I classici e la narratologia. Guida alla lettura degli autori greci e latini 9788843088201

Il volume è la prima introduzione alla narratologia che abbia per oggetto specifico la narrativa greca e latina. La prim

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I classici e la narratologia. Guida alla lettura degli autori greci e latini
 9788843088201

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I classici e la narratologia Guida alla lettura degli autori greci e latini

Irene]. F. de]ong

Edizione italiana a cura diAndrea Cucchiarelli Carocci editore

@, Studi Superiori

Carocci editore

@ Studi Superiori

Il volume è la prima introduzione alla narratologia che abbia per oggetto specifico la narrativa greca e latina. La prima parte comincia dal ripercorrere le varie fasi attraverso cui la narratologia si è affermata nel secolo scorso, per poi discuterne i più importanti e utili concetti, sistematicamente illustrati con esempi tratti dai vari generi delle letterature classiche (poesia epica, storiografia, romanzo, poesia drammatica e poesia lirica). La seconda parte contiene tre analisi narratologiche di significativi testi appartenenti alla poesia epica - il libro n dell'Eneide scelto appositamente per l'edizione italiana - , alla storiografia e alla tragedia. Bibliografie dettagliate alla fine di ogni capitolo forniscono un utile orientamento sia nella vasta area della teoria narratologica sia negli studi che applicano la narratologia ai testi classici. Irene J. F. de Jonginsegna Greco antico all'Università di Amsterdam ed è membro della NetherlandsAcademy e dellaAcademia Europaea. Ha pubblicato su Omero, Erodoto e sulla narrativa antica. Andrea Cucchiarelli insegna Letteratura latina alla Sapienza Università di Roma. Ha pubblicato principalmente su Virgilio, Orazio e Petronio.

ISBN 978-88-430-8820-1

€ 25,00

I I 1111

9 788843 088201

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II, 229 00186 Roma telefono 06 42 81 84 17

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Irene J. F. de Jong

I classici e la narratologia Guida alla lettura degli autori greci e latini Edizione italiana a cura di Andrea Cucchiarelli Prefazione di Alessandro Schiesaro

Carocci editore

Traduzione di Andrea Cucchiarelli Titolo originale: Narratology and Classics: A Practical Guide, First Edition © Irene J. F. de Jong 2.014 Originally published in English in 2.014. This translation is published by arrangement with Oxford University Press. 1'

edizione italiana, luglio 2.017 2.017 by Carocci editore S.p.A., Roma

© copyright

Realizzazione editoriale: Fregi e Majuscole, Torino Finito di stampare nel luglio 2.017 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG) ISBN 978-88-430-882.o-1

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 2.2. aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Prefazione all'edizione italiana di Alessandro Schiesaro

II

Nota del curatore

15

Premessa

17

Parte prima I fondamenti della narratologia

1.

Introduzione

1.1.

La storia della narratologia a volo d'uccello L'applicazione della narratologia ai testi classici Riferimenti bibliografici

27

2.

Narratori e narratari

39

2.1.

Autore vs narratore L'identità del narratore Il ruolo del narratore Narratari Alcuni casi particolari

39 41

1.2.

2.2.

2.3.

2.4. 2.5.

23 33

47 49 53

7

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

La narrazione secondaria (il racconto nel racconto) La struttura verticale della narrazione La struttura orizzontale della narrazione Mecalessi Riferimenti bibliografici

55 58 60 62

3.

Focalizzazione

67

3.1. 3.2. 3.3.

Narracori-focalizzacori primari e secondari Focalizzazione secondaria Focalizzazione e informazione Posizione nello spazio Focalizzazione del narrante e focalizzazione dell 'esperiente Alcuni tipi particolari di focalizzacori Riferimenti bibliografici

68

2.6. 2.7. 2.8. 2.9.

3+ 3.5. 3.6.

63

70 74 77 81

83 85

4.

Tempo

89

4.1. 4.2. 4.3.

Relazione era narrazione ed eventi narraci Fabula - scoria - cesto Ordine: analessi e prolessi Inizi, fini e trame multiple Ritmo Frequenza Riferimenti bibliografici

90 92

4+ 4.5. 4.6.

5.

Spazio

5.1. 5.2. 5.3. 5.4. 5.5.

Il ruolo dello spazio Descrizione Rappresentazione e integrazione dello spazio L' ekphrasis delle opere d'arte Funzioni dello spazio Riferimenti bibliografici

93 100 104 110 112

115

8

115 121 124 127 128 134

INDICE

Parte seconda Esercizi di narratologia

6.

6.1. 6.2. 6.3.

7.

7.1. 7.2. 7.3. 7,4,

8.

8.1. 8.2. 8.3.

Narratologia e poesia epica. Virgilio, Eneide 2 (Enea rivive la caduca di Troia)

139

Introduzione Eneide 2 e il tema dell 'Jlioupersis Analisi narratologica di Virgilio, Eneide 2 Riferimenti bibliografici

143 165

Narracologia e storiografia. Erodoto, Storie 1, 34-45 (Aci e Adrasto)

167

Introduzione Le Storie di Erodoto Analisi narratologica di Erodoto, Storie 1, 34-45 Conclusione: Erodoto, uno storico tragico Riferimenti bibliografici

139 141

167 173 175 192 195

Narratologia e dramma. Euripide, Baccanti 1043-1152 (La morte di Penteo)

199

Introduzione I discorsi dei messaggeri Analisi narracologica di Euripide, Baccanti 1043-1152 Riferimenti bibliografici

199 200 206 226

Indice dei nomi e delle cose notevoli

229

Indice dei passi greci e latini

235

9

Prefazione all'edizione italiana di Alessandro Schiesaro

Termine moderno, la narratologia vanta nei fatti ascendenze molto antiche. È Aristotele a proporre un primo, durevole paradigma per leggere e interpretare le trame della letteratura secondo criteri di efficacia artistica. La sua distinzione, nella Poetica (23, 14596 ), tra la compatta tessitura di Iliade e Odissea e la diffrazione incontrollata del racconto nei poemi del ciclo omerico offre un esempio nitido (e influente) di analisi che oggi definiremmo narratologica. Aristotele lascia trasparire in filigrana uno dei presupposti essenziali da cui muove la narratologia, quella moderna come quella antica: che esiste una differenza fondamentale tra la sequenza cronologica dei fatti e il montaggio che, selezionando e ricostruendo secondo una propria logica interna, conduce alla narrazione del testo letterario. Secoli prima che i formalisti russi cristallizzino sul piano teorico l'alterità della storia (i fatti nella loro successione oggettiva) rispetto all'intreccio, è già chiaro che il poeta, epico o drammatico che sia, ricostruisce a partire da un comune tessuto mitico o mitistorico una propria, peculiare versione degli eventi. È racchiuso in questa consapevolezza dell'artificiosità del racconto tutto il successivo sviluppo del repertorio di strumenti e termini che la narratologia mette a punto per rendere conto di come i testi si strutturino. Una volta acquisita la consapevolezza della natura arbitraria, in senso letterale, della narrazione, si dischiudono le porte a successive elaborazioni del metodo: non meno della trama sono per loro stessa natura mutevoli, e frutto di precise strategie compositive, la costruzione del tempo narrativo, il punto di vista (o focalizzazione), insomma tutti i fattori distintivi che la moderna narratologia si propone di indagare. Non è solo Aristotele a mostrare questo tipo di consapevolezza ante litteram. La scoliastica ellenistica, per esempio, impiega molti strumenti "narratologici", rivolgendo un'attenzione particolare alla natura della voce parlante e ai problemi di focalizzazione e di coerenza narrativa.

II

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

Nella Roma postclassica, per addurre un solo esempio, Servio dimostra una sensibilità acuta anche per anticipazioni e anacronismi (già ne aveva acutamente discusso Aristotele), che attraggono spesso il suo interesse e forniscono gli strumenti per interpretare aspetti a prima vista problematici della narrazione. Servio racchiude nel termine generale di oeconomia, che trova un precedente significativo nella oikonom{a discussa dagli scoliasti omerici, le strategie di costruzione artistica della trama che presuppongono una netta distinzione tra fabula e soggetto. È interessante notare come molti degli spunti in questa direzione che Servio presenta in nuce trovano applicazione sistematica nella magistrale monografia di Richard Heinze, La tecnica epica di Virgilio, che costituisce tuttora, a distanza di oltre un secolo', una guida impareggiabile alla complessità della narrazione virgiliana e mette giustamente in luce la rilevanza che in essa acquisiscono le operazioni di selezione e organizzazione dei dettagli. L'esteso arco cronologico in cui si dispongono queste esperienze segnala un punto di forza del metodo narratologico e al contempo ne suggerisce un potenziale limite. Per la narratologia di impianto strutturalista, che ha avuto una stagione di fioritura intensa negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, questo dispiegamento diacronico corrobora una visione sostanzialmente atemporale del metodo, un presupposto che trova ulteriore conferma nell'estensione dell'impianto di analisi a forme non letterarie, prime fra tutte il cinema (ed è proprio da questo campo, sia detto per inciso, che provengono soprattutto a cavallo degli anni Settanta e Ottanta spunti fruttuosi per l'interpretazione dei testi scritti). È una posizione che si evince in concreto proprio dal libro di Irene de Jong, dove le categorie di analisi dimostrano di cogliere aspetti importanti della narrazione in testi molto diversi tra loro per lingua, genere, epoca. E, indubbiamente, nella loro applicazione concreta si tratta di categorie a forte valenza euristica, che consentono di individuare e classificare fenomeni narrativi che rischierebbero altrimenti di passare in secondo piano, o di essere affrontati in modo episodico, e che sono invece presenti, in modi e forme ovviamente diversi, in testi che difficilmente si metterebbero a diretto confronto. Il pericolo, per converso, consiste proprio nella tentazione di promuovere la narratologia a una tecnica formalistica neutra e tendenzialmente oggettiva, 1. R. Heinze, Virgils Epische Technik (1903', 1915'). È disponibile nella traduzione italiana di M. Martina (La tecnica epica di Virgilio, Bologna 1996).

I 2.

PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

astorica, non condizionata da fattori culturali di natura contestuale e contingente. L'acceso dibattito che accompagna da vent'anni e più l'evolversi della narratologia e il superamento della sua versione tradizionale parte dal rifiuto di questo presupposto per promuovere non tanto una narratologia, quanto narratologie ispirate a una pluralità di presupposti culturali. Oggi, in particolare, risulta di grande interesse esplorare a fondo l'interazione tra narratologia e scienze cognitive, che aprono nuovi orizzonti all'indagine di fenomeni cui sia la narratologia sia altri momenti vitali dello strutturalismo e del post-strutturalismo, in particolare la reader-response theory, hanno da tempo dedicato la loro attenzione. È grazie a questa convergenza, e a una graduale diversificazione metodologica, che la lezione della narratologia continua a dimostrare la sua vitalità anche in direzioni meno praticate fino a oggi. Gli studi di Irene de Jong hanno svolto un ruolo di primissimo piano nell'applicazione originale del metodo narratologico all'analisi dei testi classici. Il suo commento narratologico all'Odissea costituisce un modello insuperato di come le categorie proprie del metodo possono illuminare aspetti essenziali della narrazione omerica, pur con le sue peculiari caratteristiche compositive. Il libro che oggi si traduce in italiano mette a frutto questa e altre ricerche originali per fornire a studenti e studiosi un'indicazione chiara e concreta, in forma manualistica, di come la narratologia aiuta a decodificare le tecniche di costruzione del racconto in testi di varia natura, dall'epica alla tragedia alla storiografia. Non per questo, però, sono meno ricchi gli spunti per una riflessione generale su un metodo che ha ormai guadagnato una posizione centrale nel dibattito sulle forme letterarie 2 •

l. I capitoli del libro offrono una bibliografia aggiornata ed esaustiva sia sui presupposti teorici della narratologia sia in particolare sugli esempi più interessanti di applicazione a testi greci e romani. Per ulteriori approfondimenti è ora disponibile online l'ucile Oxford Bibliogmphy on Narratology and the Classics (hccp:/ /www.oxfordbibliographies.com/). Una serie di contributi importanti è raccolta nel volume Narratology and lnterpretation: The Conteni ofNarrative Form in Ancient Literature, edited by J. Grethlein, A. Rengakos, Berlin-New York loo9. Per alcuni dei temi che ho brevemente trattato cfr. lo stimolante saggio di N. J. Lowe, The Classica! Plot and the lnvention efWestern Narrative, Cambridge looo. Sugli elementi di analisi narratologica nella scoliastica greca cfr. R. Niinlist, The Ancient Critic at Work, Cambridge loo9; su Servio è importante lo studio di C. Lazzarini, Elementi di una poetica serviana. Osservazioni sulla costruzione del racconto nel commentario all'Eneide, in "Scudi Italiani di Filologia Classica': 3' serie, 7, 1989, pp. 56-109 e l41-60.

13

Nota del curatore

Le traduzioni dei testi classici sono state condotte dal curatore, tenendo conto delle interpretazioni preferite dall'autrice, direttamente sul testo originale greco o latino, con l'esclusione, per il solo capitolo 6, di Virgilio, Eneide 2, che è citato nella traduzione di Guido Paduano (cfr. infra, p. 143, nota 4). Le traduzioni dei testi moderni (sia di romanzieri o scrittori in genere sia di critici e studiosi) sono opera del curatore: fanno eccezione i lavori di Gérard Genette, le cui traduzioni italiane in uso sono ormai di riferimento per il lettore italiano, e la Virgils epische Technik di Richard Heinze, che nel capitolo 6 è citata nella traduzione di Mario Martina. Negli elenchi bibliografici, in special modo per i titoli di specifico ambito narratologico, si è aggiunta l'indicazione della traduzione italiana, quando esistente. Nel testo, in caso di fondamentali autori di riferimento, il rinvio è dato sia alla pagina dell'edizione originale da cui si traduce sia alla pagina dell'edizione italiana; si è però ritenuto opportuno, in genere, mantenere il rinvio alla pagina dell'edizione inglese. I termini tecnici della narratologia, nella loro prima occorrenza, sono messi in evidenza dal corsivo e presentano assieme alla forma italiana quella inglese, posta tra parentesi, allo scopo di agevolare la confidenza con la terminologia e la bibliografia narratologiche nel contesto internazionale degli scudi. A.C.

15

Premessa

L'idea di scrivere questo libro mi si è affacciata alla mente quando da diverse fonti venni a sapere che non pochi colleghi, nella concreta prassi dell'insegnamento, avevano preso l'ahi mdine di utilizzare il glossario del mio Narratological Commentary on the Odyssey (2.001) come una specie di introduzione "intensiva" alla narratologia. Mi resi allora conto che, pur nell'abbondanza di introduzioni generali alla narratologia, si sentisse il bisogno di un testo specifico per gli studenti delle materie classiche, uno strumento, cioè, che sapesse offrir loro un'introduzione pratica e concreta. Questo libro è appunto pratico da vari punti di vista. In primo luogo, esso presenta con libertà eclettica un insieme di concetti, tratti da un gran numero di teorizzazioni narratologiche, sui quali, al fine di analizzare i testi classici, mi sono trovata a fare affidamento negli ultimi venticinque anni. In secondo luogo, esso spiega quei concetti sulla base di esempi concreti tratti dai testi antichi, greci e latini, non senza alcuni occasionali riferimenti moderni, che siano parsi particolarmente utili didatticamente, per osservare cioè come tanti meccanismi narrativi dei testi moderni siano già presenti nei testi classici. In terzo luogo, se si esclude una breve introduzione storica che delinea la progressiva affermazione della teoria narratologica e le varie fasi della sua applicazione ai testi classici, ho evitato di fornire un profilo completo che illustrasse diacronicamente come terminologia e concetti della narratologia si siano modificati con il passare del tempo. Piuttosto, ho presentato un quadro chiaro e completo di termini e definizioni che possa essere, per così dire, pronto all'uso. A questo, infatti, servono i concetti teorici: non devono esaurirsi in sé stessi, né devono essere pedantescamente ridiscussi all'infinito, ma vanno applicati ai testi. Essi dovrebbero, insomma, servire ad affinare e arricchire la nostra interpretazione dei singoli testi. Al contempo la te-

17

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

oria non dovrebbe mai diventare una prigione. È inevitabile che, come avviene nella grammatica, ci siano luoghi difficili da etichettare come tipologia A o tipologia B (oppure, calvolca, A e B simulcaneamente). In casi come questi la funzione della teoria è quella di mettere in evidenza la complessità del cesto, non di far tornare tutto forzatamente. Se utilizzata con distacco, quasi con una sorca di "sprezzatura", la narratologia può diventare uno strumento potente, uno tra i molci strumenti critici già sorti durante l'antichità e quindi successivamente sviluppatisi, grazie ai quali si accresce la nostra comprensione e il nostro apprezzamento di tutto quel che la letteratura classica ha da offrirci. Al fine di mostrare quali benefici la nostra interpretazione possa trarre dall'utilizzo degli strumenti narratologici, la Parte seconda del libro, sotto il titolo Esercizi di narratologia, contiene una serie di analisi ravvicinate (dose readings) di cesti classici. Qui i concetti che sono stati introdotti a livello teorico nella Parte prima si mostrano nella loro concreta utilità pratica alla prova dei testi. A mio personale giudizio, cali analisi ravvicinate, tra tutte le numerose applicazioni cui la narracologia si presta, sono quelle che preferisco. Alcuni utilizzeranno la Parte seconda per scopi vari, ad esempio per individuare concetti, temi e ideologie oppure per connettere gli aspetti formali del testo al contesto storico. Nello scrivere questo volume ho messo a profitto molci miei lavori precedenti, in particolare le introduzioni ai volumi da me editi nella serie degli "Scudies in Ancient Greek Narrative": Narrators, Narratees, and Narratives in Ancient Greek Literature; Time in Ancient Greek Literature; e Space in Ancient Greek Literature. Queste introduzioni, comunque, sono state considerevolmente ampliate e riviste, non senza che io aggiungessi un capitolo sulla focalizzazione, un tema che, almeno per il momento, non è stato ancora affrontato negli "Studies in Ancient Greek Narrative". lnolcre, i tre volumi che ho menzionato mi hanno fornito, nel loro insieme, una vera miniera di luoghi da cui ricavare agevolmente molci dei miei esempi. Ho anche aggiunto altri brani tracci dalla letteratura latina, il che ha significato un piacevole ritorno a cesti che a stento mi era capitato di rileggere dal tempo in cui ero studentessa. Le citazioni dei testi provengono soprattutto dagli "Oxford Classica! Texcs" e dalla "Bibliocheca Teubneriana", mentre le traduzioni sono miei riadattamenti di traduzioni già esistenti'. 1.

Si veda in proposito la Nota del curatore.

18

PREMESSA

Sebbene sia scritto in primo luogo per un pubblico che abbia familiarità con la letteratura classica, questo libro potrebbe riuscire di qualche interesse anche per studiosi di narratologia al di fuori dell'ambito classico. Sono ormai passati i tempi di Erich Auerbach e di Erose Robert Curtius, quando gli studiosi erano di facto ben addentro nelle letterature tanto classiche quanto moderne e quindi ben consci della lunga tradizione che è all'origine del racconto nelle sue varie forme. Le pagine che seguono, dunque, si propongono di offrire anche ai. non classicisti una rapida introduzione alle più antiche manifestazioni di quei fenomeni narrativi che essi studiano nei testi del proprio ambito di competenza. Desidero ringraziare molti era i miei colleghi e i miei allievi laureati di Amsterdam, che hanno letto per intero o parzialmente la penultima versione di questo libro e mi hanno fornito valide osservazioni: Aniek van den Eersten, Jo Heirman, Niels Koopman, Mariecje van Erp Taalman Kip. Desidero anche esprimere, con grande piacere, tutta la mia gratitudine per i suggerimenti preziosi che ho ricevuto, durante un seminario presso il Corpus Christi College di Oxford il I° marzo 2013, da un gruppo di studenti dottorandi pieni di talento: Sophie Bocksberger, Chrysanthos Chrysanthou, Camille Geisz, Dan Jolowicz, Tom Mackenzie, Iarla Manny, Enrico Prodi, Achena Siapera, Helen Todd, Lucy VanEssen-Fishman. Infine, vorrei ringraziare i due lettori anonimi di Oxford Universicy Press per le loro utili osservazioni. Questo libro è dedicato a una persona che di narratologia proprio non vorrebbe saperne, ma che pure è il paziente narratario di tutte le mie interminabili narrazioni di quotidiana vita accademica, Tjang Chang. Desidero infine ringraziare Alessandro Schiesaro per aver proposto la traduzione del libro all'editore Carocci e per la sua Prefazione all'edizione italiana, e Andrea Cucchiarelli per la sua traduzione, elegante e precisa al tempo stesso, e per la sua opera di curacela. Rispetto all'edizione originale in lingua inglese, il capitolo 6 continua a essere dedicato ali' analisi narracologica di un testo epico, ma, invece dell'Inno omerico ad Afrodite, esso ha per oggetto il libro II dell'Eneide di Virgilio. È parso opportuno, infatti, differenziarsi dall'originale in modo che il libro, nella sua edizione italiana, potesse essere di specifico interesse pratico ed esemplificativo anche per studenti e lettori interessati alla letteratura latina.

19

Parte prima I fondamenti della narratologia

I

Introduzione

I.I

La storia della narratologia a volo d'uccello Il termine "narracologia" è stato coniato nel 1969 da Tzvecan Todorov nella sua Grammaire du Decameron, ma l'interesse per la teoria della narrativa (o racconto) è, naturalmente, molto più antico. Si può dire, di facto, che la narratologia abbia avuto i suoi inizi nell'antichità, quando molti concetti fondamentali trovarono la loro definizione e un loro primo sviluppo. Un buon esempio è quello della cruciale distinzione era cesto del narratore e cesto del personaggio, già chiaramente delineata nella Repubblica di Platone (3, 392.-393): SOCRATE Forse che rutto quello che è detto dai mitologi o dai poeti non è una narrazione (ò1~ì'YJ. Nel nostro volume non lo utilizzeremo.

2.2

L'identità del narratore Una volta chiarito che un testo narrativo non può non avere un narratore, il passo successivo consiste nell'arrivare a una definizione di quello specifico narratore, dal momento che di narratori ne esistono, in realtà, molti tipi. La prima domanda da porsi è se il narratore sia un personaggio all'interno della storia: se lo è, parliamo di un narratore interno (internal narrator); se non lo è, parliamo di un narratore esterno (external narrator) 1• I narratori interni sono spesso chiamati "narratori 2.. Un quadro chiaro della discussione è offerto da Ansgar Niinning in Routledge Encyclopedia ofNa1Tative Theory, s.v. implied author. 3. Molto diffusa è anche la terminologia di Genette: narratore omodiegetico ( interno) vs narratore eterodiegetico (esterno). Si noti che spesso si trova scorrettamente

41

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

in prima persona" (first person narrators ), ma questa definizione non può dirsi del tutto felice, perché può avvenire che i narratori esterni facciano riferimento a sé stessi dicendo "io", come nel caso, ad esempio, del narratore omerico, quando dice: «Dimmi, o Musa, dell'uomo» ( Odissea 1, 1). Di fatto, tutte le forme narrative sono in via di principio raccontate da un soggetto narrante, anche se questo "io" narrante non fa mai riferimento a sé stesso. Dunque, l'impiego della forma "io" non è di per sé un criterio inoppugnabile per distinguere i narratori. I narratori interni possono essere i protagonisti della storia che raccontano ( Odissea in Odissea 9-12) oppure semplici testimoni (il messaggero nel dramma attico), con tutta la lunga serie delle possibilità intermedie. Le narrazioni in genere hanno vari narratori, che agiscono a differenti livelli. Il narratore che racconta la storia principale, la cui voce di solito è la prima che ascoltiamo quando la storia comincia, è il narratore primario (primary narrator). Il narratore primario può affidare la narrazione degli eventi a un personaggio che racconta la storia in discorso diretto, nel qual caso parliamo di narratore secondario 4 • Se questo personaggio a sua volta inserisce, all'interno della propria, un'altra narrazione, abbiamo a che fare con un narratore terziario, e così via. Un celebre, classico esempio di un tale intreccio di narrazioni è Ovidio, Metamorfosi 5, 341-661, dove una non specificata Musa riferisce quanto cantato dalla Musa Calliope riguardo alla ninfa Aretusa, la quale a sua volta racconta la storia della propria vita. Combinati tra loro, i termini "interno" -"esterno" e "primario""secondario" bastano a descrivere la maggior parte dei narratori nella letteratura mondiale. Per un caso di narratore primario esterno possiamo guardare all'esempio (4). (4) Apollonio Rodio, Argonautiche 1, 1-4: àpx6fLEVOç O'EO, oI~e, naÀc:tL'}'E'\IEW'\I ICÀEa ~WTW'\I fLV~O'OfLc:tL, o'ì fl6vToLo xaTèt O'T6fLa xal Òtèt nhpaç Kuavlaç ~MLÀ~oç E~"IJfLOO'VVr] fleÀlao XPVO'EIO'\I fLETIX xwaç ElJ~U'}'O'\I ~'ÀaO'a'\I i\pyw.

utilizzato il termine "narratore interno", quando in realcà ci si vuole riferire al narratore interno al cesto (in quanto opposto all'autore). 4. Secondo la terminologia di Genette: narratore excradiegecico (primario) vs narratore intradiegecico (secondario).

42

2..

NARRATORI E NARRATARI

Cominciando da te, o Febo, io racconterò le gloriose imprese di uomini antichi, che guidarono Argo dai bei banchi attraverso la bocca del Ponto e le rupi Cianee, secondo gli ordini del re Pelia, per cercare il vello d'oro. Si vede bene come il narratore delle Argonautiche, al pari di tutti i narratori epici, parli di eventi che appartengono a un lontano passato ( «imprese di uomini antichi») e perciò non è un personaggio della storia di cui vuol lasciare il ricordo. Un narratore primario interno è da riconoscersi nell'esempio (5). (5) Apuleio, Metamorfosi 3, 24-25: nec ullae plumulae nec usquam pinnulae, sed piane pili mei crassantur in setas et cucis tenella duratur in corium et in extimis palmulis perdita numero coti digiti coguntur in singulas ungulas et de spinae meae termino grandis cauda procedit. [... ] ac dum salucis inopia cuncta corporis mei considerans, non avem me, sed asinum video[ ... ]. Né piume né penne [appaiono] da nessuna parte, ma i miei peli si fanno spessi, la mia pelle morbida diventa dura come il cuoio e all'estremità delle mani le dita perdono il loro numero e si uniscono assieme in un unico zoccolo e ali'estremità della mia schiena cresce una grande coda. [... ] E mentre, ispezionandomi disperatamente in ogni parte del corpo, mi accorgo di non essere un uccello, ma un asino [... ]. Lucio descrive il momento in cui, dopo essersi cosparso di unguento magico, non si trasforma in uccello, come avrebbe voluto, ma in asino. Il racconto di come egli riuscirà a recuperare il proprio aspetto umano occuperà i successivi otto libri. Come casi di narratore secondario esterno si possono prendere in considerazione gli esempi ( 6) e ( 7). (6) Le mille e una notte, capitolo 1: Allora Dunyazàd disse a Shahrazàd: "Raccontaci, sorella, una storia meravigliosa, così che la notte possa passare piacevolmente". "Volentieri", rispose lei, "se il Re lo permette". E il Re, che soffriva di insonnia, si mise ad ascoltare con molto interesse la storia di Shahrazàd: "Un tempo, nella città di Bassora, viveva un ricco sarto [... ]".

(7) Platone, Gorgia 522e-523a: :I:11. KAA.

EÌ OÈ ~OUÀEI, IJ'OÌ éyw, wç TOlJTO oifrwç EXEI, é0eÀW À6yov ÀE~C(l. 'AÀÀ' ÈTCEÌrcep ye ICUÌ TàÀÀa Èrcepavaç, ICUÌ TOlJTO rcepavov.

43

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

l:.O. 'AJCOlJE ò~. cj>ao-[, fLtXÀa JCaÀou l6yov, OV O"Ù fLÈV ~)'~O"r] fLU9ov, wc; èyw oiflaL, èyw Òè. À6yOV' [... ] ~V oùv V6fLoc; oòe 1repì av9pwnwv ÈTIÌ Kp6vov [... ] TWV à.v9pwnwv ,òv fLÈV Ò11Ca[wc; ,òv ~[ov ò1el96v,a JCaÌ òo-!wc;, è1re1òètv -reÀev,~o-ri, eic; flalCapwv V~O"olJc; à.m6VTa oiJCELV èv TIIXO"r] euÒaLfLOVl~ ÈJCTÒc; JCalCWV [... ].

SOCRATE

Se vuoi, ti racconterò una storia, per dimostrare che le cose stan-

no così. Bene, già che hai fatto il resto del lavoro, finisci anche questo. Allora, come si dice, presta ascolto ad una storia davvero bella, che tu considererai come un mito, penso, ma io come storia vera. [... ] Dunque, al tempo di Crono per l'umanità valeva questa legge[ ... ] che ogni uomo che avesse vissuto una vita giusta e pia, dopo la morte, partisse per le Isole dei Beati, per soggiornarvi in totale felicità lontano dai mali[ ... ]. CALLIA

SOCRATE

Nell'esempio ( 6) il racconto primario è quello che ha per protagonista Shahrazàd, costretta, per salvarsi la vita, a intrattenere il sultano con dei racconti. Ma nei suoi racconci Shahrazàd, in quanto narratore secondario, non ha alcun ruolo, come basterebbe a dimostrare la formula di apertura («Un tempo»), da cui si capisce che la vicenda è ambientata in un indefinito tempo passato. La narrazione primaria di Shahrazàd è una cornice narrativa (frame narrative), uno strumento che permette di raccontare un gran numero di altre narrazioni. Altre celebri cornici narrative sono quelle del Decamerone di Boccaccio e dei Canterbury Tales di Chaucer, e un altro possibile esempio, ma molto particolare, è quello delleMetamo,jòsi di Ovidio. Nell'esempio (7) Socrate, che è un personaggio del dialogo raccontato dal narratore primario, Platone, diventa lui stesso narratore (secondario) allo scopo di raccontare un «mito» risalente a un antichissimo passato ( «al tempo di Crono»). Infine, un esempio di narratore secondario interno è (8). (8) Virgilio,Eneide 2, 10-16: "sed si tantus amor casus cognoscere nostros et breviter Troiae supremum audire laborem, quamquam animus meminisse horret luctuque refugit, incipiam. fracti bello fatisque repulsi ductores Danaum tot iam labentibus annis instar montis equum divina Palladis arte aedifìcant [.. .]". "Ma se è così grande il desiderio di conoscere le nostre vicissitudini e di ascoltare brevemente l'ultima agonia di Troia, per quanto il mio animo rabbrividi-

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2.. NARRATORI E NARRATARI

sca a ricordare e rifugga dal pianto, io inizierò. Spezzati dalla guerra e respinti indietro per volere dei fati, i capi greci, quando ormai tanti anni stavano passando, costruiscono con l'aiuto della divina arte di Pallade un cavallo alto quanto una montagna[ ... ]".

Alla richiesta dell'ospite Didone, Enea racconta la triste storia della caduta di Troia e, quindi, le successive peregrinazioni sue e della sua gente ( «le nostre vicissitudini»). Una forma ibrida tra narratore primario e secondario, molto importante nella letteratura antica ma che solo raramente si affaccia nei romanzi moderni, è il narratore riferito (reported narrator), quando cioè un narratore primario presenta la storia in discorso indiretto attribuendola a una persona indefinita o anonima ("loro"), che però nella storia stessa non figura come personaggio (9-10 ). (9) Erodoto, Storie 1, 24, 1: TOUTOV TÒV Ap[ova À{yo\/O"l, TÒV 7tOÀÀÒV TOU XPOVO\i ÒtaTp[~oVTa 1tapct fleptavÒpep, èm9vfL~O-at nÀwaat Èç 'haÀ['IJv TE x:al Ltx:eÀ['l]v [ ... ].

Dicono [Corinzi e Lesbi] che questo Arione visse per la gran parte del tempo alla corte di Periandro e poi concepì il desiderio di navigare verso l'Italia e la Sicilia [... ].

(10) Catullo, carme 64, 1-3: Peliaco quondam prognatae vertice pinus dicuntur liquidas Neptuni nasse per undas Phasidos ad fluctus et fìnes Aeeteos [... ]. Si dice che un tempo i pini, nati sulla cima del Pelio, abbiano navigato tra le chiare onde di Nettuno fìno alle correnti del Fasi e ai confini di Eeta [... ].

Nell'esempio (9) il narratore erodoteo si serve dei narratori riferiti per dichiarare le fonti orali che stanno a fondamento del proprio racconto. Al tempo di Catullo ( 10 ), questo stratagemma ha acquisito la funzione della cosiddetta Alexandrian faotnote, che consiste, cioè, nel segnalare, come in una nota a pie' di pagina, la dipendenza da una tradizione letteraria (è procedimento tipico della letteratura ellenistico-alessandrina). Dunque, dicuntur (lett. "sono detti") qui rinvia alla saga degli Argonauti nelle precedenti versioni raccontate da Euripide, Apollonio Rodio ed Ennio.

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

Fenomeno particolare è la narrazione in seconda persona (secondperson narration), in cui il narratore racconta le azioni di un personaggio utilizzando la forma del "tu". Nell'antichità questo particolare genere di narrazione si trova in tipica combinazione con l'apostrofe, quando cioè un narratore non parla più di un personaggio ma, "distraendosi" dai propri narratari, si rivolge direttamente a quel personaggio, per raccontarne le imprese in seconda persona (u-12). (u) Inno omerico ad Apollo 124-129: IJ..)). à 0éf.Ltc; vÉJCTctp TE JCctÌ IJ..f.L~pocr('l]v èpctrnv~v IJ..0ctvchncr1v x:epcrìv è1r~p;ctw X:ctipe òè A'l]TW ovveJCct To;o~6pov JCctÌ 1Cctpnpòv vlòv ETIJCTEV. ct1hàp e1reì ò~, oI~e, JCctTÉ~pwc; IXf.L~poTov eToctp, OU CTÉ y' E7rEIT' LCTX:OV X:PtJCTEOI CTTp6~ot rJ..CT7rctipoVTct, oùò' ETt OECTf.Lll cr' Epv1Ce, ÀuoVTo òè mipctm 1rtivTct. E Temi con le mani immortali offrì [ad Apollo bambino] nettare e amabile ambrosia, e Leto gioì, perché aveva generato un figlio portatore di arco e valoroso. Ma dopo che mangiasti il cibo divino, Febo Apollo, le auree fasce più non ti trattennero, mentre tu ti divincolavi, e i legami più non ti fermarono, ma tutti i nodi si sciolsero.

(12) Ovidio,Metamorjòsi 1, 717-721: nec mora, falcato nutantem vulnerat ense, qua collo est confine caput, saxoque cruentum deicit et maculat praeruptam sanguine rupem. Arge, iaces, quodque in tot lumina lumen habebas extinctum est centumque oculos nox occupat una. E senza indugio con la spada a falce [Mercurio] lo ferisce [Argo], mentre lui oscilla, là dove il collo si unisce al capo, lo getta insanguinato dalla roccia e di sangue macchia la roccia frastagliata. O Argo, tu giaci e quella luce che avevi distribuita in tanti occhi s'è spenta e una sola notte preme i tuoi cento occhi.

L'esempio (u) è utile a mostrare come siano nate l'apostrofe e la narrazione in seconda persona che a essa si connette: gli inni cultuali si aprono in genere con un'invocazione del dio cui l'inno è indirizzato e, appunto, questo tratto del Du-Stil, così tipicamente innologico, può presentarsi anche negli inni letterari (quali sono gli inni omerici) o, come qui, nel corso della narrazione o verso la conclusione di essa. Al tempo di Ovidio ( 12) l'apostrofe era ormai divenuta un puro e semplice stereotipo lettera-

l. NARRATORI E NARRATARI

rio. Nel passo delle Metamorfosi essa è utilizzata per accendere la simpatia del lettore nei confronti di Argo, il gigante dai cento occhi che, avuto il compito di fare la guardia a lo, viene decapitato da Mercurio. I romanzi moderni utilizzano il racconto in seconda persona piuttosto raramente e, soprattutto, in forma sperimentale. Un celebre esempio è quello offerto da Miche! Butor in La modificazione, che racconta di un viaggio in treno da Parigi a Roma durante il quale il protagonista gradualmente cambia idea e rinuncia al proposito di lasciare la moglie e cominciare una nuova vita con l'amante. Il narratore si rivolge al protagonista (cioè lui stesso) nella forma del "tu", con il risultato di un coinvolgimento diretto per i narratari, chiamati anche loro, come appunto il protagonista del romanzo, a ripensare e mettere in discussione la propria vita. È istruttivo accorgersi che uno stratagemma narrativo che rappresenta il massimo della sperimentazione moderna è in realtà già prefigurato dalla letteratura classica. La medesima osservazione si può fare riguardo a un'altra, meno comune, tipologia di narratore: il noi narrante. La si incontra soltanto molto raramente nei romanzi di avanguardia (come ad esempio in Sabbatica/ diJohn Barth), ma in realtà è molto diffusa nella letteratura sia greca sia latina, come si vede dall'esempio (13). (13) Virgilio, Eneide 2, 21-25: "est in conspectu Tenedos, notissima fama insula[ ... ] huc se provecti deserto in litore condunt; nos abiisse rati et vento petiisse Mycenas". "Appare in vista Tenedo, isola di grandissima fama[ ... ]. Dopo aver navigato fin qui [i Greci] si nascondono in quel lido deserto. Noi credemmo che fossero partiti e con il favore del vento si fossero recati a Micene''.

In tutta la prima parte del suo lungo racconto, in cui rievoca la caduta di Troia, il narratore interno Enea impiega la forma del "noi", in modo da non lasciar dubbi su come tutti i Troiani, collettivamente, fossero stati ingannati dagli infidi Greci e dal loro Cavallo di legno.

2.3

Il ruolo del narratore Una volta che sia stata determinata l'identità del narratore si può procedere per cercare di meglio identificarne il ruolo. La cosa più faci-

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

le è iniziare dal narratore dichiarato (overt narrator), cioè un narratore che esplicitamente si presenta come cale per tutta la durata del testo. Lo si può incontrare in varie forme: può essere drammatizzato (cioè avere una vita e una personalità sue proprie), può esprimere giudizi sugli eventi di cui riferisce, oppure essere autoriflessivo (nel senso di mostrare piena consapevolezza del proprio ruolo di narratore, richiamando su di esso l'attenzione del lettore). Ne consegue, con immediata evidenza, che i narratori primari interni tendono a essere dichiarati. Essi sono per definizione drammatizzati e calaci nell'azione, perché appunto sono essi stessi personaggi nelle storie che raccontano, ed è facile che siano anche autoriflessivi e pienamente consapevoli, come nell'esempio (1), in cui il Dottor Watson si riferisce all'atto di scrivere quanto ricorda delle vicende che hanno Sherlock Holmes per protagonista. Similmente, anche i narratori secondari saranno più facilmente dichiarati, come negli esempi (6) e (8), dove figurano i consueti riferimenti al racconto della storia. Ma i narratori primari esterni possono essere anch'essi dichiarati, come avviene nell'esempio (14). (14) Virgilio, Eneide 9, 446-449: Fortunati ambo! Si quid mea carmina possunt, nulla dies umquam memori vos eximet aevo, dum domus Aeneae Capitoli immobile saxum accolet imperiumque pater Romanus habebit. Felici entrambi! Se la mia poesia ha un qualche potere, non ci sarà un giorno che mai possa sottrarvi alla memoria del tempo, per tutto il tempo in cui la casa di Enea abiterà la rocca inamovibile del Campidoglio, e il padre romano avrà l'imperio.

Il narratore virgiliano interrompe il racconto della morte di Eurialo e Niso, i due compagni troiani, e, venendo alla ribalta sia come individuo sia come narratore, promette loro eterna fama. Altri narratori agiscono più implicitamente, senza concedersi a giudizi o riflessioni personali. In questo caso possiamo parlare di narratore nascosto (covert narrator), come nell'esempio (15). (15) Omero, Iliade 1, 48-52: E~ET' faerr' IXTr/XVE1J9e vewv, fLETà. o' iòv hpce· oeLv~ OÈ KÀayy~ yéveT' tipyupéo10 ~loio• oup~aç fLÈV TrPWTOV ÈTr'l)XETO KaÌ KUvaç tipyouç,

2.. NARRATORI E NARRATARI

cdmxp errm' ctÙTOlCTI ~EÀoç ÈXETrEliJCÈç èqlleÌç ~aÀÀ' • a[eì ÒÈ rrupaì veicùwv lCctlOVTO 9ctfLELctL

Quindi [Apollo] sedette a qualche distanza dalle navi e lasciò andare una freccia. Terribile fu lo stridore dell'arco d'argento. Per primi attaccò i muli e i rapidi cani, ma poi egli scagliò l'acuto dardo contro gli uomini stessi: sempre, fitte, bruciavano le pire dei morti.

Il narratore omerico, come si può vedere da questo esempio, è noto per la sua incorporeità, invisibile com'è e privo di caratterizzazione individuale, se si esclude l'invocazione alle Muse, che resta del tutto eccezionale. La distinzione tra lo stile narrativo del narratore nascosto e quello del narratore dichiarato è spesso ricondotta alla contrapposizione tra mostrare (showing) e raccontare (telling): nel primo caso è come se le storie si raccontassero da sole, mentre nel secondo caso a mediare tra gli eventi raccontati e chi li ascolta è presente un narratore. Sarebbe però il caso di notare che anche il narratore nascosto utilizza la retorica della narrativa (the rhetoric o/fiction), cioè indirizza le reazioni emotive dei narratari attraverso una molteplice serie di piccoli stratagemmi: le storie, insomma, non si raccontano mai davvero da sole.

2.4

Narratari Raccontare una storia è un atto di comunicazione, e ogni narratore presuppone un narratario (narratee) o più narratari. In particolare, a ogni narratore primario corrisponde un narratario primario, a ogni narratore secondario corrisponde un narratario secondario, e via dicendo. Se però prendiamo in considerazione la possibilità che i narratari siano personaggi della storia raccontata, cioè che siano esterni o interni, si possono avere molte diverse combinazioni. A un narratore primario esterno possono corrispondere narratari primari esterni, come nell'esempio (16). (16) Caritone, Cherea e Calliroe 8, 1, 4: VOfLl~W ÒÈ lCctÌ TÒ nÀeuTctlOV TOUTO cruyypctfL[Lct TOlç aVct)'IVWCTlCOliCTIV ~OICTTOV )'EV~crecr9a1· 1Cct9apcr1ov )'1Xp ÈCTTl TWV Èv TDlç rrpWTOLç CTJCU9pwrrwv.

Penso poi che questo ultimo libro riuscirà graditissimo ai suoi lettori: è infatti purificatorio rispetto ai tristi eventi che sono stati raccontati nei libri precedenti.

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

I lettori chiamati in causa in questo esempio non sono certo personaggi della storia, ma destinatari cui il narratore esterno si rivolge. Un narratore primario interno non ha, in genere, un corrispondente narratario primario interno, ma di solito racconta la sua storia senza rivolgersi a nessuno in particolare, come avviene nell'esempio (17 ). ( 17) Achille Tazio, Leucippe e Clitofonte 1, 1-2: Ltowv brl 6aÀticrcrn m5Àtç [... ] ÈVTaii6a ~xwv èx noÀÀoii XElf.LWVoç crwcrTpa e6vov Èf.L!XVToii Tij TWV otv(xwv 6E~.

Sidone è una città sulla riva del mare. [... ] Giunto lì dopo una gran tempesta, facevo sacrifici alla dea dei Fenici, in ringraziamento della mia salvezza. L'anonimo narratore del romanzo racconta il proprio arrivo a Sidone senza menzionare un destinatario cui egli rivolga il proprio racconto. Presto prenderà a discorrere con un giovane uomo, Clitofonte, fermo di fronte a un dipinto raffigurante Europa e il toro: a quel punto toccherà a lui diventare un narratario (secondario). Come per il narratore e per l'autore, si ha anche in questo caso la tentazione di equiparare, molto semplicemente, i narratari esterni con i lettori storici in carne e ossa, proprio per il fatto che a essi si fa spesso riferimento nel loro ruolo di lettori, come già abbiamo visto nell'esempio (16). Ma basta dare uno sguardo al seguente esempio (18) per rendersi conto che anche qui (come già nel caso del narratore) abbiamo a che fare con un prodotto dell'immaginazione dell'autore. (18) Apuleio, Metamoifòsi 9, 30: sed forsitan lector scrupulosus reprehendens narratum meum sic argumentaberis: "unde autem tu, astutule asine, intra terminos pistrini contentus, quid secreto, ut adfìrmas, mulieres gesserint, scire potuisti ?". Ma forse tu, lettore attento, troverai motivo di critica nel mio racconto e argomenterai così: "Ma come hai fatto tu, furbetto di un asino, standotene chiuso nelle mura del mulino, a sapere, come affermi, quel che le donne hanno fatto in segreto?". Non tutti i reali lettori delle Metamoifòsi saranno così inclini a identificarsi con il «lettore attento» dell'esempio apuleiano, il quale si manifesta, spuntando dal nulla, con quella domanda che, di fatto, serve semplicemente al narratore a proseguire la storia secondo i propri comodi.

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2..

NARRATORI E NARRATARI

Al pari dei narratori primari, anche i narratari primari possono essere dichiarati, come nell'esempio (18), o nascosti, come nell'esempio (17 ), dove non ne è menzionato alcuno. Ma anche quando i narratari sono nascosti, la loro presenza può farsi percepibile, sia nel modo più evidente, quello cioè di una spiegazione inserita dal narratore per loro comodo, sia più finemente, ad esempio in negazioni che vanno contro le loro ragionevoli aspettative, come avviene nell'esempio (19). (19) Omero, Iliade 16, 140-141:

e-yxoç ò' oux EÀET' oTov li1LU1LOVOç Aicudò,xo, ~p10ù !LE)'IX o-T1~,xp6v· L'asta del perfetto figlio di Eaco [Achille]. quella soltanto [Patroclo] non la prese, pesante, grande, massiccia. Si vede come il narratore omerico contraddica le attese dei narratari, fondate su altre tipiche scene di vestizione, stando alle quali ci si dovrebbe appunto aspettare che Patroclo, nell'indossare l'armatura di Achille, ne prenda anche l'asta. Ma al contempo egli crea per i suoi narratari una notevole suspense: quale potrà essere la conseguenza del fatto che Patroclo non abbia portato con sé una tanto temibile arma? Passiamo ora ai narratari secondari, per i quali si può distinguere una prima tipologia situazionale, quando cioè il personaggio A informa il personaggio B su qualcosa di cui A ha fatto esperienza o è stato testimone ( narratore secondario interno-narratario secondario esterno). Consideriamo in proposito l'esempio (20). (2.0) Ovidio, Metamorfosi 4, 695-701: "lacrimarum longa manere tempora vos poterunt, ad opem brevis hora ferendam est. hanc ego si peterem Perseus love natus et illa, quam clausam implevit fecundo Iuppiter auro, Gorgonis anguicomae Perseus superator et alis aetherias ausus iactatis ire per auras, praeferrer cunctis certe gener~ "Per le vostre lacrime ci potrà essere molto tempo in seguito, ma il momento per dare aiuto è breve. Se io chiedessi questa fanciulla [Andromeda] in quanto Perseo, figlio di Giove e di colei che, reclusa, Giove ingravidò di fecondo oro, Perseo, vincitore della Gorgone dalla chioma di serpenti, capace diandare tra le correnti dell'etere sul battito delle ali, certo, come genero, verrei preferito a tutti".

SI

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

Ai genitori di Andromeda il giovane Perseo illustra le proprie origini semidivine e le proprie precedenti imprese, in modo da ottenere la mano della ragazza, quando gli sarà riuscito di salvarla. Un altro caso, come mostrano gli esempi (21) e (22), è quello del personaggio A che racconta al personaggio B facci cui nessuno dei due ha preso parte (narratore secondario esterno-narracario secondario

esterno).

(21) Miguel de Cervantes, Don Chisciotte, libro I, capitoli 32-33= L'oste stava già mettendo via baule e libri quando il curato gli disse: "Aspettate. Vorrei vedere che cosa c'è su quei fogli, vergati con mano tanto elegante". Allora l'oste li crasse fuori e li passò al curato, che trovò circa otto fogli manoscritti con, all'inizio, questo titolo: Novella dell'indagatore indiscreto [... ]. Mentre i due così parlavano, Cardenio aveva preso la novella e aveva iniziato a leggerla. Avendone ricevuta la medesima impressione del curato, lo pregò quindi di leggerla a voce alta, in modo che tutti potessero ascoltarla. [... ] Così, vedendo che a tutti ciò sarebbe riuscito gradito, come anche a lui stesso, il curato iniziò: "Quand'è così, ascoltatemi, voi tutti, perché adesso la novella comincia, in questa maniera: Capitolo XXXIII. Novella dell'indagatore indiscreto. A Firenze, città ricca e famosa d'Icalia nella regione chiamata Toscana, vivevano Anselmo e Lotario, due ricchi e nobili gentiluomini[ ... ]".

(22) Erodoto, Storie 1, 31, 1-2: È7retpWTIX TlVIX OEUTEpov [lET' ÈlCElVOV lOOL, OOlCECùV 71'(t)'X1J OEUTEpELIX )'WV OlO"E0"61X1. 6 ÒÈ eim· "l(Àeo~[v TE lCIXÌ BLTWV/X. TOUTOIO"I )'1Xp ÈOVO"I )'EVOç .i\p)'ElOIO"I ~[oç TE apKECùV U71'~V lCIXÌ 71'pòç TOUT4) PWflY] O"WfllXTOç TOl~OE' ae6Ào~6po1 TE aii~6TEpot 6iio[wç ~O"IXV, KIXÌ Ò~ KIXÌ ÀE)'ETIXL oòe [6] À6)'0ç' èou V'ITV'!), T~V fL)]OctfLà wcj>eÀov ìoeiv· èo6JCeov oi fLOl &neÀov èÀ06vTCt è; ot1Co1.1 cxneÀÀm wç LfLEpÒtç 1~6fLevoç èç TÒv ~ao-tÀ~tov 0p6vov \jtauo-m Tij JCecj>aÀij Toii oùpavoii. Lie(o-aç òè fL~ ci1ratpe0ew T~v cipx~v 1rpòç TOU cioeÀcj>eoii, È'ITOl)JO"C( TC(xunpa ~ o-ocj>wnpa· ev T)1 yàp civ0pw7r)Jll'] cj>uo-t oùJC ev~v &pa TÒ fLÉÀÀov y(veo-0at ci1r0Tpemtv, èyw Òè ò fL!XTatoç TTp)];iio-ma ci1ro7rEfL7rW Èç Loiiaa ci1ro1CnvfovTa LfLEpÒtv". "Quando ero in Egitto io [Cambise] ebbi un sogno, che magari non avessi mai visto: mi sembrava che giungesse un messaggero dal mio palazzo e mi informasse che Smerdi era seduco sul trono regale e che la sua testa toccasse il cielo. Temendo di venir privato del potere da mio fratello, agii con più rapidità che saggezza: perché infatti non è possibile alla natura umana evitare quel che è destino avvenga, e io, folle, mando Pressaspe a Susa per uccidere Smerdi". Lo stesso fatto era stato raccontato in precedenza dal narratore primario nel modo seguente (30, 2-3):

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

[... ] éhjrtv e{òe ò KctfL~Ua-YJc; èv Tci> l.11rV'!) To1~vòe· èò6x:ee oi &yyeÀov èÀ06na èx: flepa-ewv àyyeÀÀElV wc; èv Tci> 0p6v'!) Tci> ~ctO'lÀYJL'IJ 1,6fLEVoc; LfLEpÒtc; Tfi X:Eq>ctÀfi TOU oupavoii '-jraua-ete. npòc; wv TctiiTct òe[a-ac; mpì twuTci> fL~ fLlV ànox:n[vac; ò àÒeÀqieòc; fl.pxrJ, 7rEfL7rEl flpYj;à0"7rEct Èc; flepa-ctc;, oc; ~V oi àv~p flepa-EWV 7rlO'TÒTctTOc;, ànox:nveona fLlV. ò ÒÈ àva~àc; èc; Loiia-a ànex:TELve LfLEpÒtv [... ]. [... ] Cambise nel sonno ebbe il seguente sogno: gli sembrava che un messaggero, giunto dalla Persia, gli annunciasse che Smerdi era seduco sul crono regale e che con la cesta sfiorasse il cielo. Perciò, cernendo per sé stesso, che cioè il fratello lo uccidesse, invia in Persia Pressaspe, che egli considerava come il più fìdaco dei Persiani, a ucciderlo. E quello, recatosi a Susa, uccise Smerdi [... ].

Il confronto era la scoria-specchio raccontata da Cambise e la versione del narratore ha come effetto di mettere in evidenza le emozioni di Cambise: «che magari non avessi mai visco»; «agii con più rapidità che saggezza»; «folle». Adesso Cambise comprende il vero significato del sogno (non era suo fratello Smerdi, ma un omonimo impostore, che scava seduco sul crono) e si rende conto di averlo facto avverare lui stesso, uccidendo il proprio fratello (e permettendo così al falso Smerdi di prendere il suo posto). Le scorie-specchio sono un sottogenere dell'artificio della mise en abyme, che si ha quando una parte di un'opera somiglia all'insieme dell'opera in cui è inserita. L'artificio è utilizzato anche nelle arei figurative (si pensi al Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck, in cui lo specchio sul fondo riproduce la scena dipinta e il pittore stesso) o nei generi teatrali ( il dramma L'assassinio di Gonzago nell'Amleto di Shakespeare).

2..7

La struttura verticale della narrazione Da tempo i narracologi hanno compreso che una narrazione si dispone su due livelli: il livello degli eventi rappresentati e il livello della rappresentazione. Le teorizzazioni di Bal e Genette giungono a distinguere ere livelli. Quando leggiamo o ascoltiamo una narrazione, leggiamo o ascoltiamo parole che, nel loro insieme, formano un testo. Questo testo contiene una storia, raccontata da un narratore a dei narracari. La scoria che il narratore racconta rappresenta la sua particolare versione, o comunque la sua focalizzazione, riguardo a una serie di eventi che o il lettore immagina abbiano avuto luogo - la "sospensione dell'incredu-

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2..

NARRATORI E NARRATARI

lità" (suspension ofdisbeliej) caratteristica dei generi narrativi - oppure hanno avuto effettivamente luogo nella realtà - racconti storiografici o biografici -, e che, presi nel loro insieme, formano la fabula. La fabula non esiste di per sé, ma è una costruzione operata dai narratari. La nozione di storia (story), in questo specifico senso, può essere equiparata a quella di trama (plot): una storia non presuppone un insieme casuale di eventi, ma una serie di eventi che, in qualche modo, si collegano l'un l'altro attraverso un nesso causale e, come Aristotele sostiene nel famoso capitolo 7 della Poetica, si dispongono secondo un inizio, un mezzo e una fine. Una trama in genere inizia con la distruzione di un equilibrio e approda a una qualche forma di scioglimento conclusivo (riguardo a ciò si dirà di più nel paragrafo 4.4). I tre livelli di testostoria-fabula formano la struttura verticale del racconto, ali' interno della quale il lettore passa dalle parole sulla pagina ( il testo) alla storia, da cui, infine, arriva a ricostruire la fabula. I narratologi hanno sostenuto che nel caso di alcune tipologie di narrazione è opportuno aggiungere un quarto livello, da Dorrit Cohn definito come livello referenziale o materiale. Un buon esempio è quello della storiografia. Prima di cominciare a scrivere W1 testo storiografico, uno storico leggerà o ascolterà le versioni degli altri storici e le utilizzerà come fonti, secondo quanto si può vedere dagli esempi ( 28) e ( 29). (28) Alphonse de Lamartine, Storia dei Girondini I, 1-2: Soltanto dopo una scrupolosa ricerca su fatti e personaggi, ho iniziato a scrivere. Non pretendo di essere creduto sulla parola. Anche se non ho appesantito il racconto con note, citazioni, documenti di supporto, non c'è nessuna tra le mie affermazioni che non sia autorizzata da memorie originali e autentiche, da memorie inedite [... ] ovvero da informazioni affidabili raccolte direttamente dalle labbra degli ultimi sopravvissuti di quella grande epoca. ( 29) Livio, Storia di Roma 22, 7, 3-4: multiplex caedes utrimque facta tradicur ab aliis; ego praeterquarn quod nihil auccum ex uano uelim, quo nimis inclinant ferme scribentium animi, Fabium, aequalem temporibus huiusce belli, potissimum auctorem habui. Altri autori tramandano la notizia di una strage, da entrambe le parti, assai più consistente. Ma io, a prescindere dal fatto che non vorrei che alcunché sia amplificato senza prove, tendenza cui troppo facilmente inclinano gli animi degli scrittori, ho scelto come fonte soprattutto Fabio, che è contemporaneo all'epoca di questa guerra.

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

L"'io" narrante dell'esempio (28) dichiara esplicitamente che la sua scoria è basata su memorie scritte e testimonianze orali raccolte dalla viva voce dei testimoni ancora in vita. Questo esempio, tra l'altro, prova una volta di più tutta la validità della distinzione tra autore e narratore: gli studiosi di storiografia, infatti, concordano nell'affermare che, per quanto l'autore de Lamartine abbia indubitabilmente indagato su « fatti e personaggi» prima di iniziare la stesura della propria opera, la pretesa del narratore di aver sempre fatto così e la sua richiesta di non dover essere creduto soltanto sulla parola vanno interpretate soprattutto come pose retoriche. Gli storici romani, come Livio nell'esempio (29 ), fanno abitualmente riferimento ai testi dei loro predecessori. Il quarto livello, quello del materiale, è assai rilevante nei testi narrativi antichi, nei quali i medesimi miti vengono reinterpretati e rielaborati in continuazione. Le versioni precedenti dei miti sono il materiale o gli intertesti (come li definisce la teoria dell' intertestualità) cui attingono gli autori successivi. Quando si interpreta una specifica versione di un mito, per come è stata trattata da determinati autori, è remunerativo confrontarne le specifiche fabulae, per come si sono realizzate in storie e testi, con le precedenti versioni: quali dettagli sono stati inclusi, quali esclusi? (livello della fabula); come la scelta di un narratore esterno oppure interno interviene sull'aspetto emotivo della narrazione? (livello della storia); come le parole riecheggiano le une con le altre, si richiamano tra loro? (livello del testo). La narratologia, dunque, può rivelarsi uno strumento molto utile anche per la ricerca intertestuale.

2.8 La struttura orizzontale della narrazione Il sociolinguista William Labov fu il primo a osservare che le narrazioni spontanee, cioè le narrazioni spontaneamente raccontate da reali parlanti che traducano in parole le esperienze vissute da loro stessi in prima persona o quelle altrui di cui sono stati testimoni, tendono a disporsi secondo una medesima struttura comune: iniziano con il sunto (un'informazione sintetica sul fatto), proseguono con l' orientamento (indicazioni di tempo e luogo), quindi con la complicazione (l'evento che avvia una serie di conseguenze), raggiungono l'apice (il momento più drammatico della storia) e infine approdano allo sciogli-

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2..

NARRATORI E NARRATARI

mento ( allentamento della tensione con la descrizione del fatto) e alla coda (l'indicazione che la storia si è conclusa, eventualmente con l' aggiunta di una morale conclusiva). Una tale struttura si osserva in molte tipologie di narrazioni classiche, ad esempio nei discorsi del messaggero, che sono tipici del dramma antico. (30) Euripide, Ippolito 1162-1254: sunto (u62-u63)

Tmr6ÀuToç oincéT' eo-r1v, wç ei-rreTv fooç ÒÉÒoplCE fLÉVTOI q>Wç È'ITL CTfLL!Cpaç po-rr*.

[... l

Ippolito non è più, se si può dire: vede la luce ancora per poco.

[... ] orientamento (u73-II74)

~fLeTç fLèv ctlCT~ç lCUfLOÒÉ)'fLOvoç -rréÀaç ',v~lCTpctLCTIV l'IT'ITWV ÈlCTEVl~OfLEV Tp(xaç [... l. Noi ce ne stavamo a strigliare la criniera dei cavalli vicino alla riva battuta dal mare [... ].

(Ippolito, che ein esilio, sale sul carro e guida lungo la riva del mare) complicazione (u98-1202)

è-rrel ò' EPl'JfLOV xwpov eicre~aÀÀOfLEV [... ]. ev0ev TLç ~XW x06v1oç, wç ~poVT~ ~16ç, ~apùv ~p6fLOV fLE0~JCe, q>p11CWÒfJ 1CÀue1v. E quando stavamo giungendo in un luogo desolato [... ]. Allora un rimbombo dalla terra, come fosse il tuono di Zeus, scatenò un fragore cupo, terribile da ascoltare.

( Un toro, apparso dal mare, fa imbizzarrire i cavalli. Il carro di Ippolito si spezza) apice (1236-1239)

scioglimento (12.46-1248)

alÌTÒç ò' 6 TÀ~fLWV ~v[a1cr1v ÈfLTIÀaJCelç OECTfLÒV Òucre;éÀLlCTOV eÀJCrn.tL òe0e(ç, cr-rroòoufLEVoç fLÈV -rrpòç -rrÉTpa1ç q>IÀov 1Capa 0pauwv TE CT1Xp1Caç, Òmà o' è;auÒwv lCÀUEIV. [... ] E lui, infelice, impigliato nelle briglie, legato in un laccio inestricabile, viene trascinato, sbattuto nel capo alle rocce, ferito nelle carni, mentre grida parole terribili a udirsi.[ ... ] 'ITl'ITTEI, ~paxùv ò~ ~lOTOV Èfl'ITVÉWV hl· iTITIOL ò' E1Cpuq>0ev JCal TÒ ÒUCTTfJVOV TÉpaç Talipou Àma[aç oli lC/XTOLO' O'ITOI x0ov6ç. Cade a terra, respirando ancora un soffio di vita: i cavalli e quel funesto portento, il toro, sparirono non so dove nella terra pietrosa.

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

coda (12.49-12.51)

òoiiÀoc; fLÈv oùv eywye rrwv o6fLwv, tiva.t èt'ràp TorroiiT6v y' où Òuv~6poc; Seoii 1eepauvòç é!;fopa!;ev oiin 'ITOVTia SueÀÀa lCIVY]6EiCTa T'¼) T6T' èv xp6v'l,), à.ÀÀ' ~ Ttç è1e Sewv 7rOfL7r6ç, ~ TÒ vepTÉpwv eiivouv ÒtaCTTàv y~c; à.ÀtXfL'ITETOV ~ix6pov. Ma per quale morte quello perì, nessuno tra i mortali potrebbe dirlo, eccetto Teseo. Perché non lo fìnì né il fulmine divino apportatore di fuoco, né una tempesta marina che sorge ali' improvviso, ma un accompagnatore inviato dagli dèi oppure l' infero fondamento della terra, senza luce, apertosi benevolo.

Il messaggero tragico, narratore secondario interno, per una volta non può svolgere la funzione che è propria del suo ruolo teatrale, cioè raccontare ai suoi narratari (e agli spettatori) gli eventi che avvengono fuori scena. Lo stesso Edipo in precedenza aveva ordinato che la sua morte restasse un segreto per tutti, eccetto Teseo, probabilmente con l'intenzione di essere considerato, dopo morto, come un eroe. Eterno motivo dei generi narrativi è il contrasto, a volte drammatico, tra la focalizzazione più ristretta dei personaggi che agiscono

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

nell'azione raccontata e il superiore livello di conoscenza proprio del narratore-focalizzatore primario, come si vede nell'esempio (16). (16) Virgilio.Eneide 10, 500-505: quo nunc Turnus ovat spolio gaudetque potitus. Nescia mens hominum fati sortisque futurae et servare modum rebus sub lata secundis ! Turno tempus erit magno cum optaverit emptum intactum Pallanta, et cum spolia ista diemque oderit. T umo adesso esulta di quelle spoglie, gode di averle conquistate. Mente degli uomini, che ignora il fato e la futura sorte, non sa come mantenere la giusta misura quando si esalta nel successo! Ci sarà un tempo per T umo in cui vorrà che Pallante fosse stato riscattato intatto a gran prezzo, e in cui odierà codeste spoglie e questo giorno.

Il narratore dell'Eneide mette a contrasto la propria conoscenza delle conseguenze che attendono Tumo per aver ucciso Pallante (la morte per mano di Enea, in cui Pallante troverà vendetta) con l'esultanza di Turno mentre sottrae le spoglie al nemico ucciso. Questo enfatico intervento narratoriale ha l'effetto sia di richiamare l'attenzione sull'evento che, alla fine del poema, deciderà la morte di Tumo - uno tra gli apici drammatici dell'Eneide - sia di caratterizzare Turno come un eroe della tragedia greca, pronto a esaltarsi per il successo ben prima del tempo opportuno. I narratori, naturalmente, possono giocare con la focalizzazione come con uno strumento capace di regolare il flusso dell' informazione. Così, talvolta, il narratore dà un numero di informazioni inferiore a quello che, a rigore, sarebbe proporzionato alla focalizzazione sua propria o del personaggio (paralissi), ovvero un numero di informazioni superiore (paralessi). Come esempio di paralissi si può pensare al seguente esempio ( 17). (17) Erodoto, Storie 1, 51, 3-4: xal mp1ppavT~p1a OlJO àvÈ0'1]JCE, xpuae6v TE JCC(l apyupeov, TWV Tcii XPUO'E'I) È7l'l)'Èypama1 Aaxeòa1fLov[wv q>afLÈvwv e[vai àva0'1JfLa, oux òp0wç ÀeyovTEçfoT1 yàp xal TOUTO Kpo[aou, Èneypate Òè TWV Tlç LleÀq,wv AaxeÒalfLOVlOIO'l ~ouÀÒfLEVOç xap[~ea0a1, TOU È7l'IO'TltfLEVOç TÒ OUVOfLC( OUIC È7l'lfLV~O'OfLC(l. [Creso] dedicò anche due vasi lustrali, uno d'oro, l'altro d'argento; su quello d'oro c'è un'iscrizione dei Lacedemoni, che affermano che la dedica fosse loro, ma falsamente: anche quel vaso, infatti, è di Creso, mal' iscrizione è ope-

3. FOCALIZZAZIONE

ra di qualcuno di Delfì che voleva compiacere i Lacedemoni; sebbene io ne conosca il nome, non lo menzionerò.

Il narratore erodoteo, a quanto pare, si astiene dal mettere in cattiva luce un qualche personaggio di Delfì, forse di una certa influenza ( un sacerdote?). Tornando alla paralessi, ne abbiamo già incontrato un caso nell'esempio ( 8), in cui il narratore si insinuava nella focalizzazione del personaggio. Un'altra forma che la paralessi può prendere si ha quando un personaggio, che agisce da narratore secondario, è in grado di dire più di quel che la sua focalizzazione, a rigore, gli permetterebbe, come nell'esempio (18): (18) Omero, Iliade 16, 844-846:

"a-o\ yàp eòwxe VIXY]V Zeùç Kpov(Òl'jç xcd 'AnoAÀwv, or f!E Mf!a.o-o-a.v pY]1Ò(wç· a.vTol yàp àn' Wf!WV nuxe' è.?.ono". "Perché Zeus figlio di Crono e Apollo, che mi vinsero facilmente, diedero a te [Ettore] la vittoria: loro, infatti, mi tolsero dalle spalle l'armatura".

Qui Patroclo dà conto di un fatto che egli dovrebbe ignorare, ossia che Apollo si sia gettato su di lui per strappargli l'armatura. Patroclo, infatti, «non lo vide muoversi tra folla», perché il dio sopraggiungeva da dietro, nascosto nella nebbia, come è dett.o in 16, 789-790. I filologi moderni hanno censurato questi versi come incoerenti e illogici, ma in realtà già gli antichi scoliasti avevano compreso che qui il narratore omerico ha dotato il personaggio Patroclo di quel livello di conoscenza che è proprio dei narratari primari. Si tratta di un fenomeno tutt'altro che raro nei poemi omerici.

3.4

Posizione nello spazio La focalizzazione comporta che il narratore o il personaggio guardi ai fatti della fabula attraverso il filtro e la coloritura delle proprie emozioni. Di fatto il concetto, almeno in parte, sostituisce la terminologia, più antica e generica, di "prospettiva" o "punto di vista", che, per essere onnicomprensiva, includeva anche un importante aspetto

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

della presentazione della storia, che qui è definito, piuttosto, in termini di posizione nello spazio (standpoint). Da quale posizione, insomma, il narratore-focalizzatore osserva i fatti, i personaggi, gli oggetti o le situazioni che assieme formano la materia del suo racconto? Una prima possibilità è la posizione panoramica del narratore (narratoria! panoramic standpoint), ben esemplificata dall'esempio (19 ). ( 19) Omero, Iliade 2, 459-468: Twv ò', wc; T' 6pv[6wv 1TEW'jVWV E6VEct -rroÀÀà [... ], wc; TWV E6VEct -rroÀÀà VEWV &-rro x:ctl x:ÀLO"l/XWV éc; 'TrEOLOV -rrpoxfovTo LlCct!,llXVOplOV' ctlJTàp imò x6wv O'!,tEpÒctÀeov lCOVIX~l~E -rroòwv ctlJTWV TE x:ctl l'Tr'TrWV. EO"Tctv ò' év ÀEL!,tWVL LX:ct!,tctvòplct> àv6E!,tOEVTL !,tUpLOl, 00'0'/X n q,uÀÀct x:ctl &v6Ect ;'L)'VETctl wpn.

Come i fitti stormi degli uccelli alati [... ], così fitte le schiere si riversavano dalle navi e dalle tende nella piana dello Scamandro. E la terra risuonava terribilmente sotto i piedi degli uomini e dei cavalli. Si fermarono nel prato fiorente dello Scamandro, decine di migliaia, quante le foglie e i fiori che crescono in primavera. Il narratore-focalizzato re esterno dell'Iliade è in grado di dominare con lo sguardo amplissime distese della piana di Troia. La posizione panoramica può essere anche quella propria di un personaggio, che svolge la funzione di focalizzatore secondario: si parla in questo caso di posizione panoramica del personaggio (actorialpanoramic standpoint), come nell'esempio (20). (20) Valerio Flacco, Argonautiche 6, 575-579: ecce autem muris residens Medea paternis singula dum magni lustrat certamina belli atque hos ipsa procul densa in caligine reges agnoscit quaeritque alias lunane magistra conspicit Aesonium longe caput. Ma sedendo sulle mura paterne, Medea, mentre osserva le singole battaglie della grande guerra e questi re di lontano riconosce nella nube di polvere e chiede a proposito degli altri, scorge nella distanza la testa di Giasone, seguendo l'indicazione di Giunone. Abbiamo a che fare qui con una teichoskopia ("vista dalle mura"), un artificio narrativo che è utilizzato comunemente nelle letterature clas-

3. FOCALIZZAZIONE

siche a partire dal prototipo omerico di Iliade 3 (Elena che dalle mura di Troia osserva i guerrieri greci). Una seconda tipologia, piuttosto diffusa, è quella della posizione scenico-narratoria/e (narratoria/ scenic standpoint), quando cioè il narratore va a collocarsi ali' interno della scena, come nell'esempio (21). (21) Virgilio, Eneide 1, 159-168: est in secessu longo locus: insula porcum efficic obieccu lacerum, quibus omnis ab alto frangicur inque sinus scindit sese unda reductos.

[... ] fronte sub adversa scopulis pendentibus antrum; intus aquae dulces vivoque sedilia saxo, Nympharum domus. C'è in un profondo recesso un luogo: qui un'isola forma un porto opponendo i fianchi, sui quali ogni flutto dal largo si infrange e si divide in onde minute.[ ... ] Di fronte, sull'altro lato, un antro sta sugli scogli a strapiombo; dentro c'è acqua dolce e sedili nella roccia viva, casa delle Ninfe.

Il narratore virgiliano descrive il luogo in cui i Troiani prenderanno terra dopo la tempesta, quasi che lo scia esplorando prima di loro. Può anche avvenire che il narratore prenda posizione nella scena accanto al personaggio, quasi, si potrebbe dire, prendendolo per mano: è, questa, la posizione scenico-attoriale (actorial scenic standpoint), in concomitanza della quale può darsi, ma non necessariamente, la focalizzazione del personaggio, come avviene nell'esempio (22). (22) Sofocle,Antigone 1196-1209: Èyw OÈ 0-'!l 7!'00ayòç è0-7!'6fU]V 7!'60-El 7!'EOiov è7!'' &icpov, ev0' ElCEITO Vl']Àeèc; 1C1.IV00-7!'apaicTOV 0-Wf,la noÀ1.1ve[ico1.1c; fr1·

[... ] xwo-avnc; etìi01ç 7l'pÒç À106o-TpWTOV ic6pl']c; Vl.lf,ltXÀtXLWOYj T~V éq>oÒov É'ITÌ T~V rxpx~v TOii ftÉÀÀovToç ÀÉyeo-9ctt 'ITOÀÉftOl.l. A.vTioxoç yètp ~V ftÈV 1.1lòç vewnpoç LEÀEUJCOl.l Toii KctÀÀlVllCOl.l npoo-ocyope1.19évToç [... ].

Antioco accettò volentieri la proposta e la cosa trovò rapida applicazione. Affinché io possa trattare questa casa reale in modo analogo [a quello che ho tenuto per la casa reale egizia], risalirò alla successione di Antioco al trono e darò un riassunto degli eventi era quella data e la guerra che sto per raccontare. Antioco, dunque, era il figlio più giovane di Seleuco detto Callinico [... ]. Nel suo ruolo di narratore primario esterno, Polibio rimarca esplicitamente il fatto che si sta rifacendo indietro al tempo trascorso. Come esempio di analessi attoriale si può considerare (u). (u) Ovidio.Metamorfosi 13, 159-164: "ergo operum quoniam nudum certamen habecur, plura quidem feci quam quae comprendere dictis in promptu mihi sic, rerum tamen ordine ducar. praescia venturi genetrix Nereia leci dissimulat cultu natum, et deceperat omnes, in quibus Aiacem, sumptae fallacia vestis". "Dunque, poiché la contesa è puramente tra le azioni e io ho fatto più cose di quante mi sia possibile esprimere a parole, seguirò l'ordine delle cose. La madre Nereide, presaga della morte futura, rende il figlio [Achille] irriconoscibile per gli abiti, e il trucco del travestimento aveva ingannato tutti, incluso Aiace".

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

Trovatosi a disputare con Aiace le armi di Achille, Odissea fa un resoconto delle tante imprese che, come egli sostiene, gli danno pieno titolo ad avere lui la meglio. La prima tra le sue imprese fu l'essere stato l'unico capace di riconoscere Achille nel travestimento da donna escogitato da Teti. Come esempio di prolessi narratoria/e si consideri (12.). (12) Ovidio, Metamo,jòsi 15, 875-879: parte camen meliore mei super alca perennis ascra ferar, nomenque eric indelebile noscrum; quaque pacec domicis Romana pocentia terris ore legar populi, perque omnia saecula fama (si quid habenc veri vatum praesagia) vivam. Con la parte migliore di me salirò, immortale, al di sopra degli alci astri e il mio nome sarà incancellabile; ovunque si estende la potenza di Roma sulle terre conquistate, verrò letto dalla bocca del popolo e per tutti i secoli nella fama (se qualcosa di vero c'è nelle profezie dei vati) vivrò.

Questi versi sono la solenne conclusione delle Metamo,jòsi, in cui il narratore ovidiano proclama con consapevole orgoglio la propria eterna fama letteraria. Tra i casi di prolessi attoriale troviamo l'esempio (13). (13) Euripide,Medea 1386-1388:

ò', wanep Ehc6c;, icc.n0cxv~L lCIXJCÒc; lCIXJCWç, J\p-yoiiç 1C1Xptx O"ÒV ÀmjraVWI 7tE'1rÀ"IJ"Yf1.ÉVOç, micpèt.c; nÀwrèt.c; Twv Ef1.WV -yafl.WV iòwv". "ai,

"E tu [Giasone], come è giusto, possa morire malamente, tu malvagio, colpito in testa da un rottame di Argo, dopo aver visto l'amaro esito delle nozze con me [Medea]".

Medea, in funzione di deus ex machina, pronuncia una prolessi, degna di non essere presa alla leggera, riguardo alla futura morte di Giasone. Bisogna aggiungere anche il tipo, ben noto, dellafalsa prolessi o depistamento (misdirection), quando ai narracari viene fornito un falso suggerimento riguardo allo sviluppo degli eventi, come nell'esempio (14). (14) Virgilio, Eneide 12, 402-404: multa manu medica Phoebique potentibus herbis nequiquam trepidat, nequiquam spicula dextra sollicitat prensatque tenaci forcipe ferrum.

4. TEMPO

con mano guaritrice e l'aiuto delle potenti erbe di Febo, [ il medico lapige) prova trepidante molti rimedi, invano forza la punta della freccia con la destra e cerca di bloccare il ferro con la presa del forcipe. Il narratore virgiliano utilizza per due volte l'infausto avverbio nequiquam ("invano"), che abitualmente è nunzio di rovina (cfr. ad es. 7, 652-653), con la conseguenza che i narratari sono indotti a credere, contro la loro ovvia conoscenza dei fatti, che Enea non sia destinato a sopravvivere alla ferita del dardo. In genere le prolessi sono esplicitamente segnalate come tali, attraverso varie modalità: l'uso di un tempo futuro, un'espressione come "non si poteva immaginare che sarebbe andata a finire tanto diversamente", oppure l'uso di verbi rivolti al futuro (sperare, temere, aspettarsi ecc.). Ma le narrazioni non di rado possono anche prevedere forme di prefigurazione implicita (implicit foreshadowing), come nell'esempio ( 15). (15) Odissea 12, 166-169: ,6~pa ÒÈ 1CapnaÀ[fLwç e~[JCe,o Vì']iiç eùepy~ç v~crov Letp~vot'iv• em1ye yàp oùpoç àn~fLWV. aù,[JC' fom' IXVEfLOç fLÈv enaùcra,o ~ÒÈ yaÀ~Vì'] E7TÀETO Vì']VEfLLì'], lCOlfLì']CTE OÈ lClJfLGtTGt OGtlfLWV.

Frattanto la nave ben costruita giunse rapida all'isola delle Sirene: la spingeva infatti un vento sicuro. Ma allora d'un tratto il vento cessò e si ebbe una calma priva di vento, il dio placò le onde. Odissea si sta avvicinando ali' isola delle Sirene, dalle quali Circe lo ha già esortato a guardarsi: l'improvviso silenzio della natura è di cattivo auspicio e lascia prevedere che stia per giungere un qualche cimento. Un tipo speciale di prefigurazione è quello che si potrebbe definire del seme narrativo (seed): un indizio o, se si preferisce, una menzione anticipata, che consiste nell'inserzione di una particolare informazione la cui importanza risulterà chiara soltanto più tardi (16). (16) Virgilio, Eneide 1, 647-652: Munera praeterea, Iliacis erepta ruinis, ferre iubet, [... ] [... ] circumtexcum croceo velamen acantho, ornacus Argivae Helenae, quos illa Mycenis, Pergama cum peteret inconcessosque hymenaeos, extulerat [... ].

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

[Enea] ordina anche di portare dei doni, strappaci alle rovine di Ilio, [... ] un velo intessuto incorno con un ricamo di giallo acanto, adornamenco di Elena argiva, che lei aveva portato con sé da Micene, quando si diresse a Pergamo e ai proibiti imenei[ ... ].

Il velo dato in dono da Enea a Didone è infausto: esso è strettamente legato a un'unione illegittima, proverbialmente infelice (quella di Paride ed Elena), e per questa ragione getta un'ombra sull'ormai prossimo amore tra Enea e Didone, sulla cui natura - se di vero matrimonio o meno - i due amanti si troveranno a dover discutere aspramente.

4.4 Inizi, fini e trame multiple La categoria narratologica di ordine (order) va applicata anche all' inizio e alla fine delle narrazioni. Per sua stessa natura l'inizio di un racconto (la sua apertura o incipit) è una parte del testo cui i narratori dedicano particolare attenzione, ad esempio ricorrendo all'invocazione delle Muse per autenticare il proprio racconto oppure fornendo indicazioni di tempo e spazio che permettano ai narratari di ambientarsi nel mondo dei personaggi (17 ). (17) Euripide, Baccanti 677-680: àyEÀctltX fLÈV ~Q(jl(~ fltXT' a.pTl npòc; Àinctc; flOO'XWV imE;~xp1~ov, ~v[x' ~?.wc; àJCTLVctc; e;Ll']O'l 0EpfltXIVWV x06vct. òpw OÈ 81ct0'01Jc; TpE'ic; yvvctllCEIWV xopwv. Le greggi dei vitelli al pascolo scavano in quel momento muovendosi verso i declivi, quando il sole emette i suoi raggi che scaldano la terra. Vedo ere gruppi di cori femminili.

Nell'esempio euripideo il narratore interno, cioè il pastore che qui svolge la funzione di messaggero, fa ricorso all'unico elemento temporale di cui possa disporre, il sole, e come riferimento spaziale dà genericamente dei «declivi» (quelli del Monte Citerone). Tali indicazioni di tempo e spazio in genere sono seguite dai topoi tipici dell'inizio, come l'arrivo, la partenza, l'incontro, il destarsi. Le storie possono prendere le mosse dall'inizio della fabula oppure entrare direttamente in medias res, cioè aprirsi su qualche punto sue-

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4. TEMPO

cessivo nella fabula. Sono piuttosto rari i testi narrativi in cui l'inizio della storia coincide con quello della fabula, dal momento che sono pochi i narratori che non sfruttano l'opportunità di aggiungere alla loro storia principale una sorta di "preistoria", raccontata attraverso l' analessi esterna. L'inizio in medias res ha il suo celeberrimo prototipo nell'Odissea, che comincia nel decimo anno del viaggio di Odisseo per poi raccontare gli anni precedenti per mezzo di una narrazione secondaria affidata alla voce dell'eroe stesso, la quale, lunga ben quattro libri, giunge fino a metà del poema (libri 1x-xn). Un esempio moderno molto istruttivo è Fine di una storia di Graham Greene, che comincia verso la fine di una storia d'amore per poi completarne le parti iniziali e di mezzo attraverso varie analessi, ad esempio il diario della donna amata dal protagonista-narratore. È opportuno notare come anche nella sua definizione originale, che è quella dell'Ars Poetica di Orazio (vv. 147-148), il concetto di inizio in medias res si riferisca a un narratore che sceglie di raccontare soltanto quello che ritiene essere, ai fini della narrazione, il periodo più interessante nell'esistenza del personaggio, in netta contrapposizione all'inizio ab ovo (letteralmente "dall'uovo", che, nel caso della vicenda troiana, era ciò da cui Elena era nata, come a dire l'inizio di tutto), seguito dal racconto di tutti gli eventi in successione. Qui Orazio sta riadattando un'idea di Aristotele, il quale nel capitolo 8 della Poetica lodava Omero per non aver voluto includere nell'Odissea tutto quel che è avvenuto a Odisseo ed essersi invece concentrato sui dieci anni del ritorno da Troia. Nelle epoche successive l'espressione in medias res è passata via via ad associarsi esclusivamente al momento di inizio della storia, in rapporto all'ordine cronologico e lineare della fabula. Non sorprende che i narratori possano all'occasione problematizzare la propria ricerca del "punto giusto" da cui iniziare il racconto, come avviene nell'esempio (18). (18) Stazio, Tebaide 1, 1-17: Fraternas acies alternaque regna profanis decertata odiis sontisque evolvere Thebas, Pierius menti calor incidit. unde iubetis ire, deae? gentisne canam primordi a dirae, Sidonios raptus et inexorabile pactum legis Agenoreae scrutantemque aequora Cadmum?

[... ]

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

acque adeo iam nunc gemitus et prospera Cadmi praeteriisse sinam: limes mihi carminis esco Oedipodae confusa domus [... ]. Il fuoco delle Pieridi mi entra nel!' animo, perché io svolga la storia di lotte fraterne, di regni alterni per i quali si combatté con odio empio, di Tebe colpevole. Da dove mi ordinate di iniziare, o dee? Dovrei forse cantare le origini di quella gente infausta, il rapimento di Europa e il patto inesorabile di Agenore e Cadmo che va in cerca per i mari? [... ] No, io lascerò fìn d'ora che pianti e gioie di Cadmo restino indietro: che soglia del mio canto sia la turbata casa di Edipo [... ]. Nell'esordio della Tebaide il narratore esterno, intenzionato a raccontare la storia dei figli di Edipo, Eceocle e Polinice, si interroga su quanto debba andare indietro nella scoria della micologia tebana per trovare, in compagnia delle Muse, il proprio punto di inizio. Se passiamo a considerare la fine delle narrazioni, nociamo subito che nell'antichità si è posta molca meno attenzione alle fini che non agli inizi, con la conseguenza che i veri e propri epiloghi sono molco meno frequenti ed elaboraci dei proemi. Questo fenomeno può in molti casi spiegarsi come un risulcato della natura orale propria dell'antica narrativa greca. Dal momento che i cantori potevano essere interrotti in ogni istante dai loro narracari, come vediamo avvenire più volce in Odissea 8, essi non si impegnano troppo a sviluppare l'arte dell'epilogo: probabilmente per questa ragione Omero ha lasciato in eredità ai suoi successori il proemio ma non l'epilogo. Nonostante l'assenza di esplicite dichiarazioni che annuncino la fine, è venuto a stabilirsi con il tempo un vero e proprio repertorio sia di motivi topici specificamente conclusivi, come morte, ritorno, riunione e matrimonio, sia di stratagemmi formali utili a segnare la fine di una narrazione, come la composizione ad anello ( in tedesco Ringkomposition o, nel corrispettivo inglese, ring-composition), la sphragis (letteralmente "sigillo", cioè un riferimento personale del narratore a sé stesso e alla propria opera) e la ricapitolazione. Abbiamo già incontrato una sphragis nell'esempio (12), ed eccone un alcro caso (19). (19) Apollonio Rodio,Argonautiche 4, 1773-1780:

O.cn' tiptcrT~eç, fLctXapwv yÉvoç, ct'ioe o' ctOIOctÌ elç froç è~ enoç yÀuxepwnpct1 efav tieiom tiv9pw1To1ç. ~Ol'] yàp È'lTÌ xÀUT/X 7l'Elpct9, ìxavw

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4. TEMPO

Vf,lETÉpwv KOCf,ltiTwv, èml [... ] cicr1raa{wc; ciKTàc; TTayaa'Y]{Òac; Eia-a1CÉ~'YJTE.

Eroi, razza degli uomini beati, siate benevoli e possano questi canti di anno in anno essere sempre più dolci da cantare per gli uomini. Infatti ormai sono giunto alla fine gloriosa delle vostre fatiche, giacché [... ] felicemente alle spiagge di Pagase siete approdati. Il narratore rimarca la fine del racconto salutando i suoi eroi nello stile dell'inno: inserendo, cioè, il topos conclusivo del ritorno, utilizza la parola «fine» e include la sphragis ( «possano questi canti ... »). Mentre la fine consiste propriamente nella pura e semplice sezione conclusiva di un racconto, la chiusa (closure) rappresenta il momento in cui i narratari possono considerare quella fine come un finale soddisfacente, che risponde a tutte le domande precedentemente rimaste in sospeso e da cui ogni tensione è risolta. Così, nel caso dell'Iliade, la fine è rimarcata dal topos conclusivo del funerale di Ettore e dall'artificio formale della composizione ad anello, per cui un padre se ne va in territorio ostile a reclamare la prole (libro I: Crise e Criseide; libro XXIV: Priamo ed Ettore), mentre l'effetto di chiusa vera e propria è dato dalla conversazione tra Achille e Priamo, nemici giurati che per un breve momento si trovano vicini nella loro difficile situazione di esseri umani. Allo stesso modo in cui l'inizio della storia non deve necessariamente coincidere con l'inizio della fabula, anche la fine della storia non deve necessariamente identificarsi con la fine della fabula. L'Odissea si conclude con Odissea che si riunisce a sua moglie e ai suoi concittadini di Itaca, ma i futuri eventi della sua vita sono già stati preannunziati da Tiresia nella prolessi esterna di 11, 134-137 e, dunque, fanno parte della fabula. Nel caso dell'apparente lieto fine delle Argonautiche, invece, c'è l'incombente tragedia di Medea a gettare sul futuro un'ombra oscura. Questo genere di artificio, quando cioè una narrazione riesce a lasciar intuire un futuro che non è parte della narrazione stessa, è stato definito effetto postumo (aftermath) da Deborah Roberts. Se ne possono avere diverse forme: una prolessi esterna nel corso del racconto (come avviene nell'Odissea); una prolessi sintetica posta nel finale vero e proprio della narrazione (del tipo "ed essi vissero felici e contenti" o come la sphragis dell'esempio 12); ma anche una forma implicita, quando il narratore può ragionevolmente affidarsi alla conoscenza storica o intertestuale dei suoi narratari (come nelle Argonautiche ). Molte opere narrative, in particolare (post)moderne, non presen-

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

tana una fine ben netta e definita e nemmeno, quindi, una qualunque forma di chiusa: sono cioè a finale aperto (open-endecf). Ai narratari non vengono lasciate certezze su come proseguiranno le vicende dei protagonisti. Si tenga presente che l'espressione "a finale aperto" può essere utilizzata anche in riferimento a opere narrative la cui interpretazione è controversa, come avviene per l'Eneide di Virgilio: pura propaganda in favore di Augusto oppure velata critica ai modi, violenti e disinibiti, con cui Augusto aveva raggiunto il potere supremo? Un ultimo aspetto della narrazione che riguarda l'ordine è la tecnica delle trame multiple (multiple storylines ), che consiste nel raccontare le vicissitudini dei vari personaggi in momenti diversi. Se un narratore si sposta dalla trama A alla trama B, e dunque dal personaggio A al personaggio B, può spiegare che cosa sia avvenuto in B mentre egli si occupava di A, oppure può semplicemente dare per acquisito il tempo trascorso e riprendere con B al momento in cui ha lasciato A, come avviene nell'esempio ( 20). (20) Omero, Odissea 14, 52.3 e 15, 1-5:

wç Ò i,tÈv ev9' °001.IO'EÙç lCOLi,t~O'CtTO [... ]. ~ a' eiç eupvxopov Act.xeacdi,tovct. TTct.ÀÀ~ç M~V"I]

4'.>xeT', 'Oa1.1aa~oç i,teyct.91Ji,t01.I qict.[OLi,tOV 1.1lòv v6aT01.l 1J7l"Oi,tV~0'01.IO'C( lCct.L ÒTp1.1VE01.IO'ct. veea9ct.L. eiipe aÈ T"l]ÀEi,tct.Xov xal NfoTopoç iJ.yÀct.òv 1.1lòv euaoVT' év npoaòi,tC\> MeveÀiJ.01.11e1.1aaÀ[i,toto [... ].

Così, dunque, Odisseo si addormentò lì [... ]. Pallade Atena si recò a Lacedemone spaziosa per le danze, così da rammentare il ritorno al glorioso figlio di Odisseo magnanimo e stimolarlo a partire. Trovò Telemaco e lo splendido figlio di Nestore addormentati nell'atrio del glorioso Menelao [... ]. Dopo dieci libri (che coprono 31 giorni) finalmente il narratore torna a Telemaco, ma non si cura di dare ragguagli su che cosa sia avvenuto del giovane durante tutto il tempo trascorso nel frattempo. Passa invece, indisturbato e senza discontinuità, dal padre al figlio, entrambi addormentati.

4.5

Ritmo Una seconda importante differenza tra fabula e storia consiste nella loro rispettiva velocità. Se si può in effetti dare per scontato che nella 104

4. TEMPO

fabula i fatti prendano la stessa quantità di tempo che essi hanno nella vita reale, la loro durata nella storia può variare notevolmente: i narratori sono liberi di dedicare ai fatti un tempo più o meno lungo, o nessun tempo affatto. In proposito i narratologi utilizzano il termine "ritmo" (durata, velocità), con il quale viene definito il rapporto tra la quantità di tempo dedicata a un fatto nella storia (tempo della storia: TS) e la quantità di tempo dedicata a un fatto nella fabula (tempo della fabula: TF ). Per convenzione il tempo della storia si determina sulla base della quantità di testo dedicata ai fatti. In linea teorica il ritmo potrebbe realizzarsi in un infinito numero di possibilità. In pratica, però, le narrazioni si distribuiscono in due tipologie. Le scene, nelle quali i fatti sono raccontati dettagliatamente (ed è possibile che sia data voce ai personaggi stessi): esse si avvicinano alla durata dei fatti nel tempo reale - senza mai, naturalmente, arrivare a combaciare con essa (Ts ""'TF). I sommari, in cui gli eventi sono trattati rapidamente e con rapidi cenni (Ts < TF). Ecco un esempio (2.1), che permette di osservare la presenza di entrambe le tipologie. (2.1) Virgilio,Eneide 4, 189-2.06: haec tum multiplici populos sermone replebat gaudens, et pariter facta acque infecta canebat: venisse Aenean [... ] ; nunc hiemem inter se luxu, quam longa, fovere regnorum immemores turpique cupidine captos. haec passim dea foeda virum diffundit in ora. protinus ad regem cursus detorquet larban incenditque animum dictis acque aggerat iras.

[... ] isque amens animi et rumore accensus amaro dicitur ante aras media inter numina divum multa lovem manibus supplex arasse supinis: "Iuppiter omnipotens [... ]". Questa [la Fama] godeva a riempire le genti di discorsi disparati, e allo stesso modo cantava verità e menzogne: era giunto Enea [... ] ; adesso entrambi passavano, quanto è lungo, l'inverno nel lusso, immemori dei loro regni, presi da turpe brama. Questo l'ignobile dea, qui e là, diffonde sulle bocche degli uomini. Subito volge i passi al re Iarba, ne accende l'animo con dicerie e ne rinfocola le ire.[ ... ] E lui [Iarba], folle nell'animo e acceso dall'aspra notizia, si dice che di fronte alle are, tra i numi degli dèi, molto pregasse, supplice, Giove, volgendo le mani in alto: "Giove onnipotente[ ... ]".

105

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

Il narratore virgiliano utilizza lo stereotipo epico della Fama, che diffonde la notizia degli amori tra Didone ed Enea, come sommario da cui è suggerito il trascorrere di un considerevole lasso di tempo ( «quanto è lungo, l'inverno»). Subito dopo, quando la notizia raggiunge il re larba, si passa a una scena in cui è raccontata la reazione di Iarba, non priva di conseguenze sulla successione degli eventi. La scelta di un particolare ritmo può comportare effetti di notevole intensità, come si può vedere dall'esempio (22). (22) Tucidide, Storie 5, u6, 4: ol oè thrÉICTélVIXV Ml']ÀIWV oa-ouç ~~WVT/Xç eÀIX~OV, 'Tt/XlOIXç oè ICIXÌ '}'UV/XllCIXç ~vop1X1t60l TF ), e l' accelerazione (acceleration ), quando il tempo della storia si fa minore del tempo della fabula (TS < TF ). Partiamo da un esempio di decelerazione (23). (23) Omero, Iliade 4, 134-138: èv o' E'TtE KpolO''i) ò ovetpoç, wç cinoÀEEL fLlV ctLXfLfi O'lOYjpEn ~ÀYJ0EVTct. 0

(2) Subito, mentre dormiva, lo visitò un sogno, che cercava di mostrargli la verità dei mali futuri, prossimi ad abbattersi su suo figlio. Creso, infatti, ave5. Come si vede nel caso di Amasis in 3, 40, 2 e di Artabano in 7, 10, 2; cfr. Harrison (2000, pp. 39-40 ). 6. Per la stretta relazione tra il narratore erodoteo e Solone cfr. Stahl (1975, p. 7) e Shapiro (1996). Come notato da Szab6 (1978, p. 10 ), nella storia di Aci e Adrasto il narratore erodoteo per la prima volta chiarisce «i concetti formulati nell'episodio di Solone attraverso un esempio concreto». 7. Cfr. Harrison (2000, pp. 182-91); differentemente Frisch (1968, p. 209 ), secondo il quale l'espressione circostanziata (wç ehccxcrcu) servirebbe a Erodoto per evitare di collegare direttamente il sogno con la pericolosa affermazione di Creso, che si ritiene il più fortunato tra gli uomini.

7. NARRATOLOGIA E STORIOGRAFIA

va due figli, dei quali uno aveva serie difficoltà - era infatti sordo -, mentre l'altro era di gran lunga e da tutti i punti di vista il migliore tra i suoi pari. Il suo nome era Ati. Il sogno rivela a Creso che proprio questo suo figlio, Ati, egli deve perdere, perché colpito da una lancia di ferro.

L'azione vera e propria comincia con un sogno. L'avverbio «subito» (ctùTiJCct) può sembrare abbastanza neutro, ma in realtà collabora all' interpretazione che il narratore dà della vicenda, nella quale egli appunto riconosce un caso esemplare di vendetta divina: nella mentalità erodotea i sogni sono messaggi divini e l'arrivo di un sogno subito dopo la conversazione tra Creso e Solone, che aveva avuto come argomento principale la felicità ( a questo particolare frangente rinvia l'aoristo ÈVOfLIO'E), non può non rivelare la volontà degli dèi 8• I sogni sono un elemento ricorrente e caratteristico delle Storie di Erodoto. Nei sedici casi riferiti da Erodoto, il sogno può essere semplicemente menzionato come tale (così in 6, 118), anche se in genere esso si sviluppa in una scena tipica, che si distribuisce in tre fasi: il sogno vero e proprio; l'interpretazione datane dal sognante; la realizzazione. Si può pensare che Erodoto abbia derivato il motivo del sogno da Omero (suo modello da così tanti punti di vista) o dalle fonti orientali da lui utilizzate per la vicenda di Creso, oppure esso potrebbe essere interpretato semplicemente come la ricorrenza di un elemento universale, comune al racconto di ogni tempo e luogo 9 • Nella casistica erodotea il sogno può o presentarsi in forma di scena simbolica (il sognante vede qualcosa che ha appunto un valore simbolico) o coinvolgere un messaggero (il sognante è visitato da una figura onirica che gli comunica qualcosa), ovvero può consistere in una combinazione delle due possibilità'0. Come avviene per gli oracoli, anche i sogni sono di difficile interpretazione per il personaggio che ne è il destinatario all'interno della storia (il quale in genere li intende in modo errato). Ma anche i narratari, il più delle volte, non sono messi in condizione dal narratore di comprenderne il vero significato. 8. Cfr. Stein (1901, ad 34): «IXÙTlKIX òi si ricollega alla considerazione OTL ev6p.tO'E 6À~ .• in modo da mettere in rapporto l'evento passato con la punizione». 9. Per i sogni nell'antichità, cfr. Harris (loo9 ); specificamente in Erodoto, cfr. Frisch (1968); Lévy (1995); deJong (loo6). 10. Sogni con messaggero: 1, 34; l, 139; 141; S, ss·s6; 7, Il; 14; 17-18; sogni con scena simbolica: 1, 107; 108; lo9; 3, 1l4; 6, 107; 131; 7, 19; mescolanza di entrambi i tipi: 3, 30.

177

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

Il sogno di Creso rientra nella tipologia del messaggero: gli viene rivelato che suo figlio morirà per una lancia ma egli non è in grado di comprendere come questo evento possa realizzarsi. Il risultato è che Creso, interpretando in modo scorretto il sogno, prenderà misure precauzionali sbagliate, anzi, nocive. Questa incapacità del sovrano di cogliere il vero significato del sogno è rimarcata dal narratore con l'uso dell'imperfetto conacivo Eqic.ttvi: ( «il sogno cercava di mostrargli»)". Dunque, se prestano attenzione, i narracari possono intuire che Creso è destinato a fraintendere il sogno, ma, a parte questo accenno, anch'essi restano all'oscuro riguardo allo svolgersi degli eventi. L'unica certezza è che quanto comunicato dal sogno si realizzerà, dal momento che il narratore non solo ne definisce il messaggio come «la verità», ma utilizza anche il verbo !-(,D.Àw, a esprimere il destino di morte che attende Aci 12 • In genere !-(,D.Àw è seguito da un verbo di modo infinito o al presente o al futuro. L'infinito aoristo, qui utilizzato da Erodoto, è raro e comporta l'effetto di lasciare in dubbio quando l'evento ormai deciso dal destino si verificherà: potrebbe essere subito come anche in un indefinito momento del lontano futuro. Ciò è un fattore in più, che amplifica la suspense nei narratari, lasciati privi di una qualunque indicazione su quando la morte, ormai annunciata, avrà luogo. Va notato, inoltre, che il personaggio di Aci viene presentato in termini talmente positivi da non lasciare dubbi sul facto che sia lui il figlio prediletto del sovrano, per il quale la sua morte sarà un colpo terribile (e davvero, dunque, una «grande vendetta» sarà quella del dio). L'espressione «di gran lunga e da tutti i punti di vista il migliore tra i suoi pari» è anch'essa preparatoria riguardo alle azioni compiute dal giovane nel seguito del racconto: proprio per il fatto di non voler restare indietro ai suoi compagni, Aci incontrerà la morte (37, 1-3). Più cardi i narratari, una volta conosciuti i destini di Aci e del figlio muto - che per una volta soltanto riesce a parlare, salvando la vita del padre (1, 85, 4) -, potranno osservare il contrasto ironico era il figlio capace sì di parlare, ma le cui parole si riveleranno fatali, e il figlio muco, invece,

11. Cfr. Stein (1901, ad loc.): «ma inutilmente, da cui l'uso dell'imperfetto»; Szab6 (1978, p. 11). Cfr. 7rpoé~ixtvE in,, lIO,, e 3, 65, 4, anche in questi casi nel contesto di un sogno mal interpretato. Il. Per l'inesorabilità che è espressa dal verbo ftÉÀÀw, cfr. Rijksbaron (lOOl, pp. w3-4, nota l).

7. NARRATOLOGIA E STORIOGRAFIA

che parla una volta soltanto, ma in modo salvifico per il padre (Sebeok, Brady, 1979 ). 34, 3

(3) 6 Òè è1rEi-re è;riyep9YJ x:ctl twuTCfJ Àòyov eòwx:e, JCctTctppwò~crctc; TÒv ove1pov «yn·a.1 fLÈv T~ 71'«1òl yuvctTx:ct, èw96Tct òè cnpctTYjyÈe1v [LIV Twv Auòwv oùÒctfLfi fri è1rl TOIOlJTO 1rp~)'flct è;È7rEfL7rE, ax:ÒVTlct òè lCctl Òopa.Tlct !Cctl TIX TOlctlJTct 1raVTct TOl6TctTct q>epwv KEpOctVEElç 'Tl"ÀEIO"TOV". (1) Mentre si scava occupando del matrimonio del figlio, a Sardi giunge un uomo oppresso dalla sventura, con le mani impure, frigio per nascita, di sangue reale. Entrato nella casa di Creso chiedeva, secondo gli usi locali, che gli fosse fatta la purificazione, e Creso lo purificò. (l) La purificazione è assai simile tra i Lidi e gli Elleni. Dopo che Creso ebbe provveduto secondo il costume, si informava di dove venisse e chi fosse: (3) "O uomo, chi sei e da qual luogo della Frigia sei giunto supplice al mio focolare? Quale uomo o quale donna hai ucciso?". E lui rispose: "O re, io sono il figlio di Gordio figlio di Mida, mi chiamo Adrasto; poiché involontariamente ho ucciso mio fratello sono qui, scacciato da mio padre e privato di tutto". (4) Creso gli rispose con le seguenti parole: "Ti trovi a essere il discendente di amici e tra amici sei giunto, dove non ti mancherà nulla, se resti da me. Ne avrai un guadagno, se ti riuscirà di sopportare questa sventura nel modo più leggero possibile". Il racconto erodoteo prosegue con un evento che, inizialmente, sembra essere del tutto estraneo e irrelato: l'arrivo di uno straniero. Che però

14. C'è da osservare che il punto è evidentemente sfuggito ad Arieti (1995, p. 57 ), il quale sostiene che l'intenzione di Creso, facendo sposare il figlio, sia quella di as-

sicurarsi quanto prima un altro erede.

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7. NARRATOLOGIA E STORIOGRAFIA

esso abbia una qualche rilevanza è segnalato dal narratore attraverso un sottile indizio: l'uso del presence storico amKvée-rctt. I presenti storici sono un importante strumento con cui i narratori sono soliti richiamare l'attenzione dei narratari sui momenti decisivi dei loro racconci (momenti decisivi che non necessariamente segnano l'apice della scoria, ma possono anche, come in questo caso, preludere a esso: cfr. Sicking, Scork, 1997; Allan, 2.ou). Se si considera la scoria di Aci e Adrasto nel suo insieme, si può notare come sia proprio una successione di presenti storici a formare, per così dire, la spina dorsale del racconto, definendone le fasi decisive (34, 2.-3; 35, 1; 37, 1; 41, 1; 43, 2. [bis]; 45, 2.; 45, 3; 11 i casi sono evidenziati in grassetto). Il narratore rinvia l'esplicita menzione del nome dello straniero, limitandosi a presentarlo, in modo tutt'altro che rassicurante, come «un uomo oppresso dalla sventura» (35, 1): soltanto in un secondo momento il nome è rivelato, attraverso lo scambio di domanda e risposta nel discorso diretto. Questo ritardo e un cale accumulo di passaggi intermedi comportano come risultato che il nome, quando finalmente è reso noto ai narracari, attragga notevolmente l'attenzione su di sé. Per quanto il narratore non lo dica espressamente (come invece fa, in genere, il narratore omerico), il nome è parlante: Adrasto significa "senza scampo" (alpha privativo e didrasko, "corro"). La sua sventura, che non sorprende in chi ha un nome tanto impegnativo, consiste nell'involontaria uccisione del fratello: e presto lo vedremo precipitare, per la seconda volta, in un'analoga disgrazia. Il suo, perciò, è un caso paradigmatico dell'impossibilità, per gli esseri umani, di sfuggire al loro destino: una regola che, alla fine, si applicherà anche a un uomo ricco e potente come Creso. Il valore esemplare della figura di Adrasto si fa percepibile forse anche nell'allocuzione di Creso, che gli si rivolge con un generico «O uomo» ('Dv0pw-rre)' 6• Il consiglio che Creso dispensa ad Adrasto, affinché egli prenda la propria sventura quanto più alla leggera possibile, suona come uno stereotipo consolacorio' 7, ma acquista nel contesto uno speciale signi-

15. In Erodoto i verbi di dire sono spesso al tempo presence e, pertanto, non vengono qui presi in considerazione. 16. Diversamente Long (1987, p. 81), che collega "Dv9pwne con gli iiv9pwnot di 1, 34, 3 e suggerisce quindi che una cale allocuzione identifichi in Adrasto uno era i possibili responsabili della morte di Aci. 17. Cfr. ad esempio Euripide, Medea 1018: icoucjlwç cjlépm ... O"Uflcj)Opocç.

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

fìcaco, per il fatto di contenere il motivo ricorrente di questa scoria: crup.q,op~ (Hellmann, 1934, pp. 58-9; Rieks, 1975, pp. 40-1; Long, 1987, pp. 79-80 ). Il narratore erodoteo ricorre spesso alla ripetizione di una parola per valorizzare un tema di importanza cruciale. Nella scoria di Aci e Adrasto il termine crup.q,op~ conta non meno di sei occorrenze (35, 1, 4; 41, 1; 42, 1; 44, 2; 45, 1; i casi sono evidenziati in grassetto): il più delle volte esso ricorre in connessione diretta con Adrasto, ma una volta in connessione con lo stesso Creso, il che suggerisce un preciso nesso tra i loro destini (cfr. PAR. 7.4). Appare molto caratteristico di Creso, che è solito misurare la felicità in termini di beni materiali, l'uso di una metafora appartenente all'ambito del vantaggio economico: «Ne avrai un guadagno» (1eEpÒctvÉ.elç) (Arieti, 1995, p. 59). 36, 1-3

(I) 6 ftÈ.v ò~ ò(arnxv eìxe ÈV Kpo[crou, èv òè T0 ct1hciJ xp6vCp TOUTC\) èv T0 Mucr[Cp 'OÀuft'Tl'C\J ùòç XP~ftct ylve-r111 ftÈya· 6pftWftEvoç òè 01hoç è1e Toii opeoç TouTou Tà Twv M1.1crwv epyct Ò1ctq,0e[pecrJCE, 'Tl'OÀÀax1ç òè oi M1.1crol è'T!'' ctlJTÒV è;eÀ06vnç 'Tl'OIÈECTICOV ftÈ.v JCctJCÒV 01JOÈV, E'T!'ctcrxov òè 'T!'pòç ctlJTOii. ( 2.) TÈÀoç òè amJC6ftEVOl 71'ctpà TÒV Kpoicrov TWV M1.1crwv ayyeÀ01 eÀeyov Taòe· "w ~ctcr1Àeii, ùòç XP~ftct ftÈYLCTTOV aveq,tiv'Y] ~ftlV ÈV Tfi XWP!'J, oç Tà epyct Ò1ctq,8e[pe1. TOVTOV 7!'po0UftEOftEVOI ÈÀeiv OlJ 01.IVlXftE0ct. VVV WV 7!'poO'OE6fte0ti O'EO TÒV 'Tl'ctiÒct JCctl Àoytiòctç VE'Y]Vlctç JCctl JClJVctç 0'1.lft'Tl'Èft'fctl ~ftlV, wç av ftlV È;ÈÀWftEV ÈJC T~ç XWp'Y](. (3) o[ ftÈV O~ T01JTWV ÈOÈoVTO, Kpoiopjj Totijòe icexpYJfLÈVov otic6ç EO'TI èç ÒfL~À11ectç ElJ 7rp~O'O'OVTctç ievctt, OUTE TÒ ~o1JÀE0'0ctt 7!'(:tpct, 7l'OÀÀctXfi TE &v IO'xov ÈfLEWUT6v. ( l) viiv òil, e1refre O'ÌI 0'7l'Et1Òe1ç icctì Òei Tot Xctp1,e0'8ct1 (6q,eD.w yètp O'E l:tfLEl~E0'0ctt XPYJO'TOLO'L), 7t'OIEEIV EÌfLÌ ETOlfLOç TctiiTct, 7l'ctiòa. TE O'ÒV, TÒV OlctlCEÀEUEctl q,uÀ!lO'O'EIV, t:t7t'~fLOVct TOii q,uÀllO'O'OVTOç e'(veicev 7rpOO'OÒ1Cct TOI t:t7t'OVOO'T~O'ELV".

"w

( 41, I) Detto questo, Creso manda a chiamare il frigio Adrasto e al suo arrivo gli dice: "Adrasto, io ti ho purificato, quando eri stato colpito da una crudele sventura, di cui io non ti faccio colpa, ti ho accolto nella mia casa e copro tutte le tue spese: (l) adesso, dunque, tu hai il dovere di compensarmi con i tuoi favori, dal momento che io per primo ti ho aiutato, e perciò ti chiedo di fare da guardiano a mio figlio, che si sta preparando per la caccia, nel caso in cui durante il viaggio ladri e malfattori vi si facciano incontro a nuocervi. (3) È anche opportuno, inoltre, che tu vada dove puoi avere l'occasione di splendere

2.2.. Come osserva Hellmann (1934, pp. 62.-3), «la vittoria del figlio ne significa la morte; attraverso la bocca del figlio Creso è sconfitto dal dio e le sue contromisure ridotte a nulla».

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

nelle imprese. Questo corrisponde alle virtù paterne e tu stesso ne hai ancora la capacità". (4l, 1) Adrasto risponde: "O re, in altre circostanze non mi sarei impegnato in un tale agone: non sta bene, infatti, che un uomo colpito da una tale sventura stia in compagnia di compagni fortunati, né io vorrei farlo, e ci sarebbero varie ragioni a trattenermi. (l) Ora, però, dal momento che tu mi solleciti e bisogna che io ti compiaccia (ho il dovere, infatti, di compensarti con i miei favori), sono pronto a fare quanto chiedi; tu aspettati, allora, che tuo figlio, che tu mi esorti a proteggere, tornerà illeso per quanto sta nel suo guardiano".

Ancora una volta assistiamo al modo in cui Creso, cercando di evitare al figlio il suo destino ormai annunciato, fraintende il sogno (teme adesso che i banditi possano uccidergli il figlio) ed escogita altre contromisure che falliranno, e questa volta con risultati fatali: come guardiano del figlio si sceglie Adrasto. Il dialogo tra i due, in cui il sovrano avanza la sua richiesta, abbonda di ironia drammatica. Fin qui i narratari potrebbero ancora forse ignorare che la storia di Ati si concluderà con la sua morte, ma ora essi hanno la percezione di che cosa sta per succedere: Adrasto, senza volerlo, ucciderà il figlio di Creso. Così, dunque, il fatto che Adrasto sia lui stesso a utilizzare, riferendosi alle proprie vicende, la parola tematica O"Uflq>Op~ (O"t>flq>Opfl 7rE7rÀY])'fLÉVOV ixxapm) e la ripetizione del concetto che Adrasto, essendo in debito con Creso, debba ricambiargli il favore non preannunciano niente di buono, 3• La riluttanza di Adrasto ad accompagnare Ati nella caccia rimarca una volta di più quello che è il suo destino: fargli del male, ma non intenzionalmente. La solenne promessa che Creso rivedrà il figlio tornare da lui illeso, «per quanto sta nel suo guardiano», suona sinistra e fa pensare, in realtà, tutto l'opposto. 43, 1-3

(1) TOLOUTOLfLEV ÒpWfLEVOI. ~Vò' èi-yx:oc; lifLq,[x:p'l]fLVOV, UOIXO'I Òta~poxov, 7tEUICIXIO'I 0'1.IO'ICla~ov, ev0tX fLIXtvaòec; ICIX0~VT• EX01.IO'IXI XElptXç ÈV TEp7tVOlç 7tÒVOlç. IXL fLÈV -yocp IXlJTWV 0upaov èx:ÀeÀomÒTIX 1055 ICIO'O'ci> ICOfL~T'l]V tXù0tc; è;tXvfonq,ov, IXL èx:ÀmoiiO'IXI 7tOIICtÀ' wc; 7tWÀOI ~1.1-yoc ~IXICXEIOV aVTÈICÀIX~OV aÀÀ~ÀIXtç fLEÀoç.

ovx

o'

Come prima cosa prendemmo posizione su una costa erbosa, stando attenti a mantenere silenziosi i nostri passi 1050 e le nostre lingue, affinché vedessimo senza essere visti. Lì c'era una gola con i lati scoscesi, attraversata da acque, riparata dall'ombra dei pini, dove le menadi stavano sedute occupando le mani in piacevoli lavori. Alcune di loro intrecciavano di nuovo la chioma 1055 di edera sul tirso' che l'aveva perduta, altre, come puledre liberate dal giogo, cantavano in risposta tra loro un gioioso canto bacchico. 0

Il messaggero, Penteo e lo «straniero» /Dioniso notano dunque le menadi mentre se ne stanno assise nella valle: in questo modo possono facilmente osservarle dall'alto. Il messaggero utilizza forme plurali di prima persona (è~É~l']fLEV, ela-e~aÀÀofLEV, \tofLEV, opctJfLEV ), che hanno l'effetto di suggerire che la focalizzazione tanto sul paesaggio quanto sulle menadi sia quella di loro tre. Le particelle f.1,Èv oùv, però, già alludono a una qualche forma di contrasto. Lo si scoprirà in 1058-1062, quando riuscirà evidente che c'è una netta disparità tra quel che Penteo non vede e quel che, invece, il messaggero vede distintamente. Come avviene di consueto quando il paesaggio è focalizzato dai personaggi, troviamo l'imperfetto (~v) (de Jong, 2001, ad 5, 63-75). Quel che il messaggero vede e descrive (dal punto di vista della sua focalizzazione di esperiente) è una scena tranquilla, che ha luogo in un locus amoenus, con alberi, ombre e acqua. Egli arriva anche a definire esplicitamente le attività delle menadi come «piacevoli lavori». Così, egli guarda alle 10. Il thyrsos è il tipico bastone delle menadi e del culto bacchico: esso consiste di un fusto, coperto con serti di edera e culminante con una pigna.

209

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

menadi senza il pregiudizio di Penteo e le vede in una luce positiva, come già aveva fatto, precedentemente, il primo messaggero ( 68 3-6 8 8):

685

685

riùòov òè TitiO'OCl O'Wf.LOCCTlV m.tpElf.LEVOCl, ocì f.LÈV 7rpòc; ÈÀchric; VC)T' épe[CTOCCTIXl q,6~YjV, ocì ò' ÈV òpuòc; q,vÀÀOlCTl 7rpòc; TIEO'¼) X:llprx eix:ij ~ocÀouaoct crwq,p6vwc;, ovx wc; crù q,iJc; c;ivwf.Levocc; x:prxT~pl x:ocl ÀwTou t-64>'¼> 0ripav x:oc0' UÀYjV KvTiplv ~pYjf.LWf.LEVctc;.

Dormivano tutte, rilassate nel corpo, le une con la schiena appoggiata ai rami di un pino, le altre a terra con la testa su foglie di quercia, abbandonate a caso, ma con grazia e non, come tu dici, ubriacate dal vino e dal suono del flauto, ognuna per sé a cercare l'amore nel bosco.

I narratari primari, però, nel rammentarsi del netto cambiamento dalla quiete all'aggressività che aveva caratterizzato quello stesso discorso del primo messaggero, potrebbero ascoltare ora le parole del secondo messaggero con qualche apprensione: non sarà che le menadi stiano risistemando i tirsi rovinatisi perché utilizzati come armi d'offesa contro gli abitanti del posto ( 762-764)? Anche il paragone con puledre libere dal giogo ha l'effetto di rimarcare come le donne abbiano abbandonato la loro normale collocazione nella società: si sono lasciate alle spalle la casa (32; 36), le consuete occupazioni (118) e i bambini (702). 1058-1062

0ev0eùc; o' ÒTÀ~f.LWV 0~ÀUV OVX Òpwv OXÀOV è'Àe;e TOLaò'· "'D ;h', oìi f.LÈV foTctf.LEV 1060 oùx: é;tx:vOUf.Lctl f.LOCVlllOWV ocrcrotc; vfowv· ox0wv ò' fo' àf.L~àc; éc; ÉÀiiTYjV Ù'f'OCVXEVOC lOOlf.L' &v 6p0wc; f.LCllVllOWV aicrxpoupy[ocv".

Ma Penteo, infelice, non vedendo la folla femminea disse così: "Straniero, da dove ci siamo messi, w6o non riesco a seguire con gli occhi le insane follie menadiche. Ma se salgo su di un pino dall'alto collo, sulle rive potrei vedere per bene le turpi azioni delle menadi". Ma che cosa vede Penteo? Potrebbe essere che Dioniso, volendo sempre più intrappolarlo, non gli faccia vedere nulla (esattamente come prima

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8. NARRATOLOGIA E DRAMMA

gli ha fatto vedere doppio: 918-922), così che, per riuscire a osservare le menadi, Penteo finirà per scegliersi una posizione esposta. In questo caso 0YjÀuv oux 6pwv oxÀov va inteso nel senso di « non vedendo la folla femminea [che invece il messaggero vedeva bene]» Molti commentatori, però, optano per un'altra interpretazione: Penteo è venuto ad assistere alle perversioni sessuali delle menadi (riguardo a cui era stato informato soltanto per sentito dire: 216-225) e, dunque, la vista rassicurante delle donne intente a danze e canti pacifici non corrisponde alle sue aspettative. Bisognerebbe credere, allora, che effettivamente le menadi appaiano ai suoi occhi: ciò che non vede, dunque, è un'orda impazzita di donne o, come lui stesso dice, «le insane follie menadiche»n. Un argomento a favore di questa interpretazione è la natura paradossale del desiderio di Penteo di vedere « per bene» (òp0wç) le « turpi azioni» (cdcrxpoupy{ctv) delle menadi. Ma qualunque tra le due interpretazioni si scelga, resta vero che il messaggero, quando chiama Penteo «infelice» anche se non è ancora successo nulla, per un istante utilizza la propria conoscenza ex eventu. Egli già sa che il desiderio del suo signore di osservare attentamente le menadi finirà per riuscirgli fatale. Dichiarando l'intenzione di salire su di un pino «dall'alto collo», Penteo introduce una metafora destinata a ripetersi più volte durante l'intero racconto del messaggero, cioè quella dell'albero come cavallo e di Penteo cavaliere (cfr. 1072, dove lo «straniero»/Dioniso si preoccupa che l'albero non disarcioni Penteo seduto sulla sua schiena (1074), e 1107-1108, dove Penteo è definito «l'animale che si è arrampicato», TÒV tXf-1-~liTYjV 0~p' ). Va forse interpretata, questa, come una prima indicazione del fatto che la battaglia immaginata da Penteo contro le menadi (che presumibilmente apparteneva alla tradizione più antica della storia di Penteo)' 3 avrà effettivamente luogo, anche se è stata per il momento 11



11. Il termine oxÀoç non comporta necessariamente una connotazione negativa, come si desume dal facto che il coro lo abbia utilizzato nella sua descrizione delle menadi tebane sulla montagna. 12.. Cfr. Winnington-Ingram (1948, p. 12.9): «Questo non è quel che Penteo è venuto a vedere - e che non gli riesce di vedere». Questa interpretazione è seguita da Dodds (1960) e Seaford (1996, ad loc.). È opportuno notare che la doppia visione di Pente o nei vv. 918-92.2., quando finalmente « vede quel che dovrebbe vedere», è la più vicina che gli riesca di raggiungere alla prospettiva dionisiaca: Penteo non «vede con gli occhi della fede» (Gregory, 1985, p. 2.9). 13. Si rammenti la dichiarazione di Penteo di voler fare guerra alle menadi nei vv. 778-786 e, ancor prima, l'annunzio di Dioniso, il quale si era detto pronto a schierarsi

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I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

sostituita da una missione di spionaggio. Presto le menadi utilizzeranno (di nuovo) i tirsi come armi (1098-1100) e alzeranno grida guerriere di trionfo ( 1133). 1063-1074

TOÙVTEii9ev ~0'1] TOlJ ç!V0V 9cttif.LctCT9' opw• Àct~wv yàp eÀctT'l]ç oùpctvtov &icpov icÀctoov 1065 icctT~yev ~yev ~yev eç f.LÉÀctv 'TTEÒov· ICtilCÀOVTO o' WCTTE T6çov ~ !CtipTÒç Tpoxòç T6pv'!) ypctq>6f.LEVOç 'TTEptq>opàv ÉÀticoòp6f.LOV" wç icÀwv' opetov 6 ;iv0ç xepoiv &ywv EICl:tf.l'TTTEV eç y~v, epyf.LctT' oùxì 9v'l]TIX Òpwv. 1070 nev9ect ò' !òpucrctç eÀctTlVWV o,wv em 6p9òv f.LE9tel OllX xepwv ~ÀctCTT'l]f.l' IXVW chpEf.Lct, cj>vÀctcrcrwv f.l~ àvctXctlTtcrete vtv, 6p9~ o' eç 6p9òv cti9ep' ECTT'l]pt,ETO exoucrct VWTOtç OECT'TT6T'l]V eq>~f.LEVOV. Da qui in poi io vedo cose straordinarie dello straniero: avendo afferrato la sommità di un alto ramo di pino, 1065 lo tirava giù, lo tirava, lo tirava fìno al nero suolo: quello si incurvava come un arco o come una ruota arrotondata quando viene tracciata con il compasso la sua circonferenza'•. Così lo straniero con le mani tirava giù l'albero montano e lo piegava fìno a terra, compiendo azione non mortale. 1070 Avendo collocato Penteo sui rami del pino, egli prese a lasciar andare il ramo verso l'alto, delicatamente, preoccupandosi che esso non lo disarcionasse, ed esso si innalzò dritto nel puro cielo, tenendo il mio signore seduto sulla schiena.

Il messaggero è giunto a un punto importante del racconto e ne dà esplicita indicazione sia attraverso una precisa indicazione temporale (TOÙVTeu0ev ~ÒY])' 1 sia attraverso il riferimento al proprio ruolo di focalizal suo fianco nel caso in cui Penteo avesse deciso di prendere le armi contro le menadi (50-54). Anche nelle pitture vascolari Penteo è rappresentato in armi mentre combatte contro le menadi; per una discussione cfr. Seaford (1996, ad 50-52.). 14. Sia il cesto che l'interpretazione di 1066-1067 sono assai discussi; seguo qui il cesto di Diggle, ma per una approfondi ca disamina rinvio a Rijksbaron (1991, ad loc.). 15. Cfr. ad es. 760: o{nrep TÒ Òmòv ~v 0eaft' iòeiv, «poi ci fu quel terribile spettacolo»; Euripide, Medea 1167: Toùv0evòe f(ÉVT01 Òe1vòv ~v 0éaft' iòeiv, «quel che avvenne

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8.

NARRATOLOGlA E DRAMMA

zatore, rimarcato dall'uso del presente storico (6pw). L'evento miracoloso dello straniero che piega un albero fino a terra è valorizzato da un' abbastanza netta composizione ad anello (0r.tU(llXCT0' ~ gpwa-r' oùxì 0v'Y]Tét): risulta chiaro che da qui in poi il messaggero comincia a sospettare che lo straniero possa essere un dio e non un comune mortale. Ma soprattutto il messaggero lascia intendere l'importanza di quel che sta avvenendo attraverso un rallentamento nel ritmo narrativo: l'attimo fatale in cui Penteo sale sull'albero e l'azione del dio che tende e lentamente rilascia l'albero occupano assieme non meno di undici versi (Buxton, 1991, p. 45). La triplice ripetizione òp06v, òp0~, òp06v in 1071-1073 vuole forse richiamarsi al desiderio di Penteo di vedere le menadi òp0wç (1062.), sottolineando che questo «per bene» ha avuto un esito rovinoso per volontà del dio, che lo ha fatto sedere in alto ( in modo da rendersi ben visibile)' 6• C'è da chiedersi se i narratari non debbano riconoscere in Penteo, assiso su di un pino che si innalza (é.o-T'Y]pl,e-ro) verso il cielo, il riecheggiamento ironico della promessa di Dioniso, che aveva dichiarato di volergli donare appunto « una gloria che si innalza [O"T'Y]pl,ov] fino al cielo» (972.) (Winnington-Ingram, 1948, p. 12.9, nota 2.). 1075-1094

wcj>0Yj OÈ fL!iÀÀO'\I ~ KCtTEIOE fl(tl'\ltlOctç" é5a-ov yàp oii-rrw ÒYjÀoc; ~v Sticrcrwv étvw, 1wc; OEOE)'f,LE'\IC(l ECTTYJcrav 6p9al 1ct[ov( et! òè. µup[ctv xepct IIIO 7rpoa-é9eO"ct'V EÀa.Tn x:a;ctVEG'7rctG"ctV x9ov6ç. 1095

1095

IIOO

1105

Appena videro il mio signore seduto su di un pino, ali' inizio pietre, scagliate con forza, gli gettarono, essendo salite su di una roccia che torreggiava di fronte, ed egli fu bombardato [alla lett. colpito da giavellotti] con rami di pino, e altre lanciarono i tirsi nell'aria contro Penteo, misero bersaglio, ma non lo raggiunsero. Per il fatto di occupare una posizione più in alto del loro ardore, egli sedeva, l'infelice, intrappolato nell'impotenza. Alla fìne, facendo forza con rami di quercia, cercavano di tirar via le radici con quelle leve non di ferro. Ma poiché non arrivavano al risultato dei loro sforzi, Agave diceva: "Avanti, stando in cerchio afferrate il tronco, menadi, affinché catturiamo

2.16

8. NARRATOLOGIA E DRAMMA

l'animale che si è arrampicato e non riveli le danze segrete del dio". Ed esse diecimila mani mo posero sull'abete e lo spinsero fuori della terra. Nel racconto dell'aggressione a Penteo si fa adesso evidente che la focalizzazione è quella del messaggero: non si comprenderebbe altrimenti il compianto per l'infelice Penteo (ò TÀ~f!WV) e il terribile destino che si sta abbattendo su di lui (cn6xov Òt1CTTYJVOv). Anzi, l'appellativo di Òecr7r6TYJV, riferito a Penteo, mostra come il messaggero si stia intromettendo nella focalizzazione delle menadi (paralessi): queste, infatti, non possono certo sapere chi abbiano di fronte. La focalizzazione del messaggero si fa percepire anche in un modo più sottile e implicito, cioè attraverso l'uso sistematico delle metafore militari: le menadi occupano una «roccia che torreggiava di fronte», cioè una roccia che aveva una funzione analoga a quella delle torri utilizzate negli assedi (Roux, 1970-72., ad 1095-1098), e scagliano rami d'albero e tirsi come fossero giavellotti. Da qui in poi il messaggero si allinea al giudizio del tutto negativo sulle menadi che caratterizza dal primo minuto Penteo, il quale già in precedenza aveva analogamente insistito sul loro comportamento bellicoso, presentandole «armate di tirsi» (733), capaci di attaccare il bestiame «con mano priva di ferro» (736) e di assaltare i villaggi come «truppe nemiche» (752.-753). In questa fase del racconto così drammaticamente intensa il messaggero ricorre al discorso nel discorso, il che significa che i narratari adesso "ascoltano" la voce dei protagonisti della storia da lui raccontata. La conseguenza è che il racconto, inserito in un'opera drammatica, torna a convertirsi, di nuovo, in azione drammatica. In primo luogo, il messaggero riporta le parole di Agave, che esorta le compagne a sradicare il pino e a catturare l'animale selvaggio che vi si nasconde. La sua focalizzazione su Penteo è duplice: lo vede al contempo sia come un animale sia come un essere umano che potrebbe svelare i riti di Dioniso. Alcuni studiosi hanno cercato di attenuare la forza di 0~pct intendendolo come un termine offensivo o metaforico, destinato soltanto più tardi a diventare allucinazione vera e propria. Ma fenomeni di sdoppiamento nella visione sono caratteristici della vertigine o follia dionisiaca: in 918-92.2. Penteo vede due soli, una doppia Tebe e soprattutto scambia lo «straniero» per un toro; similmente, nel discorso del primo messaggero, le donne in preda alla follia menadica allattavano gazzelle e cuccioli di leone, probabilmente scambiandoli per i loro figli. Dunque,

2.17

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

è molto probabile che fìn dall'inizio Agave stia scambiando Penteo per un animale o una preda da cacciare (cfr. 1137-1147) ovvero una vittima da sacrificare (cfr. m1-11l4). IIII-Il24

vtoii òè 0àcrcrwv vt60ev Xctf!-CUptq>~c; 'lt'L'lt'Te.t 7rpòc; ot'iòac; fl-Upiotc; oifu.:.>-yf!-apovoiicr' & XP~ cj>poveiv, ÈK BaKxiou 1alpL~e crapica nev9ewç.

112.5 Prese con le braccia la sua mano sinistra, e puntando i piedi sul fianco dell'infelice gli strappò la spalla, non per sua forza ma un dio aggiunse potenza alle sue mani. E lno agiva sull'altro lato, 1130 strappando le carni, Autonoe e tutta la folla delle baccanti faceva ressa: era tutto un clamore confuso, lui gemeva fin quando riuscì a respirare, quelle facevano il grido di giubilo. Una portava con sé un braccio, l'altra un piede con tutti i calzari, i fianchi 1135 erano smembrati dallo sparagmos e ogni donna, con le mani insanguinate, giocava a palla con le carni di Penteo.

Nei discorsi del messaggero, Euripide mostra in genere una certa propensione per le scene sanguinose e raccapriccianti. Così, questa descrizione dello sparagmos subito da Penteo (esplicitamente definito come tale in 1135: crnctpct)'!,tOtç) potrebbe essere paragonata al modo in cui la carne della giovane sposa di Giasone viene consumata dal veleno messo sul suo mantello da Medea (Medea 1185-1202), ovvero al particolare del sangue versato dai piccoli figli di Eracle, colpiti dalle sue frecce, che insozza le colonne (Eracle 977-1000 ). Troviamo qui altri elementi che sono risultati già chiari dalla nostra analisi: la focalizzazione simpatizzante, operata dal messaggero sul suo signore (-rou ÒucrÒctt!,tovoç); la forza dionisiaca che anima e sostiene le menadi, rendendo loro tutto facile (eÙ!,ttXpetctv); e, infine, la rappresentazione in termini mili tari delle menadi da parte del messaggero (~ÀliÀct~ov) 17• 1137-1147 ICElTlll OÈ xwpìç CTWf,Lll, TÒ f,LÈV imò CTTUcjlÀoLç nhpaLç, TÒ o' Ù'ÀYJç èv ~aeu~UÀ(il qi6~n. où p~OlOV ~~TYJf,lll" icpaTa o' èi9Àtov, 1140 onep Àa~oiicra TlJ')'XaVel f,l~TYJ p xepoTv,

27. Cfr. Seaford (1996, ad 1133): «Esso [~Àa.Àa~ov] compare spesso come grido di vittoria in guerra e quindi rappresenta qui una tra le molte espressioni da cui si capisce che le menadi stanno assumendo un ruolo maschile. Sono divenute dei cacciatori - anzi dei guerrieri».

2.2.1

I CLASSICI E LA NARRATOLOGIA

7r~;ctcr' è1r' ctx:pov 0upcrov wç ÒpecrTÉpou ~Épe1 ÀÉoVToç òià K10a1pwvoç fLÉCTOu, Àmovcr' a.ÒeÀ~àç ÉV xopOlCTI fLctlVctÒWV. xwpet ÒÈ 0~p~ ÒUCT7rÒTfL't) )'cttipOUfLÉVl'] 1145 TELXÉWV fow Twvò', tivctx:ctÀovcrct Ba.x:x1ov TÒV ;u)'X:UVct)'OV, TÒV ;uvep)'ctTl']V ct)'pctç, TÒV x:aÀÀ[v1x:ov, c;> Mx:puct VIX:l']~opet.

Il corpo giace sparso, parte sotto aspre rocce, parte nel ficco fogliame del bosco, ricerca non facile. L'infelice testa, 1140 che la madre si è ritrovata ad avere tra le mani, l'ha conficcata sulla sommità del tirso e, come fosse di un leone montano, la porta nel mezzo del Cicerone, avendo lasciato le sorelle tra i cori delle menadi. Esultante per la sua preda sventurata 1145 sta entrando nelle mura della città, mentre invoca Bacco, "compagno di caccia", "collaboratore alla cattura", "splendido vincitore": anche se riporta vittoria di lacrime.

Il messaggero conclude il suo resoconto con una "coda': che consiste nella descrizione della situazione per come appariva ai suoi occhi quando ha lasciato la "scena del delitto" per tornare a riferire su quanto avvenuto. Ciò comporta il passaggio dalla dimensione del tempo raccontato al momento attuale, che è quello in cui avviene il racconto: il corpo di Penteo giace smembrato e Agave è sulla via che porta al palazzo (Allan, 2009, p. 197 ). L'osservazione del messaggero secondo cui il corpo di Penteo è ridotto a où p~OLOV ~~Ti']fLct ( «ricerca non facile») si riferisce a ciò che resta da fare: raccogliere le sue spoglie e riportarle indietro; ciò che presto, come verremo a sapere, Cadmo farà ( 1216-1220): foecr0É fLOL ~Épovnç &0Àtov ~apoç TTev0Éwç, foecr0e, 7rpÒCT7rOÀOL, ÒftWV 7rctpoç, OV CTWftct ftOX0wv fttiplotç ~l']T~ftctCTLV ~Épw T6ò', eùpwv èv Kt0ctipwvoç muxaiç 12l0 ÒtctCT7rctpctx:TÒV x:oùòèv ÉV TctÙTWL 7rÉÒou.

12w

Seguitemi, portando il peso infelice di Penteo, seguitemi, servi, davanti la casa: questo suo corpo io porco, soffrendo per infinite ricerche, dopo averlo trovato tra le balze del Cicerone, fatto a pezzi e non nello stesso luogo.

222

8.

NARRATOLOGIA E DRAMMA

Le « infinite ricerche» che hanno fatto tanto patire Cadmo corrispondono alla «ricerca non facile» nelle parole del messaggero. Nella descrizione dello stato mentale che affligge Agave la focalizzazione simpatetica del messaggero, già emersa (forse) in 1117, quando l'aveva definita pietosamente TÀ~f.LWV, si fa adesso del tutto evidente: Agave, ancora presa nella morsa della follia menadica, pensa di aver catturato un animale selvaggio (cfr. 1138: 0~p'), cioè un leone (cfr. u90; u96; 1215; 1278), ed è estremamente compiaciuta per il successo della caccia e per l'assistenza ricevuta da Dioniso. La metafora della caccia è fondamentale nelle Baccanti: per prima cosa abbiamo Penteo (e i suoi servi) che danno la caccia, riuscendo infine a catturarlo, allo « straniero lidio» e alle sue seguaci prese dal furore menadico (228; 352; 434; 451; 719; 732; 866-871); quindi Cadmo avvisa Pemeo del fatto che potrebbe andare incontro allo stesso destino del cacciatore Atteone, sbranato dai cani mangiatori di carne cruda che lui stesso aveva nutrito (337-340); il coro più tardi fa sapere che i ruoli si sono invertiti e che Dioniso adesso «getterà sul cacciatore della baccante una rete mortale» (1020-1021); e adesso assistiamo ad Agave che si comporta come una cacciatrice. Per il personaggio Agave, tuttavia, non si tratta di metafora, ma di realtà: davvero crede di essere una cacciatrice cui è riuscito di catturare un animale selvaggio. Il suo stato allucinatorio proseguirà sulla scena (cfr. 1171; 1182-1183; 1189; u93; 1196; 1203; 1237; 1241) - senza che il coro la smentisca, tutt'altro (spec. 1200-1201) - fin quando Cadmo, infine, la farà tornare in sé (1277-1284): Kci.ÒfLOç Ayav~ Kci.ÒfLOç 12.2.0 j\yav~

Ttvoç 1rp60"w1rov Ò~T• iv !iyxci.Àatç EXEtç; ÀeoVToç, wç y' E