Il Leontocefalo dei Misteri mitriaci

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RICERCHE collana della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Venezia

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Raffaella Bortolin

IL LEONTOCEFALO DEI MISTERI MITRIACI L'identità enigmatica di un dio

presentazione di Annapaola Zaccaria Ruggiu

Il presente volume viene pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università Ca' Foscari di Venezia

© Copyright novembre

2012

Il Poligrafo casa editrice srl 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 te!. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail [email protected] ISBN 978-88-7II5-804-4

INDICE

7

Presentazione

Annapaola Zaccaria Ruggi.u 13

INTRODUZIONE

23

l.

23

I.

Caratteri iconografici

25

2.

Attestazioni figurative e materiali

30



Contesti di provenienza e cronologia

63

Il.

GLI ELEMENTI CONNOTATIVI DELL'IMMAGINE

63 63 67 74 78 81

r.

La testa di leone

IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

1.1 1 .2 1.3 1.4 1.5

n leone, simbolo del Sole e del fuoco Origini di un'iconografia La testa di leone e il grado mitriaco del

Leo

n leone mitriaco La maschera di leone come simbolo di Saturno: le fonti letterarie e iconografiche

86 88 94 100 104 108 no

2.

Il serpente

2. 1 2.2 2.3 2-4 2.5 2.6

n serpente, simbolo del Sole Un simbolo del tempo: il Chronos orfico La figura di Oceano-Saturno nei rilievi mitriaci L'ouroboros n serpente e il percorso di rinascita dell'anima Figure avvolte dal serpente: Osiride e il dio del Gianicolo

Le ali

II3 II4 n8 121



125

III. GLI ATTRIBUTI E GLI OGGETTI ASSOCIATI AL LEONTOCEFALO

126

l.

133

L e ali come simbolo cosmico: i venti

3-3

Le ali come simbolo di ascesa dell'anima

Le chiavi l. l

130 2.

Figure alate della tradizione vicino-orientale

3 .1 3.2

Le chiavi: un simbolo di iniziazione

Il fulmine e lo scettro: la presenza di Giove nel culto mitriaco

138



Il globo

141

3.1

Divinità con il globo: il Sol-Helios

143

3 .2

La via lattea e lo zodiaco:

145

3-3

dell'iconografia mitriaca il cammino celeste delle anime Il ruolo apogenetico del Leontocefalo

151

IV. ATTRIBUTI MINORI E FIGURE ASSOCIATE

151

l.

La torcia, il

153

2.

I Dioscuri

156

3· L'animale a tre teste, 4· L' ankh egiziano

161

vatillum e l'altare simulacro di Serapide

165 166

v. l.

La formazione di un'immagine

178

2.

Significato, ruolo e funzione

188



Definizione di un'identità

193

CATALOGO

241

Apparato iconografico

293

Bibliografia

327

Indice dei nomi, dei luoghi e delle cose notevoli

UN DIO DEL TEMPO MISTERICO

PRESENTAZIONE

Annapaola Zaccaria Ruggiu

La ricerca di Raffaella Bortolin ha dato voce e visibilità nuo­ va alla problematica complessa, per le implicazioni religiose e il contenuto semantico, che numerosi studiosi hanno affrontato in passato e che ha segnato la storia degli studi sorti attorno alla figura del Leontocefalo, una divinità senza nome del pantheon mitriaco. A partire da Franz Cumont, per arrivare alla pubblica­ zione del Corpus Inscriptionum et Monumentorum Religionis Mithria­ cae di Maarten Jozef Vermaseren e poi alla serie degli Atti dei Convegni di Studi mitriaci, tenuti dagli anni Settanta al 2004, e infine allo studio dijohn R. Hinnels, fino ai contributi più recenti di Giulia Sfameni Gasparro, per accennare solo ad alcuni studi significativi, il dio con testa di leone e dall'aspetto ferino se non mostruoso, caratterizzato dal possedere le ali, e dall'essere ac­ compagnato da uno o più serpenti generalmente avvolti a spirale attorno al corpo, ha sempre suscitato l'interesse degli specialisti di storia delle religioni antiche. Anche se non è certa per tutte le sue rappresentazioni la provenienza da Mitrei, è tuttavia nel contesto dei luoghi di cul­ to di Mithra che va ricondotto il Leontocefalo e all'interno del mitraismo va ricercato il significato della divinità e del suo ruolo nell'ambito di quella religione misterica. È questo uno degli aspetti e dei pregi di questo lavoro che è bene sottolineare, e cioè quello di aver precisato il campo di in­ dagine e di aver circoscritto la ricerca a un affondo proprio all'in­ terno della struttura iniziatica cui è strettamente legata l'immagi­ ne della divinità. Non è riduttiva questa osservazione, tutt'altro,

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ANNAPAOLA ZACCARIA RUGGIU

perché con chiarezza metodologica Raffaella Bortolin è in grado di approfondire i problemi e di proporre delle soluzioni, proprio in quanto indaga con sistematicità e completezza tutto il patrimo­ nio iconografico di statue, rilievi, pitture, oggetti che - analizzato e contestualizzato ove possibile con i dati di rinvenimento - ha pro­ dotto un Corpus completo tentandone la ricollocazione nei luoghi di provenienza, i Mitrei. Affrontando gli aspetti iconografici, quelli di carattere reli­ gioso e mettendo a fuoco nel contempo il momento storico di maggiore diffusione della figura e del culto della divinità, l'autrice accompagna l'analisi iconografica con una ricca documentazione testuale . Era necessario prendere in considerazione l'intera for­ mazione di immagini, e tentarne una distribuzione geografica, una risemantizzazione all'interno di quel mondo misterico che le aveva prodotte. E quindi il catalogo che costituisce la seconda par­ te dell'opera fonda e giustifica le riflessioni generali e conclusive. La natura cosmica indicata dal globo, dalle ali e dai segni zodia­ cali è arricchita dalla natura "aionica" , come parte del tempo infini­ to, che il serpente segnala, avvitandosi a spirale attorno al corpo o nascendo da esso; ma la ricerca di Bortolin ha permesso di mettere a fuoco più compiutamente la natura e la funzione del dio. Il Leontocefalo non era solo in relazione con i riti che si svol­ gevano nei Mitrei, nei quali doveva assumere un valore catartico e purificatore con l'immagine di fuoco che la sua statua trasmet­ teva, richiamando la positività del sole e del calore igneo che da esso promana, ma aveva una funzione importante nel cammino iniziatico del fedele . Il grado del leo e, associato a lui, il fuoco avevano una posizione centrale all'interno della gerarchia, fon­ damentale per guadagnare i gradi superiori. E quindi, secondo l'ipotesi di Bortolin, il dio con testa leonina si accompagna a Sol e a Mithra nel compito di purificazione e di rinascita introducendo, in un percorso di ascesi, ai livelli superiori più elevati che hanno a che fare con la sua natura cosmica in lui evidenziata dal cerchio dello zodiaco e dai segni zodiacali. L'indagine della studiosa, sostanzialmente di carattere icono­ grafico e iconologico, è ricca di proposte di lettura e fa emergere

8

PRESENTAZIONE

gli aspetti molteplici e le commistioni con diverse nature divine di questo dio mitriaco, che indubbiamente, come la tradizione degli studi ha sempre evidenziato, possiede elementi originari di origine orientale, ma sviluppa, insieme, nuove implicazioni più specificamente romane . L'analisi qui condotta affronta anche la difficile e dibattuta questione del nome, che non può essere in alcun modo oggi indi­ cato, poiché le pochissime iscrizioni che accompagnano le statue leontocefale , quella del mitreo Fagan di Ostia e quella di Sidone, oltre al rilievo di York, non consentono un'individuazione sicura. Il rilievo di York è lacunoso proprio nel punto iniziale dell'iscri­ zione, che riporterebbe il nome di Ahriman divinità del male ira­ nica, ma che potrebbe indicare invece il dedicante, mentre per le due statue, nelle dediche che le accompagnano, non c'è affat­ to menzione del nome della divinità, che aveva valenza e ruolo positivi nell'ambito della religione mitriaca essendo portatore di significati cosmici. Inoltre, nei riti di iniziazione tutelava i gradi di ascensione e di purificazione che l'iniziato doveva percorrere per raggiungere la salvezza.

9

IL LEONTOCEFALO DEI MISTERI MITRIACI

a

mio padre

o o o nec morti esse locum, sed viva volare sideris in numerum atque alto succedere caeloo VIRGILIO, Georgiche, IV,

vv.

226-227

INTRODUZIONE

Questa ricerca intende inserirsi nella dibattuta e complessa questione relativa all'identificazione dell'enigmatico dio a testa di leone che compare tra le divinità del pantheon mitriaco, mettendo in evidenza i molteplici temi che ne hanno determinato la forma­ zione, sia iconografica, che iconologica1• Numerosi sono gli studi che in tempi passati e recenti si sono occupati di questa misteriosa figura, una delle più insolite tra quelle presenti nei luoghi di culto riservati al dio Mithra, dando luogo a spiegazioni spesso divergenti sull'origine e la natura che la con­ traddistinguono2: alla nota interpretazione di Franz Cumont che vi riconosceva un'immagine del Tempo Eterno, considerato come dio supremo del mitraismo3, la cui formazione teologica risalirebbe Le prime segnalazioni di questa rappresentazione risalgono al XVI secolo, periodo cui appartiene l'incisione di Antonio Lafréri del cosiddetto rilievo di Ottaviano Zeno (n. 28) (LAFRÉRI 1575); del 1594 sono poi le Memoriae del noto scultore romano Flaminio Vacca, che descrive una statua (n. 21) e un rilievo (n. 40) di Leontocefali ap· partenenti a un sacello mitriaco di Roma, riprodotti successivamente in due incisioni di Pietro Santi Bartoli (SANTI BARTOLI 1697). Il Leontocefalo viene per la prima volta identificato nel XVII secolo come una figura egizia dal padre gesuita Paolo Atanasio Kircher (KIRCHBR 1652·1654); così Stefano Raffei, che lo interpreta ancora come Osi· ride (RAFFBI 1779), nonostante ormai Bernard de Montfaucon l'avesse cautamente ricondotto al culto di Mithra (DE MoNTFAUCON 1719). Ad ascrivere il dio leontocefalo definitivamente al culto mitriaco è Franz Cumont negli anni 1896·1899 (TMMM I , II). Per una presentazione del problema e un approfondimento sulle varie inter­ pretazioni, cfr. BORTOLIN 2004, pp. 76-81. L'archeologo danese George Zoega è il primo che, agli inizi del XIX secolo, riconosce nella "mostruosa" figura mitriaca l'espressione dell'eternità, conosciuta nel mondo classico col nome di Aion (ZoEGA r8o8, I , pp. 32 ss., tav. LIX). Per un inquadra-

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INTRODUZIONE

allo zurvanismo della tradizione iranica, si oppone principalmente quella di Franco Legge e dijacques Duchesne-Guillemin che hanno identificato il Leontocefalo mitriaco con Ahriman, il dio del Male e delle Tenebre di origine iranica, di cui avrebbe mantenuto gli aspetti più minacciosi e temibili4• Un terzo orientamento esegetico ha inve-

mento generale della problematica SU Aion: LACKEIT 1916; ZEPS 1927; BENVENISTE 1937; PHILIPPSON 1949; DEGANI 1961; FRAENKEL 1962; CUMONT 1966; BROMMER 1967; ZUNTZ 1989, 1991, 1992; 0NIANS 1998; si veda anche ZACCARIA RuGGIU 1998, 2006. L'interpretazione che tuttavia segnerà l'orientamento degli studi è quella di Cumont che individua la formazione teologica del Leontocefalo nell'ambito iranico e più precisamente nella figura di Zurvan Akarana, il Tempo Infinito (TMMM I, pp. 76-77). Molti sono gli studiosi che si sono cimentati lungo questo percorso e che, pur riconoscendo al Leontoce­ falo una spiccata valenza temporale, hanno dato esiti diversi alle proprie ricerche: LEVI 1944; 0USSAUD 1950; WIDENGREN 1966, pp. 441-443; VERMASEREN 1975; BruSSON 1995b; jACKSON 1985a; MERKELBACH 1988, pp. 272-277; TURCAN 1992, pp. 221-224. Per Zurvan, figura altrettanto problematica, poiché i testi più importanti in cui essa viene nominata sono tardi ed estranei ali" ambito iranico, cfr. ZAEHNER 1955a, in cui sono raccolte tutte le testimonianze relative a questo dio; ZAEHNER 1955b; WIDENGREN 1965; BoYCE 1982; GNOLI 1984, pp. rr5-138; GNOLI 1987; DE jONG 1997, pp. 63-68. LEGGE 1912, 1915; 0UCHESNE-GUILLEMIN 1955, 1958-1960; BIANCHI 1957, 1975; ZAEHNER 1955b; ZAEHNBR 1961, pp. 129-130. Si deve ricordare anche lo studio di John Hansman, che interpreta l'immagine del Leontocefalo sulla base di un passo della Repubblica di Platone, ovvero come espressione dell'anima in costante dualismo fr a bene e male, a l pari del dio che s i presta a d ammonire gli uomini ora con la testa di leone, ora con la testa umana (HANSMAN 1978). Più recentemente, Attilio Mastrocinque ha riproposto !"identificazione del Leontocefalo con Ahriman-Hades nell'ambito di un'interpretazione del tutto nuova sulla teologia mitriaca, rimeditata alla luce della tradizione orfica e del pensiero platonico, in cui lo studioso riconosce la presenza di una triade costituita da tre diverse figure di Aion, intese come divinità ipercosmiche di natura intelligibile: il dio leontocefalo, la cui origine iconografica viene ricondot­ ta all'area anatolica e, più precisamente, alla divinità degli inferi Sandas-Nergal, è il signore del cosmo che possiede le chiavi della generazione e che con il suo aspetto mostruoso evocherebbe il principio della morte, intesa però come necessaria e giusta; espressione del principio opposto, l'Amore, sarebbe il bellissimo giovane del tipo Mérida (n. 23), raffigurato anche nascere dall'uovo cosmico all'interno di un cerchio zodiacale (n. 44), mentre Mithra, anch'esso signore del cosmo e delle sfere cosmiche, rappresente­ rebbe il mediatore tra questi due principi supremi (MASTROCINQUB 2009, pp. 46-66, rr2). L'identificazione di queste tre divinità ipercosmiche, cui ne corrisponderebbero al­ trettante di natura cosmica (Chronos-Saturno, Sol e Luna), consente allo studioso di rivalutare anche la nota testimonianza di Plutarco, che assegna il ruolo di creatori ad Ahura Mazda e ad Ahriman, riservando quello di mediatore a Mithra (PLUTARCO,

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INTRODUZIONE

ce inteso ridimensionare il ruolo di questa figura a quello di un dio minore, in ragione del contesto mitriaco più propriamente cultuale. PerJohn R. Hinnels, che per primo ha suggerito questa nuova ipotesi di lettura, si tratterebbe di un Guardiano delle Anime5• Tutti questi contributi costituiscono, in realtà, un punto di parten­ za necessario per intraprendere un esame approfondito della figura del Leontocefalo mitriaco, sia sul piano storico-archeologico, che su quello iconografico-iconologico. Occorre però sottolineare che, per quanto tutte le linee di ricerca fmora perseguite abbiano concorso a chiarirne singoli aspetti e ad approfondirne tematiche specifiche, a tutt'oggi molte questioni rimangono ancora aperte, specialmente per quel che riguarda l'identità e il ruolo assunti da questa divinità. In particolare, si è notata l'assenza di uno studio che affrontasse que­ sto tema innanzitutto da un punto di vista archeologico e sviluppasse, di conseguenza, un'indagine sistematica a partire dalla totalità dei monumenti esistenti. Inoltre, molti degli aspetti che i singoli studi hanno evidenziato, pur costituendo imprescindibili punti di riferi­ mento, richiedono chiarimenti ulteriori, soprattutto per quel che riguarda le numerose implicazioni di natura cosmico-temporale e le diverse funzioni che sono state attribuite a questo dio. Quello del Leontocefalo costituisce, in realtà, un tema così com­ plesso per il convergere in esso di fùoni di ricerca differenti, da quello storico-archeologico, a quello iconografico-iconologico, nonché reli­ gioso, tale da richiedere un intreccio di competenze che varmo oltre l'intento di questo lavoro e che spiega, in parte, anche il carattere fortemente circoscritto e specialistico dei diversi argomenti trattati dagli studi precedenti. Il Leontocefalo, al pari di altre iconografie

De ls. et Os., 46·47). Questo passo è stato generalmente ritenuto in contrasto con il mi­ traismo per il fatto di contenere dottrine zoroastriane non ravvisabili nel culto romano di Mithra (GoRDON 1975, p. 226), cui invece spetterebbe, secondo quanto affermato anche da Eubolo riportato da Porfirio, il ruolo di creatore (PORFIRIO, Antro Nymph., 24); questa apparente aporia potrebbe essere superata riconoscendo nella formazione del patrimonio dottrinale dei Misteri mitriaci una diretta influenza della sapienza dei Magi ellenizzati (MASTROCINQUE 1998, pp. 87-88; MASTROCINQUE 2009, pp. 57-59). 5 HINNELS 1975, pp. 357-358; VON GALL 1978, pp. 520-525; MILETié 1997, pp. 195-220.

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INTRODUZIONE

mitriache, è affrontabile in modi differenti a seconda degli aspetti che si vogliono mettere in evidenza; ma ciò non impedisce ugual­ mente di assumere un coerente profilo metodologico che impieghi categorie interpretative il più possibile obiettive per una defmizione del fenomeno, in termini sia storico-archeologici che iconologici. L'approccio che appare più idoneo per comprenderne la natura di­ vina e il ruolo che esso assume nell'orizzonte misterico mitriaco è proprio quello offerto dall'analisi iconografica, da considerarsi come punto di partenza per tentare di individuare i vari temi che sono con­ fluiti nella "costruzione" di quest'immagine, fmo a comprenderne l'origine e le relative valenze semantiche. Per questo, sono state qui raccolte tutte le rappresentazioni note del dio leontocefalo ed è stato realizzato un catalogo, in cui le singole testimonianze - ciascuna corredata di una scheda e un'apparato fotografico e l o grafico -sono state suddivise in base alla distinzione tipologica dei monumenti, secondo un criterio interno di ordine cronologico. Solitamente rappresentata con corpo di uomo e testa di leo­ ne, avvolta dalle spire di un serpente e dotata di ali, questa figura risulta contraddistinta da un aspetto mostruoso, nel quale si ri­ conoscono motivi sia di ascendenza orientale, cui risale la stes­ sa concezione teriomorfa della divinità, che ellenistico-romana . A rendere il quadro semantico più articolato concorrono altre fi­ gure dalla testa umana, ma ugualmente riconducibili alla realtà iconografica e iconologica del Leontocefalo, dato che ne man­ tengono inalterati i tratti più distintivi, come il serpente e le ali. Le evidenze di carattere monumentale sono contraddistinte da una notevole espressività iconografica e dotate di una loro origi­ nalità, ma necessitano di un approccio esegetico che richieda l'uso di una duttile strumentazione metodologica in grado di fornire interpretazioni legate il più possibile ai realia. Si è già accennato come nella storia degli studi intorno alla figura del Leontocefalo siano nate non solo interpretazioni differenti, ma anche conflittuali. L'approfondimento dei singoli elementi iconografici, in parte sem­ pre identici, in parte soggetti a varianti legate alle diverse aree di provenienza o a esigenze cultuali, consente di individuare una pluralità di valenze semantiche , ma tutte inquadrabili in modo omogeneo e coerente nell'ambito proprio del mitraismo.

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INTRODUZIONE

L'analisi della documentazione dimostra come la figura a testa di leone sia contraddistinta da una densa valenza simbolica di non facile definizione, in cui si percepisce la synkrisis di numerosi ele­ menti a carattere solare che evidenziano una natura prettamente cosmica, ma che in realtà sott�ndono a una pluralità semantica deci­ samente più complessa. Tale immagine assume infatti una propria specificità nell'ambito cultuale mitriaco e per questo la sua esegesi dipende anche dalla possibilità di chiarire le problematiche degli stessi Misteri mitriaci, ancora oggi non del tutto risolte, come si evince dal proliferare continuo di studi che da tempo ne affrontano i diversi aspetti di natura fenomenologica6. L'indagine è del resto resa ancora più complicata dalla stessa atipicità del culto di Mithra - la cui più ampia diffusione si ha tra il n e il III secolo d. C. - che, a differenza degli altri culti orientali, volti a coniugare la propria componente esoterico-iniziatica con una più articolata dimensione pubblica, risulta strutturato unicamente su una prassi misterica riservata solo agli iniziati e destinata pertanto a essere praticata in segreto7• Si tratta, in sostanza, di un sistema cultuale incentrato 6 Si vedano, in particolare, i contributi dei Congressi nazionali e internazionali di studi mitriaci che, a partire dal 1971, si sono tenuti, rispettivamente, a Manchester (Mithraic Studies, Hl, ed. J.R. HINNELS, Manchester 1975), a Teheran (Acta Iranica, Hom· mage Universel, Actes du Congrès de Shiraz 1971 et autres études rédigées à l 'occasion du 2500' anniversaire de la fondation de l'Empire perse, Première Sèrie, 1, Leiden 1974; Acta Iranica, Monumentum H. S. Nyberg, 1, Séconde Sèrie, l, Leiden 1975; Acta !ranica, Études Mithriaques, IV, Leiden 1978), quindi a Roma e Ostia (Mysteria Mithrae, a cura di U. BIANCHI, Leiden 1979; Studies in Mithraism, ed. J.R. HINNBLS, Roma 1990) e infine quello più recente di Tienen, in Belgio, particolarmente significativo perché per la prima volta incentrato sull'analisi dei cosiddetti reperti minori, sulla cultura materiale e soprattutto sui dati dell'insieme, sui contesti, tanto dal punto di vista crono-tipologico, quanto da quello quantitativo e funzionale, offrendo nuovi strumenti di indagine (Roman Mithraism: The evidence of the smallfinds, eds M. MARTENS, G. DE BoE, Brussel 2004). GRAF 1997, pp. 319, 339. Sul mitraismo come fenomenologia misterica, cfr. SFAMENI GASPARRO 2003a, pp. 119-160; SFAMENI GASPARRO 2005, p. 97· Nonostante il culto di Mithra sia riservato a una cerchia ristretta di iniziati, è stato correttamente osservato che il mitraismo detiene in qualche modo una sorta di carattere "pubblico", visto anche il particolare favore che gli viene riservato da numerosi imperatori. Gli studi più recenti hanno del resto sottolineato come il mitraismo diventi anche uno strumento di propaganda imperiale, forse proprio per la straordinaria capacità di trasmettere ai fedeli, tramite iconografie standardizzate, le più complesse concezioni teologiche e astrologiche del tempo (MASTROCINQUE 2009, pp. 10-23, 71, 91, con bibliografia).

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INTRODUZIONE

su una divinità, quella di Mithra appunto, cui partecipavano solo persone sacralmente qualificate con l'obbligo di mantenere il se­ greto sulle prassi liturgiche e sui contenuti religiosi, motivo che in parte spiega la difficoltà di dedurre elementi utili per compren­ dere la natura e il significato del Leontocefalo. A ciò si accompa­ gna l'ulteriore difficoltà costituita dagli scarsi strumenti di ricerca disponibili: una documentazione archeologica frammentaria ed etereogenea, con una limitata quantità di testimonianze, prive il più delle volte di puntuali riferimenti cronologici; quindi, la totale assenza di supporti testuali propriamente mitriaci, sia letterari che epigrafici, che offrano elementi di maggiore sicurezza per rivelare l'identità o la denominazione del dio. L'unica testimonianza utile potrebbe essere l'iscrizione che compare sulla base di un rilievo di York (n. 33), ritenuta da alcuni l'elemento probante per identificare il Leontocefalo con Ahriman, il dio del Male della tradizione iranica8. L'iscrizione, tuttavia, oltre a essere presente su una delle raffigu­ razioni meno rappresentative del Leontocefalo, non risulta affatto chiara a causa del suo cattivo stato di conservazione e non fornisce indizi interpretativi sicuri, come conferma lo stesso dibattito che si svolge a partire dal 1875, anno della sua scoperta9. Tutto ciò 'riduce' inevitabilmente il campo d'indagine, per­ lomeno a un primo livello di lettura, facendo sì che i principali strumenti interpretativi siano da ricercare anzitutto all'interno del mitraismo, ovvero a partire proprio dalla struttura iniziatica che lo contraddistingue e alla quale il Leontocefalo risulta, come ve­ dremo, intimamente connesso. Il materiale raccolto, infatti, offre ampi elementi di riflessione e apre filoni di indagine inquadrabili nella più ampia problematica che riguarda la sfera del religioso e del rito; in altri termini, le rappresentazioni del dio a testa di leone risultano significanti ai fini di una migliore comprensione di alcune questioni ermeneutiche legate alla stessa connotazione esoterico­ iniziatica del culto mitriaco che, peculiare nella sua specificità, non

8 9

LEGGE 1912, p. 138; 0UCHESNE-GUJLLEMIN 1955, p. 194; BIANCHI 1975, p. 462. Per una sintesi sullo status quaestionis, cfr. BORTOLIN 2004, pp. 67-76.

r8

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è ancora del tutto chiarita. Proprio per questo, la nostra analisi, nell'affrontare i singoli motivi iconografici, ha dovuto approfondire anche i contenuti e i significati di natura concettuale, avvalendosi, oltre che delle evidenze archeologiche, di tutte le fonti scritte di­ sponibili, in particolare di quelle letterarie e filosofiche degli autori classici e cristiani. Da tutto ciò emergono alcuni specimina interessanti che, se da un lato costituiscono importanti indicatori ai fini di comprendere il ruolo e il significato del Leontocefalo mitriaco, dall'altro appaio­ no rappresentativi di un modo particolare di concepire la divinità in senso più generale che si viene a definire in età imperiale, in concomitanza con la diffusione dei culti misterici, nell'ambito dei quali non è raro il fenomeno che riunisce in un'unica immagine le nature e gli aspetti di più esseri divini appartenenti a tradizioni religiose differenti, ma accomunati da funzioni analoghe -si pensi, per esempio, ai soggetti presenti nelle gemme magiche e gnostiche, specie quelli della cerchia Isiaca, o anche alle stesse figure dei culti siriani, come quelli presenti nel santuario del Gianicolo10• Entro questo orizzonte, è possibile chiarire e definire in modo più circoscritto due questioni essenziali: la prima riguarda l'origine e l'area di diffusione del Leontocefalo, da individuarsi all'interno di quella che è la stessa realtà misterica del culto mitriaco romano, aspetto che concorda pienamente con l'attuale orientamento degli

10 Su questo argomento, specialmente per quel che riguarda il sincretismo con motivi di origine egizia, si vedano i due convegni organizzati, rispettivamente, a Be· sançon nel 1973 (Les syncrétismes religieux dans le monde Méditerranéen antique, Colloque de Besançon 22-23 Oct. 1973. éd. F. DuNAND, P. LÉVEQUE, Leiden 1975) e a Bruxelles nel 1997 (Les syncrétisme religieux dans le monde Méditerranéen antique, Actes du Colloque Interna· tional en l'honneur de Franz Cumont à l'occasion du cinquantiéme anniversaire de sa morte, Rom 25-27 Septembre 1997, éd. C. BoNNET, A. MorrE, Brussel·Rome 1999). Altrettanto fondamentale l'ultimo convegno articolato in una serie di incontri svolti tra il 2005 e il 2006 a Menaggio, a Fréjus e a Roma, in occasione del centenario della morte di Franz Cumont (Les religions orientales dans le monde grec et romain: cent ans après Cumont (1906-2oo6), Colloque de Rome, 16-18 novembre 2006, éd. C. BoNNET, V. PIRENNE-DELFORGE, D. PRAET, Brussel-Rome, 2009). Sul sincretismo come categoria interpretativa, si veda in particolare XELLA 2009, pp. 135-136, 142-147.

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INTRODUZIONE

studiosi, volti a riconoscere nel mitraismo romano una "creazione" religiosa nuova, in cui l'apporto della tradizione iranica risulta fortemente ridimensionato". La seconda questione, invece, dipendente dalla prima, comporta la definizione delle principali prerogative del dio che, se per un verso presentano innegabili valenze cosmico-temporali, dall'altro appaio­ no direttamente collegate con la ritualità misterica del culto. Procederemo quindi ad affrontare l'analisi iconografica a par­ tire dagli elementi più importanti, costitutivi dell'insieme della rappresentazione del Leontocefalo.

Desidero rivolgere un sentito e affettuoso ringraziamento ad Annapaola Zaccaria Ruggiu per avermi trasmesso, in tanti anni di lavoro e dedizione, il metodo, gli strumenti, ma soprattutto quella sana curiositas e humanitas necessaria per la ricerca, incoraggiandomi ad approfondire questo tema di studio e sostenendomi costantemente con preziosi consigli. A lei devo l'opportunità di licenziare questo lavoro. La mia gratitudine va anche a Sabina Crippa per avere letto l'intero manoscritto e avermi fornito importanti suggerimenti, specialmente per alcune tematiche in materia di storia delle religioni, invitandomi ad appro­ fondire aspetti specifici, estranei al mio percorso formativo di archeologa classica. Un sincero ringraziamento va anche ad Attilio Mastrocinque che, nel corso di varie occasioni, mi ha generosamente proposto ulteriori spunti di riflessione, incoraggiandomi ad affrontare nuove strade interpretative sull'argomento. " Decisamente superata la ricostruzione proposta da Franz Cumont agli irtizi del xx secolo, che riconduceva la formazione del mitraismo romano esclusivamente al retroterra culturale iranico; i più sono oramai concordi nel ritenere che elementi tradizionali di ascendenza orientale, in particolare iranica, si compongano variamente a concezioni tipiche del mondo tardo-ellenistico, basate tanto su speculazioni filosofiche, quanto su dottrine astrologiche, a sfondo soteriologico. Questa ipotesi è stata per la prima volta suggerita in NocK 1972-a, 1972c; per una sintesi critica e aggiornata della questione, cfr. BECK 1984; CLAUSS 1990, pp. 17-18, 31-41; SFAMENI GASPARRO 1994; BLOMART 1996; GRAF 1997, p. 337; SFAMENI GASPARRO 2003a, pp. 130-134; MASTROCINQUE 2009, pp. 42-45.

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INTRODUZIONE

Rivolgo infine un pensiero particolare, per l'aiuto e il profondo affetto che sempre mi dimostrano, ai miei familiari, amici (in particolare Alessan­ dra, Ilaria e Sabrina), colleghi di lavoro e, infine, a tutti coloro che, in modi e tempi diversi, hanno saputo infondermi quella serenità tanto cercata negli ultimi anni della mia vita. A conclusione di questo percorso, dedico le mie fatiche alla memoria di un uomo che più di tutti ha saputo trasmettermi il senso della vita e la necessità, oltre che il dovere, di perseguire i propri obiettivi, con caparbietà e tenacia, seguendo il proprio istinto e preservando a ogni costo il proprio modo di essere , pur dovendo talvolta "andare contro se stessi" .

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IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

1.

Caratteri iconografici

L'aspetto di questa figura ripropone complessivamente un'im­ magine teriomorfica, con corpo di uomo e testa di leone, talora dipinta di rosso (nn. 7, 8, 16, 26, 29, 36) o di giallo dorato (nn. 17, 26, 29, 46), ritratta per lo più stante e frontale, in posa ieratica. n muso, incorniciato da una folta e vigorosa criniera, presenta fre­ quentemente le fauci spalancate con la lingua sporgente e i denti acuminati in evidenza (nn. I, 2, 4, 5, 7, 9, II, I2, I3, I4, I5, 16, 21, 26, 29, 30, 3I, 36, 37, 40, 47), mentre il capo è talora ornato da una coro­ na radiata (nn . 26, 43)'. Solo eccezionalmente, in luogo della testa leonina compare un volto dai tratti maschili giovanili, incornicia­ to da lunghi capelli e una corona di raggi sul capo (nn. 23, 44) . n corpo è generalmente alato (nn . I, 3, 4, 7, 9, IO, II, I4, I5, I6, 2I, 22, 23, 26, 28, 29, 30, 33, 35, 36, 40, 4I , 42, 44, 45, 48, 49) e avvolto da un serpente che appoggia la propria testa su quella del dio ( nn . 3, 4, 7, 9, II, I3, I4, I6, 23, 28, 30, 34, 44, 46, 49, 51, 52) o, più raramente, su altri punti del corpo (nn. 6, 15, 17, I9, 2I, 22, 3I, 36, 48), anche se non mancano esempi in cui sono rappresentati più serpenti e in posi­ zioni diverse (nn. I, IO, I8, 26, 37, 38, 39, 40) . In alcune raffigurazioni il corpo del dio è caratterizzato da protomi animali (nn . I, 44) o te­ ste di Gorgone (n. 3I) che spuntano dal petto, dal ventre e dalle gi­ nocchia, oppure è cosparso di occhi umani aperti (nn. I, 22) e, seb­ bene nella maggior parte dei casi abbia un aspetto antropomorfo, ' Il Leontocefalo raffigurato su una gemma mitriaca presenta una croce sulla testa (n. 52). Cfr. MASTROCINQUE 1998, p. 34·

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CAPITOLO PRIMO

talvolta presenta gambe ferine con zoccoli di capra (nn. 26, 44), zampe di leone (nn. II, 36, 38) o artigli di rapace (nn. 37, 39). Accanto a esempi interamente nudi (nn. 4, 7, 8, 10, II, 15, 16, 17, 21, 23, 26, 27 , 28, 29, 30, 34, 41, 44, 46, 47, 49, 51, 52), ve ne sono altri che indossano panni corti frangiati, annodati sul davanti per coprire il bassoventre (nn. 1, 5, 9, 31, 32, 33, 35, 36, 37 , so), più rara­ mente tuniche manicate, lunghe o corte fino alle ginocchia (nn. 6, 12, 14), pantaloni a sbuffo (nn. 3, 40), mantelli (nn. 12, 18, 45) e calzari (nn. 12, 45). Unico e singolare, l'esempio di un Leontocefalo che, pur essendo interamente nudo, indossa una collana di perle (n. 10) . Nelle mani, di volta in volta piegate al petto, allungate in avan­ ti, distese lungo il corpo o alzate verso la testa, il dio stringe at­ tributi diversi, tra i quali i più ricorrenti sono le chiavi (nn. 4, 7, 8, 9, II, 12, 14, 15, 17, 21, 26, 27, 29, 30, 32, 33, 35, 36, 37, 47, 49, 51), lo scettro (nn. 4, 7, 14, 17, 22, 23, 28, 30, 32, 35, 44, 46, 49) e il fulmine (nn. 2, 7, II, 14, 26, 44, 49, so, 51), riprodotti e associati reciproca­ mente secondo combinazioni diversificate . Altri attributi, presenti in maniera più sporadica, ma non per questo meno significativi, concorrono poi ad arricchire ulterior­ mente questo quadro. Tra essi, si distingue la torcia (nn. 35, 36, 40, 45), raffigurata talora in alternativa allo scettro (nn. 26, 45, 51, 52), il cratere (nn. 18, 26, 29, 35) e l'altare, che compare sempre con la fiamma accesa (nn. 26, 28, 36, 46), almeno in un caso ali­ mentata dal potente soffio che il Leontocefalo emana dalla pro­ pria bocca (n. 40?. In occasioni isolate, infine, il dio è ritratto con la pala (n. 31) e le pinze per il fuoco (nn. 7, 31, 33), con un arco (n. 1) o una cintura (nn. 22, 51), e appare affiancato da elementi naturali, come tronchi d'albero (nn. 1, 3, 15, 23) e pigne (n. 12) . In via del tutto eccezionale appare accompagnato da altre divinità, come i Dioscuri (n. 36), o da animali anche mostruosi, accucciati a lato del dio (nn. 1, 23) o raffigurati dietro le sue gambe (n. 35)3•

' In altri due casi l'altare funge, rispettivamente, da piedistallo per una statua (n. 21) e da supporto scultoreo per un altorilievo (n. 36). 3 In due gemme mitriache a carattere magico (nn. 51, 52), il Leontocefalo viene raffigurato sopra un leone che a sua volta calpesta uno scheletro, secondo un tema proprio dei riti magici "di costrizione" . Cfr. MASTROCINQUE 1998, p. 34. 24

IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

Ad accentuare il carattere composito dell'immagine, oltre che renderne più complesso il valore simbolico, è infine la pre­ senza del globo o mezza sfera su cui talvolta il Leontocefalo si erge, resi completamente lisci (nn. 4, 9, 21, 27, 38, 46, 47) o decorati da motivi a valenza astrologica, quali due fasce incrociate con cin­ que piccoli cerchi (n. 30), una banda obliqua con una serie di tre segni zodiacali (n. 14) e una falce di luna crescente (n. n). Gruppi di segni zodiacali sono raffigurati anche sul corpo del dio (n. 4) o tra le pieghe della sua veste (n. 6), così come l'intera sequenza dello zodiaco appare svilupparsi lungo un arco che comprende al centro lo stesso Leontocefalo (n. 46) o in forma di anello che ne racchiude l'immagine, sia che questa abbia la testa di leone (n. 34) o il volto umano e l'aspetto giovanile (n. 44) .

2.

Attestazioni figurative e materiali

Le evidenze archeologiche prese in considerazione compren­ dono tutti i documenti figurativi finora noti del dio leontocefalo, più numerosi rispetto a quelli raccolti nei due volumi del Corpus In­ scriptionum et Monumentorum Religionis Mithriacae di Maarten Jozef Vermaseren (1956, 1960), sia per l'inserimento di nuove segnalazioni bibliografiche (nn. 2, 10, 25, 37, 38, 39, 43, 48, 50, 51, 52), che di un pezzo ancora inedito (n. 13), ma ciò nonostante rimangono ancora nume­ ricamente limitati: alla complessa e variegata iconografia del Leon­ tocefalo, che ripropone alcuni motivi in modo costante, ma secondo combinazioni differenti, corrisponde in realtà una documentazione archeologica scarsa, costituita da sole cinquantadue testimonianze, poche se rapportate alla capillare diffusione del culto mitriaco nel­ le varie province dell'Impero romano. L'immagine è riprodotta in esemplari di diversa tipologia, tra cui spicca una netta prevalenza del­ le rappresentazioni statuarie (22) e di quelle su rilievi (19), cui segue un ridotto numero di riproduzioni su affreschi (2) e oggetti cultuali (3), nonché su alcune gemme mitriache a carattere magico-astrolo­ gico di attribuzione relativamente recente (3)4• Tra queste si devono 4 Una quarta gemma, realizzata in diaspro e conservata al Museo del Cairo, potrebbe raffigurare sul diritto un personaggio a testa di animale, con una torcia nel

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poi includere le uniche due attestazioni, rispettivamente una statua e un rilievo (2), che ripropongono il dio nella versione interamente antropomorfa, con il volto di giovane imberbe, che per il resto con­ serva i tratti distintivi della figura leontocefala, in particolare le ali, il serpente e i principali attributi (scettro e fulmine). Si tratta, nello specifico, del noto rilievo di Modena (n. 44), realizzato inizialmente per raffigurare il dio orfico Phanes e riadattato successivamente alle esigenze cultuali di una comunità mitriaca, e della statua proveniente da Mérida (n. 23), del tutto identica al dio a testa leonina, con la sola eccezione del volto che presenta i lineamenti di un giovane. Come è stato già in parte dimostrato\ entrambe queste rappresentazioni mitriache presentano evidenti analogie iconografiche con la figura del Leontocefalo e per questo risultano riconducibili alla medesima esegesi del personaggio a testa di leone6. Una base rettangolare (n. 24) con piedistallo circolare avvolto da un serpente crestato che si morde la coda (uroboro), che probabil­ mente fungeva da supporto a una statua della divinità mitriaca avvol­ ta da serpente, conclude l'insieme delle testimonianze possedute. Non tutte le raffigurazioni sono pervenute in buone condi­ zioni di conservazione, poiché alcune, per quanto riconoscibili, risultano mutile della testa (nn. 3, 6, IO, I?, I8, 32, 33, 34, 35, 38, 46 ) o di altre parti del corpo (nn. I, 2, 3, 5, 8, ro, 13, I6, I8, 23, 32, 33, 38, 43 ), mentre altre mostrano condizioni di degrado così elevate (nn. 25, 4I, 42, 45 ), che alcuni dei particolari iconografici più signi­ ficativi non possono essere valutati in modo puntuale. Altre an­ cora risultano disperse o comunque non identificabili con sicu­ rezza con quelle attualmente custodite nei musei (nn. I9, 20 ), oppure sono state oggetto di una storia antiquaria così complessa da risultare prive di riferimenti sicuri, sia per quel che riguarda la cronologia che la provenienza (nn. 9, I4, I5, I6, 26, 43, 44, 48, 49 ) . Di conseguenza, risulta piuttosto difficoltoso risalire ai contesti di rinvenimento: per quanto sia oramai indiscussa l'appartenenza di

braccio sinistro alzato accanto a Mithra tauroctono. Per quanto Vermaseren (C/MRM n. n. 2359) abbia proposto di riconoscervi il Leontocefalo, la lettura rimane incerta. 5 CUMONT 1934; 0USSAUD 1950; NILSSON 1945; BRISSON 1995b. 6 Cfr. SFAMENI GASPARRO 2005, p. 101.

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questa figura leontocefala al culto mitriaco, solo per alcuni esem­ plari è stata accertata la provenienza da mitrei di sicura identifi­ cazione o perlomeno riconducibili a un'area circoscritta (nn. 5, 7, IO, 12, 13, 21, 24, 25, 28, 29, 31, 34, 36, 37, 38, 39, 40, 45, 46, 47), mentre per la maggior parte delle attestazioni è stata ricono­ sciuta un'origine mitriaca sulla base degli elementi iconografici (nn. 1, 6, 8, 9, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 22, 26, 27, 32, 33, 35, 41, 42, 43, 44, 48, 49, 51, 52) o perché recuperate in associazione ad altro mate­ riale mitriaco, ma sempre fuori contesto (nn. 3, 4, I I , 17, 23, 30). È opportuno anche sottolineare come per alcune di esse sia ad­ dirittura difficile verificarne l'esistenza e stabilirne l'autenticità, in parte perché unicamente riprodotte da disegni rinascimentali (nn. 21, 22), tratti a loro volta da descrizioni letterarie che posso­ no avere ispirato libere interpretazioni o pure invenzioni, in parte perché ampiamente interessate da restauri moderni (n. 4) o da un elevato stato di consunzione (n. 2). A fronte di una situazione così problematica, condizionata da una documentazione frammentaria ed eterogenea, un utile contri­ buto è costituito dall'analisi tipologica delle rappresentazioni asso­ ciata alla loro distribuzione, nonché dei diversi materiali utilizzati, poiché ha consentito di cogliere alcuni aspetti che contribuiscono in qualche modo all'esegesi complessiva della figura mitriaca. Come risulterà evidente dall'analisi più dettagliata dei con­ testi di provenienza, emerge anzitutto il fatto che quasi tutte le statue appartengano all'area romana e ostiense (nn. 1, 2, 4, 7, 9, II, 16, 17, 21, 22, 24), salvo i pochi esemplari individuati in area italica (n. IO) , in Francia (n. 6), in Germania (nn. 8, 18), in Spagna (nn. 3, 23), nell'area africana (nn. 5, 12) e siriana (n. 15); da Ro­ ma e dall'area italica provengono gli unici affreschi conservati (nn. 45, 46), mentre i rilievi, se si esclude qualche esemplare di ori­ gine urbana (nn. 28, 29, 30, 40, 44), risultano più diffusi nelle provin­ ce, ave l'immagine occupa in genere l'intera superficie (nn. 25, 26, 31, 33, 35, 36, 37, 38, 39, 41, 42, 43)- con l'unica eccezione dei cosid­ detti rilievi cultuali, particolarmente diffusi nell'area danubiana, in cui alla figura del Leontocefalo è dedicato uno spazio ridotto all'interno delle fasce marginali (nn. 27, 34), secondario rispetto

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alla narrazione principale che privilegia la tauroctonia quale mo­ mento supremo dell'atto creativo7• A questa che, come vedremo, sembra potersi definire una di­ stribuzione di carattere tipo logico in parte dovuta a interpretazioni differenziate a seconda delle esigenze cultuali - non è certamente un caso che il maggior numero di statue sia presente a Roma dove è attestata anche la più alta concentrazione di mitrei8- corrispon­ de anche una varietà dei materiali utilizzati e una differente quali­ tà di lavorazione. n marmo risulta prevalentemente impiegato per le rappresentazioni urbane e ostiensi, che, a parte un caso in bigio antico (n. 4) e di marmo bluastro (n. 24), è bianco (nn. 1, 2, 7, 9, 13, 16, 17, 21, 29, 40, 44) e riconoscibile come lunense in quattro casi (nn. n, 14, 28, 30). In area italica e nelle aree provinciali si utilizza­ no invece altri tipi di materiali, più facilmente reperibili e perciò meno costosi, come l'arenaria, il basalto o il calcare, per quanto non manchi qualche rara attestazione in marmo bianco (nn. 3, 6, 23, 27, 34), identificabile come parlo almeno nel caso di una statua (n. 15). A differenza dell'arenaria e del basalto che vengono impie­ gati nelle province occidentali (nn. 8, 18, 31, 32, 33, 35, 38, 41, 42), il calcare risulta utilizzato quasi esclusivamente per le rappresen-

È probabile che questo si verificasse anche nel rilievo proveniente da Riickin· gen, in Germania, in origine costituito da una scena piuttosto complessa (n. 32). 8 Secondo Filippo Coarelli, a Roma dovevano esistere duemila mitrei, in base a un calcolo eseguito tenendo conto, per analogia, sui dati rilevati per Ostia, ove in una superficie indagata di 33 ettari su 70, sono stati individuati 18 mitrei; risultando una media di un mitreo circa ogni 2 ettari di superficie, lo studioso deduce che a Ostia vi fosse una quarantina di santuari (cfr. CoARELLI 1979, pp. 76-77; cfr. CoARELLI 1982, pp. 33-67). Partendo da questi stessi presupposti, Reinhold Merkelbach ritiene possibile ipotizzare il numero dei mitrei presenti a Roma in due modi diversi, che vanno in ogni caso a ridimensionare la cifra proposta dal Coarelli: a) tenendo in considerazione il numero dei mitrei in rapporto alla superficie della città, pari a circa 1373 ettari, e sup­ ponendo che ogni 2 ettari di suolo cittadino vi fosse un santuario, stima 685 luoghi di culto; b) considerando il rapporto tra la popolazione e il numero degli iniziati di Ostia (1200 uomini per ogni edificio sacro) e che Roma al tempo di Antonino Pio aveva un milione di abitanti, calcola 833 mitrei (cfr. MERKELBACH 1988, pp. 218-220). Un numero decisamente inferiore è quello proposto da Maarten Jozef Vermaseren, il quale rico­ struisce una lista di circa 45 mitrei, ipotizzando che al massimo ne siano esistiti 100, non tutti funzionanti nello stesso periodo (VERMASEREN 1951, pp. 89-95, 149 ).

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tazioni presenti nell'area africana e orientale (nn. 5, 12, 19, 26), dove è anche attestato, almeno per il rilievo di Doliche (n. 25), l'utilizzo della roccia naturale da cui è ricavato lo stesso mitreo; in alcuni casi isolati viene sfruttato il materiale presente in loco, come il calcare d' Aurisina per la statua di Aquileia (n. 10 ), una pietra locale per il rilievo maltese (n. 43) e altri tipi di calcari locali per i rilievi prove­ nienti dalla Gallia (nn. 36, 37, 39), a eccezione di quello di Vienne (n. 36), probabilmente di importazione9. In bronzo, infine, sono gli unici tre oggetti cultuali che riproducono il Leontocefalo, rispettivamente due impugnature di coltello (nn. 48, 49) e una fibula (n. 47); caso unico e singolare è la statua antropomorfa di Mérida (n. 23) che, oltre a essere realizzata in marmo, aveva in bronzo i raggi della corona che ne cinge il capo e probabilmente anche le ali, come attestano i fori rinvenuti sul dorso. Un gruppo a sé stan­ te sono invece le pietre dure utilizzate per le gemme (nn. so, 51), rispettivamente un eliotropio e una pietra focaia. Alcune rappresentazioni si distinguono, infine, per avere trac­ ce di pittura di colore rosso, blu e oro sulle proprie superfici (nn. 7, 8, 16, 17, 26, 29, 36), sia che siano in marmo o in calcare: ciò indi­ ca chiaramente che non solo queste raffigurazioni erano dipinte, ma che venivano impiegati colori selezionati, funzionali a esigen­ ze cultuali, cui veniva probabilmente affidato un implicito valore simbolico: è piuttosto verosimile, infatti, che il giallo evocasse il colore del sole, il blu quello del cielo e il rosso quello del fuoco, tutti elementi che, come avremo modo di approfondire, non solo partecipano della complessa natura del dio, ma sono ampiamente presenti nel culto mitriaco. È possibile anche supporre che, qua­ lora la consistenza del materiale non fosse idonea alla stesura del colore o questo non fosse disponibile, venissero scelte pietre già colorate naturalmente, come nel caso dell'arenaria rossa utilizza­ ta per il rilievo di Trier (n. 38) o del calcare giallo ocra del rilievo di Vienne (n. 36).

9 TURCAN 1972, p. 28 e nota 4.

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3.

Contesti di provenienza e cronologia

La mancanza di informazioni certe sui dati di rinvenimento della maggior parte delle opere, recuperate già a partire dal XVI e soprattutto nel corso del XIX secolo, non consente di rintracciare l'esatta provenienza di tutte le rappresentazioni qui considerate e, di conseguenza, di fornire dati cronologici precisi. Qualora poi le indagini archeologiche condotte durante la Rinascenza e nel corso dell'Ottocento ne abbiano anche accertato la provenienza da mitrei - come accade per alcune rappresentazioni provenienti da Roma e da Ostia - gli scavi non sono stati comunque eseguiti con metodo stratigrafico ed è perciò piuttosto raro riconoscere una datazione più circoscritta di quella per secoli. Quando questo è possibile, lo si deve essenzialmente al contenuto e alle caratte­ ristiche paleografiche delle iscrizioni che accompagnano alcune immagini del Leontocefalo. Un consistente contributo che ha consentito di ipotizzare la datazione per alcuni esemplari è stato offerto anche dalle analisi stilistico-formali, mentre solo per le raffigurazioni di recente rin­ venimento è stato possibile ricavare utili informazioni dai dati di scavo, sia per quel che riguarda gli orizzonti cronologici di riferi­ mento che la loro collocazione originaria. Nell'ambito di questo panorama così articolato, è comunque possibile avanzare alcune considerazioni di carattere più genera­ le: le immagini del dio leontocefalo, al pari delle altre figure del pantheon rnitriaco, facevano parte dell'apparato iconografico che decorava l'interno dei mitrei o comunque di quei sacelli che po­ tevano accogliere spazi per la pratica del rituale rnitriaco. Ricavati in ambienti ipogei con volte ribassate che imitavano la forma dello spelaeum, secondo un modello uniforme costituito da una stanza di forma rettangolare, con due lunghi banconi (o podia) laterali e separati da un corridoio centrale, i mitrei sfruttavano spesso crip­ toportici e ninfei già esistenti, sia in contesti di tipo domestico10, ' 0 Tra gli esempi più noti, sono i mitrei della Casa di Diana a Ostia, della fme del secolo d.C. (BECAITI 1954, pp. 9-15), e di via Giovanni Lanza a Roma, della fme del III­ inizio del IV secolo d.C. (GALLO 1979, pp. 249-258). Cfr. VAN ADRINGA, VAN HAEPEREN 2009, Il

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ma anche nei grandi edifici a carattere pubblico quali circhi e termeii. Il rinvenimento di alcune rappresentazioni del dio leontocefalo presso strutture termali (n. 8), in prossimità di circhi (n. 6) o all'in­ terno di case private (n. 1) rende perciò plausibile ritenere che ap­ partenessero a un luogo deputato al culto mitriaco. Per quel che riguarda, invece, l'ambiente e la modalità in cui dovevano essere esposti le statue e i rilievi con l'immagine a testa di leone, i dati posseduti consentono di affermare, con un elevato grado di sicurezza, che trovassero posto in prossimità dell'area cul­ tuale, dove era collocato l'altare con la tipica scena di Mithra in atto di uccidere il toro, affiancato dai due dadofori Cautes e Cautopates, generalmente presso la parete di fondo del mitreo. Più precisamen­ te, essi venivano collocati all'interno di nicchie ricavate lungo le pareti laterali, ma anche sopra altari veri e propri, utilizzati come piani d'appoggio soprattutto per gli elementi scultorei più piccoli, come confermano anche le ridotte dimensioni delle rappresenta­ zioni statuarie del Leontocefalo, piuttosto variabili, ma che di me­ dia si aggirano intorno agli 8o cm di altezza e che anche nel caso delle statue più alte non arrivano a superare il metro e mezzo circa, ma si tratta di casi eccezionali (nn. 4, 7, 23). L'uso di collocare le sta­ tue leontocefale su altari viene del resto implicitamente suggerito anche da un'illustrazione di Pietro Santi Bartoli che riproduce una statua leontocefala proprio sopra un altare (n. 21). Particolarmente suggestiva, l'ipotesi che la nicchia o il luogo in cui veniva custodito il Leontocefalo venisse chiamato leonteum, come parrebbe indicare un'iscrizione rinvenuta a San Gemini in Umbria12• È più probabile però che il termine, di cui si conosce

p. 26, in cui si sottolinea come la possibilità di utilizzare spazi esigui, riservati a un uso ristretto di adepti, favorisse lo sviluppo di sacelli anche in contesti privati. 11 Molti degli edifici collegati ai mitrei, la cui funzione è identificabile, sono pubbli­ ci; emergono per importanza le caserme (castra peregrina, equitum singularium, praetoria, urbana, stationes vigilum), le terme, gli Stabula factionum circensi, gli edifici annonari e le sedi di corporazione (COARELLI 1979, pp. 69-79). Si vedano, per esempio, a Roma, il mitreo del Circo Massimo, della metà del m secolo d.C. (RAMIERJ 1996, pp. 266-267), e quello delle Terme di Caracalla, del m secolo d.C. (PIRANOMONTE 1996, pp. 267-268). 12 ALOE SPADA 1979, pp. 645-648, note 48, 52, 55; MERKELBACH 1988, pp. 124-125; RUBIO R!VERA 1996.

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anche la versione leonteion in un papiro greco13, indichi un luogo di culto riservato agli iniziati del quarto grado, i leones, che vi pra­ ticavano i propri rituali specifici, durante i quali, come si metterà in evidenza, poteva essere riservato un ruolo particolare anche allo stesso Leontocefalo. Per ottenere un quadro d'insieme sufficientemente chiaro di tutte le evidenze monumentali finora note in rapporto ai loro contesti di provenienza, sia dal punto di vista geografico che cro­ nologico, si è ritenuto opportuno procedere topograficamente iniziando da Roma e Ostia, proseguendo con l'ambito italico e distinguendo le province occidentali da quelle orientali, secondo un criterio basato sulla quantità delle testimonianze conservate. Come supporto per la lettura è stata realizzata una carta di distri­ buzione sulla tipologia dei rinvenimenti, con la relativa precisa­ zione quantitativa e cronologica (tav. I) .

Roma, Ostia e dintorni La maggior parte delle raffigurazioni, sia statuarie che su ri­ lievi, è stata rinvenuta a Roma, ma solo per alcune di esse è pos­ sibile accertare la provenienza da mitrei di sicura identificazione o di cui ne è stata perlomeno ipotizzata l'ubicazione. Tra questi, gli unici mitrei per i quali si hanno a disposizione puntuali dati di scavo, sono quelli di Palazzo Barberini e della Crypta Balbi, cui appartengono, rispettivamente, l'affresco con il Leontocefalo in­ serito al centro dell'arco zodiacale che incornicia la scena della tauroctonia (n. 46) e una testa leontocefala ancora inedita (n. 13). Il mitreo Barberini (figg. 1, 2), scoperto nel 1936 durante alcu­ ne attività edilizie condotte nel giardino accanto al Palazzo omo­ nimo, occupa una struttura sotterranea appartenente in origine a un ninfeo o diaeta di una casa del 1 secolo d. C . , di cui erano stati individuati tre ambienti. Il mitreo risulta caratterizzato da una stanza rettangolare di forma allungata, con due lunghi banconi addossati alle pareti, separati da un corridoio centrale , mentre nella parete di fondo è ricavata la nicchia cultuale dove l'affresco è

13

BRASHEAR 1992, p. 49·

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ancora conservato. Il mitreo ha conosciuto più fasi di occupazio­ ne e, per quanto siano state proposte varie ipotesi di datazione per l' affresco14, la più verisimile ne attribuisce l'esecuzione durante la prima fase del santuario, nella seconda metà del II secolo d. C.15. Il mitreo della Crypta Balbi (figg. 3, 4), individuato agli inizi del 2ooo16, sorge nell'ala orientale del grande portico antistante il teatro che Cornelio Balbo fece costruire nel 13 a. C . , all'interno di una nuova serie di edifici sorti alla fine dell'età traianea, quando l'intero complesso della Crypta, danneggiato dal grande incendio dell'So d. C., fu completamente riorganizzato con strutture nuo­ ve addossate alla grande esedra augustea e articolate intorno a due vie probabilmente tectae. Di queste strutture, il mitreo occu­ pa l'aula meridionale che, per le caratteristiche architettoniche, sembra essere stata destinata a luogo di culto sin dal momento della sua edificazione: articolata in tre spazi con volte a crociera e con grande nicchia sul fondo, già intorno alla metà del II secolo d. C. subisce una trasformazione che comporta la chiusura della nicchia e, di conseguenza, la creazione di un fronte aggettante, articolato in quattro nicchie più piccole e una centrale più am­ pia. Per quanto non si possa escludere che già a questa fase risal­ ga la prima sistemazione dell'aula come luogo di culto mitriaco, il primo allestimento certo come mitreo risale alla fine del II inizi del III secolo d. C. , quando vengono costruiti anche i banconi la­ terali. Numerosi sono poi gli interventi di ristrutturazione, regi­ strati ancora tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d. C., quando all'aula vengono aggiunte tre sale utilizzate , rispettivamente, per le iniziazioni, per il cosiddetto "battesimo" e l' apparatorium; il mi­ treo rimase in uso per molto tempo e , da quanto indicano anche i materiali ceramici rinvenuti, che datano lo strato di distruzione intorno alla metà o al terzo quarto del v secolo d. C. , costituisce -

14 L'affresco è stato variamente datato all'età antonina (RuMPF 1953, p. 187), al pe­ riodo severiano (BORDA 1958, p. 300), al III secolo d.C. (GRABAR 1966, fig. 73; CoARELLI 1974, p. 222) e al 225-250 d.C. (MEYBOOM 1982, pp. 39-46). 15 ANNIBALDI-GAITI 1943-1945, fig. 3; R.JCHARDSON 1992, p. 257· ' 6 Per una dettagliata analisi delle diverse fasi di costruzione che hanno interessato la Crypta Balbi e in particolare il mitreo, cfr. Ricci 2004a, 2004b; VENDITELLI 2004.

33

CAPITOLO PRIMO

un caso di attardamento del culto. La statua leontocefala (n. 13), rinvenuta insieme a tutti gli altri arredi scultorei nello strato di distruzione che obliterava l'intero mitreo, è riferibile alla fase isti­ tutiva dell'aula di culto di m secolo d. C. '7• Per quel che riguarda invece le altre raffigurazioni scoperte a Roma, pochi e molto generici sono i dati che si hanno a disposi­ zione sui luoghi di rinvenimento, specialmente per quelle scoper­ te a partire dal lontano XVI secolo. Si ha notizia, per esempio, di un piccolo sacello sotterraneo con camera a volta e l'ingresso già tamponato in antico'8, scoperto nel 1556 nella vigna di proprietà di Orazio Muti, prospiciente la Chiesa di San Vitale (tra il Quirina­ le e il Viminale)'9, dove furono rinvenuti ancora in situ il rilievo at­ tualmente conservato a Palazzo Colonna (n. 40) e la statua leon­ tocefala (n. 21) nota grazie all'incisione che Pietro Santi Bartoli (1635-1700) eseguì sulla base della descrizione dello scultore roma­ no Flaminio Vacca (1538-1605), il quale la vide personalmente an­ cora collocata all'interno di una nicchia20, senza fornire, tuttavia, alcun altro tipo di informazione. Uno dei due mitrei individuati sul Celio21 , più precisamente quello situato a sud della Chiesa di Santa Maria in Domnica, dove si ritiene stazionasse la cohors v Vigilum2\ costituiva la probabile collocazione originaria del cosiddetto rilievo di Ottaviano Zeno (n. 28), di età adrianea. Rinvenuto nel corso di scavi rinascimentali eseguiti negli anni 1530-1540 a opera di Ascanio Magarozzi nelle proprie vigne3, divenne proprietà di Ottaviano Zeno almeno dal 1564, come risulta dall'incisione che Antonio Lafréry realizzò in quello stesso anno e che pubblicò successivamente nello Specu­ lum Romanae Magni.ficentiae (1575), un volume di tavole dedicato

SAGUÌ 2004a, p. 168; 2004b, p. 242. CALZINI GYSENS 1993, p. 262. 19 Cfr. CLAUSS 1992, p. 16; R!CHARDSON 1992, p. 258. 10 VACCA 1594, II6. 1 1 Cfr. CLAUSS 1992, p. 16. CoARELLI 1979, p. 70, n. 1. 13 Dalla stessa area provengono due rilievi marmorei frammentari che conservano le figure delle divinità capitoline di Giove, Helios e Luna (CALZINI GYSENS 1993, p. 259). 17 18

11

34

IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

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l 13,18

PIANTA

r.

. ::.

Roma, mitreo Barberini, planimetria (da VERMASEREN 1982).

35

CAPITOLO PRIMO

2. Roma, mitreo Barberini, veduta generale con l'affresco sul fondo (da

PAVIA 1986a).

IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

l

o 3 . Rom a , mitreo della

Sm

Crypta Balbi, pianta relativa a l l a fase del H I secolo d . C . ( d a RICCI

2004a).

37

CAPITOLO PRIMO

4.

Roma, mitreo della

Crypta Balbi, con in evidenza la nicchia cultuale (da Ricci 2004a).

IL LEONTOCEFALO : ASPETTI GENERALI

ai principali monumenti romani24• In seguito, tra il 1610 e il 1615, il rilievo entrò a far parte della collezione della famiglia Borghese e qui rimase fino agli inizi dell'Ottocento, quando una parte di esso fu venduta al Museo del Louvre tra il 1807 e il 1808. Segnalato ancora nel 1815 e considerato monumento già perduto, sembra che la parte rimasta, relativa alla scena centrale, sia stata acqui­ stata agli inizi del Novecento da un certo Guido Bezzi, residente in Brasile, e che nel 1976 sia stata venduta dalla nipote al Museo Etnico di Sao Paulo : Maarten Jozef Vermaseren, avendo ricono­ sciuto l'appartenenza di entrambi i pezzi al cosiddetto rilievo di Ottaviano Zeno, ne ha proposto la ricomposizione, assegnando l'esecuzione dell'opera all'età adrianea2s. Da un mitreo situato invece ad portam Flaminiam, presso Villa Giustiniani, forse all'interno dello stesso parco della villa26, do­ vrebbe provenire la base con uroboro dedicata a Mithra (n. 24), rinvenuta probabilmente nel 1708 insieme ad altre tre iscrizioni mitriache, tutte databili tra il 184 e il 194 d. C.27, oltre a un basso­ rilievo e a un gruppo marmoreo, quest'ultimo già segnalato nel 1662 apud lapicidam retro Capitolium28 •

24 L'illustrazione di Antonio Lafréry ha costituito da modello di riferimento per alcune riproduzioni successive, tra cui quelle di STEPHANUS WINANDUS PIGHIUS (1520r604) e dijoACHIM CAMERAruus (rsoo-1574), riportate, rispettivamente nel Codex Pighianus o 'Berolinensis ' (Staatsbibliothek Berlin, Ms. lat., fol. 6r, Blatt I recto) e negli Opuscula quaedam in re rustica (NuREMBERG 1577). Nella riedizione delle Antiquae Urbis Romae topo­ graphia l Urbis Romae topographia di Bartolomeo Marliana da parte di Girolamo Ferrucci (Venezia 1588, p. 152'), il rilievo di Ottaviano Zeno, così come riprodotto dall'incisione di Lafréry, oltre a essere intitolato ':Agricoltura", viene riprodotto rovesciato in modo speculare, mentre una versione leggermente rivisitata e più ridotta è quella proposta da Atanasio Kircher nell Obeliscus Pamphilus (Roma r6so, p. 268). Per la ricostruzione della complessa storia antiquaria che ha coinvolto il rilievo, oltre alla monografia di Maartenjozef Vermaeren (VERMASEREN 1978), si veda il più recente approfondimento di Richard Gordon (GORDON 2004, in particolare pp. I-II, 25-30). 25 VERMASEREN 1978, pp. I-24, 32. 26 Cfr. LANCIANI 1990, pp. 76, 202, 258-259. 27 C/L VI, nn. 723-724, 731, 744; TMMM Il, nn. 28-29, 63, 67; CIMRM l , nn. 526-528, 591. 28 L'ipotesi che tutti questi monumenti siano stati rinvenuti agli inizi del XVIII secolo non è sempre stata condivisa, poiché molti dei monumenti antichi scoperti nella proprietà di Villa Giustiniani erano già stati documentati nelle incisioni di J. von Sandrart (Galleria Giustiniana, r631), tra cui si deve probabilmente annoverare anche '

39

CAPITOLO PRIMO

In un mitre o di Roma, non meglio precisabile, sono stati rinve­ nuti due statue e un rilievo (nn. 4, n, 30) , databili sulla base di con­ fronti stilistico-formali alla fine del II e al III secolo d. C. le prime, all'età di Commodo il secondo. Anche in questo caso, come per il sacello di Orazio Muti descritto in precedenza, si assiste alla presen­ za di più raffigurazioni del Leontocefalo nella stessa sede cultuale; che non si tratti di un fatto episodico, viene confermato anche dal rinvenimento in un mitreo di Ostia, della fine del II secolo d. C . , d i una statua (n. 7 ) e di u n rilievo (n. 29), collocati l'uno d i fronte all'altro. Così furono scoperti dal pittore inglese Fagan che scavò il mitreo tra il 1794 e il 18oo; esso è il primo tra tutti quelli rinvenuti a Ostia, di cui sfugge però ancora l'ubicazione9. Secondo quanto descritto da George Zoega30, doveva trattarsi di un ambiente sot­ terraneo affiancato da un corridoio, simile nella sua articolazione planimetrica al mitreo delle Terme3I. L'ipotesi che fosse una vera e propria cripta viene del resto supportata da un'iscrizione nota dai manoscritti di Ennio Quirino Visconti32, in cui risulta che il pater Valerius Heracles33, sommo sacerdote della comunità mitriaca, con­ sacrò una cripta concessa da Commodo come annesso di un pala­ tium: sulla base di questi dati, secondo Giovanni Becatti il mitreo è da ubicare con ogni probabilità tra Tor Boacciana e il cosiddetto "Palazzo Imperiale" , l'edificio costruito da Antonino Pio e amplia­ to poi dai suoi successori34. In effetti, lungo il lato ovest del peristi­ Ho di questo edificio è stato identificato un mitreo che risulta co­ struito intorno al 162 d. C. e da cui provengono altre iscrizioni che menzionano sempre lo stesso pater V. Heracles; tuttavia, essendo

una delle basi mitriache iscritte (CIL VI, n. 731), e successivamente acquisiti dal colle­ zionista Marchese Giustiniani (1564-I637). D'altra parte, sembra doversi ugualmente escludere l'ipotesi che i monumenti epigrafici appartenessero al sacrario mitriaco dei vicini Castra Nova Equitum Singularium (CALZINI GYSENS 1993, p. 26I). 29 BIGNAMINI 200I, p. 14530 ZoEGA I 8o8, p. 33, nota 5· 3' BECATTI 1954, pp. 29-31. 32 VISCONTI I864, pp. 146, 149. 33 RAINER 1984, pp. 110-112. 34 Cfr. BECATTI I954, pp. 119-I21; CLAUSS 1992, pp. 32, 39; C/MRM l, nn. 209, 224, 526-528, 591.

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IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

questo mitreo ricavato al piano terra, è stato ipotizzato che ve ne potesse essere un secondo, affiancato al primo, come accade anche per altri casi35. Se così fosse, il mitreo Fagan si troverebbe nella parte del peristilio non scavata; non è nemmeno escluso, inoltre, che quella che il pittore inglese riteneva essere l'entrata al momento della scoperta, fosse in realtà il fondo del mitreo, dal momento che trovò in situ sia il rilievo di Mithra tauroctono, che la statua leontocefala (n. 7), entrambi corredati della dedica da parte del sacerdote Valerius Heracles. Una statua attualmente conservata presso il Museo Nazionale Romano (n. 17), di cronologia incerta, è stata recuperata con altro materiale mitriaco durante i lavori di regolarizzazione del Teve­ re negli anni Cinquanta del secolo scorso, mentre dal Giardino della Villa imperiale di Domiziano, individuata presso la residen­ za pontificia di Castel Gandolfo, all'estremità sud-orientale della proprietà (fig. 5), proviene invece la statua più antica finora nota (n. 1), risalente alla fine del 1 secolo d.C .36. In questo caso, non si è certi dell'esistenza di un vero e proprio mitreo, ma è ragionevole ritenere che la statua fosse conservata all'interno di una nicchia predisposta per la celebrazione del culto mitriaco. Si ignora completamente il luogo di provenienza di tre statue e un rilievo, conservati rispettivamente presso il Museo Laterano a Roma (nn. 9, 16), la Galleria degli Uffizi a Firenze (n. 14) e il Museo Civico a Modena (n. 44), per i quali si potrebbe suggerire un'origine urbana solo sulla base dei confronti iconografico-stilistici, che con­ sentono peraltro di datare almeno tre di queste rappresentazioni, ri­ spettivamente, alla seconda metà del n secolo d.C. (n. 44), tra la fine del Il e l'inizio del III secolo d.C. (n. 9) e alla metà del III secolo d.C . (n. 14). S i tratta in questo caso di un'ipotesi difficilmente verifica­ bile a causa della complessa storia antiquaria che coinvolge tutti e quattro questi monumenti, di cui è anche opportuno evidenzia­ re la qualità pregiata del materiale, trattandosi di marmo bianco (nn. 9, 16, 44) e in un caso lunense (n. 14) : delle due statue oggi al

35 36

FLORIANI SQUARCIAPINO 1962, p. 56. LIVERANI 1989b, p. 97.

4I

CAPITOLO PRIMO

Museo Laterano, secondo l' Amelung una sarebbe stata conservata in "Casa Carpegna" (n. 9)37, ma dell'altra (n. r6) non fornisce alcuna informazione, se non che in precedenza era conservata al Museo Egiziano, di cui riporta ancora il numero di inventario. L'unica notizia riferibile alla statua conservata alla Galleria degli Uffizi a Firenze (n. 14) proviene da un documento d'archi­ vio del museo38, che ne indica l'appartenenza all'eredità di Borgo­ Amelia e riporta la data d'acquisto da parte della Galleria degli Uffizi, avvenuta nel r824 al prezzo di mille zecchini, insieme a un bassorilievo che fungeva da base alla statua stessa39• Per quanto riguarda il rilievo di Modena (n. 44), invece, Celesti­ no Cavedani, ancora nel XIX secolo, ne ipotizza un'origine roma­ na per il fatto che all'epoca di Ludovico Antonio Muratori (r6721750) esso era conservato "nel palazzo del marchese Sigismondo d'Este a San Martino in Rio, situato a otto chilometri dalla cit­ tà di Reggio, insieme ad altre antichità provenienti da Roma"40. La provenienza romana, in questo caso, verrebbe però supportata, oltre che dal materiale e dalla buona esecuzione del monumento, soprattutto dalla raffigurazione della divinità avvolta da serpente nelle vesti del dio primigenio Phanes, la cui assimilazione è uni­ camente documentata dall'iscrizione che identifica Zeus, Helios, Mithra e Phanes rinvenuta a Roma, in Via della Marmorata41 . A tutte queste testimonianze potrebbe aggiungersi il coltello cultuale in bronzo della Collezione Antoine Blanchet (n. 49), visto da George Zoega nella prima metà dell'Ottocento presso un anti­ quario romano4\ ma non è possibile risalire alla storia precedente

AMELUNG 1903, n. 573, tav. 74 · 939 Il pezzo fu collocato nella Sala delle Iscrizioni e poi ritirato alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso (MANSUELLI 1958, p. r85); di recente, è stato espo­ sto in occasione della mostra I mai visti, realizzata alla Galleria degli Ufflzi nel 2001 (cfr. RoMUALDI 2001, p. 42). 4° CAVEDONI 1863, l, pp. I SS. 4' IG, Urbis Romae ro8. Cfr. PATRIARCA I932, pp. 3 ss. ; CuMONT 1934; LEVI 1944, p. 300; CIMRM l, n. 475; BIANCHI 1957, p. II7. Cfr. SFAMENI GASPARRO 2003a, pp. 182-183, con bibliografia relativa. 42 WALTERS 1974, pp. 144-146. 37 J8

AG XLVIII,

42

IL LEONTOCEFALO : ASPETTI GENERALI

del manufatto, né tantomeno ipotizzarne la cronologia. Altret­ tanto problematica, infine, è l'attribuzione di un'origine roma­ na per la statua nota solo tramite un'illustrazione rinascimentale della collezione di Fulvius Ursinus (n. 22), sempre poi che sia au­ tentica: l'unica notizia viene fornita dal Ms Vaticanus 3439, che ne indica la provenienza dalla casa di un certo G. Antonio di Ponione (o Porsione?)43. In ultimo, si segnala anche il caso di reimpiego di una prato­ me leonina (n. 2) , murata nella parete esterna di una casa medie­ vale di Montecelio (Roma), per la quale è stata recentemente ipo­ tizzata l'identificazione con il Leontocefalo mitriaco44, anche se lo stato molto consunto del pezzo ne rende difficoltosa la lettura. L'identificazione appare plausibile, anche alla luce di un altro rin­ venimento mitriaco, un rilievo tauroctono, eseguito con lo stesso tipo di marmo e riferibile al medesimo periodo cronologico della protome leonina, ovvero alla metà del II secolo d. C . , attualmente murato nella parete di una casa privata e già reimpiegato in pas­ sato come lastra pavimentale in un'altra dimora. Data la presen­ za di entrambe le testimonianze, è possibile pensare all'esistenza di un mitreo, verosimilmente da ricercare più all'interno di una delle numerose villae sparse nel territorio circostante Montecelio, che non nell' area occupata dal borgo medievale.

Italia Le immagini del dio leontocefalo presenti in ambito italico si riconducono a tre sole testimonianze: la prima è la statua leon­ tocefala di provenienza aquileiese (n. 10), recentemente identifi­ cata in occasione del riordino dei magazzini del Civico Museo di Storia ed Arte di Trieste, dal quale era stata acquistata nel 1870 insieme al resto della Collezione Zandonati. L'appartenenza a questa collezione, nonché il tipo di materiale utilizzato, il calcare d' Aurisina, ne rendono certa la provenienza da Aquileia, dove pe­ raltro sono state rinvenute numerose altre testimonianze relative

43 «

484-485, n. 77bis. RoMEO 2004, pp. 39-40.

TMMM II, pp.

43

CAPITOLO PRIMO



Castel Gandolfo, planimetria dell'area sud-orientale del giardino, con in evidenza

il luogo di rinvenimento della statua n.

r

(da

44

LIVERAN1 1989b).

IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

12,27

e . ,

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+ 6. Santa Maria di Capua Vetere (CE), planimetria del mitreo (da VERMASEREN 1971).

45

CAPITOLO PRIMO

7. Santa Maria di Capua Vetere

sul fondo (da

VERMASEREN 1971).

(CE), veduta generale del mitreo con l ' affresco

IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

al culto di Mithra, in particolare epigrafi45, ma anche sculture, ri­ lievi, oggetti cultuali, tra cui va inclusa anche la gemma con figu­ ra leontocefala (n. so)46• Il confronto con questi materiali e le ca­ ratteristiche formali hanno suggerito di datare la statua tra la fine del n e l'inizio del m secolo d. C . , mentre non si ha alcuna notizia per quel che riguarda il mitreo di appartenenza. L'unico mitreo individuato47, ma del quale non rimane alcuna documentazione se non un rilievo di Mithra tauroctono di II secolo d.C. e alcune iscrizioni48, fu scoperto da Enrico Maionica alla fine dell'Otto­ cento in località Monastero, presso il limite nord-orientale del­ la città49, un'area interessata dalla presenza di edifici cultuali sin dall'età repubblicana e che, tra gli altri, vide anche l'edificazione di un tempio dedicato a Iside e Serapide50. La seconda testimonianza riguarda la raffigurazione del Leon­ tocefalo in uno degli affreschi (n. 45) che decorano la cripta mitria­ ca di Santa Maria di Capua Vetere, scoperta nel 1922 all'interno di uno dei criptoportici vicino al Capitolium della città e alla Chiesa di Sant'Erasmo in capitolio. Il mitreo (figg. 6, 7), preceduto da una sor­ ta di vestilmlum costituito da due vani divisi da pilastri - in modo che 8970. tratta di una petra genetrix e una statua di Mithra che porta il toro sulle spalle (ScRINARI 1972, p. ro2, nn. 312-313); tra i rilievi, si deve segnalare un rilievo marmoreo con Mithra tauroctono conservato a Vienna (CIMRM I , n. 736), un frammento di un rilievo e quello di un bassorilievo con la testa di Mithra, conservati, rispettivamente, al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia e al Civico Museo di Storia e Arte di Trieste (CIMRM I , n. 737), mentre tra gli oggetti cultuali è da annoverare una quantità piuttosto consistente di lucerne, riconoscibili per la raffigurazione dei gradi del Corax e del Leo sul disco, mentre tre almeno sono le gemme finora riconosciute come mitriache (cfr. MASELLI Scorrr 2001, pp. 280-281). 4 7 Data la quantità dei rinvenimenti, è anche possibile che vi fosse più di un mitreo, perlomeno a partire dalla metà del I I secolo d.C., periodo cui risale la più antica iscrizione (CIL v , n. B ro) che ricorda la presenza di uno spelaeum eretto cum omni apparatu (MASELLI Scorri 2001, pp. 277-278; CASARI 2004, p. r68 e nota 51). 48 Si tratta del rilievo conservato a Vienna ( CIMRM I , n. 736), citato alla nota 46; per le iscrizioni, cfr. CIL v, nn. 805, BoB, Su. 49 MAIONICA 1893, n. 29. Si vedano anche CALDERINI 1930, pp. 129-134; BERTACCHI 1993. pp. 197·204. 5 0 GIOVANNINI, MASELLI Scorri 1997, pp. 363, 364; GIOVANNINI 200!, pp. 294-297; FONTANA 2010, pp. IOI-!08. 45 C/L V, nn. 763-765, 803-8II, 8239, 82.40, 4 6 Per quel che riguarda le sculture, si

47

CAPITOLO PRIMO

l'accesso fosse controllato - presenta la consueta pianta rettangola­ re allungata, con banconi laterali separati da un corridoio centrale e con la nicchia cultuale ricavata sul fondo, dotata di un alto podio che si estende per l'intera larghezza della stanza, mentre alcune nicchie di piccole dimensioni ricavate lungo il lato sinistro funge­ vano da basi d'appoggio per le lucerne. Interamente affrescato e decorato da stucchi, il mitreo si data agli inizi del II secolo d.C . , ma conobbe almeno tre fasi diverse di intervento: la parte dell'affresco in cui con ogni probabilità è raffigurato un Leontocefalo - anche se oggi risulta difficilmente leggibile a causa delle elevate condizioni di degrado - si trova nella parete laterale presso l'angolo del muro settentrionale (a 1,20 m dal suolo), in prossimità dell'affresco di Luna calante, ed è databile all'età antonina51, quando viene realiz­ zato anche l'affresco con Mithra tauroctono, Cautes e Cautopates. Una terza testimonianza riguarda un rilievo frammentario (n. 43) in pietra calcarea locale, rinvenuto nel 1950 a Rabat, nell'iso­ la di Malta, e attualmente appartenente alla Patrick Galea Col­ lection. Per quanto la presenza di numerose evidenze mitriache nell'isola sia stata messa in evidenza da uno studio recente52, non si hanno puntuali informazioni sulla provenienza e sulla crono­ logia del pezzo, riconducibile all'ambito mitriaco solo sulla base delle caratteristiche iconografiche .

Province occidentali Germania Un'altra area che si distingue per l'elevato numero di raffigu­ razioni del Leontocefalo è la Germania Superior, ove molti sono i mitrei individuati lungo il Limes. Fra tutte le località, si distingue la città di Heddernheim (Nida) per essere la sede di un'importante comunità mitriaca. Il mitreo III (fig. 8), in particolare, ha restituito un rilievo (n. 31) che al momento della scoperta si trovava all'in­ terno di una delle tre nicchie situate vicino a quella cultuale53; una 5' 52 53

VERMASEREN 1971 , p. S I . SAGONA 2009. ScHWERTHEIM 1974, pp. 79-80, 83-84.

IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

statua è stata invece recuperata presso le terme (n. 8), dove proba­ bilmente va riconosciuta l'esistenza di un altro sacello mitriaco. Entrambi si datano tra il II e il III secolo d . C . Un'altra statua ( n . 1 8 ) è stata rinvenuta tra i l 1892 e i l 1895 a Wahlheim, ove si ipotizza l'esistenza di un mitreo, mentre un ri­ lievo (n. 32), molto frammentario, è stato recuperato a Riickin­ gen, vicino ad Hanau, non lontano dal campo militare romano, presso il quale doveva essere ubicato un altro mitreo datato tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C. Resta ignoto, invece , il luogo dove era originariamente collocata una stele a rilievo del 220 d. C . (n. 35), rinvenuta a Strasburgo (Argentoratum) durante gli scavi nel centro della città per la costruzione di una cantina; non è nemme­ no possibile ottenere alcuna informazione precisa sia riguardo al rilievo di Kindenheim (n. 41), murato al momento della scoperta nella parete di una casa privata, che a una stele scolpita su ambo i lati ritrovata a Behingen, presso la valle del Neckar (n. 42) .

Gallia Dalla Gallia, in particolare dalla Belgica e dalla Narbonensis, proviene un numero discreto di testimonianze. Per quel che ri­ guarda la Belgica, si deve ricordare un rilievo (n. 38) rinvenuto nel 1928 in un cumulo di scarti vicino all'area sacra del mitreo di Trier (Augusta Trevirorum), cui verosimilmente apparteneva: essendo il mitreo datato tra il III e la seconda metà del IV secolo d.C . , è mol­ to probabile che anche il rilievo vada assegnato allo stesso oriz­ zonte cronologico. Per la Narbonensis, invece, si distingue anzitutto il rilievo dell'età di Gordiano III (240-250 d.C.) (n. 36) appartenuto a un mi­ treo di Vienne (Vienna Allobrogum), individuato nel 1840 presso una proprietà appartenuta a Peyron, a sud-est della Halle Neuve, vici­ no a un tempio probabilmente dedicato ai Dioscuri54. Ancora nel 1598, invece, una statua mutila della testa (n. 6), databile tra il 180

54 È possibile che la raffigurazione dei due gemelli accanto al Leontocefalo costi· tuisca un'interpretazione locale, giustificabile proprio in funzione di un culto dedicato ai Dioscuri (cfr. LAVAGNE 1978-1979. p. 217).

49

CAPITOLO PRIMO

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8.

Heddernheim, mitreo di III fase (da ScHWERTHEIM 1974).

so

IL LEONTOCEFALO : ASPETTI GENERALI

e il 2oo d.C .55, fu rinvenuta ad Arles (Areiate), durante lo scavo per le fondazioni di un mulino ad acqua presso il canale Craponne, nel quartiere de La Roquette, non lontano dal circo situato all'esterno della colonia, a circa soo m dal bastione sud, databile, in base allo scavo dei livelli di fondazione, alla fine dell'età antonina56. A queste si aggiungono un paio di rappresentazioni del Leonto­ cefalo di recente rinvenimento: a un santuario mitriaco scoperto all'interno di una villa suburbana di Bordeaux, datata alla seconda metà del I secolo d. C . , appartiene un altare che riproduce su uno dei lati la figura a testa di leone (n. 37); esso era custodito, insie­ me ad altri tre altari votivi anepigrafi, all'interno della principale nicchia cultuale. Gli archeologi che hanno condotto lo scavo asse­ gnano il mitreo alla prima metà del III secolo d . C . sulla base delle monete rinvenute, ma lo stile di alcune sculture, tra cui quelle di Cautes e Cautopates, sembrano indicare una fase precedente, riferibile già alla fine del II secolo d.C . , anche se non viene esclusa l'ipotesi che questi reperti scultorei possano essere stati reimpie­ gati da un altro santuario57. Dopo aver subito una distruzione par­ ziale, il mitreo è stato rioccupato nella prima metà del IV secolo d . C . e poi abbandonato definitivamente nella seconda metà dello stesso secolo. Un elemento scultoreo frammentario (n. 39), simile al pre­ cedente, appartiene invece a un mitreo di Septeuil (fig. 9), si­ tuato nella parte sotterranea di un ninfeo della fine del I inizio del II secolo d. C . , che faceva parte di un santuario delle fonti58. Il mitreo, costruito intorno agli anni 350-360 d.C. in seguito a una rioccupazione priva di carattere cultuale, si caratterizza per avere una struttura architettonica piuttosto sommaria, ottenuta -

55 Robert Turcan, che pur riteneva valida questa datazione (TURCAN 1972, pp. 23-2.4), ha proposto recentemente di anticipare la cronologia almeno alla metà del n secolo d.C. per il modellato particolarmente morbido con cui sono trattati i segni zodiacali tra la veste della statua (TuRCAN 2009, p. 445, nota 64). 56 GROS 1996, p. 395· 57 GAIDON·BUNUEL 1991, p. 56. 5 8 Per la realizzazione di mitrei all'interno di edifici di culto preesistenti, cfr. GAIDON·BUNUEL 2000, pp. 193·210 e VAN ADRINGA, VAN HAEPEREN 2009, pp. 22-25.

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9. Septeuil, veduta dall'alto del mitreo (da VAN ADRINGA, VAN HAEPEREN 2009). 52

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con materiali di reimpiego, così come sembrano essere riutiliz­ zati anche i materiali scultorei d'arredo59. A indicarlo è lo stesso breve periodo in cui fu frequentato il luogo di culto, che venne distrutto e quindi definitivamente abbandonato nel corso del v secolo d.C.60. A tutte queste testimonianze si deve aggiungere anche una statua leontocefala (n. 20), forse proveniente da Auvergne (Tres Galliae), di cui si sono perse completamente le tracce . Pannonia-Thracia

La provenienza da mitrei è accertata anche per alcune rap­ presentazioni individuate lungo l'area danubiana, ove il Leonto­ cefalo è raffigurato in almeno due rilievi cultuali; il primo (n. 27) è stato rinvenuto all'interno di un'antica sostruzione vicino alla Chiesa di San Kral nella città tracia di Sofia (Serdica) e risale al II secolo d.C . , mentre il secondo (n. 34) proviene dal mitreo II della città di Ptuj (Poetovio), nella Pannonia Superior, riferibile agli inizi del III secolo d . C . Sempre a questo secolo appartiene una fibula che riproduce la figura con testa di leone (n. 47 ), rinvenuta nel mitreo III di Bad Deutsch-Altenburg (Carnuntum) . Hispania

Due statue che ritraggono il dio mitriaco, rispettivamente, una con la testa di leone (n. 3) e l'altra con il volto umano (n. 23), databili entrambe alla seconda metà del II secolo d. C . , sono state ritrovate tra il 1902 e il 1913, insieme ad altro materiale epigrafico e scultoreo di pertinenza mitriaca, a Cerro de San Albin, un'al­ tura situata al di fuori delle mura della città di Mérida (Emerita Augusta), antico capoluogo della Lusitania. Data la quantità e la tipologia dei monumenti rinvenuti, è pro­ babile che un mitreo di ampie dimensioni sia da ubicare all' estre­ mità sud-orientale della città, al limite del circuito delle mura; si tratta di una zona che si dimostra fortemente interessata da pre-

GAIDON· BUNUEL 1991, pp. 53. 57 Il frammento del Leontocefalo è stato rinvenuto nei livelli di distruzione della vasca, insieme ad altri elementi scultorei (GAIDON-BUNUEL 2000, p. 207). 59

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senze mitriache: non molto distante dall'area in cui si sono rinve­ nute le statue, infatti, si sviluppa, più a sud, la cosiddetta "Casa del Mitreo" , nota per il mosaico cosmogonico6', mentre circa 100 m a nord-ovest si trova un piccolo sacello mitriaco di recente iden­ tificazione, fondato ex novo alla fine del I secolo d.C . , quando la diffusione del mitraismo era ancora agli albori62. Britannia

Nell'area più settentrionale dell'Impero, in Britannia, si evi­ denzia un caso isolato a York (Eburacum), ove lungo il muro di cinta della città, in occasione dei lavori di costruzione dell'arco meridionale, è stato rinvenuto nel 187s l'altorilievo con Leontoce­ falo (n. 33), riferibile al III secolo d. C . , corredato dalla famosa iscri­ zione dedicatoria che per il fatto di menzionare il nome Ariman ha dato luogo a un lungo e complesso dibattito sulla possibile denominazione del Leontocefalo63.

Province orientali Aegyptus

Nelle aree di tradizione e cultura orientali, generalmente in­ dicate come probabili sedi per l'origine iconografica del Leonto­ cefalo, si hanno in realtà poche testimonianze, riconducibili per la maggior parte all'Egitto: l'unica attestazione di una figura leon­ tocefala (n. 5) proveniente da un mitreo è quella rinvenuta a Mìt­ Rahlna (Memphis), "a circa 1 km in direzione E-NE dal villaggio di Mìt-Rahlna, tra la strada che porta a Sakkàra e il terreno coltivato che si estende a est"64, ove nel 1885 fu scoperto un mitreo, di cui 6 ' Essa è costituita da due distinte domus; l'interpretazione del mosaico risulta in realtà controversa, poiché non tutti ne condividono l'interpretazione mitriaca (Musso 1983, p. 156; BENDALA GALAN 1986, p. 277, n. 2; Musso 1994, pp. 136-138). 62 BARRIENTOS VERA 2001, pp. 357-358, 377-379. 63 Per il commento approfondito sull'iscrizione, cfr. infra, pp. 188-191. 64 La notizia è riportata da Cumont, che cita presumibilmente É mile Brugsch (TMMM n, n. 285d, fig. 481); Strzygowsky, su informazione di Daressy, aggiunge che era lì ove fu rinvenuto il "chien de Stier", un pezzo comprato dal Museo del Louvre nel 1886 (STRZYGOWSKY 1904, pp. 14 ss.). Da quanto risulta dall'analisi di Harris, che ha raccolto tutte le informazioni in merito, l'area di rinvenimento doveva situarsi non

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non si hanno però dati precisi. L'unica notizia certa è che, insieme al Leontocefalo, databile al tardo II secolo d.C., sono state rinvenu­ te altre sette sculture mitriache, tra cui un leone e un rilievo, alcune delle quali risultano di m secolo d.C. per l'evidente influenza copta nello stile65; poiché è probabile che vi fosse un secondo mitreo non lontano dall'attuale villaggio66, non si esclude che i materiali più tardi possano provenire da questo secondo santuario. Da scavi clandestini proviene invece il rilievo di Sébach (Oxyrhyncos) (n. 26), acquistato nel 1933 dal Museo di Alessandria e databile alla prima età imperiale sulla base delle caratteristiche stilistico-formali, mentre una piccola statua (n. 19), forse origina­ ria dell'antica Apollinopolis, risulta prima acquistata da un privato e successivamente conservata al Museo del C airo.

Syria L'attestazione più importante riguarda un rilievo con la raffigu­ razione di un Leontocefalo (n. 25), difficilmente riconoscibile essen­ do stato quasi completamente martellato da parte dei fedeli cristia­ ni, presente nel primo dei due mitrei (fig. 10) rinvenuti affiancati a Doliche, presso Gaziantep, in Commagene67: si tratta di una caverna naturale modificata e ampliata per fini di culto, dotata di una sala mitriaca - cui ne è stata aggiunta una seconda quasi immediata­ mente dopo - che, sulla base dei rinvenimenti numismatici, appare frequentata come luogo di culto già a partire dal I secolo a.C. e suc­ cessivamente "mitraizzata" per influsso del mitraismo occidentale in età imperiale, con un'intensa frequentazione soprattutto durante l'età severiana, come indicato da un'iscrizione latina che menziona

lontano dalle trincee militari del 1971, nella parte più meridionale di Kòm Dafbaby o a Nord di Kòm al-Nawa (HARRIS 1996, p. 174). 65 HARRIS 1996, pp. 172·173· 66 Lo si desume da una comunicazione all'Accademia di Vienna, pubblicata nel 1849, da parte di Ridder von Laurin, il console generale austriaco d'Egitto, che visitò Mit Rahina proprio in quell'anno e ricorda il rinvenimento di un frammento mitriaco (HA!uus 1996, p. 175). Secondo Harris, questi rinvenimenti, insieme a quelli di Hermopolis, tra i quali però non ci sono Leontocefali, sarebbero gli unici ad attestare la presenza di mitrei in Egitto (HARRJS 1996, pp. 169-172). 67 ScHUITE-MAJSCHATZ, WJNTER 1997, pp. 31-37; 2001, pp. 149-173; 2004, pp. 93-99. 55

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la legione IV scitica. In realtà, la questione cronologica appare piut­ tosto complessa, poiché al di là delle testimonianze indicate, non vi sono dati più puntuali che stabiliscano parametri cronologici preci­ si: è anche possibile, come ipotizza Mastrocinque, che la grotta sia stata utilizzata come sede cultuale mitriaca sin dall'epoca ellenisti­ ca, data l'importanza detenuta da Mithra a Commagene e il ruolo centrale assunto dall'astrologia e dagli astrologi nella Commagene tardo-ellenistica68. Se così fosse, il rilievo di Doliche, che in ogni caso costituisce la testimonianza più antica tra i Leontocefali finora noti, suggerirebbe di anticipare di quasi due secoli la formazione icono­ grafica di questa figura. A scoraggiare un'ipotesi di datazione così alta, tuttavia, sono almeno due osservazioni: da un lato, la realiz­ zazione di questo rilievo è comunque difficilmente databile e non necessariamente è attribuibile al momento iniziale della frequenta­ zione del luogo di culto, piuttosto potrebbe essere stata realizzata in un momento successivo, quando tra la fine del I secolo a.C. e l'inizio del I secolo d.C., viene a stabilirsi in modo permanente una comunità mitriaca; allo stato attuale della ricerca archeologica, inol­ tre, mancano altre raffigurazioni di Leontocefali che siano riferibili all'età ellenistica o, in ogni caso, al periodo che dall'età ellenistica si protrae fino alla fine del I secolo d.C . , quando è attestata la seconda testimonianza più antica, la statua di Castel Gandolfo (n. 1). All'ambito siriano appartiene anche la statua leontocefala (n. 15) proveniente da un mitreo di Salda (Sidon), l'unico tra i mitrei siria­ ni noti (Dura Europos, Caesarea Marittima, Haouarte di Apamea e Sha'ara, nella Siria meridionale)69 a non essere stato identificato perché obliterato da costruzioni moderne70.

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MASTROCINQUE 2004, pp. 175·176. Per il mitreo di Dura Europos esiste oramai una ricca bibliografia; tra i prin· cipali si vedano RosTOVTZEFF, BROWN, WELLS 1939, pp. 62·134; CuMONT 1975; LERICHE 2003; MASTROCINQUE 2004; per il mitreo di Caesarea Marittima, si vedano BuLL 1978, pp. 75-89; BLAKELY 1988. Sulle recenti e straordinarie scoperte a Haouarte di Apamea, dove è stato rinvenuto un mitreo con pareti dipinte che raffigurano scene dall'inusuale iconografia, cfr. GAWLIKOWSKY 2000; GAWLIKOWSKY 2004, in particolare pp. 338-351; per il mitreo di Sha'ara, cfr. KAws 2003, pp. 229-277. Per un'analisi generale sulla diffusione del mitraismo nella Siria romana, cfr. GORDON 2003. 70 0UNAND 1967, pp. 27-44.

IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

Scoperto verso la fine del XIX secolo, le indagini furono pub­ blicate dal giornalista Durighello nel 1887 e poco più tardi da Reinach nel 18947', ma non sono del tutto affidabili, in quanto incomplete e per certi aspetti fantasiose . Le uniche notizie at­ tendibili riguardano la presenza di nicchie per la collocazione di statue e di un pavimento in opus tessellatum, ma soprattutto i manufatti rinvenuti. Si tratta di undici sculture, tre delle quali, compresa la statua leontocefala, presentano una dedica da par­ te di tale Flavio Gherontios72• La datazione delle sculture risulta piuttosto problematica, poiché si basa esclusivamente sull'iscri­ zione apposta sul piedistallo circolare della statua leontocefala che menziona l'anno 500, riguardo al quale vi sono interpreta­ zioni discordanti: secondo Cumont, Vermaseren e più recente­ mente Hopfe, si tratterebbe del 188 d . C . perché calcolato sulla base dell'era seleucide, che inizia a partire dal 312 a.C .73; secondo Will , invece, l'anno 500 corrisponde al 389 d.C. poiché sostiene, sulla base di convincenti argomentazioni, che l'era utilizzata sia quella sidonia, che ha inizio nel m-no a.C .74• Secondo Will è pro-

71 0URIGHELLO E., Bosphore Egyptien, 19 August 1889; REINACH 1894, pp. 91 ss. Si tratta di una statua di Mithra tauroctono e una di Ecate; prive di iscrizione sono invece le altre sculture rinvenute, tutte conservate al Louvre, tra cui una statua di Mithra che porta il toro sulle spalle, quattro statue di Cautes e Cautopates, raffigurati, rispettivamente, uno con il cane e l'altro con il serpente sulla gamba, mentre nelle altre due hanno entrambi l'ascia da battaglia, due statue di Vene re, di cui una in marmo e l'altra in bronzo; infine, un rilievo di Mithra tauroctono (HOPFE 1990, pp. 2221-2222). La cronologia di gran parte di queste testimonianze continua a essere problematica, come risulta anche dalla recente analisi svolta da Baratte (BARATTE 2003, pp. 211-218). 73 HOPFE 1990, p. 2221. 74 A partire dal III·IIO a.C. la città aveva istituito un'era autonoma testimoniata sia dai reperti numismatici, che dai dati epigrafici, in particolare quelli delle stele funerarie, che attestano l'uso di un calendario locale fino almeno al v secolo d.C. Lo stesso nome del dedicante sembra confermare la datazione della statua al IV se· colo d.C: Gerontios, non chiaramente identificabile se come gentilizio o cognomen, ricorre frequentemente in epoca costantiniana e post-costantiniana, mentre il nomen Flavio appare già prima e risulta comunque molto frequente in Oriente almeno fino al IV secolo d.C. e oltre. Ciò che risulta peculiare e piuttosto indicativa è l'associazione dei due nomi, essendo ricorrente durante il periodo di Diocleziano. Lo stesso stile delle statue, infine, per quanto si ispiri a modelli tradizionali, specialmente per quel che riguarda le proporzioni, appare rivisitato secondo le correnti più tarde (WILL 1950, 72

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babile che le sculture di F. Gherontios, tutte di marmo, siano state importate (anche se non specifica da dove)75 e non è escluso che esse appartengano a un uso più tardo del mitreo: è possibile, in­ fatti, che esso sia stato interessato da più fasi, ma i pochi dati di scavo posseduti non sono sufficienti per confermarlo. Sempre dal mitreo di Sai"da, potrebbe provenire anche un pic­ colo manufatto cruciforme (impugnatura di coltello?) con figura a testa di leone, di cui non si hanno notizie certe, se non che fu acquistato nel 1884 dal Museo di Beirut, dopo essere appartenuto alla Collezione Chester (n. 48).

Africa Numidia Per quanto riguarda l'Africa, l'unico caso noto appartiene alla

Numidia, dove una statua (n. 12), databile al III secolo d. C . , è stata rinvenuta nel mitreo di Skikda (Rusicade), scoperto nel 1845 all'in­ terno del giardino di Nobelly, sul lato settentrionale della "villa di Filippo" . La distribuzione geografica delle raffigurazioni del Leonto­ cefalo si relaziona al più generale processo di diffusione del culto mitriaco nel mondo romano e già da questo dato emerge un ele­ mento contrastante, ovvero che le attestazioni del Leontocefalo, sebbene presenti in diverse province dell'Impero, sia occidentali che orientali, non corrispondano affatto alla diffusa propagazione del culto. Ciò, per quanto possa dipendere anche dallo stato del­ la ricerca archeologica, induce a pensare che il Leontocefalo non avesse un ruolo supremo all'interno del pantheon mitriaco, così come molti studiosi gli hanno assegnato identificandolo di volta in volta con Zurvan Akarana, il Tempo infinito, o con Ahriman, il terribile dio del Male della tradizione iranica, seppure con nuo­ ve accezioni. Per quanto, anche recentemente, gli sia stata ricono­ sciuta una funzione centrale nel culto, tanto da essere considerato p. 262). De Ridder ipotizza invece che la statue siano più antiche e le iscrizioni siano state apposte in un momento successivo (DE RiDDER 1906, n. 40, tavv. XXII-XXIII). 75 WILL 1950, p. 206.

IL LEONTOCEFALO ." AS PETTI GENERALI

ro.

. .. Dolich e, m1treo M AISCHATZ ' WINTER 2004). 1 (da S CHUTIE

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uno dei principi primordiali che regolano il cosmo76, sembra che il ruolo del Leontocefalo sia in realtà da ridimensionare, come del resto suggeriscono anche alcune considerazioni di carattere icono­ grafico: a differenza di quanto avviene per Mithra e altre figure del­ la religione mitriaca, il Leontocefalo non è rappresentato in modo uniforme, ma attraverso una serie di motivi o immagini che, per quanto ricorrenti, assumono combinazioni diverse e si rendono portavoce di valori simbolici altrettanto differentF?. A questo si ag­ giunge anche il fatto che nei cosiddetti rilievi cultuali, la cui scena principale si identifica nell'uccisione del toro da parte di Mithra, il dio a testa leonina non è costantemente presente, appare solo in proporzioni ridotte nella fascia superiore o inferiore, oppure sopra la tauroctonia stessa, in posizione secondaria. Una seconda considerazione riguarda la notevole concentra­ zione di testimonianze a Roma piuttosto che nel resto dell'Impero Romano, ove la diffusione è più rada e risulta comunque localiz­ zata principalmente lungo il Limes germanico e gallico : tutto ciò concorda con l'ipotesi, sostenuta ormai dalla maggior parte degli studiosi, che identificano Roma come centro di formazione e dif­ fusione del culto mitriaco, giunto fino alle regioni poste ai confini dell'Impero tramite i soldati, i funzionari imperiali e i mercantF8. Un'ultima osservazione , infine, sulla distribuzione cronologi­ ca: gli esemplari databili si collocano tra la fine del I secolo a . C . - ini­ zio del I secolo d.C . , epoca cui probabilmente appartiene il rilievo del mitreo di Doliche (n. 25), collegabile con l'inizio della propa­ gazione del culto, e la fine del m - seconda metà del IV secolo d. C . , periodo cui risalgono l a statua e forse anche l'impugnatura di col­ tello provenienti dall'antica Sidone (nn. 15 , 48), quando oramai il mitraismo sembra avviarsi alla sua definitiva scomparsa; i rilievi dei mitrei di Bordeaux, Trier e Septeuil (nn. 37 , 38 , 39), costituisco­ no invece casi significativi di attardamento del culto, peraltro non

76

MASTROCINQUE 2009, pp. 46-56. 77 Per queste considerazioni, cfr. infra, alle pp. 170-171. 78 MERKELBACH 1988, pp. 175-182; ULANSEY 1989; CLAUSS 1990, 1992; GRAF 1997, p. 338.

6o

IL LEONTOCEFALO: ASPETTI GENERALI

isolati come testimonia anche il materiale rinvenuto nel mitreo della Crypta Balbi. Oltre alla statua di Castel Gandolfo (n. 1), assegnabile alla fine del I secolo d. C . , si ricorda un rilievo datato alla prima età impe­ riale (n. 26), altri due più genericamente riferibili al II secolo d. C . (nn. 27, 28) e una statua alla metà del I I secolo d . C . (n. 2) , m a la massima concentrazione di rinvenimenti si registra tra la seconda metà del II e l'avanzato III secolo d.C . , periodo cui appartengono tredici statue (nn. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, ro, n, 12, 13, 14, 23), nove rilievi (nn. 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 44), due affreschi (nn. 45, 46), una base di statua (n. 24) e un oggetto cultuale (n. 47) . La notevole quantità di testimonianze attestata per questo periodo coincide perfettamente con il momento in cui il mitraismo conosce la sua più ampia diffusione, grazie soprattutto all'impulso dato dall'im­ peratore Commodo e dai SeverF9. A un momento successivo, in­ vece, si possono assegnare solo tre rilievi (nn. 37, 38 , 39) databili tra la metà del III e la seconda metà del IV secolo d. C . , quando già si preannuncia il tramonto della religione mitriaca. Sulla base di questi dati, si possono già anticipare alcune im­ portanti considerazioni che riguardano più da vicino il significato del Leontocefalo : il fatto che esso risulti presente sin dall'inizio della propagazione dei Misteri mitriaci e appaia più o meno co­ stantemente rappresentato per tutto il loro periodo di diffusione , fino a raggiungere le soglie del v secolo d.C . , indica chiaramente che l'elaborazione iconografica e la valenza iconologica del dio siano stati definiti contestualmente alla formazione del culto, per­ lomeno nei suoi tratti essenziali; il fatto poi che i suoi simulacri siano attestati anche tra le comunità mitriache più tarde, induce a ritenere che ad esso venisse attribuito un ruolo molto specifico all'interno del Mitraismo.

79 Cfr. MERKELBACH 1988, pp. 220·221.

6r

II GLI ELEMENTI CONNOTATIVI DELL'IMMAGINE

1.

L a testa d i leone

La quasi totalità degli esemplari presenta una testa di leone il cui muso, inquadrato da una folta e vigorosa criniera, è reso frequentemente con le fauci spalancate, la lingua sporgente e i denti in evidenza (nn. 1, 2, 4, 5, 7, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 21 , 26, 29, 30, 31, 36, 37, 40, 47) . In due sole rappresentazioni (nn. 23, 44), come è già stato specificato, il dio appare con il volto dai tratti maschili giovanili, con lunghi capelli e corona radiata sul capo. 1 . 1 Il leone, simbolo del Sole e del fuoco Il leone costituisce il simbolo solare per eccellenza, secondo un motivo di origine antica che affonda le proprie radici in Mesopota­ mia, dove compare associato a SamaS, il dio del Sole , e nell'Egitto, in cui viene ad assumere una posizione di spiccato rilievo, in qualità di mediatore tra gli uomini e gli dei, tra la terra e il cielo, compito cui sembra essere «naturalmente» predisposto2• Non è un caso, infatti, che il Sole assuma le forme del felino nel quale possono esprimersi pienamente le idee di potenza, di forza e di coraggio. Queste valenze si riscontrano anche in altre culture e per pe­ riodi diversi, tra cui anche nel mondo greco-romano di età impe­ riale , come si evince dalle fonti, che ci tramandano, soprattutto a partire dal II-III secolo d. C . , l'immagine di una fiera animata da forte impeto, dalla natura ardente e infuocata, in virtù della quale è ' 2

Sul ruolo del leone nel contesto mesopotamico, cfr. CASSIN 1981 . 0RAPOLLO, Hierogl. , 17. Cfr. DI! WIT 195 1 .

CAPITOLO SECONDO

possibile cogliere un legame col Sole non solo generico, ma anche più circoscritto, di tipo astrologico. In un commentario di Tolemeo, per esempio, si afferma che il leone avrebbe affinità con il Sole poiché è l'animale sovrano, reale e più caldo3, mentre Macrobio ed Eliano indicano nel leone il simbolo del Sole per eccellenza, sia in terra che in cielo, attraverso motivazioni di ordine zoologico e astrologico. Il primo attribuisce all'impeto e all'ardore del leo­ ne il motivo per cui gli egiziani vi identificano la costellazione in cui il Sole arde di maggiore calore durante il suo corso annuale; non solo, ma Macrobio paragona alla parte anteriore del corpo dell'animale , essendo quella più possente , la forza del Sole che cresce nella prima parte del giorno o nella prima parte dell'anno (dalla primavera fino all'estate), mentre a quella posteriore, la più debole, corrisponderebbero il tramonto o l'inverno4. Tra il Sole e il leone si delinea così un legame di carattere naturale che sembra trovare un'implicita conferma nella testimo­ nianza di Eliano, il quale attribuisce alla natura infuocata del leone il motivo principale del fatto che esso rappresenti, sempre presso gli Egiziani, la dimora naturale del Sole5. L'autore, in questo caso, passa dal leone terrestre a quello celeste con molta disinvoltura, poiché entrambi partecipano della stessa natura: il focoso leone terrestre diviene l'ardente leone celeste, secondo un passaggio favorito anche dall'antica consuetudine di attribuire alle stelle le qualità e i nomi degli animali (catasterismo)6. Alla luce di queste considerazioni, si comprende come la costel­ lazione in cui il Sole entra durante la parte più calda dell'anno sia appunto quella del Leo7, al centro della quale brilla il Regulus, la stella regale per eccellenza, cui è talvolta attribuita la diretta azione del 3

ANONIMO, in Ptol. Tetr. , p. 36; cfr. DELAITE 1913, p. 257. Cfr. MACROBIO, Sat., 1.21.16·17. 5 ELIANO, Nat. Anim., Xll.7. 6 Cfr. PLINIO, Nat. , XXIV.17.162; TERTULLIANO, Adv. Mare., l.I3; SESTO EMPIRICO, Adv. Math. , V.21.17; FIRMICO MATERNO, Math. , Vl.2.1-2. Sul catasterismo, cfr. GORDON 1980, pp. 33-347 Cfr. ARATO, Phaen. , vv. 149-151. Il segno del Leo si trova nel tropico del cancro (v. 491) e anche sull'eclittica (v. 545). L'ampiezza della costellazione è delineata dal corpo dell'animale (v. 446). 4

GLI ELEMENTI CONNOTATIVI DELL ' IMMAGINE

Sole8: in quanto re degli animali, infatti, il leone può degnamente rappresentare la dimora in cui ha domicilio il re degli astri. Se, dunque, il Leo costituisce astrologicamente la casa del Sole, il leone, da parte sua, è «�Àuxx6ç»9, ovvero non solo può rinviare al Sole e al fuoco, ma addirittura farne le veci e divenirne l'effigie principale: come immagine di un dio solare, il leone compare, per esempio, in numerose gemme magiche, ove, oltre ad avere il capo coronato di raggi, è accompagnato dallo scarabeo solare o risulta affiancato da stelle-pianeti; numerose, inoltre, sono le figure leontocefale, in particolare il nume egiziano Chnoubis-Chnoumis, raffigurato nella duplice versione di serpente leontocefalo o come personaggio antropomorfo dalla testa di leone10• Tutte queste fi­ gure erano note alla cultura egiziana fin dai tempi remoti, proprio come espressioni del potere del Sole e con questo significato per­ mangono anche nelle pratiche magiche di età imperiale: in nume­ rosi passi tratti dai papiri magici", il leone viene esplicitamente

8 Cfr. ScHOL. m ARATO, 147, in cui il Regulus è definito l'arconte del leone; PLINIO, Nat. , XVIII.271: "regia in pectore Leonis stella" ; FIRMICO MATERNO, Math., VIII.31. Cfr. i testi riuniti da GuNDEL 1925, cc. 1976·1977. Cfr. CuMONT 1937, p. 214, n. 2; MoUTERDE 1956, p. n; BECK 1988, p. 100, nota 238. Una felice sintesi iconografica è costituita dalla celebre stele del cosiddetto "oroscopo del leone" (62 a.C.), uno dei cinque rilievi che fanno parte del monumento funerario dedicato ad Antioco II di Commagene; in essa è raffigurato un leone con il corpo cosparso di stelle, tra cui quella del Regulus sul petto, quasi a sottolineare il carattere solare del felino, al pari delle fiamme sotto il suo ventre che ne evocano la natura infuocata. Cfr. MERKELBACH 1988, p. 338, fig. 13. 9 Cfr. ARATO, Phaen. , vv. 149-151. 1 ° Cfr. FESTUGIÈRE 1951, IV, pp. 182-183; cfr. 0ELATTE 1913, p. 258; MASTROCINQUE 2003, pp. 78, 82; SFAMENI 2003a, pp. 264-265. 11 Fondamento delle pratiche e del pensiero della magia greco-romana egiziana in epoca imperiale sono i papiri raccolti ne I Papiri Magici Greci (PREISEDANZ-HEINRICHS 1973-1974), redatti da eruditi e scribi di lingue e culture diverse. Caratterizzati da nu­ merosi elementi sincretistici di origine varia - tanto che è molto difficile individuare la corrente predominante -, i papiri hanno un carattere eterogeneo anche dal punto di vista geografico e cronologico, poiché raccolgono testimonianze comprese tra la Spagna e l'Eufrate e si datano tra il II secolo a.C. e il V secolo d.C. (CRIPPA 2002, p. 43). Sulla definizione delle pratiche magiche presenti nei papiri greci di epoca tardo­ imperiale, cfr. BRASHEAR 1995, con ampia bibliografia.

CAPITOLO SECONDO

invocato come principio fisico del fuoco insieme al serpente, che, come vedremo, condivide la medesima natura solare12• Il simbolismo solare del leone ha una particolare rilevanza an­ che all'interno del culto di Mithra, in cui il tema del Sole assume una posizione di assoluto e indiscusso dominio. Mithra stesso del resto si identifica con Sol, come risulta evidente dalla frequente formula dedicatoria Mithrae Soli Invicto13, e l'Eliodromo, il penul­ timo grado del sistema iniziatico, è posto sotto la diretta influenza e tutela del Sole in qualità di dio planetario. Si comprende perciò come anche il leone trovi ampio spazio nel culto mitriaco : esso appare principalmente come segno zodiacale e come tale risulta associato anche alla figura leontocefala: nella statua di Arles (n. 6), per esempio, è scolpito sulla veste del dio, tra le spire del serpente, mentre nell'affresco Barberini (n. 46) fa parte dell'arco zodiacale al centro del quale si erge il Leontocefalo, così come nel rilievo di Modena (n. 44) è compreso nell'anello zodiacale che racchiude il giovane dio avvolto da serpente . È però nella testa di leone che l'aspetto solare viene a essere maggiormente enfatizzato, specie in quelle raffigurazioni che presentano una notevole insistenza di particolari allusivi: nel rilievo di Malta (n. 43) e in quello di Ossirinco (n. 26) , il Leontocefalo non solo è cinto da un nimbo radiato, fre­ quente attributo delle divinità solari sia orientali che olimpiche, ma è accompagnato da una stella nel primo caso e da un piccolo leone sormontato da una stella nel secondo. Al medesimo significato si possono ricondurre, del resto, le protomi leonine scolpite sul petto della statua di Mérida (n. 23) e del dio del rilievo di Modena (n. 44), in quanto sembrano evocare la capacità di vedere e sape­ re ogni cosa che il Sole esercita dall'alto della sua posizione; una caratteristica che si chiarifica in modo inequivocabile nella statua di Castel Gandolfo (n. 1), ove al posto della maschera di leone è

12 PGM di Parigi, I, vv. 939 ss. Una tradizione analoga si ritrova anche in PoRFIRIO, Abstin. , IV.r6. 13 Per un'analisi completa sulla figura di Mithra come Sol Invictus, cfr. CHIRASSI COLOMBO 1979; MERKELBACH 1988, pp. 169-170; MASTROCINQUE 1998, p. 39· Sulla possibilità che Mithra sia identificabile con "il dio dai sette raggi" e abbia così anche implicazioni magiche, cfr. ALBANESE 2001b.

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scolpito un grande occhio umano apertd4. Talora, tutti questi aspetti vengono enfatizzati a tal punto che nel rilievo di Strasburgo (n. 35), il Leontocefalo viene addirittura accompagnato da un leone collocato al suo fianco. Il potere solare e igneo di cui è investito il leone assume però una duplice veste semantica: per quanto brilli e splenda da un lato, tanto sconvolge e distrugge dall'altro. Il Sole e il fuoco sono principi di vita, ma al contempo bruciano e consumano, soprat­ tutto quando, nel periodo di mezza estate, l'astro entra nella co­ stellazione del Leo: il Sole leonino infiamma intensamente, come sembrano confermare anche i diversi aggettivi greci (1tupwÒT]ç, cpÀ.oyEp6ç, xauf.ta'tWÒT]ç, 7tvtyw8l]ç) e latini (furibundus, siccus, ra­ bidus, jlammifer) che di norma gli vengono assegnati. È probabile perciò che anche nella testa di leone del dio mitriaco convergano entrambe le valenze, ovvero sia tutte quelle connotazioni solari positive identificabili soprattutto nelle capacità dispensatrici di vita, sia quelle degenerative e distruttive, che, a un maggiore livello di astrazione, rinviano all'alterazione e alla mutazione dei fenomeni naturali e umani. 1.2 Origini di un'iconografia L'aspetto ibrido e teriomorfo della figura leontocefala è una carat­ teristica che ci riporta immediatamente alle tradizioni vicino-orientali e all'Egitto, le cui complesse tradizioni religiose vedono la presenza

'4 Campbell interpreta la maschera di leone in funzione delle antiche credenze psicologiche greche, secondo le quali la testa è sede del coraggio e il cuore (o i pol­ moni) dell'intelligenza. La testa di leone esprimerebbe pertanto l'idea della forza e del coraggio. In base a questa interpretazione, assume una posizione del tutto particolare la statua di Castel Gandolfo (n. 1), in cui le maschere leonine sono poste sulle ginocchia, mentre la funzione intellettiva viene confermata dall'occhio sul petto. All'interno di questa prospettiva, la statua di Mérida (n. 23) rifletterebbe la concezione platonica per cui è il cuore la sede della forza e la testa quella dell'intelligenza: nella statua, infatti, la maschera del leone è posta sul petto, mentre il corpo e la testa sono umani (CAMPBELL 1968, pp. 198, 349-350). Cfr. MASTROCINQUE 2003, pp. 79-80.

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di numerose divinità spesso dall'aspetto leonino, che detengono un valore cosmico e solare, così come di possenza e di forza15. Cumont, seppure più propenso a rintracciare le origini della testa leonina nella cultura assira, aveva riconosciuto come le figu­ re leontocefale si riscontrino prevalentemente in Egitto16, come il dio Mios venerato a Leontopolis, raffigurato sia nella versione leontomorfa che in quella leontocefala e designato con molti nomi, tra cui Grande Dio, Luce e Fuoco17. Questa divinità, tuttavia, che pur sembra avere ispirato la creazione di molte figure leontocefale a valenza preminentemente solare sin dall'età ellenistico-romana - si veda, per esempio, il Leontocefalo gnostico Chnoubis, ripro­ dotto su numerosi esemplari di gemme magiche, in cui viene iden­ tificato di volta in volta come Horus, Osiris e Ra e anche come Mios'8 -, denota uno sviluppo cultuale tutto egiziano durante l'età imperiale, poiché diviene Aion, figlio di Bastet'9 e viene reinterpre­ tata in chiave giudaizzante da teologi gnostici che vi riconoscono l'immagine del creatore biblico Ialbadaoth20• Diversamente, Gehrich aveva segnalato, all'inizio del secolo scorso, alcune analogie tra il Leontocefalo mitriaco e la dea egizia Hathor, la principale divinità leontocefala egiziana, appellata con

1 5 Tra le numerose divinità dall'aspetto leonino presenti nel pantheon egizio, per esempio, molte hanno carattere cosmico, come Aker, il dio della terra, inizialmente raffigurato come striscia di terra dalla testa umana e in seguito con due teste di leone o di doppia sfinge (MEEKS 1997, pp. 156-157, 163); Shu, il dio dell'atmosfera, figlio di Atum (dio creatore primordiale antropomorfo o a forma di serpente) e marito di Tefuut nell'Enneade di Eliopoli (MEEKS 1997, pp. II2-II3); esso rappresenta un'antica potenza cosmica ed esercita la funzione di dio dell'aria, di reggitore del cielo e talvolta del sole (MEEKS 1997, pp. II3-n6). Insieme alla consorte Tefuut, dea dell'elemento umido, viene assimilato alla coppia di leoni di Leontopolis (MORENZ 1983, pp. 335, 340-341; GuNDLACH 1986, cc. 297-298). 1 6 TMMM l , pp. 75, 791 7 TMMM l, p. 79· Cfr. PERDR!ZET 1921-1922, pp. 356-361, 365, fig. 4; PETTAZZON! 1954b; YOYOTTE 1987-1988, pp. 156-160. 18 0ELATTE 1914, pp. 69 Ss.; 0ELATTE, 0ERCHA!N 1964, n. 89bis; Klss 1986, pp. 272-273; SANZl 2003, pp. 242- 247, con ampia bibliografia; MASTROC!NQUE 2005, pp. 75-77. 19 YOYOTTE 1987-1988, pp. 159-160; YOYOTTE, CHUVIN 2003, pp. 135-145. 20 MASTROC!NQUE 2005, pp. 70-79; MASTROC!NQUE 2009, pp. 95-96.

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l'epiteto di Sekhmet, "la possente"21, quando assume l'aspetto di leonessa nel momento in cui, secondo il mito, deve punire i mortali per essersi ribellati al volere di Ra22. Rappresentata generalmente con il capo leonino, sormontato dal disco solare e dall'ureo, e il corpo antropomorfo, Sekhmet impersonifica il potere infuocato del Sole e la sua capacità distruttiva; è una dea di carattere guerrie­ ro che ha potere sopra la morte, e che, per contro, appare anche come dispensatrice di vita, come indicato dall' ankh, suo frequen­ te attributo. Il suo culto trova ampio riscontro in tutto il bacino del Mediterraneo, ove pare alimentare e arricchire elaborazioni iconografiche di tradizioni culturali differenti, in particolare quel­ le fenicie3. Tra queste, risulta particolarmente significativa una divinità leontocefala nord-africana, interpretata come una delle manifestazioni della dea Tanit Pene Baal24, il cui culto è collocabile tra il III secolo a . C . e il II secolo d.C .25, quando risulta strettamente connessa al culto africano di Saturno, assumendo una veste fru­ gifera, dispensatrice di vita26• Come vedremo più avanti, questa

STERNBERG 1984, CC. 323·329; MEEKS 1997, pp. 25·26, 131, 181·182, 179. , Nella prefazione all'edizione tedesca di CUMONT I9II, p. XV. 23 Già a partire dal VII-VI secolo a.C., la dea Sekhmet costituisce parte integrante del patrimonio iconografico-religioso cartaginese, in cui è rappresentata in piccoli amuleti deposti nei corredi tombali, cui si affidava probabilmente il compito di respin­ gere le forze maligne dell'aldilà. Per la diffusione del culto di Sekhmet a Cartagine, cfr. TAOUFIK 1990. 24 Di essa esiste un esemplare in terracotta (III secolo a.C.) proveniente dal santua­ rio di Thinissut (Bir Bon Rekba), in cui evidenti sono i richiami al mondo egizio: oltre alla testa di leone, sulla sommità del capo sono identificabili le tracce del disco solare, mentre ai lati del collo scendono le bende del klaft egizio; una lunga tunica, decorata a piume d'uccello, la riveste fino ai piedi e due grandi ali che si incrociano sul davanti le avvolgono la parte inferiore del corpo (BuLLO, RosSIGNOLI 1998, pp. 250-254). 25 Un busto di Tanit (I secolo a.C.) è stato rinvenuto su un piccolo altare all'inter­ no del santuario dedicato a Saturno a Castellum Tidditanorum (BERTHIER, LEGLAY 1958, pp. 52-55, IIIa, tavv. XIVa-b; LEGLAY 1966a, p. 35, n. 6), mentre da Bir Derbal proviene una testa leonina in terracotta di età imperiale, sempre con il klaft egizio, appartenente anche in questo caso a un complesso santuariale di Saturno, connesso con una villa romana (LEGLAY 1961, p. 288). 26 Si vedano le diverse posizioni con cui spesso accanto a Sa turno è raffigurato un leone, che talvolta ne viene a fare addirittura le veci (LEGLAY 1961, p. 266, n. 2, p. 349, n. 45)21

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valenza si riscontra anche per il dio leontocefalo, in relazione a un significato di carattere cosmico, legato principalmente al percorso ciclico della natura che si rigenera periodicamente7• Le principali caratteristiche di Sekhmet, soprattutto il suo ca­ rattere guerriero e l'avere potere sulla morte, contribuiscono a mettere in evidenza altri aspetti connaturati al dio mitriaco, spe­ cialmente perché consentono di riconoscere altre figure con la testa di leone che detengono le medesime prerogative: in ambito assiro­ mesopotamico Nergal, dio della morte e del mondo sotterraneo, è associato al leone ed è accompagnato da esseri mostruosi sin dalle prime raffigurazioni votive in terracotta del m millennio28, così come altre sono le figure demoniache del pantheon mesopotamico che hanno la testa di leone, tra cui vale la pena ricordare la dea guerriera Lamashtu29• La figura di Nergal, in particolare , era già stata proposta da Bivar come il confronto più vicino al Leontocefalo mitriaco3°, sulla base di evidenti analogie iconografiche presenti in uno dei due rilievi di Hatra, in cui Nergal, interamente vestito con pantaloni e una lunga tunica, è rappresentato con la testa di leone, ha serpenti che fuoriescono dal corpo ed è accompagnato da un animale tricefalo3' . Questo rilievo, in realtà, datato al II secolo d.C . , costituisce l'esito d i un'operazione sincretistica di età imperiale, in cui si riversano credenze e tradizioni religiose diverse, anche di matrice greco-ellenistica, che si risolvono nell'identificazione tra Nergal ed Herakles32. A fare da elemento comune denominatore è però proprio il leone e la natura ctonia di entrambe le figure. Rispetto a questo quadro, appare ancora più convincente la recente indicazione di Mastrocinque che, nel ricondurre l'origine iconografica della testa di leone del dio mitriaco all'area anatolica, 2 7 Si veda a questo proposito l'ipotesi di Reinhold Merkelbach secondo cui il nome del dio a testa di leone sarebbe proprio Sa turno (MERKELBACH 1988, p. 266). Sul carattere frugifero del Leontocefalo, cfr. BLOMART 1993. Per una più ampia discussione del tema, si veda infra alle pp. 81-86, 183-185. 28 VAN BUREN 1930, p. 132; PARROT 1937, pp. 47 SS. 29 GOODNICK WESTENHOLZ 2004, pp. 94-95. 30 BIVAR 1975. 3' SOMMER 2003, p. 79, fig. 114. 32 CHRISTIDES 1982, pp. 107-113.

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identifica nella divinità degli inferi Sandas di Tarso, capitale della Cilicia, la figura di riferimento più vicina per la creazione icono­ grafica del Leontocefalo33• Già menzionato in tavolette ittite in cui viene indicato come "furioso" e protettore delle tombe da eventuali profanatori - il Leontocefalo era presente nell'iconografia ittita del mondo funerario -, Sandas è un dio identico nelle funzioni e nelle caratteristiche al dio assiro Nergal, ma viene anche identifi­ cato, a partire dall'età imperiale con l'Hades greco e soprattutto con Herakles, probabilmente in relazione alla presenza del leone (Herakles ha la testa coperta con la pelle di leone), che diviene il trait d 'union tra le due figure divine34. L'iconografia di Sandas, nota da monete di età ellenistica e romana e da qualche bassorilievo in terracotta, lo ripropone come arciere, munito anche di altre armi, accompagnato da un animale mostruoso con corpo di capra alata e testa di leone, ma talvolta è raffigurato con la testa di leone, sempre armato e affiancato da demoni con la testa ferina35. Alla luce di tutte queste considerazioni, è piuttosto probabile che il prototipo della testa leonina e, di conseguenza, la concezione teriomorfica del personaggio mitriaco siano da ascrivere all'am­ bito anatolico, ave l'immagine del leone conosce una tradizio­ ne altrettanto antica e radicata quanto quella dell'Egitto, legata specialmente a divinità di carattere ctonio: a Tarso Sandas aveva talora forma di leontocefalo e ciò assume una profonda rilevanza se si considera che molti studiosi concordano nel ritenere che il mitraismo abbia una matrice culturale principalmente riconduci­ bile all'area anatolica36•

Bes e il valore apotropaico del Leontocefalo Tra le figure leontocefale, la statua di Castel Gandolfo (n. 1) sembra assumere una posizione sui generis per gli elementi icono-

33

MASTROCINQUE 2007; BIVAR 1975, p. 284. GOLDMAN 1975; BONNET 1992, p. 183. 35 MASTROCINQUE 2009, pp. 50-52. Sui demoni, cfr. BorrÉRO 1987, p. 62, nota 6o, e pp. 72, 85. 36 ULANSEY 1989; GORDON 1994, p. 470; BECK 1998; MASTROCINQUE 2009, pp. 42-45. 34

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grafici che la contraddistinguono, tanto che alcuni ne hanno messo in dubbio l'appartenenza al culto mitriaco-37• Oltre a essere accompagnata da un animale tricefalo e a essere forse armata di arco - particolari che la avvicinano alla figura di Sandas-Herakles esaminata in precedenza -, essa presenta un oc­ chio umano aperto scolpito al centro del petto, protomi leonine sulle ginocchia, in origine presenti probabilmente anche all'altezza dei gomiti e risulta interessata dal principio iconografico della biforcazione in corrispondenza degli avambraccP8 • Pur presen­ tando queste particolarità, mantiene tuttavia quelle che sono le caratteristiche di fondo degli altri leontocefali mitriaci: ha la te­ sta di leone, le ali sul dorso e indossa un panno egizio alla vita. La stessa presenza di pro tomi animali che spuntano dal corpo non costituisce del resto un unicum, poiché ritorna, seppure riproposta in modo diverso, anche nelle uniche due raffigurazioni interamente antropomorfe, ovvero nella statua di Mérida (n. 23) e nel rilievo Mithra-Phanes di Modena (n. 44) . La statua di Castel Gandolfo, dunque, non solo è perfettamente riconducibile al gruppo dei leontocefali rnitriaci, ma offre anche utili elementi per comprendere la formazione della loro iconografia; ciò grazie anche alla felice intuizione di Pettazzoni, che ha indicato Bes, il dio egizio della danza, della fecondità e della salute, ma so­ prattutto della magia, come uno dei possibili riferimenti iconografici per il Leontocefalo di Castel Gandolfo-39. Bes viene generalmente rappresentato come un nano deforme, con le gambe ricurve, in

37 Non tutti sono d'accordo nell'annoverare questa statua tra le raffigurazio­ ni leontocefale mitriache, dati i singolari elementi iconografici che la caratterizzano (cfr. HINNELS 1975, p. 347; HARRIS 1996, p. 176), ma sono proprio questi che ne rendono inequivocabile l'appartenenza al culto mitriaco. 38 Cfr. PETIAZZONI 1949a, pp. 275-276. Secondo Leglay, le quattro protomi le­ onine del Leontocefalo di Castel Gandolfo, cui se ne aggiunge una quinta presente sull'addome del dio, potrebbero corrispondere ai cinque sigilli d'oro che ornavano la fronte, le mani e le ginocchia della statua deli'Aion alessandrino portato nella proces­ sione del Koreion di Alessandria nella notte tra i1 5 e il 6 gennaio (LEGLAY 1981, n. 31). Cfr. FESTUGIÈRE 1951, pp. 63-70; ALFOLDY 1976, tav. C, 1-3. Sull'argomento, cfr. infra, pp. 161·163. 39 PETIAZZONI 1949a, pp. 271-276.

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posizione eretta e con le braccia appoggiate sulle cosce, con il volto grottesco, largo e appiattito, spesso a carattere leonino, con la barba e con la lingua sporgente. Presenta un copricapo in foglie o piumato e il corpo è il più delle volte rivestito con una pelle di felino, la cui coda penzola tra le gambe. Questo tipo di raffigurazione risulta particolarmente diffuso dall'epoca ellenistica fmo alla tarda età im­ periale nelle stele e negli intagli magici, oltre che in statuette nelle quali Bes compare nella veste di demone apotropaico4°. Questa sua prerogativa trova maggiore enfasi in una più com­ plessa iconografia, in cui il dio assume i tratti di una divinità pantea, che di Bes mantiene solo il volto, ma per il resto è completamente diversa. Si tratta di una figura composita elaborata su concezioni religiose egizie, permeate di elementi greci e forse anche fenici, soggetta a molteplici variazioni. Generalmente ha la testa di vecchio barbuto, è nuda sul davanti, spesso itifallica, con quattro ali spiegate e quattro braccia, con attributi diversi in ciascuna mano; possiede un complicato copricapo, formato da corna d'ariete e ureo, e pro­ tomi animali che spuntano dai lati della faccia, dalle ginocchia e dai piedi (teste di leone e serpenti urei) . Il dorso è di falcone con le ali piegate che si incrociano sulla coda, cui si aggiunge talvolta un'altra coda di coccodrillo. Si tratta, più precisamente, di Bes-Hormerty, "Horus dei due occhi" , una divinità solare con funzione apotropaica e salvifica: i numerosi occhi sparsi sul corpo rappresentano infatti gli strumenti dell' onniveggenza divina, cui spetta il compito di disper­ dere l'oscurità delle tenebre e, nel contempo, le presenze malvagie, al pari del Sole notturno che illumina il regno dei morti41. Si può ritenere che questa medesima prerogativa possa valere anche per il Leontocefalo di Castel Gandolfo (n. I), ma pure per le altre figure a testa di leone , con cui Bes, specie nella versione pan-

Cfr. TINH 1981, p. 108. L'idea che gli occhi rappresentino per gli Egizi i raggi solari e, dunque, riman­ dino alla capacità del sole di vedere ogni cosa, è presente anche in Diodoro Siculo e Plutarco, per i quali Osiride significherebbe > (BRISSON 1995b, pp. 49-51 ) . 1 56 CIMRM II, nn. 1935, 1958, 1972, I974, 2000, 2036, 2049, 2171. 157 C/MRM Il, n. 1475. 1 58 CIMRM Il, nn. 2272, 2291. 1 59 CIMRM II, nn. 2338, 2244. 1 60 Su questo argomento, si rinvia principalmente a GNOLI 1987, pp. 579-582. 161 Cfr. CAMPBELL 1968, pp. 291-347; SFAMENI GASPARRO 2003a, pp. 179-180.

IOO

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lunghi capelli coperti da velum, con il corpo avvolto da due spire di un serpente che rivolge la propria testa verso il carro delle due divinità. Generalmente è ritratto seduto, con una o entrambe le braccia alzate verso l'alto, ma non mancano alcune eccezioni, come quella relativa a una figura giovanile di un rilievo dace che, pari­ menti avvolta da serpente, è però ritratta in posizione stante, con il braccio destro proteso verso Mithra e SoF62. Lo stesso tipo di immagine compare però anche priva di ser­ pente, sdraiata sopra un rython da cui sgorga acqua o sopra una roccia, talora con il capo sormontato da un velo arcuato163, men­ tre emerge dalle onde64, oppure reclinata in appoggio sul braccio sinistro e rivestita da un mantello che ne lascia scoperto il petto165, quindi distesa sopra il carro solare66. Questa varietà iconografica ha dato luogo a differenti inter­ pretazioni, che hanno identificato il personaggio sia come Oceano che come Saturnd67: all'uno ricondurrebbe l'immagine dell'acqua e delle onde, all'altro le caratteristiche del volto e la presenza del velum168 • In realtà, il passaggio dall'uno all'altro può essere facil­ mente motivato alla luce di precisi significati che entrambe le di­ vinità assumono prima di tutto nel contesto iconografico romano e quindi in quello più specifico mitriaco169. Nel periodo imperiale, il dio Oceano, oltre che essere raffi­ gurato nelle monete come immagine dell'ecumene pacificato170, compare soprattutto in numerosi mosaici e sarcofagi'71 per evocare il viaggio transoceanico che l'anima compie dopo la morte verso le Isole Beate, alla cui corsa concorrono anche i Venti, raffigurati talora al fianco di Oceano e alla Terra, simbolo quest'ultima del 1 62 C/MRM II, n. 1959. 1 63 C/MRM II, nn. 1974, 2000, 2338. 1 64 CIMRM II, n. 2244. 1 65 CIMRM II, n. 2272. 166 C/MRM II, n. 1475. 1 67 CAMPBELL 1968, pp. 325-326; MERKELBACH 1988, pp. 465-469. 1 68 Cfr. BARATIE 1997' p. !087. 1 69 Per una approfondita analisi su queste raffigurazioni, cfr. ALBANESE 17° 171

Cfr. CAHN 1997, pp. 907-908, nn. 1-!2. Cfr. CAHN 1997, pp. 909-9II, nn. 19-63; pp. 912-913, nn. 84b-85.

101

2oora.

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mondo inferiore dal quale si allontanano le anime172. È secondo questa accezione che esso compare nei monumenti mitriaci, ove assume una sua specificità come oceano «celeste»; a questa, del resto, sembra corrispondere la sua natura originaria, come indicano gli epiteti presenti nei testi greci più antichi: gli aggettivi «profondo­ fluente», «rifluente su se stesso», «placidamente fluente», «senza marosi» evocano elementi propri del cielo stellato, ovvero silenzio, regolarità, profondità, quiete, rotazione173• A suggerire questa identificazione è anche una stele di Mithra petrogenitus proveniente dal Mitreo m di Heddernheim174, in cui il nome di Oceanum è associato alla figura di Cautopates, così come quello di Caelum, a Cautes175, quasi a sottolineare il legame tra le due divinità, al pari dei due dadofori che affiancano Mithra . Nei rilievi dell'area danubiana, tale accezione può essere indicata dalla pastura di Oceano che alza le mani verso l'alto, quasi a salutare il cielo stesso176, ma a suggerirne l'interpretazione è soprattutto il serpente che nell'avvolgere la figura incarna l'idea onniavvolgente insita nella natura di Oceano177 • Proteiformi infatti sono in genere le figure del mare e dei fiumi, il cui fluire è evocato dal movimento sinuoso e dalle spire del serpente; ma è nel suo infinito rifluire in se stesso, senza principio né fine, che, come vedremo, riveste un simbolo più ampio, quale espressione del tempo infinito: non è un caso, infatti, che anche nella tradizione orfica il principio del tempo Chronos venga immaginato come un serpente'78. È anche 1 72 CIMRM I,

n. 810; CIMRM II, nn. 1292, 1475, 1727. Sull'argomento, cfr. TURCAN 1966,

p. 279· 173

DI! SANTILLANA, VON 0ECHEND 1984, p. 231.

l74 CIMRM I l , n. 1127; CAMPBELL 1968, pp. 40·41; MERKELBACH 1988, p. 422, fig. 106. 175 FouCHER 1975, p. 50. 1 76 CAMPBELL 1968, p. 325. 177 VIRGILIO, Georg. , IV. v. 382. Per un approfondimento sull'argomento, cfr. ZAc­

CARIA RuGGIU 1998, pp. 300-301. 178 Interessanti sono le osservazioni di Onians che, dopo aver paragonato Oke­ anos al fiume Acheloo, il fiume primordiale concepito come un serpente con le corna e la testa umana, spiega: "In un qualsiasi corpo, l'elemento procreatore era la psiche che appariva in forma di serpente. Okeanos era la psiche primordiale e questa sarebbe stata concepita come un serpente in rapporto al liquido procreativo. Possiamo meglio capire perché in questa versione orfica [Orph. Fr. 54, 57, 58 KERN]

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l'elemento umido, del resto, che accomuna le figure di Okeanos, da un lato, e di Kronos-Chronos dall'altro: Luciano Albanese ha evidenziato, a questo proposito, come i caratteri marini siano parte integrante anche del mito di Saturno, che riserverebbe parte della propria natura a una dimensione "acquatica" , riscontrabile anche sul piano astrologico'79_ Il richiamo specifico a Saturno, specie nella sua veste cosmi­ ca, assume una rilevanza del tutto particolare, dal momento che riporta direttamente al contesto iniziatico mitriaco, ove non solo si riscontrano tipologie figurative diverse per rappresentare tale divinità'80, ma addirittura l'ultimo grado del Pater è posto sotto la tutela di questo nume planetario. Tutto ciò acquisisce una maggio­ re chiarificazione alla luce delle scene presenti nei bordi dei rilievi danubiani che, nell'illustrare i diversi momenti di iniziazione , si concludono con l'apoteosi finale dell'anima'8': non a caso la figura avvolta da serpente è posta alla fme del ciclo mitico-cultuale . Dello stesso avviso è Giulia Sfameni Gasparro, che ha messo in eviden­ za come tale figura costituisca il punto di riferimento dell'ascen­ sione del cocchio solare, a conclusione della vicenda mitriaca'82. Si tratterebbe, in definitiva, di un'interpretazione locale che avreb­ be adattato uno schema iconografico noto a nuove e specifiche esigenze religiose'83, assegnando al serpente che avvolge con le proprie spire il corpo della divinità il compito di esprimere un signi­ ficato, che va oltre la semplice dimensione cosmologica e si traduce in una valenza temporale più complessa: la recente interpretazio­ ne che Attilio Mastrocinque propone per il Saturno che dorme

il serpente venisse chiamato Chronos e perché Pitagora, interrogato su che cosa fosse Chronos, rispondesse che era la psiche dell'universo" (ONIANS 1998, pp. 249 ss.). l79 ALBANESE 200 i a, pp. 59-60. 180 Nello studio di Albanese, tra le quattro immagini indicate per rappresentare Saturno, viene compresa anche quella del Leontocefalo (ALBANESE 2001a, pp. 53-60). 181 Cfr. CAMPBELL 1968, pp. 291 ss. ; MERKELBACH 1988, pp. 465-469. IB> SFAMENI GASPARRO 200Ja, p. 180. 183 Lo conferma anche la recente classificazione tipologica condotta su tutti i rilievi della Dacia, in base alla quale i rilievi con Oceano che hanno questa provenienza, ricondotti al Tipo II. variante a, risultano tutti di produzione locale (DORIN SICOE 2004, pp. 294-298).

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sulla roccia'&!, cui spetterebbe il compito di comunicare le verità del­ le divinità ipercosmiche attraverso i sogni, fungendo da mediatore tra queste e le divinità che lo studioso defmisce cosmiche'85, potreb­ be implicitamente suggerire anche per il Leontocefalo un ruolo del­ lo stesso genere. In questa prospettiva, assume ancora più rilevanza l'immagine di quel Leontocefalo che in un rilievo pannonico (n. 34) compare al centro di un ovale, stante, sopra un personaggio disteso e coperto col velum (Saturno). 2-4 L'ouroboros Sul piedistallo circolare di una base marmorea, è scolpito un serpente che si morde la coda (n. 24): si tratta dell' ouroboros, la rap­ presentazione più complessa tra quelle finora esaminate, poiché esprime il fluire e lo scorrere del tempo nel suo moto perpetuo e continuo, senza principio né fine, in cui si ripropone il ciclo vitale di tutti gli esseri'86. Tra gli autori tardo-imperiali, per esempio, la figura del serpente che si morde la coda è ripresa da Giovanni Lido per definire il simbolismo del cerchio'87 e da M acrobio per indicare l'eternità del mondo'88, mentre diviene un'espressione inequivoca­ bile del tempo in Marziano Ca pella, che descrive l' ouroboros come attributo del dio Saturno'89. Le origini di questo motivo risalgono però alla più antica tra­ dizione religiosa dell'Egitto190, ove appare immediatamente legato 184 CIMRM I, nn. 390, 693, 650, 65I ; C/MRM II, nn. I083, I247, I283, I292, I400, I430, I593·I594· 185 MASTROCINQUE 2009, pp. 74-77. 186 Cfr. SQUIER I 975. p. I57: ZACCARIA RuGGIU I998, p. 302. 187 GIOVANNI LIDO, Mens. , 111.4. Cfr. anche MANILIO, Astr. , 1.211 SS. 188 MACROBIO, Sat., 1.9.I2. 189 MARZIANO CAPELLA, Nuptiis Merc. et Phil. , 1.70. Per un'approfondita analisi dell'in­ tero passo, cfr. 0EONNA I955 e PRÉAux 1957. Cfr. l'immagine di Remigio di Auxerre, Com­ mento alle Nuptiae Philologiae di Marziano Capella, 1100 ca., in i> tra il cosmo e ciò che è fuori da esso (MASTRO­ CINQUE 2005, pp. 95-96). Un mostro che "sembrava divorare se stesso" si connette pure

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al ciclo solare e alla rappresentazione dell'universd91: in esso con­ vergono sia l'idea del cosmo che si rinnova annualmente che quella di eternità, aspetti entrambi connessi con la perpetua regolarità e inalterabilità dei fenomeni celestF92. Tali concezioni vengono ad acquisire una loro specifica connotazione simbolica soprattutto nelle tradizioni religiose di età ellenistica e imperiale, nell'ambito di un vasto e complesso quadro culturale, aperto agli influssi dei più an­ tichi motivi religiosi, in cui il contatto con le tradizioni orientali e le speculazioni filosofiche basate sull'insegnamento platonico hanno contribuito certamente a diffonderne e rafforzarne il significato193. A tutto ciò non si sottrae nemmeno lo stesso mitraismo, la cui capacità ricettiva ad assimilare temi e motivi di contesti culturali allogeni per rivestirli di nuovi significati, è stata più volte sottilineata con forza. A confermarlo, del resto, è la stessa base con ouroboros (fine del II secolo d . C . ) : essa è di sicura pertinenza mitriaca per l'iscrizione dedicatoria al dio Sol-Mithra da parte del sacerdote Euprepes (n. 24) e non si può nemmeno escludere l'ipotesi che fun­ gesse da sostegno a una statua avvolta dal serpente, specie se im­ maginata interamente antropomorfa194. Si tratta di un particolare tanto più significativo, dato che in epoca imperiale le attestazioni dell' ouroboros si conoscono per lo più nel campo della glittica, ove si possono contare moltissime produzioni di gemme dal caratte­ re magico e apotropaico195, in cui, oltre a esercitare una funzio­ ne protettiva e contenitiva delle presenze malvagie, esso appare anche come simbolo del cosmo se raffigurato sotto i piedi di Bes panteo196, o del ciclo solare e dell' eternità197, se racchiude all'interno del proprio cerchio certi simboli solari (lo scarabeo, il cinocefalo

con !"ambito iraniano e in questo caso il suo significato originario sarebbe stato di Infinità o Eternità (JuNKER 1921-1922, p. 172, nota 90). 1 9 1 0RAPOLLO, Hierogl. , 1-2. 1 9' Sul serpente come simbolo del tempo in Egitto, cfr. BacHI 1994, pp. 55-62. I9J Si veda quanto indicato in LANCELLOTII 2003; cfr. Sylloge gemmarum 2003, pp. 206-209, 216-222, 261-263. 1 94 La medesima opinione è espressa in CAMPBELL 1968, p. 200. 1 95 Cfr BaNNER 1950, pp. 123-139; DELATIE, DERCHAIN 1964. 196 Cfr. PETIAZZONI 1949a, p. 276. 197 Cfr. DELATIE 1913, pp. 262-263. .

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incoronato col disco del Sole, Serapide con lo scarabeo o la barca solare)l98. Nel papiro magico di Leiden si descrive un diaspro in cui "un serpente che si morde la coda racchiude la Luna, due stelle e il Sole" 199: la combinazione di tutti questi elementi non era pertanto insolita, tanto che non risulta nemmeno estranea l'associazione di figure leontocefale con l' ouroboros, come indica un passo del papiro magico di Parigi in cui viene descritto un demone dalla testa di leone chiamato Sol-Horus, che, oltre ad avere il globo cosmico e la frusta nelle mani, ha il corpo avvolto dalle spire di un .ouroboros200• La ricorrenza di alcuni di questi motivi nella base mitriaca - ovve­ ro l'ouroboros, munito di cresta, bargigli e di una mezza luna sulla coda - contribuisce a rafforzare il valore cosmico della divinità che vi era raffigurata, motivo in più per credere che si trattasse del dio avvolto da serpente . Già da queste poche testimonianze, emerge una complessa real­ tà simbolica nella quale si riconoscono valori comuni, ma afferenti a contesti ideologici e culturali diversi, in particolare, proprio quello dell' ouroboros, che risulta connesso con certe speculazioni di tipo cosmico e aionico sin dai primi secoli dell'età imperiale201, quando si assiste a un'ampia diffusione sia del mitraismo, che delle dottrine magiche202: è possibile che le due realtà non fossero tra loro estra-

1 98 Per un approfondimento di queste tematiche, cfr. DELAITE, DERCHAIN 1964, pp. 215·217. Per altri significati, quali quelli legati alla maternità, cfr. K.!ss 1981, pp. 136·1371 99 PGM di Leiden J 384, in PREISENDANZ, HEINRICHS 1973-1974, I l , pp. 71-72, XII, pp. 203-205. 200 PGM l, in PREISENDANZ, HEINRICHS 1973-1974, p. IO, linee 144-148. Cfr. LEVI 1944, p. 302; 0ELAITE, DERCHAIN 1964, p. 221; SFAMENI GASPARRO 2003b, pp. 13-14. Jn un altro passo del Papiro magico di Parigi (PGM IV.21 II-2II8, in PREISENDANZ, HEINRICHS 1973-1974, l, p. 136; cfr. TMMM l , p. 57) , si descrive un essere a testa di leone che eleva verso l'alto un bastone avvolto da serpente, mentre un altro gli striscia intorno al braccio sinistro; Doro Levi si serve di questo passo letterario, oltre al già citato Mythographus Vaticanus, per spiegare il motivo iconografico del serpente staccato dal corpo che caratterizza alcune immagini mitriache (nn. 1, 26, 35, 40 ) (LEVI 1944, p. 282) . Altri invece lo inter­ pretano in relazione ai decani (GuNDEL 1966, pp. 23-24) . 20 1 Sull'argomento, si veda LANCELLOITI 2002, pp. 71-85. 202 Sulla magia greco-romana, cfr. GRAF 1994, pp. 107-137.

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nee, specie per quel che riguarda gli aspetti astrologici203, tanto che per tre gemme (nn. so, 5 1 , 52) che riproducono l'immagine del dio leontocefalo è stata ipotizzata una provenienza mitriaca204, certa perlomeno in un caso (n. so). L'immagine del dio, associata a precise formule magiche, veniva probabilmente impiegata nei cosiddetti riti di costrizione da parte di adepti iniziati al mitraismo20s. A dimostrare, poi, come la tradizione mitriaca e quella magica non fossero tra loro distanti, concorre anche il phylakterion aureo di Ciciliano (n secolo d.C.)206, su cui è rappresentata una figura antro­ pomorfa stante all'interno di un ovale, avvolta dalle spire di un ser­ pente che appoggia la testa sul petto, mentre nelle mani tiene una chiave e dei papaveri207. Intorno all'ovale, che nella forma richiama tanto lo zodiaco quanto l'ouroboros, corre una formula con i nomi delle divinità ebraiche abitualmente presenti nei testi magici (IAQ / MONAEI) e le voces magicae AKPAMAXAMAPI e ABAANA0ANAABA208, che ricorrono in molti amuleti e papiri magici per invocare una protezione sul corpo del defunto e sulla tomba209, specie se associati

'03 MASTROCINQUE 1998; non tutti gli studiosi sono d'accordo, per esempio NocK 1972C, p. 455· '"" Sono circa una ventina le gemme magiche considerate mitriache (CIMRM II, nn. 2354-2373): secondo Mastrocinque, i possessori di queste gemme potevano essere fedeli di Mithra che ricorrevano alla magia, oppure maghi che si servivano dell'imma­ gine del dio persiano, o entrambe le cose. Sull'argomento, cfr. MASTROCINQUE 1998, pp. 38-39; MASTROCINQUE 2005, pp. 82-84, 264-269. Cfr. TURCAN 2009, p. 442, nota 50. '"5 I rituali magici, così come sono prescritti nei papiri magici greci, prevedevano una strategia di comunicazione piuttosto complessa, articolata in acta e formule orali che introducevano o concludevano i riti, secondo specifiche prescrizioni sull'uso della voce e sugli strumenti fonetici e grafici da utilizzare per stabilire la comunione con il divino (CRIPPA 1999, p. 102; CRIPPA 2002, p. 45). '06 CIMRM I, n. 102. Appartenuto in origine a una collezione privata, fu poi depo­ sitato presso il Museo Nazionale Romano, ove si conserva tuttora. 207 Cfr. BLOMART 1993, p. 22. '08 All'interno dell'ovale, IAQ / AKPAMAXAMAPI / MONAEI/ ABAANAE>ANAABA/ CIMEAKAM; all'esterno, PIP. Per un'analisi accurata dei due termini in relazione a questa tavoletta magica si rinvia principalmente a VERMASEREN 1975; TARDIEU 1981, pp. 412-418; MASTROCINQUE 1998, pp. 43-44; per l'uso del termine ABAANAE>ANAABA riferito a Mithra, cfr. MERKELBACH 1988, pp. 479-480, fig. 168. ' 09 Cfr. BONNER 1950; 0ELATTE, DERCHAIN 1964.

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a serpenti, al Sole e a mummie avvolte da serpente210; del resto, an­ che la parola CIMEAKAM viene in genere associata al serpente solare Chnoubis211 • Non si è certi, però, in questo caso, che la laminetta fosse utilizzata da seguaci di Mithra, ma è evidente che lo schema iconografico utilizzato corrisponde a quello delle figure avvolte da serpente che, come si è già visto, includono, oltre al Leontocefalo, anche altre divinità solari legate a cicli di resurrezione212• D'altra parte, la stessa vox ABAANA0ANMBA verrebbe attribuita con una certa frequenza a una divinità solare indicata sulle gemme come Osiride13: la connessione tra il dio dei morti e il Sole non è affatto anomala, poiché, specie nella bassa epoca imperiale, Osiride e Rà (il dio del Sole) vengono spesso assimilati. L' ouroboros, in quanto espressione del ciclo solare, può allora essere implicato anche col rituale di resurrezione normalmente riservato a Osiride14. 2.5 Il serpente e il percorso di rinascita dell 'anima La capacità del serpente di ritornare dalla vecchiaia alla giovi­ nezza costituisce la motivazione preponderante per cui esso può esprimere , oltre che il potere solare, anche una delle più alte idee misteriche relative a quei culti che garantiscono ai propri fedeli la salvezza dell'anima215• Come simbolo di rinnovamento e di rinascita, in cui si realizza pienamente la sua alta natura spirituale, il serpente rappresenta un segno di consacrazione e di fiducia nell'immortalità e nel passaggio a un più alto e divino stadio dell'esistenza. Nel culto di lside, per esempio, l'uraeus, il serpente sacro, avvolto intorno al braccio della dea (o dei suoi ministri) o usato come copricapo, costituisce la principale forma di divinazione; così nei misteri del frigio Sabazia, se come dicono le fonti - òtà x6À.nou 8paxwv 216 " 0 VERMASEREN 1975, p. 448. '" MASTROCINQUE 1998, p. 43· Si veda quanto specificato infra, pp. 110-113. >1 3 VERMASEREN 1975, p. 449· '14 DELATT E , DERCHAIN 1964, p. 216. >�s Cfr. la testimonianza di Filone di Byblos, riportata da Eusebio (EusEBIO., Praep. Evang., 1.10-46), per cui si veda anche la nota 220. " 6 CLEMENTE ALESSANDRINO, Protrept. , 2.16.2; ARNOBIO, Adv. nat., 5,21 e il papiro orfìco di Gourob (III secolo a.C.) (Orph. Fr. 31). Cfr. CAMPBELL 1968, p. 17; GIUFFRÉ SCIBONA 1982, p. 555· Su questo aspetto, più prudente è Pailler che, nell'analizzare m

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il serpente era riprodotto sul petto dell'iniziato a imitazione della divinità, divenendo in questo caso un simbolo della partecipazione alle supreme speranze dell'iniziazione : merita ricordare che anche in alcune rappresentazioni del Leontocefalo il serpente si posa sul petto della divinità (nn. 6, 10, 15, 17, 19, 22) . Questo significato acquisisce particolare rilievo nei Misteri mitriaci, la cui essenza è centrata su un rigoroso sistema etico di salvazione, cui si lega una pratica altrettanto rigida di natura mi­ sterica. L'iniziazione mitriaca avveniva attraverso una scala gerar­ chica di sette gradi217, in cui ognuno rappresenta uno dei necessari passaggi che l'anima, resa salva da Mithra, compie attraverso le sfere planetarie, dal mondo sublunare a Saturno. Una vera e pro­ pria strutturazione della vita spirituale attraverso una progressione graduale, nella quale è molto probabile che si comunicasse una dottrina non solo morale ma anche cosmologica, poiché ogni grado dell'iniziazione mitriaca è posto sotto l'influenza e la protezione di un pianeta218 • Il serpente che avvolge le figure mitriache, in quanto simbolo dello zodiaco, può riflettere questo percorso dell'anima e assumere, in definitiva, anche un significato esoterico: la spirale ascendente della creatura, infatti, esprime idealmente il progredire ciclico e progressivo del percorso di iniziazione attraverso i gradi mitriaci, nei quali si ripetono gli stessi motivi, ma a livelli sempre più alti, come sembra indicare la stessa conformazione geometrica della spirale219• Essa corrisponde a un'ellissi cilindrica, ottenuta dalla combinazione in una terza dimensione delle due forme lineari del cerchio e della linea retta e per questo può esprimere entrambi i movimenti dell'universo, quello rettilineo proprio delle cose ter­ restri e quello circolare delle cose celesti220•

le immagini iconografiche di Sabazia, ritiene piuttosto che il serpente possa essere un'ipostasi della divinità stessa (PAILLER 2009, p. 290). "7 La successione dei gradi ci è stata trasmessa nell'epistola CVII Ad Laetam di San Gerolamo (3Jhi20 d.C.), in TMMM I, p. 18. Per un·analisi approfondita sui singoli gradi, cfr. MERKELBACH 1988, pp. 97·159; MESLIN 1988, p. 162; MASTROCINQUE 1998, pp. 18·24. 21 8 Su questo aspetto, cfr. SFAMENI GASPARRO 2003a, pp. 137·138. 219 Cfr. GORDON 1980, pp. 67-68. 220 BECK 1988, p. 57. Sulle controversie riguardo al significato dell'ellissi cilindrica secondo questa accezione, cfr. SAMBURSKY 1962, pp. 62 ss. 109

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2.6 Figure avvolte dal serpente: Osiride e il dio del Gianicolo La peculiarità del serpente, che avvolge il corpo delle figure leontocefale e di quelle interamente antropomorfe, costituisce un motivo iconografico presente in quei contesti religiosi di età im­ periale fortemente permeati da speculazioni e dottrine orientali, che ripropongono immagini di divinità "morenti e risorgenti"221 . Per quanto non siano riconoscibili come precisi modelli di rife­ rimento, alcuni esempi per lo più contemporanei alle immagini del Leontocefalo risultano indicatori significativi di tin modo di concepire la divinità secondo un preciso valore semantico, legato all'eterna ricorrenza del tempo, scandita nei momenti della vita e della morte , e calato nell'ambito di una prospettiva soteriologica che tenta di rispondere alle esigenze spirituali dell'epoca. Eloquente è un esempio statuario in marmo lunense (fine del II secolo d . C . ) che costituisce un'interpretazione romana del dio egizio Osiride nella veste di chronokrator, "dominatore del tempo" , inteso come ciclo perpetuo di vita e di morte222. Questa particolare connotazione è suggerita dal serpente che avvolge con le proprie spire il corpo del dio, appoggiando la testa sul suo petto223. Per il resto, il dio è ritratto in posizione stante e frontale, indossa una veste lunga con manto, ha il nemes faraonico sul capo e il collo ornato dalla collana-usekh; è in atteggiamento ieratico con i piedi uniti e le braccia avvicinate al petto, mentre stringe nelle mani

,, Sui fondamenti naturistici e etani legati a queste divinità destinate a "morire" per poi risorgere e sulle problematiche nate dal tentativo di spiegare la nozione di mistero in relazione a queste concezioni, cfr. XELLA 2001, in part. pp. 5-n; cfr. anche SFAMENI GASPARRO 2003a, pp. 122-IJO. La starua (h. m 1,57), è conservata presso il Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps (inv. 58206) (BRESCIANI 1997, p. 231, IV.227). Di questa tipologia si conosce anche un esempio più tardo (fine del m - inizio del IV secolo d.C.), sempre in marmo bianco (h. m o,6o), conservato presso il Museo Archeologico di Torino (BRESCIANI 1997, p. 234, IV.231). Di entrambe non si conosce la provenienza. Dall'Iseo di Aquileia proviene un altro esempio di starua marmorea di Osiride chronokrator che, seppure acefalo e privo della parte inferiore del corpo, presenta ancora i tratti caratterizzanti riconoscibili, come il serpente e la veste con la collana di Osiride (GIOVANNINI 2001, pp. 298-299). ,, La medesima posizione si riscontra anche per alcune raffigurazioni del Leon­ tocefalo (nn. 6, 15, 17, 19, 22). m

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lo scettro e il flagello, insegne di potere e di regalità224• Molti di questi elementi ritornano anche nella composizione iconografica del Leontocefalo, compresa la collana di perle che, almeno in un caso, decora il collo di una statua (n. I0)225. Si deve poi considerare che Osiride riveste un importante ruolo nel mondo romano legato soprattutto al carattere egiziano del culto isiaco, non solo come sovrano dei morti e della resurrezione, ma anche come espres­ sione della fertilità e del rinnovo ciclico della natura e per questo assimilabile allo stesso Serapide26. La medesima connotazione investe anche il noto idolo di bron­ zo dorato rinvenuto nel santuario siriano del Gianicolo a Roma (metà del n secolo d.C .)227• L'idolo, di piccole dimensioni, ripropone l'immagine di una figura maschile mummiforme e con gli occhi sbarrati, in posa ieratica, con il corpo ricoperto da una guaina sot-

,,. Sull'iconografia generale di Osiride, cfr. GRIFFITHS 1982, cc. 627-628; CLERC­ LECLANT 1994a, pp. 107·II6; MEEKS 1997, pp. 168-178. »s Casari la riconduce all'ambiente iranico, portando a confronto esempi di epoca sassanide, in cui la collana costituisce sovente un elemento iconografico indice di regalità e per questo associato sia a divinità che a personaggi regali (CASARI 2004, p. 164). Non è nemmeno da escludere la possibilità che il confronto più immediato sia da riconoscere nel mondo egizio, tanto più se si considera che ad Aquileia, da cui proviene la statua leontocefala con collana (n. IO), non solo era attestato il culto di Mithra, ma anche quello di Iside. Sull'Iseo e sul culto di Iside ad Aquileia, cfr. GIOVANNINI 2001; si veda da ultimo FoNTANA 2010, in particolare pp. 101-108. ».6 Cfr. MALAISE 1972, p. 208; CLER-LECLANT 1994a, pp. 107-108. Una statua mar­ morea (h. m I ,Io) conservata al Museo di Heraklion (inv. G O 1140) è caratterizzata da motivi iconografici riconducibili al tipo dell'Osiride chronokrator: si tratta di una figura maschile, stante sopra una base ovale, con il corpo coperto da una veste cosparsa di stelle e avvolto da un serpente, mentre nelle mani avvicinate al petto tiene due scettri con pendagli; all'altezza delle spalle rimangono le tracce di un copricapo e una base rettangolare sormontata da un'aquila a testa umana affianca la figura. Datata al n secolo d.C., Eleni Vassilika, pur sottolineando le connessioni con Osiride-Serapide per la presenza del serpente, interpreta la figura come immagine dello scriba Imothep, figlio di Ptah, sia per la presenza del copricapo, ma soprattutto perché ritiene di scor­ gere quanto rimane di una tavoletta da scriba sulla sinistra e un calamaio a destra, in corrispondenza della parte terminale degli scettri (VASSILIKA 2005, pp. 1083-1087). »7 Attualmente conservato al Museo Nazionale Romano nelle Terme di Diocle­ ziano (inv. 60919). Per il ritrovamento, cfr. DARIER 1920; SAVAGE 1940, pp. 44 ss. e tav. 3, fig. 2). Inizialmente interpretato come la divinità femminile Atargatis (GAUCKLER 1912, pp. 209-220), in seguito ne è stata accertata la natura maschile (PASQUI 1913, fig. 4).

III

CAPITOLO SECONDO

tile e avvolto dalle sette spire di un serpente crestato che poggia la propria testa su quella del dio. Tra le varie esegesi proposte228, cer­ tamente la più valida è quella che lo identifica come Osiride, ipotesi confortata da numerosi intagli magici greco-egizi che riproducono sovente una figura mummiforme avvolta dal serpente29: è ancora la presenza di questo animale che induce a cogliere nell'immagine un dio soggetto a una vicenda ciclica, cui si affida un probabile significato soteriologico. A confermarlo sono del resto i semi e le uova rinvenuti tra le offerte votive, ulteriori simboli di resurrezione, ma ancor più la posizione dell'idolo al momento della scoperta230: l'ambiente sigillato in cui è stato rinvenuto disteso indica che per la maggior parte del tempo dovesse giacere nel ripostiglio sacro, a sottolineare il carattere funebre e il riposo del dio; ma il particolare del serpente, che poggia la testa sopra quella del dio, e l'estrema cura con cui l'idolo risulta lavorato su tutti i lati suggeriscono che dovesse essere mostrato periodicamente in piedi, quasi a scandire in senso cultuale l'inizio di un nuovo ciclo annuale231. Non sfugge come questa lettura evochi l'idea della morte come pegno di immortalità (Osiride) , suggerita dai tratti iconografici di evidente influsso egizio, quali l'atteggiamento ieratico, la guaina e soprattutto l'aspetto mummiforme che, tra l'altro, richiama inevita­ bilmente la pratica funeraria. Significativo, a questo proposito, il ri­ chiamo a un noto testo di Firmico Materno, "idolum sepelis, idolum plangis, idolum de sepoltura proferis, [ . . . ]232" , di cui si discute ancora

"'-8 Altri lo hanno interpretato come Hadad-Giove Eliopolitano (PASQUI 1909, p. 348; DARIER 1914, p. 105), Mercurio Heliopolitano assimilato ad Adone (FELLETII MAJ 1953-1955, pp. 153-162), Adone (CuMONT 1929, p. 251, n. u e tav. Xl, 3), la stessa figura mitriaca avvolta da serpente indicata come Chronos (PARIBENI 1932, p. 136, n. 270) e infine come Aion alessandrino (PESCE 1939, p. 264; LEGLAY 1948, p. 130; HAIJAR 1985, pp. 364-366) o Aion-Adone (BIANCHI 1982, pp. 96-97). "'-9 DELBRÌÌCK 1914, coli. 188-189; TURCAN 1992, pp. 184-189. Il dio Osiride avvolto da serpente compare anche in una lucerna di bronzo conservata al Fitzwilliam Museum di Cambridge (VASSILIKA 2005, p. 1087). >Jo Cfr. BIANCHI 1982, p. 96. 21' BIANCHI 1982, p. 97. Non è chiaro se ciò implicasse anche una dimensione miste­ rica, come è stato suggerito in FELLETTI M� 1953-1955, p. 146. Cfr. PAPINI 2005, p. 264. '3' FIRMICO MATERNO, Err., 22.

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GLI ELEMENTI CONNOTATIVI DELL ' IMMAGINE

se si riferisca all'egizio Osiride, al frigio Attis o al fenicio Adone33, ma che in ogni caso si rivolge a una divinità concepita come nume della morte e della rinascita. L'idolo del Gianicolo non costituisce un esempio isolato, come conferma il rinvenimento ad Arezzo di una statuetta lignea rivestita in foglia d'oro, anch'essa databile tra la fine del II e l'inizio del III secolo d.C.234, che ripropone i medesimi stilemi iconografici: rappresentata stante e mummiforme, sopra un globo collocato su una base piatta, ha il corpo coperto da una veste e avvolto dalle sette spire di un serpente che poggia la propria testa sul petto della divinità. La figura, di sesso indefinibile, presenta un atteggiamento ieratico, sottolineato dai grandi occhi spalancati rivolti verso l'alto e dalle gambe e braccia completamente aderenti lungo il corpo. La presenza sul dorso di un'iscrizione greca incisa in lettere maiuscole, M I c x I e, e l'estrema cura con cui risulta lavorata in tutti i lati, indicano che anche questa statuetta, al pari di quella del Gianicolo, doveva essere visibile su tutti i lati. 3.

Le ali

Dopo il serpente e il leone, le ali costituiscono il motivo ico­ nografico più caratterizzante della divinità mitriaca. Come acca­ de anche per gli elementi precedenti, le ali non sono raffigurate secondo le stesse modalità di rappresentazione, piuttosto variano per numero, posizione, grandezza e direzione. La principale distin-

233 L'assimilazione tra Adone e Osiride era antica e ben nota nel mondo classico (FELLETII MAJ 1953·1955 . p. 157). 234 La statuetta (h. cm 14,8), scolpita su un legno pregiato della famiglia delle Ebena· ceae, è stata rinvenuta nel gennaio del 1943 nell'area Fornaci Bisaccioni, immediatamente all'esterno del Bastione di Porta Buia della cinta medicea di Arezzo, a ovest del centro storico, a ro m di profondità. Pur non avendo ulteriori dati sulle condizioni di giacitura del reperto e sul contesto strutturale l stratigrafico di rinvenimento, gli scavi condotti tra il 1994 e i1 1996 nella zona hanno evidenziato come quest'area, utilizzata tra la se· conda metà-fine del I secolo a.C. e la seconda metà-fme del I secolo d.C. per discariche extra moenia delle fabbriche urbane di ceramiche, sia stata poi interessata da una nuova frequentazione a partire dal n secolo d.C., con numerose tracce lungo una direttrice stradale extra moenia, in direzione ovest, dove è molto probabile si debba ubicare anche il luogo di culto in cui era venerata la statuetta (VILUCCHI 2005, pp. 256-257).

II3

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zione riguarda la contemporanea presenza di immagini quadrialate (nn. 1, 7, n, 14, 15, 16, 21, 26, 29, 30, 35 36, 40, 49) accanto ad altre dotate di un solo paio d'ali (nn. 3, 4, 10, 22, 28, 33, 41, 42, 45, 48), riconoscibili in due casi solo per i fori in cui venivano inserite sul dorso (nn. 9, 23) . In altri casi, invece, l'assenza delle ali corrisponde a una intenzionale modalità differente di rappresentazione (nn. 5, 8, 12, 27, 31, 34, 37, 47, 50, 51, 52) , mentre per alcuni non è possibile valutarne la presenza a causa della condizione frammentaria in cui sono pervenuti (nn. 2, 6, 13, 17, 18, 32, 38 , 46) o per l'impossibilità di verifica (nn. 19, 20) . Nelle figure quadrialate, le ali spuntano gene ralmente dalle spalle (nn. 7, 14, 16, 29, 30, 35, 36, 49) o anche dalle anche (nn. 7, 14, 16, 29, 30, 35, 36); sono di piccole dimensioni e aperte sia verso l'alto che verso il basso (nn. 7, 30, 36), sebbene non manchino del­ le eccezioni in cui, tutte aperte o solo chiuse, sono rivolte verso il basso (nn. 14, 16, 29, 35, 49) o collocate sulle spalle e sui piedi (n. n). In quegli esempi in cui le ali sono di dimensioni più grandi, esse si dipartono dal dorso della figura in entrambe le direzioni (nn. 21 , 26, 40) o solo verso il basso (nn. 1, 15); possono spiegarsi completamente (nn. 21 , 26, 40) o essere chiuse e sovrapposte le une alle altre (nn. 1, 15) . Nelle figure con un solo paio d'ali (nn. 3, 4, 10, 22, 28, 33, 41 , 42, 45, 48), esse sono di medie (nn. 3, 48) e grandi dimensioni (nn. 4, 10, 22, 28, 33, 41, 42, 45), rivolte sia verso l'alto (n. 28) che verso il basso (nn. 3, 4, 22, 33, 41, 42, 45), o allineate orizzontalmente (n. 48). Tra le figure di questo secondo gruppo, si devono comprendere anche quelle con il volto umano, caratterizzate sempre da grandi ali sulle spalle rivolte verso il basso, come quelle che contraddi­ stinguono il giovane dio del rilievo di Modena (n. 44) . Più incerti, invece, sono il numero e la disposizione originaria delle ali della statua di Mérida (n. 23) che, a giudicare dalle tracce rimaste, dove­ vano essere di bronzo anziché di marmo. 3 . 1 Figure alate della tradizione vicino-orientale La notevole varietà iconografica con cui le ali vengono raffigu­ rate nella figura leontocefala induce ad affrontare una ricerca ad ampio spettro, che tenga conto dei molteplici significati simbolici 114

GLI ELEMENTI CONNOTATIVI DELL ' IMMAGINE

che esse possono assumere e delle numerose immagini alate che si riscontrano nei principali contesti religiosi dell'antichità. A diffe­ renza però delle figure che hanno un solo paio d'ali, la cui origine può essere facilmente rintracciata in maniera diffusa anche nella religione greco-romana (si vedano per esempio la Nike-Vittoria, Hermes-Mercurio, Eros-Cupido, i Venti, ecc.), la tipologia del Leon­ tocefalo quadrialalato necessita di un approccio più esteso, che rinvia al mondo semitico del Vicino Oriente . Oltre ai noti geni alati assiri raffigurati con testa umana o d'uccello sulle pareti del "Palazzo Nordovest" di Assurnasirpal n (883-859 a . C. ) a Nimrud235, tra i numerosi demoni ed esseri so­ prannaturali alati del pantheon religioso mesopotamico, assume particolare rilievo Pazuzu, il re dei demoni del vento, cui viene attribuita, nonostante la mostruosità della figura, una natura be­ nevola e apotropaica, come attestano i numerosi amuleti di bron­ zo del periodo neo-assiro (934-631 a . C . ) e neo-babilonese (604-539 a . C . ) . Esso è in genere raffigurato con un volto grottesco dai tratti leoninF36, con la bocca aperta e la lingua sporgente; ha quattro ali che spuntano dal dorso o dai fianchi, rivolte verso l'alto e verso il basso, il braccio destro alzato sopra l'ala corrispondente, mentre il sinistro è disteso lungo il fianco, le gambe ferine con artigli di uccello e una coda di scorpione237. Alcuni di questi particolari sono condivisi anche dal Leonto­ cefalo mitriaco : l'aspetto più rilevante risiede nella presenza delle ali, che almeno in un esempio sono aperte sia in senso orizzontale che verso il basso (n. 40); in un altro caso, inoltre, le zampe ferine del Leontocefalo terminano con artigli d'uccello (n. 38) . Tutto ciò sembra identificare la costante associazione di deter­ minati elementi iconografici per alcune figure, non ultima quella già esaminata di Bes panteo, molto simile nei tratti fondamentali a 235 236

Cfr. ROAF 1992, p. 76, fig. Secondo Moorey, !"iconografia di Pazuzu deriva direttamente dal demone leontocefalo rappresentato frequentemente nella glittica del periodo antico babilonese (MOOREY 1965, p. 38). 237 Così appare in una statuetta bronzea (ROAF 1992, p. 77) e in una placchetta in bronzo, entrambe conservate al Museo del Louvre (cfr. GREEN 1985, p. 81, tav. XI; RoAF 1992, p. 76 ; HEESSEL 2002, pp. 128-129, nn. 29-30, figg. 12, 30-31). 115

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Pazuzu: la combinazione che vede la contemporanea presenza della testa leonina e delle quattro ali costituisce l'aspetto più evidente238. Le stesse ali di Bes si sarebbero ispirate proprio alla tradizione orientale, più che non a quella egiziana, ave certamente le figure alate non mancano, ma non sono presenti in modo così radicato. Il Bes quadrialato, in particolare, è frequentemente rappresentato sugli intagli d'avorio dell'area siro-fenicia239_ In effetti, è nella cultura siro-fenicia che il Leontocefalo quadria­ lato sembra trovare altri riscontri accanto a quello di Bes, rilevanti sia dal punto di vista semantico, che del soggetto iconografico. La prima è una figura che compare nella monetazione tardo-seleu­ cidica di Byblos240: si tratta di una divinità nuda, con un copricapo piumato sulla testa, in posizione stante , dotata di tre paia d'ali, di cui due spiegate in senso orizzontale e uno abbassato, con uno scettro nella mano destra. La seconda è una figura maschile qua­ drialata, con due teste barbute rivolte in direzioni opposte, pre­ sente su alcune monete di Mallos (Cilicia) di epoca pre-ellenistica (425-385 a . C . ca.)24I, in cui è ritratta secondo lo schema della "corsa in ginocchio" , mentre regge con entrambe le mani un disco radiato. Quest'ultimo particolare la indica inequivocabilmente come una divinità astrale, forse planetaria.

138 I due demoni hanno in comune anche la coda (di leone per Bes e di scorpione per Pazuzu) e lo stesso valore itifallico. 139 WILSON 1975, p. 85, figg. 1, 2. Sulle dee alate dell'area vicino-orientale, cfr. BARRELET 1955140 Cumont è stato il primo a indicare in queste monete un riscontro iconografico per il Leontocefalo (cfr. TMMM I, p. 75), seguito anche da Will (WILL 1955, p. 191). Per le monete, cfr. CooK 1964, pp. 297·298; CooK 1965, pp. 552-553; HILL 1965, p. 97, n. 12, tav. XII.s, p. 99, n. 19. Cfr. HouGHTON 1983, p. 68, nn. 694-696. 14' HILL 1964, p. cxx, n. 4, tav. XL.9; CooK 1964, p. 298, fig. 223. Si tratta di uno statere della Collezione Hunter (cfr. MAC DONALO 1901, I I , p. 536, tav. 59.n); se ne conoscono anche altri due esempi, sempre della medesima collezione (cfr. MAC DONALO 1901, I I , p. 536, tav. 59, 12, 13). Per altre monete con figure maschili e femminili ritratte nella medesima posizione, ma dotate di tre ali invece che quattro, cfr. CooK 1964, p. 297, figg. 221-223; POHLENZ 1922, CC. 2000, 2014; HILL 1964, pp. 97-98.

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GLI ELEMENTI CONNOTATIVI DELL ' IMMAGINE

Entrambe queste rappresentazioni concordano perfettamente con la descrizione di Filone di Byblos (fine del I secolo d .C.)242 a proposito del dio Fenicio El243, identificato col greco Kronos: egli possiede "quattro occhi, due davanti e due dietro, 'due aperti' e due tranquillamente chiusi, e quattro ali alle spalle, due spiegate e due abbassate, a significare che Kronos (El) vedeva dormendo e dormiva vegliando, e che egli era vigile nel sonno e volava durante il riposo. Mentre gli altri dei avevano solo due ali, poiché anch'es­ si volano, ma al seguito di El, quasi suoi subordinati e seguaci. El porta anche due ali sopra la testa, una per la mente dominatrice suprema e una per la percezione"244• Mentre le due ali sulla testa rinviano probabilmente alle alte penne che caratterizzano l'acconciatura di alcune divinità egiziane, i particolari delle quattro ali e dei quattro occhi sembrano richia­ mare, per analogia, le immagini dello stesso Bes panteo, anch'esso quadrialato e cosparso di occhi su tutto il corpo. La storia di El risponde ai tratti evemeristi sottesi a tutta l'opera di Filone : a eccezione di Ba 'alSamem, il «signore del cielo», unico dio preesistente al genere umano, tutti gli altri dei della religione fenicia sono considerati degli antichi uomini illustri deificati dopo la morte . Anche El è in origine un re, fondatore della città di By­ bios, e solo dopo la sua morte viene adorato nella duplice veste di dio locale e di Kronos, dio del pianeta Sa turno. Da questa testi­ monianza appare evidente come la figura bifronte e quadrialata della moneta di Mallos possa essere interpretata come Saturno, immortalato nell'atto di sostenere il pianeta volando attraverso il cielo245. L'identificazione con il dio di questo pianeta (Kronos) vie­ ne suggerita soprattutto dal particolare della testa bifronte, chiara espressione della natura ambivalente di Kronos, in relazione non

24> Per un'approfondita analisi di quest'opera e della personalità di Filone, cfr. BAUMGARTEN 1981; MAC ADAM 2001. 243 Sull'E] fenicio, cfr. PETTAZZONI 1955, pp. 127-I32; Du MESNIL DU 8UISSON 1970, pp. 56·72244 FILONE DI BYBLOS, Fr. 4, in EuSEBIO, Praep. Evang., I. 9.30, 36-37. 245 Cfr. PETTAZZONI 1955, p. 129.

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solo al mondo esterno, ma anche al suo personale destino246: da un lato, egli è il sovrano dell'età dell'oro, l'inventore dell'agricoltura e dell'arte di costruire città, il padre degli uomini e degli dei; dall'al­ tro, un dio cupo, detronizzato, colui che divora i suoi figli ed esige sacrifici umani. Questa duplice valenza si rafforza nel momento in cui la concezione del dio mitico viene collegata alla stella Saturno, il primo e il più potente di tutti i pianeti in quanto descrive l'orbita più ampia, e perciò identificabile con il Sole247. L'associazione di El a Saturno è del resto confermata da fonti letterarie di origine diversa: oltre alla testimonianza di Filone , in cui El assume i tratti di una divinità solare, la menzione di un dio El, inteso però solo come dio del cielo diurno e sereno, ricorre anche in alcuni antichi testi ugaritici del xv secolo a . C . , in cui viene definito "padre degli anni"248. È lungo entrambe queste due direttrici che l'El-Kronos di Filone e il bifronte alato delle monete di Mallos partecipano della medesima natura solare e della duplice natura temporale che investe Saturno : Saturno-Kronos è infatti assimilato a Chronos249, il dio del Tempo, "il padre di tutte le cose"250, colui che fornisce le misure in quanto "auctor temporum"251• 3.2 Le ali come simbolo cosmico: i venti Le ali, che nel loro significato primordiale rinviano al volo degli uccelli, si riferiscono più esplicitamente ai venti, da sempre divinizzati in virtù dei loro caratteri naturali252• Non è un caso che lo stesso Pazuzu, esaminato in precedenza, sia il re dei venti; figure di questo tipo sono presenti anche nella tradizione greca e romana,

246 Cfr. Kl.IBANSKY, PANOFSKY, SAXL 1983, p. 127. 247 TACITO, Hist. , V.4.15; cfr. SENECA, Nat. Quaest. , VII.4. Sull'identificazione di Sa­ turno con il Sole, cfr. DIODORO SICULO, Bibl. !st., I1.30.3; cfr. DAMASCIO, Vita !s. , 115. 248 Cfr. BAUMGARTEN 1981, p. 225; DU MESNIL DU BUISSON 1970, pp. 565-572. 249 Questa identificazione trova ampio spazio nella filosofia neoplatonica, nella quale la doppia prerogativa di essere il progenitore di tutte le altre divinità planetarie e di risiedere nel cielo più alto, gli assicurano una supremazia assoluta (KLIBANSKY, PANOFSKY, SAXL 1983, p. 143). 25° PINDARO, Oli mp. , I1.32. 25' MACROBIO, Sat. , 1.22.8. Cfr. ZACCARIA RuGGIU 1998, p. 308. 25 2 Cfr. S!CHTERMANN 1966, pp. Il32-II34·

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ove se ne riconoscono principalmente quattro (Borea, Zefiro, Euro, Noto). Di tutti, quello maggiormente caratterizzato è Borea253, il violento e gelido vento del Nord che trascorre velocissimo tra gli spazi del cielo, in genere rappresentato nelle vesti di un uomo alato con la chioma incolta e ispida e talora con una testa a due volti, entrambi barbutF54. Si tratta dello stesso principio del bifrontismo che contraddistingue El-Kronos: anche in questo caso esso rinvia a una duplice natura del dio, in quanto Borea da un lato porta freddo e nera tempesta, dall'altro rischiara i cieli e porta il sereno; ma è soprattutto un'allusione alla capacità del vento di andare in ogni direzione e di circolare ovunque attraverso il cielo : il vento, infatti, appartiene alla natura meteorica delle regioni celesti. Le ali, pertanto, possono essere espressione dell'aria come ele­ mento: in questo senso è ancora valida, anche se non esaustiva, l'indicazione cumontiana per cui proprio a essa rinvierebbero, tra i tanti significati, le ali del Leontocefalo255. Ciò si rende inequivo­ cabile soprattutto per quelli quadrialati, in cui ogni singola ala può richiamare ciascuno dei quattro venti, ma una conferma diretta ci proviene da quei monumenti in cui le ali sono addirittura associate ai simboli delle stagioni (n. 7). Singolare, poi, il caso di una statua di Roma (n. n), che ha un paio d'ali alle spalle e uno ai piedi, come i venti, spesso alati alle estremità256. Al pari delle divinità eoliche, anche le quattro ali del Leontoce­ falo possono evocare le direzioni del cielo: un esplicito riferimen­ to compare in un passo del De antro nympharum, in cui Porfirio afferma che la prima cavità mitriaca preparata da Zoroastro in Persia conteneva i simboli degli elementi cosmici e delle zone ce­ lesti257. I venti, cui sono associate inevitabilmente le stagioni, così

Cfr. KAEMPF DIMITRIADOU 1986, pp. 133-142. In questo modo è raffigurato in un vaso a figure rosse del Pinore di Berlino, proveniente da Chiusi (SCHEFOLD 1986, p. 136, n. 19; cfr. CooK 1965, pp. 380-381, fig. 288). 255 Cfr. TMMM l , pp. 81-83. 25 6 Inevitabile il confronto anche con Mercurio, le cui ali sono considerate da Macrobio un simbolo del sole (MACROBIO, Sat., 1.!9.8, ro). 257 PoRFIRIO, Antro nymph., 6.25. In un passo successivo, inoltre, usa i termini Borea e Noto per indicare i punti cardinali del Nord e del Sud (PORFIRIO, Antro nymph. , 25). 253 254

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diffusamente rappresentati nei rilievi romani, ricoprono un ruolo importante anche nel culto romano di Mithra: molti sono i rilievi che li raffigurano con le teste alate258• Di tutti, il più famoso è quello del Mitreo I di Heddernheim (II-III secolo d . C . ) , in Germa­ nia, particolarmente significativo per la singolare concentrazione degli elementi cosmico-celesti cui si affida il compito di riprodur­ re simbolicamente i luoghi che corrispondono alle vicissitudini dell'anima nel cosmo. Sopra la scena della tauroctonia, si dispone ad arco lo zodiaco e agli angoli del rilievo compaiono i busti dei quattro venti all'interno di medaglioni259• Così sono raffigurati anche nel rilievo del Mithra-Phanes di Modena (n. 44), ave i venti sono disposti in modo che a ognuno di essi corrispondano i quattro segni zodiacali che determinano il sorgere del Sole in ogni stagione: Euro è associato al Toro, Zefiro allo Scorpione, Borea alla Vergi­ ne e Noto ai Pesci260• Ma un significato di maggiore astrazione è riservato alle ali del Mithra-Phanes: la natura alata di questo essere divino, identificato, come si è visto, anche come Eros-Protogonos, costituisce la principale prerogativa che spiega e giustifica il suo ruolo centrale nella cosmogonia orfica degli Uccelli di Aristofane, in cui ai venti viene riconosciuto un potere generativo: "la Notte nero-alata partorì dapprima un uovo portato dal vento, onde, col mutare delle stagioni, germinò il bramato Eros, fulgide sul dorso le ali d'oro, simile a veloce turbine di vento"261• Lo stesso Chronos

258 Per i rilievi mitriaci in cui sono presenti due o quattro venti, cfr. CIMRM II, nn. 1216, 1225, 1281, 1283, 1292, 1388, 1727; per quelli con le stagioni, CIMRM I, nn. 40, 74, 181, 810, 966; per i venti e le stagioni insieme, CIMRM II, n. 1083. 259 CIMRM II, n. 1083. 260 Questi ultimi due venti sono disposti in modo inverso rispetto alla loro reale associazione zodiacale. 26 ' ARISTOFANE, Aves, vv. 695-697. Si veda l'interpretazione di Mastrocinque che, nell'identificare Phanes con Eros, lo intende come immagine speculare al Leon­ tocefalo, interpretato a sua volta come Ahriman (MASTROCINQUE 1998, p. 101, 194); le due figure avvolte da serpente, a testa umana e di leone, inevitabilmente correlate tra loro, rappresenterebbero, dunque, Amore e Morte come le due facce di un'unica realtà (MASTROCINQUE 2009, pp. 6o-66). Sulla figura di Eros nella Grecia arcaica e clas­ sica, cfr. PELLEGRINI 2009.

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da cui nasce l'uovo di Phanes è alato26\ quasi a indicare ogni mo­ vimento del mondo del divenire; egli corre veloce, al pari della vita nel tempo scandita secondo il ritmo delle stagioni. Le ali, dunque, esprimono simbolicamente la rapida corsa del tempo e il processo della sua continua alterità che determina e condiziona il mondo del divenire, nel suo nascere, maturare e dissolversi. Esse, dunque, in ultima analisi, costituiscono un evidente richiamo an­ che ai poteri cosmici e temporali nella loro forma più alta, legata al mondo del divino263. 3·3 Le ali come simbolo di ascesa dell 'anima I venti possono acquisire un valore allegorico se associati ad altri motivi nelle decorazioni funerarie, come accade per molte stele sepolcrali e sarcofagi di epoca romana, ove sono raffigurati per lo più a mezzo busto o solo con la testa; alcune testimonian­ ze, specialmente quelle in cui i venti sono rappresentati con le ali sulle spalle o sul capo, o addirittura a figura intera, suggeriscono anche un'altra funzione oltre a quella decorativa, che li vede dire t­ tamente implicati nel processo di apoteosF64; ciò appare ancora più evidente quando i venti sono uniti alla Vittoria (anch'essa alata), personificazione abituale del trionfo sulla morte, o alle stagioni, che evocano il ciclico scorrere della vita umana, scandita nei tempi della nascita e della morte26s. Se una connessione dei venti col culto dei morti sembra potersi già ravvisare presso i Greci, essendo le anime concepite come de­ moni del vento, è soprattutto in seguito ai contatti con le dottrine di origine orientale che i venti assumono un significato escatologico, direttamente connesso con l'ascesa al cielo degli spiriti dei defunti, loro sede naturale. Per giungervi, le anime devono necessariamente

26, Si tratta della cosmogonia attribuita da Damascio a leronimo ed Ellanico (Orph. Fr. 54 KERN). 263 BECK 1988, p. 59. >64 S!CHTERMANN 1966, p. IIJJ. 265 Cfr. CuMONT 1939, p. 46.

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CAPITOLO SECONDO

attraversare l'atmosfera, il regno dei venti266 e l'etere, l'elemento che al di sopra dell'aria occupa gli spazi sconfmati e luminosi del cielo: le ali divengono dunque il mezzo necessario per trasferire l'anima verso l'alto e i venti divengono i geni tutelari di questo passaggio. Questa concezione trova ampio spazio in alcune speculazioni filo­ sofiche, come lo stoicismo e il platonismo, ma anche in certi ambiti religiosi, specialmente negli scritti ermetici e oracolari, nei testi magici, fino a interessare i Misteri isiaci e quelli mitriaci267. Nel pensiero stoico, in particolare , l'anima è costituita da un soffio della stessa natura dell'etere, che conserva anche dopo la morte ed è in virtù della sua leggerezza, che sale verso l'alto268. L'immagine di un'anima alata ci viene definitivamente trasmessa da Platone che, nel mito centrale del Fedro, affronta il tema relativo all'ascesa e alla caduta dell'anima e al ruolo che l'amore ha in questo processo269. L'anima è descritta come un carro alato guidato da un auriga, con due cavalli, di cui uno è bello e buono, l'altro brutto e intrattabile. Il prevalere del primo porta l'anima a librarsi in volo verso le altezze celesti, dimore degli dei, in cui possono essere con­ template Giustizia e Bellezza; il prevalere del secondo comporta la perdita di controllo del carro e delle ali: l'anima allora cade sulla terra ed entra in un corpo mortale270• In un passo successivo, Platone afferma inoltre che "quando essa [l'anima] è perfetta e alata, vola in alto e governa tutto quanto il mondo"271 : l'ascesa dell'anima, in questo caso, non implica solo una metafora di carattere morale e spirituale , ma, perlomeno sul piano mitico, allude chiaramente a un viaggio verso le dimore celesti degli deF72• Questa concezione sembra trovare un preciso riferimento in alcune rappresentazioni mitriache , come in quella del mitreo di 266 L'aria è piena di anime che scendono e risalgono al cielo (DIOGENE LAERZIO, Vitae phil. , VII1.32). >67 CUMONT 1939, p. 56. >6R CUMONT 1939, pp. 52-53; SIMON1N1 1986, p. 209. •69 PLATONE, Phaedr. , 246-257. •70 Si ricorda l'interpretazione dijohn Hansman che, sulla base di un passo della Repubblica di Platone (PLATONE, Repubblica, IX.588) ha identificato nel Leontocefalo un'espressione dell'anima in costante dualismo fra bene e male (HANSMAN 1978). >7' PLATONE, Phaedr. , 246c. m BECK 1988, p. 59.

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GLI ELEMENTI CONNOTATIVI DELL ' IMMAGINE

Santa Prisca (fine del II secolo d . C . ) o del mitreo di Santa Maria Capua Vetere, in cui l'Anima-Psiche viene raffigurata (II secolo d.C.) come una giovane fanciulla dalle ali di farfalla insieme a Eros273. Non solo, ma si è già visto come, sempre nel culto di Mithra, ven­ ga riservata proprio ai venti un'attenzione del tutto particolare274: lo stesso neoplatonico Porfirio, nel De antro nympharum, quando parla della migrazione dell' anima, affida ai venti un compito non lontano da quello che nella lingua greca viene designato con la parola t!Jux�», ovvero l'anima intesa come alito e respiro275, attri­ buendo ai venti Borea e Noto un ruolo primario e indispensabile: "il soffio di Borea, infatti, essendo più freddo, congela e mantiene nel freddo della generazione terrestre; quello di Noto, più caldo, dissolve e rinvia l' anima verso il calore del divino"276. Alla luce di queste considerazioni, è evidente che le ali e gli esseri alati vengono ad assumere un preciso significato in relazione al processo di ascesa dell'anima che, in termini esoterico-iniziatici, si traduce nel passaggio progressivo dei gradi attraverso i qua­ li l'adepto mitriaco può accedere alle stelle fisse . Nell'ambito di questo quadro, anche le ali del Leontocefalo, tra i vari significati, possono acquisire allora un valore esoterico, divenendo il simbolo più appropriato per indicare il passaggio dell' anima da una sfera planetaria all' altra m.

273 Mitre o di Santa Prisca: CIMRM I, n. 186; C/MRM II, n. 2356; VERMASEREN, VAN ESSEN 1965, p. 478, n. 275, tav. 128.1; MERKELBACH 1988, p. 278, fig. 64. Mitreo di Santa Maria Capua Vetere: CIMRM I, n. 186; diversamente, Reinhold Merkelbach ritiene che si trat­ ti della consacrazione del nymphus, il secondo grado iniziatico (MERKELBACH 1988, p. 352, fig. 27)274 Sulla stretta connessione tra il ruolo dei venti svolto in ambito funerario e quello mitriaco, cfr. TuRCAN 1986, pp. II9·I28. 275 PORFIRIO, Antro nymph. , 25.5. Cfr. MERKELBACH 1988, p. 245276 PORFIRIO, Antro nymph. , 25.10. 277 In alcuni monumenti mitriaci, all'interno della tauroctonia, il passaggio dell'ani­ ma viene indicato col termine transitus (CIMRM II, nn. 1494, 1496, 1706); tra essi è particolar­ mente significativo l'altare proveniente dal mitreo I di Poetovio (CIMRM Il, n. 1496), in cui compare l'iscrizione lnvictus Mithra et transitus dei. Il termine transitus indica generalmente la scena in cui Mithra trasporta il toro sulle spalle prima del sacrificio, ma è probabile che avesse anche altri significati, sottesi a indicare il passaggio dell'anima; lo stesso termine veniva del resto utilizzato anche in ambito astronomico per indicare i movimenti dei pianeti (cfr. MERKELBACH 1988, p. 279).

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III GLI ATTRIBUTI E GLI OGGETTI ASSOCIATI AL LEONTOCEFALO

La divinità leontocefala appare costantemente raffigurata con attributi che variano sia per forma che per funzione, oltre che per le combinazioni con cui sono associati. Se ne possono riconoscere quattro che appaiono più frequentemente di altri: le chiavi, lo scettro, il fulmine e il globo. Il più ricorrente è la chiave che compare sia da sola (nn. 4, 8, 12, 14, 16, 30, 32, 35, 36, 38, 49, 51) che in coppia (nn. 7, 9, I I , 15, 17, 21 , 26, 27, 29, 33) , in genere stretta dal dio in ciascuna delle due mani avvicinate al petto (nn. 7, 9, I I , 12, 14, 16, 17, 21, 26, 27, 29, 30, 36, 49), con le mani allungate verso il basso (nn. 15, 33) e staccate dal corpo (nn. 49, 51), o con la mano alzata appoggiata sulla testa (n. 8). Alcune chiavi possono essere decorate da piccoli fori (nn. 7, II, 12, 17, 21, 30) , variabili da dodici (n. 7) a cinque (nn. II, 30) e a due (n. 17), mentre altre hanno una forma diversa da quella canonica, poiché sono simili all' ankh egizio (n. 15) e a uncino (n. 36). Seguono quindi il fulmine e lo scettro, gli unici attributi, pe­ raltro, che le figure a testa leonina condividono con quelle a testa umana . Il fulmine, impugnato in una mano (nn. 44, 50, 51), scolpi­ to sul petto (nn. 2, 7, I I , 26) o stretto tra i denti (n. 49), è riprodotto come un fascio di folgori, ma in un caso, oltre che essere appog­ giato a una spira del serpente, è alato e termina all'estremità supe­ riore con un piccolo busto a testa umana, cinta da una corona ra­ diata a cinque raggi (n. 14) . Lo scettro (nn. 4, 7, 14, 17, 22, 28, 30, 35, 44, 49), di lunghezza variabile e decorato talvolta da due pomelli alle estremità (nn. 7, 30) e suddiviso in dodici fasce oblique (n. 30), è in genere impugnato con la mano sinistra e avvicinato al petto

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CAPITOLO TERZO

(nn. 7, 14, 17, 30, 49) o scostato leggermente da esso (nn. 28, 35), mentre in soli due esempi risulta completamente disgiunto dalla figura (nn. 4, 44) . Il Leontocefalo si erge infine sopra un globo in otto rappre­ sentazioni (nn. 4, 14, 21, 27, 30, 37, 46, 47) e sopra una mezza sfera in altre due (nn. 9, n), mentre in un unico caso regge il globo con la mano destra (n. 45). Anche per questo attributo, come per i pre­ cedenti, si riscontrano alcune varianti: accanto a sfere completa­ mente lisce, si distinguono globi decorati a bande (nn. 14, 30) e una mezza sfera con falce di luna crescente (n. n). A evocare la forma della semisfera sono anche le due valve poste, rispettivamente, so­ pra la testa e sotto i piedi del Mithra-Phanes di Moderia (n. 44). r.

Le chiavi

Franz Cumont per primo ha suggerito come Giano potesse rappresentare un confronto iconografico primario per il Leonto­ cefalo in virtù delle chiavi che contraddistinguono entrambe le divinità1 • I dati emersi, in effetti, permettono di convalidare que­ sta ipotesi, in ragione soprattutto della natura solare e temporale che investe entrambe le divinità. Secondo la descrizione dei Fasti di Ovidio2, Ianus è un dio a due facce che tiene il baculum con la destra e la chiave con la sini­ stra\ strumenti che richiamano l'idea dell"' aprire" e del "passare": sono queste, infatti, le principali funzioni pertinenti alla doppia natura del dio, cui corrispondono i due epiteti Patulcius e Clusius4• Lo stesso termine ianus, da un punto di vista rigorosamente eti­ mologico, costituisce un vocabolo astratto che indica il concetto del transitare; per questo la natura originaria di Giano si identifi­ cherebbe nell'essere anzitutto il nume della porta (ianua), in qua­ lità di portinaio (ianitor)5 e ciò si rifletterebbe pienamente nel suo ' TMMM l, p. 84. , OviDIO, Fast. , 1. 63-288, 317-336. 3 OviDIO, Fast. , l. 65, 89, 99, 231. Cfr. VIRGILIO, Aen., VII.I8o; MACROBIO, Sat., 1.9.7. 4 OVIDIO, Fast. , l. 129-130. 5 Cfr. OTTO 1918, col. II89; SCHILLING 1960, p. 91.

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GLI ATTRIBUTI E GLI O GGETTI ASSOCIATI AL LEONTOCEFALO

carattere bifronte, dato che anche la porta presenta materialmente due facce, una rivolta verso l'interno e l'altra verso l'esterno. In tal senso, le chiavi affidate al Leontocefalo possono essere quelle dell'antro mitriaco, conferendo così al dio clavigero il ruo­ lo di custode, alla pari di tutte quelle divinità che sono preposte alla guardia della porta6. Esiste, tuttavia, un aspetto connesso con l'idea del passare che risulta molto più incisivo, in quanto legato al cominciamento o all'inizialità7• Nel mito, Giano rappresenta il primo re del Lazio e fondatore del vivere civile, il primo costruttore di case e templi, il primo isti­ tutore di culti, il primo coniatore di monete8 e, a livello speculati­ vo, è addirittura identificato con il Caos9 o con il Cielow. Nella sua specifica prerogativa di essere il dio del cominciamento", conver­ gono più significati che non si riducono solo alla capacità fisica di "transitare" da un luogo a un altro, ma implicano sfumature di carattere temporale, ovvero la possibilità di "passare" da un tempo a un altro : la doppia natura del dio sembra acquisire una luce del tutto nuova se interpretata in relazione al valore tempo­ rale che Giano riveste. Egli, infatti, è dio del giorno12, dei mesP3,

6 Di questa opinione, per esempio, è Hubert Von Gall che riconosce nella fi. gura del Leontocefalo una sorta di nume tutelare (voN GALL 1978, p. 517). Si ricorda che il muso del leone, in una delle sue molteplici accezioni, rinvia proprio al ruolo di guardiano dei templi, perlomeno in Egitto (cfr. de W1T 1951, pp. 71-82). Secondo Mer­ kelbach, a ricoprire la funzione di custos è invece il dadoforo Cautopates, anch'esso ritratto talvolta con la chiave (MERKELBACH 1988, p. 134). 7 Secondo Pettazzoni, questo aspetto viene avvalorato dal fatto che il termine ianus non sia derivato, sul piano linguistico, da ianua, ma piuttosto il contrario (PET­ TAZZONI 1955, p. 243). 8 Cfr. MACROBIO, Sat., 1. 9.2 e 15; GrovANNI LIDo, Mens. , 4.2. 9 OviDIO, Fast. , 1.!03 ss. ; GIOVANNI LIDO, Mens. , 4.2. Cfr. COOK 1965, II, p. 335. 10 VIRGILIO, Aen. , VII, vv. 177-182; VARRONE, in AGOSTINO, Civitat. Dei, VII.28. 11 Nel calendario, gli era sacra la prima festa dell'anno, l' agonium del 9 gennaio e nei riti cultuali era invocato prima di tutti gli altri dei (cfr. CICERONE, Nat. deor. , II.67; cfr. OviDro, Fast. , I.I71, MAcRosro, Sat. , 1 .9.9). 1 2 SERVIO, in Verg. Aen., VII.607. 13 MACROBIO, Sat., 1.9.16. Secondo Varrone, a Giano erano consacrati dodici altari, corrispondenti ai dodici mesi (cfr. VARRONE in MACROBIO, Sat., 1.9. 16).

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CAPITOLO TERZO

delle stagionP4 e dell'anno'\ che ha il compito di inaugurare per aprire un nuovo periodo di tempo'6: così egli può essere il dio del­ la prima ora del giorno'7, del primo giorno del mese (le calendae) e del primo mese dell'anno, Ianuarius' 8 • Nel regolare il tempo e le sue divisioni cicliche , Giano si appropria dunque delle stesse caratteristiche del Sole, ovvero di colui che governa e scandisce con il proprio moto il tempo infinito nei suoi ritmi stagionali e pe­ riodici. Il Sole, che sorgendo ogni mattina a oriente dà principio al giorno, è il dio di ogni cominciamento, è "genitore e padre di tutti gli dei" '9, così come Giano è "primo e padre di tutti gli dei"20. Significative, a tal proposito, sono alcune monete dell' aes grave di area laziale e umbra (III secolo a.C .?' che sul diritto presentano, invece dell'abituale testa bifronte di Giano, una ruota a sei-otto raggi, mentre sul verso è raffigurata una mezzaluna sormontata da una stella. La ruota costituisce un chiaro richiamo al viaggio quotidiano del Sole attraverso il cielo, come conferma la presen­ za, in altre monete , del disco solare o della testa radiata del Sole. Questa valenza solare e astrale conferisce al bifrontismo di Giano un nuovo significato : esso non è più l'interno o l'esterno della ianua, né la capacità di vedere avanti o dietro; piuttosto, in­ dica l'inclinazione a vedere in ogni direzione22. Si tratta di una peculiarità che anche il Leontocefalo mitriaco sembra detenere, come indica chiaramente la presenza del serpente che poggia la propria testa su quella del dio o l'occhio umano aperto scolpito sul petto di una statua (n. 1). Il richiamo con Giano, tuttavia, e soprattutto con il suo carattere bifronte, si spiega soprattutto in relazione al fatto che entrambe le divinità sembrano accomunate 14 15 16

OviDIO, Fast. , 1.I25. ARNO BIO, Adv. nat . , 111.29. GAGÉ 1979, p. 29; come dio del tempo, Giano compare in GIOVANNI Lmo, Mens, 4.2. 1 7 ORAZIO, Serm. , 11.6.20. 1 8 OVIDIO, Fast. , 1.43·44· 1 9 OviDIO, M et , IV.172. VIRGILIO, Aen. , VII1.357; ORAZIO, Epist., 1.16.59; MACROBIO, Sat., I.I9.14-I5. 21 Cfr. PEITAZZONI 1955, pp. 249-250; SYOENHAM 1975, p. 5, tav. IX. Cfr. PEITAZZONI 1955, p. 255.

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GLI ATTRIBUTI E GLI OGGETTI ASSOCIATI AL LEONTOCEFALO

da un'implicita connessione con Saturno, specialmente nella sua veste di nume planetario2J. Il principio del bifrontismo, infatti, è lo stesso che contraddi­ stingue il vento Borea24 e la figura alata che regge il disco solare riprodotta sulle monete di Mallos. Si tratta di una caratteristica che conferma ulteriormente la natura planetaria del dio: si è già visto come l'El-Kronos coincida con il pianeta Saturno25; ma è lo stesso Giano a riportarci alla figura di Saturno lungo un tracciato che vede nel bifrontismo una comune caratteristica iconografica; i rapporti tra queste due divinità sono del resto familiari anche alla tradizione romana e forse hanno un fondamento religioso nell'interferenza cultuale dei Saturnalia con le Calendae Ianuarie, dovuta alla loro vici­ nanza cronologica26• Saturno e Giano sembrano, in effetti, rispon­ dere alle stesse prerogative: come il primo era il «sovrano dell'età dell'oro», così il secondo era «il padre degli dei» e a entrambi ven­ gono assegnati i primati nelle arti più diverse, da quella di costruire città a quella di coniare le monete; non è casuale, quindi, che i due dei siano evocati l'uno accanto all'altro27. Decisivo, a questo pro­ posito, un passo di Giovanni Lido (V secolo d.C.), in cui il dio Gia­ no, caratterizzato da un volto bifronte, compare in processione a Philadelphia nella festa delle calende (I0gennaio) ed è chiamato dal

23 Sulla figura di Sarurno nei Misteri mitriaci, oltre al contributo di Albanese (ALBA­ NESE 20om), si veda anche quello di Prendergast, che sulla base delle evidenze archeologiche cerca di ricostruire le festività celebrate in suo onore nei mitrei (PRENDERGAST 1999 ). 24 Si conferma in questo modo anche una precisa identificazione che vede in Giano un dio del vento (RAPP r884-r886, coli. 803-814). 25 Pettazzoni ritiene che Giano abbia un'origine punica e che addirittura si tratti dello stesso dio Ba'alhamman, normalmente reso con Sarurno, come comproverebbero le numerose iscrizioni di epoca imperiale dedicate a Giano (PETTAZZONI 1955, pp. 136-138). Diversa l'opinione di Grimal, secondo cui l'origine del dio è da ricercare nell'antica Siria, ove avrebbe acquisito un carattere astrale e cosmogonico (GRIMAL 1945, pp. 15-21). Cfr. GAGÉ 1979. pp. 3-33. 129-151. 26 I Saturnalia (SENECA, Epist. xvm; MACROBIO, Sat., 1.24.25; ORAZIO, Serm. , 11.7.4) duravano sette giorni in concomitanza con il solstizio d'inverno, in dicembre, mentre le Calendae Ianuarie corrispondevano al I 0 gennaio (GAGÉ 1979, p. 24). 27 VIRGILIO, Aen. , Vl11.357.

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CAPITOLO TERZO

popolo anche Kronos, cioè Saturno28. È probabile che l'importanza assunta da Giano come dio solare in epoca imperiale sia dovuta proprio a questa assimilazione29. I . I Le chiavi: un simbolo di iniziazione In quanto dio solare dell'inizialità e della porta, la figura di Gia­ no e i simboli che lo rappresentano - il baculum e le chiavi - rinvia­ no a ulteriori significati che nell'ambito di un contesto esoterico si intrecciano a motivazioni di carattere salvifico. Quasi per un gioco di parole, il dio dell'inizialità può alludere al percorso di iniziazione misterico, al pari delle chiavi che indicano l'accesso della via iniziati­ ca, secondo un valore simbolico speculare a quello della porta. Nel definire il luogo di passaggio tra due momenti, in cui dal dominio del profano e del noto si perviene a quello del sacro e dell'ignoto, la porta costituisce il tramite che permette di accedere al mistero. Sul piano esoterico, dunque, possedere le chiavi significa essere iniziati e avere la possibilità di aderire a una realtà superiore30• Giano, che presiede agli inizi e a ogni nascita, sia del mon­ do degli dei che degli uomini, rappresenta perciò l'initiator delle transizioni e dei passaggi, i cui due volti, uno rivolto verso il cielo, l'altro alla terra, divengono i simboli del cambiamento da uno «stato» all' altro3': egli con le chiavi, una d'oro e una d'argento, apre le porte del ciclo annuale, le cosiddette porte solstizialP2, che dai teologi antichi venivano identificate nei segni del Capricor­ no e del Cancro, i punti opposti del cielo33• In particolare, Giano

28 GIOVANNI LIDO, Mens. , IV.2; cfr. COOK 1965, p. 374; PEITAZZONI 1955, p. 138 e nota n. 69. 29 Sul ruolo di Giano nell'epoca imperiale, in seno alle esigenze propagandistiche della Renovatio Temporum e del Saeculum Aureum, inaugurata dall'imperatore Adriano (n7-138 d.C.) e perseguita particolarmente da Commodo (169-192 d.C.), cfr. TuRCAN 1981, pp. 390-395. 3° Cfr. SIMONINI 1986, p. 199. 3' AGOSTINO, Civitat. Dei, IV.II, 7·3· 32 Cfr. MACROBIO, Sat., 1.9.9; Somn. Scip., 1.12.1-8. Sulle porte solstiziali, cfr. GuÉNON 1962, pp. 34-36. 33 Le due costellazioni zodiacali sono poste rispettivamente all'estremità sud e all'estremità nord dell'eclittica, il percorso apparente che il Sole compie in un anno, situata

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GLI ATTRIBUTI E GLI OGGETTI ASSOCIATI AL LEONTOCEFALO

appare soprattutto nella veste di custos della porta del Capricor­ no, segno di Saturno, da cui il Sole inizia il suo percorso d'ascesa nella volta celeste (solstizio invernale) e da cui ha origine la via dell'apogenesi dell'anima che, liberandosi dal corpo e dalla vita terrena, ritorna alla sua vera forma34• Quella delle porte costituisce una concezione di origine caldea che gli stessi Greci ereditano e trasmettono al mondo occidenta­ le tramite la mediazione del pensiero filosofico, in particolare di quello pitagorico, in cui fondamentale è il simbolismo zodiacale relativo alla trasmissione delle anime, e di quello platonico, che ne offre una definitiva elaborazione nel mito di Er della Repubblica35• Nell'esegesi di Numenio al mito di Er36, il cielo in cui salgono le anime è quello delle stelle fisse, mentre le due aperture celesti si identificano appunto col Cancro e il Capricorno, come chiarisco­ no le stesse parole del neoplatonico Porfirio, secondo cui il Cancro si identifica con la porta settentrionale per la via di discesa, mentre il Capricorno con quella meridionale per la via di risalita37. Il motivo che porta a identificare le due porte con i segni del Cancro e del Capricorno risiede nel fatto che nella genitura mundi il primo rappresenta !' "oroscopo del mondo" , mentre il secondo ne costituisce il "tramonto" ; le porte, prima individuate nell'ipogeo

obliquamente rispetto al piano dell'equatore. Il tropico del Cancro, settentrionale, cor· risponde al solstizio d'estate e, poiché più vicino all'emisfero boreale, è Casa della Luna, il pianeta più prossimo alla Terra; il tropico del Capricorno, meridionale, coincide con il solstizio invernale ed è assegnato a Saturno, il pianeta più lontano (cfr. SIMONINI 1986, p. 190). Inizialmente le Porte sono quelle della Matrina e della Sera che il Sole attraversa col proprio carro (TMMM I, pp. 83-84), ma anche l'entrata e l'uscita dal mondo degli Inferi (Ianua Ditis e lanua Inferni), ubicate prima nelle viscere della Terra, poi nell'emisfero meridionale. Solo in un secondo momento, con la diffusione della teoria degli antipodi, verranno poste nelle sfere planetarie. Per un'estesa analisi sull'argomento, qui riporta­ to solo in breve, fondamentale è ancora CuMONT 1942, pp. 37-63; CuMONT 1966, p. 40. Cfr. GuÉNON 1962, pp. 245-246; SIMONINI 1986, pp. 194-195. 34 Cfr. PORFIRIO, Antro Nymph. , 22.9-14; 23.7-10; MACROBIO, Somn. Scip . , 1.9.9. Cfr. SIMONINI 1986, pp. 198-199. 35 PLATONE, Respubl., 614c-615. Cfr. FIRMICO MATERNO, Math. , 3.1.1. 36 PROCLO, In Plat. Remp . , 2, pp. 128-132 Kroll. 37 PORFIRIO, Antro Nymph. , 22.10. Porfirio attinge in gran parte dall'opera del neo­ pitagorico Numenio di Apamea (cfr. SIMONINI 1986, pp. n6, 243-244; BECK 1988, p. 93).

I3I

CAPITOLO TERZO

(ove erano concepite a ovest e a est secondo l'asse polare), ven­ gono ora situate nel cielo, rispettivamente a nord e a sud, secon­ do un asse che privilegia il simbolismo solare38. È per questo che anche il ciclo zodiacale diviene un'immagine ridotta dei cicli co­ smici e, di conseguenza, del percorso individuale : i due solstizi, i punti estremi del percorso solare, corrispondono infatti ai due termini estremi di questo ciclo, ove il segno del Cancro coincide con !' "entrata" nell'esistenza umana, nella genesi e nel mondo materiale; il segno del Capricorno, invece, con !' "uscita" da essa, per la quale si giunge al mondo dell'etereo e degli esseri divini. Dato che anche le anime degli iniziati mitriaci devono com­ piere lo stesso percorso, attraversando progressivamente l'intero universo planetario, è verosimile che le chiavi di cui è spesso do­ tato il Leontocefalo siano, oltre che simbolo iniziatico, anche un esplicito riferimento alle porte che l' anima deve attraversare - sia quelle che separano un grado iniziatico dall'altro39, sia quelle che preludono all'ascesa e alla discesa delle anime, presiedute dallo stesso Mithra40• Ciò spiegherebbe perché a volte vi sono due chia­ vi, a volte una sola: le due chiavi insieme rimandano esplicita­ mente alle due porte e quindi ai due segni che le rappresentano, il Cancro e il Capricorno; quella singola, invece, può alludere più semplicemente al solo percorso di ascesa, quello ultimo e definiti­ vo. Questi oggetti, del resto, sono raffigurati di frequente insieme alle ali, altro simbolo di ascensione (nn. 4, 7, 9, n, 14, 15, 21, 26, 29, 30, 33, 35, 36, 49) Ulteriori particolari iconografici paiono trovare un senso e un significato più chiari. I piccoli fori che caratterizzano alcune chia­ vi potrebbero essere interpretati alla luce del percorso astrale che l'anima dell'iniziato deve compiere; i dodici fori (n. 7) potrebbero rappresentare un esplicito richiamo all'intero percorso zodiacale

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Tale è l'orientamento anche dell'antro mitriaco descritto da Porfirio (PORFIRIO,

Antro Nymph. , 76-77). 39

Cfr. MERKELBACH 1988, p. 362. Cfr. LAJARD 1843, pp. 254 ss. ; TMMM l, pp. 83-84. Cfr. BECK 1988, p. 58; sul signi­ ficato delle porte nel mitraismo si veda anche GoRDON 1976. 4°

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GLI ATIRIBUTI E GLI OGGETII ASSOCIATI AL LEONTOCEFALO

(o ai dodici mesi), sia nei momenti di discesa che di risalita41; così, la chiave a due fori (n. 17) si riferirebbe alle due stelle principali, il Sole e la Luna, nonché ai segni zodiacali cui sono associati, il Cancro e il Capricorno; i cinque fori (nn. II, 30), infine, alluderebbero ai cinque grandi pianeti, ovvero Marte, Giove, Mercurio, Venere, Saturno42• 2.

Il fulmine e lo scettro: la presenza di Giove nel culto mitriaco

Fulmine e scettro costituiscono una chiara allusione a Giove, la massima divinità latina, di cui rappresentano gli attributi distin­ tivi. La rappresentazione canonica lo ritrae stante, nudo, appog­ giato con una mano alzata allo scettro e con il fulmine impugnato nell'altra abbassata43: la medesima pastura viene assunta integral­ mente da quella del Mithra-Phanes di Modena (n. 44) che, in posi­ zione eretta e frontale, impugna lo scettro e il fulmine allo stesso modo; nelle raffigurazioni del Leontocefalo, invece , ciò risulta evidente solo per quel che riguarda lo scettro (nn. 4, 7, 14, 17, 22, 30, 35, 49, 52); rari, infatti, sono i casi in cui fulmine e scettro ap­ paiono contemporaneamente (nn. 7, 14, 49), piuttosto l'uno o l'al­ tro risultano associati ad altri strumenti, quali la chiave (nn. 4, 17, 30, 35) o il globo (nn. 4, II, 14, 30) . Si distinguono, inoltre, alcune peculiarità, come il caso del fulmine alato terminante con busto a testa umana cinta da corona radiata (n. 14) : il particolare delle ali corrisponde, in verità, a una tipologia attestata in ambito orien­ tale per il periodo ellenistico44, che ha modo di diffondersi anche in occidente durante il periodo imperiale , probabilmente proprio con il propagarsi delle nuove tensioni religiose di origine orienta­ le, in cui prevale un valore di natura astrale45. Lo stesso busto a te­ sta umana con corona radiata (n. 14) non farebbe altro che sottoli-

41 4> 43

MERKELBACH 1988, p. 362. Cfr. PLATONE, Tim. , 38C. OviDIO, Fast., 1.202. Cfr. CANCIANI 1997, pp. 428·431, nn. 56-97. 44 Il fulmine alato è ampiamente documentato nelle monete seleucidi e parti· che; così su monete e cretule (III·ll secolo a.C.) che provengono da Seleucia sul Tigri (INVERNIZZI 1997, p. 389, n. 183). 45 Cfr. GUNDEL 1992, p. 77-

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CAPITOLO TERZO

neare questo valore simbolico, alludendo più specificatamente al potere esercitato dallo strumento celeste sull'anima dell'iniziato. Ciò potrebbe valere anche per altri particolari iconografici, per esempio lo scettro che, se ornato con pomelli alle estremità e con dodici fasce a spirale lungo l'asta (n. 30), rinvia ai dodici segni del­ lo zodiaco e, dunque, al percorso celeste delle anime46. Nel caso, poi, dello scettro che si presenta più corto della dimensione con­ sueta (nn. 4, 17, 49) e perciò identificabile col baculum di Giano, si avrebbe un ulteriore riferimento alla via iniziatica, confermato dalla presenza della chiave con cui viene associato. Il confronto con Giove acquisisce un senso più esplicito dal momento che rappresenta una divinità venerata all'interno del pantheon mitriaco, ove non ricopre tanto il ruolo di divinità supre­ ma che la tradizione latina gli assegna, quanto piuttosto, quello di divinità planetaria che pone sotto la propria tutela il grado mitria­ co del Leo47: il fulmine e lo scettro, pertanto, ne evocano il potere astrale e la dimensione cosmica cui egli presiede, enfatizzando in questo modo la stretta connessione tra il Leontocefalo e Gio­ ve, da un lato, e tra il Leontocefalo e il grado del Leo, dall'altro. È soprattutto il fulmine , però, che viene a detenere un significato e un ruolo del tutto particolari: oltre a comparire tra i simbo­ li del quarto grado sul pavimento del mitreo di Felicissimo ad Ostia, esso costituisce il richiamo simbolico a un preciso episo­ dio mitico che costituisce uno dei momenti più significativi della mitologia mitriaca, come dimostrano le numerose scene in cui viene raffigurato48: si tratta della consegna della folgore da parte di Saturno a Giove perché la utilizzi contro i Giganti, episodio che nella mitologia mitriaca sembra detenere una certa importanza, 46 Cfr. MERKELBACH 1988, p. 382. 47 A confermare che i Leones sono sotto la protezione di Giove,

è !"iscrizione del Mitreo di Santa Prisca, posta sopra una delle figure che compongono la cosiddetta processione dei Leones: [Nama Leonibus Du[tela] Io[vis], in cui il termine nama indica una parola generica con cui gli iniziati a questo grado potevano essere chiamati all'in· terno della comunità, in alternativa al loro nome sacro assunto durante la cerimo· nia di ordinazione (MERKELBACH 1988, pp. 129·130). Cfr. VERMASEREN, VAN ESSEN 1965, pp. 148-150. 48 C/MRM Il, nn. 1292, 1400, 1430, 1574, 2353.

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GLI ATIRIBUTI E GLI O GGETII ASSO CIATI AL LEONTOCEFALO

come indicano le frequenti raffigurazioni nei rilievi e negli affre­ schi cultuali in cui la Gigantomachia precede la figura di Saturno dormiente e la nascita di Mithra dalla roccia49. Il fulmine, cui le speculazioni stoiche e platoniche affidano un valore prettamen­ te demiurgico50, rappresenta il simbolo della separazione tra le due figure e ne sancisce definitivamente i ruoli: il protagonista della demiurgia "materiale" diviene Zeus, ma Saturno ne rimane il sostanziale promotore, la cui attività resta confinata nel mondo dell'intelligibile5' . Non è evidentemente casuale che tale episodio, interpretabile in definitiva come un passaggio di consegne, venga assunto a modello per il rituale della cerimonia di consacrazione dei Leoni52: da un lato, rivela una precisa correlazione tra questo stesso grado e Sa turno, dio planetario e custode del Pater, dall'al­ tro una netta subordinazione del primo rispetto al secondo53. A questo racconto mitico, incluso tra le scene che decorano i lati dell'affresco Barberini (n. 46), si riferisce probabilmente an­ che una delle composizioni più complesse, quella del rilievo di Ottaviano Zeno (n. 28) . Nella fascia superiore, al centro di sette altari fiammanti che si alternano a sei pugnali su sostegno, è rap­ presentata una figura stante e alata, avvolta da serpente, che tiene con la mano destra uno scettro; un'altra figura, sempre avvolta da serpente , ma priva delle ali e dello scettro, si trova accanto all'ultimo altare a sinistra. L'intera sequenza si conclude con l'im­ magine di Sol raffigurato in posizione frontale con la quadriga,

49 Il tema della Gigantomachia riveste una notevole importanza anche nello gnosticismo; sull'argomento, si veda MASTROCINQUE 2009, pp. IOI-109. 5o Hymn. In Iov. , 9-12; PROCLO, Th. , V.13,V.22; In Tim. , I II2 Diehl. 5I ALBANESE 2001a, pp. 64-67. 5 1 Durante la cerimonia, l'iniziato al quarto grado si inginocchiava davanti al Pater, dal quale riceveva una corona sopra la testa. Una chiara illustrazione di questa consacrazione compare su entrambe le scene laterali del bordo inferiore di un rilievo proveniente da Roma, in cui il Pater, oltre ad appoggiare la corona sul capo del neo­ adepto, stringe con la destra una folgore che porge in un secondo momento all'uomo in ginocchio (CIMRM l , n. 350; MERKELBACH 1988, fig. 47). 53 Una conferma di ciò potrebbe derivare dal pavimento musivo del mitreo delle Sette Porte, in cui il busto di Saturno sovrasta Zeus fulminatore (ALBANESE 2oora, p. 67; BECATTI 1954, p. 95, fig. 20).

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CAPITOLO TERZO

nell'angolo sinistro, e con quella di Luna, rappresentata invece di profilo con la biga, nell'angolo opposto. L'interpretazione risulta alquanto problematica perché non è chiaro dallo stato di conservazione del rilievo quale testa aves­ sero le due figure avvolte da serpente - se di leone o di uomo; a differenza delle illustrazioni rinascimentali che le ripropongono entrambe con il volto umano, è più probabile in realtà che fossero entrambe di leone o che lo fosse almeno una delle due54• A ciò si aggiunge un'ulteriore difficoltà, dovuta al fatto che la sequenza dei diversi elementi raffigurati non risulta affatto di immediata lettura: da un lato gli altari sono identici l'uno all'altro e non pre­ sentano alcuna indicazione; dall'altro, le due figure, poste in rela­ zione al primo e al quarto altare, implicano necessariamente una valenza specifica. Nel seguire le orme principali della complessa interpretazione avanzata da Roger Beck55, si può affermare, con una certa sicurezza, che la serie proceda da destra verso sinistra, ovvero da Luna a Sol; Luna, in genere , ricopre di norma un ruolo inferiore rispetto a quello di Sol, sia dal punto di vista astrologico, essendo il punto di partenza dell'ordine caldeo56 e di quello dei

54 Di tale opinione è , tra gli altri, Mastrocinque; lo studioso, in particolare, ritie· ne che le due figure, una leontocefala e una umana, rappresentino, rispettivamente, Arimanio ed Eros-Phanes e che proprio il rilievo di Ottaviano Zeno (n. 28) costituisca la prova della loro correlazione (MASTROCINQUE 1998, p. 104). La posizione assunta dalla figura alata, al centro tra gli altari, è la stessa del Leontocefalo che nell'affresco Barberini (n. 46) interrompe al centro sia la sequenza dello zodiaco, sia quella degli altari accesi. 55 BECK 1988. 56 L'ordine caldeo si basa sui periodi geocentrici di rivoluzione dei pianeti e pre­ vede che il pianeta con il periodo più lungo di rivoluzione sia anche il più lontano (in ordine crescente: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marre, Giove, Saturno); secondo tale concezione, i pianeti non detengono una posizione fissa, ma possono assumere combi­ nazioni differenti e determinare quindi delle varianti. Si tratta di un ordine convenzio­ nale che in epoca ellenistica diviene dominante in quanto adottato sia dagli astronomi che dagli astrologi, nonché dagli intellettuali greco-romani che si occupano di tale argomento (Cicerone, Vitruvio, Plinio, Plutarco). Esso viene recepito nel mitraismo probabilmente in virtù del ruolo centrale assegnato al Sole (cfr. BECK 1988, pp. 4-7).

GLI ATIRIBUTI E GLI OGGETII ASSOCIATI AL LEONTOCEFALO

giorni della settimana57, che nell'orizzonte misterico: in Luna, infatti, si identifica il toro sacrificato da Mithra, mentre quest'ul­ timo con Sol, secondo un rapporto di subordinazione che viene rispettato anche nella successione iniziatica dei gradi, in cui il Per­ ses, tutelato da Luna, precede l'Heliodromus, protetto da Sol58• A questo punto, due sono le letture possibili: se alla sequenza degli altari si fa corrispondere la successione dei gradi iniziatici, risulta che le due figure avvolte dal serpente si riferiscono, rispet­ tivamente, al grado centrale del Leo, tutelato da Giove, e a quello del Pater, sotto la protezione di Saturno59: ecco che allora l'im­ magine priva di ali e di scettro potrebbe evocare il passaggio del comando da parte di Kronos-Saturno a Zeus-Giove, quasi si vo­ lesse, in termini esoterici, trasferire al leone il potere del padre60. Al medesimo risultato si perviene anche se la sequenza del rilievo viene interpretata secondo l'ordine caldeo: in questo caso, infatti, Saturno coincide con la figura priva di ali e di scettro, mentre quella posta al centro si identifica con il Sole61. È possibile applicare, in realtà, anche una terza lettura, che tuttavia non altera affatto le interpretazioni precedenti, piuttosto ne costituisce un ulteriore arricchimento : si tratta della serie dei giorni della settimana62, che nei Misteri mitriaci coincide anche

57 Esso si basa sull 'ordine caldeo, ma adattato, in sede mitriaca, alla successione dei gradi iniziatici; secondo Beck, l'ordine mitriaco si sarebbe formato per la contaminazio· ne delle due sequenze, quella caldea e quella della settimana (cfr. BECK 1988, pp. 8-n). 5 8 Cfr. BECK 1994. pp. 44·46. 59 Secondo tale lettura, Sol e Luna non rientrano nella serie planetaria a cui sono correlati gli altari; Beck ritiene comunque possibile che essi possano essere compresi poiché, insieme a Saturno e a Giove, Sol e Luna presiedono ai quattro gradi superiori (i flE'tÉXovn:ç di PORFIRIO, Abstin. , IV.16). Cfr. BECK 1988, p. 69. 60 In realtà, non ci sono testimonianze che confermino questa interpretazione; essa risulta plausibile alla luce del fatto che Sa turno corrisponde all'ultimo grado mi­ triaco col quale si completa il viaggio dell'anima dell'iniziato attraverso i vari pianeti; a esso, dunque, non spetterebbero particolari funzioni in quanto onnicomprensivo. 6 ' In tal caso, Luna è correlata all'ultimo altare di destra, mentre Sol rimane isolato. 6' È quello che Beck definisce "ordine misto", in quanto basato su una sequenza riconosciuta pubblicamente, ma che può assumere valenze esoteriche (BECK 1988, pp. 70-71).

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con il sistema decanale dei segni zodiacali compresi tra il Toro e lo Scorpione63• Secondo questa interpretazione, la figura alata e dotata di scettro viene a corrispondere con Giove e con il decano del Leo, mentre quella priva di ali si identifica nuovamente con il pianeta Saturno, oltre che relazionarsi alla Bilancia, il segno equi­ noziale dell'autunno, e al Sole. Risulta evidente , a questo punto, che in tutte e tre le sequen­ ze la figura priva di ali si identifica sempre con Saturno, mentre quella centrale corrisponde, di volta in volta, al Leo, a Giove e al Sole, tutte figure che si dimostrano tra loro intercambiabili nei significati e nei ruoli. Lo stesso legame che intercorre tra il quar­ to e il settimo grado sembra basarsi su una implicita relazione tra Saturno e Giove che trovano in Sol un'associazione comune: la figura priva di ali, infatti, può essere al contempo Saturno e Sol, così come quella alata, riferibile al decano del Leo, può identificar­ si sia con Giove che con il Sole. J.

Il globo

Il globo (o la sfera) sul quale si eleva il Leontocefalo costitui­ sce un motivo di antica formazione che appare frequentemente come attributo di divinità, specialmente nella produzione numi­ smatica e glittica di età imperiale, cui viene affidata una valenza simbolica, alla cui formazione concorrono inizialmente motiva­ zioni filosofiche, astronomiche e scientifiche. I principali modelli

63 Si è già visto come i decani costituiscano un sistema atto a relazionare i pia· neti con le costellazioni e con i segni. Secondo Beck, i mitriasti utilizzano i decani per conciliare i movimenti delle stelle e dei pianeti, che, per influenza del Timeo platonico, vengono ad assumere differenti movimenti: le stelle si muovono verso ovest secondo lo stesso movimento dell'universo, mentre i pianeti procedono verso est. l mitriasti sarebbero interessati perciò a entrambe le rivoluzioni, cioè sia a quella delle stelle fisse che a quella dei pianeti (cfr. 0RIGENE, Contra Cels. , 6.22). Tale sistema troverebbe un'esplicita conferma nella sequenza dei busti degli dei planetari che compare sul bordo superiore di un rilievo di origine danubiana, ma conservato a Bologna (CIMRM I, n. 63o); degno di nota è il fatto che al centro ed esattamente sopra la testa di Mithra tauroctono compaia il busto di Giove, raffigurato frontalmente, a differenza degli altri posti di profi.lo (cfr. BECK 1988, p. 22).

GLI ATTRIBUTI E GLI OGGETTI ASSOCIATI AL LEONTOCEFALO

di riferimento si identificano nelle sfere celesti64 e a queste si ispi­ rano anche i globi del dio mitriaco, specie quelli caratterizzati da bande oblique (nn. 14, 30) o da falce di luna crescente (n. n). Il globo con bande secanti al centro (n. 30) appartiene a un tipo molto diffuso tra il I e il IV secolo d.C .65. Dei numerosi esem­ pi che si possono annoverare66, un confronto significativo è dato dal globo che compare al centro di un mosaico di tarda età im­ periale a Sainte Colombe (Rhòne), il cui valore astrale viene sug­ gerito dalle sette divinità planetarie che vi sono disposte intorno e dalle stelle distribuite sulle bande, oltre che sulla superficie67. Questi particolari inducono a ritenere che i cinque piccoli cerchi presenti su una delle bande del globo del dio (n. 30) possano esse­ re riferibili ai cinque pianeti principali e che le due fasce evochino lo Zodiaco e la Via Lattea68. Il carattere astronomico del globo sul quale si eleva il Leon­ tocefalo è ancora più esplicito nell'esempio in cui la banda risulta decorata da alcuni segni zodiacali (n. 14). Anche per questo tipo si possono citare numerosi confronti riscontrabili in modo diffuso tra il I e il IV secolo d. C. 69. Tra questi, senza dubbio il più significali4 Si veda l'analisi esaustiva di Arnaud, che, sulla base di un'ampia casistica, suddi­ vide i globi in tre tipologie diverse (A, B , C), con ulteriori sottogruppi (ARNAUD 1984) . 65 Corrisponde al gruppo B di Arnaud (ARNAUD 1984, p. 93, figg. 40-43 ) . 66 Cfr. GuNDEL 1992, nn. 301-306, 312-314, 316-318 (monete); nn. 329-332 (gemme); nn. 319-320 (medaglioni); nn. 307, 315, 322, 324, 327-328 (rilievi); nn. 308-311 (affreschi); nn. 336-339 (mosaici). 67 GUNDEL 1992, n. 338. 68 TMMM I, p. 89; cfr. ARNAUD 1984, p. 95. Merkelbach ritiene che la seconda fascia non rappresenti la Via Lattea, ma l'equatore celeste (MERKELBACH 1988, p. 382) . Completamente divergente invece l'ipotesi di Tabarroni, secondo cui esse rappresen­ tano lo spazio delle cinture oceaniche e delle terre abitate come accade nel globo di Cratete di Malia (TABARRONI 1965, p. 337) , ma ciò può valere al massimo per alcuni esempi tardivi in cui le bande si sono raddrizzate in senso orizzontale e verticale (ARNAUD 1984, p. 95 ) . 69 Si tratta del tipo c di Arnaud (ARNAuo 1984, p. 87, fig. 32, pp. 98-99, figg. 45-47, p. 108, fig. 51 ) . Altri esempi significativi sono il globo in marmo conservato nella Sala dei Busti del Vaticano (II o III-IV secolo d.C.), caratterizzato da una banda in cui sono riprodotti tutti i segni zodiacali (dall'Ariete ai Pesci), mentre il resto della superficie è decorato con ventisette stelle a otto raggi (GuNDEL 1992, p. 201, n. 1; GuRY 1997, p. 492, n. B , I.a.). Quindi, il globo collocato sotto il busto dell'imperatore Commodo-Eracle

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tivo è il globo zodiacale retto dall'essere alato della base della co­ lonna di Antonino Pio (160-161 d.C.), comunemente riconosciuto come Aion70: oltre a essere ornato con una falce di luna e cinque stelle, presenta una banda che procede dal basso a destra verso l'alto a sinistra, in parte coperta dalla mano della divinità, sulla quale si possono però distinguere i segni dei Pesci, dell'Ariete e del Toro. Essi indicano il percorso d'ascesa del Sole, con chiara allusione al tema cosmico dell'ascesa al cielo, volto a sottolineare, in questo caso, l'apoteosi della coppia imperiale71 • Il globo del Leontocefalo conservato alla Galleria degli Uffizi (n. 14) presenta la banda rivolta nella medesima direzione, ma i se­ gni rappresentati, ovvero Pesci, Scorpione e Bilancia, corrispon­ dono a una sequenza condizionata, come vedremo, da esigenze più propriamente religiose . La natura celeste del globo della di­ vinità leontocefala, nonché la sua connessione con la ripartizione del cielo nello zodiaco, risulta del resto confermata dalla figura stante su globo dell' affresco Barberini (n. 46), in cui essa compare al centro della serie zodiacale disposta ad arco sopra la scena della tauroctonia. In altri casi come questo, in cui il globo è completa­ mente liscio, è interessante osservare come i segni zodiacali siano talvolta raffigurati sul corpo del dio (n. 4): Ariete e Sagittario sul

(192/3-197 d.C.), in cui la banda, che procede in senso contrario al precedente, è carat­ terizzata dai segni del Toro, del Capricorno e dello Scorpione, secondo una sequenza inusuale, dovuta con ogni probabilità a un'esigenza propria del committente o dell'artista (GuNDEL 1992, pp. 77-79, 201, n. 4 e p. 203, fig.). A queste si deve aggiungere anche il globo di Arolsen, caratterizzato da una banda orizzontale che si sviluppa sull'intero globo, ove sono raffigurati i dodici segni zodiacali (dall'Ariete ai Pesci) (GuNDEL 1992, pp. 76-77). Altri esempi in GUNDEL 1992, pp. 287-292, nn. 275, 280·285, 287, 291, 293-294, 296-299. 70 DEUBNER 1912, pp. 16·20; LEVI 1944, p. 306; TURCAN 1975a, p. 314; GUNDEL 1992, p. 77. Altri lo hanno interpretato come Aeternita.s (VISCONTI 1820, v, pp. 189 ss.), Ascensus (BRENDEL 1942, pp. 88 ss.), Zephyrus (BROMMER 1967, pp. 4-5). Cfr. LEGLAY 1981, pp. 403404, n. 19; GUNDEL 1992, pp. 77-78, figg. 40a, 40b, 40C; p. 201, n. 3. 7' GuNDEL 1992, p. 77; TuRCAN 1975a, pp. 305-311. La sequenza dei segni della base di età antonina (Pesci, Ariete, Toro) compare anche sulla banda zodiacale del globo raffigurato sotto il cosiddetto trono di Kronos-Saturno, un rilievo marmoreo di età imperiale (GuNDEL 1992, pp. 201-202, nn. 4.1-4.2, p. 288, n. 286).

GLI ATTRIBUTI E GLI OGGETTI ASSOCIATI AL LEONTOCEFALO

petto, Cancro e Capricorno sulle cosce, simboli, rispettivamente, degli equinozi e dei solstizi72. 3. 1 Divinità con il globo: il Sol-Helios dell 'iconografia mitriaca Tra le divinità che detengono il globo come attributo73, l'im­ magine più esemplificativa ed emblematica è senza dubbio quella di SoF4, tanto più che riveste un ruolo di preminenza nel culto mitriaco. Sol è infatti il dio planetario tutelare del sesto e penulti­ mo grado, l'Eliodromo e, al contempo, è assimilato con l'epiteto di Invictus a Mithra75: esso viene raffigurato in sei tipi di scene in cui è sempre associato a Mithra76, anche se non è sempre chiaro se rappresenti effettivamente Sol o il grado iniziatico dell'Eliodro­ mo, poiché in entrambi i casi viene raffigurato secondo l'abitua­ le iconografia che lo ritrae con veste lunga manicata e mantello,

72 Si veda il torso di Arles (n. 6), ove i segni sono scolpiti in gruppi di tre sulla veste del dio, tra le spire del serpente, per evocare, in questo caso, le quattro stagioni. A queste o al cammino spiraliforme che il Sole compie intorno alla Terra durante i mesi stagionali, potrebbero rinviare anche i quattro serpenti che avvolgono con tre spire ciascuna ala del Leontocefalo di Palazzo Colonna (n. 40). Cfr. MERKELBACH 1988, p. 371. 73 Esso è frequentemente associato a divinità femminili raffigurate nell'atto di tenerlo con una mano o stanti sopra di esso, come nelle numerose rappresentazioni di Urania, la musa dell'astronomia (cfr. GuNDEL 1992, pp. 292-296, nn. 301, 323-325), alla cui iconografia si accosta quella di Providenzia (cfr. GuNDEL 1992, p. 292, n. 317), una personificazione allegorica di ampia attestazione nella produzione numismatica imperiale; seguono, inoltre, le raffigurazioni della dea Vittoria (cfr. GuNDEL 1992, pp. 295-298, nn. 319, 319.1, 320, 334), di Venere (cfr. LETTA 1988, n. 290, in cui la dea è insieme a Sol; GUNDEL 1992, p. 298, n. 332) e di Jside (cfr. TINH 1990, n. 210; GUNDEL 1992, p. 294, n. 3II). 74 Cfr. LETTA 1988. 75 Si veda a questo proposito il recente contributo di Luciano Albanese che, riprendendo un'ipotesi di Festugière, ritiene di poter identificare con Mithra il "dio dai sette raggi" citato da Proclo e dall'imperatore Giuliano (ALBANESE 2oorb). 76 Nella prima scena Sol è in ginocchio o accovacciato davanti a Mithra che lo incorona (cfr. CIMRM I , nn. 321, 835; CIMRM Il, nn. II37, n69, 1292, 1422, 1579, 2052); nella seconda, Sol è salutato da Mithra (cfr. CIMRM l, n. 1083); nella terza, Sol e Mithra pongono alcuni spiedi di carne su un'ara (cfr. CIMRM l, nn. 390; CIMRM Il, n. 1584); nella quarta, Sol e Mithra si stringono la mano (cfr. CIMRM l, n. 723; CIMRM 11, nn. II37. 1292); nella quinta, Sol e Mithra sono a banchetto (cfr. CIMRM l , nn. 483, 798, 835; CIMRM Il, nn. 1084, II37, 1292, 1415, 1422, 1896, 2052); nella sesta, Sol appare su una quadriga in corsa, su cui sale Mithra (cfr. CIMRM l, n. 390; CIMRM Il, nn. 1084, 1292, 1415, 2052).

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nimbo radiato, frusta e globo, riservando proprio a quest'ultimo il compito di alludere con la sua circolarità all'intero cammino che la divinità compie ogni giorno lungo l'equatore celeste e nel corso di un anno lungo lo zodiaco77• Così appare, per esempio, in un'ara votiva con l'iscrizione dedicatoria D(eo) S(oli) i(nvicto) M(ithrae), proveniente dal mitreo m dell'antica Poetovio in Pannonia78, in cui Sol, tra l'altro, risulta affiancato da un leone e così pure in un rilie­ vo di Neuenheim, ove compare anche il serpente79 - animali che, come si è visto, detengono una natura prettamente solare. Con il globo nella mano destra è pure il Leontocefalo dell'affresco di Santa Maria di Capua Vetere (n. 45), per quanto vi sia chi lo ritiene una raffigurazione del sesto grado80: questo stesso dubbio inter­ pretativo, dovuto in parte alle difficoltà di lettura per via dello sta­ to di conservazione dell'affresco, conferma quanto poco distingui­ bili possano essere, in certi casi, le due immagini. È indiscutibile, del resto, che vi sia una stretta connessione simbolica tra Sol e il dio a testa leonina, resa ancor più evidente dall'uso del nim­ bo radiato, che oltre a essere uno degli attributi distintivi di Sol, orna anche il capo del Leontocefalo di Ossirinco (n. 26) e di Rabat (n. 43), quello di Mithra-Phanes (n. 44) e del dio a testa umana di Mérida (n. 23). Anzi, è proprio quest'ultima che pare costituire una sorta di vox media tra i due tipi di immagini mitriache : da un lato, infatti, è alata e avvolta da serpente, dall'altro ha il volto di un bellissimo giovane dai tratti apollinei, mentre la maschera leonina scolpita sul petto ha la funzione di evocare la testa dell' animale8'.

77 Per il globo come attributo di Sol, cfr. CIMRM I , n. 986, CIMRM I I , nn. 1083.A5, nr6.r, II37.A4b, 2361). In altri casi il globo appare come attributo di Mithra (CIMRM II, n. 1289), di Atlante (CIMRM II, nn. 1283.7, 1292-4b) e in una circostanza di Vittoria, stante sopra di esso (CIMRM II, n. n81). 78 CIMRM Il, nn. 1591, 1592; MERKELBACH 1988, fig. 139; LEITA 1988, p. 623, n. 455. 79 CIMRM II, n. 1289; MERKELBACH 1988, fig. IL A questi si aggiunge anche l'esempio di un frammento circolare di marmo che riproduce la testa di un leone a fianco di un globo (CIMRM Il, n. 1522). Bo VERMASERI!N 1971, pp. 16-17. 8 ' Un'altra statua proveniente da Mérida rappresenta un dio stante, non radiato, con clamide e torcia nelle mani, con accanto alla gamba destra un leone (cfr. CIMRM I,

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GLI ATTRIBUTI E GLI OGGETTI ASSOCIATI AL LEONTOCEFALO

3.2 La via lattea e lo zodiaco: il cammino celeste delle anime La presenza delle bande su almeno due dei globi del Leon­ tocefalo, quali richiami alla Via Lattea e allo Zodiaco, sono in­ terpretabili alla luce di complesse speculazioni astronomiche che sottendono alla struttura cosmologica del mitraismo. Nell'immaginario degli antichi, la Via Lattea viene concepita come una fascia bianca e luminosa che avvolge la Terra, i piane­ ti e il cielo delle stelle fisse, e nella quale si identifica il sentiero celeste che le anime devono percorrere per giungere al mondo degli spiriti e degli dei immortali82. Si tratta di una concezione fortemente legata alla trasmigrazione delle anime, che nella cul­ tura greca permea tanto il pensiero orfìco, quanto quello pitago­ rico. La più antica autorevole fonte in materia è quella del filosofo eclettico Eraclide Pontico, per il quale la Via Lattea simboleggia il percorso ciclico che apre e chiude il destino dell'anima, nella sua genesi, o discesa nel mondo materiale, e nella sua apogenesi, o ritorno alla dimora originaria, propria degli esseri immortali83. Come si è visto in precedenza, questi passaggi avvengono attra­ verso le due porte celesti (solstiziali) identificabili nel segno del Cancro e del Capricorno che, sulla base della testimonianza di Macrobio, sappiamo essere i punti in cui la Via Lattea si interseca con lo zodiaco84• Nella realtà, la Via Lattea incontra la linea zo­ diacale all'altezza delle costellazioni dei Gemelli e del Sagittario, ma è probabile che questa apparente incongruenza possa essere superata ammettendo la possibilità che Macrobio si riferisse solo ai segni zodiacali. In questo modo, infatti, la porta del Cancro (solstizio d'estate) e quella del Capricorno (solstizio d'inverno) corrisponderebbero, rispettivamente , alla costellazione dei Ge­ melli e a quella del Sagittario. L'equivoco si chiarisce se si tiene n. 775; LEITA 1988, p. 624, n. 465). Merkelbach lo interpreta come un giovane iniziato del Leo (MERKELBACH 1988, p. 394). 82 DE SANTILLANA, VON DECHEND 1984, p. 293- Cfr. SIMONINI 1986, p. 217. 83 Questa credenza si ritrova, per esempio, anche nel pensiero del pitagorico Numenio di Apamea (fr. 31). Cfr. SJMONINI 1986, pp. 189-190. 14 MACROBIO, somn. Scip., 1.12.5. Per Porfirio, essi rappresenterebbero le due estre· mità della Via Lattea (PORFIRIO, Antro Nymph. , 28-4-6).

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conto dello spostamento causato dalla precessione degli equino­ zi, un evento cui gli antichi attribuivano grande importanza, in quanto ritenuto capace di incidere sulla struttura del cosmo e di determinare una successione delle età del mondo poste sotto i segni zodiacali85. Secondo tale fenomeno, i punti equinoziali e solstiziali non rimangono sempre nella stessa posizione rispetto alle stelle fis­ se, piuttosto si muovono lungo l'eclittica in direzione oppo­ sta rispetto a quella che il Sole segue nel suo percorso annuale . La precessione viene quindi intesa come il grande orologio dell'universo, di cui il Sole, con lo spostarsi all'equinozio di pri­ mavera e con l'allontanarsi da esso, scandisce le misure; la co­ stellazione che sorge a oriente immediatamente prima del Sole equinoziale indica il luogo in cui esso sosta in quel momento : al cosiddetto Tempo Zero il Sole era nei Gemelli, poi lentissi­ mamente è passato al Toro, quindi all'Ariete e infine ai Pesci86. È pur vero, tuttavia, che l'incrocio dell'eclittica con la galassia non risulta influenzato dalla precessione, ma, poiché si riteneva che le anime salissero e discendessero nel cielo durante i giorni solstizia­ li, le costellazioni che fungono da porte della Via Lattea dovevano sorgere agli equinozi oppure ai solstizi87. Per questo la Via Lattea viene immaginata come il punto da cui ha preso inizio la precessione e può indicare il percorso 'brucia­ to" del Sole, prefigurandosi come una pista abbandonata e dunque idonea a rappresentare il cammino degli spiriti, la via ascendente e discendente dove gli uomini e gli dei della mitica Età dell'Oro (i Saturnia Regna della tradizione latina) potevano incontrarsi88. 85 DE SANTILLANA, VON 0ECHEND 1984, pp. 97, 177-179; sull'importanza assunta dalla precessione degli equinozi nel mitraismo, cfr. ULANSEY 1989, pp. 22 ss. 86 Il Sole equinoziale occupa ciascuna costellazione zodiacale per circa 2200 anni; poiché il Tempo Zero dovrebbe essere identificabile intorno al sooo a. C, al periodo ar· caico corrisponde l'età dell'Ariete e a quello classico l'Età dei Pesci (DE SANTILLANA, voN OECHEND 1984, pp. 89-90, 294-295). Per questo, Macrobio e Porfirio si rifarebbero alla configurazione della mappa celeste propria dell'Età dell'Ariete (SIMONINI 1986, p. 219). 87 DE SANTILLANA, VON 0ECHEND 1984, p. 294· 88 Molto suggestiva è l'interpretazione di de Santillana, secondo cui l'episodio mitico dell'evirazione dei genitali di Urano da parte di Kronos-Chronos (la separazione

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Tutto ciò si inserisce nell'ambito di una speculazione astro­ nomica, in cui il movimento del Sole e quello dei pianeti e i cieli nelle loro rivoluzioni costituiscono la chiave interpretativa degli eventi che accadono sulla Terra. I pianeti e tutti i corpi celesti che si muovono di moto proprio rappresentano, parafrasando in termini platonici, le Persone del Vero Divenire e lo zodiaco costi­ tuisce il luogo degli accadimenti reali89: ciò che conta è dunque la fascia zodiacale tra i tropici celesti, fornitrice di "case" e di "ma­ schere" ai pianeti nei loro molteplici viaggi. 3 -3 Il ruolo apogenetico del Leontocefalo Alla luce di tutte queste considerazioni, emerge il ritratto di un Leontocefalo fortemente connotato da spiccate caratteristiche cosmiche che ne definiscono tanto la natura, quanto le princi­ pali prerogative che gli competono. Si tratta, a questo punto, di meglio contestualizzarne il significato all'interno dell'orizzonte misterico mitriaco, ove è possibile riconoscere, con il supporto delle fonti iconografiche e scritte, alcune concezioni di carattere cosmologico e cosmogonico che, come si vedrà, coinvolgono di­ rettamente il dio a testa leonina. Punto di partenza fondamentale è l'analisi operata ancora da Roger Beck90, di cui vengono qui ri­ prese le principali linee interpretative, affrontando prima di tutto una delle più complesse raffigurazioni, ovvero quella del Mithra­ Phanes di Modena (n. 44) .

del cielo e della terra) indica !"instaurarsi dell"obliquità dell"eclittica, l'inizio del tempo misurabile. Saturno, il re dell'Età dell'Oro, ha avuto l'incarico di instaurare tale obli­ quità perché è il pianeta più esterno e più vicino alle stelle fisse (DE SANTILLANA, VON DECHEND 1986, pp. 166-167). Di ciò si ha un riflesso nel De antro nympharum di Porfirio (cfr. SIMONINI 1986, pp. 166-167). 89 PLATONE, Phaedr. , 1 o 8c- nob. Nella cosmologia antica, la "vera terra" non è il nostro geoide, bensì la fascia zodiacale lungo la quale si muovono i pianeti passando per i quattro punti essenziali che dominano le quattro stagioni dell'anno: i due solstizi e i due equinozi. Il solstizio corrisponde all'inversione di marcia del Sole nel punto più basso dell'inverno e nel punto più alto dell'estate; gli equinozi, di primavera e di autunno, dividono l'anno a metà, in quanto sono i punti di intersezione dell'equatore con J' eclittica (DE SANTILLANA, VON 0ECHEND 1984, pp. 92, 98). 9o Si veda, in particolare, BECK 1988, pp. 42-100.

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In questo rilievo, il giovane dio che esce dall'uovo cosmico è inserito al centro di un anello zodiacale, secondo un tipo di com­ posizione che a partire dal I secolo d . C . si protrae fino a tutto il periodo medievale, in cui solitamente le divinità, in particolare Aion, che vi sono rappresentate appoggiano la propria mano sulla fascia zodiacale, in corrispondenza dell'Ariete e del Toro9'. Sono gli stessi segni che, insieme a quello dei Pesci, si sono visti caratte­ rizzare il globo del Genio alato della base della colonna di Antoni­ no Pio e che, non casualmente, si dispongono ad arco anche sopra la testa dello stesso Mithra-Phanes. Come è già stato sottolineato, essi evocano il cosiddetto Thema mundi, ovvero la disposizione dei pianeti nei segni dello zodiaco all'inizio del mondo (genitura mun­ di), secondo l'ordine tramandatoci da Firmico Materno92, in cui l'Ariete, xe