I concetti fondamentali della teologia S-Z [Vol. 4] 8839904425, 9788839904423

Dalla Premessa: "Detto con un po' di presunzione, la teologia è quanto di più pazzesco viene prodotto a livell

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I concetti fondamentali della teologia S-Z [Vol. 4]
 8839904425, 9788839904423

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L'opera, l concetti fondamentali del­ la teologia, si articola in quattro vo­ lumi. Non si tratta propriamente di un dizionario teologico, anche se è scandita in ordine alfabetico, ma di un significativo esperimento che ri­ visita e attualizza, con tutti i sussidi della scienza moderna, la concet­ tualità della teologia cristiana. Ogni voce è affidata a uno speciali­ sta, generalmente di lingua tedesca, che presenta, in una monografia di sintesi, storia e teoresi della concet­ tualità teologica, esposta, analizza­ ta e contestualizzata in forma nuo­ va, con ricca e aggiornata bibliogra­ fia internazionale. L'opera rende un servizio prezioso alla ricerca teologica, ma anche al dialogo con la filosofia, con le scien­ ze e con la cultura contemporanea, rendendo disponibili le forme e le strutture essenziali di una coscienza e di una scienza religiosa, respon­ sabile e aperta al futuro. L'opera è diretta da uno dei più noti teologi di lingua tedesca, PETER EI­ CHER, docente nella Facoltà cattolica di teologia di Paderborn (Germania).

VOLUME4

S-Z

Sacramenti Sacrificio Salvezza/Guarigione Santo Scienza della natura e religione Scienza della religione Secolarizzazione Simbolo Sincretismo Sinodo/Concilio Sofferenza Solidarietà Spirito Santo/Pneumatologia Spiritualità Stato/Chiesa Storia/Agire di Dio Storia della Chiesa Straniero/Estraneo Streghe Teologia come scienza Teologia/Discipline Teologia politica Teologia pratica Teologie della liberazione Teologie femministe/ Spiritualità femminista Teologie medievali Teologie dell'età moderna Tradizione Trinità Usi e costumi/Festa Vangelo/Legge Violenza

€ 47,30 (i.i.)

Peter Eicher (ed.)

I CONCETTI FONDAMENTALI DELLA TEOLOGIA VOLUME4 S-Z

Edizione italiana a cura di GIANNI FRANCESCONI

QUERINIANA

Titolo originale: Peter Eicher (ed. ), Neues Handbuch T heologischer Grundbegri/fe 1 .2.3 .4. herausgegeben von Peter Eicher © 2005 by Kosel-Verlag GmbH

& Co., Miinchen ein Unternehmen der Verlagsgruppe Random House

© 2008 by Editrice Queriniana, Brescia

via Ferri, 75 - 25 123 Brescia (Italia!UE) tel. 03 0 2306925 fax 03 0 2306932 internet: www. queriniana.it e-mail: [email protected] -

Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizzazione scritta dell'Editrice Queriniana. ISBN 978-88-399-0442 -3 Traduzione dal tedesco di ANDREA AGUTI, PAOLO BoSCHINI, GIANNI CAPRA, CARLO DANNA, GIANNI FRANCESCONI, ENZO GAm, MARIA CRISTINA LAURENZI, ARMIDa RIZZI Stampato dalla Tipolitografia Queriniana, Brescia

PIANO DELL'OPERA

Amore Angeli Anima/Autodivenire Animali/Protezione degli animali Antisemitismo Antropologia Arte e religione Ateismo/Teismo Autonomia Battesimo/Confermazione Bibbia/Interpretazione della Bibbia Bioetica Buddhismo Chiesa/Ecclesiologia Chiese ortodosse/Teologia ortodossa Cielo Colpa/Senso di colpa Conversione/Penitenza Corpo Coscienza/Responsabilità Creazione/Cosmo Critica della religione Dialogo ebraico-cristiano Dialogo islamo-cristiano Diavoli/Satana/Demoni Dio/Comprensione di Dio Diritti umani Diritto canonico Diritto e religione Disperazione/Angoscia Dogma/Dogmatismo Ebraismo/Giudaismo

Ecologia Ecumenismo Erotismo/Eros Escatologia/Apocalisse Esegesi/Scienza biblica Esoterismo Etica Etica economica Etica sessuale Etica sociale Eucaristia Fede/Fiducia Felicità Film e religione Filosofia Finitudine/Trascendenza Fondamentalismo Gerarchia Gesù Cristo/Cristologia Giustificazione Giustizia Grazia Identità Incarnazione/Farsi uomo lnculturazione Induismo Inferno Islam Laico/Clero Lavoro Letteratura e teologia Libertà

Piano dell'opera

6 Liturgia Lutto/ Accompagnamento del morente Magistero Male (ll) Maria Meditazione Messia/Messianismo Mezzi di comunicazione e religione Miracolo Missione Mistica Mito Monachesimo/Ordini religiosi Monoteismo MorteNita eterna Musica e religione Pace Papato Parola di Dio Patrologia Peccato/Peccato sociale Pedagogia della religione/Catechetica Persona Pluralismo/Tolleranza Postmodemità e religione Povertà Preghiera Profezia Provvidenza Psicologia e teologia Psicoterapia e pastorale Redenzione Regno di Dio Religione Religione civile Religioni naturali/Etnologia religiosa Riconciliazione/Perdono

Riforma Risurrezione Rivelazione Sacramenti Sacrificio Salvezza/Guarigione Santo Scienza della natura e religione Scienza della religione Secolarizzazione Simbolo Sincretismo Sinodo/Concilio Sofferenza Solidarietà Spirito Santo/Pneumatologia Spiritualità Stato/Chiesa Storia/Agire di Dio Storia della Chiesa Straniero/Estraneo Streghe Teologia come scienza Teologia/Discipline Teologia politica Teologia pratica Teologie della liberazione Teologie femministe/ Spiritualità femminista Teologie medievali Teologie dell'età moderna Tradizione Trinità Usi e costumi/Festa Vangelo/Legge Violenza

Sacramenti ---+ Battesimo/Confermazione ---+ Conversione/Penitenza ---+ Eucaristia ---+ Liturgia---+ Sacrificio---+ Simbolo---+ Usi e costumi/Festa

A. Punto di vista della scienza della religione

La scienza della religione concepisce le azioni rituali, di cui nessuna co­ munità religiosa può fare a meno, come un gioco, più precisamente come 'gioco sacro ' , che si concretizza in singoli giochi sacri. Nella loro qualità di azioni strutturate, fissate per tradizione in un determinato ordine, ripe­ tibili e non tese al raggiungimento di alcuno scopo profano, i rituali ap­ partengono al mondo del gioco. n gioco sacro, inventato e forgiato in tem­ pi di produzione religiosa creativa, fissa l'esperienza e la conoscenza reli­ giosa, la rinnova mediante la ripetizione e la trasmette alla generazione successiva Uensen 195 1 ) . Nella tradizione cristiana quei rituali che costi­ tuiscono il nucleo di un vasto patrimonio cultuale sono detti sacramenti. Ai sette sacramenti classici della chiesa cattolica (battesimo, confermazio­ ne, eucaristia, matrimonio, assoluzione dai peccati, unzione degli infermi, ordinazione presbiterale/episcopale) viene in vario modo aggiunto come ottavo sacramento, a partire dal XX secolo, il rito intellettuale dell' annun­ cio della parola di Dio nella liturgia, mediante la lettura della Scrittura e la predicazione. Questo patrimonio massimo viene poi studiato nelle tre discipline dello studio del culto nell'ambito della scienza della religione: nella sociologia, nella fenomenologia e nella psicologia. In merito, allac­ ciandoci a grandi tradizioni teoretiche, possiamo prendere come punti di orientamento i concetti di ' rito' (Durkheim), 'il sacro' (Eliade) e 'l'incon­ scio' Uung).

l. SACRAMENTO COME RITO: LA SOCIOLOGIA DEI SACRAMENTI

La sociologia dei riti religiosi è in gran parte opera di autori come É. Durkheim (Les /ormes élémentaires de la vie religieuse, 1912) e A. van Gennep (Les rites de passage, 1 909) , i cui lavori fondamentali hanno per oggetto l'organizzazione sociale e la vita rituale di popoli privi di scrittu-

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ra. Da questa prospettiva i sacramenti cristiani appaiono come forme suc­ cessive evolute e, a volte, solo come relitti di riti arcaici; tuttavia, uno sguardo ai sacramenti da questo punto di vista è istruttivo. I popoli privi di scrittura celebrano di preferenza tre specie di rituali: (l) riti di iniziazione che, dotati di un ricco cerimoniale, attribuiscono nuovi ruoli sociali e quindi una nuova identità ai loro membri che hanno raggiunto una determinata età o che si accingono a svolgere determinati compiti. (2) Riti di intensificazione che, in occasione di grandi raduni di massa, rappresentano in maniera sperimentale vissuta la compagine socia­ le e consolidano così la tenuta di una società; tipiche sono le danze festo­ se di gruppo e i pasti consumati insieme. (3 ) Riti terapeutici, che hanno per oggetto singoli individui sofferenti e che sono celebrati da sciamani maschili o femminili, da uno stregone o da un guaritore. Forse alcuni dei salmi veterotestamentari si collocano nel contesto di un rituale terapeuti­ co, nel corso del quale un malato o un sofferente recitava un testo (una la­ mentazione come, ad esempio, il Sa/22 ; Gerstenberger 1980) preparato da uno specialista in rituali. Nella vita sacramentale della chiesa non è dif­ ficile individuare delle corrispondenze a questi tre gruppi fondamentali di riti. L'ordinazione, il battesimo, la confermazione e il matrimonio sono ini­ ziazioni che stanno sulla soglia del passaggio da una vecchia a una nuova identità sociale. Sotto il profilo sociologico l'ordinazione può essere con­ siderata la grande e strutturalmente più importante iniziazione, perché i sacerdoti ordinati gestiscono tutto il sistema sacramentale della chiesa. Dal punto di vista della sociologia religiosa il sacramento cattolico del­ l' ordine appare come un inserimento in un gruppo maschile arcaico che si concepisce come un'élite spirituale e che sottopone i suoi membri a un ri­ gido controllo. A questo carattere arcaico si accompagna la strutturazione di quelle tre fasi di tutto il rituale di passaggio descritte da van Gennep: (l) riti di separazione, cioè il solenne ingresso in un seminario per sacer­ doti e nello stato clericale; (2 ) riti liminari e di trasformazione, rappresen­ tati dall'ordinazione a diacono; il più delle volte il candidato rimane per un intero anno in questo stato intermedio fra il laico e il presbitero; (3 ) ri­ ti di aggregazione: l'ordinazione presbiterale pone fine allo stato interme­ dio e inserisce il diacono nel gruppo dei presbiteri. Tipico di questo pro­ cesso è il tempo intermedio che, inserendosi tra la vecchia e la nuova iden­ tità, mantiene in sospeso lo status, perché il vecchio status non esiste più e quello nuovo non esiste ancora. Questi tempi 'liminari' o tempi della so­ glia, che servono a preparare, istruire e verificare, non precedono solo l'ordinazione presbiterale, bensì anche, sotto forma di fidanzamento, la conclusione tradizionale del matrimonio e, sotto forma di catecumenato,

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il battesimo degli adulti (sui riti del catecumenato cfr. Glaubensverkundi­ gung /ur Erwachsene 1 968, 272-274 [ed. it., Il nuovo catechismo olandese, LDC, Torino Leumann 1969, 290-292] ) . A fianco della 'grande' iniziazione dell'ordinazione presbiterale si pone la 'piccola' iniziazione del battesimo, il quale almeno oggi viene liturgica­ mente celebrato in maniera meno solenne e fastosa dell'ordine. n battesi­ mo fonda l'appartenenza, in qualità di membro, alla comunità ecclesiale. n suo carattere di rite de passage è chiaramente espresso nei riti e nelle tra­ dizioni esplicative ad esso collegati: (l) il giorno del battesimo era prece­ duto, sotto forma di un tempo liminare, da un catecumenato a volte plu­ riennale. (2) Nell'immersione battesimale viene 'affogata' la vecchia iden­ tità naturale o non cristiana. n battezzando deve rinunciare alla propria vi­ ta precedente e a satana. (3 ) Al battezzato 'rinato' viene dato come nuovo padre il padrino, che affianca in qualità di padre spirituale il padre civile. Le iniziazioni significano sempre la morte di una vecchia identità e la ri­ nascita a una nuova identità; questo risulta dal simbolismo cristiano pri­ mitivo del battesimo per immersione nell'acqua, ancor oggi in uso nelle chiese orientali: il battezzando, prima di rinascere dall'acqua, deve mori­ re nell'acqua; in questo senso Paolo parla del battesimo come di un mori­ re e di un risorgere con Cristo (Rom 6, 1 - 1 1 , evidentemente un'eco di un linguaggio battesimale cristiano primitivo). L'arte cristiana primitiva vede nel Giona ingoiato dal pesce e poi di nuovo sputato fuori un'allusione al­ la morte e alla rinascita che si verificano nel battesimo (Steffen 1994 , 6870). n simbolismo di morte e rinascita è spesso ritualmente inscenato in iniziazioni anche al di fuori del cristianesimo (Eliade 1 96 1 ) . Pure le altre due iniziazioni, la confermazione e il matrimonio, sono debitrici, non di­ versamente dall'ordine e dal battesimo, di modelli antichi di iniziazione. La confermazione pone fine all'infanzia e inserisce il credente nel gruppo dei membri adulti della comunità. n matrimonio sacramentale - più pre­ cisamente, lo scambio del sì costituente il matrimonio - pone fine all'esi­ stenza celibataria dei due fidanzati e li fa entrare in un nuovo stato. La predicazione e l'eucaristia possono essere concepite come riti di in­ tensificazione. Esse costituiscono insieme il nucleo del culto divino rego­ lare, celebrato almeno ogni domenica dalla comunità, con la tradizione protestante che pone maggiormente l'accento sulla predicazione e con la prassi cattolica che pone maggiormente l'accento sull'eucaristia. La predi­ cazione serve a ravvivare la fede già esistente e a impedirle di affievolirsi. n rito cristiano di intensificazione per eccellenza è l'eucaristia, perché in essa il simbolismo 'intensificante' emerge nella maniera più chiara e con una forza arcaica. n mangiare insieme rappresenta la comunità di fede e la consolida. Chi non fa parte della comunità è escluso dall'assunzione del

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cibo, così come ne sono esclusi quanti a motivo del peccato hanno perso la loro piena appartenenza alla comunità e sono 'scomunicati' (esclusi dal ricevere la comunione eucaristica) . All 'inizio del cristianesimo le celebra­ zioni eucaristiche non erano guidate da presidenti ufficiali: allora regnava evidentemente ancora un'atmosfera democratica; però molto presto si im­ pose una struttura gerarchica, secondo la quale un presidente decide se uno può essere ammesso a partecipare al pasto sacro. In questo contesto dobbiamo ricordare che già la socializzazione umana più antica ricostrui­ bile era caratterizzata dal fatto che un capo orda ripartiva l'alimentazione in seno al gruppo (Baudy 1 983 ) . Di conseguenza l'introduzione di un pre­ sidente dell'eucaristia può essere concepita come una riarcaizzazione, co­ me un ritorno allo scenario primitivo della ripartizione dell'alimentazione da parte di una figura patema. Un'esperienza fatta da J.-J. Rousseau nel 1762 e riportata nella sua au­ tobiografia può illustrare questo nesso fra eucaristia e appartenenza al gruppo. Quando osteggiato a motivo dei suoi scritti si ritira nella cittadi­ na svizzera di Motiers, egli cerca di entrare in contatto con la comunità calvinista locale. Però fa presente al governo della comunità che non in­ tende impegnarsi una particolare professione di fede come previsto dal­ l'ordinamento della comunità calvinista. Ed ecco che, con sua sorpresa, non gli viene solo concesso di partecipare al culto divino, bensì di parte­ cipare anche alla cena del Signore senza essere coinvolto in discussioni teologiche. «Non ebbi mai nella mia vita una sorpresa maggiore, né più consolante. Vivere sempre isolato sulla terra mi sembrava un destino ben triste, specialmente nell'avversità. In mezzo a tante proscrizioni e perse­ cuzioni provavo una dolcezza immensa nel poter dire: 'Almeno sono tra i miei fratelli [nella fede] '. E andai alla comunione con una commozione e delle lacrime di tenerezza che forse sono la preparazione più gradita che si possa offrire a Dio» (Rousseau, Les Con/essions, livre 12 [trad. it. , in Opere, Sansoni, Firenze 1 972 , 1 092 ] ) . Riti terapeutici possono essere considerati il sacramento della peniten­ za e l'unzione degli infermi. ll sacramento della penitenza nacque sotto forma di reintegrazione pubblica di un peccatore pentito, che era stato escluso dalla comunità. Poi nel corso dei secoli prese piede la 'confessio­ ne auricolare' segreta, durante la quale il sacerdote, dopo un colloquio pa­ storale di incoraggiamento, assolve in nome di Cristo il penitente che si confessa, diventando così il terapeuta o, in ogni caso, l'esecutore di una te­ rapia sacra. Tale terapia sacra è oggi sempre più praticata - spogliata del­ la sua cornice sacra - in centri ecclesiali di consulenza da terapeuti e con­ sulenti formati sul piano psicologico. Invece l'unzione degli infermi, ac­ compagnata dalla preghiera per la guarigione, è fin dall'inizio un rito te-

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rapeutico e già nella Bibbia è descritta come tale. Inizialmente l'unzione con olio non era praticata dal sacerdote, ma da diversi anziani della co­ munità (Gc 5 , 14 ) . A conclusione si impongono due osservazioni. Prima: guardando retro­ spettivamente ai rituali studiati dalla ricerca etnologica notiamo che nel­ l'odierno cattolicesimo due sacramenti hanno ampiamente conservato la loro funzione arcaica: l'eucaristia come rito di intensificazione e l'ordine come rito di iniziazione. Non c'è perciò da stupirsi se l'eucaristia e il 'mi­ nistero' (presbiterale) sono due tra i temi più spinosi del dialogo ecume­ nico, mentre a proposito degli altri sacramenti constatiamo un ampio con­ senso. Seconda: in base alla questione del rapporto gerarchico fra battesi­ mo e ordine si decide se la chiesa si concepisce come chiesa sacerdotale gerarchicamente organizzata o come chiesa democratica di laici. In una chiesa di laici il sacramento principale è il battesimo, in una chiesa di sa­ cerdoti l'ordine; e di fatto nella chiesa cattolica assistiamo a una superio­ re valutazione dell'ordine.

Il SACRAMENTO COME RIVELAZIONE DEL SACRO: LA

FENOMENOLOGIA DEI SACRAMENTI

Nella sua forma odierna, che lavora non solo in maniera comparata, ma anche in maniera storica, la fenomenologia della religione deve se stessa soprattutto a M. Eliade, la cui opera mira a raccontare una storia del sen­ so delle costruzioni simboliche. Nelle pagine che seguono delineiamo a grandi tratti la storia del senso del battesimo e dell'eucaristia. Al riguardo possiamo distinguere, in ambedue i casi, tre strati di senso: (l) una scena originaria elementare (del lavare e del mangiare), (2 ) un'interpretazione della scena originaria come azione sacra, interpretazione effettuata con l'aiuto di un simbolismo ampiamente documentato nella storia delle reli­ gioni, (3 ) un'interpretazione che integra il simbolismo generale, e che fa dell'azione santa un'azione specificamente (ebraica o) cristiana, importan­ te sotto il profilo della storia della salvezza. l. Battesimo. Occorre partire dall'azione elementare di un lavaggio, nel quale una persona versa dell'acqua sopra un'altra persona o la immerge in un fiume o in una vasca. Si tratta di un gesto di cura del corpo, con cui una persona è di aiuto a un'altra persona. Già nella Bibbia è documenta­ to che si lava il neonato (Ez 16,9) . La rigenerazione dell'uomo mediante

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l'igiene del corpo rappresenta l'esperienza fondamentale, alla cui ovvietà e alla cui forza fanno riferimento tutte le successive prescrizioni e inter­ pretazioni rituali. Dal punto di vista della fenomenologia della religione la scena origina­ ria del lavare è contraddistinta dal fatto che essa possiede un'apertura al­ la trascendenza. Essa può essere dotata di un significato religioso, se i par­ tecipanti all'azione elementare non solo le attribuiscono un senso religio­ so, ma esprimono anche tale senso consapevolmente e lo rappresentano in maniera creativa. In questo modo nasce il 'bagno' o 'lavacro sacro', un ri­ to molto diffuso nella storia delle religioni. Tale lavacro non ha come fine l'igiene del corpo, ma serve in quanto gioco sacro simbolico e ricco di va­ lori a trasformare la persona mediante la santificazione. Qui ci imbattiamo nella distinzione fondamentale tra 'sacro' e 'profano'. Al mondo profano quotidiano si contrappone un altro mondo, trascendente: il mondo di Dio. I due mondi non sono completamente separati fra di loro, bensì in­ trecciati, per cui una parte del nostro mondo può diventare trasparente al­ la dimensione sacra. Tale trasparenza è spesso sperimentata nella festa, in momenti che sono sottratti alla vita quotidiana. Certe azioni religiose (ri­ ti} servono a favorire tale trasparenza e ad immettere così nel mondo del­ la vita quotidiana delle forze sante che gli danno un senso. Il bagno sacro non ha altro senso che questo. Spesso la forza purificante è simbolica­ mente elevata al rango di forza santificante, come ad esempio quando, tra gli ebrei, le donne compiono un lavaggio rituale dopo la mestruazione o gli uomini fanno la stessa cosa dopo una eiaculazione che li rende impuri. Lavacri purificanti e santificanti svolgono un grande ruolo nell'ebraismo antico e in quello della tarda antichità (dagli orientamenti soprattutto ma­ gici), ruolo preso in considerazione solo nella ricerca più recente (Wan­ drey 2004, 53 -69). Accanto al simbolismo della purificazione molte cultu­ re e culti hanno coltivato anche un secondo simbolismo: quello della ri­ nascita. La rinascita dall ' acqua del bagno sacro richiama alla mente il rac­ conto biblico di Naaman gravemente ammalato che, su sollecitazione del profeta, si bagna sette volte nel Giordano e vede la sua «carne ridiventare come la carne di un giovinetto» (2 Re 5 , 14 ) . In tutto il mondo ci sono sor­ genti, fiumi e fontane in cui è possibile praticare il bagno sacro, in modo particolarmente eloquente in India, dove schiere di pellegrini si immergo­ no nel Gange. Casi paralleli nella storia delle religioni se ne trovano in ab­ bondanza nella cultura fluviale dell'antico Egitto, che fa riferimento al N i­ lo. Il rito dell'incoronazione del faraone contiene un 'battesimo' del can­ didato, che precede altre azioni rituali, cioè il suo bagno rituale nell'acqua purificante, rinfrescante e vivificante; la riproduzione pittorica fissa, in rappresentanza di tutto l'evento, il momento in cui viene rovesciato sul

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suo capo un raggio di acqua sgorgante dal geroglifico 'segno della vita', la croce egiziana ansata (Gardiner 1 950; Keel 1 972, 235; cfr. Wolf 2004, 94s. ) . n vastissimo simbolismo collegato con l'acqua è rivelato dalle acque primitive, dette 'Nun', che rendono possibile la creazione: «li sole del mat­ tino si immerge in queste primitive acque creative al fine di attingere la forza per un nuovo giorno e per alzarsi in cielo, e quest'acqua viene elar­ gita al defunto per ringiovanirlo, per unirlo con gli dèi, per farlo ascende­ re al cielo [ . . . ] . L'acqua è l'acqua della creazione, che porta con sé le ener­ gie e gli impulsi cosmogonici. [ . . . ] Chi si immerge nelle acque primitive sfugge alla morte e attinge la forza per una nuova vita. La morte è la con­ seguenza di una contaminazione, che va lavata con le acque primitive. Le acque primitive rigenerano tutto ciò che è decaduto e riportano indietro le lancette dell'orologio. Un mondo, in cui operano queste acque, non ha bisogno di un creatore, crea se stesso, è divino e santo e porta i misteri del­ la redenzione in sé» (Assmann 200 1 , 470s.). Un terzo significato - dopo quello della purificazione e della rinascita - il bagno sacro sembra abbia avuto negli antichi misteri di Iside, dove esso è posto in relazione con la morte e con la rianimazione: nell'iniziando si ripete ritualmente il ritrova­ mento del figlio Horus, annegato nel Nilo, da parte di sua madre, la dea Iside; come la dea rianima il bambino morto, così anche l'iniziando, sim­ bolicamente morto, viene riportato ad una nuova vita (cfr. il racconto di questo mito in Diodoro Siculo 1 ,25,6s.; su ciò, Pearson 1999). In questo contesto il bagno appare come la rappresentazione rituale della potenza dell'acqua capace di estinguere la vita, potenza familiare all'uomo dell'an­ tichità per via dell'esperienza dell'annegamento (cfr. Sal 69,2s. e il nome di 'battesimo', cioè di annegamento nell'acqua, dato alla morte di Gesù in Le 12,50; Mc 10,38s.). n simbolismo della purificazione assume nella prassi battesimale di Giovanni Battista un significato storico-salvi/ico. Le persone che vanno da lui sono immerse nell'acqua per confermare la loro volontà di astenersi, come israeliti 'puri', dal peccato; i purificati sono chiaramente considera­ ti come individui che, a differenza dei non battezzati, sfuggiranno al giu­ dizio punitivo divino atteso come imminente. ll battesimo di Giovanni è contraddistinto dal fatto che un semplice rito - un bagno sacro - è dota­ to di una cornice storico-salvifica che si riferisce al futuro. Un altro signi­ ficato storico-salvifico del bagno rituale ci è tramandato da Paolo: il bagno contiene, sì, il simbolismo ebraico della purificazione dai peccati (l Cor 6, 1 1 ; Eb 10, 12), ma tale simbolismo è radicalizzato. li bagno sacro uccide e seppellisce l'uomo vecchio e fa risorgere un uomo nuovo (Rom 6, 1 - 10; Col 2 , 12). Questo evento dell'uccisione e della risurrezione rende ogni credente conforme a Cristo, dal momento che Cristo ha vissuto il destino

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della morte e della risurrezione. La risurrezione dal bagno del battesimo è detta anche rinascita (Gv 3 ,5; Tt 3,5) . Secondo la catechesi battesimale di Cirillo di Gerusalemme una triplice immersione del battezzando simbo­ leggia i tre giorni della morte di Cristo; l'acqua salutare è per lui come «un sepolcro e un grembo materno», come un luogo della morte e della rina­ scita (Catechesi mistagogù:he 2,4; Fontes Christian i 7, 1 14-1 1 7 ) . Nel cristianesimo primitivo l'idea della purificazione fu in un primo momento messa in secondo piano rispetto all'idea, accentuatamente cri­ stiana, della morte e della rinascita (quale modo di pensare tipicamente cristiano) ; più tardi, in seguito alla dottrina agostiniana del peccato origi­ nale riguardante tutti gli uomini (e quindi anche i bambini piccoli) , l'idea del lavacro balzò di nuovo chiaramente in primo piano: il lavacro battesi­ male purifica dalla macchia della colpa originale. Perché nel battesimo Dio si serve dell'acqua?, recita una domanda del Catechismo Romano; ri­ sposta: «Appunto perché l'acqua lava le macchie ottimamente dimostra la potenza e l'efficacia del battesimo, per il quale sono lavate le macchie dei peccati» (Il catechismo del Concilio di Trento, Ed. Paoline, Roma 1 96 1 , 185 ) . 2 . Banchetto eucaristico. L'animale, quando mangia, si apparta il più del­ le volte dai suoi simili; invece l'uomo condivide il pasto con altri e coltiva così la comunione con loro. Quando una persona, che presiede una men­ sa, si rivolge ai commensali e offre loro da mangiare e da bere, abbiamo una quotidiana scena elementare di un pasto consumato in comune. La ci­ generazione dell'uomo mediante il mangiare e il bere rappresenta l'espe­ rienza fondamentale, alla cui ovvietà e forza fanno riferimento tutte le for­ me rituali. Tutti i popoli, le culture e le religioni conoscono il pasto che, religiosamente nobilitato, si contrappone come pasto sacro all'assunzione quotidiana e profana del cibo. Nell'Israele biblico pasti sacri hanno luogo dopo l'offerta di sacrifici privati: un agnello è immolato dal personale del tempio, una parte dell'animale è bruciata sull' altare, la parte maggiore è restituita al gruppo dei sacrificanti, che la consumano nel corso di un pa­ sto festoso. L'offerta rituale dell'animale a Dio, antecedente il pasto ed espressa mediante la presentazione dell'animale macellato davanti all'alta­ re del tempio, la libagione del suo sangue e la bruciatura di determinate sue interiora, fonda la sacralità della festa. Anche altrimenti il mondo an­ tico conosce il pasto sacro, come testimonia un biglietto greco di invito: «ll dio ti invita al banchetto nel tempio della (dea) Toeris, domattina ver­ so le ore nove» (Klauck 1995 , 1 19). Come un alimento sacro possa cam­ biare colui che lo consuma, lo insegna l'antico romanzo dell'asino: duran­ te una processione un sacerdote porge all'asino Lucio un mazzo di rose;

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l'asino le mangia ed è così trasformato in un uomo e, nello stesso tempo, in un setvo devoto della dea lside (Apuleio, l}asino d'oro, libro 1 1 ). Una forma ebraica di pasto sacro, dotata di un riferimento storico-sal­ vi/ico, è costituita dal banchetto pasquale, celebrato una volta all'anno nel­ l' ambito familiare; collegato al ricordo dell'esodo del popolo dall'Egitto, esso contiene una dettagliata leggenda festiva fondante: il pasto domesti­ co è la ripetizione rituale di quel pasto notturno, consumato dagli antena­ ti, mentre l'angelo sterminatore seminava la morte nelle case dei nemici egizi e dava così inizio alla liberazione. n banchetto pasquale è contraddi­ stinto dal fatto che un semplice rituale è provvisto di una cornice storico­ salvifica, che rimanda al passato - all'esodo dall'Egitto - e ricorda un evento salvifico. Nel primitivo movimento di Gesù il pasto sacro aveva un suo solido posto. Gesù celebrò chiaramente un rito sacrificale, nel quale furono ritualmente offerti a Dio - al di fuori del tempio - pane e vino pri­ ma di essere consumati (Lang 1 998, 24 1 -254). Originariamente il pasto sa­ cro non conteneva alcun riferimento di fondo alla persona di Gesù; tale ri­ ferimento fu creato con una innovazione e una trasformazione solo dopo la sua morte. Paolo è il primo a descriverei il pasto trasformato. Egli tra­ manda il comando di Gesù: «Fate questo in memoria di me» (l Cor 1 1 ,24s.), cosicché lo stesso Gesù appare come il fondatore del pasto cul­ tuale. Del pasto sacro dei cristiani non fa tuttavia parte solo la leggenda fondante, bensì anche il cibo santo. Paolo parla del mangiare il pane e del bere il vino come di un mangiare il «corpo e sangue» di Cristo (l Cor 1 1 ,27) . Modello di questa concezione sono presumibilmente azioni magi­ che note anche nel giudaismo, che stabiliscono un collegamento con uno spirito o con una divinità con l'aiuto di un bicchiere di vino o di un pane d'orzo (documentazione in Lang 1 998, 328s.) . La creazione del pasto sa­ cro cristiano si spiega con il desiderio di mantenere una stretta relazione con Gesù anche dopo la sua morte. Per i primi suoi seguaci Gesù è stato quella figura umana nella quale la realtà di Dio si è manifestata nella ma­ niera più chiara. Dopo la sua morte i suoi primi seguaci crearono un pa­ sto memoriale come gioco rituale che deve rinnovare e garantire la sua presenza. La ierofania rituale deve rinnovare la ierofania storica speri­ mentata nel passato; in questo modo una ierofania sacramentale 'derivata' prende il posto dell'incontro storico originario con Gesù. Tutte le interpretazioni classiche e moderne del pasto sacramentale fan­ no riferimento alla ierofania derivata e cercano di spiegare come un' azio­ ne rituale e un alimento sacro possono rendere presente il Cristo assente. Utile è una riflessione sulla fenomenologia del dono proposta dalla teolo­ gia olandese (Lang 1 998, 3 60-362 ) . Tale fenomenologia è illustrata con un esempio. Immaginiamo che una padrona di casa accolga un ospite, cui ser-

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ve tè e biscotti. I due doni incarnano, per così dire, l'accoglienza da parte della donna; possiamo dire che in tal modo essi assumono una nuova qua­ lità. n dono serve infatti come mezzo per comunicare, e con chi si comu­ nica se non con una persona? La donna che accoglie l'ospite comunica, per così dire, se stessa a lui. n dono serve, in certo qual modo, per espan­ dere la sua persona, e per mezzo di questa espansione avviene l'incontro. La donna, rappresentata da una vicina, potrebbe incarnarsi nel dono ad­ dirittura durante una propria assenza. In questo senso vanno ora conce­ pite, secondo questo paragone, anche le parole di Gesù, che concepisco­ no il pane e il vino come il suo corpo e il suo sangue, cioè come lui stesso. Per questa comprensione dell'eucaristia fu proposto il nome di transsi­ gnificazione (cambiamento di significato) : nel contesto dell'incontro gio­ coso-rituale del fedele con l'ospitante assente (Cristo) il significato dei do­ ni del pane e del vino cambia. Come nascono queste interpretazioni simboliche dell'azione sacramen­ tale? Nei primi tempi il battesimo e l'eucaristia erano esperienze che se­ gnavano profondamente i fedeli, esperienze che, paragonabili ai culti trau­ matici di iniziazione di popoli privi di scrittura (Whitehouse 2004 , 4s.63 85 ), impegnavano a lungo il singolo, inducevano a riflettere e suggerivano spontaneamente una molteplicità di interpretazioni. Come mostra la spie­ gazione del battesimo come morte (nell'acqua) e risurrezione (dall'acqua) , le prime interpretazioni rimangono sempre plastiche e collegate all'espe­ rienza del sacro vissuta nell'azione rituale. Liberamente espresse e molte­ plici, esse servivano ad alimentare la pietà cultuale. Solo a poco a poco, al­ lorquando con la nascita della grande chiesa la prassi sacramentale perse il suo carattere esperienziale, dottrine standardizzate da teologi presero il posto della riflessione personale. Adesso i sacramenti furono concepiti co­ me mezzi oggettivamente efficaci della comunicazione della grazia divina. La dottrina del battesimo come cancellazione del peccato originale e il dogma della transustanziazione del pane e del vino non affondano più le loro radici nella prassi rituale originaria. Tuttavia, il passaggio dall'inter­ pretazione che fa riferimento all'esperienza vissuta alla dottrina ecclesiale non riuscì a rimuovere o a cancellare completamente le strutture simboli­ che e di senso più antiche. Nell'evento rituale sono tutt'oggi presenti, ri­ conoscibili e forse anche sperimentabili un'eredità arcaica e un'esperien­ za cristiana primitiva. «l simboli e i miti - e noi aggiungiamo: i riti - pro­ vengono da una lontananza troppo grande perché possano morire. Essi costituiscono una parte dell'uomo, ed è impossibile che un giorno non sia­ no più reperibili in una situazione esistenziale dell'uomo nel cosmo» (Elia­ de 1986, 25 ) .

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Ili. SACRAMENTO COME AIUTO PER VIVERE: LA PSICOLOGIA DEL PROFONDO DEI SACRAMENTI

Secondo la concezione della dogmatica ecclesiale i sacramenti comuni­ cano la grazia divina quale forza sanante e vivificante. Dal punto di vista della psicologia del profondo chi riceve il sacramento attinge questa forza dall'inconscio sperimentato come numinoso e divino, che presenta tratti sia individuali che collettivi. In effetti l'azione rituale e la teologia dei sa­ cramenti contengono allusioni a processi psichici, che mettono l'individuo in contatto con l'inconscio. Quando si cerca di chiarire questo nesso, bi­ sogna sempre distinguere due piani: l'azione rituale esteriore ed il proces­ so intrapsichico ad essa parallelo. Alla base del modo della psicologia del profondo di considerare i sa­ cramenti c'è una descrizione dell'azione rituale, e della teologia ad essa collegata, che mette in risalto aspetti particolari e dal suo punto di vista ri­ levanti. Nel caso del battesimo questo significa che l'aspetto della rinasci­ ta emerge in primo piano. Un antico fonte battesimale è chiaramente co­ struito come un grembo materno circondato da due braccia (riprodotto in Jung 1 973 , 279 [trad. it. , in Opere V, Boringhieri, Torino 1 965 , Tavola XXVII] ). li battezzando (anche quello adulto), restituito al grembo ma­ terno simbolico dell'acqua (regressus ad uterum) e poi 'rinato' , diventa un figlio di Dio, che come tale non può invecchiare. Nel Nuovo Testamento i battezzandi sono esortati a rimanere fedeli al loro ruolo di lattanti: «Co­ me bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza» (1 Pt 2 ,2). In maniera simile Clemente Alessandri­ no sottolinea le conseguenze simbolicamente ringiovanenti del battesimo (Lutterbach 2003 , 4 1 s.). Tra i gesti rituali collegati con il battesimo, che sono compiuti anche nel caso del battesimo di adulti, il lavacro e l'unzio­ ne ricordano la cura del lattante e contribuiscono così a creare quell'at­ mosfera regressiva, che fissa il lattante al suo ruolo di bambino piccolo. In un analogo contesto regressivo conduce l'eucaristia, dal momento che nella teologia antica e medievale il comunicante è concepito come un lattante (Lutterbach 2003 , 75-86; Lang 1998, 476s.). Nella chiesa primiti­ va ai neobattezzati non veniva porto, al momento della comunione, sol­ tanto pane e vino, bensì anche latte e miele. In questo modo essi erano «nutriti», come spiega lppolito, «come bambini piccoli» (sicut parvuli nu­ triuntur: Apost. Trad. 2 1 ; Fontes Christiani l, 268). La 'comunione con il latte', mentre fu conservata nel cristianesimo copto e abissino, scomparve nella liturgia occidentale. La concezione che le sta a base non fu tuttavia dimenticata. Giovanni Crisostomo, nel IV secolo, a proposito del sangue

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eucaristico di Cristo dice: «Come ogni madre alimenta il figlio, che ha in grembo, con il proprio sangue e con il proprio latte, così, quelli che da Cristo hanno ricevuto la vita, sono da lui nutriti con il suo stesso sangue» (Cat. Bapt. 4, 19; Fontes Christiani 6, 276). Aelredo di Rievaulx ( 1 1091 167) raccomanda di fare della croce dell'altare l'oggetto della seguente meditazione: della rivoluzione. La storia considera il mondo con gli occhi di una «triste scienza»; essa nei fatti è «dis-evangelica». Le storie sono cattive no­ tizie. Le rimane soltanto il ritiro in «contro-narrazioni [. . ] che parlano di fallimenti e di insuccessi» e che ricordano ciò che è andato perduto o che minaccia di andar perduto (Sloterdijk 1 988, 1 6 1 - 1 65 ) . La teologia, di fron­ te a questo dysanghélion, può ancora annunciare il proprio euanghélion, il lieto annuncio dell'agire salvifico di Dio nella storia? .

II. LA LOTTA PER IL SOGGETTO DELLA STORIA l . Chi agisce nella storia, chi ha responsabilità per essa e in essa? Nella storia del cristianesimo l'agire storico di Dio è stato sin dall'inizio inter­ pretato come agire provvidenziale. Con ciò venne meno - o si presentò co­ me superato - l'aspetto che l'apocalittica riteneva invece determinante per la storia, e cioè la potenza distruttiva dei demoni e delle 'potenze'. La sto­ ria fu vista come spazio di realizzazione del piano salvifico divino (del­ l'ozkonomia della salvezza) , che certamente prevedeva anche una lotta de­ cisiva finale contro le «schiere del diavolo». La storia apparve nel suo complesso come un evento ciclico: tutto ciò che accade è inteso come pro­ dotto della volontà creatrice di Dio e come riconduzione a Dio dell'uma­ nità che, a causa del peccato, si è allontanata da lui, Dio, che alla fine sarà tutto in tutti. L'evento Cristo è divenuto il centro del tempo poiché l'e­ gressus si trasforma in regressus e . L'essere orientato dell' evoluzio­ ne non rimanda all'affermazione dell'intenzione di un soggetto, ma alla produzione e all'elaborazione della contingenza: cioè alla possibilità cre­ scente di generare alternative, di strutturare in modo sensato, attraverso procedure selettive, questo spazio di possibilità e ad ottimizzare il funzio­ namento dei sistemi nelle loro funzioni interne ed esterne in modo che sia più o meno mirato (Luhmann 1 975 , 150ss.). La contingenza appare anche alla scienza storica moderna come il se­ gno distintivo dell'evento storico (Koselleck 1 989, 25ss.) . Tuttavia, essa la intende come contingenza dell'azione che scaturisce dalla 'casualità' delle scelte umane che è razionalizzabile soltanto mediante una narrazione drammatizzante, che collega a posteriori in modo convincente circostanze rilevanti, motivi dell'azione. La teoria narrativa della descrizione storica, rappresentata soprattutto da A.C. Danta e P. Ricoeur, sottrae all ' evento contingente il suo significato e comprende la descrizione storica come la trama di una 'fiaba' (frane. intrigue; ingl. plot) in cui gli eventi narrati so­ no ordinati in modo conseguente dal punto di vista narrativo e collegati in maniera 'intelligibile'. Tali ricostruzioni narrative sono 'oggettive' nella misura in cui rendono plausibile il fatto che ciò che viene dopo scaturisce da ciò che viene prima e nella misura in cui la loro consequenzialità nar­ rativa 'collega' tutte le circostanze e i fattori conoscibili. Qui il soggetto della storia ('della sua storia') è lo storico. È lui che sta­ bilisce i nessi e spiega come dai presupposti si passi a possibili conse­ guenze e infine come le possibilità realizzate si condizionino reciproca­ mente. Un caso estremo, straordinariamente problematico dal punto di vi­ sta della descrizione storica, si dimostra allora il tentativo di reificare la narratività e l'intelligibilità della 'fiaba', agganciandole alle intenzioni di un soggetto che si traducono in azioni, quelle intenzioni che strutturereb­ bero la 'storia stessa'. La descrizione storica conosce propriamente sol­ tanto un nesso 'parziale' e prospettivistico fra gli eventi e la consequen­ zialità e l'intelligibilità risultano soltanto da 'storie' (fiabe) . L'affermazione di una consequenzialità universale degli eventi è dunque sospetta e suona

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come una legittimazione per reclamare il possesso di un piano della storia universale e la missione ad imporlo; sospetta come l'inganno di un 'sape­ re divino' circa il senso (salvifico) di tutto ciò che accade. 3. A questo livello della discussione è ancora sostenibile un riferimento teologico a Dio come soggetto di àò che accade, a Dio come agente nella sto­ ria? L'espressione «Dio agisce» non è forse soltanto un'affermazione in­ genua di tipo narrativo, che può essere sostituita dalla ricostruzione stori­ ca degli eventi tramite derivazioni meno pretenziose e più plausibili? As­ serzioni del tipo > o all a libertà impegna­ ta nell'amore solidale per i poveri -, ne consegue una corrispondente ac­ centuazione del 'secondo atto', la riflessione critica, che si sedimenta in due tipi principali della teologia della liberazione: l'una attribuisce una maggiore importanza all' intellectus /idei (Segundo 1 988), l'altra all' «intel­ lectus amoris» (Sobrino 1 998/99) . a. Accentuazioni di una teologia della liberazione come intellectus /idei critico nei confronti dell'ideologia. La teologia, che riflette su una fede at­ tiva nell'opzione in favore dei poveri e delinea in questo modo un'azione che si oppone al dolore e all'ingiustizia, sotto cui soffre la maggioranza della popolazione latinoamericana, deve coerentemente lavorare per eli­ minare quelle deformazioni della comprensione teologica del messaggio di Gesù, che hanno contribuito sul continente latinoamericano a non te­ ner conto dell'oppressione o addirittura alla sua nascita e alla sua conti­ nuazione. Essa deve quindi lavorare per la propria liberazione, cosa che comporta il cambiamento di temi e trattati teologici 'classici'. Tre esempi: * Nella dottrina della redenzione l'accentuazione risulta chiara già con l'uso del temine liberazione. Mentre nel linguaggio teologico il termine re­ denzione è stato smussato tanto da permettere di associare ad esso una ri­ cerca privata e individuale della felicità ultraterrena che è disgiunta da una ricerca del regno di Dio e che compensa o addirittura giustifica l'infelicità sulla terra, il termine liberazione pone l'accento sulla vocazione dell'uomo a collaborare all'instaurazione del regno di Dio. In questo contesto si ve­ rifica anche un ampliamento del concetto di 'peccato', che non indica più solo un atto e un modo di agire individuale, bensì anche le strutture in­ giuste dominanti in una società e l'adattamento individuale a tali struttu­ re. * La Bibbia è di nuovo letta nella prospettiva del popolo che soffre e lotta (Mesters 1982; Schiirherr 1 994). Sotto questo profilo agli inizi della teologia della liberazione un'importanza paradigmatica fu riconosciuta so­ prattutto all'evento dell'esodo. Nel frattempo si è potuto constatare come la prospettiva della teologia della liberazione sia feconda nella lettura di tutti i testi biblici, dei libri profetici così come della letteratura dell'esilio, dei testi sapienziali, delle parabole o dell'Apocalisse. Da qui si è sviluppa­ to un metodo di studio ecumenico della Bibbia diffuso in tutto il conti-

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nente latinoamericano (Centro de Estudios Biblicos CEBI; Schiirger 1995 ) . * Nella cristologia si insiste sul fatto che Gesù di Nazaret, il Gesù sto­ rico, è la via di accesso al Cristo della fede (Collet 1988). ll messaggio del regno di Dio assume un'importanza centrale; la sua dimensione conflit­ tuale è messa più fortemente in luce, e con essa anche la dimensione con­ flittuale della fede. La decisione in favore del Dio di Gesù Cristo si tradu­ ce simultaneamente in una rinuncia agli idoli (Assmann 1984 ) . b . Accentuazione teologica mediante il cambiamento della collocazione di un «intellectus amoris». La riflessione sull'amore solidale per i poveri può essere fatta in maniera autentica solo partendo dal luogo dei poveri. Dall'ascolto prestato a queste persone nascono delle accentuazioni teolo­ giche che riguardano la teologia nel suo complesso. Anche qui solo pochi accenni a mo' d'esempio: * L'amore solidale per i poveri rende possibile un incontro, nel quale questi non sono visti soltanto nella negatività della loro situazione, che va modificata, ma sono visti nello stesso tempo nella positività della loro te­ stimonianza piena di speranza, fede e carità, quindi come soggetti dell'e­ vangelizzazione (Die Kirche Lateinamerikas 1979, 1 142 ) . I poveri diventa­ no un luogo d'importanza decisiva per l'apprendimento teologico. * Partendo da questo luogo è possibile descrivere una chiesa dei pove­ ri (Sobrino 198 1 ; Castillo 1 987 ; Mufioz 1994; Royon/Philibert 1 994; We­ ber 1996) . Essa è contraddistinta da comunità (di base), nelle quali si con­ giungono fra di loro le lotte per la giustizia e la speranza attiva in una ter­ ra nuova e in un cielo ·n uovo, lotte e speranza che erano state bandite dai centri della società e delle chiese e che ora trovano qui una loro propria voce e organizzazione, un evento la cui importanza travalica le comunità e irradia in settori sociali e ecclesiali più vasti. Tipico di questa chiesa è il fatto che essa si lascia cambiare dai poveri e dalla loro speranza, dalla lo­ ro fede nel fatto che il rinnovamento e la risurrezione trovano la loro se­ dimentazione già all'interno della storia presente.

III. SULLA METODICA Alla logica della teologia della liberazione - di sapersi un 'secondo atto' dopo un amore che diviene attivo nella speranza e nella fede - corrispon­ de la sua metodica induttiva e orientata all ' azione, metodica che, sulla ba­ se del triplice passo di vedere-giudicare-agire, procede con un movimen-

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to in certo qual modo a forma di spirale che, quindi, ricomincia in conti­ nuazione da capo: dall'indagine socio-analitica a quella (dialettico-)erme­ neutica e all'impegno pratico (Brighenti 1994; Boff 1 983 ; Boff/Boff 1986) . Se - e questa è una delle conoscenze fondamentali della teologia della liberazione - la povertà e la dipendenza sono in piccolissima misura una colpa privata, meno ancora un destino non influenzabile e meno che mai volute da Dio, ma hanno delle cause strutturali, bisogna studiare le realtà che le condizionano sul piano dell'economia, della politica e della cultura con l'aiuto dello strumentario scientifico per questo a disposizione, non­ ché con l'aiuto di nozioni teoretiche empiricamente fondate desunte dal­ la sociologia, dall'economia, dalla psicologia e dall'etnologia (Castillo 2000). In questo contesto la critica del neoliberalismo è diventata da qual­ che tempo il tema centrale della teologia della liberazione (Comblin 200 1 ) . Nel passo successivo, alla mediazione socio-analitica segue quella teo­ logico-ermeneutica, vale a dire il tentativo di interpretare, alla luce della fede nel Dio biblico e della sua chiara opzione in favore degli esclusi, l'in­ giustizia che grida vendetta al cielo, nel senso più vero dell'espressione, come lo scandalo del presente. Nel terzo passo si tratta di desumere dalle due mediazioni orientamen­ ti e prospettive per una prassi capace di operare dei cambiamenti nella so­ cietà e nella chiesa. Specialmente la mediazione ermeneutica si vede at­ tualmente sollecitata da un discorso etichettato come 'postmodemo'. Es­ sa cerca di impedire che l'indifferenza o addirittura il cinismo di fronte al­ l'ingiustizia sociale abbiano l'ultima parola e ribadisce che una teologia della liberazione deve lasciarsi contestualizzare dall'opzione in favore de­ gli altri, in favore degli esclusi (Miiller 1998b). Solo allora essa non dege­ nera in un 'teologismo' (L. Boff) (bibl. in Mette 200 1 ) .

IV. TEOLOGIE DELLA LIBERAZIONE IN ASIA, AFRICA E EUROPA

l . Affinità tra America latina, Africa e Asia. Sviluppi nella teologia cat­ tolica in Mrica e Asia nel corso degli ultimi trent'anni condividono mo­ menti essenziali della teologia latinoamericana della liberazione: ( l ) sensi­ bilizzazione nei confronti di strutture ingiuste e oppressive, che hanno a che fare con la dipendenza da paesi dell'emisfero settentrionale e occi­ dentale, di cui tali paesi approfittano e che mantengono in vita anche con i mezzi di un cristianesimo alleato dei dominatori; (2) l'analisi critica del-

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l'ideologia che inficia la prassi cristiana e la riflessione teologica su di essa e (3 ) l'opzione in favore dei poveri e una nuova riflessione sulla fede cri­ stiana nella prospettiva di tale opzione. Pure le situazioni, che in Mrica e in Asia contribuirono a questi sviluppi, hanno qualcosa in comune fra di loro e con l'America latina, soprattutto le ferite profonde provocate dalla loro storia coloniale, dall'emarginazione e dall'oppressione della maggio­ ranza delle loro popolazioni, che sono discriminate non solo economica­ mente, politicamente e socialmente, bensì anche culturalmente. Nello stesso tempo non bisogna però ignorare che i tre continenti presentano pure grandi differenze e che tali differenze conferiscono una loro specifi­ cità agli sviluppi teologici, che sono riassunti sotto il nome di «teologie della liberazione». 2. Teologia africana della liberazione. Sul continente africano a seguire il modello della teologia della liberazione, importato negli anni 1 970 dall'A­ merica latina, furono soprattutto teologi e teologhe di lingua francese, che tematizzarono l'oppressione nella chiesa e nella società e la lotta contro di essa. Più o meno nello stesso periodo teologi e teologhe sudafricane adot­ tarono nella loro lotta contro il razzismo la teologia nera dell'America set­ tentrionale. E già vent'anni prima si era profilata per la prima volta una teologia africana come tale nel confronto con le culture. a. Cultura. TI periodo dal 1945 al 1960 segnò un punto culminante del­ la riflessione · sulla realtà specificamente africana, a cominciare dalla pub­ blicazione del libro di Placide Tempel, un missionario francescano, sulla filosofia dei bantu ( 1946) e dalla comparsa dei movimenti culturali A/ri­ can Personality e Négritude. In tale periodo vede la luce il primo manife­ sto della moderna teologia nera africana, Des prhres noirs s'interrogent [Dei sacerdoti neri si interrogano] ( 1 956) , nato dalla pressante questione di come mettere in relazione il messaggio cristiano con la vita e con il pen­ siero concreto dei popoli africani. La teologia africana della liberazione cerca di ovviare al pericolo di un impoverimento antropologico. lncultu­ razione diventa perciò un altro termine per dire liberazione. Questa teo­ logia cerca soprattutto di combattere l'oppressione religiosa e culturale evidenziando - dallo studio di Tempel in poi sull a specificità di una filo­ sofia africana, al cui centro non sta l'essere, bensì la vita, !"energia vitale' - la ricchezza dell'antropologia africana. b. Razzismo. La teologia sudafricana e la sua lotta contro il razzismo hanno le loro origini, da un lato, nelle chiese indipendenti e, dall'altro, nella teologia nera dell'America settentrionale. Gli oppressi e gli umiliati trovano in Mrica la loro risposta all'odio razziale e al colonialismo cele­ brando nelle chiese indipendenti il mistero dell'intervento liberante di

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Dio nella storia umana e ritrovando in questo modo la loro dignità e li­ bertà. La black theology dell'America settentrionale svolge un ruolo im­ portante, in quanto spinge le grandi chiese cristiane a far propria questa protesta dei negri disprezzati del Sudafrica. Importanti rappresentanti della teologia nera sudafricana da qui scaturita sono Desmond Tutu e Al­ lan Boesak. Essi diventano, per così dire, figure simboliche della lotta con­ dotta insieme contro l'apartheid e il suo razzismo, lotta trasformatasi in un potente movimento. Sotto il profilo teologico la liberazione del popolo oppresso implica nello stesso tempo la liberazione della parola di Dio, che era stata tenuta prigioniera ed era stata deformata dal modo degli oppres­ sori di leggere la Bibbia. Dopo la fine dell 'apa rtheid la teologia sudafrica­ na della liberazione si vede posta di fronte a nuove sfide; adesso stanno in primo piano temi come la riconciliazione e il black empowerment [confe­ rimento di pieni poteri ai neri] . c. Oppressione. Negli anni 1970 la lotta, già da lungo tempo avviata per la liberazione economica e politica, viene fatta oggetto di riflessione in modo particolare da teologi e teologhe dell'Mrica di lingua francese. Essi vedono uno stretto collegamento tra l'oppressione economica e strutture ecclesiali opprimenti e perorano la causa di una emancipazione della chie­ sa africana dalle strutture della dipendenza, in cui essa è mantenuta dalla chiesa occidentale. Teologi rappresentativi di questo tipo sono Meinrad P. Hegba SJ, Jean-Marc Eia e Engelbert Mveng SJ del Camerun, nonché Laurenti Magesa della Tanzania. Nella loro valutazione critica dell'attività missionaria essi si spingono in parte (Hegba) fino a chiedere una morato­ ria nel sostegno personale e finanziario della chiesa africana, affinché que­ sta possa sviluppare la propria: identità cristiana, e sottolineano la neces­ sità della elaborazione di una teologia africana partendo dalla base (Ela 1980; 1987 ; Mveng 1 988) . Le lotte per la liberazione delle donne - un esempio è la rivolta delle donne contro misure coloniali repressive scoppiata nel 1929 ad Aba, in Nigeria - divennero un tema teologico solo in un momento successivo. Verso la metà degli anni 1980 fecero sentire la loro voce importanti teolo­ ghe africane (tra cui Mercy Amba Oduyoye, Teresa Okure) , decise a por­ tare un loro contributo per la guarigione e il rinnovamento delle loro so­ cietà e culture ( Oduyoye/Kanyoro 1992). 2. Teologia della liberazione in Asia. L'Asia è caratterizzata dalle sue mol­ te, diverse e assai antiche tradizioni religiose. Un interesse predominante della teologia cristiana in Asia fu ed è perciò quello di evidenziare la rile­ vanza del vangelo nel rapporto con le altre religioni. Ma nello stesso tem­ po teologi e teologhe asiatiche lavorarono già molto presto attorno a temi

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e a questioni riguardanti la povertà, perché la povertà è la situazione in cui vive la grande maggioranza della popolazione dei paesi asiatici. Certo, in queste correnti teologiche asiatiche non si parla sempre ed espressamente di liberazione, però il fine a cui esse mirano non è altro che questo. a. Caratteristiche. Una liberazione della popolazione che soffre sotto la povertà e l'oppressione non avrebbe alcuna rilevanza in Asia, se essa fos­ se solo una faccenda di cristiani e cristiane; il 90 % dei poveri non è infat­ ti battezzato. Affinché un messaggio di liberazione possa diventare rile­ vante per essi, bisogna prendere in considerazione le voci profetiche e protestatarie presenti nelle varie tradizioni orali e scritte dell'Asia. Le lo­ ro specifiche storie popolari possono dischiudere le realtà sociali meglio di un'analisi sociale (ad esempio marxista) proveniente 'dall'esterno'. Tipico della teologia asiatica della liberazione il fatto che essa è - ad ec­ cezione delle Filippine - una faccenda di singoli teologi e teologhe e dd­ le loro comunità e centri, che vivono un'opzione in favore dei poveri. Es­ si non cercano tanto di criticare il sistema cristiano di valori diventato pre­ dominante, ma lo collegano piuttosto con l'istanza di un meta-racconto, che parte dal fatto che degli esseri umani sono feriti, raccontano la propria storia nella loro lingua e scoprono così una nuova identità e un nuovo pro­ prio valore (Amaladoss 1997 ; Thumm a 2000). b. Esempi. Scopo della teologia minjung in Corea, nata dalla vita e dal­ la storia del popolo povero (minjung) , è una liberazione consistente nel fatto che questo popolo trova il coraggio di dare forma all a propria storia. La chiave ermeneutica è un'esperienza distruttiva di una rabbia impoten­ te, che nella lingua coreana è espressa con il termine intraducibile han. La teologia filippina della lotta nasce da una situazione di oppressione politi­ ca. Essa riconosce nella lotta il contesto originario della propria riflessio­ ne. La passione e la morte di Gesù sono il paradigma decisivo, che però non è sinonimo di passività, bensì di resistenza. In India una teologia dalit, una teologia degli 'affranti', degli oltre cen­ to milioni di esseri umani affranti dal sistema delle caste, ha trovato molti rappresentanti d'ambedue i sessi (tra cui M. E. Prabhakar, Arvon P. Nir­ mal e J ames Massey) . Scopo di questa teologia è quello di aiutare questi esseri umani a trovare - individualmente e collettivamente - la dignità di persone, che loro spetta in quanto immagine di Dio. In Giappone i 'burakumin' , i discriminati come impuri, hanno scelto come simbolo la corona di spine per indicare sia la loro sofferenza, sia la loro sperata liberazione. Negli ultimi vent'anni in Asia è andato svilup­ pandosi un po' dappertutto un lavoro teologico delle donne, che cerca di formulare dei progetti opposti all'orgoglio di casta e alla mania dei con­ sumi.

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Le teologie che non prendono come punto di riferimento solo la religio­ ne cristiana sono rappresentate da singoli autori e autrici, tra cui particolar­ mente noto è diventato Aloisius Pieris SJ ( 1 986) dello Sri Lanka. Egli ri­ chiama l'attenzione sul fatto che in Asia la grande povertà della massa della popolazione si accompagna ad un'altrettanto grande religiosità di queste persone. Inoltre in Asia le varie religioni sono accomunate da una spiritua­ lità, nella quale la povertà liberamente scelta occupa un posto importante. 3 . Spunti di una teologia europea della liberazione. Teologia della libera­ zione in Europa: queste parole esprimono un desiderio più che indicare un fatto descrivibile. Non si tratta infatti solo di recepire la teologia lati­ noamericana della liberazione. Come infatti non si renderebbe giustizia a tale teologia, se la si concepisse come applicazione della teologia europea al contesto latinoamericano, così non si arriverebbe a una teologia euro­ pea della liberazione, se si cercasse di 'applicare' la teologia latinoameri­ cana della liberazione al contesto europeo. Ci sono non poche teologie europee che si distinguono per il loro im­ pegno liberante, come la teologia politica, la teologia della speranza o la teologia femminista. Ma non sarebbe certamente lecito sussumerle sem­ plicemente sotto la denominazione di teologia della liberazione. n confronto con la teologia della liberazione ha modificato le teologie europee in quanto esse si sono lasciate ispirare da elementi costitutivi: nel modo di concepire la teologia (teologia come atto secondario), sul piano del metodo (triplice passo vedere-giudicare-agire) e sotto il profilo del contenuto (opzione in favore dei poveri, in favore degli altri) . Pure la cre­ scente coscienza autocritica di stare, nella storia dolorosa dell 'America la­ tina, dell' Mrica e dell'Asia, non dalla parte delle vittime, ma dalla parte dei malfattori, ha prodotto dei cambiamenti nella teologia europea. Infine in Europa ci sono delle teologie che entrano nel processo della loro contestualizzazione, in quanto fanno proprie esigenze tipiche della teologia della liberazione, come il fatto di occuparsi della particolarità di una situazione storica, del radicamento in tale situazione e dell'impegno per il suo miglioramento, il fatto di mettere profeticamente in relazione i segni dei tempi con il vangelo e di sopportare la non concludibilità di fon­ do di questa dinamica. Una teologia che si contestualizza così può essere in cammino per diventare una teologia della liberazione. La teologia della liberazione come atto secondario rimane dipendente dalla prassi (atto primo) dell'evangelizzazione e della liberazione, al cui servizio sta. In Europa siamo perciò in attesa di una teologia elaborata in mezzo a processi sociali e ecclesiali di liberazione, che sono ispirati dalla libertà di cristiani.

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Teologie femministe l Spiritualità femminista ---+- Amore ---+- Antropologia ---+- Colpa/Senso di colpa ---+- Corpo ---+- Dio/Com­ prensione di Dio ---+- Erotismo/Eros ---+- Etica economica ---+- Fede/Fiducia -+ Maria ---+- Mistica ---+- Regno di Dio ---+- Spirito Santo/Pneumatologia ---+- Spi­ ritualità ---+- Violenza

A. Teologie femministe

l.

CHIARIFICAZIONI CONCETIUALI

La teologia femminista si concepisce come un movimento e come un pensiero e una ricerca da parte di donne, che fanno riferimento ai due ter­ mini che le danno il nome: femminismo e teologia. l . n femminismo può essere concepito come una prospettiva analitica e critica, che parte dal fatto che il rapporto tra i sessi rappresenta una delle forme fondamentali di organizzazione sociale e che perciò si sedimenta in immagini strutturali dei sessi e in strutture dell'economia, della religione, della scienza e della cultura. In secondo luogo il termine femminismo in­ dica un processo di liberazione delle donne da tutte le costrizioni e tutele patriarcali sul piano sociale, psichico, simbolico e strutturale. n sesso, dal momento che bisogna partire da una dominanza culturale, sociale, politi­ ca e simbolica dell'elemento maschile, va visto come una categoria cen­ trale della disuguaglianza sociale. Per patriarcato bisogna intendere un si­ stema culturale e politico fatto di dominio e di subordinazione, che ha tratti gerarchici e che è strutturato da un intreccio fatto di sesso, classe, appartenenze etniche, culturali e religiose e da altre abituali attribuzioni (E. Schiissler Fiorenza) . Tali segni di differenziazione si moltiplicano a vi­ cenda e le loro conseguenze sono disuguali possibilità di accesso alle ri­ sorse sociali, politiche ed economiche. n patriarcato non indica quindi semplicemente una struttura dualistica di dominio discriminante tra l'uo­ mo e la donna. Questa sua ampliata concezione tiene conto del fatto che né tutte le donne sono uguali, né solo le donne sono oppresse. E neppure

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si tratta di presentare unilateralmente i maschi come malfattori e le donne come vittime, bensì si tratta piuttosto di complessi grovigli segnati dalla colpa. Ciò malgrado non bisogna passare sotto silenzio una condizione di disuguaglianza: la maggioranza dei maschi approfitta del predominio ma­ schile, perché essi beneficiano del «dividendo patriarcale» (R. Connell) , della generale superiore valutazione dell'elemento maschile. La ricerca femminista diagnostica e analizza anzitutto le ripercussioni della differenza sessuale sui piani menzionati; però non si limita ad acqui­ sire delle semplici conoscenze, bensì cerca anche di cambiare la coscienza e la prassi mediante la visione che la collocazione sociale di un individuo non è determinata soltanto dal sesso e che tutte le creature umane posso­ no vivere una 'vita piena' autodeterminata. n termine femminismo non ri­ flette una concezione unitaria, ma è piuttosto un termine collettivo, sotto cui sono sussunte varie posizioni femministe, le cui analisi, le cui vie e le cui strategie per arrivare a una diversa forma di società e il cui progetto simbolico di ordinamento differiscono di volta in volta. 2. La teologia cristiana è qui concepita come la riflessione di natura scientifica sulla fede e come il discorso su Dio e sulla sua rivelazione inse­ rito in una comunità di fede e consapevole della propria precomprensio­ ne. La teologia femminista riflette sulla fede dalla prospettiva partigiana dei sessi e unisce così i due complessi del femminismo e della teologia sui piani dei contenuti teologici, delle strutture in cui si fa teologia, nonché sul piano del soggetto. I contenuti della teologia sono concepiti in una ma­ niera nuova, in quanto le immagini dei sessi e l'influsso da esse esercitato nel corso della storia sul discorso passato e presente su Dio e sull 'uomo vengono analizzati. Nel mirino della critica cadono qui l'orientamento unilaterale alla semantica e al mondo maschile e la sottovalutazione delle donne e del mondo simbolico femminile nel discorso su Dio. In nuovi schemi viene propagandato un modo liberante di comportarsi con le me­ tafore sessuali nel discorso su Dio e sull'uomo. Sul piano strutturale sono presi in considerazione e sono analizzati e criticati, dal punto di vista dei sessi e del dominio, l'inserimento della teologia nella chiesa e l'autocom­ prensione della chiesa. Riferimenti e modi di agire dominati in maniera unilaterale dai maschi, per esempio nella prassi liturgica, sono messi in di­ scussione. Sul piano del soggetto la teologia femminista comporta il fatto che le donne non sono più semplicemente oggetti della teologia, ma ne di­ ventano soggetti. Esse non sono più emarginate, ma dai margini si proiet­ tano verso il centro. La teologia femminista lavora in tutto questo tenen­ do conto dell'esperienza e del contesto, fa cioè, a seconda del contesto, delle diverse esperienze delle donne il punto di partenza della propria ri-

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flessione e mette teologicamente in luce esperienze dell'emarginazione o della messa a tacere, così come esperienze di liberazione e di vita ben riu­ scita. Su tutti e tre i piani la teologia femminista assume la sua struttura par­ tendo dalla teoria femminista (analisi, critica e visione di una prassi cam­ biata) e, per riempire e motivare questi criteri, si ispira a fonti e attinge da fonti teologiche come la Bibbia, la tradizione ebraica e cristiana o il magi­ stero, perché esse possono essere lette, aceanto a correnti indiscutibil­ mente misogine della tradizione, come promessa per la liberazione. La teologia femminista non è pertanto una «teologia della donna», che si ri­ ferirebbe a un essere specificamente femminile, ma comincia dalla fragi­ lità dell'identità femminile in contesti patriarcali, al fine di aiutare le don­ ne a vivere in maniera piena sotto la promessa e la chiamata liberante di Dio. La teologia femminista è quindi ancorata, sia sotto il profilo del me­ todo che sotto il profilo del contenuto, tanto nella teologia classica quan­ to nella teoria femminista.

Il.

CONTESTO DELLA SUA NASCITA

Fin dai primi anni Settanta del XX secolo si parla esplicitamente di teo­ logia femminista, anche se sarebbe meglio usare il plurale, perché fin dal­ l'inizio sono esistite varie teologie dalla prospettiva femminista. Per quanto riguarda il contesto in cui esse sono nate, si possono indivi­ duare impulsi intraecclesiali ed extraecclesiali. Il luogo di nascita della teologia femminista furono gli USA, dove già nel XIX secolo si ebbero, tra l'altro con il progetto The Woman's Bible della fautrice dei diritti dell'uo­ mo E. C. Stanton, germogli di una teologia femminista. Dopo aver ottenu­ to il diritto di voto per le donne nel 1920, le prime avvisaglie sociali e teo­ logiche caddero tuttavia negli USA in dimenticanza, mentre in Germania, con la presa del potere da parte dei nazionalsocialisti nel 1933 , fu posto fi­ ne al primo movimento femminile, le cui radici risalgono alla rivoluzione sociale e democratica del 1848. Questo primo movimento femminile te­ desco ottenne, con le sue ali borghesi e proletarie, diritti paritari elemen­ tari come migliori possibilità di istruzione per ragazze, il diritto politico di voto e infine, all'inizio del XX secolo, il diritto di immatricolazione. Alla fi­ ne degli anni '60 nacque nel contesto statunitense, nella scia di movimen­ ti per il conseguimento di diritti civili, una nuova coscienza femminile, che poco dopo poté stabilirsi anche in Germania in virtù della nascita della

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nuova sinistra. Grazie alla percezione sensibile del problema dell' oppres­ sione della gente di colore, dello sfruttamento economico dell'America meridionale e della traumatica guerra del Vietnam, si riconobbe a poco a poco il nesso esistente tra diversi meccanismi di oppressione come il raz­ zismo, il sessismo (deprezzamento di una persona o di un gruppo a moti­ vo della sua appartenenza sessuale) e l'androcentrismo (forma di pensiero che concepisce il maschio o il maschile come la norma; centralità dei ma­ schi) . Alcune donne misero in luce la somiglianza strutturale di meccani­ smi di repressione e resero di pubblico dominio le loro comuni esperien­ ze in fatto di repressione. I cambiamenti sociali e politici furono accompagnati da importanti nuove iniziative ecclesiali: già a partire dal 1 948 il movimento ecumenico segue ininterrottamente con attenzione un processo di discussione a pro­ posito dei diritti delle donne nelle chiese, e il concilio Vaticano II rappre­ sentò una fioritura di ampie proporzioni della teologia cattolica. Con l' ob­ bligo preciso di prestare attenzione ai 'segni dei tempi' e di prenderli sul serio, con l'attenzione rivolta all'individuo e con la richiesta di aprire la chiesa al mondo, anche la teologia cominciò a interessarsi della situazione delle donne. Benché il concilio Vaticano II non abbia redatto alcun docu­ mento specifico sulla situazione delle donne nella chiesa e nella società, al­ cuni testi come quello seguente crearono una nuova entusiastica atmosfe­ ra e indussero le donne a sperare in un grande cambiamento della loro si­ tuazione anche nella chiesa: «Tuttavia ogni genere di discriminazione nei diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ra­ gione del sesso, della stirpe, del colore, della condizione sociale, della lin­ gua o della religione, deve essere superato e eliminato, come contrario al disegno di Dio» (GS 29). Da allora molte donne mettono in relazione con questo proclama del concilio in modo particolare la questione dell'am­ missione delle donne al sacerdozio e richiamano l'attenzione sulla discre­ panza che si è venuta a creare tra questo proclama e successive afferma­ zioni magisteriali, come il documento pontificio Ordinatio sacerdotalis del 1994. Di fatto la teologia femminista viene portata avanti fin dall'inizio in maniera ecumenica; manca ancora una riflessione a proposito di quel che le differenze confessionali significano.

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III. LINEE DI SVILUPPO DELLA TEOLOGIA FEMMINISTA Gli schemi della teologia femminista furono fin dall'inizio molteplici, diacronici e anche eterogenei, per cui non è possibile delineare con preci­ sione un loro sviluppo sistematico o cronologico. Ci sono comunque del­ le buone ragioni per suddividere lo sviluppo della teologia femminista in tre fasi: l . La prima fase fu caratterizzata dalla scoperta che la storia della teolo­ gia e la storia del cristianesimo sono androcentriche. Tale scoperta fu fat­ ta, oltre che osservando come le strutture della chiesa siano dominate dai maschi, anche osservando come, da un lato, le tradizioni delle donne fos­ sero state sepolte e, dall'altro, come la teologia classica faccia chiaramen­ te riferimento a un mondo simbolico di tipo marcatamente maschile. Ciò risultò chiaro, ad esempio, dalla dominanza di immagini maschili nel di­ scorso su Dio, mentre il mondo e la vita femminili non erano stati presi in considerazione come sfera capace di fornire delle metafore. La tradizione presenta quasi esclusivamente immagini maschili di Dio e induce a pensa­ re che la maschilità sia un attributo di Dio. Mary Daly espresse in manie­ ra programmatica e pungente la critica della teologia femminista: «Se Dio è maschile, il maschile è Dio ! ». Ella mostrò che, in seguito a un Dio ma­ schilizzato, il maschile era stato divinizzato e i maschi trasformati in dèi. Anche se nella teologia si sottolinea che la dissomiglianza di Dio è più grande della sua somiglianza (Concilio Lateranense IV), nella prassi si ten­ de a considerare i maschi, grazie a questo discorso su Dio, come immagi­ ne di Dio, cosa che poi si sedimenta nella creazione di strutture sessiste nella religione, nella chiesa e nella società. Sull a base di una comune diagnosi che parlava di androcentrismo del cristianesimo, si delinearono tuttavia presto correnti diverse in seno alla teologia femminista. Daly rappresentò la concezione radicale di una tota­ le presa di distanza dal cristianesimo: nella misura in cui questo si presen­ ta come una religione sostanzialmente e quindi irreparabilmente patriar­ cale, una vita autoderminata delle donne è possibile solo dopo il congedo dal cristianesimo. Nell'area di lingua tedesca la conseguente corrente di ti­ po ginocentrico del femminismo matriarcale guadagnò molte seguaci. Es­ sa partiva dal fatto che la religione di una dea cosmica era una volta dif­ fusa in tutto il mondo e che essa si manifesta socialmente in una convi­ venza non gerarchica tra femmine e maschi. La dea rappresenta il diritto all'autodeterminazione delle donne, un inserimento armonico nel ciclo del divenire e del passare della natura, una rivalutazione dell'elemento corpo-

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reo e femminile. Per questa corrente della teologia femminista il cristiane­ simo può continuare a sussistere solo se sarà possibile ricostruirlo secon­ do criteri matriarcali femministi o riprogettarlo in maniera utopica (G. Weiler; C. Mulack). n gruppo di gran lunga più numeroso delle teologhe femministe pensò invece che il cristianesimo e il femminismo fossero conciliabili fra di loro. Esso riconobbe nella tradizione e nella spiegazione del cristianesimo la deformazione di un programma ugualitario genuinamente cristiano. Biso­ gnerebbe rispolverare tradizioni sepolte per riformare così dall 'interno il cristianesimo: di tali tradizioni farebbe parte il ricordo di un discorso bi­ blico su Dio come madre, che costituirebbe un contrappeso nei confron­ ti del 'Dio Padre'; similmente farebbe di esse parte la figura biblica della sapienza divina, rimossa nella tradizione protestante e volatilizzata nella tradizione cattolica nella mariologia, figura che caratterizza in maniera non irrilevante la cristologia del Nuovo Testamento; e infine farebbe par­ te di esse la femminilità 'dello' Spirito biblico, di nuovo scoperta in que­ sta fase. In questa prima fase nella teologia storica fu studiata la persecuzione delle streghe, si andò alla ricerca di figure femminili nella storia del cri­ stianesimo, e la mistica di alcune donne riscosse un nuovo interesse. La teologia biblica si dedicò a donne bibliche ed elaborò metafore femminili e alternative del discorso su Dio, strappandole alla dimenticanza in cui erano cadute. In questa prima fase furono evidenziate tradizioni ebraico­ cristiane di donne per completare materialmente la tradizione e rimettere in luce la metà dimenticata dell ' umanità. Nella teologia pratica si lamentò la mancanza di spazi esperienziali per le donne nella prassi cristiana e si crearono possibilità per una prassi in­ centrata sull e donne. Teologhe sistematiche si occuparono delle implica­ zioni del sospetto di androcentrismo per il discorso su Dio e si domanda­ rono, ad esempio, quali correnti della tradizione erano state accentuate e quali erano state invece emarginate e quali effetti la dottrina teologica clas­ sica su Dio avesse avuto per le donne nel corso della storia. Particolare at­ tenzione riscosse anche l'antropologia, perché l'immagine dell'uomo adot­ tata nella teologia influenza tutto il lavoro teologico e perché proprio qui sono ancorate le immagini dei sessi. Si scoprì che l'immagine della donna dell'antropologia teologica classica si colloca nel campo dialettico fra Eva e Maria, quindi tra la diffamazione e l'idealizzazione della donna. La fem­ minilità fu infatti messa in relazione, attraverso il collegamento del mes­ saggio cristiano con la filosofia medioplatonica, con il principio passivo e con la percezione sensibile, mentre lo spirito e il principio attivo sarebbe­ ro tipici della maschilità. Al centro dell'interesse ci fu inoltre la cristolo-

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gia, e a essere sottolineato fu il fatto che Gesù Cristo divenne una creatu­ ra umana e non il fatto che assunse il sesso maschile; si rifletté anche sci­ l'influenza che il sesso maschile del Redentore esercitò sulla teologia pa­ tristica e si descrisse la storia di questa influenza che si estende fino all'o­ dierna esclusione delle donne dal sacerdozio. Tutta la teologia fu sottopo­ sta a poco a poco, con l'ermeneutica del sospetto, a una revisione critica. In primo piano stette, in questa prima fase, l'esperienza dell' uguaglian­ za fra le donne: il modo androcentrico di fare teologia riguardava tutte le donne; ciò fu analizzato e chiamato per nome e, mediante proprie ricer­ che, si creò ad esso un contrappeso. Si trattava di rafforzare il lato femmi­ nile; in questo stadio ci si interrogò ancora poco su quel che è qui 'ma­ schile' e quel che è qui 'femminile'. Una gran parte delle teologhe partì dalla distinzione fra sex (sesso biologico) e gender (sesso sociale), intro­ dotta nella teoria femminista negli anni Settanta del XX secolo. Gender in­ dica la somma di tutte le definizioni, attribuzioni di ruoli e distintivi ctÙ­ turali riguardanti il sesso e indica di conseguenza una entità variabile e non saldamente stabilita. n comportamento specifico in base al sesso può adesso essere spiegato come il risultato di un processo di formazione e as­ similazione sociale e culturale e non ha più bisogno di essere messo ne­ cessariamente in rapporto con una 'causa' biologica. Nel complesso ci si occupò meno delle cause della differenza sessuale e si concentrò invece più fortemente l'attenzione sulle conseguenze della «piccola differenza». La critica femminista si mosse, in questa prima fase, o sul piano dei ruoli dei sessi - con un riferimento teoretico al femminismo dell'uguaglianza di Simone de Beauvoir -, presuppose cioè che la femminilità e la maschilità mutino a seconda delle normalizzazioni del comportamento dei ruoli e non siano quindi univoche. Oppure partì dal femminismo della differen­ za, che presuppone una differenza fondamentale e ineliminabile tra i ses­ si. Non la liberazione dall a dominanza (maschile), bensì il raggiungimen­ to di una libertà femminile autonoma costituisce qui lo scopo del femmi­ msmo. 2. La seconda fase della teologia femminista fu inaugurata, verso la metà degli anni Ottanta del xx secolo, dalla conoscenza che il discorso di un coinvolgimento di tutte le donne non è oggettivamente giusto, perché di fronte alle condizioni molto diverse di vita delle donne non sarebbe pos­ sibile partire da una entità unitaria 'donna'. Al posto dell'uguaglianza di tutte le donne balzarono adesso in primo piano le differenze e le differen­ ziazioni fra le donne. Specialmente donne provenienti da contesti sotto­ privilegiati si fecero paladine di questa prospettiva differenziante e rim­ proverarono a femministe bianche del ceto medio di cancellare, con un di-

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scorso unificante su 'le donne', le differenze sociali esistenti e perfino di cementarle. li contesto, con le sue esperienze sempre specifiche e con il suo patrimonio ereditario, svolse nel periodo successivo un ruolo centra­ le. In contesti diversi videro la luce teologie femministe diverse, che pre­ sero sul serio, per il loro discorso teologico, la realtà della vita sempre di­ versa. Le esperienze delle donne vanno inquadrate tenendo presente la lo­ ro cultura e il loro contesto e vanno collegate con questioni dell'economia: questo fu l'insegnamento scaturito da questa evoluzione. Nello stesso tempo all 'interno della teologia femminista dell'area di lin­ gua tedesca si svolse un dibattito molto vivace sull' antiebraismo. Esso fu avviato in modo particolare dalla critica di femministe ebree degli USA, le quali, da un lato, ricordarono che l'immagine femminista cristiana di un Gesù amico delle donne conteneva una tendenza antiebraica, in quanto tale immagine lo poneva in netto contrasto con il suo ambiente ebraico­ patriarcale senza riflettere sul fatto che egli aveva agito come maschio ebreo all'interno dell'ebraismo del suo tempo. Per la ricerca sul matriar­ cato Gesù, nella sua qualità di 'maschio integrato', era piuttosto avulso dal suo tempo. Dall'altro lato, la critica richiamò l'attenzione sul fatto che l' «assassinio di dee» affermato dalla ricerca sul matriarcato, assassinio che si sarebbe verificato nell'antico Israele per annientare la religione e l'ordi­ namento della società originariamente matriarcali, riprendeva nel suo mo­ do di parlare e nel suo modo di argomentare lo stereotipo cristiano antie­ braico dell' «assassinio di Dio» senza riflettere criticamente sulle conse­ guenze spesso mortali che esso avrebbe avuto nel corso della storia per ebrei e ebree che vivevano sotto dominio cristiano (e senza preoccuparsi di acquisire almeno qualche informazione storica attendibile a proposito della religione pre-monoteistica dell'antico Israele) . In dialogo con fem­ ministe ebree, teologhe femministe dovettero nel periodo successivo do­ lorosamente imparare a scoprire e a demolire i loro propri pregiudizi e cli­ ché antisemitici. La conoscenza che anche le donne erano coinvolte nel sistema patriar­ cale e nella sua riproduzione, così come erano coinvolte nel razzismo, nel­ l' antiebraismo e perfino nel sessismo contro il loro proprio sesso fu espressa anche teoreticamente con il termine 'complicità' (C. Thi.irmer­ Rohr) . Grazie a questa ampliata prospettiva si posero nuove questioni er­ meneutiche: Come possiamo parlare oggi di Dio? Da quali esperienze possiamo partire? Come leggiamo la Sacra Scrittura? Che rilevanza ha la teologia per la vita concreta? In che cosa consiste la femminilità? Dove è possibile trovare un antiebraismo cristiano in schemi teologici? Come so­ no tra loro intrecciati il sessismo, il razzismo e l'accesso alle risorse eco­ nomiche?

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In questa seconda fase la teologia pratica del contesto occidentale si mi­ se decisamente alla ricerca delle esperienze delle donne. Al fine di cogliere esperienze concrete di donne e di renderle feconde per la teologia, il la­ voro empirico balzò in primo piano. Istanze della socializzazione di ra­ gazze e donne come la scuola e i rapporti familiari furono analizzati alla luce della questione dei sessi, e ne furono messi in luce gli abusi. n lavoro pratico da svolgere alla base fu adesso scientificamente sostenuto anche con numerosi schemi concettuali. In questa seconda fase teologhe siste­ matiche proposero, accanto a più precise analisi critiche della teologia tra­ dizionale, anche nuovi progetti, nei quali si domandavano se il genere femminile potesse essere la forma adeguata per il discorso su Dio o se il discorso al femminile su Dio, che riprende soprattutto immagini della ma­ ternità, da un lato non abbia di nuovo come conseguenza un consolida­ mento dei tradizionali ruoli dei sessi e, dall'altro, non possa diventare un discorso su Dio altrettanto unilaterale quanto quello maschile. Al centro di nuovi progetti di un discorso teologico femminista su Dio fu posta l'i­ dea della relazione: nel Dio trino fu di nuovo sottolineata l'esistenza di una relazione non gerarchica, e tale relazione fu proposta come modello per l'organizzazione delle relazioni umane (E.A. Johnson); Dio fu concepito come una «potenza in relazione» (C. Heyward) , che diventa efficace nel­ le relazioni umane ed è basata sulla compassion, sulla giustizia e sulla reci­ procità. Altre autrici presero le distanze, nel parlare di Dio, dall ' antropo­ centrismo e scelsero metafore della natura (S. McFague). Nel discorso teo­ logico-morale si discusse, nella scia di C. Gilligan, dd rapporto tra una «morale femminile d�a sollecitudine» e una «morale maschile della giu­ stizia»; e in tale contesto si valutarono in maniera nuova strutture di tipo relazionale. Adesso la teologia biblica non si limitò più a studiare singole figure femminili, ma prese in considerazione interi libri biblici e li analizzò per scoprire quali implicazioni essi avessero per questioni teologiche fem­ ministe fondamentali (L Fischer; H. Schiingel-Straumann; M.-Th. Wa­ cker) . Un grande ruolo svolsero in merito, per la teologia femminista, que­ stioni della metodologia e dell'ermeneutica dell'esegesi femminista, in par­ ticolare l'elaborazione autocritica dell'interpretazione cristiana antiebrai­ ca della Bibbia e la rilevanza della categoria della liberazione, discussa nel dialogo con la teologia latinoamericana della liberazione. Nel campo del­ l' esegesi neotestamentaria furono compiuti studi sulla storia (sociale) del cristianesimo primitivo, in cui l'analisi di meccanismi dominativi dd pa­ triarcato - ad esempio del cosiddetto «patriarcato dell'amore» - svolse un ruolo importante; e il movimento di Gesù fu presentato come un movi­ mento di rinnovamento prettamente intraebraico. Al centro di molti dibattiti della teologia femminista di questa seconda

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fase ci furono i contesti politici, nei quali la teologia si trova immersa, in particolare a motivo del collegamento della questione femminile con que­ stioni economiche, a motivo del coinvolgimento del razzismo, dell' antie­ braismo e dell'omofobia, nonché a motivo della presa di distanza da un di­ scorso generale in favore di un discorso contestuale e quindi limitato. In questo modo la teologia femminista approfondì in maniera decisa il suo carattere politico e di teologia della liberazione. Come conseguenza della concentrazione sul contesto, molte teologhe teoretiche dissero anche addio a contenuti e significati di tipo universale di certe concezioni dei sessi. La teologia femminista, nel parlare del sesso, ha a che fare con discorsi disparati, perché alla domanda di quel che bi­ sogna intendere per 'sesso' vengono date risposte diverse. n discorso teo­ logico classico parte dall'esistenza di un nucleo sessuale centrale; qui esi­ stono affermazioni chiare a proposito di quel che costituisce la femmini­ lità e - in maniera meno esplicita - la maschilità. Questo pensiero essen­ zialistico di tradizioni filosofiche e teologiche continua sempre a influen­ zare, ad esempio, documenti pontifici o magisteriali. All 'interno del di­ scorso femminista nel campo delle scienze morali ci sono delle correnti, come ad esempio il femminismo del matriarcato, che sembrano muovere, spesso facendo ricorso alla psicanalisi, da una 'essenza' della femminilità (il cosiddetto femminismo della differenza) e perseguire il progetto della riabilitazione di valori femminili. Invece nelle scienze sociali, con irradia­ zioni nelle scienze morali, il discorso parte, parlando del sesso, da una ca­ tegoria storicamente sviluppatasi e quindi mutabile: il sesso va qui conce­ pito come un costrutto. A ciò seguono discussioni sul modo di riempire di contenuti il 'naturale' e il 'culturale' e di definire il rapporto fra di loro. Nella teologia femminista fu adesso più ampiamente recepito, in rela­ zione al dibattito sui sessi, soprattutto questo dibattito sex-gender ancora­ to nelle scienze sociali. Affermazioni bibliche su donne poterono adesso essere smascherate, con l'aiuto di questa ermeneutica, come una costru­ zione sociale del sesso e non dovettero più essere necessariamente conce­ pite come affermazioni insindacabili a proposito dell'essenza femminile, affermazioni che sarebbero per di più divinamente sancite e legittimate. Adesso divenne elaborabile anche la partecipazione della stessa teologia e della chiesa al consolidamento del gender. 3 . !}attuale terza /ase. La teologia femminista guadagnò sempre più spa­ zio nel confronto con il cosiddetto dibattito sulla postmodemità. Se nella prima fase l'uguaglianza delle donne e, nella seconda fase, la differenza fra le donne erano la prospettiva dell'attività teologica, adesso l'angolo visua­ le cambiò, in quanto sembrò non fosse più chiaro quel che costituisce la

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femminilità e la maschilità, e inoltre in quanto ci si cominciò a domanda­ re se la duplice sessualità andasse presupposta come data in partenza. La prospettiva che guardava solo alle donne fu ampliata fino ad abbracciare i rapporti fra i sessi in tutta la loro multiformità. Questo spostamento di­ venne chiaro anche per il fatto che molte teologhe femministe considera­ no i loro lavori come lavori dei gender studies. A partire dall'inizio degli anni Novanta del xx secolo il dibattito teore­ tico-femminista si svolse in primo luogo attorno alla categoria sex della di­ stinzione sex-gender. Si criticò il fatto che con questa concezione si conti­ nuava a partire da un organismo o corpo fisico pre-culturale. ll significato di questo 'resto biologico' è attualmente discusso in maniera controversa; rappresentanti del decostruttivismo partono dal fatto che anche questo re­ sto sarebbe costruito e quindi senza significato perché l'organismo sareb­ be da sempre un organismo descritto mediante l'ordinamento simbolico e perché non potrebbe esserci alcuna via d'accesso all'organismo naturale precedente. Inoltre, viene sottolineato il fatto che il mantenimento del si­ stema della duplice sessualità servirebbe a legittimare gli attuali rapporti di forza, mentre andrebbe perseguita una politica dei sessi, nella quale non devono più essere rafforzate 'donne', ma deve essere rafforzato l'io in­ dividuale unitamente ai modi di essere e di agire da lui scelti, perché ogni accentuazione della sessualità sfocerebbe di nuovo, in ultima analisi, in un suo consolidament