Il Nuovo Testamento. Storia dell'indagine scientifica sul problema neotestamentario

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Il Nuovo Testamento. Storia dell'indagine scientifica sul problema neotestamentario

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W erner Georg Ki.immel

Il N uovo Testamento Storia dell'indagine scientifica sul problema neotestamentario

Società editrice il Mulino

Bologna

Edizione originale: Das Neue Testame11t-Geschichte der Er/orschu11g seiner Probleme, Freiburg/Miinchen, Karl Alber, 1970. Traduzione di Vincenzo Benassi, a cura di Luciano Tosti.

Copyright © 1970 by Verlag Karl Alber GmbH, Freiburg/Miinchen. Copyright © 1976 br Societ� editrice il Mulino, Bologna. CL 27-1004-8

Introduzione all'edizione italiana di Mauro Pesce

Una stona dell'esegesi come Istanza critica per la ncerca

l. Una storia dell'attuale scienza tedesca del Nuovo Testamento

La traduzione di questa storia dell'esegesi - unica per la completezza dell'oggetto e per la lucidità della sua organizzazione è un evento importante anche se il suo recepimento nella cultura italiana non può avve­ nire senza dialettica. Ciò dipende in primo luogo dalla natura dell'opera. Si tratta infatti di una storia a tesi o meglio di una storia a ritroso. Kiimmel assume di fatto come modello la scienza neotestamentaria tedesca degli anni trenta e ne ricostruisce pezzo per pezzo la forma­ zione sia per quanto riguarda la struttura che i principali risultati. Questo metodo deduttivo e selettivo, che tende a ricostruire il senso dei vari momenti dello sviluppo dell'esegesi alla luce del prodotto finale di una delle sue correnti considerata come privilegiata, provocherà certo delle perplessità fra gli storici. E non a torto, dal punto di vista di un metodo rigoroso che cerchi di rintracciare all'interno dello sviluppo stesso dell'esegesi i suoi sensi, rispettando tutta la complessità delle diverse tendenze, ansioso di conoscerne anche la funzione culturale storica e politica. Chiarita però la natura dell'opera, che è sostan­ zialmente uno strumento, di tipo storico, per il lavoro esegetico, queste obiezioni dovranno cadere riconoscendo la legittimità di una storia dell'attuale scienza tedesca del Nuovo Testamento. Anzi il volume è addirittura prezioso per il lavoro universitario, a causa del suo carattere antologico. È qui concentrata rutta una serie -

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di tes ti, quasi mai tradotti e difficilmente reperibili nelle biblioteche italiane, che vengono introdotti, commentati e cuciti insieme in una storia di quasi duecento anni. Anche nell'esegesi italiana l'opera non troverà sem­ pre una ricezione facile, seppure per motivi opposti ai precedenti. Per l'estraneità, cioè, verso l'istanza critica radicale che l'esegesi scientifica tedesca porta in sé. Vale perciò la pena soffermarsi su questa divergenza tra gli studi italiani e quelli tedeschi per favorire la funzione culturale di questa traduzione, quella di provocare un confronto con la pretesa piu profonda che l'opera porta in sé: presentare l'unica vera ricerca scientifica del Nuovo Testamento nella sua storia. Prima degli anni sessanta (l'avvio del Concilio è agli effetti della periodizzazione decisivo ) in ambito cat­ tolico gli studi neotestamentari erano spesso orientati dai criteri teologici offerti dalla teologia romana. La scienza esegetica perciò tendeva ad assumere una fun­ zione apologetica o a rifugiarsi nella mera erudizione sebbene a volte di alto livello. L'esegesi tedesca prote­ stante rappresentava perciò non solo un modello scien­ tifico estraneo, ma anche un obiettivo ·polemico. L'unico polo di riferimento scientifico alternativo congeniale era invece rappresentato dall'esegesi cattolica francese, con il suo progressismo moderato, la sua capacità di inse­ rire l'apporto storico-critico neli' ambito di una teologia, ben diversa da quella romana e radicata invece profonda­ mente nella tradizione ecclesiastica antica. In sostanza l'esegesi stentava a porsi come una disci­ plina realmente storica. Il problema radicale della consi­ derazione del testo biblico come un fatto innanzitutto storico (che, come ogni fenomeno umano, ha un'origine e uno sviluppo, un ambiente nel quale si definiscono la sua originalità e i suoi condizionamenti, nonché il signi­ ficato di quanto in esso voleva essere detto c dai lettori poteva essere capito) risultava secondario o addirittura oggetto di polemica. Del resto nell'esegesi cattolica fran­ cese il bisogno di assumere quel problema storico nella

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sua radicalità era, in ultima analisi, subordinato ad una profonda esigenza di rinnovamento del cattolicesimo. Il « ressourcement biblique » è funzione di un piu vasto rinascere teologico che si collega alla critica del sistema tridentino. I suoi assi portanti non sono primariamente culturali, ma religiosi. È perciò ovvio che in Italia se ne siano percepite non tanto le esigenze storico-critiche, quanto quelle teologiche. Inaspettatamente, però, il nuovo clima degli studi esegetici dopo il Concilio non ha dato luogo ad un defi­ nitivo affermarsi della teologia francese, bensi ad un decisivo spostarsi dell'interesse verso l'area tedesca, in particolar modo protestante, anche nei suoi aspetti piu radicali. Un indice, per il Nuovo Testamento, sono le numerose traduzioni di opere esegetiche tedesche susse­ guitesi dal '65 in poi. E questo interesse permane anche oggi alla metà degli anni settanta nonostante la fine del clima immediatamente post-conciliare. Cosicché la situazione attuale si caratterizza per il sovrapporsi di vari elementi: l'assenza di una tradizione di studi basata su di una radicale considerazione storico­ critica dei testi; un irrisolto interesse al Nuovo Testa­ mento ai fini di una riforma della teologia cattolica; l'attenzione vivacissima per lo studio piu avanzato della ricerca esegetico-scientifica; cui ora si aggiunge la curio­ sità per l'inserimento delle scienze umane sulla base della consapevolezza, ormai anche in Italia consolidata, dei limiti dello storicismo. In questo quadro, la storia del Kiimmel è innanzitutto il miglior contributo per col­ locare l'ondata delle traduzioni di autori tedeschi all'in­ terno di una storia precisa in cui essi situano la propria tematica e i propri presupposti ermeneutici e teoretici e in cui anche si chiarisce la funzione che la loro esegesi adempie. Il Kiimmel offre perciò il primo strumento per acquistare consapevolezza della forte divergenza di tradizioni scientifiche e teologiche esistente in Italia e in Germania. Ma soprattutto esso presenta al lettore, C\Jme base irrenunciabile per H nascere e svilupparsi di

Mauro Pesce un'esegesi scientifica, proprio quell'atteggi amento storico la cui mancanza abbiamo indicato come una debolezza degli studi neotestamentari italiani. Ciò che infatti caratterizza questa Problemgeschichte (si badi al sottotitolo: Geschichte der Erforschung seiner Probleme) non è la presentazione dello svolgersi delle ricerche cosi come fattualmente si sono date, bensf il criterio rigoroso di scelta nell'individuare ciò che di questo svolgersi deve essere presentato al lettore come scientilicamente valido e, connessa a quello, la conce­ zione della storia della ricerca come un graduale pro­ gresso di una scienza che si forma. Il criterio di scelta è il rigore storico degli studi esegetici. Cosciente che, piu di altri campi della ricerca, l'esegesi ha sofferto e continua a soffrire del fatto di non riuscire a diventare sempre rigorosamente storica 1, il Kiimmel, una volta individuato, nella seconda metà del '700, il momento in cui essa ha iniziato ad essere scienza, presenta via via i risultati che egli considera ottenuti con metodo vera· mente storico e generalmente accettati dagli studiosi. Con­ temporaneamente ignora o critica quanto pensa che sia stato prodotto e affermato non sulla base della rigorosa ricerca storica, bensi su quella del presupposto confes­ sionale, dogmatico, filosofico o comunque non storico. Sarà bene avere presente dall'·inizio le grandi tappe che Kiimmel individua in questa storia. L'esegesi neotesta­ mentaria, conquistando le sue basi definitive, assume statuto scientifico nella metà del XVIII secolo quando si consolida come scienza la critica testuale del Nuovo Testamento, quando si prende coscienza che, in un approccio storico, il Nuovo Testamento deve essere con· siderato come grandezza diversa rispetto all'Antico, e quando infine si riconosce che uno dei compiti della ricerca, in quanto scientifica, è lo studio del Nuovo Testa­ mento come grandezza storica all'·interno del suo contesto. Di fronte all'esistenza di un'esegesi storica ben configut Das Neue Testament,

19702,

p.

520.

Una storia dell'esegesi come istanza critica

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rata nelle sue lince fondamentali sorgeva già allora il problema, in seguito continuamente riaffiorante, della possibile coesistenza o meno, accanto ad essa, di una comprensione teologica del testo. In quel medesimo periodo venivano anche conquistati tre ulteriori indirizzi il cui esame si impose come compito al secolo successivo e ancor oggi, per Kiimmel, conservano validità: a) la constatazione della differenza tra predicazione di Gesu e dottrina degli apostoli e perciò della diversità di con­ cezioni all'interno del Nuovo Testamento (nasceva allora il problema di individuare la forma originaria della pre­ dicazione di Gesti), b ) la ricerca storica della formazione degli scritti neotestamentari e, c) la scoperta di conce­ zioni mitologiche all'interno del Nuovo Testamento, che poneva il problema della loro origine storica e del loro valore e perciò anche la necessità di studiare i testi non solo con la critica storica, ma anche con una critica rivolta alla validità stessa del loro contenuto. Il XIX secolo approfondiva le tre basi definitive dell'esegesi pro­ gredendo nella critica testuale, cercando di individuare, per un Nuovo Testamento considerato come grandezza diversa dall'Antico, quale fosse l'ambito culturale in cui esso principalmente va compreso (Antico Testamento? ellenismo? « tardo giudaismo »? Su queste problema­ tiche si sarebbero poi inserite le vaste ricerche storico­ religiose della fine del secolo XIX e dei primi decenni del XX). Precisando infine che l'interpretazione storica del Nuovo Testamento consiste nella comprensione del significato che gli autori intendevano esprimere e di quello che i lettori di allora potevano comprendere. Mentre continuava la discussione se soltanto l'esegesi storica fosse da considerare l'interpretazione corretta per il Nuovo Testamento, si poneva la questione se i risultati storici ottenuti dal progresso degli studi sulla forma­ zione degli scritti neotestamentari potessero essere diri­ menti nel problema teologico della loro canonicità. Il XIX secolo conquistava poi risultati definitivi nel campo della ricerca delle fonti e della collocazione storica dei

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singoli scritti: la teoria delle due fonti risolveva infatti il problema sinottico, veniva precisata l'esistenza del deuteropaolinismo e riconosciuto che l'immagine di Gesu presente nel vangelo di Giovanni è opera della seconda generazione. Contemporaneamente diventava possibile, sulla base della determinazione letteraria e cronologica, una rappresentnione metodologicamente fondata della storia del cristianesimo primitivo, mentre d'altro canto i risultati delle ricerche portavano a limitare agli evangeli sinottici le fonti valide per la rappresentazione del Gesu storico. Il Kiimmel mostra, cosi, lucidamente come queste tematiche e questi risultati, su cui il XX secolo inserirà il proprio apporto, siano il frutto non casuale di un progressivo espandersi di una considerazione radicalmente storica del testo. Questo dato elementare, ma fondamen­ tale, costituisce forse il piu importante contributo cultu­ rale di questa traduzione. Il Kiimmel mostra poi come questa considerazione storica del testo dia vita progres­ sivamente ad una scienza articolata in vari settori e disci­ pline ausiliarie. Il XIX secolo le ha ormai sostanzial­ mente impostate: sono quelle alla cui fondazione il Kiimmel dedica il terzo capitolo e che costituiscono, è bene non dimenticarlo, le strutture della disciplina oggi in Germania: la Critica testuale; la scienza dell'Introdu­ zione, l'Esegesi, la Storia del cristianesimo primitivo, la Teologia Biblica, l'Ermeneutica. È proprio questo modello ben articolato che offre il criterio di riferimento in base al quale il Kiimmel ha operato le scelte necessarie nella costruzione della sua storia della disciplina neotestamen­ t-aria. Non è perciò esagerato, forse, dire che la storia del Kiimmel è la storia della formazione dell'attuale scienza tedesca del Nuovo Testamento. Di conseguenza solo conoscendo le esigenze della scienza attuale sarà possibile utilizzare correttamente i giudizi critici che il Kiimmel propone. A questo proposito è necessario avere presente la struttura che il Kiimmel stesso ha dato alla Introduzione,

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la disciplina neotestamentaria basilare. La Einleitungs­ wissenschaft, primo frutto, dopo la Critica testuale, della considerazione storica del testo biblico, è per lui « una disciplina strettamente storica)), la quale, mediante la ricerca della formazione dei singoli scritti neotesta­ mentari, offre all'esegesi i presupposti necessari per la comprensione della loro peculiarità storica e inoltre, mediante la ricerca della formazione e della conserva­ zione del Canone del Nuovo Testamento, offre la base sicura per la rappresentazione storica della Teologia del Nuovo Testamento 2• Nell'ambito della Einleitung il pre­ porre affermazioni teologiche sarebbe privare la conside­ razione storica degli scritti di un valore propriamente conoscitivo. E ciò non solo in quanto la premessa dogma­ tico confessionale comporterebbe la finalizzazione apolo­ getica di tutta la ricerca, ma soprattutto perché ciò equi­ varrebbe a negare che la ricerca storica sia la condizione per la conoscenza del messaggio del Nuovo Testamento, smussando con ciò la radicalità della pretesa conoscitiva della cons-iderazione storica. Quanto ciò sia estraneo all'ambiente italiano si rileva da uno sguardo all'impostazione della vecchia Introdu­ zione cattolica come è stata conosciuta e prodotta in Italia. Nella sua forma classica, infatti, quest'ultima pre­ sentava una parte generale e due speciali, rispettivamente per il Nuovo Testamento e per l'Antico. L'Introduzione Generale comprendeva per lo piu i trattati dell'ispira­ zione divina, del Canone, del testo e dell'ermeneutica, assumendo perciò un carattere rnarcatarnente teologico, anzi dogmatico confessionale che influiva prograrnrnati­ carnente sull'impostazione dell'Introduzione Speciale al Nuovo Testamento. È vero che il carattere di quest'ulti­ ma era piu propriamente storico-filosofico, ma ciÒ avve­ niva nei binari di una problernatica precostituita non solo nei terni, ma spesso anche nelle risposte. In verità, re­ centemente, le Introduzioni italiane hanno cominciato a 2 Einleitung in das Neue Testamenl, Hei.delberg, 1%916,

p. 5.

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non presentare piu la parte generale 3 ed è augurabile perciò che quest'ultima scompaia come Introduzione la­ sciando da un lato alla teologia, dogmatica e fondamen­ tale, la trattazione dei suoi temi senza preporli all'esame storico degli scritti biblici e convogliando dall'altro la trattazione della storia del Canone e del testo in una Introduzione, non piu divisa in Generale e Speciale, con­ cepita sul modello che Ki.immel presenta. A riguardo in­ vece della parte Speciale delle piu recenti Introduzioni italiane, il confronto con l'impostazione del Ki.immel non potrà non far rilevare una certa mancanza di riflessione metodologica sulla disciplina dell'Introduzione che si ri­ percuote nella insicura suddivisione della materia 4, nella commistione tra problemi storici e problemi teologici 5 e nel procedere ecletticamente rispetto ai modelli esistenti 6• ! t il caso della lmroduxio.�e al Nuovo Testamento, a cura di G. Rinaldi e P. De Benedetti, Morcelliana, 197!2, in cui tuttavia la trattazione teologica conserva un largo spazio. Il Messaggio della sal· vexxa. Corso completo di studi biblici, vol. I. Introduxione generale, a cura di P. Bonatti e C. Martini, Torino, 1964, consen·a invece an­ cora una Introduzione Generale di carattere dassico, dogmatico. 4 L'Introduzione al Nuovo Testamento, cit., tratta dapprima nella Parte II alcuni problemi teologici (capp. J.V), passa poi ad una espo­ sizione della tematica e del mareriale contenuti nei sinonici in cui, per esem·pio, i miracoli e l'infanzia sono trattati dopo l'ascensione c il problema sinottico solo verso la fine (cap. XV) (cosicché il lettore ne deve dedurre che la sua soluzione è irrilevante per la rappresen­ tazione storica di ciò che nei vangeli sinottici è contenuto). La forma­ zione del Canone è inserita fra la crattazionc dei vangeli sinottici e quella degli Atti. La Parte I I I offre una trattazione di geografia bi· blica e di storia dei tempi di G> 9• Pregiudiziale per la valutazione ed utilizzazione del­ l'opera di Kiimmel è la questione se essa sia una storia di tutta l'esegesi scientifica o solo di quella protestante o tedesca. Il largo predominio che vi hanno gli autori di lingua tedesca o protestanti è stato infatti giudicato come un limite della sua validità. La critica è stata rivolta alla prima edizione ( 1 9 58) e in occasione della traduzione in­ glese ( 1 973) 10• L'atteggiamento assunto su questo pro­ blema dipende dalla prospettiva. Chi richiede ad una storia dell'esegesi una ricostruzione dell'effettivo svol­ gersi delle ricerche, troverà giusta la reazione di R. E. Brown. « Gli studiosi britannici e francesi... hanno con-

8

DaJ Neue Testament im 20. Jahrhundert. Ein ForschungJbericht,

Stuotgart, 1970,

p. 33.

9 Einleitung in daJ Neue TeJtament, cit., pp. 6 e 5; cfr. « Einleitung in daJ Neue Testament >> a/J theo/ogiJche Aufgabe, in Hei!JgeJchehen und GeJchichte, Marburg, 1965, pp. 340-350. IO Cfr. W. Uhlenbrock, in

pp. 222-224. R. E.

395-396.

« Franziskanische SIUdien », 41 (1959), Revue Biblique », LXVII (1960), p. 131. Catholic Biblica! Quarterly », 35 (1973), pp.

P. Benoit, in

Brown,

in

«

«

V na storia dell'esegesi come istanza critica

xvn

tribuito enormemente alla nostra conoscenza del NT con commentari informativi che possono avere un valore maggiore di alcune delle metodologie teoriche che Kiim­ mel descrive in dettaglio» 11• In questo senso saranno giustificati i ripetuti appunti di avere trascurato questo o quell'altro studioso. Chi si muove in questa prospet­ tiva dovrà allora rivolgersi a studi storici sullo sviluppo dell'esegesi in singoli paesi, o su singole correnti o a monografie su singoli autori 12• Se invece la storia del Kiimmel viene presa quale essa è, cioè quale ricostru­ zione del formarsi delle principali strutture e tesi del­ l'esegesi scientifica, allora sarà difficile scostarsi dal suo giudizio. Un lavoro di storia dell'esegesi di un cattolico belga, il Rigaux, non ha fatto in sostanza che ripercorrere una traccia affine a quella del Kiimmel, passando da Baur alla Religionsgeschichtliche Schule e alla Konsequente Eschatologie e poi alla reazione di un'esegesi piu teolo­ gica, agli esegeti anglosassoni, a quelli tedeschi di ten­ denza conservatrice, per segnalare, solo alla fine, lavori di cattolici scientificamente seri, capaci di condurre « me­ diante un metodo piu rigoroso ad una teologia piu vi­ cina alla realtà rivelata» u. Un altro cattolico, lo Schanac­ kenburg, in una rassegna sulle correnti della teologia neotestamentaria, ha preso in considerazione, a partire dall'inizio del secolo, dapprima la Religionsgeschichtliche Schule, poi la prospettiva storico-salvifica, poi quella esi­ stenziale: l'apporto cattolico sul piano scientifico si fa luce solo piu tardi. lnvero il Kiimmel parla di lavori cattolici o non te­ deschi ogniqualvolta gli appaiono non solo scientifici e originali, ma soprattutto determinanti per il progresso della disciplina. Ciò vale non solo per Richard Simon, ma anche per Lagrange e Loisy. Del resto, in una rasseIl

E. A. Blum, in

u Cfr. S. Neill,

« Bibliothecs Sacra», 130 (1973), p. 362.

The lnterpretation o/ the New Testament 1861·

1961, London, 1964. Il B. Rigaux, Saint Paul et ses /ettres, Louvain, 1962, p. 49.

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gna che Ki.immel ha dedicato al periodo posteriore agli anni '30 1\ gli autori cattolici che egli menziona sono via via piu numerosi con l'avvicinarsi ai giorni nostri. Che una vera e propria considerazione storica del Nuovo Testamento si sia affermata nella chiesa cattolica solo lentamente e, con difficoltà e limiti, solo dalla fine del secolo scorso è un fatto noto e studiato cui non si può sfuggire accusando di parzialità il Kiimmel. Senza essere illegittima o inutile, una storia dell'esegesi cattolica non potrà perciò modificare sostanzialmente il quadro offerto dal Ki.immel circa la storia dei problemi dell'esegesi come disciplina storico-scientifica. Anche del resto fra le re­ centi storie generali dell'esegesi del Nuovo Testamento non ce n'è una che non sia debitrice al lavoro del Ki.im­ mel o che ne superi sostanzialmente l'impostazione e anche i contributi settoriali ne hanno finora sempre con­ fermato i risultati, per lo meno mostrando come lo svi­ luppo degli studi storico-critici nei vari paesi sia sempre in dipendenza del modello tedesco 15• Bisognerà perciò addirittura convenire con il giudizio di un esegeta tede­ sco, il Dinkler, secondo il quale il Kiimmel « evita l'er­ rore e la presunzione diffusa nel nostro paese, quasi la teologia come scienza esistesse solo in Germania, Sviz­ zera e al massimo presso gli scandinavi » 16• Il libro del Kiimmel, in conclusione, !ungi dal defraudare l'esegesi cattolica o quella di lingua non tedesca da pretesi con­ tributi allo sviluppo della disciplina, pone invece ad esse, 14 Das Neue Teslament im 20. Jahrhunderl, cit.; del resto la di­ fesa deii'esegesi « cattolica » di qualche recensore esprime una preoc­ cupazione di parte che va qui ricordata solo per evitare che essa si ripresenti in qualche lettore italiano. 1 5 Cfr. A. Causse, La hible de Reuss et la renaissance des études d'histoire religieuse en France (Cahiers dc la Revue d'histoirc et de Philosophie rcligieuse en France, 19), Paris, 1929; J. W. Ilrow n, The Rise of Biblica! Criticism in America, 1800-1870, Middlctown, 1969; A. M. Ramsey, From Gore lo Tempie. The Development of Anglican Theology, 1889-1939, London, 1960. 16 I n >, NF, 27 (1961), p. 181. Il giu­ dizio è però in parte i ntegrato nella recensione alla 2• edizione: ibidem, NF, 36 (1971), pp. 378-379.

Una storia dell'esegesi come istanza critica

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ed in particolare ora all'esegesi italiana, una serie di im­ portanti istanze cri tiche. Si tratterà in primo luogo di far proprie quelle istanze, che partono tutte come si è visto dalla radicale impostazione storica dell'esegesi e vanno perciò incontro alla principale carenza della situazione italiana. D'altra parte questa medesima situazione, caratterizzata dall'im­ missione massiva di tematichc esegetiche tedesche, richie­ derà poi l'assunzione di un atteggiamento critico rispetto ad esse, per il quale, esclusa la diatriba apologetica, non rimarrà che una sola strada: la domanda sul valore erme­ neutico globale di quell'immagine di scienza neotesta­ mentaria che, come abbiamo cercato di mostrare, pre­ siede alla storia del Kiimmel. Si tratterà cioè di interro­ garsi sul concetto di scienza storica che Kiimmel pro­ pone, sulle possibilità reali di quest'ultima di essere pura da presupposti confessionali, sull'origine di essa in rela­ zione a precise situazioni e impostazioni culturali, filoso­ fiche e teologiche, sui rapporti tra ricerca storica e giu­ dizio teologico, sul concetto di Scrittura che si vuol as­ sumere, sulle impostazioni ermeneutiche soggiacenti. 2. Il rapporto tra esegesi storica e comprensione teo­

logica

Un tentativo di tale interrogazione critica vorremmo farlo seguendo la falsariga del problema del rapporto tra ricerca storica e giudizio teologico, uno dei temi princi­ pali di tutta la produzione di Kiimmel17• Non è infatti un caso che egli veda il problema per eccellenza dello sviluppo della disciplina neotestamentaria proprio nel come il suo « irrenunciabile compito storico... possa es­ sere accordato con la esigenza assoluta » che gli scritti 17 Cfr. R. Schnackenburg in « Biblische Zdtschrift », Nr, IO ( 1 966 ) , p. 1 17. La piu recente formulazione del problema in Kiimmel è in Die Theo/ogie des Neuen Testamentes, Tiibingen, 1969, pp. U-15.

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neotestamentari « rivolgono al lettore, di prendere una decisione al riguardo del messaggio divino in essi conte­ nuto ». Il Kiimmel ritiene che tutto lo sviluppo della disciplina abbia chiarito proprio come la ricerca storica del Nuovo Testamento, appunto in quanto storica, abbia un preciso compito teologico. Esso deriva dal fatto che « esclusivamente con i mezzi di una ricerca rigorosa­ mente storica » è possibile del > 24• Questa valutazione può essere piu facilmente soppesata conoscen­ do i giudizi che sugli ultimi decenni il Ki.immel ha espresso in tutta una serie di importanti rassegne che giungono praticamente fino al '69 e costituiscono perciò la naturale integrazione del volume qui tradotto 25. L'im­ portanza di una presa di posizione circ a il giudizio quasi provocatorio del Ki.immcl appare ovvia anche a ripresen24 25

Das Neue Testament im 20. fahrhundert, cit., p. 8. Das Urchristentum, in � 1beologisch e Rundschau », NF, 1 4 (1 942), pp. 81 .s., 155 ss.; 1 7 (1948-49), pp. 3 ss.; 18 ( 1 950), pp. l ss.; 22 (1954), pp. 138 ss., 191 ss. c: fesusforschung seit 1950, in " Theologisch e Rundschau », NF, 31 ( 1 965-66), pp. 15 ss., 289 ss., e inoltre alcuni articoli in Heilsgeschehen und Geschichte, cit., ma an­ che Einleitung in das Neue Testament, ci t. e soprattutto Das Neue Testament im 20. ]ahrhundert, cit.

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ta re telegrafi camente i fatti rilevanti intercorsi dagli anni trent a i n poi. Nel campo della conoscenza dei testi e delle fonti: la scoperta di antichissimi papiri del Nuovo T e­ stamento, dei manoscritti del Mar Morto, del la « b b i lio­ teca» di Nag H ammadi; nel campo del met odo: la Re­ daktionsgeschichte alla metà degli anni cinquanta e l' uti­ lizzazione delle scienze umane, dalla linguistica alla scien­ za della lett eratura a partire dalla metà degli anni ses­ santa; nel campo teologico: l'impostazione della storia del la salvezza per l'interpretaz ione teologica del Nuov o Tes tame nto e la polemica tra interpre tazione storico- sal­ vifica ed esist enziale; pe r qu anto riguarda fenomeni sto­ rici rilevanti: l' aff ermarsi di un'esegesi catt olica vera­ mente scientifi ca, il diff ondersi di un atteggiamento ecu­ menico, il ripensamento dei rapporti fra giudaismo e cri­ stianesimo. Si dovrà accettare il giudizio del Rigaux se­ condo cui il libr o del Ku mmel « non off re il mezzo di superare>> la prob lematica delle grandi scuole di T u­ b inga, storico religiosa ed escat ologica, quando invece « i contrib uti recenti avrebb ero modi ficato profondamente quel quadro » 26? Che l'esegesi degli ultimi quaranta anni rimanga an­ cora nel l'amb ito dell'impostazione degli anni trenta si giustifi ca agli occhi di Kiimmel per la novità e fonda­ mentali tà di due orientamenti sorti allor a: la teologia dialettica e la Formgeschichte. Alla prima si è già accen­ nato. Per quanto riguarda la seconda il Kiimmel vede la novità dei risultati da un lato nell'esclusione della p ossib ilità di una ra ppresentazione b iografico- genetica sia della vita che della dottrina di Gesu, dall' al tro nell a istanza critica non piu eludib il e secondo cui prima di usare un b rano dell a tradizione evangelica per la rap­ presentazione del Gesu stori co è necessario dimostrarne l'appartenenza alla piu antica tradizione e in ogni caso viene condannato ogni acritico uso della tr adizione a tal scopo. I l p roprium del giudizio del Ki.i mmel è però nel 26

Saint Pau/ et ses lettres, cit.,

pp.

20

e

21.

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rifi uto di vedere sanzionata dalla Formgeschichte l'im­ po ssibilità della ric erc a s ul Gesu storic o_ Il s uo m etodo non c om porta infatti la distruzione del « fondam ento sto­ ric am ente ric onosc ibile dell a fede cris tiana nel la persona di Ges u » c ome alc u ni hanno c reduto ( e c iò è acc aduto spes so in I talia), al c ontrario rappresenta e c on c iò individua la > 28 • Non anc ora riusc ito sarebbe invec e il tenta tivo di estendere la Formgeschichte oltre i sinottic i per ri ntrac ­ c iare al di là del tes to antic his sim e formule di c onfes ­ sioni di fede, di t ipo liturgic o, ecc . L'es trema divergenza delle ric os truzioni di quelle formule, « nonc hé l' ass enza di c hiarific azione c irc a i c riteri us ati » spingono il Ku m­ mel a giudic are ques ti lavori c om e « pure s upposizioni >> . I l rigore di qu esto giudizio non potrà non c olpi re c hi c or7 Das Neue Testament, cit.,

pp.

433

28 Heilsgeschehen und Geschichte, cit.,

e 423. p. 419.

XXIX

Una storia dell'esegesi come istanza critica

na sce la vastità di ques te ri cerche e l'i mportanza che ad esse s i attri buisce per la ricostruzione dello sviluppo delle di verse correnti cri stiane primitive. Si milmente i l Kii mmel h a ri tenuto di non dovere in­ serir e nella sua stori a la Redaktionsgeschichte la quale, sorta negli anni cinquanta, si è assunta i l co mpi to di i n­ te grare e superare i n parte l'impos tazione della stori a delle forme. Moti vo dell'esclusione è il giudizio, altrove espresso dall'A . , circa l' instabilità dei risultati da ess a raggiunti nell'indivi duare l'intenzione teologi ca dei re­ dattori dei sinottici e degli A tti, nonch é la mancan za, nel caso di Marco particolarmente grave, di cri teri sicuri > n el Nuovo Testamen to. L' altra discip lin a che dipen de n el proprio progresso dai ris ultati della Einleitung è la Teologia del N uovo Te­ stamen to che tuttavia n ella con cezion e del Kii m mel do­ vrebb e piuttos to chiamarsi Storia delle teologie del Nuo­ vo Testamen to3 1 • Sol o quei risultati n i fatti, con oscen do e distin guen do gli s critti n ella loro storicizzata diversità e collocan doli in un o s viluppo s torico, permetton o di va­ l utarn e il con ten uto teologico, ma es igon o n el con tempo che la teologia del Nuovo T estamen to s ia rappresen ta­ zion e delle sin gole diverse teolog ie ordin ate fra loro se­ con do lo s viluppo storico-cron ologico dei rispettivi scritti. E d è per ques to che n ella sua Theologie il Kiimmel, un ito in questo ad altri autori, segue un ordin e storico e tratta dapprima Gesu, poi la comun ità primitiva, Paolo e Giovann i. Parten do da queste es igen ze sistematiche, egli in terroga la s ituazion e degli studi, caratterizzata ap­ pun to dopo gli ann i ven ti da un crescen te in teres se per il con ten uto teologico del testo. E infatti « n el periodo fra le due guerre i lavori s ulle forme prin cipali della Teologia del Nuovo Tes tamen to, sull'amb ien te c on tem­ poran eo e sul lessico teologico (il Baur, il Kittel ) . . . hann o res o possib ili, a partire all'in circa dall'in izio della s e­ con da guerra mon diale, dei ten tativi di n uove rappresen ­ tazion i glob ali della Teologia del Nuovo Testamen to » . J l Die Theologie des Neuen Testamentes, cit., pp. 1 1-16 e 294·295. Diversamente p. es. Schnackenburg: « La teologia neotestamentaria . . . è una vera teologia poiché già un'adeguata rappresentazione di quelle ailcrmazioni teologiche e soprattutto la loro organizzazione sistematica richiedono un auten tico sforzo teologico >> (Neutestamentliche Theologie. Der Stand der Forscbung, Miinchen, 1963, p. 1 3 ).

Mauro Pesce

XXXI I

M a proprio la consapevolezza della grande variet à di im­ post azioni che in questi tentat ivi si è verifi cat a, i mpedisce al Kii mmel di individuare una comune linea scient ifica e ciò giustifi ca l'inte rruzione della sua st oria ag li anni t rent a. Altrove egli però non rinuncia, sebbene con molt a caut ela, ad indicare una tendenz a predominante e sicura per il progresso dell' esegesi, la quale del resto coin­ c ide con la sua personale posizione suespost a. Scrive egli nel '69 : « i ncomincia- oggi - a diffondersi la convin­ z ione che la Teologia del Nuovo Testamento possa essere compresa e rappresent at a in maniera oggett ivament e ap­ propriata solo mediante una impost azione realment e st o­ rica » 32• Anche all' interno dei si ng oli set tori della Teo­ logia il Kiimmel non riesce d'altronde a verificare negli studi odierni un accordo. Per quanto riguarda Paolo, il nuovo int eresse per la sua teologia ha dato luog o sostan­ z ialment e a due correnti, la prima delle quali sosti ene u n'int er pretaz ione piu accent uat amente escatologica, men­ tre la seconda interpreta Paolo come t eologo « dell'at­ tu ale presenza della salvezza » . La presentazione bult ­ manniana - che si inserisce nella seconda corrent e è stata t almente important e da cost ringere di fatt o la u lteriore ricerca nell'alternati va di proseguire nel suo alveo o di crit icarla. M a, all'interno di quest o di battit o si sono ri propost e le due tendenze precedenti. Nono­ stant e che l'interpret azione fondament almente es catolo­ gica di Paolo abbia port at o - secondo Kiimme l ad una piu approfondi ta compr ensione de l la soteriologia paolin a, è dilli cile prevede re se ci possa essere un i n­ cont ro fra le due divers e tende nze o quale de lle due possa prevalere 33• Anche gli st udi giovannei non hanno piu conosciu to u na svolta decisiva dopo i lavori del Bult man n del '23 e del '25 34• L'abban dono, che in essi si era v erificat o, di -

-

l1 Das Neue Testamenl im 20. Jahrhundert, cit.,

33

Ibidem,

pp.

97·105.

.14 Das Neue Testament, cit.,

pp.

449450.

pp .

132

e

145.

Una storia · dell'esegesi come istanza critica

un a in terpretazion e « biografica » - ten den te cioè a ri­ trovare n el van gelo la rappresen tazion e di « cosa Gesu era » - a favore di un a rigorosamen te teologica sull a base di un a precisa collocazion e storic o religiosa, trov ava la sua « provv isoria » sistemazion e n el Commentario bult­ mann ian o del '41 . Ma la ricerca ulteriore sarebbe per lo piu con si stita « n ella discussion e correttiva » del le tesi bultmann ian e, in particolare circa il « dass » e l'in terpre­ tazion e della fede come « En tw eltlichun g ». Anche il fio­ rire n ell'ultimo decenn io di importan ti studi cattolici (tra i quali il con tributo di Blank rappresen ta un vero « pro­ gresso n ella compren sion e di Giovann i » ) , n on toglie, per Kiimmel, l'impossibilità di tracciare delle lin ee di ten den za sicu re n ell'attuale ricerca giovann ea35• È la medesima incertez za n el delin earsi di un a svolta comun e che impedisce al Kiimmel di dar spazio, n ella sua storia, al gran de dibattito ermen eutico sviluppatosi proprio all' in tern o della disciplin a della Teologia del Nuovo Testamen to. D a n oi in I talia, se si eccettuan o l' impostazion e dei trattati di ermen eutic a della teologia roman a e gli stimoli off erti dagli studi del de Lubac, re­ cepiti tuttavia per lo piu in sede di storia dell'esegesi, la tematica ermen eutica è stata seriamen te aff ron tata solo in ambito fil osofico. Nell' esegesi un a atten zion e v era e propria è stata data, fin o a pochi ann i fa, solo alla im­ postazion e cullmanni an a della storia della salvezza e, in man iera min ore, a quell a di J eremias e Schlier. C irc a il problema del rapporto tra ese gesi c ritic o- storica ed ese­ gesi patristica, che tan to preme oggi all'esegesi cattolic a e incomincia a nche in ambito protestan te tedesc o ad es­ sere studiata, il lettore n on troverà n el Kiimmel se n on l a brevissima implicita risposta secon do la quale è pro­ prio Lutero, il lon tan o padre de ll' esegesi storico-critic a, ad avere rifi utato l'ermen eutica patristica dei quattro sen si36 . Ma il problema circa il valore con oscitivo del35 .16

Das Neue Testament im 20. ]ahrhunderl, cit., Das Neue Testamenl. , e: « L'anziano al carissimo Gaio, che io amo nella verità ») furono invece attribuite al presbitero Giovanni, la cui tomba ancor oggi si vede ad Efeso.

Comunque, anche se nel medioevo poté essere con­ servata notizia di una problematica storica presente nella Chiesa antica e, anche se i prologhi dei manoscritti biblici riferiscono alcuni dati in merito all'origine degli scritti biblici, sta di fatto che sino alla fine del medioevo il problema dell'origine e della valutazione storica dei sin­ goli libri del Nuovo Testamento esulò dall 'ambito della ricerca, proprio perché il Nuovo Testamento, come del resto tutta la Bibbia, fu semplicemente considerato come parte della tradizione ecclesiastica. Né, sotto questo aspetto, qualcosa di sostanzialmente nuovo fu fatto dal­ l'umanesimo. È vero che umanisti come Lorenzo Valla ed Erasmo sottoposero a critica l'attendibilità della tra­ duzione latina del Nuovo Testamento riconosciuta dalla Chiesa e detta >: « Non prepararti con le tue stesse mani ragioni di vergogna e di qualcosa di cui dovrai pen­ tirti ». Ausonio, in un epigramma [ Epigr. , 33, 12, ed. R. Peiper: parla una dea chiamata « conversione » l . dice che neppure Ci­ ,cerone ha dato un equivalente latino alla parola « conversione >> : « Perché si provi pentimento - ella dice - mi chiamerò Meta­ noia [ pentimento l ». Nel linguaggio ecclesiastico, i traduttori dal greco hanno usato il termine latino poenitentia (pentimento). Che cosa sia e in che consista la conversione cristiana, Io inse­ ,gna la dottrina della chiesa cristiana. Come base di questo annun­ cio si adduce l'imminenza del regno di Dio. i\yy•xE [ s i è appros­ simato ] . pur essendo usato al passato, ha significato di presente, come può osservarsi in moltissime espressioni della lingua greca. >, cioè da Dio, sono coloro che, pur avendo una natura umana terrena, sono rigenerati, vale a dire nati di nuovo. « A coloro [che erano] in carcere � [ l Pt. 3, 19 ] : in questa

La preistoria

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espressione deve riconoscersi indubbiamente un'ellissi: « a coloro che erano in carcere ». Tuttavia non comprendo affatto né che tipo di espressione sia né che cosa significhi esattamente in � e­ sto passo. Alcuni greci hanno pensato che Cristo, sin da prima del diluvio, abbia preannunciato il Vangelo, sebbene [ soltanto] con il suo spirito. Per cui nessuna disobbedienza sarebbe mai stata punita da Dio se non in quanto disobbedienza a Cristo. Questi [commentatori ] spiegano l'espressione « agli spiriti in pri­ gionia » come rivolta a quelle anime che allora non credettero e che perciò si trovano in prigionia, cioè in carcere, fino a che Cristo venga per il giudizio. Tuttavia Clemente Alessandrino nei suoi Stromata, nel libro VI [45, 1·4, ed. Stahlin] - segufto in ciò da altri autori greci - riferisce tale predicazione del Van­ gelo a quella che Cristo, dopo la sua morte, recò in terra agli inferi. Certamente questo è uno di quei passi della Sacra Scrit­ tura, nell'interpretazione dei quali la pietà suggerisce le piu sva­ riate ipotesi, tanto che quanto detto può essere tranquillamente messo in dubbio; un passo, cioè, per il quale sono possibili di­ versi significati, a condizione che non si violi la norma > . Anche Diodoro Siculo [ I , 96, 4] spiega l'> . Giamblico poi parla di « tribunale sotto la terra >> (Stobeo l, 454 ss . , ed. Wachsmuth). Cosi Pindaro, cele­ brando i misteri eleusini: « Fortunato colui che ha visto ciò e [ poi l scende sotto terra; egli conosce la fine della vita, ma co­ nosce [ anche] la sua origine divina » [ framm. 1 37, ed. Snell, in Clem. Aless., Strom., III, 518 ] . Plutarco dice di Omero [ Iliade , XVI, 856 ] : « Dal suo corpo l'anima volò giu nell'Ade ». « In un luogo invisibile e mai visto, che può trovarsi nell'aria o sotto la terra » [ Pseudo Plutarco, De vita hominum, II, 1 22 ] . Non parla di u n luogo fisso, m a presenta una duplice opinione, ponendo l'Ade parte sotto la terra, parte negli spazi infiniti del­ l'atmosfera. Sempre Plutarco, nello scritto sul primo freddo [ De primo frigido, 948 E): « Il nome Ade richiama qualcosa di invi­ sibile nell'aria >> . Ippocrate, nel suo libro dedicato al giusto re­ gime di vita [De diaeta, I, 4; VI, 474 Littré ) , contrappone le nozioni di « luce » e di « Ade >> . Anche Giuseppe, in un altro passo nel quale si sofferma sulle dottrine degli esseni, scrive [ Bel!. Jud., II, 155 (8, 1 1 ) ] : « D'accordo con i figli dei Greci essi insegnano che una vita e un luogo oltre l'oceano attende le

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Il Nuovo Testamento

[anime] dei giusti; un luogo che non è colpito né dalla pioggia, né dalla neve né dal caldo torrido, poiché vi spira dall'oceano un mite vento; agli empi invece è destinato un luogo oscuro e gelido nelle profondità della terra con pene indicibili >> . In questo passo egli colloca l'Ade al di là dell'oceano. Ancora in un altro passo [ Beli. fud., I I I , 374 (8, 5)] Giuseppe, sempre secondo questa opinione, assegna ai pii « il luogo santissimo del cielo >>. In maniera [del tutto] evidente, i suddetti modi di esprimersi - sotto la terra, nell'aria, oltre l'oceano, e ciò che in Terrul­ liano è oltre la zona infuocata - stanno ad indicare nient'altro che l"inviJibile, vale a dire ciò che per noi è inaccessibile. Ter­ rulliano infatti nel suo De anima [ 58 ] . colloca nel mondo sot­ terraneo la pena e [il luogo della] beatitudine: « Nel frattempo le anime saranno punite o ricompensate in un medesimo luogo sotterraneo, nell'attesa di un giudizio favorevole o di condanna, vale a dire in una sorta di applicazione anticipata di questo [ giu­ dizio l >>. Cosa analoga alTerma anche nel suo libro contro Mar­ cione [ IV, 2 4 ] . Aggiungiamo pure un passo tratto dal libro di Ambrogio sulla benedizione della morte [cap. 10; CSEL, 32, l, 2, p. 741 s . ] : « Ci si accontentava di quanto aveva affer­ mato la filosofia, e cioè che le anime liberate dai corpi giunge­ vano nell'Ade, vale a dire in un luogo invisibile che noi, in la­ tino, chiamiamo luogo sotterraneo. In realtà anche la Scrittura ha indicato quel luogo come luogo di raccolta delle anime ». >, dove il termine quanto « Simone » ; inoltre è pure noto che egli visse dopo l a distruzione d i Geru· salemme, al tempo di Traiano e in questo periodo fu crocifisso per il nome di Cristo. Suppongo tuttavia che il titolo originario della lettera fo55e il seguente: Simeone, servo di Gesu Cristo, come scrivono anche Giacomo e Giuda [ Gc. l , l; Gd. l , l ] . e che coloro i quali voi· !ero dare risalto a questa lettera e renderla maggiormente accetta

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abbiano aggiunto: « Pietro ,. e « apostolo », e piu oltre (J, 1 5 ) al nome d i Paolo abbiano aggiunto « nostro amato fratello ». E credo che ciò verrà confermato, se si troverà un esemplare della nostra lettera piu antico di quello che attualmente possediamo. Questa lettera manca negli antichi libri dei Siri. Tertulliano, poi, non la cita mai.

Sulla cosiddetta « Seconda lettera di Giovanni ,. Molti antichi, tra i quali Eusebio ed anche Girolamo, hanno negato che questa lettera, come pure la seguente, siano state scritte dall'apostolo Giovanni. Gli argomenti in proposito sono molti. Che ci fossero ad Efeso due Giovanni, l'apostolo e il pre­ sbitero, suo discepolo, è incontestabilmcnte dimostrato dai due sepolcri che, in luogo diverso, vi si potevano vedere; questi se­ polcri li vide anche Girolamo. Inoltre, l'autore di questa lettera non si dice apostolo, ma presbitero, mentre quando gli apostoli scrivono, sia pure a persone singole, sono soliti non tralasciare tale titolo, dal quale i loro scritti ricevono particolare prestigio. Il fatto poi che Pietro, rivolgendosi a dei presbiteri, si chiami confidenzialmente loro « compresbitero >> [I Pt. 5, l ] rappre­ �enta tutt'al piu una prova di una certa familiarità, cosi come gli imperatori si firmano talvolta « commilitoni >>. Inoltre queste lettere non furono riconosciute in diverse nazioni, né tradotte nelle loro rispettive lingue, piu o meno come la Seconda lettera di Pietro c la Lettera di Giuda, non ritenute apostoliche. Infine è da escludere che un individuo, che intendeva chiamarsi cri­ sp ano, avesse l'ardire di mettersi contro un apostolo [ III Gv. 9 ] .

S e l'utilizzazione dei dati offerti dal rifiorire della filologia classica in Francia, Inghilterra e Olanda e che Grazio fa nella sua ricerca del significato dei termini, come pure la sua scoperta della lettera tura giudaico-elle­ nis tica " , ebbero risultati quanto mai positivi, per l'in­ terpretazione del Nuovo Testamento, non minore fu il contributo offerto alla conoscenza dell'ebraico biblico e quindi all'interpretazione del Nuovo Testamento in base allo studio del giudaismo postbiblico. Il parroco angli­ cano John Lightfoot mosse dalla giusta constatazione che, li

Vedi W. Kroll, Geschichte der klassischen Philologie, Leipzig, pp. 92 ss.; A. Gudemann, Grundriss der Geschichte der klassi­ schen Philologie, 1909', pp. 190 ss.

19191,

La

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per comprendere la lingua del Nuovo Testamenoo, scritto per gli Ebrei, occorreva conoscere la lingua degli Ebrei di quel tempo ; orbene, poiché si possedeva la prova che la letteratura rabbinica rappresentava la lingua e la men­ talità degli Ebrei del tempo del Nuovo Testamento, si dedicò allo studio di questa letteratura e pubblicò nel 1 658-1678 le sue voluminose annotazioni ai Vangeli, nella cui introduzione spiegava chiaramente il suo in­ tento 32 • lnnanzitutto, poiché i libri del Nuovo Testamento sono opera di Ebrei, scritti tra gli Ebrei e a loro destinati; inoltre, poi­ ché quanto in essi è detto fu pronunciato da Ebrei, tra gli Ebrei cd a loro rivolto, basandomi su questo incontestabile dato di fatto, sono giunto a convincermi che questo Testamento ha dovuto aver presenti ed usare lo stile, il carattere, la forma e le regole del linguaggio ebraico. Muovendo da ciò, sono poi arrivato a questa seconda e sal­ dissima convinzione, che per cogliere il senso dei passi piu oscuri di questo Testamento (e non sono pochi ), la regola migliore e piu sicura è la seguente: cercare in che modo e in che senso tali espressioni e modi di dire furono intesi in rapporto al dia· letto comune e popolare nonché alla mentalità di quel popolo, come pure di coloro che usarono tali espressioni e di coloro che le udirono. Ciò non significa che noi possiamo sull'incudine della nostra capacità immaginativa modellare quei determinati modi di esprimersi, ben si [ soltanto l cogliere quale suono avessero, nel modo d'intendere e di parlare popolari, quelle espressioni. Ciò non può essere ottenuto in altro modo che ricorrendo agli autori del Talmud, che parlavano la lingua degli Ebrei ed erano in grado di trattare e spiegare quanto attenesse al giudai­ smo. Proprio muovendo da tali presupposti mi sono accinto alla lettura di quei libri.

L'opera contiene ampie e documentate trattazioni di geografia palestinese, ma soprattutto numerose citazioni dal Talmud e dal Midrash (compresi i commenti mediel2 ]ohanniJ Ughtfooti.. . Horae Habraicae et Talmudicae in Quattuor Evange/iJtas... Posi editione"' primam in Germania e Museo ]o. Benedicti Carpzovi. . . Altera, Leipzig, 1684, pp. 173 s. Cfr. anche St. Ncill, The Interpreta/io" of the New Testament 1861-1961, Oxford,

1964, pp. 292

ss.

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Il Nuovo Testamento

vali ) per tutti quei testi che necessitano di una spiega­ zione riguardo all'archeologia, la storia o la storia delle religioni_ In tal modo ha preso risalto .il criterio di spie­ gare i dati storici relativi all'ambiente del cristianesimo primitivo non già con le tardive testimonianze dei Padri della Chiesa, bensf ricorrendo inna.nzitutto alle fonti giu­ daiche contemporanee. Questo metodo ha contribuito a chiarire nel modo giusto alcune particolari circostanze, come ad esempio che il battesimo del Battista e della Chiesa primitiva era battesimo per immersione (Mt. 3 , 6); i·l discorso s u coloro che « strombazza.no » nel fare elemosina può essere 1nterpretato soltanto in modo figu­ rato (Mt. 6, 2); l'apostrofe che Gesu rivolge a Dio chia­ mandolo « Abba » viene usata dagli Ebrei soltanto per la paternità « naturale » (in Mc. 1 4 , 36), ecc. Quindi Grozio e Lightfoot hanno dato avvio ad una ricollocazio­ ne storico-religiosa del Nuovo Testamento nel suo am­ biente proprio. Tuttavia, per quanto significative fossero le loro scoperte e vasto !'·apporto dato a:lla conoscenza storica, essi non ·riuscirono, nel complesso, a rompere la compattezza della posizione totalmente astorica, né della teologia protestante piu rigidamente ortodossa, né della teologia cattolica, riguardo al Nuovo Testamento. Occor­ revano nuove impostazioni di fondo per rendere possibile in materia una svolta decisiva.

Capitolo secondo

Il passo decisivo

Tra i secoli XVII e XVIII le idee fondamentali che prepararono la via al primo tentativo di una considera­ zione rigorosamente storica del Nuovo Testamento pos­ sono essere raccolte in due gruppi, che toccano rispetti­ vamente l'ambito della critica testuale e quello della cri­ tica religiosa del deismo inglese.

l . La critica del testo 11 testo greco del Nuovo Testamento 1 fu pubblicato per la prima volta nel 1 5 1 4 in Spagna in una edizione poliglotta curata dall'università di Complutum (oggi Al­ calà) e poi nel 1 5 1 6 da Erasmo a Basilea. A trovare mag­ giore diffusione tuttavia fu quella condotta su scadenti manoscritti e con scarsa accuratezza da Erasmo. Dalla metà del secolo XVI questa venne sempre ristampata presso l'editore parigino R. Estienne (detto Stephanus); questo testo, a partire dal 1633, senza venir piu cam­ biato, divenne il textus receptus, che i teologi protestanti dichiararono ispirato e che perciò non fu modificato. E sebbene in singole edizioni venissero introdotte varianti suggerite da manoscritti di cui a mano a mano si veniva 1 La •toria della stampa del Nuovo Testamento in greco e della relativa critica del testo viene illustrata da C. R. Gregory, Textkritik des Neuen Testaments, vol. I I , 1902, pp. 921 ss . ; Eb. Ncstle, Ein/iih­ rung in das griechische Neue Testament, a cura di E. von Dobschiitz, Gottingen, 19234, pp. 60 ss.; B. M. Metzger, Der Text des Neuen Te· staments, 1964, pp. 95 ss.

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a conoscenza, non si osò introdurre la minima modifica in questo testo riconosciuto, della cui validità non si dava alcuna giustificazione. Stando cosi le cose, fu un teologo a proporsi per la prima volta l 'intento di affrontare dal punto di vista sto­ rico il problema del contenuto del Nuovo Testamento. Il sacerdote francese Richard Simon aveva scritto nel 1 678 una Histoire critique du Vieux Testament, che fin dal suo apparire, specie ad opera e per influenza di Bos­ suet, fu in gran parte stroncata. Simon però non si lasciò affatto impressionare e nel 1 689 pubblicò la sua Histoire critique du texte du Nouveau Testament, cui seguirono a brevi intervalli di tempo la Histoire critique des versions du Nouveau Testament ( 1 690 ) e la Histoire critique des

principaux commentateurs du Nouveau Testament ( 1 69 3 ).

In tal modo non solo veniva per la prima volta completa­ mente separata l'indagine sul Nuovo Testamento da quel­ la condotta sull'Antico, ma Simon fu anche il primo che, attraverso un esauriente ricorso alle osservazioni critiche dei Padri della Chiesa e l'utilizzazione di rutti i mano­ scritti disponibili, tentò di avviare con metodo critico lo studio dell'origine del testo del Nuovo Testamento a noi pervenuto e il problema della sua interpretazione storica. Si può quindi con ragione chiamare il Simon il « fonda­ tore dell'introduzione scientifica al Nuovo Testamento )) 2, senza tuttavia dimenticare che gli orientamenti del lavoro critico di Simon al riguardo non furono soltanto di natura storica. In realtà, Simon afferma espressamente di voler solo rendere un servizio alla verità, la qual cosa comun­ que egli fa in modo da essere nello stesso tempo utile alla Chiesa cattolica; egli crede cosi di poter raggiungere tale scopo, convinto com'è - contro la dottrina prote­ stante della Bibbia come unica fonte di rivelazione che questa Bibbia sia giunta a noi cosi incerta nella for­ ma e, per se stessa, tanto poco comprensibile, da ren­ dere necessario il ricorso alla tradizione della Chiesa 2 Th. Zahn, in PRE, V, 263.

Il

passo decisivo

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cattolica perché si possa trovare nella Bibbia una guida sicura per la nostra fede 3• In tutto il mio lavoro mi sono unicamente proposto di atte­ nermi alla verità e, soprattutto, di non legarmi ad alcun autore particolare. Un vero cristiano, che dichiari di voler seguire la fede cauolica, non può andar dicendo di essere soprattutto un discepolo di Agostino, o di san Girolamo o di qualsiasi altro Pa­ dre della Chiesa, poiché la sua fede è fondata sulla parola di Gesu Cristo, contenuta negli scritti degli apostoli e nella salda tradizione della Chiesa cattolica. Fosse piaciuto a Dio che tutti i teologi del nostro secolo fossero stati convinti di ciò! Si sareb­ bero evitate tante inutili dispute, che nient'altro hanno provo­ cato se non gran disordine nello stato e nella religione. E poi­ ché io non ho alcun interesse di legarmi a quel che suoi dirsi un partito - già il nome stesso di « partito •• mi è odioso dichiaro che nel compilare il presente lavoro non ho avuto altro intento, se non quello di rendere un servizio alla Chiesa, dando certezza a tutto ciò che essa insegna di piu santo e di piu divino. Le considerevoli divergenze riscontrate nei manoscritti della Bibbia - come abbiamo sottolineato nel primo libro di quest'opera - dal momento che gli originali del testo biblico sono andati perduti, fanno cadere il principio fondamentale dei protestanti e dei sociniani, che possono basarsi unicamente su questi manoscritti e, per giunta, cosi come essi sono oggi. Se la verità religiosa non si trovasse nella Chiesa , mancherebbe la sicu­ rezza di poterla rintracciare in libri che sono andati soggetti a cosi grandi mutamenti e che, in molti punti, sono stati alla mercé dei copisti. È sicuro infatti che gli Ebrei che trascrissero questi libri si sono presi la libertà ora d'inserire ora di cancel­ lare determinate lettere dell'alfabeto, attenendosi a quanto rite­ nevano giusto, con il risultato che spesso questo mutamento di lettere ha condizionato il senso del testo. D'altra parte, la critica alla quale sono state sottoposte le tra­ duzioni della Bibbia costituisce una prova indiscutibile della con­ creta impossibilità di tradurre la Scrittura ... Non c'è dubbio quindi che i protestanti mostrano di essere incompetenti o pre­ venuti, quando sostengono che la Scrittura si spiega da sé. Dal momento che essi hanno respinto la tradizione della Chiesa e non riconoscono altro principio religioso all'infuori della Scrittura,

3 R. Simon, Histoire critique du texte du Nouveau Testament, Où /'on établit la Vérité des Actes sur lesquels la Religion Chrétienne est fondée, Rotterdam, 1689, introduzione, p. 6; Histoire critique du Vieux ·restament. Nouvelle édition, Rotterdam, 1685, introduzione dell'au­ tore, pp. 7 s.

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hanno dovuto per forza creare il presupposto che la Scrittura è per se stessa chiara e sufficiente, la sola a dare fondamento alla verità di fede, e perciò autonoma rispetto alla tradizione. Se si guarda però alle conclusioni che protestanti e sociniani traggono da un unico e identico principio, si deve convenire che questo non è affatto chiaro come essi credono, tanto è vero che gli uni negano quello che gli altri affermano; a tal punto sono antiteti­ che le loro conclusioni. Non si può affatto accettare, con i pro­ testanti, che il mezzo piu rapido, naturale e sicuro per risolvere i problemi ddla fede sia quello di ricorrere direttamente alla Sacra Scrittura; procedendo in tale modo, succede invece che, allorché subentra una incompatibilità tra la norma giuridica e la pratica, vale a dire, quando la tradizione non trova riscontro nella Scrittura, se ci si volesse attenere alla sola Scrittura non si potrebbe, in campo religioso, fissare nulla di sicuro. Non signi­ fica trascurare il dovuto interesse per la parola di Dio il conci­ liare con essa la tradizione della Chiesa ; poiché colui che ci dà come punto di riferimento la Scrittura, ci ha dato come punto di riferimento anche la Chiesa, alla quale ha affidato il sacro deposito.

T aie pos!Zlone non impedisce a Simon di sottolineare come la preoccupazione dei protestanti nella ricerca del significato letterale della Bibbia dovrebbe offrire anche ai cattolici l'occasione per uno studio attento e piu dili­ gente della lettera della Bibbia; infatti nella sua ampia Storia dell'interpretazione del Nuovo Testamento egli si è soprattutto rifatto a quegli interpreti che hanno curato in maniera particolare l'interpretazione letterale (del piu recente passato cita soprattutto il gesuita Maldonado e i protestanti Camerarius e Grozio); e non risparmia la sua critica nemmeno ad un padre della Chiesa come Origene, per via di una non giustificata modificazione del testo biblico 4• Bisogna riconoscere che già dall'inizio dell'ultimo secolo è stato compiuto un notevole cammino. Sono state fatte notevoli scoperte, specie per quanto riguarda il senso letterale della Scrit­ tura, soprattutto attraverso l'approfondimento delle lingue greca

4 R. Simon, Histoire critique des principaux commentateurs du Nouveau Testament, depuis le commencement du Christianisme iusque i. nr'Jtre temps, Rotterdam, 1693, introduzione, pp. 6, 8 s.; pp. 707 s., 70.

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ed ebraica. D'altronde, come un tempo gli ariani offrirono ai seguaci dell'ortodossia l'occasione e l'interesse per uno studio piu attento della lettera dei libri sacri, cosi i protestanti hanno dato ai cattolici la opportunità di dedicarsi con maggior impegno alla analisi del testo biblico. In ultima analisi, tuttavia, la religione non può certo fondarsi su sottigliezze grammaticali e critiche; ecco perché ciò non ha impedito affatto ai cattolici di cercare presso i padri dell'antichità chiari significat i [ del testo biblico ] , significati che potremmo chiamare teologici, dato che la nostra fede si fonda soprattutto su tali spiegazioni e non già sulle nuove ipotesi recentemente formulate. . . Tali considerazioni, e molte altre analoghe che potrei aggiun­ gere, non impediscono ai cattolici di dedicarsi con cura alla ri­ cerca del senso letterale e grammaticale della Scrittura. Un Gre­ gorio, un Basilio, un Crisostomo, i quali hanno sostenuto quellé interpretazioni che noi intendiamo difendere, non hanno affatto trascurato di tener conto delle sottili sfumature degli ariani e di altri eretici, senza riguardo alla tradizione. Essi hanno spiegato il senso preciso [la force ] della parola, senza sorvolare sulle sot­ tigliezze della grammatica e della critica. E in realtà, poiché il testo sacro costituisce il fondamento primo della nostra religione, nulla può essere in esso che possa contribuire a distruggerla. Perciò in questo lavoro si è avuto cura di presentare quegli au­ tori, che si sono occupati in maniera prevalente del senso lette­ rale [se n' literal ] . Egli [ Camerarius] biasima lo zelo importuno di alcuni prote· stanti * i quali credono che nella Scrittura tutto sia chiaro e che perciò in essa non sia nulla di oscuro ed equivoco, dal momento che Dio ha dato la Scrittura agli uomini affinché servisse loro di guida, quindi non c'è motivo perché egli volesse ingannarli. Ma proprio tutta la sua opera, nella quale il suo principale sforzo è rivolto a spiegare un gran numero di parole che possono avere un doppio significato, dimostra inequivocabilmente il contrario. Tali doppi sensi ed ambiguità sono comuni a tutte le lingue, e non c'è quindi alcun motivo per ritenere che l'autore sacro faccia eccezione; è ridicolo, anzi, voler chiudere gli occh i di­ nanzi ad una verità evidente. Questo autore non perde quasi mai di vista il testo immediato, ciò che egli chiama "tÒ �TJ"t6v, la !et· tera, che egli poi distingue dalla dottrina che ognuno cerca di desumere dal senso grammaticale e letterale: « Altro è l'inter­ pretazione della Scrittura, e segnatamente della parola, ed altro la dottrina che ne deriva >> (commento a I Cor. 6, 13 ) . Su tale primo fondamento si dovrà costruire, quando si avrà una cono� « Non sono mancati teologi nel passato i quali hanno sottolineato l'esistenza di doppi sensi nella Sacra Scrittura, quasi che ciò pregiudi­ casse la dottrina dello Spirito Santo, la quale non è mai né erronea né dubbia » (commento ad Atti 3, 21).

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scenza precisa di ciò che è contenuto nei libri del Nuovo Testa­ mento. Infatti, per quanto si possa contare sull'orientamento offerto dalla teologia, rimane impossibile, senza l'aiuto della srammatica, penetrare un gran numero di difficoltà che s'incon­ trano in questi libri. Egli [Origene] spinge talvolta la sua crmca al punto d'osare, eulla base di pure e semplici congetture, di eliminare alcune pa­ role dal testo di Matteo. E cosi egli suppone, senza poggiare &u alcuna prova, che le parole di Mt. 1 9 , 19: « Devi amare il prossimo tuo come te stesso >> non debbano attribuirsi a Gesu Cristo (Origene, Comm. in Mt., XIX, 19 [ = Matthauserklar., ed. E. Klostermann; GCS, Origene, vol. 10, 1935, pp. 385, 27 ss.] ), ma siano state inserite da qualcun altro che non ha letto il seguito del discorso. E tuttavia giustifica la sua suppo­ sizione appoggiandosi sul fatto che Marco e Luca - i quali rife­ riscono il medesimo racconto - non accennano all'amore del prossimo. Eppure nemmeno questo prova nulla, come neppure le altre ragioni che egli adduce per dimostrare che quelle parole sono state aggiunte piu tardi al testo di Matteo. Del resto non esiste alcuna [ragione ] positiva al riguardo. Si limita ad affer­ mare in termini del tutto generali che i manoscritti greci del Nuovo Testamento in diversi passi risultano alterati e che d i ciò s i hanno prove schiaccianti. D a questo, però, non s i può concludere che essi siano stati corrotti anche nel passo in que­ stione.

Muovendo da tale presupposto, Simon, soprattutto nella sua prima opera dedicata al Nuovo Testamento, cioè nella Histoire critique du texte du Nouveau Testa­ meni, ha dimostrato, basandosi su una precisa ed attenta valutazione della tradizione storica, alcuni indiscutibili dati di fatto storici. Su questa linea egli dimostra che i titoli dei Vangeli con l'indicazione del loro autore non risalgono agli evangelisti; che l'epilogo inautentico di Marco (Mc. 1 6 , 9-2 0 ) e la pericope dell'adultera (Gv. 7 , 53 ss. ) non si trovano in molti manoscritti greci e, la seconda, neppure in alcune versioni orientali; che l'interpolazione trinitaria di I Gv. 5, 7 s. non si trovava nella Volgata originale di Girolamo, ecc. Inoltre, nella sua Histoire critique des versions du Nouveau Testament, egli è stato il primo a dimostrare che, prima della Vol­ gata di Girolamo, esisteva un'antica versione latina, che

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divergeva d a quella 5• La cura con cui Simon procede in tali dimostrazioni è confermata in maniera esemplare dal­ le note erudite dedicate ai titoli dei Vangeli ed all'epi­ logo del Vangelo di Marco. Da questi esempi risulta però abbastanza chiaramente come i suoi presupposti dogmatici abbiano impedito a Simon di derivare, dai dati in suo possesso, le conseguenze storiche che s'im­ ponevano '. L'antichità non ci offre alcuna prova sicura che ci consenta di affermare che i nomi scritti all'inizio dei singoli Vangeli vi siano stati posti dagli autori dci Vangeli medesimi. San Giovanni Crisostomo, in una sua omelia, dichiara apertamente il contrario. Mosè, precisa questo santo vescovo, non ha apposto il proprio nome ai cinque libri della legge da lui scritti (Hom. in Rom. , I , [PG, 60, 395 ] ). Coloro che, dopo di lui, hanno raccolto testimonianze degli eventi, non hanno posto il proprio nome all'inizio delle loro narrazioni. Lo stesso si verifica per Matteo, Marco, Luca e Gio­ vanni . Per quanto riguarda san Paolo, è vero che egli ha messo [ praticamente] sempre il proprio nome all'inizio delle sue lettere, fatta eccezione per la [ lettera] agli Ebrei. Il motivo che san Giovanni Crisostomo adc.luce in merito, è il seguente: i primi avrebbero scritto per destinatari che erano tra loro; Paolo, al contrario, scriveva le sue lettere a destinatari lontani. Se si tiene presente la testimonianza di questo Padre della Chiesa, non è possibile, sulla sola base dei titoli che si trovano all'inizio di questi Vangeli, dimostrare che tali Vangeli sono stati scritti da coloro di cui portano il nome, a meno che non ci si richiami all'autori!� della Chiesa primitiva che ha introdotto tali titoli. Proprio basandosi su tale principio, sia Tannerus sia altri gesuiti - nel corso di una disputa con alcuni protestanti svoltasi a Ratisbona - hanno dimostrato che, richiamandosi al solo titolo di Matteo e prescindendo dalla testimonianza degli scrittori della Chiesa amica, non si può provare che questo Vangelo sia stato scritto da colui di cui porta il nome. Essi hanno precisato che, nel caso in questione, non si può portare altra prova all'infuori di quella che poggia su un'autorità umana, e non già [sull'auto­ rità] della stessa Scrittura, affermando: « Soltanto in base a te5 R. Simon1 Histoire critique des versions du Nouvèau Testament, où l'on fai! connailre quel a été /'usage de la lec/ure dcs Liures Sacrés dons /es principales Eglises du mo11de, Rotterdam, 1690, pp. 23 ss. 6 R. Simon, Histoire critique du te:xte du Nouveou Tes/amenl, cit., pp. 14 s., 22, 114, 1 18, 120 ss.

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-stimonianze umane, naturalmente non qualsiasi, ma [ unicamente ] d i coloro che rappresentano i l corpo della Chiesa ». Un teologo protestante, presente a questa disputa, ha dedicato una monografia a questo particolare problema, per dimostrare proprio il contra· ·rio di quanto avevano sostenuto i gesuiti [ Davidus Shramus, Quaestio... quibus probationum generibus possit demonstrari: ·primum de quatuor 55. Evangeliis esse Matthaei Apostoli, Gies­ sen, 1 6 1 7, spec. p. 8 ] . Ma, per dire il vero, questo genere di discussioni ha tutta l'aria di essere piu ingegnoso che fondato. Poiché, anche ammettendo che sia san Matteo l'autore del titolo premesso al suo Vangelo, sarebbe sempre necessario far ricorso all'autorità della Chiesa per dimostrare che questo titolo è vera­ mente suo e che auesto Vangelo è stato realmente scritto da colui di cui porta il nome. Bisognerebbe quindi essere disposti a far ricorso a quel particolare spirito, di cui si parlava prima ·e al quale persone intelligenti non potrebbero uniformarsi... Concludendo, è opportuno osservare che, anche se gli apostoli .non sono gli autori dei titoli che si trovano all'inizio dei loro ·Vangeli, possiamo considerarli come se a porli fossero stati essi medesimi, proprio perché [i titoli] si trovano li sin dagli inizi del cristianesimo e perché poggiano inequivocabilmente su di una ·solida tradizione di tutte le chiese del mondo. Erasmo, che avan­ zava seri dubbi sull'autenticità della Lettera agli Ebrei, la quale 'non reca il nome di san Paolo, dichiara che, quando la Chiesa .ha precisato qualcosa al riguardo, egli ne accetta ben volentieri la decisione, e l'antepone a tutte le motivazioni che possano addursi. « l i giudizio della Chiesa vale per me piu di tutte le giustificazioni umane >>, afferma questo critico (Declar/ ationes] ad ./ versus censurasi Theol[ogorum] Paris[ iensium ], in Opera omnia :studio et opera ]o. eterici, 1703-6, vol. X, p. 864 ). Dobbiamo ora analizzare gli ultimi dodici versetti di questo Vangelo [di Marco ] , che non si trovano nella maggior parte dei manoscritti greci . Girolamo, che esaminò un gran numero di que­ .sti manoscritti, in una sua lettera a Hedibia, assicura che al suo .tempo esistevano ben pochi manoscritti greci nei quali si potes· sero leggere questi versetti : « poiché quasi tutti i testi greci non riportano questo capitolo » (Hieron[ ymus ] , Epist. ad Hedib[ iam ] .IJU. 3 [ , 2 ; CSEL, 55, 481, 14 s . ] ). Non bisogna intendere, come hanno fatto la maggior parte degli interpreti del Nuovo Tetsamento, che il termine « capitolo ,. in Girolamo si estenda a tutto intero l'ultimo capitolo di Marco, ma [esso sta ad indicare soltanto] le parole che vanno dal ver­ setto 9 (« Essendo egli risorto », ecc . ) fino alla conclusione, come è dimostrato da quei manoscritti che al riguardo ho consultato. Piu avanti avrò occasione di illustrare come gli antichi scrittori

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ecclesiastici, con l a parola capitulum, intendessero tutt'altra cosa da quello che oggi indichiamo parlando di capitolo del Nuovo Testamento e dell'intera Bibbia. È giusto quindi supporre che non si tratti perciò dell'intero ultimo capitolo di Marco - come già è stato osservato - ma soltanto degli ultimi dodici versetti. Girolamo ha perciò chiamato capitulum la [ sezione] che com­ prende il racconto della risurrezione. Il piu antico manoscritto greco dei Vangeli, che si conserva nella Biblioteca Regia, dopo le parole « poiché erano spaventate », reca la seguente osservazione, scritta come il rimanente testo e dalla stessa mano: « rpÉpE'tÉ [ = rpÉpE'tl1(] TCou xa_( 't"-V't"- (in qualche posto si legge quanto se­ gue) >> : Ma tutto ciò che era loro accaduto, si affrettarono a rife­ rirlo a Pietro cd ai suoi compagni. Dopo di che Gesu stesso per mezzo di loro pronunciò quel santo e immortale discorso sulln salvezza eterna da oriente ad occidente (Dal Codice della Biblio­ teca Regia, num. 2861 [ CL]). Piu avanti, nel testo di questo manoscritto, si trova questa osservazione, anch'essa della stessa mano che ha scritto il testo: « Tuttavia, dopo le parole: " poiché erano spaventate", si trovano le seguenti: " Essendo egli risorto" " • ecc., sino alla fine del Vangelo [Mc. 1 6 , 9 ss. ] . E abbastanza ovvio concludere che coloro che hanno redatto quest'antico mano­ scritto greco, ritenevano che il Vangelo di san Marco terminasse con le parole: « poiché erano spaventate >>. Ciò nondimeno, essi hanno aggiunto il resto, scritto dalla stessa mano, a mo' tuttavia di annotazione, dato che quella parte non veniva letta nella loro chiesa. Ciò si accorda assai bene con la testimonianza che san Girolamo offre nella sua lettera ad Hedibia . . . Eutimio, che è autore d i osservazioni erudite e d acute sul Nuovo Testamento, conferma tutto quanto abbiamo ricordato, non solo, ma sostiene anche l'osservazione che san Girolamo fa nella sua lettera ad Hedibia. Ecco quel che dice delle parole di Marco « poiché erano spaventate >> ( 16, 8 ): « Alcuni autori sosten­ gono che qui termina il Vangelo di san Marco; il resto sarebbe un'aggiunta posteriore. Ad ogni modo bisogna spiegare [ anche] questo, poiché non con tiene nulla contro la verità " (Eutimia, Commento a Marco, cap. 16, dal manoscritto n. 2401 della Bi­ blioteca regia [ Migne, PG, 129, 845 ] ). Esiste pure un altro esemplare manoscritto dei Vangeli nella Biblioteca Regia, assai antico e redatto con grande cura e meti­ colosità, che reca la seguente annotazione a proposito del mede­ simo passo (Mc. 16, 8) « poiché erano spaventate >> : « In alcune copie l'evangelista termina qui; tuttavia le seguenti parole: " Essendo egli risorto ", insieme alle rimanenti fino alla conclusione del Vangelo, si trovano in molti [ manoscritti] » (dal manoscritto n. 2868 della Biblioteca regia [ num. 15 Gregory ] ). Questo mano­ scritto è suddiviso in tante piccole pericopi, tutte contrassej!nate,

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e lo è anche quella posta dopo gli ultimi versetti. Ciò dimostra che la si leggeva anch'essa in Chiesa, trattandosi di un manoscritto che serviva a questo uso. Ci si è richiamati anche al sinassario, che raccoglieva di seguito i Vangeli per tutto l'anno e che indi­ cava anche il giorno in cui questo Vangelo veniva letto. Ho letto pure un esemplare che si trova nella biblioteca del signor Colbert , scritto assai nitidamente, in cui, dopo l e parole « poiché erano spaventate », si trova la medesima annotazione, riprodotta negli stessi termini (dal manoscritto num. 2467 della biblioteca del signor Colbert [num. 22 Gregory l ). Penso quindi che queste osservazioni, basate su buoni mano­ scritti greci, siano piu che sufficienti per integrare l'annotazione critica di san Girolamo sugli ultimi dodici versetti del Vangelo di Marco, contenuta nella sua lettera ad Hedibia. Certamente al suo tempo [ questi versetti l non venivano letti nella maggior parte delle chiese greche. Non per questo il padre della chiesa ritiene che essi vadano scnz'altro respinti, poiché in questa lettera egli tenta, come Eutimia, di integrare Marco con Matteo. E proprio dopo aver osservato che alcuni interpreti del Nuovo Testamento hanno pensato che queste parole siano state aggiunte, egli non tralascia affatto di spiegarle, indipendentemente dal loro apparte­ nere o meno al Vangelo di Marco. A parte tutte queste considerazioni, non si può affatto mettere in dubbio la verità di questo capitolo, altrettanto antico del Van­ ·gelo di Marco. Questo è il motivo per cui i Greci, pressoché in tutte le loro chiese, ancor oggi lo leggono per intero, come dimo­ strano i loro lezionari. Uno di questi lezionari si trova manoscritto nella Biblioteca Regia. In realtà non si tratta di un manoscritto antico tuttavia esso è eccellente e servi un tempo a una chiesa di Costantinopoli. � un po' difficile trovare una testimonianza piu antica di quella di sant'lreneo, il quale visse ancor prima che si potesse chiamare in causa questa differenza tra i manoscritti greci . Questo Padre cita espressamente l'epilogo del Vangelo di Marco (Adv. haer. , III, I l [ 6 ; ed. Harvey, I I , 39 l ) ; cosf scrive: « A "conclusione del Vangelo, però, dice Marco : « E il Signore Gesu, dopo che ebbe loro parlato, fu elevato in cielo e siede alla destra di Dio » . Con questo passo egli richiama il versetto 19 dell'ultimo capitolo di questo Vangelo. Orbene, l'intero capitolo comprende .soltanto 20 versetti. Concludendo, va considerato che né i manoscritti latini né quelli siriaci fanno eccezione al riguardo. Si può quindi provare da ciò che tale capitolo si trovava in quei manoscritti greci dai -quali derivano queste antichissime versioni, soprattutto quelle latine. Esso si trova anche nel manoscritto di Cambridge [ Codex ,D, Cantabrigiensis l e nel cosiddetto codice Alexandrit�us [ Codex

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A ] , che sono i due piu antichi manoscritti greci esistenti in Europa 7•

Il metodo cnuco-empmco di Simon, con il suo ri­ corso a tanti dati inconsueti, incontrò, soprattutto da parte protestante, ma anche da parte cattolica, una vi­ vace opposizione, e non ebbe veri e propri seguaci •. Occorreva però, in primo luogo, un atteggiamento spi­ rituale del tutto diverso per consentire alla concezione fondamentale di Simon - che intendeva il compito del­ l'esegesi soltanto in ordine alla verità - di produrre i suoi frutti. Come già si è osservato, Simon ha comun­ que contribuito, sotto un determinato aspetto, all'affer­ marsi di una considerazione veramente storica sul Nuovo Testamento, cioè nell'ambito della critica del testo. In questo campo, già da diversi anni, era impegnato il teologo anglicano John Mill; dalle piu antiche edizioni del Nuovo Testamento greco raccoglieva le poche varianti aggiungendovi quelle che poteva annotare dal confronto con altri manoscritti e versioni; aveva già dato alle stam­ pe la sua edizione fino alla Seconda lettera ai Corinti, quando ebbe sotto mano la storia critica del testo e delle versioni del Nuovo Testamento di Simon. « Quando ebbi terminato di leggere, con tutta avidità, questa storia, mi 7 I manoscritti esaminati da Simon si trovavano ndla Biblioteca Reale, vale a dire l'odierna Bibliothèque 1\:ationale, o nella biblioteca di ]. B. Colbert, ambedue a Parigi. La conoscenza dei manoscritti nomi· nati in fondo alla citazione, i quali si trovavano rispettivamente a Cambridge e a Londra, Simon deve averla attinta dai dati nella Poli· glotta di Walton o dal Nuovo Testamento di Oxford del 1675 che egli conosceva (vedi J. Steinmann, Ric:hard Simon et les origines de l'exé­ gèse biblique, 1960, pp. 1 1 7 ss., 268 e B. Metzger, Der Text des Neuen Testament.r, cit., pp. 107 s.). ' H. Ph. K. Henke, Allge�neine Geschichte der christlichen Kirche nach der Zeitfolge, vol. IV, 1806, pp. 218 ss.; H. Margival, L'in­ /luence de R. Stmon, in > 9 • L'opera di Mill apparve ad Oxford nel 1 707 (vi aveva lavorato quasi trent'anni ); tre anni piu tardi venne ripubblicata ad Amsterdam in una edizione accresciuta, e notevol­ mente migliorata nella forma, dal westfaliano L. Kiister. Questo volume in folio magnificamente stampato « in realtà la prima grande edizione del Nuovo Testa­ mento greco » 10 offriva, in nota alla riproduzione fedele del « testo riconosciu to » del Nuovo Testamento greco, l 'indicazione dei testi paralleli, un rigoroso appa­ rato critico in margine al testo con riferimento alle di­ .verse lezioni di tutti i manoscritti accessibili, delle ver­ sioni e delle edizioni stampate; oltre a ciò, un'ampia in­ troduzione che, oltre a contenere una panoramica di tutti i dati allora conosciuti sull'origine dei singoli libri del Nuovo Testamento e del Canone, offriva una storia del testo del Nuovo Testamento dalle origini nell'età patri­ stica fino alla metà del secolo XVII , nonché una descri­ zione di tutti i manoscritti e versioni del Nuovo Testa-,

9 Novum Testamentum Graecum cum lectionibus variantibus... stu­ dio et labore ]oannis Mi/Iii. Collectionem Millianam ... locupletavit Lu­ dolphus Kusterus, Amsterdam, 1710, p. 167, par. 1 503. La storia della genesi dell'edizione viene descritta da A. Fox, fohn Mill and Richard Bentley, 1954, pp. 56 ss . (sulla nuova edizione di Kiister vedi pp. 89 ss.). IO C. R. Gregory, in PRE, XIII, 73. Si è rinfacciato a Mill di aver raccolto piu di 30.000 varianti e di aver con ciò falsificato il testo e di aver minato l'autorità della Scrittura (cosi già D. Whitby, 1709; vedi B. M. Metzger, Der Text des Neuen Testaments, cit., p. 1 09 ).

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mento allora conosciuti. Mill non osò ancora apportare ritocchi al « testo riconosciuto », pur discutendo critica­ mente l 'abbondante materiale offerto, e pronunciandosi solo occasionalmente a favore di una modifica al testo trasmesso (come per l'omissione di Gv. 5, 4 }, quasi sem­ pre naturalmente a favore della lezione recepita ( come ad es. per Gv. 7, 53 ss .}. Con l'apparire di quest'opera veniva dato incentivo a un esame spassionato della trasmissione del testo del Nuovo Testamento; ancor piu avanti di Mill si portò il pietista Johann Albrecht Bengel, che conobbe per tempo l 'opera di Mill. Il gran numero di varianti che Bengel trovò nell'edizione di Mill scosse sensibilmente la sua fiducia nel Nuovo Testamento come parola di Dio; per­ ciò, attraverso un particolare studio del testo, cercò di riconquistare tale fiducia. La sua edizione del testo greco del Nuovo Testamento, apparsa, nel 1 7 34 dopo essere stata piu volte preannunciata 11 , recava, sotto il testo, un ricco « apparato critico » , che comprendeva una « intro­ duzione alla spiegazione di tutte le differenti lezioni » e una discussione di tutte le varianti indicate nel testo. Questo veniva molte volte corretto rispetto al « testo recepito », anche se, nella maggior parte dei casi, a pro­ posito di passi poco importanti; e questo là dove Bengel poteva attribuire l'errore ad un editore precedente (cosi, per esempio, da Atti 9, 6, viene nuovamente eliminato un passo inserito da Erasmo nel testo greco e mutuato dalla Bibbia latina} 12 • Di maggior interesse senza dub­ bio è il fatto che Bengel aggiunse in calce al testo poche varianti realmente importanti, che egli, a seconda del 11 Novum Testamentum Graecum ita adornatum ut Textus probata­ rum editionum medullam, Margo variantium lectionum in suas classes distributarum locorumque parallelorum delectum, Apparatus subiunctus criseos sacrae Millianae praesertim compendium, limam, supplementum ac fructum exhibeat inserviente fo. Alberto Bengelio, Tiibingen, 17J4. 12 Le poche edizioni anteriori a quella di Bengel, che già avevano · osato stampare un testo criticamente cambiato, non hanno esercitato .nessun influsso (vedi in merito E. Rcuss, Die Geschichte der heiligen Schriiten des Neuen Testamen/1, 18876, pp. 467 s.).

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loro valore, suddivise in cinque gruppi: l) alcune lezioni già apparse a stampa, che devono considerarsi originarie; 2 ) alcune lezioni manoscritte, che devono essere prefe­ rite a quella riportata nel testo; 3 ) lezioni di valore equi­ valente a quello del testo; 4) lezioni meno sicure; 5) le­ zioni da escludere, ma tuttavia accettate da molti. Que­ sta maniera di valutare le varianti, che assai spesso coin­ cide con l'attuale critica del testo (I Cor. 6, 2 0 : la sop­ pressione dell'aggiunta alla fine del versetto viene ricon­ dotta al primo gruppo; Rom. 6, 1 1 : la corrispondente soppressione del passo si riconduce al secondo gruppo; Mc. 1 6, 9 ss. e Gv. 7, 53 ss. sono da Bengel considerati senz'altro originali ), si deve all'applicazione di ben pon­ derati principi critici. Bengel, infatti, non solo riconobbe che « il numero [ dei manoscritti ] , per sé, non significa molto » e che bisogna poter suddividere i manoscritti in famiglie, per meglio individuare il loro valore; egli sta­ bill innanzitutto che, per giudicare di una lezione, oc­ corre chiedersi parte, Theologische Schriften, vol. IV, pp. 120 ss. {cfr. per la sislcmazione storica di questo scritto L. Zsch arnack , ibidem, pp. 15 ss.). 32 Ibidem, par. 24-26, 31 , 33, 48-51, 62, 63.

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notizie orali, che erano loro comunicate dai singoli apostoli), soltanto allora apparve utile e necessario, per soddisfare quella spirituale curiosità, rivolgersi anche a quella fonte nazarena e farne estratti e traduzioni nella lingua che era all'epoca comune a tutto il mondo civilizzato. lo ritengo dunque che il primo di questi estratti, la prima di queste traduzioni, sia stata quella di Mattco . . . Ossia, l'originale di Matteo f u sicuramente i n ebraico ; m a Matteo stesso non f u propriamente l'autore di questo originale. Da lui, nella sua qualità di apostolo, si poterono cioè ricavare molte notizie incluse nel testo originale ebraico, ma di questo testo non aveva composto la redazione scritta da egli stesso. Altri avevano scritto ciò che egli raccontava a voce, collegandolo con notizie riferite dai restanti apostoli . Di questa raccolta puramente umana egli fece poi, a tempo debito, solo un ordinato estratto in lingua greca... Se dunque egli ha compilato questo suo estratto in una lingua piu conosciuta, con tutta la diligenza e la prudenza che a una tale impresa si addicevano, è certo allora, anche da un punto di vista esclusivamente umano, che uno spirito benigno dovette assisterlo e nessuno può avere nulla in contrario a che questo spirito benigno si chiami Spirito Santo ... Altrettanto certo è che lo stesso Luca ha avuto presente la documentazione ebraica (o Vangelo dei nazareni) e l'ha riportata piu o meno integralmente, solo con un ordine alquanto diverso e con una lingua un po' migliore, nel proprio Vangelo. Ancora piu chiaro è che Marco, che comunemente si ritiene sia stato soltanto un epitomatore di Matteo, probabilmente deve invece questa sua fama all'aver tratto la sua narrazione dalla me­ desima fonte ebraica, rifacendosi però, presumibilmente, a un testo meno completo. Insomma i Vangeli di Matteo, Marco e Luca non sono altro che traduzioni, in parte diverse e in parte no, del cosiddetto do­ cumento ebraico di Matteo, traduzioni che ognuno di essi fece come meglio poteva ... E Giovanni? Certamente anche Giovanni ha conosciuto, letto e utilizzato quella relazione ebraica ; ma nonostante ciò, il suo Vangelo non è da annoverare fra quelli liSCrivibili ad una serie nazarena, ma fa piuttosto categoria a sé. Affinché, infatti, il cri­ stianesimo non dovesse divenire soltanto una delle numerose sette giudaiche, e come tale cadere in letargo e scomparire, affinché esso per contro mettesse radici fra i pagani, come una religione originale e indipendente, era necessario che Giovanni entrasse in campo e scrivesse il suo Vangelo. E soltanto questo Vangelo diede alla religione cristiana la sua vera consistenza; soltanto a questo Vangelo noi dobbiamo se la

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religione cristiana, in tale sua consistenza, nonostante tutti gli assalti, ancora dura e presumibilmente durerà finché vi saranno uomini che riterranno di aver bisogno di un tramite fra essi e la divinità; il che è eterno.

Lessing non aveva motivato dettagliatamente queste sue ipotesi, e tuttavia esse erano di grande importanza come primo tentativo di seguire e di rintracciare lo svi­ luppo dei contenuti evangelici, senza il presupposto del­ l'ispirazione, ma per mezzo della ricerca puramente lette­ raria. L'ipotesi di un protovangelo in aramaico, andato perduto, sottraeva inevitabilmente ai Vangeli canonici quell'attendibilità assoluta che ad essi era stata ricono­ sciuta sino allora. D'altro canto Lessing ha si ricono­ sciuto la fondamentale differenza fra i sinottici e Gio­ vanni, ma ha poi finito per collocare il Vangelo di que­ st'ultimo al di sopra degli altri, come quello di maggior valore; e ciò senza porre il problema storico del valore testimoniale di Giovanni. Ma l'ipotesi formulata da Lessing di un protovangelo ebraico o aramaico fu posta veramente al centro del dibat­ tito allorché Johann Gottfried Eichhorn, un allievo di ]. D. Michaelis, diede ad essa solide basi con la sua ampia trattazione, comparsa nel 1 7 94 col titolo Ober die drey ersten Evangelien. Eichhorn non ritiene possibile una reciproca utilizzazione dei primi tre Vangeli, poiché nessuno di essi offre sempre il testo e la struttura mi­ gliore in confronto agli altri. Pertanto a lui non rimane che >. Con essa Gesu venne in Galilea (Mc. 1, 14-15); essa egli fece sprizzare dal rotolo della legge (Le. 4, 17-19). I suoi discepoli annunziarono questo evangelo; Cristo spiegò la figura, i doveri e le speranze del suo regno con parabole ed insegnamenti; egli pati e mori per questo evangelo e dopo la sua risurrezione inca­ ricò i discepoli di di fionde rio nel mondo. L'evangelo perciò esi­ steva, negli annunci di Cristo e degli apostoli, prima ancora che fosse scritto uno mio dei nostri vangeli. Allorché Pietro, nella prima festa di Pentecoste, parlò del­ l'uomo che Dio aveva annunciato dai lontani tempi, d'un uomo che, promesso dai profeti, unto con lo Spirito di Dio, aveva por­ tato il regno di Dio in terra, che era apparso vivente dopo la crocifissione ed era poi salito in cielo, per manifestarsi con il suo regno alla fine dei tempi ; tutto questo rappresentava già un com­ pleto vangelo cristiano (Atti 2, 22-39), ossia quello che, con altre parole ma con il medesimo contenuto, noi ritroviamo in tutte le narrazioni di Pietro e degli apostoli . . . Il cristianesimo non cominciò dunque con la redazione scritta dei Vangeli, ma piuttosto con l'annuncio delle cose passate e fu­ ture (kerygma, apocalisse), con l'esegesi, l'insegnamento, l'esorta­ zione, la predicazione . . . Soprattutto il Vangelo di Giovanni costituisce l a prova piu

417

37 Ibidem ' pp. s., 391.

196

s.,

382, 273 (note), 198

s.,

209 - 2 1 1 , 2 1 3

s.,

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palese ... che essi [i Vangeli] non dovevano essere stati pensati come biografie, ma come documenti storici della professione di fede cristiana, testimonianze che Gesu fu il Cristo e del come egli lo fu. Il Vangelo di Giovanni, come quello venuto piu tardi di tuili gli altri, persegue questo scopo secondo lo schema meglio definito; in esso scompare anche la piu lontana traccia della bio­ grafia, che, del resto, non va ritenuta l'idea dominante nemmeno dei vangeli precedenti. Essi sono ciò che dice il loro nome ... Se dunque un Vangelo venne scritto con questo spirito e scopo, esso dovrebbe essere considerato e catalogato esclusivamente in questo senso. Gli aneddoti sulla vita privata di Gesu non ne co­ stituiscono né il motivo né lo scopo ; poiché i loro autori e so­ prattullo coloro ai quali erano destinati, cioè la cristianità, non erano il pubblico avido di novità dei nostri giorni. . . Posto dunque che noi non abbiamo pressoché alcuna notizia circa l'epoca dei falli e che evidentemen te i Vangeli furono com­ pilati secondo i tratti fondamentali, che ad essi erano stati asse­ gnati dalla precedente tradizione orale, c'è da chiedersi con quale diritto alcuni intendano modificare tale schema misconoscendo cosi l'intenzione che in tutto fu valida per i discepoli di Cristo.

Essi sono infatti scritti perché voi crediate che Gesu fu il Cristo, Figlio di Dio ...

Era poi impossibile che a quell'epoca, in quelle condizioni ambientali, fra i popoli di allora, il cristianesimo potesse affer­ marsi senza i Vangeli. Altrellanto impensabile d'altro canto, in quelle condizioni di tempo e di luogo, immaginare a Gerusa­ lemme qualcosa come una cancelleria apostolica evangelica, occu­ pata ad inviare ad ogni comunità un maestro munito di disposi­ zioni e di documenti scritti sotto forma appunto di vangeli. Negli Atti degli Apostoli, che abbracciano quel periodo meravi­ glioso del primo quarto di secolo della cristianità, non vi è ovvia­ mente traccia di qualcosa di simile; al contrario, un tutt'altro spirito si nota nella fondazione delle prime comunità. Ad inse­ gnare venivano inviati gli apostoli, non già gli scritti evangelici ... Tullo il nostro modo di rappresentarci gli evangelisti come degli scrittori eruditi (grammateis, scribae), intenti a raccogliere notizie e documenti, a integrarli, a correggerli, a collazionarli e a confrontarli tra loro, tutto ciò ci deriva da autori antichi e ancor piu dal paragone che essi fecero tra le loro condizioni e la loro mentalità e quella degli apostoli, ma decisamente rullo ciò è estraneo e lontano dallo spirito dei Vangeli... Inoltre tutto il loro alleggiamento dimostra che essi non si riallacciarono mai ad un cosiddetto protovangelo. Del resto, né la storia degli apostoli, né quella della Chiesa fanno mai cenno ad esso; nessun Padre della Chiesa, in occasione di dispute su

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falsi Vangeli, si richiama al protovangelo come alJa fonte ori­ ginaria della verità. È probabile tuttavia che questi evangelisti formassero per la loro istruzione orale dei circoli, all'interno dei quali nacque la prima narrazione, cosi come fecero gli apostoli all'inizio della loro predicazione . . . N e i nostri tre Vangeli si trovano, per esempio, l e medesime parabole, gli stessi episodi e discorsi e miracoli, dal che si de­ duce che la tradizione comune di questi rapsodi evangelici (se questo termine mi è concesso) si attenne preferibilmente a tali narrazioni. Spesso sono state usate perfino le stesse parole, e ciò si accorda bene con il carattere dei racconti orali, spesso ripe­ tuti, quasi una leggenda apostolica, come noi possiamo rilevare nelle prediche di Pietro c nelle lettere degli apostoli. Si trattava di vere e proprie sante leggende.

In una libera narrazio11c orale non tutto è libero allo stesso modo. Le sentenze, le massime piu note, le parabole si conser­ vano sempre negli stessi termini piu facilmente che le circostanze spicciole del racconto; è chiaro anche che il singolo narratore è lui a scegliere le formule c le espressioni di trapasso e di colle­ gamento. Ciò si rileva facilmente nei nostri Vangeli: certe espres­ sioni delle parabole, particolarmente forti, talvolta oscure, riman­ gono sempre le stesse, anche se talvolta con diverso significato. Invece le narrazioni divergono fra loro maggiormente nelle circo­ stanze, nei passaggi e nell'ordine degli avvenimenti . . .

I l Vangelo comune constava d i singole parti, narrazioni, para­ bole, detti, pericopi. È questo il quadro d'insieme che si ricava

dai Vangeli, anche se le singole parabole e leggende sono ordi­ nate in maniere diverse ... È una garanzia della verità del Vangelo, che esso consti di tali parti: poiché uomini, quali erano gli apostoli, ricordavano meglio un detto, una parabola, un apoftegma che li aveva im­ pressionati, che non dei discorsi organicamente collegati. Se si considera questo evangelista [ Marco ] solo come uno scialbo epitomatore di Matteo oppure come un modesto compi­ latore di Matteo e di Luca, senza un proprio scopo, e se, come di solito accade, lo si legge dopo Matteo, egli perde quasi del tutto il proprio valore; ma perché allora lo si legge? Se lo si considera a sé stante (come in effetti fu scritto), il Vangelo di Marco assume una posizione elevata in base a questo semplice principio: « Il Vangelo di Marco non è un sunto, ma un'opera

autonoma. Ciò che gli altri hanno di piu e di diverso è una loro caratteristica, non un'omissione di Marco. Insomma Marco è il testimonio di u11a versione originaria piu breve, ed il piu che si ritrova negli altri va considerato per quel che è, cioè un'aggiunta » . Non è forse questa l'ipotesi piu naturale? Non è forse vero

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Il Nuovo Testamento

che, abitualmente, ciò che è piu sobrio, privo di ornamenti, è anche piu originale e piu antico e che ad esso si vengono in se­ guito ad aggiungere ampliamente commenti, o anche soltanto abbellimenti, ornamenti e riempitivi?

Con questi giudizi sul significato e le forme della piu antica tradizione evangelica e sul carattere di testi­ monianza di tutti i Vangeli canonici, si può dire che Her­ der abbia riconosciuto per primo i problemi della ricerca storico-formale sui Vangeli. Se è vero forse che Herder poté essere influenzato, nella sua concezione degli evan­ gelisti come narratori di leggende orali, dall'ipotesi del filo­ logo F. A. Wolf sull'origine dei poemi omerici 38, tutta­ via piu essenziale appare la sua visione del carattere di testimonianza della piu antica tradizione cristiana, sulla base degli Atti degli Apostoli e la sua poetica capa­ cità di immedesimarsi nelle individualità letterarie de­ gli evangelisti. E nell'accentuazione del carattere pri­ mitivo del Vangelo di Marco e nell'ipotesi della co­ mune conoscenza, da parte di Matteo e di Luca, di ulteriori tradizioni, Herder ha posto le premesse per il riconoscimento della priorità di Marco e per la teo­ ria delle due fonti, anche se egli nega ogni connessione letteraria fra i nostri V angeli. Ma con tutto questo Herder proseguiva anche, in fondo, una piu ampia finalità storica e, in ultima ana­ lisi, teologica : egli voleva cioè affermare il principio che « il vero evangelo » si deve leggere nei Vangeli per il trami te della tradizione orale comune a tu tti gli evangelisti. Con ciò affiora qui anche il problema del Gesti storico, problema che però Herder non affronta, in quanto egli non è giunto a formarsi una chiara idea del valore delle fonti nei singoli Vangeli. Inoltre l8 Lo fanno notare C. H. Weisse, Die evangelische Geschichte kri­

tisch und philosophisch bearbeitet, vol. l, 1838, p. 1 0 e A. Hilgen­ feld, Der Kanon und die Kritik des Neuen Testaments, 1863, pp. 142, 146. F. A. Wolff, Prolegomena ad Homerum, vol. l, 1795, è del­

l'opinione che i poemi di Omero siano stati raccolti e scritti solo in epoche successive derivanti com'erano da canti singoli prima tramandati oralmente.

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comincia ad emergere il problema se la « religione a Gesti » , ossia la primitiva fede in Cristo, non debba essere ricondotta alla « religione di Gesti », ossia al peculiare rapporto di Gesti con Dio e all'amore fra­ terno, e si accenna cosi un problema che sarà dibattuto solo nel secolo XX ,. . Ciò che noi dunque dobbiamo leggere nei Vangeli è il van­ gelo stesso, ossia l'insegnamento, il carattere e l'opera di Gesu,

cioè le istituzioni che egli volle creare per il bene degli uomini. E poiché tutti e tre i libri appartengono ad un'unica tradizione, li considereremo nello stesso contesto. L'insegnamento di Gesti fu semplice ed alla portata di tutti gli uomini: Dio è vostro padre e voi siete tutti fra voi fratelli... Ciò che anche conferiva all'insegnamento di Cristo, con po­ che parole, un sentimento universale, una tensione spirituale illi­ mitata è ben espresso dal carattere di Gesu e dalle sue due qua­ lificazioni semplici e insieme perfette: egli era infatti Figlio di Dio e Figlio dell'uomo. Per il prediletto di Dio la norma piu alta era la volontà del Padre, stimolo insopprimibile a compiere le azioni piu difficili fino al sacrificio della propria vita. Dignità, onore, ricchezza, affronti immeritati, disprezzo: l'una cosa valeva per lui come l'altra; un'opera doveva essere compiuta, egli por­ tava in sé la vocazione a far l'opera di Dio; era l'antico ed eterno compito della provvidenza nei confronti del genere uma­ no: salvarlo e renderlo felice. Quest'opera egli la compiva come Figlio dell'uomo, cioè per puro dovere e per il fine piu alto della umanità ...

E questo carattere egli poneva indefettibilmente nella sua opera: poiché di un'opera si trattava, e non soltanto d'insegna­ mento. Sua vocazione e suo fine era costruire il regno di Dio,

ossia un'isti tuzione e una costituzione degne di Dio e degli uo­ mini, da estendere a tutte le nazioni . . . Nel procedere dei tempi la cosiddetta « religione [legata] a Gesti » deve dunque necessariamente, anche se impercettibilmente e inarrestabilmente, mutarsi nella religione di Gesti: II suo Dio è i l nostro Dio, il suo Padre è il nostro Padre! Chiunque contribuisce a trasformare la religione di Gesu da un semplice servizio di schiavi verso il padrone e dal penoso invocare « Signore, Signore >> in quell'autentico spirito dell'evan­ gelo, fatto di sentimenti di amicizia e di fratellanza, in quella partecipazione all'opera e ai fini di Gesu, spontanea, libera, frutto di intimo entusiasmo e quindi congeniale, chiunque fa questo si rende partecipe dell'opera di Cristo e la promuove.

39 l!erders siimtliche Werke, vol. XIX, cit.,

pp.

239, 242

s., 250.

114

Il Nuovo Testamento

L'ipo �esi di Herder di un originario vangelo orale venne ripresa e portata avanti dallo storico della Chiesa Johann Cari Ludwig Gieseler, che però siste­ matizzandola ne pose in luce le difficoltà 40• Gieseler ammetteva che il vangelo originario in aramaico si fosse « formato spontaneamente », che fosse poi stato tradotto in greco, sempre oralmente, e che in tale fase si fossero sviluppate due diverse versioni greche, dalle quali dipendevano i Vangeli sinottici. Quanto a Gio­ vanni, anch'egli si era rifatto a questo ciclo di narra­ zioni orali, ma la sua intenzione sarebbe stata quella di offrire, « ai cristiani forniti di cultura filosofica », « una visione esatta del cristianesimo ». Questa ipotesi presupponeva quindi l 'esistenza di ben tre distinte fonti orali, ma essa non perveniva a spiegare compiu­ tamente la concordanza lessicale nella forma greca di due o tre sinottici fra loro, cosiché diveniva del tutto problematica l 'ammissione di un ong1nario Vangelo orale, quale unica spiegazione dei rapporti esistenti fra i tre Vangeli sinottici. Ancor meno convincente appariva l'ipotesi for­ mulata da Friedrich Schleiermacher in sostituzione di quella del protovangelo. Questo autore aveva tentato di dimostrare, mediante un'accurata analisi del testo di Luca 4 1, che il Vangelo di quest'ultimo era soltanto una combinazione di racconti, in parte tramandati sepa­ ratamente e, in minor parte, collegati fra loro. In tal modo l'osservazione, di per sé esatta, circa l'originario carattere autonomo delle varie parti tradizionali dei sinottici non poteva però, in alcun modo, essere accor­ data con il dato di fatto della pressoché uguale succes­ sione degli eventi e del pressoché uguale tenore dei Van­ geli sinottici. Per contro Schleiermacher si è accostato a 40 ]. C. L. Gieseler, Historisch-kritiJcher Versuch uber die Ents­ tehung und die friihesten Schicksale der schri/tlichen Evangelien, Leipzig, 1 8 1 8 ; le citazioni da pp. 93, 137. > . La dra­ sticità di questo giudizio era però temperata dal fatto che Bretschneider dichiarava fin dal principio: « lo non dico che il Vangelo di Giovanni non sia autentico; dico che a me non sembra tale » 50• E non meraviglia che già quattro anni dopo, quando il suo libro aveva incontrato molteplici resistenze, Bretschneider dichiarasse che egli aveva formulato delle supposizioni « non perché esse dovessero in ogni caso restar valide, ma perché fossero 49 H. H. Cludius, Uransichten des Christentums nebst Untersuchun· gen uber einige Bucher des Neuen Testaments, Altana, 1808, pp. 50 ss. Analogamente Christoph friedrich Ammon nel 1 8 1 1 difende l'opinione che il nostro Vangelo di Giovanni sia la riclaborazionc dell'autentico Giovanni (Erlanger Ostcrprogramm, « quo docctur Johanncm Evangclii auctorem ab editore huius libri fuisse divcrsum »; cfr. ]. D. Schmidt, Die theologischen Wandlungen des Christoph Friedrich von Ammon, Diss. Erlangen, 1953, p. 39; cortese indicazione del dr. O. Merk). 50 C. Th. Brctschncider, Probabilia de evangelii et epistolarum ]oannis, apostoli. indole et origine eruditorum ;udicii modeste subjecit, le ipgiz, 1820; le citazioni a pp. VII, 1 13.

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esaminate e, qualora fossero trovate prive di fondamento, venissero respinte. Se io ho errato, è giusto che le mie ipotesi cadano e che rimanga in piedi la verità )) 51• La questione della concordanza fra sinottici e Van­ gelo di Giovanni era stata comunque posta con questa negazione della provenienza apostolica del quarto Van­ gelo, e prima o poi avrebbe preteso una risposta. E anche il problema critico circa la validità delle deriva­ zioni tradizionali degli scritti neotestamentari doveva necessariamente finire per estendersi ad altri scritti fino ad allora non contestati: H. H. Cludius che, come abbiamo appena visto, negava l'origine apostolica del Vangelo di Giovanni, sostenne che la Prima lettera di Pietro è opera di un cristiano di origine pagana e di epoca post-apostolica, in quanto la sua forma non è chiaramente riconducibile allo stile di Pietro. E due decenni piu tardi, Wilhelm Martin Leberecht de Wette affermava che i dubbi sull'origine paolina della Seconda lettera ai Tessalonicesi e della Lettera agli Efesini non parevano del tutto privi di fondamento, pur non osando egli negarne ancora l'autenticità 52• Tutta questa problematica, che sottopone ad un esame rigorosamente storico gli scritti neotestamentari, presi sia singolarmente sia nel loro complesso, trovò una SI « Einige Bemerkungen :u den Aufsatun des flerrn D. Go/dhorn ... iiber das Schweigen des ]ohanneischen Evange/ium von dem See/enkampf ]esu in Gethsemane; von Breitschneider », Magazin fiir christlichc Pre­ diger, a cura di H. G. Tzsch.irner, vol. I I , 2, Hannovcr-Lcipzig, 1824, pp. 153 ss. (la citazione da p. 155). Nella autobiografia Aus meinem Leben, Go1ha, 185 1 , pp. 1 19 s., Breitschnciùer afferma: « Non ho in­ teso rispondere a nessuno ed ho lasciato il giudizio al libero corso del mondo dei dotti »; sottace quindi d'aver accettato pubblicamente la confutazione della sua tesi critica. sz H. H. Cludius, Uransichten des Christentums, cit., pp. 296 ss.; pp. 296 ss.; W. M. L. de Wette, Lehrbuch der historisch-kritischen Ein/eitung in die kanonischen Biicher des Neuen Testaments, Berlin, 1830', pp. 231, 262 ss. De Wette però nella 5' edizione della sua Ein­ /eitung ( 1848) ha chiamato la Lettera agli Efesini « l'opera di un imi­ tatore », e pill tardi ha ritenuto non autentiche anche le lettere pasto­ rali, la Lei/era di Giacomo e la Seconda /el/era di Pietro ( vedi R. Smenù, W.M.L. de Wettes Arbeit am Alten und am Ne11en Testament, 1958, pp. 156 ss.).

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sua prima sintesi nell'opera in cinque volumi di J. G. Eichhorn Einleitung in das Neue Testament 5 3 • Eichhorn tratta di seguito le condizioni dell'origine e formazione dei singoli libri, la storia della raccolta dei libri medesimi e le questioni testuali, e da parte sua si mostra un cri­ tico assai prudente. Infatti, circa le lettere pastorali, egli contesta recisamente solo l'autenticità della Seconda lettera di Pietro, mentre lascia aperta la questione per la Lettera di Giacomo, la Lettera di Giuda e per la Prima lettera di Pietro. Per quanto concerne i sinottici la questione dell'autenticità diviene per lui quasi del tutto trascurabile, in quanto il valore storico di questi Vangeli dipende interamente dalle diverse forme prece­ dentemente ipotizzare del protovangelo non apostolico. Piu importante appare il fatto che Eichhorn, a differenza di Michaelis, affermi per la prima volta con tutto rigore che la ricerca delle condizioni originarie della forma­ zione del Nuovo Testamento e dei suoi scritti deve essere tenuta completamente separata dalle questioni dell'ispira­ zione. Egli poi dimostra con metodo storico che anterior­ mente alla prima metà del II secolo non vi fu alcuna raccolta di testi neotestamentari, e afferma persino: « Circa la identificazione della raccolta di documenti religiosi fatta da Marcione e divenuta poi famosa nell'am­ bito della Chiesa cattolica, sembra che essa abbia avuto origine nella Chiesa ortodossa » 54• Egli riconosce anche chiaramente che la definizione del Canone ebbe luogo, mediante decreti della Chiesa, nel IV secolo, e che, in questa procedura, decisivo per l 'ammissione di uno scritto nel Canone era il riconoscimento indiscusso dell'origine apostolica dello scritto stesso. E, spingendosi oltre, egli stabilisce anche il principio che noi - al contrario della Chiesa antica - possiamo considerare apostolici anche resti che non furono scritti da un apostolo, ma che sono in concordanza con l 'insegnamento apostolico. Con ques� ]. G. Eichhorn, Einleitung in das Neue Testament, 5 voli., . Leipzig, 1804-1827. 54 Ibidem, vol. IV, 1827, p. 25.

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sto Eichhorn sembra potersi affiancare a Schleiermacher nell'affermazione che solo il contenuto di uno scritto neo­ testamentario è decisivo per definirne l 'autorità. Senon­ ché subito dopo egli ritorna improvvisamente sui suoi passi, attribuendo solo agli scritti degli apostoli il rango di fonti primarie della fede. Da ciò si vede che anche per Eichhorn la questione letteraria non è ancora completa­ mente concepita come storica e il senso teologico di tale questione rimane ancora da scoprire 55• � l'insegnamento di Gesu contenuto negli scritti degli apo· stoli e non la sua presentazione nel Nuovo Testamento acl aver prodotto grandi effetti sulla terra; quello venne da Dio, questa dagli uomini. Da dove deriverebbe altrimenti il fatto che in ogni scritto del Nuovo Testamento si può riconoscere l'individualità del suo autore, se non dal fatto che ciascuno ha trasformato la materia a lui trasmessa da Gesu secondo il proprio stile, la propria forza di immaginazione e la propria capacità di pensiero? . . . Essi non chiedono che per i loro scritti siano applicate nor· me di critica esegetica diverse da quelle che servono per gli altri scrittori umani. Dunque, per quanto io mi inchini rispettoso da­ vanti a voi, o santi uomini, ai quali noi siamo debitori di scritti di cosi incommensurabile efficacia, ciò non significa che la mia venerazione per quanto avete scritto debba trasformarsi in una sorta di superstiziosa adorazione, fino al punto di credermi a torto colpevole di temerario furto sacrilego per il solo fatto di aver cominciato ad illuminare il vostro santuario secondo i prin· cipi della critica umana. No, gli scri tti de: Nuovo Testamento devono essere letti umanamente ed umanamente esaminati. Si può quindi, senza tema di dare scandalo, ricercare i modi della loro origine, sottoporre ad esame gli elementi del contenuto, ss Ibidem, vol. IV, cit., pp. 8 s., 67 s. Una posiZione ancor meno chiara assume W. M. L. de Wette, Lehrbuch der historisch-kritischen Einleitung, ci t . , il quale non offre nessuna storia del Canone e afferma per tutte le tre lettere pastorali che dal punto di vista storico non pos­ sono considerarsi leuere di Paolo; i dubbi critici però non sono suffi­ cienti per far crollare la fede nell'autenticità delle lettere, poiché « non è neppure il caso di dire che questi documenti dell'età apostolica . . . possano venir tolti dal Canone » ( Lehrbuch der historisch-kritischen Einleitung, cit. , p. 288). Cfr. su ciò R. Smend, W.M.L. de Wettes Arbeit, cit., pp. 159 ss., 180 ss. (de Wette poi dal 1844 ha dichiarato inequi,·ocabilmente non autentiche le lettere pastorali ; vedi R. Smend, p. 161 ).

" 1 22

Il Nuovo Tes/amento

argomentare intorno alle fonti dalle quali sono sgorgati i primi insegnamenti. Quanto piu precisa sarà la critica, quanto piu se­ veri i giudizi, tanto meglio sarà. Soltanto la critica può dar conto dei concetti basilari di que­ sti libri che devono servire come regula /idei. La Chiesa aveva certo ragione allorché ammise che il piu puro insegnamento cri­ stiano lo si doveva attendere dagli apostoli; ma per questo non era assolutamente necessario che i Vangeli fossero stati scritti proprio dagli apostoli; a tale scopo potevano infatti servire anche testi la cui concordanza con l'insegnamento apostolico fosse suf­ ficientemente garantita. Lo si era visto chiaramente già nei primi secoli dell'era cristiana, altrimenti non sarebbe stato possibile che i Vangeli di Marco e di Luca trovassero posto nel Canone. Ma i primi cristiani erravano nel limitare il criterio di concordanza con l'insegnamento apostolico al solo fatto che gli scritti fossero stati redatti sotto il controllo di un apostolo. In effetti, sulla base di tale premessa, essi erano stati condotti all'ipotesi anti­ storica che Marco avesse scritto sotto il controllo di Pietro e Luca sotto quello di Paolo. Può infatti bastare allo scopo che gli autori, in qualità di contemporanei e di compagni degli apostoli, siano stati in grado di conoscere con esattezza gli elementi sto­ rici e dogmatici dell'insegnamento cristiano, cosi che un accurato confronto dei loro scritti con quelli degli apostoli lasci chiara­ mente trasparire la concordanza dei primi con i secondi. Sulla base di questo confronto, tuttavia, i documenti religiosi possono essere suddivisi in due categorie. Un esame è sempre necessario per entrambe, onde stabilire il loro valore come fondamento dt fede. La differenza deriva anche dal tipo di esame: gli scritti apostolici possono essere esaminati per se stessi, nel senso che non occorre siano messi a paragone se non con la tradizione che li concerne; per contro gli scritti dei compagni degli apostoli debbono essere esaminati alla luce e della tradizione che li con­ cerne e del contenuto degli scritti apostolici . I primi infatti par­ lano come testimoni che hanno visto e udito di persona; i se­ condi solo come narratori degni di fede ; quelli sono debitori sol­ tanto a se stessi del contenuto delle loro opere, questi ad una autorità esterna, se pur indiscussa. Perciò quelli hanno, come fonti di fede, un valore superiore a questi.

3. Lz storia del cristianesimo primitivo e del suo uni­

verso di pensiero

Per quanto tutte le ricerche letterarie, delle quali abbiamo fin qui riferito, dimostrino già un chiaro inte-

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resse all'inserimento degli scritti neotestamentari nella storia del cristianesimo primitivo, soltanto con la ricerca sulle origini dei Vangeli si è in modo particolare mani­ festata l'intenzione di arrivare alla scoperta del piu antico universo di pensiero che fu proprio del cristianesimo primitivo, seguendo la traccia della piu antica tradizione evangelica. In tal modo il problema della storia del cri­ stianesimo primitivo è venuto alla luce in stretta connes­ sione con quello del Gesu storico. Il primo impulso fu dato, del tutto involontariamente, da Hermann Samuel Reimarus. Questo professore di lingue orientali nel liceo di Amburgo, « per mettersi in pace con la sua coscien­ za » 56, aveva scritto un'ampia critica del cristianesimo dal punto di vista del radicale deismo inglese, ma aveva sempre tenuto quest'opera strettamente segreta. Lessing aveva avuto notizia di questo manoscritto ad Amburgo e ne aveva portato con sé a Wolfenbi.ittel la prima reda­ zione, della quale aveva poi pubblicato in tempi succes­ sivi sette frammenti. Da ultimo nel 1 778 era apparso il trattato Von dem Zwecke ]esu und seiner ]ii.nger, che contiene la ricostruzione della storia del cristianesimo pri­ mitivo condotta da Reimarus. In essa l'autore cerca di dimostrare che vi sono forti motivi "' , Reimarus è stato considerato a piu ri­ prese uno dei fondatori della ricerca storica intorno a Gesu. Ciò appare senza alcun dubbio una sopravvaluta­ zione della critica di Reimarus, il quale in parte accoglie largamente il pensiero dei deisti inglesi 61 e in parte inventa di sana pianta i due principali motivi della sua ricostruzione storica, quello del carattere politico della predicazione di Gesu e quello dell'inganno architettato n Vcm dem Zwecke ]esu und seiner ]iinger, vol. I . par. 3, 30; vol. II, par. 53 (in Lessings Werke, cit., vol. XXII, pp. 212, 259, 308 s.). 58 A. C. Lundsteen, H. S. Reimarus, cit., pp. 1 4 s. Ancora D. F. Strauss parla solo del « Wolfenbiittler Fragmentist (il frammentista di Wolfenbiittlcr) ». ·10 ]. S. Semler nel dialogo simulato nell'appendice del suo scritto Beantwortung der Fragmente eines Ungenannten insbesondere vom Zweck ]esu und seiner ]iinger (Halle, 1779) paragona Lessing ad un uomo che trova una candela accesa nella sua soffitta e che non la spegne m a con della paglia attizza il fuoco, per evitare cosi che l'in­ cendio scoppi di notte, e lascia aperto il problema di quale sia stato il vero scopo di Lessing quanto ai frammenti (cfr. A. C. Lundsteen, H. S. Reimarus, cit., pp. 149 ss., e W. von Loewenich, Luther und Lessing, Tiibingcn, 1960, pp. 9 ss.). "' D. F. Strauss, Gesammelte Schriften, vol. V, p. 398; A. Schwei­ tzer, Geschichte der Leben-Jesu-Forschung, Tiibingen, 19132, p. 23. ot P. Wernle, in « ThLZ •, XXXI ( 1906), p. 502; A. C. Lundsteen, H. S. Reimarus, cit., pp. 108 ss., in 137 ss.

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dai discepoli dopo la morte del maestro. Ma il significato della pubblicazione dei frammenti di Reimarus è da ricercarsi molto piti nel fatto che, a cominciare da lui, il compito storico di separare il Gesti storico dal Gesti della predicazione nelle comunità primitive diventa ormai inevitabile per vaste cerchie culturali, e che con ciò viene ad essere posto contemporaneamente il problema di quale ruolo spetti a Gesti ne! distacco del cristiane­ simo dal giudaismo. Tuttavia ancora per lungo tempo non si riusd ad afirontare realmente il problema storico posto da Rei­ marus. Allorché J. S. Semler con la sua ampia e profonda Beantwortung der Fragmente eines Ungenannten rinfac­ ciava a Reimarus che per lui le contraddizioni sarebbero derivate dal fatto che « la narrazione di un evangelista doveva essere vera come quella di un altro >> , mentre sarebbe stato opportuno rifarsi alla diversità fra i singoli autori dei Vangeli (in altri termini, sarebbe stata neces­ saria una seria critica delle fonti) 62, egli sollevava l'obie­ zione veramente decisiva contro il metodo dello stesso Reimarus. Semler avrebbe inoltre voluto distinguere « fra i due tipi di insegnamento che compaiono contempora­ neamente nei Vangeli >> : quello « immaginoso, rivolto ai sensi », che era destinato a facilitare la comprensione agli Ebrei, e « quell'altro modo », che ha già in sé > . Ecco quindi che il problema della presentazione storica del­ l'annunzio paolino e del suo inserimento nell'evoluzione del crisitanesimo primitivo è stato posto da Usteri, anche se non è stato ancora realmente affrontato. Era poi del tutto ovvio che venisse presa in conside­ razione anche l'esposizione delle idee teologiche degli scritti giovannei. A ciò si giunse però con molta lentezza e fatica 7 1 ; infatti soltanto nel 1839 apparve un'estesa 1 1 Vedi E. Reuss, Histoire de la théologie chrétienne, vol. Il, cit.,

pp. 280 s.

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trattazione della teologia giovannea ad opera di K. From­ mann professore a Jena. E da questo ampio lavoro, che utilizza e valorizza l'intera ricerca svolta fino ad allora, si comprende abbastanza facilmente che cosa ostacolava, in fondo, una presa di coscienza del problema. È pur vero che fin dal tempo di Herder si era consapevoli della necessità di separare la presentazione che di Cristo fa Giovanni da quella che ne fanno i sinottici, ma nessuna idea chiara si aveva circa la posizione storica del Vangelo di Giovanni rispetto agli altri. Pertanto Frommann parte dalla concezione contraddittoria che si possa distinguere fra :i discorsi di Gesti riprodotti fedelmente e le massime proprie dell'evangelista; successivamente, tuttavia, egli tenta ancora - e a dire il vero in modo assai confuso di stabilire una differenza fra i discorsi di Gesti fedel­ mente riprodotti e quelli alterati da Giovanni. L'inten­ zione di fare oggetto della trattazione non i discorsi di Gesti, ma la visione teologica di Giovanni stesso (From­ mann trascura del tutto l'Apocalisse ) ha per conseguenza che il prologo del Vangelo appare come la fonte piti importante, e che inoltre l 'intera esposizione viene divisa in due parti principali: « Del Logos prima della sua incarnazione » e « Del Logos incarnato >> . Ora una tale esposizione attiene sostanzialmente a un sistema, piti che a una vera ragione esplicativa e, malgrado il sempre ripe­ tuto confronto su ogni punto con il resto del Nuovo Testamento, si può dire che viene a mancare il tentativo di un inserimento del pensiero giovanneo in quest'ultimo. Solo dal confronto « della cristologia sinottica con quella giovannea » appare che « quella sta a questa come il seme al fiore >> . Cosi, dunque anche qui il problema di un'esposizione storica dell'universo del pensiero giovan­ neo è stato da Frommann avvertito, ma non risolto 72•

72 K. Frommann, Der ]ohanneische Lehrbegrif! in seinem Verhiilt· nisse zur gesamten biblisch-christlichen Lehre, Leipzig, 1839, pp. 48, 73 s., 82, 505.

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4. La teologia biblica Se dunque, mirando a un esame storico del Nuovo Testamento si era cominciato ad affrontare da una parte i problemi letterari dei singoli scritti neotestamentari e dall'altra le varie forme dell'annuncio evangelico, ne risultava necessariamente l'esigenza di prendere in con­ siderazione come problema storico anche l'universo di pensiero proprio del Nuovo Testamento, nel suo com­ plesso. A dire il vero, già nei secoli XVII e XVIII erano stati raccolti i passi biblici basilari per la dogmatica, che erano poi stati ordinati secondo criteri, appunto, esclusivamente dogmatici 73• E già nel 177 1 il teologo di Gottinga G. T. Zacharia aveva dato alle stampe una Biblische Theologie che intendeva esporre gli argomenti biblici della dogmatica ai fini d'una critica di quest'ul­ tima; tuttavia quest'opera non solo poneva sullo stesso piano Antico e Nuovo Testamento, ma non teneva alcun conto di un'evoluzione storica ed assumeva come premessa, senza alcun esame critico, la piena unita­ rietà dell'intera dottrina biblica 74• Ma -solo con la pro­ lusione tenuta nel 1787 ad Altdorfer da Johann Philipp Gabler, un allievo di J. C. Eichhorn, vennero poste le basi per la distinzione fra teologia biblica e teologia dogmatica. Secondo Gabler la teologia biblica riveste carattere storico e perciò non partecipa dei mutamenti della teologia dogmatica, la quale invece si adatta ai 73 Vedi i titoli in F. C. Baur, Vorlesungen iiber Neutestamentliche Theologie, 1864, p. 3. Sulla storia del concetto di « teologia biblica », dr. G. Ebeling, Was heisst "Biblische Theologie? ', in Wort und G/aube, 1960, pp. 69 ss., il quale dimostra come il concetto theologia biblica sia sorto all'inizio del secolo XVII. 74 G . T. Zachariii. Biblische Theologie, oder Untersuchung des biblischen Grundes der vornehmsten theologischen Lehren, 4 voll. Gottingen-Kiel, 1771-1775. Ecco la definizione che Zachariii dà della teologia biblica: « Per una teologia biblica io intendo soprattutto una precisa determinazione di tutte le dottrine teologiche insieme a tutte le tesi attinenti, ed una retta intelligenza di queste ultime suffragata da concetti biblici, secondo le prove tratte dalla Sacra Scrittura • (vol. I, p. 1 ). Cfr. F. C. Baur, Vor/esungen iiber Neutestamentliche Theo­ logie, cit., pp. 4 ss.

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tempi. Compito della ricerca intorno alla teologia biblica è pertanto la raccolta e la suddivisione delle opere degli scrittori biblici; solo sulla base dei risultati di tale rac­ colta sarà poi possibile distinguere fra ciò che è perma­ nentemente valido, e quindi utilizzabile ai lini dogmatici, e ciò che rimane storicamente legato alle particolarità storiche 75• La teologia biblica riveste carattere storico, in quanto ci tra­ manda ciò che gli autori sacri hanno pensato sulle cose divine; la teologia dogmatica per contro riveste un carat tere didattico, in quanto insegna ciò che ciascun teologo, secondo la propria intelligenza, secondo le circostanze di tempo e di luogo, secondo la sua appartenenza a sette, scuole, correnti di pensiero, e cose analoghe di tale sorta, ha filosofato con la sua ragione intorno alle cose divine. Quella, per sé considerata, rimane sempre uguale, poiché argomenta storicamente (sebbene anch'essa, a seconda della capacità dei singoli autori, sia presentata dagli uni in un modo e dagli altri in un altro). Questa, come le altre discipline umane, va soggetta a molteplici variazioni, e ciò è dimostrato piu che a sufficienza dali 'osservazione costante e protratta per tanti secoli ... Però gli scrittori sacri non sono, a dire i l vero, tanto mu tevoli da rivestire i modi e le forme cosi svariate della disci· plina teologica. Con ciò non voglio dire che tutto nella teologia debba essere riguardato come malsicuro e dubbio e nemmeno che tutto debba essere permesso alla volontà umana. Quanto vado dicendo mira solo ad affermare che noi dobbiamo distinguere accuratamente il divino dall'umano e porre inoltre una separa­ zione fra teologia biblica e dogmatica. E, dopo che avremo messo da una parte tutto ciò che nei libri sacri si riferiva ed era valido solo per gli uomini e per i tempi in cui essi furono scritti, dG­ vrcmo rivolgere la nostra osservazione filosofica solo a quelle parti che la divina provvidenza volle mantenere valide per tutti i tempi e per tutti i luoghi a fondamento della religione. Cosi perverremo a delimitare con maggior cura il campo della sa­ pienza umana e divina . . . L a prima cosa importante i n questo studio, è dunque che noi raccogliamo con la massima cura i sacri dogmi e, se questi non . 15 J. Ph. Gabler, De iusto discrimine theologiae biblicae et dogma­ t.icae regundisque reele ulriusque finibus, Alrdorf, 1787, in ]o Phil. Gableri Opuscula Academica, vol. II, Ulm, 1831, pp. 179 ss. (le citazioni dalle pp. 183-187, 190-193). Or. in merito R. Smend, ]ohann Pbilipp Gablers Begriindung der biblischen Theologie, in « EvTh », XXII ( 1 962), pp. 345 ss. e K. Leder, Universitiil Altdorf. Zur Theologie der .4ufk/ii,.ung in Franken, 1965, pp. 284 ss.

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si trovano espressi negli scritti sacri, noi li dovremo comporre e riunire attraverso le comparazioni fra i diversi testi. Affinché poi tutto proceda con ordine e non a casaccio, sarà necessaria molta prudenza e circospezione. Anzitutto occorre tenere presente quan­ to segue: in queste Sacre Scritture non sono contenute le opi­ nioni di un solo uomo e neanche di una stessa epoca e della stessa religione. È vero, si, che tutti gli autori sacri sono uomini di Dio e corroborati dalla divina autorità; però non tutti hanno dinanzi agli occhi lo stesso genere di religione: gli uni sono maestri secondo l'antica ed elementare forma d'insegnamento, che lo stesso Paolo designa con il nome =wxà O""totxEloc [ ele­ menti poveri ] ; altri sono maestri secondo la piu recente e mi­ gliore forma cristiana d'insegnamento. Perciò, ai fini dell'uso dogmatico che noi ci proponiamo, gli scrittori sacri non possono essere tutti considerati alla stessa stregua, anche se rutti sono degni del nostro rispetto, per riguardo all'autorità divina che vi è impressa. Non occorrono infatti molte parole per comprendere che la teopncustia [ ispirazione divina] non ha annullato in cia­ scun uomo santo, la forza propria dell'intelletto e il modo natu­ rale di giudicare delle cose. Per concludere, se la questione è soltanto questa: che cosa questi uomini abbiano pensato in me­ rito alle cose divine, e se ciò - lasciando da parte l 'autorità divina - possa essere riconosciuto dai loro scritti, io riterrei sufficiente - per non dover trattare qualcosa, che ha bisogno di prova, come già riconosciuto - passar sopra, almeno nella fase di ricerca preliminare, alla dottrina dell'ispirazione divina, que­ stione che potrebbe semmai essere affrontata successivamente, allorché si tratti di utilizzazione dogmatica delle rappresenta­ zioni bibliche. Ciò sempre che non venga in discussione l 'auto­ rità con la quale questi uomini hanno scritto, ma soltanto ciò che essi hanno pensato. Ciò premesso, se non vogliamo lavorare a vuoto, dobbiamo anzitutto separare i singoli periodi dell'antica e della nuova reli­ gione, poi distinguere i vari autori, infine le varie forme di di­ scorso che ciascuno di essi ha impiegato, secondo i tempi e i luoghi e i vari generi letterari, ossia lo storico, il didattico, il poetico. Se noi abbandoniamo questa giusta via, per quanto dif­ ficile ed aspra possa essere, è probabile che ci smarriamo su qual­ che sentiero malsicuro. Dobbiamo dunque raccogliere con cura tutti gli scritti dei singoli, raggrupparli e metterli al loro posto: quelli dei patriarchi, quelli di Mosè, di David e Salomone, quelli dei profeti, e cioè di ciascuno di essi, Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele, Osea, Zaccaria, Aggeo, Malachia, ecc_ In questa fase dello studio non sono, per diversi motivi, da disprezzare neanche gli apocrifi. Dopodiché, in relazione alla nuova forma dell'inse­ gnamento, raccoglieremo le idee di Gesu, di Paolo, di Pietro, di

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Giovanni e di Giacomo. Tale lavoro si svolgerà principalmente in due fasi: la prima d'interprcralionc dci singoli passi perri· nenti, la seconda di raffromo delle varie idee degli autori sacri fra di loro ... Una volta, dunque, che rutte le opinioni degli uomini di Dio saranno state accuratamente raccolte dalle Sacre Scritture, ordi­ nate, inquadrate nei concetti generali e raffrontate fra di loro, si potrà passare con profitto ad una ricerca sulla loro utilità ai fini dogmatici e sulla definizione piu esatta dei confini fra teolo­ gia biblica e dogmatica. A questo riguardo si dovrà soprattutto stabilire quali di queste idee si riconnettano in modo perma· nente all'insegnamento cristiano, e quindi ci tocchino diretta· mente, e quali si addicano invece solo agli uomini di una deter· minata epoca e siano state dettate secondo una determinata for­ ma di insegnamento. È infatti accettato che l'intera materia degli scritti sacri non è destinata a tutti gli uomini ma che, in· vece, gran parte di essi, secondo il consiglio e il disegno di Dio, è stata concepita per un dato luogo, una data epoca e per un dato genere di uomini. Chi infarti, mi chiedo, potrà mai far rife­ rimento ai riti mosaici, che già erano stati posti in disuso da Cristo, e chi vorrà qui richiamarsi agli ammonimenti di Paolo circa le donne, che debbono andare velate nella sacra assem­ blea? Le idee dell'insegnamemo mosaico che non sono state con­ fermate d� Gesu e dai suoi apostoli, e che non sono giustificate dal comune discernimento, non possono perciò essere di alcuna utilità dogmatica. Allo stesso modo si dovrà ricercare altresf che cosa nei libri del Nuovo Testamento sia conforme alle idee e alle necessità del primitivo mondo cristiano e che cosa invece sia da riguardare come permanente insegnamento di salvezza, che cosa nelle parole degli apostoli sia veramente divino e che cosa sia casuale e puramente umano ... Quando tutto ciò sarà stato esattamente meditato ed accu­ ratamente accertato, potranno finalmente essere selezionati e resi chiari quei passi della Sacra Scrittura, i quali - senza che i loro testi siano in alcun modo posti in discussione - si ricollegano direttamente alla religione cristiana di ogni tempo ed esprimono con chiare parole una forma di fede veramente divina; parole, che, a ragione, possono dirsi classiche, e che quindi possono es­ sere poste a fondamento di una chiara ricerca dogmatica. Quando queste ampie rappresentazioni saranno state elabo­ rate, mediante una retta imerpretazione, su quelle classiche pa· role e, una volta elaborate, saranno state convenientemente fra loro raffrontate e, una volta raffrontate, saranno state collocate nel posto che loro compete, in modo tale che da esse si possa ricavare un ordine e una concatenazione degli insegnamenti di­ vini, allora si otterrà effettivamente una « teologia biblica " che

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corrisponda al preciso significato delle parole, scopo questo che, come è noto, venne perseguito dal defunto Zacharia nella reda­ zione della sua famosa opera. E quando poi alla teologia biblica saranno state date solide basi - nel senso preciso da noi inteso e nel modo che fin qui abbiamo descritto - non andremo dietro a idee incerte, ma costruiremo una teologia dogmatica adeguata al nostro tempo.

Con queste sue dichiarazioni programmatiche Gabler ha non solo posto chiaramente l'accento sul carattere storico della « teologia biblica », ma ha altresf ricono­ sciuto e compreso la necessità della preparazione delle singole forme di insegnamento, disposte secondo l'ordine storico, cosicché soltanto dalla seria considerazione di tale storica realtà emerge il carattere normativa degli scritti biblici. Tuttavia Gabler non ha poi concretamente affrontato quella esposizione della teologia biblica, che egli stesso aveva postulata, anche se ha contribuito, almeno in via preliminare, alla soluzione del problema con la elaborazione di una visione piu ampia. Già il suo maestro J. C. Eichhorn aveva trasferito, prima nell'An­ tico e poi anche nel Nuovo Testamento, le concezioni che, circa i miti, aveva Christian Gottlob Hevne ( 1 7291 8 1 2 ), filologo classico di Gottinga, intende ndoli come forme di rappresentazione e di espressione caratteristiche dell'infanzia del genere umano; Gabler ha ripreso e svi­ luppato queste idee di Eichhorn 76• Secondo questi stu­ diosi, dunque le rappresentazioni mitiche degli scrittori biblici sono forme interpretative primitive del meravi­ glioso, del quale non si comprendono le cause. Una tale teoria venne poi estesa, da Eichhorn per la prima volta, al Nuovo Testamento e impiegata per la spiegazione degli eventi miracolosi 77• lo Questa prova viene fornita prima da Chr. Hartlich e W. Sachs, Der Ursprung des Mythosbegriffs in der modernen Bibelwissenschaft, 1952, pp. 11 ss. Or. anche II. }. Kraus , Geschichte der historisch­ kritischen Er/orschung des Alten Testaments, 19692, pp. 147 ss. (trad. it., L'Antico Testamento nella ricerca storico-critica dalla Riforma ad oggi, Bologna, 1975). 77 Cfr. per es. J. G. Eichhorn, Ober die Engelserscheinungen in

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Atti degli Apostoli, 12, 3-1 1 . La notizia della liberazione dell'apostolo Pietro dal carcere è riportata in modo tale che, sulle prime, si ha l'impressione che lo stesso Pietro non si sia reso conto del modo in cui essa era avvenuta. Soltanto allorché egli si trovò solo e abbandonato in mezzo alla strada, tornò a percepire la realtà delle cose; ma per rispondere all'interrogativo circa il modo in cui tanto facilmente e presto era uscito dal car­ cere, egli non seppe dir altro che un tale rapido mutamento della sua condizione non poteva essere opera solo della divina provvidenza . . . Di tutte l e cose che gli erano accadute non gli restavano in mente che quelle che lo avevano colpito in modo piu brusco e violento: lo scuotimento all'atto del risveglio, la rimozione dei ceppi, l'avvolgersi nel mantello, il facile aprirsi della porta esterna al carcere. Di piu non sapeva circa l'accaduto. Da un tale corso degli eventi consegue per noi che in questa pericope non ci tro­ viamo di fronte ad un racconto storico circa il modo reale della sua liberazione, ma ad una narra�ione redatta secondo il modo di pensare ebraico. La mano visibile della provviden�a lo aveva liberato: questa

era la conclusione a cui Pietro doveva necessariamente arrivare. La teologia giudaica, che pone sempre accanto alla provvidenza una quantità di angeli, per l'esecuzione dei suoi fini, poteva espri­ mere tutto questo solo immaginando un angelo del Signore che aveva condotto Pietro con sé fuori della prigione. E nel mo­ mento stesso in cui si sceglieva questo mezzo di espressione, anche tutto l'accaduto, lo scuotimento, la voce, la guida, ecc. do­ veva essere attribuito all'angelo. Insomma anche qui si devono distinguere il fatto ed il suo rivestimento di carattere ebraico, e allora tutto il racconto segue il suo semplice corso naturale, non interrotto da alcun miracolo. A qualcuno potrà forse ancora apparire sorprendente che oltre che dell'angelo sia fatto cenno della luce inondante la cella (12, 7 : « e una luce illuminò la cella >>). Ma anche questo fatto può essere spiegato in molti modi. Secondo me, questo particolare è da attribuire all'imma­ gine dell'angelo, che un ebreo poteva raffigurarsi soltanto pen­ sando a una creatura avvolta nello splendore della luce, in quanto figura celeste. Perciò non appena egli pensò ad un angelo, venuto di notte nel buio del carcere, non poté che sentirsi tutto illuminato dal suo fulgore. Insomma, di per sé « l'angelo del Signore » non conduce an-

der Apostelgeschichte, in « Allgemeine Bibliothek der biblischen Lite­ ratur », I I I ( 1790), pp. 381 ss.; da qui la citazione, pp. 396-399. Cfr. in merito a questi pri ncipi di enneneutica di Eichhom O. Kaiser, Eichhorn und Kant, in Das ferne und nahe Wort, in Festschrift L. Rost, Berlin, 1967, pp. 1 1 4 ss.

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cora a qualcosa d i miracoloso: non sta a d indicare altro che una liberazione del tutto insperata, operata dalla provvidenza. Ma poiché Pietro stesso non sapeva esattamente ricostruirsi la vera natura del suo salvataggio, a maggior ragione non saremo in grado di farlo noi.

Se dunque Eichhorn aveva ricondotto la spiegazione mitica >> di un avvenimento in sé naturale alle primitive forme di espressione di quel tempo, J. Ph. Gabler giu­ stificò la necessità di una tale spiegazione con il compito dei moderni esegeti, che consiste nell'acclarare non solo quanto è affermato nelle Scritture, ma altres[ quel tanto di realtà storica e concreta che vi si nasconde. Gabler offre un esempio particolarmente significativo di questo me­ todo con la storia della tentazione di Gesu, per la quale secondo lui non è sufficiente stabilire che gli evangelisti hanno inteso la tentazione come opera vera e propria del demonio; è invece necessario chiedersi ancora come si sia giunti a questa rappresentazione mitica, per poter poi chiarire l'originario stato delle cose. Gabler afferma espli­ citamente che vi è ragione di parlare di miti anche per il Nuovo Testamento, in quanto anche la storia primi­ tiva del cristianesimo appartiene all'antichità; essa poi venne in origine tramandata oralmente ed è quindi piena di racconti miticamente immaginosi. Secondo Gabler soltanto questa intuizione consente di separare la vera « rivelazione >> dal complesso delle forme di espressione di quel tempo. E con ciò viene ad essere riconosciuta in tutta chiarezza non soltanto la realtà del linguaggio mi­ tico nel Nuovo Testamento, ma anche il problema della sua effettiva interpretazione 78 • «

78 ]. Ph. Gabler, Ober den Unterschied xwiJchen Auslegung und Erklarung erliiutert dureh die verschiedene Behandlungsart der Versu­ chungsgeschichte ]esu, in « Neuestes Theologische Journal », VI ( 1800), pp. 224 ss.; ristampato in Kleinere theologische Schriften, vol. I , 1 8 3 1 , pp. 2 0 1 ss.; secondo quest'ultima edizione l e citazioni, pp. 201-205, 207, 210, 212 s.; 1st es erlaubt in der Bibel, tmd sogar im N.T. Mythen anzunehmcn?, in « Journal fiir auserlcscne theologische Litera tu r » , II ( 1 806), pp. 43 ss.; ristampato in Kleinere theologische Schri/ten, vol. I , cit., p p . 698 ss.; da qu i l e citazioni, pp. 699-706. Piu diffusamente in

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Se l'interpretazione non deve essere altro che l'esposizione

del senso inteso da un autore, cioè di quello che egli ha pensato e voluto esprimere con il suo discorso, allora l'usuale spiegazione

della storia della tentazione di Gesu, come opera di Satana, è la sola vera. Perché, in effetti, solo a questo sembrano aver pen­ sato Matteo e Luca con la loro narrazione. . . Con ciò s i esaurisce i l compito dell'interprete letterale o gram­ maticale, il quale deve solo preoccuparsi di trovare il vero senso inteso dal suo autore. Ai nostri giorni, però, la sola conoscenza del senso gramma­ ticale d'un passo biblico è diventata insufficiente. Vi è allora bi­ sogno che la critica storica e filosofica sottoponga quella data pe­ ricope al proprio rigoroso esame. E ciò appartiene al campo della spiega�ione dei fatti cosi come la ricerca del senso grammaticale rientra nel campo della spiega�ione delle parole. Entrambe le operazioni rientrano nel compito specifico dell'interprete biblico. Si può quindi anche stabilire una giustificata distinzione fra ese­ gesi e spiegazione: alla prima appartiene soltanto la ricerca del senso letterale; alla seconda, per contro, la spiegazione del fatto

oggettivo ...

Forse che ai nostri giorni ci si accontenta ancora della spie­ gazione letterale della cosmogonia mosaica e della piu antica sto­ ria dell'uomo? Certo l'antico poeta credette che il mondo fosse nato proprio in quel modo, e che il male nel mondo avesse avuto origine realmente nel modo che egli aveva immaginato. Ma è ancora possibile credere ciò? Non ci si chiede piuttosto oggi, di fronte alla palese inattendibilità di certe narrazioni: « in qual modo nel mondo antico si pervenne a queste idee, a queste leggende, a questi miti? » . . . Esaminiamo, per esempio, la storia delle tenta�ioni di Gesu. Finora è stato chiarito soltanto che gli evangelisti considerarono l'episodio come un avvenimento reale. A questo punto il com­ pito dell'interprete letterale potrebbe dirsi esaurito; ma le cose non stanno certamente cosi per l'interprete biblico, il cui lavoro, anzi, inizia proprio qui. Il fatto che gli evangelisti abbiano con­ siderato la storia come un avvenimento reale del mondo sensi­ bile non significa certo ancora che essa si sia svolta nel modo descritto; infatti gli evangelisti credevano anche fermamente, come si vede dal tono delle loro narrazioni, ai demoni e alle malattie demoniache, ma non per questo noi crediamo che i folli o gli epilettici guariti da Gesu siano stati veramente posse­ duti. La prima domanda da porsi riguardo alla tentazione è questa: . . . E possibile che il diavolo abbia tentato Gesu cos{ C. Hartlich e W. Sachs, Der Ursprung des Mythosbegrilfs, cit., 66 ss., 87 ss.

pp.

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" d i persona » , i n quel dato aspetto? È poss1tme che Gesu abbia seguito cosi docilmente il diavolo, ovunque questo lo conduceva? S i sa che il diavolo dei Giudei (e d i questo solo può qui trat­ tarsi ) era una figura persiana o caldca, con la quale i Giudei si erano incontrati solo al tempo del loro esilio; come può dunque ammcttersi che esso sia veramente esistito? . . . Non sarà dunque assolutamente possibile riuscire a spiegare questa storia della tentazione alla maniera degli evangelisti. E tuttavia essi vi credettero, e quindi l'interprete biblico ha il di­ ritto e il dovere di andare oltre con la sua ricerca chiedendosi: come giunsero gli evangelisti a credere tutto questo? da chi rice­ vettero, da chi sentirono raccontare l'episodio? Ed eccoci allora a seguire una traccia: che cosa sia realmente accaduto a Gesu, per cui poi si sia formata e sia stata tramandata questa vicenda. Questa è la via da seguire. per l'interprete biblico; e da ciò ap­ pare chiaramente che i piu recenti tentativi esegetici non sono affatto arbitrari, privi di fondamento, capziosi, ma rappresentano, tutto al contrario, i principi basilari e i requisiti di una sana ermeneutica; non già dunque di quella comune, cbe si arresta al senso delle parole, ma di quella piu alta, che si estende alla chiarificazione di tutti gli oggetti e i fatti dei libri sacri. . . M a ora h a inizio il lavoro della critica esegetica, intesa ad esaminare, con ogni scrupolo, quali siano i pro e i contro di una determinata ipotesi e, successivamente, quale delle varie ipotesi formulate sia da preferirsi come la piu probabile... La materia per le tentazioni proviene da brame e desideri della sensualità, cosi come la materia per la ripulsa delle tenta­ zioni proviene dalla saldezza morale e dalla ragione. Nelle visioni, poi, cioè in questo prodotto della fantasia eccitata, manca la coscienza esterna (in quanto l'anima è tutta chiusa in se stessa), ma quella interna è tanto piu attiva, e ciò a differenza che nei sogni. In parte anche proprio per questo motivo le visioni sono piu ingannevoli c piu difficili a distinguersi dallo stato di veglia di quanto non siano i sogni, come ci si può persuadere dall'esem­ pio dell'apostolo Paolo ( l l Cor. 12, 2-3). La visione assunse dunque una forma piu concreta mediante l'idea, a quel tempo dominante, che il male dovesse venire dal diavolo. Non appena la pura anima di Gesu si rivoltò contro quei pensieri, che erano suggeriti dalla sensualità, la fantasia spinse innanzi l'immagine del diavolo, al quale essa poneva in bocca parole ispirate appunto dalla sua indole sensuale; ma alla fine la ragione vinse.

Le fonti per un metodo di considerazione « mitica ,. della Bibbia furono dunque soltanto una migliore e piu precisa filo­

sofia della natura e della religione, un piu approfondito studio dei documenti storici di altri popoli antichi e della letteratura

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classica in generale: il tutto collegato con t'attenzione nei con­ fronti dei documenti della religione cristiana, che non si vollero

affa tto abbandonare, ma soltanto spiegare, per preservarne meglio l'autorità, in analogia con lo spirito del mondo antico. Queste osservazioni valgono certo a giustificare sufficientemente il me­ todo d'interpretazione « mitico » della Bibbia . . . Piu difficile e delicata appare la domanda s e sia possibile am­

mettere l'influenza del mito anche nel Nuovo Testamento. Le obiezioni in contrario possono ridursi ai punti seguenti: l) la denominazione sarebbe scom•eme11te e impropria; 2) essa

sorprenderebbe e provocherebbe sensazione, senza motivo. La prima obiezione si basa sui seguenti punti. « Parlando di miti del Nuovo Testamento ci si allontanerebbe dall'abituale uso linguistico della parola "mito", con la quale si sogliano de­ signare quelle rappresentazioni pseudostorichc di oggetti tra­ scendentali che hanno avuto origine nei tempi piu antichi, quan­ do ancora non esistevano forme di storia scritta, e quando dun­ que gli eventi venivano tramandati attraverso leggende orali. Ri­ nunciando, anche parzialmente, a questi caratteri, il concetto di mito diverrebbe troppo incerto c arbitrario, e conseguentemente si sarebbe costretti ad ammettere dei miti anche in tempi storici a noi piu vicini » . Per quanto importante possa apparire questo argomento, esso ci convince poco della inidoneità del termine « mito >>, e del metodo di trattazione fondato su di esso, per l'esame e l'interpretazione di alcuni passi del Nuovo Testamento. Prescindendo del tutto dall'inesattezza del concetto sopra esposto, che i miti debbano cioè riferirsi soltanto ad oggetti che trascen­ dono il sensibile, si deve ammettere che i miti hanno avuto ori­ gine nei tempi antichi e possono concernere solo quegli argo­ menti, sui quali non esistevano narrazioni ;crine, ma solo leg­ gende tramandate a voce. Ma è proprio questo che vale anche per alcuni passi del Nuovo Testamento, che in epoca moderna sono stati trattati come miti. Per quale ragione allora non si dovrebbe parlare di miti, se il concetto si addice ad essi per­ fettamente? ... Ma, si dice ancora - ed è questa la seconda obiezione - , il termine > della Bibbia, in qualunque modo lo si voglia chiamare o per quanto premurosamente lo si voglia coprire di veli. Ma se si è riflettuto senza preconcetti sulle condizioni d'una rivelazione divina e si è appreso a ben distinguere fra rivelazione e documenti relativi, allora né il nome, miti neotestamentari, né la cosa possono sor­ prendere. Poiché se invece si volessero difendere questi miti,

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che in parte contengono o presuppongono concetti assai indegni di Dio, e se si volesse considerarli come vera storia, questa sa­ rebbe la via piu sicura per rendere ridicola ai nostri giorni l'in­ tera Bibbia. Con il metodo « mitico » il fatto puro e semplice può essere separato dalle successive aggiunte, immagini, abbelli­ menti e quindi la vera rivelazione appare con maggior chiarezza.

Queste idee di Eichhorn e di Gabler costituiscono il terreno sul quale crebbe la prima reale esposizione com­ pleta della teologia neotestamentaria. Georg Lorenz Bauer, professore ad Altdorfer, ci ha offerto anzitutto, unita­ mente ad Eichhorn e a Gabler, un'ampia esposizione di tutti i miti dell'Antico e del Nuovo Testamento, fra i quali egli include anche quello della concezione sopran­ naturale di Cristo, allegando in ogni singolo caso i motivi per l'accettazione del mito H. Ma oltre a questo egli, accogliendo una sollecitazione di Gabler, ha pubblicato una Biblische Theologie des Neuen Testaments (4 voli., 1 800- 1 802 ) nella quale per la prima volta sono esposti uno dopo l'altro e rigorosamente separati l'uno dall'altro, questi argomenti: la > , la > , il « concetto cristiano di religione >> l ) secondo l 'Apocalisse, 2 ) secondo Pietro, 3) secondo la lettera di Pietro e la lettera di Giuda e finalmente > . Bauer definisce la sua > 83• Se in tal modo, mediante la teologia biblica, non viene messa in rilievo la realtà sto­ rica nel suo divenire, ma il contenuto atemporale degli scritti legati alla loro epoca, si può tuttavia dire che de Wette ha per primo separato l'annuncio di Gesti dall'in­ segnamento apostolico e nell'ambito di quest'ultimo ha saputo fare numerose distinzioni, e in tal modo ha per lo meno additato la via a una ricerca realmente storica, in singoli casi dando anche inizio a tale ricerca 84• Riguardo alle diverse interpretazioni e trattazioni del cristia­ nesimo i libri neotestamentari si possono suddividere nelle tre seguenti categorie: l ) giudeo-cristiani, ai quali appartengono i primi tre Vangeli, gli Atti degli Apostoli, le lettere di Pietro, Giacomo, Giuda e l'Apocalisse. Il loro carattere è costituito dal­ l'interiore collegamento del cristianesimo con la cristologia ebraica, e di qui la dimostrazione della dignità di Gesu per mezzo di pro­ fezie e di miracoli, in particolare esorcismi contro il diavolo e simili. In Luca è dato scorgere anche qualcosa del pensiero pao­ lina; 2 ) alessandrini o ellenistici, ai quali appartengono il Van­ gelo e le lettere di Giovanni e la Lettera agli Ebrei. Caratteri­ stiche: rappresentazione di Gesu come Logos, assenza di super­ StiZIOni palestinesi, uso mistico, pragmatico dell'Antico Testa­ mento; 3) paolini, ossia le lettere di Paolo e parte degli Atti RJ W. M. L. de Wette, Lehrbuch der christlichen Dogmatik in ihrer historischen Entwicklung dargestellt, l paote : Die Biblische Dogmatik enthaltend. Biblische DoRmatik Alten und Neuen Testaments. Oder kritische Darstellung der Religionslehre des Hebraismus, des fudenlums und Urchristentums, Berl i n , 1813, pp. 19 s. 84 Ibidem, pp. 223 s., 2 1 1 s., 252. De Wette si è espresso molto scetticamente anche circa problemi metodologici della questione sul Gesu storico; ha constatato però che per la fede non è esiienziale la figura del Gesu storico ma il Cristo vivo, anticipando con ciò la pro­ blematico d i M. Kiihler (vedi piu avanti, pp. 3 1 8 ss.; vedi R. Smend, W. M. L. de Wettes Arbeit, cit., pp. 166 ss.). R. Smend, pp. 177 ss., dimostra altresi che de Wette in fondo non è interessato allo sviluppo storico e che in successive edizioni della Biblische Dogmatik torna a presentare le diverse fasi dell'iniiegnamento degli apostoli come un tutto unico.

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degli Apostoli. Caratteristiche:

insegnamento intorno alla divi­ nità di Cristo, universalismo paolino, opposizione ai precetti della legge giudaica e al formalismo religioso degli Ebrei. Tali discussioni storiche ci portano ai seguenti risultati euri­ stici: a) noi distinguiamo l'insegnamento di Gesu dalla conce­ zione che hanno di esso gli apostoli e gli evangelisti; b) noi man­ teniamo anche nell'insegnamento dei singoli apostoli e scritti del Nuovo Testamento le distinzioni caratteristiche, per cui ammet­ tiamo le tre seguenti forme principali di cristianesimo aposto­ lico: l ) il giudeo-cristianesimo, 2) il cristianesimo alessandrino, 3) il cristianesimo paolino. La seconda forma si collega stretta­ mente alla terza; singoli insegnamenti sono poi comuni alle tre forme. Per ciò che riguarda le affermazioni di Gesu sulla sua morte, è innegabile che egli l'abbia prevista, anche se non con tanto anticipo, come apparirebbe da Gv. 2, 19-2 1 ; 3 , 14-17. Per contro la predizione della sua risurrezione ... è solo la posteriore spiegazione di precedenti discorsi allegorici. . . , per il semplice motivo che egli stesso aveva at teso la sua morte ... e invece i di­ scepoli speravano solo nella sua risurrezione ... La dottrina della riconciliazione non si ricava dai detti di Gesu. La morte di Gesu è apparsa di grande importanza solo agli apostoli e non prima ... Negli apostoli andò perduta in parte la primitiv� indipendenza autenticamente cristiana, in quanto essi, sebbene vivificati dallo Spirito, non si poterono del tutto libe­ rare dalla fede nell'autorità. Il principio della loro religione è qu indi fede nella rivelazione e cristolatria. Fintantoché essi por­ tarono in sé e coltivarono nella sua purezza l'insegnamento di Gesu, l'au tonomia di questo mantenne un certo suo spazio, ma questo divenne sempre piu ristretto per i cristiani che vennero dopo. Da questo indirizzo religioso, già al tempo degli apostoli, derivò come conseguenza il modo mitologico e dogmatico di con· siderare la religione.

5. L'esef!.esi e il suo fondamento ermeneutico Naturalmente l'esame relativo ai compiti della ricerca

storica sul Nuovo Testamento si è esteso anche all'esegesi

ed al suo fondamento metodologico, l'ermeneutica. Ma proprio qui appare anche nel modo piu chiaro, la pro­ blematicità di questa prospettiva. Ernesti aveva postulato l'interpretazione grammaticale dei testi neotestamentari a partire da criteri di coerenza interna, e Semler era

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andato oltre postulandone l'inquadramento nelle circo­ stanze storiche; Gabler aveva aggiunto a un'interpreta­ zione cosi concepita la critica storica e filosofica come spiegazione dei fatti_ A questo punto si inseriva la discus­ sione ermeneutica, che si svolgeva parallelamente alle prime opere complete di introduzione e di teologia neo­ testamentarie_ Già nel 1788 il teologo di Lipsia Karl August Gottlob Keil in un programma, i cui principi furono poi da lui ripetuti in un manuale di ermeneutica del 1 8 1 0, aveva sostenuto la tesi che per tutti gli scritti di qualsiasi genere, e quindi anche per la Bibbia, vi è un solo metodo di comprensione: quello storico-gramma­ ticale, col quale si tenta di riflettere su quello che è stato il pensiero dell'autore. Nella spiegazione dei libri neote­ stamentari si deve poi prescindere dalla loro origine di­ vina, e l'interprete non deve neppure chiedersi se il testo da lui esaminato abbia ragione o no 85• Interpretare un autore significa niente altro che insegnare quale opinione egli ha sottinteso alle singole parole e ai modi di dire ciel suo libro, e quindi fare in modo che una terza per­ sona, che legge questo libro, pensi le stesse cose che quello ha pensato nello scrivere. f!. facile quincli capire che ogni interpre­ tazione è storica nella misura in cui ricerca ed insegna le cose, che rappresentano lo svolgimento storico dei fatti c che sono storicamente vere, e, dopo aver trovato tali cose, le consolida mediante argomenti storici, ossia testimonianze, autorità ed altri p�rticolan sui quali si fonda la storia. L'interprete non si deve preoccupare se ciò che è stato scritto sia vero o falso, ma il suo compito è solo capire ciò che è stato detto dall'autore; e quando poi egli ha insegnato questo agli altri, allora veramente si può dire che egli abbia in tutto adempiuto il suo dovere. Il sapere e l'insegnare ciò che uno scrittore ha espresso in parole non equivale forse a comprendere il dato di fatto in quanto tale [ rem facti ] ? L'ufficio dell'interprete è legato dalla piu stretta so-

" K. A. G. Keil, De bistorica librorum interpreta/ione eiusque tzecessitate, Leipzig, 1788; nuova ristampa in C. A. Th. Keil, Opuscula tJcademica ad Novi Testamenti interpretationem grammatico-historica ... pertinentia, Leipzig, 18 2 1 (pp. 85-88, 98 s.); nel medesimo volume: Argumentorum pro historicae interpretationis veritate brevis repetitio eiusque adversus variorum dubitationes vindiciae ultimae ( 1815), pp. 383 s.

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miglianza a quello dello storico. Come infatti quest'ultimo s t e riproposto di cercare ciò che è stato fatto da un altro, e non già se sia stato fatto bene o male, e neppure ciò che avrebbe dovuto esser fatto, cosi anche quello deve mantenersi nell'ambito dei suoi compiti, e cioè comprendere e insegnare ciò che da un autore è stato scritto e detto. Se ciò è valido per un comune scrittore, non si vede come dovrebbe essere diverso per gli autori biblici, essendo abbastanza pacifico che essi debbono essere riguardati in tutto come scrittori umani. Ed anche l'interpretazione dei loro libri sarà dunque strettamente storica, dato che in questa ope­ razione ci si dovrà chiedere ad ogni passo, che cosa gli scrittori sacri abbiano pensato e che cosa i loro lettori, ai quali i libri erano destinati, dovessero a loro volta pensare... II teologo deve chiedersi quale valore vada attribuito alle singole opinioni che sona esposte dagli scrittori sacri, quale auto­ rità si debba riconoscere loro nel nostro tempo, e in qual modo essi possano essere utili per i nostri scopi. Invece il compito del­ l'interprete è quello di porre nella giusta luce ciò che i n realtà quegli seri ttori hanno voluto tramandare. . . . lo ho inteso dimostrare solo questo: che anche nei libri sacri, nella maggior parte dei passi, vengono raccontate cose che o sono storiche per se stesse, oppure hanno in sé qualcosa che può essere definito > . Ciò è dimostrato in maniera defini­ tiva anche dal fatto che ciascuno scrittore, a seconda del suo spirito e del suo carattere, a seconda del suo modo di dire qual­ cosa e di collegare insieme i diversi pensieri, ha anche u n modo del tutto personale di pensare ed un suo stile nell'esporre e nel­ l'esprimersi. Proprio questo ci porta a concludere poi che non tutti si sono formati un'unica e medesima idea dei dogmi della religione, ma che alcuni li hanno considerati da un punto di vista e altri da un altro. Un'ulteriore conseguenza di ciò fu che per­ fino quanto ciascuno dei singoli ha tramandato su questo o su quel capitolo della sacra dottrina è in qualche modo, e per lo stesso motivo. diverso da quanto hanno tramandato gli altri e che, parimenti, per ciascuno scrittore si può individuare un par· ticolarc sistema dottrinale. Se dunque l 'indole degli scritti sacri è tale quale l'ho fin qui descritta, ben si comprende come ad essi debba assolutamente applicarsi il metodo d'interpretazione storico, se solo ci preoccupiamo d'incamminarci per una via si­ cura. Questo [metodo ] , come io ho già in precedenza dimostrato, è il solo che conduca alla comprensione dell'esatto pensiero di uno scrittore e quindi, a maggior ragione, può essere impiegato nell'interpretazione di libri, il cui particolare carattere è appunto storico. In un tale tipo di scritti piu che altrove si richiede che alle singole parole e frasi venga attribuito un solo univoco senso; se ciò non accadesse, ogni interpretazione risulterebbe incerta e non solidamente fondata.

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Riguardo ad un autore sacro non meno che ad uno profano il compito dell'interprete è porre in evidenza ciò che l'autore stesso pensava allorché scrisse, quale senso stia alla base del suo discorso, e quale egli voleva che fosse compreso dai suoi lettori. Ma un punto della massima importanza è che chiunque si accinge ad interpretare i libri sacri non deve sentirsi in alcun modo condizionato dal fatto che detti libri posseggano autorità divina e che i loro autori pertanto godano di una particolare dignità, quasi fossero ambasciatori di Dio. Un interprete che non si atte­ nesse a questo fondamentale principio ricadrebbe nell'errore or­ mai da tempo conosciuto, che cioè « le parole delle Sacre Scrit­ ture significano soltanto ciò che possono significare » . In tal maniera si aprirebbe la via ai piu svariati e arbitrari generi d'in­ terpretazione, una via che nessuna arte o sforzo umano varrebbe poi a richiudere.

Un tale metodo esegetico « storico », basato cioè sol­ tanto sulla determinazione della consistenza storica dei fatti e che trascura completamente e metodicamente il Canone come Sacra Scrittura, trovò non soltanto nume­ rosi seguaci nel campo dell'ermeneutica 86, ma venne anche volutamente posto a fondamento di numerose opere di commento. Cosf, ad esempio, Leopold Immanuel Riickert, allora professore al liceo di Zittau, nella prefazione al suo commento alla Lettera ai Romani ( 1 8 3 1 ) auspica che l 'esegeta si stacchi completamente da se stesso e dalle proprie idee e sentimenti, cosf da essere totalmente imparziale, ed arriva al punto di negargli il diritto di esprimere ogni giudizio circa la verità o meno del testo da lui esaminato 87• Secondo la mia convinzione l'interprete di Paolo deve com­ pletamente spogliarsi del proprio io e rivestirsi, per quanto ciò sia possibile, di tutta la personalità dell'apostolo. Egli non deve pensare con la sua mente, non sentire secondo il suo cuore, non osservare dal proprio punto di vista; deve invece porsi al livello 86 Vedi su ciò ]. Wach, Das Vemehen, vol. I I , 1929, pp. 1 1 3 ss., 239 ss. Sulla storia dell'ermeneutica cfr. inoltre G . Ebeling , voce Her­ meneutik, in RGG, I I I , 245 ss. ( bibliografia) e J. D. Smart, Ilerme­ neutiJche Probleme der Schriftauslegung, 1965, p p. 219 ss. 87 L. I . Riickert, Commentar iiber die Briefe Pauli an die Romer, Leipzig, 1831, pp. VIII-X. ar. inoltre ]. Wach, Das Vmtehen, vol. II, cit., pp. 242 ss.

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a cui era l'apostolo, non sapere nulla s e non quanto egli seppe, non avere alcuna opinione diversa dalle sue, non conoscere senti­ menti a lui sconosciuti. Egli non si chiederà mai: come mi rap­ presenterei io questa cosa se fossi Paolo, come giudicherei quel dato oggetto, in quale forma si modellerebbero i miei pensieri, in quale modo sarei influenzato? Piut tosto il quesito sarà: come Paolo - ossia quella determinata persona storica, il cui carat­ tere, grado di cultura, modo di pensare è a noi noto dagli Atti degli Apostoli, dalle sue lettere e dalle altre fonti della nostra teologia e documenti dell'epoca, - come dunque Paolo dovette riguardare, giudicare, pensare, sentire, ecc. ? In conclusione, per interpretare Paolo, egli deve tendere a immedesimarsi comple­ tamente in lui, per poter offrire al proprio lettore o ascoltatore, che appunto ha bisogno di questa conoscenza, un'immagine in­ teramente fedele dello spirito dell'autore quale appare appunto dalla lettera in esame . . . Io esigo poi dall 'esegeta assoluta imparzialità. Per l'impor­ tanza e il significato che il Nuovo Testamento ha per la Chiesa cristiana, come fonte e norma della sua conoscenza teologica, si richiede che l'esegeta non appartenga ad alcun sistema o corrente di pensiero, né dogmatico né sentimentale. Egli non dovrà essere né ortodosso, né eterodosso, né soprannaturalista, né razionalista, né panteista, né alcun altro -ista dei tanti che conosciamo; non sarà né troppo pio né ateo, né morale né immorale, né sensibile né insensibile; poiché egli ha soltanto il dovere di ricercare ciò che il suo autore dice, per poter poi consegnare il risultato del suo studio al filosofo, al dogmatico, al moralista, all'asceta, ecc. Cosi ancora l'esegeta non deve avere alcun interesse se non quello di capire esattamente l'apostolo e di esporne il pensiero, puro e senza commistioni né aggiunte estranee, e proporlo appunto cosi, puro c schietto ai propri lettori. Ogni altro interesse deve scom­ parire di fronte a questo e soprattutto l'interprete deve astenersi dal proclamare verità, o meglio, ciò che egli ritiene essere verità. Per lui dev'essere inJifferente che Paolo dica verità o menzogne, che nelle sue lettere spiri moralità o immoralità, che i suoi inse­ gnamenti portino alla salvezza o alla perdizione: egli deve solo presentare ciò che l'apostolo dice, quale spirito lo anima, quale è il suo insegnamento.

Fra i successori di Riickert, Heinrich August Wilhelm Meyer, pa:rroco ad Hannover, fece pubblicare nel 1 829 il primo volume del suo commento critico ed esegetico al Nuovo Testamento (che ha poi avuto fino ai nostri giorni numerose altre edizioni), dichiarando di avere

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come scopo soltanto un esame storico-grammaticale dei testi 88• II campo della dogmatica e della filosofia deve restare sepa­ rato da questo mio commento. Poiché questo è il compito degli esegeti, ricercare in modo del tutto imparziale, storicamente e alla lettera il senso che un autore ha inteso dare alle proprie pa· role. Per contro esula dal compito degli esegeti vedere in quale rapporto stia il senso delle Scritture con gli insegnamenti della filosofia, o, ancor meno, se esso concordi coi dogmi della Chiesa e con le idee dei suoi teologi, o, infine, come il dogmatico debba elaborare tale senso ai fini della sua scienza.

Se per questi rappresentanti dell'esegesi « esclusiva­ mente storica » il compito di capire il Nuovo Testamento era completamente equiparato a quello d'interpretare storicamente qualsiasi altro scritto, e inoltre essi avevano escluso completamente il problema della verità, la loro posizione era tale da sollevare un duplice ordine di con­ trasti. La prima obiezione proveniva dalla stessa scuola ·esegetica « storica ». Come abbiamo visto, Gabler aveva presupposto forme di rappresentazione « mitica » nel Nuovo Testamento, non solo per stabilire l'esatto senso delle Scritture, ma anche per illuminare i fatti stessi, mediante una critica storica e filosofica. A questo punto intervenne G. L. Bauer con il suo Entwurf einer Herme­ neutik des Alten und Neuen Testaments, pubblicato un anno prima dell'altra sua opera, il Lehrbuch der Bibli­ schen Theologie. Bauer parte dall'idea che una interpre­ tazione obiettiva debba essere grammaticale e storica, per arrivare a comprendere un dato au tore come egli stesso ha desiderato di essere compreso. Gli autori biblici sono 88 H. A. W. Meyer, Das Neue Testament Griechisch nach den besten Ilii/fsmitteln kritisch revidiert mit einer neuen deutschen Vber· .�etzunf!. und einem kritischen und exef!.etischen Kommentar, l parte, I sezione, Got ti ngc n , 1829, p. XXXI. Nella 2• edizione ( 1844) Meyer

definisce una interpretazione condotta secondo presupposti ecclesiastici " un procedimento già viziato da principio" ; vedi W. G. Kiimmel, Das

Erbe des 19. ]ahrhunderts /iir die neutestament/iche Wissenscha/1 von beute, in Deutscher Evange/ischer TheologenlaR 1 960: Das J::rbe des 19. ]ahrhunderts, a cura di W. Schneemelcher, 1960, p. 75 (ristampato in Heilsgeschehen und Geschichte, cit., pp. 370 s.).

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perciò da spiegare come gli scrittori profani, prescin­ dendo esplicitamente dal presupposto della rivelazione divina nelle Sacre Scritture. Fin qui Bauer si trova sulle stesse posizioni di K.A.G. Keil e dei suoi allievi. Ma a questa « ermeneutica generale dell'Antico e del Nuovo Testamento » egli aggiunge una « ermeneutica speciale » , i n cui, > s i esige la critica storica e « per quanto riguarda i discorsi di Gesu » si esige una distinzione del giudizio degli evan­ gelisti « da ciò che Gesu ha realmente detto ». Bauer però richiede anche in modo particolare, e sulle prime solo nei confronti dell'Antico Testamento 89, che l'ese­ geta riconosca la presenza di miti e che ne esamini la base concreta e l'intento. Con questo peraltro si viene già a porre come compito dell'interprete, nel quadro di « un'esegesi storico-grammaticale, l'esame dei testi per ricercare i contenuti significanti in connessione con una trattazione critica dei testi medesimi » 90• L'unico giusto principio di ogni vera esegesi, si tratti di scrit­ tori biblici o di autori profani, è il seguente: si spieghi ciascun libro secondo la lingua e lo stile in cui esso è scritto: e in que­ sto consiste l'interpretazion e grammaticale che conduce alla com· prensione letterale; e le idee che vi sono esposte si spieghino sulla base dei costumi e della mentalità dell'autore stesso, del suo tempo, del suo popolo, setta, religione, ecc.: in ciò consiste l 'interpretazione storica che porta alla spiegazione oggettiva. Se in tal modo si è pervenuti a scoprire il giusto senso dell'autore, allora si potrà cominciare a filosofare ... Per quanto noi siamo pronti ad ammettere che nella Sacra Scrittura sia contenuta la rivelazione divina, questo però non deve essere un presupposto assiomatico, ma semmai solo il risul­ tato del contenuto esattamente chiarito. Anche qui perciò si deve procedere secondo le norme citate della interpretazione storica, come per Platone, Aristotele, ecc., e ricercare quali concetti gli autori biblici intesero esporre... a•

Tre anni piu tardi però estende il riconoscimento di miti anche

al Nuovo Testamento: vedi nota 79 di questo capitolo. > è asso­ lutamente necessaria per una efficace penetrazione nello spirito di questi scritti, alla cui esatta comprensione non si può giungere senza un certo riconoscimento dell'ispi­ razione divina 91• f:: opinione pressoché concorde degli esegeti che soltanto il

senso storico-grammaticale delle Sacre Scritture sia il vero e che

coloro che interpretano diversamente non espongano il significato delle Scritture, ma una propria versione o comunque una vcr· sione diversa da quella delle Scritture stesse. Sebbene noi non abbiamo mai dubitato della necessità e dell'utilità del metodo storico, tuttavia siamo anche sempre stati dell'opinione che esso non sia di per sé il solo sufficiente, che sia dai piu usato in modo errato, che possa arrecare gravi danni alla causa ed alla teo­ logia cristiane, che sia andato al di là dei propri limiti, e che sia stato arbitrariamente utilizzato da molti in modo sbagliato e senza regole. f:: già uno sproposito pretendere di spiegare il significato e i pensieri di un uomo saggio e grande solo sulla base delle notizie e della storia del tempo che immediatamente lo precedette e nel quale egli visse. Ciò è tanto piu grave quando si tratta di un uomo che si dichiarò e fu creduto Figlio di Dio e che volle rivelare non solo al proprio tempo ma a tutti i tempi una verità eterna, immutabile, divina. Non è pertanto interamente sicura c sempre valida quella norma dell'esegesi storica, secondo la quale il senso dei detti di Gesu si deve sempre determinare pensando a come essi meglio si adattino ai suoi immediati ascoltatori; che, in altri termini, ci si debba sempre riferire a quello che costoro hanno pensato nell'ascoltare quei discorsi del maestro. Gesu stesso ha lasciato intendere chiaramente che ciò che egli espo91 [C. F. Stiiudlin ] , De Interpreta/ione librorum Novi Testamenti historica non unice vera, Gottinger Pfingstprogramm, 1807, p. 5 (le citazioni dalle pp. 7 s., 9); Ober die bloss historische Auslegung der Bucher des Neuen Testaments, in « Kritisches Journal der neuesten theologischen Literatur �. a cura di F. Amman e L. Bcrthold, I (1814), n. l, pp. 321 ss.; II, 1814, pp. l ss., 113 ss. (le citazioni dalle pp. 17, 23 s., 32, 126-128, 148). Inoltre vedi J . Wach, Das Verstehen, vol. Il, cit., pp. 40 ss.

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neva ai suoi ascoltatori e agli stessi apostoli non poteva essere ancora chiaro completamente ad essi e che, soltanto dopo la sua morte, con l'aiuto e la guida dello Spirito, avrebbero com­ preso meglio, capito, penetrato e intuito rutto, conosciuto com­ piutamente ... I n questo senso vanno riguardate molte sue espressioni sulla dignità messianica, sul suo regno, sul suo ritorno, s� l cielo e . sull'inferno, ecc. Tali insegnamenti possono essere cap1t1 e spie­ gati molto meglio da noi che dalla maggioranza dei diretti ascol­ tatori. L'esegeta esclusivamente storico non può neppur mettere nella giusta luce e rispettare come si conviene il peso e lo natura dell'insegnamentO di Ges\i. Egli vede ovunque soltanto storia e relazioni storiche. Ma l'insegnamento di Gesu non è solo qual­ cosa di storico, non è una mera parte della storia, ma contiene anche verità eterne, immutabili, divine, che si potranno perfetta­ mente chiarire e rendere comprensibili mai e poi mai con la storia né la grammatica soltanto, bensi attingendo al proprio spirito, medi­ tando, elevandosi alla sfera delle idee razionali e cosi intendendo quelle verità in base a se medesime. Io non conosco un Gesu privo d'ogni conoscenza dei disegni che su di lui ha la Provvidenza, un Gcsu il quale ritenga per errore che i suoi siano i tempi ultimi e si sia fitto in mente di tornare, visibile, sulla terra dopo la sua morte per inaugurare, ancora con la generazione vivente a quell'epoca, il suo regno e il quale, dopo essere divenuto dubbioso su questo esito, in se­ guito alla risurrezione, lasci credere ai suoi discepoli che egli dopo l'ascensione ritornerà presto visibile dal cielo, e il quale alla fine inganni, in tal modo, gli altri e se stesso. Un tale Gesu sarebbe stato soltanto un visionario, con un intelletto squilibrato e confuso, perlomeno riguardo a certe idee fisse, e tale egli non mi è mai apparso dai sacri documenti del suo insegnamento e della sua vita. Egli voleva introdurre una religione universale e che durasse in eterno, ed era assolutamente convinto che questo fosse il piano della Provvidenza e che la sua religione avesse origine divina. Già le parole di Gesu di Mt. 16, 18, con le quali egli pre­ dice alla sua Chiesa , e quindi anche alla sua propria dottrina, una vita eterna e indistruttibile, dimostrano quanto ho detto. lo non avrei neppure bisogno di occuparmi della questione se Gesu abbia pensato che la sua epoca fosse l'ultima del mondo e se volesse che il suo ritorno visibile fosse atteso ancora dagli uomini della sua generazione. Anche in questo caso, la sua reli­ gione doveva durare sino alla fine del mondo e nell'ultimo pe­ riodo della storia di questo si sarebbe diffusa sulla terra senza distinzione di popoli . . Anche in questo caso, tale periodo non poteva ragionevolmente essere stimato troppo breve, cosi che

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Gesu non potesse far distillZlone fra il proprio tempo e i tempi Juturi, affermando di aver voluto rivelare verità valide per tutti

i. tempi. Del resto le affermazioni di Gesu a proposito della sua

venuta o del suo ritorno, del suo regno e della fine del mondo, possono essere spiegate anche altrimenti, senza che vi sia biso­ gno di attribuirgli degli errori... Io so che questa spiegazione presenta delle difficoltà e che molte obiezioni sono state avanzate in contrario, ma . nemmeno l'altra spiegazione è priva di gravi difficoltà. Per conto mio io preferisco la prima, perché essa sola wincide con l'idea che mediante lo studio del Nuovo Testamento io mi sono fatto dello spirito, della sapienza, della preveggenza di Gesu, cosl come del complesso del suo insegnamento e della Chiesa da lui istituita . . Nessuno vorrà negare che nei detti e negli scritti degli apo­ stoli sia espresso il piu profondo e il piu si,ncero sentimento reli­ gioso. Proprio per questo nessuno può arrivare a capire né a sen­ tire sino in fondo il senso di tutti i detti e di tutti i passi degli scritti apostolici, a meno che non sia animato da un uguale sentimento. Colui al quale questo sentimento manca, colui che è interamente incatenato alla propria sensualità, il rozzo e il vizioso, l 'uomo ateo e immorale non può comprendere ciò che dice l'uomo virtuoso, spirituale, felice in Dio. Egli dirà che è tutta una follia, che non ha alcun senso, intenderà tutto al con­ trario, riderà e si farà gioco di tutto ... Ma dopo tutto non devono anche i libri del Nuovo Testa­ mento essere spiegati proprio come gli altri libri? Vi sono delle norme di esegesi di carattere generale, che possono essere appli­ cate a qualsiasi opera senza distinzione, e ve ne sono altre che si adattano al particolare contenuto, alla natura, alla destina­ zione dei libri. Dunque i libri del Nuovo Testamento debbono essere trattati come tutti gli altri rispetto alle norme generali, ma devono essere anche interpretati seçondo le regole proprie e particolari ai libri del loro genere o di simile natura e desti­ nazione. Essi contengono fatti ed insegnamenti, entrambi in stretta connessione fra loro; sono scritti in parte come documenti, in parte come spiegazioni ed applicazioni pratiche della rivela­ zione divina a fatti e dottrine. Coloro che redassero questi libri non li hanno, è vero, indirizzati ad ogni uomo, ma essi credet­ tero tuttavia di avervi compreso insegnamenti ed esempi che sa­ rebbero stati della massima importanza per tutta l'umanità, che sarebbero sempre stati noti a tutti, che infine contenevano in sé i decreti di Dio per la redenzione e la beatitudine, dell'umanità peccatrice. Questi libri sono pieni d'intuizioni della natura divina e umana; sono stati scritti con sentimento intimamente religioso e morale. Hanno avuto effetti incommensù rabili ... Non può essere per caso o per. fortuna, dev'esserci qualcosa. in questi libri che

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h a procurato loro questa efficacia e che l i ha elevati a questa loro dignità. Questi libri debbono dunque essere interpretati, prima di ogni altra cosa, non solo storicamente e grammatical­ mente, ma anche dal punto di vista morale, religioso, filosofico. Si dovrà far ricorso a tutte le forze dello spirito, della medita­ zione, del sentimento, dell'elevazione spirituale per poter arrivare a scandagliarne il profondo significato ... In ogni caso l'esegesi del Nuovo Testamento dipende in gran parte dall'idea che ci si è fatti circa l'ispirazione divina di esso. Gli interpreti che impiegano esclusivamente il metodo storico non hanno tuttavia ormai alcun riguardo per l'ispirazione; essi sono andati tanto avanti su questa loro strada da !asciarla inte­ ramente alle loro spalle. · E cosi non si comprende come si possa ulteriormente progredire nell'esegesi grazie ad un ancor ulteriore spingersi in avanti.

Staudlin dunque ritiene fermamente che gli scritti del Nuovo Testamento non siano soltanto documenti storici, ma al tempo stesso parti integranti del Canone neotesta­ mentario, e cerca di trarre le conseguenze logiche da questa sua convinzione. Tuttavia le sue indicazioni a tale riguardo sono piuttosto generiche e non pervengono a stabilire in quale modo la sua pretesa « imparzialità » ed equanimità dell'esegeta possa tener conto dell'ispirazione divina e mantenersi in pari tempo ancorata ad un me­ todo effettivamente storico. Tuttavia in questo modo era posto il problema della interpretazione storica del Nuovo Testamento come compito teologico, e questa nuova situa­ zione richiedeva ulteriori piu soddisfacenti risposte. Il contrasto insorto fra Staudlin e Keil sulla que­ stione dell'oggettiva interpretazione del Nuovo Testa­ mento non poteva certo essere superato neppure da F. Schleiermacher_ La sua ermeneutica a forte impronta sistematica, che egli espose già intorno al 1 809 nelle sue lezioni, ma che fu pubblicata soltanto dopo la sua morte, ha fatto epoca per il fatto che Schleiermacher integrò il metodo storico-grammaticale con quello psicologico, il quale si sforza di « comprendere ogni dato complesso di pensieri come momento vitale di un determinato uo-

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mo » 92• Questa è naturalmente un 'esigenza che vale per l'esatta comprensione di qualsiasi pensiero umano, ma ciò corrisponde solo al fatto che l'ermeneutica di Schleier­ macher si propone, in fondo, un fine non teologico, bensf unicamente umanistico-morale. Secondo Schleiermacher, il Canone neotestamentario non può infatti essere trat· tato, nemmeno sotto l'aspetto psicologico, diversamente dagli altri scritti, poiché anche l'esegesi dei « libri sacri » aeve necessariamente consistere nell'interpretazione delle ·affermazioni dei loro autori, i quali furono uomini come gli altri. Schleiermacher si dichiara disposto ad ammet­ tere una ermeneutica speciale per il Nuovo Testamento soltanto in considerazione della particolare lingua del Nuovo Testamento stesso 91 • Qui ci s'impone incidentalmente la questione se i libri sacri, il motivo dell'ispirazione dello Spirito Santo, debbano essere 92 F. Schleiermachcr, Hermeneutik und Kritik mit besonderer Be· :iehung auf das Neue Testament, a cura di F. Liicke. in F. Schleier­ machers siimtliche Werkc, vol . I, 7, 1838, p. 148. L'edizione curata da Liicke si basa solo in parte su manoscritti di Schleiermacher e in larga ·Fnisura su diversi appunti di lezioni. La nuova edizione curata da H. Kimmerle (Fr. D. E. Schleiermachcr, Hermeneutik. Nach den Hands­ chri/ten neu herausgegeben und einge/citet, in Ahhandlungen der Heidel­ hcrger Akademie der Wissenschaften, Philos.-histor. Klasse, 1959, p. 2} riproduce solo in successione cronologica i manoscritti di Schleiennacher . .Alla citazione dalla edizione curata da Liicke, p. 158 corrisponde in quella curata da Kimmcrle, p. 163, solo una annotazione marginale di Schleiermacher del 18 33: « Ricapitolazione del relativo contrasto psico­ logico-tecnico. Come prima cosa la genesi dei pensieri dall'insieme del momento vitale ». Per l'ermeneutica di Schleiermachcr cfr. J. Wach, Das Verstchen, vol. I, 1926, pp. 83 ss.; vol. I r , cit., pp. 37 ss.; W. Trillhaas, Schleiermachers Predigt und das homilctische Problem, 1933, pp. 138 ss.; W. Schultz, Die Grundlage der Hermeneutik Schleierma­ thers, ihre Auswirkungen und Gren:en, in « ZfhK », L ( 1 953}, pp. 158 ss.; Fr. D. E. Schleiermacher, Hermeneutik, a cura di H. Kimmerle, p. 14 ss. 91 F. Schlciermacher, Hermeneutik und Kritik, a cura di F. Liicke, cit., pp. 14 ss. mente al manoscritto riprodotto in Hermeneutik, a cura di H. Kimmer· le. cit., p. 85. La citaz. da p. 27 non ho nell'edizione curata tla Kim­ tnerle nessuna corrispondenza letterale, però si incontrano pensieri simili, per es. a p. 1 59. Cfr, per questo pensiero di Schleiennacher J. Wach, Das Verstehen. vol. I. cit .. p. 123: W. Trillhaas, Schleiermachers Pre­ digl, ci t . , p. 143; W. Schul tz , Die Griindlage, cit:, p. 159.

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trattati diversamente dagli altri. Non dobbiamo attenderci una decisione dogmatica sull'ispirazione, in quanto questa deve a sua volta fondarsi sull'esegesi. In primo luogo non dobbiamo stabilire una differenza fra discorsi e scritti degli apostoli, in quanto la Chiesa futura dovette essere costruita sui primi. Ma proprio per questo, in secondo luogo, non dobbiamo credere che negli scritti l'intera cristianità sia stato l'oggetto immediato. Infatti essi erano rivolti a determinati uomini, ed anche in futuro non avrebbero potuto essere rettamente compresi, se non lo fossero stati dai primi cristiani. Questi, d'altro canto, non potevano voler cercare negli scritti altro che determinate particolarità, poiché per essi la totalità doveva essere il risultato, appunto, di tanti singoli particolari. Noi dunque dobbiamo comprendere, e di conseguenza ammettere, che se anche gli autori fossero stati strumenti del tutto passivi, lo Spirito Santo poteva parlare solo per mezzo loro ed usando le parole che essi usavano. . . Alla domanda s e e fino a qual punto quella neotestamentaria debba essere un'ermeneutica particolare, può esser dunque data la seguente risposta. Dal punto di vista linguistico essa non sem­ bra essere particolare, poiché va ricondotta anzitutto all'uso della lingua greca. Dal punto di vista psicologico, però, il Nuovo Te­ stamento non appare unitario, e bisogna distinguere fra scritti didattici e scritti storici. Si tratta di due diversi generi letterari, che richiedono anche diverse regole ermeneutiche. Ma ciò non dà ancora luogo a una ermeneutica speciale. E nondimeno si può parlare di un'ermeneutica neotestamentaria speciale, ma soltanto in relazione all'area linguistica composita o al carattere lingui­ stico ebraizzante.

Per Schleiermacher tuttavia il motivo di questo > dell'ermeneutica neotestamentaria non è tanto, come per Keil e la sua scuola, la tendenza a consi­ derare gli scritti sacri come documenti storici, quanto la premessa che > !N. Il problema di come il Nuovo Testamento !N W. Schultz, Die Grundlage, cit., p. 162. Cfr. anche ]. Wach, Dar Verstehen, vol. Il, cit., p. 54 ; la Bibbia è per Schleicrmacher � un documento religioso che noi dobbiamo intendere come tale ». Schlcicr­ macher ha sempre sostenuto l'esistenza di una enneneutica universale e inteso qudlo del comprendere come movimento all'infinito (vedi W. Schultz, Die unendliche Bewegung in der Hermeneutik Schleier­ machers und ihre Auswirkung auf die hermeneutische Situation der Gegenwart, in « ZThK », LXV [ 1968 ] , pp. 23 ss.).

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1J Nuovo Testamento

nella sua sostanza storica possa, malgrado ciò, essere compreso come « parola di Dio » non poteva essere visto da Schleiermacher partendo da questa premessa 95• A questo punto intervenne Friedrich Liicke, prima allievo e poi curatore dell'Ermeneutica di Schleiermacher. Egli pubblicò nel 1 8 1 7, quando era ancora un giovane « Pri­ vatdozent » a Berlino, il suo Grundriss der neutestamen­ tlichen Hermeneutik und ihrer Geschichte. L'opera pren­ de l'avvio direttamente dalla premessa di Schleiermacher che anche il Nuovo Testamento possa essere compreso soltanto sulla base dell'unità dello spirito umano; il momento teologico è, nell'ermeneutica, solo una modifi­ cazione o una piu precisa determinazione del generale momento filologico 96• Liicke ritiene che né Keil, né Staudlin abbiano potuto, rispettivamente, l'uno motivare la sufficienza del metodo storico-grammaticale, l'altro di­ mostrarne l'insufficienza; poiché il Nuovo Testamento, « documento della religione cristiana primitiva » , dev'es­ sere concepito « come una manifestazione originale e chiaramente distinta da tutte le altre per proprie deter­ minate caratteristiche, e cioè come un fatto di significato storico universale » . Pertanto Liicke pone il problema di una filologia cristiana, la quale, sulla base del le verità della fede cristiana, avendo posto, « come soggetto dei predicati che la Chiesa attribuisce a Cristo, invece di un individuo, un'idea, ma un'idea reale . . �> 5• Tutto questo però, nulla toglie al fatto che Strauss dimostri esser « mitica >> la maggior parte del materiale dei vangeli . Strauss ha ripreso questo concetto dalla scuola mitica di Eichhorn , Gabler, Bauer, de Wette 6 ; ma egli rimprovera a questi suoi predecessori di non avere compreso il concetto di mito come semplice rivestimento delle idee protocristiane o come leggenda non volutamente poetica 7, e inoltre di non averlo esteso .

4 Cfr. il saggio di L. Salvatorelli, in « Harvard Theological Re­ view •, XXII ( 1 929), pp. 287-289. Non è giusto che Strauss « non ponga affatto il problema nei Vangeli • (G. Backhaus, Kerygma und Mythos bei David Friedrich Strauss und Rudolf Bultmann, Hamburg­ Bergstedt, 1956, p. 13, con l'assenso di G. Miiller, ldentitiit und Imma­ nenz, cit., p. 10). 5 D. F. Strauss, Das Leben ]esu kritisch bearbeitet, vol. I , 1835, p. VII; vol. II, l 836, pp. 686, 736. 6 Vedine la dimostrazione in C. Harrlich e W. Sachs, Der Ursprung des Mythos begrilfs, cit., pp. 121 ss. Analogamente a Strauss, gi� prima di lui L. Usteri aveva definito il concetto di mito, in in cui va inqua­ drato uno scritto. Egli tenta perciò di mostrare che i falsi maestri combattuti nelle lettere pastorali, li si può comprendere soltanto se assegnati all'epoca degli gno­ stici, cioè al successivo periodo -postapostolico; che l'isti­ tuto ecclesiastico delle vedove non può essere collocato in alcun modo nell'epoca apostolica; che l'origine delle lettere apostoliche si spiega molto bene, invece, con il fatto che i seguaci di Paolo a Roma, forse in considera­ zione dell'abuso gnostico di Paolo e degli attacchi dei giudaizzanti contro di lui, dovettero arrivare all'idea « di far dire a Paolo negli scritti che venivano allora alla luce ciò che, negli scritti di lui fin allora conosciuti, si trovava detto al fine della confutazione degli gnostici,

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ma non con quella risolutezza che si desiderava � 19• Con ciò Baur ha acquisito alla scienza neotestamentaria un principio non piu rinunciabile, ossia che il compito della critica storica degti scritti neotestamentari può conside­ rarsi concluso solo quando anche il luogo storico di ori­ gine degli scritti stessi sia stato dimostrato nel contesto storico del cristianesimo primitivo. Ma questa magistrale ricerca storica di Baur sul Nuo­ vo Testamento, che si proponeva di essere guidata sol­ tanto « dall'unico interesse dell'oggettiva verità storica » , oltre a questo presenta anche una pericolosa eredità teo­ logica. G1i sforzi compiuti per attribuire a Paolo le let­ tere pastorali, malgrado le obiezioni critiche in contrario sollevate da Schleiermacher e dai suoi -seguaci, appaiono a Baur « come un tentativo di assicurare alla lettera con­ testata I Tim., per quanto possibile anche in futuro, la sua posizione nell'ambito del Canone �. come un tenta­ tivo dal quale ci si sente autorizzati « a porre a fianco della parola apostolica ispirata da Dio (e con lo stesso identico valore) la comune parola umana » 20• In tal modo però, seguendo la concezione già elaborata per la prima volta da J. D. Michaelis, si finisce con il pretendere che la critica storica sia in grado di risolvere il problema teologico della validità canonica che come parola di Dio avrebbero gli scritti neotestamentari; co-sicché un risul­ tato negativo di tale critica comporta la negazione della dignità canonica di un determinato testo 21• E, io con19 F. C. Baur, Die mgenannten Pastoralbrie/e des Apostels Paulus àufs neue kritisch untersucht, Stuttgart-Ti.ibingen, 1835, pp. III s., 69, 143, 93. �. V, 57. 20 Ibidem, pp. l, 145. '1 W. Geiger, Spekulation und Kritik, cit., p. 201, nota 104, con­

futa questo conclusione, dato che Baur dichiara espressamente che noi quanto al « Canone della Chiesa piu antica ... non possiamo togliere né aggiungere nulla [ad esso] �- (Die Einleitung in Das Neue Testa­ meni als theologische Wi.rsenschaft, cit., p. 307). Ma questa dichiara­ zione Ji Baur mostra solo che egli si spaventa della conseguenza della sua critica al Canone, in realtà pretende che dalla critica storica �ia deciso la questione teologica della reale canonicità. Cfr. la dichiarazione Ji Baur piu avanti, pp. 202 s. Che Baur non consideri la pseudoni­ mità come � falsificazione » (vedi le citazioni in W. Geiger, Spekula'

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trapposizione a questa tendenza, la difesa delle tradizio­ nali attribuzioni di paternità equivarrà necessariamente alla salvaguardia della dignità canonica dei testi neote­ stamentari. Se in questo punto si rivela in Baur un tratto del­ l'eredità razionalistica, negli stessi anni (e ci oè a partire dal 1 8 3 3 ) acquista un influsso predominante su di lui la filosofia di Hegel. La concezione hegeliana della storia come processo dialettico di risoluzione dell'« essere-in­ sé » e dell'« essere-per-sé » nell'« essere-in-sé-e-per-sé » , si coHega in Baur con il contrasto, scoperto per via sto­ ric.a , fra il cristianesimo di Pietro e quello di Paolo, un dissidio che viene composto nel cristianesimo dell'epoca postapostolica. In tal modo -l'atto triplice di tesi, antitesi e sintesi viene assunto come filo conduttore per la co­ noscenza del:la storia del cristianesimo primitivo. E cosi la storia diviene per Baur autodispiegamento dello Spi­ rito, nel quale il particolare deve cedere il passo al­ l 'universale; « il metodo critico significa positivamente: metodo speculativo, riconoscimento della storia come pro­ cesso dell'idea della storia » 22• Queste tendenze filosofiche appaiono dunque in mi­ sura crescente nelle opere di Baur sulla s-toria del cristia­ nesimo primitivo, che si succedono rapidamente. Dappri­ ma si può notare un rafforzamento dei giudizi critici attition und Kritik, cit., p. 202, nota 105), non cambia nulla all'errata connessione che Baur stabilisce fra 4< autenticità apostolica )> e « auto-­ rità canonica ». 22 K. Rarth, Die protestantische Theologie im 19. fahrhundert, Zurich-Zollikon, 1947, p. 454; similmente E. Kasemann, nella sua pre­ fazione a F. C. Baur, Historiscb-Kritische Untersuchungen, cit., p. XIX. Sulla svolta di Baur verso Hegel dr. specialmente G. Fraedrich, F. C. Baur, 1909, pp. 93 ss.; E. Paltz, F. C. Baurs Verhiiltnis zu Schleiermacher, cit., pp. 78 ss.; H. Liehing, F. C. Baurs Kritik an Schleiermachers Glaubenslehre, in « ZThK », LIV ( 1957), pp. 226 s.; E. Bamikol, Das ideengeschichtliche Erbe Hegels bei und seit Strauss und Baur im 19. /ahrhundert, in « Wissenschaftlich� Zeitschrift der Martin-Luther-Universitat, Halle-Wittemberg », Gesellsch.- und Sprach­ wi5s., serie 10, I ( l%1); P. C. Hodgson, The Formation o/ Histo­ rica/ Theology, cit., pp. 20 s., 23 s., 64 ss.; W. Geiger, Spekulation rmd Kritik, cit., pp. 42 ss.

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nenti alla questione della posizione dei singdli scritti neo­ testamentari nel corso della disputa fra cristianesimo giu­ daico e cristianesimo pagano. In un articolo del 1 838 sulla glossolalia appare espr�a per l a prima volta l'opi­ nione che la lettera ai Corinti, cronologicamente ante­ riore costituisca, per la nostra conoscenza del fenomeno glossolalico, una fonte piu attendibile dei posteriori Atti degli Apostoli 23• In un lavoro, apparso poi lo stesso anno, sull'origine dell'episcopato, viene stabilito anzitutto che « tutti i giudeo- . In questa esposizione della teologia paolina come dottrina dell'unità dello spirito soggettivo con l'oggettivo « ha la parola non tanto lo storico quanto il seguace e l'alunno � Hegel »; ma, a parte questa obiezione, si deve am­ mettere che 36• Con ciò è stato affermato per la prima volta in modo serio che nell'ambito del Nuovo Testamento ci si trova di fronte ad una evoluzione di pensiero, e Baur è andato oltre, riconoscendo giustamente che la concezione pao­ lina di Cristo costituisce una posizione intermedia fra la cristologia dei sinottici e quella di Giovanni 17• Per quanto concerne anzitutto la cristologia dei Vangeli sinot­ tici per questo riguardo, nessuno potrà contestare con sufficienti argomentazioni che non si trovi in essi la minima autorizzazione a trascendere l'idea di un Messia esclusivamente umano. Quanto l'idea della preesistenza rimanga al di fuori della concezione dei

pp.

36 F.

C. Baur, Vorlesungen uber Neutestamentliche Theologie, cit.,

38, 33.

11 F. C. Baur, Das Christentum und die christliche Kirche der ersten drei ]ahrhunderte, Tiibingen, 1853, pp. 283 s.

Lo, visione coerentemente storica del Nuovo

Testamento

205

sinouici è dimostrato, come piu chiaramente non si potrebbe, dal racconto della nascita soprannaturale di Gesu ... Fondamento so­ stanziale della cristologia dei sinottici è il concetlo del Messia pensato e designato come « Figlio di Dio » e tutli gli elementi di essa si richiamano alla presenza di una natura in sé umana . . . La cosa piu alta che la cristologia dei sinouici proclami è che a lui è dato ogni potere in ciclo e in terra (Mt. 28, 18), o che egli siede alla destra del Padre, con la qual cosa è affermata la sua partecipazione alla potenza di Dio e al governo del mondo. Inoltre, come uomo, egli viene innalzato atlraverso la morte e la risurre­ zione, e il punto di congiunzione fra cielo e terra è dato dalla sua ascensione al cielo, nella quale lo si vede, persino nella sua figura visibile, librarsi fra la terra e il cielo. Appare chiaro che il punto di vista generale di una tale cristologia è costituito dall'eleva­ zione dell'umano al divino e, muovendo dal concetto di Messia, all'un momento è sempre già legato anche l'altro. Contrapposta a tale concezione sta l 'idea giovannea del Logos, secondo la quale il concetlo sostanziale della persona di Gesu è il divino intrinseco all'essere di lui, e tutla l 'ouica è impostata non dal basso verso l'alto, bensl dall'alto verso il basso, per cui l'umano non è che secondario e accessorio. Tra queste due posizioni contrastanti la cristologia paolina assume poi una posizione cosi peculiare che possiamo considerarla solo come il punto di passaggio fra le altre due. Da un lato, infatti, Cristo è essenzialmente umano, dall'altro egli è piu che uomo e l'umano in lui è tanto elevato ed idealiz­ zato, che in ogni caso egli è un uomo ben diverso da quello che è secondo l'ottica dei sinottici poggiante sulla solida base della sua apparizione storicamente umana.

A questa concezione Baur ricollega anche il primo tentativo di presentare l'insegnamento di Gesu come > , per invitarli ad entrare in questo regno e per inaugurarlo egli stesso. Il « vangelo » come tale, ossia l'annuncio del , si vide poi costretto ad impegnarsi in una polemica con le teorie critiche di Strauss nel ten­ tativo di arrivare « all'elaborazione di un quadro storico del Cristo ». In questo suo lavoro egli riconobbe anzi­ tutto che per lo scopo propostosi era necessario chiarire bene i rapporti reciproci fra i Vangeli sinottici, e nel corso della sua ricerca gli s'impose una duplice convin­ zione. Il Vangelo di Marco è per lingua e disposizione

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interna il prmutrvo, quindi il pm antico dei sinottici; ma il Vangelo di Matteo e quello di Luca hanno unito al Vangelo di Marco una raccolta di discorsi e detti di Gesu risalenti all'apostolo Matteo. In tal modo non sol­ tanto veniva ad essere dimostrata per altra via la priorità di Marco, ma s'indicava anche la necessità di ammettere una seconda fonte, per la cui presenza venivano anche addotte, quali prove importanti, le cosiddette doppie tra­ dizioni di Matteo e di Luca [ Doubletten ] . In base alla acquisizione di queste conoscenze la > ] è collegata alla teologia e appartiene alla cerchia delle discipline teologiche, e ciò in primo luogo come una delle scienze ausiliarie dell'esegesi biblica, la quale ultima, almeno per il teologo protestante, è rimasta fon­ damento e punto di partenza per l'apprendimento della dottrina cristiana e per la sua esposizione. Essa si pone cioè, rispetto alla medesima, nello stesso rapporto della cosiddetta filologia, archeo­ logia ed ermeneutica bibliche. Ma essa si presenta anche come qualcosa di speciale, a sé stante e in sé concluso nell'àmbito della storia della Chiesa cristiana, tanto piu quando essa non s i limita a considerare il lato puramente letterario della propria materia, ma ne abbraccia l'intima e costante connessione con lo sviluppo dell'insegnamento e della vita. Sotto un altro aspetto, dunque, essa non vuole darsi la pretesa di un carattere teologico . . . L a forma che diamo q u i alla scienza [ dell'introduzione] è conseguenza naturale del punto di vista storico al quale ci atte­ niamo. Prescindendo dagli u lteriori ampliamenti della materia, questa storia si distingue dalle comuni introduzioni per il fatto che qui gli avvenimenti vengono disposti come risultati di una critica preliminare, mentre altrove la critica si ricollega all'ordine dei fatti stabilito dalla tradizione. Il nostro lavoro non vuole quindi essere un'introduzione ad una cosa qualsiasi, ma una parte

.., E. Reuss, Die Geschichte der heiligen Schriften Neuen Testa­ ments, Braunschweig, 186()3, pp. 5, 2, 12 s., 124 s., 332 s.; Histoire de la thénlogie chrétienne au siècle apostolique, 2 voli., Strasbourg­ Pari s, 1852; vol . I, pp. 1 1 , 271-273, 287, 292, 306 s.; vol. I l , pp. 266-269, 512, 570 s . Nell a 6' edizione di Die Geschichte der heiligen Schriften Neuen Teslaments (1887) Reuss respinge in contrasto con la terza edizione, senza mezzi termini, l'autenticità di tutte le lettere cattoliche, della Apocalisse di Giovanni, della Prima lettera a Timoteo e della Lettera a Tito.

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·

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di storia di per sé, nobilitata dall'elevata natura della materia, tenuta insieme da un'idea guida, limitata dal suo stesso fine e completa, anche se non in concetti e giudizi (nessuno, certo, può vantarsi di possederne i supremi), tuttavia almeno rispetto al pen­ siero che vuole dare un ordine alla diversità e infondere vita e movimento in ciò che è arido e morto. Non che l'idea di un tale modo di trattazione sia nuova; ma sta di fatto che l'attuarlo si contrappone al metodo in voga ... Quando però Baur, dal suo punto di vista, definisce l'intr()­ duzione come la scienza della critica del Canone [ vedi sopra p. 202 s.] ... , si può dire soltanto che proprio i suoi numerosi scritti sono la prova migliore che ovunque la critica può essere soltanto un lavoro di preparazione per la storia e non la storia stessa; che una scienza storica, come la critica, può accostarsi alla propria perfezione, se osa passare dalla fase della ricerca a quella del­ l'esposizione... ; e soprattutto che, finché si tratta di concetto e forma della scienza, le particolari opinioni di ogni singolo critico, circa le relative questioni particolari, non possono costituire un criterio di misura assolutamente valido. Del resto la presente esp()­ sizione pone molto chiaramente in luce ciò che il suo autore ha imparato dal celebre storico di Tubinga, cosi come discute volen­ tieri con lui là dove si rifiuta di seguirlo. Che la Chiesa dopo la morte di Paolo fosse ancor meno esclu­ sivamente paolina di quando egli era ancora in vita, la scuola di Baur lo ha dimostrato in modo incontrovertibile sulla base della storia del Il secolo e della piu tarda letteratura apostolica ... Cosi noi abbiamo già visto che nella Chiesa apostolica si erano formate all'inizio due fazioni, di cui la piu numerosa era com­ posta di rigidi giudaizzanti, i quali non potevano per ciò stesso concepire né tollerare una rottura con le avite leggi di Israele; mentre l'altra, quella di Paolo, molto meno numerosa, ma supe­ riore per mezzi spirituali, in teoria aveva rotto con la legge, nella pratica la ignorava. È già stato anche accennato al fatto che non ci si fermò a questo semplice contrasto, ma che, nella dottrina come nella vita, fu tentata una mediazione, che si proponeva di portare la pace, ma che doveva servire in pratica solo a coloro che, per mancanza di energia spirituale, non sapevano rinunciare all'antico e non potevano neppure rinunciare al nuovo della con­ cezione che si andava affermando. A questi appartenevano i capi della comunità di Gerusalemme. Peraltro, all'inizio, la loro formula però piu che alla pace portò alla formazione di un terzo partito e, sotto l'aspetto dottrinale, contribui soltanto ad una piu chiara con­ sapevolezza della necessità di superare una posizione che poteva costituire solo un palliativo. La chiara luce che le ricerche di F. D. Baur hanno diffuso sulla storia della Chiesa piu antica è stata piu volte riconosciuta in questo libro con senso di gratitudine, e altre volte anche taci-

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tamente sfruttata. La netta opposizione che è stata manifestata contro alcune delle sue idee fondamentali o delle sue conclusioni, non muta la nostra posizione nei suoi riguardi. Dopo aver chia­ rito che i motivi da lui addotti contro l'autenticità delle lettere paoline non ci appaiono del rutto sufficienti, arriviamo qui al secondo punto in cui noi divergiamo essenzialmente dalla sua posizione. Noi facciamo distinzione fra i giudaizzanti dell'ala estrema, contro i quali è diretta la polemica di Paolo (vedi in particolare la Lettera ai Galati) e che sono anche riprovati in Atti 1 1 , 1 5 , e i giudeo-cristiani moderati che volevano sottomettere i pagani al comandamento di Noè... ma che imponevano ai giudei come questione di coscienza di « comportarsi secondo le usanze » ( 21 , 2 1 ) o di " comportarsi osservando la legge » ( 2 1 , 24), poiché la cosa contraria sarebbe stata una formale " apostasia » (21, 2 1 ). Tali cristiani potevano reciprocamente riconoscers.i (Gal. 2, 7 ) m a non lavorare in comune ( 2 , 9). Non esisteva tra di loro, a dire il vero, alcuna separazione o divisione, ma certo l'esigenza di distinguere le rispettive zone di attività e, a causa anche di delazioni e dicerie esterne, perfino una certa tensione. Quel partito moderato poteva certo essere esiguo di numero e scarsamente influente; la Lellera ai Galati dimostra però in modo irrcfutabile che le « colonne " a Gerusalemme appartene­ vano ad esso ... Una volta dMo l'impulso per una evoluzione spiriruale e pre­ disposto a ciò il terreno, non occorrerà piu molto tempo per veder sbocciare i fiori delle nuove idee. E quando mai, piu abbon­ dantemente che nel secolo degli apostoli, vennero sparsi i germi della speculazione religiosa in tutti i paesi ed in tutti gli strati sociali del mondo civile? Non vi è dunque certamente alcun obbligo di distribuire i frutti di questa evoluzione, che qui ci riguardano, su un piu lungo arco di tempo e di trovarli poi com­ prensibili soltanto quando appartengono a una generazione poste­ riore. Anche cosi come si presentano, essi sono, secondo il giu­ dizio stesso della Chiesa antica che li ha diffusi ovunque, ancora abbastanza immaturi per essere considerati quasi come primizie. Anche se, qua e là, i nomi e le personalità degli autori riman­ gono dubbi o addirittura sconosciuti, essi possono a ragione far valere il proprio diritto a che le loro opere siano considerate documenti della primitiva era cristiana. Ed ecco ora la terza essenziale differenza fra la concezione di e la nostra: quella intende ogni variante da essa riscontrata come posteriore e adduce senz'altro le tracce piu recenti del­ l'uso e della validità di un principio e di una formula quali prove

Baur

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di un'origine posteriore. Entrambe queste conclusioni ci appaiono affrettate. Ciò che è diverso, o solo simile, o anche ciò che è derivato, può benissimo essere contemporaneo; ogni secolo ha potuto sperimen tare che idee e sistemi teorici, immediatamente dopo il loro ingresso nel mondo, sono da alcuni accenati cosi come sono, ma da molti altri vengono mutati, ristretti, allargati, perfezionati. Anche se tu!!o ciò che Baur nella letteratura neote­ jitamentaria considera come polemico o come irenico dovesse essere spiegato come lo intende lui, non per questo vi sarebbe alcun obbligo di postdatarc di 50-80 anni. Per un obbligo del genere si possono addurre solo incerti indizi, ma nessuna prova vera e decisiva . . . U n cenno particolare merita qui l a concezione del tutto mutata della piu antica storia del cristianesimo e della sua letteratura, ,::h e è stata sostenuta c suffragata nella scuola di Tubinga da F. D. Baur e dai suoi allievi. In base ad essa è il contenuto ge­ nuinamente dottrinale dei singoli scritti a fornire il criterio di �iudizio per la loro origine; per modo che la presentazione dello sviluppo della dottrina apostolica appare essenzialmente compiuta prima ancora che sia veramente cominciata la ricerca sui docu­ menti neotestamentari, sotto il profilo dell'epoca della loro ori­ gine; poiché nell'evoluzione che si è avuta da una parte verso una piu elevata speculazione, e dall'altra verso la fusione di elementi giudaico-cristiani e paolini, tale sistema ipotizza un progresso assai piu lento di quanto non accada normalmente, ne deriva che alla maggior parte dei libri compresi finora nel canone sia attribuita una datazione posteriore e che quindi se ne ponga l'origine nell'era postapostolica, cioè nel secondo secolo ... I risultati prevalentemente negativi della critica di Baur non sono di per sé la prova della sua erroneità, come troppo spesso ha sostenuto l'apologetica; solo che il sistema ha i suoi lati deboli, per via dei quali parti essenziali debbono essere mutate o cadere del tutto. Già in precedenza abbiamo notato la volutamente poco chiara reticenza del giudizio su Gesu; la distanza abissale fra il Maestro e Paolo; l'eccessivo risalto attribuito al contrasto fra quest'ultimo e gli altri apostoli ; il misconoscimento dei fermenti spirituali insiti nel piu antico giudeo-cristianesimo e della loro incoercibile forza dinamica interiore; l'ipotesi non ancora mai giustificata di una data di origine cosi tarda per la maggior parte degli scritti neotesta­ mentari; l'eccessiva fretta di vari giudizi negativi sull'autenticità di molti di tali scritti, il cui sacrificio appare cons�ente alla logica interna del sistema piu che a reali, oggettive motivazioni; l'aspetto piu esteriormente schemarico che internamente dinamico, con il quale viene rappresentato il processo evolutivo, ecc. Anche dopo le piu recenti acquisizioni, da cui talune cose sono state modifi­ cate o attenuate, non ci sentiamo di ritirare la maggior parte di

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queste nostre riserve. La lotta al sistema non avrà peraltro mai successo, se esso viene rifiutato in blocco. La teologia biblica è una scienza essenzialmente storica. Essa non dimostra, racconta. f: il primo capitolo della storia del dogma cristiano ... Limitiamoci a richiamare alla mente lo spirito del vangelo [di Gesu] e la tendenza della dottrina giudaica secondo i loro rispettivi caratteri. Il primo si rivolge soprattutto al cuore dell'uomo, al suo sentimento religioso, alle piu intime esigenze della sua anima; esso vuole rinnovarle e indirizzarle a Dio, unica fonte di ogni felicità. La meta e i mezzi per raggiungerla sono dunqu,. uguali per tutti gli uomini, tutti si trovano nella stessa condizion� di lontananza dal bene, di miseria e di pericolo; ne consegue che il vangelo è per tutti ugualmente necessario e ugualmente accessi­ bile. Esso è completamente diverso dalla teologia e dalla filoso­ fia del giudaismo. Già a questo punto possiamo renderei conto che in quest'ultima dottrina si tratta invece di un privilegio per deter­ minati .[ uomini ] , del diritto d'innalzarsi ad un piu alto livello di sapere e di consapevolezza, conseguentemente dell'incapacità di far pa·rtecipare ogni uomo a tale elevazione, e forse anche del disprezzo delle masse. Inoltre questa dottrina s'indirizza di preferenza, e spesso esclusivamente, all'intelletto, alla ragione speculativa o anche soltanto alla memoria, e lascia che il sapere religioso consista in vuote formule, che dovrebbero regolare la vita senza alimentarne la fonte, oppure in fredde e brillanti astrazioni, che sono piu audaci che solide. Inoltre il vangelo ha costituito la base della Chiesa ed ha mutato il volto del mondo; la teologia giudaica ha lasciato morire la sinagoga e ha prodotto soltanto il Talmud e la Kabala, cioè un codice per gente noiosa e una filosofia per sognatori e per maghi... Nessuna sfumatura del giudaismo si accordava con esso [il van­ gelo ] ; i suoi elementi specifici e nuovi lo separavano radicalmente da tutti i sistemi e da tutte le scuole; e ciò che queste ultime pote­ vano possedere di vero e di buono, avendolo ereditato dalla tradi­ zione, doveva essere sempre prima santificato, spiritualizzato, ele­ vato a un piu alto livello dal vangelo. Nulla dimostra la sua origi­ nalità meglio dell'incapacità nella quale si trovò il giudaismo di seguire una spinta che lo avrebbe dovuto completamente coinvol­ gere, se esso non le fosse rimasto invece del tutto estraneo. Per i primi discepoli il vangelo non fu affatto una nuova reli­ gione, contrapposta al giudaismo; fu piuttosto il compimento dell'antica religione ... Questo è in due parole l'essenziale della teologia giudeo-cristiana ... Essa si può riassumere nella proposizione: Gesu è il Messia ... In linea di principio ... le attese delle giovani comunità cristiane erano fortemente simili a quelle della sinagoga. Ciò che noi abbiamo detto a proposito delle attese messianiche dei giudei può quindi

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farci conoscere quelle che erano alla stessa epoca le aspettative degli apostoli, e pertanto si deve solo dimostrare che questa iden­ tità si ebbe di fatto. Nel frattempo, però, la predicazione apostolica, basata sulle particolari esperienze dei discepoli e sulle convinzioni da essi acquisite attraverso i diretti personali contatti con il Si­ gnore, conteneva un germe di originalità e di progresso, il cui significato si rendeva percepibile solo a poco a poco e che alla fine doveva portare alla separazione della Chiesa primitiva dalla sina­ goga. I discepoli credevano e sapevano che il Messia si era già personalmente manifestato... e la sua risurrezione doveva far sl che .si rinfrancasse il loro coraggio dissoltosi nella disperazione e rivi­ vessero con tanto maggior forza volti al futuro i loro pensieri, che già prima essi avevano legato alla sua persona. Ma si deve pure tener presente che questo fatto di uno sdoppiamento della mani­ festazione messianica, questa idea di una duplice apparizione del Messia promesso (una nell'umiltà, l'altra nella grandezza, una nel passato, l'altra nel futuro) in rapporto alla teoria delle scuole non rappresentava solo una semplice modificazione cronologica, ma signi­ ficava un radicale mutamento degli elementi fondamentali [ nei con­ fronti di tale teoria ] . I n effetti è un'opinione assai scarsamente basata sulla storia, ·quella che il giudeo, tanto piu in quanto l'opera di Cristo doveva giun­ gere al suo compimento proprio con q uesto ritorno . . . Poiché Gesu si era presentato come il Messia promesso dai profeti e come tale era stato creduto, cosi lo scopo e il con tenuto della sua missione era già posto in modo sufficientemente chiaro. Inoltre, poiché l 'opera di Cristo non era ancora conclusa, r.el gu ar­ dare a lui si mirava soprattutto al futuro. Ma sulla base delle esplicite parole di Gesu e della consapevol ezza di aver ricevuto lo

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spirito d i Dio, c i si sentiva già sicuri della remissione dei peccati, elargita con il battesimo, della giustizia di Dio, della completa conoscenza della volontà di Dio e della chiamata nel regno futuro, come di un possesso già attuale. Nei territori dell'impero erano dunque serie delle comunità di cristiani (come, ad esempio, a Roma), che erano sostanzialmente svincolate dalla legge, senza che fossero state a ciò spinte dalla prcdicazione di Paolo. Il merito di Paolo è stato quello di aver formulato con acutezza la grande questione, di aver dato fonda­ mento personalissimo all'universalismo della cristianità e di aver tenuto fermo il carattere del cristianesimo come religione positiva (a differenza del moralismo). Ma la successiva evoluzione non ha avuto come premessa né una precisa formulazione né una pecu­ liare motivazione universalistica, ma piuttosto soltanto l'universa­ Iismo medesimo. Nella tradizionale contrapposizione fra paolinismo e giudeo­ cristianesimo, in cui il primo è posto sullo stesso piano del cri­ stianesimo pagano, viene del tutto trascurato il rapporto di dipen­ denza della teologia paolina dall'Antico Testamento c rispettiva­ mente dalla legge giudaica. Questa teologia - Io si può giudi­ care già a priori - poteva con poche eccezioni riuscire compren­ sibile nel suo complesso soltanto a uomini nati nel giudaismo, poiché i suoi severi insegnamenti di scuola farisaica, non elabo­ rati secondo i principi ellenistici, ne costituivano le necessarie pre­ messe, e l'audacia di criticare l'Antico Testamento, di rifiutare o mantenere la legge, poteva essere per i pagano-cristiani tanto poco congeniale quanto lo era la pietà nei confronti del popolo giudaico. Questo giudizio riceve conferma se si guarda alle sorti della teologia paolina nei successivi centoventi anni. Soltanto un pagano-cristiano, Marcione, ha capito Paolo, e lo ha non poco frainteso; gli altri non sono andati oltre l 'assimilazione di singole proposizioni dell'apostolo e non hanno mostrato alcuna compren­ sione per la sua teologia, specialmente per quanto in essa viene provato a proposito dell'universalismo della dottrina cristiana, e ciò anche senza far ricorso al moralismo né ad una diversa inter­ pretazione della religione dell'Antico Testamento. Da questo si deduce, dunque, che Io schema « giudeo-cristianesimo - pagano­ cristianesimo >> è insoddisfacente . . . Influssi d i provenienza greca potrebbero i n effetti essere pro­ vati in Paolo solo se tramandati per mezzo della teologia giudaico­ palestinese, nella quale ultima peraltro essi non possono esser constatati con effettiva certezza. L'originale ed elevata concezione del cristianesimo che compare negli scritti giovannei, non ha esercitato... sull>. lo ho tentato di mostrare quali sono gli elementi essenziali del Vangelo, e tali elementi sono «atemporali». Però non solo essi, ma anche «l'uomo>>, cui il Vangelo si rivolge, è «senza tempo»; è l'uomo che, malgrado ogni progresso dell'evoluzione, è rimasto sempre uguale a se stesso, nella sua sostanza interiore e nei rap­ porti fondamentali con il mondo esterno. Se questo è vero, com'è vero, il Vangelo rimane valido anche per noi. La predicazione di Gesti, con pochi ma grandi balzi, ci solleva subito a un'altezza, dalla quale la sua connessione con il giudaismo ci appare di poco significato e del tutto irrilevanti diventano i fili che risalgono alla storia di quel tempo ... Il quadro della vita e i discorsi di Gesti non presentano alcun rapporto con il mondo greco. Ciò desta qualche meraviglia, poiché la Galilea era piena di greci e in molte delle sue città a quel­ l'epoca si parlava greco, cosi come, poniamo, oggi si parla svedese in Finlandia. Vi erano poi maestri e filosofi greci, ed appare improbabile che Gesti ignorasse del tutto la loro lingua. Ma che egli ne sia stato in qualche modo influenzato, che le idee di Pla­ tone o degli stoici siano arrivate a lui, anche solo in qualche rifacimento popolare, non si può assolutamente affermare... La predicazione di Gesti sul regno di Dio si manifesta in tutte le forme del colorito messaggio profetico dell'Antico Testamento, dall'annuncio del giorno del giudizio a quello della futura, visibile regalità di Dio, fino al pensiero dell'avvicinarsi del regno inte­ riore secondo la promessa piti specifica di Gesti stesso. Dunque il suo annuncio comprende due poli, con varie sfumature e grada­ zioni intermedie: all'uno di questi poli appare, come cosa pura­ mente futura, l'avvento del regno e il regno stesso come manife­ stazione esteriore della sovranità di Dio; all'altro polo, invece, tale avvento è un fatto della coscienza, e soprattutto è già pre­ sente e operante . . . Non v i può essere alcun dubbio che quella idea dei due regni (il regno di Dio e quello del diavolo, delle loro lotte e della loro futura ultima lotta, nella quale il diavolo, già da tempo espulso dal cielo, sarà vinto anche sulla terra), fosse qualcosa che Gesti aveva in comune con gli uomini del suo tempo. Egli non ha dunque creato questa idea, ma si può dire, è cresciuto insieme ad essa c l'ha conservata. L'altra idea, invece, è tutta sua: che il regno di Dio non viene «con gesti esteriori >>, in quanto è già presente.

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Chi vuoi sapere che cosa significhino il regno di Dio e il suo avvento nell'annuncio di Gesu, deve leggere e meditare la sue parabole. È i-n esse che si comincerà a farglisi chiaro di che si tratti. Il regno di Dio viene al:lorché esso penetra nell'animo di ciascuno di noi e qui viene accolto. Il regno di Dio è signoria di Dio, certo, ma è la signoria di lui nei singoli cuori, è Dio stesso con la sua forza. Tutto quanto c'è di drammatico i-n senso este­ riore, mondano, qui si dilegua, e si dilegua anche l'esteriore spe­ ranza dell'avvenire. Possiamo prendere una qualsiasi delle para­ bole, quella del seminatore, come quella della per.Ja preziosa, o del tesoro nel campo; il regno di Dio è la parola di Dio, è Dio stesso; non si tratta già di angeli e di diavoli, di troni e di prin­ cipati, ma solo di Dio e dell'anima, dell'anima e del suo Dio. L'idea del regno, secondo cui esso è già venuto e si realizza nell'opera salvifica del Redentore, non è stata poi mantenuta nel­ l'epoca successiva dai discepoli di Gesu; si continuò per contro a parlare del regno, ma come di una cosa unicamente futura. La realtà rimase bensi in vigore; ma la si pose sotto altro titolo... Ciò che ha formato il nucleo della predicazione sul regno è rimasto intatto. Si tratta di tre elementi distinti: in primo luogo, che questo regno è qualcosa di soprannaturale, un dono dall'alto e non il prodotto della vita terrena; secondo, che si tratta di un bene puramente religioso, quasi dell'intima comunione con il Dio vivente; terzo, che esso è il fatto piu importante e decisivo che l'uomo possa vivere, che penetra e domi-na tutta la sfera del suo essere, poiché i peccati sono rimessi e la miseria è infranta... La predicazione di Cristo è immediatamente e chiaramente inquadrabile, anche per la nostra sensibilità e mentalità di oggi nell'ambito di quei pensieri che sono dominati da Dio Padre e dall'annuncio del valore infinito dell'anima umana ... Ma mentre tutto il messaggio di Gesu può essere ricondotto a due elementi ,..... Dio come Padre e l'anima umana tanto nobilitata che può unirsi a lui, e in effetti gli si unisce - appare chiaro che il Vangelo non è una religione positiva, come le altre, che esso non ha nulla in sé di statutario o di particolaristico, che è dun­ que la religione stessa. Consideriamo anzitutto la qualifica di « Figlio di Dio». In uno dei suoi discorsi Gesu ha spiegato molto chiaramente perché e in quale senso egli si è chiamato « Figlio di Dio ». In Matteo, e non in Giovanni, noi leggiamo: , ma della semplice espressione dello stato di fatto, quale si trova nel Vangelo: non il Figlio, ma soltanto il Padre

appartiene intrinsecamente al Vangelo, cosi come Gesu lo a11nunciato.

ha

Ma cosi come egli conosce il Padre, nessuno lo ha ancora conosciuto, ed egli porta agli altri questa sua conoscenza; cosi egli rende « ai molti >> un impareggiabile servizio. Egli li conduce a Dio, non solo per mezzo della sua parola, ma molto piu mediante ciò che egli è e ciò che fa e, da ultimo, mediante ciò che egli patisce ... Egli non appartiene al Vangelo come un qualsiasi elemento, ma è stato la personale realizzazione e la forza del Vangelo, e come tale continuerà sempre ad esser sentito e considerato.

Proprio in questo isolamento del cristianesimo primi­ tivo e in questa premessa teologica allo studio storico del Nuovo Testamento si trovavano problemi, che già da lungo tempo si erano agitati sullo sfondo e che ora sol­ tanto venivano in primo piano, portando con sé, come conseguenza, anche una revisione pressoché totale della scienza neotestamentaria. Ma prima di cominciare a par­ lare di questa nuova situazione della ricerca, dobbiamo

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tar cenno ancora di alcuni problemi particolari, che ven­ nero affrontati verso la fine del XIX secolo . .4. Problemi particolari

K. Lachmann aveva posto le basi per l'elaborazione di un testo critico del Nuovo Testamento, ma, per la mancanza di documenti testuali sufficienti, risalenti ai primi cinque secoli, non era potuto arrivare ad un risul­ tato convincente. Partendo dalle sue premesse Constantin von Tischendorf, con un paziente lavoro durato decenni, scopri e collazionò, in biblioteche europee ed orientali, numerosi manoscritti (fra cui il notissimo manoscritto del Sinai del IV secolo) 83, e pubblicò sulla scorta di tutti i documenti raggiungibili e delle citazioni dei Padri della Chiesa numerose edizioni della versione greca del Nuovo Testamento, di cui l'ottava ( 1 872) offri materiale critico per una formazione veramente metodica del testo, in una forma eccellente ed ancor oggi insuperata. Sulla base di tale materiale Tischendorf poté vantarsi di non aver piu, come Lachmann, ripri·stinato il testo del IV secolo, ma addirittura quello del II secolo 84• Tuttavia mancavano a Tischendorf, grande soprattutto come raccoglitore, chiari principi per la ricostruzione di un testo. E pertanto solo i due studiosi di Cambridge, Brooke Foss Westcott e Fenton John Antony Hort, sulla base del materiale nel frattempo ritrovato e conosciuto, poterono approntare un testo del Nuovo Testamento criticamente corretto. Con la loro edizione del 1 882 85 essi presentarono un testo 83 I. Sevcenko, New « Codex Sinaiticus »,

Documents on Constantine Tischendor/ and

in « Scr ip o i m », XVIII (l %4 ), pp. 55 ss., ha dimostrato, in base al ritrovamento di nuovi documenti, che Tischen­ dorf non ha afiatto agito correttamente nella consegna del manoscritto sinaitico allo Zar.

the

t ru

84 Novum Testamentum Graece ad antiquissimos testes denuo re­ censuit� apptJratum criticum omni studio per/ectum apposuit, commen­ tationem isagogicam praetexuit Constantinus Tischendorf, >) con il mashal [discorso figurato] della Scrittura, che, in tutta la sua ampiezza e naturalezza, deve essere stato anche il mashal di Gesu. O, per esprimerci in termini piu prudenti, il loro concetto di parabola, posto che essi ne abbiano uno, è naturalmente quello della letteratura giudaico-ellenistica. Pertanto con il termine . Egli si afferma qui come Maestro anche in senso artistico; per quanto ne sappiamo, niente di piu alto e di piu perletto è stato mai pro­ dotto in questo campo ...

A me sembra che, se noi lasciamo da pane una buona volta

Origene e la sua teoria del significato piu profondo delle parabole,

non possiamo... fermarci a mezza strada; le parabole devono essere discorsi o del tutto impropri o del tutto propri. Una mescolanza dei due generi potrebbe in qualche caso essere possibile, ma sarebbe un segno di scarsa abilità. II desiderio di lasciar traspa­ rire delle particolarità in principali scopo, non può mai essere fatto

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passare come motivo di fondo delle parabole; in esse s i doveva o allegorizzare tutto o prendere tutto alla lettera e trarne qualche insegnamento, ossia darsi una spiegazione completa da poter uti­ lizzare per scopi piu alti. Le somiglianze tra la parte d'immagina­ zione e la parte oggettiva potranno essere numerose o limitate ad un singolo punto. La parabola consiste sempre nel far luce anche su quel solo punto: una legge, un'idea, un'esperienza valida tanto per la v.ita spir·ituale, quanto per quella terrena.

Nel campo degli studi su Paolo, Hermann Liidemann, studioso bernese di dogmatica, nella sua ricerca sull'an­ tropologia di Paolo ( 1 872), osservò che il concetto cen­ trale per l'antropologia dell'apostolo, cioè la nozione di « carne », si richiama in parte all'uomo nella sua inte­ rezza e in parte, in senso piu stretto, al corpo materiale come sede del pecca to, in contrapposizione all'uomo inte­ riore. Come spiegazione egli addusse il fatto che la prima idea sarebbe stata di provenienza giudaica e la seconda di provenienza ellenistica, e tentò di dimostrare che Paolo avrebbe continuamente sospinto in secondo piano le idee giudaiche e la dottrina della salvezza ad esse colle­ gata (giustificazione dalla fede), e lo avrebbe fatto a van­ taggio delle idee ellenistiche e della dottrina della reden­ zione, connessa con il battesimo. Cosi facendo non sol­ tanto si veniva ad ipotizzare in Paolo una doppia dot­ trina della redenzione, ma si tentava di spiegare questo stato di fatto sostenendo la derivazione delle due correnti di pensiero da premesse giudaiche o rispettivamente elle­ nistiche, alla qual cosa era poi collegata la tesi che nel pensiero dell'apostolo vi fosse stata un'evoluzione e che la vera e propria teologia paolina andasse ricercata nella dottrina realistica della redenzione, di origine ellenistica. Respingendo in tal modo la dottrina della giustificazione, altrimenti sempre considerata punto centrale, e fomm­ lando l'ipotesi di un insegnamento paolino in sé diviso, venivano però a porsi la questione dell'interna coerenza e del contenuto centrale della teologia paolina e, allo stesso tempo, anche il problema della posizione storico­ religiosa di tale teologia, cosicché si può affermare che il lavoro di Liidemann (che accenna altresi al significato

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paolina dell'attesa del ritorno) ha veramente toccato tutti i problemi essenziali delle successi ve ricerche su Paolo 88• In Paolo, dove la « carne» (sarx) proprio come materia è corruttibile, noi siamo portati a ricordarci molto da vicino il prin­ cipio del materiale, al quale, nel modo di pensare dualistico dei circoli platonizzanti, ellenistici o, piu in generale, della cultura greca del tempo, veniva ascritta come caratteristica essenziale la transitorietà, il non essere. E in qual modo, se ad emergere in Paolo non fosse la negatività dell'elemento materiale come tale, se a farsi valere fosse un elemento non veterotestamentario, ma piuttosto ellenistico? Se ... si conferma che accanto al piu ampio concetto di «carne» se ne deve riconoscere uno piu limitato,... che soltanto il primo è giudaico, mentre il secondo è una categoria greca, ne deriva allora, a proposito dell'antitesi fra si ponga con quello, ma in parte lo fa apparire come contrapposi­ zione fra infinito e finito e per il resto come contrasto dello Spi­ rito di Dio con la materia terrestre del corpo umano. E in tal modo egli accoglie un elemento ellenistico-dualistico nel suo pen­ siero ... In qual modo l'evento oggettivo verificatosi nella morte e nella risurrezione di Cristo acquista effetto per il soggetto singolo sottoposto alla schiavitu della ? Ognuno avrà qui la risposta sulla punta della lingua: . Da un lato noi non vogliamo dichiararci contrari, dall'altro però vogliamo anche accontentarci di ciò che l'apostolo ci offre qui (Rom. 6, 3 ss.) in primo luogo, e cioè il battesimo... Già da questo possiamo vedere che Paolo fa derivare dal battesimo una cosi intima unione del battezzato con Cristo, che essa in nulla è inferiore a una reale identificazione nel rapporto di cui si tratta. È una connessione tale per cui ciò che è accaduto a Cristo, eo ipso viene esteso anche al battezzato... L'uomo vecchio, ossia la > (Rom. 7, 25), è crocifisso con Cristo e in tal modo il> del battezzato viene rimosso, annullato. Quando poi l'uomo è morto secondo la sua "carne>>, ossia quando la sua è morta, allora egli viene dichiarato libero dal peccato, ossia dall'obbligo di servire ad esso

•• H. Li.idemann, Die Anthropologie des Apostels Paulus und ibre Stellung innerhalb seiner Heilslebre. Nacb den vier Hauptbriefen darge.. Questa esposizione avrà certamente suscitato nei nostri lettori qualche perplessità c in particolare essi saranno pronti a rimpro­ verarci di aver compreso il pensiero paolina in modo cosi uni­ laterale che nella nostra argomentazione non si ritroverebbe ciò che abitualmente si cerca e si trova in Paolo. Infatti, sebbene si sia parlato della redenzione dell'uomo per opera di Cristo, dove sono andati a finire, ci si chiede, le sublimi dottrine della passione di Cristo e della giustizia che viene dalla fede? dottrine che sono tanto essenziali alla struttura del pensiero paolina che, privatone, esso sembrerà aver perso le gemme piu preziose... La < < giustificazione >> di Rom. 3-4 non è nulla piu di una sem­ plice sentenza di assoluzione, il puro actus forensis, che non eser­ Cita alcun effetto o modificazione reale e oggettiva nell'essenza dell'uomo. Dio ammette alla grazia il credente, cosi come egli è, e l'immediata reale conseguenza è soltanto un rapporto del > con Dio, rapporto che è da ambo le parti di natura puramente soggettiva e consiste nel fatto che il giustificato , si vengono svolgendo due ordini di pen­ sieri che divergono l'uno dall'altro per l'intero loro corso. Designeremo il primo di questi due ordini come religioso o soggettivo-ideale, e l'altro come etico o oggettivo-reale. E cosi metteremo da una parte libertà, responsabilità, punibilità, origine dei peccati nello stesso soggetto libero, colpa oggettiva e consape­ volezza di colpa soggettiva, come punto germinale dell'intera evo­ luzione; dall'altra parte troveremo stretta interdipendenza causale, necessità naturale del peccato, origine di questo non tanto «nel>> quanto « dal >> soggetto, senza la sua conoscenza e volontà ... Da una parte [troveremo] una remissione dei peccati e l'im­ putazione di una giustizia ideale, rese entrambi possibili giuridi­ camente, secondo «la legge della fede»; dall'altra la redenzione

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del soggetto dalla " carne» e il conferimento dello >, dal «peccato>> e dalla « morte ». Con ciò si chiarisce anche, finalmente, che fu la rifles­ sione soteriologica a sollecitare l'apostolo a raccogliere in un punto focale tutti gli elementi della sua antropologia, che già si trovavano sparsi nelle sue precedenti affermazioni, per portare in tal modo la sua antropologia ad una compiutezza sistematica e per dare altresi una base ampia e sicura alla propria soteriologia. In questa dottrina noi abbiamo finalmente davanti agli occhi la concezione vera e definitiva dell'apostolo circa la salvezza del­ l'uomo in Cristo... Già all'inizio, nel duplice significato della parola «carne>>, noi ci imbattemmo in una doppia stratificazione della struttura del pensiero paolino, la quale poi, nello sforzo di motivare la posi­ zione dell'antropologia nell'ambito della donrina soteriologica, ci si confermò con tale chiarezza e nettezza di contorni che ci sen­ timmo preoccupati per l'interna unitarietà della donrina dell'apo­ stolo. Ora, dopo aver cercato di comprenderla geneticamente in rune le sue parti, ci è divenuta chiara anche la posizione reciproca dei suoi diversi elementi; ci siamo resi conto che in una costante interazione con lo sviluppo dell'antropologia, al centro della sote­ riologia paolina si compie una trasformazione degna di rilievo. Proprio gli elementi in cui non di rado si scorge il vero e proprio palladio del paolinismo, cioè la giustificazione vicaria di Cristo e la giustizia dalla fede, dopo aver costituito realmente per una parte il nucleo piu intimo del vangelo di questo apostolo, a poco a poco sono state estromesse da questa posizione centrale; in tal modo, nella piu matura configurazione della dottrina, esse fini­ scono per rappresentare come i propilei, attraverso i quali il cri­ stiano proveniente dal giudaismo deve avere « accesso » ai beni della salvezza, dai quali, però, poi risultano di nuovo quei reali

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tesori d i grazia che sono u n a nuova creazione e la futura glorifi­ cazione dell'uomo mediate da Cristo. Senonché nello stesso tempo abbiamo visto che uno di questi ordini di pensiero, quello che si allontana a poco a poco dal centro, poggia su un terreno dal quale lo stesso Paolo ha avuto origine e dal quale però egli si allontana in maniera inconfondibile fino a che esso diventa per lui un oggetto di trattazione teolo­ gico-pedagogica: il terreno della coscienza legalistica veterotesta­ mentaria. Quale parola risolutiva con cui questa continuamente si manifesta, abbiamo riconosciuto il concetto di del Nuovo Testamento come premessa al proprio lavoro, i singoli articoli dimostrano un completo distacco dell'universo di pensiero neotestamentario dalla grecità profana e, sulla base dell'unitarietà di questo universo, la mancanza di ogni prova di una evoluzione all'interno del Nuovo Testamento. Il passo veramente decisivo in questa direzione fu compiuto però da Adolf Schlatter, che, piu tardi collega di Cremer, fece suo il problema della comprensione delle idee centrali del Nuovo Testa­ mento in uno degli aspetti essenziali ( mentre Cremer lo aveva preso in considerazione solo da un punto di vista piuttosto generico) e esaminò ampiamente la realtà della «fede nel Nuovo Testamento » ( 1 885). Schlatter muo­ veva deliberatamente dalla convinzione del carattere uni­ tario della testimonianza neotestamentaria, malgrado ogni differenziazione, cosi come dalla necessità di una fede per­ sonale 91 per una obiettiva presentazione della fede evan­ gelica. Ed anche nei suoi numerosi manuali e commenti successivi si è poi andato sempre piu allontanando dalla ammissione di differenze e distinzioni nell'ambito del Nuovo Testamento, come aveva già fatto nella sua prima opera 92• Ma questa unità della testimonianza neotesta"" Il. Cremer, Biblisch-theologisches Wiirlerbuch mellllichen Griiciliil, Gotha, 1867, prefazione.

der Neulesla­

91 Sull'esigenza di una fede personale rome presupposto per l'ade­ guata compremsione dd Nuovo Testamento in Schlatter cfr. G. Egg,

Adolf Schlallers kritische Position gezeigt an seiner Mallhiiusinterpre­ talion, 1968, pp. 55, 64 ss., 107 s. 92 Vedi A. Schlatter, Ruckblick auf seine Lebe�tsarbeit, 1952, pp. 233 s. («Io possedevo un Nuovo Testamento unitario •); vedi pure il giudizio di K. Holl sulla Theologie des Neuen Testaments di Schlatter ( 1909), espresso in una sua lettera a Schlatter del 1909: «Voi mi

avete fatto capire in maniera del tutto nuova l'unità della concezione neorestamcmaria... come sinora non m'era mai riuscito» (vedi Briefe Karl Holls an Adolf Schlaller, 1897-1925, a cura di R. Stupperich, in « ZThK •. LXIV [ 1967 ] , p. 201 ). Su questi presupposti metodologici del lavoro di Schlatter nel suo insieme vedi anche W. Tebbc, Der ;unge Schl•ller, in Aus Schlallers Berner Zeit, Bern, 1952, pp. 64 s.

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mentaria Schlatter la vide storicamente giustificata dal fatto che « l'ambiente di Gesu e dei suoi discepoli fu la comumta giudaica palestinese » 93• Perciò egli fece nuo­ vamente ricorso all'ipotesi, formulata per la prima volta da John Lightfoot, che si potesse far ricorso alla lettera­ tura rabbinica per chiarire lo sfondo storico del Nuovo Testamento e cercò di spiegare per quale ragione questi testi, che pur sono di origine posteriore, possano vera­ mente far luce su tale sfondo. Partendo da queste pre­ messe metodologiche, Schlatter cercò di dimostrare che g1a m Gesu la fede ha un significato centrale e che in Paolo, poi, la fede stessa diviene una realtà dominante, essendo considerata il mezzo piu immediato di salvezza, anche nel battesimo. In tal modo, in contrapposizione a Liidemann e a Holtzmann, è stato compiuto il tentativo di comprendere in senso completamente unitario un Paolo che Schlatter distacca del tutto dall'ellenismo. Se con ciò venivano ad essere a torto negati gli indubbi contatti di Paolo con l'ellenismo, veniva nuovamente portata in primo piano, e a ragione, l'importanza fonda­ mentale della fede per l'apostolo. Ed inoltre era sottoli­ neato H dovere di mostrare - sia pure con il manteni­ mento del quadro storico-religioso, che invece Schlatter aveva rifiutato - la prevalente unità del pensiero pao­ lino 94• La fede è un fatto interiore e con la sua rappresentazione noi entriamo nel campo della storia. Tale concetto trova qui una

e G. Egg, Ado// Schlatters Kritische Position, cit., pp. 130 ss. (p. 131, nota 4: accenno ad un « decremento, cronologicamente dimostrabile, dell'autenticità delle singole scritture neotestamentarie »). 93 Vedi A. Schlatter, presentazione di sé in Die Religionswissens­ chaft der Gegenwart in Selbstdarstellungen, vol. I, 1925, p. 19. G. Egg, Adolf Sch/atters Kritische Position, cit., pp. 55 ss., 123 ss., mo­ stra che Schlatter limita ancor piu al campo linguistico anche l'ana­ logia storico-religiosa di provenienza palestinese. ., A. Schlatter, Der G/aube im Neuen Testament. Eine Unter­ suchung zur neutestamentlichen Theologie. Eine von der Haager Ge­ sellschaft zur Vertheidigung der christlichen Religion gekriinte Preiss­ chri/t, Leiden, 1885, pp. 4 s., 9, 536 s., 126, 229 s., 315-317, 339, 342, 502.

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tanto piu completa applicazione quanto piu è vero che la fede neotestamentaria, pur avendo ricevuto il suo fondamento da Gesu, non sussiste nell'ambito della Chiesa in rigida immobilità, ma subisce una vivace evoluzione, individualmente ben determinata in ogni singola figura apostolica. Questa molteplicità ha origine diret­ tamente dal valore che la personalità umana, nell'inclividualità della propria vita, ha davanti a Dio. Noi non abbiamo da porre ad essa alcun postulato, né nel senso di un'unità meccanica, come se lo stesso concetto di fede dovesse trovarsi ovunque nel Nuovo Testamento, né postulando l'antitesi, come ha fatto quella meta­ fisica che non possedeva alcun principio di movimento, all'infuori, appunto, dell'antitesi; non abbiamo assolutamente nulla da postu­ lare, ma solo da prendere atto di ciò che è accaduto. Dato che gli spiriti conducono una vita individuale secondo l'ordine di Dio, noi riscontreremo una certa varietà anche nella loro fede. Ma non potrà mancare l'unità di fondo, purché la loro peculiarissima vita sia fondata in Dio. Pertanto la formula « unità nella diver­ sità >> ha un reale fondamento e poggia sul fatto che l'unico Dio opera nell'intimo d'una moltitudine di personalità, ciascuna delle quali deve avere ed ha una sua propria vita. Se è vero che lo scopo del presente studio è la storia, in quella piena oggettività, che sola conferisce a un'esposizione il carattere di storia, altrettanto vero è che per me non si tratta di esporre la mia fede, ma piuttosto di cogliere e rendere quella fede che dagli uomini del Nuovo Testamento è stata vissuta, pensata e descritta. Con questo, tuttavia non intendo sottacere che quanto io posso arrivare a possedere grazie a un esame della posizione della fede nel Nuovo Testamento, sembra farmisi accessibile solo in strettissimo rapporto con quanto io stesso ho ricevuto in fatto di fede, dalla grazia di Dio e del Cristo. Pertanto mi riesce quasi impensabile che, senza un proprio atteggiamento orientato dalla fede e soltanto con la mediazione della fantasia, la quale pure si sforza d'immaginare e riprodurre stati d'animo estranei, sia ad alcuno possibile giungere ad una comprensione totale del concetto neotestamentario di fede. . . Sarebbe dunque un giudizio infondato e ingiusto quello che alla efficace collaborazione che ogni singola posizione di fede può sempre recare, muovesse l'ac­ cusa di costituire un'alterazione del carattere storico, quasi che il rimuovere e l'allontanare l'intima esperienza che ognuno, anche a mezzo della fede, può acquisire degli avvenimenti, non costituisse piu un ostacolo che uno stimolo alla intuizione storica. In ciò che ognuno vive e sperimenta della fede in Gesu sta dunque proprio la possibilità, la spinta ed anche lo strumento spirituale per la comprensione realmente storica del Nuovo Testamento ... Al guazzabuglio cronologico e storico delle compilazioni dei rabbini si può ovviare, almeno in qualche modo, ·anche solo in parte,

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medi>lnte la letteratura ellenistica. Essa offre la dimostrazione che la tradizione esegetica dei targumim e dei midrarhim è, in parte notevole, anteriore al cristianesimo ... Tali datazioni permettono di stabilire che le raccolte giudaiche, per quanto tarde esse siano e diverse le parti che esse contengono, sono senza dubbio nel complesso una fonte di tradizioni precri­ stiane. Poiché il Vangelo, prima di essere greco, fu aramaico e palestinese, e poiché la formazione linguistica del Nuovo Testa­ mento e quella teologico-rabbinica si riconducono ad una radice comune, ne consegue che il patrimonio linguistico e concettuale di queste due fonti dovrebbe essere studiato ed esaminato con quello stesso metodo che è già stato applicato alla comparazione delle varie lingue indogermaniche. I doni di Dio hanno nella parola di Gesu un ampio spazio. Essa porge cibo e vestimento, e per questo la fede ha il suo posto anche in questa sfera della vita. Essa si occupa dei peccati, poiché l'atteggiamento di Dio nei loro confronti è fissato dalla regola: « io ti ho perdonato tutte le colpe, poiché tu mi hai pregato >>... Ma anche il regno con i suoi beni positivi è un dono di Dio e perciò oggetto della preghiera umana... In questa posizione di Gesu, che alla preghiera fatta con fede e nel suo nome, solo ad essa, promette la donazione divina e, in misura illimitata, pro­ mette anche il bene supremo, fa il suo ingresso nel mondo il

c

sola fide.

Gesu era l'ascoso, colui che si fece parabola nell'uomo che depone nella terra il granello di senape, nella donna che nasconde il lievito nella farina, e la concezione dei sinottici è pienamente ttorica, cioè scaturita dall'esperienza con e dal geloso ricordo della sua condotta. Ma essa non rende una totalità ... Nell'oscuro rigore di questa immagine di Cristo Giovanni reca luce, mostrando che quella di condanna non fu l'unica parola di Gcsu, ma ha il suo presupposto nella positiva testimonianza che egli diede di sé... Allorché Paolo esponeva alla comunità di Roma il suo vangelo, egli seguiva lo stesso corso di pensieri che, secondo la Lettera ai Galati, l'aveva condotto al confronto polemico con Pietro in Antio· chia. Cosicché ciò che noi leggiamo in Gal. 2, 16 comprende già i contenuti dei piu importanti nuclei d'ido;-e della Lettera ai Ro­ mani, una interessante illustrazione del valore che tali convin­ zioni avevano per Paolo e della saldezza con la quale egli le fissava, in sintesi la sostanza della sua predicazione da Antiochia fino a Roma... In Antiochia come in Roma, dunque. Paolo dava inizio al corso dei suoi pensieri con quella rinuncia alla legge che è condi­ zione della fede; di qui egli procedeva verso il possesso della giu­ stizia contenuto nella fede stessa, per terminare descrivendone l'onnisufficienza, che per il presente e il futuro rende ogni dono di Dio proprietà dell'uomo.

Gcsu

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Non s'introduca però un « quasi » nel pensiero dell'apostolo, per cui il credente considererebbe se stesso « come se » egli fosse giusto. In questo modo si distrugge il pensiero paolino alle radici, poiché si disgrega l'atto di fede sul quale esso riposa. Questo « quasi » trasferisce nel comportamento di Dio quelle impressioni, che appartengono invece alla propria coscienza di essere e di com­ portarsi; è l'espressione di una scissione interiore, una parola di " colui che dubita ». Se si tratta del suo essere e del suo operare, Paolo non si ritiene né quasi giusto, né quasi ingiusto, ma si giudica del tutto ingiusto, condannato da Dio, destinato alla morte, e alla morte eterna. Ma il suo essere e il suo destino acquistano il carattere opposto per mezzo di ciò che Dio ha fatto per lui. E l'atto di fede, che corrisponde all'azione divina, con­ siste proprio nel fatto che chi Io compie non si sa « quasi », ma interamente e assolutamente giustificato, e ciò semplicemente perché sa di essere stato dichiarato giusto da Dio ... Di fronte alla risurrezione di Cristo il credente afferma che Dio gli ha dato la vita. Egli è certo: « io sono stato crocifisso ' con Gesti », e continua: « io sono stato con lui risuscitato » ; ed anche qui è null'altro che la fede a dare possesso della vita ... I n questa totale dipendenza del suo pensiero di Paolo dalla svolta che mutò il corso della sua vita con l'apparizione di Gesti, il suo concetto di fede si dimostra opera di Gesti stesso.

Il metodo di Schlatter, costruito sulla premessa della fede personale, significava, malgrado i cenni non trascura­ bili all'importanza della ricerca nel campo del giudaismo rabbinico per la comprensione del Nuovo Testamento, un mettere in discussione l'idea che dai tempi di Semler aveva dominato i nostri studi : quella della necessità di una ricerca rigorosamente storica sul Nuovo Testamento. Un ancor piu significativo attacco al metodo di ricerca storica introdotto da Semler fu condotto da Theodor Zahn nella sua Geschichte des Neutestamentlichen Kanons ( 1 888- 1892). In questo campo si era imposta in vasta mi·sura l'idea che non fosse possibile parlare di una rac­ colta di seri tti cristiani per una nuova « Sacra Scrittura » prima della metà del II secolo, e che la questione dell'ap­ partenenza di un testo al Canone dovesse essere decisa dalla Chiesa, e che quindi la validità canonica fosse opera della Chiesa stessa 95• Ma Theodor Zahn, il dotto 95 H. J. Holtzmann, Lehrbuch der historisch-kritischen Einleitung

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conoscitore della letteratura della Chiesa antica, del quale un Harnack, all'atto della pubblicazione dei suoi primi scritti, temeva assai la critica 96, lui che fu piu tardi l'au­ tore di una Einleitung in das Neue Testament e di nume­ rosi commenti assai eruditi ma di orientamento unilate­ rale, Zahn dunque, nel primo volume della sua storia del canone, rimasta incompiuta (il secondo contiene solo im­ portanti ricerche sulle fonti) si provò a dimostrare che il Nuovo Testamento « non era stato composto dopo la metà del II secolo ad opera della Chiesa. . . che d'altro canto esso non può esser neppure considerato il risultato di un lento e naturale evolversi della tradizione » e che assai verosimilmente « la Chiesa cattolica nella seconda metà del II secolo non ha creato il suo Nuovo Testa­ mento, ma lo ha ricevuto dalla tradizione ». Le raccolte dei Vangeli e delle lettere di Paolo esistevano, perciò, già prima della fine del I secolo, e piu tardi la Chiesa ha solo sancito con una sua decisione l'appartenenza di altri scritti al Nuovo Testamento 97• Da piu di cento anni fra quei teologici protestanti, che avevano rotto con la fede della Chiesa e con la storia ecclesiastica, si è andata rafforzando l'opinione che il Canone del Nuovo Testamento abbia avuto origine dopo la prima metà del II secolo. La Chiesa cattolica, che a quell'epoca si andava consolidando, ancora in parte impegnata nella lotta con le sette gnostiche e già in vista della nuova lotta contro il montanismo, avrebbe pensato d'appron­ tarsi questo arsenale. Ciò che dapprima solo alcuni innovatori avevano affermato, appoggiandosi su osservazioni isobte, si cercò di dimostrarlo piu tardi in modo piu sistematico. Oggi poi la cosa viene posta a fondamento di ogni studio, come un dato di fatto sicuro, ora con quell'aria di sufficienza che assumono certi consumati conoscitori della storia, ora con il fare del demagogo che sa come imporsi alla sua plebe ... Non una opinione preconcetta circa il carattere distintivo di

in das Neue Testament, 18923,

pp. 75 s s . 90 A. v on Zahn-Harnack, Adolf von Harnack, cit., pp. 65, 87. Sulla veochia amicizia tra Zahn e Harnack, dr. le lettere di Har.nack pub. blkate in " ThLZ •. LXXVII (1952), pp. 498 ss. 97 Th. Zahn, Geschicbte des Neutestamentlichen Kanom, Erlangen­ Leipzig, vol. I, l - II, 2, 1888-1892 (le citazioni dal vol. I, l, pp. 446, 435 s., 83 s.• 433 s., 794-796).

Lo

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determinati scritti, né un dogma dell'ispirazione degli autori apo­ stolici ha procurato alla Chiesa il Nuovo Testamento ed ha aperto o chiuso ai singoli libri l'ingresso in questa raccolta, ma al con­ trario l'uso effettivo e la validità (fondata sulla provenienza) che gli seri tti hanno per la vita e soprattutto per la liturgia della Chiesa, hanno contribuito a circondarli di un'aura di sacralità, creando l'idea di una loro origine soprannaturale e di una loro di­ gnità di gran lunga superiore a quella di qualsiasi altra letteratura. Ogni volta che vediamo queste idee applioate a scritti dell'epoca apostolica, ecco per noi una prova sicura che dovette esistere un Nuovo Testamento stimato e considerato piu o meno come l'Antico. I dottori della Chiesa, che avevano motivo di sollevare il problema [oirca l'origine del Nuovo Testamento], esprimono, senza incertezze né eccezioni, il convincimento che il Nuovo Testamento sia servito alla Chiesa, da tempo immemorabile, nello stesso modo in cui era impiegato al loro tempo. Vediamo espresso in vari modi e con particolare energia l'idea che i quattro Vangeli, e questi soltanto, a cominciare dai giorni della loro nascita, o dal tempo della nascita delle singole chiese, fondate piu tardi, ven­ nero introdotti nell'uso liturgico, il quale contribui ulteriormente a conferir loro una posizione di particolare autorità. AI posto della predicazione orale degli apostoli, che era andata a poco a poco tacendo, era stato immediatamente introdotto il quadruplice testo del Vangelo. Ciò venne sempre sostenuto contro coloro che rite­ nevano il Vangelo formato diversamente, ma mai in un senso né con un tono di risposta lkl una contestazione del fatto. Questo era fuori discussione e se ne valutava disparatamente solo il significato ... Secondo i dottori della Chiesa, l'atteggiamento verso i Vangeli era poi lo stesso che si aveva verso le altre parti prin­ cipali del Nuovo Testamento. Le lettere di Paolo, ad esempio, dal tempo della loro redazione, sono state sempre lette a scopo di edificazione e di insegnamento nelle comunità a cui erano state indirizzate e che oltretutto cominciarono presto a scambiarsele fra loro. Marcione deve aver avuto presenti, come raccolta com­ pleta, tredici lettere, allorché negò completamente l'autenticità di alcune di esse e di altre abbreviò arbitral'iamente il testo o lo modificò in altro modo. Egli, però, aveva rifiutato anche gli Atti degli Apostoli e l'Apocalisse, dopo che questi scritti erano stati recepiti già molto tempo prima di lui. La Chiesa considerava dunque il Nuovo Testamento come un'eredità trasm�ssale dal­ l'epoca piu remota del cristianesimo ... Dovunque, verso la metà del II secolo, troviamo un com­ plesso sostanzialmente identico di scritti apostolici in uso nelle funzioni religiose, contraddistinti da una posizione di autorità: quello che poi, alla fine dello stesso secolo, cominciò ad essere chiamato Nuovo Testamento. La Chiesa aveva già allora un Van­ gelo, che era composto dei nostri quattro e che non comprendeva

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alui scritti. Essa aveva, poi, una raccolta di lettere di Paolo, che comprendeva anche le lettere pastorali. Gli Atti degli Apostoli di Luca erano parimenti noti alle comunità. L'Apocalisse di Gio­ vanni era considerata un documento della rivelazione divina e un'opera dell'apostolo Giovanni... Questo complesso di scritti, come già provano la sua generale diffusione e il suo generale riconoscimento, era dunque già allora arrivato a quella posizione. Marcione non trovò alcun serio mezzo per una critica storica della tradizione di cui quegli scritti erano già rivestiti. Il suo testo, che egli compose in base ai documenti ecclesiastici del tempo, dimostra che già intorno al 140 d.C. quegli scritti avevano dietro di sé una storia dei rispettivi testi e in particolare che i Vangeli sinottici già da molto tempo venivano impiegati l'uno accanto all'altro. Egli aveva in sostanza trovato due raccolte, che poi impiegò per la sua nuova redazione: una era costituita da quattro Vangeli e l'altra da tredici lettere di Paolo. Accanto a questi, molti altri scritti, dei quali né allora né trenta anni piu tardi si poteva veramente dire se fossero appartenuti a una o piu raccolte, avevano assunto all'interno della Chiesa una collocazione piu o meno simile.

Zahn aveva difeso queste sue tesi solo con l'ausilio di U1l metodo che Harnack, in una replica, aveva po­ tuto definire come « una critica tendenziosa della quale non ho mai incontrato una peggiore in alcun autore cat­ tolico, per non dire mai in assoluto » 98• Ma il fatto dav­ vero soprendente nell'opera di Zahn era non questo, bensi che il metodo della ricerca storica fosse stato da lui applicato allo scopo di provare una concezione che la Chiesa antica (e quindi anche la posteriore Chiesa con­ servatrice) avrebbe radicatamente avuto del Nuovo Te­ stamento, e che egli considerava corrispondente alla realtà. Se dunque con questo si veniva a rimettere in discussione il compito d'una ricerca fondamentalmente ed esclusi­ vamente storica sul Nuovo Testamento, e quindi la legit­ timità di tutti gli studi a partire da Semler e Michaelis, la legittimità e consequenzialità logica di quegli studi venivano ora ad essere contestate anche da un punto di 98 A. \"On Harnack, Das Neue Testament ttm das ]ahr 200. Th. Zahn's Geschichte des Neutestamentlichen Kanons ( Erster Band, rrste HiU/t�) gepru/1, Freibur..,, 1889, p. 4.

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partenza del tutto opposto. Franz Overbeck, il quale nel 1 870 era andato a Basilea come professore di esegesi neotestamentaria e di storia della Chiesa antica, nella prefazione ad un suo rifacimento del commento di de Wette agli Atti degli Apostoli, malgrado oggettive diver­ genze da F. C. Baur, si era dichiarato suo allievo per ciò che riguardava l'esame puramente storico dei testi neote­ stamentari. Nella sua prolusione all 'Università di Basilea, poi, egli sostenne che lo studio degli inizi del cristiane­ simo, fondato da Baur, si distingueva sia dal metodo tra­ dizionale, sia da quello razionali:stico, essendo invece essenzialmente storico, ma che proprio per ciò esso aveva il compito di ristabilire nel presente l'armonia tra fede e coscienza scientifica 99• lo non ritenevo possibile, almeno per la via sino ad ora maggiormente seguita dai critici, una spiegazione soddisfacente del fatto che gli Atti degli Apostoli sono tanto eminentemente di ten­ denza pagano-cristiana, quanto scarsamente di tendenza paolina, e mi pare anche poco probabile che un libro, il quale nei confronti e del giudaismo e del paganesimo assume la posizione cosi carat­ teristica della Chiesa primitiva, possa essere ancora considerato un prodotto del semplice contrasto tra le fazioni cristiane pri­ mitive ... Un libro come questo, inoltre, deve oggi attendersi l'accusa di negatività, e precisamente in quel senso pregnante della parola che l'apologetica è riuscita ad introdurre nell'uso linguistico e nel quale essa afferma essere negativo tutto ciò che è contrario ai suoi pregiudizi. Orbene, le concezioni teologiche, che traspaiono dal mio lavoro, non sono certamente quelle dell'apologetica, e che queste mi siano affatto indiiicrenti io, come teologo, non ho bisogno di assicurarlo. E tuttavia il mio commento, come del resto quello di de Wette, non è stato scritto per affermare una tesi teologica, ma si propone soltanto, con i metodi generalmente in vigore nell'esegesi, di cogliere nel modo piu esatto dal testo degli Atti il senso storico, che è poi l'unico oggi veramente valido. Può darsi anche che la mia opera abbia a provocare conseguenze

99 F. Overbeck, Kurze Erkliirung dtr Apostelgeschichte von Dr. W. M. L. de Wette, 4' edizione rielaborata e ampliata dall'autore, Leipzig, 1870, pp. XVI, XVIII; Obtr Entstehung und Recht einer rein kritischen Betrachtung der Neutestamentlichen Schriften in der Theologie, prolusione tenuta noll'aula magna di Basilea il 7 giugno 1870, Basel, 1871, pp. 3 s., 24, JO, J2.J4.

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campo teologico, ma posso assicurare che neppure una riga è stata intenzionalmente scritta a questo scopo . . . Come oggetto della prolusione, che, secondo la consuetudine, deve oggi servire a presentarmi a Loro nell'ufficio che l'Univer­ sità di questa città mi ha affidato, ho scelto lo sviluppo della ricerca puramente storica (ossia fondata esclusivamente sui prin­ cipi della scienza storica generale) sull'origine del cristianesimo e sui suoi piu antichi documenti nella teologia. . . Desidererei anzi­ tutto tentar di dimostrare, con un rapido sguardo storico d'in­ sieme, che il compito di una comprensione esclusivamente storica degli inizi del cristianesimo e dei suoi piu antichi documenti, a cui di recen te la teologia si è dedicata con tanto zelo, non è stato ad essa demandato dal casuale scetticismo di singoli autori, ma che invece le è, per cosi dire, rotolato ai piedi dall'alto dei secoli e che la teologia stessa non poteva far altro che accettarlo, poiché la soluzione era da un lato indispensabile e dall'altro non era stata offerta dal passato. Inoltre vorrei almeno accennare che le punte piu aspre del problema risiedono nella sua stessa natura e che la sua trattazione ha creato un nuovo stato di cose, al quale attualmente nessun teologo è in grado di sottrarsi . . . Al generale consenso suscitato da alcune scoperte scientifiche di Baur si può anche non dare nessun peso : la cosa veramente importante è che la teologia con lui si sia indotta ad una tratta­ zione storica dei piu antichi documenti della cristianità. Con la generale accettazione di questo lavoro il volto della teologia sto­ rica è del tutto cambiato, e non soltanto in una singola scuola. Sicché or.1 né quella critica teologica, che pretende di attenersi ai principi storici sinora accettati del cristianesimo, sta sulle posi­ zioni del razionalismo, né la contraria corrente teologica si trova sulle posizioni dell'antica ortodossia protestante, e tanto meno l'una o l'altra ritengono di poter essere riportate indietro alle posizioni dei riformatori ... Se dunque né l 'antica ortodossia protestante né il primitivo razionalismo corrispondono ai punti di vista che oggi si fronteg­ giano nella disputa scientifica sul cristianesimo primitivo, dob­ biamo nei andare a cercarli nuovamente nell'epoca della Riforma? Certamente no: ciò che oggi si preferisce chiamare « critica bi­ blica », non è l'audace critica di Lutero, e la concezione che della Scrittura banno gli avversari di quella odierna critica non ha, almeno per quanto essa tenta di motivarsi teologicamente - ed è solo di questo, ovviamente, che si vuoi parlare in questa sede l'indomita fierezza che spira dalla visione che i riformatori hanno della Scrittura. Fra noi tutti teologi odierni, che ci occupiamo dei primordi del cristianesimo e dei suoi piu antichi documenti, e i riformatori, esiste in tutti i casi una ben sostanziale differenza: per noi tutti allo stesso modo, come è certissimo che non fu per i riformatori, quegli inizi del cristianesimo sono ormai diventati un

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problema scientifico e storico, ovvero, per dirla in altri tenmm, per noi la piu antica storia del cristianesimo è divenuta passato in un certo senso che non è quello dei riformatori. !. insito ... nell'essenza della teologia, la quale per ciò stesso non è una scienza pura, il non trovare, in tale comunanza di problemi, quell'appagamento che acqueta perfettamente ogni altra scienza. Infatti, senza servire interessi né prettamente religiosi né prettamente scientifici, la teologia si adopera per assolvere il compito morale di creare una interiore armonia fra la nostra fede e la nostra coscienza scientifica . . . Ma per ciò che riguarda il rapporto dell'odierna critica biblica con il protestantesimo, non vogliamo ripetere che essa, quali che siano i risultati che possa in conclusione raggiungere, adempie solo un compito che dovrebbe discendere dal principio protestante del libero esame della Scrittura. Vogliamo però dar risposta ad un solo alno quesito: se anche una critica, che dia una diversa collo­ cazione alle premesse storiche del piu antico protestantesimo, debba per questo solo fatto essere sospettata di avere un atteg­ giamento ostile nei confronti del protestantesimo. Certo si è che ai suoi esordi il protestantesimo, proprio per le premesse storiche su cui si fondava, aveva la felicitante coscienza di potersi richia­ mare alla scienza piu libera del proprio tempo. Una teologia che non sempre fosse in grado di conservare al protestantesimo questa coscienza, non sarebbe nemmeno all'alte-aa del suo compito spe­ cifico di teologia protestante. Pertanto, quali che vogliano essere il diritto, la legge e la necessità, di essa [la critica biblica] chi le si dedicherà a chiarirne il senso sarà certo di non sbagliare nel proprio lavoro, fintanto che manterrà un rapporto morale con il protestantesimo, fintanto che in lui rimarrà vivo il ricordo di quei beni inestimabili di piu pura fede e di piu profonda conoscenza, che dobbiamo al prote­ stantesimo e ai suoi primi combattivi assertori.

Nel suo scritto Ober die Christlichkeit unserer heuti­ gen Theologie, apparso per la prima volta nel 1 87 3 , che

poi ripubblicò trent'anni dopo arricchito di una introdu­ zione e una conclusione, Overbeck nega del tutto la legit­ timità di un esame teologico del Nuovo Testamento, in quanto la « prossima attesa » del ritorno, propria del cri­ stianesimo primitivo, escluderebbe la possibilità di una scienza teologica e quindi anche la critica teologica perse­ guirebbe soltanto l'illusione di rianimare a forza di teo­ logia il cristianesimo come religione. E piu oltre Over­ beck afferma che « oggigiorno ogni teologia che vincola

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.Il

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la libertà scientifica dei propri maestri finisce col sacri­ ficare il proprio carattere scientifico � "». Baur è morto proprio nell'anno in cui io concludevo la mia vita di studente con l'esame di laurea (2 dicembre 1860). Perso­ nalmente non sono mai stato suo allievo e non l'bo neppure cono­ sciuto. Pertanto il mio rapporto con il suo magistero non può essere definito che molto « libero », anche se mi sono pennesso, in un senso, per cosf dire, allegorico di definirmi appartenente alla scuola di Tubinga. In questo rapporto è a me sempre rimasta estranea la filosofia della religione di Baur basata su Hegel. Ciò che fui in grado di assimilare, della sua critica storica del cristia­ nesimo primitivo, si limitò sempre a quella che a me parve la sua ineccepibile alfermazione del diritto di presentare il cristianesimo primitivo in modo prettamente storico, quale esso realmente è stato; e ciò in contrasto con l 'apologetica teologica del suo tempo e contro la pretesa della teologia di negargli tale diritto ... M a in nessun caso i destini e le esperienze del cristianesimo Ci possono autorizzare a pensare il rapporto tra fede e scienza come meno contraddittorio di quanto esso sia. In primo luogo vi è da dire che una storia terrena, cosf come una teologia, non è affatto contenuta nelle attese originarie del cristianesimo, il quale fece la sua comparsa in questo mondo con l'annuncio della sua imminente fine. Se tuttavia il cristianesimo è arrivato piu rapida­ mente di qualsiasi altra religione ad una teologia, si cercherebbe invano di spiegare questo fenomeno con una qualsiasi idea fon· damentale del cristianesimo stesso o con una affinità elettiva fra esso e la scienza, giacché invece la cosa si chiarisce completamente e facilmente per tutt'altro aspetto... . A una pacata considerazione appare abbastanza evidente il fatto che il cristianesimo si dette una propria teologia solo allor­ ché volle introdursi in un mondo che esso di per sé negava. E tuttavia l'antica Chiesa era ancora libera dal pregiudizio che fosse possibile salvaguardare il rispetto religioso dovuto a un documento sacro applicando l'interpretazione storica, ed essa aveva l'allegoria come una sorta di surrogato del mito, non piu vivo nemmeno esso. Per contro la nostra odierna teolo�ia non ìK>lo non sa piu nulla di un'interpretazione dei libri religiosi di­ versa da quella storica, ma persegue la quasi inconcepibile illusione di poter ritrovare il senso vero del cristianesimo per via storica, la qual cosa, se mai dovesse riuscire, produrrebbe al massimo una 1 00 F. Overbeck. Ober die Christlichkeit unserer heutigen Thea­ logie, 2• ediz. arricdi ita di una introduzione e di una conclusione, Leipzig, 1903, pp. 124, J s., 26 s., 33, 36, 108 s., 125, 181.

La

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religione per dotti, ossia niente che possa seriamente paragonarsi a una vera religione ... Se la teologia liberale crede di poter proseguire nelle forme attuali la lotta intrapresa ... allora se non vuole sentirsi mancare il terreno sotto i piedi, e se non vuole essa stessa promuovere una confusione che ostacolerebbe ogni reale progresso, non le resterà altro che professarsi senza riserve per la sciern:a, alla quale è debi­ trice di quel tanto che possiede di forza autonoma, e riflettere piu seriamente chiedendosi se i suoi sforzi possano ancora chia­ marsi cristiani ... Da un punto di vista scientifico, per un insegnante di teologia, non può esservi altro obbligo, se mai ne esista uno, che quello di render nota la nuova verità che egli ha trovato e della quale è convinto; laddove una teologia, contro la quale esistesse qualcosa di piu che un oscuro sospetto di tenere nascosta la verità sotto i veli della rivelazione di essa, finirebbe assai presto per cedere sotto il peso del generale disprezzo. Sia dunque subito denunciato, senza ulteriori scappatoie, il danno fondamentale che ho causato all'intero rapporto fra me e i miei ascoltatori, dicendo che come teologo mi sono sempre osti­ natamente rifiutato d'essere quel consigliere che essi h�.mo in me ricercato. Un tale tipo di teologo è del resto sempre mancato nella nostra società e non ero in grado io di crearlo. Esso è mancato non solo sulla mia cattedra, sulla quale sedeva un insegnante che si sforzava di esporre agli allievi, che dovevano essere istruiti nel cristianesimo, il Nuovo Testamento per quanto possibile senza tendenziosità e di narrare nello stesso modo la storia della Chiesa ...

Overbeck scriveva queste righe in base a una visuale completamente scettica, che in pubblico lo portava a di­ chiarare soltanto di non aver mai sentito amore per la teologia, mentre poi egli confidava a note inedite di diario questa confessione non priva di fierezza : « Come profes­ sore di teologia, ho sempre tenuto per me, sulla cattedra e nei rapporti cogli alunni affidatimi, la mia totale incre­ dulità >> 101• Nel nostro contesto, però, ci interessa dibat• 101 Ibidem, p. 163; F. Overbcck, Selbstbekennlnisse, 194 1 , p. 1 3 1 ; cfr. anche l a dichiarazione di Overbcck in u n a lettera ad A. Jiilicher del 15-11·1901: « Le strade che La vedo percorrere come teologo, me le sono sbarrate quasi trent'anni fa davanti a tutto il mondo perché mai vi ritornassi e nemmeno ne avessi nostalg ia, e di fatto sfuma sempre piu ormai la possibilità che io torni un giorno a questa aspirazione » (M. Tetz, Ado!/ ]iilichers Briefwechsel mit l'ranz Over­ beck. in > . . . Va ngelo , Atti degli Apostoli e Apocalisse sono « forme ,. storiche, che a partire da un determinato momento spariscono nella Chiesa cristiana. E in verità da quel momento esse mancano nella sua letteratura non solo di fatto, ma non vi è alcuna possi­ bilità che vengano ulteriormente coltivate . . . V i è stata ... un'epoca abbastanza lunga, durante l a quale le forme letterarie reali che sono rappresentate nel Nuovo Testamento sono state in vita, un'epoca, dunque, in cui per esempio, oltre ai nostri Vangeli canonici, sono sorti anche taluni altri scritti dello stesso genere, tra i quali i quattro del nostro Canone possono essere emersi per particolare decoro e tuttavia se!17.a avere la pre­ tesa di esaurire il loro genere e senza differenziarsi in modo essen· ziale da altri vangeli esistenti. Cosi considerato, il Nuovo Testa­ mento appare soltanto come la principale reliquia di una proto­ letteratura cristiana, che ha preceduto quell'altra letteratura, rima­ sta in vita solo con la Chiesa ... E poiché il campo della letteratura cristiana primitiva è in generale determinato nel modo accennato, si può fare ancora una qsservazione di ordine generale, che si ricava dai resti archeologici di tale letteratura che ancora possiamo ammirare. Si tratta dun-

105 F. Overbeck , Ober die Anfiinge der patristischen Literatur, in Historische Zeitschrift "• XLVIII ( 1882), pp. 423, 432, 436 s., 443 (ristampa dolla Wissenschaftlichen Buchgesellschaft, o. ]., pp. 12, 23, 28 s. , 36 s.). Sulla ·preistoria e successivo sviluppo della problematica storico-fonnale in Overbeck dr. M. Tetz, Ober Formengeschichte in der Kirchengeschichte, in « ThZ », XVII (1961), pp. 413 ss. c

La

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que di una letteratura che, per cosf dire, si crea il cristianesimo con i propri mezzi , in quanto essa è cresciuta esclusivamente sul terreno e per gli interni interessi delle comunità cristiane, ancor prima del loro fondersi con il mondo circostante. Non che le « forme >> di tale letteratura, anche a prescindere del tutto dal mezzo di espressione costituito dalla lingua, e per quanto di forme si possa mai parlare, fossero del tutto nuove. Questo può valere soltanto per la « forma » del Vangelo, la quale è l'unica forma originale di cui si può dire che il cristianesimo abbia arricchito la letteratura. Per contro la forma dell'Apocalisse è giudaica e, nel campo dell'apocalittica, come fra l'altro dimostrano le sibille cri­ stiane, il cristianesimo non ha ri.liutato neppure forme pagane, seguendo tuttavia anche qui un procedimento giudaico. Ciò che però è degno di nota è il fatto che là dove questa letteratura primitiva del cristianesimo fa uso di > che le preesisrono, essa non fa altro che ricondurle a forme di letteratura religiosa di tempi precedenti. Ciò invece da cui, in effetti, essa si tiene ancora lontana sono le forme della comune letteratura profana in uso nel resto del mondo. E perciò in quanto tale, se non pura­ mente cristiana, può tuttavia essere definita una letteratura pura­ mente religiosa. Ora, il fenomeno piu importante della storia della letteratura cristiana ai suoi inizi è proprio che questo tronco definito come protoletteratura cristiana e, come si è fatto sopra, caratterizzato nelle linee generali, ha avuto una fine molto precoce e che non si è innestata su di esso quella letterarura cristiana che si è mante­ nuta in vita con la Chiesa e che, nel suo periodo piu antico, suole essere chiamata « letteratura patristica ».

Le obiezioni radicali contro la ricerca sul Nuovo Te­ stamento, iniziata da Semler e Michaelis e basata su uno studio fondamentalmente storico, sia da parte dei b�blisti e dei conservatori come da quella degli scettici, avrebbero dunque dovuto condurre la scienza neotestamentaria a un ripensamento delle proprie premesse teologiche. Ma i problemi sorti con l'interpretazione idealistica e liberale del Nuovo Testamento e con il conseguente isolamento del cristianesimo primitivo erano ancora troppo scottanti, ed ecco quindi che solo per la via indiretta di un ancora piu radicale esame storico del cristianesimo primitivo si è potuto giungere al necessario, e pur cosi urgente, ripen­ samento metodico della scienza neotestamentaria.

Capitolo quinto

Il Nuovo Testamento alla luce della storia delle religioni

l.

I precursori della scuola storico-religiosa ed

avversari

loro

Se da una parte nella visione ·liberale del cristianesimo primitivo, in modo particolare con A. Harnack, si era riscontrato un quasi completo isolamento del cristiane­ simo stesso rispetto al suo ambiente storico, per conuo altri ricercatori di questa stessa scuola, come Li.idemann e Holtz;mann, avevano posto in risalto le connessioni del pensiero cristiano primitivo con il giudaismo e J 'elleni­ smo contemporanei ed avevano persino affermato l'impor­ tanza predominante dell'influsso ellenistico su Paolo. E lo sforzo, ben comprensibile per uno studio rigorosamente storico, « d'inserire nuovamente .Ja storia neotestamern­ taria nel contesto ad essa contemporaneo. . . per studiada come parte di un piu ampio e generale processo storico », era stato già intrapreso nel 1 868 da Adolf Hausrath, sto­ rico della chiesa a Heidelberg, con la prima pubblicazione della sua Neutestamentliche Zeitgeschichte '. Ma Hausrath, i l quale seguiva in sostanza il quadro storico della scuola di Tubinga e della cristologia liberale e scriveva per una vasta cerchia di lettori, non riusd ancora o collegare in un reale contesto storico la vivace l A. Hausrath, Neutestamentliche Zeitgeschichte, 3 voll., Heidel­ berg, 1868-1874, vol. I, p. IX. Hausrath è stato guidato dall'idea di compiere un tentativo: quello di presentare Paolo in una biOI!rafia de­ stinata ai dotti, inquadsandolo nel suo ambiente (Der Apostel Paulus, 1 865), inquadrandola attentamente nella storia dell'epoca neotestamen­ taria (vedi K. Bauer, A. Hausrath. Leben und Zeit, vol. I, 1933, p. 204).

300

Il Nuovo Testamento

descrizione della storia dell'epoca con lo sviluppo del cri­ stianesimo primitivo. Piu importante fu il fatto che il rappresentante di un quadro storico piu moderato della stess a scuola di Tubinga, Adolf Hilgenfeld, richiamasse per la prima volta l'attenzione sulla apocalittica giudaica quale fattore importante della preistoria del cristianesimo ( 1 857). Egli rilevò che > . HiJgenfeld vide svolgersi nell'apocalittica giudaica un processo di interna purificazione che prelude alle > 2 • La consapevolezza, qui emergente, dell'importanza che la preistoria ebraica del cristianesimo primitivo riveste al fine dell'intelligenza storica del Nuovo Testamento indusse Emi! Schiirer a scrivere la prima Neutestamentliche Zeit­ geschichte rigorosamente scientifica ( 1 874). In verità Schiirer limitò stranamente la sua indagine al giudaismo, per la ragione che il paganesimo non poteva 3• Soltanto però Otto Pfleiderer, uno degli ultimi allievi di F. C. Baur, seppe impiegare le conoscenze acquisite in campo storico-religioso per rappresentare il cristianesimo primitivo coerentemente come un prodotto deLl'evolu­ zione interagente delle religioni del tempo, e divenne per questo « il padre della teologia storico-religiosa in Germania » 4• La teologia di Paolo, con ·la quale Pflei­ derer diede inizio alla sua presentazione del cristianesimo primitivo ', viene spiegata come una combinazione d'idee farisaico-giudaiche e ellenistico-giudaiche con la fede cri­ stiana nella morte e nella risurrezione di Gesu, cosicché il pensiero di Paolo può essere definito come un « fari­ saismo cristianizzato )) o come un 8• Muovendo dalle medesime premesse, nelle sue lezioni ( tradotte da Harnack) su L'assetto sociale della chiesa cristiana nell'antichità ( 1 88 1 ), l'anglicano Edwin ! O. Linton, Dar Problem der Urkirche in der neueren ForsciJUng, Frankfurt, 1962 ( riproduz. anastatica), p. 5, che dimostra anche le premesse storico-spirituali di questo « consenso verificatosi intorno al

1880

».

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Hatch mise in rilievo ancora piu netto l'analogia fra l'or­ dinamento comunitario cristiano e le associazioni gre­ che 9, tanto da far apparire le comunità cristiane sempli­ cemente come un tipo peculiare delle associazioni reli­ giose coeve 10• Allorché le dottrine cnsuane vennero annunciate per la prima volta principalmente nelle piu grandi città dell'impero romano, la riunione in comunità di coloro che accoglievano tali dottrine non era un fatto isolato e fuori dell'ordinario. Non tutti i cre­ denti però entrarono subito a far parte del sodalizio. Molti rima­ sero per loro conto e i motivi di un simile atteggiamento erano numerosi... Pertanto la partecipazione dei credenti alla vita delle comunità, se non come un articolo della fede cristiana, doveva essere proclamato come un principio di disciplina cristiana ... Tra­ scorso il periodo postapostolico, le ammonizioni in tal senso scom­ parvero. La tendenza alla formazione di associazioni si era ormai completamente affermata. E tuttavia pe r chi osservava queste co­ munità dall'esterno, esse non avevano in genere un aspetto di­ verso da quelle che in precedenza esistevano nell'impero. Usavano le stesse denominazioni per le loro adunanze ed anche i titoli dei loro funzionari erano in pane gli stessi . Qua e là la riconosciuta appartenenza ad una medesima fede religiosa costituiva la ragione del sorgere di una comunità... Molto presto sembra che nelle comunità cristiane sia apparso un collegio di funzionari. Tenendo conto dell'identità dei nomi in uso, si deve ammettere che la )?> è assegnata una funzione princi­ pale, noi vedremo poi che nell'autocoscienza di Gesu la qualifica « Figlio dell'uomo >> trova posto solo tramite l'idea centrale d'un « innalzamento » ( Gv. 3, 14). Quale è ora, un rabbi, un profeta, Gesu non ha nulla in comune con il Figlio dell'uomo, se non la 31 J. Weiss, Die Predigt ]esu vom Reiche Gottes, GOttingcn, 1892, pp. 7, 67, 12, 21 s., 24, 30-32, 42 &-, 49 s., 60-62, 67. La terza edi­ zione, a cura di F. Hahn, GOttingen, 1964, riprcxluce la seconda del 1900 e offre solo nell'appendice estratti della prima. Però vi si trovano quasi tutte le citazioni qui elencate (con eccezione per le pp. 30-32 ), e precisamente alle pp. 291 s., 246, 220, 223, 224, 228 s., 236, 241).. 242, 246 s. Sulla distinzione che Weiss fa tra il significato biblico e quello mcxlerno del concetto « regno di Dio » dr. D. L. Holland,

History, Theology and the Kingdom of God: A Contribution of ]ohan­ nes Weiss to 2o•• Century Theology, in « Biblica! Research �. XIII (1968),

pp. 54 ss.

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pretesa di diventarlo. E quindi non può affatto intervenire nello sviluppo del regno di Dio. Egli, come il popolo, deve solo atten­ dere che Dio riprenda il dominio definitivamente ... Quando accadrà? Quando verrà il regno di Dio? Cosi doman­ dano i farisei tra il curioso e il beffardo (Le. 17, 20 s.). La risposta di Gesu è difficile da interpretare ... Ci si sentiva ben in grado di risolvere l'enigma grazie a una combinazione di profezia e di segni dei tempi, di accertare, grazie alla 1tctpa-ri)p1], anche �c non avanzano alcuna pretesa a questo titolo. Chi invece va oltre e vuoi mettere in rapporto diretto Paolo con l'Oriente si ·mette sulla strada dell'avventurismo scientifico. · Le teorie delle mezze misure, che vorrebbero far rientrare il paolinismo in parte nell'ambito del pensiero giudaico e in parte ·in quello greco, sono ancora peggiori di quelle che piu o meno prescindono dal primo. Esse infatti, già sovraccariche di tutte le difficoltà della spiegazione greca, si perdono miseramente nella giungla delle antinomie e contraddizioni patenti e inventate. La soluzione non può essere dunque altro che quella di pre­ scindere dalla grecità in ogni sua forma e in ogni possibile miscela

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e di avere il coraggio di comprendere e di spiegare la dottrina dell'apostolo delle genti esclusivamente come fenomeno protocri­ stiano-giudaico. Ecco quindi farsi possibile che l'escatologia sia mantenuta i n tutta la sua ampiezza, come esigono i riferimenti delle lettere. Ma metterla in rilievo non basta. Occorre altresi darne una spiegazione... Soltanto se l'escatologia paolina... può dare risposta a tutte le domande « oziose », essa è veramente compresa e spiegata. Si dovrà anche riuscire in qualche modo, mediante la riscoperta della sua logica interna, a ricostruirla dalle singole notizie sparse e tra­ mandate. Non si potrà m alcun modo ammettere che per Paolo vi siano state manifeste oscurità nelle « attese del futuro >> o addirittura che egli abbia riconosciuto in esse delle contraddizioni. Ma è poi possibile riuscire a spiegare la mistica della dottrina della redenzione e l'elemento sacramentale in base all'escatologia giudaica? Il tentativo non è poi tanto privo di prospettive come potrebbe sembrare secondo l'opinione generale, perché il giudaismo non conosceva né mistica né sacramenti. Non si tratta però tanto del giudaismo in se stesso, quanto piuttosto dell'apocalittica, l a quale costituisce un fenomeno particolare e a sé stante nell'ambito di esso e che offre presupposti del tutto unici nel loro genere. Nell'analisi dell'elemento naturale della dottrina della reden­ zione e dei sacramenti si palesa come ovunque spunti il condizio­ namento escatologico delle idee che appartengono a quello. Per questa scoperta non è necessaria una particolare erudizione. Chi osa leggere i testi senza pregiudizi e prevenzioni e presta atten­ zione alle connessioni elementari arriverà rapidamente a questa conclusione. !o manifesto che la mistica della redenzione e la dottrina dei sacramenti di Paolo appartengono all'escatologia. C'è da chiedersi soltanto come esse ne siano derivate. L'« attesa del futuro >>, por­ tata al suo piu alto livello, doveva in qualche modo possedere la capacità di produrle. Una volta che siano stati posti in evidenza l'impulso e la necessità a cui essa ubbidiva, si può dire che il concetto del paolinismo sia chiaro, poiché per sua propria natura questo non può essere niente altro che una mistica escatologica, esprimentesi per mezzo del linguaggio religioso greco.

Questa Geschichte der Paulinischen Forschung doveva costituire la premessa a un apposito studio su Die Mystik des Apostels Paulus; ma quest'opera di Schweitzer, per motivi di carattere personale, poté essere pubblicata solo vent'anni piu tardi, allorché, completamente mutata la

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situazione della ricerca, essa doveva incontrare un rico­ noscimento notevolmente maggiore 51 di quello che era stato a suo tempo riservato alla Geschichte der Paulini­ schen Forschung. Infatti nel primo decennio del nostro secolo, parallelamente alla corrente che collocava Gesu e Paolo nell'ambito del giudaismo contemporaneo, i rappre­ sentanti della « escatologia conseguente » avevano ela­ borato un'indagine sul Nuovo Testamento che muoveva dall'ambiente ellenistico. Nel 1 9 1 1 i dsultati e le conce­ zioni di questa nuova corrente erano cosi chi�ri agli occhi di tutti, che, a quell'epoca, il richiamo di Schweitzer aMa fondamentale importanza deJ:l'« attesa della fine » per Paolo era stato accettato come legittimo, mentre la sua interpretazione di Paolo, strettamente giudaico-apocalit­ tica e completamente aliena dall'ammettere ogni influsso ellenistico, aveva incontrato un generale rifiuto 52• Per comprendere esattamente la sit-uazione della ricerca a:Jl'ini­ :Zio del nostro secolo, ora dobbiamo perciò rivolgere la nostra attenzione al metodo d'indagine « storico-religioso », s\"Nuppatosi parallelamente a quello della > ); M. Dibelius, in • Neu e Jahrbiicher fur W.issenschaft und JugenJbildung », VII ( 1931), p. 685, ristampato in Botschaft U."d Gescbichte, in Gesammelte Aufsiilz�. vol. I I, Tiibingen, 1956, p. 97 ( • In realti\ Schweit7.er ha sottoposto a discussione il problema di fondo » ) ; M. Goguel, in • RHPhR », XI ( 1 93 1 ), p. 198 l• Noi siamo veramente convinti che Schweitzer abbia pienamente intuito il nucleo del .paolinismo » ) . 52 E. '.' ischer, in « ThR ,. , XVI (1913), p. 252 (Schweitzer « nor. è riuscito ad offrire né la giustificnione della sua severa critica aUs. ricerca sinora condotta né la credibilità della sua tesi . . . » ) ; I I. Windisch, in • Zeirschrift fiir wissenschaftliche Theologic », LV ( 1954), p. 174 ( « Paolo, ·in realtà, deve essere compreso •in base all'escatologia . . . , ma &e Paolo... dev'essere spiegato alla luce del tardo giudaismo, allora va illustrato direttamente attraverso l'influsso sincretistico e della storia delle religioni » ) . Per l'importanza durevole di A. Schwettzer nella ricerca neotestamentaria dr. O. Cullmann, Albert Schweitzers

Auf!assung der urchristlichen Reichsgotteshof!nung im Uchte der heutigen neulestamentlichen Forschung, in � EvTh », n.s., XX ( 1965),

pp. 643 ss.

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3. La scuola storico·religiosa All'incirca nello stesso periodo di tempo in cui O. Pflei­ derer, C. F. Heinrici, O. Everling, H . Gunkel e W. Bal­ densperger indicavano per la prima volta i rapporti del cristianesimo p11imitivo con le idee religiose dell'ambiente ellenistico e con la religiosità popolare apocalittico·giu­ daica, si andava compiendo nell'indagine sulla storia reli­ giosa e spiritui!le dell'ellenrismo una evoluzione, ohe do­ veva diventare di decisiva importanza per gli studi storici sul cristianesimo primitivo. Dopo essersi per lungo tempo occupata quasi esclusivamente delle testimonianze della religione e della lettera�ura classiche, ver·so la fine del XIX secolo l'archeologia, sotto l'influsso degli studi religiosi germanici, dell'etnologia e del folkilore, rivolgeva in mi· sura crescente il proprio interesse anche alla fede popolare e al srincretismo el·lenistici 53• Allorché nel 1890 Erwin Rohde pubblicò la prima metà della sua magistrale opera sul culto dei morti e la fede nell'immortalità presso i greci, con il titolo di Psyche, egli scopri dietro aMe idee e ai costumi omerici « reliquie di uno stadio di cultura superato >>, e « un'importante reliquia de1la piu antica fede religiosa in alcune usanze non ancora del tutto estinte in tempi grandemente mutati », e per la compren­ sione delle usanze, che non erano già piu capite dal poeta, egli rimandò alla fede dei cosiddetti « popoli allo stato di natura », alla nostra tianesimo primitivo. Definisce i racconti neotestamentari, secondo i quali > ; e questo perché « in moltissimi casi le rivelazioni escatologiche non sono state tramandate per iscritto, ma oralmente, in quanto considerate dottrina arcana. Perciò la tradizione viene alla luce in tutta la sua completa ricchezza soltanto nei secoli posteriori ». Dietro la leggenda dell'anticristo, secondo Bousset, si trova però anche l'antico mito del drago, che è stato trasformato nell'attesa di un semplice pseudomessia. Anche Bousset viene con questo ad affermare la necessità di una esegesi del materiale apocalittico basata ·sulla storia delle tradi­ zioni; ma, a parte questo, osserva esplicitamente che tale presupposto non è necessario per la comprensione del vangelo. Ora come prima, insomma, egli esclude l'annun­ cio di Gesu daU'indagine storico-religiosa. Le qui enun­ ciate esigenze metodologiche d'una spiegazione oggettiva d'un testo apocalittico, trovano attuazione da parte dello stesso Bousset nel celebre commento all'Apocalisse di Giovanni ( 1 896). In esso, per la spiegazione delle singole immagini apocalittiche, egli si serve dell'intero materiale comparativo storico-religioso e rivolge una particolare attenzione allo svolgersi parallelo di tradizioni diverse, oltre che, naturalmente, a ricercare quale fosse l'universo delle rapresentazioni proprio dell'autore apocalittico. Qui, dunque, H metodo d'indagine storico-religioso serve chia­ ramente alla comprensione della particolarità del testo neotestamentario, ovviamente nel senso di una sua inter­ pretazione radicalmente storica 69• 69 W. Bousset, Der Antichrist in der Vberlieferung des ]udentums, des neuen Testaments und der alten Kirche. Ein Beitrag zur Auslegung der Apocalypse, Gottingen, 1895, pp. l, 18 s., 5, 10, 93 s.; Die Offen­ barung ]ohannis, riclaborato in Kritisch-exegetischer Kommentar iiber das Neue Testament, fondato da H. A. W. Meyer, 16, GOttingen, 18965, pp. 143, 163-166. Bousset ha dichiarato espressamente che nel­ l'indagine sull'apocalittica giudaica si tratta « di un'intelligenza � stanzialmente piu profonda del divenire dell'evangelo, nella misura in cui è stor-icamente comprensibile )) (W. Bousset, Neueste Forschungen auf dem Gebiet der religiosen Literatur des Spiitjudentums, in « ThR », III [ 1 900] . p. 302; citato in J. M. Schmidt, Die ]iidische Apokalyptik, ci t., pp. 203, 243 ) . E anche H. Gunkel, nonostante la sua definizione

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Tutta l'ane che occorre per una sicura interpretazione di qual­ siasi apocalisse consiste anzitutto nel tracciare una linea di demar­ cazione fra ciò che è mutuato e ciò che è peculiare di quel dato scritto ... L'indagine letteraria, che oggi è divenuta una moda, si dovrà perciò abituare ad imporsi una drastica limitazione. Bisogna smet­ terla una buona volta di tagliare con il coltello e dilaniare le fonti con rozze mani. Sarà altresi necessario arrivare ad una conoscenza piu precisa di tutto il contesto, prima di poter dar di piglio alle armi della critica . . . E un lavoro d i vaste proporzioni, quello che qui s i rende necessarJo, eppu�e esso ha il solo scopo di rimuovere certe super­ fetazioni. Nelle cose interiori, in ciò che di veramente vivo e vitale è in ogni religione, queste ricerche non possono servire ad introdurci. Infatti il nucleo e il midollo di ogni singola religione sta in quanto è proprio e caratteristico di essa, e non in ciò che una nazione o una religione ha mutuato da un'altra; sta nelle creazioni originali di grandi personalità e non in quello che una generazione ha tramandato all'altra. Per la comprensione del­ l'Apocalisse noi abbiamo bisogno di sapere escatologico e mito­ logico in gran copia, per la comprensione del vangelo ne possiamo fare a meno della massima parte. Dietro a questa leggenda dell 'anticristo sta un mito piu antico. Nella letteratura dell'Antico Testamento e ancora qua e là nella letteratura neotestamentaria troviamo, come Gunkel ha dimostrato in Schopfung und Chaos con convincente coerenza , numerose tracce di un antichissimo mito della creazione, il quale poi si è trasformato in un'attesa escatologica. Nella credenza popolare giudaica si aveva, ancora riconoscibile nell'Apocalisse, l'attesa della ribellione dell'antico mostro marino (con il quale già Dio aveva lottato al momento della creazione), che si sarebbe scate­ nato alla fine dei giorni, e del suo assalto al cielo contro Dio. Non si tratta già dell'attesa di un re o di un capo nemico che sgominasse Israele e il suo esercito, ma proprio della lotta di Satana contro Dio, del drago con l'Onnipotente che siede in trono nel cielo. A me, dunque, la tradizione leggendaria dell'anticristo sembra una semplice umanizzazione di quell'antico mito del drago. Anch'essa infatti non ha a prima vista nulla in comune con deterdel cristianesimo come una « religione sincretistica � (vedi sopra), ha sottolineato: « Cosi intendiamo la ragione della storia; il fatto che la religione del Nuovo Testamento ha preso corpo da Israele. Che i moderni lo capiscano o meno, rimane il fatto che la salvezza è venuta dai giudei » (Das Alte Testament im Uchte der modernen Forschung, in Beitrage zur W eiterentwicklung der christlichen Reli­ gion, 1905, p. 62, citato secondo W. Klatt, Hermann Gunkel, eit., p. 262). Cfr. anche piu avan ti pp. 442 s.

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minati avvenimenti o potenze di natura politica. Al posto del drago compase un uomo dotato di forze portentose, che si equipara a Dio, un uomo che per gli Ebrei non poteva essere altri che il falso messia. Ma la tradizione dell'anticristo non può tuttavia celare la propria provenienza da un mondo di pensieri e di sentimenti molto piu primitivo e fantastico. Essa reca l'impronta indelebile di tale mondo. Nella tradizione successiva, infatti, dietro la figura dell'anticristo si erge ad ogni pié sospinto la figura piu selvaggia del demonio nemico di Dio, di Satana, e cerca di soppiantarla. La storia della tradizione di questa leggenda sanziona la nostra congettura sul modo in cui essa è sorta. Per spiegare l'Apocalisse recentemente è stato introdotto da Gunkel un nuovo metodo, che può essere definito storico-tradi­ zionalistico. Anche se inconsapevolmente, esso era stato già usato qua e là... Circa le ricerche svolte da Gunkel si può pensarla, quanto ai particolari, come si vuole; ma una cosa è ben certa; che in ogni testo apocalittico è presente un elemento tradizionale straordinariamente consistente. E da ciò consegue l'esigenza che, ogniqualvolta sia possibile, si esamini nel modo piu approfondito il materiale apocalittico per riconoscervi quelle rappresentazioni e quelle tradizioni, prima di poter passase a indagare, poi, ogni singola apocalisse dal punto di vista delle sue peculiarità e del suo preciso inquadramento storico. Con questo metodo storico­ tradizionalistico Gunkel ha introdotto in grande stile il metodo d'indagine storico-religioso anche nell'interpretazione di qualsi­ voglia apocalittica. Il compito principale che si pone a un commento dell'Apo­ calisse - supposto che la nostra concezione dello scritto sia quella esatta - può essere considerato adempiuto quando ci si sia avvi­ cinati il piu possibile alla pos5ibilità di tratteggiase un vivido quadro di quelli che sono il carattere dell'autore, la sua reli­ giosità e la situazione in cui egli scrive. Ma bisogna inoltre tener presente, come ormai è ben noto, che il redattore dell 'Apocalisse, almeno in gran parte del suo scritto, non opera liberamente e con mezzi propri; si ha l'impressione che egli fosse intenzionato non soltanto ad annunciare una certa profezia, ma a scrivere un intero corpus apocalypticum, una raccolta del materiale apocalit­ tico diffuso a suo tempo, rielaborandolo da un punto di vista uni­ tario. Perciò il secondo compito consiste nella piu precisa ricerca delle fonti dell'autore. Ovviamente - e troppo spesso questo punto viene trascurato - stabilire ciò che l'autore stesso ha fatto di queste fonti, sarà sempre piu importante di quanto non sia il muovere alcuni incerti passi nel buio della tradizione apocalit· tica che sta dietro di lui. Ciò non toglie che anche questo lavoro vada compiuto, non fosse altro perché proprio un'indagine piu precisa sulle fonti e sulla tradizione precedente all'autore serve

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indirettamente a fare piu chiara luce su quanto di caratteristico vi è in lui. Si può dire in generale di essere arrivati a compren­ dere esattamente un'apocalisse nel momento stesso in cui si riesce a separare con qualche sicurezza il materiale d'imprestito da quello che le è peculiare ... L'autore di una apocalisse non è soltanto uno scrittore che riferisce antiche, sacre, per molti aspetti incomprese rappresenta­ zioni, senza averne fatto diretta esperienza, ma egli crea qualcosa di nuovo ed anche quando semplicemente assume materiale da altri, lo vede con i propri occhi, come si può rilevare, talvolta con sorpresa, da piccole, non rilevanti variazioni. E per noi è spesso molto piu importante prestare attenzione a queste cose che seguire l'argomento apocalittico dell'opera fino alle sue ultime istanze.

Se dunque l'esame storico-religioso del Nuovo Testa­ mento si impegnava naturalmen te nell'esegesi del piu ete­ rogeneo degli scritti del Nuovo Testamento, ossia la Apo­ calisse di Giovanni, es·so si rivolse poi altrettanto natural­ mente a quel particolare fenomeno della storia del cristia­ nesimo primitivo, che sembrava meno a:ccordarsi con la provenienza giudaica del cristianesimo, cioè ai sacramenti. A1bert Eichhorn nella sua conferenza Das Abendmahl im Neuen Testament ( 1 889) affermò esplicitamente che egli intendeva « procedere con un metodo diverso da quello altrimenti in uso » , cioè secondo « il metodo sto­ rico-religioso », il quale incentrava « il proprio interesse sulla evoluzione del cristianesimo come religione >> . Egli cerca perciò di dimostrare che i resocont i neotestarnentari sull'ultima cena sono stati influenzati > . Da ciò si doveva conclu­ dere che, secondo la fede del cristianesimo primitivo, il pronunciare il nome di Gesu in occasione del battesimo doveva avere un reale significato esorcistico. In un'opera apparsa poco tempo dopo, dal titolo Taufe und Abend­ mahl bei Paulus Heitmiiller affermò poi che il batte­ simo era � un sacramento con effetti di natura mistico­ entusiastica », nel quale la fede non aveva adcun ruolo essenziale. Parimenti « nella cena Cristo. . . è a un tempo il cibo e la bevanda che vengono offerti. Gli effetti del battesimo e deHa cena stanno innanzirutto nell'aspetto mistico-entusiastico del cristianesimo pao­ lino » . Successivamente Heitmiiller cercò di dimostrare che ndla concezione paolina della eucarestia viene fuori di nuovo l'idea primitiva del cibarsi deHa divinità, idea di cui si possono rinvenire paralleli anche in religioni fra loro assai distanti: « La concezione paolina dell'eucare­ stia . . . è come un nuovo virgulto su un vecchio ramo del­ l'albero storico-religioso dell'umanità ». E HeitmiiUer afferma esplicitamente che le concezioni paoline non vanno « caratJterizzate come prive di valore » per il fatto « che, in ultima analisi, non hanno radici nel vangelo, bensi nel terreno della generale storia religiosa » ; egli pone tuttavia il problema >, ossia della rcli· gione delle primitive comunità cristiane e non dell'evangelo, ossia dell'annuncio di Gesu, come noi lo ritroviamo prevalentemente nei sinottici . . . Lo studioso dell'Antico Testamento che c i accosta al Nuovo Testamento, e in primo luogo ai sinottici, si trova in un mondo che gli appare subito familiare; qui infatti alita uno spirito che egli ben comprende, che conosce già dai piu nobili profeti; e con gioia può qui salut3'1'e la piu splendida trasfigurazione di quanto profeti e salmisti vollero esprimere nei loro momenti migliori. Nelle parole di Gesu Sii riscontra ben poco di eterogeneo ed in ogni caso si tratta di idee che allora dovevano essere universalmente accet· tate neH'ambito del giudaismo; l'elemento eterogeneo nel vangelo risiede nell'escatologia, specialmente nella dottrina della risuNe­ zione dci mort.i nell'ultimo giorno. Che la predicazione di Gesu sia relativamente scevra di ele· menti mistici, si spiega con la personalità stessa del Maestro, la cui grandezza rifugge da cose raffinate e fantastiche, e non poteva essere diversamente, se si tiene conto anche delle semplici cer­ chie popolari di Galilea, in mezzo a cui era cresciuto. � verosi· mile supporre che in questo ambiente si vivesse ancora, come ai tempi antichi, nello spirito dei salmi, e che le dottrine mitiche,

n H. Gunkel, Zum re/igionsgeschichtlichen Verstandnis des Neuen Testaments, Gi:ittingen, 1 903 , pp. l, 1 1 , 34-36, 85 s., 87-89, 95. Or. su ciò W. Klatt, Hermann Gunkel, cit., pp. 90 ss.

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piu o meno arcane, non vi avessero trovato alcun posto... Un quadro del tutto diverso offre però la maggior parte degli altri scritti del Nuovo Testamento, particolarmente quelli di Paolo e di Giovanni. Qui l'esperto di Antico Testamento incontra quasi ad ogni passo cose per le quali non possiede alcuna analogia e che non può comprendere storicamente. Basti pensare a con­ cetti quali la rinascita, la figliolanza divina in senso metafisico, la riconciliazione per mezzo della passione e morte di Cristo, l'unione mistica di Cristo alla Chiesa, la creazione del mondo per mezzo di Cristo, ecc... Ora, chi abbia presenti tutte queste dottrine estranee al vangelo, si meraviglierà dell'enorme forza creativa del cristiane­ simo, e dovrà ammettere che qui deve essere intervenuto un fat­ tore estraneo straordinariamente possente. Non dunque il van­ gelo di Gesu, come noi lo conosciamo prevalentemente dai sinot­ tici, ma il cristianesimo primitivo di Paolo e di Giovanni è una religio11e si11cretistica. Dove si deve cercare questo fattore estra­ neo? Attualmente ci si riferisce quasi esclusivamente all'influenza del mondo greco e particolarmente dell'alessandrinismo. A que­ sto punto va di nuovo ribadito che qui non si vuole in alcun modo escludere o sminuire l'influsso ellenistico, il quale non rientra tuttavia nell'oggetto della nostra trattazione. Ci si chie­ de tuttavia se con questo il problema sia risolto interamente. Le numerose particolarità, che abbiamo in precedenza esaminate ed esposte, inducono a por�i la questione seguente: se il fattore .estraneo non sia da cercare già nell'Orie11te. Al riguardo noi ab­ biamo ogni buona ragione per pensare anzitutto a un influsso della gnosi orientale. I contatti di Paolo e Giovanni con la piu !arda gnosi occidentale sono stati già da lungo tempo riconosciu· .ti. Si richiami ora alla mente il quadro della gnosi orientale, già .in precedenza tratteggiato. In effetti il cristianesimo primitivo, .in molti punti nei quali si discosta dal vangelo, concorda con questo movimento religioso orientale: vogliamo citare soltanto il valore riposto nella conoscenza, la divisione del mondo, che talvolta fa pensare al dualismo, la aspirazione dell'uomo alla redenzione e alla « rinascita >>, la fede nella discesa di un Dio­ Redentore, la dottrina dei sacramenti, la conoscenza trattata come un sapere arcano, che ha un ruolo importante anche nel Nuo­ vo Testamento: il Vangelo di Giovanni è tutto accordato su que­ _sto tono di profondi, segreti insegnamenti, che gli uomini co­ muni non possono ascoltare per mezzo di orecchie che odono, �ecc. e le analogie si estendono anche all'uso linguistico: « la vita >>, « la luce >> , « la parola della vita >>, « la vite >> come nomi ' dell'eone. Tutto ciò dovrebbe indurre lo studioso del Nuovo Te­ _&tamento a ricercare analogie e punti di contatto non solo nel .mondo greco, ma anche in Oriente. .. Il cristia11esimo· è una religione sincretistica. Vi sono contenu-

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t i e trasfigurati intensi motivi religiosi orientali ed ellenistici, che gli sono provenuti dall'esterno. Poiché questo è il fatto ca­ ratteristico e, possiamo ben dire, anche provvidenziale nel cri­ stianesimo; che esso ha vissuto la sua era classica in quell'ora della storia universale, in cui gli toccò trasferirsi dall'Oriente nella grecità. Ne consegue che esso ha parte in entrambi i mondi. E per pronunciato che anche piu tardi sia stato in esso l'elemento ellenistico, tuttavia quello orientale, che gli fu proprio specie al­ l'inizio, non è mai del tutto scomparso. Questi motivi religiosi di origine esterna debbono essere affluiti e penetrati nella comu­ nità fondata da Gesu, immediatamente dopo la morte di questi. E proprio perciò sarebbe sbagliato - e pur accade sovente voler misurare il cristianesimo soltanto sulla base dei criteri tratti dai Vangeli sinottici quasi che fossero i soli universalmen­ te validi; invece nei confronti del vangelo, dal quale per un verso deriva, esso si pone per altro verso come un fenomeno a sé stante, che ha le proprie radici anche in un terreno nel quale il vangelo non è cresciuto: un fenomeno perciò che non può es­ sere commisurato al solo vangelo, ma che ha in se stesso il pro­ prio criterio di misura. Alla tesi di Gunkel, secondo cui i.! cnstlanesimo pri­ mitivo sarebbe influenzato in modo decisivo, tramite la mediazione del giudaismo, da religioni straniere, recò sostegno, nella stessa epoca, Wilhelm Bousset. Questi, infatti, in una compiuta esposizione su-Ile molteplici tra­ dizioni non rabbiniche del giudaismo primitivo, intitolata Die Religion des ]udentums im neutestamentlichen Zeit­ a!ter ( 1 903 ), dimostrò in molti punti che il giudaismo non aveva potuto sottrarsi alla influenze del sincretismo religioso dell'età eHenistica e che anche nel giudaismo pale­ stinese tali influenze si estendono « in definitiva fino a1 cuore della religione >> . « Insomma, non una sola religione ha contribuito al divenire del cristianesimo, bensi l 'incon­ tro delle varie religioni del mondo culturale occidentale, del periodo culturale ellenistico. . . Il giudaismo fu come l'alambicco nel quale vennero raccolti i diversi elementi. Poi, per un miracolo creativo, si ebbe la formazione dei vangelo >> 73 • In seguito Bousset, in un saggio che collo73 \YJ. Bousset, Die Religion des ]udentums im neutestamentlichen ''•italter, Berlin, 1903, pp. 492 s.

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cava questi studi in un pm ampio contesto, affermò che l'apocalittica giudaica, influenzata dalla religione iranica, avrebbe contribuito a preparare la predicazione deH'evan­ gelo cosi come alla cristologia delle prime comunità. Egli si vide persino autorizzato a 1potizzare che « con ogni probabilità . . . lo stesso Gesu, in alcune parole pronunciate alla fine della sua vita terrena » , abbia « fatto ricorso a questo titolo » [ Figlio dell 'uomo] per esprimere Ja pro­ pria « certezza della permanente vittoria della sua per­ sona e della sua causa ». In questo modo si veniva ad ammettere anche un punto di contatto fra Gesu e l'apo­ calittica, a sua volta influenzata dalla religione iranica. Tuttavia appare subito chiaro perché anche questi teologi, che lavorano consapevolmente secondo il metodo storico­ religioso, sottraggano l 'annuncio di Gesu all'influsso sto­ rico-religioso subito dal cristianesimo primitivo: la dimo­ strazione d'influssi estranei sul cristianesimo primitivo deve anche servire a staccare appunto dal vangelo ogni materiale estraneo e a mantenerne intatto H « miracolo creativo ». Compare qui di nuovo, seppure ad un nuovo livello, il pericolo che già in precedenza si è messo in rilievo trattando delle ricerche di J. D. Michaelis e di F. C. Baur sui problemi della introduzione al Nuovo Te­ stamento (vedi sopra), ossia che una decisiva questione teologica debba essere risolta con mezzi storici 74• Quanto piu attentamente noi esaminiamo l'intimo carattere della coeva fede giudaica nella speranza, tanto piu chiaramente ci appare come Gesu nella sua predicazione sul regno di Dio abbia proceduto per la propria strada. Se noi anzitutto guardia­ mo alla forma esteriore di quella predicazione, non troviamo quasi traccia d'una trasformazione delle cose. Allorché Gesu parla del futuro sperato, egli include costantemente l'intera speranza nel concetto del regno di Dio. Ciò significa che Gesu si man­ tiene fedele al concetto centrale dell'antica speranza messianica 74 W. Bousset, Die iiidische Apokalyptik, ihre religionsgeschich­ tliche Ilerkunft und ihre Bedeutung fiir das neue Testament, Berlin, 1903,

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58, 66, 52 s., 55-59, 61-66.

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popolare. Solo molto raramente, per non dire mai, adopera i nuovi termini: « questo mondo », « l'altro mondo ». Poi con si­ cura mano di maestro egli spiritualizza la fede del popolo nel regno di Dio togliendole quasi ogni traccia di nazionalismo... Tuttavia potremo sempre affermare che l'apocalittica giudaica è un lavoro previo alla predicazione dell 'evangelo e le ha prepa· rato il terreno. L'idea che il nuovo mondo sperato, la nuova vita dei fedeli nel futuro sia qualcosa, nel suo genere, di diverso e di piu alto, è come latente ed insita nel germe stesso del giu­ daismo. L'evangelo l'ha portata a maturazione. La fede nell'aldilà propria dell'evangelo si evolve molto ra­ pidamente. Già con Paolo essa viene portata alla sua espressio­ ne piu pura. Per lui la nuova era è veramente l'aldilà. In lui l'espressione io, secondo cui un'idea religiosa non può essere datata solo in base all'epoca della sua codificazione, principio che in materia di Antico Testamento tende a diventare un vero e proprio as�ioma, deve affermare la propria validità anche per la storia cristiana primitiva. E ciò dev'essere valido a maggior ragione per un po­ polo come I'ebraico, che proprio per mezzo della piu scrupolosa conservazione delle sue tradizioni è stato in grado di salvare attraverso i secoli il proprio patrimonio popolare. Inoltre, spesso palle idee piu elaborate è possibile risalire alle loro radici. Chiarire e dimostrare il significato delle idee sugli spiriti nella fede di Paolo: questo è Io scopo ultimo della presente trattazione. Si doveva stabilire la connessione fra la credenza ne­ gli spiriti ed altri pensieri religiosi e teologici di Paolo... I n ogni caso la posizionè della credenza negli spiriti nella religione di Paolo è di straordinaria importanza per l'escatologia e la cri­ stologia. Non si possono semplicemente eliminare queste cose come secondarie e periferiche, poiché taluni singoli pensieri giun­ gono invece fino al centro stesso della concezione religiosa : quindi si perde una parte della fede paolina se li si trascura ... Anche il vangelo di Paolo contiene, come si mostrerà in se­ guito, una quantità di motivi dai quali si sono sviluppate le spe­ culazioni gnostiche. E specialmente le concezioni che qui si devo­ no esaminare [ abbassamento del Redentore, Fil. 2, 5 ss.] rive­ $tono nell'universo di idee degli gnostici una grande importanza. Ma ciò non deve impedirci di riconoscere che gli elementi di tale universo d'idee si trovano già in Paolo. La linea che da lui conduce alla gnosi è accertata, e la questione sta soltanto nello stabilire da quale punto in poi si possa far uso del termine · « gnosticismo ». Con il passare dell'escatologia in seconda linea, causato an­ the dall'opposizione al culto degli angeli, era prevedibile che fosse attribuito un piu alto significato all'attività di Gesu appar­ tenente al passato; ciò doveva condurre a nuove creazioni teolo­ giche. Paolo ha tuttavia vissuto i pensieri fondamentali di esse, e questa sua personale esperienza ha conferito alle sue idee sugli spiriti un carattere nuovo e cristiano, che è diventato poi della massima importanza anche per l'epoca successiva. Paolo ha constatato che gli spiriti non hanno piu potere su quel­ l'uomo che abbia trovato in Gesu Cristo il suo Dio. Cosi all'in­ circa si può descrivere l'esperienza, che in sempre nuovi toni risuona nei detti e negli insegnamenti dell'apostolo. Questo sen­ so di libertà rispetto alle pressioni delle potenze spirituali viene provato da Paolo soltanto a partire dal momento in cui egli è

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diventato cristiano; è stato cioè Cristo a provocare questo nuovo stato di cose. Si doveva perciò arrivare a chiedersi fino a che punto l'opera di Cristo si fosse estesa al mondo degli spiriti. Paolo ha trovato la risposta a tale domanda nel pensiero elle­ nistico. Questo mondo è, secondo il dualismo ellenistico, il regno degli spiriti. Allorché l'essenza celeste del Cristo viene sulla terra si ha già in questo, in un certo senso, una penetrazione nel cam­ po nemico. Capo delle potenze degli spiriti è la morte: pertanto è conseguenza necessaria dell'incarnazione il fatto che Cristo deb­ ba subirla. Ma gli spiriti vengono vinti, perché Cristo medesimo getta lontano da sé le catene della morte, sale al cielo e si pone alla destra di Dio. Tutto questo dramma può svolgersi solo se gli spiriti non riconoscono il Cristo al suo arrivo in terra, nel momento in cui si spoglia della sua natura celeste... Questo profilo della vita di Gesu che viene dall'alto, dal cielo, si risolve in un vero e proprio mito di Cristo ... Deve però rimanere aperta la questione se Paolo stesso abbia dipinto lo sfondo mitologico della sua cristologia ... Non che Paolo abbia affermato o accentuato gli elementi mitici del suo pen­ siero, nelle proprie lettere, ma questo sfondo è ben presente in ogni caso. E passi quali Fil. 2, 5 ss. o anche II Cor. 8, 9 lo presuppongono in misura tale, da dover ammettere che Paolo ne abbia talvolta parlato assai di piu di quanto ci sia dato leggere nelle sue lettere . . . A uno sguardo panoramico sulla situazione di fatto, dob­ biamo ritenere che con frasi quali « si spogliò si se stesso » op­ pure -apologetico: dovevano essere un messaggio di salvezza atto a rafforzare la fede dei fratelli e a respingere gli attacchi e le critiche degli avversari. I paralleli storico-religiosi___ ci possono informare circa le idee, che per l'uomo antico sono connesse a questo rito [il ba t­ tesimo l ; ci possono illuminare circa il rapporto, in cui i beni soprannaturali stanno coi mezzi materiali che servono a procu­ rarli; in breve, possono aiutarci ad arrivare a una migliore com­ prensione delle concezioni sui sacramenti. Se si esplora in tal modo l'ambiente storice>-religioso in cui avviene il battesimo di Giovanni, ci appariranno ·piu chiari il rito stesso e, insieme, l'origine del battesimo cristi•mo.

Il problema dell'influenza esercitata su Paolo dal mondo ellenistico circostante viene ulteriormente studiato da un allievo di J. Weiss, Rudolf Bultmann. Egli afferma ( 1 9 1 O ) che nelle sue lettere Paolo mostra una chiara affi­ nità con lo stile delJa predicazione filosofica popolare, cioè con la « diatriba �> n e che si può rilevare un'indubbia dipendenza di Paolo stesso da quest'ultima. Nel mede­ simo tempo, tuttavia, Bultmann afferma che, malgrado tale dipendenza, le diversità fra il messaggio paolino e la predicazione filosofica-popolare sono maggiori delle somi­ glianze, e che una riçerca suUa forma dovrebbe essere sempre accompagnata da una sul contenuto. In confor­ mità a tale principio, Bultmann fa seguire a uno studio di natura stilistica un raffronto dell'elemento religioso nel­ l'ammaestramento etico ' dello stoico Epitteto con H Nuovo Testamento ( 1 9 1 2 ). In tale opera sono messe in evidenza le grandi differenze in fa·tto di fede in Dio e specialmente la mancanza della storia della salvezza presso lo stoico. La conclusione, che ne trae Bultmann, è che il Tapporto fra la viva fede religiosa del Nuovo Testamento e l'etica intellettualistica, solo vagamente tinta di religiosità, di Epitteto rende evidente la superiorità della religione neoTI ]. Weis.,, Die Aufgaben der Neutestamentlichen Wissenschaft in der Gegenwart, GOttingen, 1908, pp. 12 s., aveva richiesto di confron­ tare lo stile di Paolo � con quegli scritti spesso cosi affini ».

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quella ellenistica

del mondo

Il nostro studio acquista valore soltanto quando un singolo scrittore viene valutato in rapporto al genere o ai generi letterari cui la sua opera intende appartenere o in effetti appartiene. Soltanto allora sarà possibile giudicare ciò che in lui è tipico e ciò che è estraneo, ciò che è vuota formula e ciò che è spirito vivente; dove il discorso corra sui vecchi binari e dove invece l'autore domini la forma. Solo allora si potrà dire di avere sco­ perto la sua caratteristica e la sua originalità. Questo studio veramente storico-letterario del Nuovo Testa· mento è una novità . . . Il presente lavoro f a consistere il proprio scopo nel dimostra­ re che le lettere paoline presentano un'affinità con un determi­ nato genere letterario, il quale, come già da tempo si è ricono­ sciuto, non può essere che il genere della diatriba. . . Le lettere di Paolo sono vere e proprie lettere; ciascuna di esse cioè è il prodotto di una data situazione e di un dato stato d'animo. Paolo non ha avuto preoccupazioni stilistiche, ma ha scritto (in realtà egli ha dettato ! ) come era abituato ad esprimersi, sia a voce sia per iscritto ... E se noi troviamo che lo stile delle sue lettere è alline allo stile della diatriba, possiamo concludere che anche la predica­ zione orale di Paolo doveva presentare affinità. Anzi, la somi­ glianza deve essere stata in quel caso maggiore, in quanto lo stile della diatriba è propriamente uno stile di predicazione. Si tratta infatti del modo popolare di parlare in pubblico usato dai cinici e dagli stoici ... Come risultato della nostra ricerca possia­ mo quindi affermare di esserci fatti un quadro sufficientemente esatto della predicaxione paolina... . a

La predicaxione di Paolo si è in parte affidata a forme di espressione simili alla predicaxione dei filosofi popolari cinico-­ iloici, come la diatriba. Per concludere, non vogliamo tuttavia nasconderei che l'impressione di diversità che noi ne riceviamo è sempre maggiore di quella di somiglianza. In ogni caso non dob­ biamo sottovalutare questa somiglianza ... La somiglianza nella forma espressiva si basa sulla dipendenza di Paolo dalla diatriba ... Appare quasi ovvio che, rosl stando le cose, ci si debba chie­ dere se insieme alla. forma, di cui si è detto sopra, Paolo non

78 R. Bultmann, Der Stil der paulinischen Predigt und die kynisch­ stoische Diatribe, GOttingen. 1910, pp. 2 s., 107-109; Dar reli!!iose Moment in der ethischen Unterweisung des Epiktet und das Neue Testament, in « ZNW �. XIII ( 1912), pp. 180 s., 185 s., 191.

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abbia fatto suo anche parte del contenuto, alcune idee. Qui si potrebbe innanzitutto pensare ad alcuni concetti come quello di libertà e di schiavitu ... Per tali questioni' la dimostrazione di una somiglianza stilistica di per sé sola non basta, ma deve pro· cedere di pari passo con una ricerca sui contenuti. D'altro canto la dimostrazione dell'affinità stilistica può essere tanto un indizio, quanto un controllo, per tale ricerca. Quanto è lontana questa rassegnazione, che si vorrebbe na· scondere dietro il nome di fede nella provvidenza, dalla vera fede nella provvidenza che noi troviamo nel Nuovo Testamento! La differenza decisiva è questa: Epitteto non conosce il Dio vivente, cioè il Dio che piega la natura e la storia ai suoi fini, il Dio la cui guida dei popoli e dei singoli è un'opera educativa. Non Io può conoscere perché gli manca il concetto di rivelazione. Perciò l'affermazione che tutto accade secondo la volontà di Dio rimane priva di significato. Epitteto, infatti, sa soltanto ciò che accade, ma non già ciò che è la volontà di Dio . . . E come nel piccolo, cosi anche nel grande non v i è natural­ mente alcuna storia della salvezza. L'errore e la verità furono in ogni tempo possibili, e l'uomo dotato di ragione poté riconosce­ re e scegliere la verità. Cosi è stato da sempre. Niente di nuo­ vo è mai accaduto. Come non vi è alcuna storia dell'individuo cosi non vi è storia dell'umanità. In tal modo manca del tutto quel senso di entusiasmo che è una caratteristica precipua della religione neotestamentaria: la consapevolezza di essere alla fine dell'antico, di sentire in se stessi le forze di un'era nuova, di possedere una ricchezza interiore donata da Dio, che non è ac­ cessibile ad alcuna riflessione o comprensione e che deve di­ spiegarsi in modo sempre piu grandioso, di gloria in gloria: tutte manifestazioni della coscienza di una personalità destata a una propria vita. Volgendoci qui a guardare all'indietro, ancora una volta ci appare chiaro il carattere non religioso di una tale fede nella provvidenza di Dio: la fede nella provvidenza non può qui si­ gnificare la guida divina della storia; essa significa come fede nel Logos insito nell'accadere, non significa altro che l'interna eguaglianza dell'accadere a se medesimo. Ma cosa apprendiamo noi dal raffronto per quanto concerne il nuovo Testamento?... Vogliamo essere prudenti : solo per un'area strettamente delimitata della vasta e complessa cultura el­ lenistica noi abbiamo potuto acquistare un po' di luce ed ab­ biamo ritenuto di vedere affinità e contrasti fra essa e il Nuovo Testamento. Questi fattori, lo stoicismo ad orientamento reli­ gioso e la religiosità neotestamentaria, sono destinati ad incon­ trarsi in conseguenza della situazione storica. In forma interro-

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gativa potremmo forse collegare a tutto .questo due conclusioni : l ) L'affinità, che indubbiamente sussiste fra le idee morali della dottrina stoica e il Nuovo Testamento, non dové essere favorevole a quest'ultimo offrendo al .suo messaggio positivi punti d'avvio? 2) Proprio ciò che manca alla dottrina stoica, cioè la forza e l'entusiasmo di una religione viva, di una fede personale in Dio, la nuova valorizzazione dell'individuo e il potere di destare l'anima umana alla propria vita potrebbe darlo la religione del Nuovo Testamento. Non getta questo una luce sulla situazione storica, non dischiude, seppure in piccola . parte, la comprensio­ ne della lotta fra le potenze dello spirito e non aiuta in tal modo a spiegare la vittoria della religione del Nuovo Testamento? Mentre in questa maniera Dibelius e Bultmann, pur con l'impiego del metodo storico-religioso, mettono in chiara evidenza 1a particolarità del messaggio neotesta­ mentario, Richard Reitzenstein, con il suo saggio ampliato da numerose appendici e intitolato Die hellenistischen Mysterienreligionen ( 1 9 1 0 ), compie un nuovo notevole passo avanti per inserire il Nuovo Testamento, e special­ mente Paolo, nell'ambito dell'ellenismo. Sullo sfondo di una vivace descrizione del sincretismo ellenistico egli trat­ teggia un ritratto di Paolo come mistico e gnostico elle­ nistico, che conosce la letteratura ellenistica, che condi­ vide con i mistici ellenistici il senso estatico dello sdop­ piamento della propria personalità e che con il suo lin­ guaggio dimostra che la gnosi è già prepaolina. Cosi dunque l'assimilazione di Paolo all'ellenismo pagano, già iniziata da Bousset, viene continuata coerentemente, senza che venga posta esplicitamente la questione della parti­ colarità teologica di Paolo 79, Se il compito filosofico è quello di dare una rappresentazio­ ne viva della evoluzione spirituale di tutta l'antichità, e quindi non da ultimo anche della sua fine, egli non potrà evitare di addentrarsi anche in uno studio sulle prime fasi di sviluppo del c:ristianesimo; ed anche se egli si volesse limitare arbitrariamen79 R. Reitzenstein, Die he/lenistischen Mysterienreligionen, ihre Grundgedanken und Wirkungen, Leipzig-Berlin, 1910, pp. l , 209 s., .58-60, 53, 55 s.

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te al paganesimo, è certo che molte cose non potrebbe capirle s.enza servirsi della letteratura del cristianesimo primitivo, della sua lingua, dello sviluppo dei suoi concetti base, della vita emo-. riva e del culto delle sue comunità. Solo accertando l'esistenza e il significato di una letteratura religiosa nell'ellenismo e solo se la natura di prestiti linguistici in Paolo sta ad indicare una mediazione letteraria, si offre la pos­ sibilità di una spiegazione. Non la filosofia greca, bensf quella letteratura di edificazione e di rivelazione già pur sempre di essa impregnata, che si ritrova in tutte le gradazioni e sfumature (dalla speculazione teosofica sino alla normativa magica) ha in­ fluenzato il pensiero del giudeo fedele alla legge. Ciò è ben com­ prensibile, tanto piu nella diaspora, e a questo proposito può aiutare alla comprensione, malgrado tutte le diversità, anche il quadso analogo di Filone. Nessun dubbio che questo influsso abbia aiutato la maturazione di quel grande rivolgimento inte­ riore che doveva strappare l'apostolo dalla religione dei suoi padri, e che lo stesso influsso dovesse rafforzarsi nei due anni successivi di solitaria lotta interiore per la formazione di una nuova religione. Un nuovo studio gli si rendeva necessario dal momento in cui l'apostolo si apprestava, con tutta la sua dedi­ zione e il suo zelo, alla predicazione fra i Greci. Egli doveva im­ parare a conoscere la lingua e la mentalità di quella popolazione e di quell'ambiente che si accingeva a conquistare. E per le comunità cristiane, che voleva fondare, e che tuttavia non po· tevano essere strutturate secondo il modello della comunità ori­ ginaria, egli doveva trovate delle norme nuove, come anche per la liturgia che intendeva istituirvi. In tali condizioni, vi è forse da meravigliarsi se egli, come forse già i suoi predecessori, si diede a modificare le forme che erano già presenti in quella società? Noi abbiamo una prova assolutamente sicura, starei per dire anche un termometro, per misurare la forza e l'intensità dell'im­ mediata influenza dell'ellenismo sull'apostolo: la lingua. Debbono essere ricercate ed esaminate le parole, che sono usate tecnicamente in un tale contesto, la cui origine è dubbia ... Egli deve aver letto la letteratura religiosa ellenistica; infatti parla la stessa lingua e si è inserito nella sua corrente di pensiero, la quale poi doveva necessariamente sfociare in quella nuova filosofia che andava cre­ scendo e formandosi dalla nuova esperienza di vita che trascen­ deva il giudaismo... Per immensa che sia la portata di quanto di giudaico rimase nel suo pensiero e nella sua sensibilità, egli è sempre debitore all'ellenismo della sua libertà e della sua fede nel proprio apostolato. E qui sta l'effetto maggiore e piu alta­ ·mente significativo per la storia universale, delle antiche religioni misteriche. D'importanza decisiva per me... è quello strano e, di primo

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acchito, quasi incomprensibile senso di sdoppiamento della propria personalità, che non di rado mi sembra affacciarsi in Paolo.. . Lo stesso duplice senso dell'uomo debole e dell'essenza divina, che solo può spiegare facilmente e senza forzature questi passi [ Gal. 2, 20; II Cor. 12, 2-5 ] . può anche darci ragione di quella mera­ vigliosa fusione d'inflessibile rigidità e quasi sovrumana sicurezza di sé dello pneumatico da un lato, e di sospiri e ansie di un misero cuore umano, dall'altro: sentimenti che entrambi si riscon­ trano in Paolo. Certo, una tale sensibilità non s'impara, né la s'importa di punto in bianco da una religione estranea nella pro­ pria; e tuttavia la cosa diverrà per noi piu comprensibile se potremo riscontrare qualcosa di simile nell'atmosfera spirituale del suo tempo. Ora questo sentimento di un duplice essere, nel Senso piu completo del termine, lo troviamo nella letteratura misterica e nelle religioni misteriche, e lo troviamo ancora nello gnosticismo che da esse è germogliato. Anche qui infatti lo pneu· matico è in fondo un essere divino che, malgrado il proprio corpo terrestre, viene rapito in un altro mondo, il solo che abbia valore è verità . . . Questa sensibilità ellenistica di fondo, l'incontriamo in Paolo, e perciò l'indagine storico-religiosa lo può ben collocare nell'ambito di questa evoluzione, considerandolo non già il primo, ma certo il piu grande degli gnostici.

Accanto a questa trattazione del filologo, suggestiva, ma condotta poco sistematicamente, Wilhelm Bousset ne pose una ampia di carattere storico-religioso, nel suo

Kyrios Christos. Geschichte des Christusglaubens von der Anfangen des Christentums bis Irenaeus. Per ciò che riguarda l'esposizione, qui presentata, dell'origine e dello 'sviluppo della religione cristiana, s'intende rimuovere :« per quanto possibile . . . » una duplice barriera, e cioè t« il diaframma fra la teologia neotestamentaria e la storia dei dogmi nella Chiesa antica » e quella « della separa­ zione fra storia religiosa del cristianesimo primitivo ed evoluzione generale della vita religiosa, che costituisce l'atmosfera in cui è immerso il cristianesimo alla sua pri­ Jnissima età >> . Si prescinde perciò conseguenzialmente dal Canone neotestamentario, e dal presupposto della singo1iuità e incomparabilità del messaggio neotestamentario. Pa ciò deriva anzitutto che « nella professione di fede in Gesu, come Figlio dell'uomo, noi ci troviamo di fronte alla convinzione de1la comunità primitiva, cioè a una

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coerente ed in sé conchiusa dogmatica comunitaria », onde viene lasciata aperta la questione « se riguardo ad alcuni punti questa dogmatica comunitaria possa trovare riferimento in alcune autentiche dichiarazioni rilasciate da Gesti stesso ». L'impressione destata da Gesti nelle anime dei discepoli si manifestava nel fatto ohe essi ave­ vano assunto la dogmatica giudaica del Figlio dell'uomo e da questa fede era poi stata anche trasformata l'intera tradizione su Gesti. Con questo Bousset, analogamente a Dibelius, mediante il distacco di tutte le tradizioni parti­ colari dal corpo dei Vangeli cercava di recuperare la tra­ dizione piti antica. Ma accanto al!la comunità originaria di Palestina era comparsa - e qui ci troviamo di fronte ad una nuova importante acquisizione - la comunità originaria ellenistica dei pagano-cristiani, nella quale per la prima volta, secondo Bousset, si era avuta la venera­ zione di Gesti come « Signore » (Kyrios) 10• Questa vene­ razione del « Kyrios » è però un fatto cultuale, che nasce e si sviluppa connesso con l'adorazione pagana delle varie divinità cultuali, aLle quali si applicava appunto questo titolo. Cosf al posto dell'originaria attesa della venuta del Figlio dell'uomo si era inttodotta la presente adorazione del Signore del cielo ed era sorto un pericoloso avversario dell'escatologia del primo cristianesimo. Sullo sfondo di questa comunità ellenistica Bousset descrive poi Ia reli­ giosità soterica di Paolo, che è cresciuta « sul terreno della religiosità ellenistica » e che ha trasformato il cristiane­ simo in una religione soprannaturale di redenzione, e descrive inoltre >... In tal modo la comunità come un corpo si raccoglie intorno al Signore come suo capo, al quale essa tributa il culto di adorazione ... Uno sguardo generale mostra che il ti rolo « Signore » si estende su di un'area storico-religiosa che si può ancora delimi­ tare con sufficiente esattezza. Partendo dall'Oriente esso è pene­ trato nella religione ellenistico-romana, le zone in cui ha avuto origine sono Siria ed Egitto. Il fatto che avesse un ruolo di pri­ maria importanza nella venerazione che egiziani e romani tribu­ tavano ai propri regnanti rappresenta solo un fenomeno parti­ colare in questo contesto generale ...

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Sembra che il tirolo « Signore » fosse conferito specialmente alle divinità che si trovavano al centro all'attività cultuale delle rispettive comunità ... II cristianesimo antiocheno e quello delle restanti comunità primitive ellenistico-cristiane è cresciuto e si è evoluto in questa atmosfera. In questo ambiente si è formata la giovane religione cristiana, come culto di Cristo, e da questo ambiente è stata presa anche la formula « Signore » che è comprensiva e indica­ tiva della posizione dominante di Gesu nella liturgia... Processi di questo tipo si compiono inconsapevolmente, nella incontrolla­ bile psicologia collettiva di una comunità; avveniva da sé, perché era quasi nell'aria, che le prime comunità ellenistico-cristiane at­ tribuissero all'eroe del proprio culto il titolo di « Signore ». La fede nel Kyrios e il culto del Kyrios rappresentano dunque quella forma che il cristianesimo ha assunta sul terreno della religiosità ellenistica ... Apparirà quindi ormai chiaro il motivo per cui non a caso il titolo « signore » è assente nella tradizione evangelica cresciuta su terreno palestinese. Qui una evoluzione del genere non sa­ rebbe stata possibile. Questo inserimento di Gesu al centro del culto di una comunità religiosa, questo singolare sdoppiamento dell'oggetto della venerazione liturgica è pensabile soltanto in un ambiente, nel quale il monoteismo neotestamentario non domi­ nava piu con assoluta sicurezza e incondizionatamente. II giovane cristianesimo dovette accettare questa forma di fede nel Kyrios e di adorazione del Kyrios dal suo mondo ambiente: non poteva accadere altrimenti ... E allo stesso tempo il Kyrios delle comunità ellenistiche di­ viene un'entità attuale e concretamente viva. II Figlio dell'uomo della comunità originaria proviene dall'escatologia giudaica e ri­ mane un'entità escatologica . . . Per contro il Kyrios della comunità ellenistica è un'entità presente nel culto e nella liturgia . . . In questa presenza del « Signore >> nella liturgia, nelle espe­ rienze vitali che si compiono nella sua tangibile realtà, sorge e si sviluppa fin dall'inizio un potente elemento di contrapposizione e di concorrenza alla escatologia cristiana originaria... Quasi inavvertitamente e gradualmente il centro di gravità comincia a spostarsi dal futuro nel presente. Culto del Kyrios, liturgia e sa­ cramenti diventano a poco a poco gli avversari piu significativi c: piu pericolosi dell'originario sentimento escatologico cristiano. E allorché quelli appariranno sulla scena completamente formati e definiti nei loro contorni, questo avrà già perduto il suo slancio e la sua energia travolgente. Tale sarà dunque l'evoluzione: il Figlio dell'uomo rimarrà quasi dimenticato e quasi incompreso, come una sorta di geroglifico, nei vangeli, mentre il futuro ap­ partiene al Kyrios presente nel culto.

Secondo la concezione popolare lo Spirito sta in rapporto so-

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prattutto con la liturgia e il culto; secondo Paolo esso è il fatto fondamentale della intera vita cristiana. Questo quasi violento dirottamento delle idee sullo Spirito dev'essere stato, all'interno del cristianesimo, opera dell'apostolo. Non si saprebbe in verità chi altro in tutta la Chiesa cristiana, se non questo apostolo dallo spirito cosi ardente, avrebbe potuto provocare un tale rivolgimento. Dall'ingenuo entusiasmo comu­ nitario egli ha creato una psicologia religiosa di tendenza peculia­ rissima. Se vogliamo renderei conto di tale peculiarità, è importante anzitutto insistere sul fatto che in Paolo lo Spirito appare al­ tresi come un'entità affatto soprannaturale. Questo drastico so­ prannaturalismo, il pensiero dell'apostolo lo trova già esistente nella concezione popolare dello Spirito come forza miracolosa di natura divina. Anzi, poiché d'ora in poi Paolo attribuisce alla forza dello Spirito non solo i punti salienti e gli eventi straor­ dinari, ma l 'intera vita cristiana, quell'ingenua fede nel miracoloso si sviluppa e cresce in una concezione globale rigidamente so­ prannaturale, secondo cui l'intera vita cristiana è un miracolo ed è soggetta a un potere estraneo ... Per l'apostolo lo pneumatico ripieno di Spirito di Dio e l'uo­ mo antico sono due esseri completamente separati l'uno dall'altro e diversi, che hanno quasi soltanto il nome in comune. L'esta­ tico ha cessato di essere se medesimo e si sente afferrato da una forza estranea; lo stesso accade al cristiano pneumatico di Paolo: l'essere naturale è in lui del tutto estinto ... Ma si badi bene: Paolo ha esteso questa sua ottica all'intera vita cristiana, la quale è per lui soggetta a una forza superiore che uccide il suo io: non vivo piu io, è il Christòs (o lo Spirito) che vive in me ... Dove possiamo trovare, nell'ambiente di Paolo, una simile, unilaterale concezione? Allorché noi poniamo un interrogativo cosf definito e preciso, dobbiamo sin dal principio distinguere due istanze, e cioè da un lato la religione dell'Antico Testamento e poi, il vangelo di Gesu ... Ad un piu attento esame, si possono scorgere dei paralleli nel­ l'ambiente storico·religioso in cui il paolinismo è immerso. Do­ vremo appuntare il nostro sguardo su quelle formazioni miste, nelle quali la filosofia e la fede di tipo orientale, la riflessione lo­ gica e i misteri antichi, la speculazione e la mistica estatico-reli­ giosa, s'intrecciano per dar luogo a nuove straordinarie creazioni... La dottrina paolina dello Pneuma, con tutti i suoi corollari, viene a trovarsi, dunque, in un grande contesto. Paolo nel suo cu·po pessimismo antropologico, nel suo elaborare in senso duali· stico·soprannaturale la dottrina della redenzione, Paolo obbediva a uno stato che, proprio quel tempo, aveva già fatto presa su molti spiriti.

Non t il

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Gesu storico

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11eppure, per quel che noi pos-

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siamo vedere, il Cristo che apparve a Paolo all'atto della conver­ sione, quello che egli identifica con lo Pneuma [ lo Spirito] , ma è invece il Signore venerato nella liturgia della comunità. Ed ora, io credo, possiamo azzardarci a un confronto: come in Paolo

lo Pneuma, da elemento che caratterizza e determina, con i suoi doni miracolosi, il culto dei cristiani, diviene fattore soprannatu­ rale che governa l'intera vita cristiana, cosi, né piu né meno il Signore, presente nel culto dei cristiani, diviene per lui un potere che con la sua presenza riempie tutta la vita cristiana . . . E in tal modo possiamo scrutare intimamente anche il na­ scere e il crescere della mistica paolina del Cristo e delle formule che la sintetizzano: « Essere in Cristo, nel Signore ». Tutto ciò è nato e cresciuto dal culto, il Kyrios presente nel culto è dive­ nuto il Signore che governa tutta la vita personale del cristiano. Il concetto paolino di Pneuma, parimenti reinterpretato ed am­ plificato da elemento liturgico qual era ad elemento morale·reli­ gioso, è divenuto il veicolo per il cui mezzo s'introduce la mistica del Cristo... Non ci si può... sottrarre all'impressione che tutta questa teoria della redenzione e questa religiosità della redenzione siano cresciute in Paolo sul terreno della religiosità ellenistica. Il mito del Dio che soffre, muore e risorge è straordinariamente diffuso nella religiosità ellenistica, influenzata dall'oriente. Esso appar­ tiene innanzitutto ai tratti caratteristici di quasi tutte le cosid­ dette religioni misterichc . . . Nella comunità mistica il devoto vive gli stessi eventi che prima di lui ha vissuto per princtpto e con forza esemplare l 'eroe divino. L'esperienza vissuta dal credente è soltanto l'esplicarsi vittorioso di qualcosa che ha avuto inizio al di fuori di lui. Si chiude il contatto e la corrente elettrica fluisce. Ma questo parallelo diventa ancora piu stretto se conside­ riamo che, come quelle speculazioni ellenistiche si svilupparono dal culto del Dio che muore e risorge, cosi anche dietro le argo­ mentazioni di Paolo circa il morire e il risorgere insieme a Cri­ sto sta in tutta chiarezza il sacramento (cfr. Rom. 6; Gal. 3, 26 s.) ... e Paolo ha fatto anche del mistero battesimale della religione comunitaria un evento spirituale che nel suo significato basilare domina l'intera vita cristiana e le conferisce una forza vittoriosa e· un impareggiabile slancio. La grande idea che egli [l'autore del quarto Vangelo] con­ cepi, non consapevolmente ma istintivamente, fu quella di ripor­ tare interamente mito e dogma nella storia. Su scala ridotta ciò era già accaduto allorché la comunità primitiva aveva riportato nella vita di Gesu il suo dogma del Figlio dell'uomo e le sue prove di miracoli e profezie; ora però si trattava di dissolvere interamente la storia nel mito e di farvela diventare trasparente. Vi è riuscito l'autore del quarto Vangelo. Quel che egli trar-

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teggia nella sua nuova vita di Cristo è il Figlio di Dio o Dio stesso che cammina sulla terra ... « E il Verbo si fece carne » : il quarto evangelista ha portato ad esecuzione il suo programma. Quanto egli riferisce è la storia del Dio-Logos errante sulla terra; e tuttavia dallo stesso Vangelo echeggia continuamente il grido: ecce homo. Egli ha tolto dalla astrattezza l 'annuncio paolino del « Cristo-Spirito >> e il suo pro· prio del sovramondano Figlio di Dio (il Logos), facendone qual· cosa di vivida parlante evidenza. Ha salvato e rielaborato quel poco di umanità che, nell'immagine di Gesu, poteva essere con· servata sul terreno di una siflatta concezione complessiva. Per quanto era ancora possibile ... ha riconciliato la storia con il mito. Con la loro idea che attraverso la contemplazione si arrivi alla vita, con la loro concezione d'una parola dagli effetti mira· colosi, con i loro concetti di fede, conoscenza, verità, luce e te· nebre, luce e vita, gli scritti di Giovanni hanno dunque radici in terreno ellenistico. Non per questo viene sminuita l'originalità dell'evangelista. È anzi solo da questa angolazione che compren· diamo esattamente la grandiosa concezione del suo messaggio: « Chi contempla il Figlio ha la vita eterna >>. Poiché questa no­ vità l'autore ha da dire a quanti lo circondano: non guardando al cielo stellato, al suo pleroma, alla pienezza dell'essere divino, che lassu dimora in gloria, non contemplando la divinità, come nella sua vitale esperienza fa il miste all'acme della sua censa· crazione, si riceve la vita eterna, l'elevazione al mondo della di· vinità. Quaggiu è la pienezza della grazia, qui è la luce e la vita, qui la gnosi perfetta: « Chi contempla il Figlio e crede in lui avrà la vita eterna >> ... Malgrado egli abbia scritto il quarto de i Vangeli, Giovanni in fondo si allontana dalla prcdicazione di Gesu, forse ancora piu dello stesso Paolo. Il vangelo della remissione dei peccati, quale Gesu lo aveva annunciato, è scomparso ancora piu com· pletamente. Al suo posto, il messaggio della redenzione e del redentore; al posto del salvatore dei peccati sta > e che perciò la fede nella mes­ sianicità di Gesti, destata dalle esperienze vitali delia Pasqua, deve risalire alla fede che avevano i discepoli ai tempi della vita di Gesti stesso. Con ciò si riconosce che i segni caratteristici storico-religiosi essenziali della fede histiana primitiva hanno le proprie radici in Gesti stesso e che già nella comunità piti antica l 'attesa del prossimo ritorno di Cristo era collegata alla venerazione del Signore asceso al cielo e al culto di Cristo stesso. Nella sua amplis­ sima e magistrale presentazione del cristianesimo primi­ tivo Johannes Weiss poteva perciò collegare la conoscenza

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della natura fondamentalmente escatologica della comunità primi·tiva risalente a Gesu (una presentazione di Gesu manca in quest'opera rimasta incompiuta) con l'intuizione dell'importanza che le comunità cristiane ellenistiche, come pure il paganesimo elleni9tico hanno ai fini della forma­ zione della teologia paolina, senza trascurare nemmeno la concezione escatologica fondamentale di Paolo. E anche da Weiss viene ribadito, a ragione, che il mito escatolo­ gico della fede cristiana primitiva si trova già in Gesu. Ma:lgrado però una tale impostazione cosi ponderata e convincente del problema storico-religioso, Weiss non ha avuto timore di riconoscere anche « una ragione sopran­ naturale » nell'origine della fede pasquale della comunità primitiva, e di ritornare cosi decisamente alla problema­ tica teologica "'. Tanto piu pressante si solleva pertanto la questione posmva, di quale sia stato in realtà l'elemento che teneva insieme il piu antico gruppo di discepoli e di quale fosse l'idea strutturante del cristianesimo piu antico ... Da qualsiasi parte, in ultima analisi, l'escatologia possa aver origine, in ogni caso essa è a tal punto pensata in modo auten­ ticamente giudaico, da richiedere ancora, per la fede in Dio, una ben valida giustificazione esterna e inoltre un luminoso, esplicito riconoscimento esterno, per quella giustizia che sin qui non è stata sufficientemente ricompensata. Ma . .. già molto tempo prima della comparsa del cristianesimo, a questa intonazione escato­ logica si è contrapposta una religione del presente che, presa in senso stretto, le è contraddittoria. Infatti, colui che già nella vita presente ha sperimentato l'aiuto e la grazia di Dio, ha per­ ciò stesso superato, in fondo, il dualismo metafisica e la tensione verso la vita futura. :E!. quanto possiamo osservare nel messaggio di Gesu. In questo la fede in Dio del tutto non escatologica si

"' J. Weiss , Das Problem der Entstehung des Christentums, in '« Archiv fiir Religionswisscnschaft », XVI ( 1913), pp. 423-515 ( le ci­ tazioni dalle pp. 425 s., 428, 434-437, 445, 451, 457, 470 s., 480 s., .486, 488, 492); Das Urchristentum, pubblicato dopo la morte dell'au­ tore e completato da R. Knopf, Gottingen ( 1914), 1917, pp. 127-129, 1 4 1 , 402 s., 408, 3 1 , 5 1 1 . Gr. l'aspra e ingiusta critica alla � preven­ zione di uno storico immanentista » in K. Priimm, Johannes WeiJS als

Darsteller und religionsgeschichtlicher Erkliirer der pau/inischen Bots­ chaft, in « Biblica ,., XL ( 1 959), 815 ss.

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giustappone al sentimento esçatologico, come un elemento presso­ ché inconciliabile ... · " Dobbiamo concludere, quindi, che quanto costituiva l'ele­ mento unificante per la cerchia dei discepoli non erano l'annun­ cio del regno e neppure l'ardore e l'intensità particolari dell'at­ tesa di Gesu; ciò che li aveva avvinti a lui era, in senso vero è proprio, soltanto la sua persona: in lui essi avevano riposto la loro speranza e da lui attendevano il rivolgimento decisivo. In­ somma la disposizione d'animo dei discepoli, già al tempo della vita di Gesu, piu che la speranza nella realizzazione del regno di Dio, deve essere stata, in un certo senso, una sorta di fede

in Gesu.

Per tal modo dunque i'elemento che veramente determina la storia non sarebbe stato lo scorrere del tempo escatologico, av­ vertito come sentimento di massa, ma, in ultima analisi, la per­ sonalità di Gesu ... 1 Solo per questo le apparizioni potevano essere una prova della m,essianicità, poiché proprio questa, già precedentemente, era in questione. Soltanto perché la morte sembrava invece essere una prova contro tale messianicità, l'ascensione al cielo poteva esser riguardata come prova a favore. Ne consegue inoltre che la mo­ mentanea disillusione dei discepoli era stata motivata dal fatto che essi non soltanto avevano appreso da Gesu a sperare nel regno di Dio, ma si erano aspettati che egli diventasse il re di questo regno, cosi come è · descritto nel racconto dei discepoli di Emmaus: « noi però speravamo che fosse lui a liberare Israele ». Con questo però si ammette che la questione del Mes­ sia risale alla vita di Gesu . . . · Noi siamo i n tal modo ricondotti alla cosiddetta « coscienza messianica » di Gesu come ra�ione prima della fede messianica dei primi discepoli. Qui sta )'enigma ultimo per colui che ri, flette sull'origine del cristianesimo . . . , Anche l a speranza del Messia, assai viva tra �li Ebrei, non �ra in fondo niente di piu che un'idea astratta ... Ma per i disce­ poli il Messia celeste rivestiva ormai i concreti tratti personali di Gesu. In tal modo egli era uscito dal regno della fantasia per entrare in quello della realtà. Anche dal punto di vista escato­ logico è un enorme passo in avanti il fatto che questi uomini non aspettino piu un qualsiasi messia, ma sappiano già chi esso sarà... Solo con questo la nuova religione riesce ad acquisire quel nuovo calore, quell'intimo fervore e quell'elemento tocco perso­ nale che saranno di tale importanza per la sua storia. La parola � ,Signore >> o « nostro Signore » (Maran) ha già nella comunità qriginaria assunto un tono nuovo... Sorge spontaneo l'interroga­ t�vo se sia storicamente e psicolo�icamente pensabile che. già nell'ambito di tale comunità e fra gli stessi discepoli di Gesu, si SÌ/l compiuto il passaggio dalla dipendenza morale alla venera-

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zione religiosa, dalla discepolanza al culto del Cristo ... Il fano... che la venerazione religiosa per Gesu si sia svilup· pata molto rapidamente dalla cerchia dei discepoli e che, entro certi limiti, debba essere stata già propria anche della cerchia piu antica non stupirà colui che conosce l'ambiente storico-reli­ gioso del cristianesimo. È infatti noto come in questo caso il confine fra divinità ed umanità sia avvertito come poco netto e non categorico, e come spesso venga oltrepassato in entrambi i sensi, nell'apoteosi, nell'incarnazione e nella concezione degli ., uomini divini >> ... Si può certamente affermare che questo cristianesimo prepa­ munque esso non si è ancora sufficientemente affermato in que­ sto mondo. Ma Gesu è ben convinto che Dio abbia già fatto il passo decisivo per la fondazione della sua signoria: mentre egli respinge per mezzo dello Spirito e di Gesu il regno dei demoni, la basileia [ signoria di Dio] si erge già possente in questo mondo, visibile ovviamente solo all'occhio della fede. E la comunità primi­ tiva, se deve aspettare ancora in questo mondo la venuta del Mes­ sia, crede tuttavia che il suo regno lassu nel cielo e l'assoggetta­ mento del mondo degli spiriti siano già cominciati: i segni del­ l'inizio dell'era nuova sono già apparsi... Il muovendo di qui che si deve innanzitutto comprendere la peculiare duplice concezione della redenzione in Paolo . . . Il pensiero di cui si è appena detto è dunque anzitutto di na­ tura escatologica: anticipata speranza nel futuro; in secondo luogo essa è gnosticcrmitologico : non lo si può comprendere senza tener conto degli eventi misteriosi e soprannaturali che si sono verifi­ cati in occasione della crocifissione e della risurrezione di Cristo, non senza il dualistico contrasto fra Dio e le potenze del cosmo, alla cui violenza il Cristo è stato strappato . . . S e l'evento mistico è l'anticipazione di u n a beatitudine futura nel presente, allora la mistica è in certo modo il superamento e l'annullamento della escatologia. Ma nella misura in cui la reli-

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gione di Paolo è dominata ancora dalla speram:a �catolo�ic� , essa non è mistica. Orbene è appunto questa la ragiOne prmCI­ pale per cui nell'apostolo il campo della mistica è ancora note­ volmente limitato. Un entusiasmo travolgente, una straripante pienezza di sen­ timenti, un'immediata consapevolezz a della vicinanza di Dio, un senso di forza senza pari ed una potenza irresistibile al di là di ogni volontà ed anche al di sopra delle condizioni fisiche degli altri uomini: questi sono i tratti incancellabili nel quadro sto­ rico del cristianesimo primitivo. Siamo anche molto lontani dal voler negare il fondamento soprannaturale di questi fenomeni. Chiunque sia abituato a rice­ vere nella preghiera nuova forza e nuova letizia proverà imme­ diata comprensione per la fede dei cristiani primitivi nello Spi­ rito e nessuna scienza è in grado di giudicare diversamente al riguardo. L'esperienza religiosa è una materia che resiste, in fondo all'analisi e alla spiegazione razionale. Ma proprio perché, per cautela scientifica di fronte all'inspiegabile, mettiamo in conto un fattore non comprensibile con mezzi scientifici, siamo obbligati a chiederci se accanto all'elemento soprannaturale (che per gli antichi cristiani era il solo in questione) in questo entu­ siasmo non abbiano parte anche altri fattori, che risultino com­ prensibili alla nostra conoscenza. Noi ricerchiamo le ragioni umane e storiche di tale entusiasmo e la sua mediazione psicologica . . . Dalla esposizione dei precedenti capitoli su Paolo si ricava un quadro straordinariamente vario; ci siamo convinti che vi è confluita tutta una serie di correnti spirituali dell'epoca: religio­ sità dell'Antico Testamento e profezie; giudaismo rabbinico; illu­ minismo ellenistico-giudaico ed etica stoica; mistica sincretistico­ ellenistica e gnosi dualistico-ascetica; oltre a tutto questo, il forte imperativo del messaggio etico di Gesu, la viva sensibilità esca­ tologica del Battista, di Gesu e della comunità primitiva, soprat­ tutto la trionfante convinzione della comunità che il tempo finale della salvezza fosse ormai arrivato. E tutto questo è tenuto insieme da una personale consapevolezza, al tempo stesso rico­ noscente ed umile, di aver egli stesso sperimentato la grazia di Dio e di essere stato per sempre conquistato dall'amore di Cristo. Proprio qui l'universo d'immagini e la mentalità cosi po­ licromi e contraddittori dell'uomo trovano la loro unità; in que­ sto suo personale sentimento religioso, che egli chiama breve­ mente la propria fede, egli ha anche saputo trovare la forza di compiere la sua opera e di porre il suo pensiero al servizio della sua azione.

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4 . La critica storica radicale Come si è visto, lo studio spregiudicatamente storico del Nuovo Testamento, che era stato proposto alla ricerca biblica alla fine del XIX secolo, grazie al coerente inqua­ dramento del cristianesimo originario fra le religioni della sua epoca aveva condotto da una parte al metodo esca­ tologico coerente e dall'altra a quello storico-religioso. E mentre in generale queste due correnti di ricerca si combattevano, J. Weiss aveva tentato di collegarle e di farne una si:ntesi. Accanto però alle due scuole appena accennate, fin dall'inizio aveva preso l'avvio una critica storica radicale (generata dall'esigenza di raggiungere lo stesso fine) delle fonti neotestamentarie e deHa storia del cristianesimo primitivo, e i suoi esponenti erano in parte interessati anche alla ricerca > . Wellhausen vi afferma che già la tradizione, su cui si basano i Vangeli, avrebbe scelto il proprio materiale con intenzioni dogmatiche e che la con­ catenazione dei singoli testi evangelici deve essere attri­ buita interamente agli evangelisti. Gesu personalmente riteneva se stesso un maestro e non pensava al proprio ritorno come Messia; e se poi si piegò ad accettare il titolo di Messia che gli davano i discepoli, lo fece solo per spirito di adattamento alle credenze popolari ebraiche. WeHhausen respinge nel modo piu reciso le concezioni della « escatologia conseguente ))' ma offre poi egli stesso un quadro non privo di contraddizioni, definendo da un lato Gesu « ebreo )) ' non cristiano, e daH'altro facendo apparire proprio gli elementi non ebraici come la sua piu spiccata caratteristica. Con una penetrante critica dei testi evangelici, malgrado il suo rifiuto del metodo storico-reli­ gioso, Wellhausen scopre un Gesu ebraico che è in fondo assai vicino a quello della scuola « storico•religiosa )) 86• L'ultima fonte dei Vangeli è la tradizione orale, ma questa non contiene che il materiale disperso. l frammenti, piu o meno ampi, vi circolano separatamente. Il loro collegamento in un tutto è sempre opera di un autore e, di norma, di uno scrittore... Non occorre escludere il racconto della passione, nel giudi­ care che nel Vangelo di Marco mancano in generale i tratti carat­ teristici della storia. Il nostro desiderio di sapere rimane insod85

J. Wellhausen, Dar Evangelium Marci iiberretzt und erkliirt, Ber·

1903; Dar Evangelium Matthaei iiberretzt und erkliirt, Berlin , 1904; Dar Evangelium Lucae iibe-rretzt und erkliirt, Berlin, 1904. Sullo sviluppo di queste OPinioni di Wellhausen dr. E. Bammel, ]udentum,

!in,

Chrirtentum und Heidentum: ]uliur Wellhaurenr Brie/e an Theodor Mommren 1881-1902, in « Zeitl;Chrift fiir Kirchengeschichte �. LXXX, pp. 109, 221 ss. · 86 .f. Wellhausen,

Einleitung in die drei ersten Evangelien, Berlin,

1905, pp. 3, 43, 51 s., 94, 97 s., 107, 1 13-115.

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disfatto. Niente è stato motivato né chiarito mediante annota­ zioni preliminari. Manca del tutto lo sfondo, come pure il nesso pragmatico. Nessuna traccia di cronologia; in nessun passo si trova una data ben determinata. l dati geografici sono bensf chiaramente presenti e la situazione ambientale è, di regola, de­ scritta, tuttavia spesso in modo molto indeterminato: una casa, una montagna, un luogo solitario, chissà dove. Ma anche la con­ catenazione topografica degli eventi, l'itinerario, lascia molto a desiderare, non meno di quella cronologica; molto raramente, per non dire mai, nel mutare della scena si trova qualche anno­ tazione di collegamento fra un argomento e il successivo. I sin­ goli brani sono spesso narrati in modo assai vivo e cioè senza mezzi astratti o retorici, e tuttavia si collocano aneddoticamente uno accanto all'altro, rari nantes in gurgite vasto. Non sono suf­ ficienti a darci una visione piena e reale della vita di Gesu ... Marco non scrive de vita et moribus ]esu, egli non ha inten­ zione di renderne la persona evidente né tanto meno, compren­ sibile. Essa gli si è presentata nella sua missione divina, ed egli vuole provare che Gesu è il Cristo. . Nel modo piu esplicito egli [Gesu] parla di se stesso nella parabola del seminatore [Mc. 4, 3 ss.] ... Egli riflette sull'incerto successo delle sue parole indirizzate in generale a tutti gli uomini in una maniera che potrebbe anche essere uguale a quella di un qualsiasi altro maestro. Se ne deduce che egli considera l'inse­ gnamento, naturalmente sulla via di Dio, come la sua propria vocazione . . . Infine v a richiamata ancora l'attenzione sul detto pronun­ ciato da Gesu alla fine dell'ultima cena (Mc. 14, 25): > di Paolo « nella parusia » 93 • Nella sua opera pervasa d'evidente entusiasmo, intitolata 'Vie Anfange unserer Religion ( 1 9 0 1 ) egli aveva poi soste­ nuto > nella figura messianica e il carattere escatologico della predicazione di lui ; aveva però definito entrambe queste idee come ina­ _deguate a Gesti, ed affermato che se solo possibile entro la cerchia dei credenti » come « il primo fatale passo eli allontanamento da Gesu in direzione dell'ortodossia ». Nella sua ampia esposizione su Paolo, Wernle dichiara poi che « l'intro­ duzione del cristianesimo nella storia universale... è del tutto opera dell'apostolo »; che Paolo è il piu grande pro­ pagandista del vangelo e che davanti alla grandezza di questo pensatore si deve « restare in attonito stupefalto silenzio ». Tuttavia il severo giudizio di Wrede, che aveva chiamato Paolo « pervetitore del vangelo di Gesu >> 94, non sembra aver mai abbandonato del tutto Wernie, che aveva sentito pronunciare tale giudizio quando era ancora studente. Infatti nell'esposizione della sua opera Paolo appare alla fine come il teologo, che, nella sua qualità di uomo di Chiesa, ha esercitato un'influenza funesta, colui che con la sua insistenza sui sacramenti e sulla chiesa si è allontanato di gran lunga da Gesu e che ha favorito il sorgere del cattolicesimo. E poiché « come necessaria conseguenza della accentuazione del sentimento >> , nella religiosità di Paolo « è regolarmente . . . subentrato . . . un indebolimento della vita morale », quale compito della teologia nel tempo presente viene definito quello di pro­ vocare una reazione alla « prevalenza della teologia pao­ lina » e di « riportare in primo piano l 'originale dottrina religiosa di Gesu, come ammonizione al nostro tempo » . S i profila quindi l a parola d'ordine « via da Paolo e di nuovo verso Gesu » 95• Il costituirsi della setta produce la prima grande modifica­ zione della nuova religione. Essa si manifesta in un duplice irri-

94 Vedi P. Wernle in Die Religionswissenschaft der Gegenwart in Se/bstdarstellungen, vol. V, 1929, p. I l . 9 5 P . Wernle, Die Anfiinge unserer Religion, Tiibingen-Leipzig, 1901, pp. 27, 35, 81, %, 220, 208, 219, 81, 89, 128-130, 153 s., 16"1. 189 s.

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gidimento, verso l'esterno e verso l'interno della comunità mede­ sima, là come esclusivismo, qui come legalismo. Tra i confratelli e quelli che stanno al di fuori viene posta come solida barriera divisoria il sacramento del battesimo e la formula di riconosci­ mento del Messia. Spuntano le definizioni di « credente >> e « non credente >>, e vengono anteposte al criterio di riconosci­ mento « dai frutti >> stabilito da Gesu. Certo, rimane immutato il principio che soltanto le azioni secondo il volere di Dio pos­ sono condurre al regno di Dio, ma presto prende corpo la con­ cezione secondo cui il fare la volontà di Dio abbia come presup­ posto la fede in Gesu e sia possibile soltanto alla cerchia dei credenti. t questo il primo passo fatale di distacco da Gesu in direzione dell'ortodossia. Gesu aveva scelto di preferenza esempi non > : il gabelliere, il samaritano, il figliol pro­ digo; in tali personaggi egli metteva in evidenza soprattutto l'umiltà, l'amore, la pietà, il pentimento. Ma nella sua comunità viene affermandosi il principio che all'infuori di essa non esiste salvezza, e che i migliori frutti colti fuori di essa non hanno alcun valore, o al massimo possono costituire un gradino preli­ m i nare per arrivare alla giustizia, che è però alla portata dei soli credenti ... In tutto il lavorio teologico della comunità si rivela qualcosa di non creativo e di dilettantesco. Questi primi cristiani hanno vissuto con Gesu qualcosa di straordinariamente grande, ma fa loro difetto, per cosi dire, una lingua propria. Cosi si aggrappano alle categorie giudaiche ad essi piu vicine e vi introducono a forza l'indicibile. Quanto meschini sono questi primi pensieri cristiani su Gesu, se confrontati con le azioni di Gesu stesso e con la straordinaria vita interiore della sua persona! La reale su­ periorità della nuova religione rispetto all'antica viene piu velata che espressa per mezzo della sorgente cristologia. Nessuno vorrà biasimare i piu antichi cristiani per questo loro trasferire idee giudaiche a Gesu. La stessa venerazione del­ l'eroe, la stessa fede che li spinse a parlare le lingue e al mar­ tirio li ha anche mossi alla formulazione di queste norme di fede. Il quadro grande, bizzarro e fantastico di questa prima cristologia ebraica è stato prodotto da puro amore ed entusiasmo. .Ma vi è insito il pericolo di ogni pensiero dogmatico, il pericolo. cioè, che questo si sostituisca alle cose reali e le soppianti del tutto. GH elementi nuovi e liberatori portati da Gesu sono stati imbalsamati da questi pensieri di fonte ebraica. Per ciò che concerne il battesimo e la cena, Paolo non è un creatore, ma soltanto un uomo della tradizione... La comunità deve avere un suo segno ed una sua edifica­ ·zione, e queste cose debbono essere re��:olate in modo tale da essere veramente utili alla comunità. Ciò si può comprendere come innovazione che va al di là di Gesu e tuttavia tale da non

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urtare con il carattere puramente morale del suo vangelo. Tut­ tavia mediante Paolo ha inizio una nuova valorizzazione di pra­ tiche di culto, che è inconciliabile con quanto era stato pro­ posto da Gesu. A Corinto, per esempio, dei cristiani si sono fatti battezzare una seconda voi ta per i propri parenti defunti e al riguardo Paolo, si richiama alla sua difesa della risurrezione. Questa è una concezione pagana del battesimo, che fa del sacra· mento un opus operatum [ azione efficace di per se stessa] e come tale quasi una garanzia della beatitudine eterna. E mentre Paolo in questo caso approva tacitamente la superstizione, per la cena è egli stesso a provocarla. Per amore dei suoi greci, infatti, la mette in parallelo con le cene sacrificali greche ed ebraiche, per primo contrappone il cibo sacro a tutti quelli profani, ed esorta a vedere nella malattia e nella morte di taluni cristiani la pu­ nizione per aver gustato in modo profano del cibo sacro. Questo è dunque un accomodamento alla superstizione greca, che porta come conseguenza alla legittimazione di una religione di secondo ordine. Funesto è già di per sé il solo fatto che si venga cosi ad attribuire un valore tanto grande e straordinario alle pratiche di culto ... Tutte quelle formule e dichiarazioni superstiziose sono in mano a Paolo mezzi per lo scopo, talora (come nel battesimo) di provare la speranza cristiana, talaltra (come nella cena) , di ri­ condurre all'ordine la comunità. Non tanto per Paolo stesso, quanto per il futuro delle sue comunità è cosa funesta che la partecipazione al culto si ponga accanto alla fiducia in Dio e che due generi di religione, di contatto con Dio, comincino a farsi reciproca concorrenza. La croce, la risurrezione, il Figlio di Dio venuto dal cielo sono le tre grandi innovazioni della cristologia paolina. Nel van­ gelo di Gesu esse mancano pressoché totalmente, e tuttavia Paolo vuole esprimere con esse delle idee evangeliche. II confronto fra il Maestro e il discepolo è particolarmenté istruttivo: l) Gesu: Dio è nostro Padre da sempre e ovunque. Egli ri­ versa il suo amore su di noi con i doni del cibo e del vestito, con il generoso perdono, con il salvarci dal male, con l'offrirei il regno. Tutta la dottrina di Gesu e il suo operare tendono a rinsaldare negli uomini la fede nell'amore paterno di Dio. Paolo: Dio mostra a tutto il mondo il suo amore misericor­ dioso sulla croce di Gesu. Senza questo non vi è certezza di con' ciliazione. Solo chi crede nella croce ha il vero Dio. Cosi parla l'apologeta della Chiesa, dichiarando che fuori della Chiesa - cioè fuori della comunità dei credenti nella croce - non vi è salvezza. 2 ) Gesu: Il regno di Dio è alle porte. Dev'essere la meta di tutte le speranze e di tutti i desideri e la forza motrice della

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nuova vita morale. Gesu porta i suoi discepoli a camminare nella luce dell'eternità. Paolo: La risurrezione di Gesu è la prova che sta per comin­ ciare il mondo futuro. Già ora il cristiano è risorto con Gesu ed � entrato nella vita eterna. Cosi parla l'apologeta, che deve addurre prove tangibili delle realtà promesse e che nel farlo scambia fatti con postulati. 3) Gesti: Con la parola e con l'esempio redime gli uomini facendoli tutti figli di Dio ed esalta la pietà, l'umiltà, ecc. Paolo : Il Figlio di Dio è sceso dal cielo sulla terra, affinché noi avessimo un esempio nella sua autoumiliazione e diventas­ simo per suo tramite figli di Dio. Cosi parla l'apologeta, che non ha conosciuto di persona Gesu e per il quale di conseguenza il quadro mitico deve fare le veci di ciò che, per i primi discepoli, era stato il contatto diretto con il Maestro. lnfini te furono le conseguenze della grande innovazione. Gesu si presentò ai Greci sotto forma di un mito drammatico; essi ebbero di nuovo un'epopea di dei, creata nel vivo del presen­ te. Ciò conquistò il mondo. La semplice parola del Gesu di Nazaret non avrebbe mai potuto affermarsi in tal modo, per il semplice fatto che il mondo di allora non era maturo per acco­ gliere l'impronta d'una realtà puramente personale. Quello che in Gesu era di grande e redentivo doveva farsi rivestire di panni pesantemente dogmatici; tale realtà vive ed opera potentemente anche in Paolo. Malgrado tutto è stata una fortuna che Gesu sia stato predicato al mondo da Paolo; ma nei pensieri su di lui egli introduce molto di se stesso. Egli [ Paolo ] vuole che il battesimo sia considerato un mi­ racolo e un mistero. Il battezzato deve credere di uscire dall'ac­ qua diverso da come vi si era immerso. Allo stesso modo, quanto alla cena, egli ha insegnato che essa è un banchetto nel quale non viene mangiato t�ane comune né bevuto vino comune, ma si partecipa al corpo e al sangue di Cristo. Si tratta dunque di cibo spirituale e di bevanda spirituale, ossia di una trasfusione delle virtu della redenzione. !:: difficile comprendere come Paolo, il quale altrove riconduce sempre la redenzione allo spirito del Cristo, qui improvvisamente attribuisca valore al corpo e al san­ gue, ossia a qualcosa di effimero in Gesu. Proprio qui egli si è uovato di fronte un'istituzione che diffici·lmente si lasciava in­ set'ire nella sua dottrina pneumatica della redenzione; eppure egli ve l'ha inserita, elevandola, anzi, in tal modo a sacramento. Al pedagogo dei pagani doveva sembrare importante illustrare ai suoi fedeli la redenzione per mezzo delle varie pratiche di culto. In verità li ha soltanto confusi, cioè dal campo spirituale li ha risospinti in basso, in quello magico-naturalistico. A noi potrà oggi risultare strano che il campione della parola sia diventato

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allo stesso tempo il creatore del sacramento. Quanto a lui ben lo sa chiunque lo conosce - egli non aveva bisogno di al­ cuna magia cultuale, poiché lo Spirito gli testimoniava nell'intimo l'amore di Dio, e per lui Gesu era colui che aveva liberato dalla schiavitu del fatto rituale. Ma con l'accettazione dei sacramenti nella sua dottrina di redenzione egli si è reso compartecipe del­ l'origine del cattolicesimo, che lo definiva santo e lo uccideva ... Chi, libero da ogni pregiudizio protestante, considera la dot· trina della giustificazione in Paolo, deve riconoscere che è una delle sue piu infelici creazioni. La parola « giustificare » nel nuovo senso è ambigua; tale da dar adito a confusione è la posizione di Dio, che come giudice dichiara giusto il peccatore; inoppor· tuna e sbagliata l'alta considerazione per la fede ecclesiastica come fatto decisivo nel giudizio; arbitraria e artificiosa la dimo­ strazione presa dall'Antico Testamento. Paolo combatteva per l'universalità del cristianesimo, per la sostituzione della religione del diritto con la religione dell'amore. Ma è arrivato ad erigere la Chiesa cristiana basandola su di un diritto che regola in modo nuovo la fede e il modo di professarla, e sul ritorno a tutti i peccati degli Ebrei: la grettezza, il fanatismo, la meschina con· cezione di Dio. Malgrado tutto questo, però, e nascosto sotto la cattiva forma, sta un grande pensiero, di significato profondo: Dio nostro Padre, che ci fa doni, sia che li meritiamo, sia che non li meritiamo; e noi uomini, cosl come siamo, suoi figli, che dobbiamo vivere del suo amore. ! un pensiero rafforzato e concre· tizzato dal fatto dell'apparizione di Gesti. A questo pensiero, e non alla cattiva forma di cui è stato rivestito, noi protestanti dobbiamo particolare religioso rispetto.

Se Wernle, stimolato da Wrede, aveva molto insistito sulla grande distanza fra Cristo e Paolo, il parroco Martin Briickner, personalmente influenzato a sua volta da Wrede, poco tempo dopo, in una lucidissima ricerca dal titolo

Die Entstehung der paulinischen Christologie { 1 903 ) ,

tentò di dimostrare « che l'immagine di Cristo tracciata da Paolo ha avuto origine del tutto indipendente dalla personalità storica di Gesu » . Egli sostenne che « la riu· nione delle due diverse immagini di Cristo », quella del­ l 'uomo celeste preesistente e quella dell'uomo terreno Gesu nella cristologia paolina si spiega con il fatto che nell'immagine tradizionale ebraica del Messia celeste Paolo avrebbe inserito l'episodio dell'incarnazione di Gesu, cosicché non la vita terrena di Gesu, ma la dottrina giu·

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daica del Messia avrebbe plasmato la fede in Cristo di Paolo 06• Attraverso la sua conversione Paolo giunse alla convinzione che Gesu era il Messia. Questa convinzione si fonda sulla fusione forzata di due di­ verse immagini di Cristo, che Paolo portava in sé dalla sua con­ versione; e cioè quella che egli aveva come teologo giudaico, e ·quella del Gesu crocifisso, che aveva ricevuto dalla fede della comunità primitiva ... Il passo della Lettera ai Filippesi [2, 5 ss.] mostra che, se­ condo la concezione paolina, la forma di esistenza divina del Preesistente, alla quale egli ritorna dopo la morte sulla terra, è la sola confacente all'essere ed alla natura del Cristo; che in­ ·vece l'incarnazione, l'insieme, la morte sono soltanto un epi­ sodio transitorio, del tutto in contrasto con la natura di Cristo. Questa situazione di fatto conferma anche i risultati della ricerca sulla conversione di Paolo, nonché la supposizione, derivata da essi, che la natura celeste di Cristo corrisponda alla vera imma­ gine messianica di Paolo, mentre la sua venuta sulla terra con­ tiene i nuovi elementi, che egli, con la sua conversione, ha rice­ vuto dall;t comunità cristiana primitiva e ha introdotto nell'im­ magine di Cristo. Paolo, dunque, nel passo da noi citato ha uni· ficato i due aspetti disparati della sua immagine di Cristo in modo tale che l'apparizione terrena di Gesu sino alla sua morte sulla croce è stata elevata ad atto di autorinnegamento del Cristo preesistente. Paolo pertanto fa del Cristo, per la prima volta, un essere celeste che agisce in quanto tale ... Con il distacco della incarnazione dal quadro cristologico di Paolo... le idee della preesistenza e della parusia rimangono es­ senzialmente intatte. D'altro canto con il distacco di questo solo episodio l'intero quadro cristologico di Paolo viene ad essere enormemente semplificato. Infatti le immagini del preesistente e del postesistente si fondono ora insieme da sé a formare l'unica immagine del Cristo celeste e Figlio di Dio, che è il ritratto di Dio stesso e dell'uomo originario della creazione e, in quanto essere spirituale celeste, vive nascosto presso Dio in forma di­ vina; e ciò sino alla fine dei giorni, allorché, per comando di Dio, munito di forza divina, apparirà dal cielo, distruggerà le potenze nemiche della divinità, terrà il giudizio finale, istituirà il regno di Dio, per poi alla fine cedere la signoria a Dio stesso... Che il Messia, come Figlio di Dio preesistente in cielo, si sveli improvvisamente insieme al suo seguito, che difenda i suoi 06 M. Briickner, Die Entstehung der paulinischen Cbristo/ogie, Strassburg, 1903, prefazione, pp. 29, 32, % s., 190 s., 221, 236 s.

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e annienti i nemici, che presieda il giudizio su Satana e le sue schiere, che alla sua venuta i giusti risorgano per opera sua, ed inline anche l'idea che la sua signoria sia di breve durata e che perciò alla fine egli si ritiri nell'eternità di fronte alla signoria monarchica di Dio, sono tratti, questi, che tutti, non solo isola­ tamente, ma nel loro complesso, ritornano piu e piu volte nella apocalittica giudaica e che perciò lasciano capire come tutto il quadro messianico di Paolo rientri in tale contesto e sia stato da lui mutuato quasi senza variazioni dal suo passato di ebreo e trasferito cosi nella sua concezione cristiana ... La speranza messianica di Paolo doveva rimanere nazional­ mente limitata, poiché egli, come ebreo, non era in grado di dare alcuna giustificazione d'una rielaborazione di essa. Non ap­ pena Paolo fu in grado di scoprire tale giustificazione nella morte di Gesu, venne meno lo scandalo e l'impedimento alla sua con­ versione fu trasformato in una forza che ve lo costringeva. La premessa di una tale giustificazione egli la trovò, infatti, nel suo concepire, da ebreo, il Messia quale uomo celeste preesistente. L'aver concepito questa idea ha fatto di Paolo un cristiano e l'apostolo dei pagani ... Cosi dunque l'origine storica della cristologia paolina spiega i caratteri eterogenei di questo meravigliosa immagine di Cristo. Essa però ci insegna anche a comprendere dove risiedano la novità e la validità della cristologia paolina: non nei tratti meta­ fisici provenienti dal giudaismo ellenistico del preesistente Fi­ glio di Dio e uomo celeste, ma nell'atto personale del suo farsi uomo. Valorizzando l'incarnazione del Cristo come la manife­ stazione dell'amore paterno di Dio e come l'atto personale di amore e di obbedienza di Cristo stesso, Paolo ha immesso nella propria immagine ebraica del Redentore il nucleo centrale di ciò che Gesu ha portato sulla terra. Se in Briickner l'esame storico-religioso si collega alla critica storica, per dimost>rare la frattura storica fra Gesu e Paolo, il protestante francese Maurice Goguel, principale rappresentante della ricerca critica sul cristianesimo primi­ tivo in Francia, nella sua tesi di laurea, v. pag. seg., nota, dal titolo L'apotre Paul et Jésus-Christ ( 1 904) inizia espli­ citamente con la constatazione che « un metodo rigorosa­ mente storico » è l'unico possibile per tale tipo di studio. Un confronto del messaggio di Gesu con la teologia pao­ lina, in tutte le sue particolarità, mostra, secondo Goguel, che tanto nella cristologia quanto nella dottrina della sal­ vezza esistono rilevantissime differenze fra Gesu e Paolo,

ll

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·e

che lo stesso Paolo ha fatto del vangelo qualcosa di completamente nuovo. Malgrado le già accennate molte­ plici differenze, però, Goguel non vorrebbe ammettere ·che esiste fra Gesu e Paolo un vero e proprio contrasto -e cerca piuttosto di mostrare - e qui egli finisce con l'abbandonare « il metodo rigorosamente storico », per riconoscere una problematica teologica - che Paolo nella situazione del cristianesimo primitivo ha assolto nel mi­ glior modo possibile un compito teologico inevitabile 97• Per Paolo Cristo è, secondo la sua natura, un essere unico nel proprio genere, che si distingue dagli altri uomini per es­ sere precsistito alla propria incarnazione e per essere stato com­ :pletamentc santo durante la sua vita di uomo. La sua santità è dello stesso genere di quella di Dio, e cioè proviene dalla sua stessa natura. Il pensiero del Signore si distingue in modo notevole da quello dell'apostolo. Gesu ha senza dubbio una chiara coscienza :della sua completa santità, ma questa santità è per lui il risul­ 'tato di uno sforzo costante, di una strenua lotta contro la ten­ tazione. Gesu si è sentito diverso di fronte agli altri uomini, ma ' principalmente per la sua intima unione con il Padre. Nessuna delle sue parole giunte fino a noi contiene una spiegazione ri­ guardo al suo essere. Lo stesso si potrebbe dire circa il concetto della preesistenza, che si ritrova molto chiaramente in Paolo e del quale invece nessuna traccia potrebbe essere rinvenuta in ,Cristo . . . Ma il punto i n cui la differenza diviene piu sensibile è cer­ tamente il problema della morte di Cristo. Per Paolo essa signi­ fica la condanna del peccato, la condizione per la giustificazione del peccatore e la sua riconciliazione con Dio. Secondo Gesu, Dio non ha bisogno di riconciliarsi con il mondo; egli vuole per­ donare il peccatore per amore, e questi è giustifica to purché ri­ nunci al proprio peccato e rompa con ciò che lo separava da Dio. Abbiamo visto che Gesu crede nell'efficacia della sua morte; ma questa avviene per provocare l'avvento del regno di Dio e non per produrre la remissione dei peccati; poiché a quelli che gli si accostano egli dice: > e mai: " Ti saranno rimessi i tuoi peccati >> . Per Paolo la morte è il punto centrale dell'opera di Cristo; per Gesu, senza dubbio, qualcosa d'altro che un semplice avvenimento, ma non è il vero e proprio motivo della sua venuta in terra . . . 97 M .

1904,

Goguel, L'ap6tre Pau! et Jhus.Christ, tesi d i laurea,

pp. II, 270-272, 357, 366 ss., 370 s., 378

s.

Paris,

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Vi sono dunque fra la cristologia di Paolo e la definizione che Gesu dà di se stesso delle differenze che, senza esagerazione, possono essere ritenute fondamentali. L'idea di una salvezza soprannaturale che può essere tra­ smessa attraverso una istituzione divina, la Chiesa, per mezzo di riti misteriosi , è completamente estranea al pensiero di Gesu. In lui non si trova neppure l'idea che il vangelo sia una sa­ pienza soprannaturale . . . L a portata dell'innovazione, d i cui Paolo è stato l'autore, è molto considerevole. Della comunità dei credenti egli ha fatto la Chiesa, cioè una realtà soprannaturale con propria gerarchia e con propri sacramenti, o per lo meno ha posto i principi che nella successiva evoluzione dovevano condurre all'idea della di­ vina istituzione della Chiesa e alla dottrina dei sacramenti. D'altro canto Paolo ha anche deposto un germe, che doveva successivamente condurre alla trasformazione dell'evangelo: la predicazione della salvezza sotto forma di una religione filoso­ fica. In un certo senso, perciò, egli è il precursore degli gnostici e, in assoluto, di tutti i pensatori cristiani. Tutte le differenze fra Gesu e Paolo rilevate finora crediamo che possano ricondursi sostanzialmente alle due seguenti: la pri­ ma è che Paolo ha fondato una cristologia; la seconda, che nella sua teologia una dottrina della salvezza ha sostituito la rivela­ zione del regno ... Ci sembra poi che due siano state le cause dell'evoluzione del cristianesimo da Gesu a Paolo: anzitutto la differenza di tempo e la particolare impronta che l'evangelo doveva ricevere in uo­ mini che lo consideravano interamente dal punto di vista della morte e della risurrezione di Cristo; in secondo luogo, il pos­ sente spirito sistematico dell'apostolo Paolo, il quale per primo intese l'evangelo non solo come credente, ma altresl come teologo. Se si dovesse riassumere in poche parole il giudizio che .abbiamo già espresso nelle pagine precedenti, saremmo propensi a dire che quanto caratterizza il paolinismo e lo distingue dalla dottrina di Gesu Cristo è il fatto che esso rappresenta una teologia... Gesu non è stato un teologo e non poteva esserlo, poiché l'opera che egli doveva compiere era assai piu impor­ tante e significativa della teologia. Paolo invece era un teo­ logo, anzi il primo dei teologi cristiani. . . Riassumendo, possiamo dire che la posizione di Paolo nella storia del cristianesimo è stata non solo utile e fruttuosa, ma anche, non esitiamo a sottolinearlo, provvidenziale. Nel mo­ mento in cui la comparsa di una teologia era per il cristiane­ simo questione di vita o di morte, egli ne ha creato una che, con la propria fedeltà all'insegnamento del Signore, è risultata essere la migliore delle teologie possibili .

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Le conseguenze di una presentazione radicalmente storica di Paolo vennero però tratte soltanto da William Wrede con i:! suo suggestivo libretto su Paolo ( 1 904 ), che A. Schweitzer avrebbe voluto annoverare nella lette­ ratura universale 98, poiché Paolo vi appare come il teo­ logo che trasferisce su Gesu la figura di Cristo, familiare a lui in quanto ebreo, e ciò senza essere in alcun modo influenzato essenzialmente dalla persona di Gesu e dalla sua dottrina. Anzi Paolo non è affatto definito continua­ tore di Gesu, bensf fondatore del cristianesimo, ossia di una religione di redenzione, cosicché l'apostolo appare in una luce che dovrà condurre a formulare l'alternativa « o Gesu o Paolo ». Nello stesso tempo, però, l'ottica rigorosamente storica di Wrede rendeva possibile rico­ noscere la realtà della redenzione e il cara ttere fonda­ mentale storico-escatologico della teologia paolina in un modo sino allora ignorato, cosi chiaro che la recente riflessione sul carattere kerygmatico della teologia pao­ lina potrà poi rifarsi a questa immagine radicalmente storica di Paolo 99• L'apostolo ha delineato una grande concezione globale, che contiene in sé una straordinaria ricchezza di premesse, propo­ sizioni e conseguenze di ordine teologico; l'intero cristianesimo appare in lui, fino ad un certo grado, come una costruzione

di pensiero.

Ma in quale rapporto sta con tutto questo la sua religione? La risposta è: le due cose non si possono separare. La reli­

gione dell'apostolo è essa stessa totalmente teologica. La sua teologia è anche la sua religione.

La piu caratteristica dichiarazione di Paolo su Dio è quella ... che egli ha inviato Cristo per la salvezza del genere umano. In altre parole, l'intera dottrina paolina è la dottrina di Cristo e della sua opera: questa è la sua essenza. La persona e l'opera di Cristo sono tra loro inscindibili. 98 A.

p. 132.

Schweitzer, Geschichte der paulinischen Forschung, 1911,

99 W. Wrede, Paulus ( « Religionsgeschichtliche Valksbticher • , I, :5-6), Ttibingen, 1904, pp. 48, 53·56, 63, 66·68, 84, 86, 92·96, 103 s. (ristampato nella collana « Wege der Forschung ,. con segnalazione della numerazione originaria delle pagine).

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Cristo, per l'apostolo, non è ancora diventato ':'l'oggettiva pro­ posizione dottrinale che si potrebbe prendere m esame, senza tener conto di che cosa significhi per il mondo. La sua idea fondamentale su di lui è proprio questa : egli è il redentore ... Ciò che noi esaltiamo maggiormente nell'uomo Gesu non ha alcuna importanza per l'apostolo. Niente è in lui piu lon­ tano della venerazione religiosa dell'eroe. La maestà morale di Gesu, la sua purezza e la sua pietà, la sua attività in mezzo al proprio popolo, il suo carattere profetico - dunque tutto il concreto contenuto etico-religioso della sua vita terrena - non significa nulla per la sua cristologia. L'« umanità .. sembra es­ sere qualcosa di puramente formale ... Cosi è ovvio, l 'umanità è piu di nostra competenza. E se l'uomo è un essere che pensa, percepisce e vuole umanamente, e ciò non in generale, ma in una maniera molto precisa e indi­ viduale, allora questo Cristo non è un uomo veramente reale. La verità è che a Paolo manca il concetto della personalità, del­ l'individualità umana. Perciò l'umanità di Cristo, come egli la intende, resta per noi un'incomprensibile astrazione... Tutto sommato sembra chiaro che per Cristo stesso non esiste motivo alcuno di vivere un periodo di transizione sotto spoglie umane, periodo che per lui significa, in fondo, solo una perdita. II motivo sta soltanto negli uomini, poiché la loro salvezza, lo diciamo in anticipo, dipende soltanto dalla morte e dalla risurrezione di Cristo. Per questo e soltanto per questo vi è bisogno dell'incarnazione. In effetti il Figlio di Dio di­ venta uomo per morire e risuscitare. Con ciò appare chiaro che questa dottrina sul Cristo va a sfociare nella dottrina della re­ denzione e che non si può comprendere senza quest'ultima ... Tutta la concezione paolina della salvezza è caratterizzata dalla tensione ; è una tensione che spinge in avanti, verso la soluzione finale, verso la morte reale. La vita terrena non è assolutamente la cornice nella quale la salvezza venga già a compimento. A questo punto ci si deve rendere particolarmente conto di un fatto che in Paolo non va assolutamente mai dimenticato. Egli credeva con tutte le sue forze alla · imminente venuta di Cristo e alla prossima fine del mondo. Perciò l'azione reden­ trice di Cristo, che appartiene già al passato, e l'avvento della futura gloria celeste sono per lui assai vicini fra loro... È stato affermato spesso e volentieri che Paolo avrebbe modificato la concezione della salvezza, che era stata quella della comunità primitiva, nel senso di spostare il centro di gravità dal futuro nel passato, sostenendo che la beatitudine di Cristo è già presente e ponendo l'accento sulla fede invece che sulla speranza. È facile vedere che questa è soltanto una mezza ve­ rità. Tutte le affermazioni sulla redenzione come fatto già com-

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piuto si capovolgono subito in affermazioni sul futuro ... Profonde differenze separano la dottrina paolina della sal­ vezza dalle idee che sottendono la fede moderna. Innanzitutto la concezione moderna suole riporre la sal­ vezza nell'uomo stesso o all'interno della sua coscienza... Paolo non ritiene nel modo piu assoluto che la salvezza consista in questi stati d'animo soggettivi; essa è piuttosto, in conformità alla propria essenza, qualcosa di oggettivo, una modificazione dell'essere stesso e delle condizioni dell'essere. Altrettanto im­ portante è un'altra cosa. Noi abbiamo già piu volte rifiutato un'interpretazione uni­ lateralmente etica della dottrina paolina. Che essa sia poi di­ ventata tanto prevalente si spiega appunto con il fatto che non si riconosce la distanza intercorrente fra il pensiero moderno e quello di Paolo. Per noi il peccato è interamente cosa della volontà personale, anche se non necessariamente consapevole. Perciò distinguiamo nettamente fra ciò che è narurale e ciò che è morale. A Paolo questa distinzione è del tutto estranea; carne e peccato sono per lui inscindibilmente uniti, e ciò anche nei credenti. Ne consegue che la redenzione non costiruisce solo un rivolgimento di ordine morale, ma che si tratta piuttosto di una modificazione naturale della umanità, dalla quale poi si ot­ tiene anche quella etica ... Vi è poi un'altra forte differenza rispetto alla concezione moderna. L'odierna dogmatica, cosi come il catechismo popo­ lare, riconosce bens{ anche una redenzione oggettiva; ma quanto alla dottrina della salvezza pensa sempre ad eventi che si com­ piono nell'uomo singolo. Si chiede, cioè, quale decorso abbia e debba avere, nell'anima singola, il processo che la deve ren­ dere partecipe dei frutti del cristianesimo... Ora, tutta questa parte manca completamente in Paolo ed il motivo di ciò è che egli, nella sua dottrina, non pensa minimamente all'individuo né ai processi psicologici che in lui hanno luogo; il suo pen­ siero è invece sempre rivolto alla specie, all'intera umanità. II morire con Cristo è un fatto generale, che si compie in rutti i credenti allo stesso modo; non si tratta dunque di un evento collegato a particolan esperienze e sensazioni dell'anima indivi­ duale. Ma proprio perché in Paolo si tratta del genere umano, il modo del suo pensare può definirsi senz'altro storico. In altri termini, tutte le sue idee sulla salvezza sono idee su una storia della salvezza: una storia fra Dio e l'umanità che si svolge sulla terra, ma anche in cielo: in realtà, quindi, nei due luoghi con­ temporaneamente. Paolo vede sempre innanzi a sé grandi periodi dell'evoluzione umana e pensa ovunque in termini di contrasti temporali: un tempo, ora, in fururo. Tutti i concetti principali della sua teologia recano questa impronta storica ...

Il Nuovo Testamento e storia delle religioni Come nacque la concezione paolina di Cristo? Per colui che, come Paolo stesso, vede in Gesu un essere divino trascendente, non vi è ovviamente alcun problema. Ma per chi considera Gesu quale egli fu, cioè una personalità umana e storica, lo iato tra questo uomo e il Figlio di Dio di Paolo deve apparire enonne. Dalla morte di Gesu non era ancora trascorso lo spazio di tempo di una generazione umana, e già la sua figura non solo era cre­ sciuta all'infinito, ma era stata anche completamente modificata. Come poté avvenire ciò?

Una simile immagine di Cristo non può essere stata pro­ dotta dall'influsso della sua personalità. Lo si è spesso affermato,

ma giammai dimostrato. Rimane soltanto un'unica spiegazione:

Paolo credeva ad un simile essere celeste, a un Cristo divino, ancor prima di credere a Gesu . . .

I n realtà, quindi, l'uomo Gesu non divenne altro che i l tito­ lare di tutti gli straordinari predicati, che erano già prelissati, ma la beatitudine dell'apostolo consistette nel fatto che egli po­ teva ora considerare come una realtà entrata concretamente in questo mondo ciò che egli lino ad allora aveva solo sperato ... La questione dell'influenza esercitata dalla predicazione di Gesu su Paolo difficilmente serve a porre in luce dei fatti vera­ mente essenziali. Non è pertanto la questione decisiva. Lo è piut­ tosto stabilire in qual modo si possa misurare l 'oggettiva distanza

della dottrina paolina dalla predicazione di Gesu . . .

In Gesu tutto è rivolto alla personalità del singolo. Quel che importa è che l'uomo consacri intera e indivisa l'anima sua a Dio e alla di lui volontà. In Paolo il punto centrale è costituito da un'azione di Dio storico-metastorica o da un insieme di azioni divine che trasmet­ tono all'intera umanità una salvezza già pronta. Chi crede in que­ ste azioni divine - incarnazione, morte e risurrezione di un'es­ sere celeste - avrà la salvezza. E una tale concezione, che è per Paolo la quintessenza della religione, la travatura su cui è costruita la sua pietà e senza la quale tutto potrebbe crollare, dovremmo considerarla la con­ tinuazione o il rovesciamento dell'evangelo? Che ne è dell'evan­ gelo, che Paolo doveva pur aver compreso? Gesu non sa nulla di ciò che dev'essere stato in cima ai pen­ sieri di Paolo ... Rivolgere rimproveri a Paolo è cosa oziosa. Egli non si è già proposto di mettere ordine arbitrariamente nella sua religione, ma ha certamente ubbidito a coazioni interne ed esterne. Sol­ tanto ai fatti nulla può essere tolto. E se non si vuoi togliere ad e ntrambe le figure tutta la loro determinatezza storica, allora dobbiamo dire che la qualifica di « discepolo di Gesu » si addice poco a Paolo, se con essa vogliamo indicare il rapporto storico

4.34

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con Gesu. In sostanza, messo a confronto con Gesu, egli appare un fenomeno nuovo, tanto nuovo quanto è possibile ad aversi solo in una persona che ha un grande sottofondo in comune con un'altra. Eg!i si allontana da Ge�u molto piu di quanto Ge.u stesso non si distacchi dalle piu nobili figure della religione ebraica .. . Già nei primi decenni vissuti dal nascente cristianesimo, si può dunque constatare un gran salto nell'evoluzione della reli· gione stessa. Se al primo sguardo questo salto può apparire al­ quanto inspiegabile, esso diventa però comprensibile ad una piu attenta considerazione : Paolo non aveva avuto alcun contatto con Gesu in persona e ne era dunque assai piu lontano di quanto potrebbe apparire dal solo dato cronologico; aveva acqui­ sito la lede per una « rivelazione »; in ragione di queste circo­ stanze fu in grado di conciliare l'apparizione di Gesu con le proprie idee sul Cristo, che erano sorte del tutto indipendente­ mente dall'uomo Gesu. Del resto poi vi è da tener conto del fatto che tra Gesu e Paolo sta la fede della comunità primitiva: una fede che è il presupposto per Paolo e che costituisce senza dubbio un certo ponte di passaggio dall'uno all'altro ... E tuttavia anche la distanza fra Paolo e la comunità cristiana primitiva è molto grande, in verità piu grande di quanto le parti interessate non si siano rese conto. Piu importante è ciò che Paolo ha compiuto come teologo. Il fatto che egli abbia introdotto qualche elemento rabbinico nel cristianesimo è in fondo il meno. Nonostante tutto, si vuoi dire che egli ha fatto del cristianesimo una religione di redenzione. . . C hi vuoi descrivere la religione, che vive nei detti e nelle parabole di Gesu, non può esimersi dal parlare di una religione di redenzione. Pensieri di redenzione sono quelli che stanno in gioco, allorché si guarda al contenuto della speranza futura, del regno di Dio, eppure non sono l 'essenziale. L'accento cade sulla pietà del singolo individuo e la sua correlazione con la salvezza furura. In Paolo invece la religione è la stessa redenzione speri­ mentata e fatta propria. Ciò che redime non sta però nell'uomo, ma fuori di lui, in un'opera divina di redenzione, la quale ha predisposto la sal­ vezza per l'umanità una volta per tutte. In altri termini: sta nella storia, che si svolge fra Dio e l'umanità, nella « storia della salvezza >> o nei « fatti della salvezza >> . L'intera innovazione di Paolo consiste nel modo in cui egli ha posto a fondamento della

religione questi fatti di salvezza; l'incarnazione, la morte e la risurrezione di Cristo ...

Da tutto ciò consegue dunque che Paolo è da considerare come il secondo fondatore del cristianesimo. Anche la teologia .di orientamento liberale rifugge di norma da un giudizio come

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questo, eppure non lo si può evitare, poiché, anche se non senza una certa preparazione, è provato che è stato Paolo a introdurre per primo nel cristianesimo quelle idee che sino ad oggi hanno esercitato l'influsso piu possente... Rispetto al primo, questo se­ condo fondatore d�lla religione cristiana ha senza dubbio eserci­ tato un'influenza piu forte, anche se non migliore. Egli non ha certamente dominato dappertutto, specialmente non nel campo della religiosità semplice e pratica, ma per lunghi tratti della storia della Chiesa - basti pensare ai concili e alle controversie dottrinarie - egli ha finito per ricacciare in secondo piano il suo grande predecessore, al quale pure si era proposto di servire.

Naturalmente anche le altre parti del Nuovo Testa­ mento, e fra queste particolarmente il Vangelo di Gio­ vanni, sono state sottoposte ad un esame storico radicale. Il teologo cattolico Alfred Loisy che, a causa della sua posizione critica nei riguardi della Bibbia, già un decennio prima era stato allontanato dall'insegnamento, nel suo libro, diventato poi celebre, L'Evangile et l'Eglise ( 1 902 ), aveva definito i Vangeli « prodotto e testimonianza della fede >> della Chiesa primitiva e il quarto Vangelo come « descrizione simbolica della verità » di Cristo e come manifestazione visibile deHa parola eterna 100; in tal modo egli aveva contestato il carattere storico della narrazione giovannea. Nel suo amplissimo commento, pubblicato poco tempo dopo, sempre sul Vangelo di Giovanni, egli disco­ nosceva a tale testo, in confronto a quello dei sinottici, ogni valore storico e riteneva di poter vedere in esso una rappresentazione allegorica che, venuta a formarsi alla fine del I secolo senza sostanziali influssi di religioni estranee, 100 A. Loisy, Evangelium und Kirche, tr. J. Erière-Becker, Miin­ chen, 1904, pp. 26, 34 (ed. orig., L'Evangile et /'Eglise, Paris, 1903). In questo libro che ha di mira il Das Wesen des Christentums di A. von Hamack, Loisy sostiene, del resto, la comprensione escatolo­ gica dell'annuncio del regno di Dio e l'attribuzione n>essianica di Gesu, in ogni caso con cognizione del pensiero di J. Weiss, se non addirit­ tura in dipendenza da esso; cfr. pp. 37 ss., 61 ss_, e i nol tre F. Heiler, A. Loisy, 1947, pp. 44 s., 53 e D. Hoffmann-Axthelm, Loisys « L'Evangile et /'Eglise ». Besichtigung eines zeitgenossischen Schlacht­ /eldes, in « ZThK », LXV ( 1968), p. 297 (« Loi sy forse dovette ba­

sarsi solo sui lavori di J. Weiss bene »).

e Wellhausen, che

conosceva molto

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malgrado questo suo carattere puramente teologico, uno dei fondamenti dell'edificio cristiano )) 101•

«

è

Grazie al prevalere della visuale dogmatica, il Vangelo di Giovanni è un'opera completamente unitaria, le cui parti si cor· rispondono e si completano a vicenda, senza che qualcosa lasci trasparire che diverse dottrine sono state riportate e collegate insieme... In questo e in molti altri punti la differenza rispetto ai sinottici è molto rilevante. Essa risulta manifesta dal fatto che i sinottici sono opere quasi impersonali, raccolte di ricordi della tradizione, mentre il quarto Vangelo è fra tutti un'opera personale, che dall'inizio alla fine reca l'impronta del gran ta­ lento che l'ha creato ... L'intero materiale, che l'autore ha utiliz­ zato, è passato attraverso il crogiolo di questo gran talento e della sua anima mistica. Ne è uscito completamente rielaborato, impregnato e fuso in un tutto unitario dall'idea che Cristo è la fonte eterna e divina della luce e della vita. Il quarto Vangelo non è pertanto da interpretare come la semplice espressione di ricordi tradizionali, come l'autentica ed esatta testimonianza di un insegnamento, che Cristo avrebbe im­ partito nel corso della sua attività. Tutto il lavoro sul patrimonio di idee cristiane a cominciare dalla risurrezione del Redentore trova qui la propria risonanza, e colui che lo ha messo insieme, in una sintesi originale e brillante, non ha certo trascurato la situazione della Chiesa dell'epoca nella quale egli scriveva, e nem­ meno le speciali esigenze dell'ambiente nel quale si trovava a vivere. Egli è piu teologo che storico, ma è stato ancor piu apo­ logeta che teologo. La sua teologia serve come dimostrazione della legittimità del cristianesimo di fronte al giudaismo con­ temporaneo ... Tenendo conto del carattere del quarto Vangelo, l'antico me­ todo esegetico, che consisteva nel mettere a confronto i dati dei testi sinottici e quelli giovannei, appare oggi del tutto superato, anche se viene ancora impiegato da alcuni dotti esegeti. Gli ele­ menti che si vorrebbero collegare non sono della stessa natura. In generale si può dire che né i sinottici possono essere com­ pletati da Giovanni, né Giovanni dai sinottici. Quelli sono le vere fonti storiche per la vita e la dottrina del Redentore, Gio101 A. Loisy, Le quatrième tivangile, Paris, 1903, pp. 139, 55 s., !!0, 85, 75, 73 s., 71-73, 130. H. J. Holtzmann, in « ThLZ », XXIX ( 1 904 ), p. 405, concede al commento, che rappresenta « una perenne pietra miliare » sulla pista aperta da F. C. Baur e D. F. Strauss, « mo­ tivi puramente scientifici » e « un tale grado di spregiudicatezza di giudizio », quale non è stato mai raggiunto da un teologo rimasto cattolico in senso superiore.

Il

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vanni è g i à una testimonianza ecclesiastica e rappresenta la fede della Chiesa, il movimento religioso cristiano alla fine del I se­ colo, altrettanto e molto piu che la realtà storica del vangelo. L'evangelista mostra di possedere una eccessiva indifferenza nei confronti della storia. Non soltanto egli trasceglie dalla tra­ dizione ciò che meglio si confà al suo scopo, ma modifica ed integra questa stessa tradizione senza la minima esitazione, al fine di ristabilire l'equilibrio fra le sue immagini allegoriche. Ne deriva che la misura di verità storica, che si può ritenere presente nel suo libro, non vi è stata mantenuta da premeditata inten­ zione, ma semplicemente dal fatto che ha potuto servire ai fini dell'autore. Questi sarebbe stato disposto a conservarne o anche a sacrificarne di piu, se il successo della sua dottrina gli avesse fatto apparire necessaria l'una o l'altra cosa. Per lui realtà e fan­ tasia si confondono nell'unità del simbolo . . . Sembra quindi che nel Vangelo giovanneo l'allegoria sia stata impiegata il piu ampiamente possibile, per non lasciare al di fuori del suo campo nulla che di fronte alla sua legge potesse chiamarsi estraneo. . . L'allegoria è il tratto caratteristico della dottrina giovannea. Essa raggiunge, fin nei racconti, simboli profondi, dei quali l'au­ tore solo in alcuni momenti scopre a metà i l segreto. Penetra anche nei discorsi in cui Cristo parla continuamente un linguaggio immaginoso e ambiguo, tale, come ammette lo stesso evangelista, da risultare incomprensibile a quelli che lo ascoltavano. Pertanto il quarto Vangelo è in complesso niente altro che una grande allegoria mistica e teologica, un'opera di dotta speculazione, che nella forma nulla ha in comune con la predicazione del Cristo storico . . . Questo Cristo non è senza dubbio un'astrazione metafisica, egli è vivo nell'anima dell'evangelista, nella fede della Chiesa, nel sentimento cristiano; ma un tale Cristo completamente spi­ rituale e mistico, per quanto vero possa essere nel suo genere, non è tuttavia quello che visse sulla terra, poiché non è sog­ getto alle condizioni del tempo e dell'esistenza terrena. Lo storico è costretto a scegliere fra il modo dei sinottici e quello giovanneo di rappresentare la vita di Cristo a Gerusa­ lemme, d'illustrare la passione, poiché i due sono fra loro incon­ ciliabili, anche a prescindere dalla impossibilità di spiegare in modo logico il silenzio della tradizione sinottica circa la risur­ rezione di Lazzaro. E il critico non può esitare un solo mo­ mento, poiché il racconto di Giovanni è palesemente un'interpre­ tazione teologica e trascendente, ma assolutamente non filosofica, almeno nel senso moderno della parola, dei fatti, dei quali per contro il testo dei sinottici ha conservato in modo piu o meno completo l'aspetto originario ... Si può dire che l'elemento umano è sparito ed è stato can-

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celiato da quello divino, che la dottrina del Verbo fatto carne ha trasformato il Vangelo in un testo didattico, che ha quasi completamente perduto il carattere della storia; che la rivela­ zione della gloria, di cui parla l'evangelista, si allontana dalla realtà; che Cristo stesso non è piu un essere realmente umano. Mentre dunque Loisy, partendo da una concezione di dichiarata « neutralità scientifica », ha svuotato radical­ mente il Vangelo di Giovanni di ogni valore storico, e lo ha inteso come niente di piu d'una testimonianza di fede ecclesiale, William Wrede ha aggiunto a questo giu­ dizio sostanzialmente negativo sul V angelo · s tesso la con­ gettura, di carattere storico-religioso, che le forme di rap­ presentazione religiose dell'evangelista abbiano avuto ori­ gine da una tradizione di tipo gnostico e che l'intero testo sia stato scritto in quanto nella lotta della primitiva Chiesa cristiana con il tardo giudaismo... « i primi Vangeli non erano piu sufficienti ». Perciò il Vangelo di Giovanni per Wrede non è « uno scritto storico, ma teologico » , e può essere compreso esclusivamente come testimonianza 102• della fede in Cristo della sua Chiesa

Nei discorsi di Gesu sta il vero centro di gravità del nostro libro, in quanto essi interpretano la storia oppure la riducono a formule, e in quanto continuamente abbandonano di colpo i con­ creti eventi storici per balzare alle altezze delle questioni supreme. Dal punto di vista formale i discorsi appaiono, anche a chi &ia dotato di una modesta cultura, quali composizioni letterarie. Non si tratta cioè di compilazioni che riuniscano vari frammenti tramandati della predicazione di Gesu, ma piuttosto di lunghe esposizioni fra loro strettamente connesse, nelle quali è possi­ bile riconoscere un unico taglio stilistico, un'unica fusione, dun­ que un unico spirito. Dal punto di vista del contenuto, però, essi si palesano al­ trettanto chiaramente come esposizioni dogmatiche. Tutto in essi è diretto ad una dottrina ben formulabile. E questa dottrina concerne la persona di Gesu e la sua superiore. Detto in altri termini: i discorsi presuppongono un dogma cristologico, lo pre­ dicano e cercano di sostenerlo ... L'esame critico del contenuto dei discorsi ci insegna che in 102

W . Wrede, Charakter und Tendenz des ]ohannesevangeliums,

Tiibmgen-Leipzig, 1903, pp. 69, 5, 10, 13, 17, 22, 26-28, 39, 29 s.

Il

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essi non ci troviamo di fronte a discorsi storicamente autentici. Ma neppure si trana di rielaborazioni di questi - infatti i di­ scorsi riprodotti sono troppo unitari nella forma e nel conte­ nuto -, e altrettanto dicasi della tesi che vorrebbe fare di que­ sti discorsi giovannei libere interpretazioni ampliate di parole e pensieri di Gesu. Nessuno infatti è stato ancora in grado d'indi­ viduare le parole e i pensieri di Gesu, che vi sarebbero stati liberamente interpretati. Ci troviamo invece di fronte solo a libere concezioni di un unico autore, nelle quali raramente s'in­ contra una reminiscenza della tradizione ... Per quanto riguarda la narrazione vera e propria, niente è piu degno di nota e piu appariscente della caratteristica oscurità che compare nel tratteggiare gli eventi storici ... Questa oscurità rivela, in molteplici modi, a quale distanza dalla vita storica di Gesu si trovi già il Vangelo di Giovanni. Poiché infatti un autore cui stanno avanti agli occhi immagini e quadri veramente concreti, non narra nel modo del nostro evan­ gelista ; e ciò neppure quando egli rivolge la propria attenzione all'evidenziare determinati pensieri, e neppure quando il tempo ha fatto impallidire o cancellato del tutto ogni dettaglio di quanto è stato veramente vissuto o creato da resoconti di prima mano. La dottrina del Vangelo di Giovanni è la dottrina di Cristo... Come idea fondamentale di questa cristologia può ritenersi valida quella del Cristo che porta la verità dall'alto e la trasmette agli uomini ... Ciò vuoi significare: in verità Cristo non è soltanto il porta­ tore del messaggio, ma costituisce il contenuto del messaggio stesso... Gesu è stato una personalità storica, una individualità. L'evangelista invece ci mostra soltanto un essere divino, che come un estraneo incede maestosamente su questa nostra terra e la cui « umanità » costituisce solo il trasparente destinato a far intravedere sulla terra la luce di Dio! Da tutte le dottrine, che l'evangelista sostiene consapevol­ mente e intenzionalmente . . . , io desidererei tener separate le con­ cezioni religiose che, in una certa misura, forniscono il mate­ riale linguistico per l'espressione delle dottrine medesime e che costituiscono quasi il sottofondo inconscio del pensiero religioso e teologico dell'autore . . . Tutti questi pensieri, concetti, immagini non sono compren­ sibili né sulla base dei Vangeli sinottici, né su quella delle let­ tere paoline. Non li si può considerare, però, nemmeno come creazione e patrimonio individuale dell'autore. Sono quindi in­ cline a credere che alla base di questo Vangelo stiano concezioni d'indole gnostica.

Questo esame storico radicale del Nuovo Testamento,

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che non solo limitava fortemente il valore storico degli scritti neotestamentari, ma sostanzialmente si poneva sol­ tanto ii problema della posizione dei testi e del loro con­ tenuto in rapporto con l'evoluzione storica 103, avrebbe finito con il mettere necessariamente in discussione per motivi storici anche la caratteristica particolarità del Nuovo Testamento nel suo complesso. L'orientalista di Gottinga Pau! de Lagarde, il quale con la sua affermazione che « la teologia è una disciplina esclusivamente storica » 104 doveva poi divenire un precursore della scuola storico­ religiosa 105, nell'articolo destinato a difendere tali posiIOJ Ciò che qui ho chiamato � esame storico radicale del Nuovo Testamento », non è la stessa cosa di ciò che comunemente viene chiamato (Geschichte der Leben-]esu-Forschung, cit., p. 161 ); però la negazione dell'esistenza di Gesu e della provenienza paolina di tutte o quasi tutte le lettere di Paolo da parte di B. Bauer e poi da parte di studiosi olandesi, tedeschi, francesi e anglosassoni alla fine dd XIX e all'inizio del XX secolo si è rivelata cosi arbitraria e infondata, che diffici1mente si può definire questa � critica radicale » come « un ePisodio importante, perfino indispensabile nell'elaborazione della st� ria del cristianesimo primitivo » (cosi L. Salvatorelli, From Locke lo Reitzenstein: The Historical Investigation o! the Origins of Christia­ nity, in « Harvard Theological Review », XXII [ 1929 ] . p. 349). Perciò tutta questa corrente di ricerca non è stata presa in considera2litmc in questo libro. Cfr. su B. Baucr E. Barnikol, in RGG, I, 922 ss. e ]. Schmid, in LThK, II, 57 s.; per la � critica radicale » complessiva­ mente dr. A. Schweitzer, Geschichte der Leben-Jesu-Forschung, cit., pp. 141 ss., 444 ss.; Geschichte der paulinischen Forschung, 191 1 , pp. 9 2 ss.; G . A . v an den Bergh van Eysinga, Die holliindische radi­ kale Kritik des Neuen Testaments, 191J; L Salvatorclli, From Locke to Reitzenstein, cit., pp. 296 s., 342 ss., 364 s.; H. Wi-ndisch, Das Problem der Geschichtlichkeit Jesu, in « ThR », n.s., l (1929), pp. 266 ss.; II ( 1930), pp. 207 ss.; ]. Schmid, voce Christusmythe, in LThK, II, 1182 s. 104 P. de Lagarde, Ober das Verhiiltnis des deu/Jchen Staates zu Theologie, Kirche und Religion. Ein Versuch Nicht-Theologen zu orientieren, in Deutsche Schriften, Gesamtausgabe letzter Hand, 19205, p. 74. « Evangelische Freiheit », XX ( 1 920), 105 Cfr. H. Gunkel, in pp. 145 s.: « Contemporaneamente stavano sullo sfondo del nuovo · movimento, ma senza sapere eli esso, il ver.;allile ed enigmatico La-

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zioni, dal titolo Ober das Verhiiltnis des deutschen Staates :zu Theologie, Kirche und Religion (pubblicato per la prima

volta nel 1 873), ebbe a sostenere esplicitamente che . Egli perciò auspicava: « Si sostituisca alla " storia dell'epoca neotestamentaria " e alla " storia dell'era apostolica " una storia generale del cristianesimo delle origini, a.Jla " introduzione" una storia della letteratura cristiana primitiva, a quella " neotesta­ mentaria " una storia della teologia del cristianesimo pri­ mitivo >> . E chiariva esplicitamente che solo il « dogma del Nuovo Testamento, ripreso dalla cassetta degli attrezzi della Chiesa cattolica >> , poteva condurre all'errata idea di una « formazione di pensiero specificamente " neotesta­ mentaria " » e che perciò tale dogma doveva essere com­ pletamente abbandonato 108• 107 Vedi H. Gressmann, Alberi Eichhorn und die Religionsge­ schichlliche Schule, ci t., p. 8 (le tesi di abilitazione di Eichhom sono interamente stampate in E. Barnikol, Alberi Eichhorn. in > , e quindi talvolta a prendere in esame anche la letteratura apocrifa fino a tutta la metà del Il secolo compresa. Se in genere i risultati di questo suo esame non differiscono essenzialmente dalle con­ cezioni degli studiosi di storia delle religioni o di critica storica radicale, appare però veramente precorritrice del futuro la co'}statazione fatta da Wendland: che per la comprensione dei nostri Vangeli deve costituire « essen­ ziale premessa lo studio della fase piu antica della tradi­ zione orale e dei suoi caratteri specifici » . I nfatti la ricerca condotta su til,!i strati preletterari della tradizione evan­ gelica porta non soltanto al.J'importante osservazione che « l'elaborazione ed anche la scelta del materiale » fu determinata « non da interesse storico, bensi da fini edifi­ canti », ma altresi, nell'analisi dell'opera di Marco, aJ rico­ noscimento che le singole tradizioni precedenti a questo evangelista > , che soltanto « per la passione si era conservata una suc­ cessione sufficientemente sicura degli avvenimenti >> e che Marco « piu che un vero autore era stato un redattore e un raccoglitore ». Con queste osservazioni di ordine pura­ mente letterario, infatti, si dava al tempo stesso una fe­ conda indicazione per la soluzione del problema degli impulsi teologici alla formazione della piu antica tradi­ zione evangelica 110• Pressoché nello stesso periodo di tempo IlO P . . Wendland, Die urchristlichen Lter•turformen, in H•ndbuch

Jl. NuovJ

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Heinrioh Weinel, neotestamentarista a Jena, pubblicava la sua Biblische Theologie des Neuen Testaments. Mal­ grado il titolo, vi si afferma esplicitamente che « lo studio della teologia biblica » sarebbe partito « da premesse errate e per questo avrebbe fallito il proprio scopo ». Al suo posto dovrebbe perciò subentrare « una stQPia della reli­ gione del cristianesimo piu antico ». Per questo compito si debbono però impiegare come fonti anche gli scritti apocrifi e, in conformità, sarà presentato > sul Nuovo Testamento, negli anni precedenti alla prima guerra mondiale, altrettanto forte ed accanita fu anche l'opposizione che questo metodo incontrò in vaste cerchie di studiosi della teologia. Ma tale opposizione non era affatto la conseguenza di scarsa disponibilità per nuove conoscenze, anzi vi si profilarono anche nuovi spunti per Una ripresa ex novo de1Jo studio nootestarnentario subito dopo la fine della prima guerra mondiale. � degno di

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·o ;r ·,

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nota, infatti, chè questa opposizione 'si manifestò fra le schiere dei sostenitori di un metodo storico conseguente, come pure di quelli d'uno studio neotestamentario a orientamento conservatore. Anzitutto entrambi gli autori, che furono definiti dai capiscuola della · corrente storico­ religiosa come , i propri padri spirituali 1 1\ protestarono assai presto in modo molto risentito. Julius Wellhausen, contro la tesi gunkeliana della provenienza babilonese di certe parti dell'Apocalisse di Giovanni, dichiarò ( 1 899) che 1 16• All'apparire del libro di Gunkel dal titolo Die Wirkungen der heiligen Geistes (vedi sopra p. 3 17 ), Adolf Harnack aveva detto che Gun­ kel aveva combinato > e che perciò . Che a ciò abbiano potuto credere i filologi non desta meraviglia, dato che essi sogliano tenersi al largo dagli studi teologici, come da una scienza arcana; è strano invece che anche i teologi si siano dichiarati convinti della no­ vità della cosa e si siano affrettati ad istituire una scuola storico­ religiosa. Spiegare il fatto dicendo che anche essi avevano letto poco e che ogni . nuova generazione ha diritto ad una propria bandiera, non è sufficiente. Le cause stavano piu in profondità. Vanno ricercate in una sopravvalutazione degli elementi mitolo­ gici e folcloristici, che naturalmente anche la religione cristiana fin dal suo inizio recava con sé. Questa sopravvalutazione è a sua volta motivata da. una sottovalutazione della cultura di rifles­ sione e della religione di riflessione nei confronti di ciò che è « originario », e perciò dalla insufficiente comprensione dell'es­ senza della religione superiore, ossia della religione in assoluto. Con ciò noi siamo di nuovo felicemente allo stesso punto a cui si trovava cento anni fa la scuola romantica. Ma è dubbio se il nuovo romanticismo abbia da dirci tanto quanto l 'antico e se du­ rerà piu a lungo di quello. Il « Logos » è di nuovo alle porte! Per quel che riguarda i lavori storici di questa « scuola >> , è certo che noi abbiamo imparato qualcosa da essi in rapporto a problem i di minor� importanza e a vari punti accessori ; ma il nuovo - rispetto ai problemi di fondo - si mostrò nella mag­ gior parte dei casi come non vero e il vero come non nuovo; è infatti impossibile far passare per nuovo il fatto di aver dimo­ strato in modo det�agliato che i cristiani di origine ebraica pre­ sentavano elementi del tardo giudaismo sincretistico, e che presso i cristiani di origine ellenistica l'ellenismo aveva stabile sede non solo nella mente e nel cuore, ma anche nelle forme esteriori. Ma se si tiene conto di tutti i passaggi e di rutti i prestiti dalle �ntichissime religioni nel giudaismo e nel cristianesimo (negli usi e costumi, nelle leggende sacre e nelle formule dei riti), qual-

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siasi pur rigorosa ricerca è incapace di stabilire se e in quale successione siano mutati il senso e il valore dei vari passi (sino a volatilizzarsi risolvendosi in arabesco poetico). Il fatto che l'obbligo d'indagare su tale problema non venga sentito come preminente, è il segno caratteristico del romanticismo, il quale vorrebbe ancora godere, come d'un prodot-to grezzo originario, di ciò che è stato invece continuamente trasforwato.

Similmente anche Adolf Jiilicher, in un discorso acca­ demico intorno al compito della storia della Chiesa ( 190 l ), nel quale « rappresentanti delle discipline neotestamenta­ 1 rie » vengono esplicitamente « annoverati fra gli storici della Chiesa >>, dichiara che egli « dal tanto esaltato metodo storico-religioso si attende piu ohe notevoli benefici . . . piuttosto, forse, u n pericolo » ; afferma però anche che « dall'impulso dei fatti e delle ipotesi dei nostri moderni storici delle religioni egli teme che alla ricerca biblica possano derivare confusione e arenamento, e di non spe­ 12D! rare invece in un'energica rimozione d'in!ltili scorie » A questi ammonimenti Jiilicher fece seguire un netto ri­ fiuto della « critica dogmatica, non storica » compiuta sulla tradizione di Gesu da Schweitzer 12 1 e successiva­ mente, nella sua opera metodologicament� esemplare Pau­ lus und ]esus ( 1 907 ), pur riconoscendo i meriti scientifici di Bousset e di Wrede (vedi sopra pp. 4 1 9-423 ss.), mo­ strò che le differenze fra Gesu e Paolo sono meno profonde di quanto i due (in particolare Wrede ) non giudicassero. Inoltre sostenne che Paolo concordava in tutti i punti essenziali con la comunità primitiva che si era formata subito dopo la morte di Gesu sulla croce. La teologia di Paolo appare cosf, ad una piu approfondita critica storica, come la continuazione naturale del messaggio di Gesu in una nuova fase storica 1n. 12> del cristianesimo primitivo è una caricatura; l 'immagine di Cristo che si trova nella Chiesa primitiva e in Paolo si basa sull'apparizione terrena di Gesu e sul­ l 'esperienza vissuta, non su forme ideali preconcette. Al­ le ricerche storico-religiose deve essere contrapposto il dato di fatto certo, che in Gesu è diventata realtà una

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vita proveniente da Dio. Feine quindi esige a tale riguar­ do una professione preliminare di fede come punto di partenza indispensabile per un obiettivo esame storico del cristianesimo delle origini 128• Quando si leggono affermazioni come quelle di Gunkel, c'è veramente da chiedersi se a scrivere sia un teologo cristiano, e se da studiosi seri ci si possa attendere una tale sbalorditiva ignoranza della forza vitale della Chiesa apostolica. Ma ben presto ci si può rendere conto di quale sia il motivo per cui la vista si è fino a tal punto offuscata: il fatto è che sono stati valoriz­ zati unilateralmente alcuni esatti rilievi di affinità formale, senza però una altrettanto esatta valutazione del contenuto che sta alla base di esse, per cui si è arrivati a schizzare una caricatura della religione cristiana. Noi dobbiamo manifestare la nostra piu decisa opposizione a chi vorrebbe che il cristianesimo fosse il necessario prodotto dell'evoluzione dello spirito religioso del genere umano, un feno­ meno alla cui formazione avrebbe teso tutta intera la storia del mondo antico, e nella cui elaborazione sarebbero stati valorizzati e al tempo stesso nobilitati ed armonizzati tutti gli apporti spi­ rituali dell'Oriente e dell'Occidente. Noi crediamo che la storia del mondo antico abbia aspirato al cristi anesimo; si può dimo­ strare che la cultura dell'Oriente e dell'Occidente si è fusa nella teologia della Chiesa antica, ma in nessun modo la religione cri­ stiana è il prodotto di un'evoluzione immanente all'umanità, ma si basa sull'atto decisivo del Dio vivente e misericordioso, si basa unicamente ed esclusivamente sulla persona di nostro Signore, che nel suo apparire e agire efficacemente nella storia costituisce un imperscrutabile miracolo di Dio. . . Non c i sarebbe oggi alcun cristianesimo s e , dopo la morte di Gesu, i discepoli non fossero stati strappati al loro profondo sco­ raggiamento dalla visione del Cristo risorto e dalla forza dello Spirito Santo, che egli donò loro, e non fossero cosi diventati suoi discepoli in senso pieno ... Non la personalità di Gesu - per quanto grande noi possiamo valutarne l'influenza - ma la forza divina, che Gesu fece divenire operante in loro, contribui a tra­ sformarli in cristiani. Quello che la Chiesa piu antica ha tracciato di Gesu, non è un quadro ideale, ma è la sua vita terrena, quale appare alla luce della sua elevazione celeste. Del pari si frain­ tende completamente Paolo allorché si riconduce il suo annuncio del Cristo celeste al fatto che tale figura celeste era già presente

128 P. Feine, Das Christentum Jesu und das Christentum der Apo­ Uel in ihrer Abgrenzung gegen die Religionsgeschichte, in « Christen­ tum und Zeitgeist », I ( 1904), pp. 42-44, 61 s.

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nella sua coscienza prima di offrirsi ai suoi occhi nelle proprie sembianze davanti a Damasco ... Si deve non tenere in alcun conto tutte le piti importanti dichiarazioni dell'apostolo stesso circa l'evento della propria conversione e circa la trasformazione da essa prodotta, per professare la convinzione che Paolo avesse portato in sé, già nella sua vita precristiana, i fondamenti del proprio annuncio messianico cristiano. Quel che prese vita in lui con la conversione, egli non sa descriverlo meglio che con l'immagine dell'imperioso grido di Dio creatore : « Dalle tenebre risplenda la luce ». A cominciare da quell'evento la sua vita si riempie d'un contenuto totalmente diverso. Da quel momento egli annunciò il Cristo celeste, perché lo aveva visto e sperimentato ... Quanto di decisivo e nella concorde espressione dell'intera Chiesa apostolica - pur con evidenti diversità nei dettagli - è questo: con l'insediamento divino del Cristo glorificato nel suo seggio di sovrano, i credenti sanno di essere ripieni di una nuova forza vitale, che li solleva al disopra della loro precedente con­ dizione di peccatori e al di sopra della vita di questo mondo. Forze celesti si sono impadronite di loro e assicurano loro lo stato di figli di Dio e l'appartenenza al mondo soprannaturale ... La moderna scienza religiosa ha torto a non prendere come -punto di partenza questa esperienza del tutto peculiare per il cristianesimo; ed ha torto a perdersi in discussioni sui paralle­ lismi con altre religioni, senza neppur tentare di non cancellare ciò che è distintivo. Le ricerche storico-religiose degli anni piti recenti danno sovente l'impressione che il cristianesimo biblico in tutte le piti importanti professioni di fede sia stato piti o meno dipendente da miti e misteri pagani; che la linea di confine fra il cristianesimo primitivo e le religioni naturali della stessa epoca sia stata assai t1uttuante e che la religione cristiana, già immedia­ _tamente dopo la sua nascita, abbia deviato dalla via ad essa indi­ cata da Gesti, subendo una pronunciata m itologizzazione. Se invece si muove dal Cristo storico e dall'esperienza autentica­ 'mente cristiana, ci si potrà anche dichiarare pronti a riconoscere l'affinità fra idee cristiane e precristiane e a collaborare, senza prevenzioni, all'allargamento delle nostre conoscenze storico-reli­ giose, senza correre il pericolo di scivolare in una sottovaluta­ zione degli elementi cristiani. Infatti quelle ricerche nulla possono mutare circa il dato di fatto fondamentale che, attraverso nostro Signore Gesti Cristo, è diventato realtà per tutta l'umanità, e realtà e verità può diventare per ogni singolo uomo, quanto, prima di lui, si ricercava guidati solo da un presentimento e solo nel campo degli eventi naturali : una vita che è da Dio e nella comunione con Dio.

Allorché in seguito apparve

il libro di R. Reitzen-

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stein intitolato Die hellenistichen Mysterien religionen (vedi sopra, pp. 3 92 ss.), Georg Heinrici, lo studioso che aveva posto in rilievo le relazioni storiche fra i ministe­ ri della comunità cristiana primitiva e le associazioni di quel tempo (vedi sopra, p. 306), pose la questione: 1st das Urchristentum eine Mysterienreligionen? ( 1 9 1 1 ). E la sua risposta fu che, malgrado > non possono trarci in inganno circa il fatto che (( le fonti per la conce­ zione del morire e del risorgere insieme con Cristo non sono da ricercare in forme religiose extra-cristiane, ma ne'Ila personale esperienza cristiana dell'apostolo » . Nel­ la seconda edizione della sua opera Deissner aggiunge poi che quella di Paolo « non può essere annoverata fra le religiosità mistiche, ma che piuttosto appartiene alla religiosità profetica >> e quindi si distingue netta­ mente dalla mistica. La questione circa il senso che ha in Paolo la terminologia che l 'accomuna all'ambiente elleni­ stico in cui viveva, conduce cosi ad una precisa delimi­ tazione di Paolo rispetto a tale ambiente e quindi, da un lato, a relativizzare i risultati dell'indagine storico­ religiosa e, dall'altro, ad una approfondita problematica circa la straordinarietà e le peculiari finalità del messag­ gio paolino uo. In fondo la gnosi della m1st1ca è dunque astorica: non ha, cioè, alcun interno rapporto con i processi e gli avvenimenti della storia. Per contro la gnosi paolina nasce ... dal fatto storico che è per l'apostolo centro e punto di svol ta della storia in assoluto, cioè dalla crocifissione di Cristo. E, in conseguenza di questo stretto rapporto con la storia, la gnosi di Paolo viene sin dall'inizio spogliata di ogni magia mistica . . . Allo stesso modo, per ciò che riguarda l'evento estatico che Paolo riferisce in II Cor. 12, l ss., dovremo affermare che l'ap()o stolo valuta le « lnt-.:aoi.a.� xaL > doveva compren­ dere tanto il non ebreo quanto l'ebreo, oppure che per nemico egli intendeva tanto quello generale del suo popolo, l'idolatra e il romano, quanto il nemico personale ebreo... Con ciò io non voglio affermare neppure per un momento che, qualora se ne fosse presentata l'occasione, Gesu non avrebbe esortato i suoi discepoli o i suoi compatrioti ebrei a dimostrare amore e compassione nei confronti di un romano o di un greco bisognoso... Quello di cui io m'interesso sono il significato e l'inserimento di questo brano nel discorso della montagna [Mt. 5, 43-48 ] . E per quanto attiene a qt�esta pericope, affermo che non consapevolmente e non intenzionalmente vi s'insegna, in an­ titesi al particolarismo abituale, l'universalità dell'imperativo di amare, cioè l'amore verso tutti gli uomini senza distinzione di razza e di nazionalità.

È vero che i rabbini non sono tutti della stessa opinione, per ciò che concerne l'amore e l'odio verso i non ebrei, ma sarebbe tuttavia ingiusto considerare il dato di fatto si da affermare che in genere i rabbini insegnavano essere giusto o lecito odiare i pagani. D'altro canto sarebbe poco meno ingiustificato dire che secondo l'insegnamento dei rabbini l'amore da rivolgere al « pros­ simo » ebreo doveva essere esteso a tutti gli uomini, qualunque fosse la loro razza, nazionalità o confessione religiosa. Difficil­ mente si può citare una qualsiasi univoca dichiarazione di rab­ bini che si spinga fino a questo punto... Nel vastissimo campo della letteratura rabbinica non è difficile per Billerbeck, come per altri prima di lui, scegliere un certo numero di passi che possono provare l'odio dei rabbini verso i non ebrei e il mondo pagano. In effetti. .. anch'io potrei citare dei passi che eviden­ ziano il forte particolarismo dei rabbini, un particolarismo che sovente trascende in disprezzo e odio verso > . In com­ plesso, io penso, dobbiamo ammettere che questo particolarismo nazionalistico costituisce la loro piu evidente caratteristica ... Tuttavia occorrerà anche far uso di molta prudenza. Se in ogni singolo comandamento dei cinque libri di Mosè i rabbini interpretavano la parola Rea' ( « prossimo ») sempre con > (cap. IV, p. 6). Questa affermazione è sufficientemente siusta, specialmente la seconda parte, ma non è del tutto giusta; non è interamente esatto affermare che quella rabbinica è una religione « della piu completa autoredenzione » ... Non è del tutto esatta, proprio perché i rabbini non hanno mai inteso elaborare un sistema teologico compiuto e coordinato in tutte le sue parti... Non si può legittimamente affermare, se non senza molte limita­ zioni, che la religione rabbinica è di piena autoredenzione. La grande massa degli israeliti, secondo l'opinione dei rabbini, non adempie del tutto la legge. Nella misura in cui l'adempirono, non lo fecero (secondo la loro propria opinione) solo per virtu pro­ pria, con la forza della loro libera volontà. Non sarebbe neppure giusto affermare che la maggior parte dei rabbini credevano di essere uomini senza peccato, uomini dunque che non avessero bi­ sogno di alcun giorno di espiazione e di alcun perdono divino. Io sono convinto che essi non lo credevano, né di se stessi, né di altri. .. La legge è il vero antidoto nei confronti del ]ezer [ cattiva inclinazione ] , ma questo rimedio deve essere impiegato con cri­ terio. L'uso � _la_ condiziçm.e pdroa del giusto effetto. La miglior medicina impiegata in modo errato può trasformarsi in veleno. Questa è la dottrina rabbinica della salvezza. E allora la si può veramente mettere in cosi netta antitesi con la dottrina della sal­ vezza di Gesu? Non mi pare affatto ... II preteso acuto contrasto fra la dottrina della salvezza di Gesu e quella rabbinica si dimostra, a mio parere, infondato. Si

L'indagine\ storico-teologica sul Nuovo Testamento

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è voluto spremerlo a forza dai testi o introdurvelo forzatamente,

ma da un punto di vista storico questo contrasto non si regge in piedi. Gesu non era cosi lontano dai rabbini e i rabbini non erano cosi lontani da lui. Ciò non vuol dire che il legalismo dei rabbini sia stato accettato da Gesu o che fosse per lui accetta­ bile. Tanto non è avvenuto. Si vuoi dire che, per quanto riguarda grazia divina e sforzo umano, libertà del volere e debolezza uma­ na, pentimento umano e perdono divino, i rabbini e Gesu non erano aiiatto a distanza astronomica gli uni dall'altro . .. In effetti la religione rabbinica non può essere esattamente descritta ... come una religione delle opere in contrapposizione a una religione della grazia. È una religione di opere e di grazia. Poiché le opere, senza la grazia, non possono mai essere perfette, anche se la grazia può essere donata, senza le opere ... Noi non possiamo dimostrare « la grazia » o « l'aiuto ». Non possiamo dividere un'azione quantitativamente, in una parte di Dio e una parte nostra; nondimeno possiamo credere a entrambe. Opera composita sembra l'espressione giusta. Non tutto è grazia di Dio; in parte è sforzo umano . . . La « giustizia >> dei rabbini e la « giustizia >> di Gesu sono entrambe ottime giustizie. Ciascuno pensava che l'altro fosse del tutto inidoneo a raggiungere l 'in­ gresso nel regno di Dio. Ma qui sia Gesu sia i rabbini sono ca­ duti in errore, poiché entrambe le giustizie, se osservate onesta­ mente, sono gradite a Dio.

Sarebbe stato certamente un rinunciare a un'indagine realmente storica sul Nuovo Testamento, se la ricerca si fosse accontentata di occuparsi delle questioni riguardant-i lo sfondo giudaico-palestinese del Nuovo Testamento ed avesse messo da parte le teorie che erano state elaborate dalla « scuola storico-religiosa ». Lo svolgimento della problematica storico-religiosa doveva condur.re al punto che anche le relazioni fra tardo giudaismo e mondo cir­ costante, e alt.resl l'influenza sul cristianesimo primitivo dell'ambiente non giudaico, venissero prese in viva con­ siderazione. Allorché portò a compimento ( 1926 ) la sua interpretazione dell'Apocalisse di Giovanni, Ernst Loh­ meyer si vide indotto non soltanto, come i suoi prede­ cessori, a sottolineare ripe tu tamente la dipendenza del­ l'opera dall'apocalittica giudaica, ma anche a richiamarsi al « mito degli uomini originari divini messo in risalto da Reitzenstein », e inoltre a richiamare l'attenzione sul

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fatto che queste rappresentazioni mitologiche dovevano essere presenti all'autore dell'Apocalisse nella loro elabo­ razione giudaica e che, di conseguenza, sarebbe individua­ bile una « gnosi giudaica », quale premessa dell'apoca­ littica cristiana m_ Un'idea completa delle caratteristiche dell'Apocalisse si può acquisire solo se si conosce la tradizione che vi è utilizzata e il modo in cui lo è stata ... Fra le fonti di tale tradizione è anzitutto l'Antico Testamento. . . Le ulteriori fonti dell'Apocalisse sono dif­ ficilmente determinabili. Certamente vi rientra un certo numero di apocrifi e di pseude>-epigrafi giudaici; ma per quanto molteplici siano i contatti ... vi si può soltanto riconoscere che la tradizione è spesso identica, ma non che sia stata fissata in un determinato libro ... Questa stessa tradizione è multiforme e ricca; i suoi ele­ menti non derivano da una fonte giudaica rigorosamente conser­ vata; sono invece di origini disparate e spesso d'indole contrad­ dittoria. Ma per quanti elementi estranei, e profondamente estra­ nei, vi si siano potuti introdurre, non si smentiscono mai l'indole e il vigore dello stampo ebraico in cui si è plasmata ... Questa spe­ cie d'interpretazione « pneumatica » è non solo un segno della cultura sacerdotale e scritturistica del veggente, ma altresl segno di un grande contesto storico-religioso, non ancora chiarito nei dettagli, che viene confermato, attestato nella Apocalisse dalla straordinarietà della concezione religiosa d'insieme. f: la corrente di una « gnosi giudaica », che a cominciare dall'esilio sembra aver permeato con forza crescente la religiosità, per cosi dire, non uf­ ficiale del giudaismo; le sue fonti, spesso difficilmente rintraccia­ bili risiedono in singole parti di apocrifi e di pseude>-epigrafi giu­ daici, nell'ermeneutica giudaice>-alessandrina (anche se quest'ultima è già permeata di spirito ellenistico), negli scri tti « giovannei » o ispirati a Giovanni, nelle testimonianze manichee e mandee. Sotto il sicuro usbergo dell'Antico Testamento questa « gnosi " conserva l'eredità svMiatamente commista della religiosità medio­ orientale . . . F u anche e soprattutto l'interpretazione degli scntu giovannei ad imporre la necessità di ricercare i lineamenti, o le radici orientali, d'una gnosi ebraica. Rudolf Bultmann aveva già constatato nel 1 923 che « lo sfondo storico-religioso del prologo del Vangelo di :Il E. Lohmeyer, Die Offenbarung des ]ohannes, Tiibingen, 1926, pp. 103, 191 s.

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:5 1 Ì

Giovanni » era un mito ebraico della Sapienza, il quale a sua volta rappresentava solo un esempio del mito orien­ tale di un uomo originario celeste, rintracciabile con par­ bicolare chiarezza negli scritti dei mandei. In tal modo non solo erano riprese certe idee di H. Gunkel e di W . Bousset intorno all 'importanza che il mito orientale del redentore ebbe per H mondo concettuale del Nuovo Te­ stamento, ma soprattutto veniva accolta l'indicazione data nelle sue ultime opere da R. Reitzenstein 11 circa l 'impor­ tanza degli scritti mandei per la conoscenza di questo stesso mito del -redentore; e con questo ci si rifaceva al­ tres! ad una intuizione che già centotrenta anni prima era stata manifestata da J. D. Michaelis 32• L'impiego dei testi accennati era stato proprio allora ·teso possibile dalla pub­ blicazione da parte dell'orientalista Mark Lidzbarski, di Gottinga, di accurate traduzioni delle scritture apparte­ nenti a quel gruppo religioso di cui sopravvivono tuttora dei residui sulle rive dell'Eufrate 33• Cosi alla sua opera sul prologo del Vangelo di Giovanni Rudolf Bu:ltmann poté far seguire poco dopo ( 1 925) un ampio trattato, dal titolo Die Bedeutung der neu erschlossenen mandiiischen

und manichiiischen Quellen fur das Verstiindnis des Johannesevangeliums. Mediante un confronto di nume­ rose citazioni di scritti soprattutto mandei, ma anche ma-

l! R. Reitzens!cin, Das mandiiische Buch des Herrn der Grosse, in Sitzungsberichte der Heiddberger Akademie der Wissenschaften, phil.-histor. Klasse », 1919, p. 12; Das iranische Erlosungsmysterium, Rdigionsgeschichtliche Untersuchungen, 1921. Cfr. su ciò L. Salvato­ relli, in « Harvard Theological Review », XXII ( 1 929), pp. 354 s.• . e H. Schlk-r, Zur Mandiierfrage, in « ThR » , n.s., V ( 1 933), pp. 8 ss. Di certo R. Bultmann è stato sensibilizzato sull'importanza ddla lette­ ratura mandaica solo da Il. Gunkel (vedi W. Klatt, Hermann Gunkel, cit., p. 92, nota 8). 12 Vedi sopra pp. 96 s. e l'indicazione di H. Schlier, Zur Man­ daer/rage, cit., pp. 22, nota l . l3 M . Lidzbarski, Dar ]ohannesbuch der Mandiier, Giessen, 191:>; Mandiiische Liturgien mitgeteilt, uberutzt und erkliirt, in « Abhand­ lungen der Kon. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen, phil.­ hist. Klasse », n.s., XVII ( 1920), n. l; Ginza, der Schatz oder das grosse Buch der Mandiier uberretzt und erkliirt, Gottingen-Leipzig, 1925. «

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nichei e paleocristiano-gnostici, vi s'intendeva dimostrare che questa letteratura ha come fondamento un mito del redentore, ripreso in forma abbreviata nel Vangelo di Giovanni e che già solo per questo, malgrado la non straordinaria antichità di questi scritti, sarebbe sicura­ mente di epoca precristiana. Qui dunque la mitologia orientale serve a chiarire la genesi e la sede storica di uno scritto protocristiano, ma al tempo stesso anche a rendere meglio comprensibile il contenuto oggettivo del messag­ gio dell'evangelista agli uomini di oggi. In tal modo la problematica storico-religiosa diviene parte integrante di un compito teologico 34 • S i può ora riconoscere con chiarezza l'antico mito della Sa­ pienxa: la preesistente Sapienza, compagna di Dio nella creazione,

cerca una dimora sulla terra fra gli uomini; ma la cerca invano, poiché la sua predicazione è respinta. Essa ne entra in possesso, ma i suoi non l'accettano. Ritorna perciò nel mondo celeste e vi soggiorna nascosta. Ora gli uomini la cercano, ma nessuno è piu in grado di trovarla; Dio soltanto conosce la via che ad essa conduce... Ma vi sono... delle eccezioni; fra la massa perditionis [ massa dei perduti l vi sono alcuni toccati dalla grazia, ai quali la Sapienza si manifesta, i quali l'accolgono e pertanto diventano amici di Dio e profeti. . . La prova che alla base di quella sul Logos contenuta nel pro­ logo di Giovanni è la speculazione sulla Sapienza, che noi incon­ triamo nelle fonti del giudaismo, mi sembra possa essere addotta con sufficiente sicurezza. E già fin d'ora ci si può chiedere perché la figura, che nel mondo giudaico noi incontriamo come Sa­ pienza, si chiami nel prologo di Giovanni il A6-yoç [ il Verbo] ... Ora, non v'è dubbio che il prototipo non deriva, almeno non immediatamente, dalla tradizione pagana, bens1 dal giudaismo ellenistico, dal quale anche per il resto il vangelo è permeato. Si deve... ammettere ... che qui, in luogo della piu antica Sapienza, era subentrato il Logos. l4 R. Bultmann , Der religionsgeschichtliche HinterRrund des Prologs zum ]ohannesevangelium, in « Eucharisterion », vol. II, ci t., pp. IO s., 1 3 s.. 1 7 s., 22 s. , 25 s.; Die Bedeutung der neu erschlossenen man­ diiischen und manichiiischen Quel/en fiir das Verstiindnis des ]ohanne­ sevangeliums, in « ZNW », XXIV (1925). pp. 100-104. 139-141, 145 s .

(ambedue le opere sono stampate con l'indicazione della numerazione originaria delle pa�ine in R. Bultmann , Exegetica. Aufsiit�e �ur Erforsch· ung des Neuen Testaments, 1967, pp. IO ss., 55 ss.).

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, Ciò che dice l a Sapienza, lo dice anche i l suo inviato, e in­ versamente: le parole dell'inviato sono le parole della Sapienza. Nell'inviato appare, si manifesta la Sapienza stessa . . In fondo... è la Sapienza stessa, che dal suo nascondimento scende ripetutamente sulla terra e s'incarna nei suoi inv1at1, i profeti... E questo pensiero, lo troviamo in una serie di fonti, che è merito di Reitzenstein aver inserite in questo contesto. Noi conosciamo dalle speculazioni dei manichei la figura divina, che è preesistente e rappresenta il compendio di ogni cono­ scenza, e che compare sulla terra in persona o incarnata nei suoi i,nviati... Parimenti presso i mandei la figura divina dell'uomo originario, come Manda d'Haiie, ossia come conoscenza della vita, appare sulla terra, per portare vita ... Sulla base del materiale let­ terario esistente e consultabile mi sembra che si possa affermare ... almeno una cosa, cioè che il nome di Sapienza per la divinità dell'.

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influssi pagani sulla Chiesa piu antica, Jn nessun modo era

da considerarsi una religione sincretistica, ma con il mes­ saggio di Gesti si era avuto fin dall'inizio qualcosa d.j inte­ ramente nuovo; e contestò persino che Paolo fosse stato influenzato su punti essenziali dall'ellenismo. Pertanto non vi era, a suo parere, alcuna necessità di fare uso di con­ fronti e paralleli coll'ellenismo per dare una risposta obiet­ tiva alla questione dell'originalità nel cristianesimo primi­ tivo 38•

Si riduca e limiti quanto si vuole nei particolari, ma l'essen-· .:z:iale sembra accertato in questi termini: idea di redenzione e di giudizio, cul to del Kyrios e mistica del Kyrios, rappresentazione del sacramento e formazione e sviluppo della liturgia sono co­ muni al cristianesimo e ad altre religioni. Perciò sembrerebbe anche sufficientemente fondato il giudizio secondo cui il cristia­ nesimo è una religione sincretistica, e che non lo è diventata sol­ tanto a partire dal Il o dal IV secolo, ma lo è stata dall'inizio, per lo meno già con Paolo, ma in fondo sia con lo stesso Gesu. Oppure, come è già stato detto con termini ancora piu crudi: solo i nomi sono cambiati, ma la sostanza è rimasta la stessa. Eppure, proprio mentre si tenta di scomporre il cris�ianesimo nelle sue parti costitutive, sorge un interrogativo che a me pare inevitabile: in quol modo, allora, il cristianesimo ha trionfato sulle

altre religioni?

lo considero come la piu grave mancanza dell'attuale scuola 11torico-religiosa il suo trascurare questo semplice interrogativo ... E dire che sta sotto gli occhi di tutti il fatto che non sol­ tanto alla fine il cristianesimo rimase da solo sul campo, ma al­ tres! che i suoi fedeli ebbero sempre coscienza di essere qual­ cosa di sostanzialmente diverso dai sostenitori di tutte le altre religioni. Ciò deve avere una sua ragione .. . Se il conto non torna, in qualche parte dev'esserci un errore. ·E c'è, ed è un errore di partenza o quasi. Tutto il metodo d'in­ dagine, per quel che riguarda il cristianesimo, si è orientato in modo sbagliato. Ci si è messi a cercare dappertutto delle analogie e si è creduto, cosi facendo, di poter definire l'essenza del cri-

.

38 K. Hall, Urchristentum und Re/igionsgeschichte (• Studien des apologetischen Seminars >>, X), Giitersloh, 1925, ristampato in Gesam­ Aufsiitu zur Kirchengeschichte, vol . II, Tiibingen, 192S.. pp. l ss. (le citazioni delle pp. 7-10, 13, 18 s., 25-27). Critiche a que­ sto lavoro vengono riferite e contestate da W. Bodenstcin, Die Theo­ logie Karl Holls, 19611, pp. 1 5 ss.

me/te

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stianesimo. Senonché l a forza d i una religione non sta mai i n ciò che essa ha in comune con le altre, ma in ciò che le è proprio. Il cristianesimo può aver vinto solo per qualcosa che era distin­ tivo per eccellenza di questa religione, e la distingueva come reli­ gione, cioè per qualcosa di assolutamente peculiare che era in grado d'imprimere il suo marchio inconfondibile anche su quan­ to era stato mutuato da altri ... Gesu annuncia . . . un Dio, che vuole avere qualcosa a che fare con l'uomo peccatore; un Dio al quale, in certe condizioni, è particolarmente vicino chi è sprofondato molto in basso . . . S e dunque s i vuoi comprendere i l cristianesimo sotto i l nome generico di religione redentiva, bisogna però aggiungere subito che qui ci si trova di fronte a un concetto di redenzione d'in­ dole affatto particolare. In tutte le altre dottrine di redenzione la fede in una liberazione si fonda sul convincimento di una no­ biltà dell'uomo che non può andare perduta, oppure di una pa­ rentela metafisica dell'anima con Dio: ciò che nell'uomo è divino dovrà ben far valere il suo diritto. Gesu invece scorge un abisso profondo fra Dio e l'uomo ... Una fede in Dio come quella che Gesu predicava, secondo la quale Dio si dà al pecca/ore, doveva sembrare la fine di ogni serio sforzo morale e non era altro che bestemmia. E per questo i Giudei lo portarono sulla croce ... Indubbiamente nuova è dunque l'idea che di Dio aveva Gesu. Essa veniva a colpire radicalmente tutto ciò che il pensiero mo­ rale tradizionale aveva stabilito circa il rapporto fra Dio e l'uomo, e tutto ciò che il buon senso umano :fino a quel giorno riteneva come la sola cosa giusta. Ancora piu sorprendente è poi il fatto che Gesu proprio su questa concezione di Dio, apparentemente destinata a dissolvere ogni moralità, fonda invece una nuova etica, anzi l'etica piu rigorosa che sia possibile pensare. . . Ciò non astante, ammesso che Gesu rimanga grande e a sé, come un nuovo iniziatore, non è forse Paolo, allora, colui che ha fatto del cristianesimo una religione sincretistica? Oggigiorno si traccia di Paolo una immagine nella quale l'ebreo Paolo scompare pressoché interamente e invece prende il soprav­ vento l'ellenista ... A questo punto io non posso reprimere il sospetto che gli stu­ diosi odierni vogliano fare appari;e vivo in Paolo soltanto ciò che ad essi in qualche modo appare accett-abile o comprensibile. Ma Paolo era orientato ben diversamente da come ad essi appare. Egli si sente infatti in contrasto con l'ellenismo non meno che con il giudaismo. Infatti è stato lui che ha coniato la grande parola sulla croce, che è apparsa uno scandalo ai Giudei e una follia ai Greci. Egli vede dunque anche dalla parte dell'ellenismo un grande abisso che ne lo separa. E io credo che anche Paolo, come ogni

�20 personalità storica, abbia anzitutto il diritto di esigere che lo si prenda per quello che egli stesso ha inteso essere... Si chiude l 'accesso . . . a quanto di piu profondo Paolo ha con­ cepito allorché si cerca di comprendere le sue concezioni sulla ·base d'idee ellenisùche. Reitzenstein ha proceduto per questà strada, che egli ha dichiarato essere l'unica metodologicamente giusta. Egli ritiene di poter stabilire che « in Paolo tutti i passi the si riferiscono allo ·;tvEVJ.l4 [ Spirito] possono essere spiegati in base all'uso ellenistico Ma in nessun modo è riuscito, anzi non lo ha neppure tentato, a far derivare dall'ellenismo i contenuti morali, che ovviamente erano strettamente legati alla sua conce­ zione dello 'Jt\IEVI'O: ... L'esigenza, posta da Reitzenstein, di muovere dall'uso lingui­ stico ellenistico sarebbe giustificata se Paolo avesse potuto deri­ vare il concetto di 'Jt\IEVI'O: soltanto dai libri. Ma Paolo conosce lo miEVI'O: non già un , VI ( 1950), pp. 401 ss.; R. Macuch, Alter und Heimat des .Manddismus nach neu erschlossenen Quellen, in « ThLZ », LXXXI I ( 1 957), pp. 401 ss.; S. Schulz, Die Bedeutung neuer Gnosisfunde fiir die neutestament/iche Wissenschaft, in « ThR », n.s., XXVI ( 1 960), pp. 301 ss.; K. Rudolph, Die .Mandiier, vol. I: Prolegomena: Das .Mandiierproblem, (« l'RLANT », 74), 1960; H.-M. Schenke, Das Pro­ blem der Beziehung zwischen ]udentum und Gnosis, in « Kairos », VII (1965), pp. 124 ss. 46 La sterminata bibliografia fino al 1%2 si trova elencata in C. Burchard, Bib/iographie zu den Handschriften vom Toten .Meer, vol. I, 1957; vol. II, l %5 (quaderni acclusi alla « Zeitschrift fiir die Alttestliche Wissenschaft », LXXVI e LXXXIX). I testi piu importanti si trovano in E. Lohse, Die Texte aus Qumran (ebraico e tedesco), 1%4, e J. Maier, Die Texte vom Toten .Mecr, 2 voli. ( traduzione e note), l %0. Sull'importanza dei ritrovamenti per la comprensione del Nuovo Testamento orientano The Scrolls and the New Testament, a cura di K. Stendhal, New York, 1957; K. G. Kuhn, in RGG, V, 751 ss.; H. B'"un, Qumran und das Neue Testament, 2 voli., Tiibingen, 1966: F. M. Cross, The Ancient Library of Qumran and Modern Bi­ blica/ Studies, New York, 19612.

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zione, la traduzione e l'interpretazione di questi ampi testi sia ancora in corso, cosf come lo è la determinazione del contesto storico della vita e delle dottrine di tale comu­ nità, si può dire fin d'ora che le còncezioni fondamentali di questo gruppo giudaico, che può essere posto sullo stesso piano degli esseni, o comunque è ad essi imparen­ tato, trovano la·rgo riscontro in tutto ciò che noi sapevamo in precedenza da testi mandei ed ebraici circa una gnosi giudaica "', anche senza che in tale forma giudaica della gnosi s'incontri il mito dell'inviato di Dio, che ci è noto dai libri mandei e che si cela anche dietro il Van­ gelo di Giovanni. Gli sforzi iniziati dopo la prima guerra mondiale per far progredire la comprensione di parti importanti del Nuovo Testamento grazie alla scoperta del mito giudaico-orientale del redentore e della gnosi giu­ daica, hanno perciò assunto una rinnovata attualità, seb­ bene non si possano dire raggiunti nemmeno oggi dei risultati sicuri e generalmente accettati. NeJ.l 'interesse di una conoscenza realmente oggettiva dell'universo d'idee neotestamentario, che ne determinasse al contempo la singolarità, si è profilata ancora una volta la necessità d'inquadrare in larga misura il Nuovo Testa­ mento nel suo mondo ambiente, quale ci è noto dalla stor·ia delle religioni e dalla storia della cultura; ed è a questa esigenza che, ai primi degli anni trenta, si deve l'inizio d'una nuova impresa scientifica, il Theologische Worterbuch zum Neuen Testament. L'iniziativa di questa nuova opera non è stata stimolata dallo sforzo di A. Deiss­ mann d'inquadrare .Ja lingua degli autori neotestamentari nel greco della loro epoca e di spiegarne in tal modo �e particolarità 48; l'esigenza, posta da Deissmann, di un « di­ zionario neotestamentario » che valorizzasse e rendesse u ti.Jizzabili ·le conoscenze della lessicografia e della lingui"' Vedi l'indicazione di O. Cullmann , Das Riitscl des ]ohannescvan­ geliums im Lichtc der neuen Handschriftenfunde, in Vortriige und Aufsiitze 1925·1962, 1966, p. 263 48 Vedi sopra e A. Deissmann, Licht vom Osten, 19234, pp. 341 55.

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..

stica greche, era già stata soddisfatta in modo esemplare nel 1928 da Walter Bauer, il quale continuò anche in seguito a migliorare incessantemente la sua opera 49 • La nuova opera collettiva realizzata da Gerhard Kittel si rial­ lacciava piuttosto al già citato Biblisch-Theologisches Wor­ terbuch der Neutestamentlichen Griicitat di H. Cremer 50; ma mentre Cremer voleva presentare « la lingua dello Spirito Santo », H nuovo lessico teologico si propone il compito piu modesto « di rendere comprensibile i nuov·i contenuti dei singoli concetti » per mezzo della « lessico­ grafia interpretativa » 51 • Le premesse metodologiche, in base alle quali è stata iniziata questa nuova impresa, si possono conoscere chiaramente dalla prolusione tenuta a Tubinga dal curatore G. Kittel, che egli aveva pubblicata ( 1926) alcuni anni prima che apparisse il primo volume dell'opera ( 1933 ). Sebbene Kittel stesso abbia dedicato ogni sua attenzione alla ricerca sui rapporti del cristiane­ simo primitivo con il giudaismo palestinese (dr. sopra pp. 500 ss.), nella prolusione egli afferma espressamente che il dato di fatto storico del Nuovo Testamento richiede che si prenda in considerazione tanto H mondo circostante giudaico-palestinese quanto quello ellenistico, e che il cri­ stianesimo primitivo ha mutuato qualcosa dalle religioni ellenist-iche. A tale constatazione egli fa seguire peraltro l'affermazione che l'ellenismo ha prestato al cristianesimo primitivo soltanto delle sfumature, mentre il cristianesimo delle origini aveva coscienza di essere il compimento del g·iudaismo. Come ultimo traguardo dell'indispensabile comparazione storico-religiosa Kittel indica l'esigenza d'il49 E. Preuschen, Griechirch-Deutrcher Worterbuch zu den Schrifte" der Neuen Tertamentr und der ubrigen urchrirtlichen Literatur, 2• edizione elaborata da W. Bauer, Gicssen, 1928; dalla 3• edizione ( 1937) in poi compare solo sotto il nome di Bauer; .5• ediz., 1958. 50 Vedi sopra. Anche il vocabolario di Cremer è stato con­ tinuato in numerose Adolf Schlatter, 189·7-1925, cit., p. 2J l): • Ha certamente le tto anche féi· l a L'epistola ai Romani di Barth ... Secondo me, non è nient'altro

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Karl Barth è un uomo di due mondi, nel suo petto combat­ tono due anime. Una è quella consapevole che l'interpretazione di un testo molto difficile, redatto in lingua straniera, risalente a tempi antichissimi, quali che siano gli argomenti di cui tratta, è un compito che può essere assolto solo con tutti i mezzi disponi­ bili di una scienza assai ramificata, con il maggior approfondi­ mento possibile anche nel sempre istruttivo corso della sua evo­ luzione: un problema per la cui soluzione va tenuto conto delle insufficienze della tradizione testuale, come pure delle oscurità di esposizione, se non addirittura delle incoerenze e contraddizioni presenti nel pensiero dell'autore. E l'altra è quella per la quale la comprensione del testo biblico è limitata ai cittadini del nuovo mondo, come ad es. Barth, e per la quale è assurdo scrivere, per esempio, un libro sul cristiano e sul peccato, laddove vi sia ancora posto solo per il cristiano e la grazia; e infatti il regno di Dio, distrutto dal peccato originale, è stato ora restaurato nella sua piena purezza dalla fedeltà di Dio nel Cristo risorto. Barth for­ mula il suo punto di vista come chi si trovi al di sopra della cri­ tica storica e anche della dottrina dell'ispirazione, fino al punto che egli spera di poter guardare, attraverso e oltre la realtà sto­ rica, nello spirito della Bibbia, che è lo Spirito eterno. Con ciò egli afferma che gli altri prima di lui sarebbero arrivati solo fino alla realtà storica; egli non va contro quest'ultima, ma attraverso di essa fino allo Spirito .. . Le grandi doti dell'autore riescono a far si che egli, con la sua trasposizione dell'universo d'idee pao­ line nel presente, susciti una forte impressione. Poiché egli sa esattamente ciò che per lui è essenziale e ciò che per lui ha im­ portanza esclusiva ai fini della verità, e poiché ha imparato a go­ vernare gli spiriti, sa anche costringere nei suoi binari Paolo tutto intero. Egli crede di potersi collocare al fianco di lui, mentre noi ci collochiamo di fronte a Paolo nella parte di osservatori sereni ; non s i accorge poi, o non vuole accorgersi, che spesso si pone davanti a Paolo ... Molto, forse moltissimo si potrà trarre da que­ sto libro per la comprensione del nostro tempo, ma per la com­ prensione del Paolo " storico » non vi riscontriamo pressoché nulla di nuovo.

Ma già dopo soli due anni Barth poteva presentare che Carlostadio. Si tira fuori quel che corrisponde alla propria espc· rienza, al vissuto, ora trattando con la massima lihC"rtà il testo, ora a�grappandosi alla lettera. il tutto pavoneggiandosi nello stile di Nietz­ sche ... e si fa la figura di uomo del futuro e, al tempo stesso di teo­ logo conservatore. E si dà un bel calcio a scienza, logica e via dicendo in nome dell'irrazionale. Io sono cosi antiquato che per me serietà e rigore di pensiero appartengono ora e sempre alle serietà della fede ».

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una rielaborazione del suo commento, nella quale « per cosi dire, di quella prima edizione non è rimasta pietra su pietra ». La prefazione chiarisce di nuovo, in forma di discussione polemica con i cr·itici, lo scopo di Barth: tinterpretazione storica finora esercitata non può essere considerata una vera interpretazione; lo scopo dev'essere piuttosto quello di accostarsi alla realtà, facendo si che il muro fra passato e presente sia reso per quanto possibile trasparente. Quale (( realtà », che bisognerebbe portare alla luce, Barth definiva ora (( l'infinita differenza qualitativa fra tempo ed eternità » e con ciò mostrava che, nella compren­ sione dei testi, egli muoveva da una ben definita premessa teologica. E anche da una conferenza tenuta nello stesso periodo appare chiaro che Barth contestava alla teologia, anche nell'esegesi del Nuovo Testamento, il diritto di essere una scienza come tutte le altre scienze, e conside­ rava suo compito l'esposizione della parola di Dio 62• Lavoro preparatorio e soltanto preparatorio è anche questa seconda edizione, il che peraltro non deve in alcun modo signi­ ficare che essa sia la promessa di una terza e, meno che mai, di un'opera definitiva. Solo lavoro preparatorio è ogni opera umana, e un libro teologico piu di ogni altra opera ! . . . Questo libro non vuoi essere altro che una parte del dialogo di un teologo con teologi . . . Io non ho mai inteso fare altro che appunto della teologia. C'è solo da chiedersi: quale? L'idea che oggi importi soprattutto scuotersi di dosso la teologia, e pensare e soprattutto dire e scrivere qualcosa che sia comprensibile a chicchessia, io la ritengo un'opinione degna assolutamente di iste­ rici e sconsiderati. Io mi domando piuttosto se non sarebbe op­ portuno che, coloro i quali si propongono di divulgare tali di­ scorsi e scritti all'indirizzo di chiunque, si mettessero preventi­ vamente fra loro d'accordo sul tema un po' piu di quanto oggi non accada . .. lo aspiro anche a poter parlare semplicemente d i ciò di cui si tratta nella Lettera ai Romani. Se si presenta qualcuno che può farlo, che sia pure finita per me; non insisterò sul mio libro né sulla mia teologia. Ma finora fra quelli che parlano « sempli6l K. Barth, Der Romerbrief, 19212, pp. VI. VIII-XIV; Dar Wort G.ottes und die Theo/ogie, cit., pp. 162 s., 176 s. ( ristampato in An­ fiinge der dialektischen Thevlogie, vol. I, cit., pp. 105-114, 203, 216 s.).

Il Nuovo Testamento cemente ,. ho incontrato solo persone che semplicemente parlano di altre cose, e che perciò non hanno potuto convertirmi alla loro semplicità.

Sono stato definito « un nemico dichiarato della critica sto­ rica ». Perché, invece di pronunciare parole irritate come queste, non vogliamo considerare seTenamente che cosa è in questione?

In effetti io ho un'obiezione da muovere ai piu recenti com­ menti alla Lettera ai Romani, e nessunissima a quelli cosiddetti storico-critici ... Ma io non rimprovero ad essi la critica storica, della quale, per contro, ancora una volta riconosco esplicitamente il diritto e la necessità; ad essi rimprovero piuttosto il loro restar fermi ad una spiegazione, che io non posso definire spiegazione, ma solo il primo rozzo tentativo di una spiegazione, ossia l'accer­ tare « quel che è scritto », per mezzo di una traduzione e di una perifrasi delle parole e delle frasi greche nelle corrispondenti te­ desche, oppure per mezzo di chiarimenti di ordine filologico-ar· cheologico sugli avvenimenti cosi acquisiti, oppure infine, per mezzo di un piu o meno plausibile coordinamento dei dati sin­ goli, in un pragmatismo storico-psicologico. . . Questo primitivo conato di spiegazione non è nemmeno esso scienza esatta. A rigor di termini, la scienza esatta, per quel che riguarda la Lettera ai Romani, dovrebbe limitarsi a decifrare dei manoscritti e a stabilire una concordanza. Ma gli storici, e a ra· gione, non vogliono limitarsi a questo; anzi anche i commenti di Jiilicher e di Lietzmann, per non parlare dei « positivisti >> , mQ­ strano numerose tracce del fatto che gli autori desidererebbero spingersi ben oltre quel primo tentativo ed arrivare fino al punto di capire Paolo, ossia di scoprire come quel che sta scritto possa non soltanto essere espresso, come che sia, in greco o in tedesco, ma anche ripensato e perfino come potrebbe essere inteso. Ed è a questo punto, non circa l 'ovvio uso della critica storica durante il lavoro da fare in precedenza, che comincia il dissenso. Mentre io seguo gli storici attento e grato, fintanto che essi sono occu­ pati in quel loro primitivo sforzo d'interpretazione, ... debbo poi stupirmi continuamente della modestia delle loro pretese, non ap­ pena prendo in considerazione i loro tentativi di far progredire la comprensione e la spiegazione. Si prenda ad esempio, Jiilicher e lo si metta accanto a Calvino. Con quanta energia quest'ultimo, dopo aver anch'egli coscienziosamente stabilito « quel che è scritto », si pone all'opera di ripensare il suo bravo testo, cioè a discutere con esso finché il muro çhe sta fra il I e il XVI se­ colo diventa trasparente, finché là non parli Paolo e qui non ascolti l'uomo del XVI secolo, finché il dialogo fra documento e lettore non sia interamente concentrato .sulla realtà in oggetto (che qui non può essere diverso da quello che è là) . .. Piu critici dovrebbero essere per me gli storico-critici ! Poiché in qual mod9

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sia d a comprendere " quel che s ta scritto », non lo s i può stabi­ lire mediante una certa valutazione delle parole e delle frasi del �esto, sparsa qua e là ocrasionalmente, secondo un qualsiasi punto di vista dell'esegeta, bensi solo aderendo in modo opportuna­ mente elastico e duttile all'interna tensione fra i concetti presen­ tati con maggiore o minore chiarezza dal testo ... Nella mia qua­ lità d'interprete, io debbo spingermi fino al punto, in cui io mi trovi davanti solo quasi l'enigma della realtà in questione e quasi non vi è piu l'enigma del testo, al punto in cui, dunque, io posso quasi dimenticare di non essere l'autore, e in cui io ho compreso quest'ultimo cosi bene, da poterlo far parlare in mio nome e par­ lare io stesso in suo nome. . . Ma che cosa intendo i o quando affermo che il fattore deci­ sivo della comprensione e dell'interpretazione è la intera dialettica della realtà in questione e la sua individuazione nel tenore del testo?... Il sospetto che qui io voglia immettere significati nel testo piuttosto che estrarne da esso appare quasi la cosa piu ov­ via che si possa dire del mio tentativo. A ciò posso osservare quanto segue: se io ho « un sistema >>, esso consiste nel mio tener ben presente e fisso davanti agli occhi, nel suo significato positivo e negativo, quello che Kierkegaard ha definito « l'infinita diffe­ renza qualitativa >> fra tempo ed eternità. « Dio è in cielo e tu sulla terra >> . Il rapporto di questo Dio con questo uomo è per me il tema della Bibbia e, insieme, la somma della filosofia . . . Se mi si dovesse poi chiedere, per quale motivo i o m i accosti proprio con questo principio alla Lettera ai Romani, risponderei con una controdomand a : se un uomo serio possa mai accostarsi 11. un testo che, a tutta prima non appare certo indegno di se­ rietà, con un principio diverso da questo: che Dio è Dio.. Di Dio Paolo sa per certo qualcosa che noi di regola non sappiamo, ma che potremmo anche sapere senz'altro. Il fatto che io so, che Paolo sa questo: ecco il mio « sistema », il mio « presupposto dogmatico ». Anche come membro della Universitas literarum la teologia è un segno d'allarme, un segno che qualcosa non è a posto. Vi è anche un disagio esistenziale accademico, che naruralmente è lo stesso disagio dell'uomo in generale. Com'è noto, è proprio la scienza pura a non essere sicura del suo oggetto... I punti inter­ rogativi sono l'ultimo traguardo in rutte le scienze. E perciò, per cattiva coscienza o piuttosto per coscienza bisognosa di conforto, l'università tollera la teologia entro le sue mura, un po' infasti­ dita dall'impazienza con la quale i teologi pongono deliberata­ mente proprio i loro interrogativi sull'ultimo traguardo, di cui non si parla; e tuttavia - o forse mi sbaglio? - l'università è anche segretamente lieta del fatto che qualcuno si presti ad essere

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tanto poco scientifico da mantener viva la memoria, con il pro­ prio parlar chiaro ad alta voce, proprio di quelle cose ultime, di quell'invisibile centro a cui tutto rimanda, ricordando che quanto viene fatto quaggiu vorrebbe avere un senso. Anche qui la teo­ logia - quali che possano essere le opinioni personali su di essa di questi o quegli accademici non teologi - è effettivamente cir­ condata dall'aspettativa, che essa eserci ti il proprio ufficio e che fornisca risposte (in quale modo, è affar suo), laddove per tutti gli altri, finché possono o vogliono tacere, rimangono sullo sfondo solo dei punti interrogativi. Ci si aspetta ancora che la teologia sostenga come possibile quello che gli altri possono conoscere solo come concetto limite, come impossibile; che essa non solo sus­ surri e bisbigli, ma parli di Dio, che non si limiti solo ad accen­ nare a lui, ma che, da lui derivando, lo testimoni e che infine non lo collochi sullo sfondo, ma che, a dispetto di tutte le pre­ messe metodologiche e scientifiche, lo ponga in primo piano .. . Proprio come scienza intesa nel senso delle altre scienze, la teo­ logia non ha alcun diritto di esistenza nell'università, poiché rap­ presenta un inutile doppione di talune discipline appartenenti ad altre facoltà ... Il nostro compito si può inquadrare nel complesso della vita umana conosciuta, nella natura e nella cultura, solo laddove sorge l'interrogativo del come questo complesso, s'inserisca, a sua volta, nel mondo e nella creazione di Dio. Dal punto di vista dell'uomo, questo interrogativo è destinato a rimanere nient'altro che un interrogativo. E il nostro compito dunque si può inquadrare solo come ciò che non può essere inquadrato. E con altrettanto rigore va tenuto conto che, per quanto at­ tiene al nostro compito di teologi, solo Dio stesso può parlare di Dio. Compito della teologia è la parola di Dio. Ciò dunque signi­ fica la sicura sconfitta di ogni teologia e di tutti i teologi.

Anche questo nuovo « tentativo » di comprendere « la realtà in questione >> nella Lettera ai Romani andò incon­ tro ad aspre critiche 63, in quanto esso separava dialetti­ camente Dio e il mondo e svalutava la storia. Rilevante 63 Vedi P. Althaus , in « Zeitschrift fiir systematische Thrologie ,., pp. 741 ss.; A. Schlauer, in > per mezzo ·né di questa né di quella « funzione dell'anima e della mente "• ma solo in virtu dello Spi­ rito, che è poi identico ai contenuti di essa , e ciò avviene nella

fede.

Harnack voleva, per contro, mantenere la separazione fra scienza teologica e predicazione e integrare la teologia con qualsiasi altra scienza, e fini col non vedere altra pos­ sibilità che quella di ribadire l'enorme iato che lo sepa­ rava da Barth. È vero che abbastanza spesso nella vita la scienza teologica e

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Il Nuovo Testamento

!;�_ testimoni-anza si trovailo mescolate tra di Joro; ma né l'una cosa né l'altra possono mantenersi valide se viene tolto vigore all'esi­ genza di renerle separate ... Anche un'esposizione teologico-scienti· fica può, grazie al suo oggetto, infiammare ed edificare gli animi; ma H trologo scienziato che si propone d'infiammare e di edificare, porta un fuoco estraneo sul suo altare; poiché come vi è un unico metodo scientifico, cosi vi è anche un unico compito scientifico: la pura conoscenza dell'oggetto della scienza . Se a questa tooca in sorte qualcos'altro che non sia un tale risultato, sarà un dono imprevisto... . _ II compito della teologia non si differenzia da quelli della scienza in generale; la prec.licazionc , invece, deve limitarsi ad esporre quali sono i doveri dei cristiani in quanto testimoni di Cristo. Ella [ rivolto a Barth] tramuta la cattedra di teologia in un pul­ pito (e pretende di distribuire fra le facoltà profane ciò che si chiama « teologia » ) ; io, basandomi suH'inrcro arco della storia della Chiesa, Le predico che questa impresa non condurrà all 'ec.li­ ficazione, ma al dissolwmento . . . ·· Sono sinceramente spiacente che le Sue �isposte alle mie do­ mande mostrino solo l'ampiezza dell'abisso che ci separa; ma né la mia né la Sua teo logia hanno importanza. I mporta invece che sia rettamente insegnato l'evangelo. Se dovesse prevalere aa Sua ma­ niera, esso non sarà piu insegnato affatto, ma sarà soltanto conse­ gnato nelle mani dei predicatori di grido, i qu al i si creano a loro genio un'interpretazione della Bibbia e . stabiliscono cosi il loro predominio.

Se di conseguenza i teologi, sia crit-ici sia conservatori rifiutarono in maggioranza l'« esegesi teologica >> di Barth, tuttavia la sua raccomandazione, che la scienza t(;!ologica doveva di nuovo imparare a porsi questioni -intorno alla «< realtà in questione >> ha senza dubbio dato un impulso decisivo ad una riconsiderazione dei compiti e metodi della ricerca neotestamentaria. A sostegno di questa tendenza venne poi ad aggiungersi il fatto che, quasi contempora­ neamente ( 1 92 2 ), un altro sistematico, Karl Girgensohn, di Greifswald, avanzò l'esigenza di una integrazione del­ l'esegesi storica per mezzo di una superiore esegesi stimo­ lata dallo Spirito divino ( « esegesi pneumatica >> ) 68• 68 K. Girgensohn, Geschichtliche und iibergeschichtliche Schri/taus­ legung, in « Allgemeine Evangelisch-lutherische Kirchenzeitung », LV ( 1922), pp. 628, 642, 644; 660; Die Grem:gebiete der systemotischen

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Oggigiorno nell'ambito della teologia scientifica comprendiamo la Scrittura anzitutto in modo storico-> incontrò solo scarsi consensi fil. Ma gli impulsi che provenivano contempora­ neamente da Barth e da Girgensohn costrinsero l'esegesi neotestamentaria, come pure la ricerca sui contenuti delle Scritture neotestamentaTie, a una ·riconsiderazione dei loro compiti teologici. Che, però, il nuovo orientamento si ponesse davanti un problema di non facile soluzione appare molto chiaramente dai Iavori pubblicati poco dopo dai t-re principali rapresentanti della nuova indagine storico-for­ male e storico-religiosa sul Nuovo Testamento. Rudolf Bultmann, il quale si era dichiarato d'accordo con la definizione delle finalità esegetiche propos ta da Barth (dr. sopra, p. 539), continuò tuttavia a ritenere senza limitazioni di sorta che « per la scienza neotesta­ mentaria vi può essere un solo metodo )) , quello « sto­ rico )). Cercò nondimeno di dimostrare che l'oggetto di questa scienza, cioè il Nuovo Testamento offerto dalla fil Cfr. A. Oepke, Gerchicht/iche und iibergerchichtliche Schri/taus­ lègung, Giitersloh, 1931, p. 30: « La Parola va intesa anzitutto colle­ gandola aJla situazione concreta ne1 cui vivo è stata proferita origina­

riamente, e poi deve essere trasferita in quella dell'ascoltatore o degli ascoltatori di oggi », e H. Windisch, Der Sin n der Bergpredigt, Leipzig, 1929, p. 1 19: « Rigida separazione fra esegesi storica ed esegesi teo­ logica è dunque il nostro programma >> . Per la discussione su Girgen­ sohn cfr. E. Esking, G/aube und Gerchichte in der theologirchen Exe­ gese Ernst Lohmeyerr, cit., pp. 88 ss.

(,.'indagine .storiccJ-teo/ogica sul Nuovo Testamento

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Chiesa, rende il lavoro dell'esegeta pari a que!Jo del teo­ logo e che la comprensione scientifica del Nuovo Testa­ mento come di un oggetto della storia è possibile solo se nella sua autocomprensione l'esegeta si lascia porre in questione dal testo e dal testo si lascia provocare alla decisione di fede. Muovendo da tali presupposti, Bultmann scrisse il suo libro su Gesu .( 1 926 ), nel quale la dottrina di questi viene interpretata come appello alla decisione circa la parola proferita da Gesu stesso e la situazione dell'uomo, che è l'obiettivo della parola di Gesu, viene descritta in modo tale che H suo presente ne risulti deter­ minato dal futuro di Dio 70• Proprio qui è la questione decisiva: se ci poniamo o no di fronte alla storia in modo ta:le, da riconoscerne la pretesa su di noi, da riconoscere il nuovo che essa abbia da dirci. Se nei con­ fronti del testo abbandoniamo la posizione di neutralità, questo sign i fica che la questione della verità domina Q'esegesi. In altri termini, l'esegeta non è interessato alla domanda : cosa significa ciò che è detto (in quanto meram ente detto) nella collocazi one e nel contesto che gli dà la storia coeva? Ma piuttosto egli si chie­ derà in ultima analisi: di quali cose si parla qui, a quaii realtà conduce ciò che è detto? ... L'esegesi della cosa vuole tratt are con tutto rigore il senso vero e originario della voce o un « non piu ,. non ha valore: essa è > - non vi è alcun concetto religioso del > -, bensi un « ente », qualcosa che « è » per questo e per tutti i tempi ; ma proprio per questo, qualcosa di reale al di fuori di ogni tempo. E la fede non è altro che inserimento in questa .realtà ... H carattere di presente e queHo di futuro non si possono dunque separare l'uno dall'altro; essi sono l'espressione di un'atem­ porale effettività dell'idea di regno di Dio ... Se l'esperienza vitale del senso della fede e quella del senso della storia sono inseparabili una dall'altra, se nella fede è posta la totalità della storia, che essa domina con lo sguardo come in un attimo eterno, allora la fede ... è obbligata a porre questa tota­ lità come qualcosa di concluso e di circoscritto ... Il credente espe­ rimenta il senso e la realtà del suo Dio nella funzione dell'ordine cronologico; il fluire di questo gli offre in tutta la sua insoppri­ mi biJe continuità i segni puntuali di un tempo ripieno di D;o. Non a caso nel cristianesimo primitivo si i·ncontra per la prjma volta l'espressione di « pienezza dei tempi » . L'escatologia [ nell'Apocalisse di Giovanni] è diventata in senso traslato quasi una struttura esterna della fede, che appar­ tiene si ad essa, ma che tuttavia ne è separabile. Negli eterru r��>p­ . porti dei credenti con Dio e Cristo non interviene alcuna forza apocal.i trica e neppure alcun potere giudiziale di Dio, e ancor meno può essere aggiunto qualcosa all'eterna e divina dignità di Cristo; egli è principio e fine, il primo e l'ultimo, egli abbraccia tutti i tempi dei tempi. Quel che solo il tempo finale può recare e recherà, è la manifestazione di quanto esiste dall 'erernità ed è già compiuto nella morte dell'Agnello, cioè nel fatto storico. Ciò signi­ fica, però, che tutto l'avvenimento escatologico, senza che al suo carattere d'imminente futuro sia tolto il sia pur minimo fram­ mento, si è trasformato in un avvenimento atemporale, per id quale vale dunque la parola secondo cui esso fu ed è e sarà... Ma se gli avvenimenti escatologici sono, secondo il loro senso atemporale, già decisi e conclusi nella fede, e cioè nell'esistenza eterna e sto­ rica di Cristo, allora essi non significano niente altro che quasi una ripetizione del già accaduto o una manifestazione dell'eterno presente. Passato e futuro sono diventati quasi del tutto inter­ cambiabili, poiché si sono dissolti entrambi nell'atemporalità di ·Dio e di Cristo.

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Il

Nuovo Testamento

È significativo il fatto che Rudolf Bultmann, H quale, ·nel corso di conversazioni con Lohmcyer intorno a questi 'due libri, si era dichiarato d'accordo « che non basta . . . ' spiegare i concetti delle fonti i n senso storico-filologico, .ma che una vera spiegazione può essere data solo allor­ -ché i concetti siano compresi in base ai dati di fatto che :ci sono intesi », dunque secondo i dettati della « esegesi ·oggettiva », rimproveri ora a Lohmeyer di aver interpre­ ;tato i testi del Nuovo Testamento secondo una filosofia .platonica della storia. Andrebbe quindi perduto il con­ creto > 'de!.la fede, protocristiana diventerebbe l'eternità plato­ pica. A sua volta, dunque, Lohmeyer deve lasciarsi dire che proprio lui, che voleva offrire un'esegesi oggettiva, ha -finito con l'interpretare i dati storici del pensiero proto­ :cristiano in modo filosofico. E con questo Bultmann affer­ ma esplicitamente che l'errore metodologico sarebbe da �ercare non nell'applicazione d'una concettualità filosofica, ma nella dipendenza da una filosofia di contenuto deter­ minato 76• Forse l'autore potrebbe dire che anche lui ha visto tutto quello che io gli ho obietatto circa le concezioni del cristianesimo primi­ tivo, ma che egli intendeva appunto chiarire e rendere compren­ sibili tali concezioni. Dietro ad esse, infatti, si nasconderebbe un senso che dovrebbe essere ancora esplicitato. Ora, io non nego che si possano interpretare tutti i fenomeni cosi come fa l'autore, ma ci si deve render conto che, cosi facendo, non si fanno va•lere i testi delle fonti nel significato che è loro proprio, ma si finisce per interpretarli nel senso di una filosofia della storia esemplata su Hegel . Insomma il cristianesimo primitivo non viene interrogato sul come esso abbia pensato l'uomo e la sua storia, ma fornisce solo il materiale necessario per eseguire una determinata indagine storico-filosofica ...

76 R. Bultmann, Vom Begri/f der religiosen Gemeinscha/t, in Theologische Bliitter », VI (1927), pp. 65, 68, 71-73; « ThLZ » , LII ( 1 927), pp. 509 s. Che E. Lohmeyer si sia appoggiato fortemente al filosofo di Breslavia Richard Honigswald, rappresentante di un idea­ lismo neokantiano, si rivela già dalle citazioni nel suo scritto Vom Begri/f der religiiùen Gemeinschaft; vedi su ciò E. Esking, Glaube und Geschichte, cit., pp. 122 ss. e passim. «

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La problematica della filosofia hegeliana della storia, la rela­ zione fra universale e particolare, fra spirito e materia, è in fondo quella greca, specialmente platonica. Ed è appunto nella sua forma platonica che agisce sul nostro autore ... Muovendo da questo pla­ tonismo la storia può interpretarsi ancora solo nel senso ddl'idea­ tismo, in particolare di Hegel, e cosi il vero e proprio problema della comprensione teologica della storia, il problema della « pie­ De7..za dei tempi » non può non· diventare il problema platonico della « meravigliosa essenza dell'attimo ». L'autore fa non della teologia, ma forse della filosofia. � comun­ que caduto V'iuima d'un determinato modo di pensare proprio deJ.la tradizione filosofica. Mi rimprovererà egli di essere io caduto vittima a mia volta di un'altra lilosofia? Potrei sopportare una tale accusa. Se infatti la lilosofia è intesa come un sistema di tutte le verità, di tutto il sapore •intorno all'ente, è evidente che la teologia non può conciliarsi con una filosofia siffatta, poiché essa non può ammettere che sia la filosofia ad indicarle il proprio oggetto e il metodo corretto di trattarne. Se però s'intende la filo­ sofia come scienza critica dell'eJJere, cioè come scienza che deve controllare tutte le scienze positive, che trattano dell'ente, e deve farlo sulla base di propri concetti dell'essere, al!lora la filosofia rende a1la teologia un servizio indispensab�le.

Infatti, poiché la teologia come scienza parla per concetti, essa dipende sempre dalla formazione· ·.:oncettuale quotidiana tradizio­ nale del suo tempo, e quindi dalla tradizione della filosofia pre­ cedente. Essa non ha alcun interesse piu urgente che quello di apprendere daMa filosofia che è viva in quel dato tempo, poiché 'questa deve appunto occuparsi criticamente dell'analisi della co­ mune, tradizionale formazione dei concetti. In questo senso la teologia dipende sempre da11a filosofia, ma ciò significa in realtà che la filosofia rende alla teologia il suo antico servizio di ancilla tbeologiae. Senonchè, non appena la teologia pensa di poter rice­ vere luce dalla filosofia circa il proprio oggetto, si fa, nei conte­ nuti delle sue proposizioni, soggetta alla filosofia; il rapporto viene .rovesciato e la teologia diventa ancilla philoJophiae. Ora mi pare che l'autore sia stato vittima di questo pericolo. Assai tipico è il commento di Lohmeyer quanto alla conce­ -zione dell'eJcatologia dell' , di rispondere a que­ sto interrogativo : « se noi abbiamo un qualche diritto di anda.re verso Dio muovendo da un frammento di storia, . . . e come nel cristianesimo del periodo classico s i rapportino fra loro vita storica e vita metastorica ». Egli constata che nel cristianesimo delle origini si manifesta una « nuova vita », che scaturisce da un'origine atemporale e nei con­ fronti della quale le forme storiche d 'espressione, ivi com­ presa l 'attesa della fine, sono irrilevanti. Questo evangelo

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atemporale non ha interesse per il « mondo )), ma con­ tiene un ethos che doveva aver effetto nel mondo; questo elemento metastorico, però, non può essere conosciuto con i mezzi propri dello storico 77_ Anche le parole e le azioni di Gesu sono storicamente condi­ zionate e hanno quindi bisogno d'indagine storica ... Una tale ·inda­ gine mostra che tutto quel che Gesu dice e fa nel tempo è solo il circoscrivere in qualche modo un essere che sta a!l di sopra del tempo ... Qui nulla è valuto, nulla è scoperto e neppure è appor­ tato qualcosa di nuovo, almeno non nel nostro senso. Qui agisce una corrente di vita, sicura di se stessa e che non ha bisogno di porsi delle mete. Non la s'interpreta, ma la si falsa, dunque, allorché si razionalizza questa vita elevandola a livello di co­ scienza ... L'essenziale non è ciò che Gesu dice e fa, ma ciò che egli intende in riferimento al regno di Dio. Poiché quello è irre­ petibile e condizionato dal motivo occasionale, mentre questo è indipendente da persona e motivo; quello rappresenta ·la forma dell'opera di Gesu, menl're questo ne rappresenta il senso. Solo aUorché, costretti dal presupposto della fede nella fine, si distingue rra forma e sostanza nell'opera di Gesu, si riconosce come .Ja « fede neJ.la fine conferisca a!ll'evangelo l'elevazione nel­ l'incondizionato. Se Gesu non parlasse ripetutamente del regno di Dio, esprimendo in questo modo la sua rinuncia a una qual­ siasi trasformazione di questo mondo, le sue parole potrebbero essere intese come una dottrina, le sue azioni come una riforma. Entrambe, parole e azioni, sarebbero temporalmente condizionate, forse sostenute da un� intuizione atemporale, ma tuttavia orien­ tate a mete da dover realizzare in questo mondo e in questo tempo. Ma poiché in effetti l'evangelo viene suscitato e mosso dahla fede nel regno e nella fine del mondo, è chiaro che Gesu rinuncia ad ogni trasformazione di questo mondo. . . Se egli dun­ que, in vista dell'avvicinarsi del regno, esige dal singolo questo o quel comportamento, non gli importa d'affermare una certa prassi etica in questo mondo, ma solo aiutare l'uomo, mediante tale comandamento, ad attenersi ad una certa linea interiore indispensabile nella fine del mondo... I comandamenti riguardanti il comportamento umano - non piu attuabili nel vecchio mondo e inuti·li nel nuovo - parafrasano solo un atteggiamento umano; ciò che aveva l'aspetto di un'etica finalistica è un ethos incondi­ zionato, un nuovo essere in vista del regno, nell'atmosfera del­ l'eternità libera da ogni condizionamento, nella vicinanza del Dio che sta entrando nel mondo. 77 M. Dibelius, Geschichtliche und iibergeschichtliche Religion im .Christentum, Gottingen, 1925, pp. 15, 46, 37, 4446, 63, 146, 169-171.

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Le parole di Gesu, dunque, nascono in ultima analisi da una 15Caturigine atemporale; dalla consapevolezza della vicinanza di Dio, di fronte alla quale tutte le essenzialità del mondo diventano inessenziali. E queste parole hanno un fine atemporale; quello di creare degli uomini che possano vivere in questa vicinanza. Esse �ono pronunciate dall'eternità nell'eternità, al di sopra e a!l di là del tempo di « allora », ma esse vanno da uomo a uomo nel1'« allora >> e si servono di mezzi legati al tempo ... La fede nella fine, anche se condizionata dalla storia coeva, è pur sempre la veste storica del metastorico. Solo perché vedeva al di là del tempo !! aveva la fine davanti agli occhi, Gesu poteva parlare ed agire cosi incondizionatamente come ha fatto ... . II compito era quello d'illuminare i tratti essenziali dell'evan­ gelo nella parola e nell'azione di Gesu. Io ho tentato d'indicare la fede ndla fine, la consapevolezza della vicinanza del regno come scaturigine da cui derivano tutte le manifestazioni di Gesu in parole e azioni. Questa fede nella fine non è né mero residuo �torico del tempo di Gesu, né semplice errore in sede di storia universale (per quanto, certo, l'immagine del mondo propria di questa fede sia legata alla storia coeva c sia quindi erronea), ma è la fonna nella quale il nuovo essere si è rivelato nel mondo, una forma metatemorale, eppure calata nella massima attualità dell'imminente fine del mondo ...

Nell'evangelo non esiste un interesse per il mondo che sia volto dia trasformazione di esso e che, per ciò stesso, ne ricono­ sca il valore. Purtuttavia l'ethos evangelico, che vuoi trasformare !'uomo e non il mondo volgente alla fine, contiene un'abbondanza di motivi che potrebbero e dovrebbero far sen�ire la loro influenza Pc il mondo perdurasse... Le parole di Gesu dunque non offrono né un programma etico, né i principi fondamentali d'una ristrut­ lurazione etica del mondo; il suo ethos contiene invece motivi per­ fettamente incondizionati per nuHa in�i a una trasformazione del mondo. Vogliamo dunque richiamare ancora una volta alla ;memoria che proprio questo prescindere daHe condizioni concrete, j:onnarurato alla fede nella fine, offre la garanzia della metatem­ poralità dell'evangelo... Nel corso ddla presente indagine si è cercato di tener sepa­ rati, ne11a loro forza e nel loro diritto relativi, ciò che è storica­ mente condizionato e ciò che è metastorico o soprastorico, cioè incondizionato... Si è cercato ... di dimostrare che anche nel cri­ ·stianesimo primitivo, sotto un certo punto di vista tutto è coin­ volto nella concatenazione storica e nulla è escluso dalla relatività dell'accadere storico. L'elemento metastorico, che è rintracciabile nelle �timonianze classiche del cristianesimo primit·ivo, è piut­ tosto lo sfondo, che si può cogliere solo da un altro punto di

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vista, non orientato alla realtà storica, uno sfondo dte non è forse mai completamente avvertibile e percepibile nella sua pura incon­ dizionate-aa, ma che si apre tuttavia continuamente alla nostra intuizione e alla nostra volontà come sfondo di tutta la vita cri­ stiana delle origini . . . La .percezione del metastorico, cioè dell'incondizionato che sta dietro ai fenomeni relativi, si compie su di un piano completa­ mente diverso dalla conoscenza della realtà storica ... La ·percezione del metastorico non si può conseguire con i mezzi conoscitivi dello storico, E si sottrae anche alla modeUatura teoretica del dogma­ tico, poiché le sue formulazioni - già per il fatto stesso della lingua e del patrimonio concettuale - sono sempre legate al tempo e gravate di clementi mondani; è quindi al di fuori delle capacità umane trovare adeguate espressioni per ciò che è divino . . . Soltanto chi si sforza di condurre l a propria vita e di formare il proprio mondo sullo sfondo dell'evangelo può farsi consapevole del nuovo essere che è venuto sulla terra con Gesti e che è colmo del piu profondo sgomento per il giudizio di Dio e della piu alta beatitudine per la grazia di Dio.

È chiaro che anche Dibelius pone la questione della

realtà che deve intendersi nel messaggio di Gesti e nella

cr·istianità primitiva, per poter cosi conoscere il signifi­ cato di presente insito nell'annuncio neotestamentario 78• ·È altrettanto chiaro che, con la sua distinzione fra storia :e metastoria, Di:belius non solo si ricollega al raziona­ lismo, ma suo malgrado svaluta l'importanza della storia. E pertanto Rudolf Bultmann gli poté rimproverare dei concetti inadeguati ad esprimere ciò che s'intendeva dire e che anzi l'escatologia cristiana primitiva veniva ad essere completamente contraffatta da premesse romantiche 79 • Con la sua distimlione fra storia e soprastoria l'autore si rial­ laccia in certo modo, scavalcando un'evoluzione piu che centena· ria, a>I.Ja tradizione del razionalismo. Questo - nell'ambito dei.Ja teologia - aveva tentato di giustificare, appunto con quella di78 L'importanza dell'impulso dato da Barth per la problematica di Dibelius viene indicata giustamente da F. Holmstrom, Das eschatol­ gische Denken der Gegenwart, cit., pp. 251 55. 79 R . Bultmann, Geschichtliche und ubergeschichtliche Religion im Christentum?, in > ... Se Gesu chiamava se stesso « Figlio dell'uomo >>, vuoi dire che doveva aspettarsi di trionfare dopo la morte. h perciò credibile che egli predicasse non soltanto la sua morte, ma anche la sua risurrezione. h degno di nota il fatto che in Marco quasi tutte queste predizioni hanno 1a forma seguente: « il Figlio dell'uomo patirà, morirà, risorgerà » ... Nei contesti di pensiero in cui figura la denominazione « Figlio dell'uomo >> questa è escatologica. I l suo impiego in queste predizioni sembra indicare che la morte e la risurrezione di Gesu sono avvenimenti escatologici. . . Gesu dichiara che questa realtà ultima, il regno d i Dio, è venuta nella storia ed egli assume il ruolo « escatologico >> di « Fi­ glio dcH'uomo >> . L'assoluto, il « completamente Altro », è venuto nel tempo e nello spazio. E come sono venuti il regno di Dio e il Figlio dell'uomo, cosi sono venuti, nell'esperienza umana, anche il giudizio e la salvezza. Le antiche immagini dd banchetto cele­ ste, del giudizio universale, del Figlio dell'uomo che siede alla destra del Padre, non sono soltanto simboli di realtà che stanno oltre i sensi e oltre la storia ; esse hanno la loro corrispondente efficacia anche aJ.l'interno della storia. La storia della vita di Gesu e gli avvenimenti che egli predice nell'ambito dell'ordine storico sono dunque eventi « escatologici >>, in quanto si verificano durante l 'avvento del regno di Dio. Eppure l'ordine storico non può abbracciare tutti i significati dell'assoluto. Perciò la rappresenta­ zione metaforica conserva la propria importanza come simboliz­ zazione di realtà eterne, che, sebbene accadano neHa storia, non si esauriscono in essa. II Figlio dell'uomo è venuto, eppure ver­ rà; i peccati dell'uomo sono giudicati, eppure saranno giudicati.

Ma questa forma verbale al futuro è solo un adattamento linguistico. Non si dà nessun avvento del Figlio dell'uomo « dopo >> la sua venuta in Galilea e a Gerusalemme, non importa se presto o tardi, poiché nell'ordine eterno non vi è un prima o un dopo. Il regno di Dio neHa sua compiuta realtà non è affatto qualcosa che accadrà dopo che saranno accadute aJ.tre cose . . .

Le predizioni d i Gesu n o n offrono un ampio panorama storico. Sembrano riguardare gli sviluppi immi·nenti di quella crisi che è già in atto nel mentre egli parla e che egli interpreta come l'av­ vento del regno di Dio. . . Queste parabole « escatologiche » dovevano avere un'applica-

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zione nel contesto dell'attività di Gesu. Esse erano dirette a raf­ forzare il suo appello agli uomini; questi dovevano ricon06Cere che il regno di Dio, con tutte le sue conseguenze di enorme por­ tata, era presente e che con il loro comportamento nel presente di quella terribile crisi essi si d:mostravano sinceri o insinceri, saggi o stolti. Quando la crisi fu passata, le parabole furono rie­ laborate dalla Chiesa con lo scopo di dar vigore al suo appello rivolto agli uomini affinché si preparassero aJla seconda e defini­ tiv-a crisi, alla cui prossima venuta essa credeva . . . Le parabole della crescita sono dunque suscettibili di un'inter­ pretazione che può essere chiarificante per la reale situazione che si aveva duTante l'attività di Gesu, nel senso che quest'ultima si­ gnifica l'avvento del regno di Dio nella storia. Non si possono intendere le parabole come aUusioni ad un lungo processo evolu­ tivo che sarebbe iniziato con l'attività di Gesu e compiuto con la sua seconda venuta; anche in epoca piu tarda la Chiesa darà loro questo significato. Come in tutta la dottrina di Gesu, cosi anche qui non vi è una prospettiva storica a lunga scadenza : l'eschaton, l'acme della storia determinato da Dio, è già presente.

Questa argomentazione esegetica intesa a dimostrare che Gesu ha annunciato uò convertirsi in quella di una che agisce già ora, « in mezzo a · Voi »...

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Non Gesu « porta ,. il regno - questa idea è de>) una cosa sola con tutte le altre; la comunità locale si sentiva sempre parte della Chiesa nella sua totalità e si sentiva « fenomeno » sdltanto nella sua concreta ma­ nifestazione... I cristiani hanno sempre avuto il senso della pro­ pria indipendenza, come « popolo di Dio », di fronte ad ogni al­ tro genere di società umana ... e la sentivano viva e presente solo quando erano riuniti. Lo erano, però, solo in quanto assemblea eucaristica festiva ... Fin dall'inizio, secondo l'interpretazione che Gesu aveva dato di se stesso e secondo 1a sua volontà piu profonda, la « Chiesa » è realmente la comunità della fede e dello Spirito Santo nell'in­ timità dei cuori e, al tempo stesso, una specifica comunità di fe­ nomeni e riti esteriori.

!

lo credo di capire che in riferimento a se stesso Gesu fece la seguente distinzione. Anzitutto egli vide se stesso come indi­ viduo nella figura dd Figlio dell'uomo: egli, Gesu di Nazaret, era colui che Daniele [Dn. 7, 13 s s . ] aveva scorto « sulle nubi del cielo » innalzato fino a Dio... In Daniele il Figlio dell'uomo riceve da Dio « potere, maestà e sovranità » ; tutte le genti deb­ bono >, secondo ciò che aveva appreso d a Daniele circa il Figlio dell'uomo: non solo dunque, ciò che egli come individuo celava in se stesso, il « Figlio » di Dio in persona, m a 92 F . Kattenbusch, Der Quellort der Kirchenidee, in Festgabe fur A. von Harnack, 1921, pp. 145 s., 170-172, 160, 162, 164-166, 167, nota 169 ( le numerose parole greche che compaiono nel testo di Kat­ tenbusch sono qui tradotte e riportate tra virgolette).

576

Il Nuovo Te!tamento

i:l « rappresentante », il Signore predestinato di un particolare « popolo », i:l « popolo dei santi ». Egli sapeva dunque che tutto ciò che da allora in poi avrebbe intrapreso, ciò che di se stesso avrebbe partecipato agli altri, che avrebbe fatto o lasciato, doveva realizzare qualcosa in mezzo agli uomini, e cioè questo: che essi potessero comprenderlo come il Cristo, il Messia, e fossero quindi posti davanti all'interiore necessità di riconoscer/o nella sua qua­ lità che si manifestava loro chiaramente. Egli doveva dunque svi­ luppare il suo essere personale in modo tale da potersi aHermare che egli era realmente il « prototipo » di un « popolo » di « santi dell'Altissimo ». Ed egli doveva anche formare, « creare » fra gli uomini un tale popolo. . . Significa rutto questo che la profezia di Daniele è diventata il « luogo d'origine >> dell'idea di Chiesa? Certamente! ... Ma in qual modo la comunione dci discepoli , quello scelto gruppo di fedelissimi (�l loro numero di dodici può aver avuto per Gesu un significato simbolico, in quanto essi dovevano per lui rappresentare Israele, il popolo di Dio) è poi diventato la co­ munità dei discepoli ? ... !B vero che noi abbiamo un passo del vangelo, nel quale Gesu annuncia l'intenzione di fondare (di « edi­ ficare » ) una chiesa (Mt. 16, 18). Si tratta di ·parole autentiche di Gesu? Io credo di sL Ma oggi è quasi temerario affermarlo... Perché dovrebbe essere escluso che Gesu avesse intenzione ... di costiruire una speciale sinagoga dei suoi discepoli? Ciò non d> la « fede >> di Pietro, la manifesta pleroforia della sua « confessione », « onorandolo » di tanta fiducia, cosi come egli fa ... Simone la « pietra >> è l'uomo della fede tanto comprensiva quanto coraggiosa e rlieta. Gesu non gli promette una posizione di guida, una >, XVIII), 1968. 101 La soluzione di questo compito verme promossa per es. da C. H. Dodd, The Present Task in New Testament Studies, 1937, pp. 3 1 , 35 ( • Il movimento centrifugo va controbilanciato con uno centri­ «

peto, che riconduca all'unità della vita che

ha dato loro origine le

rappresentazioni meglio comprese nel loro carattere peculiare >>). Cfr. poi anche A. N. Wilder, The New Testament Theology in Transition, in The Study of the Bible Today and Tomorrow, a cura di H. R. Willoughby, Chicago, 1947, pp. 432 ss.; A. M. Hunter, The Unity of the New Tertament, 1943; B. Rcicke, Einheitlichkeit oder verrchiedene « Lehrbegriffe >> in der neutestamentlichen Theologie?, in « Theolo­ gische Zeitschrift », IX ( 1953), pp. 401 ss . ; W. Kiinneth, Zur Froge nach der Mitte der Schrift, Dank an Pau/ Althaur, 1958, pp. 121 ss .; W. G. Kiimmel, Das Problem der • Mitte des Neuen Testamentr �. in L'F.vangile hier et au;ourd'hui, in Mélanges offerts au Professeur �ranz-]. Leenhardt, 1968, pp. 71 ss.

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Il Nuovo Testamento

storico-critiche »; Hoskyns definisce come il vero e pro­ prio enigma del Nuovo Testamento l'interrogativo: « Qua­ le rapporto esisteva fra Gesti di Nazaret e la cristianità originaria? » 1Vl; e, sulla base dei problemi attinenti all'in­ dagine dei significati letterali, alla critica testuale, all'inda­ gine sui sinottici, alla spiegazione dei detti di Gesti, alla presentazione dei motivi centrali dei grandi teologi (Paolo, il redattore degli scritti di Giovanni, il redattore della Lettera agli Ebrei), cerca di dimostrare che •nel dibattito storico su tutti questi problemi, si paleserebbe sempre il medesimo stato di cose: che, cioè, il vero enigma sarebbe la realtà storica dell'uomo Gesti, la cui vita e morte è stata già da lui stesso intesa come adempimento della pro­ messa messianica dell'Antico Testamento; e che tutto il lavoro degli evangelist-i e dei teologi del Nuovo Testa­ mento servirebbe soltanto a rendere piti comprensibile questa fattispecie. Perciò non è la .fede della Chiesa pri­ mitiva ad aver creato l'interpretazione messianica della storia di Gesu, ma è la stessa realtà stor·ica di Gesti che ha trovato in questa fede la propria espressione 103 • La lingua del Nuovo Testamento deve la propria particolarità ad una fase della storia ebraico-aramaico-palestinese, in cui si leggevano i libri dell'Antico Testamento con una intelligenza del tutto nuova. Questo mutamento era subentrato prima che vi fos­ sero cristiani di lingua greca e prima che fosse scritto anche un solo -libro del Nuovo Testamento ... L'clemento creativo �mmediato nella lingua del Nuovo Testamento fu il riconoscimento, preva­ lente su ogni altra cosa, che il Dio vivente medesimo aveva agito in una particolare storia e che l'azione e il pensiero dei cristiani d�pendevano interamente da tale storia. f: chiaro che la lingua del Nuovo Testamento non avrebbe avuto possibilità di nascere se tale storia non si fosse svolta nell'ambito del giudaismo e sullo sfondo degli scritti veterotestamentari ... 0 1 2 Hoskyns trovò q uesta problematica promossa specialmente da A. Schwei-tzcr: Schweitzer « dimostra che in elfebti è stato il Signore colui che ha fondato il cristianesimo » (cosi m uno scritto del 1 910, cita.to da R. ]. Gutteridge, Sir Edwyn Hoskyns, in « KD �. X [ 1964 ] ,

p . 49). 100 E. C. Hoskyns, The Riddle of the New Testament, a cura di F. N. Davey, London, 1931, pp. 1 1 , 14; le citazioni dalle pp. 45 s., 77-79, 98 s., 101, 159 s., 206 s., 244 s., 249 s.

L'itJdagine storico-teologica suJ Nuovo Testamento

1.589

L'autore [della Prima lettera di Pietro, 2, 11 ss. ] tratteggia Cristo molto chiaramente con parole che derivano dalla passione del Servo di Dio, cosi come la descrive Isaia. Questo passo ed al­ tre parti della lettera dimostrano che l'autore, in modo dd tutto consapevole, colloca la passione di Gesu anzitutto nel contesto non della religiosirà " cristiana », ma delle scritture dell'Antico Testamento. Sorgono allora degli interrogativi: è possibile che questa concezione, secondo cui l'Antico Testamento aveva trovato il proprio compimen to nella storia reale del Gesu di Nazaret, abbia sviato l'autore di questa lettera, cosi come altri scrittori del Nuovo Testamento, nel senso di i ndurii a narrare come storiche cose che in verità non erano affatto aocadute, e quindi a dare un al terato e 'lontano dal reale svolgimento storico? ... È il quadro : storico completamente scomparso nel Nuovo Testamento, Gesu . oppure la sua storia determina tutte le nostre testimonianze neo­ testamentarie? ... Ha la &peranza deH 'An tico Testamento effettivamente deter­ minato l'insegnamento e le azioni di Gesu sino al punto che egli andasse volutamente a morte, per adempiere la Scrittura e per portare a termine il compito che gli era stato affidato? In altre parole, la narrazione di Marco è un'inte�pretazione libera della storia originaria, oppure ne rende la sostanza vera e p ropria ? ... Le esigenze religiose dei primi credenti, particolarmente di quelli provenienti dal paganesimo, hanno veramente svisato e sfi­ gurato l 'immagine del nobile maestro di morale o dell'appassio­ nato annunciatore dell 'imminente fine del mondo, solo per averne una certezza di salvezza e per soddisfare la propria bramosia di vita eterna? Oppure, al contrario, le esigenze morali di Gesu tro­ varono effettivamente il proprio fondamento anzitutto nella sua singolare posizione rispetto a Dio, mediante la quale esse poi si trasformarono in pretese ultime, inderogabili e perciò escatologiche? .. . Se . . . la critica storica del Nuovo Testamento vuol essere all'altezza di uno dei suoi compiti piu importanti, cioè conoscere a fondo 'la causa di questo nesso, unico nel suo genere, dell'Antico Testamento con la vita e con la morte di Gesu di Nazaret, deve tentare di risalire al di là dei nostri odierni Vangeli sinottici, per scoprire in qual modo sia stata creata la tradizione su G esu, prima che fosse ripresa e modellata nelle loro narrazioni li evangelisti . . .

dag

Il tentativo di attribuire agli evangelisti l a responsabilità di una libera interpretazione della tradizione, nel senso di una cri­ stologia ad essa estranea, non regge ad un'indagine critica e seria. L'interpretazione delle azioni di Gesu, della sua vita e della sua morte, non ha avuto origine nelle menti degli uomini che hanno

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Il Nuovo Testamento

redatto i Vangeli nella loro forma attuale. I loro racconti perse­ guono chiaramente e consapevolmente uno scopo; di questo nes· suno dubita, ma questo scopo era già insito nelle tradizioni orali che essi avevano ricevuto. Essi non vi sonapposero a forza ed arbitrariamente una materia che nulla aveva a che vedere con quello scopo... Né Marco, né Matteo, né Luca, nessuno di loro cerca d'inter­ pretare in qualche modo quella che è una ·pura e semplice suc­ cessione di eventi, e nessuno di loro vuole collegare una perso­ nalità umana, peraltro abbastanza evanescente, ad una cristologia. L'interpretazione sta nella materia stessa, che essi attingono alle fonti piu svariate, e fin dove essi conoscono la tradizione, trovano ovunque la stessa interpretazione. L'interpretazione cristologica, ossia quella che si riferisce all'Antico Testamento, sta nelle vi­ cende stesse di Gesu di Nazaret... Il risultato di una ricerca sui detti (logbia) in tutti gli strati della tradizione sinottica può essere solo questo: che essi sono manifestazioni del pensiero del Mes,;ia che porta il regno di Dio e nel quale viene adempiuta la legge che Dio aveva rivelata al popolo israelitico. Il regno comincia nell'umiltà, nella persecuzione e nell'abbandono; e questa umiltà non è soltanto il preludio al regno della fine dei tempi; è anche la condizione a cui deve as­ soggettarsi chiunque voglia entrare nel regno. I detti di Gesu non si possono separare da questo sfondo messianico e dal corso della vita di colui, dalle cui parole è costi· tuita la tradizione. Essi non sono solamente norme morali; annun· ciano la presenza del regno di Dio ed hanno un loro posto ben fissato nella vita del Messia. Stanno quindi allo stesso livello delle storie dei miracoli e delle parabole. La stessa cristologia che sta alla base delle narrazioni dei suoi miracoli e delle sue parabole compenetra anche i detti. La cristologia costituisce non una parte di questi, bensf la loro scaturigine piu profonda. Ciò significa dunque che, in nessuno strato della tradizione sinottica, la critica letteraria e storica è in grado di dimostrare che un episodio della vita di Gesu, originariamente non cristologico, abbia subito una interpretazione cristologica in un secondo tempo ... I teologi del Nuovo Testamento, dunque, non vivono affatto nel mondo dei loro propri pensieri. Dietro le loro parole è la storia di un uomo, ed è una storia che ha un significato teologico profondo. Noi non dubitiamo che quei teologi abbiano potuto comprendere ed esporre il significato di quella storia solo in base alla vitale esperienza interiore prodotta in essi dallo Spirito; rico­ nosciamo anche che i loro sforzi per ricavare il significato di tale storia formarono gli inizi di una teologia, ma la storia stessa dalla

L'indagine storico-teologica sul Nuovo Testamento

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quale essi muovono non è stata opera né dalla loro esperienza, né dalla loro teologia . . . Nessuno scrittore neotestamentario h a introdotto in un se­ condo tempo un'interpretazione -nella storia; essa porta l'interpre­ tazione in sé medesima e ne é improntata. Cos(, in ultima ana­ lisi, lo storico ha a che fare con un uomo della storia, il quale sa che deve portare a termine un compito necessario, sa che l'unico grande futuro, che riguarda tutti gli uomini allo stesso modo, dipende dal fatto che egli assolva il suo compito. Il mondo futuro, che Gesu doveva portare, si fondava sui suoi insegna­ menti, sulle sue azioni e infine anche sulla sua morte. Poiché ,Gesu ne era consapevole, le sue parole e le sue azioni formano un 'unità, la quale consiste nel fatto che le sue parole danno la giusta spiegazione delle sue azioni e viceversa. Questo unico mo­ tivo, che conferiva agli antichi raccont i quel loro inesorabile orientamento verso la crocifissione, ha costretto anche i teologi a presentare la morte di Gesu come il vero e proprio significato della sua vita. Quale fosse il senso che lega insiem e la vita e la morte di Gesu, ce lo insegna la concorde testimonianza di tutti gl i scritti del Nuovo Testamento: Gesu voleva dim os trare in una vita di uomo la completa sottomissione alla volontà di Dio, fino all'ultimo, fino alla morte. I tre grandi teolog i del !\'uovo Testa­ mento lo hanno riconosciuto e lo hanno affermato molto chiara­ mente; e in effetti solo in questo unico motivo conduttore la tra­ dizione contenuta nei Vangeli sinottici ha un significato.

Questo quadro estremamente efficace, che si apre per­ sino con la pretesa che « il problema storico » sia « ri­ solto » 104, può dare l'impressione che la ricerca rigorosa­ mente storica sui singoli sci'itti e sugli strati della tradi­ zione neotestamentari possa condurre senza eccessive diffi­ coltà a una fondamentale unità del messaggio neotesta­ mentario. Ma proprio qui si cela la problematica decisiva di fronte a cui v-iene a trovarsi la ricerca neotestamen­ taria, da quando essa si è proposta il compito di rendere accessibile all'uomo moderno, con i mezzi di un'indagine rigorosamente storica, il contenuto del Nuovo Testamento. Infatti, molte delle tesi storiche sostenute da Hoskyns appaiono assai discutibili 105, ed anche se si riconosce come '"' Ibidem, p. 259. IOS Per esempio l'opinione, de noi già incontrata anche in R. Otto, circa l'importanza basilare delle profezie sul Servo di Dio del Deuter�

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Il

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giUsta la sua tesi principale, che cioè la personale pretesa di Gesu e la sua realtà di uomo rappresentino le radic-i storiche del messaggio neotestamentario, non potrà tutta­ via negarsi che i tre teologi posteriori del Nuovo Testa­ ·mento, ma anche, e non meno, gli autori dei Vangeli 'sinottici, abbiano sovrapposto alla tradizione piu antica interpretazioni personali ed -influenzate da pensieri estra­ nei, interpretazioni che, per certi aspetti, non off-rono la possibilità di addivenire ad una indiscussa unità dell'an­ nuncio neotestamentario di Cristo. L'unità del messaggio neotestamentario, che appare ovvia dal punto di vista della fede ndl'ispirazione della totalità degli scritti cano­ nici, non può d'altro canto essere accettata come ovvio presupposto sul terreno di un'indagine rigorosamente sto­ rica, e per il momento non vi è alcuna via metodologica­ mente ineccepibile all'infuori di quella che consiste nello studiare ogni scritto e ogni strato della tradizione preso a sé. Che poi, ovviamente, debba essere fatto il tentativo di additare, dietro la molteplicità delle forme, l'unità stabile 'o anche solo evolutiva, è per la scienza neotestamentaria cosa indubitaJbile, e ciò dal momento in cui si afferma di Isaia per Gesu, da allora è stata sostenuta molto spesso (dr. ]. Jere­ rnias, in Theol. Worterbuch zum Neuen Testament, vol. V, 1954, pp. 709 ss.; O. Cullrnann, Die Christologie des Neuen Testaments, Tiibingen, 1957, pp. 59 ss. (trad. it., Cristologia del Nuovo Testa­ mento, Bologna, 1970) e gli studiosi nominati da W. G. Kununel in V erheissung und Erfiillung, [ « Abbandlungen zur Theologie des AJ.ten und Nooen Testaments », VI], Base!, 19532, p. 66 nota, 177, 179; inoltre dr. R. H. Fuller, The Foundations o/ New Testament Christo­ logy, Ziirich-Basel, 1965, pp. 115 ss.); questa opinione però incontra ·pure considerevoli obiezioni (cfr. R. Bultrnann, in « ThR », n.s., IX [ 1937], pp. 27 ss.; C. T. Cra.ig, The Identification of ]esus with the Suffering Servant, in « Journal of Retigion », XXIV [ 1944] , pp. 241 ss . ; M. D. Hooker, Jesus and the Servant. The Influence of the Ser­ vant Concept o/ Deutero-lsaiah in the New Testament, 1959; F. Hahn, Christologische Hoheitstitel. Ihre Geschichte im /riihen Christentum · [ « FRLANT », 83 ] , 1%3, pp. 54 ss.). E non è affatto dimostrabile che tutti -i detti di Gesu siano « manifesta>ioni del Messia » (vedi H. Windisch, Der Sinn der Bergpredigt, 19372, pp. 8 ss.); questa affer­ ma>ione non è desumibile dalle singole parti costi-tutive della tradi­ zione, ma è consentita solo come conclusione tratta da una sistematica visione d'insieme di rutta la tradizione antica su Gesu.

L'indagine storico-teologica su! Nuovo Testamento

593

riconoscere il diritto che questa raccolta di scritti ha di pretendere una decisione personale quale indispensabile presupposto di un'intelligenza oggettiva del Nuovo Testa­ mento. Posto cosi il problema, ne è conseguito che la ricerca ha dovuto continuamente cimentarsi con esso, muovendo dalla nuova impostazione che aveva ricevuto negli anni venti.

Conclusione

Fin dai suoi esordi la scienza neotestamentaria ha impostato il problema del come poter conciliare l'impre­ scindibile compito storiografico dell'indagine sul Nuovo Testamento con la peculiare esigenza che le Scritture pon­ gono ai loro lettori: quella di prendere un decisione nei confronti del . messaggio divino che esse contengono (cfr. sopra). Questo problema fondamentale ha accompagna­ to costantemente il lavorio scientifico sul Nuovo Testa­ mento, ma dopo la prima guerra mondiale è riemerso in primo piano piu v.jvo che mai; tutte le ricerche com­ pi ute da allora 1 sono state dominate da questo problema. E vero, di fatto, che « piu di qualsiasi altro settore del­ l'indagine storica quello della neotestamentaria ha sofferto d'una singolare incapacità d'essere pienamente stor-ico quanto a metodo e finalità ». E, constatando che « negli ultimi centocinquant'anni l'indagine neotestamentaria è stata una disciplina storica solo in quanto ha prodotto risultati scientificamente sostenibili », lo stesso critico soggiunge a ragione: « Essa ha un avvenire solo se a lungo andare questo dato di fatto sarà pienamente rico­ nosciuto e quindi conseguenzialmente sviscerato » 2 • Non c'è, infatti, un solo periodo della storia, ormai quasi bisel Per le linee principali della storia della ricerca neotestamentaria dagli anni '20 dr. piu avanti i sommari di H. J. Cadbury, C. T. Craig, A. M. Hunter, Sh. E. Johnson, E. Kasemann, W. G. Kiimmel (1957), W . Nei!, M. M. Parvis, A. Richardson e A . N. Wilder; inoltre recen­ temente le particolareggiate presentazioni ivi nominate di R. H. Fuller, W. G. Kiimmel ( 1969), St. Neill e R. Schnackenburg. 2 P. Schubert, Urgent Tosks for New Testoment Reseorch, in The Study of the Bible Todoy ond Tomorrow, a cura di H. R. Willoughby, cit., pp. 214, 212.

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Il Nuovo Testamento

colare, dell'indagine scientifica sul Nuovo Testamento, che sia stato immune dal pericolo di prestare scarsa atten­ zione a quel fatto o addirittura di negarlo. Eppure, pro­ prio se Io storico affronta in tutta serietà il proprio com­ pito nei confronti del Nuovo Testamento, « dovrà pren­ der atto che questo esige dal suo lettore qualcosa che lo storico, in quanto tale, non può dare affatto: un giudizio che per chiunque significa la decisione piu importante che sia mai possibile dover prendere » 3• E in verità nell'in­ tera storia della ricerca neotestamentaria non si è data una sola epoca in cui questa imperiosa richiesta eli deci­ sione non si sia fatta sentire e non abbia preteso la con­ siderazione che le spetta. In realtà la scienza del Nuovo Testamento fallisce il suo compito se lo studioso ritiene di dover ignorare, proprio in quanto studioso, questa imperiosa esigenza. Com'è ovvio, questa presa di coscienza non ha una validità universale precostituita, ma nasce dall'incontro personale con questo oggetto assolutamente insolito d'in­ dagine scientifica, da un incontro che sia compiuto nella disponibilità alla decisione. Non v'è il minimo dubbio, infatti, che l'indagine neotestamentaria è parte « di quel servizio affatto profano che ha nome " scienza ddla sto­ ria " » 4• Sennonché chi assolve responsabilmente questo servizio profano non può eludere la parola del Cristo gio­ vanneo (Gv. 7, 16 s . ) : « La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Chi vuoi fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se io parlo da me stesso » .

3 E. C . Hoskyns, The Riddle of the New Testament, cit., p . 26). 4 E. Kasemann, Neutestamentliche Fragen von beute, in « ZlbK·», LIV ( 1957), p. 7 (ri>tlampato i·n Exegetische Versuche und Besinnungen, vol. II, GOttingen, 1964, p. 17).

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