Il panteismo di Giordano Bruno (1861) 1168065674, 9781168065674

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Il panteismo di Giordano Bruno (1861)
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IL PANTElSMO DI

GIORDANO BRUNO I'ER

FRANCESCO FIORENTINO (DA SAMBIASH)

NAPOLI Tip. di M. !.OMBARDI, Vico Freddo Pignasecca, 15

1861.

/.a pre.Hnle edizianc è posra 501/o fu .mlt•aguurdia delfe l1ggi per la proprierà lelleraria.

ALLA EGREGIA SIGNOHA

MARCHESA MARIANNA FLORENZI WADDINGTON

Offrendo a V.

S.

questo libretlo, desidero sopra­

toLLo. render le pubblica testimonianza dell'ammira­ zione che ho de l suo robusto ingegno, e del virile proposito, ollde lo afforza e lo coltiva; cd inoltre

amo procacciarmi la benevolenza degl'Italiani, ai quali non potrà non riuscire accetto

un

lavoro, qn�­

lechesifosse, quando reca innanzi un nome così caro c

riverito, com'è il suo. E se la pr i m a cosa to r n a

Lei di nessuno giovamento, utilissima certo è

a

a

me

la seconda. Imperocchè Ella ha avuto ben altri suf­ fragi, che non sono i miei; senzachè, la cons apevo

­

lezza del propr·io valore le scusa tuUe le lodi possi­ bili. lo, al conLrm·io, senza fama e con poc o ingegno mi arr is chi o per intricato sentiero. Ma dopo il suo nobile esempio chi non, si metterebbe all'impresa? Rivestito ch'Ella ebbe dell'armoniosa n ostra favella il dialogo dello Schelling, che s i n ti tola dal sommo '

Notano, si destò nei petti tal vivo desiderio di ap­ purare i ca si infortunati, e gl i alti pe n sa menti di questo indomito martire della sc i e n z a , che da indi

in qua un gran c ercare se n'è fatto in Francia cd in

Italia. Le mutate condizioni della penisola hanno ora addoppiato il fervore del suo generoso avviamento, onde io, comunque c er t o di non p o ter aggiungere

nulla alla nobile i mp resa di disseppellire e m ettere in veduta le glorie dimenticate degli avi nostri, ho posto mano a scrivere queste brevi considerazioni, a palesare solo il bnon v ole re , e a non parere estra­ neo alla sollecitudine che occupa o ggid ì i miei con­ cittadini. Poter c o ope rare con essi al bene della pa­ tria comune, ecco la somma di tutL' i miei desiderii, di tutte le mie speran ze . Mi studierò adunque di

trovare, esponend o il sistema del Bruno, le attinen­ ze che lo intrecciano coi suoi pre c essori ; l'adden­ tellato che lasciava a quelli che gli tennero dietro.

Mi fermerò un po' di più nelle parti che sono state meno v entila t e , nei libri di cui si è fatto meno caso. La brevità del tempo, onde mi è stato forza di for­

nire questo Jayoro, e la scarsezza d ell ' i ng e gn o mi v arran n o di scusa appresso il suo animo gentile

,

se

il dono riesce smisuratamente minore del nome che porta in fronte. Sappia che assai più grande è il de­ s i der i o che ho di vederla celebrata, e la devozione con cui io me le raccomando.

Di V. S. Di N a po l i 19 sellembre 1 8 61. Devoti11imo ammiralor�

FRANCESCO FIORENTINO.

VITA

E CASI DI

GIORDANO BRUNO

V' ha degli uomun , dice i l Cousin , che hanno per cosl dire u n carattere generale , ch' è q u e l l o del loro se­ colo e del loro paese ; onde ti paiono eco fedele e veri­ tiera dei loro tempi . La loro vita s' in treccia con la sto­ ria conte mpora n e a ; l e loro vice nde indi viduali sono l a misura de lle scie ntifiche; i loro trionfi o le loro sven­ ture d a n no s e g n o del sorgere o del cadere dell' umano i ncivilime nto ; le lotte più o meno grandi che durano ti palesano l a maggiore o minore capacità di ricevere lo stampo , o n d' essi sogliono s u ggellare il secolo. Nulla è inutile in ess i , ed i l cercarne i più m i nuti p articolari , lo spiarne le p i ù riposte cogitaz ioni dell' animo , torna lo ste sso che addentrars i nelle intime cagi o n i della s to­ ria , ed ormegg iare lo sviluppamento progressivo della specie uman a . Un o degli uomini si ffatti è Giordano Bruno . Il secolo decimosesto è contrassegnato col nome de l Risorgimento , come se le nazioni di Europa , stanche dalla lunga l otta del Medio evo , si fossero levate in piedi •

-2per ripigl i are il cam m i n o interrotto in que lla notte pau­ ros a. Una vita novel l a cominciò a se rpeggiare i n que l­ l' uomo , che u sci va rimpastato dagli e l e menti p e r tanti secoli cozzanti; e l'arbitrio, quasi ucce llo che testè avesse i m pe n n a to le a l i , si prov ava d i poggiare da sè a d i s u sate al lezze , e spazi are per lungo e per largo per lo l i bero c i e lo. Fino a quel te mpo l'au torità avea signoreggiato il Medio evo, e te nuto essa sola il cam p o , i m·ade ndo , e lin colando la propr i e tà , la legge , e l a fede; onde n ac­ quero tre isti t u z ion i , sore l l e che si chiamarono Feudo, Jmpe ro e Chiesa . Credo pressochè superfluo l ' avvertire ch e i o q u i parlo de l l a Ch iesa con sid e rata come potestà chile , anzichè religiosa; perchè come tale ell a è di tutt' i te mpi, dei prim i e dei novi ss imi; non ebbe n a sci me n to te rreno , e non teme occaso. L' i n gegno umano, i mp a ­ zie n te di fra ncarsi d a l l ' i n comportabile servaggio , si vol­ se speranzoso a l l ' antich i tà classica , e cercò di ravvivare quel cadavere in c u i si conservavano , se n z a il soffio vi­ ta l e , ancora i nvi olate le belle zze del l a form a. Si fru gò con pazie nza lodevol i ssima n e i polvero si scaffa li d e i chio­ stri , si pe regrinò nelle memori contrade di Greci a a cer­ carvi la lingua di Omero fra un a p lebe incuriosa e sena ; e qua ndo Cos tan tinopo l i , forse per i mperscruta b i l e dise ­ g n o d e Jia provvidenza, v e n n e i n ma n o d e i Turcl1i, si ac­ colse in Fioren z a , n e l l a corte dei Medici la fuggi th·a sa­ p i e n z a greca . A l l ora sorse la tanto bene merita Accade­ mia fiore ntin a , detta altri m e n ti dal n om e d e l suo pro­ tettore , Laurenzian a . Marsi lio Ficino , Demetrio Chal­ con dila, Giorgio Vespucci , Cri stoforo Landino , Fi l i ppo ,. alori , Ange lo Polizi a no, Giovanni Pico della Miran dola vi si re sero famosi per aver fatto rivh·ere la filo sofia d i Pitagora e d i P l atone , e per ave re ripu rgato e ringen­ tili to il materno id ioma con q u e l lo delle Grazi e e de lle 1\luse. Coi Medici garegg i a va di operosità Niccolò V, p e r cu i i n dustria furon o volte i n l a tino le oper e d i Aristo­ til e . Quando eccoti dopo l a m orte di Leone X le cose ro­ v in are al peggio, chè le turbole nze di Germania e l' esor-

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dire della protesta insospettirono la Corte romana , e la protezione s i mutò in astio , ed i cu ltori delle sci enze si ebbero in conto di miscredenti. In questa età disanen­ turosa nasceva appunto Giordano Bru no, di cui pen siamo disegnare la vita tanto che b asti a coglierne l 'indole , ch'ei seppe sì potentemente trasfondere nelle sue opere , di modo che in l u i più che in nessun altro lo scri ttore è l' uomo, con tutt' i s uoi pregi , con tu tt' i suoi difetti . Nacque egli adunque in Nola, città dell'antica Campa­ gna felice , ove i poeti favoleggiarono i campi flegrei , terra adusta dal sole del mezzogiorno , e posta ad ugual distanza dal Vesuvio e dal mare. L'anno della sua n a­ scita si pone probabilmente al1550 , o poco poi; ma della condizione dei suoi natali s i disputa , face ndolo nato chi da famiglia nobile e ricca , e chi per contrario da u n sarto e da una lavandiera. Tutto questo non monta n u l la per noi, che del s uo ingegno , non della sua fortuna abbiamo a discorrere. La infanzia ebbe commossa da spettacoli portentosi di natura, per essere stati quei primi suoi anni fecondi di strani avvenimenti, di trcm uoti , i nondazioni , ed eruzioni vu lcaniche, alle q u ali J'Hegel va comparando l' indole di Bru no i mmagi nosa e ferven te. Ai flagelli ir­ reparabi l i di natura si aggiunsero le stragi provocate dalla guerra temeraria di Paolo IV, dalla osti nazione di Pio IV e di Pio V, per le quali fu amitto ed insanguinato il paese, e Bruno vi perdette la casa , ch' ei ricorda situata a piè del monte Cicala. Il Napoletano , quando ei nacque, gemeva sotto il ven­ tenne giogo di don Pietro di Toledo , sicchè col latte quasi fu sforzato a succhiare l'abborrimento agli oppressori. E come la tirannide spagnuola pesava sul suo paese , così, e forse peggio, costringeva gl'ingegni il tiranno delle scuo­ le , Ari stotile. Di lui d iceva Agrippa , che fosse stato il precursore di Cristo negli ord ini della natura , come il Battista in quelli della grazia. La dottrina aristotelica cristia neggiata era dive ntata per eccellenza la Scolastica , e guai per chi ardisse contrastare alle tradizioni scienti-

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fiche di d ic ia ss ette secoli ! Nè qui finiva tutto. L'an no medesimo che moriva Calvino , e s i chiude v a il Concilio di Treuto, u n a lega fermossi tra Fil i p p o II , e Caterina dei Medici: quale ne fo s se lo scopo , può in dovin arlo chi legge, s apen do che cam p i o ni di essa erano i l Duca d'Alba e la c a sa di Lorena. In qu e sto modo seni tù p o l itic a , ser­ litù scie n tific a , servitù religiosa face va n o di q uei tempi a chi più potesse svigorire gl' iutelletti. A questi i m p a cci che opponeva la male o rga n a ta so­ cietà, Bruno aggiu n ge,·a n o,· el l i legami ve ste n do le l a ne di s an Domenico , che con pari a u sp ici venti a n n i d opo i ndossava Tommaso Ca m p a n e ll a. Perchè a\·ev a egli pre­ sce l to il chiostro? Chi dice per attendere p i ù pacatamen te al cu l to delle Muse, e chi per ardore che avesse di pro­ ca c ciar fama i n un ord i ne tan to r i n o m a to . Forse p otè i n ­ durlo ancora natural vaghe zz a di combattere n el campo pac i fi c o del l a scienza , esse ndo pre c l usa altra via più ac­ concia alla s u a tempra b e l l ic o sa . Forse in fine fu reliquia di animo grato ad· u n ordine, nel qu ale era stato allevato. Checchè si fo s s e però, i l chiostro era in quella età la p a ­ les t r a dei g r an di i n g egni . Telesio si era ch iuso giovinetto in un comen to di Benedettini; e dal silenzio di una c el la era no u sci ti in Italia quei for t i ingegni che furono Ar­ n ald o da B resc i a e Girolamo Savanarola , apparsi l' uno all'alba, l'altro al tramonto de lla libertà dei Comuni. Na poli i n t a n to , ove i l gr ido di libertà non si è le va to m a i s e n z a che trovasse un' eco, ave\· a accolto con gioia frenetica il l ibro di un Calabrese , n el q u ale si protfe riv a g uida n o ve l l a per rive n d ic are gl'in geg ni in libertà. Fer­ dinando Caraffa duca di Nocera pro tegge v a il l ibe ro pen­ satore cosentino , e l' accademia di Te le si o adu nava i m i gliori ingegni apparecchiati a combattere la sig n oreg­ gi ante fisica di Aristotile. Un'a ltra accademia fondava Gi ambatt is t a I•orta, detta dei Secreti, ed u n'altra col no­ me de' Lincei s'inauguraya a Roma. L'Italia p org e v a così il modello alla rimanente Europa d i a s soci ar e gli sforzi, e di compartire il la vo ro ; ella i n questa , come in ogni

-5altra cosa , e n trava pri m a a schiudere ed a sgombrare la via alle n azioni sorelle. T occammo di sopra dell'accade­ mia di Firenze , ne diciamo ora q u a l che altra cosa ; im­ p e rocch è se da Telesio il Bru no credò l'amm i ra zione per Parmenide , dal Cusano ei tolse l' amore per l a fìlosofia pitagorica . Ora questa ultima era speci almente coltivata in Firenze , per essere il le gato d e l l antico Oriente che Pi tagora ayea lasciato alla Grecia, e questa alla sua Yolta per mezzo di Platone avea rinvi ato all'antica stanza della civiltà occidental e . Sebbene i l Nol a no , o per u na cotal boria onde invanisse , o p e r fastidio che a ves s e dei ci ­ calecci spesso comuni al l e accademie , s i compiacesse di chiamarsi accadem ico di nessuna accademia, nondim e no è agevole ranisare i n Firenze la cul la del suo pe nsiero. Indi attinse i germi r.he fecondò, ed i l li nguaggio mede­ simo del suo sistema, che ri trae sempre dai simboli m a­ te ma tici , i n nestati alla filosofi a dal cardinale di Cusa. Indi forse accattò quelle merci cabalistiche, che da Pico della Mirandola aveva i mpar a lo il Reuclino , e diffuso poi per la German i a . Ma tutte coteste cose si parranno più chiare nella esposizione d el s is tema La m al ig n i tà dei tempi , e lo sfrenato ardore dell'ani­ mo non con sentirono a Bruno di stanziare nè i n Napoli, nè in nessuna altra delle nostre città . Abbandonò adu n­ q ue, benchè a malincuore , l' Itali a , e varcò le Alpi re­ ti che i l 1580 giovane ancora nei trenta a nn i La Sviz­ zera era ri putata allora l' a!!i lo de i più arditi ingegni di quell' età, tanto che i Protestanti enfaticamente la salu­ tavano terra di Canaan . Su le rhe del lago Lemano , n ella fiorente Ginevra , credette però di trovare quelle aure pacifiche di l ibertà , cui una tri plice i nfezione am­ morbava nel suo n ativo paese. M a la P r ot e st a aveva scosso il giogo di Roma per accollarsen e un altro , non che più pesante , ma più vergognoso , in quanto che l a nefanda voce d i libertà scherniva i pove r i delusi tra le sonanti ca­ tene . A Ginevr a era forza pensare conformeme nte al Ve­ nerabile Concistoro, nella st e ss a guis a che a Roma biso'

.

,

.

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gnava parlare il linguaggio del Santo Uffizio . Teodoro Beza a\·eva rifiutata a Pietro R a m o la facoltà d'insegnare , solo perchè questi s i d i scostav a dalle orme aristoteliche. Ecco la bella libertà che si era gu adagn ata! Bruno i n sofferente di questo, come del romano giogo , stimò per lo suo me­ glio parti rsene, e ricovrarsi in Ingh i l terra tenendo l a via di Franc i a . Vi sitò Lione, e l e rive della Garonna , ove trentasei anni dopo Giulio Cesare Vani n i , suo compae­ sano , periva nel rogo. Come i l don Giova n n i di Byron trovava disinganni in ogni nuova regione ove si avvenis­ se , Bru no vedeva per tutto intolleranza , e non pure in religione , ed in filosofia ed i n pol i tica, m a perfino in di­ sci pli ne , nelle qua li pareagl i che le ire di parte non po­ tessero a l l i gnare . Chi crederebbe , che per aver lodato Parace lso, ei fu costretto a lasciar Montpe l l ier? In Fran­ cia come in Italia fervevano lotte civi li, e d i scordie reli­ giose. le guerre degli Ugonotti avevano i nsanguinato tutto il paese che si protende tra la Garonna ed i monti, tra i l Rodano ed il Reno. Le d i spute della Sorbon a ave­ vano per fine di c u stodire con gelosa cura le pastoie della Scolastica, e Parigi non era gran fatto in miglior condi­ zione di Napoli e di Gi neua . Se non che trovandosi ivi il Bruno di scosto dai maneggi frateschi , protetto per giunta da E n rico III , potè ottenervi d i leggere pubbli­ camente filosofia; ma dovette conte nersi a chiosare l'arte comb i n a toria del L u l l o , n è arrischiarsi più avanti. Ed anche questo n e pare mirabi l e , perchè guardando ai tempi non si sa come quei vecchi maestri portassero in pace ,. che accanto a l l'Organo dello Stagirita s uonasse i l com­ mento dell' Arte magn a deii'IIIuminato di :Maiolica. Forse ei vi ri u scì, perchè rico\·erato all'ombra dei gran gigl i d' oro, e protetto da Giovanni Regnau l t , e, sua mercè ,. da Enrico d ' Angoulém e , potè ques t a vol ta sfuggire a l le ire i mpotenti dei suoi autagonisti . Forse ancora , ed è più probabi le, un bi sogno prepotente d i u n i ficare if sa­ pere aveva invaso le menti , e l'Arte Lu llian a , i ncalorita dalla paro la napoletana del Bruno , appagava questo de-

-7siderio, come al secolo di san Lu i g i avea fatto il Grande specchio di Vincenzo d i Beauvais , ed all'età dei nostri avi fece poi l'Enciclopedia di d'Alembert e Diderot. Dopo i l 1583 Bruno d i Francia tramutossi in Inghil­ terra, ove ebbe dime s tich e z z a co n Mauvissierc, l' impo­ tente difensore di Maria Stuart , e con Filippo Sid n e y , che il Bartholmess chiama l'ultimo cavaliere, il Baiardo della gran Brettagna. Per loro mezzo conobbe Elisabetta d'Ingh ilterra , e dovette i n graz i a rsi appresso di le i , per­ chè si vede esserle stato largo di lodi , di cui l' Inquisi­ z i o n e non m a n cò di poi fargliene car i c o, q u a ndo le ve n n e fatto d i ghermirlo. lto d i quei t e m p i a ycdere l a maschia regina Alberto di L asco Conte palati no, e volendosegl i prodigare ogni maniera di onore, fra gli altri spettacoli che si fecero a sollazzarlo , si tenne una disputa ad Ox­ ford, fam o s a Università d' In ghi l t erra . lvi Bruno fè mo­ stra del suo ingegno , soste nendovi contro Aristotile il moto della terra , e l'infinità d e l mo n do , che sono come i due perni, intorno a cui si aggira la sua dottrina fisica . Allora , comu n que Copernico avesse chiarita abbastanza Ja prima di queste tesi , le scuole tenevano ancora forte per Tolomeo , perchè le preoccupazioni una volta ingoi­ late non cosl facilmente si smettono. Dopo que s to avve­ nimento ei ritornò in Francia , e proprio nel 158�). Ma tornato che fu. s i a che i l giovane atleta si fosse più gagliar­ damente allenato, sia che spiriti novelli e più alteri gli aves sero infu s o in pe tto i suffragi della nazione ingle se, eg l i osò cangiare attitudine, e non contento a difendervi Lullo , come per lo i n na n z i , a v i s o aperto v i combattè Aris tot i le . Un tal Henncquin, suo seguace, ne fu altresì il campione in q uesta disfida; chè a lui non parve dover discendere nell' arena, tenendosi for s e assai dappiù, che i su o i com p e t i tori n o n fossero. I tre te m i di coutro�·er­ sia si d oveano scegliere da questi tre trattati. de l l a Na­ tura cioè, dell'Universo , e del Mo ndo. Il giorno posto alla disputa fu la Pentecoste d e l 1586 . Bartholmess opina che la scelta di questo giorno fu un omaggio che il Bru-

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no vol le rendere al re , che in u n anno vi era s tato eletto re d i Polonia , ed in un a ltro d ivenuto re di Fr a nci a , tanto che a commemorarlo d ebit a me n te a r e a fond a t o l ' o r d i n e ca v a l lere s co d e ll o Sp i rito S a nto . In que st o medesimo anno Bru no, cui i fati parca che i nc alz as sero di terra in terra , andò in Ge rma n i a , e pro­ p r ia me n t e a M arb ou rg i n H assi a ; ci t t à fa m os a p e l collo­ quio c h e vi eb bero Lutero e Z u i nglio . Il 26 giugno del 1586 fu s c r i t t o colà dottore in t eol ogi a , , aut h u ma n u s q u i d a m mund ù s . De Coniect . lib. 1 1 . cap. XIII ( 1 ) • C reatura e s t Dc u s o c c a s i onatus . . . . quoniam ipsa forma fi n i t a , n o n

- 39 Fi n a l mente l a conn essione i n D i o è identi tà , e nelle crea­ ture è sinte s i , la quale ri trae con l' accordo, i n modo lì­ n i to, la i n fi n i ta mede s i mezza. Così non senza u n a pro­ fonda ragi one i Padri de l l a Ch iesa si s forza v a n o d i t r o­ vare n e l l e creature i l vestigio e l a i mmagi ne de l l a d i v i­ na ed i ne ffab i le Tri n i tà. Ma perchè l a fa ttura si d i scost a dal fattore ? Donde ella trae q u esto e l e mento d i fettivo , che no n s i tro v a n e l l ' E sse re , ch' è l a sua causa ? C h e co s a l a f a e s s e re corruttib i l e , d i v i si b i l e , impc r.fe tta , d i v e r ;; a , m o l t i p l i­ ce , q uando i l suo p r i n c i p i o a l co n trario è mass i m o , e­ terno , ind i v is i b i le , perfe ttissimo , i n d i st i nto , u n o ? I l C u s a no risponde a tu tto que sto con una s i m i gl i a n z a ma­ te matica. Come la l i ne a infi n i t a è la i n !ì n i ta ret t i t u d i­ ne , la qua le è causa d i ogni enti là l i n e a l e , e la li n e a curva h a l ' essere l i ne a le d a l l a infi n ita re tta , m a l a c u r­ v i t à non l ' h a se no n per la propri a finitezza ; così p ure i nterviene de l l e cose , le q u a l i h a n n o da Dio 1' e s se n z a , ma non la l i m itazione , l a quale è d i fe t to di u l teriore rea l i tà. Se la curv a fosse infi n i t a si ade guereb be a l l a retta ; m a perchè è fi n i t a , e l l a è c u rva. Così l a creatura è m o l l i p l i ce , pe rchè n o n può partec i p a re a l l' asso l u ta u n i tà ; è d i scordante , perchè non p u ò partecipare a l l a conn essi o n e assoluta , senza che a co t e st a partec i p a z i o ­ ne n o n si frammisc h i l' a l te r i t à , l a q u a l e contrae l ' infi­ n i t u d i ne di que l l a u n ità e di q u e l l a conne s s ion e . La retta s i d i ffe r e n z i a d a l l a curva , qua n do e l l e n o so­ no fi n i te ; le va v i a l a fi n i tezza e saran n o la medesi m a co­ sa . Nel cerchio massi mo d i fatti il d i a metro sarà pure massi m o , m a due m as s i m i s' i ncontrano , e s' i m mede­ simano , però n e l cerch io infi n ito la retta e l a curva so­ no tutt' uno . li ce n tro t i e n e il mezzo del d i a m e tro . Q n a nest n is i fi n i te recepta , ut o m n i s creatura sit qua s i i n fì ni tas fi nita a u t Deus cre a t u s , u t s i t e o m o d o , q u o h o c m e l i u s esse posset : a c s i d i x i s s e t creator, fiat , e t q u ia D e u s fi e ri no n p o t u i t , q u i e s t i psa aeterni las , h o c factum e5 t, quod fieri potuit D e o s i m i l i us . D e docta Ignorantia . l i b . I I . c ap . 2 .

- 40 i l diametro è i n fi n ito , i l mezzo non si d i s somiglia d a g l i estre m i , e tutt' i punti si contraggono i n u n s o lo ; onde c u rva i n fi n i t a , retta i n fi nita , e punto i n 6 n i to s'im­ mede s i mano al lorc h è si considerano come circonferenza , d i ametro e c e n tro di u n i n fi n i to circo l o . Simi l m ente si prova l a medesimezza di tu tte le figure matematiche al­ l o r a qu a n d o si trasportano n e l l' i n fi n i t o . La l or o o pposi­ zione non h a l uogo a l t r m·e , se non tra le rel azioni di fi n i tezza . E nota c h e t a n to · v a l e considerare l' i n fi n ita­ m e n t e m a s s i m o , q u anto l ' i n finitame n te piccolo , perchè come il diametro e la circonfere n z a del cerc h i o massi­ m o , non sono a l tro , che u n a cosa sola , così pure i n con­ tra n e l l ' arco e n e l l a cord a i nfinitamente p icco li . Sicchè il m assimo ed i l m i n i m o c o uicidono. M a s s i m o vuoi d i re i,n fi n i tamente gra ude , come m i n i mo i n fi n itamente pic­ colo ; togli d i mezzo i t er m i ni che acce nnano a quanti­ t à , e quel che ti rimane in fo ndo dell' uno e dell' altro s arà u gualme nte l' i n fi n i to . Per tal modo n ' è da to spe­ c u l are l' i nfi n i to attraverso del fi n ito medi ante d e l be­ ri llo intellettuale , i l quale come i l beri l lo corporale a i uta la vista a d i scernere l' i n Y i s i b i l e , così esso aiuta la facoltà i n tellettiva a cono scere or l' i n fi n i tamente m a s­ simo , or r i n fi n i ta m e n te piccolo , che sfu ggono ugual­ m e n te a l l a vista ( 1 ) . D i fatti l e \·ando d a l le cose finite l ' a l­ terità , l a quale n o n compe te a l l' e ssere , avremo l' i nfi n i­ tà assolut a , dove l' alterità non può trovar luogo . Che cosa è r a l terità ? Il n o n e s sere u n ' a ltra cosa da q ue l l a che s i è . Onde u n a c o s a s i d i c e altra non p e r q u e l l o che è , m a per q u e l l o che non è . L ' a l terità adunque non è princ i pio d i ess ere , m a pri ncipio n e gativo . Dio non è altro , perchè è t u tto (2).

do

( t ) Beryl l u s , l apis e s t luci dus , albus , et t r a s p a r e n s , c u i datur fo r m a , v a p a rite r et conveu, e t p e r i p s u m videns , attingi! prius i n v is ib i­ l e . Si i n te l lectualibus oculis , intellectualis beryl l us , q u i for m a m babet max imam pari ter et m inimam , adaptatu r , p e r e i us m ed iu m , a t t i n g i t u r c onc a

i n v i s ibi l e o mn ium p ri n c i pi u m . - De Be ryllo cap . !l. (�) N o n est autem princip i u m essencli a l teritas : alteri tas

enim dicitur,

- 41 Se tutte l e creature convengono nel l ' essere , e d i scon­ vengono i n que l lo che non sono , c i oè per l a l i m i tazione che hanno ; n e co nsèguita , esser v ero ciò che d i ce v a A­ nas sagora , che c i a sc u n a cosa è i n ogni altra , che s i po­ trebbe chiamare circ u m i n s e s s i on e dei fi niti . Ed a n che cotesto pronunzi ato razio n a l e si riscon tra mirab i l m e nte con la circu m i n sessione in divinis , serbando q u e lle di­ sta nze che intercedo no tra questi due term i n i . Ogni crea­ tura contiene i n sè tutto l' un iverso , ma in modo con­ tratto ; perchè e l l a non potendo esser tutte cose , fa che tutte s i a n o in certo modo lei . M a Dio è n e l l ' un iverso , dunque tanto v a l e che ci ascuna cosa s i a in ci asc u n a , q u a nto che Dio per mezzo de l l ' u n h erso sia i n tu tte co­ se, e v i ceversa che tutte cose per mezzo dell' u niv erso siano in Dio

(1).

a no n esse , q u od e n i m unum non est aliud , b i n e d ic i t u r altcrum . Al te­ ri ta s igitu r , n o n potest esse p r i nc i p i u !ll e s sen d i , qu i a d i c i tur a non es­ se , n e q u e habet princi p i u m essend i , cum si t a non esse . N o n e s t i g i tu r al teritas aliquid : scd q u o d coelum non est terra , est , qui a coelum n o n est in fi n i t a s i p s a , quae o m ne esse a mbit . U nde q u i a i n fi n i tas , e s t i n li n i­ tas ab s o l u t a , in de e v e n i t , unu m non possc esse a l i u d - De Visione Det , cap . Xlll. A n c h e l ' Hegel fa consistere l' al terità i u una negazione , come avre­ mo a gi o di v e d ere più avan t i . ( 1 ) C redo far c o s a grata al l e ttore arrecando t es tu al me n t e il ragiona. m e n t o d e l C u s a n o , ricav ato dal cap . V d e l 2 l i bro de Docta ignorantia , c h e ba p e r tito l o : Quodlibet in quolibet - « S i acute iam d i e ta atten­ d i s , non erit tibi rl i tlì c i l e videre veritatis i l l iu s A naxagoricae ( q u o d l ib e t es�e i n q u o l ibet) fundamentum , fortassis altius Annagora. N am cum m a­ n i festum si t C'l l i bro 1 . D e u m ita esse in om nibus , quod omnia s u n t i n i p s o , e t n u n e constet D e u m quasi m e d iante u n ivers o , esse in omni b u s , h in c o m n i a in o m n i b u s esse consta t , e t quodl ibet in quo l i be t : univer­ s u m e n i m , qu as i ordine naturae u t perfectissimum praecess i t omnia , ut q u o d l ibet in qu o l i b et esse posse t . In q u a l i b e t enim creatura , u n JV e rs um e s t i p s a creatura , e t i t a q u o d l i b e t re ci pi t o m n i a , u t i n ipso sin t i ps u m c o n trae te , c u m q u o d l ibe t non poss e t esse a c tu o m n i a , c u m sit contra­ ctu m , c o n trahit o m n i a ut sin t i psum . Si ig itu r omnia sunt in om nibus , o m n i a v i d e n tur qu od l ibet praecedere . N o n igi t u r o m n i a sunt plura , quo­ n i a m p l u ral i ta s n o n praecedit quodlibet. Unde omnia sine plu ritate prae­ cesserunt qu o d l ib e t o r d i n e na turae , non sunt igitur p l u ra in q u o li be t actu , sed o m n i a s i n e pluralitate s u n t i d i psum . N o n e s t a u t e m un iver­ s u m , nisi contrae te in rebus , et o m n is res _actu existens , contrah it uni-

-

42

-

La circuminsess ione dci finiti è uno dei piu fecondi principi della scienza , massime nelle sue atti nenze co­ smologiche . Senza questo vicendevole legame le cose fi­ nite apparire bb e r o disgregate , epperò inca paci di esse­ re ridotte i n u n ' unità s c i e n ti fi ca . Or l a scienza per es­ sere yera non può accordare un' unità fittizia , m a deve spe c u l ar e medi ante il processo razioci n a th·o l ' u n ità rea­ le , O\' C si a ggr u p pa n o e s' i m p l i c a n o i veri parzi a l i . Seb­ bene Anassagora aYesse subodorato i l concetto d e l l a m u­ tua i n s i d e n z a delle cose , nondimeno fu i l cristianesi­ mo che ce ne h a porto i l fondamento , più s u bl i me assai di quello di A n a s sagora , come attesta il Cusano mede­ simo. Dopochè san Paolo ebbe de tto che tut to Yive , si m uove e d è in Dio, per necessario conseguente si do,·e­ va inferire , che du nque ciascmia cos a è in c iascu n ' a lver;a , ut sin t a c tu id qu o d e s t . Omne autem actu ex istens in Deo e s t q u i a ipse est actus o m nium . Actus a u tem est perl e c t i o e t fi n is p o tentiae . Unde c u m u n i Y ersum in quo l i b et actu e x is tenti , si t c o n tractum , patet Deum qui e s t i n universo , e sse i n q uol i b et , e t quod l i b c t a c t u e x i s t en s , im mediate i n Deo sicut u n i vers um . N o n est ergo aliud dicere , quod l i b et esse i n quolibet , quam Deum per o mn i a e s s e i n o m nibus , e t o m ni a per omnia esse in Deo . Subti l i i n te l l ectu i s ta al tissima clare c omp re b e n d u n­ tur, e t quomodo Deus est ab s qu e diversi late in omnibus , quia quodl ibet i n quolibe t , e t o m nia i n De o , quia o m n i a in o m n ibu s . Sed eu m u n i ver­ sum i la s i t in quolibet , quod quod l i b e t in ipso , et u n i v c rs u m in q u o l i­ be t con traete , i d qu o d est ipsum contraete , et quodl ibet in u n i v e rso e s t ipsum u ni v ers u m , q uam,· i s uni vers u m i n q uo l ibet s i t diverse , e t qu o d l i ­ bet in universo dive rse . . . . Considera a tt e n t i us et vide bis , quomo d o quaelibet rcs a c tu e x i s t e ns e x eo q u iesc i t , quia o m n ia i n i psa sunt ipsa , e t ipsa i n Deo Deus . M i ra­ bilem reru m u nitate m , ad m i randarn aequali tatem , et mira b i l i s s i m a m v i­ des conne x ionem , u t omnia s i n t in o m n ibus . Rerum e ti a m u n ivers i t a tem et conne x ionem , i n hoc e x oriri intell igis,: nam cu rn quaelibet res actu , o m n i a esse non potu i t , qui a fu issel Deus , et propterea o m nia i n q uo l i­ bet esseni co m o d o , I(UO esse possent secundum id quod est quodlibet : non potu i t quod l i be t esse c o n .; i m i l e per o m nia al teri , u t p a t u i t sopra , ab hoc fe c i t o m n i a in d i versis g radibus esse , s i c u t et illud esse , q u od non po t u i t s i m u l incorruptib i l i te r esse , recit i ncorru ptibiliter in tempo­ ral i successione esse , u t ita omnia id sin t quod s u n t , q u o n i a m al i ter et melius esse non potueru n t . Q u iescunt igitur o m n ia i n q u o l i he t , q u o n iam non posset u n u s gradus esse s i n e a l i o : sicut i n m e m bris corpo ris , q u o d ­ l ibet co n rer t cuilibe t , et omnia i n o m n ibus co n t e n tant u r • . •

- 43 tra ; postochè tutte siano i nsieme i n u n ricettaco lo co­ mune . Leibn i tz venuto dopo il Cusano, che aveva sì lar­ gamente e profondame n te considerato l a natura dell' U­ nh·erso , i n cambio di aggrandire e di fecondare cotesta teorica , l a dimezzò ; ammettendo la circum insidenza ideale di u na mon ade i n un' u l tra . lmperocchè nel suo sistema l' U ni verso non s i trova real mente nella mona­ d e , m a solo come rappresentato i n u no schema primiti­ vo. Ogni monade per l ui non è l' Un iverso contratto de l Cusano , m a è soltanto uno specch io d i esso ( 1 ) . Gioberti l' h a ri prodo tto a gior n i nostri i n tutta l a sua ampiezzu , esamin ando tal pronun ziato n e l la Proto­ logia sott o i l nome d i Metessi , ch' è la partecipazione delle cose create all' u nità del cre atore . Egli ha ri petuto col card i n a l di Cusa « che gli uni,·crsali devono trovar­ si non solo in Dio e nell' uomo, m a ezi andio nella natu­ ra (generi e specie) (2). )) Facciamo voti che l a scienza cos mologica procede ndo per questa via no n rimanga mol­ to tempo sì sproporzionata ai bisogni del l a fi losofia i talia­ n a . Torniamo i ntanto al nostro argomen to , tratteggian­ do l ' u l timo l a to della Dialettica di Niccolò di Cusa. Come l' assol uta entità divina complica nella sua uni­ tà tutte le esistenze , così la mente uma n a è fonte e com­ pl icazione d i quelle , che i l Cusano chiama conghiettu­ re . E nella guisa medesima che l' Entità divina opera per sè, così a ncora nel processo cogi tativo il principio i n telle ttuale esplica n e l la ragione la sua potenza , affin­ chè ricomponga la sua pristi n a u n ità . O nde tra il mon­ d o reale e l' ideale i n tercede u n a stretta congiunzione , ed u n corso parallelo. La mente proliene da Dio , non già come esplicazione ( t ) " D u n q u e q u e s t o lega me , o vogl i a m o d i re · accord o d i tutt e le cose c r e a t e r i s p e tto c i a s c u n a , e d i c i ascu n a r i s p e tto a t u t te l e altre , fa che ogni sostanza s e m p l i ce abbia delle relazion i , c h e e sprimono t u t te le al­ t r e , e che ella s i a per consegu e n z a u no s p e cc h i o v i v e n te perpe t u o del­ l ' u n i verso n -Leihni tr. , Moua dologia , Tra d . della m a rchesa Flor en1i . ('!) Gioberti , Pro to l . Vo l . I l , 1 .

- 44 del l a d iv i n a uni tà , ma come s u a immagi n e . N e l l a men­ te si ri pete , e si rifle tte l a un ità d ivina , di modochè se e l l a è l a complicazione d e l l e compl icazioni , l a mente è immagine d i essa com pl icazione primitiva , della quale l e altre cose sono sem p l i ci esplicazioni (1 ) La m e n te adunque s i vuoi co ns i derare e come a lteri­ tà de l l a u n i tà divi n a , e come u n i tà e l l a mede s i m a , i n q u a n t o d i quella u n i tà è a nche i m magi ne . Come u n i t à è a l l a sua ''olta partec ipab i le , e la ragione si p u ò co n s i­ derare come l ' alterità del l ' u n ità i ntel lettiv a . F i n a l me n­ te , per lo mede s i m o pri ncipio d e l l a partecipazione , l'uni­ tà razi o nale viene partecipata d a l l ' alterità s e n s i b i l e ; l a q u a l e poi è a l t e rità sol t an t o senza e ssere u n i tà . In q u e­ sto processo di u u i tà , l' a s sol u ta complica in sè tutte le cose senza nessu n a d i ffe re n z a ; l ' i ntel lettuale compatisce i n sè i con t raddi ttori ; l a razionale fi n a l m e nte i soli con­ trari, i q u a l i souo da considerare come d i fferenze oppo­ site del medesimo ge nere . L' unità partecipata si mostra come i n fi nità ; o nde l' u n ità assoluta discende nell' i n fi n i­ tà i ntel lett uale ; l' u n ità i n telletti v a n e l l a i n fi n i tà razio­ nale ; e l ' u n i t à razio n a l e fi n a l mente nella sensibile i n fi­ n i t à . Ne l risal i re si tiene il cammino i nverso , e l' u n i tà s e n s i b i le ascende n e l l' i n fi n i tà razion a l e ; l ' u n i tà razio­ n a l e n e l l ' i n fi n ità i ntellettiva ; l' u n i t à in t el lett iva n e l l ' i n­ fi n i tà assol uta , i n Dio. Di che con sègu ita ancora che l'un mo,· i mento n o n s i fa , se non pe r dar luogo al secondo ; .

( 1 ) Ex u nitate semel oritur aequalitas . Unde unitatis imago est aequa· l itas et non e s t aequalitas unitatis ex plicatio , sed plurali tas . Complica· tionis igitur u n ita tis aequalitas, est imago , non e x plicatio . Sic volo, men· tem esse imaginem d h·inae m e n tis simplicissimam , inter o m nPs imagines divinae compl icationis . E t ita mens est imago complicationis divinae pri· m a , o m nes imagines compl icatio nis , sua simpl icitate et virtute compii· cantis . Sicut enim Deus est complicationum complicalio : sic mens , quae est Pei imago , est i mago com p l icationis complicationum , post imagines sunt plural itate s rerum , divinam complic ationem explicante s . Sic nn· merus est expl icatio u n i tatis , e t m o tus qu ietis , e t tempus aeternitatis , et compositio s im p l icitatis , et tempus praesentiae , et magnitudo puncti, et motus momenti , et inaequalitas aequalitatis , et diversitas identitati s , et i ta de singulis . De çusa. ldiotae , lib . 111, c . I V. ,

- 45 -

cioè che l ' unità si esplica nell' alteri tà , affinchè questa esplicata torni alla sua unità pri mitha , che allora si considera come totalità (1). Onde l' alterità non conosce l' unità sua, se non risalendo sopra di sè. Perciò avvie­ ne che la sensibi lità non può cogl iere la medesimezza delle cose sensibili, o la u n i tà generica, limitandosi sol­ tanto agl' i ndividui la sua azione ; perch ç gl' individui sono l' alterità della specie e del genere . E la ragione la qu ale contiene in sè l' u n i t à dei sensibi l i . :Ma la ragio­ ne medesima non coglie la medesimezza degli oppositi razion a l i . Sicchè i l fondamento delle sue asserzioni sta i n questo principio , vale a dire , che gli oppositi non possono coi ncidere . Sopra d i questo si fondano le verità matematiche ; sopra di questo le distinzioni di numero pari ed i mpari ; le progressioni , e le proporzio n i nume­ riche . Perchè si dice che il rapporto del diametro alla circonferenza è i nattingibi le ? Perchè la curva non può coi ncidere con la rett a . Gioberti però osservaYa con la sua consueta profondità , che le relazioni dette irrazio­ nali dai matematici si potrebbero ch iamare altresì so­ vrarazionali . È difatti sopra la ragione ch' elle trovano il loro fondamento ; perchè sopra la ragione , nella uni­ tà i ntellettiva i contradittorl coincidono . Similmente i n contra a l l' i ntel letto . Quanto più egli si sol leva e si d iscosta dalla sua a l terità , tan to più perfetto di viene , tanto più si profonda nella contemplazione della unità semplicissima . Egli è l' alteri tà della unità assoluta , on­ de non può attingere sè medesimo co nvenientemente , se non i n quell' Uno , di cui egli è l ' altro . lmperocchè come abbiamo notato che l' unità non si attinge senza dell' alterità , così parimenti nè l' alterità senza l' unità è attingibile ; stando la medesima ragione per tutti e due ( 1 ) Non est enim m o tu s eius (intellectualis u n i tatis) in a l te ritatem ali­

ter , quam u t a l te r i ta; i n u n i LaLem absolutius perga t . Descendi t enim u n i ­

L a s e i u s i n rationale intel l i gibile , u t i n tell igibile ipsum i n u n itatem a­ s c e nda t intellectus . De Coniecturis, lib. II. cap . XIII.

- 46 questi pronunziati (1 ) . L' i nte lletto nostro ad u nque non può intuire sè stesso , nè verUit altro i ntell igibile , se non nella divina unità ; come per lo contrario non può i ntuir e la verità assoluta se non nella sua alterità . On­ de non si può dire ch' ei la colga così , com' è, ma co­ me ad uomo è dato di appre nde r l a . Intendere di fatti vuoi dire a�similarsi la cosa intelli gibile , onero misu­ rarla con l'tn telletto , e rendersc la i n cotal modo propor­ zionevole ; i l che non può accadere della immensurabi­ le verilà (2) . Però si dice , che la nostra scie nza d e l l' i n­ finito non è -mai perfetta , m a so lta nto appross imativ a . Il Gioberti colse b e n e questo Y alore approssimativo della nostra scienza , dicendo cc che i n essa l' approssi­ mativo risponde alla mimesi, c l' esatto al la metess i . Ora siccome la scienza terre na è pil1 o meno mimetica, essa è sempre piì1 o meno approssima tiva . Non ecce ttuo pu­ re le Matematiche , a c u i i l titolo di esatte conviene so­ lo in quanto tr avagliano sulle astrazioni (��) » . E la cor( 1 ) N o n a t t i n g i t u r u n i tas , n i s i med iante al teri late , s i c u t i u n i tas s pc­ cie i , m e d iante altcritatc i ntl i v i d u o ru m , a t q u e g c n e ru m unitas m e d i a nte s p e c i e r u m divers i tate . Ncque al tcri tas at t i n � i t u r per se e x ca< l r m r atl i­ ce : u n J e n o n a t t i n g i t u r al teri tas , n i s i metl iante u n i t a l e . De Co u i e c t u r i s , lib . II , cap . X VI . (2) " 1\ isi enim i n l c l l e c tus se intelligibili as s i m i l e t , n o n i n t e l l i g i t : c u m inte l l i gerc s i t assimi lare , e t intelligibilia seip> o , sc u i n t e l l e c t u a l i t e r m e n­ s u rare , que i n eo , q u utl est i d , q u u d esse p u t e s t , non e s t p o s s i h i l c nam i m m e n s u r ab i l e u titjUC e s t , eu m n o n posset esse m a i u s " . Dia lo g . De

Possess .

T a n to pare al Cusano c e r t o q u e s to p r i n ci p i o , che la i n te l l e z i o n e s i a u n ' ass i m i l a z i o n e m e n tal e , c h ' e g l i ricava J a l m i s u ra r e l ' ori�ine della pa­ ro l a Mente - • H a b e o tJ Uitlcm , ci d i c e , e t cgu , m e n te m e s s e , qua o m ­

n i u m re rum term inus e t mcnsura . M e n t e m q u itlem a m c n s u r :l n , t o d i c i con i i c io - Idiotae , l i b . III cap. 1 . ( 3) Gio!J. Protol . Vo l . l , V I - l i Cu sano avca de l lo N o n c n i rn i n tc l l c c t u s s c i p su m , au t a l i q uuù inte l l igibi l e , uti e s t , a t ti n ;;crc p n l c r i l , n i s i in veri tate , quae est o m n i u m u n itas i n lì n ita , ncc p u t r s l ip>am u n i t al . L' accordo della essenza reale delle cose , e della sua esplicazione, con la natura del pensiero , e con la espli­ cazione di lui che si manifesta compiutamente nella for­ ma sillogistica, dipende dal principio sovraccennato del Cusano, che la mente non solo è alterità dell' Assoluto , ma n' è altresl immagine, nella quale quello si riflette c si specchia. Come l' essenza reale delle cose partecipan­ do dell' unità , si accomuna . con le altre essenze , e par­ tecipando ne finitamente, se ne divide ; cosi a ncora la di­ visione e la definizione sono gli elementi del sillogismo , il quale esprime la divisione nelle premesse , e l a defi­ nizione , o l' accordo nella conseguenza. Onde il C usano attribuiva altresì grande importanza alla defi nizione , come avea fatto Platone , e prima i Pitagorici ; dicendo che in lei consiste il sapere ( 1 ). In questo senso è vero che i l movimento logico risponde al movimento reale delle cose ; e la mente compl ica con i l suo moto intel­ lettivo ogni successivo movimento (2) . L'Hegel trasportò il movimento successivo nel seno medesimo d e l l ' Asso­ luto , il cui processo è per essenza immanente ; a ltri­ menti ei cesserebbe di essere infin ito e perfetto . Onde la sua Logica, che sarebbe profondamente vera conside­ rata come progresso della finita realtà, e del finito pen­ siero, riesce assurda quando si applica all' i n fi n i to ; se­ condochè ne verrà fatto di notare appresso con maggiore ampiezza . ( 1 ) Defi nitio quae scire facit , est e x p licatio e i u s , q u o d in vocau u l c, complicatur. Cusan . C om p c n d . cap . X . (2) Mens, m o t u s u o i n tc l lc c t i v o , omncm suc c c ss i o ne m m o t u u m v i ù c l u r compl icare . Mens ex se c x c r i t m o l u m ra tiocina t i v u m , s i c e s t fo rma U I O · ,·end i-Cusan .

Idiot.

lib . 1 1 1 , c . X V .

- 52 La Dialettica , prima de l Cusano , fu considerata co­ me qualche cosa di arbitrario, per·�hè il pensiero nostro si credette estraneo al mondo , e capace di stare a sè , come chiuso i n un mondo suo proprio. Il Cusano asso­ ciò la Cosmologia e la Logica rime nandole alla comune sorgente , e fece vedere che le forme del pensiero non sono fittizie, ma reali e necessari e . Se non che egli di· stinse processo da progresso e da movimento , infinito •la fin ito , Teologia da Cosmologia e da Logica. E seb­ bene queste fossero modellate sopra di quella , nondi­ meno fece scorgere l' infinito intervallo che le separava. I l q ual i ntervallo però s i riduce ad i nfinita convenien­ z a , qua ndo s i consi dera , che l a medesima è l' origi ne d e l l a d i fferenza e del l a concordanza , cioè l ' a tto creati� \ O , ch' è ad un tempo l'infi nito conflitto, c l'infinita ar­ monia ( l ì . Mi gio a ribadire questi pronu nziati, perchè ora stan­ uo occupando le menti di tutt' i pensatori , a ricordar lo­ ro , se pure ne fa mestieri , come li abbia intesi e propu­ g n a t i una mente sì valida , come quella del Cusano; i l che può essere cagione che vi si rifacci ano sopra , e n uo\'Ì sch i a r i menti vi arrech ino. lo intanto procedo oltre , e mi l o l go a l tem a speciale delle mie ricerche , cioè a l l ' in­ il uenza che queste dottrine fin qui tocca te , più che S\'01t e . h a nno potuto aYere sul si stema del nostro grande pena t n rt• d i Nol a .

v

( l J M c n s ! ! U m a n a , rati o n i s m c tl i u un e > l l �a n > , i n fi n i t u m a b o m n i ap­ Jl rcl; c n s w n i s suae c i r c u l o e i i cicns , ai t nu llam rem d a h i l e m , ah alia qua­ r u m q u e per i n fi n i tum d ilferre , o m n e m q u e ù a h i l e m d i O'e r e n t iam i n fi n i t a m m Mem , alque ipsam i n fi n itam , n o n p l u s d i O'e r e n l i a m , q u a m c o n c o r ­ d a n t i a m e s s e , q u o ù i p s a c o nc i p i t concordan t i a . ì'i i c . Cu�an . De C o n i e c l . hh. Il. cap. I I I .

- 53 CAPITOLO III DELLA III A LETTICA DI GIORDANO BRU N O .

Stavano innanzi a l Bruno due soluzioni date della ori­ gine e d è lla natura dell' u n herso : quella della filosofia antica , e quel l a de l l a cristi a n a . La prima era distinta in tre mome nti , che si coordinano con tre l uoghi ce lebri nel l a storia del l'umano pensiero : con Cotrona , con Elea, e con Alessandria. La seconda , tralcio novel l o innestato su l' antico tronco , aveva grandeggiato nelle opere dei Padri e dei Dottori de l l a Chiesa dal principio al termine dell'Evo mezzano . Le due filosofie si potevano contrasse­ gnare con due semplici aggiunti : l' una era la filosofia della medesimezza , l' altra della creazione sostanzi a le ; ma nell'una e nell' altra si potevano discernere del le va­ rietà parziali , per le quali si era progred ito lungo la via. I Pitagorici cominciarono per armonizzare , ma fallito loro , per la cattiva scelta, i l termi ne mediano , finirono dando un accordo apparente . Gli Eleati ad un accordo menzognero anteposero andar difilati alla medesimezza e così l' Uno di Senofane e di Parmenide successe al l'ar­ monia ed al numero di Pitagora . Ma l'Uno era immob i­ le , e bisognava ch' egli operasse in qu alche modo , per­ chè le cose divenissero ; però gli Alessandrini escogita­ rono un movimento che passava dall' Uno alla Ragione ; da questa all'anima del mondo. I Padri della Chiesa fecero risaltare la differenza tra le cose mutabili e l' assoluto ; la grande , anzi la infinita sproporzione che v'è; mostrarono i l rovescio della meda­ glia , come suoi dirsi . Il conflitto tra la creàtura ed il Crea­ tore s'insinua in tutt'i loro trattati , come peccato di ori­ gine riluttante al divino precetto , come arbitrio sordo alla grazia; e le parole mondo, e secolo si contrappongo­ no sempre alla vita eterna , prese in significato profano. Restaurata la filosofia gen tilesca di Pitagora e di Pia-

- 54 t on e , ricompane d i nuo,·o la Monade che aveva abbaglia­ to g l i a ntichi filosofi , e si tentò un contemperamento fra l ' a ntica medesi mezza ed i l n uovo dissidio. L' atto creati­ vo si mostrava ed era acconcio a rimondare l'antica fi lo­ s o fi a , a temperare la nuova ; ed il Cardinale di Cusa s i pose a l l 'opera . Quel che abbia fatto, abbiamo esposto d i s opra . La Di a le ttica p e r lui è medesimezza n e l l e relazioni intime de l l ' Infi n i to con sè stesso ; è accordo n e l l a rela­ z i one estri n seca , n e l l a sua par tecipazione. A Bruno non parve così , confu se di nuovo l e une relazioni con l'altra , e con siderò l 'I n fi n ito i n un processo, i l quale non è pro­ pri o di l u i , ma del fi n ito soltanto. lmperocchè scomparti Ja s u a i n d i v i sibile essenza , e considerò separatamente tre u ffict di lei , i quali armonizzavan l'infinito con sè m e­ desimo . cc Son tre s orte d ' i n telletto , ei dice , i l divino ch' è tutto; questo m u n dano, che fa t u tto ; gli altri particolari , c h e si fan n o t u tto : perchè bisogna , che tra gli estremi si ritrove questo mezzo, il quale è vera causa efficiente , non t an t o e stri nseca , come anco i ntri nseca d i tutte cose natura l i ( 1 ) » . Qu i si vede chi aro l'intendimento che ha i l Bru no tl i accordare l ' i n tel letto divino con gl' i n telletti particolari , mediante un i ntel l etto intermedio , da cui ra mpol l a l ' efficienza . Ma egl i ponendo 1 ' i ntelletto mon­ d ano come un a l tro term i n e , rende l ' accordo i mpossibi­ l e , perch è due term i n i non si uni scono in u n a l tro ter­ m i ne , m a in u n a relazione comune , la quale però non può essere termine e s s a medesi m a . Ma basti qui questa sola osservazi o n e , chè a non i n tralciare la esposizione , ci riservi amo di n otare in fi ne quelle cose che ci paiono più notevoli nel s i stema del Nolano. Aristoti l e neJ n overare le cagioni delle cose , l e distinse i n quattro c l a s si , ch' e i denominò efficiente , finale , m a­ teri a l e e form a l e , d a l l a diversa parte che hanno nella esi­ stenza dell' effetto . Bru no, che pare aver avuto in nanzi ( 1 ) G iordano Bruno . Dialogo II. Del principio , Causa et Uno .

- 55 agli occhi la divisione aristotelica, esordisce da una di­ stinzione fra queste quattro specie di cause . Ei vuole che la efficiente e la formale siano veramente cause, ma per la materiale e la formale preferisce il nome di principio, cbe gli pare più appropriato a significare, come esse non rimangono estrinseche all' effetto , ma gli siano intime ed essenziali. « Principio, ei dice , è queJlo , che i ntrin­ secamente concorre a la costituzione de la cosa, e rimane ne l' effetto, come dicono l a materia e forma, che rima­ gnono nel composto, o pur gli elementi, dai quali la cosa viene a comp«Jrsi , e ne'quali va a risolversi . Causa chia­ mo queJJa, che concorre a l a produzione de le cose este­ riormente, et ha l' essere fuor de la composizione, come è l' efficiente et il fine , al quale è ordinata la cosa pro­ dotta (1) >, . Premessa sitfatta distinzione , poichè quello che co­ mincia deve ayere una cagione di sua esistenza , vedia­ mo quale , secondo lui , sia la causa efficiente di questo mondo . « Qua nto alla causa effettrice , dico l' efficiente fisico universale essere J' i ntel letto universale , ch' è la prima e pri ncipaJ facu l tà dell' anima del mondo , la qual è forma universale di quello (2) >> . A descrivere poi la natura di questo intel letto universale , che fa tutto , ei ripiglia così: « L'Inte l le tto uni versa le è l'intima più reale e propria facultà, e parte potenziale de l 'anima del mon­ do . Questo è uno medesimo, ch'empie il tutto, illumina l' universo , e t indrizza la natura a produrre le sue spe­ cie, come si conviene , e così ha rispetto a la produzio­ ne di cose naturali , come il nostro intelletto a la congrua produzione di specie razionali (3) n . La produzione delle specie è attribuita dal Bru no all' intelletto che {a tutto , non già a ll ' intelletto , ch' è tutto , i l quale sta come ino( 1) Bruno, lo c. c i t. Dialogo I I . { 2 ) Bru n o , loc. c i t (3) Brun o , loc . c i t . Qui si vede

accennata la

corrispondenza tra l ' i n tel­

letto m ondano che pro d u c e le specie natural i , e l' i n tel letto n o s tro che pr od u c e le specie razionali, elle fu largamente esposta dal Cusan o .

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peroso, simile all' Uno degli A les s an dri n i ; ma tra il si­ stema di Plotino e quelJo di Bruno si trova un divario nel concepire l'intelletto che fa tutto . lmperocchè la Ra­ gione di Plotino era facoltà meramente speculativa , e l' attività cominciaYa dall' anima del mondo ; quando al contrario Bruno pone che l'intelletto sia facoltà de l l'ani­ ma mondiale . Onde immedesimate la Ragione e l'Anima degli A lessandrini nel solo Intelletto mondano, fa entrare per terzo gl'intelletti particolari , i quali sono esclusi dalla Triade alessandrina. Questa mutazione non si mol con­ iiderarc come accessoria nei due sistemi , perocchè i m.. plica u n principio molto differente . L' Unità degli Ales­ sandrini va s c a p it a n do nelle successive emanazioni , do­ l·echè l'lntelJetto di vino di Bruno se ne viene vantaggian­ do . Il che si pare manifestamente nel determinare la causa finale del l'operazione di esso i ntelletto. « Il scopo e la causa finale, la qual si propone l'efficiente, è la per­ fezion de l' universo , la quale è, che in diverse parti de Ja materia tutte le forme abbiano attuale esistenza : nel qual fine tanto si diletta e si compiace l' i ntelletto , che mai si stanca suscitando tutte sorte di forme da la ma­ teria, come par, che voglia ancora Empedocle ( 1 ) » . Ma l' i ntelletto operando intende ; intendendo si propone un fine , e questo fine è appunto forma delle cose. Se non che la forma che s' immedesima col fine non è la stessa della forma ricevuta dalla materia. c < Voglio , ei dice , che siano considerate due sorte di fo rme : l'una, la quale è c a u s a , non già efficiente , ma per la quale l' efficiente effettua, l' altra è pri ncipio, la quale da l'efficiente è su· scitata de la materia (2) >> . La forma adunque considerata come ragione finale è estrinseca alla cosa, le è intrinse­ ca solo come impressa nella cosa fatta , ed i n quanto de­ termina la materia, che, come vedremo, n'è l'altro prin­ cipio costitutivo. L'intelletto mondano però, in quanto fa , ( t ) Bruno , ( :! ) Druno,

loc . c i t . loc c i t

- 57 è causa efficiente; in quanto intende quel che fa , è cau­ formale ; i n quanto indi rizza ad uno scopo le sue fa t­ ture , è caus a finale . Ma i n tutti qu e s ti tre modi ei ri­ mane fuori delle cose , che sono suoi effet t i ; intanto Bru­ no dice, ch'egli è causa estrinseca ed i n trinseca (1): c.o­ me va tutto ciò? Uno dei pri ncipii costitutivi delle cose è la forma ; ora se l' inte lletto efficiente è p ure forma del suo e ffetto , come tale egli è intrinseco a l l a sua natura . La esteriorità, e la interiorità dell'intelletto per rispe tto alla cosa fatta viene chiarita dal nostro fi losofo con una similitudine. I l nocchiero considerato come parte della sa

nave , i n quanto viene co n essa trasportato , s i può dire i ntrinseco al movimento che la trasporta ; i n mentre che egli g u id a ndo e dirigendo l a nave , l'è, per questo riguar­ do , estrinseco . Così pure l' intel letto è fuori d e l l a cosa prodotta come efficiente d i essa, ed è intrinseco alla su a natura , come pri ncipio form ale . In simigliante modo PJotino considerò l' anima mondiale come quella che vi­ vifica iJ mondo , e che lo prod uce , senza che si risenta dei conflitti , ai quali v a soggetto il mondo sensibile; es­ sendo e l l a superiore a tutte le limitazioni corpo ral i , e però agli effetti che da q u e s te l i m i tazioni prove ngono. a: Non è bellezza , dice Bruno , se non consiste i n qual· che specie o forma ; non è form a alcu n a , che non sia pro­ dotta da a nima » . Ciò è ragionevolmente dedotto dalle cose pre c eden t i ; peroc ch è se la forma n e l l a cosa prodotta corrisponde alla ra gione ideate n e l l ' e fficiente , consèguita che dove si vegga l a form a , si arguisca l' ani m a , o l' in· telle tto ove abbi a la propria caus a . Ma però non appari· sce limpida la conseguenza, che ne ricava il B ru no ; che

(1) " L o chiamo ( l ' i n t e l l etto e ffi c i ente ) causa e s t r i n s e c a , percbè c o m e efficiente è parte de li composti e c o s e prodo tte . E causa intrinseca , i n quanto c h e n o n o pra c irca l a m ateria e fuor d i q u e l l a , m a c o m e è s tato p o c o fa d e t t o ; onde è causa e s t r i n seca p e r l ' esser suo d is t i n to d a la su­ stanza e t e s s e n z a d e g l i e iTetti , e per che l ' e s s e r e s u o non è come d i cose generab i l i e c o r r o t t i b i l i , ben clic v e rsc circa q u e l l e : è c a u s a intrinseca, q u anto a l ' atto dc l a s u a operaz i o n e • . Bruno , l o c . çi t .

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dunque tutto ciò che ha forma ha anima . lmperocchè, o io sbaglio , o mi sembra che la diritta conseguenza s a­ rebbe quella che ho accennato poco prima , vale a dire : se esiste la forma nell' effetto , dunque ci è stato l' intel­ letto nella causa. - Ma non può sussistere nulla, conti­ nua Bruno, in cui non si trovi improntata la forma; cc l'a­ nima dunque del mondo è il principio formale costituti­ vo de l'universo e di ciò, che in quel lo si contiene: dico, che se la lita si trova in tutte le cose, l' anima viene ad esser forma di tutte le cose ; quella per tutto è presidente a la materia , e signoreggia ne li composti , effettua la composizione e consistenzia de le parti (1 ) » . Questa vi­ ta, questo spirito , che riempie tutta la materia, e ch' è il vero atto e la vera forma di tutte le cose, è però scom­ partita qu asi e partecipata secondo certi gradi ; perma­ nendo nondimeno sussistente , ed essendo in proprio ge­ no. Questi gradi sono da considerare come altrettante forme , che si possono dire accidentali per distinguerle da que ll' una e sostanziale. Altra è difatti la forma di elemento , ed altra quello di misto , di vegetale, di sen­ sitivo, e d'intellettivo , che sono li cinque gradi pei quali si manifesta la forma unica. Onde queste cinque forme vanno distinte secondo le operazioni, cc non già secondo quella ragione dell' essere e fondamentale , la quale me­ desima empie il tutto , e non secondo il medesimo mo­ do (2) » . Se l a forma unica ed universale si trova i n tutte cose in differenti maniere , ogni cosa può diventare tutte le altre, ed è in tutte le altre, perchè queste sono pure nella forma, o anima universale. Questo corollario medesimo vedemmo ricavato dal Cusano , mostrando che ogni cosa era in ciascun' altra , perchè tutte contrattamente erano l'unico universo. Mi piace allegare anche in questa dot­ trina le parole medesime del Bruno. ( 1 ) Bruno , Ioc. c i t . (2) Bruno , loc . c i t .

- 59 cc Dicsono. Voi mi sc u oprite qualc h e modo verisimi­ le, con il qu a le s i potrebbe mantener l'opin ione d'Anas­ sagora , che voleva , ogni cosa essere i n ogni cosa , per che , essendo il spirto , o anima , o forma u niversale in tutte le cose , da tutto s i pu ò produr tutto. Teo�lo. Non dico verisimile , ma vero ; per che quel spirto si trova in tutte le cose , le quali, se non sono ani­ mali , sono animate , se non sono secondo ratto sensibile d' animalità e vita , son p e rò secondo i l pri ncipio e certo atto d' animalità e vita (1) >> . Profonda è certamente questa ultima di stinzione del­ l'atto della vita , e del suo principio , e che noi abbiamo veduta rincalzata dal Leibnizio. Si potrebbe dire che la vita in que sto s tato primitivo, e potenziale sia come as­ sopita ; e 'l Burda c h ha veramente affermato che il sonno sia lo stato embrionico di essa . L' anima , ha detto Gio­ bert i , è l'interiorità di ogni monade , la quale si s,·iluppa per varii grad i , che rispondono ai varii ordini delle for­ ze meccaniche, fisiche , chimiche , vegetati ve , an imali , sensi ti v e , razionali . Questi ordi n i si possono agevolmen­ te riscontrare co i c i nque gradi testè menzionati dal Bru­ n o . Im pero cc h è l' i nte lletto mondano di lui non si diffe­ renzia i n a ltro d al l U ni ve rs o contratto del Cardin ale di C u­ sa, e dalla Metessi giobertiana, se non in quanto i l No· lano volle immedesimarlo con l ' i ntelletto divino , ed il Cusano cd il Gioberti lo dissero soltanto una contrazio­ ne ed una p art e ci p az io ne creata da lui . Da questa somi­ glianza adunque, i nvece d' inferire che siano pa n t e i s ti Niccolò di Cusa e Vincenzo Gioberti , si dee confessare che il Bruno in parecch i e cose rasentò il vero, ed in certe altre lo colse. Il pretendere che in un filosofo , ove si trova qu alche sbaglio, sia tutto un cumulo di errori , sa di poco o d i n u l lo accorgimento . Dalla forma u nica ed universale rampollano le forme specifiche ed accidentali , che sono come circoscrizioni '

(1)

Bruno , l o c . c i t .

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di quella , o megl i o sono quella medesima per differenti gradi , ed in snriate maìliere partecipata. Ne lla spiega­ zione del modo , con cui ·quel la primitiva forma produce queste particolari , abbiamo occasione di ridurci a mente la contra ibilità e la contrazione del Cusano : tanto aperta ne apparisce la somiglianza. Addurrò al solito le proprie parole di Bru no. > . Il Bruno adunqu e considera la natura come avente un corpo ed un'ani m a ; e d ippiù l'an ima come vi­ vificatrice , e come contenente la ragione de l l e specie. s e s e m pe r actu esse m ai u s , q u a m d i c e re p o s s e e s s e , transire in actu i n fi nitum e s s e , q u o d e s t i m p o s s i b i l e , c u m in­ finita a c tu a l i tas , q u a e e s t abso l u ta aeternitas , ex posse , oriri n e qu e a t , qu ae e s t actu o m n i s e s s e n d i p o s s i b i l itas . Q uare ! i c e t in res p e c t u i n fi ni­ tae D e i p o te n t i a e , quae e s t interminab i l i s , u nivers u m posset e s s e maius: ta m e n r e s i s tente p o s s i b i l i tate essend i , a u t materia, q u ae in i n fi n i t u m n o n es t ac tu e x te n s i b i l i s , u n i v e rs u m maius e sse n e q u i t , et i ta i n terminatu m , cum actu m a i u s e o d a b i l e n o n s i t a d q u o d te rm i n e t u r , e t s i c p r i v a ti v e i n ­ fm i tu m . I p s u m a u t e m n o n e s t actu , n i s i contrae te , u t s i t m e l iori q u i d e m m o d o , q u o suae n a t u rae pati tur conditio . - N ic . De Cusa, D e docta igno­ rant . l ib . I l . cap . I .

- 87

· be un grave torto alla infinita cagione i l dirla causa d i effetto a s è tanto sproporzionato e dissomigli ante, com'è i l finito, con il quale non può aver di comune nè il nome nè ragione veruna (1). (1)

• S 1 v e i gitur spacium h o c m u n d u m q u o d continet i .; t u m Mentis decreto seu c a s u perficiatur Q uaer i m u s an e l u s i spacii ista p o te nt ia constet C u m re l i q u i e x c l u s i , n i h i l u m quod c o n t i n e t e x tra , N o n eadem , an per se n u l l o d i s c r i m ine capta est ? N u nquid u b i e s t n i h i l u m discrimina fi n gere poss i s ? Anne u b i discrimen n u l l u m e s t , varia estque potestas ? Quo d si non quicquam e s t u l l a q u o d so rte re p u g n e t Q uo m i n u s a t q u e i p s u m inveniatur corpore plenu m . Q u i n polins spac i u m est res quaedam nata rep l e r i . Dedecet ergo siet nequicquam tanta Cac u l tas Quam Caciat frustra D e u s e t Natura manere . Ergo age s u s p i c ias ingenti corpora gyro , Quae m ira circa b u n e s o l e m serie acta c i e n t u r Quo s q u e a l i o s ul tra queis q u a e q u e fam i l ia soles lnde per i m mensu m q u o d v i s u m terminai atque Praestri n g i L , quia s e promunt u t prom ere p o s s u n t C o n s i m i l e s species , n e q u e H n c m p o l l i c i t.l.ntu r . D u m var i i s v a ri a s te l l i s d i s ta n l i a m o l e m Ad m inimam usqlfe p r o c u l v i s u s s uperatu r horizo n Hinc i n fi n i t u m s c n s u s rati o q u e rec l amant. Nempe eadem forma est per totum materiesque Donatu m pari l i s p ac i u m p a t e t u ndique ho nore , Perma n e ! atque eadem rerum i l l a potentia semper Vim c o n ceptivam n i l finit materiei Pro s i ne fi n e adi t u est q uod s e m pe r e t implet e t e x p l e t Ac Deus eflìciens e t u h i q u e e t u n d i q u e p raes to e s t . T a l i b u s a cau s i s , elementi s , principiisque Q uae n o n d e fi c i u n t , n e c et possit adnihilari Dicendum n i h i l u m s p a c i i non esse repletum Nusquam u t abesse potest p o l l e n s producere mundum , Semper ut e s t spaciu m , v i s pro mptaque m a teriei Esse bonum e s t , non esse m a l u m est, bonus e t pater adstat Foecunda est m ater gen i ta l i a s e m i n a rerum Undique concipiens e t vers u m quoque remittens N o n u nq u a m exhausto praegnans de fonte mariti . H i n c ve l u t i n spacio h o c c o ncepta e s t m achina m u ndi Q u ae e .; t potis esse al io i n spacio conce p ta seorsu m , Nec non q u idquid h abe t s i n u s i s te i m m e n s a potes tas Undique depro m psisse p o t e s t s p e c ie, aut genere u n llDI : Non tantum spacium quod mundum c o n tinet istum .

- 88 Tali sono gl i argomenti ch e i l Bruno ricava d a l l a con­ dizione necessaria de ll'e fficiente , dello spazio e de lla ma­ teria , per la quale i l pri mo deve fare tutto quello che può , i l secondo deve co nten ere t utto quello di cui è ca­ pace , e l' u l ti m a deve e ssere fatta tutto . Rincalza i noltre tali ragi o n i soggi u n gendo , che se s i deve avere in conto d i malvagio in senso privativo chi non è pote nte di fare alcuna cosa ; si dev e poi reputare per tale positivame n te chi , potendol a , non l a fa . Che se un agente si de,·e sti­ mare buono in quanto , operand o , è diffusivo di sè, e m a l­ vagio i n quanto ci stri nge i n sè la propria v i rtù , Dio producen do un mondo fi n ito sarebbe fi n itamente b u o n o , ed infini tame nte m(;llv agio . Anzi perchè il fi n i to in conMundo i s to abl a to nullo discrimine ab ilio D istare! spacio quod circumquaque seorsum e s t . Ergo i t a e t id po s s u m ncta rati one rep l etliBl Credere ut hoc video quam d i t e t c o p i a rerum C u m n i h i l obsistat, cum sint q u o q u e p r i n c i p i O r\lDl I n n u m e rae partes et u b i q u e atq u e u n d ique praesto et U n i u n a est rati o , s i m i l i s s im i l i , aeq u a co aeq u e . Cum ratione igi tur pa.ribus paria tribuu ntW' lfateriei , spacio , prae se n t i q u e e ffi c i e n t i . Adde e tiam , i n fi ai t u m si 5 U perare t inane U t n i h i l u m immenu mundum retineret i n alvo , Nempe i n fi n i to c o l l at u m fi ni b u ' preijSUIIl E s t nih i l u m a d i p s u m qu i a n u l l a proportio resl.at , lstud i d e m d icet Iii co n fe r at e ffic ienti Cu i sine fina v ig o r lì n i tum d e n i q u e factum Q u i s q u am i n fi n i t e p o t i u s r � p re h e n d e t avarum Quam merito bene pro fa c tis e x to ! l e t e u 11dftlll . N e m p e b o n u m d i c u. 11 t q u o d se rl i iTu n d i t , habctqu.e Elfectum bo n i tatis , ut bine d o c to r i b u • sacris lnventa est ratio geniti q u o d tant.um adaequet Virtutem , d e u s atque s i et g e u i tu s q u e . Al nos d u m p h y s i c e s a n c t u m perpe».d imus actUIIl Q u o se dill'uDde t , b o n u s e t d i c a t u r ad e x tra Et sine fine mal u s , bon u s e t lì u i te erit i l la Cu m tJlltum a rebus proprium magis abs lrahal actum . Q u o d si c er t a fo ret t a n to r u m c e p ia rerum 1'r u t i n a m ad n u m e r i p o s se n t ra t i o n e creata N ominibus dotala s u i s , quoque adacta v ideri .

Drullo - P�

I m m enso et l n numerabil ibus, l ih . 1 . cap . X .

- 89 fro n to de l l ' i nfinito non ha n e s s u n p r e g io , e si può g i u 4 dicare u n non nu l la , e e o s a del t u tto vaniente ; la sua bontà si stremerebbe s i no a diventar n ulla . Dall' esi­ s tenza dunque di questo mondo dobbi amo giustamente con c h i udere che ce n e siano a l t r i i n n u merevo l i , perch è le medes ime ragi oni che h a n n o fatto e s i stere quest'uno hanno diJv u to farne e s i s tere i n lì n i t i altri . Affi nchè gli avvers ari di strugge ssero la nostra opi nio n e , ripi g U a i l B r u n o, dovrebbero provare queste t e s i : 1 . Che ci s i a u n a forza ed u n a cau s a , la q u a l e a\·endo una essenza ed una potenza infin ita , o p e r i poi fi nita­ mente . 2 . Che si provi potersi co m pa t i re da u n a p a rt e un'in­ fi n i ta p o t e n z a attiva , dall' a l tra un a fi nita pote nza pas­ siva . 3 . Che a q ues to s p a z i o , che comprendiamo esi stere , posto che si tolga q u e sto mondo , non si possa agg i u n­ gere a l tro spazio p i ù i n l à . 4. Che l a m at e r i a s i a finita, e ri stretta tra i limiti di q u e l l ' u ltimo c i e l o . 5 . Che Dio non vo g l i a quanto può ; che non sia con­ vene v o l e l ' esistenza di più m o ndi , oltre a que l lo che ci è manifesto . 6. Che l a necessit à i n Dio s i a cos a dhersa dalla li­ bertà .

7 . Che l a pote nza in l u i non c o n c o rr a con l a volontà

e con l' azione .

8. Che possa a ltro di quello che v uole ; che voglia al­ tro di q u e l l o può , 9 . Che a b b i a altri nomi di q u e l l i che h a . 1 0. C h e p o s s a volere a l tro d i q u e l lo che v uole ; ch e possa essere a l t r i m e n t i d i q u e l l o che veramente è ; che l a nec e s s i tà s i a q u a l che c o sa d i q u a d a l l a volontà divi n a , o è convers o . Finalmente che vogl i a ciò che non vuole , stando che non p o s s a e s sere ciò ch'ci non è. Tutte le p ro p o s i z i o n i a n noverate , con c u i Bruno sfida gli avversari , stimando di non poter es sere i n ness u n

- 90 modo dimostrate, si puntellano massimamente sopra l a voluta corrispondenza tra la potenza attiva e l a passiva . Davide de Di nando aveva immedesimato a ncora la ma­ teria con Dio , muovendo dalla i mpossibi lità d i trovar d i fferenza tra )' una e l' altro, stante la loro semplicissi­ ma natura . Se Dio è i l purissimo atto, e la materia è la pura po t enza, essi non possono avere d i fferenza di sor­ ta' ; perchè ogni differenza arguisce una composizione. San Tommaso aveva replicato che Dio e la m ateri a non si poteano dire cose differenti , perchè non concorrevano i n un ge nere , che fosse loro comune ; però i n cambio d'immede sima rsi , doveansi s timare cose diverse . Aveva inoltre osservato l' Angelico che il sofisma di Davide d e Dinando provenisse dal confondere la differenza con la totale diversità. Il Cusano gu ardò la medesimezza della potenza pura e dell' atto puro , considerando la prima non come cosa suss istente da sè , ma come il potere medesimo di Dio . Onde l'A ngelico ed il C u sano, sebbene paiano diversifi­ care , si riscontrano m irabilmente. I l primo risguardò la materia come posta fuori di Dio , e la di sse i l nul la. Il secondo la consi derò i o Dio , e la disse il medesimo suo assoluto potere . Giordano Bruno , il quale confessa di proseguire la dottrina di Davide de Dinando , pare che voglia giuocar di equivoco , considerando questa potenza ora i n Dio , ed ora nelle cose ; secondochè apparisce da questi due luoghi. > . La decima propos i z i on e della prima p a r te è epressa così : C iascuno attributo di una sola sostanza si dee concepire per sè ; p erchè l 'attrib uto è quello che l'in­ te lletto pe rce p isce della so s tanza , come costituente la

- 12 1 essenza d i lei . Nello Scol io aggiunto a questa proposizione ri pete che l 'essere infinito dee costare d'infiniti attributi , perchè quanto ha più d i realtà u n essere , tanto deve avere di attributi , che la esprimono. Ma perchè se sono i nfiniti , ne contate so ltanto due ? Egli ha creduto di rispondere asserendolo , perchè conchiude l a lettera in aria di trionfo , che attendendo ai luoghi citati ogni d i r­ ficoltà sfumerebbe . Spinoza fa molto a fidanza con l a buo­ n a fede dei suoi lettori , eppure ci è passato per inel ut­ tabile ragionatore ! A me pare che assottigliando i l ragio­ namento , i due attributi s i restri ng,a no in un solo , ch'è quello che l' i ntelle tto ne concepisce ; de l resto l a sostan­ za rimane spogl i ata di ogni altro attributo , comunque Spin oza la voglia far parere traricca . Ma avrà forse dei tesori occulti , però provi a moci d i scoprirli. La sostanza d i Spinoza è l' identità dei due attributi , dell'estensione cioè e del pens iero; ma ella non si cono­ sce come tale, perchè noi non possiamo coglierla se non sotto la forma di uno dei suoi attributi . Per rispetto a noi dunque questa identità è u n presupposto, un'ipotesi. Ved iamo ora se almeno i n sè sia veramente identità de­ gli attribu t i . La pri ma cosa che insegna Spinoza è l' in­ com u n icab i l i tà degl i attributi , per la quale l'uno rimane i ndipendente dall'altro, e terminato in sè. I mod i di cia­ scu n attributo , ei dice (1), hanno per causa Dio, solo i n quanto s i considera sotto quello attrib uto , d i cui sono modi , non già i n quanto s i considera sotto alcun altro attri buto ; perchè ogni attributo si concepisce per sè. Che se l' ord ine e la connessione delle idee è lo stesso che l 'ordine e la con qess ione de l le cose , ciò avviene per essere ciascuno dipendente dalla propria causa ; non già per comu n ione che questi due ordini potessero avere. Sta ndo le cose cos ì , come la sostanza può dirsi identità, posto che i d u e term ini , tra i q u a l i questa relazione s i pretende intercedere , non hanno nessuno legame ? L' i(1)

E t h i c . Par . I I . Prop . VI .

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dentità al lora s'intende , ed è qualche cosa di reale, quan­ do tra i termi ni ci è perfe tta comunione, e l' uno e l'al­ tro si toccano quasi in un pu nto ove sono la medesima cosa. Che la sostanza sia l'identità degli attributi , senza che gli attributi abbiano nessuna relazione scambievole , è tal cosa di cu i non so farm i capace . Spinoza fu condotto a questo assurdo dal supporre i l pensiero e la cosa pen­ sata , come due cose , di cui l ' una non potesse penetrare l'altra . Egli di sconobbe la vera natura del pensiero , eh� sta nella pienezza e nella compenetrazione del l ' essere . E fa lso però che la m ateria e la mente non abbiano nulla di comune ; che non siano riducibi l i , se non in modo assurdo, mediante r ioè la teorica degli attributi , i quali mentre si dicono espressioni della medesima sosta nza sono poi del tutto diversi , i ndipenden ti , divulsi. L'identità non può tro­ varsi fuori del pensiero ; onde il pensiero non è un attri­ buto della sostanza , ma la sostanza medesima . La sostan­ za è identità, perchè è pensiero , e dire come fa Spinoza, ch' essa s i a identità del pensiero e della estensione , è dire che sia identità senza essere identità. L a mente , diceva Tommaso Rossi , è tutte le real i forme del l'essere senza le loro disti nzioni , esclusioni e termi nazion i ; ma l' è compenetrandole , e co nchimlendole per comunione e penetrazione d'identità i n una piena, perfetta, copiosa ed ampia i ndividua un ità ( 1 ) . G iordano Bruno in q uesto ( 1 ) D e l l a Mente Sovrana d e l mon d o . Part . I I I . c a p I V . Ed arre c h i amo vo l e n t i e r i le sue paro l e , con cui s' i n ge gn a di m o_s trare q u a l sia la vera JJ.atura d e l l a m e n te , perchè le s t i m i a m o m o l to p r o fo nd e , e p r o fi c u e abba­ stanza , tanto c h e i l ripeterle n o n possa generar fas t id i o . • Dobbiam q u i in ogni m o d o arrecar q u e l l o , che d e l l a natura m e n tale d i c e m m o n e l l i bro de l l ' i m m o rtal i tà . L' e s s e n z a mentale , è in vero u n m irab i l n o d o di due contrad i t tori ; che d u e u gual m e n t e robuste d i m o s trazioni dal l ' u n a parte , e dall'altra con fe r­ m a n o . L' un c o n trad i t torio è q u e l l o p n r ora d i m o s trato , c h e la m e n te con tutte le real i fo rme i n tendevo l i e s c i b i l i s i a u n a m e d e s i m a c o s a . L ' al t ro è che la m e n te , da q u e l l e fo rme d e bba e s s e r e re a l m e n te disti nta. Q ue s t i d u e contrad i t t o rt , che forza d ' i n s o l u b i l i argomen ti tra l o r o c o n trastano , diciam n o i , c h e t e m perati , m i t i gati , e c o n c i l iati fo rmano il v e ro i ngegno­ s o , marav i g l i o s o e d enimmatico della n a tura mentale : c o n fare , che l a

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mostrossi assai più logico di Spi ooza, immedesimando la forma c la materi a , l a causa ed il pri ncipio nell'intelletto mondano ; sebben e , a dir vero , il passaggio non è legit� timo , salti:!ndo dalla causa al principio, dal pensiero alla realtà con la similitudine del nocchiero e del battello. La pri ma radice degl' inconvenienti che s i �corgono nel si stem a di Spi noza è nella fa lsa opi n ione che ha del­ ri n fi n ito . Dicendo che ogni determ inaz ione è negazione , egli dovette fare dell' Infinito un essere i ndeterminato . A determinarlo i n qua lche modo i nventò la teorica del­ l ' attributo , ch' era come u n transito dalla indetermina­ zione perfetta ad una forma la quale benchè infi nita nel suo genere , aveva nondimeno un genere , a cui si restringeva . Posto d i poi il pensiero come attributo , ei si tolse r unica via di aggru ppare i nsieme tutte queste forme , perchè il centro ch'era i l. pen siero fu da l u i con­ siderato come semplice raggio . L a sostanza rimase i ncomprensib i le , destituita di ogni determinazione, ed il pensiero prese un l uogo affatto semente sia insieme, e no n sia colle fo r m e real i , che s a e i n tende , u n a cosa medes i m a . E che no n s i a , è manifesto per i n v i tto ar �: o m c n t o , c h e a l l a ra­ gione dell ' altro c o n trad i t t o r io d al l 'al tra p arte c o r r ispo n d e . Il p r i m o argo­ mento d a l l a c o m u n ion e , penetrazio n e , e i n c l u s i o n e dell' intel l i ge n za , pruova la reale ide n t i t à d e l l a m e n te c o n le c o s e : e q u e s to s e c o n d o dal l a scomun icaz i o n e , impene trab i l i tà e d e s c l u s i o n e d e l l e reali fo r m e d e l l e co­ se, p r u o \·a l a reale d i s tinzione d e l l e cose dalla m e n t e . E i n bre v e , le for­ me real i , l ' u n e dal l ' al tre sono realmente d i s t i n t e : l' u n e d a l l ' a l t r e ! o no escl u s e , e s te rm i nate , impenetrabi l i c incomuniche v o l i affatto . Se la m e n � con q u e l l e fo r m e c o s ì fatte , co n quel l e d i s tinzio n i , e s c l u s i o n i e termina­ l i o n i fo sse per iden tità c o nn e s s a ; e l l a dovrebbe e s s e re con q u e l l e i n s i e m e d i stinta , e d e s c l u s a , e s terminata, im pene trabi l e , e i n c o m u n i c h e v o l e : c per tan to c o l l a per d i t a d e l l ' identità , de l l a c o m u nione , pe n e t r a z i o n e ed i n c l u s i o n e p e r der d o v ri a ogni l u m e d' i n te l l i ge n z a • . o p . c i l . Par. I l l . c a p . I I I . - L o s c i o g l imento d i questa c o ntrad d i z i o n e è l' atto creativo . L'essere ed il n u l l a s ' i n c o n trano n e l l ' a t to c o m e osserva il G ioberti , n o n nel l'agente, c o m e v u o l e Hege l . I d d i o è i l m o n d o p e r c h è l o crea ; I d d i o n o n è i l m o n d o , perc h è q u e s to è c r e a to , c i o è l i m i tato , e D i o n o n è tal e . L e due p r o po s i z io n i rim arre bbero inco n c i l iabi l i s e n z a l a causal i tà a s s o l u ta . O n d e i l H o s s i b i a s i m a l o S p i n o z a , e l l e rid u c e o g n i c a u s al i t à a l l a gene ra­ zione , quando o l lre a l l a prod u z i o n e , che il Rossi C l1 iama genetliac a , c i è la contene nza di causa superiore .

- 124 condario, e pari a quello Jella materia. Se aYesse distin· to determin azione da negazione , avrebbe veduto che u n esseré p uò trovarsi determinato i n sè , e d essere senza nessun limite estrinseco . Nella esposizione di Giord a n o Bruno \'ede mmo la distinzione del Rossi t r a principio intri nseco , e principio estrinseco ; però tra determina­ zione i nterna , e determinazione esterna. La prima di esse è compatibi le non solo con l' Infinito, ma anzi gli è indispensabile : la seconda sola escl ude la \·era i nfi nità. Onde l' Infinito h a intrinseca ed essenziale determina­ zione ; l ' i ndefinito è senza determinazione esse nziale, e può averne una esteriore , e pro,·e niente da un'altra c a u­ s a . Iddio è infinito nel primo modo, la materia è i nfini­ ta , o meglio i ndefinita nel secondo. La determinazione i n trinseca di Dio sta nella sua compi utezza , nell' aver principio, mezzo e fine , i quali si comun icano e si com­ penetrano mediante il pensiero ; ed in ciò risiede il pro­ cesso internQ di Dio, che dicemmo dialettica interna . Il pensiero è causa della determi nazione estri nseca della materia , perchè le impartisce quella unità che non ha, nè può avere da sè. Onde i l pensiero è ad un tempo com­ piutezza intrin seca di Dio , e causa efficiente al di fuori di l u i . I n questo senso Anassimandro chiamava l'Infinito D5f l i x o ll , in quanto che tu tto abbracci a col pensiero. Leva il pensiero, e l'infinitudine verrà meno, perchè mancan­ do l a determinazione intrinseca , si dovrà ricorrere ad un limite esterno. Nell'aver escluso dalla sostanza il pen­ siero, e nell' aver fatto di esso u n a forma determi n ata , anzichè i l ricettacolo di tutte l a forme , sta per noi i l pri mo torto di Spinoza, e d i l vizio fondamentale del suo sistema. Questo primo generò l' altro de l la immob i l ità della sostanza , perchè il vero moto è il pensiero . lmpe­ rocchè essendo il pensiero compenetrazione del pri ncipio e del fine mediante un mezzo , esso è anche procedimen­ to, e moto. Ecco i n qual modo spiega i l Rossi la convenienza del

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moto col pensiero: cc Ma l a Yera essenzial ragione de l moto , u niversalmente è , che 'l moto sia u n proced i men­ to , o progresso da certo principio per a lcu n m e z z o a certo determin ato fi ne . Nel l'idea, o nozione del moto , è quella ragione di progresso, o procedimento implicata: ed allo i nco n tro , nell' idea , o nozione del progresso , procedi­ mento è i l moto involto . Nè moto senza niun progresso, nè progresso senza niun moto ; nè moto , o progresso senza serie , ed ordine di pri ncipio , mezzo e fine p uò e s servi , o si può concepire a niun patto . Ora t utte que­ ste ragion i , senza distinzione, variazione; e s uccessione d i par t i e momenti , che sono ragioni del men vero , e rnen pe r fetto moto materiale pon no stare e tu t te senza quelle imperfezioni nel sapere , e volere mentale , che è i l moto più vero e più perfetto s i ritrovano ( 1 ) » . Questo difetto tolse pari menti a Spi noza la scoverta del verace metodo, onde vogliono esser trattate le disci­ pli n e fi losofiche. Convi nto della- insufficienza dei metodi adope r a ti prima di lui , egli v o l le dare u n abito più se­ vero alla scienza prim a ; s i volse per questo alle m a­ tematiche accattando per una strana contraddizione d a una scienza secondaria i l metodo della scie nza massi­ ma. Il metodo dev' essere assoluto come l a scienza ; non può però essere una ,·este tol ta a pre s tanza , ma una ne­ cessaria espl icazione del ' principio. O s se n a i l Vera (2) che Spinoza lo aveva quasi i n traveduto nel proclamare che l ' ord ine e la connessione delle cose non è , che l a rappresentazione sensibile e l ' i mmagine d e l l ' ordine e del l a conne ssio ne delle idee . Soggiu nge però che il mo­ strarsi che fece Spinoza inconseguente a l suo pro n u n­ ziato provenne d a una parte dal non essersi e levato sino all' unità della scienza , ed alla conoscenza sistema­ tica dove i l metodo appari sce come la forma medesima del p en s iero e de ll' essere; e dall' altra parte _dall' essersi ,

( t ) Op.

cit. Pa r t . III cap. I I I .

( 2 ) Vera, Intr o d . à l a P h i l o s . d e llege l . Cha p . I V .

- 126 l a!lciato prendere al rigore apparen te della dimostrazio­ ne matematica . L'osservazione del Vera è e s a tta , e Spi­ noza d i fatti non potè cog l i e re i l metodo appro pria to a l l a s c i e n z a fi losofica p e r a v e r d isconosciuto i l principato d e l pen siero , e p e r averlo segreg ato dal l a c o s a p e ns a ta . Ma trovo u na i nesattezza nella frase co n cui l ' e gregio e s po ­ sitore d i c h i ara i l pe n siero di Spi noza s u l metodo; l a q u a l e io noto , percb è n o n pos sa trarre a l tri i n errore . Spinoza d isse che l' ordine e la connessione delle cose è i l mede­ simo de l l ' ord i n e e de l l a connessione delle ide e . Il Vera dice ndo che l' ord i ne d e l l e cose s i a la rappres entazione sensibile e l ' immag ine del l 'ordine d e U e idee , mi p a re che non esprima bene i l pensiero di Spinoza ; a nzi che dia ad intendere i l contrari o . Chi ste s se a lle parole de l l ' e­ spositore prelod ato , conchiuderebbe che le cose fos sero esem plate s u le idee ; e Spinoz a appunto ciò si sforza d i n e gare , sostene ndo c h e l'essere forma l e d e l l e c o s e dipen­ de dal s uo attributo corrisponde n te , non già dalla d i v i n a n atu ra i n qu a n to prim a conobbe le cose ( 1 ) . Al d i fe tto d e l pri ncipio e d e l m e todo deve di neces s i­ tà tener dietro la fa l s i tà dell' i n tero s i stema . S p i n oz a a­ vea cred uto spiegare i fe nome n i de l l o spirito c dei cor­ pi , o i mod i , com' eg l i l i chiama, med i a n te gli attribu­ ti ; egli vede ndosi impote n te d i cavar nessuna cosa dal­ la sua sostanza , pose ne l tramezzo le forme d e l pe n s i e­ ro e de l l a e s t e n s ione co ns iderate come i n fi n i te espres­ s i o n i d i lei . A bbiamo veduto qu anto siano male a l lo­ gati questi attributi e per l a loro derivazione , e per l a loro na tura , pos siamo q u i n d i conchi udere a n ticipata-

( 1 ) V e d i l ' E t i c a , par . I I , Pro p . V I . C o ro l l ar . Ciò ris u l t a a n c ora d a l l a delì n i z i o n e d e l l ' i d e a a d e g ua ta : • Per i d e a m adae q u a t am i u t e l l ig o i d e a m , q u a c , q u a t c n u s i n se s i n e r cl at i o n c ad o b i e c t u m consictcra t u r , o m n e s v e ­ rae i d e a c proprietat e s , s i v e d e n o m i n a t i o n e s intrinsecas h a b e t . Explica t io D i c o i n t r i n s c c a s , ut i l l a m e x c l u d a m , quae extrinseca e s t , n e m pc c o n ­ venentiam ideae c u m s u o ideato - Spirw1. a , Ethic. Pa r . Il . Defin i i . � .

- 1 27 m ente che farebbero tnala prova nello spiegare l 'esi sten­ za dei modi . Se l ' i m mobilità del l a sostanza precl ude la via a l moY i me nto di l e i , e però a l pas saggio dalla asso­ luta i n fi n i tà a l l a forma i n fi n ita in un d ato genere ; la d e fi n i z i one del fi n i to sottrae questo alla efficienza i n fi n i­ ta , e però ad ogn i c o m i n c i a m e n to , aprendo u na n uova serie di con tradd i z i o n i n e l l ' ordito del s i stema di Spi no­ za . E per fermo : egli aYea de tto fi n i ta nel suo ge ne­ re q u e l l a cosa , che può e ssere term i n ata da un' a ltra d e l l a m e de s i m a n a t u r a . Pos to ciò si d o v e a ricavare q uel­ lo che d i fa t t i ne ricHò Spi noza , vale a d i re , che ogni c o s a s i n go l are , onero ogni cosa ch' è fi n i t a , e che ha u n a determi nata e s i s te n z a , n o n può e s i stere , n è essere determ i n ata a d operare , s e 1 1 o n Yi s i a dete r m i nata da u n ' a l tra ca usH , la q u a l e s i a a n cora fi n i ta , ed abb i a una d e t e rm i n ata e s i s te n z a . E d i n o l t r e questa cau s a no n può a n cora e s i stere , nè ve n i r determ i n ata ad operare s e n o n s i a determ i n ata a d e s i s tere e ad operare d a u n' altra c h ' è ancora fi n i ta , ed ha u n a deter m i n a t a e s i s t e n z a , e cosi a l l ' i n fi n ito . l m perocchè t u tto q u e l l o ch' è de term i­ n ato ad e s istere , è determ i n ato così da D i o . Ma ciò che è fi n i to , e d h a determi nata e s i stenza non potè essere prodotto d a l l ' assoluta n atura di qualche attributo di Dio , perchè tutto ciò che pro\' i e n e d a l l'assoluta n atura di qual­ che a ttri buto di Dio è i n fi n i to ed e terno . Adunque dovet­ te segu i re da Dio, o d a qùa l c h e attributo di l u i , in q u a n to s i con si dera a ffe tto da q u a lche modo ; giacchè oltre alla sostanza ed a i m o d i , n o n si troY a a l tro che le affezio n i d e g l i attri buti d i v i n i . Ma non potè segu i re da Dio , o da q u a l c h e suo a t t r i b u to , in q u a n to è affetto da m o d i fi c azio­ ne e t e r n a ed i n fi n i t a . D u n q u e dov ette proYe n i r e , o esser d e termin ato ad e s i s tere c ad operare da Dio , o da q u a l­ che s u o attri b u to i n q u a n to è modificato da modificaz io­ n e , ch'è fi n i ta , e che h a u n a e s i s tenza determ i n a t a . Inol­ tre questa ca u sa a l la sua v olta , o questo modo per la ra­ gione mede si m a ha dovu to e s ser determ i n ato da un altro , ch'è fi nito , ed ha esistenza determinata; e cos ì q uesto ul,

- 1 28 timo d a un altro , e cosi sempre i n infinito , militando l a mede s i m a ragione (1 ) . Dunque , ripiglio io , nè Iddio, n è i suo i attributi sono causa del fi n i to ; ed i l finito esiste negli atlributi , ma non per loro efficacia. Se gli attri­ buti per determinare l' esistenza di un modo devono es­ sere modificati , chi non vede che i modi onde gli attri­ buti era no. affetti , non aveano avuto origine da essi? M a se la sostanza è per natura prima delle sue affezioni ; l e a ffezioni sono dopo , e debbono avere una origine . E s e questa origine n o n è nella sostanza , dic a Spinoza , ove s i de\·e cercare . Risponderà forse c h e sono necessarie ed i n finite anche queste mod ificazion i ? ma con t utto que­ sto non si toglierebbe che debbano alere la ragione i n un' altra cosa , perchè sono sempre modi ficazioni. Avran­ no la ragione nella Sostanza . Adunque ne sono determi­ nate ; e questo è quello che vuoi negare Spi noza . Insom­ ma queste modificazioni primitive che sono coeve agl i attributi , e d a cui debbono essere questi modificati per spiegare l' esistenza del fi nito , debbono a\·ere l a loro ra­ gione n e l l a sostanza , perchè sono modificazioni ; e non debbono averla i n lei , perchè esse sono fi n ite , e la so­ lìtanza è i nfinita , ed il finito non può essere l i mitato , se non d a u n al tro della medesima sua natura . Se riflet­ tiamo u n poco , questa ultima conseguenza rampolla dal principio che i l pensiero non penetra l a realtà , il quale si può considerare come i l vizio predominante i n tutto i l sistema. Giordano Bruno avea cercato congiungérc l' intel letto divino con l' intelletto particolare medi ante l' intelletto monda no , a cui attribui la causalità u nhersale. Aven­ do però negato la creazione sostanziale , fu condotto dal fato i nesorabile del l a logica a con fondere la causa con J ' effetto_ ; però i m·ece di spiegare l' ori gine dell' i ntellet­ to particolare , lo disse identico con l' intelletto monda­ no. Lo stesso i nterve nne a Bene.d etto Spinoza . Avea anche (1}

E t h i c . Par. I l , Pro p . 2 1! .

- 1 29 -

questi messo a capo del suo sistema la Sostanza , cbe cercò di congiungere coi modi mediante gli attributi . Avea distinto però natura naturante da natura naturata , ripete ndo la nomenclatura di Scoto Erigena ; chiama to natura naturante gli attributi, natura naturata i modi ; e però cercato di spiegare la connessione tra la sostanza e la natura naturata mediante la natura naturante ( l ) . I n tutto i l processo d e l suo sistema si vede i l disegno d i Bruno, e i vizii medesimi in che si avvenne i l Nolano. Come r intelletto mondano rimase i ndipendente dal l'in­ telletto divino , cosi intervenne degli attributi per ri­ spetto alla sostanza. Similmente come l' intelletto mon­ dano fu confuso con l' intelletto particolare per difetto d i vera efficienza , cosl gli attributi furono immischiati coi modi senza sapere la ragione di loro origi ne. Ma il Nolano fu più logico ammettendo un numero infi nito , che Spinoza rifiutò . La successione del finito costituen­ do i l numero ed il tempo , e questa essendo stata posta all' infinito , non doveva poi Spinoza ammettere come Bruno il numero inn-umero ? Intanto egli risolutamente combatte questa infinità (2). Ancora la rassomiglianza più manifesta tra Bruno e Spi noza si scorge nella infinità della materia , come quel­ la che conseguita necessariamente dalla medesimezza t r a Dio ed il mondo. L a prova che ne arreca Spi noza è molto facile . Ogni sostanza , ei dice, è necessariamente ( 1 ) P e r naturam naturantem n o b i s i n te l l i gd n d u m e s t id , q u o d i n se e s t , , et p e r se c o n c i p i t u r , si ve tal i a s u b s tantiae a t tri b u ta , quae aeternam e t i n fi n i tam e s s e n t i a m e x prim u n t , hoc est D e u s , quatenus , u t causa l i ­ bera , c o n s ideratu r . P e r naturatam autem i n te l l igo id o m n e , q u o d e x n e ­ c e s s i tate D e i naturae , si v e u n i u s c u i u s q u e D e i attr i b u to r u m se q u i t u r , h o c e s t , o m nes Dei a ttribu torum m o d o s , q u a t e n u s c o n s ideran t u r , u t res , quae in De o s u n t , et q u ae si ne Deo nec esse , nec (; O n c i p i p o s s u n t . Sp._

nor.a ,

Ethic . Pa r . I,

Prop.

XXIX.

(�) Porro eu m ex m o d o dictis satis pateat , ne c N u m e rum , ri ec Men­ s u ram , ne c T e m p u s , q uando q u i d e m n o n n i s i au x i l i a imaginat i o n is s u n i , posse esse i n fi n i t u m . N aro a l i a s N u merus n o n esse t n u m e r u s , n e c Men­ s u r a mensura , n e c Tempus tem pus . Spinot.!l, Epist . XXIX.

- 1 30 i nfinita , perchè per essere fi n i ta dovrebbe essere l i mi­ tata da u.n ' altra della mede s i m a natura , o del medesimo atkibuto ; m a sostanze che abbiano la stessa natura non sono possi b i l i ; adunque ogni sostanza è i n fi n i t a .1\fa la sostanza i n finita è i n d i v i sibile ; adunque la sostan z a è indiv i s ibile . Difatti s e si potesse div idere , o le parli ri­ terrebbero la s u a natura i n fi n ita , o n o . Se la riterra n­ no , si daranno più sostanze del l a stessa n atura , il che abbi amo vi sto essere assurdo . Se no, si dovrà concede ­ re che la sostanza infinita potrebbe cessare di essere , ch' è u gu a l mente assurdo . Posta la i n fi n i tà e !a indi v isi­ bilità d e l l a sostanza , emerge che l a sostanza corpore a , i n quanto è sostan z a , non è divisi bi le . Co loro che la ten­ gono per tale , la suppongono com posta di parti , onde par­ tono d a u n'ipotesi i n ammissibile p er trarne quelle conse­ guenze che loro meglio talenta . E come se altri dicesse l a linea composta d i punti , per conch iuderne poi che ella non è d i v isibile all' i n fi nito . La div isibi l i tà della so­ stanza corporea i noltre suppone una condizion e i ndi­ spe n s ab i l e , cioè l ' esistenza del ,· acu o , che douebbe i n­ tercedere tra u n a parte e � altra ; m a i l v.acuo non si dà i n natura ; d u nque l a divi sibil ità non è possibile . Dico la divisibilità in quanto a l l a sostanza , perchè quella che vediamo avvenire con l a sperienza è divisione d i modi . Così l ' acqua si divide come acqua , ed è indivi si­ b i l e come sostanza corporea . L' aver confuso Ari s toti le Io spazio col vacuo por se a G iordano Bruno l' arma più t a g l i e nte per comba tterlo ; perc h è i l vacuo , o i l n u l l a non può nè d i s tinguere , nè .div idere . Sopra l a ste s s a confu sione l avora Spi n oza . O lo spazio è la materia medesi ma , e non potc n dosi trova­ re u n al tro spazio fuori di lei , e l l a è i ndi v isibile. O lo spazio è i l n u l l a , e da questo non si può aspettare l i m i­ tazione di sort a . Nel l' un caso e nell' a ltro dunque la m ateri a rimane fuori ogni dh i sione ed ogni limitazione possibi l e . Spinoza d' a l tra parte s i era scherm i to d a ogni a l tra l i m i tazione nel porre quella frodolenta definizione •

- 131 del fi ni t o

, per la qua l e richiedeva come termine una co­ sa della medesima natura. L a materia p e rò con s i derata come attributo , cioè sotto una forma universale ; non potea essere limitata dal pensiero , e perciò rimaneva in­ finita nel suo genere . Ora quella definizione era ap p u n­ to manchevole , p e r ch è parlava di l i m i tazi o n e nel suo ge­ n e re , dovechè a questa si dovea a gg iun g ere J' a l tr a ipo­ tesi della lim itazione assoluta. Come si dà un i n fin i to assoluto , ed un a ltro relati vo , si dee dare altresì u n fi­ n i to a s s ol u t a m e nt e , ed un a l t r o relativ amente . Si d i r à forse che i term i n i assoluto e fi n ito sono i n c o mpat ibi l i , perchè l' u n o esc lude la relazione che implica l' a l tro ? E non sono u g u a l m e n t e i ncompatibili i t e rm i n i i n fi n i to e relativo per la ra g io n e medes i m a ? Perchè la gradazione di s e g n ata da Spinoza fosse stata g i usta m e n te scompar­ tita, avrebbe d ov uto p r o c e d ere cos ì : Dall' infinito a ss o l u­ to a l l ' i n fi n i t o relativo, da questo al fi n i to assol uto , cioè all' essere da og n i parte fi n i to ; e dal finito assoluto al finito relativo , cioè ai limiti che distinguono le modi­ ficazion i di un medesimo subbietto. S pi n oz a non a m mi­ se a ffa t t o l' essere fi n ito , ma solo i modi finiti e s i ste n ti nell' e s s ere i n fi n ito . E g l i credette come Giordano Bru no di vedere una s pro p orzi o n e tra la c a u s a infinita e l' effe t­ to fi n i to , e n e g ò la finitezza d e l l ' essere . Lungo la via si è imbattuto n e l l a medesima d ifficoltà , c h e avea cercato di schivare da principio , e non ha saputo conciliarla più colle sue pr eme s s e . I m o di finiti n o n poteano essere ri­ feriti all' infinita cagione , perchè vi ostava la loro spro­ po rz i o ne ; e d ' a l t r a parte , una causa finita non poteva avere sussistenza p ro p ria , perchè fuori de l l a sostanza non esisteva n u l l a . Credette trovare u n o di quei sutler­ fugt che palesano la i nc o e r e n z a de l l ' edificio ; e attribui ) ' o r i g i n e dei modi agli attributi i n q u an t o sc,no modifi­ cati , vale a dire non spiegò affatto come i modi si g e n e ­ rassero. Ammesso un p ro g re s s o all' infinito d i m od i , do­ vea riconoscere un i nfi n i t o numero , ed un infinito tem­ po ; ed e i negò l' uno e l ' a l tro . Non v e gg o come s i pos-

- 1 32 M attribuire però a questo filosofo una logica inelutta.. bile , e confesso anch' io col Mamiani di rimanere molto ammirato dell' infinita ammirazione che i Tedeschi han-­ no di lui . Costretto dai limiti che mi sono proposto , di guar­ dare cioè Spinoza in quanto il suo sistema si assomiglia a queJlo del Bruno , non posso. veutilarne tutt' i partico­ lari. Chi avesse vaghezza di trovarne discussi i sommi principl e vederne svelata la instabi lità , potrebbe ricor.. rere alla lettura della Mente So1lrana del Mondo di Tom .. maso Rossi , ove di proposito sono esami nati . Di molte e belle osservazioni vi ha fattle pure i l Mamiani nella Prefazione che va innanzi al dialogo di Schelling tra­ dotto dalla Marchesa F lorenzi ; sebbene la teorica in. torno allo spazio professata dall' illustre Conte gli abbia tolto di poterlo convenevolmente confutare ; ed il profes­ �ore Spaventa ne ha accuratamente notate le mancanze . E ornai tempo che io proceda avanti. Willm chiama l ' infortunato Giordano Bruno il pre­ cursore di Spinoza e di Schelling. E veramente se molte somiglianze ci è venuto fatto notare tra il filosofo di Nola è quello di Amsterdam, non minori nè meno inti-. me sono quelle che lo stringono col Platone di Germa­ nia. Anzi se guardi alle doti medesime estranee alla fi.., losofia; trovi grande riscontro tra i l Nolano ed il profes­ sore di Berlino ; copia di fantasia, ricca vena poetica , e forma larga ed abbondevole nell'uno e nell'altro; quando al contrario Spinoza procede severo, inflessibile e mis u... rato come un teorema di Euclide ; scrupoloso e sottile nelle deduzioni come un Rabbino della Massora. Anche nel l'esporre i principi s upremi della filosofia di Schelling, farò di restringermi i l più che posso. Bruno e Spinoza erano mossi da un'ipotes�. da un pre-. supposto , i l quale per giunta non era in modo alcuno apprensibile , e tanto all'Uno quanto alla sostanza lo spi­ rito era condotto indirettamente per la ragione dei con­ trari . Schelling cercò di dare un fondamento più sa ldo

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alla sua filosofia , e com i nciò dall' Assoluto, il quale non nè soggetto, nè oggetto , nè ideale , nè reale , ma però si può dire tutti e due, in quanto leva da essi ogni OP"' posizione , ed ogni differe nza , ed è la loro u nità, o la in­ differenza assoluta dei differenti . Nondimeno l' Assol uto di Sche l ling non rimane sconosciuto, ed i napprensibile, come il principio dei suoi predecessori ; e benchè sfugga alla coscienza ed al discorso, ei si rivela per un atto tra­ scendentale del pensiero, che si chiama intuizione intel� lettuale. In quest'atto supremo l'intellingenza s'immede­ sima con l' essere, e la i ntuizione , i n mentre che conosce il suo obbietto , ve lo produce . Intuizione e produzion:t sono adunque la medesima cosa. Ciò perchè Schclling im­ medesima la ragione divina e ·l' umana nel suo sistema . Io chiamo ragione , ci dice (1) , la ragione assoluta, o la ragione in quanto è concepi ta co me l ' indifferenza t o ­ tale del subbie ttivo e dell' obbie ttiv o . Per concepire la ra­ gione come assoluta , basta di fare astrazione dal sog­ getto pensante . Il punto di veduta del l a filosofia è quel lo della ragione assoluta ; la conoscenza filosofica è l a cono­ scenza delle cose tali quali es se sono i n s è ; cioè a dire , secondo la ragione . Fuori della ragione non v' ha nulla , e tutto è in l ei . Se qualche cosa vi fosse fuori di lei , la ragione sarebbe per rispetto a d essa soggeuo , in quanto che ella ne avreb­ be coscienza , e nel supporre ch' ella non ne avesse co .. scienza , ella sarebbe ancora con questa cosa straniera, in un rapporto di oggetto ad oggetto ; i l che è contrario alla definizione della ragione . Ei non v'ba filosofia , salvo che dal punto di v ista della ragione . La ragione è l' a sso­ luto . Tutto ciò ch' è , è essenzialmente identico con lei . L a ragione è assolutamente una ed assolutamente i de n• tica con sè medesima , perchè se fosse altrirnenti , non sare bbe assoluta. La legge suprema della ragion e è , poichè fuori di lei è

( 1) S chelling, Ex p osé

de

mon

systèo1e de pb ilosoph ie .

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non v ' è nulla , la legge di ogni essere in genetale ; è la legge d' i dentità , che s i può esprimere per l a formola A=A . I l primo A è i l soggetto logico , ed il secondo è l' attributo . L' identità assoluta è semplicemente , ed è proprio della sua natura di esistere . La sola conoscenza assoluta è quella della identità assoluta, ch'è tanto certa, quanto la proposizione A . A . O r la ragione è u n a con l' identità assoluta ; i l suo es­ sere è dunque ugualmente assoluto che quello dell a iden­ tità ; e l l a è necessaria quanto questa. L'identità assoluta è infinita, eterna, immobile; tutto ciò ch' è , è l'identità assoluta medesima , donde segue che tutto ciò ch' è , sia uno . Nulla è venuto a nascere quanto a ciò ch' esso è in s è ; e niente, preso in sè, è finito . L' identità assoluta non è, se non sotto la forma della proposizione A=A , e questa forma è immediatamente posta per essa. T r a l ' A soggetto e l'A attributo , non v' è opposizione possibi le. L' identità assoluta non è posta , se non sotto la forma della identità dell ' identità . Ei non v' è conoscenza primitiva dell' identità assolu­ ta : e l l a è posta immediata m ente con la proposizione A=A. Tutto ciò cb' è , è , quanto alla sua essenza , o in sè , l' identità assoluta medesima ; o quanto a l l a forma del suo essere , la conoscenza di questa identità . Essa non è, se non sotto la forma della conoscenza della sua identità con sè medesima, e questa conoscenza di sè, della iden­ tità è infinita. L' identità assoluta non può conoscersi essa medesima di una maniera infinita, senza porsi come infinita , come soggetto e come oggetto . E�sa non è soggetto ed oggetto in sè , ma nella sua forma . E una sola e medesima iden­ tità che, quanto alla forma del suo e ssere , ma non quanto alla sua essenza, è posta come obbietto e come subbiet­ to . Ei non v ' h a dunque una opposizione reale tra i l sog-

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getto e l'o gge tto , non più di quella che "·i sia tra i l sog­ get t o lo g i c o A ed il suo a ttributo A . Ei non v'ha nessu n a altra differenza tra il s o g getto e l ' ogge t t o , che u n a dif­ fere nza di quantità . La for m a di un rapporto del so g g e t to all ' oggetto non è posta attualmente , se non i n quanto ch'è posta una dif­ ferenza di qu ant i tà tra essi due. Quan to alla identità assoluta , non può esservi d i ffe­ renza di q uan t i t à : questa non è possibile , se non fuori di quella , poichè I' identità è l' indifferenza assoluta del s o ggettiv o e dell' oggettivo . L' identità assoluta è totalità assol uta , universo. Ciò che fo ss e fuori di questa totalità , sarebbe una cosa a parte , o i n d i v idu a le . Or non v' è essere a parte o cosa i ndividuale in sè, perchè n o n v'ba in sè al tro che l 'i d e n­ tità ass o lut a , e questa non è, se non come totali t à . La differenza del subbiettivo e del l'obbiettivo non esi­ ste , se non relativamente a l le cose prese i n d ivid u a :men­ t e , e n o n i n quanto alla totalità assoluta. L' identità assoluta è dunque l' i n di ff e r e nza quanlita­ tiva del s o g get t ivo e dell' og ge tt i v o , vale a dire , che se noi p ote s s i m o Yeder tu tto ciò ch'è nella s u a totalità , noi non ve d rem m o altro che identità pura. Le poten::.e oppo­ s te nel mondo fenomenale si distruggono reciprocamente nella identità pura. Questa identità non è p r o do t t a ; el l a è pri m i tiva ; è p r esent e i n tu tto ciò ch' esiste . La forza che si spande nella n a tura è, nella sua essenza , identica con qu e l l a che si sv o l ge nel mondo intellettuale . L'iden­ tità assoluta non è l a causa dell'universo ; ma è l ' u niverso o la to t al ità assoluta ella medesima; l'universo è c o e t e r­ no con lei . L' identità assoluta è essenzialmente la st e ssa in cia­ scuna par te dell' universo; la sua essenza è ind i visibile . Nulla d ' i nd i v idu a le , di particolare ha i n sè medesi m o i l pr i n c i pi o di sua esistenza. Ogni esistenza i ndividuale è deter m ina t a per u n ' al t ra ; cia scun a è d e t ermina t a, e per questo medesimo , limitata , finita.

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La differenza di quantità del soggettivo e dell' ogget­ tivo è la ragi one di tutto ciò ch' è finito ; e reci proca­ m en t e , l' indiffe renza quantitativa di tutti e due è l' in­

finito.

Ogni esistenza particolare è come tale una forma de­ termi nata dell' esistenza dell' identità assoluta , m a non il s u o essere medesimo , ch' è nel l a totalità. L'identità è nell' individuo sotto l a medesima form a che nel tutto : ella è tutta intera i n ciascuna parte . Ogni individuo è non assoluto , m a i n fi n i to a suo mo­

do, perchè esprime l'essenza dell'identità assoluta al suo grado particolare di potenza. Ogni esistenza individuale è una totalità re lativa . Io chiamo relativa la totalità, dice Schelling, in quan­ to una esistenza i n dividuale la rappre senta relativamente a sè , ed aggiungo che ogni potenza determin ata segna una differenza determi n ata di quantità tra il soggettivo e l'oggettivo . L'identità assoluta non e siste , se no n sot­ to la form a di tu tte le potenze prese insie m e : esse sono tutte assolutamente coesiste nti , e c i a s c u n a è una totali­ tà relativa . Dichiariamo ora meglio che voglia dire Schelling , quando parl a di potenze. t'Assoluto , o l' identità secon­ do lui, s i svolge i n due serie parallele, che sono l'ideale ed il reale ; il pensiero e la natura. Cotesti due termin i s i possono considerare come i (attori dell'Assoluto; però non s i differenziano tra loro, se non per la quantità, es­ sendo per qualità la medesima cosa . Nel corso delle sue esplicazioni l ' Assoluto si d iv i d e in q uesti due termini opposti , ma di quando i n quando s i ferma per r icom­ porre il loro equilibri o , e rimenarli a l l a s u a unità. Cia­ scu n grado che segna queste , diremo così , soste dell' As­ soluto si dice potenza , i cui (attori sono gli elementi so­ vracce n n at i ; c si potrebbero chi amare ancora que lla uni­ tà, e qu e sti differenza. Di t a l i potenze radice comune è l 'A ssoluto, se non che d iram a n dosi in due serie opposte, esse pigliano di rerso esponente; perocchè le potenze del

- 137 mondo reale hanno per esponente il finito; e qu e l l e del­ 'ideale hanno l' infinito . Nella filosofia si trovano tre potenze. L'una è d etta ri­ fl essione , perchè sua mercè i l generale è rimenato al p artico l are . Nel mondo reale, l'idea si reste di materia , e piglia forma vi s i b i l e : nel mondo ideale , l' essenza di­ viene sapere , e piglia forma i ntellettuale. Dalla prima evo luzione n a s ce l ' u ni v er s o, dalla seconda l a sci enza. La seconda potenza è detta assunzione . Nel mondo reale si esprime nel me ccanismo universale, sotto la de­ terminazione de lla necessità; della quale manifestazione la l uce è l 'e s s en z a o il generale, i corpi sono il partico­ l a r e . Ne l mondo ideale la seconda po t e n z a si manifesta come azio ne sotto la determi n az i o n e della lib ertà . La terza è l a ragione come identificazione del finito e dell' infi nito . Nel mondo reale la riunione di due u n i t à è organismo ; nel mondo ideale è opera d ' arte ( 1 ) . Sche lling considera queste t re forme nello spirito per­ fetto come tre mome n t i : I. Tautosia della divina vita , alla quale deve seg u i re i l momento s e c on do . II . Heterousia , e finalmente a questa il momento terzo . III . H o m ou sia deYe succedere , 1 . JEssere in sè stesso. 2. ]Essere diverso . 3 . E s s e r e n e l l o stesso tempo (2) . In questo modo egli s ' i nge g n a di spiegare i l cristiano concetto de lla Tri n i tà , dicendo il Padre identità d e l fi. n ito e dell' infinito ; il F i glio , sebbe ne identico coll' i n· finito , nondimeno per propria vol o n t à sommesso alle condizioni del tempo ; e lo Spirito Santo Infinito, unità di t u t te le cos e . l

(1) ('.!)

V . W i l l m , T o m . I I I . Philos . d e M . De S c h e l l ing, eh . 1 . · Pri n c i pi della d o ttrina di Schelling, Trad u z . della pre lodata M ar­ chesa Floren z i .

- 1 38 Schelling credette i n tal modo di conci liare Bruno e Leibnitz , Spinoza e Fichte ; i l subbiettivismo e J'obbiet­ tivismo , movendo da UJl pri ncipio s uperiore a que l lo onde aveano mossi tutt' i suoi predecessori . Egli rimpro­ verò Spinoza di aver fatto della sostanza una cosa , per­ eh è difatti i l panteista olandese non avea saputo sceve­ rarla da ogni opposizione col pensiero. Ma la stessa oh­ biezione in senso opposto si po trebbe fare a Schelling , perchè il suo Assol uto è Ragione vale a dire tiene an­ cora di un elemento di opposizione. Vero è bene , che cotesta sua Ragione sia del tutto i ndipendente .da ogni relazione subbiettiva , ma la parola medesima lo tradi­ sce . Una cosa però ei seppe determinare meglio di Bru­ no e di Spinoza , e fu la ragione della contrarietà . lm­ perocchè Bruno per trovare la materia e la forma come principi costitutivi de l mondo , e per contrapporli alla causa efficiente e finale, ragioni estrinseche di esso, avea dovuto ricorrere alla distinzione delle Scuole , non le aveva fatte deriYare dalla natura medesima dell' Uno .A nzi notammo che l' Uno del Nolano fosse apparso sol­ tanto all' ultimo del s uo sistema per una lunga serie di astrazioni, e dopo aver vagato tanto dalla causa alla for­ ma , e distinto le forme accidentali d a l l e sostanziali , e via. via. Spi noza , oltre alla gratuita supposizione d e l l a sostanza , po s e la gratuita derivazione degli attri buti ; tentennò su l a loro medesima connessione ; non sai ve­ dere se siano d ue , o infiniti. La necessità del principio lo sforzava ad ammetterne i nfiniti , la n attU"a. delle cose p i ù imperiosa della forza de l sistema non gl iene con­ sentiva altro che due . Stretto da queste angustie egli non seppe rispondere a tanto grave difficoltà . Schelling pose l ' Assoluto come contemplato da un' intuizione i n­ tellettuale, che, per essere più scevra da attinenze s ub­ biettive , disse trascendentale , ed immedesimò con l a produzione delle cose. Ovviò poscia a l l a i ndetermina­ tezzit di Spi noza riconoscendo come i nd ispensabile alla forma de lla identità r opposizione di soggetto e di og•



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getto . Così i due attri buti locati a 'c aso e senza ragione· d a Spi noza vengono riconosciuti dal filosofo di Leon­ berg. Soleva difatti dire che a combattere Spinoza biso­ gnava contrapporgli il me assoluto . Sopra il me e sopra i l non-me egli pensò sollevarsi per sovrastare ugual­ mente a Fichte che aveva messo come principio il me assoluto , ed a Spinoza che aveva fatto l' opposto , collo­ candovi i l non-me assoluto . L'Assoluto di Schel ling non è nè il me , nè il non me ; è la linea neutra , ove questi due poli si equi librano , e s' immedesimano. Ma questo Assol uto è veramente un pri ncipio ? Non è esso pure u n' astrazione ricavata dal bisogno logico di riinenare tu tt' i concetti in un concetto u nico ed universalissimo? L'Assol uto di Schelling è forse altro dal l ' Ente possibile di Rosmi ni ? . Lasciando stare i l difetto del pri ncipio , che Schelling ha com une con tutt'i Pantei sti, e che si fonda nella opi­ nione, che il finito limiti alla s u a volta a nche l'infinito, dimodochè riescano tutti e due finiti ; Tenghiamo alla considerazione del metodo, ch' è stato biasimato perfino da quelli che riconoscono la bontà del principio . Hegel difatti confessa che il fondo della dottri na del suo gran competitore sia vero ; perchè nell' unità del s ubbiettivo e dell' obbiettivo , nella medesimezza del le forme natu­ ral i , e delle intellettive sta il colmo di ogni filosofia ; ma però ne riprova i l metodo , ch' egli poi si prova di rifare nella sua Logica . Vedremo dopo la correzion e , notiamo ora di etro i l sommo cri tico i difetti . Hegel scol­ pi sce i suoi giudizi sopra i sistem i , e s uole restri ngerli in una formola reci sa . I l difetto della fi losolìa di Schel­ ling , e i dice , sta nell' ammettere l' un ità dell' oggettivo e del soggettivo a p riori e senza provarla . Per dedurrà questa identità, soggiunge , bisognava mostrare , nel se­ guito delle sue determinazio n i successive, esser proprio del soggettivo di trasformarsi in obbiettivo, come vicen­ devolmente proprio di questo di non rimanere in tale stato di obbiettività , e di tornare sogge tto . L' unità del sog-

- 140 setto e dell' oggetto non sarebbe stata in tal processo un semplice presupposto, ma sarebbe rimasa provata ( 1 ) . Il prof. Vera ( 2 ) rincalza l a critica hegeliana con os­ servazioni più particolari , ma che rampollano dal prin­ cipio medesimo . Il movimento dell'Assoluto, ei dice , s i compie attraverso delle opposizioni , e per il passaggio da u n termine all'altro , e da una potenza in u n 'altra su­ periore . Ora è chiaro che tal movimento non è , se non un seguito di deduzioni , perchè passare da un termine ad un altro , è cavarne u n termine che v' era virtual­ mente contenuto , e questo vuoi dire dedurre . Adunque Schelling adopera la deduzione e la dimostrazione , ed intanto pone allato alla deduzione l ' intuizione intelle t­ tuale , ch' ei presenta come i l solo organo della scienza . Questa i ncoerenza notata dall' egregio professore fa oscillare i l lettore nel determinare quale sia i l metodo veramente seguito dallo Schelling , se l' intuizione o la deduzione . Nè si potrebbe dire che la prima valesse a cogliere l' unità , e la seconda la differenza delle cose ; perchè all' un còmpito ed all' altro bas terebbe sola la de­ duzione , come quella che avendo innanzi i due termini ne vede ad u n tempo l a relazione. Inoltre se questa i n­ tuizione è subbiettiva , non può cogliere l'Assoluto, e se s' immedesima con la produzi one obbiettiva delle cose , bisogna far vedere il modo come ciò avvenga. Final­ mente se l' intuizione intellettiva corrisponde all' Asso­ l uto, qual atto, o forma di pensiero corrisponde al rela­ tivo? La prima sola non basterebbe nemmeno in tal caso a tutta la scienza. Nel sistema di Schelling , co m e i n quello di Bru no e di Spinoza non si vede nemmeno spiegata la formazione del finito ; ma con maggior logica si dice che i l finito non ha ori gine affatto , e si pone come termine neces . sariamente correlativo dell' infinito . Spinoza avea detto (1) Hegel ( 'i! ) Vera,

ap . W i l l m , T o m . I V , eh . I X . lntroduct. à la pbilos . d e Hege l , eh . I I .

- Hl -

che il finito avea bisogno di un altro per intendersi , e che l' infinito s' iotendea da sè. Scbelling avendo fatto l' uno il contrapposto dell' altro li ha pareggiati, e però levato l' assurdo in cui era caduto Spinoza , il quale vo­ leva cbe il finito avesse ragione in un altro , e che in­ tanto questa ragione in u ltimo costrutto ne sfuggisse dal guardo . Schelling difatti ammette un archetipo ove s' immedesimano il mondo tipico, e l'an ti-tipico , l' infi­ nito ed il finito (1) . Bruno, Spiuoza e Scbelling si rassomigliano adunque, come a dire , nella prospettiva generale del sistema. Hanno il medesimo intendimento di un izzare la scienza, e d' immedesimarla col mondo ; cercano fuori del pen­ siero il centro della loro unità ; onde costituiscono quel la serie di panteisti che nel la Storia della filosofia s i di­ cono obbiettiv i . L'Uno, l a Sostanza e l'Assoluto sono tre creazioni parallele . Ma Giordano Bruno guardò massi­ mamente all' opposizione della natura estrinseca, e con­ siderò l' Uno come medesimezza della causa e del prin­ cipio , ovvero dell' elemento estrinseco e dell' intri nseco delle cose . Benedetto Spinoza inn alzò le sue mire , e cercò di conciliare non tanto le opposizioni della natura esteriore , ma altresl la più larga contrarietà che posa tra il pensiero e la cosa pensata . Federico Schelling sall più alto, e nella opposizione dell' ideale e del reale vide complicarsi la lotta del finito e de ll' intìnito , e credette escogi tare un principio più sublime dell' Uno , e della ·

( 1 ) « D unque o g n i nrace essere è s o l amente n e l l e e t e r n e n o z i o n i , o s­ s i a n e l l e idee de l l e c o s e . Veramente assoluto è s o l tan to u n a r che ti p o ta­ l e , che non è meramente un tipo che ha l' an titesi fuori di sè in un a l t ro , o v vero la produc e , ma un arche tipo c h e rad u n a in sè t i p o ed a n t i t e s i i n ­ siem e , d i m o d o c h e o g n i e s s e r e effigiato d a l l ' a rc h e t i p o i m m e d i a t a m e n te pre nde da esso , sol tanto c o n l i m i tata perfezione , l' u n i tà e l ' antitesi , e prende d a l tipo l' anima e dall'anti-tipo il corpo : Q u esto an ti-tipo , il q u a l e è necessariamente fi n ito , v i e n e es presso i n m a n i era i n lì n i ta s e n z a p reg i u d i z i o d e l l a fi n i L à i n c i ò , o nd' esso è accantu al tipo fino d a l l 'e t e r n i tà . • - G iordano Br uno . Dialogo di Schel l i n g . T ra­ d u z . d e l l a Marchesa Fl orenz.i .

- 142 Sos tanza nell' A s sol u to , o n e l l a Identità. Il fine medesi­ mo si attuò sotto di verse guise , secondochè si conside­ ravano differenti lotte da conciliare . Ma perchè l' Asso­ l u to di Sche l l i n g apparisce da prima , mentre l 'Uno e la Sostanza rimangono occu lte , e solo i nfine s' inferisce la loro i nappre n s i b i l e e s i s tenza ? La ragione d i questo di­ l'Brio sta nell' a v ere il profe ssore di Berlino posta una facoltà n u ova per cogliere intuitivamente questa remo­ tissima identità ; n e l l ' aver fatto della scienza un poem a ; e del filosofo che medita su l a origine delle cose u n ar­ tista, i l q u a le vagheggia nell' e stro della s u a ispirazione la ri spondenza de l l a materia all' ideale modello che gli agita e gl i scalda l' irrequieta fan tasi a .

CAPITOLO

VIII.

DELLA DIALETTICA HEGELIAN_o\ E GIOBERTIANA. .

S e da una parte ti fai a cons iderare i l progres: m , � e l pensiero umano cominciando da Pitagora , e di sctmde n­ do per l' anello dei Padri della Chiesa , e N iccolò di Cu­ sa fi no al Mal lebranche ed al Vico ; e dall' altra dagli E­ leati e dagli Alessand r i n i per mezzo di Brllno e di Spi­ noza s i no a Fichte e d a Schelling, avrai due serie oppo­ s te e parallele che mettono capo in due sommi pensatori dell' età prese nte . Con Gioberti e con Hege l contrasta­ no due tradizioni , due filo sofie , e d irò anche due na­ z i oni . Forniti delle anni ammanite in tanti seco l i di lotta ostinata , rigogliosi d' ingegno , a l l e nati da forti studt , combattenti per causa gloriosa ed altissima, i due fi losofi s i conte ndono il c a m p o della scienza con ardore da d isgradarne quello che incita d u e schiere ugualmen ­ te anelanti a l l a vi ttori a . Giammai più robusti campioni s i videro sce n dere nell' arena , giam m a i tu rbe tanto n u­ merose acco mpagnarono i fo rtunati v i n c i tori n e l giorno de l loro trio n fo . A l l a gara della s c i e n z a che addop piava gli atle tici sforzi dei fondatori d e l l' Accade mia e del Pe -

- 143 ripato si accostarono , po ten ti ssi m i degli sproni , emu"­ Jazion e n azionale , e zelo re ligioso ; e sotto questi due ce lebrati nomi co m b at to n o fi losofia deJ l a creazione e fi­ losofi a de l l a identità , cattolicismo e razionalismo, Italia e Germani a . Sforzati a dovere re stringere i n breve il larghi ssimo tema , faremo di toccarne a l meno J a parte più ri pos t a e più vitale ; del iberati di rifarcene qualc h e altra volta , se l ' occas ione ci si darà più propizi a . Sche lling co n ti nu a ndo i l lavoro di B runo e d i Spi no­ za avea colto l' identità assoluta , e vi s i era ferm ato , certo di aver dato nel segno . Parve pure cosi aH ' Hege l , e cercò solo d i a mmendare i l fa llo d e l metodo d e l suo a n tico compagno . La mutazione del m e todo non può sta­ re però co n la medesimezza del pri ncipio , perchè per gli ingegni che non pi g l i a no a prestanza l' abito del loro si­ stema , i l metodo non è , se non lo svn lgimento del prin­ cipio mede s i m o . Hege l mosse adu n q ue dal pensiero , e riconobbe i l suo mov imento come vero me t o d o . L' idea ( t ) è i l pri ncipio dell' essere e del pe n sier o , onde i l movimento d e l l a idea s arà p u re il movimento del pe n s iero , o il metodo . Per com pre ndere bene q uesta proposizione fondamentale dei i'Hegel b isogna notare at­ te ntamente i l va lore del pens iero . cc Ci è il pens i ero (Den­ ken) , i l qu ale come co nte n u to attivo e fo ndamentale della coscienza umana apparisce i n diverse forme ; e ci è i l pe n­ siero ( G edanken) , che è u n a , a n z i l' ultima e la più . per­ fetta di queste forme . Tutte queste for m e (sen timento , i n t u i z ione , ec . ) sono pen siero ( D e nk. en ) ; m a tra e s se i l solo Gedanken è pe n s i e ro neJla forma d e l pe n siero . Nel sentimento , nella intuizio n e , nella rappresentaz ione , il p en s ie ro (D e nk.en ) è sentito , intuito , rappresentato ; ma n o n è pensato : nel Gedanken è pensato. I l Gedanken è d u nque pensi e ro ( Denk.en ) come il sentimento , l' int ui-

( t ) L a paro l a Be gri{f vale ide a , concetto , d al verbll begreifen. che ri­ sponde a l latino concipere . Essa significa l ' u n i versale che discendendo n e l part i c o l a re e tornando i n sè stesso , diventa concreto .

- t .U. -

zione . ecc . ; ma il sentimento , l' intui zione , ec . non so­ no Gedanken. Qui insomma vi ha distinzione e identità ; la disti n­ zione consiste nella forma , la i de n t i t à nel contenuto. Nel solo pensiero (Gedanken) la forma è adeguata al con­ tenuto (1 ). Or dunque quando si dice c h e i l pensiero sia il prin­ cipio dell'essere e del pensiero , s' inte nde che il pensie­ ro Denken sia tale ; ed il pensiero, Gedanken è soltanto la sua forma rifless a . Il movimento de l pensiero puro ed assoluto genera i l metodo , ch' è i l processo e la forma ùel pensiero medesimo . Questo pe nsiero assoluto si può considerare in tre momenti , che l' Hegel chiama astrat ­ t o , dialettico, speculativ o . Il momento astutto , o dell' i n­ telletto, ne dà a conoscere l' Idea in sè ; i l momento dia­ lettico o negativo-razionale , ne fa conoscere l' Idea nel suo essere altro ; e finalme nte i l momento speculativo , o positivo-razion ale ne fa conoscere l' Idea che daJla sua. alterità , ritorna i n sè medesimo. Di qui la Logica, l a Fi­ losofia della Na tura , e la Filosofia dello Spirito, c he ri­ s pondono appuntino a questi tre mome nti . L' immutabilità dell' Idea hegeliana sta in questo e­ terno movimento , ch' è il flusso pere n ne d' Eraclito , che l' Hegel disse vivente tuttav ia nella sua Logica . Con questo movimento , o con questa dialettica l' Idea è i n sè , dh·enta u n altro , ritorna i n sè . I n quanto è i n s è è soggetto ; in quanto dive n ta un altro è predi cato del giu­ di zio ; in quanto finalmente nell' altro riconosce sè stes­ sa è spirito , e compie la forma di un sillogismo . Così la dialettica è movimento ideale e reale , e le cose sono al­ trettanti sillogismi viventi . Se noi , dice l' Hegel (2) , ab­ b iamo potuto dire , che le cose sono dei giudizi real iz­ zatì, con maggior ragione possiamo dire ora che siano dei sillogismi viventi . lmperocchè i l sillogismo non è (t)

Bertrando Spaventa , Hegel confu tato da R o s m in i . ( � ) Hege l , L o g . Subj e c t . C b . l l l .

- 1 45 qul\lche cosa creata accanto di un' altra cosa dalla ragio­ ne, ma al contrario ogni cosa conforme alla ragione è un sillogism o . Così pe r lo stesso motivo, che a v icenda noi abbiamo avuto il dritto di d i re che l' Assoluto o Dio è u n a nozione , poi u n giudizio , noi abbiamo ora quello d i dire , c h ' è un s i l logismo , o i n al tri termini , i l ge­ nerale o l ' u n i ve rsale che per mezzo del particolare , di­ l'iene i ndividuale . >> I l massimo sillogismo o i l sil lo­ gismo assol uto, come lo chiama Hegel , s i compone della conosce nza e de l l ' essere rimenati all' unità ; e l a logi­ c a , l a filos ofia della natura , e la filosofia dello spi rito ne sono i tre grandi term i n i . Ma ciascun grado, ciascun membro di e s s i termini h a pure tre momenti , e forma un sillogismo a sè, cosi via via. Il lavoro dello spirito nel sillogismo fu risgu ardato come somigliante all' essenza reale delle cose dal Cusano e d a Tommaso Rossi , come abbiamo l"eduto per lo i n nanzi ; Hegel ne ha fatta vede­ re I' identità. Nella qual cosa bisogna dire che stia il gran merito speculati m del filosofo di S tuttgard , per­ chè n i u no h a con tanta paziente ricerca tenuto dietro al processo riflessivo del lo spirito ; e ni uno gli ha saputo con tanta gagl i ardia ed audacia i nsieme sommettere l ' universo creato, Seguiremo le applicazioni della Logi­ ca , ed accen neremo soltanto quelle delle altre p arti . Ci varremo del Wi llm , stri ngendo pia brevemente cb' è pos­ sibile la esposizione cb' e i ne fa . La Logica viene divi s a da Hegel i n tre parti , n elle quali espone successivamente , e nell' ordine medesimo co n cui si sviluppano realmente , l a teorica dell' Essere , o de l pe nsiero i mmediato ; del l ' essenza , o del pensiero mediato ; e del concetto, o del pensiero ritornato i n sè ste sso. L' Essere è l a nozione i n s è , l' i ndeterminato, e le sue determinazioni sono le esistenze , le quali sono altre o diverse le u n e per rispetto alle a l tre ; ma ciò che s i de­ termina è sempre il medesimo. Lo s ,·iJuppo della nozio­ ne nella sfera dell' essere diviene la totalità dell' essere

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per ciò medesimo che l' essere immediato , o l a forma del l' essere come tale è di strutta . Le determinazioni d e l­ l ' essere e le determinazioni logiche i n generale pos so­ no considerarsi come definizioni metafisiche d i Dio . L' es�ere h a tre forme , che sono l a qualità , la quan­ tità , e la misura o la qualità qua ntitativa. L' essere puro è indeterminato, è u n ' astrazione , è i J niente , i l negativo-assoluto . Ma questa assoluta nega­ zione è identica con l' essere i nde terminato , perchè non esclude nulla. La ,· erità del nulla e dell' essere è nel di­ venire . Nel divenire la contradizione ch' e i rinchiude importa u n movimento . Risul tamento d i questo movi­ mento è l ' esistenza , o l' essere determinato , che i Te­ deschi chiamano das Daseyn . Nel divenire adunque en­ trano i l nulla e l' essere come momenti , d i cui esso è i l fermo , e l ' esistenza i l risultato . Questa prima determinazione dell' essere si dice qua­ lità. Per la qu alità l' esistenza è costituita in una data classe ; essa non è un' altra . In questa negazione sta ap­ pu nto la determi nazione qual itativa . Ma questa deter­ m i nazione non viene dal n u l l a astratto , v iene da qual­ che cosa . Qualche cosa , dice llegcl , diviene un altro ; m a l ' a ltru è esso medesimo q u a khe c�sa : dunque esso diviene alla sua volta u n a l tro , e così i ndefi nitamente , a l l ' i n finito. I n questo modo i l fi nito i m i ta l' infinito nel cangiarsi conti n u amente , perchè l' al tro , o i l limite es­ sendo a nche esso qualche cosa , suppone u n altro , e così questo, e così appresso , sempre , senza posa m a i . Ma i n q uesto passaggio s uccessivo s i può avvertire che l ' altro diviene qualch e cosa considera ndosi come a l tr o dell' al­ ' tro ; vale a d i re l' essere ch' era come d h i so nell' e ssere in sè, e n e l l ' essere un altro, si trova ris tabi l ito , ma co­ m e essere per s è . Tutta l a Logica d i Hegel riposa sopra questo princi­ pio , che qualche cosa di determ in ato nel divenire un al­ tro , non fa , se non che ritornare a sè , perciocchè essa medesima è un altro per rispetto all ' altro , e però ide n­ t ica con s è medesima.

- 147 L a verità dell' essere e d e l nulla vedemmo che stesse nel divenire ; la verità dell' esistenza nel ca n g i ame n to . Risul tamen to del primo processo fu l' esistenza indeter­ min ata ; ris u l t a me nto del secondo è stato l' essere per sè , libero da ogni relaz i o n e ad un altro . Questa esiste n ­ za n o n più i nde terminata, ma i nd i ffer e n t e , è appu nto l a form a della quantità . La quant it à è in fi n i t a ; nella esistenza e s s a è una gran­ dezza finita , o ciò che si d i ce quanto . In quanto finita , ogni grandezza , benchè molt i p l i c e , si dice u n a ; e dà ori­ gi n e ai n umeri . Il limite , discreto form a la grand e z za e­ s t e n s i va ; il limite , come semplice determinazione i n sè, fa la grandezza i n te n s i v a , o il g r ado . Onde n u meri , esten­ sione , grado sono i m om en t i della qua n t i t à ; dei qua l i il grado è la verità d e i due primi momen ti . L a v er i t à poi della qualità e della quan t i tà è la m i sura , o q u a l i t à quanti tath'a . Nella misura l' ess ere appar i sce perfetto , o i n t era­ men t e determinato . Negli esseri la misura ha va r i a i m­ portanza , e nei cor p i solari è es s e n z i al e ; di poca i m­ portanza n e gl i esseri inorga nici ; necessaria nelle pro­ duzioni organiche. In alcu n i esseri mutandosi la quan­ tità , la qualità perdura ; i n altri la mutazione della quan­ tità po r ta altresì quella della qualità . L ' iden t i tà della qu al i tà e d ella quantit à è pri ma nella misura , m a con­ siderata i n s è , d imodochè l' una sta allato all' altra sen­ za che , al mutars i della quantità, la q u alità se ne r i s e n ­ ta . Poi a l passarsi dei limiti del la quantità, si c a n g i a la qualità . F i n almen t e la misura tende a so rpass a r e i suoi l i m i t i , ed a d istruggersi ; ma la dismisura essendo pu­ re u n i t à dell a q u al i t à e della quantità , torna misura . A r r ivato a questo sviluppame nto l' esse re progredisce verso l' essenz a . L' essenza è il mezzo tra l' essere e la noz i o n e ; è ter­ mine di pa s s aggio dall' uno all' altra mediante il suo mo­ vime n to d i a l ettico , i J quale si opera al sol i to , ne ga ndo sè stesso, o determinandosi per q u e s ta negaz ion e , final-

- 1 48 mente dandosi l' esistenza , e tornando per sè ciò ch' era in sè. L' essenza h a tre momenti . È prima in sè , ovvero è · semplice essenza ; è poi fuori di sè , vale a dire appari­ sce come fenomeno ; è per sè, ossia è re<à ; onero u n i­ tà dei due primi mome nti , del l' essenza cioè e del feno­ meno. Come essenza i n sè essa è identità , ma non vuota , ed astratta , sì bene identità che contiene i n sè la d ilferen­ za . Hege l distingue nell' essenza riflessa in sè tre mo­ me nti, che sono l' identità , la differenza , ed il fo nda­ mento . L' e ssenza in quanto è riflessione pura s i riferisce a sè medesima ; non è più i mmediata , ma è identità pura . Ma ella non è ide n lità pura , se non perchè è repulsio­ ne d i sè ; ella implica la differenza. I l fondame nto è l' u nità dell' identità e de lla d i ffe ren­ za : è la verità di tu tt' e due ; è riflessione in un al tro ; è l' essenza considerata come total i tà . Risul tato d e l fondamento è l'esistenza . Ma ad espri mere questa esistenza Hegel adopera la parola die Existcnz , per distinguerla dalla esistenza d i cui abbiamo parlato d i sopra , e che fu detta Das eyn . Jmperocchè l' esistenza di cui ci occupiamo ora è determi nazione dell' essenza ; dovechè quella d i cui abbiamo parlato prima era deter­ minazione dell'essere . L ' esistenza i n m e n tr e è riflessa in sè ha una relazio­ ne moltiplice con altre esistenze . Ciò la costi tuisce cosa esi ste nte . la cosa è totalità delle determinazioni della riflessio­ ne . La materia e· la forma sono elementi di questa tota­ lità. La materi a è riflessione astratta , o i ndeterminata in un altro . Ciò che costi tuisce la differenza specifica è la forma . Questi due e lementi indipendenti pe r sè si tro­ vano uniti nella cosa. La cosa come totalità della materia e della forma im­ p l i c a in sè una contrad dizione . Come forma dete r m i na

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l a materi a ; come materia essa è affe tta dalla forma , e n'è i ndi pendente . La cosa così distrugge sè medesima, è fe­ nomeno. L' essenza che apparisce nell' esistenza è fenomeno. E ll a deve apparire , perchè non può stare i n s è . Il fe­ nomeno è l'apparenza sv iluppata , nella stessa guisa che l'apparenza fu vednta consistere nell'essere determinato come esse nza . I l mondo fenomenale ha tre momenti , ehe sono i l con­ tenuto , la forma e la relazione . Il fenome no esiste i n modo, ch'esso non può sussiste­ re ; la sua esistenza non è, se non un momento del la sua forma ; la forma implica l a sostanza o la materia comune delle sue determinazioni successhe. I l fenomeno b a dunque i l suo fondamento i n ciò che n' è l' essenza immediata . Questo fondamento è alla sua volta fenomeno, ed il fenomeno parimenti è una continua manifestazione della sostanza per mezzo de l l a forma . In simi l modo, nello' svilupparsi , l' esistenza diviene una totalità, i l mondo fenomen ale , il mondo finito riflesso . Il fe nome no non è una semplice apparenza : esso rin:. chiude tutto il contenuto della cosa in sè. L'essenza pre­ sente nel fenomeno n ' è la legge . La legge del fenomeno è la cosa in sè, ch'è apparsa nella esiste m a . La legge ed il suo fenomeno hanno il medesimo contenuto ; la forma è identica col conte nuto. Ciò che si chiama i l mondo i n­ telligibile o ideale è tutto intero nel mondo fenomenale: i due mondi sono identici , benchè siano opposti l' uno aH' altro. I l contenuto non è altra cosa che la forma tornata in contenuto, e la forma non è , se non il contenuto torna­ to i n forma : tal è i l rapporto assoluto della forma e del contenuto , del fenomeno e del la essenza. La relazione tra il contenuto e la forma è que l l a del tutto alle sue parti . II contenuto è i l tutto, e consiste nel le parti , le quali ne sono l' opposto . Le parti sono distinte le une dalle altre ; ma esse sono distinte in qu.anto si ri­ feriscono le une alle altre .

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Il loro insieme è i l contrario e la negazione del la parte . Il tutto considerato come queiJo che pone i l fenomeno è la forza ; i l fenomemo, come manifestazione completa del la forma, n' è l' apparizione al di fuori. Ciò che appa­ risce al di fuori è la misura della forza. L'interiore e l ' e­ steriore sono dunque identici , e le due totalità dell' e s­ senza sono divenute una sola e medesima e sistenza es­ senziale . Per la manifestazione al di fuori del la forza , l'interno è posto come esistenza. Qu esta identità deiJ'in­ teriore e dell' esteriore , deiJa forza e della sua manife­ stazione ; l'unità, divenuta immediata , dell'essenza e della esistenza, è la realtà . La rea l tà è l' unità dell' essenza e del fenomeno, ossia dell'interiore e dell'esteriore ; è la yerità dell' uno e del­ l' altro. I momenti della realtà sono la possibi lità e la con­ ti ngenza . Il ronti ngente , come realtà immediata , è i n sieme la possibil i tà di un altro ; questo i ntanto non è più questa possib i l ità considerata come astratta, ma come esistente. Così essa diviene condizione. L' esteriore sviluppato come un cerchio delle determi­ nazioni del possibile e della realtà , è la possibilità reale i n generale . Esso è dippiù la totalità , i l contenuto, l'iden­ tico, la cosa determin ata positivamente , ugualmente che la totalità concreta della {arma per sè , i l passaggio im­ mediato dall' in teriore all' esteriore . Questo movimento della form a è l'attività per la quale la cosa diviene . Quan­ do tutte le condizioni sono riunite , la cosa si realizza ne­ cessariamente , ed i n quanto essa prima è i nteriormente o i n sè, essa medesima è una delle condizioni richieste . Questa realtà svi luppata per il movimento altern ativo dell' esterno e del l ' i n terno , è la necessità . La necessità è in sè relazion e assoluta, cioè svi luppa­ mento nel quale la relazione della condizione e della cosa riducesi in assoluta identità . Nella forma imme·

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diata è questo i l rapporto d i sostanzialità e di acciden­ talità. L'identità assoluta d i questo rapporto è l a sostanza come ta le. La sostanza come poteuza assoluta si determi na essa medesima negli accident i , ' e come tale è d i s t i nta da ciò c h è pos to esteriormente . Da ciò r i s u l ta il rapporto di causalità. L a sostanza è causa , o cosa pri m i t i va , in q u anto ess a è distinta dagli ac c iden t i e dagli attri b u t i , che presi così sono deg l i effetti. Come gli accidenti rinchiudono ed esprimono tutta la sostanza , essi medesimi sono l a so­ stanza cons idera ta eome passiva . La causa è la sostanza attiva , l' e ffe tto l a sostanza passivu . Ma la causa non è causa , se non nell'effetto . La causa e l'effetto hanno d u n­ que i l medesimo conte n uto , e l a sostanza è causa d i sè medesima , causa sui . Da qui l a prima detìn izione de l­ l' E tica di Sp i noz a La causa e l ' effetto sono identici , ed essi non sono distinti , se non in quanto l a prima pone , ed i l secondo è posto ; differenza puramente di forma, che si cancella di nuovo i n questo che la causa e l'effetto non solo sono cau sa ed effetto di u n altro , ma d i sè medesimi . Il ca­ rattere delle cose finite consiste dunque in ciò che , i n mentre la causa e l' effe tto sono real mente identici , l e d u e forme v i si mostrano come separate i n modo che l a causa è effetto , e l ' e ffetto vice ndevolmente è causa. D a qui risulta questo sviluppamento infinito d i cose sotto l a forma d'una serie indefinita di cause, che s i prese nta nello stesso tempo come una serie indefinita di effetti . L' e ffetto come tale è sostanza passiva ; m a come so­ stanza è pure attivo , e reagisce sopra un' altra sostanza passiva per rispetto a lui, la quale reagisce alla sua vol­ ta . La causalità apparisce cosi come rapporto di azione e di reazione. In questa serie in finita d i azioni e di reazioni svani­ scono le differenze , e l a moltiplicità delle sos tanze . Un a sola sostanza si sviluppa come interiore ed esteriore i n d u e serie di attributi , d i cui le esi stenze sono i modi . '

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L' azione alternativa e rec i pro ca è i l ra p po rto di cau­ salità nel suo compiuto sviluppo . Q u e s t a alternativa pura è la necessità svelata o posta . La verità della necessità s �a nella l ib e rtà , che la sup­ pone , e l a rinchiude come di s t r u tt a . La verità della so­ s ta n z a è la nozione , la q u a l e è p erc i ò la lerità de l l ' es­ sere e dell' essenza . Fin qui s i è osservato che il processo o i l movimento dialettico nella sfera dell'essere ha avuto la forma d i pas­ sagg io ad un altro: nella sfera dell'essenza, di r i fl es si o n e , o di man i fe s ta z i o ne i n u n altro . Nella sfera della nozione lo vedremo c om e svi luppamento , mercè d e l q u a l e è po­ .� to ciò ch' era in sè, ovvero in potenza . La noz i o n e ha tre momenti : la nozione subbiettila ; l' oggetto ; e l' idea considerata come su bbietto obbietto , o ,·erità assoluta. La noz i o ne come subbiettiva ha tre momenti , che sono l ' universale , il particolare , l' individuale . L' u niversale o il g ene r a l e non è una s e m p li ce astra­ zione , ma c i ò ch' è verame nte nelle cose . Considerato come avente un contenuto , esso è determinato come ge­ nere , o specie, e s i d ice particolare . Tendendo mediante del p a r ti co la re alla re alt à , è l' i n d h i d u a l e . L' i ndividuo è l a totalità dei tre momenti . L'universale , i l particolare , e l'indhiduale presi ast rat­ tamente sono .l a medesima cosa della identità, della dif­ fere nza e del fondamento , Per l ' i n divid ua l it à i tre m ome n ti della nozione sono po s t i come differenze . Nel determinarsi la n o z i on e si particolarizza, e ciò dà luogo al giudizio . Giudicare è determinare la nozione , è dividerla . H e­ gel arreca l'etimologia della parola tedesca Urtheil , che r i spon de alla nostra di giudizio, e che , secondo lui , si­ gni fica divisione pr imit i v a . La formola astratta d e l gi u d izi o è questa: l'individuale è il generale , ovvero il soggetto è l' attributo . H e g e l d istingu e proposizione d a g iu di zi o . Nella prim a

- 1 53 si es p r i m e u no stato , u n ' a z i one p a rti c ola r e , come Cesa­ re nacque a Rom a . Nel secondo si sv i l u pp a l' identità ed i n s i em e la distinzione che h anno g l' i ndividui e l' u­ niverso . Le forme di g i u d i c a re si r i d u c on o a tre , r i s po n den do a i tre gr a di dell'essere , dell' essenza e della nozione. Il giu d izi o immediato è i l giu d iz i o esistenziale , o d i qualità . I l g iudi z io di riflessione è i l se c on d o . I l g i udiz i o necessario i l terzo. I l giudizio i d e a l e i l quarto . Il s i t l o gi s mo o piu t t o st o l a c on c l u s i on e è l ' u ni t à del l a nozione d e l g i ud i z i o : è la nozione c om e l ' i d e nt i t à s e m­ p l ice alla q u a le sono ritorn ate le differenze di forma del giu d i zi o ; ed è il g iu d i z i o , in quanto nel mede si m o tem­ po la n oz i on e è p o s t a in re a l t à , cioè nella differenza delle sue determinazion i . Il s i l lo g i s m o è il razionale , e tutto ciò ch' è r azi o n a l e . L a c on c h i u s io n e è la nozione posta come r e a l e , ed ora la definizione dell'assoluto sarà , ch' egli è l a c o n cl u si one : tutto è conclusione. L'unherso è un sillogism o . Tutto è nozione o c on cet­ to , e l' e s isten za di tutto è la d i s t i n z i one dei mom enti , l a nozione sviluppata, particol arizzata , realizzata . La sua n atur a genera l e si dà u n a realtà esteriore pel suo par­ ticolareggi amento : essa s'individualizza per la su a rifles­ s io ne i n s è . O v v ero i l reale è una cosa individuale , che, per mezzo del p a rt i co l a r e , s' in nalza al generale , e con esso s' identifica . In mentre che i l g i u d i z i o è l' espressione spe ci fi ca di ciò che v ' ha di fi nito nelle cos e , il s i l l og i s mo esprime c i ò ch' esse h an n o di ra z iona l e e di e te rn o : perchè nel si l l ogism o tre term i n i sono r a pp ort a ti l' uno all' al tro , dimodochè essi non ne fanno , se non u n solo : è l a tri­ ni tà sv i l u p pa ta d el l a verità. Per la c o nc l u s i o ne il giudi­ zio ritorn a a l l ' unità d e l l a nozione . Hege l d i s t i n g u e i l sillogismo , come avea fat t o del giu­ dizio, n e l s i l log i s mo di q u a l i t à , nel s illog i smo di rifles­ sione ed in q ue l l o di necessità. Tra queste forme l' ulti­ ma s o l t anto è c ap ace di far tornare la nozione in sè me-

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desima, e però di dare I' a b bi e t t o , e le altre due sono in­ sufficienti . In tu tto il processo adunque non si è fatto altro che tornare all'essere , il quale ora non è più l' es­ sere im medi ato , perchè è posto da u n movimento logi­ co ; è l 'ogge tto adeguato alla nozione . Ed i nsieme la no­ zione non è più s ubbietth·a , perchè pel suo i n tri nseco è dhenuta obbiettiva, e si è mostrata come Idea . L' obbietti vità ha tre mome n ti che sono : i l meccani­ smo, il chimismo, ed il rappor t o teleologico. Il meccanismo ha pure tre forme, ed è detto formale , differente ed a ss o l u t o . Nel primo l' obbietto è posto come a g gre g a to j senza centralità. Ne l secondo ha un centro in sè, ma i l suo vero centro è posto al di fuori . Nel ter­ zo si stabilisce i l suo vero centro assol uto . N e l Chimismo g l i oggetti sono considerat i l' uno per rispetto all' altro. Come nel Meccanismo prevale la con­ s iderazione della loro opposizione , qui si considera la capacità che ha ognuno d i diventare un altro ; appunto come i termini del sillogismo s i ri scontrano nel termine medio , onde questo lavoro dinamico v a detto neutralità d e lle opposizioni. L a terza forma , o il rapporto teleologico , è al soli t o la verità d e i due primi momenti d e l meccan ismo e del chimismo. Il rapporto teleologico, dice Hegel , è quel sil­ logismo in cui i l fi ne subbiettiw s i unisce con l' ogget­ tività esteriore per u n mezzo, ch' è l"unità di q uesti due termini, c i o è I'atthità fi nale. Lo sviluppo di questo rap­ porto si fa per tre gradi , che sono il fine subbiettivo , i l fi n e che si attua, e d il fi ne realizzato . Ed eccoci finalmente all' Idea, la quale è la verità del subbietto e dell' obbietto ; il vero in sè e per sè ; in po­ tenza ed in atto. Il suo contenuto i d e ale è la nozione nelle sue determi nazioni ; il suo contenuto reale è l ' e­ spressione che la nozione si dà sotto la forma di esisten­ za esteriore . L' Idea è la più alta definizione ùi Dio : è il punto d i vista d i Platone e di Schelling.

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L' Idea è la verità , perchè la verità è l'accordo con la sua nozione. Essa non consiste nella confonnità delle no­ stre rappresentazioni con le cose.; perchè le rappresenta­ zioni conformi non sono , se non giuste ; ed ogni realtà, i n quanto è vera , è l ' Id e a , e non ha verità, se non per lei . L'individuale , preso in sè , non è adeguato alla sua no­ zione , ed è per questo ch' esso è finito , e che manca di verità : è pure per questo , ch' ei perisce . L' idea non è più idea di questa o quest' altra cosa , come la nozione non è tale o tal' altra nozione determina­ ta. L' assoluto è l'Idea una ed universale, che in quanto ella giudica, o si divide, si fa sistema delle idee determi­ nate , che hanno la loro verità e l a loro sostanza nella Idea una ed assoluta , e v i ritornano. L' Idea non è da prima , che la sostanza una ed universale , ma nella sua verace realtà , nel suo sviluppamento ella è subbietto , spirit o . Ella è essenzialmente concreta . L' Ide a può es­ sere concepita come ragione , cd è in ciò il significato veramente filosofico di ciò che si chiama così . Ella è un sogg e tto-ogg e tto , unità dell' ideale e del reale , del finito e del l'infinito, del l'anima c del corpo ; la possibil ità che ha in sè la sua realtà ; cd infine si può definire ciò che es iste necessariamente ; ciò la cui essenza i mplica l' e­ sistenza. Miche l et d ice essere l' Idea i l risultato di tutte le ca­ tegorie precedenti , ov'elleno sono tornate come momen ti . Come divenire , l' Idea è per noi l' unità dell' essere e del nulla ; come infinito , è l' unità di qualche cosa e del s uo altro ; ella è csscuza e fenomeno, forma e materia, inte­ riore ed esteriore , possibilità e realtà , generale e par­ ticolare ; ed ella è tutto ciò i n una identità perfetta. L' Idea, dice Hegel, è essenzialmente movimento, pro­ cess u s , pcrchè la sua identità non è identità assoluta della nozione, se non in quanto è pure negatività assolu­ ta , cioè in quanto è dialettica . Per questo movimento è alternativamente obbiettiva e subbiettiva : si determina prima come obbiettivn , poi

- 1 56 per la dialettica i mmanen te torna a l l o stato d i subbiet­ tività . I momenti dell' Idea sono tre . La vita , o l ' idea sotto la forma immed iata ; la conosce n z a sotto la forma ùi dif­ fere nza, come idea teorica ed idea pratica ; e fi nalmente l ' idea assoluta, o l'idea riconosciuta come i l primo asso­ luto, come esistente per sè. Dopo l a Logica che e s a m i n a l'Idea i n sè Hege l tratta l a filosofia d e l l a Natura , o d e l l' I d e a fuori d i s è . Questa con si derata nella s u a forma generale prese nta l a solita tri partizione , ed abbracci a tre parti princi p al i che so­ n o l a mecca n i c a , l a fisica propriame nte detta, e l a fi s i c a orga n i c a . Ne l l a pri m a s i tratta l a genera l i tà astratta , come Io spazio , i l moto , l a m ateri a ec. Nel l a seconda l' individ u a l i ta n a turale , ch' è r i s gu ardata or general­ m e n te n e l l e qualità fi s iche d e l l a mate r i a ; or p a rtico lar­ m e n te n e l peso specifico , coe sione ec . ; or n e l l a tota l i tà , c o m e n e l m a gnetismo , nel l a luce , n e l l ' e lettri c i tà e c . Nella terz a si discorre fi n a l mente de l l a v ita considerata n e l l ' orga n i s m o geologico , nei vegetali , e negli a n i m a li . N e l l a filosofiu d e l l o spirito fi n a l m e n t e s i parla del l'Idea tornata i n sè . Q u e sta considera lo spirito come sogget­ tivo , come o ggettivo, come assoluto. Si può dire che Hegel m a ntenga in tutte l e parti del suo sistema r i gorosame n te le forme medesime della s u a Log i c a . U n a volta però c h e siansi b e n e comprè se q u este , si può c a m m i nare agevolmente nel vasto edi ficio che pre­ senta i l profondo pe n satore tedesco . Chi non abbi a bene i n teso i l suo proce s s o , corre rischio d i pigli are q u e l l a or­ d i natiss i m a archi tettura per laberin to , e d' i n tricarvisi . in modo d a non poterne riuscire . E stato forse anche troppo per noi l ' averlo seguitato dalla l u ng a n e l pro­ cesso logico , e t u ttochè avessimo ristretto i term i n i d e l­ l a esposizione al puro necessario , p u re c i siamo svi ati abbasta n z a dal proposto camm i n o . Chi avesse vaghezz a ( e c h i non deve a\·erla a dì no stri ? ) di acquistar d i m e­ stichezza coi pensatori di Germani a , e non avesse noti...

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zia della loro lingua , ricorra all' ampia esposizioue che ne ha fatto i l W i l l m . Non entro qui a disc u tere se que­ sti valga molto nel g i ud i c are gli autori ch'espone: ma cer­ to l i si trovano quasi con le parole medesime degli ori­ ginali i ragionati più rilevanti . Ciò che abbiamo potuto raccogliere dall a compendia­ ta esposizione della Logica , per tornare al nostro , sono due cose , il principio cioè e la dialettica hegeliana. H e­ gel muove dal concetto puro , dal pensiero considerato fuori ogni limitazione di subbietto e di obbietto ; per­ chè una cosa che non si può pensare , non è , e però il pensiero è tutto . Nella virtualità di questo pensiero s'in­ chiude una contradizione tra l' essere ed i l nulla . Que­ sta contraddizione si l u ol manifestare , e dà l uogo ad un movimento . In questo mov imento la nozione si divi­ de , si dirime in subbietto ed obbietto , e si origina il giudizio . Ma i n questa divisione l' idea è uscita fuori di sè, è diventata un altro , però deve tornare i n sè. L a con­ chiusione riunisce l a divisione operata dal giudizio , e ripristina 1'. unità come totalità. Di che avv iene che i l gi udizio co ntenga l' elemento negativo del processo lo­ gico , e la conclusione n' esprima il posi tivo. La yerità dei due momenti primi si trova sempre nel terzo ; ma questo terzo tornando primo anche esso si svolge in altri due momenti , che contengono un' altra volta u n a nega­ zione , ed un' affermazione . Così si ricomi ncia sempre da capo, finchè dall' astrattissima ed indeterminata no­ zione non si arrivi all' I dea assoluta riconosciuta come spirito , e posta per sè. Tal' è la Dialettica hegeliana , ch'è stata or levata a cielo, or dispregiata, e che noi , non partecipando nè all' entusiasmo degli ammiratori , nè al dileggio dei contradittori , diremo un monumento -dei più grandiosi che abbia alzato lo i ntelletto umano nel corso dei secoli in che si è affaticato per edificare la sc i enza . Spesso anzi siam veouti pemando che s e all' i ngegno no­ stro fosse stato consentito di creare il mondo , invece d i doverlo spiegare così come si trova fatto , n i u no meglio

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dell' Hegel lo avrebbe saputo recare i n atto, ed assegnar­ ne le leggi . Egli però ha lavorato sopra base mal ferma , e l' industria dell'architetto non ha potuto assicurarle la stabi lità ch' essa non aveva. Ma di ciò tra poco . Il sistema di Hegel non è solo una scienza, è una sto­ ria ed u n mondo . Ad ogn i momento dello sviluppo del­ l ' Idea risponde un sistema di fi losofia , ed una produzio­ ne della natura . L' Idea viaggia coi suoi contemplatori , ed il loro simultaneo cammino crea la storia ed i l mon­ do. Richiamatevi di fatti a mente ciò che abbiam detto fi n qui , cominciando dall' Uno di Parmenide s i no all' I­ dentità di Schelling , e vi accorgerete che tutto s i tro­ va nel processo hegeliano ; non accozzato , nè imbastito come il panno tirio di cui parla Orazio , ma sì maestre­ volmente ingranato , che si può dire n ato spontaneo nel­ la me n te dello scrittore . L' Idea astratti ssima rassomi­ glia mol to a l l' Uno di Parmenide ; il suo divenire al flus­ so di Eraclito ; la sua triade s i trova negli Alessandrini ; e poi l' alterità opposta all' unità nel Cusano ; i tre i ntel­ letti , dei quali uno è , l'altro fa , l'altro è fatto, in Giordano Bru no ; la sostanza , gli attributi ed i modi in Spinoza ; l ' infinito , il finito e la loro identità in Schelling. Hegel assomma tu tti , dà luoghi a tutti , assimila tutti ; nel suo sistema , dice Gioberti , sono rinchiusi gli errori di tut­ t' i seco l i . Ed ei s i vuoi notare , che dopo gli Alessandri­ ni tutt' i panteisti si fecero quasi u n a religione di tri­ partire i momenti del loro sistema. O io m' inganno l•e­ rò , o i l processo della Trinità cristiana valse loro di mo­ dello ' sebbene spesso v i s' intravede così travisato ' che i caratteri fondamentali dell' originale scompaiono del tutto . I I>anteisti cercano sempre il mediwn conciliato­ re delle eon traddizioni , e dei contrari , e i n questa ri­ cerca si rassomigliano tutti . Ora la prima armonia è quella ch' è intrinseca all' infin i to , quella che i Panteisti trasportarono negli ordini del finito, e però tortamenle svisarono. Il sistema dell' Hegel vuoi esser considerato nel pri n-

- 1 59 cipio e nel metodo . Noi però faremo qualche osserva­ zione su la nozione , e sul divenire . E prima la nozio­ ne è l a identità dell' essere e del nulla ; ma i l nulla è l' esclusione dei limiti , du nque i l suo principio si ridu­ ce a m uovere dall' i nfinito . Ora se l' infinito è conside­ rato come i ndeterminato , è un astratto e però non può essere primo ; se poi si considera come i l vero infinito , egli dev' essere determinato i n sè , dev' essere persona­ le. L' infinito come indeterminato fu dagli antichi me­ desimi escluso da Dio , perchè indeterminazione suona imperfezione . Se nofane difatti disse che Dio non era nè finito nè infi nito ; pigliando l' infinito come i ndetermina­ to. Platone, i n tendendo per finito i l determinato, chiamò Dio finito . Hegel non coglie ndo i l vero infinito , e scam­ biandolo con l' indeterminato, muove da principio mal­ fermo . Da qui pro,· iene ch' egli , come tutti i panteisti , è sforzato di ammettere i l finito come contenuto i n que­ sto infi nito , il quale altrimenti non avrebbe capacità di produrlo . Difatti l'i nfinito può contenere i l finito o fini­ tamente , come un aggregato contiene le parti di cui si compone , o infini tamente come efficienza prima ed uni­ versale . Ma, u n aggregato è un numero , ed i l numero non p uò mai essere l' infi nito. L' aggregato i noltre è i n­ organ ico , però Slahl distinguendo l' aggregato dal siste­ m a , e dichiarando la persona essere il sistema più com­ piuto , la u nità più intima , obbiettava ad Hegel l' insuf­ ficienza della identità. Il terzo momento hegeliano se­ condo questo pensatore non è u n terzo , perchè è la som­ ma dei due precedenti . Questo difetto nell' ultimo mo­ mento procede dal difetto nel principio , i l quale come testè abbiamo notato non è u n solo, ma è due , cioè es­ sere e n u l la. L' infinito appunto perchè non può aver e determinazioni es tri nseche, dev' essere compiuto i n sè , dee avere principio , mezzo e fine proprio ; i n una paro­ la dev' essere un sistema , dee avere un' unità personale . Il divenire inol tre al lora soltanto è concepibile quan­ do ci ,sia una causa che lo renda possibile ; però nella

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creaz ione come a z i o n e di Dio , i o vedo che le c re at u re di­ ve n tano ; ma se gu ardo il d i ve ni re c o m e ra m po l l an te dal n u l l a , i o no n l ' i n te ndo p i ù . G ioberti n o t a c h e Hegel i n­ vece d i m u o v e r e dalle c ate go r i e di c a u s a e d i e ffe t t o , m uove dalla pot enza e d a l l ' atto. La c a us a è pi ù de l l ' ef­ fetto, ma l a p o t e nz a è meno d e l l ' at.to ; pe rò la p r i m a co n t i e n e l ' e ffe tto , ma la p o t e n z a n o n p uò conte nere l'at­ to , de l l a q u a l e esso è a n z i i l com p i me nto . Se m i s i a c­ cordasse d i ricorrere ad u n ' argomentazione i nvo l t a in frasi scolastiche , io ricorderei c om e fo nd a me n t o de l l 'o s ­ s e r v a z i o ne g i o b e r t i a n a u n a disti nzione d i s a n Tommaso . Il qu a le dice che l a p o t e n z a per r i s pe t t o a l le cose create , o sec undum quid, va i n nan z i all' atto , i n q u a n t o che ci è u n a causa capace d i rec a r l a i n atto ; ma che ri scontran­ do lo p o t e nz a- e l ' atto s e n z a nessuna relazione , cioP. sim­ pliciter , è l ' a t to che p r e c ede la pote n z a . Credo c h e n e l­ la p re c e d e n z a d e l l ' atto su la p o te n z a stia appunto il fon­ damento della fi losofia i ta l i ana , come per con trario n e l­ la p re c ede n z a de l l a po t e n z a su l' atto s t i a tutta l a filoso­ fia ge r m a n i c a . Onde se all' essere astratto e p o te n z i a le de l l ' Hege l s i sostitu i sce i l v e r o e concreto es sere ; se a l l ' i ndefi n i to s i co n t r a ppo n e l' infinito, ed a l d i v e n ire l a causalità , noi avremo la formo la ca tt o l i c a , e scientifica : L ' Ente c re a le e s i ste nze , ch' è a p pu n t o la fo r mo l a idea­ le del Gioberti , o m eg l i o è l' a n ti c h i ss i m a e s em p l ic i s­ s i m a p ro p o s i z ione con c u i cominciano i l i bri santi : Nel p r i n c i p io Iddio creò i l c ie l o e l a terra. La d ia l e tt i c a giobertiana adu n q u e d is t i n gue u n ' ope­ r a z i o n e inti ma con cui l ' i nfi n ito determ ina sè s t es s o , come venne rivelata neH a C h i e s a , e razionalmente ad om ­ brata dai Padri ; ed u n ' a l tra o p e r a z io ne estrinseca c o n c u i Iddio a t tua i l mondo , i l q u al e in q u an t o è co n t e n u t o i n Dio è i n fi n i t o , perchè è Dio s tesso ; e d i n quanto è fuori d i l u i è esse n z i a l me n te l i m itato . Q u e s ta l i m i t a z i o­ ne però d i r e a l t à s i trova c o n g i u n t a con una potenza infinita , in qua n t o che non p u ò mai a de guar e l' i n fi nito at tuale , cioè Dio. L' i n fi n i to ed il finito s i u ni s c o n o dun-

- 161 que nella relazione di causalità , o nell' infinito pote nzia­ le , che tramezza tra l ' infin ito attuale , ed i l fi n i to . So­ pra questo i nfinito potenz iale s i fonda i l cronotopo , i l quale è la si nte s i del d iscreto e d e l continuo , ossia del­ l a causalità finita e de lla infinita. E queste due azioni comu nque si trovino i ntrecciate insieme rimangono sem­ pre distinte l ' una dall'altra ; e mentre la causalità finita cammina e progredisce , l ' altra permane nella . s ua sta-. bil ità , ch' è infinita quiete e però anche moto · i nfinito. I l fi nito viaggia verso u n a meta i nfinita , ma la meta s ta salda, e l' accostamento d i quello non può mai atti ngere l a sua inarrivabile permanenza. La dialettica hegeliana risguarda adunque i l movimento del fi nito , i l quale sta veraménte tra l' essere ed il nulla ( 1 ) ; m a essa non esce fuori di questa regio ne , e l' infinito l' è sempre stranie­ ro . Un infinito che può e deve mutarsi non è tale, se non d i nome , e tutti gli sforzi de ll' i ngegno non valgono a far­ lo mutar d i natura . La dialettir.a giobertiana accorda i l moto e la quiete , i l progresso e l a perfezione, il finito e l ' i n fi nito. I l moto tende verso l a qu iete , ma esso n ' è sempre distinto , l' adegua solo nella potenza infinita , cioè in Dio ; così pure i l progresso verso l a perfezione ; i l fi n ito verso l' infinito ; i l tempo verso r evo ; l' evo ver­ so l' eterni tà (2) . I l mondo considera to dunque potenzialmente è i n fi n i­ to, e Bru no, e tutt'i panteisti con lui , confusero i l mon­ do attuale col potenziale . Il mondo, diceva il C usano , è un Dio con tratto , perchè ogni partecipazione inchi ude l' al teri tà , o la negazione . La vera dialettica accorda l ' infinito potenziale con l' attuale limitazione , e fa i l mondo perfettibile a l l ' infi nito , ma n o n g i à infinito at­ tualmente ; Hegel amme ttendo l' i n finità attuale esclu( 1 ) I n ter D e u m e t n i h i l , coniertamus o m ne m cadere creat u ram . Nic . De Cusa, De Co niuctur . lib . l, Cap . Xl. ( 2 ) Te m p us ad ac vum i la pcrg i t , c u i n u m q uam , q uamvis accesse r i t C•J n ti n u c , p o t c r i t aùae rj u ari . Ni c . D e Cusa, De Coniectur. l i b l , Cap . Xl .

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de però la perfetl i b i l ità, e la palinge nesia , restringen­ do tutto nel prese n t e . La scienza nostra finalmente i n quanto riflette in sè l ' opera della creaz ione non produce , non crea e l l a me­ d e s i m a , ma rifà interiormente e suhbiettivamente la oh­ bie ttiva armonia. Essa dee cominciare da un concre to primitivo, perchè a ltrimenti non potrebbe p i ù arrivarv i , essendo destitu ita d i creativ a efficienz a . D i o solo p u ò co­ minciare dall' astratto , perchè ha virtù di render l o co n­ creto. La Logica nostra e l a Cosmologia so n o sorcl le n a­ te ad un parto dal la Ctisologia , ma non sono già la me­ de s i m a cosa , e non si possono scambiare l'una con l ' a l tra .

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CONCLUSI O N E SU LE CONDIZIONI

ATTt'ALI

VELLA F ILOSOFIA

IN ITALIA

l:n l avoro i l quale non procacciasse, o almeno non si sforzasse di procacciare un' u t i l i tà qualsiasi, e di avvan­ taggiare più che potesse la scienza i ntorno a cui s i tra.­ ,·agl i a . sarebbe un fuordopera ; e noi abbiam tante cose i n u t i l i , ch' ei non vale i l pregio di accrescerle a dism i­ sura. Qual è stato dunque il mio intendimento nello e­ sporre i l sistema di Giordano Bru no con tutte l e com­ messure ch' esso avea co l passato , con tutte le conseguen­ ze onde si mostrò gr avi do per l' avvenire ? Lo dirò in po-. che parole . Il Bruno fu il p ri m o che innanzi di Spinozs medesi mo avesse ridotto il pante i s m o in una forma s i­ stematica , ed ora il panteismo preoccupando moltissimi i nge gni d' Italia , ho stimato cosa proficua il risalire alla sua pri m a origine nella moderna filosofi a . Il pantei smo d i fatti si può dire i l sistema i n cui s' imbatte lo spirito umano n e l l ' uscire di u n evo mezzano ; perocchè esso è mistura e confusione di tutti gli elementi che compon­ gono i l mondo , la scienza, e la storia . E se si è rinno-. vato a dl nostr i , non è senza grave si gnificato . Anche noi versiamo nel l' uscita di un evo mezzano , e l a c onfus i o-­ ne dello Stato e della Ch ie s a non si è organata per mo� do , ch' essi possa n o dirsi distinti e connessi , seco ndo-. chè richiede la loro natura , e l ' organismo di ogni Ve\' a armonia . Questa condizione sofistica della v ita civile s i riflette nella scienza , ed i l panteismo sorge nte di ogoi sofist i c a viene sub ito fuori , e vizia la vita dell' intel let­ to, o i l pensiero . L' Italia si trova ora d ivisa in tre par­ ti , quanto alla scienza . Chè alc uni tengono per Rosmi­ ni , alcuni altri per H;egel , e m�ti fi,nalmente per G io-

- 1 64 berti . Tra que ste tre frazioni della scuola filosofica si può affermare però che una scuo l a ,·era , universa le, naziona­ le non ci sia. lmperocchè Rosm i n i non esaurisce tutta la filosufia , ri stretto come si trova tra le angustie idea­ l i , o nde i m·ano s' i ngegna di svi ncolarsi . Hegel esauri­ sce la scienza , ma trasformandol a , ed i ndiandola, o a n­ zi facendo s c e ndere la scienza diYina alla scarsa Jey atu­ r a d e l l a umana . Gioberti accenna la Yia , pone i n nanzi agl i occhi il disegno, m a per l' i mmatura morte nè co­ lorito abbastanza, e nemmeno da ogn i parte abbozzat o . Chi ve n n e dopo d i loro , conten to d i seguitare qua lche­ duno di questi tre gra nd i , ha chiarito qua l che particella secondaria della scienza , ma non n e h a nè ampl iato i l i m i ti , nè adombrato bene quel ch' era stato delinea­ to . Una scuola ita l iana non ci è . Parlo con la sch iettez­ za con la quale penso , nè per piaggiare scioccamente gli individui m' i ndurrei giammai a tradire l a mia intima conv i nzione, e i destin i avvenire della m ia patria . Gu ar­ dando da Torino a C a l abr i a , chieggo qua l lavoro si è d a­ to fuori degno del nome italiano dopo l a Protologia ed i l Nuovo Saggio ? Che si dovrebhe fare , pcrchè una scu ola attecch isse i n Italia ? Come ranivare gli spiriti egri cd i n fiacch iti ? Ecco brevemente que l che me ne pare . .Finchè l' i m i tazione forestiera , e l a smania d' i ntede­ scare la fi losofia durerà nella nostra penisola , potremo m·erc delle pall ide copie , ma non mai dei pensa tori ori­ gi nali e profond i . Sia quanto si vuole grande l ' i ngegno, sarà come la semenza gittata in terreno i nfecondo . L ' Ita­ l i a e bbe i l panteismo a tempi di G iordano Bruno ; ma ora i tempi sono mutati ; però i l Y o l e r tener dietro alla Germania , ch' è ancora nel suo medio evo , non mi sem­ bra part i to da seguitare . I l dissidio che divide oggidì l o Stato d a l la Ch iesa è passeggero , e la lotta non può portare mutazione di pri ncipii , come taluno va sognan­ do. L' Italia è, e vuole, e de\'· e rimanere cattolica ; e noi tutti facciamo voti che in Roma l' odierno conflitto fi n i-

- t 65 sca con u n i n no , che il Pontefice r i nsavito sciogl ierà quandoches i a d a l Vaticano , benedicendo di c u ore al trion­ fante Re d ' Ital i a . La Provvidenza non è mai ta n to m i­ sterio s a , se non quando e l l a pe rm e t ta che qu alche lotta avve nga ; e i suoi l aur i non sono riservati , se non dopo i l giorno della battagl i a . L 'oportet haere�es esse d e l l'Apo­ stolo h a un s i g n ificato profondo e terribile. Mi r icorda sempre di q u e l che n o tò il più p rofondo dei nostri stori­ ci a proposito di u n a nostra momentanea d i s fatta: cc Il martirio d i Carlo Albe rto , ei disse , ha sancito i l domma della monarchia in Italia. Iddio è grande , e sa meg l io d i noi apparecch i are i destini nostri . Se invece del mar­ tirio, Carlo Alberto avesse o t te nu t a la vittoria , quel l a sa nz ione d e l l a monarchia nei se c o l i ftlturi ita l ia n i s a­ rebbe stata men forte d' assai ( 1 ) )) . Così io ho ferma fi­ duc i a che Iddio per farne ap prezzar meglio il glorioso anenire che apparecch i a alle nazioni ed alla C h i e s a , permette che questo sia preceduto dagli amari giorni del dolore . S to l to chi s i per de d i animo , p i ù s tolto an­ cora chi avv i s a che le une o l ' altra debba venir meno. Solo le menti anguste non sanno cogliere la necessaria e sospirata armon i a . Le n a z i o n i sono le varietà specifi­ che , e l a Chiesa è i l genere uma no innalzato a d u n a p o­ tenza infinita ; ed esse s i puntellano l ' u n a con l ' altra , perchè a l l a Chiesa , come unità del genere , non si v a senza che si ricompongano le nazion i ; e q u e s te alla lor ,·olta non avrebbero fi nalità fuori de l l a Chiesa. I destini d' I ta li a e della Chiesa sono indissolubilmente le gati de n­ tro il mio pe ns iero , e nel l a mia fede , come l' apparir de l l ' a l ba ed il giganteggiar del s o l e nelle vie stermi na­ te de l firmamento. l sintomi di cui siamo s pettatori so­ no i dulori ò.el parto ; ed una n uova civ i ltà , p role ri go­ gliosa e robu sta, affatica i fianchi della giov ine E uropa, e tantosto eromperà a ripigl iare con lena infaticata l' at­ travers ato cammino. La filosofia german ica, com' è vagheggiata da alc u n i ,

(i)

Ce�are Balbo , Della Monarchia rappresentativa in Ital ia , Ca p . V I I .

- 1 66 (non dico da tu tti , pe rehè ve n ' ha di molti che i n buo­ n a fede l' accettano ) segnerebbe l' u l timo g iorno della rù·clazi onc , e del sovran naturale, dci dommi e della m o­ r a l e , che da tanti secoli sono stati l a credenza , e l a v i ta dei nostri padri . Questa , e lo d ico con alto sde­ gno che non si riferisce agl i uomini , ma alle dottrine , n o n è i l nostro bisogno ; e soggiungo anzi , è nos tra gra­ ve calamità . Che sarebbe d' Italia , se Vangelo e scienza di \'enissero ad un tempo il Razionalismo del pop olo di Au­ sonio .Franchi ? Che ci potremmo promettere da giova n i , ai quali s i dà a d i ntendere come fola e preoccupazione fanciu l lesca tutto qua n to si è adorato per più santo , si è creduto per più buono , s i è pensato per più vero? So­ pra q u al altro fondamento puntellare lo Stato vaci llan­ te ? Accorreranno a dife n dere la patria quegli uomini che non credo no alla comune origine, ed a l comune de­ stino dci popoli ? Lascio gli errori e la leggerezza di s i f­ fatti pronunziati , e guardo sol tanto alle loro conseguenze esiziali . N è di questo voglio accagion are l' autore ; l ' ho detto e lo ripeto : m i preme delle dottrine , e non degl i · uomini . Pronto e volenteroso come sono ad immo lare tutto alla mia patria , e però ai miei concittadi n i , io non potre i far loro i l sacrificio delle mie opi nion i . Ho det­ to anche poi pensatamente di non volerne i ncolp are l ' au­ tore , i n qua nto ch' egl i non h a fatto altro , che correre con diritta l ogica ai corollar1 inchiusi nei principii che trovò nella scie nza dei suoi tempi . Gli E leati furono i progenitori dei Sofisti , Cartesio produsse Pietro Bayle , e la fi losofia Germanica s i è conchiusa i n Itali a con Au­ son i o Franchi . Che cosa avesse prodotto i n G ermania , può vedersi com pendiato i n quei versi d i Goethe , nei quali fa parlare i l dottor Fausto , che dopo lunghi studt esclamav a : " Ma fu ggi ta è la

gioia,

e non so c o m e

T ro v a r c o s a c h e v a g l i a e apprender c o s a Che gli uomini m igliori e l i converta (1)

( t)

n .

Fau s to , T r aged i a d i W . Go e th e , Trad . d a l l ' eg r e g i o Fed e r i c o P e rs i c o .

- 1 67 Or domando i o q u al cosa approdasse a l genere u m ano u n a scienza siffatta ? Che rile\·a all' uomo il sapere , se dopo e i non se ne sente migliorato gran fatto ? Tanto pure tornava i l rim anere salvatir.o ed ignorante . Gioberti estendeva la influenza della fi losofia germanica su le v i­ cende politiche di q u ella smi nuzzata nazione ; ed i l raro acume di quel nostro statista , sarebbe s u fficie n te a far­ c e ne gu ardare eziandio come da ostacolo al nostro n a­ zionale m i gliorame nto , m a i o non voglio entrare in que­ st' altra discussione (1). Ho però per fermo che l 'ammis­ sione di quella fi losofia i n Italia pervertisca l' aniamen­ to de lla nos tra , e renda , se non impossibile , as�ai ditli­ cile certo la d i ffusione di una scuola nos trale . Do \· e n d o scegliere ora tra i · nostri un pri ncipio , u n uomo , un s imbolo che ra ggr u p p i e s tringa i n u n o i pen­ satori italian i , quale si dovrehbe porre innanzi '? L a fi­ losofia ros m i n i a n a è vacua d i ogni operosità ; è u n a fi­ losofia d i mezzata e monca , perchè i l forte i n gegno del Rosmini v o l l e e i mede s i mo impastoiarsi de n tro un cir­ colo , che s i descrisse attorno come quel Popi lio roma­ no . Ella non può produrre però u na scuola , q u ando que­ sta s i wlesse i n te ndere come u n orga nismo vive n te . lm­ perocchè i l concetto d e l l a scuola inch iude q u e l l o d e l l a v i t a c ivile , e de l l e credenze re l i g i os e ; o nde perfettissi­ m a fra tutte quelle de ll' antichità v uolsi repu tare la pi­ tagorica , la qua l e era ad un tempo un cul to , una re­ pubbl ica , un ce nobio , un l iceo , u n a scuo l a ;ed un' acca­ demia . La fi l o s o fi a del Rosmini a l l ' incon tro non discen­ de mai tra la polvere della v i ta , e si sta spettatrice i ner­ te come la Rachele dell' Al ighieri. Essa, diceva Giober­ ti , è paralitica ; però noi Yediamo che con tutta l a d i l i­ genza e l a tenerezza dei suoi cul tori nè s i è allargata , nè si è ra d i c at a nella pe n iso l a . Ma dunque, s i d irà , si ac­ colga il b uono di t u t te le scuole , e si faccia prova d' i n­ trodurre una cotal maniera d i eccletismo , ove Hege l i a( 1 ) R iscontri

i l l e t t o re il

Rinnovamento

c i v i le d ' I t a l i a , Voi I , c a p . i .

- 1 68 ni,

Rosmi niani , Giohertian i trov ino tutti i l loro l uogo . Nemmeno q ue s t o ri uscirà , d i co i o . E s e n z a ricorrere a d induzioni inuti l i , m i co n te n terò di addurre i n mezzo il tentativo del Mamiani fa l l ito , giusto per aver fat to del­ l ' Accade m i a de l l a fi loso fi a civile di Ge nova più u n ag­ gregato, che u n s i stem a . Adunque a fondare una scuola nazion ale, l a q u a l e si possa spandere per tutta l a pe niso­ la, si r i c h i e d e una filosofia conforme a l l a nostra i ndole ed alle nostre tradizioni , non accattata dag l i stranieri , non infetta di m i screde n z a . Ci vuole i no l tre u n a sola fi­ losofia, e non già u n'accozzaglia, ed una i n tarsiatura fat­ ta a l l a fogg i a de l l' ecc letismo francese. Ci vuole final­ mente una fi l osofia operosa che avvezzi gl' i ntelletti a profo nde speculazioni , ed il cuore a nobi l i voti. In Napo l i questo bisogno fu divinato e d i l nome d i Vincenzo Gioberti si pronunziò come simbolo d i unione scien tifica. In Napoli o\·e la filosofia i taliana n acque e crebbe e fiorì , e l l a è destinata a ri sorgere . Po ngano ma­ n o gli egregi uomini che intendono al c u l to del vero a rinfocolare l' ardore i n tiepidito n e i petti dei nostri gio­ vani, e non andrà guarì che nella patri a di Gia mbatt i sta Vico l' Europa riverirà d i nuova l a risorta sapienza ita­ licà . Giovanetto ancora sognava c h e i l nome d i Vince n­ zo Gioberti suonerebbe terribi le s u i campi di battaglia , e venerando tra le arcate del l a Univers ità. Que l m i o sogno giovanile s i è anerato i n gran parte , e la indipendenza e l ' u n ità· de l la mia patria propugn ata da q u e l grande statista è presso a compiersi ; m i sarebbe ora assai dolce il vedere u n a scuola , ed u n ' accademia i niziarsi , diffon­ dersi , giganteggiare i n quel nome sì caro a d ogni i ta l i a­ no , c o n quella formo l a che assomma l a s c i e n z a e l a fede dei nostri padri . Da esse sol tanto noi potremo sperare giovani , compagni di quelli che combatterono a C u rta­ ton a e cacci arono gli Austriaci da Varese e da Como . FINE

I N D I C E

Pag. 1 V JTA E CASI DI G IORDANO B RUNO . CAP. l . Della dia l e t t ica considerata nelle tre scuole di. Cl'oton!l , di Elea e di A lessandria 11 )) I l . Della dialettica secondo Niccolò di Cusa 28 Della dialettica di Giorda11 0 Bru n o . • I II. 53 73 Dell' U n o , del Massimo e del Minimo )) l v . Dell ' Universo e d e i Mondi )) v . 85 Crit ica del sistema di Giordano Brun o . �9 VI . n V I l . La filos ofia di Bru 11 0 riscontrata con quella di Sp in oza e di Schelling 113 1 42 V l l l . Della dialettica Hegeliana e G i obertiana C oNCLUSIONE - Su le condizioni attuali della filosofia in Italia 1 63 •

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