Il cerchio e la piramide: l'epica omerica e le origini del politico 9788815037695, 8815037691

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Il cerchio e la piramide: l'epica omerica e le origini del politico
 9788815037695, 8815037691

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IL MULINO RICERCA

A La/ori

MASSIMO BONANNI

IL CERCHIO E LA PIRAMIDE L'epica omerica e le origini dd politico

IL MULINO

ISBN

88-15-03769-1

Copyright e 1992 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

INDICE

Introduzione I.

Narrazione epica e pensiero politico

p.

9

13

1. La scoperta della politica tra «pensiero narrativo» e «presupposti di naturalità». - 2. Incongruenza e disomogeneità di senso politico: l'epica ellenica a confronto con i due cicli cavallereschi del Medioevo europeo. - 3. L'Iliade, i Giochi e il ritorno di Odisseo: percorso dell'indagine.

Il.

Le ragioni del comando e della discussione nelle vicende troiane

27

1. La rivolta dei giovani contro l'autorità dei padri e il loro interminabile discutere: istituzioni campali e istituzioni cittadine. - 2. «Màkhesthai» e «fronèin»: riproposizione sul campo di battaglia dei problemi del comando e della discussione. - 3. «Nòos» e «thymòs»: suggerimenti di Polidàmante e «hybris» di Ettore.

III.

La «paidèia» del sovrano divino

41

1. Varietà nelle raffigurazioni dell'Olimpo e nelle

immagini di Zeus. - 2. Dalla figura del padre onnipotente a quella del padre-fratello. - 3. Le configurazioni del Consiglio olimpico in connessione con le diverse immagini di Zeus. - 4. Un Consiglio senza sovrano, presieduto da Temi, e l'inconcludente contestazione di Era. - 5. Maggiore complessità nella configurazione istituzionale degli ultimi Consigli olimpici.

5

IV.

Istanze comunitarie blea dell'Ira

e palatine nell'Assemp.

59

1. Tensione tra sovrano e popolo nelle vicende degli Achei e confronti con il mondo olimpico e quello troiano. - 2. Il conflitto tra Agamennone e Achille nell'Assemblea dell'Ira. - 3. Analogie con il conflitto Creonte-Antigone e quattro schemi interpretativi: Weber, Sahlins, Habermas, Liverani. - 4. Il cerchio, la piramide e due diversi percorsi narrativi.

V.

La «paidèia» del sovrano umano

83

1. Le vicende della Prova come condanna degli sviluppi verso un'autocrazia plebiscitaria. - 2. Odisseo: riaffermazione delle funzioni consiliari e riconoscimento della specificità del comando militare. - 3. «Anax» e «agorà» nella visione di Diomede. - 4. Funzione del Consiglio e problema della redistribuzione nella formulazione di Nestore.

VI.

La sconfitta dell'eroe arcaico

105

1. Il dossier epico sul personaggio Achille. - 2. Achille e Odisseo come disgiunzione di una precedente coppia eroica. - 3. Odisseo e Diomede, estremo opposto di Achille, come anticipazione di una nuova immagine dell'uomo. - 4. La sconfitta di Aiace e il sorgere di un nuovo rapporto tra terra e cielo. - 5. Il politico e il superamento dell'antropologia eroica.

VII.

L'Achille dei Giochi e la prospettiva stocratica

ari-

1. Le due città dello Scudo come «manifesto» del riemergere di Achille. - 2. La differenziazione tra «àgon» e «agorà» e le sue implicazioni. - 3. Le vicende della Corsa dei Carri. - 4. La direzione dei Giochi come rovesciamento critico dell' Assemblea dell'Ira. - 5. L'Achille dei Giochi: una lettura antropologica. - 6. Il declino di Agamennone.

6

123

VIII. La discussione innaturale

p. 143

1. La discussione come «màkhesthai,. e come «fronèin,., - 2. Due paradigmi contemporanei: discorso ideale e sistema discussione: Habermas e Luhmann. - 3. Universalità e pariteticità alla prova dell'istituzionalizzazione.-4. Problematicità del passaggio alla decisione. - 5. L'invenzione della discussione.

IX.

L'Odissea come «nostos» di Agamennone

173

1. Il re che viene dal mare. - 2. L'isola dei Ciclopi

e quella di Alcinoo. - 3. Itaca senza re e il ritorno di Odisseo: il dominio, l'oblìo e il patto. - 4. Le figlie di Agamennone: Ifianassa, Crisotemi e Laodice. - 5. Un'interpretazione dell'Odissea.

X.

Le due costituzioni madri

195

1. Le vicende di Zeus, Ettore e Agamennone a

confronto con i Giochi per Patroclo e con il ritorno di Odisseo. - 2. Le due polarità dell'epica, una formulazione platonica e la critica di Aristotele. - 3. Il politico come concetto e come termine. - 4. Il politico tra complessità e riduzionismo.

Riferimenti bibliografici

217

7

INTRODUZIONE

In un frammento di Crisippo, filosofo considerato come il secondo fondatore ddla Stoa, si parla di un cane che, inseguendo una lepre, giunge ad un torrente. Di fronte all'ostacolo il segugio va avanti e indietro sulla riva. Poi, non avendo trovato nulla di interessante, salta il torrente per proseguire ndla sua ricerca. Come il cane di Crisippo sono andato per lungo tempo avanti e indietro inseguendo in vari campi delle discipline contemporanee le tracce di un problema, quello del discutere e del decidere, cercando modelli che potessero adattarsi alla disciplina di cui mi occupo, la scienza della politica. In questa esplorazione ho dovuto constatare che i risultati più interessanti, almeno dal punto di vista formale, riducevano a semplici precondizioni aspetti che io consideravo come l'explanandum del problema: la fondazione delle regole del gioco, il loro carattere più o meno naturale, le alternative possibili o ipotizzabili, il loro rapporto con la costituzione dei soggetti. .. Particolare perplessità mi suscitava la eccessiva enfatizzazione delle condizioni di pariteticità. Ad esse ero sempre portato a contrapporre, in via analogica, quel principio della termodinamica secondo il quale per produrre lavoro è necessaria la compresenza di una sorgente e di un refrigerante, non essendo sufficiente il calore uniformemente diffuso. Di qui il sospetto che un qualche momento di non pariteticità fosse non solo alla base di decisioni che pure ci rappresentiamo come democratiche e pubbliche, ma anche alla origine stessa del linguaggio. Con riferimento ai problemi della discussione mi tornava spesso alla mente una riflessione di Adorno: «Ozio, e perfino 9

superbia e arroganza, hanno conferito alla lingua della classe superiore un carattere di indipendenza e di autodisciplina che la mette in opposizione all'ambiente sociale in cui si è formata». Ed è in base alla autonomia cosl acquisita che il linguaggio potrà poi sganciarsi dagli interessi che lo hanno generato e anche rivolgersi contro di essi. Questo potrebbe essere assunto come l'inizio di una storia politica del linguaggio, ma anche di una storia del politico legata alle forme e all'uso del linguaggio. Pocock, che si è occupato del problema, cita un passo del colloquio tra Alice e Humpty Dumpthy: «Quando uso una parola - disse Humpty Dumpthy in tono alquanto sprezzante - questa significa esattamente quello che decido io». «Bisogna vedere - disse Alice - se lei può dare tanti significati diversi alle parole». «Bisogna vedere - disse Humpty Dumpthy- chi è che comanda. È tutto qua». Humpty Dumpthy, osserva Pocock, si colloca nell'equivalente linguistico di uno stato hobbesiano nel quale però la discussione diventa impossibile. E infatti quando Alice si allontana, delusa da un insoddisfacente colloquio, Humpty Dumpthy cade a terra e neppure «tutti gli uomini e i cavalli del re» potranno rimetterlo sul suo sostegno[Pocock 1971 e 1973]. La contrapposizione peraltro è già nel Cratilo di Platone (388b - 390b): c'è un legislatore che impone i nomi alle cose ma il dialettico deve poter giudicare della bontà della sua opera. Asimmetria e pariteticità: due tradizioni diverse e contrapposte tanto nelle discipline linguistiche che in quelle sociali e politiche. E forse tra esse gioca, come illusione, una sorta di «principio di complementarità»: se organizziamo i nostri strumenti per vedere il dialogo e l'accordo, ci sfugge il dominio. E viceversa. Nel tentativo di stabilire un ponte tra il paradigma del politico e la pragmatica di quella particolare forma di comunicazione che è la discussione, mi sono spinto sempre più indietro fino a giungere all'epica omerica. È qui infatti che una cultura - che sarà poi anche la nostra - ha scoperto la discussione, ne ha esplorato i confini e messo in luce problemi con cui ancora oggi deve fare i conti ogni pragmatica della comunicazione. 10

La rivisitazione politologica di antichi testi, per di più a carattere narrativo, è inevitabilmente sottoposta al pericolo di stabilire troppo facili discendenze tra l'enciclopedia di allora e i dizionari specialistici successivi. Consapevole di questo pericolo ho cercato di tenere distinti «interpretazione» e «uso» dd testo, pur utilizzando ambedue gli approcci. Spetterà al lettore giudicare quanto ciò mi sia riuscito. Lo stesso lettore non avrà difficoltà a individuare gli autori che più hanno accompagnato il mio percorso. Ma di uno di essi voglio citare un passo che ben si addice a questo lavoro: Definire concetti diventa espressamente urgente allor~uando e laddove vogliamo riconoscere quali siano propriamente I oggetto e lo scopo dei nostri sforzi scientifici. Così nel nostro caso: che cosa sia davvero «la politica» o «il politico». Qualcuno forse può ritenere che questa non sia una questione scientifica ma filosofica... Ma una scienza singola che non voglia degenerare in un cieco rovistare tra i dati di fatto e decadere così a una cieca esistenza da talpa, deve tuttavia tentare di rendersi conto del suo senso, essa stessa deve anche filosofare ...almeno tanto da acquisire un concetto della sua stessa materia [Sternberger 1977-81, cap. X].

Ndl' era della troppo enfatizzata «pluralità dei paradigmi» ho dovuto constatare quanto sia divenuta difficile la comunicazione tra le varie province del sapere. Per questo il mio ringraziamento va a quei colleghi ddl'Università ddla Calabria dai colloqui con i quali ho potuto trarre utili indicazioni. Ricordo in particolare quelli con Franca Pecchioli sulle antiche istituzioni dd Vicino Oriente, con Danide Gambarara sui problemi della pragmatica ddla comunicazione, con Fortunata Pisdli sui contributi antropologici al problema, con Amneris Roselli su alcuni problemi filologici, con Gianni Kaufmann sui miti della «Grande Madre», con il mio compianto collegaErnesto Fagiani sul pensiero politico di Hobbes. Debbo inoltre a Mario Stoppino e a Maria Corti alcuni utili indicazioni e un particolare ringraziamento a Giorgio Rebuffa e Realino Marra che, oltre ad aiutarmi per alcune interpretazioni weberiane, hanno avuto la cortesia di leggere, fin troppo attentamente, una prima edizione del manoscritto. Università ddla Calabria, febbraio 1992 11

Per le citazioni in versi dai poemi omerici sono state utilizzate le seguenti edizioni: Iliade, Torino, Einaudi, 1950, e Odissea, Torino, Einaudi, 1963. In entrambi i casi la traduzione è di R. Calzecchi Onesti. Nelle citazioni dell'epica i rinvii in numeri arabi senza ulteriori indicazioni si riferiscono all'Iliade. Nella trascrizione del testo greco i nomi propri sono stati riportati con la grafia italiana. Per gli altri si è voluta mantenere la specificità delle lettere 8, X, y rendendole rispettivamente con th, kh, y. Lo spirito aspro è stato reso con h. L'accentuazione dei termini greci è esclusivamente tonica.

12

CAPITOLO PRIMO

NARRAZIONE EPICA E PENSIERO POLITICO

1. La scoperta della politica tra «pensiero narrativo» e «presupposti di naturalità» Nessun popolo come gli antichi greci seppe fare della discussione un autentico modo di vivere: per questo si può dire che essi scoprirono la politica. È in questi termini che il grande studioso di storia greca, Moses Finley, in alcuni passi rintracciabili nella sua vasta produzione, pone il problema della «invenzione del politico» 1• Il compito che ci proponiamo è di rifarci all'origine di questa invenzione ripercorrendo il passaggio teorico in cui la scoperta della discussione determina il sorgere di quello spazio in cui il politico si costruisce in problematica tensione tra il comandare e il discutere. Oggetto della nostra indagine è l'epica omerica nella assunzione che il palinsesto epico, non adeguatamente valorizzato sul piano della teoria politica, possa essere letto - in uno dei suoi strati - come una riflessione sui due opposti princìpi della discussione e del dominio: due princìpi le cui regole, implicazioni e limiti costituiscono insieme motivo sotteso agli avvenimenti narrati e problema teorico su cui l'epica continuamente ritorna in contesti e condizioni differenti. La ricerca di un pensiero nell'ambito di un poema epico 1

Cfr. ad es. Finley [1972, cap. I; 1983, cap. I]. Sul tema si veda anche Sinclair [1951, Introduzione]. Nella lingua italiana (ma non solo in essa) il termine è usato tanto al femminile che al maschile (o al neutro): politica e politico. Qui li useremo indifferentemente senza che il termine al maschile voglia significare l'adesione a una concezione schmittiana. Per una discussione su questo aspetto terminologico si veda comunque C. Meier (che però adotta una concezione schmittiana corretta) in Meier [1980, cap. I].

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ha tuttavia regole sue proprie. Il pensiero è per cosl dire cucito nella stoffa della vita e della narrazione come ((una proposta relativa alla continuazione della storia che è in atto di svolgersi»2• Esso va perciò ricercato non sempre e non tanto in un parlare del poeta a lato della narrazione ma in accostamenti e contrapposizioni di episodi che, rompendone l'incanto, facciano parlare la rappresentazione. Ma, oltre al carattere di narrazione, un'altra e più insidiosa forma di incanto si frappone fra noi e questi antichi testi. L'epica omerica ha cosl profondamente influenzato la nostra cultura che, pur a distanza di quasi tre millenni, facciamo fatica a percepire il carattere innovativo del suo pensiero e delle sue istituzioni e siamo portati a scambiare per natura, cioè testimonianza di un umano sempre uguale, ciò che invece è stato innovazione, artificio, cultura 3 • Ciò vale tanto per la invenzione della parentela come struttura di base che per il superamento della sua pretesa di dar forma a tutta la società, proponendosi anche come legittimazione del dominio. Questo processo è particolarmente evidente nel mondo olimpico dove un sistema patriarcale - che si definisce per contrasto con una struttura matriarcale di cui permangono tracce - è in via di modificazione nei suoi tratti più autoritari con conseguente emancipazione dei sudditi-figli. Queste trasformazioni possono forse essere correlate con il superamento di quella stratificazione tra vincitori e vinti che risaliva alle invasioni doriche del 1200 a.C. e che quindi al momento della stesura dell'epica era ormai vecchia di quasi mezzo millennio 4 • Le stesse notazioni valgono anche per le strutture del 2

Cfr. Benjamin [1931].

' L. Prieto [1989, 38] avvicina questo obllo al concetto di ideologia: «Ideologia è come un discorso che tende a «naturalizzare» una conoscen- · za e cioè come un discorso che cerca di far dimenticare la pratica con cui esso è necessariamente collegato e, rivolgendosi così solo ali' oggetto per spiegarla, di dissimulare la sua dimensione storico-sociale». • Il problema della invasione dorica è ancora oggetto di discussione non tanto per la sua storicità (come pure è avvenuto) quanto per le sue modalità e il suo rilievo. Sul tema cfr. in Musti [1985] i saggi di Musti, Leveque, Van Effenterre eCarlier. Cfr. anche Maddoli [1978, 519 e524]; Pugliese Carratelli [1980]; Vidal-Naquet [1981, cap. IV, par. 1].

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discutere. La possibilità di «inventare la discussione» implica anzitutto la sua non-naturalità. Ne discendono alcune importanti conseguenze. La prima è che non tutte le civiltà hanno conosciuto la discussione, e ciò vale non solo per civiltà precedenti o contemporanee a quella greca ma anche per civiltà successive. Ancora oggi del resto esistono civiltà, come l'Islam, nelle quali la dinamica sociale si costruisce tra dominio e contestazione senza che tra i due termini ci sia uno spazio per la discussione, almeno nel modo in cui la intendevano i Greci 5 • La seconda è che la in naturalità della discussione coinvolge altre forme del pensiero e dell'azione, quali la filosofia e, appunto, la politica. Su tutto questo dovremo ancora tornare 6• Un punto però deve essere chiarito fin da ora. Parlare di «decisioni raggiunte attraverso la discussione» può implicare una sottovalutazione della problematicità e dei limiti della discussione stessa. Dalle vicende dell'epica invece, emerge chiara la consapevolezza delle difficoltà che la discussione incontra nella sua pretesa di risolvere da sola i problemi della decisione e della prassi differenziandosi così non soltanto da quella decisione privata che si esprime nel comando, ma anche da attività quali il filosofare o il disquisire a cui pure la discussione è strettamente imparentata. La difficoltà deriva dal fatto che la discussione è per sua natura infinita e illimitata e di conseguenza la sua conclusione in una decisione efficace e tempestiva può essere affidata solo a limiti istituzionali e a regole di comportamento (oggi diremmo anche ad «atti linguistici performativi»)7 che, nel momento in cui si propongono di «governare la discussione», segnano nello stesso tempo una uscita dalla sua forma ideale.

' Cfr. Badie [1986, trad. it. 1990, 35 ss.]. Sul tema si tornerà nel cap. X. ' Cfr. infra, cap. VIII. 7 Sul tema degli «atù linguistici» cfr. Sbisà [1978, Introduzione]. In tem1ini generali si può definire l'atto linguistico (o discorsivo) un atto che ha la forma di una frase e che determina le strutture della situazione discorsiva. Ad esempio: «ti ordino», «vi preghiamo», ecc. Per una discussione sui concetù di «atto performativo» e di «effetto perlocutivo» si veda Habermas [1981, trad. it. 1986, 395 ss.].

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2. Incongruenza e disomogeneità di senso politico: 11epica

ellenicaa confrontocon i due ciclicavallereschidel Medioevo europeo La fonte delle nostre riflessioni è costituita da testi la cui omogeneità - come la critica filologica ha da tempo messo in luce con particolare riferimento all'Iliade - non regge ad una analisi approfondita: tanto che il nome di Omero può essere usato come semplice metonimia per indicare i due testi epici giunti sino a noi. Per altro verso però non si può disconoscere il carattere di opera di autore che assume l'epica quando venga comparata con insiemi epici a tradizione orale giunti fino a noi da altre aree culturali. Oggi i termini della questione omerica sembrano più ravvicinati che in passato. Alla distinzione tra una posizione «unitaria» e una «antiunitaria» (quest'ultima sostenuta fino alle sue estreme conseguenze da G.B. Vico) si contrappongono due posizioni che fanno riferimento alle due metafore della «architettura» (De Sanctis) e del «conglomerato» (Jachmann). Il che non esclude interventi successivi: magari proprio sui temi che più ci interessano, ad esempio da parte di un secondo poeta «politicamente impegnato» 8 • Il fatto che l'epica che conosciamo sia il risultato di una confluenza di materiali diversi tramandati oralmente rende conto della eterogeneità che traspare al di sotto di una apparente unità e ci permette di valutare meglio dissonanze e contraddizioni che al nostro spirito moderno apparirebbero incomprensibili soprattutto nell'ambito di una redazione scritta. Per una migliore percezione occorre rifarsi idealmente a un momento in cui la scrittura è una pratica legata non alla redazione di un testo ma solo alla sua fissazione. La scrittura è per così dire mnemotecnica di un lavoro di redazione che viene compiuto in altro modo e per un uso che non è ancora lettura: sono ancora la recitazione e l'udito, più che 1

L'ipotesi del secondo poeta politiquement engagé è di Mireaux [1946).

In generale si vedano: Pareti [1948); Codino [196.5; 1976); Lesky [19.57; 1967); Finley [1977); Rossi [1979). La formula del «valente architetto» è di De Sanctis [1940, capp. I, II e III].

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la lettura e la vista, a dare il tono all'epopea, anche nel momento in cui fosse stata organizzata da un «valente architetto» al fine di una fissazione resa possibile dal riapparire della scrittura'. Questa contraddittorietà tra un lavoro d'autore e problemi irrisolti nel testo è ben rappresentata dall'immagine di un poeta cieco. Ma soprattutto, per quello che ci riguarda più da vicino, questa posizione di soglia tra l'orale e lo scritto implica che, senza eccedere nell'esegesi testuale sottolineando con troppa enfasi ogni contraddizione, non bisogna neppure indulgere troppo ad una permissività che riconduca ogni eterogeneità ai limiti della tradizione orale finendo per trascurare il significato che possono assumere contraddizioni e variazioni. Queste considerazioni non risolvono ovviamente il problema dell'interpretazione ma, sottolineando la compresenza di due logiche contraddittorie, ne chiariscono la difficoltà. Per quel che riguarda l'oggetto e il percorso della nostra ricerca, alcuni aspetti della eterogeneità del testo meritano di essere sottolineati fin da ora. Il primo concerne le forme istituzionali: eterogeneità nei riti preliminari, nel rapporto con il convito, nel numero e nello status dei partecipanti nonché nel luogo in cui avvengono le riunioni, soprattutto quelle extraconviviali. Sotto quest'ultimo aspetto, e prescindendo per ora dalla distinzione non sempre chiara tra Consiglio e Assemblea, si consideri che alcune riunioni si svolgono sull'acropoli; altre «alle porte», subito fuori delle mura come nella città mesopotamica; altre ancora in luoghi predisposti con appositi seggi o nel1'atrio della casa reale; mentre solo alcune, anticipando la collocazione urbanistica dell'agorà, si svolgono in uno spiazzo centrale (indicato talvolta come vicino alla nave di Odisseo)10.Tanto basta per dire che il testo epico non può essere ' Sui problemi legati all'oralità e alla scrittura cfr. Ong [1982, capp. II e III]. Sul carattere orale dell'epica omerica si vedano inoltre: Havelock [1963, capp. VII e X]; Rossi [1972, 81, 92 e 118] nonché i due saggi di G.S. Kirk e di P. Mazon in Codino [1976]. 10 Sulla città mesopotamica cfr. Oppenheim [1964, trad. it. 1980, 117 ss.]. Nell'Iliade la riunione «alle porte» è quella della Doloneide (10/

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assunto come documento storiografico di una struttura istituzionale specifica e neppure come versione poetica di un pezzo di storia politica 11• Ndl'uso che noi ne faremo lo considereremo sotto il profilo di una storia ddle idee: una «storia ideale» che non si preoccupa tanto della eterogeneità dei suoi materiali di partenza quanto di ricucirli secondo un motivo dominante. Un secondo aspetto di questa disomogeneità riguarda la figura di Agamennone, la sua descrizione, le sue funzioni, i suoi rapporti con gli altri capi consiglieri e più in generale con le altre istituzioni del mondo acheo. Pur ammettendo che l'epica segua canoni che non richiedono la stessa coerenza di forme letterarie più recenti, la figura e alcuni comportamenti del personaggio appaiono tanto contraddittori da rendere di difficile interpretazione alcune delle vicende che lo riguardano. Qualcosa di analogo vale anche per la figura di Achille, personaggio arcaico che ndl'ultima parte ddl'Iliade viene invece assunto a immagine dd «buon sovrano». La critica è unanime nd riconoscere il carattere più tardo degli ultimi canti ddl'Iliade ma, limitandoci a questa considerazione, dudiamo il problema del significato di questo capovolgimento nel quadro complessivo dell'opera. Una «sociologia ddl'epica» 12 può spiegare solo in parte queste incongruenze. In base ad essa si potrebbe sostenere che, ndla posizione di un rapsodo - si pensi a Demodoco o a Femio nell'Odissea - i problemi di carattere istituzionale dovevano essere un argomento da trattare con cautela adattandosi alle contraddittorie esigenze del pubblico nobiliare 194). Sull'agorà greca dr. Martin [1952]. La centralità del luogo di riunione degli Achei è indicata solo per quelle alla nave di Odissee (8/ 222, 11/5, 11/806) e per l'Assemblea della Riconciliazione (19/50). Per altre riunioni è indicato come luogo la nave di Agamennone (7/383, 10/ 324) o di Nestore (19/50). Altri luoghi verranno indicati nel testo. 11 A questo tipo di fraintendimenti mi sembra giungere l'opera di Vlachos [ 1974]. Nel senso di una «storia ideale» va invece l'osservazione di Finley [1977, trad. it. 1978, 110] sulla «geniale inclinazione di Omero a ordinare il mondo». 12 In generale, sul tema, cfr. Corti [1976, cap. Il, B]. Con esplicito riferimento all'epica omerica cfr. Rossi [1979, 91].

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che il rapsodo itinerante incontrava volta a volta. Tuttavia il voler ricondurre le grandi contraddizioni interne al solo fatto che l'epica non sia altro che il precipitato di un insieme epico mantenuto per lungo tempo allo stato fluido, contraddirebbe troppo con le peculiarità dell'epica ellenica. Gli argomenti di sociologia dell'epica potrebbero forse più plausibilmente giocare in senso inverso per spiegare non la contraddittorietà delle vicende degli Achei ma la maggiore omogeneità degli altri due mondi, quello troiano e quello olimpico, rispetto ai quali gli aedi potevano sentirsi meno condizionati. Ma per spiegare le illogicità nelle vicende e nelle descrizioni dei protagonisti Achei è necessaria una ipotesi più forte, una ipotesi che faccia riferimento alle differenze delle tradizioni convogliate nell'epica. Questa ipotesi - non certo nuova, anzi uno dei punti focali della questione omericau può essere sviluppata secondo linee diverse e con diverse strumentazioni: archeologiche, linguistiche, di storia economica ... Noi la svilupperemo cercando di mettere in evidenza la compresenza di due nuclei tematici e narrativi che, in termini di significato politico, si presentano di segno opposto. In un continuo lavorio, l'epica contrappone questi due motivi cercando poi di articolarli insieme con riferimento a diversi aspetti del problema, anche se alcune parti sono determinate dal prevalere dell'uno o dell'altro. La compresenza di nuclei tematici di segno opposto può essere meglio apprezzata partendo da un confronto con la più recente epica cavalleresca medievale. Questa, nella sua versione «di Francia» prende le parti di re Carlo o del suo ministeriale Orlando, mentre nella sua versione «di Bretagna» canta le gesta del gruppo dei Cavalieri della Tavola Rotonda che ne costituiscono il protagonista collettivo. La formazione dell'epica cavalleresca, considerata nell'insieme delle sue due versioni, rappresenta bene l'antinomia storica dello stato feudale: da un lato la tendenza verso la formazione di una monarchia ereditaria, dall'altro gli interessi della nobiltà e lo spirito di consorteria germanico. In particolare, al contrario u Cfr. ad es. Kirkin Codino [1976, 98].

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della versione carolingia (che asseconda le ragioni che porteranno poi all'assolutismo) il mito di re Artù e dei suoi Cavalieri si presenta come manifesto e versione letteraria della reazione della nobiltà francese contro Filippo Augusto ( 11801223) e di quella normanna contro Guglielmo il Conquistatore (1066-1087). Inoltre, con più diretto riferimento al pensiero politico, vi si può leggere l'opposizione allo sviluppo delle idee monarchiche rappresentato da Giovanni di Salisbury _ ( 1110-1180)14• Le polarità storico-ideologiche dell'epica cavalleresca prese nel suo insieme presentano, come vedremo, forti analogie con l'epica ellenica. Ma emergono anche alcune importanti differenze. La prima è che nell'epica omerica, e soprattutto in alcune parti di essa (conflitti Zeus-Era, Agamennone-Achille, Ettore-Polidàmante ...) convivono in profonda tensione due momenti che nell'epica cavalleresca danno invece vita a due differenti cicli. La seconda, strettamente connessa, è che alla positività dei protagonisti dei due cicli medievali, Orlando e i Cavalieri della Tavola Rotonda, fa riscontro la rappresentazione, a tratti negativa, sia dei titolari del comando e della sovranità (Zeus, Agamennone, Ettore, Odisseo ... ) sia del protagonista collettivo che si contrappone al dominio. Quest'ultimo aspetto emerge dalla descrizione di riunioni rissose o inconcludenti (Consiglio di Temi, Assemblee della Fuga e di Diomede) a cui si aggiunge il disegno di una inattuale comunità degli eroi sostenuta da Achille e la descrizione di una inconcludente oligarchia itacese. Insomma: al favore esclusivo con cui le due diverse strutture vengono rappresentate rispettivamente nella Chanson de geste e nell'epos arturiano, l'epica omerica contrappone la consapevolezza che una loro enfatizzazione disgiunta produce le due opposte patologie che più tardi 14

Koeler [1970, capp. I e Il); Dempf [1930, 79 ss.); Cardini [1981, cap. Il). Ad una diversità di tradizioni di questo tipo potrebbe riferirsi Platone con la contrapposizione ionico/laconico (ma accusando Omero di essere troppo ionico). Cfr. Leggi, 679 d. In Erodoto la contrapposizione è posta nei termini Dorici-Elleni-Lacedemoni versus lonici-Pelasgi-Ateniesi: cfr. Storie, 1/56. Sulla contrapposizione dorico/ionico Cfr. Jaeger [1944, trad. it. 1984, voi. I, 20 e 159 s.); Finley [1971, trad. it. 1981, 255 ss.).

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prenderanno il nome di dispotismo e anarchia. Invertendo la freccia del tempo si potrebbe dire che l'epica omerica inizia dove quella cavalleresca finisce. Il nucleo centrale delle vicende omeriche è infatti nella consapevolezza che solo giocando l'uno contro l'altro due princìpi che considerati a se stanti hanno potenzialità autodistruttive, si può dar vita a quella innovazione che è all'origine dd politico. El' analogia si potrebbe spingere anche oltre immaginando la confluenza nell'epica omerica non soltanto di una «linea Agamennone» - analoga al Ciclo carolingio - contrapposta a una «linea Achille» - analoga al Ciclo arturiano - ma anche alla confluenza di qualcosa di analogo alle Canzoni dei vassalli ribelli, quei vassalli che hanno come antagonista un sovrano ingiusto e sleale, sia esso Carlo Martello, Carlo Magno o Louis 15• Una presenza questa che permetterebbe di spiegare le oscillazioni tra valore e viltà nella caratterizzazione dell' Atride. Oltre a gettar luce su alcune incongruenze nella trama e nella descrizione dei personaggi, l'ipotizzare una preesistenza di materiali così divergenti nel loro senso politico avrebbe l'ulteriore vantaggio di rendere più credibile l'immagine che, nella nostra direzione di ricerca, si sarebbe forse indotti ad attribuire all'autore, o agli autori, dei due insiemi epici. La riflessione che emerge dall'epica avrebbe sì un suo sottofondo di riflessione politica ma come risultato di un problema letterario: quello di ricucire insieme materiali estremamente divergenti, se non addirittura opposti, nel senso politico che sorregge le loro trame. 3. L'Iliade, i Giochi e il ritorno di Odisseo: percorso della indagine Non è nostro compito addentrarci ulteriormente nella questione omerica, un campo che richiede professionalità così specifiche. Il compito che ci proponiamo seguendo il passaggio dalla discussione alla decisione è quello di 15

Cfr. Limentani e Inforna [1986, 22 ss.].

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evidenziare la contrapposizione creativa tra discussione e dominio e la soluzione nella pratica di un paradosso nel quale crediamo di vedere il programma genetico del politico, sia pure in una accezione più ristretta rispetto alla polisemia dell'uso attuale. Ciò è già implicito nel tema di apertura dell'Iliade, il conflitto tra Agamennone e Achille, dove i due termini si presentano affiancati e contrapposti per essere poi sottoposti a una critica narrativa: il dominio nella enfatizzazione delle conseguenze nefaste di decisioni che eludano il momento della discussione o facciano ad essa violenza, la discussione nella sua tendenziale o comunque possibile inconcludenza. Di qui la riflessione dell'epica che in un certo senso combina insieme le due precedenti: la necessità di superare la contrapposizione tra dominio e discussione come princìpi istituzionali alternativi, le difficoltà e le resistenze che ciò comporta e anche, sia pure senza pretese «costituzionali», le possibili forme che la nuova costruzione può assumere. Considerandola nel suo insieme possiamo allora leggere l'epica come una «riflessione sui fondamenti» rispetto alla quale, ad esempio, l'ordinamento istituzionale dell'isola di Alcinoo - una utopia descritta nell'Odissea con abbondanza di particolari - è solo uno degli esiti possibili. Con la ulteriore differenza che ben maggiore è la ricchezza e la tensione che accompagna il pensiero nel suo farsi rispetto al concluso e al pacificato che caratterizzano da sempre la costruzione utopica 16• Queste considerazioni ci permettono di anticipare il percorso della nostra indagine. La parte iniziale si concentrerà sull'Iliade affrontando disgiuntamente i tre mondi: troiano, olimpico e acheo. Il mondo troiano (cap. 11)ci servirà a mettere in rilievo come la distinzione pace/ guerra si ripercuote su altre bipartizioni sociali (padri/figli, giovani/anziani) valorizzando diverse immagini dell'uomo legate rispettivamente al pensiero e al16

La superiorità di ciò che si produce storicamente nel tempo rispet• to alla utopia è il tema polemico di Aristotele contro il Socrate della Repubblica platonica; cfr. Aristotele, Politica, II, 1264 a.

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l'azione. Ne risultano, almeno in un primo tempo, due diversi princìpi di organizzazione politica. Possiamo pensare al primo come a una struttura «a cerchio» che fa riferimento alle virtù della ragione (nòos), alla figura degli anziani, a una situazione di pace e allo strumento della discussione. Possiamo pensare alla seconda come ad una struttura «a piramide» che si esprime nel comandare/ubbidire sul campo di battaglia. Il mondo olimpico (cap. III) ci servirà invece a far emergere un processo di progressivo riequilibrio tra un dio conquistatore-dominatore e precedenti divinità ridotte al rango di figli: un processo nel corso del quale l'immagine del comando si allontana sempre di più da quella modellata sulla figura di un «padre onnipotente» per presentarci alla fine un sovrano più simile a un «fratello maggiore». Infine le vicende degli Achei (capp. IV e V) in cui le tematiche del mondo olimpico e di quello troiano confluiscono mescolandosi. Punto di partenza sarà quel contrasto tra Agamennone e Achille che - pur nel prevalere di aspetti perlocutivi fatti di aggressioni verbali e di insulti e nonostante l'apparente occasionalità della contesa - può essere letto come il primo grande dibattito sul politico della nostra tradizione culturale. Le due diverse visioni che si precisano nel conflitto tra Achille e Agamennone saranno poi sviluppate ed enfatizzate rispettivamente nei Giochi per Patroclo e nel ritorno di Odisseo (capp. VII e IX). Le vicende degli Achei, interpretate utilizzando quanto già emerso dall'esame del mondo troiano e di quello olimpico, implicano una serie di riflessioni non solo sulla nuova immagine dell'uomo (cap. VI) o sulla natura e i limiti della discussione (cap. VIII) ma anche su temi quali quello dei fondamenti di legittimazione e della funzione delle eccedenze economiche rappresentate dal bottino. Temi e problemi, più che soluzioni; domande che si prestano a soluzioni talvolta contraddittorie e per le quali non esiste ancora una terminologia adeguata. Ma in questo interrogare, che comporta anche uno sforzo di autoriflessione sul linguaggio, sono posti temi e problemi a cui ancora oggi siamo chiamati a dare risposta. 23

TAB. 1.

Istituzioni e passi rilevanti ne/l'Iliade e nell'Odissea

11) Nttll'lliotk

CANTO

I

II

ACHEI A11emblea di Agamennone e Crise (8-32) A11emblea dell'Ira di Achille {.53-30.5) Banchetto dell'ambuceri• a Criae (4.57-47.5) Consi11liodell• Prova (.56-86) Assemblea della Prow (46,.52, 84-399) Conaislio dell• Batt•11lia (404-440)

III IV

TROIANI

OLIMPO Consislio dell'Ira di Era («Primo consi11lio»)

Se anche, alla fine, l'obiezione di Iri secondo la quale «ai maggiori van sempre dietro le Erinni» ha la meglio e Poseidone, per quanto irato, si sottomette al fratdlo maggiore (15/205), il conflitto è destinato a rimanere latente sia perché Poseidone ha aggiunto la clausola «per ora», sia soprattutto perché il problema riguarda anche gli altri dèi15• Si tratta peraltro di un problema che vedremo dibattuto anche tra gli Achei: la ricerca di un nuovo ordine tra le polarità opposte di un rapporto di sudditanza e un rapporto di consociazione1'.

3. Le configurazioni del Consiglio olimpico in connessione con le diverse immagini di Zeus A questi diversi archetipi - Zeus aionico; Zeus conquistatore e sposo; Zeus sovrano domestico (òikoio ànax); Zeus «fratdlo maggiore» - corrispondono diverse configurazioni delle istituzioni olimpiche. Lo Zeus che abbiamo definito «aionico» è la personificazione di una regalità ancora a carattere sacrale. In questa veste lo considera la dea Teti. Quando all'inizio dd poema la dea si reca da Zeus per chiedere che sia vendicato l'onore dd figlio, la sua richiesta si svolge secondo un rituale arcaico che La forza della posizione di Poseidone nell'Odissea è pari a quella di Zeus: egli può mettersi contro tutti (Od., 1n6) e Zeus lo lascia fare e lo asseconda (Od., 13/140). Ma questa diversità di posizione può essere interpretata anche come un arcaismo, nd senso cioè che il predominio di Zeus non è ancora completo. 16 Su questo aspetto si tengano presenti le considerazioni di Bobbio [1981): «La grande dicotomia pubblico-privato si duplica primamente nella distinzione di due tipi di rapporti sociali: fra uguali e fra disuguali». 15

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non trova altre corrispondenze nd mondo divino: Teti supplica abbracciando le ginocchia dd dio, toccandogli il mento17 e invitandolo a fare cenno di sl con il capo (nèuein, katàneuein, ke/alè katanèuein)18• E come dice Zeus «questo da parte mia tra gli immortali è il massimo segno: non torna più indietro, non può ingannare, non resta incompiuto quanto io abbia promesso accennando» (1/525). Ritroviamo - vale la pena di notarlo - gli stessi due gesti separatamente in altre situazioni. Il primo, l'abbraccio alle ginocchia, è il gesto supplice dd vinto al vincitore, massima distanza possibile tra due combattenti. È il gesto con cui invano chiedono salva la vita Adrasto a Mendao e Agamennone (6/45), Dolone a Odisseo e Diomede (10/454), Troo e Licaone ad Achille (20/463; 21/68). Ma è anche il gesto che, sia pure con l'intervento preventivo di Zeus e Teti, rende efficace la supplica di Priamo ad Achille per la restituzione del cadavere di Ettore (24/465). Quanto al secondo gesto, qudlo di assenso - dissenso, lo troviamo - con riferimento agli dèi - in altre due occasioni: quando Ecuba si reca con le ancelle al tempio di Atena per invocare dalla dea la vittoria di Paride nd dudlo con Diomede («E Pallade Atena fece cenno di no, anèneue>>) e quando a Ettore, vestitosi delle armi catturate a Patroclo, Zeus predice una temporanea vittoria («e fece cenno di si, nèuse»: 6/311; 17/209). Lo stesso gesto deve aver conservato un significato nel formalismo giuridico del matrimonio se Priamo - concedendo in moglie a Idomeneo la figlia Cassandra - «promette e annuisce» 1'. Ed è proprio questo distacco di Zeus ad essere oggetto delle feroci critiche ddla sposa-sorella («Sempre ti è caro stando lontano da me, complottando in segreto decidere») 20• 11

Cfr. 1/407, 427,500; 8/371. •• cfr. 11514, 524, 528; 15n5. 19 Il. 13/368. Cfr. anche Od., 4/6. Sull'uso del verbo si veda Benveniste [1969) a proposito del verbo krdino. 20 Sulla rilevanza del passaggio tra decisione segreta e decisione pubblica si tengano presenti le osservazioni di Bobbio [1981, 84): «L'importanzadata alla pubblìcit4 del potere è un aspetto della polemica illuminista contro lo stato assoluto, più specificamente contro le varie immagini del

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A queste aggressioni Era fornisce anche una motivazione: che così facendo Zeus si lascia incantare (pareipèin: 1/555). Questa argomentazione - il parlare con gli altri come momento di razionalità e superamento dell'incantamento - è anche l'argomento teorico che spinge alla ricerca di ulteriori configurazioni istituzionali capaci di garantire una «saggia» decisione. Alla seconda immagine, qudla di Zeus conquistatore, sono riconducibili le uniche due assemblee olimpiche dei canti ottavo e ventesimo. L'Assemblea sulla vetta dd canto ottavo è convocata direttamente da Zeus (Zeùs de theòn agorèn poièsato) in qudla che potremmo definire una acropoli cdeste. Oggetto della riunione è la proibizione di intervenire nd conflitto in atto tra gli uomini. L'ordine agli dèi viene dato con grande forza facendo ricorso a minacce che ripetono motivi già usati contro Era e che lasciano gli dèi atterriti: ora nessuna dea, or dio nessuno cerchi di render vano l'ordine mio ma tutti insieme obbedite [ ...] Ma su, provate o numi, e così tutti vedrete: una catena d'oro facendo pendere giù dal cielo, attaccatevi tutti, o dèi, e voi, o dee tutte: non potrete tirare dal cielo sulla terra Zeus signore supremo, neppure molto sudando; mentre appena ch'io voglia veramente tirare, vi tirerei su, con la terra e col mare, e intorno a un picco d'Olimpo la catena legherei, rimarrebbe tutto sospeso nel vento: tanto al di sopra dei numi, al di sopra degli uomini io sono. (8/7, 18)

La seconda assemblea è invece convocata da Zeus tramite Temi (che fa qui una delle sue due apparizioni) alla quale viene ordinato di chiamare i numi a raccolta (theoùs agorènde kalèssaz). L'impossibilità di una assemblea nel chiuso mondo

f

sovrano padre o adrone, del monarca di diritto divino o dell'hobbesiano dio terreno[. .. ] Essi] non hanno alcun obbligo di rivelare ai destinatari dei loro comandi, che non costituiscono un "pubblico", il segreto delle loro decisioni».

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olimpico è superata attraverso un allargamento a divinità minori e più arcaiche, legate a un mondo agricolo: «Nessuno mancò nemmeno dei fiumi, tranne l'Oceano, né delle ninfe che vivono nei boschi belli, nelle sorgenti dei fiumi e nei pascoli erbosi». Il luogo di riunione, che per ragioni logistiche non può essere la sala del banchetto, non è però ancora un luogo pubblico, ma il portico della casa di Zeus. L'oggetto è il conflitto in atto tra gli uomini: gli dèi, a cui prima era stato proibito ogni intervento, sono ora invitati a prendervi parte. Considerando le due assemblee nel loro insieme sarebbe eccessivo vedere in esse una forma di partecipazione già sviluppata. Loro scopo è comunicare un ordine legato allo svolgimento di un conflitto: ordine di non intervenire nel libro ottavo e suo annullamento nel ventesimo. Più che ad una assemblea verrebbe da pensare al pankus documentato in epoca ittita. Le funzioni di questo organismo sono state in passato molto enfatizzate e la sua esistenza in Occidente ha permesso di costruire - per contrasto - la categoria del dispotismo orientale o asiatico. Oggi la tendenza degli storici è più disincantata: le istituzioni degli Ittiti ( 1640-1200 a.C.) non vengono più caricate di eccessivi significati di segno assembleare o democratico, come pure - per converso - la categoria del dispotismo asiatico ha perso molto del suo originario valore ideologico 21 • E anche per le assemblee olimpiche, come per il pankus ittita, scopo della riunione non è il discutere ma dare pubblicità a un ordine legato ad eventi bellici. Alla terza immagine, quella dello Zeus patriarcale, sono invece riconducibili i due primi consigli olimpici che si svolgono nella casa di Zeus nella forma del convito. Come si deduce dal testo narrativo, le riunioni che si svolgono in questa forma sono sottoposte a tre diverse regole. La prima è che l'ospitante ha sugli ospiti una posizione privilegiata che gli deriva dalla sua funzione di nutritore. Una seconda regola limita la prima in quanto impone una pariteticità di trattamento nella spartizione delle vivande 21

Cfr. Liverani (1976, par. l]. Sul pankus cfr. Mora [1983].

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escludendo trattamenti discrezionali o di favore: a questa regola fanno riferimento formule del tipo «sentire nel thymòs l'eguaglianza delle parti». Una terza regola è che le discussioni, di solito al termine del pasto, non debbono «turbare il convito». Sono quindi condannate prese di posizione iraconde e gli scambi di opinione debbono concludersi con un consenso unanime. Tre regole, come si vede, sufficientemente contraddittorie per prestarsi a diverse eventualità. Rispettare la prima e la terza - riconoscendo un ruolo privilegiato all'ospitante e conformandosi al galateo del banchetto - porta a un prevalere del momento autoritario che tradisce la pariteticità dei commensali, mentre il far valere la pariteticità può implicare un disaccordo e un conflitto con l'ospitante. E un esito conflittuale è appunto quello che caratterizza i due primi consigli olimpici. Luogo del primo consiglio (Consiglio dell'Ira di Era) è la casa di Zeus al cui arrivo gli dèi, già seduti ai loro posti per il convito, si alzano incontro al padre loro «senza osare attendere che giungesse». La discussione si avvia su iniziativa di Era che accusa Zeus di aver ceduto alle suppliche di Teti per dare alla guerra uno svolgimento tale da vendicare l'umiliazione inflitta ad Achille. L'esordio di Era ha toni che sono stati talvolta descritti come quelli di una violenta lite coniugale. Zeus viene definito «ingannatore» e «prepotente» (dolomètis, ainòtatos) e accusato di complottare in segreto e di decidere da solo. La risposta di Zeus è duplice: riconosce la posizione particolare di Era («quello che sarà conveniente sapere nessuno degli dèi lo saprà prima di te») e contemporaneamente fa ricorso a frasi minacciose («Siedi senza parlare e obbedisci al mio ordine se non vuoi che ti avventi addosso le mie mani invincibili!»). Ed Era deve ubbidire facendo forza al suo cuore (kèr). L'atmosfera del convito dopo questo scontro verbale è tesa e solo l'intervento di Efesto riuscirà a portare la pace e il sorriso: il figlio di Era invita a prendere atto del potere di Zeus («Tremendo, argalèos, è l'Olimpio da combattere! Egli è davvero il più potente, poly' /èrtatos!) ed esorta gli dèi a non competere tra loro per i mortali e soprattutto a non turbare il banchetto splendido

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che dà gioia. La scena di Efesto lo zoppo che si affanna per la sala per versare il vino agli dèi genera un riso che rompe l'atmosfera conflittuale. Si riprende così a banchettare fino al calar del sole allietati dalla cetra di Apollo e dal canto delle Muse «e il cuore (thymòs) non sentiva mancanza di parte uguale per tutti». Una seconda scena conviviale nella casa di Zeus è quella del Consiglio dell'Accordo che apre il quarto libro. Esso fa seguito al duello tra Paride e Menelao che, secondo gli accordi, avrebbe dovuto porre fine alla guerra: duello poi interrotto dall'intervento di Afrodite a favore di Paride. Il dibattito, che ha ancora come protagonisti i sovrani divini, viene introdotto da Zeus che dopo aver maliziosamente provocato (epeiràto erethizèmen) Era ed Atena, parlando in modo indiretto (parablèden agorèuon) pone l'alternativa tra il far riesplodere la guerra eccependo la violazione dei patti e il far rispettare questi ultimi riconoscendo la vittoria di Menelao e giungendo così a un amichevole accordo: soluzione quest'ultima per la quale Zeus propende. Atena tace soffocando la sua selvaggia collera (àgrion khòlon) ma l'animo (sthètos) di Era non riesce a contenersi e la dea aggredisce il maritofratello («Fa', ma non tutti certo ti loderemo noi dèi!»). Ancora una volta la reazione di Zeus è duplice: accusa Era di ira ostinata, ma nello stesso tempo, «per evitare discordia grave», cede «volente ma contro il suo cuore (thymòs)». L'accordo tra i due è un negoziato che ferma la discussione impedendole di degenerare ma anche di giungere a un consenso più fondato. Esso viene così sancito con le parole della dea: «Queste cose dunque l'uno all'altra doniamo, io a te, tu a me; gli altri numi immortali seguiranno». 4. Un Consiglio senza sovrano, presieduto da Temi, e l'inconcludente contestazione di Era L'accordo dei sovrani divini su una singola decisione non intacca però le regole del consiglio-convito che Era giudica troppo favorevoli a Zeus. La più lucida critica in questo senso si esprime nel Consiglio di Temi dove l'assenza

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di Zeus rende possibile l'espressione di un malcontento che ha ormai portata istituzionale. All'arrivo di Era gli dèi si alzano e le si fanno incontro offrendole una coppa. La dea accetta la coppa di Temi (che fa qui la sua seconda apparizione) e la invita a continuare a presiedere il banchetto annunciando nel contempo notizie che toglieranno a tutti il buonumore. L'annuncio, che costituisce una violazione delle regole del banchetto, mette a disagio (okhthèein) gli dèi e la stessa Era è costretta a un comportamento di compromesso tanto da «sorridere con le labbra ma senza che al di sopra dei neri sopraccigli la sua fronte sia lieta». Ma alla fine l'ira esplode conducendola a parole che sono di feroce critica al funzionamento del consesso olimpico. Il suo dissenso può essere cosl formulato: Voi non appoggiate la mie proteste contro il comportamento di Zeus affinché enunci e motivi pubblicamente le sue intenzioni, ma lasciate che egli decida da solo «lasciandosi incantare». Quando poi io riesco a farlo parlare, quando sarebbe il momento di condizionarlo con le parole o con la forza parlandogli faccia a faccia, voi vi tirate indietro e addirittura mi criticate perché infrango le regole della buona creanza. Ma così lasciate che egli faccia da padrone. Se vi sta bene così...

In sostanza, nella prima parte del suo discorso Era pone la contrapposizione tra una decisione individuale e riservata e una decisione motivata pubblicamente. Il problema è quello del linguaggio o meglio della enunciazione verbale come primo passo del disincantamento. Ma questo primo passo, pur necessario, non è sufficiente se non si inserisce in un contraddittorio le cui regole sono ancora tutte da stabilire e sulle quali Era vorrebbe che si cominciasse a discutere partendo dal presupposto che il sistema attuale è insoddisfacente. Con terminologia moderna potremmo dire che nel pensiero di Era la forma consiliare vigente si caratterizza per il prevalere dell'aspetto monocratico su quello collegiale. E questo prevalere è sorretto da regole di comportamento che inducono al consenso passivo e che lasciano aperta solo la possibilità di una astensione («Fa', ma certo non tutti ti approveremo noi dèi») che non intacca la presunzione di unanimità. L'ira di Era - che era esplosa nel primo consiglio olimpi-

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co in parallelo con quella di Achille contro Agamennone trova così una sua argomentazione più distesa. Sarebbe perciò fuorviante vedere in essa solo l'espressione letteraria di una personalità femminile e mediterranea. Essa è in primo luogo rottura delle regole che impediscono il dibattito o almeno condizione e requisito perché una tale rottura avvenga. Ecco allora le necessità di andare oltre l'apparenza della lite coniugale tra Zeus ed Era e di capire i continui riferimenti alla collera che attraversano il poema tanto nell'Olimpo che in campo acheo. Il problema è complesso perché l'atteggiamento dell'epica nei riguardi dell'ira è ambivalente. Ad una sua valutazione positiva, come forza che spinge ad andare oltre un rispetto delle regole che è ormai solo conformismo, si accompagna infatti una valutazione negativa: l'ira nasce per piegare ma non sa piegarsi, nasce per rivendicare il diritto alla parola ma si chiude ad essa. Ma soprattutto, come apparirà più chiaro nelle vicende di Achille, l'ira può rompere l'incantamento del presente, ma la sua forza è regressiva e come tale può reinstaurare il vecchio, non edificare il nuovo. L'Assemblea di Temi si chiude con un nulla di fatto. Dal paragone che può essere fatto con quanto avviene in campo troiano nel Consiglio di Antenore, risaltano i limiti di questa collegialità che l'assenza di Zeus priva di un momento monocratico che la concluda e ne trasformi l'esito in decisione. La conclusione che se ne può trarre è che se la totale prevalenza del momento monocratico impedisce lo stesso sorgere della discussione, la sua totale assenza ne impedisce la conclusione. La semplice sostituzione, come simbolo di ordine, di un principio paterno e maschile con un «più naturale» principio femminile (Era, affiancata da Temi), non conduce alla decisione ma solo a rivolte di tipo anarchico a cui Era sembra talvolta inclinare coinvolgendovi Atena e Poseidone2 2• Se il consiglio olimpico è troppo dominato dalla figura di Zeus, e se il senso di questa constatazione è nel 22

Si veda la proposta di rivolta di Era a Poseidone in 8/211: «Se volessimo tutti noi[ ... ] respingere (erùkein) Zeus vasta voce, là rimarrebbe dolente, solo, a sedere sull'Ida».

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fatto che la sua presenza inibisce il dibattito, la possibile soluzione è quella di sottoporre a regole il ruolo di Zeus in consiglio, non di fame a meno regredendo verso conformazioni sociali e istituzionali meno differenziate.

5. Maggiore complessità nella configurazione istituzionale degli ultimi Consigli olimpici A questa logica sembrano attenersi i nuovi rapporti tra gli dèi che caratterizzano le ultime riunioni olimpiche. Qui il ruolo di Zeus è ben lontano da quello del padre onnipotente e minaccioso. La nuova immagine è conseguente al contrasto avuto con Poseidone ed Era così come l'immagine di Priamo risente del conflitto con il figlio Polite. E proprio sull'immagine di Priamo dell'Assemblea di Antenore, sembra modellato il ruolo di Zeus nell'estremo finale dell'Iliade. Nel Consiglio del destino di Ettore gli dèi riuniti assistono all'inseguimento dell'eroe troiano da parte di Achille. Quando prende a parlare, il padre degli dèi e degli uomini ricorda la devozione di Ettore ed invita i numi a riflettere bene se si debba proprio lasciarlo perire per mano di Achille. Ma Atena lo rimprovera per voler strappare al suo destino un uomo mortale e conclude con la formula che abbiamo già incontrato: «Fa', ma non tutti ti loderemo noi dèi». Zeus ha quasi l'aria di scusarsi per quanto ha pensato e detto e dà via libera ad Atena («Fa' com'è tuo disegno e non attendere altro»). Ucciso Ettore, quando l'ira di Achille si scatena sul suo cadavere, si ha ancora una discussione tra gli dèi (Consiglio dello scempio del cadavere). Di essa non vengono indicate né il luogo né le circostanze, ma il fatto che gli dèi beati «sedevano uniti» (eath' omeghèrees) e che al successivo arrivo di Teti Atena le farà posto accanto a Zeus e Era le metterà in mano una coppa, indicano il carattere conviviale dell'incontro. Apollo depreca il comportamento di «Achille funesto che sana ragione non ha», che è privo di ogni rispetto e ritegno; ma è contrastato da Era, d'accordo con Poseidone e Atena, secondo la quale non si possono invocare uguaglianza

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di onore per il mortale Ettore e il divino Achille. Il contrasto viene mediato da Zeus: non uguale onore, no, ma occorre pur sempre fermare il pazzo pensiero di Achille che desta l'indignazione degli dèi e la sua personale collera. A Teti, convocata da Iri, «il grande dio dalla saggezza immortale» parlerà «con accorta parola» rendendo cosl possibile l'incontro di Priamo con Achille e la restituzione al padre del cadavere di Ettore. La posizione di Zeus nelle due riunioni sembra a prima vista contraddittoria. Infatti se nel primo caso il dio sembra riconoscere a una divinità figlia una competenza, o comunque un'area di influenza, nella quale egli non può intervenire (quasi essa fosse a titolo originario), nd secondo caso è lo stesso Zeus che si assume direttamente l'iniziativa della decisione. Ma a ben guardare l'intervento in prima persona potrebbe voler affermare qualcosa di diverso: la tutda di princìpi di ordine superiore - in questo caso la pietà verso i defunti come in seguito la tutela dei giuramenti - piuttosto che una competenza specifica, funzionale o territoriale, che verrà progressivamente lasciata agli altri dèi23• Se lasciamo momentaneamente da parte il Consiglio di Temi ed escludiamo le due assemblee in quanto istituzioni del comando di guerra più legate alla pubblicità che al consenso, questi ultimi due Consigli si presentano come antitetici ai primi tre e possono essere assunti come punto di arrivo di una progressiva fuoriuscita tanto dall'immagine dello Zeus aionico che da quella immagine patriarcale che risaltava solo per la sua vivezza descrittiva. Ne risulta la storia di una regalità inizialmente estranea poi progressivamente coinvolta e infine trasformata dal suo stesso popolo: una evoluzione a cui fa riscontro una progressiva emancipazione degli «altri» rispetto a una posizione di semplice sudditanza moddlata sull'immagine filiale. Oltre che sulla base della collocazione testuale questa interpretazione può fare affidamento su altri due indicatori. Il primo è il luogo di riunione: indicato chiaramente come la 23

Sulla «competenza territoriale» cfr. ad esempio le tre città citate da Era in 4/50.

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casa di Zeus nei primi due consigli, per le altre riunioni esso è sottaciuto o sostituito con luoghi più pubblici. Questo indicatore può essere parzialmente correlato con un secondo, quello della convocazione: da un lato la convocazione diretta di Zeus, dall'altro la convocazione di Temi o lo spontaneo convenire degli dèi in un luogo più neutrale o comunque meno esplicitamente caratterizzato 24 • Per altro verso gli ultimi due consigli possono essere collocati in una zona intermedia all'interno di un continuum che, sempre escludendo le due assemblee come «istituzioni del comando di guerra», veda ad un estremo il predominio del momento monocratico e all'altro l'inconcludente concilio di Temi caratterizzato dall'assenza di Zeus. La contrapposizione tra i due estremi può essere ricondotta a quella tra un principio di ordine «maschile», rappresentato da Zeus, e un ordine al femminile, rappresentato da Era. Quello che ci interessa sottolineare è che ambedue queste conformazioni estreme sono tratteggiate in negativo: tanto l'onnipotenza del sovrano a scapito della discussione quanto l'onnipotenza del gruppo a scapito della decisione. E in questa doppia negazione, parallela a quella già messa in evidenza per il mondo troiano, che è possibile decodificare la riflessione critica dell'epica. Ma prima di affrontare più distesamente il problema sarà bene raccogliere altro materiale passando in rassegna le ben più complesse e articolate vicende che contemporaneamente dividono il mondo acheo.

◄ Forme riconducibili ai due diversi estremi si mescolano nel canto ottavo, giudicato di più tarda fattura a carattere redazionale. Se infatti lo svolgersi degli avvenimenti del canto denota un prevalere e una prepotenza di Zeus (Assemblea sulla vetta e Terzo consiglio), il luogo è più pubblico. In farticolare, nel Terzo consiglio - che nel conflitto tra le due parti ripete i rapporto di forze dei primi due - compare per la prima volta il termine thòkos per designare l'organo consiliare, termine per il quale si veda più avanti (cap. V, par. 4). 2

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CAPITOLO QUARTO

ISTANZE COMUNITARIE E PALATINE NELL'ASSEMBLEA DELL'IRA

1. Tensione tra sovrano e popolo nelle vicende degli Achei e confronti con il mondo olimpico e quello troiano

Le vicende di Priamo e Polite e quelle di Ettore e Polidàmante ci hanno permesso di anticipare una differenza rilevante tra il mondo troiano e quello acheo: manca in quest'ultimo quella distinzione tra città e campo di battaglia che rendeva plasticamente più evidenti conflitti e fratture della struttura politica e sociale troiana. Rispetto al mondo olimpico invece è importante sottolineare fin da ora alcune analogie. Anzitutto nella situazione e nei protagonisti di partenza: la prepotenza di un sovrano Zeus da una parte e Agamennone dall'altra - che si esprime nella preferenza per una decisione riservata. A questo aspetto procedurale le vicende di Agamennone - come già quelle di Ettore - aggiungono una connotazione sostanziale collegando questa procedura con l'esito di una decisione non saggia. Una seconda analogia tra mondo olimpico e mondo acheo riguarda gli antagonisti del sovrano: all'ira di Achille contro Agamennone corrisponde quella di Era contro Zeus cosicché le due contrapposizioni si completano e si chiariscono a vicenda. Una terza analogia riguarda l'evoluzione dei personaggi, evoluzione che permette di stabilire un parallelo tra la paidèia del sovrano divino e un analogo processo di «addomesticamento»: anche per il sovrano umano l'arroganza dispotica si dovrà trasformare in una disposizione giudiziosa analoga a quella dello Zeus degli ultimi due consigli olimpici. Quest'ultima considerazione merita un chiarimento poi59

ché la critica più accreditata ha da tempo messo in rilievo come la rappresentazione di due aspetti psicologici che si succedono nel tempo sia estranea alla poesia omerica 1• In effetti, e vi ritorneremo esaminando le caratteristiche del1'antropologia eroica, l'epica preferisce abbandonare dei personaggi per sostituirli con dei nuovi, piuttosto che trasformarli dall'interno. E quando proprio non può farne a meno, imputa la trasformazione a forze esterne rispetto alle capacità di controllo del soggetto agente. Ma tutto ciò non toglie che una certa evoluzione psicologica dei personaggi sia in qualche modo «trascinata» - non senza resistenze dall'intreccio del racconto e dal succedersi degli avvenimenti. E ciò è tanto più plausibile se si tiene conto della diversa provenienza - temporale e spaziale - dei materiali con cui sono costruite le vicende dell'epica. Ma veniamo ai testi, iniziando dal «Cantami o dea l'ira di Achille Pelide, rovinosa», versi con i quali l'Iliade sembra voler delimitare le vicende del suo racconto al rapporto tra l'ira di Achille e la sue conseguenze. Subito dopo, quasi rispondendo alle domande di un ipotetico uditorio, il tema viene introdotto più sistematicamente. Quando avvenne il fatto, in quali circostanze? «Quando si divisero contendendo l' Atride signore di eroi e Achille glorioso». E di chi era la colpa? «Colpa d'Arride». E perché? Perché «fece oltraggio al sacerdote Crise». E come avvenne il fatto? È a questo punto che inizia il racconto dell'Assemblea di Agamennone e Crise. Crise era venuto alle navi rapide degli Achei per liberare la figlia, con riscatto infinito, avendo tra mano le bende d'Apollo che lungi saetta intorno allo scettro d'oro, e pregava tutti gli Achei ma soprattutto i due Atridi, ordinatori d'eserciti: «Atridi, e voi tutti Achei schinieri robusti, 1

Per questo tipo di critica si vedano i saggi di A. Lesky [1961), G.S. Kirk [1962) e G.Jachmann [1949) in Codino [1976). Che prima dei lirici e dei tragici queste trasformazioni psicologiche non fossero rappresentabili per carenza di «strumenti letterari» è un tema ampiamente dimostrato anche dai lavori di Dodds [1951, capp. I e II] e di Snell [s.d., cap. I; 1965, cap. I]. Su questi temi si tornerà nel cap. VI.

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a voi diano gli dèi che hanno case d'Olimpo, d'abbattere la città di Priamo, di ben tornare in patria e voi liberate la mia creatura, accettate il riscatto, venerando il figlio di Zeus, Apollo che lungi saetta». Allora gli altri Achei tutti acclamarono, fosse onorato quel sacerdote, accolto il riscatto. Ma non piacevain cuore al figliod'Atreo,Agamennone. (1/12)

Dunque: un sacerdote, le bende sacre intorno allo scettro d'oro, si reca all'accampamento acheo per chiedere il riscatto della figlia, secondo una pratica diffusa e documentata anche in altri passi dell'epica. Dal modo con cui esordisce si deduce che gli Achei erano riuniti in Assemblea: forse era appena terminata la divisione del bottino, operazione che richiede la presenza di tutti, o forse essa era stata convocata espressamente per ricevere il sacerdote. Crise si rivolge a «tutti gli Achei» e non solo ai due Atridi. La sua richiesta incontra il favore dell'Assemblea («tutti acclamarono») ma non di Agamennone il quale, scacciandolo in malo modo si mette fin dall'inizio contro «tutti gli altri». Cosl, prima ancora che Achille entri in scena, vengono evidenziati due aspetti importanti del mondo acheo. Il primo è una tensione tra sovrano e popolo, tra comandante in capo e «tutti». L'innovazione narrativa e il significato politico di questa contrapposizione risalta bene dal confronto con un'altra versione dell'Iliade di cui ci è rimasta traccia nell'Odissea, una versione in cui il contrasto divideva non Agamennone e Achille, bensì Achille e Odissea, mentre Agamennone restava in posizione di terzietà 2• Il senso di questo diverso racconto poteva essere nel contrasto tra due re, uno con funzioni di comandante di guerra e l'altro come magistrato in tempo di pace. O un contrasto tra una personalità arcaica e guerriera (Achille) e una modernizzante (Odissea): un conflitto insomma tra due «personalità di base» che entrano in contrasto in un'epoca di profonda trasformazione. Ma, in ogni caso, il senso politico suggerito da questa diversa trama doveva essere di segno opposto da quello dell'Iliade che cono2

Cfr. Od., 8fi4.

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sciamo: un conflitto che non metteva in causa il dominio di Agamennone ma anzi lo rafforzava (tanto che l' Atride «ne gioiva»). Un secondo aspetto peculiare del mondo acheo è il divario che ormai si è stabilito tra sacralità e regalità: nell'oltraggio al sacerdote si evidenzia una cultura che, pur mantenendo con il sacro un contatto rituale, rifiuta di farsi condizionare da esso'. Esempi analoghi del resto emergono anche in altri passi di questo stesso canto. Ma forse più indicativa è la risposta di Nestore ad Agamennone che nel canto seguente racconterà il sogno fallace che lo esortava ad attaccare battaglia: se il sogno non fosse stato di Agamennone avremmo potuto pensare a un inganno ma poiché esso proveniva da «colui che si vanta di essere senza confronti il primo (àristos) tra gli Achei», bisognava credergli. Parole queste che dimostrano verso i segni divini lo scetticismo di un mondo laicizzato in cui il numinoso non legittima il potere ma è semmai il potere a rendere credibile il numinoso. La tensione politica che anima l'Iliade emerge anche da questo sfondo in cui la legittimazione non può più fare appello alla sacralità e il problema del comando si pone in un àmbito soltanto profano. 2. Il conflitto tra Agamennone e Achille nell'Assemblea dell'Ira Alla Assemblea di Crise con cui si apre il poema fa seguito per nove giorni un'epidemia mandata da Apollo a punizione degli Achei per il trattamento inflitto al suo sacerdote. Al decimo giorno Achille, su suggerimento di Era, convoca presso le navi un'assemblea degli Achei e «alzandosi tra loro» propone di sentire «un indovino, un sacerdote o un interprete di sogni» per conoscere i motivi del risentimento di Apollo. ' Sul piano sociologico, il laicismo greco si connette alla scarsa influenza del clero, ad esempio rispetto a quanto accade in Mesopotamia. Cfr. Weber [1909, trad. it. 1981, 56 ss.].

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Comincia così la Assemblea dell'Ira. Si alza Calcante, «il migliore a interpretare il volo degli uccelli, che conosce il presente, il futuro e il passato». Ma prima di parlare chiede la protezione di Achille «con parole e con mano», giacché quanto dirà farà infuriare «un uomo che domina da forte (kratèein) su tutti gli Argivi e a cui prestano obbedienza (pèithesthat) gli Achei: troppo forte infatti è il potere di un re (basilèus) quando si adira con un uomo da meno (anèr khèiron)». Achille lo rassicura: lo difenderà da chiunque, «fosse anche lo stesso Agamennone che ora si vanta di essere il primo fra gli Achei». L'ira di Apollo, dice allora Calcante, non cesserà fino a quando non verrà restituita al padre, «non compra e non riscattata», la figlia Criseide. Sedutosi Calcante «si alza tra loro» Agamennone. Torvo, rabbioso, gli occhi infuocati egli insulta l'indovino («mai per me un buon augurio tu dici!»)◄ ma finisce per consentire a rendere Criseide ponendo però la condizione di ricevere subito in cambio un altro dono tratto dal bottino. Il dibattito, pur non essendo ancora giunto ali' acme, sale di tono. Achille esordisce rivolgendosi ad Atride «glorioso» (kùdistos5) definendolo nel contempo «avidissimo» (filokteanòtatos) ma l'atteggiamento è ancora aperto e disponibile ad un accordo, come prova la sua sensata proposta: che Agamennone receda dalla sua richiesta per essere poi ben più generosamente ricompensato una volta abbattuta Troia. Ma Agamennone insiste: se non gli verrà dato almeno un dono se lo prenderà da un altro, da Aiace, da Odisseo o dallo stesso «terribile» (ekpaglòtatos) Achille. E intanto si provveda alla restituzione di Criseide con una spedizione guidata da un capo e consigliere (anèr boulè/oros): da Aiace, da Idomeneo, da Odisseo, o dallo stesso Achille. È a questo punto che il conflitto raggiunge il suo punto più alto: uno scambio di insulti feroci, inframmezzato dall'intervento di Atena per costringere il Pelide a riporre la spada, precede la secessione di Achille a scongiurare la quale ◄ Un analogo episodio di maltrattamento dell'indovino (Aliterse) in Od., 2/157 e specialmente al v. 201. 5 Cfr. cap. III, nota 3.

a nulla varrà il tentativo di mediazione di Nestore. Le accuse e gli insulti che si scambiano i due eroi, apparentemente riferiti alla persona ddl'avversario, chiamano però in causa nella sostanza concetti e criteri di valutazione di natura più propriamente politica. I due diversi riferimenti risulteranno più chiari se, dopo aver elencato i testi (disseminati seguendo la logica narrativa di un contrasto in cui interviene anche Nestore e ripresi poi nel Consiglio dell'Ambasceria) li ricomporremo in proposizioni più compatte. Ndl'ordine in cui vengono avanzati da ciascuno, i termini dello scontro sono i seguenti: Achille ad Agamennone

(a) Come ti daranno un dono i magnanimi Achei? In nessun luogo vediamo tesori comuni [xynèia leèimena]: quelli delle città che bruciammo, quelli son stati divisi. Non va che i guerrieri li mettano di nuovo in comune (1/123) (b) Ah, vestito di spudoratezza, avido di guadagno come può obbedirti un acheo o marciando o battendosi contro guerrieri con forza? (1/149) (e) [ ... ] te, o del tutto sfrontato, seguimmo! I?e~chétu

g101ss1 cercando soddisfazione per Menelao, per te, brutto cane (1/158) (d) Però un dono pari a te non ricevo, quando gli Achei gettano a terra un borgo ben popolato dei Teucri; ma il più della guerra tumultuosa le mani mie lo governano; se poi si venga alle parti a te spetta il dono più grosso. Io un dono piccolo e caro mi porto indietro alle navi, dopo che peno a combattere (1/163) (e) Io non intendo per te restando qui umiliato, raccoglier beni e ricchezze (1/170)

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(O Ubriacone, occhi di cane, cuore di cervo, mai vestir corazza coll'esercito in guerra né andare all'agguato coi più forti degli Achei osa il tuo cuore: questo ti sembra morte (1/225) (g) E certo è molto più facile nel largo campo degli Achei strappare i doni a chi faccia a faccia ti parla re mangiatore del popolo [demobòros], perché a buoni a nulla [outidanào,1 comandi (1/229) (h) Davvero vigliacco e dappoco dovrei essere chiamato se ti cedessi [ypèixestha,1 in tutto, qualunq!-leparola tu dica. Agli altri comanda [epitèllein] questo ma non a me darai ordine [semàinein] ormai io non ti obbedirò [pèithestha,1 (1/293) (i) [Agamennone] è folle nel cuore funesto

non sa pensare insieme il prima e il dopo (1/342) Agamennone ad Achille (I) [ ... ] tu sei il più odioso per me tra i re alunni di Zeus: contesa sempre ti è cara e guerra e battaglie (1/176)

(m) Se tu sei tanto valoroso [karteròs] questo un dio te l'ha dato! (1/178) (n) [Mi rifarò della tua parte] sì che tu sappia quanto son più potente [fèrteros] di te, e tremi anche un altro di parlarmi alla pari, o di levarmisi di fronte (1/185) (o) [Achille] vuol stare al di sopra di tutti, vuol comandare su tutti, signoreggiare su tutti, dare a tutti degli ordini, a cui, penso, qualcuno non ubbidirà. (1/287) 6 6

I quattro verbi del comandare sono qui èinai peri pànton àllon, kratèin, anàssein, semàinein. Ad essi si aggiunge epitèllein (h). Il verbo usato per obbedire (h) ha anche il significato di «lasciarsi convincere». Nella traduzione dei passi m, n, r, p, mi allontano dalla traduzione della Calzecchi-Onesti. Per meglio distinguere i tre termini traduco karteròs con «più valoroso» (invece che «più forte») distinguendolo da /erteròs (che traduco con «più potente»). Traduco invece agathòs come «autorevole» (invece di «potente»).

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All'denco bisogna aggiungere le parole con le quali Nestore, rivolgendosi prima ad Agamennone poi ad Achille, tenta di placare gli animi {1/275 s.): Nestore ad Agamennone

(p) tu, pur essendo molto autorevole [agathòs], non togliere a lui la giovane lasciala,ché a lui la diedero in dono i figlidegliAchei. Nestore ad Achille

(q) E tu non volere, Pelide, contendere col re [basilèus] faccia a faccia, perché mai ebbe in sorte onore [timè] come il suo un re scettrato, a cui Zeus diede la gloria [kydos]. (r) Se tu sei molto valoroso [karteròs] una madre dea ti ha creato ma questi è ben più potente [fèrteros], ché su molti comanda.

Le argomentazioni di Nestore formulano con maggiore ricchezza di linguaggio quanto è già stato detto ma non aggiungono nulla di nuovo. E lo stesso si può dire per le successive valutazioni di Achille su Agamennone al canto nono, in occasione ddl'incontro con l'ambasceria che tenterà di ricomporre il dissidio e di porre fine alla secessione7• Il vecchio Nestore avverte che il terreno è scivoloso e vorrebbe concludere la lite con un negoziato che soddisfi entrambi i contendenti e mantenga nd contempo la disputa ndl'ambito di un conflitto interpersonale. Ma ormai è tardi perché troppi e troppo importanti sono gli argomenti messi in campo. Se infatti proviamo a ricomporli al di là delle fratture dello scontro verbale, ne risulta un dialogo in cui le posizioni di Achille possono essere così sintetizzate: Come puoi pretendere di ottenere obbedienza se invece di 7

Nelle doglianze di Achille in questa occasione, il tema più sviluppato sarà quello della divisione del bottino. Cfr. in particolare 9/318-336, 367-68.

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dimostrarti valoroso combattendo ti comporti da codardo preoccupandoti di cose che soddisfano solo la tua avidità? (b, e). La spartizione del bottino dovrebbe premiare quelli tra noi che fanno di più e ti aiutano così a conseguire un fine che è tuo e non nostro. Invece la spartizione non è neppure paritetica perché tu pretendi sempre per te la parte maggiore (e, J, g). Inoltre la procedura di divisione del bottino è legata a regole sancite dalla tradizione e ciò implica che tu non possa disporre a tuo piacimento di ciò che è stato già distribuito di fronte a tutti (a, p). La realtà è che tu sei un vile: lo prova il fatto che invece di combattere contro il nemico esterno (f) preferisci prendertela contro chi ti parla alla pari (come se questo non fosse un nostro diritto) strappandogli la sua parte di bottino (g, h, q). No, così non può continuare. Tu puoi soddisfare la tua vanità alle spalle di quei buoni a nulla a cui dài ordini (semàinein) e dalla cui passività dipende il tuo potere. Ma io non sono tra quelli e non intendo quindi più combattere per arricchire te (e, g, h). Ma ti avverto anche che comportandoti così non fai nemmeno il tuo interesse: la tua follia infatti ti impedisce di guardare oltre il tuo tornaconto immediato (,). Se, superando la cortina di antipatia che la situazione e la descrizione hanno addensato intorno al personaggio, ci concentriamo sulle argomentazioni di Agamennone, dobbiamo riconoscere che la sua risposta è notevole e che le sue parole evidenziano per contrasto l'arcaismo di Achille e del mondo che questi evoca e rappresenta: Il tuo ragionamento pone alla base di tutto la forza e il valore guerriero: questi dovrebbero essere secondo te i criteri non solo della spartizione del bottino ma anche dell'abilitazione al comando. Ma la forza e il valore sono qualità naturali per le quali non si ha alcun merito: e questo vale soprattutto per te (m, r). Il tuo ragionamento è sbagliato anche per un altro motivo: tu sarai infatti il più valoroso (learteròs) ma io sono più potente (fèrteros) e ho maggiore dignità e onore (timè, agatòs èina,). Infine comando su molti. Ciò non deriverà dalla mia forza, ma è la mia forza. Puoi provare se non ci credi e vedrai che non basta essere il guerriero più valoroso per ottenere obbedienza da tutti(/, n, o, q).

3. Analogie con il conflitto Creante-Antigone e quattro schemi interpretativi: W eber, Sahlins, Habermas, Liverani Poiché così ricostruita la contrapposizione

tra le visioni 67

di Achille e Agamennone è di notevole interesse - quasi un logosdipolitikòs che precede di alcuni secoli il passò platonico sulle due «costituzioni madri» 8 -vale la pena di soffermarsi sul procedimento che ci ha permesso di estrarre un pensiero teorico da un contrasto ancora più esacerbato nei suoi termini di quanto appaia dai soli passi utilizzati. Il passaggio metodico può essere giustificato con vari paradigmi. Potremmo dire, utilizzando la retorica del secondo Aristotele', che abbiamo smorzato gli elementi di pathos e di ethos (gli aspetti personali ed emotivi presenti in ogni discorso) valorizzando invece quelli constativi ed argomentativi. Oppure, con categorie della retorica più moderna, che abbiamo trasformato un dialogo eristico (volto cioè a dominare l'avversario) in un dialogo euristico, un dialogo volto a convincere un interlocutore visto come incarnazione di un uditorio universale 10• Ancora, con i paradigmi della psicologia sociale, la nostra ricostruzione ha isolato i momenti di drammatizzazione da quelli di verbalizzazione ad essi alternativi e tradotto i primi nei secondi 11• Infine, usando categorie delle discipline del linguaggio, potremmo dire di aver privilegiato nella selezione alcuni tipi di atti comunicativi fino a far emergere quella diversa forma di comunicazione definita come «discorso» 12: un discorso che però nel nostro caso non si sviluppa poiché, scartata la proposta di Nestore di giungere ad un consenso soltanto negoziato, l'approfondimento sulle pretese di validità delle due posizioni viene rinviato alla narrazione e agli eventi successivi. Ma anche se non si sviluppa con quella articolazione che sarà poi di Platone, la forma dialogo è però impostata nelle sue premesse logiche: la consapevolezza che con lo stesso linguaggio si possono dire cose opposte e che quindi il parlare e il pensare sono collegati alla categoria del polemico. 8

Cfr. infra, cap. X, par. 2. Lògos tripo/itikòs è quello di Erodoto, Storie, 111/61. 9 Ci si riferisce qui alla retorica del libro II dell'opera omonima di Aristotele. Sul tema cfr. Plebe [1968]. 1° Cfr. Perelman e Olbrehts-Tyteca [1958, trad. it. 1976, 41]. 11 Cfr. ad es. Hinshellwood [1987]. 12 Cfr. infra, cap. VIII, par. 2.

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Un «agire contro»: non contro l'avversario contingente ma contro il linguaggio che ne esprime le ragioni. Si considerino l'abbondanza e la incertezza semantica dei termini con cui le due parti - tre, se si considera Nestore - esprimono, rivendicano e legittimano la loro supremazia contestando quella dell'altro. Quali sono le qualità che legittimano il comando? È necessario essere krateròs, /erteròs, agathòs, o avere in sorte la timè? Cosa si nasconde dietro la differenza terminologica? I diversi termini ricoprono tutto il campo della legittimazione al comando? Come si verificano caratteristiche diverse dalla forza fisica e che peso bisogna dare alla acquiescenza di subordinati ormai impotenti (outidanàot)? Più in generale: quali diverse pratiche sociali si collegano alla scelta linguistica? Qualcosa di analogo vale per le funzioni di comando il cui contenuto può variare a seconda dei termini utilizzati: èinai perì pànton àllon, kratèin, anàssein, semàinein, epitèllein. Possiamo cogliere meglio questo aspetto del problema immaginando per un momento che soggetto dell'azione non siano i due contendenti ma il linguaggio stesso. Un linguaggio che, come il pensiero hegeliano, possa dire di sé stesso: «io sono entrambi i combattenti e il combattimento stesso». Tornando al contrasto tra Achille e Agamennone possiamo stabilire una qualche analogia con un altro contrasto che ha profondamente animato la letteratura e la simbologia occidentale: quello tra Creonte ed Antigone nella tragedia sofoclea 0 • Una prima analogia possibile è quella tra Agamennone e Creonte. Ambedue rappresentano un principio di ordine maschile che ha il suo riferimento nella immagine dello Zeus patriarcale 14• E per ambedue, nonostante la differenza nella fattispecie, si può parlare di un «peccato tirannico» dovuto ad arroganza o ad ostinazione". u Per le interpretazioni della Antigone seguo la ricerca di G. Steiner (1984). 14 Cfr. Steiner [1984, trad. it. 1990, 205 ss.]. u L'ostinazione di Creonte risalta bene dal contrasto con il diverso atteggiamento di Achille sul problema della sepoltura, lo stesso che anima l'Antigone del ventiquattresimo canto dell'Iliade.

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Più complesso stabilire un parallelo tra gli altri due personaggi, Achille e Antigone, poiché, contrariamente a quello epico, il contrasto tragico si presenta come un contrasto tra un maschile e un femminile. Ma, a ben guardare, Achille è un personaggio che ha profondi legami con il femminile. Se infatti la sua denominazione di Pelide fa riferimento alla ascendenza paterna, è però quella materna ad essere valorizzata dalla narrazione. In secondo luogo la struttura del testo e lo svolgimento della narrazione autorizzano un parallelo tra Achille e una divinità femminile come Era: le due esplosioni d'ira sono testualmente accostate e sono paragonabili non solo per la forma espressiva (l'ira), ma anche per il contenuto di «contestazione del dominio» e per il ruolo dei loro antagonisti. All'opposto, nel personaggio femminile di Antigone si mescolano tratti maschili: Antigone è anche espressione di un agire che si esprime nel politico e nel pubblico, il che comporta una più forte coscienza dell'Io. Ciò risalta anche sul piano grammaticale: Antigone inizia utilizzando il duale ma proseguirà poi sempre utilizzando la prima persona singolare 1'. Le due contrapposizioni possono quindi essere ravvicinate come contrasto polemico tra un principio di ordine maschile (Creonte, Agamennone) e un principio più indistinto in cui si mescolano elementi del maschile e del femminile. Da un lato le istanze di un tempo storico solidificato in istituzioni e in cui l'agire è orientato da un principio di realtà. Dall'altro un mondo più fluido, ai limiti dell'informe, sensibile «alle correnti più antiche dell'ecumenismo generico e psichico» 17, un mondo che fa riferimento a divinità femminili e preolimpiche, un mondo la cui patologia elettiva non è il peccato tirannico ma la regressione. Oltre che ricorrendo all'analogia con i due personaggi dell'Antigone, il senso della contrapposizione tra Agamennone e Achille può essere meglio precisato con categorie elaborate dalla sociologia, dalla antropologia e dalla storia. La sociologia ci offre una serie di dicotomie che fanno rife16 11

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Cfr. Steiner [1984, trad. it. 1990, 237). Ibidem, p. 239.

cimento a diverse forme di integrazione sociale e che a prima vista potrebbero adattarsi al nostro caso. Ci riferiamo a schemi come quello di comunità/società (Tonnies), status/contratto (Maine), solidarietà meccanica/organica (Durkheim), società tradizionale/secolare (Redfield). Ma a ben guardare queste dicotomie, anche quando elaborate a partire da materiali antropologici o di storia antica, sono troppo legate alla necessità di spiegare con una semplice bipartizione una modernizzazione in cui compaiono al secondo termine elementi quali la circolazione monetaria, contratti, calcolo razionale, urbanizzazione, positivizzazione del diritto 11 • Più appropriato ci appare invece uno schema interpretativo elaborato con riferimento alla storia antica del Vicino Oriente. L'accostamento non deve stupire se si pensa che i materiali dell'epica, e forse lo stesso poeta chiamato Omero, provengono dalla costa ionica (quella che oggi chiamiamo turca), a ridosso quindi di culture quali quelle del regno assiro (1375-1047 per il Regno Medio, 883-612 per il Regno Neo Assiro), e che nell'ottavo secolo, epoca della fissazione della tradizione epica, erano fiorenti civiltà come quella di Urartu (835-610), quella frigia e quella cartaginese mentre sul finire del secolo iniziava in Persia la dinastia degli Achemenidi che tanta importanza avrà nelle vicende successive della Grecia. Lo schema, elaborato dall'orientalista M. Liverani 11 , postula due tipi ideali di forme protostatali, denominate rispettivamente comunitaria e palatina. Non sempre le due forme possono essere considerate stadi in senso cronologico anche se lo sono in senso logico. Esse possono anche rappresentare due polarità che coesistono a livelli diversi: così in età storica, quando più diffusa è la struttura palatina, il modello comunitario continuerà ad avere una sua vitalità a livello locale o tribale. Caratteristiche della struttura sociale delle due forme protostatali sono, per la forma comunitaria una omogeneità 18

Per una rassegna in questo senso cfr. Germani [1975, Introduzio-

ne]. 19

Cfr. Liverani [1976).

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TAB. 3. Forme protostatali COMUNITARIA

PALATINA

ECONOMIA Economia di sussistenza con proDistinzione tra funzioni di produzione, di trasformazione e servizi, duzione frantumata e senza eccedendi organizzazione del lavoro (decize. sione). SOCIETÀ È strutturata a cellule uguali con È organizzata come la produziopossibilità (liceità) di secessione. ne allargata di un oikos con stratifiLa società nel suo complesso non cazioni connesse alle varie funzioni. può essere rappresentata come estenÈ rilevante il concetto di territosione di un gruppo familiare: la geneario a scapito della parentela, della logia è simbolica. lingua e dell'origine comune della Il concetto di gruppo prevale su popolazione. La secessione è impequello di territorio. Rilevanza della dita. La sua forma tipica è la città, che fi~rentela e di strategie matrimonianelle sue forme più semplici si presenta come costituita dal palazzo (graLa sua forma tipica è il villaggio. naio, accumulazione) e muro (protezione). STRUTTURA ISTITUZIONALE/PACE Forme di potere di fatto invece Comando unitario in cui la sacrache di dominio istituzionalizzato: ogni lità compensa la perdita di partecisviluppo in questo senso è trattato pazione. La sacralità non è quindi con ostilità. «arcaica». Le più antiche terminoloRuolo centrale degli Anziani che gie indicano una regalità rituale e decidono all'unanimità, praticando religiosa (con il termine EN), una soprattutto arbitrati. laica e militarista (LUGAL) e una con caratteri di amministrazione dell'oikos (ENSÌ). Mancano gli Anziani: il re si rivolge direttamente ad un'Assemblea senza poteri deliberanti, come forma di pubblicità STRUTTI.JRAISTITUZIONALE/GUERRA «Nazione in armi», senza comanÈ «guerra del re», con gerarchie e do unitario. Si combatte per motivacorvé. Si combatte per il bottino. Il zioni forti come la vita e lo spazio*. conflitto è più istituzionalizzato. Bassa istituzionalizzazione del conflitto (attacchi notturni).

* Ci si riferisce qui, per ambedue le forme protostatali, a «guerre di sottomissione». Ma esistono altre forme di conflitto armato come la «guerra di accertamento» che può avere forme cavalleresche e motivazioni di onore o di riscatto. Fonte: Liverani [1976].

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di lingua e di stirpe, con rilevanza della parentela; per quella palatina una strutturazione sullo schema dell'oìkos e quindi ultraparentale e con stratificazioni funzionali2°. Rilevante è il problema della secessione che, conforme alla logica della struttura comunitaria, è invece in contrasto con la struttura palatina. Ma gli aspetti più interessanti sono quelli relativi alla struttura istituzionale. In tempo di pace le due forme presuppongono nel primo caso pariteticità e accordi discorsivi presi all'unanimità, nel secondo un comando unitario che può costruirsi una sua sacralità e che si rivolge senza intermediari ad una assemblea. In situazioni di guerra le due strutture si presentano rispettivamente come una «nazione in armi», in cui la funzione di comando è collegata al valore militare, e come «guerra del re», con conseguente divisione ineguale del bottino. Questo schema presenta qualche analogia con le fasi iniziali di quello proposto da Weber in un saggio del 1909 sulla storia agraria (ma in realtà anche economica e sociale) del mondo antico 21• La ricostruzione weberiana è a stadi organizzativi successivi, individuati «ripercorrendo a ritroso il cammino dei popoli che hanno conosciuto uno sviluppo urbano», cammino all'inizio del quale sta sempre non la vita nomade o la pastorizia ma l'agricoltura. Primo stadio è quello di una «comunità rurale» in cui il capo ha funzioni solo transitorie, in genere in caso di guerra, ed è comunque vincolato dalla tradizione: una posizione «non molto diversa da quella che gli è attribuita presso i

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Ampia è la bibliografia sul concetto di oikos, daborato dal Rodbertus e ripreso dal Bucher. Nella terminologia weberiana, oikos è una struttura parentale e agnatizia collegata al carattere militare dei proprietari in armi. Alla sua origine c'è la comunità domestica con le sue caratteristiche di reverenza, autorità e responsabilità solidale. Attenuando l'illimitato potere paterno e sviluppando la sua articolazione interna sorge l'oikos, economia domestica di grandi dimensioni con copertura organizzata del proprio fabbisogno. Cfr. Weber (1909, cap. I e cap. II, par. 4; 1922, trad. it. 1961, voi. I, 388 ss.]. In generale cfr. Brunner (1962, cap. VI]. Con più specifico riferimento alla Grecia cfr. Finley (1963, cap. I; 1977, cap. Il]; Momigliano e Humphreys (1974]. 21 Cfr. Weber (1909, trad. it. 1981, 40 ss.].

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Germani». Un secondo stadio «più vicino alla città» è quello della «monarchia palaziale» (o palatina) in cui un re e il suo seguito (che in seguito la tradizione potrà ricordare come formato da banditi) si inseriscono e si sovrappongono alla comunità rurale come qualcosa di nuovo e di estraneo. Questa sovrapposizione si riflette nella coesistenza di due diverse forme di diritto: regio (ed eventualmente feudale) da un lato, diritto popolare dall'altro. Di regola il re monopolizza il commercio estero o ne ricava tributi costituendo cosl un tesoro. «È l'inizio di quasi tutti gli stati antichi». Nello sviluppo successivo, in concorrenza con condizioni di varia natura quali la fertilità dei terreni o la presenza di condizioni favorevoli al commercio, si ha una biforcazione. Un primo percorso possibile è quello che, accentuando l'elemento regio, porta alla costituzione di una monarchia dotata di forze militari e di un ceto di funzionari («monarchia burocratico-cittadina») mentre la città, priva di autonomia, diventa residenza del re e della sua corte. Il percorso alternativo porta invece alla «polis aristocratica» in cui la nobiltà si emancipa dal castello e si costituisce in forma di comunità cittadina, con un re senza burocrazia e in funzione di primus

inter pares. Non seguiremo oltre questo schema limitandoci a segnalare le sue possibili linee di sviluppo: la monarchia burocratico-cittadina può, razionalizzandosi, dare origine a uno «stato liturgico autoritario» mentre, seguendo l'altro percorso, la polis aristocratica può evolversi in «polis oplitica» e poi in «polis democratica dei cittadini». Quello che vogliamo invece sottolineare è la compresenza nel secondo stadio - quello che Weber definisce come monarchia palatina - di due strutture, una di tipo consociativo e una basata sulla sudditanza, che presentano forti analogie con i due tipi ideali dello schema precedente. Dal raffronto di questo scritto con precedenti lavori di Weber, emerge uno spostamento che è stato giustamente sottolineato 22 • In quei primi lavori Weber, sotto l'influenza dei «germanisti», poneva come punto di partenza una strut22

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Cfr. Capogrossi-Colognesi [1990, 113 e 147).

tura comunitaria, mentre una struttura ad oikos era collocata nel momento declinante della storia romana. Nello schema del 1909 invece, l'oikos viene interpretato in senso più primitivistico e spostato all'indietro creando così, sul piano concettuale, una struttura più complessa e più adatta di quanto lo sia la semplice comunità a «rompere la massa inerte delle tradizioni canonizzate» e ad evolversi secondo le diverse possibilità previste dalla successiva biforcazione2.,. Un appunto che è stato fatto da una recente letteratura al pensiero weberiano è che il suo meccanismo evolutivo soffre dei limiti di un troppo ristretto concetto di razionalizzazione che ne costituirebbe la sola logica evolutiva24• Ma a fronte di questo limite sta il merito di aver esplorato le potenzialità dello schema su un ampio ventaglio della civiltà occidentale antica. Un terzo contributo che permette di precisare e arricchire la dicotomia comunitario/palatino è fornito da M. Sahlins25• Pur con tutte le cautele di una antropologia colta e raffinata, lo schema di Sahlins assume come punto di partenza un «sistema economico domestico» (un concetto tratto da Biicher ma riaccostato a Marx e in una visione antropologica più attuale) e più in generale un «modo di produzione domestico» (MPD). Caratteristica di questo modo di produzione è la possibilità di garantire la sussistenza e la produzione di valori d'uso; il suo limite è che ciò può avvenire solo in condizioni, o al prezzo, di una bassa densità demografica. Sul piano della produzione infatti esso è caratterizzato da un principio 2

> Nello schema del 1909, nonostante la ricorrente ellitticità del testo, emergono due aspetti importanti della strategia weberiana. Il primo è che di fronte al dibattito tra romanisti e germanisti, W eber utilizza con libertà spunti e materiali provenienti da ambedue i fronti. Un secondo aspetto è nella avvertita necessità di colmare il divario tra la fluidità della storia e la rigidità della concettualizzazione. Per risolvere questo problema Weber, dopo aver costruito degli «alfabeti concettuali» che implicano inevitabilmente una storia a stadi, cerca di riaccostarsi alla fluidità della storia portando il più possibile in avanti i concetti più primitivi e il più possibile all'indietro quelli successivi. Le concrete forme storiche risultano cosl essere sempre una commistione di anticipazioni e di sopravvivenze. Sul tema si veda anche Weber [1922, trad. it. 1961, voi. I, }86). 24 Cfr. Habennas [1981, cap. II]. 2 s Cfr. Sahlins [1972, cap. III].

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antieccedentario e quindi da tendenza all'inerzia e alla sottoproduzione rispetto alla capacità globale della società. Sul piano sociale esso è costituito da unità isolate e centrifugo nel suo insieme poiché «sacrifica l'unità della società alla autonomia dei gruppi produttivi»: esso è «disorganizzazione strutturata ... anarchia sui generis ... una seccatura privata e una minaccia pubblica ... La sua organizzazione è quella di un sacco di patate». A questa situazione, esplicitamente accostata allo stato di natura di Hobbes e Rousseau, le società possono far fronte utilizzando due diverse forze di integrazione che tuttavia «non sono implicite negli immediati rapporti di produzione dominanti». La prima, più debole, è quella della parentela, elaborata in forme che superino la costituzionale dispersione del MPD. Anche se in contraddizione istituzionale con l'unità domestica - contraddizione mascherata da una acritica ideologia della reciprocità- questa strategia è ancora troppo influenzata dall'unità domestica che rimane responsabile della produzione: «una contraddizione fra l'infrastruttura e la sovrastruttura della parentela, mai interamente rimossa, che continua impercettibilmente a influenzare il quotidiano trasferimento di beni e che sotto sforzo può affiorare determinando uno stato di collasso segmentale dell'intera economia». Una strategia più forte è quella dell'ordinamento politico, specialmente quando la struttura è accentrata in capi o sovrani. Utilizzando ricerche di Margareth Mead, di Mary Douglas, R. Carneiro e K.G. lzikowitz sulle connessioni esistenti tra povertà e mancanza di autorità, Sahlins sostiene che il capo 26,anche quando personalmente spinto dall'ambizione, «personifica un principio economico pubblico in opposizione ai fini privati e ai meschini egoismi dell'economia domestica» e, ponendo un freno al «riflesso di fissione» del MPD, ne limita l'anarchia liberandone la produttività. Fin qui lo schema di Sahlins. Per alcuni aspetti esso supera le necessità di interpretazione di un testo epico che, Con il termine si fa riferimento sia alla leadershipche alla chie/tanship, distinzione che riprenderemo più avanti (cap. VII). 26

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per esigenze connesse sia al materiale che alla tecnica letteraria (storie di guerre passate, da affrontare quindi con un'ottica arcaicizzante), è portato a mettere in sordina gli aspetti della produzione, più legati alla economia di pace. Ma esso presenta alcuni aspetti interessanti ai nostri fini. Il primo è quello di recuperare in chiave non semplicemente filosofica un equivalente di quello stato di natura che tanta rilevanza ha avuto nella storia del pensiero politico. E di recuperarlo non come un prima della storia, ma all'interno di essa. Il secondo, strettamente connesso, è di non cedere a tentazioni di utopia regressiva nei riguardi tanto del MPD che del suo sviluppo attraverso la strategia della parentela. Un aspetto questo che ci permette di valutare in modo più positivo la prospettiva del troppo bistrattato Agamennone e, per converso, di percepire il carattere per alcuni aspetti «reazionario» del disegno di Achille. Un altro aspetto rilevante è quello della dinamica interna del meccanismo evolutivo e del suo riferimento a forze di integrazione «non derivabili dal modo di produzione»: un aspetto questo che è stato quasi contemporaneamente approfondito da Habermas nella sua proposta di ricostruzione del materialismo storico 27 , proposta che assumiamo come quarto ed ultimo schema. Il punto di partenza dell'analisi habermasiana è nella necessità di rompere l'identificazione tra struttura economica e «base della società» (sistema sociale caratterizzato da un modo di produzione), identificazione valida soltanto per la società capitalista. Come ulteriore passo il concetto di «modo di produzione» deve essere scomposto nelle sue due componenti di «forze produttive» e di «rapporti di produzione» riconoscendo alle due componenti una loro indipendenza e una loro diversa logica. Più in particolare occorre ammettere che, contrariamente a quanto avviene per le forze produttive, i rapporti di produzione non sono interamente riconducibili ad un agire strumentale o strategico basato su proposizioni vere/false, ma ad un sapere diverso: un sapere pratico 27

Cfr. in Habermas [1976] i saggi n. 4 e 5, rispettivamente del 1975 e 1976. Del 1972 è invece il saggio citato di Sahlins.

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morale basato su norme valutate come giuste/ingiuste. Di qui la possibilità di diverse «forme di integrazione» («unità di Lebenswelt sociale attraverso valori e norme») che si cristallizzano intorno a diversi nuclei istituzionali «quali, ad esempio la parentela per le società primitive o i sistemi di potere per le grandi civiltà». Sulla base di queste considerazioni, Habermas propone il concetto di «principio di organizzazione» («innovazioni che istituzionalizzano l'apprendimento, che fa da battistrada, e circoscrivono margini di possibilità per i problemi sistemici»), un concetto più astratto e comprensivo di quello di «modo di produzione» e anzi compatibile con diversi modi di produzione funzionalmente equivalenti. Spetta a questo «principio di organizzazione» il compito di creare un ponte nel passaggio tra lo sviluppo endogeno delle forze produttive e l'instaurazione di nuovi rapporti di produzione. 4. Il cerchio,la piramide e due diversi percorsinarrativi

La strumentazione fin qui delineata attraverso il contributo di vari autori ci permette di qualificare meglio la tensione sottostante al conflitto tra Agamennone e Achille. Con lo schema weberiano possiamo collocarlo all'interno del secondo stadio, in un punto in cui una tendenza di tipo palatino interagisce e si scontra con le resistenze di una struttura a carattere comunitario. Ciò che è in gioco non sono solo i presupposti e le implicazioni delle due strutture ma anche la prospettiva che può essere l'una o l'altra di quelle indicate dalla biforcazione weberiana. Con lo schema di Sahlins la tensione interna all'epica può essere definita come conflitto tra due diverse strategie di integrazione per uscire dal MPD: quella più debole e acentrata della parentela e quella più forte di un ordinamento politico centrato. Inoltre, utilizzando congiuntamente i contributi di Habermas e di Sahlins, possiamo considerare le opzioni possibili come uno sviluppo non già implicito nei rapporti di produzione dominanti, ma, appunto, come «strategie» o «princìpi di organizzazione». 78

Questi contributi rappresentano un arricchimento rispetto alla più essenziale dicotomia comunitario/palatino esaminata per prima, la quale ha però il vantaggio di evidenziare le due diverse situazioni della guerra e della pace collegandole con diverse conformazioni dell'assetto istituzionale. E il binomio pace-guerra è uno dei motivi dominanti del contesto epico, delle sue vicende e della sua ricerca: lo abbiamo già visto operante nel conflitto tra giovani e anziani a Troia e lo ritroveremo nelle ulteriori vicende degli Achei e nella rappresentazione dello scudo di Achille. Di fronte alle pretese di Agamennone, per ora Achille risponde facendo riferimento soltanto allo stato di guerra e collocando le sue argomentazioni in un quadro che potremmo definire di «restaurazione eroica»: i guerrieri come tutti pari grado e il comando come funzione limitata e ad alta mobilità che si mette continuamente alla prova sul campo di battaglia 28 • Agamennone ha buon gioco nell'irridere a una articolazione del potere basata solo su qualità naturali, soprattutto se queste riguardano esclusivamente il valore militare: diverse - come abbiamo già visto a proposito di Ettore - sono ormai le regole della guerra e comunque minore è la centralità che essa assume per gli Achei ormai stanziali; inevitabile quindi la necessità di far posto a qualità e funzioni diverse giungendo a una complessità, individuale e sociale, percepita come meno naturale. Ma al di là della contingenza, il dibattito tra Agamennone e Achille fissa fin dall'inizio le due polarità alle quali far riferimento per interpretare il senso degli avvenimenti successivi e i termini della riflessione politica sottesi alla narrazione epica: termini che i nostri precedenti excursus sui 28

Si tengano presenti a questo proposito le osservazioni di Weber sul comunismo guerriero «che si riscontra tra gli Svevi, nel comunismo banditesco delle isole Lipari, nel comunismo da mensa degli ufficiali spartani». Esso è basato «su pure e semplici misure militari [. .. ] Gli stessi tratti si accorderebbero molto male con le condizioni di vita di una tribù stagnante allo stadio nomadico e dominate secondo moduli patriarcali da grandi proprietari di greggi»: Weber (1923, 508 ss.]. Per altro verso lo stesso Weber ha messo l'accento sul carattere di confederazione di guer• rieri della polis arcaica: dr Weber [1909, trad. it. 1981, 144 e 161; 1922, trad. it. 1961, vol. II, 662 e 672].

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mondi troiano e olimpico ci permettono di percepire in modo più globale e con maggiore ricchezza di dettagli. Il quadro generale è una situazione di guerra. È essa a determinare l'oggetto dd contendere del mondo olimpico, dividendolo al suo interno. Ed è ancora il problema del comando in guerra ad essere al centro dd contrasto non solo tra Agamennone e Achille ma anche tra Polite e Priamo e tra Ettore e Polidàmante. Pur essendo per certi aspetti una istituzione - e comunque un evento non eccezionale nd mondo antico - la guerra si presenta qui come emergenza e sconvolgimento rispetto a prassi istituzionali di pace. In caso di guerra il «bene tempo» diviene risorsa scarsa e ciò si ripercuote inevitahi1mente sulle procedure decisionali. Inoltre le qualità militari che la guerra richiede e valorizza possono entrare in contrasto con Il' qualità che la pace valorizza o con i difetti che essa tollera. Infine il convergere in più ampi sistemi di alleanze di personaggi che nel loro più ristretto ambiente si considerano dei capi, rende più problematica la unicità e la tempestività .

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prendere il comando (ma anche da altri passi il potere di Agamennone al di fuori della battaglia sembra limitato) e ne approfitta per proporre di sospendere l'assemblea e di convocare un convito consiliare: Atride, prendi tu l'iniziativa: tu sei, lo riconosciamo, il re supremo. Devi offrire un banchetto ai capi: è un'occasione buona, non certo inopportuna. Le tue baracche son piene di vino, te lo portano dalla Tracia le navi degli Achei ogni giorno, su per il vasto maren. E per accogliere ospiti hai tutto qudlo che ci vuole: comandi su tanti! E in quella riunione di diverse persone puoi dar retta a chi suggerisce l'idea migliore. Ne hanno sì un gran bisogno, tutti gli Achei, di un consiglio illuminato e avveduto. (9/69)

La decisione presa sarà quella di inviare una ambasceria ad Achille per un tentativo di riconciliazione che resterà però senza esito. Ma lasciamo il corso degli avvenimenti per sottolineare che, con l'insieme dei due episodi della Rassegna e dell' Assemblea di Diomede, il senso politico della narrazione raggiunge uno dei suoi passaggi più complessi. Riemerge anzitutto un tema che abbiamo già incontrato non solo nelle parole di Odisseo ma anche nelle vicende dei Troiani (Assemblea di Polite) e nelle due Assemblee olimpiche: nell'imminenza della battaglia e durante il suo svolgimento, il comando deve essere valorizzato a scapito della discussione pur senza scalzarla. O meglio: i due diversi principi di organizzazione, centrati rispettivamente sul comando e sul consenso, dovranno articolarsi in modo diverso e come ancora nella disciplina militare contemporanea - ogni discussione dovrà essere rinviata ad un momento successivo. «Ne discuteremo più tardi» dice Agamennone di fronte alla reazione di Odisseo. «Ne discuteremo più tardi» pensa Diomede nel momento in cui dimostra di saper controllare le sue reazioni e quelle di Stènelo. Non si tratta solo di affermare che la sospensione del diritto di discutere non può che essere temporanea ma soprattutto che, come affermerà Diomede, oltre il tempo della battaglia il detentore del co15

Cfr. anche 7/467.

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mando, ora al vertice della piramide anche rispetto agli altri capi, dovrà essere un pari in Assemblea e dovrà essere possibile parlargli «faccia a faccia»: solo cosl sarà infatti possibile legittimare il comando sulla base di un consenso diverso da quello solamente passivo denunciato da Achille e da Era contro Agamennone e Zeus. Il discorso di Diomede potrebbe essere reso in questi termini: «Riconosciamo che la guerra post-eroica richiede più comando e siamo disposti ad accettarne alcune conseguenze a condizione però che venga rivalutato - sia pure in un momento successivo - qualcosa di quello spirito comunitario a cui faceva riferimento Achille. E perché ciò avvenga è necessaria una pariteticità nei "diritti discorsivi" in modo che la discussione in Assemblea non si riduca a una farsa». Indicativo è anche l'uso dei termini contrapposti, quello di ànax (un termine forte, nell'epica omerica ormai quasi in disuso) 1' e, all'estremo opposto, il riferimento a thèmis - un valore e una divinità per molti aspetti legata al comunitario e prima ancora a un tradizionale-naturale1 7 - per affermare i diritti dell'agorà. Considerata nel suo svolgimento, l'Assemblea di Diomede corrisponde a quel misto tra Assemblea e Consiglio che abbiamo già incontrato nell'Assemblea della Prova. È vero che la convocazione avviene con una formula che potrebbe far pensare a una riunione ristretta («uno a uno, senza gridare»), ma è anche vero che essa si conclude con una acclamazione a Diomede. Il successivo intervento è di Nestore le cui argomentazioni La terminologia di ànax e basilèus deve ormai fare i conti con la decifrazione della lineare B. Sul tema cf r. Maddoli (1981, 70 ss.]; Benveniste [1969, trad. it. 1976, 302 ss.]. 17 Si ricordi il Consiglio di Temi e il riferimento alla thèmis fatto da Agamennone nel portare la decisione in assemblea. Per una rassegna sul termine cfr. Benveniste [1969, trad. it. 1976, 357 ss.] che la interpreta come «familiare». L'autore trascura però i riferimenti in 9/134 e 19/177 che spingono ad una interpretazione in termini di «naturale», «ovvio»: quando Agamennone deve giurare che non si è unito a Briseide «come pure è thèmis tra uomini e donne». Il termine sembra quindi riferirsi a un «vero da sempre», sia esso natura o tradizione. Sulla vaghezza del termine cfr. anche Kirk[1989] nel commento a 2fi3, e Steiner (1984, trad. it. 1990, 278] nel commento a Sofocle. 16

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ricordano in parte la situazione che si era venuta a creare nel Consiglio di Temi: le pur giuste parole di Diomede possono solo aprire una crisi, non risolverla; se si vuole «giungere fino in fondo» occorre prendere una decisione in positivo ,Il traverso una discussione pacata, ristretta e approfondita. E il luogo pitì adatto non è l'agone assembleare 18• Insomma, i problemi posti nella Assemblea dell'Ira e poi 111 quella de]]a Prova cominciano a trovare qualche risposta nel clispicgarsi della narrazione. Lo stato di guerra rende k·g1uima una struttura piramidale che inglobi anche i capi (che Agamennone può infatti insultare). Ma proprio per questo al di fuori del tempo del combattimento andranno valorizzati momenti di discussione caratterizzati da pariteticità e simmetria. E se l'Assemblea ha carattere troppo agonale sarà bene riservare alcuni momenti della procedura a strutture più ristrette, eventualmente allargate ad altri che «eccellano per consiglio». Ma nell'intervento di Nestore viene data una risposta anche a un secondo tema. Nelle sue parole ad Agamennone affinché convochi un consiglio offrendo un banchetto e nella elencazione delle ricchezze del sovrano che accompagna la sua esortazione, è implicito il riconoscimento di una «spartizione ineguale» dei beni derivanti dalla guerra e dal bottino, una regola che Achille aveva già inutilmente contestato. Anche questa ineguaglianza - sembra voler dire Nestore - può essere accettata purché il beneficio non sia esclusivo. I beni andranno dunque rimessi in circolazione o comunque utilizzati in modo che ne derivi un qualche vantaggio per la comunità. Uno dei modi è quello di assumersi l'onere del consiglio-convito, una riunione in cui vi siano per tutti «parti uguali» e uguali possibilità di esprimersi e di essere ascoltati. Resta ancora una limitazione dovuta al fatto che, conformemente a una logica palatina, l'unità del momento decisio11

Regole di articolazione tra Consiglio e Assemblea conformi alla visione di Nestore saranno poste per la gherusia di Sparta e lo saranno ad opera di quel Licurgo forse contemporaneo di Omero. Della articolazione spartana si veda una descrizione in Forrest (1968, trad. it. 1970, 58 ss.].

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nale si costruisce ancora sotto il tetto ddla casa basilica, in un convito in cui il re è anche padre-nutritore. Perché Pistituzione sia veramente pubblica (o politica, secondo la terminologia greca) occorrerà ancora rescindere questo legame sia sul piano del simbolico che su quello fattuale. 4. Funzione del Consiglio e problema della redistribuzione

nella formulazione di Nestore

Fallita l'ambasceria decisa nd Consiglio del canto nono, la secessione di Achille si protrae fino alla morte di Patroclo (canto sedicesimo) per concludersi, col canto diciannovesimo, nel corso dell'Assemblea della Riconciliazione, convocata espressamente da Achille su consiglio di Teti. Nel paralldo con le vicende dd mondo olimpico, tale assemblea dovrebbe essere riavvicinata al Consiglio dell'Accordo tra Zeus ed Era (canto quarto), ma l'equilibrio che essa genera va oltre l'accordo a due tra Agamennone e Achille: esso infatti anticipa qudlo degli ultimi due consigli olimpici (canti ventiduesimo e ventiquattresimo) e rispecchia qudlo dell'Assemblea di Antenore a Troia (canto settimo). Per sottolineare l'importanza ddl'avvenimento - la fine della secessione di Achille - il testo ci informa che a questa Assemblea della Riconciliazione prendono parte anche coloro che, come i timonieri e i dispensieri, di solito restavano tra le navi. «Sedendosi ai primi posti» giungono Odisseo e Diomede mentre Agamennone arriva per ultimo. Achille «si alza tra loro» e si rivolge ad Agamennone: «La lite che il cuore divora fu un bene per i Troiani ma non certo per gli Achei che la ricorderanno a lungo; ma ora vinciamo a forza il nostro cuore nel petto: io smetto l'ira e tu sprona alla battaglia gli Achei dai lunghi capelli». A questo punto prende la parola Agamennone, ma il testo sottolinea che ciò non avviene secondo le regole che abbiamo visto all'opera finora: Agamennone «parla dal seggio, al suo posto, senza levarsi nel mezzo». Egli invita anzitutto gli Achei a un comportamento più tranquillo: non bisogna interrompere un uomo che parla in piedi, cosa che è già difficile anche per un 100

esperto o sonoro oratore. In secondo luogo l' Atride riconosce il suo errore ma non la sua colpa («Io non sono colpevole ma Zeus, la Moira e le Erinni che nell'assemblea gettarono contro di me stolto errore»), e si dichiara pronto a fare ammenda e a offrire i doni già promessi in occasione del Consiglio dell'Ambasceria. Achille però è impaziente e non vorrebbe continuare a discutere e chiacchierare (diatrìbein, klotopèuein): interviene a questo punto Odisseo. Del suo discorso meritano di essere sottolineati anzitutto due aspetti che fanno luce sulle caratteristiche del personaggio. In primo luogo Odisseo si rivolge ad Achille come già Polidàmante a Ettore: facendo valere una superiorità del nòos che conferisce in assemblea una gerarchia di autorevolezza non necessariamente coincidente con quella che si può stabilire sul campo: O Achille di Peleo, fortissimo tra gli Achei tu sei più forte [krèisson] di me e potente fjèrteros] non poco con l'asta, ma io per senno [noèmatt1 forse t'avanzo assai, perché sono nato prima di te e so più cose di te per questo il tuo cuore si adatti alle mie parole.

In secondo luogo Odisseo fa più volte richiamo alle ragioni del corpo (non si può combattere a digiuno, non bisogna esagerare con il rimpianto dei morti, non si può digiunare per tutti i caduti, ci sono altre cose da fare prima della battaglia ..) con ciò dimostrando non soltanto lo spirito pratico di un'etica post-eroica, ma più in generale il possesso di un equilibrio che non si lascia prendere dalle passioni. Infine le proposte procedurali: i doni non andranno consegnati direttamente da Agamennone ad Achille ma posti al centro della piazza dove Achille andrà a prenderseli di fronte a tutti19 ; il risarcimento dovrà essere completato con il giuramento di non essersi unito con Briseide («come pure è themis

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Questa procedura - sulla quale cfr. Detienne (1967, cap. IV] anticipa una distinzione tra pubblico e privato che però apparirà esplicitamente solo nell'Odissea. Avremo occasione di ritornarvi nel cap. VII a proposito del conflitto tra Antiloco e Achille.

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tra uomini e donne») e dovrà concludersi con un convito di pacificazione tra i due. E qui Odisseo approfitta della parola per trarre una morale dagli avvenimenti: Atride tu nel futuro dovrai essere più giusto anche con gli altri e certo non merita biasimo che un re (basilèus) plachi un guerriero (anèr) se per primo lo ha ingiuriato.

Questa riunione presenta alcune particolarità di estremo interesse sul piano istituzionale. La prima è in qualche modo una risposta al problema che l'Assemblea di Diomede aveva lasciato in sospeso, quello del luogo della riunione. Qui l'Assemblea si svolge in un luogo aperto (agorà) che sembra essere però organizzato con appositi seggi20 e comunque con una gerarchia di posti: indizi che potrebbero indicare una fuoriuscita della struttura consiliare dalla casa basilica. Una seconda particolarità è la comparsa di una terza cerchia di persone, oltre ai capi e ai guerrieri. La presenza di costoro, meno legati alle funzioni del combattimento, implica forse il riconoscimento di una maggiore complessità del corpo sociale. Altro aspetto innovativo è quello della posizione di Agamennone in Assemblea. Agamennone, come già Zeus, non si presenta più nel ruolo di un padre onnipotente: questa immagine, per attrazione di quella di fratello maggiore, ha generato l'immagine di un «padre buono» 21 • Quanto alle sue funzioni, esse sono ormai più simili a quelle di un presidente - con il ruolo di garantire un ordinato svolgimento della discussione - che a quelle rivendicate nell'Assemblea dell'Ira. Qui il termine è edra ma in altri passi dell'epica compare il termine thokos che può significare sia «seggio» che «adunanza». Nell'Iliade è usato per il Terzo consiglio olimpico (8/439). Nell'Odissea, in 2/26 il termine sembra voler indicare il Consiglio, in 12/318 più specificamente i sedili di pietra. Una struttura con sedili di pietra appare anche nel Consiglio per la partenza di Telemaco a Pilo che si svolge di fronte alla reggia di Nestore (Od., 3/406) e la stessa struttura sembra presente a Itaca (Od., 4/625-629). 21 Per riferimenti espliciti al sovrano come «padre buono» o come «fratello», cfr. Od., 5/12 e 14/147. 20

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Con questo nuovo compito si arricchisce il polimorfismo della funzione di comando. Il «capo» dovrà ormai saper ricoprire diversi ruoli. Dovrà anzitutto saper agire in prima persona in alcuni momenti dd combattimento, principalmente in qudli connessi al semàinein, al segnale ddla battaglia. Ndle assemblee o nei consigli dovrà però sapersi adeguare alle regole di reciprocità e simmetria (intercambiabilità di Io e Tu), accettando quindi di vedere messi in questione i suoi disegni e il suo operato. Al più egli potrà riservarsi la tutda di alcuni valori indiscutibili (in analogia con la pietà verso i defunti dello Zeus del Sesto consiglio) o (come nel caso di Priamo nell'Assemblea di Antenore) il compimento di atti formali rdativi alla sanzione di una decisione: una decisione, si noti, alla quale in quanto parte ndla discussione, poteva anche esser stato contrario 22 • Ma dovrà anche saper assolvere alla funzione di terzo (presidente, arbitro, giudice) 2' prendendo posizione come Io tra Tu e Lui, tra il ricorrente e il suo antagonista. Diversi ruoli che corrispondono come si vede a diverse combinazioni delle tre persone grammaticali la cui formazione non sarebbe del tutto estranea a una conflittualità sociale e politica. Ma l'Assemblea della Riconciliazione risolve anche un problema rimasto in sospeso nel lògos dipolitikòs quando Achille, contestando le pretese di Agamennone su un bottino già distribuito, lo accusava di fare violenza a suo vantaggio delle regole di spartizione sancite dalla tradizione: regole a carattere costitutivo che segnavano il passaggio da pubblico a privato sottoponendolo alla pubblicità e alla approvazione dell'Assemblea. Qui le antiche regole sono ripristinate e a loro difesa interviene addirittura un homo novus come Odisseo. La ragione non è soltanto in una particolare affezione al rispetto delle forme. Al di sotto di tutto questo c'è un problema di controllo della redistribuzione in quello che è stato definito il «capitalismo politico» greco: una configu22

A questa particolare funzione si collega la ricorrente sacralità del comando la quale, secondo Liverani [1976) non è necessariamente una caratteristica «arcaica» ma può anche essere una innovazione. In senso diverso Girard (per il quale si veda più avanti la nota 20 dd cap. X). 2> Sul tema cfr. Portinaro [1986), in particolare nd cap. X.

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razione più politica che economica nella quale il bottino svolge il ruolo di «tesoro pubblico» 24 • Con questa riaffermazione la paidèiadi «colui che vuole essere più re» si è così conclusa e un ultimo tassdlo si è aggiunto alla nuova costruzione politica: una costruzione che, per la sua complessità, si presenta ormai come alternativa tanto al progetto palatino di Agamennone che a quello comunitario di Achille. A questo punto il discorso politico ddl'Iliade potrebbe considerarsi concluso se, con l'Achille dei Giochi, la narrazione non ci riservasse una sorpresa. In qudla che si presenta come una continuazione dello stesso racconto, c'è in realtà un percorso alternativo rispetto a qudlo che aveva lavorato sulla articolazione tra dominio e strutture di pariteticità ad esso alternative. Per tornare agli schemi interpretativi dd1'Assemblea dell'Ira, è come se il racconto, che finora aveva seguito una ddle due linee della biforcazione weberiana, saltasse improvvisamente all'altra, facendo riemergere, trasformato, il personaggio di Achille.

◄ Per gli aspetti legati al bottino, dr. Weber (1922, trad. it. 1961, voi. II, 658; 1918, trad. it. 1982, par. 7,284]. Sulla città greca come un «tutto politico», in linea del resto con una osservazione di Marx, si vedano Lanza e Vegetti (1975] e Meier (1988, 366]. Con più specifico riferimento alla redistribuzione, si veda in generale Garavaglia (1980]. Si vedano anche Polanyi (1968, cap. VII; 1977, cap. III]; Sahlins (1963 ]; Finley (1973, cap. VI]. Infine, per una valutazione delle categorie di Polanyi, cfr. Finley (1971, trad. it. 1981, 170] e Grossi (1978]. 2

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CAPITOW SESTO

LA SCONFITI A DELL'EROE ARCAICO

1. Il dossierepicosul personaggioAchille Ndl' Assemblea dell'Ira, ad Achille che gli contesta il comando militare e il predominio economico Agamennone risponde irridendo ali' antropologia eroica di cui Achille è insieme espressione e supporto. Ma chi è esattamente Achille? Rispondere a questa domanda significa mettere a confronto la narrazione con la descrizione, il ruolo con il carattere: un'operazione che ci permetterà di percepire meglio non solo la differenza tra l'Achille ddl'Ira che inaugura l'epica e l'Achille dei Giochi che la conclude, ma anche di apprezzare per contrasto il ruolo e il carattere di personaggi per molti aspetti antitetici ad Achille, come Odisseo e Diomede. Chi è dunque questo Achille ddl'Ira? Ndle linee della narrazione il suo ruolo è positivo perché contesta I'arrogan~ za di Agamennone che lo ha ingiustamente offeso. Il suo programma politico potrebbe essere definito «reazionario» in quanto volto a ripristinare il passato. La sua estrazione è indubbiamente nobiliare 0o prova se non altro lo status symbol dei migliori cavalli1) e la sua posizione ndl'esercito acheo lo pone tra i «re scettrati». Tuttavia il suo luogo di origine, Ftia, risulta essere - almeno dal racconto di Fenice una località rimasta fuori dai percorsi usuali, anzi per alcuni aspetti un rifugio. Se infatti il sottrarsi con la fuga alle conseguenze di un delitto cercando ospitalità in altre città è pratica ampiamente documentata anche ndl'epica, essa si concentra in modo statisticamente sospetto intorno alla reggia 1

Cfr. Gernet [1968, cap. IV, par. 1].

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di Peleo. In questa situazione si trovano infatti l'amico Patroclo, che aveva ucciso un coetaneo in una disputa al gioco dei dadi (28/35); il personaggio di Epigeo, anch'egli macchiatosi dello stesso dditto (16/573); infine lo stesso tutore Fenice, giunto a Ftia per fuggire le Erinni invocate contro di lui dal padre2. Forse è proprio per questa sua provenienza da una località ai margini dello sviluppo cittadino3 che Achille, pur ritenendosi un re, si considera «meno re» non solo rispetto ad Agamennone ma anche rispetto ad altri re a cui Agamennone potrebbe dare in sposa la figlia (9/ 144, 388). Il carattere del personaggio è valutato negativamente da amici e nemici. Il vecchio tutore Fenice, membro dell'ambasceria che tenta inutilmente di placarlo, lo definisce «petto spietato» (neleès ètor) cui «la forza, l'onore e il potere» impediscono di piegarsi (9/496). Ndla stessa occasione analogo giudizio è espresso da Aiace, il quale contrappone il comportamento di Achille dal cuore sdvaggio (àgrios thymòs) a quello più moderno di colui che, essendogli stato ucciso un figlio o un fratdlo, accetta il riscatto e placa il cuore superbo (thymòs aghènor) (9/632). Descrivendo a Nestore il carattere dell'amico, Patroclo lo definisce «tremendo, iracondo, terribile, capace di incolpare chi è incolpevole» (11/649) e nel dialogo con cui cerca di placare la sua ira lo apostrofa definendolo «irriducibile, distruttore, spietato, duro di animo come se fosse stato generato dal mare o dai rupi rocciosi» (11/649, 16/29). Poseidone parla del suo scellerato cuore (oloòn ker) e ddla sua assoluta mancanza di senno (14/139). Iri lo apostrofa come «il più tremendo di tutti gli uomini» ( 18/170) e lo stesso Achille sa che i Danai lo considerano spietato, «quasi fosse stato nutrito dal fiele» ( 16/203 ). In questo quadro non possono stupire gli analoghi giudizi degli avversari. Se scontato è il giudizio di Ecuba («crudele e infido»: 22/41, 24/212), più indicativo è quello del dio

2

Su istigazione della propria madre, Fenice si era congiunto con l'amante del padre Amintore, signore dell'Ellade (9/478). J Sulla natura non urbana del territorio della Tessaglia e della sua nobiltà, cfr. Lepore (1979, 209].

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fluviale Xanto che rivolgendosi ad Achille esclama: «Nefandezze commetti ben più di tutti gli umani [. ..] Mi fai orrore o capo di eserciti!» (21/214). Ma il giudizio più chiarificatore è forse quello di Febo Apollo (24/39) quando parla di «Achille funesto, che sana ragione non ha, non ha animo trattabile in petto, sa solo cose selvagge [àgria òiden] come leone [. ..] Egli ha distrutto ogni pietà né rispetto c'è in lui [...]»•. Questa unanime valutazione trova rispondenza in alcuni comportamenti che più sottolineano il carattere arcaico del personaggio. Non tanto l'uccisione di Troo e Licaone che si erano rivolti a lui nelle forme dei supplici, perché di tali comportamenti esistono altri esempi nel poema', quanto piuttosto il comportamento verso Ettore e il suo cadavere e, prima ancora, in occasione dei funerali di Patroclo. Il sacrificio umano di dodici giovani Troiani viene descritto con insistenza nei tre momenti del proposito iniziale, in quello della cattura delle vittime e infine in quello dell'esecuzione (18/336, 21/27, 23/170). E in quest'ultima circostanza altri particolari sembrano denotare una ritualità di altri tempi e altri luoghi: E quattro cavalli alte cervici con grandi gemiti gettò in fretta sul rogo. Nove cani domestici aveva il sovrano e due ne gettò sul rogo sgozzati e ancora dodici nobili figli dei Teucri magnanimi straziati col bronzo: cose atroci pensava. (23/171)

Quanto al combattimento finale tra Achille e Ettore esso può essere considerato come la versione opposta di quello che nel settimo libro aveva visti contrapposti Ettore e Aiace (7/242, 284) e che presentava una complessità di codici propria di un duello cavalleresco: Ettore si impegnava a colpire apertamente e non di sorpresa, esistevano regole per interrompere il combattimento (l'iniziativa doveva essere dello Per il giudizio di Apollo cfr. Dodds (1951, cap. I]. Per un dossier sul personaggio Achille anche oltre l'epica omerica, cfr. Kerényi [1951, trad. it. 1963, voi. II, 291 e 323]. ' Vedi 20/463, 21/64, da confrontare con 10/454. Cfr. anche Od., 22/ 310. 4

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sfidante) e alla fine Ettore proporrà ad Aiace uno scambio di doni affinché si possa dire: «Han lottato quei due ndla lotta che il cuore divora ma si sono separati riconciliati ed amici». Invece nd combattimento tra Ettore e Achille (22/247) questa pluralità di codici viene sdegnosamente respinta daleroe acheo. Ad Ettore che gli propone una preventiva invocazione agli dèi come testimoni e custodi dei patti e un accordo per la dignitosa sepoltura del soccombente,

r

guardandolo bieco, Achille piede rapido disse: Ettore non mi parlare, maledetto, di patti come non v'è fida alleanza tra uomo e leone e lupo e agnello non han mai cuori concordi ma s'odiano senza riposo l'uno contro l'altro così mai potrà darsi che ci amiamo io e te; fra noi non saran patti se prima uno caduto non sazierà col sangue Ares, guerriero indomabile. (22/260)

Ancora più feroci le parole che Achille rivolge poco dopo a Ettore ormai morente: Bieco guardandolo Achille piede rapido disse: No, cane, non mi pregare né pei ginocchi né pei genitori ah! che la rabbia e il furore dovrebbero spingere me a tagliarti le carni e divorarle per quel che m'hai fatto nessuno potrà dal tuo corpo tener lontane le cagne. (22/344)

Sul corpo di Ettore Achille poi «mediterà ignominia» e, dopo avergli fatto passare dei lacci attraverso i tendini, lo trascinerà dietro il carro: macabra cerimonia che continuerà a ripetere nei giorni successivi giustificando così il giudizio di Febo Apollo di cui si è già detto. In questa documentazione sul personaggio di Achille convergono dementi che vanno valutati separatamente. Agli aspetti che ne sottolineano il carattere arcaico se ne aggiungono altri - indicati da epiteti quali bellicoso, valoroso e simili - che nel tempo e nel luogo della lotta dovrebbero esser connotati positivi. Perché in Achille anche questi elementi assumono una connotazione negativa? Per rispondere è necessario rifarsi al giudizio di Fenice: 108

Achille è chiuso alla parola, chiuso a quella struttura del discorso che implica una fondamentale pariteticità dei parlanti e che ad essa riconduce essendo in grado di piegare non solo Pira ma anche «la forza, l'onore e il potere»'. Come conseguenza, anche in guerra egli può portare solo il contributo della sua furia selvaggia, ma è incapace di agire in quel contesto di parole, accordi, regole e combattimento che è il duello cavalleresco. Questa limitazione del personaggio al solo codice distruttivo ha conseguenze anche al di fuori della battaglia. Così nelr Assemblea del primo canto occorrerà rintervento congiunto di Era e Atena per indurlo a non usare la spada in un contesto in cui r arma è quella della parola {1/210). Ed in fondo ha ragione Agamennone quando, con parole che abbiamo già sentite da Zeus nei riguardi di Ares, gli si rivolge dicendo: «contesa sempre ti è cara, e guerre e battaglie» (1/176) e lo stesso Achille sarà costretto ad ammettere che se egli è più valoroso in guerra altri sono più bravi di lui in assemblea (18/105). 2. Achille e Odisseo come disgiunzione di una precedente coppia eroica Un altro modo per gettare un fascio di luce sul personaggio di Achille - e sulla metamorfosi da cui sorgerà r Achille dei Giochi - è quello di considerarlo come unità disgiunta di una precedente coppia di personaggi a qualità contrapposte. Abbiamo già visto che nell'Odissea si conserva traccia di una coppia Achille-Odisseo. Ma altre ascendenze si possono trovare in una epopea precedente l'Iliade e della cui diffusione testimoniano le numerose traduzioni in lingua accadica, ittita e sumerica. Ci riferiamo alla epopea di Ghilgamèsh la cui redazione scritta precede di circa un millennio quella dell'Iliade. Essa ha avuto lunga vita se, dalla metà del secondo millennio a cui sembra risalire la sua tradizione orale, una versione accadica ha potuto giungere fino a noi dalle rovine conseguenti alla distruzione della biblioteca di Ninive (612 6

Come si deduce da 9/496-98 e da 9/522-26.

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a.C.). Ed è stato anche sostenuto che l'epopea cliGhilgamèsh avrebbe potuto esser stata conosciuta anche direttamente dal rapsodo dell'Iliade7. Il protagonista dell'epopea, Ghilgamèsh, è il re della città di Uruk nella quale era giunto vagando per il mondo. Figlio di una dea egli spadroneggia sulla città come un toro selvaggio fino a sollevare l'indignazione degli dèi. Questi, riuniti in consiglio - come avviene per tutte le decisioni più importanti - decidono di creare un suo pari «simile a lui quanto un suo riflesso, un altro lui, cuore tempestoso contro cuore tempestoso» in modo che i due contendano fra loro e Uruk sia lasciata in pace. Nasce così il personaggio di Enkidu: egli ha lunghi capelli biondi, possiede le virtù del dio della guerra e viene allevato nella prateria da creature dalla lunga coda, restando così ignaro dell'umanità e della terra coltivata. Enkidu diverrà successivamente servo e amico di Ghilgamèsh, amicizia che determinerà una polarizzazione dei loro caratteri intorno alle due qualità della saggezza (cultura) e della forza (natura). I due compiranno insieme un viaggio nella foresta uccidendone il guardiano, episodio in cui Enkidu si mostrerà più spietato di Ghilgamèsh. Questa è forse la ragione della successiva malattia e morte di Enkidu in seguito alla quale Ghilgamèsh decide di intraprendere una odissea alla impossibile ricerca dell'immortalità. Anche da questo breve resoconto risultano alcune assonanze con l'epica omerica 8• La critica ha già messo in luce significative analogie con l'Odissea e il suo protagonista ma lo stesso si potrebbe dire per Achille. Come Ghilgamèsh egli è figlio di una dea, come Enkidu è selvatico (àgria òiden) e, secondo una tradizione, allevato da una creatura dalla lunga coda. E come la morte dell'amico renderà Ghilgamèsh giudizioso e addirittura problematico, lo stesso a ben guardare avviene con Achille per il quale la morte di Patroclo prelude a una riconciliazione con i suoi simili. La derivazione non è lineare. Non è un personaggio (Enkidu o Ghilgamèsh) a generare l'altro (Achille o Odis7

Cfr. Sandars [1986, 19 e 63]. • Sulla coppia Achille-Odisseo prima dell'Iliade cfr. Pareti [1942].

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seo) ma è la coppia che, attraverso un gioco di frantumazioni, commistioni e ricomposizioni, genera sia altre coppie che personaggi diversi, ognuno protagonista di un diverso racconto epico. È come se inizialmente si fosse voluto rappresentare una immagine dell'uomo nella sua complessità e contraddittorietà ma si facesse fatica a rappresentarla all'interno di un singolo personaggio. Di qui la scelta di una rappresentazione paratattica, una sommatoria di personaggi più semplici dotati di virtù diverse. Nella rappresentazione dei personaggi l'epica può essere vista come una commistione - o un punto di passaggio - tra due diversi procedimenti letterari. In essa sono presenti anche coppie eroiche ma queste talvolta si scindono e i personaggi acquistano maggiore libertà e complessità, caratteristiche che possono poi perdere quando la coppia si ricompone e i due personaggi tornano ad essere maschere di un più ingenuo teatro dei burattini. La rappresentazione «a due maschere» potrebbe essere collegata alla forma grammaticale del duale mentre la rappresentazione di personaggi singoli più complessi potrebbe indicare il faticoso affermarsi di una grammatica e di una sintassi dell'Ego 9 • Questo passaggio è meglio rappresentato nell'epica di Ghilgamèsh che sembra quasi delineare tre diverse fasi nella formazione del personaggio: Ghilgamèsh come «selvaggio», Ghilgamèsh ed Enkidu come coppia di maschere dialoganti, Ghilgamèsh come personaggio complesso. Rispetto a questo paradigma la rappresentazione di Achille presenta variazioni significative che vanno esaminate più da vicino 10•

9

La formazione dei personaggi sul piano letterario e le sue implicazioni grammaticali sono state oggetto dei lavori di Auerbach [1946) e di acute riflessioni di Steiner [1984, specialmente cap. II]. 10 Useremo di seguito il termine «maschera» nel senso di «elemento parziale di una coppia», coppia che, per certi versi, è il vero personaggio. Con «personaggio» ci riferiremo a figure letterariamente più complesse, capaci di agire come «individui». Per una recente e diversa interpretazione dei personaggi gemelli cfr. Girard [1991].

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J. Odisseo e Diomede, estremo oppostodi Achille, come anticipazionedi una nuova immagine del/'uomo Il completamento di Achille e insieme il suo contrapposto può essere ricercato nella figura di Odisseo con il quale lo abbiamo già visto accoppiato in due citazioni incongrue con il testo 11• È vero che nella nostra Iliade, per ragioni che vedremo, Diomede sostituisce Achille come complementare di Odisseo. Tuttavia tra le due coppie Achille-Odisseo e Diomede-Odisseo esiste pur sempre una parentela letteraria e un termine in comune. La difficoltà potrebbe invece essere nel fatto che Diomede e Odisseo si presentano più come personaggi singoli che come coppia, mentre nella nostra analisi dovremo cercare il completamento di Achille e insieme il suo contrapposto, non in Odisseo in quanto personaggio ma in quanto maschera complementare a Diomede. Per dirla in altri termini: si può gettar luce sul personaggio di Achille considerandolo come opposto e complementare nelle sue qualità a quell'Odisseo che compare in coppia con Diomede. Le diverse qualità di Odisseo e Diomede risaltano bene nell'episodio della spedizione notturna. Quando Diomede uccide Dolone, è Odisseo che si preoccupa di nascondere le armi su un albero mettendo nel contempo dei segni che gli permettano di ritrovarle al ritorno, pur se in corsa e nella notte nera. Ma soprattutto quando giungono tra i T rad dormienti, Odisseo pensa solo a impossessarsi dei cavalli del loro re («Uccidi l'uomo, dice a Diomede. Io penserò ai cavalli») (10/481). E mentre Diomede piomba come leone su greggi incustodite, Odisseo intanto ciascuno che il Tidide colpiva dappresso di s~ada questo Odisseo tirava indietro per un piede afferrandolo preoccupandosi in cuore che i cavalli bella criniera passassero facilmente, non prendessero ombra a montar sui cadaveri. (10/488)

L'accoppiamento, come si vede, non giova ai due perso11

112

Cfr. cap. V, nota 1.

naggi in quanto la loro maggiore caratterizzazione va a svantaggio della complessità: così nella spedizione notturna Diomede è solo un eroe del braccio, mentre Odisseo è solo la rappresentazione di una mente troppo sbilanciata verso le qualità dell'astuzia. Le caratteristiche della maschera di Odisseo appaiono persino eccessive in un'epica che resta legata ad un mondo eroico anche quando ne canta il crepuscolo. Nipote di un celebre ladro, freddo e calcolatore come un mercante, più capace di parlare e di pensare che di combattere, espressione talvolta di un «buonsenso» antieroico e legato alle ragioni del corpo, egli sembra ricollegarsi a figure divine quali Hermes ed Efesto. E come il «meccanico» Efesto, Odisseo viene rappresentato come brutto e impacciato 12, rappresentazione che costituisce per così dire il pedaggio per l'ingresso nell'Iliade ad un personaggio la cui mètis non sembra conoscere il confine del dolo e dell'inganno 0 . Il procedimento analitico che abbiamo adottato conferma e precisa quanto già risultava dal precedente dossier. Achille si qualifica per l'assenza delle qualità della maschera Odisseo: bello e valoroso, egli è solo un eroe del braccio incapace di parlare e di convincere, di prevedere e predisporre, di calcolare e di scegliere. E l'epica lo usa per scatenare il conflitto con Agamennone ma subito dopo lo mette da parte. Per qualche verso il procedimento letterario è ancora più spietato. Separato da Odisseo, Achille diviene il duale di un personaggio come Patroclo, troppo sbiadito per essere la sua maschera complementare. Non adeguatamente sorretto da una figura di segno opposto, Achille è quasi un personaggio, ma un personaggio con caratteristiche di maschera. E con questa sua parzialità, che emerge nel contrasto con la progressiva formazione di personaggi, Achille viene condannato al silenzio. Almeno fino alla sua trasformazione. 12

Si vedano le impressioni e i ricordi di Priamo nel colloquio con Elena alle porte Scee (3/191-224). Questa rappresentazione ritorna nell'Odmea nd battibecco di Odissea con Eurialo, figlio di Alclnoo (OJ .• 8/159) e nelle parole di Polifemo (Od., 9/513). u Cfr. ad es. li .• 3/202.

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Il suo posto viene occupato dal meno arcaico Diomede. Il fronte antagonista di Agamennone è così costituito prevalentemente da Odisseo e Diomede che solo nella Spedizione notturna agiscono come coppia di maschere. Al di fuori di questo episodio essi cominciano a emergere come personaggi, tanto che Odisseo saprà dimostrarsi anche coraggioso, mentre il valoroso Diomede ha già dimostrato di saper anche eccellere per consiglio. Odisseo è colui che ferma la fuga dell'esercito nel secondo canto. Odisseo e Diomede sono ambedue oggetto della rampogna di Agamennone durante la rassegna dell'esercito, rampogna alla quale Odisseo risponderà per le rime (~Tu stai ciarlando al vento!»), mentre la più articolata e complessa reazione di Diomede porrà il problema istituzionale della successiva Assemblea. Ambedue presenti al Consiglio del1'Ambasceria, Odisseo farà parte della delegazione ad Achille, mentre Diomede, fallito il tentativo di accordo, solleciterà nuovamente Agamennone ad un comportamento più consono a quello di un comandante militare. E in un'altra occasione (Consiglio dei Feriti) un analogo rimprovero sarà fatto da Odisseo. Odisseo infine emergerà nella Assemblea della Riconciliazione contestando la procedura a trattativa privata tra Agamennone e Achille e imponendo come alternativa una procedura pubblica. Da un esame del comportamento di Odisseo e Diomede risulta la complessità del loro operare come personaggi: sia accorrendo in difesa di Agamennone o rispettandone l'autorità in momenti difficili, sia rivendicando con forza in altri momenti le prerogative dell'assemblea e il rispetto delle sue procedure. Insomma: il loro farsi carico delle ragioni del comando ha una estensione limitata al tempo e allo spazio del combattimento. Per altri luoghi e altri momenti saranno invocate altre regole: il sovrano non sarà protetto da immunità e dovrà competere faccia a faccia su un piano di uguaglianza. E non solo: il riconoscimento di un dovere di obbedienza in combattimento sarà quello che permetterà ai due di rivolgere ad Agamennone i più fondati rimproveri, richiamandolo a doveri che debbono fare da corrispettivo ai loro. 114

È da questi personaggi che emerge il nuovo modello culturale, alternativo a quello rappresentato dall'Achille maschera, dall'Achille arcaico. La nuova immagine dell'uo• mo implica un equilibrio tra le virtù del thymòs e quelle del nòos all'interno di uno stesso personaggio, equilibrio che Odisseo e Diomede raggiungono partendo da due estremi opposti. Al mantenimento di questo equilibrio, sempre precario e sempre sottoposto ai rischi di una regressione, il politico sarà chiamato a dare un contributo. Tra Odisseo e Diomede resta però una differenza. Od isseo potrà diventare un eroe protagonista, ma solo in un'epica costruita apposta per lui: il poeta avverte che, per ora, nel contesto dell'Iliade, egli è ancora fuori posto. L'Iliade non è più il mondo di Achille ma non è neppure ancora il mondo di Odisseo in cui già vive il poeta che ha potuto pensare il personaggio. Per molti aspetti si potrebbe dire che è il mondo di Diomede14• 4. La sconfitta di Aiace e il sorgere di un nuovo rapporto tra terra e cielo

Il tema della inattualità degli eroi e del loro mondo non è svolto solo con riferimento negativo alla immagine dell'Achille dell'Ira, ma coinvolge anche il personaggio di Aiace Telamonio, il guerriero più valoroso dopo Achille che mantiene con poche eccezioni il suo carattere di gigante arcaico e bellicosou. Se focalizziamo la nostra attenzione sulle due maschere di Aiace e Achille, possiamo leggere, in uno strato del 14

Oltre che come personaggio in cui si compongono qualità diverse, Diomede può essere interpretato come personaggio complesso anche dal punto di vista culturale, più esattamente come «mediterraneo acheizzato». Cfr. Untersteiner (1991, cap. Il]; De Sanctis [1940, cap. I, 217). u A testimonianza del carattere arcaico del personaggio sta la forma antiquata del suo scudo «a torre» su cui cfr. 11/485 e nno9. Aiace è valutato positivamente da Pindaro proprio in quanto valoroso e non oratore (tllkimos ... tlglossos) (Nem. VIII, 24). Nella tradizione raccolta da Sofocle le allucinazioni omicide di Aiace sembrano radicate in un orgoglio smisurato e anarchico: cfr. Steiner [1984, cap. 11].

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palinsesto epico, un conflitto tra arcaico e moderno che vede contrapposti i due eroi con i personaggi di Diomede e Odisseo. Tuttavia è proprio nei Giochi, in cui tale conflitto si esprime al meglio, che Achille è «giubilato»: come ospite e giudice egli viene sottratto al confronto lasciando cosl alla controfigura di Aiace il compito di rappresentare la maschera arcaica. Sull'altro fronte, quello dd moderno, si avverte una certa titubanza verso la mèti's di Odisseo, il che porta a favorire Diomede ndla rappresentazione dell'eroe moderno. Tutto ciò traspare in tre delle otto gare, qudle appunto che vedranno impegnato Aiace T damonio come contendente. La prima è qudla ddla lotta avendo come antagonista qudl'Odisseo «che sa ogni malizia». Si tratta quindi di una competizione tra due eroi affermati, anzi tra due re scettrati che hanno voce in consiglio. Se l'uguaglianza di rango fa sl che la gara non presenti preoccupazioni di carattere politico, la sua tensione più interna e nascosta è proprio nd fatto che la vittoria di Aiace avrebbe il significato di una regressione verso l'arcaico, mentre la troppo vistosa affermazione di Odisseo sconfesserebbe quella complessità che è uno dei nodi problematici dell'epica omerica. Così, sotto il pretesto che la lotta va per le lunghe senza che riescano a prevalere né la forza di Aiace né gli inganni di Odisseo, Achille fa interrompere il combattimento assegnando premi uguali ai due contendenti. In una seconda gara, il duello alla spada, Aiace T damonio è contrapposto questa volta a Diomede. E di nuovo, nonostante la superiorità di Aiace in combattimento sia un dato acquisito, la decisione di Achille - questa volta con il pretesto di non voler mettere in pericolo l'incolumità dei contendenti - è di assegnare la parità (decisione questa che piace agli Achei che l'avevano anche sollecitata) stabilendo però nel contempo una differenza a favore di Diomede. Ndla gara infatti era previsto non solo un premio per il «primo sangue» (un pugnale dalle borchie d'argento), ma anche un'armatura completa che i due contendenti avrebbero ricevuto in comune in caso di esito paritario. Poiché tale è appunto il caso, il primo premio resta libero e Achille può cosl regalarlo a 116

Diomede, un gesto che permette al poeta di manifestare una sua preferenza. Finora Aiace ha pur sempre ottenuto due pareggi. Ma la gara del lancio del disco, per la quale è previsto un solo premio, lo vedrà decisamente soccombente: dopo aver superato due contendenti viene battuto dal terzo il cui lancio termina di molto oltre la cerchia degli spettatori. Il nome del vincitore è Polipete, «colui che sa fare molte cose», qualità che è propria di Odisseo. La sua vittoria del resto somiglia a quella di Odisseo nei giochi di Skerla e a quella che contrapporrà Odisseo allo stesso Aiace nel conflitto per le armi di Achille 1'. Ma il suo appellativo è meneptòlemos, .«colui che resta saldo nella battaglia», qualità che è più di un Diomede. Polipete insomma sembra proprio essere stato costruito come un «Odisseo diomedeico»: una di quelle commistioni di qualità contrapposte con le quali i personaggi prendono le distanze dalle più antiche maschere 17• Nel mondo degli uomini la sconfitta di Aiace è una sconfitta di misura. Ma gli eroi sono ormai abbandonati anche dagli dèi. È infatti alle porte una nuova religiosità in cui il divino non si coniuga più con i valori eroici a loro legittimazione ma per qualche verso si contrappone ad essi quasi a riequilibrare le sorti. Questa situazione traspare in altre due gare. La prima è quella del tiro all'arco nella quale i due contendenti, Teucro 16

Cfr. Od., 8/190 e 11/456. Possiamo sintetizzare l'insieme di queste trasformazioni strutturali nel modo seguente: la coppia pre-iliadica Achille-Odisseo si scinde nelle due coppie Achille-Patroclo e Diomede-Odisseo, dalle quali cominciano ad emergere «personaggi». Poi Achille è sostituito da Aiace e contrapposto a Odisseo, a Diomede e a Polipete. 17

Achille-Odisseo Achille-Patroclo

Diomede-Odisseo

Aiace-------+-1Aiace

Odilseo Diojede

Aiace ---------Polipete

117

e Merione, sembrano essere ugualmente abili nel colpire il bersaglio, una colomba legata con una cordicella all'albero di una nave. Ma Teucro, ostacolato da Apollo, colpisce solo la cordicella mentre Merlone, che aveva promesso al dio una ecatombe di agnelli, viene aiutato a colpire il bersaglio e si aggiudica cosl il primo premio. L'affermazione più esplicita di una nuova religiosità e di un nuovo rapporto con il divino è nella gara della corsa a piedi. Ne sono protagonisti Antiloco, il più giovane, Aiace Oileo, il più veloce dopo Achille, e Odisseo «della generazione più vecchia». L'esito previsto della gara (primo Aiace Oileo, secondo Antiloco, terzo Odisseo) viene sconvolto fin dall'inizio quando Odisseo supera Antiloco e, sostenuto dal favore del pubblico, tallona l'Oileo. Per superare anche questi, Odisseo invoca l'aiuto di Atena la quale interviene facendo scivolare il concorrente sullo sterco di buoi («di fimo di buoi si riempl le narici e la bocca») e permettendo cosl a Odisseo di aggiudicarsi il primo posto. Gli esiti delle due gare sono, come si vede, strettamente connessi a un intervento divino su invocazione umana. Nello stesso senso vanno le parole che il giovane Antiloco pronuncerà al termine della corsa con i carri (dove un infortunio ha messo fuori gioco il favorito Eumelo): «Se ha avuto danno pur essendo abilissimo doveva pregare i numi e non sarebbe arrivato ultimo in gara». Insomma, la reverenza verso gli dèi (ma il concetto potrebbe essere meglio espresso dal termine virgiliano di pìetas) può modificare l'esito degli eventi quale sarebbe sulla base del valore individuale. È forse eccessivo parlare di un abbandono degli dèi. Ma è certo che un modo diverso e più individuale di rapportarsi al divino prende forma nel momento in cui il sacro (si ricordino le parole di Nestore ad Agamennone) non è più dato per scontato: né i re né gli eroi possono ormai più vantare di avere nel cielo le loro esclusive e indiscusse radici. 5. Il politico e il superamentodell'antropologiaeroica Con il modello rappresentato da Odisseo e Diomede 118

siamo ormai ben lontani da qudl' Achille la cui ira apre il racconto ddl'Iliade. Il termine usato per l'ira era menis, collegato al verbo maìnomai che ha il significato più generale di «essere posseduto» (dall'ira ma più in generale dalle passioni, dal thymòs). Una situazione documentata anche per Agamennone 18, ma che a ben guardare vale per lo stesso Ettore quando, nella esaltazione della battaglia a lui favorevole, respinge il consiglio di Polidàmante. Una parte della letteratura che si è occupata ddl'epica omerica (Snell, Dodds, Murray) ha messo in rilievo questa contraddittorietà interna tra le due diverse virtù che sembra talvolta espropriare l'uomo omerico della titolarità del suo Io. Senza contestare questa lettura, la nostra indagine ci porta a collocare questa immagine dell'uomo in una luce diversa vedendovi anzitutto una critica del dominio, o del predominio personalizzato, di Agamennone ma anche di Ettore e dello Zeus «prepotente». Una antropologia quindi con valore prescrittivo e strettamente connessa alla problematica politica. Sul piano antropologico il punto di partenza dell'indagine omerica si può riassumere nella constatazione che, se la congiunzione di qualità contrapposte è problematica, la loro disgiunzione è deleteria. Di qui il modello di una immagine dell'uomo più complessa che si esprime in aggettivazioni bipartite quali «eroe e consigliere», «valoroso in guerra e bravo in consiglio», «eccellente nel valore e nel giudizio, nel braccio e nella parola». Da questa premessa discendono due possibili linee di sviluppo. La prima ha carattere pedagogico: questa unitarietà, insieme difficile e necessaria, si presenta come innaturale e deve essere garantita a partire dall' artificio educativo. Il riferimento più esplicito è ancora ad Achille, affidato al tutore Fenice quando nulla sapeva «di guerre e di assemblee» (polemòio, agoreòn) perché facesse di lui un buon parlatore ed un operatore di opere (mìthon rhèter, prektèra ergòn). L'opera di Fenice sarà però senza successo e Achille resterà per quasi tutta l'epopea un eroe parzia11

Come riconosce lo stesso Agamennone nell'Assemblea della riconciliazione. Cfr. in particolare 18/85-90, 137.

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le, incapace di compensare le virtù del thymòs con quelle del nòos e di riconoscere che esistono un luogo e un tempo della spada che devono restare disgiunti da un luogo e da un tempo della parola. Ma con questo siamo già nella seconda linea di sviluppo della riflessione omerica, una linea di sviluppo che conduce direttamente a una problematica politica. Infatti la possibilità di fallimento antropologico cui vanno incontro personaggi come Achille, Ettore e Agamennone rende debole ogni struttura politica che si affidi alle qualità personali o al trattamento pedagogico del detentore del potere. Una soluzione diversa sarà allora quella di ricercare una nuova e più complessa unità non (o non soltanto) all'interno degli individui ma all'interno di un nuovo soggetto collettivo in cui le diverse virtù possano avere luoghi, tempi e regole per esprimersi, confrontarsi e articolarsi. Non si tratta, si badi bene, di procedere a stratificazioni sociali o a specializzazioni funzionali, come avverrà più tardi in Platone, ma di creare condizioni capaci di valorizzare diverse virtù, luoghi in cui «l'uomo», di cui si riconosce la complessità, possa essere «diversi uomini», esprimendo in momenti differenti le sue diverse qualità. Partendo dal dominio l'antropologia omerica riconduce così alla politica. Se al di fuori della polis potranno continuare ad esistere figure selvagge «alla Achille», le istituzioni della città potranno e dovranno garantire dall'esterno la precarietà di una immagine dell'uomo più complessa attraverso l'imposizione di regole differenziate («in guerra si obbedisce», «in assemblea non si sfodera la spada ma si gareggia con parole», «in consiglio si cercano soluzioni ai problemi», «sono necessari momenti di comando in pace ma anche momenti di discussione in guerra» ...). Non, o non solo, pedagogia per la politica ma il politico come pedagogia. Non, o non solo, una immagine dell'uomo come prescrizione a difesa del politico, ma il politico come difesa di una nuova immagine dell'uomo. Pòlis àndradidàskei,la città fa l'uomo, canterà Simonide. Le sue istituzioni, rincalzerà Tucidide nel discorso di Pericle su Atene «fanno sì che noi siamo gli stessi tanto nell'osare che nel ponderare, evitando così sia la scon120

sideratezza che la indecisione» 19• Insomma, spetta ormai al sistema politico il compito di allargare i confini ddla natura interna e di dare ordinamenti alle altre sfere ddla vita2°.

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Tucidide, II, 40, 3. Si noti l'analogia tra le due diverse virtù, con le loro degenerazioni, e quanto emerso dall'esame della struttura sociale troiana (cfr. tab. 2). 2 ° Cfr. Habermas [1971a, trad. it. 1973, 170]; Elster [1986], che rivaluta il concetto di politica come trasformazione dei partecipanti contrapponendo il «foro» al «mercato»; Crick [1964] che considera la politica come attività sociologica complessa con la funzione antropologica di conservare una comunità divenuta troppo complessa; Pizzomo [1983] che propone l'identità come problema politico.

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CAPITOLO SETI1MO

L'ACHILLE DEI GIOCHI E LA PROSPETIIV A ARISTOCRATICA

1. Le due città delle Scudo come «manifesto» del riemergere di Achille

Attraverso l'intreccio del dominio di Agamennone con le istanze avanzate dal terzetto costituito da Diomede, Nestore e Odisseo si era concluso il primo percorso della narrazione epica. Il percorso assumeva come punto di partenza il dominio per poi articolarlo con una componente comunitaria e, così facendo, indicava in questo alfabeto diadico, assunto nell'ordine, gli elementi per costruire alcune delle variegate forme del politico. Ma, come abbiamo già anticipato, all'estremo finale dell'opera l'affresco dei Giochi per Patroclo appare come una storia parallela: non solo Achille, difensore dell'ideologia comunitaria, è innalzato al rango di figura sovrana alternativa ad Agamennone, ma lo stesso Agamennone appare ormai come semplice comparsa e avviato al declino. La critica è unanime nel giudicare questi materiali di composizione più tarda rispetto a quelli rifusi nelle vicende dell'Ira, ma non è questo il tipo di considerazioni che qui ci interessa. Ci interessa invece sottolineare come, nonostante le indubbie fratture nella rappresentazione e nei materiali, esistano tuttavia indubbi elementi di continuità o almeno di collegamento. Tali elementi appariranno più chiari se supereremo lo strato letterario del testo - all'interno del quale la nuova immagine di Achille può sembrare uno svolgimento infelice - per seguire la narrazione sul piano più profondo del suo senso politico. Accettando la lettura dell'Assemblea dell'Ira come confronto tra due diversi approcci al problema dell'ordine poli123

tico, dobbiamo riconoscere che lo svolgimento del disegno di Achille era rimasto sacrificato. È allora quasi una esigenza della struttura narrativa il fatto che la ricomparsa di Achille - in una veste per la quale abbiamo suggerito l'omologia con il re Artù dell'epica cavalleresca - debba anche implicare il completamento delle argomentazioni da lui avanzate in un primo tempo nell'Assemblea dell'Ira. In quella occasione il limite del discorso di Achille risultante sia dalle controargomentazioni di Agamennone sia da quanto poi emerge da altri passi dell'epica - era l'eccessivo rilievo che nella sua visione assumevano le virtù eroiche, più adatte alla guerra che alla pace. Ma una elaborazione più articolata, con esplicito riferimento alla distinzione pace/ guerra, cdmpare al canto diciottesimo, rappresentato in quello che può ~sere considerato il suo manifesto politico. Ci riferiamo alle due città rappresentate nello scudo che Efesto prepara per permettere ad Achille- rimasto senza armi dopo la morte di Patroclo - di rientrare in scena. Delle «due città, belle, degli uomini» l'una è in guerra e l'altra in pace ma, con una ulteriore bipartizione, ognuna di esse viene rappresentata sia in situazione di accordo che di conflitto. Ne risultano quattro quadri: quello di una festa nuziale e di una lite giudiziaria per la città in pace, quello di un'assemblea di eserciti e di un combattimento per la città in guerra. TAB.

4. Le due città dello scudo Pace

Guerra

Accordo

Festa nuziale (491-496)

Assembleadei due eserciti per trovare un accordo (509-512)

Conflitto

Lite con ricorso ad arbitrato (497-508)

Agguato e ripresa delle ostilit~ (513-540)

La scena della lite giudiziaria merita di essere esaminata testualmente: V'era del popolo nella piazza raccolto: e qui una lite sorgeva: due uomini leticavano per il compenso 124

d'un morto; uno gridava d'aver tutto dato, dichiarandolo in pubblico, l'altro negava d'aver avuto: entrambi ricorrevano al giudice 1, per avere sentenza, il popolo acclamava ad entrambi, di qua e di là difendendoli; gli araldi trattenevano il popolo; i vecchi sedevano su pietre lisce in sacro cerchio, avevano tra mano i bastoni degli araldi voci sonore, con questi si alzavano e sentenziavano ognuno a sua volta; nel mezzo erano posti' due talenti d'oro, da dare a chi di loro dicesse più dritta giustizia.

Questo, insieme alla festa nuziale, nella città in pace. Nella città in guerra, mentre i due eserciti discutono - e «doppio parere piaceva tra loro: se tutto distruggere o se dividere in due con la città» 2 - gli assediati attuano una sortita: [ ... ] s'armavano per un agguato. Il muro, le spose care e i piccoli figli difendevano impavidi, e gli uomini che vecchiaia spossava; gli altri andavano, Ares li conduceva e Pallade Atena, entrambi d'oro, vestiti d'oro vestivano, belli e grandi con l'armi, come dèi visibili d'ogni parte; gli uomini erano più piccoli.

In tutte e quattro le scene è assente ogni struttura di comando. Possiamo interpretare la prima - la festa nuziale nel senso che la base della società è vista nei rapporti intercomunitari sviluppati sulla base di matrimoni e lignaggi a scapito dell'altra strategia dell'autorità costituita'. Nella 1

La traduzione più adatta sarebbe forse quella di «arbitro», in analogia con 23/486. Cfr. meglio la nota seguente. Per una interpretazione del passo si tengano presenti le riflessioni critiche di Aristotele sulle pronunce di giudici a cui viene impedito di conferire tra di loro con il risultato che il giudizio si trasforma in semplice arbitrato, vincolato quindi alla domanda delle parti (Politica, 1268 b). 2 Per un altro riferimento a questa prassi, cfr. 22/117. Quanto al «doppio parere» cfr. Od., 3/150 e 3/161. In un certo senso anche Od., 24/ 463, dove però i dissenzienti si allontanano alla spicciolata. ' Cfr. Sahlins [1972, trad. it., 1980, 138). Anche al di fuori delle «due

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seconda scena - quella giudiziale - il «dire la giustizia» è presentato come un «dire la tradizione» che come tale non richiede magistratura ma semplice «scabinato» e deve essere riconosciuta dal pubblico•. Ma una figura di comando manca anche nelle due scene della città assediata. Non se ne fa cenno per i due eserciti (dove anzi il lungo disquisire che rende possibile l'iniziativa degli assediati farebbe pensare al contrario) e la stessa sortita degli assediati è guidata non da un comandante ma da due divinità a simboleggiare con la loro presenza l'assenza di un comando stabile ritenuto non necessario e quindi sublimato simbolicamente. Complessivamente insomma le due città sono caratterizzate dalla assenza dei «due poteri. .. specificamente politici e cioè la sovranità militare e il potere giudiziario»'. Con questa scena l'opzione politica di Achille riceve la sua più plastica rappresentazione come visione antitetica a quella di Agamennone. Fondata metaforicamente su schemi di affratellamento piuttosto che su quelli di affiliazione, essa si colloca in quella prospettiva che, per riprendere lo schema weberiano del mondo antico, ha come suo sbocco la polis aristocratica. 2. La differenziazione tra «àgon» e «agorà»e le sue implica1.zonz

Sul piano letterario è certamente stridente vedere un personaggio come Achille, incapace di un duello leale del tipo di quello tra Ettore e Aiace, presiedere i Giochi, siano pur essi dedicati alla memoria dell'amico. Non c'è dubbio: l'Achille dei Giochi è un personaggio differente rispetto all'Achille Arcaico, quello dell'Ira, dei sacrifici umani, città», nelle rappresentazioni dello scudo, c'è un solo riferimento a un basilèus ma esso è esclusivamente visto nelle funzioni interne al suo tèmenos (appezzamento di terra assegnatogli dalla comunità). 4 Cosl Weber nella sociologia giuridica [1922, trad. it. 1961, voi. II, 141, passim]. Ma cfr. anche ibidem (pp. 582 ss.), a proposito della «città dell'Occidente». Si veda anche quanto sarà detto più avanti a proposito del «giudizio» che conclude la corsa con i carri durante i Giochi per Patroclo. 5 Weber [1922, trad. it. 1961, voi. II, 323].

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dello scontro con Ettore e dello scempio dd suo cadavere. I Giochi si pongono come spartiacque tra le due immagini, quasi che all'agonismo fosse demandato il compito di redimere il versante oscuro ddl' anima eroica. Istituzione tipicamente dlenica', la fondazione ddl'agone è attribuita a Teseo, un «Pericle ddl'antichità» 7 che inventò l'arte ddla lotta mentre prima di lui «era solo questione di forza bruta»'. «Effettivamente - scrive Plutarco - pare che a suo tempo vivessero uomini che per destrezza di mani, vdocità di gambe, forza di muscoli e resistenza alla fatica superavano la natura consueta [. ..] Essi [. ..] sfruttavano la loro forza per azioni sdvagge e feroci, soggiogavano, maltrattavano e sterminavano chi cadeva ndle loro mani. Il rispetto, la giustizia, l'equità e la umanità [...] non riguardavano chi aveva la forza per imporsi»'. L'agone pone regole al conflitto, divenendo cosl una istituzione politica. Possiamo immaginare che in una forma forte, una forma che presumibilmente sarebbe stata congeniale ali' Achille arcaico, i giochi si presentassero come una guerra in tempo di pace e come tali avessero anzitutto la funzione di stabilire delle gerarchie sulla base di qualità giovanili come la forza e il coraggio. Possiamo anche immaginare che il loro esito avesse un'influenza sulla struttura politica e sociale, sia decretando l'ascesa di nuovi valorosi che nd rimettere in causa posizioni acquisite. Questa funzione dei giochi poteva 6

Lo si ricava a contrario da Erodoto 11/91 ma anche dalla Anacarsi di Luciano. L'agonismo in quanto istituzione ellenica, è una «scoperta» di Burckhardt (1902, parte VIII, cap. II], per una valutazione della quale si veda anche Momigliano (1984, 410 ss.]. Sul tema «Agone omerico» si tengano anche presenti le considerazioni di Nietzsche, in particolare Saggeua dei Greci in Umano troppo umano (n. 226). Ma si vedano anche in Crepuscolo degli Idoli le riflessioni sul nuovo agonismo legato alla pratica della dialettica socratica (p. 66). Più in generale si veda la voce Agonismo della Enciclopedia Einaudi [Ghirelli 1977), nonché Cazeneuve (1967). 7 Cfr. Vlachos (1974, 214). Alla iniziativa di Teseo è anche attribuito il sinecismo da cui sorge Atene (cfr. Tucidide, 11/15/2). Teseo è anche citato nell'Iliade ma probabilmente per interpolazione successiva: cfr. Rossi (1979, 96). a Pausania, Descrivone della Grecia, l/39/3. Su questo aspetto cfr. ancora Nietzsche, L'eroico, in Umano troppo umano, (n. 337). ' Plutarco, Vita di Teseo, Vl/9.

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essere panicolarmente imponante quando, alla mone di un eroe, si doveva colmare, attraverso una selezione di carattere agonistico, un posto reso vacante. Due esempi ddla rilevanza politica ddl' agone ci provengono dall'archeologia. Il primo, dal frontone orientale dd tempio di Zeus a Olimpia, è la storia dell'acheo Pèlope che sconfigge il re ètolo Enomao ndla corsa dei carri, lo uccide e diviene re al suo posto. Il secondo è la potenza, e successivamente il culto, ddl'atleta Teagene ndl'isola di Taso, dove - probabilmente in occasione di una rivolta democratica l'effige di questo vincitore di Olimpiadi viene addirittura a sostituire qudla del fondatore della città. In questa forma fone àgon e agorà coincidono. Un secondo passo potrebbe essere stato la loro differenziazione sulla base delle stesse motivazioni testimoniate da un frammento di Senofane (VI sec.): «Se fra i cittadini c'è qualcuno valente come pugile, forte odia lotta o vdoce nella corsa, non per questo la città vivrà odia giustizia». L'epica anticipa questo passaggio, questo «non è così» (o «non è più così» o anche «non deve essere così»). Nei Giochi esso è rintracciabile in due gare di segno opposto: quella in cui si permette la partecipazione di un «plebeo», in contrasto con il carattere nobiliare ddl'istituzione, e quella in cui si frappongono ostacoli alla panecipazione di Agamennone, ad evitare il contrasto tra stratificazione politica e classifica agonistica. La prima è la gara di pugilato in cui di fronte ad Eurialo, eroe pari a un dio e protetto di Diomede, si presenta, come spavaldo contendente, un certo Epeo. Gagliardo e arrogante, egli è sicuro di vincere la mula messa in palio, come infatti avverrà. Ma, come egli stesso dice, «forse non basta che in guerra non sono tra i primi? Del resto non può un uomo avere esperienza di tutte le cose». La massima non potrebbe essere pronunciata se non da un Epeo, poiché stride con altri passaggi dell'epopea. Ma in questo contesto essa significa altro: il voler stabilire una differenza tra la semplice forza e un più complesso concetto di valore, il che significa anche voler rinnegare le conseguenze politiche originariamente connesse all'istituzione dei giochi. 128

Per meglio interpretare l'episodio possiamo leggerlo in paralldo con quello di Tersite nell'Assemblea della Prova. Epeo, questo «Tersite del muscolo» non verrà ridotto al silenzio come Tersite in assemblea. Ma nel momento in cui gli si rende possibile l'accesso ai giochi, si sminuisce anche la portata ddl' agonismo sulla struttura politica e sociale. Il vincere, soprattutto in certe gare, può essere solo una questione di «forza» e l'emergere di un Epeo nell'agone non deve comportare automaticamente la possibilità di affermazione di un T ersite in assemblea. Lo stesso problema viene esaminato da un punto di vista opposto quando, alla gara del giavellotto, si presenta come contendente nientemeno che Agamennone, colui che è «più re degli altri», avendo come antagonista il capo cretese Merione, aiutante di Idomeneo. La sconfitta di Agamennone, ma anche il suo stesso porsi alla pari con un altro contendente, sarebbe stata possibile solo in una struttura eroica e agonistica ideale che non è il quadro di riferimento dell'Iliade: e infatti Achille gli propone e quasi lo scongiura («se tu vuoi nel tuo cuore: quanto a me te ne prego») di prendersi il primo premio senza gareggiare, soluzione che Agamennone accetta. Ed evidentemente anche Merione.

3. Le vicende della Corsadei Carri Nell'insieme dei Giochi, la Corsa dei Carri è l'episodio narrativamente più argomentato. Essa infatti non soltanto rappresenta con ricchezza di particolari le ragioni che sottendono la scissione tra agoràe agone ma raccoglie tutti gli spunti critici emersi nei riguardi dello svolgimento del1'Assemblea dell'Ira, presentandosi come inversione e parodia degli eventi da cui l'epica aveva preso le mosse. Nella logica del testo essa è la prima delle gare in onore di Patroclo ed è anche la gara più ricca di eventi e di dettagli, tanto da coprire con i suoi quattrocento versi due terzi dello spazio riservato ai Giochi. Nella logica dei Giochi è la gara in cui la prestanza fisica è praticamente soppiantata da qualità di altro tipo e addirittura da componenti casuali e da elementi 129

tecnologici: astuzia e abilità ndla guida, possesso di buoni cavalli, solidità dei carri ndle loro varie componenti. Nell'intreccio, in cui il personaggio di Antiloco ha un ruolo centrale, compaiono passi come il discorso di Nestore ad Antiloco sull'astuzia, la ribdlione di Antiloco alle decisioni di Achille, la disputa tra Antiloco e Mendao, l'omaggio di Achille all'anziano Nestore. L'esordio della gara dei carri è anche l'esordio di tutti i Giochi. Appena terminati i riti funebri in onore dell'amico, Achille trattiene gli eroi che erano venuti per le esequie e li fa sedere in «largo cerchio» disponendo al centro ricchi premi per i vincitori. In piedi, rivolgendosi ali' Atride e a tutti gli Achei, dichiara che non prenderà parte ai giochi per tener fede alle ragioni dd cordoglio, anche se sarebbe risultato senz'altro vincitore ndla corsa con i carri (per la quale dispone dei migliori cavalli, dono di Poseidone) ma anche, come si deduce dall'dogio che gli rivolge Antiloco, ndla corsa a piedi10.Le motivazioni sembrano tradire un disagio per un comportamento in contrasto con le regole forti dei giochi e il proseguimento della vicenda si svolgerà a dimostrazione che a questo privilegio dovrà far fronte un corrispettivo ndle funzioni da assolvere e nei limiti da rispettare. Alla gara si iscrivono cinque partecipanti: Eumdo, che eccdle con i carri ed è il favorito; Diomede il gagliardo (krateròs); Mendao, «discendente di Zeus»; Antiloco, «splendido figlio dd magnanimo Nestore»; Merione, l'aiutante del cretese Idomeneo che già si era proposto ndla «gara mancata» con Agamennone. Subito prima ddla gara è il discorso di Nestore al figlio Antiloco: «Pur giovane sei amato da Zeus e Poseidone; hai più abilità (mètis) degli altri ma i tuoi cavalli sono più lenti: usa quindi tutta la tua abilità e tutte le tue astuzie (kèrdea)». E aggiunge: Per arte [mètis] più che per forza il boscaiolo eccelle con l'arte il pilota sul livido mare In un'altra occasione, nei giochi di Skerìa nell'Odissea, sarà avanzata un'altra motivazione, quella secondo cui non è bene combattere contro l'ospite. Cfr. Od., 8/208. 10

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regge la rapida nave squassata dai venti per arte l'auriga può superare l'auriga. (23/315) 11 Estratta a sorte la posizione, la gara prende l'avvio. A metà della corsa Eumelo risulta precedere sia pure di poco Diomede. Apollo, che qui interviene di sua iniziativa, fa in modo che Diomede perda la frusta sollecitando così l'intervento contrapposto di Atena che restituisce la frusta a Diomede e rompe invece il giogo dei cavalli di Eumelo. Antiloco, forse forzando l'interpretazione dei consigli paterni, taglia la strada a Menelao per precederlo in uno stretto passaggio costringendolo così a rallentare. Menelao protesta, lo aggredisce chiamandolo pazzo e insensato e anticipa che a fine corsa lo costringerà al giuramento: ma ormai è lui a dover tallonare Antiloco che lo ha superato. Intanto tra il pubblico nasce un contrasto tra Idomeneo (che crede di riconoscere in Diomede il primo in dirittura d'arrivo) e Aiace Oileo. Ne segue uno scambio di insulti («Tu non sei certo il più giovane, dice l'Oileo a Idomeneo, ma cianci sempre. E non è bene: altri sono migliori di te») ma la lite sarà saggiamente placata sul nascere da Achille che qui si presenta, come già Agamennone nella Assemblea della Riconciliazione, nelle vesti di un presidente: «Non sta bene (epèi oudè èoike), sedete tranquilli nell'agone e aspettate l'esito così saprete chi ha vinto e chi no». Giungono i cavalieri: primo Diomede (che «va a prendersi» il premio); secondo Antiloco; terzo, per un soffio, Menelao; quarto Merlone, che aveva i cavalli più lenti e valeva meno come auriga; ultimo, tirando a mano il carro, Eumelo. Comincia qui il primo incidente della premiazione. Achille propone di dare il secondo premio (una cavalla) allo sfortunato Eumelo, «il migliore a guidare i cavalli». Ma la proposta, pur approvata da tutti gli Achei, non piace ad Antiloco che, adirato, «si alza in piedi» e risponde ad Achille: O Achille, m'adirerò molto con te se tu darai compimento a questa parola; vuoi togliermiil premio, questo pensando 11

Per una discussione su questo passo cfr. Detienne e Vernant (1974, cap. I].

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che ha avuto danno al carro è alle cavalle veloci pur essendo abilissimo? Ebbene, doveva pregare i numi: e non sarebbe arrivato ultimo in gara. Se poi lo compiangi e t'è caro al cuore hai nella tenda molto oro, hai bronzo e greggi, e schiave e cavalli unghie solide dagli pure un premio più grosso prendendolo di là e subito adesso, che gli argivi ti lodino. Ma questa non gliela dò: si batta per essa chi tra i forti è costretto a lottare con me. (23/.543) La sfida di Antiloco a una giustizia delle armi è forte e pronunciata con toni aggressivi. Ma inaspettatamente «sorrise Achille glorioso piede rapido» e decide di accogliere la sua proposta consegnando (en khersì tìthemz) ad Eumdo non il premio in palio, che le regole sottraevano ormai alla disponibilità di Achille, ma un nuovo premio. Tutto sembrerebbe ormai risolto e Antiloco sta già per prendersi il secondo premio quando Menelao, ancora amareggiato per la sconfitta, «si alza tra loro» mentre l'araldo gli pone in mano lo scettro e comanda il silenzio. Dopo aver definito Antiloco «saggio una volta», ma che ora «ha avvilito la sua bravura», si rivolge ai capi e condottieri degli argivi (eghètores kai mèdontes) invitandoli a giudicare tra loro due imparzialmente attraverso una procedura arbitrale (en mèson am/otèroisi dikàssein) affinché non si possa dire che egli si è preso il premio con la forza in quanto superiore per potenza e valore. Poi, quasi ripensandoci, aggiunge: Anzi, darò il giudizioio stesso [dikàso] e nessuno ti dico avrà da ridire fra i Danai perché sarà retto [ithèiaèstai]. Vieni qui, Antiloco, alunno di Zeus, come è d'uso [è thèmis estì]

dritto davanti al carro e ai cavalli, e la frusta flessibile prendi in mano, quella con cui guidavi e toccando i cavalli,per Ennosigeoscuotitoredella terra giura che non impedisti il mio carro volutamente e con dolo. (23/.581) Questo passo è stato oggetto di molta attenzione da parte degli storici del diritto antico. Ma ciò che è rilevante ai nostri fini non è tanto il problema della eventuale coesistenza

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di una procedura più moderna accanto a una più arcaica che non a caso fa riferimento a Poseidone - quanto la differenza tra una procedura in cui eghètores e mèdontes arbitrano o addirittura giudicano, e una procedura limitata ad un giuramento liberatorio che non richiede giudici di alcun tipo. Nella scdta è possibile vedere non tanto una critica verso il fenomeno dei giudici che «allontanano la giustizia» (16/388) quanto piuttosto una resistenza alla statizzazione della giustizia 12• In ogni caso è qui da rilevare che è con riferimento a questa procedura più sacrale ma anche più «comunitaria» che viene usata la formula è thèmis estì. La richiesta di giuramento mette in difficoltà Antiloco costringendolo ad una marcia indietro: Aspetta, io sono molto più giovane [neòteros] di te, sire [anax] Menelao, e tu maggiore e più forte fpròteros leai arèion]. Tu sai quali sono gli eccessi di un giovane rapido è il suo pensiero ma il senno è sottile. Abbia pazienza il tuo cuore: te la darò di mia mano la cavalla che ho vinto [ ...] (23/.587)

Come già era avvenuto tra Achille e Antiloco, il cuore (thymòs) di Menelao «si disfece come rugiada al sole»: Antiloco, ecco debbo cedere nella mia collera! Mai sciocco o stordito tu fosti in passato: oggi la gioventù ha vinto il senno. Però in futuro evita questo, d'ingannare i più forti [amèinonas]. (23/602)

Menelao prende così il terzo premio, Merione il quarto. Resta un premio non attribuito che Achille va a consegnare a Nestore: 12

Per una breve rassegna su «diritto e prediritto» cfr. Gernet [1968, cap. III]. Si veda anche Havelock [1978, cap. VII]. La resistenza alla statizzazione della giustizia è stata messa in rilievo da Finley [1985, trad. it. 1987, 154 ss.] sulla scorta del già citato lavoro di Gemete in confronto alla sociologia del diritto di Weber. Secondo una diversa interpretazione, il doppio procedimento giudiziario potrebbe essere legato alla distinzione tra vari tipi di norme rilevata dall'antropologia giuridica. Per una rassegna sul problema si veda Gil [1979].

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E questo premio io te lò do così: tu non dovrai far pugilato né lotta non farai prova di lancio, né correrai sui piedi: la dura vecchiaia t'affligge! (23/620)

A questo premio fuori concorso Nestore commosso ringrazia e, con una ddle sue reminiscenze senili, ricorda il suo valore e le glorie di un tempo. La pazienza con cui Achille «ascolta sino alla fine» conclude il ricco episodio ddla Corsa dei Carri. 4. La dire1.ione dei Giochi come rovesciamento critico dell'Assemblea dell'Ira

All'insieme di queste vicende agonistiche si accompagnano una serie di analogie e permutazioni che devono ora trovare una spiegazione. Su alcuni aspetti di questo gioco letterario che emergono in altre gare ci siamo già soffermati: l'analogia tra Epeo e Tersite, la sostituzione dell'Achille dell'Ira con Aiace e qudla di Odisseo con Polipete. Nella Corsa dei Carri le intenzioni prescrittive sono affidate soprattutto alla collocazione di Antiloco nd ruolo che fu qudlo ddl'Achille ddl'Ira e ndla sostituzione di Agamennone con questo Achille dei Giochi. Si considerino ancora gli incidenti nella premiazione della Corsa dei Carri. Antiloco interpreta la decisione di Achille (che pure aveva il consenso ddl' Assemblea) come un eccesso di potere. L'attribuzione dei premi non è nei suoi poteri. Come già nell'Assemblea della Riconciliazione i premi sono «messi nd mezzo» all'inizio della gara e i vincitori «vanno a prendersdi» sotto gli occhi della comunità riunita. Ciò che Achille può consegnare di persona è solo ciò che avanza (come nd caso dei premi a Diomede o a Nestore) oppure, secondo il suggerimento di Antiloco, un nuovo premio". Anche Achille nell'Assemblea ddl'Ira aveva sostenuto qualcosa di simile ma, contro Agamennone, nulla avevano potuto le sue obiezioni. Invece nella Corsa dei Carri le anau Cfr. Detienne (1967, cap. IV].

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TAB. 5. L'Asse111blea dell'Ira e la Corsadei Carri

ASSEMBLEA DELL'IRA LE QUALITA' DEL Ad Achille, che qui si fa sostenitore di una morale eroica, Agamennone ribatte che il dominio non ha bisogno di giustificarsi con qualità naturali come il valore. Esso è una situazione di fatto che alimenta ed è alimentata dal consenso passivo.

CORSA DEI CARRI BUON SOVRANO Nella direzione di questa gara il valoroso Achille dimostra di saper essere anche saggio e aperto alle critiche. Ciò è in conformità con lo svolgimento di altre gare che vedranno la parità nella lotta tra Odisseo e Aiace (e quindi tra le qualità della prudenza e del valore, che essi rappresentano), nonché l'emergere di nuove qualità socialmente apprezzate.

PUBBLICO E PRIVATO Nel rivendicare il diritto a un comI premi offerti da Achille sono posti al centro e lo svolgimento delle penso a spese di qualcun altro in camvicende è teso a dimostrare che bio della restituzione di Briseide, Achille, anche volendo, non ne ha Agamennone disconosce il carattere più la disponibilità: Diomede «ancostitutivo delle procedure che handrà a prendersi» il premio e Antiloco no trasformato il bottino da pubbliotterrà il riconoscimento dei suoi co (quando è posto al centro del cerdiritti. I premi consegnati penonalchio dei guerrieri) a privato. mente da Achille sono o quelli rimasti disponibili o nuovi premi. ACCUMULAZIONE E REDISTRIBUZIONE Nella messa a disposizione dei Con il suo comportamento Agapremi (e del premio aggiuntivo come mennone dimostra di essere non solo proposto da Antiloco) Achille dimoprepotente ma anche avido (una castra la sua generosità. Sul piano delle ratteristica questa che emerge anche obbligazioni reciproche, l'accumulada altri passi). Questo tratto persozione riconosciuta al «buon sovranale si collega a una concezione seno» trova una sua giustificazione nella condo la quale il diritto di prelazione rimessa in circolazione di una parte è un privilegio del dominio a cui non dei beni. deve corrispondere alcun obbligo di controprestazione. COMANDO E DISCUSSIONE Achille si pone in posizione di Agamennone vuole dominare l' Asterzietà con le funzioni di garante semblea decidendo anche contro tutdello svolgimento delle gare (conflitti. Nella sua visione c'è solo una Asto Antiloco-Menelao) o di mantenisemblea che deve acclamare le sue mento dell'ordine pubblico (lite tra proposte. Non è lecito rivolgersi al sovrano parlandogli alla pari (o Mfac- Idomeneo e Aiace Oileo). Nonostante ciò Menelao preferisce un giuramencia a faccia"). La aggressione verbale tò liberatorio a una soluzione giudi Achille determina un contrasto diziale. insanabile a cui fa seguito una seAlla aggressione verbale del giocessione. vane Antiloco Achille sorride e gli dà ragione. Alle scuse di Antiloco Menelao cede «come rugiada ala sole».

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loghe obiezioni di Antiloco che difende il «suo» premio verranno prese subito in considerazione. La norma verrà così riaffermata insieme all'altra secondo cui deve essere possibile, almeno ad alcuni e in alcune occasioni, non limitarsi al consenso passivo ma alzarsi di fronte al sovrano e «parlare alla pari» con lui. Ma al di là delle sue ragioni, l'atteggiamento di Antiloco è di sfida aperta, è un «chi vuole il mio premio dovrà passare sul mio cadavere»: una sfida addirittura maggiore di quella di Achille nel primo canto che si era limitato a minacciare e ad attuare una secessione, ma non aveva poi contrastato l'esecuzione della decisione quando gli araldi erano venuti a prendere Briseide. Facendo i debiti confronti, ci si sarebbe potuto aspettare un conflitto almeno pari a quello dell' Assemblea dell'Ira del primo canto. Ma la variazione più significativa è proprio qui, in questo Achille che sorride e dà ragione al contestatore visto non come suddito, ma come amico e socio (filos etàiros). Nel secondo incidente della premiazione della Corsa dei Carri, Antiloco deve scontrarsi con quel Menelao che lo stesso figlio di Nestore definisce con le tre qualifiche di «sovrano», «maggiore di età» e «più valoroso» (una situazione di fatto, una qualità eroica come il valore e i diritti della anzianità). Dunque una asimmetria di posizione che pone il conflitto tra Antiloco e Menelao sullo stesso piano di un conflitto tra un guerriero e il suo re. Il comportamento di Antiloco in questo caso è l'opposto del precedente: egli porge a Menelao le sue scuse («Abbia pazienza il tuo cuore ... Ti restituirò il premio») alle quali, come abbiamo visto, il cuore di Menelao «si scioglie come rugiada al sole» inducendolo a rinunciare al premio rivendicato. E così facendo anche Menelao si comporta da «anti-Agamennone» verso un Antiloco che, scusandosi, si comporta da «anti-Achille». In sintesi: negli incidenti della premiazione ad un atteggiamento regale che è sempre l'opposto di quello di Agamennone nel primo libro (un Achille comprensivo che sorride e dà ragione, un Menelao che pur convinto delle sue ragioni rinuncia al suo premio), si contrappone in Antiloco un comportamento «alla Achille» nella prima parte - quan136

do contesta la decisione del Pelide - e alla «anti-Achille» nella seconda - quando molcisce Menelao. Ed è in questo Antiloco che la complessità ddla nuova immagine dell'uomo viene ulteriormente confermata: egli saprà far valere con forza le sue ragioni giungendo fino a sfoderare la spada come neppure l'Achille arcaico aveva fatto, ma si dimostrerà nello stesso tempo «permeabile alla parola» come Achille non era riuscito a essere. Insomma: egli saprà combattere in difesa dei suoi diritti, ragionare e riconoscere il suo errore (la metis ha dei confini che non devono essere valicati} e perfino spingersi alle soglie ddl'adulazione. Quanto alle due figure antagoniste di Antiloco, si direbbe - accettando l'ipotesi di un unico autore per i due poemi - che con questo Achille e con questo Menelao il poeta anticipi qudl'anti-Agamennone che sarà l 'Alcinoo ddl 'Odissea. 5. L'Achille dei Giochi: una lettura antropologica Come si vede il contesto politico riprende da vicino le due città dello scudo e più in generale l'ideologia comunitaria di cui Achille si era fatto portatore nell'Assemblea dell'Ira. Ad un re estraneo da addomesticare si sostituisce una leadership interna le cui caratteristiche preminenti sembrano essere la generosità e la reciprocità, intesa quest'ultima come rapporto economico e ideologico biunivoco tra leader e seguaci. E di generosità dà prova l'Achille dei Giochi soprattutto se si considerano gli aspetti di accumulazione e redistribuzione che stanno al di sotto delle procedure e delle regole di comportamento di cui si rivendica il rispetto. Il problema - lo abbiamo già visto a proposito di Nestore e del Consiglio dell'Ambasceria- può essere riassunto nei seguenti interrogativi: la spartizione del bottino deve essere uguale o ineguale? E in questo secondo caso secondo quali criteri? E l'eventuale vantaggio dd capo deve restare un fatto privato o è sottoposta a oneri e vincoli in modo che il privilegio si estenda di riflesso a tutta la comunità? Qui, nel canto ventitreesimo, la generosità di Achille fa da contraltare alla

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avidità di Agamennone che aveva dimostrato una deplorevole tendenza alla accumulazione. La vocazione dei beni derivanti da bottino - questa è la massima che si vuole riaffermare - non è in una appropriazione esclusiva ma nella loro circolazione. O, se si vuole: è la circolazione (la generosità) che legittima l'ineguale appropriazione e insieme ne stabilisce i limiti. L'antropologia moderna, o per lo meno quella parte di essa che non cade nella nostalgia, ci fornisce alcuni strumenti per meglio apprezzare la specificità, i limiti e l'ideologia di questo contesto politico. Possiamo partire da due constatazioni. La prima (LeviStrauss) è che la generosità «è attributo essenziale del potere presso tutti i popoli primitivi». La seconda (Sahlins) è che «la coazione alla generosità è più forte dove dominano i rapporti di parentela» 14• A questo proposito si può anzi dire che «l'interesse filantropico del capo e l'energia che vi accumula sono generati dal campo di parentela in cui si muove: la società socialmente votata ai rapporti di parentela è anche eticamente votata alla generosità». Per altro verso però la generosità è anche coazione, imposizione di un debito, trasformazione di un rapporto reciproco in un rapporto che sul piano economico è quello tra donatore e beneficiario e sul piano politico quello tra leader e seguace. Di qui il contrasto con l'ideale più ampio della generosità in cui il rapporto inizialmente si inscriveva poiché nessun rapporto può essere insieme reciproco e generoso, a scambio uguale e ineguale 1ns1eme. A nascondere questa contraddizione interna interviene l'ideologia con due diverse strategie: occultamento del flusso contrario di beni - quello dal popolo al capo - per far risaltare la generosità, oppure occultamento dello squilibrio materiale tra i due flussi per far risaltare la reciprocità 15•

1◄

Cfr. Levy-Strauss (1955, 301); Sahlins (1972, trad. it. 1980, 140). Due esempi tratti dall'Odissea: il primo è la divisione del bottino derivante dalla razzìa nell'isola antistante a quella dei Ciclopi dove i compagni offrono a Odisseo una parte dieci volte superiore alla loro (Od., 9/158). Ma si veda anche Od., 9/548 da cui risulta che una parte del 15

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Per dirla in termini più crudi, «la reciprocità è la categoria indigena di sfruttamento». Di qui l'ambiguità ideologica ddl'ufficio di capo, espressione a sua volta ddla contraddizione di una nobiltà primitiva, ddla «ineguaglianza di una società amichevole». «L'unica riconciliazione, ovviamente, è una ineguaglianza che sia generalmente filantropica, l'unica giustificazione dd potere il suo altruismo; cioè a dire, dal punto di vista economico, una distribuzione di beni dai capi al popolo che a un tempo ne rafforzi e compensi la dipendenza e che non consenta di interpretare la distribuzione inversa altrimenti che come momento di un ciclo di reciprocità. L'ambiguità ideologica è funzionale. Da un lato l'etica della generosità dd capo santifica l'ineguaglianza; dall'altro l'ideale di reciprocità nega che esista una qualche differenza»16. La situazione descritta presenta molte analogie con le vicende ddla Corsa dei Carri. Attraverso le qualità che gli sono qui attribuite, Achille distribuisce beni immateriali saggezza nell'evitare il sorgere di liti, simpatia e tolleranza mettendo così in atto una ddle due strategie di occultamento. Ma egli distribuisce anche beni materiali che presuppongono un flusso dal basso verso l'alto. Di questo flusso, benché occultato, qualcosa però emerge. Quando Priamo, recandosi a chiedere ad Achille la salma di Ettore, incontra Ermes sotto false sembianze, lo prega di fargli da guida offrendogli in cambio una «coppa bellissibottino del capo viene usata per i sacrifici comuni. Un secondo esempio è nelle parole di Alclnoo a proposito dei regali a Odisseo: «Ma diamogli ancora un trlpode grande e un lèbete / a testa; poi raccogliendo tra il popolo / noi ne avremo rivalsa, perché è pesante senza rivalsa donare» (Od., 13/13). 14 Cfr. Sahlins [1972, trad. it. 1980, 141]. Nello schema di Sahlins, la situazione delineata esclude espressamente i re e gli stati veri e propri. Inoltre la situazione di «capo» presa in considerazione si colloca tra due estremi. Al primo sta una lt!adershipbasata sull'attrazione e sul contatto penonale più che sulla coazione, una liberalità meno che reciproca, una situazione nella quale il potere «si costruisce» e l'aspirante capo pone la sua produzione a disposizione degli altri. All'altro estremo c'è la chit!/tanship,caratterizzata dal tributo, da una reciprocità meno che liberale, da una situazione nella quale «al potere si accede» mentre gli altri pongono la loro produzione a disposizione del capo.

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ma». Indicativa è la risposta secondo la quale l'accettazione dell'offerta implicherebbe la contestazione dei privilegi del capo: Tu, vecchio, tenti me giovane, ma non potrai persuadermi. M'inviti a prendere doni senza che Achille lo sappia. No, no, ch'io temo e ho scrupolo in cuore a spogliarlo, non debba poi venirmene danno! (24/433)

Per altro verso però lo stesso Achille si sottrae ai suoi obblighi nei riguardi di Agamennone accettando ricchi doni di nascosto da questi, sia pure con il pretesto che, mettendolo al corrente delle trattative, «ne sarebbe venuto ritardo alla consegna».

6. Il declino di Agamennone Le analogie antropologiche, come si vede, sono significative. Ma ciò che interessa sottolineare ancora una volta è che questi sviluppi tradiscono la linea narrativa di un racconto epico che, nel suo insieme, prospettava una evoluzione di maggiore complessità. Esso partiva sì da una situazione di dominio ma il suo svolgimento era promettente: Agamennone costretto a riconoscere l'insostituibilità del consiglio (Consiglio della Prova versus Consiglio dell'Ambasceria); Agamennone costretto a riconoscere i diritti di parola in assemblea (Assemblea di Diomede); Agamennone costretto a riconoscere l'inviolabilità delle procedure (Assemblea della Riconciliazione); Agamennone costretto a riconoscere la rilevanza sociale a cui deve essere finalizzato il suo maggiore bottino ... Qui invece quella distanza in cui si esprime e nel contempo si rende possibile il comando - e che può evolversi dando origine alla figura di un magistrato - viene cancellata. Ed è inevitabile in questa situazione che il sistema politico si comprima sul sistema parentale. Ne fanno prova le pratiche del1'amministrazione della giustizia che, con il giuramento ri140

chiesto da Menelao, sembrano addirittura regredire rispetto a quelle rappresentate nello Scudo. In situazioni di questo tipo «non c'è posto per la giustizia come meta-istituzione. Le pratiche dell'amministrazione della giustizia non sono attuate come istituzioni superiori ma come istituzioni collaterali» 17• U declino di Agamennone peraltro è un fatto certo. Esso non risulta soltanto dalla direzione dei Giochi, dove potrebbe avere una sua giustificazione narrativa, e neppure tanto dall'accordo tra Achille e Priamo a cui è tenuto estraneo. Secondo il racconto di Nestore a Telemaco nel terzo libro dell'Odissea, alle origini del declino c'è ancora una lite, questa volta con Menelao, provocata da Atena. Ma vediamo meglio il testo. Al sorgere della lite, i due Atridi: raccolti tutti gli Achei in assemblea a caso, e non per ordine [katà kòsmon], al calar del sole, - e gravati dal vino vennero i figli degli Achei a parole spiegarono perché radunavano l'esercito [làos]. Menelao allora spingeva tutti gli Achei a pensare al ritorno sul dorso dell'ampio mare, ma ad Agamennone non piaceva per nulla [ ... ] Così, scambiandosi dure parole, quei due stavano ritti; si levaron di scatto gli Achei forti schinieri, con prodigioso grido: doppio consiglio a loro piaceva. Passammo la notte movendo in cuore mali pensieri gli uni contro gli altri: Zeus ci affliggeva la pena del male. All'alba le navi tirammo nel mare divino [. ..] Ma metà dell'esercito si trattenne, aspettando là, con l'Atride Agamennone, pastore di schiere; metà, saliti, salpammo [. ..] Giunti a Tènedo, facemmo sacrifici agli dèi, impazienti di patria. Ma Zeus non meditava ancora il ritorno maligno!, che una seconda volta fece scoppiare litigio. Ma se ne andarono alcuni, voltando le navi ben manovrabili, col saggio sire Odisseo dalle molte accortezze soddisfazione portando ali' Atride Agamennone. (Od., 3/137) 17

Cfr. Habermas [1973a, trad. it. 1980, 779].

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Il declino di Agamennone appare connesso con il venir meno del conflitto (e quindi anche con le ragioni della coalizione che lo aveva reso possibile) e con il paralldo riemergere di quella figura di Mendao sulle cui caratteristiche ci siamo già soffermati a proposito dd suo omologo Paride 18• La conclusione del conflitto insomma fa venir meno qud campo di battaglia sul quale si erano sperimentate nuove configurazioni politiche: un comando con poteri anche di giudicare e condannare, una struttura consiliare alternativa o comunque diversa e più permeabile di quella degli Anziani ddla città, una Assemblea di uomini in armi capace di porsi sullo stesso piano dd comando. Se torniamo agli schemi interpretativi che abbiamo già utilizzato per il conflitto ddl' Assemblea dell'Ira, possiamo dire che nella conclusione ddl'Iliade la componente comunitaria ha il sopravvento su qudla palatina. In questo c'è un limite che passerà poi come problema nd pensiero e nella cultura greca successiva. Ma l'epica collega anche la rivalutazione della forma comunitaria alla attività dd discutere e, così facendo, introduce un processo di autoriflessione sulle pratiche dd linguaggio con il quale la storia greca si allontanerà sempre più dall'antica antropologia.

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Cfr. cap. Il.

CAPITOLOOTIAVO

LA DISCUSSIONE INNATURALE

1. La discussione come «màkhesthai» e come «/ronèin»

Le vicende dell'epica sono strettamente intrecciate all'emergere di una istanza di discussione che si costruisce e si precisa nel suo contrapporsi al dominio, alla asimmetria che lo caratterizza e agli sbarramenti della comunicazione che esso genera. La discussione si afferma anzitutto attraverso il disconoscimento di un dominio privilegiato della parola sacra o sacralizzata, della sua pretesa di porsi su un piano extralinguistico come «segno direttamente efficace» e di sottrarsi così alla trasformazione in discorso e al confronto con la parola umana. Si afferma, in secondo luogo, contro un dominio che, attraverso l'autorità del passato in giudicato mediata dall'oblio, tende a presentarsi come natura eludendo il piano della storia in cui si è affermato e in cui continua a operare. Ad uno statuto privilegiato della loro parola aspirerebbero invece Zeus e Agamennone limitando la comunicazione a un flusso soltanto discendente. Esaminando il problema da un opposto punto di vista, la discussione si afferma anche come superamento del consenso passivo e dell'assenso presunto che sorregge una legittimazione sacra o tradizionale. In termini di comunicazione infatti, questo tipo di legittimazione opera attraverso una predeterminazione dei ruoli di parlante e di ascoltatore: da un lato appropriazione privilegiata di parole, dall'altra ascoltatori ammutoliti. Questo sbarramento della comunicazione non opera favorendo direttamente la parola che scende dal1'alto ma ostacolando la parola contraria che potrebbe salire dal basso: dai sudditi-figli, secondo la critica di Poseidone,

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da quelli del dèmos, secondo le parole di Polidàmante, o al limite anche da quelli che, nelle parole di Achille alla Assemblea dell'Ira, l'abitudine al consenso passivo ha ormai reso «vigliacchi» (outidànot). In un contesto pal~tino «puro» non si potrebbe a rigore neppure parlare di strutture di discussione: non lo può essere l'Assemblea, per le ragioni che abbiamo visto analizzando l'Assemblea della Prova, e non lo è il Consiglio, che il sovrano tende ad abolire sostituendolo con consiglieri da lui nominati. Il problema diviene inevitabilmente quello di «dare un parere favorevole al sovrano» come Agamennone vorrebbe da Calcante, o comunque di non rivolgersi a lui «faccia a faccia» come pretende di fare Achille nell' Assemblea dell'Ira. Naturalmente è sempre possibile che il coraggio di un singolo consigliere lo porti a dire ciò che realmente pensa e può anche darsi che un tale parere venga apprezzato da un buon sovrano, come avviene in una tendenziosa rappresentazione platonica della corte persiana 1• Ma questa non è la regola là dove il momento monocratico schiaccia il momento collegiale trasformando il consigliere in cortigiano. Contro il segno che scende dall'alto e la predeterminazione dei ruoli, la parola si afferma rivendicando non solo il suo diritto ad esistere e ad essere ascoltata, ma anche la sua pariteticità e la sua libertà per tutti i possibili atti illocutivi. Non solo quindi il parlare subordinato del consigliare o addirittura del piaggiare - come pretenderebbero Agamennone dagli Anziani o Ettore da Polidàmante- ma la pariteticità che pone i parlanti l'uno di fronte all'altro come contendenti in una gara o in duello. La terminologia è indicativa: parexagorèuein, antìon èipein, màkhesthai, ertìein2: parlare contro, controbattere, gareggiare, contendere, combattere ... Ma indicativa è anche la procedura talvolta testimoniata secondo la quale il luogo e la posizione del parlare è in piedi e nel mezzo (dall'alto, dal centro) tenendo in mano lo scettro fornito dagli araldi: una 1 2

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Cfr. Leggi, 694 b. Cfr. 1/230, 1/277, 9/32, 12/213.

simbologia che, ponendo il parlante nella stessa posizione di un sovrano, testimonia una istanza di pariteticità da raggiungersi ai livelli più alti. Il passaggio è di quelli che decidono (e che hanno deciso) il futuro di una civiltà e di una cultura cambiando il «paradigma naturale del politico». Non più il fascino del numinoso direttamente efficace o la rassicurazione di una tradizione a copertura di una violenza passata in giudicato; non più il gesto o la voce di pochi, predestinati ad imporsi allo sguardo e all'ascolto dei molti: il privilegio di essere «guardato (o ascoltato) come un dio» (una formula di cui restano tracce nell'epica) 1 deve ormai legittimarsi come capacità di dire cose giuste e opportune potendo essere contraddetto come uomo. Questo passaggio è già alle spalle dell'epica tanto che essa, nelle vicende dell'ira, lo assume come inizio. Achille infatti potrà non soltanto parlare ma anche contestare, provocare e insultare «colui che è più re». E se la secessione di Achille sospende il giudizio sulla liceità del comportamento, gli eventi successivi, dalla Assemblea di Diomede alla aggressione di Antiloco allo stesso Achille, serviranno a togliere ogni dubbio sul fatto che questa libertà debba essere considerata come presupposto di ogni discussione. Ma proprio dal confronto tra l'Assemblea dell'Ira e le vicende del canto nono (Assemblea di Diomede interrotta dal Consiglio dell'Ambasceria a sua volta intervallato dal convito di Achille) emergono altri problemi che spostano la nostra attenzione dall'apertura della discussione alle condizioni che permettono una sua conclusione efficace in termini di decisione. L'epicentro è nelle parole con cui Nestore interrompe Diomede dandogli ragione nel suo violento attacco contro Agamennone ma nel contempo ponendo fine alla discussione assembleare. Nelle parole di Nestore la discussione, così come si sta svolgendo, è troppo simile a un guerJ Cfr. 9/297, 303, 12/310, 22/394, 434. I verbi sono timào, tèino, eisorào, dèido. Per un riferimento antropologico all'occhio come «luogo simbolico della soggezione», cfr. Sahlins (1985, cap. I]. Il «paradigma dell'occhio» tornerà poi nella Civitas Dei di Agostino: cfr. Stemberger, (1977-81, cap. XI].

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reggiare perché da essa ci si possa attendere una conclusione (tèlo.r mythòn). Come il guerreggiare e il competere essa mira a dominare o a superare l'avversario ma, avendo come arma soltanto la parola, la sua conclusione non può essere sancita con la stessa inconfutabilità di una vittoria che gli astanti possano nconoscere. Queste considerazioni implicano anche la critica ddl'istituto della acclamazione come «riconoscimento». L,epica, lo abbiamo visto, sa che l'acclamazione può essere «stolta», un applauso a scena aperta che esprime solo l'infiammarsi degli animi degli ascoltatori, non un giudizio su ragioni che facciano riferimento insieme «al presente, al passato e al futuro». Nd proporre che la discussione continui in un convito offerto da Agamennone, Nestore non rivendica solo le ragioni economiche della redistribuzione - un aspetto sotto il quale abbiamo già esaminato l'episodio. La sua richiesta si qualifica anche come superamento ddl' acclamazione a vantaggio di misure che rendano il dibattito più legato alle ragioni e più vicino ad una decisione «saggia». La sua richiesta stabilisce così la distinzione tra due diversi complessi di regole di discussione. Discorso può essere anzitutto l'arringa demagogica, qudla che, come dimostrazione di un «valore oratorio», cerca di ottenere l'assenso di un pubblico che ha nell'acclamazione il suo unico modo di espressione. E proprio a istituzionalizzare questo tipo di discorso vorrebbe giungere Agamennone quando, nell'Assemblea della Prova, scarta il Consiglio e chiede agli altri re scettrati di fargli da antagonisti compiacenti. La fuga dell'esercito sarà la punizione di questa pretesa, ma le parole di Nestore a Diomede aggiungono un'altra considerazione: questo tipo di discorso, anche quando sembri garantire la possibilità di «parlare contro», priva la discussione del suo esito ultimo. Ciò che esso consegna al «vincitore» non è l'assenso su una argomentazione ma soltanto una vittoria retorica. Questa preoccupazione era già comparsa nell'episodio di Tersite che come «arguto oratore» potrebbe anche ottenere l'acclamazione senza che

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ciò implichi che il suo discorso sia giunto al tèlos mythòrl'. Affinché la discussione assuma il carattere euristico di assenso su una argomentazione sono necessarie regole che impediscano di privilegiare un tipo di atti linguistici a scapito di altri. Regole che favoriscano la ricerca del consenso degli altri potenziali parlanti in un contesto meno plateale. Regole attraverso le quali il parlante possa anche esibire le sue ragioni e ottenere il consenso su di esse esponendosi non all'acclamazione di ascoltatori senza diritto di parola ma a richieste di chiarimenti, proposte alternative e confutazioni. Una discussione insomma che possa giungere al «capolinea» delle parole (tale è anche il significato di tèlos nel greco moderno) e non interrompersi a una fermata particolarmente affollata. Il tema sarà poi ripreso da Aristotele. I discorsi, dirà lo stagirita, possono essere classificati in base alla posizione e al ruolo del destinatario. Se questi è un semplice spettatore egli giudicherà solo in base al talento dell'oratore, favorendo la componente «epidittica»: il discorso sarà cosl legato all'elogiare-biasimare e alle necessità (nonché al tempo grammaticale) del presente. Se invece oratore e destinatario sono ambedue membri a pari titolo di una stessa assemblea, il discorso sarà tendenzialmente deliberativo: la sua funzione sarà quella di consigliare-dissuadere, la sua finalità quella di individuare l'utile e il nocivo, la sua preoccupazione sarà coniugata al futuro. La vicinanza delle riflessioni aristoteliche con le preoccupazioni che emergono nell'epica è una ulteriore dimostrazione della funzione di enciclopedia che l'epica ha avuto per la cultura greca. Ma è anche possibile stabilire un parallelo tra l'affiorare nell'epica di queste preoccupazioni e il passaggio che, sempre nell'epica, porta al superamento della guerra eroica: come le nuove e più complesse tecniche di combattimento non possono più limitarsi al semplice màkhesthai ma devono in qualche modo favorire anche momenti di/ronèin, ◄ Anche in Od., 2/85 Antlnoo, volendo offendere Telemaco in Assemblea, lo definisce «arringatore» (ypsagonas, lett. «che parla dall'alto»). Cfr. anche Od., 1/385.

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così anche il «combattere con parole» non può coprire l'intero campo della discussione'. Ancora una volta questi problemi e queste considerazioni emergono dall'epica non appena si prendano sul serio le ragioni della sua argomentazione, rinunciando a liquidarle troppo in fretta con l'uso di categorie che riflettono problematiche giuridiche o costituzionali. I termini sono piuttosto quelli di una pragmatica della comunicazione, gli stessi che negli anni più recenti sono tornati a imporsi all'attenzione delle scienze storico-sociali. 2. Due paradigmi contemporanei: discorso ideale e sistema discussione: Habermas e Luhmann Un punto focale di questa nuova attenzione per i problemi della comunicazione può essere collocato in quel dibattito che, agli inizi degli anni '70, ha visto contrapporsi due autori come Habermas e Luhmann sui problemi della fondazione e dei compiti delle scienze sociali. Anche se il dibattito non ha avuto i toni di quello che negli anni precedenti aveva contrapposto «dialettici» e «positivisti», la distanza tra le due posizioni resta notevole tanto per aspetti teorici che per quelli pratici. Da un lato un riferimento culturale in cui sono presenti Marx, filosofia e scienze del linguaggio, psicoanalisi; dall'altro fenomenologia trascendentale, scienze dell'organizzazione e psicologia sociale, funzionalismo e teoria dei sistemi: diversi universi di riferimento tra i quali Parsons, nei due diversi modi in cui può essere letto e sviluppato, è oggetto di contesa'. Ancora: da un lato il problema della genesi e della fondazione dell'intersoggettività, dall'altro il problema del far convergere in un comune consenso «sistemi psichici» precostituiti (e s Dalla mossa di Nestore - che non contesta l'agorà, ma la limita a favore del Consiglio che ne sarebbe in qualche modo il proseguimento deriva che ambedue le strutture contribuiscono al discorso politico. Sui vari tipi di discorso si vedano le considerazioni di Rella [1986, cap. Il]. ' Sulle due possibili letture di Parsons cfr. Habennas [1981, cap. VII].

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quindi «problemi di funzionamento»). Infine: da un lato la ricerca di concetti che possano far da base a una nuova teoria critica (al prezzo di una presa meno immediata su problemi empirici), dall'altro una teoria innervata in maniera più diretta su problemi di governo e di gestione della complessità al prezzo di una scarsa chiarezza dei problemi di fondazione7. Potremmo anche dire che un diverso interesse conoscitivo porta Luhmann a esaminare i problemi della modernità sulla base della loro logica «terrena» 11mentre Habermas cerca una concettualizzazione che permetta di guardare alla logica terrena dal punto di vista di una emancipazione riuscita. Queste sono solo alcune delle dimensioni di una contrapposizione da cui discendono costruzioni teoriche diverse negli oggetti che i due paradigmi permettono o non permettono di prendere in considerazione, nelle conclusioni e nelle conseguenze: una diversità che va tenuta presente nel momento in cui, occupandoci di un aspetto limitato quale quello della discussione, le diversità possono sembrare di minor conto. Per esaminare il problema della discussione possiamo come primo passo prendere in considerazione il concetto habermasiano di «agire comunicativo» nel modo in cui esso risulta da un confronto con il concetto weberiano di «agire sociale». Agire sociale era per Weber un «agire dotato di senso», un agire che l'intenzione dell'agente riferiva a regole sentite e condivise da altri individui. La critica di Haber-mas si appunta sulla tipologia che definisce e sorregge l'intera categoria dell'agire weberiano, una categoria la cui massima esplicazione - superiore per complessità ali' agire tradizionale, a quello affettivo e a quello razionale rispetto ai valori - è l'agire teleologico (o strumentale, strategico) orientato allo scopo e al successo 9 • Nella critica di Habermas il concetto weberiano di agire risulta troppo ristretto per coprire la varietà dell'agire umano e sociale e soprattutto quell'agire 7

a 9

Così lo stesso Luhmann [1971, trad. it. 1973, 199 e 213]. Ibidem, p. 224. Cfr. Habermas [1981, trad. it. 1986, 390, fig. 12].

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orientato all'intesa in cui gli uomini creano, attraverso il linguaggio, se stessi e la loro intersoggenività. Di qui la categorizzazione di «agire comunicativo» come agire orientato all'intesa da collocare accanto e oltre l'agire tdeologico. In esso convergono tutte quelle forme di razionalità dell'azione che compaiono sotto profili specifici nei casi limite ddla conversazione (rappresentare stati di fatto, discorsi teorici), ddl'azione regolata da norme (stabilire relazioni interpersonali, discorsi pratici) e ddl' azione drammaturgica (esprimere esperienze vissute, colloquio terapeutico e critica estetica). In tale modello di azione il linguaggio viene ad assumere un posto preminente 10 • Per non addentrarci troppo ndla complessa problematica habermasiana dell'agire comunicativo - strettamente connessa con una interessante rielaborazione della teoria degli atti discorsivi - possiamo esplorarne un altro estremo: non a ridosso ddla razionalità weberiana di cui costituisce insieme un completamento e un ampliamento, ma sul fronte opposto, qudlo in cui l'agire comunicativo confina con concetti e situazioni quali il «discorso» (o «discussione»), la «situazione discorsiva ideale» e la «etica discorsiva». Habermas definisce come «discorso» un agire comunicativo divenuto riflessivo; una forma specializzata di comunicazione ndla quale non si scambiano informazioni, ma si tematizzano pretese di validità; una discussione nella quale gli «oggetti» si presentano come «oggetti che includono una contestazione» e quindi come «proposte o stati di fatto». Se, in base a una indicazione di Habermas 11, assumiamo come esempio di agire comunicativo il processo giudiziario - in cui comunicazioni, interpretazioni e spiegazioni sono legate a vincoli e strategie degli attori per giungere a qudla che è soltanto una «verità giudiziale» - allora possiamo immagina-

° Cfr. Habennas [1981, trad. it. 1986, 157,443 fig. 16,453 fig. 19]. Cfr. anche Habermas [1985, trad. it: 1987, 338]: «Nell'agire comunicativo il momento creativo della costituzione linguistica del mondo costituisce una sindrome con i momenti cognitivo-strumentali, pratico-morali ed espressivi delle funzioni linguistiche intramondane dell'esposizione, della relazione interpersonale e dell'espressione soggettiva». 11 Cfr. Habennas [1971b, trad. it. 1973, 135]. 1

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re che una «Corte Suprema» si avvicini, sia pure per difetto, al concetto di «discorso». Il discorso si presenta in una forma rafforzata in quella che viene definita la «situazione discorsiva ideale». Qui la metafora di una Corte Suprema (che non disponga anche di funzioni costituenti) pecca ancor più per difetto. La situazione discorsiva ideale deve permettere non solo un approfondimento, ma anche l'eventuale revisione del sistema linguistico prescelto, nonché una autoriflessione sulle implicazioni di questo superamento. Una esemplificazione potrebbe essere trovata nel concetto di «rivoluzione scientifica», nei termini di Kuhn, con l'aggiunta di tutte le conseguenze che ne sono derivate nel dibattito epistemologico contemporaneo. Affinché si possa giungere a questa situazione ideale è necessario che il discorso non sia limitato, distorto o impedito da costrizioni interne o esterne. Più in particolare è necessaria una distribuzione simmetrica delle possibilità discorsive (i ruoli di parlante-oppositore debbono essere intercambiabili; ognuno deve essere libero nella scelta di ogni possibile atto discorsivo) in modo che nessuna opinione preconcetta resti alla lunga sottratta alla tematizzazione critica. Ma è anche necessario che il contesto in cui la discussione si svolge sia «libero da predominio». Perché ciò si verifichi vengono indicate le due condizioni di pariteticità negli atti rappresentativi e in quelli regolativi. In base alla prima condizione i partecipanti debbono poter esprimere interamente nella comunicazione tutta la loro personalità («autorappresentarsi... in modo da rendere trasparente la loro natura interna»). In base alla seconda condizione tutti debbono avere uguali possibilità di ordinare e opporsi, di permettere e proibire: in particolare deve essere possibile per ognuno uscire in ogni momento dal contesto di interazione per entrare in un contesto di discorso. Questa, a larghi tratti, la «situazione discorsiva ideale» tramite la quale diviene possibile utilizzare gli strumenti del discorso contro lo stesso discorso. Come, per certi aspetti, nella terapia psicoanalitica. Resta da chiedersi quale sia il suo statuto, la sua operatività, il suo livello di astrazione. Anche se Habermas non 151

vuole usare la terminologia di «tipo ideale» è certo però che una ddle funzioni ddla «situazione discorsiva ideale» è qudla di fungere da termine di paragone per una valutazione ddle realizzazioni pratiche che possono al più essere «soddisfacenti». Ndlo stesso tempo però essa «esiste» in quanto «inevitabile supposizione reciprocamente avanzata nei discorsi»: discorsi che sono possibili nella pratica solo in quanto si accetti la possibilità di questo orizzonte di «consenso vero», di intesa totale e senza riserve. Infine essa è una «ipotesi pratica» da cui ha il suo avvio una teoria critica della società. Il discorso (e a fortiori la sua situazione ideale) «non è una istituzione, ma una controistituzione. Al limite non è neppure sistema, ma sospensione di ogni cogenza di imperativi funzionali» 12• Fin qui lo schema habermasiano. Nei suoi termini più generali l'obiezione di Luhmann allo schema di Habermas è che esso dilata oltremisura le funzioni del linguaggio nel quale vorrebbe porre insieme la fondazione del soggetto, il suo reciproco e riflessivo riconoscimento, la fondazione ddle regole ddl 'interazione. Insomma: «dal fonetico al fronetico»0. La soggettività invece - ecco la componente fenomenologica - ha anche radici prdinguistiche e come tale costituisce, almeno per certi aspetti, un prius ddla comunicazione. Essa sgorga da un livello più profondo di quello in cui si costituiscono le regole linguistiche ed è più ricca ed eterogenea di quanto appaia agli orientamenti che fanno riferimento alla motivazione, sia pure potenziale. Di conseguenza I'intersoggettività non può essere ricondotta e limitata al linguaggio. Essa è la «dimensione sociale di ogni senso, anche non motivabile» e vi rientrano anche fenomeni non

Sulla «situazione linguistica (o discorsiva) ideale» e sul «consenso vero», cfr. Habermas [1971a, trad. it. 1973, 82 e 91; 1973, trad. it. 1980, 339]. Il concetto di «situazione discorsiva ideale» non viene più ripreso come tale in Habermas [1981]; sul tema si veda Rusconi [1985; 1986]. n Per tutte le citazioni sull'argomento, quando non specificato altrimenti, cfr. Luhmann [1971, trad. it. 1973, par. 2, La discussione come sistema]. In termini più generali cfr. Luhmann [1984, cap. IV]. Sul tema della «differenza autopoietica» tra sistemi psichici e sistemi sociali, cfr. ibidem, cap. VII. 12

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interamente riconducibili al linguaggio, come «l'amore, il contrasto, la semplice percezione dell'altro, l'elusione, l'imitazione pratica, ecc.». Inoltre è anche possibile una intersoggettività fondata sul semplice consenso operativo e che come tale può convivere con la consapevolezza o la convinzione che le opinioni dell'altro siano false. Questa accezione più estesa e meno razionalistica di intersoggettività ha come corrispettivo un soggetto non più inteso come capacità o possibilità di indicare ragioni razionali o di sottoporsi in base ad esse alle ragioni dell'altro. A questa concezione «storicamente tarda» e «largamente superata» si contrappone un soggetto debole: non l'actor ma l'actor in situation, non un soggetto che si pone interamente in gioco nella comunicazione, ma un «agente» che può esistere nell'interazione solo con limitazioni e riserve, come «selettività contingente», come «sistema». Sullo sfondo di questa concettualizzazione sta una concezione della modernità nella quale non è più possibile fare riferimento a quella ragione che si era stabilita con la differenza tra servo e signore. «La crescente differenziazione sociale _ha tolto ad entrambe le parti la loro ragione: ha iperteso la ragione del signore, così che essa non potesse più essere affermata come credibile e, tramite la specializzazione, ha escluso la possibilità del servo di pervenire alla ragione. Questa trasformazione colpisce signore e servo in ugual misura; il problema della ragione, pertanto, non può essere posto come un problema di emancipazione, partendo dalla relazione tra signore e servo. In conseguenza di ciò, anche la legittimazione del potere non diventa obsoleta per il fatto che il servo perviene alla ragione ma perché il signore ha perso la sua ragione. Vedendo e conoscendo questo ci si deve chiedere se è necessario e se è sensato legare la pretesa tradizionale dell'umanesimo occidentale, con il titolo della ragione, ad un concetto di soggetto che ci porta subito a difficoltà di tal genere». È inevitabile che con questa scissione tra ragione, linguaggio e soggettività, il concetto di discussione perda il valore posizionale che aveva nella visione habermasiana per ridursi a un particolare sistema sociale con limitazioni

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di prestazioni e in concorrenza con altri sistemi alternativi14• La riflessione su questi limiti è particolarmente interessante ai nostri fini perché pone problemi che vedremo affiorare anche nell'epica. Un vincolo di carattere generale è quello relativo alla scarsità del bene tempo. «La discussione avviene inevitabilmente in una successione di comunicazioni. L'effetto è una defatigante lunghezza del processo con contemporanee esigenze di speditezza negli interventi». Se si allungano i tempi ci si trova a dover far fronte allo «svantaggio dell'ordine in forma seriale. In stati di fatto più complicati gli ordinamenti seriali divengono presto inidonei a riprodurre la complessità nella dimensione temporale. Più la discussione dura a lungo, più è difficile conservare una dimensione d'insieme su una sequenza di contributi». Accanto alla scarsità del bene tempo, che è un limite di carattere assoluto, esistono altri limiti che possono invece essere superati: tendenza dei partecipanti a perdere di vista il tema, a inserire pretese dirette di verità o riferimenti personali; problemi connessi all'ordine di successione dei contributi, problemi di maggiore o minore disponibilità al cambiamento di opinione ...n Una attenzione particolare rivestono i problemi di differenza di status, quella che noi abbiamo definito come pariteticità e che Luhmann definisce come «esigenze di se-

•• Tra i sistemi alternativi Luhmann (1984, lrad. il. 1990, 222) porta come esempio le organizzazioni in quanto «conservano la concentrazione tematica ma eliminano la condizione della presenza simultanea». Sulla base della letteratura sulle organizzazioni l'alternativa organizzativa potrebbe essere definita come una «diminuzione dei costi di transazione» che la discussione implica. u Considerazioni di questo tipo sono già nella forma retorica di Aristotele, ma limitatamente ai discorsi giudiziari. Occorrono regole o leggi che impediscano di parlare fuori dall'oggetto; di corrompere il giudice portandolo all'ira, alla paura, o all'inimicizia; in definitiva di allargare i criteri di giudizio rendendo il giudice sovrano. Gli stessi limiti non sono invece necessari per i discorsi deliberativi, dove ognuno giudica non su cose altrui ma su cose che lo riguardano direttamente. Cfr. Retorica, 1354a-b. Per considerazioni dello stesso tipo, sia pure da un diverso angolo visuale e con diverse conseguenze, dr. Voegelin (1966, trad. it. 1972, 188 ss.].

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parazione dei riferimenti di tema e di fonte dei contributi». Ai fini della discussione tali differenze debbono essere lasciate fuori della discussione ma, anche quando ciò avvenga, esse vengono sostituite da altre differenze poiché la discussione è per sua natura «lotta per il rango». In questa lotta «dominano coloro che con speditezza allacciano i loro contributi, applicandoli al tema e rispettivamente al precedente contributo, e in ciò possono precedere gli altri; coloro che sono così dotati possono dirigere lo sviluppo del tema più fortemente degli altri senza che questo vantaggio assicuri che i loro contributi siano migliori in qualsivoglia senso e che perseguano meglio la ricerca della verità rispetto ai contributi degli altri». Per far fronte a questa e alle precedenti difficoltà sono necessarie una serie di «neutralizzazioni», il che può far nascere un problema di direzione della discussione. Luhmann affronta l'argomento solo in riferimento alla difficoltà di «restare al tema»: «È necessaria una misura minimissima di normazione e di sanzione del "restare al tema", forse non proprio "autorità" ma, purtuttavia, all'occasione, un ruolo di sollecitatore e di critico strutturalmente orientato, che si sente responsabile per il tema e che interrompe il flusso dei contributi». L'estrema cautela della formulazione deriva dal fatto che con essa ci troviamo ai limiti dell'approccio sistemico oltre i quali stanno fenomeni di asimmetria, di gerarchia e di potere che il paradigma non può spiegare. Nonostante si collochi in una linea di pensiero tesa al superamento dell'approccio istituzionale - e in questa linea proponga concetti più astratti spostando l'accento dalle strutture ai processi - l'approccio sistemico resta «istituzionale» nei suoi interessi e nei suoi problemi. A questi problemi esso apporta formulazioni interessanti e di notevole rilievo ma finisce per negare l'esistenza di quei fenomeni che non sono visibili dall'interno di un paradigma che si pone in un'ottica «di governo» o che, per usare la terminologia epica, privilegia il màkhesthaia scàpito del /ronèin 16• 16

La parzialità di un paradigma non è un limite quando è assunta

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Con queste limitazioni ai problemi di funzionamento, o meglio con il non voler trarre tutte le conclusioni da queste limitazioni, si perdono di vista, o si bollano come inesistenti, altri problemi, ad esempio qudli della fondazione della di. scuss1one. Il paradigma habermasiano ddl' agire comunicativo è più sorvegliato nd distinguere tra ciò che rientra nei suoi confini e ciò che ne resta fuori. Ne fa fede anzitutto la sua critica ad un autore come H. Arendt e alla sua pretesa di ridurre il politico ad un processo comunicativo 17 , ma il problema si è riproposto di recente con riferimento alle possibilità di esplicazione ddla «etica discorsiva» 18• Può una tale etica farsi carico delle norme sostanziali e di tutte le decisioni di comportamento? Può essa far fronte a qudla particolare «complessità» definita come «etica della responsabilità»? 1' consapevolmente come confine. I problemi sorgono quando in modo irriflessivo si prenda posizione su oggetti e processi che si collocano al di fuori di esso. Si consideri ad esempio la consequenzialità tra le due proposizioni: «La teoria sistemica si è emancipata dal potere» (p. 271); «lo non vedo come possa modificarsi l'essenziale dei rapporti della vita degli uomini, o come possono formarsi gli uomini, per il fatto che si discuta la verità delle motivazioni di validità dei dominanti [ ... ] e si tenti di portarle a un consenso razionale» (p. 197). La prima proposizione è perfettamente legittima in quanto autolimitazione del paradigma. Con la seconda i limiti del paradigma assumono valore ontologico. Contra cfr. Habermas [ 1986). Sul potere come uno tra i tanti «mezzi di comunicazione» si veda Luhmann [1975). Contra si veda il «dualismo mediale» pl'Q· posto da Habermas [1978, trad. it. 1981, 908 ss.]. 17 «La Arendt fa risalire il potere politico esclusivamente alla prassi, al parlare e all'agire insieme degli individui [ ... ]. Ciò le permette di porsi in illuminante contrasto rispetto all'attuale evidente tendenza all'eliminazione di contenuti essenzialmente pratici dal processo politico. Ma per questo la Arendt paga un certo prezzo: a) proietta fuori della politica tutti gli elementi strategici, come la forza; b) rimuove la politica dalle sue relazioni con l'ambi ente economico e sociale in cui è inserita attraverso il sistema amministrativo; e e) resta nell'impossibilità di comprendere fenomeni di violenza strutturale». Cfr. Habermas [1978, trad. it. 1981, 66). 18 L'etica discorsiva può essere definita come un «discorso» relativo a quel particolare agire comunicativo costituito dall'agire regolato da norme. Contrariamente ad altre etiche essa non fa affidamento ad imperativi categorici e sostituisce alla verità delle norme una pretesa «soltanto analoga» alla verità. Cfr. Habermas [1986), da leggere in parallelo con le diverse conclusioni a cui giunge Apel [1987). 19 Si definisce come tale l'etica che ha come punto di riferimento non, o non soltanto, l'intenzione dell'attore (che può anche essere annullata o

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La risposta di Habermas tiene fermo il carattere antistituzionale che nd suo paradigma assume il discorso e, in coerenza con questo, si attiene a un concetto ristretto di morale: la morale fondata discorsivamente può solo chiarire il punto di vista morale, non i concetti sostanziali; il filosofo morale non dispone di un accesso privilegiato alle verità morali; l'etica discorsiva non sottrae a nessuno la responsabilità pratica; essa deve astenersi da prescrizioni positive per fare riferimento, negatoriamente, alla vita danneggiata; oltre la morale c'è bisogno di scienze storiche e sociali e di una teoria materialista della società. Si potrebbe forse far valere l'analogia tra il «discorso» habermasiano e alcune caratteristiche ddla manifestazione sociale dd «movimento» descritte da Alberoni. Come il movimento, il discorso è una categoria «calda», con funzioni prevalentemente critiche: fluidificare i discorsi e riscattare le parole dal loro irrigidimento. Più che decisioni esso fornisce premesse alla possibilità di decidere. Le differenze tra i due paradigmi risaltano dal diverso modo di collegarsi alla prassi e ciò non può che portare a visioni diverse anche per il tema specifico della discussione. Ndl'daborare i concetti di agire comunicativo e discorso come «due modi ddla comunicazione», Habermas esclude gli «atti vincolati istituzionalmente», e le stesse procedure di apertura e chiusura ddla discussione vengono collocate su un livello diverso sia da quello ddle azioni che da quello dei discorsi (pur potendo essere tradotte in ambedue i modi). Questa mossa non esclude l'esistenza o la liceità di misure istituzionali, ma rinvia ad esse come a qualcosa che cade fuori dal paradigma 20 • Il problema di Habermas è la costru-

deformata quando venga in contatto con il mondo oggettivo) ma il risultato dell'azione. Il contrasto tra intenzione e risultato può dare luogo a situazioni differenti: una buona intenzione può portare, come «effetto controintuitivo», a risultati che la contraddicono; ma può anche avvenire che risultati positivi siano raggiunti attraverso azioni considerate eticamente sconvenienti. Questo contrasto è stato affrontato letterariamente da autori come Sartre (Le mani sporche) e Brecht (L'anima buona di Sezuan). 20 Sul rinvio: Habermas [1973a, trad. it. 1980, 339]; per gli atti vinco-

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zione, sul piano di una pragmatica universale21, di un concetto di discussione libero da coazioni interne o esterne, una discussione nella quale il linguaggio possa anche essere usato contro il linguaggio stesso. Il problema di Luhmann è per qualche verso l'opposto: difendere il linguaggio dal linguaggio stesso: «Quando il linguaggio mette in pericolo i discorsi pratici condotti con linguaggio ordinario, occorre ... una distanza critica nei riguardi delle possibilità e delle tentazioni del linguaggio ... che deve appoggiarsi non su una mera idea ma su strutture di sistema che permettano di trattare selettivamente ciò che è linguisticamente possibile». 3. Universalità e pariteticità alla prova dell'istituvonali1.-

z.a1.1one I due paradigmi esaminati accentuano in maniera diversa due diversi aspetti che, a certe condizioni, possono presentarsi anche come due diverse forme di discussione, ambedue presenti nel testo epico. Nella prima forma (che è anche quella dell'Assemblea dell'Ira) la discussione si presenta nei suoi elementi antisistemici. Contro l'asimmetria del dominio essa rivendica la piena pariteticità dei parlanti, contro le distorsioni e i blocchi della comunicazione rivendica la tematizzazione illimitata, contro il ritualismo e il consenso lati istituzionalmente: Id. [1971a, par. 2; 1981, trad. it. 1986,405, nota]; per il terzo livello: Id. [1971b, trad. it. 1973, 144, nota]. 21 Sul significato di pragmatica universale: «Se prescindiamo dalle componenti variabili di una situazione discorsiva e riteniamo soltanto le strutture generali[. ..] acquisiamo dall'espressione concreta la espressione elementare[. .. ] quale unità pragmatica del discorso[ ... ] Le espressioni elementari sono le unità fondamentali[. .. ] della pragmatica universale [. ..] il cui compito è [. ..] quello di ricostruire il sistema di regole secondo le quali i parlanti, linguisticamente competenti, dalle frasi formano espressioni e le traducono in altre espressioni. Le espressioni concrete sono l'oggetto della pragmatica empirica. Il compito della psicolinguistica consiste nello spiegare la variazione sistematica delle strutture generali delle situazioni discorsive nella dipendenza dalle variabili delle strutture della personalità; il compito di una [. .. ] sociolinguistica [. .. ] nella dipendenza dalle strutture di ruolo». [Habermas 1971a, trad. it. 1973, 71].

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passivo rivendica, come Era nel Consiglio di Temi, uguali diritti per ogni tipo di atto discorsivo. Si potrebbe dire che il suo statuto è di carattere rivoluzionario mentre il suo regolamento la rende simile alle assemblee di un «movimento». Pur prendendo posizione a favore ddla discussione, l'epica dimostra anche di conoscerne i limiti, i problemi e le patologie, gli stessi che abbiamo già visto affiorare nd Consiglio di Temi, ndla discussione della «Città in guerra» e in quella degli Anziani a Troia. Di qui la consapevolezza che esista anche un secondo aspetto dd problema e che la discussione debba prima o poi confrontarsi con la prassi e con le difficoltà della istituzionalizzazione in modo da «difendere il linguaggio da se stesso». Da questa consapevolezza derivano una serie di problemi, primo fra tutti quello che si intravede nella proposta di Nestore. L'Anziano non contesta la violenza verbale del giovane Diomede ma nel contempo propone un contesto più ristretto. Questa limitazione dd principio di universalità - in base al quale «tutti sono partecipanti» - ha come fine quello di ottenere una maggiore pariteticità. Eliminando la distinzione tra partecipanti effettivi e assemblea acclamante si ottiene infatti un contesto in cui «i partecipanti sono insieme parlanti e ascoltatori». Per dirla in altri termini, ndla proposta di Nestore è implicita la consapevolezza che universalità e pariteticità sono, entro certi limiti, complementari ed è quindi problematico garantirle congiuntamente. In ogni caso questa limitazione ddla universalità fa subito sorgere altri problemi: sulla base di quali criteri si deve limitare il numero dei partecipanti? E come garantire la presenza di coloro che per qualità «eccellono in consiglio»? E, infine, come evitare che ciò che nasce contro il dominio si chiuda verso l'esterno diventando esso stesso dominio? Ma anche la pariteticità ha dei limiti che la rendono problematica. Se uguale è lo status dei parlanti, chi, quando e in quali termini potrà indire e aprire la discussione? Chi, quando e in quali termini potrà far valere, sotto l'impellenza della prassi, l'imperativo di concludere? E chi, e con quali mezzi, potrà placare le dispute e impedire eventuali 159

secessioni? E, infine, chi, quando e in quali termini potrà dire che la discussione è conclusa? Vediamo le risposte dell'epica. Ai problemi connessi alla universalità - al modo di ridurla senza tradirne lo spirito - la proposta di Nestore implica una articolazione del tipo Assemblea-Consiglio. Come sempre i modi di questa articolazione non sono univoci per tutto il resto dell'Iliade - ed è questo il motivo per cui non si può guardare ali'epica come a un trattato- di diritto costituzionale in versi - e la stessa terminologia che distingue i due organi è confusa e incerta. Il vantaggio acquisito da questa bipartizione funzionale fa però sorgere un problema di accesso e di selezione. Esso pure viene posto e traspare qua e là dalla preoccupazione che debba esistere un luogo in cui «i giovani» possano mettersi in mostra «gareggiando con parole» come primo passo di un cursus honorum. La risposta a questo problema è demandata anzitutto all'episodio dell'emergere del giovane Diomede nel Consiglio dei Feriti, episodio che abbiamo già esaminato in dettaglio. Ma qualcosa di analogo avviene anche in occasione del Consiglio della Spedizione Notturna presieduto da Nestore. E ne traggono vantaggio due personaggi nuovi come Trasimede e Merione: [...] lo seguivano i re degli Argivi,quanti eran stati chiamatia consiglio. E Merione con loro, e il figlio splendido di Nestore andavano: essi li avevanchiamati a deliberare. (10/194)

Al termine del discorso in cui propone una missione esplorativa, Nestore pone come premio per chi si farà avanti il diritto a prendere parte a tutti i futuri banchetti, che è come dire alle future riunioni consiliari. Certo queste cooptazioni un po' estemporanee sono un'alternativa debole rispetto alle moderne forme della rappresentanza, istituto il cui compito è appunto quello di mediare tra universalità ideale e limitazioni pratiche, o meglio di conservare l'istanza di universalità pur nelle sue inevitabili limitazioni. Ma la cultura greca, anche successiva, non com160

pirà mai interamente questo passo e resterà sempre più vicina alle forme ideali dell'universalità. L'altro aspetto da prendere in considerazione riguarda invece i problemi connessi alla pariteticità. Per ipotizzare un loro rispetto integrale dobbiamo immaginare che già la convocazione di una riunione sia considerata, magari con la finzione di Temi, una competenza diffusa. Ma diffuse e spontanee dovrebbero essere anche la competenza a porre un argomento all'ordine del giorno, a regolare la successione degli interventi, a trarre le conclusioni e chiudere la riuntone. Nell'epica si conservano tracce di queste tradizioni 22 che emergono con riferimento ora all'uno ora all'altro degli aspetti considerati, ma che si presentano congiuntamente nel Consiglio di Toante (15/281). Mentre i Troiani incalzano, nelle retrovie degli Achei si svolge qualcosa come un Consiglio di Stato maggiore, non convocato esplicitamente. Qui i tre momenti del porre un argomento in discussione, di proporre una delibera e di approvarla sono espressi con tre formule che, con qualche variazione, troviamo disgiuntamente anche in altri contesti: (1) [Toante] saggio pensando parlò tra loro e disse [...]

(2) Ma su, come io dico facciamo tutti d'accordo [...] (3) Disse così e gli altri lo ascoltarono molto e ubbidirono [epìthonto]

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Si rifanno alla pariteticità anche le regole del convito: si decide dopo il pasto, quando il cuore (thymòs) non sente più mancanza di parti abbondanti o uguali per tutti. Cfr. 1/468, 602; 4/345; 7/320; 9/177, 222. È interessante a questo proposito una testimonianza di Erodoto sui Persiani (I, 133) presso i quali il momento di pariteticità è raggiunto attraverso l'ebbrezza: «Hanno l'abitudine di deliberare sugli affari più importanti quando sono ebbri. Il giorno successivo, il padrone della casa in cui si trovano a discutere ripropone la decisione mentre sono a digiuno. E se aggrada loro anche quando sono a digiuno, vi si attengono, se no la abbandonano. Le decisioni che abbiano prima preso a digiuno le riesaminano quando sono ebbri». Nel caso dei persiani il contesto è palatino e gerarchico e quindi la delibera avviene presso la casa del sovrano o di un superiore gerarchico; nel caso dell'epica si è già visto come la decisione tenda ad allontanarsi dalla casa basilica. La descrizione di Erodoto è confermata da Senofonte (Ciropedia, I, 3, 10).

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L'apertura ( 1) compare anche in formule dd tipo «avvertire dentro di sé il comando dd dio» o «seguire il comando dd cuore» 2-': quasi il ricorso a un dàimon, a una forza esterna per ottenere qualcosa che non è producibile in forza di regole interne vincolate alla pariteticità. Ad elementi dello stesso tipo si fa ricorso anche per determinare la chiusura della discussione: è come se un'ispirazione o una temporanea investitura carismatica si riversasse su uno dei presenti inducendolo a comportarsi da sovrano e a pronunciare la formula di chiusura («Orsù, facciamo tutti come io dico!») garantendo nd contempo l'assenso degli altri 24 • Ma l'epica sa che queste condizioni ideali difficilmente si possono realizzare: la proposta può trovare opposizioni, possono sorgere disordini e conflitti, il dibattito può andare per le lunghe, la decisione può risultare intempestiva ... Di qui il problema se esista un tèlos mithòn, se esso sia interno alle regole di discussione o se vada ricercato in regole di altra natura. 4. Problematicità del passaggio alla decisione

Nell'ottavo libro dell'Odissea, nell'imminenza dei giochi presso i Feaci, un figlio di Alcinoo insulta Odisseo paragonando il suo aspetto a quello di un mercante piuttosto che a qudlo di un atleta. Tagliente è la risposta dell'eroe: Uno può essere meschino di aspetto ma un dio di bellezza incorona il suo dire e tutti lo guardano affascinati:egli parla sicuro, con garbo soave, brilla nelle adunanze [ ... ] Un altro invece per bellezza è simile ai numi ma corona di grazia le sue parole non hanno. Così tu hai splendente bellezza ma sei vuoto di mente [apofòlios noòn]. (Od., 8/1.58) Con particolare frequenza nel canto settimo. Cfr. vv. 44 (Eleno), 68 (Ettore), 349 (Antenore). 24 Cfr. 9n04, 12n5, 14n4; Od., 4n76, 24/461. L'epica avverte anche con un certo disagio il momento in cui ciò non avviene e «cade il silenzio»: dr. ad es. 7/92, 398; 9/9, 603; 10/218, 313. ZJ

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È vero che subito dopo Odisseo si mostrerà anche buon atleta, ma ciò non toglie che il passo citato denunci ancora una volta l'affacciarsi di una nuova immagine ddl'uomo, un personaggio più valido in pace che in guerra, che eccdle nelle parole, nell'astuzia e ndl'intdligenza piuttosto che ndla prestanza fisica end valore. Ma nell'Iliade non è ancora così, o meglio questa immagine viene tenuta a freno, mentre il moddlo culturale è quello rappresentato dall'equilibrio di un Diomede, che è possibile collocare tra Achille e Odisseo. Questo modello di equilibrio implica non solo una critica verso personaggi «non ragionevoli», ma anche una critica di segno opposto: di personaggi, o comunque di un modello culturale, in cui la parola e l'astuzia (la mètis di Odisseo e di Antiloco) prevalga sul valore. Questo tipo di scompenso dà luogo ad un insulto caratteristico («migliore in consiglio o in assemblea che in battaglia») di cui abbiamo incontrato qualche esempio nelle aggressioni verbali di Polite a Priamo, di Agamennone a Diomede e Odisseo, di Aiace Oileo a Idomeneo 2'. Con la valutazione negativa di un parlare che ecceda sul valore, un secondo imperativo si aggiunge al problema antropologico: non si tratterà soltanto di affiancare alle più «arcaiche» virtù del thymòs le capacità raziocinanti, ma anche di porvi un freno poiché solo all'interno di un giusto equilibrio sta la saggezza del parlare. Tuttavia lo scompenso può anche dipendere da posizioni di status invece che da qualità personali. Così è cattivo parlare quello dei fanciulli («che della guerra non hanno pensiero»), quello delle donne e talvolta anche quello dei vecchi, soprattutto di quelli che - come accade tra i Troiani - pur avendo smesso la guerra pretendono di avere voce in capitolo26. 2'

Rispettivamente nell'Assemblea di Polite, nella Rassegna delle truppe e nei Giochi. 26 Per donne e bambini cfr. 2/289, 337, 13/291, 20/244. Per gli anziani si veda quanto detto a proposito delle assemblee di Polite e di Antenore. Ma anche Nestore è costretto spesso a fare lunghi prologhi ricordando le sue glorie di gioventù per far accettare i suoi discorsi. In generale, sulla condanna del «far chiacchiere al vento», cfr. Od., 4/837 e 11/464.

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Possiamo generalizzare gli esempi dencati dicendo che il cattivo parlare è anzitutto quello che, per ragioni di status, non si combina con la prassi, che non trova in essa il suo limite, come avviene per bambini, donne, vecchi di città ... Ma anche per gli altri, per gli uomini che combattono, esiste un cattivo parlare poiché l'inutile contendere, il disquisire o il filosofeggiare viene tratteggiato come irresponsabilità verso la prassi e anarchia della parola. Come dice Nestore, il «ritardare l'impresa con la parola» (2/435) «è un comportarsi da bambini»: Ah, voi parlate come fanciulli balbettanti che della guerra non hanno pensiero. Ma come andranno per noi alleanze e promesse? Andranno al fuoco dunque piani e consiglidegliuomini e libagioni schiette e destre in cui fidammo? Noi contendiamo così ma un mezzo non sappiamo trovarlo pur rimanendo qui a lungo. (2/337)

Il paragone che viene stabilito tra il parlare di tutto senza accordarsi su niente e il parlare dei fanciulli introduce un problema ddla massima rilevanza per una teoria ddla discussione: per essere produttiva in termini di decisione e di azione la discussione deve porsi dei limiti evitando di rimettere ogni volta in questione tutte le decisioni precedenti. Se tali limiti mancano, se è illimitata ndle sue possibilità di tematizzazione, la discussione diviene anche infinita ndla sua dimensione temporale. Ciò perché, come dice Enea in un altro passo dell'Iliade: sciolta è la lingua degli uomini e ci sono molte parole svariate,un ricco pascolodi nomi tanto di qua che di là: qualunque parola tu dica udrai parola a tono. (20/248) 27

La discussione, come l'analisi freudiana, è per sua natura illimitata e infinita: deve essere sempre possibile rimettere in 27

45].

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Sui problemi interpretativi di questo passo si veda Gambarara [1984,

causa non solo la decisione che va profilandosi, ma la stessa definizione della situazione di partenza, dei termini utilizzati e dei significati che via via i termini assumono 28• Un aspetto di questo problema emerge da quel complesso di cerimoniali, discorsi, accordi e minacce che precedono alcuni duelli epici. Il prologo del duello tra Enea e Achille (20n5) è di ben ottantacinque versi. Al lungo discorso di Achille, Enea risponde con una altrettanto lunga replica e, dopo i versi già citati sulla lingua degli uomini, aggiunge: Me avido di lotta non allontanerai con parole prima d'aver combattuto col bronzo: su presto proviamoci l'un l'altro con l'asta di bronzo! Disse e l'asta gagliardalanciò contro lo scudo fortissimo. Qui è il lancio dell'asta che pone fine ai discorsi, il combattere che si pone come termine del discutere. Una situazione di segno opposto si era registrata invece nel duello tra Ettore e Aiace (7/200). Ai due araldi che tendono lo scettro per porre fine al combattimento, Aiace ribatte che deve essere lo sfidante a chiedere la sospensione. Ettore accetta e si procede anche a uno scambio di doni (affinché si possa dire: «Han lottato quei due nella lotta che il cuore divora/ ma si son separati riconciliati e amici»). In questo caso dunque è la parola che mette fine al combattimento. Nei due casi, il discutere e il combattere si pongono come attività alternative (il combattere mette fine alla discussione e viceversa), ma insieme come complementari. Ma cosa accade nel «combattere con parole» quando sarà proibito il ricorso alla spada? Chi, a che momento e con quali criteri interporrà lo scettro in presenza di un «doppio parere»?29 Una situazione di stallo di questo tipo sarà rappresentata più tardi da Eschilo. Agamennone è ferito ma i sudditi, rappresentati dal coro, perdono tempo a consultarsi. Anche 21

Cfr. Rella [1977, 43 ss.]. «Per il «doppio parere», si veda la scena della Città in Guerra sullo scudo di Achille, con i riferimenti ivi citati (cap. VII, par. 1). 29

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dal punto di vista scenico, l'unità del coro si rompe in una serie di voci e di pareri discordi («E noi perdiamo tempo mentre gli assassini si mettono sotto i piedi la bella saggezza del nostro operare», «Deve pure consigliarsi prima chi vuole operare» ...). E nel disquisire senza decidere il delitto può compiersP 0 • Con il lasciar emergere questi problemi l'epica, che aveva valorizzato la discussione contro il dominio, dimostra ancora una volta di essere consapevole dei limiti e delle patologie della discussione e quindi dell'impossibilità di assumerla come base esclusiva della decisione politica 31 • Per far fronte ai suoi limiti ed evitare l'inconcludenza del Consiglio di Temi, sarà necessario salvare o rivalutare, sul piano della pragmatica, alcune delle funzioni che, come eccezione alla pariteticità, erano proprie del dominio.

5. L'inven1.ionedella discussione Che il politico abbia a che fare con la discussione è una affermazione forse meno problematica di quella che logicamente la precede: che la discussione sia una «invenzione», e quindi eventualità e non natura, caratteristica che si ripercuote sul politico come concetto complesso che la ricomprende. L'affermazione può tuttavia risultare più credibile allargando il campo di osservazione a due altre forme di discussione, l'una di carattere più generale e apparentemente più astratto come il discorso filosofico - l'altra - il discorso drammaturgico - con più immediate connessioni politico-istituzionali. Per quanto riguarda il discorso filosofico si può citare la ,o Eschilo, Agamennone, (V episodio). Analoghi spunti polemici contro il lungo parlare (mekregorla) nelle Supplici (v. 273) e nei Sette contro Tebe (v. 1052). H Nel far emergere questi problemi la semantica ci riconduce alla pragmatica: lo stesso problema che si trovano oggi ad affrontare le scienze dd linguaggio. Si veda ad es. Ducrot [1977, 136]: «Il problema aperto [ ... ] che spiega buona parte delle attuali ricerche in linguistica consiste nel sapere se rimane, nonostante tutto, un campo della semantica che possa essere mantenuto indipendente da qualsiasi considerazione pragmatica». Sul tema si veda anche Moravia [1985].

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lettera di Talete indirizzata a Ferecide, autore, secondo alcuni, della prima opera in prosa. Ndla lettera, citata da Diogene Laerzio (1,1,15), Talete si fdicita ddla saggia decisione di Ferecide di non tenersi per sé il suo sapere ma di volerlo mettere en koinòi (in pubblico, ndla comunità) facendone così oggetto di una discussione pubblica. «In altre parole come osserva Vernant - che cosa fa un filosofo come Ferecide quando scrive un libro? Trasforma un sapere privato in oggetto di un dibattito analogo a qudlo che ha luogo ndle questioni politiche. Effettivamente Anassimandro discuterà le idee di Talete, Anassimene quelle di Anassimandro, ed è attraverso questi dibattiti e queste polemiche che si costituirà il campo proprio della filosofia»12 • Questa definizione di filosofia come sapere pubblicizzato - e che, come tale, può essere contestato da chiunque implica una distinzione con altre forme di sapere custodite in modo più ristretto. A differenza di esse la filosofia si presenta con quei caratteri di universalità e pariteticità per l'esistenza dei quali è necessario un reciproco riconoscimento di diritti. Si presenta insomma come istituzione, e quindi come eventualità piuttosto che come naturalità. Queste considerazioni sono forse più accessibili se le estendiamo a un'altra invenzione greca, anch'essa legata alla discussione: il teatro. Se collochiamo la affermazione dd teatro in coincidenza con la prima vittoria di Tespi (534 a.C.), la sua storia coincide con l'affermazione della pòlis mentre il suo periodo aureo può essere considerato il V secolo, a partire dalle Grandi Dionise, inaugurate da Pisistrato nd 503. Comunque si costruisca la sua origine (confluenza dd coro pdoponnesiaco con il recitato attico ...) il suo luogo di dezione è la polis ateniese e, all'interno di questa, l'agorà (da dove solo per ragioni di tecnica costruttiva si sposterà alle pendici dd1'acropoli). Anche la sua organizzazione la legava strettamente alla città. L'ammissione degli autori alla rappresentazione era decisa da un arconte, più tardi da una giuria di dieci cittadini 32

Cfr. Vemant [1965, trad. it. 1982, 209].

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di cui cinque estratti a sorte. Alla sua realizzazione contribuivano come partecipanti attivi un migliaio di persone mentre gli spettatori erano circa quindicimila (in una città che al suo apogeo toccò i 250 mila abitanti). Il declino del teatro può essere collocato, per la tragedia, intorno al 400. È del 406 il verdetto di Aristofane, dopo la morte di Eschilo e Sofocle: «È morta la tragedia!». Una morte che si protrasse per duemila anni". Quanto alla commedia essa si trasformerà profondamente con Menandro (342291 a.C.) riducendo il suo interesse ai soli problemi della vita privata e quotidiana. Ma ormai Atene è entrata nell'orbita persiana dalla quale uscirà solo per entrare in quella macedone: una città di provincia le cui decisioni non intaccano i sistemi imperiali in cui è inserita. E la commedia, così irriverente verso Pericle, non lo sarà altrettanto con Alessandro. La struttura di dominio si è allontanata di nuovo dalle strutture di discussione e i consociati sono di nuovo sudditifigli come risultavano rispetto ad Agamennone o a Zeus nei primi canti dell'Iliade. Come contraccolpo, anche la filosofia si separerà dalle strutture di discussione e il suo luogo non sarà più l'agorà dove si incontrano tutti i discorsi e tutti i destini - come ai tempi di Socrate- ma il luogo più appartato del convito 34 • Alla fine del quarto secolo Epicuro, favorevole al potere macedone, esprimerà con la massima del lathe biòsas, del vivere libero ma inosservato, un principio di libertà dell'individuo dallo stato che ha come contropartita la libertà dello stato dal cittadino. Prima che tutto ciò accadesse, il teatro tragico era stato luogo di discorso pubblico già nella sua struttura scenica. Sullo sfondo c'è un palazzo-tempio, mentre il palco è un'agorà in cui essa si discute ciò che prima era un affare privato del palazzo. Quanto al contenuto delle rappresentazioni, Benjamin ne ha colto lucidamente alcuni tratti generali in pagine divenute famose. La tragedia è deformazione di una tradizione che nella preistoria si era costruita intorno ai dominatori. È spodestamento degli dèi olimpici e voto al dio sconosciuto. H 34

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Cfr. Snell [s.d., cap. VII]. Cfr. Camassa [1982, 19) e Rella [1977, 30 ss.].

È tensione tra una tradizione che il dominio ha incorporato nel linguaggio e qualcosa che non si riesce ancora a dire: tensione tra un «non più» e un «non ancora». E soprattutto è dibattito pubblico, non insieme di discorsi, e neppure «misteri», come quelli che venivano celebrati a Eleusi, patria di Eschilon. Ma anche la commedia è connessa in modo significativo alla sfera pubblica. Alla sua origine, stando ad Aristotele, c'è l'esigenza di convogliare verso l'agorà e il teatro quei canti di rimostranza che in precedenza si celebravano in disparte, come in una anti-città. Il suo contenuto era satirico e irriverente: delle prime dieci commedie di Aristofane, tutte rappresentate durante la prima metà della guerra del Peloponneso, sette avevano argomento politico ed erano piene di stoccate dirette contro i capi popolari, a cominciare da Pericle, contro i tribunali popolari e contro la guerra stessa. Forse per la commedia, più che per la tragedia, valgono le parole di Diomede: thèmis estì, anax, agorè, è nostro diritto, o sovrano, nell'agorà. Per terminare con un'altra citazione di Finley, ispirata a Burckhardt: «In quale altro luogo si trovano feste pubbliche annuali dedicate a una satira continua delle istituzioni più venerate e, cosa più notevole, a scherzi e discorsi contro la guerra nel pieno di una guerra grande e critica, essendo tutto organizzato dallo stato, dalla scelta iniziale dei drammi all'incoronazione finale del commediografo vincitore»? 36 A queste considerazioni sul carattere innaturale del dibattere drammaturgico - ma anche di quello filosofico e più in generale dell'intera categoria del dibattere pubblico - si può aggiungere un'altra testimonianza tratta da un testo narrativo. In un suo celebre racconto Borges narra la storia di Averroè che, nello stendere il suo commento ad Aristotele, si trova di fronte ai termini «tragedia» e «commedia»: termini di cui nessuno nell'ambito dell'Islam aveva la più piccola idea di ciò che volessero dire. A sera, presso amici, un viag" Cfr. Benjamin [1928]. 16 Finley [1963, trad. it. 1965, 101] e Burckhardt [1902, voi. I, trad. it. 1940, 824]. Si veda anche Cadore [1976].

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giatore racconta di una rappresentazione teatrale a cui aveva assistito, ma gli astanti non riescono a farsene un'immagine né a capire perché, per raccontare una storia, fosse necessario qualcosa di più di un narratore. Tornato a casa Averroè scrive la frase che ci è pervenuta: «Aristotele chiama "tragedia" i panegirici e "commedie" la satira e gli anatemi. Mirabili tragedie e commedie abbondano nelle pagine del Corano». Panegirico e satira o anatema: questi erano gli strumenti con i quali, in ambito islamico, poeti al servizio di personaggi politici elogiavano i loro signori o denigravano i loro nemici-'7.Ed erano anche le forme dominanti della letteratura araba classica: forme letterarie a dialogo dissociato, ben diverse dalle forme letterarie centrate sulla discussione che erano esistite in Grecia. Ed è solo collegandolo a questo contesto di una cultura non discorsiva e legata al dominio che possiamo capire le difficoltà delPuomo dell'Islam, una cultura senza teatro, e tradurre i termini ad esso connessi. Ma non è il solo esempio. J.Pocock che si è occupato del pensiero politico dell'antica Cina, sottolinea la rilevanza del rifiuto della parola nel Confucianesimo e nel Taoismo. I Confuciani sostenevano che strutture condivise di comportamenti rituali comunicavano e interiorizzavano i valori più armoniosamente e con minori contraddizioni di quanto facessero gli imperativi verbali; mentre i Taoisti si ritraevano con disgusto dall'edificio mostruoso di invenzioni, confusioni e bugie che le parole generavano, e perseguivano un'antipolitica della trascendenza. [...] Ambedue le scuole reagivano, da lati diversi, alla scoperta che fosse pressoché impossibile costruire qualsiasi enunciato verbale che non potesse venir confutato o distorto. La confutazione era per i Confuciani una pietra d'inciampo e per i Taoisti una follia311• 17

È anche significativo che il termine arabo per indicare «satira» sia imparentato etimologicamente con il termine ebraico che indica «tessere incantesimi ai danni di qualcuno». Cfr. Lewis [1988, trad. it., 1991, 13). Per altro verso si può ricordare come le riflessioni sulla retorica classica si colleghino anche ad un atteggiamento polemico verso gli encomi. Cosl l'Aristotele del Grillo. Cfr. Plebe [1968, 53). 11 Cfr. Pocock [1990, cap. VIII). Sulle conseguenze assolutiste della concezione taoista si veda il saggio introduttivo di Duivendak [1989) al Libro del signore di Shang.

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Una strategia insomma opposta a qudla greca che accetta il carattere problematico degli enunciati verbali facendone anzi il punto di partenza della possibilità della discussione. Cosl intesa la discussione non coincide con concetti più generali quali linguaggio, discorso o comunicazione linguistica, ma si presenta come un sottoinsieme, come istituzione culturalmente localizzata". E se si riconosce che il politico si distingue dal dominio proprio perché ammette al suo interno la discussione, si deve ammettere che una analoga localizzazione valga anche per il politico.

39

Per considerazioni analoghe, cfr. Crick [1964, cap. I].

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CAPITOLO NONO

L'ODISSEA COME «NOSTOS» DI AGAMENNONE

1. Il re che viene dal mare

Nel ripercorrere le vicende dell'Iliade abbiamo messo in rilievo le ragioni che si raccolgono intorno alle due opposte polarità per le quali abbiamo utilizzato le simbologie del cerchio e della piramide. Un tale procedimento, oltre a fornirci la strumentazione per apprezzare le soluzioni concrete, ci ha permesso anche di evidenziare due possibili percorsi di pensiero e di narrazione. Il primo di tali percorsi è quello che assume come punto di partenza una struttura di dominio, quella di Agamennone, ne evidenzia le possibili patologie e si pone il problema della sua limitazione attraverso la contrapposizione-composizione con un principio a carattere comunitario. Il secondo percorso, che fa riferimento al personaggio di Achille, parte invece da un principio di organizzazione a carattere comunitario per risalire a una qualche forma di leadership senza però voler istituzionalizzare la dimensione della verticalità. Data la sua collocazione all'estremo finale dell'Iliade, questo secondo percorso, legato al riemergere di Achille e al parallelo declino di Agamennone, sembrerebbe porsi come conclusione finale di tutta la vicenda. L'impressione tuttavia si attutisce se consideriamo l'epica nel suo insieme, cercando nell'Odissea il proseguimento delle preoccupazioni politiche che traversano l'Iliade. Ciò non presuppone necessariamente che i due poemi epici siano stati redatti da uno stesso poeta, anche se l'ipotesi è stata autorevolmente sostenuta come possibile1. 1

Cfr. Lesky (1967], secondo cui Omero potrebbe essere un uomo

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La fine delle vicende troiane, raccontata da Nestore nel terzo canto dell'Odissea, ci presenta un Agamennone abbandonato sulla riva del mare da una parte consistente del suo esercito. Ma ci presenta anche un Odisseo che, dopo aver preso parte alla secessione, ritorna da Agamennone. E nella struttura sottostante l'intreccio dell'Odissea, questo può essere assunto come un estremo di due diverse narrazioni, l'altro estremo essendo costituito dalle vicende che si svolgeranno nei rispettivi luoghi di destinazione, Argo e Itaca. Al di là della diversità delle situazioni, i «racconti del ritorno» dovevano tutti far fronte a un problema comune. Una guerra lontana, per molti «oltremare», aveva separato le città dal loro ordine politico: una separazione durata lunghi anni durante i quali le società avevano in qualche modo dovuto organizzarsi. E anche se il nuovo ordine fosse stato concepito come un ordine provvisorio fondato su una assenza, piuttosto che come un ordine alternativo, esso aveva avuto tutto il tempo per stabilizzarsi. Ma con il ritorno degli eroi, il vecchio ordine rifluisce sul nuovo: un motivo letterario che poteva essere adeguatamente enfatizzato e con il quale gli aedi del tempo potevano anche dare «vita narrativa» alle aspirazioni e alle preferenze politiche del loro pubblico. Due re sulla riva del mare, con due diversi e opposti destini. Agamennone vorrebbe forse continuare a combattere alla testa di un largo esercito, vorrebbe continuare nella adventure da cui può sorgere il nuovo ordine2, ma sarà costretto al ritorno (nòstos) durante il quale andrà incontro al destino forse narrato da un altro «racconto di un ritorno» (nòstos) e ripreso poi dai Tragici. L'Odissea, almeno nella sua struttura principale, è un della Ionia di cui l'Odissea rappresenta l'opera della vecchiaia. Certo è che i materiali dei due insiemi epici sono differenti e che nell'Odissea il sipario sul «crepuscolo degli eroi» è già calato. Ma esistono anche elementi di collegamento. Uno di essi, rilevabile con una strumentazione letteraria, potrebbe essere nella intenzione, che si avverte nell'Iliade, di «tenere a freno» la figura di Odisseo quasi a volerla riservare a una diversa composizione epica. 2 Adventure e «nuovo ordine» sono connessi nell'epica cavalleresca medievale; cfr. Koler [1970, cap. III].

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nòstos parallelo e insieme alternativo a quello di Agamennone. L'accostamento è esplicito in diversi passaggi: nelle parole di Zeus nel Consiglio per il ritorno di Odisseo, nel racconto di Nestore a Telemaco, nell'incontro tra Odisseo e l'ombra di Agamennone, nell'incontro tra le ombre di Agamennone e Anfimèdonte nell'Ade'. In uno strato più profondo del racconto è possibile leggere anche un motivo comune alle due storie. Alla lontananza dei rispettivi sovrani, protrattasi ormai troppo a lungo, le due città hanno fatto fronte con strategie di successione di tipo matrilineare. Sul piano politico questa struttura presuppone che sia la donna ad essere l'elemento di continuità e di legittimazione del potere maschile: si accede al potere attraverso il matrimonio, sposando la figlia o la vedova del sovrano4. La morte o il rapimento della donna sono quindi elementi traumatici che interrompono la storia della comunità e delegittimano il dominio: un aspetto questo che, attraverso il rapimento di Elena, era già stato all'origine delle vicende della guerra di Troia. È difficile dire se e quanto questa struttura di successione «al femminile» fosse una forma arcaica, magari da riesumare all'occorrenza, o una sopravvivenza legata ad una stratificazione tra dominatori e dominati. È un fatto che, secondo la tradizione, tanto Odisseo che Agamennone avevano violato questa regola. Odisseo, dopo aver sposato la figlia di !cario di Sparta, la «rapisce» portandola a Itaca, inutilmente inseguito dal padre di lei. Agamennone, dopo aver sposato Clitennestra, vedova di un re da lui ucciso, la porta a Micene ma, per poterlo fare, deve prima recarsi supplice dal padre di lei, Tindareo, re di Sparta. Ed è anche un fatto che, come attesta la tradizione epica, nelle due città senza sovrano, si sia aperta una successione di tipo matrilineare: Egisto diventerà re sposando Clitennestra e la stessa cosa sta per succedere a Itaca, a tutto scapito di Telemaco.

Cfr. Od., 1/35, 3/247, 11/385, 24/98. ◄ Talvolta si accede al matrimonio attraverso un passaggio agonistico nella sua forma forte (cfr. cap. VII, par. 2) che può portare anche alla morte del precedente sovrano. Sul tema cfr. Propp [s.d.]. J

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Il ritorno dei due eroi ha le caratteristiche ddla restaurazione di un ordine che un tempo fu nuovo, ma che ora deve essere riaffermato contro il riaffiorare di precedenti consuetudini. In questo tentativo Agamennone sarà sconfitto mentre Odisseo riuscirà a tornare a Itaca e a ripristinare il proprio potere. Il suo viaggio sarà un passaggio attraverso il passato e i suoi miti, ma anche il superamento di questo passato: un percorso che segue il motivo antropologico del «re che viene dal mare»' e nd quale sarà assistito da una divinità come Atena - che riunisce in sé il vecchio e il nuovo ordine 6 - ma ostacolato dal più arcaico Poseidone, lo sposo della Terra. Se vogliamo trovare il senso politico ddl'Odissea non dovremo cercarlo, come per l'Iliade, nel sottofondo delle vivaci vicende istituzionali di un esercito alleato, vicende in cui le istituzioni di pace delle città entrano in conflitto con la necessità di un comando unitario e con le istanze dei giovani guerrieri. Nell'Odissea le vicende istituzionali sono più limitate: un paio di Consigli olimpici e altrettante Assemblee itacesi, in entrambi i casi ai due estremi ddl'opera 7• E sono anche meno vivaci e contrastate. I Consigli olimpici sono in realtà dialoghi tra padre e figlia, Zeus e Atena, secondo lo schema armonico degli ultimi due Consigli olimpici dell'Iliade. j Sul tema antropologico del «re che viene dal mare» cfr. Sahlins [1985, cap. III]. In modo diverso la contrapposizione terra-mare è af. frontata da Schmitt [1942]. Cfr. anche Bolaffi [1986] nella prefazione all'edizione italiana di Schmitt [1942]. ' Nell'Iliade Atena aveva sempre «fatto da spalla» a Era e come Era era stata maltrattata da Zeus. Nel Consiglio del Destino di Ettore, Zeus è invece benigno nei confronti di Atena tanto da affidare al suo disegno la conclusione della vicenda. Nell'Odissea Atena ha praticamente soppiantato Era: delle sei citazioni della dea madre (erano 126 nell'Iliade) tre servono soltanto a qualificare Zeus come suo sposo. L'ascesa di Atena (188 citazioni nell'Odissea) è accompagnata da una trasformazione che la rende simile ad Era solo in quanto divinità femminile ma per altri aspetti simile a Zeus e quindi rappresentazione di una nuova e meno estranea immagine di sovranità (cfr. cap. III, par. 1). 7 Per i dettagli si veda il quadro allegato al cap. I tenendo presente che, delle due riunioni intermedie, il Consiglio della Congiura (cinque versi) ha carattere occasionale. L'Assemblea di Telemaco è stata acutamente analizzata, anche nei suoi aspetti politico-istituzionali, da Havelock [1978, cap. VI, par. l].

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Quanto alle Assemblee itacesi, dalla loro stessa descrizione traspare la decadenza degli istituti consiliari e assembleari. Ciò è ammesso esplicitamente nella Assemblea di Telemaco al canto secondo. L'agoràe il Consiglio, dice Telemaco, non si sono più riuniti dopo la partenza di Odisseo; e se ora è stata convocata un'assemblea, ciò non avviene per discutere un problema di pubblico interesse ma una questione di carattere personale'. Ma il decadimento degli istituti della discussione è implicito anche nell'Assemblea di Eupite sul1'altro versante dell'opera. Più che di una assemblea si tratta di un assembramento: la sua convocazione fa riferimento alla Fama, piuttosto che a Temi, il suo svolgimento non è segnalato da alcuna procedura (l'araldo, lo scettro ... ) e la stessa decisione è solo il risultato del volontario allontanamento dei dissenzienti. A confronto con le assemblee dell'Iliade, manca in queste la drammaticità del ridimensionamento della posizione del sovrano che l'istituzione in qualche modo comporta. In apparenza ciò avviene a causa dell'assenza del sovrano, nella sostanza perché la costituzione di Itaca ha ormai imboccato un'altra strada. L'aspetto che interessa la nostra indagine si concentra sulle vicende del ritorno a Itaca, narrate nella seconda parte dell'Odissea, ma più in particolare sulla vendetta di Odisseo e l'annuncio di un nuovo patto con cui la vicenda si conclude. Per interpretarne la natura e il contenuto dovremo però soffermarci su due tappe del viaggio dell'eroe che rappresentano due utopie di segno opposto: l'isola dei Ciclopi e quella dei Feaci. 2. L'isola dei Ciclopi e quella di Alcinoo L'isola dei Ciclopi è un'isola in cui l'abbondanza dei prodotti spontanei della terra contrasta con la povertà del materiale umano e sociale'. In essa infatti i Ciclopi 1 9

Cfr. in particolare i vv. 26, 32 e 45 del canto secondo. Il passo sarebbe piaciuto a Toynbee, a dimostrazione che la mancan-

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[...] fidando nei numi immortali non piantano piante di loro mano, non arano; ma inseminato e inarato là tutto nasce, grano, orzo, viti che portano il vino nei grappoli, e a loro li gonfia la pioggia di Zeus. (Od., 9/107)

Ad Odisseo - che guarda con l'occhio del colonizzatore le due isole vicine dei Ciclopi - il territorio appare sottopopolato e non adeguatamente sfruttato, soprattutto per quanto riguarda l'agricoltura e il commercio: uomini venuti da altri luoghi «potrebbero far l'isola ben abitata ... e vigne durevoli potrebbero crescervi...». E c'è anche «un porto comodo» ... La struttura economica e sociale è legata alla pastorizia. I Ciclopi «non hanno maestri d'ascia», vivono in spelonche e sembrano non disdegnare neppure l'antropofagia. La loro religione non conosce Zeus egìoco, che protegge gli stranieri e i supplici, e lo stesso Polifemo è figlio del più arcaico Poseidone. Quanto alla struttura politica e sociale, i Ciclopi «non hanno assemblee di consiglio, né leggi» (out' agorài houle/òroi, oute themt'stes), ma «fa legge ciascuno (themisthènez) ai figli e alle donne», e «l'uno dell'altro non cura». Polifemo del resto ha caratteristiche che in parte ricordano quelle dell'Achille arcaico: è selvaggio, ignaro di giustizia e di leggi (àgrion, oute dìkas eu èidota oute thèmistas), e anche lui ha «cuore spietato» (nèleos thymòs). Questo fosco quadro, molto vicino a uno stato di natura, è stato utilizzato da Platone a rappresentazione di un regime patriarcale 10• Con altra terminologia, che si rifà ad autori che abbiamo già citato 11, possiamo vedere nell'Isola dei Ciclopi una rappresentazione del «modo di produzione domestico» allo stato puro: sono infatti presenti le due caratteristiche, peraltro complementari, della bassa densità demografica e dello scarso controllo della natura esterna. Sul piano antroza di una sfida non favorisce la creazione di una civiltà. Esemplificazioni in questo senso, anche tratte dall'Odissea, in Toynbee [1950, cap. VI e cap. XI, par. 1). 10 Leggi, 680 b. 11 Cfr. cap. IV, par. 3.

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pologico è basso anche il controllo di Polifemo sulla sua natura interna e sul piano culturale manca qualunque indizio che possa far pensare a una possibile «fuoriuscita», tanto attraverso una strategia della parentela che attraverso una qualche struttura politica. E forse vi possiamo anche leggere, con Weber, il motivo della inferiorità della pastorizia dei Ciclopi rispetto ali' agricoltura e al commercio a cui fa riferimento Odisseo, almeno ai fini dello sviluppo di una civiltà. Odisseo riesce a sfuggire alla barbara violenza di Polifemo: una fuga che, nel tempo della storia, è anche superamento di un passato tratteggiato in negativo. Ma, al di là della apparenza narrativa, un passato è anche quello dell'isola dei Feaci. La sua descrizione, all'inizio del canto settimo, ha carattere favoloso, a partire dagli alberi che producono continuamente frutta senza conoscere l'intervallo delle stagioni per finire con le navi che non hanno bisogno di nocchiero perché sanno da sole il pensiero e gli intendimenti degli uomini 12• Lo stesso carattere favoloso è nella rappresentazione della reggia di Alcinoo, anche se alcuni particolari hanno trovato, qua e là, un riscontro archeologico: soglie di bronzo, mura di bronzo con fregi in smalto, porte d'oro, stipiti d'argento. Ma ancora di più due cani in oro e in argento di guardia alla reggia, che hanno caratteristiche di animali viventi e ricordano le fanciulle auree, magici automi di Efesto 13. La struttura politica vede al centro la figura di un re, Alcinoo, affiancato da una regina, Arète. Alcinoo, «forte nel vòos», è un re-giudice, o comunque un «re giudizioso» 14, la cui personalità è ben rappresentata dalle sue stesse parole: «avere tutte le qualità in misura» 1'. Il suo appellativo che ricorre con maggior frequenza è quello di «sacra potenza» (ieròn mènos) 16• 12

Cfr. Od., 8/557. u Cfr. Il., 18/417. Sul tema delle statue viventi, ma senza riferimento al passo in_questione, cfr. Brillante [1988]. 14 Cfr. Havelock [1978, trad. it. 1983, 140] e Liverani (1986, 286]. '' Cfr. Od., 7/310. 16 Cfr. Od., 7/167, 8/2, 8/4, 8/421.

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La città che egli governa è non solo in pace ma anche pacifica. Accanto al sovrano stanno dodici «re scettrati» rispetto ai quali egli si presenta per qualche aspetto come primus inter pares. Ma, oltre a questi, ci sono anche altri «anziani», cosicché la struttura politico-sociale sembra almeno tripartita: Alcinoo e re scettrati, altri «anziani» (ghèrontes, eghètores kai mèdontes) e «giovani» 17• C'è anche una agorà dotata di sedili di pietra presso le navi (e quindi presumibilmente fuori della città), ma la sua funzione sembra la stessa delle due assemblee olimpiche: non luogo di dibattiti, ma occasione per comunicare un ordine e dare ad esso pubblicità. Il luogo di discussione è invece l'ampia sala conviviale del palazzo privato dove però è la saggezza del sovrano, più che l'esito delle discussioni, a condurre alla decisione. Le qualità personali del sovrano sostituiscono insomma quanto nell'Iliade si cercava di raggiungere per via politica. L'isola di Alcinoo può essere assunta a rappresentazione di una forma palatina idealizzata. Per qualche verso essa ricorda il mito di Crono, così come testimoniato da Platone: «C'era al tempo di Crono, un potere felice con un felice governo, ed anche il governo migliore tra quelli del tempo presente non ne è che l'imitazione ... Conosceva Crono che nessuna natura di uomo è in grado di governare tutte le cose umane con potere assoluto senza riempirsi di violenze e di ingiustizia e, riflettendo su ciò, pose allora come re e magistrati nei nostri stati non uomini ma demoni di stirpe divina e superiore» 18• Con l'isola di Alcinoo il passato, mediato dall'oblio, diventa «età dell'oro» tanto sul piano della natura che su quello della cultura. Ed è proprio in contrasto con questo passato immaginifico- che nell'ordine del viaggio precede immediatamente lo sbarco ad Itaca - che emerge la durezza del reale e la violenza che instaura il nuovo ordine.

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Cfr. Od., 7/189, 8/11, 8/40. Leggi, 713 b.

3. Itaca senza re e il ritorno di Odisseo:il dominio, l'oblìo e il patto Nell'assenza del suo re, la casa basilica di Odisseo è ormai il ritrovo di una oligarchia di pretendenti alla mano di Penelope. L'invenzione narrativa rispecchia bene la situazione di un nuovo ordine politico insieme stabile e provvisorio. La posizione di pretendente non può che essere temporanea e la nuova struttura si legittima così in quanto fase transitoria verso un ordine da instaurare attraverso un matrimonio. Ma nello stesso tempo la decisione viene rinviata e l'ordine provvisorio è sempre più un ordine definitivo, un nuovo ordine. La storia di Penelope ha anche la funzione di tenere in sospeso e di far apparire come temporaneo ciò che invece è ormai accettato come definitivo e, così facendo, fornisce un titolo di legittimità alla successiva riconquista di Odisseo. Ma l'altra storia, quella politica, emerge non appena si sposti l'attenzione dalla figura di Penelope 19 a quella dei suoi pretendenti e alle loro pretese malefatte. Chi sono i Proci? L'Odissea li definisce come «giovani figli», come «i più nobili di Itaca» e «sostegno della città» 20• Il torto che viene loro attribuito non ha niente a che fare con Penelope alla cui virtù non hanno attentato, attenendosi anzi al «patto della tela» da lei proposto (e da lei violato). Se raccogliamo insieme i passi in cui l'Odissea muove ad essi rimprovero, ne risulta un dossier di questo tipo: ·sempre pecore grasse sgozzano e buoi zampe storte, corna lunate (1/91) 1 '

Horkheimer e Adorno [1947, trad. it. 1966, 87 ss.] hanno attirato l'attenzione sulla scissione della figura femminile nel mondo patriarcale tra l'etèra e la massaia borghese di cui Penelope sarebbe il prototipo. In effetti l'atteggiamento di Penelope appare più chiaro quando si consideri il carattere «non femminile» del personaggio e dei valori che essa difende. 2 ° Cfr. Od., 2/51, 23/121, 24/108. Si veda anche 1/245: i più nobili (dristot) delle isole vicine e quelli che comandano a Itaca (koiranèuein, ovvero «avere il comando militare»).

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Venendo in casa ogni giorno sgozzano bovi e pecore e floride capre, gozzovigliano e bevono vino lucente senza pensiero. Molto si perde (2/55) Senza pensiero scialacquano i beni senza misura, non fanno risparmio (14/92) Mai sgozzano solo una vittima o due, il vino finiscono, senza misura attingendone (14/94) Vogliono dividersi i beni del re da tanto tempo partito (14/215) L'altrui bene impunemente divorano (18/280) [Telemaco:] «Questa non è una casa pubblica!» [òikor dèmior] (20/264) [Essi ebbero] molte colpe folli in palazzo, molte nei campi (22/47) [Di Odissea] mietevano i beni in palazzo (22/369) La casa affliggevano e i beni mangiavano (23/9) Numerose le vacche e le pecore grasse sgozzavano, e molto vino si attingeva dai vasi (23/304) Mietevano beni (24/459)

Anche se altre motivazioni indirizzano ad un atteggiamento sfavorevole verso i Proci 21 , questa valutazione di dissipatori di una precedente accumulazione è quella che torna con più insistenza. Ed essa è in ogni caso più convincente per la spiegazione del «massacro» di quanto lo sia la storia di Penolepe. Ma neppure questa spiegazione è sufficiente. Quando è già cominciata la vendetta ed Antinoo è già Tra queste il progetto di uccidere Telemaco o, con maggior insistenza, la mancanza di rispetto e di generosità verso l'ospite. Su questo punto dr. la doppia enunciazione di 22/413 e 23/62, oltre a 17/360, 18/ 356, 20/299, 24/160. 21

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stato ucciso, uno dei giovani itacesi si rivolge supplice a Odisseo: al popolo [làos] tuo perdona; noi, rendendoti pubblica ammenda per quanto è stato bevuto e mangiato in palazzo, ciascuno a parte una multa di venti vacche pagando, bronzo e oro ti renderemo, finché il tuo cuore si rassereni [...] (Od., 22/54)

Se il problema fosse stato semplicemente di carattere patrimoniale, la proposta del nobile itacese avrebbe potuto placare il cuore dell'eroe. Ma Odisseo è ormai andato ben oltre. Non solo rifiuta, feroce, di interrompere la strage, ma, quando questa è compiuta, enuncia così i suoi propositi futuri: le greggi poi che i pretendenti superbi mi hanno mietuto per gran parte io andrò a farne preda; altre gli Achei ne daranno, finché mi riempiranno le stalle. (Od., 23/356)

Qui, nelle vesti di Odisseo, c'è la ferocia dell'Achille arcaico, la prepotenza di Zeus e l'avidità di Agamennone. L'attore ha cambiato il suo ruolo. Non più l'eroe docile, saggio e paziente22: ora è «il re che viene dal mare», è secondo l'etimologia epica - «il rabbioso» 2', colui che ripete sul suo stesso popolo la violenza che instaura il dominio. Se nell'Isola dei Ciclopi possiamo vedere la rappresentazione del «modo di produzione domestico» e nell'isola di Alcinoo una struttura palatina idealizzata, Itaca senza re rappresenta una forma comunitario-aristocratica che sarebbe certo piaciuta ad Achille.L'Assemblea non ha più motivo di riunirsi per discutere; il convito, come «sissizio»oligarchico, ha sostituito il Consiglio; il làos (forse traducibile, con Weber, come «nobiltà combattente e autoequipaggiata») ha soppiantato il dèmos; la primazia di Antinoo, come capo dei pretendenti, è una posizione debole e fluida 24 ; dal punto di vista 22

Cfr. Od., 13/332. Cfr. Od., 19/406. 2 ◄ Per certi aspetti uguale a quella di Eurimaco, un altro dei pretendenti: Od., 4/628. 23

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economico la dissipazione ha sostituito la precedente accumulazione reale. Il ritorno di Odisseo è per qualche verso anche il ritorno e la vendetta di Agamennone: un «anti-nosto.o>rispetto a quello dell' Atride, abbandonato sulla riva del mare e destinato poi a una fine ingloriosa. E l'epica, che nell'Iliade aveva condannato lo strapotere di Agamennone nei riguardi degli «altri», ora, che lo strapotere è degli altri, redime Agamennone attraverso Odisseo. E con la riaffermazione di Odisseo il cammino che porta dal dominio al politico può ricominciare, ripetendo ad Itaca la storia che abbiamo già incontrato nelle vicende di Zeus e di Agamennone. Questo passaggio, che nell'Iliade viene ripetutamente affrontato sotto una molteplicità di punti di vista, è affidato nell'Odissea a un centinaio di versi dell'ultimo canto. Quando si sparge la notizia della strage, Eupite, padre di Antinoo, si alza a parlare al popolo riunito in una informale Assemblea di fronte alla casa di Odisseo. Qui, pur in presenza di pareri contrari, una parte dei convenuti decide di vendicare la crudele morte dei giovani itacesi. La guerra sembra inevitabile: accesi gli animi degli itacesi, ma, sul fronte opposto anche l'ira di Odisseo (che la stessa Atena stenterà a fermare). Ma a questo punto intervengono gli dèi, più specificamente Zeus e Atena. Alla domanda di Atena al Padre sul futuro di Itaca [...] a lei rispondendo parlò Zeus che le nubi raduna: «Creatura mia, perché questo chiedi e m'interroghi? Non preparasti il piano tu stessa che Odisseo tornando punisse coloro? Fa come vuoi: io ti dirò com'è più conveniente. Già i pretendenti ha punito Odisseo luminoso; dunque facciamo patti leali, e lui regni per sempre; noi della strage di figli e fratelli diamo l'oblìo; e amandosi essi a vicenda, come prima, pace e ricchezza vi sia». (Od., 24/472)

Così Atena interviene nelle vesti di Mèntore, un itacese che si era già distinto per equilibrio e saggezza, e riesce a scongiurare la guerra crudele e a convincere tutti su un accordo: 184

E un patto per il futuro stabilì tra loro Pallade Atena, la figlia di Zeus egìoco, sembrando Mèntore nell'aspetto e nella voce. ( Od., 24/546)

Qui compare un «terzo» nella duplice veste di Atena e di Mèntore: Atena, divinità che è insieme la dea madre dei dominati e il dio della folgore dei conquistatori; Mèntore, il saggio per antonomasia. Ma ambedue sono anche «secondi»: sono alleati di Odisseo e fanno coppia con lui, a rappresentare la trasformazione del dominio in una struttura più complessa. La nuova coppia Odisseo-Mèntore ha, sul piano simbolico, un valore programmatico. Essa tuttavia lascia indeterminata l'opzione tra una evoluzione affidata alla disponibilità e alle qualità personali del detentore del potere e una affidata a contrappesi di carattere politico-istituzionale: una opzione del resto che traversa tutta la riflessione politica dell'Occidente. Questa seconda strada era quella dell'Iliade, mentre nell'Odissea si segue piuttosto la prima. In ogni caso, affinché si abbia la trasformazione di Odisseo da violento conquistatore a Odisseo-Mèntore, è necessario passare attraverso l'oblìo nella memoria individuale e collettiva dei dominati. Tale oblìo è condizione di una ricomposizione tra le virtù del thymòr che hanno permesso la riconquista e quelle del nòor che debbono garantire il consenso; è la condizione affinché Odisseo, come prima di lui Zeus e Agamennone, possa ammantarsi delle vesti del buon sovrano ed essere riconosciuto come tale. Irruzione del dominio, oblìo e patto: questa successione può essere meglio illustrata ricorrendo alla struttura trifunzionale dumeziliana e più in particolare alle due diverse funzioni della celeritar e della gravitar.

4. Le figlie di Agamennone: I/ianarra, Crirotemi e Laodice Se immaginiamo di disporre in parallelo le vicende dei personaggi sovrani che compaiono nell'epica, la storia di Zeus ci appare come quella che va più indietro nel tempo. 185

L'immagine dd dio è l'immagine di un conquistatore che proviene dall'esterno, un re straniero che irrompe su una scena di quiete e di rdativa uguaglianza che in epoche successive potrà anche essere nostalgicamente ricordata come età ddl'oro. La sua legittimazione tipica si fonda su una violenza originaria, su un atto di barbarie che è negazione dell'ordine morale vigente. È con questo atto che nasce un nuovo ordine che i vinti avvertiranno come imposizione e comando in opposizione a un ordine tradizionale2'. Riferendosi alle concezioni indoeuropee, Dumézil26 riconduce le figure contrastanti del sovrano immigrante e del popolo indigeno alle due immagini di Varuna e Mitra, e le definisce con le qualità della celeritase della gravitas. Celeritas è arroganza e violenza attiva, irrefrenabile e creativa dd conquistatore; gravitas è la disposizione pacifica, giudiziosa, sacerdotale e produttiva di un popolo stabile. Nd momento iniziale del loro combinarsi, celeritas prevale su gravitas e l'invasore si impossessa della forza riproduttiva ddla terra per formare il suo regno. Il passo successivo è che il capo, rinato come sovrano locale, non si procuri il sostentamento all'interno come «divoratore dd popolo», ma all'esterno, condividendolo con il popolo: che il capo insomma offra «corpi dd suo stesso genere ... uomini cotti in cambio di donne della terra cruda», stimolando così l'espansione verso l'esterno 27• Le prime immagini di Zeus corrispondono bene a questo conquistatore violento; il che però getta una luce tutta particolare sulla sua immagine paterna: un pater che non è un atta ma piuttosto un òikoio ànax, un sovrano che nel domestico si è affermato mediante conquista. E se anche le vicende successive dd conflitto con Era segnano il suo «addomestica-

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Cfr. lo schema weberiano citato nel cap. IV, par. 3. Cfr. Dumézil (1977, cap. I]. Si vedano anche Valeri [1980] e Sahlins (1985, cap. III]. 27 Sahlins [ 1985, trad. it. 1986, 83]. Si noti che tra gli insulti di Achille ad Agamennone (1/231) compare il termine demobòros che significa appunto «divoratore del popolo». Il processo di addomesticamento potrebbe essere definito, alla Schmitt, come una ridefinizione dei termini di «amico-nemico», categorie che tuttavia non hanno tutta la portata euristica per la definizione del politico che il suo autore vorrebbe attribuirle. 26

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mento», questa violenza originaria non viene dd tutto espulsa dal contesto omerico. La vicenda di Priamo è più moderna. Qui il vecchio re 8 • Ma l'ascesa di sembra ormai ridotto a un rex sacri/iculus2 Ettore, resa possibile dalle necessità di un comando militare, è in qualche modo ripetizione di qudl'antica violenza che qud comando aveva fondato: una violenza interna che, se non può dividere la città tra vincitori e vinti, ne rompe però le strutture di affratellamento che univano gli Ettore e i Polidàmante. Anche dalle vicende di Agamennone traspare questa violenza nonostante che, rispetto a qudle di Zeus e di Ettore, la storia dell'Arride sia più «tagliata» nella parte iniziale, rendendo così problematica la percezione dd titolo ddla sua sovranità. C'è tuttavia uno spunto che apre un varco a ritroso nel tempo ed è il riferimento alle tre figlie del sovrano. Nel linguaggio del mito la genealogia ha spesso il significato di differenziazione e di specificazion~: ciò che è generato può essere quindi utilizzato per interpretare ciò che, allo stato fluido, era già presente nd genitore29• Ddle tre figlie di Agamennone l'epica non tratteggia i caratteri né illustra le vicende, ma si limita ad dencare i nomi: Ifianassa, Crisotemi e Laodice. Possiamo però cercare di decodificarne la simbologia alla luce ddl'etimologia e di tradizioni parallele che presentano anche qualche trasformazione nei nomi: Ifianassa in Ifigenia e Laodice in Elettra. Nd nome di Ifianassa c'è una combinazione di forza e di dominio (i/i, anàssein) e il nome corrispondente di Ifigenia può essere tradotto come «colei che dà vita a una forte stirpe». Nelle varie tradizioni - che la vogliono anche figlia di Elena e Teseo e successivamente adottata da Agamennone - Ifigenia è comunque legata a una divinità arcaica come Artemide e, attraverso di essa, ai sacrifici umani. Nella tradizione accolta da Euripide è proprio questa figlia - nd cui nome è possibile vedere la traccia ddla violenza primitiva 2

Cfr. cap. V, nota 4. Sul tema, con riferimento alle figlie di Agamennone, cfr. von Kamptz [1982, 34]. •

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tramite la quale il dominio si è imposto - a dover essere sacrificata. E il suo sacrificio è il prezzo dd comando di Agamennone sugli alleati, la condizione affinché la flotta alleata possa prendere il largo e partire per Troia' 0 • Il nome ddla seconda figlia, Crisotemi (Aurea Temi), fa riferimento a una divinità anteriore a Zeus e l'aggettivazione «aurea» (chrisè) potrebbe non avere una particolare funzione se non qudla di distinguerla dalla più antica divinità. Il mito tramanda anche che da Zeus e dalla dea Temi nascono le Ore - Eunomia, Dike e Irene - i cui nomi potrebbero essere ricondotti rispettivamente a ordinamento legale, giusta ricompensa e pace' 1: forse una versione più aggiornata della tripartizione funzionale. Nella Elettra di Sofocle, Crisotemi appare con qualità che possono essere riassunte nel termine «prudenza» e in questa veste è in contrasto con la sordla Elettra-Laodice. Arriviamo così alla terra figlia. Nd campo mitico occupato dal nome di Elettra (madre di Dàrdano e di Giasone, una ninfa, una Plèiade ... ) convergono Demetra (mito del grano), Dàrdano' 2 e l'ambra (èlektron)H. L'ambra e Dàrdano possono fornire un indizio poiché l'ambra proveniva, almeno in parte, dal Baltico attraverso una via fluviale che giungeva al Mar Nero e doveva quindi attraversare quelli che ancora oggi si chiamano i Dardanelli' 4• Il nome di Elettra 3

° Cfr. Euripide,

Ifigenia in Aulide, Prolofo. Cfr. Kerényi (1951, trad. it. 1963, voi. I, 91). 32 Cfr. anche il riferimento ad una Laodice come la più bella figlia di Priamo, il re dei Troiani a cui i Dardani sono alleati: 3/124, 6/252. H Un mito testimoniato da Apollodoro presenta anche un Elettrione come figlio di Perseo e marito di una Anasso. Cfr. Kerényi [1951, tab. H.] Si noti la permutazione della struttura nel mito tramandato da Apollodoro: non più tre sorelle ma padre-figlio-moglie dd figlio. La coppia ElettrioneAnasso lascia scoperta la gravitas di Mitra che però, accettando l'interpretazione di Diel [1952, 91 ss.], potrebbe essere ricoperta da Perseo. J◄ La possibilità di una via di comunicazione con il Baltico potrebbe essere confermata dalla descrizione dell'isola dei Lestrigoni, la terra su cui non fa mai notte (Od., 10/80): il che dimostrerebbe che Omero conosceva le caratteristiche dei paesi dell'estremo nord europeo. Una traccia analoga si può trovare in Erodoto (4/25). Di questa stessa via dell'ambra è conosciuto un punto d'arrivo nella zona veneta, il che potrebbe spiegare una testimonianza di Plinio sull'origine dell'ambra nel1'Adriatico settentrionale. 31

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potrebbe così rappresentare per metonìmia una ricchezza legata al commercio di prodotti di lusso a lunga distanza, un tema caro alla storia e all'antropologia economica. Accettando questa linea di interpretazione, Laodice-Elettra potrebbe sottintendere l'imperativo di una giusta ripartizione (dìke) con il làos ddla ricchezza, sia di qudla da bottino che qudla proveniente dal commercio a distanza, una attività che è spesso monopolio reale''. Tanto basta per dire, sia pure con qualche cautda, che è possibile vedere ndl'immagine delle tre figlie una traccia della «tripartizione organizzata» alla Dumézil"•. A ciò si può giungere disponendo Crisotemi e Ifianassa secondo lo schema Mitra-Varuna (gravitase celeritas)e vedendo in ElettraLaodice una traccia della «terza funzione», quella legata alla ricchezza e alla fecondità. In ogni caso, anche senza accettare interamente la corrispondenza ddle tre figlie con le tre funzioni, la caratteristica Ifianassa-lfigenia ci permette di allungare all'indietro la storia ddl 'Atri de e di aprire uno squarcio sulla sua preistoria. Il riferimento alle qualità di Ifianassa, presenti in Agamennone in quanto progenitore, è la traccia di una violenza che ha instaurato il dominio e che deve essere sacrificata in nome dell'alleanza antitroiana. JS Si ricordi il riferimento di Nestore (9/69) alle navi che portano ad Agamennone tutto ciò che è necessario per l'ospitalità. Sulla rilevanza della aristocrazia commerciale e del monopolio regale del commercio si veda il già citato Weber [1909, trad. it. 1981, 129 ss.]. Per una interpretazione sociologica di dìke cfr. Gilli [1988, 330 e 386 ss.]. 6 J La cautela è necessaria anche perché, come ha più volte osservato lo stesso Dumézil, il mondo greco non è più riconducibile alla tripartizione funzionale, anche se lo stesso autore ne trova traccia nel mito del Giudizio di Paride. Una ulteriore traccia, sulla scorta di quanto detto per le figlie di Agamennone, è forse riscontrabile nei nomi di altre generazioni di sovrani (come le Ore) o talvolta nelle più complesse strutture parentali (come Anasso, Perseo ed Elettrione o come Arète, Alclnoo, Laodàmante). Tuttavia tali etimologie sono, per così dire, un progetto e non sono perciò legate alle qualità e alle funzioni corrispondenti. Cosl, nella triplice discendenza di Atreo, la funzione dell'anàrein è presente non nel nome di Agamennone o di Menelao ma in quello della loro sorella Anassibia. Per una lettura approfondita delle tre funzioni si tengano presenti le attente osservazioni di Jesi [1974). Con più diretto riferimento al mondo greco, ma in chiave di storia della storiografia, cfr. Di Donato [1990, 265 ss.].

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Ma il sacrificio di Ifigenia non ha riscontri nell'epica dove anzi le qualità «Ifianassa» sono presenti e all'origine del conflitto tra Agamennone e gli altri «eroi consiglieri». Cosl, a livello simbolico, possiamo leggere le vicende interne degli Achei come un conflitto in cui la componente «Ifianassa» viene contrastata in nome di altre funzioni, qualità e competenze che si ritengono necessarie e con cui deve invece essere articolata.

5. Un'interpretazione dell'Odissea Pur da questo breve esame l'Odissea si presenta, per molti aspetti, come un percorso narrativo opposto a quello dell'Iliade. Il problema infatti non è più quello di articolare una struttura di dominio con strutture di discussione legittimate attraverso il riferimento a più antiche forme comunitarie e neppure, a fortiori, di difendere forme comunitarie a leadership debole ma, al contrario, quello di affermare le ragioni dell'anàsasein e del dominio contro queste più antiche strutture e le loro derivazioni. Se è vero che la caratteristica della oligarchia itacese su cui il testo più insistentemente ritorna è quella della dissipazione, è anche vero che questa si presta a una lettura politica, oltre che economica: lo sperpero come conseguenza della incapacità di concludere, il prezzo della non decisione di un troppo prolungato conclave. In questo senso le motivazioni critiche del «sissizio» itacese possono essere affiancate a quelle sottostanti al racconto dell'inconcludente Quarto consiglio olimpico dell'Iliade, quello presieduto non da Zeus ma da Temi. Ma nell'Iliade il riferimento alla themis serviva anche a legittimare il progetto di «monarchia costituzionale» di Diomede. Il progetto di Odisseo invece non fa riferimento a Temi come forza attiva e questa assenza evidenzia anche un altro aspetto del poema. Se infatti Temi rappresenta l'evocazione di un «vero da sempre», di un passato storico sedimentato che si presenta con la stessa verità della natura, essa non può servire da orientamento all'agire di Odisseo. 190

L'eroe infatti sa, per averlo sperimentato nei suoi viaggi, che il passato è almeno bivalente - l'isola dei Feaci, ma anche quella dei Ciclopi. E comunque Odisseo non è personaggio della nostalgia, ma piuttosto del superamento, talora sprezzante, del passato, qualunque ne sia il costo. Al rinnegamento di strutture comunitarie legate alla Temi Odisseo potrebbe giungere anche per altra strada. Buon conoscitore di parole e fabbricatore di discorsi, egli «sa» le trappole della parola, la possibile inconcludenza dei discorsi, i tranelli dei ragionamenti. Le parole, per lui e dopo di lui, non sono cose, ma campo dell'infinitamente possibile. La sua capacità di mentire, come prova il nome di Nessuno (Outis) fornito al Ciclope, inaugura una grammatologia della negazione, la possibilità di disdire non solo un passato che non esiste più o un futuro che non esiste ancora, ma anche il presente' 7• È forse inevitabile che questa consapevolezza indebolisca una discussione alla quale non si riconosce più un accesso garantito alla verità o alla giustezza, e induca, sul piano istituzionale, ad una diffidenza verso strutture consiliari o assembleari. Punto esclusivo di riferimento diviene cosl la saggezza del sovrano, al più affiancato da strutture consiliari che possano confortare tale saggezza. C'è in questo un'analogia con il pensiero del vecchio Platone, quello del Sofista e del Politico confrontato con quello del Gorgia. Il Platone critico della logica e della sofistica e portato a dar fiducia ad un re-dittatore. Il Platone che identifica il perfetto politico con il buon amministratore (oikòmenos), e si preoccupa poi di tratteggiarne, con l'esempio della tessitura, le caratteristiche personali alle quali deve corrispondere' 8 • Ma c'è un altro elemento che evidenzia il clima di restaurazione dell'Odissea: il fatto che la diffidenza verso le strutture di discussione si estenda anche alla categoria sociologica

Per questa interpretazione, dr. Horkheimer e Adorno [1947, trad. it. 1966, 69, 77 ss.]; Steiner (1984, cap. II]. 11 Cfr. Platone, I/ politico, 310 b; Hildebrandt [1933, trad. it. 1946, 396 ss.]. J7

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dei «giovani». In questo c'è una profonda diversità con l'Iliade dove invece i giovani, che sono anche rappresentazione di nuove istanze che premono dall'esterno, costituiscono un protagonista collettivo. Nell'Odissea invece, se si escludono i rampolli reali come Telemaco e i figli di Alcinoo, essi non hanno un grande ruolo. I «giovani» sono sudditi a cui comandare - come fa Alcinoo" - o «pretendenti» da sterminare. Per proseguire nel paragone, assumendo Diomede come il personaggio più rappresentativo del conflitto politico che travaglia l'Iliade, potremmo dire che l'Odissea è la sconfitta del giovane Diomede allo stesso titolo con cui l'Iliade lo era stata per l'eroe arcaico Aiace. Parlare di restaurazione è forse eccessivo. Il problema è in effetti più complesso poiché l'Odissea si chiude lasciando intravedere un patto, una articolazione tra celeritase gravitas, sia pure senza ulteriori specificazioni. Possiamo però porre il problema in altri termini, cercando di immaginare lo stato d'animo del poeta dell'Odissea. Probabilmente ne verrebbe fuori il ritratto di una persona, forse anziana, insofferente verso il troppo e inconcludente parlare. Postulando un maggiore livello di consapevolezza potremmo anche attribuire al poeta dell'Odissea intenti critici verso strutture di discussione che avevano un valore in quanto contrapposte al dominio, ma che sono poi diventate esse stesse dominio o addirittura semplice schermo di un dominio che risiede altrove. Di qui una nostalgia, quasi un desiderio che la storia possa ricominciare, e che debba farlo ripartendo da Agamennone, il re ingiustamente abbandonato sulla opposta riva del mare. Con un passaggio forse audace potremmo paragonare un tale stato d'animo a quello di un Max Weber. Anch'egli vive in un'epoca turbolenta, quella della Germania guglielmina, e anch'egli è portato a reagire al verboso frantumarsi delle forze politiche concentrando la sua attenzione e il suo desiderio sui problemi della signoria e del dominio piuttosto che su quelli della discussione e del consenso 40• Weber è «un 39 40

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Cfr. Od., 8/410. Per questo tipo di critica si veda Brunner [1962; 1978]. Tuttavia,

orfano di Bismarck» 41 come il poeta dell'Odissea lo è di Agamennone; è critico di Weimar nello stesso senso in cui il poeta epico lo è di Itaca senza re. Infine Weber guarda alle strutture politiche delle città greche, contrapposte a quelle romane, in termini che forse sarebbero stati condivisi dal poeta dell'Odissea: «Nella vita politica romana i discorsi e la frequenza dell'agorà e dell'ekklesìa ebbero un'importanza tanto secondaria quanto la competizione nel ginnasio, che mancava del tutto [ ...] La politica era determinata dalla tradizione e dall'esperienza degli anziani [. ..] I vecchi e non i giovani avevano un'influenza decisiva per il tono dei rapporti sociali e per il sentimento della dignità [... ]» 42 •

anche se Weber accentua unilateralmente la formazione della volontà dall'alto verso il basso, non per questo deve essere interpretato in senso autoritaristico. In questo senso cfr. Mommsen [1988, 444]. ◄ 1 Cfr. Ferrarotti [1982]. Prefazione alla traduzione italiana di Weber [1918]. ◄ 2 Cfr. Weber [1922, trad. it. 1961, 680].

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CAPITOLODECIMO

LE DUE COSTITUZIONI MADRI

1. Le vicende di Zeus, Ettore e Agamennone a confronto con

i Giochi per Patroclo e con il ritorno di Odissea

Nella nostra lettura abbiamo percorso nell'ordine i due poemi epici mettendo in evidenza le ricorrenze narrative riconducibili alla dicotomia subordinazione/consociazione, con particolare attenzione alla sua specificazione in comando/ discussione e al diverso equilibrio dei due termini in relazione alle due diverse situazioni di pace e di guerra. Se valutiamo i materiali epici in base al maggiore o minore sviluppo di questi temi, non possiamo non constatare la maggiore complessità narrativa e argomentativa dell'insieme dei conflitti che travagliano la prima parte - i primi venti canti - dell'Iliade. Conflitti di Agamennone con i capi Achei, di Zeus con Era e Poseidone, di Polite con Priamo e di Ettore con Polidàmante: eventi che, per quanto riguarda Achei e Troiani si collocano tutti tra l'Assemblea dell'Ira e quella della Riconciliazione. Il mondo dell'Odissea si presenta invece come una commistione di elementi più moderni (nella religiosità, nella sensibilità sociale ...) e di elementi più arcaici, ad esempio nella struttura sociale e negli istituti giudiziari1. E più arcaico è anche il motivo, così rilevante per la nostra lettura dell'Odissea, della violenta riaffermazione del dominio da

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Gli aspetti più arcaici sono stati messi in rilievo da Finley [1977, trad. it. 1978, 44 ss.], secondo il quale il mondo di Odisseo è quello tra il X e il IX secolo. Questa tesi ha suscitato polemiche per le quali si veda ibidem, Appendice 1. Per gli istituti giudiziari cfr. Havelock [1978, trad. it. 1983, 177 ss.].

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parte del Rabbioso, motivo che per qualche verso ricorda l'epopea di Ghilgamesh: quasi che il poeta dell'Odissea abbia recuperato, in chiave di restaurazione, un più antico motivo di fondazione del dominio che invece nell'Iliade era leggibile soltanto attraverso indizi quali l'atteggiamento di Zeus verso gli altri dèi o la crittografia racchiusa nel nome di una figlia di Agamennone. La stessa commistione tra un più antico e un più moderno si riscontra anche nelle vicende dei Giochi attraverso il recupero del personaggio di Achille. Anche in questo caso c'è la riproposizione di un elemento arcaico: il principio di organizzazione sociale basato sulla pariteticità che era risultato soccombente nel contrasto con Agamennone, viene recuperato e composto con una diversa immagine di Achille. Il risultato è una struttura politica a comando debole, antitetica tanto alle pretese degli Zeus, degli Agamennone e degli Ettore quanto alla struttura risultante dai conflitti a cui Zeus e Agamennone hanno dovuto far fronte. Si sarebbe tentati di correlare i tre diversi gruppi di avvenimenti, considerati nella loro sequenza testuale, come la successione di tre diverse fasi di una storia politica. Rispetto alle vicende di Agamennone, Zeus ed Ettore, la struttura sottostante le vicende dei Giochi potrebbe indicare la consapevolezza che il complesso disegno politico costruito attorno ali' Atride è ormai da considerarsi inattuale: il segno dei tempi va piuttosto in direzione di strutture oligarchiche e aristocratiche attraverso le quali il dominio si nasconde riesumando ideologie comunitarie. Le descrizioni zuccherose del comportamento di due capi come Achille e Menelao verso il giovane Antiloco testimoniano della valenza positiva attribuita a questo sviluppo. Allo stesso modo però, il ritorno di Odisseo e lo sterminio dei giovani e nobili itacesi, potrebbe essere interpretato - e lo abbiamo già fatto - come una inversione di tendenza: quasi che delusione e risentimento abbiano portato a recuperare un più antico motivo di irruzione del dominio per contrapporlo a quel principio di organizzazione di segno opposto che sottendeva le vicende dei Giochi. Ma con queste considerazioni ci stiamo avvicinando trop196

po ai problemi della «scrittura» dell'epica. Per tornare alla lettura, essa ci ha portato ad individuare, prevalentemente nella prima parte dell'Iliade, un nucleo narrativo complesso - il contrasto tra due diverse forme di organizzazione politica e sociale - sviluppato nd contesto di tre diversi mondi (olimpico, troiano, acheo) e con il concorso di diversi personaggi. Rispetto ad esso, i Giochi e il ritorno di Odisseo si presentano come sviluppi che risolvono la drammaticità del politico enfatizzandone uno dei termini ed eliminando, riducendo o screditando il termine opposto. Questa perdita di complessità può tuttavia essere utilizzata in positivo per interpretare e completare il tema centrale. Se allora premettiamo alle vicende di sovrani quali Zeus e Agamennone il motivo della instaurazione del dominio dell'Odissea e utilizziamo poi la struttura istituzionale dei Giochi per meglio delineare le caratteristiche e i possibili sviluppi di un principio di organizzazione che si pone come alternativo, ci troviamo di fronte a qualcosa di molto simile al «secondo stadio» dello schema weberiano. Un re che viene dall'esterno (Zeus, Agamennone) si erge a dominatore di popolazioni a economia agricola e a struttura politica scarsamente differenziata, tanto da poter essere qualificata come «comunitaria». Nasce da questa sovrapposizione un problema di «addomesticamento» dell'invasore, divenuto stanziale, nonché un problema di composizione tra due diverse forme di organizzazione politica e sociale. Ndl'immaginare le forme di questa composizione non è però necessario ridurle a una banale sovrapposizione in cui l'invasore porti in dote l'elemento palatino e i dominati quello comunitario. Ognuna delle diverse strutture conosce infatti almeno una certa differenziazione tra pace e guerra. Possiamo allora immaginare che anche nella memoria dei dominatori fossero presenti elementi comunitari, magari devalorizzati al momento della spedizione di conquista; che una conflittualità di tipo feudale sia sorta all'interno della stessa organizzazione dei vincitori; che gli antichi feudatari si siano progressivamente fusi con i maggiorenti delle popolazioni dominate ... Il collegamento tra forme comunitarie e figure arcaiche o preolimpiche come l'Achille dell'Ira, Temi ed Era, potrebbe 197

essere un indizio di una tale pluralità di tradizioni comunitarie. È su questa situazione in cui convivono forme e potenzialità divergenti - e rispetto alla quale gli altri due nuclei presentano analogie con la biforcazione weberiana - che dobbiamo ancora focalizzare la nostra attenzione. 2. Le due polaritàdell'epica,unaformulazione platonicae la

criticadi Aristotele L'esplorazione epica fa prevalente riferimento alle funzioni di comando militare piuttosto che all'altra funzione «specificamente politica» dell'amministrazione della giustizia2. Non che manchino riferimenti al problema giudiziario. Essi sono presenti nell'accenno alla giustizia di guerra di Agamennone, nella scena dell'arbitrato nello scudo di Achille e nel contrasto tra Antiloco e Menelao a conclusione della Corsa dei Carri'. E nemmeno si può dire che i riferimenti non risentano della logica delle due opposte forme. La giustizia di Agamennone si contrappone anzitutto alle altre due scene giudiziali come la guerra si contrappone alla pace. Ma a questa distinzione se ne collega un'altra. La giustizia di Agamennone è monocratica mentre Menelao, dopo aver fatto riferimento in prima battuta ad una giustizia amministrata dai capi e dagli Anziani, dimostra di preferire una giustizia senza giudici, un giuramento di fronte all'intera comunità. Da un punto di vista prettamente letterario si può ovviamente interpretare il brusco cambiamento di procedura come una interpolazione. Ma, anche in questo caso, è la ratio dell'interpolazione a dover essere presa in considerazione. Partendo da queste due forme di giurisdizione, potremmo insomma costruire un continuum, parallelo a quello che ha ai suoi estremi la piramide e il cerchio, ponendo ad un estremo la giustizia di Agamennone, all'altro quella di Menelao 2

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Cfr. cap. VII, nota 5. Cfr. 2/391, 18/497, 23/566.

e all'interno quella amministrata dagli Anziani (nella scena dello scudo) o da «Capi ed Anziani» (secondo la prima proposta di Menelao nei Giochi). Anche se questa costruzione ha alcuni elementi di plausibilità, resta il fatto che i riferimenti al problema giudiziario come funzione autonoma non hanno la medesima ricchezza narrativa di quelli legati alla funzione di comando. Il primo, la giustizia di Agamennone, si lega strettamente alle funzioni militari; il secondo, la scena dello Scudo, è la descrizione di una scena inanimata; il terzo ci presenta sì un contrasto tra due diverse forme, ma da esso non derivano significativi sviluppi narrativi. Tutto ciò non vale invece per le funzioni legate al comando militare. Esse vengono esaminate con abbondanza di sviluppi e con significative variazioni del contesto di riferimento che pongono volta a volta nuovi problemi: non soltanto con la distinzione tra situazioni di pace e di guerra, ma anche, all'interno di quest'ultima, i problemi della redistribuzione o la distinzione tra le due diverse funzioni del /ronèin e del màkhesthai. Ed è qui, nel conflitto ad esempio tra Ettore e Polidàmante o nel duplice atteggiamento di Diomede prima e dopo la battaglia, che la riflessione politica sottostante alla narrazione si esprime al meglio. Oltre che in riferimento alla funzione militare, l'esplorazione delle due diverse forme - «a cerchio» e «a piramide» avviene anche con prevalente riferimento alle sue patologie. Il comportamento degli Zeus, degli Agamennone o degli Ettore, quando pretenda di sottrarsi ad ogni discussione, è una hybris che trasforma il comando in dominio, respingendolo così verso le sue origini. E da questa hybris non possono discendere sagge decisioni. Ma si può parlare di hybris anche per le strutture della discussione quando esse pretendano di estendere oltre ogni limite i requisiti della pariteticità e della universalità che pure ne sono il fondamento. L'Assemblea della Prova, le parole di Nestore nell'Assemblea di Diomede, il Consiglio di Temi, le vicende dei Proci, esplorano diverse forme di una situazione il cui esito, caratterizzato negativamente come patologia, è non la decisione sbagliata ma la non-decisione.

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Questa duplice strategia al negativo resterà un topos classico nel successivo pensiero greco. Un paio di secoli dopo Eschilo la tradurrà nei termini «né dispotismo né anarchia», una formulazione sulla quale convengono tanto Atena che le Erinni 4 • Ancora un secolo e il motivo verrà ripreso da Platone nei termini delle «due costituzioni madri». Ci sono, osserva Platone nelle Leggi, due costituzioni madri dalle quali tutte le altre discendono. La prima, «che possiamo chiamare monarchica», tocca il suo vertice presso i Persiani. Essa enfatizza l'autorità fino a giungere al dispotismo, trasportando così il popolo nella estrema schiavitù. La seconda è invece la democrazia, che tocca il suo vertice presso gli ateniesi. Essa enfatizza la libertà e, soprattutto quando non è corretta dal terrore della guerra che aumenta l'ascendenza dei governanti, degenera in teatrocrazia, una sorta di chiassoso potere degli spettatori'. Questa impostazione del problema - ma anche le conseguenze che vuole trarne il Platone delle Leggi - saranno oggetto della critica di Aristotele. Democrazia e tirannide dirà lo Stagirita - sono forme che non devono essere considerate costituzioni o, se lo sono, sono le peggiori di tutte. «Dicono meglio perciò coloro che ne fondono di più, perché quello che risulta da più costituzioni è migliore». E altrove: «Alcuni infatti esaltano quella degli spartani che dicono risulti da un insieme di oligarchia, monarchia e democrazia [. .. ]»6.

I termini con cui Aristotele pone il problema del politico sono ormai differenti da quelli omerici. Ora è disponibile un sottodizionario specializzato sulle forme di governo la cui corrispondenza con il dizionario dell'epica non è né immediata né completa. E a questo bisogna aggiungere che la 4

Cfr. Eumenidi, vv. 525 e 696. Per meglio afiprezzare questa formulazione la si può contrapporre a quella diffusa ne a cultura islamica - ed enunciata la prima volta da Ghazali nell'XI secolo - secondo cui «è meglio un ordine ingiusto piuttosto che il disordine e l'anarchia». Cfr. Badie [1986, trad. it. 1990, 4} ]. s Cfr. Leggi, 692 d - 69} c, 697 b - 698 b, 699 e, 701 a, 701 e. 6 Cfr. Politica, 1266 a, 1265 b.

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nuova terminologia ha avuto tutto il tempo per caricarsi di valori connotativi non sempre positivi. La terminologia platonica contro cui polemizza Aristotele, è invece ambivalente. Essa si pone, per così dire, a cavallo tra un dizionario di forme ideali e una terminologia costituzionale. Ed è proprio questa ambiguità tra due diversi dizionari ad essere oggetto della critica aristotelica: Platone assume come inizio del suo ragionamento due forme ideali portandole ai loro estremi patologici per poi trattarle come forme storiche e farne discendere conseguenze costituzionali. Da questa commistione, sembra quasi voler dire Aristotele, ha inizio la deriva che porta Platone a sminuire il ruolo di ogni forma di discussione pubblica. Certo tra Omero e i grandi filosofi sono intercorse molte generazioni, con il risultato che la discussione, che nell'epica emerge come conquista politicamente rilevante, è ormai una struttura mentale che caratterizza la stessa definizione di uomo. Non solo 1.òonpolitikòn, come ancora oggi in alcune incolte citazioni che finiscono per equiparare uomini e api, ma 1.òon politikòn lògon èchon, animale sociale capace di linguaggio e quindi di esprimere il giusto e di contestare l'ingiusto 7• Ma l'atteggiamento platonico non nega la connessione tra la capacità di contestare l'ingiustizia e la costituzione e organizzazione dello stato: esso vuole piuttosto sottrarre la discussione al pubblico della piazza vedendovi non l'innovazione che aveva permesso agli Achille, ai Diomede e ai Polidàmante di contrastare i loro comandanti, ma esclusivamente il chiassoso prevalere dei Tersite. E in questo Platone è in linea con una preoccupazione quella dei limiti pratici dell'universalità - che era già stata dell'epica.

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Cfr. Politica, 1253 a, 1-18. Ancora più forte in Retorica 1355 b: «La parola è più propria dell'uomo che l'uso del corpo». Un precedente è in Sofocle, Antigone, v. 534.

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3. Il politico come concetto e come termine Il passo platonico e la critica aristotelica ci riconducono allo schema della nostra indagine. In essa abbiamo cercato di far emergere la contrastata coesistenza di due forme per le quali abbiamo utilizzato denominazioni diverse a seconda degli autori e delle discipline (forme protostatali, princìpi di organizzazione, strutture articolate su modelli parentali paterni o fraterni, strategie di fuoruscita dal modo di produzione domestico e, infine, costituzioni madri) riassumendole nelle due simbologie del cerchio e della piramide: due princìpi ideali di organizzazione che, giusta l'osservazione aristotelica, non vanno considerate in una loro concretezza storicoistituzionale ma come uno strumento utile per individuare criticamente ciò che, nell'esperienza quotidiana, si presenta già come interrelato. Lo stesso contrasto, come dimostra l'antropologia, si presenta con una varietà di forme su una estensione molto più ampia della esperienza storica a cui l'epica attinge. Nella esperienza greca esso sarà però specificato, trasformato e sublimato da una innovazione che imporrà il suo segno su una intera cultura: l'invenzione della discussione. Ed è questa innovazione, che la narrazione epica esplora con esiti di sconcertante attualità, che trasforma l'istanza comunitaria in qualcosa di molto diverso, cambiando - forse, addirittura, rendendo possibile - il suo rapportarsi alla struttura alternativa del dominio. La discussione non coincide con la semplice comunicazione, nemmeno quando essa sia reciproca. All'origine essa è imparentata con l'atteggiamento dell'ira, con l'attività del combattere e anche con forme letterarie quali la satira e l'anatema. Ma uno spostamento importante la distingue sempre più da queste manifestazioni. L'oggetto contro cui essa si dirige non è l'Altro, un Altro da eliminare fisicamente o da cui separarsi, un Altro da denigrare e da cui poi essere denigrato in uno scontro comunicativo in cui i discorsi non siano reciprocamente correlati. Non l'Altro ma il suo argomentare è l'obiettivo polemico della discussione: il suo modo di costruire ragionamenti, di motivare e di giustificare. Op-

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pure il suo rifiuto di farlo. E questo spostamento comincia ad emergere già nelle prime assemblee achee e olimpiche, sia pure ancora frammisto ad atteggiamenti di rabbia e alla tentazione della spada, presentandosi poi in forma più articolata nelle successive vicende dell'epica. Se identifichiamo il sorgere del politico con il passaggio culturale in cui la contestazione del linguaggio soppianta l'aggressione, la denigrazione, il ferimento e l'uccisione del1'avversario, e se poniamo questo spostamento come contenuto qualificante del politico, ci troviamo in difficoltà a stabilire un parallelo con il suo termine. Il raccordo tra concetto e termine, o meglio la definizione lessicale del termine «politico» - quale risulta dall'uso che è stato fatto dalla nostra tradizione e che si riflette nella attuale polisemia - sembra collocarsi tra un non ancora e un non più. «Non ancora» perché l'epica pone il problema del politico ma non la terminologia ad esso connessa. Con un riferimento platonico potremmo dire che la politica è ancora un concetto alla ricerca di un nome di cui appropriarsi per tutti i tempi. In Aristotele troviamo i termini polis e polz'tes(corrispondenti ai latini civitas e cives), l'aggettivazione politikòs (anche in connessione con epistème, scienza politica), ma soprattutto il termine politèia. Quest'ultimo compare nell'ambito di discorsi sulle forme di governo in contrapposizione da un lato con i termini di monarchia e oligarchia, dall'altro con quello di democrazia che della politèia rappresenta la forma degenerata 8 • Potremmo tradurlo come «democrazia presa al meglio», in contrapposizione sia a quelle configurazioni in cui la comunicazione è un flusso discendente tra posizioni prefissate9, sia a quelle che enfatizzano la comunicazione a scapito di ogni decisione.

Il termine è già in Platone (Leggi, 753 b).Contro l'uso platonico cfr. Politica, 1265 b, 30 s. Sull'uso aristotelico cfr. Politica, 1279 b; Etica Nicomachea, 1160 a (con divergenze rispetto a Politica); Retorica, 1365 b. 9 Questa esclusione risulta, almeno in parte, da un passo dell'Antigone. «Una polis che prenda ordini da un solo uomo non è degna di essere chiamata con questo nome». Qui Sofocle contrappone l'uso lessicale, che 8

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Ma le cose si complicano nella tradizione successiva. Intorno al 1260, il domenicano fiammingo che traduce la Politica aristotelica latinizza, invece di tradurre, alcuni termini greci (politicus, politica, politicum) che vengono così ad affiancarsi a quelli latini di civitas e cives. Forse, come è stato osservato, il traduttore latino non era del tutto sicuro di ciò che i termini volevano propriamente dire e così per precauzione li lasciò stare come vocaboli stranieri. In ogni caso «ciò fu gravido di conseguenze perché spezzò il legame linguistico tra lo Stato, i cittadini e gli affari statali-civili [. .. ] La politica, il politico, l'uomo politico rimasero greci, lo stato e i cittadini diventarono latini [. .. ] Non era più linguisticamente immediata l'origine civile o di cittadinanza della politica» come forse sarebbe avvenuto se, proseguendo con l'etimologia latina, si fosse usato per «politica» un termine come «civiltà» 10 • Seguendo questa linea di ragionamento, con questo passaggio cade la contrapposizione tra politico e dispotico ed inizia la storia del «non più». Il termine perde di specificità, la sua estensione si fa più ampia dando origine a una serie di accezioni dissociate apparentemente contraddittorie, caratteristica con la quale si presenta ancora oggi nel nostro uso quotidiano 11• Una indagine lessicale ci permette però di isolare tre diverse accezioni che possono essere ricondotte a tre diverse radici del termine. Una prima accezione è legata al decidere, programmare, coordinare: funzioni che abbiamo visto emergere come istanza porta ad usare il termine polis per indicare la città, con l'intenzione originaria del termine. 1 ° Cfr. Sternberger (1977-81, trad. it. 1991, 153]. 11 Una strategia restrittiva è quella proposta da Crick (1964, cap. I]: «La politica[ ... ] è sconosciuta in tutte le società che non sono sviluppate; ha origini specifiche che possono essere individuate soltanto nell'esperienza europea». Tra gli usi impropri Crick indica anche quello di «politica internazionale» (invece che «diplomazia internazionale»). Stemberger (1977-81, cap. X] critica l'uso, intimamente contraddittorio, di «sistemi o regimi politici autoritari». Alcuni manuali di scienza della politica, pur non intervenendo sul termine, restringono il campo della disciplina - e quindi della politica - ai fenomeni maturati nel corso della esperienza politica occidentale. Cfr. ad es. Pasquino [ 1986].

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nel rimprovero di Sarpedone a Ettore (5/485). In questo senso politica può indicare sia un ramo dell'attività di governo, sia la necessità di raccogliere e coordinare interventi sporadici in una logica d'insieme. Il riferimento più estremo, ma anche più indicativo, è quella accezione che da polis fa derivare, nelle lingue europee, il termine «polizia» 12• Ma in un senso meno specifico non bisogna dimenticare l'uso del termine in «stato di polizia», inteso come «sintesi di ordine e di benessere» sotto la guida di un principe-padreu. In questa accezione insomma, il termine politica, in forma prevalentemente sostantiva, fa riferimento a una funzione discendente nella quale la comunità è oggetto di un comando. Una seconda accezione emerge dall'accoppiamento del termine, in forma aggettivale, con sostantivi come idee, istanze, dibattito. In questa accezione il soggetto agente non è il governo o l'amministrazione ma la società nel suo complesso, ivi comprese le strutture di comando. Politica coincide con «espressione della società nella sua dimensione pubblica»: ciò che è all'opera non è l 'auctoritas iubendi ma l 'aucton·tas suadendt 14 • La società o una sua espressione, ad esempio il parlamento, si presenta idealmente come una struttura a cerchio che deve far fronte alle sue divisioni impegnandosi in un discorso paritetico il cui esito - si pensi al caso estremo della forma referendum - può anche trasformarla in quanto soggetto. Una terza accezione è quella che emerge dall'espressione «problema politico» e che ha la sua ascendenza nel significato di «prudenza» che troviamo già in Aristotele. In un certo senso questa accezione compendia e riassume le due precedenti. Politica si contrappone anzitutto ad amministrazione nel suo senso moderno: un problema è «politico» quando per farvi fronte non bastano i normali strumenti del comando ma occorrono procedimenti che «prudentemente» inglobino momenti di consenso. Ma la politica, in quanto prassi, Per questa funzione però la lingua greca usa ancora oggi il termine astynomìa, etimologicamente più vicino alla polarità del comando. 13 Cfr. Schiera [1976). 14 Si tratta di due diverse concezioni che Ulmann riscontra come coesistenti nel Medioevo. Cfr. Ulmann [1961, Introduzione]. 12

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si contrappone anche al semplice discutere: perché si abbia politica è necessario un discutere che «prudentemente» inglobi anche momenti di comando in modo da giungere alla decisione. «Prudenza» è, insomma, la soluzione pratica del paradosso del politico. 4. Il politico tra complessità e riduzionismo

La storia semantica non è però che la superficie di una storia che si svolge a livelli più profondi e che non sempre è registrata dal linguaggio negli stessi termini e con gli stessi tempi. Le difficoltà nella definizione del politico non sono dovute solo a incidenti di percorso ma anche a una difficoltà originaria, quasi che il concetto fosse troppo complesso e proteiforme per essere compreso in un unico termine. L'idea di politico sotto certi aspetti si contrappone al dominio, sotto altri lo incorpora per trasformarlo. Seguendo la prima linea di significato - una strategia che potremmo definire radicale - il concetto perde molto della sua portata originaria, e finisce per limitare il suo contenuto ad un discutere non vincolato al decidere. Con un vocabolario diverso, è questo il senso della critica platonica alla costituzione (politèia) ateniese: essa fa riferimento a una sola delle due costituzioni madri. Atene è, in qualche modo, «Itaca senza re». L'elemento mancante, quello la cui presenza aveva permesso la costruzione del complesso disegno della prima parte dell'Iliade, resterà una nostalgia di tutta la cultura greca: quella stessa nostalgia che il poeta dell'Odissea dimostra verso Agamennone e che lo porta a vedere con simpatia il cruento ritorno di Odisseo. Ed è con questo sentimento di nostalgia che Platone sarà indotto a guardare con simpatia a Creta o a Sparta, ai Persiani o al mito di Atlantide 15• Il Platone delle Leggi denuncia un riduzionismo del con15

Per l'interpretazione del mito dell'Atlantide come una Atene con tratti orientali cfr. Vidal-Naquet [1981, cap. IV, par. 2].

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cetto a cui reagirà con un riduzionismo di segno opposto. Ma nella sua nostalgia c'è insieme la consapevolezza e la debolezza di tutta una cultura, soprattutto se la si confronti con la diversa valorizzazione delle funzioni di comando sul fronte occidentale della tradizione indoeuropea, quello romano. Come osserva uno storico del pensiero politico «il concetto di autorità o di potere sovrano che il Romano attribuiva alle sue magistrature non trova praticamente posto nella dottrina politica di Platone e neppure in quella di nessun altro filosofo greco» 16• Questa linea di pensiero greco-ateniese si spinge fin nel cuore del pensiero politico moderno e contemporaneo. Si consideri ad esempio lo schema di Totem e tabù. Riprendendo motivi di Darwin e di Frazer, Freud elabora nel 1912 qualcosa come un mito di fondazione della società umana, un quadro di riferimento alla cui origine sta un parricidio. L'uccisione del padre lascia dietro di sé un mondo di fratelli, quindi privo di una autorità superiore capace di risolvere i conflitti interni. A questa carenza la società umana fa fronte con una «nostalgia del padre», con una «elaborazione del lutto» che si esprime nella fondazione di nuove istituzioni. Nello schema freudiano ritroviamo la contrapposizione tra modello paterno e modello fraterno che abbiamo già incontrato, ad esempio, nel conflitto del «padre» Zeus con la «sposa sorella» Era e con il «fratello» Poseidone. Ma ritroviamo anche quella uccisione del padre che era già presente nel declino e nella successiva morte di Agamennone. Il tema della uccisione del padre, del resto, è presente in molti miti ellenici e non è un caso che un autore con profonda sensibilità verso la cultura greca, abbia dato a questo motivo una posizione così centrale nel suo pensiero. Ma, tradotto in termini epici, lo schema freudiano è molto vicino a quella 16

Sabine [1937, trad. it. 1962, 43). Cfr. anche il «secondo modello» del pensiero politico classico in Veyne [1983, trad. it. 1988, 77 ss.]. Si veda anche Sartori: la concezione greca sottintende ma non sviluppa l'idea della verticalità, che verrà invece espressa in termini romani. Cfr. Che cos'è politica, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», n. 1, 1972, ora in Sartori [1987, cap. X]. Sul carattere più conservatore dei due opposti fronti della tradizione indoeuropea, quello romano e quello indoiranico, cfr. Dumézil [1977, cap. IV].

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struttura che abbiamo incontrato nei Giochi o, in negativo, a quella di «Itaca senza re». Agli antipodi di questo schema «ascendente», che vede le istituzioni sorgere naturalmente da una società di consociati (sia pure per far fronte al senso di colpa generato da una assenza) sta lo schema weberiano della sociologia del potere. Qui, all'origine della storia politica sta non una struttura comunitaria ma quella figura della patria potestas che Gaio definisce come istituzione tipicamente romana 17• E proprio come costruzione romanista il pensiero weberiano si contrappone a quello greco-ateniese di un Freud (ma anche a quello germanista di un Gierke). Questa enfatizzazione- o, se si vuole, la sottovalutazione dei termini legati alla polarità opposta - condurrà Weber a interpretazioni inadeguate di quelle esperienze storiche in cui elementi di pariteticità giocano un ruolo significativo, in particolare del mondo greco e, per certi aspetti, di quello medievale 18• Una ripresa del motivo delle due costituzioni madri con la rivalutazione del dominio come componente del politico - la ritroviamo invece in C. Schmitt, per molti aspetti vicino al vecchio Platone. Alla produzione di questo autore si possono muovere molte obiezioni: Schmitt non è un pensatore organico né coerente, se non nei suoi fini polemici; il suo argomentare ha salti di livello tra generalizzazioni ampie e realizzazioni minute che rendono problematica la correlazione logica; la foga del discorso prevale sulla sistematicità delle categorizzazioni. .. Ma qui ci interessano non tanto gli esiti cui l'autore giunge, ma la pars destruens del suo pensiero. Nelle sue argomentazioni è possibile vedere una sorta di «teorema di Godei» rivolto contro quel pensiero che unifica e identifica tra loro termini come stato, politica e normazione giuridica. Secondo questo celebre teorema, elaborato intorno agli Su questo aspetto del pensiero weberiano, cfr. Brunner (1962]; Mommsen [1988]; Rossetti [1988]; Bendix [1960, trad. it. 1984, 373]; Sternberger [1977-81, cap. XII]; Rebuffa [1991, cap. VII, par. 3]. 18 Per il mondo greco, cfr. Finley [1985, cap. VI]. Per il Medioevo, cfr. Bendix [1960, trad. it. 1984, 259]; Anderson [1974, trad. it. 1980, 366]. 17

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anni Trenta, in ogni sistema formale esistono proposizioni che il sistema non riesce a decidere e tra queste proposizioni indecidibili c'è anche quella che esprime la non contraddittorietà dd sistema. C'è insomma in ogni sistema (e in primis in ogni teoria dei numeri, quale quella di un Hilbert) una contraddizione fondante: una contraddizione che è tale in forza ddle stesse premesse dd sistema e non può essere spiegata o rimossa con gli strumenti dd sistema stesso. Accettando questa metafora, e assumendo il normativismo di Kdsen come omologo nel campo del diritto a quello che rappresenta Hilbert nelle discipline matematiche, potremmo dire che Schmitt sta a Kdsen come Godel sta a Hilbert 19• La contraddittorietà su cui insiste Schmitt parte dalla constatazione che la legge non può rinviare all'infinito a un'altra legge fino a giungere a una norma fondamentale, perché in questo cammino a ritroso nel tempo incontra

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Uso qui il teorema di Godei al di sotto delle possibilità che esso ha nelle scienze matematiche (e per le quali dr. Hofstadter (1979, capp. IV e XVII]). Il problema della «contraddittorietà fondamentale» dei paradigmi è oggi al centro di un nuovo dibattito: cfr. ad es. Morin [1977, cap. II, p·ar. 3, C]. Le scienze sociali, osserva ad esempio Dupuy [1991), da un lato celebrano la morte del soggetto, dall'altro riconducono le istituzioni sociali ad accordi volontari che intercorrono tra coscienze individuali libere. Una diversa strada è invece quella di ipotizzare regole sociali che comprendano al loro interno la propria negazione, un ordine che contenga la crisi che lo mina. Dupuy fa l'esempio del paradosso giuridico dell'auto-emendamento e della sua legittimità: «Se una costituzione ha un emendamento, può questo essere usato per emendare se stesso? L'auto-emendamento è paradossale? Se è paradossale, può essere legale?». La sua risposta è che «la legge può tollerare il paradosso ma non può tollerare l'immutabilità. E d'altronde, se non fosse così, non si spiegherebbero le origini legali del sistema giuridico, né alcun regime rivoluzionario potrebbe divenire legale. [ ... Si è anche dimostrato] che è questo paradosso che definisce precisamente l'autonomia della legge (che include la sua autonomia in rapporto alla logica)». Nello stesso ordine di idee si iscrive Réné Girard, anch'egli alla ricerca di «un sistema di premesse che, al livello fondamentale del religioso e del sociale [. .. ] veda i principi dell'ordine e del disordine come la stessa cosa». In polemica con lo strutturalismo, che ipotizza un ordine non contraddittorio, Girard mette in rilievo come, attraverso il sacro, si possa individuare una comune origine per il re e per il suo opposto: la vittima destinata al sacrificio. Ed è questa contraddittorietà interna a fondare il sistema politico. Sul tema si veda anche la connessione tra sacere publicum messa in rilievo da Sabbatucci [1975).

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l'auctoritas. Il che lo porta alla metafora secondo la quale l'ordinamento è la coperta che nasconde l'esistenza di un sovrano dormiente la cui figura però riemerge «in caso di eccezione». E la possibilità di questo risveglio, di questa possibile riattivazione dd dominio, è ciò che permette di parlare di ordinamento 20 • Ma Schmitt fa valere il suo teorema di Godd con riferimento non solo al comando giuridico ma anche alla discussione. Anch'essa in qualche modo è legata alla auctoritase se si prescinde da questo legame la discussione si trasforma in quell'eterno dialogo in cui si esprime la prassi parlamentare di una clasadiscutidora:un problema questo che, nell'epica, abbiamo visto emergere, ad esempio, nelle preoccupazioni di Nestore. Non ci interessano qui gli esiti dd discorso schmittiano: Schmitt è monista sul piano del pensiero giuridico e critico di Weimar su quello politico, con il risultato che le contraddizioni tra politico e statuale, tra discussione e comando, così acutamente messe in luce, finiscono per risolversi su un primato dello statuale21• Il riduzionismo contemporaneo è più vicino a Freud che a Weber o ad altri approcci quali le teorie del conflitto, la «catastrofe primitiva» in alcuni paradigmi psicoanalitici, la celeritas dumeziliana per la ultrastoria indoeuropea, il motivo del re straniero in antropologia ... Ed è proprio un antropologo a dichiarare provocatoriamente la sua insoddisfazione osservando che «è una bizzarria occidentale l'idea che la dominazione sia un'espressione spontanea della natura della società, e al di là di questa, della natura umana. Non si tratta di una opinione che tutti gli studiosi hanno sempre data per scontata. L'origine dello stato nella conquista, una teoria diffusa dalla opere di Gumplowicz e di Oppenheimer, era quantomeno rispettosa dell'antica dottrina europea - la leggenda di Romolo ad esempio - nella misura in cui era in grado di concepire il

° Cfr. Schmitt (1942], di cui si veda anche il saggio introduttivo all'edizione italiana di Galli [ 1986]. 21 Cfr. Marramao (1981]. 2

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potere soltanto a condizione che la sua origine fosse al di fuori della società, e che venisse imposto alla volontà generale con la violenza. Più recentemente però questa concezione del potere come qualcosa di estraneo alla società ha ceduto il passo a una varietà di altre interpretazioni- quella marxista, quella biologica, quella fondata sul contratto sociale accumunate da un idea della autorità politica come sviluppo interno che nasce dall'essenza stessa dei rapporti o dalle predisposizioni sociali dell'uomo» 22 • La provocazione merita di essere accolta anche se meglio precisata. Gli approcci endogeni non sono così recenti come il passo di Sahlins potrebbe lasciar credere. La loro storia coincide con la storia di una ideologia comunitaria che ha radici lontane quanto la regalità e il dominio contro cui si afferma: una storia che si esprime ad esempio nell'ideologia della città, nelle teorie conciliari o in autori quali l' Althusius. La seconda precisazione è che la censura del pensiero non riguarda solo la teoria della conquista, ma si estende all'intero concetto di dominio: un tema questo che è stato oggetto delle riflessioni di O. Brunner: Nella discussione sullo Stato fra le ultime generazioni si mostra un'oscillazione caratteristica tra una sopravvalutazione di potere e dominio e un loro accantonamento ... Si sa che il termine dominio può provocare incomprensioni e reazioni risentite ... Tut-

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Sahlins [1985, cap. III]. Il riferimento al marxismo non deve sorprendere poiché per certi versi la cancellazione della violenza iniziale è per cosl dire una necessità strutturale: quella di valorizzare una violenza successiva in forme di cui il politico è solo la parvenza ideologica. Al di là di queste ragioni si deve ricordare l'ascendenza di questa idea nella linea Engels-Maurer (e quindi nel pensiero dei «germanisti»), puntualmente documentata da Bochenforde [1961, 173 ss.]. In particolare, per Maurer il potere pubblico sorge gradualmente da un ordinamento di pacifiche comunità contadine, da una società liberata dallo stato e non politica, rigidamente separato dai poteri signorili e senza alcuna interazione logica con essi. Sul prezzo pagato dal marxismo per questa scelta l'incomprensione per le origini politiche del capitalismo - si veda la prefazione di Tronti alla sua antologia [1979, voi. 1/1, 7 ss.]. Per qualche indicazione sulle teorie eso8ene e del conflitto nel pensiero politico si veda Koenig [1964], Treves l1987, cap. Il]. Cfr. ancheMartindale [1960, trad. it. 1968, 207-334]. Per le teorie psicoanalitiche, sopratutto Reich, si veda Egidi Bairati [1975) e i testi citati nel cap. I.

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to ciò rappresenta l'esito di un processo risalente fino al tardo XVIII secolo, attraverso il quale il «dominio» vecchio stile è stato superato o limitato ad un minimo non oltrepassabile ... Poté allora sembrare come se la scomparsa del dominio vecchio stile potesse condurre alla fine del dominio in generale. Si pensi solo agli elementi utopici del marxismo («estinzione dello stato»), all'appello per una società senza classi e quindi priva di dominio o alle dottrine consociative degli anarchici. Dietro a tutto ciò sta la dottrina di Saint-Simon della «associazione» che scaturisce dalla decisione volontaria dei singoli23 •

A fronte di questo oblìo del dominio e di riduzione del politico, l'epica ellenica si presenta come una riflessione sulla sua complessità la quale appare tanto più innovativa se, ancora una volta, la paragoniamo alle concezioni di una cultura diversa e più recente quale quella islamica. Qui non esiste complessità o contraddizione. Dio (Allah) è l'equivalente di politica come amministrazione (l'esercito di Dio, il tesoro di Dio ... ). Qui non hanno senso concetti come legittimità e sovranità popolare, ma solo «i diritti di Dio». E di conseguenza non si può parlare di discussione. Ad essa corrispondono due altri concetti. Il primo è quello di «atto di fede» il cui medium non può essere la parola argomentata pubblicamente in condizioni di pariteticità, ma è rappresentato da termini quali interpretazione, predicazione, persuasione e, soprattutto, unanimità. Il secondo è quello di una contestazione che è contestazione dell'altro, non del suo argomentare. Ed anche essa è legittima solo se può fare riferimento a Dio e alla sua parola 24 • L'epica invece conosce già le due polarità che ancora oggi influiscono sulle diverse accezioni del termine «politico». E soprattutto, gli avvenimenti narrati sono riconducibili al difficile problema della loro articolazione. Le due forme ZJ Cfr. Brunner [1962). In senso analogo, cfr. Matteucci [1976) a proposito di «sovranità»; Stemberger [1977-81, cap. Xl]. Sulla persistenza del dominio nelle democrazie moderne, cfr. Roth [1970). 2 ◄ Cfr. Badie [1986, cap. I, par. 2, e cap. Ili]. Anche recentemente questi concetti sono riemersi nei movimenti di rinascita islamica, tanto in Iran che in Algeria: non possono esistere più partiti (come nelle democrazie occidentali); i partiti possono essere soltanto due: quello di Dio e quello del diavolo. Quindi soltanto uno.

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sono infatti differenti nella loro origine, nella loro legittimazione e nel loro collegamento con il divino (Zeus ed Era). Sono diverse nelle loro funzioni specifiche o comunque elettive (guerra e pace). E sono soprattutto diverse nella loro logica interna. Nella logica del comando non esiste discussione, ché, anzi, il comando si qualifica proprio attraverso la sua assenza. All'inverso, le condizioni di pariteticità e di universalità che sorreggono la discussione escludono da essa ogni posizione di comando. Nel contempo però, il comando ha bisogno di momenti di discussione per poter essere recepito come legittimo, anche se, in condizioni di emergenza, è ammesso il rinvio della discussione25• Allo stesso modo, anche la discussione ha bisogno di quei momenti di comando rappresentati simbolicamente dallo scettro. Ne ha bisogno anzitutto per quelle funzioni di apertura e chiusura che non appartengono propriamente alla discussione ma che pure la rendono possibile, delimitandola nel tempo e nello spazio. Ne ha bisogno poi per risolvere i problemi del suo svolgimento, quali la successione dei contributi e il mantenimento dell'ordine. Ne ha bisogno insomma per esistere. Come sul palco dell'antica tragedia si fronteggiano la piazza e il palazzo, così la discussione ha bisogno di una sua controparte, sia pure per contrastarla o negarla, poiché solo questa compresenza garantisce la possibilità di giungere al tèlos mythòn2 6 • Con queste considerazioni stiamo di nuovo discendendo dal piano del simbolico a quello del reale. Ma l'epica, e dopo di lei tutto il pensiero greco, conosceva già ambedue questi 25

Si ricordino (cfr. cap. V, par. 3) i dialoghi di Agamennone non solo con Diomede ma anche con Odisseo in occasione della rassegna delle truppe. Questa prassi caratterizza ancora oggi la disciplina militare, secondo la quale ogni ricorso può avvenire solo dopo aver eseguito l'ordine o scontata la punizione. 26 Ho cercato di dimostrare altrove come nella teoria e nella pratica delle istituzioni collegiali operi una ideologia che riconduce il loro funzionamento esclusivamente ad una logica idealizzata della forma discussione. Attraverso una tale ideologia le istituzioni collegiali tendono a nascondere la «cooperazione antagonista», la bipolarità che le ha generate, presentandosi come organismi semplicemente pluripersonali: una forma questa che si presenta nella realtà sotto condizioni di contesto molto restrittive, spesso trascurate nell'osservazione. Cfr. Bonanni [1983a; 1983b].

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orizzonti. Ed è Aristotele a difendere, contro Platone, questa complessità del pensare: le due costituzioni madri non sono costituzioni; se le pensiamo come tali, cioè come direttamente applicabili sul piano del reale, sono le peggiori di tutte. La non immediata né biunivoca corrispondenza tra livello simbolico e livello storico ci deve anche indurre a non banalizzare la simbologia, ad esempio facendo rientrare senza residui i parlamenti tra le strutture a cerchio e le amministrazioni tra quelle a piramide: anche i parlamenti hanno un presidente e anche le amministrazioni discutono. I due principi organizzativi - con le loro diverse modalità di comunicazione - vanno piuttosto intesi come due dementi simbolici di un codice binario con il quale si costruiscono storicamente i termini di un lessico del politico 27• Sul piano del simbolico le due forme sono reciprocamente irrazionali. Esse non si compongono secondo schemi monistici, dualistici o storico-evolutivi. E nemmeno si distruggono reciprocamente, si conciliano annullandosi o si trasformano finalisticamente. Tutto ciò è demandato alla storia o alle costituzioni. L'origine del politico è nella percezione del paradosso che lo sottende e insieme lo costituisce. La sua drammaticità è nella tensione tra questa inconciliabilità logica e la necessità di una continua conciliazione pratica. Nell'antica scienza, attività quali «il sapere» o «il conoscere» avevano significati più complessi di quanto ci permetta oggi la nostra sensibilità analitica. Ma se ci rifacciamo alla accezione di quei più antichi dizionari, possiamo dire che l'epica «sapeva» tutto questo.

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In questo senso sembrano andare alcune recenti definizioni del politico che - pur senza enfatizzare troppo la «irrazionalità reciproca» suggeriscono la coesistenza di due diversi paradigmi. Cfr. Poggi [1978, cap. I] che fa riferimento alle polarità Easton e Schmitt; e Schiera [1983] che individua le polarità Bodin-Schmitt e Althusius-Gierke.

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Composizione e impaginazione a cura dell'Editore Finito di stampare nell'ottobre 1992 presso le Arti Grafiche Editoriali Sri, Urbino Questo volume è stampato su carta ecologica prodotta dalle Cartiere Miliani Fabriano.