Il bambino filosofo. Come i bambini ci insegnano a dire la verità, amare e capire il senso della vita 8833925455, 9788833925455

Cos'hanno in mente i nostri figli quando, appena in grado di parlare, si impegnano con tutta la serietà di cui sono

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Il bambino filosofo. Come i bambini ci insegnano a dire la verità, amare e capire il senso della vita
 8833925455, 9788833925455

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I Grandi Pensatori

Il bambino filosofo

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Cos'hanno in mente i nostri

figli quando, appena in grado di parlare, si impegnano con tutta la serietà di cui sono capaci nella costruzione di realtà immaginarie? Come si articolano i loro stati coscienti? Cosa ci può dire la loro mente sul nostro modo di pensare? Aliso n Gopnik si muove in una terra di confine, tra scienza, filosofia e i sentimenti di una madre, per mostrarci che i nostri bambini sono tutt'altro che esseri irrazionali o limitati nelle loro capacità intellettuali. Anzi, ci sono buone ragioni per credere che siano molto più intelligenti, perspicaci e consapevoli degli adulti. Scienziata e mamma, Alison Gopnik ha saputo cogliere perfettamente, in queste pagine rigorose ma empatiche, tutta la deliziosa complessità infantile. Non a caso Il bambino filosofo ha immediatamente riscosso un ampio consenso internazionale. È un libro che ha fatto e farà discutere. Ma soprattutto, dopo averlo letto, non potremo che guardare ai nostri figli in modo completamente nuovo.

Alison Gopnik insegna Psicologia alla University of California di Berkeley. È un'esperta di rilievo internazionale nello studio dell'apprendimento infantile. L'attività scientifica di Alison Gopnik è accompagnata da un indiscusso successo editoriale: il suo libro Tuo figlio è un genio (scritto con Andrew Meltzoff e Patricia Kuhl, 2000) è stato tradotto in più di venti lingue.

Progetto grafico: Catoni Assoc1at1 INWIN.bollatiboringhieri.it

€ 13,50

Alison Gopnik

Il bambino filosofo Come i bambini ci insegnano a dire la verità, amare e capire il senso della vita

Bollati Boringhieri

Prima edizione aprile

zoro

© 2009 by Alison Gopnik Titolo originale

The Philosophical Baby. What Cbildren's Mind Te!! Us about Truth, Love, and the Meanin?. of Li/e

Traduzione di Francesca Gerla

© 2010 Bollati Boringhieri editore Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 Gruppo editoriale Mauri Spagnol ISBN

9 78-88- 3 39-2059-7

Schema grafico della sovraccoperta di Bosio.Associati www.

bollatiboringhieri.it

Stampato in Italia da A Grafica Veneta S .p.A. di Trebaseleghe (PD)

Indice

Ringraziamenti

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Il bambino filosofo Introduzione

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I bambini e come cambiano il mondo, r8 Come l ' infan­ zia trasforma la realtà, 2 r Il nostro percorso, 28 33

r.

Mondi possibili. Perché i bambini fanno finta? Il potere dei controfattuali, 3 5 I controfattuali nei bam­ bini : la pianificazione del futuro, 3 7 Ricos truire il pas­ sato, 40 Immaginare il possibile, 4 1 Immaginazione e causazione, 46 I bambini e la causazione, 48 Cause e possibilità, 52 Mappe e modelli , 5 3 Mappe causali , 5 5 Scoprire i « blicket », 5 8

62

2.

Gli amici immaginari . In che senso la finzione dice la verità? Dunzer e Charlie Ravioli, 64 Una stranezza normale , 67 Costruire una mappa della mente, 69 Amici im­ maginari e conoscenza psicologica, 75 Autismo , causa­ zione e immaginazione, 76 Mappe e finzione , 78 Per­ ché menti e cose sono diverse, 8o Ingegneri dell' anima, 83 Un vero e proprio lavoro : il gioco , 8 5

6

INDICE 89

3.

In fuga dalla caverna di Platone . C ome scoprono la verità i bambini, gli scienziati e i computer Osservazione : le statistiche dei bambini , 95 Dimostra­ zione : osservare gli esperimenti materni , 1 06 C apire le menti ,

r2r



r II

Cosa si prova a essere bambini? Coscienza e attenzione L'attenzione esterna , 1 25 L' attenzione interna, I27 L ' attenzione dei bambini, I3I I bambini piccoli e l ' at­ tenzione, I3 9 Com'è essere bambini?, 1 40 Il viaggio e la meditazione , I4I

I 48

5.

Chi sono? Memoria, Sé e il vocio del flusso di coscienza Coscienza e memoria , I49

I bambini e la memoria, 1 5 2

Sapere come s i sa, I55 Costruire s é stessi, 15 9 I bam­ bini e il futuro , I62 Il flusso di coscienza , 1 65 Vive­ re il momento , I67 Coscienza interna , libera associa­ zione, pensiero ipnagogico e meditazione di visione profonda , I69 Perché la coscienza cambia?, I7I Una mappa di sé stessi: la cos truzione della coscienza, I7 4 179

6 . Il fiume di Eraclito e gli orfani rumeni . Il ruolo della prima infanzia nella vita da adulti I cicli della vita, I83 Il paradosso dell' eredità, I84 me i bambini educano i genitori , I89

194

7.

Co­

Imparare ad amare. Attaccamento e identità Le teorie sull' amore, I94 Oltre le madri : monogamia sociale e madri sostitutive , 206 L' uragano della vita, 2Io Il bambino che c'è dentro ognuno di noi, 2II

217

8 . Amore e legge . Le origini della moralità Imitazione ed empatia , 220 Rabbia e vendetta, 224 Oltre l ' empatia, 225 Psicopatici, 228 La « vagonolo­ gia », 229 Diverso da me, 23 1 Allargare il cerchio, 23 5 Seguire le regole, 23 6 Le regole dei bambini, 23 9 Far­ lo appo sta, 240 Le regole come cause, 242 I pericoli insiti nelle regole , 244 La saggezza di Huck Finn, 245

7

INDICE 249



I bambini e il senso della vita Ammirazione, 25 3 clusioni, 2 5 8

263 289

Bibliografia Indice analitico

Magia , 25 4

Amore, 25 5

C on­

Ringraziamenti

Nei cinque anni che mi ci sono voluti per finire questo li­ bro, il mio debito nei confronti di amici e colleghi è andato crescendo . La University of California a Berkeley è da anni la mia casa e la mia patria, in particolare il Dipartimento di Psicologia, l ' Institute of Human Development e l' Institute of Cognitive and Brain Sciences . Devo ringraziare i miei col­ leghi di Berkeley, tra i quali S teve Palmer, Lucia Jacobs, Tom Griffiths, Tania Lombrozo e Mary Main, per i loro pre­ ziosi spunti . Cruciale anche il contributo dei miei dottoran­ di e post-dottorandi, passati e presenti, non solo per questo libro, ma per il mio lavoro in generale: Frederick Eberhardt, T amar Kushnir, Chris Lucas, David Sobel, Elizabeth Seiver e in particolare Laura Schulz . Mi sono imbarcata in quest 'impresa grazie a un contratto del Center for Advanced S tudy in the Behavioral Sciences alla Stanford University . L'anno a Stanford si è rivelato mi­ gliore delle mie più rosee aspettative : allo staff e ai colleghi di questo splendido istituto va tutta la mia gratitudine, in particolare a Thomas Richardson, Bas van Fraassen e W/ebb Keane . Ho potuto portare a termine l'opera grazie al contri­ buto del Moore Distinguished Visiting Scholar presso un al­ tro fantastico istituto, il California Institute of Technology. Sono anche molto grata a tutti gli amici e colleghi di Caltech, che hanno letto e commentato il manoscritto, tra cui Jim

IO

RINGRAZIAMENTI

Woodward, Chris Hitchcock, Jiji Zhang, Dominic Murphy, Zoltan Nadasdy e Fiona Cowie . Un particolare ringrazia­ mento a Christof Koch, che mi ha edotto sulla neuroscien­ za della coscienza. Sono anni che la National Science Foundation finanzia le mie ricerche . Questo libro, tuttavia, ha un debito particola­ re nei confronti della James S . McDonnell Foundation e del suo presidente , John Bruer, per aver contribuito a finanzia­ re il Causai Learning Collaborative , un'impareggiabile joint venture tra psicologi dello sviluppo, filosofi e informatici . Questa collaborazione è stata l' esperienza più stimolante e gratificante della mia vita intellettuale, e tutti i suoi mem­ bri hanno contribuito in un modo o nell ' altro al Bambino filosofo . Ma un grazie speciale va a quattro di questi colla­ boratori, da tempo mentori intellettuali oltre che buoni ami­ ci. Andrew Metlzoff è stato il primo a introdurmi a Piaget tre n t ' anni fa a Oxford, e da allora non abbiamo smesso di collaborare e confrontarci . Sono quasi vent ' anni che Henry Wellman e io ci scambiamo idee sui bambini, la filosofia, la moralità, la religione e molto altro . A lui si deve non solo un'attenta lettura di buona parte del testo , ma anche com­ menti puntuali e precisi. John Campbell, da tempo una vera guida filosofica, fa parte del gruppo di apprendimento cau­ sale presso il Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences - lavorare insieme alla matematica e alla filosofia dell 'inferenza causale è stato un piacere . In particolare, poi, a Clark Glymour - la persona più intelligente che io cono­ sca - si devono spunti fondamentali per questo libro; far na­ scere insieme a lui la « rete di Bayes dei bambini » è stato mo­ tivo di soddisfazione e gioia . Altri colleghi e amici hanno letto il libro dando consigli su snodi cruciali . Michael Merzenich e J ohn Colombo hanno contribuito al capitolo sulla coscienza, Paul Harris a quello sull 'immaginazione . Jane Hirshfield non si è limitata a leg­ gere le varie bozze del libro, ma ha anche partecipato alla sua stesura con la sua competenza da ex monaca buddhista, il

RINGRAZIAMENTI

I I

suo senso del sacro da vera saggia e il suo orecchio per la lin­ gua da poetessa. Devo molto a Eric Chinski, il mio editor pres­ so la Farrar, Straus & Giroux, che ha avuto fiducia nel libro fin dall'inizio e l'ha seguito fino alla fine. Katinka Matson, la mia agente, ha seguito le sorti alterne del Bambino filosofo anche nei momenti più difficili: senza di lei, quest'opera non avreb­ be visto la fine. La tesi di questo libro è che, per tutti gli esseri umani, i bambini e le famiglie sono inesauribili fonti di significato, verità e amore. Mi si potrebbe accusare di generalizzare troppo a partire dalla mia esperienza personale - la famiglia è senza dubbio la parte più importante della mia vita. I miei genitori, Myrna e Irwin, e i miei fratelli, Adam, Morgan, Hilary, Blake e Melissa, costituiscono il fondamento di tut­ to il mio essere e di tutto il mio agire . Adam e Blake in par­ ticolare hanno avuto un ruolo speciale nella stesura del libro . Adam ha letto le bozze, suggerito i titoli e dato consigli sul­ la forma . Blake, dal canto suo , in un periodo difficile della mia vita mi ha offerto conforto e la costante possibilità di un confronto . Questo libro è dedicato a lui con amore e grati­ tudine . Cosa dire, infine, dei miei figli, Alexei, Nicholas e Andres Gopnik-Lewinski? Sono tutta la mia vita. La mia profonda gratitudine va a loro e al padre , George Lewinski. Sono fortunata perché ho potuto dedicarmi al libro nello scenario accogliente di luoghi ameni, da Stanford a Berkeley fino a Caltech . Ma i momenti più felici li ho vissuti nel po­ sto più bello di tutti - la tranquilla casa al mare di Alvy Ray Smith, a Puget Sound. Essa è emblematica di tutti i doni che il suo proprietario mi ha elargito, dall 'intelligenza all'arte, dalla felicità alla serenità, dali ' amore all'amicizia , per non parlare del prezioso aiuto per la formattazione del testo . La bibliografia di questo libro da sola varrebbe una gratitudine senza fine : impossibile essere grata abbastanza per tutto il resto .

Il bambino

filosofo

A Blake, il mio fratellino filosofo, con profonda gratitudine per la verità e l'amore che mi ha sempre donato.

Introduzione

Sopracciglia aggrottate ed espressione assorta, una bimba di appena un mese guarda sua madre e, d'improvviso, sor­ ride beata . Non c ' è dubbio che di fronte a quel volto provi amore: ma cosa vuoi dire, per lei, vedere o provare un sen­ timento? Com ' è essere neonati? Un bambino di due anni of­ fre un lecca lecca mangiucchiato a un estraneo che sembra affamato. È possibile che, così piccolo, sia già in grado di provare empatia e mostrare altruismo? Una bambina di tre anni minaccia di non sedersi a tavola se non verrà apparec­ chiato anche per « i piccolini » , i gemelli dai capelli rosso porpora che vivono nella sua tasca e mangiano fiori a cola­ zione . Come può mostrare tanta dedizione verso qualcosa che è solo frutto della sua fantasia? E come le sono venute in mente queste creature così fuori dal comune? Un bimbo di cinque anni scopre, grazie a un pesciolino rosso, l' irre­ versibilità della morte. Non sa ancora né leggere né conta­ re, eppure capisce verità profonde e complesse sulla cadu­ cità dell' esistenza. La neonata di un mese si trasformerà in una bimba di due anni, e poi in una di tre e di cinque, fino a diventare a sua volta madre, quasi per miracolo . Com'è possibile che queste persone , così diverse, siano sempre la stessa? Tutti noi siamo stati bambini e in molti siamo di­ ventati genitori: si tratta quindi di interrogativi ai quali è impossibile sfuggire .

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INTRODUZIONE

Per quanto parte cruciale della condizione umana , l'in­ fanzia non ha ricevuto l' attenzione che meriterebbe . Viene data cosi per scontata che per lo più non ce ne accorgiamo neanche . Pur essendo un dato universale , l'infanzia viene quasi sempre concepita in termini squisitamente personali : cosa devo fare, ora come ora, con mio figlio? Cos'hanno fat­ to i miei genitori per farmi diventare quel che sono oggi? Molti libri sui bambini sono di questo tipo, dai memoir ai ro­ manzi, per non parlare dei saggi sull'argomento sempre mol­ to in voga, a uso e consumo dei genitori . Ma l'infanzia non rappresenta un nodo complesso nella trama delle autobio­ grafie irlandesi, né si tratta di un problema specifico da ri­ solvere con i programmi americani di self-help . E rion è neanche solo un dato che accomuna tutti gli esseri umani. La mia tesi è che si tratti proprio di ciò che ci rende umani. Se ci soffermiamo a riflettere più attentamente sull 'infanzia, ci renderemo conto che questo dato uruversale, e apparente­ mente semplice, in realtà è tutto attraversato da complessità e contraddizioni. I bambini ci sembrano al contempo familiari eppure alieni. A volte sembrano simili a noi, altre volte inve­ ce cosi inafferrabili. La loro mente parrebbe drasticamente li­ mitata : sanno molto meno di noi. Eppure, ancora incapaci di leggere e scrivere, vantano straordinarie capacità immaginati­ ve e creative, così come ben prima di mettere piede a scuola si mostrano dotati di notevoli abilità di apprendimento. La loro esperienza del mondo talvolta appare ristretta e concreta, ta­ laltra molto più estesa di quella degli adulti. L'infanzia è stata cruciale perché diventassimo quel che siamo oggi, eppure il percorso che porta gli esseri umani alla maturità è tortuoso e complesso. Il mondo, com'è noto, è affollato di santi dai geni­ tori tremendi e di nevrotici dai genitori amorevoli. Più i bimbi sono piccoli, più sono avvolti dal mistero . Conserviamo solo vaghi ricordi di quel che si provava ad avere cmque o sei anm, e possiamo mgagg1are una conversazione più o meno alla pari con i bambini di età scolare. Ma neonati e bimbi piccoli sono territorio straniero . Nonostan.

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te i loro limiti verbali e motori, la scienza, e a onor del vero il senso comune, ci suggerisce che imparano molto di più nei primissimi anni di vita che in tutta la loro esistenza . Può es­ sere difficile capire quanto il bambino sia padre dell'uomo, ma lo è persino di più tracciare un collegamento tra l' « lo » , che proprio ora sta scrivendo questa pagina , e il fagotto di quattro chili di cinquant 'anni fa, tutto occhi e fronte, o an­ che il turbine di quindici chili dalle frasi smorzate, le emo­ zioni intense e l'infaticabile impulso a giocare a « far finta di » . Non esiste neanche un termine specifico per designare la fascia d 'età in questione . Questo libro si concentrerà sui bambini al di sotto dei cinque anni, mentre per « bambini piccoli » si intenderà quelli al di sotto dei tre anni. Con que­ st'espressione faccio riferimento a quella combinazione par­ ticolarmente adorabile di guanciotte paffute e parole stor­ piate, benché ammetta io stessa che molti bambini di tre anni rifiuterebbero decisamente questa descrizione . La nuova ricerca scientifica e il pensiero filosofico hanno illuminato e intensificato il mistero al tempo stesso . Nel cor­ so degli ultimi trent 'anni, si è registrata una vera e propria rivoluzione nella nostra comprensione scientifica dei bambi­ ni piccoli . Costoro un tempo venivano ritenuti irrazionali, egocentrici e amorali, mentre i loro pensieri e le loro espe­ rienze venivano descritti come concreti, immediati e limita­ ti. Psicologi e neuroscienziati, in realtà, hanno scoperto che non solo i bimbi imparano molto più di quel che si credeva, ma sono anche dotati di una fantasia particolarmente svi­ luppata, si prendono cura del prossimo e godono di una plu­ ralità di esperienze . Per certi versi, i bambini piccoli risulta­ no di fatto più intelligenti, fantasiosi e premurosi, e persino più consapevoli, di quanto non lo siano gli adulti. Questa rivoluzione scientifica ha spinto per la prima vol­ ta i filosofi a prendere seriamente in considerazione il mon­ do dell'infanzia. I bambini sono profondi e sconcertanti al tempo stesso, e questa combinazione è classicamente terri­ torio della filosofia . Eppure, in duemila e cinquecento anni

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INTRODUZIONE

di filosofia non vengono mai menzionati. Un marziano che tentasse di capire la razza umana a partire dai testi di filoso­ fia terrestre, potrebbe benissimo giungere alla conclusione che ci riproduciamo mediante clonazione asessuata. Nell'in­ dice delle migliaia di pagine dell' Encyclopedia of Philosophy del 1967 (Edwards 196 7 ; Craig 1998) , non figurava alcun accenno ai neonati, ai bambini piccoli, alle famiglie, ai geni­ tori, alle madri o ai padri; i riferimenti ai bambini erano solo quattro in tutto (a fronte delle centinaia dedicate agli ange­ li e alla stella del mattino) . Più di recente, però, si è registrata un' inversione di rot­ ta. I filosofi hanno iniziato a prestare attenzione al mondo dell'infanzia e persino a trarne insegnamento . Oggi l' Ency ­ clopedia of Philosophy include articoli sull'argomento intito­ lati « La cognizione infantile » oppure « La Teoria della Men­ te nel bambino » . Durante le mie incursioni ali' American Philosophical Association, e alla Society for J}esearch in Child Development, mi ritrovo nel bel mezzo di discussioni filosofiche sui bambini, sul momento in cui arrivano a capi­ re le menti degli altri, su come imparano i fatti del mondo e sulla loro capacità o meno di provare empatia . Capita persi­ no che qualche filosofo - a onor del vero ben pochi - di tan­ to in tanto prenda posto tra i banchetti e le seggioline del­ l'asilo, per condurre esperimenti sul campo . Le riflessioni sui bambini piccoli contribuiscono a rispondere in maniera in­ novativa a quesiti fondamentali sull'immaginazione, la verità, la consapevolezza, l'identità, l'amore e la moralità. In questo libro, sosterrò una nuova concezione, basata sui bambini, di tali idee filosofiche fondamentali, e una nuova concezione dei bambini, basata sulle idee filosofiche in questione.

I bambini e come cambiano il mondo Il principio generale sottostante a tutti gli esperimenti e ar­ gomenti trattati in questo libro è che nessuna specie sia in

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grado di eguagliare gli esseri umani per capacità di cambia­ mento . Noi modifichiamo il mondo che ci circonda, gli altri e noi stessi . I bambini, e l'infanzia, contribuiscono a illustrare come avviene questo fenomeno . Tutto ciò spiega perché i bambini sono come sono - e persino a cosa serve l'infanzia . Fondamentalmente, le nuove spiegazioni scientifiche sul tema sono radicate nella teoria dell'evoluzione. Ma lo studio dei bambini porta a una visione molto diversa del ruolo del­ l'evoluzione nel plasmare le nostre esistenze, rispetto al qua­ dro tradizionale della « psicologia evoluzionistica » (Pinker 1 99 7 ; B arko V..: , Jerome e altri 1994) . Alcuni psicologi e filo­ sofi attribuiscono ai geni una responsabilità cruciale nel de­ terminare ciò che appare significativo per la natura umana ­ sostengono l'idea di un sistema innato che ci rende quel che siamo . Siamo dotati di un insieme di abilità fisse, progetta­ te per rispondere ai bisogni dei nostri antenati preistorici del Pleistocene, vissuti duecentomila anni fa . Una visione che, tuttavia, non rende giustizia all'infanzia . L' idea di fondo è che un ambiente infantile « abbastanza buono » possa basta­ re perché si dispieghino gli aspetti innati della natura uma­ na . Questo sarebbe l'unico contributo dell'infanzia, poiché gli elementi importanti per la natura umana in generale, e per il carattere individuale in particolare, per lo più sareb­ bero in atto già alla nascita. Questa visione, tuttavia, manca di rappresentare degna­ mente le nostre esistenze cosl come le viviamo , con tutti i nostri sviluppi e i cambiamenti nel corso del tempo. Noi ab­ biamo per lo meno la percezione di creare attivamente la no­ stra esistenza, agendo sul mondo e su noi stessi. Il punto di vista di cui abbiamo parlato, inoltre, non è in grado di spie­ gare i radicali cambiamenti storici dell 'uomo . Partendo dal presupposto che la nostra natura sia determinata dai geni, dovremmo giungere alla conclusione che non si sia modifi­ cata dal Pleistocene a oggi. Ebbene, il tratto distintivo del­ la natura umana è proprio la capacità di cambiamento , sia nelle esistenze individuali sia nel corso della storia. Come si

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può spiegare tanta flessibilità e creatività, questa capacità di alterare il fato individuale e collettivo , senza ricorrere al mi­ sticismo? Sono i bimbi molto piccoli a fornirci inaspettatamente la ri­ sposta - e la cosa ci porta a un altro tipo di psicologia evolu­ zionistica. Il grande vantaggio evolutivo degli esseri umani consiste nella loro capacità di sfuggire alle limitazioni dell'evo­ luzione. Possiamo discutere del nostro ambiente, immaginare ambienti diversi e trasformarli in realtà. E , in quanto specie fortemente sociale, gli altri costituiscono l'elemento più im­ portante del nostro ambiente . Quindi siamo particolarmen­ te propensi a imparare dalle persone e a utilizzare questa co­ noscenza per modificare il comportamento altrui e nostro . Il risultato è che gli esseri umani sono coinvolti in un ciclo co­ stante di cambiamento : un dato, questo, che rientra nella no­ stra dotazione evolutiva e costituisce la parte più profonda della natura umana . Noi cambiamo quello che ci circonda e quello che ci circonda cambia noi . Alteriamo il comporta­ mento altrui, e il comportamento altrui altera il nostro . Il nostro punto di partenza è la capacità di imparare nuo­ vi dati sul nostro ambiente in maniera più efficace e flessi­ bile rispetto alle altre specie . Questa conoscenza ci consen­ te di immaginare altri ambienti, anche totalmente nuovi, e di agire per cambiare quelli esistenti. Inoltre, partendo dal­ l' osservazione degli elementi imprevisti del nuovo ambien­ te da noi creato , possiamo agire per cambiarlo ancora e così via . Quanto i neuroscienziati chiamano plasticità - la capa­ cità di cambiare alla luce dell'esperienza - è la chiave della natura umana a ogni livello, dal cervello alla mente fino ad arrivare alla società. Parte cruciale del processo è l' apprendimento, ma la ca­ pacità umana di cambiare non si ferma qui. L' apprendimen­ to pertiene al tipo di modifica che il mondo attua sulla no­ stra mente, ma questa a sua volta può cambiare la realtà circostante . Sviluppando una nuova teoria sul mondo, pos­ siamo immaginare mondi alternativi; allo stesso modo, com-

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prendendo noi stessi e gli altri possiamo ideare nuovi modi di essere uomini. Parimenti, per cambiare il mondo , noi stes­ si e la società, dobbiamo riflettere su come dovremmo esse­ re, non solo su ciò che siamo. Argomento di questo libro sarà proprio come i bambini sviluppano una mente capace di cambiare il mondo . Psicologi, filosofi, neuroscienziati e informatici stanno iniziando a identificare, con attenzione e precisione, alcuni dei meccanismi che sottendono la capacità tipicamente uma­ na di cambiare - quegli aspetti cioè della nostra natura che consentono l'istruzione e la cultura . Sono in via di sviluppo persino alcune rigorose spiegazioni matematiche di alcuni di questi meccanismi . Vedremo come la nuova ricerca, in buo­ na parte elaborata solo negli ultimissimi anni, ci abbia for­ nito una nuova visione dei processi che consentono ai com­ puter biologici racchiusi nel nostro cranio di arrivare alla flessibilità e libertà tipiche dell'essere umano . Se, proprio adesso mentre scrivo, poso lo sguardo su quel che mi circonda - la lampada, la scrivania squadrata, la taz­ za in ceramica lucida, lo schermo luminoso del computer non trovo niente che possa somigliare agli oggetti che avrei vi­ sto nel Pleistocene. C 'è stato un tempo in cui tutte queste cose erano solo immaginarie: sono state esse stesse create dagli uo­ mini. E, per quel che riguarda me, una studiosa del cognitivi­ smo impegnata a scrivere di bambini filosofi, be ' , neanch'io sarei potuta esistere nel Pleistocene. Sono un prodotto del­ l'immaginazione umana, né più né meno degli oggetti che mi circondano . A pensarci bene, anche voi lo siete .

Come l'infanzia trasforma la realtà L'esistenza stessa dell'infanzia - il nostro lungo e protet­ to periodo di immaturità - riveste un ruolo cruciale nella no­ stra capacità di cambiare il mondo e noi stessi. I bambini non sono solo adulti manchevoli e primitivi, che graduai-

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mente raggiungono la perfezione e la complessità: sono una forma diversa di Homo Sapiens . Nonostante le notevoli dif­ ferenze, anche la loro mente e il loro cervello sono comples­ si e potenti, come le loro forme di consapevolezza progetta­ te per assolvere a funzioni evolutive diverse. Lo sviluppo umano è più simile a una metamorfosi che a una semplice crescita. Siamo tanti bruchi destinati a diventare farfalle, anche se potrebbe sembrare più verosimile l'immagine con­ traria : i bambini, vibranti farfalle piene di vitalità, arranca­ no lungo il percorso che porta all'età adulta, finendo con il diventare dei bruchi. Cos'è l'infanzia? È un particolare periodo di sviluppo dei giovani esseri umani caratterizzato dalla completa dipen­ denza dagli adulti. Alla lettera, non potrebbe esserci infan­ zia senza un adulto che presta le sue cure (caregiver) . Perché attraversiamo questa fase? Rispetto ad altre specie, gli esse­ ri umani vivono un periodo molto più esteso di immaturità e dipendenza, che si è ulteriormente protratto nel corso del tempo (una realtà che noi, genitori di ventenni, riconoscia­ mo non senza un sospiro) . Perché i ragazzini restano indife­ si così a lungo, e perché chiedere agli adulti di investire tanto tempo ed energia per accudirli? Questo prolungato periodo di immaturità è intimamente correlato all'abilità umana di cambiamento . La capacità che noi esseri umani abbiamo di immaginare e imparare presen­ ta notevoli vantaggi : ci consente di adattarci a un maggior numero di ambienti diversi rispetto a qualsiasi altra specie, e di cambiare l' ambiente in cui viviamo in maniera impensa­ bile per gli altri animali. Ma c'è anche un grande svantaggio: l' apprendimento richiede tempo . Perdere ore a vagliare tut­ ti i modi possibili e immaginabili di dare la caccia ai cervi non è un'idea geniale, quando sono due giorni che non man­ gi, così come non lo è mettersi a imparare usi e costumi an­ tichi per combattere le tigri feroci, quando c'è chi non vede l'ora di farti la pelle . Certo, sarebbe l' ideale per me trascor­ rere una settimana a esplorare tutte le potenzialità del mio ·

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nuovo personal computer, come ad esempio farebbe mio fi­ glio , ancora adolescente . Ma se penso al tempo tiranno, alle scadenze delle domande di finanziamento e alle lezioni, ca­ pisco bene che devo tirare avanti con quello che so. Un animale che dipenda dalla conoscenza accumulata dal­ le generazioni passate ha bisogno di tempo per acquisirla. Un animale che dipenda dall 'immaginazione, deve avere tutto l' agio di esercitarla . L'infanzia è il periodo deputato a queste attività . I bambini sono al riparo dalle esigenze tipiche del­ la vita degli adulti . Non hanno bisogno di andare a caccia di cervi o di schivare tigri feroci, tanto meno di compilare do­ mande di fondi o di tenere corsi: c ' è chi se ne occupa per loro . Non devono far altro che apprendere . Da piccoli, sia­ mo impegnati su due fronti : imparare come funziona il mon­ do e immaginare come potrebbe funzionare altrimenti . Da grandi, mettiamo a frutto tutto quello che abbiamo impara­ to e immaginato. E siste un altro tipo di divisione dei compiti tra bambini e adulti dovuta all'evoluzione. I primi, irrealisti e per nulla pragmatici, occupano il dipartimento di ricerca e sviluppo della specie umana - praticamente, il reparto genio e srego­ latezza . Noi adulti, siamo la produzione e il marketing . A loro si devono le scoperte, a noi l'implementazione . A loro vengono in mente un milione di idee nuove, per lo più inu­ tili; noi ne scegliamo tre o quattro, le migliori, e le mettia­ mo in pratica . Se ci concentriamo sulle abilità degli adulti (la pianifica­ zione a lungo termine, l'esecuzione rapida e automatica, la pronta reazione al cervo, alle tigri e alle scadenze) , i bambi­ ni, piccoli e grandi, non possono che sembrarci patetici. Ma se ci concentriamo sulle nostre peculiari capacità di cambia­ mento, soprattutto l'immaginazione e l' apprendimento, sono gli adulti a sembrare un po ' carenti . Bruchi e farfalle sono bravi in ambiti diversi. Questa fondamentale divisione nei compiti di bambini e adulti si riflette sulla loro mente, sul loro cervello, sulle at-

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tività quotidiane e persino sulla loro esperienza conscia . Il cervello dei bambini sembra dotato di qualità speciali che lo rendono particolarmente adatto all'immaginazione e all'ap­ prendimento (per una rassegna degli studi sullo sviluppo del cervello , vedi Huttenlocher 2002a, b; Johnson, Munakata e Gilmore 2002; Dawson e Fischer r 994) . Il cervello dei bambini è di fatto più altamente connesso di quello degli adulti, i percorsi neurali disponibili sono più numerosi. Quando cresciamo e viviamo un maggior numero di esperienze, il nostro cervello « sfronda » i percorsi più de­ boli e meno battuti e rafforza quelli impiegati più di fre­ quente. Se avessimo di fronte la mappa del cervello di un bambino , ci ricorderebbe una vecchia città europea, come Parigi, tutta stradine interconnesse e battute dai venti. Nel cervello degli adulti, questi vicoli vengono rimpiazzati da vie neurali meno numerose ma più efficienti, in grado di far fronte a un traffico ben più consistente . I cervelli giovani sono anche decisamente più plastici e flessibili - cambiano più facilmente. Ma sono molto meno efficienti; non funzio­ nano con altrettanta rapidità o efficacia. Vi sono anche modifiche cerebrali più specifiche, cruciali nella metamorfosi dall'infanzia all'età adulta . Esse coinvol­ gono la corteccia prefrontale, una parte del cervello partico­ larmente ben sviluppata negli esseri umani e dedicata, secon­ do alcuni neuroscienziati, ad abilità specificamente umane (per una rassegna sullo sviluppo della corteccia prefrontale, vedi Krasnegor, Lyon e Goldman-Rakic r 997) . Gli scienzia­ ti hanno collocato nell' area prefrontale capacità sofisticate quali il pensiero, la pianificazione e il controllo . A causa di una drammatica combinazione di incapacità e arroganza, ne­ gli anni cinquanta i pazienti psichiatrici furono soggetti a lo­ botomie prefrontali - operazioni finalizzate alla rimozione di questa parte del cervello . Benché dopo tali interventi i pa­ zienti risultassero apparentemente funzionali, in realtà ave­ vano perso ampiamente la capacità di prendere decisioni, controllare gli impulsi e agire in maniera intelligente.

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La corteccia prefrontale è una delle parti del cervello che maturano per ultime . I circuiti di questa parte della cortec­ cia, il processo di sfrondamento di alcune connessioni e rafforzamento di altre potrebbero raggiungere la comple­ tezza solo intorno ai venticinque anni (altro sospiro da par­ te di noi genitori di ventenni) . Di recente, i neuroscienziati hanno scoperto che il cervello è più plastico e modificabile, anche in età adulta , di quel che si credeva . Tuttavia, alcune parti del cervello, ad esempio il sistema visivo, sembrano as­ sumere la loro forma adulta nei primissimi mesi di vita. Al­ tre aree, come la corteccia prefrontale , e le connessioni tra l' area prefrontale e altre parti del cervello, maturano molto più lentamente e continuano a cambiare durante l' adole­ scenza e oltre . La corteccia visiva grosso modo non cambia tra i sei mesi e i sessant ' anni, mentre l' area prefrontale as­ sume la sua forma finale soltanto in età adulta . Si potrebbe credere allora che i bambini siano adulti di­ fettosi, a cui mancano parti del cervello cruciali per il pen­ siero adulto razionale . Ma si potrebbe ugualmente asserire che, per quanto riguarda l'immaginazione e l'apprendimento, l'immaturità prefrontale consenta ai bambini di essere dei super-adulti. La corteccia prefrontale è coinvolta in maniera particolare nell' « inibizione » (Diamond zoo z ) , il che effetti­ vamente aiuta ad arrestare altre parti del cervello, limitando e focalizzando l'esperienza, l'azione e il pensiero . Un proces­ so cruciale per il pensiero complesso, la pianificazione e l'a­ gire tipici degli adulti . Per attuare un piano complicato, ad esempio, bisogna eseguire esclusivamente le azioni atte allo scopo , e non tutte quelle possibili e immaginabili . Ed è ne­ cessario prestare attenzione solo ed esclusivamente agli even­ ti rilevanti per la situazione . Chiunque tenti di persuadere un bimbo di tre anni a vestirsi per andare all'asilo, finirà inevi­ tabilmente con l' apprezzare l'inibizione . Sarebbe molto più facile se il bambino smettesse di esplorare ogni granello di polvere del pavimento, aprire tutti i cassetti uno dopo l' altro e togliersi i calzini l' attimo dopo che glieli avete infilati.

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Ma, come vedremo, l'inibizione presenta i suoi svantaggi, per quanto riguarda l'immaginazione e l'apprendimento . Per essere fantasiosi, è necessario prendere in considerazione qualsiasi ipotesi (chissà, il comò funzionerebbe meglio sen­ za tutti quei cassetti) . Per imparare, bisogna restare aperti a tutte le possibilità, persino a quelle improbabili, che tuttavia potrebbero rivelarsi veritiere (magari, quel granello di pol­ vere nasconde il segreto dell 'universo) . La mancanza di un forte controllo prefrontale può effettivamente costituire un vantaggio dell'infanzia . In un altro senso, nei bambini la corteccia prefrontale è la parte più attiva del cervello . Essa cambia costantemente nel corso dei primi anni di vita, e la sua forma finale dipen­ de in maniera consistente dalle esperienze infantili. La fan­ tasia e l' apprendimento dural).te l 'infanzia ci forniscono le informazioni che noi, da adulti, impieghiamo per pianificare e controllare con raziocinio il nostro comportamento . Peral­ tro, esistono prove a supporto della correlazione di un quo­ ziente intellettivo elevato con una maturazione successiva e una maggiore plasticità dei lobi frontali (Shaw, Greenstein e altri 2oo6) . Tenere la mente aperta il più a lungo possibile può in parte contribuire a renderei più intelligenti. Questa differenza tra bambini e adulti per quanto riguar­ da mente e cervello implica anche giornate trascorse in ma­ niera ben diversa - noi lavoriamo, loro giocano . Il gioco è il tratto distintivo dell'infanzia . È una manifestazione eviden­ te dell'immaginazione e dell'apprendimento in atto. È anche il segno più visibile della paradossale inutilità dell'immaturità. Per definizione il gioco - il bambino che infila in un gioco a in­ castro i pezzi e schiaccia i pulsanti, la ragazzina che finge di es­ sere tutte le creature di questo mondo, dalle sirene ai ninja ­ non è mosso da motivazioni, obiettivi o funzioni apparenti. Non contribuisce in alcun modo agli obiettivi evolutivi ba­ silari di accoppiamento e predazione, fuga e lotta. E tutta­ via, queste azioni inutili - e gli equivalenti adulti nei quali scivoliamo durante la nostra giornata lavorativa - sono tipi-

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camente umani e preziosissimi. I giochi sono divertimento, come i romanzi, i quadri e le canzoni . Tutte queste differenze tra grandi e piccoli suggeriscono che la consapevolezza dei bambini, la trama della loro espe­ rienza quotidiana del mondo, deve essere altra rispetto alla nostra . La loro mente e il loro cervello sono radicalmente di­ versi dal nostro, e quindi lo devono essere anche le esperienze da loro vissute. Queste differenze non costituiscono soltanto fonte di oziosa meraviglia, ma un'occasione per esplorare il li­ vello di consapevolezza dei più piccini. Abbiamo a dispo­ sizione diversi strumenti, dalla psicologia alle neuroscienze fino alla filosofia, per capire la vita interiore infantile. In cambio, questa comprensione ci fornisce una nuova prospet­ tiva sulla nostra consapevolezza quotidiana di adulti e su quel che vuol dire essere umani. Queste differenze, inoltre, sollevano affascinanti quesiti sull'identità. I bambini e gli adulti sono creature profonda­ mente diverse con menti, cervelli ed esperienze diverse; ma, d' altra parte, è pur vero che noi adulti altro non siamo che il prodotto finale dell'infanzia. Il nostro cervello è stato for­ giato dall'esperienza, la nostra vita è iniziata con l'infanzia, alla quale è riconducibile anche la nostra consapevolezza . Il filosofo greco Eraclito sosteneva che nessuno si bagna due volte nello stesso fiume, poiché né il fiume né la persona sono gli stessi. La riflessione sui bambini e sull'infanzia ci suggerisce che la nostra vita, la nostra storia come specie, è un fiume in perenne flusso e mutamento . Tutti i processi di cambiamento , immaginazione e ap­ prendimento dipendono sostanzialmente dall'amore . I care­ giver umani amano i loro bambini in maniera particolarmen­ te intensa e significativa, un sentimento che è il motore del cambiamento umano . L' amore genitoriale non è soltanto un istinto primitivo e primordiale, attiguo al comportamento di accudimento di altri animali (benché certamente sussistano delle analogie) . Il nostro compito prolungato di genitori ri­ veste un ruolo fondamentale nell'emergere delle capacità più

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sofisticate e tipicamente umane . Ci è consentita un'imma­ turità protratta soltanto grazie all'amore di chi ci accudisce. Possiamo trarre vantaggio dalle scoperte delle generazioni precedenti perché alcuni amorevoli caregiver investono nel nostro insegnamento . Senza la maternità, gli esseri umani non mancherebbero solo di cure, calore e sicurezza emotiva, ma anche di cultura, storia, moralità, scienza e letteratura .

Il nostro percorso

Nei primi tre capitoli di questo libro, esplorerò il pensie­ ro filosofico e la ricerca psicologica sottostanti alla nostra nuova comprensione dell'immaginazione e dell' apprendi­ mento . Persino i bimbi piccoli posseggono notevoli cono: scenze sul funzionamento del mondo . Eppure, essi trascor­ rono buona parte delle loro ore di veglia in mondi inventati, a bere educatamente del tè immaginario e a combattere co­ raggiosamente tigri inesistenti . Perché? Nel primo capitolo, spiegherò il legame tra conoscenza e immaginazione . I bam­ bini impiegano la loro conoscenza per costruire universi al­ ternativi - modi diversi in cui potrebbe essere il mondo . Inoltre, la sanno lunga anche su come funzionano gli es­ seri umani . Ciò consente loro di immaginare nuovi modi di pensare e agire, validi non solo per gli altri ma anche per sé. Nel secondo capitolo, spiegherò come queste abilità portino i bambini a creare degli amici immaginari - e gli adulti a ideare opere di fantasia . La capacità di fantasticare sulle al­ ternative consente ai bambini, e agli adulti, di essere qual­ cun altro e di trasformarsi nei loro immaginari alter-ego. Nel terzo capitolo, mostrerò da dove provengano la cono­ scenza e l'immaginazione . Filosofi della scienza e informati­ ci hanno elaborato nuove teorie in merito, che sono state poi impiegate per . progettare computer in grado di imparare e immaginare . Queste idee possono anche spiegare perché i bambini imparino e fantastichino cosi tanto. Mostrerò che

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i bimbi piccoli, al pari degli scienziati, impiegano statistiche ed esperimenti per imparare come funziona il mondo . Ma presentano anche una modalità di apprendimento partico­ larmente potente e tipicamente umana : hanno dei caregiver che insegnano loro . Questi tipi di apprendimento consento­ no di cambiare costantemente la propria visione del mondo e delle possibilità che offre. Nei successivi due capitoli, parlerò della coscienza . La prospettiva sul mondo che abbiamo da adulti è sempre sta­ ta questa e resterà sempre tale e quale? Oppure la coscienza cambia? Cosa si prova a essere bambini? La coscienza negli adulti presenta due aspetti molto di­ versi: anzitutto c ' è quella esterna - la nostra vivida consa­ pevolezza del mondo, del blu del cielo, del canto degli uc­ celli. Nel quarto capitolo, descriverò nuovi studi sulla mente e sul cervello dei più piccoli, e in particolare sulla loro at­ tenzione . I bambini fruiscono il mondo in maniera molto di­ versa da noi, mostrando un tipo di attenzione che si correla alle loro straordinarie abilità di apprendimento . Sosterrò che i bambini sono in. realtà più consci di noi, più vividamente consapevoli di tutto ciò che accade intorno a loro . Ma noi siamo dotati anche di una coscienza interna, ossia di un flusso di pensieri, sentimenti e pianificazioni che sem­ brano attraversare quell'« Io » che è anche !'« occhio » inte­ riore - l ' osservatore interno, il biografo personale e il re­ sponsabile che, insieme, costituiscono la nostra identità . Nel quinto capitolo, sosterrò che questa coscienza interna può essere alquanto diversa nei bambini e negli adulti . I bambi­ ni sperimentano il passato e il futuro, il ricordo e il deside­ rio, in maniera ben differente da noi . A quanto pare, non hanno lo stesso tipo di osservatore interno, e il loro ricordo del passato e la loro elaborazione dei piani per il futuro av­ viene in altre modalità . La percezione di possedere un uni­ co Sé omogeneo è una nostra creazione - non ci viene dato . Nei successivi tre capitoli, prenderò in considerazione le conseguenze di queste nuove idee in altri ambiti - nelle pro-

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blematiche dell 'identità, dell' amore e della moralità . Si trat­ ta spesso delle questioni più urgenti da affrontare come ge­ nitori, ma anche come figli . Nel sesto capitolo, parlerò del rapporto tra la nostra vita di bambini e quella di adulti . In che modo le prime esperienze e azioni plasmano quelle suc­ cessive? Come riesce l 'infanzia a renderei quel che siamo oggi? Nel settimo capitolo, mi concentrerò su una parte spe­ cifica di questo quesito: da dove proviene l' amore tra geni­ tori e figli? Come forgia la nostra vita e le nostre esperienze affettive e sentimentali da adulti? La tesi che sosterrò è che noi non siamo semplicemente determinati dai geni o dalle nostre madri . Al contrario, le esperienze infantili guidano il nostro modo di crearci una vita. Nell'ottavo capitolo, illustrerò il rapporto tra infanzia e vita morale . I bambini non sono quelle creature amorali che un tempo credevamo: anche i più piccini posseggono incre­ dibili capacità di empatia e altruismo . E persino i lattanti sono consapevoli della necessità di seguire delle regole, le quali tuttavia possono anche essere modificate. Grazie a que­ sta capacità di amore e lealtà, di preoccuparsi del prossimo e seguire le regole, nasce la combinazione tipicamente umana di profondità morale e flessibilità. Ciò spiega com'è possibi­ le cambiare le norme perché si adattino a nuove circostan­ ze, senza per questo cadere nel relativismo morale . Infine, nel nono capitolo parlerò del senso spirituale dei bambini - dell'infanzia e del senso della vita . Per molti geni­ tori, crescere dei figli è una delle esperienze più profonde mai vissute. È solo un'illusione dell 'evoluzione, uno scherzo gio­ cato dalla natura per favorire la riproduzione? La tesi che so­ sterrò è che si tratta invece di una realtà : i bambini davve­ ro ci mettono in contatto con la verità, la bellezza e la significatività dell'esistenza . In questo libro, non troverete nessun consiglio su come addormentare i bimbi o scegliere la scuola migliore, né tanto meno su come garantire loro un' esistenza felice da adulti. Spero tuttavia che questa lettura possa aiutare non solo i ge-

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nitori, ma tutti, ad apprezzare la ricchezza e significatività dell'infanzia in maniera nuova . Persino gli elementi più or­ dinari della vita di un bimbo di tre anni - lo s travagante gio­ co del far finta, l'insaziabile curiosità che lo spinge a ficcar­ si ovunque e l'istintiva simpatia per gli altri - aggiungono qualcosa alla nostra comprensione della razza umana . La fi­ losofia e la scienza possono aiutarci a capire come i nostri figli pensano, percepiscono e sperimentano il mondo - ma anche come pensiamo, percepiamo e sperimentiamo il mon­ do noi stessi.

I.

Mondi possibili Perché i bambini fanno finta?

Gli esseri umani non vivono nel mondo reale, o almeno non esclusivamente (per mondo reale, intendiamo ciò che è realmente accaduto in passato, sta accadendo adesso e acca­ drà in futuro) . Al contrario , abitano un universo costituito da molti mondi possibili : come potrebbe essere la realtà in futuro, ma anche come sarebbe potuta essere in passato o nel presente. Questi mondi possibili corrispondono a ciò che noi chiamiamo sogni e piani, illusioni e ipotesi, ossia ai pro­ dotti di speranza e immaginazione . I filosofi, in maniera più distaccata, li chiamano « controfattuali » (Lewis 1 986) . I controfattuali sono le eventualità della vita, ciò che po­ trebbe avvenire in futuro ma non è ancora avvenuto, o ciò che sarebbe potuto avvenire in passato ma non è avvenuto . Gli esseri umani si preoccupano molto di questi mondi pos� sibili - tanto quanto del mondo reale . In superficie, il pen­ siero controfattuale sembra un' abilità particolarmente sofi­ sticata e sconcertante dal punto di vista filosofico . Com'è possibile immaginare cose inesistenti? E perché mai, poi, do­ vremmo dedicarci a questi vagheggiamenti, invece di !imi­ tarci al mondo reale? È ovvio che la comprensione della realtà ci fornisce un vantaggio evolutivo, ma quale beneficio potremmo mai trarre dall'ideazione di mondi immaginari? Per rispondere a queste domande, basta considerare i bam­ bini. Il pensiero controfattuale è forse presente soltanto ne-

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gli adulti, o anche nei più piccini? Secondo la saggezza po­ polare, echeggiata nelle teorie di Sigmund Freud e Jean Pia­ get, i bambini, piccoli e grandi, sarebbero limitati all' « hic et nunc » - alle loro sensazioni, percezioni ed esperienze im­ mediate. Anche quando fingono o fantasticano, i bambini non sarebbero in grado di distinguere tra realtà e immagina­ zione: le loro fantasie, in quest'ottica, altro non sono che un'esperienza immediata. Il pensiero controfattuale richiede la capacità più impegnativa di comprendere il rapporto tra realtà e alternative . Il cognitivismo ha scoperto che la visione convenzionale era sbagliata : persino i bambini molto piccoli sono in grado di considerare le possibilità , di distinguerle dalla realtà e per­ sino di usarle per cambiare il mondo . Possono immaginare modi diversi in cui il mondo potrebbe essere in futuro e usar­ li per ideare progetti . Possono immaginare modi diversi in cui il mondo sarebbe potuto essere in passato e riflettere su possibilità svanite. E inoltre, cosa fondamentale, possono creare mondi completamente immaginari, mirabolanti in­ venzioni e incredibili giochi in cui far finta (viene chiamato « gioco simbolico ») . Questi pazzi mondi immaginari costi­ tuiscono una parte ben nota dell'infanzia - tutti i genitori di bimbi piccoli, presto o tardi, si ritrovano a esclamare : « Che fantasia ! » Ma le ricerche più recenti cambiano profonda­ mente la nostra percezione di questi mondi. N egli ultimi dieci anni, non abbiamo solo scoperto questo potere immaginativo dei bambini: abbiamo iniziato a com­ prenderne le origini, e a sviluppare una scienza dell'immagi­ nazione . Com'è possibile che le menti e i cervelli dei bambi­ ni siano costruiti in maniera da consentire loro l' ideazione di quest 'incredibile gamma di universi alternativi? La risposta è sorprendente. Secondo la saggezza popolare, conoscenza e immaginazione, scienza e fantasia non sono solo profondamente diverse, ma anche in contrasto . Secon­ do le nuove idee che esporrò, invece, le stesse abilità che ga­ rantiscono ai bambini un apprendimento così consistente

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consentono loro anche di cambiare la realtà - di far nascere nuove ipotesi e di immaginare mondi alternativi che magari non sono mai esistiti. Il cervello dei bambini crea teorie cau­ sali del mondo , mappe del suo funzionamento, che consen­ tono loro di ideare nuove possibilità, e di immaginare e far finta che il mondo sia diverso .

Il potere dei contro/attuali

Gli psicologi hanno scoperto che il pensiero controfattua­ le è assolutamente pervasivo nella vita di tutti i giorni e in­ fluenza profondamente i giudizi, le decisioni e le emozioni degli esseri umani . Si potrebbe credere che conti realmente solo ciò che avviene nella realtà, non le semplici ipotesi pas­ sate o future. Un'opinione comprensibile soprattutto nel caso dei controfattuali sul passato - quel che sarebbe potu­ to accadere ma non è accaduto - e dei ripensamenti e rimorsi della vita. Ebbene, questi hanno invece un impatto decisivo sull'esperienza . In un esperimento, lo psicologo vincitore del premio No­ bel Daniel Kahneman e i suoi colleghi chiesero ad alcuni sog­ getti di immaginare il seguente scenario: il signor Tees e il si­ gnor Crane si trovano entrambi in taxi, diretti all'aeroporto , ma disperano di riuscire a prendere i rispettivi aerei, il cui decollo è previsto per entrambi alle 6 in punto (Tversky e Kahneman 1 9 7 3 ) . Ma sono imbottigliati nel traffico e i mi­ nuti passano. Alla fine, arrivati all' aeroporto alle 6 . 3 0 , sco­ prono che l' aereo del signor Tees è decollato alle 6 . oo come previsto, mentre l'altro presentava un ritardo di venticinque minuti: il signor Crane lo vede decollare al suo arrivo . Chi dei due è più arrabbiato? Tutti concordano nel ritenere che il più arrabbiato sia il si­ gnor Crane, che ha perso l' aereo per un pelo . Ma perché? Lo hanno perso entrambi. Sembra che la causa dell'infelicità del signor Crane non sia tanto il mondo reale, quanto i mondi

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controfattuali, quelli nei quali il taxi arriva un pachino pri­ ma, o l' aereo fa giusto qualche minuto di ritardo in più . Non è necessario ricorrere a scenari artificiali di questo tipo per scorgere gli effetti dei controfattuali, basta pensare ai campioni delle Olimpiadi (Medvec, Madey e Gilovich 1 9 95) . Chi è più contento, il vincitore del bronzo o dell'ar­ gento? Dovrebbe esserlo il vincitore dell'argento, il quale, dopo tutto, ha avuto la meglio . Ma i controfattuali risulta­ no molto diversi nell'uno e nell'altro caso . Per il vincitore del bronzo, l ' alternativa rilevante era finire a mani vuote - un destino a cui è sfuggito di un soffio . Per il vincitore del­ l'argento, l 'alternativa era arrivare all'oro - un destino che si è visto sfuggire dalle mani . A testimonianza di ciò, alcuni psicologi scattarono delle foto durante le cerimonie di pre­ miazione, per poi analizzare le espressioni facciali degli atle­ ti: chi aveva ottenuto il bronzo sembrava più felice di chi si era guadagnato l'argento. Ciò che sarebbe potuto essere ha più peso di ciò che è stato . Come il signor C rane all'aeroporto, o il vincitore dell' ar­ gento, la gente è più infelice quando il risultato desiderabile le sfugge per poco, o è stato mancato di un soffio . Per dirla con Neil Young, che riprese un concetto di John Greenleaf Whittier: « Le parole più tristi che lingua e penna abbiano mai registrato sono tre : "sarebbe potuto essere" » . Perché noi esseri umani ci preoccupiamo tanto dei contro­ fattuali, quando, per definizione, non sono accaduti nella realtà? Perché i mondi immaginari hanno per noi uguale im­ portanza di quelli reali? Certo, le parole « è terribile ma è così » dovrebbero essere ben più tristi di « sarebbe potuto essere » . L a risposta evoluzionistica è che i controfattuali c i con­ sentono di cambiare il futuro . Proprio perché prendiamo in considerazione dei mondi alternativi, possiamo agire sulla realtà e intervenire per trasformarla nell 'una o nell'altra di queste possibilità . Ogni volta che agiamo, anche in piccolo, cambiamo il corso della storia, spingendo il mondo in una certa direzione. Ovviamente, far avverare una delle possibi-

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lità significa escludere le altre ipotesi passate al vaglio - che diventano controfattuali. Ma la possibilità di pensare queste evenienze è cruciale per il nostro successo evolutivo . Il pen­ siero controfattuale ci consente di fare progetti, inventare strumenti e creare nuovi ambienti . Gli esseri umani non fan­ no che immaginare cosa accadrebbe se rompessero il guscio delle noci, intrecciassero ceste o prendessero decisioni poli­ tiche in maniera nuova, e la somma totale di queste visioni è un mondo diverso . I controfattuali relativi al passato, e le emozioni tipica­ mente umane che li accompagnano, sembrano essere il prez­ zo da pagare per i controfattuali sul futuro . Poiché siamo re­ sponsabili del futuro, ci sentiamo in colpa per il passato; visto che possiamo sperare, possiamo anche rammaricarci; possiamo fare dei progetti, quindi possiamo anche restare delusi. L' altro lato della medaglia di questa capacità di con­ siderare i futuri possibili e tutto ciò che sarebbe potuto an­ dare diversamente, è che non si può fare a meno di prende­ re in considerazione i passati possibili, tutte le cose che sarebbero potute andare diversamente.

I contro/attuali nei bambini: la pianificazione delfuturo I bambini sono in grado di pensare in maniera controfat­ tuale? Dal punto di vista evolutivo, il pensiero controfattua­ le più cruciale è costituito dai piani per il futuro - quando passiamo in rassegna le possibili alternative e scegliamo quel­ la secondo noi più auspicabile . Come fare a capire se i bam­ bini piccoli ne sono capaci? Nel mio laboratorio, mostriamo al bambino il classico giocattolo della piramide con gli anel­ li da impilare, dei quali, però, uno è stato ricoperto con del nastro adesivo (gli esperimenti dell'anello e del rastrello sono rielaborazioni di Uzgiris e Hunt 1 9 7 5 ; vedi anche Gopnik 1 98 2 ; Gopnik e Meltzoff 1 9 86) � Come risponderà il bambi­ no di fronte a questo anello apparentemente simile agli al-

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tri, ma recalcitrante? L'esperimento ha mostrato che i bam­ bini di quindici mesi impiegano il metodo di prova ed erro­ re per risolvere il problema : impilano alcuni anelli, analizza­ no quello ricoperto con il nastro e tentano di infilarlo nella piramide . Per poi riprovarci, con maggior energia . E ancora una volta . Quindi appaiono sconcertati, provano di nuovo un altro anello, poi di nuovo quello con il nastro, e vanno avanti così finché non si danno per vinti . Ma, a mano a mano che crescono e imparano di più sul mondo nel quale agiscono , i bambini si comportano in ma­ niera diversa . A diciotto mesi, un bimbo impila tutti gli al­ tri anelli, quelli normali, quindi tiene in pugno quello avvol­ to dal nastro adesivo , con uno sguardo del genere : « Chi credi di prendere in giro? » E non ci prova neanche . Oppu­ re, toglie subito l' anello con il trucco e lo scaglia drammati­ camente dall' altra parte della stanza, per poi impilare con calma gli altri. O ancora, con fare non meno drammatico, lo tiene sulla cima della piramide e urla : « no ! » e > e spingere l' oggetto lungo il pavimento . Oppure pos­ sono mettere tutti e tre i pupazzi a forma di pecorella a dor­ mire, con estrema cura e attenzione . Nella scelta dei giocattoli, noi diamo per scontato tutto questo. I negozi sono zeppi di giochi che incoraggiano i bimbi a far finta: la fattoria, il benzinaio, lo zoo - persino il banco­ mat e il cellulare . Ma non è che i bambini di due anni faccia­ no finta perché noi compriamo loro delle bambole, casomai il contrario: le regaliamo loro sapendo che amano questo tipo di attività Iudica. Anche senza giocattoli, i bambini non fan­ no che trasformare oggetti di uso comune (cibo, sassolini, erba, voi, loro stessi) in qualcosa di diverso . E persino in quelle culture nelle quali questo genere di gioco viene sco­ raggiato, anziché coltivato, come la scuola del signor Grad­ grind in Tempi difficili di Dickens, i bambini persistono co­ munque in questa tendenza (le politiche sperimentali della legge denominata « No child left behind » - « Nessun bambi­ no lasciato indietro » - sembrano echeggiare il signor Grad­ grind, nel loro sostituire i travestimenti e i giochi di far fin­ ta con esercizi di lettura negli asili) . Non appena i bambini riescono a parlare, subito discuto­ no del possibile come del reale . Nel corso della mia specia­ lizzazione a Oxford, registrai tutte le primissime parole im­ piegate da nove bambini . Questi, che ancora adoperavano singole parole proprie dell 'inizio del linguaggio, le usavano per parlare delle possibilità come della realtà . Non solo l'e­ terno « brum-brum » , ma anche « mela » quando fingevano di mangiare una palla , oppure > quando metteva­ no una bambola a dormire . Jonathan, un bambino inglese dai capelli rossi particolarmente adorabile, aveva un orsac-

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chiotto del cuore . Sua madre aveva fatto a maglia due lun­ ghe sciarpe, come quelle indossate dal dottor Who della se­ rie televisiva inglese: una piccola per l' orsacchiotto e una più grande per il figlio . Un giorno Jonathan si mise la sciarpa del­ l' orsetto intorno al collo e, con smorfie e risatine, annunciò la sua nuova identità: «Jonathan l' orso ! » Di fatto, l' apprendimento del linguaggio fornisce ai bam­ bini un nuovo, potentissimo mezzo per fantasticare . Benché anche quelli incapaci di parlare posseggano qualche abilità di anticipazione e immaginazione del futuro, la parola costitui­ sce uno strumento particolarmente potente per mettere in­ sieme vecchie idee in modi nuovi, e per parlare di cose inesi­ stenti. Basti pensare al potere del « no » , una delle primissime parole che si imparano . Quando i genitori pensano al « no » , subito viene loro i n mente il terribile bambino d i due anni che si rifiuta energicamente di fare quel che gli viene detto . Ed è questo uno dei loro usi della parola, ma i bambini l'a­ doperano anche per dire a sé stessi di non fare qualcosa, come quello che ripeteva « no » mentre cercava di infilare nella piramide l' anello ricoperto dal nastro adesivo . E usano « no » per dire « non è vero » . Quando la mamma di Jonathan, altrettanto adorabile, lo prese in giro dicendo che la piscina era piena di succo d' arancia, lui rispose prontamente: « No succo ! » Altre parole più ovvie posseggono lo stesso potere . Si prenda « uh-oh » . Gli adulti a malapena la considerano una parola, e invece è una delle più comuni tra i bambini picco­ li . E . I bambini molto piccoli sono consumati dall'insaziabile curiosità sulle cause, come mostra­ no le loro irrefrenabili domande sul « perché » delle cose . Lo psicologo Henry W ellman trascorse un intero anno sabbatico conducendo ricerche all'interno del CHILDES , un database informatico contenente le registrazioni di centinaia di conversazioni quotidiane dei bambini . (Peraltro lo stu­ dioso, che in precedenza aveva insegnato in un asilo, rivelò quanto gli fosse sembrato strano e commovente trovarsi al tempo stesso nella pace composta della sala computer pres­ so il Center for Advanced Studies del Dipartimento di scien­ za comportamentale a Stanford, e nel bel mezzo di quegli invisibili bimbetti di tre anni) . Scopri in tal modo che i bam­ bini di due e tre anni producevano e chiedevano decine di spiegazioni causali al giorno . Elaboravano ipotesi per spie­ gare i fenomeni fisici : « Il braccio dell' orsacchiotto è cadu­ to perché lo hai girato troppo » ; «Jenny si è presa la mia se­ dia perché l' altra era rotta » . Inoltre, fornivano resoconti di cause biologiche : « Ha bisogno di mangiare di più perché le braccia gli si stanno allungando »; « Gli avvoltoi cattivi man­ giano .Ja carne perché la carne è buona per gli avvoltoi catti­ vi » . E quasi tutti amavano le spiegazioni di tipo psicologi­ co : « Non l'ho fatto cadere ieri sera perché sono una brava bambina »; « Non ci sono andata al piano di sopra, perché

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quella mi fa paura » . Le spiegazioni potrebbero non SeiJ?.pre essere le stesse che fornirebbe un adulto, ma rispondono ugualmente a una certa logica (Hickling e Wellman 2 oo r ) . Altri studi mostrano che i bambini piccoli capiscono cau­ se astratte e non evidenti, ad esempio che c ' è qualcosa al­ l'interno dei semi che li fa crescere o anche che i germi invi­ sibili portano le malattie (Gelman 2003 ) . Gli psicologi giapponesi Giyoo Hatano e Keiko Inagaki hanno esplorato la biologia quotidiana dei bambini - la loro comprensione della vita e della morte (Inagaki e Hatano 2 oo6) . Scoprirono che, intorno ai cinque anni, tutti gli esse­ ri umani del mondo sviluppano una teoria causale e vitalista della biologia, che ricorda quella della medicina tradiziona­ le cinese e giapponese. A quanto pare, a quest ' età i bambi­ ni credono nell'esistenza di un' unica forza vitale, simile al Qi cinese, che ci tiene in vita; se, ad esempio, non si man­ gia abbastanza, questa forza svanisce e ci si ammala. Per loro la morte è la perdita irreversibile di questa forza, e gli ani­ mali che muoiono non torneranno in vita. (Questa nuova comprensione della mortalità presenta il suo lato oscuro; fino a poco tempo prima la considerano non la fine di tutto, ma una sorta di trasloco : nonna ha solo preso dimora tem­ poraneamente al cimitero o in paradiso, ma potrebbe anche tornare indietro; quando però iniziano a considerarla una perdita irreversibile della forza vitale, molti bambini svilup­ pano maggi_ore ansietà al pensiero della morte) . Questa teo­ ria consente loro di creare un'intera rete di previsioni, con­ trofattuali e spiegazioni - come il bambino dell'esperimento di Henry Wellman, che affermava che se hai le braccia lun­ ghe devi mangiare di più . La causazione fornisce alla fantasia una sua logica. Basti pensare ai bambini esaminati da Paul Harris, perfettamente in grado di inventarsi con dovizia di dettagli le conseguenze immaginarie della situazione in cui l'orsacchiotto versa il tè . .Se i giochi che consistono nel far finta assumessero qualsiasi ipotesi come possibile, si genererebbe una gran confusione .

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Funzionano, invece, proprio grazie alle premesse immagina­ rie (« lo sono la mamma e tu il bambino ») dalle quali si ela­ borano le conseguenze causali secondo una logica rigoros a . I bambini mostrano una dedizione assoluta nel portare alle giuste conseguenze le regole causali . « La tua pistola a raggi X non mi ha ucciso grazie al mio scudo ! » ; « Devi bere il lat­ te perché tu sei il bambino ! »

Cause e possibilità I bambini sviluppano teorie causali del mondo a partire dalla più tenera età . Se la conoscenza causale e il pensiero controfattuale vanno di pari passo, possiamo arguire da dove nasca l' abilità parallela dei bambini piccoli di generare con­ trofattuali ed esplorare mondi possibili. Se i bambini capi­ scono come funzionano le cose, sono anche in grado di im­ maginare possibilità alternative in merito, il che potrebbe spiegare anche i casi in cui non pensano in maniera contro­ fattuale . B asti ripensare ai bimbi di quindici mesi ostinati nell'inutile tentativo di infilare nella piramide l'anello rico­ perto dal nastro : può essere semplicemente che ancora non abbiano capito come funzionano gli incastri. Alcune volte, i bambini non riescono a pensare in maniera controfattua­ le perché mancano del giusto tipo di conoscenza causale, non perché non siano in grado di immaginare delle possibilità: un po' come io non riuscirei a spiegare cosa si poteva fare per evitare un guasto allo shuttle, oppure come intervenire per evitarlo in futuro . Henry Wellman mostrò come le conversazioni quotidiane dei bambini siano piene di continui riferimenti alle cause. Quindi fece il passo successivo di chieder loro cosa fosse pos­ sibile o impossibile, in base alla loro conoscenza causale del mondo fisico, biologico e psicologico . Scoprì che i bambini usavano coerentemente la loro conoscenza per distinguere le possibilità (Schult e Wellman 1 997) . Essi dissero, ad esem-

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pio, che Johnny poteva semplicemente decidere di tenere in alto il braccio , ma non di saltare in aria e restarci, o di di­ ventare più alto, o di passare attraverso un tavolo . Un ragazzino da noi sottoposto ad analisi decise di dimo­ strare la sua conoscenza controfattuale illustrando tutte le possibilità elencate. « Non puoi saltare in aria e restarci, guar­ da ! », disse, saltando più in alto che poteva . E poi: « Guarda ! Tavolo , adesso ti attraverso ! » Si scontrò teatralmente con­ tro la scrivania e disse: « Vedi? Non è possibile » . Anche i bambini più piccoli posseggono già una cono­ scenza causale del mondo , e la usano per fare previsioni sul futuro, per spiegare il passato e per immaginare mondi pos­ sibili che potrebbero esistere oppure no . Ma a un livello più profondo, com'è strutturata la loro mente perché ci riesca­ no? Io, Wellman, Hatano e lnagaki siamo ricorsi alla spiega­ zione che i bambini posseggono delle teorie quotidiane sul mondo - idee sulla psicologia, la biologia e la fisica. Teorie simili a quelle scientifiche, ma per lo più inconsce e codifi­ cate nel loro cervello , anziché registrate su carta o presenta­ te ai convegni scientifici. Ma com'è possibile una simile co­ difica, nel loro cervello, di qualcosa di così astratto come una teoria?

Mappe e modelli Il cervello dei bambini costruisce una mappa causale in­ conscia, un quadro accurato di come funziona il mondo . Queste mappe causali sono simili a quelle più familiari che noi, e anche programmi informatici come Mapquest, im­ pieghiamo per rappresentare lo spazio . Molti animali, dagli scoiattoli ai topi, fino ad arrivare alle persone, costruiscono « mappe cognitive » (Tolman 1 9 4 8 ; O ' Keefe e Nadel 1 9 79) del loro mondo spaziale , quadri interiori della collocazione spaziale degli oggetti, simili alle vere cartine . Se le informa­ zioni spaziali vengono rappresentate su una mappa, è possi-

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bile impiegarle in maniera molto più flessibile e produttiva. Abbiamo anche qualche cognizione in merito a come e dove queste mappe spaziali sono codificate nel cervello degli ani­ mali: a quanto pare, si trovano in una parte del cervello chia­ mata ippocampo - togliete a un topo l'ippocampo e non sa­ prà più raccapezzarsi in un labirinto. Partendo dalle mappe si possono realizzare dei modelli. Questi hanno tutto l' aspetto di una mappa, ma anziché adat­ tarli al mondo , è quest' ultimo a subire modifiche perché si adatti al modello . Una volta capito come si creano le mappe spaziali, possiamo anche decidere di cambiare la disposizio­ ne spaziale degli oggetti, inclusi i nostri stessi corpi, e pre­ dire gli effetti di questi spostamenti. Se siete in una città straniera senza cartina, potreste tro­ varvi a vagare nei dintorni dell' albergo finché non incappa­ te nella stazione ferroviaria o nel ristorante, per poi ripete­ re lo stesso itinerario che avete trovato per tentativi. Se disponete di una cartina, però, potreste scoprire che i per­ corsi possibili erano diversi, più brevi e convenienti. La car­ tina vi consente di confrontare diversi itinerari per raggiun­ gere un determinato luogo, e di scoprire il più utile, senza doverli provare uno a uno . Non c ' è bisogno di un pezzo di carta per fare tutto questo . Gli animali dotati di buone map­ pe cognitive, come ad esempio i ratti, possono esplorare un labirinto , costruire una mappa interna e poi, immediatamen­ te, senza il metodo di prova ed errore, trovare la via più bre­ ve da una postazione a un'altra . Magari non pensavate di poter usare la mappa in questo modo , come un modello . Dopotutto, il mondo rappresenta­ to dalla mappa non cambia, resta sempre lo stesso . Eppure voi, in realtà, state cambiando la posizione di un oggetto molto importante sulla mappa, ossia il puntino rosso che in­ dica « voi siete qui » . Quando immaginate i diversi itinerari a vostra disposizione, immaginate, cioè create, diverse mappe cognitive con il puntino rosso collocato in postazioni diffe­ renti. La mappa è un dispositivo molto efficace per costruì-

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re diversi modelli cognitivi, quadri di ciò che accadrà non appena vi sposterete nello spazio . Soprattutto, con l' ausilio di una mappa potete prendere in considerazione altre possibilità spaziali più complesse. Se dovete progettare un nuovo giardino, ad esempio, per prima cosa disegnerete una mappa del cortiletto attuale (notando, ad esempio, la lastra di cemento andata in frantumi, l'altalena rotta e il sentiero di erbacce) . Poi, come seconda cosa, dise­ gnerete una mappa del giardino ideale destinato a sostituirlo (la fontana, i sentieri in mattoncini e gli alberi in fiore) . Ca­ pability Brown, il grande architetto di giardini all'inglese, di fronte a uno scorcio particolarmente sinuoso del Tamigi ebbe a esclamare : « Geniale! » Vale a dire, considerava il paesaggio come prodotto di un modello, un'invenzione umana, piutto­ sto che un fenomeno naturale accuratamente rappresentato su cartina . Per ricorrere a un esempio ben più semplice: ani­ mali come gli scoiattoli possono adoperare le mappe spaziali per pianificare un possibile nascondiglio per le noci, dove re­ cuperarle in un secondo momento . Una volta creata la nuova mappa ideale, il modello, possia­ mo iniziare ad agire sugli oggetti per realizzarlo . Possiamo tra­ sferirei in una nuova postazione scegliendo la strada più breve, o anche spostare l' altalena per ripararla dall'umido e sostituirla con la fontana . Le cartine ci aiutano anche a va­ gliare tutte le ipotesi spaziali prima di metterle in pratica. Pos­ siamo valutare se ci conviene prendere le stradine laterali o re­ stare sulla via principale, o anche prendere in considerazione i vari siti in cui sistemare la fontana (le sue eventuali intera­ zioni con il sentiero di mattoncini o con l'albero in fiore) pri­ ma di decidere di spostarla per davvero in un certo posto.

Mappe causali Gli esseri umani creano anche un altro tipo di mappa - quel­ la costituita dalle complesse relazioni causali tra gli eventi

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(Gopnik, Glymour e altri 2 004) . Il neurologo possiede una mappa delle emicranie, nella quale sono abbozzati tutti i col­ legamenti causali tra l' attività neurale, la pressione e il do­ lore . Oppure, si pensi alla capacità dei bambini di elaborare predizioni giuste sul mondo biologico . Anziché considerare separatamente tutte le relazioni causali tra vita, morte, cre­ scita, malattia e cibo, sembrano possedere un'unica visione vitalista e coerente della realtà. Secondo loro, il cibo elargi­ sce energia, laddove la malattia la risucchia - la crescita co­ stituirebbe un incremento della forza vitale, la morte una sua deprivazione . In tal modo, sono in grado di elaborare nuove previsioni, anche su argomenti di cui magari non han­ no mai sentito parlare . Giungono cosi a conclusioni quanto­ meno bizzarre : se non si smette di mangiare , si può pure continuare a crescere all'infinito; un adulto alto, inoltre, sarà sicuramente più anziano di uno basso (da piccolo mio figlio escludeva l'ipotesi che io potessi essere amica di un mio gio­ vane collega, giocatore di basket, perché lui era grosso e io piccoletta) . Oppure, si spiegano la necessità di nutrirsi come l'unico modo per ottenere potere . Questa mappa causale del­ la biologia consente loro di trarre simili conclusioni - e non solo (Inagaki e Hatano 2oo6; Gelman 2003 ) . Laddove appare evidente che altri animali creano delle mappe cognitive spaziali, non è chiaro se ne costruiscano di causali allo stesso modo . Esistono animali in grado di com­ prendere vari tipi di relazioni causali. Ad esempio, capisco­ no che le loro azioni causano gli eventi che seguono nel­ l'immediato - infilare un bastoncino nel termitaio spinge le termiti a uscire allo scoperto - o magari comprendono qual­ che collegamento causale importante, come il legame tra il cattivo cibo e la nausea . Eppure , gli animali non sembrano creare il genere di mappa da noi riscontrato anche nei bim­ bi più piccoli : sembra facciano affidamento più sul metodo di prova ed errore, quello che ad esempio ci consente di no­ tare che l' aspirina fa passare il mal di testa, anziché sulla creazione di una teoria, come quella che ci permette di pro-

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gettare un nuovo farmaco come il sumatriptan per curare le em1crame. Negli anni novanta, un gruppo di filosofi della scienza presso la Carnegie Mellon University, guidati da Clark Gly­ mour, iniziò a fornire un resoconto matematico del funzio­ namento delle teorie scientifiche (Spirtes, Glymour e Schei­ nes 1 99 3 ) . Allo stesso tempo, alcuni informatici presso la UCLA, capeggiati da Judea Pearl, cercarono di ideare dei pro­ grammi finalizzati a elaborare lo stesso tipo di previsione e consigli tipici degli scienziati (Pearl z ooo) . I due gruppi ar­ rivarono alle stesse conclusioni sulle mappe causali . Riusci­ rono a descrivere le mappe dal punto di vista matematico e a impiegarle per generare accuratamente nuove previsioni, in­ terventi e controfattuali . Le nuove descrizioni matematiche, chiamate « modelli grafici causali » , hanno travolto l'intelli­ genza artificiale e ispirato nuove idee sul rapporto causale in filosofia . Si possono creare dei programmi informatici che facciano uso di queste mappe causali, un po' come Mapquest adopera le mappe spaziali. Mapquest è un software che impiega una sola mappa per produrre automaticamente milioni di itinera­ ri da un luogo a un altro . Più o meno allo stesso modo, i pro­ grammi informatici che fanno uso di queste mappe causali possono condurre lo stesso genere di sofisticato ragionamen­ to controfattuale tipico degli scienziati - e dei bambini. Essi sono in grado di fare diagnosi mediche e suggerire possibili trattamenti, o anche di ipotizzare possibili soluzi� ni per i cambiamenti climatici. La NASA ha esplorato l'uso di queste idee nella prossima generazione di robot per Marte. La nozione di base della scienza cognitiva è che il nostro cervello si comporta come una sorta di computer, anche se molto più potente. Gli psicologi tentano di scoprire esatta­ mente quali tipi di programmi usa il nostro cervello, e come li implementa . Data la bravura dei bambini nel comprende­ re le cause, è probabile che il loro cervello costruisca delle mappe causali e le adoperi come dei software. È proprio la

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collaborazione con filosofi e informatici ad avermi suggeri­ to per la prima volta l' idea di mappa causale . (Anno dopo anno, e bar dopo bar, io e Glymour ci siamo interrogati sui miei bambini e su quanto siano intelligenti rispetto ai suoi computer. La risposta, ovviamente, è che lo sono di più per certi versi e di meno per altri, ma ancora oggi, dopo anni di esperimenti, l'ago della bilancia pende anche per lui a favo­ re dei bambini) .

Scoprire i « blicket »2 Come fare a sapere se i bambini costruiscono davvero del­ le mappe causali della realtà, e se le adoperano per immagina­ re nuove possibilità e cambiare il mondo? Come fare a scoprire se usano programmi simili a quelli informatici? Un'ipotesi consiste nel presentare ad alcuni bambini di tre e quattro anni nuovi eventi causali e verificare se impiegano la relati­ va conoscenza per fare previsioni, progettare interventi e prendere in considerazione nuove possibilità . In tal modo potremmo sapere per certo se essi giungono" a queste conclu­ sioni esclusivamente in base alle informazioni causali da noi fornite - la nuova mappa - e a nient ' altro ; Con l'aiuto dei commessi del negozio e degli specializzan­ di afferenti al mio laboratorio, ho inventato una macchina da noi definita il « rilevatore di "blicket" » . Si tratta di una scatola quadrata che si accende e suona solo quando deter­ minati pezzi, non tutti, vengono posizionati in cima all'ag­ geggio . L' esperimento comincia così : « Guardate la mia macchina, funziona grazie ai "blicket " . Sapete dirmi quali sono i "blicket"?» Affascinati dallo strumento, subito i bam2 Il termine inglese « blicket», coniato per esperimenti simili a quello descritto di seguito, viene riferito, con sfumatura affettiva, a oggetti ignoti (un nostro equi­ valente italiano potrebbe essere « pinco-pallino ») . Nella lingua corrente è poi pas­ sato a designare un animale carino e che ispira coccole, mentre al plurale, nello slang, è usato per indicare i soldi (come il « grano») [N. d. T. ] .

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bini si mettono all'opera, facendo vari tentativi per scoprirne il funzionamento e capire quali sono i « blicket » - provando i pezzi uno dopo l' altro, premendo più forte o più piano, ar­ rivando persino a grattare sulle costruzioni per scoprire cosa c ,,e dentro . La verità, che fortunatamente nessun bambino sospetta, è un'altra, da noi definita « causalità del mago di Oz » . C 'è un ometto, o per meglio dire uno studente, che opera su alcuni pulsanti azionando l' aggeggio . Uno dei soggetti pilota è sta­ to mio figlio Andres, il più piccolo - la mia cavia da labora­ torio . Dopo diversi mesi di inferenze statistiche e indagini sperimentali, alla fine gli spiegai come funzionava davvero lo strumento. Reagì alla notizia un po ' come Neo di Matrix, quando si sveglia e si rende conto che il mondo è solo un'e­ laborata finzione (solo di recente, oramai ventenne, ha ini­ ziato a perdonarmi, forse perché ritiene quest 'esperienza un chiaro segnale del futuro glorioso che lo attende nel salva­ re l' universo, o quanto meno della possibilità di uscire con Carrie Moss) . Quando i bambini iniziano a scoprire che alcuni pezzi at­ tivano la macchina, impiegano questa informazione per idea­ re nuove possibilità e fare previsioni, incluse quelle di tipo controfattuale (Gopnik, Sobel e altri 2 oo r ) . In uno dei pri­ mi test da noi realizzati, dicemmo ai bambini che un parti­ colare pezzo era un « blicket » in grado di attivare la macchi­ na; poi, lo prendemmo e lo mettemmo sull'aggeggio insieme a un altro pezzo qualunque. La macchina, ovviamente, si ac­ cese comunque . Uno dei primi bambini di quattro anni da noi sottoposti all'esperimento se ne uscl subito con un con­ trofattuale degno di un filosofo . « Ma mettiamo >> , disse lui, « che il "blicket " non lo prendevamo, mettiamo che ci piaz­ zavamo solo quello lì (indicando l' altro pezzo) : non funzio­ nava, in quel modo » . S e chiedete loro di attivare l a macchina, i bambini scel­ gono solo i « blicket » . Cosa più significativa, se chiedete loro di spegnerla, essi vi risponderanno che bisogna rimuovere il

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« blicket », anche se non hanno mai visto nessuno farlo . Pos­ sono usare la nuova informazione causale per trarre il giusto tipo di conclusione, inclusa quella controfattuale . Immagi­ nano quel che accadrà togliendo il « blicket » dalla macchina o cosa poteva accadere ad averlo tolto prima. La nuova conoscenza causale può anche dar luogo a cam­ biamenti più evidenti . Capire quale sia il pezzo che attiva o spegne la macchina può non sembrare chissà che impresa. Con Laura Schulz, una mia studentessa, abbiamo pensato di condurre lo stesso esperimento in modo diverso : abbiamo mostrato ai soggetti una macchina simile, questa volta però con tanto di interruttore (Schulz e Gopnik 2 004) : I bambi­ ni non sapevano come funzionasse. Poi abbiamo chiesto se, secondo loro, la macchina avrebbe funzionato azionando l'in­ terruttore, o anche solo impartendo l 'ordine a voce. All'ini­ zio , tutti hanno risposto che l'interruttore può attivare l'ag­ geggio, mentre il semplice fatto di parlarci no . Avevano già imparato che le macchine funzionano in maniera diversa dal­ le persone . Ma dopo aver dimostrato che era possibile attivare la mac­ china parlandoci, i bambini hanno cambiato idea. Se chiede­ vamo loro di spegnerla, rispondevano educatamente: « Mac­ china, per favore, spegniti », invece di premere l'interruttore. E se chiedevi ai bambini di prevedere cosa avrebbe attivato un' altra macchina, a quel punto erano molto più propensi a dire « parlandoci », benché restassero ancora dell 'idea che l'interruttore fosse la soluzione migliore. Grazie a una nuo­ va conoscenza causale, i bambini avevano cambiato il loro modo di valutare le possibilità, nonché il tipo di azione da in­ traprendere. Adesso potevano anche immaginare una mac­ china parlante, cosa impensabile fino a poco prima . Allo stesso modo, la nuova conoscenza causale consente a noi ricercatori adulti di vagliare ipotesi prima inimmaginabi­ li. Nei film di fantascienza, nei quali la fantasia dovrebbe es­ sere sfrenata, ci colpisce notare che l'immaginazione dei re­ gisti è molto limitata dalle loro conoscenze. In Biade Runner,

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a d esempio, Harrison Ford corre disperatamente verso u n te­ lefono a pagamento - dotato di schermo video . Gli sceneg­ giatori potevano immaginare un telefono a pagamento con tanto di TV , ma non ipotizzare un mondo senza telefoni a p a­ gamento. Niente è più datato delle visioni del futuro, perché per immaginare queste ipotesi dovremmo attingere a infor­ mazioni ancora inesistenti. Spesso, le persone trattano la conoscenza e la fantasia come fossero cose distinte e separate, necessariamente in op­ posizione. Ma i recenti risultati degli studi delle mappe cau­ sali suggeriscono l'esatto contrario . La comprensione della struttura causale del mondo e la generazione di controfat­ tuali vanno di pari passo . Non a caso, la conoscenza è pro­ prio ciò che fornisce alla fantasia il suo potere, ciò che ren­ de la creatività possibile . È grazie alla nostra conoscenza del legame esistenté tra i singoli eventi e il mondo, che possiamo immaginare di alterare tali connessioni e crearne di nuove . È grazie alla nostra conoscenza della realtà che possiamo crea­ re mondi possibili. Questa miscela tipicamente umana di conoscenza e fanta­ sia non è dominio esclusivo degli adulti. Al contrario, essa sta alla base anche delle fantasie più sfrenate dell' infanzia. La bimba di tre anni che finge di essere la regina delle fate non è solo adorabile e creativa: dimostra anche un genere di intelligenza tipicamente umano . E queste nuove idee scien­ tifiche ci forniscono lo strumento per riconsiderare in ma­ niera inedita altri tipi di immaginazione . Nel prossimo ca­ pitolo parlerò di un tipo specifico di fantasia, quello che consente l'ideazione di persone immaginarie, e di come ciò si ' correli alle attività di scrittori e attori.

2.

Gli amici immaginari

In che senso la finzione dice la verità?

Platone disapprova la poesia . Ma non si ferma qui: i poe­ ti, così come i commediografi, gli attori e gli artisti di ogni sorta, vanno esiliati dalla sua Repubblica ideale . Stando al filosofo, per definizione i poeti dicono solo falsità . E, peg­ gio ancora, persuadono le persone a dar loro credito - quan­ to meno nell'immediato . Perché lasciare simili bugiardi li­ beri di vagare in uno Stato ideale, e perché mai, poi, pagarli addirittura perché creino delle mere illusioni? I poeti non sono neanche tanto bravi, come bugiardi : riescono a ingan­ narci anche se siamo ben consapevoli della falsità delle loro asserzwm. Venendo a noi, possiamo porci una versione di tipo evo­ luzionistico della domanda di Platone . È facile arguire l'im­ portanza della verità e la sua utilità per gli organismi: un'a­ deguata conoscenza della realtà contribuisce a ideare gli strumenti necessari alla sopravvivenza . Ma perché mai la finzione dovrebbe essere altrettanto cruciale? Che ruolo po­ trebbe rivestire un organismo che sciorina bugie senza in­ gannare davvero nessuno? Perché i poeti non sono stati eli­ minati per selezione naturale, se non dal benevolo dittatore della Repubblica? Per capire la profondità di questa doman­ da evoluzionistica, basta guardare i bambini, che sono i crea­ tori di finzione più entusiasti e fantasiosi del mondo . Com'è possibile? E a che scopo?

GLI AMICI IMMAGINARI

Finora ho parlato della conoscenza causale infantile del mondo fisico e biologico e dei tipi di controfattuali - fanta­ sie e possibilità - consentiti dalla conoscenza. Abbiamo vi­ sto che la conoscenza causale dei bambini si riflette nei gio­ chi del far finta - anche i più piccoli fingono che una palla sia una mela, una costruzione una macchina o una matita un pettine, ed elaborano le conseguenze causali di questi con­ trofattuali (la mela può essere mangiata, la macchina si muo­ ve, il pettine si passa tra i capelli) . Capire come un evento ne causa un altro consente di sapere non solo cosa potrebbe ac­ cadere, ma anche cosa è già accaduto. In questo capitolo, parlerò di un altro tipo di conoscenza causale e di immaginazione ad essa correlata . Anche i bam­ bini costruiscono mappe del mondo psicologico : teorie della mente, anziché delle cose; psicologia di ogni giorno , anziché fisica del quotidiano . E il ruolo di queste mappe è persino più cruciale nella vita dei più piccini. Per una specie sociale come la nostra , capire le possibili azioni altrui, e agire per modificarle, è anche più importante che comprendere e cam­ biare il mondo fisico . Secondo molti antropologi, lo svilup­ po di questa « intelligenza machiavellica » (Byrne e Whiten r 988) è stato anche motore dell'evoluzione cognitiva umana. Individualmente, gli esseri umani sono creature patetiche e incapaci di tenersi in vita, la loro sopravvivenza dipende dall' abilità di spingere gli altri a compiere determinate azio­ ni - stringere alleanze, costruire coalizioni e formare squa­ dre. C apire come accendere il fuoco permette di preparare un pasto o di tenere alla larga una tigre; allo stesso modo, ca­ pire come funzionano le intenzioni consente di stringere amicizie o di guardarsi dai nemici. È naturale aspettarsi che queste mappe causali psicologi­ che si riflettano nei giochi infantili del far finta . E infatti è così, come testimonia una straordinaria attività, che coin­ volge l'invenzione di persone controfattuali: la creazione de­ gli amici immaginari, che rispecchia un tipo propriamente umano di intelligenza sociale ed emotiva . A prima vista, fe-

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nomeni strani come questo sembrano difficili da riconcilia­ re con l'idea che i bambini siano anche dei piccoli scienziati attivamente alla ricerca dei misteri del mondo . Eppure, que­ sta libertà Iudica fa parte della storia evoluzionistica dell' in­ fanzia, e rientra senza dubbio nella strategia dell'immaturità protratta . La conoscenza e l'immaginazione di tipo psicologico - sa­ pere come funziona la gente e figurarsene i comportamenti ­ è alla base anche della finzione adulta, del lavoro degli scrit­ tori e dei poeti, degli attori e dei registi. Quindi, capire il gio­ co infantile del far finta contribuisce a chiarire il ruolo tutt 'altro che secondario della finzione nella vita degli adulti.

Dunzer e Charlie Ravioli Una delle storie della mia infanzia, una specie di Il giro di vite dei Gopnik, ha per protagonista il personaggio alquan­ to gotico di Dunzer. Secondo mia madre, all'età di tre anni ero certa che un ometto così chiamato vivesse nel mio letti­ no . Al principio giocoso e amichevole, « gradualmente di­ venne sempre più ostile >>, come narrava mia madre con in­ quietante vaghezza alla Henry James . Alla fine, ero talmente spaventata da Dunzer da rifiutar­ mi di andare a dormire. Così mia madre mi propose di fare cambio di lettino con mio fratello, più piccolo di un anno . Ma non appena lo misero a riànna, mio fratello cacciò un urlo, si aggrappò a mia madre e indicò terrorizzato il punto preciso in cui avevo visto Dunzer . Gli amici immaginari sono un fenomeno comune e affa­ scinante dell' infanzia, che ha ispirato molta speculazione psicologica . Eppure, stranamente, fino a poco tempo fa nes­ suno li aveva studiati in maniera sistematica. Decise di rime­ diare a questa lacuna la psicologa Marjorie Taylor, ispirata dalla figlia, che trascorse buona parte dell'infanzia a inter­ pretare Amber il cane, per poi diventare un' attrice holly-

GLI AMICI IMMAGINARI

woodiana (Taylor 1 999, opera imperdibile, è fonte di buo­ na parte delle informazioni contenute in questo capitolo) . Nella sua opera incontriamo Nutsy e Nutsy, gli uccelli rau­ chi ma dagli incantevoli colori brillanti che vivono dentro un albero fuori dalla finestra di una certa bambina, ora diverti­ ta ora irritata dal loro incessante chiacchiericcio; e Margari­ ne, la ragazzina dalle dorate perle lunghe fino al pavimento, che non solo spiega le esigenze del gioco di società al bam­ bino di tre anni che l'ha creata, ma in seguito aiuta anche la sorellina a passare all'asilo . Il significato sottinteso della sto­ ria di Dunzer, almeno secondo mia madre, era che io e mio fratello eravamo dotati di una creatività (o magari di una fol­ lia) più unica che rara . Ma la Taylor ha dimostrato che gli amici immaginari sono un dato sorprendentemente comune . La Taylor scelse a caso alcuni bambini di tre e quattro anni e rivolse a loro e ai genitori un certo numero di do­ mande specifiche riguardanti gli amici immaginari . Gran parte dei soggetti, per la precisione il sessantatre per cento, descrissero una creatura immaginaria ben precisa, spesso per certi versi bizzarra . La Taylor ripeté le domande in diverse occasioni e scoprì che i singoli bambini mostravano una cer­ ta coerenza nella loro raffigurazione degli amici immagina­ ri . Ma, soprattutto, queste descrizioni corrispondevano a quanto riferito indipendentemente dai genitori, il che di­ mostrò che i bambini non stavano inventando quei perso­ naggi sul momento, tanto per compiacere l ' intervistatore. Molti amici immaginari non mancano di un certo fascino poetico : Baintor è invisibile perché vive nella luce, Station Pheta va a caccia di anemoni di mare sulla spiaggia . Talvol­ ta si tratta di semplici bambini, ma spesso di nani o dino­ sauri . Capita anche che i bambini si trasformino loro stessi in creature immaginarie . Mentre scrivevo, ho alzato un at­ timo lo sguardo dallo schermo per sbirciare oltre la finestra, che dà sul cortile condominiale - la bimba di tre anni dei vi­ cini era in piedi che urlava, con le mani in alto, un hula hoop intorno al collo legato a un guinzaglio tenuto dalla madre .

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Questa rassicurava un' altra bambina che avrà avuto più o meno la stessa età della prima : « Puoi stare tranquilla, è una tigre molto gentile » . Per quanto l a cosa non m i entusiasmi, è un dato d i fatto che i maschietti abbiano la tendenza ad assumere l'identità di super creature dotate di poteri fantasmagorici, laddove le femminucce sono più propense a inventare degli animaletti da accudire e vezzeggiare. Nei miei tre figli erano riscontra­ bili tutti e due gli schemi: l'uomo della galassia (il temibile alter-ego supereroico del più grande) e il dottor Termanson (l'amico scienziato pazzo del secondogenito, dalla testa a for­ ma di uovo, leggermente comico e vagamente inquietante) furono raggiunti dai bisognosi gemellini in miniatura che vi­ vevano nella tasca del terzo . Gli amici immaginari possono mostrarsi benevoli, oppu­ re, come Dunzer, ostili . Possono anche risultare irreperibi­ li . Mio fratello, un tempo spaventato da Dunzer, da grande divenne giornalista per il « New Yorker » . Anche la figlio­ letta di tre anni, Olivia, cresciuta nella Manhattan lettera­ ria, inventò un amico immaginario , Charlie Ravioli, che però era troppo indaffarato per giocare con lei (Gopnik 200 2 ) . La bambina riferl tristemente di essersi imbattuta in Charlie in un bar , ma che lui era dovuto andar via . Olivia gli lasciava sistematicamente dei messaggi nella segreteria telefonica immaginaria: « Ravioli, sono Olivia , ti prego ri­ chiamami ! » Gli amici immaginari sono presenti in diverse culture e background, e i bambini si mostrano sorprendentemente re­ sistenti all'influenza degli adulti. Le madri fondamentaliste cristiane scoraggiano quest'attività Iudica, convinte si tratti di demoni. Le madri dell' I ndia orientale non li vedono di buon occhio in quanto possibili manifestazioni di vite pas­ sate, che subentreranno all 'anima presente. E benché molti genitori americani approvino gli amici immaginari dei figli in età prescolare, in seguito tendono a scoraggiarli, perché . . . be' , perché sono strani.

GLI AMICI IMMAGINARI

Ma gli amici immaginari persistono comunque . In alcuni casi, almeno in America, sembra che i bambini serbino il se­ greto a lungo , prima di parlarne apertamente. Nei suoi au­ toritratti, Frida Kahlo raffigurò anche l' amico immaginario della sua infanzia, e Kurt Cobain, morto suicida, indirizzò la lettera d' addio all'amico immaginario Bodha (anche se, lo ammetto, questi esempi sembrerebbero confermare le ansie genitoriali sulla stranezza di questo gioco) . C ome Dunzer, può anche capitare che gli amici immaginari passino di fra­ tello in fratello . Di solito, però, svaniscono dalle menti dei bambini, lasciando a stento qualche traccia. Dunzer conti­ nua a vivere nella leggenda della nostra famiglia, ma né io né mio fratello ne serbiamo memoria.

Una stranezza normale Dagli studi della Taylor, risulta che le differenze statisti­ che tra bambini con amici immaginari e bambini senza sono ben poche, e diverse dalle aspettative . Il fenomeno è più dif­ fuso tra i figli unici e i maggiori, ma anche tra i bambini so­ cievoli rispetto ai timidi. In genere non sembra una caratte­ ristica dei teledipendenti, ma neanche degli accaniti lettori chi ama immergersi in mondi immaginari altrui pare meno disposto a crearne uno suo . Detto questo, non sembrano es­ serci vere e proprie regole : gli amici immaginari sono tipici dei bambini in generale, e non di quelli più dotati, disturba­ ti o anche solo fantasiosi. Com'è avvenuto per il gioco del far finta , la vivacità de­ gli amici immaginari, e in particolare l 'intensità delle emo­ zioni che scatenano nei bambini, hanno spinto in passato gli psicologi a ritenerli segnali di una traballante padro­ nanza della realtà . I freudiani, in particolare, li hanno con­ siderati sintomo di un bisogno terapeutico, di una nevrosi da trattare . Dopo la pubblicazione dell' articolo su Olivia e Charlie Ravioli , mio fratello ricevette fiumi di e-mail da

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parte dei concittadini newyorkesi i quali, forti di anni di analisi, si lanciavano in accurate diagnosi sulle presunte pa­ tologie della bambina . Gli amici immaginari giocano un ruolo parimenti psicoanalitico nella cultura popolare, in film del terrore come Shining e in storie sentimentali come Harvey . In realtà, essi non indicano né genio né follia . I bambini che li inventano non sono , nell'insieme, più intelligenti, creativi, timidi o folli degli altri. Gli amici immaginari non sono frutto di angoscia o traumi, né precursori di patologie . In alcuni casi vengono adoperati come supporto per risolve­ re determinati problemi, ma per lo più costituiscono un puro e semplice divertimento . La Taylor scoprì che anche i soggetti dotati di amici im­ maginari vividi e particolarmente amati erano ben consape­ voli del carattere fittizio di queste creazioni, proprio come in genere i bambini riconoscono la differenza tra realtà e fin­ zione . Non avevano difficoltà a distinguere tra gli amici im­ maginari e le persone reali, e facevano anche commenti spontanei in merito . Nel corso di questi esperimenti, i bam­ bini venivano affiancati da una solerte intervistatrice adul­ ta, che chiedeva loro dettagli sul padre gigante di Michael Rose o sulla lunghezza di Gawkin Coda di dinosauro . Spes­ so e volentieri , i bambini interrompevano l' intervistatrice per ricordarle, preoccupati per la sua sanità mentale, che questi personaggi erano, dopotutto, nient 'altro che finzione, vale a dire irreali . Con il passare degli anni, di solito i bambini sostituisco­ no gli amici immaginari con un nuovo tipo di attività fanta­ siosa : i « paracosmi » , ossia non più persone ma società im­ maginarie . Si tratta di universi inventati, dotati di un loro linguaggio , di una geografia e di una storia a sé. Da piccoli i Bronte ne inventarono vari, cosl come le assassine adole­ scenti che ispirarono il film Heavenly Creatures - Creature del cielo (una delle quali da grande diventò la scrittrice Anne Perry) .

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Usando la tecnica dell 'intervista, la Taylor scoprl che, a dieci anni, molti bambini perfettamente normali, né scritto­ ri né assassini, creavano paracosmi, proprio come molti tipi­ ci bambini di quattro anni inventavano i loro amici immagi­ nari. Uno di loro, ad esempio, aveva ideato un pianeta, Rho Ticris, abitato da animali giganti chiamati cani delle dune, da umanoidi dalla pelle blu, chiamati appunto Blu, e dal Dire Grim, una bestia inquietante con sette file di denti. Rho Ticris costitul una parte importante della vita di questo ragazzino dai nove ai dodici anni, per poi finire nel dimen­ ticatoio né più né meno degli amici immaginari della fase precedente . E molti libri e giochi amati dai bambini più grandi - da Harry Fotter a Narnia, da Dungeons and Dragons a Warcra/t - coinvolgono a loro volta dei paracosmi. Se sono meno noti degli amici immaginari, questo in parte è dovuto a una minore diffusione del fenomeno, ma anche alla mag­ giore riservatezza di chi lo manifesta, che sarà meno pro­ penso a parlarne con gli adulti.

Costruire una mappa della mente Perché i bambini piccoli inventano gli amici immaginari? Considerato lo stretto legame tra abilità di pensiero contro­ fattuale e conoscenza causale, sarebbe lecito aspettarcene uno dello stesso tipo tra i controfattuali psicologici e la co­ noscenza della mente altrui. Gli amici immaginari costituisco­ no un ottimo esempio di controfattuali psicologici. Quando l'i­ nesistente orsacchiotto fa cadere il tè, bagna il pavimento . Allo stesso modo, se ci fosse davvero un omuncolo malefico nel mio lettino, o un affaccendato newyorkese all'altro capo della cornetta, si comporterebbe proprio come mi sono im­ maginata . Gli amici immaginari rispecchiano le persone in carne e ossa, con i loro modi di fare e di essere . L'età d'oro di questo gioco è tra i due e i sei anni : proprio il periodo in

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cui i bambini creano una psicologia del quotidiano - una teo­ ria causale della mente . 1 In questo lasso di tempo, gli esseri umani scoprono i fatti fondamentali del funzionamento della mente propria e al­ trui, arrivando a formulare una mappa causale della mente. Iniziano a capire i legami causali non solo tra « blicket » e ri­ leva tori di « blicket », o tra cibo, crescita e malattia, ma an­ che tra desideri e credenze, emozioni e azioni . Uno dei princìpi centrali di questa Teoria della Mente è che ciascu­ no di noi può avere credenze, percezioni, emozioni e desi­ deri differenti, e di conseguenza comportamenti diversi. Se non ci comportiamo tutti allo stesso modo, è perché ognuno di noi ha una mente unica rispetto agli altri. Persino i bambini ancora privi dell'uso della parola sem­ brano capire le differenze tra le varie persone e impiegare questa comprensione per elaborare nuove e sorprendenti previsioni causali . Ad esempio, nel corso di un esperimento, mostriamo ad alcuni bambini di quattordici e diciotto mesi due piatti - uno contenente broccoli, e l'altro cracker (Repa­ choli e Gopnik 1 9 97) . Tutti i bambini, com'è prevedibile, vanno matti per i cracker e detestano i broccoli . A questo punto , la sperimentatrice assaggia entrambi gli alimenti, mo­ strandosi disgustata dai cracker e soddisfatta dei broccoli . Esclama : « Puah, cracker ! » e « Mmh, broccoli ! », svelando gusti opposti a quelli dei bambini. Poi tende la mano e chie­ de : « Me ne dai un po '?» I bambini appaiono visibilmente sconcertati di fronte ai gusti perversi della sperimentatrice - aspettano un po ' , pri­ ma di passare all' azione . Ciò nonostante, quelli di quattor­ dici mesi le offrono i cracker. I bambini di diciotto mesi, in­ vece, benché non abbiano mai incontrato nessuno tanto pazzo da rifiutare i cracker, fanno la giusta previsione . Dol­ cemente, fanno quel che ritengono possa compiacere la spe1 In merito si è sviluppata un'estesissima area di ricerca. Per una buona rasse­ gna, vedi Astington 1 99 3 ; Flavell 1 9 9 9 ; Wellman 2 00 2 .

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rimentatrice, per quanto strano . Proprio come avevano af­ ferrato al volo l'uso del rastrello per prendere il giocattolo, anche se non lo avevano mai fatto, capiscono subito di dover offrire alla sperimentatrice i broccoli, e non i cracker. Se sai come funzionano rastrelli e giocattoli, puoi pensare a una nuova mossa per spostare un oggetto distante . Se sai come funziona il gusto delle persone, puoi pensare a una nuova mossa per renderle felici. I bambini un po ' più grandi capiscono le complesse inte­ razioni causali tra desiderio, percezione ed emozione; rie­ scono a predire le possibili azioni derivabili da diverse com­ binazioni psicologiche . Henry Wellman diceva ad alcuni bimbi di due anni che la sua amica Anne stava per fare me­ renda con broccoli crudi oppure cereali al miele (W ellman, Phillips , e Rodriguez 2 ooo) . La ragazzina, che teneva la me­ renda in una scatola chiusa, ci sbirciava dentro e reagiva in base a quel che trovava (invisibile ai bambini) . Si possono porre a bambini di due e tre anni un bel po ' di domande in merito a questo scenario, anche su possibili futuri e passati: tireranno fuori le risposte giuste . Se Anne vede i broccoli, non è contenta come se avesse visto i cereali al miele . Se guarda nella scatola ed esclama : « C aspita ! », deve aver visto i cereali al miele; se grida : « Oh no ! », deve aver trovato i broccoli. Se invece vuole proprio i broccoli, è contenta di trovarli . E se non guarda dentro la scatola, non è né parti­ colarmente triste né particolarmente felice. I bambini più grandi, intorno ai cinque anni, iniziano a capire il rapporto tra le credenze e la realtà . Ad esempio , supponiamo di mostrare una scatola di caramelle che si sco­ pre essere piena di matite: i bambini ne resteranno sorpresi . M a , per quanto riguarda quelli d i tre anni , s e chiedi loro cosa penserà qualcun altro di trovare nella scatola, senza in­ dugio rispondono : « Matite ! »2 Riscontrerete lo stesso tipo di 2 Wimmend e Perner 1 9 83 . Per una meta-analisi vedi Wellman, Cross e Watson zoo r . S tudi recenti dimostrano che ne sono capaci anche bambini più piccoli.

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ragionamento nelle spiegazioni quotidiane dei bambini sul­ le ragioni che muovono gli esseri umani (Bartsch e Wellman 1 995) . Essi iniziano a giustificare le azioni in termini di pen­ sieri e credenze, in particolare quelle false, solo intorno ai quattro anni - con asserzioni del genere : « La gente pensava che quello era un bimbo cattivo , invece no, era proprio bra­ vo » . Ma poi, a un certo punto, i bambini capiscono un dato di fatto cruciale, ossia che le nostre idee sul mondo possono rivelarsi sbagliate . È come se quelli più piccoli credessero nell 'esistenza di un legame causale diretto tra il mondo e i pensieri, mentre quelli più grandi cominciassero a compren­ dere che il legame è ben più ingarbugliato e indiretto - tra il guardare nella scatola e sapere cosa c'è dentro, i passaggi intermedi sono vari, e alcuni magari anche sbagliati. Allo stesso modo in cui concepiscono una mappa causale dei legami di tipo biologico tra crescita e malattia, vita e morte, i bambini ne costruiscono una che collega tra di loro gli stati mentali e questi con il mondo esterno . Possono così partire alla scoperta di tutte le possibili combinazioni e per­ mutazioni del comportamento umano, e immaginare pensie­ ri, sentimenti e atteggiamenti altrui, anche i più strani . Oscar the Grouch, del Muppet Show, può servire a giocare con questa abilità . Istruiti in merito al principio generale che « a Oscar piace tutto ciò che non piace a noi » , i bambini pic­ coli possono brillantemente prevedere che amerà la spazza­ tura, il cibo puzzolente e i vermi, e odierà i pupazzi e la cioc­ colata - oppure che si mostrerà grato se gli regalate un po' di schifezze, ma non dei fiori, per carità. Inoltre, com' è facile prevedere, queste mappe causali con­ sentono ai bambini di agire in modo da cambiare le menti al­ trui . Se so che Anne nutre una particolare passione per i broccoli, ne consegue che di volta in volta posso « corrom­ perla », prenderla in giro o ingraziarmela offrendoglieli o ne­ gandoglieli : strategie completamente inutili, se in realtà va pazza solo per i cracker . Saprò anche che , se le chiedo di prendermi i cracker, faccio meglio ad accertarmi che sappia

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dove sono , cioè nella dispensa: altrimenti, a che serve do­ mandarglielo? Ma se non voglio che li prenda, posso menti­ re dicendo che la dispensa è vuota. I bambini capaci di spiegare le azioni in termini di una Teoria della Mente sembrano anche più abili, nel bene e nel male, nell'alterare le menti altrui. Quelli che vantano una mi­ gliore comprensione delle menti sono più socialmente dotati degli altri, ma anche più bravi a dire bugie (LaLonde e Chandler 1 995) . Sono più comprensivi, ma anche più abili a rigirarti come vogliono . Lo sanno bene i politici di successo : capire bene come funzionano gli esseri umani aiuta a render­ li felici - o a manipolarli per i propri scopi. I bambini di quat­ tro anni possono rivelarsi dei politici sorprendentemente abi­ li, in particolare quando hanno per elettori i loro genitori. La bugia è un esempio particolarmente lampante dell'uso dei controfattuali e dei vantaggi di una degna comprensione del funzionamento delle menti . Come confermerebbe Ma­ chiavelli in persona, la bugia è una delle forme più efficaci di intelligenza machiavellica. L' abilità di ingannare il prossimo, tanto gli alleati quanto i nemici, è un grande vantaggio nel­ la gestione della complessa vita sociale dell 'essere umano . Anche i bambini piccolissimi sono in grado di mentire , ma non in ma'niera efficace . Una volta, la mia sorellina più piccola urlò a mia madre : « Non ho attraversato da sola ! » - dall'altro lato della strada. Quando giocano a nascondino, è noto che i bambini molto piccoli mettono la testa sotto al tavolo, senza preoccuparsi del sederino che spunta vistosa­ mente da sotto . È possibile riscontrare tutto questo in laboratorio (So­ dian, Taylor e altri 1 99 1 ; Talwar e Lee 2 00 2 ) . Nel corso di un esperimento, una ricercatrice mostrò ad alcuni bambini una scatola chiusa, ne svelò il contenuto (un giocattolo) e si raccomandò di non sbirciare. Quindi lasciò la stanza . Poiché la curiosità è l'impulso più irresistibile per i bambini, ben po­ chi resistettero alla tentazione . Una volta rientrata, la speri­ mentatrice chiese se avessero sbirciato nella scatola e cosa vi \

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avevano trovato. Anche quelli di tre anni negarono di aver dato un' occhiatina ma, subito dopo, si precipitarono a rac­ contarle cosa c ' era dentro ! Solo verso i cinque anni, i bam­ bini riescono a fingere in maniera efficace. Quel che sorprende, è che la conoscenza della psicologia di tutti i giorni ci consente di intervenire anche sulle nostre stesse menti, di cambiare le idee nostre come quelle altrui . All'incirca nello stesso periodo in cui elaborano una mappa causale della mente, i bambini iniziano anche a sviluppare delle capacità relativamente a ciò che gli psicologi chiamano il « controllo esecutivo », ossia l' abilità di controllare le pro­ prie azioni, sensazioni e pensieri (C arlson e Moses 2 oo r ; Carlson, Mandell e Williams 2 004) . Tra gli esempi più teatrali di controllo esecutivo figurano gli esperimenti del « ritardo di gratificazione » (Mischel, Sho­ da e Rodriguez 1 9 89), molto interessanti ma un po ' perver­ si. Risalgono agli anni sessanta le imprese di W alter Mischel, il quale metteva davanti a un bambino in età prescolare due grossi biscotti al cioccolato (o anche caramelle o giocattoli) . Aveva due possibilità : mangiarne uno subito, oppure en­ trambi , ma solo al ritorno dello sperimentatore, di lì a dieci minuti. Ai bambini, quei dieci minuti sembravano un' eter­ nità . Le registrazioni del loro comportamento in assenza del­ lo sperimentatore sono comiche e patetiche al tempo stesso: si contorcono sulle sedie, chiudono gli occhi e si siedono sul­ le mani . Gran parte dei più piccini gettarono la spugna - ri­ nunciarono all'impresa e mangiarono un solo biscotto . Ma, tra i tre e i cinque anni, i bambini diventano molto più bra­ vi in questo genere di autocontrollo . Quel che colpiva di questi studi non era solo l' accresciu­ ta abilità dei bambini più grandi, ma anche come raggiunge­ vano l'obiettivo . Si potrebbe pensare allo sviluppo di una maggiore forza di volontà, e in effetti anche questo è vero . Ma quel che più conta è che diventavano sempre più bravi a intervenire sulla propria mente, perché si comportasse di­ versamente . I soggetti che riuscirono nell 'impresa si copri-

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rono gli occhi con le mani, oppure si misero a tamburellare o a cantare : vale a dire, il successo fu raggiunto da quanti tentarono di immaginare che, ad esempio , le caramelle erano solo morbidi nuvoloni, e non esche tentatrici. Anche noi adulti impieghiamo strategie simili quando vogliamo regola­ re le nostre azioni. Metto la cioccolata su uno scaffale fuori dalla mia portata, oppure mi riprometto di andare a com­ prare i fiori solo dopo aver finito il capitolo, non un istante pn ma . Le strategie di controllo esecutivo sono anche meccanismi dell'evoluzione particolarmente potenti . La mia capacità di immaginare diversi modi di essere e di realizzarli mi con­ sente di controllare e cambiare le mie azioni secondo una modalità senza precedenti nella storia evoluzionistica. Non solo la comprensione della realtà mi permette di evocare e at­ tuare mondi alternativi, nonché di immaginare le possibili azioni altrui e favorirne la realizzazione, ma anche di imma­ ginare e attuare altri modi di agire . Questi bambini avevano imparato alcuni dati cruciali sul funzionamento della mente, ad esempio l ' importanza della distrazione, poiché concentrarsi sull' oggetto del desiderio rende l' attesa più spasmodica. Quindi, partendo dalla cono­ scenza causale della loro mente, si adoperavano perché fun­ zionasse diversamente, proprio come impiegavano la com­ prensione del prossimo per trarlo in inganno , o quella del « blicket » per azionare il relativo aggeggio .

Amici immaginari e conoscenza psicologica Marjorie Taylor scopri che i bambini che avevano un ami­ co immaginario di solito vantavano una Teoria della Mente più avanzata rispetto ai coetanei, ma non, nel complesso, un' intelligenza superiore . Si mostravano più bravi nel prevedere pensieri, sensazioni e comportamenti altrui . Pa­ rimenti, al contrario del luogo comune, era più probabile che

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fossero i socievoli ad averne uno, rispetto ai timidi e ai soli­ tari . Non è mia intenzione aggirare le preoccupazioni di que­ gli adulti che trovano un che di inquietante in questo gioco : voglio solo sottolinearne non tanto l'estrema diffusione, ma anche il fatto che indica una certa competenza sociale . Gli amici immaginari non sostituiscono quelli in carne e ossa, e tanto meno costituiscono una forma di terapia. I bambini che ne hanno uno si preoccupano davvero per gli altri e ama­ no pensare al prossimo anche quando sono soli . Il passaggio dagli amici immaginari ai paracosmi può anche riflettere alcuni cambiamenti nella conoscenza causale degli altri . I ragazzini più grandi, già addentro al funzionamento delle menti degli individui, mostrano maggior attenzione nei confronti di ciò che accade quando le menti interagiscono in modalità socialmente complesse: il loro oggetto di interesse primario non sono più le singole persone, ma le elaborate reti sociali che saranno cruciali per la loro vita da adulti. Le clas­ si delle medie, piene di alleanze, esclusioni, battaglie, leader, seguaci e avversari, si concentrano molto sulla necessità di se­ lezionare le compagnie. Come gli amici immaginari consen­ tono di esplorare menti controfattuali, così i paracosmi con­ sentono di esplorare società controfattuali.

Autismo, causazione e immaginazione I bambini autistici sono un esempio particolarmente si­ gnificativo di legame tra conoscenza causale, immaginazione e gioco . L' autismo è una sindrome complicata e misteriosa. Soggetti caratterizzati da vari tipi di problemi possono rien­ trare tutti sotto la comune e vaga etichetta di « autistici » , senza dettagli in merito alla specificità dei loro disturbi. È quantomeno possibile che alcuni di loro presentino difficoltà nel costruire mappe causali in generale e mappe causali del­ la mente in particolare. Spesso costoro mostrano problemi anche nell'immaginare possibilità.

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Non di rado, i bambini autistici manifestano un' ottima conoscenza del mondo fisico - possono diventare dei veri e propri esperti in fatto di orari ferroviari o di modelli auto­ mobilistici. Spesso presentano anche eccezionali capacità di percezione e memoria. Un autistico savant , ad esempio, può dirvi con esattezza il numero di fiammiferi fuoriusciti da una scatola, anche quando sono già stati rimessi a posto . Ma esi­ stono prove a supporto del fatto che non analizzano sponta­ neamente il mondo in termini di cause nascoste e più profonde . Tempie Grandin, scrittore affetto da autismo, usa l' espressione « pensare per quadri », il che probabilmente vale anche per altri autistici (Grandin 1 995 ; Gopnik, Gly­ mour e altri 2 004) . Abbiamo provato a dare ad alcuni bam­ bini autistici la macchina dei >) Fonte

Gopnik, Sobel e altri

200 I .

Ai bambini viene chiesto di ciascun oggetto se è un >

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coinvolti in questi esperimenti hanno imparato a intervenire sulla realtà. Nella condizione « doppia causa » , d' altro canto, i bambini capiscono di dover togliere entrambi i pezzi. Possiamo dimostrare che già a quest'età calcolano incon­ sciàmente le probabilità. Abbiamo mostrato loro un pezzo che attivava il rilevatore due volte su sei e un altro due su quattro . I bambini di quattro anni, ancora incapaci dei più semplici calcoli, hanno dichiarato che il secondo pezzo ave­ va più effetto sul rilevatore del primo . E altri esperimenti hanno dimostrato che impiegavano un ragionamento baye­ siano più sofisticato per calcolare la probabilità di cause ed effetti (Sobel, Tenenbaum e Gopnik 2004) . PROC EDURA IMPIEGATA IN GOPNIK , SOBEL E ALTRI

(200 I ) ,

ESPERIMENTO

3

Condizione « una sola causa •>

L ' oggetto B viene posizionato sul rileva tore

L'oggetto B viene nmosso

e non succede nulla

l.' oggetto A viene posizionato da solo sul rilevatore

L'oggetto B viene aggiunto a l rilevatore insieme all 'oggetto A .

e questo si a t tiva

Il rilevatore res ta attivo. Ai bambini viene chiesto di spegnerlo

L ' oggetto A viene posizionato da solo sul rilcvatorc c questo si attiva

L'oggetto B viene aggiunto al rilevatore insieme all'oggetto A . I l rilevatore resta attivo. Ai bambini viene chiesto di spegncrlo

Condizione « doppia causa »

L'oggetto B viene posiziona t o sul rilevatore e questo si a ttiva

L ' oggetto B viene rimosso . Il rilevatore si spegne

Figura 3 . 2 Esperimento « Make It Stop» (« Spegnilo ! »). Sperimentazione: provocare gli eventi .

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IOI

Gli scienziati traggono informazioni sulla struttura causale del mondo dall'osservazione e dagli esperimenti. In laborato­ rio, però, il ricercatore agisce intenzionalmente sul mondo, in­ terviene proprio come quando impiega le sue conoscenze per cambiare la realtà. L' obiettivo di un esperimento, tuttavia, non è provocare un certo evento, ma capire come si verifica . Lo scienziato aggiunge deliberatamente acido solforico al so­ dio, oppure mette della penicillina sul piattino Petri, per poi osservare quel che accade . Può impiegare queste informa­ zioni per trarre conclusioni sui legami causali nel mondo rea­ le tra sodio e acido solforico o penicillina e batteri, anche quando si astiene dall'intervenire . Partendo da queste con­ clusioni, può passare a modificare la realtà in maniera signi­ ficativa, ad esempio curando tubercolosi e colera mediante l'uso di penicillina . Due eventi che concorrono possono sempre essere legati da una causa nascosta - magari lo stress di tutti i giorni au­ menta la pressione sanguigna, favorendo l'insorgere di di­ sturbi cardiaci . Supponiamo di prendere alcuni soggetti e di dividerli a caso in due gruppi: solo ai primi somministreremo un farmaco che abbassa la pressione. Se il primo gruppo pre­ senta un'incidenza inferiore di disturbi cardiaci rispetto al­ l' altro, ciò sarà riconducibile al farmaco . Dal punto di vista matematico, i modelli della rete di Bayes consentono di mo­ strare che queste inferenze sulla causazione sono giustificate da particolari schemi di risultati sperimentali . La matematica può anche chiarire perché la sperimentazione sia un metodo particolarmente efficace per risalire alle cause e perché i suoi risultati sono molto più accurati della sola osservazione (Eberhardt e Scheines 2 007) . E questo lavoro mostra che non è neanche necessario condurre tutti gli esperimenti formali degli scienziati : ulteriori contributi possono provenire anche da altri tipi di intervento, più simili ai giochi infantili. I bambini sono in grado di condurre esperimenti? Persino quelli più piccoli prestano particolare attenzione alle conse­ guenze delle proprie azioni . Proviamo ad esempio ad attac-

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care un cellulare giocattolo alla gambetta di un lattante di tre mesi, il quale potrà muoverlo a suo piacimento : tirerà calci come un dannato . Sta facendo una sorta di esperimento, op­ pure gli piace semplicemente vedere gli oggetti in movimen­ to? Per verificarlo, gli si può mostrare un oggetto che compie esattamente le stesse mosse, ma che non è legato a nessuna parte del suo corpo . I bambini manifestano la loro preferen­ za nei confronti del giocattolo sul quale possono agire, non solo con uno sguardo più prolungato, ma anche con sorrisi e moine. Ciò suggerisce che non si limitano a gradire l' effetto, ma cercano di esserne causa diretta e di verificarne le con­ seguenze . Se sono contenti, è perché l'esperimento è riusci­ to (Papousek, Papousek e Harris 1 98 7 ) . O ltretutto, i bambini esplorano sistematicamente le con­ tingenze tra i vari movimenti degli arti e quelli del giocatto­ lo , cercando di colpirlo con una gambetta e poi con l' altra, quindi provando ad agitare il braccino, senza mai perdere d ' occhio le risposte dell'oggetto . E se poi li prendiamo in braccio, quando li risistemiamo nella culla, poco dopo, tor­ nano subito a dimenare la gamba giusta (per una rassegna di questi studi, vedi Rovee-Collier e Barr 2 00 1 ) . Queste esplo­ razioni sembrano veri e propri esperimenti . Sono azioni pen­ sate non solo per provocare particolari eventi, ma anche per scoprire come funziona il mondo . Lo scopo di tutto questo pare sia scoprire i diretti legami causali tra determinate azioni e le loro immediate conse­ guenze. Superato il primo anno di età, però , i bambini ini­ ziano a variare sistematicamente le azioni rivolte agli ogget­ ti, un atteggiamento descritto molti anni fa da Piaget (Piaget 1 93 6 ; 1 9 45) . Anziché insistere con lo stesso comportamen­ to, ad esempio continuando a sbattere una costruzione con­ tro il tavolo , colpiscono con intensità diversa, oppure prima infliggono dei colpi e poi scuotono il pezzo, considerando at­ tentamente quel che accade nel frattempo . E non si limitano a osservare le immediate conseguenze delle loro azioni, ma quelle ulteriori « a valle » . Date a un bambino di diciotto

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mesi un set di costruzioni, e lo vedrete provare diverse com­ binazioni, posizionamenti e angolature , alla ricerca della struttura giusta che porti a torri stabili oppure a un crollo ugualmente soddisfacente di tutti i pezzi. Raggiunti i quattro anni di età, i bambini si lanciano in esperimenti più complessi. Prendiamo un altro aggeggio de­ moniaco ideato da me e Laura Schulz : il gioco degli ingra­ naggi (Schulz, Gopnik e Glymour 2 007) . Questo, come il ri­ levatore di « blicket », offre ai bambini un nuovo problema causale . Si tratta di una scatola quadrata con due ingranag­ gi collocati in alto e un interruttore a lato . Quando si azio­ na l'interruttore, gli ingranaggi ruotano simultaneamente . Un dato che, di per sé, non dice nulla sul funzionamento del giocattolo . Ma se si toglie un solo ingranaggio, A, e si pre­ me l 'interruttore, B gira da solo; se invece si toglie B e si preme l'interruttore, A non gira . Conducendo i due esperi­ menti, si può giungere alla conclusione che l 'interruttore at­ tiva l'ingranaggio B e B a sua volta attiva A . S e avete qualche problema a seguire per filo e per segno que­ sto ragionamento, state tranquilli: siete in buona compagnia. Chiedemmo ad alcuni laureandi di Berkeley (California) di sot­ toporsi all'esperimento: ebbene, rimasero perplessi quando cercarono di ragionarci su. Riuscirono molto meglio quando suggerimmo loro di limitarsi a seguire il proprio istinto . (La delusione del mio povero Andres riguardo al rilevato­ re di « blicket » mi tornò indietro con la macchina a ingra­ naggi . Da bravi psicologi, assolutamente incompetenti in fatto di meccanica, chiedemmo ai commessi di un negozio di

Figura 3 · 3 I l gioco degli ingranaggi.

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assemblare il giocattolo per noi . Diversi mesi dopo, la mac­ china si ruppe e noi li pregammo di sostituire i fili che colle­ gavano l'interruttore agli ingranaggi. Ci spiegarono che non c'era alcuna relazione causale tra questi elementi : lo avevano progettato in modo che ogni componente fosse dotato di un microchip indipendente, che lo attivava nel modo giusto - la loro versione dell 'ometto dietro la tenda . Questa volta, fui io a sentirmi un po' come Neo in Matrix) . Chiedemmo ad alcuni bambini di quattro anni di cercare di capire come funzionava il giocattolo e li lasciammo soli, mentre li riprendevamo di nascosto con una telecamera . Come prevedevamo, i bambini si misero a giocherellare con l'aggeggio , facendolo roteare vorticosamente e porgendo l'o­ recchio nel caso provenisse qualche rumore dall'interno; ar­ rivarono persino ad annusarlo . Gran parte di loro risolse il problema semplicemente così, a furia di giocarci . In seguito, Laura Schulz fornì una prova anche più note­ vole a sostegno del fatto che i bambini piccoli impiegano il gioco in maniera sperimentale per risolvere problemi causa­ li (S chulz e Bonawitz 2007) . Mostrò ad alcuni soggetti di quattro anni una scatola dotata di due leve . In una condi­ zione, la sperimentatrice diceva : « Questa è la tua leva e que­ sta la mia . Scopriamo cosa fanno » e spingeva la sua leva in­ sieme al bambino . Dalla scatola usciva una papera, ma i bambini ignoravano a quale delle due leve se ne dovesse la comparsa - avrebbe potuto essere l' una o l' altra. Nell'altra condizione, il bambino e la sperimentatrice azionavano le leve separatamente e la papera appariva soltanto quando la pressione veniva esercitata su una delle due - per cui sem­ brava ovvio quale delle due avesse causato la comparsa del­ la papera. A quel punto, la Schulz lasciava il soggetto da solo con la scatola . I bimbi che si erano trovati di fronte alla pri­ ma condizione, quella inspiegabile, trascorsero molto più tempo a giocare con l' oggetto che nell ' altro caso, quello più ovvio . Premevano e manipolavano le leve finché non ne capivano il funzionamento .

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Christine Legare partì dal nostro rileva t ore di « blicket » per aggiungervi un piccolo colpo di scena (Legare, Gelman e altri 2oo8) . Un gruppo di bambini in età prescolare verificò che i pezzi gialli azionavano la macchina , mentre un altro gruppo vide che tre gialli funzionavano e uno no . Christine chiedeva: « Perché non ha funzionato , secondo te? » e poi li lasciava giocare con l' aggeggio . I bambini fornirono spiega­ zioni interessanti: « Lo hai messo nel posto sbagliato ! », op­ pure « È finita la batteria ! » o anche «A vederlo sembra un "blicket " , ma non lo è davvero » . I bambini posti di fronte all'evento inspiegabile trascorsero molto più tempo a gio­ cherellare con il macchinario rispetto agli altri. Inoltre, i loro comportamenti rispecchiarono le spiegazioni rese a voce : chi disse che l'ultimo pezzo non era davvero un « blicket », eres­ se attentamente una pila di « blicket » buoni per sep ararli da quelli difettosi . Tutto questo non sorprenderebbe quanti trascorrono pa­ recchio tempo con i bambini, piccoli o grandi. Diamo per scontato che i bimbi piccoli siano perennemente intenti a « entrare sin dentro le cose » . Non a caso, un compito im­ portante dei caregiver è proprio impedire che quest 'istinto di ficcarsi ovunque, anche in posti come le prese elettriche e i ventilatori, finisca con il causare danni seri . Se volete fare un buon esercizio casalingo di psicologia comportamentale, trovate un bambino di età compresa tra uno e due anni, e li­ mitatevi a guardarlo mentre gioca con i suoi giocattoli per una mezz 'ora . Poi contate il numero di esperimenti che ri­ scontrate - qualunque bambino metterebbe in imbarazzo lo scienziato più produttivo . Se però ci fermiamo un attimo a riflettere, questa tenden­ za dei bimbi a ficcarsi ovunque non è poi così scontata, visto che non può essere riconducibile alla necessità di soddisfare i propri bisogni immediati, ai quali pensano gli adulti . Perché mai, allora, impiegano a tal fine tanto tempo ed energia, sp es­ so mettendo a repentaglio la loro stessa sicurezza? Sembre­ rebbe inspiegabile . Ma se pensiamo ai bimbi piccoli come a

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delle macchine di apprendimento causale, la cosa comincia ad avere senso . La sperimentazione è uno dei modi migliori per scoprire nuove cause e relativi effetti, e capire le cause già os­ servate. Anche i rover marziani, forse le più spettacolari mac­ chine da esplorazione di recente costruzione, a ben vedere non fanno altro che entrare dentro le cose . Benché, già da tempo, i maestri d' asilo e i genitori abbia­ no intuitivamente capito che il gioco contribuisce all ' ap­ prendimento, questi esperimenti mostrano scientificamente la veridicità della loro intuizione. Proprio come il gioco crea­ tivo aiuta i bambini a vagliare le possibilità, quello esplorati­ vo consente loro di imparare come funziona il mondo . Non ci resta che sperare che queste scoperte ostacolino l'operato di politici e burocrati in stile dickensiano, così desiderosi di eliminare il gioco dai programmi della scuola per l'infanzia . L'impulso a sperimentare sembrerebbe innato , ma la spe­ rimentazione ci fornisce un mezzo per imparare cose che in­ nate non sono . Potremmo dire che alla nascita siamo già provvisti delle tecniche giuste per scoprire tutti i dati di cui non siamo invece provvisti . La sperimentazione, nei bambi­ ni come negli scienziati, ci provoca una serie continua di scosse, di piccoli confronti imprevisti con la natura . È que­ sta la chiave per risolvere il problema di Platone : quando sperimentiamo attivamente la realtà, interagiamo sul serio con un mondo esterno, ma non siamo in grado di anticipare il tipo di lezione che esso vorrà regalarci .

Dimostrazione: osservare gli esperimenti materni Infine, esiste una tecnica di apprendimento causale che si colloca in un'area compresa tra l'analisi statistica e la speri­ mentazione attiva, probabilmente il tipo di apprendimento più importante per noi esseri umani. Gli scienziati traggono informazioni nuove non solo a partire dagli esperimenti pro­ pri, ma anche da quelli altrui, tant 'è vero che buona parte

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della pratica scientifica , dalla lettura di riviste alla parteci­ pazione ai convegni, fino ai lab meeting , ha proprio lo sco­ po di imparare dagli altri . Noi scienziati partiamo dal pre­ supposto che gli interventi altrui siano esplicativi e istruttivi quanto i nostri e che sia necessario attingere a entrambe le risorse. Una rivista come « Science » riflette in ogni suo nu­ mero le esperienze accumulate fino a oggi da migliaia e mi­ gliaia di scienziati . Imparare dal prossimo è un meccanismo fondamentale della civiltà umana, che nasce ben prima della scienza orga­ nizzata . L' apprendimento mediante osservazione dei com­ portamenti altrui consente di supèrare la breve estensione delle esistenze individuali, e di trarre beneficio dalle cono­ scenze ricavate dalle generazioni precedenti . Gli interventi sperimentali costituiscono un mezzo por­ tentoso per capire la struttura causale del mondo, di gran lun­ ga più efficace della mera osservazione, ma la relazione tra i due tipi di apprendimento non è così semplice. Se è vero che possiamo trarre conclusioni ben più decisive dalla sperimen­ tazione che dall'osservazione, è anche vero che è più facile osservare che sperimentare . Sperimentare significa agire, e agire richiede energie e risorse, nonché determinazione . Tut­ tavia, se si parte dal presupposto che le azioni altrui sono pa­ rallele alle nostre, possiamo ampiamente estendere la porta­ ta della nostra esperienza con poco sforzo. Possiamo lasciare che siano gli altri a sperimentare al posto nostro . Se, poi, questi « altri » sono più informati di noi , trarremo speciali benefici dall'osservazione dei loro interventi. Pro­ prio come nelle dimostrazioni sperimentali in un corso di scienze, gli « esperti » possono illustrarci i rapporti di causa ed effetto tra le cose . Per loro natura , i bambini sono particolarmente atti a im­ parare dal prossimo in questo modo . Già sanno che gli altri intervengono sulla realtà proprio come loro . A sette mesi, ad esempio , capiscono che le azioni sono dirette verso partico­ lari obiettivi (Woodward 1 998) . A riprova di ciò, possiamo

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tornare alla tecnica dell'assuefazione da me descritta in pre­ cedenza . Mostriamo ai bambini due giochi, ad esempio una palla e un orsacchiotto messi su un tavolo (si veda la fig . 3 .4) . Una mano si allunga e afferra l'orsetto . A questo punto spo­ stiamo le posizioni dei due giocattoli, in modo che l' orsetto si trovi al posto della palla e viceversa. Cosa prevederà il bambino per lo scenario successivo? La persona che lui sta guardando si dirigerà verso l ' altro punto del tavolo per af­ ferrare l' orsetto? Oppure raggiungerà la stessa posizione di prima? I bambini di sette mesi sembrano aspettarsi che si muoverà ad afferrare l'orsetto - guardano più a lungo quan­ do, invece, punta alla palla . Cosa ancor più sorprendente , non giungono alla stessa conclusione quando è un bastonci­ no, e non una mano, a toccare l'uno o l' altro oggetto. Quin­ di, già a sette mesi i bimbi capiscono che le mani di mamma, come le loro stesse mani, hanno un proposito, cercano di provocare determinati eventi . Altri tipi di esperimenti dimostrano anche che i bambini sono in grado di collegare le proprie azioni a quelle degli al­ tri. Ad esempio, anche i più piccoli imitano il prossimo - ri­ producendone i comportamenti . Andy Meltzoff, re indiscus­ so della ricerca sull'imitazione, negli anni settanta mostrò che, a partire, alla lettera, dal momento della nascita, i bam­ bini imitano gesti e azioni altrui (Meltzoff e Moore 1 9 7 7 , 1 9 83 ) . A nove mesi possono usare questo tipo di imitazione per arrivare a una migliore comprensione delle cause: non si

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a) Assuefazione

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b) Nuovo obiettivo

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E sperimento « Understanding Goals » (« Capire gli obiettivi ») .

Si ringrazia Amanda Woodward .

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c) Vecchio obiettivo

Figura 3 · 4 Fonte

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limitano a imitare le azioni, ma ne riconoscono e riproduco­ no i risultati (Meltzoff r 988) . Ad esempio , un bambino di un anno entra in un laboratorio e vede uno sperimentatore che accende un apparecchio dando leggeri colpetti con la te­ sta. Una settimana più tardi, lo stesso soggetto torna nel la­ boratorio e vede l' aggeggio sulla tavola : per prima cosa, cer­ cherà di usare la testa per accenderlo . All'età di diciotto mesi, i bambini sono capaci di imitazio­ ni ancor più sofisticate. Uno studio di Gyorgy Gergely con­ templava di nuovo l'idea di uno sperimentatore che toccava un macchinario con la testa , ma stavolta la persona era av­ volta in una coperta che le impediva l' uso delle mani . Se le mani della persona osservata sono libere, i bambini toccano la macchina con la testa, ma se vedono che sono legate ricor­ rono alle mani. A quanto pare, capiscono che, se le mani sono libere, è meglio impiegare quelle; in caso contrario, si può pensare a usare la testa (Gergely, Bekkering e Kiraly 2002) . Oppure, supponiamo di far vedere a un bambino piccolo una persona che cerca di dividere in due un manubrio gio­ cattolo per la ginnastica, come fece Meltzoff (Meltzoff 1 995) . Il bambino osserva i tentativi infruttuosi dello speri­ mentatore e, non appena gli consegnano il giocattolo, subi­ to stacca le due parti . Come tutti i genitori riconoscono non senza un pizzico d'ironia, i bambini non imparano soltanto imitando i successi degli adulti, ma anche evitandone gli er­ rori e cogliendone le limitazioni . Dunque, i bambini piccoli non si limitano alla semplice imitazione dell 'altro, ma riconoscono la complessa relazione causale tra obiettivi, azioni e risultati dell'essere umano . Una volta raggiunti i quattro anni, i bambini possono ado­ perare le informazioni desunte dagli interventi degli adulti per trarre inferenze causali nuove e particolarmente compli­ cate . Prendiamo l'esperimento del « gioco degli ingranaggi », descritto poco fa. I bambini continuarono a fare tentativi sul giocattolo finché non trovarono lo schema di prove adatto a capirne il funzionamento . Ma, anziché tentare in prima per-

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sona le varie possibilità, avrebbero potuto semplicemente os­ servare i comportamenti di qualcun altro con gli stessi obiet­ tivi . Infatti i bambini risolvono il problema del giocattolo sia osservando le giuste azioni di un adulto sia eseguendole loro stessi (Schulz e Bonawitz 200 7 ) . Ciò suggerisce che , ben prima che i bambini ricevano un' educazione formale, gli altri, e in particolare i caregiver, fungono da inconsapevoli maestri di causalità . Quando gli adulti mostrano determinati comportamenti e incoraggiano i bambini a imitarli, automaticamente stimolano anche l'ap­ prendimento causale . Nell'illustrare i vari trucchi e mestie­ ri della loro cultura specifica , indicano anche le relazioni causali implicitamente impiegate . D ' altro canto, per buona parte della storia umana è stata questa la tecnica educativa più significativa, e lo è ancora nelle società preindustriali . Nel corso di uno studio su madri e figli maya in Guatemala, Barbara Rogoff scoprì che in te­ nera età i maya sviluppano un notevole grado di abilità con strumenti complessi e pericolosi (Rogoff 1 990) . Durante le ore di attività produttiva , adulti e bambini restano insieme : la piazza del villaggio funge al contempo da posto di lavoro e da asilo . I grandi si accertano che anche i più piccoli os­ servino attentamente quel che fanno . Questo tipo di dimostrazione fornisce anche un efficace meccanismo di modifica e innovazione . La nuova scoperta di uno sperimentatore intelligente o fortunato può diffondersi all'interno di un'intera comunità e passare alla generazione successiva, fino a diventare una semplice abitudine per chi l'ha appresa da piccolo . Tutte le civiltà possono sviluppare le proprie particolari competenze in questo modo. Barbara Ro­ goff mi raccontò che, durante un viaggio verso la città, le madri maya si stupirono nel vedere i suoi figli cavarsela da soli in bagno , manipolando con naturalezza tutte quelle com­ plicate leve e rubinetti. La reazione di queste donne, di au­ tentica sorpresa, era stata simile a quella della stessa Barbara

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di fronte ai bambini maya che armeggiavano abilmente ma­ cheti e fuochi da cucina . Le mappe causali possono essere assimilate osservando le conseguenze di particolari azioni - notando i risultati di un certo numero di esperimenti . Ma, una volta imparata una determinata mappa, si può fare di più che riprodurre sem­ plicemente le azioni osservate. Le mappe causali consentono anche di prendere in considerazione nuove possibilità e fare nuovi progetti . I bambini che guardarono lo sperimentatore manipolare il giocattolo degli ingranaggi riuscirono a capire nuovi modi di accenderlo o spegnerlo . Osservare un esperto che dimostra l'uso di un machete non consente solo di ripe­ tere le stesse mosse, ma anche di capire come funziona lo strumento, e di predisporsi all'ipotesi di vagliare nuove mo­ dalità di impiego per risolvere nuovi problemi.

Capire le menti Finora , ho parlato di come i bambini imparano le cause fisiche - ingranaggi e interruttori, « blicket » e rileva tori di « blicket ». Ma per gli esseri umani, quelle psicologiche sono altrettanto importanti - forse anche di più . Abbiamo visto che, proprio come arrivano a comprendere le cause fisiche, i bambini piccoli e grandi imparano tantissimo anche su quelle psicologiche . Persino i neonati sembrano già edotti su alcuni elementi basilari delle emozioni e dei comporta­ menti. Ma, a mano a mano che crescono, gradualmente svi­ luppano una comprensione dei desideri, della percezione e delle credenze , dei tratti personali, degli umori e dei pre­ giudizi, fino ad arrivare alla psicologia dettagliata e sottile che riscontriamo in Murasaki o Proust . Tuttavia , pur aven­ do mostrato che i bambini imparano tutto ciò , non abbiamo ancora spiegato come. I meccanismi di apprendimento delle cause psicologiche e fisiche sono simili. Di primo acchito , potrebbe sembrare che

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non vi sia alcun legame tra elementi come analisi statistiche sul fumo e sul tumore, « blicket » e rileva tori di « blicket » da un lato, e psicologia quotidiana dall'altro . E invece i model­ li statistici possono aiutarci molto in questo senso, ad esem­ pio a identificare tra i diversi oggetti della realtà quelli dotati di una mente pensante . Basta riflettere, ad esempio, sulle nostre modalità di inte­ razione con le persone e con le cose. Quando manipoliamo gli oggetti, tipicamente la risposta che riceviamo è del genere o tutto o niente . Prendiamo ad esempio una pallina, che segue ogni nostra mossa: se la rimettiamo giù non reagisce. Lo stes­ so si può dire degli interruttori e dei telecomandi. Ma con le persone, be' , la situazione è molto più complessa e delicata . Ad esempio, se sorridi alla mamma, magari lei ti risponde, ma può anche capitare che sia distratta o indaffarata. Se ha ri­ sposto al tuo sorriso, è più probabile che anche tu le sorrida di nuovo, il che la renderà a sua volta più propensa a sorri­ dere e così via . Talvolta interagiamo con oggetti fisici recan­ ti lo stesso schema di risposte complesse di un essere umano . Il mio computer, ad esempio, normalmente fa quello che gli dico io, ma a volte si rifiuta con ostinazione di eseguire i miei comandi, o peggio, magari riprende a funzionare e poi torna a bloccarsi subito dopo. In casi come questo, ci sembra qua­ si che il computer sia dotato di una