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Italian Pages 213 Year 1975
WORKING PAPERS SULLA SOCIETA CONTEMPORANEA
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IL tASCISMO NELL'ANALISI SOCIOLOGICA
Testi di Gianfranco Bettin, Paolo Giovannini, Giorgio Marsiglia, Andrea Messeri, Rossana Trifiletti Baldi
a cura di Luciano Cavalli
SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO
BOLOGNA
Copyright
© 1975 by Società editrice il Mulino, Bologna CL-27-0790-X
INDICE I
pag.
7
Introduzione, di Luciano Cavalli
21
Roberto Michels: crisi della democrazia parlamentare e fascismo, di Andrea Messeri
35
Ortega y Gasset: fascismo e società di m~ssa, di Gianfranco Bettin
45
Ideologia e masse: Karl Mannheim, di Paolo Giovannini
57
L'interpretazione psicosociale: H. D. Lasswell, E. Fromm, W. Reich, di Rossana Trifiletti Baldi
85
La scuola di Francoforte: M. Horkheimer, T. W. Adorno e H. Marcuse
123
Il • totalitarismo »: H. Arendt, C. J. Friedrich e Z. K. Brzezinski, di Andrea Messeri
151
Interpretazioni della sociologia americana: T. Parsons, C. W. Mills, R. Bendix, S. M. Lipset, di Giorgio Marsiglia
175
Classi rurali e fascismo: Barrington Moore Jr., di Paolo Giovannini
193
Gino Germani: ipotesi per una sociologia comparata del fascismo, di Gianfranco Bettin
207
Notizie sugli autori presi in considerazione
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INTRODUZIONE di Luciano Cavalli
I. Questo libro raccoglie un gruppo di saggi scritti da G. Bettin, P. Giovannini, G. Marsiglia, A. Messeri, R. Trifiletti Baldi. Ciascuno dei saggi è dedicato ad uno o piu autori, che hanno preso in esame il fascismo 1, non come storici, ma come « scienziati sociali»: sociologi, psicologi, politologi ed altri studiosi per piu versi affini: Adorno, Arendt, Bendix, Brzezinski, Friedrich, Fromm, Germani, Horkheimer, Lasswell, Lipset, Mannheim, Marcuse, Michels, Mills, Moore, Ortega y Gasset, Parsons, Reich 2 • Restano esclusi, oltre a tutti gli storici, molti -autori che pure hanno dato un contributo prezioso allo studio del fascismo. Ad esempio, i filosofi che, come Nolte o Del Noce, hanno proposto l'approccio transpolitico; sebbene, a volte, il loro discorso si faccia assai simile a quello degli scienziati sociali. Anche la ricchissima « scuola » marxista, che da sola richiederebbe e meriterebbe un libro, è stata esclusa: e con essa le interessanti interpretazioni di Gramsci e Togliatti, di Trotski e Poulantzas. Ma anche nel campo delle scienze sociali in senso ristretto si sono dovute operare scelte e rinunzie. Innanzitutto, per salvaguardare l'omogeneità del libro, si sono lasciati fuori i sociologi che con le loro teorie, formulate subito prima, potevano avere in qualche modo preparato ideo1 Data la natura di questo libro, sopra descritta, non si è potuto lavorare in base ad una definizione rigorosa del fascismo, e una conseguente delimitazione dei fenomeni storici da. considerare. Coloro che hanno scritto i i;aggi qui raccolti tendono ad assimilare, sotto questo nome, ~oprattutto il fascismo italiano e il nazismo tedesco, come buona parte degli autori esaminati, d'altronde; ciò non significa, naturalmente, chiudere gli occhi di fronte alle differenze storiche. Non è da nessuno accettata, mi pare, quella prospettiva di eterogeneità affermata, ad es. da Del Noce. 2 Ortega è spesso collocato tra i filosofi sociali, ma si riconosce generalmente il valore sociologico della parte che qui interessa del suo discorso, non fosse che per il contributo portato allo studio positivo della società di massa, di cui il fascismo è tipica espressione. Quanto ai francofortesi, il loro uso di strumenti concettuali delle scienze sociali, e dei metodi relativi, è piu che noto.
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logicamente il fascismo, o formato schemi validi per interpretarlo: come Weber, soprattutto per il suo discorso sul capo carismatico, o Pareto, per la sua teoria delle élites 3 • Si è restati, cosf, fedeli al criterio di includere solo le ricerche aventi per oggetto il fascismo, come fenomeno da comprendere e spiegare. Nemmeno con questa ulteriore delimitazione del campo, tuttavia, si poteva sperare di essere esaurienti. Si sono necessariamente dovute operare altre scelte e altre esclusioni, in base ad una valutazione, che resta inevitabilmente alquanto soggettiva, del valore dei contributi portati, e per giunta ai fini di una nuova riflessione sociologica, promossa dall'Istituto di sociologia del « C. Alfieri», sulle origini, l'ascesa e la natura del fascismo italiano ai suoi inizi (con scarsa attenzione, dunque, per alcuni temi classici, come quello dello stato totalitario). Naturalmente il lettore osserverà, ad un primo sguardo, che gli autori qui trattati erano stati già considerati per il loro pensiero sul fascismo, anche in opere italiane; in particolare nelle Interpretazioni del fascismo di De Felice. Tuttavia, queste pur validissime opere non avevano lasciato ampio spazio ai nostri autori; credo che con questa nostra raccolta se ne offra finalmente al pubblico colto un'ampia trattazione, estesa a tutti i loro scritti e alla critica rilevante, come strumento di qualche utilità per l'approccio interdisciplinare al fascismo. II. Vorrei dir subito che non c'è in questa raccolta nessuna interpretazione che possa davvero proporsi come totale ed esauriente. D'altronde, pochi sono i tentativi veramente sorretti da una aspirazione di interpretazione globale. Molti autori si sono sforzati, con rigore metodologico diverso, di seguire una linea di ricerca (od alcune) su un terreno disciplinare delimitato, raggiungendo cosI risultati interessanti, ma ovviamente parziali. Credo ad ogni modo che sarebbe un grave errore sopravvalutare, ad es., il tentativo reichiano, peraltro suggestivo, di spiegare il fascismo con la repressione sessuale, specialmente nella piccola borghesia; o il costrutto della personalità sado-masochista, che Fromm impiega cosI ef. ficacemente nell'analisi del ruolo giocato da quei medesimi strati borghesi nel fascismo. Cosi come - ma questo è notorio - non bisogna dare una parte che non sia marginale al costrutto della personalità autoritaria, che le ricerche di Adorno ed altri hanno reso famoso. Mi pare che il merito degli autori qui trattati sia soprattutto quello 3 Ben considerando, il fatto che Pareto, morto nel '23, avesse visto e commentato il primissimo momento del fascismo italiano, non è parso sufficiente a includere qui un esame della sua opera, pur interessantissima. Con Pareto, sono restati esclusi anche uomini come O. Spann (t 1950), che del nazismo erano stati precursori e poi osservatori, invero non particolarmente illuminanti.
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di aver messi in luce aspetti nuovi o poco considerati del fascismo, di aver posti problemi nuovi, avanzate idee, spesso illuminanti, iniziate analisi in direzioni non ancora battute, sperimentati approcci e metodi inediti. Forse da questa lettura deriva in primo luogo un arricchimento nel senso ora indicato, e se si vuole un invito all'eclettismo: perché in effetti i risultati del lavoro di questi studiosi si lasciano in grande parte integrare, intorno ad un articolato insieme di temi e problemi che essi stessi hanno molto contribuito a definire. Proprio per questa ragione, credo che lo scopo principale di questa introduzione possa essere, dopo aver delineate e in certo modo superate le differenze tra gli approcci fondamentali, quello di indicare alcuni temi o problemi particolarmente rilevanti, e poi alcuni apporti forse piu degni di attirare l'attenzione dello studioso. Cercherò anche di indicare alcune lacune dell'indagine, e alcune carenze di oggettività. Va ricordato, a questo proposito, che tutti gli autori qui trattati, tranne Michels, erano avversi al fascismo; e molti di loro, in quanto ebrei e quindi toccati nel loro stesso sangue, erano inclini a considerare non solo quei fenomeni, ma la stessa civiltà in cui si manifestarono, con giusto risentimento e buio pessimismo. III. Quattro sono, schematizzando, gli approcci al problema per noi fondamentale delle origini del fascismo. Vi sono innanzitutto gli autori che cercano le origini del fascismo in una struttura generale della civiltà umana; e poi coloro che lé vedono nella struttura propria della civiltà occidentale moderna. Altri accusano invece la storia italiana e tedesca, per quanto esse hanno di peculiare. Qualche autore si muove tra questi tre approcci. È forse possibile indicare Reich come rappresentante abbastanza tipico del primo approccio, in quanto crede di trovare le origini del fascismo nella repressione sessuale che ha caratterizzato lo sviluppo della civiltà, anche se in particolare della civiltà occidentale borghese. Vicino a lui si può porre Fromm, che vede nel fascismo una particolare forma di « fuga dalla libertà », fenomeno ricorrente di una storia conceoita come progressiva liberazione dell'uomo dalla tutela del gruppo, primario in particolare, che ha in Occidente le sue espressioni piu drastiche. Gli esponenti della scuola di Francoforte, Horkheimer, Adorno, Marcuse, sono piu inclini a concentrare il loro attacco sulla civiltà occidentale moderna; si veda, per es., il discorso di Horkheimer sulla « autodistruzione della ragione», o quello di Marcuse sulla « cultura affermativa ». Questi autori riconnettono specificamente il capitalismo con il fascismo, solo in quanto espressione culminante dello sviluppo occidentale moderno; e in ciò sta forse la principale differenza rispetto ad autori 9
marxisti attentamente fedeli al pensiero di Marx 4• Accanto ai francofortesi, ma su posizioni differenziate, va posto Parsons, quando spiega il fascismo soprattutto come reazione patologica al progressivo attuarsi di quel fenomeno di razionalizzazione con cui Weber aveva caratterizzata la civiltà occidentale moderna; e che è almeno in parte lo stesso che gli studiosi di Francoforte analizzano in chiave negativa, sotto altra etichetta (si veda in particolare Horkheimer sulla « ragione soggettiva » ). Piu vicini al secondo approccio che agli altri sono d'altronde molti autori, come Ortega, Mannheim, Michels, per fare alcuni nomi particolarmente significativi. Il terzo approccio non è rappresentato in modo tipico tra gli autori qui prescelti, ed è d'altronde il meno sociologico; tuttavia quasi tutti ricercano alcune condizioni dello sviluppo del fascismo nelle peculiarità dello sviluppo storico tedesco o italiano. Cosf Parsons e Michels, per esempio, portano certamente utili contributi di carattere specifico. Il quarto approccio che mi pare di poter distinguere sussume il fascismo sotto etichette piu comprensive, cioè come, o specificazione di un fenomeno, o esito di un processo, che si sarebbero manifestati o potrebbero manifestarsi, in società diverse anche non occidentali, ad un certo punto della loro storia moderna. Vi rientrano, nonostante le differenze, almeno due « scuole ». Quella degli studiosi del « totalitarismo », rappresentata da autori come Friedrich e Arendt, per i quali il « totalitarismo » è un fenomeno tipico del nostro tempo, che si è manifestato in Italia, in Germania e soprattutto nell'URSS. In loro l'interesse è soprattutto rivolto alle analogie tra i regimi politici, non allo svolgimento storico nella sua complessità e ricchezza; ma anche questa scelta ristretta può dare utili frutti. L'altra scuola (in senso lato) è quella della « modernizzazione », che considera il fascismo come un possibile passaggio dello sviluppo « moderno » della società, che si compie ovunque, anche se in tempi e in modi diversi, con l'acquisizione di certe caratteristiche strutturali. L'assunzione di questa posizione strategica consente l'esame comparato e distaccato di fenomeni certamente analoghi sotto importanti aspetti, come il fascismo italiano e il peronismo, ma forse espone al rischio di perdere di vista caratteri specifici ed essenziali; già il concetto di modernizzazione è tutt'altro che univocamente e chiaramente definito. In questo libro trovano posto alcuni autori che hanno piu abilmente e fruttuosamente lavorato in base a questo concetto, come Barrington Moore, che ha posto in evidenza soprattutto 4 Accanto ai francofortesi, si collocano autonomamente anche pensatori cattolici. Tra questi, Del Noce, che considera il fascismo una manifestazione della civiltà occidentale moderna, caratterizzata da progressiva «secolarizzazione»; piu esattamente, del primo momento, o «sacrale», dell'« epoca della secolarizzazione» (il secondo, o «profano», essendo espresso dalla società opulenta).
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le radici del fascismo in certi tipi di struttura e storia agraria, non solo in Europa, e Germani, che ha soprattutto sottolineato l'importanza di alcune dislocazioni (o « spostamenti ») sociali, a danno in particolare dei ceti medi, nella trasformazione economico-sociale che dà luogo al fascismo 5• Naturalmente va ancora ricordato che singoli autori si collocano su posizioni assai particolari, che possono trovare riferimenti difficili nei quattro approcci. Il caso forse piu tipico è Pareto 6 • Ma chi consideri la maggior parte dei nostri autori, e in particolare Reich, Fromm e i francofortesi, riconoscerà probabilmente la utilità di tener presenti le distinzioni di approccio qui tracciate, magari insieme alle considerazioni fatte in precedenza sul rapporto psicologico degli autori con il fenomeno in oggetto. IV. Se vi è, nonostante tutto, un punto (abbastanza ovvio) di incontro tra gli studiosi qui considerati, è che l'esplosione dei fenomeni fascisti tra le due guerre mondiali era connessa, in modo certamente causale, con una complessa crisi, economica, sociale e politica, che maturava dalla fine del secolo e che il conflitto 1914-18 aveva portato a compimento. Questa crisi coinvolge tutto l'Occidente, e si manifesta direttamente come crisi delle sue unità di base, gli stati nazionali borghesi, e delle relazioni tra di loro 7 • L'Italia e la Germania sono, per una serie di ragioni, piu duramente provate. Per questo, la crisi dello stato nazionale borghese raggiunge qui il punto di rottura; le istituzioni liberali e il principio stesso che era alla loro base rovinano largamente, nel campo economico, sociale e politico. Mi sembra di poter azzardare, per inciso, l'ipotesi che la sopravvivenza dello stato nazionale, in Germania e in Italia, potesse essere quasi soltanto cercata 8 attraverso la dittatura, l'organizzazione 5 Almeno in nota vorrei rammentare Organski, come uno di coloro che ha compiuto, per tempo e con ampia visione, il tentativo di costituire un quadro teorico della modernizzazione, ricollegando lo sviluppo politico a quello economico; e Garruccio, sebbene il suo contributo sul fascismo italiano abbia un carattere piu specificamente economico. Da citare è anche Dahrendorf, per i penetranti scritti sul nazismo come forza di modernizzazione, nel senso specialmente di render tutti i tedeschi « cittadini », abolendo privilegi e poteri tradizionali, che contrastino questo sviluppo. 6 Per Pareto, il fascismo è in un senso fondamentale manifestazione del ritmo altalenante che domina la storia, e che tipicamente si esprime nell'avvicendamento delle classi dominanti. Tuttavia, questa siderea analisi della storia (che ci rammenta tanto il primo quanto il quarto approccio) è temperata da un esame puntuale della crisi occidentale contemporanea, e italiana in particolare (che ci porta vicini cos{ al secondo come al terzo approccio). 7 Si veda, in particolare, il discorso di Michels e quello della Arendt. 8 Al di fuori, si intende, della via del socialismo e del rapporto organico con l'URSS, d'altronde aperta, e forse piu in teoria che in pratica, per la sola Germania.
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corporativa e la mobilitazione totalitaria per la guerra imperialistica: dal cui esito veniva a dipendere tutto l'avvenire dello stato nazionale. La guerra 1939-45, in realtà, si incaricherà poi di segnare la fine della reale indipendenza di tutti gli stati nazionali europei, e di stabilire la primazia in Occidente degli USA, come guida economica, politica e militare. L'attenzione dei nostri autori si concentra, come ho già detto, su aspetti diversi della crisi complessa che dà luogo al fascismo. L'analisi della crisi del capitalismo occidentale tra le due guerre non riceve tuttavia importanti sviluppi, per ovvie ragioni; gli autori trattati, che sono sociologi politologi e psicologi, si limitano a ricordarne l'importanza, e in particolare l'importanza delle crisi economiche del '21 e del '29, alle quali sono rispettivamente connesse l'ascesa del fascismo italiano e quella del nazismo in Germania. L'interesse loro (e nostro) si volge preminentemente, come è logico, alla crisi sociale, che si esprime soprattutto in nuovi termini di lotta di classe e assicura una base di massa, in larga parte piccolo borghese, al fascismo; e ciò determina l'analisi della crisi della democrazia parlamentare, da un lato, e, dall'altro, del fascismo: il ruolo del capo, della leadership e del seguito, l'ideologia, la propaganda. Con ciò, il discorso già investe lo stato totalitario fascista, la sua struttura, la funzione dei suoi elementi; ma questa parte, come s'è accennato, ha rilevanza molto minore in questo libro 9• V. L'aspetto piu saliente della crisi della struttura sociale nel primo dopoguerra, secondo molti autori, è l'emersione delle «masse». L'industrializzazione e la guerra mondiale, con la mobilitazione generale, hanno strappato milioni di persone dai campi e dalle piccole comunità contadine, e con ciò a modi di vivere tradizionali, che evolvevano solo lentamente e in modo relativamente controllato. Le masse cosf liberate, immature e senza precisa collocazione sociale (per ciò, appunto, « masse ») premono con tutto il loro peso sulla società-stato borghese, proprio quando la crisi del capitalismo ne riduce al massimo la capacità di adattamento; e ciò provoca lo sconvolgimento di tutte le sue strutture. Alcuni autori hanno contribuito a porre in luce questo ruolo di9 Posto che coloro che hanno scritto i saggi qui raccolti e chi scrive l'introduzione sono interessati eminentemente alle origini e all'ascesa del fascismo, la trattazione di Friedrich e Arendt ha luogo, nel libro, con un taglio particolare; e inoltre nell'introduzione si rinuncia a discutere quanto riguarda in modo esclusivo il fascismo come regime totalitario. Vorrei solo ricordare che questi studiosi, la Arendt in specie, erano poco inclini a considerare il fascismo come un regime totalitario sul serio, soprattutto per il compromesso storico raggiunto con le vecchie forze della conservazione: la monarchia, la chiesa, il capitale.
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struttivo delle masse, come Ortega, che ne fa il riferimento fondamentale della sua analisi. Mannheim e Michels hanno chiarito soprattutto (come meglio vedremo nel VII par.) le conseguenze dell'« avvento delle masse» a livello politico: la paralisi della democrazia parlamentare, l'occasione per i partiti totalitari di massa, e via dicendo. Piu rilevante, qui, è lo studio psico-sociologico del comportamento di massa, fondato ormai su un'importante tradizione. In piu di un'analisi qui raccolta, risuona infatti l'eco di uno dei « padri » piu autorevoli della sociologia, Durkheim, che per primo aveva mostrato come gli uomini sottratti a definiti quadri normativi, e ad altri controlli sociali, vadano incontro a massicce esperienze di anomia. Ma anche l'insegnamento di Freud gioca, in vari autori, un suo ruolo. Sulla traccia di queste. influenze, si spiega efficacemente, da parte di Mannheim, Fromm, Parsons ed altri, la crisi psicologica, l'ansia, l'aggressività che portano tanti « uomini-massa » ad accettare i capi carismatici, le ideologie, l'inquadramento del partito totalitario, e a farsi portatori di violenza. In questo quadro viene da alcuni esaminata, in particolare, la disoccupazione di massa, che accompagna l'affermazione del fascismo italiano tra il '20 e il '22 e, su scala tanto piu vasta, l'ascesa del nazismo tra il '29 e il '33. Anche il ruolo dei disoccupati in peculiari imprese fasciste, come le occupazioni di Bologna e Ferrara nel '22, può essere, a mio parere, meglio compreso. Ma qui come altrove non bisogna basarsi troppo sugli elementi psicologici irrazionali. Non va dimenticato, ad es., che il fascismo, grazie alla sua energica azione, si mostrava in grado di determinare vantaggi immediati per i disoccupati, con una efficacia di cui la democrazia parlamentare, toltole il pungolo squadrista, era apparentemente incapace. VI. Vari osservatori italiani, come Salvatorelli, Ansaldo e Missiroli, avevano sottolineato la cospicua presenza della piccola e media borghesia nel movimento, poi partito, fascista, e al suo fianco. Analoghe notazioni furono poi fatte in Germania, per il nazismo. Soprattutto in Italia, la gioventu borghese che aveva preso parte al conflitto mondiale diede un apporto essenziale alla successiva guerra civile, fornendo i quadri delle formazioni paramilitari che affrontavano il movimento operaio, e lo sbaragliavano. Come osserva Lasswell, i piccoli e medi borghesi, smentendo molti pregiudizi, si dimostrarono in quell'occasione dei « leoni ». Né l'appoggio morale e materiale dato in altri modi da una vasta maggioranza della piccola e media borghesia fu certo inessenziale per l'avvento al potere del fascismo, in Italia e in Germania. Tutto ciò è in generale affermato, o addirittura dato, per scontato, dai nostri autori, con la eccezione di Bendix (che sposta il massiccio consenso elettorale 13
piccolo e medio borghese dopo l'ascesa al potere del nazismo), peraltro criticato efficacemente da Lipset 10 • Le ragioni forse piu importanti di questo deciso e decisivo intervento della piccola e media borghesia, che sopravanzò la grossa e in certo modo se la trasse a rimorchio nell'esperimento fascista, sono anche state poste in evidenza dagli osservatori contemporanei. Ma non mi pare dubbio che il riesame che ne fanno alcuni dei nostri autori, chi, come Michels, parlando di impoverimento materiale rispetto alla classe operaia (in quanto questa aveva ultimamente migliorato la propria condizione socio-economica, e non la piccola e media borghesia) e chi, come Lasswell, parlando di un impoverimento prevalentemente psicologico, aiuta a chiarire il punto. Opportunamente alcuni studiosi, come Fromm, fanno anche notare che, con l'avvento dei regimi fascisti in Italia e in Germania, la piccola e la media borghesia godettero in effetti anche di vantaggi materiali e di status; cosa che sembra abbastanza documentata oggi: gli impiegati italiani, ad es., con il fascismo videro generalmente migliorare di nuovo la loro posizione rispetto agli operai, tanto in termini economici che normativi 11 • Alcuni tra gli autori qui trattati, tuttavia, hanno indubbiamente contribuito a porre in luce motivazioni meno note dell'adesione al fascismo, prima e dopo la conquista del potere. Ricordo ancora, in particolare, la famosa analisi di Fromm, incentrata sul costrutto della personalità sado-masochista: questo tipo di personalità, diffuso tra la piccola e media borghesia in ragione della sua condizione economico-sociale, è posto alla base dell'adesione a un ordinamento autoritario e gerarchico della società, in cui il piccolo borghese può soddisfare tanto il bisogno di dominio che quello di sottomissione. Lo stesso Fromm, Lasswell, e altri, contribuiscono assai, d'altronde, a illuminare altri aspetti dell'adesione al fascismo, quando ci mostrano i meccanismi psicologici attraverso i quali la piccola borghesia si identifica sempre piu con la nazione, e quindi si sente minacciata con essa dal movimento operaio internazionalista. Purtroppo è invece quasi del tutto carente un tipo di indagine, che poteva ben essere suggerito da Marx, atto a cogliere, nelle condizioni socio-economiche e nelle esperienze cruciali del tempo, gli elementi di fatto che spiegano, ad esempio, la superiore capacità militare, organizzativa, intellettuale in genere, della piccola e media borghesia, che alla fine determina la netta vittoria del fascismo nello scontro diretto col proletariato, particolarmente in Italia. Anche una piu sottile analisi 10
Benclix stesso riconoscerà poi la validità di questa critica. 11 Secondo alcuni autori, come Poulantzas, il quadro complessivo, peraltro è quantomeno contraddittorio. ' 1
delle componenti fasciste della piccola e media borghesia, che pure era già stata accennata fin dall'inizio degli anni '20, in Italia, non è purtroppo adeguatamente sviluppata in questa sede, nonostante accenni di Adorno, Bendix e altri; eppure sarebbe una indagine squisitamente sociologica, assai utile tra l'altro per lo scioglimento dei problemi accennati subito sopra, in questo paragrafo. Il ruolo di altri gruppi sociali nel fascismo è assai meno trattato dai nostri autori. Le radici del fascismo nella campagna sono certamente richiamate con vigore da Barrington Moore, il quale ci induce a riflettere sulla arretratezza della struttura agraria italiana, che genera sia la rivolta contadina che la reazione dei proprietari. L'adesione di strati operai, innegabile soprattutto per la Germania, è poco considerata dai nostri autori, e quasi esclusivamente in termini psicologici, piu spesso nell'ambito del discorso sulle masse. Il rapporto della borghesia industriale e finanziaria col fascismo e col nazismo viene ben poco approfondito: ci si ferma a dei giudizi non dimostrati, per fortuna distinguendo, in generale, tra l'ipotesi del fascismo come possibile solo in un certo momento dello sviluppo capitalistico, e in piu modi anche condizionato dal capitalismo nazionale (che mi par vera), e quella del fascismo come mera espressione e anzi strumento della grande borghesia nazionale (che mi sembra falsa) 12 • VII. Si è già ricordato come la crisi della democrazia parlamentare fosse un'altra condizione del fascismo. Come vari autori sottolineano, la democrazia italiana si era dimostrata poco efficace davanti, sia alla guerra, che al dopoguerra, e in particolare di fronte ai problemi economici, sociali e internazionali che tribolavano grandemente il paese tra il '18 e. il '22. Cose analoghe si possono dire della democrazia tedesca, soprattutto tra il '29 e il '33, quando dovette affrontare la grande crisi economica, la disoccupazione, i crescenti disordini nel paese. Alcuni autori ricollegano direttamente la crisi della democrazia tra le due guerre a quella del capitalismo, che si sviluppa in senso monopolistico e imperialistico (Horkheimer, Marcuse, ecc.); altri l'attribuiscono essenzialmente al peso improvviso delle masse risvegliate sulla delicata struttura politica liberale (Ortega). Punti di vista già delineatisi, e dei quali non ci si può, credo, dimenticare. Ma non bisognerebbe neppure trascurare, in questa sede, la vecchia teoria di Marx ed Engels (niente affatto in contrasto con gli apporti sopra ricordati), secondo la quale la demo12 Alcuni dei nostri autori (Reich, Parsons, Bendix, Germani), hanno il merito di aver considerato il ruolo delle donne e, soprattutto, dei giovani nel fascismo in ascesa; come osserva De Felice, questo ruolo è « solo in parte riassumibile sotto il denominatore comune dell'estrazione sociale delle varie categorie di giovani interessate».
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crazia parlamentare sopporta male l'alta partecipazione popolare e lotte socio-politiche prolungate e intense; e facilmente si rovescia in una dittatura personale appoggiata dalla borghesia, ma con larghe aperture di socialità autoritaria 13 • Vorrei però ricordare alcuni altri contributi sociologici che mi paiono di qualche interesse. Michels (in termini anch'essi conciliabili con il Marx sopra ricordato, e con Ortega) osserva, in coerenza con gli studi sviluppati fin dalla gioventu, che l'avvento delle masse aveva portato con sé una crisi chiaramente insuperabile della democrazia parlamentare, in tutti i suoi istituti, e prima di tutto nel partito; una crisi di leadership 14, essenzialmente, cui rispondeva con efficacia il nuovo regime fascista, fondato sf sulle masse, ma con una grande concentrazione di potere nel capo carismatico e nell'élite del partito unico, aperta solo per cooptazione. Tanto Pareto che Michels, poi, sottolineano come la democrazia parlamentare (tramite i partiti, soprattutto) assicurasse da tempo una selezione a rovescio della classe politica; certamente non raggiungevano il potere, dice Pareto, gli uomini forti, adatti a superare una grande crisi. Pareto osserva che questa classe politica, in cui prevalevano le «volpi», ~on sapeva affrontare l'opposizione (del movimento operaio) se non in termini di concessioni; ma nei momenti difficili, come il '21 in Italia, non restano margini, nemmeno economici, per ciò fare. C'è qui un punto d'incontro con studiosi italiani e stranieri, per i quali la crisi del capitalismo tra le due guerre non lasciava margini per le concessioni della classe operaia che erano state tipiche ed efficaci prima del conflitto 1914-18. E di qui, come ho già accennato, si può ritornare al discorso di Marx 15 • VIII. L'analisi del crollo della democrazia porta naturalmente, come si è appena visto, a trattare del partito e anche del capo carismatico, che tanto nel fascismo quanto nel nazismo gioca un ruolo di eccezionale importanza; il partito stesso gli è, soprattutto col tempo, subordinato. Con Michels si è visto come il partito unico fascista fornisse una base di massa, senza tuttavia che le masse potessero influire pesante13 Qui va almeno citato il lavoro di Poulantzas, per lo sforzo di distinguere tra varie forme di « stato capitalista di eccezione », in particolare tra bonapartismo e fascismo, ricollegando quest'ultimo piuttosto alle tendenze imperialistiche che a quelle monopolistiche del capitalismo dell'epoca; piu esattamente, per questo autore, il fascismo si colloca nello « stadio imperialista » del capitalismo. 14 Qui come impossibilità di esercizio effettivo della leadership, causata in primo luogo da un eccesso di partecipazione « liberato » dal sistema democratico. 15 Pareto, naturalmente, non accoglie Marx su questo punto; egli è incline a vedere nel primo fascismo l'espressione di gruppi nuovi e vitali, fin'allora esclusi (e in ciò vi era certo del vero); e considera la vittoria della violenza e dell'irrazionalità fascista sulla democrazia imbelle, e la correlativa simpatia popolare per quella violenza e quella « fede », come una conferma di una sua teoria ciclica della storia.
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mente come nella democrazia; e in questo senso fosse, a suo parere, atto ad assicurare un governo efficace, che in democrazia era impossibile. Già in questa superiorità, apparente o reale che fosse, giace anche il segreto di tante adesioni al fascismo. Ma altri autori di questo libro rendono piu chiaro questo punto. Fromm, Friedrich e, forse anche meglio, Bendix, ci aiutano a capire come il partito fascista abbia costituito fin dall'inizio un centro di appartenenza totale, che da un lato prolungava la condizione psico-sociologica cui molti si erano abituati durante la grande guerra, e dall'altro rispondeva a quella solitudine e a quella insicurezza che caratterizzavano la società urbano-industriale, soprattutto dopo la guerra; si pensi ancora una volta, in particolare, all'esperienza dei reduci e dei disoccupati di massa del '21 e del '29.' E quest'attrazione del partito fascista era ovviamente cresciuta, dopo che esso aveva conquistato il potere. Lo studio del seguito di massa del partito fascista, e del regime su esso fondato, porta poi inevitabilmente anche allo studio dei miti, de.i riti e dei simboli fascisti, che tanta parte giocarono nella sottomissione irrazionale, nell'entusiasmo e nella stessa violenza delle masse fasciste e fascistizzanti; ed è un altro punto sul quale non mancano, nei nostri autori, spunti rilevanti 16 • Poco invece è stato fatto - con l'eccezione principale di Friedrich e Brzezinski - per comprendere il ruolo del seguito immediato del cape (se si vuole, la leadership del partito fascista); e poco c'è di rilevante sulla sua composizione e le sue caratteristiche sociali, se si prescinde dai limitati studi di Michels e Lasswell, già citati, sui fascisti italiani. Piu grave ancora è d'altronde l'assenza di un attento esame, da parte dei nostri autori, delle organizzazioni paramilitari del fascismo, in tutti i loro aspetti. Nel caso italiano, il partito nacque dalle squadre, e lo squadrismo ne fu la vera forza: come si è accennato (a proposito della piccola borghesia) esso giocò un ruolo decisivo nell'ascesa del fascismo tra il '20 e il '22, distruggendo il movimento operaio italiano, mettendo in iscacco lo stato democratico, ponendo infine al re il ricatto che portò Mussolini a capo del governo. Anche in Germania le formazioni paramilitari ebbero un ruolo essenziale tra il '28 e il '33, conquistando la piazza, imponendo alla nazione la propria immagine vittoriosa e mettendo anch'esse, sebbene in minor misura, lo. stato democratico in iscacco. Perciò uno studio sociologico sulle origini, l'organizzazione, la strategia e la tattica, le forme di lotta, e infine le conseguenze provocate, avrebbero meritato e meriterebbero grande impegno; ecco un tema complesso che occorre raccomandare al futuro sociologo del fascismo. 16
Si veda anche par. X.
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IX. Anche sul capo carismatico, tema a mio parere centralissimo, mancano studi psico-sociologici di grande rilievo. Non c'è tra l'altro una valida biografia psico-sociologica di Mussolini 17 e Hitler, né un'opera di valore che cerchi di indagarne sistematicamente la personalità in rapporto con l'ambiente sociale 18 • Tuttavia emergono negli scritti degli autori qui trattati alcuni grossi problemi, relativi al capo fascista, e alcune idee intorno ad essi. Cosi ad esempio Michels, Adorno e Marcuse, mettono in luce alcune premesse culturali di questo fenomeno. Lasswell, Fromm e altri propongono interessanti ipotesi sulla personalità dei capi fascisti. Reich, Horkheimer, Adorno, hanno esaminato alcuni motivi del loro successo di massa, nonché certe sue conseguenze. Friedrich (che peraltro rifiuta il concetto weberiano di capo carismatico per Mussolini e Hitler) e Arendt, d'altronde, propongono interessanti osservazioni ed idee sul ruolo del capo supremo nel partito e nel regime totalitario; in particolare hanno posto in evidenza come partito e regime ruotino intorno al capo, e ne dipendano in modo essenziale, non solo per il controllo che egli esercita su tutte le funzioni piu importanti dell'uno e dell'altro; ma anche e prima di tutto perché il capo è anche il partito e il regime, agli occhi dei seguaci e del resto della nazione. Il lettore noterà certamente, senza bisogno di avvertimento, che tutti questi contributi andrebbero peraltro sviluppati, e che certi punti importanti - come quello delle tecniche usate dai capi nei rapporti con le masse - non sono davvero discussi a sufficienza. Molto piu in generale, è probabile che il lettore non possa dire, dopo aver letto questo libro, e nemmeno dopo essere andato alle fonti, di essersi soddisfacentemente spiegato come mai, per la prima volta in tanti secoli di storia occidentale, alcuni capi carismatici (legittimati, intendo, essenzialmente dalla fede che i seguaci e il popolo avevano nelle loro qualità straordinarie) 19 abbiano potuto assurgere ad assoluta preminenza ed esercitare sconfinato potere, senza rispetto per i principi morali fìn'allora generalmente approvati. Naturalmente, di queste cose non vi sono mai spiegazioni esaurienti: ma è difficile negare ciò che si diceva al principio, ossia che, anche sul tema del capo supremo, molto ancora possa e debba essere fatto.
17 Naturalmente abbiamo invece ottime biografie da un punto di vista storico, come quella di Mussolini ad opera di De Felice, di cui sono apparsi quattro volumi. 18 Ove si escludano opere come quella di Langer, per tanti aspetti limitata e superata e quella di Fest, informata e intelligente, ma «tradizionale», su Hitler. 19 A mio parere, il concetto, anzi la «teoria», del capo carismatico di Weber costituisce tuttora il miglior punto di partenza per un'indagine sul capo fascista.
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X. Un ultimo punto, trattato da molti autori, merita la nostra attenzione: l'ideologia fascista. Nonostante una certa tendenza a sottovalutarla per piu rispetti, gli autori qui riuniti hanno cercato, a volte marginalmente, di rintracciarne le origini, di caratterizzarla, di ricollegarla a particolari strati sociali, e infine di vagliarne il ruolo storico. Circa le origini, tuttavia, solo Marcuse tenta qui un discorso di una certa ampiezza, ricollegando l'ideologia fascista - un tentativo certo non nuovo, ma svolto con qualche .originalità - al liberalismo e alle varie correnti del pensiero contemporaneo borghese. In generale, i riferimenti, che pure non mancano nei nostri autori, al vitalismo, all'attivismo e, limitatamente a Mussolini, Sorel, Pareto, e altri pensatori del passato, non ricevono adeguato sviluppo. Pure, l'influenza di Pareto avrebbe dovuto apparire a dei sociologi, non superficiale, come si è spesso detto, ma abbastanza profonda e duratura. È una tipica sottovalutazione, che si ricollega all'altra, piu generale, di non dare peso alle pur evidenti preoccupazioni di elaborazione e coerenza ideologica del duce, tutt'altro che senza pratici effetti; e ciò per una corrispondente sopravalutazione del suo prammatismo e opportunismo. Mentre discorsi analoghi, anche se meno categorici, potrebbero essere svolti intorno al Fiihrer. Piu interessanti forse i tentativi di caratterizzare essenzialmente la ideologia fascista; in particolare, forse, quello di Mannheim, che sottolinea la concezione irrazionalistica e conflittuale della storia, e il radicale pessimismo sull'« uomo comune»; e quello di Michels e altri, che pongono correlativamente in luce il disprezzo delle masse e la contrapposta fede nel Capo e nelle élites. Sono cose indispensabili per capire aspetti teorici piu immediatamente rilevanti del fascismo: come la sua psico-pedagogia rozzamente behavioristica, per dirla con Mannheim, che tenta di educare le masse in base alla disciplina esteriore, agli ordini e ai modelli di comportamento da eseguire senza discutere 20 • Certo è anche per la natura del rapporto stabilito, deliberatamente e non, con le masse, che si spiega il peculiare fallimento del fascismo, che è passato senza lasciare tracce durature e profonde sul popolo. Ma la caratterizzazione dell'ideologia fascista, cui sopra accennavo, aiuta considerevolmente anche a comprendere altri aspetti immediatamente rilevanti del fascismo; ad es., la parte giocata dal mito, dal rito e dal simbolo, nella teoria e nella pratica del fascismo, riguardo alle masse. Come si è visto, la caratterizzazione di fondo dell'ideologia fascista porta inevitabilmente alla considerazione della prassi fascista e dei suoi risultati storici; ma questo versante non può essere affrontato diretta20 A questo fenomeno si riferisce anche, per un aspetto rilevante, la « mimesi di massa che Horkheimer pone in evidenza, come altri qui non trattati.
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mente senza chiamare in causa anche i portatori dell'ideologia fascista e i gruppi sociali piu collegati al fascismo. Mannheim ha il merito di aver richiamato la nostra attenzione sulla adeguatezza di una tal ideologia alla posizione sociale di strati emarginati della società borghese, che non potevano concepire la storia come piano razionale; strati che dell'ideologia fascista sarebbero stati facitori e portatori principali. Altri autori operano, in termini non sempre approfonditi, un ricollegamento piu generico con la piccola e la media borghesia che, come già vedemmo, perde i suoi privilegi ed è minacciata di proletarizzazione. Lasswell ed altri, in particolare, rilevano come l'antisemitismo tedesco consentisse opportunamente di rovesciare su un capro espiatorio esterno alla nazione i risentimenti suscitati dallo sviluppo economico-sociale tra la piccola e la media borghesia, da un lato verso il capitalismo (finanziario) e dall'altro verso la classe operaia, che avevano entrambi molti ebrei tra i loro esponenti in evidenza; e, d'altra parte, rendesse possibile la storica alleanza tra piccolo-media e grande borghesia. Con riferimento alla borghesia e al sistema socio-economico borghese nella sua interezza, Marcuse ed altri sviluppano la loro analisi del ruolo storico della ideologia fascista. Marcuse, ad es., sottolinea efficacemente come il valore di nazione, allora esasperato, giustificasse e facilitasse la repressione della lotta di classe, divenuta acutissima, e del movimento operaio internazionalista, e come i valori eroici del fascismo consentissero di esigere i sacrifici di massa resi necessari dalla crisi internazionale del capitalismo e dalla correlativa spinta imperialistica, in Germania e in Italia. Come già appare da quanto si è detto finora, vari autori mostrano consapevolezza della potenzialità unificatrice dell'ideologia fascista nel suo tempo. Questa indicazione appare sviluppata in altre pagine; ad es., quando autori quali Lasswell e Parsons notano come la trovata ideologica del nazional-socialismo consentisse a Hitler di appellarsi con successo a strati sociali diversi e spesso conB.igenti. In effetti, non pochi fascisti e nazisti credettero che la formula potesse riconciliare le masse alla nazione, e dar quindi luogo ad una effettiva integrazione - cercata invano dal giorno dell'unità; mentre il razzismo pareva adeguato alla lotta per la sopravvivenza nazionale nella storia, concepita come lotta spietata tra le nazioni. E molti contemporanei, per questi stessi pensieri, seguirono i movimenti fascisti fino in fondo. Lo rilevo, per correggere in certo modo la tendenza che discende dall'approccio sociologico in sé, e anche dalla animosità piu che giustificata di tanti autori verso il fascismo, a insistere in interpretazioni dell'ideologia come copertura, a volte inconsapevole, e a volte consapevole, a fini manipolativi, di interessi di classe e privilegi di élites. Naturalmente questa considerazione non si contrappone affatto al giudizio largamente negativo del fascismo, proposto dai nostri autori.
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ROBERTO MICHELS: CRISI DELLA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE E FASCISMO
di Andrea Messeri
1. Roberto Michels viene considerato esponente, assieme a Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, di quella corrente di pensiero, indicata abitualmente come « elitista », che ha rappresentato a partire dalla fine dell' '800 un considerevole tentativo di dimostrare la teoria marxiana sulla lotta di classe inadeguata a spiegare la dinamica dello sviluppo storico e particolarmente dello sviluppo della società capitalista; gli « elitisti », come è noto, interpretano la storia come storia delle minoranze (élites), organizzate come classi dominanti, nel loro rapporto con la maggioranza considerata soltanto massa disorganizzata, e sostengono che questa relazione asimmetrica di potere resterà costante senza che si realizzi quel rovesciamento, ad opera del proletariato, teorizzato da Marx 1. I problemi analizzati da Michels sono quelli tipici della società europea occidentale tra l'inizio del secolo e l'avvento al potere del fascismo e del nazismo, e riguardano soprattutto il « funzionamento» della democrazia, il suo sviluppo e le possibilità che essa offre di garantire un governo efficace, l'agire di gruppi sociali come i sindacati, gli intellet1 Cfr. L. Cavalli, Il mutamento sociale, Bologna, Il Mulino, 1970, pp. 245-246. Cfr. anche T. B. Bottomore, Elites and Society, London, C.A. Watts & C. 1964 (trad.
it. E.lite e società, Milano, Il Saggiatore, 1967); H.S. Hughes, Consciousness and Society, New York, Alfred A. Knopf, 1958 (trad. it. Coscienza e società, Torino, Einaudi, 1967), pp. 244-271 dell'ed. italiana; G. Parry, Politica/ Elites, London, George Allen & Unwin, 1962 (trad. it. Le élites politiche, Bologna, Il Mulino, 1972), pp. 35-82 dell'ed. italiana. Fra le opere degli altri «elitisti» sono da ricordare di G. Mosca (1858-1941) Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare, Torino, Loescher, 1884; Elementi di scienza politica, Torino, Bocca, 1896 (nel 1923 una nuova edizione con l'aggiunta di una parte inedita); Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, Bari, Laterza, 1949; di V. Pareto (1848-1923) Les systémes socialistes (19011902), trad. it. I sistemi socialisti, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1917-1920; Trattato di sociologia generale, Firenze, Barbera, 1916; Trasformazioni della democrazia, Milano, Corbaccio, 1921.
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tuali, le élites, le masse, e l'affermarsi di tendenze nazionaliste ed imperialiste accanto ad una crescente crisi dello stato nazionale, in Europa, come potenza autonoma. Questi problemi furono presi in esame da altri pensatori contemporanei a Michels, come Joseph A. Schumpeter, Karl Mannheim, Giorgy Lukàcs, José Ortega y Gasset, in un costante sforzo di applicare, anche se in modi molto diversi, nella analisi della società occidentale i concetti economici e sociologici elaborati nel corso del XIX secolo 2 • Questo è il clima culturale generale in cui è collocata l'opera di Michels; si deve tuttavia tener conto anche della sua esperienza specifica di militante nel partito socialdemocratico tedesco durata fino al 1907 3, che fa comprendere il suo interesse per la struttura e l'attività politica del movimento operaio e socialista in particolare. Dall'esperienza politica Michels rimase profondamente deluso per la incapacità dimostrata dal partito socialista di incidere in senso innovatore sulla situazione tedesca, di contrapporsi efficacemente alla politica estera del Reich e soprattutto di evitare i pericoli dell'organizzazione fine a se stessa; questa delusione ed alcune caratteristiche della sua personalità, come il sentirsi profondamente italiano, nonostante la sua origine renana 4 , e la costante passione per l'azione ricca di contenuto simbolico e per l'impeto giovanile 5 , sono in stretta connessione con lo sviluppo della sua 2 Le opere piu importanti di questi autori sono: J. A. Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy, New York, Harper, 1942, trad. it. Capitalismo, socialirmo e democrazia, Milano Comunità, 1955; K. Mannheirn, Mensch und Gesellschaft im Zeitalter des Umbaus, Leiden, 1935, trad. h. Uomo e società in un'età di ricostruzione, Roma, Newton Compton, 1972; G. Lukacs, Geschichte und Klassenbewusstsein, Berlin, 1923, trad. it. Storia e coscienza di classe, Milano, Sugar, 1967; J. Ortega y Gasset, La rebeliòn de las masas, Madrid, 1930, trad. it. La ribellione delle masse, Bologna, Il Mulino, 1962. 3 Cfr. il saggio autobiografico Bine syndikalistisch gerichtete Unterstromung im deutschen Sozialismus ( 1903-1907), in Festschrift fur Cari Griinberg zum 70. Geburstag, Leipzig, Hirschfeld, 1932, pp. 343-364. Momenti importanti dell'esperienza politica di Michels furono la partecipazione al congresso di Dresda del 1903, in cui sulla base di una questione sorta sull'autonomia decisionale delle sezioni locali rinunciò, pur avendone ampie possibilità, ad operare una spaccatura nel partito, l'incontro ( 1904) con i sindacalisti rivoluzionari francesi, la battaglia, anche se inutile, sostenuta nel 1905 per far negare ai parlamentari, rappresentanti solo degli elettori, la facoltà di voto in sede di congresso del partito. 4 Michels difese la politica estera italiana dell'anteguerra in L'imperialismo italiano. Studi politico-demografici, Milano, Società Editrice Libraria, Studi economico-sociali contemporanei, n. 8, 1914, e nel 1925 si defini « ... toto corde, e senza restrizioni, cittadino d'Italia»; Francia contemporanea. Studi, ricerche, problemi, aspetti, Milano, Corbaccio, 1927, p. 7. 5 Michels soleva ricordare l'incitamento di Saint-Simon ad essere appassionati per fare grandi cose e vedeva in un tale comportamento energico il vantaggio « ... dei partiti carismatici sui partiti che hanno un programma ben definito ed un interesse di classe da difendere», Corso di sociologia politica, lezioni tenute nel maggio 1926 per incarico della Facoltà di Scienze Politiche della R. Università di Roma, Milano, Istituto Editoriale Scientifico, 1927, p. 104.
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analisi teorica e spiegano come gradualmente e con una certa coerenza interna Michels passò dal socialismo ad una posizione nei confronti del fascismo non aliena da forti simpatie. La situazione in cui, dopo la prima guerra mondiale, si trovò l'Italia, travagliata da conflitti interni, con un governo incapace di far fronte alla situazione e con il pericolo di veder rovesciata la posizione di vantaggio in campo internazionale che avrebbe dovuto derivarle dalla vittoria, dovette destare in Michels non poche preoccupazioni e renderlo disponibile verso nuove formazioni politiche che gli sembrarono capaci di tradurre in pratica meglio del socialismo un ideale di rinnovamento, attraverso un metodo di lotta e poi di esercizio del potere piu adeguati alla situazione storica. Non si può parlare di una «interpretazione» 6 del fascismo da parte di Michels 7, tuttavia si può ricavare dai suoi scritti, anche se distanti uno dall'altro nel tempo, una visione unitaria e costante, riferita ovviamente in modo prevalente al sorgere del movimento fascista ed al suo affermarsi e consolidarsi come regime, che può essere di una certa utilità, sotto diversi aspetti: innanzitutto può fornire lo spunto per una analisi del rapporto fra il fascismo e la situazione storica che lo ha generato; da questo punto di vista l'opera di Michels è anche una testimonianza delle suggestioni che il fascismo poteva esercitare su un certo tipo di intellettuali, anche di sinistra, delusi e contemporaneamente desiderosi di un radicale rinnovamento. In tal modo una valutazione della posizione di Michels, che ondeggia sempre fra il fornire uno spunto per l'analisi scientifica e l'essere una razionalizzazione di una esperienza personale con valore di documento 8 , può essere utile anche a comprendere il senso del discorso sulla democrazia che egli svolge prima della guerra mondiale e che dagli esiti di questa in Italia gli doveva sembrare confermato. A livello generale il fascismo è visto da Michels sostanzialmente come una risposta alla crisi della democrazia parlamentare ed al problema dell'irrimandabile necessità di un inserimento delle masse nella vita politica, da realizzare anche come riconoscimento di una situazione che 6 Nel senso delle tre classiche (fascismo come malattia morale, come prodotto dello sviluppo storico di alcuni paesi, e come estrema reazione del capitalismo) o in quello di altre interpretazioni globali piu recenti (fascismo come fenomeno transpolitico e come manifestazione del totalitarismo), analizzate tutte in R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Bari, Laterza, 1972 7 Michcls, morto nel 1936, non poteva avere ovviamente una visione globale del fenomeno fascista, e particolarmente delle modificazioni avvenute nella seconda metà degli anni '30 e durante la guerra. 8 In questo senso credo sia da interpretare ed accettare la affermazione di Linz che definisce gli scritti di Michels sul fascismo « ...un misto di obbiettività e superficialità, di simpatia e contraddizioni »; Michels e il suo contributo alla sociologia politica, introduzione a R. Michels, La sociologia del partito politico, (I ed. tedesca 1911), Bologna, Il Mulino, 1966, pp. VII-CXIII, p. XXXII.
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già esisteva di fatto 9 • Una tale valutazione generale sembra avere un certo valore ed una certa corrispondenza alla realtà, anche se non è formulata da Michels in modo molto esplicito e teoricamente articolato, come del resto altri concetti ed altre analisi ritrovabili nella sua opera 10• La visione unitaria del fascismo propria di Michels, nella fondamentale ambiguità che si è vista, rappresenta infine un quadro di sfondo nel quale si innestano alcuni spunti di un certo interesse elaborati in chiave specificatamente sociologica; prima di vedere questi spunti appare quindi utile articolare meglio l'analisi dei motivi di carattere piu teorico-e generale che hanno orientato Michels 11 • 2. Si può sostenere che Michels guardi al fascismo preoccupato dalla evidente impossibilità di una piena realizzazione della democrazia senza che all'interno di questa si sviluppino per « necessità storica » tendenze verso una leadership oligarchica e verso una sempre maggiore riduzione della partecipazione democratica al governo da parte delle masse, e preoccupato soprattutto degli effetti negativi che tutto ciò può avere sulla forza e sulla stabilità dello stato nelle specifiche condizioni storiche del tempo. Il processo attraverso cui Michels vede una autodistruzione della democrazia proprio nel momento della sua realizzazione, ha come momenti inevitabili la impossibilità di un governo diretto delle masse ed il bisogno di un sistema rappresentativo (delegati, parlamento) che implica la necessità di una organizzazione e di una burocrazia; queste strutture sono dunque richieste dall'esistenza stessa della massa come tale. L'organizzazione implica necessariamente il formarsi di una leadership 9 La guerra soprattutto aveva accentuato il peso determinante delle masse nell'azione politica, che aveva avuto origine in precedenza dalle trasformazioni sociali dovute alla rivoluzione industriale. 1 Cfr. G. Sartori, Democrazia, burocrazia e oligarchia nei partiti, in « Rassegna Italiana di Sociologia», I (1960), n. 1, pp. 119-136, p. 120. Il migliore tentativo di chiarificazione concettuale della analisi di Michels sul rapporto fra democrazia ed oligarchia si trova in C. W. Cassinelli, The Law of Oligarchy, in « The American Politica! Science Review », XLVII (1953), pp. 773-784. 11 Gli scritti di Michels apparsi piu importanti e presi in esame sono i seguenti: Sozialismus und Faschismus in Italien, Miinchen, Meyer & Jessen, 1925, vol. II, la parte Elemente zur Entstehungsgeschichte des italienischen Faschismus (1922), pp. 253-323; Some Reflections on the Sociologica! Character of Politica! Parties, in « The American Politica! Science Review », XXI, n. 4, pp. 753-772; Italien von beute. Politische und wirtschaftliche Kulturgeschichte von 1860 bis 1930, Ziirich, Orell Fiissli, 1930; Nuovi studi sulla classe politica, Milano-GenovaRoma-Napoli, Dante Alighieri, 1936. :B sembrato opportuno presentare il pensiero di Michels come un tutto unitario senza esaminare le singole opere non solo perché la sua posizione resta abbastanza costante negli anni, ma anche perché nelle opere gli spunti interessanti sono sparsi e frammezzati a lunghe considernzioni di scarso valore attuale.
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(di cui la massa sente il bisogno), che progressivamente tende a separarsi dalla base ed a costituirsi come corpo oligarchico a sé e ad esercitare un potere autoritario, rendendo la massa «dominata~ e non partecipe al potere decisionale. Michels di fronte alla percezione di un tale inevitabile processo si impegna « .. .in una indagine critica che permetta di risolvere il problema della democrazia » 12 , e ne analizza le caratteristiche in un « luogo » specifico: nei partiti socialisti, in particolare in quello socialdemocratico tedesco, perché questi dovrebbero essere i maggiori realizzatori della democrazia nella loro struttura e nelle loro pratiche interne, secondo i loro principi ispiratori. Le conclusioni a cui giunge una simile indagine, raccolte nell'opera maggiore di Michels, La sociologia del partito politico, sono che la tendenza fondamentale all'accrescimento numerico e ad « ... espandersi al di là della sfera originariamente assegnatagli o acquistata con il suo programma fondamentale » 13 portano il partito ad un bisogno di organizzazione, che diviene fine a se stessa generando una « gestione » autoritaria da parte dei dirigenti, un imborghesimento della classe operaia ed un impegno nella lotta solo per la conquista del potere in concorrenza con gli altri partiti borghesi. Di fronte ad una tale abdicazione anche da parte dei partiti socialisti alla loro funzione di realizzatori della democrazia ben poche sono sembrate a Michels le speranze che questa possa esistere pienamente ed efficacemente. Egli scarta anche la possibilità che una soluzione derivi dal sindacalismo rivoluzionario perché, anche se esso ha riconosciuto i pericoli della democrazia ed ha proposto perciò un tipo di azione (action directe) che attraverso lo sciopero generale possa diminuire la tutela dei leaders socialisti, provenienti peraltro da classi borghesi, in modo da mobilizzare direttamente il proletariato invece che tendere a realizzarne gli interessi nel partito o in parlamento, non può tuttavia fare a meno di produrre, proprio con questi mezzi, nuovi leaders, che guidino ad esempio lo sciopero generale 14 • Si pongono a questo punto due problemi: uno, di tipo interpretativo, riguarda la possibilità che Michels volesse realmente estendere il suo giudizio sulla democrazia nei partiti a tutta la democrazia parlamentare come sistema politico 15 ; l'altro sorge se si accetta tale possibi12
R. Michels, La sociologia del partito politico, cit., p. 7. lbid., pp. 49-50. Cfr. Ibid., pp. 464-476. Sembra abbastanza evidente lo stretto legame che Michels pone tra organizzazione e tendenze antidemocratiche ad ogni livello di organizzazione sociale. Cfr. G. Sartori, Democrazia burocrazia e oligarchia nei partiti, cit., pp. 119-120 e G. Parry, Le élites politiche, cit., p. 56. Per una interpretazione in tennini sostanzialmente diversi cfr. J. D. May, Democracy, Organization, Michels, in « The American Politica! Science Review », LXI (1965), pp. 417-429. 13 14 15
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lità, e riguarda la validità di questa estensione 16 • Di fronte a questi problemi, che derivano da una lettura di La sociologia del partito politico, gli scritti sul fascismo, anche se sono talvolta di minore importanza, possono forse portare qualche chiarimento rispetto alla posizione globale di Michels 17 • Particolarmente negli anni dopo la prima guerra mondiale si può notare una certa evoluzione: egli, come si è già accennato, non è preoccupato soltanto della crisi del modello democratico in quanto tale ma anche, e soprattutto, degli effetti che questa crisi ha sul funzionamento della società italiana in generale e sull'indebolimento del potere dello stato; per Michels non è significativo solo il fatto che la democrazia produca dei gruppi dominanti, ma soprattutto che questi siano incapaci di garantire la genuinità della funzione del partito e, particolarmente nel caso italiano, una feconda ed efficace azione politica da parte dello stato: la debolezza e la indecisione tipiche del parlamentarismo, la incapacità di risolvere i problemi piu gravi e di garantire una posizione stabile dello stato di fronte alle altre nazioni, sono le basi del suo giudizio negativo sulla democrazia, motivato quindi non soltanto dalla constatazione che essa produce una classe dominante e nega il principio democratico a cui si ispira 18 • La democrazia parlamentare è dunque vista in una crisi senza scampo, che è crisi di tutta la civiltà occidentale: da un lato non è possibile fare attività politica senza l'appoggio delle masse, dall'altro il sistema democratico da queste richiesto produce soltanto delle élites incapaci. Il problema del rapporto fra democrazia ed organizzazione, e fra partiti e massa, posto da Michels agli inizi del secolo in una prospettiva di raffronto tra il « modello » democratico e la realtà storica, che lo conduce ad un pessimismo abbastanza radicale sulle possibilità di esistenza della democrazia 19 , nel dopoguerra ha origine da una analisi della situazione italiana che ha come risultato la constatazione della crisi dello stato di fronte alla quale la democrazia si è mostrata di fatto incapace di svolgere una funzione positiva; in tal modo il problema della estendibilità sembra almeno in parte superato e si possono inoltre spiegare le simpatie di Michels per il fascismo e l'accettazione abbastanza acritica di alcuni slogans antidemocratici di origine fascista 20 • Infatti, secondo Michels, una volta verificata di fatto la debolezza dello stato a regime Cfr. G. Sartori, Democrazia, burocrazia e oligarchia nei partiti, cit., p. 134. Si deve tener conto del fatto che La sociologia del partito politico è stata riveduta e accresciuta nel 1925 in occasione della II ed. tedesca (Stuttgart, Alfred Kroner Verlag) e che questa è la versione a cui abitualmente si fa riferimento. 18 Cfr. per l'analisi della crisi del parlamentarismo R. Michels, Italien von beute, cit., pp. 207-215, passim. 19 Cfr. G. Sartori, Democrazia e definizioni, Bologna, Il Mulino, 1969, III ed., pp. 102-104. 20 Cfr. R. Michels, Italien von beute, cit., pp. 208-209. 16
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parlamentare fondato su partiti che hanno come ideale e pratica costante la democrazia, non resta altro che accettare un tipo di partito che rimanga una« parte» scelta (élite) all'interno della società, che abbia una coerenza di ideali ed una omogeneità necessaria a risolvere i problemi in modo risoluto, che non sia « aperto » indiscriminatamente alla massa ed eviti quindi i pericoli della democrazia, ma che sappia utilizzare la massa per svolgere un ruolo politico e di governo, che sappia infine ridare allo stato quella autorità e quel prestigio che aveva perso, accogliendo in tal modo la critica della democrazia e lo slancio all'azione proclamati- dal sindacalismo rivoluzionario, senza cadere negli errori di questo. Il fascismo viene visto infatti come derivante direttamente dal sindacalismo rivoluzionario. Michels scrive: « Dalla guerra mondiale in poi sono sorti due nuovi partiti, ispirati alle idee di Auguste Blanqui sulle minoranze, cd ancora di piu alle idee severe e complesse del movimento sindacalista francese sviluppatosi sotto la guida di Sorel (l'amico di Pareto). Questi partiti hanno in comune qualcosa di nuovo: l'esser partiti di élite. Tutti e due, quindi, sono in profondo contrasto colle teorie democratiche e parlamentari che dominano il mondo d'oggi. In Russia il bolscevismo, appropriandosi del potere, con sfoggio di violenza senza precedenti, ha imposto alla maggioranza della popolazione il dominio di una minoranza proletaria. In Italia, il fascismo, dotato dello stesso élan vital, ha strappato il potere dalle deboli mani che lo detenevano ed ha chiamato a sé, in nome del paese, quella minoranza di uomini energici ed attivi che sempre vi si trovano » 21 • Il fascismo attraverso il suo nuovo metodo di azione, ponendosi come partito d'élite, riesce, secondo Michels, a mantenersi distinto dalla massa e contemporaneamente a risolvere il problema della necessaria utilizzazione e mobilitazione di questa, anche se ciò non gli riesce sempre in modo coerente 22 • 21 R. Michels, Some Ref/,ections on the Sociologica! Character of Politica! Parties, cit., p. 770, brano citato in J. J. Linz, Michels e il suo contributo alla sociologia politica, cit., p. XCVII. Incidentalmente si può notare che in questa collocazione del fascismo in rapporto ai movimenti politici del tempo, Michels lo avvicina con molta chiarezza al bolscevismo, anticipando lo sviluppo dell'interpretazione in termini di totalitarismo, che proprio in quegli anni stava formandosi negli Stati Uniti. 22 Infatti Michels coglie anche la fondamentale contraddizione tra la necessità per il fascismo di restare élite ed il bisogno di mobilitare le masse non solo attraverso il prestigio del capo, ma inquadrandole in un regime, specialmente quando il prestigio dei capi fascisti venne diminuendo. Michels scrive: « .. .i partiti di élite, sono nella vita politica, in un continuo movimento oscillatorio, stimolati in un senso o nell'altro dagli avvenimenti del giorno e dalle opportunità intraviste ed ancora di piu dalle due tendenze che agiscono all'interno di essi, la loro rigidezza dogmatica e l'interesse politico immediato. Ed invero i partiti di élite a volte gonfiano la loro struttura sino al punto di abbracciare l'intera nazione e si vantano di milioni di aderenti raccolti attraverso le organizzazioni politiche e sindacali ed a volte improvvisamente si contraggono, espellendo i membri in eccesso, per cercare di
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In Italia « .. .il partito della élite, il fascismo, ha potuto chiedere, ottenere e mantenere il favore delle masse» 23 , ma non ha avuto bisogno di inglobarle, come hanno tentato di fare i partiti socialisti; ne ha ottenuto di fatto il consenso, tacito o esplicito. In tal modo ha evitato i pericoli derivanti dal costituirsi come organizzazione democratica, pur risolvendo la necessità di inserire le masse nel giuoco politico, necessità vista da Michels come caratteristica del momento storico. Lo stesso insistere di Michels sulla analisi del duce come capo carismatico sottolinea forse la sua convinzione che proprio attraverso la identificazione delle masse nel leader si attua una loro mobilitazione e se ne ottiene l'appoggio per conquistare il potere senza bisogno di inquadrarle nel partito, almeno all'inizio 24 , preservando quindi il movimento e ciò che esso rappresenta dai pericoli della democratizzazione. In tal modo, sulla base dell'aver trovato una via per risolvere il problema della massa senza ricorrere alla democrazia, il fascismo ha potuto risolvere i problemi che gli erano posti, secondo Michels, dalla situazione storica, primo fra tutti quello di ridare forza allo stato 25 • Una simile valutazione del sorgere e della funzione del regime fascista, che in alcuni aspetti sfiora l'apologia, può essere uno spunto positivo per l'analisi del fascismo soprattutto se si tiene conto di che cosa implicava per molti strati della popolazione italiana la crisi del sistema democratico su modello occidentale e l'indebolimento dello stato. Anche i sempre maggiori sforzi verso un inquadramento totalitario potrebbero essere spiegati con la coscienza che via via aveva il fascismo dell'insuccesso del proprio tentativo di soluzione della crisi italiana 26 • tornare ad essere partiti di vera e propria minoranza, vale a dire partiti destinati ad accogliere un piccolo numero di eletti accuratamente scelti, ed a volte giungono al punto di instaurare un regime di vero e proprio 'numerus clausus'. Il pendolo della condotta di questi partiti oscilla incessantemente tra questi due estremi, l'uno determinato dall'indispensabile potenza del numero, l'altro determinato dal principio dell'omogeneità e della forza che ne deriva»; Some Reflections on the Sociologica/ Character of Politica/ Parties, cit., p. 772, brano citato in J. J. Linz, Michels e il suo contributo alla sociologia politica, cit., p. XCVIII. 23 R. Michels, Some Reflections on the Sociologica/ Character of Politica/ Parties, cit., p. 771, brano citato in J. J. Linz, Michels e il suo contributo alla sociologia politica, cit., p. XCVII. 24 Si deve ricordare, a sostegno della tesi di Michels, che la chiusura delle iscrizioni al partito fascista fu decisa, su pressione di Farinacci, nella seduta del Gran Consiglio dell'8 ottobre 1925 e ripetutamente riconfermata in seguito; alla chiusura delle iscrizioni si accompagnò una vasta opera di riorganizzazione ed epurazione. 25 Cfr. R. Michels, Italien von beute, cit., p. 223. In questa prospettiva Michels, come molti contemporanei, è portato a giustificare come necessarie, anche se deprecabili, le violenze fasciste. Cfr. Sozialismus und Faschismus in Italien, cit. pp. 313 e seg. 26 Un segno di questo mutamento di prospettiva si può trovare nell'apertura indiscriminata delle iscrizioni al partito; cfr. in proposito quanto scrive A. Aqua-
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3. All'interno della valutazione globale del fascismo possono essere collocate le prospettive di analisi sociologica che riguardano problemi di stratificazione e mobilità sociale in rapporto alle cause ed agli effetti della presa del potere da parte del fascismo, il rapporto fra capo carismatico e massa ed un tentativo di reperire e ricostruire una ideologia del fascismo. Michels indica come causa del sorgere del fascismo la sostanziale adesione, anche se in forma e per motivi diversi, dei contadini e degli intellettuali, di quelle che potremmo chiamare classi medie, anche se non viene usato direttamente questo termine, ed inoltre della grossa borghesia e degli agrari. I contadini e gli intellettuali (con questo termine Michels vuole indicare non solo gli intellettuali in senso stretto ma anche « coloro che hanno studiato » e quindi gran parte della classe media) erano stati quelli che avevano combattuto la guerra ed al loro ritorno speravano in un miglioramento della loro posizione sociale e delle condizioni economiche, in base anche alle promesse fatte in tempo di guerra (ad es. « la terra ai contadini » ). Trovano invece la crisi economica, una sorta di « disoccupazione intellettuale » e, in conseguenza degli scioperi e dell'occupazione delle fabbriche, una tendenza precisa a concedere miglioramenti agli operai. Si verifica quindi una reazione che Michels chiama « lotta di classe a rovescio » e che considera una delle cause dell'affermarsi del fascismo. Egli scrive: « Ci fu dunque tra gli studenti e coloro che avevano studiato da un lato e gli operai dall'altro una situazione che in un certo modo si può indicare come lotta di classe a rovescio, lotta di classe à rebours. Gli intellettuali divenuti poveri (in senso relativo) si contrapposero agli operai divenuti ricchi (in senso relativo)» TT_ Al suo sorgere il fascismo è visto dunque da Michels come « ...un partito formato da quelli che hanno vinto la guerra, e cioè da persone negli anni migliori... un partito di intellettuali combattenti al fronte. L'arditismo ... ha formato l'anima del fascismo » 28 • rone: « ... in occasione del decennale del fascismo, i battenti del partito furono nuovamente spalancati e dal concetto del partito come organismo fortemente politicizzato costituito da quadri selezionati, si passò a quello di partito di massa, reclutato indiscriminatamente, con intenti di irregimentazione collettiva piuttosto che di formazione di una élite dirigente»; L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965, p. 65. Questa valutazione oltre che a confermare l'analisi di Michels per il periodo iniziale del fascismo può forse essere utile per arrivare alla conclusione che le affermazioni di Michels sulla oscillazione dei partiti elitisti tra il desiderio di restare élite e la necessità di inglobare in senso totalitario la massa (cfr. la nota 22) possono essere usate per individuare due fasi dello sviluppo del fascismo in Italia, una in cui prevale il partito di élite che riscuote vasti consensi, l'altra in cui viene sentita la necessità di inquadrare la massa entro uno schema politico e sociale molto rigido. Il punto discriminante può essere considerato la crisi economica dell'inizio degli anni '30. TT R. Michels, Sozialismus und Faschismus in Italien, cit., p. 257. 28 Jbid., p. 310.
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Tuttavia Michels individua anche altre cause: il fascismo dà infatti una risposta al « ... timore dei patrioti che, entrando sconsideratamente nella anarchia bolscevica, la patria italiana fosse messa di nuovo in discussione nella sua esistenza » '19_ Il fatto che Michels abbia espresso in questi termini - sottolineando cioè la paura per la minaccia portata all'esistenza allo stato nazionale - la contrapposizione del fascismo al comunismo, le sue considerazioni sull'azione del fascismo nel ricreare una fiducia nello stato nazionale e nel dargli nuova forza, e inoltre il riferimento alla distinzione mussoliniana fra una borghesia parassita ed una attiva ed operosa « ... che ha riempito i quadri del fascismo e della quale egli (Mus~olini) ha un gran rispetto» 30 , possono indurre a concludere che Michels intendesse mettere in luce l'apporto fornito al fascismo da parte delle classi medie; egli non usa, come si è detto, questo termine (usa piuttosto il termine « piccola borghesia»); sembra tuttavia porre le premesse per un necessario rapporto da stabilire tra le classi medie e il fascismo, individuando fra le cause del sorgere di questo elementi - instabilità economica e mancanza di ruolo sociale, paura viscerale del comunismo, desiderio di uno stato forte ed efficace, desiderio del « produttivismo » - sfruttati dal fascismo non soltanto in funzione di ottenere l'appoggio della massa o della classe dominante. Nel rapporto con gli strati dominanti è individuato da Michels il terzo tipo_ di cause del sorgere del fascismo. A questo proposito egli attua una distinzione tra la posizione degli agrari e quella degli industriali: furono gli agrari ad appoggiare in pieno il fascismo, soprattutto economicamente; gli industriali solo piu tardi, approfittando di una possibilità di fatto storicamente già esistente, mentre, almeno negli anni immediatamente successivi alla presa del potere da parte di Mussolini, continuarono ad essere in un certo modo preoccupati per la turbolenza degli elementi fascisti e per la loro reazione contro le classi borghesi parassitarie a cui si è accennato in precedenza 31 • Per quanto riguarda gli effetti del consolidarsi del potere fascista sulla struttura e mobilità sociali in Italia Michels sostiene che, essendo il fascismo « ... di tutte le classi e di tutte le categorie sociali », ... « il suo avvento ha costituito un taglio irrimediabile e che ha colpito in pieno gli strati liberali della borghesia al potere; strati gruppi e famiglie di cui il fascismo ha fatto, politicamente, tabula rasa. Nei regimi democratici possono scorgersi varie élites politiche che sotto forma di partiti politici, capitanati tutti da uno speciale stato maggiore, si con29 30 31
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Ibid., p. 260. I bid., p. 264. Per il rapporto tra il fascismo e la grossa borghesia cfr. ibid., pp. 260-262.
tendono il potere; in tal guisa i periodi· di governo sono di breve durata perché i grandi partiti si danno il turno; ond'è che ognuno di essi venga messo in grado - come dicono gli inglesi - to get their chance, o, come si potrebbe dire in italiano, di aver il loro giro di governo. Nel regime fascista, per contro, si verificano, sf delle rotations in office, ossia dei cambi di guardia, entro la compagine del partito stesso, ma la sua stabilità e la sua totalitarietà rivestono carattere fatalmente esclusivista, né danno dunque ai dissenzienti alcun espoir de retour. Inoltre si può affermare con esattezza, che la vasta burocrazia corporativa e quella del fascismo statale, sia come media, sia come origine, appaiono ringiovanite. Sotto l'aspetto economico, il fascismo non ha mutato per ora la compagine sociale del popolo italiano, ancorché l'applicazione rigida dei principi corporativi potrà, in avvenire, determinare molte e sostanziali trasformazioni. Senonché, esso ha dato luogo ad infiniti spostamenti individuali. Sf politicamente che economicamente, esso ha senza dubbio agito come mezzo ascensionale a molti elementi della piccola borghesia» 32 • Michels cerca poi di dimostrare queste affermazioni attraverso una analisi della composizione sociale del parlamento italiano 33 , affermando che « ...un'analisi professionale dei 400 deputati della ventinovesima legislatura del Parlamento italiano dimostra ... che, analogamente a quanto constatammo per la burocrazia del partito, i deputati sprovvisti di titoli accademici sono relativamente numerosi [ 72]. Tra essi trovansi molti agricoltori, un forte numero di giornalisti [ 25] ; prevalgono gli organizzatori, sindacali e corporativi. Ci sono anche alcuni oriundi operai» 34 • Michels vede dunque la « novità » della struttura partitica e statale creata dal fascismo nel fatto che si presenta monolitica e rigida mentre quella precedente permetteva l'alternarsi di diverse élites al potere. Questa « totalitarietà » consiste non solo nell'impedire per sempre l'accesso al potere agli avversari ma anche nel fatto che quella struttura rigida rappresenta l'unico mezzo di mobilità sociale per gli aderenti al fascismo. L'attribuzione del carattere di struttura totalitaria appare una analisi adeguata specialmente al fascismo della metà degli anni '30; appaiono inoltre illuminanti le affermazioni di Michels che la mobilità all'interno della struttura rigida è di carattere individuale e che ne hanno beneficiato « molti elementi » della « piccola borghesia ». In un altro scritto Michels sostiene infatti che « ...il fascismo ha portato al timone dello stato un nuovo strato sociale» 35 • Si deve tener conto però che la 32
R. Michels, Nuovi studi sulla classe politica, cit., pp. 135-136, omesse le note. Si deve ricordare che il libro è stato pubblicato per la prima volta nel 1934 e quindi si riferisce alla situazione di quell'anno. 34 R. Michels, Nuovi studi sulla classe politica, cit., p. 138. 35 R. Michels, Italien von heute, cit., p. 219; dr. anche Sozialismus und Faschismus in Italien, cit., p. 298. 33
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~,ibilità di una mobilità ascemionale della pia:ola borghesia è stata anche un mezzo propagandistico usato dal fascismo per ottenere l'adesione delle cwsi me.die 36 • A quena struttura rigida rappresentata dal panito al potere nello stato, alimentata nei quadri dirigenti da ex-combattenti, da intellettuali delusi, da alami elementi della piccola borghesia e sostenuta dagli agrari e dagli ~triali, Michels vede contrapposta la massa della popolazione che ha un fortissimo bisogno di essere guidata e che arriva ad. avere una fede nell'autorità che rasenta la quasi assoluta mancanza di senso critico e fii risolve in una tendenza alla venerazione dei capi". A questi biwgni il fasrumo risponde con la funzione svolta dalla figura del capo, a cui Michels dedica particolare attenzione aprendo un'utile via di ~ proccio analitico al fascismo. Il capo ha una posizione carismatica nel partito e nello fitato, accentra non solo il massimo del potere ma anche il maHimo della responsabilità e del « lavoro assiduo• e dà un impulso di Cfitremo vigore a tutto il movimento ed allo stato 31 • In tal modo, nel caso specifico dell'Italia, il capo carismatico con poteri assoluti corrisponde non solo al bisogno di guida delle masse ma anche alla necessità di un governo forte sul piano politico ed attivo nel risolvere i problemi urgenti del momento storico. Quetito principio del capo, fortemente legatp a quello della élite, è uno degli elementi della ideologia del fascismo che Michels tenta di ricostruire cogliendone efficacemente i caratteri fondamentali, anche se trova per il fascismo delle paternità che in alcuni casi sembrano alquanto forzate. Michels scrive: « Si può dire che l'essenza del fascismo consiste in una combinazione di sovranità dello stato e di principio della élite. Il fascismo non possiede alcuna sua propria dottrina rigidamente delimitata. Esso è portato avanti da molte tendenze spirituali isolate. Da Machiavelli ha tratto la concezione di un capo non vincolato da alcun principio ereditario, dall'essenza messianica (il duce); da Gioberti ha derivato la concezione del futuro primato culturale e politico dell'l talia; ancora piu strette devono essere state le relazioni del fascismo con Sorel e con Pareto ai cui piedi Mussolini si è seduto come scolaro. Dal primo ha preso la concezione della fecondità del mito, dell'autorità 36 Il problema appare interessante e meriterebbe di essere ripreso in considerazione oggi che appaiono piu articolati gli strumenti di analisi delle classi e della stratificazione sociale e che è piu abbondante il materiale statistico sull'intero periodo fascista. 37 Cfr. R. Michels, La sociologia del partito politico, cit., pp. 83-109. Si deve notare la sfiducia nell'agire di massa tipica di Michels e di tutta la corrente elitista. l 8 f:: stata notata da vari autori l'attenzione data anche da Mussolini stesso nlla creazione della propria immagine presso l'opinione pubblica. Cfr. D. Biondi, La fabbrica del Duce, Firenze, Vallecchi, 1973.
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storica cosf come del princ1p10 sindacale corporativo, da entrambi la critica della democrazia come perennemente infeconda e intimamente falsa e la teoria della élite come piu consapevole e piu energica, minoranza all'occorrenza pronta a sacrificarsi, a cui spetta la vera forza dello stato. Mussolini stesso ha sostenuto una volta, istruito dalle sue esperienze nel partito socialista, che non ci sono maggioranze attive e che i grossi partiti si comportano in modo democratico solo apparentemente, mentre in realtà sono senza speranza nelle mani di un gruppo dominante demagogico. Il principio della élite, diventato in coloro che lo sostengono dominio sullo stato, è presupposto indiretto del principio della autorità dello stato » 39 • A parte il riflesso delle esperienze e delle opinioni personali di Michels si può notare in questo brano una indicazione a considerare il fascismo a livello ideologico come il prodotto di alcune correnti di pensiero preesistenti (il machiavellismo, il nazionalismo, la critica del parlamentarismo, l'affermazione della necessità di una élite dotata di forte potere decisionale); Michels tuttavia, in un altro scritto 40 , indica anche il contributo ideologico sostanzialmente nuovo del fascismo, che pone in una ottica diversa anche quelli mutuati dal passato, e consiste nella preminenza data all'azione sul pensiero, all'impeto giovanile che si affida all'ispirazione del momento senza seguire un programma vincolante; da questo deriva, secondo Michels, l'eterogeneità e la elasticità dell'ideologia fascista ma anche la sua capacità di attirare e mobilitare strati diversi della popolazione. 4. Tentando una brevissima valutazione globale degli spunti di analisi sociologica elaborati da Michels si può notare anche in questo caso che sono basati su una strana unione di dati di fatto abbastanza obbiettivi e promesse o potenzialità del fascismo viste con una certa benevolenza, e che si sono rivelate un mascheramento ideologico. Si può notare una disparità, che Michels ha già dimostrato nell'analisi dei partiti, fra l'apparato concettuale e l'impostazione scientifica, che non sono molto precisi, e invece il risultato dell'analisi, spesso sostanzialmente aderente alla realtà 41 • Ne derivano piu che altro delle intuizioni e soprattutto delle direzioni di indagine che peraltro sono state seguite da alcune delle piu importanti interpretazioni del fascismo posteriori a Michels 42 , e che 39 40
R. Michels, Italien von beute, cit., pp. 221-222. Cfr. R. Michels, Sozialismus und Faschismus in Italien, cit., pp. 309 e seg. Cfr. G. Sartori, Democrazia, burocrazia e oligarchia nei partiti, cit., p. 123. 42 Fra le altre quella « transpolitica » di E. Nolte (Der Faschismus in seiner Epoche, Miinchen, Piper & Co. Verlag, 1963, trad. it. I tre volti del fascismo, Milano, Sugar, 1966), quella di G. Germani (Fascismo e classe sociale, in « La Critica Sociologica», prim. 1967, n. 1, pp. 37-44 e estate 1967, n. 2, pp. 76-93) e infine quella in termini di totalitarismo di H. Arendt (The Origins of Totalitaria41
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possono risultare utili nel momento attuale dello sviluppo degli studi sul fascismo; sulla base del riconoscimento della inefficacia delle « interpretazioni » globali del fascismo 43 , c'è infatti la tendenza ad una analisi storico-sociologica di aspetti specifici, che ricostruisca l'unità del fenomeno fascista attraverso la composizione di sviluppi convergenti della ricerca e non la predetermini attraverso l'imposizione di una spiegazione unitaria che spesso condiziona poi l'analisi dei singoli aspetti forzandone la collocazione in un quadro precostituito 44 • Da questo punto di vista sembra che sarebbe particolarmente utile, fra gli spunti presentati da Michels, sviluppare l'analisi del ruolo del capo carismatico, vedendo come fu concepito dal fascismo, quale funzione effettivamente svolse Mussolini e soprattutto quali sono state le caratteristiche del gruppo dei gerarchi che hanno svolto la loro azione soprattutto a livello locale; potrebbe essere inoltre interessante prendere in esame il ruolo delle classi medie nelle varie fasi del regime fascista, dal suo sorgere alla seconda guerra mondiale, le trasformazioni apportate dal fascismo nell'organizzazione dello stato a livello istituzionale e infine il rapporto fra il desiderio di ristrutturare le forme della vita sociale e dell'appartenenza dell'individuo alla società e l'incidenza che gli sforzi in questo senso fatti dal fascismo hanno avuto sulle caratteristiche fondamentali della vita sociale e politica italiana.
nism, New York, Harcout, Brace & World, 1966 3, trad. it. Le origini del totalitarismo, Milano, Comunità, 1967) e di C. J. Friedrich e Z. Brzezinski (Totalitarian Dictatorship and Aatocracy, Cambridge, Harvard University Press, 1956). 43 Ci si riferisce sempre alle tre interpretazioni « classiche » già ricordate alla nota 6. 44 Per l'impostazione piu recente che tende a superare le interpretazioni globali del fascismo cfr. R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, cit., pp. 253-277; AA. VV., European Fascism, London, Weidenfeld & Nicolson, 1968, trad. it. Il fascismo in Europa, Bari Laterza, 1968; G. Quazza, a cura di, Fascismo e società italiana, Torino, Einaudi, 1973; L. Cavalli, Sociologia della storia italiana 1861-1974, Bologna, Il Mulino, 1974, partic. pp. 81-165, ma anche p. 23 nota 6, in cui è definita la posizione dell'autore nei confronti delle interpretazioni classiche. Una prospettiva di indagine storica che prescinde dal desiderio di fornire una interpretazione globale si può trovare anche in A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Firenze, La Nuova Italia, 1950, I ed. francese 1938.
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ORTEGA V GASSET: FASCISMO E SOCIETÀ DI MASSA di Gianfranco Bettin
1. José Ortega y Gasset ha sviluppato la sua analisi del fenomeno fascismo sottolineandone, a piu riprese, lo stretto legame con un fenomeno di piu ampia portata, insistendo cioè sulla sua connessione con l'emergere di una nuova forma di società: la società di massa. Prima di ripercorrere con Ortega i passi essenziali della sua interpretazione - antesignana di altre piu note quale, ad esempio, quella del fascismo come malattia morale dell'Europa 1 e, comunque, di tale rilievo da influenzare la riflessione di autori come Mannheim e Jaspers sullo stesso problema - è bene precisare che Ortega non si può ritenere sociologo, in senso proprio e tradizionale. Egli, che non fu mai, né volle esser considerato tale, avanza - come si diceva - una sua linea interpretativa che colloca il fascismo come manifestazione politica contingente in un quadro di mutamento sociale e culturale molto vasto. Nell'ambito di questo contesto di riferimento la variabile politica viene considerata al rango di una variabile dipendente, come meglio vedremo, nei confronti di fattori di carattere psico-sociologico la cui diffusione è, a sua volta, espressione del processo di sviluppo demografico ed economico proprio della società europea dopo il secolo XIX. L'analisi di questo autore risulta, ciò nondimeno, pregnante anche in una prospettiva sociologica proprio perché si tratta di una interpretazione-ponte tra una filosofia della storia sociale dell'Europa ed una analisi condotta sul nostro tempo e sulle sue manifestazioni socio-politiche tramite categorie squisitamente sociologiche. Basti ricordare l'uso del concetto di massa e la contrapposizione tra minoranze e masse: categorie la cui originalità va ascritta al genio sociologico, contro le sue stesse intenzioni, di Ortega.
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Cfr. R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Bari, Laterza, 1972 a p. 38.
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2. È del 1925, un suo breve saggio dal titolo Sobre el fascismo 2 apparso su « El Sol », un quotidiano madrileno cui egli collaborò per molti anni, affrontando con acume battagliero problemi politici nazionali ed europei. Ivi Ortega sostiene che il fascismo italiano ha assunto la forma di un partito autoritario, confusamente antidemocratico, nazionalista e rivoluzionario. Due aspetti di questo movimento politico, a suo avviso sono da evidenziare soprattutto: la violenza e l'illegalità. Due aspetti interdipendenti grazie ai quali l'osservatore politico può individuare la peculiarità del fascismo nei confronti di tutti gli altri movimenti rivoluzionari: il fascismo « non soltanto si impadronisce del potere illegalmente, ma una volta che vi si stabilisce, lo esercita con illegalità » 3 • Il fascismo non pretenderebbe - secondo Ortega - di usare la violenza come strumento necessario per distruggere il passato ed edificare un nuovo ordinamento giuridico, né teorizza la forza come diritto. Il fascismo e la violenza delle sue camicie nere sono nella loro essenza la risposta ad un problema, ad un imperativo che sul piano emotivo sconvolgeva l'intera nazione: « bisogna salvare l'Italia ». Ed è in quanto risposta a questo imperativo che il fascismo trova una sua giustificazione - la sola - come fenomeno storico che si è affermato, che è stato accettato e sorretto da una collettività nel suo insieme. « Nel fascismo la violenza non è adoperata per affermare ed imporre un diritto, ma serve a riempire il vuoto, sostituisce l'assenza di ogni legittimità. È il surrogato di una legalità inesistente». Il fascismo è l'avvento trionfante « dell'illegittimità costituita ». Ma come si spiega la rapidità del suo successo, come si spiega il suo trionfo? Si spiega con il fatto che esso « rappresenta con sincerità ed energia la realtà totale dello spirito pubblico». Il fascismo ha compreso la debolezza, l'inconsistenza degli ideali liberali e democratici e si è fatto unico interprete delle incertezze generate nella coscienza collettiva da questo vuoto di ideali. A questo punto diventa impellente la risposta ad un altro quesito che si colloca a monte dell'interrogativo precedente. Perché le forze sociali, espressione di società-stato preoccupate per secoli del proprio fondamento giuridico sino al punto di essere prese, a volte, da forme di « misticismo legalitario », non si sono opposte e non si oppongono al caos giuridico? La risposta - secondo Ortega 2 Qui si utilizza la traduzione italiana di Salvatore Battaglia; cfr. La ribellione delle masse, Bologna, Il Mulino, 1962, alla nota 12, pp. 82-85. Il testo è contenuto nelle Obras completas di Ortega, Madrid, 1946-1947, vol. II, pp. 497-505 ed è stato integralmente tradotto in italiano da Carlo Bo in Ortega y Gasset, Sopra il fascismo: Sine ira et studio, cfr. Lo spettatore, vol. II, Milano, Bompiani, 1960, pp. 135-145. 3 Cfr. Sobre el fascismo, tr. it. in La ribellione delle masse, cit., p. 82 alla nota 12.
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- va trovata nella decadenza culturale che caratterizza il nostro tempo: non esistono piu forze sociali attive che abbiano fede nella legalità. Questa mancanza di fede nelle istituzioni dà la vittoria a chi nega tutte le istituzioni. « Una considerazione realistica di questo tipo - prosegue Ortega - è quella che ci svela, sotto il gesto affermativo del fascismo, il suo carattere fondamentalmente negativo. La sua apparente forza consiste realmente nella debolezza degli altri » 4 • Si comprende cosi perché il fascismo sia una forza protagonista dell'epoca, ma un protagonista che deve « vivere alla giornata » senza una proiezione in una organizzazione politica stabile. , Il punto di vista di Ortega incontra un suo limite naturale, ma rilevante, per il fatto di essere stato espresso nel 1925 mentre il fascismo svilupperà una sua fase incisiva di inserimento, di conquista e di trasformazione delle istituzioni-chiave dello Stato, negli anni immediatamente successivi. Resta, comunque, di notevole interesse quella parte centrale di questa prima interpretazione orteghiana, figlia di una visione liberale della storia della civiltà europea, secondo cui la storia politica è anche, ed essenzialmente, lotta per l'affermazione di valori, conflitto tra le forze portatrici di ideali confligenti. Il fascismo ha saputo individuare lo spazio vuoto creatosi nell'assenza di questa lotta e, in questo spazio, si è collocato con la violenza. Ortega non abbandonerà piu questa prospettiva, neppure nell'opera maggiore, come vedremo. La utilità euristica di questa analisi può essere di non poco momento per quanto concerne le origini del fascismo, tipiche di un periodo in cui « la società intera si trova esente da norme legittime », e collegate ad una situazione in cui « il fascismo e i movimenti simili amministrano senza dubbio una forza negativa, una forza che non è di loro - cioè la debolezza degli altri. Per questa ragione - conclude Ortega - sono fenomeni assolutamente transitori; il che non vuol dire che durano poco » 5 • E ci sembra di poter aggiungere, il che non vuol dire che non si possano ripresentare sulla scena della storia. 3. L'idea secondo cui il fascismo è un movimento che sorge in virtu della assenza di fede nella libertà, che sorge e si sviluppa grazie all'ascesa di masse sfiduciate, prive di ideali e di programmi, ma animate da desideri insaziabili di potere, prende corpo e si sviluppa in una delle opere classiche di Ortega La rebeli6n de las masas, pubblicata nel 1930 6• 4
Op. cit., p. 85, testo della nota 12.
5
Ibid. Pubblicato a puntate sul quotidiano « El Sol» fin dal 1926 (si veda, ad esempio, l'articolo intitolato Masas, sul fenomeno dell'agglomeramento), questo lungo saggio fu accompagnato da un Prologo para Franceses e da un Epilogo para lngleses (1937), che non compaiono nella edizione italiana qui utilizzata. Alcune idee fondamentali erano già contenute nel volume Espana invertebrada del 1922. 6
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Cosa si intende con l'espressione ribellione delle masse? Non ci si riferisce certo, Ortega lo esclude piu volte esplicitamente, alle masse proletarie; infatti, con questa espressione si individua un fenomeno che riguarda tutte le classi sociali. Si noti il punto, dato che qualche critico ne ha forzato l'interpretazione, sostenendo, con riferimento alla sua analisi sulla relazione fascismo-ribellione delle masse, che Ortega vede nel fascismo un movimento rivoluzionario che ha come protagonista la classe borghese e, specialmente, la piccola borghesia 7 • L'ipotesi di Ortega si fonda, invece, sul concetto di massa concepito in modo piu comprensivo come concetto che attraversa e supera la dimensione della stratificazione sociale. La sua analisi del fascismo - di conseguenza - si àncora al concetto di massa inteso in senso interclassista, se cosf si può dire. « Massa è l'uomo medio ... massa è tutto ciò che non valuta se stesso - né in bene né in male - mediante ragioni speciali, ma che si sente "come tutto il mondo", e tuttavia non se ne angustia, anzi si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli altri». E, poco oltre, chiarendo la sua prospettiva elitistica secondo cui la società è unità dinamica di due fattori: da un lato, le minoranze qualificate, animate da un senso aristocratico della missione, dall'altro lato le masse amorfe e insipienti, ma oggi in preda ad un desiderio incontenibile di governare, Ortega scrive: « La divisione della società in masse e minoranze selezionate non è, pertanto, una divisione in classi sociali, ma in classi d'uomini, e non può identificarsi nell'ordine gerarchico di classi superiori ed inferiori ... a rigore, nell'interno di ogni classe sociale c'è massa e autentica minoranza » 8 • La ribellione delle masse, dunque, è movimento rivoluzionario che si realizza indipendentemente dalle appartenenze e dalla difesa di interessi di classe, è un movimento di invasione barbarica del volgo, nuovo protagonista della nostra epoca. « È una caratteristica di questo tempo il predominio, anche nei gruppi la cui tradizione sia selettiva, della massa e del volgo ». La ribellione delle masse è il risultato di un processo di indebolimento e di sfaldamento dei popoli,· che affiigge, secondo Or7
Invero, Ortega in La ribellione delle masse, cit., a p. 173 dice del fascismo
« che è un movimento petit bourgeois »; ma si tratta di una osservazione isolata
che qualifica la dimensione di classe del fascismo, incidentalmente, nel contesto specifico di una discussione sulla estraneità del bolscevismo alla cultura (borghese) europea. Un'osservazione, dunque, che non consente di avanzare una interpretazione differente e neppure complementare a quella qui delineata. Questa impostazione, fondata sul significato « interclassista » del concetto di massa, è confortata oltreché da numerosi brani di Ortega anche da alcuni commentatori: tra i piu recenti si veda G. Clive, Revolt of the Masses, in « Daedalus », Twentieth-Century Classics Rt:visited, Winter 1973, alle pp. 76-77 e 79-80. 8 La ribellione delle masse, cit., pp. 7-9, (c. m.). Per tutta questa parte si veda R. Treves, Interpretazioni sociologiche del fascismo, in «Occidente», 1953, spec. par. II, pp. 374-379.
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tega, speciàlmente le nazioni europee. E si tratta di un processo, lo si noti per inciso, che non va identificato con quel fenomeno di decadenza di cui ci parla Spengler. Autore con il quale, anzi, Ortega polemizza, anche perché questo processo è accompagnato da caratteri positivi: basti pensare allo sviluppo industriale e alla diffusione della prosperità materiale che ne deriva. Il centro dell'analisi è il seguente. Le masse hanno mutato il loro atteggiamento normale, l'atteggiamento che tradizionalmente si confaceva loro, cioè la propensione all'ubbidienza. Nonostante la loro congenita incapacità a dirigere hanno deciso di avanzare e di impossessarsi del potere. Questa invasione si può percepire anche visivamente, osservando quello che Ortega definisce il fenomeno dell'agglomeramento. Cioè il pieno, la presenza della moltitudine è ovunque; la moltitudine travolge tutto ciò che è qualità, singolarità, differenza, selezione; si impossessa dei luoghi e dei mezzi della civiltà, vuole fare Storia. Le innovazioni politiche di questi anni, secondo Ortega, sono la triste controprova della imperiosa avanzata delle masse, all'insegna di una democrazia tanto morbosa quanto falsa. « La vecchia democrazia viveva temperata da un'abbondante dose di liberalismo e di entusiasmo per la legge. A servire questi principi l'individuo si obbligava a sostenere in se stesso una disciplina difficile. Sotto la protezione del principio liberale e della norma giuridica potevano agire e vivere le minoranze. Democrazia e legge, convivenza legale, erano sinonimi. Oggi assistiamo al trionfo di una iperdemocrazia in cui la massa opera direttamente senza legge, per mezzo di pressioni materiali, imponendo le sue aspirazioni e i suoi gusti. È falso interpretare le nuove situazioni come se la massa si fosse stancata della politica e ne devolvesse l'esercizio a persone "speciali". Tutto il contrario. Questo era quello che accadeva nel passato, questo era la democrazia liberale. La massa presumeva che, in ultima analisi, con tutti i loro difetti e le loro magagne, le minoranze dei politici si intendevano degli affari pubblici un po' piu di essa. Adesso, invece, la massa ritiene d'aver il diritto di imporre e dar vigore di legge ai suoi luoghi comuni da cafié. Io dubito che ci siano state altre epoche della Storia in cui la moltitudine giungesse a governare cosi direttamente come nel nostro tempo. Per questo parlo di iperdemocrazia » 9 • Un'interpretazione acuta, tesa a sottolineare le conseguenze di un agire politico ove la ragione· scompaia lasciando il campo all'istinto bruto ed irresponsabile del potere. Un'interpretazione che, sia detto per inciso, sembra avere una interessante conferma nel9 La ribellione delle masse, cit., p. 11. Per l'atteggiamento di Mussolini, si veda E. Ludwig, Colloqui con Mussolini, (1932), Milano, Mondadori, 1965, spec. al par. Azione sulle masse, pp. 125-134; in part. p. 129.
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l'atteggiamento ambivalente che Mussolini stesso nutriva e dichiarava nei confronti della massa. Le circostanze 10 che hanno favorito e permesso la ribellione delle masse hanno radici profonde nel passato e vanno ritrovate - secondo Ortega - in primo luogo nell'azione della borghesia sostenitrice delle istituzioni liberali e democratiche, poi nel progresso scientifico e nello sviluppo tecnologico e industriale che hanno assicurato alle moltitudini un livello di prosperità in precedenza mai raggiunto. A questa prosperità si accompagna un aumento eccezionale della popolazione europea. Ortega riporta, a questo proposito, un dato di Wemer Sombart, secondo il quale dal secolo VI al 1800, in Europa si arrivava complessivamente a 180 milioni di abitanti, mentre nel piu breve intervallo compreso tra il 1800 e il 1914, si passa da 180 a 460 milioni - si ingigantisce cioè la « sostanza umana». In questa situazione di sviluppo improvviso e violento, prodotta, lo si ribadisce, dall'incontro tra democrazia liberale e tecnica, si crea una condizione culturale che Durkheim definirebbe di anomia e che Ortega diagnostica come « strano dualismo di strapotenza e di incertezza che si annida nell'anima contemporanea » 11 • L'uomo-massa ha saputo giovarsi della tecnica e dei suoi prodotti, ma non ha saputo comprendere lo spirito della vita moderna né adattarsi alle nuove e imprescindibili responsabilità imposte dai tempi. Ciò era inevitabile data la sua struttura psicologica. 4. Gli aspetti caratterizzanti la struttura psicologica dell'uomo « volgare» che vuole governare il mondo sono i seguenti: prima di tutto « un'impressione nativa e fondamentale che la vita è facile, sovrabbondante, senza tragiche limitazioni». Con questo primo aspetto Ortega spiega la primitiva e, ad un tempo, infantile sensazione di trionfo, di potenza che porta l'uomo-massa « ad affermarsi cosi com'è, a riconoscere per buono e completo il suo patrimonio morale ed intellettuale ». La sua protervia, poi, lo rende sordo all'opinione altrui sicché egli agirà senza tenere alcun conto degli altri. Stimolato, anzi, ad esercitare nei loro confronti « un'azione di, predominio», l'uomo-massa « interverrà dovunque, imponendo la sua volgare opinione, senza miraggi, senza conlO Il concetto di « circostanza » è centrale al pensiero orteghiano. « Circostanza e decisione sono i due elementi fondamentali di cui si compone la vita. La circostanza - le possibilità - è ciò che della nostra vita ci è dato ed imposto. Esso costituisce ciò che chiamiamo il 'mondo' ... ». Cfr. La ribellione delle masse, cit., p. 40, v. anche la nota 3 a pag. 33. Per una trattazione critica del concetto, cfr. L. Pellicani, Il pensiero politico di Ortega y Gasset, in « Rivista di Sociologia», VI (1968), n. 17, settembre-dicembre, spec. alla parte II, L'analisi della circostanza, cit., pp. 106-140. 11 La ribellione delle masse, cit., p. 37.
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templazioni, senza tramiti né riserve, vale a dire secondo un regime di azione diretta » 12 • A questa volontà barbara, proprio perché incontrollata, di dominio si associa, come si è accennato, un penoso senso di disorientamento le cui radici si trovano nello sviluppo delle comunicazioni, nella esasperazione della specializzazione professionale, nella inaspettata potenzialità di realizzazione messa a disposizione dell'uomo-massa. Questi, però, non sa cosa realizzare proprio perché uomo senza qualità e fìnisce per vivere alla giornata, senza alcun programma di gzione e senza scopi prefìssati. L'uomo-massa preferisce affidare la sua vita ad un'autorità assoluta e vivere in un regime ove non esiste la discussione. Il fascismo è il movimento politico tramite il quale si esprime questa rivolta decadente e si dà sfogo alle istanze psicologiche di questo nuovo tipo umano che si affaccia nella storia europea. Sotto le spoglie del fascismo, scrive Ortega, « appare per la prima volta in Europa un tipo d'uomo che non vuole dar ragione né vuole aver ragione, ma, semplicemente, si mostra risoluto a imporre le proprie opinioni. È qui la novità: il diritto a non aver ragione, la ragione della non-ragione. Io vedo in ciò la manifestazione piu palpabile del nuovo modo di essere delle masse, per essersi esse risolte a dirigere la società senza averne la capacità » 13 • Il fenomeno fascista, cui Ortega accomuna troppo affrettatamente il bolscevismo, costituisce un chiaro esempio di rivoluzione-involuzione politica; è uno dei movimenti tipici di uomini-massa « diretti, come tutti quelli che lo sono, da uomini spesso mediocri, estemporanei e senza lunga memoria, senza coscienza storica ... Né l'uno né l'altro (il fascismo e il bolscevismo) stanno "all'altezza dei tempi", non portano dentro di sé la proiezione del passato, condizione indefettibile per superarlo » 14 • E qui sta, secondo Ortega, l'antinomia fondamentale del fascismo, il suo anacronismo e, al tempo stesso, la leva su cui fare forza per scalzarlo. Il superamento del fascismo, d'altro canto, nella prospettiva orteghiana è un processo ineluttabile. « Non c'è dubbio che sia necessario superare il liberalismo del secolo XIX. Però ciò giustamente è quello che non può fare chi, come il fascismo, si dichiari antiliberale. Perché questo - essere antiliberale o non liberale - è quello che faceva l'uomo anteriore al liberalismo. E come già una volta questo ideale trionfò su quell'uomo, cosi ripeterà la sua vittoria innumerevoli volte, o tutto precipiterà - liberalismo e antiliberalismo - in una distruzione dell'Europa » 15 • 12
Op. cit., u Op. cit., 14 Op. cit., 15 Op. cit.,
p. 89. p. 63. pp. 82 e 86. p. 87.
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Ortega vede nel liberalismo una sorta di nuova religione che egli crede ormai radicata nell'intimo della coscienza dell'uomo europeo, invano osteggiata dall'uomo-massa con le sue smanie ambiziose da « signorino soddisfatto ». « Il fascista si mobiliterà contro la libertà politica, appunto perché sa che essa non mancherà mai sul serio, e anzi sta li, irrevocabilmente, nella stessa sostanza della vita europea, e che ad essa si farà ritorno ogni volta che mancherà veramente, al momento della responsabilità. Perché proprio questa è la "costante" dell'esistenza nell'uomo-massa: il difetto di serietà, di responsabilità » 16 • La libertà politica viene quindi concepita come valore fondamentale prodotto dalla cultura europea, un valore che il fascismo può temporaneamente soffocare ma non può sopprimere proprio per l'inconsistenza stessa della sua forza ideologica e culturale. Si suggerisce cosi una interessante prospettiva di interpretazione del mutamento sociopolitico, articolata, o meglio da articolare, attorno alla problematica della permanenza dei valori in una civiltà, della loro latente resistenza e della loro possibilità di reviviscenza nonostante che le condizioni politiche, sociali ed economiche non corrispondano piu alle condizioni in cui questi valori si sono originati. Purtroppo l'enfasi guida, qui e altrove, la penna del Nostro e lo stile suggestivo non sempre compensa le insufficienze dell'analisi.
5.
L'interesse di Ortega si sposta, poi, sulla relazione che intercorre tra uomo-massa, organizzazione statale e fascismo. Lo Stato contemporaneo viene considerato come l'espressione piu alta della civiltà. L'apparato statale è stato formato per servire all'individuo e alla società, ma nell'epoca nostra si tende a rovesciarne il significato e a trasformarlo in uno strumento poderoso, anonimo che si impone sugli individui e li opprime utilizzandoli ai suoi fini. È questa una delle piu gravi conseguenze dell'avvento delle masse al potere. La massa ha una venerazione per lo Stato ed è al tempo stesso interessata a dilatarne l'intervento perché lo Stato le offre quella sicurezza di cui ha bisogno. Però la massa « non ha coscienza che (lo Stato) è una creazione umana inventata da alcuni uomini e sostenuta da determinate virtu e presupposti che ieri vissero nel cuore degli uomini e che domani potranno svanire » 17 • L'uomo-massa trova nell'organizzazione statale e nel tipo di potere che questa organizzazione incarna una corrispondenza diretta con il suo modo di essere: « l'uomo-massa vede nello Stato un potere anonimo, e, al pari di quello, sente se stesso anonimo "volgo", e crede che lo Stato sia una cosa propria » 18 • Ogni qualvolta nella vita pubblica si Op. cit., p. 95. Op. cit., p. 109. 1s Ibid.
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presentano problemi, contraddizioni l'uomo-massa pretende che di questi oneri si aggravi lo Stato e che esso provveda alla soluzione di queste difficoltà. Lo statalismo diviene cosi, sostiene con energia Ortega - fedele alla sua prospettiva di liberalismo classico - una spada di Damocle sospesa sulla civiltà. All'interventismo statale va imputato « l'annullamento della spontaneità storica che, in definitiva, sostiene, nutre e sollecita il destino degli uomini ». È su questa base che Ortega formula un giudizio negativo della leadership mussoliniana per il suo modo di gestire lo Stato (giudizio che però risulterà, in parte, non confermato dagli eventi successivi): « Quando si sa questo, fa un po' spavento sentire che Mussolini predica con esemplare petulanza, come una prodigiosa scoperta fatta ora in Italia, la formula: "Tutto per lo Stato; nulla fuori dello Stato; nulla contro lo Stato". Basterebbe questo per scoprire nel fascismo un tipico movimento di uomini-massa. Mussolini si trovò con uno Stato mirabilmente costruito, non da lui, ma precisamente dalle forze e idee che egli combatte: dalla democrazia liberale. Egli si limita ad usarla con incontinenza: e senza permettermi adesso di giudicare i particolari della sua opera, è indiscutibile che i risultati ottenuti fino al presente non possono paragonarsi a quelli raggiunti nella funzione politica e amministrativa dallo Stato liberale. Se qualcosa ha ottenuto è di cosi poca entità, tanto poco visibile e priva di effettivo valore, che difficilmente può compensare il cumulo di poteri anormali che gli consentono d'impiegare quella macchina in forme estreme» 19 • Un giudizio di questo tipo va posto a confronto con la realtà politica ed amministrativa instaurata dal regime. Il regime si consolidò ed ottenne un consenso diffuso, anche grazie ad una azione di trasformazione e di innovazione in molti settori della organizzazione statale, resa quanto meno piu efficiente agli occhi della collettività. La leadership mussoliniana, come è noto, giocò in questo senso un ruolo importante. 6. L'interpretazione di Ortega presenta elementi di notevole interesse, ma, conclusivamente, è pur necessario indicarne un limite di rilievo: cioè la mancanza di riferimenti storico-politici specifici al contesto italiano dell'epoca. È un limite questo che si può giustificare in vario modo: con il fatto che l'autore presceglie un livello di analisi molto generale - per essa adotta come quadro di riferimento l'Europa - e con il fatto che vengono privilegiate come variabili esplicative variabili di carattère politico-culturale e di carattere politico-sociologico disancorate anch'esse da un contesto nazionale specifico 20 • È sintomatico, ino1Op. cit., pp. 111-112. Diversamente dalla appassionata analisi sulla « circostanza » e sulla cns1 spagnola sviluppata in Espaiia invertebrada. Per un'analisi critica di questo studio 19 20
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tre, l'aver trascurato l'importanza dell'ideologia fascista, l'esaltazione che questa ideologia fece dei valori nazionali e la reazione che questa ideologia ebbe su alcuni strati sociali - prima ancora che sulle masse diffondendosi, poi, da questi verso l'intera società italiana. La mobilitazione collettiva che ne segui, frutto non ultimo della organizzazione totalitaria dello Stato, trasformò il « popolo italiano» da un insieme di gruppi eterogenei socialmente, e quindi con interessi divergenti, in una unità superiore fondata, per un certo lasso di tempo, su di una solidarietà interclassista. Tale solidarietà nacque e si consolidò, proprio in vista della realizzazione di obiettivi nazionali, valutati dalla collettività come obiettivi superiori agli int~ressi di parte e tali da annullare tensioni e conflitti, in altri tempi, acutissimi. Non va neppure trascurato, poi, il fatto che Ortega lascia in ombra il ruolo della leadership carismatica, ruolo che in questo processo di trasformazione politica rapida e violenta è stato decisivo, decisivo in quanto ha fornito, spesso, alle masse l'illusione di agire per il compimento di una «missione», nel senso orteghiano del termine. Ortega, come si è detto, ha giustamente intuito ed illustrato il bisogno di un capo presente nella psicologia delle « masse » ribelli, ma non ha colto due elementi importanti: ha sottovalutato la capacità politica e le capacità direttive di un leader come Mussolini; non ha intuito l'effetto di ritorno che questa leadership avrebbe avuto su chi la evocò e la subf. Effetto che per molti membri del ceto medio di allora - e non solo del ceto medio - fu quello di un ruolo di guida unico e indiscutibile nei confronti delle « masse ». L'interesse e l'acutezza dell'analisi di Ortega restano, comunque, convalidati dal fatto che egli ha aperto la via a successivi filoni di ricerca teorico-empirici i quali hanno ulteriormente affinato la relazione società di massa e sviluppo del fascismo. Basti pensare agli spunti che quest'analisi ha offerto ad altre interpretazioni sociologiche e, in maniera particolare, alle riflessioni psico-sociologiche sul tema.
si veda R. Treves, La filosofia politica di Ortega y Gasset in Studi in memoria di Gioele Solari, Torino, Edizioni Ramella, 1954, p. 480 e ss. nonché L. Pellicani, Il pensiero politico di Ortega y Gasset, cit., pp. 108-115.
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IDEOLOGIA E MASSE: KARL MANNHEIM di Paolo Giovannini
Tradizionalmente, la vita e l'opera di Karl Mannheim viene distinta in due periodi: quello « tedesco », che arriva fino all'avvento di Hitler al potere, e che è caratterizzato dagli studi di sociologia della conoscenza, e quello «inglese», dopo il '33, dove l'ambiente culturale londinese rivoluziona gli interessi scientifici del nostro autore, che si vengono via via concentrando nel campo degli studi di politica sociale. Anche l'analisi del fenomeno « fascismo » risente della diversa impostazione scientifico-culturale che contraddistingue i due periodi. Tipicizzando, e semplificando, possiamo dire che il primo periodo vede l'identificazione degli elementi che secondo Mannheim costituiscono e definiscono l'ideologia fascista: delineando inoltre i rapporti intercorrenti tra questa e i gruppi sociali che se ne fanno portatori. Il secondo periodo presenta invece un'analisi del fascismo (e del totalitarismo in genere) come risposta ai problemi creati dall'avvento della moderna società di massa: che, come è noto, sono al centro dell'interesse di Mannheim in quanto costituenti quella base di conoscenza indispensabile per una corretta politica di intervento e di pianificazione sociale. 1. L'analisi che ci offre l'autore dell'ideologia fascista si inserisce nel quadro di una piu ampia trattazione di varie teorie politico-sociali: il « conservatorismo burocratico », lo « storicismo conservatore », il « pensiero borghese liberale-democratico » e la « concezione socialistacomunista ». Mannheim affronta lo studio di queste ideologie con gli strumenti propri della W issenssoziologie, adottando un approccio conoscitivo che« penetra ... nella Weltanschauung dell'oppositore e mostra come non soltanto il contenuto del suo pensiero, ma anche l'apparato concettuale e le regole del discorso da lui adottate siano in funzione di una determinata posizione sociale » 1 • 1
A. Santucci, Il pensiero di Karl Mannheim, Introduzione all'edizione italiana
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Il nostro autore caratterizza immediatamente la concezione fascista della politica come fondata sull'attivismo e sull'irrazionalismo. Nel fascismo, la pratica è in posizione del tutto dominante rispetto alla teoria: ciò che conta è l'azione diretta, l' « atto risolutore » e l' « iniziativa di un'élite dirigente », cui corrisponde, per le masse, la « sottomissione incondizionata ad un capo » 2 • La storia non conosce un suo svolgersi razionale e organico, le idee non ne influenzano il corso, né tanto meno le forze economiche, o le masse. Paretianamente, il fascismo assegna alle élites di volta in volta prevalenti il compito di segnare il corso storico, per cui Mannheim può definire quest'ideologia come « un irrazionalismo attivo che rifiuta ogni interpretazione della storia ». Alla teoria, al pensiero, il fascismo affida semplicemente un ruolo demistificatore, di denuncia del carattere ingannevole delle diverse teorie della storia. Raggiungere questa consapevolezza è un imperativo soprattutto per il capo, per l'« uomo superiore»: egli deve sgombrare il terreno dell'azione da ogni possibile pregiudizio, servirsi dell'analisi teorica per chiarire la natura di mito di tutte le concezioni politiche e sociali. Questa raggiunta consapevolezza gli consente cosf di fare del « mito » ~ e delle idee in generale) strumento di stimolo e di manipolazione degli elementi irrazionali dell'uomo e delle masse: elementi che - come aveva insegnato Sorel sono i soli in grado di portare all'azione politica e darle efficacia 3 • Ulteriori contributi a una definizione dell'ideologia fascista sono offerti da Mannheim in Libertà, potere e pianificazione democratica. Qui il nostro autore affronta il problema di quella che potremmo definire l'antropologia di base del fascismo. Significativamente, il paragrafo dedicato a questo tema si intitola « La visione pessimistica del fascismo ». « Il fascismo » - scrive Mannheim sviluppando un confronto con il comunismo - « non crede nella perfettibilità dell'uomo e non ha alcuna vera visione utopica ... del mondo » 4 • Di qui la propensione a cogliere il momento, a sfruttare l'occasione, piu che a fare piani a lunga scaden-
di Ideologia e utopia, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. XIX-XXI, Per una discussione intorno ai diversi usi del termine « ideologia », cfr. ad es. Diana De Vigili, L'ideologia nel pensiero di Karl Mannheim, in « Il politico», XXXIV, n. 1, marzo 1969, pp. 71-99. 2 Ideologia e utopia, cit., pp. 134-135. Per Mannheim, un precedente alla teoria fascista della politica si può ritrovare in Machiavelli, dove l'idea della « virtu » anticipa quella dell'« iniziativa audace» propria del capo: cfr. p. 141. 3 Op. cit., pp. 135-138. A questa fede nell'azione per l'azione si accompagna, nd fascismo, un atteggiamento profondamente scettico anche nei confronti della scienza: da questo generale rifiuto, è esclusa solo la psicologia sociale, che però è ridotta al rango di tecnica in grado di fornire utili strumenti al capo per la conduzione delle masse e in particolare per la manipolazione dei suoi istinti violenti: cfr. pp. 139-141. 4 Libertà, potere e pianificazione democratica, Roma, Armando, 1968, p. 52.
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za 5• Di qui l'uso senza scrupoli e senza limiti della propaganda in ogni settore, compreso quello dell'educazione: perché il fascista « presume che l'uomo voglia essere guidato e trasformerà questa esigenza di guida in un principio di organizzazione politica e sociale». Il pessimismo e lo scetticismo fatalista del fascismo, inoltre, lo rendono necessariamente conservatore, perché « lo sviluppo e il miglioramento» - afferma Mannheim - sono perseguibili solo da chi crede « nei fondamentali poteri creativi dell'uomo». Ma l'aspetto piu carico di conseguenze di una simile ideologia è che essa considera la lotta il principio regolatore della natura (determinismo biologico) come della società: per cui « né la giustizia sociale nel proprio paese né la collaborazione tra nazioni considerate uguali sono possibili »; e la guerra diventa l'unico strumento e insieme il banco di prova privilegiato per l'affermarsi della superiorità della nazione e della razza 6 • Dopo aver visto come Mannheim definisce, e lo fa in maniera tutto sommato tradizionale, i principali caratteri dell'ideologia fascista, possiamo considerare, ancora in Ideologia e utopia, la parte di maggior interesse della sua analisi, e cioè il rapporto tra l'ideologia e i gruppi sociali che se ne fanno portatori. Per il nostro autore, il fascismo si caratterizza, sociologicamente, come l'espressione ideologica di strati sociali « rivoluzionari » che hanno alla loro testa leaders intellettuali (« estranei al gruppo dei leaders liberali-borghesi e socialisti ») pronti a sfruttare per fini di potere le crisi periodiche che investono la società nei suoi processi di trasformazione, e offrono favorevoli occasioni a chi è pronto « all'impiego di tattiche violente e rivoluzionarie » 7• Secondo Mannheim, si può addirittura affermare che esiste una stretta corrispondenza tra il tipo di ideologia e le caratteristiche sociologiche del gruppo che l'esprime e se ne fa portatore: nel senso principale che mentre « gruppi organici e organizzati » propendono per « un'interpretazione della storia coerentemente sistematica », viceversa « gruppi socialmente disinseriti e poco integrati » (che si formano in determinate eccezionali congiunture) propendono per una sorta di « intuizionismo antistorico », vedono gli eventi storici come transitori e senza un senso che li unifichi. In particolare, la concezione ideologica di una separazione e di un contrasto tra capi o élites da un lato e « masse inconsapevoli » dall'altro è, per Mannheim, caratteristicamente presente nelle élites « socialmente indipendenti », disancorate dalle classi e « in attesa di conseguire una posizione di rilievo nella società ». È una concezione che si traduce, e insieme si 5 Mannheim spiega ad es. l'autarchia come frutto di una scelta tesa alla massimizzazione delle possibilità nel breve periodo (op. cit., p. 53 ). 6 Op. cit., pp. 53-54. 1 Ideologia e ,utopia, cit., p. 142.
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dimostra, nella pratica politica: ciò che importa non è tanto riformare o conservare la società esistente, quanto rovesciare e sostituire le élites dominanti. Le masse sono escluse dalla storia. La storia essendo (ancora Pareto) semplice circolazione di élites 8• L'analisi che segue, sul rapporto fra fascismo e borghesia, introduce un elemento di incertezza in questo quadro. Mannheim afferma infatti che la concezione antistorica che contraddistingue l'ideologia fascista è in parte derivata da quella di una borghesia al potere. Come tutte le classi divenute dominanti, la borghesia è esclusa da una concezione del mondo coerente, sistematica, « utopica »: « gli eventi storici - sostiene il nostro autore - sembrano costituire un processo solo per le classi che ancora s'aspettano qualcosa da esso» 9 • Sembra dunque che Mannheim sia vicino a giudicare il fascismo come l'ideologia della borghesia, giudizio che mal si concilia con le affermazioni di poco sopra sul rapporto tra fascismo e gruppi socialmente disinseriti - a meno che egli non consideri la borghesia una classe ormai in sfacelo, una classe non classe. Ma certamente è piu giusto e dà maggiore coerenza al pensiero di Mannheim, sottolineare alcuni tratti del suo discorso: dove si afferma ad esempio che il fascismo accoglie il « rifiuto borghese della storia », e con tanta maggiore facilità in quanto è esso stesso « un esponente dei gruppi borghesi » 10 • Mannheim non stabilisce cioè una relazione diretta, identificatrice, tra fascismo e borghesia, ma semplicemente un rapporto di filiazione. Il fascismo è il prodotto ideologico di gruppi sociali « sciolti », liberati dalla classe borghese durante i processi di trasformazione della società capitalista. 2. Società di massa e fascismo 11 • Abbiamo già accennato all'interesse dell'autore per le crisi periodiche che investono la società occidentale, come occasioni per avventure dittatoriali. Quali fenomeni si verificano da mettere cosf gravemente in pericolo le istituzioni democratiche? Per Mannheim soprattutto uno, ma denso di conseguenze: il prevalere della massa sulle classi. Sono, questi, periodi tumultuosi, che vedono - in una successione idealtipica - dapprima il fallimento dei tradizionali meccanismi di composizione dei conflitti di classe (come il parlamentarismo), quindi il diventare « aspre e anormali » le relazioni tra le classi. Coll'acutizzarsi della crisi, a questo apparente esplodere dei comportamenti classisticamente determinati fa seguito un rapido confondersi della coscienza
s Op. cit., pp. 142-143. 9 Op. cit., p. 146. Sul punto, cfr. ancora Diana De Vigili, art. cit., pp. 87-90. 10 Op. cit., pp. 146-147 (corsivo mio). 11 Per questa parte, si veda anche R. Treves, Interpretazioni sociologiche del fascismo, in «Occidente», 1953, pp. 371-391.
delle classi in lotta: gli individui sembrano aver « perduto o dimenticato le direttive che erano specifìche della loro classe ». In questa situazione di quasi generale disancoramento sociale, dilaga il comportamento di massa, e si crea il terreno favorevole all'azione di minoranze violente: « a questo punto - conclude Mannheim in Ideologia e utopia - una dittatura diventa del tutto possibile» 12 • Il discorso è ripreso e sviluppato in L'uomo e la società in un'età di ricostruzione, dove l'interrogativo fondamentale che si pone il nostro autore diventa quello sulle conseguenze dell'avvento delle masse nella scena storica, avvento che per la prima volta rompe un secolare equilibrio nel rapporto tra élites · dirigenti e gruppi sociali tradizionalmente esclusi dal potere. L'analisi di Mannheim, che qualche volta sembra peccare di eccessivo formalismo, procede attraverso una caratterizzazione per via antinomica della società « prima » e « dopo » che si sia verifìcato l'ingresso delle masse nella storia, cioè quello che l'autore chiama processo di « democratizzazione » del potere. ·Questo passaggio da una società pseudo-democratica, « che concedeva il potere politico dapprima soltanto ad un gruppo esiguo di persone dotate di beni e di cultura, e solo gradualmente al proletariato », ad una società di democrazia effettiva, dove tutti gli strati 13 vi esercitano un ruolo attivo, è un portato inevitabile della moderna società industriale, la quale « conduce ad una forma di vita che immette continuamente nuovo vigore nelle masse». Esso segna anche la transizione da un tipo di società capace di sviluppo razionale a una società dove prevale quella che Mannheim, riprendendo una espressione di Max Scheler, chiama la « democrazia di sentimenti ». Dove l'irrazionalità, prima confinata in « circoli sociali ... ristretti e nella vita privata », dilaga con violenza nella vita pubblica, e a volte giunge a dominarla. GH stessi interessi di classe e di gruppo - suscettibili di rappresentazione razionale - finiscono col passare in secondo piano, e le masse, con tutte le loro insufficienze intellettuali e politiche che le fanno facile preda dei sentimenti, imprimono il proprio carattere alla nuova società 14 . Di fronte a questa situazione, le strade aperte sono due, tra di loro alternative: quella democratica, che mira a « portare tutti a un livello piu o meno uguale di comprensione », sbarrando la via al dilagare dell'irrazionalità, o quella totalitaria, che opera per un rovesciamento (una inversione) del processo di democratizzazione. Questa seconda soluzione Op. cit., pp. 143-144. L'edizione italiana è qui fonte di confusione, traducendo Schichten con «classi» invece che «strati» (evidentemente, le classi sono «scomparse» nella società di massa). 14 L'uomo e la società in un'età di ricostruzione, Milano, ed. di Comunità, 1959, p. 41. 12 13
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- che è quella che qui ci interessa - opera e si afferma attraverso l'uso centralizzato degli strumenti di controllo delle volontà individuali 15; il suo successo è reso d'altronde possibile proprio dalla crescente monopolizzazione e centralizzazione del potere economico e sociale che caratterizza la società moderna, dal fatto cioè che questa contiene in sé elementi che si oppongono potenzialmente al processo di democratizzazione fondamentale e favoriscono invece il prevalere di minoranze ristrette. Dalla breve disamina che segue, risulta che per Mannheim la potenzialità antidemocratica della società di oggi si spiega considerando le principali trasformazioni in essa intervenute. Si è concentrato e centralizzato il capitale; è divenuta centrale, in conseguenza dello stesso processo di razionalizzazione, la figura dell'esperto, dello specializzato: cosicché la « conoscenza sociale e il potere di prendere decisioni » hanno finito per concentrarsi in misura abnorme, e ciò per ragioni prevalentemente tecnico-pratiche; in particolare, l'attività amministrativa è stata monopolizzata da una burocrazia sempre piu distaccata dagli altri strati sociali; infine, ma non meno importante, l'attuale concentrazione degli strumenti del potere militare in un corpo specializzato ha vanificato la fondamentale condizione di democratizzazione dei secoli XVIII e XIX, cioè il fatto che ogni uomo significava un fucile, quindi un nucleo di resistenza abbastanza efficace: rendendo possibile c,ggi a regimi dittatoriali una azione repressiva (antirivoluzionaria) altamente efficace 16 • Mannheim si sofferma ora, con intenti di chiarificazione e insieme di sviluppo in un sistema formale, a discutere del rapporto appena accennato tra società di massa e irrazionalismo. La crescente razionalizzazione industriale, con la sua àccentuata divisione del lavoro e l'aumentata potenza dell'organizzazione, comporta un'estensione sempre maggiore della razionalità funzionale, cioè della capacità di organizzare e pianificare l'azione degli uomini verso mete prestabilite; ma diminuisce in pari tempo e progressivamente la razionalità sostanziale, vale a dire la capacità di giudizio razionale e indipendente dell'individuo, la sua possibilità di « comprensione delle interrelazioni degli eventi in una data situazione ». Per un processo che potremmo definire di « espropriazione » ( termine che serve anche a ricordarci l'indubbia influenza in questo punto di Marx su Mannheim), la razionalità sostanziale di cui gli individui sono progressivamente spogliati viene a concentrarsi nel numero limitato di persone preposte al processo di razionalizzazione. La conseguenza di tutto ciò è un progressivo e inarrestabile distacco tra élite e massa, un affermarsi in ogni sfera dell'eterodirezione, un rinnovarsi 15 16
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Op. cit., p. 42, e anche pp. 107 e ss. e nota 24, Op. cit., pp. 43-44.
sempre piu frequente dell' « appello al capo »: tutte condizioni che spianano la via alle dittature di massa. L'estendersi della razionalità funzionale, con il corrispettivo progressivo estinguersi della razionalità sostanziale, apre infatti il gioco alla manipolazione degli impulsi irrazionali delle masse e alla loro direzione da parte di élites dittatoriali: « La fissazione degli impulsi delle masse - dice Mannheim - guidata coscientemente su nuovi obiettivi, sostituisce le forme primitive di tale fissazione ... Cosf, ad esempio, si fa il tentativo di creare una nuova religione, la cui funzione è in primo luogo di distruggere l'antica situazione emotiva e di meglio subordinare pertanto questi impulsi disintegrati a scopi personali con l'uso di nuovi simboli ». Ma non è solo il sentimento di tipo religioso ad essere usato come strumento di dominio e di controllo degli elementi irrazionali presenti nella società: Mannheim ricorda anche in proposito certe manifestazioni tipiche delle società di massa, come gli sport e le « celebrazioni », di cui chiarisce la funzione di liberazione e insieme di dirottamento degli impulsi irrazionali, continuamente repressi dalla diffusa razionalizzazione che caratterizza la vita quotidiana 17 • Un ulteriore interessante chiarimento del rapporto tra razionalità funzionale e sostanziale, il nostro autore ha occasione di fornircelo trattando del legame condizionatore che si instaura tra dittatura e individuo, in particolare tra fascismo e persona umana 18 • Per Mannheim il fascismo, soprattutto a livello politico e di propaganda, si può definire behaviorista: non ha infatti di mira una trasformazione profonda o un'elevazione dell'intero individuo, ma semplicemente una sua subordinazione. Il fascismo « crea un apparato di coercizione sociale » avendo come fine l'integrazione del comportamento o per lo meno la sua « armonia esteriore », ma « di fatto non penetra nella profondità della personalità umana »; usa « la piu alta combinazione di coercizione esterna e di suggestione », ma senza mirare ad altro che alla « regolamentazione del comportamento esteriore e della integrazione dei sentimenti »: raggiunge cioè un alto grado di razionalizzazione funzionale, ma non arriva ad alcuna specie di razionalizzazione sostanziale 19 • 17 Op. cit., pp. 50-59. In quest'ultima pagina, Mannheim ha però occasione di chiarire anche la funzione positiva dell'irrazionalità: « Dobbiamo ... riconoscere - egli dice - che non sempre l'irrazionale è dannoso, ma che, al contrario, è tra le forze piu preziose in possesso dell'uomo, quando agisce come forza motrice verso scopi razionali ed oggettivi, o quando crea valori culturali mediante la sublimazione, o quando, come puro élan, intensifica la gioia di vivere senza dissolvere l'ordine sociale per mancanza di pianificazione»; cfr. anche la breve discussione di G. Bartolomei, Introduzione all'edizione italiana, di Libertà, potere e pianificazione democratica, cit., p. 9. 18 Cfr., sul punto, anche le pp. 107-112 (e note 24 e 26) di op. cit. 19 Op. cit., pp. 204-206. Si noti come questa analisi escluda esplicitamente un profondo radicale rinnovamento della personalità umana e dei suoi valori da parte
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Le categorie di « funzionale » e di « sostanziale », con qualche adattamento, trovano ulteriore applicazione nella successiva analisi dei fattori che determinano, nella società industriale moderna, lo sviluppo e il crollo della moralità. Mannheim sostiene che « quanto piu la moderna società di massa è razionalizzata funzionalmente, tanto piu tende a neutralizzare la moralità sostanziale o a smistarla nella sfera "privata" »: dove per mora/,ità sostanziale intende quell'insieme « di determinati valori concreti, quali i dettami della fede e le diverse specie di sentimenti... che possono essere, quanto alla qualità, del tutto irrazionali ». Trionfa invece, soprattutto « nelle questioni pubbliche », la moralità funzionale, che consiste di quei « modelli che, se realizzati nella condotta, garantiscono lo scorrevole funzionamento della società ». L'esempio di cui si serve l'autore può servirci a meglio chiarire il discorso. Le classi dominanti - dice Mannheim - hanno da tempo adottato una duplice morale: quella cristiano-borghese (« sostanziale ») per la vita privata, e quella della violenza (« funzionale ») per « tutte quelle attività che possono includersi nella categoria della raison d' état ». Mentre però, prima che il processo di democratizzazione avesse luogo, si -aveva una sorta di « divisione sociale e morale del lavoro », per cui le classi escluse dal potere erano anche escluse da questa dicotomia morale, oggi la morale della violenza si è generalizzata a tutti gli strati sociali, perché le masse hanno fatto la loro apparizione sulla scena storica e politica: « Mentre fino ad oggi la morale da banditi era stata coscientemente ritenuta valida soltanto in casi estremi e per i gruppi al governo, con la democratizzazione della società questo elemento di violenza non solo non diminuf, ma ... venne ora riconosciuto pubblicamente ed in modo generale». Questo esito è gravido di pericoli per il futuro della società: « è impossibile » - avverte Mannheim - « prevedere il destino che attende la morale pubblica, una volta che la plebaglia si sia impadronita del segreto, che un tempo opprimeva le menti di ancor piccoli e sofisticati gruppi di governo » 20 • L'autore è ora in grado di approfondire ulteriormente le condizioni di trapasso ai regimi totalitari, proponendo un'analisi fondata essenzialmente (ancora una volta) su due categorie antinomiche, quelle di insicurezza disorganizzata e di insicurezza organizzata. Durkheimianamente 21 , Mannheim è convinto che esista una corrispondenza assai stretta tra lo dei regimi fascisti: che è, mi pare, il corrispettivo della scarsa considerazione di Mannheim per il ruolo del capo carismatico nei fenomeni totalitari, con un distacco da Weber assai rilevante. 20 Op. cit., pp. 63-68. 21 L'influenza di Durkheim è qui mediata da autori come Park, Maya, ecc.: cfr. nota 1, pp. 116-117 di op. cit.
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stato di disorganizzazione della società e quello dell'individuo, come è convinto che lo stato di insicurezza, quando da individuale si fa collettivo, è in grado di condurre ad una « dissoluzione parziale o totale della società » 22 • Quest'insicurezza trova insieme un sintomo e una causa nella disoccupazione strutturale che affligge la società capitalista 23 , disoccupazione che priva gli uomini di un « compito giornaliero », della possibilità di « usare attitudini di lavoro integrate », che li frustra nelle loro « speranze di elevare il proprio livello di vita », ma soprattutto che li fa cadere in uno stato di insicurezza generale, dove viene meno il rispetto della società e di se stessi 24 • « Questo - dice Mannheim - è 1o stadio dell'insicurezza non organizzata »: si assiste in esso a un generale declino della fiducia « nelle istituzioni, nei costumi, nelle tradizioni e nel prestigio storicamente consolidatosi ». Tutto diventa possibile: nuove « fissazioni sociali », come il fascismo, sembrano avere grandi possibilità di realizzarsi 25 • Le forti differenziazioni di possibilità economiche, la disoccupazione su larga scala, la messa in discussione dei valori e principi fondamentali caratterizzano una situazione che deve ad ogni costo essere superata, perché a lungo andare essa è anche psicologicamente insostenibile per l'individuo, il quale ha bisogno di essere soggetto a una guida e a una regola. Qui, come altrove, Mannheim si avvale per la sua analisi di strumenti mutuati dalla psicologia, sostenendo èhe l'uomo, frustrato nella sua ricerca di una « soddisfazione immediata e reale nel campo del lavoro e nella stima sociale », « trova sollievo nella creazione di fini simbolici e attività simboliche ». Il sistema di simboli viene quindi collettivamente trasformato in una nuova realtà mediante un processo che si sviluppa lungo tre stadi, e che segna il passaggio da un sistema di insicurezza disorganizzata a un sistema di insicurezza organizzata (il regime totalitario). Nel primo stadio il simbolo (« camicie brune e nere ... , braccia protese ... frasi come "libertà e gloria della nazione" ») è « puro fine sostitutivo» (del lavoro e della stima sociale venuti a mancare); nel secondo stadio il simbolo diventa fattore di riorganizzazione della personalità e strumento di nuove forme di integrazione e coesione di gruppo; nel terzo e ultimo stadio, infine, « l'attività spontanea ... lascia il posto alla rigida organizzazione » e i nuovi simboli, come i nuovi modelli di azione, sono imposti obbligatoriamente. Siamo dunque nella 22 23 24
Op. cit., pp. 155 ss., pp. 112 ss. e p. 127. Si ricordi che siamo in anni ancora assai vicini alla Grande crisi. Mannheim sostiene che è in una simile situazione di frustrazione che soluzioni come l~ guerra o la ricerca di un capro espiatorio possono essere di grande utilità per scaricare all'« esterno» del corpo sociale le tendenze aggressive (op. cit., p. 123 e p. 126). 25 Op. cit., p. 127.
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fase dell'insicurezza organizzata, che caratterizza i moderni regimi totalitari di massa. Le cause dell'insicurezza, come lo squilibrio economico che aveva determinato la disoccupazione strutturale, non sono scomparse: « Ma, anche se la nazione non è sicura, vengono costituite nuove formazioni sociali che, pur fornendo sino ad un certo punto sostituti psicologici per il perduto compito (ad es. strade non indispensabili, campi di lavoro e di riarmo), aiutano nello stesso tempo a condurre l'economia della nazione con minor spesa. È ora possibile diminuire gradualmente, senza suscitare resistenza, il livello di vita, compensando ogni privazione con un sostituto psicologico, trovando capri espiatori e creando occasioni di entusiasmo collettivo organizzato » 26 • Il fascismo si presenta come una risposta, sia pure insoddisfacente, ai problemi creati dallo sviluppo capitalistico; il fascismo « organizza l'insicurezza » sotto simboli e capi, dà alle masse obiettivi sostitutivi e compensatori da perseguire, ma nel contempo priva gli uomini di ogni autonomia di giudizio - nei termini di Mannheim, di ogni « razionalità sostanziale » v_ Cresce e si concentra enormemente, invece, la « razionalità funzionale ». Il fascismo, come il nazismo, costituisce a suo modo, nei termini di Toynbee, una « risposta alla sfida » delle moderne società di massa, un tentativo, sia pure condannabile, di far fronte allo stato di disintegrazione delle società occidentali attraverso lo strumento della pianificazione. Come è noto, Mannheim è un convinto fautore della necessità di un intervento regolatore nell'economia e nella società. Che però deve attuarsi in forme e modi che non intacchino i fondamentali principi di libertà, e garantiscano un continuo controllo dal basso. La scelta del26 Come è noto, durante il fascismo, i salari subirono una flessione non lieve, che P. Sylos Labini ha recentemente stimato intorno al 15-20%. Cfr. Saggio sulle classi sociali, Bari, Laterza, 1974, p. 77 e spec. nota 7 alle pp. 145-146. 'Il Op. cit., pp. 128-132. Un'interessante esemplificazione di queste idee è offerta da Mannheim in una conferenza tenuta nel 1941 alla BBC, sulla strategia psicologica del nazismo, e ora pubblicata in Diagnosi del nostro tempo (Milano, Mondadori, 1951). Il nazismo - dice Mannheim - rivolge la sua attenzione non tanto all'individuo come persona, ma come membro di un gruppo sociale: ritenendo a ragione che un uomo sia piu facilmente manipolabile facendo leva sulle sue appartenenze sociali. La resistenza dell'individuo si può piu facilmente vincere se si riesce a disorganizzare i gruppi in cui è inserito: la disorganizzazione a sua volta - lo abbiamo visto - crea il terreno favorevole per la riorganizzazione di nuove strutture e aggregazioni sociali in grado di ottenere il comportamento voluto dal gruppo dominante. Osserva Mannheim come l'azione disorganizzatrice del partito nazista sia stata resa piu agevole dalla assenza di pianificazione che caratterizza l'economia liberista, che ha avuto come conseguenza la disoccupazione permanente, e altre condizioni favorevolissime a un'azione di questo genere. La disgregazione del gruppo provoca il crollo della coscienza morale dell'individuo, che diventa pronto ad associarsi a un nuovo ordine. Questo si ricostruisce lungo due linee: applicazione ad ogni organizzazione (della gioventu, del lavoro, dell'opinione, ecc.) di un'organizzazione militare di tipo prussiano, e sviluppo al suo interno di sentimenti e di atteggiamenti psicologici simili a quelli delle bande giovanili (dr. op. cit., pp. 143-149).
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l'autore è d~nque quella di una pianificazione democratica, una « pianificazione per la libertà ». Al contrario, il fascismo ha scelto (e non poteva diversamente) la via della pianificazione totalitaria. Totalitaria in un duplice senso: nel senso che è onnicoinvolgente, interessando ogni sfera della vita sociale e non sociale, e che si esercita dittatorialmente, attraverso la ristretta élite del partito monopolistico. Con la conseguenza che tutti i fondamentali diritti del libero cittadino vengono meno, cessa ogni controllo da parte della stampa e dell'opinione pubblica, e il potere si esercita in modo del tutto irresponsabile 28 • 3. Concludendo, quali critiche è possibile avanzare nei confronti di questo discorso di Mannheim sul fascismo? E di quale utilità invece ci può essere per una corretta interpretazione del fenomeno? Con Lukacs, possiamo cominciare ad addebitare a Mannheim un gusto eccessivo per gli schemi formali, capaci si di portare a utili costruzioni tipologiche ma situati a un livello di astrattezza tale da non consentire che una limitata utilizzazione per fini concreti di analisi 29 • Neppure l'ascesa del nazismo al potere sembra aver indotto Mannheim a una maggiore concretezza, anzi proprio L'uomo e la società (del 1935) fa abbondante uso - lo abbiamo già segnalato - di categorie antinomiche e di astratte tipologie: l'analisi si concentra sulla società di massa e le sue caratteristiche, mira a raffigurare e a definire un'epoca, ma insieme si preclude la via della concreta spiegazione storica. Un altro appunto critico che si può rivolgere a Mannheim è quello di aver privilegiato nell'analisi strumenti mutuati soprattutto dalla psicologia e dalla psicoanalisi 30 , e di aver invece scarsamente considerato l'utilità di categorie interpretative di tipo economico (al di là di affermazioni in senso contrario): per cui un atteggiamento psicologico, come l' « insicurezza », sia pure assurto a fatto collettivo, diventa la variabile principale di spiegazione-descrizione del fenomeno totalitario. È un'analisi che, mi pare, rimane a livello epifenomenico. Può servire, ad esempio, a descrivere le condizioni in cui è avvenuta la ascesa al potere del fascismo italiano: da un periodo di « insicurezza disorganizzata », che segue immediatamente alla prima guerra mondiale, si è passati - attraverso una fase di transizione - a un periodo di « insicurezza organizzata » (il fascismo). Ma tutto questo ci dice poco sulle cause reali che hanno condotto a questa soluzione dittatoriale. 28 29
Libertà, potere e pianificazione democratica, cit., spec. pp. 49-51. G. Lukacs, La distruzione della ragione, Torino, Einaudi, 1959, p. 644. Anche R. Treves, art. cit., addebita a Mannheim un certo « schematismo sociologico» (p. 386). 30 Cfr. sul punto, D. Corradini, Karl Mannheim, Milano, Giuffrè, 1967, pp. 338 ss.
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La parte forse piu consistente del discorso d{ Mannheim, anche se non esente da critiche 31 , è quella relativa al processo di « democratizzazione » del potere e di ascesa delle masse come insieme di condizioni favorevoli all'affermarsi dei regimi totalitari: ma ancora una volta, al di là di acute riflessioni sulla società di massa e sui suoi squilibri, poco ci è dato di capire sulla specificità storica e sociologica del fenomeno fascista, considerato solo uno dei possibili sbocchi della situazione, e in piu messo in parallelo colla « soluzione » comunista. La ricerca di generalizzazioni, insomma, rende sfocato il quadro e insufficiente l'analisi, tanto piu se si vuole utilizzare per l'interpretazione del fascismo italiano.
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Cfr. ancora G. Lukacs, op. cit., p. 646.
L'INTERPRETAZIONE PSICOSOCIALE: H. D. LASSWELL, E. FROMM, W. REICH di Rossana Trifiletti Baldi
H. D. Lasswell, E. Fromm e W. Reich sono forse gli esponenti piu tipici di un modo di interpretare il fascismo che si vale del taglio psicologico. In seguito questa ottica è stata per lo piu recepita anche da altri autori, che le hanno riconosciuto elementi di validità, se usata come strumento di analisi accessorio, accostandola ad un inquadramento piu generale, storico e sociologico, del problema, ma nei tre autori che si trattano qui, anche per la loro posizione di iniziatori, per lo piu questo livello psicologico del discorso è il principale se non l'unico: se anche essi non ignorano gli aspetti storici e politici del fascismo, certo è che questi hanno un peso minore: il loro interesse è focalizzato sui meccanismi che spiegano la accettazione celta di valore su cui si basano gli sviluppi successivi: in M. Birnbach, Neofreudian Social Philosophy, cit., pp. 80-81. n E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea, Milano, Comunità, 1960, p. 73. 38 E. Fromm, Fuga dalla libertà, Milano, Comunità, 1970, p. 44. 39 « La società medioevale non privava l'individuo della sua libertà perché l'individuo non esisteva ancora», ibidem, p. 45. 40 Fromm usa questa espressione in un !>enso molto vasto: « la famiglia il clan e piu tardi lo stato, la nazione e la Chiesa svolgono quella stessa funzione che la singola madre ha originariamente per il bambino », Psicanalisi della società contemporanea, cit., pp. 52-53. Naturalmente qui Fromm incorre in una semplificazione storica troppo grave: « come possiamo concepire una rottura definitiva e finale di tutti i legami primari alla fine del medioevo, quando il secolo diciottesimo e l'inizio del diciannovesimo sono stati in America l'esempio dello stile di vita rurale-familiare?», nota A. W. Green, in Sociological Analysis of Horney and Fromm, « American Journal of Sociology », LI (1946), n. 6, p. 536. 41 Fuga dalla libertà, cit., p. 27.
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dell'individuo e sulla necessità per l'individuo di subordinarsi ad un potere esterno » 42 : nella terminologia di Fromm sarebbero questi gli inizi della tendenza ali' alienazione 43 che ,;i rafforzerà con lo sviluppo del capitalismo: l'insicurezza si aggrava con la perdita delle soluzioni religiose, con la trasformazione monopolistica del capitalismo che riduce ulteriormente sfera di autonomia e iniziativa individuale, e con la concreta minaccia di guerre di nuovo tipo che rende tragico il senso di impotenza 44 • In tal modo di fronte all'insicurezza e alla solitudine l'individuo finisce per avere paura della sua libertà e per attuare meccanismi di fuga dalla libertà che in cambio di nuove sottomissioni gli diano un senso di appartenenza, come è tipico del conformismo generalizzato delle società di massa contemporanee. Ma il meccanismo di fuga forse piu esplicito è proprio l'autoritarismo, l'atteggiamento psicologico che è appunto al centro della sua analisi del fascismo: è bene precisare che in realtà il discorso di Fromm si riferisce naturalmente al nazismo tedesco, di cui aveva esperienza diretta, ma per lo piu la sua argomentazione si svolge ad un livello cosi generale da far ritenere che in molti casi sia applicabile a diversi tipi di regimi totalitari 45 • Autoritarismo però è ancora un termine generale per designare « la tendenza a rinunciare ali' autonomia del proprio essere individuale e a fondersi con qualcuno o qualcosa al di fuori di se stessi per conqui42 Ibidem, p. 42: dr. anche p. 62: « le nuove dottrine religiose non si limitarono ad esprimere eloquentemente i sentimenti suscitati da un ordine economico in corso di trasformazione, con i loro insegnamenti li acuirono e al tempo stesso offrirono soluzioni che consentivano all'individuo di far fronte a un'insicurezza altrimenti intollerabile ». 43 Il concetto di alienazione di Fromm è psicologico, molto lontano dall'accezione marxiana, indica l' « estraneazione da se stesso » tipica dell'uomo moderno in un senso abbastanza vago e indefinito: non si può certamente essere d'accordo con Schaar che vede questa trasformazione come un utile sviluppo rispetto a Marx che « libera l'alienazione dai confini di classe e la studia nelle condizioni sociali di massa»: cfr. J. H. Schaar, Escape from Authority. The Perspectives of Erich Fromm, London - New York, Harper & Row, 1964, pp. 192-194. 44 Fuga dalla libertà, cit., pp. 96-122. Questo tipo di excursus storico ha aspetti criticabili fin troppo evidenti; come nota ad esempio il Catemario, Fromm passa da un periodo all'altro « senza una vera continuità di analisi con la storia economica precedente, in quanto l'indagine è incentrata dichiaratamente sul piano psicologico», in A. Catemario, La società malata. Saggio sulla filosofia di Fromm, Napoli, Giannini, 1962, p. 153. 4.5 E quindi anche a quello italiano: Fromm usa occasionalmente il termine fascismo in senso lato, che ricomprende sia il fascismo italiano che il nazismo tedesco, un termine piu generale - come chiarisce lui stesso - « per designare un sistema dittatoriale del tipo di quello tedesco o italiano ». È lecito supporre che piu spesso di quanto non dica, al di là di esplicite circostanze che conosceva meglio per la Germania, il nucleo del suo discorso si riferisca a questo termine generale. Cfr. Fuga dalla libertà, cit., p. 15, n. 1.
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stare la forza che manca al proprio essere » 46 : questo è il meccanismo di fuga dalla libertà che si generalizza nei regimi fascisti, che sono l'esempio piu evidente di « società malata » 47 anche se non l'unico; il discorso di Fromm, che all'interno della sua teoria generale è interessato appunto alla « patologia della normalità » è soprattutto focalizzato al livello del meccanismo psicologifo ma non vuole certo sostenere che questo sia la causa univoca dei movimenti fascisti: Fromm non rischia mai di cadere nella genericità di simili semplificazioni, ha sempre ben chiaro il limite di fondo che abbiamo indicato per le spiegazioni psicologiche del fascismo, sa di occuparsi di un solo aspetto del fenomeno, quello che gli è piu congeniale, cioè l'adesione delle masse, ma ha ben chiaro, in una corretta impostazione metodologica, che questo non ne esaurisce la complessità. Per una sua reale comprensione è necessario sia lo studio dell'aspetto psicologico che quello degli aspetti economicopolitici collegati tra loro in un rapporto dialettico: « il nazismo è un problema psicologico, ma anche i fattori psicologici vengono influenzati dai fattori socioeconomici; il nazismo è un problema economico-politico, ma la sua presa su di un popolo intero dev'essere spiegata dal punto di vista psicologico » 48 • Con la precisazione di questo limite l'autoritarismo, cioè la tendenza dell'uomo moderno ad accettare la rinuncia alla libertà in cambio della sicurezza che può derivare da un potere esterno, può dare una prima spiegazione generica di come il nazismo fu accettato, ma per capire perché proprio quella forma di potere si impose, per chiarire in modo piu approfondito la funzione psicologica delle sue caratteristiche specifiche è necessario fare una distinzione fra due gruppi all'interno della popolazione tedesca che ebbero un atteggiamento diverso. Ibidem, p. 127. Fromm parla di società malata sulla base di un suo precedente contributo in cui indicava Ja necessità per la psicanalisi di passare dallo studio delle nevrosi individuali allo studio della inclinazione negativa modellata socialmente: cfr. E. Fromm, Individua! and Socia/ Origins of Neurosis, in C. Kluckhorn, H. A. Murray, Personality in Nature Society and Culture, New York, A. A. Knopf, 1949. È però da notare che per Fromm,' a ogni meccanismo di fuga dalla libertà generalizzato corrisponde un tipo di società malata: i regimi fascisti Io sono allo stesso titolo di molte altre e questo rende certo meno suggestiva la tesi di Fromm. Anzi molti critici sottolineano che per Fromm nessuna società esistita è mai stata una società sana, v. ad esempio J. H. Schaar, op. cit., p. 163. 48 Fuga dalla libertà, cit., p. 182, cioè anche se le cause che portavano al sorgere del movimento totalitario erano altre, di ordine economico e politico, senza determinate condizioni psicologiche degli individui, questa non avrebbe potuto avere la base umana necessaria per il suo sviluppo: quindi almeno in questo senso mediato anche le motivazioni psicologiche erano cause. In questo senso è già aperta la strada per il successivo ·abbandono di Fromm degli elementi causali economici: dr. per quest'ultimo anche J. H. Schaar, op. cit., pp. 96-97. 46
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Da un lato la classe operaia e i borghesi agiati, che pure inizialmente erano stati ostili al nazismo, finirono per non ribellarsi sia perché l'atteggiamento di fondo di incertezza e rassegnazione che abbiamo visto tipico dell'uomo moderno riduceva la loro combattività, sia perché esso riusci a creare anche per loro ur legame di appartenenza che era un costo psicologico troppo alto rçcidere. La situazione di sfiducia e sconforto era particolarmente vera per la classe operaia che aveva sostanzialmente perso la sua battaglia storica ~ e visto crollare la sua grande speranza rivoluzionaria, mentre per Fromm l'effetto di legittimazione del regime, una volta insediato, fu comune a tutti: « a quel punto il regime di Hitler si identificò per tutti con la "Germania", combatterlo significava estraniarsi dalla comunità dei tedeschi », « per quanto possa essere ostile ai principi del nazismo un cittadino tedesco, se deve scegliere tra il restar solo o il sentire di ~ppartenere alla Germania, per Io piu sceglierà quest'ultima via » 50 ; per questo primo gruppo cioè il meccanismo psicologico dell'autoritarismo agisce nel modo piu semplice e immediato, la rinuncia alla libertà è accettata in cambio di un nuovo legame di appartenenza, che avrebbe però potuto essere anche di un altro tipo 51 • Piu complesso e articolato invece doveva essere il discorso per l'altro gruppo, che fu l'attore principale nel partito nazista e nelle sue organizzazioni sia prima che dopo la presa del potere: la piccola classe me49 Fromm su questo punto porta avanti una tesi diversa da quella di Lasswell e almeno in parte piu vicina a quella di Reich, perché descrive la situazione soprattutto come una sconfitta politica del movimento operaio e vede la presa di potere de! nazismo come conseguenza degli errori delle sinistre piu che come reazione spaventata di fronte alla loro reale pericolosità. Questo andrebbe probabilmente messo in relazione col fatto che Lasswell indica come base di massa del fascismo quasi esclusivamente la piccola borghesia, mentre sia Fromm che Reich parlano di una parte almeno della classe operaia che, delusa dai capi e dagli errori della socialdemocrazia, fu preda della propaganda nazista, o quanto meno fu incapace di reagire. Del resto non è nemmeno da potersi escludere che Fromm abbia in una certa misura subito la suggestione delle tesi di Reich: cfr. P. A. Robinson, La sinistra freudiana, Roma, Astrolabio, 1970, p. 38, anche se questo autore è portato a sopravvalutare tale supposta influenza perché non considera i contributi di Fromm anteriori a Fuga dalla libertà. Del resto i reichiani ortodossi arrivano ad accusare apertamente Fromm di plagio anche se, probabilmente, senza alcun fondamento, cfr. L. De Marchi, Wilhelm Reich, biografia di un'idea, Milano, Sugar, 1970, p. 302. 50 Fuga dalla libertà, cit., p. 183. 51 Come nota lo stesso Fromm è un tipo di spiegazione che resta generica: « la paura dell'isolamento e la relativa debolezza dei principi morali possono aiutare qualsiasi partito, una volta che abbia conquistato il potere dello Stato, ad assicurarsi la lealtà di un gran parte della popolazione», ibidem, p. 184. A questo primo livello diventa addirittura difficile distinguere questa accezione dell'autoritarismo dal conformismo che è per Fromm il tipo di fuga dalla libertà nelle società industriali avanzate.
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dia 52 , che ha accolto con entusiasmo anche l'ideologia nazista ed ha costituito la base di massa mobilitata del regime. Secondo Fromm per spiegare come un rapporto di sottomissione all'autoritarismo sia non solo sopportato, ma ricercato con entusiasmo perché dà piacere bisogna rifarsi alla sua costruzione teorica del carattere sado-masochistico o « autoritario » 53 • Infatti « le scoperte psicanalitiche mostrano che in una struttura caratterologica contenente il masochismo, è compreso necessariamente anche il sadismo » 54 : sono due aspetti di uno stesso fenomeno psichico, è una coppia sempre presente insieme: anche se nei vari processi concreti uno è sempre piu evidente e l'altro piu represso anche quello meno visibile resta conservato nella psiche, non scompare mai del tutto. Una conseguenza di questa compresenza di tendenze opposte è che « il tratto caratteristico di tale atteggiamento è la sua diversità a seconda che l'oggetto sia una persona forte o una piu debole » 55; sono cioè sempre rresenti insieme il rispetto per il potente e il disprezzo e l'odio per il debole o l'estraneo. Secondo Fromm questo tipo di carattere masochistico-autoritario era il carattere sociale della piccola borghesia, l'insieme di tratti condivisi dalla maggior parte dei suoi componenti e tipici, caratterizzanti il gruppo 56, perché originati dall'adattamento di ogni singolo membro alle 52
Fromm presumibilmente intende con questa espressione sia il vecchio che
il nuovo ceto medio: lo si può sostenere non solo perché vi include esplicitamente gli impiegati, ma perché è proprio il suo punto di vista che ad esempio differisce
da quello di Lasswcll: Fromm non teorizza tanto il risentimento di un gruppo sociale ben delimitato e ostile alla società industriale, ma l'atteggiamento psicologico di vastissimi strati della popolazione capace di improntare di sè tutta la società. 53 Formulata da Fromm fino dal 1936 nel contributo a Studien uber Autoritiit und Familie, Paris, Alcan, 1936, trad. it. Studi sull'autorità e la famiglia, Torino, U.T.E.T., 1974; v. soprattutto le pp. 104-128; per una formulazione molto riassuntiva v. anche E. Fromm, Dogmi, gregari e rivoluzionari, Milano, Comunità, 1973, p. 155: « la struttura caratteriale autoritaria è la struttura di una persona il cui senso della forza e dell'identità si basa su di una subordinazione simbiotica degli individui soggetti alla sua autorità. Vale a dire il carattere autoritario si sente forte quando può sottomettersi e essere parte di un'autorità che (in qualche misura sostenuta dalla realtà) viene gonfiata, divinizzata, e quando può nello stesso tempo gonfiare se stesso incorporando gli individui soggetti alla sua autorità. Si tratta di uno stato di simbiosi sadomasochistica che gli dà un senso di forza e un senso di identità i.. 54 Studi sull'autorità e la famiglia, cit., p. 109. ss Ibidem. 56 Fromm lo definisce « il nucleo della struttura di carattere condiviso dalla maggior parte delle persone di una medesima cultura, in contrasto con il carattere individuale con il quale persone di una medesima cultura si differenziano l'una dall'altra », in Psicanalisi della società contemporanea, cit., p. 91; molti autori però hanno rimproverato a Fromm il carattere troppo statistico piu che esplicativo di questo concetto, dr. ad esempio R. Bastide Sociologie et Psychanalyse, Paris, Presses Universitaires de France, 1972, pp. 122-123.
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condizioni esterne, oggettive esistenti 57 ; cioè secondo Fromm le persone che si trovano in una situazione economica piccolo borghese, al di là della variabilità individuale hanno una serie di tratti caratteriali comuni in relazione a tale situazione e sono questi tratti di carattere che spiegano la adesione attiva della categoria al nazismo come ad un movimento che ne poteva soddisfare tutte le esigenze: « in realtà questa parte della classe media è sempre stata caratterizzata da certi particolari tratti: l'amore per i forti, l'odio per i deboli, la meschinità, la ostilità, l'avarizia sia in fatto di sentimenti che in fatto di denaro, e in sostanza l'ascetismo» 58 • Tutto questo, argomenta Fromm, era destinato ad aggravarsi nella crisi del dopoguerra; infatti quando una classe è potente e indipendente nella società la forza del sadomasochismo diminuisce, ma « quanto piu invece crescono le contraddizioni all'interno della società e quanto piu esse diventano irresolubili, quanto piu le forze sociali sono controllate e cieche, quante piu catastrofi come la guerra e la disoccupazione adombrano la vita dell'individuo in quanto forze immutabili del destino, tanto piu forte e generale diventa la struttura pulsionale sadomasochista e insieme la struttura del carattere autoritario » 59 • Cosf la situazione dell'immediato dcpoguerra, con il crollo delle istituzioni e della monarchia, la crisi economica e l'inflazione, percepita come un crollo della credibilità dello stato, fu soprattutto per la piccola borghesia una crisi dell'autorità con cui si identificava verso l'alto; allo stesso modo verso il basso ci fu una attenuazione della linea di demarcazione con cui la piccola borghesia si teneva distinta dai gruppi sociali inferiori: « dopo la rivoluzione il prestigio sociale della classe operaia aumentò notevolmente e di conseguenza il prestigio deila classe media inferiore diminuf in proporzione. Non c'era piu nessuno da guardare dall'alto in basso » 60 : è da questo punto di vista che Fromm propone il 57 Per Fromm « il carattere sociale interiorizza le necessità esterne,. (Fuga dalla libertà, cit., p. 244 ), fa desiderare all'uomo di agire come deve secondo le esigenze della società: nell'intenzione di Fromm, che ne ha fatto uno dei cardini della sua teoria, questo concetto era destinato a spiegare il rapporto individuo-società a situarsi come tramite tra la struttura economica e la sovrastruttura ideologica e infine ad essere la base di un collegamento tra analisi psicologica e sociologica. Purtroppo è un tentativo per lo piu rimasto a livello di mero enunciato, non euristicamente utile. Molti critici hanno rimproverato a Fromm di non tenere conto della variabilità dei piccoli gruppi che mediano il rapporto individuo-società dal momento che « gli individui interagiscono all'interno di un piccolo segmento di una società differenziata e apprendono i valori specializzati dei loro vari segmenti oltre ai valori culturali generali »: in A. W. Green, op. cit., p. 536; cfr. anche M. Sherif, H. Cantril, The Psychology of Ego-Involvements, New York, J. Wiley, 1949, p. 498. 58 Fuga dalla libertà, cit., p. 185. S9 Studi sull'autorità e la famiglia, cit., p. 115. tlJ Fuga dalla libertà, cit., p. 187.
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tema della proletarizzazione economica del ceto medio. In quel momento storico comunque tutti e due gli aspetti del carattere autoritario del ceto medio, il desiderio di sottomissione e quello di dominio erano cosf frustrati 61 e questo lo predisponeva all'-:iccettazione di un regime autoritario perché « nelle forme autoritarie di società trovano soddisfacimento sia le tendenze masochistiche sia quelle sadistiche » 62 • Fu per questo che la piccola borghesia accolse la propaganda nazista come una liberazione, perché in essa trovava una via d'uscita alla sua situazione di frustrazione sociale, di proletarizzazione reale. mediante un meccanismo di razionalizzazione in senso psicologico proiettando la propria situazione sociale sul destino della nazione: « la sconfitta nazionale e il trattato di Versailles divennero i simboli su cui ~i trasferi la frustrazione reale che era quella sociale » 63 : per compensare questa nacque il risentimento nazionalistico. Ma il nazionalsocialismo ha saputo offrire ben di piu di questa soluzione contingente alla classe media: ha soddisfatto il suo desiderio di sottomissione ad un'autorità esterna onnipotente - incarnata oltretutto in un capo che non a caso partecipava di tutte le caratteristiche della piccola borghesia 64 - ma al tempo stesso ha soddisfatto il suo bisogno sadico di superiorità, fornendo un oggetto di disprezzo e odio nelle minoranze razziali o nei nemici esterni della nazione. Inoltre il sentirsi parte di un destino nazionale soddisfaceva anche l'aspetto estremo del desiderio masochistico di sottomissione a potenze ed entità superumane di cui l'uomo sarebbe in balia 65 • E tutto questo poi non era soltanto illusorio, « la politica ha realizzato in pratica ciò che l'ideologia prometteva » 66 ; cosf fu creata in 61 La crisi dell'istituzione è un fatto altrettanto importante quanto la perdita di prestigio perché « una minaccia all'autorità e una minaccia alla struttura autoritaria è sentita dal carattere autoritario come una minaccia a se stesso, una minaccia alla sanità» in Dogmi, gregari, rivoluzionari, cit., p. 155. 62 Studi sull'autorità e la famiglia, cit., p. 111. 63 Fuga dalla libertà, cit., p. 189; il Catemario nota che questa è un'opportuna precisazione di Fromm sul fatto che il movimento tedesco per il rifiuto del trattato di Versailles avrebbe coinvolto solo la classe media, in op. cit., p. 186. 64 In molti punti Fromm accenna al fatto che Hitler partecipava dei tratti del carattere masochistico-autoritario: cfr. ad esempio E. Fromm, L'arte di amare, Milano, Mondadori, 1963, p. 35: « Hitler agi in primo tempo in modo sadico verso il popolo; ma in modo masochistico verso il destino, la storia, l'alto potere della natura. II suo suicidio tra la distruzione generale è altrettanto caratteristico, quanto il suo sogno di successo, di dominio totale». 65 « II carattere masochistico vive il rapporto con il mondo dal punto di vista del destino ineluttabile. Egli non solo ama i fatti che limitano la vita umana e riducono l'umana libertà, ma ama anche arrendersi a un fato cieco ed onnipotente», in Studi sull'autorità e la famiglia, cit., p. 112. 66 Fuga dalla libertà, cit., p. 204: a differenza di Lasswell appunto, Fromm, che sostiene che la proletarizzazione del ceto medio fu reale, indica anche dei provvedimenti e delle opportunità di miglioramento del regime nazista che almeno in parte furono reali.
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tutti i campi una rigida gerarchia in cui l'individuo aveva al di sopra di sé qualcuno cui sottomettersi e al di sotto qualcuno da dominare; inoltre entrando nella burocrazia nazista oppure usufruendo dei beni confiscati agli ebrei, la piccola borghesia ebbe una possibilità reale di mobilità e di miglioramento economico. In conclusione per tutte queste ragioni il ruolo della piccola borghesia fu secondo Fromm di primissimo piano nella genesi del nazismo, ma al tempo stesso egli non ignora che altre classi entrarono in gioco: è chiaro anche per lui che la grande industria e i nobili terrieri appoggiarono consapevolmente Hitler e non per suggestioni emotive, ma in base ai loro concreti interessi economici: « gli esponenti di questi gruppi privilegiati speravano che il nazismo avrebbe deviato il risentimento che li minacciava verso altri obiettivi; e che contemporaneamente avrebbe aggiogato la nazione al servizio dei loro interessi economici » 67 • In definitiva, quindi, nel sorgere del nazismo l'ansietà psicologica della classe media ebbe un ruolo di primo piano anche se non esclusivo; la spiegazione completa è che questo suo atteggiamento fu sfruttato consapevolmente da un'altra classe per far sorgere un regime che le conveniva. Cosi la conclusione di Fromm è che « la "rivoluzione" di Hitler - e anche quella di Mussolini - si è svolta sotto la protezione del potere costituito, e i loro bersagli favoriti erano coloro che non potevano difendersi » 68 • Si può concludere su questa notazione la esposizione della teoria di Fromm, cercando di prenderne spunto per chiarire un aspetto importante di tutto il suo discorso. Da un lato Fromm lascia supporre, come si è già accennato, che la sua teoria del sorgere del nazismo sia applicabile anche al fascismo italiano in molti suoi aspetti propriamente politici, anche se, come egli stesso noterà in seguito, ci furono anche circostanze diverse, come ad esempio che l'Italia fosse una potenza ancora economicamente arretrata per cui il fascismo aveva sf da svolgere la stessa funzione del nazismo in Germania, di canalizzare il risentimento verso obiettivi illusori, ma « nel medesimo tempo esso voleva convertire l'Italia in una piu progredita potenza industriale » 69 • D'altra parte l'applicabilità del modello di Fromm al caso dell'Italia deriva soprattutto dalla somiglianza del meccanismo psicologico che motiva l'adesione delle masse, al di là delle circostanze politiche, per cui l'Italia e la Germania non sarebbero in ultima analisi che due casi particolari di un 67
Fuga dalla libertà, cit., p. 191. Ibidem, p. 201. Psicanalisi della società contemporanea, cit., pp. 257-258: Fromm sembra con questo accennare ad una possibile funzione costruttiva dei regimi totalitari all'interno del processo di modernizzazione e quindi anche su questo punto la sua posizione differirebbe da quella di Lasswell. 68 69
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fenomeno generale 70 , di un disagio dell'uomo moderno - concetto assai vago - in un periodo di storia cosi lungo che l'argomentazione potrebbe rischiare di perdere la sua sped.6.cità e divenire quasi inconsistente 71 : è probabilmente una conseguenza dell'uso dil parte di Fromm del concetto troppo astratto di carattere sociale 72 che tende a spostare il discorso su un piano formale e nominalistico: quel che si perde è proprio la collocazione storica del fenomeno studiato. È questo un pericolo cui spesso le spiegazioni psicologiche del fascismo sono esposte, come è ad esempio molto chiaro nel caso di W. Reich che ha un minore grado di correttezza metodologica di Fromm.
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REICH
L'analisi del fascismo di Reich fu molto precoce 73 , il suo Psicologia di massa del Fascismo usd per la prima volta nel 1933, situandosi tra ]'altro nel periodo piu creativo della sua evoluzione di pensiero: pur essendo egli stato sempre un pensatore piuttosto asistematico e non troppo rigoroso, è stato indotto dopo il 19 34 ad una svolta radicale dei suoi interessi da cui data un vero mntamento qualitativo della sua produzione e che lo ha portato ad una evidentissima involuzione in una teoria discutibile quanto metafisica 74 . Il suo discorso sul fascismo 70 Fromm parla dei « fattori dinamici della struttura di carattere dell'uomo moderno che nei paesi fascisti gli hanno fatto desiderare di rinunciare alla libertà, e che sono cosi diffusi anche nella nostra popolazione», in Fuga dalla libertà, cit., p. 15. Persino un critico benevolo come il Catemario rileva che Fromm accennando solo di sfuggita a circostanze politico-economiche diverse da paese a paese, mentre per tutti resta valida la spiegazione di tipo psicologico, rinuncia alla fine all'analisi di tipo piu complesso, plurifattoriale che sembrava voler tentare, in op. cit., p. 178. 71 Fromm stesso sostiene: « il carattere masochistico - nelle forme non patologiche - è in tanto ampia misura quello della maggioranza degli individui della nostra società, che per studiosi, i quali considerano "normale" e naturale il carattere dell'individuo borghese, mancando da parte loro la capacità di distanziarsene sufficientemente, non diviene affatto un problema scientifico», in Studi sull'autorità e la famiglia, cit., p. 107. 72 :È proprio il fatto che Fromm privilegi questo termine, che solo formalmente è una mediazione tra elementi materiali e psicologici, che fa si che alla fine gli elementi strutturali economici che egli postula all'origine del fenomeno vengano quasi lasciati cadere: il loro ruolo finisce per essere occasionale mentre il vero motore causale è di natura esclusivamente psicologica: cfr. anche H. S. Kariel, The Normative Pattern of E. Fromm's Escape from Freedom, in « Joumal of Politics », 19, 1957, pp. 64tM54. 73 Sembra che Reich abbia saputo valutare la pericolosità del fenomeno fino dal 1930 quando era attivo nel partito comunista a Berlino e che abbia iniziato la stesura del suo Psicologia di massa del fascismo, molto prima della presa del potere: cfr. M. Cattier, La vita e l'opera di W. Reich, Milano, Feltrinelli, 1970, p. 148. 74 Praticamente tutta la critica, ad eccezione dei soli reichiani ortodossi, è concorde su questo punto: qui basti citare Psychoanalytic Pioneers, New York, Basic
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e mvece anteriore a tutto questo ed è ancora un contributo per molti aspetti interessante e valido 75 , che a buon diritto si può annoverare tra le maggiori interpretazioni psicologiche del fenomeno fascista 76 , anche se forse piu ricco di intuizioni brillanti che capace di un inquadramento complessivo. Per dare un quadro abbastanza sistematico dell'analisi reichiana del fascismo, che è esposta nel suo particolare stile discontinuo e impressionistico, è opportuno fare riferimento innanzitutto a due concettichiave che sono anche dei cardini della teoria complessiva di Reich: la struttura psicologica a tre strati dell'uomo e la repressione sessuale esercitata dalla società. Per quanto riguarda il primo di questi concetti si tratta di una innovazione originale di Reich rispetto alla teoria freudiana: nella psiche umana non esisterebbero solo le due sfere della coscienza e dell'inconscio col suo contenuto di passioni perversioni e desideri repressi, ma anche una terza sfera sottostante, egualmente inconscia, che Reich chiama « il nucleo biologico dell'uomo », i suoi veri impulsi, la cui caratteristica è di essere positivi e costruttivi, e che contengono la sua sessualità non distorta e capace di autoregolazione e la sua socialità naturale. Ovviamente questo è un assunto antropologico di base, ma Reich sostiene di essersi trovato di fronte alh realtà di questa terza sfera empiricamente, in ogni trattamento terapeutico dei suoi pazienti: « In Books, 1966, una specie di codificazione ufficiale cli tutti i padri della psicanalisi in un ambito anche leggermente celebrativo, che pur accettando largamente tutte le deviazioni dall'ortodossia freudiana e facendo spazio a molte teorie largamente discusse, considera di Reich esclusivamente il contributo all'analisi del carattere e alla terapia, svolto nei suoi primi anni cli attività. Per un resoconto dell'attività di Reich nel secondo periodo, meno sconcertante di quello che emerge dalle sue opere, v. O. Raknes, W. Reich e l'orgonomia, Roma, Astrolabio, 1973. 75 Anche se come tutte le opere cli Reich anche Psicologia di massa del fascismo è stata oggetto di una serie di rielaborazioni e ritocchi successivi in funzione dei sui mutati interessi ed è praticamente impossibile isolare questi spostamenti di accento per il generale stato di confusione filologica in cui si trova tutta la sua opera (Reich non esplicitava mai le sue correzioni). Dahmer sostiene che in queste parti rimaneggiate Reich sposta il suo quadro di riferimento dalla interpretazione marxista del fascismo come prodotto del capitalismo monopolistico alla teoria staliniana del « fascismo universale»: cfr. H. Dahmer, W. Reich, Freud et Marx, in « Temps Modernes », XXIX (1972) pp. 314-315, spec. pp. 355-356. A noi sembra piuttosto che lo spostamento sia da un'interpretazione marxista intesa molto liberamente fino dal principio (con un ruolo di primo piano delle classi medie) al quadro misticheggiante e nebuloso che caratterizza tutte le sue opere successive. 76 V. ad esempio anche H. Marcuse che riconosce che « il tentativo piu serio di sviluppare la critica sociale implicita nella teoria di Freud fu fatto da Wilhelm Reich nei primi scritti», ma caratterizza cosi il suo iter intellettuale: « le intuizioni critiche di ordine sociologico contenute nei primi scritti di Reich, non vengono quindi sviluppate ulteriormente; predomina sempre piu un primitivismo diffuso, che fa già presagire le eccentricità confuse e fantastiche del Reich degli anni piu tardi»: in Eros e Società, Torino, Einaudi, 1968, pp. 249-250.
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fondo al meccanismo nevrotico, dietro tutte le fantasie e gli impulsi pericolosi, grotteschi e irrazionali trovai c-he una parte della loro natura era rimasta semplice, spontanea e pulita » n: per Reich è questa la vera natura dell'uomo, positiva in sé, mentre il secondo strato, l'inconscio freudiano, ne è solo una deformazione; il prodotto sociale di una civiltà repressiva, che ha inibito e rifiutato la natura autentica dell'uomo. Ed è proprio la repressione sociale il secondo cardine della spiegazione reichiana del fascis~o, perché il fatto che essa colpisca non impulsi inconfessabili, ma giuste e sane aspirazioni cariche di positività e capaci di autoregolazione, la rende ancora piu ingiusta: la rinuncia istintuale per Reich non è piu inevitabile per le necessità della umana convivenza, come era per Freud 78 , essa ::ivviene non perché sia necessaria a qualsiasi società, ma perché attraverso di essa questa società si riproduce 79 , quindi giusta e inevitabile è la ribellione. È questa comunque la chiave con cui Reich legge la storia: « I rivolgimenti culturali del nostro secolo sono determinati dalla lotta dell'umanità per ristabilire le leggi naturali della vita amorosa » 80 • La storia è fatta da un'umanità che è stata vittima per secoli della costante repressione dei suoi bisogni istintuali che ha finito per negare la vera natura dell'uomo costruendole sopra una contronatura: è sulla base di questo presupposto che Reich conduce il suo tentativo di spiegazione dell'origine dei movimenti fascisti 81 • Secondo Reich fintantoché-la repressione all'interno della psiche fu accompagnata e sostenuta al di fuori da istituzioni autoritarie coercitive, « ci fu una calma apparente », gli istinti repressi si manifestarono solo nella forma deviata di nevrosi, perversioni, criminalità eccetera, ma >, il suo costante ripresentarsi sulla scena della storia in nuove vesti, sotto nuove forme, in differenti società-stato. Il lavoro di Germani aprirebbe, dunque, la via ad una interpretazione in chiave di sociologia comparata molto ricca di promesse. A questo punto, però, è necessario rilevare che Germani, pur imponendosi teoricamente certi limiti metodologici, non nega di fatto l'utilità di altri tipi di approccio. Se si guarda alla sua produzione sul tema fascismo, è facile notare, in primo luogo, che per lui lo studio del contesto storico-sociale specifico in cui si manifesta il fenomeno è di primaria importanza. Evidentemente perché solo un'analisi puntuale del contesto sociale e politico, in un certo momento della sua storia, può fornire quei dati empirici ai quali l'autore può ancorare quelle ipotesi su cui si fonda il suo modello interpretativo piu generale. Un modello che tende a collegare - lo si ribadisce - il fascismo ad un tipo sociale descritto ad alto livello di astrazione, il tipo della società «moderna,. (industriale). In secondo luogo, va notato che la ricerca di Germani indica, come foriero di risultati di rilievo, lo studio sociologico di aree e di situazioni piu specifiche nell'ambito della singola società ove si è concretamente sviluppato il fascismo. Il modello di Germani (processo di modernizzazione-sviluppo politico fascista) è valido per interpretare le origini e spiegare, in parte, il consolidamento dei movimenti fascistici. Va osservato, però, che al fine di individuare le contraddizioni interne che co_ncorrono a determinare la crisi di questi movimenti sembra piu utile approfondire lo studio di aspetti specifici, come viene ad esempio dimostrato dallo stesso Germani gra1ie all'analisi effettuata sul tema del consenso e della socializzazione giovanile in alcune società a regime fascista. Si tratta, in questo caso, di studi su un'area molto deli• mitata che contribuiscono sia ad integrare l'interpretazione sociologica di livello superiore, sia soprattutto, ad integrare le interpretazioni storiche del fenomeno. L'applicazione dell'apparato concettuale e dell'apparato metodologico proprio delle scienze sociali e, segnatamente, della sociologia consente di organizzare i dati in una maniera peculiare e suggerisce delle correlazioni che bene si affiancano alla interpretazione storica arricchendola e stimolandola verso nuove direzioni. Sembra, anzi, di poter sostenere che, ai fini di un'analisi interdisciplinare del fenomeno, l'apporto della sociologia del fascismo di Germani risulti particolarmente significativo.
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Cfr. Fascismo e classe sociale, in op. cit., p. 47.
2. L'analisi di Germani comprende una pars destruens e una pars construens. La prima parte è costituita: a) da un excursus critico nei confronti delle due versioni principali della cosiddetta ipotesi di classe - la versione marxista «pura» e la versione psico-sociale; b) da una revisione delle teorie della società di massa elaborata, soprattutto, dalla sociologia americana contemporanea. Nei confronti di questi due orientamenti interpretativi fondamentali il nostro autore si dimostra critico, ma in una direzione costruttiva. Egli infatti mette in evidenza le osservazioni non ortodosse sviluppate dagli autori marxisti e, intuendo la rilevanza di alcune, le introdurrà nel suo modeilo interpretativo 4 • A) La posizione marxista è nota. Il fascismo è generato da un processo involutivo del capitalismo; processo involutivo i cui fattori determinanti sono, in ultima analisi, di natura economica: la caduta del tasso di profitto e le gravi crisi economiche ricorrenti. La crisi dell'economia capitalista mette in crisi il sistema politico democratico, ormai non piu vantaggioso per la borghesia. Diventa necessario riprendere tutte le concessioni politiche e giuridiche fatte alla classe operaia; a questo fine, la borghesia necessita di un sistema politico nuovo da realizzare attraverso una rivoluzione. In questa rivoluzione-reazione contro la classe operaia la borghesia trova degli alleati nelle classi medio-inferiori. Le nuove condizioni economiche, unitamente alle particolari condizioni sociali e politiche determinate dalla guerra, mettono in moto un processo di « spostamento » che coinvolge varie categorie :iociali, ad esempio, classi medie, Lumpenproletariat, reduci. Queste categorie sociali formeranno la base di massa del fascismo, e daranno sostegno ad un nuovo regime il quale, si noti, è dotato di autonomia rispetto alla precedente élite politica. « Il fascismo non fu altro che l'estrema difesa del capitalismo in fase avanzata e declinante; ma i suoi mezzi - gli "spostati" - e il suo esito immediato - lo stato totalitario - andarono al di là dei propositi iniziali della borghesia e non poterono essere pienamente spiegati in termini marxisti ,> 5. Ed è proprio su questi punti non spiegati, anche se accettati dalla interpretazione marxista, che Germani concentrerà la sua attenzione. B) La versione psico-sociale dell'ipotesi di classe viene criticata, in generai~, per il suo riduzionismo psicologistico. Una sua formulazione, però, quella dovuta a Erich Fromm, affascina Germani 6• A suo avviso, 4 Germani include tra i fautori di un approccio interpretativo marxista F. Neumann, P. B. Sweezy, R. A. Brady e D. Guerin. 5 Cfr. Fascismo e classe sociale, in op. cit., p. 51. 6 Germani utilizza soprattutto l'analisi sviluppata da E. Fromm, nel 1941, in Escape /rom Freedom. Critica, invece, il modello della personalità autoritaria di Adorno et alii ritenendolo psicologistico ed affetto da distorsioni ideologiche.
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infatti, Fromm « riconcilia l'interpretazione marxista con l'approccio p~ico-sociale non solo integrando il livello strutturale e il livello psicologico, ma anche interpretando specificamente il nazismo come espressione della Jotta di classe in un periodo di declino del c-apitalismo. Tale processo (cioè l'avvento di regimi fascisti come effetto della lotta di classe) è però piu "accidentale" e specifico di certi paesi, dal momento che i sottostanti processi psico-sociali sono una condizione universale modellata nella struttura specifica della moderna società industriale» 7 • Prospettiva quest'ultima che, come vedremo, influenza in modo particolare il modello del nostro autore. C) Le teorie sulla società di massa coi:tituiscono, come è noto, una interpretazione antitetica - in toto o in oarte - a quella in chiave classista. Le analisi classiche di Ortega y Gasset, di Mannheim, di Lederer, e persino la sistematizzazione di queste teorie effettuata piu recentemente da Kornhauser, mostrano un chiaro privilegiamento del ruolo delJe masse e, ovviamente, concepiscono la mac;sa come concetto distinto da quello di classe. Queste teorie àncorano a questa distinzione concettuale una interpretazione peculiare del fascismo e dei regimi totalitari. Anche secondo Germani la società di massa è una conditio sine qua non per la nascita di movimenti totalitari e fascist:ici, ma non vanno trascurati alcuni limiti della teoria relativa: in p1rticolare, studi e ricerche empiriche avrebbero dimostrato che la teoria della società di massa ha esagerato il cosiddetto effetto di perdita della comunità che costituirebbe una precondizione della società di massa. Piu in generale, ed è questo il centro della critica di Germani, la teoria della società di massa è una teoria « incompleta non solo perché trascura relativamente le classi, ma anche e soprattutto, perché non distingue differenti forme di mobilità e di spostamento, soprattutto quanto ai processi sociali che hanno luogo nelle società moderne (o in alcuni settori di esse) e quelli che si svolgono nelle società in via di sviluppo. La teoria clac;sista e quella della società di massa vanno quindi riformulate in un piu ampio schema di riferimento comprendente i concetti di mobilitazione, spostamento e disponibilità » 8 • In sostanza, l'approccio di Germani si presenta interessante proprio per l'ambizioso obiettivo che l'autore si pone e ci propone. Il suo tentativo è quello di portare un nuovo contributo alla analisi dei movimenti fascistici nei termini di una teoria sociologica generale che utilizza elementi di convergenza contenuti in differenti interpretazioni. La sua rassegna critica è preparatoria e costruttiva perché da questo vaglio Ger7
Cfr. Fascismo e classe sociale, in op. cit., pp. 54-55. 8 Op. cit., p. 61. Si noti che per indicare la fase dello «spostamento», altri traduttori molto opportunamente, usano il termine «dislocazione».
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mani ricava delle propos1z1om mterpretative che cercherà di rendere quanto piu possibile complementari e interdipendenti all'interno di un modello la cui applicazione è di vastissimo raggio. 3. I tre concetti basilari del modello di Germani hanno una rilevanza diversa nel senso che il concetto di mobilitazione è piu importante e comprensivo degli altri due. Il concetto di mobilitazione si connette ad una visione generale della società secondo la quale il mutamento è inerente alla società moderna, visione generale che, a sua volta, dipende dalla profonda convinzione dell'Autore che non esistano e non siano mai esistite società perfettamente integrate. La mobilitazione altro non è se non un processo di mutamento sociale che si sviluppa attraverso vari «momenti». I « momenti » sono cosf identificati, in un ambito teorico che ricorda la concettualizzazione parsonsiana della struttura sociale. Da uno stato di integrazione, risultante dalla corrispondenza fra tre livelli della società (livello normativo, livello psico-sociale e livello ambientale) si passa, a causa del venir meno di detta corrispondenza, alla disintegrazione 9 • La « disponibilità » è la risposta attiva alla condizione di disintegrazione, risposta attiva che in un primo momento è una semplice propensione psicologica all'intervento affinché si ristabilisca il giusto grado di corrispondenza tra i tre livelli, indicati, dell'inte~razione. Quando si passi dalla mobilitazione psicologica ad un comportamento concreto si parla di « mobilitazione oggettiva». Termine con il quale Germani intende riferirsi ad « un eccesso (di grado, estensione e/o di forma) di partecipazione dei gruppi in relazione al livello definito normale in base alla struttura precedente » 10 • Lo scopo della mobilitazione oggettiva sarà 9 Per il concetto di mobilitazione sociale si rinvia alla complessa trattazione sviluppata in Sociologia della modernizzazione, cit., al cap. V e a G. Germani, Socia/ Change and Intergroup Conf/,icts, in L. I. Horowitz, The New Sociology, New York, 1964. Secondo Germani, quando si parla di società integrata si fa riferimento ad una costruzione ideale, senza referente empirico, la cui utilità euristica è però fuor di dubbio. Per società integrata si intende una società in cui si ha congruenza tra questi tre livelli: a) le varie parti della struttura normativa si trovano in una posizione di reciproco adattamento in modo tale da garantire alla società stessa un funzionamento normale (integrazione normativa); b) le aspettative, i ruoli e gli atteggiamenti interiorizzati corrispondono alle richieste e alle previsioni della struttura normativa (integrazione psico-sociale); c) le circostanze effettive nelle quali si manifesta l'azione degli individui dipendono inoltre, da fatti fisici ed ambientali cioè da interferenze di natura extra-sociale (integrazione ambientale). Questo terzo livello è « residuale » nel senso che è composto da aspetti del sistema sociale prescelto che non rientrano sub a) e sub b) nonché da quelle « condizioni create dalla azione di altri sistemi sociali»; cfr. Sociologia della modernizzazione, cit., pp. 92-93. 10 Cfr. il capo V, « Mobilitazione e conflitti sociali», in Sociologia della modernizzazione, cit., pp. 96-97, ove Germani ribadisce che « la mobilitazione oggettiva è l'espressione di una risposta attiva, in termini del comportamento effettivo: si
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quello di ricostituire una stato di integrazione; il momento della reintegrazione - che può realizzarsi nella forma dell'assorbimento, dell'assimilazione o in seguito ad un cambiamento della struttura preesistente si perfeziona allorché l'azione dei mobilitati viene legittimata ed istituzionalizzata. Questo di Germani è uno schema lineare nel quale i passaggi tra un momento e l'altro suscitano perplessità e interrogativi. Su di un punto, però, l'autore interviene con una indicazione preziosa che riporta nell'ambito del suo modello un concetto mutuato da osservazioni di Guerin, Laski e Fromm: il concetto di dislocazione. Vale a dire un concetto che si riferisce ad una nuova collocazione sociale, reale o percepita come tale, da individui e da gruppi sociali. La dislocazione è un effetto - tra i piu rilevanti ai fini dell'esigenza diffusa di un nuovo assetto politico - della perdita di integrazione in uno o in piu di uno dei tre livelli menzionati. Secondo Germani, la dislocazione « si può manifestare come: a) alterazione nella corrispondenza tra norme, da un lato, e atteggiamenti interiorizzati dall'altro; b) alterazione tra norme e atteggiamenti, da un lato, e possibilità effettive di applicazione dall'altro. Con la conseguenza che quando i tassi di mobilitazione oggettiva sono molto elevati e non esistono · o sono insufficienti i canali di integrazione o quando la loro formazione è troppo lenta, può originarsi quel tipo cli spostamento che è stato spesso associato alla espressione di movimenti politici e sociali. In questo caso, la reintegrazione avrà luogo attraverso movimenti di massa e mutamenti radicali nelle strutture politiche e sociali o in entrambe » 11 • Affinché si abbia la formazione di un movimento di massa oltre alla dislocazione è necessaria - come si è visto - la disponibilità degli « spostati », anzi è necessaria, oltre alla disponibilità delle masse, la disponibilità di élites e di ideologie. Germani non considera a fondo i rapporti che si possono instaurare tra questi tre elementi e preferisce, essendo consapevole del livello di 2strazione del suo modello, indicare le condizioni che danno al movimento una precisa caratterizzazione nella sua natura e nel suo orientamento u_ Ci sembra che questo sia un aspetto metodologicamente importante. Grazie ad esso lo schema pensi, ad esempio, alla emigrazione verso la città, o alla partecipazi.Qne a un nuovo movimento politico o sociale ». Non sono poche le affinità concettuali tra il modello di Germani e lo schema che Talcott Parsons ha elaborato in tema di mutamento sociale rivoluzionario nel Sistema sociale. A questo proposito, sembrerebbe utile sviluppare, anche in chiave d'interpretazione sociologica del fascismo, la problematica che è ripresa da T. Parsons - sulla scia di Max Weber - in tema di trasformazione adattiva di un movimento rivoluzionario. 11 Cfr. Sociologia della modernizzazione, cit., p. 94 e p. 101 spec.; e Fascismo e classe sociale, in op. cit., p. 63. u Tra queste condizioni, oltre al tipo di mobilitazione, vengno incluse: « la classe, o le classi dominanti nei settori mobilitati e gli effetti della liberazione in termini di mobilità sociale; la configurazione dei gruppi mobilitati e non mobilitati,
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diventa operativo sia nel senso che suggerisce allo studioso delle piste sociologicamente significative per organizzare i materiali empirici rilevati in un dato contesto, sia nel senso che rende possibile una comparazione tra i vari casi storici di fascismo e permette di individuare· somiglianze, differenze, omogeneità di tendenze. Diventa, allora, concretamente possibile la costruzione di una sociologia comparata dei movimenti fascistici, impresa ancora da compiere, alla quale però Germani ha dato uno dei primi e piu interessanti contributi. 4. Una distinzione è euristicamente rilevante e va ripresa in questa sede: la distinzione tra mobilitazione primaria e mobilitazione secondaria. Il criterio differenziatore tra questi due tipi di mobilitazione lo si ritrova nel modo di essere della società ove si manifesta il processo di mobilitazione. Se la struttura sociale è di tipo tradizionale la mobilitazione sarà di tipo primario. Vale a dire la disintegrazione di una struttura sociale tradizionale si traduce nella mobilitazione di un gruppo o di gruppi dislocati che ricercano delle forme di partecipazione di carattere moderno. Nella mobilitazione primaria i gruppi dislocati non sono partecipanti e sono in una posizione marginale rispetto alla società moderna. La loro mobilitazione avviene proprio in funzione della percezione di una condizione di impellente marginalità ed è rivolta a consentirne l'inserimen~ to, a pieno titolo, nell'ambito del nuovo tipo sociale emergente. Se ne potrebbe dedurre che la mobilitazione di questi gruppi e le conseguenze conflittuali che essa scatena costituiscono una fase che la società deve attraversare per modernizzarsi, ma la lettura di Germani non autorizza esplicitamente una deduzione siffatta. La mobilitazione è secondaria, invece, nel caso in cui « un gruppo che un tempo era partecipe di una struttura moderna, in seguito a qualche tipo di disintegrazione è dislocato e incapace di partecipare nel modo che gli era precedentemente abituale ». La mobilitazione secondaria riguarda « gruppi già partecipanti per molti aspetti e tuttavia spostati o resi marginali da fattori come l'inffazione, la disoccupazione di massa, la guerra, la perdita relativa di status, la mobilità discendente e altri proc~si del genere». « Il caso classico è rappresentato dal fenomeno di dislocazione che ha colpito i ceti medi europei negli anni Venti, a seguito di un processo inflazionistico e di proletarizzazione. La loro risposta attiva nei confronti della dislocazione è stata una forma di mobilitazione che ha dato origine a un movimento politico: il fascismo» 13 • i loro interessi e disposizioni; il "clima" storico a livello internazionale nel quale il processo ha luogo; la portata e la natura della soddisfazione (in termini di cambiamenti ambientali) che può essere effettivamente data alla massa mobilitata», cfr. op. cit., p. 64. 13 Cfr. op. cit., p. 65 e, soprattutto, Sociologia della moderni:a,41,ione, cit., pp. 102-103.
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I due tipi di mobilitazione, però, possono essere e sono, in un caso concreto come il caso italiano, collegati nel senso che la mobilitazione primaria, accompagnata da altre condizioni, ~catena la mobilitazione secondaria. Germani spiega la nascita del fascismo italiano proprio nei termini di una mobilitazione delle classi inferiori cui storicamente fa seguito una mobilitazione di classi medio-inferiori. Usiamo qui la sua terminologia, che con molta probabilità fa riferimento ad una contrapposizione di interessi tra classe operaia e piccola-media borghesia. La mobilitazione secondaria ha come obiettivo la smobilitazione delle classi inferiori, la cui mobilitazione « vista come aspirazione crescente verso nuove forme di partecipazione e di consumo, era stata parzialmente soddisfatta con l'estensione dei diritti sociali e l'aumento dei salari» 14 • Il processo di promozione sociale di vasti strati delle classi inferiori ha come contropartita una perdita di status sociale della classe media che guarda all' avanzamento della classe operaia come ad un processo di vera e propria usurpazione della propria posizione sociale. La distanza sociale tra le due classi, sancita tradizionalmente dal sic;tema di stratificazione, viene a diminuire sia in termini relativi sia in termini assoluti (diminuzione dei redditi dei membri della classe media, diminuzione della loro influenza politica). La mobilitazione della classe media si manifesta allora, con virulenza, senza possibilità di essere incanalata in -un meccanismo di integrazione preesistente o di recente costituzione, come accadeva, grazie ad un partito organizzato, per la mobilitazione dovuta alla classe lavoratrice. La trasformazione della mobilitazione della classe media in un movimento politico rivoluzionario di massa, rapace di alterare la struttura politica e sociale preesistente, è resa possibile dalla « disponibilità » di una élite « spostata ». Questa élite elabora una ideologia adeguata a soddisfare le motivazioni del gruppo sociale mobilitato. L'ideologia fascista, infatti, esaltava quei valori di disciplina, di ordine, e di gerarchia che bene rispondevano al bisogno psicologico di « riequilibrio » della classe media. Questa ideologia, inoltre, proponeva tra i suoi obiettivi principali quello della « smobilitazione delle classi inferiori » e operava un trasferimento delle frustrazioni dall'individuo e dal gruppo alla na14 La mobilitazione della classe operaia crebbe attraverso proteste e conflitti dalla fine dell'800 in poi. Essa seppe però manifestarsi sempre attraverso canali di integrazione. Dopo la prima guerra mondiale, la mobilitazione primaria raggiunse dimensioni senza precedenti sia in termini di adesione ai sindacati, sia in termini di forza elettorale. Il partito socialista era il partito piu importante, ma non era una forza rivoluzionaria, né esprimeva una élite « disponibile » per una rivoluzione, era un partito privo di leadership e di mete precise. Cfr. Fascismo e classe sociale, in op. cit., pp. 65-66. Per il concetto di «smobilitazione», dr. Sociologia della modernizzazione, cit., pp. 103-104.
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zione, propagandando il mito dell'impero e dell'espansione territoriale. Andrebbe osservato, a questo punto, che il modello di Germani non considera esplicitamente l'intervento e l'azione. di una leadership carismatica come elemento ca-determinante per il successo dei movimenti fascisti, date certe situazioni storico-sociali. A parte un accenno fatto a proposito del peronismo, come si vedrà, Germani preferisce parlare sempre di élite disponibile, ma cosi facendo trascura una variabile che sembra rilevante, anche sul piano comparativo. L'interpretazione del passaggio dalla fase della mobilitazione secondaria alla fase di formazione di uno stato totalitario richiede però osservazioni aggiuntive, relative alla funzione avuta nel processo dal cosiddetto establishment e ai suoi rapporti con il regime. Germani si limita ad affermare che gli elementi dell' establishment (una coalizione che comprende esercito, aristocrazia, élites intellettuali e professionali, elementi di punta della classe politica e Chiesa) instaurano un rapporto di alleanza con il regime in quanto l'obiettivo di smobilitare le classi inferiori è un obiettivo che coincide con i propri interessi. Questa alleanza si traduce in una serie di interventi che, a livello generale, comportano un rallentamento nel processo di morlernizzazione della societàstato e, in particolare, una stasi duratura nell'economia 15 • È chiaro che queste osservazioni sono insufficienti per adeguare il modello all'analisi degli sviluppi e del consolidamento del regime. Secondo quanto sostiene lo stesso Germani, il fascismo ha concesso molto sul piano delle soddisfazioni sostitutive alla classe media in termini di perseguimento di obiettivi nazionalistici, in termini di adozione di simboli di prestigio e di espletamento di ritu~li collettivi. Sarebbe interessante, allora, verificare empiricamente se questo tipo di politica rivolta a concedere soddisfazioni di tipo sostitutivo non fosse un sintomo importante del carattere ambivalente che il regime doveva mantenere nei confronti della classe media, cioè nei confronti della parte piu importante della sua base di massa. C'è da chiedersi, in breve, sino a che punto il fascismo poteva proteggere concret1tmente gli interessi della classe media senza oltrepassare una soglia oltre la quale il regime avrebbe leso gli interessi di quella coalizione che Germani definisce l' establishment. Oltrepassare questa soglia avrebbe Iidotto forse le stesse possibilità di sopravvivenza del regime. È un interrogativo cui Germani non risponde, preoccupato, soprattutto, di individuare le condizioni sociali che favorirono la nascita del fascismo. Ma un'analisi approfondita dei 15 Cfr. Op. cit., p. 68 e La socializzazione politica dei giovani nei regimi fascisti, in « Quaderni di Sociologia», cit., p. 13. Si noti che Ralf Dahrendorf invece, rivaluta - sia pure come conseguenza inintenzionale - l'opera di « modernizzazione» del nazismo, cfr. Sociologia della Germania contemporanea, (1965), Milano, il Saggiatore, 1968, pp. 456 e ss.
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rapporti tra establishment, élite dirigente fascista e classe media gioverebbe, probabilmente, anche ai fini della comprensione delle origini del fascismo oltreché del suo consolidamento. 5. La utilità dello schema di Germani in una prospettiva comparativa risulta evidente allorché si analizzino altri movimenti fascistici come, ad esempio, il peronismo. Il principale elemento di differenziazione rispetto al fascismo italiano concerne la classe mobilitata. In Argentina la mobilitazione fu esclusivamente di tipo primario. Bisogna però considerare che qui giocarono delle tendenze peculiari dal punto di vista della stratificazione sociale. Si verificò, infatti, un rapido processo di mobilità, il cui effetto principale fu quello di attenuare la tensione tra classe lavoratrice e classi medie. Soprattutto nell'ambito della società urbana la stratificazione sociale si presentava con aspetti particolari di compenetrazione tra le due classi sociali. La mobilità sociale influi, inoltre, sul quadro politico nel senso che i raggruppamenti politici dominanti esprimevano, in forma indifferenziata, gli interessi dei membri di queste due classi sociali. Le condizioni economiche interne e il clima politico internazionale crearono uno spazio per una leadership carismatica, ma realistica, come quella di Peron. Nel caso speci.6.ro, Peron dovette seguire una politica di contemperamento degli interessi dei militari con le esigenze dei lavoratori. Il peronismo si resse in virtu del suo carattere nazional-popolare, adottando una ideologia « di superficie i. che reclamava l'estensione di diritti sociali e la partecipazione della classe lavoratrice al potere. Questo aspetto ideologico condizionò, però, notevolmente il carattere totalitario e fascista del governo fino alla sua caduta, nel 1955. Il fascismo, dunque, assume una forma peculiare in relazione al contesto sociale in cui si manifesta e in relazione alle funzioni che svolge. Il fascismo « classico » è quello italiano che ha assunto la forma cli Stato totalitario a partito unico. Nel caso della Spagna, invece, si ha un regime fascista con una forma diversa, la forma dello Stato autoritario. Si tratta - come suggerisce Juan Linz - di un sistema politico con un limitato pluralismo, senza un'ideologia elaborata, sostanzialmente privo di momenti di mobilitazione politica, un sistema in cui il potere viene esercitato da un capo entro confini molto indefiniti 16 • Un'altra forma, la terza, è quella assunta dal fascismo contemporaneo nell'America Latina, per essa si può parlare di fascismo militare. La disponibilità delle classi medie, nei paesi in via di sviluppo considerati 16 Si veda J. Linz, An Authoritarian Regime: Spain, in Cleavages Ideologies and Party Systems, a cura di E. Allardt e Y. Littunen, pp. 291-341, ripreso da Gèrmani in La socializzazione politica dei giovani nei regimi fascisti, cit., a p. 16.
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da Germani, è limitata e la base di massa del regime è necessariamente diversa. Comunque, ai fini tipologici, il punto discriminante, ancora una volta, è dato dal diverso ruolo giocato da tali classi. In questa società l'ascesa del regime fascista richiede l'intervento attivo di forze diverse dalle classi medie, per lo piu la forza militare. Il fascismo militare è agevolato da fattori interni e da fattori internazionali. L'esercito integra l'assenza di un movimento di massa cosi come si manifesta nel caso del fascismo classico: l'esercito è l'elemento di propulsione che agisce lungo la solita direttrice perseguita dai regimi fascisti: smobilitare le classi inferiori ed arginare quegli aspetti del processo di modernizzazione che possono mettere in pericolo la posizione di privilegio dell' establishment 17 • Secondo Germani, però, sia pure in un altro modo, ad esempio con la loro accettazione passiva, le classi medie costituiscono una condizione importante per la nascita e il rafforzamento del regime fascista anche in questi paesi. È indubbio che un'analisi del caso cileno condotta secondo questa ottica offrirebbe elementi illuminanti. Da ultimo, sembra opportuno, per ragioni di completezza, ricordare che Germani riprende il modello intel'!)retativo delineato, insistendo però su alcuni aspetti. Questa accentuazione opera, a nostro avviso, soprattutto in una chiave di natura weberiana nel senso che il mutamento sociale e, specificamente, il mutamento politico trovano una loro scaturigine nell'influenza autonomamente esercitata dai valori culturali sull'agire sociale 18 • Nell'ambito di questo tentativo ancora in fieri vengono ripresi concetti, osservazioni e ipotesi elaborate dalla migliore tradizione sociologica; in particolare da autori come Toennies e Durkheim. Germani riconosce questo legame tra il suo discorso (che recupera le note dicotomie comunità e società e solidarietà meccanica e solidarietà organica) e il pensiero sociologico classico, ma riutilizza queste categorie conoscitive all'interno di una teoria conflittuale della società, alla quale, come si è visto, rimane sempre fedele. Qui viene semplicemente suggerita una prospettiva per individuare quegli elementi che possono generare una ripetizione variata dei fenomeni fascistici. Germani ritiene che l'analisi vada approfondita e a vari livelli; in questa sede si interessa di un livello macro-sociale t> di linee di tendenza generalissime. La società contemporanea o, se si preferisce, la società post-induOp. cit., p. 15, spec. nota 5. Faccio qui riferimento al contributo dato da Gino Germani nel gennaio 1974 ad un seminario sul fascismo organizzato dall'Istituto di Sociologia e dall'Istituto di Storia della Facoltà di Scienze Politiche « C. Alfieri » di Firenze. Qualsiasi travisamento di quanto Germani ebbe ad esprimere nel suo intervento è da imputarsi allo scrivente. 11
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striale, è una società che si caratterizza per il progressivo e netto prevalere dell'azione sociale di tipo elettivo sull'agire sociale di tipo prescrittivo. La scelta, la decisione - individuale o di gruppo - stanno alla base dell'agire sociale e, al tempo stesso, condizionano la stabilità del tutto sociale. Dato che il nucleo del consenso dipende da questo dato culturale:· 1a libertà di scelta, questo tipo di società è molto esposto al pericolo di scissioni interne e al pericolo di gravi e continui conflitti. La società nella quale viviamo non è dunque un tipo di società che vada esente da tensioni. I costi che essa comporta, anche in termini psico-sociologici, fanno si che ad un livello, sia pure latente, sopravviva la società prescrittiva e che ai valori di quest'ultima continuino ad ispirarsi gruppi sociali temporaneamente e par?ialmente smobilitati, per riprendere la terminologia di Germani. Se ci è consentito forzare in una direzione sociologistica il discorso del nostro autore, il conflitto che conta, nel senso che ad esso si può collegare uno sbocco politico di carattere fascistico, è proprio quel conflitto che discende dal tentativo della società prescrittiva di ritornare ad essere il tipo dominante di società. Tentativo il cui successo troverà ostacoli oppure vantaggi in una serie di condizioni sociali ed economiche sulle quali è inutile tornare. Ci sembra però, su un piano piu strettamente sociologico, che l'ottica sia da focalizzare sul conflitto tra P,ruppi secolarizzati, che hanno rotto la sacralità delle culture prescrittive e i gruppi, invece, paladini dei valori « sacrali» connessi a questa cultura. Questi gruppi, ideologicamente contrapposti, convivono anche nella società d'oggi e lottano, in maniera piu o meno intensa a seconda dei periodi, per prevalere gli uni sugli altri. Naturalmente, Germani non propugna una equazione tra Gemeinschaft e fascismo, si limita a rilevare una connessione culturale, e non un rapporto diretto di causa ed effetto, tra la volontà di affermare certi valori e le possibilità di sviluppo di una società fascista. È bene ribadire che la sua è una prospettiva che resta sempre plurifattoriale e che diventa tanto piu interessante quanto piu se ne vogliano esplicitare le possibilità di applicazione liberandola dal limbo cui la costringe il livello, forse eccessivo, di astrazione. Ma questo è un compito che non si può certo adempiere in questa sede, data anche la non definitività del modello interpretativo. Qui ci sembra utile indicare la fecondità di un approccio che non solo è da porre accanto ad altri per spiegare le origini del fascismo ma che, pure, consente di capir meglio la compresenza del fascismo e della democrazia all'interno di una stessa società e consente, quindi, di fare un passo innanzi nella spiegazione dei reflussi fascistici.
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NOTIZIE SUGLI AUTORI PRESI IN CONSIDERAZIONE
NOTIZIE SUGLI AUTORI PRESI IN CONSIDERAZIONE
W. AooRNo è nato nel 1903 a Francoforte sul Meno dove ha studiato filosofia, sociologia, psicologia e musica, laureandosi in filosofia nel 1924. Nel 1925 si è dedicato allo studio della composizione a Vienna sotto l'influenza diretta di Alban Berg e Schonberg; in seguito non avrebbe piu abbandonato l'attività musicale, pur portando avanti i suoi studi di filosofia, divenendo membro dell'lnstitut fi.ir Sozialforschung diretto dà Horkheimer e arrivando a conseguire la libera docenza nel 1931 con un lavoro su Kierkegaard: Adorno ha sempre considerato per tutta la sua vita la filosofia e la musica dm~ asoetti strettamente connessi della sua attività intellettuale. Dopo l'ascesa ·al potere, nel '33, il nazismo gli impedi di insegnare: nel 1934 lasciò la Germania e trascorse la prima parte del suo esilio dal 19 35 al 19 38 a Oxford al Merton College; nel 1938 raggiunse gli altri membri nel ricostit~ito lnstitute of Sodai Research a New York, riprendendo piu organicamente una collaborazione che non si era mai interrotta (già nel 1936 era condirettore della rivista dell'Istituto, la famosa « Zeitschrift fi.ir Sozialforschung » ); contemporaneamente è stato direttore della parte musicale del Princeton Radio Research Project. Nel 1941 si trasferi a Los Angeles insieme a Horkheimer, ma con lui tornò a New York per occuparsi delle ricerche sul pregiudizio promosse dall'American Jewish Committee. Nel 1950 è ritornato a Francoforte dove ha ricominciato la carriera universitaria, divenendo nel 1953 condirettore del rinato lnstitut fi.ir Sozialforschung e nel 1956 professore ordinario; in questo periodo, contemporaneamente alla attività accademica h pubblicato la maggior parte delle sue opere. È morto nel 1969, durante una vacanza in Svizzera.
THEODOR
HANNAH ARENDT è nata nel 1906 ad Hannover; ha studiato filosofia con Jaspers a Heidelberg. Emigrò in America dopo la conquista della Francia da parte di Hitler; ha insegnato ~toria moderna e scienza della politica in molte importanti università americane, fra cui Princeton.
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Per la visione generale che ha la Arendt della storia e all'interno di questa dello_ sviluppo delle relazioni di potere dr. Between Past and Future: Six Exercises in Political Thought, New York, Viking Press, 1961, trad. italiana Tra passato e futuro, Firenze, Vallecchi, 1970. Fra le altre opere della Arendt è da ricordare On Revolution, New York, The Viking Press, 1963. REINHARD BENDIX, nato a Berlino nel 1916, espatriò nel 1938 negli Stati Uniti, dove ha studiato sociologia all'Università di Chicago. Ha insegnato in quella Università fino al 1946, passando poi all'Università di California a Berkeley, dove ha svolto da allora tutta la sua attività didattica e scientifica, occupando anche la carica di direttore del dipartimento di Sociologia. È autore di diversi importati volumi: Work and Authority in lndustry, New York, Wiley, 1956, trad. it. Lavoro e autorità nell'industria, Milano, Etas Kompass, 1974; Social Mobility in Industrial Society (con S. M. Lipset), Los Angeles, The University of California Press, 1958; Max Weber. An Intellectual Portrait, New York, Doubleday, 1960; Nation-Building and Citizenship, New York, Wiley, 1965, trad. it. Stato nazionale e integrazione di dasse, Bari, Laterza, 1969; Embattled Reason, New York, Oxford University Press, 1970. ZBIGNIEW K. BRZEZINSKI, laureato alla Harvard University, è direttore del Research Institute of Communist Aflairs e professore di « Govemment » alla Columbia University. Esperto di storia e di relazioni internazionali, si è occupato della Russia e del ruolo degli Stati Uniti nel contesto mondiale; collabora con il Dipartimento di Stato degli USA. Fra le sue opere sono da ricordare, fra l'altro, The Permanent Purge, Politics in Soviet T otalitarialism, Cambridge, Harvard University Press, 1956; Dilemmas of Change in Soviet Politics, New York, Columbia University Press, 1969; Dilemmi internazionali in un'epoca tecnetronica, Milano, Etas Kompass, 1969; The Fragile Blossom. Crisis and Change in Japan, New York-London, Harper Torchbooks, 1972. CARL J. FRIEDRICH, nato a Lipsia nel 1901, è una delle maggiori autorità nel campo della scienza politica. È professore di questa disciplina ad Harvard, e direttore dell'Institut fi.ir Politische Wissenschaft di Heidelberg. Fra le molte opere di Friedrich è utile fare riferimento, per avere una visione generale del suo pensiero, a Constitutional Government and Democracy, Boston, Ginn and Company, 1950 (I ed. 1937), trad. it. Governo costituzionale e democrazia, Vicenza, Neri Pozza, 1963; Man and His Government, New York, McGraw-Hill, 1963; An Introdution 208
to Politica! Theory, New York, Harper and Row, 1970, trad. it. Introduzione alla teoria politica, Milano, I.L.I, 1971. ERICH FROMM è nato nel 1900 a Francoforte, ha studiato psicologia filosofia e sociologia a Heidelberg, Francoforte e Monaco e si è poi dedicato definitivamente alla psicanalisi specializzandosi a Berlino. Come psicanalista affermato è tornato a gravitare nell'ambiente culturale della Scuola di Francoforte nel momento della sua massima attività di foyer intellettuale intorno agli anni '30; anche dopo l'ascesa al potere del fascismo e la fuga dalla Germania di tutti i membri della Scuola, quando l'Institut fiir Sozialforschung si ricostituf a Parigi, per un breve periodo Fromm continuò la collaborazione di cui è rimasta testimonianza nel volume Studien uber Autoritiit und Familie, Paris, Alcan, 1936. Nel 1934 Fromm si è trasferito negli Stati Uniti: qui si sarebbe manifestato in modo piu evidente il suo allontanamento dalle posizioni della Scuola che in realtà era implicito già da primg e destinato a manifestarsi: Fromm infatti, fondatore insieme a K. Horney della scuola neofreudiana, si era assunto il compito trascurato da Freud di « relativizzare » la psicanalisi tenendo conto dei condizionamenti culturali dell'individuo, e di approfondire la psicologia dell'Io: questo doveva però portarlo ad un ottimismo antropologico-filosofico diametralmente opposto alle posizioni dei maestri francofortesi. Cosi dopo la guerra Fromm non è tornato in Europa, anche perché nel frattempo si è inserito berie nelle istituzioni accademiche americane, facendo una buona carriera universitaria; ha insegnato alla Columbia University e a Yale, dal 1955 è direttore del dipartimento di psicanalisi della University of Mexico e insegna psicologia alla New York University. La sua notorietà internazionale è dovuta ad una serie di opere che spesso hgnno avuto una diffusione molto larga se proprio non sono state best-sellers, ma il cui contenuto ha un legame sempre piu vago con la teorfa e la prassi della terapia psicanalitica ed evolve sempre piu chiaramente verso intenti moralistici. GINO GERMANI è nato a Roma nel 1911; in questa città ha compiuto gli studi universitari. Arrestato per attività antifascista nel 1930, espatriò in Argentina nel 1934. In Argentim si impegnò in lavori di ricerca sociologica e di insegnamento dal 1935 al 1966, anno in cui la situazione politica locale lo costriftse ad emigrare negli USA. Attualmente è titolare della cattedra « Monroe Gutman Professor of Latin American Studies » alla Harvard University. Tra le pubblicazioni piu importanti: Politica e massa ( 1960 ); La sociologia en America Latina: problemas y perspectivas, (1965); Politica y Sociedad en ·una epoca de transicion, (1968); Socia! Modernization ami Economie Development in Argentina, (1970); 209
Sociologia della modernizzazione. L'esperienza del!' America Latina, Bari, Laterza, 1971 che è una raccolta dei capitoli piu significativi dei libri citati ed, infine, il reader: Urbanizzazione e modernizzazione, Bologna, il Mulino, 1975.
MAX HoRKHEIMER è nato a Stoccarda nel 1895, dovette interrompere gli studi a 15 anni su pressione del padre che voleva che studiasse le lingue per avviarlo al commercio; ma dopo la guerra - che si era coerentemente rifiutato di combattere - li riprese da privatista nel 1919 e si laureò nel 1922 in filosofia. Nel 1926 prese la libera docenza e nel 1930 succedette a C. Griinberg nella cattedra di filosofia teorica e fOciale all'Università di Francoforte e nel ruolo di direttore dell'lnstitut fur Sozialforschung, fondato nel 1924 con una donazione di Hermann Weil, con la precisa finalità di approfondire lo studio delle scienze sociali trascurato dalle Università tedesche. Horkheimer ne fece un centro di raccolta dei piu brillanti teorici tedeschi e riusd a mantenere sempre un punto di riferimento fisso per tutti coloro che vollero seguirlo nell'esilio dopo il 1933, fondando delle ramificazioni dell'Istituto prima a Ginevra poi a Parigi presso l'Ecole Normale Supérieure e infine ricostituendo l'lnternational lnstitute of Socia! Research a New York presso la Columbia University. Nel 1941 si trasferf a Los Angeles ma nel 1945 tornò a New York per dirigere un reparto dell' American Jewish Committee che attuò fino al 194 7 un vasto programma di ricerche sul pregiudizio rimasto poi famoso. Dopo la guerra Horkheimer è ritornato in Germania nel 1948 dove ha assunto la cattedra di filosofia e quella di sociologia a Francoforte e ha fatto rinascere nel 1950 l'lnstitut fur Sozialforschung. Dal 19 54 al 19 59 è stato anche contemporaneamente professore alla Università di Chicago: comunque è rimasto sempre in primo piano nella vita accademica tedesca, divenendo anche Rettore dell'Università di Francoforte, dal 1951 al 1953. Nel 1964, raggiunti i limiti di età, si è ritirato in Svizzera presso Lugano. È morto nel 1973 a Norimberga. HAROLD D. LASSWELL nacque a Donnellson, Illinois, nel 1902; i suoi studi furono molto brillanti, fin dal principio, tanto che entrò all'Università di Chicago vincendo un concorso a soli 16 anni: questo gli permise di vivere negli anni cruciali la vita intellettuale della scuola di Chicago, punto di incontro di molti dei piu influenti teorici americani in molti campi; anche dopo aver concluso gli studi - tranne che durante alcune parentesi di studio in Europa alle Università di Londra, Ginevra, Parigi e soprattutto Berlino, molto importanti per la sua formazione - rimase nella prima parte delJa sua carriera universitaria sempre nell'ambito di 210
Chicago, fino al 1938, anno in cui divenne professore a Yale. Per lungo tempo però rimase emarginato dall'ambiente accademico; ma nel 1956 la presidenza della American Politica! Science Association segna il suo successo « ufficiale ». Lasswell è autore di numerosissime pubblicazioni dal contenuto molto vario: egli è soprattutto uno studioso di scienza della politica - materia che insegna tuttora a Yale - ma con un suo taglio personale, che ricomprende vasti interessi, dalla sociologia fino alla psicolinguistica: il suo tentativo è quello di fondere tutti questi approcci e altri ancora in un quadro concettuale unitario; anzi, sua caratteristica è stata proprio quella di essere rimasto un fautore della « grande teoria », richiamando alla necessità di un quadro teorico generale, contro l'empirismo dilagante negli anni '50. La sua originalità poi è forse piu di tutto da identificarsi nella applicazione della psicoanalisi allo studio dei fenomeni politici. SEYMOUR M. LIPSET, nato nel 1922, è uno dèi piu rinomati sociologi politici americani. Si è formato all'Università di Columbia a New York, dove ha anche insegnato per alcuni anni nel Graduate Department. È stato a lungo professore di Sociologia e direttore dello Institut of International Studies all'Università di California a Berkeley. Attualmente insegna « Government and Social Relations » all'Università di Harvard. Della sua vasta produzione ricordiamo: Union Democracy (con M. Trow e J. S. Coleman), Glencoe, The Free Press, 1956, trad. it. Democrazia sindacale, Milano, Etas Kompass, 1972; Socia! Mobility in Industria! Society (con R. Bendix), Los Angeles, The University of California Press, 1958; Politica! Man, New York, Doubleday, 1960, trad. it. L'uomo e la politica, Milano, Comunità, 1963; The First New Natiòn, New York, Basic Books, 1963; Revolution and Counterrevolution, New York, Basic Books, 1968. nasce a Budapest nel 1893, e li compie i primi studi. Frequenta varie università europee, come Berlino, Budapest, Parigi, Friburgo e infine Heidelberg, dove consegue il titolo di Privatdozent ( 1926 ). Rimane a Heidelberg - dove è ancora viva l'influenza di Weber e dove operano le figure intellettuali di maggior rilievo della Germania - fino al 1930, quando è chiamato ad insegnare sociologia all'Università di Francoforte. Agli inizi del 1933 è costretto dall'avvento del nazismo a rifugiarsi in Inghilterra: nelfa capitale, insegna Sociologia alla London School of Economics fino al 1945, fondando (nel 1940) l'International Library of Sociology and Social Reconstruction. Dal '45 fino alla morte (avvenuta nel 1947) insegna pedagogia e sociologia all'lnstitute of Education di Londra. KARL MANNHEIM
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Gli scritti piu rilevanti per il nostro tema sono: Ideologie und Utopie ( 1929-36); Mensch und Gesellschaft im Zeitalter des Umbaus (1935, ed. riv. 1940); Diagnosis of Our Time (1934); e Freedom, Power and Democratic Planning (postumo, 1950). Di tutti questi lavori si hanno traduzioni italiane: Ideologia e utopia, Bologna, Il Mulino, 1972; L'uomo e la società in un'età di ricostruzione, Milano, ed. di Comunità, 1959; Diagnosi del nostro tempo, Milano, Mondadori, 1951; e Libertà, potere e pianificazione democratica, Roma, Armando ed., 1968. HERBERT MARCUSE è nato a Berlino nel 1898, ha fatto i suoi studi all'università di Berlino, terminandoli poi a Friburgo, dove insegnava Heidegger e dove si è laureato nel 1921; era stato anche esponente della sinistra socialdemocratica, ma era uscito dal partito nel 1919, dopo l'assassinio di Liebknecht e della Luxemburg; comunque ancora verso la fine degli anni '20 fu editore di « Die Gesellschaft », l'organo teorico della socialdemocrazia. Divenuto membro dell'Institut fi.ir Sozialforschung ne ha seguito tutte le tappe anche nell'esilio dopo il 1933, prima a Ginevra, poi a Parigi e infine nel 1934 a New York, dove al ricostituito Institute of Social Research ebbe un posto di assistente e ricercatore, che avrebbe conservato fino alla fine della guerra. Contemporaneamente, per la sua costante necessità di un'attività non esclusivamente teoretica, ha collaborato con l'Office of Strategie Service del Dipartimento di Stato dal 1942 al 1950, per combattere il nazismo in qualche modo anche nella prassi. Alla fine della guerra non è tornato in Europa come gli altri membri dell'Istituto, ma si è dedicato a studi sulla Russia negli istituti specializzati della Columbia University dal '51 al '52 e di Harvard dal '53 al '54. Dal 1954 è stato professore ordinario di :filosofia e scienze politiche alla Brandeis University di Boston. Dal 1966 insegna :filosofia alla Università di San Diego in California. ROBERTO M1cHELS nacque a Colonia nel 1876 e si laureò a Halle nel 1900; dopo studi compiuti in vari paesi e dopo l'esperienza di militante nel partito socialdemocratico tedesco divenne, nel 1907, libero docente presso l'Università di Torino. Dal 1913 al 1915 fu condirettore del famoso « Archiv fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik », chiamatovi da Max Weber, che aveva avuto una notevole influenza sulla sua formazione intellettuale, e col quale era legato da rapporti di amicizia. Durante la prima guerra mondiale, ed in seguito fino al 1928, insegnò economia politica all'Università di Basilea, in Svizzera; nel periodo 1927-28 venne chiamato ad insegnare a Williamstown nel Massachussets ed a Chicago e nel 1928 divenne professore all'Università di Perugia dove rimase fino alla morte avvenuta nel 1936, a Roma. 212
Una bibliografia completa delle opere di Michels si può trovare nel volume Studi in onore di Roberto Michels, Annali della Facoltà di Giurisprudenza della R. Università degli Studi di Perugia, voi. XLIX, Padova, Cedam, 1937, pp. 37-76. Si possono ricordare le seguenti opere che testimoniano fra l'altro la molteplicità degli interessi di Michels: Saggi economici sulle classi popolari, Palermo, Sandron, 1913; Probleme der Sozialphilosophie, Leipzig, Teubner, 1914 (trad. it. a cura dell'autore Problemi di sociologia applicata, Torino, Bocca, 1919); La teoria di C. Marx sulla miseria crescente e le sue origini. Contributo alla storia delle dottrine economiche, Torino, Bocca, 1922; Lavoro e razza, Milano, Vallardi, 1924; Soziologie als Gesellschaftswissenschaft, Berlin, Mauritius-Verlag, 1926; Der Patriotismus; Prolegomena zu seiner soziologischen Analyse, Miinchen, Dunker und Humblot, 1929 (trad. it. Prolegomena sul patriottismo, Firenze, La Nuova Italia, 1933 ); Il boicottaggio. Saggio su un aspetto della crisi, Torino, Einaudi, 1934. C. WRIGHT M1LLs, nato nel 1916, è stato uno dei primi e piu influenti
rappresentanti della sociologia critica negli Stati Uniti. Ha studiato sociologia all'Università del Wisconsin, dove è venuto a contatto con studiosi di formazione europea, tra i quali H. Gerth. Ha insegnato all'Università di Columbia a New York dal 1945 fino alla morte, avvenuta nel 1962. Dal 1945 al 1948 ha anche diretto presso quella Università una sezione del Bureau of Applied Socia! Research, uno dei piu rinomati centri di ricerca empirica statunitensi. Le principali opere di Mills sono: White Collar, New York, Oxford University Press, 1951, trad. it. Colletti bianchi, Torino, Einaudi, 1966; Character and Socia! Structure (con H. Gerth), New York, Harcourt, Brace, 1953, trad. it. Carattere e struttura sociale, Torino, UTET, 1969; The Power Elite, New York, Oxford University Press, 1956, trad. it. La élite del potere, Milano, Feltrinelli, 1959; The Sociologica! Imagination, New York, Oxford University Press, 1959, trad. it. L'immaginazione sociologica, Milano, Il Saggiatore, 1962. BARRINGTON MOORE jr (vivente) ha insegnato Teoria politica e sistemi di governo comparati all'Università di Harvard. Attualmente insegna Sociologia ed è Senior Research Fellow al Russian Research Center della stessa Università. Tra i suoi libri e saggi piu importanti ricordiamo: Soviet Politics The Dilemma of Power (1950); Politica[ Power and Socia! Theory (1958 ); Socia! Origins of Dictatorship and Democracy ( 1966 ); Refiections on the Causes of Human Misery and upon Certain Proposal to Eliminate Them (1970-1972). In edizioni italiane: Il dilemma del po-
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tere, Milano, Longanesi, 1953; Potere politico e teoria sociale, Milano, Comunità, 1964; Le origini sociali della dittatura e della democrazia, Torino, Einaudi, 1969; Le cause sociali delle sofferenze umane, Milano, Comunità, 1974.
JosÉ ORTEGA Y GASSET, nato a Madrid nel 1883, perfezionò i suoi studi filosofici a Lipsia, a Berlino e a Marburgo. Chiamato nel 1910 a ricoprire una cattedra di metafisica nella sua città natale, a partire dal 1923 inizia la pubblicazione della « Revista de Occidente », ambizioso tentativo di sprovincializzare la cultura spagnola. Liberale e democratico convinto Ortega verrà censurato, perseguitato e rinchiuso in carcere. Costretto nel 1936, allo scoppio della guerra civile, ad andare in esilio per molti anni, ritorna in patria dopo l'ultimo conflitto e riprende una intensa, ma meno fortunata, attività cuturale e saggistica. Muore a Madrid nel 1955. Tra le sue opere piu importanti: Espafia invertebrada (1922), El tema de nuestro tiempo (1923), Mirabeau o el PoUtico (1927), Kant (1929), Misi6n de la Universidad (1930), La rebeli6n de las masas (1930), Goethe desde dentro (1932), En torno a Galileo (1933). In italiano sono state tradotte alcune delle piu interessanti: La missione dell'Università, Napoli, Guida editori, 1972; La ribellione delle masse, Bologna, Il Mulino, 19754 • TALCOTT PARSONS, nato nel 1902, è il piu illustre teorico della sociologia americana contemporanea. Dopo i primi studi in filosofia ed economia, ha completato in Europa la sua formazione nel campo delle scienze sociali, studiando alla London School of Economics e all'Università di Heidelberg. Dal 1927 ha svolto tutta la sua carriera accademica all'Università di Harvard, dapprima nel dipartimento di Economia, e a partire dal 1931 nel dipartimento di Sociologia, appena costituito. Nel 1946, sempre presso l'Università di Harvard, ha promosso la fondazione del Department of Social Relations, uno dei primi esempi di dipartimento interdisciplinare, che raggruppava e integrava gli insegnamenti di scienze dell'uomo, e lo ha diretto fino al 1956. È stato presidente della American Sociological Association e della American Academy of Arts and Sciences. Della sua vastissima produzione scientifica ricordiamo: The Structure of Socia! Action, New York, Harper & Row, 1937, trad. it. La struttura dell'azione sociale, Bologna, Il Mulino, 1962; The Social System, Glencoe, The Free Press, 1951, trad. it. Il sistema sociale, Milano, Comunità, 1965; Economy and Society (con N. J. Smelser), Glencoe, The Free Press, 1956, trad. it. Economia e società, Milano, Angeli, 1970; Politics and Socia! Structure, New York, The Free Press, 1969. 214
W1LHELM RE1CH nasce nel 1897 in Austria e compie i suoi studi a Vienna. Nel 1920, insolitamente giovane diviene membro della Società Psicanalitica fondata da Freud, e al suo interno è nominato direttore del Seminario di Terapia Psicanalitica: è il momento del suo maggiore successo all'interno di istituzioni ufficiali, in seguito sarebbe stato sempre un isolato, fuori da tutte le scuole, discusso ed emarginato, circondato solo dai propri discepoli; il progressivo distacco da Freud iniziato nel 1932 porterà infatti alla sua espulsione dalla Associazione Internazionale di Psicanalisi. Nel frattempo la presa del potere da parte del nazismo lo aveva costretto a fuggire in Norvegia, dove l'offerta di una cattedra all'Università di Oslo nel 1934 gli dà l'opportunità di dedicarsi a studi biologici sperimentali e segna una svolta capitale nel suo pensiero: da questo momento in poi egli evolverà sempre piu dalla psicanalisi verso una teoria onnicomprensiva che, pur con una mascheratura biologica, ha un contenuto sempre piu chiaramente religioso e metafisico. Tale tendenza si rafforza ulteriormente con il trasferimento di Reich negli Stati Uniti, dove ha la possibilità di fondare l'Orgone lnstitute, tempio di questa nuova scienza-religione di cui lui stesso si considera poco meno che il messia. In questa realtà di autoglorifìcazione e di successo economico si inserisce improvvisamente l'arresto di Reich nel 1956 su denuncia di attività terapeutica irregolare, e la sua morte nel penitenziario di Lewisburg l'anno successivo.
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Finito di stampare nel mese di giugno 1975 dalle Officine Grafiche STA - Vicenza
La collana WORKING PAPERS SULLA SOCIETA CONTEMPORANEA è dedicata a dibat tit i aperti di grande attualita, come questo sul fascismo, a studi pionieristi ci a ricerche innovatrici , anche se incompiute, esperi ment i rnetodo ,ogici , documenti inediti , idee osservazioni ipotesi ch e abbiano comunque per oggetto la societa contemporanea. Questo libro é il risultato di una nuova riflessione sulle origini , l'ascesa e la natura del fascismo , promossa da L. Cavalli , direttore dello Istituto di Sociologia del ''C. Alfieri ". I saggi qui raccolti sono dedicati a autori che hanno studiato il fascismo come "scienziati sociali ", ossia sociologi, psicologi , politologi : Adorno, Arendt , Bendix, Brzezinski, Friedrich, Fromm, Germani, Horkheimer, Lasswell, Lipset, Mannheim, Marcuse, Michels, Mills, Moo, 1..:: . Ortega y Gasset, Parsons, Reich . È la prima trattazione estesa a tutti i loro scritti in materia e alla critica rilevante, come strumento indispensabile per l'approccio interdisciplinare al fascismo.