una delle traduttrici che collaborano con De Martino alla "Collana viola": in particolare ella cura la traduzione del Trattato di stoJia delle religioni di Mircea Eliade, pubblicata nella collana proprio nel 1 954. È quindi del tutto ragionevole pensare che, data la pubblicazione di Fe,.omeno/ogia della religione già messa in programma, la traduzione della De Bonis Vacca fosse abbozzata e che De Martino l ' avesse letta ed usata per il s:10 articolo del I 9S3 - 1 9S4. Il testo verrà pubblicato nel 1 960 dopo una rev-sione che dovette tener conto della riedizione di Phiinomenologie der Re ligun a cura.del figlio di Van der Leeuw, J.R., per l 'editrice Mohr di Tubinga. Riguardo alla "Collana viola" si faccia riferimento a Massenzio 1 994 (6S-68) e s�•prattutto al saggio di Pietro Angel ini posto come introduzione al carteg gio da lui stesso curato, tra Cesare Pavese ed Ernesto De Martino ( 1 99 1 ).
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interessarsene. Questo rapporto ambivalente del sacro costi tuisce il m istero della religione (De Martino 1 953-54: 8)» .
La più evidente differenza tra il passo demartinia no e quello originale di Van der Leeuw sta nella im plicita, perquanto grossolana, cancellatura del nome di Soderblom come fonte dell'idea espressa: al suo posto compare il nome di Otto al cui ganz Andere, secondo De Martino, non può che essere ricondotto I "'assolutamente diverso" di cui parla l'autore olandese. Ora si può solo provare a immaginare, con l'ausilio di una lettura inter testuale peraltro molto succinta, quale sia il motivo di una così impietosa cassazione. De Martino non può non conoscere Soderblom. Lo nominerà nel 1 959 nel suo Mito, scienze religiose e ci viltà moderna, in un passaggio molto rapido, per la ve rità, in cui, parlando de Il sacro di Otto, l'antropologo avverte che le sue radici si trovano nella filosofia del la religione di Schleiermacher e che l'opera «riprende e sviluppa un tema che era già affiorato in due storici delle religioni, il Marett e il Soderblom: il tema, cioè, di uno specifico carattere dell'esperienza religiosa» (De Martino 1959 [2002]: 39). A me sembra un riferimento più alla nota, già citata, dell'edizione del 1 936 in cui Otto, accomunando Marett e Soderblom, spiega come gli studi di entrambi siano "una gradita conferma" per le sue tesi elaborate a partire del 19 1 O e confluite, poi, nell'opera maggiore, che non un accenno diretto al la voro originale dello svedese. In effetti, comunque, è possibile ipotizzare che De Martino abbia ben presen te il lavoro di Soderblom e non solo grazie alla lettura 28
rte nta del testo di Otto e che in qualche modo sia en �a to in contatto con i suoi scritti ai tempi di quella che Ric cardo Di Donato ( 1989) ha battezzato efficacemente c ome la sua "preistoria". Data la sua collaborazione con « Religio», e la documentata relazione epistolare col cat tolico modernista Ernesto Buonaiuti, entrambe risalenti agli anni Trenta, ci sono buone possibilità che De Mar ti no conoscesse già da allora la sola opera di Soderblom mai pubblicata interamente in italiano, proprio per vole re di Buonaiuti. Kristendomen och religionerna, infatti, fu tradotto (a partire dall'edizione tedesca del 1905) dal celebre Dr. Aschenbrodel, nome di finzione adottato dal sacerdote Giovanni Pioli, modernista e amico di Buona iuti, e fu pubblicato nel 1908 col titolo Le religioni del mondo. La pubblicazione, del resto, non passò inosser vata: «La civiltà cattolica», la rivista dei gesuiti che con trastò severamente il modernismo, vi fece riferimento in termini succinti quanto sprezzanti all'inizio del 1909, i bollandola come «l'opera antiflosofica e anticristiana di un Nathan Soderblom, voltata in italiano dal noto pseudonimo Aschenbrodel, del cui panteismo di squili brato abbiamo dato saggio altrove» (204). I rapporti tra il modernismo italiano e il professore di Uppsala, poi, furono ulteriormente rinforzati dalla pubblicazione, da parte di quest'ultimo, di Religionsproblemet, del I 91 O, in cui egli affrontava da un punto di vista teologico e dottrinale lo scontro dei modernisti con la curia roma na, conclusosi con l'enciclica Pascendi Domini gregis di papa Pio x e la conseguente scomunica di Buonaiuti e compagni. Ma fu nel I 928 che il nome di Soderblom, divenuto nel frattempo arcivescovo di Svezia, tornò a 29
comparire sulle pagine di «La civiltà cattolica» e la sua opera ne fu di nuovo il bersaglio polemico, in seguito alla risposta da parte dello svedese all'enciclica di papa Pio XI Mortalium animos, in cui il pontefice metteva in guardia dai potenziali mali di quell'ecumenismo di cui Soderblom era, all'epoca, il più attivo promotore. L'arcivescovo pubblicò, proprio nel 1928, un libretto in tedesco dal titolo esplicito, Christliche Einheit! ( Unità cristiana!), in cui contrastava la visione cattolico-cen trica del papa e invocava l'apertura di tutti i cristiani ad una nuova unità ecumenica e transconfessionale. Al di là del suo contenuto teologico, e della confutazione che ricevette su «La civiltà cattolica», quel che ci interessa in questa breve ricostruzione storica è che il libretto fu parzialmente tradotto in italiano e fu inserito nel testo Il movimento pancristiano. Storia e documenti finnato da Ugo Janni, presbitero vecchio-cattolico, poi valdese, ed ecumenista, e pubblicato lo stesso anno. La rivista dei gesuiti non fece il nome di Janni, ma avvertì che il libretto era «largamente diffuso» ad opera dei «soliti se minatori di zizzania i quali pubblicano anche un perio dichetto dal nome Fede e vita» («La civiltà cattolica» 1928: 290). Janni era il direttore del bollettino citato ed era anche tra gli animatori della Federazione italiana stu denti per la cultura religiosa alla cui sede napoletana era molto vicino Vittorio Macchioro, originalissimo storico delle religioni di origine ebraiche e triestine, che l'al lora laureando Ernesto De Martino conobbe, nel 1930, proprio in quell'ambiente e che sarebbe stato poi il suo primo maestro, nonché il suo futuro suocero; con lui, De Martino avrebbe intrattenuto per un decennio una 30
re l az io n e intensissima e burrascosa che la recente pub 11 b li c az io ne dell ' intero carteggio tra i due ci testimonia • A d o gni modo, se in quel contesto religioso e culturale e ra "l argamente diffuso" il libretto di Janni, appare assai p robab i le che De Martino, che quel contesto conosceva e freque ntava, l'avesse presente e, dunque, che avesse tetto la traduzione del testo di Soderblom . D 'altra parte è i n q uanto attivista del "pancristianesimo" e propugna tore di "un cattolicismo evangelico" che di Soderblom p ar la anche Anto� i � G �amsci, � n auto�e c� � tra l 'altro sarà tin punto d1 nfenmento 1mprescmd 1b1le per De Martino negli anni C inquanta, e che ha letto evidente mente la traduzione di Janni e la reprimenda di «La ci viltà cattolica», a cui si riferisce espressamente. Nelle note del «Quaderno 3», risalenti al 1 930, al paragrafo 1 64, Gramsci scrisse: «Movimenti pancristiani. Natham Soderblom, arcivescovo luterano di Upsala in Svezia, propugna un cattolicismo evangelico, consistente in una adesione diretta a Cristo (prof. Federico Heiler, già cat tolico romano, autore del libro Der Katholizismus, seine Idee und Seine Erscheinung, Monaco, 1 923, della stes sa tendenza, ciò che significa che i pancristiani qualche successo l 'hanno avuto)» ( 1 975 : 3 57). Se queste ipotesi fossero ancora insufficenti a di mostrare che, negli anni Cinquanta, De Martino abbia evitato intenzionalmente di riferirsi al maestro svedese 11 Inaugurata da Riccardo Di Donato nel 1 989, la ricerca sul rapporto tra Macchioro e De Martino è proseguita poi attraverso il lavoro di Giordana Charuty (2009) e di Emilia Andri (2014), che ha ricostruito per prima l'inte ro carteggio. Del 20 1 5 è la pubblicazione di Le intrecciate vite. Carteggi di Ernesto De Martino con Vittorio Macchioro e Raffaele Pettazzoni, a cura di Riccardo Di Donato e Mario Gandini.
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nei suoi studi sulla fenomenologia della religione, si po trebbe aggiungere che nel 193 1, la morte di Soderblom venne commentata da un articolo sulla rivista di Buo naiuti «Ricerche religiose» e da un necrologio sulla ri vista di Raffaele Pettazzoni, «Studi e materiali di storia delle religioni»' 2, che il giovane De Martino conosceva senz'altro già nei primi anni Trenta, se nel 1933 Adolfo Omodeo, il relatore della sua tesi di laurea, chiese pro prio al direttore di quella rivista di pubblicarla (Gandini 20 15: 134). E allora resta da capire, o meglio provare a immagi nare, perché De Martino abbia preferito non misurarsi con la figura e l'opera di Nathan Soderblom. Di certo, nella convulsa attività demartiniana degli anni Cinquan ta e nel suo strenuo e continuo sforzo di riposiziona mento nel contesto politico e intellettuale di quel tempo (Pasquinelli 1997), la dimenticanza dell'antropologo ha a che fare anche con una questione di opportuni tà. Se Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto, il saggio in cui è più vistosa l'assenza di Soderblom, «si colloca nella fase del pensiero demartiniano carat terizzata (come è abitudine dire) dal "ritorno a Croce"» (Massenzio 1994: 60) dopo il tradimento del discepolo consumato ne Il mondo magico con la "storicizzazione delle categorie" crociane 1 3 , è comprensibile che l'antro12 F. Heiler, Scienziato, vescovo e santo. La vita e l 'opera dell 'Arcive scovo Soderblom, in «Ricerche Religiose» VII ( 193 1), pp. 48 1-496; R. Pet tazzoni, Nathan Soderblom [necrologio], in «Studi e materiali di storia delle religioni» VII, 7, p. 1 12. 13 A riguardo si può trovare una vasta bibliografia, ma si rimanda ai saggi più recenti: Montanari 200 1, Berardini 2010 e Mustè 20 13.
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ologo non volesse rievocare, seppure implicitamente, � s uo passato "modernista" attraverso alcun cenno allo :torico delle r eligioni che maggiormente era stato vici no a B uon aiuti e compagni, di certo assai malvisti nel circolo crociano. Ma soprattutto, mi sembra, De Mar tino non avrebbe potuto trovare in Soderblom il polo di alettico che invece aveva trovato, da sempre, in Ru dolf Otto: meglio dunque, evitarlo. Sin dal suo articolo del 1933, Il concetto di religione, il venticinquenne De Martino critica Das Heilige, un libro che, peraltro, gli aveva fatto "molta impressione" ad una prima lettura, come aveva confessato nella sua prima lettera a Mac chioro (Andri 20 14: 5 7); e la critica principale si riversa contro il "misticismo" in cui si risolverebbe la teoria d el sacro di Otto secondo cui il soggetto non può che essere passivamente travolto dal "sentimento creatura le" ( 19 1 7 (20 11): 35) a cui lo espone il contatto con il "totalmente altro". Con Otto, il giovane studente ingag gia in questi anni, ma è forse più giusto dire p er tutta la vita, un vero e proprio "corpo a corpo", secondo la pla stica espressione di Pietro Angelini (2005: 47): il torto principale del teologo tedesco, che verrà ribadito da De Martino in altri dei suoi scritti giovanili, come Alter e ater ( 1937) oppure Ira deorum ( 1938), entrambi apparsi sulla rivista «Religio» diretta da Buonaiuti, è quello di non considerare né le religioni primitive né la magia, in cui è (più) facile osservare "l'uomo in azione": «L'energia impersonale (mana, orenda, wakanda), o i pote ri (le presenze efficaci, le potenze semipersonali), possono essere regolate dal soggetto, promosse per quel che giovano 33
e stornate per quel che nuocciono. Nessun sentimento di di pendenza, ma, al più, una certa circospezione nell' impiego di energie cariche di pericolosa sacralità, nessuno slancio m isti co, nel senso specifico della parola: nato non è ancora quel nume sovrapotente, personale, che ha in pugno i destini degli uomini, che si propizia, si prega e, infine, si adora nell' intim i tà della coscienza (De Martino 1 93 3 : 326)» .
Già si legge qui, in controluce, la stessa polemica portata avanti contro irrazionalisti e fenomenologi ne gli anni Cinquanta: la manifestazione del sacro non può che essere un momento della manifestazione, tutta sto rica, della forza culturale dell'uomo, in quanto membro di una società, di affrontare le avversità del mondo na turale e superarle. È il rischio del crollo della presenza «come centro di decisione e di scelta», «come possibi lità del dispiegarsi di tutte le distinte potenze operati ve che fanno uomo l'uomo» (De Martino 1953- 1954: 15), che apre alla manifestazione del sacro come alterità «sperimentata come radicalmente estranea» (ibi, 1 8) e minacciosa, ma ricondotta ad un orizzonte mitico-ritua le che ne argina la negatività e la riporta sul piano stori co e umano della cultura. In Soderblom, che pure parla del sacro come "straor dinario" e dell'esperienza che se ne fa come mistero, troviamo un'attenzione speciale proprio alle religioni primitive e alla magia, delle quali De Martino lamenta la mancanza in Otto. Anzi, lo studioso svedese arriva al sacro come minimo elemento comune a tutte le espe rienze religiose proprio per poter includere nella propria comparazione quei «fenomeni ad uno stadio primitivo, 34
com e può essere la magia», che devono essere consi derati «tipicamente religiosi» (infra: 4 7). Inoltre le re l ig ioni primitive e la magia non sono espressione, per S oderblom, di uno stadio evolutivo pre-religioso o, addi rittura, pre-logico: al contrario, è possibile spiegare con la sua teoria del sacro anche quelle «pratiche magiche» e quei «comportamenti superstiziosi, che sopravvivono in forme modificate negli strati inferiori della civiltà come pure nelle menti più acculturate e sottilmente educate» (infra: 94). Tutte sono reazioni all'emergenza del sacro nella storia dell'uomo: «il senso del sacro ha accompa gnato intatto la religione attraverso tutta la sua sto,ria» (infra: 94) e, dunque, le religioni, nella loro pluralità cul turale si definiscono come l'insieme dei comportamenti con cui, nelle diverse forme di società e nei diversi mo menti storici, gli uomini hanno tentato di interagire col sacro. Davanti al sacro, infatti, la reazione immediata è quella dell'awe, il timore reverenziale che Soderblom fa coincidere con la religio dei Romani, ma, lungi dall'es sere solo un sentimento mistico individuale, tale reazio ne viene incanalata in forme generalizzate di espressione e di linguaggio capaci di darle un senso sociale. Se per Soderblom, infatti, la religione non è lo specchio della società e cioè una sua semplice e immediata «oggetti vazione», come era per Durkheim, essa ne «costituisce il grande tesoro» comune (in.fra: 52). Sacri sono gli uo mini sacri, le formule e le preghiere, gli amuleti e gli oggetti liturgici, così come lo sono le azioni rituali: i riti rispecchiano il carattere ambivalente del sacro e possono essere una risposta positiva o negativa ad esso, possono, infatti, avere «come obiettivo quello di acquisire, con35
centrare e utilizzare il sacro», oppure quello di difende r si dalla sua pericolosità (infra: 54). Non siamo così di stanti, in fondo, dalla concezione demartiniana: seppu re all'interno di due prospettive intellettuali e culturali dif ferenti, seppure muovendo da punti di partenza diversi e verso obbiettivi opposti, per cui laddove per Soderblom il sacro resta comunque trascendenza e rivelazione, pe r De Martino esso è vuoto storico-culturale da colmare, i lavori dei due studiosi convergono sull'attenzione alla portata storica del sacro e dunque alla dimensione dei comportamenti religiosi più che a quella categoriale dei sentimenti, che pertiene maggiormente alla teologia e alla filosofia di Rudolf Otto. E d'altra parte se l'opera di Soderblom è rimast a poco conosciuta in Italia, questo ha in qualche modo a che fare anche con l'interpretazione riduttiva di un intel lettuale della statura di Ernesto De Martino: l'avversione del crocianesimo in generale e degli ambienti cattolici più conservatori, come pure la scarsa attenzione della cultura gramsciano-strutturalista della seconda metà del Novecento verso la fenomenologia hanno fatto il resto. Non è un caso che Soderblom sia ricomparso, più recen temente, in alcuni lavori di Umberto Galimberti (2000; 20 12), mentre nemmeno Giorgio Agamben lo nomina nella sua ricostruzione polemica del concetto di "ambi valenza del sacro", forse anche per via della stringatezza a cui necessariamente ha dovuto consegnare quel capito lo all'interno del suo Homo Sacer ( 1995: 83-89). Rimane l'eredità di un gigante della storia delle re ligioni cui, al di là di futili meriti da pionere, vanno ascritti una dedizione antesignana ed efficace alla que36
t ion e del sacro quale momento primario e definitorio �el le pratic he e delle rappresentazioni religiose dell ' uo01 0 attraverso il tempo e lo spazio. Valeva la pena, io credo fortemente, pubblicarne in italiano il saggio più si nteti camente rappresentativo e più accessibile ad un p ubb lico di specialisti e di lettori appassionati.
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Nathan Soderblom
Il sacro
NOTA AL TESTO
I paragrafi sono del curatore
1 . Il sacro e la religione
"Sacro" è la parola fondamentale per la religione; essa è ancora più importante della nozione di Dio. La religione può esistere, infatti, senza una definita conce zione della divinità, ma non c'è alcuna religione reale che non distingua tra sacro e profano. L'attribuzione di una indubbia importanza alla concezione di divinità ha spesso portato ad escludere dalla sfera della religione sia i fenomeni ad uno stadio primitivo, come può essere la magia, sebbene essi siano tipicamente religiosi, sia il Buddhismo ed altre più alte forme di salvezza e pietà che non prevedono un Dio in cui credere. L'unico con tenuto ineliminabile è il sacro. Innanzitutto, il sacro co stituisce il tratto più importante del divino in senso reli gioso: l'idea di Dio senza la concezione del sacro non è religione (Schleiermacher 1 799). Non la mera esistenza di Dio, ma il suo mana, il suo potere, la sua sacralità è ciò che caratterizza la religione. E questo in nessun lu ogo è più evidente che in India, dove gli uomini di religione, attraverso le loro capacità di acquisire poteri sacri, diventano pericolosi rivali degli dèi, i quali, per mantenere qualcosa della loro autorità religiosa, sono obbligati ad adottare essi stessi una sacralità ascetica 47
(Sat. Briihm. II, 2.4, I X, 1 .6, 1 ss.). La definizione della pietà (religione soggettiva) suona, perciò, così: «Reli gioso è l'uomo per il quale qualcosa è sacro». Il sacro ispira timore (religio) 1 • L'idea originale di sacro sembra essere stata qual cosa di indeterminato e fu applicata a singoli oggetti o esseri; in seguito si svilupparono i grandi sistemi ch e sono stati trovati nelle società barbariche della Poli nesia, dell'Africa Occidentale et cetera, così come le religioni nomistiche, l'Avesta o il Giudaismo, dove ogni cosa è ordinata sotto le categorie del "tabu" (sa cro) e dell'ordinario (profano). Il "sacro" è separato dalla vita quotidiana, ma la religione spirituale cerca di abolire l'esteriorità di questa distinzione, per far ne una questione puramente personale. Per questo si sforza di portare l'interezza della vita sotto il dominio del sacro. La religione profetica di Israele considerava tutto il popolo come "santo" (Lv 1 9,2; 20, 7-24; Ger 2,3; Is 62, 1 2; 63, 1 8 etc.), ponendo in stretta connes sione l'idea del "popolo prescelto" con quella della sua sacralità. Ma questa idea della religione spirituale, che ogni persona e ogni cosa può essere sacra, suona come un'assurdità in relazione ai primitivi sistemi del tabu e alla sacralità nomistica, perché qualcosa deve essere lasciato disponibile alla vita pratica. Allo stesso ' Il termine originale è "awe", cioè, letteralmente, "stupore", "sbalordi mento", "sbigottimento" e anche "soggezione'"; è l'equivalente del termine tedesco "Scheu" che userà RudolfOtto: cfr. Das Heilige. Ober das lrrationa /e in der Idee des Gott/ichen und sein Verhaltnis zum Rationalen, Trewendt und Granier, Breslau (tradotto come li sacro. L 'irrazionale neIl 'idea del divi no e il suo rapporto al razionale, a cura di A.N. Terrin, Morcelliana, Brescia 20 1 1 , p. 4 1 ) [N.d. C. ] .
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rnodo, gli schemi ascetici di salvezza presuppongono c he alcune persone non sono sante, religiose, in senso st retto. Se ognuno fosse "religioso", "santo", non ci sarebbe ro famiglie, né future generazioni, nessuno per coltiva re la terra, per costruire la società e svolgere le attività quotidiane. 2. Declinazioni del sacro: il mana Il sacro è visto come un misterioso potere, o un'en tità, connessi a certi esseri, a certe cose, a certi eventi o a certe azioni. Tra i Melanesiani tutto quello esce dalle ordinarie capacità dell'uomo o dal normale corso della natura viene chiamato mana2 • In alcuni casi, come in questo del mana melanesiano, il potere è espressamen te riservato ad alcuni esseri: alcune anime non hanno mana e, per questo, sono immediatamente dimenticate e non ricevono venerazione. In altri casi, come nel caso dell'orenda irochese, «si ritiene che questo ipotetico po tere sia proprietà di ogni cosa, di ogni corpo» (Hewitt I 902: 33). Ma in ogni caso solo la sua concentrazione in alcune cose e in alcuni corpi assume una reale impor tanza p ratica. Qui menzioniamo alcuni esempi di conce zioni e termini perlopiù analoghi a questi. lljoia australiano (Howitt I 904). Il brahman dell'In dia antica (Oldenberg I 898; Soderblom 1913 ). li ten2 Dal classico lavoro di R.H. Codrington, The Melanesians ( 189 1), que sto tennine è stato adottato, attraverso L. Marillier, R.R. Marett etc., come il tennine generale per un sacro positivo che agisce come potere, distinto dal sacro negativo che comprende la nozione di pericolo, interdetto, proibizione e che nella corrente tenninologia è designato dalla parola polinesiana tabu.
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di dei Batak di Sumatra, il sumangat, "sostanza vita le" e il pemali, lo "straordinario", il "misterioso" dei Malesi (Krujit 1906; Skeat 1900; Skeat e Blagde n 1906; Warneck 1909). L'hasina dei Malgasci (defini to nei dizionari come «potere terreno o soprannatura le che rende una cosa buona ed efficace: il potere di una stregoneria, la verità di una parola, l'efficacia di amuleti e incantesimi, la sacralità di un oggetto» etc.; cfr. Van Gennep 1904). Lo nlongo delle lingue Congo (longo significa "stregoneria" e "incantesimo" [K. E. Laman nel suo Dizionario di imminente pubblicazio ne, Laman 1936]). L'orunda degli Mpongwe, l'eki dei Fans (Le Roy 1909; Trilles 19 12). Il dzo degli Ewe (We stermann 1905). L'oudah dei Pigmei (Marett 1909). Il wakanda degli Indiani Sioux (che era usato "indiscri minatamente come aggettivo e come sostantivo e con leggere modifiche anche come avverbio e verbo": può essere tradotto con "mistero", "potere", "sacro", "anti co", "grandioso", "animato", "immortale", sebbene «nes suna frase inglese, di qualsivoglia lunghezza, riesca ad esprimere esattamente l'idea che contiene il termine wakanda» [McGee 1 897: 182; Dorsey 1 884: 2 1 1 ss.]). L'orenda degli Irochesi (che denota una potenza mistica particolarmente grande nello sciamano, nel cacciatore esperto, in ogni uomo o animale che nella lotta, nella caccia o nel gioco supera un altro e che «è connesso direttamente con il canto e con ogni cosa si usi come in cantesimo, come un amuleto o un portafortuna, nònché con la preghiera, la speranza, la sottomissione» [ Hewitt 1902: 38 ss.]). Il vecchio hamingja scandinavo, "fortu na", "successo", "spirito protettore", "fato" degli indi50
vidui e dei clan (Gr0nbech 1909, 19 13; Actes 19 12). Il e animali ,nakt, il potere del folklore svedese (uomini 3 possono essere impossessati [makt-stulna] da influenze m alvage, gli antichi scandinavi dicono hamstolz). Questa sacralità misteriosa deve essere ricercata, n p i rimo luogo, nello stregone e nel re-sacerdote, che è potente e santo (Frazer 1905), nonché nella formula sacra che viene usata come sortilegio e come preghiera. I noltre essa appartiene a quegli oggetti speciali che sono connessi in qualche modo con i riti sacri e con I'eserci zio della religione o della magia; per esempio il churin ga (tjurunga, Strehlow) delle tribù centrali dell'Austra li a orientale (Spencer e Gillen 1899, 1904; Strehlow e von Leohnardi 1 9 1 1 ), i bullroarer 4, i tamburi, i rattle sta./I' (che in Messico si chiama chicauatzli «attraverso il quale uno diventa forte, potente» [Seler 1899: 89]) e altre cose usate nei misteri. I minkisi dell 'Africa occi dentale, cioè i "feticci" (Kingsley 1899; Dennet 1 906; Laman 1907).
3 L'originale inglese insiste sulla corrispondenza dello svedese makt e l'inglese might e dunque anche su quella tra makt-stulna e might-stolen [N.d. C. ] . • Il bullroaer, o woomera, consiste in una tavoletta d i legno duro che, fatta ruotare attorno alla cordicella alla quale è attaccata produce un suono simile a un bisbiglio. Veniva ruotato durante le cerimonie per simboleggiare la voce degli Antenati Creatori [N. d. C. ]. 5 Letteralmente "bastoni tintinnanti", che venivano impiegati a scopo rituale per attirare il favore degli Antenati. In area nigeriana è chiamato ukhurhe [N. d. C. ] .
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3. L 'origine ambivalente del sacro
Ma ancora il sacro appartiene alle reliquie, agli amu leti, alle divinità, alle loro immagini e ad ogni cosa ab bia a che fare con esse. In un senso più vasto, il miste rioso potere del sacro è creduto alla base di tutto ciò che esce dal corso ordinario delle cose e che, per questo, ri chiede una speciale spiegazione. Per l'uomo primitivo, non essendo questi ancora un individuo, ma solo parte di una società (la reale unità), il sacro non può essere usato a scopi individuali o addirittura anti-sociali (nel qual caso il suo uso diviene il peggiore degli abusi, stre goneria o magia nera), ma costituisce il grande tesoro della comunità, che si manifesta nelle sue istituzioni sa crali, in molti oggetti e nei suoi membri, che da esso de rivano la loro vita, il loro potere e la loro felicità, ma che allo stesso tempo devono promuovere e incanalare que sta misteriosa influenza generica nelle loro celebrazioni rituali e nelle loro imprese virili. Però là connessione fondamentale tra la società e "il sacro" non implica che tale nozione sia puramente una sorta di oggettivazione e idealizzazione della comunità come potere misteriosa mente superiore all'individuo (Durkheim 19 12). Ovviamente, procedendo dagli stadi più primitivi in avanti, ci imbattiamo in differenti linee di evoluzione e una supposta uniformità non può oscurare i tratti pecu liari del sacro in società particolari ai livelli più bassi della civilizzazione. Ma, per quanto possiamo andare lontani, l'origine psicologica della concezione del sa cro sembra dovuta ad una reazione allo spaventoso, allo stupefacente, al nuovo, al terrificante. Questa reazione
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può esprimersi in un pianto o in un'esclamazione: le esperienze individuali hanno poi influenzato la men te collettiva, la quale gradualmente ha creato forme di li nguaggio capaci di dare una più durevole espressione alla reazione mentale di fronte a ciò che realmente era nuovo e di fronte a certi fenomeni ricorrenti che non cessano mai di spaventare e di destare vivide emozioni. Una variegata serie di esseri, cose, eventi e azioni sono contraddistinti da espressioni come "il grande", "il po tente", "antico", "pericoloso", "vittorioso", "divino" et cetera . E, ciò che più conta, quelle cose sono circonda te, per una reazione comprensibile, da un recinto di pre cauzioni e interdizioni. Il primo punto è che queste cose spaventose non possono essere trattate con leggerezza: è evidente che l'idea dello straordinario (questo sembra essere il significato originale della radice semitica qds)6 come qualcosa che si distingue dall'ordinario già mo stra una tendenza verso la concezione del soprannatu rale. L'uomo primitivo è incapace, infatti, di concepire qualcosa al di là o al di sopra della Natura eppure il ter mine "soprannaturale" può essere utile a rendere, il me glio possibile, ciò che egli concepisce come "il sacro". Così concepito, "il sacro" è la più valida fonte di sa lute, di forza, di cibo, di successo, di autorità; allo stesso tempo, però, esso comprende un pericolo costante. Per questo i riti che sono nati da quella concezione possono avere un carattere positivo o negativo. • Qui SOderblom rinvia alla voce Holiness (Semitic) della stessa Ency clopedia ofRe/igion and Ethics in cui troviamo il suo Holiness (Generai and Primitive); la voce in questione è curata da Owen C. Whitehouse e occupa le pagine 75 1 -759 [N.d. C. ] .
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4. Manipolare il sacro: i riti I riti positivi hanno come obiettivo quello di acqui sire, concentrare e utilizzare il sacro. I Riti propiziatori sono nella gran parte dei casi impiegati per produrre o aumentare l'approvvigionamento del cibo; ad esempio I' intichiuma australiano e cerimonie analoghe ai rit i agricoli, nei quali il potere sacro può essere concentrato nell'ultimo covone, in un pane, in un'immagine, in un animale, in un albero o in un uomo. La religione fallica o sessuale è poi principalmente collegata alla prosperità delle greggi e dei campi. Per assicurare la fertilità della terra si esercitavano le arti per produrre la pioggia o il sole; e i pescatori avevano bisogno del favore del vento. Tutto era compiuto attraverso il potere del sacro, natu rale o acquisito; allo stesso tempo è elaborata anche una certa tecnica, con impersonali regole e leggi. Il potere, del resto, può anche essere acquisito in altri modi che non siano quelli connessi con la necessità di procurarsi il cibo. Uno può riceverlo tramite il sangue, che può essere bevuto o spalmato sul corpo; può co municarsi attraverso la saliva o il respiro. Inoltre parti degli animali o degli uomini intrisi di mistero posso no essere mangiate, o si possono uccidere persone, per esempio i propri figli, per aggiungere al proprio il loro potere. Il sacrificio serviva come mezzo per dotarsi di potere sacro, prima che questo fosse connesso con una divinità, nel senso che conosciamo della comunione con o di un dono ad essa: il sacrifico comporta un ef fetto immediato. E questo è evidente, ad esempio, nei sacrifici di fondazione o di costruzione, dove la vita che 54
viene sacrificata comunica mana, forza alle fondamenta dell'edificio. Anche quando un sacrificio è presentato alla divinità, l'intento originale prevale: il sacrificio co munica santità e potenza. Perciò i simulacri degli dèi vengono unti di sangue, il prezioso fluido che contiene il mana. Nella religione del sangue per eccellenza, quel la del Messico antico, gli uomini versano il loro sangue dalla lingua o dalle membra, per rafforzare gli dèi e que sti sono rappresentati nel raccogliere in bocca il fiotto di sangue della vittima. Il sangue ritorna con macabra frequenza nei riti sacri messicani: esso rende capaci le divinità di compiere le loro opere benefiche sulla Natu ra (Seler 1904a: 704 ss.; 1904b: 1 74 ss.). I trofei che si vedono appesi nelle palafitte degli iso lani del Pacifico non sono mere decorazioni: sono so prattutto delle fonti di potere per la comunità. In questo gruppo di riti devono essere comprese le cerimonie che intendono assicurare aiuto contro la malattia e il succes so nella caccia, nell'amore o in guerra. Alla categoria dei Riti propiziatori potremmo aggiungere anche l'ar te dell'offesa e dell'uccisione dei nemici, perché que sto aumenta la vitalità del gruppo. Ma corruptio optimi pessima: quando essa si usa contro persone del proprio stesso sangue o contro un membro della propria comu nità questa pratica diviene il più nero peccato. l riti divinatori hanno lo scopo di rivelare il futu ro, come gli oracoli, le profezie, oppure di indicare la colpa, come le ordalie, che originariamente operavano direttamente senza alcun intervento divino. Nei riti di iniziazione all'età virile, alle società se grete o al sacerdozio, l'elemento positivo, cioè l'acqui55
sizione della sacralità, è ancor più strettamente legato all'elemento negativo del pericolo e della proibizione. 5 . Difendersi dal sacro: il tabu Negli interdetti e nelle regole imposte sulle persone sacre è impossibile determinare ogni volta se il valore o il pericolo del sacro sia il motivo predominante. Infatt i, come abbiamo visto, il valore e il pericolo sono sempre legati insieme. L'uomo investito dal sacro si espone ad un personale pericolo nel compiere azioni proibite o in terdette da un tabu. Allo stesso tempo, però, alcune pre cauzioni hanno lo scopo di preservare il prezioso potere che è in lui e che garantisce la prosperità della comuni tà. Queste stesse, si potrebbe dire, hanno anche un pro posito positivo: le persone sacre, infatti, sono soggette a restrizioni più severe rispetto alla gente normale, perché sono coinvolte in una relazione molto più stretta con il sacro e la religione (come del resto l'ortodossia è più rigidamente richiesta ai chierici che ai laici). I riti negativi o di proibizione sono designati nel linguaggio comune con il termine tabu (la principale raccolta di tabu è quella di Frazer [ 19 1 1 ]). La parola appartiene in questa forma al dialetto Tonga delle iso le Friendship e risulta essere composta dalla radice ta, "marchiato" e pu, un avverbio con una forza intensiva, quindi potrebbe essere tradotta approssimativamen te come "marchiato fortemente". Il termine si usa in molte regioni del Pacifico nel senso di "sacro", "san to", "proibito", "vietato" (insieme ad altre parole come rahui, che è più comune in Easter Island [ Lehmann 56
1 9 07: 258]). Cari Eduard Meinicke ( 1 844) ha richia mato l' attenzione sul suo altro significato di potere di v i n o, che si manifesterebbe nel fatto che ogni cosa alla q u ale essa si applica è sottratta all'uso della gente co m une. Tutto era diviso in due classi: moa, ciò che era escluso dall'uso della gente comune e noa, l'usuale, il solito, il profano. Per questo i l tabu è strettamente con n esso all'idea di mana. Takao tapu significa "parola segreta", vahi tapu "luogo proibito", un "luogo guardato come sacro", kiri tapu "pelle sacra", uno che non può essere toccato né avvicinato. Le forme verbali sono tabui, "astenersi da", tapui "rendere sacro", akatapa "consacrare" (Trege ar 1 89 1 ). Il vietato, in lingua malgascia, è espresso dal termine fady: mifady significa "astenersi da". Tra i Ba ronga (Junod 1 898) yila corrisponde a tabu. Gli Zulu dicono zila (ila con il riflessivo zi) per "astenersi da". Nella lingua Bondai zila significa "detestare", mentre i dialetti Congo hanno kizila col significato di "oggetto sacro", "feticcio". Un'altra parola speciale è lo zulu hlo nipa (inhloni, "pudore", "rispetto" e pa, "dare"): "dare rispetto", "mostrare speciale reverenza" nell'osservan za delle severe norme del rituale. La moglie, ad esem pio, deve hlonipa al proprio marito e ai propri genitori e lo esprime non utilizzando il loro nome o parole che somiglino al loro nome proprio, non toccando il loro vaso per il latte et cetera. La suocera e il genero devono hlonipa l'uno all'altro e lo esprimono evitandosi l;un l'altro. Tutti devono hlonipa al re e agli animali peri colosi non usando il loro vero nome. I Malesi danno ai propri figli regole pantang (= tabu). 57
La stretta connessione tra il tabu e il potere del m i stero si può trovare nel l' idea comune di straordinarietà. Perciò il tabu e ciò che è nuovo, lo straniero per esem pio, il neonato, la prim izia, i l ferro nuovo, ma pure cer ti fenomeni che ricorrono costantemente, come la vita sessuale, la morte, la guerra, la caccia a uomini e ani mali dotati di particolare saggezza, potenza e fortuna. Inoltre i l tabu è spesso connesso con l ' an ima, un fat to che ammette diverse spiegazioni . La relazione è tal volta secondaria o immaginaria, ad esempio la ragione addotta dai Batak di Sumatra per il fatto di non tagliare tutti i capelli al bambino è connessa non con il begu, l ' anima (specialmente dopo la morte), ma con i l ten di, la materia di vita impersonale. Altre volte, invece, l ' interdizione si riferisce al l ' anima o ad altri elementi egualmente estranei al sacro in senso proprio, sebbe ne le caratteristiche generali siano simili. Tracciare una distinzione in ogni singolo caso sarebbe difficile o im possibile e ciononostante essa è richiesta dal l 'essenza del rapporto tabu-sacro. Per questo un essere sacro è soggetto a una moltitudine di scomode regole e inter detti: egli non deve guardare i l mare o un lago, i l sole non deve risplendere su di lui, non deve toccare la ter ra, né la sua stessa testa, non deve mangiare con gli altri et cetera. Perché? Perché la sua anima è esposta al pericolo e rischia di essere offesa o strappata v ia? Non è tanto un atto di difesa da un pericolo personale, quanto di precauzione contro la possibile dispersione del la preziosa sacralità del capo. Nei riti della morte la necessità di distinguere i due motivi, quello del l ' anima e quello del sacro, è più evidente. Un cadavere, sia esso 58
di uomo o di animale, è pericoloso: un Kaffir che ha u c ciso un pitone, ad esempio, deve purificarsi con ac qua. Un Lappone diviene tabu per tre giorni dopo aver uc ciso un orso: nel corso dell'uccisione rituale di un orso tra gli Ainu in Siberia o in Lapponia, oppure del toro durante la Bouphonia ad Atene, l'animale ucciso viene pianto e l'uccisore subisce una punizione simu lata. 1 1 che può avere qualcosa a che fare con la paura del fantasma, ma può anche dipendere dalla sacralità dell'animale e dalla relazione che esso ha con l'uomo. Il caso si fa più chiaro se menzioniamo l'usanza, os servata nella Nuova Guinea britannica, del vedovo che si deve nascondere come un animale selvatico ed an dare in giro armato per evitare la minaccia dell'anima della sua moglie defunta. Inoltre, a volte, può essere l'amore e non la paura ciò che porta a prendere delle speciali precauzioni. Dopo la morte di qualcuno non si possono usare né oggetti appuntiti né coltelli, perché potrebbero ferire il morto: i cinesi addirittura evitano di usare le loro bacchette per un certo tempo, ma queste regole non appartengono al tabu. Infatti è impossibile spiegare i tabu dei cacciatori e dei guerrieri o le proibi zioni del lutto in. generale mediante i temi della paura o dell'amore per la persona morta. Colui che uccide un uomo o un animale dimostra il possesso di un mana che rende necessario per gli altri di evitare lui, le sue anni e le sue trappole, per lui di sottomettersi a precauzioni occasionali analoghe a quelle osservate dal sacro re-sa cerdote. Il cadavere suggerisce sempre mistero: di qui la sua impurità e la sospensione, per quelli che sono in lutto, dell'ordinarietà della vita. In Polinesia questi non 59
possono portare alla bocca il cibo con le loro mani pe r dieci mesi: di solito il capo è sempre soggetto a que sta regola, a causa della santità della sua testa. E ovvia mente, in questo caso, il tema dall'anima è escluso d a qualsiasi spiegazione. Il tabu dei Lapponi o dei Ka ffir, e la sua purificazione menzionata più sopra, posso no dipendere dal loro essere carichi di "sacro", di mana. Oppure prendiamo il divieto di conservare i capelli e le unghie tagliati o i residui dei pasti. E questo per evitare che qualcuno possa prenderli e danneggiare o uccidere il loro originario padrone per tramite della magia sim patica, secondo la quale il tutto può essere influenzato da una sua parte. Questo non ha nulla a che fare con il tabu e con il sacro, ma la faccenda ha un ulteriore ri svolto: se la persona alla quale i capelli o le unghie o il cibo sono appartenuti è sacra, è tabu toccare quelle cose, perché esse sono cariche di sacralità. L'uomo sa cro in questione deve inoltre prendere delle precauzioni per non perdere niente del suo prezioso potere. I nodi sono spesso proibiti perché suggeriscono complicazio ni e difficoltà e infatti la magia simpatica li usa per cau sare impedimenti e danni. Ma la proibizione può assu mere un secondo significato rispetto al sacro: aljlamen Dialis a Roma, ad esempio, era proibito portare qualsi asi nodo nel vestiario, perché essi avrebbero potuto es sere di ostacolo all'azione benevola della sua sacralità. 6. "Non si può ": divieti, infrazioni, punizioni L'essenza stessa del tabu non è semplicemente quel la di evitare uno specifico pericolo evitandone le cause
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(p otrebbe essere uno spirito, la magia simpatica, l'inte resse della società o qualsiasi altra cosa): piuttosto essa consiste in un incondizionato e irrazionale "non si può". Il carattere imperativo del dovere, che Kant chiamò "im perativo categorico" e considerò come la scintilla divina n ell'uomo, è caratteristico del tabu primitivo, a prescin dere dalle differenze e dal contenuto della proibizione o del comandamento. C'è qualcosa di misterioso, di spa ventoso intorno all'infrazione di un tabu (Marett 1 909). Gli aborigeni non sanno dire perché esista quel divieto, né perché quella cosa o quell'essere sia sacro: è un fatto, e molto importante. Certamente il tabu ha origine, fino ad un certo punto, nell'osservazione della natura: le re gole a volte possono essere rintracciate in reali usi e in teressi pratici. Ad uno stadio successivo e razionalistico della religione, gli Ebrei, i Parsi e gli Induisti hanno sa puto, con l'aiuto di studiosi occidentali, scovare nei loro tabu grandi acquisizioni e scoperte in fatto di igiene, oppure legate alla riproduzione e all'agricoltura. Mosè, Zarathustra e Manu, ai quali i sistemi di tabu vengono erroneamente attribuiti, sono stati apprezzati come pre coci scopritori di nuove condizioni di benessere. Il che non è del tutto privo di fondamento, ma a questa inter pretazione manca la caratteristica specifica del tabu che contiene l'idea del soprannaturale più che del razionale. Il costume diffuso di isolare la partoriente in una mise rabile capanna al momento del parto e di porgerle il cibo s1,1 lunghi pali, oppure di sottomettere i ragazzi, e talora anche le ragazze, a barbare torture durante le iniziazioni non è un fatto di igiene. È il pericolo insito nel sacro che comanda simili pratiche. 61
L'irrazionale soggezione per i l tabu è evidente n e l le conseguenze dell'infrazione: morte e malattie sono conseguenze immediate. Un australiano morì qua n do seppe che aveva dormito sulla coperta della moglie, u n giovane Hova in Madagascar fu preso da convulsio n i quando apprese di aver mangiato le carni di un animale sacro per la sua famiglia. Come potrebbe il lettore d e l presente articolo capire se il giovane ha mangiato u n a costoletta di cane o un rene umano? Spesso la causa d i una malattia o di una morte viene ricondotta all'infra zione di un tabu: ci è stato raccontato che i Ningpo del Bengala erano immortali finché qualcuno non entrò in uno stagno che era tabu: qualcosa di simile a quello che si narra nel mito greco del vaso di Pandora, quando fu aperto il vaso, e fu violata la proibizione di aprirlo, ne uscirono tutti i mali. L'effetto può essere diretto, come quello del fuoco che brucia o del veleno che uccide, senza l'intervento di una divinità, che comporterebb e un secondo livello di spiegazione; con lo sviluppo del culto religioso, però, i tabu cominciano ad essere consi derati comandamenti divini. In altri casi la società san ziona il tabu tramite punizioni inflitte al colpevole, per ché il sacro è la sua reale fonte di forza e di vita: tale fu la causa del massacro di Marion e della sua ciurma sul Pacifico nel 1772, che avevano provato a pescare in un a zona sacra. Nel 1899 gli uomini della nave Boyd furono uccisi in Nuova Zelanda perché il capitano aveva offeso il figlio di un capo, una persona tabu. Si uccidono sia gli animali che le persone che violano il suolo sacro calpe standolo o in qualsiasi altro modo. Nel Primo Libro di Samuele (5, 12; 6,19 ss.), nel Secondo Libro di Samuele 62
( 6, 6 ), nel Primo Libro delle Cronache ( 13,7 ss.) e nel L ib ro di Giosuè (6, 1 8), morte o pestilenze seguono di rettamente la trasgressione (in Gs 3, 13 l'oggetto sacro esercita il suo potere diversamente), così come nel Li bro del Levitico ( I O), Dio punisce direttamente l'infra zione di un tabu. Anche quando si fa riferimento ad una p unizione divina, però, sembra essere sempre implicito che il peccato sia stato il contatto con il sacro, come nel caso della malattia di Nerone dopo il suo sacrile go bagno nelle acque sacre (Tacito, Anna/es, XIV, 22). I n Giosuè (7,25) la punizione è inflitta dalla comunità, come gli Ewe usavano bruciare vivo un uomo che aves se ucciso il pitone sacro. Simili punizioni occupano una larga porzione delle leggi sacre in ogni luogo (Krliger 19 12). A volte, come nel Libro dell 'Esodo ( 19, 12 ss.), del Levitico ( 19,8) e dei Numeri ( I ,5 1), noi non sappia mo esattamente se la pena di morte sia riferita all'im plicita sacralità della cosa, alla vendetta divina o ad una punizione giuridica. Si danno, poi, anche conseguenze più lievi: punizio ni che allo stesso tempo operano una purificazione op pure conseguenze dannose immediatamente sostituite da cerimonie volte ad evitare il contagio. C'è l'ansia di liberarsi della materia pericolosa, sia essa tale per una troppo forte dose di sacro oppure perché di per sé mal vagia: se a un uomo fosse capitato di toccare un capo Tonga, egli non avrebbe portato più il cibo alla bocca con quella mano, finché non avesse restituito il potere sacro al capo strofinando il palmo e il dorso della mano contro il palmo del piede del capo e dopo averla lava ta con l'acqua. A simili riti di evitazione appartengono 63
tutti i tipi di purificazione e di espiazione dopo un o m i cidio, un rapporto sessuale, un parto et cetera. Può es sere anche sacrificato un capro espiatorio che si carichi dell'impurità. I cibi tabu possono essere vomitati, pro prio come il cuore può essere sgravato dei suoi peccati con la confessione: lo stregone, ad esempio, può dare un "finto emetico" ad uno la cui infrazione di un tabu si manifesta sotto forma di dolori, malattia, disgrazia. La confessione stessa opera una liberazione, e argina il peccato e le sue maligne conseguenze. La moderna concezione del peccato come malattia è, di fatto, quella primitiva, mentre ad uno stadio più avanzato, il pecca to è considerato come un'offesa fatta a Dio o all'uomo e la confessione è un rituale indirizzato a Dio, non solo una liberazione fisica, anche se, in effetti, l'immediato con forto che tale rituale comporta non è stato dimenticato del tutto (Salmo 32). Le avversità mostrano che Dio è arrabbiato: perché? A causa di un peccato di cui maga ri il colpevole non è nemmeno consapevole, così egli confessa i propri peccati, quelli noti e quelli sconosciu ti, in modo da rimuovere la causa della sua disgrazia. Il peccato ha due conseguenze, infatti: la rovina fisica, materiale e il senso di colpa. E quest'ultimo, ad un li vello evolutivo alto, è più temuto del primo: la confes sione intende rimuovere il senso di colpa ed ottenere il perdono, anziché allontanare le conseguenze materiali del peccato. In molti casi, però, l'infrazione del tabu non può es sere evitata: è impossibile evitare completamente e co stantemente il contatto con "il sacro". Del neonato si deve avere cura, la donna incinta non può essere lasciata 64
co mpletamente sola, il cadavere si deve comunque toc care e muovere in un qualche modo, nessuno può fare a meno di vedere o di incontrare stranieri, le primizie sono piene di potere misterioso, ma costituiscono anche u n reale sostentamento per gli uomini. Come si può vi vere senza correre rischi? Prendendo un antidoto o una precauzione omeopatica, oppure rendendo uno immune al pericolo del sacro in altri modi. Simili precauzioni rappresentano il cuore di una serie di riti primitivi che in seguito avrebbero assunto un altro significato. I più importanti sono: le cerimonie di "ospitalità" verso gli stranieri, nelle quali una normale cortesia è connessa strettamente alla paura del tabu (Westermarck 1906: 585 ss.); i riti funebri; i riti della pubertà e le cerimo nie nuziali, che sono rivolti da un lato contro il pericolo del tabu sessuale e dall'altra ad assicurare la fecondità; i riti delle primizie, alla nascita di bambini o animali e prima di mangiare il primo raccolto della primavera. In queste cerimonie, così come nel sacrificio (Hubert e Mauss 1904) e in altri riti menzionati sopra, possiamo distinguere riti di introduzione, che hanno lo scopo di preparare il contatto col sacro in modo da evitare il suo pericolo, e riti di allontanamento, che servono a scrosta re via il sacro prima di riprendere la vita ordinaria. 7. Il tabu e la comunità Il valore del sacro primitivo o del tabu risiede nella forza e nella coesione che esso garantisce alla comunità: il sacro fa da vero e proprio centro di gravità permanen te, che si manifesta nelle cose, negli esseri, nei luoghi, 65
nelle azioni. Nel suo fare e nel suo sentire, l'individuo s i può avvicinare di più o di meno al sacro, ma non è m a i completamente al di fuori del contatto con esso. A noi l e regole del tabu e il fatto che gli oggetti siano carichi d i sacralità sembrano un puro nonsenso, ma per la me n te primitiva questo è il prezioso tesoro della comunità, d a cui derivano forza, successo e fiducia. Quanto sia ela borato il sistema della sacralità ad esempio nell'Afric a occidentale è stato studiato da M.H. Kingsley, Dennet, Ellis, Nassau, Spieth, Laman, Hamar e altri. Alcune fe ste largamente diffuse, durante le quali i confini e le re gole usuali vengono allentati, sembra abbiano lo scopo di rinnovare l'essenza del sacro nella tribù o nel popolo. La sicurezza sociale che il sistema dei tabu comporta sembra sia avvertita maggiormente in quelle tribù ch e hanno un numero minore di tabu, o in cui questi sono meno severi: il tabu è visto qui come un marchio di di stinzione. I ragazzi Zulu, rifiutando di mangiare il pesce con i Thonga, di fatto si vantano di appartenere ad una razza superiore a quella misera dei Ba-Thonga che inve ce mangia il pesce (Junod 19 13: 67). Il tabu impone all'uomo primitivo infinite, intollera bili, crudeli regole che rendono la sua vita una schiavi tù; la libertà, infatti, non si trova al fondo, ma in cima alla scala dello sviluppo umano. Allo stesso tempo, però, la sanzione superstiziosa di regole sacre ha avuto un'influenza inestimabile sulla civilizzazione e la cre scita della società: così i desideri animaleschi furono arginati, alla dura scuola del tabu l'uomo imparò l'auto controllo. Attraverso l'astinenza e il dominio di sé, l'uo mo acquisisce forza e potere non solo su se stesso, ma 66
anche sugli altri. Non è impossibile che una simile espe rienza sottenda all'istituzione del tabu (Marett in High field 19 12): e comunque tale fu il suo effetto. Frazer ha dimostrato, nel suo trattato dal titolo Psyche � Task, a Discorse Concerning the Injluence of Superstition on the Growth of Institutions (1909), ch e cosa significhi il sistema del sacro per la stabilità di un potere, la sicurez za della proprietà privata contro le ruberie e le distruzio ni, per l'inviolabilità del matrimonio e, soprattutto, per il rispetto e la protezione della vita umana. Il progresso e la civiltà sono inconcepibili senza le sanzioni profon damente irrazionali imposte dal sacro. Il tabu «è ispirato da idee strane, non scientifiche, fisiologiche che riguardano la contaminazione e il contagio, che spariranno non appena la conoscenza scientifica si sarà diffusa tra loro. Ma lasciamo che queste idee siano considerate corrette, la sciamo che i nativi credano che ciò che è tabu non è fisica sporcizia, ma male morale: la loro forte avversione per le azioni sottoposte al tabu può diventare un potente impulso morale verso il bene (Junod 1 9 1 3 : 9)» . La razionalità ha gradualmente spodestato i riti bar barici e allontanato la soggezione superstiziosa. Come per il principio portante del sacro (il suo carattere incon dizionatamente imperativo e la sua sanzione "sovranna turale") il problema è se l'umanità potrà fame a meno in futuro e potrà così essere guidata da forze razionali senza le garanzie e il conforto della religione. Questo problema ha due facce, una pratica, l'altra teorica. Dal punto di vista pratico ci si deve chiedere se lo sforzo di auto-controllo che è stato necessario alla civiltà può
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essere mantenuto senza l'elemento irrazionale inerente la concezione del sacro e che sviluppa il suo valore i n trinseco lungo la storia della civilizzazione. Il problem a teoretico è più profondo: l'obbligo ha la forma neces saria e assoluta del campo metafisico? O si basa su un errore iniziale con il quale l'umanità ha traviato la sua intera esistenza? 8. Tabu continuo e intermittente (occasionale) Allo scopo di comprendere le specie principali del sacro, possiamo considerare la seguente divisione: il tabu può essere continuo o occasionale. Alcuni uom i ni, animali, oggetti e azioni sono costantemente carichi di sacro e per questo sono tabu, quali, ad esempio, gli sciamani, i re-sacerdoti e altri. Un capo in Nuova Ze landa era talmente carico di sacro che nessuno poteva toccarlo, nemmeno nel caso fosse in pericolo di morte; se avesse alitato su un fuoco quel fuoco non sarebbe più stato usato per cuocere i cibi. I piatti dove mangiavano i Mikado per regola venivano distrutti dopo l'uso, perché se vi avesse mangiato un altro uomo la sua bocca e la sua gola si sarebbero gonfiate. A volte è un animale ad essere tabu, come il maiale in Siria, e la vacca in India e in Iran; altre volte un animale è tabu soltanto per un clan o per un lignaggio. Possono essere tabu le parole, come i nomi degli dèi o di uomini importanti, oppure i nomi di animali sacri o pericolosi. Occasionalmente incontriamo un tabu linguistico complesso, che viene appreso durante l'iniziazione ed usato in occasioni spe ciali, come i misteri, la caccia, la pesca, la mietitura, l a 68
g ue rra. Gli oggetti e i luoghi che sono parte integrante dei riti sacri, quelli che appartengono agli dèi o ai san ti, o alle società segrete sono tabu. L'uomo o l'animale sacro è divinizzato ed è venerato in proporzione all'e voluzione del culto e della nozione di divinità. Posso no essere venerati anche in vita, ma soprattutto lo sono dopo la morte, quando la generale soggezione verso gli s piriti induce alla concezione del loro mana: a volte il potere sacro di un uomo viene scoperto solo dopo la sua morte, grazie alle azioni attribuite alla sua anima. Così un tindalo riceve il culto tra i Melanesiani (Condrington 189 1: 125 ss.), mentre tutte le altre persone morte ven gono dimenticate. Allo stesso modo, inoltre, si ritiene che i Veda a Ceylon sappiano se lo spirito di un morto sia, per esempio, uno yaku, cioè un potente o santo es sere al quale si deve tributare il culto (Seligmann 19 1 1). La stessa idea di fondo si ritrova nel culto delle reliquie e dei santi nelle religioni superiori: il loro potere sacro e miracoloso è utilizzato e puntualmente onorato. Anche alcuni giorni sono carichi di pericolo, quindi il lavoro, il piacere e la sepoltura devono essere trala sciati quei giorni. L'istituzione di giorni sacri o tabu è nota in diversi popoli "primitivi" attuali ed era familia re, in differenti forme, anche ai popoli antichi come gli Egizi, i Babilonesi, i Romani (dies nefasti). Questa è forse l'origine pure del Sabato nell'Antico Testamento. Il genio mosaico diede al giorno tabu un nuovo caratte re positivo di riposo dopo il lavoro (Kittel 19 12: 623), ma nel giudaismo più recente il giorno ha ripreso qual cosa del suo misterioso carattere di tabu (Hehn 1907; Webster 1911). 69
La nostra astratta e convenzionale concezione d e l l o spazio e del tempo come misura è estraneo all'uo rn 0 primitivo: per lui il tempo è, o meglio, i tempi sono re a. li e concreti. Alcuni giorni e occasioni si oppongo n o in quanto straordinari o tabu con i giorni ordinari. U n simile tempo sacro, ad esempio le feste o i giorni ne. fasti, marcano dei periodi nel flusso continuo dell'esi stenza e danno vita al calendario religioso. Per ques to la comprensione del tempo per il primitivo si origina nella concezione del sacro. Allo stesso modo i luoghi tabu svegliano in lui una distintiva nozione emozionale dello spazio. Dopo la morte e durante periodi specifici anche in vita ognuno è tabu. La vita sessuale, ad esempio, è ac compagnata da strani sentimenti estatici e fenomeni soprannaturali. Nella caccia o in guerra anche l'uomo ordinario fa esperienza di un potere misterioso e deve sottomettersi a ristrettezze e regole che non gli sono ri chieste nella vita quotidiana, ma che sono simili a quel le che gli sciamani, i sacerdoti e i re devono osservare quotidianamente. Spesso incontriamo l'idea che le don ne morte di parto, i pescatori affogati o i cacciatori uc cisi durante il loro pericoloso lavoro, i guerrieri morti in battaglia (i valr del pantheon nordico) ottengono una sorte migliore dopo la morte di quella degli altri mor tali. Se esistono due regni dei morti, questi uomini e donne hanno riservato il posto dei "migliori", cioè di quelli dotati di mana, come il potente, il ricco, il nobile, mentre di solito l'uomo comune mantiene la sua triste e inferiore condizione anche dopo la morte. Ed è proprio il tentativo di dare una spiegazione a questa divisione
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che attribuisce un più alto valore morale alle vocazioni p rincipali nella vita sia dei maschi che delle femmine. Ma la ragione, non c'è dubbio, è nel sacro, nel mana: il p otere sovrannaturale che conferisce fortuna e superio rità agisce anche dopo la morte, alcuni uomini lo pos seggono sempre, i mortali ordinari solo alla nascita, in guerra, nella caccia e in certe altre occasioni specifiche. Alcuni tabu interessano ognuno: la suocera e il genero sono tabu l'un l'altro, come pure gli uomini e le donne in generale, in un certo senso (Crawley 1902). Un uomo non può sposare una donna del suo clan o, indifferente mente, di un qualche altro clan. In Australia il totem, di norma, è tabu per i membri del suo clan, in Nord Ame rica non è così. Una sacralità artificiale si • acquisisce attraverso esercizi ascetici come il digiuno, l'astinenza dai rap porti sessuali, le mortificazioni, et cetera. Prendiamo ad esempio il verbo sanscrito dell'ascesi, sriimyati, "eser citarsi, affaticarsi": la letteratura indiana abbonda di episodi in cui devoti asceti hanno acquisito poteri so prannaturali, divenendo superiori agli stessi dèi e susci tando in loro ammirazione e invidia. Un tale stato di sacralità artificiale è stato descritto in molte religioni e in molte lingue come "calore": a Saa, in Malesia, uomi ni e oggetti che hanno in sé il mana sono detti "caldi" (saka, Codrington 189 1: 19 1) e in lingua Ewe (Wester mann 1905) il potere magico è chiamato dzo, che signi fica "calore". Il sacro, come l'impurità, è contagioso, come abbia mo già visto. Perciò ognuno che abbia avuto in casa un morto o che ha preso parte a un funerale deve sotto-
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mettersi a speciali interdetti prima di tornare alla v ita normale. Nell'Avesta, ad esempio, il grado di tabu è r i gorosamente definito per ogni congiunto del decedu to ed è stabilito in base a quante persone possono essere raggiunte dal contagio. A parte, poi, questo involontario passaggio di sacro un uomo o un gruppo hanno il potere di imporre il tabu'. cosa che è stata largamente usata da individui e socie tà per interessi specifici, in modo da aumentare la pro prietà e l'influenza (Webster 1908: 95 ss.). In Melanesi a nessuno osa toccare i frutti che si trovano su un terr e n o segnato da soloi (marchi tabu). li sacro, in tutta la sua storia, raramente ha costituito un ostacolo nell'acquisi re ricchezza: la classe dominante in Polinesia, gli areoi, hanno la reputazione di una speciale abilità nell'uso del loro tabu; in Madagascar, i colonizzatori europei si son o lamentati dell'uso amministrativo del fady, in modo da prevenire arricchimenti. Ma a questo deve essere ag giunto che il tabu spesso è deliberatamente usato in casi in cui il pubblico interesse richiede una proibizione. Il governo Hawaiano ha tabuizzato il bestiame sin da l 1846, perché la diminuzione dei capi aveva suscitato una legittima preoccupazione. L'ingordigia durante l e grandi feste a Tonga e nelle Hawaii hanno reso neces sario la tabuizzazione del maiale, delle noci di cocco ed altri cibi per diversi mesi. Spesso però le lingue segnano le differenze tra la sacralità naturale o acquisita e quella imposta: nelle Isole Bank, ad esempio, la prima è chia mata rongo, l'altra tapu o tambu; nelle Nuove Ebridi la prima è detta sapuga, l'altra gogona.
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9 _ J/puro e l'impuro Una divisione del sacro ancora più importante è do c umentata in alcune lingue primitive che hanno nomi s peciali per le varietà positive e negative del sacro. Per q uesto, oltre ai processi magici ordinari, gli Arunta dell' Australia Centrale hanno un cattivo, nocivo "po tere", l'arungquiltha, che viene usato per offendere i nemici. Tra gli indiani Uroni l'orenda gradualmente è caduto in disuso, lasciando il posto all'otkon, la specie cattiva del mistero e del potere. Treagar parla di "tabu im puro". A parte "l'occhio malvagio" c'è la salutare in fluenza dell'"occhio buono", come per il sag-did ira niano (Soderblom 19 11: 503; Seligmann 1910). Questa distinzione non va confusa con la differenziazione del tabu in sacro e impurità. Nella religione primitiva non si può dire se il tabu sia sacro o impuro. Esso significa semplicemente "Non devi .. . ": interdizione e pericolo. Solo in seguito il tabu diviene alternativamente sacro o impuro: l'uomo primi tivo non realizza questa differenza. li significato origina le del tabu che include entrambe le dimensioni soprav vive nel linguaggio: il latino sacer significa sia "sacro" che "maledetto", così allo stesso modo, sacralità e im purità sono combinate nel greco tò àgos, che contiene un'ulteriore differenziazione etimologica: àghios signi fica "sacro", "iniziato" (in un senso secondario anche "puro", "immacolato", "permesso"), enaghès significa "maledetto", "colpevole". li maiale era impu ro presso gli Ebrei, ma, secondo Plutarco, i Greci non sapevano se lo disprezzavano o se lo veneravano: i misteri a cui si al-
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lude nel libro del profeta Isaia (65,4; 66,3- 17) semb ran o implicare la sacralità del maiale (o almeno la sua pu re 2• za); a Creta i maiali erano sacri stando a ciò che scr i v e Ateneo (Ix, 18), e non potevano essere mangiati. S ia per gli Ebrei che per i Cretesi i maiali erano tabu, co m e pure nel grande tempio di Hierapolis. Secondo Luci ano (de Dea Syria, 54) i maiali non venivano sacrificati né mangiati, il suino era detestato dai siriani, ma «alcun i credevano che ... essi non fossero maledetti [ enaghèas ], ma sacri [iroùs]». Tra i Minas, a sud-est di Ajmer, il cinghiale era sacro: essi identificavano questa creden za con l'avversione dei Maomettani verso l'impura bestia, così la metà di loro si convertì all'Islam, ma chiamava no il cinghiale "padre Adamo". Allora i Brahmani ado ratori di Shiva pensarono di identificare il padre Adamo con Shiva e venerarono la vacca e il cinghiale (Lyall 190 1: 97 ss.). Quanto sia affine il sacro con l'impurità è dimostrato dall'affermazione talmudica secondo cui le Sacre Scritture sporcano le mani, laddove i Vangel i, i libri del Minim (eretici) e gli altri libri di autori po steriori non lo fanno (Tos. Jadaim, II, 13). Nell'Antico Testamento, nonostante la forte differenziazione mono teistica del sacro dall'impuro, ci sono ancora molti ca s i in cui non si può dire se il tabu implichi sacralità o im purità (Lv 19, 19, Dt 22,9- 1 1, Lv 19,23 ss.). Da un punto di vista esterno, gli esseri e le cose sacre appaiono piut tosto come qualcosa di sinistro e malvagio, per via del misterioso timore che ispirano. I colonizzatori europei o i viaggiatori spesso hanno chiamato "diavolo" l'inte ro sistema sacrale dei nativi: i primi missionari hanno tradotto con "diavolo" la parola Nzambi, che indica "il 74
grande artefice", "colui che causa la morte"; oggi la pa rol a Nzambi è universalmente usata per "Dio". Come abbi amo visto, in qualche modo la stessa ambiguità ap partiene alla primitiva concezione del sacro. Comunque n on c'è alcun dubbio, a questo stadio evolutivo, se un essere o una cosa ispiri soggezione oppure no, se sia " sovrannaturale" oppure ordinario, se appartenga alla s fera propria del religioso e del mistero oppure no. Ma la distinzione tra il bene e il male in questo "sacro" è l ungi dall'essere cosciente: essa è appena accennata. Le religioni superiori, invece, pur nella loro varietà etica, hanno la tendenza ad accentuare la differenza tra il bene e il male in un modo che a volte arriva molto vicino ad obliterare la distinzione fondante la religione, quella tra il sacro e il profano. In ogni caso non è possibile scoprire il perché un tabu diventi esclusivamente sacro o esclusivamente im puro. I tabu connessi con la morte e con la vita sessuale diventano impuri. L'associazione con la divinità, inve ce, rende sacri i tabu, come per esempio gli animali che venivano condotti nel tempio o nel recinto del tempio in Egitto, in Siria, in Grecia et cetera. In Israele, l'idea di Dio era tale da escludere la divinità, cioè la sacrali tà, degli animali: una idea, invece, molto diffusa nel le religioni di Egitto e India. Dove la differenziazione è completa, il sacro e l'impuro conservano il carattere del tabu (proibito) in opposizione al profano (comune) e al puro, che possono essere maneggiati liberamente. Originariamente "profano" (noa, koinòs, gemein, "co mune") non aveva una coloritura semantica negativa. L'antica correlazione trova la sua classica espressione 75
nel Levitico ( l O, 1 O) e nel Libro del profeta Ezechiele (22,26): da un lato sacro e impuro, dall'altro profano e puro. La cosa importante, n�lla religione, è osservare l a impuro . duplice distinzione sacro profano puro 9. 1. Puro e impuro nell'ebraismo
Tre sono i fattori principali che hanno la tendenza a rovesciare quest'ordine: l'evoluzione del linguaggio , l a morale e altri pratici obiettivi o necessità della cultura, quindi la concezione di una divinità. Questo proces so consiste nel mettere insieme i l "comune" e ! "'impuro" da una parte, il "puro" e il "sacro" dal l 'altra, ma la que stione è se puro e sacro diventeranno i termini princip a li. Dove prevalgono intenti pratici e utilitaristici, come nell'Avesta, il puro oscura il sacro; dove prevale, inve ce, l ' idea della divinità, come nell'Antico Testamento, il sacro tiene il posto preminente. I l "comune" diviene negativo e spregevole e ovviamente i l linguaggio segue questa distinzione: quello che è molto "usato" diviene "logoro". Per questo i l "profano" ha la tendenza ad av vicinarsi all ' impuro: si vede, anche questo, nell'evolu zione della parola. I l verbo "dare in uso", in ebraico, assume col tempo il senso di "profanare", "sconsacra re" e si avvicina al campo semantico di "contam ina re". Persino un autore così profondamente versato nel linguaggio sacro e sacerdotale come Ezechiele, a volte identifica "profano" e "contaminato" (43,7; 23,3 8 etc.), sebbene, di norma, "profanare" venga usato in con nessione con il sacro: il Sabato (20, 1 3 . 1 6.24; 22,8.26; 23 ,38; 44,24 etc.), il Tempio (7,22; 23 ,39; 28, 1 8), il sa76
cri fic io (20,39), gl i oggetti sacri (22,26), il nome santo di Dio (20,39 ss.; 36,20 ss.). "Contaminato" è detto per J o p iù dell'idolatria (5, 1 1; 14, 1 1; 20,7. 18; 36, 17 ss.) o della morte ( 14, 13 ss.; 39, 14 ss.; 43, 7), come nel Li bro dell'Esodo e in quello del Levitico, dove invece che entità opposte l'una all'altra, il "profano" e ! "'impuro" diventano o occasionalmente sovrapponibili o connes si come indicanti l'uno un vasto insieme di oggetti e )' altro un insieme più stretto al suo interno (Lv 6, 1 1. 16; 20,3 ; 2 1,4; Ez 23,38). Una evoluzione pressoché analo ga può essere tracciata per la parola greca koinòs, che nella Bibbia dei Settanta e nel Nuovo Testamento acqui sisce il senso di "impuro" come pure di "proibito". Op pure si può parlare di gemein che viene usato nella sua accezione secondaria di "vile", "volgare", "comune" in senso negativo. li frutto sacro nel Paradiso fu «profana to prima dal Serpente, che lo rese per primo comune e sconsacrato» (Milton 1667: 930), ma l'aggettivo ancora mantiene il suo senso indifferente nel moderno giudai smo. Allo stesso tempo, "impuro" è posto in opposizio ne a "sacro" che viene ad essere considerato (Lv 6, 1 1) una varietà più forte del puro, il suo contrasto. In questa evoluzione gioca una parte fondamentale la morale: da un punto di vista etico, infatti, "puro" non può essere separato da "sacro" (Js 1, 16). Questo è vero per ogni lingua, perché nell'etica "sacro" non può si gnificare il proibito, ma ciò che è comandato. Non solo la morale, del resto, ma anche pratiche considerazioni della vita umana e della civiltà in generale mettono in una relazione molto stretta il sacro e il puro, in con trapposizione all'impuro. La loro correlazione dunque 77
sac f:o • puro . Ma questo processo non po te diviene: pro ano impuro va essere compiuto senza ritualizzare la religione , ne) senso di lasciare mere regole e formule vuote di ogni mistero e di ogni intrinseco potere, quindi senza un a certa secolarizzazione della religione. Il sacro deve perdere così molto del suo carattere di tabu, cio è il suo mistero che ispira soggezione; e il puro divie ne la parola chiave nella religione, al suo posto. Tutti g li elementi pericolosi della religione sono inclusi nel la sfera dell'impuro, tutti quelli positivi nella sfera de l puro. Il rapporto sacro/profano sembra svanire nella religione e tutta l'esistenza sembra dividersi in pu ro e impuro, dove il puro include i tabu che hanno a ch e fare col divino, il versante positivo. Un simile proces so è favorito nell'Avesta dagli interessi pratici della cultura dominante: il dualismo Avesta è un conflitto tra il puro e l'impuro, e tale contrasto prevale sul la differenza religiosa tra il sacro e il comune. In India lo stesso processo è stato scoraggiato dalla prevalenza che il sacrificio, i suoi sacerdoti, gli asceti e i mae stri di salvezza hanno acquisito sugli dèi: questi eran o solo esseri invisibili, i sacerdoti sono deità visibili che hanno sostenuto il mondo e grazie al cui favore gli dèi risiedono in cielo. Il divino, così, ha perso il suo forte carattere di tabu e non è stato capace di valorizzare il sacro. Nelle religioni semitiche e fino a un certo pun to nel paganesimo romano, il sacro non ha lasciato il campo al puro, ma è divenuto a sua volta il termine di riferimento, perché la soggezione e il terrore sono ri masti o sono stati introdotti tra i sentimenti dell'uomo verso il divino.
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Specialmente nel culto e nella pietà semitici, la di v inità appariva come un potere travolgente: è un senti mento che non si sente in nessun'altra religione tanto forte come in quella mosaica (e nelle sue derivazioni). N onostante l'enfasi sulla moralità nel profetismo suc cessivo a Mosè, il sacro non fu mai rimpiazzato dal "puro", né identificato con esso. Il sentimento morale, an zi, contribuì ad allargare il divario tra sacro e im puro. Ancor di più lavorò in questa direzione il potere soprannaturale e attivo della divinità: essa diviene qui "sacra" in un senso enfatico. Tra il sacro e l'impuro ri mase una dimensione intermedia, indifferente e acces sibile, cioè il "profano" (o "comune") e le cose pure che nel loro aspetto ordinario avevano la tendenza a declinarsi come impure, mentre in quello puro tende vano verso il sacro: puro
sacro
impuro
comune
Ma persino in quei passaggi dell'Antico Testamen to dove si ritrova più avanzato questo processo, non si ha mai l'identificazione del sacro col puro. La sacra lità di Dio, la sua essenza e non primariamente il suo rapporto con l'uomo (Ez 36,22) implica pericolo: non c'è nient'altro da temere come il divino. Non tutto il pericoloso inerente al tabu è stato allontanato come im puro, infatti l'essere che nell'Antico Testamento viene trattato con più cautela è innanzitutto JAHWEH (Es 19; 1s 5, 1 6; 6,3; Ger 2,3; Ez 20,4 1; etc.). La sacralità del tabu ha dato il suo più importante contributo alla storia delle religioni nel dare spazio al temibile, sovrannaturale e attivo carattere del Dio di Mosè, così come un'azione 79
reciproca fu esercitata su di essa dall'idea di sacro e dal la concezione mosaico-profetica di Dio. 9.2. Puro e impuro nello zoroastrismo e nell 'induismo
Nell'Avesta come in generale in gran parte dell'I n dia, la preoccupazione del capo non è quella di violare il puro, ma l'impuro. La sacralità del tabu ha perso la sua temibilità e il suo potere sovraumani, e non c'è al cun caso di un uomo che sia stato colpito da morte im mediata, senza l'interferenza dell'uomo o della società, per essere entrato in contatto troppo ravvicinato con il tabu sacro. Le parole che arrivano più vicine all'idea di un sacro personale (in sanscrito Ritavan, in avesti co Asavan) non suggeriscono alcun tabu e alcuna so prannaturalità: "puro" e non "sacro" è divenuta la paro la caratteristica della religione. Nelle lingue indiane s u menzionate, visto che non hanno adottato il termine e la concezione degli Arabi o dei missionari cristiani, non esistono le parole per esprimere "sacro" nel suo senso proprio. Infatti, la parola sanscrita suddha, parisuddha (e le sue forme successive), "puro" con cui si traduce la parola "santo" in "Spirito Santo" e nel triplice "Santo, Santo, Santo !" (Is 6,3), trasferisce l'idea dalla sfera bi blica a quella della religione indiana. Lo stesso termi ne è usato pure per i nomi dei santi, ad esempio "San" Matteo, "San" Paolo et cetera. L'uomo ha più da dire, il tabu divino meno. Potremmo comparare la frase tal mudica "le Sacre Scritture contaminano le mani" con l'ansia dei Mobed Parsi per paura che lo sguardo di un infedele contamini le loro sacre scritture. Il sacro-puro
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deve essere protetto, diversamente dal sacro-terribile. La misteriosa reverenza di cui è contornato JAHWEH non ha analoghi nell'Avesta, dove tutto si divide tra il Bene e il terribile Male. Anche la religione brahamanica ha conservato di più del mistero del tabu rispetto all'Ave sta. Per entrambe le vacche sono tabu, non devono es sere uccise, sono impure dopo la morte e per questo non possono essere mangiate: solo i Paria in India mangiano la carne della vacca (che spesso viene data loro come pagamento per il lavoro). In entrambe le religioni esse sono venerate. « Grattare la schiena ad una vacca cancella ogni colpa, e dare ad essa da mangiare procura felicità nel cielo. Nella sua urina si ritrova il Gange, la prosperità si trova nella polvere che si alza dalla loro cuccia, buona fortuna nello sterco di vacca e virtù nel salutarla ( Visnusmrti, XXI I I , 60 ss.)» . Ma i tori o le vacche sacri (di Shiva, una connessio ne secondaria), che pascolano nel recinto del tempio o che si aggirano per le strade e i mercati, che possono fare ciò che vogliono, non esistono nel sistema Parsi. Questo irrazionale residuo di sacralità-tabu ha la sua controparte nell'Avesta, in una spiccata purezza delle vacche. Dunque il tabu, appreso come pericolo, diviene sacro oppure impuro se non mantiene indifferenziati i due caratteri. Il tabu, considerato come potere positivo diviene "sacro", come abbiamo visto nell'Antico Testa mento, ma esso può anche prendere un'altra direzione: le cose o gli esseri positivi possono liberarsi della loro misteriosa pericolosità e diventare direttamente puri, 81
anche se non nel senso di "pennessi". Questo è tipico del sacro-puro che troviamo nel Vendidiid, la nostra s e. conda fondamentale fonte (a parte l'Antico Testamen . to) per comprendere l'evoluzione del tabu. Abbiamo g i à menzionato la duplice causa, la divisione strettame n te teologica di tutto l'esistente tra Dio (puro) e il Male (im . puro) e gli scopi pratici (cura del bestiame e dei pasc oli e una vita ordinata) che ispirarono il profeta di questa religione. Il solo esempio di qualcosa di simile all'orig i naria sacralità-tabu lo troviamo nell' haoma che, qua n do preparato, cioè pienamente santificato e potente, non può essere contaminato nemmeno da un cadav ere ( Vendidiid, VI, 43). E qui viene fuori la differenza tra i l puro, che deve essere protetto contro ogni contamin a zione, e il sacro carico di mana, su cui nulla ha effetto . Gli esseri e gli oggetti esaltati al di sopra dell'ordi nario per la loro purezza, ma evitati per il terrore della loro sacralità, sono, ad esempio, la vacca (ibi, I I I , 2), il cane, magnificato al di sopra dell'uomo (ibi, XIII), l'i strice, la lontra (ibi, XIV) e in grado minore altri animali la cui purezza e la cui sacralità spiegano, ad esempio, l'esposizione dei cadaveri perché fossero mangiati dagli animali, una pratica che conteneva una speciale impu rezza per i Greci (cfr. Sofocle, Antigone, I O 17); poi gli elementi come la terra, il fuoco, l'acqua, quindi le pian te e, infine, gli oggetti del servizio sacro: il barsom, le ciotole, il mortaio e anche le fonnule sacre. T utte queste cose debbono essere protette da ogni contaminazione, ma allo stesso tempo posseggono un potere intrinseco di purificare o di ripristinare la purez za, anche se meno efficace di quello dell'haoma. L'u rina della vacca è usata, come in India, come mezzo
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di purificazione ( Vendfdiid, XIX, 21). Se una vacca ha m angiato la carne di un cadavere può considerarsi pura d opo un anno (ibi, VII, 76), laddove un uomo nella stes sa condizione deve essere messo a morte: non c'è per lui alcuna possibilità di purificazione (ibi, VII, 23). Come per il cane, lo sguardo purificante, il sag-dfd, sembra appa rtenere anche agli uccelli che divorano i cadave ri (ibi, VII, 29; VIII, 16). A volte il mangiare, a volte il guardare risultano i mezzi grazie ai quali questi animali riducono l'impurità dei cadaveri, e siccome tutti gli ani mali appartengono o a Ahura Mazda o a Anra Mainyu, molti di essi prendono parte alla lotta contro i diavoli: tutti gli animali di Ahura Mazda sono puri, ma possia mo trovare traccia dell'originale tabu nella purezza e nel potere purificante di alcuni di essi. Lo stesso pote re si ritrova negli elementi: i panni infetti di un morto vengono sfregati con la terra per essere purificati (ibi, VII, 15); l'efficacia purificante del fuoco è universale: un cadavere che è stato esposto alla luce del sole per un anno non può operare più danno (ibi, VII, 45); l'acqua è usata contro l'impurità dovunque: ad esempio ha il po tere di purificare il cadavere se gli viene versata sopra. In India la purificazione si compie tramite l'acqua, la terra, l'aria, il sole ( Visnusmrti, XXI I, 88), inoltre lì la terra ha uno speciale potere purificante. L'acqua calda mischiata allo zolfo e alla polvere d'oro ha il potere di rivelare la colpa ( Vendfdiid, IV, 46, 54), come pure ha quel potere la ben nota ordalia tramite i metalli sciolti. Le prove con l'acqua e con il fuoco occupano un posto importante nelle ordalie prescritte dalla legge indiana e la formula sacra che purifica con l'acqua e con il fuoco 83
(ibi, VIII, 72; XII, 2) si rivolge necessariamente contro la distruzione (ibi, XIX, 8). La posizione e il carattere pratico del puro-sacro nell'Avesta si possono cogliere ancor meglio, forse, in un quinto insieme di oggetti e azioni che operano contro l'impurità, l'arma dei demo ni. Qualcosa dello stesso senso pratico a volte si trov a anche nella società indiana laica e agricola: «Tra tutt i i modi della purificazione, la purezza nell'acquisizio ne della ricchezza è considerata la migliore: perché è puro chi guadagna la ricchezza senza sporcarsi le mani, non quello che si pulisce le mani con l'acqua o la terra» (Manusmrti, v. 106). Di tutte le cose pure il cibo è detto "il più eccellente". Il dotto è inoltre purificato tramite il perdono delle offese, tramite la liberalità, et cetera ( Visnusmrti, 89; Manusmrti, v. 107), ma l'ascetismo, la rinuncia al mondo ( Visnusmrti, XXII, 9) e l'astinenza (Manusmrti, v. 159) appartengono ad uno stadio più ele vato di purezza e di religione. Nell'Avesta tale tendenza è ancora più consapevol mente concepita e compiuta. Una casa con un sacerdo te, degli animali, una donna, dei bambini ( Vendidiid, III, 2; IV, 47), un campo coltivato a cereali, erba, albe r i da frutto, l'irrigazione e il drenaggio delle acque (ibi, I I I, 4), il buon appetito (ibi, III, 33), il dare da mangi a re (ibi, XIV, 17) o altri doni (ibi, III, 34), il riempire le mangiatoie degli animali di Anra Mainyu (ibi, III, 22), la costruzione dei ponti (ibi, XIV, 16) et ce tera sono co ordinati come mezzi di purificazione con, ad esempio, il sacro potere del la vacca o del cane. Allo stesso mod o l'impuro è assimilato ad atti offensivi verso l'operosit à e la cultura.
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C'è poi una serie di tabu comuni sia al Brahama nesimo che allo zoroastrismo, ma la differenza diviene ovvia in questa più marcata tendenza utilitaristica della purezza Avesta, la quale, evidentemente, non è messa in pratica, ma mantiene molti barbari riti legati ai tabu, come quelli della nascita, per esempio. Non solo, c'è di fferenza nel grande apprezzamento della purezza, del purificare, yaozhdao, che è considerato, già nel Giithiis, come l'evento più grande dopo la nascita ( Vendidiid, V, 21; x, 18); i demoni tremano di fronte ad un uomo che profuma di purezza dopo la morte (ibi, XIX, 33). L'al tra differenza sta nella dualistica sistematizzazione del puro e dell 'impuro, qualcosa di simile a ciò che acca de nell'Antico Testamento: il cupo carattere del giorno tabu fa spazio al riposo (Es 20, 10; Dt 5, 12- 14) e al di letto del Sabato. Le eccezioni nelle regole del tabu sono dovute, nel la maggior parte dei casi, a considerazioni pratiche: le necessità della vita reale prevalgono, in una certa misu ra, sulla regola dell'essere infetti per il tabu-sacro (Ag 2, 12) o per il tabu-impuro (Lv 1 1,36; Ag 2, 13). Secon do il Vendidiid, un uccello che abbia mangiato carne di un cadavere non contamina l'albero su cui sta appolla iato; la contaminazione del morto portata da un lupo o da una volpe non può danneggiare i campi irrigati; un cadavere scheletrito non può recare danno; una donna può bere acqua pura anche se ha avuto un aborto. Il motivo è specificato nel Vendidiid (V, 4): per evitare che tutto il creato sia contaminato, visto che muoiono innumerevoli creature. Nel caso della vacca che si pu ri fica in un anno, non si può dire che questo sia dovuto 85
alla sua purezza o sia un'eccezione per motivi prati ci. Alla stessa categoria appartiene la regola universale che il cadavere di un animale puro non contamina (cfr. Lv 5,2; 1 1, 1 1). Secondo la legge indiana, la mano di un artigiano, gli oggetti esposti in vendita in un negozio , il cibo dato a un Brahamano, o il cibo ottenuto in ele mosina, ciò che uno studente ha nella propria mano, la bocca di una donna nell'atto di baciare, un uccel lo che becca un frutto, un cane che bracca un cervo o la carne degli animali uccisi da un cane sono sempre puri nonostante la logica della contaminazione del tabu ( Visnusmrti, XXII, 48; Manusmrti, v. 129). I falegnami e altri lavoratori non sono ostacolati nel loro lavoro da lla contaminazione, e al gruppo delle pratiche eccezioni all'impurità appartiene pure il caso che essa non sus siste quando tutto il paese è afflitto da una calamità, o nei casi di pubblica disgrazia, c.ome un'epidemia o una carestia ( Visnusmrti, XXI, 5 1, 54): in questi casi la pe danteria delle regole sulla purezza è temporaneamente abrogata per le dure necessità della vita. Le eccezioni dovute alla logica del dualismo che si ritrovano nell'Avesta sono un po' diverse: il cadavere di un asavan (un uomo pio, un santo) è impuro, perché la sua morte indica la sconfitta della vita e della santità. D'altra parte il malvagio diviene puro dopo la morte: la sua morte è un vantaggio. La contaminazione di un corpo morto diminuisce proporzionalmente alla santi tà della sua vita, fino a scomparire nel caso dell'empio ( Venmdiid, V, 35), per questa stessa ragione un cane mor to è impuro (ibi, VI, I ). Al contrario, nel brahamanesimo esiste l'eccezione clericale per i sacerdoti brahamani,
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talmente sacri da rimanere sacri anche dopo la morte. Il potere sacro interiore, quindi, supera l'impurità in gra di diversi a seconda della sua forza: per un brahamano )'impurità termina dopo dieci giorni, dopo dodici per un J(satriya, dopo quindici per un Vaisya e dopo un mese per un Sudra (Manusmrti, v. 96). In molte occasioni, poi, il potere sacro può essere completamente esente da ogni possibile contaminazione: la macchia dell'impurità non tocca i re, almeno nell'esercizio nelle loro funzioni, né i fedeli durante un voto o durante una cerimonia sa cri ficale ( Visnusmrti, XXI I , 48; Manusmrti, v. 94). Quan do cerimonie connesse con il monumento di una divinità o riti di matrimonio hanno avuto inizio, l'impurità non ha potere, non può manifestarsi ( Visnusmrti, XXI I , 53). La spiegazione del fatto che l'impurità non coinvolge i re, cioè il loro essere l'incarnazione dell'ottavo dio guardiano del mondo che causa la purezza e l'impurità dei mortali (Manusmrti, v. 96), è evidentemente secon daria: la reale ragione si trova nel suo potere sacrale e nelle contingenze della vita pratica. 1 O. Il sacro e la morale Tra gli interdetti ciò che noi chiamiamo regole mora li e rituali o superstizioni e comandamenti sono confusi senza alcun tentativo di differenziazione. Nel Congo le leggi connesse al feticcio Mbuzi contengono alcune pre scrizioni come quelle di non mangiare carne macellata di fresco, di non rubare, di non mentire, di non stare in piedi mentre si mescola il contenuto di una pentola, di non fischiare al crepuscolo, di non bere vino di palma 87
senza un berretto in testa (Nordenskiold 1907: 123- 14 6) . Tra le regole prescritte per un sniitaka, un giovane bra hamano che ha appena compiuto i suoi studi, c'è quel l o di non portare fuoco e acqua allo stesso momento, que l lo di non bere dalle sue mani giunte, di non passare su una corda a cui è legato un vitello, quello di dire sempre la verità, o di comportarsi come un Ariano, di amare i Veda, di non ferire mai alcun essere vivente, di frenare i propri sensi (Gautama, IX). Nel capitolo 125 del Li bro dei morti degli antichi Egizi, il dipartito dichiara la sua purezza: «Non ho mai oppresso il debole... non ho disprezzato nessuno... non ho lasciato nessuno affa mato... non sono un assassino... non sono un adultero» . Il rito del la Grande Purificazione, 6-harai, nel cerimo niale Shinto, conta tra i "peccati celesti" il distruggere i solchi o mettere pali nei campi di riso, scuoiare vivi animali da cortile, mentre tra i "peccati terreni" ci sono la lebbra, l'incesto, la magia, l'uccisione del bestiame altrui (Weipert 1893; Satow 1879, 188 1; Florenz 1899). Similmente la Legge della santità nel Libro del Levitico ( 19) include la paura del padre o della madre, la proi bizione del furto, dell'inganno, della menzogna, come pure le proibizioni di mangiare qual siasi carne con il sangue o di tagliare i capelli ai lati del capo. li tabu imperativo copre uno spazio molto vasto nel le culture primitive e barbare, mentre nelle civiltà su periori ha subito un processo di restrizione. Allo stess o tempo, però, l'idea di obbligazione si è approfondita : la separazione dell'etica dalle regole rituali appartiene ad una più evoluta considerazione morale del sacro e dell'impuro, rappresentata in Grecia e a Roma dai pen-
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satori e dai poeti a partire da Eraclito (framm. 5, OK), fi no a Diogene di Sinope secondo cui l'acqua lustrale 110 n poteva portar via la colpa come un errore gramma ticale , né un ladro che fosse iniziato poteva avere un posto migliore di Epaminonda nell'Ade (Diogene Laer zio , VI, 2, 42), come pure Cicerone che nel De /egibus scriveva: «animi labes nec diutumitate evanescere nec 7 omnibus ullis elui potest» (II, I O, 24) . Queste critiche probabilmente si riferivano alla catartica dei Misteri e dell'Orfismo, che era nato come una speciale, superio re "sacralità", agnèia. I tabu primitivi intorno al cibo, al vestire, alla vita sessuale et cetera furono rivisitati e compendiati in una "vita orfica" pedantemente ascetica e dedicata ad assicurarsi la felicità dopo la morte. Que sta era pure la teoria del grande Pitagora, con il qua le però prevalse una moralità superiore. Contro i tardi ciarlatani che contrabbandavano la purificazione orfica e per la ridefinizione della purezza in senso meramente morale, Platone incoraggiò l'ascesi degli Orfici e dei Pi tagorici (l'anima deve essere liberata dalle passioni del corpo già in questa vita terrena mediante l'occupazio ne spirit uale della filosofia, e nella sua pienezza dopo la morte [Fedone, 66]) come pure il carattere religioso dell'etica in quanto mezzo di salvezza e di felicità nel la vita a venire (Fedone, 86; ma una ancor più positiva considerazione della morale si trova ne La Repubblica e in altri dialoghi). La moralizzazione del sacro e del puro è auspicata nell'Antico Testamento da Amos e da al tri profeti, mentre verrà distintamente sancita da Cristo 7 «La macchia dell'animo né dal tempo né dall'acqua può essere elimi nata» [N.d.C. ] .
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(Mc 7, 1 5). Il principio generale del capitolo 1 9 del Lev;. tico «Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, so n o santo», � ripetuto nella Prima Lettera di Pietro ( 1 , 1 6 ) , ma apphcato al comportamento morale e l'espressi o ne "nazione santa" (I Pt 2,9) non ha alcun senso rituale. La paradossale rivendicazione di sacralità da parte di tutto il popolo riceve qui un nuovo e più alto significato: qu e. sta nuova sacralità può essere conseguita senza limiti e senza clericalizzare la propria vita. In India, Buddha si oppose a una concezione esteri o re e non morale della purezza; alla fine del Dhammapa da, alcuni versi spiegano cosa significhi essere un vero Brahamano: «Un uomo non diviene Brahamano per i suoi capelli intrec ciati, per la sua famiglia, o per la sua nascita; l' u omo nel qua le c'è la verità e la giustizia, egli è benedetto, egli è un Braha mano. Che cos'è 1:uso dei capelli intrecciati? O sciocchi ! E la veste di pelle di capra? Dentro di voi c'è l 'avidità, ma fate in modo di essere puri all' esterno» (Dhammapada, XXVI, 3 93). Nel Sutta-Nipiita, Kassapa spiegò il peccato di man giare cane cruda (iimagandha) in questo modo: «Distruggere esseri viventi, uccidere, tagliare, legare, ruba re, pronunziare falsità, frode e inganni, leggere cose inde gne, avere rapporti con la moglie di un altro uomo questo è iimagandha, non mangiare carne cruda [... ]. Né la carne di un pesce, né il digiuno, né la nudità, né la tonsura posso purifi care un mortale che non ha dominato il suo dubbio» (Sutta Nipiita, I I , 2, 4; I I , 2, 1 1 ) .
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Nella polemica buddhista contro i l Brahama nes imo la questione della purificazione ha sempre giocato un ruolo fondamentale: se l'acqua può purificare da i pec cati, le rane, le tartarughe, le bisce e i delfini dovrebbe ro andare direttamente in cielo ed essere felici. Il titolo dell'opera in pali Visuddhimagga, di Buddhaghosa, La via della purezza non ha nulla a che fare con la purifi cazione rituale (Warren 1900). Il passo cruciale nell'e voluzione della sacralità e della purezza è tutto qui: il sacro diviene una qualità personale della divinità o dell'uomo, invece di essere una sostanza nelle cose e nelle volontà. Questa evoluzione è favorita da processi di purificazione morale autonomi, come in Grecia, in India e in Cina, e pure dalla concezione, via via prepon derante, della divinità come volontà etica; è quello che succede nella religione mosaica. Il passo successivo ha avuto una grande importanza per la storia delle religioni. Rispetto all'uomo, il sacro ha mantenuto il suo aspetto soprannaturale e divino anche nel Nuovo Testamento, nonostante il suo essere moralizzato e personalizzato: nella sua essenza, il sacro non dipende dall'uomo, ma dall'influenza divina. Eppure il Dio che rende sacri gli uomini obbliga gli uomini a tendere con sforzo verso la perfezione. Santo 8 viene a significare "buono", "perfet to" in un senso etico così lontano dal senso originario • Proprio da questa moralizzazione del sacro, probabilmente, deriva l 'ambiguità semantica che si è dovuta affrontare lungo tutto il testo: l'origi nale inglese holy assume diverse significazioni a seconda del contesto. Qui è esplicito il salto da "sacro" a "santo", due termini italiani con forte speci ficazione, che però vengono resi dall'autore mediante il medesimo termine inglese, che li contiene entrambi [N.d. C. ] .
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quanto la religione dalla morale. Il termine viene usato per Dio ( Gv I 7, I l), per il suo nome (Le I ,49), la città (Mt 4,5), il tempio ( 1 Cor 3, I 7), per il Cristo (Mc I ,24 ), gli angeli (Mc 8,38), i profeti (Le 1,70), gli uomini (Mt 27,52) e le donne (1 Pt 3,5), gli anziani, Giovanni il Bat tista (Mc 6,20) e i Cristiani, come proprietà di Dio e sevi di Dio (Rm 1,7; JCor 1,2; JPt 2,5) destinati, perciò, alla purezza della vita (E/ I ,4, JCor 6, 11 ). Il linguaggio è rituale (Rm 12, l; Gv 10,3), il senso è personale e mo rale, ma è comunque ancora interamente tenuto sotto il dominio della sacralità religiosa. 1 1. Sacro e santo Nella dottrina della Chiesa, "sacro" non è mai di venuto un termine esclusivamente etico, suggerisce so prattutto un potere divino, sovrannaturale. Il significato originario di sancire e di sanctus nel latino pagano ri mandava al tabu, il "ben definito", come pure sancitus , sanctus significano definitus, destinatus, determinatus (Link 19 1 O: 9): era usato per oggetti, luoghi e uomini fuori dall'ordinario. Nella cristianità degli albori tutti i fedeli erano chiamati "santi", perché erano stati scel ti e separati dalla ordinaria quotidianità mondana per la grazia di Dio, il che implicava soprattutto un cam biamento di vita e severi obblighi morali. Ma la parola sanctus era usata specialmente per i fratelli defunti e per i martiri, sulla tomba dei quali spesso venivano eretti degli altari come centri di potere divino, oltre che di pia commemorazione. Più tardi sanctus passò ad indicare la dignità religiosa dei sacerdoti e dei monaci, mentre nel
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v e nel VI secolo questo titolo onorevole era usualmen
te riservato ai vescovi, finché non assunse il senso che ha mantenuto nella Chiesa Cattolica Romana; "santo" è uno che riceve la venerazione della comunità religiosa. Il riconoscimento di un credente morto come santo di pendeva dal fatto che egli avesse avuto una sua festa in un tempo passato, che la sua tomba fosse onorata parti colarmente (Delehaye 1909: 145; Delehaye 19 12), ma quando la Chiesa divenne più scrupolosa sulla dignità del santo e cominciò a sottomettere le rivendicazioni da parte dai locali eroi della pietà o di spiriti religiosi ad una commissione Romana, primaria importanza venne, e viene ancora, attribuita ai miracoli compiuti dalla per sona indicata prima o dopo la sua morte. Qui incontriamo, su un livello più elevato, la stessa prova che è usata dai popoli primitivi per conoscere se il defunto possiede un potere sacro o no, se le sue ossa toccate, o la sua anima invocata nelle preghiere sono ca paci di curare i malati, di rivelare i colpevoli e di com piere altri miracoli. La domanda principale circa il sacro non è dunque: «si avvicina quest'uomo o questa donna alla perfezione morale?», ma, secondo la tradizione e l'essenza della religione la domanda da porsi è: «c'e ra qualcosa di divino e soprannaturale in quest'uomo?» (Chauvin 190 1). Possiamo, a proposito, riferirci all'im portante ruolo giocato nel processo di canonizzazione di Giovanna d'Arco (iniziato nel 1869 e terminato per decreto di Pio x I' 1 1 aprile del 1909) da certi miracoli da lei compiuti su delle monache che avevano implora to il suo aiuto, anche se molto tempo dopo la sua mor93
te, alla fine dello scorso secolo9 : l'idea soggiacente è che la sacralità implica una rivelazione di potere divin o Solo la religione può riconoscere quella manifestazion� soprannaturale, non nel caso di autosuggestione o casi simili, ma in uno spirito creativo, in un alto idealis mo e soprattutto nella pronta obbedienza ai misteri della gui da divina e alla vocazione: Giovanna d'Arco poteva ben sostenere quella severa prova. 12. Conclusioni Il sacro ha avuto la sua più notevole storia all'inter no della civiltà Occidentale con i suoi antecedenti: qui è divenuta la parola centrale della religione, l'ultima della pietà, finora, come pure la prima. Gli osservatori occi dentali, la cui concezione della religione dipende degli esempi biblici ed islamici di pietà, sono sempre stati col piti dalla relativa assenza del timore reverenziale nelle religioni orientali; in Occidente (intendo questo termine nella sua accezione più vasta, fino ad includere la Per sia; Wassilieff 1909: § 5 1) il senso del sacro ha accom pagnato intatto la religione attraverso tutta la sua storia e ha ripreso vigore al culmine dell'esperienza religiosa. Ma allo stesso tempo le pratiche magiche e i sentimen ti "superstiziosi", che sopravvivono in forme modificate negli strati inferiori della civiltà come pure nelle menti più acculturate e sottilmente educate, ancora traggono il loro nutrimento da una concezione primitiva del sacro. 9 La fine del XIX, lo "scorso secolo'' rispetto alla data di pubblicazione del presente saggio [N. d. C. ] .
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Il carattere imperativo e incondizionato del sacro, h c e è anteriore ad ogni definita idea di comandamento divino (Preuss 1904: 32 1 ss.), può essere considerato derivante proprio da quella concezione. Non ha avuto origine, infatti, né dalle precauzioni per l'anima, né dai calcoli contro la magia negativa, né dalle misure per l'igiene. Dire che il tabu categorico sia un errore ini ziale dell'umanità non ci dà una spiegazione, ma solo un giudizio di valore. L'attuale teoria sociologica ci ha fatto conoscere il peso della società per la religione, ma, per quanto si consideri una cultura ai livelli evolutivi più bassi, la derivazione delle istituzioni e delle enti tà religiose da una misteriosa inquietudine della società sembra essere un po' forzata. Nella cultura più elevata, la sacralità e il misticismo pongono consapevolmente i loro valori al di là della società. Secondo la storia delle religioni, la concezione del tabu risulta fondata, come abbiamo visto, nell'idea del soprannaturale.
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1. Testi biblici /Cor = Prima lettera di Paolo ai Corinzi I Pt = Prima lettera di Pietro Dt = Libro del Deuteronomio Ef = Lettera di Paolo agli Efesini Es = Libro dell 'Esodo Ez = Libro del profeta Ezechiele Ger = libro del profeta Geremia Gv = Vangelo secondo Giovanni ls = Libro del profeta Isaia Le = Vangelo secondo Luca Lv = Libro del Levitico Mc = Vangelo secondo Marco Mt = Vangelo secondo Matteo Rm = Lettera di Paolo ai Romani
2. Testi classici Ateneo, 200 I , / Deipnosofisti. I dotti a banchetto, tr. it. Sa lerno, Roma. Cicerone, 1 969, De legibus, tr. it. Le leggi, Mondadori, Mi lano. Dhammapada, 2006, tr. it. Dhammapada - La via del Buddha, Feltrinelli, Milano. Diogene Laerzio, 2005, Vite e dottrine dei più celebrifilosofi, tr. it. Bompiani, Milano. 1 02
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SOMM ARI O
INTRODUZIONE di Francesco Della Costa Il sacro di Soderb/om I . Nathan Soderblom, storico delle religioni, 5 - 2. li saggio sul sacro e i rapporti con Rudolf Otto, 1 2 - 3. Fortuna e sfortuna di Nathan Soderblom, 23
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Nathan SOderblom
Il sacro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I. li sacro e la religione, 47 - 2. Declinazioni del sacro: il ma
47
na, 49 - 3. L'origine ambivalente del sacro, 52 - 4. Manipolare il sacro: i riti, 54 - 5. Difendersi dal sacro: il tabu, 56 - 6. "Non si può": divieti, infrazioni, punizioni, 60 - 7. li tabu e la comu nità, 65 - 8. Tabu continuo e intermittente (occasionale), 68 -
9. li puro e l'impuro, 73 - IO. li sacro e la morale, 87 - 1 1 . Sacro e santo, 92 - 12. Conclusioni, 94
Bibliografia dei testi citati da Soderb/om . . . . . . . . . . .
97
I. Testi biblici, 1 02 - 2. Testi classici, I 02
1 05