Il mondo senza mappa [Zero in Condotta ed.]

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Il mondo senza mappa [Zero in Condotta ed.]

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FEDERICO FERRETTI

IL MONDO SENZA LA MAPPA

*

Elisée Reclus e i geografi anarchici

Collana Classici dell’anarchismo

Alla carissima memoria di Elio Fiori militante della FAI e cittadino del mondo combattente per la libertà dalla Resistenza al terzo millennio

FEDERICO FERRETTI

IL MONDO SENZA LA MAPPA *

Elisée Reclus e i geografi anarchici

In copertina: manifesto commemorativo delle JJLL di Catalogna, 1937

Pubblicazione a cura dell’associazione ‘Umanità Nova’ - Reggio Emilia Prima edizione italiana settembre 2007

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma, per proposte di nuove pubblicazioni: Autogestione Casella Postale 17127-20170 Milano Tel/fax 02 2551994 e-mail: [email protected] Il catalogo elettronico è disponibile al sito: www.zeroincondotta.org

Indice

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PREFAZIONE

di Béatrice Collignon I ntroduzione. “G razie, R eclus” B erlino 1851. I n viaggio da uomini liberi D all ’E rdkunde alla “V ita del G lobo” P rove di G eografia U niversale C harles P erron, cartografo anarchico I l “ giro del globo” di L éon M etchnikoff K ropotkin. U n rtiteriano in S iberia A ll ’U niversité N ouvelle di B ruxelles:

11 17 53 71 95 117 149 191

IL GLOBO CONTRO LA CARTA

C onclusione appendice appendice

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provvisoria

1. T re lettere inedite 2. “L es T emps N ouveaux”

ARCHIVI CONSULTATI E BIBLIOGRAFIA

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Avvertenze

- Quando in nota compare il titolo di un’opera in lingua, la citazione è da intendersi come tradotta dall’autore. - In bibliografia le opere figurano in genere con gli estremi dell’edi­ zione originale, mentre in nota compare sempre l’edizione o ristam­ pa utilizzata per la relativa citazione.

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Prefazione di Béatrice Collignon*

Nella seconda metà del diciannovesimo secolo l’industrializzazione di una Europa dove si impone il modello dello Stato-Nazione si acce­ lera, e lo sfruttamento dell’interno dei continenti che le potenze euro­ pee hanno quasi interamente colonizzato pone un termine al movi­ mento di espansione terrestre iniziato dalle stesse quattro secoli prima. Dopo una lunga fase di espansione, si comprende progressivamente che ci si deve risolvere a chiudere il mondo su se stesso, e su se stessi. Per dire questa Terra dall’orizzonte finito, per pensarla e compren­ derla, serve un nuova geografia, affrancata dalla ricerca delle meravi­ glie del mondo e sensibile al contrario alla banalità della sua unità fi­ sica e umana. L’impresa è avviata dalla fine del XVIII, da Alexander von Humboldt per primo, e poi da Cari Ritter, insediato alTUniversità di Berlino a partire dal 1820. È nel loro solco che si piazza risolutamente Élisée Reclus per, attraverso un’opera monumentale di diverse migliaia di pagine scritte fra il 1860 e il 1805, proporre ad un vasto pubblico una nuova lettura del mondo. Principale riferimento del suo tempo e fino al termine della prima guerra mondiale, Élisée Reclus scompare poi rapidamente dalle biblio­ grafie dei geografi, quando trionfa in Occidente la Scuola di geografia fondata da Paul Vidal de la Blache e dai suoi primi allievi. Così che nel clima della contestazione degli anni ’70 offre a coloro che vogliono rifondare la geografia una figura tutelare ideale: uno studioso impe­ gnato politicamente subito marginalizzato dai suoi contemporanei (Vidal ha solo dieci anni di meno) perché la sua geografia sociale dà fa­ * Université Paris 1, Panthéon-Sorbonne Centro di ricerca ‘‘Epistemologia e sto­ ria della geografia” (ehgo - cnrs/paris I/ paris 7)

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stidio, vittima della censura editoriale ed universitaria, e della violenza dello Stato in seguito alla sua partecipazione alla Comune di Parigi (sfugge per un pelo alla deportazione). Però questa immagine romantica che si è rapidamente imposta non è che una costruzione a posteriori. Il mondo senza la mappa disegna tutto un altro ritratto del geo­ grafo e della sua geografia, che si rivela pagina dopo pagina e che si potrebbe riassumere in alcune parole-chiave, la cui familiarità alle no­ stre orecchie in questo inizio del XXI secolo basta a sottolineare l’at­ tualità della geografia reclusiana: rete, movimento, métissage, geo­ grafia sociale, globalità e unità del mondo, comparativismo, spessore del mondo, educazione, giustizia. In primo luogo la rete. Rete scientifica perché Reclus non è un uomo isolato ma un ricercatore inserito nelle reti scientifiche della sua epoca e che anima un gruppo di geografi che partecipano a pieno titolo alla scrittura dell’opera, segnatamente i 19 volumi della Nouvelle Géographie Universelle. Una rete di autori costruita attorno ad un progetto comune: l’anarchismo combinato alle conoscenze scien­ tifiche dell’epoca per proporre una geografia del mondo contempora­ neo. Una convinzione profonda sulla base della quale si elabora una rigorosa analisi dei “fatti” geografici che, nell’assenza di un para­ digma per comprenderli, non hanno alcuna realtà. Ma la rete è anche una delle caratteristiche di questa nuova geo­ grafia, anche se i suoi autori non utilizzano questo termine. Il mondo che fanno vedere e capire è caratterizzato dal movimento e dalle rela­ zioni: rapporti dinamici fra gli uomini e gli ambienti fisici, ma anche mobilità degli uomini sulla superficie della Terra, che tende a portarli dall’interno verso i litorali e a circolare all’interno dei bacini, marini o fluviali, con per risultato un métissage umano che rende vani i di­ battiti sull’esistenza di differenti razze umane, e stimola al contrario una riflessione alla scala dell’umanità, intesa nel suo insieme. L’attenzione accordata agli uomini ed alla società, ai rapporti eco­ nomici, sociali e politici a tutte le scale, disegna una geografia sociale particolarmente sensibile alle questioni di giustizia. Al di là delle divisioni regionali, delle frontiere politiche che gli Stati-Nazione vogliono fare passare per naturali, fatto che denuncia con vigore Reclus, la Terra è caratterizzata dalla sua unità, ed è questa la geografia che Reclus e i suoi compagni vogliono fare conoscere, tra­ smettere. Cosa che porta Reclus a applicare in maniera sistematica il metodo comparativo messo in opera da Humboldt e Ritter, e a proporre

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così una geografia generale che supera l’eccezionaiità di ogni luogo, di ogni regione, per mostrarne le caratteristiche generiche che si ripetono con diverse declinazioni nelle cinque parti di un mondo che bisogna dunque comprendere nella sua globalità. Così per quanto riguarda il Mediterraneo, che, da specifico bacino marino, diventa una configura­ zione-tipo che si ritrova nei Caraibi, nella regione dei Grandi Laghi nordamericani, ma anche ad esempio in Amazzonia. Questo approccio permette anche di spostare la riflessione su un livello più teorico, che li­ berandosi dallo specifico, si affranca dal visibile, da ciò che mostrano le carte (topografiche) che saranno al contrario lo strumento preferito della Scuola di geografia vidaliana: Il mondo senza la mappa, dunque. Questo mondo senza carte è un mondo che si fa vedere in tutto il suo spessore, in opposizione all’approccio dell’estensione, della superficie, che propongono le carte topografiche. Spessore delle relazioni invisi­ bili ma essenziali fra gli uomini e gli ambienti fisici, ma anche fra le so­ cietà umane, gli Stati, le classi sociali. Per cui le carte reclusiane, dise­ gnate perlopiù da Charles Perron, sono in maggioranza delle carte tematiche, segnatamente statistiche, fatto che all’epoca è raro. Ma la carta tematica e le parole non possono bastare a dire e far comprendere questo spessore del mondo. È per questo che alla fine del secolo Reclus dedica una grande parte delle sue energie ad un pro­ getto di globo all’interno del quale i visitatori si sposterebbero per co­ noscere e comprendere la loro Terra. La conoscenza deve costruirsi nel duplice movimento sincronico del corpo e dello spirito. Dispositivo pedagogico destinato al grande pubblico, questo globo (che non sarà mai costruito), riassume da solo l’impegno sociale dei geografi anarchici. In effetti si tratta per loro, in primo luogo, di edu­ care il grande pubblico, il popolo. Insegnargli a leggere il mondo, e dargli così le armi per trasformarlo e farne un mondo più giusto per tutti. Sarebbero stati ascoltati, per un tempo ahimè troppo breve, quan­ tomeno dagli anarchici spagnoli, in particolare catalani. L’attualità dei concetti-chiave di questa geografia prova a posteriori la validità della via mediana scelta dai geografi anarchici della seconda metà del XIX secolo: analizzare il mondo senza lasciare da parte le proprie convinzioni, ma senza alterare i fatti in nome di queste.

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¡fratelli Reclus: da sinistra Paul, Élise'e, Elie, Onésime, Armand.

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Introduzione “Grazie, Reclus”

“/ fenomeni che per loro natura sono aspaziali (idee, convinzioni ecc.) non possono essere direttamente esplorati in un GIS a meno che non pos­ siamo trovare un modo per assegnare loro un carattere spaziale rappresen­ tativo". Michael N. Demers, Fundamentals of Geographie Information Systems, Hoboken, John Wiley and Sons, 2005, p. 25.

La prima volta che ho sentito nominare Reclus è stato in maniera alquanto indiretta. Una domenica mattina mio padre portò a casa dalla sezione un numero unico, curato dal PCI reggiano, dal titolo Grazie, Reclus. Ottani’anni di guerra e pace del “proletario semplice” Reclus Malaguti. Da tredicenne già molto curioso di queste cose, sfogliai non senza avidità quel fascicolo illustrato, che raccontava una storia delle tante che avevo e avrei ancora a lungo sentito raccontare riguardo alla mia terra: un figlio di contadini della Bassa, autodidatta, perseguitato dal fascismo per le sue idee e poi membro attivo della Resistenza, diri­ gente politico ed autore di memorie autobiografiche, ora veniva fe­ steggiato per il suo ottantesimo anniversario (1907-1987) con una bella raccolta di scritti e documenti. Mi incuriosiva quello strano nome, che non mi pareva molto bello, con il suo sapore di “recluta” o di “recluso”; mi veniva incontro solo un piccolo riquadro a pagina 49, intitolato Da dove veniva quel nome così strano, che però non mi lasciò nessuna traccia nella memoria; fu solo alcuni anni dopo, frequentando il circolo anarchico della mia 11

città, che scoprii a chi veramente si riferiva papà Malaguti nel regi­ strare uno dei suoi tanti figli. Quel trafiletto non mi aveva lasciato niente semplicemente perché non diceva niente. “Elisèe Reclus era un famoso geografo e politico (di fronte a tale baggianata scompare anche Terrore di accento N.d.A.) francese morto nel 1905 che seppe innovare profondamente lo studio scientifico della geografiafino allora considerata una disciplina per esploratori a caccia di oro o di stranezze”. Dopo questa definizione invero un po’ originale del sapere geografico ottocentesco, si con­ clude in poche righe sul personaggio: “il suo nome, per molti sinonimo di progresso (...) passava di bocca in bocca col racconto dei narratori che si spostavano di casa in casa (...) Contadini analfabeti, ma che seppero vedere lontano, diedero questi nomi ai loro figli, non battez­ zati, spesso dopo una dura battaglia con gli impiegati dell’anagrafe da sempre abituati a scrivere sul libro delle nascite solo i nomi dei santi del calendario“1. E sicuramente paradossale come una pubblicazione dedicata alla memoria delle classi subalterne compia una tale grossolana opera­ zione di oblio: si definisce Reclus un “politico”, lui che dai politici fu sempre perseguitato, per non dire che fu un anarchico, fedele a questa idea fino al termine della sua vita, e nel suo caso difficilmente imparentabile con il marxismo perché in diretta polemica con Marx già ai tempi dell’Internazionale. In tutta la pubblicazione, non ricorre nep­ pure una volta l’ombra dell’aggettivo proibito. Anche il papà di Reclus Malaguti, in questo quadretto idilliaco, si dice che deve avere sentito questo nome da qualche “narratore errante”, dando per scontato che un proletario della Bassa non potesse avere con­ sapevolezza di chi era realmente quel personaggio. Unica concessione “all’eresia”, si cita dalle memorie di infanzia di Malaguti una serata delle tante trascorse a chiacchierare nella stalla, durante la quale alcuni adulti raccontarono ai ragazzini la storia di Giordano Bruno, tematica che, all’epoca, caratterizzava fortemente anarchici e liberi pensatori. Ovviamente quest’ultima cosa ci si guarda bene dal dirla. Come i geografi anarchici sono stati dimenticati per molto tempo dalla geografia accademica, così del resto gli anarchici in generale sono stati messi nella “pattumiera della storia” tanto dalla storiografia bor-1 1. Grazie Reclus. Ottanta anni di guerra e pace del “proletario semplice” Reclus Malaguti, Bagnolo in Piano, 1987, p. 49.

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ghese che da quella marxista, rimossi o liquidati con sufficienza, e solo da pochi anni è cominciata anche in sede storica una rivalutazione delle loro esperienze. Sulla cultura dei militanti comunisti pesava, ovvia­ mente, la netta scomunica che Marx ed Engels avevano pronunciato nei confronti di Reclus sia come militante che come scienziato. Nel primo caso la questione si inquadrava nell’ambito della spac­ catura avvenuta fra 1871 e 1872 nell’ambito della prima intemazio­ nale fra marxisti ed anarchici, tendenza di cui Reclus era all’epoca uno dei più celebri esponenti assieme ai vari Bakunin, Guillaume, Cafiero. Nel secondo caso bastino le parole che Engels scrive ancora a Liebknecht nel 1877, quando Reclus era ormai un geografo di fama mondiale: “Élisée è un compilatore ordinario, e nient’altro. Visto che lui e suo fratello hanno partecipato alla creazione dell’Alleanza se­ greta (la prima organizzazione bakuninista n.d.a.) se vuole, può rac­ contarti più cose vere su questo soggetto di quante tu non possa dirne a lui. Se ci siano o no sul campo di questi tipi è assolutamente senza importanza; politicamente è un pasticcione e un incapace”2. Del resto, la stessa geografia non è mai stata considerata dai marxi­ sti come una disciplina degna di particolare considerazione. Non è un caso che quando studiosi di quella scuola non hanno potuto fare a meno di occuparsene, hanno dovuto fare ricorso agli anarchici, a par­ tire dalla Russia negli anni immediatamente successivi al 1917, quando Lenin acconsente a fare pubblicare le opere di Kropotkin, ac­ cogliendo anche in patria l’anziano esule mentre il resto del movi­ mento anarchico russo subiva una repressione durissima. O come se vogliamo le scuole di geografi marxisti degli anni ‘60 e ‘70 del ‘900 che hanno dovuto riscoprire Reclus perché privi di “antenati” autore­ voli nel proprio campo. Ma come la memoria dei personaggi ha potuto essere tramandata per vie sotterranee anche attraverso i nomi propri, così anche quella dei concetti resiste all’oblio o per merito di circoli di militanti tenaci che la tengono viva, o tramite quei meccanismi ancora poco conosciuti ma meritevoli di approfondimento, che a proposito di altri fenomeni poli­ tici la scienza storica riconosce ormai come “tunnel histories” . Se è importante questa memoria, a mio avviso è ancora più impor­ tante capire che cosa è stato questo rinnovamento dello “studio scien­ 2. Riportato in M. Zemliak, Reclus, les anarchistes et les marxistes, “Hérodote”, 22/1981, p. 103.

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tifico della geografia”, perché tentare questa operazione implica anche provare a capire che cosa è e cosa si ripropone la scienza geografica, quali sono i suoi oggetti, i suoi metodi, il suo pensiero, in una parola la sua epistemologia. La prima idea da cui parte questo lavoro è che Reclus non è un eroe romantico, o un genio isolato come sembra trasparire da qualche biografia un po’ “agiografica”, ma uno scienziato precisamente inse­ rito nei più attuali dibattiti e ambiti disciplinari della sua epoca, in particolare in una strategia di modifica del sapere tradizionale. Stra­ tegia che prende le mosse dalla geografia europea come veniva in­ tesa da Alexander von Humboldt e Cari Ritter, all’epoca definita Erdkunde. La seconda è che Élisée Reclus e i suoi più diretti collaboratori, che hanno anche condiviso con lui, almeno per un periodo, idee e im­ pegno politico e sociale, e dunque chiameremo a buon diritto “geo­ grafi anarchici” (a volte ancora conosciuti dagli anarchici attuali per la militanza, raramente per la loro opera scientifica), hanno formato non tanto una scuola, quanto un ben preciso milieu, nel quale circola­ vano idee incisive sul ruolo della geografia e anche sul suo inseri­ mento in un progetto politico e sociale, a loro volta inserite nel con­ testo del dibattito scientifico europeo di cui abbiamo detto sopra. Come necessaria premessa a questo lavoro precisiamo che il ma­ teriale su cui uno studioso di questo argomento potrebbe lavorare è immenso: le sole opere pubblicate da Reclus riempiono più di 25.000 pagine, e su di lui c’è un’ampia letteratura, soprattutto in Francia, di carattere biografico e/o apologetico, ma poche opere scientifiche di geografi che indaghino in maniera aggiornata e originale i contenuti di questa opera. Per quanto riguarda gli altri, se lasciamo da parte le opere di pro­ paganda politica/sociale e prendiamo solo i lavori scientifici, gli altri geografi anarchici hanno senz’altro scritto un po’ meno (almeno a firma propria). Bisogna però segnalare che i vari Pétr Kropotkin, Léon Metchnikoff, Charles Perron, Paul Reclus, Attila de Gerando, per citarne solo alcuni, sono ancora meno studiati del loro più noto collega, e molti dei documenti loro o su di loro si trovano sparpagliati negli ar­ chivi di tutta Europa per non dire di mezzo mondo. Dunque è chiaro che un lavoro definitivo su questo argomento necessiterebbe di un’équipe di ricerca che lavorasse per anni.

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Per questo lavoro mi limito, oltre che a un inquadramento gene­ rale delle problematiche, a focalizzarmi soprattutto su un argomento che attraversa tutta quanta la produzione di questi geografi. La cri­ tica della carta geografica come fonte e strumento della conoscenza del mondo, o meglio della carta come l’hanno intesa fino a quel mo­ mento le rappresentazioni del mondo di epoca moderna e contempo­ ranea. Assieme ad altri, questo argomento è di bruciante attualità quando il geografo moderno si emancipa dalla antica funzione di car­ tografo e astronomo al servizio del principe, per diventare viaggia­ tore, pubblicista, educatore e in molti casi, come vedremo, critico dell’esistente e portatore di un progetto di cambiamento della società. Ed è proprio da quel secolo, il XIX, che dobbiamo ripartire.

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Carl Ritter

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Berlino 1851. In viaggio da uomini liberi

[Penck] è tedesco e, con la nostra alleanza, usciremo da questo abomi­ nevole e vergognoso stallo di “scienza francese e scienza tedesca ” che ci fa venire male al cuore. É. Reclus, lettera a C. Perron, Correspondance, Vol. Ili, Paris, Costes, 1 9 2 5 ,p . 101.

“// libro che compare oggi io l ’ho cominciato ormai da quindici anni, non nel silenzio dello studio, ma nella libera natura. Era in Ir­ landa, in cima ad un poggio che domina le rapide dello Shannon, coi suoi isolotti tremanti sotto la pressione delle acque e la nera sfilata di alberi nella quale il fium e si riversa e sparisce dopo una brusca svolta. Steso sull’erba a fianco di un resto di muraglia che fu un tempo una piazzaforte e che le umili piante hanno demolito pietra su pietra, gioivo dolcemente di questa immensa vita delle cose che si manifestava per il gioco della luce e delle ombre, per il frusciare degli alberi e il mormorio dell’acqua contro le rocce. È là, in quel sito grazioso, che nacque in me l ’idea di raccontare i feno­ meni della terra, e senza indugiare scarabocchiai il piano della mia opera. 1 raggi obliqui del sole d ’autunno indoravano queste prime pagine e facevano ballare su di loro l'ombra bluastra di un arbusto agitato. (...) Non è tutto. Lo posso dire con il sentimento del dovere compiuto: per conservare la pulizia della mia vista e l ’onestà del mio pensiero, ho percorso il mondo da uomo libero, ho contemplato la natura di uno sguardo nello stesso tempo candido e fiero, ricordandomi che

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l ’antica Freya era nello stesso tempo la dea della Terra e quella della Liberia'1. Così suona il maestoso incipit de La Terre. Description des phénomènes de la vie du Globe, prima delle tre più celebri e monumen­ tali opere di Reclus, pubblicata a Parigi in due volumi nel 1867-68. Seguiranno la Nouvelle Géographie Universelle, pubblicata dallo stesso editore parigino fra il 1876 e il 1894 in 19 volumi, e L ’Homme et la Terre, pubblicata postuma a Bruxelles in sei volumi, fra il 1905 e il 1908, dal nipote Paul Reclus. Quello che non è che l’inizio di una immensa produzione scienti­ fica ed editoriale, è presentato già come una specie di traguardo da un uomo prossimo ai quarant’anni, con alle spalle una vita segnata da anni di esilio e da viaggi in due continenti. Il libro coronava una car­ riera di “pubblicista scientifico” avviata da un decennio con nume­ rosi articoli, in particolare sulla “Revue des Deux Mondes”, ed alcune guide turistiche, con le quali l’autore e la casa editrice Hachette si po­ nevano all’avanguardia in un genere che tanto successo ha riscosso nel secolo e mezzo successivo, e del quale tutt’oggi non si potrebbe negare l’attualità. Già dalla citazione riportata possiamo evidenziare alcuni punti fermi di quella che è stata l’opera di Reclus, peraltro in coerenza con le sue scelte personali e politiche. In primo luogo il gusto per la narrazione, per il pittoresco, l’arte di far immaginare al lettore un luogo a partire dall’esperienza estetica; ma per portarlo poi a considerazioni più scientifiche, idea che come vedremo meglio si inserisce pienamente in quel filone di letteratura geografica inaugurato dall’opera di Alexander von Humboldt. In secondo luogo l’idea della realtà terrestre come dotata di una costante dinamica in cui la storia della Terra e quella dell’uomo si in­ trecciano in una continua dialettica che corrisponde, come nel sotto­ titolo dell’opera, alla “vita del Globo” . L’idea dell’analisi dei feno­ meni terrestri come di un insieme preso storicamente, e l’occuparsi della Terra nella sua complessità come quello che essa è, ovvero un globo, sono fra i più importanti punti per i quali l’opera reclusiana si inserisce nel solco dell’altro suo grande maestro, Cari Ritter. Infine, la costante preoccupazione nei confronti dell’etica, di quelle1 1. É. Reclus, La Terre. Description desphénomènes de la vie du Globe. Voi. I. Les Continents, Paris, Hachette, 1870 (2rae édition), pp. I-III.

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che Reclus chiama la ’’onestà della ricerca”, la “limpidezza dello sguardo” , che portano a legare il suo lavoro sulla Terra a un progetto politico, etico e filosofico che saranno la parte più originale e pro­ gressiva della sua opera. Se una dimensione morale c ’è già in Ritter, l’idea dello studio della Terra come strumento di emancipazione dell’umanità assume in Re­ clus e nei geografi anarchici una declinazione assolutamente speci­ fica del fenomeno eccezionale di questo gruppo di studiosi che fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo hanno dato alla storia del pen­ siero un contributo ancora troppo poco studiato. La nascita della geografia come disciplina moderna, fra XVIII e XIX secolo, passa proprio per il concetto di viaggio. Il viaggio alle re­ gioni equinoziali del Nuovo Mondo di Bonpland e Humboldt (17991804), in particolare, segna per molti il passaggio dalla figura del geo­ grafo principalmente cartografo e astronomo tipica dei due-tre secoli precedenti, a quella del geografo come viaggiatore e pubblicista, e successivamente educatore, con l’istituzione della prima cattedra di geografia a Berlino assegnata nel 1820 a Cari Ritter. È proprio dopo aver ascoltato quello che veniva detto da questa cattedra, incontrata durante il suo primo viaggio indipendente, che Reclus sceglie di de­ dicarsi alla disciplina geografica. NelFinvemo fra il 1850 e il 1851, il ventenne Jean-Jacques Élisée Reclus, nato nel 1830 a Sainte-Foy La Grande, nel sud della Francia, figlio di un integerrimo pastore protestante e destinato al sacerdozio, durante un’esperienza come precettore presso la setta dei “Fratelli Moravi” a Neuwied, nel Basso Reno, decide per completare i suoi studi di teologia di andare a Berlino. Qui ha modo di conoscere l’am­ biente universitario e seguire per un semestre le lezioni dell’anziano Cari Ritter, esperienze che contribuiranno a determinare le scelte di vita di un giovane dal temperamento già marcatamente ribelle, non ul­ time il rifiuto della vocazione e lo sviluppo proprio in quei mesi di idee politiche democratiche e progressiste. Seguendo il filo della cor­ rispondenza del geografo, è evidente la determinante importanza che riveste questo soggiorno di 7-8 mesi sia nella sua formazione scienti­ fica sia nelle sue scelte personali. Un’esperienza che ha un importante presupposto: la scuola dei Fratelli Moravi a Neuwied, dove si trovava quell’inverno era la stessa dove Élisée e il fratello maggiore Elie erano stati mandati adolescenti a procurarsi una educazione che doveva es­ sere religiosa. Nel 1850, mentre Élisée toma per dare lezioni agli al­

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lievi più giovani in attesa di decidere cosa fare per se, Elie continua a sua volta gli studi nella non lontana Strasburgo. È importante sottoli­ neare come questa esperienza fa sì che Reclus arrivi a Berlino già con una buona conoscenza della lingua e della cultura tedesca, e con una esperienza della vita e della frequentazione di un ambiente intema­ zionale che lo predispone a trarre il massimo profitto dalle esperienze berlinesi. Come fa notare Paul Reclus, figlio di Elie, nella prefazione alla Correspondance di Élisée, con il primo soggiorno a Neuwied “il cavo [con la fami glia] era staccato, bisognava darsi risolutamente da fare, apprendere a pensare in una lingua sconosciuta, adattarsi a dei ca­ ratteri completamente diversi da quelli a cui era abituato, respirare un’altra aria”2. E a partire da qui che si delineano alcune delle caratteristiche future di Reclus, studioso e militante poliglotta, di mentalità internazionali­ sta, autore di un lavoro scientifico sempre di respiro internazionale. “La sottile differenza della parola francese e della parola tedesca corrispondente fu loro rivelata, e comprendevano altrettanto e me­ glio dei loro compagni tedeschi il fondo stesso della lingua, scopren­ done il mistero. In questo lavoro incessante, che portava ogni giorno ad una preziosa scoperta, furono fortemente aiutati, benché in modo inconsapevole, dai loro colleghi olandesi e inglesi che formavano la grande maggioranza degli allievi e si servivano fra di loro delle ri­ spettive lingue. È così che impararono a conoscere in ogni vocabolo, in ogni passaggio di frase, la sfumatura propria e le transizioni da lin­ gua a lingua”3. Allo stesso modo, i giovani iniziavano a fare esperienza della profondità e della miseria degli odi nazionali, imparando a temerli ma allo stesso tempo forgiandosi un carattere. “A quell’epoca, non erano ancora passati treni’anni dalle guerre napoleoniche, e gli odi nazio­ nali persistevano con una tenacia della quale oggi non possiamo averne una idea, nemmeno nei paesi sconvolti dalla guerra franco­ prussiana. Erano odiati come francesi: damned Frenchmen, french frogs, o froggies, die französischen Schweinigel, il tutto condito oc­ casionalmente di botte”4. 2. É. Reclus, Correspondance, Paris, Librairie Schleicher Frères, 1911, Voi. I, p. 11. 3. Ibid., p. 12. 4. Ibid., p. 13.

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Sullo sfondo quella valle del Reno, perno centrale dei problemi geopolitici europei nei due secoli a cavallo dei quali è vissuto Reclus, intuita già come una unità, come qualcosa che, nel pensiero reclusiano maturo, tutto può essere tranne che un “confine naturale” . Idea che nella Francia degli anni in cui Reclus faceva il geografo era molto difficile portare avanti, perché tutto il pensiero nazionalista conside­ rava proprio quella la funzione del grande fiume. Fiume che dal nostro geografo viene presentato, ritterianamente, come un’entità personifi­ cata, come un vero e proprio attore della storia. “// Reno, ogni volta racchiuso, ribollente e brusco dentro alle sue lastre di ardesia, e largamente luminoso, tranquillo e maestoso fra le sue rive alluvionali, il Reno era veramente un essere a parte: non meno vivente dei ripidi torrenti pirenaici, sembrava meno impressio­ nante forse, ma sembrava avere la maestà di un Dio, tutti i tratti del paesaggio circostante, colline e foreste, città, monumenti isolati, tutto gli faceva da seguito”5. Al ritorno dal primo soggiorno in Germania, i vivaci fratelli Reclus passano i loro guai con la disciplina della Facoltà di teologia di Montauban, iniziata dopo il diploma, perché a quanto risulta dalle notizie biografiche che Paul deriva da un breve necrologio di Elie scritto da Élisée nel 1903, questi alle aule preferiscono l’aperta campagna. Qui oltre che ai primi viaggi a piedi e alle prime esplorazioni si de­ dicano alla lettura di Oken, Schelling, Leroux e Proudhon. In parti­ colare segnaliamo il quarto, considerato uno dei padri fondatori del pensiero anarchico, e il secondo, considerato una delle fonti filosofiche della geografia di Ritter, basata come quella di Reclus su una dia­ lettica binaria che approfondiremo; Schelling era in quegli anni uno dei massimi avversari di Hegel, e aveva insegnato proprio a Berlino dove alle sue lezioni risultano avere assistito fra gli altri Feuerbach, Engels e lo stesso Bakunin. E con queste basi che il ventenne Reclus si reca nuovamente a Neuwied e di qui a Berlino. Nelle lettere che scrive in questi mesi ai genitori, nelle quali avvisa in primo luogo di “essere in una università tedesca, a Berlino”, troviamo la sue prime pagine di geografia: dopo una breve descrizione del viaggio e dei paesaggi attraversati, pos­ siamo leggere questa considerazione sui luoghi d’arrivo: “La Sprée, calunniata presso di noi, è meglio della sua reputazione: prima di en­ 5. Ibid., p. 15.

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trare a Berlino, è larga quasi quanto il Reno ed ha anche una certa profondità. Ciò che ha di singolare, è che più si avvicina alla foce, più si restringe, e la sua corrente si indebolisce; senz’altro viene inghiot­ tita da qualche parte. Del resto, questa contrada è talmente satura d ’acqua che alcuni geologi la considerano una specie di immensa isola fluttuante. Questo non si può vedere sulle carte, ma, a ogni istante, si è fermati da uno stagno, da una palude, da un lago. Nei pressi di Potsdam, l ’Havel si espande come un mare. Singolare paese, che ha anche le sue bellezze, ma non abbaglianti”67. In questi passaggi che delineano uno scenario familiare a chiun­ que abbia dimestichezza con la morfologia delle pianure alluvionali, emergono, e mi pare per questo un documento molto significativo (siamo all’inizio del 1851), due dei punti cardine del futuro metodo reclusiano: la prospettiva comparativa (o “comparante”) che cerca di individuare differenze e similitudini fra oggetti geografici; e l’atten­ zione a quello che non si vede sulle mappe. Pare con questa lettera che sia proprio viaggiando che il futuro geografo si rende conto della dif­ ferenza fra quanto sta scritto sulle carte e la realtà. E dire che Reclus era arrivato a Berlino per imparare ben altre cose, come studente di teologia, devoto protestante (ancora nelle lettere del 1850 proclama la sua incrollabile fede) e destinato in teoria a ripren­ dere la “professione” paterna. “Ma non è necessario che uno studente di teologia segua i corsi di teologia: dipende da lui; non si richiede che una cosa, che segua al­ meno due corsi, di greco o di cinese, poco importa, purché siano dei corsi. Ora, se non si vuole nemmeno seguire questi due, anche qui poco importa, è sufficiente pagarli. Ma fortunatamente, fra centoventi professori, si trova ancora chi ascoltare: fra gli altri Mitsch, con la sua Dogmatica, Ritter, con la sua Descrizione della terra; Schmidt, l'Economia politica; Schultz, la Storia delle malattie; Hergstemberg e altri”1. Dunque il modello innovativo della università tedesca multidisci­ plinare, che doveva garantire almeno in teoria libertà di ricerca alla na­ scente “società civile” borghese che la frequentava. All’interno di un simile ambiente il giovane Reclus dimostra interessi abbastanza sin­ golari per un religioso, quali l’economia politica e la storia delle ma6. Ibid., pp. 33-34. 7. Ibid.,p. 37.

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lattie, ma soprattutto segue la Descrizione della terra di Monsieur Ritter, definizione che altro non è che la traduzione letterale di Erdkunde, il grande progetto storico e scientifico che il padre della geografia aveva inaugurato prendendo la sua cattedra trent’anni prima, per cer­ care risposte sul mondo. Reclus è uno studente povero, si arrangia dando lezioni private, e da un passaggio dell’ultima lettera citata sco­ priamo che già all’epoca conosceva l’italiano. Uno degli aspetti che colpiscono il nostro di questo modello acca­ demico è la libertà di cui si gode alFintemo dell’università medesima; il permesso di svolgere insegnamento e ricerca scientifica in autono­ mia vi era concesso come praticamente unica eccezione dallo Stato di polizia prussiano. “È vero che all'inizio ho avuto delle difficoltà con la polizia, perché l ’ambasciatore prussiano non ha firmato il mio pas­ saporto a Parigi; ho avuto anche l ’onore di dovere ricevere tre volte il gendarme nella mia camera, e di rendergli numerose visite. Infine sono stato dal rettore che mi ha dato un piccolo foglio di soggiorno per una settimana (...) Sono stato iscritto, e ora se un funzionario vuole portarmi al corpo di guardia, non ho che da mostrargli la mia carta di studente e posso andarmene, mentre il mio vicino dormirà in guardina. Giustizia distributiva! ”8. Ancora l’ex studente di teologia ritorna con irriverenza su questa li­ bertà universitaria che scopre assieme ai contenuti disciplinari, rac­ contando alla madre: “Quanto a nuovi dettagli sull ’università, mi sarà difficile dartene. Tutto vi è completamente libero. Si può assistere ai corsi o no. Si può restare cinquant'anni o quindici giorni. Si possono dare gli esami o no. Basta pagare 72 franchi a semestre e, per questa somma, si ha il diritto di insultare la polizia e di non pagare i debiti, trascorso un certo periodo”9. Non è certo che Reclus sia diventato ateo proprio a Berlino, e del resto i suoi maestri di lì certo non lo erano; ma è senz’altro lì che ma­ tura la definitiva decisione di abbandonare gli studi di teologia e la strada del sacerdozio, di certo spinto anche dagli stimoli scientifici e dalle sollecitazioni libertarie appena sottolineate. Nella stessa lettera, dell’aprile 1851, scrive: “Bisogna che mi sia spiegato male nelle mie lettere precedenti perché tu abbia potuto credere che la mia inten­ zione sia diventare pastore; ho parlato sì di studi da continuare, di 8. Ibid., pp. 35-36. 9. É. Reclus, Correspondance, Paris, Alfred Costes, 1925, Vol. III,p. 5.

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scienze da rosicchiare, ma non è, cara madre, per votarmi al santo mi­ nistero. Quest'anno di intervallo nei miei studi [di teologia] ha messo un termine a tutte le esitazioni e sono fermamente deciso a non se­ guire, in questo frangente come in tutti gli altri, che la voce della mia coscienza. Non posso concepire come dei professori riuniti, come dei fedeli stessi potrebbero conferirmi il diritto di predicare il Vangelo, e non accetterò mai nessuna specie di consacrazione, poiché non vi vedo nient'altro che un papismo travestito e incoerente”10. Dunque una netta rottura con le chiese protestanti, accusate nien­ temeno che di “papismo”. Un altro dato certo, a proposito dell’ab­ bandono della religione, è che i richiami alla fede cristiana, presenti nelle lettere da Nieuwied dell’anno precedente, da qui scompaiono per sempre dagli scritti di Reclus. Secondo Paul Reclus, quando Élisée nell’agosto del 1851 rag­ giunge Elie a Strasburgo per intraprendere il celebre viaggio a piedi, in compagnia di un cane, che li porterà a settembre a rivedere la fa­ miglia ad Orthez, il futuro geografo era determinato a rientrare a Ber­ lino entro l’inverno, dove sarebbe stato sul punto di farsi una posi­ zione, se gli avvenimenti di quei mesi non lo avessero portato, alla fine, proprio dall’altra parte del pianeta. Sarà solo nel 1859 che potrà fare ritorno nella città prussiana, sog­ giorno sul quale restano alcuni dubbi. Ben poco si sa, infatti, dei rap­ porti diretti fra Ritter e Reclus, se non che proprio in quell’anno, alla morte del geografo tedesco, il suo allievo, curando la prima tradu­ zione francese di un suo scritto, gli dedica questo ricordo: “È lui che ha tirato fuori la geografia dalla miserabile carreggiata delle no­ menclature, che ci ha fatto studiare con lo stesso spirito la storia della terra e quella degli astri, che ci ha insegnato come un dogma immu­ tabile la vita del nostro globo. Grazie a lui noi sappiamo che i conti­ nenti, gli altipiani, i fiumi e i litorali si sono disposti non a caso, ma in virtù delle leggi del movimento, leggi eterne che fanno gravitare gli astri attorno agli astri, e i continenti e i mari attorno ad un asse cen­ trale (...) Ci basta descrivere in poche parole l ’apparenza esteriore di questo nobile vegliardo, come l ’abbiamo conosciuto durante gli ultimi anni della sua vita, come l ’abbiamo amato. Era di portamento alto e ro­ busto, la sua fronte vasta, la sua figura scolpita potentemente come 10. Ibid., p. 1.

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quella di Goethe, ma aveva di più una grande dolcezza nel suo sguardo e nel suo sorriso. Camminava a passo lento e ineguale e spesso si fermava per riflettere; i suoi occhi, rivolti lontano come se sognassero l ’Asia o l ’Africa lontane, si abbassavano raramente su coloro ai quali parlava; la sua voce, trattenuta bruscamente da un pensiero, si interrompeva di tanto in tanto; si vedeva a ogni suo mo­ vimento che era posseduto dal demone della scienza, e per quanto vecchio e malandato fosse, si sentiva che per lo studio era giovane. I suoi corsi, di una chiarezza meravigliosa, trattavano i soggetti più grandiosi con un linguaggio di una semplicità quasi infantile. Non si riteneva obbligato, come nelle sue opere, a dire tutto; tralasciava le relazioni commerciali, i dettagli statistici oziosi, le lunghe digressioni storiche e biografiche, e si accontentava di indicare semplicemente i grandi fatti. E noi, i suoi allievi, l ’ascoltavamo non solo con l ’intel­ letto, ma anche con il cuore, tanto metteva di dolcezza e grazia in ognuna delle sue parole; tanto metteva di bontà a darci delle spiega­ zioni che accompagnava di incoraggiamenti affettuosi, appoggian­ doci sulla spalla la sua mano paterna. Del resto, come tutti gli uomini grandi per bontà ed intelligenza, aveva l ’ingenuità di un bambino, e la sua anima era troppo pura per sospettare mai la menzogna” u . Lo scritto in questione era la lezione su La Configuration des Continents sur la surface du Globe et de leurs fonctions dans l ’histoire, pubblicata dalla “Revue Germanique”, con un inciso che ci sembra molto importante, ossia che la traduzione del pezzo era stata vista e approvata da Ritter medesimo. Anzi, era stata fatta, come si precisa nella stessa nota introduttiva, “dietro sua richiesta e sotto i suoi occhi.” Non sappiamo però di preciso quando, dato che nella lettera dell’agosto 1859, unico documento in cui Reclus racconta del suo se­ condo soggiorno berlinese, non si parla di incontri con Ritter. Però il programma del viaggio di quell’estate, che prevedeva la partenza da Berlino il 5 settembre, e i buchi temporali della corri­ spondenza relativa, della quale abbiamo due lettere datate generica­ mente agosto, e quella successiva 29 settembre, lascia pensare che la permanenza nella capitale possa essersi prolungata anche qualche set­ timana. Ora, è abbastanza improbabile che Reclus in questo tempo non si sia messo in contatto con l’anziano maestro, che sarebbe morto1 11. Nota introduttiva a C. Ritter, De la Configuration des Continents sur la surface du Globe et de leursfonctions dans l ’histoire, “Revue Germanique” , n . 11/1859, p . 241.

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di lì a un mese, sia perchè c’è comunque in ballo questa traduzione, sia per il ricordo che Reclus nello scritto in questione gli dedica, in base al quale difficilmente il nostro avrebbe dimenticato di fare almeno un tentativo di vederlo. A meno che la traduzione non sia stata fatta prima, in un precedente viaggio o incontro non documentato. Questa traduzione si può quindi considerare una sorta di eredità simbolica che Reclus raccoglie dal maestro degli Erdkunder, la cui impostazione scientifica troverà in lui sia un coerente continuatore, sia un originale innovatore. È il caso a questo punto di fare un ulteriore passo indietro per capire meglio chi era quest’uomo a cui il nostro dedica un necrologio così appassionato, e come si era formato questo ambiente universitario al quale lo stesso Ritter aveva legato il suo nome in maniera indissolubile. Ritter stesso farebbe partire tutto dall’antichità classica, quando Strabone, nei due libri introduttivi ai complessivi 17 della sua Geo­ grafìa, un po’ la “geografia universale” dell’antichità, accusava Eratostene e i suoi seguaci della scuola di Alessandria (il cui maggiore esponente sarebbe poi stato Claudio Tolomeo) di non essere tanto dei geografi quanto degli astronomi. La loro principale preoccupazione era infatti misurare meridiani, paralleli e distanze astrali, per perfe­ zionare quella rete con cui Tolomeo avrebbe “ingabbiato il mondo”; mentre per il geografo di Amasea era compito della geografia lo stu­ dio delle realtà umane e politiche dei popoli de\V Ecumene, cioè del mondo abitato, in relazione ai territori in cui vivono. O forse da ancora prima, quando già nel quinto secolo avanti Cri­ sto le prime carte geografiche, i pinakes di Anassimandro e successori, venivano sottoposte ad esame critico nelle Storie di Erodoto. Il grande logografo di Alicarnasso, per Reclus e per Ritter, è del resto padre della geografia quanto della storia, che come vedremo sono conside­ rate pressoché la stessa cosa. Lo stesso Ritter, che si considerava seguace di Strabone, ci spiega questa contrapposizione originaria: “Eratostene di Cirene è il padre delle geografìa astronomica; Erodoto e Strabone sono a ll’origine della storia geografica e della geografia storica,12” Ma per questa trattazione ci accontenteremo di partire dalla Ger­ mania del XVIII secolo, quando un fenomeno nuovo e singolare viene 12.

C. Ritter, Introduction à la géographie générale comparée, Paris, Les Belles

Lettres, 1974, p. 55.

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a mettere in discussione certezze consolidate e pare voler dire molto di più di quanto non dichiari: il concetto di “regione naturale”. Secondo la storiografia tedesca è proprio da qui che comincia, con la pubblicazione nel 1726 dei l'opera di Policarpo Leyser, Commento sul vero metodo della geografia, la cosiddetta “geografia borghese”, che ha una particolarità: nasce contro la geografia di Stato, rivendica l’indipendenza della produzione scientifica dalle necessità della “geo­ grafia del principe”, basata sulle enumerazioni e sui confini politici in rigoroso ordine gerarchico secondo la conformazione dello Stato ari­ stocratico-feudale. La geografia della “regione naturale” rivendica dunque il proprio diritto a porsi come “geografia pura”, ricerca neutrale su spazi che non sono quelli connessi alla struttura statuale e alle sue denomina­ zioni. Il dibattito del secolo successivo, in cui i “geografi di Stato” at­ taccano duramente le nuove concezioni, dà conto dell’importanza dell’elaborazione di un sapere che fa della sua apparente neutralità la sua massima forza politica. Perché avere nuovi strumenti per definire e rappresentare il mondo fa parte della strategia che sarà definita del “Weltbiirgerplan, il piano borghese di dominio mondiale, fondato sulla presa indiretta del potere: staccarsi dallo Stato Assoluto - si tratta dello stadio dell’opinione pubblica, della società civile —in un primo tempo per sottrarsi alla sua influenza, ma in un secondo tempo per occupare lo Stato in modo apparentemente apolitico proprio sulla base di tale distacco”13. Per fare questo è necessario dotarsi di una propria concezione del mondo, e di una visione alternativa a quella degli allora geografi di Stato, che era basata sulla misurazione e l’elenco di dati e definizioni. E non da ultimo sulla ragione cartografica: fra XVII e XVIII secolo la cartografia e la geodesia si affermano come le scienze con cui il prin­ cipe conosce, ossia misura e rappresenta, il suo Stato. La Carta di Francia dei Cassini, commissionata da Luigi XV ne è solo uno dei tanti esempi in Europa. A questo punto, per sconfiggere la “corte delle vecchie verità” dell’assolutismo, la geografia borghese deve fondare la propria disciplina come scienza: e questa scienza deve funzionare secondo principi diversi da quelli dell’enumerazione, e della ragione cartografica. La regione naturale, ad esempio, permette di sganciarsi dalla necessità di studiare i luoghi all’interno dei loro confini politici. 13. F. Farinelli, l segni del mondo, Firenze, La Nuova Italia, 1992,p. 115.

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Ma il tentativo più incisivo da questo punto di vista, e più ricco di conseguenze per la geografia europea, avviene in Germania nella prima metà del XIX secolo proprio con la Erdkunde. In un contesto di forti tensioni sociali (siamo a cavallo fra le due “rivoluzioni borghesi” del 1789 e del 1848) da una parte la cattedra di geografia assegnata nel 1820 a Cari Ritter aH’Università di Berlino porta questa società ci­ vile aH’interno di una istituzione; dall’altra i viaggi di Alexander von Humboldt infiammano la fantasia del mondo borghese e alimentano speranze più o meno “rivoluzionarie” . La fondazione della nuova scienza geografica è l’obiettivo dichia­ rato da Ritter quando, dopo la pubblicazione dei 21 volumi della sua monumentale Erdkunde, introduce la pubblicazione di una raccolta di scritti, soprattutto lezioni e discorsi, che costituiscono un riassunto proprio del suo pensiero teorico, alcuni dei quali tra l’altro precedenti l’opera maggiore. “La presente opera non apporta nulla di nuovo; ma il suo contenuto merita l ’attenzione di tutti coloro che lavorano a fare della geografia una scienza. In effetti, se noi assistiamo oggi a una proliferazione di opere di geografia, il loro apporto teorico lascia a desiderare”14. Come lascia forse un po’ a desiderare la traduzione francese del ti­ tolo di questa raccolta Introduction à la Géographie Générale compare'e, pubblicata nel 1974 da Gorge Nicolas-Obadia, lo stesso errore che è stato recentemente rimproverato alla definizione italiana di Olinto Marinelli (solo definizione, perché la versione italiana degli scritti di Ritter deve ancora uscire), che quando cita Ritter nella introduzione al suo Atlante dei tipi geografici, parla di “geografia comparata”. “Marinelli nega addirittura la natura geografica dell’opera di Rit­ ter, che gli pare semplice corografia, e traduce, la - vergleichende Geographie - dal titolo di questa con —geografia comparata —e non - comparante - come avrebbe dovuto, con ciò (...) espungendo dal sapere geografico ogni idea di processo, di indeterminatezza, di work in progress, insomma appunto di vita”15. Per comprendere questo presupposto bisogna appunto pensare a quanto si diceva della necessità di fondare una scienza che non di­ pendesse dalle vecchie rappresentazioni. Una scienza in movimento, 14. C. Ritter, Introduction à la géographie générale comparée, cit., p. 37. 15. F. Farinelli, Sui tipi non cartograjabili, in Atlante dei tipi geografici, Firenze, 1GM, 2004, p. 77.

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che alla staticità, cioè allo stato, opponesse la continua ricerca su un’entità, il mondo, che è in continuo movimento. E dunque per co­ noscerlo non bastano le misurazioni e le carte, che sono statiche. Per Erdkunde si intende, con J.G. Liidde “un discorso troppo com­ plicato per poter essere scritto”'^ . Anche etimologicamente, “rac­ contare” la Terra non è la stessa cosa che dire “scriverla”: il richiamo dei geografi tedeschi della prima metà del XIX secolo era dunque al logos prima che alla graphé. Parla molto chiaro in merito Ritter quando afferma che “per lo stu­ dio della geografia generale comparata [sic] le migliori carte gio­ cano lo stesso ruolo dei preparati in fisiologia. (...) Se la geografia vo­ lesse utilizzare la sua raccolta completa di carte come risorsa principale per amministrare la prova della sua scienza - e un buon numero di sistemi geografici non se ne sono privati - arriverebbe a commettere errori ancora più mostruosi di un fisiologo che dissezio­ nasse un cadavere per studiare il cuore vivo o il fenomeno della vita stessa, senza rendersi conto di non avere davanti che un corpo privo di vita, una grossolana caricatura del corpo umano”1' . Quindi una critica in primo luogo concettuale della scrittura carto­ grafica; non è in discussione in questo momento che le carte siano fatte bene o male, mentano deliberatamente o no. Si tratta di conside­ rare che, nella metafora di Ritter, anche le carte migliori stanno alla teoria critica della Terra come “i preparati alla fisiologia” , cioè non hanno di per sé alcuna importanza per definire la scienza in questione. In questo modo Ritter reagisce alla “dittatura cartografica” in vigore fino a quel momento in geografia; una metafora implicita, se vo­ gliamo, dell’assolutismo. Il luogo in cui si svolge l’insegnamento e la trattazione di questo sa­ pere critico è proprio l’Università, che negli anni in cui viene asse­ gnata la cattedra a Ritter abbandona definitivamente la tradizione me­ dioevale per affermarsi come luogo pubblico, retto dallo Stato. Questo da una parte ha interesse a formare una certa parte dei suoi cittadini, dall’altro garantisce in cambio, al loro interno, la libertà di espres­ sione e di ricerca. Dunque concedendo un luogo di elaborazione per quella scienza presunta “neutrale” che però elabora strumenti che neu­ trali non sono. Il patto è che il potere non vi ingerisca.167 16. F. Farinelli, ¡segni del mondo, cit., p. 120. 17. C. Ritter, Introduction à la géographie générale comparée, cit., pp 61-62.

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È con questa specie di compromesso che nasce questa idea di sfera pubblica, ed è questa libertà che colpirà Reclus nel 1851. Come lo colpirà, però al contrario, più di quaranta anni dopo, quando la bor­ ghesia ha già consolidato il suo potere e non valgono più questi pre­ supposti. Anche se sopravvivono a lungo in Europa istituti di tutela della libertà di ricerca (che come vediamo è ancora oggi oggetto di scontro e di rivendicazione) come certe legislazioni universitarie che consentono l’ingresso della polizia negli Atenei solo con il permesso degli organismi accademici. Dicevamo del carattere “vivo” dell’oggetto della ricerca, che as­ sume nel contesto una sua individualità e una sua personalità: la Terra, individuo planetario dotato di una sua autonomia e di una sua dina­ mica, mai sganciata però dall’altro polo con il quale è in costante ten­ sione, e del quale viene costruita a immagine e somiglianza: l’uomo. Nella fattispecie, nella definizione di Ritter, di “uomo morale”, der sittliche Mensch, ossia come traduce Nicolas-Obadia, “ogni essere umano che si sia dato una linea di condotta”, cioè l’individuo che si è formato degli strumenti critici. Il termine Erdkunde infatti significa in primo luogo “conoscenza della Terra”, ma conoscenza che assume i caratteri della storicità e del sapere critico. Questo però necessita, come si diceva, di una teoria di riferimento, perché come dice lo stesso Ritter l’assenza di una teoria esplicita non solo non porta a risultati, ma non è affatto una garanzia di imparzialità. Teoria che nel caso del geografo tedesco non deve essere un si­ stema chiuso, ma è semmai l’indicazione di una serie di linee meto­ dologiche, per una ricerca che deve rimanere aperta. La prima indicazione individua l’insieme complessivo della ri­ cerca, che è necessariamente il globo. Il globo che però non è un con­ cetto assoluto da prendere come insieme indifferenziato, ma un punto di partenza da vedere in costante relazione dialettica fra le sue parti. “Se H genere umano intero non può essere pensato indipendentemente dal globo terrestre, l ’individuo così come il popolo il cui rapporto di dipendenza con la terra è ancora più forte (...) non possono accedere ad una identitcì senza avere coscienza del posto esatto che occupano sulla terra,18” Il rapporto fra il globo e le sue singole componenti in Ritter è simile a quello che hanno il Tutto e le Parti nella concezione di Friedrich 18. Ibid.,p. 45.

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Schelling, assieme a Platone uno dei suoi principali punti di riferi­ mento fdosofici. C’è nel pensatore della Filosofia della natura un dinamismo dia­ lettico fra questi due poli che non è quello hegeliano della tesi, dell’an­ titesi e della sintesi, ma un rapporto di interdipendenza per cui il tutto non può essere capito se non a partire dalle parti e viceversa. Questa dialettica binaria è la stessa che troviamo fra il globo e l’umanità, terra e uomo, natura e cultura, due facce della stessa medaglia che devono sempre essere viste una in relazione all’altra; essendo compenetrate ognuna rivela dell’altra elementi, in modo che per conoscere il tutto devo necessariamente considerare le sue parti e viceversa. Per Ritter questi due termini, quando si applicano al globo e all’umanità, sono spiegati con l’esempio del “corpo” e dell’“anima” . Invece Proudhon, per la sua dialettica binaria (o seriale) parago­ nerà i due termini del confronto, o contrasto, dialettico ai due poli di una batteria elettrica. E già sappiamo che Reclus, il quale si rifà spesso a quest’ultima metafora, proprio su Schelling e Proudhon, già prima di Ritter, basava le sue letture giovanili in occasione delle citate “fughe” dal seminario di teologia. Ma dobbiamo dire ancora, per Ritter, che lo stesso utilizzo della forma del globo significa agire in un ambito di studio che non è ri­ conducibile alla carta: perché non è riducibile come concetto a un piano di due dimensioni; perché presuppone una forma dinamica, sulla quale possa avere luogo la costante dialettica che dicevamo; e so­ prattutto perché non ha un centro, nessun punto della sua superficie ha titolo per potersi mettere in relazione gerarchica con un altro punto. Per indagare questa dialettica si esplicita l’altro elemento della defi­ nizione, con l’aspetto di costante apertura della ricerca che implica il metodo “comparante”. L’importanza di quest’ultimo ci è stata insegnata proprio da Erodoto, che “ha saputo intuire per primo l ’importanza di una tale idea per la geografia. Ed è con consumata arte che la sfrutta per comparare l ’Africa all’Europa confrontando il Niger e Vlster”19. Per la comparazione, prescrive Ritter, è necessario procedere di os­ servazione in osservazione e non dall’opinione o dall’ipotesi all’os­ servazione. Dunque, se il mondo e le sue parti si spiegano reciproca­ mente, è necessario procedere a individuare di volta in volta i nessi che producono significato, a partire dagli individui geografici, conti­ 19. Ibid., p. 56.

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nenti, penisole, mari, monti, fiumi. Su questi, uno dei punti di partenza della ricerca deve proprio essere lo studio comparativo delle “forme fisse” terrestri e le “forme mobili” liquide, che acquistano significato in relazione al globo, il Tutto del quale portano alTintemo il senso es­ sendone Parti, e in relazione alla storia delTumanità. Significati che vanno cercati nelle dinamiche proprie della Terra, nelle sue forme irregolari che ci spiegano movimenti geologici e mo­ vimenti storici delle popolazioni, in quelle forme apparentemente in­ coerenti e complesse che se interpretate ci possono dare più risposte sulla Terra, di quante non ce ne sappiano dare i calcoli geodetici e astronomici per quanto precisi e coerenti dei seguaci della scuola di Alessandria. “Le formule magiche che permettono di tracciare le linee rette e trasversali puramente immaginarie, i meridiani e gli equatori presi dall’aspetto matematico del globo terrestre, per essere applicabili alla sua natura fisica, non bastano a incatenare i nostri spiriti più di quanto non possano far deviare gli astri dal loro corso celeste”20. Ci serve ancora citare alcuni concetti con i quali possiamo inda­ gare la forma della nostra superficie planetaria. Ritter descrive una dimensione geografica, definita dalle dimensioni orizzontali di lun­ ghezza e larghezza, e una dimensione fisica, che è data dalle altezze e dalle profondità. Quest’ultimo concetto è sempre stato il più proble­ matico per la geografia basata sulla ragione cartografica, la cui fina­ lità è proprio togliere questa terza dimensione al mondo. Non è un caso che la “geografia matematica” sia arrivata relativamente molto tardi ad occuparsi della misurazione di quote, rispetto a quella di di­ stanze piane. La successiva dimensione, quella temporale, come anche l'intensità e l’estensione dei fenomeni, sono ugualmente in gioco nella dinamica ritteriana. Per fare ricerca geografica è su questi concetti metodologici che bisogna interrogare le nostre fonti. Queste sono ovviamente le basi necessarie di qualsiasi elaborazione: negli scritti di Ritter si insiste molto sulla preliminare e continua critica delle fonti medesime, della quale ancora una volta il maestro è Erodoto. Se bisogna andare da osservazione a osservazione, la prima e più utile di tali fonti è ovviamente l’osservazione diretta. Bisogna come dicevamo diffidare delle carte, anche se per Ritter quelle poche che 20. Ibid., p. 73.

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sono fatte bene possono essere usate per ricavarne informazioni. Una risorsa ulteriore, oltre l’osservazione personale, è l’esame di tutta la letteratura dei resoconti e delle osservazioni di altri; in quel periodo del resto la letteratura geografica si arricchiva continuamente di nuovi contributi derivati da studi ed esplorazioni. E non solo di Paesi lontani; fra XVIII e XIX secolo, per motivi che diremo, ha luogo una vera e propria esplorazione delle montagne europee, prima quasi sconosciute come oggetto di ricerca scientifica. Una ricerca che, basandosi sulla critica e la comparazione, non può però chiudersi in ristretti ambiti disciplinari. Proprio in riferimento a quell’alba del pensiero spuntata qualche millennio fa sul mare Egeo, in cui la geografia è nata assieme a quelle che oggi chiamiamo la sto­ ria e la filosofia, non si può oggi fondare epistemológicamente la geo­ grafia se non assieme alla storia. “La scienza delle relazioni terrestri spaziali non può continuare a fare a meno di una dimensione tempo­ rale o quadro cronologico più di quanto la scienza delle relazioni ter­ restri temporali non possa fare a meno di un teatro o quadro spaziale dove le relazioni si sono per forza dispiegate. La storia deve in effetti avere un quadro spaziale per fa r si, (...) ma la scienza geografica non può egualmente essere privata del fattore storico”21. A questo punto possiamo già dichiarare che, essendo incontesta­ bilmente Reclus allievo diretto di Ritter (vedremo poi come interpre­ terà il suo pensiero alla luce della traduzione sulla "Revue Germanique”), una delle cose che ci interessa affermare è che non solo l’opera scientifica di Reclus, ma anche quella dei geografi anarchici del suo milieu, dei quali prenderemo qui in considerazione solo Perron, Metchnikoff e Kropotkin, inquadrano la loro attività scientifica sulla scia di questo filone principale della geografia europea del XIX secolo. Si inseriscono dunque a mio avviso nel dibattito scientifico inter­ nazionale della loro epoca a partire da quello che era forse il suo punto più avanzato. Vedremo infatti che anche i tre geografi citati condivi­ dono, se non tutti almeno in buona parte, i seguenti punti delle pro­ blematiche della Erdkunde di Ritter;1 1. La concezione del mondo e della geografia secondo un principio dina­ mico, dai movimenti della geologia a quelli deH’umanità, ed il conseguente approccio comparante, di ricerca aperta e in divenire. 2I.Ib id .,p . 133.

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2. L’assunzione in questo senso di una prospettiva globale, della terra e dell’umanità. L’aforisma ritteriano per cui “la terra è la casa dell’educazione del genere umano’’ sarebbe sottoscritto da tutti i geografi in questione. Una globalità, dunque, non riducibile alla ragione cartografica. 3. La conseguente critica del documento cartografico sotto le sue varie forme, che viene qui utilizzata come argomento portante per il collegamento e il paragone fra i diversi autori. 4. L’utilizzo di una dialettica binaria, o seriale. Abbiamo detto di Schelling e Proudhon. Soprattutto in Reclus è molto forte questa continua compene­ trazione fra uomo e natura come poli interagenti. Ma nella sua opera si vedrà anche la definizione di una dicotomia sociale portante: quella fra autorità e li­ bertà, fra giustizia e oppressione, destinate nella sua visione ottimistica a muovere la storia verso punti di confronto sempre più “alti”. 5. La costante dimensione storica nel metodo, e la concezione anche qui della storia e delle geografia come due aspetti della stessa ricerca. Anzi ritterianamente come due termini in costante tensione. “Se la storia comincia all'inizio con l’essere “tutta geografia”come dice Michelet, la geografia di­ viene gradualmente “storia”per la reazione continua dell’uomo sull’uomo. [...] Vista dall’alto, nei suoi rapporti con l ’Uomo, la Geografia non è altro che la Storia nello spazio, così come la Storia è la Geografia nel tempo”22. 6. La consapevolezza della natura politica del sapere, e delle problemati­ che che implica il rapporto fra questo e l’ideologia. Se il sapere degli Erdkunder vuole fornire degli argomenti alla rivoluzione borghese, quello di Reclus e soci lo vuole fare a favore della rivoluzione sociale in termini comunisti anarchici. Una differenza sta nel fatto che qui l’intento politico si fa esplicito, e il geografo è disposto a combattere non solo su una cattedra, ma anche in un battaglione della Comune di Parigi. Un punto in comune è che entrambe le scommesse hanno conosciuto (almeno nelfimmediato) una sconfitta. Per completare il quadro, e capire anche la sconfitta politica degli Edkunder, bisogna dire qualcosa sull’altro grande esponente di questa scuola, a sua volta punto di riferimento per tutti coloro che volessero fare della geografia ai tempi in cui si formano Reclus e Kropotkin: Alexander von Humboldt. I viaggi di quest’ultimo sono un classico, ma un classico che merita sempre qualche commento. A partire dal primo, quello che compie nel 1790 in compagnia di Georg Forster, scendendo lungo il basso 22. É. Reclus, L ’Homme et la Terre, Paris, Librairie Universelle, 1905.

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corso del Reno fino ad arrivare a Londra. La destinazione, per via in­ diretta, era la Francia, la Rivoluzione. Il compagno della spedizione, figlio del naturalista Reinhold e reduce della circumnavigazione del globo sulle navi di Cook, era un giacobino convinto, che avrebbe ten­ tato, con la Comune di Magonza, di sovvertire materialmente l’or­ dine dell’antico regime. Mentre Humboldt incarna, politicamente, la contraddizione della Erdkunde: barone e cortigiano, professa sempre idee repubblicane, ma dopo anni di vita da viaggiatore e pubblicista “parigino” , a un certo punto accetta di rientrare a Berlino per svol­ gere incarichi a Corte. Di qui il detto “lavorare per il re di Prussia” . Ma il suo viaggio alle regioni equinoziali, svolto con Aimé Bonpland fra il 1799 e il 1804 attraverso varie regioni dell’America setten­ trionale, centrale e meridionale, è considerato una sorta di seconda sco­ perta dell’America, o, per dirla con lo stesso Reclus, “una nuova scoperta del mondo colombiano che diede un così vivo impulso allo spirito di ricerca e allo studio della natura”23. Humboldt, con i suoi re­ soconti, pubblicati in diversi volumi e poi alla base dell’opera monu­ mentale dei Cosmos, è stato in grado di dare alla cultura ed all’opinione pubblica europea delle conoscenze e delle categorie interpretative che sono state le basi di una nuova maniera di pensare la geografia. E dun­ que degli strumenti nel senso della citata costruzione di una nuova scienza, per quel progetto di presa indiretta del potere che dicevamo. Anche a partire da una rottura con il vecchio modo di fare geografia. In un’opera fra le meno conosciute di Humboldt, VExamen critique de l'histoire de la géographie du Nouveau Continente tradotta in ita­ liano con il titolo, un po’ ambiguo, di L ’invenzione del nuovo Mondo, con il pretesto della scoperta dell’America emergono le critiche humboldtiane alla geografia precedente e anche successiva a questo av­ venimento. Nella fattispecie si analizza a lungo la possibilità di con­ cepire il globo e gli antipodi, quasi più diffusa nell’antichità greca e romana che nella prima modernità. Si parte dalla questione di chi o cosa avesse suggerito a Colombo l’idea del suo viaggio, dibattito che evidentemente era vivo allora come lo ritorna ad essere di tanto in tanto, quando si presume di avere scoperto questa o quella fonte, questa o quella mappa inedita, che avrebbe indicato il cammino al navigatore genovese. 23.

É. Reclus, Nouvelle Géographie Universelle. Vol. XV. Amérique Boréale, Paris,

Hachette, 1890, p. 49.

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L’autore dei Cosmos si dimostra estremamente disincantato nei confronti di queste pur affascinanti ipotesi, ed affronta in maniera cri­ tica la storia delle opinioni geografiche che hanno circolato nel milieu culturale mediterraneo dall’antichità fino al XV secolo, concludendo che l ’idea di una terra al di là dell’oceano non era di certo nuova ai tempi di Colombo, ma il proposito di organizzare una spedizione per arrivarci materialmente ed insediarvisi è evidentemente qualcosa che ha potuto maturare solo nell’ambito culturale, economico e politico del XV secolo. Humboldt ne approfitta per sottolineare, non senza una certa ironia, che certe teorie sono state semplicemente errori, e l’abitudine dei geo­ grafi a ricopiare acriticamente quanto trovano scritto nelle mappe porta alla comparsa in molti documenti di terre, o isole, che non deri­ vano dai resoconti perduti di qualche precursore di Colombo: sem­ plicemente non esistono. Fin dall’antichità, sottolinea Humboldt, l’idea che potessero esistere terre agli antipodi non era affatto ignota. Ne parlano Strabone, Macrobio ed Aristotele. Alcuni riferimenti si trovano pure nella Bibbia, in quel libro di Esdra che sarebbe stato una delle fonti direttamente consultate da Colombo. Anche nei miti più antichi, riportati da Plutarco e Omero, si citano il continente Cranio e l’isola di Ogigia, luoghi dove sarebbe stato imprigionato appunto Crono dopo la sua sconfitta ad opera di Zeus. Humboldt non poteva certo conoscere gli studi sulla dimensione del mito prodotti negli anni ‘70 del ‘900 da De Santillana e von Dechend, ma aveva senz’altro una sua idea di come si ragionava nell’an­ tichità e di come nel concetto di antipode non ci fosse nulla di strano. Ancora nel mondo romano, Seneca e Tacito disquisiscono sulle settimane di navigazione necessarie a raggiungere le terre di là dall’oceano, e addirittura nel periodo tardo-antico la Topographia Cri­ stiana (attribuita a Cosma Indicopleuste), uno dei pochissimi testi che abbiano negato la sfericità della terra, parlava comunque di isole oltre l’oceano medesimo dove si sarebbe trovato il paradiso terrestre. Sintesi di questo pensiero antico sono gli scritti di Al-Idrisi, geo­ grafo arabo del XII secolo (ma in realtà si potrebbe considerare l’ul­ timo dei geografi greci), che parla della possibilità, navigando lunga­ mente a Ovest, di poter raggiungere le isole Fortunate dopo aver varcato però il Mare Tenebroso, con molte difficoltà alla navigazione determinate dalla poca luce. Questa era dunque la situazione dei “miti geografici” su cui vanno a intervenire i cartografi della prima moder-

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nità, che però secondo Humboldt più che registrare dati inventano, o tendono a ripetere tradizioni precedenti. “Occorre in primo luogo di­ stinguere tra i supposti tentativi di trovare nuove terre a ovest e l ’in­ fluenza che hanno esercitato sull’opinione dei navigatori l'interpre­ tazione azzardata di alcuni fenomeni naturali così come le fantasie e le ripetizioni dei costruttori di carte”24. Dunque il potere della carta nel formare le opinioni, anche se ma­ gari non ci si preoccupa della loro veridicità. Vari esempi vengono portati sulle presunte localizzazioni di isole oceaniche come Antilia o San Brandano, miti molto presenti nel Medioevo ma secondo Hum­ boldt difficilmente identificabili con qualche terra esistente, date le grandi contraddizioni e imprecisioni con cui vengono di volta in volta localizzate, talvolta anche a centinaia di miglia di distanza da una carta all’altra. Simile discorso, per Humboldt, vale anche più a nord per la mitica Frislandia riportata dalla relazione dei fratelli Zeno, terra che ad esem­ pio Malte-Brun identificava con le isole Pier 0er, ma che non con­ vince affatto Humboldt per la grande approssimazione delle informa­ zioni lasciate dai navigatori veneziani. Così non si escludono neppure viaggi antecedenti a quello colom­ biano, non documentati ufficialmente perché non autorizzati dai ri­ spettivi sovrani, ma le notizie più disparate e leggendarie che arrivano vengono utilizzate dai cartografi più che altro per rafforzare conget­ ture già presenti. “Circolavano a Siviglia e a Lisbona notizie diffuse da viaggiatori clandestini; e gli autori delle carte che venivano trac­ ciate in quel tempo, con estremo entusiasmo, in tutte le città marit­ time, approfittavano di quelle notizie, vere o false, snaturandole me­ diante combinazioni congetturali”25. Un problema, quello dell’affidabilità del documento grafico, che porta Humboldt a precisare, nella prefazione al suo Atlante fisico e politico del Regno della Nuova Spagna, frutto del soggiorno messi­ cano al termine del citato viaggio, l’importanza dell’approccio critico alle fonti, sia per chi usufruisce delle carte sia per chi le confeziona. “Quando un atlante si fonda su delle osservazioni astronomiche o su delle misure prese all’autore [...] il geografo è in diritto di richiedere 24. A. von Humboldt, L ’invenzione del nuovo mondo, Firenze, La Nuova Italia, 1992, p. 266. 25. Ibid.,p. 196.

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un ’esposizione ragionata dei mezzi di cui ci si è serviti per verificare le posizioni dei punti più importanti”26. Ancora all’inizio del XIX secolo lo stesso posizionamento delle terre che visitava Humboldt nella rete dei meridiani e dei paralleli ve­ deva pareri divergenti con scarti di parecchie centinaia di chilometri, che gli davano non poco lavoro in termini di verifica e confronto delle varie fonti. In occasione della preparazione dei due atlanti fisici annessi alle pubblicazioni “americane”, Humboldt si scontra, e ne rende conto al lettore, proprio con quelle che sono le problematiche della rappresen­ tazione del terreno, le soluzioni a volte assolutamente fantasiose, o fur­ besche, che trovano i cartografi per rappresentare il rilievo terrestre: “Più questo linguaggio geroglifico è vago, meno si espone all’errore”. Questo si ricollega alla problematica della “dimensione fisica”, la famosa terza dimensione che si fa fatica a inserire. Un altro problema, che si ripeterà identico, una cinquantina di anni dopo, in occasione delle esplorazioni della Siberia del Principe Kropotkin, sarà l’inade­ guatezza degli strumenti che esistevano in Europa, prima a livello concettuale che grafico, per descrivere gli altipiani, “tipo geografico” diverso da quelli diffusi in Europa, con il quale si trova a doversi con­ frontare Humboldt in Messico. Ma per ricavare questo atlante si poneva comunque un problema alla base: “Le proiezioni orizzontali che si conoscono normalmente con il nome di carte geografiche, non fanno conoscere che in maniera molto imprecisa le irregolarità del suolo e la fisionomia del paese” 27. Ma è il terzo degli atlanti, humboldtiani, non “fisico” né “politico”, ma “pittoresco”, pubblicato in Francia col titolo Vue des cordillères et des monuments des peuples indigènes de l ’Amérique, che assieme al celebre libro Quadri della Natura, ci può fornire un esempio dello stru­ mento conoscitivo utilizzato da Humboldt per dare uno spessore scien­ tifico alla cultura borghese del suo tempo: il concetto di paesaggio. Offrire al lettore l’idea di un “quadro della natura”, o mostrargli una “veduta pittoresca”, significa incidere in primo luogo sul suo senti­ mento estetico. E quello era generalmente il livello conoscitivo della borghesia in quel momento. Nella descrizione della navigazione 26. A. von Humboldt, Essai politique sur le Royaume de la Nouvelle Espagne, Paris,F. Schoell, 1811, p .l. 27. Ibid.,p. LXVII.

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dell’Orinoco o della scalata delle Ande, nel disegno di un vulcano in­ nevato (esotico anche perché “paradossale”) o di una piramide maya la fantasia è libera di viaggiare in quegli spazi “liberi” in cui non è ancora arrivato il potere dei governi dominanti in patria. In maniera simile si può spiegare l’interesse crescente in quegli anni, anche a livello arti­ stico, per la montagna. Da sempre luogo dimenticato, “scabroso” e ri­ fugio di minoranze, diventa una specie di versione più vicina dei tro­ pici, e la si comincia ad esplorare e descrivere sistematicamente. Il salto scientifico avviene quando dalla impressione estetica (l’ori­ ginario Eindruck) ci si passa a focalizzare su un aspetto preciso, analiz­ zandolo e prendendolo in considerazione singolarmente (Einsicht). Con questo passaggio siamo arrivati a scomporre l’impressione sensibile, il tutto, nelle sue parti. Ricomponendo le parti prese in considerazione con il tutto originario si arriva alla fase finale dello Zusammenhang, la totalità connessa o sintesi conoscitiva. In questo modo siamo arrivati al pensiero scientifico da un’impressione che non lo era, in altre parole il savant ha convinto il diffidente borghese europeo a studiare la geogra­ fia e le scienze naturali. E corrisponde in questo ai dettami metodologici di Ritter, che considerava Humboldt il principale punto di riferimento per le ricerche sul campo, e sul globo, della geografia “comparante”. “Nel linguaggio della scienza odierna lo Zusammenhang di Hum­ boldt corrisponde alla complessità, anzi alla complessità globale. Ed è indubbio che quando sifarà davvero la storia del pensiero globale, cioè della globalità, a Humboldt spetterà un posto di assoluto rilievo”28. Il paesaggio acquista forza nell’idea humboldtiana perché non coincide con un oggetto di studio, ma è un dispositivo metodologico da applicarsi all’oggetto medesimo. Un concetto di cui si è successi­ vamente perso in geografia il significato originario. Ma saranno i fatti a far svanire le illusioni di poter cambiare qual­ cosa tramite il sapere. In Prussia, la parte più conservatrice della bor­ ghesia troverà la strada più conveniente nell’allearsi con le istituzioni aristocratico-feudali, dimostrando che le armi della critica non erano sufficienti contro il piombo della repressione. E stavano lì a dimo­ strarlo i morti delle barricate di Berlino del 1848, ai quali Humboldt rende omaggio silenziosamente per poi non prendere più, in vecchiaia, posizione pubblica su nulla. Continuando a essere ricevuto a corte, e 28. F. Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Torino, Ei­ naudi, 2003, p. 43.

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sentendosi alia fine come il celebre pappagallo degli Atures dei Qua­ dri della Natura, un animale che era rimasto l’unico a parlare la lingua di questa tribù amazzonica estinta. Lui che era anche fratello di un im­ portante studioso di linguistica, a questo punto “appare proprio come l ’ultimo parlante di un mondo sparito sotto i suoi stessi occhi”29. Me se VErdkunde ha fallito sul piano politico, non significa che non possa costituire un punto valido di partenza per una riflessione sul sa­ pere, in particolare per quella sua branca così strategica che è la geo­ grafia. Sotto il profilo scientifico, la traduzione dello scritto di Ritter ap­ parso nel 1859 sulla “Revue Germanique” è in qualche modo il punto di contatto esplicito fra VErdkunde medesima e i geografi anarchici. Nella raccolta curata da Obadia lo scritto viene presentato in due diverse traduzioni francesi: quella di Reclus e quella di Obadia mede­ simo, che riteneva la prima inadeguata in quanto non teneva in consi­ derazione la terminologia di Schelling, “oscurando” in qualche modo f intertestualità fra quest’ultimo e il testo ritteriano. Non essendo inte­ ressati all’esegesi di Schelling, ma al passaggio di concetti geografici da Ritter a Reclus, nei termini precisi in cui quest’ultimo li riprende, terremo ovviamente in considerazione la versione reclusiana. Confor­ tati anche dal fatto che, contrariamente a tutte le altre, questa versione sarebbe stata fatta proprio “sotto gli occhi” dell’autore originale. Per cominciare, è previsto che il lettore abbia a disposizione un globo, anche da tavolo, per poter seguire il discorso, che si sviluppa appunto sulla sua superficie. Per quanto riduzione comunque imper­ fetta, è la rappresentazione sferica l’unica che riesce a darci, a grandi linee, un’idea delle relazioni reciproche fra i componenti della super­ ficie del globo. Già a questa scala molto ridotta, emerge a prima vista un apparente caos, perché non si scorgono regolarità nel disegno così intrecciato e complesso nei frastagliati contorni dei corpi terrestri. Tanto da chiederci se possa esistere una qualche logica nella loro di­ stribuzione o se questa sia del tutto casuale e incoerente. In realtà per Ritter al globo, che è un organismo vivente, non manca proprio in quanto tale una sua logica, e tanto le scienze naturali come la storia dell’uomo lo stanno gradualmente, pezzo per pezzo, dimo­ strando. Una prima suddivisione, già accennata, fra corpi solidi e corpi liquidi ci porta a costruire una simmetria fra due differenti emisferi: un 29. F. Farinelli, Introduzione. Il pappagallo degli Atures, in A. von Humboldt, I quadri della Natura, Firenze, La Nuova Italia, 1998, p. XXV.

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emisfero oceanico corrispondente grossomodo a quello meridionale leggermente ruotato in direzione del Pacifico, e un emisfero continen­ tale che racchiude Eurasia, Nordafrica e Nordamerica, dove prevale appunto Felemento solido nonostante vi sia compreso, ad esempio, l’Atlantico settentrionale. Un primo principio è resistenza di differenze dal punto di vista del funzionamento del clima, e della diversa presenza umana, fra questi due emisferi. La nazione dominatrice dei mari, l’Inghilterra, deve la sua fortuna proprio al fatto di stare al centro di questo emisfero solido, anzi nell’espressione ritteriana a questo successo le isole britanniche “erano destinate”.

La Terre, vol. I, p. 56.

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Come primo generale principio storico si osserva che le nazioni dell’emisfero continentale hanno progredito prima nella scienza e nella tecnica, perché fra loro gli scambi sono stati pressoché costanti, contrariamente alle più isolate popolazioni oceaniche. Oltre al cer­ chio formato dalle coste che separano i due emisferi, dalle rive orien­ tali dell’Africa a quelle occidentali dell’America passando per i con­ torni continentali dell’Asia, strutturato parallelamente a una serie continua di catene montuose che costituiscono la “spina dorsale” del continente, se ne può tracciare uno minore. Leggermente aperto nella sua parte inferiore, è costituito da una serie ininterrotta di vulcani dalle Ande allo stretto di Bering proseguendo poi per il Giappone, le Filip­ pine, le Molucche, la Nuova Zelanda e il Pacifico meridionale. Una simmetria intuita dal geologo Leopold von Buch e che Ritter chiama il “Cerchio di fuoco”. Gioco che non è fine a se stesso, ma che può servire a indicare una origine comune dei vulcani marini e di quelli terrestri. Oggi sappiamo che è così, e che ciò ha a che fare con la deriva dei continenti, ma ai tempi di Ritter si poteva solo intuire. Un altro elemento di simmetria sono le depressioni prive di vulcani che si estendono ai due lati oppo­ sti del cerchio: da una parte le pianure del Nord e del Sud deH’America, dall’altra quelle dell’Australia, dell’India e della Cina meridionale. Molto poetica la metafora sulla distribuzione delle isole della Poli­ nesia all’interno di questo cerchio: “splendida via lattea che rende stellato il mare azzurro del Sud.” A questo punto, dopo aver parlato di cerchi (che sono tutt’altra cosa, dicevamo, da quelli dei meridiani e dei paralleli), si passa a pro­ porre l’utilizzo, in senso ovviamente approssimativo, delle forme geo­ metriche elementari per definire forme e analogie sulla crosta terre­ stre. Così, secondo la definizione di Humboldt, l’altopiano centrale dell’Asia è definito un “romboedro” , ai cui lati scendono gradual­ mente i rilevi e le pianure che si dirigono ai vari punti cardinali verso le differenti regioni del Vecchio Mondo. Ancora Ritter pensa che debba esistere una “legge generale dei sollevamenti”, se l’asse di questa forma è praticamente parallelo a quello dell’anello vulcanico, e un po’ ovunque “la stessa legge che solleva a picco le colossali montagne tutte attorno alla grande cintura delle coste, e deprime i continenti nelle direzioni opposte, si ripete”30. 30. C. Ritter, Introduction à la géographie générale comparée, cit., 1974, p. 229.

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La Terre, voi. I, p. 55.

Una simile simmetria si trova anche nel sistema orografico afri­ cano, mentre in Europa le catene montuose sembrano più indipen­ denti, e tendono maggiormente a costituire sistemi individuali. Una caratteristica marcatamente europea. E come con la Gran Bretagna, una considerazione porta Ritter a utilizzare questi cinque o sei elementi della natura del globo indivi­ duati, per provare a spiegare alcune fasi della storia delFumanità. Le principali migrazioni eurasiatiche hanno sempre avuto la tendenza a scendere, come “corpi trasportati da un fiume” , verso dei mari che fa­ vorivano le attività umane. Un mare in particolar modo fornisce il ri­ sultato di questa metafora: “Le rive del Mediterraneo dovevano essere

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la terra classica della storia universale; è là che dovevano sboccare tutti i cammini delle nazioni, come dei fiumi nello stesso bacino”31. Un cammino che segue rotte che secondo Ritter hanno dei sensi già scritti, in qualche modo, sulla superficie terrestre. Le depressioni prima individuate, cioè fondamentalmente le pianure europee, quelle asiatiche ed il bacino del Mediterraneo, concetto questo che avrà no­ tevoli implicazioni per i geografi anarchici, “si estendono sotto la stessa temperatura da un lato all’altro del vecchio mondo, da est a ovest (non da nord a sud come in America) non potendo che facilitare le unioni dei popoli e gli scambi di ogni specie”32. Un simile metodo si può applicare ora anche ai singoli “individui planetari”. Questa definizione testimonia ulteriormente dell’idea di Ritter di un globo vivo, del quale ogni singola parte può già essere protagonista in qualche modo personificata della storia. Parti che sono in relazione fra loro ad esempio col posizionamento reciproco, con­ cepito in primo luogo nei sensi nord-sud o est-ovest. Se il cammino delle conoscenze su accennate è andato nella storia generalmente verso ovest, Ritter avverte però che questo percorso una volta lineare dal sole nascente al sole ponente, col nuovo protagonismo, nelle vi­ cende storiche, del Nuovo Mondo, non è più un’indicazione assoluta. Oggi diremmo che in un mondo “globale” i riferimenti di posizione sono relativi, non essendoci appunto un centro. Una storia su cui è necessario poi distinguere dei tempi anche in ri­ ferimento alle influenze dell’ambiente fisico sull’umanità,che, sottolinea Ritter, diminuiscono man mano che avanza la “civiltà” . Come diminuiscono le distanze, man mano che le ferrovie, la navigazione a vapore e il taglio degli istmi continentali “rimpicciolisce” la circon­ ferenza del globo. Dunque gli individui planetari, individuati all’inizio con le loro forme, hanno una funzione nella storia, che ne ha favorito o ostacolato il “progresso”. L’ovale dell’Africa, il romboedro dell’Asia e il triangolo dell’Europa assumono differenti significati a seconda delle articola­ zioni che contengono: massima compattezza per quanto riguarda l’Africa; una grande massa compatta, ma con ricche articolazioni a sud e a est, per l’Asia; il massimo invece delle articolazioni per quanto riguarda l’Europa, con “numerosi rami la cui ricchezza naturale su­ 31. Ibid., p. 231. 32. Ibid., p. 231.

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periore a quella del loro tronco comune doveva assicurare a questa parte del mondo la preponderanza”^ . Ricchezza naturale intesa in primo luogo come sviluppo e articola­ zione delle coste, che in tempi storici favorisce gli scambi e le comu­ nicazioni, contrariamente alle masse continentali che fanno da barriera ai contatti fra popoli. In Asia le civiltà cinesi, indiane e mediorientali sono rimaste civiltà individuali, senza riuscire a penetrare l’interno del continente. In Africa la civiltà si è sviluppata in forma più statica e più al di fuori dei contatti commerciali. Mentre l’Europa era in qualche modo destinata alla sua espansione, perché lo sviluppo delle comunicazioni ne è stato motore costante. C’è qui l’idea di fondo che la funzione giocata nella storia dagli indi­ vidui planetari si possa cominciare a ricostruire in questo modo. Nel caso dell’Europa lo è stato proprio perché sulle sue coste si è presen­ tato il massimo dell’armonia, il massimo della compenetrazione fra le forme solide e le forme liquide: nella metafora degli individui conti­ nentali questo è il più fornito di membra. Si arriva dunque al paragone fra la Grecia classica, dominatrice del Mediterraneo per avere appreso la navigazione sulle sue penisole e coste frastagliate che difendevano poi i suoi porti, e la citata Gran Bretagna dominatrice in quegli anni degli oceani a partire da simili vantaggi fisici. Come corollario, si rileva che i sistemi insulari euro­ pei sono i più vantaggiosi dal punto di vista dell’integrazione storica con il rispettivo continente, perché dal Mediterraneo fino al mare del Nord ci sono molte isole che sono abbastanza grandi per essere inse­ diate e allo stesso tempo abbastanza vicine alla terraferma per for­ mare con essa quelli che oggi chiameremmo dei “sistemi territoriali.” Diversamente, le isole del Pacifico e dell’Oceano Indiano sono troppo piccole, o troppo lontane dal continente, perché vi potessero avere luogo fenomeni di integrazione simili. Anche se proprio in virtù di questo isolamento vale ancora per Ritter la massima di Strabone che considerava le isole come le parti del mondo più ricche, applicata in questo caso a isole come quelle dell’Indonesia o della Nuova Gui­ nea. Lo sono, per il geografo della Erdkunde, in termini di differenze animali, vegetali, geologiche che Ritter ammira molto e descrive con compiacimento. “È dunque nella diversità delle forme e delle superfici, nel caos e3 33.

Ibid.. p. 233.

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nell’apparente disordine, che sconvolge tante idee preconcette, che bi­ sogna studiare il mistero del pianeta, il suo sistema, il suo ordina­ mento e la sua vita intima”34. Un semplice schema utilizzato nell’articolo ci può dare un esempio dell’utilità di semplici proporzioni numeriche, oltre che geometriche, per il nostro procedimento “comparante”, e restituirci le rispettive proporzioni fra articolazioni e tronco nei continenti del Vecchio Mondo. E ste n sio n e d el tr o n c o c o n tin e n ta le

E ste n sio n e c o m p a r a tiv a d e lle p e n iso le

E ste n sio n e c o m p a r a tiv a d e lle iso le

A fr ic a

1

0

1/50

A sia

1

1/4

1/32

E uropa

1

1/2

1/40

Per quanto riguarda il Nuovo Mondo, Ritter paragona l’America, sia quella settentrionale che quella meridionale, all’Europa, per la pre­ senza di importanti vie di comunicazione come i sistemi fluviali, per l’assenza di un altopiano centrale, per la presenza di un “doppio me­ diterraneo” fra la parte settentrionale e quella meridionale. Era in qual­ che modo predisposta, anche per la relativa prossimità all’Europa ri­ spetto alle coste dell’Asia, a ricevere l’espansione europea. Ritter prevede che la supremazia politica futura sarà presa proprio dal continente americano, segnatamente dalla sua parte settentrionale, in virtù delle formidabili risorse contenute nella sua enorme esten­ sione. Questo nuovo continente non ha avuto il privilegio dell’espan­ sione del “progresso storico” da est a ovest, ma ha la possibilità di progredire nella direzione secondaria, nord-sud. E questo proprio in base al progresso della tecnologia e delle comunicazioni, che fanno sì che le scelte umane siano sempre meno determinate dall'ambiente fi­ sico, di cui anzi l’uomo diventa sempre di più un formidabile agente di modifica. Anche il ruolo degli attori planetari, infatti, non è sempre lo stesso, può cambiare proprio in virtù del corso della storia umana. 34. Ibid., p. 238.

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Conclude Ritter/Reclus: “la alta perfettibilità del globo, che mette in opera tutti gli elementi di sviluppo che riceve, ci convince che l ’in­ dustria saprà, in una maniera così grandiosa come nel passato, tra­ sformare la natura per le rinnovate fasi di una umanità sempre nuova”35. Ritengo che se noi di queste venticinque paginette di Ritter tradotte da Reclus facessimo un piccolo fascicolo e lo tenessimo a portata di mano (eventualmente assieme agli altri scritti teorici di Ritter) durante la lettura di qualsiasi opera di quelle che il geografo francese ha scritto in quantità massiccia nei suoi 50 anni di attività scientifica, ci accor­ geremmo che costituiscono in qualche modo la base, la cifra profonda, per quanto estremamente sintetizzata, del suo metodo scientifico. Come può valere per gran parte degli scritti geografici di Metchnikoff e Kropotkin, che non hanno avuto il contatto diretto con Ritter, ma si sono formati dapprima leggendolo, e successivamente lavorando con Reclus. Anche se non bisogna dimenticare che questo non toglie niente all’originalità del pensiero e dei lavori di Reclus e dei suoi amici. Que­ sto in primo luogo perché il dispositivo ritteriano non è un teorema, non è un sistema chiuso. Prevede che la ricerca non si arresti: tutto avrebbe voluto Ritter tranne che degli allievi che si limitassero a ri­ masticare la lezione del maestro. In secondo luogo per un fondamen­ tale discorso innovativo che viene introdotto. Mentre per Ritter il si­ gnificato ultimo di tutto il sistema planetario risiede in Dio, nei geografi anarchici tale importante signore non esiste più: questo che era forse l’unico elemento del sistema di Ritter a stare in una posi­ zione gerarchicamente sovraordinata agli altri, viene sostituito da un’altra entità fondante e indispensabile che è precisamente l’uma­ nità. E il finalismo a cui si riferisce tutto questo pensiero è proprio quello di avere l’umanità intera liberata dai rapporti di autorità e in ar­ monia con il globo e la natura: l’anarchia. Agendo qui nella scienza quello che Bakunin prescriveva ad ogni rivoluzionario, con apparente iperbole, quando sosteneva che se Dio esistesse dovere di ogni rivoluzionario sarebbe cospirare contro di lui e detronizzarlo. È quello che Reclus, alla lettera, ha fatto. Comunque, gli esempi successivi di applicazione delle concezioni ritteriane serviranno a dimostrare quello che abbiamo detto, cioè l’in­ 35. Ibid., p. 241.

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serimento dei nostri geografi in un preciso ambito scientifico; un am­ bito che a sua volta ha subito l’oblio totale o parziale da parte di molti degli studiosi successivi, ma che ha fornito alle scienze geografiche degli strumenti che possono ancora essere utili alla conoscenza del mondo. Perché il mondo, come stanno ultimamente ammettendo anche i geografi, è cambiato, e occorrono nuovi strumenti per interpretarlo. I primi studiosi di geografia sono proprio i primi filosofi, dunque sa­ rebbe un errore concepire la geografia senza indagare i suoi fonda­ menti teorici. Come diceva Strabone proprio nell’apertura del primo libro della Geografia, “è quanto più questione di filosofi, se mai scienza lo è stato, la disciplina geografica oggetto del nostro studio presente”^ . Il filosofo del pensiero geografico moderno è stato per molto tempo Immanuel Kant. Non solo il Kant della poco conosciuta Geografìa fisica, ina soprattutto il Kant della Critica della ragion pura. Quando Kant, nella sua concezione di estetica trascendentale, pone come stru­ menti a priori della conoscenza possibile lo spazio e il tempo, segue un principio simile a quello utilizzato dalla principale scienza della rappresentazione del mondo: la cartografia. Ossia, stabilire delle re­ gole secondo cui il nostro costruirci un’immagine, che diventa un con­ cetto, avviene tramite regole che ci diamo a priori. Dunque in qualche modo il soggetto acquista una priorità assoluta: più dell’oggetto della conoscenza, conta il sistema di regole che viene applicato. L’intento di Kant è in questo modo di porre “un termine le­ gittimo” aH’“infinito errore” che caratterizzava le filosofie precedenti. Ma i concetti di spazio e di tempo non sono immutabili, e vengono messi in crisi non solo dalla riflessione scientifico-matematica, ma anche dalla globalizzazione. Con questo termine non intendiamo il fenomeno che da qualche anno va di moda friggere in tutte le salse. In­ tendiamo quel processo dalle dinamiche complesse e dai tempi lunghi cominciato con la stesura delle rayas, le prime linee globali tracciate nel 1494 con il trattato di Tordesillas fra Spagna e Portogallo, e pro­ seguito in varie fasi successive, che hanno dato origine al fenomeno che Paul Virilio, e successivamente fra i geografi David Harvey, hanno chiamato le “compressioni spazio-temporali”. Cioè un progressivo “diminuire” dell’estensione spaziale e tempo-36 36. Strabon, Géographie, Paris, tes Belles Lettres, 1969, Tome I, Vol. I, p. 64.

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rale sulla superficie della terra dovuto alla maggiore rapidità ed ac­ cessibilità dei movimenti e delle comunicazioni. Un processo di glo­ balizzazione che nei decenni di attività di Reclus e dei suoi soci aveva subito un’ulteriore accelerazione in corrispondenza di quella che Hobsbawm ha chiamato “l’età degli imperi”, segnatamente quello inglese e francese che sono già a tutti gli effetti globali. Nonché della esten­ sione delle reti telegrafiche, delle reti elettriche e della navigazione transoceanica. Un’ulteriore accelerazione è arrivata poi con la globalizzazione più celebre, quella degli ultimi decenni, nella quale un altro geografo, Manuel Castells, ha rilevato che l’economia, le comunicazioni e la stessa organizzazione sociale non dipendono più dagli assetti territo­ riali tradizionali ma funzionano con i principi delle “reti” e dei “flussi”. Esempio più semplice, aH’interno di una rete telematica il concetto di spazio, ossia misura metrica lineare standard, di solito ap­ plicata alla misurazione dei tempi di percorrenza, non ha più nessun senso come strumento interpretativo. Infatti non fa differenza, nella logica interna della rete, che due interlocutori comunichino dalla stessa città, o da parti opposte del globo. In quest’ultimo, come nelle reti, non c ’è un centro. Né all’interno delle reti funzionano quelle relazioni di prossimità che erano alla base del ragionamento geografico di Kant, in base al quale diventava pos­ sibile parlare, ad esempio, di “flora mediterranea” perché ci si riferi­ sce ad una serie di piante che stanno vicine le une alle altre. I caratteri di globalità di questi flussi e di queste reti ci riportano quindi a questi geografi che erano partiti proprio dalla inadeguatezza della carta piana, regolata dal meccanismo, dello spazio/tempo di per­ correnza, per spiegare l’estrema complessità del mondo, che è un globo e quindi non può essere ricondotto alla mappa. Non solo perché questa è piatta, ma perché corrisponde come dicevamo ad un altro modo di pensare. Rifarsi oggi a questo pensiero critico è una delle poche, se non l’unica, risorsa che hanno i geografi per rendere la loro disciplina all’altezza delle aspettative che si dovrebbero legittimamente avere sul suo conto. Prima fra tutte, come dicevano i geografi anarchici, costruire un sapere in grado di porre le basi per il cambiamento della società. Niente di meglio per questo della geografia che, avendo il compito di capire il mondo, dovrà essere più di tutte le altre discipline quella in grado di dare una mano a cambiarlo.

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Resta da fare un piccolo inciso sul nome della disciplina in que­ stione. Se il discorso che manda avanti Ritter si chiama Erdkunde, tanto che nella sua prima lettera da Berlino Reclus non parla di geo­ grafia ma di “descrizione del mondo”, la trasposizione disciplinare, tratta dal titolo della stessa opera geografica di Ritter, è Vergleichende Geographie, che come abbiamo visto contiene un participio presente. Ora questo participio presente non mi sembra ancora entrato in nes­ suna versione in lingua francese o italiana. Reclus e Metchnikoff, che col tedesco se la cavavano bene, saranno titolari di cattedre di “Geo­ graphie Comparée". E comunque abbastanza chiaro che anche queste denominazioni istituzionali sono comunque un richiamo alla disci­ plina definita da Ritter, visto che né in francese né in italiano si usa di solito il termine “comparante” applicato ad una disciplina scientifica. Sia Metchnikoff che Reclus utilizzano senza troppi problemi, del resto, questo attributo al participio passato, anche se in generale si li­ mitano a citare la disciplina semplicemente con il suo sostantivo. Come loro, e come il vecchio Strabone, ci riferiremo comunque a questo quando parleremo, semplicemente, di “geografia” . Il primo compito della quale è, come ci viene spiegato nell’articolo tradotto da Reclus, trovare delle correlazioni a partire dalle forme della Terra, e dalle loro relazioni con l’umanità che la abita.

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Dall’E rd k u n d e alla “Vita del Globo”

La prima, delle tre grandi opere di Reclus, La Terre, ha un impianto che già a prima vista si appoggia sull’insegnamento ritteriano. In primo luogo il sottotitolo: descrizione dei fenomeni della vita del globo. Poi nella struttura. Si tratta di due volumi, il primo sui conti­ nenti, il secondo su “l’oceano, l’atmosfera, la vita”. Ossia il primo sulle forme fisse o solide e il secondo sulle forme liquide o mobili. O ancora, dei quattro elementi platonico-pitagorici che per Ritter sono alla base della composizione del globo, il primo su terra e fuoco, il se­ condo su aria e acqua. Reclus non perde certo tempo a chiarire la sua scelta di campo e i riferimenti con i quali nasce la sua geografia: “Come il grande Ritter ha esposto con un sentimento per così dire filiale, Strabone è il vero fondatore della scienza geografica, ed è la sua opera che gli studiosi moderni hanno ripreso dopo tanti secoli di sterilità”1. E Strabone, dopo Ritter e Humboldt, resta uno dei geografi più ci­ tati, a testimonianza delle letture e dei riferimenti che hanno guidato Reclus in quest’opera di 1.500 pagine, che dalla maggior parte degli studiosi viene liquidata come un’introduzione di “geografia fisica” all’opera di Reclus. In realtà c’è dell’altro, e dovrebbe essere chiaro proprio dal di­ scorso sulla “vita del globo". Il punto di partenza è la già asserita ri­ cerca dei contrasti e delle somiglianze delle forme continentali, a sca­ pito dell’apparente disordine. Si parte dalla nota suddivisione dei due emisferi continentale ed oceanico, e dei cerchi che li individuano, a 1. E. Reclus, La Terre. Description des phénomènes de la vie du globe. Voi I. Les contìnents, cit., p. 52.

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partire dai quali si vanno poi ad applicare le varie forme geometriche di base per trovare analogie, non solo fra i continenti, ma anche fra le loro ripartizioni. Osservando la simmetria fra i due triangoli dell’America setten­ trionale e di quella meridionale, e rapportandoli ai loro dirimpettai atlantici, Reclus individua altri due gruppi continentali paralleli, uno formato dall’Europa e dall’Africa, l’altro dall’Asia e dall’Australia. Ognuno di questi sei blocchi è definito nella sua dimensione fisica come una “piramide asimmetrica” , perchè tutti hanno un massiccio montuoso più elevato degli altri, situato in posizione eccentrica ri­ spetto a quello che sarebbe l’ipotetico punto centrale di ognuna. Ad esempio il Monte Bianco in Europa, il Kilimangiaro in Africa e via di­ scorrendo. E poi sulla dimensione geografica che man mano si delineano cor­ rispondenze successive, come l’equilibrio delle tre propaggini meri­ dionali di questo gruppo che noterebbe chi osservasse il globo sorvo­ lando l’Antartide. In tutti e tre i casi la parte settentrionale è più articolata di quella meridionale. Tutte le parti settentrionali presen­ tano almeno tre penisole rivolte in direzione sud che per alcuni aspetti, nel Vecchio Mondo, hanno anche somiglianze. Si tratta infatti per l’Europa della penisola iberica, di quella italiana e di quella balca­ nica, per quanto riguarda l'Asia di quella arabica, quella indiana e quella indocinese. Per quanto riguarda TAmerica del Nord, alle sue penisole vere e proprie della Florida e della Baja California, bisogna aggiungere quella dell’America Centrale, che verrebbe separata com­ pletamente da quella meridionale se ci fosse un semplice abbassa­ mento del suolo di una ventina di metri rispetto al livello marino. Nel variegato gioco di somiglianze e contrasti segnalati citeremo solo, ancora, la compensazione dell’estensione territoriale in ognuno di questi tre gruppi, per cui nel caso delle Americhe i due componenti hanno una superficie più o meno simile, nel caso degli altri due gruppi un individuo notevolmente più grande controbilancia la relativa “pic­ colezza” dell’altro. L’Europa da parte sua compensa la ridotta estensione con il rap­ porto in assoluto più favorevole fra dimensione e sviluppo costiero, anche qui ribadito come sua peculiare ricchezza, secondo una già nota metafora proudhoniana. “Le terre e le acque vi sono disposte in distese alternate come per formarvi una immensa pila elettrica in cui gli acidi, le placche di metallo e i fili conduttori sono rimpiazzati dai

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mari, le terre e le correnti atmosferiche”2. Si riprende anche con un di­ segno uno schema simile a quello visto nel testo ritteriano come con­ fronto fra le articolazioni dei vari continenti. Per quanto riguarda in questo senso il Nuovo Mondo, si ripetono più o meno le stesse parole di Ritter sulla sua attuale potenzialità di sfruttare la propria estensione in senso nord-sud, dopo essere stato escluso per secoli dal cammino della storia nell’altro senso. L’armo­ nia planetaria sarebbe ulteriormente dimostrata, per Reclus, se venis­ sero confermate (come ben sappiamo lo saranno) la presenza sotto i ghiacci artici di un mare e sotto i ghiacci antartici di una calotta di terra, a formare il polo positivo e negativo, uno di acqua e uno di terra, della “pila globale”. Se i primi capitoli sono sostanzialmente una applicazione del me­ todo ritteriano di confrontare i tratti degli individui terrestri, e ne se­ guiranno altri con la definizione dei concetti di pianura, montagna, altopiano, vulcani, corsi d’acqua, l’idea principale del primo volume è che le terre non siano qualcosa di fisso, non più di quanto si cre­ deva una volta lo fossero le stelle. Questa ricerca passa per lo studio comparativo delle conoscenze su quello che sta sotto la superficie, di cui si considerano principali in­ dizi i terremoti e i vulcani, che Reclus tenta di mettere in relazione per ricavarne idee dei movimenti sotterranei. Questo è in linea con gli in­ dirizzi recenti della geologia, scienza “nuova” , ma che era già, nei testi di Ritter, metafora della conoscenza più profonda: “L ’espressione - struttura del globo - (...) non sarà qui chiamata a dimostrare la supposta solidità o la coesione del globo; indicherà al contrario che la sua forma esterna è sottintesa da una costruzione interna che resta da studiare e che lo sarà un giorno”3. In questa struttura ossea della quale fino a poco tempo prima si pretendeva la solida immobilità, come la definisce Reclus, il cerchio di fuoco del Pacifico, “segnalato da Leopold von Buch e disegnato da Ritter”, è preso come una delle principali testimonianze dei solle­ vamenti simmetrici a cui è soggetta la superficie del globo, coinci­ dendo proprio con quelle zone che tendono ad alzarsi. E possiamo vedere, in una delle tavole a colori allegate al volume, questo cerchio di fuoco segnato con puntini rossi in corrispondenza 2. Ibid.,p. 78. 3. C. Ritter, ìntroduction ù la géographie générale comparée, cit., p. 92.

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dei vulcani, che qui però assomiglia semmai a una porzione di arco, mentre è solo con molta fantasia che potremmo vedere un “anello” nel susseguirsi delle coste che dividono i due emisferi solido e liquido: a conferma della raccomandazione di affidarsi, quantomeno, a una rap­ presentazione sferica. Cosa che in questo momento evidentemente Reclus non può fare. In questo testo, più ancora che in Ritter, e in maniera aggiornata alle più avanzate ipotesi geologiche (anzi a volte anticipatrice), il movi­ mento della crosta terrestre sui tempi ancora non definibili viene pa­ ragonato ad “onde” che si muovono secondo costanti “oscillazioni” . Il punto di partenza è ovviamente la citata teoria dei “sollevamenti”. A partire dalle considerazioni ritteriane sulle due zone di solleva­ mento ai lati del Pacifico, e le rispettive depressioni ai lati, si eviden­ zia una oscillazione planetaria fra zone in sollevamento, come il si­ stema orografico dell’Africa Orientale, e zone in sprofondamento, come alcune isole dell’Oceano Indiano, nonché quella via lattea (un’altra citazione da Ritter) delle isole del Pacifico. Il problema è che queste oscillazioni ed onde che avvengono a quanto pare con una certa regolarità sottintendono con ogni evidenza una legge regolativa sottostante. Purtroppo, le conoscenze disponibili non permettono che generiche supposizioni su questo aspetto centrale della vita del globo. Perché oltre alle dinamiche morfologiche, il punto su cui Reclus va oltre Ritter è proprio la certezza che, essendo la cro­ sta solida a sua volta mobile, gli individui planetari non sono sempre stati allo stesso posto. 11 suolo stesso, da sempre considerato sinonimo di stabilità, in realtà “ondeggia come una zattera” sui flutti marini. Dunque partendo dalla dinamicità della vita del globo Reclus giunge a una concezione “plastica” della crosta terrestre, in seguito ad una serie di osservazioni geologiche, sulle modifiche documentate delle forme terrestri e dei fossili, e chimico-fisiche, che dimostrano ad esem­ pio con la dilatazione termica che anche la roccia ha la sua elasticità. Una idea che ci porta dalla posizione reciproca dei continenti vista da Ritter come un “disegno” quasi provvidenziale, alla ricerca di una legge scientifica del movimento della crosta, intuizione che le teorie geologiche dei decenni successivi, in particolare quelle di Wegener, confermeranno. “Non sono solo i venti e le correnti oceaniche a circolare attorno al pianeta, ma gli stessi continenti si spostano con le loro cime le loro valli, si mettono a camminare sulla rotondità del globo. Non c ’è bi-

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sogno, per spiegare questi fenomeni geologici, di immaginare dei cambiamenti dell’asse terrestre, delle rotture della crosta solida, dei crolli giganteschi. Non è così che procede di solito la natura; è più calma, più regolare nelle sue opere”4. Reclus, in questo, è stato considerato un “pioniere” della deriva dei continenti in un articolo, che ogni tanto viene citato, apparso nel 1979 sulla rivista americana “Geology”. Fermo restando che tutto ciò che viene a bucare il velo dell’oblio fa sempre bene, credo che Reclus sia stato negli ultimi decenni considerato un pioniere di tante cose, e bi­ sogna fare attenzione perché più che queste prese d’atto sarebbe inte­ ressante trovare delle relazioni, e qualche provvisorio “perché” . Nella fattispecie ritengo che l’articolo, e soprattutto il dibattito che ne è seguito sulla autorevole rivista dei geologi USA, siano un esem­ pio di come non si deve fare ricerca su un autore, e come all’interno di una scienza apparentemente “neutra” come la geologia, si possa portare il veleno del pregiudizio ideologico a un livello di concentra­ zione più che sufficiente ad uccidere la scienza medesima. Nell'articolo in questione, l’autore James O. Berkland appare en­ tusiasta di avere scoperto un vecchio libro, scritto da un certo Reclus (nella fattispecie l'edizione in inglese del 1872 del primo volume de La Terre), del quale nessuno sa nulla, ma che nonostante questo è stato bravo quasi quanto il suo contemporaneo Lyell, avendo intuito una serie di scoperte scientifiche successive, quali l’intuizione di una Pangea originaria, le origini dei terremoti e le reazioni degli animali nei loro confronti, e l’idea appunto del graduale movimento delle masse continentali, che lo rende un “padre” della deriva dei conti­ nenti più affidabile di quanto non lo fosse Snaider-Pellegrini, che nel 1858 per giustificare il movimento della crosta terrestre aveva dovuto fare ricorso nientemeno che al Diluvio di Noè. È chiaro che non è il massimo “scoprire” un autore per poi buttarlo in pasto al pubblico senza prima aver trovato qualche notizia su chi sia, cos’altro abbia pubblicato, chi fossero i suoi riferimenti (non siamo esattamente di fronte a un autore “poco documentato”) e via di­ scorrendo; ma fin qui tanto di guadagnato per farlo conoscere di più. I problemi cominciano con il dibattito successivo, in cui il prof. Myrl E. Beck Jr. interviene per rimproverare a Berkland di non es­ 4.

É. Reclus, La Terre. Description des phénomènes de la vie du globe. Voi 1.

Les continents, cit., p. 759.

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sersi informato sul fatto che Reclus era un terribile anarchico, asso­ ciato a brutti ceffi quali Kropotkin e Grave. Peccato che anche la sua documentazione lasci a desiderare, se dice che “quasi certamente in quel giorno Reclus era più conosciuto per la sua politica radicale che per la sua scienza”5. Affermazione assolutamente falsa, perché se già nel complesso della vita di Reclus ciò sarebbe tutto da dimostrare, co­ munque negli anni in cui usciva La Terre (1867-68) Reclus non era ancora salito agli onori delle cronache per la sua partecipazione alla Comune. In quel momento avviene semmai il contrario: è l’opinione pubblica intemazionale ad accorgersi che il geografo Reclus ha anche idee politiche “radicali”. Se nella lettera si intuisce correttamente che foblio di Reclus può avere a che fare con le sue idee politiche “impopolari” (bisognerebbe solo capire per chi) la parte clamorosa è che a questo oblio si dà ra­ gione, perché, si dice sarebbe stato meglio recepire queste idee nuove da “pilastri di rettitudine sociale” (sic) come Darwin e Lyell piuttosto che da uno che spendeva le sue ore non dedicate al lavoro scientifico “per un movimento che sosteneva la Propaganda del Fatto e i cui membri si accreditavano degli assassina, fra gli altri, del re dTtalia e dei presidenti della Francia e degli Stati Uniti“6. A parte che rileviamo pure qui una certa ignoranza su quel che dav­ vero diceva e faceva il movimento anarchico all’epoca, anche la ri­ sposta di Berkland è indicativa di un clima non dei più propizi alla “li­ bertà di ricerca”. In primo luogo si sente in dovere di giustificarsi per aver letto Reclus, dicendo che del resto uno dei suoi scrittori preferiti è Jack London, che era socialista, e che gli piace ascoltare i composi­ tori russi, alcuni dei quali avrebbero anche potuto essere (orrore!) dei Comunisti. Poi conclude confessando candidamente che solo l’as­ senza di documentazione gli aveva fatto aggirare i pregiudizi. “Se avessi saputo subito quanto Reclus era - rivoluzionario - probabil­ mente non avrei investito il tempo e lo sforzo per rendergli il peraltro meritato credito per i suoi lavori geologici“7. E fu così che si chiuse la “riscoperta” di Reclus da parte dei geologi americani. Tornando a La Terre, anche nel volume dedicato alle acque c ’è 5. M.E. Beck, Jr., Comment, “Geology” , 1979, p. 418. 6. M.E. Beck. Jr.. Comment, "Geology” , 1979, p. 418. 7. J.O. Berkland, Reply, “Geology” , 1979, p. 418.

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l’idea di questa plasticità nella definizione del ruolo degli oceani nella formazione dei continenti, proprio per l’origine sottomarina ormai documentata di buona parte delle terre emerse. Mentre nei Quadri della Natura di Humboldt le raffigurazioni pit­ toresche erano organizzate in brevi capitoli, associati ognuno ad un approfondimento scientifico a parte, qui in tutta l'opera la prosa di Reclus, sempre abile nel sottolineare gli aspetti più suggestivi e “poe­ tici” della natura che esplora, è strettamente connessa alla rigorosa trattazione scientifica derivata da tutti gli studi disponibili di idrologia, oceanografia, climatologia, chimica e fisica. Anche i frequenti ri­ chiami reclusiani alla storia antica e alla mitologia, come l’immagine delle ninfe alle sorgenti, o di Nettuno nel fondo degli oceani, non sono casuali: sono il suo strumento per fare in modo che il “racconto della terra” parta da quando il genere umano ha cominciato a conoscere, con strumenti di volta in volta più sofisticati, il suo ambiente. Per quanto riguarda il ruolo costitutivo degli elementi liquidi e aerei nella vita del globo, questo è tanto più importate in quanto le oscilla­ zioni della loro dinamica sono più veloci, e concorrono a loro volta al modellamento della superficie solida. Da notare che anche lo studio delle dune viene inserito in questa parte delle forme “liquide” . Tutti questi elementi danno vita al fenomeno studiato negli ultimi capitoli, quello della vita vegetale, animale e infine umana, che col procedere della storia assume la funzione di agente geologico sempre più determinante. Come per altro le specie animali e vegetali sono da sempre. La vegetazione viene già riconosciuta come uno degli ele­ menti della definizione del clima e del modellamento terrestre a par­ tire dalla formazione dei suoli, ma viene studiata anche l’azione geo­ logica degli animali, da esempi come quelli dei castori alla parte più importante, soprattutto nello studio degli oceani: l’imponente opera costruttrice dei minuscoli polipi che hanno dato vita a migliaia di isole, atolli e barriere coralline. Ambienti che spesso vengono poi abi­ tati dall’uomo. Uomo nel quale si riflettono le forme terrestri che abita e che lo hanno generato; ma se i primi movimenti della storia erano in qualche modo “scritti” sui rilievi e sulle forme della superficie del globo, e gli ostacoli fisici e climatici limitavano in maniera decisiva la libertà umana, ora il nostro genere si è emancipato, dando vita a questa dia­ lettica di azioni e di reazioni per cui “è dall’azione del pianeta sull’uomo e dalla reazione dell’uomo sul pianeta che nasce questa

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armonia che è la storia della razza umana. Del resto queste verità sono diventate quasi banali dopo che gli Humboldt, i Ritter, i Guyot, i Peschel, hanno stabilito nei loro lavori la solidarietà della Terra e dell'uomo. L'idea madre che ispirava l'illustre autore dell’Erdkunde mentre redigeva da solo la sua grande enciclopedia, che è ancora oggi il più bel monumento geografico dei secoli, è che la Terra costi­ tuisce il corpo dell’umanità e che l ’uomo, a sua volta, è l ’anima della Terra. Senza appropriarci così orgogliosamente del globo che ci porta, ci è permesso di dire che dopo essere stati per lungo tempo per lui dei semplici prodotti appena coscienti, diventiamo degli agenti sempre più attivi della sua storia”8. Ma al di là di queste fonti geografiche, è anche su un’altra corrente scientifica che Reclus vuole basare parte del suo cammino. Una teo­ ria che sarà oggetto di grande interesse nei suoi futuri ambienti: l’evo­ luzionismo di Darwin e Huxley. Nella fattispecie, si analizza il dibat­ tito, in corso fra monogenisti e poligenisti, se attribuire all’uomo una origine comune o se vi siano stati percorsi evolutivi differenziati fra le diverse “razze” umane. I recenti studi genetici ci permettono finalmente di bandire dalle scienze dell’uomo l’odioso sostantivo virgolettato, ma visto che nel XIX secolo era in uso, ci limiteremo appunto a citarlo tra virgolette, precisando che lo scopo di Reclus e dei geografi anarchici era pro­ prio di arrivare a questa sua proscrizione. Già in queste pagine, in­ fatti, Reclus intuisce il pericolo dell’intervento in un simile dibattito di posizioni interessate a farne una base per la segregazione razziale. Il geografo, reduce dalla partecipazione alle recenti campagne a favore dei neri americani, si premunisce affermando che poco importa se la radice sia una o molteplice, purché alla fine l’unità del genere umano, l’integrazione dei diversi popoli, il meticciato generale, grande sogno di Reclus, si compia. Proprio per difendere questa petizione antirazzista, Reclus proble­ matizza per la prima volta il concetto di “civiltà”. Se la civiltà europea si era espansa in virtù del suo avanzamento scientifico e tecnologico, l’Europeo che, in particolare in America, aveva creduto di dimostrare la sua superiorità alle popolazioni indigene distruggendole senza pietà, derubandole e “cacciandole come selvaggina” è per Reclus un 8. E. Reclus, La Terre. Descrlption des phénomènes de la vie du Globe. Voi. II. L’Océan, l ’atmosphère, la vie, Paris, Hachette, 1881 (4me édition). p. 623.

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“sedicente civilizzato” . Un rovescio della medaglia dell’espansione “civilizzatrice” e della integrazione planetaria del Nuovo Mondo, che bisognerà sempre tenere presente nel percorso successivo. Nel frattempo, si procede nella ricerca di legami generali fra la sto­ ria umana e i componenti fisici. Gli altipiani, queste forme che come vedremo saranno così problematiche per i geografi e soprattutto per i cartografi europei, sono uno dei principali protagonisti degli inizi della storia dell’uomo, sede dei primi popolamenti, luoghi di integrazione di diversi climi alla stessa latitudine, ma allo stesso tempo barriera fra popolazioni. Le montagne vengono definite per i movimenti dei loro abitanti, che sono migrazioni stagionali verso la pianura, ma anche emigra­ zioni definitive verso la pianura e la costa, che esercitano attrazione per un popolamento di cui appunto vediamo delineati nella storia i movimenti. È qui nelle pianure, o nei vasti altipiani, ma mai in mon­ tagna, che per Reclus si formano le nazioni conquistatrici. E proprio a partire da questa attrazione per i litorali, per l’elemento liquido, la culla della storia non poteva che essere il Mediterraneo. “Condizione più felice per lo sviluppo del commercio e della naviga­ zione dei popoli allo stadio infantile è la vicinanza di un 'isola o di un arcipelago, di cui si percepiscono i contorni vaporosi sul blu del mare, e che attira da lontano come per una magia segreta. E così che l ’uc­ cellino, ancora timido, si lancia dal suo nido verso il ramo più vi­ cino. Le isole dell’Egeo chiamavano verso la Grecia i marinai dell'Asia Minore; Cipro appariva ai Fenici come un punto di riposo prima di lanciasi nelle acque sconosciute. (...) Come a Ritter piaceva ripetere, sarebbe diffìcile immaginare quanto il corso della storia sa­ rebbe cambiato se le isole della Grecia, la Sicilia, la Gran Bretagna, fossero mancate all’Europa”9. Anche in questo testo valgono le considerazioni ritteriane sulle di­ verse opportunità offerte da “isole lontane” o “isole vicine”. Queste ultime, come abbiamo detto, potevano essere incluse in quel conti­ nuo movimento di popoli che dà vita alla storia, ad un progresso per definire il quale Reclus traduce il dinamismo ritteriano in migrazione costante e meticciato, di culture ma anche, diremmo noi oggi, “di geni”. Arrivando a una prima definizione della storia. “Questa lotta fra il passato e il presente, fra gli uomini e l ’ambiente, e non il rac­ 9. Ibid., p. 649.

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conto di battaglie d ’armate e di crìmini di re, è a buon diritto quel che costituisce la vera storia, cioè l ’evoluzione dell’uomo nei suoi rap­ porti col globo ” 10. Una evoluzione che passa in primo luogo per le vie di comunica­ zione. C ’è qui un paragone fra i fiumi e le vie di traffico moderne: se questi ultimi, che per gli uomini primitivi potevano essere degli osta­ coli insormontabili, diventano al contrario, grazie agli scambi, i prin­ cipali agenti materiali del progresso per i popoli più evoluti, in quegli anni la creazione di vie artificiali di comunicazione più rapide aveva diminuito di nuovo l’importanza relativa delle vie date dalla natura. Come cambiano i centri di attrazione dell’insediamento anche a seconda della situazione storica: i porti nelle fasi di espansione o com­ mercio marittimo, le situazioni più arroccate e sicure nel caso dell’Eu­ ropa e del Mediterraneo nell’Alto Medioevo. Nella elaborazione di Reclus saranno proprio le nuove vie di transito, segnatamente quelle ferroviarie, a esercitare questa attrazione nel mondo a lui contempo­ raneo, dove le città crescono in abitanti e in attività industriali anche in ragione di quanto vengono servite dalle strade ferrate. Comunicazioni che, prima delle connessioni globali che già all’epoca in cui scrive Reclus si diffondevano progressivamente, erano determinanti nell’inclusione o meno dei popoli nell’onda della diffusione delle scoperte scientifiche o tecnologiche: per intenderci, dalla scoperta dell’agricoltura in avanti. Ora, ovviamente, il problema non si poneva più in quei termini, proprio per la possibilità di accor­ ciare il mondo. Se il progetto del faraone Necao, che aveva fatto sca­ vare un canale che collegava il Nilo al Mar Rosso, non era stato du­ raturo, il taglio del canale di Suez progettato dagli ingegneri francesi era destinato ad esserlo proprio per questa funzione globale, ristabi­ lendo una vecchia comunicazione cancellata nelle ere geologiche. Ma un’altra novità tecnologica permetteva all’umanità di fare a que­ sto punto il giro del globo: il telegrafo, grazie al quale l’uomo esce dalla “servitù della gleba” del pezzo di terra su cui è nato, perché “le notizie, trasmesse da cellula a cellula, arrivano al suo cervello da tutte le estremità del mondo, e le sue volontà ripartono subito per attraver­ sare i continenti e trasformarsi in azioni sull’altro lato del pianeta”n . Ogni anno, dice Reclus, viene posato un quantitativo di cavi teleio. Ibid.,p. 653. ll.Ibid.,pp. 723-724.

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grafici di lunghezza sufficiente a fare un nuovo giro del globo. Siamo all’alba della “seconda globalizzazione” , e Reclus, geografo allievo degli Erdkunder, si trova come vediamo perfettamente a suo agio nel ragionare sui fenomeni della globalità. Fino a quando l’uomo arriva a poter essere considerato uno dei più formidabili agenti geologici. Negli anni in cui scrive La Terre, Re­ clus si preoccupa anche molto di come il lavoro dell’umanità sul pia­ neta possa essere spesso nocivo e dannoso per l’ambiente stesso, creando problemi di inquinamento, instabilità idrogeologica da di­ sboscamenti, e anche eccessi insediativi. Si occupa di queste problematiche soprattutto in articoli sulla “Revue des deux Mondes” , della quale per tutti gli anni Sessanta è un collaboratore fisso, e nel celebre scritto Storia di un ruscello, del 1869. Nell'ultimo capitolo de La Terre, “il lavoro dell’uomo”, tro­ viamo una sintesi delle posizioni che in quegli anni assume nelle pub­ blicazioni citate, e in altre. La critica di Reclus parte proprio considerando il ciclo dell’acqua. Se la rete dei canali di irrigazione non è costruita secondo un accordo complessivo che consenta di ricreare una rete delle acque correnti come quella naturale che si ricarica periodicamente, il rischio sarà esaurire la risorsa idrica. Nelle grandi città poi, ciò costituisce un serio problema dal mo­ mento che questi vasti organismi attirano molta acqua per gli usi do­ mestici e industriali, ma “si sa che ifiumi e i ruscelli di acqua pura di­ ventano nelle nostre città dei ricettacoli di immondizie” 12, privando le città e le campagne a valle di quella fondamentale risorsa che è l’acqua pura. A volte non ci sono nemmeno sistemi per far rifluire i ri­ fiuti all’esterno senza che il ristagno abbia creato seri problemi sani­ tari. Perché la città sia un organismo integrato “armonicamente” e non un mostro divoratore di risorse, è necessario per Reclus sviluppare esperimenti come quelli in corso a Parigi per la canalizzazione delle acque “sporche” ed il loro riutilizzo ad esempio per la fertilizzazione di aree agricole che contribuiscano poi a sfamare la città medesima. Nella quale il problema non è solo l’acqua, ma anche l’aria, avve­ lenata dalle industrie alimentate col carbone e dalla eccessiva con­ centrazione delle attività umane. “Una immensa nebbia di polvere e di miasmi impuri pesa sempre sulle città: in condizioni normali, / ’aero­ 12. Ibid.,p. 685.

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nauta deve elevarsi almeno di 500 metri al di sopra di Parigi prima di respirare un’aria pura”13. Le grandi città, per Reclus, andrebbero completamente ricostruite. Allo stesso modo l’uomo sbaglia a gestire le risorse forestali. Reclus fa notare che il disboscamento indiscriminato sconvolge i microclimi, creando squilibri termici e soprattutto inondazioni, che non sono colpa della fatalità o della natura, ma della sua cattiva gestione. C ’è sempre, in questi scritti di Reclus, l’idea del bacino idrografico come un tutto, un organismo da gestire considerandolo nel suo insieme. Il genere umano deve rimproverarsi l’estinzione di specie animali e vegetali, la distruzione degli ambienti a vari livelli, e la degrada­ zione di intere regioni, come il Medio Oriente, un tempo culla dell’agricoltura ed ora in gran parte sterile. “Può essere che il clima si sia realmente modificato in seguito a grandi cause geologiche, come pensa Oscar Fraas, ma l ’uomo ha certamente la sua forte parte in questa trasformazione delle campagne in deserto” 14. Anche la speculazione edilizia trova posto nella critica di Reclus, che non concepisce la costruzione di ogni genere di edificio nei luoghi più incantevoli per finalità commerciali, e non solo. “Senza parlare di montagne (...) che per ragioni militari i governi hanno speso centinaia di milioni a imbruttire, quante scogliere pittoresche, quante spiagge incantevoli, sono anch 'esse, in molti punti, accaparrate da proprietari gelosi o da speculatori che apprezzano le bellezze della natura come i cambiavalute stimano un lingotto d ’oro. Nelle zone di montagna, la stessa smania di possesso si impadronisce degli abitanti: i paesaggi sono suddivisi in lotti e venduti al miglior offerente: ogni curiosità na­ turale, la roccia, la grotta, la cascata, il crepaccio di un ghiacciaio, tutto, fino al suono dell’eco, può diventare proprietà privata” 15. Una delle fonti di queste trattazioni reclusiane sono le opere del geografo americano George Perkins Marsh, in particolare il suo sag­ gio più celebre Man and Nature, in cui si analizzano proprio i guasti causati dall’azione umana sulla superfìcie del pianeta. Di questo libro Reclus scrive anche una recensione sulla “Revue des deux Mondes” nel 1864. Sulla base dei suoi lavori nascono in America i movimenti che portano alla costituzione dei grandi parchi nazionali, per primo 13. Ibid., p. 734. 14. Ibid., p. 749. 15. Ibid., p. 752-753.

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Yellowstone; c ’è stata anche una corrispondenza fra i due geografi nel periodo 1868-70. Ma è importante non confondere le posizioni di Reclus con quelle di Marsh, che si distingue per il suo pessimismo, portando molto più avanti l’idea della azione distruttrice dell’umanità riguardo alle sue potenzia­ lità costruttrici. Per un ritteriano come Reclus questa idea era evidente­ mente inconcepibile, anche perché implicava che fra uomo e natura ci fosse un divorzio insanabile; non dimentichiamo che questi due con­ cetti restano sempre come i poli di un’unica pila: il francese per ogni esempio di distruzione e degrado ambientale ne porta un altro in positivo sulla capacità dell’uomo, “natura cosciente”, di fare fronte alle proprie responsabilità nei confronti della superficie terrestre, viste in rapporto, soprattutto, alla società. Per questo critica Marsh, sostenendo le poten­ zialità umane nel “gestire perfettamente l’ambiente”, qualsiasi cosa ne pensino certi “spiriti tetri” (forse con riferimento allo stesso Marsh). E poiché si ripete che la terra è la casa dell’educazione dell’umanità, questa è con fiducia che "Per diventare veramente bella, la - madre be­ nefica - aspetta che i suoi figli si siano abbracciati come fratelli ed ab­ biano infine concluso la grande federazione dei popoli liberi’16. Quindi, come nel finale della traduzione del 1859, sarà la nuova umanità a fare bello il pianeta. Per tutta quest’opera, ne abbiamo visto alcuni esempi, è presente la terminologia di Ritter, o meglio quella che utilizza Reclus quando lo traduce. Ma in questo epilogo c ’è un elemento in più rispetto alla fiducia nella scienza : la grande federa­ zione dei popoli liberi in cui gli uomini si abbracceranno come fratelli. Abbiamo anche visto cosa intenda Reclus per unità del genere umano: un métissage complessivo che faceva senza dubbio rizzare i capelli a molti nella comunità scientifica. E proprio negli anni in cui esce La Terre che Reclus compie una scelta che segnerà il resto della sua vita. L’adesione alla Prima Inter­ nazionale, lo spettro che in giro per l’Europa terrorizzava in quegli anni la borghesia, per la quale era nata la nuova disciplina geografica e che cominciava a non sapere più cosa farsene di quel tipo di impo­ stazione, ritornando al sapere cartografico che a cavallo fra XIX e XX secolo sarà la base dello studio della geografia tanto nelle Università che nelle Accademie militari. Ma questo internazionalista fa anche di più nella sua prima opera: 16. Ibid., p. 760.

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traduce i concetti ritteriani di natura in una costruzione che vede una critica alla gestione dell’ambiente da una serie di posizioni senz’altro molto avanzate e complesse. Al punto che ai tempi della riscoperta di Reclus negli anni ’70 lo si è spesso considerato (con o senza collega­ mento a Perkins Marsh) come un precursore dell’ecologia. È celebre in questo senso l’articolo di Béatrice Giblin su “Herodote”, Reclus, un écologiste avant-l’heure?, ipotesi poi ripresa negli anni successivi da vari autori, e in varie salse “ecologiste”. Vorrei semplicemente citare quest’altro dibattito per sottolineare an­ cora le cautele che devono essere utilizzate quando si parla di “precur­ sori” e di “pionieri”. Leggere un autore del passato alla luce dei concetti dell’attualità rischia di portarlo a dire le cose che sostanzialmente a noi oggi interessa vengano dette, a scapito però della parte più importante, che è contestualizzarlo nella sua epoca e nelle sue relazioni. Nella fattispecie è stato Philippe Pelletier a mettere in guardia gli studiosi daH’attribuire a Reclus termini come “ecologismo”, “olismo”, “biocentrismo’’, rischiando anacronismi se non altro perché l’autore in questione non li usa. In parte non li usa perché ai suoi tempi non esi­ stono; e se esistono bisogna chiedersi perché non vi si riferisce, com­ prendendo l’ipotesi che non li condivida. Nella fattispecie, il nostro geografo non si può definire un ecologista ante-litteram non fosse altro che perché ai suoi tempi il termine “ecologia” già esisteva, e Reclus si astiene dall’usarlo e identificarsene. Il propugnatore di questo concetto è il suo contemporaneo Ernst Haeckel, ed è ben noto a Reclus. Quest’ul­ timo, però, come vedremo anche più avanti nel corso del capitolo de­ dicato a Kropotkin, vi si trova in disaccordo, soprattutto in quanto il fautore dell’“ecologia” collega la sua disciplina a una interpretazione del darwinismo finalizzata a giustificare le disuguaglianze sociali. “Se si parte dal postulato che conoscesse Haeckel e l ’ecologia, bi­ sogna dunque prendere atto del fatto che non li ha utilizzati nel suo percorso scientifico e politico, e analizzare perchè”n . In sintesi, proprio per il legame inscindibile fra l'uomo e la natura, e la priorità che viene data da Reclus al processo di trasformazione della società espresso dalla perenne tensione fra autorità e libertà; la geografia di Reclus, conclude Pelletier, non è né ecologica né ecolo­ gista ante-litteram: semplicemente e interamente, sociale. 17. P. Pelletier, Géographe ou écologue? anarchiste ou écologiste? “Itinéraire” 14-15/1998.

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Tornando al percorso specifico di Reclus, dopo il periodo berlinese i suoi viaggi entrano in una fase già ben nota e ampiamente docu­ mentata dai suoi biografi, se non altro perché è stato egli stesso a pub­ blicarne resoconti dettagliati. Il soggiorno negli Stati Uniti in Loui­ siana e il tentativo di fondare una sperimentazione agricola nella Sierra Nevada di Santa Marta in Colombia sono infatti alla base delle sue prime pubblicazioni, che avvengono a partire dal suo ritorno in Francia nel 1857. Il viaggio nel Nuovo Mondo, partito sulle orme di Humboldt e concluso con il fallimento del tentativo di creare un esem­ pio di sfruttamento delle risorse tropicali per altri coloni europei, sono infatti narrati nel Fragment d ’un voyage à la Nouvelle Orléans, e nel Voyage à la Sierra Nevada de Sainte-Marthe, che lo spingono ine­ quivocabilmente verso il mestiere del geografo. Come risulta da una lettera scritta alla madre da Parigi proprio nell’anno del suo ritorno, “amo poco il mestiere di professore quando si tratta di insegnare degli alfabeti assurdi e dei gerghi contro i quali si rivolta il mio senso intellettuale, ma sono felice quando parlo di geologia, di storia, di scienze veramente utili; l ’idea che forse potrei diventare un professore di geografia, mi riempie di gioia” 18. Ma per il momento le sue possibilità sono nella pubblicistica, in particolare nella redazione delle guide Joanne (inizio della sua qua­ rantennale collaborazione con l’editore Hachette), in cui si occuperà soprattutto di montagna, ambito sul quale conosciamo già i motivi dell’interesse, e negli articoli sulla “Revue des deux mondes” , per quanto riguarda il periodo fra il suo ritorno dalla Colombia e la pub­ blicazione del primo volume de La Terre ( 1867). In ogni caso Reclus si ritiene un geografo, e ricerca il contatto, af­ fiancato anche da uno dei fratelli minori, Onésime, che farà lo stesso mestiere, con gli esponenti della disciplina che gli sono più vicini: in particolare, Victor-Adolphe Malte-Brun e i membri della Société de Géographie parigina. Nel febbraio del 1858 sembra aver già stabilito buone relazioni. “Ho finito da un bel po' il lavoro di geografia di cui ti avevo par­ lato, e sono andato a presentarlo al sig. Malte-Brun, segretario della Società di Geografìa (...) Quando avrò i 60 franchi necessari per pa­ gare il mio diploma di membro, ho intenzione di entrare nella Società e, grazie all’appoggio di Malte-Brun e di Maury, sono quasi sicuro di 18. É. Reclus, Correspondance. Voi. I, cit., pp. 170-171.

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entrare (...) Malte-Brun mi ha anche chiesto un lavoro sulla Sierra Nevada di Santa Marta, per i suoi Annali di Geografia”'9. Victor-Adolphe è il figlio di quel Conrad Malte-Brun che era stato sicuramente fino a quel momento il principale rappresentante della disciplina geografica in Francia. Di origine danese, anagraficamente della generazione di Humboldt e Ritter, coi quali era in contatto, Malte-Brun è l’autore dei Précis de Géographie Universelle in otto volumi che in quegli anni costituisce l’unica opera in lingua francese che possa assomigliare a un corrispettivo dei Cosmos o dei volumi della Erdkunde, e della quale proprio in quegli anni il figlio aveva ter­ minato di curare una revisione. E proprio in riferimento a questa opera che il più voluminoso lavoro di Reclus si chiamerà Nuova Geografia Universale. Nel frattempo Reclus continua a dare apprezzate letture alla So­ cietà geografica, anche se pare continuerà ad avere problemi col pa­ gamento delle quote di affiliazione. Sempre negli ambienti parigini conosce Jules Michelet, con il quale avrà anche un indiretto legame di parentela (il genero di Michelet, Alfred Dumesnil, diventerà in se­ conde nozze cognato di Reclus, che per qualche tempo si occuperà anche dell’educazione delle nipoti dello storico). Dunque Reclus è in contatto fin da giovane con gli storici e geografi francesi più in vista del suo periodo, anche se il suo riferimento principale rimane a Ber­ lino dove, lo abbiamo visto, si reca di nuovo appena possibile. Dal 1S61 già lavora a La Terre. I dati appena esposti ci permettono di sottolineare un aspetto a volte trascurato nelle pur numerose biografie di Reclus. Viene di solito dato risalto agli aspetti dell’esilio, della persecuzione politica, della pro­ scrizione dal mondo accademico; ma non dimentichiamo che Reclus rimane sempre un pubblicista scientifico di prima grandezza e che al­ meno fino ai primi del ‘900 è riconosciuto come riferimento autore­ vole da tutta la comunità scientifica. Raccoglie medaglie e onorifi­ cenze di numerose società geografiche e presenta i suoi progetti ai congressi dei geografi: ossia gli viene sempre riconosciuto a pieno ti­ tolo di partecipare alle discussioni all’ordine del giorno nell’ambito proprio di quelle istituzioni che caratterizzano la geografia borghese. Stesso discorso varrà per gli altri geografi anarchici: Kropotkin è un esule russo, ma frequenta, come del resto Reclus, la Royal Geo-19 19. Ibid., pp. 180-181.

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graphical Society di Londra, Metchnikoff fa parte della Société de Géographie de Genève e prende una cattedra a Neuchâtel, dove è tra i fondatori della Società Geografica locale; Perron farà sempre riferi­ mento alla stessa Società a Ginevra ed avrà incarichi pubblici per la Biblioteca e il Museo della Città. Ci troviamo quindi di fronte a un quadro di personalità che se da un lato subiscono persecuzioni politiche, dall’altro sono inserite nei di­ battiti scientifici dell’epoca proprio nei luoghi dove hanno sede. Non sono personaggi “curiosi” o “romantici” , ma un ambiente di scien­ ziati il cui percorso si spiega nell’ambito di un periodo storico in cui da una parte le organizzazioni proletarie e F anarchismo spingono e si organizzano. Dall’altra il mondo borghese si difende anche sparando nelle piazze, ma proprio per il discorso che abbiamo visto riguardo l’università berlinese, contempla una sfera pubblica della cultura e dello studio in cui garantisce, o dovrebbe garantire, una libertà mag­ giore a livello di espressione e di ricerca. E in questa piega che i geo­ grafi anarchici tentano di inserirsi per contaminare a tutti i livelli la so­ cietà con le loro idee. Ovviamente, questo non è sempre facile, e nella storia non ci sono solo le armonie, ma anche i conflitti. La vicenda di Reclus combat­ tente nella Comune di Parigi, prigioniero e salvato dalla deportazione in Nuova Caledonia (che avrebbe significato quasi sicuramente la morte) grazie ad una petizione del mondo scientifico intemazionale, è troppo nota per dovercisi soffermare qua. Ma è un’esperienza che ha aperto indirettamente la strada al sog­ giorno svizzero di Reclus, durante il quale è stata prodotta la seconda delle sue opere principali, la Nouvelle Géographie Universelle, e si sono allacciate le relazioni sia con gli ambienti dell’Intemazionale, sia con i suoi principali corrispondenti scientifici: i geografi anarchici.

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>is q u e je pourra, v o , île ■ à t’a v a n ta g e a ei ir d 'q u e l’air, je j o in s c e g é o g r a p h e et un F M o d iste. E n o u tr e , j’a,

textes ^ prétextes, Lyon, 2005.

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Prove di Geografia Universale

Proprio negli anni in cui Reclus chiude gli ultimi volumi della sua monumentale opera, il suo amico Kropotkin la indica fra i migliori esempi di integrazione fra le scienze dell’uomo e quelle della Natura, opera che a suo dire può essere compiuta solo dalla geografia, o me­ glio dalla Erdkunde, che per il russo è lo studio “della Terra e di quel che ci sta sopra.” Nella fattispecie “/ Cosmos di Humboldt sono il la­ voro di un geografo. E il lavoro geografico più rappresentativo dei nostri tempi, la Nuova Geografia Universale di Élise'e Reclus, dà una descrizione della terra così strettamente interconnessa con quella dell’Uomo, che se l ’Uomo le venisse tolto l ’intero lavoro perderebbe il suo significato, la sua vera anima”1. 11 Principe anarchico non si fa troppi problemi ad utilizzare la me­ tafora ritteriana del corpo e dell’anima piuttosto di quella più mate­ rialistica dei poli elettrici. Ma al di là di questo, basta la precedente de­ finizione a darci l’idea della continuità dell’opera più “grandiosa” rispetto ai precedenti lavori geografici reclusiani, il cui sottotitolo è, peraltro, La terre et les hommes. Una prosecuzione quasi “naturale” dei due volumi de La Terre, della quale del resto già si parlava al­ meno dalla metà degli anni ‘60. Non essendo possibile qui uno studio approfondito dell’opera, che resta in assoluto da fare, ci limiteremo ad alcune considerazioni generali sulla continuità con cui viene affron­ tato il discorso alla scala dei grandi “individui planetari”, che servi­ ranno anche ad introdurre i capitoli sui tre “geografi anarchici” che proprio per la redazione di quest’opera hanno collaborato con Reclus. 1. P. Kropotkin, On the teaching o f physiography, “The Geographical Journal” , Vol. 2, n. 4,1893, p.355.

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Occorre precisare che se pochi studiosi si sono avventurati in que­ sti 19 volumi è anche perché su questi pesa ancora il giudizio di Yves Lacoste, che considerandola un’opera “censurata” , in quanto l’edi­ tore Hachette impone al rivoluzionario un vincolo di non-trattazione esplicita di questioni politiche, sosteneva che l’opera che rappresenta veramente il pensiero sociale di Reclus è la successiva, L ’Homme et la Terre. A questa si rifanno di preferenza gli studiosi anche perché, oltre a essere più “autentica”, ha anche il vantaggio di essere molto più breve (i volumi che trattano del mondo contemporaneo, alla fine, sono due) e dotata di migliori indici analitici: insomma un ottimo affare ri­ spetto alla Nouvelle Géographie Universelle. Su questa “censura”, o “autocensura”, un recente, prezioso, studio di Soizic Alavoine ricostruisce la corrispondenza inedita fra Reclus ed Emile Templier, il manager della ormai grande casa editrice Hachette, che si occupa di siglare un accordo per cui l’opera non avrebbe conte­ nuto propaganda politica, sarebbe stata costruita con una prosa e degli argomenti “accattivanti” in modo da essere venduta ad un pubblico ampio, e che successivamente tiene il fiato sul collo a Élisée visio­ nando preventivamente i manoscritti dei primi volumi. In occasione di questi la corrispondenza presenta una contrattazione abbastanza ser­ rata, soprattutto sul volume II che era il più “delicato” in quanto dedi­ cato alla Francia. Poi, stabiliti i termini dell'accordo, il committente cessa i controlli preventivi perché ha fiducia nella “buona volontà” del geografo di rispettare i patti. L’interpretazione prevalente è che Reclus sia costretto ad accettare questa collaborazione, a condizioni sfavorevoli per la sua libertà scientifica, perché fondamentalmente “teneva famiglia” (faire bouillir la marmite, è la sua espressione) e dopo la Comune non aveva grosse alternative professionali. Questo è senza dubbio vero, ma credo che ci sia anche dell’altro. Le contrattazioni con Hachette co­ minciano quando il comunardo Reclus è prigioniero sui pontoni di Brest in attesa di condanna. E ancora nell’estate, dopo mesi di de­ tenzione sulle navi-galera, dimostra di non essere tipo da abiure o compromessi a scapito della propria dignità. Rifiuta un’offerta della Société de Géographie di patrocinarlo in cambio di una dichiarazione di “fedeltà" nei confronti dell’associazione, spiegando così la deci­ sione alla moglie: “7w comprendi cosa ho dovuto rispondere. Es­ sendo sconosciuto l ’avvenire, mi è impossibile sapere quale linea di condotta mi darà la mia coscienza, e di conseguenza, non posso sot­ 12

toscrivere nessun impegno di cui qualcun altro oltre a me dovrà pe­ sare i termini”23. E pochi giorni dopo rifiuta di ricevere il ministro della Pubblica Istruzione che in una visita al carcere aveva chiesto di parlargli: “Ma siccome disprezzo quest’uomo, ho rifiutato di andare da lui dicendo che non avevo niente da chiedergli”2,. Ma quando solo alcuni mesi più tardi, nell’aprile del 1872, già li­ bero e al sicuro in Svizzera, riceve la lettera decisiva del fratello Onésime (che è fra gli intermediari della vicenda) in cui si chiarisce che Hachette semplicemente non vuole che la sua geografia sia un trattato “politico-religio-sociologico-mi litanie”, e che “tu rinunci a fare un libro di lotta”4; a quel punto l’irriducibile Reclus....accetta subito! Salvo non ci interroghiamo su una ipotetica schizofrenia del geo­ grafo, di cui non mi pare si rilevino indizi nel resto della sua carriera, dobbiamo ipotizzare che questo “cappio” che gli viene messo al collo dal suo editore (col quale peraltro lavora già da una quindicina d’anni) non gli pesi più di tanto, o comunque gli pesa ma ritiene che il com­ promesso non sia poi così terribile. Intanto, come ci ricorda anche la studiosa citata, nella Francia del Secondo Impero esisteva comunque una censura, con la quale presu­ mibilmente Reclus aveva già dovuto fare i conti nelle sue pubblica­ zioni precedenti. Ma soprattutto, credo che per capire questa scelta dobbiamo rifarci proprio al discorso che facevamo in apertura sugli inizi della geografia borghese, quando la “neutralità” della scienza era proprio la strategia proposta dagli scienziati stessi per poter in qualche modo “aggirare” le condizioni non esattamente liberali dello Stato monarchico-feudale, e poter fare opera di rinnovamento a partire proprio dal lavoro scientifico. Per chi conosceva anche indirettamente questa storia, accettare la “neutralità” della geografia come condi­ zione per poter continuare a fame, esponendo i propri concetti e prin­ cipi senza dare loro una patente politica dichiarata, poteva essere un compromesso tutto sommato accettabile, nella prospettiva di un’opera 2. É. Reclus, Correspondance, Paris, Librairie Schleicher Frères, 1911, Voi. Il,p. 53. 3. Ibid..p. 55. 4. In S. Alavoine, Élisée Reclus face aux contraintes éditoriales de la maison Ha­ chette, Colloque intemational “Élisée Reclus et nos géographies. Textes et prétextes” . Lyon 7-9 Septembre 2005 (CD-Rom).

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di geografia pensata e realizzata da un anarchico, con tutti i relativi ri­ ferimenti, per quanto impliciti. Allo stesso modo un fautore dell’educazione popolare come Reclus non doveva essere scandalizzato dall’idea di fare un prodotto “per molti”, e non doveva essere difficile per un seguace di Humboldt inserire una maggiore dose di “pittoresco” nelle sue narrazioni. Anche sfogliando il secondo volume della corrispondenza edita, che contiene diverse lettere di quegli anni ad amici e parenti, Reclus cita sempre Templier facendo riferimento a delle “trattative” e mai a delle “censure”. Del resto, se noi leggiamo L ’Homme et la Terre, che è stato scritto in piena libertà perché praticamente “autoprodotto”, non troviamo né un’opera di propaganda né un “libro di lotta”. Reclus è sicuramente disinvolto nella critica e nelle prese di posizione, ma l’opera non perde mai il suo carattere di trattazione scientifica. Il registro non è certo lo stesso degli opuscoli di propaganda anarchica che Reclus scrive in quegli anni. Ma un conto è la forma, un conto sono i contenuti: sa­ rebbe anche interessante una lettura comparativa delle due opere mag­ giori per vedere che cosa alla fine non è stato detto nella prima. Date le dimensioni della faccenda, non possiamo che rinviarla ad altra oc­ casione. In ogni caso, nei primi anni di lavoro alla Nouvelle Géographie Universelle, il controllo si fa sentire, e sulla Francia c’è uno scambio abbastanza serrato di opinioni divergenti; Reclus riuscirà a convin­ cere l’editore a inserire il capitolo sull’Alsazia-Lorena nel volume de­ dicato alla Germania (quasi un’onta nazionale) solo sostenendo che il secondo volume “era già troppo pieno”. In queste trattative forse a Reclus toma di tanto in tanto in mente un aneddoto che racconta in una lettera del 1873 ad Attila de Gerando, giovane rivoluzionario un­ gherese e collaboratore del volume della NGU sugli imperi centrali, riguardo al suo amico Rogeard, in quel periodo rifugiato proprio in Ungheria dopo la Comune. Questi, studioso di letteratura, aveva giocato ad Hachette uno “dei più bei tiri che si possano immaginare”, proponendo un libro di edu­ cazione classica preparato con il massimo della cura, ma in cui tutti gli esempi di scritti in latino, peraltro eccellente, erano testi che incita­ vano all’odio contro i tiranni e alla rivolta contro il governo. Peccato che ad Hachette nessuno se ne fosse accorto e la pubblicazione fosse stata approvata con piacere; è stato solo dopo le proteste dei presidi e

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dei sacerdoti “che ci si è resi conto con orrore del pericolo che si è fatto correre alla società.5” Comunque, dicevamo, dopo i primi due volumi il controllo si al­ lenta sia perché il geografo rispetta i patti, sia perché, suggerirei io, l’opera ha un buon successo di vendite. La tiratura dei primi volumi arriva alle 20.000 copie, che non è poco per dei tomi che arrivano vi­ cini alle 1.000 pagine ed hanno un prezzo relativamente alto. Ag­ giungiamo poi che quest’opera così “pesante” avrà negli anni succes­ sivi traduzioni in inglese, spagnolo, russo e italiano, a dimostrazione che l’idea ha avuto un grosso mercato anche al di fuori dell’area fran­ cofona; altrimenti gli editori stranieri non si sarebbero presi la briga (e la spesa) di fare tradurre e stampare un’opera di oltre 17.000 pagine. In più, non risulta che nessuno della redazione di Parigi “sforbi­ ciasse” le bozze di Reclusi era il geografo stesso a portare le corre­ zioni che gli venivano richieste, a quanto pare non senza aver fatto sentire la sua voce nelle preventive contrattazioni. Gli studiosi par­ lano quindi di “censura dolce” o di “autocensura”. Io parlerei anche di una lungimirante strategia reclusiana per tenere il controllo della sua opera anche in condizioni di libertà limitata, e costruire un lavoro che se non esprime tutto il suo pensiero nei termini precisi in cui si po­ neva, dice comunque cose che il geografo pensava, e come tale merita di essere studiato con pari dignità rispetto alle opere successive. Già nell’introduzione generale all’opera si chiarisce quali sono gli oggetti peculiari della trattazione: intanto la conquista scientifica del pianeta, delle vaste regioni ora collegate al resto del globo, sulle quali le nuove scoperte procedono a una tale velocità che non sarebbe più possibile integrarle in opere già esistenti, “sia pure del più alto va­ lore, come quella dell’illustre Malte-Brun. Per un periodo nuovo, ci vogliono dei libri nuovi.6” E sappiamo quali fossero le aspettative che questo periodo nuovo portava con sé presso i militanti che negli anni deH'Internazionale e della Comune di Parigi intendevano costruirlo. Il libro nuovo vor­ rebbe essere quello dell’integrazione universale, che già di per sé è un valore in questo cammino dell’umanità. Poi di nuovo, a partire da La Terre, indagare più in dettaglio i cam­ 5. É. Reclus, Correspondance. Voi. II, cit., 191 l,p . 140. 6. É. Reclus, Nouvelle Géographie Universelle. Voi. 1. L ’Europe Méridionale, Paris, Hachette, 1876, p. 1.

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biamenti della superficie del globo assieme agli uomini che nutre, mentre “la geografia convenzionale che consiste nel citare le longi­ tudini e le latitudini, nell’enumerare le città, i villaggi, le suddivisioni politiche ed amministrative, non prenderà che un posto secondario nel mio lavoro”1. Si può dire in qualche modo che si apre qui il discorso dalla stessa immagine con cui l’opera precedente si era chiusa, quando Reclus in­ vita il lettore a studiare ‘‘questa Terra Benefattrice che ci porta tutti e sulla quale sarebbe così bello vivere da fratelli”*. Un richiamo alla fratellanza che potrebbe sembrare molto gene­ rico, se non venisse dalla penna di qualcuno che in quel momento è di­ ventato uno fra gli esponenti più noti del movimento anarchico inter­ nazionale. Credo che qua sia anche necessario segnalare quale sia la concezione della storia di Reclus, come emerge in uno dei suoi più noti testi “militanti”, L ’evoluzione, la rivoluzione e l ’ideale anarchico, apparso dopo la Nouvelle Géographie Universelle e sicuramente in­ fluenzato dagli studi evoluzionistici di Metchnikoff e Kropotkin, ma che senz’altro esprime un’idea di fondo già presente nella formazione reclusiana fin dai tempi di Berlino. Ossia l’idea che la storia sia un flusso in perenne equilibrio fra azione e reazione, nel quale esistono gli avvenimenti, ma “in con­ fronto a questo fatto primordiale dell’evoluzione e della vita univer­ sale, che cosa sono tutti i piccoli avvenimenti che noi chiamiamo ri­ voluzioni (...)? Non altro che vibrazioni quasi inavvertite e, per così dire, delle apparenze.789” Il concetto di fondo è che questo flusso principale, costruito dalla perenne tensione fra autorità e libertà, in corrispondenza delle rotture dell’equilibrio determinate dalle ingiustizie sociali e dalla lotta di classe, ricerchi sempre equilibri nuovi, che nell’impianto ottimistico reclusiano sono equilibri di volta in volta superiori. Le rivoluzioni sono eventi bruschi che rompono con la situazione esistente, ma il loro pro­ dotto viene gradualmente riassorbito nel lento fiume dell’evoluzione. Senza entrare nel merito delle implicazioni politiche di questa posi­ zione (accolta tra l’altro con poco entusiasmo nel movimento anar­ 7. Ibid., p. II. 8. Ibid., p. IV. 9. E. Reclus, Scritti Sociali, Bologna, Libreria Intemazionale di Avanguardia, 1951,p . 85.

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chico), resta il fatto che è corretto pensare che Reclus ritenesse, coe­ rentemente, il progetto di una Geografia Universale comunque come un passaggio da compiere, uno strumento comunque progressivo, nella strada di questo percorso di continua evoluzione del genere umano. Per il quale serve una conoscenza che fin dalle prime pagine della Nouvelle Géographie Universelle, quando si parla di terre da esplorare e terre esplorate, dimostra di differenziarsi dalla rappresentazione car­ tografica, che è ben altra cosa rispetto alla “geografia intima”. “Per le contrade già visitate dai viaggiatori e raffigurate sulle carte con una rete di itinerari, bisognerebbe aspettare di conoscerle nella loro geografìa intima avendole sottoposte a una lunga serie di studi comparati ,w" Una conoscenza che deve sbarazzarsi di tutti gli odi razziali, perché si ritorna all’idea che l’umanità è una, e se negli equilibri planetari presenti l’Europa si trova in netto vantaggio sugli altri, per Reclus l’evoluzione farà sì che si crei un equilibrio fra i popoli e la ricchezza delle nazioni, e, “sulla Terra, quella che viene detta la civiltà avrà il suo centro dappertutto, la circonferenza da nessuna parte 11” come è, precisamente, caratteristica del globo. Se il concetto di civiltà, in Reclus e nei geografi anarchici che in­ contreremo successivamente, è molto legato alla sua versione euro­ pea, è anche perché è in questa cultura che sono presenti i valori di li­ bertà, eguaglianza, universalità, portati prima daH’Illuminismo e dall’Encyclopédie, poi dall’Internazionale e dal nascente movimento operaio, che nell’idea di Reclus devono estendersi al mondo. Non siamo di fronte aH’eurocentrismo colonialista di tanti intellettuali eu­ ropei, ben descritto e criticato ad esempio da James Blaut, un geo­ grafo che tra l’altro aveva ben presente l’insegnamento di Reclus. Tra l’altro, Reclus non svaluterà mai le conquiste delle altre civiltà, e sarà in linea con gli studi antropologici di suo fratello Elie, che si occupava dei popoli allora detti “primitivi” , e portava avanti idee non scontate, come il ritrovare spunti di interesse nelle capacità di adattamento all’ambiente e nelle strutture sociali di questi diversi tipi di civiltà. L’opera parte dichiaratamente dall’Europa anche perché è la zona su cui ci sono più notizie in assoluto. Questo continente si distingue intanto per una precisa suddivisione10 10. É. Reclus, Nouvelle Géographie Universelle. Voi. /., cit.,p. 2. 11. Ibid.. p. 7.

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fisica che corrisponde, ovviamente, a due diverse marce della storia. Il sistema orografico principale, nonché colonna vertebrale del nostro in­ dividuo geografico, è il complesso sistema delle montagne balcaniche, che trova un prolungamento principale nelle Alpi e successivamente nei Pirenei. Tale sistema ha fatto sì che una parte settentrionale del conti­ nente, in contatto con le pianure russe e di qui con le steppe asiatiche, sia stata più facilmente popolabile per spostamenti via terra. La parte meridionale, al contrario, era più facilmente accessibile via mare. Mare che come abbiamo visto gioca un ruolo decisivo proprio quando pene­ tra fra le terre: anche fra queste pagine troviamo uno schema grafico che ci dimostra l’importanza dello sviluppo costiero rispetto all’esten­ sione complessiva, maggiore in Europa che in tutti gli altri continenti. Anche se Reclus ammette l’ignoranza della scienza in quel mo­ mento riguardo ai percorsi e agli scambi precisi delle popolazioni che hanno insediato l’Europa in epoca preistorica e protostorica, restano due gli elementi fissi della sua analisi rispetto alle opere precedenti. In primo luogo il cammino della storia da est a ovest, per cui si conferma l’idea di un popolamento che scorre come un fiume verso il mare dagli altipiani asiatici. In secondo luogo l'idea dell'Europa come luogo di un costante mé­ lange di popoli diversi, tanto che gli attuali tipi etnici derivano da que­ sto continuo rimescolamento. C ’è a questo punto l’idea di una com­ plessità etnica e linguistica che non è assolutamente riconosciuta dai confini nazionali. L’equilibrio europeo “fondato sul diritto di guerra e sulle rivalità delle ambizioni (...) non tiene in nessun conto la vo­ lontà delle popolazioni stesse; ma questa volontà è una forza che non si perde; agisce alla lunga e prima o poi distrugge l ’opera dei guer­ rieri e dei diplomatici}2” Questo mi sembra un esempio emblematico di come la strategia messa in atto da Reclus, possa comunque fare passare dei concetti “utili”: un bravo cittadino della Terza Repubblica poteva leggere in quella frase anche un richiamo patriottico all’Alsazia-Lorena. Ma non dimentichiamoci che proprio in quegli anni era forte, negli ambienti anarchici, la solidarietà verso le lotte di autodeterminazione di tutte le popolazioni, soprattutto slave e balcaniche, oppresse dagli imperi. Esponenti del movimento anarchico partecipano ad esempio alle lotte dei popoli slavi contro l’impero turco, anche in coerenza con il giudi-12 12. Ibid., p. 30.

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zio positivo che veniva dato, in sede storica, agli aspetti più avanzati di movimenti come quello del risorgimento italiano. Tomando alla ossatura del nostro individuo geografico, esistono, a scapito della divisione, anche elementi di unità: un clima relativamente omogeneo e favorevole alle attività umane, almeno rispetto ad altri continenti; un “altopiano sottomarino” che in epoche di abbassamento del livello del mare faceva dell’Europa continentale un insieme unico con le isole britanniche e il Maghreb; e soprattutto fiumi come il Reno, il Rodano, il Po e il Danubio che sono stati veicoli di contatto e unità fra ipopoli. Nel frattempo, però, le popolazioni che nell’antichità hanno inse­ diato la sponda mediterranea dell’Europa erano tendenzialmente più evolute di quelle che occupavano il nord, possedendo necessariamente i rudimenti della navigazione, e dunque del commercio. I volumi sull’Europa, infatti, partono da quello dedicato alle tre penisole mediterranee, perché è proprio attraverso di loro, in ordine progressivo, che il cammino nel senso dei paralleli è passato per arrivare all’Oceano. Dalla Grecia, prima dominatrice del mare interno, alla penisola ita­ liana che ha visto non solo la potenza di Roma, ma anche quella delle Repubbliche marinare nel Medioevo; poi con la prima età moderna è alla penisola iberica che spetta il predominio in quell’espansione ol­ treoceano che oggi è considerata la prima spinta globalizzatrice; nel XVII secolo il predominio economico passa ai Paesi Bassi, vincitori di Filippo II, dei quali Reclus sostiene la natura “peninsulare” , e suc­ cessivamente alle isole della Gran Bretagna, precisando i passaggi del paragone inaugurato da Ritter. Una storia che comincia sulle rive del Mediterraneo non solo come vicende, ma anche e soprattutto come storia delle idee. In particolare è la Grecia, con i suoi filosofi, i suoi geografi le sue esperienze poli­ tiche, che viene individuata come l’origine di quel pensiero positivo che per Reclus sta alla base della cultura europea. È con una signifi­ cativa metafora che si indica il collegamento fra la forma delle sue rive e il fatto che siano state la culla del pensiero umano. “Guardando le numerose isole dell’Egeo, le frange delle penisole che le orlano e le grandi penisole stesse, il Peloponneso, l ’Italia, la Spagna, le si con­ fronta naturalmente a quei circuiti cerebrali nei quali si elabora il pensiero dell’uomo P ” 13. Ibid., p. 47.

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Come scrive poi Florence Deprest, che a questa costruzione dell’oggetto geografico “Mediterraneo” ha dedicato qualche anno fa un bell’articolo, individuando tra l'altro gli aspetti innovativi portati da Reclus in questo percorso di definizione scientifica, proseguito nel XX secolo con la Géographie Universelle degli allievi di Vidal, e suc­ cessivamente con La Méditerranée di Braudel. “Reclus cerca di com­ prendere cosa ha reso possibile lo sviluppo di questi valori fondamentali, e si interessa ai luoghi dove sono nati. E volendo esplicare questa origine che costruisce il mare Mediterraneo come oggetto scientifico” 1415. Dobbiamo poi considerare che nella Nouvelle Géographie Universelle il capitolo sul Mediterraneo non è che il primo di una serie di parti che nel corso dell’opera tratteranno di mari più o meno interni, ba­ cini fluviali e sistemi idrici di ogni tipo. E importante questa conside­ razione dell’importanza dell’elemento liquido, fra i principali vettori, già in Ritter, del cammino dell’umanità. In effetti, se Ritter paragona il Nordamerica all’Europa in virtù del suo “doppio mediterraneo” e della sua rete fluviale, stabilendo allo stesso tempo una relazione fra i due concetti e una estensione del primo ad altri individui oltre a quello che lo porta come nome proprio, Reclus va oltre. Va oltre perché nella sua terminologia il “mediterraneo” comincia ad essere usato in senso par­ ticolarmente esteso. Nel primo volume de La Terre Reclus, nella definizione delle ana­ logie fra i corpi continentali, fa corrispondere il Mediterraneo e il Mar baltico al golfo del Messico. Nel secondo volume, quando classifica i mari e gli oceani, individua la bellezza di sei Mediterranei: “Mediter­ raneo romano; baltico; arabico; persico; australiano; americano”'-’. Da notare che il mar Giallo, poi definito “Mediterraneo Cinese” da au­ tori fra cui lo stesso Metchnikoff, è qui classificato fra i “mari costieri”, assieme al Mare del Nord e al golfo di San Lorenzo. Nella Nouvelle Géographie Universelle alcuni capitoli, come pro­ prio quello sul Mediterraneo nel volume sull’Europa meridionale, e quello sul Mediterraneo Americano (inteso come insieme del mare caraibico e del golfo del Messico), sono specificamente dedicati alla 14. F. Deprest, L'invention géographique de la Méditerranée: éléments de ré­ flexion, “L’Espace géographique” 1/2002,p. 83. 15. E. Reclus, La Terre. Description des phénomènes de la vie du Globe, Vol. //, cit.,p.26.

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definizione di questi individui geografici, come protagonisti della sto­ ria passata o nelle previsioni di Reclus destinati a esserlo fra breve. Ma già nel primo volume de La Terre, il concetto era stato ulte­ riormente allargato: si parla di “mediterraneo amazzonico” per indi­ care le future potenzialità di espansione economica e commerciale di quell’area, favorite evidentemente dalla navigabilità di questo grande fiume e dei suoi affluenti. Nel secondo lo si definirà “lapiù magnifica via commerciale dell’interno dei continenti, questo mediterraneo d ’acqua dolce meno pericoloso del mediterraneo d ’Europa” 1617. Dunque il concetto di “mediterraneo” è estendibile a un fiume, ma non solo, perché sempre nel secondo volume della stessa opera, ri­ guardo proprio all’America del Nord, si dice che “il mediterraneo dei grandi laghi e le piane mississipiane offrono al commercio e alla co­ lonizzazione dei vantaggi che non sono eguagliati in nessuna parte del mondo“11. Quindi anche i laghi possono fregiarsi di questo titolo, se connessi all’idea di scambio e comunicazione. Già ne La Terre, dunque, la definizione di mediterraneo come nome comune è per Reclus uno strumento estremamente versatile con cui definire quegli individui geografici nei quali l’elemento liquido è ten­ denzialmente contenuto in quello solido, e che hanno una fondamen­ tale funzione storica: fungere da veicolo di comunicazione, trasporto, commercio e dunque mélange fra i popoli che hanno raggiunto una sufficiente evoluzione tecnica per poterne usufruire. Questo ha una fondamentale implicazione: questi individui geografici non sono dei confini o delle barriere, ma dei punti di unione. Questa è in Reclus l'idea di un “mediterraneo", e di quello di casa nostra in particolare, nel quale la rotta aperta dal canale di Suez rime­ dia alla saldatura geologica che ne aveva fatto un mare chiuso, e la posa dei cavi telegrafici sottomarini rimedia a quell'innalzamento del livello delle acque per cui il Marocco e la Tunisia erano saldati diret­ tamente all’Europa. Ma poiché Ritter e Reclus ci autorizzano a farlo, bisogna che ci occupiamo dell’importante significato che assumono questi individui anche quando sono fatti di acqua dolce. È per primo Ritter, nella sua Introduzione generale, a prescrivere l’individuazione dei bacini idro­ grafici e dei sistemi fluviali tramite la ricerca delle linee di separa­ 16. Ibid., p. 654. 17. Ibid., p. 665.

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zione delle acque e di considerarli come un oggetto di studio com­ plessivo: “lo spazio che ingloba il dominio delle fonti e del fiume e che fa perciò parte di un solo e medesimo insieme - come il centro e la cir­ conferenza - costituisce il bacino idrografico e chiameremo sistema o rete fluviale le forme solide e liquide individuate nella loro dipen­ denza reciproca” 18. Abbiamo già visto come Reclus si sia meritato una medaglia da “ecologista” proprio per la sua idea che per gestire l’ambiente è ne­ cessario considerare i fiumi nel complesso del loro bacino di perti­ nenza, proprio per evitare che le relazioni reciproche fra elementi so­ lidi, liquidi e umani siano distruttive. Ma F implicazione forse più importante che ha per lui questo con­ cetto del fiume come una sorta di “mediterraneo”, e che porta avanti per tutta la sua carriera di geografo, è che il fiume non è un “confine naturale”, non lo può essere e anzi semmai è esattamente l’opposto. Mentre il confine politico divide, il fiume, per sua stessa natura, uni­ sce i popoli. Ed è attore, anche etimologicamente, della storia perché si muove, e dove c’è movimento c’è azione. E evidente che questo ha una portata molto forte dal momento che molti Stati, molti domini politici, molte retoriche nazionaliste si fon­ dano sull’idea di un fiume come confine e custode della patria, al quale viene riservata una più o meno accentuata sacralità. Invece Re­ clus, come ha dichiarato, utilizzerà un altro tipo di criterio per indivi­ duare le regioni, e in quasi tutti i volumi della Nouvelle Géographie Universelle sarà proprio il concetto di bacino idrografico ad indivi­ duare una moltitudine di “regioni fisiche”, alle quali corrisponde ge­ neralmente una qualche forma di unità umana, in spregio ai confini amministrativi e politici vigenti, che già in questa introduzione Reclus definisce qualcosa di mobile, un criterio non affidabile per definire la geografia di un globo abitato da una sola umanità. Troviamo così capitoli come quello sul bacino del Nilo, che è ad­ dirittura sovraordinato come importanza a quelli sulle nazioni che at­ traversa. O come quelli sul bacino Tigri-Eufrate, sul Gange, sullo Yang-Tze, sul Mississippi, sul Rio delle Amazzoni, sul Mekong, quando è possibile facendosi beffa, secondo la lezione della geografia della “regione naturale” e di Leyser, dei confini statali e coloniali. Ma dobbiamo anche dire che Ritter, nello studio dei fiumi, racco­ 18. C. Ritter, Introduction à la géographie générale comparée, cit., p. 94.

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mandava di applicare a tutti i rami del bacino il principio dei tre livelli: individuare sempre un livello superiore in cui la pendenza è più ri­ pida e la corsa delle acque più veloce, un livello intermedio in cui il corso del fiume si stabilizza, incomincia a svilupparsi a meandro e ri­ ceve i principali affluenti, e un corso inferiore in cui le acque scen­ dono più lentamente, e si fermano periodicamente prima della foce quando sale la marea. Ritter aveva anche individuato un fiume “ideale” al quale per primo aveva applicato con successo questo metodo. Ce lo facciamo raccon­ tare da Reclus: “// Reno può essere citato come l ’esempio di un fiume in cui le tre parti del corso si sviluppano in maniera normale" 19. Quel Reno a cui, nel terzo volume sull’Europa centrale dedica al­ cune pagine (proprio dopo la scabrosa parte sull’Alsazia-Lorena), che individuano il bacino di questa via di comunicazione antichissima fra il Mediterraneo e il Mare del Nord. Ma si tratta anche di un fiume che, considerato quasi un individuo mitologico dalle popolazioni che abitano sulle sue rive, “Senza essere una frontiera naturale, ma, al contrario, poiché dall’est e dall’ovest il movimento delle popolazioni si porta trasversalmente al suo corso, il Reno è uno dei limiti che fu ­ rono più vivamente disputati nel corso della storia"20. Considerato un principale limes già dai romani, per Reclus le sue sponde opposte sono ormai integrate. Nella negazione di questa frontiera naturale c ’è tutta la smentita del nazionalismo francese che mai come in quel periodo, dopo la sconfitta subita nel 1870 e la perdita delle regioni orientali, rivendi­ cava il fiume come confine “naturale”. C ’è una negazione implicita del patriottismo, perché la valle del Reno non è definita né in fun­ zione dello Stato francese né in funzione dello Stato tedesco, ma in funzione dei popoli che per millenni ha messo in collegamento. Ma questa non è “propaganda politica” , è “scienza”, e i censori di Hachette non possono avere niente da ridire. Ma come dicevamo, i capitoli con cui Reclus introduce i suoi vo­ lumi, o gruppi di volumi, sugli individui planetari come i continenti o l’emisfero oceanico, sono vedute di insieme di queste grandi forme e 19. É. Reclus, Lu Terre. Description des phénomènes de la vie du Globe. Vol. I, cit., p 364. 20. É. Reclus,Nouvelle Géographie Universelle. Vol. lit. L ’Europe Centrale, Vans,, Hachette, 1878, p. 545.

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di questi grandi movimenti sulla superficie del globo. A questo pro­ posito sarebbe il caso di fornire alcuni chiarimenti su questa dinamica est-ovest, se non altro per definire meglio questi concetti nel pensiero reclusiano. Come sappiamo, era stato Ritter a individuare questo posiziona­ mento relativo come uno dei primi criteri di distinzione, e a ricostruire storicamente questo percorso a partire dagli altipiani asiatici, per ap­ prodare poi nel mediterraneo greco, e successivamente in Gran Breta­ gna e oltre l’Atlantico, dove però il senso di marcia cambia in perpen­ dicolare. E interessante notare come venga interpretato questo percorso da un filosofo come Hegel, che proprio sugli insegnamenti di Ritter ha basato la struttura della sua filosofia della storia, che segue il corso del sole in quanto basata su quattro periodi: quello dei grandi imperi asia­ tici (Cina, India, Persia), quello del mondo greco, quello del mondo romano, e quello del mondo germanico. La base di questa concezione sta proprio nell’importanza data al suo fondamento geografico, inteso come struttura fisica e interconnessione fra forme liquide e solide, e di qui tramite la storia, l’elemento “morale” dei popoli. Questa serie di relazioni complesse, che va oltre le idee di Montesquieu e Herder ri­ guardo il semplice “influsso del clima” sul temperamento individuale, è di dichiarata origine ritteriana, come ha messo in luce Piero Rossi. Ma c’è un fondamentale salto che non viene compiuto, cioè pen­ sare queste relazioni nel globo: Hegel non varca l’Atlantico, perché nella sua idea di individuare lo spirito germanico come quello su­ premo, tiene questa analisi all’interno del Vecchio Mondo, nel quale un attore geografico che già conosciamo, il bacino del Mediterraneo, assume il ruolo di centro della storia, e dunque anche di perno geo­ grafico principale dei destini dell’umanità. “Qualcosa d ’inconcepi­ bile per Ritter, per il quale il mondo restava una sfera, dotata perciò di una infinità di centri?1” Infatti nel Nuovo Mondo, cambiando la storia, cambiano le dire­ zioni. Questa sarà anche la posizione di Reclus, però osserviamo come il geografo francese tenti di dare una precisa sistemazione ai concetti di Est e Ovest per quanto riguarda la storia precedente. Per farlo dob­ biamo concederci una breve “incursione” nella sua ultima opera, L ’Homme et la Terre, in cui, rifacendosi anche all’articolo East end 21 21. F. Farinelli, Geografia, cit., p. 97.

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West comparso nel 1894 sulla “Contemporary Review”, chiarisce in­ tanto il senso relativo di questi concetti: ogni individuo, prendendosi come centro del mondo, ha il suo nord, il suo sud, il suo est, il suo ovest. Convenzionalmente si separano “est” e “ovest” a partire da meri­ diani che però non hanno alcun significato nella storia e nella natura. Reclus propone, se proprio bisogna indicare una ripartizione conven­ zionale fra un est e un ovest, di non utilizzare quelle “linee dritte” di ritteriana memoria, ma trovare appunto quelle scritte nella struttura della superficie terrestre e quindi nella storia dell’umanità. Per Re­ clus questa linea è sostanzialmente quella che separa l ’Europa dall’Asia. Ma non quella priva di significato storico che troviamo an­ cora oggi sugli Atlanti, dagli Urali al Caucaso passando per la Turchia fino al Sinai. “La vera zona di separazione è indicata nel centro dell’Asia da una regione territoriale che si distingue nello stesso tempo per l ’alto rilievo del suolo e per la rarità degli abitanti”22. Questa linea parte dal golfo di Oman nella zona desertica del Belucistan a ovest dell’Indo per poi coincidere con i monti dell’Hindukush e i successivi altipiani kirghisi, per poi scendere dalle parti del lago Balkhas verso le inospitali steppe che precedono la depres­ sione siberiana compresa fra l’Ob e lo Jenisej. E lungo questa linea che, prima dell’inizio della navigazione transoceanica, si aprivano strette e disagevoli porte che mettevano le due parti del mondo in co­ municazione. Quando per motivi naturali e umani si chiudevano, il mondo era nuovamente diviso in due. Questo ha due principali implicazioni. Intanto spiegare meglio l’espressione di Ritter sui popoli dell’Est e dell’Ovest che “si danno le spalle”. Lo fanno perché sono divisi dalla più importate delle barriere fisiche, un pezzo di quella spina dorsale, nonché limite, dell’emisfero continentale che va dall’Africa Orientale alle Ande. Un massiccio asiatico, che sarà poi studiato da Kropotkin, attorno al quale le civiltà fanno come l’acqua: ad Est si rivolgono all’emisfero oceanico se­ guendo i diversi bacini fluviali del Gange, del Mekong, dello Yang-tze e dello Huang-ho. Ad ovest risentono invece di una attrazione unifi­ cante, quella del Mediterraneo, attorno al quale Reclus vede integrate le terre dell’Europa come quelle del Nordafrica e del Vicino Oriente. 22. 328.

E. Reclus, L ’Homme et la Terre, Paris, Librairie Universelle, 1905,. Voi. I, p.

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Una attrazione unificante che darà sì al Mediterraneo un ruolo di cen­ tro, ma solo per alcun periodi, perché permetterà poi a questa civiltà, fra il XV e il XVI secolo, di conquistarsi un mediterraneo più grande, visto che “nell’insieme dei mari, l ’oceano atlantico può essere consi­ derato come un -mediterraneo”23, che unisce i due pezzi della parte “occidentale” dell’emisfero solido di Ritter. Ma proprio in questi secoli si compie il primo giro del globo, e dunque comincia la “globalizzazione” di cui dicevamo. Il vecchio cammino est-ovest perde di significato, e Reclus relativizza definiti­ vamente la coincidenza storica fra il cammino del sole e quello della storia, perché se questa lo ha seguito in una ben delimitata parte del suo cammino, la cultura, a maggior ragione dopo l’inaugurazione delle connessioni globali, si espande liberamente in tutte le direzioni. In secondo luogo, questa linea di separazione implica una forte connessione fra la cultura dell’Europa e quella del mondo mediterra­ neo, comprensivo della Mesopotamia, del Nordafrica, e in questo senso anche dell’Arabia e della Persia. Anche nel modo di pensare le civiltà che si diffonderanno in questa grande area, caratterizzate poi dalle tre religioni monoteiste, tendono ad assomigliarsi più fra di loro che con quelle ad esempio dell’Estremo Oriente. La stessa separazione convenzionale di Est e Ovest proposta da Reclus non vale, come dicevamo, che per determinate epoche stori­ che. Anche se sarebbe uno studio consigliabile a tutti coloro che oggi, in ambito giornalistico ma anche accademico, maneggiano con poca cura concetti quali “Occidente”, “cultura occidentale” e addentellati vari. Questa idea di est e ovest che viene espressa in questa forma negli scritti successivi alla Nouvelle Géographie Universelle, è del resto coerente con le macrostrutture che vengono individuate in quest’opera. Nel capitolo del volume VI dedicato alle linee generali dell’Asia si parla di queste piccole porte all’intemo di un sistema che contrariamente alla conformazione dell’Europa nega a tale corpo un’unità geografica, sempre ovviamente relazionata all’unità umana. Reclus nega che il reale centro geografico di questo corpo continen­ tale sia quello che intendono generalmente i russi con “Asia Centrale”, cioè quel bacino aralo-caspico, come abbiamo visto più legato all’Eu23. É. Reclus, Nouvelle Géographie Universelle. Vol. XIV. Océan et terres Océa­ niques, Paris, Hachette, 1889. p. I .

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ropa per Reclus. Che preferisce allinearsi alla definizione di un altro geografo: “Richthofen riserva specialmente questa definizione d'Asia centrale alla cavità prosciugata dell’Han-hai e a tutta la regione degli altipiani tibetani in cui le acque evaporano senza scorrere al di fuori”24. Un’area dunque ai bordi della linea divisoria che già conosciamo, ma anche il più alto dei vastissimi bacini idrografici chiusi, caratteri­ stici dell’Asia, in cui si esprime nelle deposizione dei sedimenti la forza centripeta delle acque. Che però quando diventa centrifuga viene seguita, nella nota metafora, dai popoli. Abbiamo parlato dell’attra­ zione del Mediterraneo, restano da citare alcune similitudini fra i fiumi seguiti dalle popolazioni orientali nel loro sviluppo in senso opposto, notate già da Ritter e riprese da Reclus. Quest’ultimo definisce “madre dei fiumi” l’insieme della catena himalaiana bordeggiarne a sud il ba­ cino chiuso degli altipiani tibetani, perché vi hanno origine sistemi idrografici di fiumi che scorrono spesso in coppia, o allontanandosi per riavvicinarsi o sostanzialmente paralleli, come l’Indo e il Sutley, il Gange e il Brahmaputra, il Mekong e l’Irrawaddy, il Huang-ho e lo Yang-tze, grossomodo corrispondenti ai bacini lungo i quali si sono sviluppate le civiltà orientali, che dunque sono particolarmente com­ posite anche perché non hanno avuto un solo mediterraneo, ma più poli di attrazione. Ciononostante, il Vecchio Mondo si è caratterizzato per un passag­ gio più facile, sia di umani, che di animali, che di vegetali, da un capo all’altro di questo blocco che è steso nella direzione del parallelo per quasi la metà della circonferenza terrestre, piuttosto che nelle due Ame­ riche in cui una simile estensione è sviluppata lungo il meridiano. Que­ sto perché gli spostamenti in Eurasia potevano avvenire all’interno della stessa fascia climatica, dunque “le specie potevano propagarsi facilmente da un’estremità all’altra del continente seguendo i gradi della latitudine o scartandosene di poco per approfittare delle brecce, dove la massa degli altipiani si oppone al movimento (...) i popoli si sono spostati senza doversi adattare a climi troppo diversi dal proprio. Così influenze reciproche ed elementi di una civiltà comune si span­ dono su enormi spazi”25. 24. É. Reclus, Nouvelle Geographie Universelle. Voi.VI. Asie Russe, Paris, Hachette, 1881, p. 15. 25. Ibid., p. 8.

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Mentre le civiltà del nuovo mondo rimanevano isolate l’una dall’altra. Quando Reclus analizza le differenze fra i due “triangoli op­ posti” dell’America settentrionale e meridionale, fatica a trovare una linea di divisione vera e propria, anche perché non c’è una corrispon­ denza fra un dato fisico e un grande movimento della Storia. Non avrebbero potuto unirsi o comunicare, a scapito del progresso tecnico e della possibile resistenza ad invasioni dall’esterno, popoli citati in successione da Reclus come gli indigeni della Patagonia, i Guarani, i Quechua, gli Aymara, i Maya, i Mexica, i “Pellerossa”, gli “Eschi­ mesi”, dalle cui lande ghiacciate cominciano i guai quando attorno all’anno Mille i vichinghi “cominciarono a massacrare degli indigeni per il solo piacere di spargere sangue: Vopera di sterminio cominciò subito con l ’arrivo dei bianchi”26. Questi, come ha fatto notare Jerry Kearns (pur senza trarne parti­ colari conseguenze), sono argomenti che staranno alla base di un libro molto noto ai nostri giorni, portatore di concetti che ultimamente hanno ricominciato a destare l’attenzione dei geografi: Armi, Acciaio e malattie di Jared Diamond. Quest’ultimo, utilizzando una serie di nozioni di biologia, genetica ed epidemiologia che ovviamente ai tempi di Reclus e ancor più di Ritter nessuno possedeva, giustifica proprio nell’isolamento dei popoli americani, come anche di quelli oceanici, la causa principale della schiacciante inferiorità tecnologica e militare che permise agli Europei di massacrarli. Questo in virtù del fatto che le invenzioni, le tecniche, l’addomesticazione di specie ani­ mali e vegetali, le stesse tecnologie militari sono tutti fatti che si ve­ rificano in funzione delle comunicazioni e delle dinamiche di un mondo complicato e interconnesso come era quello eurasiatico. Con un importante corollario: Pimmunità a malattie tipiche delle popola­ zioni “dense” , che in Eurasia avevano già circolato per secoli dalla Cina all’Oceano Atlantico. Senza stare a ricostruire tutti i passaggi del pur affascinante per­ corso di Diamond, ne segnalo uno senza il quale questo paragone sa­ rebbe una semplice curiosità: l’epilogo, nel quale vengono messe a confronto l’Europa e la Cina proprio dal punto di vista della confor­ mazione fisica. Nella prima età moderna, l’unità politica dell’im­ menso territorio cinese, che pure era anche più avanzato dell’Europa su certi aspetti della scienza e della tecnica, costituiva uno svantaggio 26. É. Reclus, Nouvelle Géographie Universelle. VolXV., cit., p. 13.

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rispetto alla complessità delle dinamiche fra gli stati europei. Erano state proprio le dinamiche competitive fra questi a sviluppare le tec­ niche belliche e a promuovere le spedizioni transoceaniche. “L'Europa invece si ritrovò divisa in decine o centinaia di stati in­ dipendenti in continua competizione, che erano costretti ad accettare le innovazioni per poter sopravvivere: le barriere geografiche erano sufficienti a prevenire l ’unificazione politica, ma non il passaggio delle idee"21. E questa articolazione politica è direttamente figlia di quelle articolazioni fisiche con cui Ritter iniziava i suoi corsi a Berlino. Dia­ mond come formazione viene dalla biologia, in questo testo non cita mai né Reclus né Ritter e dunque è probabile che quando lo scrive neppure li conosca. Il dato significativo è che a distanza di molto tempo, applicando alla geografia del globo (perché Armi, Acciaio e Malattie è un libro di geografia) un metodo comparante e affrontando la complessità delle questioni sul lungo periodo e con un ampio re­ spiro, si incontrano per forza di cose questi “vecchi” geografi che cer­ cavano risposte sul mondo proprio con queste metodologie. A questo punto, però, sarà bene dire due parole sulla spinosa que­ stione del “determinismo”, che tuttora è un concetto attribuito a Rit­ ter ed ai suoi allievi, e chiarire come questo termine, anche in con­ trapposizione al suo reciproco, il “possibilismo” , non spieghi in realtà nulla. Eppure un tale termine ancora pesa, soprattutto in area fran­ cofona, come un’etichetta di svalutazione per tanti lavori geografici. Dobbiamo occuparcene passando necessariamente da quel Lucien Febvre, dichiaratosi peraltro allievo indiretto di Reclus e Michelet, che pubblicando nel 1922 La Terre et l ’évolution humaine, forse non si aspettava, trattandosi di una “introduzione geografica alla storia” , che la sua opera avrebbe avuto effetti “di lunga durata” più sui geo­ grafi che sugli storici medesimi. In quest’opera, Febvre si fa carico di “difendere” la geografia umana nei confronti degli assalti di una “scienza nuova” , la sociolo­ gia di Durkheim, che si stava ritagliando spazi a spese delle “vicine” . Difesa basata sull’assegnare alla geografia compiti e ambiti più pre­ cisi, e in particolare nel confutare l’antico postulato, risalente ad autori come Montesquieu o Bodin, degli influssi diretti del clima e dell’am­ biente geografico sull’indole e le caratteristiche degli individui.27 27. J. Diamond, Armi, acciaio e malattie, Torino, Einaudi, 2002, p. 321.

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Ma queste “errate concezioni”, vengono segnalate come presenti anche nell’attualità in cui scrive Febvre. Il bersaglio è la scuola tedesca facente capo a Friedrich Ratzel, uno dei massimi continuatori dell’opera degli Erdkunder,contemporaneo di Reclus anche se su posizioni politiche pressoché opposte, autore di opere di geografia umana e politica come la Politische Geographie e VAntropogeographie . Tale errore viene definito “determinismo” , e in tutta l’opera vi sono numerose citazioni di grossolane dichiarazioni di geografi, soprattutto suoi allievi, riguardo ad esempio l’influsso di­ retto del clima sul carattere delle popolazioni, addirittura l’idea che la monotonia degli ambienti desertici mediorientali abbia generato le re­ ligioni monoteistiche. Particolarmente presa di mira è Ellen SempleChurchill, allieva di Ratzel e caposcuola della geografia umana in America. Per contro, Febvre fa vari esempi di come studiare di volta in volta i luoghi e i popoli secondo i principi di quello che definisce “possibi­ lismo” : “delle necessità da nessuna parte, delle possibilità dapper­ tutto”28. Maggiore esponente di questa metodologia è considerato Paul Vidal de la Blache, morto nel 1918, pochi anni prima della pub­ blicazione del libro, la cui concezione dello studio dei generi di vita (genres de vie) e dei quadri regionali basati in primo luogo sul terri­ torio e sulla azione dell’uomo su di esso, aveva fatto scuola, e avrebbe assunto questa nuova connotazione “possibilista” grazie alla inter­ pretazione di Febvre. In un saggio ormai classico, uscito nel 1980 come introduzione alla prima edizione italiana del testo di Febvre, Franco Farinelli si pone con una serrata critica il problema della comprensione di tutto il per­ corso: la contrapposizione fra possibilismo e determinismo, e i confini del sapere geografico. Col significativo titolo Come Lucien Febvre inventò il possibilismo (che fa il verso al febvriano Come Michelet inventò il Rinascimento), la critica di Farinelli comincia nell’attribuire a Febvre una eccessiva semplificazione sia del pensiero di Vidal sia di quello di Ratzel, entrambi troppo complessi per essere racchiusi in ri­ gidi sistemi o in schematismi. In particolare si citano alcune affermazioni di Ratzel che contrad­ dicono nettamente i presupposti deterministi attribuitigli da Febvre. “Ratzel possibilista quindi? No di certo (...) Ciò che in realtà distin­ si. L. Febvre, La terra e l ’evoluzione umana, Torino, Einaudi,

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1980, p. XVIII.

gue Ratzel da Vidal - e da Febvre - non è affatto, come Febvre vuole, l ’opposta concezione del rapporto fra ambiente e società umane. De­ terminismo e possibilismo non sono mai esistiti, in geografia, allo stato puro. Non è così semplice. Si tratta di ben altro”29. Questo mi pare un passaggio fondamentale. Essere consapevoli che la contraddizione fra possibilismo e determinismo è un falso pro­ blema permette di gettare la maschera a tanti dibattiti di poca utilità e di vedere i problemi più a fondo. L’utilizzo che si faceva poi in Germania delle idee di Ratzel sulla missione geografica dei popoli a sostegno dell’imperialismo nazio­ nale facilitava, presso i geografi francesi negli anni attorno alla prima guerra mondiale, la proscrizione delle idee ratzeliane a vantaggio del più “patriottico” Vidal, ma a costo di un’altra rimozione (seconda que­ stione che ci limitiamo a segnalare): quella degli aspetti politici dalla geografia umana. La critica vidaliana (implicitamente acquisita da Febvre) della geo­ grafia politica le attribuisce il ruolo di semplice aspetto della geogra­ fia umana che in Ratzel invece riveste un ruolo centrale rispetto a tutti gli altri elementi. “No. Per Ratzel la geografia politica è l ’unico svi­ luppo possibile dell’antropogeografia, concepita fin dall’inizio in ter­ mini strettamente funzionali alla costruzione di essa. (...) In tal modo il pensiero di Ratzel viene completamente rovesciato, la traduzione francese cancella completamente il senso reale dell’antropogeogra­ fia: l ’umanità della geografia umana (...) si fonda sull’espulsione del Politico e della coscienza della sua preminenza dal sapere geogra­ fico”30. È da questa rimozione che prende le mosse Febvre quando ritiene che l’oggetto di studio del geografo sia il suolo, e non lo Stato. “E la rimozione della coscienza della natura ineluttabilmente politica di ogni conoscenza geografica che fornisce il senso a La Terre”31. Per il momento, facciamo comunque attenzione a parlare di deter­ minismo, perché è compito della geografia indagare proprio su queste relazioni fra dati fisici e dati umani. Di recente lo stesso Jared Dia­ mond, in uno scritto pubblicato su “Antipode” che traccia il bilancio della ricezione di Armi, acciaio e malattie si è stupito, anche in rife­ 29. F. Farinelli, ¡segni del mondo, cit.,p. 222. 30. Ibid.. p. 225 31. Ibid., p. 225.

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rimento all’aver accettato una cattedra di geografia a Los Angeles, lui che di formazione è un biologo, di come i suoi attuali colleghi ten­ dano “a mettere il nostro campo in una luce misera. Attacchi contro il determinismo geografico, un termine abusato che fa in modo che al­ cune persone chiudano la saracinesca e rifiutino di considerare come la geografìa in effetti influenzi le società umane“22. Questa polemica riguardava appunto il libro citato, ma per quanto riguarda la corposa opera successiva di Diamond, Collasso, che ha avuto un analogo successo e che analizza nascita, morte e problemi di civiltà molto diverse e lontane fra loro sia nel pianeta che nella storia, credo che in esergo a quest’altro bel libro di geografia com­ parante potrebbe starci una delle frasi con cui Reclus conclude La Terre. “Fra le cause che, nella storia dell’umanità, hanno già fatto spa­ rire tante civiltà successive, bisognerà contare in primo luogo la bru­ tale violenza con la quale la maggior parte dei popoli trattava la terra nutrice. Abbattevano le foreste, facevano prosciugare le fonti e stra­ ripare i fiumi, guastavano il clima.,.”3233. E per concludere il nostro rapido sguardo su questa grande archi­ tettura che Reclus ha costruito in 19 volumi sulle strutture portanti del globo di Ritter, e sulla quale ovviamente solo uno studio ap­ profondito delle varie parti ci potrà dare tutti gli elementi di origina­ lità del geografo anarchico rispetto ai predecessori, chiudiamo con un punto significativo sul metodo con cui si dovrebbe costruire questa ar­ chitettura a partire dai nuovi processi di conoscenza globale. O anche su come non la si dovrebbe costruire. Abbiamo visto che il Reclus della Nouvelle Géographie Universelle è molto interessato alle esplorazioni dell’Artide e dell’Antartide, che gli consentono di aggiungere tasselli alle sue comparazioni geografiche e geomorfolo­ giche. Invece si dimostra abbastanza freddo, per quanto possa sem­ brare un gioco di parole, riguardo alle spedizioni che partivano alla ri­ cerca del polo nord geografico. Secondo il geografo, se si trattasse solo di individuare il centro esatto attorno al quale si sviluppano alla perfezione i cerchi della latitudine, sarebbe una “puerilità”; quello che Reclus si aspetta dalle spedizioni artiche è che gli dicano “la forma 32. J. Diamond, Guns, Germs and Steel in 2003, “Antipode”, 2003, p. 830. 33. E. Reclus, La Terre. Description des phénomènes de la vie du Globe. Vol. II, cit., p 750.

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delle isole e degli isolotti, dei mari e delle baie, le correnti e le maree, i movimenti dell’aria e altri fenomeni della vita terrestre’,34. Che ci di­ cono sulla vita medesima tutto quello che non potrà mai dirci l’arte di tracciare sulla superficie terrestre delle linee dritte inaugurata da Eratostene e dai suoi seguaci.

34. É. Reclus, N o u v e lle G é o g r a p h ie U n iv e r se lle . V o l. X V , cit., p. 44.

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Charles Perron

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Charles Perron, cartografo anarchico

Nei quasi venf anni in cui lavora alla Nouvelle Géographie Uni­ verselle è costante per Reclus la collaborazione col cartografo gine­ vrino Charles-Eugène Perron. Quest’ultimo è una delle figure meno studiate fra i geografi anar­ chici, anche perché le sue vicende biografiche sono senz’altro molto meno movimentate di quelle di Reclus, Kropotkin e Metchnikoff, ma il suo lavoro merita di certo qualcosa di più della solita menzione del bravo artigiano che costruisce migliaia di carte per la monumentale opera. L’unico studio che sia stato fatto in questo senso sull’opera di Char­ les Perron sono alcuni capitoli che gli dedica lo studioso zurighese Peter Jud nella sua dissertazione su Élisée Reclus und Charles Perron, Schöpfer der “Nouvelle Géographie Universelle”. Nato nel 1837, in un sobborgo di Ginevra, Perron è figlio di un pit­ tore su smalto, e inizialmente segue il padre nella professione, for­ mandosi in più alle scuole d’arte di Ginevra. Lavora anche nel campo della fotografia. Nel periodo 1857-1861 va in Russia a lavorare come ritrattista, e anche se sulla sua giovinezza non ci sono molte notizie biografiche, “è probabile che abbia acquisito in questo periodo una buona conoscenza della situazione politica nella Russia zarista, forse è anche entrato in contatto con i giovani apologisti del n ic h ilis m o . Rientrato in Svizzera, lavora come pittore e fotografo fra Ginevra, il Jura svizzero e Menton. È già in contatto con ambienti socialisti, che poi diventeranno internazionalisti, nello stesso anno ( 1862) in cui pub­ blica un libro di disegni sulle divise dell’esercito elvetico. Continua a frequentare in particolare gli esiliati russi, ed entra in1 1. P. Jud, Charles Perron, “Itinéraire” , 14-15/1998, p. 69.

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contatto con Bakunin verso il 1866, quando una fotografia lo vede al suo fianco, al centro di un gruppo di internazionalisti fra cui l'italiano Giuseppe Fanelli (che compirà un paio di anni dopo una celebre mis­ sione in Spagna con Elie Reclus). È certo che Perron, assieme ai giurassiani James Guillaume e Adhémar Schwitzguébel, è uno dei principali punti di riferimento in Svizzera per l'esule russo, che in quegli anni tenta di creare un’al­ leanza, su basi rivoluzionarie, fra l’Associazione Internazionale dei Lavoratori e la Lega della Pace e della Libertà, nella quale “si era fatto ammettere, nel luglio del 1867, come membro della sezione cen­ trale di Ginevra, dove si legò innanzitutto a Charles Perron“2. Nel settembre dello stesso anno Perron è fra i delegati svizzeri che si recano al Congresso generale dell’Intemazionale a Bruxelles per soste­ nere l’idea di una unificazione, o quantomeno alleanza, fra le due orga­ nizzazioni, proposta che però viene messa in minoranza. Due settimane dopo, al Congresso generale di Berna della Lega medesima, è proprio constatando l’impraticabilità di questo progetto che Bakunin e compagni costituiscono l ’Alleanza Internazionale della Democrazia Socialista, or­ ganizzata secondo la migliore tradizione risorgimentale delle società se­ grete, ma che stavolta sarà l’embrione di quella Internazionale antiauto­ ritaria, che si costituirà nel 1872 a Saint-Imier (Jura) dopo la definitiva rottura con il Consiglio Generale di Londra, dominato da Marx ed En­ gels, e che passerà alla storia come la prima organizzazione anarchica. Dell’Alleanza fanno parte inizialmente italiani, svizzeri, russi, po­ lacchi e francesi. Fra questi ultimi i fratelli Reclus, e proprio la pre­ senza di Élisée nel 1868 a Berna fra i sostenitori di Bakunin, attestata da Guillaume, fa pensare che lui e Perron si siano conosciuti qui, e non nel 1869 a Parigi come sostiene Jud. Sempre nel 1868 Perron pubblica un pamphlet di carattere politico, De l ’obligation en matière d ’instruction, in cui sostiene la necessità, per l’opera di trasformazione sociale e di soppressione di ogni forma di sfruttamento, di una istruzione obbligatoria e gratuita per tutti, con indennizzo delle famiglie. In questo dibattito si inseriscono senz’altro nei decenni successivi gli scritti pedagogici di Reclus e Kropotkin, che ritenevano infatti centrale il problema educativo nella questione sociale, e che influenzeranno non poco il movimento definito della 2. J. Guillaume, L’Internationale. Documents et souvenirs, Paris, Editions Gérard Lebovici, 1985, vol. I, p. 71.

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"pedagogia libertaria” , di cui incontreremo più avanti uno dei mas­ simi esponenti, Francisco Ferrer y Guardia. Nel 1869 Perron è segretario della Fe'dération Romande, sezione dell’Intemazionale nella svizzera francofona, e direttore del giornale internazionalista ginevrino “L’Egalité”, che esce inizialmente come settimanale. Secondo alcuni storici del movimento anarchico, Perron nel de­ cennio successivo avrebbe sensibilmente “raffreddato” il suo impegno militante. È innegabile però che svolga un ruolo assolutamente di primo piano nel laboratorio politico della Svizzera francofona della seconda parte degli anni ‘60, che sarà di fatto la culla del movimento anarchico internazionale organizzato. È altrettanto vero che Perron continua a frequentare fino alla fine le riunioni dell’Internazionale, nelle quali poi lo troveremo come delegato della Federazione del Jura, e anche dopo resta sempre in contatto con gli ambienti anarchici. Nelle vicende che portano alla separazione fra l’Internazionale marxista e quella antiautoritaria, infatti, la rappresentanza delle posi­ zioni bakuniniste passa dalla Fédération Romande alla Fédération Jurassienne. Quando Reclus entra da esule in Svizzera aderisce proprio a quest’ultima federazione, per inserirsi nel 1875 nella sezione di Vevey, che “al momento poco più di un pugno di amici, era un attivo gruppo i cui principali membri erano un carpentiere (Samuel Rossier), un cuoco (Joseph Favre), e Charles Perron, che si era trasferito nel 1875 a Vevey per lavorare come cartografo alla Nuova Geografia Univer­ sale di Reclus”3. Perron e Reclus sono dunque gli animatori di questa piccola sezione che partecipa alle ultime riunioni degli internazionalisti a Berna nel 1876 e nel 1877, facendo “circolare molte idee” , come ricorda Guil­ laume, e partecipando alla redazione del giornale “Le Travailleur". Nel dicembre del 1876 emettono una significativa circolare che an­ cora una volta mette al centro dell’attività politica le problematiche edu­ cative, auspicando la creazione di quelle che poi sarebbero state le scuole libertarie e razionaliste. “Siamo ben lontani da esserci assicurati l ’istruzione che ci è necessaria per lottare con vantaggio contro gli op­ pressori. Per una dolorosa ironia della sorte, è ancora a loro che dob3. M. Fleming, The Geography o f Freedom. The Odyssey ofÉlisée Reclus, Mon­ treal, Black Rose Books, 1988, p. 97.

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biamo chiedere l ’insegnamento. La maggior parte di noi sono ancora costretti a mandare i propri figli nelle scuole dove uomini, agli ordini della borghesia, lavorano a pervertire il buon senso e la morale inse­ gnando non le cose della scienza, ma le favole immonde del cristiane­ simo, non le virtù dell’uomo libero, ma le pratiche dello schiavo”4. Ma a Vevey la gran parte delle energie dei due geografi non è de­ dicata alla militanza, bensì alla costruzione del monumentale progetto della No uve Ile Géographie Universelle, i cui 19 volumi li terranno impegnati fino al 1894. Come vedremo anche in seguito, il lavoro a quest’opera è anche l’occasione per attuare forme di solidarietà fra militanti che vedevano le loro prospettive professionali compromesse dall’impegno politico, come Perron, o che si trovavano in condizione di esilio, come Kropotkin e Metchnikoff, e lo stesso Reclus. Anche il ragionamento sulle rappresentazioni grafiche, come vedremo meglio, avrà una parte nella strategia scientifica di Reclus e compagni. A questo proposito, bisogna ricordare che il mito delle interpreta­ zioni romantiche di Reclus genio solitario che da solo scrive nel corso della sua vita 25.000 pagine di studi va mosso con estrema cautela. Re­ clus, lo ripetiamo, è uno scienziato inserito a tutti gli effetti nel dibattito disciplinare della sua epoca, lavora con un preciso metodo, e nella rac­ colta delle notizie per la Nouvelle Géographie Universelle tesse una serie di reti intemazionali di amici, geografi, militanti che gli forniscono informazioni. La stessa frequentazione per un po’ di anni di Clarens da parte di questi geografi esuli, che guadagnavano il pane assieme alla fa­ miglia Reclus collaborando a questa impresa editoriale, fa pensare più in alcuni casi a un lavoro “di équipe” che all’opera di un genio isolato. La corrispondenza conservata, e gli stessi elenchi dei collaboratori al termine di ogni volume, danno un’idea della vastità di queste reti. Reclus, del resto, prevedeva nel suo metodo di lavoro la consulta­ zione di tutta la più recente bibliografia disponibile, come emerge anche, nelle corrispondenze, dalla continua richiesta di volumi e preoccupazione per lo stato di aggiornamento della biblioteca di casa. Anche per quanto riguarda carte, mappe, documenti, anche in forma abbozzata e manoscritta, che arrivavano in grande quantità a Clarens, come testimonia lo stesso Perron. Non si può dimenticare a questo proposito che YErdkunde è anche in qualche modo erede del sapere 4. J. Guillaume, L ’Internationale. Documents et souvenirs, Paris, Editions Gérard Lebovici, 1985, vol. IV, p. 147.

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enciclopedico del XVIII secolo, che implicava una documentazione costante e universale per togliere il lavoro scientifico daH’ambito dei dogmi e delle credenze precostituite. Ancora nel caso dell’ultima grande opera reclusiana, L ’Homme et la Terre, il geografo si avvarrà di una serie di collaborazioni che non sono assolutamente casuali nelFambito della Université Nouvelle di Bruxelles, dal nipote Paul al cartografo Emile Patesson, non escluso il pittore simbolista François Kupka. ■ — M utrm M rR ' w « «c m

Nouvelle Géographie Universelle, Vol. XIV, Océan et terres océaniques, p. 21.

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Dunque, nel caso della Nouvelle Géographie Universelle, nella con­ trattazione con l’editore Hachette che gli poneva le condizioni sulle quali abbiamo già disquisito, Reclus si teneva la facoltà di potersi sce­ gliere i collaboratori. In particolare la scelta del cartografo, con cui era in contatto quotidiano, gli permette di partecipare alla redazione della parte più importante dell’apparato iconografico della sua opera. Resta escluso l’ambito delle incisioni tratte da fotografie, che arricchiscono l’opera di una serie di tavole senz’altro molto gradevoli, ma sulla scelta delle quali pare che l’autore non avesse voce in capitolo. Nei primi volumi le carte di accompagnamento sono costruite da cartografi collegati ad Hachette, fra cui in particolare l’incisore Erhard, che già aveva lavorato a La Terre incidendo le carte disegnate da Vuillemin. A questi vanno una serie di riconoscimenti da parte di Reclus per la collaborazione ai primi volumi. Pur non avendo trovato finora documenti in questo senso, è probabile che ci fosse già ai tempi della redazione de La Terre una relazione diretta fra l’autore e i disegnatori, visto che le circa 250 carte e 50 tavole a colori che i due producono per i due volumi in questione appaiono sempre strettamente collegate al testo, tanto da sbizzarrirsi in proiezioni insolite per tentare di mostrare sul piano i vari anelli ed emisferi della “struttura del globo” ritteriana, nonché tutte le forme successivamente individuate da Reclus. Il problema a questo punto è che Reclus, oltre a non essere del tutto libero di affrontare nel testo gli argomenti come vorrebbe, è pure esule, e non avendo contatto diretto con le persone che a Parigi do­ vranno costruire materialmente i volumi della sua opera, tenta di spo­ stare il più possibile su Clarens il baricentro della redazione, per avere più controllo possibile su quanto uscirà: cioè, come dicevamo, non lasciare questo “potere” ad altri. Perron era senz’altro la persona giusta per svolgere questo com­ pito. Il ginevrino, abile disegnatore, studia le carte di base che lui e Reclus ricevono da tutto il mondo per collocare gli oggetti geografici trattati nel testo, e dallo smalto passa ad acquistare progressivamente familiarità con tratteggi e curve di livello, fiumi, insediamenti urbani e linee di costa, non esclusi grafici e carte statistiche. In effetti Perron non può in alcun modo ritenersi un esponente di quella “geografia matematica” alla quale è normalmente associato l’ambito della cartografia. Non si è formato in nessuna scuola di ri­ lievo, topografia e geodesia: come abbiamo visto è un artista che co­ mincia a disegnare carte dietro le indicazioni di Reclus e del mate-

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riale che di volta in volta poteva consultare. Sarà solo dopo, in età avanzata, che comincerà ad occuparsi autonomamente delle proie­ zioni, o meglio della loro inadeguatezza alla rappresentazione della superficie del globo. La sua firma comincia a comparire in alcune carte alla fine del vo­ lume II sulla Francia, pubblicato nel 1877. “Niente lascia supporre che abbia mai abbozzato delle carte prima di quella data”5. A partire dal volume VI sull’Asia russa sono sue tutte le carte nel testo, e a partire dal X sull’Africa settentrionale anche le tavole a co­ lori. Il segno di Perron, che nelle prime carte tende molto allo sche­ matismo e alla stilizzazione, acquista man mano morbidezza ed espressività da un volume all’altro. I primi soggetti con cui si misura il disegnatore sono le morfologie glaciali ben note allo svizzero, dal massiccio dei Vosgi alle Alpi. Poi le tecniche sono fra le più varie, fino a sviluppare quella che oggi chiameremmo “cartografia tema­ tica”: ad esempio nelle carte della distribuzione etnica della popola­ zione rumena e ungherese, dove il tematismo, in maniera abbastanza elementare, è affidato a differenti tratteggi67. È senz’altro corretto, come fa l’unico studioso citabile (appunto Jud), interpretare questa collaborazione come una integrazione del testo, per rendere ancora più concreto e vivo il discorso sviluppato di volta in volta, in chiave pedagogica e divulgativa (ovviamente una “divulga­ zione” che se per l’editore Hachette era un obiettivo commerciale, per i geografi anarchici come sappiamo era ben altro). E a maggior ragione vero che “Reclus dirigeva fermamente, ad esempio decidendo lui la scelta delle carte, delle parti di territorio da rappresentare e dell’orto­ grafia dei nomi. Perron perfezionava le bozze secondo le correzioni di Reclus, prima che questi le trasmettesse a Parigi”1. Ma proprio per questo dobbiamo pensare che anche in questo caso la strategia sia più profonda: proprio perché Reclus è allievo di Ritter, diffida delle carte, conosce l’importanza di quel discorso che non può essere scritto e conosce le menzogne nascoste dietro al discorso car­ tografico, compie una scelta in questo caso diversa da quella del suo maestro. Per la sua Erdkunde, Reclus non sceglie di fare a meno delle mappe, ma di costruirle lui stesso: il potere dello strumento grafico è 5. P. Jud, Charles Perron, cit., p. 70. 6. É. Reclus, Nouvelle Géographie Universelle. Voi. Ili, cit., pp. 344-349. 7. P. Jud, Charles Perron, cit., p. 71.

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troppo grande perché lo si possa lasciare in mani altrui. Dunque in occasione della redazione della Nouvelle Géographie Universelle, as­ sieme agli altri scienziati coinvolti, “forma” un cartografo di propria fiducia, che sappia accompagnare il discorso senza che la forza dell’espressione grafica possa prevaricarlo; il segno disegnato deve adattarsi di volta in volta al discorso. Da qui partiranno gli esperi­ menti sulle rappresentazioni visive della terra che Reclus tenterà fino alla fine, come vedremo per quanto riguarda il progetto del grande globo e de\VInstitut Géographique della Université Nouvelle. Da notare che le carte che disegna Perron non hanno necessaria­ mente la finalità, tipica della cartografia topografica, di mostrare por­ zioni di territorio come risultano in proiezione. Il disegno serve ad esplicare concetti che non dipendono dalla scala e dalla proiezione adottata, ma da un’idea per così dire esterna alla logica della carta in sé, mentre la ragione della cartografia ufficiale al contrario si spiega tutta in una sua logica interna. E il caso ad esempio delle carte statistiche, che Reclus e Perron sono fra i primi geografi ad utilizzare come supporto all’indagine. Ancora una volta la carta non è lo strumento della conoscenza e della ricerca, ma un sostegno ad un discorso. Reclus fa anche una recensione nel 1889 di una carta statistica (oggi diremmo “demografica”) di Perron. Questa semplice imma­ gine ha la finalità di esprimere un sogno: il genere umano riunito per intero, come un’assemblea di fratelli, in un anfiteatro. Un cerchio di 11 km di diametro, tracciato attorno alla città di Parigi, con una den­ sità di 4 abitanti per metro quadrato, potrebbe contenere i 1.500 mi­ lioni di esseri umani stimati in quegli anni sul globo. Reclus constata che se ognuno avesse a disposizione un metro quadrato, potrebbero stare in una provincia di 1.500 chilometri quadrati, se invece fossero distribuiti a uguale distanza avrebbero ognuno 90.000 metri quadrati e disposizione. La vera finalità di questi lavori è poter comparare estensioni territoriali e dati demografici, per poter risolvere il pro­ blema di quanto carico di popolazione possano sostenere con le loro risorse i diversi territori, e in particolare il globo nel suo complesso. “E vero, come sostengono Humboldt e Müller, che l ’umanità tutta intera potrebbe trovare il suo sostentamento su uno spazio di 22.500 chilometri quadrati, ossia la seimillesima parte della superficie ter­ restre? Simili carte sarebbero indispensabili agli economisti, so­ prattutto a quelli che discutono a ll’infinito sulla legge di Malthus

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Nouvelle Géographie Universelle, Vol. VI, L'Asie Russe, p. 14.

senza basare le loro affermazioni sui documenti che fornisce l ’os­ servazione precisa”8. Questo lavoro di Perron, come altri, si inquadra precisamente in una discussione di stringente attualità: la polemica antimalthusiana che proprio in quegli anni stavano mandando avanti Reclus e il suo ambiente, e su un problema che era essenzialmente globale. Erano usciti proprio in quegli anni i due opuscoli Les produits de la Terre e Les produits de l ’Industrie, a lungo attribuiti a Reclus, ma secondo Jean Maitron scritti da Henri Sensine, docente di letteratura di Lau­ sanne che sarà segretario e collaboratore di Reclus nella stesura della Nouvelle Géographie Universelle dopo la partenza di Metchnikoff per Neuchâtel. Questi pamphlet, subito tradotti in diverse lingue, si preoccupa­ vano di smentire le idee espresse dal pastore Thomas Malthus nel suo Essay on thè principle o f population, già datato (uscì nel 1798) ma an­ cora di moda presso molti studiosi, che lo univano ad una interpreta­ 8.

É. Reclus, A propos il'une carie statistique . “Bulletin de la Société Neuchâteloise

de Géographie” , 5/1889-1890, p 124.

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zione classista delle idee darwiniane. In sintesi, la differente crescita delle risorse alimentari (in progressione aritmetica) rispetto a quella della popolazione (in progressione geometrica), in assenza di adeguati “freni preventivi” (sostanzialmente si raccomandava ai poveri la ca­ stità per limitarne la riproduzione) determinerebbe “freni repressivi” quali morti per fame e carestie. Mentre le opere successive di Reclus e Kropotkin si preoccupe­ ranno, come vedremo, di trovare alternative scientifiche più com­ plesse a queste convinzioni, questi due opuscoli presentano una serie di stime delle potenziali risorse del pianeta, affermando che potreb­ bero bastare ed avanzare per una popolazione ben più numerosa di quella in quel momento presente. Al di là del valore delle cifre (pe­ raltro la storia recente dimostra che la terra può in effetti nutrire ben più del miliardo e mezzo di persone stimato all’epoca), per gli anar­ chici e i socialisti il problema non era tanto la carenza di risorse, ma come queste vengono gestite e distribuite. E la geografia può giocare in questo un ruolo tutt’altro che secondario. Perron lavora dunque alle circa 6.000 carte e tavole a colori che corredano le oltre 17.000 pagine dei 19 volumi della prima edizione Hachette, in stretta collaborazione con Reclus, arrivando a firmarne almeno 2.800 di quelle in bianco e nero inserite nel testo, e una cin­ quantina delle grandi tavole a colori, di differenti formati, allegate fuori testo ai differenti volumi. La conclusione del lavoro alla Nouvelle Géographie Universelle è direttamente collegata alla seconda parte della carriera scientifica di Perron, che a partire dal 1894 si svolge autonomamente rispetto a Re­ clus, anche se lo svizzero rimane sempre in contatto con il vecchio maestro. È anche la fase in cui Perron, che fino a questo periodo po­ trebbe essere considerato, almeno dal punto di vista dello studio geo­ grafico, un semplice esecutore degli incarichi di Reclus, dimostra in­ vece di essere dotato di una specifica preparazione disciplinare, di idee originali e di capacità organizzativa autonoma per proporle. Entrato a far parte nel 1876 della Societé de Géographie de Genève, Perron riceve da Reclus nel 1891, quando quest'ultimo si trasferisce a Parigi, il corpus del materiale servito alla redazione delle carte: non solo i disegni di Perron, ma anche gli originali inviati dai corrispon­ denti in varie parti del pianeta, e una vasta gamma di carte storiche; tutta la documentazione cioè servita come base ai disegni. Perron da questo momento si impegna a lavorare perché questo

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materiale sia reso fruibile alla cittadinanza ginevrina, e continuerà a sostenere il progetto, all’epoca innovativo, del Museo Cartografico, insistendo con testardaggine fino alla sua realizzazione. Per prima cosa mette a disposizione il materiale da lui custodito ai colleghi della Società Geografica, come risulta da una comunicazione pubblicata sulla rivista della Società Geografica stessa, “Le Globe”: “Questa collezione unica comprende più di 6000 carte. Ce ne sono un po ’ che sono delle curiosità bibliografiche o storiche; ma sono gene­ ralmente le migliori carte moderne che si possiedano, cosa che ha un grande valore per i geografi pratici (...) Charles Perron dichiara che mette questa ricca collezione a disposizione dei suoi colleghi, membri della società geografica di Ginevra, che potranno visitarla e consul­ tarla presso di lui, in attesa che abbia preso le misure necessarie per renderla accessibile ad un pubblico più numeroso"9. Seguirà quindi la donazione alla biblioteca pubblica. "Nel J893 Per­ ron diede alla Biblioteca Pubblica di Ginevra 6.813 mappe che Reclus aveva collezionato lavorando alla NGU, e queste mappe formarono il Deposito delle Carte della Biblioteca che fu istituito nel 1904” 10. Di questo “Deposito delle Carte della città di Ginevra” , Perron sarà nominato Conservatore, con l’incarico di accrescere la già importante collezione, che fra il 1902 e il 1903 aumenta grazie a donazioni, che Perron sollecita anche con articoli su “Le Globe” medesimo. Lo stesso Perron continua in questi anni a lavorare al fondo inte­ grandolo con altri materiali, fra i quali mappe storiche, soprattutto map­ pamondi, che raccoglie studiando la storia della cartografia. Quando fi­ nalmente il progetto del museo diviene realtà nel 1907, Perron ne pubblica, in occasione della inaugurazione, un catalogo descrittivo. Nello stesso anno pubblica uno studio storico sui mappamondi, sempre finalizzato a questo progetto, da cui emerge non solo la sua so­ lida formazione, ma anche una preoccupazione pedagogica che lo ac­ comuna agli altri geografi anarchici, e come per questi ultimi, è stret­ tamente collegata alla formazione di una scienza nuova per una nuova società. “Vorrei essere riuscito a fare uscire, almeno in parte, l ’importanza 9 . C. Perron, La bibliothèque cartographique de M. Elisée Reclus, “Le Globe. Or­ gane de la Société de Géographie de Genève”, 33/1894, p. 162. 10. G. Dunbar, Elisée Reclus historian o f nature, Hamden, Archon Books, 1978, p. 92.

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che potrebbero avere i musei cartografici per degli studi scientifici come anche per l ’istruzione pubblica. Non basta, infatti, conoscere per così dire l ’esistenza dei vecchi documenti della storia della car­ tografia, bisognerebbe che, come i quadri nelle gallerie di pittura, fossero accessibili a tutti. Nascosti nei cartoni, la loro utilità è delle più ristrette. (...) Che lavori, a parte quelli d ’analisi, può produrre la consultazione di documenti isolati? Gli studi comparati che permet­ terebbe la loro visione simultanea avrebbero a loro volta valore senza dubbio. E poi, nel nostro secolo di istruzione democratica, non si do­ vrebbe mettere in luce l ’opera umana forse più grande e più impor­ tante di tutte, quella che, cominciata nel fondo dei secoli, prosegue ancora ai giorni nostri con passione: la scoperta della Terra ? ”11. Altro fondamentale contenuto che unisce l’attività autonoma di Perron al lavoro di Reclus e del nostro milieu di geografi, è la scala globale con la quale sono affrontati i problemi di ordine geografico, una di quelle caratteristiche che come dicevamo uniscono i geografi anarchici all’insegnamento di Ritter, peraltro citato proprio a questo proposito da Perron nel suo saggio storico-cartografico, quando si parla del salto di qualità nella cartografia del XVI secolo. “Edopo la scoperta dell’America, dice Ritter, che si credette più che mai a ll’esi­ stenza di quel continente australe che si considerava come necessario per fare da contrappeso a quelli dell’emisfero settentrionale” 112. Dunque il procedimento già individuato per dare un senso e un or­ dine anche storico, alle forme della natura a partire dai continenti. L’altro geografo costantemente citato come fonte autorevole è ovvia­ mente Reclus. Da notare che siamo nel 1907, Reclus è morto e co­ minciano a diradarsi le sue citazioni, per non parlare di Ritter che per molti geografi è in soffitta da un pezzo. Il saggio, significativamente, non riguarda la storia delle carte in quanto tali, ma si intitola “I map­ pamondi” proprio perché intende ricostruire il lavoro dei cartografi nella conquista della descrizione dell’abito planetario. La finalità è arrivare alla scoperta della Terra, e quella storia della cartografia che Perron sollecita va nel senso di rendere questo percorso fruibile a tutti. Bisogna sottolineare che in quel periodo non esisteva una vera e pro­ pria disciplina definita storia della cartografia, e non è inutile ricordare 11. C. Perron, Une étude cartographique. Les Mappemondes, Paris, Editions de la "Revue des Idées”, 1907, p. 44. 12. Ibid., p. 39.

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che anche oggi in materia i buoni manuali scarseggiano, come anche gli insegnamenti universitari che la affrontino con questo respiro, e so­ prattutto con spirito critico. Perron parte dall’antichità, ipotizzando anche resistenza di una cartografia preistorica allora sconosciuta (teoria oggi ampiamente ac­ certata e condivisa) che pensa di intuire dalle modalità utilizzate in età contemporanea da popoli ritenuti primitivi per tracciare mappe o itinerari. Gli inizi ufficiali della cartografia sono comunque indivi­ duati in area egizia e caldea, con il classico rimando alle piene del Nilo. Grande attenzione si presta poi alle vicende della geografia greca, anche se Perron si preoccupa più di spiegare l’evoluzione della scuola di Alessandria, occupandosi di una serie di errori di calcolo di Tolomeo, piuttosto che rendere conto delle critiche portate, ad esem­ pio, da Strabone. Una particolare attenzione, anche rispetto ad opere più recenti, è portata alla cartografia tardo-antica e medioevale, anche perché da Cosma Indicopleuste fino ai mappamondi quattrocenteschi lo sforzo dominante è evidentemente non quello topografico, ma cosmografico. Resta tuttavia limitato alTambito della cultura europea, sia pure con qualche rapido cenno alle opere degli Arabi e dei Cinesi. Dopo essersi proprio per questo dilungato sui grandi mappamondi del XV e XVI secolo e poi sugli atlanti, la trattazione diventa più ra­ pida man mano che ci si avvicina all’attualità, sulla quale, come ve­ dremo, Perron lavora in altra maniera. Fra le varie iniziative poi che il cartografo ginevrino mette in campo per questo lavoro, c’è una proposta, presentata al IX Congresso intemazionale di geografia dalla Commissione di cui faceva parte Per­ ron, tenutosi proprio a Ginevra, per operare delle riproduzioni dei maggiori monumenti cartografici al fine di esporli a scopo didattico e conservare la memoria di quel percorso storico delineato riguardo ai mappamondi. Questo Congresso, tenuto nell’agosto del 1908, approva la mo­ zione in questi termini. “// nono congresso internazionale di geogra­ fia formula l ’auspicio che le società di geografìa cerchino di interes­ sare i governi dei rispettivi Paesi alla riproduzione dei monumenti cartografici dell’antichità, del Medio Evo e del Rinascimento, docu­ menti di grande valore scientifico, e che il tempo minaccia di di­ struggere. Il congresso nomina i signori Nordenskjold, K. Miller, G. Marcel, E. Oberhummer e C. Perron, membri di una commissione

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fornita del mandato di condividere i risultati ottenuti in quest’ordine di idee, di presentare al prossimo congresso un catalogo che dia lo stato generale della riproduzione delle carte antiche infacsim ile, e di determinare in ordine di importanza i documenti cartografici antichi la cui restituzione sarebbe particolarmente auspicabile” 13. L’altro importante filone di attività di Perron è quello della costru­ zione dei rilievi. Nel 1894, quando Reclus termina i lavori di revi­ sione dell’ultimo volume della Nouvelle Géographie Universelle per iniziare la tormentata avventura a Bruxelles, tenta invano di convin­ cere Perron a seguirlo, e deve averci provato più di una volta se nel programma dell’Université Nouvelle quest’ultimo era previsto fra i docenti di un semestre. Il cartografo sceglie invece caparbiamente di non muoversi da Ginevra, ma fra i due rimane una corrispondenza che ne attesta un costante scambio di vedute e di suggerimenti per la­ vori che marciavano per molti aspetti in parallelo. E qui emerge l’altro fondamentale elemento ritteriano comune al pensiero dei geografi anarchici: la critica della ragione cartografica, che Perron sceglie di esercitare con i suoi strumenti, quelli dell’”artista” e dell’ “artigiano”. In una lettera del 17 aprile di quell’anno a Per­ ron, Reclus approva “i tuoi progetti così interessanti per la riprodu­ zione di carte secondo dei rilievi costruiti alla scala vera con fedeltà topografica e curvatura esatta. Più lavoro e più mi rendo conto che si ha torto, assolutamente torto, a fare delle false rappresentazioni at­ traverso carte piane, copiate da altre carte piane sulle quali si ag­ giunge il disegno del rilievo con diversi procedimenti più o meno in­ gegnosi, più o meno fantasisti. Noi stessi che ci occupiamo più o meno di geografia siamo sempre tratti in inganno dalle false rappresenta­ zioni grafiche, benché noi conosciamo in teoria la forma delle curva­ ture e del rilievo. A maggior ragione quelli che ancora non ne sanno ed apprendono con fiducia sono esposti a farsi le idee più false della geografìa (...) Ah, quante carte da distruggere, comprese le mie/” 14. I “progetti così interessanti” sono i cosiddetti “rilievi”, cioè rappre­ sentazioni topografiche non basate su una proiezione, ma su una rap13. Neuvième congrès international de géographie. Genève, 27 juillet - 6 août 1908, Résolutions et vœux votés par l ’assemblée des délégués le lundi 3 août et le jeudi 6 août 1908, Genève. Société Générale d ’imprimerie, 1908 [Annexe au tome XLVI1I du “ Globe "],p .2 2 . 14. E. Reclus, Correspondance, Vol. III, cit., p 162.

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presentazione del terreno riproducente l’esatta curvatura terrestre, e con l’orografia in rilevo. Si deve utilizzare in verticale la stessa scala utilizzata per le lunghezze, contrariamente alle sezioni fatte fino a quel momento in cui la dimensione verticale era appositamente enfatizzata. La posta in palio è grande: si tratta di ottenere una riproduzione del mondo in scala rinunciando a quell’elemento che dai tempi di To­ lomeo aveva deciso della riduzione di un mondo tridimensionale a una mappa a due dimensioni: la proiezione. Perron comincia a lavorare all’idea dei rilievi nella prima metà degli anni ’90, e presentando nel 1894 il suo rilevo in scala 1:300.000 delle Alpi marittime e i primi abbozzi di quello della Svizzera in scala 1:100.000, individua in assoluto due scuole di cartografi: una tradi­ zionale, e maggioritaria, che disegna i rilievi sul piano, utilizzando il tratteggio delle ombre, o nei casi più innovativi le curve di livello, e quella dei “rilievisti” i quali, “forse in tutto una decina in Europa e in America, intendono differentemente il progresso cartografico: lo cer­ cano nella rappresentazione scrupolosamente esatta della terra otte­ nuta dalla costruzione di rilievi che sono riportati sulle carte con l ’aiuto della fotoincisione”15. Senonchè la maggioranza di questi rilievisti ritiene necessario uti­ lizzare due scale diverse per le misure orizzontali e quelle verticali. “Esagerano, in generale, l ’altezza delle montagne per farla vedere meglio, e partendo dall’idea di rappresentare la terra secondo il suo vero aspetto, l ’abbandonano per prima casa”1617. Infatti a partire dalla scala del milionesimo, la rappresentazione reale delle altezze non è possibile, perché le montagne più alte non su­ pererebbero nel rilievo i pochi millimetri di altezza. Perron non è però di questo avviso: semplicemente ritiene di rinunciare alla tecnica dei rilievi per le scale troppo piccole, per le quali si possono ancora uti­ lizzare i metodi convenzionali, mentre i suoi progetti riguardano le scale cosiddette “topografiche”. “Fino a 1:1.000.000, e non va oltre, la cartografia rilievista della nuova scuola è rigorosamente esatta. E questo che ne fa l ’originalità e il valore”11. 15. C. Perron, Exposition de quelques reliefs cartographiques nouveaux et explications a ce sujet, “Le Globe. Organe de la Société de Géographie de Genève” , 33/1894,p. 127. 16. Ibid.. p. 127. 17. Ibid., p. 128.

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Il principale progetto di Perron prevede la copertura del territorio svizzero con un rilievo al 100.000, idea che suscita un vasto dibattito non solo nel Paese di Gugliemo Teli. È ancora Reclus che in una let­ tura tenuta il 27 giugno 1898 alla Rovai Geographical Society di Lon­ dra, sponsorizza l’amico citando questi rilievi proprio in riferimento al suo progetto del grande globo per l’Esposizione Universale, di cui parleremo. “C ’è stato ultimamente in Svizzera un dibattito pubblico molto in­ teressante. Un abile cartografo e costruttore di rilievi, Charles Per­ ron, ha proposto al Consiglio Federale di costruire, per VEsposizione di Parigi, un rilievo della Svizzera alla scala di U100.000, che, ha detto, onorerebbe il Paese; e intanto, i saggi del lavoro che ha espo­ sto a Berna e Ginevra hanno suscitato ammirazione generale" 1819. In attesa di trovare i finanziamenti e le disponibilità per portare a termine l’opera maggiore, Perron lavora a una copertura al 50.000 del solo territorio di Ginevra, presentata alla Società Geografica nel 1899. Questi rilievi vengono presentati “ufficialmente”, entrando nel me­ rito del loro significato, al VII Congresso Internazionale di Geografia tenuto nello stesso anno a Berlino, da Arthur de Claparède, presidente della Società Geografica di Ginevra nonché recensore e corrispon­ dente di Reclus, che di quella società era stato prima membro effet­ tivo, poi socio corrispondente. “Il grande vantaggio del rilevo è di completare le carte mostrando la superficie della terra sotto la sua vera forma, cosa che queste non possono fare con le numerose convenzioni che è loro natura ammet­ tere. E così che, secondo ipiù grandi geografi, ci inoculano delle idee erronee che i rilevi sono precisamente chiamati a distruggere o a pre' »»!Q venire . Queste idee erronee, per Claparède, che non a caso con la Société de Géographie de Genève dirige anche un giornale che si chiama, come abbiamo visto, “Le Globe”, sono diverse: le inevitabili defor­ mazioni che un oggetto sferico subisce nel piano; il fantasismo dei vari tratteggi e chiaroscuri con i quali si rappresenta il rilievo attra­ verso un sistema di ombre, che tendono a trarre in inganno anche per18. É. Reclus,A great globe, "The Geographical Journal”, 4/1898, p. 404. 19. A. de Claparède, Un Nouveau Procede de construction des reliefs employépar M. C. Perron, Cartographe à Genève. (Sonderabdruck aus den Verhandlungen des VII Internationalen Geographen-Kongresses in Berlin, 1899), Berlin, 1900, p. 941.

ché danno l’idea di una luce immobile, contrariamente alla realtà; la forte sproporzione di oggetti come le strade, che derogano alla preci­ sione di scala. Le regole che riferisce Claparède per la costruzione dei “rilievi Perron” sono in sintesi: vietata la costruzione per superficie piana, ossia con la deformazione della proiezione cartografica, essendo il rilevo un frammento della superficie terrestre da applicarsi su un pezzo di globo in scala; vietato utilizzare una scala diversa per le altezze; non inclu­ dere strade, ferrovie e fiumi se non costituiscono una incisione fisicamente rilevante a quella scala, oppure se il rilievo è a colori segnarne il tracciato a patto di non derogare dalla scala; vietato enfatizzare par­ ticolari fenomeni geologici, come vorrebbe invece qualche studioso di geologia. È ancora più preciso Perron, un anno dopo, nel presentare i principi che lo hanno guidato nella costruzione del rilievo 1:100.000 della Svizzera. 1. “I rilievi hanno lo scopo di mostrare la configurazione del suolo esat­ tamente com’è. 2. Non devono ammettere alcuna delle convenzioni in uso nelle carte geo­ grafiche. 3. Nulla vi deve essere rappresentato che non sia alla stessa scala. 4 . 1 rilievi, rappresentando tutta o in parte la scorza terrestre, devono averne la curvatura esatta. 5 .1 rilievi devono essere costruiti con procedimenti meccanici abbastanza precisi perché ne risulti la precisione matematica. 6 .1 rilievi rientrano nell 'ambito delle scienze esatte, dove l'arte non deve intervenire che in seconda linea"20.

Ma già con la più semplice copertura del paese ginevrino erano emersi problemi, in particolare nello scarto fra l’importanza del pro­ getto e le fonti esistenti, o comunque disponibili. “Il documento più serio che sia a disposizione del pubblico (poiché ce ne potrebbero essere altri migliori al ministero della guerra) è la carta I :HO.()()