Il principio-persona 886081040X, 9788860810403

Nel XXI secolo qualcosa di nuovo si annuncia nel rapporto fra cristianesimo e civiltà. Si profila una fase postmoderna d

407 23 2MB

Italian Pages 256 Year 2006

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Il principio-persona
 886081040X, 9788860810403

  • Commentary
  • Versione migliorata
Citation preview

TEMI DEL NOSTRO TEMPO a cttra di Massimo Baldini

A Chiara, /rene, Giacomo, care e giovani vite che avanzano nella speranza

Vittorio Possenti

IL PRINCIPIO-PERSONA

ARMANDO EDITORE

3

POSSENTI, Vittorio

n principio-persona; Roma : Armando, © 2006 256 p. ; 22 cm. - (Temi del nostro tempo) ISBN 10: 88-6081-040-x ISBN 13: 978-88-6081-040-3

l. Concetto filosofico e antropologico di persona 2. Conoscenza dell'uomo 3. Metafisica/Bioetica

CDD 110

©

2006 Ann ando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00 1 53 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/58 94525 Direzione editoriale e Redazione 06/58 1 7245 Ammini strazione - Ufficio Abbonamenti 06/5 806420 Fax 06/5 8 1 8564 Internet: http://www. ann ando.it E-Mail: [email protected] ; segreteria@ann ando.it

32-00-079

I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsia­ si mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riser­ vati per tutti i paesi. L'editore potrà concedere a pagamento l' autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inol­ trate a: Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell 'ingegno (AIDRO); [email protected]

Sommario

Introduzione

7

PARTE PRIMA : METAFISICA DELLA PERSONA

15

Capitolo primo :

17

La persona nella dottrina dell'essere

l . Persona e modernità antropocentrica - 2 . Personalismo antologico: il concetto di persona - 3 . Coprimento o controapocalisse della persona. Excursus sul suo concetto nella modernità - 4. Conclusioni

Capitolo secondo :

Persona: logos e nomos

50

l . Sostanzialità e relazionalità - 2 . Interiorità estatica, amore, comu­ nicazione - 3 . La coscienza psicologica e morale - 4. Paradossi della persona -- 5 . Personalismo teologico e teocentrico - 6 . Il rapporto dell 'umanesimo secolare con la condizione umana

PARTE SECONDA : PROBLEMI DEL PRESENTE l. DALLA FILOSOFIA DELLA PERSONA ALLA BIOETICA

97

Capitolo terzo :

99

Questioni bioetiche

l . Obiezione empiristica e nuovo naturalismo - 2 . Sul concetto di natura - 3 . Sulle nozioni di salute, malattia, terapia (e gli scopi della medicina) - 4 . Intermezzo : La persona nell ' età della Tecnica

Capitolo quarto :

Ontogenesi: embrione e persona

1 22

l . Bio-antologica: sull ' embrione umano e la persona - 2 . Formazione dell ' embrione, autopoiesi, individualità - 3 . Equiestensionalità fra i concetti di individuo umano e di persona umana - 4. L' equivoco del­ l ' approccio funzionalistico - 5 . Bio-antologica e bioetica: la Fivet 6. Bio-giuridica: sul cammino dei diritti umani - 7. Conclusioni - 8 . Annesso : Sull ' anima - 9 Annesso : Sull' embrione 5

Capitolo quinto :

Cambiare la natura umana?

1 49

Biotecnologie e questione antropologica

l . La questione antropologica - 2. Habermas : un approccio etico per stabilire il futuro della natura umana - 3 . Fukuyama: il tentativo 'neoaristotelico ' di ristabilire il concetto di natura umana - 4. La natura umana e l ' impossibilità di cambiarla - 5 . Persona e unità del­ l 'uomo - 6. Digressione sui rischi del "riduzionismo contenutistico" - 7. Epilogo - 8 . Annesso : Sul diritto positivo e il governo della tecntca .

PARTE TERZA : PROBLEMI DEL PRESENTE. II. IL PERSONALISMO, LA PACE, LA DEMOC RAZ IA

1 72

Capitolo sesto :

l 74

Pensiero personalista e abolizione della guerra

l . Il rilievo civile del principio-persona - 2 . Beni esclusivi ed inclu­ sivi - 3 . La guerra non è un destino - 4. Globalizzazione politica, superamento della sovranità, federazione mondiale - 5 . Principio­ persona e nonviolenza - 6. Annesso : La questione della guerra giusta

Capitolo settimo :

Fondamenti personalisti della democrazia

205

l . L' ascesa della democrazia - 2 . Fondamenti della democrazia - 3 . Does democracy need religion? - 4 . Personalismo, individualismo e rapporto tra le generazioni - 5 . Scuole democratiche e paradigmi di giustificazione - 6 . Quale cultura favorisce meglio la democrazia? 7 . La tentazione del fondamentalismo - 8 . Esportare la democrazia o i diritti umani? L'Islam - 9. Conclusioni Epilogo

23 3

l . L' epoca della riproducibilità tecnica della vita - 2 . Un nomos per­ sonalista - 3 . Due ostacoli - 4. Umanesimo e (neo)illuminismo - 5 . Compito del principio-persona

Indice dei nomi

6

25 1

Introduzione

l ) Scienza e filosofia rischiano costantemente di perdere di vista la persona in un atteggiamento antiumanistico, che le ha condotte lungo i sentieri dell ' ideologia, del riduzionismo, della manipolazione. Per coloro che non accettano questo esito è tempo di 'raddrizzare la barca' e di riprendere a meditare sulla persona: il tentativo è stato avviato in varie scuole filosofiche del ' 900, con esiti incerti in rapporto ai numerosi even­ ti di grande portata che si parano sul cammino. Ieri, oggi e domani lo scopo è di 'mettere al mondo ' la persona, promuovere l' accadimento del­ l 'uomo di cui diceva F. Balbo in /! laboratorio dell 'uomo ( 1 946). Acuto è perciò il bisogno di riprendere la meditazione su di lui, questo sconosciu­ to che deve sempre essere riscoperto di nuovo . Si avverte l'urgenza di una rinascita personalista dinanzi agli immensi poteri mediatici, economici, militari, scientifici che spesso si accaniscono nel diminuire l 'uomo, nel fame un essere asservito, umiliato, offeso. Da vari lustri si è imposta all ' attenzione la ' questione antropologica' , ormai prepotentemente affiancatasi alle usuali questioni pubbliche che, prendendo il nome di ' questione istituzionale democratica' e ' questione sociale ' , hanno dato almeno in Occidente il tono a due secoli di storia. Rispetto a queste problematiche la questione antropologica presenta caratteri più radicali ed appare destinata a diventare sempre più pervasi­ va. L'uomo è messo in questione tanto nella sua base biologica e corpo­ rea quanto nella coscienza che forma di se stesso . E ciò non soltanto astrattamente, ma praticamente, perché le nuove tecnologie della vita incidono sul soggetto, lo trasformano, tendono ad operare un mutamento nel modo di intendere nozioni centrali dell ' esperienza di ognuno : essere generato oppure prodotto, nascere, vivere, procreare, cercare la salute, invecchiare, morire. Si tratta di trasformazioni di nuclei sensibilissimi che hanno interessato migliaia di generazioni e che costituiscono il tes­ suto fondamentale dell ' esperienza umana in tutti i luoghi e tempi . Il rap­ porto tra Persona e Tecnica costituisce uno dei temi più complessi del­ l ' epoca.

7

Dubbi circolano sulla reale in disponibilità della persona: l 'uomo può migliorarsi ma anche distruggersi. Più si allarga il potere dell 'uomo, più aumentano le possibilità di bene e di male, e forse in certo modo più i rischi che le opportunità. Intanto nella cultura risuona sempre più spesso l 'interrogativo : che cosa rimane della nozione di persona ricevuta dalla tradizione filosofica? 2) ''Non vi è alcun ideale o alcuno scopo al quale noi possiamo sacrifi­ care, poiché di tutti conosciamo le menzogne, noi che non sappiamo affat­ to che cosa sia la persona umana": tale sembra il messaggio, implicito o esplicito, diffuso da una parte considerevole della cultura attuale che tal­ volta dispera di se stessa dopo aver disperato dell'uomo. Nonostante l ' ac­ celerato sviluppo delle scienze umane, percepiamo la mancanza di un' ade­ guata conoscenza dell'uomo, di una vera sapienza dell 'umano. La più alta e complessa controversia, da gran tempo in corso e che accende gli animi ovunque, è la controversia sull' humanum il cui esito appare aperto. Sembra che quanto più le scienze cercano di stringere da presso la conoscenza dell 'uomo, tanto più questa si divincoli e sfugga alla presa dei saperi scientifico-analitici, lasciando dietro di sé interrogativi e tensioni . La sfida si era già dispiegata dinanzi ali ' occhio scrutatore di Pascal. "Avevo trascorso gran tempo nello studio delle scienze astratte, ma la scarsa comunicazione che vi si può avere con gli uomini me ne aveva disgustato. Quando cominciai lo studio dell 'uomo, capii che quelle scien­ ze astratte non si addicono all 'uomo, e che mi sviavo di più dalla mia con­ dizione con l ' approfondirne lo studio, che gli altri con l ' ignorarle. Ho per­ donato agli altri di saperne poco, ma credevo almeno di trovare molti compagni nello studio dell 'uomo. Sbagliavo : son meno ancora di quelli che studiano le matematiche" 1 . Con questo pensiero Pascal propone la domanda antropologica pochi anni dopo l' infausta separazione cartesiana fra pensiero/mente e corpo/esten­ sione, secondo cui l'io risiede nel pensiero e il corpo - affidato alla contin­ genza e ali' inessenziale - è pronto per essere attribuito alla regia della scien­ za e ad entrare nell'area del dominio tecnico. Il presupposto di non poche uti­ lizzazioni recenti delle scoperte genetiche e biologiche può venire con sicu­ rezza individuato nel dualismo cartesiano. La semplicistica divisione dei compiti fra scienza e filosofia - alla scienza la res extensa e alla filosofia il pensiero è diventata un ostacolo al sapere, in specie a quello vertente sulla vita che si rifiuta nella maniera più totale a essere ridotta a mera estensione. -

3) L' ingresso nella cultura dell' idea di persona ha rappresentato un punto di svolta tanto nella vicenda della filosofia quanto nella storia uni­ versale. Essa mostrerà la massima fecondità quando si estenderà in modo

8

planetario, ben oltre il mondo storico e culturale in cui ha preso avvio e sino ad oggi affonda le sue radici. Ma se la controversia sulla persona si accende di nuovo in questo ambito spirituale, è perché l'idea-realtà di per­ sona attraversa un momento di eclissi e richiede nuovamente la fatica del concetto. In tale congiuntura occorre rimeditare speculativamente la real­ tà della persona, accedendo ad un ' adeguata antologia metafisica. La chia­ rificazione della modalità d' essere della persona è di pertinenza della metafisica. La sua ricerca è più originaria e radicale di quella delle scien­ ze positive, comprese quelle umane, nel senso che l' indagine scientifica sulla persona non ne raggiunge mai l ' essenza. Il ricorso alla concettualità antologica vuole significare che il logos è altrettanto e forse più necessario del nomos per pensare la persona, nono­ stante l ' immagine disfattistica della filosofia e della metafisica, oggi dif­ fusa forse soprattutto nel pensiero continentale. Una razionalità ristretta attanaglia molti aspetti del pensiero attuale, pronto a gettare nel non-senso tutto ciò che non quadra con le sue misure. Il nostro sguardo si è fatto più anemico : spesso non siamo più in grado di cogliere nuclei dell' essere e del vivere che lungo millenni sono stati avvertiti dalle principali civiltà. Di questa razionalità diminuita fa le spese la persona. La nozione (e la realtà) della persona non è propriamente morale e/o valutativa, ma antologica. Il valore che attribuiamo alle persone dipende fondamentalmente dal loro status antologico, da cui in modo necessario procede la loro dignità, che è un ' dopo ' non un 'prima' . Ora nella moder­ nità l' antologia metafisica della persona è andata incontro ad un velamen­ to, che l ' enfasi sul suo valore assiologico (pensiamo a Kant) non è in grado di bilanciare. La riscoperta della persona risulta impossibile finché si permane nella sfera del soggetto autocentrato che fa perno solo su se stesso e rende tutto il resto oggetto. Il soggettocentrismo moderno, senten­ dosi agli sgoccioli, cerca una rivitalizzazione consegnandosi alla tecnica e alla volontà di potenza, in cui ogni cosa assume senso e realtà solo se è assicurata come oggetto calcolabile e utilizzabile per la rappresentazione dell ' io. Il soggetto non conosce l ' altro nella sua alterità ma lo rende un oggetto, che deve dare ragione di se stesso rendendosi disponibile per ogni possibile manipolazione.

4) L' antropologia filosofica attuale non è più d' impronta idealistica o esistenzialistica o psicoanalitica, come accadde nel XX secolo per perio­ di alquanto estesi. Ha abbandonato l ' idealismo con la sua visione ecces­ sivamente ottimistica e intellettualistica dell 'uomo, poco capace di mette­ re in conto le pulsioni irrazionali presenti in lui; ed ha pure in parte abban­ donato la prospettiva esistenzialistica della decisione e della contingenza, nonché quella psicoanalitica dell' inconscio.

9

Accade invece una decisa ripresa del positivismo col suo correlato quasi necessario che è il naturalismo, contro le intenzioni della fenome­ nologia: in effetti Husserl conclude la sua lunga polemica verso il positi­ vismo con La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascenden­ tale. Secondo l ' impostazione positivistica che adotta la lettura materiali­ stica dell ' essere umano, ciò comporta che l ' antropologia filosofica appartenga alle scienze della natura. L' assunto era ben presente in vari filoni dell ' illuminismo del ' 700 e Destutt de Tracy ne dà piena garanzia scrivendo nei suoi Eléments d 'Idéologie ("Prefazione") : "L' Ideologia è una parte della zoologia, ed è soprattutto nell'uomo che tale parte è importante e merita di essere approfondita". Riportata a zoologia, l ' ideo­ logia o gnoseologia si riconduce più esattamente a fisiologia delle sensa­ zioni. La premessa di Destutt è analoga a quella di Nietzsche : il pensare è sempre un sentire e alla sua base stanno le condizioni fisiologiche . L'uomo non c ' è più, perché la sua psiche è considerata mero epifenome­ no della volontà originaria e impersonale della vita come volontà di potenza; e perché il suo pensiero vale solo come un rapportarsi recipro­ co degli istinti. In sostanza il cammino dell ' antropologia materialistica, iniziato nel Settecento e per un certo tempo fermato dalla barriera ottocentesca eleva­ ta dall ' idealismo, è ripreso con forza. In tal modo tende a dissolversi per quanto concerne l ' antropologia delle scienze cognitive e della mente arti­ ficiale la contrapposizione fra scienze della natura e scienze dello spirito, ma al prezzo di una fondamentale riduzione : quella dell'uomo ad elemen­ to compiuto della physis. 5) Nel titolo del presente volume echeggia quello del celebre libro di H. Jonas : Il principio responsabilità. Un 'etica per la società tecnologica, che forse a sua volta trasvalutava il Principio speranza di Bloch2• Mi è parso che la fondamentalità della ricerca sulla persona potesse trovare un avallo in tale affmità, secondo cui ritrarre le cose verso il principio è operazione necessa­ ria quando tutto si confonde. Il nostro specifico ritrarsi verso l'origine è di taglio antologico, senza con ciò soggiacere all'illusione di aver detto tutto. Essendo la persona ultimamente eccedenza e ulteriorità mai completamente catturabile, non si dà un unico linguaggio su di essa, per quanto quello meta­ fisico sia imprescindibile e capace di andare alle radici. A maggior ragione appare insufficiente un rinnovamento soltanto discorsivo dell' accesso alla persona: finché non saranno riesperiti i nuclei centrali dell' esser-persona, non vi è molto da attendersi da operazioni di cosmesi linguistica. Principio-persona significa che nelle ricerche che riguardano l 'uomo e il suo agire non è sufficiente limitarsi al termine coscienza, né a quello di soggetto, né a quello di individuo cui viceversa molte filosofie della

10

modenlltà e postmodernità si sono riferite. La persona è originaria e pri­ mitiva, e raggiunge una profondità e permanenza che non hanno le altre categorie appena citate o l 'uso che spesso ne è stato fatto. 6) In filosofia il Novecento è stato il secolo del personalismo, nel quale numerosi e profondi sono stati i corifei della persona. Un elenco incom­ piuto include i nomi di Max Scheler, Edith Stein, Dietrich von Hildebrand, Paul Landsberg, Adolf Reinach, Emmanuel Mounier, Gabriel Marcel, Jacques Maritain, Romano Guardini, Paul Ricoeur, Emmanuel Lévinas, Vladimir Soloviev, Karol Wojtyla, Robert Spaemann, Martin Buber. Indubbiamente il personalismo quale insieme di scuole e correnti filosofiche che assegnano speciale valore e dignità alla persona, non è in senso proprio un ' invenzione del ' 900, ma originariamente della Patristica, del Medioevo cristiano e dell'Umanesimo : qui sono state elaborate in certo modo per sempre le idee fondamentali sulla persona e dischiuso come nuovo guadagno il suo spazio di realtà. E se è vero che il persona­ lismo del Novecento talvolta toglie qualcosa a questa grandiosa tradizio­ ne, d' altra parte vi aggiunge anche non poco per quanto concerne lo svi­ luppo delle scienze sull 'uomo, il tema dei diritti umani, le intuizioni sulla giustizia e l ' eguaglianza umana, il valore della vita comune, il fatto che la dignità, inerente ad ogni persona, deve essere difesa concretamente per tutti. I personalisti hanno reagito a quella spersonalizzazione dell'uomo che può operarsi lungo varie strade e che conduce infallibilmente all 'abo­ lizione dell 'uomo, quale è ad es. dipinta da Robert Musil in L 'uomo senza qualità. Viceversa, sia pure entro una considerevole varietà di registri, le filosofie di taglio personalistico assumono che la persona umana è al cen­ tro della realtà o dell ' essere, che ognuno è dotato di una speciale dignità, che alcune filosofie più intensamente personalistiche ritengono infinita. Perciò ogni essere umano è unico e insostituibile. Oggi il personalismo egualitario con il corteo dei diritti umani che appartengono alla persona, costituisce la base solida per edificare un cosmopolitismo politico : tale personalismo dà voce all' idea che le unità fondamentali di rilevanza antologica, morale e politica sono le persone, portatrici di eguale valore ed eguale dignità, e non gli Stati o altre forme di associazione umana. Due capitoli esplorano i riflessi di tale assunto sulle questioni della pace e della democrazia. Il personalismo del XX secolo, se è stato influente nella critica dei tota­ litarismi drasticamente antipersonalisti, e se ha gettato i suoi semi nella Carta dell ' ONU e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell 'Uomo, ha incontrato minor penetrazione negli ultimi decenni in Occidente negli ambienti segnati da individualismo e darwinismo. Attacchi al principio-

11

persona provengono dallo scientismo e, in altri contesti, dall ' antipersona­ lismo a base marxista esistente in Cina e dall' antipersonalismo non così raro in India. Uno dei grandi compiti storici del personalismo fu di reagire alla crescita della spersonalizzazione, ali ' epoca delle masse amorfe, che non di rado conducono per reazione all ' individuo isolato e senza legami. Secondo una nota posizione di Ricoeur, il personalismo negli anni ' 50 e ' 60 del secolo scorso "non è stato così competitivo da vincere la batta­ glia del concetto'', riuscendo con difficoltà ad influenzare l ' elaborazione del pensiero mondiale3 • Il personalismo ha sì costituito insieme all ' esi­ stenzialismo e al marxismo un' espressione culturale diffusa a cavallo degli anni ' 50 del secolo passato, ma la sua durata è stata alquanto labile. Contribuirono al suo declino il pensiero strutturalista e la ripresa podero­ sa del nichilismo di matrice nicciana. D ' altro canto si deve registrare un influsso positivo di alcune intuizioni personaliste, recepite ad es . nelle C arte costituzionali italiana e tedesca e nell' azione politica in vari Paesi. Alla valutazione ricoeuriana è giusto riconoscere una parte di verità, con­ cernente forse alcune espressioni del personalismo francese, meno se voles­ simo estenderla a tutto l'ambito della filosofia della persona. Questa ha con­ tinuato ad esprimersi con vigore, incontrando però l'opposizione o venendo marginalizzata dall'irrompere dell'oblio dell' essere, del nichilismo, delle filosofie del Neutro, da varie correnti analitiche, dalla diffusa pastura antime­ tafisica e postmetafisica. Nell' oblio dell' essere non è precontenuto l'oblio della persona, essendo questa la più alta e piena realizzazione dell'essere? Da numerosi anni desideravo dedicare una riflessione specifica alla persona, e per altrettanti pensavo di abbinarle una filosofia dell' amore. Su entrambi i temi, in specie sul secondo, ho tenuto vari corsi presso l 'Università di Venezia, di cui conservo schemi e stesure parziali. Nell'anno accademico 2000-0 1 , un' epoca in cui insegnavo ' Storia della filosofia morale ' , svolsi il tema ' Pensare la persona' , e ne pubblicai le dispense presso l ' editrice Cafoscarina. Riprendendo adesso in mano il progetto, ho ritenuto opportuno concentrare il discorso sulla persona, assegnando minor sviluppo alla questione dell ' amore4.

Note 1 Pascal, Pensieri, n. 1 76,

Ed.

Serini, Mondadori, Milano 1970, p. 1 3 5 . 2 Solo tnolto tempo dopo aver scelto il titolo mi sono reso conto che C . Arata aveva nel 1 977 intitolato un suo studio "Principio di Pannenide e principio di Persona", RFNS, n. 4, 1 977, pp. 58 1 -609, sostenendo un 'personalistno teologico ' nutrito da "La Metafisica della Pritna Persona" (cfr. RFNS, n. 2, 1 98 9, pp. 18 1 -200) .

12

3 P. Ricoeur, La persona, Morcelliana, Brescia 1 997, p. 22 . 4 Richiamo per comodità i luoghi in cui ho trattato della persona: Una filosofia per la transizione, Massimo, Milano 1 98 4 ; Approssimazioni all 'essere, Il Poligrafo, Padova. 1 995 ; Religione e vita civile, Annando, Roma 2002 ; Nichilismo e metafisica . Terza navigazione, Annando, Roma 2004; Noi che non sappiamo affatto che cosa sia la persona umana . . . , «Filosofia oggi», gennaio-marzo 2004, pp. 3-28 .

13

PAR TE PRIMA METAFISICA DELLA PERSONA

Per intendere il mistero antologico della persona non è necessario entrare nel teatro della storia universale: oltretutto nessuno al mondo è tanto ricco da poter pagare il prezzo del biglietto d'ingresso, e que­ sto teatro ha un solo spettatore reale, il quale vi accede gratis. Più che entrare nel teatro della storia universale, per il quale basta e avanza Hegel, è conveniente entrare nello spessore del/'essere. Quando pen­ siero e prassi entrano in crisi e le loro certezze si oscurano, è il momento di ritirarsi verso le sorgenti e i principi, mettendo i piedi sul solido terreno dell'essere per acquisire nuovo slancio. Se il compito della persona è di comprendere se stessa, il compito del pensiero è di comprendere la persona nel!'esistenza.

15

Capitolo primo La persona nella dottrina dell'essere

l. Persona e modernità antropocentrica l ) Nel XIX e XX secolo parte dell 'umanesimo europeo ha percorso un cammino discendente che ha provocato una restrizione di contenuto e significato attribuiti all ' esser-persona; ciò è paradossalmente accadu­ to nell ' epoca in cui l ' idea di persona ed i connessi diritti umani produ­ cevano importanti progressi civili 1 . Ma sono progressi a rischio, se l ' idea di persona è svuotata del suo contenuto e ricondotta ad un' espres­ sione verbale di maniera. Il processo è andato di pari passo con la con­ clusione dell ' epoca della modernità filosofica, che prese le mosse dal soggetto e dall ' Io trascendentale in una dichiarazione di assoluto antro­ pocentrismo . Questo è in maggiore o minore misura rimasto nella cultu­ ra, ma meno certo di se stesso, nel senso che da tempo assume la forma di un antropocentrismo di declino piuttosto che di quello ascendente e di gloria dei secoli XVI-XIX. Siamo infatti dinanzi non alla sua fine, ma ad un ricentramento, ad un suo cambio profondo . Poiché non si crede più al mito prometeico dell 'uomo nuovo ed alla società completa­ mente liberata, l ' antropocentrismo si ridefinisce facendo perno sul sin­ golo e trasformando le grandi narrazioni collettive in racconti singoli e del singolo . Forse ciò che meglio definisce il ricentramento antropolo­ gico in atto risiede in una concezione antieroica della vita che produce un ' io minimo ' . La stessa filosofia dell' esistenza (Existenz) tedesca del primo dopo­ guerra fu anch' essa antropocentrica per definizione, poiché il termine ' esistenza' non intendeva indicare nient' altro che l ' essere dell 'uomo, anche se poi questo era letto con categorie di declino quali l ' essere-per-la­ morte. Nell' antropocentrismo non è in primo luogo rilevante il suo esse­ re ascendente, pieno di confidenza in se stesso, o discendente e pervaso da un senso di declino e perfino di scoramento, ma il fatto di essere antro-

17

pocentrismo, dove il soggetto umano si riferisce solo a se stesso, e si pensa in maniera compiutamente finitistica. Così è pronto per cadere nelle mani dei totalitarismi. Una delle basi del principio totalitario consiste nella riduzione ideali­ stica dell ' essere reale a concetto, processo logico di pensiero in cui le dati­ tà reali vengono annullate a vantaggio della Mente impersonale. Era quan­ to intuiva lucidamente G. Orwell nel suo 1984: "Tu credi che la realtà sia qualcosa di oggettivo, di esterno, che esiste per proprio conto. E credi che anche la natura stessa della realtà sia evidente per se stessa . . . Ma io ti dico, Winston, che la realtà non è esterna. La realtà esiste nella mente degli uomini, e in nessun altro luogo. Non nelle menti individuali, e cioè in questa o in quella, che invece possono commettere errori, e che in ogni caso è destinata a svanire prima o poi : ma solo nella mente del Partito, che è collettiva e immortale. Qualsiasi cosa il Partito ritiene sia vera, è vera. È impossibile vedere la realtà se non attraverso gli occhi del Partito"2 . 2) Assumendo che l ' etica costituisca un rivelatore sensibile della condizione del soggetto, nella prima metà del Novecento accadde un ' eterogenea simbiosi di positivismo scientistico e di esistenzialismo . Si realizzava perciò un ambiguo incontro fra una razionalità pubblica­ mente attestabile e proceduralmente modulata, e il problema della scel­ ta ultima, privata e irrazionale dei valori, secondo la previsione di Max Weber sulla sdivinizzazione e sulla gabbia d' acciaio della razionalità strumentale . La neutralità rispetto al valore sostenuta dalla razionalità di tipo scientifico si accostava estrinsecamente all' irrazionalità e al politei­ smo dei valori propri della seconda linea, in una mescolanza in cui era in linea di principio impossibile trovare un esito . In consapevole alter­ nativa a questo quadro vennero sviluppandosi nel periodo indicato varie scuole di indirizzo personalistico, miranti alla riscoperta e alla tematiz­ zazione filosofica della persona, che ebbero considerevole rilievo nel tessuto del pensiero mondiale . Esse reintroducevano un motivo che era negato dalle prevalenti culture antipersonalistiche provenienti da Hegel, Nietzsche, Marx, Gentile, Lowith. L' essor planetario dei totalitarismi veicolanti massificazione e schiacciamento della persona, contribuì per la sua parte all ' esito, creando un clima in cui la difesa della persona apparve a vasti settori urgente compito della politica e del filosofare. Avemmo allora un personalismo italiano in genere di origine attuali­ stica, spiritualistica o antologica (Carlini, Guzzo, Sciacca, Stefanini, La Pira), uno francese di impianto comunitario ed etico, talvolta congiunto con un quadro metafisica tomistico (Maritain, Mounier, Nédoncelle, Lacroix, Bastide), uno tedesco di impronta fenomenologica (Landsberg, Scheler, E. Stein, in certo modo Guardini e Buber), uno russo caratteriz-

18

zato dalla mescolanza sinergica di letteratura, filosofia e teologia, che è propria di quella cultura (N. Berdj aev, L. Sestov, S . Frank, N. e V. Losskij , P. Florenskij , S . Bulgakov). Né andrebbe dimenticato il pensiero neoe­ braico (Rosenzweig, Buber, Lévinas) che, pur non autodefindosi persona­ listico, raccoglie e svolge temi affini3 . In tempi più recenti la permanenza del personalismo è attestata dai lavori di K. Wojtyla (Persona e atto), J. Seifert (Essere e persona), P. Ricoeur (Se stesso come un altro), C. Taylor (Radici del! 'io), l. Mancini (Tornino i volti), L. Pareyson (Esistenza e per­ sona) . Notevoli spunti personalistici si trovano nelle posizioni comunica­ tive, narrative, etiche e linguistiche diffuse negli ultimi decenni nel pen­ sare filosofico mondiale. Alla metà del ' 900 la situazione del personalismo pareva solidamente attestata. Eppure la triade di 'personalismo, esistenzialismo, marxismo ' , ritenuta da E . Mounier e da J. Lacroix la caratteristica durevole di un' epo­ ca, ha in realtà avuto vita alquanto breve. Con gli anni ' 50 e ' 60 i tre fratel­ li nemici si sono trovati sottoposti all' attacco strutturalista vibrato contro la categoria generale d'umanesimo. Mentre l ' esistenzialismo e il marxismo hanno per diverse strade sostanzialmente concluso il loro cammino, nella realtà della persona si incontra un nucleo perenne dell' essere e un elemen­ to inaggirabile. La persona è infatti primitiva; non si deduce da nulla e non si può ridurre a cosa, a oggetto. "L' io - scrive Berdjaev - prima di tutto è esistente, appartiene al dominio dell'esistenza . . . L' io prima di ogni oggettivazione è, in virtù della sua natura esistenziale, libertà . . . E per natura iniziale e primitivo. Ciò che è primo non è, come pensano molti filosofi, la coscienza; è l'io immerso nell' esistenza"4. Che poi questa scuola si denomini 'personalismo ' o in altro modo, è un' altra e meno rilevante questione. "Meurt le personnalisme, revient la personne" ha scritto un quarto di secolo fa P. RicoeurS, a indicare appunto l' inessenzialità del termine personalismo e l'essenzialità di quello di perso­ na. Intendiamo bene la sua diagnosi. A rigore la persona non può "ritornare", perché non e mai ''andata via". E invece cambiato il modo di guardare ad essa, sono mutate le dottrine sulla persona. Il personalismo non è più sol­ tanto una filosofia militante come fu nella prima della metà del XX secolo, ma una scuola filosofica necessaria in ogni contesto storico e culturale. Intanto nello sfondo sta il permanente problema dell 'umanesimo, quale categoria essenziale della storia dello spirito . "Ritorna la persona" può anche voler dire : ritorna la questione dell'umanesimo, con cui occor­ re nuovamente fare i conti, e con essa la domanda di Kant, la quarta: che cosa è l'uomo? ,

,

3) Le aporie provenienti dall' accostamento fra positivismo scientisti­ co e esistenzialismo irrazionale e decisionistico non sono oggi meno pre-

19

occupanti di un tempo, e anzi più serie per il crescente potere di disposi­ zione sull'uomo che proviene dalla scienza. Inoltre si è aggiunto l' attacco antipersonalistico condotto dal postmodemismo. Esso spesso si ammanta sotto le vesti di una filosofia del Neutro, dove il soggetto o quel che ne rimane viene risolto nell ' eterno circolo della Natura o Physis: pensiamo a autori come Nietzsche e Lowith6. Si consideri anche l ' atteggiamento empiristico così ampiamente diffuso, che sulla scorta di Hume nega signi­ ficato al termine di dignità umana e cerca di sostituirlo con un anonimo riferimento al concetto di vita. Qui l ' antipersonalismo è massimo e l ' idea di persona non può tornare. In tale congiuntura spirituale dove si somma­ no crisi del pensare filosofico e minacce alla persona umana, occorre riaccostare la realtà della persona. E quanto faremo in questo ' discorso breve' , il cui registro essenziale o cantus firmus è antologico e speculati­ vo . La nozione (e la realtà) della persona non è principalmente morale, ma antologica. Il valore che attribuiamo alle persone dipende fondamentalmente dal loro status antologico, da cui procede la loro dignità. E a questo livello che occorre nuovamente vincere la battaglia del concetto. Le epoche postmetafisiche o antimetafisiche incontrano serie difficoltà a comprendere che cosa sia la persona, poiché la sua verità non è separabi­ le dalla verità dell' essere. Nel momento in cui il pensiero cerca un adeguato ingresso al mistero antologico che è la persona umana, esso avverte che una definizione del­ l 'uomo in base al suo essere nel Mondo o al rapporto col Mondo o al con­ essere (vita nella comunità) non ne raggiunge ancora il nucleo più origi­ nario. Il rapporto della persona con l ' Essere e con la Verità è più radicale e universale del suo rapporto con il Mondo : con la sua interiorità essa sporge oltre la storia e il cosmo. Là dove l'uomo è fondamentalmente compreso a partire solo dall' essere nel Mondo, è immanente il rischio di una filosofia del Neutro. Secondo E. Lévinas un disguido del genere potrebbe valere per il pensiero heideggeriano : "In Heidegger il mondo è molto importante. Nel Feldweg c ' è un albero : non s ' incontrano uomini"7. Nello speculativo è in certo modo presente il teologico. Con tale aggettivo intendiamo con Pareyson che "il rispetto della persona è un' esi­ genza così tipicamente cristiana, che si può dire non solo che soltanto una filosofia cristiana può giustificarlo e fondarlo teoreticamente, ma anche che una filosofia la quale ne dia una giustificazione teoreticamente fonda­ ta è perciò stesso cristiana"8 . Dalla teologia cristiana la filosofia riceve la notizia, senza compagna nella storia dell'umanità, che lo spirito umano ha come supremo polo di orientamento un atto interiore, ossia l' azione coro­ natrice del moto volitivo e intellettivo dell 'uomo, col quale la persona umana si unisce all'Assoluto in un itinerarium mentis in Deum: ab exte­ rioribus ad intima; ex intimis ad Deum . Nell' atteggiamento io-tu e nel ,

,

20

momento ek-statico si innesta come possibilità l ' incontro con qualcuno che emette un appello, e dunque la dimensione della sequela. Non si potrebbe comprendere la filosofia platonica se non come sempre risorgen­ te riflessione sull ' incontro con S ocrate, né quella cristiana se non come stupore contemplativo dinanzi al mistero del Verbo incarnato.

2. Personalismo ontologico : il concetto di persona l ) Quando la filosofia esce dal pensiero astratto e si volge ali ' essere reale, comprende di essere sfidata da un difficile compito : è sempre arduo avere a che fare con l ' esistenza. Aprendo gli occhi dinanzi alla realtà l'uo­ mo ne incontra molte forme. Presto si accorge che la più alta ed enigma­ tica è l ' esistenza della persona, dove la riflessione incontra un nucleo in certo modo inesauribile, un centro sempre nuovo di vita, libertà, azione . La multiforme ricchezza della persona rende possibile al pensiero molte­ plici accessi verso il suo nucleo costitutivo da dove promana la sua azio­ ne e a cui essa ritorna. In certo modo bisogna trasferire nella persona il centro della filosofia, perché là si trova il centro della vita e della libertà (il senso di questo assun­ to, che è lungi dal ridurre la filosofia ad antropologia, diverrà via via chia­ ro); perché là sta una cifra essenziale dell' essere. Pensare l 'essere e pensa­ re la persona si collocano sullo stesso asse per un duplice fondamentale motivo : il livello più alto dell' esistenza è l ' esistenza in forma personale, nel senso che la persona costituisce l 'essere più perfettamente essente; la perso­ na esiste e non può che esistere se non nella forma della conoscenza, com­ prensione e apertura all' essere. Con tali assunti non intendiamo sostenere che la metafisica della persona costituisca un terzo paradigma antologico accanto a quello dell'Uno e a quello dell'Essere, poiché la persona è nell' es­ sere e ne costituisce la più alta concretizzazione, e il principio-persona non fa che portare a compimento il paradigma della metafisica dell' essere. Sostenendo che occorre trasferire nella persona il centro della filosofia, ci siamo espressi a favore di quanto si potrebbe chiamare una concezione personalistica del filosofare, a patto però di intendersi. L' espressione può venire compresa in due maniere. Può significare (ed è, crediamo, l' acce­ zione corretta) che, costituendo l ' esistenza personale la più alta forma del­ l ' essere, nell' antologia della persona la filosofia raggiunge un vertice. Si tratta, se ci si passa l ' espressione, di personalizzare l 'antologia . Possiamo conoscere più profondamente l ' essere se lo studiamo attraverso la persona, considerandola un luogo privilegiato d' accesso alla realtà. Ma può anche significare che la filosofia assume come suo oggetto originario e unico solo

21

la persona stessa, quasi essa fosse un' entità separata dalla vita cosmica; qui per concezione personalistica della filosofia si intenderebbe una sua ricon­ duzione ad antropologia, che rappresenta una forma di riduzionismo cui la filosofia è soggetta nella postmodemità. 2) Nell' accostarsi alla persona molte domande si affollano . Che cosa definisce la persona? Il suo corpo? L'unità dell' io autocosciente che rima­ ne se stesso entro il molteplice fluire delle sensazioni? La memoria che, raccogliendo nei suoi padiglioni i momenti successivi dell ' esistenza vis­ suta, evita lo sparpagliamento e la frammentazione di sé nel tempo? Sono gli atti di volontà, conoscenza e amore che fluiscono dall' io? E la capacità di porsi in relazione con l ' alterità? La persona è tutte queste cose insie­ me, che trovano un nucleo ultimo di appoggio nel suo atto d' essere, unico e unitario . Per inoltrarci nel cammino occorre raggiungere una defmizione reale della persona, che si differenzi tanto da una definizione soltanto funzionale raggiunta attraverso il riferimento ad alcune proprietà dell'esser persona, quanto da un approccio nominale. Intendiamo per definizione nominale quella che ha un' apparenza di verità, ma che non coglie la natura specifica dell' oggetto defmito : ad es. dire dell'uomo che è un "animale sociale", per­ ché questa qualificazione non è soltanto sua (un altro esempio è definire il cane come un mammifero a quattro zampe, determinazione che si applica a molte specie di mammi feri). Con la ricerca di una defmizione reale ci si volge alla natura della cosa stessa, non ad una semplice stipulazione contrat­ tuale del comportamento legittimo. L' approccio è perciò di tipo fondamentahnente cognitivo, senza intenti giustificazionistici o apologetici. Nella tradizione filosofica sono state avanzate determinazioni del con­ cetto di persona tra loro affini, e che per la loro coerenza razionale si pon­ gono come imprescindibili termini di confronto : le citeremo in italiano, ricordando anche l ' espressione latina originaria. La più nota ed antica è la determinazione boeziana, secondo cui persona è una sostanza individuale di natura razionale (rationalis naturae individua substantia) : il richiamo alla sostanza mette in luce il carattere di soggetto esistente (sostrato), e non solo di semplice attività, della persona. Vicine alla boeziana si collo­ cano le defmizioni di Riccardo di San Vittore per il quale la persona è un' esistenza individuale di natura razionale (rationalis natura e individua existentia), e dell'Aquinate che la determina come un individuo che sus­ siste in una natura razionale (individuum subsistens in rationali natura), in cui si riflette la tensione fra riferimento universale alla specie (rationa­ lis natura) e carattere individuale (individua substantia) : noi tutti appar­ teniamo all 'umanità, ma ciascuno a suo modo9• Secondo Tomm aso l ' esi­ stenza personale è la più perfetta tra tutte : "La persona significa quanto di '

22

più perfetto vi è nella natura, ossia qualcuno che sussiste in una natura razionale" ("Persona significa t id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet subsistens in rationali natura") 10, poiché in nessun altro individuo si può rinvenire una gamma altrettanto ricca di perfezioni antologiche e operative, e una più profonda unità, scaturente dalla forma sostanziale. Alcune avvertenze sono necessarie per cogliere tutta la ' dirompente ' portata del discorso introdotto e non equivocare in merito. In effetti il prin­ cipio-persona riceve in questo spazio di esistenza e di concettualizzazione lo slancio che ne assicura la carica di futuro. 2 . 1 ) La nozione di persona fa ricorso a concetti (sostanza, natura, indivi­ duo, razionalità) di piena pertinenza della filosofia, ciascuno dei quali fu ampiamente elaborato dal pensiero greco, senza che questo pervenisse a formulare l' idea di persona. La scoperta dell'universo della persona è guadagno postgreco, ed esso stabilisce una rivoluzio­ ne filosofica iniziata nei primi secoli della nostra era, che è ben lungi dall' aver esaurito le sue virtualità1 1 . Oggi e ancora domani dovremo fare i conti con essa. 2 . 2) In tutte le determinazioni citate compare la fondamentale nozione di individuo, la quale non significa che l ' individuo sia indivisibile, ma che è indiviso ossia dotato di unità. L' individualità non implica l ' in­ divisibilità come se l' individuo fosse un a-tomon, ma implica l ' esi­ stere come un tutt'uno in sé indiviso, e diviso dagli altri (indivisum in se et divisum a quolibet alio). 2 .3 ) Altrettanto centrale è la nozione di sostanza prima. Nelle Categorie Aristotele la definisce come "ciò che non è in un soggetto né è pre­ dicato di un soggetto" 12. L' esistere in sé è dunque il carattere della sostanza, che gode di un modo di esistenza che basta a se stessa e che è indipendente da altri soggetti : ciò che esiste in sé e non in altro, e che esercita in proprio l ' atto d' esistere, si dice che sussiste (subsistit in quantum non est in a/io sed per se existit). Il carattere del sussistere rappresenta la proprietà più radicale dell' esistere sostanziale 1 3 . Preferendo il participio subsistens al nominativo astratto substantia della definizione boeziana, Tommaso stabilisce il costitutivo forma­ le della persona come un esistente in sé (o un sussistente) e come un esistente per sé. Col primo termine si allude al fatto che la persona costituisce una realtà sostanziale, che non esiste in altro o come modo di altro; col secondo che non è in vista d' altro, ma esiste in vista di se stessa (propter se, non propter aliquid). Si pone come fine, non come mezzo. Questo carattere essenziale dell' essere perso­ na, ossia il suo valore di fine, sarà ripreso da Kant nella ben nota,

23

seconda formula dell' imperativo categorico. Ma Kant lascerà cade­ re il carattere antologicamente antecedente e fondante della sostan­ zialità o dell ' in sé, incamminando la dottrina della persona verso periodiche crisi. La persona sussiste in sé in quanto esercita il proprio atto d' essere, l ' atto primo e radicale della sostanza individuale : poiché in esso si radicano e da esso prendono vita tutti gli altri atti (secondi) della per­ sona, costituisce la fondamentale dinamizzazione dell ' esistenza. 2 .4) La concezione della persona quale emerge dalle determinazioni cita­ te, è dunque legata a quella della sostanza, verso cui da secoli una parte del pensiero filosofico nutre un profondo sospetto, desideran­ do sostituirla con quella di funzione (Hume, Kant, Kelsen, C assirer, ecc.) : su questo aspetto del tutto fondamentale ci soffermeremo ampiamente in questo capitolo e nel cap . IV. Qui basterà anticipare che la modalità più frequente con cui si cerca di dissolvere il concet­ to di sostanza riducendolo a quello di funzione, consiste nell' immer­ gere ogni asserzione in una prospettiva evoluzionistica: le questioni di essenza e di origine sono negate e riportate entro un onnicompren­ sivo evoluzionismo. In tal modo tanto l ' accertamento antologico quanto la valutazione morale non sono compiuti richiamandosi a forme ed essenze, ma analizzando processi: le leggi della vita, della persona, dell ' etica sono in processo esse stesse. Ciò segna la vittoria non della teoria scientifica dell' evoluzione che ovviamente mantie­ ne un suo ambito di validità, ma di un' ingenua metafisica evoluzio­ nistica secondo cui tutto è in divenire e niente è stabile e fermo. Un assunto in sé contraddittorio. Tanto più importante dunque è mettere in rilievo che nella persona umana il carattere della 'razionalità' è immanente in maniera necessa­ ria alla natura umana, nel senso che là dove vi è appartenenza alla spe­ cie umana vi è natura umana col suo carattere specifico della 'razio­ nalità' o del logos. Ciò significa che là dove è natura umana individua­ ta sono parimenti presenti, per quanto possano risultare inapparenti, l'intellettualità e una persona umana singola e determinata. 2 . 5) Le espressioni ' soggetto individuale ' , ' sostanza individuale ' e ' sup­ posito ' (suppositum ), che possiamo assumere come equivalenti, pos­ sono riferirsi tanto a ' qualcuno ' come a ' qualcosa ' . Ora la persona, che è qualcuno, aggiunge un elemento essenziale a questi termini; è un soggetto ben diverso da tutti quelli che ci appaiono nel mondo visibile, in quanto è dotato di logos, ossia di ragione e di linguaggio. L' accertamento della sua natura non può venire semplicemente ricondotto agli enti del mondo che, pur viventi, possono avere voce ma non pensiero né linguaggio.

24

2 . 6) Le definizioni di Boezio e dei suoi successori includono il livello corporeo-biologico-genetico, poiché l ' individuo umano è anche cor­ poreo. Di conseguenza ci si può attendere che non venga messo da parte tale livello, diversamente dall ' approccio idealistico che consi­ dera solo l ' autocoscienza, la razionalità e il giudizio morale come elementi costitutivi della persona, e che pertanto introduce una sovradeterminazione della sua idea a svantaggio dell ' elemento della corporeità, ritenuta quasi un' aggiunta inessenziale. Ora la persona umana quale unità di corpo e spirito non può essere privata né della componente biologica né di quella dell' anima. Appare un equivoco spiritualistico quello di trascurare l' elemento biologico come acci­ dentale e ininfluente, come è un equivoco biologistico ridurre l 'uo­ mo alla sua valenza biologica. Mentre nelle teorie a base empiristica e pluralistica, quale quella di Derek Parfit (cfr. Ragioni e persone), la persona sarebbe un insie­ me di io successivi e di stati successivi privi di un sostrato comune, ciò non accade nell ' approccio secondo sostanza. In esso risulta inoltre salvaguardata l ' eccedenza della persona rispetto ai propri atti e fondata la differenza tra l ' esser persona e la personalità, se con questo ultimo termine intendiamo la progressiva acquisizione su piano operativo (atto secondo) di qualità che appartengono alla persona in quanto fluiscono dalla sua essenza, ma che non necessa­ riamente accompagnano fin dali' inizio l ' esistenza della persona. Non c ' è perciò contraddizione nel sostenere che un individuo può essere ad un tempo persona in atto e personalità in potenza. Mentre il divenir persona come possesso del proprio statuto antologico radicale non è un processo, ma un evento o atto istantaneo, per cui si è stabiliti nell ' esser persona una volta per tutte -, la personalità è qualcosa che si acquista processualmente, attraverso l ' effettuazione di atti personali (secondi) 14. 3) La persona come totalità e interiorità. La riflessione sinteticamen­ te svolta sulle nozioni che strutturano la realtà della persona, è ad un tempo preziosa ed insufficiente a trasmettere tutta la densità che le è pro­ pria. Vi è bisogno di compiere altri passi e di elaborare ulteriormente, senza pensare di poter esaurire l ' ambito della vita personale il cui nucleo centrale è parzialmente ineffabile. Anche se questo è vero e so di non poter esprimere l ' inesprimibile, intuisco che l ' inesprimibile è contenuto e in vario modo trasmesso in quanto è espresso. Quale soggetto sostanziale di natura spirituale, dotato d' intelligenza, libertà, autocoscienza ed interiorità, la persona vive nell' apertura alla tota­ lità dell ' essere, secondo una proprietà radicale che è la capacità dell' ani-

25

ma (mente e volontà) di porsi in rapporto intenzionale con tutte le cose 1 5 . Ogni persona vive in un modo originale la sua relazione con l 'universo, il suo essere copula mundi e li esprime con caratteri liberi e creativi, proiet­ tando linguaggi sempre nuovi. Essa si presenta soprattutto come un cen­ tro di unificazione dinamica che procede dall' interno, un'unità che dura nel tempo al di sotto di tutti i cambiamenti e al di là dei flussi psicologi­ ci, della molteplicità delle sensazioni, dello sparpagliamento temporale e spaziale dell ' io . Vale perciò come una totalità: la persona non è mai mera parte. Essa è capace di tenersi in mano, di ritornare su se stessa attraverso una autoriflessione compiuta e di scendere in se stessa possedendosi attra­ verso un' azione immanente . Ciò costituisce l ' interiorità, concetto che non andrebbe inteso in senso primariamente spiritualistico ma antologico. In virtù di tale privilegio l'io non è principalmente determinato dall ' esterno ma si determina a partire da se stesso, rispondendo attivamente agli stimo­ li esterni e operando scelte. L' interiorità non possiede una portata soltan­ to psicologica avente a che fare con la coscienza e la memoria; costituisce una modalità d' essere e una "rivelazione" del fatto che, non essendo tutto in superficie secondo estensione e durata, esiste la dimensione del profon­ do e dell ' intimo. Con la persona viene a manifestazione una profondità di ciò che è individuale ben maggiore di quella riscontrabile negli individui esclusivamente materiali : questi non possiedono alcuna interiorità, la per­ sona sì, e ciò rivela un nuovo volto dell ' essere. Interiorità significa altresì, stando in se stessi, esistere dinanzi all ' altro e attivare la perfetta esteriorità della relazione con lui. Senza forzature si può sostenere che la relazione interpersonale è incontro nell ' esteriorità di due interiorità. Proprio a tale livello inizia un cammino mai finito verso l 'unità delle manifestazioni della persona (esperienza che la sapienza indiana chiama col termine ' advaita' ) : raggiungere nei registri psicologi­ co, affettivo, dell ' agire e del pensare quell'unità che l 'uomo possiede in radice, che gli è già data e che consiste nell 'unità antologica del suo atto d' essere. L'uomo deve diventare (psicologicamente, moralmente) quello che è già ontologicamente16. Raggiungere l ' interiorità è per ogni uomo tornare verso il centro di se stessi, operando un controesodo o un ' controesilio ' . Ogni persona è in esilio da se stessa. E un Ulisse che cerca costantemente il sentiero verso il proprio paese natale, che è in cammino verso Itaca, il proprio luogo inte­ riore. Quando il viaggio ha successo, l ' io riposa nel proprio centro, di cui durante il tempo anteriore conosce qualcosa nei simboli, nei segni, negli eventi del proprio esistere. Itaca come manifestazione del centro è il luogo dove l ' io può incontrare la Realtà Ultima. ,

26

Entro il quadro dell ' interiorità si colloca il tema del cuore, di cui leg­ giamo nella Bibbia: "La radice del pensiero è il cuore" (Sir 3 7, 1 7), ed anche: ''Custodisci il tuo cuore con ogni cura, poiché da esso sgorga la vita" (Pr 4, 23). Il cuore dunque come centro della persona, come luogo intimo di ciò che è più umano e personale, per cui un uomo ' senza cuore ' non è in primo luogo un malvagio ma un uomo poco uomo, un uomo riu­ scito a metà. Una filosofia che conosce il valore del cuore difficilmente si ingannerà sulla persona perché, rifuggendo dal razionalismo che vede nel­ l 'uomo solo l ' attività razionale della mente, non lascerà da parte l ' amore, gli affetti, i sentimenti, il patire. E sarà in grado di porsi come philosophia cordis, secondo cui la sopportazione del dolore rivela in profondità l 'uni­ verso della persona. Una filosofia della persona come interiorità oggettiva è in grado di fondare l 'intuizione di Kierkegaard, secondo cui il singolo è irriducibile al genere o alla totalità delle cose esistenti. Per la persona vale la legge che il singolo sta più in alto del genere : è un qualcuno, non un qualcosa, e come tale esiste in modo assoluto di fronte ali' Assoluto. Essendo la sola creatura nell 'universo voluta in vista di se stessa e non di altro (solo la persona è propter se qua esita in universo dal creatore, osserva Tommaso ), essa è un microcosmo, un' immagine finita e incompiuta dell ' infinito e perciò infinitamente moltiplicabile senza rischio di duplicazioni e ripetiztont. .

.

3. Coprimento o controapocalisse della persona. Excursus sul suo concetto nella modernità Dopo la straordinaria esplorazione compiuta dai medievali sulla per­ sona, la sua questione ha avuto innumerevoli riprese nella filosofia moderna, spesso all' insegna di periodiche crisi. Non vogliamo tracciarne qui la vicenda da Boezio ad oggi, ma il suo dipanarsi dall 'Umanesimo in avanti. Il filo conduttore che intendiamo verificare in questo excursus o sintetico raccourci consiste nell 'idea che nella modernità filosofica sia accaduto un velamento della persona, che sarei tentato di chiamare una ' controapocalisse ' , per quanto concerne non la sua dignità, numerose volte affermata, ma le sue radici antologiche sostanziali. La crisi della sostanza in molte scuole della modernità impedisce la formazione di un adeguato personalismo a base antologica. L' interrogativo che si ripropo­ ne è se l ' esser persona si riconduca semplicemente ali ' esercizio di certe attività, o primariamente al possesso di una determinata natura/essenza, da cui scaturiscano operazioni specifiche proprie. Per anticipare quanto ci

27

pare emerga dali ' esame degli autori analizzati, la direzione prevalente nella filosofia moderna, salvo limitate ma autorevoli eccezioni (Rosmini, Maritain, ecc.), è stata di togliere alla persona la sostanzialità e di mante­ nerle, seppure non sempre, il valore di fine, quando non sia accaduto di negarli entrambi, pervenendo alla risoluzione-dissoluzione antiumanistica dell 'uomo . Per fissare i termini, talvolta denominerò la sostanzialità come ' inseità' (dal latino in se, carattere proprio della sostanza), e il valore di fine come 'perseità' (da per se). Quando ha accolto quest'ultimo aspetto, la filosofia moderna ha operato come un' etica che si esprime con concet­ ti di azione quali libertà, coscienza, autocoscienza, razionalità, memoria, non in termini di essere e di sostanza. Il primo è un registro attualistico (ossia relativo all ' azione e alle operazioni dell' io), l ' altro antologico; e se è possibile comprendere in questo anche l ' altro, appare assai arduo inclu­ dere nello schema attualistico quello antologico. Forse il miglior esempio di ciò è l ' idealismo, che nega al soggetto la sostanzialità e ne mette in luce quasi esclusivamente l' attività. Ma senza sostanzialità non vi è in senso proprio la radice e l ' individualità della per­ sona. Ci si trovava perciò dinanzi a una curiosa situazione, ossia che le filosofie della modernità formulate in prima persona (io penso, io parlo, io agisco, ecc.) potevano di primo acchito sembrare aperte al registro della sostanza e dell' essere, mentre di fatto si mostrarono in genere lontane e ostili a esso . l ) L 'epoca del! ' Umanesimo . Il pensiero dell 'Umanesimo si nutriva di una filosofia religiosa della persona e così in parte quella del Rinascimento : la parola stessa di Rinascimento, con l ' allusione esplicita al tema biblico (soprattutto giovanneo e paolina) della rinascita spirituale o nuova nascita (renascentia), rivelava l ' origine religiosa del concetto. Se si volesse preparare una galleria di filosofi dell 'Umanesimo, ne scaturi­ rebbe il seguente elenco : Ambrogio Traversari ( 1 3 86- 1 43 9), Giannozzo Manetti ( 1 3 96- 1 459), Marsilio Ficino ( 1 43 3 - 1 499), Nicolò Cusano ( 1 4601 464), Vittorino da Feltre ( 1 3 78 - 1 446), Giovanni Pico della Mirandola ( 1 463 - 1 494), Erasmo da Rotterdam ( 1 466- 1 5 3 6), Tommaso Moro ( 1 4771 5 3 5). L' opera in certo modo riassuntiva dello spirito dell'Umanesimo religioso può essere indicata nella pichiana Oratio de hominis dignitate: l 'uomo è immagine di Dio (imago Dei) ed ha la capacità di progettare se stesso nella libertà. Qualcosa di molto simile espone Giannozzo Manetti nel suo scritto De dignitate et excellentia hominis: "Dopo che Dio ebbe creato gli uomini, li benedisse e li fece padroni di tutte le cose create, e sovrani e signori assoluti di tutta la terra". In questo l 'Umanesimo si pone­ va come un grandioso commento ad alcuni versetti del Salmo 8 : "Se guar­ do il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che

28

cosa è l 'uomo perché te ne ricordi, il figlio dell 'uomo perché te ne curi? Eppure l 'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coro­ nato : gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi". Pico e Manetti sposano la posizione cristiana che, non separando Dio e uomo ma assumendone l' endiadi come inscindibile pur nella invalicabi­ le differenza, si esprime per un umanesimo teocentrico, che dopo tre seco­ li avrebbe dovuto far fronte all' attacco dell 'umanesimo ateo, segnato dalla cifra dell 'uomo senza Dio o dell'uomo contro Dio. Ma già pochi decenni più tardi la posizione umanistica avrebbe subito il rifiuto luterano. Per la non più cattolica posizione del De servo arbitrio "il libero arbitrio è un dono divino e non può che convenire alla maestà divina . . . Attribuirlo agli uomini, sarebbe attribuirgli la divinità, cioè proferire la più grande bestemmia che si possa concepire"1 7. Lutero apre qui un sentiero rischio­ so poiché, lasciando intravedere una concorrenza tra Dio e l 'uomo, tutto ciò che si attribuisce ali 'uomo è considerato come tolto a Dio. Posizione che avrebbe compiuto un lungo cammino n eli ' Europa rinascimentale e poi moderna, e che sostanzialmente si ritrova neli' ateismo di F euerbach e di Marx (tante più cose l 'uomo proietta in Dio, tanto meno ne conserva per sé), nonostante l ' opposto indice assiologico. Il pensiero dell'Umanesimo invece s 'incardinava in larga misura intorno alla corrispondenza, considerata necessaria, tra teologia e antropologia. Essa sfociava in una concezione umanistico-cristiana della presenza di Dio nel­ l'uomo, di modo che la concezione della persona umana era tenuta entro giu­ sti confini da un'adeguata concezione di Dio. A partire dal Rinascimento è cominciata nella storia culturale dell' Europa, dapprima impercettibilmente e poi con crescente velocità, un processo di deterioramento dell' idea di Dio, di quella dell'uomo e del loro rapporto, che attraverso le fasi della separazione cartesiana tra filosofia e teologia, del dualismo antropologico tra res extensa e res cogitans, del razionalismo metafisica e dell'illuminismo, ha condotto a crisi l'idea di Dio e quella dell'uomo, e dischiuso la strada all' affermazione atea. Nel secolare processo del pensiero europeo si verificarono qualificati punti di resistenza, ma una sua direzione importante procedeva verso una progressiva degradazione dell'idea di Dio e della sua presenza nella storia, con la connessa critica di ogni rivelazione e l' enfasi sulla religione naturale, sino al Dio architetto e orologiaio dell'universo del deismo1 8 . L'Umanesimo con lo slancio e l a giovanile confidenza in se stesso che lo denotava, inclinava a concepire speranze eccessive. Di ciò rende testimo­ nianza un' idea soverchiamente risplendente di filosofia, intesa platonica­ mente come avvio alla religione: "quod si natura rudimentum est gratiae, utique et philosophia inchoatio est religionis, neque est philosophia quae a religione hominem semovet" (Pico, Heptaplus, Exp. 7, Proem.). Massima

29

è in proposito la distanza dalla Riforma che con Lutero sarebbe andata all' estremo opposto, sostenendo l' inconciliabilità fra ragione e rivelazione e considerando la prima semplicemente come prostituta di Satana. Di fatto la filosofia ancora cristiana dell'Umanesimo non resistette a lungo, fu una promessa breve o, per usare la vivida espressione di H. de Lubac a propo­ sito di Pico della Mirandola e della sua precoce morte, fu l' alba incompiu­ ta del Rinascimento. "Il suo [di Pico] genio precoce dominava e oltrepassa­ va il suo ambiente. Quali che dovevano essere le circostanze, grandissime speranze potevano esser fondate su di lui per imprimere un nuovo slancio al pensiero cristiano. Ora ecco che egli muore a trentun anni . . . Quale sareb­ be stata la sua azione sui contemporanei, sulla teologia, sulla vita della chie­ sa? . . . L'Europa cristiana poteva attendere molto da lui"19. Nelle pagine fmali della sua ricerca de Lubac, deponendo per un momento gli strumenti dell 'indagine storica, si sofferma a congetturare quale avrebbe potuto esse­ re il destino dell'Europa se Pico avesse incontrato Erasmo (entrambi con­ dussero una battaglia analoga), il Gaetano e Lutero. La prospettiva umanistica individuava l ' humanitas dell'homo h urna­ nus nel contemplare e nell 'agire rettamente (theorein e recte agere), ed era perciò attenta a non ridurre l 'uomo all' insieme dei rapporti sociali, alla ragione calcolante, al linguaggio, allo strato organico-vitale. Ponendosi alla scuola della metafisica della partecipazione e della teologia cristiana, l 'umanesimo comprendeva la paradossale compresenza nell'uomo di fini­ to e infinito, e vedeva nel rapporto tra Dio e il mondo l ' esempio di una trascendenza immanente del primo nel secondo . Successivamente la filo­ sofia della persona ha dovuto attraversare il deserto del razionalismo, i cui ultimi ingombranti spezzoni vivono ancora tra noi. Ha il razionalismo mai saputo che cosa sia la persona (e che cosa l' amore)? O piuttosto l 'ha accantonata e, scambiando la parte per il tutto, l 'ha sostituita con il cogi­ to, la mente, il pensiero, la dialettica, le forme a priori? In Agostino il filo­ sofo vuoi sapere solo dell ' anima e di Dio; e l ' anima è un padiglione dalle molte dimore, un ' interiorità oggettiva ma non pienamente autotrasparen­ te, su cui il pensiero si appoggia per trovare il trascendente e le orme immanenti di una struttura trinitaria dell' essere personale. Col razionali­ smo cartesiano l ' anima diviene res cogitans che si sforza di formare idee chiare e distinte. La riduzione dell ' anima a cogito, ossia ad una soltanto delle sue operazioni, media il passaggio dall' interiorità agostiniana a quella cartesiana e del razionalismo, dove l ' anima è intesa soprattutto come mente e attività pensante. 2) Da Cartesio a Locke e Hume. La filosofia della persona è stata posta in crisi da Cartesio col netto dualismo antropologico introdotto, con l ' idea della autotrasparenza dell 'io a se stesso, con l ' assunto che il concetto di io pensante fosse perfettamente chiaro e distinto, e specialmente col modo

30

equivoco con cui è definita la sostanza: "Per substantiam nihil aliud intel­ ligere possumus quam rem quae ita existit ut nulla alia re indigeat ad exi­ stendum" (Principia philosophiae, I, 5 1 ) . Spezzando l 'unità dell 'uomo in due sostanze indipendenti (pensante ed estesa), Cartesio dovette confron­ tarsi col problema di ' localizzare' la persona, e lo risolse individuando nel pensiero autocosciente il carattere principale dell ' esser-persona. Ego cogito significa che il pensare è un' attività per la quale un soggetto-persona deve essere posto come causa. E attraverso l ' atto del pensare che io sono certo di me stesso, del mio esistere. Successivamente Kant con la critica al paralogismo della psicologia razionale ritenne impossibile mostrare la sostanzialità dell ' anima. Col fatto che le categorie dell' azione passano davanti a quelle dell ' essere, l ' analisi filosofica lascia da parte l ' atto d' essere (actus essendi) in cui risiede la continuità profonda della persona e della sostanza. In ciò deve ravvisarsi una tappa del moderno oblio dell ' essere, la cui implicazione immediata è l ' oblio o il fraintendi­ mento della sostanza, dal momento che questa è la prima realizzazione o concrezione dell ' essere. N el postcartesianismo, ossia in Locke, Hume e Kant, diventa più difficile mantenere il significato originario di sostanza, già avviato su dubbie strade da Cartesio e Spinoza. Ciò è del resto ben presente in Locke che osserva: "Se qualcuno vorrà esaminare la propria nozione di pura sostanza in generale, troverà che non ne ha nessun' altra idea se non la supposizione di non si sa quale sostegno di quelle qualità che sono capaci di produrre idee semplici in noi; qualità che comunemente si chiamano accidenti . . . L' idea quindi alla quale diamo il nome generale di sostanza, non è altro che il sostegno supposto ma sco­ nosciuto di quelle qualità che scopriamo esistenti, che non possiamo immaginare sussistano sine re substante, senza qualcosa per sostenerle; e chiamiamo perciò quel sostegno substantia"20. La sostanza diventa qual­ cosa di misterioso, una sorta di gruccia invisibile che dobbiamo presup­ porre per potervi innestare le qualità visibili. Il problema di Locke è forse più quello dell' identità personale e dei modi di accertarla piuttosto che quello della natura della persona. Domandando per che cosa stia il termine 'persona' , risponde : "Per un essere pensante, intelligente, dotato di ragione e di riflessione, che può considerare se stessa come se stessa, cioè la stessa cosa pensante, in diver­ si tempi e luoghi, il che accade solamente mediante quella coscienza che è inseparabile dal pensare". Pertanto l ' io non è determinato dall' identità della sostanza, ma solo dall ' identità della coscienza: "Questo ci può mostrare in che consista l' identità personale : non nell ' identità della sostanza ma, come ho detto, nell ' identità della coscienza, per cui se Socrate e l' attuale sindaco di Queinsborough si trovano d' accordo, sono la stessa persona . . . Null ' altro che la coscienza può unire esistenze remo,

31

te nella stessa persona . . . senza coscienza non vi è persona"21 . "E fin dove questa coscienza può esser estesa indietro ad una qualsiasi azione o pen­ siero del passato, fin lì giunge l ' identità di quella persona; si tratta dello stesso io ora e allora ed è dallo stesso io - lo stesso di quello attuale che ora riflette su di esso - che quell ' azione venne compiuta" (p. 395) . Secondo il filosofo inglese lo stesso io può continuare nella stessa sostan­ za o in sostanze diverse. L' essere persona è dunque collegato (qui Locke rimane pienamente cartesiano) al pensare e alla coscienza, e l ' identità per­ sonale è posta nella coscienza. "Poiché è la stessa coscienza che fa sì che un uomo sia se stesso per se stesso, l ' identità personale dipende proprio e solamente da questa, sia essa connessa ad una sostanza individuale sia che possa continuarsi in una successione di varie sostanze" (p . 3 96). Locke sostiene l ' idea curiosa che il cambiamento di sostanza di una persona nel mantenimento della coscienza non darebbe luogo a diverse persone : in altre parole, se effettuiamo un completo trapianto di corpo e il manteni­ mento della coscienza, non vi sarà alcun mutamento di persona. Ciò sem­ bra dipendere, oltre che dal suo rimanere fedele al dualismo cartesiano, dalla dissoluzione della dottrina della sostanza nel suo pensiero. Nell ' empirismo di Hume, per il quale è dubbio che si possa parlare di unità e identità dell ' io, la persona come concetto sostanziale scompare senza residui. L' io è un flusso ininterrotto e torrenziale di percezioni e fenomeni, la cui unica unificazione è la memoria: "quando rifletto su me stesso, non percepisco mai questo io senza una o più percezioni, né percepisco mai altro fuori di queste percezioni. E l' insieme di queste, dunque, che forma l ' io . . . Il pensiero, solo, trova l ' identità personale, quando, riflettendo sulla serie delle percezioni passate che compongono la mente, le idee di esse sono sentite come connesse insieme, e l'una tira con sé l ' al­ tra". Questo è quanto Hume afferma nell 'Appendice al Treatise. Nel libro I (Sull 'intelletto), nel paragrafo sull ' identità personale aveva sostenuto : "No i non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movi­ mento . . . La mente è una specie di teatro dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un' infinita varietà di atteggiamenti e situazioni . . . Poiché la memoria, sola, ci fa conoscere la continuità e l ' estensione di questa successione di percezioni, essa deve essere considerata, per tal ragione principalmente, l ' origine dell ' identità personale. Se non avessimo la memoria, non si potrebbe avere nessuna nozione della causalità, né, per conseguenza, di quel concatenamento di cause ed effetti che costituisce il nostro io, o la nostra persona"22. La natura dell ' io/persona risulta ormai pienamente psi­ cologizzata, fenomenizzata, de-antologizzata. Il soggetto è soltanto l' at,

32

taccapanni della memoria, un punto di accumulo di un processo, e la memoria un collante che cerca di tenere insieme alla beli' e meglio il flus­ so molteplice delle percezioni : se la memoria si indebolisce, altrettanto accade dell 'unità e identità dell' io, fragile isola pronta ad essere dissolta nella molteplicità pura. Oltreché la sostanzialità della persona dilegua in Hume il concetto di interiorità, poiché non c ' è interiorità dove sussiste solo una memoria psicologica spazializzata, temporale e senza la dimen­ sione della profondità. "Per parte mia, quanto più profondamente mi addentro in ciò che chiamo me stesso, sempre mi imbatto in una partico­ lare percezione : di caldo o di freddo, di luce o di oscurità, d' amore o di odio, di dolore o di piacere, o d' altro. Non riesco mai a sorprendere me stesso senza una percezione e a cogliervi altro che l ' atto del percepire". La critica lockeana alla sostanza e il resoconto humeano della mente e della conoscenza, non esenti da superficialità e assenza di domande ulte­ riori, inducono a pensare che l' empirismo sia una filosofia di bocca buona, ossia che si accontenta facilmente, e che tale esito si colleghi all ' oblio dell ' essere in cui giace. 3) Kant. In Kant l ' idea di sostanza entra in crisi perché noumenica. Rimane la substantia phaenomenon che però si riduce a rapporti, "ed essa stessa non è altro che un complesso di semplici relazioni . Noi conoscia­ mo la sostanza nello spazio soltanto mediante forze che operano in esso, sia attirandone altre (attrazione), sia impedendo alle altre d' entrare (repul­ sione e impenetrabilità), non conosciamo altre proprietà che costituiscano il concetto della sostanza, che è fenomenicamente nello spazio e che chia­ miamo materia". In base alla semplice autocoscienza scaturente dalla pro­ posizione "io esisto pensando", che secondo Kant è soltanto empirica, "non è assolutamente possibile determinare il modo in cui io esisto, se come sostanza o come accidente . . . e la conclusione è che in qualunque modo noi non possiamo conoscere nulla della natura della nostra anima, che riguarda la possibilità della sua esistenza separata in generale". In quanto la proposizione 'lo penso ' o ' Io esisto pensando ' è ritenuta empi­ rica, non si può per Kant inferime alcuna sostanzialità. La discussione kantiana della psicologia razionale, condotta al di fuori d ' ogni considera­ zione d'essere, non può che condurre all' assunto che "l 'Io non è se non la coscienza del mio pensiero"23, dove la sostanzialità della persona è risol­ ta in una coscienza come autocoscienza, intesa come consapevolezza dello stare pensando24. Con Kant viene a maturazione il personalismo assiologico, nel senso che l ' essere persona diventa una qualità morale elevata, denotata dalla coscienza morale dell ' io, dall' autonomia autolegislatrice della ragion pura pratica, dal rapporto con la legge morale : "Il secondo [spettacolo,

33

quello offerto dalla legge morale in me] eleva infmitamente il mio valore, come valore di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall' animalità e anche dall ' intero mondo sensibile". La seconda formulazione dell ' imperativo categorico domanda di trattare la persona sempre anche come fine e mai solo come mezzo. Servendosi delle nozioni di dignità e di prezzo e ponen­ dole in opposizione, Kant distingue la persona come fine in sé e dotata di dignità dalle cose che hanno solo prezzo e non dignità25 . Tuttavia l ' inte­ riorità assiologica legata alla presenza della legge morale non è ancora un' interiorità antologica connessa all ' autopossesso in-statico del proprio atto d' essere. Al di là del registro morale, non pare esservi in Kant l ' idea di persona come specifico modo d' essere di una sostanza spirituale, ma l 'unità dell' io-coscienza e l 'unità sintetica originaria dell' appercezione, espressa nell ' "lo penso". Difficihnente può venire attribuita interiorità a tale io, che viceversa potrebbe assomigliare a una macchina logica. Approccio trascendentale kantiano e interiorità non vanno d' accordo, se nell ' interiorità si trovano l ' amore e il desiderio, sconosciuti all ' io trascen­ dentale come unità sintetica originaria dell ' appercezione. Ossia il sogget­ to logico costante del pensare (Io penso) non può essere spacciato per il soggetto reale cui inerisce il pensiero . In Kant emerge come centrale l ' elemento della dignità della persona, certo un grande e duraturo guadagno . Rimane invece indeterminato un aspetto essenziale, la risposta alla domanda su chi sia persona, a chi spet­ ti l ' esser-persona, un ' attribuzione legata a filo doppio ad un' antologia metafisica della sostanza. Ciò ultimamente significa che il criterio kantia­ no non è in grado di operare una determinazione discriminante tra l ' esse­ re o non-essere persona, e questo emerge specialmente negli stati di con­ fine quali l'inizio o la fine della vita, ossia proprio là dove il discernere risulta più necessario. Con la filosofia critica di Kant rimane alla persona il carattere della 'perseità ' , cioè di valere per sé, come fine e non in vista d' altro, mentre scompare quello della ' inseità' cioè della sostanzialità, in linea con la generale crisi della metafisica della sostanza, che si accentua in maniera dirompente nei neokantiani quali Kelsen e C assirer (di cui cfr. Substanzbegriff und Funktionsbegriff, Darmstat 1 980, l ed. Berlin 1 9 1 0). Su ciò Kelsen ha detto l ' essenziale, mettendo così in luce l ' esecuzione dell ' idea di persona che l' empirismo e il funzionalismo provocano attraverso il rifiuto del concetto di sostanza: "La dottrina pura del diritto ha riconosciuto il concetto di persona come un concetto di sostanza, come la ipostatizzazione di postulati etico-politici (per es . libertà, proprietà), e lo ha perciò dissolto. Come nello spirito della filosofia kantiana, tutta la sostanza viene ridotta a funzione"26. La dissoluzione neokantiana e sue0

34

cessivamente neoidealistica della sostanza costituisce un passo notevole verso la crisi dell ' idea di persona e del conseguente personalismo, poiché rimane solo la strada di un personalismo assiologico, importante certo ma insufficiente per dirimere o comunque affrontare delicati problemi quali quelli posti dalle biotecnologie. Il punto di arrivo della dialettica discendente che parte dalla negazione di ogni sostanzialità dell ' io personale, non può esser altro che la completa fenomenicità della persona. Trattando del significato gnoseologico ultimo della posizione oggettivistica che si corona nel primato del diritto interna­ zionale sull' ordinamento giuridico statuale, Kelsen osserva: "Una conce­ zione oggettivistica del mondo, viceversa, parte dal mondo per arrivare all ' io. Essa presuppone una oggettiva ragione universale, uno spirito del mondo di cui le soggettivizzazioni o concretizzazioni, gli individui che conoscono e vogliono, sono solo forme fenomeniche assai effimere e tem­ poranee, i cui spiriti sono coordinati e affini, solo in quanto parti integran­ ti dello spirito universale del mondo, la cui ragione conoscente è solo ema­ nazione della suprema ragione universale, il cui io non è che il feudo del­ l ' io universale unico sovrano . . . "27. Espressioni particolarmente rivelatrici nella loro asprezza antipersonalistica, in cui la 'persona' è solo un feudo di un ipotetico io trascendentale, e che limitano di molto la portata della pur nobile idea della civitas maxima, spesso avanzata dall 'autore. Ma anche espressioni che conseguono coerentemente all' abbandono della sostanzia­ lità. Esse, veicolando la fatale idea che la persona è mera parte, equivalgo­ no ad una piena negazione dell ' idea di persona. Non resta qui che antici­ pare una grande frase dell'Aquinate: la nozione di parte è contraria a quel­ la di persona (ratio partis contrariatur rationi persona e), su cui torneremo. In genere neppure nell ' idealismo, pur così propenso a parlare di sog­ gettività e di spirito, si può rintracciare una vera e propria dottrina sulla persona. Secondo Berdj aev "l ' idealismo filosofico quale appare nella filo­ sofia tedesca all ' inizio del XIX secolo, conduce all ' impersonalismo, non contiene alcuna dottrina della persona. Ciò appare in special modo nella dottrina di Fichte sull ' Io, che non ha nulla della persona umana"28 . Analogamente il tema dell ' antipersonalismo e del tentativo di dissolvere il principio-persona si pone in Hegel, in Marx, nel positivismo e neoposi­ tivismo e nell ' empirismo radicale che vi si connette, in Weber e in manie­ ra sottotraccia in C . Schmitt. Per quanto concerne il marxismo non è qui il caso di ricordare la sesta tesi di Marx su F euerbach, che riduce l 'uomo all ' insieme dei rapporti sociali. A questo punto dell' esplorazione emerge che la sostanzialità del sog­ getto personale è negata tanto nel monismo razionalistico uscito da Spinoza e rinnovato nell ' idealismo, quanto nel fenomenismo empiristico, sia pure in base ad opposte considerazioni. Il monismo nega la sostanzia-

35

lità dell' io poiché rifiuta l ' idea che esso esista come realmente distinto da tutto ciò che lo circonda, e il fenomenismo obietta all ' idea che l ' io sia un 'unità indivisa, pensando lo invece come un flusso caotico di sensazio­ ni senza unità e perfino come una federazione di anime. Ossia le due pro­ spettive rifiutano l'una o l ' altra parte della determinazione di individuo come indivisum in se et divisum a quolibet a/io. '

4) Nietzsche. E con Nietzsche che si raggiunge il vertice della dissoluzione dell ' idea di persona cui si sottrae la forma unitaria dell ' anima e della razionalità, risolta in un caotico fascio di pulsioni e sensazioni. Per Nietzsche tanto il pensare quanto l ' autore del pensare (il soggetto) sono fittizi, poiché non esistono né l' atto del pensare né il substrato soggettivo in cui avrebbe origine il pensare, e il mondo interiore ha carattere fenome­ nico29. Conseguentemente non si dà soggetto, e men che meno persona. Sono gli errori della lingua, ove si sono pietrificati quelli della ragione, a farci pensare all ' io con l ' impiego appunto dei termini "soggetto" e "io". In realtà esiste solo l ' agire senza alcun agente : "la seduzione della lin­ gua . . . intende e fraintende ogni agire come condizionato da un agente, da un ' soggetto ' . Non esiste alcun sostrato, nessun essere al di sotto del fare : " ' colui che fa' non è che fittiziamente aggiunto al fare - il fare è tutto"30. Se il fare è tutto, è perché l' essere e la sostanza sono niente. I soggetti sono solo illusioni grammaticali, l ' interiorità un nome menzognero con cui si copre un immenso vuoto. La stoffa profonda della realtà è solo volontà di potenza, che si ramifica nella psiche; a sua volta la psicologia è solo morfologia e teoria evolutiva della volontà di potenza. Domandiamo però : senza soggetto, dove abita l' Ubermensch? In Nietzsche l 'uomo è ponte e trapasso verso l ' oltreuomo capace di recuperare in pienezza il senso della terra, dopo aver per un certo tempo creduto ed abitato un "mondo dietro il mondo"3 1 . Il superamento dell 'uo­ mo stanco, proiettato verso il mondo dietro il mondo, e il superamento del cristianesimo compongono in lui un cammino unico che mette in causa il dogma cristologico : il senso salvifico di Dio che si fa uomo si annulla nel momento stesso in cui non vi è più uomo ma oltreuomo. In certo modo l ' annientamento dell' idea di umanità è funzionale all ' annientamento della religione del farsi uomo di Dio . Qui Nietzsche è profeta di un'umanità e di una oltreumanità senza prossimo. Rientra nell ' intenzionalità decostruente del nicciano "filosofare col martello" l ' attacco alla "superstizione popolare di età immemorabile", la superstizione dell ' anima e dell ' io . Occorre sferrare un colpo decisivo a quel bisogno metafisica che si esprime nella funesta dottrina cristiana dell ' "atomismo delle anime", ossia "quella credenza che considera l ' ani­ ma come qualcosa di indistruttibile, di eterno, d' indivisibile, come una

36

monade, come un atomon ; questa credenza deve essere estirpata dalla scienza ! "32. Bisogna invece pensare l ' anima come un condensato, un punto d ' aggregazione della struttura sociale degli istinti e delle passioni. Non dunque ''io penso'', ma "esso pensa"; non è il soggetto "io" la condi­ zione del predicato ''penso". Su una lunghezza d' onda analoga si colloca­ no lo strutturalismo e le filosofie che riducono l 'uomo a semplice parti­ cella del Tutto, a fenomeno di una natura ingenerata ed eterna, nella quale è destinato a dissolversi completamente : qui il tema dell ' identità diacro­ nica o transtemporale della persona non si pone, perché manca il sogget­ tolsuppositum . Profonda è in tali casi l ' ostilità all' interiorità. Basterà qui ricordare l ' assunto di Foucault secondo cui l'uomo è tramontato, sostitui­ to da una struttura impersonale, ad es. la lingua che parla in noi, e l' antiu­ manesimo, espresso lapidariamente da C . Lévi-Strauss : "il n'y a de sens que par l 'homme, lequel n'a pas de sens". Non bisogna essere troppo inclini a sottovalutare l ' influsso antiumani­ stico di queste posizioni moderne e tardo moderne sulla vita sociale e politica. L' antipersonalismo si è fatto carne e mondo, è entrato nella sto­ ria degli uomini, è stato una componente essenziale del terribile fenome­ no dei totalitarismi, che assumono sin dal primo passo la priorità del sociale, del collettivo, del gruppo sul singolo : la riconduzione del singolo al genere, nel quale soltanto egli può avere realtà e senso, è l' anima del totalitarismo. 5) Il XX" secolo 5 . 1 ) Heidegger. Polemizzando con S artre, Heidegger scriveva che noi siamo su un piano in cui c ' è soprattutto l ' essere, ed il Dasein appartiene al modo d' essere nel mondo, segnato dalla temporalità e dalla fmitezza. Le determinazioni heideggeriane secondo cui "l' ' essenza' dell' esserci consiste nella sua esistenza" (Sein und Zeit, p. 42), o anche "l 'uomo dispiega la sua essenza (west) in modo da essere il ' ci' (Da), cioè la radu­ ra dell ' essere" non paiono definizioni personalistiche33 . La celebre Lettera sul! 'umanismo non è né vuole essere una ' lettera sul personali­ smo ' : essa tace completamente sulla persona, procedendo a separare uma­ nesimo e persona. Mentre Heidegger sottopone a critica l ' idea di uomo come anima! rationale, non introduce il concetto di persona. Criticare l 'umanesimo greco ed europeo a partire dalla sola determinazione di uomo come animale razionale rappresenta una di quelle inaccettabili sem­ plificazioni in cui la pagina heideggeriana incorre non di rado, e che nel caso in esame si concreta nell' assunto secondo cui cristianesimo, esisten­ zialismo e marxismo sono varietà di umanismo che si differenziano solo superficialmente. Data più o meno dagli anni della Lettera sul! 'umanismo

37

l ' apertura di una notevole falla nel progetto umanistico, con l ' avvento del pensiero postumanistico e antiumanistico, di cui si sono fatte portatrici le ali radicali delle scienze umane. Se non si incontra in Heidegger l ' idea che il livello più alto dell' esse­ re sia l ' esistenza personale, il Dasein difficilmente può valere come effi­ cace surrogato della persona, la cui categoria capitale non consiste dell' es­ sere-nel-mondo, ma nell' interiorità antologica di un atto primo d' esisten­ za di carattere sostanziale e spirituale. Per raddrizzare la sua formulazio­ ne, si dovrebbe dire : noi siamo in un piano in cui c ' è soprattutto l ' essere, e la sua più alta modalità è l ' esistenza in forma personale. La declinazio­ ne quasi fenomenologica degli atti secondi del Dasein, quali la cura, la chiacchiera, ecc. (vedi Essere e tempo) potrebbe risultare preparatoria ad un transito verso la persona, che non sembra accadere in Heidegger. Tuttavia in lui (cfr. "La questione della tecnica") vi è la consapevolez­ za che il soggetto moderno il quale con la tecnica fa ruotare intorno a sé ogni altro ente, può alla fme indirizzare tale potenza verso se stesso e diventare lui stesso quel ' fondo ' (Bestand) da sfruttare così come si sfrut­ ta un serbatoio di energia. L' im-posizione tecnica mette in pericolo l 'uo­ mo nel suo rapporto con se stesso e con le cose, poiché rimanda al disve­ lamento nella forma dell ' impiegare : quest'ultimo scaccia ogni altra possi­ bilità del disvelare. Quando tutto ciò che è si presenta ali 'uomo soltanto come ' fondo ' , proprio allora l'uomo corre il massimo pericolo, in quanto egli stesso può essere considerato solo come ' fondo ' . Un varco rimane aperto per una più compiuta elaborazione sul soggetto-persona.

5 .2) Gentile. Più precaria è la situazione della persona nel neoideali­ smo, in specie nell' attualismo gentiliano dove accade, come già in Hegel, l 'immolazione dialettica della persona, di cui è segno la completa funzio­ nalità dell' io empirico allo Stato e, da un altro punto di vista, la sua ine­ spiabile mortalità. Anche per Gentile vale la grande regola in cui Engels ravvisava il cuore della dialettica: "tutto ciò che esiste, merita di morire" (su questi aspetti vedi infra al cap . IV) . Nel capitolo "Individuo" del volume Genesi e stntttura della società (a cura di G. Brianese, Gallone Editore, Milano 1 997) Gentile coglie che per Aristotele l ' individuo è sostanza, è cioè un essere determinato, unità di materia e forma, ma rifiuta quasi sprezzantemente questa posizione considerata espressione di un realismo ingenuo, che non comprende che l 'individuo non è un essere naturale. La sua unità non sta nella natura ma nello spirito, ''nell 'Io che la sua unità conferisce a tutte le cose a lui oppo­ ste, che egli stringe in un nesso indivisibile, che è il sistema della coscien­ za e del pensiero . . . L'unità dell' Io è infinita, universale, intrascendibile, assoluta" (p. 1 4 e s.). Che cosa ne è della concretezza dell ' individuo? Essa 38

"non è quella dell ' esistenza sensibile nello spazio e nel tempo, nella natu­ ra: ma quella invece dell ' essere che esiste nello spirito, come autocoscien­ za". Bisogna guardarsi, aggiunge Gentile, dal rappresentare l ' individuo tra gli individui nella loro corpulenza tra gli oggetti dell ' esperienza, poi­ ché "l ' individuo così rappresentato è sempre l' individuo realistico e ari­ stotelico dal cui fantasma il pensiero deve liberarsi" (p. 23 ; ma non è l 'unico individuo che veramente conosciamo e che ci deve stare a cuore?) . Comunque la grande parola è stata detta e ridetta: autocoscienza, che appunto è atto secondo e funzione. E chi non la possiede ancora come gli infanti? Per Gentile non sono individui, però noi facciamo loro credito ritenendo che dimostreranno la capacità di diventare quegli individui che alla nascita ancora non sono ; una previsione, aggiunge, che interamente non st avvera mat. Avvolgendosi in formule oscure e retoriche, dove dovunque risuona ' spirito, spirito; Io, Io ' , Gentile ha assestato un colpo notevole alla dottri­ na della persona. Il suo nucleo ontologico-sostanzialistico è risolto in fun­ zione, e la funzione è processo dove non permane alcun valore assoluto, compreso quello della dignità della persona. .

.

5 .3) L 'orientamento empiristico. I pensatori di orientamento empiristi­ co tendono a cancellare l 'idea di dignità della natura umana e della per­ sona e a sostituirle quella di dignità (o viltà) della vita. Ossia cancellano un concetto antologico collocando al suo posto un concetto morale, coe­ rentemente col deciso rifiuto empiristico di ogni conoscenza diversa da quella empirica e scientifica, e con l ' incapacità, in cui l ' empirismo versa, di intendere la realtà sotto il concetto di essere e di sostanza, e parimenti sotto quelli di natura ed essenza. Il loro problema è considerato irresolu­ bile. Ciò implica che in base alle posizioni dell' empirismo vada abbando­ nata la pretesa di attribuire alla natura umana uno statuto di superiorità antologica nei confronti degli altri esseri animali, di considerare dotato di senso il concetto di dignità dell 'uomo, e di connettere questa dignità ad un valore intrinseco o a una realtà sostanziale. Si ritiene dunque che la domanda sull ' eventuale dignità della vita umana possa venire posta solo dopo aver definitivamente accantonato la vecchia questione sulla dignità della natura umana e lo schema concettuale-reale che intendeva offrire una fondazione antologica a tale valore. Il passaggio dalla dignità della natura umana alla dignità della vita umana apporta una conferma ulterio­ re allo slittamento intervenuto dalle categorie dell ' essere a quelle dell' agi­ re. Tuttavia anche il concetto di vita umana (e sua dignità) , in quanto denotante un' essenza, dovrebbe risultare completamente fittizio per un empirismo coerente con se stesso34. Nell ' empirismo viene capovolta la posizione del senso comune, secondo cui negli enti vi sono valori che

39

vanno riconosciuti, poiché per l' empirismo i valori morali sono invece sentimenti proiettati dal soggetto nell' oggetto. In altri termini l' empiri­ smo tende a ribaltare il rapporto fra antologia e assiologia: l' antologia, se è possibile parlame ancora, è radicata nell' assiologia, e quest'ultima gra­ dua il rispetto morale che dobbiamo agli enti viventi ultimamente in base ad una procedura consensuale. 5 .4) Differenti da questi indirizzi sono le filosofie che recuperano l 'idea di persona attraverso il suo agire morale, la coscienza, la prassi di libertà, il riconoscimento dei suoi diritti politici e giuridici, pur non arri­ vando a collocarsi dal lato del personalismo ontologico. Rientrano in que­ sto schema attualmente molto praticato numerose filosofie pubbliche di ispirazione liberale. In esse circola un "io kantiano", la cui unità e struttu­ ra antologica non sono esplorate, ma stabilite solo sul piano etico e pro­ cedurale e sul concetto di autonomia. Viene affermata una forma ridotta di unità del soggetto consistente nella sua capacità di scegliere e di darsi regole pubbliche contrattualmente convenute. La stessa coscienza morale è interpretata in senso restrittivo attraverso le sole regole del Giusto, non del Bene. Dalla priorità, affermata da Rawls, del Giusto sul Bene - il che va in senso contrario alla sequenza genetica dei concetti morali, per cui il Bene viene prima del Giusto e stabilisce il primo concetto fondamentale sistematico della scienza morale - consegue una teoria ristretta e procedu­ rale dell ' io. Trascurato è il tema della costruzione dell' io attraverso il moto verso i fini, poiché il rapporto con questi ultimi è reso in linea di principio indecidibile razionalmente, ossia intrinsecamente pluralistico per l ' asserita incapacità di porre in scala fini e beni, e di individuare dia­ letticamente - cioè, per stare ad un esempio celebre, secondo il procedi­ mento largamente adottato da Aristotele nell'Etica Nicomachea - il fine e il bene più alto . 5 . 5) Varietà del personalismo . Diversamente si situa l ' originale conce­ zione antropologica di Felice B albo, giocata lungo un cammino metafisi­ ca, dove forse non è tematizzata l ' idea di sostanza ma è svolta un' antro­ pologia dinamica intesa come crescente livello di partecipazione all' esse­ re e alla vita, ed in cui le categorie della possibilità e virtualità giocano un ruolo notevolissimo. In lui l ' antropologia si radica nella dottrina dell' es­ sere e in specie nella metafisica della partecipazione, che con le sue cate­ gorie include tanto l 'uomo fisico quanto quello sociale cui secondo B albo si riferiscono angustamente molte concezioni. Ogni persona è invece inclinata ad un più essere, e l 'uomo è da lui definito come "il poter esse­ re sussistente" che costantemente cerca nuove possibilità di svolgimento secondo la legge del progresso che è sviluppo e compimento di quanto è

40

incompiuto, e che dunque mira al massimo bene umano35 . L' originalità della sua strada risiede nella coniugazione tra essere e bene nel cuore stes­ so dell ' antropologia, senza scegliere un cammino a spese dell' altro . Nell ' ambito dei personalismi che privilegiano la relazionalità, la dia­ logicità, la libertà, insieme ai personalismi di Buber, Lévinas, Berdj aev, si situa quello di Mounier, che così determina la persona: "La persona è un' attività vissuta come autocreazione, comunicazione e adesione, che si coglie e si conosce nel suo atto, come movimento di personalizzazione"36, in una definizione connotata dal far centro sull' azione. Su sponde affini quanto al chiaro privilegiamento dell' etica si colloca il pensiero di Ricoeur, che si serve del concetto di identità narrativa risul­ tante dall 'unità effettiva di un' intera vita. La prospettiva ricoeuriana è delineata nei tre livelli che sostanziano l ' approccio filosofico-ermeneuti­ co al sé : tendere alla vita buona, con e per l ' altro, all' interno di istituzio­ ni giuste. La maestria delle analisi svolte in Sé come un altro conferma l ' attenzione alle categorie dell ' agire. Illustrando l ' ermeneutica del sé, che costituisce l ' asse di quest' opera fondamentale, l ' autore ne individua le domande principali in: Chi parla? Chi agisce? Chi si racconta? Chi è il soggetto morale di imputazione? (cfr. p. 92) . Introducendo l' identità come idem (os sia la medesimezza per cui uno è semplicemente ' lo stesso ') e l ' identità come ipse (in base a cui invece qualcuno è ' se stesso '), Ricoeur ritiene che la prima supponga l ' esistenza di una sostanza ma che non sia importante, mentre la seconda lo è perché rinvia all' esistenza autentica del Dasein . Tuttavia l ' identità secondo ' ipseità' è soltanto un' identità narrati­ va che risulta e rinvia all'unità reale di una biografia. Facendo perno su tale identità, Ricoeur dà via libera alla relazionalità: "L' ipseità del se stes­ so implica l ' alterità a un grado così intimo che l 'una non si lascia pensa­ re senza l ' altra"37. Che bisogna uscire dal circolo della sola identità-mede­ simezza per raggiungere l' alterità è un compito necessario, ma niente lascia supporre che la metafisica della sostanza non sia idonea per ciò . Osserva E . B erti : ''L' insufficienza della posizione di Ricoeur consiste, a mio avviso, nel fornire una fondazione puramente etica dell' identità per­ sonale, simile a quella teorizzata già da Kant ed applicabile soltanto a coloro che sono responsabili delle proprie azioni, cioè che possiedono un ' carattere ' morale, una capacità di restare fedeli a se stessi, un' affidabili­ tà dal punto di vista degli altri". Berti aggiunge che anche nel caso di Ricoeur ''non si riesce a fornire un criterio di identificazione applicabile a tutti gli individui di specie umana, proprio a causa dell' abbandono della concezione classica, cioè aristotelico-boeziana-tomistica"38 . Come detto, tale abbandono in Ricoeur proviene da un retaggio kantiano. Nel dialogo con J. P. Changeux, raccolto in J. P. Changeux, P. Ricoeur, La natura e la

41

regola (Cortina, Milano 1 999), scrive : "All' epoca dei ' cartesiani ' Malebranche, Spinoza e Lebniz - si credeva di poter ancora concepire la realtà ultima in termini di sostanza, cioè di qualcosa che esiste in sé e per sé . . . Non è sul piano di quest' antologia, le cui basi sono state scosse da Kant nella ' Dialettica trascendentale ' della prima Critica, che mi situerò" (p . 1 3 e s.) . In una linea analoga si situa la nozione di persona di C . Taylor, anch' egli centrato sul registro dell ' agire : "Una persona è un agente che ha un senso di sé, della propria vita, che può valutaria e compiere delle scelte su di essa. E su questo che si basa il rispetto che dobbiamo alle persone"39. '

6) Il criterio antisostanzialistico coerentemente seguito, porta con sé per la già segnalata omogeneità fra sostanza e natura/essenza - il postulato antiessenzialistico secondo cui non vi è alcuna essenza umana, oppure essa è preceduta dall' esistenza. Che l'esistenza preceda l ' essenza fu forse il leit­ motiv dell' esistenzialismo sartriano, a significare che l 'uomo non possiede un' essenza umana determinata, ma che ogni soggetto edifica la propria essenza agendo. L'uomo si progetta volta per volta nell' azione ed inventa parimenti il bene e il male. Preso alla lettera (cosa che forse neppure Sartre con felice incoerenza fa) questo linguaggio significa che l' 'essenza ' umana si può cambiare, come forse oggi sognano di fare la genetica e l'eugeneti­ ca, ed anche che non si dà alcuna natura umana intangibile e nessuna teleo­ logia inscritta in essa. Semmai occorrerebbe chiedersi se il ' funzionalismo ' (chiamo funzionalismo ogni posizione che ritiene di poter ricondurre l ' es­ senza umana ad una o più operazioni: la coscienza, l'autocoscienza, la liber­ tà, il senso morale, ecc.) non rischi di pensare anch'esso che non esista un' essenza umana, ma solo un insieme di sue operazioni40. Diverse da tali posizioni sono quelle del 'nuovo naturalismo ' che ridu­ ce la persona senza residui ad elemento compiuto della natura/physis, come pare siano i casi di D. Dennett e di J. P. Changeux. Qui non solo è congedato il concetto di sostanza, ma anche è emarginato il principio-per­ sona che in vario modo può rimanere nella posizione funzionalistica e 'morale ' . Nell ' ambito di un approccio evoluzionistico a sfondo materiali­ stico diventa arduo se non impossibile fissare una differenza fra uomo e animale. Scrive in proposito Luc Ferry: "Si tratta di trovare una distinzio­ ne che opponga il regno umano all ' intero regno animale. Si può, certa­ mente, rifiutare questa domanda - cosa che fanno tutti i materialisti che non vogliono una differenza di natura o di essenza tra l'uomo e l' anima­ le, ma tutt' al più (e ancora) di grado"41 . Nel naturalismo una filosofia dell ' interiorità antologica è difficilmen­ te pensabile, e con essa una filosofia della soggettività per la relazione

42

strettissima fra soggettività e interiorità. Dove non si può parlare di per­ sona, il Mondo è solo una scena esteriore, un grande palcoscenico feno­ menico dove ogni ente si risolve nell' apparire. Lungo tale cammino il naturalismo contemporaneo a base biologica era stato in certo modo pre­ ceduto dal marxismo e dal neopositivismo, che hanno affermato il carat­ tere esteriore e eterodeterminato del soggetto umano. Dove non vi è inte­ riorità e autodeterminazione dall' interno, è l ' essere sociale che determina la coscienza, secondo la sesta tesi di Marx su Feuerbach: "L' essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente all ' individuo singo­ lo. Nella sua realtà è l ' insieme dei rapporti sociali", posizione che signi­ fica che non è la coscienza a determinare la vita quanto la vita la coscien­ za. ''Tutte le cose sono in superficie e sono perfettamente accessibili", si legge nel manifesto del Wiener Kreis, asserto di una filosofia dell ' esterio­ rità senza interiorità, sostanzialmente indifferente al personalismo. L' analisi si è indirizzata ad autori del pensiero occidentale, non all ' in­ tegralità della filosofia europea dove un livello paragonabile d' attenzione andrebbe dedicato al pensiero greco-slavo e russo . Soccorre qui l ' idea che il pensiero dell ' oriente europeo è stato segnato in maniera profonda dal­ l ' ambito teologico, e ciò, se da un lato non ha forse favorito il pieno svi­ luppo di un' antologia personalistica, lo ha preservato da forme di inaridi­ mento e banalizzazione che hanno afflitto e affliggono la filosofia euro­ peo-occidentale della persona42.

4. Conclusioni a) L' excursus sembra attestare il depauperamento dell' idea di perso­ na e del suo originario radicamento antologico, in larga misura dovuto al prevalere dell ' oblio dell ' essere nel Moderno e al dualismo tra piano gno­ seologico e piano metafisica, inaugurato da Cartesio e portato all ' acme da Kant e dai suoi successori. La nostra elaborazione ha volutamente omesso di esplorare autori moderni quali Rosmini, Maritain, E. Stein, per i quali il valore della persona e il correlato principio-persona si fonda su un chiaro personalismo antologico che accoglie la sostanzialità dell' es­ sere umano e le categorie dell' in sé e del per sé. Il silenzio in proposito non faccia ritenere che quanto non è stato trattato sia secondario, che anzi la sua presenza compone una sinossi molto più integra della dottrina della persona, senza di cui l ' insieme risulterebbe seriamente sbilanciato . Ma, come detto, il nostro compito non era di dipingere un quadro com­ piuto coi suoi volumi e colori, bensì di approfondire la crisi antisostan­ zialistica.

43

Oltre queste scuole abbiamo incontrato la linea in vario modo ' etica' e funzionalistica che possiede molteplici versioni e diramazioni (neokanti­ smo, fenomenologia, un certo esistenzialismo). Essa cerca di salvaguarda­ re il valore di fine dell 'uomo, ponendosi in genere come assiologia senza antologia o con un' antologia debole. Al di là di questa posizione si apre un ulteriore spazio molto variegato che tende a negare ali 'uomo anche la dignità di fine, adottando un aperto antiumanesimo. L' excursus analitico autorizza l ' asserto secondo cui nel pensiero moderno la linea antipersonalistica è stata importante, seppure fortunata­ mente non totalitaria. Il disguido di parte della filosofia moderna sul con­ cetto centrale di sostanza non sembra un masso erratico capitato per caso nel corpo del pensiero moderno, ma un evento concettuale di fondamen­ tale rilievo in cui si esprime un portato di quell ' oblio dell' essere che ha afflitto il moderno filosofico. Poiché la sostanza è la prima concrezione dell ' essere, l' oblio del primo comporta necessariamente l ' oblio o la con­ fusione sulla seconda (per un' approfondita analisi di questo tema e del nichilismo teoretico immanente al moderno filosofico in non pochi suoi aspetti rinvio al mio Nichilismo e metafisica. Terza navigazione, Armando, Roma 2004). b) Una cosa resta da dire, cui annettiamo rilievo. La valutazione della dottrina della persona sin qui svolta con un chiaro carattere ' analitico ' , non è certamente inutile quasi che valesse per il filosofo il detto superbo ' de minimis non curat praetor ' , poiché la persona non è un minimo. Ad essa può positivamente accompagnarsi una valutazione ' dialettica' , nel senso che le scuole filosofiche della modernità non hanno soltanto provo­ cato una desostanzializzazione della persona, ma anche incrementi note­ voli nel! ' ordine morale, politico, giuridico, economico, medico, dove appunto il principio-persona ha operato efficacemente, si è rinnovato e ha prodotto avanzamenti. Valutazione dialettica significa che, nonostante i disguidi antologici messi in luce sopra, è possibile considerare per alcuni aspetti il pensiero moderno come un' introduzione o re-introduzione - talvolta in via diretta, talaltra in negativo - dell ' ontologia tradizionale. In altri termini i notevo­ li guadagni personalistici accaduti e quelli che potranno venire, per poter tenere e durare postulano una ripresa dell' antologia della sostanzialità in rapporto ai nuovi problemi e domande. Non si tratta semplicemente di restaurare, ma di rifondare, approfondire, di trovare inedite sintesi in rela­ zione ai nuovi problemi: serve un' intelligenza più intima dell ' esser-perso­ na. Un mero rinnovamento discorsivo non può convertire adeguatamen­ te l ' idea di persona nella moderna solidarietà democratica e nel quadro dei diritti umani.

44

c) Due grandiosi tentativi di colonizzazione della persona sono stati compiuti nel moderno o sono attualmente in corso : a) Il dispotismo san­ guinario esercitato dalle ideologie totalitarie nel XX secolo ; b) la tentata conquista dell ' io da parte di versioni radicali delle biotecnologie (neuro­ scienze, ingegneria genetica, eugenetica, clonazione). Il secondo è in cammino e perciò aperto, non ancora fissato nei suoi esiti, sebbene attual­ mente sia operante l ' intento di dissolvere la persona riportandola a momento transeunte dell' evoluzione cosmica. Come i totalitarismi hanno messo in atto un vero odio per la persona, parimenti seppure in maniera più obliqua può operare il progetto di ridurre l 'uomo a physis. Se esso pro­ cederà, una grande demoralizzazione umanistica sarà l ' esito del tentativo di integrale naturalizzazione dell'uomo, e si affermerà il ' dispotismo del­ l ' organico ' . Esiste infatti una contraddizione fra il tentativo delle scienze di entrare nella sfera intenzionale, morale, cognitiva, deliberativa dell 'uo­ mo e la possibilità di un miglior governo di se stessi in vista dell ' autode­ terminazione. La soggezione dell' autodeterminazione all' organico com­ promette quest'ultima, mettendo in luce l ' antinomia fra impulso alla libertà e risoluzione organico-naturalistica dell'uomo.

Note 1 Per distinguere l'timanesimo come concezione positiva dell'uomo dall'Umanesimo come momento della cultura europea, scriveretno il pritno con la tninuscola e il secondo con la maiuscola. 2 1984, Mondadori, Milano 1 973 , p. 277. 3 Esistono molteplici accezioni del termine personalismo, introdotto nel lessico filosofico da Charles Renouvier nel 1 903 , a seconda di cotne si interpreti la persona, il suo fme, la sua costituzione, il rapporto con sé, l'altro, il mondo. Pritna della nasci­ ta ufficiale dei personalismi, che può situarsi intorno al 1 930, non erano mancati spunti di pensiero personalista. nella filosofia precedente cotne nei casi di Hatnelin, di Blondel e di Bergson, oltre che del già citato Renouvier. Il tennine 'personalistno ' aveva però nel linguaggio corrente un significato completamente diverso dali' accezio­ ne filosofica, se nel 1 923 il Larousse definiva il personalismo come "il comportamen­ to vizioso di chi riferisce tutto soltanto a se stesso". Uno dei tnassitni esponenti del personalismo, J. Maritain, osserva: ''Nulla sarebbe più falso che parlare del 'personalismo ' come di una scuola o di una dottrina È un fenomeno di reazione contro due opposti errori, ed è un fenomeno inevitabihnente molto misto. Non c ' è una dottrina personalistica, ma ci sono aspirazioni personalisti­ che e una buona dozzina di dottrine personalistiche, che non hanno talvolta in comu­ ne se non la parola persona, e delle quali alcune tendono più o tneno verso l 'uno degli errori contrari tra i quali sono situate", J. Maritain, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 1 998 11 . Il testo originale è del 1 946. ..

45

4

N. Berdjaev, Cinq méditations sur l 'existence, Aubier, Paris 1 93 6, p. 93 e s. 5 P. Ricoeur, Meurt le personnalisme, revient la personne, «Esprit», n. l, 1 983 , pp. 1 1 3 - 1 1 9. Ricoeur osserva che - dopo l' idea di un regno a tre: personalismo-esistenzia­ lismo-marxistno, illusione durata per breve tempo -, la sostituzione dell'idea di siste­ ma a quella di storia con lo strutturalismo e la ripresa di un intento antiumanistico con Nietzsche, il personalistno si è trovato sradicato dal suo terreno espressmnente cristia­ no. Nell 'introduzione del 1 985 a Esistenza e persona (Il Melangolo, Genova) Pareyson impiega senza remore sin dalla prima pagina il tennine personalismo, rite­ nendo anzi che l ' ora presente ( 1 985) possa garantire al tema del personalismo un ambiente più propizio di quello ( 1 950) in cui uscì la prima edizione del volume. 6 Scrive K. LOwith: "Come predicato del cosmo intero e perciò compiuto, il divi­ no non è un Dio personale al di sopra e al di fuori del cosmo stesso, e l 'uomo non è un'innnagine di Dio unica nel suo genere perché anch'essa metacosmica, bensì, come qualsiasi altro essere vivente, è un essere del mondo mediante il quale il mondo per­ viene al linguaggio", La mia vita in Germania prima e dopo il 1 933, Il Saggiatore, Milano 1 988, p. 204. 7 Filosofia, giustizia, amore, , n. 5/2003 , pp. 639-655 . 1 5 "I due concetti di sovranità e di assolutismo sono stati forgiati insieme sulla stessa incudine. Insie1ne devono essere messi al bando", L 'uomo e lo Stato, Marietti 1 820, Genova-Milano 2003 , p. 53 . 16 The Law ofPeople, Harvard University Press, 1 999, p. 27. 1 7 Cfr. anche J. Habermas, "Lo stato-nazione europeo. Passato e futuro della sovra­ nità e della cittadinanza", in L 'inclusione dell 'altro, Feltrinelli, Milano 1 998, pp. 1 1 91 40. 18 Pacem in terris, nn. 1 34, 1 3 5 e 1 3 7 . In modo a mio avviso non soddisfacente Bobbio interpreta l 'idea di un' autorità politica come intensificazione del processo di statualizzazione verso un superstato mondiale, verso "una forza tanto grande da diventare, come quella del mostro biblico cui Hobbes dedicò la sua maggior opera politica, irresistibile" (Il problema della guerra e le vie della pace, il Mulino, Bologna 1 984, p. 86), e dunque solo nella forma della creazione di un nuovo e supremo Leviatano. La teoria politica dell 'autorità mondiale ha presentato le cose in modo più attento all ' organizzazione gradualmente ascendente del potere, al princi­ pio di corrispondenza tra bene comune, che deve ormai essere assicurato su piano mondiale, e a poteri politici di pari livello, all ' estensione a comunità sempre più vaste di un'unità di guida. Non è in Hobbes che si possono trovare i principi e i modelli per pensare adeguatamente il problema dell 'autorità politica mondiale, quanto piuttosto in una filosofia politica che intenda il processo di crescente socia­ lizzazione dell'uomo dal villaggio sino alla civitas maxima. Su ciò cfr. V. Possenti, Le società liberali al bivio, P. III, cap. III, e Id. , Religione e vita civile, Armando, Roma 2002 . 1 9 Zanichelli, Bologna 1 954, p. 1 90 e s.

201

2 0 Nella Critica del giudizio (Laterza, Bari 1 970, p. 309 e s.) Kant osserva che la guerra è inevitabile in assenza di nn sistema giuridico fra gli Stati, senza il quale sono esposti al pericolo di danneggiarsi reciprocamente. Esso oggi esiste nella Carta dell'ONU, che assegna al Consiglio di Sicurezza la gestione dell 'uso della forza (art. 42 e 5 1 ), e che limita rigorosamente lo jus ad bellum degli Stati solo alla legittima difesa con l' aggiunta che tale diritto di difesa non è illimitato ma vale sinché il Consiglio di Sicurezza non intervenga (art. 5 1 della Carta dell'ONU che qui si ripor­ ta: ''Nessnna disposizione della presente Carta porta detrimento al diritto naturale di legittima difesa, individuale o collettiva, nel caso in cui un Membro delle Nazioni Unite sia oggetto di un' aggressione armata, sino a che il Consiglio di Sicurezza abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale". È utile aggiungere il dettato dell 'art. 42 : "Se il Consiglio di sicurezza ritiene che le misure previste all' art. 4 1 siano inadeguate o che esse si sono rivelate tali, può intraprendere, mediante forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che giudica necessaria al mante­ nimento o al ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale. Questa azione può comprendere dimostrazioni, misure di blocco e altre operazioni eseguite dalle forze aeree, navali o terrestri di membri delle Nazioni Unite"). 21 Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, p. 250 e p. 3 3 2 . Nello stesso testo leggiamo : "Sebbene io non possa sostenere di essere nn cristiano nel senso confessio­ nale del tennine, l'esempio delle sofferenze di Gesù è nn fattore fondatnentale della tnia fede incrollabile nella nonviolenza che regola tutte le tnie azioni mondane e tem­ porali", pp. 244-45 . 22 Fin dal 1 927 Maritain in Il primato dello spirituale scrive: "L' esempio di Gandhi è quello adatto a farci vergognare" ( OC, Ed. Universitaires, Fribourg - Ed. Saint-Pau!, Paris, vol. III, p. 87 1) . Nella conferenza "L' idea di pace e il pacifismo", tenuta nello stesso anno a Berlino, Scheler tributò un alto omaggio alla "grande guida rivoluzionaria indiana Ma.hattna Gandhi" e al suo metodo della non resistenza e non opposizione alla violenza. La conferenza è pubblicata con pari titolo dalle Ed. Medusa, Milano 2004; la parte su Gandhi è alla p. 7 1 . 2 3 Teoria e pratica della nonviolenza, p. 1 0 e s. 24 "La fme del machiavellismo", in Per una politica più umana, Morcelliana, Brescia 1 968, p. 140 e s. 2 5 Cfr. S. Th., II II, q. 1 23 , a. 6. 26 J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Ed. Esperia 2000; Id. La trasformazione nonviolenta dei conflitti. Il metodo Transcend, Ed. Gruppo Abele 2000; G. Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Ed. Gruppo Abele, Torino 1 996; E. Peyretti, Esperimenti con la verità. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini Editore, Rimini 2005 . Su La Pira e la pace cfr. V. Possenti, Il compito della pace fra responsabilità della politica e forze della grazia, «Ricerche di Storia Sociale e Religiosa», n. 66, 2004, pp. 7-28. In Italia vi è bisogno di un Istituto nazionale di ricerca sulla pace e i conflitti, sul modello degli istituti dei Paesi del nord Europa (come il Sipri svedese). Da noi la peace research è ancora poco sviluppata con poche iniziative e pochissimi finanzia­ menti. Occorre anche un servizio civile con cotpi civili di pace, capaci di intervento nonviolento in zone di conflitto. L'Italia ha già uno stnnnento legislativo adeguato a questo compito, il servizio civile volontario, dove i volontari potrebbero sperimentare forme di difesa non armata e nonviolenta.

202

2 7 J.M. Muller, Il principio nonviolenza . Una filosofia della pace, p. 297. 2 8 A. Capitini, Le ragioni della nonviolenza, Antologia degli scritti a cura di Mario Martini, Edizioni ETS, Pisa, 2004, p. 1 3 6. 2 9 H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1 964, p. 1 77 . 3 0 Il problema della guerra e le vie della pace, p. 26 e s.

Note de/l 'A nnesso 1 Liguori, Napoli 1 990, p. 6.

2 Cfr. Frontiere della pace, Massimo, Milano 1 973 , pp. 1 3 6- 1 49. 3 La grande trasfonnazione e tecnologizzazione della guerra è sottolineata da Scheler nella conferenza "L'idea di pace e il pacifismo", cit. (p. 40). 4 M. Spieker, Armi nucleari e discorso della montagna, in «La Rivista del Clero italiano», settembre 1 984, p. 595 . Ricordiamo i criteri fondatnentali della dottrina del bellum justum. Affinché la guerra sia giusta: l) occorre che esista nna giusta causa di guerra, ossia nna guerra di autodifesa da parte della vittima o eventuahnente una guerra di rivendicazione del dirit­ to violato da parte della vittiina e da parte di ogni altro membro della società interna­ zionale; 2) deve essere stata esamita ogni altra possibilità di impedire l'aggressione; 3) deve essere dichiarata dall'autorità legittima; 4) deve respingere difensivamente l ' ag­ gressore e non trasformarsi in una aggressione; 5) si deve contare sulla possibilità reale di successo; 6) deve valere il principio della proporzionalità dei mezzi di difesa, ossia il rischio dei danni della difesa tnilitare deve essere confrontato col rischio dei danni di un'aggressione subita; 7) l'effetto delle anni impiegate deve rimanere controllabile e contenibile entro i limiti della difesa militare, garantendo l'immunità dei non combat­ tenti. Secondo il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2307 e s.) la legittima difesa con la forza militare è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale; per il fatto che la guerra è scoppiata non diventa lecita qualsiasi operazione tra i contendenti. Nella classica trattazione di Tormnaso d'Aquino la guerra è giusta quando rispet­ ta tre criteri: la dichiarazione dell'autorità legittima, la giusta causa, la retta intenzio­ ne (cfr. S. Th. , II II, q. 40, a. 1 ) . Per intenzione retta si intende quella che mira a pro­ tnuovere il bene o ad evitare il tnale. Tale condizione, che fmì successivamente per essere trascurata, è di grande rilievo, potendo tnutare la liceità morale della guerra: "Potest autetn contingere quod etia.m si sit legittitna auctoritas indicentis bellmn et iusta causa, nihilominus propter prava.m intentionem bellum reddatur illicitum" (ivi). Kelsen si muove a livello più gimidico che etico. Ciò implica che la guerra sia legittima come reazione ad un torto: "E un fondamentale principio di diritto internazionale generale che la guerra è permessa solo come reazione ad un torto sofferto vale a dire cotne una sanzione - e che ogni guerra che non ha questo carattere è un delitto, cioè una violazione del diritto internazionale. Questa è la sostanza del princi­ pio del bellzlm jzlshlm", La pace attraverso il diritto, p. 1 03 . Ben diversa la situazione in Hobbes, che impernia il suo discorso sulla tutela o sicurezza dello Stato e dei cittadini, una teoria spesso nota ai nostri tempi come dot­ trina della sicurezza nazionale: "I governanti sono obbligati a fare qualunque cosa '

203

sembri portare, sia. con l 'astuzia sia in modo violento, a una. diminuzione di potenza. degli Stati da cui c ' è da. temere, dovendo scongiurare con tutte le loro forze i mali che possono minacciare lo Stato", De cive, XIII, 8 . In tali espressioni è contenuta la legit­ timità di una. guerra preventiva, possibile ogni qual volta. uno Stato ritenga del tutto autonomamente e soggettivamente che un altro Stato potrà muovergli rm' a.ggressione. 5 N. Bobbio, Il problema della guerra . . . , p. 64. 6 Secondo Bobbio la. teoria della guerra. giusta è "la. prima. ad essere stata messa. in crisi dali' apparire della. guerra. moderna. Lo scatena.mento della. guerra. atomica le ha. dato solo il colpo di grazia", Il problema della guerra , p. 57; cfr. anche p. 62 . 7 C. Schmitt, Le categorie del «politico», il Mulino, Bologna. 1 972, pp. 1 1 7 e 1 20. . . .

204

Capitolo settimo Fondamenti personalisti della democrazia

Il personalismo ha fornito notevoli elementi per quella definizione positiva della pace, di cui abbiamo riconosciuto la necessità, e si è oppo­ sto all' ambiguo fascino esercitato dalla lotta, al quale soggiacciono varie correnti della filosofia politica moderna. Costituisce perciò un essenziale catalizzatore di una cultura di pace che include un apprezzamento per la democrazia, quale metodo non violento di convivenza politica in cui i contrasti di opinione e di interessi sono risolti in un libero dibattito se­ condo regole concordate. Entrando nell ' area della democrazia, il princi­ pio-persona esercita un notevole influsso ma non è da solo in grado di dar vita ad una compiuta concezione del governo democratico. Per questo scopo deve contrarre alleanza con altri cespiti e temi, dando luogo ad alcune versioni di cui qui svolgiamo quella che appare meglio fondata.

l. L'ascesa della democrazia Da un secolo non vi è forse tema così frequentato e perfino usurato come quello della democrazia e dei suoi fondamenti. Kelsen osservava: "Per seguire la moda politica, si pensa di dover usare la nozione di demo­ crazia - di cui si è abusato più di ogni altra nozione politica - per tutti gli scopi possibili e in tutte le possibili occasioni, tanto che essa assume i significati più diversi, spesso fra di loro assai contrastanti"1 . Vi è una ragione persuasiva perché ciò sia accaduto : l ' evento forse più decisivo del Novecento è stato l' ascesa della democrazia, un fenomeno considerato di maggiore portata rispetto alla sanguinosa realtà dei totalitarismi da un autore come A. Sen in La democrazia degli altri2. In effetti i totalitarismi sono finiti, mentre la democrazia è in cammino, e forse stiamo proceden­ do oltre la sua terza ondata, avvenuta negli anni ' 70 e ' 80 del secolo scor-

205

so, verso una quarta. Ciò rende sensato esplorare la crescente diffusione della democrazia per registrame il cammino e anticiparne il domani : sarà quello che N. Bobbio prefigurava in un noto libro di oltre 20 anni fa (// futuro della democrazia. Una difesa delle regole del gioco)? O invece dovremmo riconsiderame vari aspetti in rapporto ai molti mutamenti da allora intervenuti? In questo processo appare indispensabile l ' apporto della riflessione, tanto più che a dispetto della aumentata estensione della democrazia, la sua cultura appare da tempo in difficoltà nel raggiungere una sufficiente armonia fra persona e comunità. Ormai superato il rischio di porre la collettività come fine ultimo, dot­ trina e prassi della democrazia non hanno per ora oltrepassato il rischio opposto che pone l ' individuo isolato sopra tutto il resto : fra i pericoli della democrazia prossima futura si annovera quello di un' esplosione dell'indi­ vidualismo che vanifichi ogni bene comune e mutua comprensione, in conseguenza della rottura dell' equilibrio fra basilari elementi di una società politica: mercato e amministrazione, solidarietà sociale, azione orientata ai valori, al dialogo e al mutamento responsabile di noi stessi come appartenenti ad una società. Ciò implica che la democrazia non sia ridotta ad un insieme di regole procedurali ma includa cultura e forme di vita comune. Riemerge il problema di scandagliare i fondamenti migliori per la democrazia, la cultura che meglio le consenta di fiorire, le origini storiche e ideali da cui dovrebbe tuttora trarre nutrimento . Non cerchiamo in primo luogo un elenco delle principali definizioni della democrazia, quale ad esempio quello prodotto da Giovanni Sartori nel libro Democrazia e defi­ nizioni del 1 95 7, che nonostante il rilievo esamina un poco in vitro il tema. La democrazia non è un concetto puro, ma impuro nel senso che contrae e ha contratto alleanza con molte culture, alcune più, altre meno idonee alla formazione di un ethos democratico. Impuro significa anche che non è possibile definire la democrazia in un vacuum indipendente dalla storia e dal contesto sociale, e che dunque riveste rilievo domanda­ re sulle sue 'radici' .

2. Fondamenti della democrazia La ricerca dei fondamenti della democrazia si può condurre tanto su piano storico, valutando gli apporti dell' idea liberale, dell' illuminismo, del pensiero cristiano, del socialismo, quanto su piano concettuale, ricer­ cando quali siano le giustificazioni migliori della democrazia: le due vie non sono opposte ed anzi in genere l 'una sostiene l' altra. Qui mi volgerò

206

in specie alla seconda, cercando la miglior cultura che possa supportare la vita democratica, osservando che in prima battuta è bene parlare dei fon­ damenti razionali, morali, antropologici della democrazia senza ulteriori aggettivi. Successivamente si potranno valutare le diverse origini e i vari influssi di matrice razionalistica, illuministica, religiosa, dove potrà acca­ dere di rinvenire sorprendenti mutamenti di prospettiva e scambi delle maschere. Si ponga mente all ' idea di laicità che è di matrice cristiana per l ' origine, sebbene da tempo abbia in parte mutato senso e sia considerata un assunto che non ha più nulla a che vedere col cristianesimo. I principi del governo democratico fanno parte di quelli del buon governo politico, e lo qualificano ulteriormente . Sono principi del governo democratico l 'uguaglianza, il flusso dell' autorità dal basso verso l ' alto, la non-discriminazione, la rappresentanza, mentre fanno parte del secondo il nesso stretto fra autorità e bene comune, il governo in vista del bene comune e non dell ' interesse privato, la libertà, la giu­ stizia, la regola della legge, l ' esistenza di principi che non dipendano dalla mera volontà dello stato o del potere . Esiterei a ravvisare nel pen­ siero contrattualistica una cultura di base della democrazia per la sua possibilità di essere giocato in modo ambivalente, poiché ad esso appar­ tengono filosofie come quella hobbesiana che non possono considerarsi democratiche. Del governo democratico fa parte un insieme di regole del gioco come quelle dell ' alternanza al potere senza spargimento di sangue, il criterio di maggioranza, le elezioni libere e periodiche, la separazione fra i fondamentali poteri dello Stato . In particolare il senti­ mento dell 'uguaglianza umana - l ' idea cioè dell ' homo homini homo, contrario all ' homo homini lupus da cui secondo Hobbes si esce solo col contratto sociale/pactum societatis - mi pare un retroterra di base della percezione democratica. La democrazia è fondata assai più sul rispetto dell 'uomo che sulla paura della morte violenta, e sull ' assunto che occor­ ra stabilire il diritto e la giustizia, ossia sulla prevalenza del paradigma della giustizia su quello della forza. I riferimenti alla cultura di base della democrazia devono ora essere meglio articolati, enucleando i principi cui essa si raccorda: a) entrando nel dominio della politica, il principio-persona rivendica per il soggetto il valore di fine e non di mero mezzo, la sua dignità, l ' in­ trinseca socialità e il suo non ridursi ad oggetto del mondo . Il soggetto umano è nel mondo, ma non è interamente del mondo, aspetto che evoca un postulato antinaturalistico. Il governo democratico riposa sulla perso­ na umana, sull ' apertura all ' altro, sulla sua trascendenza reale rispetto alla comunità politica: trascendenza qui significa che la persona, pur sempre inserita in comunità, non è mai soltanto parte di gruppi sociali da cui non possa emergere o in cui risulti dissolta.

207

Questi assunti sono coerenti con un moderato ottimismo antropologico o, se si preferisce, con un moderato pessimismo, che considero un prere­ quisito di ogni autentica concezione politica. In proposito si potrebbe cita­ re una lunga serie di testi. Limitiamoci a richiamare le posizioni di R. Niebuhr e di C . Schmitt. Il primo rifiuta l' ottimismo antropologico moder­ no incapace di fare i conti col problema del male: "Sia l 'uomo razionale sia quello naturale vengono concepiti come essenzialmente buoni, e l 'unica cosa necessaria è ergersi sopra il caos della natura verso l 'armonia della mente, oppure discendere dal caos dello spirito verso l 'armonia della natu­ ra"3 . L' altro, sia pure forzando il tema attraverso una curvatura pessimisti­ ca del dogma del peccato originale come se questo rendesse impossibile un concetto universale di uomo, sostiene : "Tutte le teorie politiche in senso proprio presuppongono l 'uomo come ' cattivo ' , [che] cioè lo considerano come un essere estremamente problematico, anzi 'pericoloso ' e dinamico. Ciò è facile da provare per ogni pensatore politico in senso specifico. Per quanto diversi possano essere questi pensatori per natura, importanza e significato storico, essi sono tutti d' accordo nella visione problematica della natura umana'', che Schmitt assume a base antropologica della sua discussa idea del politico come scontro fra amico e nemico4. Dall ' idea dell 'uomo come essere debole e inclinato al male, eppure capace di bene, deriva una fondamentale regola di ogni governo democra­ tico o costituzionale, ossia la separazione del potere - il potere non con­ trollato corrompe e il potere assoluto corrompe in modo assoluto - che trova applicazione nella divisione tripartita dei poteri costituzionali. b) L' idea di popolo come unione ordinata di persone che cercano sotto la rule of law un bene comune politico e che sono legate da tradizioni, costumi e comunicazione reciproca. L' idea di popolo così declinata risul­ ta equivalente a quella di società politica. Come scrivevamo altrove "il concetto di popolo costituisce la nozione-cardine della filosofia politica, in special modo di una filosofia politica personalistico-umanistica: esso è l ' elemento dinamico della forma politica. Il modo in cui è elaborato il suo concetto è un rivelatore molto sensibile della qualità e delle opzioni di ogni pensiero politico''5 . Il popolo composto di persone umane col loro inedito e peculiare volto è la sostanza e il soggetto della società politica e dello Stato prima di esserne l ' oggetto. La centralità del popolo trova realizzazione effettuale nella formula con cui Lincoln determinò il carattere del governo democratico : gover­ nment of the people, by the people, for the people. Naturalmente divente­ rebbe necessario stabilire in maniera comparativa i migliori resoconti della nozione di popolo. Qui mi limiterò a segnalare che con la filosofia politica personalista non sono coerenti i concetti di popolo elaborati ad es .

208

da Kelsen o da Schmitt, pur fra loro lontani, e neppure quello di Rousseau secondo il quale, affinché la volontà generale possa esprimersi, non deve esistere alcuna formazione sociale fra il singolo e lo Stato. Questa idea darà origine alla soppressione di ogni società intermedia durante la Rivoluzione Francese (legge Le Chapelier), all' origine del centralismo che per due secoli ha inquinato vari Paesi europei. c) L'idea di partecipazione alla cosa pubblica, ossia una democrazia discorsiva che in quanto governo di tutti, coinvolga tutti nel processo deli­ berativo : un assunto che accomuna il personalismo comunitario (Maritain e Mounier), la democrazia dialogica di Apel e Habermas, A. Sen e altri. La democrazia partecipante pare un' àncora di salvezza, se non vogliamo che la democrazia diventi di fatto il governo di pochi, degli esperti e basta, e che la cooperazione di tutti al costituirsi del diritto e della giustizia appa­ ia qualcosa di marginale. Contro la partecipazione si drizza il patemali­ smo che governa coloro che hanno rinunciato alla libertà. Tocqueville ha descritto il nuovo dispotismo da cui possono essere affiitti i popoli demo­ cratici : "Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi a parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri . . . al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. E assoluto , particolareggiato , regolare, previdente e mite . Rassomiglierebbe ali ' autorità patema se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevoca­ bilmente nell' infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensi­ no che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l 'unico agente e rego latore . . . "6• '

d) La preminenza dell'autorità sul potere, poiché solo l' autorità può andare d' accordo con la libertà responsabile, emarginando la forza arbitra­ ria. L' abbandono del concetto di autorità e la sua sostituzione con quello di potere provoca una crisi profonda del pensiero democratico : la rinuncia al primo non coincide affatto con la liberazione dal potere ma col suo raffor­ zamento7. In democrazia l' autorità fluisce dal basso verso l 'alto, aspetto di cui non si sottolinea mai abbastanza il rilievo fondante per il governo democratico, ma è nel contempo limitata da vincoli razionali e morali: la maggioranza al governo non può decidere qualsiasi cosa, poiché esistono azioni e regole che sono la negazione del diritto e della giustizia ed altre che richiamano un diritto e una giustizia immutabili nel loro fondamento e cui occorre ispirarsi : il diritto naturale, appunto, da cui deriva un certo

209

modo di intendere il nesso fra morale e diritto positivo. Pur mantenendo la loro distinzione, il criterio del diritto naturale impedisce di divaricarli oltre un certo limite, per cui le regole valide per tutti non possono che basarsi in ultima istanza su principi morali universali, contrariamente all' assunto della kelseniana dottrina pura del diritto, per la quale è valido ogni diritto positivo legalmente posto, qualsiasi sia il suo contenuto8. e) La democrazia internazionale o cosmopolitica verso cui lentamente muove l'esperimento democratico, non nasce solo per contratto ma ricono­ sce l'esistenza di una comunità internazionale in certo modo anteriore agli Stati, e criteri ultimi non soggetti o creati dal consenso, ossia principi dijus naturale e dijus gentium che devono sovrintendere all'ordine internaziona­ le. Questo, se non è inteso in senso meramente pattizio, può condizionare quello statale, secondo un' idea svolta nell' intervento di La Pira all'Assemblea Costituente italiana ( 1 1 marzo 1 947). Il pronunciamento !api­ riano merita di essere ricordato per la critica esplicata contro Kant, Rousseau e in specie Hegel: ''Penso a quanto dissero Hegel in ordine alla comunità internazionale e Kant e Rousseau prima di lui. Per Kant e per Rousseau, non essendoci il corpo sociale, non c ' è un diritto internazionale anteriormente a quello statale e condizionante il diritto statale . . . "9• Nella posizione secondo cui la comunità internazionale preesiste agli accordi fra gli Stati riemerge l'idea che lotus mundus est quasi una res publica (De Vitoria). Nell' arena internazionale si inne sta la possibilità, intravista da Kant ed altri, di pervenire alla pace perpetua, oltrepassando l'orizzonte dello Stato­ nazione cui per molto tempo la democrazia è stata assimilata e limitata, per muovere verso contesti internazionali e planetari e l'edificazione di istitu­ zioni sopranazionali. ''Da tempo ormai la popolazione mondiale è stata costretta a unificarsi come ' comunità del rischio ' . Non appare dunque inve­ rosimile l' aspettativa che, sotto questa pressione, la grande spinta astrattiva che ha già trasformato sul piano storico la coscienza locale e dinastica in una coscienza nazionale e democratica possa ulteriormente svilupparsi"10.

f) N ella cultura democratica occupa un posto notevole l' idea che, a partire dali' inferiorità della morale del gruppo rispetto a quella del singo­ lo, sia possibile condurre l ' etica di una società democratica verso una migliore morale di gruppo, ossia portare quest'ultima verso livelli simili a quelli di una valida etica personale. Scrive R. Niebuhr: "Per le persone singole, essere morali può significare essere in grado di prendere in con­ siderazione, ai fini della determinazione della propria linea di condotta, interessi diversi dai propri ed essere capaci - in certi casi - di anteporre ai propri interessi quelli degli altri . . . L' inferiorità della morale dei gruppi rispetto a quella degli individui è dovuta in parte alla difficoltà di dar vita 21 0

ad una forza sociale razionale abbastanza potente da potersi misurare con gli impulsi naturali su cui la società fonda la sua coesione; ma in parte non è altro che una dimostrazione dell' egoismo collettivo, un prodotto della combinazione degli impulsi egoistici degli individui, i quali giungono ad un' espressione molto più vivida e più potenziata quando sono cumulati che non quando si esprimono separatamente e privatamente" 1 1 . g) L' idea di laicità. Questa non è soltanto propria della democrazia ma di ogni buon governo politico, e proprio per questo non può essere assente dal governo democratico . E ben noto che l ' idea di laicità con la duplicità della rappresentanza al posto dell'unità ieropolitica della città antica, in cui si congiungeva in un solo vertice (nell 'imperatore che era anche pontefice) la rappresentanza sacrale e quella civile, proviene dall' area del cristianesimo, anzi dal suo stesso fondatore : è un portato ultimamente eri­ stico, non solo cristiano. Fu così introdotta una tensione permanente fra Dio e Cesare, fra l' obbedire all 'uno (magari rappresentato dalla coscien­ za) o all ' altro, che è tuttora in atto e che non terminerà tanto presto . Diventa essenziale che tale dialettica permanga nella sua potenziale fecondità, evitando l ' assorbimento di un termine nell' altro : la religione intesa come semplice strumento della politica o viceversa la politica sot­ toposta ad una teocrazia. Argomentare a favore della laicità implica il distinguerla dal laicismo quale programmatica esclusione della religione dalla società e come dichiarazione ahneno metodologicamente atea di procedere etsi Deus non daretur: un evento quasi soltanto occidentale e tale da apparire nel contesto planetario come un' anomalia da sanare 12. L'interpretazione laicista che nel logion "Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" (Matteo 22, 2 1 ; Marco 1 2, 1 7; Luca 20, 25) evidenzia solo il riferimento a Cesare, non sembra funziona­ re, poiché la frase dice non solo che occorre marcare i confini fra Dio e Cesare, ma che occorre rendere o dare. Il risuonare di tale verbo cambia la prospettiva della semplice separatezza fra Dio e Cesare. Il dare a Cesare quanto è necessario : giustizia, pace, diritti, rispetto, è qualcosa di grande . Ma Cesare non è Dio. C esare può essere patria temporale, ma non è patria definitiva per alcun uomo. Il dare a Cesare implica, perché sia autentico e pieno, il dare a Dio quanto è necessario e salutare. Dare solo a Cesare senza dare a Dio è l ' inizio della rovina. L' equivoco laicistico consiste nel dare a Cesare senza voler dare a Dio . Il versetto evangelico domanda un doppio dare, e l 'uno non può stare senza l ' altro. Che cosa significa dare a Dio? Varie cose, fra cui la possibilità d' in­ fluenza della religione nella sfera pubblica, diversamente dal postulato liberale canonico secondo cui la fede è un mero fatto privato. La religio­ ne merita forse rispetto a patto che si rintani nell'ultimo angolino che il ,

21 1

pensiero laicista le assegna: la coscienza individuale. A questo assioma si è aggiunto per lunghe epoche un desiderio, che sotto i paludamenti delle scienze sociali esprimeva un progetto, quello dell ' irrilevanza della reli­ gione: a più modernità corrisponde meno religione e più secolarizzazio­ ne, si è detto e ripetuto. La libertà della religione diventava libertà dalla religione. Un assunto che è parso vero per un certo tempo ed oggi non lo è più, poiché le religioni mondiali sono in ripresa (' la rivincita di Dio ' , dice G. Kepel). Ci si è poi accorti che esisteva un notevole problema, ossia che lo Stato laico riposa su fondamenti che non può garantire, e che possono essere garantiti solo se nella società civile circola una robusta linfa etica e una cultura intellettuale di rispetto, giustizia, libertà che lo Stato da solo non può assicurare. Occorre dunque andare alla ricerca del migliore modello di laicità. Forse sarebbe quello europeo o addirittura quello francese? Tocqueville aveva intuito il problema e colto la soluzione. Essa dice che in America, entro la separazione fra Stato e Chiesa, la religione è fondamento indipen­ dente della politica e che essa "contribuisce potentemente alla conserva­ zione della repubblica democratica negli Stati Uniti". La religione non come elemento della politica, ma come ispirazione necessaria di ogni pas­ sabile vita democratica: in tal modo la religione non diviene instrumen­ tum regni, ma seminarium reipublicae, forza di vivificazione e d' ispiraztone. I nuovi termini del problema della laicità segnalano l ' insufficienza della pur importante distinzione fra ultimo e penultimo . A lungo si è detto : lasciamo alla sfera intima della coscienza, alle libere scelte individuali le questioni ultime, neutralizziamole nell' arena pubblica e concentriamoci sui problemi penultimi dove sarà più agevole trovare un accordo. Ora ci si accorge che questa posizione non regge, che l' indifferenziato richiamo alla tolleranza come medicina sempre e comunque valida rischia di esse­ re vano, perché i problemi con cui dobbiamo confrontarci richiedono una determinazione che vada oltre il procedurale. La scomoda realtà è che entro il penultimo nascono problemi che interessano in pieno l ' etica, l ' an­ tropologia, il diritto pubblico. E se interessano il diritto pubblico, è perché questo si trova dinanzi a problemi di principio dove la sola tolleranza teo­ retica (fatta salva quella pratica) e la pura mediazione politica non sono sufficienti, essendo le questioni di principio senza punto medio . Diversamente dagli interessi che hanno un prezzo e ammettono perciò un punto medio, i principi possiedono una dignità e non si prestano alla mediazione. Tutto ciò si scarica con violenza sul diritto, dove si rischia di far prevalere le ragioni dei forti su quelle dell ' altro debole e inapparente. Lo Stato laico non può garantire i propri fondamenti. Quando Locke scriveva sui diritti umani aveva un' intuizione nitida di questo e altrettan.

21 2

to Maritain nel XX secolo. Non invece oggi il laicismo, che da un lato si lamenta con buoni motivi che la faccenda dei diritti sia un supermercato dove ciascuno reclama a ragione o a torto il suo, e dali ' altro si limita a richiamare l' autonomia kantiana consistente nel rispettare le leggi che liberamente ci si è dati : ma quale legge fondamentale possiamo darci se non quella che è inscritta in noi? Che la legge civile debba essere intesa soltanto come l ' espressione di un accordo fra i cittadini non è soluzione sufficiente, poiché la maggioranza volta a volta egemone può decidere qualsiasi ignominia, se non esistono criteri che antecedono il diritto posi­ tivo. La soluzione dell ' autonomia kantiana, espressione di un cristianesi­ mo laicizzato, poteva funzionare al suo tempo in cui il codice morale accettato era quasi identico a quello dell' etica cristiana e ritenuto univer­ sale (vedi Voltaire e in genere l' illuminismo). Ma oggi, quando l 'uni­ verso etico si è sbriciolato in un pluri-verso morale dove ciascuno legife­ ra per se stesso? Quando esistono solo individui solitari, pronti a pensar­ si come assoluti?

3. Does democracy need religion? Varie difficoltà della democrazia occidentale attuale provengono dalla necessità di ricostituire il fondamento etico ed antropologico delle socie­ tà contemporanee dinanzi all' affermarsi di una civiltà impersonale tenta­ ta dal nichilismo . Si tratta di rispondere alla domanda che molti nel pas­ sato hanno elevato e fra questi R. Niebuhr: 'Does democracy need reli­ gion? ' . O anche: ' does civilization need religion? ' . Autori non poco diver­ si quali Dawson, Huntington, Maritain hanno osservato che le grandi reli­ gioni sono le basi su cui riposano le grandi civiltà: se lo Stato è laico, e la società civile no, è perché esiste una matrice teologica della società civi­ le. Non dobbiamo concedere troppo facilmente che la democrazia se la possa cavare eliminando ogni contatto con la religione, fidando sull' as­ sunto che il procedere della secolarizzazione sia inarrestabile. Con soffu­ sa ironia Tocqueville aveva scritto intorno al 1 83 5 : "I filosofi del secolo XVIII spiegavano in un modo molto semplice il graduale affievolirsi della fede. Lo zelo religioso, essi dicevano, deve estinguersi via via che la liber­ tà e la cultura aumentano . Ma è spiacevole che i fatti non vadano d' accor­ do con questa teoria"1 3 . Quanto al rapporto fra democrazia e cristianesimo , non so sterrò che vi sia un nesso intrinseco fra i due per l ' eterogeneità fra politica e religione, ma che a) si dà notevole affinità fra l ' antropologia personalistica coeren­ te col cristianesimo e la democrazia; b) il linguaggio cristiano custodisce

21 3

ed esprime ragioni che il discorso pubblico democratico non può ignora­ re, nel senso che la ragione secolare dovrebbe essere disponibile ad ascol­ tare quanto promana dalla semantica biblica di liberazione 14. La cosa sarà tanto più possibile quanto più si percepirà la forza di universalizzazione del messaggio religioso e il suo nesso con gli ideali moderni di universa­ lismo etico, giuridico, politico, di unità della famiglia umana. Un' obiezione frequente all ' idea di un' ispirazione religiosa della democrazia è che le leggi devono possedere validità erga omnes e non possono valere per tutti sulla base di ragioni religiose cogenti solo per una parte della cittadinanza. Se tu non vuoi, perché devi impedire che io possa ? Questo sembra il criterio dell ' etica pubblica, fondamentalmente libertaria, che cerca di imporsi attualmente in Europa, ed in cui il tema dell ' altro e del suo rispetto possono andare in ombra. Si pensa che la sog­ gettività personale abbia diritto a tutto, e che inique siano le norme pub­ bliche entro cui occorre inquadrarla. Il punto centrale è presto enucleato e domanda se le norme fondamentali dell ' etica pubblica possano essere assoggettate al criterio relativistico, ossia se tale criterio sia posto come supremo, oppure se, andando a sufficiente profondità, esistano alcune basi ferme dell ' etica pubblica che provengano dal diritto naturale, dai diritti umani, e che trovino espressione nel dettato costituzionale. L' argomento che vorrebbe emarginare come meramente confessionali varie posizioni, appare in genere specioso perché, almeno in Occidente, i contenuti della legge civile avanzati da cittadini che si riconoscono in una base religiosa, non sono motivati religiosamente ma razionalmente ed eti­ camente. Se ci si interroga sulla questione dell ' embrione, la difesa della sua appartenenza al genere umano, il suo essere ' qualcuno ' e non ' qual­ cosa' e di conseguenza il suo essere titolare di diritti, non sono un tic del club cristiano o cattolico, come si dà a credere dando prova di rozzezza, ma l' esito di un argomento motivato, controllabile e razionale. I fondamenti laici e religiosi della democrazia sono in certo modo inclusi nel dialogo fra ragione e fede, e nella purificazione che esse si apportano reciprocamente e che operano anche verso la democrazia. La ragione quale partecipazione finita ma reale del Logos è chiamata ad eser­ citare un controllo purificante delle deviazioni e delle patologie, che secondo i tempi possono assediare la coscienza religiosa e renderla sue­ cube di allucinazioni e di tentazioni impure. Reciprocamente la ragione, che facilmente cede alla hybris e alla volontà di potenza, è purificata dalla fede, se non nega di poter apprendere da essa i modi con cui frenare la sua tendenza a diventare distruttiva. Un tale rapporto fra razionalità secolare e razionalità di fede si palesa come fondamentale per l ' avvenire della democrazia per vari motivi, fra cui il fatto che esse oggi incidono sulla situazione mondiale in modo più intenso di qualsiasi altra espressione spi-

21 4

rituale nel mondo . La loro cooperazione può favorire un processo di puri­ ficazione e di dialogo universali, facendo emergere ciò che è comune, ossia valori e norme stanno alla base del convivere umano lo tengono coeso.

4. Personalismo, individualismo e rapporto tra le generazioni La giustificazione della democrazia qui schizzata è di tipo personali­ stico e sostanziale, nel senso che la persona e le società fondamentali ad essa connesse sono principio, fondamento e fine dell' intero sistema democratico. La frequente giustificazione della democrazia solo come insieme di regole e procedure si lega ad una ragione 'neokantiana' , certo universale ma solo sul piano formale e pertanto vuota di contenuti etici ed antropologici. Questo diffuso assunto appare oggi più ancora del passato qualcosa di troppo vago. Fra tutte le questioni che assillano la democrazia la più centrale è nuovamente quella antropologica, il che significa che occorre ripartire dalla persona e dal suo naturale e multiplo sistema di relazioni . Poiché la società altro non è che la parola "uomo" scritta in grande, la questione sulla democrazia implica la questione sull'uomo. Quanto agli esempi non occorre scomodare i classici, dove la connes­ sione è espressamente tematizzata. B asti porre mente alle teorie politiche a base biologica, psicologica, psicoanalitica; ai tentativi di impiegare i metodi causali delle scienze naturali alla vita politica, il che presuppone una risoluzione naturalistica dell'uomo; a Freud che, nell' avvertire l ' in­ fluenza dell ' antropologia, possedeva un intuito più sicuro del contrat­ tualismo e che tentò con la teoria della libido e dell' inconscio di risolve­ re la psicologia delle masse negli elementi individual-psichici. Il personalismo non ha molto a che fare con l ' individualismo. Quest'ultimo si appoggia fortemente sul dogma liberale secondo cui le azioni e decisioni di adulti consenzienti, specie nell ' area della vita sessua­ le e del matrimonio, riguardano solo loro, sebbene esista una notevole evi­ denza empirica degli effetti a catena su altri di tali comportamenti. Ciò comporta inoltre l ' atteggiamento di una competizione dividente e il con­ flitto fra generazioni per l ' accaparramento delle risorse piuttosto che l ' atteggiamento della solidarietà intergenerazionale. E ancora rara la consapevolezza che l' aprire sempre nuove libertà e opportunità agli adulti rischia di penalizzare in maniera pesante le future generazioni. Ora l 'indi­ vidualismo tende a segare i legami fra le generazioni, e qualcosa di simi­ le osservava Tocqueville : "Fra i popoli democratici . . . il tessuto del tempo è strappato ad ogni momento e la traccia delle generazioni è cancellata. ,

21 5

Quelli che sono esistititi prima sono facilmente dimenticati e nessuno dedica un pensiero a quelli che seguiranno". Quasi assente nelle prospettive che fanno centro sull' individuo è la famiglia, che pur rimane scuola indispensabile di umanizzazione e socia­ lizzazione, mentre notevole è la sottovalutazione della crisi delle norme etico-sociali su cui ultimamente riposano le società e gli Stati. L' idea di democrazia di Habermas, proiettata del resto a buon diritto verso l 'uni­ versale e il cosmopolitico, sembra fondata solo sul dialogo e comunica­ zione di soggetti individuali, che non hanno riferimento ai loro gruppi, reti e comunità di appartenenza. Altre impostazioni si imperniano sulla triade ' individuo-mercato-stato ' e marginalizzano la famiglia e le forma­ zioni sociali intermedie della società civile. In genere nelle scienze socia­ li e nelle politiche sociali ciò produce un' enfasi fuori misura dell 'auto­ sufficienza del soggetto e una svalutazione della dipendenza reciproca reale in cui i soggetti umani si trovano, in specie nelle fasi iniziali e fina­ li della vita. L' icona dell 'individuo libero, capace di piena autodetermi­ nazione e autosufficienza esercita un' alta attrazione sull ' immaginazione individuale e sociale che tende a relegare ai margini ogni considerazione che metta in luce la condizione umana di dipendenza: tuttavia gli esseri umani sono e rimangono fortemente dipendenti l'uno dall ' altro, e una parte delle loro virtù si sviluppa nella consapevolezza di ciò e della necessità di cooperare, di prendersi cura dell ' altro, di partecipare allo scambio sociale del dare e del ricevere. In alcune visioni del Welfare State questo limite si somma a quello di non stimare a sufficienza la capacità del soggetto di agire in base a valori e di non essere guidato solo dal calcolo del selfinterest. Reputo perciò più appropriato parlare di personalismo invece che di individualismo; ma se proprio si rimane al vecchio uso del secondo termi­ ne, occorre vedere l ' individuo non come una totalità in sé compiuta, ma come un soggetto relazionale pronto a entrare in comunicazione e in coo­ perazione con l ' altro. Secondo Bobbio "la dottrina democratica riposa su una concezione individualistica della società" 15, il che - se ben interpreto - vuoi dire che solo i soggetti individuali esistono e che la società non è una realtà sostanziale ma una relazione d' ordine; un' idea volta contro ogni assunto olistico e organicistico. Comunque anche Bobbio parla di individualismo là dove sarebbe più appropriato parlare di personalismo, poiché lui stesso scrive che "i rapporti dell' individuo con la società ven­ gono visti da liberalismo e democrazia in modo diverso" (p. XII). Non è inutile osservare che l ' artificio del velo di ignoranza introdotto dal con­ trattualismo liberale di Rawls significa che l ' individuo non fa parte in alcun modo di gruppi e comunità, ma è separato e deve essere separato da tutto ciò.

21 6

Nella sua forma radicale l ' individualismo rappresenta un principio rischioso per la democrazia, poiché abbandonando le nozioni di persona relazionale e di popolo, ruota attorno alla propensione autocentrata del­ l ' io. Una debolezza della cultura democratica in Occidente consiste nel­ l ' essere spesso pilotata da teorici liberali puri che puntano sull ' individuo, i suoi diritti, e sull ' idea di contratto quale fatto artificiale su cui costruire regole e socialità. Ciò comporta che la versione liberale attuale della democrazia abbia come scopo ultimo quasi solo la libertà, retoricamente intesa come una forza illimitata e autosalvifica, l 'unica capace da sola di generare progresso, pace, buona società. Questa concezione assolutizzata ed antropologicamente dubbia erompe nelle recenti posizioni dei neocon­ servatori americani, per i quali la vera ed unica forza vitale e creativa della storia è costituita dalla libertà. Nella dimensione politico-sociale l ' essere umano, che possiede il pro­ prio statuto di persona solo come una radice da far fruttificare e che è per ciò stesso soggetto a serie sconfitte, cerca una liberazione dalle grandi ser­ vitù che lo minacciano (malattia, miseria, ignoranza, tirannia) ed un com­ pimento del proprio io comunicativo e relazionale. Né completamente risolto nei rapporti sociali (Marx), né un tutto in sé perfetto, chiuso e pie­ namente costituito prima del rapporto sociale (Rousseau), la persona è dal personalismo comunitario intesa come una realtà aperta al vero e al bene, come un centro di attività e di libertà. L'uomo vive socialmente non sol­ tanto per soddisfare bisogni, perseguire interessi o per l 'utilità della divi­ sione del lavoro, ma anche per comunicare perfezioni, "dire" se stesso all ' altro, obiettivare la propria essenza in creazioni oggettive. La persona è inserita in uno schema di socialità, che potremmo definire a cerchi con­ centrici oppure a "cono rovesciato", nella partecipazione a comunità sia naturali sia volontarie.

5. Scuole democratiche e paradigmi di giustificazione I fondamenti della democrazia enucleati trovano variabile accoglienza nelle dottrine democratiche a base morale, antropologica, epistemologica, di cui lo storico delle idee traccia il profilo, e su cui ora ci soffermiamo brevemente, riassumendo un tema molto vasto. Il nostro scopo è di cerca­ re la filosofia più solida, capace ad un tempo di giustificare la democrazia e di organare la dottrina democratica. Cercando una teoria "materiale" e non solo procedurale, ci collochiamo in una prospettiva in cui forma e contenuto non siano scissi e posti in contrapposizione. Giustificare la democrazia significa ricondurla a princìpi: occorre prendere sul serio l' as-

21 7

sunto, tentando di superare un deficit di fondazione, che circola nelle teo­ rie politiche che pensano essere la democrazia sufficientemente garantita da tradizioni storiche. Nel XX secolo la teoria della democrazia è stata un crocevia estremamente frequentato. E possibile riassumere in sei indirizzi le principali posizioni emerse, sebbene esse non rivestano oggi uguale incidenza pra­ tica. Ai fini dello svolgimento del discorso, che verte sul momento della giustificazione, l ' elenco cita brevemente pure le posizioni filosofiche nor­ malmente accolte all' interno dei suddetti indirizzi : ,

l ) le teorie elitistiche elaborate dalla scienza politica wertfrei (Mosca, Pareto, Schumpeter), per cui la democrazia è da intendersi come governo di minoranze in competizione per il potere; democrazia governata perciò più che governante, in cui continua a valere la logica ferrea delle oligar­ chie, ossia il fatto che il potere reale risieda in minoranze dirigenti, perio­ dicamente accettate o rifiutate mediante legittimazione da voto popolare;

2) la teoria marxista-leninista, in cui la critica dell 'economia e della poli­ tica condurrebbe alla fine dello sfruttamento e ali' estinzione dello Stato quale strumento di dominio della classe economicamente egemone; il punto di arrivo dovrebbe essere ciò che il giovane Marx chiamava la vera demo­ crazia egualitaria. Essa rappresenta la scomparsa del politico (diritto e Stato) e, secondo la nota posizione engelsiana, la sostituzione del governo degli uomini con l'amministrazione delle cose in una comunità totalmente autonoma e autoregolantesi: democrazia im-politica perciò che si realizza solo in una società senza classi. Filosoficamente la dottrina democratica marxista è soprattutto una teoria dell' emancipazione umana, giocata a livel­ lo economico-produttivo e interpretata dal materialismo storico-dialettico; 3) le teorie democratiche a base epistemologica, che sottolineano il legame fra dottrina della conoscenza, dottrina della scienza e teoria demo­ cratica (Kelsen, Popper). Esse assumono che la miglior giustificazione della democrazia riposi sul relativismo filosofico (Kelsen), oppure su un' epistemologia fallibilista accompagnata da fede morale nell'uomo (Popper) : escludono perciò la razionalità antologica, adottano in genere una posizione non-cognitivista, rigettano il diritto naturale. Tali teorie richiamano l ' attenzione sull' importanza delle "regole del gioco", cioè sul­ l ' aspetto procedurale della democrazia, in modo più o meno forte a secon­ da del grado di non-cognitivismo e di separazione tra forma e contenuto assunti. Ma debbono comunque uscire dali ' epistemologia, poiché questa non può generare ethos da sola: dai dibattiti scientifici emergono nuove conoscenze, non nuova coscienza morale. 21 8

4) le teorie centrate sul discorso o prassi comunicativa (Arendt) oppu­ re sul consenso comunicativo (Ape l, Habermas ). La prima posizione guarda ali ' esperienza storica della polis antica e in questo trova alcuni ele­ menti di somiglianza col pensiero di L. Strauss. La seconda critica il deci­ sionismo positivistico sui fini, conseguente alla divisione is-ought, e cerca per la democrazia una morale politica universale, individuata in un' etica comunicativa e della responsabilità deliberativa, assumendo una posizio­ ne cognitivista in base al metodo della comunità trascendentale dell' argo­ mentazione. Mira inoltre a definire discorsivamente i fini della conviven­ za in un' autoriflessione critica della società su se stessa, in un mix tra etica della responsabilità ed etica della convinzione, mirato al prosegui­ mento dell ' ideale illuministico di emancipazione e di quello kantiano di autonomia proiettati su scala planetaria; 5) le teorie personalistico-comunitarie considerano la democrazia il regime politico più consono ai valori della persona, di cui in genere svol­ gono una dottrina sufficientemente elaborata (Capograssi, Maritain, Mounier, Sturzo, La Pira). Esse sottolineano la base morale della democra­ zia, il suo fondarsi su una cultura non scettica né relativistica. Rinviano a una razionalità antologica, al cognitivismo etico e ad una morale universa­ le del bene umano; sul piano pratico a istituzioni che, nell' ossequio alla formula democratica di Lincoln, realizzino il bene comune mediante l ' au­ togoverno del popolo sotto la ntle of law, entro un movimento mirato a coniugare libertà e giustizia, globalizzazione e radicamento nelle comuni­ tà originarie. Considerano l' autorità giustificata solo dalla ricerca del bene comune, di cui danno ormai un resoconto planetario e chiedono l ' istituzio­ ne di poteri pubblici sovranazionali e infme mondiali. Adottano la dichia­ razione universale dei diritti dell'uomo come un ideale morale adeguato, espressione dell' intuizione originaria sulla persona di cui si nutrono; 6) le teorie politiche derivanti dall ' approccio contrattualistica o utili­ taristico svolto in ambiente anglosassone. Più che di compiute teorie della democrazia si deve in tal caso parlare di diramazioni da indagini sui dirit­ ti, la giustizia, l 'uguaglianza (Nozick, Dworkin, Rawls, Harsanyi). Spesso forte è la tendenza a rielaborare la posizione del contrattualismo moder­ no come canone razionale in rapporto alle nuove situazioni politiche del XX secolo . Ciascun indirizzo incorpora un certo modo di interpretare e giustifica­ re la democrazia. Se si riporta ali' osso il loro procedimento argomentativo, operando una ricerca sulla loro struttura concettuale, le principali giustifi­ cazioni della democrazia (ad eccezione forse del marxismo) possono esse-

21 9

re ricondotte a tre distinti paradigmi, in alcuni casi impiegati congiunta­ mente, nel senso ad esempio che il secondo e il terzo si integrano agevol­ mente ed essi possono senza serie difficoltà legarsi anche al primo, quan­ do questo non sia giocato solo in senso noncognitivistico: giustificazioni in base ad un paradigma gnoseologico : cognitivismo/non-cognitivismo; relativismo ; ricorso alla scienza; giustificazioni in base al nesso tra etica e politica, e più generalmen­ te tra verità e politica; giustificazioni in base alla dottrina della persona, ai suoi diritti natu­ rali, alla sua libertà e capacità comunicativa16. Vari caratteri accomunano le suddette concezioni : la democrazia è ali­ mentata da valori morali, dal rispetto della persona e dei suoi diritti, si col­ lega spontaneamente ad una società libera, non dominata da un' oligarchia chiusa, nella quale vige un governo rappresentativo costituzionale, ed in cui lo Stato è al servizio della società politica. Estese sono le convergen­ ze sul metodo democratico e sulle regole del gioco, che circoscrivono un' ''area minima dell 'universale", senza di cui non ci può essere né socie­ tà né democrazia, sebbene esse non possano stabilire il contenuto "mate­ riale" del bene comune. Nel complesso non è poco, ma non è neppure molto perché l ' accordo non raggiunge il livello dei principi, dove perlo­ più divergono le posizioni filosofiche e antropologiche1 7. Le impostazioni analizzate rendono impervio il discorso della "demo­ crazia totalitaria", quell 'insieme del tutto ibrido di concetti per cui Mussoli­ ni parlava del fascismo come "compiuta democrazia" e Stalin del comuni­ smo come ''democrazia popolare", e che poteva reclamare qualche radice nell' idea della volontà generale. Notevole è anche la presa di distanza dal retaggio utilitaristico benthamiano, ostile ai diritti naturali della persona, e insieme affascinato dal costruttivismo e dal quantitativismo felicifico. In sostanza si disegna negli esponenti più titolati della teoria democratica del XX secolo un allontanamento dalla filosofia sociale che raggiunse l ' apogeo a cavallo tra XVIII e XIX secolo, secolo e che in termini generali viene defi­ nita razionalistica e utilitaristica, riconoscendosi che né il razionalismo rousseauiano né quello utilitaristico rappresentano una teoria soddisfacente del corpo politico e della democrazia. In rapporto alla teoria settecentesca si è raggiunta nel '900 una maggiore chiarezza sugli istituti della democrazia. Il suo asse di sviluppo sta nell' avvicinarsi sempre meglio a una democrazia come umanesimo politico, basato sulla persona e su un credo umano comu­ ne lontano dallo scetticismo. Tra i filosofi che sottoscriverebbero queste condizioni indichiamo : Bergson, Capograssi, La Pira, Maritain, Mounier, Olivetti, Simon, Sturzo,

220

ed in buona misura anche Benda. Supposto che il compito prioritario sia conferire legittimazione alla democrazia, questi autori sono in grado di adempiere il programma. All ' estremo opposto sembra collocarsi Kelsen, favorevole ad una democrazia dell ' individuo, ad una razionalità debole, formale e relativistica, al non-cognitivismo etico ed alla estraneità tra democrazia e cristianesimo. Egli è sostenitore di una teoria "fredda" e procedurale della democrazia. Bobbio, Popper ed in certo modo Apel, Habermas e Schumpeter si situano a metà strada: non assegnano partico­ lare rilievo al nesso cristianesimo-democrazia, sostengono una teoria ridotta della razionalità, talvolta anche il non-cognitivismo etico, ma non l 'idea che la filosofia idonea alla democrazia sia il relativismo, né il distacco tra etica e politica.

6. Quale cultura favorisce meglio la democrazia? l ) Come già osservato, la democrazia non richiede necessariamente una visione antropologica ottimistica, sebbene nella vicenda della cultura politica sia stata più vicina a questa che al pessimismo. Ne fanno fede l 'idea dell ' individuo e della sua bontà naturale del razionalismo e dell' il­ luminismo settecentesco, nonché l ' elaborazione romantica dell' idea di popolo e di Volksgeist quale riserva inesauribile di virtù e di saggezza. In tempi a noi più vicini si è invece venuto evidenziando un nesso tra demo­ crazia e moderato pessimismo antropologico, in relazione ad una più generale curvatura dell ' epoca, favorita anche dall ' esplorazione dell ' in­ conscio e della psicologia del profondo, che presenta l 'uomo come un essere assai dinamico nel bene e nel male, abitato da istinti potenti. E d' altronde difendibile l ' opinione che la democrazia sconti un certo pessimismo sull'uomo. Lo mostra la conquista stessa del suffragio univer­ sale, tra le cui ragioni c ' è l ' esperienza ininterrotta e universale che il governo elitistico o aristocratico non si cura del popolo che in misura assai ridotta. ''L' argomento decisivo in favore del suffragio universale, cioè il bisogno di distribuzione del potere a coloro che non fruiscono di nessuna altra distinzione, a parte il fatto di avere i numeri dalla loro parte, è strettamente imparentata con il pessimismo. L' esperienza mostra che l ' azione delle élite non è rassicurante per coloro che di fatto non sono inclusi in alcuna élite riconosciuta"1 8 . '

2) Nella ricerca sulle migliori culture per la democrazia spesso s i sente tessere l ' elogio di una cultura a base empiristica e sociologica. Si tratta di un assunto che, sostenuto da autori di rilievo per i quali l ' opzione per

221

l ' empirismo è irrinunciabile, veicola verità e ambiguità. Naturalmente sono lontano dal negare il valore di una sana cultura a base empirica, soprattutto se la paragono con la vocazione antidemocratica dello Stato etico del neohegelismo (G. Gentile) o di varie filosofie dell ' idealismo che si nutrono di una malcelata adesione alla violenza e allo scontro fra gli Stati. Tuttavia l ' adesione ad un empirismo chiuso e alquanto dogmatico come quello di un Neurath o magari anche di un Russell non sembra una risposta adeguata. In una situazione migliore si trovano le culture prode­ mocratiche di un Bobbio e di un Popper, che pur tessendone l ' elogio, si difendono da un empirismo assolutizzato in base ad un' opzione etica che finisce per limitare di molto la tesi, tipica ad es. in Kelsen, che lo spirito scientifico, empiristico e pragmatico sia il migliore per la democrazia. Rimane il rischio che la mentalità empiristica pura, in quanto considera irrazionale tutto ciò che esula dall' esperienza empirica, non sia in grado di opporre sufficiente resistenza alla volontà di potenza che oggi può esplodere entro un uso estremo della tecnologia. Non meglio vanno le cose con il relativismo cui si attribuiscono virtù che non ha e del quale si nascondono difetti seri. Secondo l ' enciclica Centesimus Annus ''Un' autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana . . . Oggi si tende ad affermare che l ' agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l ' atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti sono convinti di conoscere la verità ed aderi­ scono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista demo­ cratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggio­ ranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo pro­ posito bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l ' azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure sub­ dolo, come dimostra la storia" (n. 46). Una fondata fiducia nella verità si allontana tanto dal relativismo quanto dal fondamentalismo, sebbene oggi lo scontro fra i due fratelli nemici sembra apporli senza mediazione. In effetti si ritiene che solo volgendo verso il relativismo sia possibile scon­ figgere il duro volto del fondamentalismo. Vedremo più avanti che esiste un' altra strada di gran lunga migliore.

3) Un notevole problema, di solito alquanto trascurato, consiste nel­ l 'individuare le tradizioni meglio capaci di persuadere, educare e favorire il passaggio all ' azione, un tema nuovamente cruciale nelle società atomizzate, poco capaci di creare un solido legame fra i cittadini. E arduo vivere insieme solo sulla base delle libere scelte individuali. Acuta è la doman,

222

da se lo Stato costituzionale e democratico sia da solo in grado di gestire e rinnovare le proprie basi di valore e ancor più di offrire ai cittadini suf­ ficienti motivazioni all ' agire : E. W. Bockenforde ha ricordato che lo Stato laico riposa su fondamenti che non può garantire. Se è possibile, come ritengo, una fondazione razionale autonoma (ossia indipendente dalla reli­ gione) dell ' etica, che non è comunque un gioco da ragazzi, considero ben più difficile per non dire impossibile motivare il volere all ' azione civica­ mente buona e giusta senza l ' appoggio delle grandi tradizioni educative. Tutto ciò richiede quell ' educazione del volere, una sorta di pedagogia nazionale, che appare drammaticamente assente in quasi tutto il pensiero politico e la prassi politica contemporanee, forse in specie liberali, com­ preso il repubblicanesimo attuale di stampo kantiano. Qui il richiamo alle culture religiose opera non solo come capace di legittimare ma anche di motivare.

7. La tentazione del fondamentalismo A) Domandiamo : che cos ' è il fondamentalismo? Senza trascurare i rischi della coscienza illusa o i morbosi travestimenti del ressentiment e dei complessi di inferiorità e di delusione che sboccano in terribili reazio­ ni, in esso vedo un duplice atteggiamento intellettuale e volitivo consisten­ te nell ' assolutizzare la propria parziale verità - talvolta fondata ma appun­ to limitata, talaltra invece si tratta di mera opinione cui volontà e passio­ ne attribuiscono un valore assoluto - intendendola come la verità unica, assoluta e definitiva, e nel tendere a imporla ad altri in maniera intolleran­ te e perfino violenta. L' aggettivo in corsivo intende dire che nel fonda­ mentalismo entrano in gioco tanto le convinzioni della mente quanto, e con quale forza ! , gli orientamenti del volere e le passioni, per cui sarebbe una grave semplificazione limitarsi all ' ambito cognitivo e curare il fonda­ mentalismo col relativismo. Si dice infatti : relativizziamo il vero, il bene e il bello per far fronte alla violenza, maneggiare la diversità e disinnescare il conflitto . Il richia­ mo al relativismo riceve oggi molti applausi, in specie se considerato l' an­ ticamera della tolleranza. Questa è qualcosa di valido, purché si sappia da che parte prendere l 'uomo. Ora gli uomini vanno a verità tanto quanto i termosifoni a metano, ed hanno perciò bisogno di verità per esistere. Consisterebbe in questo il massimo pericolo, per cui chi crede in verità ferme sarebbe un killer virtuale? Tuttavia non si uccide in nome della verità, ma in forza dell ' odio dell ' altro. Non la verità è violenta ma l ' odio . Ricondurre la violenza all 'uso fondamentalista della verità è una sempli-

223

ficazione che equivoca in merito a uno dei più grandi enigmi dell' avven­ tura umana, quello dell ' oscura origine della violenza in noi. Siamo intrisi di violenza ben più che di verità. Riterrei perciò che non si dia un legame necessario fra tolleranza e relativismo. Nel relativista teoretico e nel nichilista che impiegano la ragione per procedere in giudizio contro ogni valore, è nascosta una segreta violenza, una violenza ' ermeneutica' . Essi pensano la ragione come uno strumento di decostruzione e di distruzione, alla fine anche di se stessa. L' analisi dissolvente è l ' esito di una ragione solo critica, che gira a vuoto e si decentra dalla realtà. Il nichilista è come Kirillov che non ride mai, che non è ironico, mentre la verità lo è. E i terroristi fanatici di I Demoni hanno le loro radici in Nicolaj Stavroghin, depravato e lucidissimo, ma soprattutto scettico e incapace di amore o almeno di rispetto. Il fondamentalismo è di due colori : religioso e laicistico . Il primo tende a fare della propria religione un assoluto e quindi a totalizzare tutta la verità in essa: non dunque la verità religiosa come una verità alta e uni­ versale ma come la verità unica e totale (si ponga attenzione alla diffe­ renza fra universale e totale), e conseguentemente tende ad imporla anche con la forza. Il fondamentalismo laicistico tende a considerare i valori che si richiamano ad una fede o rivelazione religiosa, come una favola o peggio una superstizione del passato, da cui occorre liberarsi a ogni costo . Per cui tale fondamentalismo è secolaristico, ostile ad ogni religione e a favore della libertà assoluta del singolo. Nel fondamentali­ smo di marca religiosa spesso si vuole erigere la legge religiosa a legge civile, fare della seconda quasi la fotocopia della prima. Speculannente il fondamentalismo laicistico intende procedere etsi Deus non daretur e cancellare accuratamente la religione dalla piazza pubblica, marginaliz­ zandola nel privato. Il fondamentalismo che si esprime con l' intolleranza introduce un' al­ terazione del rispetto e dell ' agape, poiché follemente ritiene che la guer­ ra, il dominio, la forza siano l' anticamera della conversione e del vero . Uno dei compiti fondamentali delle religioni, quando non deviino dalla loro vocazione, consiste nel mantenere viva la consapevolezza della comune appartenenza alla famiglia umana. Esse debbono ricordare agli uomini e alle donne di ogni popolo che nonostante le loro diversità sono fra loro fratelli. Ricordando il trascendente destino cui sono indirizzati, possono educare gli uomini a camminare insieme senza guerre né con­ trapposizioni. Ma le religioni possono cedere al fanatismo e andare nella direzione opposta, magari spinte da una ricerca spasmodica di appartenen­ za, tanto più intensa quanto più ci si sente privi di un luogo di consisten­ za ed esposti a precipitare. Non dimentichiamo i legami che intercorrono fra mancanza di appartenenza e violenza: lo spaesamento o delocalizza-

224

zione ' spirituale ' , prodotto da un aggressivo relativismo che dissolve i valori ricevuti, può generare la via di fuga del fondamentalismo. B) Va mantenuta l ' estraneità di due poli che, pur avendo qualche affi­ nità lessicale, fanno riferimento ad universi concettuali lontani : il fonda­ zionalismo e ilfondamentalismo . Il primo termine dice che un certo pen­ siero è fondato e che può render conto di sé, mentre il secondo è l ' atteg­ giamento di chi vuole imporre qualcosa. Nel caso della fondazione o fon­ dazionalismo si ricerca un principio fermo dell' essere o del conoscere che consenta di giustificare il discorso che intendiamo proporre, mentre nel fondamentalismo la partenza e l ' intento sono largamente pratici : trarre da una convinzione, un' ideologia o una fede criteri assoluti, non negoziabili e intolleranti di prassi. C) La base spirituale del principio totalitario risiede nella distruzione dell ' idea di persona, nell ' adozione di un' antropologia in cui l ' io empirico non ha valore, e nella cancellazione delle religioni trascendenti con con­ testuale elevazione della politica a religione intramondana (la politica è tutto). Viceversa il fondamentalismo è un cortocircuito fra religione e politica oppure fra irreligione e politica. Dunque appariscenti sono le diversità fra i due fenomeni, nel senso che nel totalitarismo la religione è distrutta o è allontanata dalla politica nel segno di un assoluto primato della politica, mentre nel fondamentalismo religioso accade il contrario, cioè la subordinazione della politica alla religione. D) Nei fondamentalismi religiosi si può forse giungere a pensare che Dio è verità, ma una verità separata dall' agape , e perciò intesa con una coloritura di passionalità e di intolleranza. Remota appare la considera­ zione che chi converte e volge il cuore a riconoscere il vero è Dio, e che Dio lo fa nel silenzio, nella mitezza, senza violenza. In proposito la mente corre ad un celebre episodio narrato nell 'Antico Testamento, al dialogo fra Elia e il Signore sul monte Oreb, quando il Signore passò ed Elia desi­ derò vederlo. Dapprima ci fu un vento grande e gagliardo, ma il Signore non era nel vento, e neppure successivamente nel terremoto e poi neanche nel fuoco, ma nel sussurro di una brezza leggera: "non in spiritu Dominus, non in com m o tione Dominus, non in igne Dominus" (l Re 1 9, 1 1 ). Siamo perciò ammaestrati che Dio non si fa presente nel disordine, nell' affanno, nello zelo amaro e violento. Va da sé - ma non è inutile sottolinearlo - che le guerre di religione e le lotte scatenate dai fondamentalismi non sono in alcun modo guerre sante, per il semplice motivo che l ' idea stessa di guerra santa è illecita e ingiustificata. Nessuna guerra ha mai e in nessun caso il diritto di chia-

225

marsi santa: non esistono "guerre sante", neppure quelle che si vorrebbe­ ro combattere nel nome di Dio19. E) Non si può debellare il fondamentalismo religioso rinunciando all ' ambito della verità, ossia derubricando le religioni e assegnandole al quadro del non-vero, della sola pietas e del culto : questa sarebbe una solu­ zione illusoria poiché l'uomo è un essere che mira al vero. Occorre distin­ guere fra tolleranza teoretica che accoglie la validità di qualsiasi opinione e che è assurda, e tolleranza 'morale ' che è valida. La tolleranza verso l ' al­ tro non esige la tolleranza teoretica, in cui tutte le opinioni valgono ugual­ mente. Illustrando la convergenza tra sentimento cristiano e democrazia per­ sonalista, Maritain sostiene che la fede nell'Assoluto è garanzia contro la creazione di falsi assoluti terreni e contro atteggiamenti totalitari : si tratta di tesi contraria a quella di Kelsen, per il quale chiunque ritiene di cono­ scere la verità assoluta cercherà di imporla agli altri e non potrà essere un democratico. Rispondendo, Maritain qualificherà come barbara e sbaglia­ ta tale posizione, aggiungendo : "Non c ' è tolleranza reale e autentica se non quando un uomo è fermamente e assolutamente convinto di una veri­ tà, o di quella che ritiene una verità, e quando, nel medesimo tempo, rico­ nosce a quelli che negano questa verità il diritto di esistere e di contrad­ dirlo e quindi di esprimere il loro pensiero, non perché siano liberi nei confronti della verità, ma perché cercano la verità a modo loro e perché rispetta in essi la natura umana e la dignità umana, e quelle risorse e quel­ le sorgenti vive dell ' intelligenza e della coscienza che li rendono, in potenza, capaci di attingere anche loro la verità che egli ama, se un gior­ no arriveranno a vederla"20. F) Un problema notevole riguarda la collocazione geografica dei fon­ damentalismi e del loro paradigma polare, il relativismo. Mentre il relati­ vismo è più diffuso nell ' area occidentale sì da costituirvi la congiuntura spirituale prevalente (non saremmo divenuti in Occidente troppo scettici per appassionarci a una fede?), il fondamentalismo religioso circola più ampiamente nei Paesi islamici. Nel rapporto tra fondamentalismo e rela­ tivismo lascerei un punto interrogativo per quanto riguarda la complessa situazione asiatica, difficile da interpretare anche sul piano religioso . Per il resto sarei incline a sostenere che fondamentalismo religioso e relativi­ smo si richiamino a vicenda nel senso che ciascuno dei due indurisce e radicalizza la propria posizione al cospetto dell' altro, per non parlare poi di non infrequenti passaggi dall' estremo dogmatismo all ' estremo relativi­ smo e viceversa2 1 .

226

8. Esportare la democrazia o i diritti umani? L'lslam l ) Si può esportare la democrazia e in che modo? Non certo con le armi, i missili, i bombardieri, la guerra preventiva. Oltre questa ovvia con­ siderazione rimane centrale la domanda se sia più fondamentale esporta­ re la democrazia oppure i diritti umani o almeno una loro lista minimale. In molti Paesi l ' obiettivo primario appare quello di garantire diritti essen­ ziali più che quello dell ' esportazione della democrazia, poiché la garanzia dei primi pone rimedio a grandi mali che la procedura democratica da sola non offre: diritto al cibo, alla vita, ad un ambiente decente, a una soglia minima di cure sanitarie, ecc. Il pur auspicabile godimento dei diritti civi­ li e politici quali si hanno con la democrazia non è sufficiente e può non avere priorità sul godimento di essenziali diritti economici e sociali. E l 'idea fra gli altri di A. Cassese : "Per quanto riguarda i diritti sostanziali da proteggere, la proposta che ritengo di avanzare è che la comunità inter­ nazionale dovrebbe concentrarsi in primo luogo su alcuni fondamentali diritti sociali ed economici, la cui realizzazione, necessaria in qualunque parte del mondo, rivestirebbe particolare valore per i Paesi più svantag­ giati"22. Diversa, ma forse solo all ' apparenza, è la posizione di A. Sen che in La democrazia degli altri non nutre alcuna generale sfiducia sulla possi­ bilità di esportare la democrazia perfmo nell' attuale Iraq (cfr. p. 5), poi­ ché per lui le radici della democrazia non si trovano esclusivamente in un tipo specifico di pensiero occidentale al di fuori del quale la democrazia languirebbe e morirebbe (cfr. pp. 7 e 40) . La democrazia è qui intesa non come un insieme di procedure ma come l' esercizio della ragione pubbli­ ca, circolazione d' informazioni, discussione aperta con la partecipazione dei cittadini al dibattito politico, secondo una determinazione larga di democrazia, più ampia di quella promossa da Lincoln a Gettysburg. Una posizione quella di Sen alquanto diversa dalla visione di Huntington per il quale le elezioni libere e aperte a tutti sono l ' essenza o il sale della democrazia, con il grande rilievo della salvaguardia del pluralismo e delle libertà fondamentali. '

2) Anche supponendo che la democrazia possa essere di casa dapper­ tutto, vi sono errori notevoli da evitare per conseguire l ' esito. Non persua­ de l ' assunto di esportare una versione del tutto secolarizzata di democra­ zia nei Paesi islamici. Un autore americano autorevole come A. Etzioni scrive: ''Gli Stati Uniti dovrebbero desistere dal promuovere, in Iraq e in altri Paesi, una società civile laica come unica alternativa a una teocrazia sciita di stampo talebano"23 . Non vi è un solo schema di democrazia, e

227

tentare di imporre quello che si ritiene unico rappresenta un serio equivo­ co. Se la democrazia non è solo un' invenzione occidentale ma qualcosa che ha radici in India e in Africa, in specie sotto l ' aspetto della discussio­ ne e deliberazione pubblica, non esiste un unico codice democratico, ed è problematico il progetto di esportarne una versione completamente seco­ larizzata, magari raddoppiata da un arrogante scientismo. Un islamismo flessibile può convivere con istituzioni democratiche, ammettere elezioni libere, libertà di stampa, uguali diritti, mentre si troverebbe in contrasto con un aggressivo laicismo. 3) Con l' evocazione del 'problema Islam' ci si imbatte in un pelago di difficoltà. Mi limito ad una sola considerazione, ossia la necessità di cono­ scere a fondo la situazione e la storia dei Paesi arabo-mussulmani dal lato culturale, religioso, geopolitico . La loro cultura attuale è impregnata più di quanto pensiamo del ricordo di eventi accaduti nel VII, X, XII e XV secolo, profondamente e tenacemente sedimentatisi nella memoria collet­ tiva. Sottolinea con appropriatezza il diverso peso della storia in Europa e nell ' Islam B . Lewis, grande conoscitore di quei Paesi, osservando che perdura in Europa un certo disprezzo e non-conoscenza della storia araba. Nel rapporto fra democrazia e religione si osserva finora una differen­ za fra area del cristianesimo e area dell' Islam. Mentre nella prima demo­ crazia e cristianesimo hanno raggiunto dopo notevoli difficoltà un' intesa, nell ' altra non ancora. Anzi alcuni domandano se democrazia ed islam siano compatibili, se sia possibile trovare sufficienti evidenze empiriche della loro compatibilità: in effetti non pare essere disponibile una espe­ rienza storica sufficiente per corroborare o meno l' assunto, il quale inve­ ce è attestato per la relazione fra induismo e democrazia dopo oltre mezzo secolo di accettabile funzionamento della democrazia in India. Alquanto diversamente vanno le cose nell' area islamica, che ha sì tra­ piantato modelli europei in casa propria nel XX secolo, ma molti di loro sono stati modelli sbagliati desunti dal fascismo, dal nazionalismo, dal nazismo e in tempi più vicini dal socialismo sovietico, con l'effetto di trasformare le forme tradizionali di governo mediorientale, in genere autoritario ma non dispotico, in forme dittatoriali e totalitarie copiate dall'Occidente. Potrebbe perfmo darsi che il terrorismo islamico abbia imparato qualcosa dall'epoca del Terrore. ''Il movimento rivoluzionario islamico oggi in agguato nel mondo, da Kabul a Giava, non sarebbe esistito senza lo smaccato laicismo propugnato dallo scià Reza o senza i vari esperimenti di un socialismo di stato azzardati in Egitto, Siria e Algeria. Per questo deve considerarsi un'enorme sventura, per molti versi, che il Medio Oriente sia entrato per la prima volta in contatto con l'Occidente moderno attraverso gli echi della Rivoluzione Francese. In Robespierre e nei giacobini il radicalismo arabo

228

vedeva modelli di eroismo: propugnatori del progresso e dell' egualitarismo, avversi alla Chiesa cristiana. Ancor più disastrosi furono i paradigmi cui guardò in seguito: l'Italia mussoliniana, la Germania nazista e l'Unione sovietica" (1. Buruma e A. Margalit, Occidentalism: the West in the Eyes of its Enemies, Penguin Press 2004). Spesso i fondamentalisti arabi hanno com­ battuto l'Occidente con idee sorte in Europa. E comprensibile che il fallimento di queste politiche abbia suscitato nel mondo islamico la persuasione che abbandonare le proprie tradizioni per seguire quelle altrui abbia condotto alla distruzione della propria civil­ tà, per cui l 'unico rimedio intravisto resta il ritorno all 'Islam. Così l ' occi­ dentalizzazione che alcuni ancora desiderano, per altri sarebbe la causa di molti mali : si presenta oggi nell ' area islamica, certo in termini propri, qualcosa di analogo all' illimitato dibattito fra occidentalisti e slavofili ini­ ziato quasi due secoli fa in Russia e tuttora in corso. '

9. Conclusioni Per diffondere la democrazia nel mondo occorre rendere meno debole quel sentimento di comune appartenenza al genere umano che oggi, nono­ stante la globalizzazione, langue, e che se non si sviluppa non è in grado di stabilire un sistema di reciprocità nel riconoscimento di diritti e di doveri. Qui il personalismo e non l ' individualismo può aiutare il cammi­ no della democrazia contro i rischi di degenerazione. Poi occorre presta­ re attenzione ai fondamenti preanalitici della democrazia quale evento di portata storico-mondiale: l' idea che la storia umana ha senso, che non va verso una fme catastrofica, che non è un racconto privo di significato e scritto da un idiota. In secondo luogo un tema assume sempre di più decisivo rilievo, tale da condizionare profondamente il futuro della democrazia: la sua capaci­ tà di esercitare un controllo morale, giuridico e politico del potere, oggi in specie quello tecnologico, il quale si trova di fatto investito di enormi e crescenti possibilità di operare e distruggere. Anche da questo lato si evin­ ce la necessità del predomino del paradigma della Giustizia sul paradig­ ma della Forza e del Potere, che è al cuore dello spirito democratico e del­ l ' autentico governo politico .

229

Note 1 La democrazia, il Mulino, Bologna 1 984, p. 37. 2 "Fra tutti gli eventi del XX secolo non ho avuto in fondo alctma difficoltà a sce­ gliere quello per tne decisivo: l'ascesa della detnocrazia", A. Sen, La democrazia degli altri, Monda.dori, Milano 2004, p. 45 . 3 R. Niebuhr, Il destino e la storia, Rizzoli, Milano 1 999, p. 4 1 e s. 4 C. Schtnitt, Le categorie del 'politico ', il Mulino, Bologna 1 972, p. 1 46. 5 V Possenti, Le società liberali al bivio. Lineamenti di filosofia della società, Marietti, Genova 1 99 1 , p. 1 0 1 . Per un'analisi del concetto di popolo nel pensiero poli­ tico di Agostino, Tommaso, Hobbes, Rousseau, Hegel, Kelsen, Schmitt, Maritain cfr il cap . IV di questo libro, pp. 1 0 1 - 1 3 9 . 6 La democrazia in America, Rizzoli, Milano 1 992, p. 7 3 2 e s . 7 Per vari spunti concernenti l' autorità cfr. il mio L 'azione umana. Morale, politi­ ca e Stato in J Maritain, Città Nuova, Roma 2003 , pp. 1 72- 1 96, nonché lo studio Sovranità, pace, guerra. Considerazioni sztl globalismo politico, «Teoria politica», n. l , 2006. Il compito dell'autorità politica è attentamente elaborato da Y R. Simon in Filosofia del governo democratico ( 1 952) e nel postmno A Generai Theory of Authority ( 1 980) e da H. Arendt in Che cos 'è l 'autorità? ( 1 95 8) . Precedentemente la crisi del suo concetto fu analizzata da Capo grassi in Riflessioni sull 'autorità e la sua crisi ( 1 92 1) . 8 La posizione kelseniana non crede all'esistenza di criteri fenni del bene e del male, ma al rela.tivismo etico. Contrariamente ad un facile ma diffuso giudizio, la tol­ leranza verso l ' altro non ha bisogno del relativismo per esercitarsi, e parimenti l'intol­ leranza non si lega soltanto al dogmatismo. Occorre distinguere fra tolleranza verso l 'altro e tolleranza ' dogmatica' , una differenza che la dottrina della democrazia di Kelsen esclude: "La tolleranza presuppone la relatività della verità sostenuta o del valore postula.to" (p. 3 1 3). Sembra che per Kelsen la tolleranza sia propria solo di coloro che non credono a niente di stabile. 9 Il testo dell'intervento è ora in G. La Pira, La casa comune. Una costituzione per l 'uomo, a c. di U. De Siervo, Cultura Editrice, Firenze 1 979, p. 25 1 . 1 0 J. Haberma.s , La costellazione postnazionale, Feltrinelli, Milano 2000, p. 27. Oltre 50 anni fa l' idea della costituzione progressiva di una società politica tnondiale trovò elaborato sviluppo in J. Maritain, L 'uomo e lo Stato, Marietti, Genova-Milano 2003 . 11 R. Niebuhr, Uomo morale e società immorale, Jaca Book, Milano 1 960, p. l . 12 Su questi aspetti cfr. il tnio Religione e vita civile, Annando, Rotna 2002. 1 3 La democrazia in America, l. II, cap. IX, p. 296 e s. 1 4 Secondo Habermas una filosofia conscia della sua fallibilità "insiste per diffe­ renziare - in tnodo generico, tna non certo in senso peggiorativo - il discorso secola­ re che ha la pretesa di essere accessibile in generale, e il discorso religioso, dipenden­ te dalla verità di fede. Diversamente che in Kant e in Hegel, questa delimitazione grammaticale non si collega alla pretesa della filosofia di determinare essa stessa oltre al sapere mondano socialtnente istituzionalizzato - cosa sia vero e cosa sia falso nel contenuto delle tradizioni religiose. Il rispetto (Respekt), che va di pari passo con questa astensione di giudizio, si fonda sull'attenzione (Achtung) nei confronti di per­ sone e modi di vita che attingono la loro integrità e la loro autenticità in primo luogo

23 0

da convinzioni religiose. Ma il rispetto non è tutto, la filosofia ha motivi per relazio­ narsi alle tradizioni religiose con una disponibilità ad apprendere", J. Habermas, !fon­ damenti morali prepolitici dello stato liberale, «Hmnanita.s », n. 2, 2004, p. 247. Su detnocrazia e cristianesimo e sul modo di declinare un loro rapporto fecondo cfr. nel tnio volume Oltre l 'illuminismo, Ed. Paoline, Milano 1 992, il saggio "La democrazia e il cristianesimo", pp. 1 56- 1 75 . 1 5 N . Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1 984, p . XI. 16 Quanto alle itnmagini dell' io adottate nelle principali scuole democratiche del XX secolo, si va dali 'io cotnunicativo a quello deontologico; dali 'io personalista a quello sociale marxiano; da quello denotato dalla libertà di scelta a quello contrasse­ gnato dai fmi. Perfmo un autore come Kelsen, deciso sostenitore della separazione tra antropologia e scienza nel campo della dottrina pura del diritto, nel momento in cui entra nella teoria della democrazia, inizia la trattazione con un problema squisitamen­ te antropologico quale è quello della libertà. E se dall 'oggi si risale verso il passato, incontriatno il self-love e la benevolence in A. Smith, il self-interest nei trattati di eco­ nomia politica. Si provi infine a confrontare l 'immagine di uomo della teoria di Rawls e quella dell'utilitarismo: nel pritno caso predomina l'idea di persone intese come agenti morali liberi, uguali, dotati di autonotnia; nel secondo esse sono considerate in base alla loro capacità di essere soddisfatte dalla tnassitna sotmna di benessere gene­ rale, mentre il concetto di autonomia è trascurato. 1 7 Considero positivo il distacco di varie teorie detnocratiche dall'apparato concet­ tuale che circola nel Contratto sociale su numerosi problemi. Viene infatti accolto l ' istituto della rappresentanza e abbandonata l 'idea che un popolo che si dà dei rappre­ sentanti non è più libero; rifiutato il potenziale totalitario inerente al mito della volon­ tà generale quale Volontà di un Io mistico collettivo; quasi capovolto è il giudizio nei confronti delle formazioni sociali poste tra il cittadino e lo Stato che, esorcizzate dalla teoria settecentesca, in genere trovano riconoscimento in quella attuale. Abbandonata è infme la figura intellettualistica della "religione civile", interpretata da Rousseau come rma religione dogmatica tninimale capace di assicurare l'unità e la sociabilità della società civile. 18 YR. Simon, Filosofia del governo democratico, Massimo, Milano 1 983 , p. 96. 1 9 Non tutti i fondamentalistni sono di tipo politico-religioso, vi sono anche dei fondatnentalistni letteralistici di chi interpreta alla lettera i testi originari e fondativi di un credo religioso o razionale. Nel caso dei fondatnentalismi politico-religiosi si incontra una reale continuità tra il dogtna religioso, a cui ci si vota senza riserve, e la volontà di dominio o altneno di controllo politico del diverso, del miscredente. I fon­ damentalismi politico-religiosi combattono guerre la cui tipologia può essere così descritta: guerre della verità o guerre del credo, nelle quali si fondono in rm unico scopo l 'imposizione del proprio credo e il dominio. 2 0 J. Maritain, l/filosofo nella società, Morcelliana, Brescia 1 976, p. 64. 2 1 Per relativistno religioso intendo la parità fra tutte le religioni, comprese come c ammini equivalenti verso un Dio che ha infiniti volti e che ad ogni cultura ne mostra uno e uno solo. Nel relativismo religioso l ' assunto che esista una molteplicità delle rivelazioni viene spesso appoggiato ad un discorso di origine kantiana, il dualismo tra fenomeno e noumeno, per cui gli uomini conoscono solo il Dio-per-noi, che è l 'ele­ mento fenomenico e molteplice, e mai il Dio-in-sé, che ci è completamente sconosciu­ to. Un autore ha scritto, meno di un secolo fa, che il cristianesimo sarebbe soltanto quel particolare volto di Dio - uno tra gli infiniti - rivolto verso l'Occidente e perce-

23 1

pito dentro gli schemi della tradizione occidentale. In ciò sembra consistere l' essenza teologica del relativismo religioso. 22 P. Alston, A. Ca.s sese, Ripensare i diritti umani nel XXI secolo, EGA, Torino 2004, p. 86 e s . 2 3 Dali 'Islam soft arriva la democrazia, «Vita e Pensiero», n. 2, 2004, p. 22.

232

Epilogo

l. L'epoca della riproducibilità tecnica della vita In queste pagine abbiamo elaborato il convincimento che il principio­ persona trovi solida espressione nel personalismo antologico più che nel solo personalismo etico, e che la filosofia dell ' essere ne rappresenti la miglior garanzia. In base alla determinazione boeziana una ripresa del­ l 'idea di persona richiede di riscoprire i concetti che ne formano il tessu­ to: individuo, natura, ragione, sostanza. Qui il compito è stato compiuto seguendo in specie il filo conduttore della sostanza, il concetto su cui si sono forse addensati i maggiori equivoci, e più in generale la via metafi­ sica: quest'ultima si è mostrata ineludibile per la 'personologia' , né sareb­ be difficile mostrare che lo è anche per l ' assiologia, dal momento che la dottrina dei valori e dell' azione affonda radici nella dottrina dell' essere. Nella prospettiva che si è dischiusa la persona non è apparsa come un elemento riducibile solo al divenire della storia e del cosmo . Se questi non sono ''macchine'' per produrre la persona, è perché essa appartiene con una parte di se stessa ad un ordine più alto. Storia e cosmo costituiscono luoghi in cui essa dà prova di sé e compie il suo cammino personalizzan­ te, allo scopo di diventare nel registro dell ' agire, del pensare, dell ' amare quella persona che è già per dono di natura nel registro dell ' essere. Argomentando in favore di una filosofia della persona intesa come la sfera più alta e interiore dell ' essere, ci si è allontanati da una concezione del soggetto ridotto ad alcune funzioni e ultimamente a quella tecnico-produt­ tiva, che non conosce la relazione umana. Il principio-persona ruota intorno a due nuclei filosofico-teologici alti : l 'uomo è dotato di ragione e volontà libera; l'uomo è creato da Dio a sua immagine. Questi cardini sono un chiaro portato del cristianesimo : ripo­ sano su una base elaborata dalla Patristica, successivamente con partico­ lare vigore dal pensiero medievale dall' XI al XIII secolo, e poi ripresi dalla cultura umanistica. In tale lunga fase i riferimenti simbolici essen-

23 3

ziali per pensare l 'uomo sono più biblici che greci, e si chiamano Adamo e Cristo, non Prometeo. La particolare dignità dell 'uomo è stata espressa con illuminanti immagini nel pensiero biblico, ed il Salmo 8 può ben esse­ re il nucleo di una biblica oratio de hominis dignitate. La controprova storica di quanto asserito sta in un evento, su cui non è mai troppo tardi meditare: le posizioni antipersonaliste si collocano entro il distacco del progetto moderno da quei presupposti metafisici e cri­ stiani che nutrono l ' idea di persona. Reciprocamente larga parte degli autori personalisti del Novecento affonda più o meno ampiamente le pro­ prie radici nel discorso biblico, come se nel momento del più travolgente pericolo per la persona, il movimento personalista abbia trovato solide ragioni di speranza nella vicenda della Creazione e dell 'Incarnazione. Nel secolo da poco iniziato le difficoltà d' avanzamento del principio-persona manifestano nuovi volti, e il personalismo è di nuovo ' in tiro ' per espri­ mere il suo massimo rendimento. Più che sollevare la domanda "Ne sarà capace?", faremo meglio a dire : ''Ne saremo capaci?". Nella storia posso­ no accadere guadagni durevoli, ma anche e forse spesso le perdite: quel­ le perdite che succedono quando l' occasione cairoti ca passa davanti a noi e nessuno l ' afferra: the lost moments of history, appunto. Se saremo all ' altezza del tema, dopo l ' epoca dell' egologia moderna e della crisi della soggettività trascendentale può aprirsi l ' era della 'perso­ nologia' . Questa non dice: cogito, ergo sum, e neppure, volo, ergo sum, ma: ego existo uti persona. Il principio-persona s i inserisce con originali­ tà nel movimento fondamentale della ricerca umana. Se consideriamo i massimi orizzonti della scienza contemporanea: l ) la teoria del Tutto cosmico con i temi dell 'inizio dell 'universo e del tempo; 2) la questione della vita, che chiama in causa biologia e la genetica e la domanda sulla creazione della vita in laboratorio; 3) la questione dell ' evoluzione: da dove vengo? ; 4) la domanda sulla mente e il suo rapporto col cervello : come penso e chi sono? La questione della persona è implicata in tre dei quattro titoli. Il principio-persona deve essere rappresentato pubblicamente e questo lo può fare una metafisica antologica che di per sé è pubblica. Non sono viceversa in grado di cogliere la valenza del principio-persona e di farse­ ne rappresentanti pubblici né il pensiero tecnico, né quello economico, né la razionalità dell ' efficacia strumentale, incapaci di comprenderne la com­ plessità e gli strati profondi di cui si compone. Da qui i principali avver­ sari della persona: il nichilismo di ogni forma; teoretico, pratico, politico,

23 4

giuridico, teologico ; le filosofie scientiste e materialiste; positivismo e storicismo di vario genere; l ' atteggiamento riduzionistico che opera un' estrema semplificazione della persona, rendendo la unidimensionale. Queste culture non sono in grado di dare forma al principio-persona, di rappresentarlo pubblicamente; piuttosto ne operano una costante critica mirante a dissolverlo.

2. Un

nomos

personalista

In nessuna epoca come la nostra il massimo potere si uni sce al massi­ mo vuoto; il massimo di conoscenza tecnica va insieme col minimo sape­ re sugli scopi. Per evitare la débacle del principio-persona risulta neces­ sario passare dalla tastiera del logos, su cui è stata sin qui accordata la musica fondamentale, a quella del nomos : un nomos della persona, fonda­ to sulla comune appartenenza umana, contrario a dividere gli esseri umani in liberi e schiavi, signori e servi, cittadini e stranieri, uomini e donne. La base da cui partire sta nell 'inscindibilità tra logos e nomos, che solo un equivoco può voler separare : un logos personalistico, orientato da un diverso modo di guardare la persona, non può che favorire un cambiamen­ to degli ordinamenti concreti. Il nomos è ciò in cui si esprime non solo il modo in cui è pensata la società, ma il modo in cui è organizzata e norma­ ta, e in cui è stabilito il rapporto con l 'Altro . Il nomos, che è il nome greco della legge, non è solamente un codice, un complesso di norme scritte e non scritte. Per i greci esso era nello stesso tempo ethos, costume, usan­ ze, culto, insomma l ' ordine complessivo della società; non a caso nomos è la parola con cui i Settanta traducono l ' ebraica Torah . Si possono indicare alcuni nomoi o imperativi di un' etica personalista del futuro. N e suggerisco sei, consapevole che altri imperativi possono essere aggiunti. l ) Impiega il principio-persona e il suo linguaggio come nuovo medium transculturale, ponendolo più in alto del linguaggio della scien­ za occidentale, che oggi vuole essere l 'unico medium valido di comuni­ cazione universale. La teoria della scienza come unico specchio della real­ tà si può sostenere solo se si mantiene fuori dal quadro tutto ciò che esso non può contenere. Panikkar sottolinea la violenza di cui si fa portatore il razionalismo illuminista. quando considera la scienza occidentale l 'unico linguaggio transculturale: ''Oltrepassare le frontiere culturali spianando il fucile della

23 5

'pura' ragione (cioè la sola ragione) è abbandonarsi a un atto di violenza e di contrabbando culturale"1 . Panikkar respinge la pretesa della scienza di proporsi come universale e neutrale, rispetto alle altre cosmologie. L' esportazione del modello occidentale appare oggi forte nel momento in cui si ammette che la cultura scientifica è superiore ad ogni altra e che le altre culture sono destinate a scomparire : impossibile in tal caso parlare di interculturalità. Se esiste una sola cultura universalmente valida, quella della scienza galileiana, le culture altre diventano irrilevanti e inferiori. Il dialogo interculturale è autentico solo nella consapevolezza che la nostra visione del mondo non è l 'unica. 2) Dal lato del nomos e dell' azione il principio-persona è asimmetrico : rimani fedele a tale asimmetria . Asimmetria significa che sono chiamato a rispettare l ' altro, indipendentemente dal fatto che l ' altro non applichi la regola della simmetria e non eserciti rispetto. In merito non si dà scambio degli equivalenti come nei rapporti economici e nel mercato . Naturalmente posso chiedere ed agire per favorire una chiara reciprocità, senza però cessare dal rispetto dell' altro. Non posso dunque negarglielo se l ' altro me lo nega. 3) Non porre mai a rischio il principio-persona nei dibattiti sull 'esse­ re e sull 'agire dell 'uomo, in modo che diventi una posta in gioco . Di que­ sto assioma si possono offrire due implicazioni. a) La prima è stata for­ mulata da H . Jonas così: "Includi nella tua scelta attuale l ' integrità futura dell 'uomo come oggetto della tua volontà"2. In merito preciserei, aggiun­ gendo un aggettivo : "Includi nella tua scelta attuale l ' integrità presente e futura dell 'uomo . . . ''. Che cosa significhi integrità, è stato accennato nel cap. V, almeno in rapporto alle biotecnologie; b) la seconda implicazione potrebbe suonare: "Nelle vicende dell ' essere e dell' agire non cercare di produrre la persona'' . Quest'ultimo criterio può essere ulteriormente sviluppato in altri ' imperativi ' : b l ) evita l ' assolutizzazione del momento produttivo che, giunto al suo apice nella società tecnologica, non ha altro fine che la produzione stessa; b2) non rapportarti all ' altro, al mondo, alla natura, come a ciò che può soltanto essere prodotto , fino a pervenire all ' alie­ nazione che percorre la storia dell ' Occidente, l ' annullamento del sog­ getto nella cosa; b3) allontanati dall ' idea di una producibilità universa­ le, nella quale lo stesso soggetto alla fine si trova incluso, rimanendo contraddittoriamente identificato col suo opposto, l ' oggetto ; b4) evita l ' influsso dell ' antropologia utilitaristica centrata sul se !.fin feresi e non considerarea l ' economia politica la scienza sociale fondamentale : esse conducono al declino del politico e dello spazio pubblico (cfr. Alain

23 6

C aillé, Il tramonto del politico. Crisi, rinuncia e riscatto delle scienze sociali, D edalo, Bari 1 995).

4) Adotta il principio-persona come filo conduttore per l 'educazione della persona . L'uomo può e deve essere educato a divenire concretamen­ te quello che è già per essenza: educato fisiologicamente, corporalmente, psicologicamente, moralmente, intellettualmente, spiritualmente a cresce­ re e ad entrare in rapporto positivo con l' altro. Educare significa prende­ re per mano una persona e aiutarla a percepire il senso integrale della realtà, aiutarla a fare i conti con il reale, non con sogni, siano essi alti o modesti. Ogni autentico processo educativo inizia con un atto di realismo, guardando le cose che sono e come sono . Il vero educare è un processo antinichilistico, essendo il nichilismo in radice denotato dal rifiuto del principio di realtà, e dall 'adesione a criteri d' irrealtà e di sogno che sem­ brano costitutivi di importanti aspetti della postmodernità. Il nichilismo è una costante sfida al linguaggio, è un modo di adulterarlo e di fargli dire l ' antirealtà. L' educazione è educazione della persona, prima ancora che educazione civica e politica ad essere buoni cittadini, o il dressage a com­ petere con l ' altro come in un combattimento tra galli. L' oggetto dell' edu­ cazione è il soggetto, la persona del bambino e del giovane. La conversione al materialismo che emerge in varie zone della società occidentale rende arduo il processo educativo. Una pedagogia personalista evita che l ' essere umano sia ridotto a transito di cibo, e punta sulla forza e l'educazione dell'anima. Qui l'obiezione scientista è particolarmente distrut­ tiva poiché, privando l 'uomo della dimensione spirituale e del suo essere ad imaginem Dei (prima si toglie Dio, poi la sua immagine), lo abbassa quasi alla stregua di un animale fra i tanti che popolano il cosmo: magari più evo­ luto ma privo di una sua specifica dignità. Da questo lato l'antropologia si pone semplicemente come un ramo della zoologia. In certo modo il proces­ so è stato iniziato da Machiavelli, uno dei maggiori negatori impliciti del principio-persona. Riducendo l 'uomo ad animalitas e ferinitas, intendendo­ lo come un animale per la potenza, sostituendo il paradigma della giustizia con quello della forza, ethos con kratos, egli ha avviato quel processo, con conseguenze devastanti nell' ambito dell'idea politica e dell'educazione. Dalla posizione antiumanistica si diparte una difficoltà: come procede­ re ali ' educazione morale dell' essere umano, se questi è un animale che potrà forse venire addomesticato come un bipede implume, non moral­ mente educato per la verità e il bene. Allevare e addomesticare da un lato ed educare dall ' altro sono processi lontani. Il filosofo-re platonico possie­ de un sapere per allevare e addomesticare o un sapere per educare? In generale vi può essere un ' educazione dell'uomo solo quando se ne ha un concetto adeguato, quando conosciamo i fini dell ' educare e non falliamo

23 7

nell ' educare gli educatori. Non possiamo educare se non siamo in grado di sostenere il valore umanistico e non meramente zoologico della vita umana. In caso contrario il processo pedagogico può essere compreso solo come un cammino di addomesticamento e di allevamento dell ' ' animale uomo ' , come sembra ritenere P. Sloterdijk quando parla di 'parco umano ' e pare introdurre l' idea di una storia naturale dell' addomesticamento3 • L'umanesimo non cerca di produrre né il sottouomo, né il superuomo, ma l 'uomo in carne ed o ssa cui la cultura morale, l' esperienza e l ' esempio, incarnato in persone, delle migliori possibilità dell' esistenza umana forni­ scono un appello che conta più di tante altre cose.

5) Fai valere il principio-persona come sorgente di riforma nei fon­ damentali ordinamenti concreti della vita : matrimonio e famiglia; lavo­ ro ; cultura e sapere; politica e diritto ; religione . O anche : applica il prin­ cipio-persona a società, politica, cultura, e fanne il perno di un' azione conseguente : rapporto con l ' altro entro istituzioni giuste (come suggeri­ sce Ricoeur) . La società infatti non è un m icrocosmos ma un macroan­ tropos; è la parola uomo scritta in grande, e risulta illusorio ricercare una scienza della società senza dotarsi di una scienza dell ' uomo . Tommaso d 'Aquino aveva determinato lo scopo della società nel modo seguente : ''Ad hoc enim homines congregantur, ut simul bene vivant"4. Ora il bene vivere, che è lo scopo, non può essere definito dalla società o dalle scienze sociali. Quale sia la buona vita, la forma di vita più degna dell 'uomo come essere sociale diventa anzi il presupposto di ogni pensiero e di ogni prassi politica che vogliano realizzarlo . Da questa fondamentale lezione della filosofia politica personalista diverge larga parte della modernità, in cui la dimenticanza fra vivere (zen) e bene vivere (eu zen) denota spe s so la nuova partenza. In Tele sio e C ampanella, nel conatus sese conservandi di Spinoza, in Hobbes, ecc . , il massimo bene è la conservazione della vita. Lo zen prende il soprav­ vento sull ' eu zen, particolarmente in Hobbes per il quale società e Stato non sono stabiliti sul bene vivere ma sulla volontà dell ' individuo di con­ servarsi in vita. Le concezioni politiche del personalismo hanno contribuito a rompe­ re questo schema, reintroducendo la questione della buona vita, dei dirit­ ti umani, del solidarismo e comunitarismo, aprendo il cammino ad un nuovo paradigma antihobbesiano di cui è superfluo sottolineare la neces­ sità. In parte del pensiero politico dell' ultimo mezzo secolo è in atto un tentativo di recidere i legami con l ' eredità hobbesiana e di riscoprire l ' ambito del bene vivere. Un essenziale passo avanti accadrebbe quando il principio-persona fosse applicato ai rapporti internazionali e al tema della guerra e della pace, dove la sua emarginazione è maggiore. 23 8

6) Per l 'ultimo suggerimento ci affidiamo alle parole di E. Scalfari, sospeso tra tentazione antiumanistica e nostaglia dell ' Altro : "Personalmente non credo che il ruolo della specie alla quale io apparten­ go sia superiore a quello delle api o delle formiche o dei passeri" . . . In questo scenario letteralmente occidentale (cioè da ''tramonto", perché "occidente" vuole dire terra del tramonto del sole) brilla ancora più forte e affascinante la luce della fede : essa ci svela il senso della vita e, conse­ guentemente, accende una lampada davanti alla nostra libertà. La fede, innanzi tutto, dando forza all ' evidenza, dice che Dio ha creato l 'uomo e la donna per puro amore (quale altro scopo poteva avere Dio?) e li ha col­ locati nella festa della creazione, la quale oggi, a motivo delle straordina­ rie scoperte scientifiche, ci appare sempre di più come uno scenario di divina sproporzione e di divina fantasia: la galassia - soltanto per fare un esempio - nella quale si trova il sistema solare con il nostro piccolo pia­ neta ha un diametro di 1 00.000 anni luce, pari a un miliardo di miliardi di miliardi di chilometri ! E la nostra galassia è un angolo dell'universo ! Viene subito la domanda: perché Dio ha creato l 'uomo? La risposta della fede è stupendamente semplice, ma anche meravi­ gliosamente rispondente a ciò che la ragione umana cerca e intuisce: Dio ha creato l 'uomo, affinché possa, con la sua libertà, firmare l ' innata rela­ zione con Dio e così possa aprirsi ad un abbraccio di amore con Lui, che è la sorgente della festa e di ogni festa" ("la Repubblica", 24 gennaio 1 996).

3. Due ostacoli l ) Il postulato antropocentrico, che fa perno sull'uomo intendendo lo centrato solo su se stesso, non è superato : appare in crisi ma non domo. N ella transizione da un antropocentrismo orgoglioso di sé sino alla pre­ sunzione ad altre forme, non poco è mutato ma è fmora rimasto l ' antropo­ centrismo . Per perpetuarsi esso ha di molto abbassato i suoi orizzonti, adottando una concezione antieroica dell' esistenza, cedendo alle pusilla­ nimità dell' io minimo, concedendosi all ' abbraccio della tecnica, accon­ ciandosi ad una razionalità diminuita come quella rappresentata dal pro­ ceduralismo e dalla morale secolare (questi aspetti sono ampiamente svol­ ti nei capp. V e VI del mio Religione e vita civile, cui rinvio) . L'umanesimo antropocentrico ha raggiunto esiti e successi, ma ha pure incontrato a Dachau ed Auschwitz il suo ' altro ' fiammeggiante, il nemico che da solo non è in grado di debellare. Una frase di S olgenitsin dà da pen­ sare : ''Un antropocentrismo sicuro di sé non può dare risposte a molte

23 9

domande della vita ed è tanto più impotente, quanto più le domande sono profonde"5 • Da tempo si verifica un passaggio intenso da un antropocentrismo a sfondo idealistico ad uno materialistico ed evoluzionistico : e qui infine l ' antropocentrismo potrebbe rinnegarsi e concludere nel suo contrario . Ciò che oggi dobbiamo temere è la diminuzione dell 'uomo, l ' abbassa­ mento che si infligge con le proprie mani, diventando nemico di se stesso e fmendo per disprezzarsi. Ancora recentemente si è tornati a parlare di 'morte di Dio ' , con scarsa verosimiglianza, perché se per 'morte di Dio ' si intende la fine delle religioni le evidenze empiriche sembrano dire il contrario, ossia che è in atto una ripresa del ruolo anche pubblico delle grandi religioni mondiali. Più appropriato è parlare di rischio di 'morte dell 'uomo ' , di declino di ciò che è più tipicamente umano. Mentre Dio sembra tornare, l 'uomo continua ad andare, ad andare via, ad essere assoggettato a violenze, manipolazioni, nuove forme di schiavitù. Non siamo fuori dalla notte del materialismo, come molti anni fa avvertiva con la lucidità dei poeti B . Pasternak. In una lettera del 5 marzo 1 93 3 , indirizzata ai genitori a Berlino, così si esprime : "Una stessa cosa mi deprime sia nella nostra condizione sia nella vostra. E il fatto che questo movimento [il nazismo] non è cristiano ma nazionalistico, cioè corre lo stesso pericolo di scivolare nel bestialismo del fatto. C ' è lo stesso distacco dalla secolare misericordiosa tradizione che viveva di trasforma­ zioni e anticipazioni, e non delle sole constatazioni della cieca emozione . Sono movimenti binari [nazismo e comunismo] , dello stesso livello, l 'uno provocato dall ' altro e per questo tutto ciò è ancora più triste. S ono l ' ala destra e l' ala sinistra di una nuova notte materialistica"6• '

2) L' obiezione del nichilismo europeo . Lo spostamento dei Zentralgebiete (C . Schmitt). La n comprensione naturalisti ca della persona, quale cerca oggi di farsi valere attraverso il biologismo e larghe parti della teoria dell ' evoluzione quale nuova filosofia prima, segnerebbe la supremazia del funzionalismo sul sostanzialismo nella metafisica della persona e il trionfo della conce­ zione 'mobilista ' della realtà secondo cui tutto diviene e niente è. Il pas­ saggio dal sostanzialismo al funzionalismo è un modo per integrare senza residui l 'uomo in un divenire che non ammette eccezioni o sporgenze. Entro tale quadro appare un nuovo volto del nichilismo che tratteggia­ mo così: speculativamente come oblio della sostanza quale portato del­ l ' oblio dell ' essere; antropologicamente come dissoluzione della sostan­ zialità della persona e sua riconduzione-riduzione a funzione; teologica­ mente come abbandono della verità dell ' imago Dei. L' antipersonalismo costituisce una forma notevole di nichilismo. 240

Questo procede da antefatti che hanno interessato la storia europea dal XVI secolo in avanti, attraverso uno spostamento progressivo dei centri di riferimento della cultura o Zentralgebiete secondo la denominazione impiegata da C . Schmitt nello scritto : "L' epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni",7 verso cui ci volgiamo. Il saggio, breve e succo­ so, è notevole. Per il suo autore può valere quanto don Ferrante dice di Machiavelli, 'mariolo sì, ma profondo ' 8 . Schmitt è a mio parere un 'mariolo ' per il suo Begriff des Politischen disperatamente consegnato allo scontro senza requie tra amico e nemico, ma acuto per i lampi di intel­ ligenza che rischiarano la sua visione del diritto e del nomos. L' ambito del discorso schmittiano è l 'Europa e in senso affine l ' Occidente, non la storia universale: che il nichilismo sia l ' esito attuale della storia mondiale lo si può assumere solo a patto di elevare, ricorrendo a potenti semplificazioni, la vicenda spirituale dell' Occidente a vicenda universale. La questione del nichilismo deve essere ancora compresa nel suo ambito nativo d'origine e di sviluppo prima di ricorrere ad azzardate estrapolazioni alla storia mondiale e ad altri contesti di civiltà come l'India, la Cina, e in certo modo l 'Islam. Le diagnosi oracolari e onnicomprensive, cui hanno ceduto Heidegger e i suoi successori persuadendo a cercare fuori dalla modernità le scaturigini del nichilismo, suonano dubbie. Schmitt ricostruisce sobriamente "le fasi attraverso cui si è sviluppato lo spirito europeo negli ultimi quattro secoli e le diverse sfere spirituali nelle quali esso trovò il centro della propria espressione umana. Si tratta di quattro grandi, semplici passi secolari. Essi corrispondono ai quattro secoli [dal XVI al XIX] e vanno dal teologico al metafisica, da questo al morale umanitario e infine all ' economico . . . Negli ultimi quattro secoli della storia europea la vita spirituale ha avuto quattro centri diversi, e il pensiero dell 'élite attiva, che costituiva il gruppo di punta nei diversi momenti, si è mosso, nei diversi secoli, intorno a centri di riferimento diversi" (p . 1 68 e s .) . Fra tutti i rivolgimenti spirituali della storia europea Schmitt considera il più intenso e carico di successo quello avvenuto nel ' 600 che condusse dalla tradizione teologica cristiana al sistema di una scientificità 'naturale' , la quale abbastanza rapidamente allontanerà da sé il correlato metafisico-ontologico cui era in partenza unita. Il passaggio da un centro di prospettiva al successivo comporta la neu­ tralizzazione e l ' emarginazione di quello precedente, nell' intento di trova­ re sul nuovo terreno e intorno al nuovo centro di riferimento quel minimo d' accordo e di premesse comuni che "permettano sicurezza, evidenza, comprensione e pace'' (p . 1 76), sino all ' approdo sul terreno della tecnica. In questo si crede di aver trovato il luogo assolutamente e definitivamen­ te neutrale, che risponde all ' esigenza del 'nient' altro che tecnica' . Illusione maestosa tuttavia, poiché dietro alla tecnica sta lo spirito della

241

tecnica, ed esso non è qualcosa di tecnico, ma di essenzialmente spiritua­ le che impiega la tecnica per i suoi scopi. Tanto lo spirito della tecnica non è qualcosa di tecnico, altrettanto il senso della politica (e del diritto) non sta solo o principalmente nelle regole, norme e procedure. Di tale illusio­ ne testimonia l ' idea, diventata moneta passepartout, che la democrazia non abbia bisogno di alcun presupposto etico, antropologico e religioso. Per ciascuno dei quattro centri di riferimento vale la tendenza a costruire attorno ad esso un autonomo ' concetto di verità' . E propria della posizione di Schmitt l ' idea che la storia non sia uno ' sgomitolamento lineare ' , ma che includa fratture interne, cesure, salti qualitativi : la filoso­ fia della storia non è né può essere una filosofia della certezza proiettata verso il futuro. Da rimarcare pure l ' assunto schmittiano che molto dipen­ da dall ' azione delle élites volta a volta attive. I centri di riferimento prendono tale nome in quanto assicurano se non una totalità ordinata, almeno una qualche unificazione : attorno ad essi si riformula e si unifica una cultura seppure a livelli di indebolimento erescente. E una diagnosi ripetuta che il nichilismo consista non solo nell ' erosione dei valori, ma appunto nella perdita di ogni centro di riferimen­ to e di prospettiva. Il nichilismo avanza man mano che i centri di riferi­ mento individuati da Schmitt si depotenziano e unificano in modo sempre più precario, sino a quando si evidenzia l ' esito di cui la pancia della sto­ ria era per così dire già gravida: il soggetto umano rotola via da ogni cen­ tro e precipita da ogni parte come è annunciato dali 'uomo folle sulla piaz­ za del mercato, che rende nota ai distratti e agli inconsapevoli la 'morte di Dio ' . Con validi motivi dunque il processo del nichilismo è riassumibile nella ' morte di Dio ' nel senso che spentosi il C entro, ogni altro centro minore e derivato dura solo per un tempo limitato e poi si dissolve. Spentosi il fulgore di Dio sulla storia universale, la dispersione vince, la vita si sparpaglia, l 'umanità dell'uomo si dissolve. '

,

Simpatizzo con l ' analisi schmittiana per il rilievo attribuito al muta­ mento, che spesso fu piuttosto uno scardinamento, dei centri fondamenta­ li della cultura. Non sostengo che il processo del loro mutare e l ' avvento del nichilismo siano pienamente sovrapponibili e procedano di conserva. L' assunto che intendo svolgere è che con l ' imporsi dei nuovi centri di rife­ rimento dello spirito europeo si è progressivamente estenuata l ' apertura contemplativa della mente, ci si è mossi verso un' accettazione supina del divenire come fenomeno innocente e improblematico, e verso un affida­ mento alla potenza trasformatrice della tecnica: la volontà di potenza al posto della volontà di verità. L'orbis ad deum ordinatus e l' intellectus ad esse ordinatus vengono meno e sono sostituiti dal principio tecnico-economico . E accaduto un depotenziamento del realismo, un crescente oblio ,

242

dell ' essere, una riformulazione del concetto di verità, sino ali' arrivo sul terreno del null ' altro che tecnica, dove si sviluppa l ' antireligione del tec­ nicismo o la fede secolare nella tecnica, che rappresenta l' opposizione più forte al livello teologico di partenza. Invertire il processo di declino nichilistico significa riaprire il cammi­ no verso un riattingimento dei centri di riferimento oggi in eclisse : que­ sto lo possono minoranze creative o élite attive. Nessun destino è già segnato .

4. Umanesimo e (neo)illuminismo Secondo C . Taylor si danno varie forme di umanesimo : vi sono i soste­ nitori di un umanesimo secolare, i neonietzschiani, e "coloro che ricono­ scono un bene che va oltre la vita. Ciascuno dei tre può allearsi con un altro contro il terzo su qualche importante questione. I neonietzschiani e i fautori di un umanesimo secolare condannano la religione e respingono ogni idea di un bene che vada oltre la vita. Ma i neonietzschiani e chi rico­ nosce il trascendente sono accomunati dal distacco con cui assistono ai continui scacchi dell 'umanesimo secolare, e concordano anche sul fatto che la sua visione della vita manca di una dimensione. In un terzo scena­ rio, i fautori dell 'umanesimo secolare e i credenti si alleano nella comune difesa di un' idea di bene umano contro l' antiumanesimo degli eredi di N ietzsche''9. Nella triade delle possibili relazioni isoliamo la terza : i migliori fauto­ ri dell 'umanesimo secolare sono attualmente i sostenitori dell ' illumini­ smo e neoilluminismo. Tuttavia l 'umanesimo secolare è solo una parte della realtà dell ' umanesimo come tale : nella cultura europea umanesimo e illuminismo designano atteggiamenti tipici dello spirito su cui conviene sostare per delinearne i caratteri differenziali. Ma prima per amore di pre­ cisione è saggio richiamare la differenza tra umanesimo e personalismo : il primo possiede un significato più ampio e forse più vago dell' altro. Vi sono stili di umanesimo che non sono personalisti : se in passato si è par­ lato di 'umanesimo marxista' , sarebbe impossibile richiamarsi ad un per­ sonalismo marxista (lo vieta la sesta tesi di Marx su Feuerbach), o anche ad un personalismo ateo che scelga tra Dio e l'uomo, poiché nel marxi­ smo l 'uomo non è persona ma particolarizzazione transeunte della Gattungswesen (essenza del genere). Messo a punto il linguaggio, inoltriamoci nel rapporto tra umanesimo e illuminismo. L'umanesimo (con la minuscola) costituisce una categoria generale dello spirito, di cui l'Umanesimo (con la maiuscola) del XV e XVI

243

secolo rappresenta un'importante espressione storico-culturale. Esso si nutri­ va di una filosofia religiosa della persona (spesso di una concezione teandri­ ca della presenza di Dio nell'uomo), aperta a valorizzame l' interiorità e il suo rapporto col mondo. La sua cifra si gioca nell' equilibrio tra il fm ' contem­ plativo" del conoscere e dell'amare gli 'oggetti' , in specie i più alti, e la mol­ teplicità dell'agire in cui predominano la relazione con l' altro uomo, la giu­ stizia, la responsabilità verso l'altro. Il profilo di persona che si delinea nel­ l 'umanesimo non può perciò essere raggiunto dalla critica heideggeriana al soggetto moderno manipolante, animato da volontà di potenza10· Nella cultura dell'illuminismo si esprime una fondamentale fiducia nei saperi mondani, nella progettazione tecnico-politica, nella duttile capacità di disporre delle cose, nella liberazione che verrà all'uomo per il suo concen­ trarsi sull'azione civile e politica. Accadono un mutamento del desiderio e una trasformazione dell' ordo amoris: la gestione confortevole del vivere tende ad occupare la scena, anche per la non infrequente alleanza tra illumi­ nismo e utilitarismo. Dell'umanesimo rimane l'idea dell' azione guidata da regole morali e valori (forse meno quella di una sapienza contemplativa), che però si estendono universalmente e che tendono al riscatto della vita comu­ ne e al riconoscimento di una sostanziale uguaglianza tra gli uomini. Mentre l'illuminismo rischia di trovarsi accaparrato dalla gestione tecnica, dall' oriz­ zonte acquisitivo e dallo scambio economico nel mercato, l'istanza del­ l 'umanesimo introduce un 'ulteriorità, una riserva critica aprente contro i sempre ritornanti riduzionismi. D ' altra parte istanza umanistico-personalisti­ ca e istanza illuministica trovano un buon terreno di incontro sulla questione dei diritti umani, entro il quale levare difese contro l'antiumanesimo degli eredi di Nietzsche. Si tratta di un nucleo fondamentale, attualmente messo alla prova nel rapporto difficile tra uomo e tecnica. Qui non sappiamo come evolverà la dialettica tra personalismo e illuminismo in specie per quanto riguarda la parte del naturale e dell'artificialmente prodotto nell'uomo. E possibile riassumere le categorie discriminanti dell 'universo di pensiero e cultura proprio dell'umanesimo e dell ' illuminismo, disponendole secondo alcune endiadi polari : '

244

umaneszmo

illuminismo

Persona Interiorità Teismo Comunità (filosofia io-tu) Concezione della vita aperta ad una ulteriorità

Individuo Io nell' azione Riserbo sulla trascendenza S ocietà contrattuale Concezione intramondana

5. Compito del principio-persona La modernità filosofica prese le mosse con l ' io e la soggettività, non con la persona: queste partenze assolute non si dimenticano e portano a conseguenza. La crisi della centralità del soggetto nella filosofia contem­ poranea, attestata dai suoi esiti antiumanistici e antipersonalistici, testimo­ nia del declino probabilmente irreversibile della linea soggettocentrica moderna, espressasi in specie lungo il versante dell' io trascendentale. In questo processo l'istanza umanistica ha rappresentato un momento di resi­ stenza contro la dissoluzione dell' idea di persona. Se è stato il principio-soggetto a dare il segnale del nuovo avvio moderno, confidiamo che sarà il principio-persona ad aprire una strada diversa, a dare vita ad una ' rivoluzione della persona' , ampliando a tutte le culture il riconoscimento concreto della sua centralità: una rivoluzione che, per usare un termine caro a E. Mounier, potremmo chiamare 'perso­ nalista e comunitaria ' , capace di attuare un mutamento della vicenda sto­ rica ed una svolta rispetto al mattatoio 'rivoluzionario ' del XX secolo. L' immenso dibattito innescatosi in rapporto ai temi bioetici e alle biotec­ nologie segna una fase da cui il criterio personalistico può ricevere un colpo o un rilancio . Non esistono compartimenti stagni nella cultura e quanto risulterà al termine di tale dibattito, influirà diffusamente. Che il principio-persona possa dissolversi, non lo credo. Può però entrare in una prolungata eclissi in cui ' essere umano ' e 'persona' saranno intesi come diversi, in cui cioè gli esseri umani non sarebbero più persone e le perso­ ne non più esseri umani 1 1 • Lo stesso dibattito in corso sta facendo emergere una nuova vitalità dell ' idea di persona che, sotto la pressione delle contingenze, dà prova del suo coefficiente di realtà. Una grande dottrina, in epoche remote pensata per altri problemi, mostra la sua forza nel fronteggiare nuove sfide. Queste spremono il massimo rendimento dall ' idea di persona, obbligano la tradizione a ripensarsi e precisarsi, favoriscono la critica delle posizio­ ni avverse che presumono di valere solo perché sono venute dopo. Là dove prima non vi erano risposte poiché non vi erano domande, nascono nuove risposte a nuove domande; ed è corroborante osservare che i nuovi sviluppi sono omogenei col contenuto essenziale dell' essere persona. E in tal modo verificata una legge generale del progresso in filosofia, secondo cui esso accade nella forma paradossale di un' identità che cresce, cioè di uno sviluppo o incremento omogeneo. Nonostante gli accentuati contrasti del quadro tratteggiato, il filo con­ duttore finora seguito suggerisce che non siamo dinanzi alla fme della persona, quanto ad una sua eclissi che potrà lasciare il passo ad una ripre'

245

sa. La necessità di una 'resurrezione ' della persona e di un umanesimo ad essa conforme fa parte delle migliori speranze : un umanesimo come dot­ trina delle autentiche potenzialità umane; capace di riconoscere i propri limiti, la propria finitezza e di accettarsi senza orgoglio ; di ritenere che il male non avrà la meglio. Non tutti i giochi sono fatti, e non è detto che dopo i fallimenti dei miti del XX secolo, ci restino solo un ateismo meno presuntuoso ed un materialismo ancora più esagitato. Ci resta la speranza fondata nella divisa: humana dignitas servanda est. Alcune condizioni sono necessarie: ne elenco tre. La prima è che l ' Occidente secolarizzato ritorni alle sorgenti metafisiche e religiose del­ l 'umanesimo, non dimenticando che il principio-persona procede da Gerusalemme. Dio ha parlato non in Occidente ma in Oriente e qui si è incarnato. L'Occidente non ha ascoltato direttamente la voce di Dio, ma solo indirettamente attraverso la missione evangelizzatrice : eppure un tempo comprese che attraverso la missione gli veniva affidato il compito di esplorare, entro lo sguardo che il Vangelo porta sull'uomo, le sue mol­ teplici dimensioni. Che l' Occidente non accompagni la diffusione planeta­ ria dei diritti umani mediante la diffusione concomitante di ateismo e seco­ larismo, secondo un modello di modemizzazione innervato dall' indifferen­ za per le esigenze spirituali dell 'uomo ! Se l' Occidente ebbe e forse ha ancora una missione, questa è di sviluppare il principio-persona nella cul­ tura e nella civiltà, di dargli slancio, di stimolare una tensione di inappaga­ mento nell'uomo : principio-persona e quanto chiamerei principio di inap­ pagamento vanno insieme. Questo grande sforzo si sta allentando e irrigi­ dendo in un formalismo che prende il sopravvento sulla vita: l 'umanesimo occidentale appare stanco, e non può riprendere slancio attraverso il riferi­ mento esclusivo ai canoni liberali della tolleranza, della libertà, della più estesa privatizzazione dell' esistenza, della separazione fra fede religiosa e vita civile. Su questi temi decisivi lo spirito occidentale si impoverisce nel momento stesso in cui esprime il massimo sforzo per diventare mondiale, alla cui cultura non porta però il principio-persona ma la globalizzazione economtca. La seconda condizione è che la filosofia della persona superi l 'attacco di cui è fatta oggetto in Occidente dal materialismo e oggi dal biologismo. L' adagiarsi nella finitezza rende più agevole il tentativo di intendere l 'uo­ mo sulla base di un compiuto naturalismo e materialismo biologico. L'uomo, si dice, possiede intrinseca similitudine con la materia, è qualco­ sa di impersonale, è corporeità soggetta alla tecnologia e/o corporeità in cui si esprimono pulsioni. Il processo è indirizzato all' integrale naturalizzazio­ ne dell 'uomo, risolto nella vita della physis. Settori della cultura filosofica contemporanea, abbandonando l ' apri ori idealistico e soggettocentrico del passato, guardano verso un nuovo apriori, quello bioantropologico. Una .

246

grande demoralizzazione umanistica può essere l'esito del tentativo di inte­ grale naturalizzazione dell'uomo, che può giungere al predominio del bio­ logico e dell' organico su ogni altro aspetto. Nelle correnti radicali si espri­ me talvolta l 'idea che l'uomo sia un animale mal riuscito a causa della pre­ senza dello spirito in lui, e che dunque per portarlo ad essere un animale riuscito e adattato a se stesso, occorra intraprendere una lotta contro lo spi­ rito per abolirlo. Di ciò è traccia in filigrana la 'morte dell' anima' nella cul­ tura corrente, fenomeno che va di pari passo con una grande a.fflictio ani­ mantm, con quel male oscuro della depressione che nessun farmaco e nes­ suna terapia riescono a debellare compiutamente12. La terza condizione è che il principio-persona sia impiegato per avvia­ re l' incontro fra le civiltà verso il dialogo e non il conflitto, favorendo l 'interfecondazione culturale. Un compito urgente poiché negli ultimi lustri siamo nuovamente immersi in un clima di crisi e di scontro delle civiltà che, nonostante innegabili differenze, può avere elementi di somi­ glianza con la crisi di civiltà che infierì negli anni '20 e ' 3 0 del secolo scorso, e di cui molte sentinelle della cultura furono consapevoli : B . Croce, D . H . Lawrence, J. Huizinga, E . Husserl, T. Mann, J. Maritain, O . Spengler, A . Toynbee, S . Zweig, Ortega y Gasset, N . Berdj aev. La con­ giuntura odierna rimette in onore il concetto di civiltà/cultura, lungamen­ te sacrificato a favore di quello di ideologia. Di ciò è emblema il noto volume di S. Huntington The Clash of Civilizations (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, trad. it. , Garzanti 2000), in cui si ristabilisce la centralità storica ed ermeneutica dell ' idea di civiltà/cultura. Secondo quest' autore "la storia umana è la storia delle civiltà . . . nel corso della storia le civiltà hanno rappresentato per l 'uomo la più importante fonte di identificazione" (p. 43 , trad. it.) . Huntington sostiene l ' intercambiabilità dei concetti di civiltà e cultura: "Tranne che in Germania, una civiltà rappresenta sempre un' identità cul­ turale . . . [i] tentativi di distinguere fra cultura e civiltà non hanno attecchi­ to" (p. 45) . Individuata la tesi di fondo nel fatto che "la cultura e le iden­ tità culturali - che al livello più ampio corrispondono a quelle delle rispet­ tive civiltà - siano alla base dei processi di coesione, disintegrazione e conflittualità che caratterizzano il mondo post-Guerra Fredda", Huntington lo conclude sostenendo che "nell ' epoca che ci apprestiamo a vivere, gli scontri di civiltà rappresentano la più grave minaccia alla pace mondiale, e un ordine internazionale basato sulle civiltà è la miglior pro­ tezione dal pericolo di una guerra mondiale (p . 1 4 e p. 479) . Affmché ciò accada occorre essere aperti agli incroci, sia pure misura­ ti. Ma la civiltà occidentale e quella islamica sono disposte a questo, dal momento che l ' incrocio richiede due soggettività capaci di comunicare?

247

L' Occidente politico-economico cerca oggi l 'universalismo del mercato, del capitale, della scienza-tecnica, della democrazia, mentre dialoga meno con le altre culture. Forse anche a questo elemento si collega il rinchiuder­ si dell ' Occidente, a dispetto della portata mondiale di alcuni processi quali la globalizzazione, partiti dall' Occidente stesso. All ' incirca dal Rinascimento questo ha meno praticato l' interfecondazione culturale, cer­ cando di esportare e non di rado di imporre la sua cultura. D ' altro canto nella tumultuosa area islamica le tensioni tra moderati e fondamentalisti radicali stanno salendo ad un livello distruttivo, mentre aumenta l 'obiezione contro l ' Occidente, e cresce il bisogno di identità e di riconoscimento. Esso si manifesta più basale del bisogno di libertà, su cui la modernità ha puntato le sue carte migliori. L' attuale orientamento rende più complesso il pervenire alla solidarietà fra estranei, perché essi cercano di restare se stessi, di mantenere le proprie radici prima ancora che di rivendicare libertà civili. I rapporti in gioco non si fondano sul con­ flitto strategico degli interessi o sulla razionalità utilitaristica, ma sulle aspettative di riconoscimento e di comunicazione. L' esito sarà possibile se si edificheranno identità aperte all ' altro che possano provocare l ' incontro e non l ' inimicizia fra le civiltà. Se vi è una 'morale della favola' che sorregge il dipanarsi della presen­ te ricerca, l ' esprimerei così: l ' estendersi effettivo del principio-persona nelle culture costituisce il racconto o la storia dell'umanizzazione dell'uo­ mo. Esso mostrerà la sua massima fecondità quando si estenderà oltre il mondo storico e culturale in cui ha preso avvio e dove sino ad oggi affon­ da le sue radici, quando sarà attivo in contesti geoculturali in cui non venne pensato e da cui appare assente.

Note 1 Pace e interculturalità. Una riflessionefilosofica, Jaca Book, Milano 2002, p. 46.

2 H. Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1 992, p. 1 6. 3 De regimine principum, l, 1 4. 4 L 'esaurimento della cultura,"Il Sole 24 Ore", 1 9 ottobre 1 997, p. 2 1 . 5 Citato da V. Strada, Introdztzione, in B . Pasternak, Opere narrative, Mondadori, Milano 1 994, p. XXVII. 6 Regole per il parco umano. Una replica alla lettera sztll 'ztmanismo,