Il mondo dopo la fine del mondo. Facebook, l’arte contemporanea, la filosofia

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Minimalismi Facebook e l’arte contemporanea

la lotta per la trasparenza la fine del web e la vittoria di facebook

Per meglio comprendere il fenomeno Facebook bisogna comprendere come sono cambiate le cose. Capire che cosa è davvero accaduto. L’11 settembre 2001 il crollo delle Torri Gemelle ha sconvolto il mondo e ha ridisegnato i conini politici ed economici dell’intero pianeta. L’evento per eccellenza. Tuttavia è interessante cercare di capire, che cosa è davvero accaduto. Se, a un’analisi più attenta, l’evento non si sfogli e riveli il suo interno. Quel giorno, infatti, ci sono state una vittoria e una sconitta non solo sul campo politico, quanto sul piano mediatico. Quel giorno tutti hanno assistito a qualcosa senza chiedersi cosa stesse rendendo possibile tutto quello. Quel giorno, l’11 settembre 2001, la televisione ha vinto su tutti i media con cui era in competizione: sul cinema, sull’arte e soprattutto sul Web. Ha vinto nella gara della trasparenza, che è la gara che la nostra cultura, da Platone ino ad oggi, ha allestito per i media.

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Il mezzo di comunicazione è tanto più buono, quanto più riesce a essere immediato e trasparente, quanto più riesce a rendersi invisibile come medium. Massima diffusione, minima opacità. Non si può che sottoscrivere, allora, l’analisi del sociologo Jay David Bolter su ciò che è accaduto l’11 settembre. Secondo Bolter, infatti, la televisione ha vinto su tutti gli altri media: Essa – sostiene il sociologo – ha garantito immediatezza attraverso il lusso delle immagini “dal vivo” e l’ininita riproposizione del collasso strutturale delle torri. Più di un testimone della tragedia ha affermato che non è riuscito a vedere ciò che aveva visto se non dopo essere arrivato a casa e aver assistito alla “copertura” televisiva dell’evento: la televisione ha svolto dunque la funzione di validare la realtà dell’esperienza. Il medium cinematograico, al contrario, esce sconitto dal confronto. Sia i giornalisti che i soggetti intervistati sembrano voler sottolineare la straordinaria somiglianza dell’evento con un ilm. In altre parole, la tremenda capacità distruttiva è stata pianiicata in modo troppo perfetto per essere reale; assomiglia piuttosto a una produzione che Hollywood avrebbe voluto realizzare. Che dire di Internet? Come se l’è cavata questo nuovo medium? Nonostante l’impressionante numero di contatti ricevuto dai principali siti di news, non c’è stata di fatto competizione rispetto alla capacità televisiva di catturare l’immaginario collettivo con le sue immagini dal vivo. Nelle settimane seguenti l’attentato, inoltre, Internet è stato rappresentato piuttosto negativamente, come lo strumento mediante il quale i terroristi avevano potuto organizzare i loro piani.1 1

Jay David Bolter e Richard Grusin, Remediation. Competizione e

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Il Web avrebbe rimediato a questa sconitta solo con la sua ine. Prima di Facebook, era il luogo per eccellenza della crisi dell’identità e della sua sperimentazione.2 Era il luogo dove le persone potevano ingere di essere altro e altri. Un luogo certo insidioso, un vero e proprio mondo. Adatto soprattutto a esploratori, navigatori, pirati. Sul Web, una volta, si navigava. Oggi, con Facebook, le cose sono cambiate: come se si fosse toccato terra e si fosse invitato tutti. Il Web è inito, dando vita a Facebook. A partire dal 2001, si assiste a una vera e propria svolta identitaria dei social network. Anche se un social network simile a Facebook fu creato nel 1996, ovvero Sixdegrees, la sua chiusura nel 2001 è signiicativa: ino a quel momento a nessuno interessava molto rendere esplicita la propria rete sociale e non c’erano signiicativi investimenti su tale dispositivo. Nel 2001 nasce invece una seconda generazione3 di social network, come Ryze, e subito dopo Friendster. Ogni utente era identiicabile proprio grazie all’esplicitazione della sua rete sociale (gli amici). Ma l’infrastruttura informatica lasciava a desiderare. Il medium si avvertiva e non era afidabile. Uno strumento, come ci insegna Heidegger,4 non è eficace per ciò che fa una sola volta, ma per ciò integrazione tra media vecchi e nuovi (1999), Guerini e Associati, Milano 2003, pp. 21-22. 2 Si veda Sherry Turkle, La vita sullo schermo (1996), Apogeo, Milano 2005. 3 Si veda Giuseppe Riva, op. cit., pp. 79-81. 4 Si veda Martin Heidegger, Sentieri interrotti (1950), La Nuova Italia, Firenze 1997, p. 20.

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che permette durevolmente di fare. Il nostro rapporto con i mezzi è innanzitutto un rapporto di fede in questi stessi mezzi. Non è un caso che i migliori vengano chiamati Hi-Fi, sigla che notoriamente sta per High Fidelity. Un social network come Facebook ha fatto dell’afidabilità la sua ossessione, al punto tale da portare questo principio alla radice del medium stesso. Uno dei punti di forza di Facebook sta nell’aver compreso come funzionano davvero i media, che cosa mediano. Facebook si spinge, pertanto, al livello minimale del medium. Come è stato ben chiarito dai sociologi Bolter e Grusin, un medium è “ciò che rimedia”,5 ovvero il medium di un altro medium. Pertanto un medium, soprattutto un medium di comunicazione, è totalmente afidabile quando l’afidabilità abbraccia entrambi i media della relazione, ovvero quando l’esposizione e ciò che viene esposto sono sicuri. Solo su questo terreno Facebook può vincere la competizione con la televisione, oltre che con gli altri social network. Ecco, perché, oltre a una solida struttura informatica, Facebook deve rendere trasparenti e afidabili i suoi stessi utenti, ovvero ciò che il medium Facebook media, mette in contatto. Non potendolo fare attraverso la coercizione (che ne decreterebbe il fallimento), lo fa tramite persuasione. Ecco, infatti, dove si nasconde il segreto del successo di Facebook: nell’invito alla trasparenza fatto agli utenti, invito che è un vero e proprio monito. Come ben 5

Jay David Bolter e Richard Grusin, op. cit., p. 93.

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sintetizza David Kirkpatrick, autore di una documentata storia del “fenomeno Facebook”, il social network si basa sull’identità reale: Su Facebook è importante essere se stessi, oggi come nel febbraio 2004, quando il servizio fu lanciato a Harvard. L’anonimato, l’interpretazione dei ruoli, gli pseudonimi e i nomignoli sono sempre stati la norma sul web: basti pensare agli screen name di AOL. Ma su Facebook si usano poco. Se inventate un personaggio, o alterate profondamente il modo in cui vi presentate, non otterrete grandi risultati su Facebook: se non interagite nei vostri panni, gli amici non vi riconosceranno o non ricambieranno l’amicizia. Uno dei metodi principali con cui gli altri utenti di Facebook possono sapere che voi siete davvero chi dite di essere è quello di esaminare la lista dei vostri amici. Di fatto, i vostri amici convalidano la vostra identità. Per avviare questo processo di convalida reciproca occorre usare il proprio vero nome.6

Gli amici su Facebook hanno, in primo luogo, dunque, una funzione identiicante. Una funzione primitiva, che da sempre ci permette di capire chi siamo (dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei). Tuttavia questa rete, per la prima volta, diventa visibile, dichiarata, documentata. Nessun documento di identità è mai stato così preciso. Le impronte digitali, come pure la nostra carta d’identità ci dicono solo di un’identità astratta, generica. Potenzialmente pericolosa. Da un normale documento di identità non possiamo sapere le amici6

David Kirkpatrick, Facebook. La storia (2010), Hoepli, Milano 2011, pp. 11-12.

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zie, gli interessi, le circostanze relative a un individuo. Con Facebook, le relazioni e le circostanze diventano visibili e mappate. Come acutamente ha sostenuto il padre del Web Tim Berners-Lee, creazioni come Facebook allontanano gli utenti dal Web aperto e diventano dei veri e propri recinti di contenimento.7

strategie minimaliste

Tra gli interessi di Mark Zuckerberg, almeno ino all’ottobre 2011, igurano Platone e il minimalismo. Il padre della ilosoia e una corrente artistica contemporanea. Le differenze fondamentali tra l’esposizione su Facebook di cose e persone e quella effettuata dall’arte che abbiamo chiamato inesistente, ruotano proprio intorno a come questa coppia viene affermata in entrambi i dispositivi. Platone è il ilosofo della “sincerità mediale”,8 ossia dell’immagine fedele e della comunicazione trasparente, oltre che il ilosofo delle mondo delle idee, ovvero del primato dell’ideale sulla sensibilità. Da questo punto di vista, il ridurre ai minimi termini il design del sito, caratteristico di Facebook, al ine di rendere il più trasparente possibile la comunicazione, più che il minimalismo artistico contemporaneo sposa il minimalismo ilosoico di Platone. 7 Si veda Franco Berardi Bifo e Carlo Formenti, L’eclissi, Manni, Lecce 2011, p. 18. 8 Per questo concetto si veda il saggio di Boris Groys, Il sospetto, cit., pp. 56-68.

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Il minimalismo, come forma d’arte, è, invece, l’opposto della comunicazione trasparente. Il suo ridurre ai minimi termini l’espressione artistica produce, infatti, interpretazioni contrastanti, nonché un sospetto fondamentale spesso proprio per l’inafferrabilità della sua idea, né esplicita, né trasparente. In tal caso, l’arte contemporanea sottolinea un aspetto fondamentale dell’idea e del pensiero, che la tradizione ilosoica, da Platone in poi, ha sempre mancato. Come sottolinea Boris Groys: L’uomo non pensa, egli parla soltanto. Ma l’uomo viene da altri uomini sospettato non solo di parlare, ma anche di pensare, cioè di “intendere” necessariamente ciò che dice. La realtà del pensiero è la sola realtà del sospetto che si impone necessariamente all’osservatore che considera le altre persone che parlano.9

Divenendo sempre più concettuale, l’arte fa dell’idea il cuore della sua non identità. In questo modo le Brillo Box di Warhol saranno sempre diverse dalle Brillo Box comuni, per l’idea che incarnano. Non qualcosa di dato e di trasparente, ma, proprio quando gli elementi espressivi sono ridotti al minimo, qualcosa che innesca spesso un’avventura senza ine per cogliere l’idea nascosta nell’opera, non priva di contrasti. È quanto accade, per esempio, a tre amici in Arte, l’opera teatrale di Yasmina Reza: l’oggetto del contendere è un quadro bianco, pagato moltissimo da uno 9

Ivi, p. 58.

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degli amici. Quale sia il senso di questo quadro e il suo valore scatenerà un vero terremoto nella loro amicizia. L’interpretazione inale di uno dei protagonisti dice molto bene le potenzialità di un quadro così minimalista: Sotto le nuvole bianche cade la neve. Non si vedono né le nuvole bianche né la neve. Né il freddo né il rilesso bianco della terra. Solo un uomo, con gli sci, che scende. Cade la neve. Cade inché l’uomo scompare nel vuoto. Serge, un mio vecchio amico, ha comprato un quadro. Una tela di un metro e sessanta, per uno e venti circa. Rappresenta un uomo che attraversa lo spazio e poi scompare.10

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Yasmina Reza, Arte (1994), Einaudi, Torino 2006, p. 51.