Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale: Le forme del potere laico ed ecclesiastico nella media valle del Sinni tra X e XV secolo d.C. 9781407357621, 9781407357638

Il presente volume sottolinea le peculiarità di un area, la valle del Sinni in Basilicata, in cui coesistono elementi di

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale: Le forme del potere laico ed ecclesiastico nella media valle del Sinni tra X e XV secolo d.C.
 9781407357621, 9781407357638

Table of contents :
Lista delle figure
Lista delle tavole
Prefazione
Presentazione
Abstract generale
1. Introduzione
1.1 Metodologie d’indagine e inquadramento geomorfologico della ricerca
1.2 Metodologia e avanzamento della ricerca
1.3 Inquadramento geologico della media valle del Sinni
2. Profilo storico, fonti e documenti
2.1 Premessa
2.2 Storia dei conti normanni di Clermont
2.3 Fonti e documenti
2.3.1 Diploma del 1226. Rivindica di patronato sulla chiesa di San Tommaso Apostolo
2.3.2 Albereda, Signora di Colubraro e Policoro
2.3.3 Il codice “Dolcetti” dell’abbazia cistercense di Sagittario presso Chiaromonte
2.3.4 La Contea di Chiaromonte: dai Clermont ai Sanseverino
3. Le fonti toponomastiche nella media valle del Sinni
3.1 Introduzione
3.2 Macrotoponimi, microtoponimi
3.3 Agiotoponimi
3.4 Toponimo “la Motta”
4. Metodi di documentazione archeologica e architettonica: tecniche di fotomodellazione 3d
4.1 L’impiego dei SAPR in archeologia e topografia
4.2 Fotomodellazione 3d tramite APR e riprese da terra
4.3 Conclusioni
5. Topografia e distribuzione dei siti medievali lungo il fiume Sinni
5.1 Le attività di survey archeologico: questioni di metodo
5.2 Viewshed Analysis tra siti fortificati. I casi della media valle del Sinni (Basilicata meridionale) tra XI e XIV sec. d.C.
5.3 Interpretazione dei dati
6. La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.
6.1 Centri a continuità di vita e strutture fortificate abbandonate
Schede di sito
6.2 Siti monastico-religiosi urbani ed extraurbani
Urbani
6.2.1 Scheda 1
6.2.2 Scheda 2
6.2.3. Scheda 3
6.2.4 Scheda 4
Extraurbani
6.2.5 Scheda 5
6.2.6 Scheda 6
L’eremo del monte Caramola. La terza dimora del Beato
6.2.7 Scheda 7
6.2.8 Scheda 8
6.2.9 Scheda 9
6.2.10 Scheda 10
6.3 Siti laici fortificati
6.3.1 Scheda 11
6.3.1.1 Scheda 11a
6.3.1.2 Scheda 11b
6.3.2 Scheda 12
6.3.3 Scheda 13
6.3.4 Scheda 14
6.3.5 Scheda 15
6.3.6 Scheda 16
6.3.7 Scheda 17
6.3.8 Scheda 18
Il torrazzo sommitale (fig. 88)
L’abitato
6.3.9 Scheda 19
6.3.10 Scheda 20
6.3.11 Scheda 21
6.3.12 Scheda 22
6.3.13 Scheda 23
7. L’indagine archeologica nella media valle del Sinni
7.1 Il complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ)
7.1.1 Premessa
7.1.2 Scheda sito
7.1.3 Metodologia della ricerca archeologica.
Le indagini preliminari
7.1.4 L’indagine archeologica
7.1.5 La fase di età lucana: IV sec. a.C. – I sec. d.C.
7.1.6 La fase di età imperiale: I sec. d.C. – III sec. d.C.
Villa e impianto termale
7.1.7 La grancia di età medievale e post-medievale
7.1.8 La ceramica di età lucana e romana di età imperiale
7.1.9 La ceramica di età medievale e postmedievale
7.1.10 I reperti particolari
7.1.11 Dati archeobotanici
7.1.12 La grancia di Ventrile: l’indagine architettonica
7.1.12.1 Le strutture difensive
7.1.12.2 Le coperture
7.1.12.3 Le aperture
7.1.12.4 Gli impalcati lignei e le buche pontaie
7.1.13 La grancia di Ventrile: il recupero architettonico
7.1.13.1 Il progetto di restauro
7.1.13.2 Interventi sulle murature esistenti
7.1.13.3 Reti di servizio antiche e riutilizzo
7.1.14 Considerazioni conclusive
7.2 Castello Isabella Morra (Valsinni, MT)
7.2.1 Premessa
7.2.2 Scheda sito
7.2.3 L’indagine archeologica
7.2.4 Le fasi di scavo
7.2.5 La ceramica
7.2.6 I reperti particolari
7.2.7 Castello Isabella Morra: l’indagine architettonica. I materiali costruttivi e le tecniche edilizie
7.2.8 Considerazioni conclusive
8. Valorizzazione del patrimonio archeologico medievale
8.1 Archeologia virtuale e Open Data. Il progetto “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)”. Premessa
8.2 Il progetto “Archeo Mappa”
8.3 Progetti di valorizzazione e fruizione in Basilicata: il caso di Chiaromonte (PZ). Fasi ed attività di dettaglio
8.4 Conclusioni
9. Sistemi insediativi nella media valle del Sinni (PZ): il quadro interpretativo
Fonti
Bibliografia
Tavole

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2021

Il presente volume sottolinea le peculiarità di un area, la valle del Sinni in Basilicata, in cui coesistono elementi di continuità insediativa. I dati della ricerca, che si estende dalle coste ioniche alle pendici del Monte Sirino, non sono una riproposizione di scritti precedenti, bensì veri aggiornamenti. L’indagine ha preso in considerazione un arco cronologico compreso tra X e XV sec. d.C., epoca in cui lungo il fiume Sinni si conservano significative tracce di insediamenti medievali. Territorialmente comprendeva le aree del Mercourion e del Latinianon, coinvolti nello sviluppo di insediamenti religiosi di rito greco e latino, oltre ad essere interessata dal fenomeno parallelo dell’incastellamento. Dall’XI sec. d.C. la tipologia insediativa in questo territorio muta rispetto al periodo precedente, transitando da un modello di insediamento sparso a carattere rurale verso l’intensificarsi dell’insediamento demico sui colli sommitali. Ai complessi monasteriali verrà affidato lo sfruttamento delle risorse del territorio rurale, con il ripopolamento di aree abbandonate.

‘The work of Vitale is very important for understanding the rich but unknown history of southern Basilicata during the medieval period.’ Peer reviewer

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Le forme del potere laico ed ecclesiastico nella media valle del Sinni tra X e XV secolo d.C. VA L E N T I N O V I T A L E

B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 3 0 4 2

2021 297mm HIGH

This volume studies the peculiarities of the Sinni valley in Basilicata, where evidence of secular and religious settlement continuity coexists. The data extends from the Ionian coasts to the slopes of Mount Sirino from the 10th to the 15th century AD, and the author analyses the significant traces of medieval settlements preserved along the river Sinni.

BAR  S3042  2021   VITALE   Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 3 0 4 2

14.9mm

‘This research fills a gap in the historical reconstruction of settlement development in southern Italy during the Middle Ages. It gives insight into the origin and evolution, from both historical and architectural points of view, of the fortified centres in this region, thus offering a useful comparison for the analysis of the same phenomenon in other Italian regions.’ Peer reviewer Valentino Vitale è Dottore di Ricerca in Archeologia Medievale e Assegnista di Ricerca presso il CNR - ISPC (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale). Si occupa dello studio degli insediamenti fortificati d’altura dell’Italia Meridionale. Valentino Vitale holds a PhD in Medieval Archaeology and is a research fellow at CNR ISPC (National Research Council - Institute of Sciences of Cultural Heritage).

Printed in England

210 x 297mm_BAR Vitale 14.9mm CPI ARTWORK.indd 2-3

19/08/2021 10:02

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Le forme del potere laico ed ecclesiastico nella media valle del Sinni tra X e XV secolo d.C. VA L E N T I N O V I T A L E

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2021 297mm HIGH

210 x 297mm_BAR Vitale TITLE LSARTWORK.indd 1

18/08/2021 12:47

Published in 2021 by BAR Publishing, Oxford BAR International Series 3042 Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale ISBN  978 1 4073 5762 1 paperback ISBN  978 1 4073 5763 8 e-format doi  https://doi.org/10.30861/9781407357621 A catalogue record for this book is available from the British Library © Valentino Vitale 2021 Cover image  Chiaromonte (PZ): loc. Torre della Spiga. Convento dei frati della Riforma del Carmine (foto V. Vitale). The Author’s moral rights under the 1988 UK Copyright, Designs and Patents Act are hereby expressly asserted. All rights reserved. No part of this work may be copied, reproduced, stored, sold, distributed, scanned, saved in any form of digital format or transmitted in  any form digitally, without the written permission of the Publisher. Links to third party websites are provided by BAR Publishing in good faith and for information only. BAR Publishing disclaims any responsibility for the materials contained in any third party website referenced in this work.

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Indice Lista delle figure................................................................................................................................................................ xi Lista delle tavole.............................................................................................................................................................. xvi Prefazione....................................................................................................................................................................... xvii Presentazione.....................................................................................................................................................................xx Abstracts......................................................................................................................................................................... xxii 1. Introduzione....................................................................................................................................................................1 1.1 Metodologie d’indagine e inquadramento geomorfologico della ricerca.......................................................................1 1.2 Metodologia e avanzamento della ricerca.......................................................................................................................3 1.3 Inquadramento geologico della media valle del Sinni....................................................................................................5 2. Profilo storico, fonti e documenti...................................................................................................................................7 2.1 Premessa.........................................................................................................................................................................7 2.2 Storia dei conti normanni di Clermont............................................................................................................................8 2.3 Fonti e documenti.........................................................................................................................................................13 2.3.1 Diploma del 1226. Rivindica di patronato sulla chiesa di San Tommaso Apostolo.............................................13 2.3.2 Albereda, Signora di Colubraro e Policoro...........................................................................................................13 2.3.3 Il codice “Dolcetti” dell’abbazia cistercense di Sagittario presso Chiaromonte...................................................14 2.3.4 La Contea di Chiaromonte: dai Clermont ai Sanseverino.....................................................................................16 3. Le fonti toponomastiche nella media valle del Sinni.................................................................................................19 3.1 Introduzione..................................................................................................................................................................19 3.2 Macrotoponimi, microtoponimi....................................................................................................................................19 3.3 Agiotoponimi................................................................................................................................................................21 3.4 Toponimo “la Motta”....................................................................................................................................................28 4. Metodi di documentazione archeologica e architettonica: tecniche di fotomodellazione 3d.................................31 4.1 L’impiego dei SAPR in archeologia e topografia.........................................................................................................33 4.2 Fotomodellazione 3d tramite APR e riprese da terra....................................................................................................35 4.3 Conclusioni...................................................................................................................................................................37 5. Topografia e distribuzione dei siti medievali lungo il fiume Sinni............................................................................41 5.1 Le attività di survey archeologico: questioni di metodo...............................................................................................42 5.2 Viewshed Analysis tra siti fortificati. I casi della media valle del Sinni (Basilicata meridionale) tra XI e XIV sec. d.C. ........................................................................................................................................................43 5.3 Interpretazione dei dati.................................................................................................................................................48 6. La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.........................................................................................................................53 6.1 Centri a continuità di vita e strutture fortificate abbandonate.......................................................................................53 Schede di sito......................................................................................................................................................................54 6.2 Siti monastico-religiosi urbani ed extraurbani..............................................................................................................54 Urbani.............................................................................................................................................................................54 6.2.1 Scheda 1................................................................................................................................................................54 6.2.2 Scheda 2................................................................................................................................................................56 6.2.3 Scheda 3................................................................................................................................................................60 6.2.4 Scheda 4................................................................................................................................................................65 Extraurbani.....................................................................................................................................................................69 6.2.5 Scheda 5................................................................................................................................................................69 6.2.6 Scheda 6................................................................................................................................................................79 L’eremo del monte Caramola. La terza dimora del Beato.........................................................................................81 6.2.7 Scheda 7................................................................................................................................................................82 vii

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale 6.2.8 Scheda 8................................................................................................................................................................85 6.2.9 Scheda 9................................................................................................................................................................92 6.2.10 Scheda 10............................................................................................................................................................98 6.3 Siti laici fortificati.......................................................................................................................................................102 6.3.1 Scheda 11............................................................................................................................................................102 6.3.1.1 Scheda 11a...................................................................................................................................................106 6.3.1.2 Scheda 11b..................................................................................................................................................111 6.3.2 Scheda 12............................................................................................................................................................114 6.3.3 Scheda 13............................................................................................................................................................118 6.3.4 Scheda 14............................................................................................................................................................121 6.3.5 Scheda 15............................................................................................................................................................124 6.3.6 Scheda 16............................................................................................................................................................125 6.3.7 Scheda 17............................................................................................................................................................127 6.3.8 Scheda 18............................................................................................................................................................128 Il torrazzo sommitale...............................................................................................................................................129 L’abitato...................................................................................................................................................................130 6.3.9 Scheda 19............................................................................................................................................................131 6.3.10 Scheda 20..........................................................................................................................................................132 6.3.11 Scheda 21..........................................................................................................................................................134 6.3.12 Scheda 22..........................................................................................................................................................136 6.3.13 Scheda 23..........................................................................................................................................................138 7. L’indagine archeologica nella media valle del Sinni................................................................................................143 7.1 Il complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ).......................................................................................143 7.1.1 Premessa..............................................................................................................................................................143 7.1.2 Scheda sito..........................................................................................................................................................144 7.1.3 Metodologia della ricerca archeologica..............................................................................................................146 Le indagini preliminari............................................................................................................................................146 7.1.4 L’indagine archeologica......................................................................................................................................148 7.1.5 La fase di età lucana: IV sec. a.C. – I sec. d.C....................................................................................................150 7.1.6 La fase di età imperiale: I sec. d.C. – III sec. d.C...............................................................................................151 Villa e impianto termale..........................................................................................................................................151 7.1.7 La grancia di età medievale e post-medievale....................................................................................................153 7.1.8 La ceramica di età lucana e romana di età imperiale..........................................................................................158 7.1.9 La ceramica di età medievale e postmedievale...................................................................................................158 7.1.10 I reperti particolari............................................................................................................................................159 7.1.11 Dati archeobotanici...........................................................................................................................................160 7.1.12 La grancia di Ventrile: l’indagine architettonica...............................................................................................161 7.1.12.1 Le strutture difensive.................................................................................................................................161 7.1.12.2 Le coperture...............................................................................................................................................162 7.1.12.3 Le aperture.................................................................................................................................................163 7.1.12.4 Gli impalcati lignei e le buche pontaie......................................................................................................163 7.1.13 La grancia di Ventrile: il recupero architettonico..............................................................................................164 7.1.13.1 Il progetto di restauro................................................................................................................................164 7.1.13.2 Interventi sulle murature esistenti.............................................................................................................164 7.1.13.3 Reti di servizio antiche e riutilizzo............................................................................................................165 7.1.14 Considerazioni conclusive................................................................................................................................165 7.2 Castello Isabella Morra (Valsinni, MT)......................................................................................................................168 7.2.1 Premessa..............................................................................................................................................................168 7.2.2 Scheda sito..........................................................................................................................................................168 7.2.3 L’indagine archeologica......................................................................................................................................170 7.2.4 Le fasi di scavo...................................................................................................................................................170 7.2.5 La ceramica.........................................................................................................................................................176 7.2.6 I reperti particolari..............................................................................................................................................177 7.2.7 Castello Isabella Morra: l’indagine architettonica. I materiali costruttivi e le tecniche edilizie.........................177 7.2.8 Considerazioni conclusive..................................................................................................................................178 8. Valorizzazione del patrimonio archeologico medievale...........................................................................................181 8.1 Archeologia virtuale e Open Data. Il progetto “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)”. Premessa.............181

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Indice 8.2 Il progetto “Archeo Mappa”.......................................................................................................................................181 8.3 Progetti di valorizzazione e fruizione in Basilicata: il caso di Chiaromonte (PZ). Fasi ed attività di dettaglio.........183 8.4 Conclusioni.................................................................................................................................................................185 9. Sistemi insediativi nella media valle del Sinni (PZ): il quadro interpretativo..................................................................................................................................................187 Fonti.................................................................................................................................................................................195 Bibliografia......................................................................................................................................................................197 Tavole...............................................................................................................................................................................205

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Lista delle figure Fig. 1. - Basilicata meridionale. Localizzazione dei siti medievali tra Mercurion e Latinianon..........................................2 Fig. 2. - Genealogia della famiglia Clermont e Sanseverino..............................................................................................11 Fig. 3. - Certosa San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ). Foto obliqua da drone....................................................20 Fig. 4. - Eremo di San Saba................................................................................................................................................22 Fig. 5. - Romitorio del Beato Giovanni da Caramola in loc. “I Romiti” (Chiaromonte, PZ). Foto obliqua da drone........22 Fig. 6. - Archivio di Stato di Potenza. Cartografia storica Sagittario..................................................................................23 Fig. 7. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ). Foto obliqua da drone........................24 Fig. 8. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ): a) foto obliqua da drone; b) foto nadirale da drone......25 Fig. 9. - Grancia urbana del Sagittario (Chiaromonte, PZ): foto nadirale da drone...........................................................26 Fig. 10. - Localizzazione dei ruderi della chiesa extraurbana di Santa Lucia (Chiaromonte, PZ).....................................28 Fig. 11. - Loc. Torre della Spiga (Chiaromonte, PZ). Area di possibile localizzazione del toponimo “La Motta”............29 Fig. 12. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): rilievo e ortofotopiano.............................................33 Fig. 13. - Foto obliqua da drone presso loc. ‘Cozzo Madonne della Rocca’ (Colobraro, MT)..........................................34 Fig. 14. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT): modelli 3d delle aeree di scavo...........................................................36 Fig. 15. - Esempi di modelli tridimensionali (castello Isabella Morra, Valsinni - MT)......................................................37 Fig. 16. - Modello tridimensionale del fonte battesimale (XVI sec. d.C.) proveniente dalla chiesa di San Tommaso Apostolo di Chiaromonte (PZ)...........................................................................................................................38 Fig. 17. - Viewshed analysis: Chiaromonte (PZ)................................................................................................................44 Fig. 18. - Viewshed analysis (TIN): loc. Castello di Seluci (Lauria, PZ)...........................................................................45 Fig. 19. - Fasi delle attività di rilievo del progetto. In alto presso loc. Castello di Seluci (Lauria, PZ); in basso presso loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT)................................................................................................46 Fig. 20. - Panoramica da loc. Il Pizzo (Valsinni, MT). Chiusura naturale della valle del Sinni.........................................47 Fig. 21. - Veduta dello sperone roccioso (al centro dello scatto) su cui sorge il sito di Castello di Seluci (Lauria, PZ)....48 Fig. 22. - Viewshed analysis tra siti monastici: monastero di Santa Maria del Sagittario/Certosa di San Nicola in Valle.... 49 Fig. 23. - Carta di fase: secc. X-XI d.C. ............................................................................................................................50 Fig. 24. - Convento dei frati della Riforma del Camine (Loc. Torre della Spiga, Chiaromonte - PZ): a) veduta generale; b) foto nadirale....................................................................................................................................................55 Fig. 25. - Collegiata di San Tommaso Apostolo e palazzo Chiaromonte/Sanseverino (Chiaromonte, PZ). Foto obliqua da drone..................................................................................................................................................................57 Fig. 26. - Collegiata di San Tommaso Apostolo (Chiaromonte, PZ): passaggio sopraelevato che mette in comunicazione la chiesa con palazzo Chiaromonte/Sanseverino.......................................................................................58 Fig. 27. - Collegiata di San Tommaso Apostolo (Chiaromonte, PZ): fonte battesimale....................................................59 Fig. 28. - Chiesa di San Giovanni Battista (Chiaromonte, PZ). Foto oblique da drone.....................................................60 Fig. 29. - Chiesa di San Giovanni Battista (Chiaromonte, PZ): statua lignea della Madonna con Bambino (XIII sec. d.C.).............................................................................................................................................................................62 Fig. 30. - Chiesa di San Giovanni Battista (Chiaromonte, PZ): elementi lapidei decorati e lapide iscritta (XVI sec. d.C.).............................................................................................................................................................................63

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Fig. 31. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): chiesa (in alto); veduta complessiva del fronte orientale (in basso)..............................................................................................................................................................65 Fig. 32. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): campanile..........................................................................66 Fig. 33. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): prospetto murario chiesa con le tracce delle imposte degli archi del chiostro prima e dopo le fasi di restauro.......................................................................................67 Fig. 34. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): apertura ad ogiva nella parete del presbiterio della chiesa...................................................................................................................................................................................67 Fig. 35. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): portale principale della chiesa...........................................68 Fig. 36. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ). Portale principale della chiesa: elementi architettonici decorati..........................................................................................................................................................68 Fig. 37. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ). Portale principale della chiesa: stemma delle famiglie Sanseverino (a sinistra) e Clermont (a destra)......................................................................................................68 Fig. 38. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ): foto nadirale da drone......................69 Fig. 39. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ): panoramica da settentrione..............74 Fig. 40. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ): campanile (particolare)....................75 Fig. 41. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ): planimetria del complesso datata al 1707 (Archivio di Stato di Firenze)......................................................................................................................76 Fig. 42. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ): planimetria generale........................78 Fig. 43. - Eremo del Beato Giovanni da Caramola (Chiaromonte, PZ): foto nadirale da drone........................................79 Fig. 44. - Eremo del Beato Giovanni da Caramola (Chiaromonte, PZ): panoramica generale dell’ingresso.....................80 Fig. 45. - Eremo del Beato Giovanni da Caramola (Chiaromonte, PZ): giaciglio del Beato.............................................80 Fig. 46. - Eremo del Beato Giovanni da Caramola (Chiaromonte, PZ): veduta generale da settentrione..........................81 Fig. 47. - Archivio di Stato di Potenza: piata topografica (XIX secolo). In alto a sinistra indicazione del toponimo “Cella del Romito”.............................................................................................................................................82 Fig. 48. - Eremo di San Saba (Fardella, PZ): veduta delle strutture murarie della cella....................................................83 Fig. 49. - Eremo di San Saba (Fardella, PZ): panoramica da meridione............................................................................84 Fig. 50. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): foto obliqua da drone..............................................85 Fig. 51. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): foto nadirale da drone del chiostro..........................89 Fig. 52. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): foto nadirale da drone della chiesa..........................90 Fig. 53. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): veduta della chiesa..................................................90 Fig. 54. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): panoramica del chiostro e degli ambienti cucina....91 Fig. 55. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): archi rampanti di sostengo al portico esterno delle celle (in alto); volte del refettorio (in basso).................................................................................................92 Fig. 56. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): opificio idraulico (tromba)......................................92 Fig. 57. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): elementi architettonici decorati...............................93 Fig. 58. - Area del monastero di Sant’Elia e Sant’Anastasio (Carbone, PZ)......................................................................94 Fig. 59. - Monastero di Sant’Elia e Sant’Anastasio (Carbone, PZ). Strutture murarie superstiti.......................................96 Fig. 60. - Monastero di Sant’Elia e Sant’Anastasio (Carbone, PZ): sezione stratigrafica..................................................97 Fig. 61. - Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (Loc. Rubeo, Noepoli - PZ). In alto: panoramica generale delle strutture superstiti; in basso: foto nadirale da drone..................................................................................................98 Fig. 62. - Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (Loc. Rubeo, Noepoli - PZ): veduta delle strutture..........................100 Fig. 63. - Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (Loc. Rubeo, Noepoli - PZ): semicolonne in muratura....................101

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Lista delle figure Fig. 64. - Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (Loc. Rubeo, Noepoli - PZ): veduta delle strutture interne del grande vano longitudinale...........................................................................................................................................101 Fig. 65. - Chiaromonte (PZ). a) Panoramica dal torrente Rubbio (in alto); b) foto obliqua da drone (in basso).............102 Fig. 66. - Chiaromonte (PZ). Restituzione aerofotogrammetrica su base ortofoto 2013..................................................104 Fig. 67. - Chiaromonte (PZ), loc. Torre della Spiga: a) foto nadirale da drone (in alto); b) panoramica (in basso)........107 Fig. 68. - Chiaromonte (PZ): portale di difesa (XIV sec. d.C.) c.d. purtiello...................................................................108 Fig. 69. - Chiaromonte (PZ). Individuazione porta di San Cristoforo (foto storica 1937)...............................................109 Fig. 70. - Chiaromonte (PZ): torre del palazzo di Giura...................................................................................................110 Fig. 71. - Chiaromonte (PZ), giardino del palazzo di Giura: torre a pianta rettangolare (XIV sec. d.C.)........................110 Fig. 72. - Chiaromonte (PZ): torre circolare (a sinistra) e mura di fortificazione (a destra).............................................111 Fig. 73. - Loc. Torre della Spiga (Chiaromonte, PZ): tipologie torri di fortificazione.....................................................112 Fig. 74. - Loc. Torre della Spiga (Chiaromonte, PZ): focalare.........................................................................................113 Fig. 75. - Palazzo Chiaromonte/Sanseverino (Chiaromonte, PZ): foto nadirale da drone...............................................113 Fig. 76. - Palazzo Chiaromonte/Sanseverino (Chiaromonte, PZ). In evidenza la probabile struttura originaria del castello........................................................................................................................................................................115 Fig. 77. - Senise (PZ): veduta panoramica del palazzo fortificato....................................................................................115 Fig. 78. - Senise (PZ): torri di difesa circolari..................................................................................................................117 Fig. 79. - Episcopia (PZ): panoramica del castello...........................................................................................................118 Fig. 80. - Castello di Episcopia (PZ): a) foto nadirale da drone (in alto); b) foto obliqua da drone (in basso)................120 Fig. 81. - Episcopia (PZ): veduta della torre circolare del castello...................................................................................121 Fig. 82. - Teana (PZ): foto nadirale da drone dell’area fortificata di epoca medievale....................................................122 Fig. 83. - Teana (PZ): foto obliqua da drone del centro storico........................................................................................123 Fig. 84. - Teana (PZ): area fortificata medievale. Interventi moderni a danno delle stratigrafie archeologiche...............124 Fig. 85. - Loc. Cozzo dei Ceci (Calvera, PZ). In evidenza l’area del complesso fortificato. Sullo sfondo Teana...........125 Fig. 86. - Loc. Cozzo dei Ceci (Calvera, PZ): resti di strutture murarie...........................................................................126 Fig. 87. - Castello di Seluci (Lauria, PZ): panoramiche generali.....................................................................................128 Fig. 88. - Castello di Seluci (Lauria, PZ). Area sommitale: resti del ridotto fortificato...................................................130 Fig. 89. - Castello di Seluci (Lauria, PZ). Perimetrale meridionale del torrazzo sommitale............................................130 Fig. 90. - Castello di Seluci (Lauria, PZ). Struttura a pianta quadrata (torretta di difesa?) presso il borgo.....................131 Fig. 91. - Latronico (PZ): panoramica del centro storico.................................................................................................132 Fig. 92. - Loc. Il Pizzo (Valsinni, MT): foto nadirale da drone........................................................................................133 Fig. 93. - Colobraro (MT): foto nadirale da drone del castello.........................................................................................134 Fig. 94. - Colobraro (MT): strutture del frantoio del castello...........................................................................................135 Fig. 95. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT). Foto obliqua da drone: in primo piano il poggio su cui sorge il torrazzo fortificato.....................................................................................................................................136 Fig. 96. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT): panoramica del torrazzo fortificato...............................137 Fig. 97. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT). Strutture murarie del torrazzo fortificato......................137 Fig. 98. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro MT). Struttura muraria circolare (abside?)..............................138 Fig. 99. - Loc. Catarozzo (Francavilla in Sinni, PZ): foto nadirale da drone (in alto); ortofotopiano con indicazione dei corpi di fabbrica (in basso)......................................................................................................................139 Fig. 100. - Loc. Catarozzo (Francavilla in Sinni, PZ): particolari murari........................................................................141

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Fig. 101. - Loc. Catarozzo (Francavilla in Sinni, PZ): cisterna (?)...................................................................................142 Fig. 102. - Grancia del Ventrile (Chiaromonte, PZ): panoramica generale prima delle fasi di restauro..........................144 Fig. 103. - Grancia del Ventrile (Chiaromonte, PZ): panoramica generale del complesso architettonico restaurato (foto obliqua da drone).....................................................................................................................................145 Fig. 104. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Planimetria generale con indicazione dei saggi di scavo archeologico..............................................................................................................................................147 Fig. 105 - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Allargamento Est: veduta del piano di calpestio originario............................................................................................................................................................149 Fig. 106. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3, US 280. Tracce superstiti del piano pavimentale del primo piano.............................................................................................................................................149 Fig. 107. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3. Particolare trave lignea in situ...................150 Fig. 108. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3, ingresso......................................................150 Fig. 109. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3, UUSSMM 423, 424. Scoli per latrina........151 Fig. 110. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CA’B, CF 20 veduta generale delle terme di età romano-imperiale....................................................................................................................................................152 Fig. 111. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Terme di età romano-imperiale: Ortofotopiano US 500.......................................................................................................................................................152 Fig. 112. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CA’B, CF 20: stratigrafie cinerose.......................153 Fig. 113. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CA’A, CF 12, Saggio X, UUSS 426, 529, 530....153 Fig. 114. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 11 (cappella) - piano pavimentale..................154 Fig. 115. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Archivio Privato Percoco: documento attestante la sepoltura di un privato nel 1762 presso la cappella di Ventrile....................................................................154 Fig. 116. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Chiostro, scale......................................................155 Fig. 117. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Arcate del chiostro e stratigrafie alluvionali........156 Fig. 118. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Chiostro (CF 12): acciottolato pavimentale.........156 Fig. 119. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Chiostro (CF 12): canalizzazioni per il deflusso delle acque meteoriche........................................................................................................................................157 Fig. 120. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Chiostro (CF 12): Canalizzazioni, pozzetto di raccolta. Sono visibili sul fondo stratigrafie databili ad epoca romano-imperiale........................................................157 Fig. 121. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Chiostro (CF 12): elemento lapideo iscritto........158 Fig. 122. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Terme (CF 20): ceramica sigillata italica (in alto) e africana tipo C (in basso)..................................................................................................................................159 Fig. 123. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ): reperti particolari.................................................160 Fig. 124. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ): pozzo (CF 12)......................................................165 Fig. 125. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ): tubuli fittili (CF 6)................................................166 Fig. 126. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Intonaco graffito. Da sx verso dx: martellina, ampolla, squadra, cesoie.................................................................................................................................166 Fig. 127. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT): foto obliqua da drone......................................................................168 Fig. 128. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT): planimetria generale con indicazione dei corpi di fabbrica e delle aree di intervento archeologico................................................................................................................................171 Fig. 129. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). Piano di calpestio in terra battuta....................................................172 Fig. 130. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). Ceramica invetriata policroma (XIV sec. d.C.), ceramica graffita policroma (XIV-XV sec. d.C.)..............................................................................................................................173 Fig. 131. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). UF 6 struttura da fuoco (fornace?)..................................................174

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Lista delle figure Fig. 132. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). UF 6: sostegno fittile per fornace (?) (in alto); RP 11 statuetta fittile, fischietto (in basso)..................................................................................................................................174 Fig. 133. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). Veduta generale ambienti dispensa e cucina...................................175 Fig. 134. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). Ortofotopiano generale delle aree di scavo archeologico...............176 Fig. 135. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). Ortofotopiano e rilievo prospettico delle murature.........................177 Fig. 136. - Progetto “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)”. Pagina web.........................................................182 Fig. 137. - Progetto “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)”. Esempio di una delle pagine Wikipedia realizzate durante le attività con il coinvolgimento dei cittadini di Chiaromonte............................................................183 Fig. 138. - Allestimento centro storico e territorio extraurbano di Chiaromonte (PZ). Esempi cartellonistica................184

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Lista delle tavole Tav. 1. - Convento di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): planimetria.........................................................................205 Tav. 2. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ). Campanile: ortofotopiano dei prospetti.............................................................................................................................................................................206 Tav. 3. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ). Restituzione aerofotogrammetrica su base ortofoto 2013.....................................................................................................................................................................207 Tav. 4. - Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (Loc. Rubeo, Noepoli - PZ). Restituzione aerofotogrammetrica su base ortofoto 2013.....................................................................................................................208 Tav. 5. - Loc. Castello di Seluci (Lauria, PZ): Restituzione aerofotogrammetrica su base ortofoto 2013.......................209 Tav. 6. - Loc. Il Pizzo (Valsinni, MT): ceramica proveniente dalle attività di survey archeologico.................................210 Tav. 7. - Loc. Il Pizzo (Valsinni, MT): ceramica proveniente dalle attività di survey archeologico.................................211 Tav. 8. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT) e loc. Castello di Seluci (Lauria, PZ): ceramica proveniente dalle attività di survey archeologico..............................................................................................................212 Tav. 9. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT): ceramica proveniente dalle attività di survey archeologico......................................................................................................................................................................213 Tav. 10. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ): planimetria generale............................................214 Tav. 11. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ): ceramica smaltata policroma (US 119)................215 Tav. 12. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ): ceramica graffita policroma.................................216 Tav. 13. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3: ortofotopiano e rilievo prospettico del basamento ottagonale della torre.................................................................................................................................217 Tav. 14. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3: campionature murarie................................218

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Prefazione È ben noto come la ricerca richieda tempi lunghi, agevolazioni nell’accesso ai dati, strumenti tecnologici, spazi fisici idonei al trattamento dei dati, un ambiente scientifico di supporto e richieda inoltre una formazione approfondita e dedicata, una preparazione metodologica che affondi le radici in anni di studio e attività sul campo e in una scuola di pensiero. Tutti ingredienti che, se applicati a una indagine territoriale che prende in considerazione un comprensorio geografico segnato da singolarità storicoinsediative e da aspetti ambientali peculiari ai fini della ricomposizione archeologica del paesaggio antico e postantico, contribuiscono ad ottenere risultati di grande interesse e validità esegetica.

innovativo, efficace e qualitativamente riconosciuto. Di tutto questo è felice esito il volume sulla Valle del Sinni. Il lavoro si inquadra in una stagione di ricerche dedicate alle fasi insediative post-antiche, tardoantiche, altomedievali, medievali e post-medievali della Basilicata, caratterizzata da alcune pionieristiche pubblicazioni risalenti alla fine degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, di materiali ceramici medievali provenienti da interventi di scavo nel castello di Policoro (MT), nella valle di Vitalba, nei siti di Pietra San Giovanni (Bernalda, MT), Monte Irsi (Irsina, MT), Pomarico, Melfi e Anglona (Tursi, MT); negli stessi anni sono iniziati gli studi sulla facies tardoantica delle città romane di Grumentum e Metapontum. I primi sistematici contributi, con edizione scientifica delle indagini archeologiche e dei materiali di contesti medievali, sono quelli del Castello di Lagopesole (Avigliano, PZ) e del sito medievale di Torre di Mare (Bernalda, MT), pubblicati agli inizi del Duemila, cui sono seguiti interventi di indagini archeologiche in diverse aree regionali, per lo più collegati ad interventi di restauro di monumenti medievali, castelli o complessi religiosi, e negli ultimi anni di archeologia preventiva o di emergenza. È all’ultimo ventennio, in particolare dall’istituzione della Cattedra di Archeologia cristiana e Medievale presso la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera e nei corsi di studio dell’Università degli Studi della Basilicata, che la ricerca archeologica nella Basilicata post-antica ha visto un’accelerazione ma soprattutto una programmazione che ha consentito da un lato l’ampliamento dei cantieri di scavo, e quindi l’aumento dei dati conoscitivi a disposizione, dall’altro l’articolazione degli indirizzi di ricerca nelle tematiche portanti dell’archeologia medievale: la trasformazione delle città tra antichità e altomedioevo, l’evoluzione delle aree rurali e delle loro infrastrutture, gli insediamenti fortificati, gli insediamenti monastici, il vasto ambito dei contesti rupestri, così connotante per il territorio regionale, la cultura materiale, la viabilità1. L’approccio multidisciplinare e diacronico delle ricerche assieme all’utilizzo delle più innovative metodologie di indagine e di documentazione ha consentito fino ad ora di analizzare in modalità integrata diversi comparti territoriali, in sinergia con l’Ente di tutela e grazie a collaborazioni con altri enti di ricerca e Università italiane e straniere, attraverso attività sul campo e un’imponente sforzo di censimento, catalogazione e elaborazione informatizzata dei dati.

Entro tali confini è da collocare il lavoro di Valentino Vitale dedicato alla ricostruzione storico-insediativa di una delle valli fluviali che segnano il territorio regionale dell’antica Lucania, dal Medioevo denominata Basilicata, la valle del fiume Sinni, indagata attraverso la lettura di alcuni dei markers specifici del paesaggio antropico postantico: le forme del potere laico ed ecclesiastico tra X e XV secolo, in un lungo percorso che dall’altomedioevo, si ricongiunge alla fase del conflitto tra angioini e Aragonesi, attraversando la conquista normanna, il dominio svevo e il Regno angioino. La genesi di questo lavoro appartiene ad un percorso di formazione e di preparazione alla ricerca che Vitale ha svolto in buona parte in seno all’Università degli Studi della Basilicata e che ho accompagnato fino alla sua ricerca dottorale, ma anche nell’Università del Salento, relativamente al suo percorso magistrale e di specializzazione in archeologia. È pertanto con soddisfazione che scrivo queste righe di prefazione al volume, mettendo in evidenza come l’appartenenza a gruppi di ricerca attivi e multidisciplinari consenta ai giovani ricercatori di talento di muovere i loro passi nel terreno dell’indagine archeologica con competenza e autonomia. Il coinvolgimento, ad esempio, di Valentino Vitale nei progetti di indagine archeologica di ambito tardoantico e medievale della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera da me diretti, e faccio riferimento in particolare al Progetto Chora – Laboratori di Archeologia in Basilicata – e al Progetto Darhem – Digital Atlas of Rupestrian Heritage of Matera –, così come ai tanti cantieri di scavo archeologico della Scuola, e lo stesso si può dire per la Scuola di Specializzazione dell’Università del Salento, ha permesso all’Autore di maturare quella competenza metodologica e quella conoscenza delle tematiche archeologiche post-antiche che gli hanno consentito, inoltre, di svolgere la professione di archeologo in questi anni con un approccio integrato e

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Per un quadro d’insieme si veda: Sogliani 2010; 2017.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Un ulteriore tassello a questo patrimonio conoscitivo si aggiunge ora con questo lavoro, che prende in considerazione un territorio vallivo, il più meridionale della regione, fortemente connotante l’assetto geomorfologico della Basilicata, assieme alle valli dell’Agri, del Cavone, del Basento e del Bradano. Si è già avuto modo di sottolineare come la lettura dei fenomeni insediativi attraverso l’osservazione dei contesti territoriali e ambientali consenta una comprensione più ampia dei fenomeni di interazione tra l’uomo e l’ambiente e ciò assume una maggiore densità in comparti peculiari come possono essere le valli fluviali, qui, come altrove, canali di permeabilità dalla costa verso l’entroterra ma anche vere e proprie “vie d’acqua” funzionali allo spostamento di uomini, animali, merci e culture2. In questo volume è la valle del Sinni ad essere oggetto di indagine, con un’estensione dei luoghi della ricerca, ricogniti direttamente dall’Autore, che si dispiega dall’area della foce sulla costa ionica ad oriente fino alle pendici del Monte Sirino ad Occidente. Entrando nel merito del lavoro, un primo elemento di novità è dato dallo sforzo di ricomporre i dati già noti dalla letteratura precedente, nello specifico dal lavoro di survey condotto dall’équipe di L. Quilici e S. Quilici Gigli, confluito nella Carta archeologica della Valle del Sinni, pubblicata in più volumi tra il 2001 e il 2003. A ciò si è aggiunto un ricco aggiornamento di dati inediti, alcuni già oggetto di precedenti pubblicazioni dell’Autore e che trovano in questo volume un contenitore ben strutturato, soprattutto relativi alle evidenze di età altomedievale, medievale e tardomedievale che hanno segnato con diverse modalità e con diverse funzioni l’area considerata, consentendo quindi di colmare lacune che rendevano questi territori ancora in parte “terre incognite” per il periodo post-antico. Grande attenzione è stata dedicata inoltre alla contestualizzazione dei fenomeni insediativi, riconosciuti nel panorama storico che ha segnato la Basilicata e in particolare i territori e i siti in esame a partire dalla fase pre-normanna e proseguendo fino al periodo tardomedievale. Un approccio storico alla ricerca, svolto attraverso lo spoglio e l’attenta lettura delle fonti scritte e dei dati d’archivio, ha senz’altro giovato allo sviluppo del ragionamento sui temi conduttori del lavoro di Vitale: le forme del potere laico ed ecclesiastico tra X e XV secolo. Un argomento, questo, al quale sta offrendo interessanti contributi la ricerca in atto in altri contesti regionali – Satrianum (Tito, PZ); Pietrapertosa (PZ); Altojanni (Grottole, MT); Montescaglioso; Torre di Mare (Bernalda, MT); S. Maria d’Anglona (Tursi, MT) – sia attraverso la rilettura dei dati editi, sia attraverso nuovi progetti di indagine archeologica3. Nonostante la notevole densità del dato documentario, restano pur sempre ancora deboli le informazioni sulle fasi di raccordo tra l’età antica e il pieno medioevo, quando fonti scritte e fonti archeologiche iniziano ad addensarsi, ma questa criticità accomuna la valle Per una lettura archeologica della Valle del Bradano si veda: Sogliani 2019. 3 Sogliani 2020. 2

del Sinni agli altri comparti territoriali della regione e deriva da una sostanziale recenziorità degli studi e delle ricerche sull’età tardoantica e altomedievale, ma anche dell’attenzione a tali fasi insediative. Più consistenti quindi appaiono nel volume le possibilità di costruire quadri interpretativi inerenti il rapporto tra le varie forme dell’insediamento religioso, in particolare monastico e, più avanti nel tempo, conventuale e le signorie territoriali originatesi dall’occupazione normanna di questi territori e consolidatesi nella potente casata dei Clermont, particolarmente attive nelle dinamiche di incastellamento della valle. Le tracce materiali, gli esiti insediativi e la fisionomia del paesaggio medievale della Valle del Sinni sono stati individuati con grande attenzione attraverso un approccio metodologico che ha tenuto conto di soluzioni innovative nelle attività di rilievo e documentazione e allo stesso tempo di letture interdisciplinari dei dati. Il survey topografico e archeologico quanto più completo delle aree prese in esame e l’attività di scavo stratigrafico che l’Autore ha avuto la possibilità di effettuare in alcuni contesti specifici, nonché l’analisi del materiale archeologico rinvenuto, sono stati affiancati dall’uso estensivo di applicazioni tecnologiche già ben sperimentate dal gruppo di ricerca della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera di cui Vitale ha fatto parte per molti anni, ma finora mai applicate nel territorio indagato, dal rilevamento satellitare, alle elaborazioni di spatial analysis e visibility analysis, dall’analisi computerizzata delle architetture alle ricostruzioni 3D da drone e infine al processamento integrato dei dati su piattaforma GIS. In particolare l’utilizzo dei modelli 3D per l’analisi dei problemi strutturali e dello stato di conservazione dei manufatti architettonici, e altresì il rilevamento da drone per la lettura delle aree montane aprono nuovi scenari su applicazioni avanzate di queste tecnologie. La leggibilità dei dati trova senz’altro un notevole ausilio nel ricco ed elaborato apparato iconografico del volume. Da alcuni anni, infine, la conoscenza del patrimonio archeologico derivata da progetti di ricerca, in Basilicata come altrove, è entrata a pieno titolo nel dibattito dell’Archeologia pubblica. La condivisione della storia e dell’archeologia dei territori indagati è parte di un processo di crescita civile e di ricostruzione e valorizzazione dei territori. In tale processo si inserisce l’impegno dell’Autore nella realizzazione di azioni di divulgazione e promozione del territorio indagato e dei dati della ricerca pubblicati in questo volume, come il Progetto “Archeo Mappa. Open data Chiaromonte” e le attività di valorizzazione e fruizione per il centro di Chiaromonte, cui si associa il progetto di restauro e di recupero architettonico della Grancia del Ventrile, al quale ha preso parte l’Autore stesso. L’archeologia medievale della Basilicata sta vivendo in quest’ultimo decennio una forte accelerazione in termini di progetti di ricerca, traiettorie di indagine e approcci

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Prefazione metodologici innovativi e interdisciplinari e questo volume ne costituisce senza dubbio un tassello importante, arricchendo notevolmente il patrimonio di conoscenze del paesaggio medievale della media valle del Sinni e costituendo un modello di confronto e di riferimento per future indagini. Prof.ssa Francesca Sogliani Direttrice Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera Cattedra di Archeologia cristiana e Medievale Università degli Studi della Basilicata

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Presentazione Per chi non è nativo della zona trattata, il volume di Valentino Vitale “Il paesaggio medievale della Basilicata meridionale” si presenta, ancor prima che come un ottimo prodotto di ricerca, come una vera e propria guida alla scoperta di una terra incognita. Il territorio che il volume tratta e descrive è, infatti, in assoluto uno dei meno conosciuti d’Italia, reso impervio da un’orografia particolarmente aspra, che – soprattutto sul versante tirrenico – giunge direttamente a strapiombo sul mare e che consente spostamenti (relativamente) agevoli solo lungo alcuni itinerari di valle, rendendo problematiche, se non addirittura in alcuni casi quasi impossibili, anche le connessioni fra una valle ed un’altra. Anche il clima non aiuta da queste parti, soprattutto in inverno, rendendo ben chiaro come le aree interne dell’Italia appenninica sia tutt’altra cosa che “das Land, wo die Zitronen blühn”, come disse Goethe evocando i solatii paesaggi dell’Italia meridionale, ma sia piuttosto un territorio in cui si raggiungono picchi di freddo duraturi e assai aspri. Ci si può rendere conto bene di quanto ciò sia vero, percorrendo lungo l’Autostrada del Sole i margini occidentali del territorio trattato dal libro di Vitale; un tratto di autostrada che spesso, nella brutta stagione, subisce chiusure a causa delle precipitazioni nevose.

Questo chiaramente non è l’unico pregio del lavoro di Vitale, anche se è in certa misura la premessa affinché anche gli altri trovino spazio e modo per emergere. Il primo elemento a discendere dal lavoro di censimento e di cui si rileva l’importanza, è la proposta di modelli per lo sfruttamento antropico del territorio. In tale contesto spicca lo spartiacque su cui la ricerca di Vitale si attesta e che ne ha in buona misura condizionato lo svolgimento: anteriormente al X secolo, sotto il profilo delle fonti sia documentarie, sia materiali, il territorio sembra offrire pochissime informazioni in merito alla distribuzione degli insediamenti; questo iato, peraltro, procedendo a ritroso nel tempo, non trova ricomposizione con l’età romana imperiale, poiché anche per quel periodo le tracce non abbondano. Del resto, ciò era stato ben rilevato dall’accurato studio topografico condotto a suo tempo da Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli, dal quale emergeva come anche nell’età antica gli insediamenti rurali abbiano privilegiato le posizioni di crinale e di sommità; ma, soprattutto, come il territorio sia stato privo di fondazioni urbane in grado di agire da elementi catalizzanti di un tessuto abitativo rimasto sempre prevalentemente disperso.

Il fatto poi che esso sia diviso fra ben tre regioni, Campania, Basilicata e Calabria non ha contribuito (eccettuate le sue propaggini costiere) a facilitare l’integrazione fra le sue diverse sottosezioni.

L’idea cui Vitale sembra alludere è che queste aree – condizionate com’erano dalla loro marginalità geografica – abbiano conosciuto sostanzialmente una lunga preistoria dalla quale sarebbero state strappate solo dal processo di riorganizzazione dell’insediamento avvenuto con l’arrivo dei Normanni.

Questo territorio, perciò, compreso fra le valli dell’Agri a Est e del Tanagro ad Ovest, con al centro quella del Sinni e dei suoi affluenti, e a Sud l’acrocoro del Pollino a fargli da limite e bastione, è innanzitutto un’area che ha bisogno di essere raccontata nella sua anatomia geografica.

In tante altre aree d’Italia, sin dagli anni ‘70 del ‘900, siamo stati abituati spesso a scoprire, dopo il processo di riordinamento dei dati disponibili avvenuto a seguito di ricerche che, come questa, rendono possibile che si apra la pista ad ogni ulteriore approfondimento su un determinato territorio, che questi stessi territori poi iniziano a rivelare ulteriori chiavi di lettura in grado di colmare la lacuna di iati temporali apparentemente del tutto silenti.

Già solo per questo motivo, la monografia di Vitale avrebbe un valore di rilievo. Scorrendone le pagine, infatti, si può notare come essa sia innanzitutto anche una preziosa opera di censimento e quindi di riconoscimento del patrimonio medievale sparso nel territorio, talora in luoghi non facilmente raggiungibili. Già questo sarebbe un buon motivo per plaudire alla sua realizzazione, che certamente ha comportato un impegno non indifferente, dato che i siti descritti nel dettaglio sono oltre venti e ciascuno di essi ha ricevuto un’attenzione estremamente puntuale, espletata anche attraverso l’impiego sinergico di diverse tecniche di documentazione delle evidenze materiali, oltre che (e non è scontato) un’accorta lettura delle fonti scritte che ne testimoniano l’esistenza.

Potrebbe darsi che anche il caso del comprensorio qui in esame si riveli in futuro passibile di sviluppi dello stesso genere e, se lo sarà, ciò avverrà proprio grazie ai dati in questa sede per la prima volta ordinati e discussi in modo sistematico. Però è anche vero che il livello di approfondimento proprio di una ricerca del secondo decennio del XXI secolo non è lo stesso di cui erano capaci quelle degli anni ‘70 e ‘80. Quindi è effettivamente

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Presentazione da chiedersi che forma abbia avuto l’elusivo insediamento altomedievale di queste zone. L’impressione che si ha è che la riorganizzazione avviata nell’XI secolo, implementata e consolidata nel corso del XII e del XIII, con la formazione di una rete di centri fortificati di altura nel quadro della nuova Contea di Chiaramonte, assecondi in realtà quella che era stata probabilmente l’unica modalità d’insediamento funzionale alla morfologia dei luoghi in un’area in cui i fondovalle erano particolarmente ostici all’insediamento, vuoi per la loro ristrettezza, vuoi per l’estrema variabilità della portata dei corsi d’acqua.

muoversi e lo ha esplorato con sistematicità, avendo al contempo il coraggio di dichiarare ciò che nella presente circostanza non è ancora possibile delineare con chiarezza, ma che certamente – aggiungo io – potrà esserlo meglio in futuro proprio perché adesso esiste questo lavoro. Infine, il volume è anche una dimostrazione di come oggi l’indagine archeologica territoriale, pur non cessando di essere un lavoro che richiede competenze diverse fra loro, possa essere per buona parte gestita più efficientemente che in passato anche con forze limitate, grazie ai nuovi ausili tecnologici che ormai sono diventati pane quotidiano anche per scienze tendenzialmente un pò conservatrici nella loro metodologia come è quella archeologica.

In sostanza, un territorio che non offriva molte alternative nelle modalità d’uso, appare macroscopicamente all’archeologia e alle fonti scritte e può essere raccontato attraverso di esse nel momento in cui, nonostante la sua natura impervia, vi si insedia per la prima volta un potere interessato a governarlo ed a razionalizzarne lo sfruttamento delle risorse. In questo quadro, sembra suggerire Vitale, anche il sistema degli insediamenti monastici (quelli fondati ex-novo in questa fase dai Normanni e dai loro successori) trova una sua funzione nella misura in cui essi vanno evidentemente a riempire gli spazi non direttamente assegnati alle comunità di villaggio.

Per me, la sua lettura è stata un’occasione piacevole e utile per iniziare a conoscere un territorio di cui ammiravo la bellezza, ma che ora mi è stato possibile interpretare meglio nella sua profondità storica. Prof. Federico Marazzi Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale Università degli Studi Suor Orsola Benincasa

In realtà, l’impianto dei cenobi latini fra XII e XIII secolo allude anche ad un altro problema, che ci riporta indietro nel tempo, che è quello del preesistente tessuto di comunità monastiche di tradizione greco-orientale, che le nuove fondazioni avrebbero progressivamente marginalizzato e soppiantato, ma che comunque costituiscono un po’ il “convitato di pietra” all’interno dello schema ricostruito da Vitale, poiché alludono ad assetti antecedenti all’arrivo dei Normanni ancora molto problematici da riconoscere. Un altro aspetto assai interessante su cui il libro apre delle prospettive è quello della longue durée degli equilibri costituitisi nel periodo che esso esamina. In fondo, dice Vitale, al di là delle fisiologiche percentuali di abbandoni di siti d’altura che caratterizzano il passaggio verso l’età moderna, è rimasto fossilizzato, sino all’età contemporanea, entro le gabbie definite dalla poderosa ristrutturazione ricevuta nel corso dei secoli centrali del Medioevo. In fondo, è l’immagine della Basilicata offerta dalle pagine di Carlo Levi in cui, ancora negli anni ‘30 del ‘900, gli abitati asserragliati sulle sommità collinari obbligavano i contadini ad un pendolarismo quotidiano da e verso i campi. Un quadro che, peraltro, da queste parti non è stato particolarmente stravolto neanche nel corso degli ultimi decenni e che fa di questo comprensorio ancora oggi uno dei più leggibili in Italia nella sua struttura insediativa storica. Per concludere, si deve ribadire che questo volume rappresenta un contributo importante per lo sviluppo della topografia e della storia degli insediamenti medievali d’Italia, ad iniziare dal fatto che si propone come l’opera a partire dalla quale si potrà in futuro parlare di archeologia medievale nel territorio di cui essa s’interessa. È un’opera che ha individuato un range cronologico preciso entro cui xxi

Abstract generale Partendo dalla puntuale analisi delle fonti documentarie fino a giungere a una più globale lettura archeologica della forma dell’insediamento, il progetto di ricerca archeologica nella valle del Sinni (Basilicata meridionale) ha avuto come finalità la comprensione di come il sistema di gestione e l’organizzazione del paesaggio si siano articolati nella media vallata durante i secoli centrali del Medioevo. L’area si estende dalle coste ioniche fino alle pendici del Monte Sirino; al suo interno comprendeva il territorio del Mercourion e del Latinianon, coinvolti nello sviluppo di insediamenti religiosi di rito greco e latino, oltre ad essere interessata dal fenomeno parallelo dell’incastellamento a partire dal X-XI sec. d.C. Proprio dall’XI sec. d.C. la tipologia insediativa in questo territorio muta rispetto al periodo precedente, transitando da un modello di insediamento sparso a carattere rurale verso l’intensificarsi dell’insediamento demico sui colli sommitali. A partire dal IX sec. d.C. verrà affidato ai complessi monasteriali lo sfruttamento delle risorse del territorio rurale, nonché la riorganizzazione della compagine demografica.

Abstract overall book Starting with a punctual analysis of documented sources and expanding to a more global archaeological reading of settlement form, the aim of this archaeological research project in the Sinni valley (southern Basilicata) was to understand how the management system and organization of the landscape were articulated in the middle valley during the central centuries of the Middle Ages. The area extends from the Ionian coasts to the slopes of Mount Sirino, including the territory of Mercourion and Latinianon, which were involved in the development of religious settlements of Greek and Latin rite, as well as being affected by the parallel phenomenon of encastellation from the 10th to the 11th century ad. From the 11th century ad the typology of settlement in this territory changed, compared to the previous period, passing from a scattered, rural settlement model towards intensified demographic settlements on the summit hills. Starting from the 9th century ad, the monasteries were entrusted with exploiting the rural territory’s resources, as well as with reorganizing the demographic structure.

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1 Introduzione Sommario: La ricerca intende sottolineare le peculiarità di un area, in cui coesistono elementi di continuità insediativa di difficile interpretazione. Frutto del lavoro di documentazione svolto in occasione della redazione della tesi di dottorato dello scrivente lo studio ha visto il completamento delle ricerche topografiche nella media valle del Sinni per quanto riguarda le evidenze di epoca medievale. Obiettivo principale è stato l’analisi del sistema insediativo e l’organizzazione del paesaggio medievale della vallata del Sinni, in cui si conservano significative tracce di insediamenti e strutture tra il X al XV sec. d.C. La scelta del contesto territoriale ha riguardato un ambito geografico caratterizzato da un quadro storico di particolare interesse. L’area si estende dalle coste ioniche fino alle pendici del Monte Sirino; al suo interno comprendeva il territorio del Mercourion e del Latinianon, coinvolti nello sviluppo di insediamenti religiosi di rito greco e latino oltre ad essere interessata dal fenomeno parallelo dell’incastellamento. Abstract: The research intends to underline the peculiarities of an area, in which conflicting interpretation of evidence of continual settlement coexist. Since the documented work resulted from the author writing his doctoral thesis, the study’s topographical research was completed in the middle Sinni valley in regards to evidence of medieval times. The main objective was to analyse the settlement system and organization of the Sinni valley’s medieval landscape, where there are significant traces of settlements and structures from between the 10th and 15th centuries ad. The choice of territorial context concerned a geographical area characterized by a historical framework of particular interest. The area extends from the Ionian coasts to the slopes of Mount Sirino, including the territory of Mercourion and Latinianon, which were involved in the development of religious settlements of Greek and Latin rite, as well as being affected by the parallel phenomenon of encastellation.

1.1 Metodologie d’indagine e inquadramento geomorfologico della ricerca

dalle coste ioniche ad oriente fino alle pendici del Monte Sirino ad occidente e viene percorsa dall’alveo del fiume Sinni; al suo interno comprendeva il territorio del Mercourion e del Latinianon, particolarmente coinvolti nello sviluppo di insediamenti religiosi sia di rito greco che latino3 oltre ad essere interessata dal fenomeno parallelo dell’incastellamento che ebbe qui inizio a partire dal X-XI sec. d.C. (fig. 1). Proprio dall’XI sec. d.C. la tipologia insediativa in questo territorio muta rispetto al periodo precedente, transitando da un modello di stanziamento sparso a carattere rurale verso l’intensificarsi dell’insediamento demico sui colli sommitali.

Il titolo di questo progetto di ricerca intende sottolineare le singolari peculiarità di un area, in cui coesistono elementi di continuità insediativa di difficile interpretazione, a tratti in contraddizione tra loro. Frutto del lavoro di documentazione svolto in occasione della redazione della tesi di dottorato dello scrivente, conseguita nel 2018 presso l’Università degli Studi della Basilicata, lo studio ha visto il completamento delle ricerche topografiche nella media valle del Sinni per quanto riguarda le evidenze di epoca medievale1.

Ai complessi monasteriali verrà affidato lo sfruttamento delle risorse del territorio rurale, nonché la riorganizzazione della compagine demografica: difatti, tra la fine dell’VIII e gli inizi del IX sec. d.C. il monachesimo latino e orientale furono molto attivi nel ripopolamento di aree ormai abbandonate quali quelle della valle del Sinni4.

Obiettivo principale è stato l’analisi del sistema insediativo e l’organizzazione del paesaggio medievale della vallata percorsa proprio dal Sinni, in cui si conservano significative tracce di insediamenti e strutture i cui limiti cronologici prendono in considerazione i secoli centrali del medioevo, dalla fine del X al XV sec. d.C.2

Partendo dalla puntuale analisi delle fonti documentarie, da una sistematica catalogazione dei siti, fino a giungere ad una più globale lettura archeologica della forma

La scelta del contesto territoriale, oltre che cronologico, ha riguardato un ambito geografico caratterizzato da un quadro storico di particolare interesse. L’area si estende

Dalena 1994; Dalena 1995; Elefante 1985; Faggella 1994; von Falkenhausen 1996, pp. 27-36; Fiorani 1996. 4 Houben 1986. 3

1 2

Vitale 2018d. Bruno, Vitale 2012, p. 373; Bubbico, Caputo, Maurano 1996.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 1. - Basilicata meridionale. Localizzazione dei siti medievali tra Mercurion e Latinianon.

dell’insediamento (dislocazione delle architetture, viabilità, sistemi fortificati, committenze), si è giunti all’individuazione di un “percorso” diacronico costruttivo e alla comprensione di come il sistema di gestione del territorio e l’organizzazione-evoluzione del paesaggio si siano articolati nella vallata. La scelta di questo ambito territoriale, dipesa dalla necessità di arricchire e costruire in maniera esaustiva una banca dati pertinente un territorio culturalmente e politicamente omogeneo, costituisce di fatto un valido campione di indagine suscettibile di ricerche future nei confronti di altre aree interne della Basilicata medievale.

abbandonati. Tra i centri fortificati a continuità di vita, in cui sono ancora chiare ed evidenti molte delle tracce architettoniche e urbanistiche della loro primordiale fase insediativa, troviamo in qualità di roccaforte i centri di: Chiaromonte, Senise, Episcopia, Teana, Roccanova, Calvera, Noepoli, Latronico, Valsinni, Colobraro (fig. 1). Tra gli insediamenti a vocazione difensiva e di vedetta, abbandonati tra XIV e XV sec. d.C. e non più ripopolati, dove sono state condotte ricerche di survey e indagini topografiche sulla distribuzione degli spazi, si annoverano i centri di loc. Catarozzo in territorio del comune di Francavilla in Sinni (PZ), loc. Castello di Seluci nel comune di Lauria (PZ), loc. Il Pizzo presso Valsinni (MT) e loc. Cozzo Madonne della Rocca in agro di Colobraro (MT).

Il campione indagato è costituito da 23 località, tra siti a continuità di vita e centri scomparsi e 2

Introduzione È seguito allo studio delle aree civili il censimento e l’analisi generale dei centri religiosi e monastici abbandonati presenti sul territorio della vallata; il riferimento va al monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ) con la relativa grancia di Ventrile (Chiaromonte, PZ), la certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ), il monastero di S. Elia e S. Anastasio di Carbone (PZ), oltre a numerose pertinenze ecclesiastiche dislocate in ambito urbano come il monastero di San Francesco d’Assisi nel centro di Senise (PZ)5. Le ricerche condotte sui diversi cenobi hanno fornito la possibilità di indagare e descrivere anche il fenomeno eremitico. Due sono gli esempi conservati e analizzati: l’eremo di San Saba (Fardella, PZ) che vede la sua nascita con l’arrivo in queste terre del movimento religioso italo-greco, e il più tardo eremo del Beato Giovanni da Caramola (Chiaromonte, PZ) nato dallo spirito eremitico di Giovanni da Tolosa, divenuto poi in seguito converso del monastero cistercense di Sagittario.

e la necessità di misurare con obbiettività e chiarezza l’esatta dimensione dei rapporti che intercorrevano tra le singole entità insediative. In questo caso, l’analisi spaziale diviene lo strumento teorico che introduce nella ricerca i principi necessari allo studio delle relazioni non solo tra gli insediamenti, ma anche tra maglia antropica e paesaggio, procedendo alla sostituzione del concetto di modello, generato negli anni ‘70 del secolo scorso dagli studi condotti da Toubert, con quello di sistema10. In quest’ottica le ricerche condotte nella valle del Sinni tra il 2014 e il 2017 hanno seguito anche le linee guida di un progetto condotto dalla Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università degli Studi della Basilicata e dall’IBAM CNR, finalizzato alla redazione del “Censimento del Patrimonio archeologico per la conoscenza dei paesaggi storici della Basilicata antica”, condotto attraverso lo studio diacronico delle dinamiche insediative. A quest’ultimo erano stati affiancati i seguenti approfondimenti tematici: 1) carta archeologica della Basilicata, 2) analisi e studio degli insediamenti bizantini in Basilicata (Progetto “ByHeriNet – Byzantine Heritage Network” – Interreg IIIB Archimed), dedicato alla valorizzazione del patrimonio culturale bizantino di Basilicata, Puglia, Atene, Creta e Cipro; 3) analisi e studio degli insediamenti accentrati e fortificati tra antichità e Medioevo; 4) progetto Bradano, in cui sono inseriti i siti di maggiore interesse archeologico di Irsina, Grottole, Miglionico, Pomarico, Timmari, Montescaglioso, Metaponto-Torre di Mare; 5) carta storico-archeologica di Matera.

La valle del Sinni è già stata interessata dalle attività di survey condotte dall’équipe di L. Quilici sul finire degli anni ‘90 del secolo scorso6. Durante le campagne topografiche non tutto il territorio venne indagato, sia per fattori di tempo e di logistica, sia per fattori legati alla praticabilità fisica di alcuni luoghi (aree di bosco, terreni incolti e recintati), che col tempo possono aver cambiato la loro destinazione d’uso. La ricerca qui presentata, pertanto, ha utilizzato queste riflessioni come punto di partenza per lo sviluppo dell’argomento trattato.

1.2 Metodologia e avanzamento della ricerca

La ragione prevalente per cui ancora oggi tematiche come l’incastellamento, gli insediamenti monastici, il binomio città-campagna siano di attualità, è costituita dalla loro complessità, che non potrà essere risolta con il solo studio della documentazione, ma va intesa come un sistema del quale ogni singola parte e, in particolare, i rapporti tra esse devono essere analizzati per comprenderne la natura7. Come più volte sottolineato dalla ricerca archeologica, proprio i sistemi insediativi altomedievali e medievali sono stati uno degli argomenti scientifici di maggiore rilievo nel quadro della medievistica italiana degli ultimi decenni8.

Metodologicamente la ricerca ha preso l’avvio da un’analisi dell’edito mirata al conseguimento di una conoscenza approfondita del contesto in esame. Lo studio è stato condotto parallelamente in più direzioni, focalizzandosi sia sull’acquisizione delle fonti antiche e dei testi interpretativi, sia sulla conoscenza approfondita del territorio e del comprensorio da indagare, cercando di inserire la problematica affrontata all’interno delle più ampie ricerche su scala italiana. Dal momento che il progetto prende le mosse dall’analisi di contesti inediti o noti solo da pubblicazioni preliminari, la ricerca ha comportato, inoltre, l’acquisizione del materiale archivistico conservato presso archivi privati di Chiaromonte consistente nella lettura della documentazione storica e nella sua interpretazione.

I miglioramenti compiuti nel campo dell’informatica applicata allo studio della geografia umana e l’evoluzione dell’analisi spaziale, consentono oggi di utilizzare nuove metodologie per avviare una nuova fase nello studio dei sistemi insediativi e nella definizione del paesaggio antropizzato9.

La ricerca si è articolata in più fasi di lavoro, consistenti nell’individuazione, raccolta e documentazione dei dati, in seguito nell’informatizzazione e rielaborazione degli stessi a fini interpretativi. L’elaborazione dei dati ottenuti ha previsto un esteso utilizzo delle tecnologie informatiche per quanto riguarda la fase cartografica e per le analisi di rilievo diretto e indiretto su complessi architettonici

L’importanza di quest’approccio si può riassumere in due punti: la possibilità di sottolineare relazioni, laddove esse non siano state ancora messe in evidenza,

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Vitale, Lista 2015; Vitale 2015b, pp. 45-76. Quilici, Quilici Gigli 2001. Brogiolo 2000. Francovich, Bianchi 2002. Fiorillo, Peduto 2003.

10

3

Toubert 1973.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale oltre tutta una serie di aspetti ad esse strettamente connessi, quali le potenzialità economiche dei committenti, il livello di conoscenze tecnologiche della manodopera, ecc.; 2. ricerca e verifica dell’esistenza di modelli tipologici di riferimento.

(CAD, sistemi di fotoraddrizzamento 3d). La piattaforma d’analisi dell’intero progetto è stata costruita su base GIS. 1. raccolta delle fonti documentarie edite e inedite utili alla ricostruzione della sequenza cronologica delle principali fasi insediative; 2. ricognizione sul campo, attività di survey archeologico, posizionamento delle evidenze su base cartografica in ambiente GIS; 3. catalogazione e schedatura manufatti mobili, strutture edilizie, con relativa analisi stratigrafica degli elevati architettonici.

Successivamente, la possibilità di intervento archeologico presso il castello Isabella Morra (Valsinni, MT)12 e presso la struttura di Ventrile (Chiaromonte, PZ)13, ha dato l’avvio ad attività di ricerca nei due complessi architettonici della valle del Sinni. La grancia di Ventrile, pertinenza del monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario, sorge alla confluenza tra il torrente Frido e il fiume Sinni. Protagonisti del nuovo slancio economico, i monaci contribuirono in modo fondamentale alla diffusione delle innovazioni tecnologiche in grado di fornire strumenti più affinati per la vita dell’epoca in tutta la vallata. Numerosi sono i documenti che nei secoli hanno delineato questa situazione, testimoniando la presenza di strutture che dettero slancio economico a questi luoghi. Già la munificenza di Federico II consentì al monastero del Sagittario di potenziare la propria struttura economica e di ampliare il potere giurisdizionale anche su terre e chiese situate fuori regione, nella Calabria settentrionale e lungo il versante ionico della Basilicata14. Per favorire il popolamento delle terre monastiche, in prevalenza dominate dal bosco e dall’incolto, e per consentire una certa vita comunitaria nelle campagne, Federico II concesse agli abitanti numerose libertà e privilegi fiscali. L’abate del Sagittario poteva accogliere nelle proprie terre homines adventitios ed averli in racommendatione. Grande rilevanza era conferita alla proprietà dei mulini che assicuravano una rendita notevole proveniente dal pagamento del diritto di macinato cui erano soggetti gli abitanti15.

Uno strumento indispensabile per condurre questa ricerca sui sistemi insediativi ha riguardato la realizzazione di accurate ricognizioni dei siti; finalizzate all’individuazione di tutte le testimonianze materiali ancora esistenti e ritracciabili sul campo, sono state rese tramite un corpus di schede che hanno seguito una scala di progressivo dettaglio, funzionali ad una descrizione quanto più analitica possibile delle emergenze11. Le tecniche murarie di ogni sito sono state descritte seguendo un ordine preciso: • analisi e rilievo delle murature; • descrizione dei materiali da costruzione; • descrizione della tecnica ed indicazione della presenza o meno di elementi datanti con relativa cronologia. Per quanto concerne la documentazione grafica delle murature, la strategia di rilievo delle singole evidenze (analisi stratigrafica degli alzati secondo Harris matrix; rilievo fotogrammetrico tridimensionale; fotoraddrizzamento) è stata formulata di volta in volta in relazione allo stato di conservazione delle strutture e in base alla possibilità o meno di ricorrere a tipologie di rilievo diretto o indiretto. La documentazione grafica ha costituito la base per lo sviluppo di altri due punti altrettanto fondamentali:

L’indagine archeologica nei due siti ha permesso di strutturare i due progetti fin dall’inizio e seguire le indicazioni metodologiche proprie della ricerca che qui si presenta. I due cantieri sono, pertanto, diventati luoghi deputati alla sperimentazione anche di nuove tecnologie in campo archeologico. L’applicazione sul campo di tecniche e metodologie innovative ha prodotto risultati che possono essere considerati esaustivi e definitivi, con la possibilità di vagliare in qualsiasi momento tutto ciò che per antonomasia il metodo archeologico ‘distrugge’. Sono state formulate e sperimentate soluzioni digitali per quanto riguarda la documentazione delle stratigrafie orizzontali e verticali tramite prodotti tridimensionali, che oltre a fornire un dettaglio millimetrico delle superfici e dei volumi, consentono la visualizzazione in tempo reale e continuativo di ogni elemento presente in scavo.

1. ricostruzione della sequenza di formazione delle strutture indagate; 2. classificazione delle strutture in base alle loro principali caratteristiche dimensionali e funzionali, al fine di individuare una sequenza dei tipi edilizi che possa essere cronologicamente affidabile. La rielaborazione ulteriore di questi risultati ha permesso di produrre informazioni aggiuntive e spunti interpretativi sul fenomeno della produzione edilizia, quali: 1. comprensione del cantiere edilizio, considerato come prodotto di due variabili: committenza-maestranze, 11 Protocollo autorizzazione MIBACT-SAR-BAS UPROT 0001540 28/04/2017, CI. 28.04.2017 per attività di survey archeologico nella media valle del Sinni nei comuni di Colobraro – loc. Cozzo Madonna della Rocca –, Valsinni – loc. Tempa del Pizzo, loc. Piano del Principe – Seluci (Lauria, PZ) – loc. Castello, e Noepoli in loc. Rubeo.

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4

MIBAC-SBA-BAS-UPROT 0006656 07/11/2014 CI. 34.31.01/7. MIBACT-SAR-BAS UPROT 0000496 09/07/2015 CI. 34.19.04/53. Huillard Breholles 1852, II (1), pp. 174-175. Bruno, Vitale 2013, p. 372; Vitale 2014.

Introduzione Allo stesso tempo, questi prodotti frutto delle indagini presso i siti indagati, consentiranno in futuro di poter arricchire i contenuti di possibili allestimenti o eventuali ulteriori pubblicazioni.

La sequenza deposizionale di quest’unità è costituita da quattro litofacies in eteropia laterale che, da SudOvest verso Nord-Est, evidenziano il passaggio da depositi di ambiente alluvionale (NISb) a depositi di ambiente deltizio (NISg1), testimoniato da facies variabili da prossimali a distali. I depositi alluvionali sono rappresentati da conglomerati ben organizzati, clastosostenuti ed a stratificazione interna incrociata e obliqua, con intercalazioni di lenti metriche di peliti e arenarie da medie a fini in alternanza.

I dati grezzi di tutta questa ricerca sono confluiti, inoltre, all’interno della piattaforma digitale del progetto CHORA (Chorus of Resources for Archaeology) – Laboratori di Archeologia in Basilicata16 e, per quanto riguarda il territorio comunale di Chiaromonte (PZ), riversati nel progetto di valorizzazione dei beni architettonici e archeologici definito “Archeo Mappa”17. 1.3 Inquadramento geologico della media valle del Sinni Il territorio di Chiaromonte e della media valle del Sinni, da un punto di vista geologico, sono ubicati nel Bacino di Sant’Arcangelo e dell’Appennino Meridionale della cartografia geologica d’Italia. I depositi del bacino di Sant’Arcangelo affiorano, oltre che nel Foglio 522 “Senise” che comprende circa il 50% della superficie totale del bacino, anche nei Fogli 506 “Sant’Arcangelo” e 523 “Rotondella”. Il Bacino di Sant’Arcangelo è stato oggetto di diverse interpretazioni circa la genesi e la morfoevoluzione. In merito alla genesi, il Bacino è stato interpretato sia di tipo pull-apart18, in cui lo stesso si apre per effetto di una zona di taglio trascorrente sinistra diretta Nord-Ovest/SudEst (faglia di Montesano), sia di tipo piggy-back basin19. Secondo quest’ultima interpretazione i diversi autori, sia pure con alcune differenze, considerano il Bacino impostato sulle coltri appenniniche in concomitanza con la crescita dell’anticlinale di rampa di Tursi-Rotondella, con migrazione del depocentro sedimentario da oriente verso occidente per progressivo tilt sin-deposizionale. Un’altra interpretazione viene fornita da Patacca & Scandone20, che considerano piggy-back basin solo la parte alta della successione sedimentaria del Bacino, mentre i termini più antichi si sarebbero deposti sulle coltri appenniniche in un bacino aperto verso l’Avanfossa. Nel Pleistocene medio, dopo il colmamento del Bacino, l’intera regione subisce un cambiamento nell’evoluzione geodinamica: le aree precedentemente in subsidenza iniziano a sollevarsi. Contemporaneamente nel Bacino si assiste ad una variazione nel regime tettonico, con passaggio dallo stile compressivo a quello distensivo21. 16 Progetto, quest’ultimo, di più ampio respiro nazionale e internazionale diretto dalla Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - Università degli Studi della Basilicata (responsabile scientifico Prof. ssa Francesca Sogliani) in partenariato con EPHE – PSL (responsabile scientifico Prof. Stephane Verger) e Università di Roma Tor Vergata (responsabile scientifico Prof. Marco Fabbri). 17 Per una trattazione specifica dell’argomento, infra cap. 8, p. 181. 18 Turco et alii 1990. 19 Caldara et alii 1988; Hippolytte et alii 1991. 20 Patacca, Scandone 2001. 21 Pieri et alii 1997.

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2 Profilo storico, fonti e documenti Sommario: Come centro di Contea normanna Chiaromonte esercitò un ruolo primario come giurisdizione politica e amministrativa su molti paesi della valle del Sinni fruendo in seguito, sotto i Sanseverino, di una posizione privilegiata già acquisita durante il governo dei loro predecessori; posizione attestata nei registri angioini dalla qualifica di feudum antiquum, connessa al prestigio e alla potenza dei feudatari originari e successivi che scelsero questo luogo come centro dei loro interessi. La posizione di Chiaromonte non fu preminente solo dal punto di vista politicoamministrativo, ma fu particolarmente importante anche sotto il profilo religioso considerando la presenza di molti luoghi di culto sul suo territorio. Venne favorita l’affluenza di alcune considerevoli comunità monastiche le quali fondarono tre relativi cenobi, riqualificando il livello di vita della popolazione e rafforzandone la religiosità. Abstract: As the centre of a Norman county, Chiaromonte exercised a primary role as a political and administrative jurisdiction over many towns in the Sinni valley, later enjoying, under the Sanseverino, a privileged position already acquired during the government of their predecessors. Their position was attested to in Angevin records by the qualification of feudum antiquum, connected to the prestige and power of the original and subsequent feudal lords who chose this place as the centre of their interests. Chiaromonte not only held a prominent position from a political-administrative point of view, but it was also particularly important from a religious point of view, considering the presence of many places of worship in its territory. It favoured the influx of some considerable monastic communities which founded three related monasteries, upgrading the population’s standard of living and strengthening its religiosity.

2.1 Premessa

e successivi che scelsero questo luogo come centro dei loro interessi.

Già dai versi di Egeo Nocca1, vergati nel 1966 ma pubblicati solo nel 1992, si possono intuire le motivazioni per cui, abili signori e strateghi quali erano, i normanni scelsero come roccaforte nella valle del Sinni il luogo dove sorge l’attuale Chiaromonte.

Il territorio effettivo della Contea doveva estendersi a Ovest fino alle pendici del Monte Sirino, passando per i rilievi del massiccio del Pollino, lungo la valle percorsa dall’alveo del fiume Sinni giungendo ai territori di Policoro e Scanzano sul Mar Ionio; al suo interno comprendeva il territorio della regione del Mercourion e del Latinianon, particolarmente coinvolto nello sviluppo di nuovi poli religiosi sia di rito greco sia latino, oltre che essere interessato dal fenomeno parallelo dell’incastellamento a partire dal X-XI sec. d.C.3 La scelta di questo contesto territoriale riguarda un ambito geografico caratterizzato da un quadro storico di particolare interesse, con l’intensificarsi dell’insediamento demico sui colli sommitali proprio a partire dall’XI sec. d.C. Il forte accentramento in una posizione dominante, inoltre, è indiziato dal diffondersi del sistema insediativo fortificato in età normanna4, e un simile fenomeno fu in questi luoghi facilitato dall’assenza di grossi centri urbani. A questa peculiare situazione corrispose la presenza di importanti famiglie feudali come quella normanna dei Clermont, attestata già nei primi decenni del XI sec. d.C., cui succederà nel XIV secolo la potente famiglia dei Sanseverino.

Il sito, oggi come in epoca antica e medievale, è posto sulla sommità di un rilievo collinare facilmente difendibile, collocato lungo un crinale orientato in direzione Sud-Ovest/ Nord-Est che separa il versante del torrente Serrapotamo dal versante del fiume Sinni. Il pianoro sommitale, elevato ad una quota di m 790 s.l.m., costituisce probabilmente la prima area protetta dell’insediamento2. Nella veste di centro di Contea, con l’arrivo della famiglia normanna dei Clermont, Chiaromonte esercitò un ruolo primario come giurisdizione politica e amministrativa su molti paesi della valle del Sinni fruendo in seguito, sotto i Sanseverino, di una posizione privilegiata già acquisita durante il governo dei loro predecessori; posizione attestata nei registri angioini dalla qualifica di feudum antiquum, connessa al prestigio e alla potenza dei feudatari originari

1 Nocca 1992: “Solitaria, aerea, com’un aquila rampante Chiaromonte sta. E domina la valle, il fiume e la campagna tutt’attorno”. 2 Cfr. Bruno, Vitale 2012, p. 373; Bubbico, Caputo, Maurano 1996; Fonseca, De Rosa, Cestaro 2006; Quilici, Quilici Gigli 2001.

Dalena 1994; 1995; Elefante 1985; Faggella 1994; von Falkenhausen 1996, pp. 27-36; Fiorani 1996. 4 Sogliani 2010, p. 149; Toubert 1973. 3

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale La posizione di Chiaromonte non fu preminente solo dal punto di vista politico-amministrativo, ma fu particolarmente importante anche sotto il profilo religioso considerando la presenza di molti luoghi di culto sul suo territorio. Venne favorita l’affluenza di alcune considerevoli comunità monastiche le quali fondarono tre relativi cenobi, riqualificando il livello di vita della popolazione e rafforzandone la religiosità.

quali piacemi ricordare col Villabianca Ugone Chiaramonte che intervenne all’incoronazione di Ruggiero primo re di Sicilia...”10. Uno dei primi documenti che ne testimonia l’esistenza, inoltre, è datato al 1074 e riferisce che Ugo Clerimontis et Gimarga uxor eius fanno alcune donazioni a Biagio, Venerabile abbas del monastero beati Anastasii qui dicitur de Carbone11; l’Ugo in questione è il figlio di Verelando, capostipite della famiglia Clermont.

Queste comunità risollevarono, inoltre, l’economia di questi luoghi, imprimendo una svolta alle produzioni attraverso l’incremento della zootecnia e dello sviluppo delle attività commerciali. Sarà affidato loro lo sfruttamento delle risorse del territorio rurale, nonché, la riorganizzazione della compagine demografica considerando che, tra VIII e IX sec. d.C., sia il monachesimo latino sia quello orientale furono molto attivi nel ripopolamento di aree ormai abbandonate5.

Da un documento concernente la fondazione del beneficio sulla Collegiata insigne di San Tommaso Apostolo, datato al 1226, si ricava che nell’XI sec. d.C. il conte Ugo costituì per sé e per i suoi successori un patronato sulla chiesa palaziale12: in questo modo si era riservato il diritto di nomina del rettore e di quattro canonici curati. L’edificio ecclesiastico sorge in stretta relazione con il castello Chiaromonte/Sanseverino collegato a quest’ultimo grazie ad un passaggio coperto soprelevato.

Muovendo da un’analisi puntuale delle fonti documentarie e giungendo ad una globale lettura delle modalità insediative (dislocazione dei complessi architettonici, della viabilità, dei sistemi propri di fortificazione), è stato possibile ricomporre ed individuare un “percorso” costruttivo valido per giustificare con quali modalità il sistema di gestione del territorio e di organizzazione/ evoluzione del paesaggio abbiano avuto luogo nel territorio della Contea di Chiaromonte.

Il successore di Ugo, il conte Riccardo di Chiaromonte, considerato che i titoli e le scritture riguardanti la Collegiata erano ormai talmente consunti, e prima che non riuscisse più a far valere i suoi diritti, decise di rinnovarli con una copia del documento, datata al 1226; da questa data fino all’anno 1545, questo beneficio non varcherà la soglia del dominio laico della famiglia comitale. La Société Archéologique et Historique di Clermont-del’Oise ha pubblicato da tempo numerosi documenti che ci informano di Ugo di Clermont (detto, altresì, Ugo “Monocolo”), anche se ancora non del tutto delineata risulta essere la sua figura: negli atti della Contea di Chiaromonte compare come marito di Gimarga, signora di Teana, mentre nella storia di Clermont-de-l’Oise risulta essere marito di Emma13. Il Ménager si attiene alla versione di Gimarga come sua moglie: “Hugues le Borgne et sa femme Gimarga ont eu au moins trois fils... ”14.

2.2 Storia dei conti normanni di Clermont La famiglia normanna dei Clermont6 può essere definita sicuramente con l’aiuto dei documenti riguardanti le donazioni elargite ai monasteri che insistevano sui loro possedimenti. Nella discesa verso il Meridione d’Italia essi raggiungessero la valle del Sinni e fecero di Chiaromonte la loro roccaforte e centro nevralgico di comando per oltre due secoli.

Un altro documento riportato dal Ménager che riguarda il “Monocolo” e la sua consanguinea Albereda, suscita

Il primo conte di Chiaromonte di cui abbiamo notizia è Ugo detto “Monocolo”7, del quale conosciamo le elargizioni al monastero di Carbone, alla badia di Cava dei Tirreni e alla Trinità di Venosa, oltre quella del 3 dicembre 1101 della terra di Mormanno8 fatta a Sassone, Vescovo di Cassano. È noto, ancora, un documento riguardante la partecipazione dello stesso Ugo all’incoronazione di Re Ruggero a Palermo9.

Ibidem. Robinson 1929, n. 53, p. 176. 12 A.S.N., Fondo Privato Sanseverino-Bisignano, Fascio 11, Fasc. 5: “Signu manus meae Riccardi filii domini Hugonis de Claromonte Signum manus meae Hugonis filii domini Riccardi de Claromonte - Anno dominicae incarnationis millesimo dugentesimo vigesimo sexto, mense octobris quartaedecimae indictionis. Regnante nostro dominio Federico Dei gratia romanorum invictissimo imperatore sempre augusto, rege Siciliane, anno imperii ejus quinto, regni vero vigesimo septimo feliciter amen. In presentia testium subscriptorum Riccardus de Claromonte imperialis Basilicatae institiarius [...]. Ea prop. presentata nobis beneficiorum et libertatum scripta, recolendae memoriae praovus noster dominus Hugo senes de Claromonte, contulit ecclesiae venerandae Sancti Thomae de Claromonte, quia vidimus ipsam scripturae materiam partim vetustate consumptam, partim a muribus tineisve deperditam, adeo ut apertius quae infra se continuerat sine labore lagi, sine obscuritate colligi, et sine difficultate perlegi non valeret; mandavimus rem in novam transferri materiam, et duximus rem conciliandam esse scriptam; confirmates in perpetuum quidquid benefici, quidquid omnimodo libertatis, gratiae, vel honoris jam dictus proavus, et praecessor noster ecclesiae memoratae contulit, et induxit [...]”. 13 Comptes-rendus et mémoires de la Société Archéologique et Historique de Clermont en Beauvaisis, Tome 40-Années 1998/2002, pp. 152-153. 14 Ménager 1975b, n. 1 pp. 33, 52, 302. 10 11

Sempre di Ugo parla anche il Nicosia quando tratta della famiglia Chiaramonte: “Essa trae origine da una città della Francia per nome Chiaramonte, dai Francesi detta Clermont. [...]. Non pochi uomini egregi per dottrina e per cariche onorevoli decorarono questa illustre famiglia, tra i Houben 1986. Quella dei Clermont è la storia di un’antica e potente famiglia di feudatari originaria probabilmente di Clermont in Val d’Oise in Francia. 7 Ménager 1975a, p. 300. 8 Calza 2009, p. 5. 9 Rotary Club di Ragusa 1995r, p. 86. 5 6

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Profilo storico, fonti e documenti ulteriori dubbi sulla figura del conte: “Aubérée fut ensevelie à la Trinité de Venose, à la quelle elle avait dû faire d’importantes donations, de même qu’Hugues de Chiaromonte, puisque tous les deux sont portés au Necrologium Venusinum”15. Se Ugo di Chiaromonte e Albereda sono registrati nel Necrologio Venosino, significa che essi sono morti a Venosa. Nel 1080 il conte era già morto, notizia che si desume da una concessione fatta nello stesso anno al monastero di Carbone dalla sola Giumarca; non si può, pertanto, non dubitare dell’autenticità della carta del 15 novembre 1088, con la quale Ugo di Chiaromonte, per la redenzione dell’anima propria, della moglie, del figlio Ruggero e della figlia avrebbe donato alla badia di Cava la chiesa di Santa Maria di Cersosimo con relative dipendenze16.

e di Albereda sulle Terre di Colobraro e Policoro derivò loro per concessione del Dominus Beomondo d’Antiochia. Alla loro morte senza eredi, data la perdurante fedeltà dei Chiaromonte alla famiglia di Beomondo, di quel dominio vennero investiti i nominati Alessandro e Riccardo, che proclamarono Albereda quale loro zia e sono detti dalla stessa come suoi nipoti; ed è appunto da tale vincolo familiare (da nessuna fonte fin ora contraddetto) che si genera il rapporto di parentela tra Albereda e Ugo di Chiaromonte. L’Antonucci fa notare ancora che molti documenti potrebbero essere stati falsificati, mettendo in dubbio quello che altri autori hanno sostenuto19; confutando alcune date che si riferiscono al conte Ugo, afferma che costui nell’anno 1080 era già morto e nel 1129 non poteva essere presente all’incoronazione di re Ruggero tenutasi nella città di Palermo.

Un’altra figura ancora, in particolare, è di dubbia identificazione nella storia della Contea normanna costituitasi lungo le rive del fiume Sinni: Albereda, domina Colubrarij et Policorij. Le fonti non riescono a chiarire del tutto la condizione sociale della persona di Albereda, anche perché molti sono i documenti che ne attestano l’esistenza, ma risultano numerosi quelli che sono stati falsificati. Alcuni di questi la darebbero in moglie a Ruggero di Pomerada come primo marito, e a Riccardo Siniscalco come secondo, mentre riferendosi ad un diploma del 1122, primo marito sarebbe stato Roberto il Guiscardo e secondo Ruggero de Pomerada. L’unico testimonianza ritenuta non sospetta è una carta del 1112 che attesterebbe la signoria di Albereda su Policoro: “Cum essem in civitate mea Pollicorio ego suprascripta Albereda”17.

Tra i discendenti diretti del “Monocolo” doveva esservi Alessandro, identificato grazie a tre date che si riferiscono ad atti che lo riguardano (1087-1093-1096) e di cui ci informa anche il Laviola20. Ruggero II, re di Sicilia, Calabria e Puglia, per frenare gli abusi che venivano moltiplicandosi per opera dei feudatari del suo regno, negli anni 1144 e 1145, ordinò che fosse effettuata una rigorosa revisione di tutti i titoli di concessione, che erano stati rilasciati alle Chiese e ai privati dai vari Signori normanni: “[...] Tra i documenti presentati ve n’era uno, dal quale risultava che, nell’anno 1116, Alessandro di Chiaromonte, Signore di buona parte della Basilicata e della Calabria Settentrionale [...] aveva concesso alla Chiesa ed al Vescovo di Cassano, che si chiamava Vitale, la terra di Trebisacce”21; tuttavia, se alla data del 1101 il conte Ugo dona la terra di Mormanno al vescovo Sassone di Cassano e nel 1129 era presente all’incoronazione di re Ruggero a Palermo, alla data del 1116 doveva essere verosimilmente Ugo più che Alessandro, suo figlio, il conte di Chiaromonte.

Bisogna, infine, chiarire i rapporti dei coniugi Albereda e Ruggero de Pomerada con la famiglia di Beomondo e con i fratelli Chiaromonte. Un atto del 1131 identifica Riccardo Chiaromonte in qualità di Signore di Policoro, avvalorando ulteriormente la circostanza rivelata dal documento del 1125 della signoria dei fratelli Alessandro e Riccardo Chiaromonte su Policoro, concessa loro da Beomondo II18. Tutte queste circostanze indurrebbero a ritenere che il dominio distintamente affermato di Ruggero de Pomerada

Da Alessandro e Avena nacquero Ugo (II), che morì tra il 1113 e il 1115, Alessandro (II) e Riccardo (II)22. Morto Riccardo Siniscalco nel 1115, Alessandro e Riccardo ebbero il Castrum Genusium e furono, successivamente, investiti delle terre di Colubraro, Policoro e Rotundae Maris, appartenute alla loro zia Albereda.

Ménager 1975a, p. 300. Trinchera 1865, doc. 58: 1093, indiz. Quarta. Alessandro figlio di Rocca e genero di Ugo di Chiaromonte, unitamente alla moglie Avena, cedono a S. Anastasio di Carbone il Vetus Monasterium dei Santi Quaranta sito in loco Qui dicitur de Sclavis. Precede il signum factum a manu Alexandri filii domine Rocce et generis domini Ugonis de Claromontis et Avene uxoris eius; Ibid., doc. 58, p. 75: 1093, settembre, indiz. Seconda. Alessandro di Chiaromonte e il fratello Riccardo donano alla chiesa di Santa Maria di Cersosimo il monastero di S. Onofrio, sito nelle pertinenze del territorio di Noa; Ibid., doc. 80: 1116, 3 novembre, indiz. Decima. Alessandro di Chiaromonte con la moglie Giuditta e il fratello Riccardo, in memoria del fratello maggiore Ugo, donano terre al monastero di Cava e a Santa Maria di Cersosimo, confermando le donazioni fatte al tempo dal padre Alessandro e dall’avo Ugo. 17 Robinson 1929, p. 220. 18 Attraverso questo documento i fratelli Alessandro e Riccardo Chiaromonte avrebbero confermato al monastero di Carbone la donazione di Santa Maria di Policoro e di Santa Maria di Scanzano fatta al cenobio stesso dai coniugi Riccardo Siniscalco e Albereda loro zia, nonché, dal dinasta Beomondo. Trinchera 1865, n. 97, p. 126. 15 16

Quando Beomondo II partì per Antiochia (1127), Taranto e la Terra d’Otranto caddero nelle mani di Ruggero II. Antonucci 1943-44, p. 129. Laviola 1982. 21 Ibidem, p. 3. 22 Si veda Trinchera 1865, p. 96, che riporta un atto del 13 maggio 1112, indiz. V, col quale Ugo Chiaromonte con i fratelli Alessandro e Riccardo dona al monastero di Cava dei Tirreni e a S. Maria di Cersosimo, per la salute degli avi Ugo e Giumarca e dei fratelli Alessandro ed Avena, una chiusa di terre in Noa nel luogo detto “Bonohomine”. Ibid., p. 104: dopo la morte di Ugo (II), Alessandro, con la moglie Giuditta e con il fratello Riccardo, nel 1116 conferma le donazioni dell’avo e del padre nelle pertinenze del castello di Noa. 19 20

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale promossa da Gregorio IX31, mentre il Ventre scrive che fu Innocenzo IV a suscitare la ribellione dei baroni contro Federico II nel 124532 perché il papa rivendicava diritti sul Regno di Federico33.

Riccardo si chiuse in Brindisi, Ruggero affidò Taranto al figlio Tancredi e confiscò i feudi dei signori di Chiaromonte, mettendoli al bando23. Il conte Riccardo ebbe due figli, Roberto e Ugo (III), che recuperò i feudi certamente prima del 115224.

Il conte Ugo (IV) ebbe tre figli: Nicola, Federico e Riccardo (IV)34. Dopo la sconfitta di Manfredi, suo figlio Riccardo (IV) ottenne il titolo di Conte e la restituzione dei castelli di Chiaromonte, Noia, San Chirico, Latronico, Ginosa, Rotondella, Castronuovo, con le terre di Battifarano, Rubbio, Cersosimo, Castelsaraceno, Calvera, Episcopia, Teana, Agromonte, Faracli, S. Martino e Rotonda35. Durante la rivoluzione Ghibellina poi, nel 1268, lo stesso Riccardo che aveva osteggiato fieramente il governo Svevo, si schierò col partito angioino e, malgrado i servizi prestati alla causa angioina, nel 1269 dovette restituire sia il Castello di Ginosa36 sia la Terra di Policoro37.

La fondazione del monastero di Santa Maria del Sagittario viene datata al 12 dicembre 1155 ed è attribuita ad Albereda Chiaromonte in base alla copia di alcuni privilegi, riconfermati poi nel 1444 da Alfonso I d’Aragona, in cui venne riportata anche la data stessa della fondazione del cenobio25. Il Giustiniani26 sostiene che il monastero sorse nel 1152 per volontà di Ugo Chiaromonte, riferendosi al figlio del conte Riccardo, discendente diretto del “Monocolo”. Probabilmente la fonte comune per queste ipotesi di datazione sono gli “Annali del monastero del Sagittario” contenuti nel Codice Barberiniano 3274 e compilati nel XVII secolo dall’abate del Sagittario Gregorio De Lauro27. Lo stesso abate, non solo non esclude la data del 1200 per la fondazione dell’insediamento cistercense, ma nel Catalogus Abbatum Sagittariensis, compilato nel 1673, facendo cominciare dal 1222 il governo del secondo abate, Guglielmo, rende plausibile l’ipotesi dell’inizio intorno al 1200 del governo del primo abate, Palumbo, ricordato tra l’altro in un diploma di Federico II dell’aprile del 1221; diventa praticamente impossibile che egli abbia governato per tutta la seconda metà del XII sec. d.C. Potrebbe, invece, risultare molto più attendibile l’ipotesi che il monastero fondato intorno al 1152 dai Benedettini venisse incorporato nell’Ordine cistercense di Casamari soltanto nel 1200: precisamente, tra questa data e il 1203, il monastero venne completato dall’abate Palumbo28. Nello stesso 1203 Rinaldo del Guasto, la moglie Agnese e il fratello Riccardo, figli di Ugo (III) di Chiaromonte, costituirono a favore del Sagittario un consistente beneficio comprendente anche la chiesa di Santa Maria di Buonavalle29.

Negli stessi anni in cui si afferma e si rafforza il dominio della famiglia Chiaromonte, un’altra potente casata conferma i suoi possedimenti, affermando ulteriormente il suo dominio nel meridione della penisola, la famiglia dei Sanseverino, i quali nel XIV secolo con l’unione matrimoniale, unificheranno i loro possedimenti con quelli dei normanni di Chiaromonte. Anche la discendenza dei Sanseverino ebbe origini dalla discesa in Italia di una famiglia normanna, annoverando quale capostipite la figura di Turgisio (fig. 2). Discendente di questo cavaliere fu Ruggero, figlio di Tommaso I, che conquistò Marsico divenendone conte: “Egli [Ruggero] ebbe da Teodora d’Aquino, sorella di San Tommaso, sua seconda moglie, un figliuolo chiamato Tommaso, che gli successe...”38. Tommaso II Sanseverino, figlio di Ruggero, in terze nozze ebbe da Sveva di Avezzano quattro figli: Giacomo, Guglielmo, Roberto e Ruggero. Nel 1318, parallelamente a questi eventi, scoppiò una sorda lotta fra il monastero di Carbone e Marco, vescovo di Anglona, il quale mal sopportava che i monaci di origine greca devolvessero parte delle loro rendite alla

Riccardo (III), figlio del conte Ugo (III) figura in due documenti: il primo datato al gennaio 1221, quando compì una visita al monastero di Cersosimo al quale confermò i diritti concessi dagli avi, mentre il secondo datato al 1232, con il quale consentì una permuta di terre tra Dino Priore di Cersosimo e il Prete Manasse30. Ad egli successe Ugo (IV) che partecipò alla congiura di Capaccio (1246)

Elefante 1987, p. 46. Ventre 1965. 33 Cuozzo 2005, voce “Congiura di Capaccio” (1246); si parla di documenti scoperti nel convento di Fontevivo, presso Ravenna, i quali rivelano un complotto per assassinare Federico II e suo figlio Enzo. A Parma il cognato di papa Innocenzo IV, Bernardo Orlando Rossi, era fuggito con altri del partito papale. A questo punto parve chiaro a Federico che il pontefice progettava la sua eliminazione fisica. 34 Elefante 1987, p. 46. 35 Garufi 1911: “Domino Riccardo de Claromonte fuerunt restituta castra S. Clerici, Genusii, Noae, Clarimontis, Latronici, Castronovi et Rotundae Maris. Et sub baronia dicti Riccardi sunt terrae subscriptae videlicet: Trisagia, Calabro, Bactivoranum, Rubium, Latigana, Acremontum, Episcopia; S. Martinum, Castrum Sarracenae, Rotonda Vallis Layni, Cursosimum et Faracum, que terre fuerunt restituite dicto domino Riccardo post felicem ingressum domini nostri Regis (Caroli), et servitium prestabat domino imperatori et Curia Imperialis destituit dominum Hugonem, patrem dicti domini Riccardi dictis terris propter prodictionem factam in Capuacio”. 36 Garufi 1911, p. 20. 37 Garufi 1911, doc. 203, reg. VIII, vol. II, p. 57; doc. 409, reg. XIV, vol. IV. 38 Ventre 1965. 31 32

Mattei Cerasoli 1939, pp. 284-285. De Lauro 1660, cap. V. Gli effetti della confisca sono noti attraverso la sorte del castello di Noa, che nel 1134 era posseduto per metà da Tomaso Britonio e per metà da Roberto di Montescaglioso. Il bando comunque non fu emesso prima del 1131, perché in tale anno Riccardo risulta ancora signore di Policoro (Antonucci 1943-44, p. 142; Trinchera 1865, pp. 110, 144); è da considerare pertanto l’atto di vendita di Calaura (Caldera) a favore del monastero di Carbone, effettuato da Alessandro il 16 maggio 1134 (Ughelli 1721, VII, c. 78). 25 De Lauro 1660. 26 Giustiniani 1802, p. 7. 27 De Lauro 1660. 28 B.A.V., f. 14v. 29 B.A.V., f. 15v. 30 Elefante 1987, p. 46. 23 24

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Profilo storico, fonti e documenti

Fig. 2. - Genealogia della famiglia Clermont e Sanseverino.

chiesa di Monreale in Sicilia da cui essi dipendevano; in realtà quello delle rendite era solo un pretesto, perché al vescovo Marco interessava esercitare la sua giurisdizione anche su quel monastero di rito greco: i monaci, infatti, simpatizzavano per gli Aragonesi, mentre i conti di Chiaromonte parteggiavano per gli angioini, motivo per cui il conte Ugo fomentava la tensione fra il vescovo Marco e i monaci.

Chiaromonte per breve tempo, perché nello stesso anno in cui morì il fratello, andò sposa a Giacomo Sanseverino, conte di Tricarico, fondendo i due titoli nella Contea di Chiaromonte e Tricarico. Anche riguardo alla figura di Margherita esistono discordanze tra gli storici. Secondo il Bastanzio Margherita sarebbe nata intorno 125041; se nel 1319 Margherita convolò a nozze42 con Giacomo Sanseverino ed ebbe Ruggero, suo primogenito, nel 1326, dopo sette anni43, lei sarebbe diventata madre a oltre 70 anni e alla data del 1389, quando il notaio Palagano de Montesion di Senise stilava un documento “col quale la magnifica Margarita, contessa di Chiaromonte asserì aver comprato ed a titolo di permutazione ottenuto una casa in Senise ...” avrebbe avuto quasi 139 anni44. Come appare evidente esiste una certa confusione tra alcuni documenti che qui

Ugo aveva sposato Margherita, figlia del famoso Ruggero di Lauria; invaghitosi però di Lauretta, moglie di Enrico della Marra, nel 1316 assalì il castello di Trecchina e la rapì. Questi denunciò il fatto al sovrano che ingiunse ad Ugo di restituirla sotto pena di 500 once39. Il conte rimase ucciso però a Senise nel 1319 e la sorella Margherita inoltrò richiesta a papa Giovanni XXII in Avignone per poter edificare un convento dedicato a San Francesco sul posto dove il fratello aveva trovato la morte40. Gli successe Margherita, che resse il governo della Contea di

Bastanzio 1950, p. 9. Natella 1980, p. 51. 43 Elefante 1987, p. 53. Elefante assegna a Ruggiero le date 1326-1382, un arco di tempo di 56 anni. 44 Giganti 1997, p. 205. 41 42

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Ibidem, p. 57. Wadding 1964, pp. 88, 241.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale comune servizio. I monaci cistercensi furono i referenti privilegiati di numerosi benefattori; in questa linea politica acquistava importanza il privilegio con cui Ladislao, il 22 ottobre 1412, pro redemptione animae potenziava il ruolo economico e sociale dei due monasteri della valle del fiume Sinni (S.M. del Sagittario e San Nicola in Valle) consentendo che tutto il loro bestiame “pro omnibus et singulis ovibus, castratis, baccis, bobus, domitis et indomitis, porcis, capris et animalibus cuiuscumque generis” fosse esentato dal pagamento dei diritti di gabella in tutto il regno di Sicilia49, e che “abbas, priores, fratres et conventus seu gregarii et custodes […] omnium praedictorum animalium fossero liberos et immunos”50.

vengono riportati e gli errori potrebbero essere attribuiti alla menzione di atti falsi o falsificati, oppure a semplici omonimie all’interno della famiglia comitale. Margherita non era una contessa e non era del ramo Bisignano, bensì della dinastia Chiaromonte e solo nel 1319 entrò a far parte, per matrimonio, del ramo Sanseverino. Nel XIV sec. d.C., avviato il processo di ricomposizione del dominio feudale, in particolare il monastero di Santa Maria del Sagittario giovò della munificenza e della protezione di Giacomo Sanseverino e in particolare della moglie. Come ancora oggi è possibile leggere nell’Officium del beato Giovanni da Caramola45, Margherita temeva di essere sterile e per tale motivo si raccomandò più volte al santo uomo per impetrare il dono della maternità che ottenne dopo sette anni dal suo matrimonio46.

Molta importanza era attribuita poi al possesso dei mulini ad acqua e delle peschiere che assicuravano la trasformazione dei cereali e la disponibilità di farinacei, oltre che una rendita proveniente dal pagamento del diritto di macinato cui erano soggetti gli abitanti delle terre monastiche51.

Nel 1369, Venceslao Sanseverino, Conte di Tricarico e Chiaromonte, confermò ai monaci cistercensi tutti i privilegi e i beni che avevano ottenuto ab antiquo nel territorio di Rotundae Maris et Trisagie47. La devozione per il beato Giovani da Caramola, inoltre, spinse la regina Giovanna I a confermare nel 1378 le concessioni fatte da Alberada di Colobraro, da Rinaldo del Guasto, da Federico II, da re Roberto e da Riccardo di Chiaromonte48.

Il 15 settembre 1384 diciassette cavalieri napoletani si riunirono nella sacrestia della chiesa di San Nicola a Bari per giurare fedeltà a Luigi I d’Angiò contro Carlo III di Durazzo: tra questi erano presenti i figli di Margherita Ruggero, Ugo e Tommaso con il nipote Venceslao. Ugo fu inviato in Francia per invitare l’antipapa Clemente VII e Maria di Blois ad intervenire contro Carlo III di Durazzo52: “Nel dicembre 1384 i baroni napoletani inviarono in Francia Ugo Sanseverino per sollecitare la proclamazione di L[uigi] e chiedere aiuto a Maria di Blois e all’antipapa Clemente VII contro Carlo III d’Angiò Durazzo...”53; il conte era, dunque, anche un abile diplomatico e il 18 maggio 1359 egli e suo fratello Tommaso, che svolse un interessante ruolo diplomatico, politico e militare, ottennero da Roberto di Taranto le terre di Torremaggiore e di Sant’Andrea in ricompensa del loro efficace intervento contro i ribelli fratelli Pipino, che furono catturati e impiccati ai merli del castello di Altamura54.

Verso la fine del XIV sec. d.C., l’abbazia del Sagittario, sotto gli auspici dei Sanseverino, aveva realizzato una solida struttura economica, tanto da consentire un potenziamento della mensa e il regolare versamento alla Sede Apostolica (tra il 1399 e il 1444) della tassa del 45 Giovanni da Caramola, eremita francese disceso in Italia nei luoghi della Contea, diviene in seguito monaco converso del Sagittario sviluppando già in vita una forte aura di santità e di devozione da parte dei fedeli. 46 Percoco 2000; 2003; “Refert enim veritatis amica Domina Margarita Comitissa Clarimontis quæ per annos annos fuerat sterilis, jam vehementer de sterilitate perpetua timescebat, quod pro se, pro impetranda progenie, illius sæpe precibus commendasset, ipse tandem quodam die his sermonibus est effatus: forti inquit, animo esto, noli te plus moerore consumere, indubitanter, quod multa grata tibi soboles est futura ...)”; quasi sicuramente la contessa Margherita si rivolse a Giovanni quando ancora questi non era entrato come converso nel monastero di Sagittario: “[...] e la fama del suo odore di santità cominciò a spargersi in lungo e in largo e lui era frequentato da grandi e umili persone, [...] e quando veniva a sapere che qualche magnate lo cercava, si nascondeva” (Percoco 2002, t. 53, fasc. 1-2; Coepit paulatim crescere [...] famæ ipsius odor longè latèque dispergi, ac ipse à magnis, humilibusque personis frequentari. [...] si quemquam de Mazgnatibus ad se venturum esse sciebat, præ maxima humilitate, latebras petens, abscondebat se ...” 47 B.A.V., ff. 22v-23r. 48 Percoco 2004; B.A.V., ff. 24r-24v; Giovanna I, con atto del 10 maggio 1378, confermò al Sagittario: “singula quaeque privilegia, concessiones, exemptiones, iurisdictiones, iura ac bona, videlicet tenimentum spatiosum et amplum in quo situm erat praelibatum, tenimentum Sicilei, forestam Terrae Ordeoli, tenimenta Rotundae Maris, Trisagiae et Sancti Nicolai de Frascinis, locum Sanctae Agatae inter Malvetum et Sanginetum, tenimentum Pollicorii; molendina et alia plura tenimenta, bona ac territoria, franchitias, libertatesque et maxime ut animalia Sagittarii ac servientium ipsius, ne dum in Clarimontis comitatu et tenimentis illius ac defensis; sed et in toto Siciliae regno, tam per terraset loca sui demanii, quam aliorum dominorum eiusdem regni sine molestia, vexatione aut exactione aliqua libere et expedite pascua su mere posse. Inoltre la regina pro progenitorum quorum rimedio animarum concesse in perpetuo super introitibus et redditibus duanae Neapolis uncias duodecim”.

Margherita fu l’ultima discendente di stirpe normanna della famiglia Chiaromonte, primi dinasti della Contea, ai quali subentrarono dal 1319 i Sanseverino; unicamente con Luca Sanseverino i conti di Chiaromonte furono investiti del titolo “Sanseverino-Bisignano”, perché nella guerra tra Giovanni d’Angiò e Ferdinando d’Aragona, Luca parteggiando per quest’ultimo fu ricompensato con diversi privilegi: “ai numerosi feudi aggiunse quello di

Giganti 1978, pp. 131-135. Ibidem. 51 Bruno, Vitale 2013, p. 372; Vitale 2015. 52 Dizionario Biografico degli Italiani: voce “Luigi II d’Angiò Re di Sicilia”. 53 Giganti 1997, p. 151. I figli di Margherita furono partecipanti di spicco nel conflitto angioino-durazzesco, lotta di tendenze religiose/civili fra il potere sovrano e i baroni con le loro popolazioni ribelli, tra i fedeli al papa di Roma e a quello di Avignone, ma sempre nell’ottica del do ut des. 54 Nello stesso periodo fu nominato Generale dalla Regina Giovanna I. 49 50

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Profilo storico, fonti e documenti Bisignano con il titolo di Principe, comprato nel 1465 per la somma di 20.000 ducati”55.

“Signu manus meae Riccardi filii domini Hugonis de Claromonte – Signum manus meae Hugonis filii domini Riccardi de Claromonte – Anno dominicae incarnationis millesimo dugentesimo vigesimo sexto, mense octobris quartaedecimae indictionis. Regnante nostro dominio Federico Dei gratia romanorum invictissimo imperatore sempre augusto, rege Siciliane, anno imperii ejus quinto, regni vero vigesimo septimo feliciter amen”57.

2.3 Fonti e documenti Per quanto riguarda la consistenza documentaria, notevole importanza ha rivestito l’opera dei monaci cistercensi e certosini presenti sul territorio della Contea di Chiaromonte, permettendo di ricostruire un quadro esaustivo delle fasi di vita del centro e della storia medievale di tutta la media valle del Sinni; fondamentale risulta l’analisi delle pergamene del monastero di Santa Maria del Sagittario e di San Nicola in Valle, attraverso le quali è possibile riconoscere le relazioni intercorse tra il potere laico e quello ecclesiastico, dispiegando in tutto il ruolo centrale di Chiaromonte in questo territorio. Antagonista in questo senso, il monastero di Sant’Elia e Anastasio di Carbone, permette di conoscere il lato più antico di quel monachesimo di origine greca che ancora durante tutto il secondo millennio è sopravvissuto al monachesimo di rito latino fortemente voluto dall’autorità centrale dei Chiaromonte, prima, e dei Sanseverino, in seguito.

Si fa menzione di questo personaggio in un primo documento datato sul finire del terzo quarto dell’XI sec. d.C.: 1074, marzo, indiz. Sesta. “Ugo Clerimontis et Giamarga uxor eius” fanno alcune donazioni a Biagio, “Venerabile abbas del monastero beati Anastasii qui dicitur de Carbone”58. L’Ugo in questione è il figlio di Verelando, il capostipite della famiglia Clermont.

Le famiglie succedutesi al governo della Contea hanno sempre avvallato e favorito la fondazione di complessi monastici direttamente sulle loro proprietà terriere56, consapevoli delle loro notevoli capacità di organizzazione del territorio, tanto da trasformare terreni incolti in fattorie altamente redditizie; chiara funzione di sentinella ricoprivano, invece, i casali fortificati, in particolare il Casale de Rubeo.

Nel 1080 Ugo era già morto: lo si deduce da una concessione fatta in quell’anno al monastero di Carbone dalla sola Giumarca. E pertanto non si può non dubitare dell’autenticità della carta del 15 novembre 1088, indiz. Dodicesima, con la quale Ugo di Chiaromonte, per la redenzione dell’anima propria, della moglie del figlio Ruggero e della figlia avrebbe donato alla badia di Cava la chiesa di Santa Maria di Cersosimo con le sue dipendenze.

2.3.1 Diploma del 1226. Rivindica di patronato sulla chiesa di San Tommaso Apostolo

Si riportano qui di seguito altri tre documenti che attestano donativi:

Il documento è un atto datato al 1226 relativo alla fondazione del beneficio della chiesa di San Tommaso Apostolo, da cui si ricava che nell’XI sec. d.C., Ugone il Vecchio della famiglia dei Chiaromonte, formò per sé e per i suoi successori un patronato sulla chiesa, riservandosi il diritto di nomina del rettore e di quattro canonici. Sono chiari i vantaggi che ne seguivano per Ugone, reggendo direttamente la collegiata con la possibilità di nominare negli incarichi persone a lui fedeli. Nel 1226 il Conte Riccardo di Chiaromonte, visto che i titoli e le scritture erano ormai talmente consunti dal tempo, decise di rinnovarli con questo atto, ovvero trascrivendo il vecchio diploma con un altro legalmente firmato dal notaio Gualterio, a conferma di ogni diritto ottenuto all’epoca della fondazione. Dal 1226 al 1545 quel beneficio non uscirà dal dominio della Casa Sanseverino.

• 1093, settembre, indiz. Seconda. Alessandro di Chiaromonte e il fratello Riccardo donano alla chiesa di Santa Maria di Cersosimo il monastero di S. Onofrio, sito nelle pertinenze del territorio di Noa59. • 1093, indiz. Quarta. Alessandro figlio di Rocca e genero di Ugo di Chiaromonte, unitamente alla moglie Avena, cedono a S. Anastasio di Carbone il “Vetus Monasterium dei Santi Quaranta sito in loco Qui dicitur de Sclavis”. Precede il “signum factum a manu Alexandri filii domine Rocce et generis domini Ugonis de Claromontis et Avene uxoris eius”60. • 1116, 3 novembre, indiz. Decima. Alessandro di Chiaromonte con la moglie Giuditta e il fratello Riccardo, in memoria del fratello maggiore Ugo, donano terre al monastero di Cava e a Santa Maria di Cersosimo, confermando le donazioni fatte al tempo dal padre Alessandro e dell’avo Ugo61.

2.3.2 Albereda, Signora di Colubraro e Policoro Una figura della famiglia Clermont risulta in particolare di dubbia identificazione: si tratta di “Albereda, domina Colubrarij et Policorij”.

Si legge testualmente: Elefante 1987, p. 56. La grancia del Ventrile (alle dipendenze del Sagittario), il monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario, il monastero certosino di San Nicola in Valle, la grancia nel centro abitato di Chiaromonte alle dipendenze del Sagittario e il convento urbano dei frati della Riforma del Carmine.

Archivio di Stato di Napoli (ASN), Fondo Privato Sanseverino Bisignano, Fascio 11 Fascicolo 5. 58 Robinson 1929, p. 176. 59 Trinchera 1865, doc. 58, p. 75. 60 Robinson 1929, p. 202. 61 Trinchera 1865, doc. 80.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Della figura di Albereda, le fonti non riescono a chiarirne la situazione sociale. Con la bolla papale che Innocenzo II avrebbe rilasciato il 15 maggio 1140 in favore del monastero benedettino di Santa Maria della Valle Giosaft, a conferma dei beni posseduti, si ritrova l’indicazione della domina Albereda, in quanto moglie di Ruggero di Pomerada: “Item ex concessione domine Albereda uxoris quondam domini Rogerii de Pomerada in parrochya Anglonensi in territorio Policorii ecclesiam sancti Basilici cum terris et consuetudinis et libertatibus agricolarum ecclesie tam in aquis lignis et silvis quam in ruribus ad colendum ac mari seu flumine ad fiscandum, que omnia dicta domina Albereda concessit monasteri Josaphat pro anima viri sui et animabus bone memorie Robberti Guiscardi et Boamundi Filii eius et magni comitis Rogeri”.

Tutto quindi induce a ritenere che il dominio distintamente affermato di Ruggero de Pomeria e di Albereda sulle terre di Colobraro e Policoro derivò loro per concessione del “Dominus” Beomondo d’Antiochia; e che alla loro morte senza eredi, data la perdurante fedeltà dei Chiaromonte alla famiglia di Beomondo, di quel dominio vennero investiti i nominati Alessandro e Riccardo, che proclamarono Albereda loro zia e sono detti dalla stessa suoi nipoti.

La bolla, diplomaticamente falsa, è importante considerando il confronto con l’analogo inciso ricorrente nell’altra bolla, pur essa falsa, che Innocenzo II avrebbe rilasciato sotto la stessa data ed allo stesso fine al monastero di Valle Giosafat: “In parrochia Anglonensis in territorio Policorii ecclesiam sancti Basilici cum terris et terrarum consuetudinibus, videlicet ut agricole predicte ecclesie aquam ligna et silvam rura ad colendum mare seu flumine ad piscandum liber et absolute habeant, que Albereda domina ilius terre pro anima viri sui Rogerii de Pomeria nec non pro animabus omnium consanguineorum quorum, silicet Roberti Guiscardi et filii eius Boyamundi et magni comitis Rogerii, deo et ecclesie sancte Marie Vallis Josaphat dedit”.

Così scriveva Giuseppe Marchese riguardo il monastero di Santa Maria del Sagittario: “Si legge nelle antiche costituzioni della badia Sagittariense che in essa accorsero i figli delle più ricche famiglie della Basilicata per perfezionarsi negli studi letterari”, e nella nota concernente questo breve brano fa riferimento a uno studio inedito sull’abbazia del Sagittario del Cav. Giuseppe Dolcetti di Chiaromonte, citandone fra virgolette un passo: “Questo privilegio, scrive il Dolcetti, che accordava l’abbazia del Sagittario ai figli dei ricchi faceva nascere in seno all’Ordine un dualismo fatale specialmente quando questi signori consideravano il patrimonio abbaziale come un appannaggio delle loro famiglie”64.

Ed è, appunto, da tale vincolo familiare (da nulla fin ora contraddetto) che deriva Albereda figlia di Ugo di Chiaromonte. 2.3.3 Il codice “Dolcetti” dell’abbazia cistercense di Sagittario presso Chiaromonte

Durante il regime napoleonico l’abbazia fu soppressa il 26 febbraio 1807 e tutti i suoi beni, come quelli degli altri enti ecclesiastici, furono incamerati dal Demanio. Le carte dell’archivio andarono in gran parte smarrite e quelle che si salvarono furono prima conservate presso la diocesi di Anglona-Tursi, poi nell’archivio del seminario pontificio di Potenza e in ultimo presso l’archivio diocesano di questa città. Damiano Leucci ha pubblicato l’inventario dei beni del monastero di Sagittario all’atto della soppressione65, e si resta davvero sbalorditi, quando si viene a conoscenza dell’immenso patrimonio del monastero, a cominciare dai messali e altri documenti per finire alle statue. Di alcuni di loro, come il coro ligneo, l’altare marmoreo, un confessionale sappiamo dove sono, ma della maggior parte ignoriamo le loro vicissitudini.

Nel secondo documento il defunto marito della domina di Policoro, Rogerius de Pomeria, è indicato con uniforme designazione; non così Albereda, che è chiamata invece Alberada, col nome di colei che fu la prima moglie di Roberto il Guiscardo. Unico documento ritenuto non sospetto è una carta del 1112 che attesta la signoria di Albereda su Policoro: “Cum essem in civitate mea Pollicorio ego suprascripta Alberuda”62, cioè il dominio sulle terre di Policoro. Ultimo nodo al pettine è il chiarimento dei rapporti dei coniugi Albereda e Ruggero de Pomeria con la famiglia di Beomondo e con i fratelli Chiaromonte. Una carta insospettata del 1131 mostra Riccardo Chiaromonte Signore di Policoro, e quindi conferma la circostanza rivelata dal documento del 1125 (col quale i fratelli Alessandro e Riccardo Chiaromonte avrebbero confermato al monastero di Carbone la donazione di Santa Maria di Policoro e di Santa Maria di Scanzano fatta al cenobio stesso dai coniugi Riccardo Siniscalco e Albereda loro zia, nonché dal dinasta Beomondo63 della signoria dei fratelli Alessandro e Riccardo Chiaromonte su Policoro, concessa loro da Beomondo II.

Nella storia del Sagittario due documenti scritti dallo stesso autore, l’abate De Lauro, narrano le vicende del monastero intrecciandosi tra loro. Nel 1995 Pietro Dalena pubblicò il volume intitolato: Basilicata Cistercense (il codice Barb. Lat 3247). Nel testo vengono recuperati e rese note numerose testimonianze documentarie inedite, dalle quali emerge più chiara la vicenda storica del monastero cistercense recuperate dal c.d. ‘Codice Barb. Lat. 3247’66. 64

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Robinson 1929, p. 220. Trinchera 1865, n. 97, p. 126.

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Marchese 1932, p. 214, nota 1. Leucci 1993. Dalena 1995.

Profilo storico, fonti e documenti Il Dalena scrive che il Cod. Barb. Lat. 3247 contiene gli annali del monastero del Sagittario, compilati dall’abate Gregorio De Lauro o De Laude, il quale nel XVII sec. d.C. ne riordinò l’archivio. Lo stesso autore fa rilevare che il De Lauro scrisse diverse opere, fra le quali l’Historia monasterii Sagittariensis e Cathalogus Abbatum Sagittariensis…67 conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, contenuti ora nel Cod. Barb. Lat. 3247, prima Cod. Barb. 3237 e 3513. Un altro studioso, Antonio Giganti, riferendosi alle opere del De Lauro, non fa menzione del Cod. Barb. Lat. 3247, né dell’Historia monasterii Sagittariensis: “Del De Lauro sono da ricordare gli Annali del Monastero del Sagittario, contenuti nel Cod. Barb. 3237, il Catalogus abbatuum Sagittariensis monasterii sacri cisterciensis ordinis, anglonensis diœcesis, contenuto nel Cod. Barb. Lat. 3513 e pubblicato dallo stesso De Lauro nel 1660 in Mirabilium veritas defensa…”68.

a mezzobusto e sull’altra, in sequenza verticale, sono raffigurate: una stella raggiante sovrastante una croce di Gerusalemme, quattro piccole croci greche nei quattro angoli retti formati dai due assi della croce di Gerusalemme e tre punte di lancia unite alla base e leggermente divaricate a destra e sinistra di quella centrale. Il manoscritto cartaceo, datato al 1673, di cc. II, 217, è ben conservato, anche se alcuni folia presentano non poche linee di scrittura forate dall’acidità dell’inchiostro (mancano alcune cc. alla fine). La copertina è di cartone duro rivestito di pelle di ovi-caprino. La rilegatura con spago non è in buone condizioni, perché i fascicoli fino al fol. 55 v., pur rimanendo inseriti l’uno nell’altro, anche se con diversi folia del tutto separati, sono distaccati dall’insieme. La scrittura, vergata a tutta pagina con margini molto ampi, è una minuscola corsiva italica di pieno XVII sec. d.C., a cui si affiancano una elegante maiuscola capitale e una carolina che imita i caratteri della stampa, entrambe utilizzate per mettere in risalto l’inizio di alcune sezioni testuali (titoli o inizio di documenti citati). La confezione del codice è da attribuire alla mano dello stesso de Lauro, come ci testimoniano il confronto della scrittura con quella di alcune lettere autografe dell’abate cistercense conservate in due mss. della Biblioteca Apostolica Vaticana, segnati rispettivamente Barberiniano latino 3243 (cc. 215r, 216r, 289r-v, 290r-v, 291r) e 3236 (215rv), datate tra il 13 maggio 1657 e il 4 novembre 1660 da Napoli o da Cosenza, e indirizzate all’abate Ughelli, famoso autore dell’Italia sacra.

Il c.d. ‘Codice Dolcetti’ non riporta, invece, come il barberiniano, solo il catalogo degli abati del monastero di Sagittario, di cui il titolo è preludio (De Sagittarii abbatibus sacri Cisterciensis ordinis rebusque ab iis praeclare gestis, ad nostram usquam aetatem deducta serie opus singulare in quo eius origo, principum donationes, recondita monumenta proferuntur. Anno Domini mdclxxiii), bensì nella sostanza parrebbe contenere sia il contenuto di quest’ultimo documento, già edito dal Dalena e databile al 163369, sia numerosi altri capitoli aggiuntivi e differenze al testo70. Soprattutto, il Codice Dolcetti, è importante perché il De Lauro ha voluto inserirvi i documenti riguardanti i privilegi contenuti nella Platea del monastero di Sagittario, affinché il loro ricordo non andasse perduto con il passare del tempo (Ne igitur collectorum, ut supra, privilegiorum memoriæ deperãt, non contentus, quod eadem registrare, et in authenticam formam redigere curaverim in universali Platea nuper Regia autoritate confecta, et hîc interserere placebit, ad perennitatem)71.

La numerazione del Codice Dolcetti è posizionata in alto a destra e il contenuto si articola come segue: a) Argomento De Sagittarii abbatibus sacri Cisterciensis ordinis rebusque ab ijs præclare gestis…

Il Cod. Barb. Lat. 3247 consta di cc. I+68+I divise in 17 binioni, mentre il Cod. Dolcetti di 216 folia, dal formato di cm 41,5x27,5, con uno specchio di scrittura di cm 30,6x16,5 il cui margine destro e sinistro, superiore e inferiore è di ca. cm 5,5. Il numero delle righe varia da 34 a 38. Nei margini destro e sinistro figurano le date degli avvenimenti narrati e diverse glosse, alcune delle quali a volte sono depennate con tratti d’inchiostro.

1. dal fol. 15 al 92 tratta degli abati regolari: dal Beato Palumbo a Ugo Vergallito; 2. dal fol. 92 al 130 tratta degli abati commendatari: da Giovannello Vergallito al card. Pietro Vidone; 3. dal fol. 158 al 172 tratta dei priori claustrali con carica quadriennale: da Silvestro de Grizzo a Gerolamo Caricati; 4. dal fol. 172 al 183 tratta dei priori prelati con carica quadriennale: da Gerolamo Caricati a Teodosio Caymo; 5. dal fol. 183 al 216 tratta degli abati claustrali con carica quadriennale: da Emanuele Peluso a Gregorio De Lauro.

Quest’ultimo manoscritto presenta una sola illustrazione che raffigura due parti simmetriche piane di una pietra spaccata. Su di una appare il profilo del volto della Deipara

Il fol. 216 v. inizia con il capitolo riguardante gli abati claustrali con carica quinquennale, ma la narrazione s’interrompe con la parola Castellucij in calce, ad indicare che il testo doveva continuare.

Ibidem, nota 85. Giganti 1978, p. VI, nota 5. 69 Dalena 1995: “È opera di un’unica mano; l’inchiostro, unico, è databile alla prima metà del XVII secolo (alla carta 68v. si legge la data “12 iulij anno 1633”). 70 Vitale c.s. 71 Codice Dolcetti, carta n. 10. 67 68

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale b) Prefazione

di San Martino di Napoli, fra Matteo de Tito, nominato con lettera del 12 giugno 1393 commissario deputato per l’accettazione del donativo di Venceslao74. Costui recatosi a Senise, non approvò l’ubicazione del nuovo monastero e pregò il conte di provvedere diversamente; il motivo ufficialmente addotto per il cambiamento del sito, cosi come risulta da una carta del 1395, fu quello della insalubrità dell’aria nel territorio di San Filippo: ne ex dislicentia corruptionis aëris contigisset ipsum ducem sumptus subisse in vanum, cum alias iam contigit loca alia cidti ordinis propter infectionem mali aëris fuisse penitus derelicta75.

D. Gregorius De Laude, aliàs De Lauro Abbas venerabilbus Sagittarii Filijs…. Il De Lauro indica le ragioni che lo indussero a scrivere l’opera. c) Descrizione del monastero di Sagittario Sagittariensis Monasterij sacri Cisterciensis Ordinis plena descrptio. 2.3.4 La Contea di Chiaromonte: dai Clermont ai Sanseverino

Venceslao donò al monastero, dunque, l’intero territorio di Sant’Elania sito nelle vicinanze della località Rubio76. La fondazione del monastero voluta dal conte rappresenta l’inizio di una politica distensiva a conclusione delle tormentate vicende degli anni precedenti nel Regno di Napoli. Le lunghe ed estenuanti lotte sostenute contro i Durazzo segnarono, infatti, nell’ultimo decennio del XIV sec. d.C., una fase di ripiegamento nella strategia dei Sanseverino, nella quale è possibile riconoscere una revisione dei loro atteggiamenti verso il papato e la famiglia dei Durazzo77.

Ruggero, figlio di Giacomo e Margherita, fu il padre di Venceslao, Stefano, Amerigo e Margherita. Nel 1382 Venceslao ottenne l’investitura di conte di Tricarico e Chiaromonte in seguito alla morte di suo padre Ruggero; al titolo aveva aggiunto quello di duca di Venosa, usurpandolo, come scrive il Giannone: “... poi nel tempo, che corse dalla morte di Giovanna I al regno di Ladislao, alcuni signori, che nutrivano genti d’arme, occupavano le terre, e si usurpavano i titoli a loro modo, e tra costoro fra’ Sanseverineschi fu Vincislao Sanseverino, il quale vedendo nella casa del Balzo, e di Marzano questo titolo, s’usurpò anch’egli il titolo di Duca di Venosa”72.

Nel 1404 il governo centrale intervenne con violenza contro i Sanseverino; il re riuscì a porre le mani sui maggiori esponenti di quella famiglia, e anche il fondatore del monastero di San Nicola venne giustiziato78. Tutto ciò provocò l’immediata reazione di coloro i quali erano stati quasi con forza costretti a facilitare l’inizio della vita monastica certosina a Chiaromonte: difatti, l’eliminazione del conte nel 1404 rese particolarmente delicata la

Luigi I d’Angiò in considerazione dei meriti e dei numerosi servigi che Venceslao gli aveva reso nella lotta contro il rivale Carlo III di Durazzo per il possesso del Regno di Napoli, nel 1383 gli concesse una casa in Napoli. Al tempo della regina Giovanna I d’Angiò, Venceslao operò un ampio tentativo di riconversione agraria, specialmente dove si trovavano campagne e centri urbani abbandonati, e all’interno di questo progetto si può inserire la fondazione nel 1395 della certosa di San Nicola in Valle presso Francavilla in Sinni (PZ) su di un poggio in loc. Fosso Scaldaferri.

A.A.P., Pergamena n. 8. A.A.P., Pergamena n. 11. 76 A.A.P., Pergamena n. 43. Il ritorno a forme di gestione di tipo feudale può essere individuato nel diritto concesso al monastero di amministrare la giustizia in privato: Et quia non ostante privilegio supradicto, personae multae, Dei timore postposito, non cessant dictum monasterium damnificare depascendo glandes et herbas cum animalibus suis, id circo volumus et concedimus priori et fratribus monasterii supradicti quod quoties senserit in suis territoriis esse animalia aliqua depascentia absque voluntate eorum, tunc per se ipsos vel eorum famulos et servitores vel per baiulos terrarum nostrarum vel per quascumque personas dictos fratre iuvare volentes, possint dicta animalia capere et tandiu ipsa detenere donec patronus dictorum animalium concordet cum monasterio, solvendo quod per fida seu diffida solvendum est, dummodo per capientes prefata animalia manus eorum ad aliquem violentem actum non extendant. 77 A.A.P., Pergamena n. 7. Nella carta di fondazione del monastero di San Nicola in Valle del 1391 Venceslao confessa di essere stato spinto a creare un nuovo centro monastico dal desiderio di ottenere la remissione dei peccati, per poter così sperare nella salvezza eterna: … dominus dux asseruit quod divina precedente clementia, que peccatorum culpas non ponderans ad rectum iter naufragos salutis reducit ad portum, est eorum mortem execrans, vitam et conversionem affectat, et quorum reatuum et aliorum piorum operum peccata redimat et veniam altissimi consequatur. 78 Di Costanzo 1770, libro XI, p. 219. Il Di Costanzo fornisce la sua versione riguardo la morte di Venceslao: «Ma re Ladislao [...] se ne tornò in Napoli per la via di Puglia, e per molti buoni trattamenti che faceva al duca di Venosa e a Tommaso Sanseverino, che nell’intrinseco odiava mortalmente, loro tolse ogni sospetto, sì che andarono fino a Napoli, ove, poiché fur giunti gli fece carcerare; Tommaso e un figlio, il duca e un figlio, [...] e di là a pochi dì gli fece strangolare e gittare i corpi dentro le rovine di S. Pietro Vecchio, ch’erano ov’è oggi la fossa della cittadella del Castel Novo, ove furono mangiati dai cani». 74 75

La fondazione del monastero certosino riflette l’atteggiamento religioso, e in parte politico, dei Sanseverino nella società del loro tempo, inquadrandosi nel complesso mondo civile e religioso del XIV secolo. Della fondazione del monastero ci sono pervenuti due documenti, uno del 1391 e l’altro del 139573: questi costituiscono una dettagliata registrazione degli obblighi assunti dal fondatore nei riguardi dell’Ordine dei certosini e una descrizione della consistenza patrimoniale con cui venne dotata la comunità monastica. Alcune difficoltà ci furono nella costruzione del cenobio, ma Guglielmo da Rainaud affidò il compito di provvedere al superamento di queste ultime al priore del monastero Giannone 1770, vol. 5, p. 227. Questi documenti, e le altre pergamene, sono reperibili presso l’Archivio Arcivescovile di Potenza (d’ora in avanti: A.A.P.). 72 73

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Profilo storico, fonti e documenti posizione dei monaci79, in quanto non erano ancora stati soddisfatti tutti gli impegni assunti da Venceslao verso la nuova comunità religiosa. Fu necessario pertanto premunirsi rapidamente delle dovute conferme del re per evitare la completa disgregazione dei beni ottenuti dalla munificenza del Sanseverino, e il 15 marzo 1404 il re Ladislao confermò tutti i diritti alla comunità certosina80.

sue truppe invase per mare e per terra il Regno di Napoli (regnumque duce Lutrechio, terra marique invaserunt)85. Pietrantonio Sanseverino, capitano di Carlo V, si distinse in quell’evento bellico in cui Chiaromonte subì il giogo dell’attacco del Lautrec (Coeterum certissimum est, quod Clarusmons iugum portavit Gallicæ servitutis)86.

Il 3 gennaio 1439 vi fu di conseguenza il riconoscimento dei diritti signorili del monastero di San Nicola da parte dei dieci vassalli che avevano scelto di trasferirsi in casali Rubri, ma nello stesso tempo si ebbe anche il riconoscimento di alcune autonomie da parte degli abitanti di Francavilla. La certosa di San Nicola in Valle era stata costruita nelle vicinanze del diruto centro abitato di Rubio, scomparso probabilmente, secondo le attestazioni scritte, verso la metà del XV secolo. Nei primi decenni del XIII sec. d.C. è attestato essere in possesso di un Berencario Rubio sottofeudatario dei Chiaromonte81. Fu concesso in suffeudo ad Apollonio di Rubeo, che nel 1217 sposò Costanza figlia di Riccardo di Castromediano82. Il casale di Rubio dovette avere notevole importanza per la sua posizione, all’incrocio di due valli fluviali (il Rubio e il Sinni), in virtù della quale, assolse certamente funzioni di sentinella per la protezione del centro di Chiaromonte: a indizio di questa funzione sono le mura esterne tuttora visibili. Nel 1278 gli abitanti di Rubio erano tenuti al versamento della loro quota per la manutenzione del castello di Rocca Imperiale e due anni dopo venne loro imposto di versare un tributo straordinario per l’ampliamento del castello di Melfi. L’ultima notizia è riportata nella vita del beato Giovanni di Caramola (prima metà del XIV sec. d.C.) in cui viene narrato di un certo Angelo, signore di Rubio, al quale il Beato avrebbe predetto il giorno della sua morte83. Si apprende ancora dal De Lauro che alla morte di Angelo e della sua famiglia sopravvisse un certo Riccardo, divenuto poi Barone di Episcopia. Nella carta di Ladislao del 15 marzo 1404, con cui il Re confermò il possesso dei beni donati al monastero di San Nicola da Venceslao, tra gli altri possedimenti viene ricordato il “casale unum cum turri iam dirutum et distructum in loco qui dicitur Rubius, cum iuribus et pertinentiis suis ad animalium pascua propter soli fertilitatem satis idoneum atque aptum”84. Con il trattato di Lione del 1504 il Regno di Napoli fu assegnato alla Spagna; i Francesi, tuttavia, rivendicando antichi diritti ereditari sulla città, nel 1528 riaprirono le ostilità contro la Spagna inviando in Italia il maresciallo Gastone Odet de Fois, visconte di Lautrec, che con le Elefante 1987, p. 54. Delle Donne 2012, p. 257, c. 104 r., p. 423, c. 297, r. 81 Berencario Rubio figurerà tra i testimoni firmatari del diploma di Riccardo di Chiaromonte del 1226 a favore della chiesa collegiata di San Tommaso Apostolo. 82 Racioppi 1970. 83 Ughelli 1721, tomo VII, pp. 140-144. 84 A.A.P., Documento n. 19. 79 80

B.A.V., p. 55 - 4r. Placanica 1999, p. 214 ; B.A.V., p. 56 - 5r; Ibid., p. 55 - 4r: et inter hos et potentia et nominis splendore, facile Petrus Antonius Sanseverinus princeps et comes Clarimontis excellebat. 85 86

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3 Le fonti toponomastiche nella media valle del Sinni Sommario: I dati che di seguito si propongono possono essere spiegati con la semplice collocazione topografica dei siti in quanto localizzati prevalentemente in aree collinari e montuose o nelle immediate vicinanze di corsi d’acqua. I siti posti su terreni relativamente rocciosi caratterizzati da affioramenti di pietra arenaria e conglomerati hanno una funzione prevalentemente abitativa garantita dalla protezione offerta dal territorio collinare e dalla vicinanza e dalla disponibilità di materie prime per la costruzione delle abitazioni. Questi affioramenti hanno, inoltre, favorito la localizzazione di cave ed altre attività estrattive o la lavorazione della pietra. Alla categoria dei macrotoponimi si riferiscono le principali unità geografiche che troviamo nella documentazione ufficiale di tipo amministrativo (es. i nomi dei centri abitati); a quella dei microtoponimi i nomi di luogo riferiti all’ambito locale e utilizzati dalla popolazione residente. La categoria degli agiotoponimi nel territorio della Contea di Chiaromonte comprende nomi come il luogo chiamato eremo di Santa Saba o eremo del Beato Giovanni. Abstract: The data proposed below can be explained by the simple topographical location of the sites situated mainly in hilly and mountainous areas or in the immediate vicinity of watercourses. The sites located on relatively rocky terrain characterized by outcrops of sandstone and conglomerates have a predominantly residential function with guaranteed protection offered by the hilly terrain and the proximity and availability of raw materials for constructing houses. These outcrops also favoured the location of quarries and other mining activities or the processing of stone. Macrotoponyms refer to main geographical units (e.g. the names of towns) that we have found in official administrative documents; microtoponyms are placenames that refer to the local area and were used by the resident population. Hagiotoponyms in the territory of Chiaromonte County include placenames such as the hermitage of Santa Saba or the hermitage of Blessed John.

3.1 Introduzione

la localizzazione di cave ed altre attività estrattive o la lavorazione della pietra.

Di per sé la toponomastica, intesa come disciplina dell’onomastica che studia i nomi di luogo, è composta dalle parole greche topos (luogo) e onomastiké [tékne] (arte del nominare).

3.2 Macrotoponimi, microtoponimi Alla categoria dei macrotoponimi si riferiscono le principali unità geografiche che troviamo nella documentazione ufficiale di tipo amministrativo (es. i nomi dei centri abitati); a quella dei microtoponimi i nomi di luogo riferiti all’ambito locale e utilizzati dalla popolazione residente. Afferenti alla prima categoria è il caso di nomi di luoghi come Francavilla che proprio nella media valle del Sinni sorge nei primi decenni del XV sec. d.C., nata successivamente all’insediamento della certosa di San Nicola in Valle, favorita dal Conte Venceslao Sanseverino (fig. 3).

Diverse sono le categorie di toponimi che si possono distinguere, da quelli ambientali che riguardano le caratteristiche della morfologia (la forma del territorio), fitonimi (derivati dalla vegetazione), idronimi (dai corsi d’acqua), geonimi (dai caratteri del terreno), fino ai toponimi funzionali che derivano dalla presenza di particolari attività umane. Agiotoponimi sono invece quelli riferiti al culto di un santo o alla memoria di un evento religioso. I dati che di seguito si propongono possono essere spiegati con la semplice collocazione topografica dei siti in quanto localizzati prevalentemente in aree collinari e montuose o nelle immediate vicinanze di corsi d’acqua. I siti posti su terreni relativamente rocciosi caratterizzati da affioramenti di pietra arenaria e conglomerati hanno una funzione prevalentemente abitativa garantita dalla protezione offerta dal territorio collinare e dalla vicinanza e dalla disponibilità di materie prime per la costruzione delle abitazioni. Questi affioramenti hanno, inoltre, favorito

Il 3 gennaio 1439 vi fu il riconoscimento ufficiale dei diritti signorili pertinenti alla certosa da parte dei dieci vassalli che avevano scelto di trasferirsi in casali Rubri, ma nello stesso tempo si ebbe anche il riconoscimento di alcune autonomie da parte degli abitanti di Francavilla1. La vita dei suoi vassalli era regolata secondo la tradizione giuridica del tempo con l’esenzione dalle prestazioni

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Giganti 1978.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 3. - Certosa San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ). Foto obliqua da drone.

personali. Il nome di Francavilla in Sinni compare per la prima volta proprio nel documento del 1439, che contiene i capitoli concessi dai monaci certosini ai loro vassalli residenti nella zona del Rubio, di Sant’Elania e di Sant’Angelo. La giurisdizione del monastero sui territori donati ebbe fin dall’inizio un carattere pubblico con la concessione del dominio riconosciuto da altri sopra una terra, inscrivendolo in un ambiente di tipo feudale2. L’etimo del termine Francavilla, ricorrente in altre località italiane3, è tutto da ricercare nella sua particolare situazione giuridica di esenzione fiscale, definendo uno spazio abitato franco da tasse.

Alla categoria dei microtoponimi farebbero riferimento un gran numero di luoghi riconoscibili nella media valle del Sinni, quali il c.d. Castello de Rubeo, derivato dall’appellativo del torrente limitrofo a questo complesso, ancora oggi chiamato Rubio. Nel 1216 la chiesa di Sancti Petri de Rubeo era stata confermata da Onorio III al monastero di Santa Maria del Sagittario. Nei documenti più antichi risulta in possesso di un Berencario di Rubio sottofeudatario dei Chiaromonte, passando in seguito a Riccardo, indicato anche come barone di Episcopia. Al tempo di Ladislao, nella conferma del 15 marzo 1404 delle donazioni fatte ai certosini di San Nicola in Valle da parte del conte di Chiaromonte, il castello di Rubio è già indicato con l’espressione “dirutum et destructum”5.

Legato invece al toponimo del fiume Sinni, sarebbe il nome del centro di Senise. Posto alla confluenza tra il torrente Serrapotamo4 e il fiume, farebbe derivare il suo etimo proprio da quest’ultimo.

Anche toponimi come il sito fortificato d’altura nei pressi del comune di Colobraro indicato con l’etimo di Cozzo Madonne della Rocca, racchiuderebbe al suo interno indicazioni sia sulla localizzazione del sito (con il termine Cozzo e Rocca) presupponendo una località impervia d’altura, sia della possibilità di un luogo sacro intitolato alla Vergine.

Infra cap. 6, scheda 8, p. 85. Esiste oltre al centro di Francavilla in Sinni, la cittadina di Francavilla Fontana in Puglia, Francavilla a Mare in Abruzzo, Francavilla Angitola, Francavilla Marittima in Calabria, Francavilla di Sicilia in Sicilia e Francavilla Bisio in Piemonte. 4 Il torrente posto lungo il versante settentrionale di Chiaromonte, noto con il nome Serrapotamo, utilizza un etimo di chiara derivazione greca. Il significato del termine è ‘fiume secco’. 2 3

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20

Giganti 1997, p. 68.

Le fonti toponomastiche nella media valle del Sinni In loc. Catarozzo di Francavilla in Sinni nelle fasi finali di vita si riconoscono ambienti limitrofi13, mentre oggi nell’omonima località presso Chiaromonte insiste l’area del serbatoio idrico comunale e i diversi ripetitori di emittenti televisive e radiofoniche i quali, insieme, hanno contribuito alla distruzione di un’area che per vocazione doveva ospitare probabilmente le testimonianze architettoniche pre-normanne del centro.

Le recenti indagini di survey condotte durante i mesi di aprile-giugno 2017, nell’ambito delle attività di ricerca di dottorato da parte dello scrivente6, hanno permesso il ritrovamento sull’altura di almeno 5 corpi di fabbrica7. Escludendo gli ambienti destinati alle funzioni difensive come il torrazzo centrale a pianta rettangolare, è stata individuata planimetricamente una piccola chiesetta monoabsidata (?) orientata perfettamente in direzione EstOvest con abside verso oriente8. Proprio questo edificio potrebbe aver fornito il toponimo con chiaro riferimento alla Madonna.

3.3 Agiotoponimi Alla categoria degli agiotoponimi nel territorio della Contea di Chiaromonte si rifanno nomi quali la località chiamata “Eremo di San Saba”, dal nome del monaco italo-greco che secondo la tradizione storiografica per primo vi condusse vita eremitica. L’eremo doveva essere situato sulla riva sinistra del fiume Sinni, nella località che il catasto denomina Cella dell’eremita, attualmente in agro di Fardella (PZ).

Interessante per la ricostruzione storico-insediativa dei centri fortificati è il toponimo Catarozzo. Percoco sostiene, rifacendosi a ciò che affermava Racioppi, che il termine sia da associare a inclinato e dirupato9. Studi filologici della parola hanno portato lo studioso ad assegnare a questa il significato di rotolare, in riferimento ad una località impervia.

Oggi è possibile vedere dalla S.S. 653 Sinnica un isolotto piramidale nel letto del fiume che fino al 1660 doveva essere attaccato alla terraferma tanto che l’abate del monastero di Santa Maria del Sagittario, Gregorio De Lauro, nei capitoli III e IV della Vita del Beato Giovanni lo descrive come una penisola (fig. 4). Giovanni si stabilì in quest’eremo nel pianoro a settentrione dell’isolotto dove ancora oggi esistono un pozzo d’acqua e una piccola grotta scavata nella roccia14: “Lì intrecciava con sottili vimini che si trovavano nei pressi del fiume Sinni piccoli contenitori di vario genere e costruiva delle piccole sporte. Si dedicava anche con diligenza ad altre attività manuali nel pianoro di quella altissima rupe...”15. Il De Lauro scriveva “L’eremo di San Saba ha l’aspetto di una penisola o, per meglio dire, di un grande scoglio, dato che un corso d’acqua, scendendo da nord e da occidente dai monti dalla destra di Chiaromonte, in periodo invernale, bagna la base dell’eremo e si getta nel celeberrimo fiume Sinni”16.

Nel toponimo si riconosce proprio la parte sommitale urbana di Chiaromonte, con il versante settentrionale di molto più inclinato rispetto agli altri tre su cui si sviluppa l’abitato medievale. Il termine viene comunemente indicato in località del tutto simili a queste: ne è un chiaro esempio l’area posta in agro di Francavilla in Sinni (PZ) nei pressi dei luoghi dove oggi sorgono le due cappelle dell’Assunta e della Madonna di Pompei. Il luogo così identificabile si sviluppa in una località dove sorge eminente uno sperone roccioso dai ripidi pendii, simile come conformazione geologica a quella appena descritta di Chiaromonte. Già le attività di survey condotte nei primi anni 2000 da parte dell’equipè di L. Quilici sulla sommità, rilevarono tracce di una struttura fortificata d’altura10. Le recenti indagini topografiche11, hanno permesso il ritrovamento sull’altura di almeno 5 corpi di fabbrica in connessione tra loro e orientati in direzione Est-Ovest, serviti da una cisterna per la raccolta delle acque reflue e da un varco in muratura che consentiva di accedere al sito12.

Allo stato attuale delle ricerche questo luogo è stato riconosciuto nel piccolo vano di forma rettangolare di ca. m 2x3 costruito con ciottoli reperiti in loco e allettati su corsi irregolari con malta. Non è chiaro lo spessore murario e l’intero sviluppo planimetrico causa degli interri alluvionali in argilla provocati dal dilavamento continuo del poggio, considerata la notevole pendenza dei suoi declivi.

La possibilità di confronto tra un sito abbandonato vissuto tra XII-XIV sec. d.C. e il centro a continuità di vita di Chiaromonte permette di chiarire alcune dinamiche insediative delle aree fortificate sommitali. 6 Protocollo autorizzazione MIBACT-SAR-BAS UPROT 0001540 28/04/2017, CI. 28.04.2017 per attività di survey archeologico nella media valle del Sinni nei comuni di Colobraro – loc. “Cozzo Madonna della Rocca” –, Valsinni – loc. “Tempa del Pizzo”, loc. “Piano del Principe” – Seluci (Lauria, PZ) – loc. “Castello”, e Noepoli in loc. “castello di Rubeo”. 7 Quilici, Quilici Gigli 2001. 8 Infra cap. 6, scheda 22, p. 136. 9 Percoco 1984; Racioppi 1889. 10 Quilici, Quilici Gigli 2001. 11 Protocollo autorizzazione MIBACT-SAR-BAS UPROT 0001540 28/04/2017, CI. 28.04.2017 per attività di survey archeologico nella media valle del Sinni nei comuni di Colobraro – loc. Cozzo Madonna della Rocca –, Valsinni – loc. Tempa del Pizzo, loc. Piano del Principe – Seluci (Lauria, PZ) – loc. Castello, e Noepoli in loc. “castello di Rubeo”. 12 Infra cap. 6, scheda 23, p. 138.

In riferimento alle celle dove visse il Beato Giovanni da Caramola, monaco converso del Sagittario, in seguito al suo eremitaggio presso l’eremo di San Saba, oggi sussistono toponimi nella cartografia IGM dell’indicazione della sua seconda dimora, ovvero “i Romiti” presso il torrente Frido (fig. 5). Proprio in questo luogo si conserva 13 14 15 16

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Ibidem; Cera 2001, pp. 30-31. Percoco 2003. De Lauro 1660. Branco 2004, p. 12.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 4. - Eremo di San Saba.

Fig. 5. - Romitorio del Beato Giovanni da Caramola in loc. “I Romiti” (Chiaromonte, PZ). Foto obliqua da drone.

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Le fonti toponomastiche nella media valle del Sinni

Fig. 6. - Archivio di Stato di Potenza. Cartografia storica Sagittario.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 7. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ). Foto obliqua da drone.

La terza dimora di Giovanni sul monte Caramola viene riconosciuta grazie alle indicazioni toponomastiche di una carta di fine ‘800 rinvenuta presso l’Archivio di Stato di Potenza (fig. 6). L’indicazione, non supportata al momento dal ritrovamento del luogo fisico, rimanda alla località che più volte viene documentata dai cistercensi del Sagittario. Il documento fornisce altre indicazioni importanti per la conoscenza dei luoghi dove sorgeva l’abbazia e delle attività che gestiva. Chiaro è il riferimento ad opere architettoniche quali l’opificio idraulico, recentemente rinvenuto, o alla cava di pietra molare 18.

la struttura che l’abate De Lauro descrive quando parla dell’eremo localizzato presso Scala Magnano: “Abbandonato pertanto l’eremo di San Saba, Giovanni, uomo di Dio, raggiunse una località solitaria nella zona del Sagittario. Quest’eremo è situato in un luogo scosceso verso settentrione dentro ai confini dello stesso territorio di Chiaromonte [...]. Perciò Giovanni, umilissimo servo di Dio, si portò in una località di detta solitudine, ora detta Romitorio del B. Giovanni, non molto lontano dal sacro Cenobio; e lì si costruì un piccolo ricetto con rami di alberi, dove, dedicandosi totalmente alla preghiera e alla contemplazione, egli tormentava il suo corpo duramente con digiuni e astinenze e penitenze corporali...”17.

Il termine Sagittario, che richiama il monastero di Santa Maria, oggi fornisce il nome anche alla contrada in cui è ancora possibile scorgerne i ruderi (fig. 7).

17 De Lauro 1660. Branco 2013, Cap. V, p. 53: “Ad quendam, ergo, dictæ soitudinis locum, nunc Eremitorium B. Ioannis nuncupatum […], Solis herbis inconditis, ac puris aquis se sustentabat, quas hauriebat ex fonte infra eius tuguriuolum existente. (Dunque dovrebbe esserci una fontana nei pressi del piccolo tugurio). Et lacessistis sui corporis membris, quàm brevissimam requiem indulgere volens, supra durum lapidem praedictum cubabat, in quo solum contractus poterat accubare, lapis ipse demonstrat, magna enim molesest, ac stabili ac declivis unidque, ea tantum eius parte except…”. “Ad un luogo, dunque, della detta solitudine, ora chiamato il Romitorio del B. Giovanni […] Si nutriva sempre con le stesse erbe senza condimento e con le acque sorgive che prendeva da una fonte che scaturiva sotto il suo misero tugurio. E volendo concedere alle torturate membra del suo corpo un riposo per quanto possibile breve, giaceva solo se si contraeva, e la pietra stessa lo dimostra: è, infatti, un grande masso stabile e scosceso da tutti i lati, fatta eccezione…”.

Questo toponimo è sorto tra il 1150 e il 1200 e il suo etimo è di evidente matrice latina (“sagitta”, la saetta) ricollegandosi alla storia dell’abbazia di Santa Maria del Sagittario. Unica fondazione cistercense maschile in Basilicata, sarebbe stata così chiamata facendo riferimento alla leggenda di fondazione che raccontava di due cacciatori imbattutisi in una cerva in quei luoghi ove ora sorge il monastero, i quali tentarono più volte di 18

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Vitale 2015a, pp. 453-477.

Le fonti toponomastiche nella media valle del Sinni

Fig. 8. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ): a) foto obliqua da drone; b) foto nadirale da drone.

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Fig. 9. - Grancia urbana del Sagittario (Chiaromonte, PZ): foto nadirale da drone.

essere quello di Ventrile20 (fig. 8). Il termine grancia deriva dal francese antico ‘granche’ e indica l’organizzazione fondata dai monaci cistercensi costituita da edifici rurali per la custodia dei prodotti agricoli e animali.

colpire l’animale con delle frecce (per l’appunto sagittae) senza tuttavia riuscire nel loro intento. Dopo gli splendori architettonici realizzati in ca. 6 secoli di vita, e la successiva soppressione con legge napoleonica il 26 febbraio 1807, dell’abbazia ancora ad inizio ‘900 vengono riportate notizie della sua passata magnificenza, quando Marchese nel suo saggio pubblicato nel 1932 così la descriveva: “L’abbazia riuscì imponente, come si rivela dai ruderi architettonici ancora esistenti. Essi portan l’impronta dell’arte cistercense, coi fregi originali, colle sue arcate smisurate. Fu l’unica e grande abbazia cistercense di tutta la Basilicata e divenne molto ricca e potente per i feudi concessile dal Principe Sanseverino, residente nell’antico castello di Chiaromonte (…) I suoi vasti cortili, decorati di affreschi, le snelle colonne, le arcate slanciate ed ariose, di cui ancora esistono i ruderi, fecero di quest’abbazia Sambucinese una delle opere d’arte più monumentali ed importanti della Basilicata”19.

A tale proposito, presso il centro storico di Chiaromonte, il toponimo indica un luogo dove sorse un’altra grancia del Sagittario, divenuta durante l’800 sede del Giudicato del Circondario dell’area. Si conservano tracce archiettoniche del varco d’ingresso principale, aperto direttamente sul piccolo chiostro a pianta rettangolare e sormontato da un corridoio coperto (fig. 9). La toponomastica antica di matrice medievale in riferimento esclusivo al centro di Contea è stata anche in buona parte desunta direttamente da un documento di poche pagine derivato da carte in possesso della chiesa matrice di Chiaromonte intitolata a San Giovanni Battista, il c.d. “Libro de’ censi e degli affitti della madrice e Parrocchiale chiesa di San Giòvanni Battista, introiti ed esiti fatti nella procura di Don Antonio Caprarolo nell’anno 1728 e finita nel 1729”21. Il contenuto restituisce la rendicontazione dell’attività economica della parrocchia nel periodo

Legati alla storia del monastero vi erano tutta una serie di complessi architettonici funzionali alla gestione del macrocosmo da esso generatosi. Il riferimento va alle grancie distribuite in ambito extraurbano lungo il fiume Sinni, di cui il caso meglio studiato e conservato risulta

20 19

Marchese 1932.

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Infra cap. 7, p. 143; Vitale, Bruno 2012, pp. 371-376. Vitale, Lista 2015.

Le fonti toponomastiche nella media valle del Sinni compreso tra il primo settembre 1728 e il 31 agosto dell’anno successivo. Si tratta di un testo tecnico-pratico caratterizzato da una formularità ripetitiva da cui non si può ricavare nessuna osservazione linguistica ma fornisce numerosi e importanti indicazioni toponomastiche22.

Notizie importanti vengono attribuite alla toponomastica dei luoghi dell’abitato medievale di Chiaromonte che fungevano da fortificazione. Il riferimento va alle porte urbiche e presso questo centro si conserva esclusivamente un varco di accesso fortificato, detto Purtiello, legato al destino del toponimo Santa Lucia. Questo indicherebbe l’intera fascia di terreni a meridione del centro fortificato, definendo con il suo etimo la porta che andava verso quella direzione25. Chiaromonte durante il XVI sec. d.C. doveva essere fornito di almeno due accessi che permettevano il passaggio attraverso la sua cinta: uno era quello appena menzionato e ancora esistente di Santa Lucia, mentre l’altro detto di San Cristofaro doveva essere situato probabilmente dove oggi insiste il palazzo degli Uffici, distrutto forse proprio per far spazio alla costruzione di quest’ultimo26.

I toponimi qui riportati fanno riferimento a località del centro di Chiaromonte durante il XVIII sec. d.C., rievocando luoghi già da tempo cristallizzatisi nella memoria collettiva e ormai non più esistenti, afferendo alla sfera politica dei secoli precedenti. Alcuni di essi sono ancora oggi presenti essendo stati riportati nella cartografia IGM, mentre molti altri sono ricordo della popolazione locale che come di consueto continua a rivolgersi a queste località con i propri nomi. Potremmo definire “parlanti” alcuni di essi in quanto, già di per sé, forniscono una descrizione iniziale del luogo che indicano: è il caso di toponimi quali “monastero” per indicare il luogo di raccolta di una comunità monastica, anche se nel testo non viene specificato il nome o l’ordine a cui associarlo.

Ai toponimi urbani vengono associati anche luoghi che fanno riferimento ad attività produttive quali i trappeti, attualmente non chiaramente identificabili27. Il documento fa esplicita menzione di questo termine due volte: una prima facendo cenno ad una località dove fisicamente doveva insistere una fabbrica del genere28, mentre l’altra utilizzando il termine come richiamo topografico: “… sopra il casaleno da parte il Trappeto del Sagittario, muro comune, da parte occidentale, via pubblica cioè alla contrada Santa Sofia ...”29. Questo farebbe pensare che già durante il XVIII sec. d.C., dove oggi esiste il Calvario vi fosse un trappeto gestito dal monastero cistercense del Sagittario.

A questi dati nel testo si ricollegano un nutrito numero di toponimi che fanno riferimento a santi; spesso di origine orientale, sono la prova dei contatti che ci furono tra entità di origine greca e il centro di Chiaromonte. Le testimonianze tangibili di questa fase, al momento, sono rintracciabili fisicamente sul territorio della media valle del Sinni solo grazie a luoghi quali il centro di vita monastico italo-greco di SS. Elia e Anastasio di Carbone, a cui le famiglie dei Clermont e dei Sanseverino donarono numerose terre e benefici23. Nel tessuto urbano di Chiaromonte vengono ricordate località quali Santo Gallo, Santa Lucia, Santa Sofia, San Rocco, San Cristofaro, Sant’Anna. La toponomastica di questi luoghi faceva riferimento probabilmente in modo diretto al nome di una cappella intitolata al santo. Nei secoli successivi alcuni di questi vengono sostituiti, come per esempio è possibile desumere dai documenti settecenteschi per il caso di Santa Sofia, tramutato in località Calvario.

Altro interessante indicazione si riconosce nell’etimo Spidale, normalmente luogo dove vengono alloggiati gli ospiti, cioè i forestieri, dove si raccoglievano vecchi, fanciulli, persone inabili al lavoro e incurabili. L’unico dato certo accostabile al toponimo è l’attribuzione delle sue funzioni, riconosciute nell’ospedale della chiesa madre di San Giovanni Battista. Per quanto riguarda l’ubicazione, invece, le peculiarità desumibili sono quelle riportate ancora una volta nel citato libro dei censi, dove si legge: “... Nicola Lauria per censo in enfiteusi sopra la casa dietro la forgia di Francesco Tuzio attaccato al caseleno e casa dello spidale di detta chiesa”30. Il testo non fornisce indicazioni riguardo la posizione dell’ospedale, ma semplicemente riporta il dato che Nicola Lauria possiede anche la casa dello spidale, per il quale paga un censo alla chiesa.

Il metodo per poter localizzare e posizionare questi toponimi, ormai non più riconoscibili in un preciso luogo fisico, si deve basare sullo studio e il confronto delle fonti storiche. Il caso più eclatante per Chiaromonte rimane quello della piccola chiesa extraurbana di Santa Lucia, oggi identificata sul luogo dove sorgeva con una croce in legno di fronte l’edificio scolastico omonimo (fig. 10). Da scatti dell’inizio e della metà del ‘900 si riconosce ancora perfettamente la piccola fabbrica ecclesiastica costituita da tetto a doppio spiovente, a vano unico orientato in direzione Est-Ovest con accesso rivolto verso oriente. Proprio nel Libro de’ censi e degli affitti questa località viene ricordata più volte: “... don Domenico Spaltro per i due orti a Santa Lucia una confinante con via pubblica e verso oriente con Catalano e verso mezzogiorno con la Cappella ...”24. 22 23 24

Le indicazioni del piccolo libretto riportano anche il temine ‘monastero’ quando riferisce che: “(...) Sopra la grotta sotto il Monastero (...)”31. Quando ancora oggi si Libro de’ censi e degli affitti 1728-1729, p. 37: “... per esso suoi eredi Marco Tedone per censo in enfiteusi sopra la grotta sotto la Porta di Santa Lucia ...”. 26 Vitale 2015b, p. 20. 27 Elefante 1987; 1988. 28 Libro de’ censi e degli affitti 1728-1729, p. 3. 29 Ibidem, p. 8. 30 Ibidem, p. 15; Vitale, Cirone, Lista 2015, p. 208. 31 Libro de’ censi e degli affitti 1728-1729, p. 7. 25

Cirone 2015, p. 103. Appella 2015. Vitale 2014, pp. 215-233.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 10. - Localizzazione dei ruderi della chiesa extraurbana di Santa Lucia (Chiaromonte, PZ).

3.4 Toponimo “la Motta”

parla di monastero a Chiaromonte si indica solitamente il castello della famiglia Sanseverino, acquistato nel 1849 dalla curia vescovile di Anglona-Tursi, che lo trasformò proprio in un monastero. Considerato che il testo dei censi è precedente a questa fase storica potrebbe indicare l’area in cui sorge il convento dei frati della Riforma del Carmine, descritto dal Gallarano nel suo apprezzo nel XVII sec. d.C. L’area occidentale del recinto fortificato di epoca sanseverinesca, compreso nel piazzale delimitato dalla c.d. Torre della Spiga sarebbe da riconoscere come il sito ancora oggi chiamato “U cummend”, toponimo che tradotto letteralmente significa proprio il convento, il monastero.

Sempre presso il centro di Chiaromonte è attestato uno degli etimi maggiormente ricercati nella toponomastica di matrice normanna nel mezzogiorno d’Italia, dove questi si insediarono nell’XI sec. d.C. Nel più volte citato “libro de’ censi e degli affitti” viene fatta menzione di un “(...) affitto di una grotta sotto la motta”. Il termine Motta potrebbe informarci della presenza di questa tipica struttura fortificata – di origine francese – che arrivò in Italia meridionale come sapere tecnicocostruttivo con la discesa delle famiglie normanne 28

Le fonti toponomastiche nella media valle del Sinni

Fig. 11. - Loc. Torre della Spiga (Chiaromonte, PZ). Area di possibile localizzazione del toponimo “La Motta”.

provenienti dalla Francia32. La possibilità di localizzare questo topos dischiuderebbe un importante dato per quanto riguarda l’organizzazione topografica medievale del centro di Contea. Documenti coevi al Libro de’ censi farebbero propendere per il posizionamento di questo toponimo nei pressi di alcuni terreni nelle immediate vicinanze della località Torre della Spiga33. Questa tesi potrebbe essere ulteriormente avvalorata dal fatto che nel testo in esame viene menzionato l’affitto di una grotta nei pressi di località motta; l’area c.d. Torre della Spiga è ancora testimone della presenza di numerosissime grotte, oggi adibite a cantine per la conservazione del vino. La motta probabilmente potrebbe essere localizzata a monte della spianata del circuito fortificato, andando a coincidere con la posizione dove ancora oggi insiste un’altra torre circolare lungo il versante occidentale di Chiaromonte (fig. 11). Si può intuire come il ritrovamento di un elemento così tanto importante possa, per un centro con una fase normanna consistente, essere un rinvenimento di portata eccezionale oltre che chiarificatore rispetto a tante informazioni riguardanti la fase medievale del centro ancora oggi poco precise. Purtroppo non vi sono evidenze archeologiche a supporto, a causa dei succcessivi interventi edilizi dell’architettura costruita in pietra.

32 Per approfondimenti sull’argomento nel meridione d’Italia si veda: Arthur, Melissano 2004. 33 Cfr. Archivio Privato Spaltro: documento testamentario di Giuseppe Antonio Spaltro, p. 3.

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4 Metodi di documentazione archeologica e architettonica: tecniche di fotomodellazione 3d Sommario: Le procedure di documentazione archeologica, sviluppate nell’ambito di queste attività di ricerca, seguono alcune soluzioni per ottimizzare le tecniche di rilievo dei dati tramite l’impiego di SAPR, fotocamera digitale, asta telescopica in carbonio, tablet o smartphone, e software di fotomodellazione. Considerata la complessità e l’articolazione delle procedure di rilievo e documentazione, si ritiene opportuno decriverne i procedimenti e i processi applicativi. I modelli tridimensionali costituiscono, inoltre, un documento unico dello stato attuale dei singoli beni caratterizzato da informazioni metriche, geometriche e materiche delle parti componenti la fabbrica intera o limitatamente al saggio di scavo, utili dunque alla ricostruzione e alla documentazione stratigrafica. L’efficacia scientifica dei nuovi metodi d’indagine rispetto ad un approccio puramente tradizionale riguarda la sperimentazione e l’applicazione di una procedura standard e speditiva allo scopo di rilevare in tre dimensioni qualsiasi evidenza archeologica. Altresì essa evita, nella fase di registrazione, la perdita di informazioni, ovviando in tal modo a inevitabili sviste e incongruenze implicite nelle operazioni di rilievo bidimensionale e delle peculiarità “distruttive” dell’archeologia stessa. Abstract: The archaeological documentation procedures, developed as part of these research activities, were resolved by optimizing data survey techniques through the use of UAV, digital camera, telescopic carbon rod, tablet or smartphone, and photomodelling software. Given the complexity and articulation of the survey and documentation procedures, it is necessary to describe the procedures and application processes. The 3D models constitute, moreover, a single document of the current state of individual goods characterized by metric, geometric and material information about the parts making up the whole factory or limited to the excavation sample, therefore proving useful in reconstruction and stratigraphic documentation. The scientific effectiveness of the new investigation methods, compared to a purely traditional approach, concerns the experimentation and application of a standard and expeditious procedure in order to detect any archaeological evidence in three dimensions. It also avoids, in the recording phase, the loss of information, thus obviating inevitable oversights and inconsistencies implicit in twodimensional survey operations and “destructive” peculiarities of archaeology itself. di acquisizione dei dati fotografici e migliora la qualità metrica degli elaborati finali.

Le procedure di documentazione archeologica, sviluppate nell’ambito di queste attività di ricerca, seguono alcune soluzioni per ottimizzare le tecniche di rilievo dei dati tramite l’impiego di SAPR, fotocamera digitale, asta telescopica in carbonio, tablet o smartphone, e software di fotomodellazione1. Considerata la complessità e l’articolazione delle procedure di rilievo e documentazione, si ritiene opportuno decriverne i procedimenti e i processi applicativi.

La fotografia però, pur costituendo una fonte mnemonica importante, è soggetta alle leggi delle deformazioni prospettiche, che le impediscono di essere utilizzata, così com’è, come strumento di misura e di reperimento di informazioni metriche accurate. A questi problemi hanno ovviato già da qualche anno tutti i software di fotomodellazione tridimensionale, i quali oltre a realizzare modelli 3d e ortofoto, sono strutturati proprio per poter correggere quelle che sono le aberrazioni ottiche di ogni tipologia di camera. Riunendo i vantaggi descrittivi della fotografia con la possibilità di ottenere diverse informazioni metriche, la fotogrammetria risulta indispensabile per documentare le evidenze archeologiche e architettoniche.

Il tablet è funzionale allo scatto in remoto dell’immagine, che viene effettuato fissando la camera su di un asta telescopica che permette riprese più ampie. Lo scatto viene gestito tramite connessione bluetooth tra i dispositivi e app dedicata all’utilizzo in remoto dei dispositivi. Questo sistema, ormai impiegato anche per il rilievo di superfici di scavo archeologico, velocizza notevolmente la fase

Altre soluzioni di scatto sono quelle realizzate con una camera Sony dsc-qx10 che permette di scattare immagini in remoto da mpx 18, il tutto gestito tramite l’applicazione proprietaria Play Memories, scaricabile direttamente sullo smartphone. Considerato il peso notevolmente ridotto di

1 Tra i software commerciali oggi in commercio, a puro titolo esemplificativo, si menzionano: Agisoft Photoscan, Agisoft Metashape, Zephyr 3d, Pix4d, ecc.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Lo scopo principale del processamento fotografico con software di fotomodellazione è quello di costruire e ottenere un modello 3d. Questa procedura comprende in sintesi 4 principali passaggi. Il primo è l’allineamento degli scatti fotografici, dove vengono ricercati i punti comuni delle fotografie e le relative corrispondenze, così come sono anche ricercate le posizioni della fotocamera per ciascuna immagine e perfezionati i parametri di calibrazione della stessa. Il risultato finale sarà una nuvola di punti sparsi e una serie di punti di ripresa. Il successivo vede la costruzione di una densa nuvola di punti, seguita dalla generazione della maglia tridimensionale. Dopo aver costruito la mesh essa può essere texturizzata e/o utilizzata per la generazione di ortofoto3. Il fotopiano realizzato può essere suscettibile di eventuali misurazioni basate sul modello ricostruito, individuando almeno due marcatori con una distanza nota tra loro sull’oggetto o inserendo una unità di misura all’interno degli scatti realizzati (un righello, metro o palina).

questa camera, di ca. g. 105, la gestione dell’inquadratura una volta montata su un’asta telescopica e portata a notevole distanza dall’operatore, risulta in ogni modo notevolmente migliorata. Nei casi in cui il soggetto si sviluppi molto in altezza, infatti, si riesce a rimanere ortogonali al piano, pur sollevandosi di molti metri. L’asta in carbonio adoperata durante le fasi di acquisizione di questa ricerca si sviluppa nella sua massima estensione per 10 m. Considerata la distanza massima tra l’operatore e il culmine dell’asta, tenuto presente che i pesi diventano maggiori ad una distanza maggiore, si è ovviato a oscillazioni grazie all’impiego proprio della leggera Sony dsc-qx10. Si comprende facilmente come un camera reflex media e la sua ottica, le quali insieme sfiorano pesi considerevoli, siano poco stabili all’aumentare dell’altezza del sistema, riducendone la stabilità e producendo immagini alle volte mosse, non utili ai fini della realizzazione del prodotto tridimensionale; difatti, i software di fotomodellazione 3d richiedono tra i parametri fondamentali la nitidezza del fotogramma per permettere la georeferenziazione tra i pixel.

I modelli tridimensionali costituiscono, inoltre, un documento unico dello stato attuale dei singoli beni caratterizzato da informazioni metriche, geometriche e materiche delle parti componenti la fabbrica intera o limitatamente al saggio di scavo, utili dunque alla ricostruzione e alla documentazione stratigrafica. L’efficacia scientifica dei nuovi metodi d’indagine rispetto ad un approccio puramente tradizionale riguarda la sperimentazione e l’applicazione di una procedura standard e speditiva allo scopo di rilevare in tre dimensioni qualsiasi evidenza archeologica4. Altresì essa evita, nella fase di registrazione, la perdita di informazioni, ovviando in tal modo a inevitabili sviste e incongruenze implicite nelle operazioni di rilievo bidimensionale e delle peculiarità “distruttive” dell’archeologia stessa5.

Durante la fase di acquisizione dei fotogrammi risulta fondamentale mantenere costante e fissa la lunghezza focale di ogni ripresa. Nelle impostazioni della fotocamera è preferibile utilizzare dati in formato raw che non perdono di qualità, anche se le caratteristiche tecniche migliorate di camere come quelle descritte permettono di ottenere scatti di altissima qualità e alta risoluzione anche nei formanti jpeg-jpg, riducendo le dimensione del fotogramma e permettendo all’hardware, che deve gestire il software di modellazione, di poterne accelerare i tempi di realizzazione.

I campi di applicazione di questa metodologia sono differenti e spaziano in contesti archeologici differenti: prospetti architettonici (fotopiani e ortofoto), campioni di paramento murario (superfici piane e curve), superfici di scavo e sepolture (ortofotopiani), apparati decorativi non raggiungibili (profilo di sezione e ortofoto), stratigrafia muraria ed elementi strutturali (rilievo vettoriale 3d) (fig. 12).

Per elaborazioni complesse di fotomodellazione 3d, dove sono fondamentali innumerevoli scatti, è necessario processare il tutto per mezzo di una workstation con prestazioni come da richieste dalla casa costruttrice dello steso software. Mediamente per ottenere lavori altamente performanti e gestire fotogrammi che superano i 200 scatti in ordine di grandezza numerica, bisogna munirsi di una scheda madre con oltre 32 giga di RAM (meglio se a 64 giga) e di una scheda video dedicata dalle alte prestazioni di gestione e sviluppo in fase di rendering2. Con ciò non è detto che non si riescano ad ottenere risultati con mezzi tecnici inferiori; certo non sussiste la possibilità di implementazione di innumerevoli scatti per lavori più complessi con pc dalle scarse prestazioni.

È il concetto della Structure from Motion, intesa quale tecnica di calcolo che permette di ricostruire la forma di oggetti attraverso la collimazione automatica di punti da un insieme di foto. Basata su algoritmi di computer vision, la SfM estrae i punti notevoli dalle singole foto, desume i parametri fotografici e incrocia i punti riconoscibili su più foto, trovando le coordinate nello spazio dei punti stessi. Questa prima fase viene denominata  Image Alignment:  essa permette  l’orientamento automatico delle immagini nello spazio e l’estrazione dei key points che saranno utili in fase di elaborazione della nuvola di punti e della mesh.  Viene così creata  una nuvola di punti, successivamente infittita coprendo i punti vuoti con una rete di triangoli per formare un TIN. È possibile esportare la nuvola di punti nei formati più comuni, o integrarla con una esterna proveniente, ad esempio, da un rilievo laser scanner. 4 Cattani 2004; Cattani, Fiorini, Viggiani 2004; Fiorini 2008. 5 Fiorini, Archetti 2011, pp. 199-216; Fiorini, Urcia, Archetti 2011, pp. 145-152. 3

2 Le specifiche della work-station impiegata nelle modellazioni durante le ricerche condotte per questo lavoro di tesi hanno visto componenti hardware quali: 1) scheda madre: Asus X99-A usb 3.1, Intel X99 Mainboard - Socket 2011-V3; 2) Corsair Ven K4 Kit di Memoria ram da 64 gb, 8 x8 gb; 3) processore: Intel Core i7-5820K 3,3 GHz (Haswell-E) Socket 2011v3 – Boxato; 4) scheda video dedicata: Asus GeForce gtx 970 strix dc2oc, 4096 mb ddr5. Oltre queste specifiche è fondamentale gestire il sistema di raffreddamento delle componenti tramite ventole di raffreddamento a liquido ad alta tenuta e prestazione.

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Metodi di documentazione archeologica e architettonica: tecniche di fotomodellazione 3d

Fig. 12. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): rilievo e ortofotopiano.

Il risultato ottenuto può essere digitalizzato tramite software Cad per ottenere planimetrie, prospetti o campionature murarie, le quali permetteranno di ottenere risultati indiretti in tempi molto più brevi rispetto a quello che si sarebbe potuto ottenere con una campagna di rilievi diretti. La stessa possibilità di acquisire modelli tridimensionali di aree di scavo archeologico, per loro natura non più replicabili6, permette successivamente di poter raffigurare quello che durante le fasi di scavo viene rimosso. In base allo stesso criterio ci viene fornita la possibilità di studiare ed analizzare il contesto nel tempo, lontano dal ciò che si è indagato. Nondimeno la visualizzazione di modelli tridimensionali è un potente mezzo comunicativo, associabile direttamente alla fruizione indiretta nella sua totalità, ancora in momenti diversi e in luoghi lontani tra loro.

immagini fotografiche a grande scala. Alla luce di queste considerazioni risulta importante la disponibilità di fotografie dall’alto, che costituiscono con la loro ricchezza di informazioni descrittive e metriche, uno strumento di indagine e documentazione dalle grandi potenzialità. Fino a qualche anno fa era necessario acquisire le immagini da aeroplani o elicotteri, utilizzando camere metriche aeree per le quali l’intero processo fotogrammetrico è stato pianificato nel dettaglio, oppure da palloni aerostatici. Oggi, e ormai da qualche anno a questa parte, si sono affermati prepotentemente e con risultati eccellenti, i sistemi a pilotaggio remoto. Le possibilità di impiego di sistemi APR (droni), multicottero o ad ala fissa, permettono di ottenere aerofotogrammi di qualsiasi aerea in tempi ridotti ed economicamente vantaggiosi. Il termine “droni7” si riferisce a mezzi aerei a pilotaggio remoto, ovvero senza pilota a bordo, impiegati prevalentemente per uso militare ma che possono anche avere una funzione civile. Dal momento in cui hanno cominciato a svilupparsi gli impieghi civili di queste macchine, si è diffuso il termine unmanned air vehicle (UAV), cioè veicolo senza pilota. I

4.1 L’impiego dei SAPR in archeologia e topografia Nell’ambito del rilievo fotogrammetrico di aree di interesse archeologico è essenziale la disponibilità di

6 L’archeologia è per antonomasia distruzione di ciò che è stato accumulato e depositato dal tempo. Come tale non permetteva, fino all’arrivo delle tecniche di modellazione e fotomodellazione 3d, di conservare ciò che veniva rimosso. Oggi si ha la possibilità di realizzare una documentazione tale, proprio tramite modelli 3d realistici, che permette di custodire e fruire il momento ‘distruttivo’ dello scavo archeologico.

Coniato quasi 100 anni fa, il termine drone trae le sue origini dal ronzio dei primi modelli somigliante al rumore che fa il maschio dell’ape, il fuco, in inglese drone.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 13. - Foto obliqua da drone presso loc. ‘Cozzo Madonne della Rocca’ (Colobraro, MT).

droni nel campo dell’archeologia sono utilissimi nel campo del monitoraggio dei beni e per la loro rappresentabilità fotografica e tridimensionale.

L’opportunità di sviluppare una esperienza di ricognizione area si è presentata nel corso del 20168. Le operazioni di volo sono state effettuate esclusivamente tramite drone per ammortizzare notevolmente i costi; ovviamente le aree ricognite sono di dimensioni esigue rispetto alla vastità della media valle del Sinni. È stato avviato un programma regolare di ricognizioni aeree, concentrando le attività nei periodi di maggiore visibilità delle tracce archeologiche tra fine maggio e inizi giugno (fig. 13).

L’Unione Europea e gli Stati Uniti, consci dell’enorme potenziale di mercato di questi aerei per usi civili, hanno fissato il termine del 2016 per sviluppare tecnologie ancora più affidabili e disegnare un quadro normativo che comprenda la certificazione di questi mezzi, le licenze degli operatori e dei piloti, la responsabilità in caso d’incidenti, le coperture assicurative e ogni altra disposizione che faciliti l’accettazione dell’uso di questi aerei da parte del cittadino.

La disponibilità del mezzo di volo ha consentito allo stesso tempo di effettuare riprese aeree anche in altri periodi e ogni volta che se ne presentasse l’occasione e la necessità, in modo da ottenere un campionario di voli e di immagini diverse durante tutto l’anno.

L’uso dei droni è regolato da una serie di norme (in continuo aggiornamento), principalmente quelle che riguardano gli standard di sicurezza riguardo al loro impiego in ambienti diversi. In Italia la normativa che regola il volo dei droni è garantita dal “Regolamento Mezzi Aerei a Pilotaggio Remoto”, Edizione 2, Emendamento 3 del 24 marzo 2017. In questo documento si stabilisce, inoltre, che l’operatore e il drone che volano per motivi professionali devono essere, il primo, provvisto di regolare permesso di volo ottenuto tramite scuole abilitate e, il secondo, ottenere la dichiarazione di mezzo certificato presso Enac.

L’altezza consentita raggiungibile con questo sistema, regolarizzata anch’essa per legge, può essere al massimo di m 150 in aree definite “non critiche”, ma ai fini della fotogrammetria un buon compromesso tra l’area coperta dal fotogramma e la scala dello stesso, si ottiene in un range che va da m 50 a m 100 di altitudine.

L’operatore autorizzato al volo è lo scrivente in qualità di Operatore SAPR con abilitazione alle operazioni specializzate riferimento ENAC n. 9981. 8

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Metodi di documentazione archeologica e architettonica: tecniche di fotomodellazione 3d Il lavoro di mappatura dei siti indagati ha portato alla realizzazione di oltre 10.000 scatti, acquisiti da una quota di volo di ca. m 50. Fattore condizionante delle riprese è stato il vento; in località quali Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT) e loc. Il Pizzo (Valsinni, MT), poste entrambe in una strettoia fluviale, questo agente atmosferico ha reso particolarmente complicata tutta la fase di acquisizione, con l’obbligo di più sopralluoghi in orari differenti della giornata e in diverse stagioni dell’anno. Al fine di inserire i rilievi in un sistema di riferimento assoluto, durante il triennio di sviluppo sono stati condotti posizionamenti GPS che hanno permesso il collegamento ai vertici di controllo fotogrammetrici predisposti prima di ogni volo sulla superficie da rilevare, con accuratezza del posizionamento assoluto a livello millimetrico. Il posizionamento di questi capisaldi è stato rilevato con sistema GNSS Leica GS 80, con precisione millimetrica in modalità start and go.

Questa tecnica, per quanto originariamente nata per essere utilizzata nel rilievo architettonico è attualmente utilizzata in massima parte per il rilevamento  topografico del territorio, sviluppandosi principalmente nella forma della fotogrammetria aerea tramite APR10. In archeologia, nonostante le potenzialità tecnologiche offerte dal mezzo tridimensionale, è spesso impiegata una particolare applicazione della fotogrammetria: il fotopiano. Questa metodologia permette di eseguire restituzioni di elevata precisione metrica e si serve di fotogrammi isolati anziché di coppie di fotogrammi. Una volta liberati dalla vegetazione e dagli accumuli di abbandono, anche i ruderi di complessi quali la certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ), loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT), Castello di Seluci (Lauria, PZ) ed altri siti, si sono prestati ad un’operazione di rilievo tridimensionale mirato alla sperimentazione e alla creazione di un modello digitale, quanto più preciso e fotorealistico, su cui operare e ragionare (fig. 15).

4.2 Fotomodellazione 3d tramite APR e riprese da terra

I modelli tridimensionali costituiscono un documento unico dello stato attuale dei singoli beni, caratterizzato da informazioni metriche, geometriche e materiche delle parti componenti la fabbrica intera o limitatamente al saggio di scavo, utili alla ricostruzione e alla documentazione stratigrafica. L’efficacia scientifica dei nuovi metodi d’indagine rispetto ad un approccio puramente tradizionale riguarda la sperimentazione e l’applicazione di una procedura standard e speditiva allo scopo di rilevare in tre dimensioni qualsiasi evidenza archeologica. Altresì essa evita, nella fase di registrazione, la perdita di informazioni, ovviando in tal modo a inevitabili sviste e incongruenze implicite nelle operazioni di rilievo bidimensionale e delle peculiarità “distruttive” dell’archeologia stessa11. In ogni momento il modello può essere riutilizzato per integrare dati suscettibili di interpretazione da un archeologo ad un altro.

La procedura di modellazione 3d è un metodo recentemente applicabile allo studio conoscitivo di un sito, suggerito dai cambiamenti imposti dal progresso tecnologico alla stessa metodologia archeologica tramite l’impiego di software di modellazione. La procedura di documentazione è sviluppata come applicazione di tecniche di fotomodellazione facenti riferimento alla possibilità di ottenere una ricostruzione tridimensionale del soggetto analizzato partendo esclusivamente da un set di fotogrammi digitali. Sulla base di queste premesse si è deciso di approfondire presso ogni singolo sito individuato nella media valle del Sinni le possibilità di impiego della fotomodellazione 3d sia come strumento ricostruttivo per la creazione di modelli tridimensionali, sia come strumento d’indagine per la creazione di ortofotopiani permettendo, inoltre, di ottenere l’enfatizzazione delle tracce archeologiche visibili a terra. I modelli digitali delle stratigrafie di scavo permettono anche di studiare nel tempo ciò che viene distrutto dalla stessa ricerca archeologica. Questa metodologia è stata impiegata largamente durante le indagini di scavo della grancia di Ventrile (Chiaromonte, PZ) e del castello Isabella Morra (Valsinni, MT) per produrre successivamente la base cartografica fotogrammetrica per tutto il lavoro di rilievo (fig. 14).

La documentazione fotografica, elemento fondamentale per poter ricorrere a questa metodologia è stata realizzata interamente tramite fotocamera reflex Canon modello 750d, su cui è stata montata un’ottica con lunghezza focale di mm 18-135, tale da poter minimizzare aberrazioni e distorsioni. Gli scatti realizzati sono tutti fotogrammi da mpx 21, ottenuti con diverse condizione di illuminazione e con una posizione della camera ogni volta diversa. Durante la fase di acquisizione dei fotogrammi bisogna evitare angoli ultra-wide e lenti fish-eye e soprattutto mantenere costante e fissa la lunghezza focale di ogni ripresa. Nelle impostazioni della fotocamera è preferibile utilizzare dati in formato Raw che non perdono di qualità; le migliorate caratteristiche tecniche di camere di ultima generazione permettono di ottenere scatti di altissima qualità direttamente nei formanti jpeg-jpg, riducendo le dimensione del fotogramma e permettendo all’hardware,

Il termine fotogrammetria è propriamente indicato per definire “l’insieme dei processi di utilizzazione delle immagini fotografiche per la formazione di carte topografiche e per l’esecuzione di rilievi architettonici”9, consentendo di determinare metricamente forma e posizione di oggetti.

10 9

Jaff 2005, p. 9.

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Per una sintesi si veda: Vitale 2018e. Cattani 2004; Cattani, Fiorini, Viggiani 2004; Fiorini 2008.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 14. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT): modelli 3d delle aeree di scavo.

inquadratura possibile, si impiega un radiocomando per attivare lo scatto della fotocamera. Questo sistema velocizza notevolmente la fase di acquisizione dei dati fotografici e soprattutto migliora la qualità metrica degli elaborati finali. Per effettuare misurazioni basate sul modello ricostruito, bisogna individuare almeno due marcatori con una distanza nota tra loro sull’oggetto. In alternativa si può posizionare una unità metrica (palina) all’interno della zona di ripresa.

che deve gestire il software, di poter accelerare i tempi di elaborazione. Nel rilievo fotogrammetrico importante risulta essere il controllo dell’inquadratura, risultando una operazione tecnica da condurre con la massima attenzione in quanto può incidere sulla qualità metrica degli elaborati finali12. Grazie ad un insieme di strumenti è possibile operare in maniera piuttosto precisa: la fotocamera è fissata sulla cima di un’asta telescopica, meglio se di carbonio per evitare movimenti e flessioni della stessa, e collegata o tramite cavo a un monitor per vedere o in wi-fi direttamente con il sensore da terra a supporto di varie attività archeologiche per la registrazione dei dati sul campo; ottenuta la migliore

12

La fase di sperimentazione ha dimostrato che il tempo di elaborazione dipende da due variabili: la prima è il numero di fotogrammi (più fotografie significa più punti di coincidenza quindi più tempo di elaborazione); la seconda variabile è la densità delle immagini. Avere un elevato numero di fotogrammi consecutivi aumenta esponenzialmente il tempo di elaborazione del software

Docci, Maestri 1994, pp. 240-244.

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Metodi di documentazione archeologica e architettonica: tecniche di fotomodellazione 3d

Fig. 15. - Esempi di modelli tridimensionali (castello Isabella Morra, Valsinni - MT).

e non sempre si ottiene un prodotto finito che sia dei migliori. La chiave per risolvere ed accelerare questo processo è scegliere con attenzione le immagini in modo che la sovrapposizione sia sufficiente per produrre un modello attendibile13.

immagine sia il modello tridimensionale ricostruttivo, difatti, sono processi completamente automatizzati. La possibilità di utilizzare i modelli ottenuti per mappare topograficamente e nella loro interezza i siti, di qualsiasi estensione loro siano, aggiunge un notevole livello di utilità alle fotografie aeree. Nel caso della fotografia aerea è fondamentale per ottenere risultati di altissima qualità, sia in termini di precisione geometrica sia tramite accurata georeferenziazione una posizione precisa. Gli scatti ottenuti portano con se il dato geografico grazie al posizionamento centimetrico assicurato dall’antenna GPS dello stesso drone, accuratezza garantita ulteriormente a terra con il rilievo di punti fissi di controllo tramite sistema GNSS differenziale.

I dati ottenuti sono esemplari in quanto l’insieme della documentazione fotografica, di per se già esplicativa e conservativa dell’analisi prettamente archeologica, risulta anche essere uno strumento in grado di produrre modelli utili per monitorare interamente un sito; a tutto ciò fa seguito la realizzazione di un modello tridimensionale, valore aggiunto dalla stessa sensazione di tridimensionalità e dal notevole livello conoscitivo di un’area. Oggi sono disponibili sul mercato informatico numerosi software per la fotomodellazione quali semplici strumenti di modellazione 3d che vengono impiegati per la generazione automatica di modelli direttamente da singole coppie stereo. Queste non devono essere calibrate o allineate, e possono essere catturate da posizioni generiche e casuali, in quanto il software calibra automaticamente le immagini, comprese le posizioni della telecamera e corregge le distorsioni delle lenti; sia la fase di allineamento delle

4.3 Conclusioni Le esperienze condotte durante le fasi di ricerca hanno permesso di sviluppare e analizzare diversi aspetti relativi alle moderne tecniche di rilevamento e modellazione tridimensionale nel settore della topografia e dello scavo archeologico descrivendo, in particolare, un sistema di acquisizione in quota per il rilievo di aeree archeologiche e complessi monumentali. Tutto questo, basato sui sistemi

13 Fiorini Archetti 2011, pp. 199-216; Fiorini, Urcia, Archetti 2011; Rushmeier, Van Gool 2011, pp. 145-152.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 16. - Modello tridimensionale del fonte battesimale (XVI sec. d.C.) proveniente dalla chiesa di San Tommaso Apostolo di Chiaromonte (PZ).

a pilotaggio remoto muniti di gimbal14 per stabilizzare un payload (normalmente si tratta di una fotocamera), mostra enormi potenzialità in termini di risultati ottenuti, flessibilità d’uso e costi relativamente contenuti (fig. 16).

riguarda prospetti murari e planimetrie di interi complessi, non ancora cartografati o totalmente conosciuti. Si fa riferimento alla mappatura di siti come loc. Castello di Seluci (Lauria, PZ), loc. Casale de Rubeo (Catarozzo?) (Francavilla in Sinni, PZ), la grancia di Ventrile (Chiaromonte, PZ), la certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ)16, loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT), loc. Il Pizzo (Valsinni, MT), dove lo sviluppo di tecniche di fotomodellazione 3d realizzata tramite scatti da drone per generare ortofotopiani georiferiti, hanno permesso di mappare porzioni di territorio con tempi e costi ridotti che difficilmente un tempo si sarebbero potuti sostenere.

Questo sistema può essere con successo applicato anche per il rilievo di porzioni soprelevate di edifici di interesse storico-architettonico: è il caso del rilievo delle facciate del campanile del monastero di Santa Maria del Sagittario dove, per mezzo di scatti da drone, sono stati ottenuti ortofotopiani delle facciate. La sperimentazione in questo caso è stata effettuata direttamente sul campo basandosi sui test realizzati15. La seconda parte della ricerca si è incentrata sulla restituzione, rappresentazione e modellazione delle superfici per ottenere tutta quella parte documentale che

La possibilità di utilizzare i modelli tridimensionali anche per scopi diversi dalla semplice documentazione e rappresentazione, come ad esempio per valutazioni di tipo strutturale o legate alla diagnostica dei materiali e allo stato di degrado, apre un’importante scenario

14 Si definisce “gimbal” il componente montato su un APR a supporto della fotocamera nei suoi movimenti, per ottenere riprese video in quota stabilizzate. 15 Gli scatti aerei sono stati eseguiti da parte dello scrivente tramite APR certificato ENAC, numero di costruzione TRT-APR-001.

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Per una sintesi si veda: Vitale 2015a, pp. 453-477.

Metodi di documentazione archeologica e architettonica: tecniche di fotomodellazione 3d sull’adozione futura di tali metodi. Interessante è, per esempio, la possibilità recente di interpolazione dei formati tridimensionali con motori grafici che ne permettono la navigabilità in modalità interattiva e intelligente, per non parlare delle possibilità offerte dalla stampa degli stessi modelli grazie a stampanti 3d. Queste ultime permettono di ottenere modelli fruibili da pubblici diversi con abilità diverse, garantendo una comprensione tattile e visiva di luoghi difficilmente visitabili e comunque non sempre accessibili a tutti.

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5 Topografia e distribuzione dei siti medievali lungo il fiume Sinni Sommario: La porzione di territorio compresa nei limiti geografici di questa ricerca è stata già oggetto di indagine sistematica durante gli anni compresi tra il 2001-2003 da parte dell’èquipe di studio di L. Quilici, che pubblicò i dati nei volumi della “Carta archeologica della Valle del Sinni”. Questa corposa serie è ancora oggi essenziale per la conoscenza degli elementi che costituivano la maglia insediativa di quest’area in epoca antica. Il primo problema affrontato è stato l’assoluta sotto rappresentazione del dato archeologico in età medievale. Il campione acquisito in anni di ricerche sul campo nella valle del Sinni, per quantità e per complessità porta sempre allo stesso risultato, puntualmente come in numerose esperienze in ambito nazionale e internazionale. Le considerazioni che seguono rappresentano il frutto delle attività di ricerca condotte dallo scrivente nel territorio compreso tra il comune di Valsinni (MT) e i limiti orientali del comune di Lauria in loc. Castello di Seluci, su un areale indagato che si estende per ca. 500 km2 distribuito sul territorio di oltre 13 comuni della Basilicata meridionale. Abstract: The portion of territory included within the geographical limits of this research was already systematically investigated during 2001-2003 by the study team of L. Quilici, who published the data in volumes of Archaeological Map of the Sinni Valley. This substantial series is still essential today for knowledge of the elements that constituted this area’s settlement network during ancient times. The first problem faced was the absolute underrepresentation of archaeological data from medieval times. The sample acquired from years of field research in the Sinni valley, in terms of quantity and complexity, always leads to the same result, punctually as in many national and international experiences. The following considerations represent the result of research activities conducted by the author in the area between the commune of Valsinni (MT) and the eastern limits of the commune of Lauria in loc. “Castel of Seluci”, in an investigated area that extends for ca. 500 km2 distributed over a territory of more than 13 communes of southern Basilicata. Era parso di poter verificare con sopralluoghi mirati solo edifici o complessi di dubbia funzione quando, invece, poi si è ritenuto indispensabile (in particolare in relazione allo studio del processo di incastellamento) allargare le ricognizioni a tutte le emergenze citate nelle fonti come castelli e monasteri, al fine di raccogliere un’adeguata documentazione (fotografica e descrittiva) delle strutture murarie non trattate in precedenza.

La porzione di territorio compresa nei limiti geografici di questa ricerca è stata già oggetto di indagine sistematica durante gli anni compresi tra il 2001-2003 da parte dell’èquipe di studio di L. Quilici, che pubblicò i dati nei volumi della “Carta archeologica della Valle del Sinni”1. Questa corposa serie è ancora oggi essenziale per la conoscenza degli elementi che costituivano la maglia insediativa di quest’area in epoca antica. Il primo problema affrontato è stato l’assoluta sotto rappresentazione del dato archeologico in età medievale. Il campione acquisito in anni di ricerche sul campo nella valle del Sinni, per quantità e per complessità porta sempre allo stesso risultato, puntualmente come in numerose esperienze in ambito nazionale e internazionale.

Alla fase di raccolta dati è stato dedicato complessivamente un periodo di ca. 12 mesi articolato in: 1) una campagna di ricognizioni di superficie effettuata tra i mesi di aprileottobre 20172; 2) continui sopralluoghi nel corso del tempo per testare nuovi strumenti e acquisire punti GNSS di controllo delle evidenze, per la realizzazione della documentazione fotografica, la ripetizione di attività di survey e verifiche di anomalie riscontrabili in periodi diversi dell’anno; 3) continui sopralluoghi per eseguire voli tramite APR delle evidenze architettoniche individuate.

Le considerazioni che seguono rappresentano il frutto delle attività di ricerca condotte dallo scrivente nel territorio compreso tra il comune di Valsinni (MT) e i limiti orientali del comune di Lauria in loc. Castello di Seluci, su un areale indagato che si estende per ca. 500 km2 distribuito sul territorio di oltre 13 comuni della Basilicata meridionale.

Protocollo autorizzazione MIBACT-SAR-BAS UPROT 0001540 28/04/2017, CI. 28.04.2017 per attività di survey archeologico nella media valle del Sinni nei comuni di Colobraro (loc. Cozzo Madonna della Rocca), Valsinni (loc. Tempa del Pizzo, loc. Piano del Principe), Seluci (loc. Castello) e Noepoli (loc. Rubeo). 2

1

Quilici, Quilici Gigli 2001.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale La possibilità di replicabilità del dato è stata fondamentale, considerata la visibilità dei luoghi in base alla ricca vegetazione nelle diverse stagioni dell’anno. Le riprese sono state condizionate spesso anche dalle condizioni metereologiche. La totalità di queste evidenze fa riferimento a siti posti in località dove non si attua alcuna pratica agricola, pertanto i terreni limitrofi risultano essere attualmente a uso boschivo e dalla scarsissima visibilità. Molti di questi hanno avuto bisogno di una pulizia sommaria degli arbusti per permettere la lettura delle tracce architettoniche e planimetriche. Quasi il 90% di essi, a causa di ciò, non ha potuto restituire materiali fittili o altri indicatori cronologici. Alcuni di essi, invece, trovandosi in località dove la vegetazione non è così particolarmente fiorente, hanno restituito evidenze archeologiche diagnostiche tali da poter loro assegnare quantomeno una cronologia delle fasi di abbandono, in attesta di scavi sistematici che ne descrivano i momenti di nascita e di vita.

dopo il dicembre 2000, anno in cui la legislazione vigente italiana viene sbloccata dai grossi ostacoli posti ai soggetti non commerciali interessati all’acquisizione di fotografie aeree. Fino a quel momento questa tecnica di indagine risultava essere in genere ignorata o quanto meno molto costosa per la sua realizzazione, anche se non mancano esempi autorevoli5.

5.1 Le attività di survey archeologico: questioni di metodo

• ripresa aereofotogrammetrica nazionale eseguita nel 1974-75 con pellicola pancromatica b/n, scala media 1:13.000; • ripresa aereofotogrammetrica della regione Basilicata eseguita nel 1994 con pellicola pancromatica b/n. scala media 1:10.000; • ripresa aereofotogrammetrica nazionale eseguita nel 2014 con pellicola pancromatica b/n in versione digitale con risoluzione geometrica di 0.50 m, scala media 1:10.000. • ripresa aereofotogrammetrica puntuale tramite APR eseguita nel 2017 con risoluzione geometrica di m 0.50.

Il riscontro tra serie fotografiche diverse è stato di grande aiuto nell’individuazione e nella comprensione delle tracce, considerato che i segni sul terreno vanno progressivamente scomparendo. Si è ritenuto indispensabile reperire, insieme a voli recenti, anche materiale di vecchia data. Per le coperture aereofotogrammetriche dei territori in esame è necessario fare riferimento alle strisciate satellitari prodotte nei diversi anni, e di cui la regione Basilicata per il proprio territorio ne fornisce copia gratuitamente, e i voli dell’IGM:

L’esperienza con i sistemi di georeferenziazione e posizionamento satellitare è ormai una metodologia di indagine decisamente consolidata nelle ricerche in campo archeologico. L’unico deterrente ancora oggi riscontrabile è il costo elevato di attrezzature per il posizionamento millimetrico delle evidenze rinvenute. La possibilità che mi è stata data di utilizzare la strumentazione di proprietà della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera (Università degli Sutdi della Basilicata), e nella fattispecie di un sistema GNSS GS 80 Plus GPS Rover Leica, acquistato grazie ai fondi del progetto chora, ha permesso di ottenere e realizzare una cartografia dell’area d’indagine di grande precisione.

La piattaforma GIS realizzata per lo sviluppo delle ricerche nella media valle del Sinni comprende numerosi piani di informazione. La maggior parte di questi vengono oggi messi a disposizione dal PCN Geoportale Nazionale italiano6 o dal portale RSDI Basilicata7.

Lo stesso APR utilizzato per ricognizioni aeree è provvisto di un sensore GPS con precisione tra +/- cm 20-30. Gli scatti e i fotopiani realizzati tramite l’acquisizione aerea portano con sé tutte le informazioni di un sistema GNSS di terra, permettendo l’implementazione dei due dati direttamente sulla piattaforma GIS3. La possibilità di porre a terra punti di aggancio rilevati ha permesso di correggere l’errore di posizionamento offerto dall’APR e georiferire le ortofoto realizzate con precisione millimetrica4. Tutte le ricognizioni aeree tramite drone sono state rivolte in modo particolare alla documentazione di monumenti noti, insediamenti castrensi, monasteri e luoghi di culto. In Italia il vero sviluppo della fotografia aerea si è avuto

In modo particolare quest’ultimo fornisce cartografia quale: • limiti amministrativi; • quadri d’unione della cartografia IGM e tecnica; • carta uso del suolo; Si ricordino i lavori di Bradford sui villaggi neolitici in Puglia e sulle necropoli di Cerveteri e Tarquinia, di Ward Perkins sulla via Clodia e di Tozzi sul paesaggio padano. Recenti esempi sono i lavori di Campana nell’agro senese. Bradford 1957; Campana 2001; Harari-Tozzi 1990; Ward Perkins 1955. 6 http://www.pcn.minambiente.it/mattm/. 7 http://rsdi.regione.basilicata.it/web/guest/mappe-in-linea. La RSDI, acronimo di Regional Spatial Data Infrastructure, è una infrastruttura per l’Informazione Territoriale, allineata con le indicazioni della direttiva europea INSPIRE, aperta alla partecipazione degli Enti locali e delle imprese lucane interessate ai sistemi informativi territoriali, secondo la logica della condivisione e cooperazione di dati e servizi geografici, recentemente riscoperta ed indicata con il termine Open Data. La soluzione RSDI adottata dalla Regione Basilicata è basata sugli standard del consorzio internazionale OGC e su tecnologie informatiche aperte. Per la realizzazione dei sottosistemi della RSDI sono infatti utilizzati i più importanti progetti open source nel campo dei GIS. 5

Campana 2013. Il sistema GNSS permette di ottenere posizionamenti sulle creste dei muri con precisione sub-centimetrica in aree quali quelle indagate con scarsa vegetazione arbustiva. La possibilità di lavorare con un sistema APR con GPS integrato (DJI) con posizionamento degli scatti solitamente al di sotto dei 30 cm, consente in fase di georeferenziazione dei dati di ottenere risultati che sommati non raggiungono imperfezioni che vanno oltre 1 cm di errore; valore che può considerarsi ottimale per lavori di posizionamento di grandi complessi architettonici distribuiti tra l’altro su superfici non pianeggianti, spesso localizzati in quota lungo costoni rocciosi. 3 4

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Topografia e distribuzione dei siti medievali lungo il fiume Sinni • • • • • • •

5.2 Viewshed Analysis tra siti fortificati. I casi della media valle del Sinni (Basilicata meridionale) tra XI e XIV sec. d.C.

carta della vegetazione; carta geolitologica; rete idrografica; viabilità; ortofoto 2013 e 2014; DSM e DTM (entrambi a risoluzione m 5); carta tecnica regionale del 2013.

L’interesse nei confronti del mondo medievale nella media valle del Sinni, dei problemi relativi alla gestione e all’organizzazione del territorio, luogo di contatto tra genti e culture diverse, permette non solo di conoscere la realtà storico/insediativa di quest’area, bensì di comprendere tutte una serie di evidenze chiaramente riconoscibili sul territorio, e non ancora del tutto chiarite nel loro sviluppo diacronico. Nel corso degli ultimi anni, proprio nel nostro Paese, sono nati numerosi progetti di cartografia archeologica sia a livello urbano sia a livello territoriale più ampio, in linea con i dettami della landscape archaeology11.

Le sezioni sono scaricabili in formato tiff georiferenziati per quanto riguarda ortofoto, DTM e DSM, mentre in formato vettoriale dxf per tutte le tipologie di carte sopra elencate. Tutte hanno la possibilità di essere implementate in un GIS, facendo riferimento unicamente al sistema di coordinate WGS84-UTM 33N. L’implementazione tra di loro ha permesso la sovrapposizione di cartografie tecniche, tematiche e storiche, con rilievi tramite punti di controllo rilevati con sistema GNSS a terra.

La decisione di un ambito cronologico specifico è stata motivata dall’esigenza di mettere in relazione i principi topografici dell’archeologia del paesaggio con le tematiche architettoniche dell’analisi del costruito nella sua distribuzione geografica, affrontando lo studio di sistemi complessi in un dialogo tra saperi umanistici e tecnico-scientifici.

Sostanziale è stato il contributo che deriva dal disegno in forma vettoriale su layers tematici delle tracce individuate. Il risultato è la restituzione di planimetrie composite degli elementi di discontinuità, spesso visibili solo in modo frammentario nelle singole riprese. Operare sistematicamente in questa direzione consente di passare dal consueto livello di analisi ‘micro’ a scale territoriali ‘macro’. È stato generato a partire dalle curve di livello della cartografia tecnica regionale 1:5.000 (CTR) un modello digitale del terreno a m 5 dell’intero comprensorio indagato, realizzando pertanto il TIN8 dell’area, modello che la cartografia regionale al momento non fornisce. Non fornisce nemmeno il download e la visualizzazione di cartografie storiche di dettaglio quale per esempio il foglio di mappa rinvenuto presso l’Archivio di Stato di Potenza, datato alla metà dell’800, in cui vengono riportati i limiti territoriali nei dintorni del monastero di Sagittario. Questo documento fornisce, per esempio, indicazioni preziose riguardo la localizzazione dell’opificio idraulico del monastero e della cella eremitica del Beato Giovanni da Tolosa sul monte Caramola. La carta, realizzata dai tre architetti riportati in calce in basso a sinistra (Tommaso Curcio, Paolo Rotondo e Michele Bartolotta) riporta indicazioni preziose per quanto riguarda l’area di cava da cui poter estrarre le utilissime e preziosissime macine per gli opifici. L’area era posta nelle immediate vicinanze del luogo dove ancora esistono i ruderi del mulino di Sagittario9. Sporadicamente venivano richiesti da alcune della famiglie che detenevano il potere in questi luoghi documenti di censo o di apprezzo delle proprietà terriere; è il caso dell’apprezzo del Gallarano, il quale nella metà del XVII sec. d.C. su incarico della famiglia Sanseverino compila per Chiaromonte un documento che ci consente di ottenere informazioni preziose su molti dei luoghi e dei monumenti del centro fortificato10.

Tale approccio, dedicato all’analisi e all’interpretazione dell’evoluzione dei sistemi insediativi in età post-antica delle città, dei centri monastici e fortificati e, in generale, dei paesaggi antropici e naturali, ha richiesto l’utilizzo di tecnologie innovative per la creazione di modelli da mettere in relazione. In particolare è stato determinante lo studio nel campo dell’archeologia dei paesaggi e delle tematiche legate alla topografia, all’archeologia e all’architettura del paesaggio medievale, alle nuove tecnologie applicate alla ricerca archeologica. Lo studio prende in esame il paesaggio antico medievale nella vallata partendo proprio dallo sviluppo di tutto quel sistema di fortificazioni compreso tra i comuni di Valsinni (MT) e Colobraro (MT), nella porzione orientale, con le due rispettive rocche di sbarramento di loc. Il Pizzo e loc. Cozzo Madonne della Rocca, fino a raggiungere la parte più interna in direzione tirrenica verso Ovest con la fortezza di loc. Castello di Seluci, oggi in comune di Lauria (PZ). Nel caso di insediamenti fortificati nell’entroterra di quest’area, funzione centrale svolgeva Chiaromonte (PZ), centro di Contea già con la famiglia normanna dei Clermont durante l’XI sec. d.C. e tale anche sotto la reggenza dei Sanseverino nel XIV sec. d.C. Con tali premesse è fondamentale non solo evidenziare l’area immediatamente visibile da ogni singolo sito, ma comprendere il livello di intervisibilità che doveva esistere nella maglia insediativa di questo territorio tra XI e XIV sec. d.C., momento in cui si consolida la sua entità.

Il TIN, definito come Triangulated Irregular Network, è una struttura digitale impiegata in ambiente GIS per la rappresentazione di una superficie tridimensionale. 9 Vitale 2015a, pp. 453-477. 10 Stigliano 1996, pp. 27-28, 125-143. 8

Disciplina che mira alla ricostruzione dei paesaggi antichi, attraverso il riconoscimento delle tracce lasciate dalla natura e dall’uomo nel tempo. Si veda: Cambi 2003; 2011; Salzotti 2012. 11

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 17. - Viewshed analysis: Chiaromonte (PZ).

loro posizione, spesso dettata dalla vocazione dei centri nel governo e nella gestione della difesa del territorio su cui sorsero (fig. 19). Basilare per il raggiungimento di questo obiettivo è stata necessariamente la conoscenza approfondita di tutti i contesti editi con un successivo ampliamento della ricerca a settori inediti. A tal fine si è deciso di affrontare lo studio di ogni singolo complesso individuato nelle dinamiche del suo posizionamento, nelle tipologie planimetriche ed edilizie, nella dislocazione degli ambienti, oltre che nel rapporto con l’ambiente circostante. Lo studio di queste evidenze, mediante testi o attraverso documenti di archivio, è stato accompagnato da un’analisi sistematica del materiale associato.

Le analisi di visibilità, o più comunemente dette Viewshed Analysis, fanno riferimento alla più generale categoria delle analisi spaziali digitali e permettono l’individuazione delle aree visibili a partire da un determinato punto di visuale, che possono essere viste da uno o più punti di osservazione12, consentendo di valutare l’intervallo dell’area di controllo da una data posizione, torre, vedetta, insediamento o altro punto eminente all’interno di un dato territorio, generando un modello ipotetico di come tra loro questi siti comunicassero e si rapportassero13 (figg. 17, 18). L’aspetto di visibilità di un luogo, infatti, è stato almeno fino a tutto il pieno XIV sec. d.C. uno degli elementi fondamentali presi in considerazione dalle comunità nella predilezione di territori su cui stanziarsi, evidenziando peculiarità maggiori per quanto riguarda il posizionamento per i siti fortificati14.

La metodologia proposta mira ad una precisa interpretazione dei consistenti resti rivenuti durante questa prima fase di ricognizioni sul campo e nel rapporto tra di loro, la cui conoscenza si pone come condizione fondamentale per la comprensione dei casi della media valle del Sinni. Questa necessità risulta quanto mai evidente in molti dei casi oggetto di studio, in considerazione del fatto che le aree esaminate non risultano, salvo rare eccezioni quali il castello di Isabella Morra (Valsinni, MT) e la grancia del Ventrile (Chiaromonte, PZ), indagate archeologicamente15.

Fondamentale è stata l’attività di survey sistematico su tutto il territorio, consentendo l’individuazione di ogni struttura visibile riferibile all’arco cronologico prima indicato. Un primo posizionamento delle evidenze è stato fondamentale, attività che ha permesso di comprendere la dislocazione spaziale dei siti e le motivazioni sottese della

12 13 14

Wheatley 1995. Vitale 2018g. Nutsford et al. 2015, pp. 1-7.

15

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Infra cap. 7: par. 7.1 e sgg., par. 7.2 e sgg.

Topografia e distribuzione dei siti medievali lungo il fiume Sinni

Fig. 18. - Viewshed analysis (TIN): loc. Castello di Seluci (Lauria, PZ).

Le possibilità di saggiare stratigraficamente due tra i siti meglio conservati rispetto alla loro fisionomia originaria, è divenuto mezzo privilegiato per comprendere nella sua pienezza le dinamiche di popolamento. Nel caso del complesso di Ventrile l’indagine ha permesso di constatare la naturale vocazione insediativa dell’area, sicuramente strategica dal punto di vista della posizione per fattori naturali nonché economici, venendosi ad impiantare in un luogo su cui già durante il IV-III sec. a.C. esisteva una frequentazione stanziale legata alle sue peculiarità topografiche. Insediamento che ebbe un momento di grande ripresa durante il I sec. a.C. e fino all’abbandono nel III sec. d.C., con la fortunata esperienza abitativa di età imperiale definita dallo sviluppo di una villa romana dal peso economico significativo, considerando l’annesso impianto termale16.

parte della cartografia, funzionale ad un approccio analitico specifico quale l’analisi di visibilità delle aree individuate. È stata così concessa la possibilità di distinguere i siti fortificati vissuti in uno stesso momento, di assegnare loro un peso ben preciso per quanto riguarda la funzione strategica e l’importanza della relativa posizione, e tentare di ottenere tramite le diverse analisi spaziali una cartografia tematica della vallata durante i secoli del medioevo17. Dai primi sopralluoghi intercorsi, grazie al successivo ausilio delle analisi cartografiche, è stato possibile ottenere una visione d’insieme e alcune delle motivazioni sottese alla fondazione di un sito in un dato luogo; si è potuto constatare, inoltre, in quale rapporto comunicativo si trovassero tra loro. Esemplare risulta a tal proposito lo sbarramento costituito naturalmente dalla posizione in cui sorgono i due torrazzi posti sulle rispettive cime di loc. Cozzo Madonne della Rocca, presso Colobraro (MT), e loc. Il Pizzo in comune di Valsinni (MT). Eminenti rispetto alla posizione su cui sorgono, costituiscono la prima chiusura per chi volesse, arrivando in queste terre da mare direttamente dal versante ionico lucano, accedere all’interno della valle del Sinni tra XII e XIV sec. d.C., periodo di vita delle due roccaforti. La chiusura fisica di un luogo altamente e spontaneamente strategico come questo, costituito da un restringimento naturale della stessa valle

Dove non è stato possibile ottenere dati direttamente dalle indagini archeologiche stratigrafiche si è proceduto ad indagini differenti attraverso lo studio delle murature, delle planimetrie, dell’analisi delle malte e degli elementi in terracotta (laterizi, coppi, ecc.), oltre che della distribuzione topografica degli elementi. La lettura topografica e il posizionamento delle evidenze tramite sistema GNSS ha permesso di realizzare la maggior 16

Infra cap. 7, par. 7.1.6.

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Vitale 2018g.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 19. - Fasi delle attività di rilievo del progetto. In alto presso loc. Castello di Seluci (Lauria, PZ); in basso presso loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT).

due siti fortificati databili al pieno medioevo, in stretta connessione con i vicini castelli di Colobraro e Valsinni. Questo sistema costituito da 4 baluardi fortificati, posti tra loro in posizione di immediato controllo visivo, viene a costituirsi in un’area altamente strategica per la gestione del potere temporale nella Basilicata meridionale (fig. 20).

tra i due versanti digradanti verso quote più alte, era stata già prerogativa durante periodi storici precedenti con il caso di Monte Coppolo (Valsinni, MT) e con l’altro insediamento coevo di loc. Timpa del Ponte (Valsinni, MT), posto più a valle e costituito dal pianoro ancora visibile al centro del fiume Sinni18. La vocazione dell’area in qualità di luoghi di sbarramento e di difesa della valle viene confermata proprio dal ritrovamento di questi

Speculare, ma in direzione opposta, sono le evidenze rinvenute in loc. Castello di Seluci, oggi in comune di Lauria (PZ). Localizzato nella porzione occidentale della media valle del Sinni, il complesso architettonico è costituito da strutture fortificate poste ad una quota

18 Oggi la località così denominata risulta essere fortemente rimaneggiata e distrutta a causa dei lavori di cava, intercorsi negli anni precedenti all’imposizione del vincolo archeologico.

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Topografia e distribuzione dei siti medievali lungo il fiume Sinni

Fig. 20. - Panoramica da loc. Il Pizzo (Valsinni, MT). Chiusura naturale della valle del Sinni.

eminente rispetto al territorio circostante (dai m 945 s.l.m. si passa ai m 975 s.l.m. in cima, mentre la valle limitrofa degrada fino a quota m 700 s.l.m.) (fig. 21).

fertilità di aree coltivabili con presenza di sorgenti poste immediatamente a ridosso del poggio roccioso sommitale. Il sistema venutosi a creare tra punti nevralgici d’altura all’interno di un territorio impervio e solcato dal Sinni nella sua stretta valle ha consentito il riconoscimento di almeno 10 centri nevralgici per la difesa del territorio, collocati a creare e gestire una maglia fortificata in stretta connessione comunicativa. Il sistema era gestito visivamente grazie ad un rimando di postazioni che, dalla chiusura fisica di loc. Cozzo Madonne della Rocca sino ad arrivare a loc. Castello di Seluci, fornivano completezza all’organismo difensivo di questa estesa area montuosa. Tutte queste postazioni sono posizionate tra loro in linea d’aria ad una distanza media che non supera gli 8-10 km, garantendo comunicazioni rapide per un buon controllo del territorio. L’opportunità di sommare i risultati delle singole analisi di visibilità rendendo comprensibile ciò che si vedeva da un punto rispetto a tutti quelli che sorgevano nelle vicinanze, permette di avanzare ulteriori ipotesi sulla possibilità di localizzare aree abbandonate a vocazione insediativa non ancora rinvenute.

Anche quest’ultimo, nell’assolvimento dei suoi compiti di sbarramento e di vedetta, era posto in posizione predominante e in perfetta comunicazione visiva con il vicino centro fortificato di Latronico (PZ), gestendo l’accesso dalla valle del Mercure verso l’entroterra in direzione orientale. Il dato emerge prepotente proprio dalle analisi spaziali di visibilità condotte in queste due aree precise, permettendo di comprendere alcune delle motivazioni sottese alla fondazione di queste entità, le quali diversamente sarebbero state inutili in territori aspri e poveri di sorgive dove risultava difficile condurre la vita di ogni giorno. Posizioni simili hanno garantito per secoli la sopravvivenza a luoghi quali Chiaromonte in veste di centro di Contea, anch’esso posto in posizione predominante e di controllo sul territorio circostante, garantendo con un’ampia visuale praticabile su lunghe distanze il potere dei conti normanni19, avvantaggiato in quest’ottica dall’immediatezza e dalla

Diverse furono invece le dinamiche occupazionali dei complessi a vocazione monastica e religiosa, sorti nelle immediate vicinanze dei centri da cui dipendevano. Queste comunità di religiosi sono spesso state frutto dell’emanazione diretta del potere centrale sorgendo in località loro destinate con scopi diversi quali l’attività di difesa del territorio, la riqualificazione e la rivitalizzazione

19 È assodato che l’occhio umano non riesce a distinguere alla perfezione oggetti che si trovano ad una distanza superiore ai 15-18 km, anche se è da tenere in considerazione che da luoghi come Chiaromonte è possibile raggiungere visivamente le coste lambite dal Mar Ionio lungo il golfo di Taranto.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 21. - Veduta dello sperone roccioso (al centro dello scatto) su cui sorge il sito di Castello di Seluci (Lauria, PZ).

di aree di incolto. È indubbia la forte vocazione dei monaci a mettere a coltura, forti del loro sapere pratico e teorico, aree boschive o completamente abbandonate. È il caso del monastero di Santa Maria del Sagittario fortemente voluto nei luoghi dove si conservano i suoi ruderi da parte della famiglia comitale normanna dei Clermont. A questo cenobio, sul finire del XIV sec. d.C., la famiglia dei Sanseverino (succeduta al governo della Contea ai Clermont), per ridurne le pretese egemoniche, gli contrappone la certosa di San Nicola in Valle. Oltrepassando le serre e le valli a meridione del Sarmento e a settentrione del Serrapotamo, incontriamo entità monastiche diverse facenti parte anch’esse di questo complesso sistema di gestione politica. È il caso del monastero di SS. Elia e Anastasio o del monastero di Kyr-Zosimo (entrambi di culto greco) da cui nasceranno per aggregazione rispettivamente i due centri di Carbone e Cersosimo.

gestire territori distanti ma ricchi di interessi economici e politici. Nei casi dei monasteri di origine latina e delle loro pertinenze, il metodo delle analisi di visibilità ha consentito il riconoscimento di un ordine distributivo spaziale facente capo, in qualità di sede comitale, direttamente al centro di Chiaromonte (fig. 22). Le viewshed analysis hanno permesso di riconoscere il contatto visivo diretto al monastero di Sagittario e alla certosa di San Nicola con il centro di Contea, ma non direttamente tra loro e le loro pertinenze20. I monaci cistercensi, per esempio, da cui dipendeva la grancia di Ventrile, non avevano con questa nessuna connessione diretta, mentre entrambe risultano essere ben visibili da Chiaromonte. 5.3 Interpretazione dei dati

In quest’ottica è da tenere sempre presente la distinzione di potere tra centri di culto latino rispetto ai centri di culto greco, in un sistema di divisione del territorio fra loro netto. Non a caso il potere qui stabilitosi durante i secoli non ha permesso ingerenze a fondazioni di rito greco in posizioni predominanti, trovando invece posto lungo due dei suoi affluenti, in posizioni più marginali e limitrofe. I monasteri della media valle del Sinni, della valle del Sarmento e del Serrapotamo svilupperanno un sistema da loro gestito articolato in centri satelliti quali grancie e casali fortificati, i quali andranno a loro volta a

Nella premessa è stato sottolineato come quando è stato avviato questo studio la ricerca archeologica nella valle del Sinni era fondamentalmente basata sullo schema originario della Carta Archeologica del Quilici21, e quindi sui metodi tradizionali propri della topografia antica: analisi delle fonti scritte, ricognizioni di superficie e lettura delle fotografia aeree verticali. A tutto ciò durante questa 20 21

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Vitale 2018g. Quilici, Quilici Gigli 2001.

Topografia e distribuzione dei siti medievali lungo il fiume Sinni

Fig. 22. - Viewshed analysis tra siti monastici: monastero di Santa Maria del Sagittario/Certosa di San Nicola in Valle.

indagine se ne sono affiancati altri quali il telerilevamento tramite SAPR e in taluni casi metodi geofisici22, ma soprattutto sono state condotte analisi spaziali quali le viewshed analisys tra i diversi siti. La cartografia presentata non è assolutamente il censimento completo dell’archeologia attualmente presente in questo comparto geografico. È però vero che i risultati raggiunti in termini quantitativi e qualitativi possono essere proiettati a livello regionale in qualità di modello per stabilire una stima del potenziale archeologico medievale e delle dinamiche di trasformazione lungo le cinque valli fluviali lucane. L’aumento della visibilità e la ricerca sistematica entro spazi contigui con nuovi strumenti di indagine consentirà di trovare, forse, anche ciò che oggi non esiste.

la funzione specifica del momento edificatorio, non più ripresa per ovvie ragioni del cambiamento delle strategie politiche e difensive dell’area. Si prediligono pertanto le sommità dei crinali posti lungo i due versanti del fiume Sinni e dei suoi torrenti, quali il Serrapotamo e il Sarmento. Lungo questi si sviluppano tutta una serie di centri ancora oggi esistenti, dalla funzione satellitare rispetto al centro di Contea di Chiaromonte, sorto nella posizione di maggiore visibilità dell’area da cui poter dominare interamente il territorio che i conti dovevano gestire. L’ampiezza di raggio visibile da questo luogo permette dallo stesso punto di coprire distanze notevoli, raggiungendo le coste del mar Ionio tra Scanzano e Policoro verso Est, e permettendo la comunicazione con tutti i centri fortificati dell’area.

La distribuzione spaziale delle aree insediate segue dinamiche di posizionamento prettamente in aree a vocazione difensiva in postazioni d’altura. La totalità dei luoghi fortificati di emanazione del potere centrale sorgono su speroni rocciosi facilmente difendibili da cui per aggiunte successive si sviluppano i rispettivi centri storici. Le posizioni di vedetta, sorte in luoghi ancora più aspri rispetto ai primi, denotano il mancato sviluppo oltre il XIV sec. d.C., momento in cui è attestato il loro definitivo abbandono. Come tali sussistono nelle loro condizioni di degrado fino ai nostri giorni, a denotare 22

È possibile distinguere tre momenti precisi dello sviluppo e abbandono di alcuni centri fortificati: il primo fa riferimento ai secoli centrali del medioevo tra X e XI sec. d.C. e vede l’affermarsi della famiglia normanna dei Clermont con la rinascita di centri che dovevano già essere esistenti al loro arrivo, quali Chiaromonte e Senise23. Le ipotesi ricostruttive del paesaggio di quei Bianco et al. 2020; Bianco 2020, pp. 219-272; Corrado 2001, pp. 227254; Manzelli 2001, pp. 113-152. Le necropoli altomedievali di Senise (loc. Pantano) e di Chiaromonte (Loc. San Pasquale) fanno riferimento proprio ad una fase insediativa in questi luoghi di età longobarda, 23

Infra cap. 7.1, par. 7.1.3, p. 146.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 23. - Carta di fase: secc. X-XI d.C.

due torrazzi fortificati di loc. Cozzo Madonne della Rocca e loc. Il Pizzo. I tre punti di vedetta saranno l’emblema del sistema di fortificazione della gestione normanna nel territorio, in quanto proprio con il loro decadere politico essi stessi subiranno un lento declino culminante nel loro abbandono durante il XIV sec. d.C.

secoli e le attestazioni documentarie e archeologiche a cui si è potuto fare riferimento indicano la presenza di almeno quattro centri più importanti: Chiaromonte, Senise, Teana e Noepoli (fig. 23). Da contraltare faceva la presenza di monasteri di origine greca quali il monastero di S. Elia di Carbone, ancora non intitolato anche a S. Anastasio, e alcune delle sue pertinenze menzionate nelle fonti per le quali non è stato però possibile assegnare una cronologia precisa di fondazione. L’XI secolo diverrà il momento di contatto tra il monachesimo greco del Mercurion e l’arrivo del monachesimo latino del Latinianon.

È il momento in cui, come accennato in precedenza, sorgono i maggiori centri monastici di rito latino dell’area soppiantando in parte il potere accumulato da parte di cenobi di rito ortodosso. Nasce durante il XII-XIII sec. d.C. l’abbazia di Sagittario con tutta una serie di grancie e pertinenze distribuite sul territorio. Voluta fortemente dal potere centrale, questa fondazione andrà a gestire ed organizzare i tenimenti extraurbani e le campagne della Contea di Chiaromonte, nella dicotomia nata in seguito con l’arrivo dei certosini di San Nicola in Valle giunti in queste terre sul finire del XIV sec. d.C. Sarà un potere il loro che andrà ad intaccare pesantemente il monachesimo greco, rendendolo durante questi secoli come una piccola enclave destinate a ridursi sempre di più.

La fase successiva, dove sono attestate la nascita e la fondazione di strutture utili al nuovo governo normanno, è stata definita tra i secoli XII e XIV, per i caratteri omogeni delle tipologie insediative, per l’uniformità nella progettualità architettonico/costruttiva e per la scelta omologa di luoghi da insediare per il governo e la gestione organica dell’intera vallata. Ai quattro centri menzionati per la fase precedente si affiancano nuove edificazioni e la ripresa di altri siti già probabilmente in parte abitati. Il riferimento va a Latronico, Episcopia, Roccanova, Colobraro e Valsinni, mentre vengono approntate le difese e la chiusura del settore centrale della valle del Sinni con la fondazione a Ovest del c.d. Castello di Seluci e a Est con i

Le fasi successive vedono fino agli inizi del XIX secolo un momento stabile nella distribuzione e abbandono di questi luoghi. Solo la nascita di alcuni casali sviluppatisi con l’arrivo dei monaci permette una ridefinizione degli spazi; degno di nota il centro di Francavilla, nato nel XV sec. d.C. per volontà dei certosini di San Nicola. Ma è il XIX secolo,

sicuramente soppiantata dall’arrivo delle famiglie normanne nell’XI sec. d.C.

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Topografia e distribuzione dei siti medievali lungo il fiume Sinni con l’arrivo dell’esercito napoleonico che destituisce e chiude i monasteri, che stravolge gli assetti mantenuti in piedi per secoli distruggendo la compagine medievale della vallata. Nella lettura del degrado e dell’abbandono di queste aree è da leggere anche il preludio e la decadenza di un complesso sociale che ha gestito egregiamente e con ottimi successi quella che da quella data in poi, fino ai nostri giorni, è spesso divenuta terra di nessuno e dagli scarsi interessi politici, culminante ormai nel progressivo spopolamento che oggi si sta perpetrando a danno di questi luoghi.

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6 La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Sommario: Nel paesaggio antico della valle del Sinni esistono significative tracce di insediamenti e strutture, i cui limiti cronologici prendono in considerazione i secoli centrali del medioevo dal X al XV sec. d.C. Documentare questi siti ha visto lo sviluppo di una scheda tipologica per la catalogazione delle evidenze. Alle indicazioni del luogo, del posizionamento topografico, seguono tutte le informazione sulla localizzazione dell’area, la cronologia e la condizione del suolo. Le attività di survey e i dati archeologici rinvenuti hanno permesso di datare fasi di vita e di abbandono di ogni singola area o complesso architettonico. Fondamentale è stata la raccolta delle fonti documentarie. A tutto ciò ha fatto seguito una descrizione dettagliata in cui esporre la sintesi e l’interpretazione di tutte le informazioni raccolte nella scheda di catalogazione. Il campione analizzato è costituito da 23 unità, tra siti a continuità di vita e centri scomparsi e abbandonati. Abstract: In the ancient landscape of the Sinni valley there are significant traces of settlements and structures, whose chronological limits take into consideration the middle era of the Middle Ages from the 10th to the 15th century ad. Documenting these sites has seen the development of a typological card for cataloguing the evidence. The indications of the place, the topographic positioning, are followed by complete information about the area’s location, its chronology and soil conditions. The survey activities and the archaeological data found have made it possible to date the life and abandonment phases of every single area or architectural complex. The collection of documentary sources has been fundamental. This was followed by a detailed description in which the synthesis and interpretation of all the information collected in the cataloguing form was set out. The sample analysed consists of 23 units, including sites with continuity of life and disappeared and abandoned centres.

6.1 Centri a continuità di vita e strutture fortificate abbandonate

Il campione analizzato, indagato e catalogato è costituito da 23 unità, tra siti a continuità di vita e centri scomparsi e abbandonati. Sono stati presi in considerazione i centri monastici quali il monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ), gli eremi del Beato Giovanni da Caramola (Chiaromonte, PZ) e di San Saba (Fardella, PZ), il monastero certosino di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ), il monastero di S. Elia e S. Anastasio di Carbone (PZ) e il monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ). È stata esclusa da questo capitolo la grancia cistercense di Ventrile (Chiaromonte, PZ) pertinenza del monastero del Sagittario, perché oggetto di un capitolo specifico in questo lavoro1.

Nel paesaggio antico della stretta valle del Sinni esistono significative tracce di insediamenti e strutture, i cui limiti cronologici prendono in considerazione i secoli centrali del medioevo dagli inizi del X al XV sec. d.C. Scegliere di documentare questi siti ha visto lo sviluppo in primis di una scheda tipologica per la catalogazione delle evidenze, in base alle caratteristiche peculiari di ogni località. Alle indicazioni del luogo, del posizionamento topografico e catastale, seguono tutte le informazione sulla localizzazione dell’area, la cronologia, la situazione geomorfologica e la condizione del suolo. Questo lavoro è stato svolto grazie ai dati raccolti durante i diversi sopralluoghi nelle aree in cui è stata prodotta documentazione fotografica, topografica e planimetrica di dettaglio. Le attività di survey e i dati archeologici rinvenuti hanno permesso di datare fasi di vita e di abbandono di ogni singola area, struttura o complesso architettonico.

Sono seguite 13 schede di dettaglio di altrettanti complessi architettonici fortificati. Tra le roccaforti, in cui sono ancora chiare ed evidenti molte delle tracce architettoniche e urbanistiche della loro primordiale fase insediativa, troviamo i centri di: Chiaromonte, Senise, Episcopia, Teana, Roccanova, Calvera, Noepoli, Latronico, Colobraro. Tra gli insediamenti con funzioni di vedetta, abbandonati tra XIV e XV sec. d.C. e non più ripopolati, si annoverano i centri di loc. Catarozzo in territorio comunale di Francavilla in

Fondamentale è stata la raccolta delle fonti documentarie sintetizzate in una voce specifica con l’aggiunta della relativa bibliografia. A tutto ciò ha fatto seguito una descrizione dettagliata in cui esporre la sintesi e l’interpretazione di tutte le informazioni raccolte nella scheda di catalogazione.

1

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Infra cap. 7.1, p. 143 e sgg.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Stato di conservazione del deposito: conservato solo in fondazione (restaurato).

Sinni (PZ), loc. Castello di Seluci nel comune di Lauria (PZ), loc. Il Pizzo (Valsinni, MT) e loc. Cozzo Madonne della Rocca nei pressi del centro di Colobraro (MT).

mediocre;

Notizie storiche: l’Apprezzo del Gallarano risulta essere al momento l’unica fonte scritta che menzioni il convento urbano. Il testo fornisce informazioni molto utili a riguardo, sia in merito all’articolazione planimetrica sia per quanto riguarda precisazioni di carattere filiare dell’ordine non citando, difatti, i Carmelitani, bensì l’ordine dei “frati della Riforma del Carmine”. Questa precisazione, nella fattispecie, è un validissimo aiuto per poter assegnare una cronologia all’impianto architettonico. L’ordine dei frati della Riforma del Carmine, nella fattispecie, viene costituito come regola nella prima metà del XV sec. d.C., al contrario di quello dei Carmelitani che è precedente, stabilendo quanto meno un terminus post quem per la fondazione.

Anche per quanto riguarda i siti fortificati la trattazione del castello Morra di Valsinni (MT) è stata affrontata in un capitolo a parte in considerazione del fatto che, come nel caso della grancia di Ventrile, la struttura è stata indagata archeologicamente2. SCHEDE DI SITO 6.2 Siti monastico-religiosi urbani ed extraurbani Urbani 6.2.1 Scheda 1 Convento frati Riforma del Carmine (fig. 24), Chiaromonte (PZ) (F. 211, II N.O. – 40.124131, 16.210773)

L’intero complesso viene descitto dal Gallarano come una struttura di una certa importanza, definendo in ogni singola parte il convento: “Poco distante dalla casa predetta baronale vi è il convento de’frati dell’Ordine della Riforma del Carmine con chiesa consistente in una nave coverta a’fitte con intempiatura di tavole lavorata et inquadrata liscia, intesta della quale è l’altare maggiore con custodia adorata d’oro ove si conserva il Santissimo, dall’uno et l’altro lato di detta nave formano quattro cappelle sotto nome de diversi titoli de Santi vi è un quarto di chiostro finito et ademplito appoggiato nelle mura antiche della predetta Terra ove formano un corrituro, et sette camere in piano soto delle camere, e corrituro sono diverse stanze, luoghi per cocina, dispensa, luoghi di tenere vini, et altre comodità vi è un campanile con due campane, nelli tre altri lati di detto chiostro, vi è il disegno con le fondamenta di fabbrica et principiato dell’istesso disegno del detto quarto, in mezzo del quale viene il cortile grande, et officiata, et al presente assistono quattro frati sacerdoti, e tre laici, et anforme mi viene riferito detto Monastero fu fondato da Signori Antecessori Patroni della Casa Sanseverino, et però dicono che in tempo detta fundatione l’havessero promesso annui docati trenta per li vestimenti di detti frati, et annui tomoli e trenta di grano …”4.

Quota altimetrica: m 759.417 s.l.m. Sommità montuosa, versante occidentale. Mappa catastale: F. 16, particelle nn. 547, 548, 881. Definizione: area monastica urbana. Cronologia: XV-XVI sec. d.C. Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: resti delle fondazioni del probabile convento dei frati della Riforma del Carmine. Vie fluviali: fiume Sinni sul versante meridionale e torrente Serrapotamo su quello settentrionale. Condizione attuale: area edificata urbana, al momento risulta esservi costruita nelle immediate vicinanze una cavea in cemento armato destinata ad area spettacolo3. Ricognizioni effettuate: l’area è stata oggetto di numerosi sopralluoghi alcuni condotti a terra e altri tramite APR, per poter realizzare una base aereofotogrammetrica aggiornata.

Descrizione unità topografica: area conventuale urbana pertinente ai frati della Riforma del Carmine. “Poco distante dalla casa predetta baronale vi è il convento de’ frati dell’Ordine della Riforma del Carmine con chiesa consistente in una nave coverta a’fitte con intempiatura di tavole lavorata et inquadrata liscia, intesta della quale è l’altare maggiore…mi viene riferito detto Monastero fu fondato da Signori Antecessori Patroni della Casa Sanseverino, et però dicono che in tempo detta fundatione l’havessero promesso annui docati trenta per li vestimenti di detti frati, et annui tomoli e trenta di grano …”5; così Giuseppe Gallarano nel ‘600, ci informa dell’esistenza di questo convento nel territorio urbano di Chiaromonte.

Condizioni del suolo: parzialmente edificato. Visibilità: buona. Affidabilità identificazione: mediocre.

Infra cap. 7.2, p. 168 e sgg. La località in cui sorgono queste strutture è stata oggetto di interventi di riqualificazione e costruzione ex novo di una cavea per spettacoli. L’intervento ha previsto il restauro delle due torri e, in concomitanza alle fasi di cantiere, sono state condotte attività di scavo archeologico da parte della Soprintendenza Archeologica di Basilicata. 2 3

4 5

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Stigliano 1996, fasc. 27-28, pp. 125-143. Ibidem.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 24. - Convento dei frati della Riforma del Camine (Loc. Torre della Spiga, Chiaromonte - PZ): a) veduta generale; b) foto nadirale.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale 6.2.2 Scheda 2

La possibilità d’intervento in quest’area con i lavori di recupero della stessa, hanno permesso anche in questo caso di far luce sull’esistenza di una struttura conventuale andata persa completamente, se non per le menzioni fatte nel testo del Gallarano e in alcuni documenti recentemente pubblicati6. L’area era comunemente conosciuta dai cittadini di Chiaromonte come “U Commend”, termine che nell’etimo dialettale indica proprio un convento7.

Chiesa di San Tommaso Apostolo (fig. 25), Chiaromonte (PZ) (F. 211, II N.O. – 40.124710, 16.213516) Quota altimetrica: m 781.417 s.l.m. Sommità montuosa, versante orientale. Mappa catastale: F. 16, particella n. A.

La struttura viene descritta in tutte le sue parti nel testo del Gallarano. Per quel che oggi possiamo osservare vengono individuate due aule rettangolari a forma di ‘L’ che si vanno ad appoggiare alla torre circolare adiacente “… vi è un quarto di chiostro finito et ademplito appoggiato nelle mura antiche della predetta Terra ove formano un corrituro, et sette camere in piano soto delle camere…”8.

Definizione: chiesa collegiata palaziale urbana intitolata a San Tommaso Apostolo. Cronologia: fondazione XI sec. d.C. – XXI sec. d.C. Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: chiesa palaziale a navata unica con 5 cappelle laterali.

Una prima aula, orientata in direzione Nord-Sud, ha dimensioni doppie rispetto ad un’altra adiacente e ortogonale orientata in direzione Est-Ovest. I materiali impiegati per la costruzione sono ancora una volta gli stessi utilizzati nelle fabbriche limitrofe, seppur in questo caso largo è l’impiego di laterizio. Gli spessori murari risultano essere notevoli è variano dai cm 70 ai cm 80. Le indagini archeologiche condotte in occasione dei lavori di riqualificazione dell’area hanno permesso il ritrovamento, oltre che di questi ambienti, anche di evidenze databili al VI sec. a.C.9.

Vie fluviali: fiume Sinni sul versante meridionale e torrente Serrapotamo su quello settentrionale. Condizione attuale: restaurata; chiesa officiante. Ricognizioni effettuate: l’area su cui insistono le strutture della chiesa di San Tommaso Apostolo è stata oggetto di numerosi sopralluoghi, alcuni condotti a terra per effettuare campagne fotografiche documentarie e altri tramite APR, per poter realizzare una base aereofotogrammetrica aggiornata.

Indicazioni bibliografiche: Lista M., 2015, La Contea di Chiaromonte: indagine toponomastica, in La Contea di Chiaromonte. Ceti sociali ed istituzioni ecclesiastiche tra XIV e XIX sec. d.C., a cura di V. Vitale, M. Lista, Lagonegro (PZ), pp. 75-101.

Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: buona. Affidabilità identificazione: ottima. Stato di conservazione del deposito: scarso.

Preite A., 2020, Chiaromonte: storia delle ricerche e dinamiche di antropizzazione pre-protostorica, in Chiaromonte. Un centro italico tra archeologia e antropologia storica. Studi in memoria di Luigi Viola, a cura di S. Bianco et alii, Venosa, pp. 57-90.

Notizie storiche: sulla sommità del Catarozzolo, nella porzione Nord-orientale del centro abitato di Chiaromonte, sorgono in stretta connessione tra loro, il castello Chiaromonte/Sanseverino10 e la collegiata di San Tommaso Apostolo. Quest’ultima era da tempo beneficio della famiglia comitale dei Sanseverino: eretta in parrocchia nel 1723 col riconoscimento di un proprio territorio e di un fonte battesimale, ritenuta fondazione di Margherita, moglie del conte Giacomo Sanseverino, è probabile che preesistesse al XIV sec. d.C., soprattutto se si riconosce validità ad un documento del 1226 che ne attribuiva la paternità ad Ugo il Vecchio (detto “Monocolo”)11.

Stigliano G., 1996, L’apprezzo di Chiaromonte del 1660, in Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera/ Rivista di Cultura Lucana, Amministrazione Comunale di Matera, fasc. 27-28, pp. 125-144. Vitale V., Lista M. (a cura di), 2015, La Contea di Chiaromonte. Ceti sociali ed istituzioni ecclesiastiche tra XIV e XVIII secolo d.C., Lagonegro. Vitale V. 2015c, La Contea di Chiaromonte: persistenze archeologiche dai Clermont (XI sec. d.C.) ad oggi, in La Contea di Chiaromonte. Ceti sociali ed istituzioni ecclesiastiche tra XIV e XVIII secolo d.C., a cura di V. Vitale, M. Lista, Lagonegro, pp. 11-22.

Per quanto riguarda la ricostruzione della storia della collegiata, stimolanti risultano tutta una serie di documenti datati ai primi decenni del XVIII secolo. Questi definiscono alcuni punti nodali della storia della cappella

Vitale, Lista 2015; Vitale 2015c, pp. 11-22. Lista 2015, p. 80. 8 Stigliano 1996, fasc. 27-28, pp. 125-143. 9 Preite 2020, p.66. Contesto archeologico inedito. Documenti d’archivio (13/12/2006-02/02/2007). 6

Attualmente viene chiamato “monastero”, considerato che nel 1849 il vescovo Acciardi lo acquistò a nome della diocesi di Anglona-Tursi, destinandolo a tale funzione. 11 Vitale 2015b, pp. 45-76. 10

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La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 25. - Collegiata di San Tommaso Apostolo e palazzo Chiaromonte/Sanseverino (Chiaromonte, PZ). Foto obliqua da drone.

‘palatina’, riferibile alla fase normanna di Chiaromonte durante i primi decenni dell’XI sec. d.C. L’interessante documento, datato all’anno 1739, riferisce che: “Nella metà del secolo XI sotto gli auspici de’ figli di Tancredi di Altavilla essendo venuto quel ragguardevol manipolo di Normanni a dominare in queste contrade, vi fù tra questi Ugone il Vecchio da Chiaromonte che diessi il casato da questo luogo di cui si fea Padrone ed in dove trovò già esistente, e fatta chiesa la pred.a Collegiata Chiesa di S. Tomaso Aplo, onde la medesima dotò di molti privilegi, prerogative, ed onori, quali nell’anno 1226 Riccardo da Chiaromonte Padrone di questa stessa Terra, e discendente dell’anzid.to Vecchio Ugone sotto l’Imperador Federico II rinnovò e confermò con questi termini”12. La Collegiata, considerando veritiero il contenuto del documento, non fu fondata dalla Contessa Margherita e tantomeno dal suo avo Ugo. Secondo l’Ughelli, la chiesa fu fondata dalla Contessa Margherita Chiaromonte agli inizi del 1300, mentre nel fascicolo di carte del 1739 si legge che nella seconda metà dell’anno Mille essa fu eretta a Collegiata insigne ma non fondata da Ugo Monocolo primo Conte di Chiaromonte, perché egli la trovò già eretta13.

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Queste notizie, tuttavia, andrebbero approfondite e supportate da indagini archeologiche sull’intero complesso, perché alcune informazioni provenienti dallo stesso documento del 1739 potrebbero essere mendaci o quantomeno confusionarie. A tal proposito, lo stesso testo afferma in maniera erronea che Ugo Monocolo prese il nome del suo casato direttamente dal centro di Chiaromonte pur non rispondendo a verità; difatti, egli proveniva da Clermont-de-l’Oise in Piccardia e fu il capostipite della famiglia Chiaromonte la quale si insediò anche in Sicilia presso Chiaramonte Gulfi14. Sempre nella stessa carta si fa menzione della località Torre del Muzzo, quando si parla di un possedimento della collegiata nei pressi di tale struttura; allo stato delle conoscenze è difficile assegnare una posizione precisa a questa fabbrica e comprendere se realmente si trattasse o meno di una porzione del sistema fortificato chiaromontese. Descrizione unità topografica: chiesa collegiata di San Tommaso Apostolo, probabile chiesa palaziale della famiglia normanna dei Clermont, e successivamente della famiglia dei Sanseverino. Come nel caso della chiesa Madre di San Giovanni Battista, anche le condizioni della

Archivio Privato Percoco. Stigliano 1996, fasc. 27-28, pp. 125-143.

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Elefante 1987.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 26. - Collegiata di San Tommaso Apostolo (Chiaromonte, PZ): passaggio sopraelevato che mette in comunicazione la chiesa con palazzo Chiaromonte/Sanseverino.

Il tozzo campanile, dalla forma parallelepipeda, conserva probabilmente almeno una delle due campane originarie censite al momento in cui venne stilato l’apprezzo del Gallarano. La posizione di rilevanza e l’immediato rapporto di contiguità rispetto all’edificio del potere temporale, farebbero propendere verso esempi di fondazioni ecclesiastiche riferibili all’XI-XII sec. d.C., in riferimento allo sviluppo planimetrico dell’abitato medievale che riprende modelli fortificati d’altura databili allo stesso periodo17. A Chiaromonte lo stesso sistema difensivo si accresce grazie allo sviluppo di almeno tre cinte murarie, la prima delle quali sulla sommità, dove si doveva trovare il recinto fortificato che cingeva l’area residenziale del dominus, culminante nell’edificazione sul versante orientale della residenza fortificata e della chiesa palaziale di San Tommaso.

chiesa di San Tommaso nel XVII sec. d.C. si rivelano attraverso l’Apprezzo del Gallarano: “... accanto la casa baronale vi è l’altra chiesa sotto titolo di Santo Tommase consistente in una nave coverta a fitte, in testa del quale è il Mast’arco, ove è l’Altae Maggiore con una cona dell’Imagine di Santo Tomase d’Aquino da un lato e l’altro di detta nave vi sono cinque Cappelle sotto diversi titoli, dietro di detto altare maggiore è il Choro con un poco di sacrestia ove si conservano alcuni apparamenti per la celebrazione delle Sante Messe, vi è il campanaro a due ordini con due campane, viene governata detta Chiesa da tre sacerdoti canonici e tre clerici ...”15. Lo sviluppo planimetrico del complesso ecclesiastico fa preciso riferimento a quella che è la descrizione fatta dal Gallarano, con una navata e cinque cappelle laterali. Lungo la facciata della collegiata, e su parte del prospetto meridionale, corre un portico inquadrato su entrambi i lati rispettivamente da quattro e da tre arcate a tutto sesto, con ghiere costruite in laterizio. Esiste una stretta connessione tra la residenza comitale e la chiesa di San Tommaso Apostolo, tuttora fisicamente legate da un passaggio sopraelevato che le mette in comunicazione16 (fig. 26). Tale elemento avvalora ulteriorimente la tesi della chiesa palaziale delle famiglie Clermont e Sanseverino.

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L’interno della chiesa conserva tra gli arredi lo splendido altare maggiore cinquecentesco proveniente dall’abbazia cistercense del Sagittario, come rivelerebbe la presenza di due stemmi raffiguranti la ‘S’ attraversata da una freccia su insegne vescovili con la raffigurazione del cappello bicuspidale e del bastone, presenti su ambedue i lati della parte inferiore. L’altare, in marmi policromi, poggia su tre gradini anch’essi in marmo; presenta nel paliotto un motivo a volute spezzate e foglie d’acanto in rilievo finemente

Stigliano 1996, p. 135. Vitale 2015b, pp. 45-76.

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Vitale 2014, p. 230.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 27. - Collegiata di San Tommaso Apostolo (Chiaromonte, PZ): fonte battesimale.

realizzate, concludendosi nel medaglione centrale in marmo verde con croce raggiata in marmi policromi elegantemente ornata. Sul postergale e sui cantonali è ripreso il motivo a volute del paliotto. Il tabernacolo, fulcro della composizione, è sormontato da una colomba con ali spiegate che poggia su una nuvola. Significative sono le tracce di trapanazione, che definiscono finemente le forme del volatile e della nuvola sottostante, cesellati sapientemente da mani molto esperte. La piccola porta del tabernacolo è arricchita dal rilievo a sbalzo di tre cherubini alati − pregni di particolari nell’incarnato del volto − in adorazione nei riguardi del sacro cuore di Cristo avvolto nella corona di spine e sormontato da una piccola croce. I capialtari terminano con due volute e foglie d’acanto in marmo bianco ricavati da un unico blocco, mentre ai lati dei pilastrini due volute fasciate completano la decorazione d’insieme. Il paliotto è decorato da un motivo a volute in rilievo che culmina nel medaglione centrale18.

Tursi (MT), datato anch’esso al 1574, è opera di Giovanni Francesco da Tursi21. Alto poco più di un metro, presenta una vasca decorata esternamente con un motivo a palmette su due registri, sostenuta da una colonna circolare rigonfia al centro e rastremante in direzione della vasca stessa; il tutto poggia su una base quadrangolare decorata e abbellita sulle quattro facce laterali e sulle quattro superiori negli angoli con un motivo a girali (fig. 27). Una delle facce del basamento conserva iscritta un’epigrafe; questa, distribuita su un registro costituito da tre righe, riporta il seguente testo: M. IOE. F. B. D. / TURSI. M.F. / A.D.1.5.7.4. La faccia opposta a questa presenta in rilievo la rappresentazione dello stemma della Contea di Chiaromonte, ovvero i cinque colli sormontati sui due lati rispettivamente da due stelle22. La vasca del fonte, inoltre, sembrerebbe conservare esternamente tracce originali di colore apposte in antico. Indicazione bibliografiche:

L’altare maggiore è sormontato attualmente da uno splendido crocifisso: stilisticamente tedeschizzante nelle fattezze, mantiene gli stilemi dell’intaglio nordico e può essere attribuito al primo quarto del XVI secolo19. Tutta la figura, tranne le braccia, è ottenuta da un unico massello, mentre risulta essere andata perduta la croce originale. La raffigurazione è di chiara ascendenza nordica sia nello schema generale sia nei particolari. La figura piuttosto allungata e dalle gambe quasi tese ha il suo punto di forza nella grande testa incorniciata da folti capelli, lunga barba e una grande corona di spine. Il perizoma mostra un lembo ripiegato che fuoriesce scivolando sulla gamba destra, con un bordo a sinuose pieghe. Se ad emergere è sicuramente l’influenza della scuola tedesca, non si può certo trascurare un’eco franco/fiamminga nella resa dei dettagli20.

Casciaro R., 2004, Scheda 54, in Scultura lignea in Basilicata dalla fine del XII alla prima metà del XVI secolo, a cura di P. Venturoli, Catalogo della mostra (Matera, Palazzo Lanfranchi, 1 luglio-31 ottobre 2004), pp. 230-234. Elefante F., 1987, Saggio storico su Chiaromonte: il territorio dalle origini all’Unità d’Italia, Chiaromonte. Stigliano G., 1996, L’apprezzo di Chiaromonte del 1660, in Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera/ Rivista di Cultura Lucana, Amministrazione Comunale di Matera, fasc. 27-28, pp. 125-144. Vitale V., 2014, La Contea di Chiaromonte (Basilicata): fonti documentarie e persistenze archeologiche. Materiali per la ricostruzione storico-insediativa dall’età normanna al basso medioevo, a cura di F. Meo, G. Zuchtriegel, Siris Herakleia Polichoron. Città e campagna tra antichità e medioevo, Atti del Convegno (Policoro, 12 luglio 2013), «Siris», 14, pp. 215-233.

A parte l’imponente altare policromo che fa da sfondo alla navata centrale, è da ricordare anche l’altare della cappella laterale, opera elegante e sobria nella sua composizione di linee e marmi. La collegiata di San Tommaso conserva, inoltre, un meraviglioso fonte battesimale in calcare locale datato al 1574. Realizzato sulla falsariga di quello scolpito nella chiesa cattedrale della Santissima Annunziata a

Vitale 2015b, pp. 45-76. La stessa rappresentazione dello stemma della Contea di Chiaromonte, sotto la reggenza della famiglia Clermont, è scolpita in rilievo nella lunetta superiore del portale della chiesa del monastero di San Francesco di Assisi presso Senise (PZ). Infra cap. 6, scheda 4, p. 65. 21 22

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Vitale 2015b, pp. 45-76. Casciaro 2004, p. 234. Ibidem.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 28. - Chiesa di San Giovanni Battista (Chiaromonte, PZ). Foto oblique da drone.

6.2.3. Scheda 3

Vitale V., 2015b, Edifici ecclesiastici urbani e palaziali a Chiaromonte, in La Contea di Chiaromonte. Ceti sociali ed istituzioni ecclesiastiche tra XIV e XVIII secolo d.C., a cura di V. Vitale, M. Lista, Lagonegro, pp. 45-76.

Chiesa San Giovanni Battista (fig. 28), Chiaromonte (PZ) (F. F. 211, II N.O. – 40.122861, 16.214113) Quota altimetrica: m 729.100 s.l.m. Sommità montuosa. Mappa catastale: F. 16, particella n. B. 60

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Definizione: chiesa Madre intitolata a San Giovanni Battista.

San Giovanni Battista o San Nicolò la Piazza? Il manoscritto Libro dei censi ed affitti della madrice chiesa di San Giovanni Battista26, datato al 1739, riferisce in particolare di una lite fra il clero della collegiata di San Tommaso Apostolo e quello della chiesa Madre di San Giovanni27. In esso si afferma che quest’ultima non sia sorta in tempi remoti, “… giacchè si sà ed è comune anche per tradizione che l’altra Chiesa di questo Paese fù la Cappella di San Nicolò la Piazza le cui vestigie ancor s’osservano e dalle rovine della stessa ne nacque quella che ora si dice di San Giovanni Battā ...”28. I termini vestigie e rovine inducono a pensare a trasformazioni e rifacimenti della chiesa di San Giovanni, che probabilmente potrebbe esser sorta sulle rovine della cappella intitolata a San Nicolò. Questa intitolazione potrebbe richiamare, con buone probabilità (essendo Nicolò/Nicola un santo di origine orientale), l’influenza del governo bizantino su questi luoghi al confine tra quello che era il Latinianon e il Mercurion. D’altronde, la toponomastica di alcune porzioni del territorio chiaromontese rimandano per alcuni tratti ad una, seppur minima, ingerenza orientale: si ricordino a tal proposito località ancora esistenti quali Sant’Onofrio, Santa Sofia, San Saba, la contrada Giancristoforo, Santa Caterina29. Accogliendo pertanto quale veritiero il manoscritto del 1739, bisogna altresì accettare la notizia che l’attuale chiesa di San Giovanni Battista non nacque come tale prima della collegiata di San Tommaso. In origine, piuttosto, poteva trattarsi di una semplice cappella dedicata a San Nicolò, identificabile verosimilmente con una chiesetta localizzabile al di sotto della sacrestia dell’odierna San Giovanni. La tesi del Rettore non è comunque valida a comprovare l’esistenza di una chiesa oppure di una cappella intitolata a San Nicolò, preesistente a quella che sarà di San Giovanni; nel documento, in realtà, si afferma che nel 1739 si dava per scontato che la notizia era di pubblico dominio e consolidata dalla tradizione. Allo stato attuale solamente indagini archeologiche potrebbero definire e confermare questa ipotesi, avvalorata unicamente dal documento redatto, comunque, diversi secoli dopo la fondazione della stessa. Altri studiosi non si sono posti fin ora il problema dell’intitolazione, confidando nella convinzione che fin dalle sue origini essa fosse intitolata al Battista. L’idea che

Cronologia: XIV sec. d.C. – XXI sec. d.C. Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: chiesa a croce latina con tre navate e presbiterio a pianta rettangolare senza absidi. Vie fluviali: fiume Sinni sul versante meridionale e torrente Serrapotamo su quello settentrionale. Condizione attuale: recentemente restaurata. Chiesa officiante. Ricognizioni effettuate: l’area su cui insistono le strutture della chiesa Madre di San Giovanni Battista è stata oggetto di numerosi sopralluoghi, alcuni condotti a terra per effettuare campagne fotografiche documentarie e altri tramite APR, per poter realizzare una base aereofotogrammetrica aggiornata. Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: nulla. Affidabilità identificazione: ottima. Stato di conservazione del deposito: scarso. Notizie storiche: uno tra più antichi documenti che ci informa della chiesa intitolata a San Giovanni Battista è il già noto Apprezzo Gallarano23 che figura negli Atti del S.C. per lo affitto di Chiaromonte di cui si fa domanda la dichiarazione dal Principe di Bisignano (1646), ma diversi manoscritti, ancora inediti, del XVI-XVII secolo parlano della chiesa intitolata al Battista24. Il Gallarano, all’inizio della sua relazione, redige una scheda riguardante le informazioni storiche su Chiaromonte, non fornendo alcuna notizia del genere sugli edifici religiosi. Si limita a riportare poche informazioni che attestano soltanto la situazione delle chiese in quel periodo, perché vincolato a elencare solo ciò che era attinente al fisco e non alla storia, non andando oltre la semplice descrizione25.

Choro guarnito d’intaglio e tavole di Noce ad uno lato della quale nave vi è un arco grande, ove sono due Cappelle, una di esse con il Quadro della Madonna del Carmine, et l’altra Cappella con il quadro del Corpus Domini, All’altro lato di da Nave, e la Cappella del Santissimo Rosario vi è Sacristia il Campanaio à tre ordine due Campane l’orologio. Sono molti paramenti necessarij per la celebrazione del Sacrificio delle Sante Messe et per le feste sollenne viene governata detta Chiesa da quattro Sacerdoti, cioè l’Arciprete il Cantore e due altri Sacerdoti, et quattro clerici tiene d’entrata annui docati sessanta e diece tomola di grano di terraggio”. 26 Libro dei Censi ed affitti della madrice e parrocchial Chiesa di San Giovanni Battista, introiti ed esiti fatti nella procura di D. Antonio Caprarolo nell’anno 1728 e finita nel 1729. 27 Vitale, Cirone, Lista, 2015, pp. 134-232; Percoco 1993, p. 20: “… allo stesso tempo ringrazio i cumuli di calcinaccio e di rifiuti che mi hanno restituito vecchie carte. Giovanni Dottore potrebbe parlare dei numerosi documenti fatti buttare dal defunto parroco di San Tommaso, don Franco Ferrara: il documento datato al 1739 è fra quelli”. 28 Archivio Privato Percoco. 29 Vitale 2015b, pp. 45-76.

Stigliano 1996, p. 133. Nel 1660, l’Apprezzo Gallarano citava: “si entra nella terra di Chiaromonte per tre parti serrate de mura antiche, ove formano da parte in parte alcuni torrioni tondi, et torri quadre ad uso antico de mura per detta antichità sono in molte parti rovinate, et cascate, ma l’assise di detta Terra et l’apprezzo de la maggior parte sopra pietre vive, et unione di case viene a formare una Terra forte, che con poca gente si possono difendere da moltitudine grande de nemici”. 24 Uno di questi documenti inediti è proprio un atto stilato dal notaio D’Arbia nel 1611, al tempo del Vescovo Bernardo Giustiniani insediatosi nella diocesi anglonense due anni prima, il quale rivela che in quell’anno la chiesa di San Giovanni Battista era già definita chiesa Madre. Questa esercitava la sua giurisdizione sulla cappella di Sant’Uopo che ricadeva nel suo territorio extraurbano, e fra le notizie riguardanti le rendite di tale chiesetta apprendiamo che era detta anche S. Maria del Soccorso, seppur ignoto rimane il perché di tale intitolazione. 25 Stigliano 1996, p. 134: “... vi è una Chiesa Parrocchiale situata dentro detta terra sotto titolo di San Giovanne consistente in una Nave coverta a tetti, et intempiatura di tavole. Intesta del quale è il Mastrarco, ove è l’Altare maggiore con custodia ove si conserva il SS.mo appresso è il 23

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale l’edificio sia da attribuire ad una fase precedente rispetto al XIII-XIV sec. d.C. al momento non è confermata, e ritenere che esso abbia un nesso perfino con il periodo iconoclasta (VIII sec. d.C.) è quanto meno una semplice ipotesi che non ha riscontri né nell’architettura dell’edificio né negli arredi30. Se, inoltre, l’edificio fosse considerato quale primo contenitore della statua lignea della Madonna, appartenente al monastero del Sagittario, e come tale a questa coevo, non può essere datato prima del XIII sec. d.C. (datazione imposta dallo stesso stile iconografico della statua) (fig. 29). La scultura, restaurata, e attualmente posizionata in una nicchia sovrastante l’altare maggiore della chiesa di San Giovanni, verosimilmente è associata al rinvenimento che la leggenda lega al monastero del Sagittario. La sua tipologia mostra le peculiari fattezze di origine bizantina delle Madonne con Bambino diffuse nell’Italia meridionale. Nell’opera del De Lauro leggiamo una petizione inoltrata a Carlo V nel 1535 dai monaci cistercensi del Sagittario, dalla quale si apprende che il ritrovamento della statua nei boschi del Sagittario sarebbe avvenuto intorno all’anno 935 d.C. (necessitate calculi cogimur devenire ad annum Domini 935)31.

Fig. 29. - Chiesa di San Giovanni Battista (Chiaromonte, PZ): statua lignea della Madonna con Bambino (XIII sec. d.C.).

e definiscono i limiti urbani del centro della Contea già durante il XV sec. d.C. I due complessi si trovano ad essere inglobati all’interno delle diverse cinte del borgo, ancora oggi per buona parte visibili e per molti altri tratti intuibili grazie all’allineamento degli edifici esistenti, i quali ne hanno seguito l’andamento34.

L’altra Madonna in legno priva del bambino conservata oggi nella chiesa di San Giovanni32, manifesta ancora caratteri figurativi e iconografici che rivelano una continuità con la tradizione locale. L’intervento di restauro su di essa, risalente ormai a qualche decennio fa, ha restituito il suo stato originale. La scultura appariva ricoperta di tela dipinta con il viso e le mani in legno policromo. Il busto, pur mancante delle braccia, risulta quasi integro nella lettura generale dell’opera, data la compostezza della postura. Sul viso, sul collo e sui capelli sono visibili tracce di policromia originale sotto la recente ridipintura. Sulla corona si vede un intarsio geometrico decorativo, mentre sul velo si osservano delle piccole fasce policrome33.

Gli edifici ecclesiastici che è ancora possibile vedere si sono conservati nel tempo subendo però diversi restauri che hanno comunque modificato le loro originarie strutture. Sembrerebbe, tuttavia, essere certa la loro funzione, sorti già da principio per assolvere agli impegni religiosi della Chiaromonte di piena età medievale. Le stesse fonti documentarie pervenuteci ci informano di come essi si siano conservati nel loro assetto planimetrico originario. La chiesa Madre ha goduto di grande prestigio durante i secoli, se si pensa che in essa furono tumulati cinque vescovi tutti deceduti in Chiaromonte, spiegando così come Tursi fosse sede episcopale di diritto e che Chiaromonte lo fosse di fatto35.

Descrizione unità topografica: chiesa Madre di San Giovanni Battista (già San Niccolò?) costituita da un complesso architettonico organizzato in due navate laterali e una centrale di larghezza doppia rispetto alle precedenti. Quest’ultima culmina con l’area del presbiterio, dov’è posizionato l’altare, realizzato con uno sviluppo planimetrico quadrangolare e sormontato in copertura da una cupola ribassata. La lettura topografica dell’abitato di Chiaromonte è definita proprio dai due nuclei distinti costituiti dalla chiesa palaziale di San Tommaso e dalla chiesa urbana di San Giovanni; queste circoscrivono

La chiesa è stata modificata più volte nella sua struttura, e l’aspetto attuale consegue agli interventi del 1790, nel corso dei quali fu rifatta quasi integralmente, con relativa consacrazione ad opera del vescovo Salvatore Vecchioni come risultava dalla lapide apposta presso l’ingresso della sagrestia36. È opportuno rammentare, inoltre, che l’Arciprete D. Raffaele Pozzi nel 1902, come si poteva

Elefante 1988, p. 65. De Lauro 1660, p. 11. 32 Venturoli 2004, scheda 14, p. 126. Madonna (già col Bambino) in trono detta Bruciata o Melfitana. Legno di pioppo intagliato e dipinto, 132x31x23 cm; tardo XIII sec. d.C., Chiaromonte, chiesa San Giovanni Battista. Realizzata probabilmente sul finire del ‘200, la posa, rigida e ancora duecentesca, e anche la cintura stretta sotto il seno piatto e il risvolto arcaico e simmetrico del bordo del manto in basso, si rivedono uguali nella Madonna della chiesa di San Tommaso. 33 Venturoli 2004, scheda 14, p. 294. 30 31

Vitale 2015b, pp. 46-76. Percoco 1993; sono riportate notizie tratte dalle Relationes ad Limina, alcune delle quali puntualizzano che Chiaromonte era al centro della diocesi e perciò i vescovi qui risiedevano, e molte Relationes ad Limina provengono proprio da Chiaromonte stessa. 36 Elefante 1988, p. 65. 34 35

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La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. leggere su una lapide marmorea affissa a destra della porta della sacrestia, rinnovò il pavimento della chiesa e restaurò a sue spese, non solo l’antico coro ligneo intarsiato, ma anche l’organo37, di cui fa menzione già l’apprezzo del Gallarano nel XVII secolo38. L’organo, fatto restaurare da D. Raffaele Pozzi e databile al 1600, era stato donato dal vescovo Bernardo Giustiniani alla chiesa; di esso si fa cenno anche nel verbale di visita pastorale del 1621 del vescovo Alfonso Giglioli: “In ecclesia ex[tat or]ganum exiguę formę, sed pręstantis, quod donavit Rev.mus Predecessor [Justinianus] cum onere imposito communitati sacerdotum, ut celebrent unam missam qualibet hebdomada, prout ex Instrumento”39. Dopo gli interventi del 1790, del 1838, (ricostruzione del coro crollante), del 1855/56 (riparazioni generali), la volta della chiesa Madre, verso la metà del 1800, fu dipinta da Antonio Cascino, pittore lagonegrese. I dipinti rappresentano episodi della Vita di Gesù, del Battista e due Santi40.

Fig. 30. - Chiesa di San Giovanni Battista (Chiaromonte, PZ): elementi lapidei decorati e lapide iscritta (XVI sec. d.C.).

Diversi sono gli arredi ormai non più visibili nella chiesa, come per esempio il pulpito innalzato sulla colonna presso l’altare di San Giovanni, oppure il trono del vescovo41, documentati esclusivamente da alcune foto dell’interno scattate dal personale della allora Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici di Basilicata, in cui si mostra come fosse a quel tempo l’interno dell’edificio ecclesiastico. Anche il campanile fu risistemato in diverse occasioni, e proprio in uno scatto fotografico su Chiaromonte, datato alla seconda metà del XIX secolo, è possibile vedere come la cupola del campanile fosse strutturalmente differente rispetto a quella attuale42. Al tempo del vescovo Giglioli questa struttura aveva bisogno di interventi di consolidamento perché pericolante, tanto che il presule ne intimò la riparazione ai sacerdoti della chiesa nel termine di sei mesi, minacciando pene severe, senza escludere la scomunica43. Lo stesso Gallarano nel suo apprezzo riferisce che il campanile era corredato già di orologio ed era suddiviso in tre

ordini architettonici, come appare attualmente44. Questi sono riconoscibili nei capitelli angolari delle cornici marcapiano, richiamando lo stile dorico, lo stile ionico e lo stile corinzio. L’unico elemento ad essere artisticamente degno di nota è la cornice marcapiano inserita in muratura nel campanile che ne definisce il primo piano; corre su tre lati (perché quello occidentale risulta essere integrato nella copertura della navata laterale orientale) ed è realizzata con formelle lapidee rettangolari rappresentanti fiori e girali a rilievo a formare un motivo ricorrente su tutti i lati. Murato nell’angolo Nord-Est, a qualche metro dall’attuale piano stradale, è ancora visibile un ulteriore elemento lapideo ricavato da due blocchi distinti in roccia sedimentaria. Sul lato orientale del campanile il fregio si sviluppa con un altro elemento su cui è rappresentato un motivo a rilievo composto da 5 pecten, il tutto inquadrato da una fascia molto stretta nella parte inferiore e da una modanatura elementare in quella superiore; nella porzione posta sul lato settentrionale, invece, è presente un’epigrafe, anch’essa realizzata in rilievo (fig. 30). Il testo, che si sviluppa su un’unica riga ed è inquadrato nello spessore esterno delle due lastre, rimanderebbe probabilmente ad un periodo alquanto precedente la costruzione del campanile, se non addirittura ad una fase anteriore la stessa fabbrica della chiesa di San Giovanni Battista, in quanto elemento di reimpiego45: MR (A?) (D?) OBD R (…) +.

37 “O.M. Ut chorus et organum redintegradentur ipsaque ecclesia pavimentaretur: Anno R. S. mcmii Rev. Dom. Raphael Pozzi huius paroeciae Archipresbyter Ære suo providit”. Testo della lapide che ricorda gli interventi di mons. Raffaele Pozzi alla chiesa Madre di San Giovanni Battista. 38 Stigliano 1996, p. 134: “... appresso è il Choro guarnito d’intaglio e tavole di Noce ad uno lato della quale nave vi è un arco grande ...”. 39 Tratto da un verbale di visita pastorale di Mons. Alfonso Giglioli. 40 Elefante 1988, p. 66. 41 Il fatto che nella chiesa Madre di Chiaromonte esistesse il trono del vescovo, è giustificato da ragioni che trovano il loro fondamento nella storia della diocesi e in quella di Chiaromonte. Bisogna leggere attentamente le Relationes ad Limina Apostolorum presso l’Archivio Segreto Apostolico Vaticano, per la maggior parte datate e firmate in Chiaromonte per rendersi conto che prima del ‘600 i vescovi risiedevano di diritto a Tursi, ma di fatto in Chiaromonte. È proprio il vescovo Bernardo Giustiniani (1609-1616) che parlando di Tursi all’inizio della sua Relazione del maggio 1611, chiaramente afferma che i suoi predecessori o non hanno mai fatto residenza in quella città o hanno dimorato a Chiaromonte (Predecessores ep/i vel residere numqua’ [s’intenda Tursi] vel in montano oppido Clar.te mansere), dove c’era anche un piccolo Palazzo vescovile (ep/lis est dom̃ cula) da lui poi restaurato. 42 Vitale 2015b, pp. 45-76. 43 “(... proinde Illmus Dominus mandavit intimari communitati sacerdotum quę debet restaurare ut infra terminum sex mensium ...”: tratto da un verbale di visita pastorale di Mons. Alfonso Giglioli.

È nuovamente l’Apprezzo del Gallarano a fornire una prima descrizione, da cui si apprende che: “...vi è una Chiesa Parrocchiale situata in detta terra sotto il titolo di San Giovanne consistente in una Nave[...]ove sono due Cappelle, una di esse con il Quadro della Madonna del Carmine, et l’altra Cappella con il quadro del Corpus Domini, All’altro lato di da Nave è la Cappella del 44 45

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Stigliano 1996, p. 134. Vitale 2015b, pp. 45-76.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Sacra53. Oltre che in relazione alle sepolture all’interno della chiesa, questa esercitava la sua giurisdizione anche fuori dal centro urbano di Chiaromonte: per far seppellire nella cappella della grancia di Ventrile, infatti, era necessario che desse il placet l’arciprete di San Giovanni Battista.

Santissimo Rosario vi è Sacristia il Campanaio à tre ordine due campane l’orologio...”46. Il Gallarano, dunque, registra tre cappelle nella chiesa, ma nel verbale di visita pastorale che l’Ordinario diocesano, Mons. Alfonso Giglioli, fece nel 1621 troviamo altre notizie più dettagliate rispetto a quelle riportate nell’Apprezzo. Il 17 maggio 1621 il presule visitò la Cappella della Visitazione. Seguì la visita alla Cappella del Corpus Domini la quale possedeva una giurisdizione non autonoma nei riguardi della chiesa stessa per via di una confraternita che alcuni laici intendevano costituire. Visitò, infine, la Cappella della Madonna del Carmelo, fondata da D. Muzio de Arbio47.

La chiesa è stata restaurata completamente pochi anni fa. L’interno conserva lo splendido altare maggiore in marmi policromi il quale poggia su due gradini sempre in marmo, con un paliotto molto lineare anche se elegantemente ornato. Il tabernacolo è sormontato da una angelo marmoreo, il tutto inquadrato dal fronte di un tempietto con quattro colonne in antis in stile dorico. I capialtari che sorreggono l’altare sono costituiti da due angeli – originariamente anch’essi in marmo – con ali spiegate e volto rivolto verso la navata centrale, che completano la decorazione d’insieme. Questi, opera ottocentesca dello scultore Antonio Busciolano, sono stati trafugati durante i restauri dell’edificio e non più ritrovati; attualmente sono stati sostituiti con due copie in gesso.

Sempre in riferimento alla visita pastorale dello stesso vescovo, è interessante sottolineare la notizia della mancata cura delle sepolture all’interno della chiesa; trovò, infatti, sepulturas male clausas e per tale motivo ordinò che tutti i proprietari che godevano dello jus sepeliendi nei sepolcri provvedessero a ripararli e a mantenerli48. Il vescovo prescrisse, inoltre, che in futuro fosse impiegata maggiore diligenza nel tumulare i defunti stessi, disponendo un’ammenda di 50 libbre di cera bianca lavorata da pagare in caso contrario49. Uno degli elementi ancora oggi ben riconoscibile a testimonianza della cura delle inumazioni, seppur di qualche decennio precedente alle disposizioni del vescovo, è conservato affisso sul lato occidentale della porta della sagrestia, nella navata laterale orientale. Si tratta di una lastra tombale di copertura dalla forma parallelepipeda ricavata da un unico blocco di arenaria locale50. Sui quattro lati della faccia superiore corre un’iscrizione: “FATUM SUSTOLLIT SACERDOTI CUNCTA MUNERA A.D. 1574”51.

Il verbale di visita pastorale del vescovo Giglioli ci permette di apprendere ancora che nel 1621 esisteva anche un fonte battesimale costruito in pietra nella parte inferiore, e in legno in quella superiore54. Fino al tempo degli ultimi lavori di restauro, nella chiesa esisteva un altro fonte battesimale con una vasca trilobata e copertura in legno55. Non è sicuramente il fonte indicato dal Giglioli agli inizi del XVII secolo, perché questo è datato al 1869, e la copertura in legno intagliato, eseguita nell’anno 1870, è opera di Giovanni Viola di Chiaromonte56. Indicazioni bibliografiche:

Nella chiesa di San Giovanni, come già detto, erano sepolti cinque vescovi tumulati verticalmente nelle pareti dove sono state ritrovate le loro spoglie nel momento in cui il parroco dell’epoca, Don Franco Ferrara, avviò i lavori per l’impianto di riscaldamento. È particolarmente inconsueto, viste le indicazioni del vescovo Giglioli a riguardo, che questi siano stati seppelliti nel sepolcreto non riservato al clero. Il primo vescovo sepolto è Bernardo Giustiniani e l’Ughelli riporta il testo dell’iscrizione sulla sua tomba52. Nel 1631 Giovanni Battista Deti, successore del Giustiniani, morì in Chiaromonte e qui fu tumulato. Anche in questo caso, il testo dell’iscrizione che figurava sulla sua tomba è stato ripreso dall’Ughelli nella sua Italia

de Lauro G., 1660, Vita Beati Joannis a Caramola tolosani conversi Sagittariensis monasterii collecta, Napoli. Elefante F., 1988, Luoghi sacri, casali e feudi nella storia di Chiaromonte, Chiaromonte. Percoco G., 1993, I Miracolati di S. Uopo, Chiaromonte. Stigliano G., 1996, L’apprezzo di Chiaromonte del 1660, in Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera/ Rivista di Cultura Lucana, Amministrazione Comunale di Matera, fasc. 27-28, pp. 125-144. Ughelli F., 1717-1722, Italia Sacra (rist. anast. Venetiis), Sez. Anglonenes et Tursienses episcopi, tomo VII.

Stigliano 1996, p. 134. Tutte queste informazioni risultano dalle Bolle emanate in Chiaromonte il 7 gennaio 1600. 48 Tratto da un verbale di visita pastorale di Mons. Alfonso Giglioli. 49 Ibidem; ... prohibuit ne in posterum ullus sepeliatur nisi in sepulturis, sub pęna librarum quinquaginta cerę albę et laborat[ę]. Va tenuto in considerazione anche quello che riferisce l’Arciprete della chiesa, ovvero che molti fedeli erano sepolti direttamente al di sotto del pavimento e non nei sepolcri. 50 Vitale 2015b, pp. 45-76. 51 Il destino solleva tutti i compiti del sacerdozio A.D. 1574. La lastra misura cm 75x65. 52 Ughelli 1717-22, Tomo VII: “Bernardum Justinianum Episcopum Anglonensem Joseph De Salvo Archipresbyter Clarimontis et Heracles Traffuriturus Bononiensis Acceptorum Beneficiorum Memores Grato Animo Hic Si Observarunt Anno Domini MDCXVI Die XXV Octob”. 46 47

Ughelli 1717-22, Tomo VII: “Joannes Baptista Detus Patricius Florentinus Vitae Ac Morum Integritate Fragrans, Ex Castrensi Jam Ecclesia Ob Sui Benemerita Ad Anglonensem Episcopatum Translatus, hic a Re. D. Josepho Archipresbytero V.I.D. et Stephano Lucarella Cantore Clarimontis Eorum Par Singulari Studio, Si Conditur Tumulo Die Sexto Augusti AN. DO. MDCXXXI”. 54 “Visita pastorale Mons. vescovo Giglioli, 1621: Deinde visitavit sacrum fontem baptizatorum, qui est constructus ex lapide à parte inferiori, clauditur vero ligno a parte superiori”. 55 Elefante 1988, p. 74. 56 La copertura lignea del fonte era sovrastata da una teca che conteneva una scultura fittile raffigurante il Battesimo di Gesù, trafugata qualche decennio fa e mai più ritrovata. 53

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La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 31. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): chiesa (in alto); veduta complessiva del fronte orientale (in basso).

Venturoli P. (a cura di), 2004, Scultura lignea in Basilicata dalla fine del XII alla prima metà del XVI secolo, Catalogo della mostra (Matera, Palazzo Lanfranchi, 1 luglio-31 ottobre 2004).

tra XIV e XVIII sec. d.C., a cura di V. Vitale, M. Lista, Lagonegro, pp. 45-76. Vitale V., Cirone G., Lista M., 2015, Libro dei censi ed affitti della madrice chiesa di San Giovanni Battista, in La Contea di Chiaromonte. Ceti sociali ed istituzioni ecclesiastiche tra XIV e XIX sec. d.C., a cura di V. Vitale, M. Lista, Lagonegro, pp. 134-232.

Vitale V., 2014, La Contea di Chiaromonte (Basilicata): fonti documentarie e persistenze archeologiche. Materiali per la ricostruzione storico-insediativa dall’età normanna al basso medioevo, a cura di F. Meo, G. Zuchtriegel, Siris Herakleia Polichoron. Città e campagna tra antichità e medioevo, Atti del Convegno (Policoro, 12 luglio 2013), «Siris», 14, pp. 215-233.

6.2.4 Scheda 4 Convento di San Francesco d’Assisi (fig. 31), Senise (PZ) (F. 211 I S.O. – 40.143471, 16.290514)

Vitale V., 2015b, Edifici ecclesiastici urbani e palaziali nel centro della Contea di Chiaromonte, in La Contea di Chiaromonte. Ceti sociali ed istituzioni ecclesiastiche

Quota altimetrica: m 308.900 s.l.m. Poggio a bassa quota, leggermente rilevato. 65

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Mappa catastale: F. 43, particella n. B (chiesa), particella n. 434 (monastero, chiostro). Definizione: complesso monastico. Cronologia: XIII-XIV sec. d.C. – 1807 (leggi eversione feudale napoleoniche). La chiesa, restaurata, è officiante. Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: chiesa a navata unica con annessi corpi di fabbrica del convento di San Francesco d’Assisi; doppio chiostro. Vie fluviali: fiume Sinni. Condizione attuale: area edificata urbana, centro storico Senise. Ricognizioni effettuate: nei pressi del convento di San Francesco d’Assisi sono stati effettuati 10 sopralluoghi; alcuni di questi sono stati finalizzati allo studio aereofotogrammetrico del complesso e dell’intera area tramite riprese da APR. La metà dei sopralluoghi sono stati condotti per l’analisi planimetrica del monastero e per lo studio degli apparati murari conservati. Condizioni del Suolo: edificato. Visibilità: discreta. Affidabilità identificazione: buona.

Fig. 32. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): campanile.

Stato di conservazione del deposito: buono. La chiesa di San Franscesco e parte del complesso conventuale sono stati restaurati recentemente e in ottimo stato di conservazione.

lettura topografica dell’area tramite scatti aerei zenitali permette, infatti, di riconoscere a meridione della chiesa, oggi attraversato da una strada che lo ha sventrato, l’area aperta del chiostro su cui dovevano aprirsi le celle dei frati.

Notizie storiche: il Conte Ugo Chiaromonte sposò Margherita, figlia di Ruggero di Lauria; invaghitosi però di Lauretta, moglie di Enrico della Marra, nel 1316 assalì il castello di Trecchina e la rapì. Questi denunciò il fatto al sovrano che ingiunse ad Ugo di restituirla sotto pena di 500 once57. Il conte rimase ucciso però a Senise nel 1319 e la sorella Margherita inoltrò richiesta a papa Giovanni XXII in Avignone per poter edificare un convento dedicato a San Francesco sul posto dove il fratello aveva trovato la morte58. Gli successe Margherita, che resse il governo della Contea di Chiaromonte per breve tempo, perché nello stesso anno in cui morì il fratello, andò in sposa a Giacomo Sanseverino, Conte di Tricarico, fondendo i due titoli nella Contea di Chiaromonte e Tricarico59.

Gli ambienti superstiti del chiostro a meridione sono stati restaurati e ospitano attualmente alcuni uffici del comune di Senise. Elemento fondamentale del convento, perno dell’intero complesso, è ancora oggi la splendida chiesa recentemente restaurata (tav. 1). Ad aula unica, presenta un soffitto ligneo a cassettoni di fattura seicentesca. La struttura è composta da un campanile a vela costruito in laterizi e ciottoli messi in posa su corsi regolari (fig. 32). La facile reperibilità di argille nelle immediatezze del centro di Senise ha sicuramente favorito la disponibilità di materiale per la produzione di elementi fittili, motivo per cui nella fabbrica e nelle murature diffuso è l’impiego di mattoni e spezzame di laterizio per regolarizzare i corsi. Le murature, dal notevole spessore (ca. cm 90), sono costruite anch’esse con questi materiali, evidenziando il sapere tecnico di maestranze specializzate (fig. 33). I cantonali della struttura sono realizzati con l’impiego di conci tufacei lavorati e regolarizzati, materiali impiegati anche nella definizione delle aperture (fig. 34). È il caso della finestra del presbiterio o di quelle poste lungo il versante

Descrizione unità topografica: complesso conventuale fondato da frati dell’Ordine francescano. Lo sviluppo planimetrico del complesso è organizzato attorno a due chiostri di cui in origine il monastero era provvisto60. La 57 58 59 60

Ventre 1965, p. 135. Wadding 1964, pp. 88, 241. Elefante 2003; Vitale 2014, p. 222. Conte 1996.

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La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 33. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): prospetto murario chiesa con le tracce delle imposte degli archi del chiostro prima e dopo le fasi di restauro.

meridionale e settentrionale le quali dovevano essere in origine, come la precedente, culminanti con un arco ogivale, oggi invece tamponate e modificate nell’aspetto originale.

Fig. 34. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): apertura ad ogiva nella parete del presbiterio della chiesa.

elementi finemente decorati con un motivo a foglie di alloro, mentre nella fascia più ampia si trovano, armonicamente distribuiti su 8 conci, due draghi serpentiformi dalle cui fauci fuoriescono tralci di vite (fig. 36). La lunetta centrale sommitale conserva la rappresentazione in rilievo degli stemmi delle famiglie Sanseverino (porzione Nord) e Chiaromonte (porzione Sud), probabilmente per sugellare il matrimonio tra Giacomo Sanseverino e Margherita Chiaromonte, fondatrice del cenobio61 (fig. 37).

L’unica apertura della chiesa a non essere realizzata con questo materiale è, invece, il portale di accesso, magnifico esempio culminante con arco ad ogiva in stile gotico, databile presumibilmente sul finire del XIII-inizi XIV sec. d.C. (fig. 35). Realizzato con elementi in calcare di colore grigiastro sapientemente lavorati, opera di artisti lapicidi altamente specializzati, è un unicum in tutta la valle del Sinni. I due stipiti sono costituiti internamente da conci di forma parallelepipeda, ognuno diverso tra loro nelle dimensioni, affiancati esternamente da una lesena scanalata poggiante su un basamento modanato.

La chiesa, nella sua veste cinquecentesca, conserva al suo interno, oltre al fantastico coro ligneo intagliato con motivi decorativi, un polittico di grandi dimensioni realizzato dal pittore Simo de Fiorentia, databile al 1523 grazie all’iscrizione posta al di sopra della Madonna con Bambino62. L’opera è realizzata con 17 tavole lignee distribuite su due ordini, uno centrale e uno superiore, chiuse in basso da una predella. Il registro mediano, quello maggiore, rappresenta a sinistra, Santo Stefano

La simmetria della struttura non è rispecchiata nella porzione inferiore per quanto riguarda la posa degli elementi, considerato che la porzione settentrionale è costituita da 11 elementi, mentre quella meridionale da 9; simmetria riscontrabile, al contrario, negli elementi superiori della piattabanda, della lunetta e dello stesso arco. La piattabanda è realizzata con 10 conci dalla forma a innesto e chiave centrale a forma di ‘T’ per una maggiore staticità degli elementi. L’arco è una composizione di

Wadding 1964, pp. 88, 241. “Honori intemerate m(ariae) · virginis · ihv · xi [= iesu christi] rede(m)ptoris · ac · divo · fran/cisco · fr(ate) · petrvs · corona · de · sinisio · indignvs · seraphic(a)e · milici(a)e / p(ro)fexor · dicavit · pinxit · v(milissim)o · m(agiste)r · simo(ne) · d(e) fiorentia · an(n)o · d(omini) · 1·5·2·3: 12 ind(itione)”. 61 62

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 36. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ). Portale principale della chiesa: elementi architettonici decorati.

Fig. 35. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): portale principale della chiesa.

e San Giovanni Battista. Sulla destra, invece, si trovano San Francesco d’Assisi e San Gregorio Magno, nella sua ricca veste pontificia. Tra i due, su un fondo dorato, una fastosa Madonna in trono con il Bambino, accompagnata da una cornice di puttini in volo che le pone la corona sul capo e tre angeli musicanti ai piedi del trono. Il registro superiore è sormontato da una ricca ed elaborata cornice che accoglie a sinistra San Girolamo con accanto il leone e San Lorenzo con la graticola del martirio; a destra Santa Caterina d’Alessandria e San Ludovico da Tolosa. Tra questi si trova la Crocifissione. Alla base di tutto è stata costruita una predella suddivisa in 7 pannelli: quattro verticali, più piccoli, recanti ognuno una figura, alternati a tre orizzontali, più grandi, recanti tre personaggi, tutti raffiguranti dodici profeti incorniciati da svolazzanti filatteri.

Fig. 37. - Monastero di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ). Portale principale della chiesa: stemma delle famiglie Sanseverino (a sinistra) e Clermont (a destra).

Ventre L., 1965, La Lucania dalle origini all’epoca odierna vista ed illustrata attraverso la storia della città di Marsiconuovo, Salerno. Vitale V., 2014, La Contea di Chiaromonte (Basilicata): fonti documentarie e persistenze archeologiche. Materiali per la ricostruzione storico-insediativa dall’età normanna al basso medioevo, a cura di F. Meo, G. Zuchtriegel, Siris Herakleia Polichoron. Città e campagna tra antichità e medioevo, Atti del Convegno (Policoro, 12 luglio 2013), «Siris», 14, pp. 215-233.

Indicazioni bibliografiche: Conte A. (a cura), 1996, Disegno degli ordini. Monasteri, Conventi, Abbazie e Grance in abbandono in Basilicata, Potenza.

Wadding L., 1964, Annales Minorum, cit. t. III, p. 241 e Reg., p. 88.

Elefante F., 2003, Monasteri e grance nella storia di Senise, Senise.

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La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 38. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ): foto nadirale da drone.

Condizione attuale: area edificata con annessa area rurale montana.

Extraurbani 6.2.5 Scheda 5

Ricognizioni effettuate: nei pressi del monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario sono stati effettuati 10 sopralluoghi; alcuni di questi sono stati finalizzati allo studio aereofotogrammetrico del complesso e dell’intera area tramite riprese da APR. La metà dei sopralluoghi sono stati condotti per analizzare e definire lo sviluppo planimetrico del monastero e per lo studio degli apparati murari conservati in elevato. In due occasioni sono state condotte attività di ricerca per il rinvenimento e l’analisi del vicino e diruto opificio idraulico.

Monastero di Santa Maria del Sagittario (fig. 38), Chiaromonte (PZ) (F. 211, III, S.E. – 40.044610, 16.156983). Quota altimetrica: m 745.756 s.l.m. Poggio montuoso leggermente rialzato. Mappa catastale: F. 56, particella n. 96. Definizione: complesso monastico cistercense.

Condizioni del Suolo: edificato. Visibilità: media.

Cronologia: 12 dicembre 1155 (?) – 1807 (leggi eversione feudale napoleoniche).

Affidabilità identificazione: buona.

Materiali diagnostici: nessuno.

Stato di conservazione del deposito: mediocre. Le strutture pertinenti il monastero, solo a una attenta analisi condotta sul campo, permettono una ricostruzione degli ambienti per grandi corpi di fabbrica. Buona parte del complesso architettonico è stato stravolto, distrutto e riutilizzato per la costruzione del piccolo nucleo abitativo ivi costituitosi in seguito alle leggi napoleoniche di eversione feudale del 1807, quando il Sagittario fu soppresso in quanto istituzione ecclesiastica.

Evidenze archeologiche e architettoniche: chiesa; torre campanaria; fortificazioni; torre di difesa ottagonale; opificio idraulico. Vie fluviali: torrente Frido, meridionale del fiume Sinni.

affluente

immissario

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Notizie storiche: il rinvenimento nella Biblioteca Apostolica Vaticana del Codice Barberino Latino 3274, contenente il “Cathalogus Abbatum Sagittariensis Monasterii”, consente il recuperare non solo un frammento dell’archivio sagitteriense utilizzato da Gregorio de Lauro (abate del Sagittario e biografo del Beato Giovanni da Tolosa), ma anche alcune importanti testimonianze documentarie attraverso le quali è possibile ricostruire la vicenda storica dei Cistercensi in Basilicata. Fin dal X sec. d.C. nel territorio compreso tra il Latinianon (esteso tra il medio corso del Sinni e Lagonegro) e il Mercurion (a Ovest del monte Pollino ai confini con la Calabria) si sviluppò un’intensa e vivace stagione monastica d’ispirazione orientale stimolata da monaci itineranti accettati per il loro grande carisma. Il territorio lucano, compreso tra il Latinianon e il Mercurion, rimase profondamente grecizzato e sottoposto dal 1168, con tutti gli altri monasteri greci della Basilicata, alla giurisdizione dell’archimandrita del monastero di Carbone. Il monachesimo latino (e in particolare l’Ordo Cavensis il cui insediamento venne favorito dalla politica ecclesiastica dei feudatari di Chiaromonte) non riuscì a sviluppare in questo territorio esperienze di vita religiosa tali da modificare sostanzialmente il quadro della preesistente organizzazione monastica greca. Non è documentata fino alla prima metà del XII secolo, infatti, una forte e capillare espansione monastica latina.

privilegi riconfermati nel 1444 da Alfonso I d’Aragona, in cui, oltre al privilegio concesso nel 1320 dal conte e dalla contesse di Tricarico e di Chiaromonte, è riportata anche la data di fondazione65. Il Giustiniani66 sostiene che il monastero sorse nel 1152 per volontà di Ugo di Chiaromonte, durante il pontificato di Eugenio III. Probabilmente la fonte comune per queste ipotesi di datazione sono gli “Annali del monastero del Sagittario” contenuti nel Codice Barberino 3274 e compilati nel XVII secolo dall’abate del Sagittario Gregorio De Lauro o De Laude. Gli Annali risultano l’unica fonte per una ricostruzione approssimativa della vicenda storica del monastero e anche l’ipotesi che ritiene il monastero fondato dai Benedettini nell’ XI secolo e posto sotto la protezione apostolica da Alessandro II (1061-1073), viene suggerita dal De Lauro67. Costui, infatti, scrive che le origini del Sagittario sono da ricercare nella leggenda della cerva e dei cacciatori e, poi, nella devozione di un ricco cittadino di Chiaromonte, tale Tancredi Murrino, che nel 1061 a sue spese fece costruire una chiesa ai piedi della montagna, alla confluenza dei fiumi Frido e Sinni, in località Ventrile, dove collocò la statua prodigiosa della Deipara (la leggenda narra che fu trovata dai cacciatori in una cavità d’albero, mentre cercavano di uccidere la cerva). Tancredi Murrino cedette la chiesa con il territorio circostante ai Benedettini68, i quali,

La Basilicata monastica nel XII sec. d.C. appare distinta in due aree: una, ormai pienamente latinizzata con forte penetrazione demica, che si estende tra Melfi e Montescaglioso; l’altra, italo-greca, in cui il monachesimo latino non riesce, nonostante la favorevole congiuntura politica, ad imporsi soprattutto per ragioni etniche e culturali. Proprio in questo difficile e composito contesto ambientale, restìo ad accettare nuovi modelli religiosi e culturali, maturarono le più significative esperienze monastiche cistercensi; viene fondato il monastero di Santa Maria del Sagittario, unica istituzione cistercense maschile in Basilicata63.

Dalena 1995. Giustiniani 1802, p. 7. 67 Caterini 2014. 68 “A Sagittario venatore eius est denominatio derivata. Hic (ut fama per manus ducta transmisit ad posteros) Sagittarium theca succinctus et gravi ballista instructus, dum per saltus, lustraque sylvae istius feras persequerentur et teso arcu sagittam usque terbio in cervam emisisset, semperque ad eum fuisset sagitta riversa tangens et non offendens: ad castaneae arboris concavum advertens, quorsum cerva venusto et faceto pede gradum faciebat, intemeratae et sempre gloriosae Virgins, sinistra Filium Dei Uniganitus gestantis, ligneum simulacrum praspexit; Deiparam Virginem devotissime salutavit; et salutari, tamqua praeco, clero et universo populo revelavit; nec dum vixit Mariae Virgini, quo intus et foris urebat amore, inserire desiit, heud sacri simulacri inventionem narrare cessavit. Clerus et populos in longissimam producti seriem, devozione ineffabili inde Clarummontem asportare curavere et in eo Phano reponere, unde discesserat, peccatis populi absentiam eius et indignationem exigentibus: at frustra, nam seguenti mane in castaneae concavo reperiere simulacrum sacrosanctum. Quando et a quibus sacra domus edificata non constat. Ante autem annum millesimum sexagesimum primum institutam convincit privilegium Honorii pape tertii sub datum Laterani per manus Guillelmi Sanctae Romanae Ecclesiae notarii quarto kalendas octobris, indictione quarta, Incarnationis Dominicae anno millesimo ducentesimo decimo sexto, pontificatus vero Domini Honorii Papae tertii, anno primo. In quo versus principium, haec continentur: Ea propter dilecti in Cristo filii (loquitur ad abbatem et fratres Beatae Mariae de Sagittario) iustis petitionibus annuentes, Beatae Mariae de Sagittario monasterium, quod nobilis vir Tancredus Murrinus iure proprietatis Romanae Ecclesiae obtulit, ad Ezemplar praedecessorum nostrum Apostolicae memoriae Alexandri secondi, Gregorii septimi, Urbani secondi et Callisti secondi speciali Apostolicae sedis authoritate protegimus et libertatis privilegio communimus et reliquia”. “Verum ne lector meus modernum Sagittari monasterium cui terius Honoris praecitatum privilegium concessit, cum altero a nobili Tancredo Romanae Ecclesiae oblatum, confundat, scire debet. Quod nobilis iste vir et divitiis praepotens Deiparae Virgini studiosissimus, videns, quod hyberno tempore, nive praesertim incruente, ad sacram domum accessus impediebatur; immensis sumptibus ad ermi radices, inter Signi et Fridi amnes, a moderno Sagittario ad tertium lapidem dissitum, monasterium extruxit et Benedectini Ordinis Patribus excolendum dedit”. Barb. Lat. 3274, ff. 2r-2v. 65 66

Questo monastero sorse nel territorio di Chiaromonte, nella diocesi di Anglona, su un’altura, la cui posizione strategica consentiva di dominare le valli del Frido e del Sinni; era ubicato in una “densissima sylva” di piante fruttifere e erbe medicinali64, fonte di reddito per l’iniziale economia monastica. Non sono ancora chiare le circostanze che favorirono l’insediamento cistercense e la fondazione del cenobio; datata al 12 dicembre 1155, è attribuita ad Alibreda Chiaromonte sulla scorta di una copia di un transunto di De Leo 1991; Houben, Vetere 1994. B.A.V., Codice Barberino Latino 3274 (d’ora innanzi: Barb. Lat. 3274), f. 2r. Nella “densissima sylva” che circondava il monastero crescevano insieme “abietibus, castaneis, quercubus, illicibus, nucibus, avellanis, pyris, pomis, allisque fructiferis; nec salutiferis herbis ac hypericone, quam vulgus perforatam, sive Divi Ioannis herbam vocitat, testicolo vulpis, saxzofragia, angelica, lupatoria, valeriana, peucedamo, lunaria, … ecc”. 63 64

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La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. dopo la costruzione del nuovo monastero del Sagittario (forse nel 1152), la destinarono a grancia monastica e fino ai tempi di Giacomo Chiaromonte (senza dubbio fino al 1248) venne denominata “Sagittarium Vetus”69. Pertanto il più recente monastero del Sagittario, secondo la testimonianza del De Lauro, sarebbe stato fondato nel 115270; ma egli stesso aggiunge che altri lo datavano al 120071. La data del 1152, peraltro, deve essere riferita non all’insediamento cistercense ma solo alla fondazione del monastero benedettino, risultato di complesse complicità politiche tra i signori di Chiaromonte e i Benedettini, nei piani normanni, elemento di decantazione politica, religiosa ed etnica in un territorio radicalmente grecizzato.

In Basilicata, invece, lo stanziamento cistercense, tra la fine del XII ed il XIII secolo, venne prima sollecitato dall’azione riformatrice dei papi Innocenzo III (11981216), Onorio III (1216-1227) e Gregorio IX (12271241); poi, venne favorito dagli slanci mistici di Federico II soprattutto durante il pontificato di Onorio III. Tra il 1200 e il 1203, il monastero venne completato dall’abate Palumbo insediatosi con 12 monaci provenienti da Casamari72, e nello stesso tempo “pro istituendo” il monastero di Santa Maria di Bonavalle, Rinaldo del Guasto e la moglie Agnese di Chiaromonte “de mandato et concessione Innocentii tertii”, nel 1203, donarono proprio all’abate Palumbo “totum territorium Castri Sicilei”. Ma i monaci sagittariensi furono spinti in quella zona non solo per disboscare, dissodare e coltivare le aree a “densissima sylva” e gli incolti o per rimuovere le ragioni sottese alla crisi del monachesimo latino, ma per decantare, oltretutto, la conflittualità con le fondazioni e la popolazioni greche, evitando abusi dottrinari e liturgici capaci di suscitare fermenti ereticali e spinte centrifughe già avvertite in Calabria.

Lo stesso abate de Lauro, non solo non esclude la data del 1200 per l’insediamento cistercense ma, nel “Catalogus Abbatum Sagittariensis”, compilato nel 1673, facendo cominciare dal 1222 il governo del secondo abate, Guglielmo, rende verosimile l’ipotesi dell’inizio intorno al 1200 del governo del primo abate, Palumbo, ricordato tra l’altro in un diploma di Federico II dell’aprile del 1221; diventa impossibile, che egli abbia governato per tutta la seconda metà del XII secolo, cioè per circa 70 anni.

L’espansione territoriale del monastero del Sagittario e il potenziamento della sua struttura economica coincisero con l’abbaziato dei monaci Palumbo (? – 1222) e Guglielmo (1222 – 1246). Secondo una bolla di Onorio III del 18 settembre 1216 il primo nucleo fondiario del Sagittario si costituì intorno alla fondazione che “eo tempore nuncpatum Sagittarii veteris, hodie vulgo dicitur Ventrilis”73. Questo tenimento si estendeva “a muro veteri et limitibus ipsius loci usque ad frontem vadens et tendens ad vallem de Layno et concam de Ventrile et per risman usque ad Petram de Farmaco et ad lumen fridi et per ipsum flumen deorsum usque ad medietatem plani, ubi iungitur primo fini”74.

A questo punto risulta attendibile l’ipotesi che il monastero fondato intorno al 1152 dai Benedettini, dopo essere stato distrutto o danneggiato dal violento terremoto che nel 1184 colpì la Valle del Crati e la Valle del Sinni, venisse incorporato nell’Ordine cistercense di Casamari soltanto nel 1200. È improbabile che la fondazione del 1152 fosse cistercense anche in considerazione del fatto che, essendo elevate le richieste di nuove fondazioni, al fine di evitare l’impoverimento degli organici delle abbazie che l’esodo dei monaci avrebbe collassato, si stabilì di non “ulterius alicubui costruantur novae abbatiae nostri ordinis”. Ne è da escludere che l’insediamento cistercense in questo versante calabro della Basilicata, quanto meno nella ricostruzione o nel restauro del monastero, sia da mettere in relazione con le molteplici iniziative di questo genere promosse dai monaci della Sambucina anche fuori regione durante l’abbaziato di Luca Campano (1193-1202). Quali, altrimenti, le ragioni che spinsero i Cistercensi a insediarsi in questo territorio? Il loro insediamento nel Mezzogiorno, in particolare in Calabria, nella prima metà del XII secolo venne favorito sicuramente dal rinnovato clima politico che, dopo l’uscita di scena di Anacleto II, riavvicinò normanni e papato; e in questo contesto di distensione politica Ruggero II e Bernardo che riuscirono a riscoprire interessi comuni ribaditi nell’incontro di Mignano del 1139.

Nel 1203 Rinaldo del Guasto, conte di San Marco, la moglie Agnese e il fratello Riccardo, figli di Ugo di Chiaromonte, costituirono a favore del Sagittario un consistente beneficio (che accrebbe la dimensione economica del monastero) comprendente la chiesa di Santa Maria di Buonavalle con le relative pertinenze mobili ed immobili75. La chiesa era stata fatta costruire dal conte Rinaldo del Guasto nel Sicileo “Quod nullo colebatur abitatore”, dopo aver ottenuto in permuta da Ugo de Sicileo e dalla moglie Mabilia il tenimento di Ginapura che si estendeva “a parte orientis vallonus de Sicileo et ascendit per ipsum vallonem sursum per cristam serrae Sanctae Ginapurae, a parte meridei et versitur ad canalem de Rubeo et descendit per praedictum canalem de Rubeo usque ad flumen Signi et per praedictum flumen redit ad praenominatum vallonem de Sicileo et ita concluditur” (Barb. Lat. 3274, f. 14 r). Intorno al 1210 Rinaldo del Guasto dotò il Sagittario di

Barb. Lat. 3274, f. 3r. Il de Lauro scrive di aver rinvenuto la data di fondazione del monastero nella chiesa della Deipara “In basi columnae iuxta cornu Evangelii”. Barb. Lat. 3274, f. 6v. 71 “Anno 1200. Miraculosae fondata est condita haec Abbatia Sanctae Mariae de Sagittario Ordinis Cisterciensis in Diocesis Anglonensis, in Provincia Basilicatae iuxta oppidum Claromontis” (De Lauro 1660, Cap. V). 69 70

Barb. Lat. 3274, f. 14v. Ibidem, f. 18v. 74 Ibidem. La “charta” di Giacomo di Chiaromonte del 1248 conferma i privilegi concessi da Onorio III. 75 Barb. Lat. 3274, f. 15 v. 72 73

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale La munificenza del sovrano svevo consentì al monastero del Sagittario di potenziare la propria struttura economica e di ampliare il potere giurisdizionale anche su terre e chiese situate fuori regione, nella Calabria settentrionale e lungo il versante jonico della Basilicata.

altri beni fondiari in “locum Sanctae Agatae” tra Malvito e Sangineto in Calabria76. Da questo momento, durante l’abbaziato di Palumbo, le proprietà fondiarie del Sagittario si estesero lungo il versante jonico soprattutto tra Policoro e Scanzano77, in una vasta area compresa “ab oriente ubi est via publica, quae venit a molendino Curiae et vadit per caput terrae Hospitalis et vertit ad viam publicam, quae venit a Pantano et vadit per ipsam viam et per caput terrae Sancti Basilii usque ad vallonem Sancti Gregorii et vadit per Gigonem Gigonem usque ad terram, quam tenebat Constantius Camerarius et vadit per Gigonem usque ad Petram Latam. A meridie est aquarium molendinorum Curiae et Pantanum. Et a septentrione est praedictus vallus Sancti Gregorii”78. Questa cospicua estensione di terre nel 1221, venne confermata all’abate Palumbo da Federico II “cum iuribus, honoribus et pertinentiis suis” e incrementata dall’apporto di altre terre demaniali incolte e boscose situate presso il monastero “liberae et quitae” da qualsiasi molestia e da qualsiasi servitù a favore di baroni, conti principi o signori.

Tuttavia la cospicua dotazione di beni, il conferimento di poteri giurisdizionali sulle terre del monastero, la protezione apostolica e quella imperiale configurarono, già verso la fine dell’abbaziato di Palumbo, una struttura signorile precocemente robusta in cui l’autorità dell’abate venne assimilata a quella di un feudatario laico con poteri pubblici legati al possesso della terra. Federico II, con diploma del 24 aprile 1221, concesse all’abate l’esercizio del “merum et mixtum imperium”81, poteri di giurisdizione civile e criminale da esercitarsi nell’ambito della propria terra82, e il diritto di “castigare, correggere e condannare”83. Per favorire il popolamento delle terre monastiche, in prevalenza dominate dal bosco e dall’incolto, e per consentire una certa vita comunitaria nelle compagne, Federico II concesse agli abitanti numerose libertà e privilegi fiscali. L’abate del Sagittario poteva accogliere nelle proprie terre “homines adventitios” ed averli “in racommendatione”. L’abate nella propria terra poteva imporre o riscuotere tributi da tutti gli “homines extranei” che conducessero le greggi nei pascoli del monastero. Invece alle greggi del monastero era garantito il libero pascolo su tutte le terre del demanio regio con l’uso altrettanto libero delle acque e degli ovili senza il pagamento di gabelle84.

Federico II confermò ancora tutte le terre e i privilegi che erano pervenuti al monastero da Rinaldo del Guasto, in particolare il “locum Sanctae Agatae” tra Malvineto e Sangineto, e da Albereda, signora di Colobraro e Policoro, quale il “tenimentum Rotundae Maris et Trisagia”. Molta importanza, poi, era attribuita al possesso dei mulini che assicuravano alla mensa abbaziale la disponibilità dei cereali per il generale fabbisogno monastico, oltre che una buona rendita proveniente dal pagamento del diritto di macinato cui erano soggetti gli abitanti delle terre monastiche79. Dei due mulini di proprietà del Sagittario, uno era ubicato in località Ventrile, nei pressi della c.d. Peschiera in C/da Ricchie Mozze, il cui meccanismo a ruote orizzontali veniva attivato dall’acqua del Frido; l’altro, sorgeva sul confine orientale del tenimento della grancia del Ventrile nei pressi dello stesso monastero di Sagittario (attualmente si conservano alcuni ruderi): anch’esso funzionava con le ruote orizzontali attivate dall’acqua. Successivamente, in un tempo imprecisato, venne costruito un altro mulino alimentato dalle acque del Villanito80.

Difficili furono i rapporti con l’episcopato anglonense, afflitto da una grave decadenza morale e da contrasti istituzionali. Infatti i vescovi di Anglona dettero adito a frequenti “altercationes” sia con i monaci italo-greci di Carbone, sia con i Cistercensi del Sagittario ai quali tentavano di sottrarre o di limitare alcune prerogative giurisdizionali su alcune chiese. La contesa provocò il decisivo intervento di Onorio III che, nel 1216, confermò al Sagittario gli antichi privilegi e la protezione della Sede Apostolica (già conferita, secondo la tradizione, da Alessandro II, Gregorio VII, Urbano II, Pasquale II e Callisto II).

Il diritto di macinato lungo il Sinni e il diritto di sfruttare la acque del Frido, del Sinni e del Villanito dettero origine a lunghe controversie, che si svilupparono soprattutto nel periodo della commenda, con i Certosini del monastero di San Nicola in Valle e con alcuni signori dei vicini centri abitati.

Huillard-Breholles 1857, pp. 174-175. “Pro excellentia et libertate dicte ecclesie volumus et (…) concedimus et espresse mandamus dictum abbatem et qui pro tempore fuerit nullum alium superiorem habere in omnibus causis tam civilibus quam criminalibus” (Huillard-Breholles 1852-1861, p. 176). 83 “Nolumus enim ut de ullo banno teneatur fratres, oblati, domestici et homines et ceteri vasalli et subditi ac servientes predicto monasterio ubicumque commorati fuerint, nisi imperio et excellentie dignitatis nostre, nec ab aliquo domino quacumque auctoritate prefulgeat molestentur aliqua rottone vel causa, castigentur, corrigantur, astringantur aut condemnentur tam civiliter quam criminaliter nisi a prefato domino abbate” (Huillard-Breholles 1852-1861, p. 176). 84 “Et animalia dicti monasterii que fuerint in custodiam ejus necton animalia hominum et pastorum et servientium ipsius monasterii per totum tenimentum Ordeoli, Roseti et per totum demanium nostrum et ubicumque fuerint libere inde pascant, commorentur, capiant et habeant quecumque necessaria, aquas sive glandagia et herbagia, caulas” (Huillard-Breholles 1852-1861, p. 176). 81 82

Ibidem. Stigliano 1991, pp. 45-57; 2002, pp. 215-224. 78 Barb. Lat. 3274, f. 15 v. 79 Vitale 2015a, pp. 453-477. 80 Per approfondimenti sull’argomento si veda: Vitale 2015a, pp. 453477. 76 77

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La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Il monastero del Sagittario, dunque, dipendeva direttamente dal papa che aveva accordato all’abate perfino l’uso della mitra, dell’anello e delle altre insegne episcopali85. Tra il 1269 ed il 1274, durante l’abbaziato del monaco Roberto, un altro monaco del Sagittario, Leonardo, resse le sorti della diocesi di Anglona. Ma il declino della monarchia sveva coinvolse in qualche modo anche il monastero del Sagittario: la rottura dei rapporti politici tra Papato e Impero, acuitasi in età angioina, e le turbolenze popolari esplose al cambio di regime esposero il dominio monastico, cui erano venute meno la protezione apostolica e quella imperiale, alle attenzioni rapaci di feudatari senza scrupoli.

anni dalla morte89) vi destinavano cospicue fortune in cambio della sepoltura nella chiesa a lui dedicata90. Nel 1369, Venceslao Sanseverino, Conte di Tricarico e Chiaromonte, confermò ai monaci tutti i privilegi e i beni che avevano ab antiquo nel territorio di “Rotundae Maris et Trisagie”91. Inoltre la devozione per il Beato Giovani da Caramola e l’ammirazione per quei monaci che spinsero la regina Giovanna I a confermare nel 1378 le concessioni di Alibreda di Colobraro, di Rinaldo del Guasto, di Federico II, di re Roberto, di Riccardo di Chiaromonte, e ad accordare più ampi privilegi giurisdizionali in grado di potenziare le prerogative signorili del monastero in un ampio territorio in cui i monaci cistercensi esercitavano ancora l’alta e la bassa giustizia, imponevano dazi e balzelli vari, controllavano i settori più importanti della struttura economica come il bosco e i mulini92.

Già nel 1269 i monaci del Sagittario dovettero restituire il monastero di Sant’Angelo di Raparo, mentre negli stessi anni Riccardo di Chiaromonte, al quale Carlo d’Angiò aveva restituito il territorio di Senise, si era appropriato illegittimamente della chiesa di Santa Ginapura e delle sue terre con i vigneti circostanti86. Questo fu il periodo di maggiore decadenza economica e politica del monastero.

Non senza una precisa strategia politica ed economica (che potenziando la struttura economica del monastero gli si assegnava una funzione politica di controllo di una vasta area in cui vi erano fermenti reazionari), Giovanna I (1343 – 1382) aveva concesso al Sagittario tutti i mulini che ricadevano nelle terre monastiche93, e Venceslao Sanseverino altri “duo molendina, quorum unam erat in territorio claromontano, in contrada dicta de Carroso; alterum in territorio Sinisii in loco de Embulo et in contrada de Milioto”, “cum iuribus, rationibus et pertinentiis eorundem, franca, libera et exempta, cum aquis, aquarumque decursibus ac viis, ingressibus et egressibus suis”, con la facoltà che “si praedicta duo molendina vel eorum aliquod, quocumque tempore in aquarum decursibus indigissent refectione, propria authoritate Guillelmus abbas vel successores sui sive eorum officiales nulla venia ab eis petita vel ab haeredibus et successoribus vel officialibus eorundem, possint reficere velde novofacere dictos aquarum dictus et cursus, tam in

Nel XIV secolo, avviato il processo di ricomposizione del dominio feudale, il monastero si giovò della munificenza e della protezione di Giacomo Sanseverino e della moglie Margherita di Chiaromonte, profondamente devoti alla Vergine Deipara del Sagittario. Durante l’abbaziato di Ruggero, essi confermarono, con atto pubblico del 1338, tutte le donazioni e i privilegi accordati al cenobio dai loro predecessori a cominciare dal tenimento “in quo sagittarii monasterium fundatum erat” con ampie garanzie di libertà e con la sanctio di dodici once d’oro per tutti i loro vassalli che “in aliquo inquietare praesumpsissent”87. Proprio Margherita di Chiaromonte, nel 1350, restituì all’abate Guglielmo II “decimas, redditus, census, terras, domos, vineas, prata, pascua, remora, grancias, instrumenta pubblica et nonnulla alia bona Sagittarii” di cui alcuni “filii iniquitatis” si erano appropriati erodendo il patrimonio del monastero88 in un periodo di grave congiuntura (1328-1348) per tutto il regno di Napoli, sconvolto dai terremoti e dalle pestilenze. E in quegli anni (1346 e 1367) il monastero venne esentato dal pagamento alla Sede Apostolica della tassa relativa al comune servizio “propter paupertatem”: una crisi, tuttavia, transitoria che venne agevolmente superata proprio dalla munificenza dei feudatari di Chiaromonte e dai cospicui lasciti e dalle offerte della popolazione devota a Giovanni da Caramola.

Hinc beati Ioannis a Caramola sanctitatis famam taliter dilatatam, ut de longinquo eius devoti, post obitum in propria sua ecclesia mandaverint sepeliri: cum vix triginta duo anni et necdum completi, decurrissent a felici eius transitu; atque non solum beati titulum, sed et ecclesiam haberet suo Beato nomini dicatam” (Barb. Lat. 3247, f. 24r.). 90 Barb. Lat. 3247, f. 24r. 91 Ibidem. 92 Giovanna I, con atto del 10 maggio 1378, confermò al Sagittario “singula quaeque privilegia, concessiones, exemptiones, iurisdictiones, iura ac bona, videlicet tenimentum spatiosum et amplum in quo situm erat praelibatum, tenimentum Sicilei, forestam Terrae Ordeoli, tenimenta Rotundae Maris, Trisagiae et Sancti Nicolai de Frascinis, locum Sanctae Agatae inter Malvetum et Sanginetum, tenimentum Pollicorii; molendina et alia plura tenimenta, bona ac territoria, franchitias, libertatesque et maxime ut animalia Sagittarii ac servientium ipsius, ne dum in Clarimontis comitatu et tenimentis illius ac defensis; sed et in toto Siciliae regno, tam per terraset loca sui demanii, quam aliorum dominorum eiusdem regni sine molestia, vexatione aut exactione aliqua libere et expedite pascua su mere posse”. Inoltre la regina “pro progenitorum quorum rimedio animarum” concesse in perpetuo “super introitibus et redditibus duanae Neapolis uncias duodecim” (Barb. Lat.3247, ff. 24r-24v.). 93 “Ad eiusdem abbatis Guillelmi de Vineola humilem supplicationem; nec non ob singularem devotionem, qua stringebatur erga sagittariense monasterium, ad honorem et reverentiam Deiparae Virginia ac beati Joannis a Caramola, idem comes Vincislaus espresse prohibuit, ne quis valeret novum molendinum edificare vel vetera reficere in toto territorio di Clarimontis, sine Sagittariensium abbatis, pro tempore existentis, mandato et licentia speciali” (Barb. Lat. 3247, f. 25r.). 89

Infatti, sulla scorta della concessione del presule Leonardo del 1241, con la quale si consentiva ai parrocchiani del Sagittario di essere sepolti nella chiesa del monastero, molti devoti del Tolosano (erano passati appena trentadue

85 “Usumque mitrae et anuli, caeterorumque episcopalium insignum abbati indulsit” (Barb. Lat. 3247, f. 16 v.). 86 Barb. Lat. 3247, ff 19v-20r. 87 Ibidem, f. 21r. 88 Ibidem, ff. 22v-23r.

73

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 39. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ): panoramica da settentrione.

et animalibus cuiuscumque generis” fosse esentato dal pagamento dei diritti di gabella in tutto il regno di Sicilia95, e che “abbas, priores, fratres et conventus seu gregarii et custodes […] omnium praedictorum animalium” fossero “liberos et immunos”96.

locis antiquis, quam alibi per totum dictorum oppidorum territorium, quacumque et per loca quacumque habilia eis visa fuissent et opportuna”94. Ormai, verso la fine del XIV secolo, l’abbazia del Sagittario, sotto gli auspici dei Sanseverino, aveva realizzato una solida struttura economica, tanto da consentire un potenziamento della mensa e il regolare versamento alla Sede Apostolica (tra il 1399 e il 1444) della tassa del comune servizio. I monaci cistercensi furono i referenti privilegiati di numerosi benefattori: tra questi vi furono i sovrani angioini che trovarono in essi un alleato più sicuro degli infidi baroni, sempre più ribelli, nel controllo delle campagne del regno. Del resto i Cistercensi si mostrarono capaci di attutire le più acute tensioni popolari, oltre che abili a far decantare nelle campagne le tensioni e i contrasti tra feudatari e contadini, spesso motivo di saccheggi, devastazioni e furibonde lotte fra centri vicini.

Descrizione unità topografica: complesso monastico. Unica istituzione cistercense maschile in Basilicata, sorta come fondazione benedettina, prima, e riformata dai monaci cistercensi di Casamari, poi. Questa abbazia venne soppressa con legge napoleonica il 26 febbraio 1807. Le strutture sarebbero riuscite ad arrivare a noi intatte se solo non si fosse organizzato attorno al Sagittario un recente nucleo abitativo che ha utilizzato il materiale edilizio dell’abbazia per fini privati, deturpandone lo stato dei vari corpi di fabbrica (fig. 39). I fondatori dell’Ordine Cistercense avevano fornito importanti indicazioni in tal senso; qualunque spreco inutile di materiali o di denaro andavano rigorosamente evitato. Di solito la scelta del sito di costruzione è legata alla presenza di acqua corrente, e il monastero è percorso su due lati da due differenti canali di acqua. Centro dell’abbazia è l’unico chiostro quadrato, intorno al quale si distribuiscono tutti gli ambienti. Sul lato settentrionale, verso oriente, si impostava la chiesa, di regola a tre navate,

In questa linea politica acquistava pregnanza il privilegio con cui Ladislao, il 22 ottobre 1412, “pro redemptione animae” potenziava il ruolo economico e sociale dei due monasteri della Valle del Sinni (il Sagittario e la neonata fondazione certosina di San Nicola in Valle) consentendo che tutto il loro bestiame “pro omnibus et singulis ovibus, castratis, baccis, bobus, domitis et indomitis, porcis, capris

95 94

Barb. Lat. 3247, ff. 24v-25r.

96

74

Giganti 1978, pp. 131-135. Ibidem.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 40. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ): campanile (particolare).

anche gli archi delle aperture ancora presenti, costituiti anch’essi da blocchi di arenaria lavorati e modanati. Lo spessore murario della torre campanaria è notevole, raggiungendo ca. m 1, con un’altezza complessiva stimabile in ca. m 13. Tutti e tre i lati presentano incassi per travi e numerose buche pontaie.

che però nel caso in questione, analizzando la pianta datata al 1707 e conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, doveva essere ad aula unica con l’aggiunta di un’unica cappella laterale costruita nella porzione settentrionale e dedicata al Beato Giovanni. Al livello del chiostro, allineata al transetto destro si incontra la sala capitolare, con accanto la scala che portava al piano superiore, interamente occupato dal dormitorio comune dei monaci. Se si considera veritiera la pianta del 1707, nell’abbazia del Sagittario, vi era la presenza di un loggiato parallelo e adiacente alla sala del capitolo, da cui si poteva vedere il centro di Chiaromonte. Lungo il lato opposto alla chiesa erano organizzate le cucine, la cantina e il refettorio. L’ultimo lato era riservato ad un ampio magazzino dispensa, guardaroba e ai locali per i conversi. L’ingresso al complesso e la fontana si conservano nella loro posizione originaria.

Altro corpo di fabbrica superstite, e in discreto stato di conservazione, è la torre ottagonale posizionata nell’angolo Sud-Est dell’abbazia; questa conserva interamente la sua originaria planimetria e la copertura con volta ribassata costruita esclusivamente con lastre di arenaria. Tecnica costruttiva, materiali impiegati e spessori murari risultano gli stessi del campanile. Essendo posta a ridosso di un canale, sfrutta le sue ridotte dimensioni in altezza (m 5) utilizzando il naturale salto di quota offerto dall’orografia stessa del luogo di fondazione. Attestazioni documentarie: grazie al Codice Barberiniano Latino 3247, opera dello stesso abate de Lauro, viene fornita una descrizione alquanto minuziosa di quelle che un tempo erano le fabbriche dell’ormai distrutto monastero di Santa Maria del Sagittario.

Attualmente sono visibili solo pochi ruderi rispetto alla grandiosità del complesso, al massimo del suo apice sul finire del XVIII secolo: il campanile, la torre di fortificazione ottagonale, parte dell’ingresso in muratura, porzioni di quello che era il refettorio, alcune porzioni, seppur consistenti, del recinto fortificato lungo il lato Est del complesso (figg. 40, 41). Il campanile, in uno stato di conservazione discreto, è localizzato nell’angolo Nord-Ovest della chiesa (tav. 2). I paramenti murari sono costruiti con blocchi spaccati, mattoni cotti e rinzeppature in laterizio.

“Il sacro tempio della Vergine non supera, in lunghezza, i 75 palmi, in larghezza i 30 ed in altezza i 32. Vi è contigua la chiesetta dedicata a San Giovanni da Caramola che misura 64 palmi di lunghezza, 22 di larghezza e 26 di altezza. In questa chiesa, dall’altra parte dell’altare in una custodia di cristallo, ben custodita e adorna con gusto sia all’interno che all’esterno, si ammira il corpo incorrotto dello stesso beatissimo personaggio di straordinaria soavità e di profumo fragrante; ed insieme

Sono ancora evidenti le due cornici marcapiano costruite con materiale lapideo modanato. Elementi rifiniti sono 75

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 41. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ): planimetria del complesso datata al 1707 (Archivio di Stato di Firenze).

è la testa del martire Sant’Apollonio, un braccio di San Cornelio e, inspiegabilmente, parti di altri santi, come il ginocchio di San Zenone martire, le ossa di San Vitale e di San Vincenzo ed anche un ufficio scritto su pergamena della Beata Vergine Maria col quale lo stesso beatissimo Giovani da Caramola era solito rendere omaggio alla Deipara, un pugnale con cui scavava erbe per procurarsi il cibo e si fabbricava canestri quando conduceva vita eremitica, e un anella del laccio delle scarpe; vi è anche un altro altare dedicato a Sant’Antonio di Padova. Nell’ angusto tempio della Vergine, oltre l’altare maggiore dov’è la grande icona dell’Assunzione della Deipara, che dipinse

quell’egregio pittore fiorentino Giovan Battista Fusco, nel 1555, ornato da quattro colonne e da altri elementi architettonici, alla base di una colonna posta all’estremità dell’altare c’è la lapide che ricorda la data di fondazione del monastero del Sagittario, del seguente tenore: ‘questo monastero venne fondato nell’ anno 1202’. Il sacello è elegantemente scolpito, colorato ed ornato d’oro; in esso si trova, restaurata, la sacrosanta immagine della Vergine Maria rinvenuta dal cacciatore sagittariense. La storia di questo rinvenimento, prima che fosse eretto il sacello, venne affrescata con vari colori sulla parete a destra del celebrante”. 76

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Scrive ancora il De Lauro: “Grazie all’operosità dei Padri, il Sagittario è completo in ogni sua parte e chiuso dappertutto. Le sue mura, che guardano la difesa (del Sagittario), superano in altezza 32 palmi ed in lunghezza 171, mentre il chiostro è alto 30 palmi e lungo 66. In esso vi sono quattro corridoi: il più grande è fatto di travertino e guarda la porta che è a settentrione; alla destra di chi entra c’è la bottega del falegname. Alla fine di questo primo corridoio vi è la porta grande che trattiene la moltitudine dei laici, quindi il forno, la dispensa del pane, la cucina dov’è una fonte da cui zampilla acqua limpida e fresca e poi si entra nel refettorio attraverso una porta più piccola; questa è fatta in maniera tale da guardare, in linea retta il grande ingresso del monastero. Nell’ altro corridoio del chiostro, alla destra di chi entra, c’è la porta più grande del refettorio sulla cui volta è raffigurato l’albero di San Benedetto, opera non completa del celeberrimo pittore Fabio Nucio; accanto c’è la grande e abbastanza bella dispensa, con due porte, di cui la più piccola comunica col refettorio mentre quella più grande, dalla quale si oltrepassa il corridoio del chiostro, guarda diritto il muro della chiesa.

professi, e questi certamente godono di una vista migliore ed ampia rispetto agli altri i quali non sono in grado di spaziare lo sguardo sia per l’ampia difesa del Sagittario, sia per il territorio di Chiaromonte. Dispongono di uno spazio lungo 83 palmi e largo 10, dove il maestro esercita ed istruisce novizi e professi; di qua osservano bene, come da un posto di vedetta, la Valle del Sinni per ventimila passi e, ancor più in lontananza, i centri di Chiaromonte e di Colobraro. Accanto a questo spazio ve n’è un altro più piccolo, lungo e largo 10 palmi, dove d’estate, di tanto in tanto, convengono i Padri per godere l’aleggiar dell’asprezza. Alla fine del corridoio di questi dormitori, c’è la porticina attraverso cui i Sagittariensi scendono al piano della chiesa, davanti all’altare maggiore, madiante sedici gradini. In seguito un terzo corridoio avente sulla destra un’altra porticina attraverso cui l’organista scende in chiesa per raggiungere l’organo situato a destra, all’estremità del coro; alla sinistra quattro camere da letto per gli oblati. Oltre il soffitto del sacro tempio e dei citati dormitori degli oblati s’innalza una sacra torre quadrangolare, avente cacumen peractum rodis quatuor concordantibus ornata. Le citate stanze da letto degli oblati guardano il chiostro a sud. Infine il quarto corridoio dà pure verso il chiostro: alla destra ha due grandi stanze da letto per ospiti e pellegrini, una delle quali ha due finestre a settentrione e a occidente; ed un magazzino grande per preservare dall’umidità il grano ed uno piccolo per gli altri prodotti dei campi, con finestre che guardano ad occidente.

Nell’altro corridoio, anche a destra, è la piccola porta del carcere dove scontano le pene quelli che hanno commesso dei reati; poi la scala cha porta al dormitorio; seguono i magazzini dove sono custoditi frumento, orzo e lardo per condire i cibi; poi segue il capitolo delle colpe e quindi il locale per la lavorazione del latte.

La libreria e l’armadio delle scritture vengono conservati in un locale fuori dalle tre stanze da letto dell’abate claustrale, e così le armi che servono a proteggere la sostanza del monastero dai malintenzionati. I libri vengono distribuiti ai religiosi a seconda delle loro esigenze. Attraverso una porticina della cucina si accede in un gran cortile, che comunemente è detto vaglium, in cui vengono allevati porci e galline per l’alimentazione dei Padri.

Ai limiti di questo corridoio, sempre sulla destra, v’è la porticina per la quale si accede al sacro tempio. Ad est s’incontra un altro corridoio del chiostro e per chi entra, ancora sulla destra, c’è il deposito dell’olio e, dopo questo, c’è un altro locale in cui si ammassa l’orzo che quotidianamente viene dato agli animali; e finalmente, l’officina dove il fabbro ferraio custodisce gli arnesi necessari al suo mestiere che però svolge in un altro locale grande situato fuori dal monastero per non turbare i Padri raccolti in preghiera e in contemplazione. Lungo la scala che porta ai dormitori, per chi entra alla sinistra dei dormitori dei Padri, ci sono sette stanzette da letto e, oltre la dispensa, il refettorio; e nella dispensa del pane si trova verso la parte dov’è il congegno per attingere l’acqua; in queste parti abitano l’abate e quattro monaci; quindi c’è un altro brevissimo corridoio che porta alla fonte d’acqua perenne, fresca e salutare, diversa dall’acqua della fonte della cucina, ed anche ai luoghi destinati a tutta la comunità monastica, in cui sono sistemati quindici sedili per la riservatezza e la comodità, dai quali non promana nessun cattivo odore; infatti altra acqua, e in grande abbondanza, scorrendo attraverso quelli, porta via qualunque tipo di escremento; a destra sono ricavate cinque celle a mo di barriera, rivolte a settentrione, non abitate dai Padri né utilizzate come depositi.

L’edificio è lontano dal monastero un tiro di pietra: esso misura 129 palmi in lunghezza, 27 in larghezza e 30 in altezza. Nella parte inferiore è stata ricavata una grande stalla per i cavalli, i muli e gli asini utili ai Sagittariensi per cavalcare e per il trasporto; nello stesso posto è un altro locale utilizzato dai famigli. Nella parte superiore, dell’edificio, vi è una grande sala destinata ad accogliere gli ospiti autorevoli, e due stanze da letto di qua e due di là; a settentrione, vi è una fonte d’acqua perenne della stessa qualità di quella della cucina. Ad un altro tiro di pietra è ubicato il mulino, infatti durante la stagione invernale si semina il frumento per l’alimentazione dei Padri. Nelle Terre di Bollita, Chiaromonte, Sirite, Episcopia, Castelluccio, Laino e Rotondella il Sagittario possiede delle grancie per le quali l’abate e il procuratore sono in lite; mentre nelle terre predette e in altre terre, il monastero possiede altri beni”97 (fig. 42).

E alla destra di chi entra vi sono altri due dormitori contenenti ciascuno cinque stanze: uno guarda il chiostro ad occidente e l’altro ad oriente; il primo destinato ai conversi e agli oblati, il secondo al maestro dei novizi e ai recenti

97

77

Barb. Lat. 3247, ff. 9r, 10r, 10v.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 42. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ): planimetria generale.

Indicazioni bibliografiche:

Il codice, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Città del Vaticano) con la segnatura Barb. Lat. 3247, è un manoscritto cartaceo composto di cc. 1+68+1 suddivise in 17 binomi. È opera di un’unica mano; l’inchiostro unico è databile alla prima metà del XVII secolo (alla carta 68 si legge la data “12 iulij anno 1633”).

Dalena P., 1995, Basilicata Cistercense (il codice Barb. Lat 3247), Università di Lecce, Dipartimento di studi storici dal medioevo all’età contemporanea, Itinerari di ricerca storica – Supplemento 14, Galatina. de Lauro G., 1660, Vita Beati Joannis a Caramola tolosani conversi Sagittariensis monasterii collecta, Napoli.

Il testo si interrompe improvvisamente al foglio 68v con la parola abbates e, cronologicamente, in corrispondenza dell’abbaziato del De Lauro. È probabile che il De Lauro sperasse in un successivo e costante aggiornamento dell’elenco degli abati. In base agli argomenti trattati, il codice può essere diviso in tre parti: la prima, riguardante la storia del monastero dalle origini fino ai suoi tempi; la seconda, la cronotassi degli abati (da Palumbo, che fu il I abate, a Hieronimo Bragallito, cioè dal 1200 al 1606); la terza, l’elenco dei priori claustrali con carica triennale e dei priori con carica quadriennale a partire da Silvestro da Grizzo (?/1573) fino a Teodosio Caymo (1623/1627).

De Leo P., 1991, I cistercensi nella Basilicata Medievale, in I cistercensi nel Mezzogiorno Medievale, convegno internazionale di studio in occasione del IX centenario della nascita di San Bernardo di Clairvaux, MartanoLatiano /Lecce, 25-27 febbraio. Giganti A., 1978, Le pergamene del monastero di S. Nicola in Valle di Chiaromonte (1359-1439), in Deputazione di storia patria per la Lucania (Fonti e studi per la storia della Basilicata), Potenza, Vol. IV. Giustiniani L., 1802, Dizionario Geografico ragionato del regno di Napoli, Napoli, t. IV. Houben H., Vetere B., 1994, I cistercensi nel mezzogiorno medievale, Galatina.

Le notizie, invece, si fanno più sicure e dettagliate man mano che ci si avvicina ai suoi tempi: la testimonianza relativa all’articolazione della fabbrica monastica, alle sue dimensioni, agli incendi che rovinarono alcune parti, ai diversi restauri, allo stato dei monaci e agli avvenimenti che determinarono la crisi tra XV e XVI secolo.

Huillard Breholles J.L.A, 1852-1861, Historia Diplomatica Friderici secondi sive Constitutiones, privilegia, mandata, instrumenta quae supersunt istius imperatoris et filiorum ejus: accedunt epistolae Papam

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La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 43. - Eremo del Beato Giovanni da Caramola (Chiaromonte, PZ): foto nadirale da drone.

Condizione attuale: restaurato.

et documenta varia / collegit ad fidem chartarum et codicem recensuit juxta seriem annorum disposuit et notis illustrvit, II (1), Parisiis.

Ricognizioni effettuate: sono stati effettuati numerosi sopralluoghi per campagne fotografiche e di rilievo delle evidenze superstiti. Le fasi di survey hanno interessato il corpo di fabbrica soprattutto per restituzione aerofotogrammetriche, realizzate tramite APR.

Vitale V., 2015a, L’acqua come fonte di reddito e di discordia. Le pertinenze dei monasteri di S. Maria del Sagittario e San Nicola in Valle: opifici idraulici nella media valle del Sinni durante il medioevo, in Archeologia delle aree montane europee: metodi, problemi e casi di studio, a cura di U. Moscatelli, A.M. Stagno, Il Capitale Culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, Vol. 12, pp. 453-477.

Condizioni del suolo: bosco, incolto. Visibilità: scarsa. Affidabilità identificazione: ottima. Stato di conservazione del deposito: ottimo, restaurato. L’intero edificio risulta essere restaurato. Solo in alcuni punti sono chiare le tracce originarie delle apparecchiature murarie lasciate a testimonianza. Non tutti i paramenti sono, però, riconoscibili nelle loro fattezze dove l’intervento di restauro è stato interpretato in maniere errata.

6.2.6 Scheda 6 Eremo del Beato Giovanni (fig. 43), Chiaromonte (PZ) (F. 211, III S.E. – 40.064168, 16.165770) Quota altimetrica: m 424.060 s.l.m. Poggio rilevato a ridosso di alveo fluviale.

Notizie storiche: il biografo di Giovanni da Caramola, l’abate del monastero del Sagittario Gregorio De Lauro, spende poche parole, quando parla dell’eremo di Scala Magnano, la presunta seconda dimora del Beato. La prima dovette essere il c.d. Eremo di San Saba98. “Abbandonato pertanto l’eremo di San Saba, Giovanni, uomo di Dio, raggiunse una località solitaria nella zona del Sagittario. Quest’eremo è situato in un luogo scosceso verso settentrione dentro ai confini dello stesso territorio di Chiaromonte [...]. Perciò Giovanni, umilissimo servo di Dio, si portò in una località di detta solitudine, ora detta Romitorio del B. Giovanni, non molto lontano dal sacro Cenobio; e lì si costruì un piccolo ricetto con rami di alberi, dove, dedicandosi totalmente alla preghiera e alla

Mappa catastale: F. 51, particella n. 675. Cronologia: la data di fondazione della cella di Scala Magnano deve risalire alla fondazione da parte di Giovanni da Tolosa, agli inizi del XIV sec. d.C. Definizione: cella eremitica. Materiali diagnostici: diversi ffr. di ceramica acroma e da fuoco. Evidenze archeologiche e architettoniche: strutture architettoniche cella eremitica. Vie fluviali: posto lungo l’alveo del torrente Frido, affluente immissario meridionale del fiume Sinni.

Infra cap. 6, scheda 7, p. 82; Dalena 1995; Percoco G., Percoco M. 2003; Percoco 2000. 98

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 44. - Eremo del Beato Giovanni da Caramola (Chiaromonte, PZ): panoramica generale dell’ingresso.

contemplazione, egli tormentava il suo corpo duramente con digiuni e astinenze e penitenze corporali...”99. Descrizione unità topografica: cella eremitica associabile alla storia di Giovanni da Tolosa (divenuto poi monaco converso del monastero di Santa Maria del Sagittario), oggi chiamato in seguito a beatificazione da parte della Chiesa di Roma, Beato Giovanni da Caramola100. Il romitorio si trova nei pressi del torrente Frido, a meridione rispetto al monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario, ed è comunemente detto “le celle” (fig. 44). Gli abitanti del luogo riferendosi al romitorio lo chiamano in dialetto “i rëmítë”. Ma il biografo di Giovanni, l’abate Gregorio de Lauro, attentissimo osservatore di luoghi e persone, non parla di celle, e fino al 1660 non v’era alcuna presenza monastica nel romitorio, altrimenti il De Lauro ne avrebbe fatta menzione: “A poco a poco crebbe in tutti la conclamata notorietà del suo straordinario modo di parlare e iniziò a diffondersi in lungo e in largo l’odore della sua reputazione ed egli stesso incominciò ad essere frequentato da persone di alte e umili condizioni. Però Giovanni [...] malvolentieri sopportava l’arrivo di coloro che si recavano da lui, ritenendosi indegno di simile onore. [...] E non potendo sopportare più a lungo ciò, decise di allontanarsi e di andare alla ricerca di un ricetto più segreto”101. “Ad quendam, ergo, dictæ soitudinis locum, nunc Eremitorium B. Ioannis nuncupatum […], Solis herbis inconditis, ac puris aquis se sustentabat, quas hauriebat ex fonte infra eius tuguriuolum existente. (Dunque dovrebbe esserci una fontana nei pressi del piccolo tugurio). Et lacessistis sui corporis membris, quàm brevissimam requiem indulgere volens, supra durum lapidem praedictum cubabat, in quo solum contractus poterat accubare, & lapis ipse demonstrat, magna enim molesest, ac stabili ac declivis unidque, ea tantum eius parte except…”. “Ad un luogo, dunque, della detta solitudine, ora chiamato il Romitorio del B. Giovanni […] Si nutriva sempre con le stesse erbe senza condimento e con le acque sorgive che prendeva da una fonte che

Fig. 45. - Eremo del Beato Giovanni da Caramola (Chiaromonte, PZ): giaciglio del Beato.

scaturiva sotto il suo misero tugurio. E volendo concedere alle torturate membra del suo corpo un riposo per quanto possibile breve, giaceva solo se si contraeva, e la pietra stessa lo dimostra: è, infatti, un grande masso stabile e scosceso da tutti i lati, fatta eccezione…”102. Fra i personaggi d’alto lignaggio che avvicinarono il Beato va ricordata la contessa di Chiaromonte, Margherita, l’ultima discendente dei dinasti normanni della famiglia

De Lauro 1660. Waddel 2000. 101 Ibidem. 99

100

102

80

Ibidem, Cap. V.

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Fig. 46. - Eremo del Beato Giovanni da Caramola (Chiaromonte, PZ): veduta generale da settentrione.

Chiaromonte, la quale nel 1319 andò in sposa a Giacomo Sanseverino, conte di Tricarico. Margherita temeva la sterilità, perché non riusciva ad avere figli e per questo si recò da Giovanni per impetrare il dono della maternità. Questi la rassicurò dicendole di avere fede e di non temere, perché avrebbe avuto numerosa prole. E così fu103.

a fare affidamento, pertanto, alle poche informazioni forniteci dall’abate De Lauro il quale, seppur istruito e filologicamente corretto nel riportare notizie storiche, scrive del Beato Giovanni oltre tre secoli dopo la sua morte. L’eremo del monte Caramola. La terza dimora del Beato

L’edificio che ospitò l’eremita certo non era la struttura, seppur povera nella sua architettura, che oggi è possibile vedere; difatti, si parla di “… e lì si costruì un piccolo ricetto con rami di alberi”104, piuttosto che una struttura in muratura. La planimetria del romitorio oggi è composta da due piccoli vani rettangolari e un corridoio provvisto di accesso, il quale permetteva di mettere in comunicazione l’esterno e le due stanze tra loro. I materiali impiegati nella costruzione sono modesti e provengono dagli stessi luoghi dove l’edificio fu fondato, mentre l’arredo architettonico è praticamente inesistente, in linea con i principi di povertà e di austerità della vita eremitica. Il primo dei due vani che si incontra sulla sinistra della porta di accesso in direzione Nord, conserva tracce di quella che doveva essere una copertura voltata a botte, riconoscibile nelle tracce che si possono leggere lungo il perimetrale occidentale. Al suo interno, lungo lo stesso lato Ovest, è presente in posto a terra un blocco di roccia, lo stesso indicato dalla tradizione letteraria come giaciglio del Beato (fig. 45).

Giovanni, deciso a vivere la sua vocazione di eremita, cercò un eremo più segreto sul monte Caramola. “Estenuato il Beato Giovanni per la folla dei fedeli che a lui accorrevano decise di calcare le orme dei primi eremiti [...]. Addentrandosi allora l’eremita Giovanni in luoghi reconditi e isolati di Sagittario, raggiunse finalmente il monte Caramola [...], vi prese fissa dimora e vi si costruì con le proprie mani una cella in una certa semicaverna rivolta a settentrione. [...]. E praticò così a lungo e a tal punto queste delizie della povertà Caramolitica, che meritò di ricevere da parte di tutti il suo appellativo da questo monte Caramola”105. Ancora oggi non si conosce la posizione dell’eremo di monte Caramola. Probabilmente esso doveva essere situato nei pressi di Sagittario (fig. 47). Un’indicazione in tal senso proviene dal ritrovamento di una carta di fine ‘800 rivenuta presso l’Archivio di Stato di Potenza, su cui viene riportata la dicitura dell’eremo in un determinato punto106. L’indicazione non ha però concesso al momento il ritrovamento di una eventuale struttura o semplice giaciglio. Dall’eremo di monte Caramola non doveva essere difficile poter raggiungere l’abbazia di Sagittario,

Purtroppo allo stato attuale è difficile assegnare una datazione precisa al manufatto, tenuto conto anche del fatto che la struttura al momento del restauro non è stata indagata archeologicamente (fig. 46). Si deve continuare 103 104

Percoco 2002; 2004. De Lauro 1660.

105 106

81

Ibidem. Infra cap. 3, p. 23.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 47. - Archivio di Stato di Potenza: piata topografica (XIX secolo). In alto a sinistra indicazione del toponimo “Cella del Romito”.

dove Giovanni ogni domenica si recava per ascoltare la messa. Giovanni in vecchiaia visse come converso, (un monaco che non ha ricevuto gli ordini sacri) nel monastero cistercense di Sagittario fino al 26 agosto 1339, giorno in cui morì.

studies – zeitschrift für zisterziensische geschichte, t. 53, fasc. 1-2 (2002), Brecht (Belgio). Percoco G., 2004, Il Beato Giovanni da Caramola (Sec. XIV). Il culto di un converso cistercense Qui canonizatus non est ab Ecclesia nec expresse beatificatus, «Rivista Cistercense», Anno XXI, 1 Gennaio-Aprile 2004.

Indicazioni bibliografiche:

Waddel C., 2000, Cistercian lay brothers, Twelfth-century usages with related texts, Cîteaux – Commentarii cistercienses, studia et documenta, Vol. X, Brecht (Belgio).

Dalena P., 1995, Basilicata Cistercense (il codice Barb. Lat 3247), Università di Lecce, Dipartimento di studi storici dal medioevo all’età contemporanea, Itinerari di ricerca storica – Supplemento 14, Galatina. de Lauro G., 1660, Vita Beati Joannis a Caramola tolosani conversi Sagittariensis monasterii collecta, Napoli.

6.2.7 Scheda 7 Eremo San Saba (fig. 48), Fardella (PZ) (F. 211, III S.E. – 40.091517, 16.163049).

Percoco G., Percoco M. 2003, I luoghi della Contea di Chiaromonte dove visse il Beato Giovanni da Caramola (Sec. XIV), Chiaromonte.

Quota altimetrica: m 387.300 s.l.m. Poggio rilevato, sperone in conglomerato al centro dell’alveo di uno degli immissari del fiume Sinni provenienti dalla loc. Serre di Fardella.

Percoco G., 2000, Jean de caramola, pèlerin du premier jubilé, ermite et cénobite dans le Comté de chiaromonte au XIVe siècle, colloque franco-italien, mars 2000, Clermont-de-l’Oise (Francia).

Mappa catastale: F. 23, particella n. 36.

Percoco G., 2002, L’Officium del Beato Giovanni da Caramola in un messale pergamenaceo dell’abbazia cistercense di S. Maria di Sagittario di Chiaromonte (Potenza) Italia in Cîteaux, Commentarii Cistercienses, revue d’histoire cistercienne – a journal of historical

Cronologia: IX-X sec. d.C. (?) – XIV sec. d.C. Materiali diagnostici: nessuno. 82

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 48. - Eremo di San Saba (Fardella, PZ): veduta delle strutture murarie della cella.

Stato di conservazione del deposito: medio. Confermato soprattutto da poche fonti documentarie.

Definizione: cella eremitica. Evidenze archeologiche e architettoniche: cella eremitica in muratura; tracce in pianta di altre strutture murarie; materiale fittile/laterizi.

Notizie storiche: molti studiosi, L. Branco107, B. Cappelli108, A. Appella109 ed altri si sono cimentati per individuare l’eremo di San Saba e ognuno ha espresso una sua ipotesi. È Gregorio De Lauro, abate del monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario, a fornire notizie certe dell’eremo nel suo Catalogo degli abati di Sagittario datato al 1673, poiché nel richiamare un contratto di compravendita della località Finocchio da parte dell’abbazia, scrive che proprio in questa zona v’era la cella del Beato.

Vie fluviali: fiume Sinni. Condizione attuale: area di incolto a prevalente macchia mediterranea composta da lentisco e ginestra. Ricognizioni effettuate: le attività di survey condotte presso il probabile eremo di San Saba sono state effettuate durante 3 sopraalluoghi distinti in periodi differenti del 2016. L’impossibilità di raggiungere la quota dello sperone, considerate le attuali pendenze dei versanti che superano il 75% e il materiale sdrucciolevole di cui sono composte le stesse (arenaria e sabbie), è stata ovviata tramite ricognizione aerea per mezzo di APR.

L’eremo di San Saba doveva essere situato pertanto sulla riva settentrionale del fiume Sinni, nella località che il catasto denomina Cella dell’eremita, attualmente in agro di Fardella (PZ).

Condizioni del suolo: area incolta, macchia mediterranea. Visibilità: scarsa.

Branco 2004. Cappelli 1963. 109 Appella 2015. 107 108

Affidabilità identificazione: media. 83

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Oggi è possibile vedere dalla S.S. 653 Sinnica un isolotto piramidale posto nel letto del fiume che fino al 1660 doveva essere attaccato alla terraferma, tanto che Gregorio De Lauro nei capitoli III e IV della Vita del Beato Giovanni lo descrive come una penisola. Giovanni si stabilì in quest’eremo nel pianoro a settentrione dell’isolotto dove ancora oggi esistono un pozzo d’acqua e una piccola grotta scavata nella roccia110: “Lì intrecciava con sottili vimini che si trovavano nei pressi del fiume Sinni piccoli contenitori di vario genere e costruiva delle piccole sporte. Si dedicava anche con diligenza ad altre attività manuali nel pianoro di quella altissima rupe...”111. Sull’antico coro ligneo della chiesa del monastero di Santa Maria del Sagittario, attualmente conservato nella parrocchia di San Giacomo a Lauria (PZ), è incisa l’immagine del Beato Giovanni che appare scalzo, ma certamente si tratta di una libera interpretazione artistica dell’intagliatore, perché nei testi medievali riguardo i conversi si parla di scarpe, sandali e perfino stivali che costoro calzavano per i lavori agricoli nelle grancie (caligæ, pedules, sotulares)112.

Fig. 49. - Eremo di San Saba (Fardella, PZ): panoramica da meridione.

con precisione individuato, considerato anche come detto in precedenza l’asperità del luogo su cui si ipotizza la presenza della cella. Dai recenti sopralluoghi e da riprese aeree effettuate tramite APR, risulta essere visibile parte di una struttura realizzata con bozze di calcare e ciottoli a definire uno spazio chiuso solo in parte riconoscibile perché fittamente coperto da vegetazione (fig. 49). Sono presenti sulla sommità dello sperone roccioso alcuni allineamenti murari visibili esclusivamente in traccia e alcuni elementi fittili, quali tegole, presenti in crollo. Ci sono buone probabilità che tutto ciò sia stato impiegato in qualità di romitorio, in considerazione anche della posizione isolata dove sorgono le strutture. Indagini archeologiche puntuali potrebbero successivamente chiarire e definire tutto ciò.

Dal 1339, l’anno in cui morì Giovanni, un’urna riposta sull’altare della sua cappella costruita lungo il lato Nord dell’abbazia di Sagittario custodiva il suo corpo. La cappella comunicava con la chiesa dell’abbazia e solo dopo la soppressione dei beni feudali ed ecclesiastici, operata dal governo napoleonico, l’urna è stata trasferita nella chiesa Madre di San Giovanni Battista in Chiaromonte. Quando il De Lauro parla della chiesa dell’abbazia di Sagittario afferma che contigua ad essa v’era la piccola chiesa dedicata al Beato Giovanni da Caramola, il cui corpo ancora incorrotto è conservato in un’urna crystallina ben protetta e ottimamente ornata dentro e fuori113; e ancora nella rappresentazione planimetrica datata al 1707, conservata in originale presso l’Archivio di Stato di Firenze, si trova menzione della sua posizione precisa.

Indicazioni bibliografiche: Appella A., 2015, Il chiostro, il fiume e il castello. Il microcosmo di Carbone dall’età medievale tra monaci e signori nella valle del Serrapotamo, Lagonegro. Branco L., 2003, Il Beato Giovanni da Caramola nella narrazione di un anonimo trecentesco e dell’abate De Lauro, Lagonegro (PZ).

Descrizione unità topografica: cella eremitica del monaco italo-greco Saba, in seguito canonizzato come San Saba. Viene indicato dalla tradizione locale come un luogo composto da una grotta vicino ad una sorgente d’acqua. L’abate del monastero di Santa Maria del Sagittario De Lauro scriveva: “L’eremo di San Saba ha l’aspetto di una penisola o, per meglio dire, di un grande scoglio, dato che un corso d’acqua, scendendo da nord e da occidente dai monti dalla destra di Chiaromonte, in periodo invernale, bagna la base dell’eremo e si getta nel celeberrimo fiume Sinni”114. Allo stato attuale delle ricerche non è stato ancora

Cappelli B., 1963, Il monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani, Napoli. Dalena P., 1995, Basilicata Cistercense (il codice Barb. Lat 3247), Università di Lecce, Dipartimento di studi storici dal medioevo all’età contemporanea, Itinerari di ricerca storica – Supplemento 14, Galatina. de Lauro G., 1660, Vita Beati Joannis a Caramola tolosani conversi Sagittariensis monasterii collecta, Napoli. Percoco G., Percoco M. 2003, I luoghi della Contea di Chiaromonte dove visse il Beato Giovanni da Caramola (Sec. XIV), Chiaromonte.

Percoco G., Percoco M. 2003. De Lauro 1660. 112 Waddel 2000. 113 Dalena 1995. p. 58: “Eique [alla Chiesa dell’abbazia] contigua est ecclesiuncula divo Ioanni a Caramola sacra, [...] In qua ultra altare, supra quod in area [leggasi: arca] crystallina, bene munita et optime ornata intus et foris osservatur [leggasi: asservatur] eiusdem beatissimi Viri corpus...”. 114 Branco 2004, p. 12. 110

Waddel C., 2000, Cistercian lay brothers, Twelfth-century usages with related texts, Cîteaux – Commentarii cistercienses, studia et documenta, Vol. X, Brecht (Belgio).

111

84

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 50. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): foto obliqua da drone.

Ricognizioni effettuate: sono stati effettuati 10 sopralluoghi nel complesso rivolti ad una prima indagine conoscitiva a livello architettonico e planimetrico, quest’ultima realizzata grazie a riprese aerofotogrammetriche tramite APR.

6.2.8 Scheda 8 Certosa di San Nicola in Valle (fig. 50; tav. 3), Francavilla in Sinni (PZ) (F. 211, III S.E. – 40.069795, 16.213549). Quota altimetrica: m 415.234 s.l.m., poggio leggermente rilevato, posto tra due torrenti.

Condizioni del suolo: area rurale e ruderi del complesso monastico. Visibilità: buona.

Mappa catastale: F. 11, particella nn. 179, 180, 184, 183, 225, 235, 236.

Affidabilità identificazione: ottima.

Definizione: certosa.

Stato di conservazione del deposito: discreto. L’intero complesso architettonico è leggibile chiaramente in tutta la sua articolazione planimetrica. Alcuni corpi di fabbrica, come la chiesa, mancano praticamente solo del tetto che era realizzato su due falde a doppio spiovente, mentre altre strutture, seppur leggibili a livello planimetrico, risultano essere completamente state demolite. I prospetti murari, dove in alcuni punti superano anche m 10 di altezza, sono rivestiti completamente da piante infestanti e rampicanti. L’intera area oggi è adibita a pascolo per ovicaprini dal proprietario dei terreni su cui insiste la certosa.

Cronologia: la fondazione della certosa di San Nicola in Valle è datata al 1395, documentata da una delle pergamene redatte nello stesso monastero. Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: chiesa; chiostro; recinto fortificato; opificio idraulico. Vie fluviali: torrente San Nicola e torrente Scaldaferri, affluenti meridionali del fiume Sinni.

Notizie storiche: la storia di Chiaromonte si intreccia con le vicende della fondazione della certosa di San Nicola in Valle, oggi localizzata a Sud-Ovest nel comune di Francavilla in Sinni (PZ) su di un poggio lungo il fosso

Condizione attuale: area rurale con strutture eminenti del monastero. 85

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale aveva provocato, infatti, un certo sbandamento nelle file dei fautori di Luigi II d’Angiò.

Scaldaferri, costruita negli ultimi anni del XIV sec. d.C. con i donativi di Venceslao Sanseverino, Duca di Venosa, Conte di Chiaromonte e Tricarico.

A questo punto la preoccupazione dei Sanseverino fu quella di non apparire eretici ed eversivi, così come li aveva denunciati lo stesso Urbano VI nell’indire nel 1387 a Lucca una crociata contro di loro. A Luigi II d’Angiò entrato finalmente nel regno nell’agosto 1390, i Sanseverino suggerirono che ordinasse alla città di Napoli di non riconoscere come pontefice Bonifacio IX e di indicarlo come unico responsabile dei disordini che si sarebbero potuti verificare nelle province del Regno. Fu in questa atmosfera di intrighi politici e di censure ecclesiastiche che Venceslao Sanseverino decise di fondare un monastero per i certosini in una delle sue Contee, volendo in tal modo non solo escludere se stesso e la sua famiglia da colpevolezze di carattere religioso, già denunziate da Urbano VI e ribadite del nuovo Pontefice con l’assoluzione dei Durazzo, ma anche offrire il suo ringraziamento per l’opera di conquista del regno felicemente iniziata con la venuta di Luigi II d’Angiò. Il priore del monastero di San Giacomo di Capri, fra Giovanni de Oliviano, il quale passava per Vicario in Italia dell’ordine dei certosini, accompagnato dal Sanseverino si recò a Senise con lo scopo di esaminare il sito destinato alla nuova costruzione affinché venissero rispettati gli statuti del suo ordine.

Il monastero situato sulle estreme pendici del monte Caramola fu centro di intensa attività, non solo religiosa, ma soprattutto economica in tutto il territorio della Contea di Chiaromonte. La fondazione certosina riflette l’atteggiamento religioso e in parte politico dei Sanseverino nella società del loro tempo, inquadrandosi nel complesso mondo civile e religioso del secolo XIV e rivelando mentalità e credenze di diverse estrazioni sociali in contrasto fra loro. La consistenza archivistica di San Nicola in Valle è decisamente più omogenea e più ricca di quella degli altri fondi a noi pervenuti. Le carte della certosa hanno quasi tutte nel verso un numero progressivo, una sigla costituita da una lettera dell’alfabeto e un numero progressivo in caratteri arabi. Queste pergamene sono in tutto 138, redatte dal 1395 al 1724115. La documentazione di San Nicola in Valle si presenta omogenea e in buono stato di conservazione. Da un’analisi di stretta pertinenza diplomatica risulta che questi documenti hanno una caratteristica pressocché identica: invocazione, datazione (che nei documenti pubblici si trova abitualmente in fondo all’escatocollo), intitolazione, narrazione, sanzione, corroborazione, dichiarazione, segno e sottoscrizioni.

Espletati questi atti preliminari, il 19 aprile 1391 Venceslao investì fra Giovanni de Oliviano dei beni promessi e descritti mediante pubblico strumento redatto dal notaio Antonio de Melle de Laurino, in cui si stabilì di costruire il monastero nella località denominata San Filippo, nei pressi di Senise117.

Della fondazione del monastero ci sono pervenuti due documenti, uno del 1391 e l’altro del 1395, conservati presso l’Archivio Arcivescovile di Potenza. Essi costituiscono una dettagliata registrazione degli obblighi assunti dal fondatore nei riguardi dell’Ordine dei Certosini e una prolissa descrizione della consistenza patrimoniale con cui venne dotata la nuova comunità monastica.

Alcune difficoltà ci furono nella costruzione del cenobio, ma Guglielmo da Rainaud affidò il compito di provvedere al superamento di queste ultime al priore del monastero di San Martino di Napoli, fra Matteo de Tito, nominato con lettera del 12 giugno 1393 commissario deputato per l’accettazione del donativo di Venceslao in vista delle costruzioni del nuovo monastero in Chiaromonte118. Costui non approvò l’ubicazione del nuovo cenobio e pregò il duca Venceslao di trovare un’alternativa adducendo quale motivazione, cosi come risulta dalla pergamena del 1395, l’insalubrità dell’aria nel territorio di San Filippo119. In questa località esisteva già una grancia di proprietà del monastero italo-greco di Sant’Elia di Carbone. Non è pertanto improbabile che Venceslao volesse mettere le mani su quest’ultima, incontrando le loro giuste reazioni. L’archimandrita di Sant’Elia, infatti, il quale sottoscrisse la carta di fondazione del monastero a Chiaromonte nel 1395, non compare in quella del 1391.

Gli “Statuta Antiqua” dei certosini stabilivano che per la costruzione di un nuovo monastero si richiedeva un esplicito assenso del Capitolo Generale e a nessun priore era permesso formulare ordinamenti e decreti per la nuova casa116. Per una nuova costruzione era richiesto, inoltre, l’esplicito assenso del Vescovo locale. Nonostante la scissione dell’Ordine al tempo del Grande Scisma, i certosini conservarono ugualmente integra la loro fisionomia originaria e reagirono con violenza alla profonda rilassatezza che investì altri Ordini monastici. Essi costituirono, pertanto, un mezzo particolarmente efficace nei piani dei Sanseverino per sostenere nei loro territori l’opinione favorevole alla loro politica filoangioina. Bonifacio IX assolvendo Margherita e Ladislao dalle censure in cui erano incorsi al tempo di Urbano VI e sconfessando la politica napoletana del suo predecessore

La soluzione dei problemi relativi alla costruzione del nuovo monastero richiese oltre un anno di trattative da parte del priore fra Matteo da Tito, il quale sembra che non

Giganti 1978, p. X; 1997. Mabillon 1745, p. 635: “Quartum proinde capitulum est statutum ut nulla domus nova huius propositi sine assensu communis capituli extruatur et institutiones dari a nullo priorum praesumatur”. Acta Ordinis Carthusiensis. 115 116

Giganti 1978, pergamena n. 7. Ibidem, pergamena n. 8. 119 Ibidem, pergamena n. 11. 117 118

86

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. fosse d’accordo con Venceslao nemmeno sulla fisionomia da dare alla nuova fondazione. Mentre il duca intendeva impiantare nel suo territorio una moderna azienda agricola, il priore di San Martino era dell’avviso che non bisognava trascurare il settore dell’allevamento. Superate intanto a Chiaromonte le questioni sorte con il monastero di Carbone e raggiunto sommariamente un accordo col priore di San Martino di Napoli, il 10 ottobre 1394 Venceslao nominò suo procuratore il vescovo di Tricarico, Vito, per la stipula del contratto di donazione, il quale aveva già sottoscritto il documento del 1391.

ipsorum et si detur facultas recuperandi possessionem”123. I beni del monastero avrebbero dovuto usufruire degli stessi privilegi di cui godevano quelli del duca. La caratteristica feudale della donazione fatta alla certosa e l’investitura di tipo nobiliare comprendeva anche i terreni che il monastero avrebbe in seguito acquistato per proprio conto124, ponendo in tal modo le premesse della sua successiva espansione territoriale. Già nel 1396 Venceslao con un suo documento volle definire più chiaramente i rapporti giuridici esistenti tra il monastero e i cives sui territori dei quali era divenuto signore. Il privilegio venne emanato di propria autorità dal duca e indirizzato a tutti gli officiali di Calabria e Basilicata, con lo scopo di proteggere la nuova fondazione monastica e di difendere i dipendenti del monastero da eventuali angherie che avrebbero potuto subire dai signori del luogo: “volumus et mandamus quatenus nullus molestare personaliter presumat aliquem mercenarium vel laboratorem dicti monasterii”125. L’eccessivo potere politico concesso alla certosa fa supporre che la linea politica dei Sanseverino fosse quella di evitare l’espansione libertaria nei suoi territori. Il ritorno a forme di gestione di tipo feudale possono essere individuate nel diritto concesso al monastero di amministrare la giustizia in privato: “Et quia non ostante privilegio supradicto, personae multae, Dei timore postposito, non cessant dictum monasterium damnificare depascendo glandes et herbas cum animalibus suis, id circo volumus et concedimus priori et fratribus monasterii supradicti quod quoties senserit in suis territoriis esse animalia aliqua depascentia absque voluntate eorum, tunc per se ipsos vel eorum famulos et servitores vel per baiulos terrarum nostrarum vel per quascumque personas dictos fratre iuvare volentes, possint dicta animalia capere et tandiu ipsa detenere donec patronus dictorum animalium concordet cum monasterio, solvendo quod per fida seu diffida solvendum est, dummodo per capientes prefata animalia manus eorum ad aliquem violentem actum non extendant”126.

Nei primi giorni di dicembre di quell’anno il vescovo di Tricarico, dopo aver fatto promettere al duca che avrebbe chiesto il regio assenso, dal momento che la donazione toccava beni burgensatici e feudali120, ed espletate tutte le pratiche giuridiche, benedisse la prima pietra del monastero. Venceslao donò al monastero l’intero territorio di Sant’Elania sito nelle vicinanze della località Rubio, in modo da evitare che i certosini si allontanassero di molto dal monastero per i lavori agricoli. Nel documento rilasciato a Napoli il 16 gennaio 1395 al priore fra Matteo de Tito, Venceslao ammette con franchezza di essere stato uno dei responsabili dei disordini avvenuti nel Regno, credendo di rimediare in qualche modo con le preghiere dei Certosini: “quorum meritis, suffragiis et orationibus multiplicatis, vaniam de commisis impetret, quam ipse suis intercessionibus a Deo obtinere non valet”121. Nella carta di fondazione del monastero di San Nicola in Valle del 1391 Venceslao confessa di essere stato spinto a creare un nuovo centro monastico dal desiderio di ottenere la remissione dei peccati, per poter così sperare nella salvezza eterna: “… dominus dux asseruit quod divina precedente clementia, que peccatorum culpas non ponderans ad rectum iter naufragos salutis reducit ad portum, est eorum mortem execrans, vitam et conversionem affectat, et quorum reatuum et aliorum piorum operum peccata redimat et veniam altissimi consequatur”122. Non sembra, infatti, che la fondazione di Chiaromonte, la scelte dei certosini al posto di un altro Ordine religioso e l’insediamento di questi eremiti in quella località anziché altrove siano elementi secondari ai fini di una precisa analisi del periodo storico in cui avvenne quella fondazione. Il monastero di San Nicola in Valle venne costruito nelle vicinanze del diruto centro abitato di Rubio, scomparso probabilmente verso la metà del XIV sec. d.C. Col passaggio del dominio diretto al monastero sembra che si volesse mirare al recupero dei beni feudali e al rafforzamento dell’autorità del signore del contado: “hoc scire expedit ad multa et in modo agendi et pro remediis quae dantur baronibus pro recuperatione bonorum fidelium et quando destituuntur possessione

Nei documenti del monastero di San Nicola sembra che Venceslao fosse essenzialmente interessato a evitare nei suoi territori la formazione di una classe dirigente basata sullo sviluppo economico autonomo che, ovviamente, avrebbe potuto ridimensionare notevolmente la sua giurisdizione sul contado. Iniziata la costruzione nel 1395, il nuovo centro monastico, che si affiancava a numerose altre comunità di rito greco e latino, divenne ben presto un centro animatore della spopolata regione del Rubio. Nel 1404 il re Ladislao intervenne con violenza contro i Sanseverino, dove anche il fondatore del monastero di San Nicola fu dato in pasto ai cani. Soppresso il conte, lo stato di tensione creatosi nel contado rese estremamente delicata la posizione dei Giganti 1978, pergamena n. 15. Ibidem. 125 Ibidem, pergamena n. 7. 126 Ibidem, pergamena n. 43. 123

Ibidem, pergamena n. 10. 121 Ibidem, pergamena n. 7. 122 Ibidem. 120

124

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale i vassalli fu eletta giuridicamente come ‘villa franca’. La vita dei vassalli a Francavilla era pertanto regolata secondo la più genuina tradizione giuridica feudale con l’esenzione dalle prestazioni personali. Il nome di Francavilla compare per la prima volta nel documento del 13 gennaio 1439, che contiene i capitoli concessi dai monaci certosini ai loro vassalli residenti nella zona del Rubio, di Sant’Elania e di Sant’Angelo.

certosini, in quanto non erano ancora stati soddisfatti tutti gli impegni assunti da Venceslao verso la nuova comunità religiosa. Fu necessario pertanto premunirsi al più presto delle dovute conferme del re, e il 15 marzo 1404, Ladislao conferma l’esistenza stessa della comunità certosina assicurando tutti i diritti. Il 13 gennaio 1439 vi fu pertanto il riconoscimento ufficiale dei diritti signorili del monastero di San Nicola in Valle da parte dei dieci vassalli che avevano scelto di trasferirsi in casali Rubri, ma nello stesso tempo si ebbe anche il riconoscimento di alcune autonomie da parte degli abitanti di Francavilla. Dalla fine del XV sec. d.C. in poi essi furono costretti però a misurarsi non soltanto con baroni e università, ma anche con le stesse comunità monastiche presenti nel territorio di Chiaromonte. L’espansione territoriale della certosa era stata, infatti, facilitata oltre che dall’assidua protezione dei Sanseverino, anche dalla decadenza morale ed economica dei vecchi centri religiosi della media valle del Sinni. La concessione in commenda del monastero di Santa Maria del Sagittario diede origine a un curioso antagonismo con la comunità certosina, che si rivelò insanabile fino al XVIII secolo. Il documento che reca la data del 10 giugno 1383, ebbe nella storia del monastero di Santa Maria e del monastero di San Nicola una straordinaria importanza a proposito del diritto di costruire mulini lungo il Sinni e sul prelievo dell’acqua dal fiume127. Con questo documento i monaci cistercensi del Sagittario ottennero da Venceslao Sanseverino: “ut nullus in territorio Claromontis possit seu valeat molendinum edificare de novo seu vetera refici sine ipsius monasterio mandato et licentia speciali”. Il documento in questione ha tuttavia molti elementi che mettono in dubbio la sua autenticità. I cistercensi lottarono a lungo per ottenere l’esclusiva della macinatura nella valle del Sinni, non avendo sopportato che con l’insediamento dei certosini la loro incontrastata signoria nella zona avesse ricevuto un duro colpo. L’istituto del privilegio è rappresentato nell’archivio di San Nicola in Valle dalle numerose pergamene concesse dai conti di Chiaromonte ai certosini “preater et contra ius comune”. Interessante in proposito è il privilegio concesso da Ladislao il 22 ottobre 1412. Il documento è indirizzato ai due monasteri di San Nicola e di Santa Maria del Sagittario. L’esenzione “a soluzione, contributione et exhibitione iurium gabelle omnium castratorum et animalium” dei due monasteri non venne però elargita “motu proprio”, ma sollecitata dal priore di San Nicola e dall’abate del Sagittario. Il 3 giugno 1437 Andrea Virgallito, abate del Sagittario, fu costretto ad accordarsi con il priore di San Nicola per l’utilizzo dell’acqua del Sinni: “pater dominus Andreas Vergallitus de Claromonte, Sagittariensium prior, concordavit cum padre domino Petro Cristaldo, Carthusiae Sancti Nicolai priore, in causa ducendi aquam a flumine Signi, nulla prorsus facta mentione consensus, licentiae vel mandati abbatis sui, ut de iure requirebatur, si inter vivos abbas eo die extitisset”128. La località scelta dai certosini per ospitare 127 128

La giurisdizione del monastero sui territori donati ebbe fin dall’inizio un carattere pubblico con la concessione del dominio riconosciuto da altri sopra una terra, inscrivendolo in un ambiente di tipo feudale. Come gli altri monasteri della media valle del Sinni, anche la certosa di San Nicola subì simile sorte con il repentino abbandono in seguito alle leggi di eversione feudale di Napoleone nel 1807. Abbandonato non sarà più ripreso nelle sue funzioni originarie, versa oggi in stato di rudere seppur le sue architetture, al contrario del Sagittario, si conservano nella loro articolazione. Descrizione unità topografica: il complesso monastico di San Nicola in Valle si distingue in due parti: una ecclesiastica e una laica. La prima, posta a settentrione rispetto alla chiesa, trait d’union fra le due parti, è composta da un chiostro a pianta quadrata sui cui tre lati si sviluppano le celle per alloggiare i monaci (fig. 51). Queste sono inquadrate lungo il perimetrale esterno da un portico in muratura ancora ben visibile, sorretto da strutture composte da archi rampanti129. Le celle dovevano essere costituite da 5 vani per lato, costruite con un modulo ricorrente e schematico; dovevano misurare ca. m2 20-25 e affacciarsi con un apertura direttamente nel chiostro. Lungo il perimetro interno del chiostro, ovvero a ridosso della parete delle stesse celle, correva un criptoportico voltato a botte che serviva per scongiurare passaggi di umidità dal cortile direttamente negli ambienti. Il corpo di fabbrica voltato è ancora oggi visibile, se non in minima parte, dove i crolli e i cedimenti non ne hanno occluso l’apertura. Durante i sopralluoghi e le attività di survey nel 2015 si riusciva ancora a percorrere qualche metro lungo il braccio orientale, mentre già nel 2017 non è stato più possibile. La tecnica edilizia di questa fabbrica fa ricorso esclusivo a materiale prelevato in loco; nella fattispecie, vista l’immediatezza del cantiere a ridosso di due alvei fluviali, è composta da ciottoli di piccole, medie e grandi dimensioni. Questi elementi lapidei non erano minimamente sbozzati o lavorati, ma messi in posa direttamente come prelevati dall’alveo. Ciononostante la tecnica edilizia, seppur con scarsa attenzione alla lavorazione del materiale da costruzione, risulta essere apprestata da maestranze con una certa cultura costruttiva e altamente specializzata. Lo dimostrano soprattutto le architetture della chiesa, del refettorio e del portico esterno al chiostro, in cui sapientemente vi era la commistione di apparati murari in verticale misti a elementi voltati a

Per una sintesi sull’argomento si veda: Vitale 2015a, pp. 453-477. Dalena 1995, p. 91.

129

88

Per una sintesi si veda: Vitale 2018f, pp. 212-216.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 51. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): foto nadirale da drone del chiostro.

volte erano realizzate completamente con materiale fittile, laterizi sicuramente prodotti in loco se si considera anche l’abbondante impiego che se ne faceva. Anche nelle volte superstiti si nota l’impiego esclusivo di materiale fittile per la costruzione, ad esclusione dei casi nel refettorio dove si trova la commistione con lastre lapidee. Non tutti i sistemi voltati del complesso, comunque, erano costruiti con laterizi. A riprova di ciò vengono gli archi rampanti del portico esterno al chiostro, strutture costruite interamente con ciottoli messi in posa su centine lignee di cui si scorgono, grazie all’impronta nel calcestruzzo, le tracce degli impalcati lignei.

crociera a sostegno delle parti. Ancora oggi sono visibili le splendide strutture arcate che dovevano costituire internamente il soffitto della chiesa, riprendendo motivi architettonici in pieno stile gotico francese. Notevoli per stile e fattura risultano in tal senso le strutture voltate presenti ancora in traccia in quello che originariamente doveva essere il portico della chiesa, di cui sono ancora visibili tutte le imposte di un sistema costituito da tre volte a crociera affiancate e poste in asse con lo sviluppo trasversale del corpo di fabbrica principale (fig. 52). Il motivo del portico riprende architetture simili databili al XII sec. d.C., come quelle del portico della chiesa di Santa Maria d’Anglona, anch’esso realizzato con una volta a crociera.

I corpi di fabbrica immediatamente prossimi alla chiesa sono anch’essi in parte riconoscibili, e possono essere associati a strutture quali il refettorio e la sagrestia (fig. 53). La planimetria di questi tre corpi di fabbrica è schematizzata in moduli rettangolari su una superficie complessiva di ca. m2 500; l’aula unica della chiesa si sviluppa su una superficie di m2 370, raggiungendo con l’aggiunta dell’ambiente posto ad oriente (sagrestia? coro?) ca. m2 470. La superficie totale su cui si sviluppa l’intero complesso misura ca. m2 46.500, ovvero poco più di ha 41/2, con una superficie edificata complessiva distribuita su ca. a 3 , ovvero m2 9.000. L’area del chiostro comprese le

Gli spessori murari dell’edificio ecclesiastico di San Nicola misurano ca. m 1 demarcando ulteriormente la capacità delle maestranze impiegate, consapevoli di realizzare una struttura imponente che andava sorretta con murature di un certo spessore, considerata anche l’altezza notevole del fabbricato che supera in altezza i m 10. La tipologia di legante impiegato nella costruzione della chiesa è rappresentato da malta tenace di colore grigio/ giallastro ricca di inclusi calcarei. La tecnica edilizia impiegata era del tipo irregolare con corsi, con filari spesso regolarizzati con numerosi inserti in laterizio e coppi. Le 89

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 52. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): foto nadirale da drone della chiesa.

Fig. 53. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): veduta della chiesa.

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La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 54. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): panoramica del chiostro e degli ambienti cucina.

celle e il portico, invece, ricopre da sola un’estensione di ca. m2 4.800 (fig. 54).

maestranze locali. La geologia dei luoghi, difatti, oltre a fornire materiale costruttivo in abbondanza, può contare su numerose bancate affioranti di argilla prossime alla fabbrica, vere e proprie vene superficiali da cui effettuare prelievi diretti.

Alla porzione meridionale, c.d. laica, si accede direttamente da un ingresso monumentale, aperto su un’area scoperta di forma allungata orientata in direzione Nord-Sud; sui lati orientale e occidentale sono identificabili i ruderi di tutta una serie di ambienti funzionali alla vita rustica e produttiva della certosa. Sui due lati dell’ingresso sono ben definiti, e praticamente ancora completi in quasi tutte le loro parti architettoniche, due ambienti simmetrici adibiti a cucine, dove è ancora oggi possibile scorgere i focolari in tutto il loro splendore. Anche in questi ambienti le scelte architettoniche e la volontà costruttiva sono le stesse delle fabbriche appena descritte, con impiego esclusivo in muratura di ciottoli e laterizi.

Per quanto riguarda gli impalcati lignei permanenti la certosa sembra essere stata depredata completamente di questi ambiti materiali. Sicuramente, come per gli altri materiali, saranno stati preferiti legnami autoctoni di facile reperimento quali possono essere il castagno e la roverella, nonché la quercia e il faggio, recuperabili lungo i limitrofi versanti del monte Caramola. Analisi simile può essere fatta per il materiale impiegato nella realizzazione dei ponteggi, essendo probabilmente lo stesso tipo di legname che si impiegava nelle architetture lignee permanenti. Il cantiere doveva essere fornito di tavole, puntelli e travi che servivano sia per i ponteggi che per le centine, queste ultime di forme simili per le coperture della chiesa e del refettorio, coperti con volte a crociera. La costruzione di archi rampanti di sostruzione e di volte a botte lungo tutto il camminamento coperto esigeva apparati lignei provvisori per la realizzazione di queste strutture (fig. 55); sono chiaramente ravvisabili, direttamente sul calcestruzzo degli archi, le tracce delle tavole impiegate larghe ca. cm 30.

Tutte le parti della certosa non sono sicuramente frutto di un unico grande momento costruttivo, ma certa sembra essere la trasposizione dei saperi dei monaci e delle maestranze nei diversi cantieri che di volta in volta si impiantavano nel monastero. La definizione delle coperture e degli impalcati lignei rimane argomento sul quale è possibile avanzare solo alcune ipotesi in attesa di indagini archeologiche che ne definiscano gli elementi principali. È plausibile che le coperture di tutto il complesso fossero organizzate tramite l’impiego di coppi che, al pari dei laterizi, venivano prodotti sicuramente in fornaci vicine al cantiere e realizzati da

I sistemi di ponteggio sono riconoscibili nella distribuzione delle buche pontaie. Queste per la maggior parte sono di forma rettangolare di lato cm 25x25 con una buona cura 91

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 56. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): opificio idraulico (tromba).

una decorazione floreale, un’iscrizione mutila recante le lettere A.C. e un’iscrizione di epoca moderna datata agli inizi dell’800 (fig. 57). Tutti questi elementi sono stati scolpiti in blocchi di arenaria finemente e facilmente lavorabili. Indicazioni bibliografiche: Dalena P., 1995, Basilicata Cistercense (il codice Barb. Lat 3247), Università di Lecce, Dipartimento di studi storici dal medioevo all’età contemporanea, Itinerari di ricerca storica – Supplemento 14, Galatina.

Fig. 55. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): archi rampanti di sostengo al portico esterno delle celle (in alto); volte del refettorio (in basso).

Giganti A., 1978, Le pergamene del monastero di S. Nicola in Valle di Chiaromonte (1359-1439), in Deputazione di storia patria per la Lucania (Fonti e studi per la storia della Basilicata), Potenza, Vol. IV.

costruttiva, degne di maestranze esperte. È possibile notare che gli incassi della chiesa sono passanti attraverso la muratura e risultano essere perfettamente parallelepipedi in tutta la loro interezza, essendo spesso inquadrati da materiali come il mattone e sormontati da una piattabanda costituita da ciottoli dalle fattezze molto schiacciate, quasi simile ad una lastra.

Giganti A., 1997, Francavilla nella media valle del Sinni. Origine di un microcosmo rurale del secolo XV, Francavilla in Sinni. Mabillon J., 1745, Annalea Ordinis S. Benedicti, Lucae. Vitale V., 2015a, L’acqua come fonte di reddito e di discordia. Le pertinenze dei monasteri di S. Maria del Sagittario e San Nicola in Valle: opifici idraulici nella media valle del Sinni durante il medioevo, in Archeologia delle aree montane europee: metodi, problemi e casi di studio, a cura di U. Moscatelli, A.M. Stagno, Il Capitale Culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, Vol. 12, pp. 453-477.

La costruzione di un opificio idraulico lungo il corso del fosso Scaldaferri, è stato motivo di disputa per secoli con il vicino monastero di Santa Maria del Sagittario. La struttura, mancate solo della copertura, è oggi coperta da una fitta macchia di rovi e ginestre ma completa in tutte le sue parti (fig. 56). La tipologia del mulino era del tipo a pale orizzontali, con vasca di accumulo posta nella porzione meridionale. La vasca è stata demolita completamente agli inizi degli anni ‘50 del secolo scorso mentre tutto il condotto e la tromba, realizzate quasi esclusivamente in laterizio, sono conservate e in ottimo stato.

Vitale V., 2018f, Il complesso monastico di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ). Nascita e sviluppo di una certosa, Atti dell’VIII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Matera, 12-15 settembre 2018), a cura di F. Sogliani, B. Gargiulo, E. Annunziata, V. Vitale, Firenze, pp. 212-216.

In ultima analisi è meritevole la descrizione degli elementi lapidei modanati e decorati presenti all’interno del complesso architettonico. Questi non si trovano più nella loro posizione originaria, ma sono conservati nei pressi dell’abitazione moderna dell’attuale proprietario. Sono stati rinvenuti e documentati un fregio raffigurante un angelo finemente decorato, oggi inserito nelle murature del piano superiore della casa, alcuni blocchi incisi a raffigurare i chiodi e la corona di spine di Gesù,

6.2.9 Scheda 9 Monastero dei Santi Elia e Anastasio (fig. 58), Carbone (PZ) (F. 211 III N.E. – 40.140421, 16.091896) Quota altimetrica: m 698.600 s.l.m. Sommità collinare. 92

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 57. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ): elementi architettonici decorati.

Mappa catastale: F. 12, particella n. 29.

Condizioni del Suolo: edificato. Visibilità: media.

Definizione: complesso monastico di fondazione italogreca.

Affidabilità identificazione: buona. Stato di conservazione del deposito: scarso. Le strutture del monastero, solo ad una attenta analisi condotta sul campo, permettono una ricostruzione di alcuni corpi di fabbrica originari.

Cronologia: X-XI sec. d.C. – 1809 (leggi eversione feudale napoleoniche). Materiali diagnostici: ffr. di lucerna invetriata monocroma in giallo (XIII sec. d.C.). Evidenze archeologiche e architettoniche: architettonici monastero SS. Elia e Anastasio.

Notizie storiche: le fonti relative al monastero di Carbone sono per lo più documenti e atti notarili provenienti dal suo stesso archivio. Il monastero di Elia e Anastasio è attestato per la prima volta in un documento del 1056, e poi ancora nel 1059, ma la sua origine risale probabilmente al X sec. d.C., dal momento che il fondatore, l’abate bizantino Luca Karbounes, risulta essere morto nel 984130. Al nome del fondatore si fa risalire l’origine dello stesso toponimo

resti

Vie fluviali: torrente Serrapotamo, affluente settentrionale fiume Sinni. Condizione attuale: area edificata, centro urbano. Ricognizioni effettuate: sono stati effettuati 4 sopralluoghi nell’area dove sorge il monastero.

Inizialmente il monastero è dedicato soltanto a Sant’Anastasio. Nel 1121 è attesta per la prima volta la dedica a Elia: Monasticon Italiae 1986, p. 180; Longo 1996, pp. 52, 67, nota 36, ivi una ricostruzione della pianta del complesso. 130

93

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 58. - Area del monastero di Sant’Elia e Sant’Anastasio (Carbone, PZ).

Carbone. La nascita di questo monastero si inquadra nel generale sviluppo storico del monachesimo italo-greco nelle regioni meridionali. A partire dall’abate Nilo (11011134) il monastero diventò uno dei più importanti di tutto il mezzogiorno. Successivamente iniziò un lento declino fino alla soppressione definitiva nel 1809. Interessante appare il legame di questo Luca al magistero di San Saba, a questo succeduto nella reggenza del monastero131.

l’affermazione del cenobio con diverse donazioni. Allo stesso tempo il monastero era libero e manteneva la propria tradizione bizantina per cui l’abate in carica designava il proprio successore. Nel XII sec. d.C. il complesso possedeva alle sue dipendenze tutti i monasteri presenti nei territori di Teana, Calvera, Castronuovo, Senise, Faracli e Sarconi, raggiungendo il suo maggiore apice. Proprio nel 1181 ottenne l’esenzione dall’autorità vescovile di Anglona e l’affidamento all’abbazia di S. Maria di Monreale134.

In un documento del 1121 appare la denominazione rara di “monastero della tutta santa Madre di Dio e del Santo Anastasio di Carbone”. In un altro, datato al 24 febbraio 1105, un certo Arnaldo dona al monastero una chiesa di San Lorenzo presso Craco e nel 1134 si fa menzione di Giovanni vescovo di Marsico che conferma all’abate Nilo di Carbone il possesso della chiesa della SS.ma Trinità in Sarconi132. A partire dal XII sec. d.C. si aggiunge la dedicazione al profeta Elia, culto che continua ancora oggi nel calendario liturgico.

La storia del monastero di S. Elia e Anastasio si intreccia con le vicende del centro scomparso di Faracli, quando nel 1121 veniva donato al monastero e all’abate Nilo proprio questo castello. Faracli nel XIII sec. d.C. si trovava come altre roccaforti a finanziare, per ordine di Federico II, la costruzione del castello di Rocca Imperiale. Sulla storia di Faracli ci sono informazioni per l’anno 1277, in cui risulta essere ancora centro vitale e ricco essendo tassato per 67 fuochi, proprio come Teana. Nel 1473 si ricorda, invece, il territorio di Castro Faraco disabitato e distrutto da terremoti135, ciononostante ancora in possedimento del monastero di Carbone quando l’abate Romano ricorda i loro diritti desunti da un documento dell’XI sec. d.C., privilegio di Ugone Chiaromonte e Gimarga con cui si concedeva proprio questo territorio: “Il tenimento, dunque, che concediamo e doniamo a te e ai suoi successori è

Luca ricordava di avere ricostruito la chiesa e un oratorio: “Ho lavorato con alcuni dei miei fratelli e ho restaurato la chiesa di Dio e un altro oratorio con il nome di S. Luca e S. Blasios nel quale i malati sono guariti fino ad oggi”133. L’attività di Luca riguardò la costruzione di celle per i fratelli. L’arrivo della famiglia Chiaromonte determinò Longo 1996, p. 54. Breccia 1991, p. 75. 133 Appella 2015, p. 176. 131 132

134 135

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Garufi 1902. Appella 2015, p. 183.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. piccolo rilievo affacciato a meridione verso il torrente Serrapotamo140.

questo: cominciando dal fiume che è sotto Calabra, va nel luogo ove si unisce con il fiume che scende per Mabri e, seguendo lo stesso fiume e il Vallone di Gambari, in linea retta, sale al colle di Aria che volgarmente è detto Ilico e da questo colle va a Mandacco e di qui arriva alla via pubblica per la quale si va a Tigana e ad Episcopia; la stessa via sale, poi, fino a quegli alberi fra cui vi sono le croci, donde prosegue a sinistra verso la via pubblica che porta a Chiaromonte e di qui continua per la Serra e va in linea retta, Serra Serra, fino alla Serricella di Bullo e poi, in linea retta, verso la Serra maggiore, chiara, della parte superiore, di qui discende, come discende verso le parti di Castel Saraceno fino alla via, e dalla stessa via sale fino alla serra dove sono gli alberi di faggio e di qui scende per la via e viene al sentiero che va da S. Pantaleone verso Castel Saraceno e poi, seguendo la via che per la serra fino ai piedi della Serricella che è detta Castello de Notaris”136.

Le strutture attualmente visibili emergono solo a tratti e in misura ridotta, compromettendone complessivamente la leggibilità. La tecnica costruttiva degli apparati murari è realizzata con materiale litico differente per forma e per dimensioni riferibile esclusivamente a ciottoli, disposti in filari orizzontali regolari, legati con abbondante calce e, talvolta, con frammenti di mattoni inseriti negli interstizi. I ciottoli non furono recuperati direttamente da un alveo fluviale, bensì dal substrato geologico su cui insiste la fabbrica, composto dall’aggregazioni di questo deposito litico e sedimenti argillosi. Le caratteristiche tecniche degli apparati murari rimandano sicuramente ad un periodo più tardo rispetto alle indicazioni cronologiche di fondazione al X sec. d.C. (fig. 59). Del resto, proprio dal XII sec. d.C. il monastero di Carbone vide crescere progressivamente la propria importanza e prestigio, e con questo ruolo ben si accorderebbe l’imponenza delle strutture. La scarsa visibilità sul terreno non permette di individuare marker cronologici precisi; tuttavia seguendo le murature sul versante di ponente, lungo le scarpate venutesi a creare in seguito ai cedimenti franosi dell’area, è possibile scorgere in sezione i depositi originari (fig. 60). All’interno di queste ultime si rinvengono diversi frammenti ceramici, tra i quali uno pertinente ad una lucerna invetriata monocroma in giallo databile al XIII sec. d.C.

Il monastero di Carbone nel 1458 risulta essere uno degli scriptorium in lingua e cultura greca più importanti della Basilicata di quell’epoca; fu proprio in quell’anno che vengono elencati i beni librari con ca. 102 manoscritti. Molti di questi andarono perduti e i soli 29 che si conservarono furono divisi tra il collegio di San Basilio a Roma, poi nella Biblioteca Vaticana, e il monastero di Grottaferrata137. Nel secolo XV il monastero di S. Elia e Anastasio era ormai ridotto a pochi adepti, ed è proprio nel 1474 che viene affidato in commenda, a seguito del quale vi fu una significativa ripresa quando nel 1560 la reggenza venne affidata a Giulio Antonio Santoro. Costui nel 1582 fece tradurre tutti i privilegi e le carte dell’archivio dalla scrittura greca a quella latina donando, inoltre, le 217 carte della Platea delle entrate di Carbone138. Tra le fondazioni databili al pieno medioevo è da citare il monastero di S. Marinae de Coccari, menzionato una prima volta nel diploma rilasciato nel 1074 da Ugo di Chiaromonte a favore del complesso di Carbone e nuovamente in un documento del 1102-1103 in cui viene ricordato tra i possedimenti del cenobio greco posti nel territorio di Calvera e di Castronuovo139.

Diverse sono ancora le fonti che descrivono le architetture del monastero e tutte concordano con il documento redatto al momento della soppressione nel 1809. Sicuramente a quella data dovevano essere state numerose le aggiunte e le modifiche apportate nel corso dei secoli, ma la planimetria e l’articolazione generale rimasero pressappoco invariate. Si ricorda pertanto: “del suddetto monistero a settentrione offre due entrate: quella del monistero propriamente situato a ponente della Chiesa e quella della Chiesa a levante di detto monistero che sporgono amendue in un istesso piano”; mentre della chiesa si dice: “ad una nave con 4 altari, oltre il maggiore, presbiterio, cupola e coro innanzi detto altare maggiore, con tre finestre verso levante oltre quelle della Cupola. Lungo fino all’arcone della cupola palmi 56, largo palmi 24, alta palmi 32”141. Una pergamena conservata presso l’Archivio di Stato di Potenza fa menzione della distribuzione del coro riferendoci: “avanti detto altare esiste il Coro dove si officia, diviso in sedici sedie di legno, colli rispettivi genuflessori ed una colonnetta di marmo ritorta ed indorata con piede di legno”142. Al piano terra erano collocate cucine, refettorio, depositi, forno, mentre al piano superiore i dormitori e i luoghi di clausura143.

Anche per il monastero di Carbone, come per buona parte dei cenobi della media valle del Sinni, la vera e propria dismissione e rovina accorse con le leggi napoleoniche di soppressione del 1809, quando il complesso venne definitivamente svuotato delle sue funzioni e dei suoi possedimenti. Descrizione unità topografica: complesso monastico di origine italo-greca. Percorrendo la S.P. 42 verso Ovest, immediatamente dopo l’ingresso nel centro abitato di Carbone, si giunge all’entrata del parco pubblico nel quale sono visibili i ruderi del monastero dei SS. Elia e Anastasio, oggi in area urbana, ad occupare la parte sommitale di un

Berton 2003, pp. 100-105. Accongia Longo 1996, pp. 47-60; Fonseca, Lerra 1992; Houben, Lunari, Spinelli 198. 142 ASP, Intendenza Basilicata, busta 1282, fasc. 220r. 143 Ibidem, fasc. 221r. 140

Ibidem, p. 185; Branco 1998, p. 97. 137 Appella 2015, p. 187. 138 Menniti s.d. f. 15r. 139 Appella 2015, p. 226. 136

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 59. - Monastero di Sant’Elia e Sant’Anastasio (Carbone, PZ). Strutture murarie superstiti.

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La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Nella veduta, proveniente da due tavole del convento di San Francesco di Carbone, sono chiaramente distinguibili un arco di ingresso sulla sinistra cui fa seguito una torre circolare (campanile?). Poste a meridione sono visibili ancora oggi le strutture di una grotta. Il corpo di fabbrica, restaurato di recente, è composto da un unico vano longitudinale suddiviso internamente da 4 archi a sesto acuto ribassato realizzati interamente in laterizio, a sostegno delle spinte naturali delle pareti di roccia. L’ambiente doveva fungere da luogo per la raccolta e lo stoccaggio delle derrate alimentari che il monastero produceva, in particolare del vino. Indicazioni bibliografiche: ASP, Intendenza Basilicata, busta 1282, fasc. 220r. Accongia Longo A., 1996, Santi monaci italogreci alle origini del monastero di Sant’Elia di Carbone, a cura di C.D. Fonseca, A. Lerra, Il monastero di Sant’Elia di Carbone e il suo territorio dal medioevo all’età moderna (Atti del convegno internazionale di studio, Potenza-Carbone, 26-27 giugno 1992), Galatina, pp. 47-60. Appella A., 2015, Il chiostro, il fiume e il castello. Il microcosmo di Carbone dall’età medievale tra monaci e signori nella valle del Serrapotamo, Lagonegro. Berton M., 2003, I monti di Carbone, in Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 7: da Episcopia e Latronico a Seluci e Monte Sirino, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, pp. 100-105.

Fig. 60. - Monastero di Sant’Elia e Sant’Anastasio (Carbone, PZ): sezione stratigrafica.

Branco L., 1998, La storia del monastero di Carbone di Paolo Emilio Santoro con la continuazione di D. Marcello Spena, Venosa.

Come ogni monastero anche S. Elia e Anastasio includevano un’area cimiteriale all’interno del perimetro del complesso, desunta ancora una volta non da indagini archeologiche, bensì dalle fonti documentarie che ne riportano notizia. Il cimitero doveva essere con buon probabilità in diretta connessione con la chiesa, come afferma chiaramente un documento datato al 1134 in cui Bisanzio da Roseto dispone che i suoi beni, nel momento del suo trapasso terreno, fossero assegnati al monastero di Carbone dove desiderava essere tumulato144. Questa e altre notizie del genere ci informano che l’area cimiteriale in questione non era prerogativa assoluta dei monaci ma anche di chi, probabilmente autori di lasciti concessi direttamente al cenobio, esprimesse la volontà di essere qui seppellito. Notizie di sepolture all’interno della chiesa sono quelle relative ai lavori di Gesualdo nel 1500, quando molte di queste, poste nel pavimento, vennero riutilizzate145. Da una rappresentazione settecentesca del complesso monastico si apprende che la struttura, oltre che posta in una naturale posizione di difesa e di controllo come ancora oggi appare il poggio su cui sorge, doveva essere fornita di almeno una torre146.

Breccia G., 1991, Archivium Basilianum. Pietro Menniti e il destino degli archivi monastici italo-greci, in Quellen und Forschungen aus italienichen Arcchiven und Bibliotheken, 71, pp. 14-105. Garufi C.A., 1902, Catalogo illustrato del tabulario di S. Maria Nuova in Monreale, Palermo. Fonseca C.D., Lerra A., 1992, Il monastero di S. Elia di Carbone e il suo territorio dal medioevo all’età Moderna, nel millenario della morte di S. Luca Abate, in Atti del convegno internazionale di studio promosso all’università degli studi della Basilicata in occasione del decennale della sua istituzione, Potenza – Carbone 26-27 giugno. Lombardi A., 1832, Saggio sulla topografia e sugli avanzi delle antiche città italo-greche lucane, daune e peucezie comprese nella odierna Basilicata, in Memorie dell’Istituto di Corrispondenza archeologica, Roma. Longo A.A., 1996, Santi monaci italogreci alle origini del Monastero di S. Elia di Carbone, in Il monastero di S. Elia, p. 478.

Garufi 1902; Lombardi 1832, p. 152. Branco 1998, p. 115. 146 Appella 2015, p. 210. 144 145

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 61. - Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (Loc. Rubeo, Noepoli - PZ). In alto: panoramica generale delle strutture superstiti; in basso: foto nadirale da drone.

Materiali diagnostici: rari ffr. di ceramica invetriata monocroma verde.

Houben H., Lunari G., Spinelli G. 1986, Monasticon Italiae. III. Puglia e Basilicata, Cesena, Badia di S. Maria del Monte.

Evidenze archeologiche e architettoniche: chiesa; fortificazioni; ambienti.

Menniti P., s.d. Istoria Cronica del Monastero Archimandritale di Carbone, «ASV», Fondo Basiliani.

Vie fluviali: complesso architettonico posta nelle immediatezze del torrente Rubbio (lungo la sua sponda orientale), affluente immissario meridionale del fiume Sinni.

6.2.10 Scheda 10 Loc. Rubeo. Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (fig. 61; tav. 4), Noepoli (PZ) (F. 211, III SE – 40.086941, 16.255049).

Condizione attuale: area boschiva.

Quota altimetrica: m 344.817 s.l.m. Fondovalle. Sponda orientale del torrente Rubbio.

Ricognizioni effettuate: il complesso architettonico è stato oggetto di numerosi sopralluoghi, alcuni condotti a terra per poter individuare le sue persistenze medievali conservate nel suo tessuto urbano e altri tramite APR, per poter realizzare una base aereofotogrammetrica aggiornata del centro.

Mappa catastale: F. 14, particella n. 5. Definizione: grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) Cronologia: XII-XIII sec. d.C. – inizi XVI sec. d.C.

Condizioni del suolo: incolto, bosco. Visibilità: mediocre. 98

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Affidabilità identificazione: buona.

protendere la sua esistenza, o almeno di parte di alcune delle sue strutture fino alla metà del XVI sec. d.C.

Stato di conservazione del deposito: mediocre.

È proprio l’edificio ecclesiastico di Rubeo, il quale è già indicato nelle mappe allegate alle “Rationes decimarum” della diocesi di Anglona e Tursi nei secoli XIII e XIV, a sopravvivere e a funzionare dopo la distruzione del casale almeno fino al 1526; difatti, in tale anno è ricordata una parrocchia di Rubio in Diocesi di Anglona, presso il bosco Sicileo e il fiume Sinni152. Ma già nel 1505 Rubio non compare nei cedolari per la riscossione dei tributi. Alcuni ambienti verranno utilizzati fino al secolo scorso come ricovero per pastori con il bestiame al seguito.

Notizie storiche: nel 1216 la chiesa di Sancti Petri de Rubeo era stata confermata da Onorio III al monastero di Santa Maria del Sagittario147. Dalla vita del Beato Giovanni da Caramola si ricava la tassazione di Rubio nel 1320 era di due once e quindici tarì per un totale di 13 fuochi. La morte di Angelo, signore di Rubio, avventa intorno al 1337, è raccontata dal biografo anonimo del Beato, il quale avvertì l’abate Ruggiero del Sagittario di procedere al recupero delle somme, presagendo in questo modo il già probabile declino del castello.

Da testimonianze raccolte da anziani del luogo, nel 1944, per colpa di un’alluvione che esondò dagli argini naturali del torrente, molti dei corpi di fabbrica che definivano il complesso non sono più visibili in quanto andati completamente distrutti. Una dettagliata descrizione del territorio di Rubio ci perviene ancora dalla documentazione certosina di San Nicola a proposito di una controversia sorta con il principe di Bisignano nel 1626. L’estensore del documento descrisse il territorio di Rubio come appartenente alla Contea di Chiaromonte, confinante con Noepoli, ceduto ai certosini con tutti i vassalli, i diritti e le giurisdizioni appartenenti a quel castello.

Nei documenti più antichi risulta in possesso di un Berencario di Rubio (il quale figura tra i testimoni firmatari del diploma di Riccardo di Chiaromonte a favore della chiesa di San Tommaso Apostolo del 1226), che era sottofeudatario dei Chiaromonte. Confiscato dagli Svevi, Rubio fu restituito ai Chiaromonte da Carlo I d’Angiò. Poi fu concesso in suffeudo ad Apollonio di Rubeo, che nel 1217 sposò Costanza figlia di Riccardo di Castromediano. Il casale di Rubio ebbe notevole importanza per la sua posizione, all’incrocio di due valli fluviali (Rubio e Sinni), in virtù della quale, assolse certamente funzioni di sentinella per la protezione della Contea di Chiaromonte. Costituiscono indizio di questa funzione le mura esterne tuttora visibili e il ricordo di una torre. Rubio passò in seguito a Riccardo, indicato anche come barone di Episcopia. Con la morte di quest’ultimo i due castelli in suo possesso passarono alla gestione diretta del Conte Venceslao Sanseverino di Chiaromonte148. Al tempo di Ladislao, nella conferma del 15 marzo 1404 delle donazioni fatte ai certosini da parte del conte di Chiaromonte, il castello di Rubio è indicato con l’espressione “dirutum et destructum”149.

Nel corso del XIV sec. d.C. non si avvertiva più la necessità di costruire agglomerati urbani in posizioni dominanti d’altura; i castelli avevano ormai perduto la loro funzione militare ed il confronto consisteva soprattutto tra ceti sociali, fra città e campagne, fra centro e periferia153. Questo fenomeno è documentato anche dal progressivo abbandono in tutta la valle del Sinni proprio di strutture di vedetta d’altura come i casi di Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT), località Il Pizzo (Valsinni, MT) e Castello di Seluci (Lauria, PZ), tutti abbandonati durante il XIV-XV sec. d.C., probabilmente snaturati dalle loro funzioni originarie.

Un documento del secolo XVI racconta: “Castrum Rubei pertinentiarum comitatus Clarimontis et confinantum cum territorio Noie ed aliis finibus, cum omnibus vassallia vassallagiis, iuribus plantandi et omnibus aliis iuribus iurisdictionibus et pertinentiis quibuscumque ad dictum feudum spectantibus e nell’anno 1426 Ruggiero Sanseverino, figlio di dicto Vincislao non solo concedè al monastero il poter congregare vassalli nel territorio del Rubio, ma in qualunque altra parte del territorio del monastero, come dall’istromento di dicta concessione”150. Nel Giustizierato di Basilicata le terre abitate documentate in numero di 148 al momento della presa di potere angioina, scendono a 96 nel 1445151, ed è da ipotizzare proprio questo periodo quale momento dell’abbandono definitivo del Rubeo anche se altre attestazioni fanno

Descrizione unità topografica: casale abbandonato de Rubeo (?) – grancia di Santa Maria di Bonavalle (?). Vi è incertezza se i ruderi siano da associare al casale/castello di Rubeo, oppure alla grancia del Sagittario non ancora individuata di S.M. di Bonovalle. In effetti, le strutture descritte in questo volume alla scheda 23154, poste in loc. Catarozzo in comune di Francavilla in Sinni, potrebbero far riferimento al castrum Rubeo, mentre queste alla scomparsa grancia di Santa Maria di Bonavalle, in considerazione anche della posizione e dell’entità delle strutture. È pur vero che senza un’indagine archeologica puntuale che definisca la vocazione di entrambi i siti, ogni supposizione rimane al momento infondata. Alcuni autori, considerata la posizione eminente dell’insediamento di loc. Catarozzo prediligono assegnare a questo l’area in cui doveva insistere il castello di Rubeo e ai ruderi

Giganti 1997, p. 68 Ibidem. 149 Ibidem. 150 Ibidem. 151 Cilento 1985, p. 104. 147 148

Racioppi 1970. Giganti 1997, p. 228. 154 Infra cap. 6, scheda 23, p. 138. 152 153

99

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 62. - Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (Loc. Rubeo, Noepoli - PZ): veduta delle strutture.

nell’alveo del torrente omonimo riconoscervi la grancia di Bonavalle155. In effetti lungo le sponde del Sinni e dei suoi affluenti vengono dislocate la maggior parte di queste strutture produttive andate distrutte con le leggi di eversione feudale napoleoniche del 1807.

sono le tracce di laterizi, perlopiù spezzoni, impiegati in muratura per regolarizzare i piani di posa. Le tracce di intonaco esistenti e il materiale edilizio legante, a granulometria fine e di colore grigiastro, presentano consistenza compatta simile a denotare la sapiente produzione dei leganti, ipoteticamente prodotti in calcare prossime al cantiere stesso.

Il complesso visibile è situato lungo la sponda orientale del torrente Rubbio, affluente meridionale del fiume Sinni oggi in agro del comune di Noepoli (PZ), ma un tempo in territorio della Contea di Chiaromonte. Lo stato di degrado e la vicinanza all’alveo del torrente hanno fortemente compromesso la stabilità e l’integrità delle strutture; il greto non arginato del Rubbio con le sue ripetute esondazioni ha già distrutto e portato via nel suo cammino buona parte degli ambienti lungo il versante occidentale, pregiudicando la staticità della porzione rimanente in parte in bilico sul costone che si è venuto a creare. L’intero complesso si sviluppa in maniera longitudinale con orientamento Nord-Sud per una lunghezza totale di ca. m 77 (fig. 62).

In uno degli ambienti posti a meridione è possibile scorgere quella che doveva essere la piccola cappella del complesso. Questa indicazione viene desunta dal rinvenimento al suo interno lungo il suo perimetrale orientale di una struttura muraria di piccole dimensioni addossata a quest’ultimo (altare?), il tutto a giustificare l’informazione fornita dalla fonti storiche in cui si fa chiaro riferimento ad un edificio ecclesiastico156. Tra gli elementi architettonici di pregio, soluzione interessante risulta essere la scelta informale di rendere i due angoli del prospetto di accesso alla cappella con semicolonne aggettanti in muratura (fig. 63). L’edificio trova chiari confronti con la vicina chiesetta della grancia di Ventrile, venuta alla luce durante le recenti indagini archeologiche157. Il confronto puntuale fra i due edifici è preciso e puntuale; anche il rinvenimento

L’organizzazione planimetrica dell’intera fabbrica sembrerebbe essere costituita da almeno 8 corpi di fabbrica di dimensioni variabili (fig. 61). Gli apparati murari sono edificati con ciottoli di media e grossa dimensione posti in opera su corsi irregolari allettati con malta. Consistenti

Giganti 1997, p. 68 Infra cap. 7.1, p. 143 e sgg. Le indagini archeologiche presso il complesso monumentale del Ventrile sono state coordinate sul campo dallo scrivente durante il biennio 2015-2016. 156 157

155

Viceconte 2005, pp. 439-448.

100

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 63. - Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (Loc. Rubeo, Noepoli - PZ): semicolonne in muratura.

Fig. 64. - Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (Loc. Rubeo, Noepoli - PZ): veduta delle strutture interne del grande vano longitudinale.

in entrambe di una piccola nicchia a semicupola lungo il perimetrale meridionale è un chiaro indicatore della stessa volontà costruttiva e progettuale. Le tracce di intonaco e di stucchi conservati nell’edificio sul Rubbio sono da ricondurre per tipologia e per stile costruttivo agli stessi presenti nella chiesa di Ventrile. Questi fattori, nella definizione interpretativa dell’intero complesso, farebbero propendere ulteriormente verso il riconoscimento di queste

strutture nella grancia di S.M. di Bonavalle, piuttosto che nel castello di Rubeo. Partendo dal versante Nord sono individuabili due corpi di fabbrica a pianta rettangolare, cui fa seguito un grande vano longitudinale scandito all’interno da tre pilastri con base ottagonale conservati nella loro interezza (fig. 64). Dall’analisi delle buche per l’alloggiamento delle travi 101

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 65. - Chiaromonte (PZ). a) Panoramica dal torrente Rubbio (in alto); b) foto obliqua da drone (in basso).

presenti su questi ultimi, si può chiaramente stabilire che la divisione dei piani del vano fosse organizzata su due livelli, di cui un piano terra e un sottotetto realizzato tra questo e i due spioventi della copertura. L’intera porzione occidentale di questo ambiente è completamente collassata a causa delle alluvioni del Rubbio, compromettendo non poco le strutture superstiti. Gli spessori murari di questi ambienti misurano ca. cm 60, mediamente più spessi dei perimetrali della cappella, dove si raggiungono spessori non superiori ai cm 45.

Racioppi G., 1970r, Storia dei Popoli Lucani II, Roma. Viceconte L., 2005, Dizionario dialettale di Francavilla sul Sinni. Etimologie, proverbi, modi di dire, canti, curiosità, favole, indovinelli, notizie, immagini che raccontano la storia, Venosa. 6.3 Siti laici fortificati 6.3.1 Scheda 11 Chiaromonte (PZ) (fig. 65) (F. 211, II N.O. – 40.123021, 16.213880)

Indicazioni bibliografiche: Cilento N., 1985, La Lucania bizantina, «Bollettino Storico della Basilicata», 1.

Quota altimetrica: m 794 s.l.m. Sommità montuosa.

Giganti A., 1997, Francavilla nella media valle del Sinni. Origine di un microcosmo rurale del secolo XV, Francavilla in Sinni.

Definizione: centro fortificato d’altura.

102

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Cronologia: X-IX sec. a.C. – a continuità di vita. Per le fasi medievali si hanno attestazioni archeologiche e documentarie a partire dal VII-VIII sec. d.C., con una fase pienamente medievale di XI-XII sec. d.C.

demico sui colli sommitali, fenomeno facilitato in questi luoghi grazie all’assenza di grossi centri urbani161. A questa peculiare situazione corrispose proprio la presenza di importanti famiglie feudali come quella normanna dei Clermont, già attestata nei primi decenni del XI sec. d.C., a cui succederà nel XIV sec. d.C. la potente famiglia dei Sanseverino.

Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: necropoli altomedievale in loc. Largo dell’Area Sacra; castello; sistema fortificato medievale, torri di difesa a pianta circolare e rettangolare; monastero dei frati della riforma del Carmine; chiesa palaziale collegiata di San Tommaso Apostolo; chiesa di San Giovanni Battista.

La posizione di Chiaromonte non fu però preminente solo dal punto di vista politico-amministrativo ma fu, peraltro, particolarmente importante anche sotto il profilo religioso, considerando la presenza di molti luoghi di culto sul suo territorio. Venne favorita l’affluenza di alcune considerevoli comunità monastiche le quali fondarono i relativi cenobi, riqualificando il livello di vita della popolazione e rafforzandone la religiosità. Tali comunità risollevarono l’economia di questi luoghi, tanto da trasformare terreni incolti in fattorie altamente redditizie e imprimendo una svolta alle produzioni attraverso l’incremento della zootecnia e delle attività commerciali. Venne loro affidato lo sfruttamento delle risorse del territorio rurale nonché la riorganizzazione della compagine demografica, considerando che, tra VIII e IX sec. d.C., sia il monachesimo latino sia quello orientale furono molto attivi nel ripopolamento di aree ormai abbandonate162.

Vie fluviali: fiume Sinni sul versante meridionale e torrente Serrapotamo su quello settentrionale. Condizione attuale: area edificata urbana. Ricognizioni effettuate: il centro fortificato d’altura è stato oggetto di numerosi sopralluoghi, alcuni condotti a terra per poter individuare le sue persistenze medievali conservate nel suo tessuto urbano e altri tramite APR, per poter realizzare una base aereofotogrammetrica aggiornata del centro. Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: buona.

Per quanto riguarda la consistenza documentaria, notevole importanza ha rivestito ancora una volta l’opera dei monaci cistercensi e certosini presenti su questi territori, permettendo di ricostruire un quadro quanto più completo delle fasi di vita del centro. In tal senso fondamentale risulta l’analisi delle pergamene del monastero di Santa Maria del Sagittario163 e di San Nicola in Valle164, attraverso le quali è stato possibile riconoscere le relazioni intercorse fra il potere laico e quello ecclesiastico, dispiegando in tutto il ruolo centrale di Chiaromonte nella valle del Sinni.

Affidabilità identificazione: buona. Stato di conservazione del deposito: discreto. Notizie storiche158: è in veste di centro di Contea che Chiaromonte esercitò, con l’arrivo della famiglia normanna dei Clermont, un ruolo primario nella giurisdizione politica e amministrativa di molti centri della valle del Sinni, fruendo in seguito sotto i Sanseverino di una posizione privilegiata connessa al prestigio e alla potenza dei feudatari durante il governo dei loro predecessori. Il territorio effettivo della Contea doveva estendersi ad Ovest fino alle pendici del Monte Sirino, passando per i rilievi del massiccio del Pollino, lungo la valle percorsa dall’alveo del fiume Sinni e giungendo ai territori di Policoro e Scanzano sul Mar Ionio159; al suo interno comprendeva parte del territorio del Mercourion e del Latinianon, particolarmente attive nello sviluppo di nuovi poli religiosi sia di rito greco sia latino, oltre che essere interessato dal fenomeno parallelo dell’incastellamento a partire dal X-XI sec. d.C.160 È proprio a partire dall’XI secolo che la tipologia insediativa cambia rispetto ai secoli precedenti, passando da un schema di popolamento sparso a carattere rurale verso l’intensificarsi dell’insediamento

Particolarmente carente di informazioni risulta essere al momento la fase altomedievale, se si eccettuano le testimonianze restituite dalla necropoli − documentata archeologicamente − rinvenuta presso l’incrocio tra Largo dell’Area Sacra e via Arnaldo Spaltro, dove un corredo tombale in particolare ha restituito un medaglione in oro di pregiata fattura decorato a cloisonné, tipologicamente simile a quelli rinvenuti nella vicina Senise assimilabili, questi ultimi, ad esempi della Puglia settentrionale165.

Sogliani 2010, p. 149; 2017, pp. 265-312; 2018a, pp. 36-47; 2020, pp. 247-320; Toubert 1973. 162 Houben, Lunari, Spinelli 1986. 163 Infra cap. 6, scheda 7, p. 82. 164 Infra cap. 6, scheda 8, p. 85. 165 Bianco et al. 2020; Bianco 2020, pp. 219-272; Bottini A. 1995, p. 638; 1996, pp. 491, tav. XXV; Corrado 2001, pp. 232-234. La necropoli era composta da 190 tombe, fra le quali si è rinvenuta l’inumazione infantile 422, che ha restituito oltre ad un pomo emisferico in osso ed una coppia di orecchini in oro, una fibula a disco, anch’essa in oro, decorata da sei paste vitree definite da complessi motivi in filigrana a coronamento della porzione centrale in cui viene effigiata la figura della Madonna con bambino, databile da confronti stilistici con un esemplare da Senise (PZ) alla seconda metà del VII secolo. 161

158 Per approfondimenti storiografici relativamente a Chiaromonte e all’intera valle del Sinni, si veda: infra cap. 2, p. 7. 159 Sul territorio della Contea dovevano insistere i centri di: Chiaromonte, Senise, Noepoli, San Chirico, Teana, Episcopia, Latronico, Policoro, Scanzano, Tursi, Calvera, Rotondella, Cersosimo, Rubbio, Castelsaraceno, Agromonte, Rotonda. 160 Dalena 1994; 1995; Elefante 1985; Faggella 1994; von Falkenhausen 1996, pp. 27-36; Fiorani 1996.

103

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 66. - Chiaromonte (PZ). Restituzione aerofotogrammetrica su base ortofoto 2013.

Meno dubbi conoscitivi insistono sul convento dei frati della Riforma del Carmine il quale, indicato dalle fonti, oggi potrebbe essere riconosciuto nelle strutture messe in luce durante gli interventi di scavo archeologico presso l’area c.d. Torre della Spiga. Come già più volte affermato, le famiglie succedutesi al governo della Contea di Chiaromonte hanno sempre avvallato e favorito la fondazione di complessi monastici direttamente sulle loro proprietà terriere166, consapevoli delle loro notevoli capacità di organizzazione del territorio.

del centro storico non possono essere unicamente ricondotti alla fase normanna, ma probabilmente contengono una significativa fase pre-normanna dalla quale si avvia l’ampliamento nei secc. XI-XII d.C. Anche le attività di survey effettuate nel territorio del comune di Chiaromonte non hanno permesso di evidenziare una fase chiaramente riferibile ad epoca altomedievale167; il dato farebbe propendere verso l’idea di una contrazione dell’abitato sparso delle campagne circostanti in favore di una maggiore concentrazione abitativa e difensiva in altura.

I sopralluoghi effettuati nei vari complessi permettono di comprendere in quale stato di conservazione versa il patrimonio architettonico-archeologico di Chiaromonte. I nuclei ecclesiastici extraurbani si presentano spesso in pessime condizioni considerando che strutture come il monastero del Sagittario, a ormai due secoli dalla dismissione, sono state utilizzate quasi esclusivamente come cave di materiale per l’edilizia privata.

Descrizione unità topografica: posto sulla sommità di un rilievo collinare facilmente difendibile, Chiaromonte, oggi come in epoca antica e medievale, è collocato lungo un crinale orientato in direzione Sud-Ovest/Nord-Est che separa il versante del torrente Serrapotamo dal versante del fiume Sinni. Il pianoro sommitale, elevato ad una quota di m 790 s.l.m., costituisce probabilmente la prima area protetta dell’insediamento, motivo per cui anche la famiglia normanna dei Clermont scelse quale roccaforte e baluardo del loro potere nella valle del Sinni il luogo dove sorge l’attuale centro storico di Chiaromonte. L’abitato si presenta come un impianto urbano formatosi con aggiunte e accrescimenti successivi. L’orografia è particolarmente marcata sul versante settentrionale e molto più lieve su quello meridionale degradante verso il Sinni.

Situazione parzialmente migliore è riscontrabile nelle strutture presenti all’interno del tessuto urbano di Chiaromonte dov’è possibile riconoscere quelli che sono gli accrescimenti dei diversi circuiti fortificati sviluppatisi nel corso dei secoli. (fig. 66). L’articolazione e l’estensione

166 Il monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (con la grancia di Ventrile e quella urbana nel centro abitato di Chiaromonte), il monastero certosino di San Nicola in Valle e il convento urbano dei frati della Riforma del Carmine.

167

104

Manzelli 2001, pp. 113-152.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Le prime fasi di frequentazione umana nel territorio di Chiaromonte, attestate archeologicamente, si collocano nel Paleolitico medio l’intensificarsi delle evidenze durante il Bronzo Medio (seconda metà XVII-fine XIV sec. a.C.). Tracce più consistenti di un insediamento stabile si hanno durante la fase enotria (fine X/IX-V sec. a.C.) su aree già occupate in precedenza (Sotto la Croce e Angri) e anche su aree nuove come loc. Serrone, San Pasquale, Santo Spirito, Tuvole e Torre Spiga168. La fase lucana (IV-III sec. a.C.) denota l’intensificarsi dell’occupazione stabile e più duratura del territorio di Chiaromonte con la presenza umana maggiormente documentata nel territorio circostante e meno in prossimità del nucleo centrale di Chiaromonte169. In età romana (fine III sec. a.C.-III sec. d.C.) e durante il periodo tardoantico (IV-V sec. d.C.), sull’intero territorio di Chiaromonte si registra una forte contrazione della frequentazione con la riduzione delle aree occupate. Si intensifica l’occupazione delle aree extraurbane con realtà archeologiche in loc. Ponte, Cupolo e Maldinaso170. Si tratta di realta abitative rurali a carattere sparso, impianti abitativi e produttivi (ville) poste a gestione di aree ricche di risorse naturali (acqua, boschi, ecc.) e adatte allo sfruttamento agricolo, all’allevamento di bestiame e alla gestione dei grandi corsi d’acqua come la villa con impianto termale rinvenuta durante le attività di scavo archeologico del 2015-16 presso il complesso di Ventrile171.

del castello Chiaromonte/Sanseverino ed è delimitata dalla direttrice corrispondente a via Arnaldo da Brescia. La stessa organizzazione planimetria del castello sembra essere stata sviluppata facendo ricorso a modelli di incastellamento già ricorrenti in altre aree fortificate d’altura173. Partendo dall’edificazione di una torre, la fortezza si sviluppa per successivi ampliamenti fino a definire in pianta una struttura ad “L” su tre livelli, uno dei quali seminterrato, e con le due facciate rivolte verso il lato occidentale e meridionale dell’altura. Si viene così a creare tra i due bracci del complesso un cortile protetto dallo stesso recinto fortificato. Al centro è ancora visibile un pozzo per la captazione delle acque meteoriche, e sempre da qui si accede internamente a due delle torri del sistema fortificato lungo il versante orientale del centro di Chiaromonte174. Lungo il versante orientale è possibile, invece, riconoscere un sistema di difesa lineare con andamento Nord-Sud intervallato da torri circolari e rettangolari. Questa porzione dell’abitato ricade attualmente all’interno del giardino privato del palazzo baronale di Giura (area acquisita da questa famiglia agli inizi dell’800); per tale motivo, probabilmente, lo stato di conservazione delle torri e delle mura risulta essere decisamente migliore rispetto al resto delle fortificazioni, conservando completamente l’elevato originario delle strutture.

La riduzione del dato archeologico, già registrata durante tutta la fase tardoantica, viene confermata anche nella successiva fase altomendievale. Le attività di survey effettuate nel territorio del comune di Chiaromonte non hanno permesso di riscontrarne traccia172; il dato, in questo caso, al contrario ancora delle precendenti fasi di età romana e tardoantica, farebbe propendere verso l’idea di una contrazione dell’abitato sparso delle campagne circostanti in favore di una maggiore concentrazione abitativa e difensiva in altura.

Lo schema planimetrico dell’abitato medievale riprende modelli fortificati d’altura. Anche per Chiaromonte il sistema difensivo si accresce grazie allo sviluppo di tre cinte murarie, definendo l’ultima fase insediativa sotto la reggenza della famiglia Sanseverino. In particolare, un primo baluardo è costituito da una cortina muraria che protegge il lato Nord del versante occidentale nell’area c.d. della Torre della Spiga; una seconda cingeva l’abitato e gli edifici di culto (chiesa dell’Immacolata e chiesa di San Giovanni Battista); sulla sommità, infine, si trova il recinto fortificato che cingeva l’area residenziale del dominus, culminante nell’edificazione sul versante orientale della residenza fortificata.

Tracce della contrazione e fortificazione dell’abitato presso l’area sommitale sono chiaramente visibili durante la piena età medievale, quando Chiaromonte diventa un centro d’altura fortificato. Per quanto riguarda il tessuto urbano, il versante esposto verso il torrente Serrapotamo è definito dalla cinta muraria i cui resti affiorano in più punti nella direttrice congiungente il castello e i ruderi di una torre circolare conservatisi a monte della spianata della loc. Torre della Spiga.

Indicazioni bibliografiche: Bianco S., 2020, Il territorio di Chiaromonte dall’alto medioevo agli inizi dell’eta normanna (VII-XII secolo d.C.), in Chiaromonte. Un centro italico tra archeologia e antropologia storica. Studi in memoria di Luigi Viola, a cura di S. Bianco et alii, Venosa, pp. 219-272.

L’intera area, inclusa nella cinta medievale, domina dall’alto il sottostante abitato, mentre il castello sanseverinesco è collocato ad una quota notevolmente inferiore rispetto alla sommità del rilievo. L’espansione di epoca normanno/sveva è da porre immediatamente a valle

Bianco S., De Siena A., Mancinelli D., Preite A. (a cura di), 2020, Chiaromonte. Un centro italico tra archeologia e antropologia storica. Studi in memoria di Luigi Viola, Venosa. Bottini A., 1995, L’attività archeologica in Basilicata nel 1995, in Eredità della Magna Grecia, Atti del

Per una sintesi completa di veda: Bianco et alii 2020. 169 Preite 2020, p. 78. 170 Bianco 2020, pp. 219-272; Preite 2020, p. 78. 171 Per una sintesi completa si veda: infra cap. 7, par. 7.1.5 e 7.1.6, pp. 150 e 151. 172 Manzelli 2001, pp. 113-152. 168

173 174

105

Crimaco, Sogliani 2002, p. 189; 2012. Vitale 2014, pp. 215-233.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Toubert P., 1973, Les structures du Latium médiévale, Roma.

Trentacinquesimo Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto 6-10 ottobre 1995), Taranto, pp. 627638.

Vitale V., 2014, La Contea di Chiaromonte (Basilicata): fonti documentarie e persistenze archeologiche. Materiali per la ricostruzione storico-insediativa dall’età normanna al basso medioevo, a cura di F. Meo, G. Zuchtriegel, Siris Herakleia Polichoron. Città e campagna tra antichità e medioevo, Atti del Convegno (Policoro, 12 luglio 2013), «Siris», 14, pp. 215-233.

Corrado M., 2001, Manufatti altomedievali da Senise: riesame critico dei dati, in Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 4: zona di Senise, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, pp. 227-254. Crimaco L., Sogliani F. (a cura di), 2002, Culture del passato, la Campania settentrionale tra preistoria e medioevo, Napoli.

6.3.1.1 Scheda 11a

Crimaco L., Sogliani F. (a cura di), 2012, La Rocca Montis Dragonis nella Terra di Mezzo. La ricerca archeologica nel bacino tra Volturno e Garigliano dalla protostoria al Medioevo, Mondragone (2 ed.).

Torre della Spiga e recinto fortificato (fig. 67), Chiaromonte (PZ) (F. 211, II N.O. – 40.124131, 16.210773) Quota altimetrica: m 759.417 s.l.m. Sommità rocciosa, versante occidentale.

Dalena P., 1994, I Cistercensi nella Basilicata medievale, in I Cistercensi nel Mezzogiorno medievale, a cura di H. Houben, B. Vetere, Atti del Convegno internazionale di studio in occasione del IX centenario della nascita di Bernardo di Clairvaux (Martano-Latiano-Lecce 1991), Galatina, pp. 285-316.

Mappa catastale: F. 16, particelle nn. 547, 548, 881. Definizione: area fortificata urbana. Cronologia: prime attestazioni VI sec. a.C.175 – XI-XII sec. d.C., XIII-XIV sec. d.C.

Elefante F., 1985, La Grancia del nobile Tancredi, in Città domani, Potenza. Faggella R., 1994, Basiliani e Benedettini a confronto. Il monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario di Chiaromonte, Potenza.

Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: 3 torri a pianta circolare con lato interno aperto, 1 torre d’angolo a pianta triangolare; resti di parte delle fondazioni del probabile monastero dei Frati della Riforma del Carmine.

von Falkenhausen V., 1996, La diocesi di Tursi-Anglona in epoca normanna-sveva: terra d’incontro tra greci e latini, in Santa Maria di Anglona, a cura di C.D. Fonseca, V. Pace, V., Atti del Convegno internazionale di studio promosso dall’Università degli Studi della Basilicata in occasione del decennale della sua istituzione (PotenzaAnglona 1991), Galatina, pp. 27-36.

Vie fluviali: fiume Sinni sul versante meridionale e torrente Serrapotamo a settentrione. Condizione attuale: area edificata urbana; attualmente, nell’area prossima alle strutture, è stata realizzata una cavea in cemento armato destinata ad area spettacolo.

Fiorani D., 1996, Tecniche costruttive murarie medievali. Il Lazio meridionale, Roma. Houben H., Lunari G., Spinelli G. 1986, Monasticon Italiae. III. Puglia e Basilicata, Cesena, Badia di S. Maria del Monte.

Ricognizioni effettuate: l’area detta Torri della Spiga è stata oggetto di numerosi sopralluoghi, alcuni condotti a terra e altri tramite APR, per poter realizzare una base aereofotogrammetrica aggiornata dell’intera area.

Manzelli V., 2001, La zona di Chiaromonte, in Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 5: da Castronuovo di S. Andrea a Chiaromonte, Calvera, Teana e Fardella, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, pp. 113-152.

Condizioni del suolo: parzialmente edificato. Visibilità: buona. Affidabilità identificazione: ottima.

Preite A., 2020, Chiaromonte: storia delle ricerche e dinamiche di antropizzazione pre-protostorica, in Chiaromonte. Un centro italico tra archeologia e antropologia storica. Studi in memoria di Luigi Viola, a cura di S. Bianco et alii, Venosa, pp. 57-90.

Stato di conservazione del deposito: buono (restaurato). Notizie storiche: nel 1660 la stima della Terra di Chiaromonte venne affidata al Tavolario Giuseppe Gallarano il quale approntò un “apprezzo” con i disegni ed una dettagliata relazione sul sito fortificato di Chiaromonte e sulla sua popolazione. “Detta Terra è situata sopra una montagna eminente al mezzo giorno coverta da un lato

Sogliani F., 2010, Il mondo rurale della Basilicata nel Medioevo. La lettura archeologica della compagine insediativa, delle modalità di controllo e sfruttamento territoriale e dei sistemi socio-economici delle campagne tra X e XIII secolo, «Archeologia Medievale», XXXVII, pp. 145-169.

175

106

Preite 2020, p. 78.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 67. - Chiaromonte (PZ), loc. Torre della Spiga: a) foto nadirale da drone (in alto); b) panoramica (in basso).

107

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale terra della istessa montagna con scoverti de quantità de miglia da lungo si entra nella terra predetta per tre parti serrate de mura antiche, ove formano da parte in parte alcuni torrioni tondi, et torri quadre ad uso antico de mura per detta antichità sono in molta parte rovinate, et cascate, ma per l’assise di detta Terra et l’apprezzo della (…) la maggior parte sopra pietre vive, et unione di case viene a formare detta Terra forte, che con poca gente si possono difendere da moltitudine grande di nemici 176”. Descrizione unità topografica: lo sviluppo difensivo e urbano di Chiaromonte è caratterizzato dall’allineamento a schiera degli edifici sul versante del Sinni lungo le naturali curve di livello, perpendicolari al pendio e degradanti per successivi terrazzamenti. Il paese tende a svilupparsi verso il basso per successive adduzioni di nuovi aggregati. Un secondo ampliamento dell’abitato antico è leggibile in tutto l’edificato a valle di via Arnaldo da Brescia. È databile alla fase corrispondente all’inizio e consolidamento del dominio sanseverinesco e trova il caposaldo principale nella edificazione della nuova parrocchiale, la chiesa di San Giovanni Battista, che in corrispondenza di un terzo ed ancor più accentuato terrazzamento naturale, materializza l’allineamento della cinta muraria tardomedievale. Quest’ultima, rimaneggiata e restaurata nei secoli successivi è ancora chiaramente individuabile in molti tratti ed intuibile in altri; ingloba, oltre ai nuclei urbani preesistenti, l’intero quartiere adiacente la chiesa di San Giovanni ed il piazzale dell’area c.d. Torri della Spiga177. A valle della chiesa Madre l’individuazione della perimetrazione medievale è resa problematica dall’accavallarsi degli addossamenti alla cinta realizzata dall’edilizia ottocentesca e di inizio novecento. Muovendo dal Calancone in direzione del c.d. Purtiello (l’unico varco di accesso alle fortificazioni tuttora ben conservato), il percorso della cinta coincide grosso modo con la direttrice dei vicoli a valle di via Mario Pagano fino a saldarsi con la porta sottostante la chiesa Madre. L’edilizia minuta a valle di San Giovanni, compreso il portone, è da interpretare come uno sviluppo caotico formatosi a ridosso della fortificazione di epoca tardomedievale coincidente all’incirca con l’affaccio a valle di via Mario Pagano e della chiesa di San Giovanni.

Fig. 68. - Chiaromonte (PZ): portale di difesa (XIV sec. d.C.) c.d. purtiello.

con il seminario. Dal Palazzo Vescovile la cinta muraria coincidente prima con il bordo a monte e poi con quello a valle dell’attuale via V. Emanuele, giunge fino alla torre angolare del palazzo della famiglia di Giura per svoltare verso il castello. La torre segna il limite occidentale dello sviluppo medievale di Chiaromonte. Per tentare di ipotizzare una ricostruzione del circuito fortificato urbano di Chiaromonte, composto da mura e torri, bisogna prendere le mosse dall’abbattuta porta medievale definita “Muro della Porta”, presumibilmente localizzata in via V. Emanuele nelle immediate vicinanze di quello che oggi è il palazzo degli uffici178 (fig. 69).

Il c.d. purtiello, anch’esso restaurato nei primi anni del XXI secolo, e pertanto in ottimo stato di conservazione, permette di comprendere come fosse organizzato uno dei varchi all’area fortificata di Chiaromonte durante il XIV sec. d.C. (fig. 68). Il varco d’ingresso, realizzato con un arco a tutto sesto, è inquadrato con grossi blocchi di puddinga ben squadrati (lato cm 40x40); sorto in posizione orografica favorevole rispetto a chi giunge a Chiaromonte, si sviluppa in altezza per oltre m 8.

Seguendo da questa posizione in direzione orientale si incontra a meno di m 100 la prima delle torri circolari superstiti. Questa, riutilizzata in qualità di torre del palazzo dei baroni di Giura, in seguito al reimpiego che ne ha stravolto in parte la fisionomia con l’aggiunta di merlature sommitali, esclusivo gusto dei baroni, è stata recentemente restaurata; fino a pochi anni fa vi albergava la biblioteca di palazzo e la sala c.d. Cinese (così denominata per la collezione di oggetti di manifattura cinese qui riportati dal viaggio di ritorno in Italia da

Dalla parrocchiale, la direttrice delle mura, sviluppandosi lungo il terrazzamento che guarda il Sinni, si congiunge 176 177

Stigliano 1996, pp. 27-28, 125-143. Ibidem.

178

108

Vitale 2015c, pp. 11-22.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 69. - Chiaromonte (PZ). Individuazione porta di San Cristoforo (foto storica 1937).

parte di uno dei membri di Giura, mandarino alla corte imperiale cinese). Esternamente sono visibili una serie di bifore, gusto del rifacimento sempre dei di Giura e certamente elementi non riconducibili alla fase originaria della torre stessa (fig. 70).

abitative. Presenta nella facciata esterna cinque finestre con la sommità coperta da un tetto a doppio spiovente rivestito con tegole moderne da cui fuoriesce la cappa di un camino. Numerose sono anche le risarciture nel prospetto orientale, con largo impiego di materiali moderni.

Procedendo verso Nord, lungo la direttrice costituita dalla torre del palazzo di Giura, sono visibili in sequenza due torri, ambedue a pianta quadrata, a cui fa seguito una successiva torre circolare, tutte riferibili al XIV sec. d.C. La prima di queste presenta una notevole elevazione rispetto a quella immediatamente successiva, con uno spessore murario di ca. cm 80, riprendendo gli stessi moduli costruttivi del sistema fortificato di questa fase (fig. 71).

La successiva torre circolare, anch’essa del tipo ‘a lato interno aperto’ misura in altezza ca. m 10 e presenta un discreto stato di conservazione, dovuto con buone probabilità alla manutenzione avvenuta tra ‘800-’900 da parte della stessa famiglia di Giura. Gli spessori murari della struttura raggiungono anche in questo caso ca. cm 80. Oggi si mostra all’esterno per lo più avvolta da edera rampicante, mentre l’interno e quasi completamente colmato da depositi terrosi. Non presenta elementi decorativi o feritoie, quest’ultime molto probabilmente tamponate durante il secolo scorso.

La successiva torre è stata notevolmente rimaneggiata durante il secolo XX e attualmente assolve funzioni 109

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 70. - Chiaromonte (PZ): torre del palazzo di Giura.

Segue in direzione Nord un’altra torre a pianta circolare, la quale saldava la cinta interna con l’esterna tramite il lungo tratto murario che giace sullo spiovente settentrionale del Catarozzolo e che doveva arrivare, passando dal castello Chiaromonte/Sanseverino fino all’area Torre della Spiga (fig. 72). La struttura, conservata come la precedente nelle sue dimensioni originali, fu riutilizzata internamente nel piano superiore come pollaio e legnaia da parte delle suore che abitarono da inizio ‘800 il palazzo Chiaromonte/ Sanseverino, acquistato dalla diocesi di Tursi-Lagonegro successivamente alle leggi napoleoniche di eversione feudale. Proseguendo verso occidente si giunge alla sesta torre, a cui in età moderna è stata addossata una costruzione; questa struttura fortificata doveva gestire la difesa lungo il versante Nord-occidentale di Chiaromonte. Fortemente modificata nella sua planimetria originale dal passaggio di una strada comunale che l’attraversa, è stata con buone probabilità ulteriormente demolita per poter riutilizzare il materiale da costruzione nell’edilizia privata dell’area. Si presenta nel suo sviluppo con un elevato notevolmente ridotto rispetto alle altre torri finora descritte, raggiungendo l’altezza di ca. m 3. Lo spessore murario risulta essere a differenza più consistente, variando da m 0.80 a m 1. Il materiale impiegato nella costruzione rimane sempre lo stesso delle fabbriche medievali chiaromontesi trattandosi di elementi in roccia sedimentaria che compongono il substrato geologico del paese (puddinga); le bozze fanno riferimento ad elementi spaccati di medie dimensioni messi in posa su corsi prettamente irregolari. La tecnica costruttiva conserva, ciononostante, un elevato sapere tecnico, seppur stilisticamente dozzinale nella fattura.

Fig. 71. - Chiaromonte (PZ), giardino del palazzo di Giura: torre a pianta rettangolare (XIV sec. d.C.).

La linea di difesa in questo punto viene fatta avanzare in direzione orientale con la costruzione di un pesante terrazzo in muratura, il quale costituisce il basamento fortificato dello stesso castello Chiaromonte/Sanseverino. 110

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 72. - Chiaromonte (PZ): torre circolare (a sinistra) e mura di fortificazione (a destra).

In facciata si conserva un’unica feritoia, orientata in direzione occidentale, in comunicazione visiva con il ridotto fortificato del limitrofo centro di Teana.

impiantano) (fig. 74). A metà del prospetto interno sono visibili quattro incassi per travi, a denotare la divisione su due piani degli spazi. Al piano superiore si ritrovano due strette feritoie orientate una verso Ovest e una verso NordEst.

Proseguendo in direzione Sud-Ovest è possibile incontrare un’ulteriore torre a pianta circolare, la settima (fig. 73). Dal ridotto sviluppo planimetrico (conserva un diametro interno di poco superiore ai m 2), si conserva per ca. m 1 in alzato. Lo stato di conservazione dell’edificio, seppur deplorevole, permette di avanzare ipotesi per quanto riguarda le sue originarie fattezze, considerato il notevole sviluppo dello spessore murario. La struttura era rivolta a guardia del versante Nord-occidentale di Chiaromonte, e si apriva con un piccolo accesso in direzione interna verso Sud-Est. Tra queste due torri è emerso da un sondaggio effettuato durante le ultimi indagini archeologiche condotte dalla Soprintendenza Archeologica di Basilicata, in riferimento ai lavori di risistemazione dell’area, un tratto delle mura di fortificazione, rasato all’altezza dell’attuale piano di campagna. Questo, orientato in direzione NordEst/Sud-Ovest, consentiva la chiusura e il collegamento tra le due torri appena descritte.

Il piano pavimentale superstite (anch’esso riferibile con buone probabilità alla fase conventuale della struttura) è realizzato con due soluzioni tecniche differenti di posa dei mattoni: nella porzione più estesa di piatto, mentre in un’altra minuta di taglio. Indicazioni bibliografiche: Stigliano G., 1996, L’apprezzo di Chiaromonte del 1660, in Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera/ Rivista di Cultura Lucana, Amministrazione Comunale di Matera, fasc. 27-28, pp. 125-144. Preite A., 2020, Chiaromonte: storia delle ricerche e dinamiche di antropizzazione pre-protostorica, in Chiaromonte. Un centro italico tra archeologia e antropologia storica. Studi in memoria di Luigi Viola, a cura di S. Bianco et alii, Venosa, pp. 57-90.

L’area che segue in direzione occidentale è composta da altre due strutture difensive: la prima a pianta circolare, precede la successiva e ultima a pianta triangolare. Questa struttura difensiva circolare, essendo costruita su uno sperone roccioso degradante e dalle forti pendenze, presenta un’altezza misurabile dall’esterno di m 7.30 che diventa m 5 dal piano pavimentale interno. Lo spessore murario, anche in questo caso, varia dai cm 80 a m 1. Internamente la struttura presenta, tra la porzione occidentale e quella orientale, un’organizzazione simmetrica degli elementi; nella porzione inferiore (in quello che doveva essere il piano terra della torre), difatti, sono visibili due feritoie separate tra loro da un focolare superstite (con buone probabilità riferibile alle strutture monastiche che ivi si

Vitale V. 2015c, La Contea di Chiaromonte: persistenze archeologiche dai Clermont (XI sec. d.C.) ad oggi, in La Contea di Chiaromonte. Ceti sociali ed istituzioni ecclesiastiche tra XIV e XVIII secolo d.C., a cura di V. Vitale, M. Lista, Lagonegro, pp. 11-22. 6.3.1.2 Scheda 11b Palazzo Chiaromonte/Sanseverino (fig. 75), Chiaromonte (PZ) (F. 211, II N.O. – 40.124925, 16.213774) Quota altimetrica: m 781.100 s.l.m. Sommità montuosa, versante orientale.

111

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 73. - Loc. Torre della Spiga (Chiaromonte, PZ): tipologie torri di fortificazione.

Mappa catastale: F. 16, particella n. 255.

Evidenze archeologiche e architettoniche: torre normanna (?); palazzo fortificato; 2 torri a pianta circolare a lato interno aperto (XIV sec. d.C.).

Definizione: torre normanna (?); palazzo Chiaromonte/ Sanseverino.

Vie fluviali: fiume Sinni sul versante meridionale e torrente Serrapotamo su quello settentrionale.

Cronologia: fondazione XI sec. d.C. – XVIII sec. d.C. (acquisito dalla diocesi Tursi-Lagonegro) – XXI sec. d.C.

Condizione attuale: recentemente restaurato. Dal XVIII sec. d.C. diviene proprietà della diocesi di TursiLagonegro.

Materiali diagnostici: nessuno.

112

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Ricognizioni effettuate: l’area su cui insistono le strutture del palazzo Chiaromonte/Sanseverino è stata oggetto di numerosi sopralluoghi, alcuni condotti a terra per effettuare campagne fotografiche documentarie e altri tramite APR per ottenere una base aereofotogrammetrica aggiornata.

Condizioni del suolo: area edificata urbana. Visibilità: buona. Affidabilità identificazione: ottima. Stato di conservazione del deposito: nel 2020 sono terminati i lavori di restauro del complesso nella porzione Nord/Nord-Ovest. I corpi di fabbrica della porzione Ovest e Sud erano già stati restaurati qualche anno fa. La porzione orientale dell’area, con le torri circolari e parte delle mura di fortificazione sono state attualmente ripulite ma non restaurate. Notizie storiche: nel 1546 la Contea di Chiaromonte aveva avuto una sua platea compilata da Sebastiano Lavalle; a distanza di poco di più di un secolo (1660) venne redatto un nuovo apprezzo da Giuseppe Gallarano per conto di Carlo Sanseverino179. Questo documento allo stato attuale della ricerca è l’unica testimonianza scritta che consente di poter effettuare una ricostruzione storica di monumenti dell’abitato medievale di Chiaromonte e, pertanto, anche del palazzo Chiaromonte/Sanseverino. Il palazzo, vista la sua felice posizione, si prestava ad essere una valida fortezza. Nel 1660 la stima della Terra di Chiaromonte venne, pertanto, affidata al Tavolario Giuseppe Gallarano, il quale

Fig. 74. - Loc. Torre della Spiga (Chiaromonte, PZ): focalare.

Fig. 75. - Palazzo Chiaromonte/Sanseverino (Chiaromonte, PZ): foto nadirale da drone. 179

113

Stigliano 1996, fasc. 27-28, pp. 125-143.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Descrizione unità topografica: torre normanna (?); palazzo Chiaromonte/Sanseverino. La sommità topografica di Chiaromonte è culminante nell’edificazione sul versante orientale della residenza fortificata, prima residenza della famiglia normanna dei Clermont, in seguito della famiglia dei Sanseverino. L’organizzazione planimetria del castello sembra essere stata sviluppata facendo ricorso a modelli di incastellamento già ricorrenti in altre aree fortificate d’altura182. Partendo dall’edificazione di una torre, la fortezza si sviluppa per successivi ampliamenti fino a formare una struttura ad “L” su tre livelli, uno dei quali seminterrato, e con le due facciate rivolte verso il lato occidentale e meridionale dell’altura; si viene così a creare tra i due bracci del complesso un cortile protetto dallo stesso recinto fortificato che cinge l’intera fortezza, da cui si accede internamente a due delle torri del sistema fortificato di Chiaromonte183. L’ipotesi iniziale dello sviluppo del castello da una torre primigenia a pianta rettangolare da porre nell’angolo Sud-Ovest del complesso, è ormai priva della possibilità di essere convalidata. La lettura stratigrafica muraria, compromessa dai rivestimenti moderni di intonaco sulle superfici murarie, e l’assenza di dati archeologici non consentono un’attribuzione cronologica e tipologica chiara dei suoi elementi. Uno scatto fotografico datato al 1947 consente, comunque, il riconoscimento di diverse fasi di vita sui prospetti del complesso (fig. 76).

approntò un apprezzo con relative tavole (non pervenute) e una dettagliata relazione sull’intero abitato di Chiaromonte: “Detta Terra è situata sopra una montagna eminente al mezzo giorno coverta da un lato terra della istessa montagna con scoverti de quantità de miglia da lungo si entra nella terra predetta per tre parti serrate de mura antiche, ove formano da parte in parte alcuni torrioni tondi, et torri quadre ad uso antico de mura per detta antichità sono in molta parte rovinate, et cascate, ma per l’assise di detta Terra et l’apprezzo della (…) la maggior parte sopra pietre vive, et unione di case viene a formare detta Terra forte, che con poca gente si possono difendere da moltitudine grande di nemici”180. Il tessuto urbano di Chiaromonte evidenzia una sorta di anomalia, leggibile in due elementi: l’apparente vuoto dell’edificato in un’area delimitata dalla cinta muraria e comprendente la sommità del Catarozzolo e l’eccentricità del castello rispetto alla sommità orografica del paese, attualmente occupata dal serbatoio idrico. Il Gallarano continua il suo elenco con il castello fornendo questa descrizione: “Segue la Casa palaziata situata et eminente sopra la terra predetta consistente in uno entrato grande, e entra nel cortile scoperto grandioso a’mano dal quale vi è una stanza grande scoperta ove si conservano tre tenaci da tre botte l’uno. Per detta stanza s’entra in due stalle una appreso l’altra, la prima stalla d’otto poste di capacità di tenere otto cavalli, la seconda similmente di otto altre poste per tenere otto altri cavalli alla parte del detto cartile, et in detto alto sono due camere coverte di legname quale possono servire per servitio di creati, appreso dette camere sono due altre camere quali servono per granari. In testa del detto cortile è la cocina. All’altro lato di detto cortile vi è un’altra stanza lunga da palmi cento solo le mura alzate e scoperta per disegno di stallone con mura alzate di seguire anco di quarto dell’edificio di sopra; appresso di detta stanza grande vi è un cammarone similmente grande e per detta stanzasi discende per una scala di legno in una stanza sotterranea solo con un’apertura d’un finestrello con un cancello di ferro, quali servono per carceri baronali per detta stanza supra si entra in un’altra stanza, ove sono i luoghi necessari. Appresso vi sono altre due camere terranee grandi, in testa di detto cortile e la grada di fabbrica da dove si sale et si impiana nell’abballaturo a modo di loggia s’entra nella sala con intempiatura di legname lavorata liscia a man destra di detta sala si camina in piano a quattro camere grandi similmente con intempiatura una delle quali camere è pittata a frisco con due balconi con ferriate, in mezzo di detti balconi è una soggetta et eminente sopra detta terra. Ad un lato di una di esse camere vi è anco un camerino pittato similmente al frisco, all’ultimo di esse quattro camere si discende per grada ‘a lumaca nelle stanze terranee, et in piano detto cortile all’altro lato di detta sala segue un altro quarto dove sono quattro altre camere similmente grande e con intempiatura de legnami lavorate liscie et converte tutte dette stanze a fitte. Onde noi havemo avuto mira alla qualità della fabbrica e spese di consideratione che vi sono in detta casa Baronale per portarla per riguardo al feudo …”181. 180 181

Indicazioni bibliografiche: Crimaco L., Sogliani F. (a cura di), 2002, Culture del passato, la Campania settentrionale tra preistoria e medioevo, Napoli. Stigliano G., 1996, L’apprezzo di Chiaromonte del 1660, in Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera/ Rivista di Cultura Lucana, Amministrazione Comunale di Matera, fasc. 27-28, pp. 125-144. Vitale V., 2014, La Contea di Chiaromonte (Basilicata): fonti documentarie e persistenze archeologiche. Materiali per la ricostruzione storico-insediativa dall’età normanna al basso medioevo, a cura di F. Meo, G. Zuchtriegel, Siris Herakleia Polichoron. Città e campagna tra antichità e medioevo, Atti del Convegno (Policoro, 12 luglio 2013), «Siris», 14, pp. 215-233. 6.3.2 Scheda 12 Senise (PZ) (fig. 77) (F. 211 I S.O. – 40.145139, 16.289196) Quota altimetrica: m 380.200 s.l.m. Poggio montuoso. Cronologia: V-IV sec. a.C. – a continuità di vita. Per le fasi medievali si hanno attestazioni archeologiche e documentarie a partire dal VII-VIII sec. d.C., XI-XII sec. d.C. – a continuità di vita.

Ibidem. Ibidem.

182 183

114

Crimaco, Sogliani 2002, p. 189. Vitale 2014, pp. 215-233.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 76. - Palazzo Chiaromonte/Sanseverino (Chiaromonte, PZ). In evidenza la probabile struttura originaria del castello.

Fig. 77. - Senise (PZ): veduta panoramica del palazzo fortificato.

Materiali diagnostici: nessuno.

Francesco d’Assisi con annessa chiesa a navata unica e 2 chiostri.

Definizione: centro urbano fortificato.

Vie fluviali: fiume Sinni e torrente Serrapotamo (affluente immissario settentrionale del fiume Sinni).

Evidenze archeologiche e architettoniche: castello; centro fortificato; torri di difesa; monastero di San 115

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Condizione attuale: area edificata urbana.

visse forse il periodo più florido grazie ad un membro in particolare della famiglia Sanseverino di Chiaromonte, già da tempo signori di Senise. Luca Sanseverino ebbe, difatti, un particolare affetto per il centro dove si serviva come fiduciario di un suo funzionario di nome Sansone o Sassone, cui diede in moglie la nobile Rita Favale della terra di Favale, attuale Valsinni. Molto più noto di Luca fu il figlio Girolamo, principe di Bisignano e conte di Chiaromonte, il quale nel 1469 aveva allargato i suoi domini comprendendo i feudi di Lauria e di San Chirico. Seguendo la tradizione della famiglia, fu nemico degli Aragonesi e filoangioino e fu lui, che nel 1481, diede corpo, nel castello di Miglionico, alla “congiura dei Baroni”, fallita la quale perì come tanti altri signori nei sotterranei del Maschio Angioino.

Ricognizioni effettuate: nei pressi del centro urbano di Senise sono stati effettuati numerosi sopralluoghi; alcuni di questi sono stati finalizzati allo studio aereofotogrammetrico del centro fortificato e dell’intera area tramite riprese da APR. La metà dei sopralluoghi sono stati condotti per l’analisi planimetrica delle evidenze medievali superstiti e per lo studio degli apparati murari conservati. Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: buona. Affidabilità identificazione: buona. Stato di conservazione del deposito: mediocre. Il centro di Senise è un centro urbano a continuità di vita in cui sono riconoscibili tracce architettoniche e urbanistiche del pieno medioevo.

Descrizione unità topografica: centro urbano medievale fortificato. L’impianto urbano medievale di Senise si sviluppa a partire dal castello posto, come presso Chiaromonte, nell’area Nord-Est del poggio sommitale. Lo schema richiama moduli insediativi ricorrenti della tipologia d’altura, con mura di fortificazione, torri e porte ricordati anche in diversi documenti; uno di questi, datato al 1359, riferisce che “in vico sancti Nicolai de Grecis, iuxta portam terre Sinesii in vico sancte Marie de Platea et in vico sancte Sofie iuxta murum fortellicie terre Sinisii”188. Con buone probabilità si può identificare l’area con la zona dell’attuale chiesa di San Francesco d’Assisi, dove Margherita Chiaromonte acquista le diverse strutture ecclesiastiche precedenti per fondarvi il cenobio posto immediatamente a ridosso del nucleo abitato medievale189.

Notizie storiche: l’origine di Senise è incerta, mentre per quanto riguarda il nome sono state fatte diverse ipotesi; la più attendibile è quella che lo farebbe derivare dal fiume Siris così come nel ‘500 era stato affermato dalla poetessa Isabella Morra: “…terra cha da te (Sinni) deriva il nome”184. Alle vicende della fondazione della certosa di San Nicola in Valle è legato in parte anche il destino del centro di Senise, quando al tempo della regina Giovanna I d’Angiò, Venceslao Sanseverino operò un ampio tentativo di riconversione agraria, e all’interno di questo progetto si inseriva la fondazione nel 1395 proprio del cenobio, edificato ad occidente dell’attuale comune di Francavilla in Sinni su di un poggio lungo il fosso Scaldaferri. Della fondazione del monastero ci sono pervenuti due documenti, uno del 1391 e l’altro del 1395185. Alcune difficoltà ci furono nella costruzione del cenobio, ma Guglielmo da Rainaud affidò il compito di provvedere al superamento di queste ultime al priore del monastero di San Martino di Napoli, fra Matteo de Tito, nominato con lettera del 12 giugno 1393 commissario deputato per l’accettazione del donativo di Venceslao186. Venceslao donò al monastero tutto il territorio di Sant’Elania, sito nelle vicinanze della località Rubio187. Fra il XV e il XVI sec. d.C. Senise

Per quanto riguarda il sistema di fortificazione di Senise saranno ricordate come ancora evidenti nelle loro strutture originarie nella reintegra del Principe di Bisignano, che possedeva il centro nel 1667 “Comperimus moenibus, turribus, et fossatus munitum cum hominibus …”. Il versante orientale viene ad essere fortificato con un lungo tratto murario, oggi in parte visibile e in parte inglobato in muratura nella costruzione degli edifici che vi si addossano. Gli anelli di accrescimento del nucleo urbano risultano essere molto ordinati e frutto di un chiaro disegno urbanistico, con il versante occidentale costituito nel suo angolo meridionale da tre torri circolari, conservate in elevato in ottime condizioni anche se riutilizzate nelle fabbriche delle abitazioni civili (fig. 78). Le torri sono edificate con materiali quali ciottoli di piccole e medie dimensioni in posa su corsi regolari; rari gli inserti in laterizio, materiale impiegato in associazione con gli stessi ciottoli spesso nella realizzazione delle feritoie e delle buche pontaie.

Montesano 2014. Questi documenti, e le altre pergamene, sono reperibili presso l’Archivio Arcivescovile di Potenza, Fondo Santa Maria del Sagittario, XVI. 186 A.A.P., Pergamena n. 8. 187 Ibidem, Pergamena n. 43: “Et quia non ostante privilegio supradicto, personae multae, Dei timore postposito, non cessant dictum monasterium damnificare depascendo glandes et herbas cum animalibus suis, id circo volumus et concedimus priori et fratribus monasterii supradicti quod quoties senserit in suis territoriis esse animalia aliqua depascentia absque voluntate eorum, tunc per se ipsos vel eorum famulos et servitores vel per baiulos terrarum nostrarum vel per quascumque personas dictos fratre iuvare volentes, possint dicta animalia capere et tandiu ipsa detenere donec patronus dictorum animalium concordet cum monasterio, solvendo quod per fida seu diffida solvendum est, dummodo per capientes prefata animalia manus eorum ad aliquem violentem actum non extendant”. 184 185

Dal territorio di Senise provengono i rinvenimenti dei materiali di località Pantano e di località Parata-Piano della Gendarma, i primi databili al pieno VII sec. d.C. mentre i secondi ad un arco cronologico più ampio tra il V e il IX sec. d.C. Nello specifico da località Pantano 188 189

116

Giganti 1989, p. 139. Branco 2009, pp. 33-34; Elefante 2003, p. 15; Vitale 2014, p. 222.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 78. - Senise (PZ): torri di difesa circolari.

provengono due noti depositi da area di necropoli di oggetti e monili di epoca bizantina, conservati a Napoli, Reggio Calabria e Siracusa e definiti per tradizione “tesoro longobardo” e “tesoro bizantino”, recuperati e già studiati dall’Orsi. Tra questi sono stati ritrovati oggetti di ornamento personale, tra cui una croce pettorale e anelli con castone a bocciolo. Il pendente cruciforme ha braccia equilateri a sezione poligonale saldati ad un ovale in cui

doveva innestarsi una pasta vitrea. Questi oggetti trovano precisi confronti stilistici nell’oreficeria bizantina di VI e VII sec. d.C. Un altro oggetto di grande importanza che fu rinvenuto nella stessa necropoli è una fibula di forma circolare. La sagoma alternativamente rotonda e quadrata degli otto castoni rilevati disposti lungo il bordo esterno e la preponderanza di quello centrale, a profilo ovale, ma soprattutto le ‘S’ contrapposte in filigrana inserite 117

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 79. - Episcopia (PZ): panoramica del castello.

negli spazi di risulta, fanno assomigliare la fibula a disco di Senise a quelle analoghe ben note da necropoli d’età merovingia-longobarda190.

A.A.P., Fondo Santa Maria del Sagittario, XVI (busta 3), a.a. 1407-1804. Appella A., 2015, Il chiostro, il fiume e il castello. Il microcosmo di Carbone dall’età medievale tra monaci e signori nella valle del Serrapotamo, Lagonegro.

Le attività di survey condotte dall’èquipe del Quilici durante i primi anni del 2000 hanno permesso di individuare evidenze pertinenti le diverse fasi insediative del territorio di Senise nella diacronia. In particolare, per il periodo preso in esame da questa ricerca, sono da segnalare le due aree di frammenti fittili in località Monte Cotugno (sito 187 e 188)191. Il sito n. 187 è stata individuato ai piedi del versante sudorientale di Monte Cotugno, dove si apre un terrazzo pianeggiante alla cui estremità settentrionale, addossati alle pendici del monte, emergono due tratti di muratura. Un altro corpo di fabbrica costituito da due setti murari è posto a ca. m 75 a Sud da quest’ultimo. La tecnica edilizia relativa agli apparati murari individuati è la medesima per tutte le fabbriche presenti, costituita da corsi regolari realizzati con l’impiego di ciottoli messi in posa su consistenti letti di malta grigiastra dalla consistenza tenace. Tra gli indicatori cronologici rinvenuti nell’area, presenti in muratura due frammenti di maiolica arcaica databili tra XII e XIII sec. d.C.192 Il sito definito n. 188, rinvenuto in un vasto pianoro, presenta materiale fittile tra cui alcuni frammenti di maiolica arcaica databili tra il XII e il XIII sec. d.C.

Berton M., 2001, Monte Cotugno e Piano Codicino, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 3: dalle colline di Noepoli ai monti di Colobraro, Roma, pp. 113-129. Branco L., 2009, Presenza francescana in Basilicata, S. Arcangelo. Elefante F., 2003, Monasteri e grance nella storia di Senise, Senise. Giganti A., 1989, Le pergamene dell’archivio arcivescovile di Acerenza, Bari. Quilici L., Quilici Gigli S. (a cura di), 2001c, Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 4: Zona di Senise, Roma. Rescigno C., 2001, Senise e S. Filippo, in in Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 4: zona di Senise, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, pp. 10-23. Vitale V., 2014, La Contea di Chiaromonte (Basilicata): fonti documentarie e persistenze archeologiche. Materiali per la ricostruzione storico-insediativa dall’età normanna al basso medioevo, a cura di F. Meo, G. Zuchtriegel, Siris Herakleia Polichoron. Città e campagna tra antichità e medioevo, Atti del Convegno (Policoro, 12 luglio 2013), «Siris», 14, pp. 215-233.

Al di fuori del circuito fortificato urbano, oltre le aree di frammenti fittili che denotano una frequentazione di età altomedievale e medievale, sorgeva la chiesa di San Filippo de Palaciis, donata nel 1108 da Alessandro e da Avenia a Carbone193. Indicazioni bibliografiche:

6.3.3 Scheda 13 Episcopia (PZ), castello (fig. 79) (F. 211 III S.E. – 40.072877, 16.097230)

190 Bianco et al. 2020; Bianco 2020, pp. 219-272; Corrado 2001, pp. 227-254; Rescigno 2001, p. 22. Il rimando più esplicito è offerto dall’esemplare proveniente dalla tomba femminile n. 16 di Castel Trosino, datato al secondo trentennio del VII sec. d.C. 191 Berton 2001, p. 118; Quilici, Quilici Gigli 2001c. 192 Ibidem. 193 Appella 2015, p. 306.

Quota altimetrica: m 526.400 s.l.m. Poggio collinare.

118

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Mappa catastale: F. 8, particella n. 437 (torre circolare); F. 8, particelle nn. 426, 428, 429, 430, 431, 433, 434, 435, 436 (castello).

e il relativo recinto fortificato. Da un’attenta analisi tramite scatti aerofotogrammetrici dell’area è possibile notare il nucleo centrale costituito da un grande corpo di fabbrica suddiviso internamente in unità abitative diverse, residenza di alcune famiglie. Sono visibili, invece, lungo il versante Sud-Est del complesso 4 ambienti non provvisti di copertura ma di cui si intuisce chiaramente lo sviluppo planimetrico, considerato che gli elevati si conservano fino alla quota di imposta degli originari spioventi. Oltre al pesante rimaneggiamento intercorso in epoca recente, e nonostante l’assenza di indagini archeologiche, si riconoscono chiaramente nella loro veste originale il recinto fortificato meridionale e la torre circolare posta a occidente.

Definizione: centro urbano medievale fortificato. Cronologia: XI-XII sec. d.C. – a continuità di vita. Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: centro fortificato; castello; torri. Vie fluviali: fiume Sinni. Condizione attuale: area edificata urbana.

Il primo, benché funga da struttura di contenimento del poggio roccioso su cui insiste il castello, assolveva anche il compito di cingere il complesso. La tecnica edilizia dell’opera è del tipo regolare con corsi e si avvale dell’impiego nei paramenti di materiale litico spaccato e posato con la faccia vista in parte regolarizzata.

Ricognizioni effettuate: nei pressi del centro urbano di Episcopia sono stati effettuati numerosi sopralluoghi; alcuni di questi finalizzati allo studio aereofotogrammetrico del centro fortificato e dell’intera area tramite riprese da APR. La metà dei sopralluoghi sono stati condotti per l’analisi planimetrica delle evidenze medievali superstiti e per lo studio degli apparati murari conservati.

La costruzione della torre circolare, come buona parte delle altre fabbriche, denota la presenza di maestranze specializzate presenti in cantiere. La struttura, alta oltre m 15, è posta in posizione eminente sul versante occidentale del poggio (fig. 81); realizzata anch’essa con blocchi spaccati di calcare locale posti su corsi regolari, presenta alcuni inserti in laterizio per regolarizzare i piani di posa. Le buche per gli impalcati lignei della torre, di forma rettangolare, sono costruite mediatamente con tre blocchi sbozzati e poggiati direttamente sul piano di cantiere; si dispongono tra loro ad una distanza media di m 0.801. Alla quota di ca. m 4 dal piano in roccia su cui viene fondata la torre è possibile notare la presenza di una cornice marcapiano realizzata in conci arrotondanti in travertino, cornice che corre lungo tutta il profilo, interrompendosi lungo la porzione meridionale dove l’intera fabbrica è lacunosa. La struttura, tra i vari restauri e rifacimenti intercorsi nel tempo, si conserva integralmente nel basamento con alzati lacunosi nella porzione meridionale visibili solo per qualche metro.

Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: buona. Affidabilità identificazione: buona. Stato di conservazione del deposito: mediocre. Il centro di Episcopia è un centro urbano a continuità di vita in cui sono riconoscibili tracce architettoniche e urbanistiche del pieno medioevo. Notizie storiche: rare sono le menzioni documentarie del centro di Episcopia che si sono conservate e sono state tramandate fino ai nostri giorni. Una di questa si ritrova in associazione alla storia del castello di Rubio, quando questo nel XIV sec. d.C. divenne possesso di Riccardo, indicato anche come barone di Episcopia. Con la morte di quest’ultimo i due castelli passarono alla gestione diretta del Conte Venceslao Sanseverino di Chiaromonte194. Descrizione unità topografica: centro urbano medievale fortificato. Il centro di Episcopia di sviluppa per successive adduzione attorno al fulcro che si genera partendo dalla struttura fortificata del castello (fig. 80). Posto su un promontorio roccioso proteso verso il fiume Sinni, a vedetta dell’omonima vallata, questo complesso, oggi in proprietà privata e più volte rimaneggiato con aggiunte e restauri, conserva in parte la strutture difensive e di vedetta. Numerosi sono gli edifici che sono stati aggiunti ai corpi di fabbrica originari, frutto di edificazioni in epoca moderna e contemporanea. Oggi si accede tramite un portone posto nella porzione Nord-Est del centro abitato, da cui si passa tramite un’imponente rampa in muratura al livello superiore dove sono posti tutti i corpi di fabbrica

194

Nella porzione conservata, ad un’altezza di ca. m 7, sono visibili alcune aperture (finestre?) a forma trapezoidale completamente tamponate con l’impiego di laterizi. Ad un’attenta analisi sembrerebbe che si tratti di merli sommittali, sui quali successivamante si impostano i piani di posa di aggiunte murarie edificate in epoche successive. Tutto questo si desume anche dall’analisi della tecnica costruttiva riconoscibile in questa porzione muraria, molto più dozzinale e con impiego di materiale meno selezionato a formare piani di posa non più regolari come i precedenti. I restauri del prospetto della torre non sempre permettono di evidenziare e riconoscere chiaramente lo sviluppo e il sapere tecnico della fabbrica, avendo mascherato quelle che erano le tracce di vita di questo edificio. La terminazione della torre, anch’essa lacunosa, è realizzata con una sottile cornice in laterizi a profilo circolare sormontati da 16 mensole in arenaria finemente sagomate.

Giganti 1997, p. 68.

119

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 80. - Castello di Episcopia (PZ): a) foto nadirale da drone (in alto); b) foto obliqua da drone (in basso).

120

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Evidenze archeologiche e architettoniche: torrazzo; fortificazioni. Vie fluviali: torrente Serrapotamo (affluente immissario settentrionale del fiume Sinni). Condizione attuale: area edificata urbana. Ricognizioni effettuate: nei pressi del centro urbano di Teana sono stati effettuati numerosi sopralluoghi; alcuni di questi sono stati finalizzati allo studio aereofotogrammetrico del centro fortificato e dell’intera area tramite riprese da APR. La metà dei sopralluoghi sono stati condotti per l’analisi planimetrica delle evidenze medievali superstiti e per lo studio degli apparati murari conservati in località Santa Sofia. Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: buona. Affidabilità identificazione: buona. Stato di conservazione del deposito: mediocre. Il centro di Teana è un centro urbano a continuità di vita in cui sono riconoscibili tracce architettoniche e urbanistiche dei secoli centrali del medioevo. Notizie storiche: in un documento recante la data del 1007 si fa menzione di Teana: “confini Tygane si estendono dai porcili …”195. Affascinante sarebbe l’ipotesi di poter identificare il centro di Teana con Latinianon (centro politico dell’omonima area religiosa in contrapposizione al Mercurion).

Fig. 81. - Episcopia (PZ): veduta della torre circolare del castello.

La scelta dell’area su cui venne impiantato il ridotto fortificato di Teana riprende dettami e scelte che ricorrono in numerosi centri fortificati dell’Italia meridionale; solo per rimanere nella media valle del Sinni si ricordano ad esempio i siti di loc. Il Pizzo (Valsinni, MT) e Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT). La distinzione tra castello e borgo è evidente anche dal fatto che i documenti storici parlano di Terra di Teana, mentre in una carta del 1395 si fa precisa menzione di un Castrum Tigane196. Anche il centro fortificato di Teana durante il XVII sec. d.C., come quasi tutti i siti a continuità di vita, fu soggetto ad apprezzo da parte di regi tavolari per controversie o per censire i beni del demanio regio a fini fiscali e tributari. Questi documenti sono importantissimi per la descrizione delle architetture e dell’articolazione urbana di centri quali Chiaromonte, Valsinni e, appunto, Teana. Fu proprio in quest’ultima località che il perito d’Urso redige nl 1683 l’apprezzo scrivendo: “per un poco di salita si viene al Castello … la porta del Castello ed entrando per essa si trova un poco di coverto a lamia, e seguitando per un poco di salita si viene ad un piano dove vi sono quattro finestre con cancello di ferro dalla parte della strada a destra di essa è porta che entra nelle Carceri situate dentro la Torre a destra in un angolo del detto palazzo

Ogni due mensole sono ancora visibili scoli fittili per il deflusso verso l’esterno delle acque piovane raccolte sul solaio di camminamento sommitale. Indicazioni bibliografiche: Giganti A., 1997, Francavilla nella media valle del Sinni. Origine di un microcosmo rurale del secolo XV, Francavilla in Sinni. 6.3.4 Scheda 14 Teana (PZ) (fig. 82) (F. 211, III N.E. – 40.126123, 16.153320) Quota altimetrica: m 824.800 s.l.m. Poggio montuoso. Mappa catastale: F. 9, particelle nn. 397, 503. Definizione: centro urbano medievale fortificato. Cronologia: Cronologia: V-IV sec. a.C. – a continuità di vita. Per le fasi medievali si hanno attestazioni archeologiche e documentarie a partire dal X-XI sec. d.C. – a continuità di vita.

195

Materiali diagnostici: nessuno.

196

121

Appella 2015, p. 231. Giganti 1989, p. 56.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 82. - Teana (PZ): foto nadirale da drone dell’area fortificata di epoca medievale.

nome della chiesa di San Nicola da Tegana, obbedienza di Santa Maria di Cersosimo201.

consistente in una stanza a lamia per uso di ... detta torre si figura quasi ovale et sta esposta verso mezzogiorno”197. Viene fatta menzione in un documento del 1080, vergato dal notaio Leo di Chiaromonte, di Gimarga, signora di Teana e moglie di Ugo Chiaromonte, la quale offre al monastero di Carbone il cenobio di San Filippo di Beniamino198. Interessante la tesi di Appella a riguardo, in cui l’autore afferma che la domina di Teana, pienamente in possesso dei suoi tenimenti che gestiva e governava direttamente, porta in dote nel matrimonio con Ugo della nuova aristocrazia normanna, ora detentrice del potere in un territorio ai limiti con l’autorità greco-bizantina. Fissando i termini di parentela tra Anthimos e Gimarga quale figlia di quest’ultimo, e come tali signori di Tugane, i due documenti in cui se ne fa menzione, datati al 1007 e al 1080, porterebbero a confermare l’ipotesi di una nobiltà greca imparentatasi con i nuovi dominatori199. Nel 1145 il centro fortificato di Teana doveva essere retto da un certo Iboun200, di probabile origine normanna in un momento in cui il dominio di questi signori sulla media valle del Sinni era esclusivo e ben consolidato. Nel 1247 Teana è menzionata nuovamente in un documento che riporta il

Descrizione unità topografica: l’abitato medievale di Teana si distribuiva sui due punti eminenti dove ancora oggi si conservano il centro storico del paese e l’area della chiesa madre con il serbatoio idrico (fig. 83). Proprio quest’ultimo si è impiantato in località Santa Sofia durante gli anni ‘50 del secolo scorso, dove ancora oggi si conservano notevoli resti della roccaforte della Teana medievale. La struttura fortificata, posta a difesa di una piccola rocca che domina (m 824.800 s.l.m.) in posizione strategica la vallata del Serrapotamo e le alture circostanti in vista di Chiaromonte, Calvera, Fardella e Carbone, costituita probabilmente da un torrazzo centrale a pianta rettangolare, è stata realizzata con bozze di roccia metamorfica (puddinga) messe in posa con rinzeppature in laterizio nel tentativo di regolarizzarne i piani. Queste murature, realizzate a scarpa, presentano uno spessore di poco inferiore a m 1.20. Lungo il versante Nord-Ovest della rocca non sono visibili tracce delle fortificazioni. In seguito ai lavori di risistemazione dell’area è stato concesso l’attraversamento all’area

Appella 2015, p. 231; Raffaelli 1988. Appella 2015, p. 237; Robinson 1929. 199 Ibidem. 200 Robinson 1929, XL, p. 87. 197 198

201

122

Mattei Cerasoli 1939, p. 279.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 83. - Teana (PZ): foto obliqua da drone del centro storico.

lungo il perimetrale meridionale della struttura fortificata tramite una scala in cemento armato. Nella realizzazione dell’opera moderna, con la previsione di ricongiungerla ad un sentiero proveniente dalla porzione settentrionale della rocca, è stato effettuato uno sbancamento che ha interessato i due perimetrali Sud e Nord fino alla quota di fondazione (fig. 84). Se queste azioni hanno consentito di individuare la chiusura del torrazzo, permettendo di stabilirne uno sviluppo planimetrico ben definito dalla forma rettangolare con andamento Est-Ovest, dall’altro ne ha distrutto irrimediabilmente una parte. La morfologia del luogo e la posizione dominante rispetto alle vallate fluviali circostanti, suggeriscono si tratti di opere di fortificazione per una postazione di vedetta, indicando un orizzonte cronologico iniziale tra l’XI-XII e il XIII sec. d.C., protrattosi come altri complessi simili nella valle del Sinni almeno fino al XIV-XV sec. d.C.202 Il sito è stato oggetto di studio da parte di Cappelli, secondo il quale le fortificazioni sulla rocca di Santa Sofia dovrebbero

risalire ad epoca Longobarda203. Ciononostante, senza un intervento archeologico puntuale non si è potuto stabilire legami diretti della presenza di questa popolazione tramite chiare tracce materiali. Le attività di survey condotte nel 2001 da parte dell’èquipe del Quilici, avevano individuato una ulteriore area di frammenti di epoca medievale, da localizzarsi in contrada Trecco-Cervone (sito 563 – F. 211 III N.E. – 40.126700, 16.142921)204. Indicazioni bibliografiche: Appella A., 2015, Il chiostro, il fiume e il castello. Il microcosmo di Carbone dall’età medievale tra monaci e signori nella valle del Serrapotamo, Lagonegro. Cappelli A., 1967, Castelli in Basilicata, Matera. Cappelli B., 1963, Il monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani, Napoli. Giganti A., 1989, Le pergamene dell’archivio arcivescovile di Acerenza, Bari. Mattei Cerasoli L., 1939, La badia di Cava e i monasteri greci della Calabria Superiore, «Archivio Storico della Calabria e della Basilicata», IX, pp. 279-318.

Si vedano i siti fortificati di loc. Cozzo Madonne della Rocca e loc. Il Pizzo rispettivamente nei comuni di Colobraro (MT) e Valsinni (MT) per la provincia di Matera, e Castello di Seluci nel comune di Lauria (PZ) per la provincia di Potenza. In tutte queste strutture lo sviluppo e le fasi di abbandono dell’area sommitale fortificata/torrazzo sembra attestarsi, sia per quanto riguarda le fonti documentarie sia per quanto riguarda gli indicatori materiali, tra XIV e XV sec. d.C. 202

203 204

123

Cappelli B. 1963; Cappelli A. 1967. Petacco 2001, pp. 172-199; Quilici, Quilici Gigli 2001d.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 84. - Teana (PZ): area fortificata medievale. Interventi moderni a danno delle stratigrafie archeologiche.

Condizione attuale: area edificata urbana.

Petacco L., 2001, I pianori di Teana, in Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 5: da Castronuovo di S. Andrea a Chiaromonte, Calvera, Teana e Fardella, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, pp. 172-199.

Ricognizioni effettuate: nei pressi del centro urbano di Roccanova sono stati effettuati numerosi sopralluoghi; alcuni di questi finalizzati allo studio aereofotogrammetrico del centro fortificato e dell’intera area tramite riprese da APR.

Quilici L., Quilici Gigli S. (a cura di), 2001d, Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 5: da Castronuovo di S. Andrea a Chiaromonte, Calvera, Teana e Fardella, Roma.

Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: buona.

Raffaelli P., 1988, Profilo storico di Teana, Moliterno.

Affidabilità identificazione: buona.

Robinson G., 1929, History and Cartulary of the greek monastery of St. Elias and St. Anastasius of Carbone, «Orientalia Christiana», 53.

Stato di conservazione del deposito: mediocre. Il centro di Roccanova è un centro urbano a continuità di vita in cui sono riconoscibili tracce architettoniche e urbanistiche del pieno medioevo.

6.3.5 Scheda 15 Roccanova (PZ) (F. 211 II N.O. – 40.214324, 16.205682)

Notizie storiche: le prime attestazioni riguardanti l’Universitas Roccae Novae risalgono al 1276. Roccanova fu una rilevante roccaforte della Contea di Chiaromonte. All’inizio del XII sec. d.C. fu feudo di Rinaldo e successivamente, nel 1269, fu assegnato da Carlo I d’Angiò a Guglielmo della Marra che aveva sposato Adelicia, figlia ed erede di Rinaldo205. Per ordine regio, nel 1283, fu restituita “Adelicia uxori Guillelmi Marra Castrum Roccae Novae cunm quibusdam Casalibus iniuste usurpatis”206. Sempre come feudo passò poi ai Carafa e, successivamente, ai Colonna di Stigliano, che risultano avervi esercitato giurisdizione feudale ancora alla fine del Settecento, quando contava 1765 abitanti. Durante il tragico terremoto del 1857, che colpì duramente la Val d’Agri, Roccanova fu tra i comuni più disastrati (85

Quota altimetrica: m 665.400 s.l.m. Poggio collinare. Definizione: centro urbano medievale fortificato. Cronologia: VI-V sec. a.C. – a continuità di vita. Per le fasi medievali si hanno attestazioni archeologiche e documentarie a partire dal XII-XIII sec. d.C. – a continuità di vita. Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: torre di difesa circolare; ruderi monastero di San Nilo; chiesa di San Nicola di Bari. Vie fluviali: torrente Serrapotamo (affluente immissario settentrionale del fiume Sinni).

205 206

124

Borea 1986. Ibidem.

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. probabile epoca normanno-sveva (XII-XIII sec. d.C.) al quale è associato un analogo bastione ad impianto circolare, architettura difensiva tipica della fase aragonese (XV sec. d.C.).

morti e gran parte del centro storico distrutto, inclusa la chiesa di San Nicola di Bari). Descrizione unità topografica: centro urbano medievale fortificato. Arroccato lungo il pendio di Cozzo delle Punte, Roccanova si erge tra i corsi dell’Agri e del Sinni. Il suo territorio, ricco di riserve boschive e di sorgenti, ha una estensione di km2 61,63 e confina con gli attuali comuni di Senise, Chiaromonte, Castronuovo di Sant’Andrea, San Chirico Raparo, Gallicchio, Missanello, Aliano e Sant’Arcangelo. Il nucleo iniziale, notevolmente ridotto rispetto a entità fortificate vicine quali Teana, Chiaromonte e Senise, si sviluppa tutto intorno alla chiesa di San Nicola di Bari. La Matrice venne probabilmente costruita tra la fine del XII e gli inizi del XIII sec. d.C. nel rione Ponte, anche se le indicazioni cronologiche vengono fornite più da una tradizione cartografica che archeologica, in quanto struttura priva di indagini in tal senso. Fu quasi interamente distrutta dal terremoto del 1857, con l’avvio delle fasi della ricostruzione agli inizi del ‘900. Fino al 1920 esisteva solo un tronco del campanile poggiato sulle mura perimetrali. A cura di un comitato cittadino e su progetto dell’artigiano muratore Rocco Alaggio, venne poi completato a somiglianza di quello di Santa Maria di Orsoleo, visibile da Roccanova.

Nei pressi dell’attuale campo sportivo comunale sono localizzabili le strutture a rudere dell’Abbazia di San Nilo (XIV sec. d.C.), conferendo il nome alla zona. Da due bolle di Boemondo, principe di Antiochia (1107/1130), si suppone che tale istituzione monastica sia stata fondata da Nilo XI, archimandrita del monastero di Carbone, al quale l’Università di Roccanova versava annualmente la somma di “dieci ducati per la vestizione dei Frati”. Gran parte del materiale edilizio proveniente da questa abbazia fu riutilizzato, sul finire dell’Ottocento, in seguito alla dismissione con leggi napoleoniche, per la costruzione del cimitero di Roccanova. Oggi dell’Abbazia si conserva esclusivamente un vano a pianta quadrangolare di modeste dimensioni, apparecchiato con muratura in ciottoli di piccole e medie dimensioni su corsi orizzontali legati da malta. Indicazioni bibliografiche: Borea P., 1986, Storia di Roccanova dalle origini ai giorni nostri, Roccanova.

L’unica torre a rappresentare le superstiti testimonianze dell’originario circuito murario difensivo di Roccanova, posizionata nella porzione meridionale del centro, è costituita da torrione-dongione ad impianto quadrato di

6.3.6 Scheda 16 Cozzo dei Ceci (fig. 85), Calvera (PZ) (F. 211 III N.E. – 40.153793, 16.148057) – XI-XIV sec. d.C.

Fig. 85. - Loc. Cozzo dei Ceci (Calvera, PZ). In evidenza l’area del complesso fortificato. Sullo sfondo Teana.

125

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 86. - Loc. Cozzo dei Ceci (Calvera, PZ): resti di strutture murarie.

Definizione: centro urbano Monastero Sant’Andrea.

medievale

fortificato.

del pieno medioevo. Le strutture rinvenute presso la loc. Cozzo dei Ceci versano in totale stato di degrado e abbandono, nascoste nella vegetazione.

Cronologia: XI-XII sec. d.C. (fondazione monastero S. Andrea – abbandono?) – centro a continuità di vita.

Notizie storiche: le poche fonti storiche riferibili al centro di Calvera sono desumibili da documenti e carte del monastero di Sant’Andrea, oggi non più esistente ma probabilmente collocabile nel suo territorio. Il nome di Calaura è riportato in un documento greco del 1053 in cui Luca dona a Leonzio, Abate di Cava un monastero abbandonato proprio in questo territorio. La “terra Calaurae” si trova menzionata nuovamente in un documento del 1102 in possesso del monastero di Carbone dopo essere stata acquistata dai signori di Chiaromonte207. In un altro documento del 1186 S. Andrea di Calvera appariva dipendente da Cava nella si ritirò Joncata, domina Calabre, signora di Calvera.

Materiali diagnostici: alcuni ffr. di ceramica acroma e ceramica da fuoco; alcuni ffr. di ceramica invetriata monocroma verde. Evidenze archeologiche e architettoniche: resti strutture murarie loc. Cozzo dei Ceci. Quota altimetrica: centro storico Calvera: m 621.400 s.l.m. Poggio collinare; Cozzo dei Ceci: m 797.600 s.l.m. rilievo montuoso. Vie fluviali: torrente Serrapotamo (affluente immissario settentrionale del fiume Sinni).

Descrizione unità topografica: nel centro storico di Calvera il palazzo Mazzilli conserva un gran numero di sculture e rilievi databili a momenti diversi: tra questi un bassorilievo con figura di agnello crocifero ispirato a iconografie di VIII-IX sec. d.C.208 Le attività di survey archeologico condotte dalla èquipe del Quilici agli inizi del 2000 hanno individuato, per quanto riguarda le fasi insediative pienamente medievali, l’area del sito n. 482 di Monte Bruzio, in prossimità della località Cozzo dei Ceci. Posto su un’altura (m 778 s.l.m.) a Nord di Calvera sono visibili ancora oggi resti di strutture murarie disposti a formare un vano rettangolare largo m 2.20209, con elevati murari conservati in altezza per ca. m 1 e costruiti con ciottoli di piccole e medie dimensioni posti su corsi regolari (fig. 86).

Condizione attuale: area di bosco. Ricognizioni effettuate: nei pressi del centro urbano di Calvera sono stati effettuati numerosi sopralluoghi; alcuni di questi finalizzati allo studio aereofotogrammetrico del centro fortificato e dell’intera area tramite riprese da APR. La metà dei sopralluoghi sono stati condotti per l’analisi planimetrica delle evidenze medievali superstiti e per lo studio degli apparati murari conservati. Condizioni del suolo: bosco di querce/incolto. Visibilità: medio/scarsa. Affidabilità identificazione: media. Stato di conservazione del deposito: mediocre. Il centro di Calvera è un centro urbano a continuità di vita in cui sono riconoscibili tracce architettoniche e urbanistiche

Robinson 1929, XVI-64, pp. 207-212. Berton, Giorgi 2001, pp. 94-96. 209 Ibidem. 207 208

126

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. Affidabilità identificazione: buona.

Sembra essere riconoscibile ancora un’ulteriore struttura a pianta circolare posta ad Ovest della vetta in una posizione di dominio e di avvistamento rispetto alla morfologia del territorio circostante, associabile con buone probabilità ad una struttura difensiva riferibile ad una torre.

Stato di conservazione del deposito: mediocre. Il centro di Noepoli è un centro urbano a continuità di vita in cui sono riconoscibili tracce architettoniche e urbanistiche del pieno medioevo.

Gli indicatori cronologici rinvenuti e la stessa tecnica edilizia confrontabile con altre strutture simili vicine farebbero propendere per una datazione del complesso tra il XII e il XIV sec. d.C. Viene proposta una identificazione con il castello del quale si deduce l’esistenza in base a due documenti del 1134 e del 1148210.

Notizie storiche: il documento scritto, più antico relativo a Noia risale al 1093, durante la dominazione normanna, epoca in cui il feudo faceva parte della Contea di Chiaromonte. Il documento riportato dal Trinchera è un atto con il quale Alessandro di Chiaromonte e il fratello Riccardo donano alla chiesa di Santa Maria di Cersosimo il monastero di S. Onofrio, sito nelle pertinenze del territorio di Noa211. Un altro documento datato al 13 maggio 1112, indica nelle persone di Ugo Chiaromonte e i fratelli Alessandro e Riccardo, quali coloro che donano al monastero di Cava dei Tirreni e a S. Maria di Cersosimo, per la salute degli avi Ugo e Giumarca e dei fratelli Alessandro ed Avena, una chiusa di terre in Noa nel luogo detto “Bonohomine”212.

Indicazioni bibliografiche: Appella A., 2015, Il chiostro, il fiume e il castello. Il microcosmo di Carbone dall’età medievale tra monaci e signori nella valle del Serrapotamo, Lagonegro. Berton M., Giorgi E., 2001, La zona tra lo Strittolo e Calvera, in Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 5: da Castronuovo di S. Andrea a Chiaromonte, Calvera, Teana e Fardella, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, pp. 85-112.

Dopo la morte di Ugo (II), Alessandro, con la moglie Giuditta e con il fratello Riccardo, nel 1116 conferma le donazioni dell’avo e del padre nelle pertinenze del castello di Noa. Nello stesso periodo si fa ancora menzione in un’altra carta del possesso di diversi territori al conte di Chiaromonte, Riccardo, tra i quali viene menzionato anche il castello di Noepoli: “Domino Riccardo de Claromonte fuerunt restituta castra S. Clerici, Genusii, Noae, Clarimontis, Latronici, Castronovi et Rotundae Maris. Et sub baronia dicti Riccardi sunt terrae subscriptae videlicet: Trisagia, Calabro, Bactivoranum, Rubium, Latigana, Acremontum, Episcopia; S. Martinum, Castrum Sarracenae, Rotonda Vallis Layni, Cursosimum et Faracum, que terre fuerunt restituite dicto domino Riccardo post felicem ingressum domini nostri Regis (Caroli), et servitium prestabat domino imperatori et Curia Imperialis destituit dominum Hugonem, patrem dicti domini Riccardi dictis terris propter prodictionem factam in Capuacio”213.

Mazzilli B., 1980, Cenni storici su Calvera, Bari. Robinson G., 1929, History and Cartulary of the greek monastery of St. Elias and St. Anastasius of Carbone, «Orientalia Christiana», 53. 6.3.7 Scheda 17 Noepoli (PZ) (F. 211 II S.O. – 40.087134, 16.328364) Quota altimetrica: m 691.300 s.l.m. Poggio collinare. Definizione: centro urbano medievale fortificato. Cronologia: VI-V sec. a.C. – a continuità di vita. Per le fasi medievali si hanno attestazioni archeologiche e documentarie a partire dal X-XI sec. d.C. Materiali diagnostici: nessuno.

Nel 1319, dopo la morte di Ugo di Chiaromonte senza discendenti, il contado passò alla sorella Margherita. Con il matrimonio di Margherita con Giacomo Sanseverino vi rimase fino al 1414, quando si rivolsero contro la corona. Noia non partecipò alla rivolta e rimase fedele a Ladislao, il quale per premiarla, la staccò dal contado di Chiaromonte e la incorporò nel demanio Regio ordinando la costruzione di fortificazioni tra cui il castello. In questo periodo il comando divenne un centro d’importanza strategica nella valle del Sarmento; godeva di molti privilegi tanto da essere chiamato “Stato di Noia”. Nel 1553 il feudo, fu venduto dal fisco reale a Fabrizio Pignatelli, famiglia che governò fino all’emanazione della legge eversiva della feudalità nel 1806. Nel 1863 Noja mutò nome in Noepoli.

Evidenze archeologiche e architettoniche: castello. Vie fluviali: torrente Sarmento (affluente immissario meridionale del fiume Sinni). Condizione attuale: area edificata urbana. Ricognizioni effettuate: nei pressi del centro urbano di Noepoli sono stati effettuati numerosi sopralluoghi; alcuni di questi sono stati finalizzati allo studio aereofotogrammetrico del centro fortificato e dell’intera area tramite riprese da APR. Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: buona.

Trinchera 1865, doc. 58, p. 75. Ibidem, p. 96. 213 Garufi 1911. 211

212 210

Berton, Giorgi 2001, pp. 94-96; Mazzilli 1980.

127

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 87. - Castello di Seluci (Lauria, PZ): panoramiche generali.

Descrizione unità topografica: centro urbano medievale fortificato. All’ingresso di Noepoli sono visibili i resti del castello feudale, oggi sede del Municipio, costruito nel XV sec. d.C. e dotato di un magnifico portale. Il castello viene menzionato almeno in una fonte documentaria agli inizi del XII sec. d.C., in cui nell’anno 1134 si conferma che era posseduto per metà da Tomaso Britonio e per metà da Roberto di Montescaglioso214. Nello stesso Municipio è ammirabile una lastra tombale databile stilisticamente al XIV sec. d.C., riproducente un guerriero.

Quota altimetrica: m 975.863 s.l.m. Sommità montuosa, sperone roccioso. Mappa catastale: F. 71, particella n. 209. Definizione: sito fortificato d’altura; torrazzo; torri di difesa; abitato. Cronologia: VI-V sec. a.C. Per le fasi medievali si hanno attestazioni archeologiche e documentarie a partire dall’XI fino al XIV sec. d.C.

Indicazioni bibliografiche:

Materiali diagnostici: alcuni ffr. di ceramica a vernice nera, diversi ffr. di ceramica acroma e ceramica da fuoco, alcuni ffr. di ceramica invetriata monocroma verde (tav. 8).

de Lauro G., 1660, Vita Beati Joannis a Caramola tolosani conversi Sagittariensis monasterii collecta, Napoli. Garufi C.A., 1911, Registri Angioini ordinati da Carlo de Lellis, ms, vol. VIII.

Evidenze archeologiche e architettoniche: ridotto fortificato; torrazzo; torri di difesa; abitato; paleosuoli.

Trinchera F., 1865, Sillabus graecarum membranarum, Napoli.

Vie fluviali: fiume Sinni.

6.3.8 Scheda 18

Condizione attuale: area di bosco.

Castello di Seluci (fig. 87; tav. 5), Lauria (PZ) (F. 210 II SS. E. – 40.064291, 15.946906)

214

Ricognizioni effettuate: il sito fortificato d’altura è stato oggetto di numerosi sopralluoghi, alcuni condotti a terra per poter individuare le sue persistenze conservatesi sul terreno e altri tramite APR, per poter realizzare una

de Lauro 1660, cap. V.

128

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C. base aereofotogrammetrica aggiornata dell’area e delle evidenze superstiti.

un sentiero realizzato nelle rocce. Nel luogo dove inizia la ripida discesa delle pareti sono state riconosciute le tracce in muratura di un varco.

Condizioni del suolo: bosco e macchia. Visibilità: medio/ scarsa.

Il luogo dove insistono le evidenze del Castello di Seluci è stato indagato dalla Soprintendenza Archeologica dal 1990 al 1995, e ha permesso di riconoscere una fase di età lucana ed una fase di età medievale conforme alle stesse strutture castrensi218. Seluci si inserisce in una vera e propria rete realizzata nel medioevo per la difesa sia attiva sia passiva del territorio, di cui facevano parte insediamenti castrensi veri e propri, luoghi fortificati e punti di controllo della viabilità.

Affidabilità identificazione: buona. Stato di conservazione del deposito: scarso. Notizie storiche: il sito di Seluci è ricordato in una bolla del 1079, in cui se ne fa menzione tra i centri abitati che Alfano, arcivescovo di Salerno, riconosce come feudo ecclesiastico soggetto alla giurisdizione del vescovo di Policastro215. Viene ricordato in seguito con altri centri con il nome di Sollucium, in un documento di Carlo d’Angiò nel 1278, che imponeva a detti centri di “reparari” il castello di Rocca Imperiale (“Rocca imperialis reparari potest per homines eiusdem terre, Nucarie, casalis Canne, Anglonis, Tursii, Fabalis, Prisinachi, Rodiani, Synesii, Clarimontis, Rubi, Piscopie, Bacti Barane, Noge, Castrinovi, Calabre, Agrimontis, Latronici, Solucii, sancti Ananie Armentane, sancti Clerici, Valli Sig’, Castelli Saraceni, Faraci, Tigani, Chifrisonii et Polsandrane”) 216. Il centro sarebbe scomparso come abitato sul finire del dominio angioino nel meridione d’Italia e solo successivamente risulta riportato e segnalato nella cartografia del Seicento217.

Molti siti in Basilicata presentano una collocazione topografica che ne fa intuire l’importanza strategica; importanza che è direttamente proporzionale al rapporto con punti obbligati della rete viaria, e dunque alle possibilità di controllo del territorio circostante. Castello di Seluci può ritenersi un sito fortificato inespugnabile e si rileva immediatamente come l’altura costituisca il fulcro di una rete di percorsi essenziali per la viabilità antica, ancora riconoscibili in due tracciati principali che si sviluppano lungo le direttrici Est-Ovest e Nord-Sud. Il torrazzo sommitale La struttura principale del sistema di difesa di Castello di Seluci, posta sulla sommità della cima, si presenta con uno sbarramento frontale rettilineo, costituito da un setto murario di grandi dimensioni, lungo ca. m 25 e conservata in alzato per ca. m 3 (fig. 88). Il complesso, di forma rettangolare allungata orientata in direzione Nord-Sud, è suddiviso in almeno quattro ambienti con funzioni non definite tra loro. Un primo grande corpo di fabbrica chiaramente leggibile in pianta mostra le tracce nella porzione meridionale di un accesso alla struttura. Suddiviso internamente in tre vani, presenta tracce di elementi sottoposti al piano di campagna attuale, quali potrebbero essere strutture per la raccolta dell’acqua (cisterna?), elemento dall’importanza vitale in siti del genere e di difficile reperibilità sulla sommità della montagna. Le misure rilevate dell’intero gruppo di edifici è notevole e misura ca. m 27x14.5.

Descrizione unità topografica: sito fortificato d’altura, torrazzo, torri di difesa, abitato. La rupe calcarea sulla quale insiste il castello di Seluci, che raggiunge quota m 978 s.l.m., è isolata nel paesaggio della valle del Sinni. Si presenta letteralmente a picco su tutti i versanti e ne è possibile solo un ardua ascesa da Sud-Ovest. La visibilità che si offre dal sito è altrettanto straordinaria, spaziando largamente il versante del Sinni sul centro di Latronico e quello dell’alta valle verso il Monte Sirino, nonché la valle del Cogliandrino in direzione di Grumento Nova. La vetta del monte è il luogo dove sorge il torrazzo fortificato principale, che si allunga verso Sud occupandone appunto la cima; la sommità montana poi declina verso Ovest/Nord-Ovest, con un più ampio pianoro in marcato declivio. Più in basso del castello a ca. m 30, sul bordo meridionale una lieve balza rocciosa mostra le tracce di un insediamento da riferirsi alla stessa epoca di costruzione delle strutture fortificate di epoca medievale; seguendo il ciglio del costone lungo il versante meridionale si individua la base di una torre quadrangolare, composta da un ambiente più piccolo di lato m 1.9x1.9 (torrino) e un vano più grande di lato m 4x4. L’orografia di quest’area si fa di seguito sempre più ripida e, poco più a valle rispetto a queste ultime strutture, un lieve anfratto tra le rocce permette il passaggio lungo

I perimetrali che definiscono queste strutture conservano uno spessore notevole di ca. cm 90 e le bozze calcaree, prelevate in loco, vengono disposte in muratura a formare apparati murari a doppio paramento con nucleo interno colmato da schegge e bozze più minute (fig. 89). La tecnica edilizia è del tipo irregolare con corsi e il materiali è allettato su piani orizzontali con abbondante malta biancastra dalla consistenza tenace. La scarsa regolarizzazione dei corsi è mantenuta, seppur in minima parte, da rinzeppature costituite da scaglie di calcare; totale è l’assenza di inserti in laterizio.

Inguanez, Mattei Cerasoli, Sella 1942. Winkelmann 1880, p. 778, rr. 34-37. 217 Inguanez, Mattei Cerasoli, Sella 1942; Magini 1691-1692. 215 216

218

129

Bottini P. 2003, p. 259.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 88. - Castello di Seluci (Lauria, PZ). Area sommitale: resti del ridotto fortificato.

Fig. 89. - Castello di Seluci (Lauria, PZ). Perimetrale meridionale del torrazzo sommitale.

A questi primi corpi va ad appoggiarsi l’altra struttura presente nell’area, posta nella porzione settentrionale ad una quota più alta di ca. m 2.5-3, elevazione offerta naturalemente dall’orografia stessa dei luoghi. L’ipotesi più plausibile, considerata la posizione eminente, farebbe propendere verso il riconoscimento della fondazione di una torre di avvistamento. Nel cercare una lettura architettonica del complesso, non è possibile non rilevare l’estrema semplicità della fortificazione, costituita dallo sbarramento con un lungo muro continuo, non affiancato a torri. Da confronti stilistici e di impianto rispetto ai siti rinvenuti e indagati nella media valle del Sinni, la sommità di Castello di Seluci fa riferimento in particolare al sito fortificato di loc. Catarozzo nei pressi di Francavilla in Sinni (PZ), con un torrazzo fortificato eminente e centrale a cui si affiancano una serie di ambienti di supporto219.

219

La tecnica costruttiva, ma soprattutto la planimetria del complesso in vetta con un torrazzo a sbarramento, supporterebbero una cronologia del primo impianto tra XI e XII sec. d.C. L’abitato Nella porzione Sud-Ovest della cima, alcuni metri più in basso rispetto al torrazzo sommitale, una piccola dorsale rocciosa, lunga ca. m 60x20 di larghezza potrebbe essere indicata come l’area in cui doveva sorgere l’abitato relativo al sito fortificato medievale di Seluci. Su di essa sono visibili livellamenti della roccia e numerose aree di accumulo costituite da bozze calcaree che documenterebbero la presenza di vani. Seguendo il ciglio meridionale del precipizio, poco più a valle rispetto ai resti dell’ipotetico borgo, si incassa nel lieve rilevarsi del terreno roccioso, esiguamente conservata nell’elevato (cm 60), una costruzione quadrata

Infra cap. 6, scheda 23, p. 138.

130

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 90. - Castello di Seluci (Lauria, PZ). Struttura a pianta quadrata (torretta di difesa?) presso il borgo.

(lato cm  190) orientata in direzione Nord-Sud/Est-Ovest (fig. 90). A questa è affiancato un altro vano più grande di lato m 4x4. Potrebbe trattarsi di una torre che controllava l’accesso al di sopra del pianoro, posta a diretto contatto con l’unico accesso rinvenuto durante le attività di survey lungo il sentiero che conduce, e probabilemente conduceva, all’area. Rari sono i materiali fittili rinvenuti durante le ricongnizioni e questi fanno riferimento a classi ceramiche quali anforacei con anse a nastro, alcuni ffr. di olla acroma, rari ffr. di tegole piane con alto listello e alcuni ffr. di coppi, diversi ffr. di ceramica acroma e ceramica da fuoco, alcuni ffr. di ceramica invetriata monocroma verde. Non raro è il rinvenimento di ffr. di ceramica a vernice nera, indicatori di fasi di vita dell’area precedentemente occupata rispetto all’età medievale.

Magini G.A., 1691-1692, Italia. Carta della Basilicata dei primi anni del Seicento. Winkelmann E., 1880, Acta Imperii inedita seculi XIII, I, Innbruk, 778, rr. 34-37. 6.3.9 Scheda 19 Latronico (PZ) (fig. 91) (F. 211 III N.O. – 40.087609, 16.013774) Quota altimetrica: m 888.300 s.l.m. Poggio montuoso rilevato. Definizione: centro urbano fortificato. Cronologia: mesolitico; età lucana V-IV a.C.; XI-XII sec. d.C. (?) – a continuità di vita.

Nei decenni scorsi sono stati segnalati rinvenimenti monetali nell’area di Castello di Seluci, quali monete in bronzo pertinenti ad età bizantina con rappresentazioni sul dritto degli imperatori d’oriente Giustino I, Giustiniano e Giustino II e Sophia220.

Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: chiesa di San Nicola.

Indicazioni bibliografiche:

Vie fluviali: fiume Sinni.

Bottini P., 2003, Castello di Seluci e la viabilità antica nell’alto Sinni, in Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 7: da Episcopia e Latronico a Seluci e Monte Sirino, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, p. 259.

Condizione attuale: area edificata urbana. Ricognizioni effettuate: nei pressi del centro urbano di Latronico sono stati effettuati numerosi sopralluoghi; alcuni di questi sono stati finalizzati allo studio aereofotogrammetrico del centro fortificato e dell’intera area tramite riprese da APR.

Inguanez M., Mattei Cerasoli L., Sella P., 1942, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Campania, Città del Vaticano. 220

Bottini P. 2003, p. 259.

131

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 91. - Latronico (PZ): panoramica del centro storico.

Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: buona.

6.3.10 Scheda 20

Affidabilità identificazione: buona.

Località Il Pizzo (fig. 92), Valsinni (MT) (F. 212 IV S.O. – 40.178595, 16.462024)

Stato di conservazione del deposito: il centro di Latronico è un centro urbano a continuità di vita in cui sono riconoscibili alcune delle tracce architettoniche e urbanistiche della piena età medievale.

Mappa catastale: F. 8, particella n. 3. Quota altimetrica: m 332.902 s.l.m. Poggio, rilievo collinare.

Notizie storiche: le vicende storiche di Latronico sono attestate per la prima volta solo nel 1063 quando compare il nome di Latronico in un documento, il Syllabus Graecarum Membranarum221. Nei secoli successivi particolarmente avare sono le notizie storiche che riguardano il centro, tenimento delle varie famiglie che si succederanno al potere nella media valle del Sinni, dei  Sanseverino, dei Palmieri e infine dei Gesuiti. Quando questi furono espulsi dal Regno di Napoli (1767) il feudo passò al  Demanio regio.

Definizione: area fortificata, torrazzo, villaggio. Cronologia: XI-XII sec. – XIII-XIV sec. d.C. Materiali diagnostici: diversi ffr. di ceramica acroma e ceramica da fuoco, alcuni ffr. di ceramica invetriata monocroma verde, alcuni ffr. di ceramica invetriata policroma tipo RMR (tavv. 6, 7). Evidenze archeologiche e architettoniche: torrazzo; fortificazioni; villaggio.

Descrizione unità topografica: centro urbano medievale fortificato. Il centro è posizionato a m 888 s.l.m.  lungo il corso della valle del Sinni e sorge ai piedi del  monte Alpi. Urbanisticamente si articola con aggiunte avvenute durante i secoli centrali del medioevo, a partire dalla chiesa di San Nicola, polo aggregante della centro fortificato d’altura. La chiesa, risalente con buone probabilità al XII sec. d.C., domina il paese e costituisce uno degli edifici più caratteristici del centro storico. È a navata unica con presbiterio rialzato, presenta esternamente una  torre campanaria a pianta quadrata. Il centro d’altura è in diretta connessione visiva con la vedetta fortificata costituita dal castello di Seluci, posto a pochi chilometri in direzione Sud-Ovest.

Vie fluviali: fiume Sinni. Condizione attuale: area rurale. Ricognizioni effettuate: l’area di località Il Pizzo è stata oggetto di numerosi sopralluoghi (novembre 2015, dicembre 2016): alcuni condotti a terra per poter individuare le sue persistenze medievali conservatesi e altri tramite APR per poter realizzare una base aereofotogrammetrica aggiornata del centro. Condizioni del suolo: incolto, macchia mediterranea. Visibilità: scarsa.

Indicazioni bibliografiche:

Affidabilità identificazione: buona.

Trinchera F., 1865, Sillabus graecarum membranarum, Napoli.

Stato di conservazione del deposito: medio/scarso. Notizie storiche: nessuna.

221

Trinchera 1865.

132

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 92. - Loc. Il Pizzo (Valsinni, MT): foto nadirale da drone.

Descrizione unità topografica: la rupe di loc. Il Pizzo presenta due cime separate da una lieve sella.

posizione centrale e di difesa, del tutto simile all’impianto fortificato della prossima Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT). Inoltre, farebbe riferimento anche all’impianto del castello Isabella Morra di Valsinni (MT) in cui è riconoscibile, nell’ambiente voltato centrale, il nucleo primordiale relativo a strutture fortificate associabili ai torrazzi appena citati, con funzioni di vedetta e controllo lungo l’intera vallata del fiume Sinni223.

Il pianoro di vetta è caratterizzato dai resti di un piccolo abitato fortificato222 distribuito su un areale di ca. m 50x90 (fig. 92). Sulla sommità è riconoscibile una struttura quadrangolare di dimensioni maggiori, in posizione dominante rispetto a tutte le altre strutture individuate. Dalla pianta rettangolare, è orientata in direzione Est-Ovest; presenta murature perimentrali dal notevole spessore (cm 75) edificate con bozze spaccate in calcare locale e legate con malta dal colore grigiastro. Non è possibile definire chiaramente la tecnica edilizia, in quanto questa struttura, e tutte le altre rivenute sul pianoro sommitale, si conservano a livello planimetrico ma non in elevato. All’interno del recinto si riconoscono resti di edifici quadrangolari, costruiti con muri di eguale spessore, impiego dei materiali e tecnica, denotando volontà costruttive e impiego di maestranze simili.

Il confronto della tecnica costruttiva con altri edifici fortificati simili nella vallata e i materiali fittili rinvenuti durante le attività di survey, farebbero propendere per una fondazione del complesso all’età normanna con relativo abbandono nel XIII-XIV sec. d.C. Tra i materiali diagnostici datanti le fasi di abbandono del sito vi è il rinvenimento di alcuni frammenti di ceramica invetriata monocroma e un orlo invetriato in bruno e rosso pertinente ad una ciotola di RMR (tavv. 6, 7). Indicazioni bibliografiche:

Da confronti planimetrici, tecnica edilizia e posizione farebbe, l’intero complesso e la sua distribuzione farebbe propendere per l’identificazione di un nucleo fortificato di altura con struttura fortificata/torrazzo sommitale e in 222

Quilici L., Quilici Gigli S. (a cura di), 2002, Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 2: da Valsinni a San Giorgio Lucano e Cersosimo, Roma.

Quilici, Quilici Gigli 2002; Quilici 2002, p. 20.

223

133

Vitale 2018a, pp. 217-222; 2018g, pp. 83-93.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 93. - Colobraro (MT): foto nadirale da drone del castello.

Definizione: centro fortificato d’altura.

Quilici L., 2002, Valsinni e i rilievi di Monte Coppolo, in Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 2: da Valsinni a San Giorgio Lucano e Cersosimo, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, p. 20.

Cronologia: età del bronzo – età contemporanea; per il medioevo attestazioni dal X-XI sec. d.C. – a continuità di vita.

Vitale V. 2018g, The middle valley of the Sinni (Italy, southern Basilicata). Analysis of visibility between medieval fortified sites (11th-14th century AD), in Journal of Research and Didactics in Geography (J-READING), 2, 7, Dec. 2018, pp. 83-93, doi: 10.4458/1682-08.

Materiali diagnostici: nessuno. Evidenze archeologiche e architettoniche: castello. Vie fluviali: fiume Sinni sul versante meridionale.

Vitale V. 2018a, La valle del Sinni tra XI e XIV sec. d.C. Genesi e abbandono dei siti fortificati, in Sogliani F., Gargiulo B., Annunziata E., Vitale V. (a cura di), VIII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Matera, 12-15 settembre, pp. 217-222.

Condizione attuale: area edificata urbana. Ricognizioni effettuate: il centro fortificato d’altura di Colobraro è stato oggetto di numerosi sopralluoghi, alcuni condotti a terra per poter individuare le sue persistenze medievali conservate nel suo tessuto urbano e altri tramite APR, per poter realizzare una base aereofotogrammetrica aggiornata del centro.

6.3.11 Scheda 21 Colobraro (PZ) (fig. 93) (F. 211 I S.E. – 40.188143, 16.426672)

Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: buona.

Quota altimetrica: m 630.150 s.l.m. Sommità montuosa.

Affidabilità identificazione: buona.

Mappa catastale: F. 27, particelle nn. 477, 570, 646, 991 (castello).

Stato di conservazione del deposito: scarso. 134

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 94. - Colobraro (MT): strutture del frantoio del castello.

Notizie storiche: l’origine dell’abitato di Colobraro è collegata all’esistenza di un cenobio di fondazione italogreco risalente probabilmente al X-XI sec. d.C. e chiamato S. Maria di Cironofrio, comunemente identificato nella chiesa della Madonna della Neve. Tra l’XI e il XII sec. d.C. il centro era, insieme a Policoro, possesso della domina Albereda, sorella di Ugo di Chiaromonte, prima moglie di Ruggero di Pomareda e poi di Riccardo Siniscalco224. Il centro fu feudo della Contea di Montescaglioso, poi della Contea di Chiaromonte e poi di quella di Adria. La vecchia parrocchiale, dedicata a San Nicola ingloba ancora notevoli strutture del XII secolo; ad essa è contigua la cappella della Cona, la quale presenta una cupola di tradizione architettonica bizantina a calotta con il tetto gradinato.

murari perimetrali restaurati, ma risulta possedere diversi interri a coprire i suoi piani di calpestio originari. Stessa sorte subiscono le aree poste a levante dove sicuramente è presente e ben definibile il recinto fortificato. Meno intuibili in questa zona le tracce di possibili corpi di fabbrica, così raccolta attorno ai vani ancora oggi visibili. Lo sviluppo planimetrico odierno è sicuramente frutto dell’ultima fase edilizia riferibile alle famiglie dei Pignatelli, Carafa e Donnaperna, i quali dal XVI sec. d.C. hanno trasformato la fabbrica fortificata medievale trasformandola in palazzo produttivo e di raccolta del centro di Colobraro. Ne rimane testimonianza la presenza della struttura produttiva del frantoio, impostata in uno dei vani al primo piano. Visibile nell’angolo Sud-Ovest è invece la cisterna in muratura; ricavata in muratura direttamente nello spazio dei perimetrali, presenta forma allungata ed è direttamente in connessione con l’ambiente del frantoio, il quale necessitava della presenza di acqua costante per poter gestire le sue attività. Le mole del frantoio, in arenaria locale, ancora conservate in posto, erano animate da trazione animale. I due torchi, inquadrati da una colonna centrale e due semicolonne laterali realizzate con rocchi in arenaria locale, presentano basamento sempre dello stesso materiale litico con canaletta di raccolta e beccuccio terminante impiegato a convogliare l’olio direttamente nella vasca rettangolare prospiciente (fig. 94).

Descrizione unità topografica: il centro di Colobraro occupa una scenografica posizione, su di un promontorio di rocce che lo elevano a m 630 s.l.m. e lo portano a dominare la forra del fiume Sinni di fronte a Valsinni e Monte Coppolo. Il castello, recentemente restaurato e reso fruibile, mostra oggi la sua veste cinquecentesca con tutta una serie di corpi aggiunti nei decenni successivi, fino a quando agli inizi del XIX secolo viene abbandonato completamente. Si accede ai piani superiori da una lunga rampa composta da scalini in muratura direttamente dal versante Nord; questa consente l’accesso sia all’ambiente dove si conserva lo splendido frantoio sia in direzione orientale agli ambienti che dovevano costituire la parte residenziale, oggi intuibile in planimetria ma non conservata in alzato. Questa sembra dovesse essere articolata in almeno 5 grandi vani a metratura diversa con annessi di dimensioni più piccole. Il grande vano meridionale orientato EstOvest, mostra tutta la sua interezza grazie agli apparati

224

La tecnica edilizia costruttiva dell’intero complesso architettonico, non chiaramente distinguibile in quanto i restauri hanno obliterato molti dei rapporti stratigrafici originari, potrebbe essere ricostruita nelle porzioni di murature negli ambienti ancora non indagati archeologicamente. Le persistenze sopravvissute fanno propendere per l’impiego esclusivo di bozze spaccate di arenaria locale, distribuite in maniera irregolare senza corsi di orizzontamento. Solo in minima parte, e raramente, vengono impiegate zeppe costituite da scaglie minute dello stesso materiale per regolarizzare i piani di posa. Il ricorso a rinzeppature in materiale fittile, quali

Antonucci 1934, pp. 11-26; Robinson 1929, p. 248.

135

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 95. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT). Foto obliqua da drone: in primo piano il poggio su cui sorge il torrazzo fortificato.

coppi o laterizi, è esclusiva di alcune fasi di rifacimento a ampliamento in epoca recente. In uno scatto del prospetto meridionale del castello prima che intervenissero con i restauri della struttura225, sono visibili quelle che dovevano essere le tecniche e i modi costruttivi della fabbrica. Anche molte delle buche pontaie per gli impalcati lignei provvisori oggi non sono più visibili perché tamponate durante gli stessi lavori. Se ne conservano in alcuni punti qualche esempio dalla tipologia quadrata l. cm 20x20, anche se riscontrabili nei perimetrali del frantoio, struttura sicuramente pertinente ad una fase piuttosto recente del complesso di epoca post medievale.

Robinson G., 1929, History and Cartulary of the greek monastery of St. Elias and St. Anastasius of Carbone, «Orientalia Christiana», 53. 6.3.12 Scheda 22 Località Cozzo Madonne della Rocca (fig. 95), Colobraro (MT) (F. 211 I S.E. – 40.179404, 16.440355) Quota altimetrica: m 310.287 s.l.m. Poggio, rilievo collinare. Mappa catastale: F. 26, particella n. 250.

Indicazioni bibliografiche:

Definizione: area fortificata di sbarramento alla valle del Sinni. Vedetta (?).

Antonucci G., 1934, Note critiche per la storia dei Normanni nel Mezzogiorno d’Italia, I, Alberada, «Archivio per la Calabria e la Lucania», IV, pp. 11-26.

Cronologia: frequentazione di IV-III sec. a.C.; XI-XII sec. d.C., abbandono XIV-XV sec. d.C.

Calastri et al. 2001 = Calastri C., Giorgi E., Quilici L., Settembrino M.L., Monti di Colobraro, in Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 3: dalle colline di Noepoli ai monti di Colobraro, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, pp. 133-188. 225

Materiali diagnostici: rari ffr. di ceramica a vernice nera; alcuni ffr. di ceramica invetriata policroma; diversi ffr. di ceramica da fuoco, alcuni ffr. di ceramica dipinta a bande (tavv. 8, 9).

Calastri et al. 2001, p. 167, fig. 32.

136

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 96. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT): panoramica del torrazzo fortificato.

Evidenze archeologiche e architettoniche: torrazzo; chiesa monoabsidata (?); fortificazioni; villaggio. Vie fluviali: fiume Sinni. Condizione attuale: area rurale. Ricognizioni effettuate: l’area di località Cozzo Madonne della Rocca è stata oggetto di numerosi sopralluoghi, alcuni condotti a terra per poter individuare le sue persistenze medievali conservate nel suo tessuto urbano e altri tramite APR, per poter realizzare una base aereofotogrammetrica aggiornata del centro. Condizioni del suolo: incolto, macchia mediterranea, bosco. Visibilità: scarsa.

Fig. 97. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT). Strutture murarie del torrazzo fortificato.

Affidabilità identificazione: buona.

essere del tipo irregolare con minimi accenni di corsi di orizzontamento, dovuti a regolarizzazioni effettuate con lastre e scaglie minute dello stesso materiale. Rarissimo l’impiego di laterizio negli apparti murari; consistente invece è la presenza di malta a formare letti di posa di un certo spessore, denotando una buona tecnica nella produzione di questo legante. Al suo interno sono presenti inclusi di materiale calcareo biancastro e sabbie locali. La sua consistenza tenace ha permesso di conservare molte porzioni murarie di questa fabbrica, costruita a inglobare una rupe di sommità per un’altezza di ca. m 5. La costruzione è preceduta verso monte da uno stretto fossato, profondo ca. m 2. Immediatamente ad Ovest rispetto al torrazzo, sono visibili almeno tre setti murari di spessore notevole e fortemente degradati a causa delle forti pendenze del declivio nel punto in cui si fondano. Questi, probabilmente, fungevano da terrapieno con funzione di contenimento rispetto al torrazzo principale.

Stato di conservazione del deposito: scarso. Notizie storiche: nessuna. Descrizione unità topografica: area fortificata, torrazzo, chiesa monoabsidata, villaggio. Lungo il Sinni, alle estreme pendici della montagna di Colobraro, proprio di contro alla rupe di Timpa di Ponto, la rupe di Cozzo Madonne della Rocca serra con quella il corso del fiume. La rupe, con i suoi versanti ripidi sul corso d’acqua, nella sua porzione sommitale è alta precisamente m 310.287 s.l.m. La geologia dei luoghi è costituita da arenaria locale particolarmente dissestata dai movimenti franosi, motivo per il quale il luogo risulta di difficile accesso226 (fig. 96). In vetta sono visibili i ruderi di un torrazzo di forma rettangolare orientato in direzione Nord-Sud. Gli apparati murari della fabbrica furono edificati con materiale reperito esclusivamente in loco (costante delle costruzioni rivenute nella media valle del Sinni) con blocchi spaccati di arenaria, di cui solo le facce viste sono in parte regolarizzate (fig. 97). La tecnica edilizia risulta

226

Durante le attività di survey condotte tra il 2016 e il 2017 sono stati individuati almeno quattro ambienti diversi, distribuiti sullo stretto pianoro che si viene a formare in cima in direzione meridionale e occidentale. Ad un’attenta analisi si possono scorgere i resti di due ambienti a sviluppo planimetrico rettangolare posti uno di fianco all’altro e orientati in direzione Est-Ovest. Difficile stabilire la tecnica

Calastri et al. 2001, p. 152.

137

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale edilizia in quanto risultano essere visibili solo parte delle creste murarie, anche se probabilmente non si discosta molto da quella delle altre apparecchiature murarie qui presenti. L’indagine è proseguita con il rinvenimento di un altro edificio posto immediatamente a meridione di questi ultimi. Non è dato sapere se questi corpi di fabbrica fossero edifici attigui o meno e quali rapporti stratigrafici conservino tra di loro. La particolarità di quest’ultimo vano, rispetto a quelli precedentemente descritti, consiste nel rinvenimento lungo del perimetrale Est di una porzione muraria dalla forma semicircolare e non rettilinea. Questo tratto murario, visibile al momento per soli m 2 e spesso ca. cm 60, denoterebbe un arco di curvatura tendente ad un restringimento verso l’interno con l’attacco ad una spalletta muraria (fig. 98). L’ipotesi iniziale che potesse trattarsi di una torre circolare costruita in una fase successiva all’impianto del torrazzo sarebbe da scartare, visto il restringimento e l’esiguità del tratto murario. Anche in assenza di indagini archeologiche specifiche, visto l’orientamento della struttura in direzione Est-Ovest e il rinvenimento del setto semicircolare orientato a Est, si potrebbe propenderebbe verso l’ipotesi del rinvenimento del piccolo edificio ecclesiastico pertinente al sito fortificato. L’edificio presenta una superficie riconoscibile di ca. m2 25 distribuiti planimetricamente in un ambiente dalla forma rettangolare (l. m 4x6). Il toponimo parlante Cozzo Madonne della Rocca, così come riportato dalla cartografia IGM, farebbe propendere per l’identificazione dell’area come luogo su cui sorgeva un edificio ecclesiastico intitolato alla Vergine. I dati desunti da questa ricerca e dall’analisi preliminare dell’edificio sono tutti indirizzati verso questa direzione, la quale potrà essere smentita o confermata esclusivamente tramite indagini archeologiche sull’area.

Fig. 98. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro MT). Struttura muraria circolare (abside?).

6.3.13 Scheda 23 Località Catarozzo (fig. 99), Francavilla in Sinni (PZ) (F. 211, III S.E. – 40.052561, 16.233381) Quota altimetrica: m 874.287 s.l.m. Poggio, rilievo montuoso.

Proseguendo ulteriormente in direzione meridionale sono stati recuperati e individuati, un setto murario isolato e un piccolo vano rettangolare costruito direttamente sul ciglio della rupe. L’analisi delle tecniche murarie confermerebbe le indicazioni costruttive degli ambienti precedentemente descritti. Purtroppo non è stato possibile definire lo sviluppo planimetrico complessivo del vano, in quanto gli altri due setti murari che componevano il corpo di fabbrica non sono conservati, crollati a causa di cedimenti dovuti alle forti pendenze del declivio in quest’area.

Mappa catastale: F. 25, particella n. 112. Definizione: sito fortificato, torrazzo, villaggio, recinto fortificato. Cronologia: XII-XIV sec. d.C. Materiali diagnostici: diversi ffr. di ceramica acroma, diversi ffr. di ceramica da fuoco, alcuni ffr. di ceramica invetriata monocroma verde.

Indicazioni bibliografiche:

Evidenze archeologiche e architettoniche: torrazzo; strutture fortificate; porta di accesso al sito; terrazzi agricoli; villaggio (?).

Calastri et al. 2001 = Calastri C., Giorgi E., Quilici L., Settembrino M.L., Monti di Colobraro, in Carta archeologica della Valle del Sinni, Fascicolo 3: dalle colline di Noepoli ai monti di Colobraro, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, pp. 133-188.

Vie fluviali: torrente Rubbio. Condizione attuale: area rurale, incolto.

138

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 99. - Loc. Catarozzo (Francavilla in Sinni, PZ): foto nadirale da drone (in alto); ortofotopiano con indicazione dei corpi di fabbrica (in basso).

Ricognizioni effettuate: l’area di località Catarozzo è stata oggetto di numerosi sopralluoghi, alcuni condotti a terra per poter individuare le sue persistenze medievali conservate nel suo tessuto urbano e altri tramite APR, per poter realizzare una base aereofotogrammetrica aggiornata del centro. Durante il mese di agosto

2017  l’intera sommità del poggio rilevato è stata oggetto di incendio, consentendo una visibilità migliore dell’area. Condizioni del suolo: incolto, macchia mediterranea. Visibilità: mediocre. 139

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Affidabilità identificazione: buona.

iuribus plantandi et omnibus aliis iuribus iurisdictionibus et pertinentiis quibuscumque ad dictum feudum spectantibus e nell’anno 1426 Ruggiero Sanseverino, figlio di dicto Vincislao non solo concedè al monastero il poter congregare vassalli nel territorio del Rubio, ma in qualunque altra parte del territorio del monastero, come dall’istromento di dicta concessione”229. Nel Giustizierato di Basilicata le terre abitate documentate in numero di 148 al momento della presa di potere angioina, scadono a 96 nel 1445230, ed è da ipotizzare proprio questo periodo quale momento dell’abbandono definitivo del Rubeo anche se altre attestazioni fanno protendere la sua esistenza, o almeno di parte di alcune delle sue strutture fino alla metà del XVI sec. d.C.

Stato di conservazione del deposito: scarso. Notizie storiche: nei documenti storici e nelle poche pubblicazioni che riguardano il castello di Rubeo e la grancia di Santa Maria di Bonavalle viene fatta molta confusione tra i due siti e solo un’indagine archeologica puntuale in entrambe i complessi architettonici potrebbe fare chiarezza. Il rudere posto lungo la sponda orientale del torrente Rubbio viene a volte riconosciuto quale casale di Rubeo, a volte come grancia di Santa Maria di Bonavalle. Per quanto riguarda il sito di loc. Catarozzo, invece, solo Viceconte lo assegna a quello che fu il castrum Rubeo227. Analizzando i due complessi, il primo sorge in una posizione predominante dal punto di vista della gestione di un territorio e di un alveo fluviale, prerogative già riconosciute in località quali quelle di Ventrile, grancia del Sagittario; il secondo svolge pienamente le funzioni difensive e di controllo di un’area abbastanza ampia vista la sua localizzazione. A smentire l’una o l’altra ipotesi viene l’indicazione della chiesa di Sancti Petri de Rubeo: nel primo caso un edificio identificabile come struttura ecclesiastica sembra far riferimento ad un vano del complesso, anche se la tipologia architettonica non richiama una struttura degli inizi del XIII sec. d.C., data assegnata a questa fondazione; nel secondo insediamento, considerata l’esigua conservazione delle strutture in alzato non è stato possibile definire le funzioni di ogni singolo ambiente né tantomeno stabilire se il luogo fosse fornito o meno di una chiesa.

È proprio l’edificio ecclesiastico di Rubeo, il quale è già indicato nelle mappe allegate alle “Rationes decimarum” della diocesi di Anglona e Tursi nei secoli XIII e XIV, a sopravvivere e a funzionare dopo la distruzione del casale almeno fino al 1526; difatti, in tale anno è ricordata una parrocchia di Rubio in Diocesi di Anglona, presso il bosco Sicileo e il fiume Sinni231. Descrizione unità topografica: area fortificata, torrazzo, villaggio (?). Lungo le pendici del monte Caramola, in comune di Francavilla in Sinni, nella località detta Catarozzo, si rinvengono i ruderi di un insediamento fortificato d’altura. La rupe, con i suoi versanti ripidi, nella sua porzione sommitale è alta precisamente m 874.287 s.l.m. La geologia dei luoghi è costituita da arenaria locale, ciottoli e scisto. In vetta sono visibili i ruderi di un torrazzo di forma rettangolare orientato Nord-Sud. Gli apparati murari della fabbrica furono edificati con materiale reperito esclusivamente in loco (costante delle costruzioni rivenute nella media valle del Sinni) con blocchi spaccati di scisto e ciottoli. La tecnica edilizia risulta essere del tipo irregolare, con minimi accenni di corsi di orizzontamento dovuti a regolarizzazioni effettuate con lastre minute dello stesso materiale. Completamente assente è l’impiego di laterizio mentre risulta invece consistente la presenza di malta a formare letti di posa di un certo spessore, denotando una buona tecnica nella produzione di questo legante. Al suo interno sono presenti inclusi di materiale calcareo biancastro e sabbie locali. La sua consistenza tenace ha permesso di conservare molte porzioni murarie di questa fabbrica, anche se in buona parte coperte dai crolli delle stesse. In un punto dove è stato effettuato uno scavo clandestino si può scorgere in elevato per ca. m 1.50 uno dei prospetti.

È certo che a Rubeo una chiesa esisteva, se si considera la prima menzione di questo edificio nel 1216 in Sancti Petri de Rubeo, quando venne confermata da Onorio III tra i possedimenti di Sagittario. Dalla vita del Beato Giovanni da Caramola si ricava la tassazione di Rubio nel 1320 era di due once e quindici tarì per un totale di 13 fuochi. Risulta in possesso di un Berencario di Rubio (il quale figura tra i testimoni firmatari del diploma di Riccardo di Chiaromonte a favore della chiesa di San Tommaso Apostolo del 1226), che era sottofeudatario dei Chiaromonte. Confiscato dagli Svevi, Rubio fu restituito ai Chiaromonte da Carlo I d’Angiò. Poi fu concesso in suffeudo ad Apollonio di Rubeo, che nel 1217 sposò Costanza figlia di Riccardo di Castromediano. Rubio passò in seguito a Riccardo, indicato anche come barone di Episcopia. Con la morte di quest’ultimo di due castelli in suo possesso passarono alla gestione diretta del Conte Venceslao Sanseverino di Chiaromonte228. Al tempo di Ladislao, nella conferma del 15 marzo 1404 delle donazioni fatte ai certosini da parte del conte di Chiaromonte, il castello di Rubio è indicato con l’espressione “dirutum et destructum”. Un documento del secolo XVI racconta: “Castrum Rubei pertinentiarum comitatus Clarimontis et confinantum cum territorio Noie ed aliis finibus, cum omnibus vassallia vassallagiis,

Immediatamente a Nord rispetto alla parte edificata sommitale, sono visibili i resti imponenti di una struttura assimilabile all’accesso fortificato del sito, realizzata con uno spessore murario notevole di m 2.20 e visibile per Ibidem. Cilento 1985, p. 104. 231 Racioppi 1970. 229

Viceconte 2005, pp. 439-448. 228 Giganti 1997, p. 68. 227

230

140

La valle del Sinni tra X e XV sec. d.C.

Fig. 100. - Loc. Catarozzo (Francavilla in Sinni, PZ): particolari murari.

e Sud-Est, pur trattandosi di opere relative ad un ridotto fortificato denotano spessori murari notevolmente ridotti (tra i cm 50 e i cm 55) (fig. 100).

un’altezza max di ca. m 3.80. L’altezza considerevole del portale è dovuta al fatto di essere stata costruita in una porzione di terreno dalle forti pendenze, per ovviare alle quali l’intero prospetto fu concepito e realizzato a scarpa. Unici esemplari di buche in muratura, probabilmente utili per la costruzione di apparati lignei mobili quali ponteggi, sono due buche circolari speculari del diametro di ca. cm 10.

Il vano posto nella porzione orientale della sommità (CF 1) (fig. 99) conserva all’interno del suo perimetro una struttura di forma ovale, realizzata per metà sagomando direttamente il banco roccioso in posto e per l’altra in muratura. La tipologia farebbe riferimento ad una cisterna interna all’ambiente, impiegata nella raccolta delle acque piovane provenienti dalle coperture degli stessi vani (fig. 101).

Durante le attività di survey condotte successivamente ad un incendio, sopraggiunto in questi luoghi nel mese di agosto 2017, sono stati individuati almeno cinque ambienti diversi. Distribuiti sullo stretto pianoro che si viene a formare in cima, orientati in direzione Nord-Ovest 141

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Cilento N., 1985, La Lucania bizantina, «Bollettino Storico della Basilicata», 1. Giganti A., 1997, Francavilla nella media valle del Sinni. Origine di un microcosmo rurale del secolo XV, Francavilla in Sinni. Racioppi G., 1970r, Storia dei Popoli Lucani II, Roma. Viceconte L., 2005, Dizionario dialettale di Francavilla sul Sinni. Etimologie, proverbi, modi di dire, canti, curiosità, favole, indovinelli, notizie, immagini che raccontano la storia, Venosa, pp. 439-448.

Fig. 101. - Loc. Catarozzo (Francavilla in Sinni, PZ): cisterna (?).

L’analisi delle tecniche murarie confermerebbe le indicazioni costruttive degli ambienti precedentemente descritti; tutti i paramenti murari sono costruiti con bozze di scisto miste a ciottoli di piccole e medie dimensioni, su corsi irregolari e allettati con malta cementizia abbondante. Anche l’analisi autoptica delle malte conferma la tipologia produttiva delle calcare di loc. Catarozzo, con produzione di leganti tenaci composti da inclusi di calcare e sabbie nerastre locali. Purtroppo non è stato possibile definire gli sviluppi planimetrici dei vani, in quanto i perimetrali Sudorientali non sono riconoscibili neanche in traccia, coperti probabilmente dai relativi crolli. L’abbandono dell’intero complesso sembrerebbe attestarsi non oltre il XIV sec. d.C., in base alle indicazioni cronologiche fornite dai pochi materiali fittili, quali il rinvenimento di ceramica invetriata policroma232. È proprio durante questo secolo che non si avvertirà più la necessità di costruire agglomerati urbani in posizioni dominanti d’altura. I castelli avevano ormai perduto la loro funzione militare e il confronto consisteva soprattutto tra ceti sociali, fra città e campagne, fra centro e periferia233. Questo fenomeno è documentato anche dal progressivo abbandono in tutta la valle del Sinni proprio di strutture di vedetta d’altura come i casi di Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT), località Il Pizzo (Valsinni, MT) e Castello di Seluci (Lauria, PZ) tutti abbandonati durante il XIV-XV sec. d.C., probabilmente snaturati dalle loro funzioni originarie. Indicazioni bibliografiche: Cera G., 2001, Il territorio di Francavilla in Sinni e la contrada Mezzana di San Severino Lucano, in Carta archeologica della valle del Sinni. Fasc. 6: massiccio del Pollino e le colline di Francavilla in Sinni, San Costantino Albanese, San Severino Lucano, Agromonte Magnano e Mileo, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma, pp. 9-46.

232 233

Cera 2001, p. 30. Giganti 1997, p. 228.

142

7 L’indagine archeologica nella media valle del Sinni Sommario: Il complesso monumentale del Ventrile. In età medievale il territorio compreso tra i fiumi Sinni e Agri, era centro politico della Contea di Chiaromonte, signoria di origine normanna fondata da Ugo Clermont. Signori di un territorio in gran parte coperto da un fitto bosco, i Chiaromonte promossero la costruzione e ricostruzione di strutture difensive oltre a dare impulso alla costruzione di edifici ecclesiastici ubicati lungo i fiumi che costituivano una facile via di penetrazione verso l’interno della regione. I ruderi di quello che in età medievale fu una delle più importanti istituzioni ecclesiastiche dell’intera regione, il monastero cistercense del Sagittario (XII secolo d.C.) sorgono in un sito d’altura da cui dominava la valle del Sinni. Sua maggiore pertinenza, sorta alla confluenza del fiume Sinni e del torrente Frido, fu la grancia di Ventrile, struttura satellite atta a gestire e potenziare gli affari del cenobio propri affari. Castello Isabella Morra. Le ragioni sottese alla nascita dei centri fortificati di età medievale nella valle del Sinni sono complesse e spesso dipendono da ragioni strategiche e politiche. Tra le rocche conservate nella loro primordiale fase costruttiva è da annoverare il castello Isabella Morra (Valsinni, MT). In maniera simile per i centri di Chiaromonte e Teana, a Valsinni il castello si sviluppa attorno ad un torrazzo, primigenia torre a pianta quadrangolare, in seguito inglobato da altri annessi, raggiungendo l’apice della sua estensione planimetrica nel XVI sec. d.C. sotto la famiglia Morra. La possibilità nel 2014 di indagare le stratigrafie del cortile del castello ha consentito di riconoscere gli spazi che vengono descritti nei documenti cinquecenteschi, all’epoca in cui la struttura era abitata dalla poetessa Isabella Morra. Sono state individuate le cucine con i focolari e il forno, alcune aree produttive con il rinvenimento di una piccola forgia. Abstract: Il complesso monumentale del Ventrile. In the Middle Ages the territory between the rivers Sinni and Agri was the political center of the County of Chiaromonte, a seigniory of Norman origin founded by Ugo Clermont. Lords of a territory largely covered by a dense forest, the Chiaromonte promoted the construction and reconstruction of defensive structures as well as giving impetus to the construction of ecclesiastical buildings located along the rivers that were an easy way of penetration into the interior of the region. The ruins of what in the Middle Ages was one of the most important ecclesiastical institutions of the whole region, the Cistercian monastery of Sagittario (12th century AD) rise in a high site from which it dominated the Sinni valley. Its major relevance, built at the confluence of the Sinni river and the Frido torrent, was the grancia of Ventrile, a satellite structure designed to manage and enhance the cenoby’s own affairs. Castello Isabella Morra. The reasons underlying the birth of the medieval fortified centres in the Sinni valley are complex and often depend on strategic and political reasons. Among the fortresses preserved in their primordial construction phase is the Isabella Morra castle (Valsinni, MT). Similarly for the centres of Chiaromonte and Teana, in Valsinni the castle developed around a tower, a primigenial quadrangular tower, later incorporated by other annexes, reaching the apex of its planimetric extension in the 16th century AD under the Morra family. The opportunity in 2014 of investigating the stratigraphy of the castle courtyard made it possible to recognize the spaces described in 16th century documents, at the time when the structure was inhabited by the poetess Isabella Morra. The kitchens with its hearths and oven has been identified, along with some production areas with the discovery of a small forge.

7.1 Il complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ)

Ugo Clermont. Dal punto di vista ecclesiastico il territorio era sotto il governo della diocesi di Tursi-Anglona, di fondazione bizantina, latinizzata con la conquista normanna della Basilicata a cavallo tra la prima e la seconda metà dell’XI secolo1.

7.1.1 Premessa In età medievale il territorio compreso tra i fiumi Sinni e Agri, era il centro politico della vasta Contea di Chiaromonte, signoria di origine normanna fondata da

Bubbico, Caputo, Maurano 1996; Caputo 1988; 1992; Dalena 1994, 285-316; Elefante 1988; Faggella 1994; Houben, Vetere 1994. 1

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 102. - Grancia del Ventrile (Chiaromonte, PZ): panoramica generale prima delle fasi di restauro.

Definizione: complesso monastico, grancia. Villa rustica di età imperiale. Terme di età imperiale. Frequentazione stabile di età lucana.

Signori di un territorio in gran parte coperto da un fitto bosco, i Chiaromonte, al pari degli altri baroni normanni, promossero la costruzione di strutture difensive oltre a dare impulso alla realizzazione di edifici ecclesiastici ubicati in gran parte lungo i fiumi che costituivano una facile via di penetrazione verso l’interno della regione2.

Cronologia: IV sec. a.C. – II sec. d.C. (fase insediativa di età lucana-romana); XII sec. d.C. – 1807 (leggi eversione feudale napoleoniche); fondato nel 1152 dai Benedettini e incorporato successivamente nell’Ordine cistercense di Casamari4.

I ruderi di quello che in età medievale fu una delle più importanti istituzioni ecclesiastiche dell’intera regione, il monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario fondato, secondo la tradizione, agli inizi del XII secolo dalla potente famiglia dei Clermont3, sono ancora conservati a pochi chilometri di distanza da Chiaromonte, in un sito d’altura da cui dominava la valle del Sinni. Sua maggiore pertinenza, sorta alla confluenza del fiume Sinni e del torrente Frido, fu la grancia di Ventrile, struttura satellite atta a gestire e potenziare gli affari del cenobio (fig. 102).

Materiali diagnostici: diversi ffr. di ceramica a vernice nera; diversi ffr. di ceramica a pasta grigia; alcuni ffr. di terra sigillata italica; alcuni ffr. di terra sigillata africana del tipo C; alcuni ffr. di unguentario; alcune tessere di mosaico; diversi ffr. di ceramica smaltata monocroma di colore celeste, marrone, bianco e giallo; numerosi ffr. di ceramica acroma; numerosi ffr. di ceramica da fuoco; 1 fr. di ceramica invetriata monocroma marrone; diversi ffr. di ceramica smaltata monocroma bianca; 2 ffr. di ceramica graffita acroma; diversi ffr. di ceramica smaltata policroma in blu, bruno e giallo.

7.1.2 Scheda sito Complesso monumentale di Ventrile (fig. 103, tav. 10), Chiaromonte (PZ) (F. 211, III S.E. – 40.081054, 16.180242).

Evidenze archeologiche e architettoniche: monastero; chiostro; chiesa; torre a pianta ottagonale; terme di età romano-imperiali (I sec. a.C. – II sec. d.C.); frequentazione di età lucana IV – III sec. a.C.

Quota altimetrica: m 356.060 s.l.m. Fondovalle. Mappa catastale: F. 48, particella n. 20.

Vie fluviali: posto alla confluenza del fiume Sinni con il torrente Frido, affluente immissario meridionale.

2 Sogliani 2015a, 448-453; 2015b, 421-452; 2018b, pp. 91-104; 2019, pp. 457-482. 3 Giganti 1978, p. VI.

4

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Dalena 1995.

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 103. - Grancia del Ventrile (Chiaromonte, PZ): panoramica generale del complesso architettonico restaurato (foto obliqua da drone).

Condizione attuale: area edificata. Il complesso è stato restaurato durante i mesi di ottobre 2015 e maggio 2016. Durante il 2020-21 sono stati effettuati i lavori di recupero strutturale dell’ala settentrionale, realizzati i lavori di sistemazione dell’area (parcheggi e accessi) e la costruzione di un centro polifunzionale.

Notizie storiche: il complesso architettonico di Ventrile segue uno sviluppo planimetrico Nord-Sud. Attualmente ricade nell’area del comune di Chiaromonte (PZ), precisamente in contrada Vaccuta (F. 211, III S.E.). Sorse nella diocesi di Anglona in una posizione strategica che consentiva di dominare le due valli fluviali. Nato probabilmente come fondazione monastica benedettina nell’XI secolo, è riportato nelle fonti come monasterum vetus6; divenne grancìa agli inizi del XIII secolo quando fu costruita l’abbazia di Santa Maria del Sagittario.

Ricognizioni effettuate: sono stati effettuati numerosissimi sopralluoghi per campagne fotografiche e di rilievo delle evidenze superstiti prima dell’inizio dei lavori di restauro, durante i quali il monumento è stato oggetto di indagine archeologica sistematica5. Le prime fasi di survey hanno interessato il Ventrile soprattutto per restituzioni aerofotogrammetriche condotte tramite APR.

La legenda narra di un facoltoso abitante di Chiaromonte, Tancredi Murrino, che volle costruire a proprie spese un nuovo tempio alla Vergine alla confluenza del fiume Sinni e del torrente Frido, ai piedi della collina del Sagittario, difficile da raggiungere per i devoti durante l’inverno7. Agli Annali del monastero del Sagittario, compilati nel XVII secolo dall’abate cistercense G. de Lauro, risale la menzione della fondazione del monastero nel corso dell’XI secolo ad opera dei Benedettini e posto sotto la protezione apostolica da Alessandro II (1061-1073).

Condizioni del suolo: area rurale, alveo del fiume. Visibilità: buona. Stato di conservazione del deposito: complesso architettonico restaurato. Tutta la porzione centrale e meridionale del complesso è stata restaurata e consolidata (interventi 2015-16), mentre l’ala settentrionale è stata oggetto di interventi simili tra 2020-21.

Secondo Pietro Dalena questo fu fondato nel 1152 proprio dai Benedettini e in seguito incorporato nell’Ordine cistercense di Casamari8. Nel 1248, l’abate Giacomo del Sagittario ottenne da Giacomo di Chiaromonte la conferma del possesso del Ventrile (“eo tempore nuncupatum Sagittarii veteris”).

5 In data 09 luglio 2015 (MIBACT-SAR-BAS UPROT 0000496 09/07/2015 CI. 34.19.04/53) la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata ha rilasciato autorizzazione allo scavo preventivo presso il complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ), autorizzando il Dott. Valentino Vitale a svolgere e coordinare sul campo le attività di ricerca e documentazione. Attività avviatesi il giorno 19 ottobre 2015 sotto la direzione scientifica della stessa Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata.

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Dalena 1995. Elefante 1985; Percoco 2003, pp. 58-59. Dalena 1995.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale presentano una disposizione Sud-Ovest/Nord-Est per confluire nell’asta principale rappresentata dal torrente Frido (affluente in destra orografica del fiume Sinni) che scorre all’incirca da Sud verso Nord. Nell’insieme, la trama del reticolo si presenta dentritica. L’assetto idrografico superficiale deve alle vicende tettoniche sia l’allineamento dei corsi d’acqua, impostati sul fitto reticolo di faglie, sia l’incassamento dei medesimi, conseguenza del rapido sollevamento plio-quaternario. Per la realizzazione degli interventi di restauro e consolidamento delle strutture esistenti, oggetto del progetto di recupero del complesso durante il 2015-16 furono eseguiti 7 sondaggi in profondità per testare la natura del deposito in quest’area.

Sotto il priorato di Girolamo Caricato (1596-1613) sono realizzate una grande cantina, il deposito del grano, la neviera ed alcune celle. Al priore De Simone è attribuita la realizzazione di una torre, probabilmente quella a pianta ottagonale, che sembrerebbe far parte dell’ultima fase costruttiva. Importante informazione viene fornita nel 1660 dall’abate De Lauro, il quale scriveva nel suo manoscritto “De Sagittarii Abbatibus sacri Cisterciensis ordinis” affermando che il Ventrile venne edificato su “…monumenta passim fendunt subterranea et cadaverum ossa”9. Nel corso dei secoli al nucleo originario furono aggiunti vari ambienti fino alla sistemazione definitiva di cui restano i ruderi10. Nel 1807 in seguito alle disposizioni napoleoniche, il complesso di Ventrile fu soppresso, cominciando il lento declino del monumento. Negli anni successivi la struttura fu spogliata completamente e i suoi beni, il bosco e altre dipendenze, messe in vendita11.

Sondaggio S1 Ubicato al centro del monastero nel CF 1213 – area claustrale (si veda fig. 104), ha raggiunto una profondità di m 10. I primi m 2 sono costituiti da ghiaie, ghiaietto e sabbie grosse di colore grigiastro con clasti sub-arrotondati di natura prevalentemente calcarea e calcarenitica. Seguono m 0.5 di sabbie grigie medie e grosse; m 1 di ghiaie e ghiaietto con sabbia e m 1.5 di detrito argillolimoso, organico, di colore nerastro, plastico, inglobante frammenti di materiale fittile. Gli ultimi m 4.5 sono costituiti da ghiaie e ghiaietto con clasti sub-arrotondati immersi in abbondante matrice sabbioso-limosa.

Gran parte degli ambienti settentrionali del complesso attualmente sono ancora sepolti da un interro formatosi in seguito alle piene del Sinni e del Frido, mentre quasi tutta la sua porzione meridionale e centrale è stata indagata e recuperata. Il moderno sistema di sbarramento delle acque del fiume Sinni, difatti, ha moderato notevolmente la portata d’acqua del fiume rallentando il processo di accumulo dei detriti12.

Sondaggio S2 Approfonditosi per m 20 dal piano di campagna, è posto all’esterno del complesso: ha evidenziato m 4.8 di materiale ghiaioso in matrice sabbiosa, mentre da m 4.8 a 6 materiale detritico con resti organici ed elementi fittili. Da m 6 a 12.8 materiale ghiaioso immerso in matrice limo-sabbiosa, con alternanza di livelli sabbiosi-limosi. Da m 12.8 a m 16 sabbie con limo grigiastro-verdastro in alternanza con livelli ghiaiosi, da m 16 a m 20 (fine foro) il materiale precedente ma di colore grigiastro (non alterato).

7.1.3 Metodologia della ricerca archeologica. Le indagini preliminari L’area dove sorge il complesso architettonico di Ventrile si colloca lungo la fascia di contatto tra i terreni conglomeratici e sabbiosi, costituenti l’ossatura delle colline, e i depositi alluvionali recenti e attuali del Fiume Sinni. Tali terreni rientrano in un più ampio contesto geologico legato alla formazione del “Bacino di S. Arcangelo”, caratterizzato dagli affioramenti di terreni sedimentari Plio-Pleistocenici e Quaternari. L’unità paleogeografica definita come bacino di S. Arcangelo è in gran parte corrispondente all’area occupata dalle medie valli dei Fiumi Sinni e Agri e ad Est dalla dorsale Colobraro e Valsinni.

Sondaggio S3 Ubicato all’interno del CF 4 (si veda fig. 104), ha raggiunto una profondità di m 10. Dopo un sottile strato di suolo vegetale si rinvengono m 4 di sabbie sciolte ed asciutte a granulometria fine, con intercalazioni, nel primo metro, di ciottoli eterometrici a spigoli vivi. Attraverso cm 80 di materiale sciolto a matrice sabbiosa, costituito da ciottoli eterometrici a spigoli vivi e da frammenti di terracotta rossa, si passa a ca. m 1.2 di limo sabbioso alternato, da m 5 a m 5.8, a ghiaia sciolta. Da m 6 a m 6.25 è stato prelevato un campione indisturbato. Da m 6.25 fino a fondo foro si osserva un’alternanza di ghiaia sciolta media grossolana e di ghiaietto e sabbia compatti e mediamente umidi.

L’attuale assetto geomorfologico del complesso di Ventrile è il risultato di diversi fattori che interagiscono: le caratteristiche litologiche dei terreni affioranti, i rapporti geometrici degli stessi, l’intensa tettonica compressiva che li ha interessati e l’azione erosiva delle acque di ruscellamento. La grancia è situata lungo un ampio e, pressoché, pianeggiante fondovalle impostato su un terrazzamento del fiume Sinni. Il reticolo idrografico delle aree investigate risulta condizionato dai caratteri di permeabilità delle rocce affioranti, dall’assetto strutturale e dalla pendenza dei versanti. Le principali incisioni 9 10 11 12

de Lauro 1673, fol. 31. Bubbico 1996, p. 82. Verrastro 2000, pp. 85-86. Cencetti, Fredduzzi 2007, p. 6.

13

146

Corpo di fabbrica, d’ora in avanti CF.

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 104. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Planimetria generale con indicazione dei saggi di scavo archeologico.

Sondaggio S6 Ubicato in CF 16 ha raggiunto anch’esso una profondità di m 10. I primi m 7, sono costituiti da un’alternanza di sabbie sciolte con locali intercalazioni di clasti grossolani e sabbie compatte e mediamente compatte. Da m 7 fino a fondo foro, si rinviene un’alternanza di ghiaie sciolte a matrice limo-sabbiosa e sabbie prevalentemente asciutte da mediamente compatte a compatte. A ca. m 2.9 vi è presenza di frammenti di laterizio. Dalle indagini MASV riportare risulta terreno di tipo b, ovvero rocce tenere e depositi di terreni a grana grossa molto addensati o terreni a grana fine molto consistenti con spessori superiori a m 30.

Sondaggio S4 Approfonditosi per m 20 dal piano di campagna all’esterno della grancia in direzione Est, ha evidenziato m 3 di materiale ghiaioso in matrice sabbiosa, da m 3 a 4 materiale detritico di cui da m 3.50 a 3.80 con elementi fittili. Da m 4 fino a fine foro materiale ghiaioso immerso in matrice limo-sabbiosa, con alternanza di livelli sabbiosi-limosi. Sondaggio S5 Ubicato nel CF 1 ha raggiunto una profondità di m 10. Dopo m 0.6 di suolo vegetale, si rinviene un’alternanza di sabbie e ghiaie che, fino alla profondità di m 5,45, si presentano sciolte e quasi sempre sature. Da m 3 a m 3.4, suddetta alternanza è interrotta da un livello di limo saturo scarsamente compatto con locali intercalazioni di piccoli clasti poligenici. È importante rilevare come da m 4 a m 4.4 si rinviene materiale fittile associabile alla facies dei materiali rinvenuti in s3 in CF 4 (si veda fig. 104) alle medesime profondità. Da m 5.45 a m 7.2 alternanza di sabbie e microconglomerati molto compatti e asciutti di colore grigio marroncino. Da m 7.2 a m 10 il sondaggio si chiude con ghiaia sciolta grossolana e fine con clasti poligenici, eterometrici.

Sondaggio S7 Approfonditosi per m 20 dal piano di campagna è posto all’esterno del monastero nella sua porzione meridionale; ha evidenziato m 4 di materiale ghiaioso in matrice sabbiosa, da m 4 a 6 sabbie sature e da m 6 fino a fine foro materiale ghiaioso alternato a materiale sabbioso. Tutti i sondaggi effettuati all’interno del complesso architettonico mostrano a ca. m 4 di profondità la presenza di frammenti fittili non pertinenti alle fasi di costruzione della grancia, bensì a momenti di vita precedenti che insistono nell’area del manufatto.

147

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale per i Beni Archeologici della Basilicata e il coordinamento delle attività sul campo da parte dello scrivente.

Tutto ciò in accordo con quanto già emerso durante la prospezione geoelettrica che indicava a ca. m 4 di profondità la base della struttura muraria, impostata direttamente con i relativi corpi di fabbrica su stratigrafie di accumulo e murarie databili tra il IV sec. a.C. e il II-III sec. d.C.

Le attività sono state avviate in considerazione del fatto che il monumento è stato in parte oggetto di un recupero strutturale delle murature e di un intervento di ammodernamento del complesso con l’aggiunta di alcune strutture in acciaio corten.

Tutte le prove hanno confermato un primo interro alluvionale di 3-4 m che andava a colmare direttamente tutte le strutture della grancia. Al di sotto di essa, per ca. 1.5 m sono presenti uno strato detritico argillo-limoso organico, di colore nerastro, plastico, inglobante frammenti di materiale fittile. Queste indicazioni hanno permesso di avvalorare la tesi dell’indagine complessiva sull’intera struttura confermando quello che è stato poi messo in luce nel momento della rimozione degli interri alluvionali che colmavano gli ambienti del monumento.

Sono stati interessati dalle attività di scavo tutti gli ambienti della porzione meridionale e centrale del monumento con ulteriori saggi stratigrafici praticati nella porzione orientale, occidentale e nel vano meridionale del chiostro. Sono state in questo modo riconosciute diverse fasi di occupazione dell’area, cronologicamente distribuite a partire dal IV sec. a.C. con una prima fase insediativa di età lucana, seguita dalla fondazione di una villa con annesso impianto termale databili al periodo imperiale romano (I sec. d.C. – III sec. d.C.), su cui successivamente si fondano gli ambienti del Ventrile come oggi lo vediamo.

Preliminarmente alle indagini archeologiche sono state effettuate ulteriori indagini per avere conferma dei dati in possesso, tramite il metodo delle tomografie elettriche e indagini al georadar. Sono stati eseguite due tomografie parallele lunghe m 64 ed una trasversale; queste hanno evidenziato la fondazione delle strutture murarie alla profondità di ca. m 3-4.

Durante le preliminari fasi di documentazione archeologica è stata assegnata al complesso una divisione degli spazi e degli ambienti per facilitarne il lavoro in: complesso architettonico (CA), corpi di fabbrica (CF) e unità funzionali (UF) (fig. 104).

L’indagine al georadar è stata impiegata con l’intento di fornire informazioni aggiuntive sulle strutture murarie presenti all’interno e all’esterno della grancia, ciò al fine di confermarne o meno la presenza, oppure di individuare l’esistenza di strutture non considerate nella fase di rilievo preliminare.

L’indagine del complesso lungo il suo perimetro esterno è stata conseguenza delle attività di scavo all’interno della struttura, eliminando in questo modo le spinte e i carichi dei depositi dall’esterno sulle murature. La messa in luce degli interi apparati murari superstiti, inoltre, ne ha consentito il restauro completo. La decisione di rimuovere completamente le stratigrafie alluvionali lungo tutto il versante orientale del Ventrile ha permesso di individuare il piano di calpestio utilizzato da chi abitava la grancia, almeno nelle sue ultime fasi di vita (fig. 105).

A tal fine, sono stati eseguiti n. 75 profili Georadar distribuiti nelle diverse aree. Il rilevamento geologico, le indagini geognostiche e geofisiche consultate hanno evidenziato come la geologia della zona sia impostata su sedimenti pelitici essenzialmente conglomeratici alternati a sabbie, ghiaie e limi tipici di dei depositi alluvionali terrazzati. In particolare, l’area di sedime è costituita da depositi Olocenici con un substrato conglomeratico in matrice sabbiosa, con lo spessore della parte alterata che assume valori variabili ma comunque intorno ai m 614. L’indagine geoelettrica ha evidenziato la presenza del piano terra con accumuli di materiale in contatto con il terreno ad una profondità di m 3-4 dall’attuale piano di campagna. I sondaggi geognostici effettuati all’interno del monastero hanno confermato quanto rilevato dalle indagini geofisiche mostrando tra quota m -4 e -5.5 la presenza di frammenti fittili, i quali fanno riferimento alle fasi di vita precedenti l’impiantarsi del complesso di Ventrile.

In questo modo fu riportato alla luce anche il basamento del c.d. CF 3, ovvero di una delle due torri di difesa che proteggevano il complesso. Questa, posta nell’angolo Sud-Est del Ventrile, fondata al di sopra di un dado in muratura alto ca. 80 cm, presenta nel suo sviluppo al piano terra un accrescimento ottagonale in linea con gli schemi costruttivi impiegati nella realizzazione di una delle torri di Santa Maria del Sagittario, anch’essa di forma ottagona. Il piano superiore superstite, al contrario, denota una planimetria circolare. Il passaggio dal piano terra al piano superiore è definito da un torello costruito con laterizi che asseconda l’andamento ottagonale del basamento. I mattoni sono stati impiegati in muratura di taglio, con la faccia vista arrotondata. L’intera superficie della struttura fortificata presenta aperture del tipo a bocca di lupo; se ne possono riconoscere 2 diametralmente opposte nella porzione inferiore, e 4 poste al piano superiore.

7.1.4 L’indagine archeologica Durante il mese di ottobre 2015 è stata avviata la prima campagna di indagini archeologiche presso Ventrile, condotta sotto la direzione scientifica della Soprintendenza

14

L’interno era scandito dalla divisione su due piani ipotizzando un solaio divisorio in cui vi era praticata

Cencetti, Fredduzzi 2007, p. 6; Loiacono 2002, pp. 75-86.

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L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 105 - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Allargamento Est: veduta del piano di calpestio originario.

Fig. 106. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3, US 280. Tracce superstiti del piano pavimentale del primo piano.

un’apertura per mettere in comunicazione i due livelli del corpo di fabbrica. L’indagine del vano ha permesso di rinvenire in situ tracce consistenti del piano pavimentale del primo piano (fig. 106). Questo è costituito da lastre di conglomerato cementizio spesse ca. cm 10, sagomate in maniera circolare e appoggiate lungo la risega interna di demarcazione dei due piani. Sono stati, altresì, rinvenuti

nella loro sede originaria gli unici due frammenti superstiti di una trave in legno (fig. 107). È del tutto insolito che si sia conservato presso Ventrile il piano di un solaio con tracce dei suoi elementi lignei originari, qui abitualmente trafugati e rimpiegati altrove. L’evento è dovuto con buone probabilità all’esigua dimensione delle travi, tenendo in considerazione il ridotto sviluppo planimetrico del solaio 149

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 107. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3. Particolare trave lignea in situ.

di poco inferiore ai 2 mq. La struttura fortificata presenta un unico accesso posto internamente al vano CF 4, costituito da una stretta e bassa apertura (1.6 m) inquadrata con mattoni e culminante con un minuto arco a tutto sesto (fig. 108). Singolare il rinvenimento di due canalette realizzate con impiego esclusivo di mattoni direttamente in risparmi della muratura. La loro posizione rispetto alla torre permetteva a queste ultime di riversare il loro contenuto direttamente in ulteriori canalizzazioni, intercettate e praticate direttamente nel terreno alla base della struttura fortificata. Questi elementi dovevano essere funzionali per il deflusso di liquidi e liquami di una latrina, probabilmente a doppia seduta, una per ogni condotto (fig. 109). La latrina, posta direttamente al primo piano, serviva come in tutte le torri di difesa o di vedetta durante i prolungati momenti di guardia. Le stratigrafie di accumulo in questa porzione del complesso hanno messo in luce per la prima volta la presenza riconoscibile di attività precedenti rispetto alle fabbriche del Ventrile. In esse furono ricavati in antico tre canali orientati Nord-Sud i quali, assecondando le naturali pendenze verso l’alveo del fiume Sinni, allontanavano e facevano defluire le acque reflue. Precisamente in US 416 si riconoscono le tracce di un passato insediativo molto più antico testimoniato da frammenti di dolia, frammenti di ceramica a vernice nera e a pasta grigia. Il rinvenimento di questi indicatori cronologici ha concesso la possibilità di vagliare le stratigrafie su cui si fonda l’intera ala orientale del Ventrile (tav. 10).

Fig. 108. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3, ingresso.

7.1.5 La fase di età lucana: IV sec. a.C. – I sec. d.C.

fasi di frequentazione in un range di circa quattro secoli, dal IV sec. a.C. agli inizi del I sec. d.C. Tra gli indicatori materiali, oltre ai già citati frammenti di ceramica a vernice nera, sono stati rinvenuti anche elementi in pasta grigia, frammenti di dolia, 1 frammento di sigillata italica, ceramica acroma e da fuoco.

Le indagini archeologiche hanno interessato, pertanto, il versante orientale del monumento con un saggio di l. m 2x5 orientato in direzione Est-Ovest (c.d. Saggio IX) (fig. 104) in modo tale da verificare le stratigrafie su cui si fondano i corpi di fabbrica di Ventrile. Rimossa la coltre terrosa superficiale sono stati rinvenuti in sequenza due livelli stratificati che documentano cronologicamente

Non sono presenti nell’area del Saggio IX tracce riferibili a strutture murarie avendo restituito in minima parte un 150

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni del monastero di Santa Maria del Sagittario, come già anticipato in precedenza, riferisce in una delle pagine da lui scritte nel catalogo degli abati del monastero cistercense che il complesso del Ventrile venne edificato sopra “… monumenta passim fendunt subterranea et cadaverum ossa”15. Si è dato avvio alla comprensione planimetrica e funzionale dell’area e soprattutto si è tentato di capire quali eventualmente fossero i rapporti tra le strutture di età medievale e postmedievale rispetto a queste ultime. Allo stato attuale della ricerca viene smentita quella che diversi studiosi e storici riportano bibliograficamente come notizia certa, ovvero la fondazione di Ventrile in riferimento ad un primo impianto monastico benedettino. Dall’indagine archeologica condotta nel c.d. CF 20 sono stati portati alla luce diversi setti murari che compongono un’unica struttura orientata in direzione Sud-Ovest/NordEst, leggermente ruotata rispetto all’orientamento stesso di Ventrile (fig. 110). La distribuzione del vano segue uno schema planimetrico di forma pressappoco rettangolare con uno sviluppo interno misurabile in ca. 20 m2 (l. 5x4 m). La costruzione è stata realizzata con setti murari costruiti quasi completamente con impiego di materiale fittile su corsi regolari, quali tegole a listello, mattoni di forma triangolare, mattoni di forma rettangolare e alcuni ciottoli di piccole e medie dimensioni. Si conservano per un alzato medio di ca. cm 40. La rimozione delle stratigrafie all’interno del perimetro della struttura, ha consentito il riconoscimento di accumuli a matrice terrosa (US 488) e strati contraddistinti da numerosi inclusi di materiale combusto, cenere e carboni (UUSS 493-494-495-499).

Fig. 109. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3, UUSSMM 423, 424. Scoli per latrina.

La pavimentazione (US 500) è realizzata con tegole a listello con sezione a quarto di cerchio di dimensioni cm 44x64, poste in opera capovolte (fig. 111). Su alcune delle superfici sono presenti segni decorativi a formare alcuni semicerchi. La funzione originaria del vano c.d. CF 20 viene stabilita grazie alle prerogative strutturali, alle stratigrafie al suo interno rinvenute e agli indicatori materiali.

quadro conoscitivo di un areale che doveva essere molto più esteso. Il rinvenimento all’interno di un altro saggio praticato nella porzione meridionale del chiostro (c.d. Saggio X) di due setti murari, distinti rispetto alla fase romano-imperiale documentata qui e nel CF 20, fanno pensare a una frequentazione stabile in età lucana con strutture complesse sull’intera area. Si definisce in questa maniera un’occupazione e gestione continuativa dell’area, seppur con pause insediative, dal IV sec. a.C. fino agli inizi del XIX sec. d.C.

Dalla rimozione dei diversi livelli di accumulo sono stati recuperati frammenti di tubuli fittili dalla forma parallelepipeda, elementi riconoscibili esclusivamente in ambienti termali. Le tracce considerevoli di combustione, in associazione con il rinvenimento di questi ultimi elementi, farebbero propendere per l’identificazione del CF 20 in una struttura termale, databile cronologicamente ad un arco temporale compreso tra il I sec. d.C. e l’inizio del III sec. d.C.16

7.1.6 La fase di età imperiale: I sec. d.C. – III sec. d.C. Villa e impianto termale Rimossi gli interri alluvionali lungo la porzione occidentale del monumento sono stati intercettati alcuni allineamenti murari orientati ed edificati con materiali e tecnica costruttiva differenti rispetto all’intera fabbrica del Ventrile.

de Lauro 1673, fol. 31: “Tenimentum, in quo Monasterium fundatum, usque ad Iacobi Clarimontis Comitis tempora, nempe ann. Dom 1248, ut satis docet privilegium, à nobis dandum in tempore, /dice/ Sagittarium Vetus, modò Ventrile: habetque in eo Sagittarium modernam Granciam non con temnibilem; cuius cultores dum arbores plantant, vel ut in germina excrescant, vetustas vites supprimunt, monumenta passim fendunt subterranea et cadaverum ossa”. 16 Tra i materiali che obliterano la canaletta USM 439 sono stati rinvenuti alcuni frammenti di una coppa di sigillata africana del Tipo C, databile al pieno III sec. d.C., mentre nell’US 517 – strato di cenere e materiale combusto - a ridosso delle fondazioni della struttura è stato rinvenuto un 15

Questa operazione ha permesso di definire un’occupazione di molto precedente e con funzioni totalmente differenti rispetto alla grancia, oltre che confermare quello che già l’abate De Lauro nel 1660 vergava nel suo manoscritto “De Sagittarii Abbatibus sacri Cisterciensis ordinis”. L’abate 151

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 110. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CA’B, CF 20 veduta generale delle terme di età romanoimperiale.

Fig. 111. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Terme di età romano-imperiale: Ortofotopiano US 500.

La porzione settentrionale del CF 20, intercettata da una canaletta di scolo in muratura proveniente dal vano claustrale del Ventrile, risulta essere colmata da accumuli di materiale cineroso ricchi di carboni (fig. 112). È ipotizzabile che la camera di combustione e la

testudo alvei, di cui non se ne riconoscono tracce, fossero impiantate nelle immediate vicinanze di questo piccolo vano, considerata la consistente presenza di accumuli cinerosi e la dipartenza di due praefurnia. La sequenza stratigrafica ha permesso di confermare la notizia documentaria dell’abate del Sagittario de Lauro17.

frammento di una coppa in sigillata italica databile al I sec. d.C., ovvero alla piena età imperiale.

17

152

Dalena 1995; Codice Dolcetti.

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 112. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CA’B, CF 20: stratigrafie cinerose.

Fig. 113. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CA’A, CF 12, Saggio X, UUSS 426, 529, 530.

architettonico cistercense, sono tutte indicazioni che rimandano ad una fase precedente rispetto l’impianto della grancia. La rimozione delle stratigrafie ha permesso di individuare anche un piano pavimentale rivestito in cementizio a base fittile senza inserti (fig. 113). L’ipotesi più plausibile per l’identificazione di queste strutture è che possa trattarsi di un’ala porticata funzionale e in fase con l’impianto termale, posto planimetricamente a pochi metri in direzione Ovest.

Il rinvenimento del CF 20, e di una fase pienamente romano imperiale, ha dato ulteriore impulso a praticare saggi in aree limitrofe rispetto all’impianto termale e all’interno del Ventrile. La possibilità di sondare i terreni è stata concessa dallo scavo nello stretto vano di passaggio creatosi nel corridoio meridionale del chiostro (c.d. Saggio X). Già durante le prime fasi di indagine era stata individuata la porzione sommitale di una struttura muraria costruita in laterizio pertinente, forse, ad un pilastro a pianta rettangolare, a cui vanno ad appoggiarsi due setti murari di spessore ridotto costruiti con ciottoli di piccole e medie dimensioni. L’orientamento di queste strutture in direzione Nord-Est/Sud-Ovest, differente rispetto a quello delle fabbriche di Ventrile, la tecnica edilizia dissimile e la sequenza stratigrafia del saggio composta da indicatori cronologici antecedenti rispetto al complesso

7.1.7 La grancia di età medievale e post-medievale L’intera esplorazione archeologica del monumento ha visto la completa rimozione degli interri alluvionali all’interno della grancia di Ventrile. Una minima parte degli ambienti del complesso risultano ancora oggi sepolti dagli interri che ricoprivano la porzione meridionale e 153

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 115. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Archivio Privato Percoco: documento attestante la sepoltura di un privato nel 1762 presso la cappella di Ventrile.

Tutti i vani a meridione rispetto al chiostro di Ventrile svolgevano al piano terra funzione di stalla per animali di media e grossa taglia, indicazione che proviene dal rinvenimento di mangiatoie poste lungo i perimetrali interni ai vani. La rimozione di tutte le stratigrafie alluvionali non ha restituito indicatori materiali se non strutturali. Completamente assente ogni traccia di cultura materiale che possa datare i singoli eventi intercorsi. Il dato è indicativo anche del fatto che l’intero complesso sia stato completamente svuotato durante i rastrellamenti da parte dall’esercito francese napoleonico, il quale redigendo un elenco dei beni soppressi della grancìa ci informa sull’entità dei materiali presenti agli inizi del XIX secolo. Questo documento permette di comprendere prima di tutto l’entità e la dotazione della grancia, e come il complesso sia stato svuotato interamente di ogni manufatto ivi presente a riprova ulteriore della totale assenza di qualsiasi oggetto di uso comune. Anche la totale assenza dei materiali delle coperture all’interno delle stratigrafie farebbe propendere per una pesante fase di spoliazione di queste, in funzione di una fase di recupero del materiale edilizio.

Fig. 114. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 11 (cappella) - piano pavimentale.

centrale, depositi formatisi in seguito alle piene del fiume Sinni e del suo affluente, il torrente Frido. Le stratigrafie alluvionali rimosse nei diversi vani erano  composte per ca. m 1.50 da strati detrici alluvionali  con depositi di materiale più grossolano (ciottoli di medie e grandi dimensioni) e depositi a matrice limosa. Una fase intermedia, tra momenti diversi delle esondazioni del fiume, è testimoniata da alcuni accumuli e crolli di materiale detritico proveniente dal disfacimento murario e dei solai. Il materiale preminente di queste stratigrafie è composto da lastre in conglomerato cementizio dallo spessore variabile compreso tra i cm 1015. Questa fase di vita del monumento sarebbe da mettere in relazione con interventi di demolizione del Ventrile da parte di chi ha predato gran parte degli elementi strutturali dei tetti e dei solai. I piani pavimentali rinvenuti sono realizzati con conglomerato cementizio dalla consistenza compatta.

L’intervento di scavo ha reso possibile una migliore lettura delle strutture e l’individuazione di ambienti di servizio dell’intero complesso, da mettere in relazione e in continuità con le strutture dell’edificio stesso. La rimozione completa delle stratigrafie depositate all’interno del Saggio II (CF 11) hanno messo in evidenza strutture riferibili ad una piccola cappella. La struttura, orientata in 154

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 116. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Chiostro, scale.

direzione Est-Ovest, conserva a ridosso del perimetrale orientale elementi quali l’altare. Il piano pavimentale rinvenuto all’interno del vano è anche in questo caso costituito da uno strato in conglomerato cementizio e non presenta rivestimento; fa eccezione il gradino che divideva l’area presbiteriale, in cui si conservano le tracce in negativo di un alloggiamento per lastre.

Il fondo della sepoltura è ricavato direttamente nella preparazione in ciottoli del piano pavimentale. Difficile stabilire il sesso dell’individuo vista la frammentarietà del dato antropologico e il degrado ulteriore subito dai resti ossei causato dall’acidità del limo che ne ha riempito gli spazi, portando con se anche molta acqua che certamente ha influito sul loro stato di conservazione. Unici elementi di corredo sono due piccoli bottoni rinvenuti alla base del cranio. La necropoli di Ventrile, ancora oggi non attestata archeologicamente, è una realtà documentata ancora nel XVIII sec. d.C. Esistono a riguardo alcune attestazioni provenienti da carte appartenute alla chiesa Madre di San Giovanni Battista di Chiaromonte, dove viene dichiarato che ancora nel 1762 la Matrice stessa concedesse la possibilità di seppellire i defunti anche nella chiesa della grancia18 (fig. 115).

I 4 perimetrali che definiscono il vano conservano notevoli residui di intonaco, ma denotano la completa assenza di elementi decorativi. Al vano si accede da un portale di ingresso lungo il perimetrale occidentale sormontato da una finestra rettangolare e un rosone circolare inquadrato da mattoni. Sui lati lunghi dell’edificio si conservano 4 finestre (rispettivamente 2 per ogni lato), dallo stile poco chiaro a causa del forte degrado, forse terminanti con archi a tutto sesto.

La rimozione dei depositi nella porzione centrale scoperta del complesso architettonico ha permesso di rinvenire l’area claustrale (CF 12), con sistemi di adduzione delle acque piovane e due scale in muratura.

Oltre la centralità assiale dell’altare (fig. 114) è stato possibile rinvenire immediatamente a Sud e a Nord, due lesene realizzate con mattoni che lo incorniciano. Un esempio architettonicamente simile nelle scelte planimetriche e di distribuzione degli elementi si rinviene nel vicino sito sorto lungo la sponda del torrente Rubbio, in cui è ancora oggi possibile scorgere la fabbrica della piccola chiesetta. Anche in questo caso si tratta di un vano unico, orientato in direzione Est-Ovest con altare in muratura rivolto ad oriente e addossato al perimetrale.

Le due strutture erano funzionali all’ascesa da questo ai piani superiori (fig. 116). Costruite totalmente in muratura si distribuiscono specularmente, la prima nella porzione meridionale mentre, la seconda in quella settentrionale. Entrambe realizzate con 13 gradini (cm 33x18x150) costruiti con lastre di arenaria, mattoni e ciottoli, terminano con un pianerottolo che dava verso i diversi ambienti. Conservati risultano essere anche i corrimani, realizzati sempre con ciottoli e modellati in malta nella porzione superiore.

Nell’angolo Sud-Est della chiesa di Ventrile è stata documentata un’unica sepoltura alloggiata direttamente nel taglio del pavimento. La deposizione monosoma conteneva l’inumato orientato in direzione Est-Ovest in posizione supina, pertinente ad un individuo in età neonatale.

Il documento in questione è un atto in cui viene riportata la concessione a un privato della sua tumulazione all’interno della cappella di Ventrile. 18

155

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 117. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Arcate del chiostro e stratigrafie alluvionali.

Fig. 118. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Chiostro (CF 12): acciottolato pavimentale.

La particolarità del chiostro è la singolarità dei passaggi arcati che dovevano mettere in comunicazione tra loro le parti della grancia provenendo da direzioni diverse (fig. 117), divenendo centro nevralgico di tutto il complesso, luogo di ritrovo e di lavoro. Sono state rinvenute 7 arcate che permettevano i diversi passaggi al piano terra, 2 delle quali conservatesi in maniera molto lacunosa. La tipologia degli archi non risulta avere un modulo ricorrente: sono stati riconosciuti, difatti, archi a tutto sesto, a sesto leggermente ribassato e a sesto acuto. Tutti risultano essere

stati costruiti tramite l’impiego di laterizio con inserti di lastre in arenaria. Una cornice aggettante in laterizio, posta alla quota dell’imposta di tutti gli archi, corona tutt’intorno i pilastri dell’intero chiostro. La completa rimozione dei depositi alluvionali nel CF 12 ha permesso il rinvenimento completo del piano pavimentale in acciottolato (fig. 118). Gli elementi lapidei impiegati nella realizzazione di quest’ultimo fanno riferimento a ciottoli di piccole/medie dimensioni messi in opera senza 156

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 119. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Chiostro (CF 12): canalizzazioni per il deflusso delle acque meteoriche.

Fig. 120. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Chiostro (CF 12): Canalizzazioni, pozzetto di raccolta. Sono visibili sul fondo stratigrafie databili ad epoca romano-imperiale.

utilizzo di legante alcuno. Il materiale costruttivo, in questo caso come in muratura, proviene direttamente da prelievi nell’alveo del Frido e del Sinni.

settentrionale del chiostro corre una canaletta in muratura, poi convogliata in terra per raggiungere in direzione occidentale un pozzetto dalla forma parallelepipeda. La rimozione all’interno di quest’ultima struttura degli interri alluvionali ha messo in evidenza un livello composto da terreno e inclusi di tegole a listello e laterizi pertinenti a stratigrafie di epoca romano-

Singolare e degno di nota risulta essere in questa porzione del complesso il sistema di raccolta e canalizzazione delle acque meteoriche (fig. 119). Lungo il perimetrale 157

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale imperiale (fig. 120). Il pozzetto di raccolta, localizzato lungo il versante occidentale del chiostro, in direzione dello stesso ingresso, presenta un foro di scolo impiegato come troppo pieno per convogliare le acque all’interno di una canaletta in muratura che attraversa tutto il CF 9 fuoriuscendo oltre la struttura per ca. m 3. Il deflusso definitivo delle acque reflue doveva essere garantito da pendenze tali da allontanarle naturalmente in direzione dell’alveo fluviale. Nell’essenzialità stilistica del chiostro, unico elemento di pregio riconoscibile all’interno del CF 12, alloggiato nella facciavista interna del prospetto murario meridionale, è un blocco di calcare di forma rettangolare su cui è incisa una data. Ad una prima analisi, e considerati i rapporti stratigrafici delle strutture nel chiostro rispetto ad altre parti del complesso, tenuto in considerazione i materiali rinvenuti in scavo, non è stato possibile retrodatare cronologicamente l’area a prima degli inizi del XVIII sec. d.C., datazione imposta anche dalla stessa iscrizione che sembrerebbe rappresentare la data “A.D. 1721” (fig. 121). 7.1.8 La ceramica di età lucana e romana di età imperiale Fig. 121. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Chiostro (CF 12): elemento lapideo iscritto.

Le stratigrafie del Saggio IX e del c.d. CF 20 (balnea) fanno riferimento alle fasi iniziali di occupazione di quest’area (inquandrando cronologie che vanno dal IV sec. a.C. fino al II-III d.C.) e non hanno correlazioni dirette con l’occupazione dell’area per la fondazione della grancia.

tubuli, una tessera di mosaico di calcare (cm l. 1.5x1.5, cm h. 2.5) e 1 fr. di intonaco dipinto con decorazione in rosso su fondo bianco. Tra i materiali da costruzione si segnalano diversi ffr. di tegole a listello del tipo con sezione a quarto di cerchio, 1 fr. di opus spicatum allettato su uno strato di conglomerato fittile e alcuni mattoni con innesto su uno dei lati, per innestarsi in muratura con il successivo e avere maggiore presa tra loro.

Il Saggio IX, nella porzione orientale del complesso, ha permesso il riconoscimento di due stratigrafie di accumulo databili tra IV sec. a.C. e I sec. d.C. Nell’US 473 sono stati individuati materiali quali ffr. di opus spicatum allettato su una base in conglomerato fittile molto grossolano, alcuni ffr. di dolia, ceramica acroma da mensa e da fuoco con alcuni ffr. di coperchio, alcuni ffr. di ceramica a pasta grigia e un fondo di sigillata italica, fornendo un quadro cronologico che si distribuisce tra la fine del III-inizi II sec. a.C. e il I sec. a.C.-I sec. d.C. Sono stati anche rinvenuti diversi ffr. di tegole a listello del tipo a quarto di cerchio e a sezione rettangolare. Interessante il rinvenimento di un frammento di parete di un grande contenitore su cui si conservano le tracce di restauro in antico, con foro passante e cavetto in cui veniva alloggiata la grappa in piombo ad ancorare i due pezzi. Lo strato sottostante definito US 474 ha restituito, invece, materiale riferibile ad un contesto di IV-III sec. a.C./fine III-inizi II a.C. con la presenza di indicatori cronologici quali un fondo di unguentario acromo, alcuni orli di piatti a pasta grigia con decorazioni scanalate sulla tesa, e alcuni ffr. di ceramica a vernice nera tra cui un fondo ad anello. È stata rinvenuta, inoltre, una tessera di mosaico in calcare dalle misure di cm 1.5x1.5 alta cm 2.5.

Il rinvenimento nel materiale che occlude e defunzionalizza una delle canalette per il trasporto dell’aria calda all’interno degli ambienti di una coppa frammentaria della classe sigillata africana di tipo C, daterebbe l’abbandono del complesso tra II e III sec. d.C. La coppa, costituita da 7 frammenti che la ricompongono per metà, presenta orlo diritto, cordolo esterno sul corpo e una decorazione tra questo e l’orlo definita da rotellate (fig. 122). 7.1.9 La ceramica di età medievale e postmedievale Le classi ceramiche maggiormente rappresentate nello scavo del complesso monumentale di Ventrile risultano essere materiale proveniente dalle stratigrafie di abbandono della grancia, rappresentate da frammenti ceramici che fanno riferimento a vasellame da mensa e da fuoco. Sono stati rinvenuti tra i ciottoli che compongono il piano pavimentale del chiostro (US 119) alcuni frammenti di ceramica smaltata policroma dipinta in giallo e verde su fondo di colore bianco, con una decorazione a strisce ed archetti in bruno che trova confronti tipologici in depositi archeologici di area siciliana databili anch’essi in linea

Dalla rimozione delle stratigrafie che obliteravano i balnea (CF 20) sono stati portati alla luce 1 fr. di ceramica a pareti sottili, alcuni ffr. di sigillata italica, diversi ffr. di pareti di 158

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 122. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Terme (CF 20): ceramica sigillata italica (in alto) e africana tipo C (in basso).

con le fasi di abbandono della grancia nel XVIII sec. d.C. (tav. 11)19

bruno, giallo e celeste (XVI-XVIII sec. d.C.)20. Numerosi i ffr. di maiolica databili tra XVI e XVII sec. d.C. dipinti in verde e giallo o con fondi esclusivamente in bianco, su cui si impostano decorazioni in bruno con archetti e linee concentriche, e decorazioni in blu a motivi floreali.

La rimozione di alcuni ciottoli per lavori di sistemazione, ha permesso di rinvenire al di sotto dello stesso piano pavimentale alcuni ffr. di ceramica graffita policroma dipinta in verde e giallo su fondo bianco. Lo sgraffio, distribuito sulla tesa e sull’orlo, delinea una decorazione ad archetti, offrendo una datazione di questo materiale tra il XV e il XVI sec. d.C. (tav. 12).

Rappresentata abbondantemente anche la classe delle ceramiche acrome da fuoco. Della stessa categoria è il ritrovamento di un coperchio frammentario composto da due pezzi e databile al XVII sec. d.C., realizzato con un impasto ricco di inclusi molto grossolani e decorazione geometrica superiore incisa.

L’accumulo US 417, posto nei pressi della torre meridionale, ha invece restituito una notevole quantità di ceramica afferente a classi quali: ffr. di catini con tracce di vernice marrone e motivo ad archetti inciso sulla tesa, databili tra XVII e XVIII sec. d.C.; alcuni ffr. di smaltata policroma a fondo bianco con decorazioni ad archetti in bruno nel cavetto del corpo e strisce concentriche in

7.1.10 I reperti particolari Nel complesso di Ventrile rari sono gli oggetti rivenuti in stratigrafia associabili alla classe dei reperti particolari, comunemente detti small finds (fig. 123).

19 Troiano, Verrocchio 2005, pp. 338-355; Troiano 2002a, pp. 185-240; 2002b, pp. 263-312; Tognocchi 2006, pp. 185-220.

20

159

Preta 2018, pp. 141-143.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 123. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ): reperti particolari.

Tra di essi, in riferimento al momento di vita della grancia, va segnalato il ritrovamento di una chiave in ferro in US 416, porzione Est del complesso. L’oggetto (RP 2) è completo in tutte le sue parti e totalmente ricoperto da un consistente strato di ruggine che ne compromette lo stato dell’ingegno. Misura in lunghezza ca. cm 17, con un diametro max. di cm 1.2.

dal diametro ridotto. Lacunoso nella porzione sommitale, è da associare alla fase di età romano-imperiale dell’area. 7.1.11 Dati archeobotanici Il campionamento delle stratigrafie nelle diverse porzioni indagate, differenti per funzioni e per cronologia, ha permesso di ottenere preliminari dati archeobotanici dell’area. La possibilità di campionare il contenuto di scarico proveniente dagli strati combusti per riscaldare l’ambiente termale, ha concesso di individuare e riconoscere una serie di dati sulle tipologie arboree che

Unico oggetto recuperato dalle stratigrafie precedenti alle fasi di vita dell’impianto del Ventrile, è un oggetto in osso rinvenuto nell’US 473 del Saggio IX. Si tratterebbe di un punteruolo in osso con corpo cilindrico e punta acuminata 160

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni Tab. 1. – Elenco dei campioni prelevati durante le attività di scavo archeologico presso Ventrile N.

CA

CF

US

Descrizione

Esiti Antracoresti

1

417

X

2

459

X

471

X

3

A

4

14 Saggio IX

5 7 8

Campione di terra

20

A

3

Sterile

X

493 B

9 10

474

Carporesti

X X

499

X

280

Campione di legno

21

495

Campione di cenere/carbone

X

22

502 Campione di terra

X

23 24

Campione di cocciopesto

26 27

487

28

511

30 31 32 33 34 35 36 37 38

X

495

25

29

X

B

20

510

X X X Campione di terra

514

X X

515

X

516 517

X X Campione di cenere

X

513

costituivano il paesaggio nei pressi di Ventrile in antico (tab. 1).

la presenza di antracoresti o carboni (UUSS 417, 459, 471, 474, 499, 510, 514, 515, 517) (tab. 2). Alcuni campioni si sono rivelati sterili di resti vegetali (UUSS 487, 495, 502, 511, 516). Manca, altresì, attestazione di resti carpologici, ovvero relativi a semi e/o frutti.

I campioni prelevati in corso di scavo sono in numero di 28, alcuni dei quali appartenenti alla medesima unità stratigrafica. Le uuss oggetto di campionatura sono in totale pari a 17 (UUSS 280, 417, 459, 471, 474, 487, 493, 495, 499, 502, 510, 511, 513, 514, 515, 516, 517). Provengono in parte dall’interno del complesso del Ventrile (CF 3-US 280, CF 14-UUSS 459, 471, Saggio IX US 474), in parte dall’approfondimento effettuato nella sua porzione occidentale (CF 20 – UUSS 493, 495, 487, 499, 502, 510, 511, 513, 514, 515, 516, 517), riferibili all’impianto termale.

Il Record ottenuto dalle stratigrafie di età lucana e romano imperiale attestano la presenza della quercia sia sempreverde (Quercus sv.) sia a foglie decidue (Quercus cad.), dell’abete (Abies alba), del castagno (Castanea sativa), delle essenze di ripisilva pioppo/salice (Populus/ Salix), a famiglie o generi in cui rientrano piante dai frutti commestibili e alberi da frutto (Maloideae, Prunus sp.). 7.1.12 La grancia di Ventrile: l’indagine architettonica

L’analisi archeobotanica21, compiuta al microscopio in seguito a flottazione dei campioni di terreno, ha restituito

7.1.12.1 Le strutture difensive Sono state identificate quattro diverse fasi edilizie per la costruzione del complesso di Ventrile, caratterizzate da altrettanti tipi di apparecchiature murarie differenti, seppur minime nella tecnica e nell’impiego dei materiali.

21 Le analisi archeobotaniche sui campioni prelevati in scavo sono state condotte dalla Dott.ssa Donatella Novellis in seno al progetto Chora, in accordo con la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università degli Studi della Basilicata - Laboratori di Archeologia in Basilicata (direzione progetto: Prof.ssa Francesca Sogliani).

161

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Tab. 2. – Record ottenuto dalle analisi archeobotaniche CA

CF

US

Antracoresti Quercus cad.

3

14 Saggio IX

X

20

459

X

471

X

474

X

499

X

X

Maloideae

Prunus sp.

X X X

X X

X

X X

X X

X

513 514

X

X

515

X

517

X

X

X X

X

nella muratura venivano selezionati in base alla loro dimensione e posti in opera, senza lavorazione, con il lato più lungo messo perpendicolarmente rispetto alla superficie del muro, per garantire un migliore ammorsamento e quindi una migliore compattezza, lasciando la parte più regolarizzata nella faccia vista. Sulle superfici lapidee non risultano essere presenti tracce di attrezzi adoperati per la rifinitura dei conci. Largo è l’impiego in muratura di frammenti di laterizi utilizzati come rinzeppature e nella realizzazione dei ricorsi orizzontali per la scansione dei piani di posa, oltre che per la realizzazione di varchi e passaggi (finestre, porte, archi) (tav. 14)23. Tra i materiali fittili da costruzione, nella quasi totalità dei casi rinvenuti attualmente nella media valle del Sinni, ci si avvaleva spesso di tegole frantumate probabilmente rotte in cantiere o recuperate da preesistenti coperture.

La grancia consiste di una struttura fortificata di cui fanno parte due torri: una quadrata e una ottagonale riconducibili, quasi certamente, all’ultima fase costruttiva del complesso tra XVII e XVIII sec. d.C. La prima torre, a pianta quadrata, conserva un elevato strutturale di dimensioni notevoli stimabile tra i m 8.5 e m 12, se si tiene in considerazione che un piano ancora oggi risulta essere coperto dagli interri alluvionali; conserva, inoltre, spessori murari rilevanti e variabili nei diversi piani tra i cm 75 e i cm 65 (tav. 13). La seconda torre, collocata sul versante meridionale del complesso, presenta un basamento al piano terra di forma ottagonale su cui si imposta un primo piano di forma cilindrica; il suo diametro interno misura m 2.5 con un’altezza complessiva dall’attuale piano di campagna di oltre m 8. Le apparecchiature murarie, spesse cm 45, sono realizzate con tecnica edilizia del tipo a doppio paramento; i materiali impiegati sono quasi esclusivamente ciottoli di piccole e medie dimensioni posti su corsi regolarizzati tramite l’impiego rilevante di numerose zeppe in spezzame di laterizio. La struttura fortificata presenta un unico accesso interno dal vano CF 4, costituito da una bassa e stretta apertura realizzata con laterizi e terminante nella parte superiore in un minuto arco a tutto sesto (si veda fig. 108).

Largo uso di mattoni viene fatto nelle murature della porzione centrale e meridionale di Ventrile. L’utilizzo, quasi esclusivo, del ciottolo indicherebbe come in queste costruzioni sia stato adoperato solo materiale lapideo disponibile in loco senza sostenere costi aggiuntivi dovuti al trasporto e alla lavorazione degli elementi. Fattore quest’ultimo dovuto a motivazioni puramente economiche, piuttosto che alla mancanza di maestranze specializzate che potessero realizzare blocchi squadrati e conci rifiniti.

La necessità di fortificare i complessi monastici della valle potrebbe essere stata causata dagli eventi tumultuosi dei primi anni del XVI sec. d.C., quando le truppe francesi guidate dal maresciallo Odet de Foix, Conte di Lautrec, giunsero in Basilicata, e tra le sanguinose azioni compiute nel territorio furono protagonisti del saccheggio ed incendio del monastero22.

7.1.12.2 Le coperture L’ipotetica ricostruzione dei sistemi di copertura presso Ventrile dovrebbero far riferimento allo schema principale della struttura portante di un tetto a falde, quasi sempre risolta con capriate in legno di diversa conformazione in relazione alla luce da coprire. Doveva essere costruita su travi ad orditura parallela alla linea di falda e realizzata con travi in legno grezze a sezione variabile poggiate sulle linee sommitali della muratura, ad interasse variabile sino ad un massimo di m 1; nello stesso senso erano posti gli

Il trattamento della materia prima, anche per quanto riguarda il sistema fortificato di Ventrile, sembrerebbe fermarsi allo stato di semi-lavorato. Gli elementi da inserire 22

Populus Salix X

510 B

Castanea sativa

280 417

A

Quercus sv. Abies alba

Verrastro 2000, p. 87.

23

162

Vitale, Bruno 2012, p. 376.

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni arcarecci di sezione inferiore alle travi principali, fissati alle stesse, ad interasse medio di cm 50. Al di sopra degli arcarecci, probabilmente, veniva realizzato in senso parallelo agli stessi un fitto strato di canne (incannucciata) legate tra di loro. Sull’incannucciato veniva realizzato il massetto di posa dei coppi, con pendenza finale tra il 15% e il 20%. Si realizzava così una struttura non spingente. Questa tipologia doveva ricorrere sicuramente in quasi tutti gli esempi della media valle del Sinni, se si ovvia per strutture ad unica falda quali le coperture di torri di difesa nei casi di Chiaromonte o del castello di Episcopia.

murature; è il caso delle architetture del chiostro dove al di sopra del pozzo viene realizzato un arco di scarico completamente in ciottoli di forma allungata, per andare a sopperire ai carichi che insistono su questo paramento.

Le coperture di Ventrile dovevano essere particolarmente resistenti e stabili, assolvendo al compito di tenere l’acqua, isolare termicamente e contribuire all’inerzia termica dell’edificio. Il degrado di una copertura inizia proprio da un’infiltrazione d’acqua cui non si pone rimedio. L’umidità comporta l’alterazione delle strutture lignee, delle murature perimetrali e al crollo dei solai sottostanti. Altre cause di dissesto delle strutture lignee di copertura possono dipendere dalla inadeguatezza dimensionale delle travi portanti: essa si evidenzia con avvallamenti e successivi cedimenti24. Nel caso specifico di Ventrile, invece, sono state smantellate e riutilizzate ancora nel momento in cui non avevano subito particolari segni di dissesto e degrado. Lo confermano i dati archeologici sull’abbandono del complesso i quali ci informano dell’assenza totale di resti di elementi lignei e di copertura. In aggiunta, si nota come tutte le travi furono divelte dalla loro posizione originaria, in quanto le buche di alloggiamento risultavano tutte completamente smantellate rispetto alla loro forma primitiva.

Già ampiamente descritti i passaggi voltati del chiostro di Ventrile, una menzione va fatta per la realizzazione delle aperture cosiddette da fuoco. Nelle strutture difensive della media valle del Sinni, l’analisi dei caratteri costruttivi ha permesso di riconoscere 2 categorie di aperture, tutte con fenditura rettilinea verticale.

La produzione di laterizi, mattoni e coppi è probabilmente assegnabile ad una fabbrica locale posta in situ, se si considera la presenza nelle vicinanze di Ventrile di cospicui giacimenti di argilla. I dati sulla grancia indicano come l’ambiente circostante, il bosco ed i corsi d’acqua, abbiano avuto un peso rilevante nelle vicende degli insediamenti di epoca medievale e preindustriale. E per certi versi, il Sinni ed i suoi affluenti hanno continuato ad interagire con il monastero anche dopo il suo definitivo abbandono nel corso dell’Ottocento, quando i depositi alluvionali del fiume hanno di fatto sigillato parte degli ambienti contribuendo alla loro conservazione.

7.1.12.4 Gli impalcati lignei e le buche pontaie

La distribuzione delle aperture in pianta e in alzato deve essere tale da garantire il più possibile la simmetria strutturale. Le dimensioni in larghezza delle aperture non supera i 2/3 della lunghezza della muratura portante posta fra i due elementi di irrigidimento, o ½ nel caso di unica apertura26.

Il repertorio cronotipologico è composto da: 1. aperture con fenditura rettilinea verticale, sormontata da un architrave, composte da elementi, in materiale misto (litico e laterizio); 2. aperture con fenditura rettilinea verticale, sormontata da un architrave, composte da elementi, in materiale litico; La distribuzione cronologica dei manufatti copre un arco temporale piuttosto ampio (secc. XIII-XVI). A Ventrile sono presenti entrambe le tipologie, rintracciabili nelle due torri di difesa.

Il cantiere edile medievale ha impiegato per le opere provvisionali ponti di servizio realizzati in legno. Si potevano allestire ponteggi a più piani, oppure sfruttando come appoggio lo stesso muro in costruzione27. Le impalcature, spesso indipendenti, partono da terra con montanti verticali in legno, andandosi ad infiggere nel suolo scaricavano il peso della struttura come se fossero provvisti di fondazioni autonome. Nelle stratigrafie di Ventrile non è stato possibile individuare strutture simili, sfruttando invece l’appoggio del muro che si andava costruendo; con ciò si ottenevano notevoli risparmi di legname. Il tipo d’impalcatura doveva essere costituito da tavolati poggianti su semplici travicelli incastrati direttamente nelle buche pontaie con una successione ogni cm 80-100.

7.1.12.3 Le aperture La creazione di vani per finestre, porte, passaggi in un edificio complesso come la grancia di Ventrile risponde prima di tutto a criteri progettuali legati a fattori funzionali prima che estetici, dal momento che ogni apertura rappresenta una discontinuità nel funzionamento del muro25. Per sorreggere la porzione di muratura sovrastante un’apertura vengono utilizzati architravi, piattabande o elementi ad arco, a seconda dei materiali, della dimensione dell’apertura e delle condizioni di sollecitazione delle 24 25

Le buche venivano costruite nel momento in cui si innalzava il setto murario; la tipologia più ricorrente, unicamente di forma rettangolare, è del tipo con piattabanda superiore con lastra o ciottolo di grandi dimensioni, mentre le due pareti laterali e il basamento erano costituite sempre da ciottoli più piccoli. In alcuni casi vengono impiegati anche

Torricelli, Del Nord, Felli 2001. Fiorini 2012, pp. 93-99.

26 27

163

Gallina 2009. Chiovelli 2007.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale laterizi per regolarizzare l’andamento della posa degli stessi ciottoli.

supporti fissi sulle rispettive pareti per poter accogliere future attività di allestimento museale o mostre.

Le dimensioni delle buche sono mediamente di cm 15x20, poste negli apparati murari di Ventrile alla distanza sull’asse orizzontale variabile di m 1.8-2. Le buche venivano costruite nel momento in cui vi era l’esigenza di regolarizzare i piani, ovvero concludere la ‘giornata lavorativa’ o, ipotesi più credibile, nel momento in cui si rendeva necessario sollevare i ponteggi per poter lavorare in tutta comodità. Le uniche buche che presentano una soluzione tecnica costruttiva differente presso la grancia sono quelle realizzate nel prospetto murario della torre a pianta ottagonale CF 3; simili alle precedenti per tipologia sono state realizzate esclusivamente con l’impiego del laterizio.

Gli interventi della sistemazione esterna definiti durante la progettazione del 2019, saranno realizzati con aree adibite a giardino su una superficie di ca. ha 1, articolata tra zone a verde e sentieri. Il progetto dei giardini va a definire più zone omogenee dedicate alla presentazione in un unico luogo delle piante autoctone presenti sull’area, dall’ambiente fluviale del torrente Frido e del fiume Sinni a quello montano di Bosco Magnano e del Parco Nazionale del Pollino, determinando nelle intenzioni una finestra sugli habitat diversificati. Verrà dato risalto a piante alimentari, medicinali e tessili con un motivato rinvio alla capacità documentata dei cistercensi di selezionare e utilizzare le piante officinali della zona per terapie mirate e benefici di vario tipo28. Con questa soluzione di forte impatto paesaggistico ambientale si entra direttamente nella specificità del territorio e del micro cosmo costruito dai monaci.

7.1.13 La grancia di Ventrile: il recupero architettonico Le fasi di restauro di uno dei monumenti indagati archeologicamente durante questa ricerca, la grancia cistercense di Ventrile, ha visto l’impiego di materiali riutilizzati e recuperati direttamente dalla stratigrafie di crollo delle stesse strutture; nei casi in cui bisognava regolarizzare i blocchi da mettere nuovamente in posa si sono rese necessarie le stesse tecniche e strumenti che venivano impiegati in passato. La scelta delle malte da impiegare nel rifacimento delle parti murarie è stata vagliata attentamente per raggiungere un livello accettabile di tenuta e tonalità. Dopo diverse soluzioni e prove si è impiegato un composto realizzato con il 50% da biocalce, il 25% di malta cepro 500, il 25% di calce miscelati con sabbia bianca a granulometria medio-fine.

7.1.13.2 Interventi sulle murature esistenti Gli interventi sulle murature esistenti rinvenute in fase di scavo presso Ventrile, sono stati considerati del tipo migliorativo ed integrativo in quanto estesi ad una superficie maggiore, relativa sia alla parte solo da restaurare e consolidare sia alla parte del fabbricato da recuperare, lasciando la faccia vista dei paramenti. Il rispetto delle tecniche costruttive storicamente impiegate nella media valle del Sinni, nonché l’impiego di materiali analoghi a quelli originari, sono state le linee guida degli interventi realizzati. Per il consolidamento delle strutture murarie portanti si è operato il rinforzo al fine di correggere le eventuali variazioni geometriche, le carenze o il degrado dei materiali. A un iniziale intervento di pulitura delle superfici dei prospetti emergenti ha fatto seguito l’immediata stilatura delle interconnessioni per effettuare una nuova sigillatura degli apparecchi murari.

7.1.13.1 Il progetto di restauro La Comunità Montana Alto Sinni, in riferimento al programma finanziario di sviluppo socio-economico legato ai Programmi Integrati Territoriali (PIT), ha beneficiato delle somme necessarie al progetto di recupero, restauro e valorizzazione delle emergenze storico-monumentali del complesso architettonico di Ventrile. L’intervento ha determinato una maggiore attenzione sulle possibili proposte migliorative e/o integrative, dove sono manifeste più conflittualità tra obiettivi da raggiungere e diversificate metodologie di intervento.

Le operazioni di consolidamento hanno rappresentato essenzialmente 2 tipologie differenti:

Branco 2004, Cap. V, p. 55. Erbario del monastero di Santa Maria del Sagittario: Citiso (trifoglio); Dragada (drangontea - dracungulus vulgaris); Tragio (varietà di iperico); Dittamo cretese (origanum dictamus); Camaleonte ibrido (camelea); Imperatoria (peucedanium ostruthium); Rabarbaro; Stellaria; Piretro (anacyclus pyrethrum); Nardo celtico (valeriana celtica); Turbit (convolvulus turphetum); Anonide (Ononus spinosa); Peucedamo (peucedanum orseolinum); Anemone (anemone coronaria); Mano di Cristo (marruca paliurus spinachristi); Paride (paris quadrifolia); Iperico; Sassifraga; Garofolaria (geum urbanum); Dentaria; Valeriana; Pionica (peonica officinalis); Bistorta; Abrotano (artemisia abrotanum); Lingua di passero (melilothus officinalis); Agrifugina (ilex aquifolium); Isotopo montano (hissopus officinalis); Salvia; Polipodio della quercia (polipodiumm vulgare); Capello di Venere (adiantum capillus Veneris); Sanguinaria (geranium sanguineum); Palma di Cristo o morso del diavolo (scabiosa succisa); Lunaria (botrychium lunaria); Lupatoria (aconitum lycoctonum); Betonica (stachyus officinalis); Lingua di cervo (phyllitis scolopendrium); Serpentaria (dracunculus vulgaris); Angelica; Testicolo di volpe (varietà di orchidea). 28

Una scelta progettuale determinante, non solo per la tecnica del restauro, è stata quella di mantenere le murature preesistenti nelle caratteristiche attuali, consolidate e ripulite. Sono stati previsti corpi edificati ex novo costruiti con fondazioni autonome, senza la possibilità di gravare sulle murature esistenti, con proprie coperture in aggetto sulle murature esistenti. Questo tipo di intervento è stato resto possibile grazie a strutture in acciaio corten, autoportanti fondate con capacità di svolgere anche il compito di tenuta delle masse murarie perimetrali. Tutti i nuovi ambienti così realizzati sono stati allestiti con illuminazione adeguata e 164

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni • Interventi di cuci e scuci con ciottoli recuperati in loco e laterizio; • Interventi di ricostruzione di parti mancanti e strutturalmente poco stabili. In nessun caso sono state effettuate opere di consolidamento con cordoli o rinforzi di qualsiasi tipo in cemento armato, i quali avrebbero solo appesantito il carico dei perimetrali senza alcun beneficio. Sulla sommità di ogni apparecchio murario, su indicazione della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Basilicata è stata realizzata una copertina in malta plastica impermeabilizzante in modo da ottenere un ottimale sigillante tale da consentire il facile scivolamento delle acque meteoriche in scorrimento. Nei casi in cui originariamente in antico erano previste piattabande in legno sono state realizzate le stesse opere per poter ottenere un risultato quanto più vicino all’originale, essendo buona parte del materiale ligneo permanente della struttura prelevato in seguito all’abbandono del complesso e reimpiegato altrove.

Fig. 124. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ): pozzo (CF 12).

di raccolta e deflusso di tutte le acque raccolte dalle coperture di Ventrile vengono convogliate all’esterno del complesso grazie proprio a questo sistema, e portate a raccolta in un pozzo posto all’esterno nella porzione Nord-Ovest. In questa maniera sono state eliminate soluzioni costose, quali l’impiego di pompe elettriche, che nel tempo avrebbero avuto sicuramente bisogno di manutenzione.

7.1.13.3 Reti di servizio antiche e riutilizzo Singolare e degno di nota risulta essere il sistema di canalizzazione ricavato all’interno del chiostro di Ventrile per convogliare e raccogliere le acque meteoriche provenienti dalle coperture dei piani superiori (si veda fig. 119). Lungo il perimetrale settentrionale del cortile si sviluppa una canaletta in muratura, poi convogliata in terra per andare a raggiunge in direzione occidentale un pozzetto dalla forma parallelepipeda. Quest’ultima struttura presenta lungo il lato occidentale un’apertura impiegata per il deflusso delle acque che attraverso una canalizzazione, sottoposta nel primo tratto rispetto al piano pavimentale, permette il deflusso verso l’esterno.

7.1.14 Considerazioni conclusive La comprensione totale di un edificio articolato e poco conosciuto quale la grancia del Ventrile, non poteva prescindere se non dall’intera rimozione degli interri alluvionali che coprivano per diversi metri l’intero complesso architettonico. Solo in questo modo è stato possibile ricostruire planimetricamente la struttura definendo la funzione specifica di molti degli ambienti riportati alla luce dopo due secoli.

Lo scorrimento definitivo delle acque reflue doveva essere garantito da una pendenza costante in modo da essere allontanate, senza possibilità di ristagno, in direzione del fiume Sinni.

Il recupero del monumento non ha potuto tralasciare il completo risanamento delle murature grazie ad attività di restauro delle parti architettoniche, tenendo presente il rispetto delle tecniche tradizionali, privilegiando il recupero dei materiali dismessi ed il reperimento di materiali compatibili.

Le indagini archologiche condotte nella porzione Nord-Est del chiostro di Ventrile hanno evidenziato la prensenza di un’altra struttura per la raccolta delle acque meteoriche. Si tratta di un pozzo completamente in muratura dall’imbocco molto ampio e di forma rettangolare (fig. 124). La rimozione in parte dei depositi alluvionali presenti all’interno della ghiera ha permesso di riconoscere una struttura a sviluppo campaniforme, ancora non indagata nella sua interezza. Sono chiaramente visibili sulle pareti interne della struttura tracce consistenti e ben conservate di un rivestimento in malta idraulica atto a impermeabilizzare e contenere acqua. Nel sistema di gestione dei fenomeni di ruscellamento è da annoverare ulteriormente il sistema di tubuli fittili per lo scolo e allontanamento della pioggia da ambienti dei piani superiori non coperti (CF 6) (fig. 125).

È stata definita la sua vocazione originaria di grancia rintracciando i vani in cui venivano stallati gli animali del monastero di Santa Maria del Sagittario. Precisamente la funzione dell’intero piano terra era destinata a stalle per animali di grossa taglia (CF 4-5-6) quali potevano essere bovini o equini, mentre nel vano CF 1 è plausibile potessero essere stallati animali di media taglia, quali ovicaprini. La funzione di grancia per quanto riguarda il piano terra di questa porzione del Ventrile è assicurata dalle fonti, che come tale la classificano, e dai risultati dell’indagine archeologica intercorsa. Il piano superiore sembra avere, invece, una funzione del tutto o quasi abitativa. I risultati dell’indagine, considerata l’esiguità del dato stratigrafico all’interno di questi ultimi, hanno permesso comunque di

Le attività di restauro del monumento hanno tenuto in considerazione tutte queste soluzioni. Gli attuali punti 165

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 125. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ): tubuli fittili (CF 6).

Fig. 126. - Complesso monumentale di Ventrile (Chiaromonte, PZ). Intonaco graffito. Da sx verso dx: martellina, ampolla, squadra, cesoie.

ottenere una lettura complessiva degli apparati murari ben definita e chiara. Il primo piano del CF 1 potrebbe essere associato ad un’area di stoccaggio per sementi, fieno e paglia vista la sua notevole dimensione planimetrica e il suo rilevante sviluppo in altezza. Era fondamentale, per un luogo come questo, avere la possibilità di utilizzare spazi di una certa grandezza per lo stoccaggio e immagazzinamento di derrate e cibo per animali.

un’ampolla, una cesoia per la tosatura delle pecore, una squadra e una martellina da lapicida29) (fig. 126). Il sapere tecnico riconoscibile dalla stesse architetture risulta essere a tratti di grande sapienza a tratti di rude fattezza. Notevoli risultano essere le architetture nel chiostro riprendendo tecniche e saperi diversi nella realizzazione delle arcate di passaggio tra i differenti ambienti, passando da archi a sesto acuto ad archi a tutto sesto; notevole è, ancora, l’impianto costruttivo relativo alla torre di difesa meridionale (CF 3) con lo splendido

Forse anche per la funzione stessa del complesso, a forte vocazione agricola e pastorale, rari sono gli elementi che denotano una certa attenzione per il gusto e la bellezza formale dei luoghi. Unici elementi di abbellimento dell’intera struttura, e di un certo pregio formale, sono la piccola iscrizione rinvenuta nel chiostro (si veda fig. 121) e un frammento di intonaco graffito che si conserva sulla superficie interna di una delle pareti di Ventrile (vano c.d. CF 5).

Chiovelli 2007, p. 244. Si tratta della tipica squadra a 45° del triangolo rettangolo isoscele, mancante - come in tutte le raffigurazioni attestate - dell’ipotenusa. Presenta lunghezza e larghezza dei bracci simili e se ne ritrovano svariati confronti nelle rappresentazioni tardomedievali d’Europa e Italia. La rappresentazione della squadra a bracci a lunghezze differenti si ritrovano negli affreschi dell’abbaziale di Saint-Savin-surGartempe del XII sec. d.C., in un dipinto nella chiesa di Saint-Julien a Brioude, in un capitello della cattedrale di Gerona e nell’atrio della basilica di San Marco a Venezia. Esempi invece di squadre a bracci a lunghezza e larghezza uguale ricorrono in rappresentazioni diverse nel XV sec. d.C. in esempi quali la torre di Babele affrescata da Benozzo Gozzoli nel 1470 presso il camposanto pisano per riportare uno dei tanti esempi più illustri in Italia. 29

La prima dovrebbe far riferimento alla data del 1721, mentre il secondo elemento rappresenta gli attrezzi da lavoro di maestranze, artigiani e pastori, a indicare la vocazione lavorativa di questi luoghi (sono tracciati 166

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni basamento ottagonale del piano terra e sviluppo circolare nei piani superiori. La costruzione dalla particolare forma richiama stilisticamente esempi vicini sia in termini di distanze sia in termini di committenza, quali una delle torri di difesa presso lo stesso monastero del Sagittario, localizzabile nella porzione Sud-orientale del sistema fortificato del cenobio. Questa struttura difensiva, a pianta ottagonale, diventa matrice progettuale per l’esempio rinvenuto presso Ventrile.

permesso di avanzare ipotesi verso l’idea della costruzione di questi edifici, seppur in epoche diverse, su di un poggio prominente rispetto al fiume Sinni. Il forte salto di quota qui riscontrabile, da aree dove si rinvengono depositi a matrice terrosa ad area in cui sono riconoscibili solo i segni dell’alveo fluviale e della sua azione di deposito, permettono di avanzare ipotesi sulla possibilità per il Ventrile di una gestione diretta rispetto alla viabilità fluviale. È ipotesi plausibile che il corso delle acque del fiume fosse in antico sicuramente regimentato e arginato, con probabili strutture murarie per il suo contenimento.

La datazione di quest’ultima struttura per il caso di Sagittario può essere stabilita con ottima approssimazione dopo il 1707, anno in cui viene redatta la planimetria conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, sulla quale non era rappresentata. Questi interventi strutturali, solitamente non presenti negli stilemi architettonici cistercensi, denotano un cambiamento sostanziale del loro pensiero in una fase tarda della loro esistenza, con l’avvento di soluzioni tecniche e planimetriche che vengono da loro edificate in strutture a vocazione diversa.

Tra le tante motivazioni della fondazione della grancia poco sensata sarebbe stata la scelta di questa sede a ridosso dell’alveo di un fiume, con tutti i problemi ad esso legati, esclusivamente per lo sfruttamento dei terreni limitrofi, se non anche per la gestione delle vie fluviali con tutti i suoi privilegi. Ipotizzando anche semplicemente che la sede fosse stata scelta per non utilizzare il fiume, comunque il complesso avrebbe avuto bisogno di diversi sistemi di arginamento e contenimento costantemente manutenuti, considerata la pesante azione di apporto detritico del fiume Sinni e del Frido, entrambi a carattere torrentizio.

Scarso è il sapere tecnico edilizio che viene impiegato, al contrario, nella costruzione dell’unica cappella presso Ventrile (c.d. CF 11), particolarmente spoglia nelle sue architetture, fatta eccezione per gli unici segni di abbellimento riconoscibili nelle tracce di decorazioni in stucco modanato che rivestivano internamente il perimetrale orientale nei pressi dell’altare.

Al momento non è stato possibile intercettare una fase di XI-XII sec. d.C., già più volte menzionata in testi medievali e post medievali, in cui si riconosce per il complesso monasteriale una fase primordiale di una presunta fondazione benedettina, precedente al cambio di destinazione d’uso in grancia sotto la gestione cistercense. Per quanto esplorato archeologicamente le uniche indicazioni cronologiche che periodizzano il complesso in una fase post-antica fanno riferimento ad un momento riconoscibile esclusivamente per il periodo post medievale databile, grazie ad indicatori cronologici quali alcuni frammenti di ceramica, tra XVI e XVIII sec. d.C.

Dal punto di vista archeologico è stato particolarmente interessante suffragare direttamente sul campo elementi documentari inediti, quali le indicazioni fornite dal manoscritto vergato nel 1660 dall’abate del Sagittario de Lauro. Intercettare e indagare stratigrafie e strutture di epoche diverse ha permesso di ricostruire attitudini e volontà insediative dell’area su cui sorge il Ventrile perpetrate per secoli, definendo in questa maniera la vocazione dell’area. Il rinvenimento di un complesso di età imperiale con funzioni termali, su cui successivamente si impiantano gli ambienti della grancia, farebbe propendere per l’individuazione nell’area di una villa o statio a gestione di possibili vie di comunicazione terrestri o fluviali lungo la direttrice del Sinni nella sua porzione mediana.

Unico elemento che attesta una fase databile sul finire del XV sec. – inizi del XVI sec. d.C. è il ritrovamento del frammento di un orlo di ciotola graffita invetriata policroma in giallo, verde e bruno. Altri indicatori cronologici non sono stati rinvenuti, e assegnare cronologie precedenti alle fabbriche della porzione centrale e meridionale del complesso risulta ardua e infondata. La prosecuzione in futuro delle indagini nella porzione settentrionale del Ventrile potrebbe fornire altre indicazioni per quanto riguarda le fasi di vita del monumento e smentire queste informazioni.

Le stesse indicazioni provenienti dalle indagini condotte nel Saggio IX, coadiuvata dal reperimento di elementi assegnabili cronologicamente ad un momento insediativo precedente rispetto al complesso termale, comprovano ulteriormente l’attitudine insediativa dell’area già durante i primi secoli del IV sec. a.C. Non è stato possibile riconoscere totalmente la distribuzione planimetrica degli edifici precedenti al Ventrile, in quanto sottoposti rispetto alle sue fabbriche e ai suoi piani pavimentali.

Se si considera veritiera, precisa e fondata la forte vocazione documentaria dell’abate de Lauro in qualità di cronista dei suoi tempi, una fase primigenia di una fondazione benedettina deve pur essere riconoscibile e rintracciabile rispetto alle strutture oggi rinvenute. Anche la mancanza di un’area cimiteriale sembra essere una forte lacuna allo studio e alla comprensione di una struttura a diretta emanazione monasteriale e con la presenza di un edificio ecclesiastico. Sicuramente non tutti i defunti venivano tumulati presso il Sagittario se si dà per fondata la notizia che durante, e ancora per tutto il XVIII sec. d.C.,

Le possibilità concesse dagli approfondimenti di natura archeologica nell’area a ridosso dell’edificio termale lungo il suo versante occidentale, grazie ai lavori di canalizzazione e di raccolta delle acque reflue, hanno 167

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 127. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT): foto obliqua da drone.

si chiedeva il permesso e la possibilità di essere seppelliti presso la cappella di Ventrile30.

La possibilità nel 2014 di indagare le stratigrafie del cortile interno del castello ha consentito di riconoscere gli spazi che vengono descritti nei documenti cinquecenteschi, all’epoca in cui la struttura era dimora dalla poetessa Isabella Morra32. Sono state individuate, pertanto, le cucine con i focolari e il forno, oltre alcune aree produttive con il rinvenimento di una piccola forgia.

7.2 Castello Isabella Morra (Valsinni, MT) 7.2.1 Premessa Le ragioni sottese alla nascita dei centri fortificati di età medievale nella valle del Sinni sono complesse e spesso dipendono da ragioni strategiche, oltre che politiche31.

7.2.2 Scheda sito Castello Isabella Morra, Valsinni (PZ) (fig. 127) (F. 211 I S.E. – 40.167983, 16.442051)

Tra le rocche meglio conservate nella loro primordiale fase costruttiva è sicuramente da annoverare il castello Isabella Morra di Valsinni (MT). Considerate le sue vicende storiche, che agli inizi del ‘900 lo vedono già in possesso della famiglia Rinaldi, lo sviluppo planimetrico viene in parte conservato senza ulteriori aggiunte. In maniera simile per i centri di Chiaromonte e Teana, a Valsinni il castello si sviluppa attorno ad un torrazzo, primigenia torre fortificata a pianta quadrangolare, in seguito inglobato da altri annessi, raggiungendo l’apice della sua estensione planimetrica nel XVI sec. d.C. sotto la reggenza della famiglia Morra.

Quota altimetrica: m 380.200 s.l.m. Poggio rilevato. Mappa catastale: F. 15, particella n. 198. Definizione: centro medievale fortificato. Cronologia: XI-XII sec. d.C. (?) – a continuità di vita. Materiali diagnostici: materiali provenienti dalle attività di scavo archeologico – 1 fr. di ceramica graffita policroma decorata in verde, giallo e marrone su fondo bianco; 1 fr. di

30 Il documento in questione è un atto in cui viene riportata la concessione a un privato della sua tumulazione all’interno della cappella di Ventrile 31 Vitale 2018a, pp. 217-222.

32

168

Montesano 2014.

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni ceramica invetriata policroma decorato con linee di colore bruno e tracce di colore rosso; alcuni ffr. di ceramica acroma da cucina; 1 fr. di coperchio con presa ad arco e decorazione a stampiglia; 1 fr. di lucerna acroma; 3 ffr. di lucerna invetriata in marrone; alcuni ffr. di maiolica policroma dipinta in celeste, giallo e verde; alcuni ffr. di catino acromo con decorazioni ad appliqué costituite da cordoli, trecce e fiori.

Sembrerebbe che la struttura centrale del castello, ambiente coperto con una volta a botte, riprenda tipi edilizi propri dei secoli XI-XII quando vengono edificati, in luoghi puramente strategici per la gestione delle media valle del Sinni, alcuni torrazzi fortificati quali quelli di Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT), loc. Il Pizzo (Valsinni, MT) e loc. Castello di Seluci (Lauria, PZ). È molto probabile che, come in altre valli dell’Italia meridionale, tra XI e il XII sec. d.C. in Basilicata si dia corso alla costruzione di nuovi sistemi fortificati e al rifacimento di molte strutture preesistenti; ognuna di queste svolgeva funzioni di controllo e gestione territoriale. È evidente che il castello di Favale nel tempo abbia subito delle modifiche e degli ampliamenti, probabilmente proprio dagli inizi del XIV sec. d.C. in poi, dopo che la Terra fu assegnata da Carlo I D’Angiò a Rogerello di Manerio.

Evidenze archeologiche e architettoniche: castello, circuito fortificato. Vie fluviali: fiume Sinni. Condizione attuale: area edificata urbana. Ricognizioni effettuate: nei pressi del centro urbano di Valsinni sono stati effettuati numerosi sopralluoghi; alcuni di questi sono stati finalizzati allo studio aereofotogrammetrico del centro fortificato e dell’intera area tramite riprese da APR. La metà dei sopralluoghi sono stati condotti per l’analisi planimetrica delle evidenze medievali superstiti e per lo studio degli apparati murari conservati.

Nel quadro di una nuova strategia governativa, si precisano i termini degli obblighi di riparazione e manutenzione delle strutture castellari ereditate dalla precedente dominazione, quasi sempre a carico delle comunità locali, e si prevede la possibilità di realizzare negli insediamenti fortificati esistenti nuove costruzioni. Il sistema fortificato preesistente viene adeguato alle nuove esigenze belliche e politiche attraverso un’accurata opera di ricostruzione e riparazione. Modifiche alla preesistente struttura della “rocca di Favale” è probabile possano essere state attuate anche nei primi due decenni del Trecento, se è vero che osservando l’enorme divario dei fuochi e della tassazione del 1320 (appena 7 fuochi, per una tassazione di once 1, tarì 16, grani 10) rispetto a quella del 1277 (100 fuochi, per una tassazione di once 25 e grani 16),36 se ne dovrebbe dedurre che, al di là di eventi straordinari, malattie ed epidemie, che pure non mancarono, la popolazione di Favale nella tassazione del 1320 risulta quasi annullata, non certo per uno spaventoso e totale spopolamento, ma per essere stata del tutto esentata proprio perché soggetta al pagamento dei tributi dovuti per le varianti e l’ampliamento del castello, che rientrerebbe tra quelli costantemente concessi in feudo dai Sovrani regnanti. Interessanti notizie per quanto riguarda la comprensione dell’articolazione del castello, riporta il documento redatto dal Tavolario Natale Longo nella sua relazione sull’apprezzo della Terra di Favale: “Per esecutione del decreto di V.S. fatto nella data del 5 di giugno 1647 che proceda all’aprezo della terra della favala sita e posta nella Provincia di Basilicata … et per il castello baronale consiste una entrata a lamia con il ponte a calatora dal detto ponte si passa et se entra ad un cortiglio scoverto in piano del detto cortiglio vi è una stalla commoda con una altra stanza per conservare la paglia, dallo detto cortiglio se retrovano una poco de grade da esse s’ascendono a tre stanzie et uno furno dette servono al presente per despenze: et dallo detto piano dello detto cortiglio s’entra ad una sala et quattro cammere divise tutte in piano et altre stanzie derotte coverte et dal detto cortiglio ne sta

Condizioni del suolo: edificato. Visibilità: media. Stato di conservazione del deposito: discreto. Il centro di Valsinni è un centro urbano a continuità di vita in cui sono riconoscibili ancora alcune delle tracce architettoniche e urbanistiche della piena età medievale. Notizie storiche: il nucleo di Valsinni avvolge da Nord verso Est la rupe dalla quale il castello, di origine medievale, domina la valle del Sinni. Il centro, con il nome di Fabalis, è documentato fin dall’XI sec. d.C. e ancora con quelli di Favacie, Favacia, in atti del 1092-1093, del 1171 e del 117733. Nel 1240 compare nell’elenco dei paesi tenuti da Federico II alle opere edilizie riguardanti la costruzione del castello di Rocca Imperiale, divenuto subito il principale centro del territorio34. Favale, che era stato con la vicina Nocara una frazione del territorio di Presinace, acquista importanza già nei decenni successivi alla metà del secolo, con lo spopolamento di quest’ultima, che veniva anche sostituita nelle funzioni civiche da Nocara stessa. Elementi che possano retrodatare questa periodizzazione non sono stati recuperati né attraverso le fonti né tramite il dato archeologico proveniente dalle recenti indagini condotte nell’area del cortile tra il 2014 e il 201535.

33 Mattei Cerasoli 1939, p. 283; Quilici 1967, p. 107; 1997, pp. 241-260; 1998, pp. 83-105. 34 Montesano1997, p. 63; Mattei Cerasoli 1939, p. 283. 35 In data 07 novembre 2014 (MIBAC-SBA-BAS-UPROT 0006656 07/11/2014 CI. 34.31.01/7) la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata ha rilasciato autorizzazione allo scavo preventivo presso il castello Isabella Morra di (Valsinni, MT), autorizzando il Dott. Valentino Vitale a svolgere e coordinare sul campo le attività di ricerca e documentazione. Attività avviatesi sotto la direzione scientifica della stessa Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata.

36

169

Pedio 1988, p. 24.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale scavi nell’area del cortile hanno permesso di individuare tutta una serie di ambienti funzionali ed esistenti già all’epoca di Isabella Morra, descritti come abbandonati durante l’apprezzo del Longo nel XVII secolo40. Questi rispecchiano chiaramente il racconto che ne fa il regio tavolario, a garanzia che tutto ciò che viene descritto e riportato nel testo può essere considerato come veritiero tranne il rinvenimento di tracce che avvalorino la presenza del ponte levatoio, di cui anche si fa menzione.

unantra grada de fabbrica da essa s’ascende a due altre stanzie coverte a tetti et sopra le predette inferiore quale abitazione così derutte et molte antiche tieneno di bisogno de molte riparatione et accomodatione necessarie”37. La baronia civile di Favale nel 1765 fu presa in affitto dal marchese di Oriolo, che nominò come suo amministratore Felice Labanca di Lauria, un ex pastore già al servizio del duca di Lauria Adriano Ulloa. Fu allora che egli prese a costruirsi una casa, attingendo materiali dal castello, già in buona parte rovinato e abbandonato. Al termine del contratto di fitto del marchese, egli stesso ottenne la baronia in fitto per 4 anni, dal 1770 fino a tutto il 1773. E da allora, abusando della sua carica, iniziò a prelevare altri materiali dal palazzo baronale, come travi, zoccole, fattole, chianche, imbrici per finire la sua casa. Prima aveva già sottratto materiali dai tetti e dalle coperture delle camere dei piani superiori. Quattro stanze furono anche private dei ‘tempiati’ e furono divelti e portati via i mattoni del cortile e quelli del pavimento di una stanza e della scala esterna. Il castello fu così lasciato alle intemperie e fu registrato come rudere nel catasto provvisorio del 1816, ovvero non produttivo di alcun reddito. I muratori Gaetano Di Vincenzo e Nicola Gioia di Francavilla, e i falegnami Gennaro Capitolo e Giuseppe Novello di Colobraro, nel processo contro il Labanca nel 1774, testimoniarono, tra l’altro, che il castello nel 1772 si componeva “di nove stanze soprane inclusevi la scala e la cappella e di vedersi le medesime tutte inabitabili, senza verun comodo, e le dette stanze sono scovertecome è scoverta la cappella e rotta la gradiata”38. Il nome del paese fu cambiato in Valsinni nel 187339.

7.2.3 L’indagine archeologica Agli inizi di novembre 2014 la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata ha rilasciato autorizzazione allo scavo preventivo presso l’area del cortile del castello Isabella Morra di Valsinni (MT). La campagna di scavo e le attività di rilievo sono state coordinate sul campo dallo scrivente sotto la direzione scientifica della Soprintendenza e si sono concentrate nella porzione settentrionale e occidentale. Alcune porzioni del cortile con i relativi accumuli sono risultate già svuotate da lavori degli inizi del ‘900, quando il castello venne acquistato dalla famiglia Rinaldi. Alle aree di scavo è stata assegnata una divisione degli spazi e degli ambienti definendo l’intera struttura come complesso architettonico (CA); hanno fatto seguito i relativi corpi di fabbrica (CF) a cui seguono le eventuali unità funzionali (UF) (fig. 128). 7.2.4 Le fasi di scavo Marco Antonio Morra nella storia della sua famiglia farebbe risalire la costruzione del castello di Favale al XIV sec. d.C.41, ma non c’è alcun riscontro documentale in tal senso. Per il castello di Favale manca una qualsiasi annotazione nei registri dell’epoca normanno-svevo e angioina, che fornivano invece un’ampia documentazione di tutti i castelli costruiti o ristrutturati. Studi ancora più recenti confermerebbero l’esistenza del castello, ipoteticamente con funzioni strategiche, già nel periodo pre-normanno, allorché “[…] l’incastellamento che in età bizantina era uno strumento prevalentemente politicomilitare, in età normanna diventa la rete e la struttura su cui si basa l’intera organizzazione feudale”, con funzioni di gestione e controllo del territorio dove il corso del Sinni subisce un restringimento naturale42.

Descrizione unità topografica: il centro di Valsinni si trova ad un’altitudine di m 250  s.l.m., su uno sperone roccioso che domina la valle del Sinni. Fulcro di Valsinni durante i secoli centrali del medioevo è il castello della famiglia Morra, oggi denominato castello Isabella Morra. La struttura sorge su una rupe di arenaria a vedetta e baluardo della valle del Sinni per chi proveniva da oriente. Molto probabilmente è da inquadrarsi in un sistema di avvistamento e di difesa articolato tra quest’ultimo e le tre vicine rocche di Colobraro (MT), loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT) e loc. Il Pizzo (Valsinni, MT). Nella sua veste attuale il complesso architettonico consta di diversi ambienti distribuiti tra il piano terra e il primo piano. Esemplificativo delle tipologie di torrazzo fortificato è l’ambiente centrale coperto a botte, a cui si aggiungono nel tempo tutta una serie di corpi di fabbrica. Il piano superiore, come il piano terra recentemente restaurato dalla famiglia Rinaldi, è adibito dalla stessa a dimora. Gli

Il sistema fortificato preesistente viene adeguato alle nuove esigenze belliche e politiche attraverso un’accurata opera di ricostruzione e riparazione. Emerge che durante il primo periodo del governo angioino soltanto poche strutture del genere sorgono secondo un preciso progetto, a differenza delle costruzioni edificate ex novo, in quanto totalmente condizionate dalle precedenti.

37 Relazione del tavolario Natale Longo sull’apprezzo della terra di Favale. Napoli, 24 agosto 1647 (A.S.N., Regia Camera della Sommaria), p. 420. Cfr. Montesano 2014, pp. 419-423. 38 Il processo contro Felice Labanca, con le relative testimonianze è in A.S.N., Regia Camera della Sommaria, Attuari diversi, fascio 6, fasc. 4. Cfr. Montesano 1997, p. 63. 39 Quilici 1967, p. 107.

40 41 42

170

Montesano 1997, p. 63. Mattei Cerasoli 1939, p. 283. Masini 2006, p. 699.

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 128. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT): planimetria generale con indicazione dei corpi di fabbrica e delle aree di intervento archeologico.

All’avvio delle attività archeologiche erano riconoscibili alcune strutture poi indagate e definite nella loro funzione originaria, tra le quali una struttura ipogea foderata in muratura posta nelle immediate vicinanze dell’ingresso al ridotto fortificato. La rimozione degli accumuli all’interno di questa costruzione ha permesso di riconoscere al suo interno stratigrafie pertinenti scarichi di materiale edilizio proveniente dalle demolizioni e dai rifacimenti di alcune porzioni del castello, probabilmente riferibili agli interventi effettuati dal Labanca nel XVIII sec. d.C. In particolare le unità stratigrafiche 4 e 6 sono state identificate quali stratigrafie di accumulo: la prima composta da uno strato di argilla pura, probabilmente qui presente in qualità di materiale per opere edilizie, mentre l’US 6 pertinente ad un accumulo di materiali provenienti dalla distruzione di un caminetto, struttura ancora identificabile in traccia lungo la parete Nord del CF 1 (torrazzo principale, sala centrale voltata del castello). La rimozione di queste stratigrafie ha permesso il rinvenimento, inoltre, di alcuni oggetti quali alcuni frammenti di grandi dimensioni pertinenti una cornice circolare modanata ricavata dalla lavorazione di un blocco in arenaria locale (RP43 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7).

43

Alla profondità di ca. m -6.5 dall’attuale piano di calpestio è stato intercettato il piano pavimentale in malta della struttura sopra descritta. Lungo le pareti della fodera in muratura (USM 5), a quote relativamente più alte rispetto al piano di calpestio interno, sono state rinvenute alcune buche per l’alloggiamento di travi lignee, forse funzionali per la realizzazione di un probabile piano, anch’esso in materiale deperibile, utilizzato per discendere nella struttura. L’ipotesi iniziale che CF 9 fosse da associare ad una costruzione per l’accumulo delle acque reflue non è suffragata né da rivestimenti impermeabili sulla superficie delle pareti utili al contenimento di liquidi, né dalla presenza di sistemi di canalizzazione per il conferimento e l’adduzione delle acque raccolte dal castello, utili al suo stesso approvvigionamento idrico. Notoriamente i complessi fortificati d’altura, dove non insisteva una sorgente naturale, si approvvigionano di acqua raccogliendola direttamente dai tetti durante le piogge in strutture sottoposteo ipogee, quali cisterne o pozzi. È il caso di complessi in Basilicata molto articolati quali Satrianum (loc. Torre di Satriano, Tito – PZ) dove la torre, gli ambienti della cattedrale e porzioni dell’abitato conservano le loro cisterne più o meno capienti; se ne ritrovano esempi anche molto più vicini in strutture fortificate quali quelle di loc. Catarozzo di Francavilla in Sinni (PZ) o presso loc. Cozzo

La sigla RP è l’acronimo per indicare ‘reperto particolare’.

171

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 129. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). Piano di calpestio in terra battuta.

dei Ceci presso Calvera (PZ). Nel castello Morra l’ipotesi del rinvenimento di costruzioni simili non è stata, ad oggi, ancora suffragata.

Il banco di roccia rivenuto al di sotto dei piani di uso della struttura fortifica risulta essere parzialmente regolarizzato in quest’area. Ciononostante, non è stato possibile evidenziare tracce di cava e di estrazione del materiale lapideo in questa porzione del cortile, anche se è plausibile che il reperimento di buona parte del materiale da costruzione per la fabbrica di questo complesso architettonico possa essere stato prelevato in situ. L’ipotesi può essere sostenuta sia per fattori di economicità e sia per regolarizzare le superfici su cui fondare successivamente i diversi ambienti.

Proseguendo nel cortile in direzione Nord-Ovest si individua una struttura dalla forma trapezoidale, anch’essa sottoposta rispetto al piano di calpestio di ca. m 1 (CF 10), con pareti rivestite da uno strato di malta idraulica. L’attitudine alla raccolta delle acque, considerato il rivestimento, non viene avvalorata dalla mancanza di tracce di canalizzazione. È pur vero che a seguire si individua un lavatoio in muratura, definendo un sistema e un’area in cui fondamentale era la raccolta e l’impiego di acqua.

Le attività di scavo sono proseguite in direzione meridionale, dove sono stati individuati alcuni vani pavimentati in malta cementizia (CF 13 e 14). Si tratta di ambienti definiti da strutture murarie tra le più tarde dell’interno complesso architettonico, probabilmente riferibili alle fase di ampliamento avvenuta durante la metà del XVI sec. d.C., quando il castello è tenimento della famiglia Morra (c.d. Fase III44). Gli ambienti risultavano essere in origine un unico grande vano rettangolare orientato in direzione Nord-Sud, in qualità di ambiente dispensa (CF 13, 14, 15, 16). La successiva suddivisione in due ambienti avviene con la costruzione di un tramezzo, al centro del quale viene praticata un’apertura che permetteva tra loro di essere in comunicazione diretta45.

Muovendosi lungo la direttrice occidentale del cortile verso Sud si incontra un passaggio voltato a botte, mantenuto nella sua funzione originaria grazie ai lavori di recupero del complesso degli ultimi decenni. Questo mette in comunicazione la porzione meridionale e settentrionale con i vani sottoposti del cortile. Indubbiamente buona parte delle stratigrafie archeologiche che potevano insistere in quest’area sono state rimosse negli ultimi secoli in seguito anche a questi lavori di demolizione e recupero delle architetture. L’unico livello conservatosi in CF 11 è stato riconosciuto in uno dei piani pavimentali in terra battuta (c.d. US 64) realizzato a seguito dell’edificazione del recinto fortificato occidentale. La rimozione di questa stratigrafia (fig. 129) ha permesso il rinvenimento di materiali fittili quali un frammento di orlo pertinente a una ciotola invetriata policroma (XIV sec. d.C.) e un frammento di parete di ceramica graffita policroma (XV sec. d.C.) (fig. 130).

Con questa sistemazione (da riferire probabilmente alla fine della Fase III, e comunque prima della Fase IV) vengono modificati tutta una serie di accessi relativi ad alcuni degli Infra cap. 7, par. 7.2.4, p. 175. Relazione del Tavolario Natale Longo sull’apprezzo della Terra di Favale, 1647. 44 45

172

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 130. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). Ceramica invetriata policroma (XIV sec. d.C.), ceramica graffita policroma (XIV-XV sec. d.C.).

ambienti posti nel cortile: la divisione e la realizzazione del CF 14 crea una cesura del grande vano composto dai CF 13 e 14 rispetto al 16 con la tamponatura dell’accesso lungo il suo perimetrale Ovest, e mette in comunicazione di rimando lo stesso CF 16 con CF 15 tramite un apertura nel suo perimetrale meridionale.

Lo strumento musicale, ben conservato nella sua splendida e rudimentale fattura, dall’associazione cronologica stratigrafica del contesto di scavo si fa risalire alle fasi di gestione del complesso da parte della famiglia Morra, durante i primi decenni del XVI sec. d.C. L’indagine è proseguita nella porzione meridionale rispetto al CF 15, nel c.d. CF 16, dove sono state rimosse stratigrafie di accumulo dovute ai lavori di recupero di materiale edilizio ad opera di Labanca nel XVIII sec. d.C. Al centro del vano, a denotare la funzione di locali per lo stoccaggio di beni alimentari e di magazzini, è stato rinvenuto un grande mortaio ricavato direttamente da un unico blocco di calcare locale.

Rimosse le ulteriori strutture moderne del giardino è stato intercettato l’unico ambiente voltato presente tra i corpi di fabbrica del cortile. Durante i lavori di sistemazione e riordino del giardino da parte del proprietario agli inizi del ‘900 erano stati rimossi parte dei probabili interri qui presenti. All’atto dell’indagine archeologica il CF 15 si presentava, pertanto, svuotato e ricolmo per l’intera volumetria originaria da un cumulo di blocchi lapidei. A testimonianza ulteriore della datazione recente di questi interventi, dalla rimozione degli accumuli ancora presenti nell’ambiente, contribuiscono i ritrovamenti di oggetti di epoca contemporanea quali un rasoio da barba, alcune lattine per alimenti e una piccola catenina in acciaio.

La completa rimozione di queste stratigrafie, con la conseguente definizione planimetrica dell’ambiente CF 16, ha consentito il ritrovamento dell’accesso principale per discendere dal piano terra del castello verso le dispense nei locali sottoposti di servizio, con il ritrovamento di una scala in muratura (fig. 133). La scalinata, ben conservata nelle sue fattezze originarie, è costituita da 8 gradini realizzati con conci in arenaria spaccati di piccole e medie dimensioni e dall’impiego di laterizi, legati con malta cementizia compatta di colore giallastro.

Lo svuotamento completo del vano voltato ha permesso di intercettare una stratigrafia a matrice terrosa (US 84) pertinente alle fasi di abbandono della struttura stessa. L’unico elemento che definisce la vocazione dell’ambiente CF 15 è la struttura individuata e posta nell’angolo NordOvest del vano: trattasi di una costruzione realizzata in maniera molto rudimentale con mattoni cotti (dallo spessore medio cm 5) allettati tra loro di piatto su letti di argilla (fig. 131). L’ipotesi più plausibile per il riconoscimento di quest’ultima, e le attitudini stesse del vano, è quella dell’utilizzo per attività connesse al fuoco; teoria avvalorata ulteriormente dal ritrovamento al suo interno di stratigrafie a matrice cinerosa ottenute per combustione diretta. Rimosse queste ultime, sono stati rinvenuti 8 elementi fittili di forma circolare associabili a frammenti di sostegni, impiegati solitamente proprio in fornaci (fig. 132). La rimozione completa al suo interno delle stratigrafie ha permesso il rinvenimento di un fischietto fittile antropomorfo raffigurante una donna abbigliata con tunica e dai lunghi capelli raccolti in una coda che scende sulla spalla sinistra della figura (fig. 132).

La struttura dovrebbe concludere quel percorso, iniziato ipoteticamente con un l’altra gradinata localizzabile nella porzione settentrionale, andando a definire un circuito che da Nord, muovendo verso Ovest, va a chiudersi nella porzione meridionale, permettendo l’ascesa e la discesa dai differenti livelli in cui il complesso si articola (fig. 134). La lettura degli elevati nel vano CF 16 ha permesso, inoltre, l’associazione di stratigrafie orizzontali con alcune di quelle verticali. È il caso di lenti di bruciato da mettere in relazione con due strutture da fuoco: la prima riferibile a un caminetto, di cui oggi è riconoscibile la canna fumaria realizzata nel nucleo del perimetrale meridionale del recinto fortificato, mentre la seconda è identificabile con la calotta, seppur lacunosa, di un forno da pane. 173

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 131. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). UF 6 struttura da fuoco (fornace?).

Fig. 132. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). UF 6: sostegno fittile per fornace (?) (in alto); RP 11 - statuetta fittile, fischietto (in basso).

I documenti fanno menzione della presenza nel castello di Valsinni di ambienti afferenti a dispense e magazzini, funzionali alla gestione e organizzazione della complesso46; descrizione che trova chiara corrispondenza 46

nella suddivisione dei vani rinvenuti durante le attività di scavo archeologico. Se scarse sono le indicazioni di periodizzazioni diverse nelle fasi di vita del castello da  parte delle stratigrafie orizzontali, informazioni maggiori provengono dall’analisi degli elevati murari del recinto fortificato (fig. 135); proprio da questa lettura è

Ibidem.

174

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 133. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). Veduta generale ambienti dispensa e cucina.

verosimile riconoscere almeno tre fasi di vita per questa struttura.

documenti che riportano l’organizzazione del castello nel XVIII sec. d.C.47

È possibile circoscrivere una prima fase (c.d. Fase I) al momento di origine della struttura difensiva, realizzata con l’edificazione di un primo torrazzo e relativo recinto fortificato (USM 41) databile presumibilmente agli inizi dell’XI-XII sec. d.C. (è possibile riconoscervi una tecnica muraria uniforme, costruita con bozze di arenaria di medie dimensioni su letti di malta cementizia con scarsi inclusi in laterizio). Fa seguito la “Fase II” in cui si fa largo impiego di materiali fittili utilizzati in qualità di zeppe per regolarizzare i corsi, databile alla fine del XIV-inizi del XV sec. d.C. Una terza fase c.d. “Fase III” vede le modifiche apportate dalla famiglia Morra nella prima metà del XVI sec. d.C. con lo sviluppo e l’ampliamento degli ambienti nel cortile e annessi alla struttura fortificata, descritti in

Tra il XVI e il XX secolo intercorre una fase definibile “Fase IV”, in cui le strutture fungono da cava per l’edificazione delle vicine proprietà dei Labanca, i quali prelevano e riutilizzano il materiale di spoglio del castello per costruire la propria residenza palaziale. Nella definizione delle fasi di vita dell’intero complesso sono da considerare anche i due momenti di ristrutturazione, e ulteriori modifiche, apportate alla struttura nel XX e XXI secolo. Le ultime fasi di vita della struttura possono essere riconosciute nella sistemazione e restauro da parte

47

175

A.S.N., fascio 62, fasc. 6, pp. 419-423; Montesano 1997, p. 63.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 134. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). Ortofotopiano generale delle aree di scavo archeologico.

15 (ambiente voltato), e precisamente dalla rimozione di US 85 provengono materiali anche in questo caso databili tra XVII e XVIII sec. d.C.: sono riferibili ad alcuni ffr. di un catino acromo, 1 fr. di ansa di brocca acroma e alcuni ffr. di un altro catino acromo con decorazioni ad appliqué costituite da cordoli, trecce e fiori.

della famiglia Rinaldi, divenuta proprietaria del castello agli inizi del ‘900. Vengono definite “Fase V” e “Fase VI” rispettivamente i momenti in cui questa famiglia apporta le ultime modifiche, trasformando il castello nella loro residenza e nel museo della famiglia Morra. 7.2.5 La ceramica

Gli unici frammenti ceramici che attestano, invece, una fase precedente l’impianto cinquecentesco della famiglia Morra sono stati recuperati dalla rimozione del battuto pavimentale indagato nel vano voltato di passaggio CF 12. L’US 64, composta esclusivamente da terreno e scaglie minute di arenaria, copriva direttamente il basamento fortificato della porzione occidentale su cui si impostarono le strutture difensive più tarde. Sono stati rinvenuti un unico frammento fittile relativo alla parete di una ciotola graffita policroma, decorata in verde, giallo e marrone su fondo bianco e databile probabilmente al XV sec. d.C. e 1 fr. di ceramica invetriata policroma decorato con linee di colore bruno e tracce di colore rosso pertinente all’orlo di una ciotola (si veda fig. 130).

Le classi ceramiche maggiormente rappresentate nelle stratigrafie del castello Morra di Valsinni (MT) risultano far riferimento a materiali provenienti dalle fasi di abbandono del complesso: si tratta di vasellame da mensa e ceramica da fuoco di epoca rinascimentale e post medievale, databili tra XVI-XVII e XVIII sec. d.C. Molti materiali provengono dallo scavo del vano ipogeo, c.d. CF 9; in particolare l’US 6 ha restituito materiali quali ffr. di anse e pareti di ceramica acroma pertinenti a brocche databili al XVI sec. d.C., ffr. di acroma da cucina, 1 fr. di coperchio con presa ad arco e decorazione a stampiglia, 1 fr. di lucerna acroma, 3 ffr. di lucerna invetriata in marrone (XVI-XVII sec. d.C.) e alcuni ffr. di maiolica dipinta su fondo bianco in celeste, giallo e verde, di cui un frammento di parete di brocca decorato con la rappresentazione di un individuo alato (XVII-XVIII sec. d.C.)48. Dal vano CF

Quest’ultimo elemento può essere considerato da raccordo tra le fasi postmedievali ed una prima fase insediativa con l’impiantarsi di un altrettanto primitiva struttura fortificata che gestiva, insieme alle altre vicine di Cozzo Madonne

48 Troiano, Verrocchio 2005, pp. 338-355; Troiano 2002a, pp. 185-240; 2002b, pp. 263-312.

176

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni

Fig. 135. - Castello Isabella Morra (Valsinni, MT). Ortofotopiano e rilievo prospettico delle murature.

della Rocca e loc. Il Pizzo49, il sistema di difesa dell’area tra il XII e il XIV sec. d.C.

Lo scavo dell’ambiente voltato CF 15 ha permesso di riconoscerne altri funzionali alla vita del castello, luoghi quali dispense e per attività artigianali. Dalla rimozione degli interri è stato possibile rinvenire, all’interno della piccola struttura da fuoco, il fischietto fittile dalla forma antropomorfa raffigurante una donna, già descritto in precedenza (si veda fig. 132).

7.2.6 I reperti particolari Tra le classi di oggetti rinvenuti durante le attività di scavo presso il castello Isabella Morra sono da annoverare alcuni reperti particolari. Dall’indagine all’interno del vano ipogeo CF 9 provengono la maggior parte di essi, frutto di uno scarico intenzionale di materiale di risulta relativo ad attività di demolizione di alcuni ambienti durante il XVIIXVIII sec. d.C.

Il repertorio di oggetti si attesta, come gran parte del materiale fittile diagnostico qui rinvenuto, su fasi di epoca tarda rispetto alla tipologia insediativa di questa struttura, nata preliminarmente come torrazzo fortificato databile tra XII e XIV sec. d.C. in linea con strutture del genere lungo tutta la media valle del Sinni; associazione quest’ultima che proviene da confronti planimetrici e tipologici diretti con strutture rivenute nei limitrofi siti fortificati di Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT) e di loc. Il Pizzo (Valsinni, MT), nei ridotti fortificati di Castello di Seluci (Lauria, PZ), di loc. Catarozzo (Francavilla in Sinni, PZ) e di loc. Cozzo dei Ceci (Calvera, PZ).

Sono stati recuperati alcuni frammenti appartenenti a conci modanati in arenaria riferibili ad una cornice modanata (RP 1) (coronamento di un focolare) e un ciottolo perfettamente arrotondato dalla forma sferica di diametro pari a ca. cm 30, associabile quest’ultimo verosimilmente ad una palla di cannone (RP 4). Fuori dal contesto archeologico, reimpiegato nel giardino nei blocchi che definiscono un vialetto a secco, è stato rinvenuto un concio d’arco su cui è incisa un’iscrizione, oggi lacunosa, che riporta il seguente testo: (…) R (…) AD I (…).

49

7.2.7 Castello Isabella Morra: l’indagine architettonica. I materiali costruttivi e le tecniche edilizie La tipologia delle pezzatura riscontrata nei casi di studio sono state catalogate in base ai diversi stadi di lavorazione dell’elemento lapideo, in bozze, blocchi e conci. Le

Infra cap. 6, scheda 22, p. 136; scheda 20, p. 132.

177

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale 7.2.8 Considerazioni conclusive

bozze vengono semplicemente estratte e regolarizzate per poter essere messe in posa più facilmente. L’alta costante diffusione sul territorio di tali elementi, facilmente lavorabili anche da parte di maestranze non specializzate, appare certamente coerente con quanto rilevato50.

L’intervento di scavo ha reso possibile una lettura globale delle strutture e l’individuazione di ambienti di serviziocucine pertinenti il complesso fortificato. Questi vani venivano adibiti al funzionamento del castello Morra in qualità di strutture accessorie.

Il processo costruttivo dei complessi fortificati come quello del castello Isabella Morra appare, dunque, semplificato attraverso la riduzione al minimo dell’iter di lavorazione del materiali lapideo, la possibilità di impiego di manovalanze non specializzate e la predisposizione di attrezzature di cantiere molto semplici. Per realizzare le bozze vengono utilizzati prevalentemente strumenti a percussione diretta. I segni più evidenti delle lavorazioni sono però conservati principalmente dai pezzi in calcare, mentre più sporadico è il riscontro di tracce sulle superfici in arenaria o puddinga. In genere si impiegavano strumenti quali la mazza e la martellina, strumenti che permettevano una prima sommaria regolarizzazione del pezzo per poter essere ammorsato alle murature.

Le fasi di abbandono di queste ultime possono riferirsi a quelle generali del sito non concedendo di riconoscere periodi di continuità oltre la fine del XVI sec. d.C., fatta eccezione se si considera il momento di demolizione con gli interventi del Labanca. La ripresa della vita del castello, avulsa dalla sua originaria funzione difensiva, si attesta nuovamente per scopi prettamente residenziali solo in epoca contemporanea grazie alle ristrutturazioni a cura della famiglia Rinaldi. Resta ancora da approfondire e scoprire la storia e le strutture della cappella palaziale, di cui più volte si trova menzione nei documenti dell’epoca51. Lavori futuri in questa direzione potrebbero essere la demolizione e l’indagine completa dell’area non esplorata del giardino moderno, indicato quale luogo dove localizzare la chiesetta52.

Tra i blocchi utilizzati in complessi quali il castello di Isabella Morra di Valsinni, o presso loc. Cozzo della Madonne della Rocca e Castello di Seluci, le dimensioni medie più piccole si attestano su ca. cm 25x20, mentre per quelli più grandi si sfiorano anche i cm 50x30. In genere la morfologia stessa dei luoghi e del sottosuolo ha esercitato un forte condizionamento sulla produzione di tali pezzi, il cui grado di finitura dipende dalla lavorabilità del materiale lapideo.

Non è stato possibile comprendere totalmente quale fosse il sistema di raccolta e immagazzinamento delle acque reflue per la sussistenza degli abitanti del castello. Al momento l’unica struttura impermeabilizzata con rivestimento in malta è riconoscibile nel piccolo vano di forma trapezoidale posto nella porzione Nord (c.d. CF 10). Al contempo non sono stati rintracciati tubuli, condotti o altri elementi simili che permettessero di convogliare e raccogliere l’acqua all’interno di quest’ultima. Infine, nella porzione meridionale la ridefinizione degli spazi con il cambiamento degli accessi, permette di leggere in essi un cambiamento delle funzioni originali.

La tecnica di realizzazione degli apparati murari differisce nei due grandi momenti di costruzione e ampliamento del sito fortificato di Valsinni. Prendendo in considerazione, ad esempio, il prospetto occidentale esterno del circuito murario del castello Morra si può notare come la scarpa della muratura sia costruita con l’esclusivo impiego di blocchi di arenaria di medie dimensioni, posti su corsi irregolari realizzati con rinzeppature con scaglie minute di arenaria. I livelli murari superiori in appoggio, pur facendo ricorso all’impiego di materiali simili, presentano differenze tipologiche quali l’impiego di zeppe in materiale fittile spaccato e regolarizzazione ulteriore dei corsi con suddivisioni ricorrenti ogni cm 40, ad evidenziare l’innalzamento costante dei piani. Su questi, come per buona parte dell’architettura postmedievale edificata nella valle del Sinni, si impostavano le buche pontaie per la realizzazione degli impalcati lignei. Il sistema difensivo era composto, inoltre, da feritoie del tipo a bocca di lupo. Anche per il complesso architettonico di Valsinni, come in altre strutture difensive della valle del Sinni, l’analisi dei caratteri costruttivi ha permesso di riconoscere aperture con fenditura rettilinea verticale inquadrate da elementi in laterizio e mattoni.

Il castello Morra si inquadra in quel sistema di gestione e difesa del territorio attuato nella vallata del Sinni e in Basilicata meridionale, con tutta una successione di vedette e fortificazioni che con una serie di rimandi tra loro coprivano capillarmente il territorio in cui venivano edificate. Si inquadra nel sistema di avvistamento e di difesa articolato con le tre vicine rocche di Colobraro (MT), loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT) e loc. Il Pizzo (Valsinni, MT). Edificato come primordiale torrazzo riconoscibile nel vano voltato al piano terra che oggi occupa una delle sale del museo di Isabella Morra (c.d. CF 1), il castello si sviluppa per aggiunte all’attuale planimetria. Dalla sviluppo della torre, in posizione centrale e dominante sulla rupe, si susseguono l’edificazione dei vani limitrofi CF 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, oltre ad una prima cinta muraria.

51 50

Mannoni 1997b, pp. 15-24.

52

178

A.S.N., fascio 62, fasc. 6, pp. 419-423. Ibidem.

L’indagine archeologica nella media valle del Sinni Le fasi edilizie successive vedono l’impiantarsi di tutta una serie di annessi al castello sorti nell’area del cortile (CF 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 16) e l’ampliamento delle mura di fortificazione come oggi sono ancora visibili. Attualmente il castello viene mantenuto e continuamente restaurato dal proprietario, avendo quest’ultimo stabilito la sua residenza all’interno del complesso. Il piano terra della struttura è adibito a luoghi di visita, con sale allestite per il racconto della vita della poetessa Isabella Morra. Il tutto diviene contenitore di quello che oggi è uno dei 27 parchi letterari italiani.

179

8 Valorizzazione del patrimonio archeologico medievale Sommario: Il progetto intitolato “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)”, in linea con le attività di ricerca topografiche e archeologiche condotte nella media valle del Sinni, ha visto la possibilità di rendere fruibili in maniera ‘aperta’ tutte le informazioni storiche/archeologiche/ architettoniche recuperate in ambito urbano ed extraurbano che insistono sul territorio di Chiaromonte. Le possibilità comunicative del progetto per fini didattico-turistici e di ricerca si sono prestate ad essere finanziate da parte della Regione Basilicata e sono state sviluppate da chi scrive durante il biennio 2016-2017. La vocazione stessa del dato archeologico, associata al sempre più ricorrente concetto del sapere/dato ‘aperto’, ha permesso già durante il 2016 l’inserimento di parte delle informazioni inedite recuperate su schede digitali, caricate in rete su altrettante pagine della piattaforma Wikipedia. Le informazioni relative alle evidenze architettoniche presenti sul territorio di Chiaromonte (PZ) sono state riversate su relative pagine inserendo dati aggiornati bibliograficamente e provenienti da ricerche condotte scientificamente. Abstract: The project entitled “Archeo Mappa: Open Data Chiaromonte (PZ)”, in line with topographic and archaeological research activities conducted in the middle Sinni valley, made it possible to view all the historical/archaeological/architectural information recovered in the urban and suburban areas pertinent to Chiaromonte. The project’s communicative possibilities for didactic-tourist and research purposes have lent themselves to being financed by the Basilicata Region and were developed by the author during the two-year period 2016-2017. The very vocation of archaeological data, associated with the increasingly recurring concept of ‘open’ knowledge/ data, allowed for, during 2016, part of the unpublished information retrieved on digital cards to be uploaded onto many Wikipedia pages. Information relating to architectural evidence present in the territory of Chiaromonte (PZ) has been inserted onto the relevant pages via bibliographically updated data and originating from scientifically conducted research. 8.1 Archeologia virtuale e Open Data. Il progetto “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)”. Premessa

Le informazioni relative alle evidenze architettoniche presenti sul territorio di Chiaromonte (PZ) sono state riversate su relative pagine inserendo dati aggiornati bibliograficamente e provenienti da ricerche condotte scientificamente.

Il progetto intitolato “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)”, in linea con le attività di ricerca topografiche e archeologiche condotte nella media valle del Sinni, ha visto la possibilità di rendere fruibili in maniera ‘aperta’ tutte le informazioni storiche/ archeologiche/architettoniche recuperate in ambito urbano ed extraurbano che insistono sul territorio di Chiaromonte. Le possibilità comunicative del progetto per fini didatticoturistici e di ricerca si sono prestate ad essere finanziate da parte della Regione Basilicata e sono state sviluppate da chi scrive durante il biennio 2016-20171.

8.2 Il progetto “Archeo Mappa” Il progetto “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)” ha previsto la ricostruzione delle vicende storiche della Contea di Chiaromonte (PZ), attraverso il riconoscimento e l’analisi dei punti cardine storico, architettonici, culturali della fase medievale presenti nel territorio urbano ed extraurbano del comune di Chiaromonte Il tutto è stato sviluppato attraverso il racconto di un allestimento dalle finalità turistiche, naturalistiche, culturali e religiose, inserito in un percorso che svela i numerosi poli religiosi e le evidenze archeologiche e architettoniche ancora superstiti. Per la parte urbana sono stati presi in esame 7 tra complessi architettonici e singoli monumenti: il parco delle torri della Spiga con le 4 torri di fortificazione del sistema difensivo normanno/ sanseverinesco nel cui perimetro racchiudono i ruderi in fondazione dello scomparso monastero dei frati della

La vocazione stessa del dato archeologico, associata al sempre più ricorrente concetto del sapere/dato ‘aperto’, ha permesso già durante il 2016 l’inserimento di parte delle informazioni inedite recuperate su schede digitali, caricate in rete su altrettante pagine della piattaforma wikipedia2. 1 Il progetto “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)” è risultato vincitore e finanziato ai sensi del Bando “Nuovi Fermenti - Progetti per la realizzazione di nuove idee creative” pubblicato sul BUR della Regione Basilicata n. 41 del 1 dicembre 2013. 2 L’evento è stato coordinato dall’Associazione Culturale Xerospotamòs e dall’associazione Wikimedia Italia, con il contributo del Dott. Luigi

Catalani e della Dott.ssa Paola Liliana Buttiglione.

181

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 136. - Progetto “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)”. Pagina web.

stati posizionati installazioni dotate di questi QR code, visualizzabili attraverso tablet o smartphone, che illustrano ai visitatori le vicende dei luoghi. I contenuti riversati sulla piattaforma digitale, dal format univoco ma ognuno specifico per ciascun monumento, fanno riferimento a schede sfogliabili da cui apprendere informazioni storiche e documentarie, architettoniche e topografiche. Nei testi sono inserite numerose immagini e video specifici del monumento in questione, scatti provenienti anche da ricognizioni aree tramite APR3. Diversi sono gli iperlink che corredano i codici QR, rimandando a pagine bibliografiche4 (fig. 136). La proposta nello specifico si è avvalsa proprio della creazione di una sessione Open Data realizzata sulla pagina web dell’associazione culturale Xerospotamòs, organizzata per sito e in cui sono stati riversati tutti i dati raccolti ed elaborati durante il progetto5.

Riforma del Carmine (si veda fig. 24); la chiesa collegiata di San Tommaso Apostolo, chiesa palaziale della famiglia dei Clermont già nell’XI sec. d.C.; il palazzo Chiaromonte/ Sanseverino, dimora dei Clermont, successivamente ereditato dalla famiglia Sanseverino da cui prende il nome (si veda fig. 25); il palazzo dei baroni di Giura, dalle fattezze ottocentesche, inserito nei palazzi storici del centro non solo per la sua bellezza ma per aver inglobato nelle sue architetture e nel suo giardino 5 delle torri del sistema fortificato di Chiaromonte (si vedano figg. 70 e 75); segue il c.d. purtiello o Porta di Santa Lucia, unica superstite delle due porte di accesso al borgo fortificato medievale; la chiesa Madre di San Giovanni Battista (intitolata in precedenza probabilmente a San Niccolò) (si veda fig. 28) e la chiesa dell’Immacolata. In ambito extraurbano il panorama delle evidenze architettoniche conservatesi nel territorio oggi appartenente al centro di Chiaromonte, fa riferimento a tre complessi monumentali di pertinenza monastica: l’eremo del Beato Giovanni da Caramola, i ruderi del complesso architettonico della grancia di Ventrile e ciò che rimane del monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (si veda fig. 7).

La realizzazione di una piattaforma GIS è stata in questa fase avviata con il posizionamento delle evidenze architettoniche. Tutto ciò integra ulteriormente la conoscenza del territorio, ponendolo su un piano pubblicistico strutturato e visibile anche a livello accademico in ambito regionale e nazionale.

Le basi del progetto “Archeo Mappa” sono state fondamentalmente il reperimento delle informazioni bibliografiche e documentarie di ogni singola evidenza, successivamente indagata e analizzata nello specifico. Lo spoglio bibliografico e di archivio ha permesso di ottenere quelle che sono le informazioni principali, in seguito riversate nella stesura delle relative schede documentarie e nella programmazione dei QR code stampati lungo i percorsi allestiti.

Tutti i dati hanno visto il riversamento anche su pagine Wikipedia dedicate (fig. 137). È stata prevista e realizzata proprio una sessione, e diversi incontri, con i referenti Wikimedia Italia in Basilicata per istruire un gruppo di ragazzi residenti nel comune di Chiaromonte ad inserire e

L’operatore autorizzato al volo è lo scrivente in qualità di operatore SAPR con abilitazione alle operazioni specializzate, riferimento Enac n. 9981. 4 Vitale, Lista 2015; Vitale 2014; 2018a. 5 https://associazionexerospotamos.wordpress.com. 3

Nei siti individuati, analizzati e resi fruibili, è stato organizzato un percorso culturale all’interno del quale sono 182

Valorizzazione del patrimonio archeologico medievale

Fig. 137. - Progetto “Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ)”. Esempio di una delle pagine Wikipedia realizzate durante le attività con il coinvolgimento dei cittadini di Chiaromonte.

aggiornare ogni singola pagina. Il successivo passaggio è stato la traduzione in lingua inglese dei contenuti, in modo da poter raggiungere visitatori e fruitori che ancora non conoscono questi luoghi. In tal senso, lo stesso progetto ha previsto la pubblicazione a chiusura dei lavori di una guida archeologica, che ha visto i natali nel 2017 in una duplice versione cartacea italiana e inglese6.

tramite posizionamento delle evidenze archeologiche individuate. La possibilità di impiego sul campo di un GPS differenziale del tipo GNSS 80 Leica, ha permesso di realizzare una base cartografica ad altissima precisione topografica. La fase finale, terzo step, ha posto definitivamente le basi per l’allestimento fisico dei percorsi di visita con lo sviluppo di 10 QR code esplicativi. Per la visualizzazione di questi è stata progettata e adattata una piattaforma informativa dedicata utile alla visualizzazione e fruizione dei dati prodotti e inseriti nei codici. La semplice generazione di un codice QR non permette di avere una visione chiara di contenuti, che spesso per essere raccontati nel migliore dei modi hanno bisogno di essere accompagnati da un corredo di immagini e foto.

Questo processo sta generando e sviluppando in seno alle amministrazioni locali una fase successiva di attenzione verso i temi del monitoraggio ambientale, culturale, archeologico e territoriale, nell’accezione dello sviluppo culturale, della fruizione di un dato territorio e nel monitoraggio attivo di risorse, quali proprio quelle architettoniche, archeologiche e naturalistiche. 8.3 Progetti di valorizzazione e fruizione in Basilicata: il caso di Chiaromonte (PZ). Fasi ed attività di dettaglio

La maggior parte dei codici fisicamente rimanda ad un sito generale che riporta anche altre informazioni. L’idea progettuale sottesa ha permesso di riflettere su possibilità diverse grazie all’impiego di applicazioni quali Adobe Spark, riuscendo a creare una piattaforma dedicata per ogni singolo elemento, gestibile separatamente da tutto il resto. Come già detto in precedenza, al suo interno è stato possibile integrare e far dialogare dati dalle tipologie diverse, organizzati originariamente su piattaforme diverse. Non ultimo, è stato interessante l’impiego della modellazione 3d e la possibilità di interazione con piattaforme quale sketchfab, tramite cui poter gestire in rete il dato7.

La scansione temporale del progetto Archeo Mappa scandita in un periodo di 12 mesi è stata suddivisa in tre fasi della durata di un quadrimestre ognuna. Il primo step ha visto il reperimento dei dati: informazioni e testimonianze orali, fotografie, documenti d’archivio e creazione di una piattaforma GIS, dati fondamentali per lo conoscenza dell’elemento analizzato. Il secondo step ha visto l’ideazione di un percorso culturale all’interno dei siti, con la progettazione di due percorsi culturali allestiti all’interno del centro storico. Il quadrimestre II ha visto la conclusione delle fasi di documentazione cartografica 6

Vitale 2018b; 2018c.

7

183

https://sketchfab.com/valevita82

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Fig. 138. - Allestimento centro storico e territorio extraurbano di Chiaromonte (PZ). Esempi cartellonistica.

La possibilità di riversare i dati ottenuti in un percorso integrato turistico-culturale è stata ottenuta fisicamente proprio con la realizzazione di pannellistica su supporti in alluminio (fig. 138).

strategia che ha l’obiettivo di rendere disponibile e riutilizzabile il patrimonio informativo posseduto da un determinato territorio e dai suoi istituti territoriali allo scopo di promuovere un modello di “governo aperto” che, intensificando la collaborazione tra pubblico e privato, rinnovi il reciproco rapporto di fiducia nella quale saranno inseriti i dati ricavati, mettendoli a diposizione della relativa amministrazione comunale, da parte di eventuali ricercatori e da parte dei visitatori-turisti.

Il progetto grafico ottenuto e stampato su questi supporti ha usufruito delle informazioni documentarie e grafiche prodotte proprio durante lo sviluppo del progetto “Archeo Mappa”. Tutte le informazioni provengono da dati liberamente accessibili e integrabili (Open Data), le cui eventuali restrizioni sono l’obbligo di citare la fonte o di mantenere la banca dati sempre aperta. L’open data si richiama alla più ampia disciplina dell’open government, cioè una dottrina in base alla quale la pubblica amministrazione dovrebbe essere aperta ai cittadini, tanto in termini di trasparenza quanto di partecipazione diretta al processo decisionale, anche attraverso il ricorso alle nuove  tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Un aiuto in questo senso è venuto proprio da parte dell’Associazione Wikimedia Italia, la quale promuove la diffusione del sapere libero attraverso progetti finalizzati alla crescita, allo sviluppo e alla distribuzione di contenuti liberi, in molte lingue e sotto licenze che ne consentono il riutilizzo, la modifica, la copia e la libera distribuzione. Altro progetto molto partecipato nell’ambito proprio di queste attività è stato Wiki Loves Monuments, il concorso fotografico dedicato a monumenti (nell’accezione ampia di edifici, sculture, siti archeologici, strutture architettoniche, interventi dell’uomo sulla natura, siti naturali, affreschi monumentali, iscrizioni) che ha invitato tutti i cittadini a documentare il patrimonio culturale attraverso scatti fotografici da rilasciare con licenza CC BY-SA e da caricare su Wikimedia Commons. Nel corso delle due giornate chiaromontesi sono state realizzate voci in Wikipedia relative ai 10 monumenti, partendo proprio dai

Nonostante la pratica e l’ideologia che caratterizzano i dati aperti siano da anni ben consolidate, con la locuzione Open Data si identifica una nuova accezione piuttosto recente e maggiormente legata a Internet come canale principale di diffusione dei dati stessi. La pubblicazione dei dataset prodotti rappresenta il primo passo di una 184

Valorizzazione del patrimonio archeologico medievale dati e dalle informazioni storico-archeologiche raccolte nell’ambito del progetto Archeo Mappa. Open Data Chiaromonte (PZ). L’utilizzo di nuove tecnologie, sistemi informativi territoriali tramite posizionamento GPS, oltre la creazione di codici QR esplicativi e il monitoraggio tramite fotografia area, sono stati un utile supporto per la lettura storica dei siti. L’impiego di riprese da drone ha permesso di realizzare Photosfere 360° da quote differenti, fornendo un punto di vista e una modalità di fruizione diversa a chi fisicamente non può o non ha ancora scoperto questi luoghi.

di più informazioni con fonti differenti consente di riattribuire un valore rilevante a quella informazione, nonché generare un valore aggiunto notevole. I dati e le informazioni pubbliche, se resi disponibili e fruibili, possono quindi trasformarsi in contenuti “attivatori” di nuove e talvolta imprevedibili attività e servizi a valore aggiunto per gli utenti costituiti da cittadini, imprese e amministrazioni.

8.4 Conclusioni I dati prodotti sono stati forniti completamente in maniera libera e aperta (ricostruzioni 3d, video e foto da drone, QR code, sito internet, schede documentarie); per tutti i monumenti il comune di Chiaromonte ha rilasciato licenza CC BY SA 4.0 prot. n. 1082 del 21.02.2017 – Comune Chiaromonte (PZ). Nell’ambito dei lavori di realizzazione del progetto è stata avanzata nel mese di novembre 2016 la proposta all’amministrazione comunale di Chiaromonte di realizzare due percorsi di allestimento ricalcanti alcune delle direttrici medievali principali del centro storico. Nel 2017 è stata eseguita l’installazione, integrata da un sistema di segnaletica che permette fisicamente al visitatore di raggiungere il singolo bene. È stata prodotta una cartografia relativamente alla sentieristica, utile per poter raggiungere agevolmente ogni luogo da un punto all’altro e attraversare scorci suggestivi e rappresentativi del centro storico di Chiaromonte. Nello specifico sono stati creati 10 pannelli in alluminio (cm 70x100) e 45 frecce direzionali (cm 60x10), dislocate lungo le direttrici del paese. Ogni singolo pannello risulta essere organizzato graficamente e suddiviso in 4 macro aree: nella porzione superiore il titolo del monumento, mentre a dx viene posizionata un’immagine zenitale dello stesso; nella porzione inferiore sx si trovano in sequenza decrescente tre immagini caratteristiche; nella stretta colonna posta a dx si contrappone un testo descrittivo in italiano. Nella porzione inferiore sono posti a dx i credits, mentre a sx ha sede il Qr code che permette l’accesso a tutti i contenuti digitali propri del monumento. L’apertura dei dati pubblici non determina solo effetti importanti sulle amministrazioni pubbliche, attraverso la semplificazione di processi e il risparmio dei tempi, ma produce anche rilevanti impatti sull’economia complessiva: le stime internazionali segnalano vantaggi rilevanti, con effetti ampiamente misurabili anche sul sistema economico, per l’utilizzo di dati cartografici, dati sui trasporti, dati sui beni culturali, demografici e sociali per produrre applicazioni e servizi. Quasi tutte le informazioni pubbliche hanno, del resto, un valore intrinseco, che va oltre l’assolvimento dei compiti istituzionali dell’ente che le detiene. Anche quando la singola informazione ha un’utilità limitata la raccolta organizzata e la combinazione 185

9 Sistemi insediativi nella media valle del Sinni (PZ): il quadro interpretativo Sommario: Poche informazioni risultano documentate per la fase altomedievale della media valle del Sinni se non per le straordinarie testimonianze della necropoli rivenuta presso Largo dell’Area Sacra a Chiaromonte, dove un corredo tombale in particolare ha restituito un medaglione in oro di pregiata fattura decorato a cloisonné; simile come tipologia a quelli rinvenuti nella vicina Senise. Una ripresa maggiore della documentazione archeologica-architettonica e documentaria si ha con la nascita e lo sviluppo dei siti fortificati d’altura tra X e XI sec. d.C. In questi luoghi è stato possibile riscontrare una caratteristica ricorrente quale l’ubicazione del sito, quasi sempre in altura e isolato in posizione dominante; nella maggior parte di essi, più siti fortificati sono disposti a garantire una piena reciproca visibilità. Molte di queste località si insediavano su sommità rocciose dalle forti pendenze già per loro natura fortificate, come accade per Chiaromonte. Abstract: Little information has been documented about the early medieval phase of the middle Sinni valley except for the extraordinary evidence of the necropolis found at Largo dell’Area Sacra in Chiaromonte, where a tomb set, in particular, has included a gold medallion of fine workmanship decorated with cloisonné, similar in type to those found in nearby Senise. A greater resumption of archaeological–architectural evidence coincides with the birth and development of fortified sites on high ground between the 10th and 11th centuries ad. In these places it was possible to identify recurring features, such as a site’s location, which was almost always on high ground and isolated in a dominant position; in most occurrences, several fortified sites are arranged to ensure full mutual visibility. Many of these localities settled on rocky summits with strong slopes for natural fortifiecation, as is the case for Chiaromonte. Poche informazioni risultano documentate per la fase altomedievale della media valle del Sinni se non per le straordinarie, ma scarse testimonianze, restituite dalla necropoli attestata archeologicamente presso l’incrocio tra Largo dell’Area Sacra e via Arnaldo Spaltro presso Chiaromonte (PZ), dove un corredo tombale in particolare ha restituito un medaglione in oro di pregiata fattura decorato a cloisonné; simile come tipologia a quelli rinvenuti nella vicina Senise, rapportabili questi ad esempi di area friulana e della Puglia settentrionale1.

È ancora il caso di loc. Catarozzo presso Francavilla in Sinni (PZ), dove la natura dei luoghi genera modalità insediative simili, della roccaforte del centro di Teana o dei centri fortificati di Castello di Seluci (Lauria, PZ), Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT) e loc. Il Pizzo (Valsinni, MT). Le possibilità offerte dalle analisi di visibilità tra siti (viewshed analysis) hanno generato lo spunto per nuovi metodi d’indagine nelle dinamiche insediative dell’area. Alcuni centri come Chiaromonte, in particolare, ma anche Teana, Colobraro, Noepoli e loc. Catarozzo di Francavilla in Sinni potevano gestire l’intera vallata grazie ad un controllo visivo diretto dalle loro postazioni, in un rimando continuo tra essi. Analizzare quanto – e cosa – fosse possibile percepire e realmente vedere da questi siti, genera scenari verosimili di future ricerche in riferimento a tipologie insediative diverse non ancora individuate. La predittività del metodo consente di reperire informazioni tra luoghi che fisicamente non posseggono nessuna relazione immediata ma che potrebbero essere messi in comunicazione tra loro grazie ad altri siti.

Una ripresa maggiore della documentazione archeologicaarchitettonica e documentaria si ha con la nascita e lo sviluppo dei siti fortificati d’altura, fondati tra X e XI sec. d.C. con fasi di vita che raggiungono almeno il XV sec. d.C. In questi luoghi è stato possibile riscontrare una caratteristica ricorrente quale l’ubicazione del sito, quasi sempre in altura e isolato in posizione dominante; nella maggior parte di essi, più siti fortificati sono disposti a garantire una piena reciproca visibilità, generando un vero e proprio reticolo. Molte di queste località si insediavano su sommità rocciose già per loro natura fortificate, come accade per Chiaromonte, posto su di un grande sperone composto da rocce metamorfiche dalle forti pendenze e dislivelli.

La maggior parte di questi durante il medioevo, come altri centri d’altura in Basilicata, gestiva direttamente per la propria sopravvivenza tutta una serie di piccoli appezzamenti di terreno limitrofi all’area del recinto; organizzati in terrazzi che tenevano in considerazione le forti pendenze dei luoghi divenivano, pertanto, scelta

1 Bianco 2020, pp. 219-272; Corrado 2001, pp. 232-234. Il medaglione rappresenta, nella fattispecie, una Madonna con bambino.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale diversi centri fortificati d’altura durante tutto il medioevo. L’attraversamento di valichi e vallate era garantito da parte di strutture fortificate, quali grancie e monasteri, anche nel passaggio attraverso i fondovalle.

obbligata del sistema di gestione dei campi da mettere a coltura. Tramite tali appezzamenti, verosimilmente, si gestiva quella che potremmo definire un tipo di agricoltura di sussistenza di cui servirsi in momenti prolungati di assedio, mentre grazie ai pianori sottostanti, mediamente presenti nelle vicinanze di ciascun sito indagato, venivano gestiti i coltivi che producevano le maggiori quantità di derrate alimentari, tali da poter sfamare le popolazioni che abitavano questi luoghi.

Queste erano organizzate non solo per difendere le loro stesse proprietà ma offrivano un luogo sicuro a chi doveva percorrere queste aree a scarsa visibilità e strette in vallata (soprattutto le grancie insediate direttamente nei fondovalle, quali per esempio Ventrile).

Esempio interessante in questa direzione in Basilicata, già profondamente indagato2, si documenta nel sito fortificato medievale di Satrianum (Tito, PZ), dove lungo i ripidi pendii del centro fortificato abbandonato sono ancora visibili le tracce degli stretti terrazzi disposti lungo il versante meridionale e settentrionale; alla base della cima si sviluppano tutta una serie di altre terrazze pianeggianti di estensione notevole e ricche di sorgive per poter irrigare le colture3. Come il sito dell’antica Satrianum, il centro fortificato abbandonato di loc. Catarozzo presso Francavilla in Sinni e, in maniera ancor più precisa, l’abitato di Chiaromonte, riprendono un modello di sviluppo urbanistico simile in buona parte del meridione d’Italia durante tutto l’XI-XIV sec. d.C.

Le vie d’acqua, controllate a Ovest da Castello di Seluci (Lauria) e a Est dai ridotti fortificati di Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro) e loc. Il Pizzo (Valsinni), dovevano servire sia per permettere la comunicazione tra i centri produttivi, sia in qualità di vie del commercio e di gestione delle attività produttive dei diversi monasteri. È improbabile che luoghi quali i fondovalle, non bonificati, potessero garantire la viabilità durante tutto l’anno considerati i lunghi momenti di piena del fiume Sinni e dei suoi affluenti, oltre che dell’abbondante sedime da esso trasportato composto da materiale litico e vegetale che ancora oggi è caratteristica di queste aree umide. È pur vero che il fiume doveva in alcuni momenti dell’anno gestire un traffico di merci lungo la sua direttrice naturale verso Est che, se non direttamente presieduto da approdi, sicuramente vedeva ancora una volta in complessi come Ventrile strutture che governavano questi flussi.

Si procedeva con lo stabilirsi e sviluppare strutture in luoghi fortificati a cui faceva capo un dominus che direttamente realizzava tali opere; a queste, per aggiunta, venivano costruite le abitazioni nei pressi delle mura, immediatamente all’esterno delle quali si incontravano i primi coltivi in aree spesso impervie, preludio dei campi più estesi e pianeggianti che insistevano alla base dello sperono roccioso su cui normalmente si fondava il centro fortificato.

Gli schemi planimetrici degli abitati fortificati medievali nella media valle del Sinni riprendono modelli fortificati d’altura del meridione d’Italia4. Per Chiaromonte il sistema difensivo si accresce grazie allo sviluppo di almeno tre cinte murarie, definendo l’ultima fase insediativa sotto la reggenza della famiglia Sanseverino. La distribuzione dei luoghi di culto, lo sviluppo della torre primigenia fortificata e del successivo sviluppo nel XIII-XIV sec. d.C. del palazzo fortificato, la distribuzione della cinta e delle torri a difesa del centro abitato, sono tutti indicatori che si ripetono in siti fortificati d’altura con peculiarità di controllo dell’area in cui sorgono.

Gli esempi meglio conservati e ancora oggi visibili di queste parcellizzazioni antiche sono documentabili presso loc. Catarozzo (Francavilla in Sinni), loc. Il Pizzo (Valsinni) nell’area di Castello di Seluci (Lauria), dove l’assenza di trasformazioni del territorio in epoca successiva l’abbandono ha permesso di conservare sul terreno tracce considerevoli e visibili di questi tratti caratteristici. Per ognungo di essi è stato possibile riuscire a riconoscere almeno una decina di queste particelle, dall’estensione variabile di ca. m2 30-40 cadauna.

Le indagini lungo la media valle del Sinni hanno permesso di documentare 15 siti fortificati compresi tra il territorio di c/da Seluci (Lauria, PZ) e Valsinni (MT). Ognuno di questi si fonda su un modulo insediativo di posizionamento ricorrente nei pressi di un punto eminente, già di per sé difeso naturalmente. A ciò è sempre associato un più o meno vasto areale limitrofo di terreni da coltivare, con l’esistenza nei pressi di sorgive naturali.

Altro elemento fondamentale per la gestione di questi centri è stata la viabilità, la quale spesso riprendeva tratturi e strade già presenti in epoca antica. Nella media valle del Sinni la scarsa antropizzazione in epoca romana e, di conseguenza, l’assenza di grandi infrastrutture stradali, ha consentito il mantenimento di tratturi di crinale impiegati già in epoca preromana. Soggetti a scarso impaludamento, e atti a gestire in costante continuità visiva il territorio che veniva attraversato, tali percorsi garantirono gli spostamenti tra i 2 3

Crimaco, Sogliani 2002; 2012. Confronti precisi, per esempio per il centro di Chiaromonte, sono riferibili ad un sito indagato archeologicamente in Campania presso la rocca abbandonata di Montis Dragonis (Mondragone, CE). Anche in questo caso, come per Chiaromonte, è possibile distinguere i relativi anelli di accrescimento dell’abitato sviluppatisi lungo le curve di livello del monte Petrino, sul quale il sito sorge. 4

Sogliani 2010, pp. 145-169. Osanna et alii 2011, pp. 198-210.

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Sistemi insediativi nella media valle del Sinni (PZ): il quadro interpretativo Per il funzionamento e la gestione di queste entità fortificate, più o meno complesse, era fondamentale per poter vivere l’approvvigionamento di acqua potabile o tramite sorgenti vicine oppure tramite la raccolta e l’accumulo delle acque piovane. Allo stato attuale della ricerca, considerato che non tutti i siti oggetto di studio sono stati indagati archeologicamente, la raccolta e l’accumulo di acqua è attestata solo per i complessi di loc. Catarozzo (Francavilla in Sinni), loc. Cozzo dei Ceci (Calvera) e Castello di Seluci (Lauria) dove sono state individuate strutture quali cisterne atte a questo scopo. I rimanenti insediamenti fortificati non presentano elementi architettonici simili, con buone probabilità per due motivi: il primo perché essendo loro rispetto ai primi a continuità di vita questi indicatori possono essere andati distrutti; il secondo per la presenza presso la sommità di sorgenti naturali. È il caso per esempio di Chiaromonte, dove nel centro storico sono tuttora presenti e utilizzate diverse fonti per il prelievo di acqua potabile.

La stessa gestione dei corsi d’acqua, non direttamente perseguita dai centri fortificati d’altura, ma demandata alle attività di gestione territoriale dei diversi cenobi distribuiti sul territorio della vallata, rientra tra le intenzioni di fondazione di questi organismi complessi come le grancie. Solo la certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni) in qualità di monastero sorgerà direttamente in luoghi dove normalmente, sia il monachesimo greco – con la comunità di SS. Elia e Anastasio di Carbone – e sia quello latino – con l’abbazia di Santa Maria del Sagittario – fondano le loro strutture satelliti. Questi ultimi non sorgono, difatti, come la certosa direttamente lungo il corso del Sinni o di un suo affluente, demandando alcune attività di gestione del territorio alle loro filiazioni. È proprio nei pressi di uno degli affluenti del fiume Sinni che l’abbazia cistercense del Sagittario, come anche altri cenobi nella stessa valle, contribuì in modo determinate alla ripresa economica e sociale dopo la crisi economica e la forte depressione demografica che sembra aver caratterizzato questa zona tra la tarda antichità ed i primi secoli dell’alto medioevo. Il Sagittario, pur non essendo a contatto diretto con un corso d’acqua, già in una prima fase insediativa, propende per la costruzione di uno dei suoi opifici idraulici nelle sue immediate vicinanze e a diretto contatto con il monastero.

Diversi i metodi e le scelte sottese per l’insediamento dei diversi cenobi sorti lungo il Sinni e i suoi affluenti. La compagine monastica, con l’opera dei cistercensi e dei certosini, ha rivestito notevole importanza nel territorio della Contea di Chiaromonte. Fondamentale è risultata l’analisi delle pergamene del monastero di Santa Maria del Sagittario e di San Nicola in Valle, attraverso le quali è stato possibile riconoscere le relazioni intercorse fra il potere laico e quello ecclesiastico, dispiegando in tutto il ruolo centrale di Chiaromonte nella valle del Sinni. Le famiglie succedutesi al governo della Contea hanno sempre avvallato e favorito la fondazione di complessi monastici direttamente sulle loro proprietà terriere5, consapevoli delle loro notevoli capacità di organizzazione del territorio, tanto da trasformare terreni incolti in fattorie altamente redditizie.

Quella della molitura fu uno dei cespiti maggiormente redditizio per questi complessi e divenne argomento e fonte di innumerevoli liti tra i diversi cenobi. La presenza dell’acqua durante il medioevo era imposta da una molteplicità di usi: l’irrigazione, lo smaltimento dei rifiuti, il rifornimento idrico per abbeverare gli animali e per alimentare le peschiere; l’impiego nei processi produttivi (per conciare le pelli, per fabbricare i mattoni, etc.); la produzione di energia idraulica per varie attività (mulini da grano, gualchiere, frantoi, etc.).

Lungo le sponde del Sinni e dei suoi affluenti sono stati edificati diversi complessi architettonici impiegati per attività redditizie le cui risorse venivano versate direttamente nelle casse delle rispettivi cenobi. Il caso meglio documentato risulta essere quello della grancia di Ventrile dove la persistenza dell’insediamento dell’area in momenti storici differenti, dall’età lucana al XVIII sec. d.C., sottende dinamiche di sfruttamento del territorio simili. La gestione di un tratto fluviale così importante, costituito dall’incrocio tra il torrente Frido e il fiume Sinni, è attestata già a partire dal IV sec. a.C.; attraversando una successiva e importante fase di età imperiale romana con l’impianto di una villa e annesse terme, diviene successivamente luogo prediletto per le attività agrosilvo-pastorali del monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario.

Grande rilevanza era conferita alla proprietà dei mulini che assicuravano una rendita notevole proveniente dal pagamento del diritto di macinato cui erano soggetti gli abitanti6. Un documento in particolare, recante la data del 10 giugno 1383, ebbe nella storia del monastero del Sagittario, e successivamente della certosa di San Nicola in Valle, una straordinaria importanza a proposito del diritto di costruire mulini lungo il Sinni e sul prelievo dell’acqua dal fiume: con questo documento i frati cistercensi del Sagittario ottennero dal Conte Venceslao Sanseverino nel XIV secolo “ut nullus in territorio Claromontis possit seu valeat molendinum edificare de novo seu vetera refici sine ipsius monasterio mandato et licentia speciali”. È opportuno, tuttavia, chiarire che il documento ha molti elementi che mettono in dubbio la sua autenticità, non ultimo quello relativo alla datazione della pergamena in cui l’indicazione dell’anno è tracciata con i numeri romani anziché per esteso.

5 Il monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario, la grancia di Ventrile e l’altra nel centro abitato di Chiaromonte (strutture alle dipendenze del Sagittario), il convento urbano dei frati della Riforma del Carmine e il monastero certosino di San Nicola in Valle (oggi in agro di Francavilla in Sinni).

6

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Bruno, Vitale 2013, p. 372; Vitale 2014.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale dei mulini delle abbazie e la macinazione si trasformò così in vera e propria operazione commerciale, sempre più rivolta verso l’esterno.

I cistercensi lottarono a lungo per ottenere l’esclusiva della macinatura nella valle del Sinni, non avendo tollerato che con l’insediamento dei certosini la loro incontrastata signoria nella zona avesse ricevuto un duro affronto. Non essendo stato possibile impedire che il conte Venceslao fondasse una nuova comunità monastica, l’abbazia cercò di rendere piuttosto difficile la vita della certosa di San Nicola, reclamando diritti sulla costruzione di nuovi mulini e sul rifacimento di quelli già esistenti. Da sempre un sicuro cespite per il Sagittario, fu più che ovvio che i cistercensi si battessero per il mantenimento del generale controllo su tutti i mulini costruiti lungo il Sinni, non escluso anche il ricorso alla contraffazione di documenti. L’istituto del privilegio è rappresentato nell’archivio di San Nicola in Valle, invece, dalle numerose pergamene concesse dai conti di Chiaromonte ai certosini preater et contra ius comune; in genere si tratta di privilegi remuneratorii. Interessante in proposito è il privilegio concesso da Ladislao il 22 ottobre 1412 indirizzato al cenobio di San Nicola e a quello del Sagittario; l’esenzione “a soluzione, contributione et exhibitione iurium gabelle omnium castratorum et animalium” dei due cenobi non venne però elargita motu proprio, ma sollecitata dal priore di San Nicola e dall’abate del Sagittario7.

Allo studio topografico dell’area e all’indagine archeologica ha fatto seguito lo studio della struttura materiale dei complessi architettonici, dedicando attenzione particolare alla opere murarie. La valle del Sinni, proprio per le sue caratteristiche peculiari di unità sub-regionale circoscritta geograficamente e omogenea da un punto di vista storico-economico, si presta in modo particolare a costituire un caso di studio in tal senso. Nei modi e nelle tecniche del costruire della vallata, alcune specializzazioni tecniche sono rimaste in vita almeno fino al XIX sec. d.C., tramandate dai muratori ai loro discepoli. Fino a poco tempo fa si costruiva ancora con tecniche, modi e attrezzi del tutto o in parte simili a quelli impiegati durante i secoli precedenti, supportati successivamente in maniera maggiore dai sempre più presenti ritrovati tecnologici. Le modalità di analisi delle strutture murarie, prendono le mosse da un approccio definito architettonicoarcheologico, posponendo i dati ad un approccio del terzo tipo geografico-architettonico utile a valutare le caratteristiche costruttive di un’area definita a scala territoriale9. Non si potrebbe prescindere da questi due passaggi fondamentali per analizzare siti posti in luoghi diversi, retti da un potere comune ma gestiti da persone in possesso di un loro repertorio di tecniche e di saperi locali. Naturalmente anche lo studio sulle tecniche murarie della media valle del Sinni ha comportato una riflessione sulla scelta di un idoneo orientamento metodologico di ricerca che ha potuto avvalersi della lettura approfondita delle murature, il più possibile indisturbate.

Il privilegio costituì nello stesso tempo una conferma di quanto era già stato concesso dai conti Venceslao e Luigi Sanseverino rispettivamente il 20 luglio 1402 e il 28 ottobre 1407. Il diritto di macinato lungo il Sinni e il diritto di sfruttare la acque del Frido, del Sinni e del Villanito dettero origine a lunghe controversie, che si svilupparono soprattutto nel periodo della commenda, con i certosini del cenobio di San Nicola in Valle e con alcuni signori dei vicini centri abitati. In Basilicata, e nella media valle del Sinni in particolare, fino all’eversione della feudalità, i diritti sulle acque erano esercitati dal feudatario oppure dai monasteri che ne avevano acquisito la concessione.

Il cantiere edile è una delle massime espressioni delle capacità tecniche ed organizzative della società medievale. Qualsiasi opera muraria per esistere doveva essere inevitabilmente costruita da una mano d’opera specializzata, che aveva appreso in concreto sulla base delle esperienze accumulate10.

Con l’espansione demografica e la crescita economica innescate già a partire dal X sec. d.C. il paesaggio sociale è sostanzialmente mutato e si è frammentato. Il proliferare di insediamenti concentrati e fortificati e l’affermarsi di molte signorie locali hanno frantumato il regime di monopolio dei grandi monasteri benedettini e si è, abbastanza rapidamente, creato un nuovo sistema basato sul rigido controllo signorile dei mulini e della loro gestione, che finiva per essere in questo regime di monopolio una fonte notevole di introiti8. Inizialmente i mulini dei cistercensi avrebbero dovuto essere utilizzati solo dai monaci e per i monaci, sfruttando la manodopera fornita dai conversi: la Regola vietava esplicitamente la concessione in uso o gestione a terzi di tali strutture. Tuttavia quando nel corso del XIII secolo la maggior parte delle terre dei monasteri venne ceduta in affitto a famiglie di contadini, i nuovi affittuari divennero i clienti principali 7 8

Realizzare murature richiede abilità perché l’apparecchiatura risulti ordinata e omogenea a garanzia di stabilità e resistenza, di durata e di tenuta. Per tale motivo le maestranze dell’antichità costituivano vere e proprie scuole detentrici di conoscenze acquisite nel corso del tempo. Nella misura della continuità del sapere tecnico delle maestranze protrattasi per secoli, anche gli attrezzi Sono degli anni ‘70 del secolo scorso i primi tentativi di approccio analitico allo studio delle tecniche murarie con l’introduzione delle studio stratigrafico degli elevati (Mannoni 1976, pp. 291-300), ma si deve attendere l’inizio degli anni ‘80 per poter introdurre l’argomento direttamente in contesti di scavo archeologico stratigrafico, quando nel 1981, Parenti, presenta una prima proposta di scheda di unità stratigrafica muraria - USM - (Parenti 1985, pp. 55-68). In base alle classificazioni fatte dall’archeologia dell’architettura in Italia esistono diversi tipi di approccio allo studio delle murature, definiti tipologico, architettonicoarcheologico e geografico-architettonico (De Meo 2006). 10 Mannoni 1997b, pp. 15-24. 9

Vitale, Lista 2015. Balestracci 2003.

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Sistemi insediativi nella media valle del Sinni (PZ): il quadro interpretativo del tagliatore di pietre, come quelli per il trattamento successivo di messa in forma e di finitura delle superfici sono rimasti immutati nel tempo e ancora oggi, pur nella meccanizzazione degli impianti, i principi e le fasi della lavorazione delle pietre per murature sono gli stessi.

qualità, nonostante l’aspetto irregolare del paramento, e quindi dovuto al lavoro di artigiani specializzati. Anche nei casi dell’architettura difensiva urbana accade la stessa cosa, come nelle torri del circuito fortificato di Chiaromonte o nella torre circolare del castello di Episcopia.

Nei casi studiati nella media valle del Sinni, l’esame dei caratteri architettonici delle costruzioni ha suggerito l’ipotesi di un rapporto di maestranze specializzate di ambito locale, sebbene influenzate da altri modelli architettonici. Caratteri principali quali l’assenza di lavorazione dei blocchi, la tessitura irregolare, l’uso di buona calce, ricorrono in tutte le cortine degli edifici oggetto di indagine. I paramenti murari si caratterizzano per la scarsa selezione degli elementi lapidei, che sono stati impiegati giustapponendo fra loro bozze spaccate di piccole, medie e grandi dimensioni. Ciò ha determinato tessiture murarie caratterizzate dall’assenza di precisi corsi orizzontali ma formate allo stesso tempo da un reticolo omogeneo e solido costituito dall’ottima combinazione dei prodotti, determinando la longevità degli edifici. I blocchi non subirono una vera e proprio sagomatura, bensì una semplice lavorazione a spacco, con strumenti quali mazzette e picozze. Si tratta, pertanto, di muratura nella quale la figura artigianale essenziale è quella del muratore, di colui che organizza la disposizione delle pietre scegliendo le combinazioni migliori al momento stesso della posa.

Per contribuire a ricostruire l’identità storica delle maestranze che hanno realizzato le opere difensive ed edilizie è stato necessario esaminare il panorama regionale della valle verificando in quale misura e con quale distribuzione territoriale vi sono attestate murature simili. Per la storia delle tecniche edilizie post-classiche il riconoscimento di parametri di riferimento costituisce uno strumento utile ad una precisa definizione cronologica delle costruzioni, non essendo esse soggette, come accadeva precedentemente, alle imposizioni stilistiche delle produzioni dettate del potere centrale. Tale analisi non può limitarsi ad edifici isolati ma prende in considerazione diversi tipi di edilizia (religiosa, civile, fortificata) al fine di disporre di un panorama completo in termini di confronto12. Lo studio analitico e sistematico delle strutture murarie della media valle del Sinni ha permesso di ricostruire una storia delle tecniche costruttive del Sud della regione mettendone in luce le caratteristiche tipologiche e costruttive. Già a partire dal basso medioevo, e ancora di più in epoca moderna, le strutture fortificate della media valle del Sinni hanno conosciuto destini opposti, che hanno portato da una parte all’abbandono e dall’altro ad usi diversi.

Bisogna osservare, inoltre, che sui paramenti campionati nei diversi siti, benché privi di corsi, sono presenti spesso livellamenti orizzontali posti ad altezze variabili comprese mediamente tra i m 0.80 e m 1, tali da sembrar corrispondere alle cosiddette giornate lavorative di cantiere, prima che si rendesse necessario costruire un nuovo ponte più in alto. Significativo in questo senso sono le murature del complesso di Ventrile, dove buona parte delle architetture di diversi corpi di fabbrica presentano specifiche simili.

Nel primo caso si è verificata, quale naturale conseguenza, la rapida trasformazione a rudere di alcuni siti fortificati, quali per esempio quello di loc. Cozzo Madonne della Rocca, loc. Il Pizzo, loc. Castello di Seluci, loc. Castello de Rubeo; dall’altro si è avuto l’innesto di nuovi linguaggi architettonici sulle preesistenze sottoposte a trasformazioni anche integrali, come nel caso del castello di Chiaromonte trasformato in palazzo nella metà del XIX secolo quando venne venduto alla diocesi di Tursi-Lagonegro. Demolizioni e sopraelevazioni, aperture in breccia con l’introduzione di infissi, risarciture in cemento. Nel centro storico di Chiaromonte si è perpetrata la demolizione in età storica di alcune porzioni della cinta muraria, pur nonostante conservata in diversi tratti dell’abitato. L’intero versante fortificato occidentale durante tutto il XVIII e il XIX sec. d.C. è stato completamente smantellato divenendo cava a cielo aperto da cui estrarre materiali per la costruzione di edifici civili vicini13.

Le differenze nella grancia fra i diversi corpi di fabbrica inducono a supporre l’operato di due diverse maestranze in periodi di esecuzione sicuramente differenti, ipotesi suffragata anche dall’analisi autoptica delle malte che ha stabilito una diversa composizione delle sabbie impiegate11. Nonostante queste differenze i due tipi di murature sono però accomunati dall’impiego di materiale lapideo non lavorato, dalla tessitura priva di corsi regolari, dall’uso di buona calce e dal rivestimento intonacato delle pareti, caratteri che si ripetono in tutti i casi esaminati nella media valle del Sinni. Questo tipo d’opera non richiede materiale estratto in cava, giacché le pietre, irregolari e molto diverse fra loro per forma e dimensioni, provenivano sia da raccolta di elementi staccatisi naturalmente dalla roccia, sia da uno sfruttamento operato senza taglio regolare ma a spacco. Si tratta comunque di un tipo murario staticamente di ottima

Diversamente, alcune rocche a forte vocazione residenziale, salvaguardate in ragione del loro uso ininterrotto nel tempo da più o meno corrette manutenzioni, si trovano generalmente in buono stato di conservazione14. È il 12 13

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Bruno 2012, p. 372.

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Cagnana 2000; 2001, pp. 205-209. Vitale 2015c. De Meo 2006.

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale durezza, che caratterizzano il volto dell’edilizia medievale di altre sub-aree; si fa riferimento alle fortificazioni attualmente presenti nei comuni di Valsinni e Colobraro dove viene impiegato il substrato geologico composto da arenaria, o al caso di loc. Castello di Seluci propaggine meridionale del massiccio del Monte Alpi, costituito completamente da rocce calcaree.

caso del castello di Episcopia (PZ) dove buona parte della planimetria e degli elevati originari sono stati conservati e restaurati filologicamente, mentre altre porzioni, considerata anche la grande frammentarietà della proprietà in cui oggi versa il complesso architettonico, rendono visibili superfetazioni e aggiunte inadeguate e al tempo stesso di scarsa utilità strutturale. Caso inverso, invece, subisce il castello Isabella Morra con il recupero filologico delle architetture a partire dagli inizi del ‘900 con la famiglia Rinaldi. La maggior parte dell’edilizia storica extraurbana non ha ricevuto quasi mai interventi successivi alle fasi di abbandono, continuando a sottostare al degrado degli agenti atmosferici e ai diversi terremoti.

Non è da tralasciare che molta edilizia storica posta a ridosso di alvei fluviali viene realizzata anche in questo caso con materiale litico dal facile prelievo, quale i ciottoli. Si fa riferimento all’edilizia storica del centro di Senise, in cui l’architettura difensiva e quella religiosa sono realizzate indistintamente durante tutto il medioevo con l’impiego del ciottolo, associato in età tarda a quello del laterizio; oppure, ancora, al caso della grancia di Ventrile e alla certosa di San Nicola in Valle presso Francavilla in Sinni, in cui esclusivo è l’impiego di questo materiale.

Nella totalità dei siti indagati è stato impossibile stabilire un modulo preciso che faccia riferimento agli elementi costruttivi impiegati. I blocchi in tutti i cantieri studiati nella media valle del Sinni sono sempre del tipo spaccati e risultano informi. L’estrazione spesso avviene direttamente nei luoghi dove i complessi sorgono. Non sono state rinvenute aree di cava da cui si estraesse il materiale associabili al periodo storico preso in esame.

L’uso di elementi fittili deve essere visto nelle connotazioni geologiche dei siti menzionati, in cui oltre ai ciottoli i fiumi realizzano diverse aree di deposizioni di limi e argille utili alla realizzazione di questo prodotto edilizio. Le ricadute della natura geologica del sottosuolo sull’edilizia storica sono evidenti in tutti i siti indagati. L’arenaria, vista la sua facile degradabilità, è stata utilizzata come materiale esclusivo solo dove predominante e facilmente reperibile, mentre sono rari i casi in cui essa appare impiegata assieme ad altri materiali lapidei. Strutture completamente costruite con questo materiale si riscontrano dunque limitatamente all’area orientale della media valle del Sinni, in agro di Valsinni e di Colobraro. La scelta del materiale lapideo da costruzione appare certamente motivata da fattori contingenti, quali la diffusa e facile reperibilità in loco di una pietra dotata di caratteristiche meccaniche, chimiche e fisiche adatte agli impieghi costruttivi, ma anche dai costi di trasporto, resi particolarmente elevati dalla natura della regione, prevalentemente montuosa e caratterizzata da una rete idrografica quasi sempre a carattere torrentizio.

Una componente significativa in tal senso è il vasto sistema rupestre di Chiaromonte, formato da numerose grotte scavate lungo i pendii del centro e presenti anche in tutto il suo territorio. Qui, come altrove, le grotte erano scavate in primis per ricavare materiale e sabbie da costruzione, per poi utilizzarle quali ambienti dagli usi comuni e per lo stallaggio di animali, oggi riutilizzate per la conservazione del vino, dell’olio e di altre derrate alimentari. Le distanze notevoli dal fiume Sinni e dal torrente Serrapotamo imponevano al centro di Chiaromonte, nella fattispecie, l’esigenza di possedere aree da cui prelevare blocchi per la costruzioni e sabbia utile per realizzare leganti. Tale ambito storico-geografico appare come un’area tecnicamente omogenea, contraddistinta, in età medievale, dall’egemonia di un tipo murario normalizzato, costituito da bozze lapidee spaccate e poste in opera su filari senza corsi o con corsi irregolari di altezze non uniformi, e in alcuni casi regolarizzati da zeppe e corsi con scaglie i laterizi o di materiale lapideo. Gli apparati murari medievali della media valle del Sinni sfruttano la disponibilità locale di rocce di origine metamorfiche e sedimentarie, quali arenarie e puddinga. La maggior parte delle murature è realizzata con paramenti piuttosto regolari che impiegano elementi lapidei sommariamente lavorati e disposti su corsi che tendono ad una certa orizzontalità15. Questi materiali utilizzati nella realizzazione degli apparecchi murari rispecchiano una prassi consueta nel campo dell’edilizia storica, poiché appaiono fortemente condizionati dalla natura geologica del suolo.

Anche il riuso di pezzi speciali provenienti da fabbriche di età precedenti, quali grandi conci squadrati o frammenti di architravi e iscrizioni, è una pratica completamente assente in questo territorio, pur essendo un’attitudine costruttiva di alcuni complessi architettonici nella Basilicata medievale tra X e XIV sec. d.C. Ne sono un esempio, ancora una volta, il caso del sito fortificato d’altura di Satrianum dove nella costruzione della torre normanna vengono reimpiegati sapientemente, in qualità di cantonali, i blocchi isodomi in arenaria recuperati dalle vicine fortificazioni di età lucana; oppure costruzioni prossime alla colonia romana di Grumetum, quali la chiesa di Santa Maria Assunta, sorta poco distante del foro della città, o la chiesa di Santa Maria della Petra (Viggiano, PZ) dove sono visibili in muratura cippi iscritti di epoca romano imperiale. Le possibilità di recupero di materiali di pregio era dettata spesso dalla vicinanza o meno di aree edificate in precedenza, piuttosto

Tuttavia, la geologia della media valle del Sinni pur essendo dominata da rocce sedimentarie quali la puddinga16, vede anche la presenza di altri litotipi dai differenti gradi di Antongirolami, D’Ulizia, 2015, pp. 345-383. Roccia sedimentaria psefitica, costituita da frammenti rocciosi più o meno arrotondati cementati da sostanze di varia natura. Viene detta 15

monogenica o poligenica, a seconda che i frammenti appartengano allo stesso tipo di roccia o no.

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Sistemi insediativi nella media valle del Sinni (PZ): il quadro interpretativo che da una semplice questione di gusto. Nemmeno si può pensare che il mancato riutilizzo sia da imputare all’assenza di costruzioni precedenti lungo il Sinni, in quanto anche in località dove la ricerca archeologica ha attestato consistenti presenze antropiche e architettoniche di una fase più antica tale riuso non è stato perpetrato17. È il caso del complesso monumentale del Ventrile, dove già durante la fase di ampliamento della struttura nel XVI sec. d.C. erano evidenti e conosciute dall’abate de Lauro le strutture sottostanti al complesso di piena età romano imperiale: “… monumenta passim fendunt subterranea et cadaverum ossa…”18. Ciononostante non sono attestati reimpieghi nella costruzione della nuova fabbrica. In definitiva, questo capitale culturale composto da roccaforti, torri, mura di difesa, chiese, monasteri, grancie, mulini è oggi un patrimonio che bisogna tutelare e conservare. Fattore determinante per la sopravvivenza di questi complessi architettonici è proprio il loro stato di degrado e il più o meno totale abbandono. I diversi sopralluoghi effettuati permettono di comprendere in quale stato di conservazione versa il patrimonio architettonicoarcheologico della allora Contea di Chiaromonte. I nuclei ecclesiastici extraurbani si presentano spesso in pessime condizioni considerando, inoltre, che strutture come i monasteri del Sagittario, di San Nicola in Valle, a ormai due secoli dalla dismissione, sono state utilizzate quasi esclusivamente come cave di pietra per l’edilizia privata. Situazione parzialmente migliore è riscontrabile, in particolare, in alcune strutture presenti all’interno dei tessuti urbani di centri come Chiaromonte, Colobraro e Valsinni, sopravvissute al degrado e all’abbandono; in altri casi, invece, queste sono state smantellate e i materiali riutilizzati per la costruzione di abitazioni ad uso civile. La totalità dei torrazzi fortificati individuati, quali Cozzo Madonna della Rocca, Il Pizzo, Castello di Seluci, Catarozzo versano, al contrario, in uno stato di totale abbandono e incuria, risultando sempre meno riconoscibili nelle loro vesti originarie.

Vitale 2015c. Vitale c.s.; de Lauro 1673, fol. 31: Tenimentum, in quo Monasterium fundatum, usque ad Iacobi Clarimontis Comitis tempora, nempe ann. Dom 1248, ut satis docet privilegium, à nobis dandum in tempore, /dice/ Sagittarium Vetus, modò Ventrile: habetque in eo Sagittarium modernam Granciam non con temnibilem; cuius cultores dum arbores plantant, vel ut in germina excrescant, vetustas vites supprimunt, monumenta passim fendunt subterranea et cadaverum ossa . 17 18

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204

Tavole

Tav. 1. - Convento di San Francesco d’Assisi (Senise, PZ): planimetria.

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Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Tav. 2. - Monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte, PZ). Campanile: ortofotopiano dei prospetti.

206

Tavole

Tav. 3. - Certosa di San Nicola in Valle (Francavilla in Sinni, PZ). Restituzione aerofotogrammetrica su base ortofoto 2013.

207

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Tav. 4. - Grancia di Santa Maria di Bonavalle (?) (Loc. Rubeo, Noepoli - PZ). Restituzione aerofotogrammetrica su base ortofoto 2013.

208

Tavole

Tav. 5. – Loc. Castello di Seluci (Lauria, PZ): Restituzione aerofotogrammetrica su base ortofoto 2013.

209

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Tav. 6. - Loc. Il Pizzo (Valsinni, MT): ceramica proveniente dalle attività di survey archeologico.

210

Tavole

Tav. 7. - Loc. Il Pizzo (Valsinni, MT): ceramica proveniente dalle attività di survey archeologico.

211

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Tav. 8. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT) e loc. Castello di Seluci (Lauria, PZ): ceramica proveniente dalle attività di survey archeologico.

212

Tavole

Tav. 9. - Loc. Cozzo Madonne della Rocca (Colobraro, MT): ceramica proveniente dalle attività di survey archeologico.

213

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Tav. 10. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ): planimetria generale.

214

Tavole

Tav. 11. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ): ceramica smaltata policroma (US 119).

215

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Tav. 12. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ): ceramica graffita policroma.

216

Tavole

Tav. 13. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3: ortofotopiano e rilievo prospettico del basamento ottagonale della torre.

217

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

Tav. 14. - Complesso monumentale del Ventrile (Chiaromonte, PZ). CF 3: campionature murarie.

218

210mm WIDTH

2021

Il presente volume sottolinea le peculiarità di un area, la valle del Sinni in Basilicata, in cui coesistono elementi di continuità insediativa. I dati della ricerca, che si estende dalle coste ioniche alle pendici del Monte Sirino, non sono una riproposizione di scritti precedenti, bensì veri aggiornamenti. L’indagine ha preso in considerazione un arco cronologico compreso tra X e XV sec. d.C., epoca in cui lungo il fiume Sinni si conservano significative tracce di insediamenti medievali. Territorialmente comprendeva le aree del Mercourion e del Latinianon, coinvolti nello sviluppo di insediamenti religiosi di rito greco e latino, oltre ad essere interessata dal fenomeno parallelo dell’incastellamento. Dall’XI sec. d.C. la tipologia insediativa in questo territorio muta rispetto al periodo precedente, transitando da un modello di insediamento sparso a carattere rurale verso l’intensificarsi dell’insediamento demico sui colli sommitali. Ai complessi monasteriali verrà affidato lo sfruttamento delle risorse del territorio rurale, con il ripopolamento di aree abbandonate.

‘The work of Vitale is very important for understanding the rich but unknown history of southern Basilicata during the medieval period.’ Peer reviewer

210mm WIDTH

Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale Le forme del potere laico ed ecclesiastico nella media valle del Sinni tra X e XV secolo d.C. VA L E N T I N O V I T A L E

B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 3 0 4 2

2021 297mm HIGH

This volume studies the peculiarities of the Sinni valley in Basilicata, where evidence of secular and religious settlement continuity coexists. The data extends from the Ionian coasts to the slopes of Mount Sirino from the 10th to the 15th century AD, and the author analyses the significant traces of medieval settlements preserved along the river Sinni.

BAR  S3042  2021   VITALE   Il paesaggio medievale nella Basilicata meridionale

B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 3 0 4 2

14.9mm

‘This research fills a gap in the historical reconstruction of settlement development in southern Italy during the Middle Ages. It gives insight into the origin and evolution, from both historical and architectural points of view, of the fortified centres in this region, thus offering a useful comparison for the analysis of the same phenomenon in other Italian regions.’ Peer reviewer Valentino Vitale è Dottore di Ricerca in Archeologia Medievale e Assegnista di Ricerca presso il CNR - ISPC (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale). Si occupa dello studio degli insediamenti fortificati d’altura dell’Italia Meridionale. Valentino Vitale holds a PhD in Medieval Archaeology and is a research fellow at CNR ISPC (National Research Council - Institute of Sciences of Cultural Heritage).

Printed in England

210 x 297mm_BAR Vitale 14.9mm CPI ARTWORK.indd 2-3

19/08/2021 10:02