I sistemi motivazionali nel dialogo clinico. Manuale AIMIT 9788860302083

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I sistemi motivazionali nel dialogo clinico. Manuale AIMIT
 9788860302083

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I SISTEMI MOTIVAZIONALI NEL DIALOGO CLINICO IL MANUALE AIMIT

a cura di Giovanni Liotti e Fabio Monticelli

www.raffaellocortina.it

ISBN 978-88-6030-208-3 © 2008 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4 Prima edizione: 2008

Indice

Autori

XI

Introduzione (G. Liotti )

XV

Parte prima Capitolo 1 Motivi e significati dell’agire interpersonale: rapporti fra motivazione, emozione e pensiero nella prospettiva evoluzionista (G. Liotti, C. A rdovini ) 1.1 Generalità sulle motivazioni nella prospettiva evoluzionista 1.2 Dalle disposizioni innate ai sistemi motivazionali 1.3 L’architettura generale dei sistemi motivazionali 1.4 Motivi, emozioni e significati 1.5 I sistemi motivazionali nel dialogo clinico

3 3 5 6 12 19

Capitolo 2 Intersoggettività e sistemi motivazionali: una prospettiva evoluzionista e neojacksoniana (G. Liotti, M. Cortina, N. Dazzi)

25

2 .1 Adattamenti darwiniani legati e non legati a specifici ambiti della relazione 2.2 Intersoggettività e SMI: attività tonica e fasica 2.3 Quale adattamento darwiniano ha aperto la via all’intersoggettività? 2.4 ( Conseguenze del considerare l’intersoggettività una proprietà emergente 2.5 Metacognizione, Teoria della mente e sistemi motivazionali

VII

26 29

32 35 39

Capitolo 3 Dinamiche motivazionali e psicopatologia: dall’attaccamento disorganizzato alle strategie controllanti (F. M onticelli, L. Cancheri, C. Ardovini, G. Liotti)

43

3.1 La disorganizzazione dell'attaccamento 3.2 Le strategie controllanti

44 48

3.3 Le strategie controllanti alla luce della teoria multimotivazionale 3.4 Strategie controllanti e attaccamento disorganizzato nei trascritti della psicoterapia 3.5 Considerazioni conclusive

51

Capitolo 4 Le forme della mentalizzazione nei contesti interpersonali: uno studio sui rapporti fra sistemi motivazionali e funzioni metacognitive (F. Marni resi, A. Co t ugno, A. Onofri, L. Tomboli n i ) 4.1 Motivazioni interpersonali e processi metacognitivi 4.2 Sviluppo metacognitivo 4.3 Sistema motivazionale cooperativo e metacognizione 4.4 Sistema cooperativo e processo terapeutico 4.5 Uno studio empirico sulla correlazione tra cooperazione paritetica e metacognizione 4.6 Osservazioni preliminari 4.7 Considerazioni conclusive

Capitolo 3 Effetti sulla metacognizione della costruzione di un dialogo collaborativo: analisi di una seduta di psicoterapia (E. Pruneti!, G. F iotti )

53 62

65 65 66 67 69 69 72 80

5.1 II caso clinico 5.2 Analisi di una seduta di psicoterapia individuale 5.3 Considerazioni conclusive

83 84 85 96

Capitolo 6 Analisi dei momenti problematici in psicoterapia: il contributo dell’Al MIT (A. Cotugno, C. lannucci, F. Manaresi, M.G. M antione, F. M onticelli)

99

6.1 Rottura e riparazione dell’alleanza terapeutica: uno studio basato sul metodo AIMIT 6.2 Metodologia dello studio 6.3 II caso clinico 6.4 Rottura e riparazione delLalleanza durante l’episodio chiave 6.5 Considerazioni conclusive Vili

100 102 103 105 119

Capitolo 7 Verso la validazione dell’AlMlT: uno studio della inter-rater reliakility su trascritti di sedute videoregistrate (G. Passone, F. Valcella, S. Fallini, A. Ivaldi, E. Prunetti, F. Scarcella, L. Fombolini, F. Manaresi) 7.1 Considerazioni generali sull’uso di trascritti nella ricerca in psicoterapia 7.2 Materiali e metodi 7.3 Risultati 7.4 Discussione 7.5 Considerazioni conclusive

121 122 125 129 134 137

Capitolo 8 L’AIMIT e la formazione dello psicoterapeuta

(E. Costantini, C. lam iucci, A. Onofri, L. Fombolini) 8.1 La specificità dell’AIMIT nella formazione dello psicoterapeuta 8.2 Autoconsapevolezza del terapeuta nel processo terapeutico 8.3 L’addestramento a salvaguardare sé, il paziente e la relazione terapeutica 8.4 Modalità operative di apprendimento della codifica AIMIT 8.5 11 progetto AIMIT tra psicoterapia e neuroscienze 8.6 Considerazioni conclusive

139 140 141 144 146 150 153

Parte seconda Il manuale AIMIT: analisi degli indicatori delle motivazioni interpersonali nei trascritti (Gruppo per

lo studio d elle m otivazioni interpersonali in psicoterapia) I. Scopo del manuale e forma generale dei trascritti II. Modalità generali di lettura del trascritto ai fini della codifica III. Indicatori di attività dei vari Sistemi motivazionali interpersonali III. 1 Sistema di attaccamento (At) 111.2 Sistema di accudimento (Ac) 111.3 Sistema di rango (Ra) 111.4 Sistema sessuale (Sex) 111.5 Sistema cooperativo-paritetico (Pa) 111.6 Sistema di gioco sociale (Gio) 111.7 Sistema di affiliazione (Af) IV. Indicatori di transizione da un sistema all’altro (Tr) IV. I Transizioni armoniche IV.2 Transizioni disarmoniche V. Codifica globale e riassuntiva del trascritto

157 157 160 165 166 173 177 186 189 194 197 200 203 207 213

Glossario

215

Bibliografia

229 IX

Autori

Cristiano Ardovini

medico specialista in Psicologia clinica, membro del consiglio direttivo della Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare (SISDCA), didatta dell’Associazione per la ricerca sulla psicopatologia dell’attacca­ mento e dello sviluppo (ARPAS) e dell’Associazione di psicologia cognitiva (APC); è autore di numerosi articoli sui disturbi dell’alimentazione in riviste na­ zionali e internazionali. Mauricio Cortina

psichiatra e psicoanalista, già direttore dell’Eugene Meyer Treatment Center della Washington School of Psychiatry di Washington (DC) dirige ora [’Attach­ ment and Human Development Center della stessa Washington School of Psy­ chiatry. E faculty member dell'Institute tor Contemporary Psychotherapy di Washington. Enrico Costantini psichiatra e psicoterapeuta, socio fondatore dell’ARPAS, dirigente presso il dipar­ timento di Salute mentale della ASI, Roma B, socio della Società italiana di terapia comportamentale e cognitiva (su c ci, docente presso 1’arpas, Papo e la Scuola di psicoterapia cognitiva (SPC) dell’infanzia e dell’adolescenza di Torino; è autore di diversi articoli editi su riviste nazionali e internazionali. Armando Coturno

psichiatra, psicoterapeuta, socio didatta SITOO, è professore a contratto presso la Il Scuola di specializzazione in Psichiatria dell'Università “La Sapienza” di Roma. Socio didatta dell'AKPAS, docente APC e SPC, è autore di oltre cinquanta articoli. Nino Dazzi

docente di Psicologia dinamica presso la facoltà di Psicologia 1 dell’Università “La Sapienza” di Roma. Past president SPR Italia. Principali interessi rii ricerca: attac­ camento, sistemi motivazionali, ricerca in psicoanalisi e psicoterapia.

XI

CGiovanni Passone

psichiatra, psicoterapeuta di formazione cognitivista, dottore di ricerca in Scien­ ze del comportamento, socio SITCC e SPR, didatta APC, SPC, e ARPAS. È coautore di numerosi articoli scientifici. Claudio lami ucci medico psichiatra e psicoterapeuta; è socio fondatore dell’ARPAS, didatta SITCC e dirigente responsabile del Centro di salute mentale 1)4 della ASL Roma t). Antonella Ivaldi

psicoioga clinica, psicoterapeuta con formazione cognitivista, analitico-transazionale, sistemico-relazionale, specializzata in psicoterapia di gruppo. Docente APC, socio didatta ARPAS e socio SITCC, è autrice di diverse pubblicazioni riguardanti il Modello cognitivo evoluzionista di terapia integrata individuale e di gruppo. Giovanni Liotti

psichiatra, psicoterapeuta, docente presso le Scuole di specializzazione in Psicotera­ pia dell’Associazione eli psicologia cognitiva (Roma) e del Centro clinico Crocetta (Torino). Past president (2000-2006) della Società italiana di terapia comporta­ mentale e cognitiva. Francesca Manaresi psicoioga clinica, psicoterapeuta e socio didatta dell’ARPAS; è docente della Scuola di specializzazione di psicoterapia dell’infanzia e dell’adolescenza MIND di Torino. Maria Giuseppina M ani ione

psicoioga clinica, psicoterapeuta con formazione cognitivista e sistemico-relazio­ nale, specializzata in Sessuologia clinica. E socio fondatore di APsI (Associazione di psicoterapia integrata), socio didatta ARPAS, socio ordinario SITCC e SIPKI.S (So­ cietà italiana di psicoterapia relazionale e sistemica). Fabio M onticelli

psichiatra e psicoterapeuta, didatta SITCC, docente APC, SPC e ARPAS; è dirigente medico presso il Servizio psichiatrico e titolare del Centro per i disturbi dissocia­ tivi dell’ospedale San Filippo Neri a Roma. Antonio O nofri

psichiatra e psicoterapeuta, dirigente medico presso il Servizio psichiatrico e ti­ tolare deH’Ambulatorio per i disturbi da stress post-traumatico dell'Ospedale Santo Spirito in Saxia a Roma; è professore a contratto di Psicopatologia presso l’Università "La Sapienza”, socio didatta SITCC e docente ARPAS. Susanna Pallini

psicoioga clinica, ricercatore di Psicologia dello sviluppo, socio dell’ARPAS e del­ la SPR, insegna Psicologia dell’educazione e Psicologia dell’attaccamento nel ci­ clo di vita presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università degli Stu­ di Roma Tre. Lucia Pancberi

membro della Società italiana di psicoanalisi, membro SI ICC. Ha insegnato Psi­ copatologia e Psicologia dinamica presso l’Università “La Sapienza” di Roma.

Eletta Prunetti

psicoioga, psicoterapeuta, socio ordinario SITCC e didatta APC e SPC; è coordina­ trice del reparto di Psichiatria, Servizio disturbi di personalità, della Casa di Cu­ ra Villa Margherita di Arcugnano (vi). Pratica Scarcella

psichiatra e psicoterapeuta, socio ordinario SITCC, socio didatta ARPAS e socio or­ dinario SITF (Società italiana di terapia familiare) è responsabile del CSM/1 dell’Asl Viterbo. Lucia Tombolini

psichiatra e psicoterapeuta; è responsabile dell’Unità operativa semplice nel Centro di salute mentale RM 113, didatta SITCC, socio ordinario AIPA e socio fon­ datore ARPAS. Franca Valcella

psichiatra e psicoterapeuta; è dirigente medico presso il Dipartimento di salute mentale ASL Roma E, socio corrispondente SITCC e membro ARPAS.

XIII

Introduzione Giovanni Lio/ti

Può dire qualcosa di nuovo, e insieme di utile per la clinica e la ricerca, un libro che indaghi ciò che di base accade nel dialogo clinico in psicotera­ pia? La relazione terapeutica è stata oggetto di riflessione teorica, di atten­ zione clinica e di indagine empirica per tanto tempo, e tanto estesamente, da far pensare a una risposta negativa. Le teorie classiche sul transfert, il controtransfert e l’identificazione proiettiva (Harris, 2005) hanno aperto la strada a una successiva, grandiosa elaborazione concettuale di ciò che tonda il dialogo clinico e veicola il cambiamento psicoterapeutico al suo interno. Un elenco, dichiaratamente incompleto, dei frutti di questa ela­ borazione non può dimenticare l’esperienza emozionale correttiva (Alexander, 1950), l’empatia (Kohut, 1977, 1984), l’attaccamento (Bowlby, 1973), i test di padronanza-controllo (Weiss, 1993), l’intersoggettività (Stern, 2004; Stolorow, Atwood, Brandchaft, 1994), i molteplici registri rappresentazionali (Bucci, 1997) e motivazionali (Lichtenberg, Lachmann, Fosshage, 1992) che sottendono lo scambio clinico, nonché la riconsiderazione del ruolo dell'enaetnient nella relazione terapeutica (Bromberg, 1993; Howell, 2005; Lyons-Ruth, 1999). Scuole non psicoa­ nalitiche hanno aggiunto a questi contributi riflessioni teoriche ed espe­ rienze cliniche di notevole importanza, come quelle riguardanti gli aspetti sistemici della relazione terapeutica (Onnis, Galluzzo, 1990) e gli schemi cognitivi interpersonali che intervengono nel dialogo clinico (Gilbert, Leahy, 2007; biotti, 1994/2005, 2001; Safran, Segai, 1990; Semerari, 1991)· Un vasto ambito rii ricerca sulla relazione terapeutica, che attraver­ sa trasversalmente le diverse scuole psicoanalitiche e non psicoanalitiche, si concentra poi sul tema fondamentale dell’alleanza terapeutica (Lingiardi, 2002; Safran, Muran, 2000). XV

Nonostante l’estensione delle conoscenze sui processi mentali e in­ terpersonali che caratterizzano il dialogo psicoterapeutico, vi è però ancora - ed è la tesi di questo libro - almeno un’area relativamente inesplorata che merita un’indagine empirica meticolosa: quella che ap­ plica allo scambio clinico una teoria evoluzionista delle motivazioni relazionali umane. La prima ragione per esplorare le potenzialità clini­ che della prospettiva evoluzionista sulla relazione interumana discen­ de dal fatto che l’evoluzionismo è alla base delle neuroscienze, e in particolare della neuroscienza affettiva (Panksepp, 1998). Una teoria evoluzionista della motivazione può dunque confluire nella definizio­ ne di un fondamento epistemologico comune fra neuroscienze e clini­ ca psicoterapeutica, capace di potenziare l’incontro e lo scambio fra i due grandi ambiti dello studio della mente che molti considerano indi­ spensabili a entrambi (vedi, per esempio, Bucci, 2003 ; Gabbard, 2000, 2001; Kandel, 2005; LeDoux, 1999; Panksepp, 1998; Schore, 2002; Shevrin, 2003; Solms, Turnbull, 2002). Una seconda ragione per ag­ giungere la teoria evoluzionista delle motivazioni relazionali alle no­ stre conoscenze sui fondamenti del dialogo clinico, si basa sul fatto che il pensiero evoluzionista ha ispirato la teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969, 1990), e questa a sua volta ha esercitato una straordina­ ria influenza tanto sulla ricerca quanto sulla clinica (Attili, 2007; Cassidy, Shaver, 1999). Una teoria evoluzionista della motivazione relazio­ nale, che includa ed espanda la teoria dell’attaccamento, può rinvigo­ rire ed estendere questa salutare influenza. Il funzionamento dei neuroni specchio {minor neu rons ) nel cervel­ lo introduce alla comprensione del tipo di problemi che la teoria evo­ luzionista della motivazione relazionale permette, meglio di altre, di affrontare. La rivoluzionaria scoperta dei neuroni specchio (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006) dimostra che, nei primati e nell’uomo, esiste un siste­ ma di neuroni, verosimilmente innato, che è sensibile alle intenzioni espresse nelle azioni e nelle emozioni (Fogassi et al., 2005; Iacoboni et al., 2005). I neuroni specchio rispondono non tanto alle caratteristiche fisiche dell’azione compiuta dal conspecifico che si osserva, quanto al­ lo scopo fin a le che l’individuo osservato intende perseguire con tale azione. Fra le azioni a cui sono sensibili i neuroni specchio sono inclu­ se, si noti, le espressioni mimiche delle emozioni. La risposta'dei neuroni specchio rivela dunque, a un livello implici­ to che non richiede la coscienza, qual è l’intenzione del conspecifico anche se questo è del tutto sconosciuto all’osservatore, e anche se il ge­ sto osservato è incompleto rispetto al raggiungimento visibile della XVI

meta (cioè se l’intenzione finale non è direttamente osservabile). La comprensione dell’intenzione soggiacente all’azione compiuta dall’al­ tro è ottenuta attraverso u ri imitazione o simulazione interna, sublim i­ nale, d el gesto osservato (Gallese, 2003). In altre parole, l’intenzione del gesto compiuto dall’altro è riconosciuta riproducendo in se stessi, al di fuori della coscienza, il gesto o l’espressione mimica di un’emo­ zione, e scoprendo così la sua finalità. Ora, ciò è evidentemente possi­ bile solo se nel cervello è in qualche modo previamente rappresentata la finalità delle azioni motivate alle quali il sistema m irror risponde, cioè se i cervelli dei due individui impegnati in questo paradigma spe­ rimentale possiedono gli stessi sistemi motivazionali. Dato poi che si ritiene che il sistema m irror operi nel cervello fin dalle prime fasi di vi­ ta, sostenendo per esempio l’intersoggettività primaria già osservabile nel neonato (Trevarthen, 2005), ne consegue che almeno alcuni siste­ mi motivazionali devono essere già presenti e operanti prima di ogni apprendimento interpersonale, e anzi ne costituiscono la base. Il con­ cetto di “valore” evoluzionistico, che è centrale nella teoria di Edel­ man sulla genesi cerebrale dell’esperienza cosciente (Edelman, Tono­ ni, 2000), corrisponde bene all’idea che esistono sistemi motivazionali con una base innata, frutto di processi evoluzionistici (Liotti, 1994/ 2005). Ora, quali e quanti sono i sistemi motivazionali che hanno una base innata e permettono il funzionamento del sistema mirrar fin dal­ l’inizio della vita? La risposta a questa domanda presuppone uno stu­ dio comparato dei comportamenti motivati, condotto nell’animale e nell’uomo con una metodologia etologico-evoluzionista. Il capitolo 1 di questo libro fornisce una risposta alla domanda sul tipo e sul numero dei sistemi motivazionali che emergono da disposi­ zioni selezionate dai processi evoluzionistici. Dopo la descrizione del­ l’architettura a più livelli composta dalle disposizioni innate su cui si fonda lo sviluppo delle motivazioni umane in generale, il capitolo trat­ ta delle motivazioni relazionali e del rapporto che esiste fra processi motivazionali, emozioni e rappresentazioni esplicite (verbalizzabili) di intenzioni ed emozioni. Nel capitolo viene inoltre riassunta la teoria multimotivazionale, etologico-evoluzionista, che sostiene l’esistenza di almeno cinque Sistemi motivazionali interpersonali distinti (attac­ camento o richiesta di cura, accudimento o offerta di cura, formazione della coppia sessuale, competizione per il rango sociale e collaborazio­ ne fra pari). La lettura del capitolo è sufficiente per comprendere il metodo manualizzato di rilevazione e analisi dei processi motivaziona­ li nel dialogo terapeutico, che è fornito nella Parte seconda (Il manuale X V II

INTRODUZIONI·:

AIMIT: analisi degli indicatori delle motivazioni interpersonali nei tra­ scritti).

Il capitolo 2 affronta il tema del rapporto fra i Sistemi motivazionali interpersonali - i cui fondamenti evoluzionistici sono comuni alle varie specie di primati e a H omo sapiens - e l’intersoggettività, che è invece una caratteristica esclusiva della specie umana. Secondo la tesi esposta in questo capitolo, tale rapporto è di tipo gerarchico, con l’intersogget­ tività che emerge, come capacità sovramodulare e generale (dom ain-gcneraD, da un livello evoluzionistico precedente composto da diversi si­ stemi modulari o “specifici a singoli ambiti” {domain-specific). La tesi opposta, che viene di seguito confutata, afferma l’esistenza di un siste­ ma motivazionale specifico per l’intersoggettività, che si affianca, senza differenze gerarchiche, al sistema dell’attaccamento e agli altri Sistemi motivazionali interpersonali (Stern, 2004). Dalla tesi del capitolo 2 di­ scende l’ipotesi che la coscienza intersoggettiva sia il metaforico luogo dove si combinano e ricombinano senza fine, a livello rappresentativo, i processi motivazionali interpersonali gerarchicamente subordinati all’intersoggettività. Per usare un’altra metafora, i sistemi motivazionali dom ain-specific sono come note musicali che, nelle altre specie di pri­ mati, possono susseguirsi solo in un ordine fisso, ampiamente dettato dalle contingenze ambientali, mentre nell’uomo, grazie all’intersoggettività, le stesse note possono essere suonate con assai maggiori possibi­ lità combinatorie, e anche contemporaneamente, in contrappunti e com­ plesse orchestrazioni (armoniche o disarmoniche) che generano poten­ zialità “musicali” infinitamente maggiori. Il capitolo 3 fornisce alcuni esempi, importanti per la psicopatolo­ gia, delle “combinazioni” o transizioni fra i diversi sistemi motivazio­ nali, soffermandosi sull’interpretazione in chiave di teoria multimotivazionale di un’osservazione che emerge dalla ricerca sull’attaccamen­ to disorganizzato. Si tratta dell’osservazione riguardante bambini in età immediatamente prescolare, che nel primo anno di vita avevano mostrato un attaccamento disorganizzato, e che successivamente svi­ luppano strategie interpersonali tipiche, chiamate “controllanti” (co ri­ traili ng). L’interpretazione in chiave di teoria multimotivazionale della genesi delle strategie controlling permette di rintracciare uno stile mo­ tivazionale, interpersonale di tipo controllante anche nel dialogo clinico con pazienti adulti che presumibilmente sviluppano i loro disturbi a partire dalla disorganizzazione dell’attaccamento infantile. Nel capi­ tolo sono presentati, per la prima volta nel corso del volume, brani di trascritti di sedute che esemplificano concretamente l’uso del manuale X V III

INTRODUZIONE

AIMIT e ne mostrano la sua importanza per la clinica oltre che per la ri­

cerca. La lettura anche sommaria della Parte seconda del libro, che contiene il manuale AIMIT, se effettuata prima di affrontare questo ca­ pitolo, gioverà dunque alla sua comprensione. Il capitolo 4 propone le linee guida per una categoria di ricerche sul processo della psicoterapia, permessa dal manuale AIMIT. La domanda che il capitolo pone riguarda la possibilità che i diversi assetti motiva­ zionali influenzino in maniera specifica le funzioni riflessive e metaco­ gnitive (mentalizzazione). Il capitolo si sofferma anche sull’idea che un preciso tipo di motivazione interpersonale, quella cooperativo-paritetica, garantisca meglio di altri assetti il funzionamento ottimale della metacognizione: ne consegue l’importanza, per il buon esito della psi­ coterapia, che questo assetto motivazionale sia sotteso allo scambio clinico il più spesso possibile. Il capitolo descrive un metodo di indagi­ ne basato sul manuale AIMIT e su una Scala di valutazione della metacognizione (svaM; vedi Carcione et al., 1997), che può anch’essa essere applicata ai trascritti di sedute psicoterapeutiche. L’applicazione del metodo ai trascritti di alcune sedute psicoterapeutiche fornisce soste­ gno alle due ipotesi - che le capacità riflessive siano influenzate dal contesto motivazionale interpersonale e che esista una precisa correla­ zione fra assetti motivazionali cooperativi e fruizione ottimale delle funzioni metacognitive. Il capitolo 5 mette ancora più a fuoco il tema del capitolo preceden­ te, attraverso l’analisi dettagliata degli scambi intercorsi durante una singola seduta psicoterapeutica. I brani del trascritto presentati nel ca­ pitolo illustrano la progressiva attivazione della motivazione a collabo­ rare su un piano paritetico in una paziente che aveva iniziato la seduta con tutt'altro assetto motivazionale, chiaramente dominato dalla ri­ chiesta di cura e dalla competizione. La ripetuta proposta, sottesa agli interventi della terapeuta, di lavorare fianco a fianco nell’esplorazione delle difficoltà che la paziente aveva incontrato durante il precedente incontro della sua psicoterapia, alla fine viene accolta. L’analisi del tra­ scritto con l ’uso concomitante dei metodi di codifica AIMIT e SVaM evi­ denzia l’incremento delle capacità riflessive della paziente, a mano a mano che il dialogo clinico procede sul registro della cooperazione. Il capitolo 6 discute la possibilità di un ulteriore sviluppo delle ri­ cerche sul processo terapeutico permesse dall’AIMIT, attraverso l’anali­ si di una serie di sedute durante le quali paziente e terapeuta si con­ frontano con una perdurante difficoltà della loro relazione e con uno stallo nel processo di cambiamento terapeutico. Il capitolo suggerisce X IX

INTRODUZIONE

un’interessante estensione delle ricerche sul processo terapeutico con­ dotte dal San Francisco Psychotherapy Research Group (Weiss, 1993). Si tratta dell’analisi dei sistemi motivazionali sottesi alle fasi del pro­ cesso terapeutico che nel linguaggio teorico di questo gruppo di ricer­ ca sono chiamate fasi di “test” - cioè fasi di difficoltà e stasi nel proces­ so durante le quali il paziente inconsciamente (implicitamente) mette alla prova, all’interno della relazione con il terapeuta, le sue credenze patogene sugli incontri fra esseri umani. I vari capitoli del libro, fino a questo punto, delineano la teoria evoluzionista delle motivazioni relazionali umane e ne illustrano le potenzialità per la ricerca in psicoterapia, per esempio per studi di processo ben documentati. Manualizzando la teoria nella forma del sistema di codifica dei trascritti chiamato Al MIT, diventano possibili indagini empiriche sui processi che organizzano, a livello motivazio­ nale profondo, lo scambio clinico. Il passo successivo, rispetto agli studi presentati nei primi sei capitoli, consisterà nell’uso del metodo AIMIT in una serie di studi controllati. Prima che si possa adottare, con confidenza, tale metodo in studi caso-controllo che aspirino alla signi­ ficatività statistica, è necessario però dimostrare la sua validità indi­ pendentemente dalle variabili personali (bias) dei codificatori. Uno studio preliminare al riguardo occupa il capitolo 7, in cui si riflette sulla validità di costrutto dell’AlMIT e sono presentati dati empirici sull’accordo fra i diversi codificatori che usano lo strumento. Le codifiche del terapeuta che ha effettuato una seduta, fornite sul trascritto avendo presente, oltre alla memoria della seduta, anche la sua video­ registrazione, hanno costituito il riferimento (gold standard ) per il confronto con le codifiche effettuate sul solo trascritto da codificatori indipendenti. I risultati di questo studio preliminare suggeriscono an­ zitutto che è tollerabile, ai fini della ricerca sulla psicoterapia, l’inevi­ tabile perdita di informazione su realtà emotive, motivazionali e rela­ zionali che si verifica quando gli aspetti non verbali dello scambio in­ tersoggettivo sono assenti e l’analisi è condotta solo su materiale ver­ bale. Inoltre, la guida alla codifica degli indicatori dei diversi processi motivazionali fornita dal manuale AIMIT permette un sufficiente ac­ cordo fra codificatori indipendenti per ciascuno dei principali sistemi motivazionali considerati. Unica eccezione è il sistema di accudimento, per la codifica del quale sembrano “pesare” maggiormente le informazioni non verbali disponibili nel go ld standard, ma non acces­ sibili ai codificatori che lavorano solo sul trascritto. II manuale AIMIT, nella sua versione attuale, non permette un suffiXX

in t r o d u z i o n i :

dente accordo fra codificatori diversi sul tema delle transizioni fra si­ stemi motivazionali - sufficiente, si intende, a garantire l’attendibilità del confronto fra dati di ricercatori diversi che usino questo strumen­ to. Come per altri strumenti di codifica dei trascritti, sarà dunque ne­ cessaria una progressiva revisione dei criteri di guida alla codifica delle transizioni da un sistema motivazionale all'altro, in base all’estendersi del suo utilizzo e fino a raggiungere, anche per le transizioni, una suffi­ ciente attendibilità nel confronto fra codifiche fornite da ricercatori diversi. Per il momento, il manuale AIMIT permette dunque di esplora­ re il tema delle transizioni fra diversi sistemi motivazionali solo in ri­ cerche preliminari e “in aperto”. Conclude la Parte prima del volume il capitolo 8, che discute le po­ tenzialità del metodo AIMIT nel percorso formativo dello psicoterapeu­ ta. Lo psicoterapeuta del futuro, sostiene il capitolo, dovrà essere edu­ cato alla disciplina della ricerca empirica sul processo psicoterapeuti­ co, e - per ottimizzare i vantaggi offerti dall’alleanza terapeutica (Lingiardi, 2002; Safran, Muran, 2000) - dovrà saper cogliere prontamen­ te, in sé e nel proprio paziente, i processi motivazionali intersoggettivi (spesso inconsci, o per meglio dire impliciti) che organizzano il dialo­ go terapeutico. Se, nel corso della formazione, il futuro psicoterapeuta avrà occasione di analizzare i trascritti di sedute (prima altrui, poi pro­ prie) con il metodo AIMIT, questo duplice obiettivo formativo verrà fa­ cilitato in misura rilevante, e raggiunto con rapidità. Per la sua colloca­ zione e il suo oggetto, il capitolo 8 si presta a una riflessione conclusiva e riassuntiva su molti dei temi attinenti all’analisi delle motivazioni in­ terpersonali esplorati nelle Parte prima del volume. La lettura del manuale di codifica AIMIT avrebbe potuto essere pro­ posta subito dopo il secondo capitolo del libro. Si è deciso invece di presentare il manuale in una parte separata del volume per via della sua lunghezza e anche dell’intento di ricerca che ne ha animato la ste­ sura. Potendo disporre del manuale in una sezione distinta del libro, lettrici e lettori interessati potranno consultarlo più agevolmente ogni volta che intenderanno applicare il metodo AIMIT all’analisi dei loro trascritti. Ma anche lettori e lettrici meno interessati a condurre in pri­ ma persona ricerche sul processo della psicoterapia potranno limitarsi a una lettura rapida del manuale. Una tale lettura, pur veloce, è in ogni caso consigliabile anche agli psicoterapeuti che non vogliano dedicare tempo ed energia alla ricerca. Il manuale riassume e illustra con nume­ rosi esempi la complessità, le tensioni dinamiche anche conflittuali, il XXI

INTRODUZIONE

rischio di perdita di sintonia negli scambi intersoggettivi e la ricchezza combinatoria potenzialmente inesauribile delle molteplici motivazioni primarie che ci permettono di entrare in rapporto gli uni con gli altri, tanto nel dialogo psicoterapeutico quanto in ogni altro tipo di incon­ tro fra esseri umani. Riflettere su tale complessità è utile a chiunque, per ragioni professionali, faccia del dialogo clinico il principale stru­ mento operativo. L’elenco delle voci bibliografiche, citate in questa introduzione, in ciascun capitolo e nel manuale, è riportato al termine del volume. Si è anche deciso, nell’intero testo, di usare il singolare maschile sia per i terapeuti sia per i pazienti, ogni volta che ci si riferisca non a una per­ sona specifica, ma a un membro della classe di persone che esercitano la professione psicoterapeutica, oppure della classe di persone che cercano aiuto nella psicoterapia. Evitare frasi che in italiano appaiono goffe per la presenza di ripetute locuzioni del tipo “la o il terapeuta”, “il o la paziente” ci pare che valga il rischio di dover fronteggiare l’ac­ cusa di fare un uso sessista del linguaggio. La presenza di tante autrici fra coloro che hanno contribuito al volume speriamo prevenga una ta­ le accusa. In diversi capitoli, oltre che nel manuale, sono contenuti brani di trascritti estratti da sedute di psicoterapia, mentre in altri due capitoli, dedicati allo studio del processo psicoterapeutico, sono presentate due storie cliniche complete e sequenze di trascritto che si dispiegano in un’intera seduta in un caso, e nell’arco di tre sedute nell’altro. Ogni paziente, i frammenti della cui esperienza sono offerti come esempio dei temi trattati in questo libro, ha dato il proprio assenso alla registra­ zione delle sedute e all’uso di esse nei limiti del rispetto del segreto professionale circa la propria identità. Si è dunque fatta particolare at­ tenzione a rendere impossibile l’identificazione di ogni paziente, mo­ dificandone nome, età e ogni dato della storia personale non necessa­ rio all’illustrazione delle ipotesi e delle teorie oggetto di questo libro. A ogni paziente la cui esperienza ha arricchito la trattazione dei temi qui discussi va il ringraziamento di tutti gli autori. 1 vari capitoli, e il manuale in particolare, sono scritti tutti a più ma­ ni. L’impresa di studiare in dettaglio la molteplicità delle motivazioni relazionali umane è troppo complessa per poter essere facilmente ac­ cessibile al ricercatore solitario. Inoltre, il tema stesso del libro afferma che solo nel dialogo possiamo riconoscere ed esplorare le nostre moti­ vazioni allo scambio intersoggettivo. La mente singola, come avviene X X II

in t r o d u z io n i;

nel breve tempo in cui scrivo questa introduzione, può solo raccoglie­ re e riassumere le molteplici voci di precedenti scambi. Così, l’impe­ gno di più di una mente nel concepire e articolare l’argomento di cia­ scun capitolo di questo libro è tanto l’espressione di una necessità quanto un’illustrazione concreta dell’idea che lo ha ispirato.

X X III

Parte prima

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Motivi e significati dell’agire interpersonale Rapporti fra motivazione, emozione e pensiero nella prospettiva evoluzionista

Giovanni d o tti, Cristiano Ardovini

La teoria della motivazione su cui si fondano i contributi raccolti in questo volume verrà riassunta attraverso una serie di passaggi. Dopo una schematica sintesi del punto di vista generale sulla motivazione of­ ferto dall’evoluzionismo, ci soffermeremo sullo sviluppo individualiz­ zato dei sistemi motivazionali a partire dalle disposizioni (o propensio­ ni, o tendenze) universali fornite dall’evoluzione a tutti i membri di una specie animale. Delineeremo poi l’architettura generale composta dall’insieme dei sistemi motivazionali nei primati e nell’uomo. Ci sof­ fermeremo quindi sul rapporto delle motivazioni con le emozioni e con le strutture di significato, per concludere infine con una serie di considerazioni generali sulla possibilità di identificare i diversi sistemi motivazionali nello scambio verbale che caratterizza il dialogo clinico.

1.1 Generalità sulle motivazioni nella prospettiva evoluzionista La prospettiva evoluzionista afferma che i processi motivazionali sviluppati da ciascun essere umano nel corso della vita si fondano su disposizioni innate e universali, i cui antecedenti sono già presenti nel­ le specie animali evoluzionisticamente più vicine a H omo sapiens. Si tratta di tendenze, per quanto potenti e spesso ineludibili, e non di schemi di azione fissi e rigidi come quelli che tradizionalmente vengo­ no associati al concetto di istinto. In altre parole, le propensioni ad agi­ re verso specifici obiettivi, selezionate dall’evoluzione, non sono con­ cepite come scariche pulsionali inevitabili o come schemi meccanici di 3

p a r t i ; p r im a

azione, ma come inviti , anche se pressanti, a perseguire particolari for­ me di interazione Ira organismo e ambiente, incluso l’ambiente socia­ le. Le tendenze ad agire verso particolari mete (sociali o non sociali) nascono originariamente, nel corso dell’evoluzione, come frutto della variazione che caratterizza la vita, e vengono poi selezionate dai pro­ cessi evoluzionistici quando sono favorevoli alla sopravvivenza e alla riproduzione del singolo organismo, del suo gruppo sociale e della specie. Si noti, al riguardo dei vantaggi evoluzionistici che spiegano l’affermazione di un qualsiasi carattere comportamentale, che le teorie a più livelli, dal gene alla specie, della selezione naturale sono recente­ mente tornate al centro dell’attenzione. In particolare, la selezione di gruppo appare importante per spiegare l’evoluzione dei comporta­ menti altruistici umani (Bowles, 2006). Come le altre tendenze innate sono adattamenti a specifici aspetti della nicchia ecologica in cui una specie evolve {dontain-specific adaptations ), così ogni disposizione ad agire verso un obiettivo sociale è un adattamento a un particolare ambito della relazione fra membri del gruppo - salvo alcune eccezioni che appaiono come proprietà emer­ genti da un insieme di precedenti adattamenti, e che sono meno di­ pendenti da specifici contesti ambientali o relazionali (dom ain-general adaptations ; vedi capitolo 2). Le propensioni selezionate dai processi evoluzionistici sono univer­ sali: esse operano - fin dall’inizio della vita oppure da quando la matu­ razione dell’organismo lo permette - in tutti gli individui della specie. Tuttavia, le loro espressioni concrete nel comportamento vanno in­ contro, fin dal principio, a modificazioni, articolazioni e sviluppi indi­ viduali, in funzione dell’esperienza del singolo. Nell’uomo, tale espe­ rienza è influenzata non solo dalle contingenze ambientali immediate e dall’assetto genetico individuale, ma anche dalla cultura di apparte­ nenza. I processi biologici universali che sono alla base della motiva­ zione sono quindi canalizzati dalla cultura in direzioni caratteristiche per ogni società umana. Variabili individuali permettono poi ulteriori sviluppi delle motivazioni, in direzioni tipiche per ogni individuo (per i concetti di base della psicologia evoluzionista, vedi Adenzato, Meini, 2006; per la centralità del concetto di propensione nell’epistemologia evoluzionista, vedi Popper, 1990).

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MOTIVI E SICIMI ICATI DELL’AGIRK INTERPORSI )NAI.i:

1.2 Dalle disposizioni innate ai sistemi motivazionali La teoria evoluzionista e neurobiologica della coscienza proposta da Edelman (1989) delinea con efficacia l’interazione dinamica fra i processi di apprendimento legati all’esperienza individuale e la base universale e innata della motivazione. Edelman chiama “valori” gli adattamenti evoluzionistici che sono alla base del comportamento mo­ tivato, e propone che l’insieme delle loro rappresentazioni nel cervello costituisca il “sé biologico” (vedi anche Edelman, Tononi, 2000). La parte del cervello che percepisce e memorizza (“categorizza”, nella terminologia di Edelman) le contingenze ambientali è chiamata “nonsé biologico”. La coscienza, per Edelman, emerge dalla continua dia­ lettica fra “sé” e “non-sé”. La coniugazione di valori e categorie che caratterizza tale dialettica dà luogo a strutture funzionali del cervello chiamate “memorie valore-categoria”. Ogni comportamento è dun­ que l’espressione di un confronto dinamico fra tendenze a perseguire determinati “valori”, sostanzialmente innati, e la memoria di prece­ denti interazioni fra organismo e ambiente. In altre parole, ogni com­ portamento, per quanto casuale e insignificante possa apparire, con­ tiene un elemento motivazionale: è, sia pure nascostamente e poten­ zialmente, diretto a una meta che realizza un valore evoluzionistico di adattamento. In accordo con una delle tesi che fondano la psicologia dinamica, i valori della teoria di Edelman, corrispondenti ai motivi della visione psicodinamica classica, costituiscono dunque le unità di base della vita psichica. Nella terminologia della psicologia clinica contemporanea, il con­ cetto di “memoria valore-categoria” può essere confrontato con quelli di “sistema di controllo del comportamento” (Bowlby, 1969) e di “si­ stema motivazionale” (Gilbert, 1989; Lichtenberg, 1989; Liotti, 2001). I sistemi motivazionali (o di controllo del comportamento diretto a una meta) sono infatti costituiti dal coniugarsi di disposizioni innate con rappresentazioni apprese, e sono quindi sovrapponibili alle me­ morie valore-categoria di Edelman. Lo studio della motivazione umana impostato su premesse evolu­ zionistiche e neurobiologiche deve compiere due passi per condurre dalla teoria generale alle applicazioni cliniche e di ricerca. Il primo ri­ guarda la definizione del numero e del tipo di sistemi motivazionali (e dunque dei “valori” nel senso di Edelman), nonché la delineazione del­ l’architettura generale della mente che tali sistemi compongono. Il se­ condo passo riguarda la rappresentazione, nel pensiero e nel linguag­ 5

PARTE PRIMA

gio, delle operazioni mentali organizzate dai sistemi motivazionali. Nel pensiero e nel linguaggio: là dove l’attività di ciascun sistema può esse­ re colta durante un dialogo clinico, là dove i principi primariamente non coscienti, che organizzano condotta e pensiero attorno agli obietti­ vi definiti dai valori evoluzionistici, danno luogo a significati e motivi sui quali è possibile riflettere.

1.3 L'architettura generale dei sistemi motivazionali Le conoscenze accumulate sull’evoluzione del cervello, del com­ portamento e della mente nei vertebrati convergono nel sostenere la validità di una prospettiva insieme storica e gerarchica, che considera i processi regolanti la condotta nell’ambiente non-sociale come i primi a comparire storicamente, e come quelli che rimangono poi a fonda­ mento della struttura gerarchica prodotta dall’evoluzione. Su queste strutture e processi non-sociali poggiano i sistemi della storia evolutiva più recente, che controllano l ’interazione sociale caratteristica degli uccelli e soprattutto dei mammiferi. Tale interazione è basata sul reci­ proco riconoscimento fra conspecifici, ed è ben diversa dalla comuni­ cazione negli insetti sociali, che non implica un analogo tipo di ricono­ scimento. Infine, a un livello gerarchicamente sovraordinato e di storia evoluzionistica ancor più recente, si pongono le strutture e i processi che, a partire dall’evoluzione biologica, hanno aperto la strada all’evo­ luzione culturale umana. A ogni livello di questa gerarchia motivazio­ nale, aumenta progressivamente la capacità dell’apprendimento di plasmare l’espressione della disposizione innata in funzione dell’espe­ rienza: i sistemi motivazionali - procedendo dal primo livello non-so­ ciale al terzo che si apre all’evoluzione culturale - divengono sempre più labili alle influenze ambientali (per il concetto di “sistema innato ambientalmente labile’’ vedi Bowlby, 1969). Questa visione a tre livelli dei fondamenti evoluzionistici della men­ te umana è stata riassunta da MacLean (1973, 1985) nella teoria del cervello tritino. Anche se recentemente contestata in alcuni importanti dettagli, la teoria di MacLean resta un valido modo di considerare l’ar­ chitettura generale delle strutture e dei processi cerebrali e mentali (per la validità generale della prospettiva offerta da MacLean, vedi per esempio Panksepp, 1998). Se applicata allo studio dei sistemi motiva­ zionali umani, la teoria suggerisce di considerarli come organizzati in tre livelli gerarchici, che, in corrispondenza dei tre “cervelli” della ter­ 6

MOTIVI E SION m e ; ATI DELL’ACÌIRE

in t e r p e r s o n a l e

minologia di MacLean, possiamo chiamare “rettiliano”, “antico-mam­ mifero” (o “limbico”) e “neo-mammifero” (o “neocorticale”: vedi Liotti, 1994/2005). Sulla base di questa visione a tre livelli del cervello umano, procediamo adesso a riassumere il modello gerarchico dell’or­ ganizzazione dei sistemi motivazionali che discende dall’applicazione del metodo etologico-evoluzionista allo studio dei comportamenti ri­ volti a obiettivi (vedi Gilbert, 1989; Liotti, 1994/2005). 1.3.1 11livello di base del processi motivazionali Il livello di base dell’architettura motivazionale (“rettiliano”) è con­ nesso all’attività di reti neurali localizzate nel cosiddetto complesso R del cervello (tronco encefalico, nuclei della base). E costituito anzitut­ to da sistemi che controllano i comportamenti e le funzioni fisiologi­ che necessari al mantenimento dell’omeostasi corporea (alimentazio­ ne, respirazione, termoregolazione, sonno, eliminazione di urine e fe­ ci). In alleanza a questi sistemi fisiologici, compongono il livello di ba­ se dell’architettura motivazionale alcuni sistemi comportamentali, fi­ nalizzati a proteggere dai pericoli ambientali (sistema di attacco/fuga, detto anche “di difesa”), all’esplorazione dell’ambiente circostante (si­ stema esploratorio), a definire uno spazio privilegiato dove condurre la vita (territorialità) e a sostenere il procacciamento di cibo, sia nella modalità della predazione sia in quella della raccolta. Questo livello della motivazione è comune a tutti i vertebrati. Ai si­ stemi motivazionali che lo compongono va aggiunta, per la sua univer­ salità fra i vertebrati, la forma di sessualità arcaica e “anonima” che non comporta il riconoscimento durevole del partner sessuale (per esempio la sessualità osservabile nelle specie di pesci, anfibi e rettili che basano sulla numerosità della prole la strategia riproduttiva e non formano alcuna coppia sessuale perdurante, peraltro non necessaria all’adattamento vista l’assenza di accudimento della prole in queste specie). Panksepp (1998) ha raccolto una notevole quantità di informazioni sui correlati neurobiologici del sistema esploratorio (che chiama SEEKINC System), del sistema di difesa (FEAR and RACE systems, sempre nella ter­ minologia di Panksepp) e del sistema sessuale “rettiliano” (per una sintesi del lavoro di Panksepp, vedi Liotti, 1994/2005; Solms, Turnbull, 2002). 7

1.3.2 II livello dei motivi sociali Il secondo livello dell’architettura motivazionale (“limbico”) è con­ nesso all’attività di reti neurali prevalentemente localizzate nel cosid­ detto “cervello antico-mammifero”, di cui l’amigdala e il giro del cin­ golo formano i centri più importanti. E costituito dai sistemi che rego­ lano la comunicazione fra i membri del gruppo sociale in tutte le spe­ cie animali (prevalentemente di uccelli e mammiferi) capaci di ricono­ scimento durevole fra conspecifici interagenti.

Mentre è facile specificare, con i criteri dell’etologia comparata, quali sistemi costituiscano il livello rettiliano dell’architettura motivazionale, la definizione del numero e del tipo dei sistemi motivazionali “limbici” è più complessa. L’osservazione etologica dei comportamenti sociali pre­ senti nelle diverse specie di mammiferi rivela, comunque, alcune inva­ rianti universali. La richiesta di cura e di vicinanza protettiva, l’offerta di cura, le condotte aggressive ritualizzate che mediano la competizione per il rango sociale (dominanza-subordinazione), e la formazione di coppie sessuali che durano nel tempo (in genere, fino alla maturazione della prole) sono presenti in quasi tutte le specie di mammiferi. Le con­ dotte che caratterizzano questi sistemi soddisfano il criterio dell’omolo­ gia, che la biologia evoluzionista utilizza per considerare frutti di un co­ mune itinerario di selezione darwiniana quegli organi e comportamenti consimili che siano presenti in specie animali diverse. Studi sulla mappatura cerebrale dei comportamenti che mediano sessualità, aggressività ritualizzata e richiesta-offerta di cura, condotti in diverse specie di mam­ miferi, sembrano egualmente soddisfare il criterio dell’omologia (Panksepp, 1998). Il separation culi (richiamo alla separazione), che caratteriz­ za il sistema di richiesta di cura, è un noto e molto studiato esempio di ta­ le omologia nella condotta e nella rappresentazione cerebrale (MacLean, 1985). Un altro esempio è il contatto corporeo morbido e ripetuto (come nella carezza umana e nel leccare i piccoli delle specie di quadru­ pedi), che media l’offerta di cura. Chiara omologia si riscontra inoltre nelle condotte della sessualità e della competizione per il rango. Le po­ sture e i comportamenti che rendono riconoscibili i rituali di corteggia­ mento e di accoppiamento in tutte le specie di mammiferi sono state de­ scritte da Fisher (1992) in relazione alle omologhe condotte umane. Le posture, le vocalizzazioni e le mimiche facciali della sfida, ma anche i se­ gnali di resa emessi dallo sconfitto in una competizione per il rango, so­ no notevolmente simili nelle diverse specie di mammiferi osservate dagli etologi, e nell’uomo (Eibl-Eibesfeldt, 1984; Gilbert, 1989,1992).

MOTIVI E SIGNIFICATI DELL’AGIRE INTERPERSONALE

Il sistema motivazionale che regola la richiesta di cura è di gran lun­ ga il più studiato e il meglio noto: esso infatti equivale al sistema di at­ taccamento (Bowlby, 1969; Cassidy, Shaver, 1999). Panksepp, identifi­ candone la rappresentazione nel cervello, lo chiama PANIC System. 11 si­ stema di offerta di cura è stato oggetto anch’esso di indagini psicologi­ che (George, Solomon, 1999), etologiche (Hrdy, 1999, 2005) e neurohiologiche (CARE System; vedi Panksepp, 1998). Lo stesso si può dire del sistema che regola la competizione per il rango sociale (Gilbert, 1992) e del sistema che controlla la formazione della coppia sessuale (Carter, 1998; Pedersen et al., 2005). Questi quattro sistemi (richiesta di cura, offerta di cura, formazione della coppia sessuale, competizione per il rango sociale) possono esse­ re assegnati con sicurezza al livello limbico dell’architettura motiva­ zionale, essendo presenti praticamente in tutte le specie di mammiferi, e dunque anche in quelle con un mantello neocorticale appena abboz­ zato (la competizione per il rango sociale sembra però debole o assen­ te in alcune specie con un cervello meno sviluppato). In alcune specie di mammiferi, in particolare nei primati e nell’uomo, è possibile iden­ tificare un quinto sistema motivazionale, che regola condotte coopera­ tive e che è stato recentemente oggetto di estese e accurate indagini etologico-evoluzioniste (Kappeler, van Schaik, 2006; Tomasello et al., 2005; Warneken, Tomasello, 2006). Il sistema motivazionale coopera­ tivo sembra raggiungere nell’uomo una complessità funzionale unica, e acquisire un segnale non verbale presente solo nella nostra specie: l’indice puntato a indicare un oggetto o un aspetto dell’ambiente che si intende proporre all’attenzione congiunta di un altro essere umano percepito com e sim ile a sé n ell’intenzionalità (Tomasello, 1999). Il siste­ ma cooperativo potrebbe porsi a ponte fra i sistemi limbici e quelli neocorticali specificamente umani. Tuttavia, la sua presenza in forma abbozzata anche in altre specie di mammiferi suggerisce di classificar­ lo fra i sistemi limbici. E anche possibile ipotizzare che il gioco sociale, che compare in alcune specie di mammiferi, sia un precursore evolu­ zionistico del sistema cooperativo (Liotti, 1994/2005). Infine, esiste certamente, nelle specie di mammiferi capaci di condurre una vita so­ ciale di gruppo, una forte tendenza ad aggregarsi in gruppi sociali più o meno numerosi: è dunque possibile ipotizzare un sistema motivazio­ nale di affiliazione al gruppo, che andrebbe così a completare la lista dei sistemi limbici. Questo sistema di affiliazione al gruppo istituisce torme di interazione che, come il gioco sociale, implicano in maniera rilevante la cooperazione nel perseguire obiettivi congiunti. Proponia­ 9

p a r t i : p r im a

mo quindi che la lista delle motivazioni limbiche, nei primati e nell’uo­ mo, comprenda cinque sistemi principali (richiesta di cura, offerta di cura, accoppiamento sessuale, competizione per il rango, cooperazio­ ne fra pari) e due sistemi correlati a quello cooperativo, il gioco sociale e l’affiliazione al gruppo. Se è corretta la nostra sintesi delle conoscenze etologiche ed evoluzioniste riguardanti i sistemi motivazionali, allora si può affermare che tutta la vita interpersonale dell’uomo deriva da articolazioni, combina­ zioni e sviluppi di questi sistemi già universalmente presenti nei pri­ mati, e continua a poggiare su di essi dalla culla alla tomba, per quanto grandi siano le variazioni permesse dalle differenti culture umane e dalle storie di sviluppo individuali. 1.3.3 II livello deH'intersoggettività e dei motivi epistemici Variazioni e sofisticate combinazioni delle operazioni regolate dai sistemi motivazionali rettiliani e limbici, che avvengono in funzione dell’apprendimento e della cultura di appartenenza, sono permesse dai sistemi cerebrali/mentali specifici dell’uomo, che coinvolgono le reti neurali della neocorteccia. Tomasello (1999) ha argomentato in maniera convincente che un singolo adattamento darwiniano (un sin­ golo processo di variazione e selezione del genoma comune ai primati precursori della specie Homo sapiens) deve essere stato responsabile della transizione dalla dimensione esclusiva dell’evoluzione biologica al mondo specificamente umano dell’evoluzione culturale, cioè da operazioni permesse già dalle sole reti neurali rettiliane e limbiche a operazioni implicanti soprattutto le mappe cerebrali neocorticali con­ nesse all’esercizio del linguaggio simbolico. Tale adattamento ha ri­ guardato un potenziamento del preesistente sistema cooperativo, che ha reso l’uomo capace,//;/ da fa si p reco ci della vita extrauterina (il nono mese di vita), di percepire l’altro essere umano come fondam entalm en­ te sim ile a sé nell'intenzionalità, al di là delle differenze di età, genere, competenze e dimensioni corporee (Tomasello, 1999; Tomasello et al., 2005). Dall’esercizio di questa capacità, e dalla conseguente condivi­ sione dell’attenzione per gli oggetti e per gli eventi del mondo, derive­ rebbero la dimensione squisitamente umana deH’intersoggettività (Stern, 2005), il linguaggio, la coscienza e la vasta esplorazione congiunta del mondo dei significati che genera le culture umane (e che, in ogni indi­ viduo, è ricorsivamente incrementata dalla cultura di appartenenza). Il livello neocorticale dell’architettura motivazionale emerge dunque, 10

MOTIVI E SIGNIFICATI DELL’AG IRE INTERPERSONALE

secondo Tomasello, dai due livelli evoluzionisticamente più antichi grazie al potenziamento della motivazione cooperativa, e include le tendenze alla condivisione dell’esperienza soggettiva (intersoggetti­ vità), all’uso del linguaggio e alla costruzione di strutture di significato che caratterizzano la nostra specie. Con la comparsa del suo livello neocorticale, la gerarchia delle mo­ tivazioni umane di base è completa, e può essere riassunta in uno sche­ ma come quello della tabella 1.1. Il capitolo successivo di questo volume discute in maggiore detta­ glio i processi evoluzionistici che differenziano i sistemi motivazionali rettiliani e limbici dalle motivazioni neocorticali, nonché alcune impli­ cazioni della relazione gerarchica che intercorre fra tali livelli dell’ar­ chitettura motivazionale. Rivolgiamo adesso la nostra attenzione ai processi mentali che connettono le operazioni dei sistemi motivazio­ nali limbici alla costruzione di significato: il secondo passo necessario, dopo la descrizione del numero e tipo di motivi di base, per applicare alla clinica e alla ricerca la teoria evoluzionistica della motivazione. Tabella 1.1 Architettura della motivazione. Primo livello Cervello rettiliano (complesso R)

Secondo livello Cervello antico-mammifero (limbico)

Regolazione fisiologica Difesa Esplorazione Territorialità Sessualità Attaccamento Accudimento Sessualità di coppia Competizione Cooperazione paritetica

Terzo livello Neocortex

Alimentazione, termoregolazione, cicli sonno-veglia Aggressione, immobilizzazione e fuga in situazioni di pericolo Di novità ambientali Senza formazione di coppia Ricerca di cura e vicinanza protettiva Offerta di cura

Definisce il rango di dominanza-sottomissione Attenzione congiunta e condivisa Gioco sociale Affiliazione al gruppo

Intersoggettività Costruzione di strutture di significato

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1

PARTI. PRIMA

1.4 Motivi, emozioni e significati La definizione comportamentista classica di “motivazione” include l’idea di un cambiamento nella linea di condotta osservabile di un or­ ganismo che si dirige verso un nuovo obiettivo. La definizione psicodi­ namica classica del concetto è centrata piuttosto sui concetti di pulsio­ ne, di bisogno e di desiderio (cosciente o no), che a tratti emergono e organizzano i cambiamenti di comportamento e di stato mentale. In ogni caso, è chiaro che i processi motivazionali determinano le discon­ tinuità fra gli eventi che caratterizzano la nostra esperienza. Tali eventi possono essere di tre tipi: - ciclici (come il ritmo sonno-veglia o l’alimentazione); - fa sici e determinati da contingenze ambientali (come le fasi di atti­ vità del sistema di attaccamento, che iniziano per una percepita vul­ nerabilità personale e terminano con il raggiungimento di una con­ dizione di sicurezza); - tonici (come l’esplorazione che sembra accompagnare, a livelli va­ riabili di intensità, l’attività di tutti gli altri sistemi, e talora attivarsi più intensamente, per dcfault , ogni volta che altri sistemi motivazio­ nali siano quiescenti; vedi Panksepp, 1998).

, L’innescarsi dell’attività di ciascun sistema motivazionale, il rag1 giungimento del suo obiettivo e gli ostacoli che l’ambiente e il contesto ; possono porre a tale raggiungimento sono segnalati da specifiche sen\ sazioni ed emozioni, che attraversano il continuamente mutevole panorama della coscienza (Damasio, 1999). La costruzione di strutture di significato (schemi della memoria e del pensiero) dipende ampiai mente dalle variazioni nell’esperienza emozionale, che a loro volta di! pendono dai processi motivazionali. La riflessione sui significati co­ scienti che la mente umana congiunge progressivamente ai motivi pre­ coscienti dell’agire trova interessanti premesse nella conoscenza dei meccanismi di attivazione di ciascun sistema motivazionale e delle specifiche emozioni che ne accompagnano l’operare. Per brevità, e in funzione dell’argomento di questo libro che riguarda strettamente le motivazioni interpersonali, ometteremo la trattazione dei meccanismi di innesco dei sistemi motivazionali rettiliani e ci limite­ remo a quella dei sistemi sociali limbici. Le riflessioni sui processi moti­ vazionali del terzo livello saranno oggetto del capitolo seguente. I suc­ cessivi paragrafi di questo capitolo sono dunque dedicati alla riflessione sulla costruzione di significati in relazione ai soli sistemi motivazionali 12

M< ) I IVI I· SIGNIFICATI DFFF’AGIRH INTERPERSONALE

sociali che operano nell'uomo. Essendo l’uomo una persona, questi pos­ sono essere chiamati Sistemi motivazionali interpersonali (SMI). 1.4.1 Regole di attivazione e sequenze emozionali dei Sistemi motivazionali interpersonali Una dettagliata analisi delle condizioni in cui il sistem a m otivazio­ nale d ell’attaccam ento si attiva, e assume il controllo del comporta­ mento e dell’esperienza emotiva, è offerta nella classica trilogia di Bowlby (1969, 1973, 1980). Non solo le situazioni di dolore, di perico­ lo e di stanchezza, ma anche quelle che comportano protratta solitudi­ ne attivano il sistema di attaccamento. Con lo sviluppo delle abilità personali di autocura, l'attivazione del sistema diventa progressiva­ mente meno rapida e meno insopprimibile rispetto alla prima infanzia, ma le suddette situazioni, se intense o protratte nel tempo, innescano inevitabilmente l’attività del sistema, “dalla culla alla tomba” (Bowlby, 1979, p. 129). L’attivazione del sistema di attaccamento è rivelata da un segnale comunicativo assai specifico, che gli etologi chiamano sepa­ ra t ion cali o separation cry (richiamo, pianto o grido da separazione; MacLean, 1985). La struttura sonora di questo segnale, centrata su to­ ni acuti e ripetuti a brevi intervalli, rimane invariata in tutte le specie animali dotate di un sistema motivazionale di attaccamento, dal pigo­ lio del pulcino, per esempio, al guaito del cane e al pianto del piccolo umano. Una volta attivo, il sistema di attaccamento coordina due se­ quenze di emozioni assai tipiche. La prima sequenza si produce quan­ do le azioni del sistema non riescono a raggiungere prontamente l’o­ biettivo della vicinanza protettiva e confortante di una figura di attac­ camento (PDA): paura, protesta collerica, tristezza e infine distacco emozionale. La seconda sequenza si verifica invece quando tale obiet­ tivo è raggiunto: conforto, gioia e sicurezza (vedi Liotti, 1994/2005, per un’analisi dettagliata di queste sequenze emozionali). La scompar­ sa delle condizioni di allarme e dolore, specie se ottenuta grazie alla vi­ cinanza protettiva, determina la disattivazione del sistema. Una volta disattivato il sistema di attaccamento, diventa possibile allontanarsi dalla PDA (per esempio, per esplorare autonomamente l’ambiente cir­ costante), oppure continuare a interagire con essa ma sulla base di un diverso registro motivazionale (per esempio quello del gioco, della cooperazione o dello scambio intersoggettivo). Il sistem a dia ccu d im en to è complementare a quello di attaccamen­ to, ed è attivato principalmente dalla percezione del separation cali 13

PARTI·; PRIMA

emesso da un membro del gruppo sociale (ma anche, talora, da un conspecifico poco conosciuto). Le azioni coordinate dal sistema di accudimento sono caratterizzate dall’offerta di vicinanza, da ogni forma possibile di aiuto e protezione dal pericolo, dall’abbraccio confortante che molte specie di primati sono in grado di offrire e dal contatto mor-, bido e ripetuto ritmicamente (la carezza umana o il leccare dei mam­ miferi non dotati di mani atte alla carezza). Durante l’attività del siste­ ma di accudimento, si susseguono sequenze emozionali ben diverse da quelle coordinate da altri sistemi motivazionali: ansiosa sollecitudine, compassione, tenerezza protettiva e colpa per il mancato accudimento ne sono i principali rappresentanti (Liotti, 1994/2005). La regola di arresto dell’attività del sistema di accudimento è data dal cessare, per l’altro con cui si è in relazione, delle condizioni di pericolo e di dolore. La regola di attivazione del sistem a di rango prende forma in presenza di una qualsiasi risorsa limitata, appetibile da più di un membro del gruppo sociale. Il diritto prioritario di accesso alle risorse viene de­ finito attraverso l’aggressività ritualizzata - nel senso che gli etologi at­ tribuiscono all’aggettivo “ritualizzato”, ossia non primariamente fina­ lizzato a ledere l’antagonista. 11 fine della ritualizzazione dell'aggressi­ vità è di ottenere dall’antagonista un segnale di resa, come chinare il capo o esporre l’addome all’attacco dell’altro (l’alzare le mani dell’uo­ mo: per l’omologia dei segnali di resa nelle diverse specie di mammifej ri, incluso l’uomo, vedi Liotti, 1994/2005). Il segnale di resa, che com­ porta il riconoscimento della propria subordinazione al vincitore, co| stituisce la principale regola di disattivazione del sistema di competi­ zione per il rango in entrambi gli individui interagenti. Una sequenza emozionale tipica del sistema di rango vede la collera, che accompa­ gna lo scambio di segnali di sfida, seguita dalla paura, che si manifesta allorché, durante lo scambio di aggressività competitiva, ci si rende j conto delle maggiori capacità agonistiche dell’altro. Si noti come l’or! dine sequenziale delle due emozioni sia inverso durante le interazioni 1 di attaccamento, dove è la paura a seguire la collera. Durante rem is­ sione del segnale di resa, una terza emozione, tipica del sistema moti­ vazionale di rango, compare nello sconfitto. Si tratta della vergogna, ¡1 che è a sua volta seguita da tristezza-umiliazione. Nel contempo, il vin­ citore passa dalla collera iniziale a un sentimento di orgoglioso trionfo, I che può mescolarsi a un sentimento di disprezzo (emozione, si ricordi, simile alla sensazione fisica di disgusto) nei confronti dello sconfitto. L’analisi evoluzionistica delle emozioni del sistema di rango illustra con chiarezza il significato delle emozioni di vergogna e di disprezzo, 14

r MOTIVI E SIGNIFICATI DELL’AGIRE INTERPERSONALE

differenziandole da quelle di colpa con le quali sono spesso confuse (vedi Gilbert, 1989; Liotti, 1994/2005,2001). Il sistem a sessuale è attivato non solo da variabili interne all’organi- ] smo (l’estro negli animali, i variabili assetti ormonali nella specie urna- / na), ma anche dai segnali di seduzione erotica emessi da un conspecifi-: co. L’orgasmo pone termine all’attivazione episodica del sistema ses-1 suale. Tuttavia, la ripetizione dell’attivazione del sistema sessuale fra1 due partner dopo la fase di latenza che segue all'orgasmo è alla base della formazione di legami di coppia basati su questo sistema motiva­ zionale (vedi Panksepp, 1998). Una volta che si sia formato tale lega­ me, nuove emozioni tipiche dell’attivazione del sistema, come la gelo­ sia, si aggiungono a quelle elementari (desiderio e piacere erotico). Al­ l’interno di una coppia sessuale, può naturalmente verificarsi l’attiva- j zionc di altri SMI (attaccamento-accudimento, rango, cooperazione fra// pari), con il conseguente arricchirsi dell’esperienza intersoggettiva che è tipico soprattutto della coppia umana. Il sistem a cooperativo paritetico è attivato dalla percezione di obiet­ tivi che, anziché configurarsi alla percezione come risorse limitate per l’accesso alle quali è necessario competere, appaiono ai due individui interagenti come meglio perseguibili attraverso un’azione congiunta. Il raggiungimento dell’obiettivo condiviso pone spesso termine all’at­ tivazione del sistema cooperativo. Tuttavia, tale sistema sembra aver raggiunto nell’evoluzione della nostra specie una particolare facilità e persistenza di attivazione, come sarà ampiamente discusso nel capito­ lo seguente. Emozioni di gradevole, gioiosa condivisione e di lealtà re­ ciproca sono tipiche dell’attivazione del sistema cooperativo, come pure lo sono, in negativo, emozioni di collera perdurante, fino all’odio, per la rottura unilaterale di una lealtà cooperativa. Due sistemi motivazionali, il sistem a di gioco sociale e il sistem a di affiliazione al gruppo, hanno regole di attivazione e sequenze emozio­ nali simili a quelle del sistema cooperativo paritetico: per questa ragio­ ne, e per non appesantire la nostra esposizione, ne omettiamo la tratta­ zione. La tabella seguente riassume le sequenze di emozioni e senti­ menti tipiche di ciascun sistema motivazionale.

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PARTI·; PRIMA

Tabella 1.2 Emozioni e sistemi motivazionali. Sistema dell'attaccamento

Sistema dell'accudimento Sistema sessuale

Sistema di rango

Tristezza (da sconfitta), invidia Colpa, rimorso Isolamento

Sistema cooperativo

'v

Meta ostacolata Paura (da separazione), collera (protesta) Tristezza (da perdita) Disperazione Distacco emozionale Ansiosa sollecitudine Compassione Colpa Pudore Paura (del rifiuto) Gelosia Paura (da giudizio) Vergogna Umiliazione

fX

Sfiducia Risentimento (collera perdurante, fino all'odio)

Meta avvicinata e raggiunta Conforto Gioia (da ricongiungimento) Sicurezza Fiducia, amore di tipo filiale Tenerezza protettiva Gioia Amore di tipo genitoriale Desiderio erotico Piacere erotico Amore erotico Collera (da sfida) Trionfo, potenza Orgoglio, disprezzo verso lo sconfitto Sentimento di superiorità Empatia Lealtà reciproca, gioia (da condivisione) Fiducia Amore amicale

1.4.2 Sistemi motivazionali interpersonali e strutture di significato L’operare di base dei Sistemi motivazionali interpersonali (SMl) si col­ loca al di fuori dell’esperienza cosciente o, per meglio dire, appartiene al ì vasto ambito del conoscere relazionale implicito (Stern, 2004). Tale ope­ rare, infatti, consiste nell’emissione reciproca di segnali comunicativi non verbali, scambiati all’interno di un campo intersoggettivo e non su­ bordinati ad alcuna forma di conoscenza esplicita. Nella terminologia proposta da Bucci (1997), gli SMI elaborano soprattutto e primariamen­ te informazioni subsimboliche, che non richiedono l’intervento delle funzioni coscienti legate al linguaggio e al pensiero simbolico. Se le prime Lisi di attivazione degli SMI si susseguono nel silenzio del corpo, al di fuori di qualunque consapevolezza, non ne discende che nulla, del loro operare, possa mai raggiungere la qualità dell’esperienza soggettiva (quale ; per il problema dei qualia nello studio della coscien-

MOTIVI E SIGNIFICATI DELL’AGIRE INTERPERSONALE

za, vedi la sintesi di Di Francesco, 2000). Al contrario, come si è detto nel paragrafo precedente, gli SMI organizzano le emozioni, le quali, co­ me ha argomentato Damasio (1999), costituiscono la base dell’espe­ rienza cosciente - quella che Edelman (1989) chiama “coscienza pri­ maria” e Damasio “coscienza nucleare”. Bowlby (1969) osservò per primo che le emozioni possono essere considerate come le prime fasi dell’operare degli SMI che possono essere avvertite nella coscienza. L’esperienza emotiva che accompagna l’azione degli SMI rende dun­ que palese, in entrambi gli individui interagenti, la dimensione im m e­ diata dell’incontro con l’altro e dei motivi a esso sottesi - immediata, cioè non mediata dal linguaggio né dal pensiero discorsivo o concet­ tuale. Se l’esperienza emotiva è il primo momento dell’attività degli SMI che acquisisce qualità di coscienza, emozioni interpersonali e in­ tersoggettività cosciente diventano pressoché sinonimi. I rapporti fra la teoria evoluzionista degli SMI e le teorie dell’intersoggettività saran­ no oggetto di approfondimento nel capitolo successivo. Qui, è utile sottolineare che il passaggio da un atto a un’esperienza avviene in un contesto intersoggettivo e attraverso la mediazione dell’emozione. L’atto del separation cry, per esempio, può acquisire qualità di espe­ rienza cosciente nella forma della paura da separazione, e simultanea­ mente la risposta dell’interlocutore, nella forma di un abbraccio che culla o di una carezza, diventa, nella coscienza primaria, tenerezza protettiva. L’atto dell’indicare un oggetto per farlo divenire centro di un’attenzione congiunta - così tipico del piccolo umano già verso il termine del suo primo anno di vita (Tomasello, 1999) - acquista il qua­ le della coscienza che chiamiamo “gioia per la condivisione”. E natu­ ralmente anche atti di isolamento o di aggressione, coordinati dagli SMI di attaccamento e da quello cooperativo, quando operano in con­ dizioni di deficitaria sintonia interpersonale si rivestono della qualità esperienziale delle corrispondenti emozioni negative. Analoghe consi­ derazioni valgono per la coscienza primaria o nucleare (emozionale) che si acquisisce a partire da azioni coordinate da altri SMI. Tutte queste esperienze - codificate nella memoria a livello subsim­ bolico (Bucci, 1997) o implicito (Stern, 2004) - costituiscono il primo motore del pensiero simbolico-non verbale (Bucci, 1997), e insieme il materiale di partenza su cui questo, e in seguito il linguaggio e il pensie­ ro discorsivo, operano. E probabile che una forma di attività mentale ilei tipo della metafora costituisca il primo passaggio dalle informazioni tacite racchiuse nel mondo della conoscenza implicita alle forme espli­ cite di conoscenza, siano esse simboliche non verbali come le immagini 12

PARTI. PRIMA

mentali, oppure simboliche verbali (Bucci, 1997; Liotti, 2001). Il conte­ sto intersoggettivo, emotivamente denso e organizzato da SMI che sono frutto dell’evoluzione, costituisce dunque, secondo una felice espres­ sione di Hobson (2004), la culla del pensiero simbolico e concettuale. È notevole l’accordo di psicologi (Hobson, 2004; Liotti, 1994/2005, 2001, 2004), antropologi evoluzionisti (Tomasello, 1999) e neuroscien­ ziati (Damasio, 1999; Panksepp, 2001) sull’idea che un contesto inter­ personale caratterizzato dall’esperienza delle emozioni, a loro volta or­ ganizzate dagli SMI, costituisca l’origine della coscienza di ordine supe­ riore (Edelman, 1989), del pensiero simbolico e del linguaggio. Su tale fondamento interpersonale, la coscienza di ordine superiore e il pensie­ ro continuano per tutta la vita a mantenersi e a svilupparsi. Le strutture di significato personale che possono essere costruite nella memoria ed elaborate nel linguaggio e nel pensiero sono dunque imbevute di espe­ rienza emozionale, di percezione interpersonale e di intuizione delle motivazioni che sottendono l’incontro fra sé e l'altro. Su questa pre­ messa teorica si giustifica lo studio del dialogo e dello scambio emozio­ nale/motivazionale basato sull’analisi linguistica, attuato attraverso quei metodi di analisi dei trascritti di sedute che sono utilizzati ampiamente nella ricerca sulla psicoterapia (Lingiardi, Dazzi, 2006). Infatti, anche se questi metodi non offrono alcun accesso diretto a processi non ver­ bali o ai marcatori non verbali degli scambi interumani, essi si giustifi­ cano con l’assunto che processi emotivi e motivazionali significativi si manifestano comunque a livello del discorso - proprio perché il discor­ so nasce da un’attività referenziale (Bucci, 1997) che connette la parola a quei livelli subsimbolici di conoscenza ove si svolgono emozioni e processi motivazionali (Lepper, Mergenthaler, 2007; Mergenthaler, Bucci, 1999). Esistono dati di ricerca che confermano l’ipotesi di una correlazione significativa fra informazioni derivanti dalla sola analisi linguistica di un trascritto e informazioni ottenute dall’osservazione di­ retta delle manifestazioni comportamentali degli stati mentali a denso contenuto emotivo e motivazionale (Mergenthaler, Horowitz, 1994). Nel capitolo 7 verranno presentati dati di ricerca compatibili con l’idea che esista una sufficiente correlazione fra le informazioni verbali sulle dinamiche motivazionali ottenute analizzando trascritti di sedute psi­ coterapeutiche e le informazioni sulle stesse dinamiche ottenute fruen­ do deH’informazione non verbale offerta dalla partecipazione diretta alla seduta o dalla videoregistrazione di essa.

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MOTIVI E SIGNIFICATI DELL’AGIRE INTERPERSONALE

1.4.3 Rapporti fra motivazioni, emozioni e pensiero concettuale La teoria fin qui delineata pone i processi motivazionali interperso­ nali ■all’origine di un’ampia classe di emozioni, e considera il pensiero concettuale come un ulteriore processo che, derivando dal campo in­ tersoggettivo definito da motivazioni ed emozioni interpersonali, può poi ricorsivamente intervenire a modulare le realtà psichiche da cui era originariamente emerso. In estrema sintesi e schematicamente, si può dire che, nella prospettiva evoluzionista, il pensiero concettuale e discorsivo nomina l’esperienza emozionale e le intenzioni da esse se­ gnalate, e nominandole le immette in un più vasto ambito di conoscen­ za condivisibile con altri membri del gruppo sociale e della cultura (Liotti, 2004,2006). All’inizio della vita, il processo di rilerire emozioni e intenzioni a strutture linguistico-concettuali è diretto dagli adulti che con il bambi­ no entrano in costante dialogo, attribuendo nome e senso all’esperien­ za emozionale manifestata dal piccolo. Ciò comporta che emozioni e intenzioni possano essere riconosciute correttamente nell’attività refe­ renziale che' le connette al pensiero discorsivo e concettuale, oppure variamente fraintese e misconosciute. Linehan (1993) chiama “validazione” il processo di accurato riconoscimento del senso, del valore e deH’efficacia dell’emozione manifestata dall’altro, e “invalidazione” il rispecchiarla in modo erroneo, il fraintenderla o l’ignorarla totalmen­ te. E proprio il rapporto fra emozione e motivazione, con il suo fonda­ mento innato e preconcettuale, a permettere di discriminare fra validazione dell’emozione (che rispetta tale rapporto) e invalidazione (che non lo rispetta). Quando, nel trascritto di uno scambio clinico, si valuta quale pro­ cesso motivazionale sottenda alla descrizione di un episodio interatti­ vo o al dialogo in atto fra paziente e terapeuta, si compie il primo passo per decidere se le emozioni che in esso vengono nominate e su cui si ri­ flette portino il segno della validazione o dell’invalidazione.

1.5.1 sistemi motivazionali nel dialogo clinico Per riassumere in una formula breve la teoria cognitivo-evoluzionista sulla motivazione finora delineata, si può dire che g li SMI organizza­ no c fin a lizza n o , senza che la loro attività sia n ecessariam en te oggetto d i

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p a r t i : p r im a

a tten zion e e dieo.se/enza riflessiva, tanto la condotta in terperson a le (///au­ to /'esperienza em o tiva e i l p en sie ro d isco rsivo che la accom pagnano. In

altre parole, gli SMI sono i principi organizzatori fondamentali di ogni interazione umana. Essi possono operare al di fuori della coscienza (a livello implicito o subsimbolico), ma anche divenire oggetto di co­ scienza riflessiva. Nel corso di un dialogo, si danno tre possibilità fondamentali: un singolo SMI può organizzare lo scambio interpersonale; due SMI com1plementari fra loro (per esempio, quello eli attaccamento e quello di accudimento) possono regolare la condotta e il discorso dei due interloj cutori; oppure diversi SMI possono variamente susseguirsi e combinar­ si fra loro, più o meno armonicamente (vedi capitolo 3), nell’uno o nelil’altro degli individui interagenti. Nel singolo individuo impegnato in uno scambio interpersonale possono presentarsi - di momento in mo­ mento e in funzione di condizioni ambientali o dell’organismo che li attivano simultaneamente - tensioni dialettiche (Lichtenberg, 1989) o veri e propri conflitti. E anche possibile che alcuni SMI siano cooptati a supplire, in modo difensivo, a funzioni deficitarie di un altro SMI, posto in condizioni di impossibilità a conseguire la sua meta. Di tutte queste possibilità, i capitoli successivi offriranno esempi clinici concreti. Il re­ sto di questo capitolo si sofferma su due temi di grande importanza per ogni analisi delle motivazioni interpersonali soggiacenti al dialogo cli­ nico: gli aspetti sincronici e diacronici dei processi motivazionali che coesistono in tale dialogo, e le variabili individuali che intervengono nell’espressione delle universali motivazioni intersoggettive. 1.5.1 Relazione e narrazione: aspetti sincronici e diacronici degli sm i nel dialogo clinico Ogni narrazione che un paziente impegnato in un dialogo psicote­ rapeutico fa di eventi di vita rivela, a un’attenta analisi (anche solo lin­ guistica), le motivazioni interpersonali soggiacenti allo scambio inter­ personale di cui parla. Il modo con cui ciascuna motivazione è attivata o disattivata, e le combinazioni armoniche - ovvero disarmoniche, di­ fensive e conflittuali - fra diversi SMI intervenuti a motivare l’incontro narrato, possono dunque essere oggetto di attenzione e analisi anche avendo a disposizione solo il trascritto del dialogo. E questo l’aspetto diacronico del funzionamento degli SMI, che si dipana nel tempo del­ l’evento narrato. Esiste però un simultaneo aspetto sincronico della motivazione in20

MOTIVI I. SIGNIFICATI DELL’AGIRE INTERPERSONALE

terpersonale, che riguarda l’organizzazione stessa dell’esperienza in corso fra paziente e terapeuta. L’attenzione dello psicoterapeuta si concentra spesso sul duplice livello motivazionale, quello diacronico dell’evento narrato e quello sincronico del motivo, spesso implicito o non cosciente, con il quale il paziente lo interpella attraverso quella particolare narrazione scelta per il dialogo in quel particolare momen­ to. I due livelli possono essere caratterizzati dall’attività di un solo SMI, oppure da SMI diversi. L’esempio più semplice è quello di un paziente che narra un episodio interpersonale nel quale era motivato dal siste­ ma di attaccamento (per esempio, un episodio di interazione nell’in­ fanzia con uno dei propri genitori), mentre è ugualmente motivato dalla ricerca di cura, conforto e protezione da parte del terapeuta in quel momento del dialogo. L però anche possibile che lo stesso episo­ dio organizzato dal sistema di attaccamento venga narrato mentre il registro motivazionale del dialogo con il terapeuta è diverso. Per esem­ pio, esso può essere narrato nel clima motivazionale della cooperazio­ ne fra pari, quando entrambi gli interlocutori del dialogo clinico sono motivati a esplorare insieme il significato e il valore di esperienze pas­ sate nella vita del paziente. Oppure l’episodio di attaccamento può es­ sere narrato mentre il paziente è motivato, nei confronti del terapeuta, dal sistema di rango: per esempio, quando egli si aspetta di essere giu­ dicato negativamente da un terapeuta percepito come dominante mentre narra la propria condotta nell’interazione con il genitore. La discriminazione fra i due tipi di dialogo - quello in cui gli aspetti dia­ cronici narrati e quelli sincronici esperiti sono organizzati dallo stesso SMI, e quelli in cui invece sono regolati da SMI diversi - è di evidente importanza per le scelte cliniche del terapeuta. Offrire un tipo di at­ tenzione accudente (per esempio, parole di compassione e conforto) a una persona che, mentre narra un episodio doloroso di rifiuto opposto da un genitore alla sua richiesta di cura, è motivata dal sistema coope­ rativo nel dialogo con il terapeuta, potrebbe comportare una sorta di infantilizzazione di un paziente motivato e capace di migliori scambi nel dialogo clinico. Al contrario, offrire un commento fattuale e tecni­ camente “freddo” a un paziente che, raccontando lo stesso tipo di epi­ sodio doloroso eli attaccamento, è motivata a ottenere comprensione e conforto può confermare in lui la credenza patogena che i bisogni rii attaccamento sono destinati a non ricevere mai una risposta adeguata. Un tema collegato alla discriminazione fra aspetti sincronici e dia-" cronici delle motivazioni che intervengono nel dialogo clinico riguar­ da i possibili effetti dei diversi SMI, quando siano sincrónicamente atti-

PARTE PRIMA

vi, su altre importanti funzioni mentali. E verosimile, per esempio, che SMI diversi abbiano, nel momento in cui sono attivi e organizzano la condotta interpersonale, effetti diversi sulle funzioni riflessive o meta­ cognitive (Liotti, 1994/2005). Ne consegue che il terapeuta dovrebbe mirare a sostenere e a sviluppare, nel dialogo con il paziente, l’attività sincronica dello SMI che più favorisce l’esercizio delle capacità metaco­ gnitive. La comprensione della portata clinica di questa possibilità ri­ chiede una riflessione preliminare sulle variabili individuali che in­ fluenzano l’espressione delle motivazioni interpersonali. 1.5.2 L'espressione individuale delle motivazioni interpersonali Variabili individuali, sia legate all’apprendimento sia di tipo geneti­ co o temperamentale, possono influenzare l’attività degli SMI e la loro espressione nella condotta e nell’esperienza. Ogni SMI ha una propria mappatura cerebrale (Pankscpp, 1998) e impegna nel suo operare mediatori chimici diversi. Influenze geneti­ che sul ricambio metabolico dei vari mediatori chimici dell’impulso nervoso potrebbero dunque determinare maggiore o minore facilità di attivazione di un dato SMI. Mancano, tuttavia, prove empiriche suffi­ cienti per articolare riflessioni dettagliate sulle variazioni individuali nell’attivazione degli SMI legate a variabili genetiche e di temperamen­ to (ma vedi Cloninger et al., 1993, per una teoria psicobiologica del temperamento che potrebbe essere tradotta in termini di sistemi moti­ vazionali). Esistono invece numerose prove che le prime esperienze regolate da uno SMI danno luogo, in ciascun individuo, a strutture di memoria e aspettativa che possono influenzare potentemente l’espres­ sione successiva delle operazioni di quello SMI. Tali prove sono state raccolte soprattutto per il sistema di attaccamento, ma è ragionevole ipotizzare che analoghi sviluppi individualizzati delle disposizioni in­ nate, in funzione dell’esperienza, si verifichino anche per gli altri SMI. L’ampia gamma di ricerche sgorgate dalla teoria di Bowlby (1973, 1980, 1988) ha dimostrato che le prime esperienze regolate dal sistema di attaccamento conducono alla costruzione di strutture di memoria e aspettativa, codificate a livello implicito o subsimbolico, capaci di rego­ lare o sregolare, successivamente, l’espressione della motivazione alla richiesta di cura (per una sintesi della ricerca sull’attaccamento, vedi Liotti, 1994/2005). Queste strutture di memoria e aspettativa, chiama­ te Modelli operativi interni (M( )i), possono, per esempio, regolare l’atti22

M< ITIVI E SIGNIFICATI DELL'AGIKE INTERP1 KS( INAITI

vita del sistema nella direzione di una relativa inibizione dell'espressio­ ne del bisogno di aiuto e conforto (attaccamento evitante), ovvero di un’espressione di esso ambivalente e tenace (attaccamento resistente). Esse possono anche condurre a un’espressione caotica e disorganizzata della richiesta di cura (attaccamento disorganizzato). Gli sviluppi individuali delle disposizioni innate universali costitu­ tive degli SMI hanno importanti implicazioni psicopatologiche e psicoterapeutiche. Per esempio, le variabili di esperienza individuale che influenzano negativamente l’espressione successiva della motivazione di attaccamento, specie quelle riflesse in MOI disorganizzati, possono comportare importanti deficit delle funzioni metacognitive (dette an­ che di mentalizzazione, vedi Bateman, Fonagy, 2004). I deficit metaco­ gnitivi, in generale, sono ritenuti responsabili tanto di sviluppi psico­ patologici quanto di importanti e difficili situazioni di stallo psicotera­ peutico (Dimaggio, Semerari, 2003). Se tali deficit sono la conseguen­ za di m o i insicuri e disorganizzati, si può ritenere che essi compaiano solo o soprattutto quando il sistema di attaccamento sia attivato, e si riducano o scompaiano quando siano attivi altri sistemi motivazionali. La dipendenza dei deficit metacognitivi dal contesto motivazionale in­ terpersonale permette di progettare strategie volte a modulare l’attiva­ zione del sistema di attaccamento all’interno della relazione terapeuti­ ca, quando si abbia ragione di ritenere che un paziente provenga da una storia di grave disorganizzazione di tale sistema (vedi, per esem­ pio, biotti, Farina, Rainone, 2005). Fa modulazione dell’attivazione di un qualsiasi sistema motivazio­ nale all’interno della relazione terapeutica - per esempio al fine di li­ mitare al massimo l’ostacolo che il deficit metacognitivo può frapporre al trattamento - dovrebbe tendere a favorire il più possibile l’attivazio­ ne del sistema cooperativo. I capitoli successivi forniscono esempi cli­ nici concreti di questa regola generale, secondo la quale è particolar­ mente importante facilitare tale attivazione nella relazione terapeutica con pazienti in cui l’espressione di altri sistemi motivazionali sia stata gravemente influenzata in senso psicopatologico da precedenti espe­ rienze di vita.

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Intersoggettività e sistemi motivazionali Una prospettiva evoluzionista e neojacksoniana

Giovanni Liotti, Mauricio Cortina, Nino Dazzi

Attaccamento (ricerca di vicinanza protettiva) e intersoggettività (condivisione dell’esperienza soggettiva) sono due ambiti di indagine che, negli ultimi vent’anni, hanno fornito riflessioni teoriche, ricerche di base e applicazioni cliniche di notevole estensione e interesse. Re­ centemente, sono comparsi tre importanti contributi che riflettono sui rapporti fra queste due dimensioni della relazione umana (Diamond, Marrone, 2003; Stern, 2004, 2005; Trevarthen, 2005). Le riflessioni di Stern (2004,2005) appaiono di particolare interesse rispetto al tema di questo libro, perché utilizzano il concetto di sistema motivazionale per il confronto fra attaccamento e intersoggettività. Applicando il concet­ to di sistema motivazionale a entrambe le dimensioni della relazione, Stern mette in evidenza la diversità e la relativa indipendenza funzio­ nale dei due sistemi con una chiarezza di sintesi che non è usuale in al­ tre riflessioni sull’argomento: Il sistem a m o tiv a zio n a le in te rso gge ttivo p u ò essere co n sid e ra to se p a ra ­ to e co m p le m e n ta re alle p u ls io n i se ssu ali e d i attaccam ento, e u g u a l­ m ente fo n d a m e n ta le [...]. L ’attaccam ento è finalizzato alla vic in a n za fi­ sica [...] p iu tto sto che all’in tim ità p sic o lo g ic a [...]. P e r q u e sto è n e ce s­ sario u n altro sistema. Se p arare i d u e sistem i m o tiv a zio n a li è im p o r ta n ­ te d al p u n to d i vista te orico e clin ic o [.. .1. V i so n o tre m otiva zio n i: se s­ so, attaccam ento e intersoggettività, che p o s s o n o m esco la rsi o servire l ’u n o a ll’altro in m o lte p lic i c o m b in a z io n i p u r re sta n d o in d ip e n d e n ti. (Stern, 2 0 0 5 , p. 132)

In questo capitolo esploreremo la possibilità, offerta dalla prospet­ tiva evoluzionista, di estendere la distinzione operata da Stern fra at25

PARTI·: PRIMA

taccamento, intersoggettività e altri sistemi motivazionali (la sessua­ lità, per esempio), fino a pervenire a una definizione accurata dei rap­ porti gerarchici fra le varie motivazioni. In altre parole, useremo la teoria dell’evoluzione per applicare alle relazioni fra intersoggettività e diversi sistemi motivazionali i principi della teoria di 1lughlings Jack­ son, che nel suo fondamentale contributo alla neurologia e alla psicopatologia aveva gettato le basi, già nella seconda metà dell’Ottocento, per ogni successiva considerazione del cervello e della mente come or­ ganizzazioni gerarchiche. Per Jackson, tanto il cervello umano quanto la mente sono composti da “strati” in progressivo sviluppo. Ciascuno strato, gerarchicamente sovraordinato al precedente ed evoluzionisti­ camente più arcaico, è caratterizzato da crescente complessità e ridot­ to automatismo funzionale (recenti sintesi del pensiero di Jackson so­ no offerte da Farina, Ceccarelli, Di Giannatonio, 2005 e da Meares, 1999).

2.1 Adattamenti darwiniani legati e non legati a specifici ambiti della relazioneI I sistemi motivazionali che l’uomo condivide con altri mammiferi assolvono a funzioni circoscritte e ben delimitate nell’interazione fra l’organismo e l’ambiente. Ciò è evidente per i sistemi motivazionali del cervello rettiliano, che regolano ciascuno una singola funzione legata a uno specifico bisogno omeostatico o difensivo (vedi capitolo 1), ma è vero anche per i Sistemi motivazionali interpersonali (gli SMI, descritti nel capitolo precedente come sistemi motivazionali “limbici”, che so­ no al centro dell’attenzione di questo libro). Gli SMI hanno, d iv ersa m en te d a ll’intersoggettività, ambiti di funzionamento sociobiologici così circoscritti da poter essere assimilati, secondo alcuni (Cosmides, Tooby, 1997), ai moduli lodonani (Fodor, 19GO COLLABORATIVI )

porta la rinuncia ad altri possibili interventi (per esempio, interventi interpretativi focalizzati sull’evidente somiglianza fra alcuni aspetti delle memorie traumatiche della paziente e alcune espressioni con le quali Bianca attacca la terapia). 5.2.1. La seduta e le codifiche dell'AiMiT La seduta è stata suddivisa in quattro parti, di ognuna delle quali ri­ portiamo verbatim il trascritto di alcuni brani, scelti perché particolar­ mente illustrativi. Nella prima parte la paziente apre il dialogo espri­ mendo le sue difficoltà attraverso un attacco reiterato e diretto alla te­ rapia di gruppo, che successivamente si estende all’intero modello di terapia integrata e quindi anche alla relazione in corso con la terapeuta individuale. I due brani seguenti sono esemplificativi di tutta questa prima parte.

Bmim 1 P: Qui col gruppo ho difficoltà a seguire perché parliamo di cose che io non so se riesco a capire; si parla di emozioni che io non sento... be’ sì, le sen­ to ma non così intense tanto da scriverle, lo non ci riesco. Non riesco a segui­ re questo sistema. Cioè se questi esercizi dovrebbero in realtà farmi vivere più spontaneamente, io così non ci riesco... le tecnicizzo troppo [il tono di voce si alza]. Non diventa più l’emozione, la sensazione, un fluire; ma diventa la tec­ nica, del sentire emotivo, che secondo me è una gran cazzata! E questo mi fa arrabbiare! Brano 2 P: Io sento solo grande confusione... cioè mi state bum, bum, bum... cioè mi sento come una spazzatura, un recipiente, in cui si versa di tutto... ma è vero che io queste emozioni non le sento. Ma poi a me sembra il contrario, al­ la fine le emozioni le sento... Questa non è la direzione giusta che devo pren­ dere. Io così non ci riesco. Analizzando questi brani tratti dalla prima parte della seduta con I’ a i m i t è possibile evidenziare l’attivazione del sistema di rango, ini­ zialmente nel senso della sottomissione, attraverso indicatori che ne segnalano inequivocabilmente l’innesco (vedi il manuale AIMIT, nella Parte seconda del volume): la ripetizione di un tema d’incapacità per­ sonale (“io così non ci riesco”) e la presenza di contenuti d’indegnità personale (“mi sento come Lina spazzatura”). La collera espressa ri­ manda però - oltre che all’attività tipica del sistema di rango nella su­ broutine della dominanza, che si traduce in giudizi negativi sulla tera87

PARTE PRIMA

pia e dunque sulle capacità dei terapeuti (“è una gran cazzata!”) - an­ che a contenuti mentali di aiuto perduto (“questi esercizi dovrebbero in realtà farmi vivere più spontaneamente”), e quindi all’attività simul­ tanea del sistema di attaccamento. Secondo le codifìche proposte dal manuale A I M I T , siamo in presenza di una transizione fra due diversi si­ stemi motivazionali, simultaneamente attivi, che convergono nella ge­ nesi delle emozioni di collera. La probabile presenza di indicatori del­ l’attivazione del sistema di attaccamento insieme al sistema di rango in questa prima parte della seduta è suggerita anche dal seguente brano:

Brano 3 P: Poi io ho anche paura di abbandonare una cosa che conosco, e sono io, per seguire un modello, verso il quale ho fiducia, però dove mi sta portando? I termini “paura” e “abbandono” sono parole guida che su ggerisco­ no l’attivazione del sistema di attaccamento (vedi il manuale A I M I T ) . Tuttavia, le parole guida da sole non permettono di attribuire a una lo­ cuzione il codice di un qualsiasi sistema motivazionale. L’espressione simultanea di fiducia (“ho fiducia”) e sfiducia (“però dove mi sta por­ tando?”) rinforza qui l’impressione di non poter attribuire un codice univoco a una locuzione, nella quale peraltro è evidente che vengono espresse motivazioni importanti: è questa una delle condizioni previ­ ste dal manuale di codifica A I M I T per applicare il particolare codice di “transizione disarmonica” fra due o più sistemi motivazionali (vedi la sezione quarta del manuale). La transizione disarmonica fra sistema di rango e sistema di attaccamento è considerata particolarmente preve­ dibile nel dialogo clinico con pazienti borderline, dissociativi o co­ munque provenienti da storie di attaccamento disorganizzato (vedi ca­ pitolo 3). In questa prima parte della seduta, la terapeuta era cosciente del fatto che la paziente esprimesse una frattura dell’alleanza terapeutica “da confronto”, cioè caratterizzata dall’espressione diretta della rab­ bia e del risentimento nei confronti del terapeuta o di alcuni aspetti della terapia (Safran, Muran, 2000). Di fronte a questa rottura dell’al­ leanza, la terapeuta rispose proponendo alcuni interventi di validazione, secondo il modello di Linehan (1993): l’intervento terapeutico si focalizzò sul rispecchiamento delle difficoltà manifestate dalla pazien­ te e sulla comprensione empatica, verbalmente espressa, della fatica nel seguire il metodo di lavoro proposto. Questo intervento, che carat­ terizzò la seconda parte della seduta, non sortì però alcun cambiamen-

EFFETTI SULLA METACOGNIZIONE DELLA COSTRUZIONE DI UN DIAL( )(i( ) COLLABORATIVO

to: la paziente infatti rispose con atteggiamenti che, sempre utilizzan­ do la classificazione di Safran e Muran (2000), possiamo definire Iratture “da ritiro” (risposte del tipo “sì, è vero...” oppure “ah s ì...” se­ guite da silenzio, alternate a risposte che riproponevano le stesse mo­ dalità descritte nella prima parte del colloquio) come si evince dai due brani seguenti. Brano 4

P: Io invece dico una cosa: è possibile che io le emozioni riesca anche a verbalizzarle, ma evidentemente c’è qualcosa che non va sempre a livello emotivo e che io non riesco a individuare in questo modulo. Mi spiego? Brano 4

P: Se non capisco una cosa e sono una persona che si arrabbia se non capi­ sce e mi chiedono anche di fare degli esercizi che presumono che io capisca eh... probabilmente lì mi arrabbio perché vedo che non riesco a venirne fuori. Il manuale A I M I T permette di codificare anche questi brani come or­ ganizzati dal sistema di rango (“non riesco”, “non capisco”, “presu­ mono che io capisca”, “mi arrabbio perché vedo che non riesco”). La terapeuta, consapevole dell’inefficacia dell’intervento di validazione e rispecchiamento empatico che esitava solo nel trasformare la rottura dell’alleanza dal tipo “da confronto” al tipo “da ritiro”, cam­ bici a questo puntoia strategia terapeutica, proponendo con maggiore chiarezza la possibilità della collaborazione paritetica, possibilità che aveva creduto di esprimere ma che fino a quel punto era probabilmen­ te “mascherata” dalle espressioni di rispecchiamento empatico intrin­ seche alla strategia linehaniana di validazione delle emozioni (Linehan, 1993 ). Che la validazione emozionale, nelle fasi iniziali del trattamento del D B F , sia percepita dalla paziente come uno stimolo al sistema di at­ taccamento più che al sistema cooperativo (e dunque sia capace di atti­ vare ulteriormente il M O I disorganizzato) è suggerito da uno studio empirico recente (Prunetti et al., in corso di stampa). L’occasione per questa più chiara espressione della motivazione cooperativa, da parte della terapeuta, fu offerta da una richiesta della paziente di essere gui­ data attraverso precise prescrizioni su quello che avrebbe dovuto fare con gli esercizi proposti dal terapeuta di gruppo. La richiesta della pa­ ziente, esaminata con I ’ a i m i t , comporta la presenza di indicatori moti­ vazionali ambigui, riferibili tanto al sistema di attaccamento (la guida richiesta può essere vista come espressione del bisogno di essere aiuta­ ta) quanto al sistema di rango (la richiesta è avanzata, si noti, a partire 89

parti: prima

dalla premessa, ripetutamente espressa, di trovare tali esercizi sciocchi e dannosi e di essere incapace di svolgerli - tutti indicatori di attivazio­ ne del sistema di rango). In tali situazioni di indecidibilità, il manuale A I M 1T suggerisce di codificare una transizione disarmonica in corso fra i sistemi motivazionali implicati. Il brano del trascritto che veicola l’intenzione della terapeuta, in ri­ sposta alla provocatoria richiesta della paziente di cercare un piano inequivocabilmente paritetico e collaborativo è il seguente:

Brano ( P: E io che devo fare? T: Già, noi cosa dobbiamo fare? E su questo scambio comunicativo che si apre la terza parte della seduta. La sostituzione, nella risposta della terapeuta, dei pronomi “io” e “tu” con il “noi" (indicatore tipico del sistema cooperativo nel manuale A I M I T ) segna l’inizio dell’accoglimento da parte della pazien­ te di una proposta di lavoro basata sull’attenzione congiunta (Tomasello, 1999; Warneken, Tomasello, 2006). Terapeuta e paziente, negli scambi successivi del dialogo, concordarono di lavorare insieme, lette­ ralmente fianco a fianco, alla soluzione del problema utilizzando pro­ prio quelle schede di analisi delle emozioni, fornite al gruppo, che era­ no state oggetto del precedente attacco della paziente. Il seguente bra­ no del trascritto illustra il modo in cui l’accordo venne raggiunto. 7 T: Dov’è il punto in cui lei sente che non ce la fa in questo modulo, in que­ ste schede? P: Io so solo che qualche emozione è veloce e basta! E in un certo senso è l'unico modo che ho di esperire le emozioni. T: Me la racconta l'ultima che ha sentito? P: Mah... ho sentito la paura, ieri, tornavo dal cinema... T: Se dovessimo prendere una scheda del modulo emotivo... P: Quale? T: Vediamo insieme quale. Vuole che proviamo? Se la sente di farlo? P: (>K. Brano

La terapeuta, dopo aver sottolineato con il “noi” del brano 6 la pro­ pria visione di una collaborazione sul piano paritetico con la paziente, continua a esprimersi in prima persona plurale (“se dovessimo”, “ve­ diamo insieme” ecc.). La paziente, dopo aver inizialmente riproposto una visione della relazione basata sulla percezione della terapeuta co90

EFFETTI SULLA METACOGNIZIONK DELLA COSTRUZIONE DI UN DIALOGO (X M.LABORATIVO

me dominante (“Q uale?”), esprime un chiaro accordo (“OK”) con la proposta collaborativa della terapeuta (“Vediamo insieme quale”). Le due iniziano successivamente a lavorare fianco a fianco (nel senso let­ terale del termine), dopo aver deciso insieme di utilizzare la scheda di hom ewark proposta dal terapeuta di gruppo e oggetto della protesta iniziale della paziente. 11 manuale A i M IT permette di codificare questo scambio come motivato, in entrambe le partecipanti, dal sistema coo­ perativo. Terminato felicemente e senza difficoltà il lavoro suH’emozione di paura provata uscendo dal cinema, la paziente stessa propose di conti­ nuare insieme l’esplorazione di un’altra emozione attraverso la stessa scheda. La proposta di proseguire il compito in un clima di collabora­ zione, avanzata questa volta dalla paziente, e la conseguente prosecu­ zione del lavoro terapeutico “fianco a fianco” (bisogna in qualche mo­ do affiancarsi per osservare le domande contenute in una scheda di hom cwork cognitivo-comportamentale, e segnarvi le risposte) caratteriz­ za la quarta fase del colloquio. Il brano del trascritto che segna l’inizio di questa quarta parte è il seguente. Brano S

T: È un po’ questo il lavoro sulle schede. Sono una traccia che magari in certi momenti la può aiutare a fermarsi un po’ e a capire cosa le è successo. P: Cioè aumentare la consapevolezza. T: Brava. P: Facciamo un altro esempio. Ieri avevo la necessità di chiamare mia mamma... Si noti come per la prima volta la paziente prenda l’iniziativa nell’u­ so del “noi" (“Facciamo un altro esempio”), continuando così a soddi­ sfare i criteri del manuale AI M I T per attribuire allo scambio in corso il codice del sistema cooperativo paritetico. In questa quarta e ultima fase del colloquio la paziente riportò alcuni episodi problematici relativi alla relazione con la madre, mostrando la possibilità di avere e dare accesso a contenuti emotivi profondi attra­ verso il racconto di episodi caratterizzanti una relazione particolarmen­ te significativa. Nel manuale A I M I T , la valutazione delle motivazioni im­ plicate in episodi narrati è differenziata (attraverso l’applicazione del codice Nar) da quella delle motivazioni implicate nel dialogo diretto con il terapeuta (identificata con il codice Rei). Mentre nelle fasi prece­ denti della seduta i codici dei vari sistemi (rango Ra, attaccamento At, cooperazione paritetica Pa) sono dunque accompagnati prevalente91

PARTI* PRIMA

mente dal codice Rei, in questa quarta fase appaiono codifiche che spe­ cificano come i codici Ra e At siano coniugati alla narrazione di episodi esterni alla relazione terapeutica. Essendo tali episodi imbevuti di emo­ zioni dolorose, di vergogna e di dolore, essi ricevono prevalentemente i codici Ra Nar e At Nar. 11 sistema motivazionale che organizza l'intera­ zione diretta fra paziente e terapeuta resta invece, in prevalenza, quello cooperativo: Pa Rei è dunque il codice applicato in questa quarta parte alle motivazioni sottostanti la relazione terapeutica. In questa fase della seduta, la terapeuta ipotizzò che le emozioni di vergogna e dolore, espresse dalla paziente come contenuti degli episo­ di narrati, fossero presenti fin dalla prima parte dell’incontro, ma a causa dell’impossibilità di accedere a una riflessione sui propri conte­ nuti mentali esse venissero allora “agite” e non “mentalizzate”. Solo alla fine della seduta la paziente, grazie all’innesco del sistema motiva­ zionale collaborativo, uscì dunque dallo stato di “paura senza sbocco” (vedi capitolo 3) e di disorganizzazione legata alla precedente attiva­ zione del M O I di attaccamento disorganizzato: dal punto di vista delle funzioni riflessive, ciò comportò che Bianca riuscisse non solo a rico­ noscere il dolore e la vergogna caratterizzanti il rapporto con la pro­ pria madre, ma anche a descriverli efficacemente al fine di condivider­ ne l’esplorazione con la terapeuta. Come si sia pervenuti a questo suc­ cesso nell’esercizio delle capacità metacognitive nel corso della seduta è dettagliatamente descrivibile attraverso l'analisi del trascritto guida­ ta dalla S V a M . 5.2.2 Analisi della seduta attraverso la svaM Nella prima parte della seduta (che chiameremo “di presentazione del problema”) la paziente si mostra capace di descrivere quali emo­ zioni stia provando e quali siano i suoi temi di pensiero. La S V a M evi­ denzia una buona capacità di identificare i propri stati mentali (vedi fi­ gura 5.1, “Presentazione”). Pur manifestando una buona capacità di integrazione, nella prima parte della seduta la paziente fornisce una narrazione incoerente, ca­ ratterizzata dalla descrizione di stati mentali diversi, tra i quali non vengono posti nessi e relazioni causali: la contraddittoria molteplicità delle rappresentazioni non viene integrata in una narrazione coerente. La paziente ripete più volte che non sente le emozioni, poi afferma in­ vece di sentirle, e non fornisce giustificazioni per l’evidente contraddi­ zione (vedi i brani 1 e 2). La SVaM, di conseguenza, registra un falli92

EFFETTI SULLA METACOGNIZIONE DELLA COSTRUZIONE DI UN DIALOGOCOLLABORATIVO

mento neW integrazione (deficit metacognitivo specifico della patolo­ gia borderline; vedi Clarkin et al., 2005; Dimaggio, Semerari, 2003). Il fallimento della capacità di integrazione è evidenziato nella figura 5.2 (“Presentazione”). Nella seconda parte della seduta (che chiameremo “di validazione”) la terapeuta, nel tentativo di ripristinare l’alleanza terapeutica, in­ terviene rispecchiando empaticamente gli stati mentali espressi dalla paziente: le comunica di trovare un senso alle sue reazioni, alla luce

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PARTI; PRIMA

della sua condizione attuale, dei fattori ambientali e delle ésperienze intercorse (Linehan, 1993). L’analisi di questa parte della seduta effet­ tuata con la SVaM evidenzia un dato interessante: la capacità della pa­ ziente di descrivere i propri stati interni è diminuita rispetto alla prima parte, di “Presentazione” (vedi figura 5.1, “Validazione”). La ridotta capacità di identificazione dei propri stati mentali in se­ guito a interventi di validazione nelle sedute iniziali di psicoterapia con pazienti borderline è stata documentata in uno studio condotto su 19 pazienti, nel quale sono state comparate le risposte dei pazienti (in termini di capacità metacognitive valutate con la SVaM) a inter­ venti di validazione, con quelle che seguono a interventi neutrali (Prunetti et al., in corso di stampa). Questo deficit contesto-dipen­ dente delle funzioni metacognitive può essere spiegato con la mobi­ lizzazione del sistema motivazionale dell’attaccamento in seguito a interventi che segnalano la disponibilità del terapeuta a fornire com­ prensione e sostegno emotivo. Nelle prime fasi della terapia, può es­ sere così attivato, nei pazienti borderline, un MOI disorganizzato che non è ancora andato incontro a revisione in seguito a esperienze cor­ rettive all’interno della relazione terapeutica. Ne consegue l’interfe­ renza del MOI disorganizzato sulle funzioni metacognitive (Liotti, , 1994/2005, 2000, 2001). Dal punto di vista delle dinamiche motiva­ zionali, la teoria dell’attaccamento prevede che l’attivazione di un si­ stema di attaccamento sregolato da un MOI disorganizzato si rifletta i prontamente nel tentativo di fronteggiare l’esperienza di frammenta­ zione con una strategia controllante. Nel caso dei pazienti borderli­ ne, è probabile che tale strategia sia di tipo controllante-punitivo, e comporti l’attivazione disarmonica del sistema di rango simultanea­ mente al sistema di attaccamento (Liotti, 2004, 2005). Coerentemen­ te con tale ipotesi, l ’AIMIT mette in evidenza più frequenti transizioni fra il sistema di attaccamento e il sistema di rango nella seconda par­ te della seduta, come indicato in alcune locuzioni della paziente in ri­ sposta agli interventi di validazione che segnalano la motivazione di attaccamento-richiesta di cura (“Non mi sento aiutata” e “ Il mio ra­ gazzo funziona come la mia sentinella d’allarme”), che si alterna con la motivazione competitiva-punitiva (temi di incapacità e svalutazio­ ne personale ripetutamente espressi). Suggerisce la contemporanea attivazione dei due sistemi soprattutto l’evidente transizione disar­ monica cui perviene la paziente al termine della parte "di validazio­ ne'' della seduta (vedi il commento ai brani 5 e 6). In questa fase, va sottolineato che la paziente continua a manifesta­ 94

EFFETTI SULLA METACOGNIZIONE DELLA COSTRUZIONE DI UN DIAI.( )GO COLLABORATIVO

re un’incocrenza nella narrazione sufficiente a tar registrare fallimenti della funzione integrativa (vedi figura 5.2, “Validazione”). La terza e la quarta fase della seduta (che, rispetto alla cooperazione paritetica, chiamiamo nei due grafici rispettivamente “proposta del te­ rapeuta” e “richiesta del paziente”) sono caratterizzate, nell’analisi con­ dotta con la SVaM, da un progressivo recupero della capacità metaco­ gnitiva di identificazione dei propri stati mentali (vedi figura 5.1, “Pro­ posta” e “Richiesta”). I seguenti brani esemplificano la presenza della capacità di identificare i propri stati mentali nella quarta parte della seduta:

Brano V P: Quando penso a mia madre penso a delle cose squallide, da vergognar­ sene. Brano 10 P: [Riferendosi metaforicamente al dolore provato spesso nelle interazioni con la madre] Profondo... come una lancia... ma che dura brevemente. ( ionie si nota, l ’AIMIT segnala ancora la presenza di attività del siste­ ma di rango (brano 9) e del sistema di attaccamento, ma adesso queste attività motivazionali sono contestualizzate in momenti diversi e ben delimitati della narrazione (Nar) e non espresse in maniera caotica e di­ sarmonicamente sovrapposta nella relazione diretta con la terapeuta (Rei). Ciò coincide con il recupero della capacità metacognitiva di iden­ tificare gli stati mentali valutata con la SVaM nella fase di “Presentazio­ ne” (cioè prima degli interventi di validazione, che sembrano compro­ mettere la capacità di identificazione nella seconda fase). Tuttavia, nella fase in cui la paziente chiede attivamente di proseguire nello scambio cooperativo e paritetico (“Facciamo un altro esempio”, brano 8), il contesto in cui viene esercitata la capacità di identificazione è ben di­ verso rispetto alla prima parte della seduta (“Presentazione”), quando la stessa capacità era espressa nell’attacco alla terapia. Nelle prima fase, dominata dai sistemi di rango e di attaccamento, la vergogna e il dolore erano agiti più che nominati (nominata era prevalentemente la collera): solo la costruzione di un clima collaborativo, forse, permette di identificare queste due emozioni nel dialogo con l’altro. La differenza Ira i due contesti, della prima e dell’ultima parte della seduta, è colta, attraverso la SVaM, con la valutazione della capacità di integrazione. La difficoltà di produrre una narrazione coerente, anco­ ra presente pur se meno evidente nella terza parte della seduta (figura 95

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parti: prima

5.2, “Proposta”), scompare quasi del tutto nella quarta parte, dove la registra la comparsa, per la prima volta durante la seduta, di no­ tevoli successi della capacità di integrazione. La paziente è ora in gra­ do di produrre una narrazione coerente, nella quale emozioni diverse (rabbia, dolore, debolezza, “energie negative”) trovano nessi fra loro che, in maniera solo apparentemente paradossale, permettono a Bian­ ca di riflettere sul proprio senso di duplicità. Riflettere esplicitamente sugli stati dell’Io contraddittori, cercando di contestualizzarli (“nel gruppo”, e “in determinati momenti di debolezza”) è segno di un no­ tevole esercizio della capacità metacognitiva di integrazione. SVaM

Brano 11 P: Ci sono due persone dentro di me. L’immagine mia che io do, che co­ munque è vera nel senso che io sono anche quello che si vede nel gruppo... quello che si vede giorno per giorno... ma c’è anche un’altra parte che esce in determinati momenti di debolezza o quando accumulo troppe energie negati­ ve, troppa rabbia, troppa... che si traduce poi in violenza. Ed ecco che io ho realizzato, ieri, in quel momento che per una cavoiata del genere, che è durata pochi minuti, io mi sono sentita le lance dentro...

5.3 Considerazioni conclusive Le osservazioni permesse dall’analisi della seduta sostengono l’ipo­ tesi che i deficit metacognitivi (e le corrispondenti difficoltà di mentalizzazione; vedi Bateman, Fonagy, 2004) possano dipendere, almeno ta­ lora e almeno in parte, dal costituirsi di contesti interpersonali domina­ ti dai sistemi di rango e di attaccamento. I clinici sanno quanto le capa­ cità riflessive siano ostacolate da emozioni di dolore, paura, vergogna o collera, e da percezioni interpersonali caratterizzate da ostilità. Anche alcuni dati di ricerca recenti confermano che lo stato emotivo e motiva­ zionale può essere causa di limitato uso di capacità metacognitive in al­ tri momenti presenti, almeno tanto quanto un deficit metacognitivo può essere causa di sregolazione delle emozioni. Per esempio, la possi­ bilità che nei pazienti borderline l’emergere di motivazioni e sentimenti di ostilità induca o aggravi alcuni sottotipi di deficit metacognitivi è so­ stenuta da recenti dati di ricerca (Minzenberg et al., 2006). Una tale ipotesi giustifica l’attenzione particolare che alcuni psicoterapeuti prestano all’assetto motivazionale che sottende momento per momento il dialogo con il paziente, e che può mutare senza che ve ne sia consapevolezza, se non si presta appunto continua attenzione :·;·

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EFFETTI SULLA MUTACI K'.NI/.IONE DELLA C( ISTRUZIONI· III UN D IA L O G O COLLABORATIVI )

agli indicatori degli SMI nel corso della seduta. L’intero ambito di ri­ flessione e di ricerca sull’alleanza terapeutica come veicolo principe del cambiamento psicoterapeutico potrebbe corrispondere alla visio­ ne teorica che considera l’attivazione del sistema motivazionale coope­ rativo come il fondamento stesso dell’uso efficace e dello sviluppo del­ le capacità metacognitive (Liotti, 1994/2005). Il tipo di analisi del trascritto della seduta che è illustrato in questo capitolo potrebbe essere utilizzato per evidenziare se alcune interazio­ ni che a volte si verificano in psicoterapia, e che sono ritenute impor­ tanti fattori di cambiamento psicoterapeutico, siano riconducibili a una rapida transizione armonica da un assetto motivazionale sostenu­ to dal sistema di rango o dal sistema di attaccamento a un assetto moti­ vazionale cooperativo e paritetico. Per esempio, ci sembra che a tale ti­ po di transizione corrispondano alcuni dei “momenti ora” descritti da Stern e collaboratori come esempi di eventi di grande valore terapeuti­ co (Stern, 2004; Stern et al., 1998). L’utilità della co-terapia nel trattamento dei pazienti borderline (Liot­ ti, Cortina, Farina, in corso di stampa; Liotti, Farina, Rainone, 2005) potrebbe trovare giustificazione nelle occasioni che i setting multipli integrati offrono per sostituire a interazioni drammatiche e asimmetri­ che, motivate dai sistemi di attaccamento e di rango, interazioni pari­ tetiche regolate dal sistema cooperativo. Questa possibilità è illustrata nell’analisi della seduta presentata in questo capitolo. Nel dialogo cli­ nico qui esposto, la costruzione del clima collaborativo e della perce­ zione interpersonale paritetica è stata facilitata dalla presenza del gruppo psicoeducativo: il recupero del lavoro svolto nel setting parai- i lelo attraverso l’utilizzo delle schede di hom ew ork ha permesso a pa­ ziente e terapeuta di focalizzare l’attenzione su un compito condiviso ed eseguito fianco a fianco. Che il metodo AIMIT possa evidenziare, nello studio del superamen­ to delle fasi critiche della relazione terapeutica chiamate “test” dalla Control-Mastery Theory [CMT, Weiss, 1993), una simile transizione ar­ monica ila dinamiche motivazionali regolate dai sistemi di rango e at­ taccamento a dinamiche regolate dal sistema cooperativo, sarà oggetto di attenzione nel prossimo capitolo.1 1 1'

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Analisi dei momenti problematici in psicoterapia Il

c o n t r i b u t o d e l l ’ A IM IT

Armando Cotugno, Claudio latinucci, Francesca Manaresi, Maria Giuseppina Mantione, Fabio M onticelli

La comprensione delle dinamiche che caratterizzano i momenti di . rottura e riparazione dell’alleanza terapeutica costituiscono un’area di particolare interesse per la ricerca in psicoterapia. E chiaro che i mo­ menti di difficoltà, impasse o rottura dell’alleanza sono tasi inevitabili nel processo terapeutico: la ricerca infatti sottolinea come il supera­ mento di queste fasi sia alla base di importanti ristrutturazioni degli schemi interpersonali del paziente (Safran, Muran, 2000; Safran, Se­ gai, 1990; Stern, 2004). È proprio la riattualizzazione in terapia di que­ sti schemi disfunzionali che innesca transazioni relazionali particolar­ mente difficili: per esempio, una prolungata confusione nel dialogo, una povertà di contenuti, o una rara comparsa di motivazioni ricono­ scibili possono caratterizzare queste fasi della terapia. Tutto sembra avvolto in una stasi relazionale, con evidenti difetti di sintonia nella co­ municazione intersoggettiva. (ili studi di psicologia dello sviluppo sulla comunicazione madre­ bambino costituiscono un importante paradigma di riferimento per comprendere le oscillazidni della sintonia intersoggettiva (Schore, 1994; Trevarthen, 2005; Tronick, 1998). Lo scambio interattivo madre-barn-1 bino è naturalmente caratterizzato da continue oscillazioni tra fasi di rottura e fasi di ristabilimento della sintonia intersoggettiva: ciò che ca- | ratterizza la comunicazione disfunzionale è proprio l’incapacità della | madre di ristabilire una pronta sintonia con le comunicazioni emotive del bambino. Trasferendo le osservazioni della psicologia evolutiva al campo della ricerca in psicoterapia, possiamo affermare che la capacità del terapeuta di “sganciarsi” dalla ripetizione automatica di transazioni relazionali patogene (i cosiddetti cicli cognitivo-interpersonali) costi99

PARTE PRIMA

tuisce la leva più importante per avviare il processo di riparazione dello stallo terapeutico e riattivare un’adeguata sintonia intersoggettiva (Safran, Muran, 2000; Safran, Segai, 1990; Tronick, 1998). La riorganizza­ zione degli schemi interpersonali che ne deriva si accompagna a una ri­ duzione dell’ansia, a importanti in si gl: t e a un evidente incremento del­ le capacità metacognitive (Weiss, Sampson et al., 1986). Sulla base di queste premesse possiamo affermare che la necessità di affrontare e risolvere i problemi nell’alleanza terapeutica non è solo un requisito per il cambiamento, ma piuttosto la vera essenza del pro­ cesso stesso di cambiamento (Safran, Muran, 2000).

6.1 Rottura e riparazione dell'alleanza terapeutica: uno studio basato sul metodo a im it Come già illustrato nell’introduzione, la tesi centrale del nostro la­ voro è che lo studio del dialogo terapeutico possa essere arricchito da un’analisi del ruolo delle motivazioni relazionali nel favorire o nell’ostacolare un’adeguata sintonia intersoggettiva, base fondamentale per un buon lavoro psicoterapeutico (Liotti, 1994/2005,2001). Riteniamo che le turbolenze della “sintonia interpersonale”, proprie delle fasi di rottura e riparazione dell’alleanza terapeutica, possano essere meglio comprese dal vertice della prospettiva evoluzionistica sulla relazione interpersonale, che coglie il contributo di specifici domini motivazio­ nali nel gioco dell’intersoggettività (vedi capitolo 2). Guida lo studio presentato in questo capitolo l’ipotesi che le fasi di rottura e di riparazione dell’alleanza terapeutica siano sottese all’atti­ vazione di specifici assetti motivazionali interpersonali, che procedo­ no di pari passo con variazioni del funzionamento metacognitivo e della sintonia intersoggettiva. Lo studio dell’andamento della fase di stallo terapeutico è stato condotto attraverso l’analisi di tre dimensio­ ni: 1) la m otivazione interpersonale , indagata attraverso l ’ A I M I T ; 2) il funzionam ento m etacognitivo , analizzato attraverso la S V a M (vedi capi­ tolo 4); 3) il coordinam ento intersoggettivo , dimensione sicuramente più sfuggente, che ha a che fare con il grado di sintonizzazione tra pa­ ziente e terapeuta rispetto al raggiungimento degli obiettivi terapeuti­ ci. L’analisi del coordinamento intersoggettivo è stata condotta tacen­ do riferimento alla ricerca sul processo terapeutico del San Francisco Fsychotherapy Research Group ( s t ' P R G ) , che ha portato alla formula­ zione di una teoria generale del processo terapeutico, meglio cono­ 100 *

ANALISI DI I MOMENTI PROBLEMATICI IN PSICOTERAPIA

sciuta come Control-Mastery Theory (OMT; vedi Silberschatz, 2005; Weiss, 1993; Weiss, Sampson et al., 1986). Il lettore ha già preso familiarità con il metodo AIMIT e con la Scala di valutazione della metacognizione (svaM; vedi Carcione et al., 1997; Semerari et al., 2003 ), descritti nei capitoli precedenti (vedi capitoli 4 e 5 ). Ai fini di una migliore comprensione della cornice metodologica in cui è inserito lo studio di questo capitolo, riteniamo sia utile anche una breve descrizione dei punti centrali della CMT. Lo studio dettagliato del processo terapeutico effettuato dal SI'PRG ha consentito di identifi­ care alcune regole generali, sintetizzabili nel concetto di “Piano incon­ scio di guarigione”. Secondo Weiss, il paziente giunge in psicoterapia con un piano di guarigione, per lo più implicito o inconscio, che si arti­ cola in modo piuttosto sofisticato e complesso intorno ad alcuni ele­ menti costitutivi principali: tali elementi verranno di seguito eviden­ ziati indicandoli in corsivo. L’idea centrale della CMT è che gli esseri umani hanno una forte di­ sposizione innata a comprendere la realtà c ad adattarsi a essa. Tale di­ sposizione opera fin dall’infanzia sotto forma di piani inconsci che orientano il comportamento, i pensieri e gli alletti verso il raggiungi­ mento di we/e adattative. Se l’ambiente, in particolare quello interper­ sonale, opera in modo da ostacolare la spinta adattativa del piano, il soggetto può sviluppare delle convinzioni su di sé e sugli altri che han­ no un’alta probabilità di essere patogene, nel senso che ostacolano il raggiungimento delle mete adattative, perché considerate, inconscia­ mente, troppo pericolose. Sia le mete del paziente (innate e indirizzate verso una maggiore comprensione e un migliore adattamento) sia le sue credenze patogene (sviluppate sulla base di esperienze “traumati­ che" reali) sono l’oggetto privilegiato del lavoro psicoterapeutico. Nel corso della terapia, il paziente tenderà a “testare” le credenze patoge­ ne all’interno della relazione terapeutica, al fine di superare gli ostacoli che impediscono il pieno raggiungimento delle mete adattative. Se­ condo la CM'l·, l’obiettivo terapeutico è individuare e superare le cre­ denze patogene, in modo da facilitare il pieno dispiegamento della spinta adattativa del piano del paziente, volto a migliorare il controllo e la padronanza degli stati mentali all’interno del contesto interpersona­ le. Il raggiungimento di tale obiettivo passa attraverso quegli in terven ti che Weiss codifica come “a favore del piano” (pro-pian), e che consen­ tono di superare il test. Quest’ultimo viene segnalato, in prim is , da una riduzione dell’ansia - indice indiretto della percezione eli una maggio­ re sicurezza interpersonale - e subito dopo da un miglioramento del­ io 1

Xinsight, indice di uno scatto delle capacità autoriflessive e di una mag­ giore integrazione della conoscenza personale. In altre parole, gli in­ terventi a favore del piano e il loro effetto sulle capacità di mentalizzazione del paziente costituiscono un indice di buona sintonia intersog­ gettiva, volta al raggiungimento degli obiettivi terapeutici. Al contra­ rio, gli interventi “sfavorevoli al piano” (anti-plan), hanno come con­ seguenza un aumento dell’ansia e un brusco decremento delle capa­ cità autoriflessive del paziente con conseguente stallo terapeutico e perdita della concordanza intersoggettiva. Nelle fasi di test le capacità autoriflessive, di decentramento e di let­ tura della mente altrui appaiono limitate dal contesto relazionale di non-sicurezza, in cui il paziente “agisce” quelle strategie comporta­ mentali intimamente connesse alle credenze patogene, sviluppate in contesti interpersonali insicuri o traumatici. E proprio quando il tera­ peuta riesce a garantire condizioni di maggiore sicurezza interperso­ nale attraverso interventi pro-plan, che il paziente mostra uno scatto di insight e di incremento delle capacità metacognitive. Sulla base di queste premesse passeremo ora a descrivere lo studio condotto su un momento di rottura dell’alleanza terapeutica, forte­ mente connesso a una fase di test e a iniziali interventi sfavorevoli al piano da parte del terapeuta. Nel corso delle sedute successive il tera­ peuta sarà in grado di riparare le conseguenze di tali interventi, por­ tando sia a marcati cambiamenti dell’assetto motivazionale interperso­ nale sia a un evidente incremento delle capacità cognitive (incremento segnalato, peraltro, da una riformulazione degli obiettivi terapeutici).

6.2 Metodologia dello studio Il caso che abbiamo scelto è quello di una donna di 42 anni, seguita in terapia dal giugno del 1995 al marzo del 1999. Questa paziente face­ va parte di un gruppo di 20 casi selezionati per un precedente studio, in cui era stata valutata l’ipotesi di una possibile connessione tra esito terapeutico e grado di concordanza delle memorie di paziente e tera­ peuta relative alla terapia conclusa (Cotugno et al., 2004). In questa prima analisi appariva evidente come un buon esito, misurato con sca­ le cliniche e con questionari di valutazione del miglioramento percepi­ to, fosse connesso a un’elevata concordanza tra memorie di paziente e terapeuta relative alle fasi significative della terapia conclusa. La paziente apparteneva al gruppo con alto livello di concordanza: 102

ANALISI DEI MOMENTI PROBLEMATICI IN PSICOTERAPIA

sia la paziente sia il terapeuta individuavano gli stessi episodi chiave come momenti significativi e di svolta della terapia. Uno di questi epi­ sodi chiave, descritti sia dalla paziente sia dal terapeuta al follow-up di sei mesi dalla conclusione della terapia, è stato selezionato per questo capitolo, con l’intento di illustrare i rapporti tra motivazione interper­ sonale ( a i m i t ) , mentalizzazione ( s V a M ) e coordinamento intersoggetti­ vo. Quest’ultimo è stato valutato attraverso la formulazione del piano di guarigione e l’identificazione degli interventi pro-plan e anti-plan del terapeuta. L’episodio in esame attraversa tre sedute consecutive che sono state valutate indipendentemente da tre giudici per quanto riguarda l ’ A IM IT . La stima della S V a M è stata invece condotta in cicco da un quarto giudice. La formulazione del piano è stata effettuata sulla base del materiale emerso durante le prime dieci sedute secondo il protocollo S F P R G , men­ tre gli interventi pro-plan e anti-plan dell’episodio in esame sono stati identificati da due giudici indipendenti. Prima di illustrare l’analisi del­ l'episodio chiave è necessario descrivere brevemente le tematiche emer­ se nel corso delle prime dieci sedute della terapia, al fine di formulare il piano di guarigione della paziente, punto di riferimento per la valutazio­ ne del grado di coordinamento intersoggettivo tra paziente e terapeuta.

6.3 II caso clinico Anna chiese aiuto psicoterapeutico a causa di episodi d’ansia molto intensi, che si manifestavano in modo particolare durante brevi separa­ zioni dal figlio tredicenne. Le separazioni apparivano assolutamente banali ed erano spesso connesse alle normali attività di vita quotidiana: le uscite del figlio per andare dal giornalaio vicino a casa o per recarsi da un amico costituivano per Anna occasioni di panico devastante. Il panico era accompagnato da moderate esperienze dissociative (deper­ sonalizzazione e derealizzazione), e seguito da cefalea intensa e da epi­ sodi di perdita di controllo sull’alimentazione (binge eating). I disturbi del comportamento alimentare erano stati oggetto di una precedente psicoterapia, interrotta dopo poche sedute. La paziente affermò che il binge eating continuava a essere un serio problema, a cui si erano ag­ giunti gli episodi di ansia dissociativa. Inoltre, riferiva di periodi di marcata flessione dell’umore con ipersonnia. 11 motivo principale perla richiesta di una nuova psicoterapia non era, tuttavia, il desiderio di ri­ durre la propria sofferenza, ma il timore di poter essere dannosa per il 103

PARI E PRIMA

figlio, limitandone l’autonomia e impedendone l’armonico sviluppo in­ teriore. A questo timore se ne associava un altro, altrettanto disturban­ te: quello di “non essere poi così diversa” dalla propria madre. Nei racconti della storia di sviluppo emergeva prepotentemente la figura di una madre controllante, imprevedibile e punitiva, e la descri­ zione di un ambiente familiare ipercritico e richiedente. A fronte di ciò, comunque, la paziente serbava alcune immagini dell’infanzia che ricordava con affetto e senso di benessere. Erano ricordi di lei bambi­ na che, sola in un grande corridoio di casa, giocava con le bambole: in quelle reminiscenze fuñica presenza del mondo degli adulti era data dalle loro gambe, che si muovevano da una parte all’altra del corri­ doio. Per Anna, la qualità positiva di quei ricordi era indiscutibile. Queste note sono sufficienti a formulare il piano di guarigione, che a sua volta permette di individuare, nell’episodio chiave, gli interventi anti-plan e pro-plan, e di comprendere i momenti di insight della pa­ ziente (Silberschatz, 2005). Gli obiettivi della paziente (ovvero le m ete da lei espresse esplicita­ mente) erano evidentemente quelli di ridurre gli episodi d'ansia e le crisi di binge eating\ a questi si associava un’altra meta, anch’essa espli­ cita, cioè quella di essere aiutata a gestire e a modulare l’attivazione emotiva che la separazione dal figlio adolescente provocava in lei, al fi­ ne di non danneggiarlo. Su un piano più implicito appariva probabile che un’ulteriore meta fosse quella di ridimensionare la pericolosità percepita nelle relazioni interpersonali in generale, che inibiva forte­ mente uno stile comunicativo più aperto e autentico. Il raggiungimento di tali obiettivi appariva ostacolato da importanti credenze patogene. La prima riguardava un sentimento di incapacità e impotenza, che si trasformava nell’idea di essere intrinsecamente peri­ colosa per il figlio: credenza che poggiava sulle esperienze negative di attaccamento alla madre {traumi), i cui ricordi erano ancora in grado di suscitare confusione e rabbia nella paziente (è possibile ipotizzare un MOT disorganizzato: vedi capitolo 3). La seconda credenza patoge­ na appariva connessa alle memorie di “beatitudine infantile”, che se­ gnalavano invece, agli occhi del terapeuta, una tendenza all’autosuffi­ cienza e all’ipercontrollo della relazione in corso (la vivida memoria degli spostamenti degli adulti, notato con tanta attenzione da veicolare nel ricordo l’immagine mentale delle loro gambe). Autosufficienza e ipercontrollo della relazione esprimono strategie relazionali motivate non di rado dalla credenza patogena che tutte le esperienze di attacca­ mento sono motivo di pericolo e minaccia. 104

t ANALISI Ol i MOMENTI PROBLEMATICI IN PSICOTERAPIA

L'incertezza estrema di Anna nell’attribuire causa e significato alla propria esperienza appariva come la specifica modalità di mettere alla prova le credenze patogene nella relazione terapeutica {test). Inoltre, tale modalità comunicativa si associava a frequenti interruzioni degli interventi del terapeuta, volte forse a impedire la possibilità di un’e­ splorazione più articolata del suo mondo emotivo. Tra gli insight osservabili già nelle prime dieci sedute, è da sottoli­ neare lo stupore che la paziente ebbe nel comprendere come gli episo­ di d’ansia fossero connessi al timore che il figlio sparisse all’improvvi­ so, come inghiottito nel nulla. La sensazione di “vuoto incolmabile”, a cui era associata questa fantasia di sparizione, permise di gettare un ponte, fin dalle prime sedute, con il ruolo del cibo quale strumento di regolazione degli stati interni.

6.4 Rottura e riparazione dell'alleanza durante l'episodio chiave L’episodio di rottura e di riparazione dell’alleanza terapeutica che analizzaremo avvenne in una fase già avanzata della terapia (16° mese), e si dispiegò in tre sedute (102-104). Prima di analizzare queste tre se­ dute, è necessaria una breve descrizione della fase precedente del trat­ tamento. Nei tre mesi precedenti l’episodio chiave, la paziente mostrò un evi­ dente miglioramento, segnalato da un marcato incremento delle capa­ cità autoriflessive e accompagnato da cambiamenti sul piano relazio­ nale (maggiore abilità assertiva e maggiore capacità di richieste affetti­ ve congrue rivolte al coniuge) e su quello sintomatologico (minore ri­ corso al biuge cating come regolatore degli stati interni). Quest’ultimo cambiamento veniva espresso dalla paziente nei termini eli una “mino­ re discordanza tra testa e pancia”. Sul piano del rapporto terapeutico, l’attivazione prevalente del registro motivazionale cooperativo garan­ tiva una più rilevante libertà nell’esplorazione congiunta di stati affet­ tivi fino allora esclusi dallo scambio dialogico. In quel periodo la pa­ ziente cominciò ad affermare come si sentisse ormai pronta all’idea che la terapia potesse anche terminare di lì a qualche mese: cosicché la conclusione della terapia era diventata un importante oggetto di valu­ tazione nel dialogo terapeutico. Nella seduta precedente all’inizio dell’episodio chiave, la paziente riferì uno stato di malessere che accompagnava una serie di considera­ le ^

PARTI·: PRIMA

zioni sulla sua vita lavorativa, venate di amarezza e nostalgia per un pe­ riodo in cui si era sentita inserita in un circuito di relazioni: non sapeva come, ma improvvisamente tutto era cambiato, lasciando un senso di fallimento e di vuoto esistenziale. In accordo con i risultati della ricerca sul processo terapeutico della CMT, le tre sedute dell’episodio chiave possono essere designate sulla base dell’aspetto del processo terapeutico che le caratterizza: 1. prima seduta: test; 2. seconda seduta: rottura dell'alleanza terapeutica (interventi anti-plan); 3. terza seduta: ripristino dell'alleanza terapeutica (interventi pro-plan). Per una maggiore chiarezza espositiva ciascuna seduta è stata divisa in tre sezioni. Di ogni seduta verrà riportato verbatim il trascritto di al­ cuni passaggi particolarmente esemplificativi del tipo di intersezioni tra motivazione interpersonale, metacognizione e coordinamento in­ tersoggettivo che caratterizzano ciascuna fase da noi considerata. 6.4.1 Prima seduta: test e codifiche

a im it

Fin dall’inizio della seduta la paziente (P) appare confusa e irritata con se stessa per avere esposto, nella seduta precedente, sentimenti di malessere e di vulnerabilità attinenti alla sua attività lavorativa. E inol­ tre infastidita dal sentirsi svantaggiata perché “seduta dall’altra parte della scrivania”. Sottolinea più volte di essersi “esposta senza control­ lo”, alludendo a una condizione di subordinazione e di non recipro­ cità della terapia. Alla luce della formulazione del piano di guarigione, appare ipotizzabile che la maggiore esposizione degli stati interni nella seduta precedente costituisse una “messa alla prova” {test) delle cre­ denze patogene riguardo la pericolosità di svelare esperienze di vulne­ rabilità e malessere, o almeno quelle non contestualizzabili nella cate­ goria dei “sintomi di una malattia” e del “timore di essere una cattiva madre”. Il brano seguente esemplifica quale clima motivazionale do­ minasse l’inizio di questa seduta. Brano ì P: C r e d o che sto u n ’altra volta nelle fasi d i rifiuto p e rch é p ro b a b ilm e n te è legato alla cosa d e ll’altra volta... avevo tutti quei pensieri... s o n o arrivata qua e ne h o co m in c ia to a p a rla re ... è ve n u to fu o ri un in c o n tro stra n o in cu i le cose che h o detto era n o estrem am ente confuse, io p a rla vo senza riu scire a o r g a n iz ­ zare le cose, senza u n filo lo gico ... e p oi s o n o uscita ria q ua co n u n a se n sa z io ­ ne. .. u n a se n sa zio n e strana, ero infastidita! G ià l ’altra volta m i s o n o detta: “A

106

ANALISI DEI MI (MENTI ERI IBLEMATKT IN PSICi ITERAIMA

m e n o n m i va d i parlare, d i raccontare... uffa... m i s o n o stufata, m a che ci v a d o a fa r e ?!” e an ch e o g g i n o n m i an dava d i ve n ire e p o i h o detto però, a parte l’im p e gn o, h o detto p e rò che io questa strada l’h o presa, l'h o fatta e sicco m e p oi d u ra n te il p e rc o rso i risultati ci s o n o stati, insom m a... n o n lo so... q u esto aspetto è capitato le p rim e volte, m a era stato superato, co n difficoltà, p erché a n e ssu n o piace sedersi e raccontare le p ro p rie cose... e invece c ’è d i n u o v o , mi pesa, n o n m i va, n o n m i va di parlare, e cre d o che in q u a lch e m o d o c ’entri q u e llo che h o p ro v a to e h o tentato d i dire l’altra volta. C io è p ro b a b ilm e n te per il fatto che io m i s o n o seduta qua, lei sta lì d i fronte, che ascolta, che m i guarda, e io [ride] che h o b u ttato lì q u e llo che se ntivo senza ca p o né coda, e questa cosa m i irrita...

Meritano di essere evidenziate, in questo brano, tre frasi: 1) quella che rimanda a un sentimento di incapacità (“le cose che ho detto erano estremamente confuse, io parlavo senza riuscire a organizzare le cose, senza un filo logico... ”); 2) quella che esprime sentimenti di imbarazzo e di giudizio temuto, in una condizione relazionale vissuta con un vago senso di inferiorità (“lei sta lì di fronte, che ascolta, che mi guarda”); e 3) quella che rivela un atteggiamento di chiara autocritica (“ho buttato lì quello che sentivo senza capo né coda, e questa cosa mi irrita”). Que­ ste frasi evidenziano, secondo il manuale AIMIT, una serie di indicatori di attivazione del sistema di rango, nella subroutine della sottomissio­ ne. Come nel caso di Bianca, illustrato nel capitolo precedente, anche qui l’attivazione del sistema di rango potrebbe essere embricata con quella del sistema di attaccamento: ne è indizio l’accenno all’aiuto ri­ cevuto (“durante il percorso i risultati ci sono stati [...] questo aspetto è capitato le prime volte, ma era stato superato”), ribadito poi con maggiore chiarezza in brani successivi del trascritto. In questa prima fase della seduta è dunque presente una transizione tra attaccamento e rango, probabilmente disarmonica vista l ’esperienza di confusione e di riduzione del senso di padronanza nella capacità di organizzare un “filo logico” con l’interlocutore (vedi manuale AIMIT). La figura 6.1 illustra graficamente la motivazione interpersonale della prima fase della seduta, dominata prevalentemente da transizioni di­ sarmoniche fra attaccamento e rango, che precedono la dichiarazione di uno stato di vulnerabilità percepita, coincidente con la sempre più chiara attivazione del sistema di attaccamento. Nella seconda parte della seduta si assiste infatti a un cambiamento motivazionale, con evidente riduzione dell’attivazione di rango e una più univoca attivazione del sistema di attaccamento. Inizia a manife­ starsi, in questa parte della seduta, anche un incerto accesso alla di107

PARTI- PRIMA

mensione della collaborazione paritetica con il terapeuta - aspetto questo che caratterizzerà maggiormente la terza fase della seduta. Il vi­ raggio motivazionale della paziente appare connesso a un cambiamen­ to di registro da parte del terapeuta che, dopo una prima fase segnata da interventi caratterizzati da una comprensione empatica per la diffi­ coltà di esporre aspetti vulnerabili di sé, chiede esplicitamente alla pa­ ziente di poter esplorare la natura del rapporto terapeutico. Brdno 2 P: P e rc h é queste cose si tiran o fuori... q u a n d o si tiran o fu o r i? R a ris s im a ­ m ente! Q u e s t o n o n so lo io, penso, o g n u n o d i noi... q ueste cose n o n le tiri fu o ­ ri a caso. Q u in d i p o i io lo so che u n o vie n e q u i e viene p e rch é ra ccon ti le cose, p e rò p ro p r io p e rch é n o n si è abituati e p e rch é i m om en ti s o n o rari e p ro p rio p e rch é qu esti rari m o m e n ti a v v e n g o n o q u a n d o c ’è u n o sca m b io , p r o b a b il­ m ente m i ha infastid ita il fatto che q u i n o n c ’è tino sca m b io, io v e n g o qui, m i sie d o e ra cc o n to e mi so n o trovata a raccontare an ch e queste cose. T: M a lei crede veram ente che n o n ci sia u n o sc a m b io ? C r e d o che ci d o b ­ b ia m o soffe rm are u n p o ' d i p iù su q u esto p unto, n o n cre d e ? P: S ì . .. n o n è u n o sc a m b io co m e q u e llo che d ic o io, n o n è u n o sc a m b io alla pari. Io ra cc o n to tutte le m ie cose in u n m o m e n to eli sc a m b io in cu i an ch e l’al­ tro m i racconta ed è d ive rso! Q u i n o n c ’è un ra p p o rto alla pari... ha capito, è difficile! T: C e rto ! P: Il ra p p o rto n o n è alla p ari e u n o si sente sva n ta ggiato in q u alch e m o d o a tirare fuori... n o n è facile! T: E co m e se lei dicesse: " M a ch i è q u esto q u i a cui ra ccon to le m ie c o s e ? ”. P: Sì... [Ride]

ANALISI DI I MOMENTI PROBLEMATICI IN PSICOTERAPIA

T: È c o m p re n sib ile q uesta c o sa che lei sta d ic e n d o ... P: Sì, io d ic o p erch é d ’altra parte m i se m b ra an ch e sc io c c o che io le cose che p e n so e che p ro v o p o i n o n le d ic a ... T: P e n so che sia u n a d iffico ltà asso lu tam e nte ra gio n e vole e co m p re n sib ile .

Dopo aver ridefìnito la natura del rapporto terapeutico, per la pa­ ziente fu possibile elaborare un’immagine ancora più articolata delle sensazioni di fastidio connesse alla seduta precedente Brano 3 P: Sa che m i ve n iva in m en te l'a ltra v o lta ? P r o p r io q u a n d o p e n sa vo ai fasti­ di e alle cose e stavo seduta lì e m i ve n iva d i dire: “E co m e se u n o gio ca una partita di p in g p o n g c o n d a ll’altra parte un co m p u te r! ”, T u sbagli, la m a n d i di qua, la m a n d i di là, la perdi... e q u e llo te la rim an d a se m p re al centro. E in q u alch e m o d o q u esto ti d à la p o ssib ilità di rim etterti in pista. E dici: “V a b e ’, la strada è questa, e u n o co n u n p o ’ di a lle n a m e n to p ia n o p ia n o ce la fa”. E d è l’im m a gin e d i q u e llo che a b b ia m o d e tto adesso! U n p o ’ co m e fa n n o i ge n ito ri con i figli.

E evidente come la dimensione di contesa in atto (“E come se uno gioca una partita di ping pong con dall’altra parte un computer! ”) si as­ soci alla percezione di un aiuto ricevuto (“E in qualche modo questo ti dà la possibilità di rimetterti in pista. E dici: 'Va be’, la strada è questa, e uno con un po’ di allenamento piano piano ce la fa’”). In questo caso la transizione appare però armonica (TrArn Ra At), perché le due attiva­ zioni motivazionali, di rango e di attaccamento, sono ben distinte e col­ legate da un indizio di riflessione critica che segnala il passaggio dall’una ( “sbagli... perdi.. . ”) all’altra (“E in qualche modo questo ti dà la possi­ bilità di rimetterti in pista”). Questa armonia della transizione fra rango e attaccamento consentirà al terapeuta, come vedremo ora, di avviare un’esplorazione congiunta della natura del rapporto genitori/figli. Brano 4 E C o s a v u o l d ire questo g e sto ? [La paziente aveva alzato la m ano com e per indicare un piano p iù alto.] “Q u e lli era n o i m iei g e n ito ri”? In te n d e d ire che stavano su un altro p ia n o ? S u un altro live llo ? E: Sì, stavan o su u n altro piano. E p oi n o n m i piaceva francam ente che i miei ge n ito ri m i gu a rd a sse ro c o m ’e ro dentro... n o n vo le vo ! V e ra m en te io n o n lo vo le vo né d a lo ro né dagli altri... p o i in a lcu n i casi su cce d eva an ch e che ci riuscivo. T: C h e si poteva fare... P: Si poteva fare... ma in casa m ia n o n c ’è m ai stato... e p o i le cose che mi facevano stare m ale n on le avrei dette p erch é li avrei fatti stare m ale inutil-

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FA RIE PRIMA

mente. L e cose p e rso n a li s o n o cose p e rso n a li e c h iu n q u e se le tiene. P re fe riv o gestirm ele d a sola p erch é c o m u n q u e lo ro n o n p o te v a n o avere u n a so lu z io n e p e r m e e m ag ari li avrei angosciati! E r a u n a cosa che n o n c ’era, q u esto tip o d i co m u n ica zio n e .

Questo brano rende evidente come l’esperienza ripetuta di accudimento mancato costituisse la base della convinzione patogena sulla pe­ ricolosità di esporre le proprie esperienze di vulnerabilità, tematica che aveva costituito il fulcro del test operato dalla paziente in questa sedu­ ta. L’autosufficienza obbligata della paziente appare da una parte con­ nessa all’esperienza ripetuta di mancato accudimento (“stavano su un altro piano”) e dall’altra alla convinzione che manifestare sofferenza e bisogno di aiuto avrebbe potuto “far star male inutilmente” gli altri (convinzione di pericolosità dell’attaccamento). Dal brano risulta altre­ sì evidente come gli interventi (pro-plan) del terapeuta abbiano con­ sentito alla paziente di esplorare in modo più articolato le difficoltà e le diffidenze connesse all’apertura di sé in uno spazio interpersonale, col­ legandole ad alcune esperienze della sua storia di sviluppo (insight ). Esaminiamo adesso più da vicino le funzioni metacognitive della paziente durante questo scambio clinico. 6.4.2 Prima seduta: test e codifiche svaM Per chiarezza espositiva abbiamo selezionato solo alcune delle sot­ tofunzioni metacognitive analizzate attraverso la S V a M (vedi capitolo 4): Autoriflessività - in particolare Identificazione e Integrazione - e Mastery. I risultati della nostra analisi sono riassunti nella figura 6.2. Le tre sezioni della figura 6.2 corrispondono a quelle della prece­ dente figura 6.1. Come si vede, nella prima fase della seduta l’Autoriflessività è deficitaria: i punteggi negativi dell’Identificazione esprimo­ no il fallimento della paziente nel definire e distinguere i propri stati mentali. È presente anche un deficit di Mastery. E interessante notare che tale deficit va di pari passo con un’attivazione motivazionale disar­ monica (Tr Dis At -+ Ra: vedi la corrispondente fase 1 nella figura 6.1). La seconda parte della seduta segue gli interventi di invito all’esplo­ razione congiunta e di validazione dello stato interno effettuati dal tera­ peuta (vedi il brano 2 del paragrafo precedente). Questa tase centrale è caratterizzata da un miglioramento delle capacità di identificare gli stati interni e dall’emergere timido di funzioni integrative più articolate. Tali variazioni delle sottofunzioni metacognitive vanno di pari passo con 110

ANALISI DEI MOMENTI PROBLEMATICI IN PSICOTERAPIA

una marcata riduzione delle transizioni disarmoniche e con l'emergere appena accennato di una propensione alla collaborazione paritetica. L’uso efficiente della sottofunzione metacognitiva deH’integrazione diventa ancor più evidente nella terza fase della seduta, in cui la pa­ ziente comincia a collegare le difficoltà di esposizione dell’esperienza di vulnerabilità personale con la propria storia di sviluppo. In questa fase, come abbiamo visto, l’attivazione dell’attaccamento è esclusivamente declinata in una narrazione coerente delle proprie esperienze di attaccamento, che va di pari passo con il rafforzamento della tendenza cooperativa, già emersa nella seconda fase della seduta. 6.4.3 Seconda seduta: rottura dell'alleanza terapeutica, interventi anti-plan e codifiche aimit La seconda seduta dell’episodio chiave è segnata da due interventi anti-plan da parte del terapeuta, che si situano nella seconda e nella terza tase. Nella prima fase, la motivazione interpersonale era orienta­ ta verso la cooperazione paritetica, con alcune transizioni armoniche tra attaccamento e cooperazione: Brullo 5

P: L che probabilmente c’è stato un passaggio in cui è cambiato qualcosa eli sottile, come se avessi avuto la percezione che tutto il lavoro che abbiamo latto fosse stato utile, concreto, che però per tutta una prima fase si sia fermato, ap­ punto, ai comportamenti. Tutto il periodo dei fogliettini \alludc alle sch ed e di 111

p a r t i ; p r im a

autosservazione tipiche delle terapie cognitive 1: d o v e v o p ortare le m ie se n sa zio ­ ni, n o n riu sc iv o a trovarle, ad associarle, n o n che adesso ci riesca facilm ente, m a c ’è stato q u esto p a ssa ggio co m e p o sso sp ie ga re ? N o n è che h o p au ra di ve­ dere q u e st’altro aspetto, n o . .. è co m e se fosse ca m b ia to u n lin gu a ggio .

Il riconoscimento dell’utilità del lavoro svolto con il terapeuta prelu­ de alla possibilità di aprire una nuova fase della terapia, segnalata da un cambiamento di attitudine nell’individuazione e nella gestione degli stati mentali (“come se fosse cambiato il linguaggio”). Sebbene persista una vaga sensazione di difficoltà, la paziente si dichiara disposta all’e­ splorazione dei propri stati mentali (“Non è che ho paura di vedere quest’altro aspetto”). Questa apertura di seduta sembra essere la con­ seguenza degli interventi pro-plan del terapeuta effettuati nella seduta precedente (test). L’invito a un’esplorazione congiunta e paritetica sulla natura dello scambio clinico, con la conseguente ridefinizione della cornice relazionale terapeutica, aveva consentito di superare sostanzial­ mente il test, confutando le convinzioni patogene sulla pericolosità di esporre sentimenti di vulnerabilità personale. La possibilità di inserire tali difficoltà in una storia di sviluppo, narrata con coerenza nella terza fase della seduta precedente, e la presenza di nuovi insight, che segnano l’apertura della seconda seduta, appaiono forti indicatori di supera­ mento del test. Il buon coordinamento intersoggettivo, coincidente con gli interventi pro-plan del terapeuta, appare in grado di sostenere tanto una propensione interpersonale alla cooperazione quanto una maggiore capacità di mentalizzazione delle difficoltà emotive. Questo assetto del lavoro terapeutico sembra condurre a una possibile ricon­ trattazione degli obiettivi terapeutici, suggerita dal brano seguente: Brano 6 P: Il p ro b le m a g ro sso che io h o è questa ansia, creata da m io figlio e d a ll’alim entazione, ed è vero, da lì è p artito il lavoro. I risultati li h o v is ti... m a cre ­ d o che il p e rc o rso si p o ssa m igliorare. S o p ra ttu tto p e rch é in q u e sto p e rc o r­ so... si sta n n o m o d ific a n d o ... alcu n e cose che facevano parte p ro p r io della m ia struttura, qu ale a p p u n to i ra p p o rti con gli altri, q u esto m o d o di tirare su i m uri, le difese, le barricate.

La possibilità di riconoscere l’apertura di una nuova fase del per­ corso terapeutico è però ricondotta dal terapeuta lungo la direzione emersa nelle sedute precedenti all’episodio chiave - prospettiva che, ricordiamo, volgeva verso la possibilità di concludere la terapia (sug­ gerivano questa possibilità sia l’evidente miglioramento sintomatolo112

ANALISI DKI MOMENTI PROBLEMATICI IN PSICOTERAPIA

gico sia le sollecitazioni provenienti dalla paziente stessa). La discre­ panza tra le nuove richieste della paziente e l’assetto mentale del tera­ peuta, sintonizzato più sulle vecchie tematiche che non su quelle emergenti dopo la seduta test, pone le basi per alcuni interventi antiplan: richiamando gli accordi stipulati nelle sedute precedenti l’episo­ dio chiave, il terapeuta propone un lavoro a termine che sembra spiaz­ zare la paziente. Brillio

7

T: L a m ia p erce zion e è che queste tre cose [si riferisce a l l’ansili, tf/binge eating e alle difficoltà d i separazione d al fig lio ] sia n o state affrontate e la m ia v a ­ lu tazion e è che ci sia n o stati g ro ssi cam biam enti. P: Sì, a n c h ’io, ripeto, s o n o co n v in ta d i sì. T: O r a si è aperta u n a n u o v a fa se ... m i c h ie d o se n o n valga la p en a allora, d arsi un term ine da verificare. N o i già c e r a v a m o dati u n a p p u n ta m e n to d i v e ­ rifica. P: A gennaio. T: C e r a v a m o dati u n a p p u n ta m e n to di verifica. L ’altro a p p u n ta m e n to che p ro p o n g o , la m etto lì su l piatto della b ila n c ia p er p o i p oterci ritornare, è v e r­ so g iu g n o o lu glio, p e r p oter p en sa re a un d is c o rs o c o n c lu so co m e esperienza psicoterapica. P: V a bene, io n o n h o idea d ei te m pi... nel se n so ch e io n o n sa p rò m ai identificare il m o m e n to in cu i dire: “V a b e n e a de sso basta sto b e n e ” p e rch é è una re sp o n sab ilità che n o n m i sento d i p re n de re ... p o i L e i giu stam en te dice: “1 la fatto u n percorso , ha fatto dei cam biam enti, ci s o n o stati dei risu lta ti”. Sì, ci s o n o stati dei risultati... p e rò io dal m io p u n t o d i vista, n o n è che d ic o talm ente eclatanti, che a de sso basta. Q u e llo fo rse n o n lo d irò n e a n ch e tra d ie ­ ci anni... io n o n m e la p re n d e rò m ai questa cosa d i dire: “O d d io , a de sso per m e b a sta !”. T: Q u e sto , s e c o n d o me, ci im p o n e d i p o rre dei paletti. P: Sì, m a è p ro p r io una cosa che istintivam ente n o n rie sco p ro p rio . P e r l ’o ­ biettivo che c'e ra aH’inixio, è p e r q u e ll’o b ie ttivo sfu m ato che p o i alla fine n o n è una cosa identificabile. P e rc h é u n o dice: “A h , s o n o guarita, sto b e n e ”, io n o n lo so! Io n o n lo d ir ò mai: “Basta, da d o m a n i sto b e n e ”.

Sono qui evidenti il disagio e la vulnerabilità percepiti dalla pazien­ te a seguito della prematura proposta di chiusura della terapia, pro­ prio in una fase in cui emergeva una sua apertura all’esplorazione degli stati problematici, in una prospettiva di normalizzazione interperso­ nale non più vincolata ai soli aspetti sintomatologici. Il mancato coor­ dinamento intersoggettivo tra il piano della paziente (poter esplorare il suo senso di vulnerabilità all’interno di un rapporto senza dover far ricorso alla “costruzione di muri di difesa”) e la proposta del terapeuta 113

parte; prema

di un lavoro a termine favorisce un cambiamento dell’assetto motiva­ zionale, da un registro cooperativo a uno maggiormente dominato dal­ l’attivazione dell’attaccamento. La figura 6.3 illustra graficamente que­ sto cambiamento dell’assetto motivazionale, che va di pari passo con alcune variazioni del funzionamento metacognitivo. 6.4.4 Seconda seduta: rottura dell'alleanza terapeutica, interventi anti-plan e codifiche svaM Le prime due fasi della seduta sono caratterizzate da un buon fun­ zionamento metacognitivo. La paziente è sufficientemente in grado di identificare i propri stati interni ed è in grado di articolare le capacità autoriflessive nell’ambito di una narrazione coerente, segnalata da un elevato punteggio di integrazione. In queste fasi, inoltre, il funziona­ mento metacognitivo è caratterizzato dalla capacità di problematizza­ re i propri processi mentali, nel tentativo di stimolare il terapeuta ad aprire una nuova fase di indagine sulle difficoltà emotive e interperso­ nali. L’invito del terapeuta a considerare questa nuova fase come un’e­ splorazione a termine prefissato, che prevede una data di chiusura del­ la terapia, conduce a un improvviso crollo delle capacità metacogniti­ ve della paziente, come evidenziato nella figura seguente (6.4). L’impoverimento dell’articolazione metacognitiva va di pari passo con la scomparsa della propensione alla cooperazione interpersonale, rim­ piazzata da un’evidente attivazione dell’attaccamento (vedi figura 6.3 ). 114

ANALISI DEI MOMENTI PROBLEMATICI IN PSICOTERAPIA

6.4.5 Terza seduta: ripristino dell'alleanza terapeutica, interventi pro-plan e codifiche a im it La paziente apre la terza seduta manifestando agitazione e paura (già presenti alla fine della seduta precedente). La connessione tra il senso di vulnerabilità percepito e la proposta di chiusura della terapia è evidente. Termini come paura, timore di essere abbandonata, agita­ zione interna e senso di malessere fisico caratterizzano la prima parte dalla seduta, dominata dal sistema motivazionale dell’attaccamento. Bm//o S P: S o n o stati tre g io rn i, m a m m a m ia! S o n o a n co ra m o lto c o n fu sa rispe tto alle cose. L ’altra volta q u a n d o s o n o u scita da q u a si è scatenata u n a g ra n d e agitazione... m i d o m a n d a v o se questa fosse in re la zio n e alle cose che C e r a ­ v a m o detti, so p ra ttu tto rispe tto a q uesta scadenza. Il p ro b le m a ve ro era la p au ra di c o n fro n ta rm i co n questa sca d e n za o di m ettere nel c o n to che a un certo p u n t o o g n u n o via g g ia d a solo. P e r c h é da sola sto bene, fig u r ia m o c i bL/e], n e ss u n o m i aiuta, che p ro b le m a c ’è, q u e sto è u n p a s s a g g io e p o i si ch iu d e ! In realtà n o n è cosi, m i è p resa u n a p a u ra tre m e n da! S o n o andata a casa agitatissim a... n o n stavo b en e e m i s o n o m essa su un d iv a n o , m i s o n o infilata d e n tro u n p la id e m i s o n o a d d orm e n ta ta , e h o d o rm ito tm p a io d ’ore c re d o e p o i la sera c o m u n q u e e ro a n c o ra frastornata. P o i h o p a ssa to u n a notte agitatissim a.

Di fronte all’espressione di paura e disagio più volte ripetuta, il te­ rapeuta interviene dapprima usando modalità rassicuranti (sistema 115

PARTI·: PRIMA

motivazionale di accudimento), finalizzate al riconoscimento e alla validazione dello stato emotivo della paziente.

Bruno 9 T: M i se m b ra tuttora che lei abb ia sicu ra m e n te u n a rm a m e n ta rio p iù fles­ sibile, ora, rispetto a q u a n d o ci sia m o incontrati, n o . .. P: N o n c ’è d u b b io . T: L a sua reazione ci d ice p e rò che i te m p i n o n e ra n o m a tu ri p e r affrontare questa cosa nel m o d o in cu i io g lie l’h o p rop osta. N e l se n so che e v id e n te m e n ­ te il m o d o in cu i io l’h o presentata è stato un m o d o che l ’ha spaventata. P: Sì, m i ha spaventato.

L’intervento di validazione da parte del terapeuta apre la seconda parte della seduta in cui, dal sentimento di paura percepito di fronte alla proposta di chiusura della terapia, diventa possibile cominciare a esplorare l’esperienza di abbandono e di solitudine provata dopo la seduta, associandola al senso di “vuoto” che appariva dominante nel ricorso al b in gc eating, (tematica questa su cui si era lavorato nel primo anno e mezzo della terapia). La figura 6.5 mostra come nella seconda parte della seduta l’attiva­ zione dell’attaccamento sembri “danzare” con quella dell’esplorazio­ ne paritetica, più volte proposta dal terapeuta dopo aver riconosciuto lo stato di sofferenza e difficoltà in cui la paziente si era trovata dopo la seduta precedente. Il brano che segue illustra molto bene questa fase centrale della seduta.

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J

ANALISI HI I MI >MI NTI PROBI.EMATK I IN PSICCITERAPIA

Brillili 1(1 P: Io m i e ro raccontata p er tanto te m p o che a p p u n to ce la facevo da sola, che ero tanto forte, che in fo n d o avevo la pre se n za di reagire alle situ a zio n i e invece ieri m attina m i se n tivo a nnullata, p r o p r io inesistente, fe ri m attin a è stata p ro p r io u n a gio rn a ta pesante. T: Q u e llo che è su c c e sso ieri m attina ci p erm ette torse d i ca p ire m e g lio quelle crisi d i so litu d in e di cui a ve vam o p a rla to p rim a d e ll’estate, quella se n ­ sazione di a b b a n d o n o . .. co n n e ssa al ra p p o rto co n il cibo. P: Io s o n o ve n u ta q u i p er i m iei p ro b le m i co n il cib o... all’in izio ... n o n ci c re d e v o ... p o i p ia n o p ia n o questa cosa si è m o d ific a ta ... p er m e era, co m e d i­ re, co m in cia a de sso il la v o ro che a b b ia m o fatto. I risultati ci s o n o stati, p erò era un “c o m in c io a d e sso a cap ire che q u alco sa è su c c e s so ”. E allora q u alcosa d ’altro p u ò an ch e succedere! T: A llo r a d iventa c o m p re n sib ile : è co m e se il m io p arlare d i u n a ch iu su ra avesse co n fe rm a to la cosa che lei teme, cioè che p o i p iù d i tanto n o n ci si p o s ­ sa aprire, che è b e n e allora che u n o le cose le tenga p er sé. M a quel che è s u c ­ cesso ci perm ette d i c o m p re n d e re alcu n e cose. P: So p ra ttu tto il d is c o rs o della solitu din e , del vu o to , del fa m o so b u c o n ero legato a q u e sto se n so d e ll’inesistente.

Il riconoscimento dell’intervento anti-plan da parte del terapeuta consente una ricomposizione del coordinamento intersoggettivo at­ torno all’obiettivo di esplorare la vulnerabilità personale in uno spazio interpersonale non percepito più come minaccioso. Tale coordina­ mento è sostenuto da transizioni tra attaccamento nella relazione tera­ peutica (At Rei) ed esplorazione cooperativa (Pa Rei). La transizione motivazionale della paziente si sintonizza con gli interventi più “accu­ denti” del terapeuta (volti al riconoscimento e alla validazione dello stato interno) e con quelli più cooperativo-paritetici (volti all’esplora­ zione congiunta degli stati emotivi). Nel caso di Anna, questa “danza armonica” prelude a un importante ÌHsight e a un marcato miglioramento delle competenze metacognitive registrato dalla SVaM. Seguendo l'invito del terapeuta a connettere lo sta­ to di profonda solitudine e vulnerabilità percepito dopo la seduta prece­ dente, la paziente è portata a riflettere su alcune tematiche riassunte in una sua frase ricorrente: “Prima non era così... prima era diverso! ”. Brano 11 P: Q u e s t o m o d o d i sentirsi d ive rsa da p rim a. “D a q u a n to p r im a ? ”, L e i m e lo ha ch ie sto tante v o lte ... T: Sì, a q uale “p r im a ” fa riferim ento. P: A q u e sto n o n h o m ai risp o sto . M a l'a ltra sera m i se m b ra v a in ve ce di averlo in d iv id u a to chiaram ente. E un p u n to im p o rta n tissim o che io p r o b a b il­

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PARTE PRIMA

m ente n o n d ic o p e rch é forse, in q u alch e m o d o , n o n lo v o g lio dire, p erch é mi si scate n an o dei sensi d i colpa. M a c ’è un p u n to fo n d a m e n ta le che m i ha p r o ­ p rio rad icalm e n te ca m b ia to la v ita ... è la nascita di m io figlio. Q u in d i q u a n d o io le p a rlo del “p r im a ” è “q u e l” prim a. E tutto q u e llo che c ’è p rim a d i quel m o m e n to e che p ro b a b ilm e n te h o delle e n o rm i resistenze a dire, è legato a u n a sorta di se n so di colpa, se io d ic o questa cosa è co m e se p o i m i facessi una co lp a della m aternità, facessi ricadere su m io figlio delle co lp e e che p o i è lu i il re sp o n sa b ile di tutta questa situazione, m a n o n è c o s i...

E interessante notare come il riconoscimento del fallimento del test e della natura sfavorevole al piano dell’intervento effettuato nella sedu­ ta precedente ristabilisca un buon coordinamento intersoggettivo, cen­ trato sull’esplicitazione di una meta terapeutica, fino ad allora rimasta implicita (vedi brani 9 e 10), riguardante un importante sentimento di colpa. La capacità del terapeuta di individuare chiaramente il proprio errore, riconoscendone gli effetti negativi sulla paziente, sembra indi­ care alla paziente che i sentimenti di colpa possono essere ammessi ed esplorati senza vergogna e senza danno. Questa confutazione delle cre­ denze patogene della paziente relative alla colpa si accompagna a un ri­ stabilimento della fiducia di base e a un’ulteriore esplorazione congiun­ ta. Diviene allora possibile, come suggerisce il brano 11, articolare ulte­ riormente la comprensione dell'ansia da separazione del figlio e il timo­ re di danneggiarlo - motivazioni che si ritrovano all’inizio della psicote­ rapia. La cornice motivazionale paritetica consente un’esplorazione meno ansiosa, e accompagnata da maggiori competenze metacognitive, di tutte le dinamiche di attaccamento e di accudimento (Ac Nar). 6.4.6 Terza seduta: ripristino dell'alleanza terapeutica, interventi pro-plan e codifiche svaM L’analisi del trascritto guidata dalla SVaM evidenzia lo stato di flessio­ ne delle competenze metacognitive all’inizio della seduta, che accom­ pagna l’importante attivazione dell’attaccamento (At Rei). Tale situa­ zione è facilmente riferibile alle conseguenze degli interventi anti-plan della seduta precedente. Le dimensioni di Identificazione, Integrazione e Mastery presentano tutte dei punteggi negativi, indicativi di fallimen­ to di queste funzioni metacognitive. La paziente non appare in grado di identificare chiaramente i propri stati emotivi, espressi confusamente e senza alcuna coerenza narrativa. Anche i tentativi di padroneggiare le proprie esperienze emotive risultano deficitari (bassa Mastery), come evidenziato nella prima sezione ( fase 1) della figura 6.6. 118

ANALISI DEI MOMENTI PROBLEMATICI IN PSICOTERAPIA

La capacità del terapeuta di riconoscere l’errore e di validare l’espe­ rienza di confusione, come comprensibile reazione alla seduta prece­ dente, permette una transizione motivazionale armonica fra attacca­ mento e cooperazione che si accompagna a un’amplificazione delle ca­ pacità autoriflessive (alta integrazione). Questo passaggio motivazio­ nale e metacognitivo comporta un insight importante, relativo all’e­ sperienza soggettiva di colpa, su uno stato problematico nucleare del funzionamento mentale di Anna: il timore di essere dannosa per il fi­ glio. La SVaM permette di evidenziare l’uso efficiente delle capacità in­ tegrative e di Mastery che accompagnano il ristabilirsi di un buon coordinamento intersoggettivo tra terapeuta e paziente (vedi la terza fase della seduta nella figura 6.6).

6.5 Considerazioni conclusive Tra gli obiettivi di una coppia terapeutica vi sono le esplorazioni congiunte di stati problematici del paziente. Tuttavia tali scopi richie­ dono una reciprocità emotiva e motivazionale e non soltanto un con­ tratto esplicito razionale: da qui la necessità di sorvegliare attentamen­ te i momenti di disaccordo, gli errori o le cecità relazionali e i propri stati interni, suscitati dal fluire dei contenuti e delle motivazioni. La valutazione di queste finalità, centrale in ogni impresa di ricerca sul processo in psicoterapia, lo è ancora di più per la metodologia AIM IT. La possibilità eli confrontare il modello di analisi motivazionale dei 119

PARTI· PRIMA

trascritti con un altro metodo consolidato come la svaM c, laddove possibile, con altri strumenti riguardanti il coordinamento intersog­ gettivo e la formulazione del piano, aggiunge contributi importanti al­ la nostra comprensione dell’intreccio di dinamiche - intersoggettive, motivazionali, metacognitive - sotteso al cambiamento psicoterapeu­ tico. Ci auguriamo che Tanalisi del caso clinico qui esposta funga da stimolo a impegnarsi in questa complessa e al contempo affascinante impresa per quanti si interessano allo studio dei processi profondi im­ plicati nel lavoro psicoterapeutico.

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Verso la validazione deH’AIMIT Uno studio della inter-rater reliability su trascritti di sedute videoregistrate

Giovanni bussane, Franca Valcella, Susanna Pallini, Antonella Ivaldi, Elena Prunet/i, Franca Scarcella, Lucia Fombolini, Francesca Manarcsi Il capitolo ha lo scopo di introdurre il lettore a un primo confronto con la validità empirica del metodo di valutazione AIMIT. Data la com­ plessità del fenomeno osservato - l’analisi e la rilevazione sistematica degli indicatori di attivazione dei Sistemi motivazionali interpersonali nel dialogo terapeutico - questo capitolo si soffermerà solo su un aspetto, fra i tanti, suscettibile di essere esplorato in forma sperimentale per la validazione del metodo. Tale aspetto riguarda l’affidabilità (reliability) dei processi di codifica dei trascritti, esaminati secondo il me­ todo AIMIT da giudici diversi e indipendenti. Il motivo per cui si è deciso di dare priorità a questo tipo di analisi sperimentale piuttosto che ad altri è semplice e cruciale allo stesso tempo. Proprio in ragione della complessità dei fenomeni oggetto del­ l’attenzione di questo libro e delle molteplici variabili in grado di in­ fluenzarli, abbiamo sentito l’esigenza di accettare da subito un con­ fronto su un terreno più impegnativo per tentare di rispondere a una prima domanda. Due osservatori che si trovino ad applicare il metodo AIMIT alla stessa seduta, codificano il trascritto in modo tale da produr­ re un risultato quantitativo e qualitativo sovrapponibile? In altre paro­ le, quello che il primo osservatore vede e rileva, dal punto di vista del­ l’attivazione degli SMI nel corso dell’esame del trascritto, coincide in misura soddisfacente con ciò che vede e rileva anche il secondo osser­ vatore? E chiaro che la risposta a questa domanda non è né facile né scontata, per molti e validi motivi che saranno qui brevemente riassun­ ti allo scopo di evidenziare la complessità del problema. E altresì evi­ dente che la questione fondamentale dell’accordo e della riproducibi­ lità tra giudici diversi è necessariamente uno dei primi punti da tenere 121

PARTI-: PRIMA

in considerazione per qualsiasi metodo che si prefigga di esaminare e valutare in modo sistematico, valido, attendibile e riproducibile un qualsiasi fenomeno - nel nostro caso un susseguirsi articolato e varia­ bile di specifici fenomeni intersoggettivi, mediati dal linguaggio. In questo senso lo studio dell'inter-rater reliability (affidabilità dell’accor­ do fra giudici) assume rilevanza anche in termini di valutazione siste­ matica di alcuni aspetti legati ai costrutti teorici utilizzati e alle relative definizioni operative descritte nel manuale.

7.1 Considerazioni generali sull'uso di trascritti nella ricerca in psicoterapia Alcune considerazioni generali sulla ricerca in psicoterapia, e in particolare sui metodi che si servono di trascritti di sedute, possono aiutare il lettore meno esperto ad avvicinarsi ai contenuti di questo ca­ pitolo con il necessario senso critico.

In primo luogo, dato che il metodo AIMIT si applica ai trascritti, un primo problema è rappresentato dal fatto che, come tutti i trascritti, anche quelli usati per l’AIMIT perdono tutta l’informazione derivante dalla comunicazione non verbale. Questa perdita di informazione è inevitabile conseguenza dello iato esistente tra la seduta integrale in vi­ vo e la sua trasposizione in trascritto vcrbatim . Il fatto che talvolta la comunicazione non verbale sia preminente in alcuni passaggi del dia­ logo, o che - non di rado - verbale e non verbale possano veicolare informazioni e comunicazioni diverse e a volte contrastanti, sono solo due esempi di come il passaggio al trascritto faccia perdere una parte rilevante del significato della comunicazione originale. Il limite dell’u­ so dei trascritti verbatim è noto (cosi come ne sono noti i vantaggi) e non riguarda il metodo AIMIT in particolare. Ci sembrava tuttavia op­ portuno un richiamo in tal senso, anche in relazione al lungo e artico­ lato dibattito scientifico concernente vantaggi e svantaggi dell’uso dei trascritti, sia per la supervisione clinica sia per la ricerca (Lingiardi, Dazzi, 2006). Un secondo aspetto, forse meno rilevante di quanto si è ritenuto in passato, riguarda l ’effetto della presenza di strumenti di registrazione sull’andamento delle sedute stesse e della terapia in generale. In que­ sto studio abbiamo utilizzato trascritti da sedute videoregistrate. Se è vero che è difficile immaginare che la presenza di apparecchiature per la registrazione audio o video, seppure accettata dal paziente, non pos­ 122

VERSO LA VALIDAZIONE DELL’AIMIT

sa non influenzare la seduta, è vero anche che qualsiasi metodo di rile­ vazione dei contenuti della seduta - diretto o indiretto - è in grado di influenzare ciò che accade nel corso della terapia, in relazione sia al pa­ ziente sia, soprattutto, al terapeuta (Kantrowitz, 2004; Lingiardi, Dazzi, 2006); In ogni caso, nella nostra esperienza e, a quanto pare, pili in generale, non sono stati rilevati particolari effetti di distorsione sul­ l'andamento delle sedute utilizzate, anche perché quasi tutte le terapie ila cui sono stati tratti i trascritti erano correntemente videoregistrate. Un altro tema, direttamente connesso alla validità intrinseca del metodo AIMIT, riguarda l’effettiva applicabilità delle indicazioni di co­ difica contenute nel manuale, e il fatto che queste siano indipendenti dalle caratteristiche del paziente, del terapeuta e, in particolare, del­ l'osservatore o giudice. In altre parole, indipendentemente dal tipo di terapia, di paziente e di terapeuta coinvolti, il metodo AIMIT dovrebbe assicurare che l’osservatore non sia portato a introdurre dei bias, legati per esempio alla sua personale sensibilità alla singola seduta che sta va­ lutando, o ancora a una sua maggiore o minore propensione a siglare come eventi motivazionali interpersonali episodi connessi all’attiva­ zione di uno piuttosto che di un altro SMI. Infine, l’applicazione del manuale, qualora abbia superato gli osta­ coli sin qui sommariamente evidenziati, dovrebbe essere in grado di dare un contributo significativo e affidabile alla comprensione dei complessi processi intersoggettivi e motivazionali che regolano il dia­ logo terapeutico. Esiste infatti il rischio che, in un eccesso di rigore metodologico volto a eliminare tutti i possibili fattori di distorsione, ci si ritrovi tra le mani uno strumento inutile. Vale la pena accennare bre­ vemente a due concetti, ben noti a tutti coloro che si cimentano con gli strumenti di misura: sensibilità e specificità. Uno strumento di valuta­ zione sensibile è sostanzialmente uno strumento che non si fa sfuggire la maggior parte dei fenomeni oggetto di interesse. Uno strumento specifico è invece uno strumento che classifica correttamente il mag­ gior numero possibile dei fenomeni oggetto di attenzione. In teoria, uno strumento dovrebbe essere sia sensibile (rilevare il maggior nume­ ro di fenomeni di interesse), sia specifico (ovvero assicurare che i feno­ meni rilevati siano effettivamente ciò che sembrano essere). Il proble­ ma è che uno strumento di valutazione che sia al contempo molto sen­ sibile e molto specifico è raro, e lo sperimentatore è continuamente co­ stretto a scegliere se privilegiare di piit la sensibilità o la specificità del­ lo strumento di valutazione che si accinge a mettere a punto, in funzio­ ne delle finalità dello strumento e delle esigenze legate alla sua applica­

farti: prima

zione. Se si privilegia la sensibilità a scapito della specificità, si otterrà uno strumento in cui la maggior parte dei fenomeni sarà di grande in­ teresse per il ricercatore (pochi falsi negativi), ma in cui saranno inclu­ si anche altri fenomeni che in realtà non sono ciò che il ricercatore sta cercando (falsi positivi). Viceversa, se si privilegia la specificità, si sarà sicuri che ciò che lo strumento ha rilevato è davvero ciò che si cerca (pochi falsi positivi), ma il prezzo da pagare consiste nel fatto che una parte dei fenomeni che interessano il ricercatore non sarà rilevata dal­ lo strumento (falsi negativi). Nel caso deH’AIMIT, se il giudice che valuta il trascritto facesse pre­ valere Tintuito e la sua propria sensibilità clinica (maggiore sensibi­ lità), utilizzando criteri piuttosto ampi per la codifica, sarebbe in gra­ do di cogliere più eventi motivazionali di quanti ne coglierebbe un se­ condo giudice che si attenesse a un manuale con criteri per la codifica più vincolanti (maggiore specificità). Il problema è che il risultato del­ le due valutazioni sarebbe - con ogni probabilità - molto diverso e quindi non affidabile. Date le finalità dell’AIMIT, in questa fase del pro­ getto si è ritenuto opportuno valutare l'accordo tra giudici a partire dall’applicazione puntuale del manuale AIMIT, utilizzando criteri piut­ tosto restrittivi per la codifica. In altre parole abbiamo deciso di essere meno sensibili e più specifici, ovvero di perdere informazioni poten­ zialmente utili, a beneficio della ragionevole sicurezza sulla corrispon­ denza fra ciò che ciascun giudice ha rilevato e ciò che il manuale iden­ tifica come indicatori della motivazione interpersonale.

Questa scelta, non indolore per dei ricercatori che sono soprattutto dei clinici, è stata in primo luogo applicata nella creazione dello stan­ dard di riferimento, il cosiddetto go ld standard. Il go ld standard è in ge­ nerale la valutazione migliore tra quelle possibili, la più vicina alla realtà, rispetto al fenomeno che s’intende sottoporre a valutazione. Nel nostro caso si trattava di effettuare una codifica del susseguirsi dell’attivazione dei diversi SMI nel dialogo terapeutico che fosse la più vicina possibile a ciò che effettivamente è accaduto in seduta. A tale scopo, le sedute videoregistrate sono state sbobinate e siglate in prima battuta dal terapeuta che le ha condotte. In un secondo momento, le sedute trascritte e le relative codifiche sono state revisionate congiun­ tamente dal terapeuta e da un revisore indipendente, al fine di assicu­ rare al massimo l’applicazione letterale del manuale nel processo di codifica. Esiste infatti in questo caso il rischio che il terapeuta-giudice sia inconsapevolmente portato a siglare la seduta anche sulla base della sua memoria implicita, introducendo quindi elementi di valutazione 124

VF.RSO LA VAI.IDAZIONL 1)1 I.I. AIMIT

che esulano dal trascritto e che non possono - per definizione - essere condivisi da altri. In effetti questo problema si è presentato nonostan­ te gli accorgimenti adottati, e grande è stato lo sforzo per limitare al massimo tale effetto distorsivo. La procedura e i metodi sono descritti nella sezione successiva, ma ci è sembrato opportuno sottolineare qui in anticipo, con questi esempi, la complessità dell'impresa e degli obiettivi che l’AIMIT si prefigge, nonché le difficoltà incontrate in questa fase del nostro lavoro di validazione. L’uso dell’AIMIT dovrà necessa­ riamente tenere conto di queste e altre considerazioni, nonché di una serie di cautele e accorgimenti volti ad assicurare standard qualitativi più che buoni, sia rispetto al materiale da utilizzare (i trascritti), sia ri­ spetto all’applicazione delle indicazioni per la codifica, oltre che - qa va sa n s d ir e - a un’approfondita conoscenza della teoria di base.

7.2 Materiali e metodi 7.2.1 Casistica Lo studio di valutazione della inter-rater reliability si è basato sulla procedura seguente. Dall’archivio disponibile, sono state selezionate otto sedute di psicoterapia videoregistrate e successivamente trascritte integralmente secondo i criteri contenuti nel manuale AIMIT. Le sedute si riieriscono a otto pazienti, con diagnosi in Asse II, con livelli diversi di gravità, di adattamento e di funzionamento psicosociali. Oltre alla dia­ gnosi, è stata effettuata una valutazione della gravità globale mediante la scala v c ; f e sono state riportate la durata del trattamento e gli anni di esperienza professionale dei terapeuti-giudici coinvolti nello studio. Le sedute, condotte da tre terapeuti, sono state selezionate in base al crite­ rio della buona qualità audiovideo. Non sono state incluse sedute con le seguenti caratteristiche: prime visite o sedute di valutazione prima di cominciare la psicoterapia vera e propria (le prime tre sedute); sedute conclusive; colloqui inerenti trattamenti psicofarmacologici. 7.2.2 Procedure Le sedute trascritte sono state in prima battuta siglate dal terapeu­ ta, secondo le istruzioni di codifica contenute nel manuale. Successiva­ mente, sono state integralmente revisionate dal terapeuta e da un revi­ sore esterno, per assicurare la corretta applicazione del manuale di co­ 125

parti: prima

edifica, per due motivi: a) evitare bias legati al terapeuta, al paziente o a entrambi, e b) ridurre al minimo la possibilità di una dubbia interpre­ tazione delle singole unità di codifica. A tale scopo si è ritenuto opportuno suddividere le sedute in unità di codifica, intendendo con ciò ogni singola locuzione di ciascun par­ lante, compresa tra la precedente e la successiva dell’altro interlocuto­ re (vedi Lingiardi, Dazzi, 2006). È necessario identificare e delimitare le singole unità su cui effettuare la codifica del trascritto per poter mi­ surare l'accordo tra giudici. Le unità di codifica sono state numerate progressivamente, dalla prima seduta all’ultima, al fine di facilitare il recupero e la revisione sia in fase di valutazione sia in fase di inseri­ mento ed elaborazione dei dati. Sia la prima codifica (da parte del terapeuta) che la revisione (assi­ stita dal secondo giudice), si sono avvalse dell’ausilio del video per di­ rimere dubbi inerenti il trascritto. Il ruolo del video è stato esclusivamente quello di chiarire aspetti e passaggi di seduta già presenti nel­ l’audio, e quindi nel trascritto. Non sono state considerate invece le informazioni in più, di natura esclusivamente video (per esempio ge­ stualità e linguaggio non verbale), per definizione assenti nel trascritto delle sedute. Le sedute siglate dal terapeuta-giudice e revisionate con­ giuntamente sono state definite come go ld standard , rispetto al quale effettuare tutte le valutazioni e le coditìche successive. Le otto sedute gold, dopo essere state opportunamente suddivise graficamente in unità di codifica, sono state inviate ai giudici in cicc o , per la codifica di controllo. I giudici in cicco - al pari dei terapeuti che hanno siglato le proprie sedute come go ld standard - facevano parte del gruppo di la­ voro che ha contribuito alla stesura e al perfezionamento del manuale ed erano pertanto a conoscenza delle procedure e delle modalità di co­ difica sulla base delle istruzioni contenute in esso. Il gruppo aveva inoltre partecipato nei mesi precedenti a numerose riunioni congiun­ te, il cui scopo era quello di confrontarsi sui criteri di valutazione e co­ difica di trascritti di sedute contenuti nel manuale in corso d ’opera. Nessuno dei giudici in cicco aveva informazioni di alcun tipo su pa­ ziente, diagnosi e tipo di trattamento. Tutte le sedute, una volta siglate sia dal giudice go ld sia dal giudice in cicc o , sono state revisionate ancora una volta da due giudici indipendenti (G.F. e P.V.). Lo scopo di questa revisione di tutto il materia­ le grezzo era duplice: da una parte, uniformare e formattare il materia­ le e individuare errori grossolani nell’applicazione delle procedure (sviste, omissioni, dati mancanti), dall’altra - compito più delicato 126

VERSO LA VALI DAZIONE DELI.’AIMIT

individuare possibili bias di codifica, errori sistematici nell’applicazio­ ne del manuale, difficoltà di interpretazione o lacune nelle procedure ili siglatura indicate nel manuale stesso. Questa revisione ha compor­ tato una necessaria modificazione dei dati grezzi ottenuti in prima bat­ tuta, ma ha permesso di effettuare un sistematico controllo di qualità dei dati e di individuare eventuali punti deboli della procedura di co­ difica descritta dall’AIMIT.

In questa prima fase, è stato necessario apportare alcune modifiche alle originarie procedure rii codifica, tenendo conto delle istruzioni del manuale e dei progressivi ulteriori adattamenti dello stesso in base a problemi di codifica incerta. In particolare, sono state codificate come unità “non siglabili” (e quindi codificate “0” sia ne lg o ld che nel cicco):

- tutte le locuzioni monoverbali senza parola guida (n = 41); - le locuzioni brevi o monoverbali con parola guida dubbia (n = 8); - le locuzioni brevi c incomplete o interrotte (n = 48); - le locuzioni lunghe e complete (comprese le domande), ma prive di parola guida e/o degli indicatori richiesti dal manuale, sebbene dal­ l’interazione si intuisse lo SMI attivo (n = 25) (criterio restrittivo); - le locuzioni in cui era presente il solo indicatore non verbale (n = 2).

Si è raggiunto così un totale di 126 unità di codifica corrette, rispet­ to alla possibilità o meno di siglare ciascuna unità. Sono stati inoltre sanati un certo numero di errori di compilazione, di trascrizione o di input (n = 30). Nel corso dell'analisi preliminare dei dati, è emerso inoltre un erro­ re sistematico di siglatura, dovuto a una specifica ed erronea applica­ zione del manuale. Sono state infatti individuate 76 unità di codifica in cui uno dei due giudici aveva siglato unità in cui il sistema motivazio­ nale attivo nella locuzione era da attribuire a soggetti diversi dal par­ larne. Per esempio, nella locuzione “Lei mi ha descritto come si è sen­ tilo la mattina scorsa, quando si sentiva molto eccitato sessualmente, ma anche molto arrabbiato quando poi era a casa la se ra ...”, il tera­ peuta descrive e riporta uno stato d’animo che è del paziente (e non il proprio). A regola di manuale, questa frase non può ricevere alcuna si­ gla che codifichi un qualsivoglia sistema motivazionale. Anche queste unità sono state considerate come unità “non siglabili” (e quindi codi­ ficate “0” sia nel go ld sia nel cicco). Infine, sempre dall’analisi preliminare dei dati, è emersa una quota rilevante di codifiche discrepanti nella valutazione dell’attivazione del Sistema motivazionale interpersonale (SMI) della cooperazione su un 127

PARTE PRIMA

piano paritetico. Dopo aver individuato tutte le unità in cui tale discre­ panza si verificava e aver catalogato il tipo di errore che presumibilmen­ te era alla base della diversa valutazione, è stato effettuato un incontro tra tutti i giudici al fine di raggiungere un consenso rispetto alla valuta­ zione delle unità considerate (n = 52). Dopo aver collegialmente ridi­ scusso i criteri relativi al sistema cooperativo-paritetico applicati ad al­ cune unità, i frammenti di trascritti contenenti le unità di disaccordo so­ no stati inviati ai sette giudici, che hanno effettuato di nuovo la loro va­ lutazione indipendente e in cieco. Per ciascuna unità, è stata considerata come valida la valutazione su cui concordavano almeno cinque giudici su sette. Grazie a questa procedura, il disaccordo è stato ridotto a 4 unità tra quelle riesaminate. Ovviamente tali correzioni hanno riguarda­ to indistintamente sia le valutazioni go ld sia quelle effettuate in cicco. 7.2.3 Misura dell'accordo La valutazione dell'accordo è stata effettuata secondo il modello del test K di Cohen, in cui la misura dell’accordo è compresa tra un minimo di 0 (nessun accordo) a 1 (accordo completo). Generalmente un accordo superiore a 0.60 è considerato soddisfacente, mentre un accordo superiore a 0.70 è considerato buono o molto buono (> 0.80). L’accordo tra giudici è stato valutato in relazione alle seguenti varia­ bili, per ciascuna unità di codifica:1 1. codifica della presenza/assenza all’interno di ciascuna unità di una locuzione sostenuta dall’attivazione “siglabile” di uno o più SMI (va­ riabile denominata Cod);

2. presenza/assenza di un’interazione motivazionale riferita alla rela­ zione in atto tra paziente e terapeuta (Rei); 3. presenza/assenza di un’interazione riferita/narrata dal paziente, tra paziente e altra figura (Nar), e riportata come tale dal paziente al te­ rapeuta nel corso della seduta (per esempio il paziente che parla del rapporto con la propria madre). Presenza/assenza di interazioni sostenute dall’attivazione di specifi­ ci S M I , e in particolare: 4. Attaccamento (At); 5. Accudimento (Ac); 6. R a n g o ( R a );

7. Sessualità (Sex); 8. Cooperazione tra pari (Pa). 128

VERSO LA VALIDAZIONE DELL’AIMIT

È stato inoltre calcolato l’accordo rispetto alla presenza/assenza di: Transizioni (Tr) da uno S M I a un altro; 10. Transizione armonica (Tr Armi; 11. Transizione disarmonica (Tr Dis), per un totale di 11 variabili. 9.

La valutazione dell’accordo su sistema affiliativo (Af) e gioco socia­ le (Gio) è stata esclusa da questa prima analisi per l’esiguità delle unità in cui tali sistemi comparivano, tale da non permettere un’adeguata stima dell’accordo. L’accordo è stato calcolato separatamente rispetto a tutte le variabi­ li menzionate, per tutte le unità di codifica e per tutte le sedute. La procedura adottata permetteva di misurare l’accordo rispetto alla sin­ gola seduta, ai diversi terapeuti e agli abbinamenti giudice l-giudice2. Non era infatti da escludere a priori una diversa distribuzione dei va­ lori dell’accordo rispetto al tipo di paziente, al terapeuta-giudice gold stdndcird e ai diversi giudici in cicco coinvolti nello studio. I dati ottenuti sono stati inseriti in un database ed elaborati con il programma SPSS.

Tutte le unità in cui è stato individuato un disaccordo rispetto alla variabile Cod (presenza/assenza all’interno di ciascuna unità di codifi­ ca di una locuzione sostenuta dall’attivazione “siglabile” di uno o più SMI), sono state revisionate una per una, e per ciascuna è stata formula­ ta una possibile sorgente del disaccordo al fine di perfezionare per il futuro la procedura di codifica proposta dal manuale A1M1T. Mentre come riassunto in precedenza gli errori grossolani o sistematici indivi­ duati sono stati emendati, tutti gli altri sono stati mantenuti e hanno quindi contribuito nell’insieme alla quota di disaccordo osservato nel­ le diverse variabili considerate.

7.3 Risultati S o n o stati e la b o r a t i i d a t i re la t iv i a lle o t t o se d u te , p e r u n to ta le d i 1 3 4 7 u n it à d i c o d if ic a . C i a s c u n a u n it à è sta ta v a lu t a t a d u e v o lt e (d a l

g o ld e in cicco ) e l ’a c c o r d o è sta to c a lc o la t o p e r c ia s c u n a c o d if ic a in r e ­ la z io n e a tu tte le v a r ia b ili c o n s id e r a t e (n -

11) p e r la v a lu t a z io n e d e l­

l 'a c c o r d o , p e r u n to ta le d i 1 4 .8 1 7 c o d if ic h e a p p a ia te . L a ta b e lla 7.1 p r e s e n t a u n s o m m a r i o d e lla c a s ist ic a u tiliz z a ta , sia in r e la z io n e ai p a z ie n t i sia r is p e t t o a lla te ra p ia . L a f ig u r a 7.1 d e s c r iv e in v e c e le d i s t r i b u z i o n i d i f r e q u e n z a d e lle c o -

129

PARTE PRIMA

Tabella 7.1 Descrittiva del campione sia rispetto ai pazienti sia rispetto alle caratteri­ stiche del terapeuta e della terapia. Pazienti Sesso Età media Diagnosi dsm-iv

Setting

Disturbo di Personalità Borderline Disturbo di Personalità Narcisistico Disturbo di Personalità NAS Ambulatoriale Ricovero

vcf (media)

Durata terapia (media) Esperienza clinica del giudice g o ld Esperienza clinica del giudice In cieco

130

N= 8 3 maschi; 5 femmine 34 anni 5 2 1 6 2 52 14 mesi > 10 anni > 10 anni

VERSO LA VALIDAZIONE DELL’AIMIT

tifiche positive effettuate dal giudice g o ld e da quello in c icc o , sul tota­ le delle 1347 unità valutate. È interessante notare che i due profili (ovvero la forma complessiva che assume l’insieme degli istogrammi nelle due valutazioni) sono mol­ to simili. Sebbene questo non rappresenti in alcun modo una misura dell’accordo, fornisce un’indicazione grafica utile sia per confrontare le due codifiche nel loro complesso, sia per evidenziare alcuni aspetti spe­ cifici. A titolo di esempio, vale la pena mettere in risalto la netta preva­ lenza di unità in cui l’attività degli SMI individuati si riferisce alla rela­ zione in atto (Rei) piuttosto che a SMI attivi in episodi narrati (Nar), o il fatto che il sistema paritetico (Pa) è quello più frequentemente attivo e individuato, sia nella valutazione del g o ld sia in quella in cicco. Le tabelle che seguono (7.2-7.12) riassumono i risultati ottenuti in termini di distribuzione assoluta delle codifiche attribuite dal giudice g o ld e dal giudice in cicco , e i relativi valori di K per ciascuna delle varia­ bili su cui è stato misurato l’accordo. A beneficio di tutti coloro che non hanno particolare dimestichezza con l’analisi dei dati di ricerca, fornia­ mo una legenda per la tabella 7.2 che può essere applicata a tutte le al­ tre. La tabella 7.2, così come le successive, è una classica tabella a dop­ pia entrata (o tabella 2x2) e deve essere interpretata in questo modo: bi­ sogna considerare le 4 celle in grassetto e corsivo; nella prima in alto a sinistra e in quella in basso a destra sono indicati i totali delle unità (e le percentuali relative al totale delle unità) per i quali i due giudici - g o ld e in cicco - si sono trovati in accordo (accordo osservato); nel primo caso hanno entrambi siglato “0” (assenza di locuzione siglabile; n = 561); nel secondo hanno entrambi siglato “1” (presenza di locuzione siglabile; n = 618). Le altre due celle, ovvero quella in alto a destra (n = 66) e quella in basso a sinistra (n = 102), indicano i numeri e le percentuali relative alle unità in cui i due giudici non erano d’accordo, nel primo caso perché il giudice g o ld aveva siglato la presenza (e il giudice in cicco l'assenza) di un’unità siglabile, e viceversa nel secondo caso. Quindi, sommando in obliquo le percentuali delle celle in cui c’è accordo, si ottiene una percentuale pari all’87,5%, mentre la somma delle altre due indica la percentuale di unità in cui è stato rilevato il di­ saccordo (12,5°/>). Come potrebbe ingannevolmente sembrare, la per­ centuale di 87,5% non indica tuttavia la misura dell’accordo, ma solo - come detto - la percentuale di unità di codifica relative all’accordo osservato. Il K di Cohen è una misura dell’accordo che tiene conto an­ che della quota di accordo dovuto al caso ed è per questo che nella ta­ bella 7.2 il K è pari a 0.75 (ovvero al 75%; vedi Jekel et al., 1996). 131

PARTI; PRIMA

Tabella 7.2 Accordo sulla presenza/assenza all'interno di ciascuna unità di codifica di una locuzione sostenuta dall'attivazione codificabile di uno o più smi (Cod). (K = 0.75)

Cod Giudice in cieco 0 1 Totale

Giudice g o ld 0

1

56 ì (4 1 ,6 % )

66 (4 ,9 % )

102 (7,6%) 66 3 (49,2%)

618 (4 5 ,9 % )

684 (50,8%)

totale 627 (46,5%) 720 (53,5%) 1347 (100%)

Tabella 7.3 Accordo sulla presenza/assenza della codifica Rei (interazione motivazio­ nale riferita alla relazione in atto tra paziente e terapeuta). (K = 0.65) Rei Giudice in cieco 0 1 Totale

Giudice g o ld 1

0

6 6 7 (4 9 ,5 % )

9 6 (7,1%)

1 5 7 (1 0 ,2 % )

447 (3 3 ,2 % )

804 (59,7%)

543 (40,3%)

totale 763 (56,6%) 584 (43,4%) 1347 (100%)

Tabella 7.4 Accordo sulla presenza/assenza di una locuzione in cui il paziente narra (Nar) o riferisce di interazioni tra sé e altri diversi dal terapeuta. (K = 0.61) Nar Giudice in cieco 0 1 Totale

Giudice g o ld 0

1 64 (4 ,8 % )

1 0 9 6 (8 1 ,4 % )

126 (9 ,4 % )

61 (4 ,5 % )

190 (14,1%)

1157 (85,9%)

totale 1160 (86,1%) 187 (13,9%) 1347 (100%)

Tabella 7.5 Accordo sulla presenza/assenza all'interno di ciascuna unità di siglatura di una locuzione sostenuta dall'attivazione dello smi di attaccamento (At). (K = 0.60) At Giudice in cieco 0 1 Totale

Giudice g o ld 0

1

1089 (8 0 ,8 % )

68 (5 % )

64 (4 ,8 % )

126 (9 ,4 % )

194 (14,4%)

1153 (85,6%)

totale 1157 (85,9%) 190 (14,1%) 1347 (100%)

Tabella 7.6 Accordo sulla presenza/assenza all'interno di ciascuna unità di siglatura di una locuzione sostenuta dall'attivazione dello smi di accudlmento (Ac). (K = 0.32) Ac Giudice in cieco 0 1 Totale

Giudice g o ld 0

1 78 (5 ,8% )

7 183 (87,8% ) 49 (3 ,6% )

3 7 (2 ,7 % )

1232 (91,5%)

115 (8,5%)

132

totale 1261 (93,6%) 86 (6,4%) 1347 (100%)

VLRSO LA VAI.1DAZK >NL D r.I.L 'A lM IT

Tabella 7.7 Accordo sulla presenza/assenza all'interno di ciascuna unità di siglatura di una locuzione sostenuta dall'attivazione dello s m i di rango (Ra). (K = 0.57)

Ra Giudice in cieco

Giudice g o ld 0

0 1

1055 (7 8 ,3 % )

59 (4 ,4 % )

96 (7,7%) 1151 (85,4%)

1 3 7 (1 0 ,2 % )

Totale

1

196 (14,6%)

totale 1114 (82,7%) 233 (17,3%) 1347 (100%)

Tabella 7.8 Accordo sulla presenza/assenza all'interno di ciascuna unità di siglatura di una locuzione sostenuta dall'attivazione dello smi sessuale (Sex). (K = 0.64) Sex Giudice in cieco

Giudice g o ld 0

0 1

1281 (95,1% )

1 5 (0 ,4 % )

29 (2 ,2 % )

32 (2 ,4% )

Totale

1310 (97,3%)

37 (2,7%)

totale 1286 (95,5%) 61 (4,5%) 1347 (100%)

Tabella 7.9 Accordo sulla presenza/assenza all'interno di ciascuna unità di siglatura di una locuzione sostenuta dall'attivazione dello smi cooperativo-paritetico (Pa). (K = 0.68) Pa Giudice in cieco

Giudice g o ld 0

1

0

881 (6 5 ,4 % )

1 Totale

103 (7,6% )

2 9 0 (2 1,5% )

984 (73,1%)

363 (26,9%)

73 (5 ,4 % )

totale 954 (70,8%) 393 (29,2%) 1347 (100%)

Tabella 7.10 Accordo sulla presenza/assenza all'Interno di ciascuna unità di siglatura di una locuzione in cui è presente una transizione (Tr). (K = 0.46) Tr Giudice in cieco

Giudice g o ld 0

0

1062 (7 8 ,8 % )

94 (7 % )

1 Totale

87 (6 ,5 % )

104 (7,7% )

1149 (85,3%)

1

198 (14,7%)

totale 1156 (85,8%) 191 (14,2%) 1347 (100%)

Tabella 7.11 Accordo sulla presenza/assenza all'interno di ciascuna unità di siglatura di una locuzione in cui è presente una transizione armonica (Tr Arm). (K = 0.28) Tr Arm Giudice in cieco

Giudice g o ld 0

0

1152 (8 5 ,5 % )

1 Totale

80 (5 ,9 % )

4 0 (3 % )

12 32 (91,5%)

115 (8,5%)

1 75 (5 ,6 % )

133

totale 122/ (91,1%) 120(8,9%) 1347 (100%)

T PARTE PRIMA

Tabella 7.12 Accordo sulla presenza/assenza all'interno di ciascuna unità di siglatura di una locuzione in cui è presente una transizione disarmonica (Tr Dis). (K = 0.34)

Tr Dis Giudice in 0 1 Totale

c ie c o

Giudice g o ld 0

1

1 2 2 2 ( 9 0 ,7 % )

5 4 (4 % )

4 2 (3 ,1 % )

2 9 (2 ,2 % )

1264 (93,8%)

83 (6,2%)

totale 1276 (94,7%) 71 (5,3%) 1347 (100%)

7.4 Discussione Come si evince dai valori espressi nelle tabelle, delle 11 variabili su cui è stato calcolato l’accordo (K), 6 (Cod, Rei, Nar, At, Sex, Pa) han­ no valori di K pari o superiori a 0.60 e sono quindi soddisfacenti. I va­ lori più alti si riferiscono alla variabile Cod (K = 0.75) e al sistema ses­ suale (K = 0.64), mentre per il sistema di rango (Ra) si evidenzia un ac­ cordo pari a 0.57, che sebbene lievemente inferiore alla soglia conven­ zionale di 0.60 è comunque sostanzialmente accettabile. La variabile relativa alla siglabilità o meno di SMI attivi (Cod) nelle singole unità non è espressamente descritta dal manuale e non si riferi­ sce ovviamente ad alcun sistema motivazionale specifico. Rappresenta tuttavia un’importante variabile di controllo, da cui dipendono per definizione tutte le altre codifìche. L’accordo su questa variabile (che in sostanza definisce dicotomicamente se un’unità contiene indicatori sufficienti per poter evidenziare l’attività di uno o più SMI nella locu­ zione) è di fondamentale importanza per la validità del metodo AIMIT in generale. E intuibile infatti che un accordo non soddisfacente sui criteri generali per siglare o meno un’unità, rappresenterebbe un serio ostacolo alla validazione dello strumento anche rispetto a tutte le altre variabili relative alla codifica dei singoli SMI. Stesso discorso, anche se con qualche differenza, si può fare per le variabili Rei e Nar, rispettivamente riferite all’attivazione di uno SMI nella relazione in corso (tra paziente e terapeuta), oppure tra uno dei due e un terzo (riferita quindi a un episodio narrato). È importante, anche a fini di ricerca futura, che la distinzione tra locuzioni Rei e lo­ cuzioni Nar sia chiara e che su questo ci sia accordo nella valutazione, perché da questa variabile si potrebbero evincere, per esempio, signifi­ cative informazioni qualitative sulla natura dell’interazione, della se­ duta e dell’intero trattamento. È stato inoltre evidenziato che in rela­ zione alla codifica Rei e Nar parte del disaccordo osservato era da at13 4

VERSO LA VA LI DAZIONE DLLL'AIMIT

rribuire a uno dei giudici, che interpretava in modo restrittivo le istru­ zioni del manuale, attribuendo spesso la codifica “0 ” sia a Rei sia a Nar nella stessa unità. Questo pone un problema di definizione e in­ terpretazione del manuale, che potrebbe essere oggetto di attenzione in lavori futuri. Per quanto riguarda l’accudimento, il cui valore di K è pari a 0.32, si evidenzia una maggiore frequenza di codifiche positive nel go ld piuttosto che nel cicco (29 unità in cui il go ld vede un accudimento che il cicco non rileva). Questo può essere dovuto a vari fattori, tra cui istru­ zioni di codifica contenute nel manuale non sufficientemente chiare e dirimenti, una maggiore propensione alla codifica di questo SMI da parte del giudice go ld che in questo caso è anche il terapeuta, una diffi­ coltà intrinseca a rilevare dal trascritto questo sistema motivazionale rispetto ad altri. Una possibile spiegazione, inoltre, potrebbe risiedere in uno dei criteri di codifica che riguarda l’uso di espressioni di compassione/empatia, che in assenza di indicatori inequivocabili potreb­ bero essere attribuite sia al sistema deH’accudimento sia a quello pari­ tetico. L interessante notare come l’analisi della distribuzione delle co­ difiche per Laccudimento sia l’unica a mostrare un netto eccesso di codifiche nel go ld (o un difetto nel giudice in cicco). Per tutti gli altri SMI (sessuale, di rango, paritetico) - con l’eccezione dell’attaccamento in cui i valori si equivalgono - è il giudice in cicco a siglare più spesso del giudice go ld standard. Ciò vale anche per altre variabili non direttamente attribuibili a singoli SMI, come Cod e Rei. Questa tendenza piuttosto evidente, per la quale il giudice in cicco sigla complessiva­ mente di più del giudice go ld standard , non trova al momento una spiegazione certa, ma permette di formulare alcune ipotesi. Una, in particolare, potrebbe essere la seguente: dato che i due giudici aveva­ no Lina conoscenza della seduta diversa (uno era il terapeuta e l’altro un giudice esterno), è possibile ipotizzare che la maggiore conoscenza implicita da parte del giudice go ld , nonostante i contrappesi applicati, abbia in qualche misura valutato più restrittivamente una quantità di unità, basandosi su elementi conoscitivi non chiaramente presenti nel trascritto. Una risposta a questa domanda potrà venire quando sarà ef­ fettuata una valutazione Dif). Le re­ gole per il codice Dif saranno pertanto elencate nel manuale all’inter­ no della sezione relativa al sistema di attaccamento. Il codificatore dovrà apporre, accanto al margine sinistro del tra­ scritto, in aggiunta ai codici dei vari SMI, anche il codice relazione (Rei) se la motivazione è rivolta direttamente all’interlocutore del dia­ logo, oppure il codice narrazione (Nar) se invece compare nel raccon­ to di interazioni con altri, o nei racconti di sogni e fantasie nelle quali l’interlocutore diretto non appare fra i protagonisti. Si otterranno così codici doppi (per esempio At Rei, Ac Nar, Pa Rei, Sex Nar) accanto al margine sinistro del trascritto. Se il locutore nomina un’interazione con altri al fine probabile di ri­ ferirsi o alludere, coscientemente o no, all’interlocutore presente, si possono usare entrambi i codici: Nar Rei (per esempio, At NarRel). Si raccomanda tuttavia parsimonia nell’uso del doppio codice Nar Rei, e di ispirarsi per la scelta di esso agli esempi citati, per ciascuno SMI, nel­ la sezione seguente. Questa cautela è particolarmente importante nel caso del racconto di sogni. Nonostante, infatti, sia possibile che il pioi bì

farti: seconda

tagonista terzo (anche sconosciuto) di un sogno narrato a un interlo­ cutore sia una sorta di rappresentazione metaforica dell’interlocutore stesso, il presente manuale non può trattare tale eventualità come se fosse una certezza, o un dato di osservazione diretta. L’analisi degli aspetti metaforici di un dialogo richiederebbe un manuale del tutto di­ verso. Analogamente, si può legittimamente affermare che, durante ciascuna seduta psicoterapeutica, ogni narrazione avviene in una rela­ zione, e dunque ne è influenzata e la influenza. Tuttavia, alcune impor­ tanti operazioni terapeutiche richiedono la distinzione fra racconti di episodi e locuzioni puramente semantiche, e suggeriscono che tale di­ stinzione possa essere sussunta in quella più ampia, qui proposta, fra parti del trascritto in cui l’interlocutore è direttamente interpellato o comunque nominato (Rei), e parti nelle quali sono narrati episodi o produzioni mentali della vita personale nelle quali l’interlocutore non è in alcun modo intervenuto (Nar). Un esempio dell’importanza della distinzione di cui qui trattiamo è offerto da un brano di trascritto in cui il terapeuta, fronteggiando un discorso del paziente su di sé che esprime conoscenza esclusivamente semantica, si sforza di ricondurre esplicitam ente alla relazione in corso tale stile comunicativo (alexitimico), e allo stesso tempo di ottenere un’alternativa di dialogo più ricca di narrazioni episodiche: P: Va be’, nell’ambiente di lavoro io tendo a defilarmi. T: Ma nota che tende a defilarsi anche qua? Cioè io le chiedo un esempio più specifico e Lei mi dice “nell’ambiente di lavoro”. Tende a defilarsi, non è molto specifico, l’ambiente di lavoro è vasto. (Osimo, 2001, p. 161 ) La prima unità comunicativa di questo scambio non può ricevere alcun codice. La seconda, in cui parla il terapeuta, merita evidente­ mente il codice Rei. Se il paziente rispondesse, in una terza unità di co­ difica, con un episodio specifico del passato lontano o recente che non implica il terapeuta, pur essendo ciò una risposta alla richiesta dell’in­ terlocutore diretto, i criteri qui proposti imporrebbero di codificarla Nar (o meglio, Nar Rei) e non solo Rei. La sigla Nar, in sintesi, va considerata ogni volta che il discorso con­ tenga manifestazioni della memoria episodica o racconti di fantasie e sogni. Talora, una narrazione contiene il resoconto di una seconda nar­ razione: si apponga, in tal caso, sempre una sola sigla Nar, non due, al margine della locuzione. Per esempio: “Ieri ho incontrato un mio vec­ chio amico (Nar). Mi ha raccontato che l’anno scorso ha iniziato anche 162

IL MANUALE AIMIT

lui una psicoterapia, e questo mi ha fatto sentire meno diverso, meno sbagliato”. Il racconto dell’amico, all’interno della narrazione dell’in­ contro latta al terapeuta, non riceve nuovamente il codice Nar. Descrizioni generali di sé e degli altri (conoscenza semantica) pos­ sono comparire isolate in una locuzione, talora in modo tale che non è chiaro a chi siano rivolte. In tali casi, può essere impossibile assegnare tanto il codice Nar quanto il codice Rei: le locuzioni in questione de­ vono allora essere codificate solo rispetto allo SMI in esse implicato. Per esempio, locuzioni del tipo “sono un tipo molto ansioso, ho sem­ pre bisogno di rassicurazioni”, qualora non sia chiaro che costituisco­ no Lina descrizione di sé rivolta all’interlocutore presente con il fine di ottenere conforto, può essere codificata solo At. Se invece è chiaro che essa si rivolge all’interlocutore presente per chiedere rassicurazione, deve essere codificata At Rei. Ecco due esempi: “Sono uno molto an­ sioso, spero che Lei mi aiuti, dottore” (At Rei); “Mia figlia è sempre tanto depressa, e mi strazia vederla così: cosa posso fare per aiutarla?” (At ►Ac Rei). Analogamente “mio marito sa che sono ansiosa, ma non mi dice mai una parola di rassicurazione” va codificata At Nar (ma potrebbe ricevere il codice At NarRel se fosse chiaro, per esempio dal contesto di un’unità di codifica in cui il terapeuta ha offerto una rassicurazione, che la locutrice intende confrontare la risposta del ma­ rito alle sue ansie con quella del terapeuta). In casi dubbi può essere utile considerare il tempo del verbo, per decidere se una locuzione contenente elementi di conoscenza semantica sia codificabile o meno come narrazione: la conoscenza semantica è spesso espressa al presen­ te, mentre una narrazione (conoscenza episodica) è espressa con tem­ pi di verbo passato. La distinzione accurata fra codici Nar e Rei è im­ portante, perché le ricerche, in cui si confrontano gli assetti motivazio­ nali reciproci di paziente e terapeuta, richiedono necessariamente che il confronto avvenga fra unità di codifica attribuite a paziente e tera­ peuta che: a) si susseguono immediatamente e b) sono codificate en­ trambe Rei, oppure Nar Rei. L’importanza della distinzione accurata è tale che è preferibile omettere l’attribuzione del codice Nar o Rei a un’unità comunicativa, piuttosto che assegnarli in modo erroneo. E utile, anche se non necessario, sottolineare con colori diversi le locuzioni nelle quali compaiono indicatori dell’attività di SMI diversi: per esempio blu per At, verde per Ac, rosso per Ra, nero per Pa, giallo per Sex, viola per Af, marrone per Gio. Si usino sottolineature sottili e non evidenziatori sui caratteri, in modo da permettere che qualche lo­ cuzione sia sottolineata se necessario con due colori diversi. In questo 163

PARTE SECONDA

m o d o , s a rà p iù fa c ile la r ile ttu ra d e l tr a s c r itto fin a liz z a ta a lla ric e rc a r a ­ p i d a d i l o c u z i o n i c o n t e n e n t i i n d i c a t o r i d i u n d a t o SMI.

In una singola unità di codifica possono comparire più frasi, ciascu­ na delle quali permette l’uso dello stesso codice. In tal caso, si usi al margine la sigla corrispondente una sola volta per tutta l’unità di codi­ fica, al fine di semplificare la valutazione finale del trascritto. È possi­ bile, come si è detto sopra, che un’unità di codifica non riceva alcun codice (se essa è troppo breve, oppure se in essa sono assenti gli indi­ catori di tutti gli SMI considerati dal manuale). Dopo la seconda lettura, è opportuno rileggere il trascritto almeno una terza volta, per accertarsi che si sia prestata attenzione a ogni indi­ catore presente nelle varie unità comunicative. In casi dubbi e com­ plessi, può essere utile rileggere il trascritto anche più volte. Le letture del trascritto (la prima, e soprattutto quelle che la seguono) possono essere guidate dalla conoscenza e dall’attiva ricerca delle “parole gui­ da”, capaci di suggerire la presenza di indicatori di ciascuno SMI nel­ l’unità di codifica in esame. La lista delle parole guida segue, nel ma­ nuale, quella degli indicatori di ciascuno SMI. E inoltre fornito, in ap­ pendice, un glossario che pone in ordine alfabetico tutte le principali parole guida che nel manuale sono disperse fra le diverse sezioni dedi­ cate ciascuna a uno SMI. Il codificatore potrà consultarlo ogni volta che si trovi a voler riflettere su un particolare termine, incontrato nei tra­ scritti, che gli appaia indicativo di una motivazione interpersonale. Il glossario si propone di stimolare la riflessione comparativa sui diffe­ renti valori motivazionali che le parole guida possono assumere in di­ versi contesti di discorso. Si raccomanda la ricerca attenta delle parole guida, ed eventualmente la successiva consultazione del glossario, ogni volta che la codifica di un brano del trascritto appaia dubbia usando solo gli indicatori più generali dei vari SMI. La lista degli indicatori, per alcuni SMI, è suddivisa in “indicatori non verbali” e “indicatori verbali”. Per altri SMI, tuttavia, il manuale of­ fre soltanto la lista degli indicatori verbali, dato che le emozioni corri­ spondenti ad alcuni SMI per lo più non raggiungono, nel corso del tipo di dialogo caratteristico di una relazione psicoterapeutica, modalità espressive non verbali sufficienti per essere rilevate da chi trascrive la registrazione. Anche qualora la registrazione utilizzata da chi trascrive il dialogo fosse in video e non soltanto sonora, la trascrizione dovrà rife­ rirsi esclusivamente a quegli indicatori non verbali di emozioni che si potrebbero cogliere usando solo il canale uditivo (risata, risolino, pian­ to silenzioso, singhiozzo, variazioni marcate del tono di voce, pause di 164

IL MANUALE AIMIT

silenzio, urla). Il motivo di questa limitazione è la complessità e la varia­ bilità individuale del processo mentale necessario per desumere una qualsiasi emozione usando informazioni visive. Una così ampia variabi­ lità individuale di giudizio comporta Pimpossibilità di giungere a un ac­ cordo ira osservatori indipendenti attraverso la guida di un manuale. La presenza di indicatori non verbali di un qualsiasi SMI permette l’uso del corrispondente codice motivazionale specifico solo quando è accompagnato da altri indicatori (verbali) di quello SMI nella stessa unità di codifica. La presenza di un indicatore non verbale può però determinare l’uso del codice generale relazione (Rei). Un esempio si ha quando le lacrime accompagnano una narrazione, senza altri indi­ catori verbali, da cui si evince che il locutore sta riferendosi all’interlocutore presente (vedi III.l.a). In tal caso, non si codificherà soltanto Nat·, ma piuttosto Nar Rei. 11 manuale va preferibilmente consegnato ai codificatori nella for­ ma di fogli isolati, riuniti in un raccoglitore per fogli mobili, per le sot­ tosezioni della sezione terza e per la sezione quarta. In tal modo, è faci­ litata la consultazione separata delle pagine riferite alla codifica di ogni singolo SMI, e di quelle riferite agli indicatori di transizione da uno SMI all'altro.

111. Indicatori di attività dei vari Sistemi motivazionali interpersonali In questa sezione, per illustrare gli indicatori di attività dei vari SMI, si usa preferibilmente il maschile, riferendosi dunque agli scambi co­ municativi fra u n paziente e u n terapeuta. Ogni sottosezione dedicata a ciascuno SMI contiene, oltre agli indi­ catori generali, un elenco di parole guida, il cui scopo è di richiamare l’attenzione del codificatore sulla possibile presenza, nella locuzione in cui compare quella parola guida o un suo sinonimo, di indicatori appropriati e specifici per ciascuno SMI. L’attribuzione di un determi­ nato codice motivazionale a una locuzione sulla base della presenza in essa di una sola parola guida deve essere evitata: altri indicatori, oppu­ re una sequenza di almeno due parole guida relative a uno stesso SMI nella stessa unità di codifica, sono condizioni necessarie per l’attribu­ zione di un codice che afferma l’attività di quello SMI. Il codificatore, dopo una prima siglatura del trascritto relativa agli indicatori dei vari SMI, per accertarsi di non avere trascurato di codifi-

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care la presenza di un dato sistema in una qualsiasi fase del dialogo, potrebbe decidere di effettuare una ricerca automatica, computerizza­ ta, delle parole guida nel trascritto, e poi cercare altri indicatori del si­ stema in ogni unità di codifica nella quale compare la parola guida. L’attenzione globale rivolta all’intera unità di codifica, piuttosto che a singole frasi che eventualmente la compongano, può rivelarsi partico­ larmente utile nell’analisi di locuzioni lunghe, composte da più frasi pronunciate in sequenza da uno dei due interlocutori. La descrizione degli indicatori del primo sistema motivazionale analizzato (il sistema di attaccamento, At) si sofferma più di altre, rela­ tive ad altri SMI, a esemplificare la distinzione fra codifiche Nar e Rei. Il motivo della minore attenzione dedicata alle codifiche Nar e Rei nell’analisi degli indicatori di altri sistemi è l’economia espositiva. Il codificatore dovrà ricordare che i principi generali per l’uso delle sigle Nar e Rei sono gli stessi per tutti i sistemi. Ill.l Sistema di attaccamento (At)

111. l.a Indicatori non verbali Pianto (silenzioso come quando rivelato solo da pause e lie v i singul­ ti, oppure singhiozzante)

Siglare sempre Rei, perché il paziente piangendo si riferisce comun­ que inevitabilmente alla relazione terapeutica in atto. Di solito il pian­ to accompagna il resoconto verbale di situazioni nelle quali si trova in difficoltà, ed è fatto in contesti percepiti come di aiuto: tali indicatori verbali permetteranno di attribuire il codice At al brano del trascritto in cui compare il pianto. Se il pianto accompagna una narrazione di un evento passato che non implica il terapeuta, si usi la sigla At NarRel. Risata sul dolore

E caratterizzata dal riso o dal risolino che accompagna la descrizione di un episodio nel quale il paziente ha sperimentato un dolore o è stato vittima di un evidente trauma. La risata sul proprio dolore è un evento relativamente comune. Anche qualora il dolore descritto riguardi un episodio nel quale il terapeuta non è implicato, il che inviterebbe a si­ giare il passaggio del trascritto At Nar, la risata indica una svalutazione marcata di una propria emozione nel dialogo in atto, e quindi merita anche la simultanea codifica Rei (At NarRel). Anche in assenza di contemporanei indicatori del sistema motivazionale di rango (descritti 166

il manuali: aimit

oltre), la risata sul dolore rende opportuno l’uso del codice Ra simul­ taneamente al codice At (At —►Ra). In sintesi, l’importante fenomeno della risata sul proprio dolore va di regola codificato At -» Ra NarRel. Variazioni del torio di voce

In questo caso, è più che mai necessario cercare con particolare cura indicatori verbali di attivazione del sistema di attaccamento, prima di poter usare il codice At. Per esempio, se un’elevazione del tono di vo­ ce accompagna una descrizione verbale della percepita mancanza di attenzione, da parte del terapeuta, alle sofferenze del paziente, ciò rafforza l’impressione di una protesta riferibile al sistema di attacca­ mento. Comportam enti che esprimono ritiro dalla relazione

Un esempio è il silenzio protratto. Altri esempi sono il ritardo o la se­ duta mancata, dei quali a volte paziente e terapeuta discutono. Gli in­ dicatori del sistema di attaccamento nelle locuzioni precedente e se­ guente del paziente permetteranno di attribuire questi comportamenti all’attivazione di un attaccamento insicuro (in genere evitante o disor­ ganizzato, come previsto dalla teoria di base). lll.l.b

Indicatori verbali

Descrizioni prolungate di emozioni dolorose o di eventi che hanno procurato a l parlante una qualsiasi sofferenza, chiaramente indica­ ta come tale

Vanno considerate in questa categoria anche la descrizione di sintomi di malattie somatiche o psicosomatiche. Se le emozioni dolorose sono riferibili a un danno procurato da altri, si deve usare il codice At solo dopo avere esaminato la possibile codifica alternativa Ra (per esem­ pio: “Mi ha fatto un bel danno al ginocchio, quel bastardo di un terzi­ no” richiede il codice Ra). Siglare At Rei se il paziente si riferisce alla relazione terapeutica in atto.(per esempio: “Sono stato così male durante le Sue ferie! ”). Sigia­ re At Nar se si riferisce, in una narrazione del passato recente o lonta­ no, a interazioni con altre persone, che hanno risposto positivamente o negativamente alle sue manifestazioni di dolore. Si ricorda che, tenen­ do presente la regola della parsimonia sopra menzionata, possono es­ sere usati entrambi i codici: At NarRel. Usare sempre il codice Rei se la descrizione di sofferenze, disturbi, 167

PARTI· SECONDA

disagi e sintomi corporei manca di un referente esplicito (si sottinten­ de che essa è comunque sempre rivolta al terapeuta). Esempi come “Dal nervoso, mi sono coperta tutta di bolle” o “Non ci ho dormito tutta la notte” e altre descrizioni di eventi dolorosi o preoccupanti che appaiono come commenti generali di un periodo recente (cioè non ri­ feriti a una persona che ci si attendeva prestasse aiuto o conforto). Frasi contenenti richieste esplicite di guida, aiuto e conforto

Esempi: “Cosa debbo fare?”; “Sono disperata, mi aiuti!”; “Ero svuota­ to, a pezzi, e allora ho chiesto a mia moglie di restare a casa e starmi ac­ canto”; “Questa cosa orribile che mi è successa non l’avevo raccontata a nessuno, solo ora, a Lei: può abbracciarmi, almeno questa volta?”. Siglare At Rei, quando il paziente si riferisce alla relazione terapeu­ tica in atto, e At Nar quando si riferisce ad altre relazioni. Siglare At NarRel solo se esistono indizi espliciti che la narrazione è volta a impe­ gnare o implicare direttamente il terapeuta, come per esempio nel ca­ so di un paziente che, neH’imminenza immediata delle ferie del tera­ peuta, dichiara: “La mia ragazza, quando eravamo ancora studenti universitari, andava sempre in vacanza con i suoi genitori, anche se sa­ peva che mi avrebbe fatto piacere che restasse in città con me o che an­ dassimo in vacanza insieme”. Descrizioni d i episodi, fantasie o sogni, relativi a qualunque p erio­ do della vita, in cui il paziente ha cercato e ricevuto da terzi, diversi dal terapeuta, aiuto, particolare vicinanza fisica, protezione o conforto

Si codificheranno con la sigla At Nar. Vale anche per queste descrizio­ ni la regola generale che permette di usare il codice At NarRel, quan­ do per esempio il dolore che si lamenta di avere provato nella relazio­ ne con una figura di attaccamento è accompagnato da richieste di comprensione e sostegno rivolte al terapeuta. Si consideri l’uso del codice At quando il paziente descrive un’e­ sperienza di conforto ricevuto nell’interazione con un figlio, anche se molto piccolo, purché la descrizione del sostegno emotivo ricevuto dalla relazione con il fàglio sia esplicita (per esempio: “La bambina mi vuole molto bene, e questo mi dà coraggio in questo momento difficile della m iavita”).

168

IL MANUALE AIMIT

Descrizioni di episodi, fantasie, aspettative o sogni in cui terzi han­ no negato, negano o negheranno l'aiuto, la protezione o il conforto attesi o richiesti

In questi casi, la sigla deve essere At Nar poiché il sistema motivazio­ nale attivo nella situazione in cui si ha bisogno di aiuto è lo stesso, che 10 si riceva o non lo si riceva. Anche in questo caso, vale la regola gene­ rale che permette talora di siglare At NarRel. Descrizioni di relativa disattenzione dell'interlocutore alle richie­ ste di aiuto e conforto

Un caso che merita di essere menzionato è l’attenzione protettiva che 11 parlante ritiene di aver ricevuto da un genitore in misura minore ri­ spetto a un fratello. Per quanto sia qui evidentemente implicato il si­ stema di attaccamento (At), è legittimo chiedersi se non vi sia implica­ to anche, o soprattutto, quello di rango (Ra). Il codificatore dovrà esplorare l'unità di codifica (e anche quelle che la precedono o la se­ guono) alla ricerca di indicatori che rivelino se la percezione interper­ sonale riguarda una sconfitta nella competizione con il fratello per l’at­ tenzione e l’approvazione del genitore, oppure una carenza di atten­ zione protettiva e di conforto o aiuto. In casi dubbi, si consiglia di usa­ re entrambi i codici: At —» Ra. Descrizioni di trascuratezza tali da suggerire l'impossibilità persi­ no di chiedere, attendere o sperare aiuto, protezione e conforto in momenti di dolore

Possono essere codificate così anche descrizioni di episodi in cui altre persone, presenti nel luogo di una violenza o di un abuso protratto, sembrano non essersi rese conto di quanto accadeva. Esempio: “Lo zio quando era ospite da noi veniva in camera mia e mi costringeva a tare sesso; è successo più volte, nel periodo in cui andavo alle elemen­ tari. Io guardavo fuori dalla finestra mentre mi stava sopra, mi estra­ niavo”. Il motivo di codificare questa descrizione At (rispetto alla rela­ zione con i genitori, che non si rendevano conto dei segni di una vio­ lenza subita dalla bambina e non offrivano protezione) - oltre che Ra (vedi oltre) rispetto alla relazione con l’abusante - sta nell’inevitabile attivazione del sistema di attaccamento di fronte a dolori intensi, an­ che qualora il modello operativo interno ne inibisca l’espressione. Afferm azioni di autosufficienza

Si sigli At Rei, At Nar, oppure semplicemente At, a seconda rispetti­ vamente che la dichiarazione sia rivolta al terapeuta, a un terzo impli­ 169

PARI ESECONDA

cato nella narrazione di un episodio, o esprima una convinzione gene­ rale, come nei tre esempi che seguono: “Non mi serve la sua compas­ sione, dottoressa” (At Rei); “Non avevo bisogno dell’attenzione dei miei, sapevo cavarmela da solo fin da bambino, come quella volta che si sono dimenticati di venirmi a prendere a scuola, in terza elementare, e sono tornato da solo” (At Nar); “Io non ho bisogno dell’aiuto di nes­ suno” (At). Dichiarare autosufficienza implica la nozione che in alcune circo­ stanze ci si può attendere o desiderare aiuto, e la teoria dell’attacca­ mento sostiene che una tale nozione discende dall’attivazione in sé di uno SMI innato e universale. Afferm azioni di dipendenza

Si sigli At Rei, At Nar oppure semplicemente At, secondo gli stessi cri­ teri del caso precedente. Esempi: “Non posso farcela senza il Suo aiu­ to, dottore”; “Come posso andare avanti, senza di lui? Eppure lui, che 10 sa, mi ha detto che vuole lasciarmi”; “Se lui non è fisicamente pre­ sente, non sono capace di prendere una decisione”. D escrizioni di lutti operdite, anche immaginate e attese

11 codice At va usato anche in assenza di emozioni dichiarate, se il lutto o la perdita si riferiscono a persone con le quali c’è stato un legame af­ fettivo intenso e durevole. Esempio: “E così se n’è andata, dopo tanti anni passati insieme”. Descrizioni di situazioni in cui si è m inacciati di essere abbandona­ ti da una persona affettivam ente significativa

Esempio: “Dice che, se non cambio, mi lascerà”. Descrizioni di esperienze di solitudine protratta

Esempio: “Ho passato settimane senza vedere nessuno”. Descrizioni di interazioni traumatiche, nelle quali la persona con la quale si è in relazione viene descritta con term ini denotanti p a rti­ colare ostilità e malignità

In queste descrizioni, viene evocata l’immagine dell’esplicita volontà o possibilità, da parte di un essere umano, di procurare intenzionalmen­ te dolore, al di fuori della volontà di definire il rango di dominanzasottomissione. In esse, è evidente la necessità di difendere la propria vita e la propria integrità mentale da un’aggressione maligna, finalizza­ no

IL. MANUALE AIMIT

ta a procurare dolore (per esempio: “Il mio compagno voleva farmi del male”). La compresenza di motivazioni all’attacco o alla fuga, non fi­ nalizzate alla definizione di rango, e di descrizioni di dolore intenso o pericolo grave che necessariamente attivano il sistema dell’attacca­ mento, giustifica l’inserimento di questa categoria di esperienza fra gli indicatori del sistema di attaccamento. II codice da utilizzare richiede dunque un esplicito richiamo alla transizione Ira due diversi SMI: At Rei »DifNar. È possibile che a comunicare intenzioni di particolare ostilità e ag­ gressività maligna verso un altro essere umano sia il partecipante stes­ so al dialogo, che perciò si descrive come persecutore anziché come vittima (per esempio: “Avrei voluto torturarla per vederla soffrire”). I.e conoscenze esistenti sulla disorganizzazione dell’attaccamento sug­ geriscono che anche queste motivazioni umane estreme possono esse­ re conseguenza di particolari configurazioni patologiche della protesta riferibile al sistema di attaccamento. Anche per queste, si usi il codice At ►Dif, ma accompagnato da un punto interrogativo che lasci aper­ ta la possibilità di codifiche diverse e riservi a queste interazioni un ruolo marginale nella valutazione finale del trascritto, vista la necessità ili conferme sul ruolo teorico del sistema di attaccamento nella genesi dell’aggressività maligna umana: At —►Dif? (vedi la discussione sulla transizione disarmonica nella sezione quarta).

III. Le Parole guida Alcune parole guida suggeriscono l’attivazione del sistema di attac­ camento. Esempi sono: abbattim ento , abbandono , aiuto , angoscia, an­ sia , bisogno (di vicinanza, attenzione o comunicazione), calore, co cco le, collera, con forto, con siglio, danno, disperazione, dolore, fiducia, freddez­ za, indifferenza, lam ento, lontananza, lutto, m ale, malattia, malinconia, paura, pena, perdita, prostrazione, protezione (cercata oppure ottenu­ ta), rifiuto, salvezza, separazione, sfiducia, sicurezza, soccorso e sostegn o (averne bisogno, riceverlo), sofferenza, solitudine, sollievo, spavento, vicinanza, terrore, tim ore, tristezza. Queste parole, e i loro sinonimi, suggeriscono con chiarezza l’uso della sigla At solo quando sono riferite allo stato mentale o ai bisogni e ai desideri propri del parlante, che si descrive nella posizione di chi soffre, di chi vede negato l’aiuto o il conforto richiesto, di chi invece lo riceve, di chi ha bisogno di ottenerlo, o di chi nega di averne bisogno. Se riferite allo stato mentale di terze persone, possono indicare la codi­ 171

PARTESECONDA

fica Ac (accudimento) come descrizione dell’assetto motivazionale del locutore in un dato momento del dialogo. Il codice Dif in aggiunta a quello At è suggerito da parole denotanti esperienze estreme di paura e di pericolo che si verificano nell’intera­ zione con una figura di attaccamento, e la cui causa è esplicitamente attribuita al comportamento della figura di attaccamento: orrore, di­ struzione, m orte, follia, m ostruosità, azioni disumane. Si ricordi che è necessario controllare, a partire da ciascuna di que­ ste parole guida, se esistono accanto a esse gli indicatori At sopra elen­ cati, o almeno un’altra parola guida nella stessa unità di codifica che rafforzi l’impressione di un’attivazione in corso del sistema di attacca­ mento. E regola generale che in assenza di altri indicatori o di almeno un’altra parola guida nella stessa unità di codifica, non si possa consi­ derare sufficiente la presenza di una sola parola guida per assegnare il codice At alla locuzione, e meno ancora codici di transizione come At - ►Dif. Questa regola vale per tutti gli SMI, anche se, per brevità, non sarà ulteriormente ricordata nelle sezioni seguenti del manuale. È anche necessario tenere presente che alcuni termini denotanti emozioni, come gioia , paura, tristezza e collera, possono riferirsi tanto all’attaccamento quanto al rango o ad altri SMI, e non possono essere quindi giudicati, in se stessi, tipici dell’uno o dell’altro SMI. Per fare un altro esempio, la parola guida fiducia suggerisce in genere l’attivazione del sistema di attaccamento. Tuttavia, essa può anche indicare l’attiva­ zione del sistema di rango (Ra) quando è usata in senso dispregiativo (“Non è degno di fiducia”), o quando il locutore intende sottolineare che il proprio accordare fiducia rappresenta un titolo di merito per chi la riceve, implicando dunque che si percepisce di rango abbastanza elevato da conferire titoli di merito. L’uso delle parole guida e degli indicatori sopra elencati permette di solito di assegnare senza difficoltà il codice At a un'unità di codifica. Se in un’unità di codifica compaiono più frasi, ciascuna delle quali me­ rita l’attribuzione del codice At, si ricordi la regola generale volta a semplificare le codifiche a margine, e si usi la sigla At una sola volta per l’intera unità. Esempio: “Sono stata tanto male, e avrei voluto averla accanto a me. Pensi, mi sembrava di soffocare, avevo il respiro affan­ noso, e sarà durato un’ora buona, ed ero sola. Come dice lei, avevo paura della paura. Ma era da temere di impazzire per quanto era forte il malessere” (non si ripeta la sigla At per tre volte al margine di que­ st’unità di codifica, ma una sola). 172

IL MANUALE AIMIT

III. 1. il Nota sulla sintonizzazione d ei sistem i di attaccam ento c decadim ento L'attivazione del sistema di attaccamento in uno dei due contraenti di una relazione significativa tende a innescare nell’altro l’attività del sistema di accudimento. Tuttavia, questa sintonizzazione dei due siste­ mi tra i membri di una relazione diadica non è immediata. E dunque da attendere come solo probabile (non necessaria) l’eventualità che un’unità di codifica dominata dal sistema di attaccamento in uno degli interlocutori sia seguita da una locuzione dell’altro dominata dal siste­ ma complementare di accudimento (Ac). Per esempio, brani di tra­ scritto dominati dal sistema di attaccamento nel paziente possono contenere repliche del terapeuta costantemente regolate dal sistema paritetico (nel tentativo, per esempio, di ripristinare l’alleanza tera­ peutica). Ne consegue che il codificatore, per raggiungere ragionevole certezza nel codificare At una data unità del trascritto, può certamente avvalersi di codifiche Ac nella locuzione dell’interlocutore che segue tale unità, ma non deve considerare quest’eventualità come un neces­ sità per la codifica At. III.2 Sistema di accudimento (Ac)

III. 2.a Indicatori non verbali Le emozioni del sistema di accudimento spesso non hanno caratte­ ristiche di intensità tali da poter essere rilevate da chi trascrive il dialo­ go registrato. Fanno eccezione solo eventi come l’abbraccio di confor­ to che un paziente può chiedere, e un terapeuta poco attento al pro­ blema dei confini del setting accordare; eventi peraltro rilevabili, quan­ do si usa l’AIMIT solo attraverso la trascrizione degli scambi verbali. In questa sezione, dunque, non sono elencati indicatori non verbali del sistema di accudimento.

lll.2.b Indicatori verbali Espressioni di compassione, di p rotettiva tenerezza o di sollecitudi­ ne verso i bisogni dell'altro

Si differenzino dalle espressioni di empatia, che appartengono al siste­ ma paritetico e all’intersoggettività (vedi oltre). Per esempio: “Quanto deve avere sofferto, mi dispiace”, detto dal terapeuta al paziente, meri­ ta il codice Ac Rei. mentre: “Comprendo la sua sofferenza” e “Questi 173

PARTESECONDA

eventi sono duri per noi umani” meritano il codice Pa Rei. Fra tali espressioni, si ricordino quelle che descrivono il contatto corporeo fi­ nalizzato a offrire conforto (abbraccio, bacio, carezza, mano sulla spal­ la) e quelle che veicolano cura attraverso una considerazione degli sta­ ti mentali dell’altro (fare un dono considerando i bisogni dell’altro rientra in questa classe di scambi interpersonali). Espressioni di allarm e p e r pericoli corsi da altri, reali o im m aginari

Esempio: “Poverino mio figlio, si è preso una gran paura”. In queste circostanze, è comune che si debba usare un doppio codi­ ce, At e Ac, all’interno di un’unica frase, e indicare anche la transizio­ ne (Tr, vedi oltre, sezione quarta). Per esempio: “Mio marito è depres­ so, ho paura che non ce la faccia, che possa fare una cosa orribile... co­ sa posso fare per lui, dottoressa?” merita il codice Ac Nar (per la parte riferita all’intenzione di aiutare il marito) e At Rei (per la paura e la ri­ chiesta di aiuto rivolta alla terapeuta). Dunque: Ac —►At NarRel con l’aggiunta sull’altro margine del codice Tr. D ichiarazioni d i rammarico o colpa p e r la p rop ria mancata rispo­ sta a i bisogni delValtro

È necessario discriminare la colpa dichiarata dalla possibile vergogna. La vergogna è talora l’emozione esperita in realtà, ma è chiamata “col­ pa” per il frequente deficit di discriminazione fra le due emozioni. Usare gli indicatori del sistema di rango (Ra) per discriminare colpa da vergogna nel trascritto (vedi la sezione successiva). Gli indicatori principali per attribuire il codice Ra anziché quello Ac a una locuzione dove il parlante nomini la propria colpa, sono: 1) l’assenza di chiare richieste di aiuto, vicinanza protettiva e conforto da parte dell’altro con cui interagisce, e verso il quale dichiara di sentirsi in colpa (si noti che spesso l’altro protagonista della narra­ zione si rivolge al narrante con atteggiamenti colpevolizzanti, più che di richiesta di vera riparazione); 2) la presenza di affermazioni, sia pure indirette, circa la propria supe­ riorità morale (per esempio: “Io non mi sarei mai sognata di lasciare sola mia madre d'estate, ma tu non ti preoccupare, vai pure in vacan­ za all’estero con tuo marito: a me basta sapere che mia figlia è felice”). D ichiarazioni di libertà dai sentimenti di colpa ottenuta attraverso azioni nascoste e segrete, menzogne o inganni

I sentimenti di colpa evitati attraverso l’inganno o la menzogna, ma al 174

IL MANUALI· AIMIT

line di non procurare dolore all’altro, segnalano l’esistenza di una moti­ vazione all’accudimento, e conducono quindi all’uso del codice Ac. E però necessario discriminare questa evenienza da altre due possibilità: 1) l'esistenza di una motivazione competitiva di rango, nel qual caso l’azione tenuta segreta o l’inganno hanno il significato di evitare le ritorsioni di un dominante potenziale o attuale (nel qual caso si usi il codice Ra); 2) l’esistenza di una motivazione cooperativo-paritetica che si intende salvaguardare ritenendo che l’altro potrebbe rompere l’amicizia pa­ ritetica se venisse a conoscenza delle azioni del locutore. In un simile caso, sebbene il codice da usare sembri a prima vista Pa, è necessario tenere presente che lo stato motivazionale di chi contempla la possi­ bilità di un’iniziativa dell’altro volta a interrompere a buon diritto la relazione tende alla transizione verso il sistema di rango. Infatti, il parlante considera come la propria azione lo qualifichi come inferio­ re moralmente all’altro ingannato. Si usi allora il codice Pa —>RaS. Affermazioni esplicite della credenza che l'altro può “farcela da solo”

Per esempio, l’affermazione: “Non ha certo bisogno del mio aiuto quando è nei guai, sa cavarsela benissimo per conto suo” va codificata Ac poiché viene riconosciuto che l’altro è in difficoltà tali da indurre in genere le persone a chiedere o gradire aiuto. Descrizioni dell'altro come vulnerabile, fragile, sofferente e biso­ gnoso di aiuto, conforto o protezione

Queste descrizioni, di solito esplicite, vanno considerate implicite quan­ do si narri un episodio nel quale si sia intervenuti a difesa di un terzo aggredito da persone malintenzionate. Per esempio: “Quei teppisti hanno cominciato a insultare mio figlio, e forse lo avrebbero anche picchiato, ma ho fatto in tempo a correre, raggiungerli, e farli scappa­ re, quelle bestie” va codificato Ac, con la codifica aggiuntiva Tr e Ra per le parole di disprezzo rivolte agli aggressori (teppisti, bestie). Si co­ difichi dunque l’esempio come segue: Ac ►RaD Nar al margine de­ stro, Tr nel sinistro. Afferm azioni di impotenza a rispondere efficacemente a i bisogni dell'altro

Esempio: “Proprio non riesco ad aiutarlo”. Notare in questi casi se esi­ stono indicatori di rango (Ra) ricollegabili all’aflermata incapacità 175

PARTI· SI-CONDA

(neU’esempio: “Non riesco”), nel qual caso si dovrà codificare Ac —► Ra (come nell’esempio: “Non riesco ad aiutarlo, io non valgo molto come genitore”).

III.2.C Parole guida E utile, come nel caso dell’attaccamento, considerare le parole gui­ da separatamente, a seconda che siano riferite a sé o a un altro, a) Rife­ rite all’altro e alle sue emozioni: accoglienza (come in “era in condizio­ ni tali da aver proprio bisogno di accoglienza”), bisognoso, dolente, f e ­ rito, fragile, malato, pena, (come in “provava tanta pena”), piccolino, p iccolo (come in “piccolo mio”), poverin o, provato, sofferen te, solo, spaventato, stanco, triste, umiliato, vulnerabile, b) Riferite alle proprie emozioni e intenzioni: aiuto (come in “volevo proprio aiutarlo”), colpa (come in “mi sento in colpa per non averlo aiutato”), com passione (co­ me in “provavo tanta compassione per lei”), inadeguatezza o im poten­ za a fo rn ire aiuto conforto (come in “non potevo proprio fare nulla per lu i ”),pena (come in “mi fa tanta pena”), soccorso, tenerezza. I g e s t i c o n i q u a l i u s u a l m e n t e s i f o r n i s c e c o n f o r t o (m ettere una mano sulla spalla, abbracciare, carezzare) e a l t r i g e s t i d i a c c u d i m e n t o ( fare un dono, festeggia re un com pleanno), s e v e n g o n o d e s c r i t t i i n u n a n a r r a z i o ­ n e , r i c h i e d o n o l a c o d i f i c a Ac, p u r c h é l a p o s s i b i l i t à d i c o d i f i c h e a l t e r n a ­ t i v e s i a e s c l u s a d a l l ’ a n a l i s i d e g l i i n d i c a t o r i d e i v a r i SM I c h e p o s s o n o c o o p t a r e t a l i g e s t i ( p e r e s e m p i o i l s i s t e m a s e s s u a l e p e r g l i a b b r a c c i , o il s i s t e m a d i r a n g o p e r il f e s t e g g i a m e n t o d i u n a v i t t o r i a i n u n a c o n t e s a ) .

Si noti che anche altre parole guida relative all’accudimento posso­ no sovrapporsi a quelle che invece denotano un’interazione di rango (Ra), come per esempio in “mi sono fatto piccolo piccolo dalla vergo­ gna” e in “fai davvero pena" (detto con disprezzo). La parola libertà, se riferita a libertà da sentimenti di colpa, può essere considerata fra le parole guida che orientano a utilizzare il codice Ac, mentre la libertà da un oppressore indica evidentemente il sistema di rango. La parola gratificazione, allo stesso modo, può riferirsi a motivazioni di attaccamento-accudimento, oppure a motivazioni di rango o sessuali.

II c o d i f i c a t o r e

d e v e t e n e r e b e n p r e s e n t e la r e g o la g e n e r a le : le p a r o le

g u i d a p o s s o n o e s s e r e u s a t e , c o m e p e r t u t t i g l i a l t r i SM I, p e r c e r c a r e i n ­ d i c a t o r i d e l l ’a t t i v i t à d e l s i s t e m a d i a c c u d i m e n t o e v e n t u a l m e n t e s f u g g i ­ ti a u n a p r i m a s i g l a t u r a d e l t r a s c r i t t o , m a n o n è c o n s e n t i t o b a s a r s i s u u n a s o l a d i e s s e p e r a t t r i b u i r e il c o d i c e

176

Ac a

u n a lo c u z io n e .

IL MANUALE AIMIT

l i n . d Ulteriori note sulla codifica d e ll'a ccudim ento Anche nell’effettuare la codifica Ac si offre l’occasione di notare se esiste o no corrispondenza con la sigla At apposta al margine dell’unita di codifica precedente (ed eventualmente della seguente). L’op­ portunità non è però mai una necessità. Unità di codifica composte da più frasi, tutte codificabili come do­ minate dal sistema di accudimento (cioè senza transizioni fra diversi SMl), devono avere al margine solo una sigla Ac. Si ricordi anche che, ove possibile, e come per tutti gli altri S M I , van­ no distinte le codifiche Ac Rei (quando l’altro cui si rivolge attenzione oblativa o accudente è l’interlocutore diretto nella diade terapeutica) da quelle Ac Nar (quando la locuzione si rivolge a una terza persona menzionata nella narrazione di paziente e terapeuta). La stessa frase, come nel caso del sistema di attaccamento e per le stesse ragioni, può ricevere entrambi i codici, Nar e Rei. 111.3 Sistema di rango (Ra) Nota preliminare. Per questo sistema può essere utile, ove possibi­ le, discriminare fra tre possibilità: contesa in atto (C), contesa definita nel senso della dominanza (D), e contesa definita nel senso della sottomissione (S). Queste evenienze possono essere siglate, rispettivamen­ te: RaC, RaD, RaS. Per evitare di accrescere la complessità della codi­ fica, si può omettere la sottocategoria C, D o S, e usare solo la sigla ge­ nerale del sistema, Ra. Tuttavia, ricerche che intendano esaminare in dettaglio il ruolo della dominanza-sottomissione nelle relazioni umane richiedono necessariamente l’uso delle codifiche complete del sistema di rango. Per tali ricerche, è essenziale codificare anche, in maniera differenziata, RaC Rei, RaD Rei, RaS Rei da una parte, e RaC Nar, RaD Nar, RaS Nar dall’altra, secondo la logica di siglatura menziona­ ta per i due precedenti S M I .

III. 3.a Indicatori non verbali Innalzamento del tono di voce, fino a ll’urlo, purché non accompa­ gnato da pianto

La presenza di pianto impone di privilegiare la codifica At, suggerendo che la collera indicata dall’innalzamento del tono di voce sia un’emo­ zione della fase di protesta nelle operazioni dello SM I di attaccamento.

177

PARI E SECON D A

Abbassamento dei tono di voce, purché non accompagnato da pianto

Il pianto suggerisce la presenza di emozioni di tristezza cooptate dal si­ stema dell’attaccamento, più che la sottomissione aH’interno del siste­ ma di rango. Risata di scherno

Vedi anche le note riguardanti la “risata sul dolore” nella sezione I II.l.a. Se la derisione riguarda il proprio stesso dolore, siglare At —» RaS. Se ri­ guarda il dolore di un altro, esplicitamente riconosciuto come segnale di richiesta o bisogno di aiuto e conforto, siglare Ac -> RaD.

III.3.b Indicatori verbali Confronto in term ini di giudizi d i su periorità-in feriorità (anche sul piano della morale o d ell’etica) fra sé e l ’altro

In generale, si tratta di frasi che esprimono valutazioni di sé o dell’al­ tro come superiori (RaD) o inferiori (RaS) a una particolare persona (incluso l’altro membro della diade terapeutica, nel qual caso si ag­ giunga la sigla Rei), o anche a gruppi di esseri umani, o all’insieme de­ gli esseri umani considerati come categoria unitaria (per esempio: “So­ no inferiore a tutti”). L’oggetto deH’asserita superiorità o inferiorità può essere una qualità morale (per esempio: onestà, bontà), intellet­ tuale (per esempio: intelligenza, intuito), o corporea (per esempio: bellezza, forza). In generale, queste frasi sono caratterizzate da valuta­ zioni, esplicite o implicite, in termini di “più e meno” (come in “è mol­ to meno bravo di me”). Atteggiam enti verb ali che esprimono critica verso l'altro o verso se stessi

Se l’altro criticato negativamente è l’interlocutore diretto nella diade terapeutica, o se la critica è rivolta a se stessi senza confronti espliciti con altri, siglare Ra Rei. Se è un terzo non presente nell’incontro, si­ giare Ra Nar. A seconda che l’antagonismo si sia concluso con la resa del locutore, con il riconoscimento della validità della critica da parte dell’altro, oppure esprima una contesa ancora in atto, usare le codifìche, rispetti­ vamente, RaS, RaD, o RaC. Quando uno dei parlanti rimarca che non intende criticare o giudi­ care negativamente l’altro, senza che l’altro avesse prima menzionato esplicitamente di aver percepito critica o giudizio, siglare sem pre la 178

IL MANUALI· AI MIT

Irase come indicativa di attivazione Ra (sulla base del principio excusa fio non petita, accusatio manifesta). Ordini, comandi, prescrizioni o ingiunzioni di condotte alle quali ci si aspetta che l'altro obbedisca

Appartengono a questa categoria anche le prescrizioni di comportamen­ to effettuate non di rado da terapeuti di orientamento cognitivo-comportamentale e anche, talora, le ingiunzioni riguardanti le regole del setting terapeutico proposte da terapeuti di qualsiasi orientamento. La mo­ dalità verbale con la quale queste locuzioni del terapeuta sono avanzate può essere tale da far propendere il codificatore per l’uso di codici diversi (Pa, oppure Ac), ma di regola le locuzioni di tipo prescrittivo vanno co­ dificate RaD. Il codice attribuito a queste locuzioni del terapeuta, natu­ ralmente, può essere di transizione (Tr): Ac —* RaD, R a D A c , RaD —► Pa, oppure Pa —» RaD. Il codice Rei deve inoltre accompagnare le pre­ scrizioni e le ingiunzioni di regole che il terapeuta rivolge al paziente. Un caso interessante per analoga complessità di siglatura è la mi­ naccia di separazione (che richiede sempre il codice At) usata per otte­ nere obbedienza (che richiede il codice Ra). Esempio: “Mia moglie mi ha detto che se non faccio una terapia mi lascia, ed eccomi qui, dotto­ re” va codificato RaS —►At NarRel. Punizioni e minacce di punizioni

Non usare, o usare solo con il segno di transizione, il codice Ra per de­ scrizioni di proibizioni e punizioni che siano accompagnate da chiare indicazioni di un intento protettivo (per esempio: “Mi proibiva di an­ dare a frequentare quella discoteca, e meno male, era piena di spaccia­ tori”, va codificata Ra —» Ac). D ichiarazioni in cui il parlante si attribuisce, o attribuisce ad altri, il ruolo di chi assegna titoli di ritento e riconoscimenti, ovvero san­ zioni e demeriti, dai quali si attende che l'altro sia gratificato ovve­ ro umiliato

La logica di questo indicatore Ra è che il parlante considera se stesso, o un altro, di rango abbastanza elevato da poter attribuire titoli di me­ rito o di demerito, dei quali ritiene che chi li riceve debba andare orgo­ glioso ovvero sentirsene umiliato (in tal modo riconoscendogli un par­ ticolare valore nelle gerarchie sociali implicite o esplicite). Esempio: “Guardi, dottore, che io le ho dato la mia fiducia, e noti che non la ac­ cordo al primo venuto” (RaD Rei). 179

p a r t i;s e c o n d a

D ichiarazioni di diritto alla p rio rità nell'accesso a una qualsiasi r i­ sorsa, o di diritto all'obbedienza dell'altro rispetto alle proprie deci­ sioni quando si è entram bi di fron te a una qualsiasi scelta comune

Se ¡1 diritto alla priorità e a ricevere obbedienza è attribuito a sé, sigia­ re RaD; se all’altro, RaS. Se esiste una contesa dall’esito incerto, sigia­ re RaC. Esempi: “Cosa vuole che faccia?” (RaS); “Voglio che lei faccia questo per me” (RaD); “Io non voglio fare quello che mi chiede” (RaC); “Cosa volete farmi? Non fatemi del m ale!” (RaS); “Tu devi fa­ re quello che ti dico” (RaD); “È mio diritto guadagnare più di te” (RaD); “Non credo di aver il dovere di obbedirti” (RaC). D ichiarazioni che affermano la prop ria libertà da ingiunzioni, co­ m andi o aspettative delValtro

Usare il codice RaC quando sia chiaro che l’altro ritiene di avere dirit­ to all’obbedienza del locutore, e il locutore la nega. Se il locutore di­ chiara di aver esercitato la propria libertà di azione in segreto, facendo sì che l’altro non ne venisse a conoscenza, usare il codice RaS. Se inve­ ce la libertà dalle ingiunzioni dell’altro è esercitata attraverso un in­ ganno, segnalando così l’intenzione di contendere attraverso l’ingan­ no per la posizione di dominanza, siglare RaC. Si consideri attentamente la possibilità che altri indicatori presenti nella locuzione suggeriscano che il parlante stia esprimendo l’intenzio­ ne di evitare un sentimento di colpa verso qualcuno a cui sia legato da motivazioni di accudimento (e non di evitare la ritorsione di un domi­ nante), attraverso una descrizione di libertà ottenuta tramite un agire segreto, una menzogna o un inganno. D ichiarazioni di indegnità p rop ria o d ell’altro

Usare il codice RaD se l’espressione è rivolta verso un altro ( “Non è de­ gno di attenzione”), RaS quando è rivolta verso se stessi (“Non mi meri­ to nulla”). Se l’asserita indegnità riguarda la possibilità di risposte legate a bisogni di attaccamento, o sessuali, va considerata la possibilità di usa­ re un codice doppio e di transizione (At —►Ra, Sex - ► Ra). Per esempio: “Quella ragazza mi piace moltissimo, ma io sono così brutto, non posso sperare che mi rivolga nemmeno uno sguardo” (Sex —>RaS Nar). Descrizioni di episodi di scherno, derisione, sarcasmo, violenza e al­ tri comportamenti che inducono sentimenti di umiliazione (schiaffi, sputi, altri tipi di aggressione fisica umiliante, agita o subita)

Esempi: “L’ho riempito di schiaffi in faccia” (merita evidentemente il 180

II. MANUALI· AIMIT

codice RaD); “Mi ha dato uno schiaffo” (RaS). Siglare RaD se si ridi­ colizza o schernisce un altro, e RaS se si è vittime di scherno. Si ricordi che la sigla RaS deve essere usata anche se l’atteggiamento di scherno è interiorizzato, cioè rivolto da sé a se stesso. Sono da annoverare nella categoria RaS due particolari evenienze, di cui si tratta anche in altre sezioni: la risata sul dolore (vedi la sezione sul sistema di attaccamento) e la violenza sessuale (vedi la sezione sul sistema sessuale). Per esempio, un paziente può, invece di ridere sul proprio dolore (indicatore non verbale), dichiarare che le proprie esperienze dolorose sono ridicole: “Ci sono spesso questi stati d’ani­ mo miei penosi, che io dico mi sembra ridicolo raccontarli”. La codifi­ ca deve essere, in tali casi, At —>Ra. D ichiarazioni di disgusto o di disprezzo rivolto a una persona (in­ cluso il parlante stesso)

Usare il codice RaD quando l’espressione è rivolta verso un altro, RaS quando è rivolta verso se stessi. D ichiarazioni di invidia

Si ricordi di discriminare attentamente l’invidia dalla gelosia (vedi in­ dicatori di attività del sistema sessuale, Sex, e del sistema di attacca­ mento, At). E nell’uso comune descrivere come “gelosia” alcune espe­ rienze nelle quali sarebbe più appropriato parlare di invidia: per esem­ pio, si dice che un fratello è geloso delle attenzioni che il genitore rivol­ ge all’altro. È possibile che sia qui in gioco la gelosia rispetto alla relati­ va perdita dell’attenzione del genitore, ma anche che si tratti delle per­ cezione di una sconfitta nella competizione per il primato (rango, Ra) rispetto a tale attenzione vissuta come una risorsa limitata che il domi­ nante si accaparra a danno dello sconfitto. Siglare RaS se l’invidia è provata verso un altro, RaD se attribuita ad altri verso di sé. D ichiarazioni esplicite di trionfo o di v itto ria in una contesa; d i­ chiarazioni di autocompiacimento, anche gergali

Esempi: “Mi sono piaciuto”; “Li ho stesi”; “L’ho distrutto”; “Li ho fatti a pezzi”. La codifica in tutti questi casi è RaD. Siglare RaD Nar quando il parlante racconta della propria vittoria su terze persone ben identificabili al di fuori della diade terapeutica. Siglare RaD Rei solo se è esplicita la dichiarazione di vittoria e supe­ riorità sull’interlocutore presente nella diade. È infatti possibile che una dichiarazione di forza trionfante, non qualificata dall’indicazione 181

PARTI·: SECONDA

chiara di chi sia lo sconfitto, rifletta un invito a un rispecchiamento del proprio valore da parte dell’interlocutore visto come un pari, più che un invito a un atto di sottomissione. In assenza di esplicite notazioni su chi sia lo sconfitto, si considerino queste situazioni come affermazioni del proprio potenziale di successo nelle contese in generale, e si sigli RaD. Se compaiono nel trascritto dichiarazioni in cui l’interlocutore diretto è considerato un pari, e allo stesso tempo migliore di altri terzi (per esempio: “Come Lei e me, non c’è nessuno, dottore"), si codifichi RaD —►Pa Rei. D ichiarazioni esplicite di umiliazione o di sconfitta in una contesa; dichiarazioni di autodisprezzo o autosvalutazione, anche gergali

Esempi: “Ero a pezzi”; “Non ce la facevo neppure a parlare”; “Sono un incapace”; “Faccio tutto male”; “Fallisco in tutto”. La codifica in tutti questi casi è RaS. Siglare RaS Nar quando il parlante racconta della propria sconfitta, subita da terze persone ben identificabili al di fuori della diade tera­ peutica. Siglare RaS Rei solo se è esplicita la dichiarazione di sconfitta e inferiorità rispetto all’interlocutore presente nella diade. E infatti possibile che una dichiarazione di sconfitta, inferiorità e indegnità non qualificata dall’indicazione chiara di chi sia il vincente e quale la conte­ sa, rifletta un invito rivolto all’interlocutore a fornire conforto, più che essere un atto di sottomissione. In assenza di esplicite notazioni su chi sia il vincente o il dominante, si considerino queste situazioni come af­ fermazioni del proprio immaginato destino di insuccesso nelle contese in generale, e si sigli RaS. Se compaiono nel trascritto dichiarazioni che l’interlocutore diretto è considerato una fonte di conforto (per esempio: “Pensa anche Lei che io non valga molto, vero, dottores­ sa?”), si codifichi RaS —» At Rei. D ich iarazioni di tim ore di giudizio negativo e di ansia da p re ­ stazione, che guidano comportamenti volti a evitare il giudizio ne­ gativo

La codifica più verosimile in questi casi è RaC, a meno che non vi siano di­ chiarazioni esplicite del proprio supposto disvalore, nel qual caso è RaS. D ichiarazioni del diritto a essere rispettati, o in viti rivolti a un al­ tro a rivendicare rispetto

“Tu mi devi rispettare” e “Fatti rispettare” (entrambi codificabili RaC perché si allude a una contesa ancora in corso, non definita in termini 182

IL MANUALE AIMIT

di dominanza) sono i due esempi prototipici di questo indicatore del sistema di rango. “Fatti rispettare” puri però esprimere anche cura verso la persona alla quale si rivolge l’invito, e meritare quindi il codice composito Ac —* Ra. Descrizioni di umiliazione, vergogna o imbarazzo, p ro va ti o a ttri­ buiti a un altro (che si critica e giudica negativam ente), inclusi commenti riguardanti Varrossire

Il codice da usare è RaS se il parlante descrive la vergogna provata. La vergogna attribuita a un altro è da siglare RaD se il parlante sottolinea la propria superiorità, ma è necessario considerare la codifica Ac se il parlante mostra compassione verso chi considera ingiustamente umi­ liato. Infine, se il parlante chiede evidentemente la comprensione, il contorto dell’altro per il dolore connesso alla vergogna (o umiliazione, o anche solo imbarazzo) provata, il codice da usare è RaS ►At. Si con­ sideri anche la possibilità di usare sigle complesse, come RaS Nar - ► At Rei, oppure RaS —>At Rei, quando vergogna, umiliazione o imbarazzo nascano dal confronto con una terza persona di cui il parlante narra, mentre allo stesso tempo nel dialogo in corso con l’interlocutore diret­ to vengano esplicitamente chiesti sostegno, conforto o comprensione. Si consideri sempre attentamente la possibilità che sia usata una ter­ minologia riferita alla colpa, in contesti che invece suggeriscono la pre­ senza di emozioni o sentimenti di vergogna. Ciò si verifica in particola­ re in contesti dove una persona “colpevolizza” l’altra al fine di indurle l’esperienza dell’indegnità, dell’inferiorità morale o della vergogna. La decisione sul codice da usare, in tali casi, è facilitata da qualsiasi indica­ tore che segnali come il colpevolizzante si mostri, con le sue dichiara­ zioni, moralmente superiore al proprio interlocutore, piuttosto che chiedergli cura e aiuto (per esempio: “Potrei non arrivare all’anno prossimo, e lo sai figlio mio; però non ti preoccupare per me, parti pure con i tuoi amici per queste vacanze natalizie”). Questo tipo di evenien­ za andrebbe codificato Ac —►RaS, riferendosi allo stato motivazionale del parlante che in simili circostanze si descrive come “colpevole”. Nel caso di vergogna per il corpo espressa in contesti che implicano valutazioni dell’altro sulle proprie attrattive erotiche (sistema sessuale, Sex, vedi oltre), piuttosto che sulla propria inferiorità sociale, conside­ rare la discriminazione fra codifiche Ra e Sex, e la possibilità di una codifica doppia, Ra ►Sex, quando per esempio l’autodisprezzo espli­ cito accompagni la vergogna per l’attesa mancanza di attrattiva sessua­ le attribuita a un difetto corporeo vero o presunto. 183

PARTE SECONDA

D ichiarazioni d i sofferenza o di inferiorità, che suggeriscono il con­ cetto di “vittim ism o” e Videa di un'espressione di aggressività do­ minante (o da contesa perdurante) ottenuta attraverso la passività

Costituiscono il corrispettivo, neU’agire del parlante, di quanto defini­ to come colpevolizzazione (subita) nel paragrafo precedente. Il par­ lante si descrive come dolente, vulnerabile o variamente sofferente, ma intende indurre nell’altro un sentimento di vergogna e di inferio­ rità morale, oppure un sentimento di impotenza e incapacità che tra­ valica dalla dimensione dell’accudire a quella della valutazione com­ parativa di rango circa le proprie capacità e il proprio valore sociale. Usare il codice di transizione motivazionale (Tr), da un attaccamento più o meno simulato alla competizione per il rango: At —► RaD o At - ► RaC. Esempi: “Mia moglie pensa che non valgo molto, come se anche un ca­ ne meritasse la sua attenzione più di me” (At —►RaC); “Lei ha certo tanti casi più gravi e più importanti del mio a cui pensare, dottore dunque non si preoccupi se ha dimenticato di chiedermi dei disturbi che il farmaco che mi ha prescritto mi procura”(At -» RaD). III. 3. c P a ro le guida

In genere, può essere considerata parola guida per la potenziale codifi­ ca Ra qualsiasi aggettivo implicante giudizio morale o intellettuale, sia positivo sia, ancor più indicativamente, negativo (esempi: a v id o , b ru t­ to , cattivo, d e b o le , incapace, in c o m p e ten te , in d e g n o , in g e n u o , ipocrita, la dro, m a lva g io , m e n z o g n e ro , m e sc h in o , p a cch ia n o , p e rd e n te , p ie to s o , p u z z o le n te , rid ico lo , se rv ile , sc h ifo so , sporco, stu p id o , rid ico lo , v ile).

gettivi denotanti qualità positive (esempi:

Ag­

a b ile , b e llo , b ravo, b rilla n te,

c o lto , cora g g ioso, d e g n o , fo r t e , in te llig e n te , le a le , o n e sto , m a tu ro , re­ sp o n sa b ile , sin cero , stim a b ile , v a lid o ) possono

indicare qualità apprez­ zate per la cooperazione Ira pari o per affidarsi nella richiesta di cura, non per esprimere giudizi di inferiorità. Parole guida che dispongono alla ricerca di indicatori Ra sono quelle che esprimono confronti e comparazioni di valore (m e g lio , p eg g io , m ig lio re , p eg g io re e simili). Queste devono essere compresenti per considerare un aggettivo come parola guida che orienta all’uso del codice Ra. Ogni insulto anche abbozzato (per esempio: “ V a f f . . . ”), e ogni so­ stantivo evidentemente insultante, devono predisporre il codificatore a considerare la ricerca di indicatori del sistema di rango (esempi: b e­ stia , fu r fa n t e , m o stro ), mentre ciò non vale con altrettanta sicurezza per i sostantivi positivi. In presenza di sostantivi carichi di minaccia 184

IL MANUALE AIMIT

più che di giudizio negativo, si consideri la possibilità di usare il codice Dif (scelta necessaria quando nell’indicatore compaiano affermazioni di grave danno o di pericolo diretto per la sopravvivenza e l’incolu­ mità, che non sono compatibili con l’aggressività ritualizzata tipica del sistema di rango). Analogamente, i sostantivi che denotano qualità generali approvate socialmente hanno valore di stimolo alla ricerca degli indicatori Ra meno forte rispetto a quelli che denotano qualità negative (esempi: ar­ roganza, astuzia, bram osia , ip ocrisia, superficialità , su scettib ilità , stu p i­

poiché l’affermazione di una qualità positiva potrebbe mirare a valutazioni di competenza più che di superiorità (esempi: a b ilità , b e l­ dità),

lezza, capacità, d ig n ità , in tellig e n za , respo n sa bilità, rispetto, stim a).

Le parole guida denotanti emozioni e sentimenti connessi al giudi­ zio sociale, specie se negativo, assolvono potentemente la funzione di guidare l’attenzione del codificatore sugli indicatori di questo SMI (esempi: arrossire, disg u sto , disprezzo, in v id ia , orgoglio, sch ifo , superbia, trio n fo , u m ilia z io n e , vergogna). Alcune emozioni sono comuni a diver­ si SMI (in particolare co llera , paura , tristezza). Per queste, è necessario leggere attentamente il brano in cui appaiono, per discriminare, per esempio, se si tratta di collera da sfida, oppure collera connessa alla fa­ se di protesta del sistema di attaccamento, di paura del giudizio o di ansia da separazione, di tristezza per una perdita o per una sconfitta. Forte valore di guida alla codifica Ra hanno verbi e sostantivi che denotano atti di competizione, slide, vittorie e sconfitte (esempi: af­ fro n ta re , a ffro n to , antag onista, approfittare, asservire, cadere, “caderci", chinare il capo, com andare, com petere, con tesa, costrin gere, d o m in a re, ele m o sin a re , gareggiare, in fierire, in g an n a re, ing iu ria re, o ffe n d e re , o ffe ­ sa, perdere, ribella rsi, rispettare, rivalità, scontrarsi, sfidare, sottom ettere,

Una categoria importante di atti che implicano l’umiliazione dell’altro, o che lo vedono comunque subire l’iniziativa imbarazzante o umiliante di interlocutori che con ciò si pongono, anche se momentaneamente, su un piano di superiore po­ tere relazionale, è segnalata da parole guida come b effa , in g a n n o , m e n ­ zogna, raggiro, rid ic o lo , sarcasm o, sch ern o , trucco, tru ffa . In generale, ogni parola, e ogni espressione gergale, che denoti il prospettare a un altro un’apparenza con il fine di sottometterlo al proprio volere o ai propri interessi impedendone la reazione di rifiuto preventivo o di ri­ bellione (oppure con il fine primario di evidenziare ai suoi stessi occhi la propria credulità e mancanza di critica) può orientare il codificatore all’uso del codice Ra: “ c i h a i c r e d u to ", “ c i s e i c a sca to", cre d u lo n e , p o llo .

su prem a zia, su b ire, trasgredire, vin cere).

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PARTESECONDA

Anche metafore usuali che indicano scontro e contesa suggeriscono che una motivazione di rango sottenda la locuzione: bordata , corazza , d u c ilo , scudo , stoccata , et corpo a corpo , ribattere colpo su colpo e simili. Infine, vanno considerate parole guida che implicano priorità o coercizione, come quella che un dominante impone a un subordinato: co strizio n e , d iritto , d o v e re , o b b lig o e simili. L’uso dei verbi volere e d o ­ vere è un ulteriore utile segno per avviare la ricerca di indicatori del si­ stema di rango. L’uso della parola libertà e dei suoi sinonimi, se riferita agli obblighi imposti dalla relazione con un dominante, può essere considerata fra le parole guida che orientano, in presenza di appro­ priati indicatori, all’uso del codice Ra. L’abbondanza e la pregnanza emotiva delle parole guida relative al sistema di rango rende necessario ricordare qui la regola generale che proibisce di attribuire un qualsiasi codice in base a una singola parola guida, in assenza di indicatori più precisi del sistema. III.4 Sistema sessuale (Sex) I I I .4 .a In d ica to ri n on verb ali

A tti di esplicita seduzione, o di scambi sessuali evidenti, rilevati da chi ha trascritto la registrazione del dialogo

Sebbene sia evidente che i tipi di dialogo proposti per una registrazio­ ne, e ancor più consegnati dal terapeuta a un gruppo di ricerca perché siano trascritti, non contemplino praticamente mai questa possibilità, essa non può essere del tutto esclusa. I I I A .b In d ica to ri v erb a li

D ichiarazioni di attrazione sessuale p ro vata o esercitata su un altro

Esempio: “Ho incontrato una ragazza eccitantissima” (Sex Nar). Que­ sto tipo di dichiarazioni acquistano particolare rilievo quando sono ri­ volte al terapeuta (o malauguratamente al paziente), come nei seguenti esempi (codificabili Sex Rei): “Mi sono accorto che le piaccio, dotto­ ressa - come maschio, intendo”; “Se non interrompo la terapia, finisce che sarò costretto a sedurla, Lei mi attira tanto che mica posso resiste­ re a lungo”. Descrizioni di atti, sogni o fantasie sessuali

11 codificatore dovrebbe attenersi alla lettera della comunicazione, e non usare il codice Sex per metafore o simboli. Inoltre, dovrebbe con­ 186

IL MANUALE AIMIT

siderare la possibilità che alcune narrazioni dirette del paziente si ri­ volgano più o meno indirettamente al terapeuta, come nel seguente esempio: “Andavo in giro la sera per rimorchiare giovani padri, che in quel periodo mi arrapavano molto... giovani padri come Lei... e in ge­ nere ci riuscivo”. Descrizioni di difficoltà nella vita sessuale

Disfunzione erettile, anorgasmia, eiaculazione precoce, incapacità eiaculatoria, deficit di desiderio o di piacere sessuale e altri (meno comu­ ni) tipi di disturbi sessuali, quando sono oggetto di attenzione nel dia­ logo terapeutico, di regola non rendono problematico l’uso del codice Sex. Tuttavia, è importante che il codificatore noti se esistono indica­ tori di simultanea attivazione del sistema di rango, del sistema di attac­ camento o del sistema di accudimento, tanto verso i partner erotici di cui si parla quanto verso il terapeuta al quale si rivolge la narrazione. Esempi: “Non ce la faccio a raccontarle di piti di quello che succede quando faccio sesso con mio marito, mi vergogno” (Sex Nar —» Ra Rei); “Dottore, Lei non me lo ha chiesto, ma le ho portato un CD dove le rac­ conto completamente tutto quello che ho fatto con i miei ultimi flirt e come mi sono sentita nel fare quelle cose” (Sex Nar + Ra —>Sex Rei?). Descrizioni di atteggiamenti o modi di vestire considerati esplici­ tamente come seduttivi

Va usata la codifica Sex non solo quando il parlante esprime il proprio intento seduttivo (per esempio: “Quando mi vesto così, ci godo un sacco a vedere gli uomini che si girano a guardarmi”), ma anche quan­ do sono terze persone ad affermare che la condotta del parlante susci­ ta attenzione erotica. Esempi: “Il mio ragazzo dice sempre che per co­ me vado in giro vestita tutti si girano a guardarmi” (Sex Nar); “ Le mie amiche dicono che sono troppo disinibita quando cambio un ragazzo a sera, ma secondo me sono invidiose” (Sex -* Ra Nar). D ichiarazioni di gelosia nei confronti di un partner sessuale o im­ maginato tale

Esempio: “Non sopporto l’idea che vada a letto con quella lì" (Sex). Si ricordi la discriminazione fra gelosia e invidia sottolineata nelle sezioni dedicate ai sistemi di attaccamento e di rango. Se la locuzione di gelo­ sia riferita al sistema sessuale implica anche altri sistemi, ricorrere alla codifica doppia, e alla codifica ulteriore di transizione da un sistema all’altro Tr (vedi sezione quarta). Esempio: “Non solo sono gelosa, 187

PARTI· SECONDA

non riesco a credere che quella sgallettata con il sedere piatto gli piac­ cia più di me” (Sex -> Ra). Descrizioni di violenze sessuali subite, agite, o dalle quali ci si è sen­ titi tentati

E sempre necessario, di fronte a queste narrazioni, usare il doppio co­ dice, Ra e Sex, anche qualora il paziente ne sia stata vittima e non ab­ bia provato attrazione o piacere, ma anzi doloroso disgusto e umilia­ zione. La ragione è l’inevitabile implicazione della motivazione sessua­ le nell’esperienza traumatica, anche se tale implicazione è vissuta con orrore e profondo rifiuto. La transizione (Tr) Ra —» Sex nella descri­ zione di un’esperienza di violenza sessuale subita è spesso disarmonica perché implica e talora esplicita la mobilitazione anche dei sistemi di attaccamento, dato che quello che viene narrato è un dolore, e del si­ stema di difesa (TrDis; vedi sezione quarta). Va considerata attentamente, di fronte alla descrizione di una vio­ lenza sessuale subita, anche la probabile presenza di indicatori della mobilizzazione del sistema di difesa (Dif). Descrizioni di atti sessuali perversi

I contesti di queste descrizioni sollevano spesso dubbi al clinico sulla motivazione sottostante, se cioè essa sia primariamente sessuale oppu­ re no (è stato autorevolmente sostenuto, per esempio, che nella pedo­ filia sembra essere attiva una motivazione di potere sull’altro, e quindi di rango, più che una motivazione sessuale). Si consideri dunque la possibilità di aggiungere altri codici a quello Sex, quando si valutano queste descrizioni. Un esempio è l’uso esibizionistico e insistito di riferimenti sessuali dettagliati, che potrebbero essere trascurati perché non aggiungono informazioni al racconto o alla comprensione dell’episodio, e sembra­ no motivati dall’intento di mostrare la propria “superiore” potenza, oppure la propria “depravazione”. La codifica Sex ►Ra NarRel è un’eventualità da considerare con una relativa frequenza in questo ge­ nere di resoconti.

IIIA.c Parole guida Oltre a tutti quelli che in ogni cultura descrivono, anche in maniera gergale, l’attrazione e il piacere sessuale (da “orgasm o ” a “ven ire ”), gli at­ ti sessuali (masturbatori, eterosessuali e omosessuali) e le attrattive ses­ 188

IL MANUALE AIMIT

suali del corpo del partner, si considerino almeno i termini seguenti: ad o­ rate, am ante, am ore, am orazzo, astinenza, attrazione, averla n e l sangue, avventura (galante), colpo d i fu lm in e , cotta, desid erio, eccitam ento, eros, erotico, fa re sesso, fe m m in ilità , fila rin o , flir t , fo c o so , frig id ità , g o d im en to , id illio , im potenza , incesto, in fatu azion e, in tim ità , lia so n , letto , love story, m ettere g li occh i add osso, m ettersi in sie m e, p a ssio n e, p ettin g , p om iciare, pornografia, rapporto (in tim o), relazione, rom anzetto, sbandata, scaricare (un am ante), scuffia, se d u zion e, sesso (vaginale, orale, anale), se x y , storia,

Vale anche qui, ovviamente, la regola generale che proibisce di attribuire un codice sulla base di una parola guida isolata da altri indicatori. sveltin a , trasporto, tresca, “una botta e v ia ” , virilità , voglia (erotica).

III.5 Sistema cooperativo-paritetico (Pa) III. h a In d ica to ri n on verb ali

Ancor più che per il sistema di accudimento, questi indicatori sono, in linea generale, praticamente impossibili da rilevare in maniera non equivoca a partire da un trascritto. Vi sono tuttavia due eccezioni, nel­ le quali indicatori non verbali di collaborazione su un piano paritetico possono essere colti e segnalati: 1) la simultaneità delle espressioni dei due interlocutori, indipenden­ temente dal contenuto verbale di esse, come quando terapeuta e paziente pronunciano una frase o una parola all’unisono (indice evidente di condivisione e di percezione interpersonale paritetica di fondo), o come quando scoppiano insieme a ridere (per la risata congiunta, tuttavia, vedi la sezione III.6 sul gioco sociale); 2) lo spostarsi da una sedia posta inizialmente di fronte all’interlocu­ tore, per affiancarlo ed esaminare insieme un oggetto (per esempio una fotografia, un disegno, una scheda di autosservazione come quelle spesso compilate da pazienti impegnati in terapie cognitivocomportamentali). III. 5.b In d ica to ri v erb ali

Afferm azioni esplicite di percepirsi alla p a ri con l'altro, in contesti non di contesa

Si attribuisce il codice P a a locuzioni del tipo “Noi due siamo uguali”, “Siamo sullo stesso piano”, “Tu sei come me”, e simili, solo quando non vi sia alcun intento denigratorio di sé o dell’altro (“Sono un bu­ 189

PARTE SECONDA

giardo, ma non crederti tanto superiore, anche tu menti, sei come me” va siglata con RaC) e quando il contesto non implichi alcuna competi­ zione o gara ( “A scacchi, vinco io tante volte quante vince lui: siamo al­ lo stesso livello”, è un altro esempio di RaC). In viti a condividere l ’attenzione

Esempi: “Ascolti”; “Senta questa”; “Mi sono spiegato bene?”. Per usare il codice Pa da solo, in presenza di questi indicatori, soprattutto quando costituiscono locuzioni brevi, è necessario che essi appaiano in contesti di discorso privi di indicatori di attività di altri S M I : 1) del sistema di rango, che attribuirebbe all’invito un significato im­ perativo (per esempio: “Mi stia bene a sentire”); 2) del sistema di attaccamento, che qualifica la condivisione come un bisogno, connesso a esperienze di sofferenza o vulnerabilità (per esempio: “Sono stata così confusa questa settimana, sentivo il biso­ gno di parlare con Lei di tutto quello che mi è successo”); 3) del sistema di accudimento (per esempio: “Mi ascolti, creda, non ha ragione di tormentarsi così”). Uso del pronom e “n o i” in frasi, denotanti condivisione, che si rife­ riscono a una relazione che il parlante intrattiene con una singola altra persona

Esempi: “Io e il mio compagno amiamo le stesse cose” (Pa Nar); “Ab­ biamo proprio fatto un buon lavoro, dottoressa” (Pa Rei). Descrizione di a ttività volte a conseguire congiuntamente la stessa meta in una relazione diadica

La regola generale, che invita a siglare Pa Rei se la locuzione è riferita all’interlocutore nella relazione terapeutica, non richiede ulteriori de­ lucidazioni per l’uso del codice Pa quando sia presente questo indica­ tore. Quando però si assegna il codice Pa Nar, cioè nelle locuzioni che trattano della relazione del paziente oppure del terapeuta con una ter­ za persona, è utile segnalare un interessante caso particolare. Se esiste una relazione che ciascuno dei due membri della diade ha con un coterapeuta operante in un diverso setting, si potrebbero trovare, in un’u­ nità narrativa, codici Pa Nar tanto nelle locuzioni del paziente quanto in quelle del terapeuta, che sono riferiti alla stessa persona (il coterapeuta). Utile, per ricerche sulle coterapie, è segnalare questo evento in una nota a fondo pagina. 190

IL MANUALI-: AIMIT

Descrizione di esperienze condivise, ovvero di episodi caratterizza­ ti da sintonia nelle intenzioni, nei sentimenti e nell'attenzione ri­ volta verso lo stesso oggetto del discorso

Questo indicatore è, in genere, facile da cogliere nel racconto (Nar) che uno dei due locutori fa all’altro di esperienze condivise con terzi. La descrizione dell’accordo, della sintonia, dell’obiettivo congiunto e della percezione interpersonale paritetica è spesso tanto esplicita quan­ to accompagnata da espressioni di apprezzamento della positività del­ l'esperienza. Meno lineare è l’attribuzione del codice Pa accompagna­ to dal codice Rei. Frasi che possono evidenziare la condivisione in corso, o la volontà di condividere l’attenzione, l’esperienza oppure il sentimento di fondo del­ l’interlocutore (Rei) sono, per esempio: “Capisco quello che vuole dir­ mi"; “Comprendo cosa ha provato”; “Succede anche a me di reagire co­ me Lei in queste circostanze”; “Non so se questo è successo anche a Lei”; “Potrebbe dirmi di più su questo argomento?”. Di fronte a queste dichiarate intenzioni di comprendere meglio quello che l'altro ha appe­ na detto, o di soffermarsi congiuntamente sull’argomento avanzato dal­ l’interlocutore, l’attribuzione del codice Pa può essere inequivocabile. Tuttavia, commenti e richieste che indicano comprensione o inviti a sof­ fermarsi insieme su un argomento, possono comparire anche in presen­ za di indicatori di accudimento, di rango o sessuali. Per esempio: “Non ho capito, mi spieghi meglio. Vuol torse dire che mi considera disone­ sta?” (Ra); “Capisco, deve esserci stato molto male” (Ac); “Me lo dica ancora, che mi trova attraente. Mi piace sentirmelo dire” (Sex). Si usi dunque il codice Pa solo se la locuzione, che tratta di com­ prensione o invita a condividere l’attenzione su un argomento, non contiene riferimenti ad altri SMI. Espressioni esplicite di accordo

I'.sempi: “Sono d’accordo con Lei”; “Sì, questo lo penso anch’io”. Conferma e ampliamento di un affermazione, osservazione o com­ mento dell'interlocutore

Nell’unità di codifica, uno dei due interlocutori riprende quello che l’altro aveva appena detto, aggiungendo osservazioni come a portare avanti una riflessione congiunta e condivisa. Espressioni di empatia

Sono esempi tipici di empatia le locuzioni del terapeuta che riprendo­ 191

PARTE SECONDA

no e ripetono temi e parole pronunciate dal paziente. Un esempio è la seguente replica di un terapeuta a una paziente che aveva appena usa­ to i termini “persona solida”, “punto di riferimento", “protettivo” e “smarrito” per descrivere, assai confusamente, la delusione ricevuta da un partner affettivo che le aveva “fatto del male”: “Lei fino a un cer­ to punto ha visto una persona solida, un punto di riferimento, uno con le idee chiare. Quello che vede ora di lui, il fatto che sia smarrito, che non sia più solo così protettivo ma che Le abbia anche fatto del male, il fatto che a volte sia saldo ma adesso sia confuso, tutte queste cose sono difficili da far rientrare in un’immagine unitaria di lui”. In casi come questo - in cui il terapeuta esprime anche simultanea­ mente un motivo di accudimento in quanto oltre a empatizzare rispec­ chia e valida emozioni di dolore (che il paziente aveva dichiarato sug­ gerendo una motivazione di attaccamento) - è legittimo usare, insieme al codice Pa, anche il codice Ac (Pa —>Ac). Insieme alle comunicazioni empatiche, anche le espressioni di auto­ svelamento (self-disclosure ), in cui il terapeuta rivela al paziente qual­ che aspetto del proprio mondo interiore o delle proprie esperienze, possono essere indicative di una motivazione paritetica attiva nel tera­ peuta. Per assegnare solo il codice Pa a espressioni di self-disclosure del terapeuta, è essenziale che nella sua locuzione siano assenti indica­ tori di altri SMI. Esplorazione congiunta di temi di condiviso interesse

L’esplorazione non è di per sé uno S M I primariamente interpersonale , anche se può talora svolgersi neH’intersoggettività e intervenire in cia­ scuno degli S M I (per esempio, l’esplorazione della sessualità nei giochi dei bambini o in alcuni tipi di incontri sessuali fra adulti, l’esplorazio­ ne condivisa di un qualsiasi argomento nel dialogo fra pari, quella del­ le proprie e delle altrui capacità in un contesto di competizione). Tut­ tavia, nei dialoghi terapeutici l’esplorazione congiunta di un qualsiasi tema indica spesso che, insieme al sistema di esplorazione, è attivo il si­ stema cooperativo. L’indicatore successivo evidenzia e descrive speci­ ficamente questa possibilità. R ichiam i a un precedente patto, accordo, o “contratto terapeutico concordato



Qualunque frase che contenga un tale richiamo merita l’assegnazione del codice Pa qualora il fine di chi la pronuncia sia di:

192

IL MANUALI·: AIMIT

1) ribadire o ricordare il patto; 2) lar notare che l’altro ha mancato all’accordo non per criticarlo o minacciare l’interruzione del dialogo, ma per richiamarlo all’accor­ do (o all’opportunità che porga le proprie scuse); 3 ) riconoscere di aver mancato all’accordo, e offrire le proprie scuse, o esprimere il proprio rammarico, al fine di ripristinare la coopera­ zione. Si dovrà invece assegnare un altro codice se il richiamo a precedenti accordi è fatto: 1) per rimarcare che l’altro, oppure il parlante stesso, avendo mancato all’accordo, è criticabile (Ra); 2) per segnalare la propria indignazione per il “tradimento” (Ra); 3 ) per indicare che si intende rompere la relazione visto il tradimento, oppure che ci si aspetta che l’altro reagisca al proprio tradimento con un rifiuto-abbandono (Ra —► At); 4 ) per segnalare il proprio dolore e chiedere conforto più che scuse (At). Si noti che nelle prime due possibilità fra queste ultime quattro, è in atto uno slittamento dal sistema Pa al sistema Ra, e neU’ultima dal si­ stema Pa al sistema At: ciò rimanda alla necessità di usare il codice che indica la transizione da un sistema all’altro (codice Tr; vedi sezione quarta). Quando le implicazioni o le conseguenze della rottura di un patto comportano l’inganno e la menzogna, che il locutore nomina esplicita­ mente descrivendosi come vittima, si codifichi RaS, visto che chi si sente ingannato percepisce di regola la relazione come umiliante. Espressioni di rammarico p er il mancato rispetto di im patto o di un accordo

La lealtà con la quale si tiene fede, o si nota che l’altro tiene fede, a un accordo, a un contratto, a un patto esplicitamente accettato da en­ trambi gli interlocutori di un dialogo è un valore fondamentale della relazione umana. Notare di avere mancato a tale lealtà, o che vi ha mancato l’altro, comporta in genere sentimenti di colpa, di collera o di dolore per il tradimento subito, che però possono lasciare in primo piano nella coscienza la motivazione all’interazione paritetica. In que­ sti casi, il codice da assegnare è Pa. Quando, di fronte a una slealtà o a un tradimento all’interno di una relazione preced en tem en te paritetica e collaborativa, il parlante si sof­ 193

PARTE SECONDA

ferma sull’eventuale in g a n n o subito o attuato, o sulla m en zog n a , il codi­ ce da usare è però, di regola, Ra. Il motivo è che essere vittima di ingan­ no è di solito percepito come motivo di indignazione sul piano del ran­ go, mentre di per sé la mancata lealtà o persino il tradimento possono comportare dolore, ma non necessariamente l’indignazione di rango. III.5 .C Pa role guida

Le lingue occidentali sono ricche di parole guida che suggeriscono una percezione interpersonale paritetica, anche se forse meno di quan­ to abbondino di parole che indicano antagonismo, rivalità o sessualità. Per esempio: a m ic o , a lle a lo , cam erata, colleg a , co m p a g n o , co m p lice, fr a ­ tello (in senso metaforico), in sie m e , p a ri, so cio , sod a le, sorella (in senso metaforico), uguale. Altrettanto frequenti sono le parole guida che in­ vitano a considerare atti e condizioni relazionali regolati dal sistema cooperativo-paritetico: accordo, a ffia ta m e n to , a rm o n ia , cam era tism o, co n co rd ia , co lleg a n za , c o m p licità , c o m u n e se n tir e , c o n d iv is io n e , c o n ­ g iu n ta m e n te , c o n se n so , d ia lo g o , fra te rn izz a re , in s ie m e

insieme),

(fare qualcosa

in tesa , m u tu a lità , p a tto , reciprocità, sca m b io , sim pa tia, s in to ­

n ia , so d a lizio

e simili. Espressioni di gergo hanno analogo valore di pa­

role guida: fia n c o

a fia n c o , g o m ito a g o m ito , essere a llo stesso liv e llo , es­

Di fronte a parole guida come queste, il codificatore, oltre a cercare (come da regola ge­ nerale) conferma negli indicatori sopra elencati prima di assegnare il codice Pa, dovrà accertarsi che la locuzione si riferisca a una relazione diadica. Se infatti la locuzione tratta di più persone, il codice da asse­ gnare riguarda piuttosto il sistema affiliativo (Af). Discrimina fra i co­ dici Pa e Af, insieme alla diadicità, la possibilità di identificare un obiettivo comune e condiviso, implicito o esplicito, per l’esperienza o l’azione interpersonale che viene descritta. 11codice Af, infatti, si rife­ risce, nella teoria che guida il manuale, a interazioni di gruppo che possono essere anche gerarchiche e non paritetiche, come nei gruppi che seguono un capo o un leader i quali definiscono la meta che poi gli altri perseguono, mentre il codice Pa richiede una percezione inter­ personale paritetica, e mai di gerarchia. sere d e lla stessa sq uadra , essere n e lla stessa barca.

III.6 Sistema di gioco sociale (Gio) Nota preliminare. Il sistema di gioco sociale può essere considerato un precursore evoluzionistico del sistema cooperativo-paritetico. Ana­ 19 4

IL MANUALE AIMIT

lizzarlo separatamente da quest’ultimo è giustificato da due considera­ zioni intercorrelate: 1) esso spesso comporta un’intrinseca transizione verso la pariteticità di interazioni che potrebbero essere, altrimenti, di rango, sessuali, o di attaccamento-accudimento (giochi agonistici, di esplorazione in­ fantile della sessualità, giochi di ruolo genitore-bambino); 2) d i c o n s e g u e n z a , p u ò a s s u m e r e n o t e v o l e i m p o r t a n z a in p s i c o t e r a p i a , c o m e s t r u m e n t o p e r c o n s e g u i r e l a t r a n s i z i o n e d a u n o d e g l i SMI n o n p a rite tic i al siste m a c o o p e ra t iv o .

Il codificatore dovrà privilegiare l’applicazione del codice Gio alle interazioni che, anche se sostanzialmente paritetiche e collaborative, perseguono l’interazione fra pari attraverso un’esplicita giocosità, avendo presente il possibile ruolo di queste interazioni nel permettere la transizione armonica al sistema cooperativo-paritetico a partire da interazioni di altro tipo.

III. 6.a Indicatori non verbali Risata congiunta

È il principale indicatore non verbale del clima interattivo leggero e benevolmente divertito che i due interlocutori raggiungono attraverso il gioco, la battuta, lo scherzo benevolo e condiviso. Va ricordato che si richiede cura particolare per escludere che, anziché di uno scambio benevolo, si sia di fronte a una (terapeuticamente assai impropria) col­ lusione sulla risata sul dolore, che suggerirebbe, nel contesto delle lo­ cuzioni dell’unità di codifica in cui compare, At —►Ra e non Gio.

Ill.ó.b Indicatori verbali Proposte di gioco condiviso, rivolte da uno psicoterapeuta dell'in­ fanzia a un bambino

L raro che una proposta di gioco sia rivolta da un terapeuta a un pa­ ziente adulto. E legittimo uso del pensiero metaforico considerare co­ me una sorta di gioco sociale l’esplorazione congiunta - priva di giudi­ zi di valore e priva rii espressioni di conforto o erotiche - di un disegno fatto da un paziente adulto. Tuttavia, un tale tipo di interazione non è codificata Gio dal presente manuale, ma Pa. Anche nel caso di una psicoterapia individuale con un bambino, è necessario che il codifica­ tore rilevi segni di partecipazione autenticamente divertita del tera­ peuta per usare inequivocabilmente il codice Gio. 195

p a r t i:s e c o n d a

D escrizioni di interazioni con a ltri basate su un qualsiasi tipo di gioco o di scherzo condiviso

Non vi sono in genere difficoltà a identificare queste interazioni nelle narrazioni di un interlocutore in un qualsiasi dialogo. Tuttavia, è ne­ cessario discriminare, dall’autentico divertimento primariamente cer­ cato insieme e condiviso, il sarcasmo, lo scherno, la beffa, il ridicolo e 10 scherzo subito (o agito sull’altro che ne è vittima, piuttosto che condiviso). Giochi tipicamente agonistici (per esempio scacchi, tennis, poker) dove si preveda uno sconfìtto e un vincitore, dovrebbero essere consi­ derati come esempi di gioco sociale, nel senso della prospettiva cognitivo-evoluzionista, solo qualora il divertimento comune sia, da en­ trambi i partecipanti, giudicato di valore superiore alla vittoria o alla sconfìtta. In assenza di criteri per valutare se questo è il giudizio condi­ viso (su un qualunque gioco) dei partecipanti al dialogo trascritto (ov­ vero dei personaggi menzionati in una narrazione), non si deve usare il codice Gio, e neppure, per le stesse ragioni, quello Ra. In un tal caso, se non vi sono al contempo nell’unità narrativa altri indicatori dubbi di questi o di altri SMI, è preferibile rinunciare al segno di dubbio (vedi sezione quarta), e semplicemente astenersi da ogni codifica per la lo­ cuzione in esame. Ironia benevola

11 codificatore dovrà distinguerla attentamente dal sarcasmo e dal ridi­ colo. Due esempi chiariscono la differenza. 1) “Lo credo bene che non trova molto da dire durante i nostri incon­ tri. Andare tutte le settimane da un terapeuta che ha trent’anni più di Lei, le dà del Lei, è calvo, porta sempre la stessa giacca e cravatta, e parla con un accento meridionale, deve essere una noia non da poco” (intervento benevolmente autoironico del terapeuta eli un adolescente del Nord Italia, evitante e con tratti di personalità pas­ sivo-aggressiva): Gio, o meglio, per completezza, e visto che il tera­ peuta usa una sorta di benevola autocritica (“calvo”): RaS » Gio Rei, TrArm. 2) “Sempre pronto a descriversi come Woody Alien quando parla di sé e del suo terapeuta e h ?!” (risposta potenzialmente ridicolizzante al commento di un paziente che, nella stessa unità di codifica, la­ mentava la lunga durata di una terapia da cui non gli sembrava di trarre giovamento): RaD. 196

IL MANUALI, ALMI I'

Storie divertenti o “battute”, purché sdram m atizzanti e comunque m ai intenzionate a svalutare l'interlocutore a l quale si raccontano o si rivolgono

Un maestro di questo tipo di interventi era Milton Erickson, le cui "storielle terapeutiche” sono state raccolte da Rosen. Altri esempi possono essere trovati negli scritti di Daniel Stern e collaboratori, sui “momenti erra” (noto m o m c n ts ) in psicoterapia. Vedi, per illustrazioni eli questo tipo di interazioni in psicoterapia, le opere corrispondenti, citate in bibliografia. III.6 .C Pa role guida

Oltre a parole guida come b attu ta , d iv e rtirsi {in siem e ), giocare, rid e­ re {in siem e ), scherzare e simili, esistono espressioni più complesse che suggeriscono di esaminare un’unità di codifica in vista della possibile codifica G i o : fa r e (o dire) p e r scherzo, fa r e p e r fin ta , n on fare s u l serio. È necessario ricordare che tutte queste parole guida e queste espressioni possono avere significati, a seconda ilei contesto, più vicini al sistema di rango che al gioco sociale. E pertanto necessario prestare molta at­ tenzione alla discriminazione fra le due possibilità. N1.7 Sistema di affiliazione (Af) Nota preliminare. Il sentirsi o descriversi affiliati a un gruppo socia­ le, a un’istituzione o a una ancor più vasta realtà collettiva è parte im­ portante dell’esperienza relazionale umana. Spesso, il senso di appar­ tenenza implica una percezione paritetica di sé rispetto alle persone con cui si condivide la stessa affiliazione (e dunque il sistema alfìliativo ha punti di contatto con il sistema cooperativo-paritetico). Tuttavia, è opportuno differenziare le due codifiche, P a e A f , perché l’affiliazione può avere importanti componenti di rango (come quando è considera­ ta rispetto al leader del gruppo) e persino di attaccamento-accudimento (come quando il gruppo è percepito come (onte di protezione, so­ stegno emotivo o conforto). Una versione del manuale adatta ad analizzare la motivazione inter­ personale nei contesti della terapia di gruppo o della terapia familiare dovrà espandere notevolmente questa sezione. Nella versione attuale, dedicata alla psicoterapia individuale, sono fornite solo le informazio­ ni essenziali per la codifica del sistema ili affiliazione, così come esso può manifestarsi nelle narrazioni ( N a r ) possibili all’interno di un dia­ 197

PARTI- SECONDA

logo diadico, oppure nelle prescrizioni, commenti e suggerimenti che un terapeuta può talora rivolgere al proprio paziente.

III. 7. a Indicatori non verbali Tipicamente e per definizione, il sistema di affiliazione manca di in­ dicatori non verbali specifici che possano essere colti in un dialogo a due.

III. 7.b Indicatori verbali In generale, uso del pronom e “n o i” in contesti che si riferiscono non a diadi, ma a gruppi di tre o più persone

La locuzione con il “noi” riferito a tre o più persone, per meritare la codifica Af, deve suggerire fortemente o ancor meglio affermare espli­ citamente che il parlante prova un sentimento di appartenenza al gruppo sociale al quale si sta riferendo, sia esso la propria famiglia o un qualsiasi gruppo sociale. L’eventuale compresenza di notazioni cri­ tiche, o persino affermazione di conflitti interni al gruppo, permette l’uso del codice Af solo in presenza di affermazioni esplicite di appar­ tenenza. Per esempio: “In famiglia ragioniamo tutti in maniera diver­ sa, e per questo siamo una vera forza” merita il codice Af. Il codice, in­ vece, non può essere attribuito a locuzioni del tipo: “Non vedo l’ora di andarmene da casa, non sopporto più né mia madre, né mio padre, né mia sorella, siamo una banda di matti, e poi stiamo già tutti ognuno per conto suo, separati in casa”. Trattandosi di separazione, il codice da considerare in questo secondo esempio è, piuttosto, At. Descrizioni di attività, di qualsiasi tipo, svolte in gruppi di persone, qualificate collettivamente come amici, camerati, colleghi, compa­ gni, consoci

La chiave per differenziare queste descrizioni da quelle che meritano la codifica Pa è evidentemente la molteplicità delle persone implicate (tre o più). Questa scelta di codifica permette di usare il codice A f anche qualora sia sottolineata, nella descrizione dell’esperienza, una dimen­ sione di vulnerabilità o una dimensione di rango. Le rispettive codifiche, da aggiungere alla sigla Af, andranno a costituire codici di transi­ zione. Esempi: “Con quel gruppo di amici ho trascorso momenti indi­ menticabili” (Af); “I miei colleghi sono spesso poco affidabili, solo io e pochi altri cerchiamo di agire responsabilmente, ma i più sono molto peggio di noi” (Af ►Ra); “Se non ci fosse stato il mio gruppo, dopo 198

il.

m a n u a l i: a im it

che il mio ragazzo mi ha lasciato sarei proprio stata persa. Nel gruppo era una gara a consolarmi” (Af - ►At); “Se non fossimo stati uniti da una vita, in quattro e con così pochi soldi non ce l’avremmo fatta a completare il viaggio, ma a Edimburgo volevamo arrivarci, e così, an­ dando per ostelli e dormendo tutti nella stessa stanza... ” (Af —» Pa). In questi esempi, la transizione è armonica (vedi sezione quarta) e il codice aggiuntivo, dunque, TrArm. Uso del pronom e “n o i” in contesti molto generali, che si riferiscono non a gruppi sociali, ma a realtà collettive assai p iù vaste

Un esempio è il “noi universale” (Semerari, 2000) usato in frasi che si riteriscono alla comune appartenenza all’intera umanità, o a grandi parti di essa. L’uso del codice Af permette, anche in questo caso, di considerare in secondo piano (o trascurare del tutto se poco chiara) la codifica di altre motivazioni eventualmente compresenti, purché il ri­ chiamo all’appartenenza collettiva non sia equivoco. “Noi esseri uma­ ni”, “noi donne”, “noi uomini”, “noi italiani”, “noi psicologi” sono tut­ ti esempi che anche da soli permettono la codifica Af, purché non vi siano indicatori, nella stessa unità di codifica, che suggeriscono l’inten­ to prioritario di contrapporsi a, oppure confrontarsi con, la diversa ap­ partenenza dell’interlocutore sui piani del rango, della sessualità ovve­ ro deH’attaccamento-accudimento. Il motivo tli questa regola a d exclud c n d u m per il codice Af è che il richiamo al “noi” potrebbe talora esse­ re un mero artificio dialettico, motivato dalla volontà di evitare di im­ plicare troppo direttamente l’interlocutore presente nel confronto, nel­ la richiesta indiretta di attenzione protettiva, o nella seduzione. Esem­ pi: “Voi uomini non capite quando noi donne vorremmo portarci a let­ to qualcuno” (detto da una paziente al proprio terapeuta: richiede la codifica Sex, non quella Af); “Voi donne non capite mai se un uomo soffre veramente, inutile aspettarsi aiuto da voi” (detto da un paziente alla propria terapeuta, merita il codice At); “Noi donne siamo molto ma molto più sensibili e in fondo anche intelligenti di voi maschi” (sug­ gerisce la codifica Ra); “Voi terapeuti in fondo ve ne fregate di noi pa­ zienti” (suggerisce l’uso di un codice di transizione, At » Ra). D ichiarazioni esplicite di sentimenti di non appartenenza a gruppi

La logica sottostante l’uso di questo indicatore per l’attribuzione del codice Af è che il parlante considera evidentemente una possibile affi­ liazione per negarne poi volontà o possibilità di accesso. Per esempio: “Mi sono sempre sentito diverso dai miei compagni di classe, così loro 199

PARTE SECONDA

a volte uscivano insieme, e io mai”; “Mi considerano un estraneo, non mi invitano mai alle loro feste”. Queste locuzioni meritano entrambe la codifica Af, segnalando una rappresentazione di affiliazione possibile (anche se negata).

III. 7. c Parole guida Suggeriscono l’esplorazione dell’unità di codifica, alla ricerca degli indicatori del sistema di affiliazione, parole come: acculila, adepti, ade­ renti, affiliati, amici, ammucchiata, appartenenti, associazione, banda, branco, casa, camerati, cenacolo, cerchia, circolo, club, colleghi, com bric­ cola, com pagni, compagnia, com unità, condom ini, confraternita, con gre­ ga, consoci, diverso (nel senso di dissonante dai membri di un gruppo a cui si sente di non appartenere), drappello, estraneo, fam iglia, fam iliari, fratelli, fraternità, genia, gen te, ghenga, gruppo, iniziati, “la mia gen te" ; m embri, nuovi acquisti, orda, parentado, parenti, plotone, raccolta (chia­ mare a), salotto (letterario), schiera, seguaci, setta, sezione (di un partito politico), soci, società, sodalizio, sorelle, squadra, stuolo, team, torma, truppa e simili. Si noti che alcuni di questi termini devono essere usati in modo autoironico o gergale perché si possa intendere che il parlante si riferisce a gruppi di affiliazione (esempi: “Ci vediamo domani, tutta la ghenga”; “Tutta la truppa, siamo andati a quella festa”). Altri termi­ ni (adepto, am ico, com pagno, fra tello ecc.) possono essere considerati parole guida per l’assegnazione del codice A f solo se compaiono al plurale nel trascritto. Altre parole guida il cui uso suggerisce la presenza della motivazio­ ne affiliativa si riferiscono ai diversi tipi di incontri di gruppo: adunan­ za, assemblea, festa, incontro, m eeting, party, riunione e simili.

IV. Indicatori di transizione da un sistema all'altro (Tr) L’assegnazione del codice separato Tr (nel margine destro del trascrit­ to) è permessa dai momenti di passaggio o transizione da uno SMI all’altro all’interno di una singola unità di codifica. Se il cambiamento di registro motivazionale in un locutore avviene da un’unità di codifica all’altra, per esempio come risposta di sintonizzazione con il registro motivazionale proposto dall’altro parlante, esso non è classificato fra le transizioni (Tr). In altre parole, mentre in alcune unità di codifica è possibile, secon­ do le regole fornite per ciascun sistema, identificare gli indicatori di un 200

IL MANUALE A1MIT

solo SMI all’interno o della dimensione relazionale diretta (Rei), oppure di quella narrativa (Nar), esistono in molti trascritti anche unità di codi­ fica nelle quali tale identificazione univoca non è possibile, ma non a causa dell’assenza di indicatori di SMI attivi (nel qual caso l’unità non ri­ ceve alcun codice): piuttosto, per la presenza di indicatori molteplici. Ciò suggerisce la presenza di transizioni fra due o più SMI all’interno della stessa unità di codifica e della stessa dimensione Rei oppure Nar. E opportuno soffermarsi sul perché la presenza di diversi codici motivazionali suggerisca la presenza di una transizione (Tr) all’interno di un’unità di codifica, solo se tale molteplicità appartiene alla dimen­ sione narrativa (Nar), oppure a quella relazionale (Rei). Se in un brano si codificano motivazioni diverse solo fra Rei e Nar, il codice Tr non è applicabile con sufficiente sicurezza, perché è possibile che lo stato mentale del parlante sia regolato prevalentemente o esclusivamente solo dal sistema che in quel momento controlla la relazione con l’inter­ locutore. Può accadere, per esempio, che un paziente narri un episo­ dio in cui ha subito un’umiliazione (RaS Nar) con l'intento esplicito di ottenere conforto dal terapeuta (At Rei). Oppure può accadere che il dialogo con il terapeuta sia sostanzialmente cooperativo (Pa Rei), men­ tre un episodio narrato durante tale dialogo contenga informazioni che suggeriscano l’attivazione, Ira il parlante e una terza persona, di uno SMI diverso da Pa. La transizione, in questi casi, non va codificata anche se l’unità considerata contiene indicatori di SMI diversi, perché tali indicatori possono essere contestualizzati nelle due diverse dimen­ sioni, narrativa e relazionale. Per esempio, non riceve il codice Tr la se­ guente locuzione: “Mio padre ogni volta che non mi sottomettevo mi picchiava e umiliava, e così a otto anni mi sono deciso, un giorno, e con lui da allora mi sono messo a tappetino [RaS Nar]: una sofferenza che mi dura ancora, dottoressa. Pensi che infanzia ho avuto [At Rei]”. Esempi di codifiche doppie, nelle quali si segnala la simultanea atti­ vazione di due SMI, sono stati citati piti volte nelle pagine precedenti (vedi per esempio il caso della risata sul proprio dolore, codificata co­ me At ♦Ra, nelle sezioni III.l.a e III.3.a del manuale). A titolo di ul­ teriore esempio dei possibili slittamenti da uno SMI all’altro all’interno della stessa unità che meritano il codice Tr, citiamo per il momento i seguenti casi: - Locuzioni narrative (Nar) o relazionali (Rei) che prospettano aspettative o decisioni interpretabili sia come abbandono subito (At), sia come sprezzante e umiliante allontanamento dell’altro (Ra). In 2 01

p a r t i; s t o

>n i m

tali casi bisogna siglare Tr sul margine destro e At ►Ra sul sinistro. Esempio: “Adesso mi vorrà mandare via! ” esprime tanto un temuto abbandono quanto (con il “vorrà”) il riconoscimento della superio­ re volontà dell’altro e forse l’autoattribuzione di un’indegnità che merita l’espulsione e lo sprezzante rigetto più che la perdita. Si con­ fronti questo esempio con espressioni più lineari di temuto abban­ dono (“Adesso mi abbandonerà?”, At), o di sprezzante espulsione (“Vada via!”, Ra); - locuzioni appartenenti al sistema di gioco sociale (Gio), che smorza­ no nella benevola ironia affermazioni altrimenti siglabili come Ra, oppure come Ac. Esempi: “Su, non faccia lo stupido, lo so che lei è in gamba”, codificata Tr sul margine destro e Ra —► Gio sul sinistro; “Mamma mia, però, che bella fifa si sarà presa!”, codificata Tr sul margine destro e Ac —>Gio sul sinistro; - locuzioni che dichiarano vergogna per il corpo in contesti esplici­ tamente erotici, se accompagnate da dichiarazioni di inferiorità socia-le o di autodisprezzo (a queste corrisponderanno le sigle Tr a destra, Sex » Ra a sinistra). La codifica Tr corrisponde inoltre ai ben noti processi mentali e in­ terpersonali dell’inversione dell’attaccamento e delle strategie con­ trollanti (punitive o accudenti), che si sovrappongono fin dai primi an­ ni di vita alla disorganizzazione dell’attaccamento precoce. Queste possono tipicamente comparire, nei trascritti, con locuzioni codifica­ bili come At —>Ra, oppure At - >Ac. Le sigle Tr potrebbero rivelarsi frequenti nei disturbi psicopatologici derivanti dalla disorganizzazio­ ne deH’attaccamento. Fra queste, vanno ricordate le codifiche che im­ plicano il sistema di difesa, At >Dif, menzionate nella sezione sul si­ stema di attaccamento (vedi sopra). Esiste un’importante differenza fra due tipi di locuzioni codificabili Tr. In uno dei due tipi, che chiamiamo “disarmonico” (Dis), la transi­ zione appare caotica e le diverse intenzioni del locutore difficilmente distinguibili l’una dall’altra. Questo tipo di transizione sembra legato a processi mentali a rischio di indurre disturbi psicopatologici (per esernpio processi dissociativi derivanti dal collasso delle strategie con­ trollanti in persone con storie di attaccamento disorganizzato). Nell’al­ tro tipo di transizione, che chiamiamo “armonico” (Armi - e a cui ap­ partengono gli esempi riportati sopra in apertura di questa sezio­ ne - la transizione da uno SMI a un altro è invece composta da intenzio­ ni che, pur nel loro combinarsi o susseguirsi rapido, restano facilmente 202

IL

m a n u a l i: a im it

intelligibili e distinguibili. Per esempio, le motivazioni in transizione appaiono intelligibili facilmente quando la transizione è indotta dall’ac­ cettazione lineare e coerente di un diverso registro motivazionale pro­ posto dall’interlocutore nella precedente unità di codifica, oppure dalla deliberata intenzione di modulare (verso l’alto o verso il basso) l’inten­ sità delle emozioni di un dato SMI attraverso il simultaneo ricorso a una motivazione diversa. E anche facilmente comprensibile il cambiamento di intenzione dovuto al raggiungimento temporaneo dell’obiettivo di u n dato SMI nel dialogo clinico, al quale raggiungimento corrisponde la disattivazione di quello SMI e l’attivazione di un sistema diverso. Si noti che nelle regole appena accennate sopra, per distinguere le transizioni armoniche da quelle disarmoniche si usano gli avverbi “fa­ cilmente” e “difficilmente”. Ci si potrebbe chiedere quanto facilmente o difficilmente, e ciò condurrebbe alla messa a punto, probabilmente desiderabile, di un metodo di valutazione dimensionale dell’armoniadisarmonia delle transizioni (per esempio, con una scala Likert a cin­ que o sette punti). Nella presente prima edizione del manuale, tutta­ via, si è ritenuto opportuno usare un metodo categoriale (distinzione netta fra transizioni armoniche e disarmoniche) perché meno gravosa per il codificatore e più adatta a una preliminare valutazione del feno­ meno generale delle transizioni. Saranno ora descritti in dettaglio i criteri formali per assegnare i co­ dici Arm e Dis alle transizioni (TrArm, TrDis). IV. 1 Transizioni armoniche La regola fondamentale per assegnare il codice Arm a una transi­ zione ila uno SMI a un altro è che vi sia una chiara e inequivocabile pre­ senza di indicatori di ciascuno dei due (o pità) SMI nell’unità di codifica considerata, tale da permettere a entrambi gli interlocutori di notare le due (o più) diverse motivazioni. La dizione “armonica” non deve però essere intesa come equivalente di “desiderabile”, “felice” o “opportu­ na”. bssa si riferisce esclusivamente al successo nell’evitare che l’inten­ zionalità duplice o molteplice renda impossibile o molto difficile, tan­ to al parlante quanto all’interlocutore, identificare senza equivoci le motivazioni in atto. Si codificano come “armoniche” (TrArm), dun­ que, le transizioni nelle quali: - compaiono i più comuni modi di esprimere, nelle relazioni quoti­ diane, intenzionalità duplici; 203

p a r t i : si c o n d a

- esistono attribuzioni di causalità e commenti espliciti sul cambia­ mento motivazionale; -

v i e n e r a g g i u n t a l a m e t a d i u n o SMI, e d i c o n s e g u e n z a a t t i v a t o u n s i ­ stem a d iv erso ;

- si nota l’iniziale influenza, nel modificare il registro motivazionale, della proposta di un singolo diverso registro che proviene dall’in­ terlocutore nell’unità di codifica precedente; -

è e s p r e s s a u n a s i n t o n i z z a z i o n e ( e m p a t i c a ) c o n u n o o p i ù SMI s o t t e s i a lla p r e c e d e n t e lo c u z i o n e d eH ’i n t e r l o c u t o r e , s e g u ita d a lla p r o p o s t a d i b a s a r e l o s c a m b i o s u u n s i n g o l o a l t r o SMI;

- si manifesta la deliberata intenzione di modulare l’intensità delle emozioni connesse a una data motivazione interpersonale attraver­ so il simultaneo ricorso a una motivazione diversa; - in generale, vi è una chiara e inequivocabile presenza di indicatori di due (o più) SMI nella dimensione Rei oppure in quella Nar. Uno solo di questi criteri è sufficiente per assegnare il codice Arm. Un’illustrazione dell’intenzionalità duplice comune negli scambi quotidiani si ha quando un interlocutore si rivolge a un altro, che ha appena attraversato o attraversa le difficoltà di una contesa, esprimen­ do sostegno e apprezzamento per le sue capacità - per esempio, dicen­ dogli: “Sei stato proprio bravo!”. In tale circostanza, chi dice “bravo” all’altro da un lato gli offre sostegno (Ac) per la difficoltà (indicativa di attivazione del sistema di attaccamento, At) e dall’altro, simultanea­ mente, gli riconosce valore nelle competizioni della vita quotidiana (Ra). Un altro esempio, relativo alla comune coincidenza di motiva­ zioni sessuali e di rango, è il seguente, detto da un uomo alla donna che corteggia: “Alla festa, eri la più bella” (Sex +Ra TrArm). Alcuni esempi di chiari commenti, ovvero di attribuzioni di causalità esplicite circa il cambiamento di registro motivazionale, sono i seguenti: 1) “Sto soffrendo molto, e mi piacerebbe che lui mi consolasse, ma mi sono comportata così indegnamente che non me lo merito” (l’attri­ buzione di causalità al “comportamento indegno” per l’assenza del­ la consolazione desiderata permette di identificare tanto la motiva­ zione di attaccamento quanto quella di rango, e richiede dunque la sigla TrArm sul margine sinistro, e At - >RaS Nar sul destro). 2) “Avevo detto, la scorsa seduta, che in genere non accetto le provoca­ zioni senza reagire, ma questa volta mi è sembrato che avrei fatto troppo male a mio figlio punendolo per la sua ribellione” (commen­ to esplicito su una precedente affermazione riguardante il rango, 204

IL MANUALE AIMIT

che rende chiara la diversa motivazione, di accudimento, che preva­ le nell’episodio narrato: RaD ►Ac Nar sul margine destro, e TrArm sul sinistro). 3) “E quindi, mentre io mi aspettavo che mi comprendesse [At], mia madre mi ha preso in giro [RaS]. Che carogna LRaD]. Ma probabil­ mente sto esponendo i fatti in modo diverso da come sono andati in realtà, forse non voleva umiliarmi, ma solo sdrammatizzare o di­ strarmi” (l’ultima frase commenta con chiarezza come la paziente oscilli consapevolm ente fra l’attribuire alla madre intenzioni di do­ minanza e di sostanziale accudimento). 4) “Ero convinta che Lei sarebbe stato al mio fianco [Pa Rei] nella de­ cisione di lasciare mio marito, e che mi avrebbe sostenuta [At Rei]. Ora mi accorgo che Lei è dalla sua parte, invece. Tutti uguali, voi uomini, uno schifo [RaD Rei]” (il commento “ora mi accorgo” in­ dica con chiarezza il motivo del cambiamento dell’atteggiamento motivazionale della paziente nella relazione terapeutica). Un esempio dell’influenza che esecita la proposta di un singolo diverso registro motivazionale, proveniente dall’interlocutore nella locuzione pre­ cedente, è offerto dal già citato scambio fra paziente (P) e terapeuta (T): P: Questa notte, ed è così da un mese, mi sono svegliata per l’ennesima volta, perché mio figlio piangeva, l’ho preso in braccio e cullato [Ac Nar] ma inutilmente perché ha continuato a piangere e a un certo punto [...] ho avuto proprio l’immagine di me che lo buttavo dalla finestra e per un po’ mi sono sentita liberata, poi mi sono resa conto di ciò, mi sono vergognata moltissimo [RaS Nar], ho pensato di essere un mostro [...]. T: Comprendo quello che ha provato, ma c’è qualcosa che mi sfugge, cer­ chiamo di capire meglio la dinamica, la successione degli eventi interni ed esterni [Ac —► Pa Rei]. P: [Silenzio di 2 0 secondi ] Ero stanca, assonnata, infastidita, arrabbiata i Ra Nar], mi veniva da piangere e ... mi ricordo di aver detto: “Non ce la fac­ cio più, perché non dormi, dai pace a tua madre” [At Nar]. Mentre nella prima e nella seconda unità di codifica è possibile usa­ re la sigla TrArm nel margine destro per la regola generale della chiara distinzione fra i due SMI indicati (e nella prima anche per il chiaro commento “mi sono resa conto”), nella terza l’ulteriore motivo per farlo è l’influenza dell’atteggiamento accudente (“comprendo”) e non giudicante ma paritetico (“cerchiamo di capire”) del terapeuta, che giustifica l’attivazione iniziale ilei sistema di attaccamento insieme a quello di rango. 205

parti: seconda

Un esempio dell’attivazione di un sistema diverso, conseguente al raggiungimento della meta di uno SMI, è il seguente: “Ha ragione, mi sono distratto e non ho ascoltato quello che mi stava dicendo. E stato un mio errore, mi dispiace. Se però ha fiducia che in generale sono ca­ pace di sufficiente attenzione, possiamo riprendere a cercare di capire insieme quello che sta succedendo ultimamente nel nostro dialogo?”. Raggiunta la meta del sistema di rango nella subroutine di sottomissio­ ne - il terapeuta riconosce il proprio errore e il diritto dell’altro a riti­ rare fiducia - diviene possibile l’attivazione del sistema cooperativoparitetico (“capire insieme”). Un esempio di intenzionale sintonizzazione (di accudimento, più che di empatia paritetica) con uno dei diversi SMI sottesi alla locuzione della paziente è offerto nell’esempio clinico immediatamente prece­ dente, in cui il terapeuta intuisce la vulnerabilità (richiedente implici­ tamente cura) nella descrizione dell’episodio in cui la paziente imma­ gina di gettare il tìglio dalla finestra. Questo tentativo deliberato di sin­ tonizzazione è seguito dalla proposta di basare lo scambio su un singo­ lo altro SMI (quello cooperativo-paritetico): anche questa transizione è da considerarsi armonica. La deliberata intenzione di modulare l’intensità delle emozioni connesse a una data motivazione interpersonale, attraverso il simulta­ neo ricorso a una motivazione diversa, è illustrata dall’esempio di au­ toironia benevola già proposto nella sezione dedicata al sistema di gio­ co: “Lo credo bene che non trova molto da dire durante i nostri incon­ tri. Andare tutte le settimane da un terapeuta che ha trent’anni più di Lei, le dà del Lei, è calvo, porta sempre la stessa giacca e cravatta, e parla con un accento meridionale, deve essere una noia non da poco” (RaS ►Gio Rei, TrArm). Infine, un esempio della regola generale, che assegna il codice Arm a locuzioni nelle quali sia comunque chiara e inequivocabile la presen­ za di indicatori di due (o più) SMI nella dimensione Rei oppure in quel­ la Nar, è il seguente: “Notavo che la maggior parte dei presenti al Con­ gresso li avevo invitati io personalmente, ed erano venuti per amicizia o perché la pensano come me su questo argomento (Pa); ne ero gratifi­ cata, e soprattutto ero orgogliosa di aver dimostrato le mie capacità a chi fra gli organizzatori mi aveva osteggiato (R a)”. Nell’esempio, la parlante identifica con chiarezza l’esistenza di una motivazione riferita ad alcuni dei presenti, e di una motivazione diversa riferita ad altri. L’assegnazione di un codice Arm richiede, in sintesi, una forte im­ pressione di coerenza e di capacità riflessiva nella costruzione della lo­ 2 0 6

II. MANUALI· AIM1T

cuzione. Il codice, se esiste uno qualsiasi fra gli indicatori di sufficiente coerenza e capacità riflessiva fin qui elencati ed esemplificati, si applica anche qualora la locuzione suggerisca, clinicamente, l’esistenza di una patologia emozionale o di atteggiamenti socialmente e psicologicamen­ te controproducenti. Si noti, a questo riguardo, che molte doppie sigle menzionate negli esempi della sezione terza sono compatibili con ras­ segnazione del codice aggiuntivo TrArm. Per esempio, la risata sul pro­ prio dolore riceve il codice Arni quando il locutore riconosce un pro­ prio dolore che di per sé chiederebbe conforto e allo stesso tempo ma­ nifesta la voluta, deliberata, autoriflessiva minimizzazione di tale esi­ genza attraverso una svalutazione del dolore stesso e del desiderio di conforto. Un altro esempio: il codice At >Dif può talora permettere di identificare senza equivoci locuzioni nelle quali si susseguono tanto la speranza di ricevere conforto quanto la paura che la figura di attacca­ mento si riveli invece pericolosa per la propria integrità fisica e mentale. Qualora, mentre si sta per assegnare un codice Arm a un passo di un trascritto, si notino in esso simultanee locuzioni indecifrabili quanto a direzione dei processi motivazionali, tali da rendere necessario l’uso del codice Dis (vedi oltre), si deve sospendere l’uso del codice Arm per quel passo. L’assegnazione del codice Dis a un passo del trascritto deve inibire il contemporaneo uso del codice Arm per la stessa unità di codi­ fica, anche qualora alcune locuzioni contenute in esso, se prese da sole, potenzialmente lo consentirebbero. Se si ritiene comunque opportuno segnalare la presenza di transizioni armoniche all’interno di unità co­ municative caratterizzate da transizioni disarmoniche, le prime devono essere poste, nel margine destro, fra parentesi (Tr Arm), mentre le se­ conde saranno poste in evidenza per l’assenza di parentesi: Tr Dis. 1V.2 Transizioni disarmoniche Si considerano disarmoniche le transizioni (Tr Dis) che avvengono per un’attivazione simultanea o in rapida sequenza di diversi SMI all’in­ terno della stessa unità di codifica e della stessa dimensione o narrativa o relazionale, qualora tale attivazione motivazionale multipla: -

n o n s i a s p i e g a b i l e c o n il r a g g i u n g i m e n t o d e l l a m e t a ili u n o SMI; n o n sia a c c o m p a g n a t a d a g li in d ic a t o r i, m e n z i o n a t i a p r o p o s i t o d e lle tra n s iz io n i a rm o n ic h e , di rifle s s io n e a ttiv a su lla c o m p le s s ità d e lla d e s c riz io n e o ffe rta (e s p lic ita m e n te o im p lic ita m e n te ) d e lle in te n ­ z io n i p r o p r ie e a ltru i;

207

parti: secon d a

- non sia tale da permettere di identificare senza dubbio i diversi SMI compresenti nell’unità, perché vi coesistono indicatori diversi, e cia­ scun indicatore può riguardare diversi SMI, mentre non sono presen­ ti criteri per dirimere l’incertezza (se un’unità di codifica contiene un solo indicatore, il fatto che esso sia di incerta attribuzione a uno o a un altro SMI non è sufficiente per assegnare il codice Dis). Si può presumere che la disarmonia nelle transizioni da uno SMI a un altro derivi, il più delle volte, da precedenti esperienze relazionali traumatiche. Ci concentreremo ora su alcuni indizi che possono avviare la proce­ dura necessaria per l’assegnazione del codice Tr Dis a un’unità di co­ difica. Si tratta: 1) dell’impressione soggettiva di difficoltà nella codifi­ ca di unità emotivamente dense (e che suggeriscono un forte impatto degli SMI nella loro produzione); 2) della descrizione di esperienze psi­ copatologiche nell’area della dissociazione e dell’autolesione; 3) di una forte ambiguità nelle parole guida presenti; 4) del brusco inter­ rompersi di un’affermazione decisa, e 5) dell’assenza di riferimenti, nella locuzione, a persone precise pur se la locuzione stessa sembra ri­ volgersi a un qualche essere umano o lo menziona (vagamente). Il primo indizio che il codificatore si trova di fronte a una transizione disarmonica è dunque l’impressione soggettiva di difficoltà nell’assegnare un codice a una locuzione che pure appare emotivamente assai densa, e nonostante l’esame attento degli indicatori e delle parole guida elencati nelle varie sottosezioni della sezione terza del manuale. Tale in­ dizio, comunque, non è sufficiente da solo per assegnare il codice Dis. E necessario che, in aggiunta, il codificatore compia un secondo passo: dopo aver verificato scrupolosamente la possibilità di usare tutte le si­ gle alternative plausibili per la locuzione considerata, noterà di non po­ ter raggiungere una decisione su quale utilizzare. Infine, il terzo passo per assegnare il codice Dis alla locuzione è escludere che essa contenga spiegazioni della transizione, attribuzioni di causalità chiare a essa, op­ pure consapevolezza esplicita della complessità e della contradditto­ rietà delle diverse motivazioni implicate. I seguenti due esempi posso­ no fungere da guida per la comprensione di questa regola: 1) “A casa, sì mi sono tagliata anche ultimamente di nascosto però qua è come se io mi fossi sentita finalmente libera, libera di farmi tutto il male che voglio [ ...] .” Quasi ogni locuzione nell’unità di codifica aperta così dalla paziente (che continua a procurarsi ferite durante un ricovero) si presta a valutazioni diverse, senza che l’esame anche mol­ 2 0 8

IL MANUALE AIMIT

to attento di questo passo del trascritto renila possibile raggiungere una decisione fra le alternative. “Mi sono tagliata” indica dolore e fe­ rita, quindi suggerisce il codice At, ma la volontarietà dell’atto per­ metterebbe di considerare il codice Ra (come per una punizione au­ toinflitta) e persino il codice Ac (come per un autoaccudimento, per quanto distorto e abnorme, finalizzato ad alleviare la tensione). “Li­ bera di farmi tutto il male che voglio”, allo stesso modo, potenzial­ mente può indicare tanto l’emancipazione da uno stato di soggezione alle imposizioni di un dominante (Ra), quanto il senso di colpa che proibisce la libertà di compiere atti che procurano dolore a persone amate e che amano la parlante come le persone della sua casa (Ac), senza che vi siano indicazioni ulteriori capaci di sciogliere il dubbio del codificatore. Inoltre, volersi fare del male non permette facilmen­ te l’uso del codice D i f , visto che c’è la rivendicazione di una volontà e di una libertà propria nel compiere un atto lesivo verso se stessi, ma nel contempo lo suggerisce fortemente, vista la violenza e l’aggressi­ vità maligna implicate nella descrizione. Allo stesso tempo, non vi so­ no segni che la paziente sia consapevole delle diverse motivazioni im­ plicate nel racconto e nella descrizione del suo stato mentale. 2) “Prima lui era il mio amore, protettivo, poi quando è successa que­ sta cosa io continuavo a volergli bene, capivo che mi aveva fatto del male m a... lo vedevo comunque come una persona ferma che non stava soffrendo, che soffriva si ma che si era reso conto che mi aveva fatto del male, quello di sempre e invece ho visto proprio una perso­ na smarrita completamente, che non si sta rendendo più conto della realtà, perché anche lui lo sa che non possiamo più tornare insieme, allora perché mi fa questi lavaggi del cervello?” La riflessione su questo passaggio suggerisce l’uso di codici diversi: At (“protetti­ lo"), Ac (“una persona smarrita”), Sex (“il mio amore... continuavo a volergli bene”) e Ra (“lavaggi del cervello”). Inoltre, il codificatore ha l’impressione che esista anche un’ulteriore motivazione, quella alla difesa (Dif) da un grave pericolo (“mi aveva fatto del male”). La contraddittorietà, priva di indizi di riflessione critica, di alcune de­ scrizioni contigue (“non stava soffrendo... soffriva”, “persona lerma... smarrita” e “si era reso conto... non si sta rendendo conto più della realtà”) impedisce di considerare l’esistenza di transizioni ar­ moniche Ira i sistemi At, Ac, Sex e Ra. Di fronte a locuzioni come quelle nei due esempi, il codificatore non dovrà tentare l’impossibile impresa di sciogliere il dubbio fra l’uso 209

PARTI· SI-CON DA

d e l l ’u n o o d e l l ’a l t r o c o d i c e , e d o v r à c o n s i d e r a r e c h e n o n p u ò d i s c r i m i ­ n a re fra le v a rie in te n z io n i e m o tiv a z io n i o c o g lie re segni di rifle ssio n e

Di c o n s e g u e n z a , d o v r à possibili SMI n e l m a r g i n e s i n i s t r o , f a c e n d o l i s e g u i ­ r e d a u n p u n t o i n t e r r o g a t i v o (At?, Ra?, Ac?, Dif? n e l p r i m o e s e m p i o ; At?, Ac?, Sex?, Dif? n e l s e c o n d o ) , e d o v r à c o d i f i c a r e Tr Dis n e l m a r g i ­ c o e r e n t e n e lla t r a n s i z i o n e d a l l ’u n a a l l ’a lt r a .

e le n c a re i c o d ic i d e i

n e d e s t r o . I c o d i c i d u b i t a t i v i d e i v a r i SMI a n d r a n n o p o i o p p o r t u n a ­

Nar o Rei. 11 secondo indizio per avviare la procedura che conduce all’attribu­ zione del codice Dis è rappresentato da alcune evenienze riportate nei trascritti di pazienti con disturbi psicopatologici gravi: intenzioni di­ chiarate (oppure minacce) di su icidio ; descrizioni di com portam enti autolesivi o di emozioni di vu oto ; affermazioni di perdita di senso della vita e di inutilità di tutto ; allusioni a esperienze di con fu sion e , di derealizzazione o di depersonalizzazione ; dichiarazioni enfatiche di assoluta impotenza (del tipo: “Non posso farci nulla”, “Non riesco a far nulla”, “Non so perché ho agito così” e “Non capisco perché l’ho fatto”, e al­ tre che indicano grave assenza di Mastery). Tutte queste evenienze, se compaiono nel dialogo trascritto, hanno buona probabilità di rendere difficile l’attribuzione di codici motivazionali univoci e chiari, e quindi di condurre ai criteri di attribuzione del codice Tr Dis. Infatti, esse spesso veicolano tanto il senso possibile di una disperata richiesta di aiuto (At), quanto quello di autodisprezzo (RaS) o viceversa di indu­ zione nell’altro di sentimenti di impotenza e vergogna (RaC o RaD) e a volte, come nell’esempio della paziente che voleva sentirsi libera di ta­ gliarsi, di aggressione maligna verso se stessi (Dif). Talora, esplicite af­ fermazioni di fallimento globale, oppure di perdita irreparabile e do­ lorosa, permettono al codificatore di assegnare a queste affermazioni i codici Ra o At (rispettivamente). Altre volte, però, si resterà in un dubbio insolubile. Per esempio, in assenza di chiari indicatori motiva­ zionali nella locuzione, non è possibile decidere se il paziente si sente indegno perché impotente (e fa sentire “indegno” e impotente anche il terapeuta, in un’atmosfera di “giudizio” e quindi di rango), oppure sta cercando cura e conforto a partire da un’esperienza di disperazione assoluta. Lì verosimile che in queste circostanze, se forzati, alcuni codi­ ficatori opterebbero per il codice Ra e altri per quello At, ma in assen­ za di criteri davvero condivisibili per la decisione. In tali casi, è oppor­ tuno assegnare codici dubitativi, come Ra? Nar, At? Rei, Ra? Rei nel margine sinistro, e, se nella locuzione vi è più di un indicatore dubbio, il codice Tr Dis nel margine destro. m e n te c o m p le ta ti d a lla c o d ific a a g g iu n tiv a

210

II. MANUALE AIMIT

Il terzo indizio che invita a esaminare la possibilità di una transizio­ ne disarmonica è la presenza di parole guida ambigue, che possono cioè suggerire, senza possibilità di sciogliere il dubbio, l’attività di due o piti sistemi motivazionali. Per esempio: “Ma io lo sento come un sen­ so di colpa se poi le cose fra noi non funzionano”. Vale anche in questo esempio la regola generale che una sola parola guida (“colpa”) non consente di applicare un qualsiasi codice (compreso il codice Tr Dis) a un brano del trascritto. Qui la parola “colpa” - ambigua perché com­ patibile con tre diversi SMI (Ac, Pa e anche Ra, vista la frequente con­ tusione ira colpa e vergogna nel linguaggio comune) - è accompagnata dall’idea di “far funzionare le cose fra noi”, ma anche quest’indicatore e compatibile con almeno due diversi SMI (Ac e Pa). E impossibile de­ cidere se nella locuzione considerata si tratta davvero di colpa derivan­ te dall’assunto di dover “fare funzionare tutto” per il bene dell’altro, di colpa per aver mancato a un impegno condiviso, o di vergogna per il proprio fallimento rispetto a una pretesa perfezionistica. E dunque impossibile dirimere il dubbio fra le codinche Ac, Pa e Ra che vanno indicate tutte, accompagnate dal punto interrogativo. Un altro indizio per cominciare a considerare l’assegnazione del co­ dice Tr Dis è rappresentato da affermazioni troncate bruscamente, che oltre a evocare simultaneamente la possibilità di motivazioni diverse (in contesti di dialogo che non contengono alcuna indicazione capace di dirimere il dubbio), non segnalano il motivo della brusca interruzione ilei discorso. Per esempio: “E poi mia madre... Ma questo non lo posso dire”. Non è possibile, esaminando questa locuzione, decidere se l’in­ terdizione a completare la narrazione dell’episodio si riferisca a un in­ tento protettivo verso la madre, che si ritiene sarebbe giudicata negati­ vamente dall’interlocutore (Ac? oppure Ac —►Ra?), oppure alla vo­ lontà di obbedire alla madre o a qualcun altro che ha proibito ili fare menzione dell’episodio con chiunque (RaS?), oppure ancora al dolore che si ritiene di provare raccontando l’accaduto che appare troppo grande rispetto alla possibilità di ricevere conforto dal terapeuta (At?). Infine, un ultimo importante indizio che avvia la procedura di codiftea per Tr Dis è l’assenza di riferimenti chiari a una o più persone pre­ cise, pur essendo evidente che il discorso verte su realtà interpersonali. Mentre le locuzioni si susseguono cariche ili conoscenze semantiche e povere di memorie episodiche o autobiografiche, portando in sé indi­ catori incerti e dubbi ili più SMI che non permettono ili discriminare fra l’uno e l’altro sistema, il codificatore non riesce a immaginare, mentre esamina questi brani, a chi il paziente stia pensando, ili chi stia parlan­ 211

p a r t i: se c o n d a

do, e persino, talora, se si stia rivolgendo davvero al terapeuta. Un bra­ no del trascritto di una seduta di psicoterapia permette di esemplificare come questo indizio possa condurre alTattribuzione del codice Tr Dis: P: Mentre prima esisteva un rapporto, era interattivo, adesso con il mio la­ voro non c’è un rapporto interattivo c’è un rapporto passivo e subisco questo lavoro. Che poi me ne posso fare una ragione, che poi lo posso tollerare di più, però mi genera un senso di insofferenza enorme. Non c’è niente da fare, è così. È come se ci fosse un bisogno, al di là delle cose comunque che sono mie, private, personali, intime, nei rapporti affettivi, ci fosse anche un biso­ gno di relazionarsi con gli altri, con il mondo esterno, e anche un minimo con il mondo del lavoro, perché è una forma che io fino a adesso ho avuto e che non c’è più. E siccome era anche un lavoro particolare, costruito con rapporti particolari, non è più solo un rapporto di gratifica con il lavoro, ma mi manca anche una dimensione di vita fuori dalla famiglia. Il brano, pur riferendosi a realtà relazionali (si parla di famiglia, di rapporti affettivi e di lavoro “interattivo”), non contiene riferimenti a persone precise (per esempio, il padre, la madre, un partner, un colle­ ga di lavoro). Le emozioni menzionate sono poco differenziate (“tolle­ rare”,“insofferenza”, “gratifica”) e compatibili tanto con il codice At quanto con quello Ra. Si parla di bisogno, di mancanza e di perdita, il che suggerisce il codice At, ma anche di subire e di passività, il che fa pensare al codice Ra. Non vi è alcuna locuzione che suggerisca la con­ sapevolezza del parlante di offrire una descrizione troppo generica (in termini di conoscenza semantica, non episodica) e troppo imprecisa perché chi l’ascolta possa comprendere lo stato mentale che si sforza di descrivere. I codici da attribuire sono pertanto At? Ra? Rei (non Nar, per la regola sulle locuzioni che non contengono elementi di co­ noscenza episodica) nel margine sinistro, e Tr Dis nel margine destro. Due notazioni finali possono ulteriormente assistere il codificatore mentre considera la possibilità di usare la sigla Tr Dis in un trascritto. La prima, è che il codice Tr Dis è applicabile quasi senza eccezioni quando viene narrata una violenza sessuale subita (vedi paragrafo III.4). Il motivo è che nella narrazione non vengono implicati di regola solo i sistemi di rango (la forzata sottomissione allo stupratore) e ses­ suale, ma anche il sistema di attaccamento (viene narrato un episodio doloroso, che necessariamente implica l’attivazione di tale sistema) e quello di difesa. La probabilità che questa complessa e molteplice atti­ vazione simultanea di diversi SMI possa essere gestita, nel racconto, in maniera armonica è pressoché nulla. 212

II. MANUALE AIMIT

La seconda notazione riguarda le unità di codifica molto lunghe. Può verificarsi, all’interno di queste unità, il caso di una transizione che, se comparisse isolata, sarebbe codificabile come armonica, ma che invece compare come frammento all’interno di una lunga locuzio­ ne nella quale altre transizioni appaiono disarmoniche. Si è già detto, nella sezione precedente sulle transizioni armoniche, che tale evenien­ za inibisce l’uso del codice Arm. In altre parole, se coesistono in una (in genere lunga) unità di codifica transizioni armoniche e disarmoni­ che, è necessario privilegiare quest’ultima categoria. In un tal caso, per segnalare un fenomeno di potenziale interesse clinico, e cioè come il locutore stia probabilmente tentando di raggiungere una più coerente espressione delle sue intenzioni, si usi, subito dopo il codice Tr Dis, anche il codice Tr Arm, ma ponendolo fra parentesi quadre [Tr Arm], Il brano del trascritto andrà conteggiato, nella scheda riassuntiva fina­ le, fra quelli disarmonici, ma il ricercatore allo stesso tempo non per­ derà un’informazione potenzialmente interessante.

V. Codifica globale e riassuntiva del trascritto Al termine del processo di attribuzione dei codici ai margini del tra­ scritto, si utilizza un apposito foglio separato per le codifiche globali riassuntive. In esso, vanno segnalati anzitutto l’età e il sesso dei due interlocuto­ ri. Nel caso di dialoghi clinici tra paziente e terapeuta, andranno anche indicati, per il paziente, la diagnosi, il numero o il codice di identifica­ zione nella casistica, lo stato civile, il numero degli eventuali figli, il li­ vello di istruzione, il tipo di dialogo clinico (valutazione diagnostica, visita di controllo farmacologica, seduta di psicoterapia). Nell’ultimo caso, andrà anche indicato il numero progressivo della seduta di psi­ coterapia considerata nel trascritto. Per il terapeuta, si indicheranno sesso, età e tipo di psicoterapia praticato. Dopo questi dati, il foglio riassuntivo dovrà contenere le seguenti informazioni, tanto per il paziente quanto per il terapeuta: i ) numero delle unità di codifica nel trascritto; 2) numero totale delle codifiche Tr; 3) numero delle Tr Dis riscontrato, in assoluto e in percentuale rispet­ to al numero di codifiche Tr; 4) numero delle Tr Arm , in assoluto e in percentuale; 213

FARTI· SECONDA

5 ) i due tip i p ili fre q u e n ti d i T r A rm ; 6) n u m e ro d i c o d ic i R ei, in assoluto e in percentuale; 7 ) n u m e ro d i c o d ic i N a r, in assoluto e in percentuale; 8) i co d ic i re la tiv i ai due tip i d i SMI p iù fre q u e n te m e n te a ttiv i d u ra n te il dialogo. La s tru ttu ra del fo g lio ria ssun tivo è d u n q u e la seguente.

Terapeuta Codice di identificazione nell'archivio..........(per esempio: T5) Sesso..........Età........... Tipo di psicoterapia praticato...........

Paziente Codice di identificazione..........(per esempio: P I5) Sesso..........Età........... Livello di istruzione........... Stato civile........... Figli........... Diagnosi.......... Tipo di dialogo clinico.......... Numero della seduta psicoterapeutica..........

Sintesi delle codifiche Numero unità di codifica........ Numero assoluto Tr paziente........

Numero assoluto Tr terapeuta........

Numero assoluto Tr Dis paziente........

Numero assoluto Tr Dis terapeuta........

Percentuale Tr Dis paziente........

Percentuale Tr Dis terapeuta........

Numero assoluto Tr Arm paziente........

Numero assoluto Tr Arm terapeuta........

Percentuale Tr Arm paziente........

Percentuale Tr Arm terapeuta........

Tipi più frequenti Tr Arm paziente........

Tipi più frequenti Tr Arm terapeuta........

Percentuale codici Rei paziente........

Percentuale codici Rei terapeuta........

Percentuale codici Nar paziente........

Percentuale codici Nar terapeuta........

Codici

Codici

smi

più frequenti paziente........

214

smi

più frequenti terapeuta........

Glossario

Il glossario, qui fornito all’attenzione del codificatore, riassume alcuni termini (in ordine alfabetico) che esprimono intenzionalità o eventi inter­ personali comunemente connessi all’attivazióne di almeno un sistema mo­ tivazionale. In esso vengono riportate in ordine alfabetico, per comodità ilei codificatore, le principali parole guida che nel manuale sono disperse nelle sezioni relative ai vari S\ll. Sono omessi termini riferibili all’affiliazio­ ne e al gioco sociale, perché queste motivazioni possono essere considerate vicine al sistema cooperativo-paritetico, e perché le differenze con que­ st’ultimo non danno luogo, di regola, a equivoci nell’analisi dei trascritti. Vista la complementarietà fra i due SMI, di solito ci si riferisce insieme, nel glossario, tanto all’attaccamento quanto all’accudimento (At-Ac). Ogni termine principale è riferito a un’area semantica, all'interno della quale vengono elencati comuni sinonimi oppure parole di signifi­ cato vicino d;tl punto di vista della motivazione interpersonale. Viene indicata, per molti fra i termini principali, la codifica corrispondente piti probabile, ma anche alcune possibili coditìche alternative. Lo sco­ po è di rendere il codificatore attento alla possibilità che lo stesso singo­ lo termine acquisti diverso significato motivazionale in diversi contesti di discorso. Sono forniti, sporadicamente e senza pretesa di completez­ za, esempi di codifiche probabili e di coditìche alternative, al solo fine ili sostenere il codificatore nell’esplorazione attenta dell’indicatore cor­ rispondente nel trascritto. Il glossario evidenzia come solo pochi termi­ ni si riferiscano, sempre o quasi sempre, a un unico sistema motivazio­ nale. Anche in questi casi, la decisione finale del codice da assegnare deve essere presa sulla base degli indicatori corrispondenti alla com­ parsa della parola guida, e mai in riferimento a una singola parola. 215

GL.< ISSARLO

ELENCO DEI TERMINI DI USO COMUNE RELATIVI ALLE MOTIVAZIONI

Abbandonare, abbandono (At-Ac, più raramente Ra, oppure Sex) allontanamento, assenza, desistere, disinteresse -

ho dovuto desistere d a l m io obiettivo, l'altro concorrente era p iù bravo (Ra) ho d esistilo d al chiedere il suo aiuto (A t ) m io padre si è sem pre disinteressato d i m e (At) purtroppo capisco solo ora quanto m i sia disinteressato d e i m ie i fig li (Ac) m i sono disinteressato d i lui, così impara cosa succede se non bada a lineilo che dico (Ra)

distacco, distante, essere lasciato da parte, essere lasciato solo, lasciar perdere -

q u el rom piscatole lascialo perdere (R a )

mollare -

non ti illu dere d i averla vinta, è uno che non m olla fa cilm en te (Ra ) m i ha proprio m ollato, questa volta, e m i sento così solo (A t)

piantare -

ora che m i ha piantato, non so p iù con c h i fa re sesso (Sex) e così ho detto a mia m oglie che la deve piantare (Ra)

rinuncia, ritiro -

ho dovuto rinunciare a lei, a l calore che m i dava la sua presenza (A t ) dopo tanta fatica ha vin to le i i l concorso, e h o d ovuto rinunciare all'im presa

-

visto che m ia m adre non ascoltava m ai i l m io p ian to, m i sono ritirato in m e stesso (At) era troppo p iù fo rte d i me, è stato m olto m eglio ritirarsi ( R a )

(Ra)

-

separarsi, separazione, troncare Abbattersi, abbattimento, abbattuto (At Ac, ma anche Ra e, raramen­ te, Sex) accasciarsi, accasciato, andare a pezzi, avvilirsi, avvilito, demoralizzarsi, de­ primersi, essere prostrato, perdersi d’animo, scoraggiarsi -

m i sento a pezzi (A t ) non avvilirti, vedrai che ce la fa ra i (Ac) ho abbattuto la sua resistenza, e alla fin e s i è arreso (Ra) ho abbattuto le sue difese, con quella sua assurda fedeltà alla m oglie, e a letto con m e ci è venuto (Sex)

Abdicare (Ra, talora Ac) -

ho proprio abdicato: ora com anda sem pre m io figlio (Ra) non sono capace d i dare cura, ho abdicato a og n i ruolo d i p rotezione

(Ac)

Accordarsi, accordo (Pa, talora Ra) -

con lu i nessun accordo è possib ile: lo osteggerò fin o a che non cederà (Ra )

acconsentire, affiatamento, alleanza, collaborazione, complicità, comune sen­ 216

C,I.( )SSARIO

tire, consenso, convenire, cooperazione, intendersi, intesa, patto, sintonia, trovare un accordo Aiutare, aiuto (At-Ac, più raramente Pa) h o bisogno d i aiuto (At ) l ’ho aiutato a calm arsi ( Ac )

-

-

ci siam o aiutati m olto l ’un con l ’altro, durante q u e l viaggio ( P a )

agevolare, appoggiare, appoggio, assistenza, assistere, ausilio, facilitare, pro­ teggere, sorreggere, sostenere, spalleggiare Allontanamento, allontanare, allontanarsi (At Ac, oppure Ra; più ra­ ramente, Sex) appartarsi, assentarsi, congedare, congedarsi, disamorarsi a vederlo agire così, m i sono disam orata ( R a ) pian piano, a causa della sua durezza, m i sono disam orato d i m ia m adre (At)

-

distaccarsi, distacco, esiliare, espellere, estraniarsi, isolarsi, partire, prendere distanza, respingere - m io padre era davvero respingente ( At) -

ho respinto tutte le sue profferte erotiche (S e x )

scacciare, scostare, separarsi, spostare, staccarsi Amare, amore (At Ac, Sex, Pa) adorare, adorazione, affetto, affettuosità, affezionarsi, amicizia, amico, ardo­ re, attaccamento, attaccarsi, attenzioni, bene, calore, desiderare, desiderio, devozione, dolcezza, eros, essere innamorato, essere legato, essere vicino -

in q u ei fran g en ti a siam o sentiti vicini, u n iti d al problem a che avevam o da­ va n ti (Pa)

fiamma, infatuarsi, innamorarsi, interessamento, invaghirsi, passione, presen­ za, predilezione, tenerezza - m i fa tanta tenerezza (Ac) -

la tenerezza con cu i fa l'am ore è unica (Sex)

trasporto, vicinanza, voler bene Amorevole (At-Ac, talora Sex) affettuoso, amabile, benevolo, buono -

mia m adre è sem pre stata am orevole con m e

(Ac)

caldo, dolce -

è veram ente hello avere un am ante cosi dolce fra le braccia (Sex)

delicato, premuroso, tenero -

ricordo lo sguardo tenero d i m io padre ( Ac)

217

GLOSSARIO

Ansia (At-Ac, talora Ra) vedi la voce “Paura” Appoggiarsi, appoggio, (At-Ac) vedi la voce “Aiutare, aiuto” Apprezzare (Ra, ma anche, più raramente, Sex o Pa) ammirare, giudicare, gradire, stimare -

nessuno gradisce la tua com pagnia ( R a ) m i stim o sem pre poco ( R a ) starei ore intere ad am m irare i l tuo corpo (Sex ) posso lavorare solo con persone che stim o e m i stim ano ( P a )

Arrendersi (Ra) -

una sola cosa ho im parato dalla vita: non arrenderm i m a i a nessuno (R a )

avvilirsi, cedere Ascoltare (At-Ac, ma può essere compatibile con Pa e Ra) comprendere, prestare attenzione - non m i ascolta m ai nessuno (At) -

stai ben attento a q uello che dico, o te n e fa rò pentire ( R a ) raccontam i tutto senza tim ore, ti ascolto (Ac)

Assente, assenza vedi la voce “Abbandonare, abbandono” Attaccare, attacco (Ra) aggredire, assalire, assaltare, avversare, caricare, combattere, dare addosso Attrazione (Sex, talo ra Ra) attrattiva, fascino, interesse -

quella donna m i ha risvegliato un grande interesse (Sex) non c 'è m ai nulla d i interessante in q u ello che d ici ( R a )

incanto -

cedo v o len tieri all'incanto d e l suo corpo non m i in can ti mica ( R a )

(Sex)

lusinga, richiamo, seduzione, sexy B estia (Ra)

animale, aquila (non

è un'aquila),

asino, balena, bruto, coniglio, elefante, gal­ 218

GLOSSARIO

lina, gallo, gufo, ippopotamo, Icone, lepre, maiale, oca, pollo, porco, ranoc­ chio, scimmia, scimmione, somaro, troia, vacca, volpe Bisogno (At-Ac, più raramente Sex) desiderio, dovere, esigenza, necessità, obbligo, urgenza, voglia - ho voglia d i te (Sex) Bravo (At-Ac, Ra, a volte Pa) m ia m adre è stata una gran brava m adre (A t )

-

abile siam o stati a b ili n e l concludere q u el progetto (P a )

-

capace (Ac) competente, comprensivo, perbene, rispettabile, serio, sincero, tranquillo dovrò essere p iù capace d i fa r star ben e m io fig lio

-

Brutto (Ra, più raramente At-Ac oppure Sex) per m e vivere così è m olto brutto (A t ) g li ho voluto evitare qu elle brutte cose (Ac) alla fin e , sono una brutta persona (Ra) è brutto, ma m i attrae lo stesso (Sex)

-

cattivo, deforme, disgustoso, disonesto, goffo, ignobile, immorale, impietoso, incurabile, inguaribile - ha proprio una brutta malattia, fo rse inguaribile (Ac) maligno, minaccioso, orrendo, ostile, schifoso, sgradevole Buono (At-Ac, ma anche Pa e talora, più raramente, Ra) affabile, affettuoso -

lu i è m olto p iù affettuoso d i m e (Ra ) sei così affettuoso con m e ora che soffro, grazie (A t ) so d i non essere abbastanza affettuoso con m ia fig lia

(Ac) affidabile, altruista, amabile, competente, condiscendente, di cuore, diligente, disponibile, esperto, generoso, indulgente, paziente, sensibile, tollerante, umano Capire, capirsi (At-Ac, Pa, ma anche Ra)

-

p ossibile che tu non capisca quanto so ffro ? (A t ) non h a i capito n ien te (Ra) n e l lavoro, ci capiam o alla p erfezione (Pa)

accordarsi -

ci accordam m o con grande facilità su l da fa r si (Pa)

afferrare, capacitarsi, concepire, conoscere -

solo oggi m i capacito della difficoltà che visse allora (A c)

intendere, intendersi, presentire, raccapezzarsi, spiegarsi 219

c ; u )s s a r i o

Cattivo (Ra, talora At Ac) -

è una d elle persone p iù cattive che abbia conosciuto (R a ) m io padre è stato un cattivo padre (A t ) sono una cattiva madre, m e ne sento in colpa (A c)

aggressivo, arrabbiato, brutale, criminale, crudele, disumano, inaffidabile, in­ sensibile, molesto, nervoso, perfido, pericoloso, perverso, pieno di cattiveria, prepotente, senza cuore, sgradevole, spietato, violento Collaborare (Pa, ma talora, raramente, l’area semantica si estende an­ che ad Ac) assecondare, assistere, aiutare, coadiuvare, contribuire, intervenire, parteci­ pare, sostenere -

senza du b bio è una persona da sostenere (A c)

Collera (At Ac, Ra) vedi la voce “Rabbia” Colpa (At Ac, Pa, Ra) causa, delitto, difetto, errore -

ha com m esso un errore im perdonabile ( R a )

imprudenza, mancanza, negligenza, peccato, responsabilità -

entram bi abbiam o responsabilità p er com e è fin ita la nostra storia

(Pa)

sbaglio, torto -

ho sbagliato tutto con m io fig lio , non g li ho m ai m ostrato il m io affetto (Ac)

Confusione (At-Ac, Ra) agitazione, caos, disguido, disordine, disorganizzazione, pasticcio, sbigotti­ mento, sconcerto, smarrimento, turbamento Cooperare, cooperazione (Pa) apporto, aiuto, collaborazione, concorso, contributo, sostegno Curare (Ac) accudire, adoperarsi, assistere, avere cura, interessarsi, medicare, sanare, tu­ telare, vigilare Danneggiare, danno (At-Ac, Ra, raramente Pa) -

essere am ici, significa anzitutto non danneggiarsi a vicenda ( P a )

batosta, botta, colpo, darsi la zappa sui piedi -

non fa re così, non darti la zappa su i p ied i (A c)

220

Oli ISSAR!! )

disastro - sci un vero disastro (Ra ) disgrazia - con tutte le disgrazie che mi sono capitate, come posso non deprimermi? (At) ferita, guasto, lesione, mazzata, nocumento, nuocere, rompere, rottura, rovina Depressione (At-Ac, talora Ra) vedi la voce “Tristezza” Desiderare, desiderio (At, Sex, Ra, Pa) ambizione, aspirazione, brama, cupidigia, fantasia, nostalgia, smania, sogno, voglia - che rimpianto! Idiotico desiderio è che fosse ancora qui (At) - la desidero tanto, non faccio che pensare a lei (Sex) - sogno di fargliela pagare (Ra) - ho proprio voglia di unirmi a te in questo progetto (Pa ) Difendersi (Ra) cautelarsi, combattere, contrastare, giustificarsi, salvaguardarsi, tutelarsi Disgustare, disgusto (Ra e Sex) antipatia, avversione, fastidio, disprezzo, insofferenza, nausea, repulsione, ri­ brezzo, ripugnanza - il suo comportamento mi ripugna profondamente (Ra ) schifo - a un certo punto ha pure allungato le mani, che schifo! (Sex) Disorganizzazione vedi la voce “Confusione” Dispiacere (At-Ac, Ra, Sex; talora può implicare una transizione con Pa) - sono davvero dispiaciuto per lui, vorrei far qualcosa per aiutarlo (Ac) - dispiace essere fregato da un amico' (Pa ►Ra) - dispiace questo suo comportamento, caro signore (Ra) - quello fu per me uno dei più grandi dolori, un dispiacere enorme (At) amarezza, cordoglio, dolore, ferita, mortificazione, pena, rammarico, rimor­ so, rimpianto, rincrescimento, tormento, tristezza Disprezzare, disprezzo (Ra) denigrare, deridere, disdegnare, odiare, offendere, oltraggiare, schernire, s n o b ­ bare, svilire, umiliare

221

G l i ISSARJO

Dolore (At-Ac, più raramente Ra) - sono sincero con lei: per piegarlo, volevo procurargli una sofferenza (Ra ) amarezza, angoscia, cruccio, disperazione, dispiacere, rammarico, sofferenza, tormento, tristezza Dovere (Ra, Ac, ma anche, più raramente, Pa) - io faccio il mio dovere e lui no! (Ra) - abbiamo doveri l'un verso l'altro, lo sappiamo entrambi (Pa) - uscire per pochi minuti e lasciare i figli soli: basta questo per sentire che ven­ go meno al mio dovere (Ac) avere la necessità, avere l’obbligo, bisognare, compito, essere costretto/obbligato/tenuto/vincolato, impegno, imposizione, incombenza, obbligo, respon­ sabilità, spettare, toccare, vincolo - mi tocca subire, per il mio vincolo religioso (Ra) Eccitarsi, eccitazione (Sex, ma anche, più raramente, Ra) - ne sono certo, voleva proprio farmi eccitare (Sex) - si sono eccitati troppo, e sono venuti alle mani (Ra ) accendere, aizzare, animarsi, entusiasmarsi, esortare, incitare, infiammare, istigare - è stato lui a istigarmi a farlo (Ra ) provocare, scatenare, stimolare, stuzzicare Fastidio (Ra, At-Ac, e spesso transizione At —►Ra) - che fastidio mi dava mia madre con quel suo stupido lamentarsi mentre mi aiutava! (At —» Ra) assillo, disagio, impaccio, irritazione, malessere, nervosismo, rogna, rovello, tensione Gara (Ra) antagonismo, competizione, concorrenza, confronto, emulazione, incontro, rivalità, sfida, torneo Gioia (At-Ac, Ra, Pa e Sex) - vederli ridotti così, dopo le loro malefatte, mi ha dato gioia (Ra) - quando mio padre mi stringeva a sé, sentivo una gran gioia (At) - mi ha fatto piacere dargli un po ’ del mio tempo (Ac) - mi mancano le gioie del sesso (Sex ) - la gioia dell'amicizia è la più stabile (Pa) allegria, amore, brio, contentezza, dolcezza, esultanza, godimento, piacere, soddisfazione, vivacità

222

GLOSSARIO

Impazzire (Ra, Sex) - è bella da impazzire (Sex) - sono impazzito di rabbia (Ra) ammattire, appassionarsi, dare in escandescenze, dare i numeri, delirare, far­ neticare, perdere la testa/il lume della ragione Impotente, impotenza (Sex, Ra) debolezza, inadeguatezza, incapacità, inettitudine - è un vero inetto (Ra) incapacità sessuale, mancanza di virilità o di femminilità - non è capace di fare bene l'amore (Sex) Incapace (Ra) dilettante, fallito, ignorante, incompetente Indegnità, indegno (Ra) ignobile, immeritato, indecente, infame, ingiusto, iniquo, riprovevole, schifo­ so, spregevole Indisponibile, indisponibilità (At-Ac, Ra) - indisponibile a mettersi in discussione (Ra ) - le chiesi aiuto ma la sua indisponibilità fu totale (At) - mi rendo conto che fu i del tutto indisponibile alle sue richieste (Ac) Ingannare, inganno (Ra) abbindolare, adescare, astuzia, bugia, circuire, espediente, falsità, fìngere, fre­ g a l e , fregatura, imbroglio, insidia, irretire, manipolare, mentire, menzogna, ordire, prendere in giro, raggiro, stratagemma, trabocchetto, trucco, truffa Ingiuria, ingiuriare (Ra, raramente At) - nessuno mi aveva mai ingiuriato così (Ra ) - le ingiurie del tempo che mi affliggono (At) danno, disprezzo, insulto, lite, offesa, scherno, torto, umiliazione Ingiustizia (Ra) abuso, approfittarsi, arbitrio, capriccio, disonestà, favoritismo, illegalità, ille­ gittimità, iniquità, prepotenza, scorrettezza, sfruttamento, sopruso, torto, usurpazione, vessazione Insieme (Pa) congiuntamente, d’accordo, in compagnia di 223

G LOSSA RIO

Insopportabile (At-Ac, Ra) - quando fai così, sei insopportabile (Ra ) - stare così male, è insopportabile (At) eccessivo, fastidioso - è stato eccessivo da parte mia trattarlo così (Ac) insostenibile, intollerabile, straziante, terribile Libertà (Ra, a volte At-Ac oppure Pa) - sono libero di fare ciò che voglio (Ra) - non sono libero di viaggiare come vorrei, i miei jigli hanno ancora bisogno di me (Ac) autonomia - so di non avere una reale autonomia dai miei genitori (At) autorità, confidenza - si è preso troppa confidenza (Ra ) emancipazione, familiarità - con lui mi sono sentito a mio agio, si è formata subito una familiarità totale (Pa) indipendenza - mi sento completamente indipendente dagli altri (At) permesso, potere decisionale Malato, malattia (At-Ac, ma talora, più raramente, Ra) - ha sofferto così tanto, da ammalarsi (Ac) danno, deformità, deturpazione, indisposizione, lesione, sconvolgimento, squi­ librio - mi affrontò com e uno squilibrato (Ra) sofferenza - in questo periodo mi sento molto sofferente (At) Mentire (Ra) alterare la verità, dire bugie, dissimulare, fingere, ingannare Morire (At) andarsene, finire, mancare, patire, perire, scomparire Mostro (Ra) assassino, criminale, essere deforme, maniaco, obbrobrio, pazzo criminale, strega

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CiLC)SSARIC)

Nervosismo, nervoso (At, ma a volte Ra) agitato, agitazione - oggi mi sento proprio agitato (At ) collera, collerico, - quando è così nervoso, maglio lasciarlo perdere, o si arrabbia come una furia (Ra) esaurito, fastidio, inquieto, inquietudine, irritabile, nevrastenico, stressato, teso Obbligo (Ra, ma anche Ac e Pa) - non credere di potermi obbligare a farlo (Ra) - con il matrimonio, ci siamo obbligati entrambi alla fedeltà (Pa) - starle vicino e un obbligo morale (Ac) coercizione, dovere, impegno, imposizione, onere, peso, responsabilità Orgoglio (Ra) amor proprio, dignità, fierezza, nobiltà, onore, presunzione, suscettibilità, su­ perbia, trionfo Paura (At-Ac, Ra) - ho avuto molta paura per lui, che si facesse male (Ac) - ho sempre cercato di gestire da solo e in silenzio la paura che ho dell'aereo (At) allarme, angoscia, ansia, apprensione, batticuore, inquietudine, orrore - sei un vero orrore (Ra) panico, patema, sgomento, spavento, terrore, timore Piacere vedi le voci “Desiderare, desiderio”, “Gioia” Pietà (Ac, ma raramente anche Ra) - provo pietà per chiunque soffra (Ac ) - fa proprio pietà! (Ra) commozione, compassione, umanità Potere (Ra) autorità, avere il permesso/la capacità, comando, disporre dei mezzi, domi­ nio, essere in grado/consentito/lecito, lorza, influenza, mercé, padronanza, potenza, supremazia

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GLI JSSAKK)

Povero (At-Ac, Ra) - povero me, cosa farò adesso? (At) - povero piccolo! (Ac) - non posso permettermi di frequentarli, sono troppo povero (Ra) disgraziato, infelice - mi comporto come un povero infelice (Ra ) insufficiente, misero, sventurato Proteggere (At-Ac, ma può implicare transizione verso Pa) - se lo vedo in difficoltà, cerco di proteggerlo (Ac) affiancare, agevolare - mi piacerebbe essere affiancato quando sono in difficoltà (At —►Pa) aiutare, appoggiare, favorire, garantire, riparare, soccorrere, sostenere, spal­ leggiare Rabbia (Ra, At-Ac) - quando vuole avere sempre ragione, mi fa rabbia (Ra) - quando si fa del male in questo modo, mifa rabbia (Ac) - quando se ne va via, mi fa rabbia (At) collera, disappunto, dispetto, furia, ira, irritazione, odio, rancore, stizza Riuscire (At-Ac, Ra) - non valgo tanto da riuscirci (Ra ) - spero di riuscire ad aiutarlo (Ac ) arrivare, essere in grado/all’altezza, farcela - non ce la faccio a tirare avanti (At) ottenere, spuntarla, vincere Sacrificio (At Ac, Ra) - faccio tanti sacrifici per tenermelo vicino (At) - ho fatto tanti sacrifici per i miei figli (Ac) - mi sono dovuto sacrificare molto per raggiungere il successo (Ra) disagio, fatica, offerta, pena, privazione, rinuncia, sforzo, sofferenza, stenti Sbagliato (Ac, Ra) - quando lo vedo così, penso di aver sbagliato qualcosa (Ac) - sono proprio fatto sbagliato (Ra) errato, imperfetto, impreciso, inadatto, inadeguato, mallatto, mancato - ho mancalo con te (Ac) - ha mancato alla sua dignità (Ra) scorretto

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GLOSSARIO

Sconfitta (Ra) batosta, botta, colpo, crack, disfatta, fallimento, fiasco, insuccesso, perdita, rovina, smacco, tracollo Scontro (Ra) alterco, battaglia, battibecco, combattimento, conflitto, contrasto, dissidio, duello, lite, lotta, mischia, rissa Sentire (At-Ac, Ra, Sex, Pa) accorgersi - mia madre non mi stava mai a sentire, proprio non si accorgeva di me (At) - mi accorgo solo ora del dolore che sentiva (Ac) ascoltare - non mi ascoltava nessuno (At) - cerco di ascoltare i suoi problemi e bisogni (Ac) - io non ascolto mai nessuno, e mi caccio nei guai (Ra) avere coscienza/sentore, avvertire, capire, comprendere - ci capivamo al volo quando giocavamo, proprio un comune sentire (Pa) - non capisci mai niente di quello che provano gli altri! (Ra) Sfortunato (Ra ma anche At-Ac) sono stato tanto sfortunato a perderlo così presto (At) - è tanto sfortunato, poveruom o (Ac) - sono uno sfortunato, uno di serie B (Ra) disgraziato, doloroso, iellato, infelice, miserabile, misero, sciagurato Sicurezza, sicuro (At Ac, Pa) bravura, capacità, cautela, certezza

- m i si a ito s icu r o q u i c o n l e i (At) - c e r c o d i da r e certez z a a i m ie i f i g l i (Ac ) - p e r q u e l la v o r o c i d a v a m o ta n ta sicu rez z a (Pa) competenza, difesa, fiducia, padronanza, precauzione, prudenza, riparo, tutela

Spiegarsi (Pa) appianare, com m entare, esporre, essere chiaro, farsi capire, illustrare, m o­ strare, rendere com prensibile

Sofferenza, soffrire (At-Ac) angoscia, dispiacere, pena, strazio, torm ento

Solitudine, solo (At-Ac m a

an c h e

Ra)

vedi la voce “A bbandonare, abbandono”

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c;u )ssario

Tradimento (Ra, talora in transizione da Sex, o Pa) Tristezza (At-Ac, più raramente Ra) - oggi è solo tristezza (At ) - che tristezza deve aver provato, nel sentire (¡nelle parole (Ac) - la tua squadra è una tristezza (Ra ) abbattimento, amarezza, avvilimento, depressione, disperazione, dispiacere, dolore, malinconia, malumore, mestizia, umor nero Vergogna (Ra) confusione (inteso come sinonimo di imbarazzo, per esempio: la sua genero­ sità mi confonde), disagio, disonore, imbarazzo, oscenità, scandalo, sconcez­ za, spregevole, spudorato, svergognato, timidezza, turbamento Vicinanza (At-Ac, Pa) affinità, contatto - per questa impresa, dobbiamo tenerci in contatto (Pa ) prossimità, somiglianza Vittoria (Ra) affermazione, conquista, riuscita, successo, trionfo Vizio (Ra, talora At-Ac) abiezione, cattiva abitudine, corruzione, depravazione, difetto, dissolutezza, immoralità, marciume, peccato, perversione, traviamento Volere, volontà (Ra, ma talora At) chiedere (con forza, come quando si esprime un bisogno ineludibile) - ti chiedo asilo, ho bisogno di aiuto (At) esigere, imporre, pretendere, reclamare - reclamo i miei diritti (Ra )

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Bibliografia

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