I caratteri della modernità: parlano i classici. Marx, Engels, Durkheim, Simmel, Weber, Elias

Table of contents :
Copertina
Frontespizio
Copyright
Indice
Luci ed ombre della modernità
Karl Marx e Friedrich Engels
Émile Durkheim
Georg Simmel
Max Weber
Norbert Elias
Per concludere
Parte prima: Karl Marx e Friedrich Engels
1 La città, la divisione del lavoro e la nascita dell’economia moderna
2 Il lavoro moderno come lavoro alienato
3 La società moderna come teatro dello scontro tra borghesi e proletari
Parte seconda: Émile Durkheim
1 La modernità come progressiva affermazione della solidarietà organica e del diritto restitutivo
1. La coscienza collettiva
2. La natura del diritto penale nelle società premoderne e in quelle moderne
3. Il diritto penale e la solidarietà meccanica
4. Il diritto restitutivo e la solidarietà organica
5. L’uniformità delle coscienze e la divisione del lavoro sociale
6. La progressiva preponderanza della solidarietà organica e le sue conseguenze
2 Modernità e disuguaglianza
1. L’organizzazione anomica del lavoro
2. La divisione coercitiva del lavoro
3. Il contratto nelle società moderne
Parte terza: Georg Simmel
1 Il denaro come metafora della modernità
1. L’oggettività del valore economico
2. Lo sviluppo del carattere puramente simbolico del denaro
3. Assenza di carattere e oggettività della vita
4. Il duplice ruolo dell’intelletto e del denaro: sovrapersonali in relazione al contenuto, individualistici ed egoistici in relazione alla funzione
5. Il calcolo come essenza dell’epoca moderna
6. Il denaro come portatore delle relazioni impersonali tra gli uomini e quindi della libertà individuale
2 La metropoli come metafora della modernità
Parte quarta: Max Weber
1 La riforma protestante e la nascita del capitalismo moderno
1. Il capitalismo moderno come forma inedita di comportamento economico
2. Come considerare la relazione tra orientamenti etici e comportamenti economici
3. Lo spirito del capitalismo, ovvero: l’etica professionale
4. La predestinazione e la sollecitudine del credente. Ovvero: cosa ha a che fare l’etica protestante con lo spirito del capitalismo
5. La professione come vocazione
6. Ascesi e spirito capitalista
7. La gabbia d’acciaio
2 La modernità e il processo di burocratizzazione
1. Il funzionamento della burocrazia moderna
2. I caratteri del funzionario moderno
3. I presupposti sociali ed economici della burocrazia moderna
4. Il potere della burocrazia
3 La modernità: un’epoca senza Dio e senza profeti
Parte quinta: Norbert Elias
1 Sociogenesi dello stato moderno
1. Il meccanismo della monopolizzazione
2. La regolamentazione della competizione e la nascita dei regimi democratici
2 Psicogenesi dell’uomo moderno
1. Dalla costrizione sociale all’autocostrizione
2. Il controllo della violenza nelle società moderne
3. Fra costrizione e autocostrizione
3 La concezione e l’organizzazione del tempo dalle società primitive a quelle moderne
1. Di cosa si parla quando si parla di tempo
2. L’organizzazione sociale del tempo
3. L’esperienza del tempo dalle società primitive a quelle moderne
Gli eventi che hanno accompagnato l’avvento della modernità
1400/1500 XV-XVI secolo: le origini della modernità
La rivoluzione culturale: la civiltà umanistico-rinascimentale
La rivoluzione tecnico-scientifica
La rivoluzione politica: formazione degli stati nazionali
La rivoluzione della geopolitica: la scoperta del mondo extraeuropeo
La rivoluzione economica: la nascita del capitalismo
La rivoluzione religiosa
La rivoluzione scientifica
1600-XVII secolo: la preparazione alla modernità. La rivoluzione geopolitica europea
La rivoluzione sociale
La rivoluzione nel campo delle scienze esatte
La rivoluzione inglese
1700 – XVIII secolo: l’esplosione della modernita
La rivoluzione industriale
La rivoluzione americana
La rivoluzione francese
La rivoluzione culturale: l’Illuminismo
1800-XIX secolo: la metamorfosi della modernita
La seconda rivoluzione industriale
Le rivoluzioni sociali
La rivoluzione culturale: il Romanticismo
Profili d’autore
Karl Marx
Friedrich Engels
Émile Durkheim
Georg Simmel
Max Weber
Norbert Elias
Quarta di copertina

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Lessico sociologico 2

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I caratteri della modernita`: parlano i classici Marx, Engels, Durkheim, Simmel, Weber, Elias a cura di Anna Rita Calabro`

ISSN 1972 - 036X

Liguori Editore

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Indice

1

Luci ed ombre della modernita` di Anna Rita Calabro` Parte prima: Karl Marx e Friedrich Engels

85

Capitolo primo La citta`, la divisione del lavoro e la nascita dell’economia moderna

97

Capitolo secondo Il lavoro moderno come lavoro alienato

109

Capitolo terzo La societa` moderna come teatro dello scontro tra borghesi e proletari ´ mile Durkheim Parte seconda: E

121

Capitolo primo La modernita` come progressiva affermazione della solidarieta` organica e del diritto restitutivo

145

Capitolo secondo Modernita` e disuguaglianza Parte terza: Georg Simmel

167

Capitolo primo Il denaro come metafora della modernita`

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187

Capitolo secondo La metropoli come metafora della modernita` Parte quarta: Max Weber

201

Capitolo primo La riforma protestante e la nascita del capitalismo moderno

219

Capitolo secondo La modernita` e il processo di burocratizzazione

231

Capitolo terzo La modernita`: un’epoca senza Dio e senza profeti Parte quinta: Norbert Elias

241

Capitolo primo Sociogenesi dello stato moderno

253

Capitolo secondo Psicogenesi dell’uomo moderno

267

Capitolo terzo La concezione e l’organizzazione del tempo dalle societa` primitive a quelle moderne * * *

279

Gli eventi che hanno accompagnato l’avvento della modernita` di Simona D’Arienzo

293

Profili d’autore di Simona D’Arienzo

I miei ringraziamenti vanno ad Alberto Izzo per il suo incoraggiamento, ad Antonio Tosi per l’idea, a Maurizio Merico per la sua amicizia e a Dario Verderame per il suo aiuto (a.r.c.).

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Luci ed ombre della modernita` di Anna Rita Calabro`

Luci e ombre, vincoli e risorse, timori e speranze, rischi e promesse. Ovvero come i classici del pensiero sociologico interpretano il passaggio dal medioevo all’epoca moderna e i grandi cambiamenti che, a cavallo tra l’ottocento e il novecento, come uomini vivono e come scienziati sono chiamati ad interpretare. Alcune pagine di grande sociologia, una disciplina che, come afferma Weber, non puo` ne´ prevedere ne´ condizionare il futuro, ma certamente puo` offrire preziosi strumenti per rintracciare i legami con il passato, indicare le insidie e le opportunita` che offre il presente, disegnare possibili scenari futuri.

Karl Marx e Friedrich Engels Si puo` leggere Karl Marx in molti modi e secondo molteplici prospettive: e` stato economista, filosofo, sociologo, storico. Il grande Max Weber ammise con onesta` il debito di riconoscenza che qualsiasi intellettuale del novecento gli deve. Ma lo scienziato non era neppure la meta` di Marx perche´ Marx era prima di tutto un rivoluzionario, dira` Engels al cimitero di Highgate, nel discorso pronunciato alla morte dell’amico. Rivoluzionario nella forza radicale delle sue idee capaci di immaginare un mondo diverso. Si puo` amare o odiare Marx, condividere o criticare il suo pensiero, idealizzare o esecrare la sua figura. Una cosa, certamente, non si puo` fare: ignorarlo. Qualcuno ha detto che il mondo si divide in marxisti e antimarxisti: un’affermazione poi non cosı` esagerata se pensiamo alla straordinaria diffusione che hanno avuto i suoi scritti, capaci di raggiungere realta` geografiche e culturali tra loro lontanissime, a quanto si e` combattuto, lottato,

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I   :   

fatto in nome delle sue idee, per combattere tali idee, o, semplicemente, prendendole a pretesto. Provate a leggere queste pagine di Karl Marx e quelle scritte con Friedrich Engels, suo fedele compagno, dimenticando per un momento tutto quello che sapete o credete di sapere su di lui. E poi dimenticate la caduta del muro di Berlino (o meglio, dimenticate che c’e` stato un muro di Berlino) e il buio dei regimi totalitari di ispirazione comunista e, senza pregiudizi, provate a capire perche´ la lettura di queste pagine ha ispirato a tanti il bisogno di lottare per la giustizia sociale e la liberta`. Provate a cogliere nelle sue parole, e nelle parole del suo amico di sempre, la passione politica, la coerenza, la sete di giustizia, la ribellione verso i soprusi sui piu` deboli e tutte le forme di prevaricazione. E` stato Engels a scrivere che la prima forma di sfruttamento nella storia e` stata quella dell’uomo sulla donna. Si puo` leggere Marx in molti modi e secondo molte prospettive. La strada che vi suggerisco e` quella piu` semplice e immediata, certamente inadeguata a dar conto della complessita` dei suoi scritti ma efficace per capire perche´ Marx e` stato il piu` prolifico pensatore del novecento. Uso il termine prolifico nel vero senso del termine: da lui, infatti, discendono generazioni di intellettuali che hanno operato nelle rispettive discipline in maniera incisiva e innovativa. Penso, giusto per fare qualche nome tra i piu` grandi, a Reich e Fromm per la psicoanalisi, ma anche il nostro italiano Basaglia; Marcuse, Adorno e gli altri della scuola di Francoforte per la filosofia e le scienze sociali; e poi Gramsci, Luka´cs, Althusser, Foucault, Lacan, Sartre e molti, molti altri ancora non solo in campo politico ed economico ma anche nell’arte, nella poesia, nella letteratura... Sembrerebbe, allora, che l’eredita` di Marx non sia tanto nei contenuti del suo pensiero (per molti aspetti complesso e raffinato, per altri prigioniero di una pesante forma di determinismo) quanto nella passione con cui esprimeva tale pensiero, nella tenacia con cui lo perseguiva e nella forza con cui dichiarava i suoi intenti: svelare l’inganno che priva l’uomo della sua liberta`, sciogliere l’incantesimo che impedisce la consapevolezza di tale schiavitu`, sognare, e osare, l’utopia di un mondo di eguali per dignita` e diritti. Un’eredita` che, in questo senso e per queste ragioni, oggi e` ancora preziosa. Marx, che per lunghi tratti del suo cammino e` stato accompagnato da Engels, punta il dito con decisione contro la modernita`

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L    

che identifica con il capitalismo e del capitalismo, egli, diventa il critico piu` spietato. Neanche lui, pero`, puo` non vedere l’incantesimo che la modernita` sa esercitare e ne coglie in questo senso la sua profonda ambivalenza: la modernita` contiene al suo interno le condizioni e le premesse per un mondo dove gli uomini, consapevoli di se stessi, possono davvero diventare artefici del proprio destino ma, nello stesso tempo, offre armi sofisticate e terribili a coloro che perseguono intenti di potere e dominio; la scienza promette vittorie impensabili sulla natura ma la poverta` sembra divorare il destino di troppi. E mentre gli altri grandi sociologici del novecento rimangono all’interno di questa ambivalenza e, giustamente, lasciano aperto l’orizzonte futuro, Marx non intende lasciarsi catturare da tale fascinazione. Marx non salva nulla del presente, non ha dubbi sul futuro, non ha rimpianti per il passato. La forza e insieme la debolezza del suo pensiero sono entrambi nella tenacia con cui egli persegue la sua utopia: il presente, la modernita`, e` per lui solo il palcoscenico dove si svolge l’ultimo atto di una partita iniziata all’alba della storia, il preludio di un finale gia` scritto che non puo` piu` essere cambiato. Il capitalismo, che e` la forma piu` raffinata ed avanzata di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, porta in se´ i germi della propria distruzione. Implodera` nel momento in cui i proletari prenderanno coscienza della propria condizione, si riconosceranno l’un l’altro e, riconoscendosi, riconosceranno la propria forza rivoluzionaria. E` il capitale stesso, che li sta concentrando nelle citta` e nelle fabbriche moderne, a rendere possibile l’incontro. Un divenire inevitabile che trova nell’antagonismo tra sfruttati e sfruttatori la sua necessita` e il suo motore. Un divenire di cui Marx si fa profeta. Un profeta che parla parole di scienza laddove la scienza, secondo l’insegnamento positivista (pur verso il quale Marx si mostra critico), e` la sola in grado di leggere in modo oggettivo la realta`. Marx elabora, infatti, una sua teoria scientifica – il materialismo dialettico o materialismo storico – che spiega le leggi che governano il cambiamento sociale e guidano il processo storico. Leggi che riguardano le interdipendenze reciproche e il conflitto tra: forze e mezzi di produzione, modi e rapporti di produzione, struttura e sovrastruttura. Classe sociale, ideologia e alienazione rappresentano le parole chiave per accedere alla comprensione di tale teoria.

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I   :   

Il materialismo e l’idealismo, suo contrario, sono concetti filosofici che hanno entrambi radici nell’antica filosofia greca. Il primo vede nella materia, nella concretezza dei corpi tangibili e delle loro proprieta` fisiche (la forma, la posizione nello spazio e nel tempo...) l’unica realta` esistente, la causa, materiale appunto, di tutto cio` che esiste anche a livello mentale e spirituale. Una filosofia a cui si contrappone quella idealistica che afferma il primato del pensiero e dello spirito sull’esistente e nega l’indipendenza della realta` esterna dal soggetto conoscente. Se non esistesse il pensiero, non esisterebbe la realta`: la realta` e` una creazione del pensiero e qualsiasi processo conoscitivo deriva dall’intuizione, da parte dell’uomo, di Dio. Una prospettiva che Marx rielabora sulla base delle critiche avanzate da Feuerbach (caposcuola ideologico della sinistra hegeliana, 1804-1872) nei confronti dell’idealismo hegeliano e a favore di un materialismo che poneva al proprio centro il concetto di uomo come essere naturale e sensibile cui tutto va ricondotto. Tutto, compreso lo stesso significato di Dio. Illusoria dunque la contrapposizione tra l’uomo e il divino: Dio non e` altro che la rappresentazione di quei caratteri della natura umana (la conoscenza, frutto del pensiero, il carattere, frutto della volonta` e l’amore, frutto della forza del cuore) di cui l’individuo non e` consapevole e che, per tale ragione, attribuisce erroneamente ad un’entita` sovrannaturale. Ragione, amore e volonta` sono, infatti, le perfezioni ideali che la religione assegna a Dio. Dio non e` altro che la proiezione fantastica della realta` umana, dei suoi bisogni, i suoi desideri, le sue potenzialita`: solo prendendo coscienza di tale meccanismo l’uomo potra` riacquistare coscienza di se stesso. Feuerbach, per usare le parole di Marx, ritiene che l’idea della filosofia speculativa non `e altro che un travestimento metafisico del Dio della religione. Marx riprende tali idee e concepisce l’essenza stessa dell’uomo inscindibilmente connessa all’attivita` lavorativa che egli compie e che, nelle forme che essa assume, determina la realta` storicosociale di un epoca. In tal modo il materialismo diventa materialismo storico: il fondamento, cioe`, per interpretare la storia. Cio` significa che la storia deve essere compresa a partire dai suoi presupposti materiali, vale a dire dal fatto che l’uomo per vivere deve lavorare e lo fa in un contesto sociale e nell’ambito delle relazioni che sono determinate dalla struttura economica. Per spiegare il mondo, per catturare il significato di cio` che esiste, per distinguere cio` che reale da cio` che e` pura speculazione, non

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L    

bisogna partire da quello che gli uomini credono e pensano di se stessi, del mondo tangibile e di quello trascendente, ma da quello che essi fanno e da come sono collocati all’interno della struttura dei rapporti sociali di produzione. Tutto il resto – la cultura, le istituzioni sociali, la religione, i sistemi normativi... in altre parole l’insieme delle istituzioni sociali – e` decifrabile solo a partire dalla realta` dei rapporti economici. Tutto il resto, per tale ragione, va considerato come sovrastruttura. Un edificio costruito per soddisfare le esigenze delle forze produttive che, nei vari momenti storici, governano e danno ordine alla societa`. Di volta in volta la classe al potere usa l’arma dell’ideologia, e cioe` l’insieme delle rappresentazioni e razionalizzazioni illusorie della realta`, per legittimare se stessa e convincere le classi oppresse della necessita` dell’ordine che le opprime. Come Feuerbach, Marx pone dunque la sua filosofia sotto l’insegna del materialismo ma il suo confronto con Hegel e` complesso e strettamente connesso all’idea che egli ha della storia, della societa`, del conflitto. In una sorta di rapporto speculare che rimanda le immagini rovesciate, Marx si riferisce alla dialettica hegeliana nel mettere a punto la sua teoria che e` infatti conosciuta anche come materialismo dialettico. Hegel (1770-1831) contrappone i limiti della realta` alla perfezione dell’assoluto. Un assoluto che non deve essere inteso come Dio trascendente, ma come puro pensiero, immanente all’uomo, sostanza del reale. L’intelletto riuscira` a cogliere l’assoluto attraverso un processo dialettico di superamento della contraddizione tra i limiti della realta` e l’ideale infinito, tra il concreto e l’astratto. Un processo che si evolve di stadio in stadio, sino alla sintesi finale. Marx riconosce l’eredita` della dialettica hegeliana, ne fa suo il meccanismo, ma ne rovescia totalmente il significato. Alla fine del processo Hegel, che riconduce tutta la realta` nel pensiero, trova l’assoluto nella sua realta` metafisica; Marx restituisce all’uomo la consapevolezza di se stesso nella realizzazione di una societa` senza classi. Per quanto Hegel deformi la dialettica con il misticismo, nondimeno e` stato lui a illustrarne per primo il meccanismo globale. In Hegel la dialettica sta a testa in giu`. Bisogna rimetterla in piedi per 1 scoprire la razionalita` nascosta sotto l’involucro mistico. 1

K. Marx, Il capitale, libro I, “poscritto” alla seconda edizione.

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I   :   

Per Hegel la realta` storica e` definita dal fatto che ogni epoca esprime, nell’insieme dei suoi costrutti culturali e sociali, uno spirito popolare (lo stesso linguaggio comune usa il termine spirito di un’epoca per indicare quei tratti che caratterizzano un particolare periodo storico). Tale spirito non e` altro che il prodotto, l’incarnazione che di volta in volta assume lo spirito assoluto del mondo, la vera essenza dell’uomo. C’e` dunque una contraddizione perenne tra l’essere in se´ dello spirito assoluto e le forme fenomeniche storiche che esso stesso produce, tra il finito e l’infinito, tra l’imperfetto e il perfetto. Tale contraddizione rappresenta il motore stesso dell’evoluzione storica perche´ tende alla perfezione dello spirito assoluto e spinge verso un continuo superamento dello status quo. In cio` consiste il progresso: un processo storico che conduce l’umanita` a stadi sempre piu` alti di liberta` fino alla sintesi finale in cui non ci sara` piu` alcuno scarto tra immanente e trascendente, tra tesi e antitesi. Sono la religione e la filosofia, in quanto elaborazioni speculative e prospettive etiche, a rappresentare il livello di consapevolezza che, di volta in volta, ciascuna civilta` ha di se stessa. Qualsiasi istituzione sociale e culturale (dall’arte alla letteratura, dalla politica all’economia) dipende, nei suoi caratteri, dal livello che, nel corso della storia, assume tale consapevolezza. Via via che mutano le rappresentazioni religiose e le interpretazioni filosofiche della realta` fisica e di quella metafisica, si trasformano anche le istituzioni. La storia complessiva dell’umanita` va dunque ricondotta alla filosofia e alla religione. Anche Marx ritiene che ciascuna epoca della storia esprima un suo carattere e che le istituzioni sociali e culturali formino, nella loro totalita`, un’unita` complessa. Tale unita` non presenta pero` alcun carattere etico, mistico o trascendente ma possiede tutta la concretezza delle relazioni economiche che, in ciascuna epoca, sussistono tra gli individui. Dei modi, cioe`, in cui gli uomini soddisfano i propri bisogni materiali, lavorano e scambiano i prodotti del proprio lavoro. Le relazioni economiche rappresentano l’edificio all’interno del quale si collocano i singoli individui, la struttura che sorregge qualsiasi altra istituzione sociale e culturale e che da essa deriva e dipende. Come Hegel, anche Marx ritiene che la storia sia un processo evolutivo che si sviluppa di stadio in stadio e che il motore di tale processo, la spinta che ne provoca il movimento, derivi da una fondamentale contraddizione. Ma tale contraddizione non e`, come

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L    

sostiene Hegel, tra l’imperfezione della natura e lo spirito assoluto che vi si manifesta via via, bensı` tra le strutture materiali proprie di ciascuna epoca (l’infrastruttura) e le istituzioni che tali strutture determinano (la sovrastruttura). L’evoluzione progressiva – che per Hegel e` determinata dall’atto creativo dello spirito assoluto che emana da se´ il suo altro, e cioe` la natura – si traduce, secondo il linguaggio di Marx, nel progressivo sviluppo di tecniche produttive nuove e nella conseguente definizione di rapporti di produzione diversi. C’e` cambiamento ogni volta che si crea un conflitto che contrappone da una parte l’insieme delle forze (le risorse materiali disponibili) e dei mezzi di produzione (le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnici), e dall’altra i rapporti di produzione (le relazioni di lavoro all’interno delle singole unita` produttive, i rapporti di mercato, l’ordinamento della proprieta`). Quando, in altre parole, lo sviluppo dei primi e` ostacolato dalla struttura dei secondi. Da una iniziale societa` senza classi (un comunismo primitivo in cui la terra era di tutti e ciascuno si procacciava i mezzi per la propria sussistenza) si e` passati alla societa` schiavistica. Cio` accadde nel momento in cui l’evoluzione dei modi di produzione (la nascita dell’agricoltura e della pastorizia) consentı` una maggiore produttivita` del lavoro e fu possibile mantenere, senza che lavorassero, prima i sacerdoti (che esercitavano anche le funzioni politiche) e i soldati e i poi i guardiani degli schiavi. Si creo` in tal modo la proprieta` privata di beni materiali e di uomini (che, in quanto schiavi, possono essere considerati l’equivalente moderno dei mezzi di produzione), nacquero le citta`, dove si concentrava il potere religioso, politico e militare e si realizzo` la divisione del lavoro tra citta` e campagna. La societa` si divise cosı` in classi e cioe` in gruppi ciascuno dei quali composto da individui che occupano la stessa posizione all’interno della struttura dei rapporti di produzione. La storia di ogni societa` esistita sinora e` storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri di corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi sono sempre stati in conflitto tra loro, hanno sostenuto una lotta incessante, a volte occulta, a volte palese, una lotta che si e` sempre conclusa o con una trasformazione rivoluzionaria dell’intera societa` 2 o con la comune rovina delle classi in lotta. 2

In questa antologia, p. 109.

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I   :   

La lotta fra le classi divenne essa stessa il motore del cambiamento poiche´ in essa si rispecchiava il contrasto tra le forze produttive e i rapporti di produzione. Ogni cambiamento nei modi di produzione e nelle istituzioni sociali che ci fu nella storia vide una nuova classe emergente, che rappresentava le forze produttive che si facevano innanzi imponendo nuovi rapporti di produzione, soppiantare la vecchia classe dominante, che rappresentava rapporti di produzione e di proprieta` propri ad un sistema produttivo ormai obsoleto. E cosı`, in virtu` dello stesso meccanismo, si passo` dalla societa` schiavistica a quella medioevale e poi a quella industriale manifatturiera e da quest’ultima a quella capitalistica... ...i mezzi di scambio e di produzione sulla cui base si eresse la borghesia, vennero prodotti in seno alla societa` feudale. A un certo stadio di sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio le condizioni nelle quali la societa` feudale produceva e scambiava, ossia l’organizzazione feudale dell’agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti di proprieta` feudali, non corrisposero piu` al pieno sviluppo delle forze produttive. Ostacolavano la produzione anziche´ promuoverla. Si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate e furono spezzate.3

Ogni volta che si presentava un contrasto, una contraddizione tra le modalita` di lavoro legate allo sviluppo della tecnologia da una parte e la proprieta` dei mezzi di produzione e l’organizzazione del lavoro dall’altra, tale contraddizione produceva un ulteriore aumento della produttivita` umana, un ulteriore progresso delle forze produttive che, a loro volta, creavano un modo nuovo di strutturare le relazioni sociali e organizzare la societa`. L’affermazione della borghesia – il passaggio cioe` da un tipo di produzione prevalentemente agricolo e artigianale ad un altro di tipo industriale – significo` la disgregazione dalla societa` medievale, del suo sistema di valori, della sua struttura economica e di potere. La borghesia, aprendo le porte alla modernita`, ha svolto nella storia un ruolo altamente rivoluzionario, ha spazzato via ogni vincolo di subordinazione legato alla tradizione, ha fatto giustizia dello sfruttamento mascherato da illusioni religiose e politiche lasciando

3

Ivi, p. 113.

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valere altro legame tra uomo e uomo all’infuori del nudo interesse, dello spietato “pagamento in contanti”. L’organizzazione dell’industria, sino a quel momento feudale e corporativa, non basto` piu` a soddisfare le necessita` che crescevano insieme ai nuovi mercati. Subentro` la manifattura. I maestri di bottega vennero rimpiazzati dal ceto medio industriale; la divisione del lavoro tra le diverse corporazioni cedette il posto a quella che si determino` all’interno del singolo opificio. Ma piu` crescevano i mercati, piu` cresceva la domanda. Anche la manifattura non era piu` sufficiente. Il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. Alla manifattura subentro` la grande industria moderna, al ceto medio industriale succedettero i milionari dell’industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi 4 moderni.

Ma, sostiene Marx, e` ormai arrivato il momento in cui la classe degli imprenditori non rappresenta piu` un fattore progressista e l’economia capitalista, basata sulla proprieta` privata dei mezzi di produzione e sul profitto, diventa un vincolo per lo sviluppo di nuove modalita` di produzione basate sulla eliminazione della proprieta` privata e sulla proprieta` collettiva dei mezzi di produzione. L’antagonismo tra capitale e lavoro che caratterizza la societa` borghese, trovera`, attraverso la lotta di classe rivoluzionaria, la sua soluzione nella societa` socialista. Lo sviluppo della grande industria toglie quindi di sotto i piedi della borghesia il terreno sul quale essa produce e si appropria dei prodotti. Prima di ogni cosa essa produce i suoi becchini. Il suo 5 tramonto e la vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili.

L’avvento della modernita` ha dunque segnato la nascita di due classi sociali antagoniste: i capitalisti che hanno la proprieta` dei mezzi di produzione e i proletari che non posseggono nulla se non la propria forza lavoro. Questi ultimi stanno sviluppando la propria coscienza di classe consapevoli della comune appartenenza e dell’unita` dei propri interessi. Nel linguaggio marxista, stanno trasformandosi da classe in se´ a classe per se´. Diventeranno in tal modo protagonisti del cambiamento rivoluzionario dell’intera so4 5

Ivi, p. 110. Ivi, p. 118.

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

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cieta`, al termine del quale ciascuno avra` superato la propria alienazione e vedra` se stesso in un mondo fatto da lui. Il pensiero fondamentale cui si informa il Manifesto – che la produzione economica e la struttura sociale che necessariamente ne consegue formano, in qualunque epoca storica, la base della storia politica e intellettuale dell’epoca stessa; che, conforme a cio`, dopo il dissolversi della primitiva proprieta` comune del suolo, tutta la storia e` stata una storia di lotte di classe, di lotta tra classi sfruttate e classi sfruttatrici, tra classi dominate e classi dominanti, in diversi gradi dello sviluppo sociale; che questa lotta di classe ha ora raggiunto un grado in cui la classe sfruttata e oppressa (il proletariato) non puo` piu` liberarsi dalla classe che la sfrutta e l’opprime (la borghesia), senza liberare anche a un tempo e per sempre, tutta la 6 societa` dallo sfruttamento e dall’oppressione.

Il concetto di alienazione – e cioe` l’estraniazione del soggetto da se stesso – rappresenta uno dei concetti chiave del pensiero di Marx, il quale lo deriva sia da Hegel che da Feuerbach. Per Hegel tale estraniazione si verifica quando lo spirito assoluto, immanente all’uomo, si pone come oggetto dando origine alla natura e alla storia e si supera dialetticamente nel momento in cui lo stesso spirito si riappropria della sua creatura, torna in se stesso e diventa soggetto autocosciente, in se´ e per se´, fino a raggiungere il sapere assoluto. Feuerbach, nella sua critica ad Hegel (la cui filosofia, egli sostiene, e` una teologia mascherata, una filosofia, cioe`, che, nonostante lo neghi, di fatto si rifa` al concetto di Dio) parla invece di alienazione per indicare la proiezione che l’uomo fa di se` nell’illusoria immagine di Dio. Per superare la propria alienazione l’uomo si deve riappropriare di quei caratteri – ragione, amore e volonta` — di cui si e` espropriato nel momento in cui, senza rendersene conto, ha creato un’idea perfetta di divinita` e a tale idea si e` sottomesso. Solo prendendo coscienza di cio` egli potra` ricostituirsi come essere naturale nel suo rapporto positivo con la natura e gli altri uomini. Per Marx, Hegel ha avuto il merito di porre il lavoro al centro del processo di autogenerazione dell’uomo, laddove il lavoro mette in gioco l’essere umano nella sua totalita`. Ma da qui in avanti le loro 6

Prefazione di Engels all’edizione tedesca del 1883 del Manifesto del partito comunista, trad. it. di P. Togliatti. Ed. Riuniti, Roma, 1944, pp. 39-40.

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strade si dividono. Per Hegel la storia e` la storia dell’autocoscienza: solo lo spirito rappresenta la vera essenza dell’uomo e la forma piu` alta dello spirito e` il pensiero logico. Il superamento della contraddizione servo-padrone non significa, come sostiene Marx, la ribellione del servo nei confronti del padrone e la liberazione dalla schiavitu`, bensı` si traduce nella consapevolezza che l’uomo, schiavo o padrone che sia, e` sempre e comunque interiormente libero e, in ragione di cio`, partecipa dello spirito assoluto. In Hegel, dunque, il superamento dell’alienazione corrisponde ad un’operazione del tutto speculativa. Ma, per contro, anche Feuerbach rimane, secondo Marx, su un piano esclusivamente metafisico che riconduce l’uomo alla sua essenza naturale e lo riduce a specie come generalita` interna, muta. Dentro la natura, ma fuori dalla storia. Marx no. Marx non ci sta. Marx, che come dira` Engels sulla tomba dell’amico, era prima di tutto un rivoluzionario, non si puo` certo accontentare di una prospettiva filosofica e metafisica. Per Marx l’uomo non puo` essere concepito ne´ come astratta coscienza, ne´ come essere naturale. L’uomo `e un essere naturale e storico al tempo stesso, dice Marx e se, come afferma Hegel, l’essenza dell’uomo e` nel lavoro, e` del lavoro che l’uomo e` stato espropriato, alienato, estraniato. Ormai egli lavora per vivere e non capisce che e` il lavoro ad essere la vita. La sua vita. In che cosa consiste l’espropriazione del lavoro? Primieramente in questo: che il lavoro resta esterno all’operaio, cioe` non appartiene al suo essere, e che l’operaio quindi non si afferma con il suo lavoro, bensı` si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, bensı` mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito. L’operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori del lavoro, e fuori di se´ nel lavoro. A casa sua egli e` quando non lavora e quando lavora non lo e`. Il suo lavoro non e` volontario, bensı` forzato, e` lavoro costrittivo. Il lavoro non e` quindi la soddisfazione di un bisogno, bensı` e` 7 soltanto un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni a esso.

Alienazione vuol dire dunque lavoro estraniato e cioe` lavoro reso estraneo al lavoratore. Lavoro venduto sul mercato come una merce. Lavoro comprato dal capitalista. Lavoro disumanizzato. 7

In questa antologia, p. 100.

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Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini, il lavoro non produce soltanto merci; esso produce se stesso e il lavoratore come una merce, precisamente nella proporzione in cui esso produce merci in genere.8

Per Marx il lavoro espropriato si declina secondo quattro caratteristiche: in primo luogo come estraniazione dal prodotto del lavoro, in secondo luogo come estraniazione dall’attivita` lavorativa, poi come estraniazione dall’essenza umana e infine come estraniazione dall’altro uomo. Prima caratteristica: il lavoro e` espropriato perche´ il prodotto del lavoro e` stato sottratto al lavoratore da una logica economica che ne ha fatto merce. La merce ha perso il suo valore d’uso legato alla sua effettiva utilita` e, con la mediazione del denaro, e` diventata puro mezzo di scambio. Non solo il lavoratore non si riconosce piu` nella sua creazione, nel prodotto del suo lavoro, ma dipende da quella sua stessa creazione per vivere, per ottenere i mezzi per la propria sussistenza. E piu` produce piu` diventa povero, poiche´ non e` suo cio` che egli produce. Non possiede il materiale per il suo lavoro, non possiede i mezzi per la propria sussistenza e poiche´ sia l’uno che gli altri appartengono al mondo della natura, al mondo esterno sensibile, e` della coscienza di aver forgiato la natura e il mondo che il lavoratore e` stato derubato. Povero materialmente, povero spiritualmente. L’operaio sta in rapporto al prodotto del suo lavoro come ad un oggetto estraneo. Poiche´ e` chiaro, per questo presupposto, che quanto piu` l’operaio lavora tanto piu` acquista potenza il mondo estraneo, oggettivo, ch’egli si crea di fronte, e tanto piu` povero diventa egli stesso, il suo mondo interiore, e tanto meno egli possiede... mette nell’oggetto la sua vita, e questa non appartiene 9 piu` a lui, bensı` all’oggetto.

Seconda caratteristica: il lavoro e` espropriato perche´ il lavoratore e` stato derubato dell’atto di produzione e cioe` della stessa attivita` lavorativa. Egli non e` piu` colui che, attraverso il lavoro, compie un atto creativo, costruisce il mondo oggettivo, ma e` solo uno strumento per raggiungere obiettivi che gli sono estranei. 8 9

Ivi, p. 97. Ivi, p. 98.

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Il lavoro resta esterno all’operaio, cioe` non appartiene al suo essere, e che l’operaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensı` si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, bensı` mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito... Il lavoro non e` quindi la soddisfazione di un bisogno, bensı` e` soltanto un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni ad esso.10

Terza caratteristica: ridotto a strumento di produzione il lavoratore disconosce la sua stessa essenza umana, la sua appartenenza al genere presente e vivente. Perde la capacita` di comportarsi verso se stesso come verso un essere universale e percio` libero. Cio` che distingue, infatti, l’uomo dall’animale e` proprio il fatto che per il primo, al contrario del secondo, l’attivita` vitale, e cioe` l’attivita` produttiva, la lavorazione della natura inorganica, e` un’attivita` consapevole e libera. In tal modo l’uomo crea la natura e se ne appropria. Egli vive della natura inorganica sia dal punto fisico che spirituale. La natura e` il suo corpo. Ne e` creatura e creatore. Ma il lavoro alienato rende l’uomo estraneo alla natura e dunque, ancora una volta, estraneo a se stesso, alla dimensione universale della propria specie. Egli non e` piu` un uomo e diventa come un animale e come un animale si procaccia il cibo esclusivamente per istinto di sopravvivenza. Quarta caratteristica: come ultima conseguenza dell’estraniazione dell’uomo dalla sua attivita` vitale, e` l’alienazione dell’uomo dall’uomo. Alienato dal suo lavoro l’uomo non e` piu` in grado di riconoscere se stesso e dunque non e` piu` in grado di riconoscere l’altro da se´ e se´ nell’altro; come non e` piu` in grado di riconoscersi nel proprio lavoro, non e` piu` in grado di riconoscere il lavoro altrui. Quando l’uomo sta di fronte a se stesso, gli sta di fronte l’altro uomo, cio` che vale del rapporto dell’uomo al suo lavoro, al prodotto del suo lavoro e a se stesso, cio` vale del rapporto dell’uomo all’altro uomo, e al lavoro e all’oggetto del lavoro dell’altro uomo.11

Lavoro alienato dunque, lavoro espropriato. Ma espropriato da chi? Per chi?

10 11

Ivi, p. 100. Ivi, p. 103.

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

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Quando egli sta in rapporto, dunque, al prodotto del suo lavoro, al suo lavoro oggettivato, come ad un oggetto estraneo, nemico, possente, da lui indipendente, sta in rapporto ad esso cosı` perche´ un altro uomo, a lui estraneo e nemico, possente, indipendente da lui, e` il padrone di questo oggetto. Quando egli si rapporta alla sua propria attivita` come ad un’attivita` non libera, si rapporta ad essa come ad un’attivita` al servizio, sotto il dominio, la costrizione e il giogo di un altro uomo.12

Per Marx i rapporti sociali non sono che rapporti economici e dunque rapporti tra classi antagoniste: da una parte la classe operaia (compresi i salariati agricoli) che produce plusvalore, dall’altra la classe dei capitalisti (a cui si affianca quella dei proprietari terrieri) che, sfruttando il lavoro salariato, si appropria del surplus prodotto. Modi e misure cambiano a seconda delle diverse fasi di sviluppo del sistema. I costi giornalieri di mantenimento della forza – lavoro e il dispendio giornaliero di questa sono due grandezze del tutto distinte. La prima determina il suo valore di scambio, l’altra costituisce il suo valore d’uso. Che sia necessaria una mezza giornata lavorativa per tenerlo in vita per ventiquattro ore, non impedisce affatto all’operaio di lavorare per una giornata intera. Dunque il valore della forza-lavoro e la sua valorizzazione nel processo lavorativo sono due grandezze differenti. A questa differenza di valore mirava il capitalista quando comperava la forza-lavoro.13

L’accumulazione del profitto e` il motore della societa` capitalista. Il lavoratore non e` altro che uno strumento per la produzione e la produzione non ha altro fine che l’accumulazione crescente e infinita del capitale. Per Marx l’avvento della modernita` corrisponde alla nascita della borghesia che, con tutto il suo potere rivoluzionario, mina le basi della societa` feudale, spazza via la struttura economica che la sorreggeva e con essa le sovrastrutture culturali e di potere che ne costituivano l’edificio. La borghesia ha svolto nella storia un ruolo altamente rivoluzionario. La borghesia, dovunque e` giunta al potere, ha distrutto 12 13

Ivi, p. 104. Il Capitale, Libro primo, cap. V, § 2.

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tutti i rapporti feudali, patriarcali, idilliaci. Ha lacerato spietatamente tutti quei variopinti vincoli che nella societa` feudale legavano l’uomo ai suoi naturali superiori e non ha lasciato valere altro legame tra uomo e uomo all’infuori del nudo interesse, dello spietato ‘pagamento in contanti’. Ha annegato nella gelida acqua del calcolo egoistico i fremiti santi dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco, del sentimentalismo piccolo-borghese. Ha fatto della dignita` personale un valore di scambio e al posto delle innumerevoli franchigie ben documentate e faticosamente acquisite ha messo la sola liberta` di commercio priva di scrupoli. In una parola, al posto dello sfruttamento mascherato da illusioni religiose e politiche, ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto, indifferente.14

A partire dalIa nascita delle citta` in epoca medioevale, in un processo inesorabile guidato da un meccanismo preciso come quello di un orologio, gli eventi si susseguono disegnando via via, prima sfumati e poi con contorni sempre piu` netti, i caratteri della societa` moderna all’interno della quale il capitalismo nascente svolge il ruolo di deus ex machina. E dopo, una volta che l’economia capitalista si e` affermata nell’occidente europeo, con lo stesso fatale determinismo, con la stessa assoluta determinazione, la borghesia costruisce un mercato mondiale, priva l’industria della sua base nazionale, crea una reciproca dipendenza universale tra le nazioni, tanto nella produzione materiale quanto in quella spirituale, si allarga al resto del mondo e costringe tutte le nazioni, se non vogliono andare in rovina, ad adottare il modo di produzione borghese, le obbliga a introdurre a casa loro la cosiddetta civilta`, cioe` a diventare borghesi. In una parola, scrivono Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista, essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza. La borghesia, con le sue potenti armi economiche, e` la modernita`. Ma ormai la borghesia assomiglia allo stregone che non sa piu` controllare le potenze sotterranee da lui evocate. Troppo vorace, troppo potente, troppo opulenta. Soffocata dalla sua stessa sovrapproduzione. La grande industria mangia la piccola e media industria cosicche´ i ceti medi vanno ad ingrossare le file del proletariato. All’interno della societa` capitalista si palesano via via i caratteri e i presupposti per l’avvento della societa` comunista e una nuova 14

In questa antologia, p. 111.

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classe, il proletariato, svolge lo stesso ruolo rivoluzionario che aveva svolto la borghesia all’interno della societa` feudale: abbattere il vecchio e affermare il nuovo. Ma questa volta sara` l’ultima volta. Dal momento in cui il proletariato sconfiggera` il capitalismo e spazzera` via la proprieta` privata, non ci saranno piu` nella storia sfruttati e sfruttatori, ma solo uomini liberi.

E´ mile Durkheim Certamente Durkheim non vede la modernita` come il luogo dell’utopia rivoluzionaria che avrebbe spazzato via ineguaglianze e ingiustizie. Durkheim, semmai, teme che il vento di cambiamento che, alle soglie del ventesimo secolo, sta investendo le societa` occidentali possa trasformarsi in vento di tempesta. Un vento che distrugge e non garantisce che un nuovo ordine possa ricostituirsi. Tutta la sociologia di Durkheim esprime il desiderio di ordine e di unita` del corpo sociale. Egli e` preoccupato per la situazione politica e morale del suo paese ed e` convinto che sia compito della scienza, nello specifico la scienza della societa`, rifondarne l’ordine politico e civile. Durkheim guarda al presente con l’intenzione di rintracciare, nello squilibrio dell’innovazione, i segni del nuovo equilibrio, di descrivere, nel disordine del cambiamento, i caratteri del nuovo ordine emergente e, nell’incertezza che tale cambiamento comporta, indirizzarne gli esiti. Convinto che la societa`, un’entita` sui generis che prescinde le singole individualita`, sia cosı` forte da sopportare qualsiasi trasformazione, anche la piu` radicale, convinto che essa sia cosı` assoluta nella sua necessita` da poter ricomporre l’insieme funzionale di tutte le sue parti, cosı` salda da ricostituire, anche dopo la furia rivoluzionaria, i legami che uniscono gli uomini tra loro. Legami che, pur cambiando nella forma e nei contenuti, non si sciolgono, anzi, si stringono piu` che mai. Rinnovano e rinsaldano, se pure su nuove basi, il patto sociale. Tuttavia nel cambiamento, in ogni cambiamento, c’e` sempre un rischio. Un rischio direttamente proporzionale all’entita` del cambiamento stesso. Perche´ cambiamento vuol dire sovvertimento delle regole, distruzione di tutti quei valori che non risultano piu` funzionali al contesto strutturale che va ridefinendosi, rimozione di norme ormai obsolete che vanno sostituite da altre piu` consone al nuovo ordine sociale emergente. E c’e` un momento, un momento

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che puo` anche essere lunghissimo, in cui in alcune zone del sociale, che possono essere piu` o meno vaste, piu` o meno affollate, si crea un vuoto, una sorta di terra di nessuno dove non ci sono leggi perche´ quelle di prima non valgono piu` e le altre, ancora, non hanno avuto il tempo di affermarsi. Dove i vecchi legami si sono sciolti e i nuovi non si sono ancora riannodati. Chi attraversa tale territorio lo fa con tutto lo sconcerto del viaggiatore senza mappa e senza punti di riferimento, lo fa a suo rischio e pericolo, come il navigante che intraprende senza bussola la sua traversata. Anomia chiama Durkheim questa terra di nessuno, anomico questo sconcerto e questo disorientamento. Un’insidia pericolosa che rende l’individuo, e quindi la stessa societa`, debole e fragile. Perche´ la forza dell’individuo e` tutta nella forza dei legami sociali che lo congiungono agli altri individui, nella forza dei valori che egli condivide con i suoi simili, nella forza delle norme che regolano le sue azioni e quelle di tutti gli altri. Coscienza collettiva chiama Durkheim tale condivisione di convinzioni, principi etici, regole di vita, tale comunione di sensibilita` e di spiriti, essenza stessa della societa`; divisione del lavoro, i legami di interdipendenza che stringono gli uomini tra loro. La coscienza collettiva, l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri della societa` (...) costituisce un sistema determinato che possiede una sua vita propria, scrive Durkheim riproponendo con forza la sua convinzione secondo la quale l’insieme (la societa`) e` qualcosa di molto piu` che la somma delle sue parti (gli individui). Essa e` il terreno fertile su cui si costituiscono e si intrecciano i legami sociali che sono legami di solidarieta`, speculari e funzionali, nei loro caratteri essenziali, alle strutture sociali nell’ambito delle quali essi si costituiscono. Per tale ragione, se le strutture sociali si modificano, si modificano anche tali legami e le forme di solidarieta` che ne costituiscono l’essenza. E poiche´ strettissima e` la relazione tra solidarieta` e coscienza collettiva (l’una non puo` esistere senza l’altra) cio` significa che anche quest’ultima ha mutato i suoi caratteri e i suoi contenuti. Anomia, coscienza collettiva, solidarieta`, divisione del lavoro sono le parole chiave per accedere all’interpretazione che Durkheim ci offre della modernita`. L’apparato concettuale che egli utilizza per raccontare e spiegare, nei suoi caratteri essenziali, la grande trasformazione, il passaggio alla modernita`.

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La sua e` un’interpretazione potente della modernita`. Potente nel senso che ha la forza di sostenere e rimanere fedele alla teoria complessiva della societa` che Durkheim va elaborando e, nel contempo, dare ragione di quanto era accaduto e andava accadendo nelle societa` a lui contemporanee. In cio` tenendo conto delle potenzialita` e delle insidie contenute nel disegno che si stava componendo come effetto del cambiamento delle istituzioni etiche, economiche, politiche. Durkheim pubblica, nel 1893, De la division du travail social, dove concentra la sua attenzione sul carattere altamente differenziato delle societa` moderne che, con il capitalismo, raggiungono la forma piu` avanzata di divisione del lavoro. Divisione del lavoro vuol dire cooperazione tra individui all’interno di una stessa unita` produttiva o cooperazione tra diverse unita` produttive allo scopo di rispondere alla domanda di beni e servizi da parte della societa`. Essa ha accompagnato la storia dell’umanita` fin dagli inizi: la prima forma di divisione del lavoro che si conosce e` quella sessuale, tra uomini e donne, e la prima societa` organizzata che compare nella storia e` quella dei cacciatori-raccoglitori. Ma bisogna aspettare l’avvento della modernita` perche´, con la nascita della manifattura, la cooperazione si svolga in maniera sistematica tra diverse unita` produttive e perche´, all’interno di ciascuna di esse, il lavoro degli operai, concentrati fisicamente in un unico luogo, sia rigidamente organizzato, sorvegliato e, via via, sempre piu` parcellizzato. Fino a diventare alienato, denuncia Marx. Fino a rischiare di essere anomico, avvertira` Durkheim. Egli rifiuta l’idea, condivisa dagli economisti, che il patto sociale possa fondarsi sul semplice riconoscimento degli interessi individuali e vuole trovare le fondamenta dell’ordine sociale e della convivenza civile analizzando le ragioni che hanno determinato, nel corso del tempo, il progressivo aumento e la progressiva diffusione della divisione del lavoro di cui il capitalismo rappresenta la forma piu` avanzata. 15 Secondo le regole del metodo sociologico , per trovare la risposta a questa domanda, occorre cercare quali sono i fatti sociali che 15

Cfr. E. Durkheim, Le regole del metodo sociologico. Sociologia e Filosofia, edizioni di Comunita`, Torino, 2001. Per la lettura di alcune pagine scelte e un’introduzione a tali tematiche vi rimando a A.R. Calabro`, Oggetto e metodo della sociologia: parlano i classici, Liguori, Napoli, 2003.

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rappresentano la causa di cui l’aumento della divisione del lavoro e` l’effetto. Rapporto di causa-effetto che va trovato, secondo Durkheim, mettendo in relazione volume (il numero degli individui che appartiene a una data collettivita`), densita` materiale (il numero degli individui su una superficie data) e densita` morale della societa` (l’intensita` delle comunicazioni e degli scambi tra gli individui). Gli avvenimenti che hanno segnato l’avvento delle societa` moderne (basti pensare, per fare qualche esempio, alla nascita delle manifatture che hanno concentrato gli individui in una stessa area, ai progressi scientifici che hanno sconfitto le grandi epidemie del passato, alla scoperta delle Americhe che ha dato impulso al commercio...) hanno determinato, in un processo progressivo di differenziazione sociale, l’aumento esponenziale del volume e della densita` materiale e morale della societa`. La divisione del lavoro (qui Durkheim appare ancora legato a retaggi di tipo evoluzionistico da cui poi prendera` le distanze) rappresenta allora la soluzione pacifica alla lotta per la sopravvivenza che il genere umano ha intrapreso fin dagli albori della sua storia, il metodo per sfruttare al meglio le risorse offerte dall’ambiente e regolamentare la competizione per il controllo di tali risorse. E, poiche´ la divisione del lavoro gioca un ruolo primario, nel determinare i caratteri della societa` e disegnarne le strutture, essa, man mano che aumenta, modifica i legami di solidarieta` che tengono insieme gli individui. Si impone in tal modo un nuovo tipo di solidarieta` che nasce dalla differenza, dalla complementarita` delle attivita` individuali, dal riconoscimento da parte di tutti della reciproca dipendenza in virtu` della specificita` dei compiti di ciascuno. Solidarieta` tanto piu` forte e diffusa quanto piu` sono differenziate le funzioni all’interno della societa`. Il corpo sociale moltiplica e differenzia le sue strutture che interagiscono nei termini ad esso funzionali, cosı` come i suoi membri dipendono l’un l’altro e, in virtu` di tale dipendenza, dipendono dalla societa`. La metafora tra organismo vivente e corpo sociale e` evidente: come nel primo i diversi organi (il cuore, i polmoni, il cervello...) svolgono funzioni diverse e, insieme, in ragione di tale diversita`, ne garantiscono la sopravvivenza, cosı` gli individui e le diverse parti della societa` si specializzano e si differenziano e, nello stesso tempo, si legano fortemente l’un l’altro.

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L’individualita` del tutto si accresce quindi contemporaneamente a quella delle parti; la societa` impara sempre piu` ad agire in perfetto accordo, nello stesso tempo in cui ognuno dei suoi elementi acquista una maggior autonomia.16

Per tale ragione Durkheim considera la divisione del lavoro un fenomeno moralmente normativo, una struttura sociale di cui le forme tecniche ed economiche che si sono succedute nel tempo, sono espressione. L’avvento della modernita` segna dunque il passaggio dalle 17 societa` semplici, segmentarie , poco differenziate, caratterizzate da una scarsa divisione del lavoro, alle societa` complesse, altamente differenziate e specializzate. Contrapponendo le due forme estreme di organizzazione sociale – quelle piu` arcaiche dove gli individui erano intercambiabili e quelle capitaliste altamente differenziate – si puo` affermare che le une erano caratterizzate dal predominio della solidarieta` meccanica e della coscienza collettiva e le altre dal predominio della solidarieta` organica e dalla coscienza individuale. Per Durkheim, che sostiene il primato della societa` sugli individui, non si puo`, dunque, spiegare il progressivo aumento della divisione del lavoro partendo dalla volonta` degli individui di ottimizzare l’utilizzo delle risorse a propria disposizione e aumentarne il rendimento. Ne´ si puo` sostenere che le relazioni di tipo contrattuale proprie della modernita` scaturiscano da accordi liberamente conclusi, come affermano Spencer e le teorie degli economisti classici. Questo perche´ la solidarieta` meccanica precede storicamente quella organica la quale rappresenta l’effetto e non la causa della divisione del lavoro. In altre parole gli uomini non potevano avere coscienza della propria individualita` prima che si sviluppasse la solidarieta` organica, ne´ potevano agire razionalmente in cerca di un maggiore profitto e concludere a tal fine contratti prima che si sviluppassero delle forme storicamente determinate di differenziazione sociale. Detto in sintesi e` il processo di differenziazione sociale – e cioe` di divisione del lavoro – che

16

In questa antologia, p. 135. Il segmento, secondo Durkheim, e` un gruppo sociale localmente situato, autosufficiente al suo interno, con un alto livello di integrazione interna e scarse relazioni con l’esterno. 17

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cambia i contenuti e le forme della coscienza collettiva e dei legami di solidarieta`. E non viceversa. Ma se cio` e` vero, come studiare scientificamente fenomeni sociali che non sono altro che stati di coscienza e che dunque non possono essere osservati? Occorre, risponde Durkheim, trovare le manifestazioni concrete e storicamente determinate della coscienza collettiva e di quella individuale. Tali manifestazioni sono i fenomeni giuridici. Nelle societa` tradizionali, in cui predomina la coscienza collettiva e la solidarieta` meccanica, prevale infatti il diritto repressivo; in quelle moderne, dove la coscienza collettiva e` piu` debole e prevale la solidarieta` organica, le relazioni tra individui e parti sociali sono regolamentate, nella maggior parte dei casi, da un diritto di tipo restituivo e cooperativo. Piu` forte e` la coscienza collettiva, piu` numerosi saranno gli atti proibiti e dunque i reati, piu` dura la punizione; quando invece la coscienza collettiva si indebolisce e l’individuo acquista coscienza della propria responsabilita`, il controllo sociale diventa meno forte e si sviluppa, a fianco di quella penale, una giurisprudenza che regolamenta soprattutto i rapporti economici (ne sono un esempio il diritto commerciale, tributario e amministrativo). Anche in questo caso la violazione delle norme implica una sanzione, ma tale sanzione e` generalmente di tipo pecuniario e ha l’obiettivo di risarcire la parte danneggiata ristabilendo lo stato di diritto. Il diritto repressivo corrisponde al cuore, al centro della coscienza comune, scrive Durkheim e si potrebbe continuare la metafora affermando che il diritto restituivo corrisponde al cervello del corpo sociale. Le regole e le sanzioni che esso indica sono estranee alla coscienza comune poiche´ tale diritto regola le relazioni non tra l’individuo e la societa`, ma tra parti specifiche e differenziate della societa`. I rapporti che vi si determinano non concernono indistintamente tutti e le regole del diritto civile e amministrativo, per loro natura, sono molto piu` soggette al cambiamento di quanto lo siano quelle del diritto penale. Nelle societa` premoderne, la pena, scrive Durkheim, consiste in una reazione passionale e la passione, si sa, e` estranea a qualsiasi calcolo razionale. La passione non tollera la pieta` e non si arresta se non quando si `e esaurita. La passione richiede vendetta e non giustizia e non esita a punire il colpevole con una pena che tende a oltrepassare in gravita` l’atto contro il quale reagisce o a colpire, nella sua furia distruttiva, anche gli innocenti.

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

I   :   

Impiccheranno Geordie con una corda d’oro/e` un privilegio raro/rubo` sei cervi nel parco del re/vendendoli per denaro... recitano le parole di una 18 canzone . La corda d’oro e` tutto quello che otterranno le suppliche, rivolte ai giudici, della sua amata che invocano pieta` in nome della bellezza e della giovinezza, e neanche il popolo, per quanto possa essere povero e affamato, avra` pieta`. Non si riconoscera` nel colpevole, ne´ chiedera` la sua grazia, ma, anzi, accorrera` in piazza per assistere all’esecuzione, come se si trattasse di una festa. E di una festa si tratta, o meglio, come direbbe Durkheim, di un rito collettivo che celebra una comunione tra eguali, che rinsalda i legami societari, che rafforza la coscienza collettiva e i vincoli di solidarieta`, rendendo ciascuno partecipe della forza del gruppo. Nelle societa` premoderne rubare i cervi del re rappresenta un’azione che non puo`, in alcun modo, essere tollerata e che deve essere punita con la morte. Rubare i cervi del re vuol dire offendere il principio di autorita`, sacro e indiscutibile, rappresentato dal sovrano. Ne´ il cuore degli inglesi ne´ lo scettro del re/ Geordie potran salvare/ anche se piangeranno con te/la legge non puo` cambiare. Non puo` essere cambiata, e neanche il re puo` farlo, perche´ quella legge difende il principio d’ordine su cui si basa l’esistenza di ciascuno. Un ordine stabilito da Dio, credono gli uomini, che non sono consapevoli del fatto che l’idea del divino non nasconde altro che l’idea trasfigurata della stessa societa`, il vincolo che essa esercita sull’individuo, il suo potere coercitivo. L’idea di Dio, afferma Durkheim, il bisogno che gli uomini hanno di credere in un’entita` sovrannaturale, rappresenta la coscienza che essi hanno di non poter vivere al di fuori delle regole e delle istituzioni della societa`. Rubare i cervi del re vuol dire, in sintesi, offendere la coscienza collettiva e quindi anche l’ultimo degli ultimi. E sono i sentimenti collettivi che suscitano il reato a definire l’entita` della pena. La vendetta, per quanto crudele ed efferata, anzi, in ragione di tale crudelta` ed efferatezza, non e` altro che un atto di difesa estrema: Ci vendichiamo soltanto di cio` che ci ha fatto del male, e cio` che ci ha fatto del male e` sempre un pericolo. L’istinto della vendetta non e` insomma che l’istinto di conservazione esasperato 19 dal pericolo.

18 19

Il testo si riferisce ad una canzone di Fabrizio De Andre`, Geordie, 1966. In questa antologia, p. 124.

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Una prospettiva che a una riflessione superficiale puo` apparire inquietante e reazionaria. Apparentemente molto piu` vicina alla nostra sensibilita` di uomini moderni la lettura che avrebbe fatto Marx dello stesso episodio: il cacciatore di frodo e` lo sfruttato che si ribella al suo sfruttatore a livello individuale, e quindi perdente; chi assiste all’esecuzione e` il popolo che ancora non ha acquisito coscienza di classe. Ma, in realta`, quando Durkheim scrive: ...non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perche´ `e criminale, ma che `e 20 criminale perche´ urta la coscienza comune , offre una lettura estremamente moderna della devianza perche` la sottrae a qualsivoglia manipolazione ideologica e moralista e la interpreta come costruzione sociale. Vale a dire che tutto cio` che una qualsivoglia societa` definisce come lecito e illecito dipende dall’insieme dei valori che appartengono in quel momento storico a quella data societa`. Per tale ragione, cosı` come la cultura muta nel tempo, in un rapporto di reciproca dipendenza col mutare del contesto strutturale, si modificano, all’interno della stessa societa`, le norme che definiscono cio` che e` lecito e illecito, gli orientamenti etici che sottendono tali norme, il grado di tolleranza e intolleranza della devianza, il concetto di reato e le forme della pena. E, nella stessa epoca, non e` detto che comportamenti definiti devianti all’interno di un certo contesto sociale, lo siano necessariamente in un altro. E c’e` anche un altro aspetto, nell’analisi di Durkheim, che appare ancora particolarmente attuale: la sua convinzione che, sebbene generalmente si ritenga il contrario, il diritto penale abbia conservato immutata la sua natura anche nelle societa` moderne: Ma oggi – si dice – la natura della pena e` mutata; la societa` non castiga per vendicarsi, ma per difendersi. Il dolore che infligge e` – nelle sue mani – soltanto uno strumento metodico di protezione. Essa punisce non perche´ il castigo in se stesso le offre qualche soddisfazione, ma affinche´ il timore della pena paralizzi le cattive volonta`. Non gia` la collera ma la previdenza determina, a 21 ragion veduta, la repressione.

Non e` cosı`. La pena non ha la funzione di scoraggiare il reato e il suo potere deterrente, afferma Durkheim, e` davvero trascurabile. 20 21

Ivi, p. 122. Ivi, p. 123.

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

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I   :   

La pena non serve – o non serve che secondariamente a correggere il colpevole o a intimidire i suoi possibili imitatori; da questo duplice punto di vista e` giustamente dubbia, e in ogni caso mediocre. La sua vera funzione e` mantenere intatta la coesione sociale, conservando alla coscienza comune tutta la sua vitalita`.22

Oggi come allora, giusto o sbagliato che sia, la punizione non e` altro che una vendetta perpetrata per riparare un’offesa (forse abbiamo torto, ma non `e questa la questione. Per il momento cerchiamo di definire la pena quale `e o quale `e stata, non quale deve essere...). Una vendetta magari piu` civile, piu` illuminata e regolamentata, scrive Durkheim, ma pur sempre, che ci piaccia o meno, una vendetta. In questa prospettiva la pena di morte – ancora oggi praticata nel paese definito il piu` democratico del mondo, dove i parenti della vittima hanno il diritto di assistere all’esecuzione del colpevole – deve essere spogliata di qualsiasi altro significato per apparire esattamente quella che e` e che e` sempre stata: un tributo, appunto, per risarcire l’offesa agli stati forti e definiti della coscienza comune. Pertanto la natura della pena non e` essenzialmente mutata. Tutto cio` che possiamo dire e` che il bisogno di vendetta e` meglio guidato oggi di un tempo. Lo spirito di previdenza, che si e` svegliato, non lascia piu` un’uguale liberta` d’azione alla cieca passione; la contiene entro certi limiti e si oppone alle violenze assurde, agli sconvolgimenti privi di ragione. Piu` illuminata, essa si espande meno a caso; non la si vede piu` scagliarsi contro gli innocenti per avere comunque soddisfazione. Ma e` rimasta pur tuttavia l’anima della penalita`. Possiamo dunque dire che la pena consiste in una reazione passionale di intensita` graduale.23

Per questi suoi caratteri il diritto repressivo da` voce alla solidarieta` meccanica che predominava nelle societa` premoderne Societa` semplici, scarsamente differenziate, ordinate dalla forza della tradizione, dove l’identita` e` definita dall’appartenenza e l’identificazione tra l’individuo e il gruppo e` pressoche´ totale. ...la forza colpita dal reato che lo reprime e` sempre la stessa: essa e` il prodotto delle piu` essenziali uniformita` sociali e ha per effetto il mantenimento della coesione sociale che risulta da tale uniformita`. 22 23

Ivi, p. 129. Ivi, p. 125.

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E` questa la forza che il diritto penale protegge contro ogni indebolimento...24

Accanto al diritto penale, man mano che progredisce il processo di divisione del lavoro e avanza la modernita`, si afferma dunque un diritto di tipo restituivo che consiste in una riparazione e non in una espiazione. Chi sbaglia paga, nel vero senso della parola. Paga, o meglio, ripaga di cio` che ha tolto. Si chiede un risarcimento e non una vendetta. A questo punto, per cosı` dire, Durkheim ha collocato nella giusta sequenza di un corretto legame causale, quei fenomeni strutturali che accompagnano il processo di trasformazione delle societa` tradizionali in societa` moderne: l’aumento del volume e della densita` materiale e morale della societa` ha come effetto l’aumento della divisione del lavoro e della differenziazione sociale che, a loro volta, determinano l’indebolimento della coscienza collettiva, indebolimento che, infine, produce l’affermarsi della solidarieta` meccanica (che a questo punto diventa l’effetto e non la causa della divisione del lavoro). Con queste premesse Durkheim analizza i caratteri della modernita`. La sua e` una prospettiva di tipo dicotomico. Cio` che gli interessa non e` tanto cogliere la dinamica del processo che conduce al presente quanto, piuttosto, individuare quei caratteri che, tra loro in opposizione, definiscono e distinguono, a seconda che prevalgano gli uni o gli altri, le societa` tradizionali da quelle moderne. A tale proposito Durkheim parla di predominio per sottolineare come tali forme dicotomiche comunque convivono, seppure in un rapporto di forza che cambia nel tempo. Facce della stessa ed unica realta`, che pero` esigono di essere distinte, scrive Durkheim, di cui l’una viene sempre piu` ricoperta dall’altra, senza pero` mai sparire del tutto. Dunque, man mano che, aumentando la divisione del lavoro, procede il processo di differenziazione sociale si distinguono due modi di intendere la societa` : la modernita` vede l’affermarsi della societa` intesa come insieme di funzioni differenziate e non piu` come un sistema organizzato di credenze, valori e sentimenti comuni.

24

Ivi, p. 129.

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I   :   

La societa` non e` considerata nei due casi dal medesimo punto di vista. Nel primo caso, cio` che e` indicato da questo nome e` un insieme piu` o meno organizzato di credenze e sentimenti comuni a tutti i membri del gruppo: si tratta cioe` del tipo collettivo. Invece, la societa` con la quale siamo solidali nel secondo caso e` un sistema di funzioni differenti e specifiche, unite da rapporti definiti. Queste due societa` d’altra parte fanno tutt’uno: sono le due facce della stessa ed unica realta`, che pero` esigono di essere distinte.25

Ne derivano due modi di essere socializzato: l’uomo moderno e` socializzato nella misura in cui, proprio perche´ si distingue dagli altri, dagli altri dipende. La vita sociale deriva da una duplice fonte: l’uniformita` delle coscienze e la divisione del lavoro sociale. Nel primo caso l’individuo e` socializzato perche´, non avendo un’individualita` propria, si confonde con i suoi simili in seno allo stesso tipo collettivo; nel secondo caso perche´, pur avendo una fisionomia e un’attivita` personale che lo distinguono dagli altri, dipende da essi proprio nella misura in cui da essi si distingue, e percio` dipende dalla societa` che risulta dalla loro unione.26

All’interno di questi due tipi di societa`, o meglio, all’interno di queste due forme estreme di organizzazione sociale – la prima propria alle societa` arcaiche, dove non esistono forme organizzate di divisione del lavoro e la seconda, propria alle societa` moderne, dove, al contrario, la divisione del lavoro e` diffusa e altamente specializzata – l’individuo riconosce e costituisce la propria identita` in due modi sostanzialmente diversi: per appartenenza, nel primo caso, per differenza, nel secondo. La prima forma non puo` essere forte che nella misura in cui le idee e le tendenze comuni a tutti i membri della societa` oltrepassano in numero e in intensita` le idee e le tendenze che appartengono personalmente a ciascuno di essi. Quanto piu` considerevole e` tale eccedenza, tanto piu` energica e` la solidarieta`. Ma l’elemento costitutivo della nostra personalita` e` cio` che ciascuno di noi ha di proprio e di caratteristico, cio` che lo distingue dagli altri. Questa solidarieta` puo` dunque aumentare soltanto in ragione inversa alla personalita`.27 25 26 27

Ivi, p. 133. Ivi, p. 135. Ivi, p. 133.

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In ciascuno di noi vi sono due coscienze: l’una rappresenta la nostra appartenenza al gruppo, la societa` che vive e agisce in noi; l’altra parla la voce della nostra individualita`, di tutto cio` che possediamo di unico e irripetibile. La divisione del lavoro che si afferma con la modernita` produce le condizioni strutturali perche´ tale coscienza possa avere voce. ...l’una contiene soltanto stati personali propri di ciascuno di noi e che ci caratterizzano, mentre gli stati che l’altra comprende sono comuni alla societa` intera. La prima non rappresenta che la nostra personalita` individuale e la costituisce; la seconda rappresenta il tipo collettivo, e di conseguenza la societa`, senza la quale non esisterebbe. Quando la nostra condotta e` determinata da un elemento di quest’ultima, non agiamo in vista del nostro interesse personale, ma miriamo a fini collettivi. Le due coscienze, per quanto distinte, sono reciprocamente vincolate, perche´ in fondo sono tutt’uno, dato che entrambe hanno il medesimo ed unico substrato organico. Esse sono dunque solidali. Da cio` risulta una solidarieta` sui generis che, nata da certe somiglianze, collega 28 direttamente l’individuo alla societa`.

Il vincolo che ci lega agli altri, la solidarieta` che nasce dal riconoscimento di tutto cio` che di uguale condividiamo con i nostri simili, e` tanto piu` forte quanto piu` debole e` il senso della nostra individualita`. La solidarieta` meccanica e` una solidarieta` che nasce dalla somiglianza e dunque `e al suo maximum quando la coscienza collettiva ricopre esattamente la nostra coscienza totale e quando la nostra identita` impallidisce fino a scomparire. Allora non siamo piu` noi stessi, ma l’essere collettivo, non apparteniamo piu` a noi stessi ma siamo letteralmente una cosa di cui la societa` dispone. Ma, come Durkheim ha dimostrato, la divisione del lavoro reclama, e produce, un altro tipo di solidarieta` basata sulla differenza, o meglio sulla cooperazione tra individui differenti, ciascuno dei quali sviluppa particolari competenze ed esprime una propria personalita`. La differenziazione delle funzioni, necessaria a una societa` complessa e articolata, e` possibile solo tra individui specializzati e autodeterminati con uno spiccato senso della propria identita`. La coscienza individuale, per tale ragione, si rafforza a discapito di quella collettiva. 28

Ivi, p. 128.

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

I   :   

Man mano che avanza la divisione del lavoro e la solidarieta` organica si rafforza, si indebolisce quella meccanica e il rapporto inversamente proporzionale tra coscienza collettiva e coscienza individuale si modifica a vantaggio di quest’ultima. A poco a poco la coscienza collettiva perde terreno rispetto a quella individuale, i vincoli che essa determina si indeboliscono di intensita`. Costituita da impulsi progressivamente meno vitali, essa trascina sempre piu` debolmente l’individuo nel senso collettivo lasciandolo libero di seguire le proprie inclinazioni e quanto piu` le regole della condotta e quelle del pensiero sono generali e indeterminate, tanto piu` la riflessione individuale deve intervenire per applicarle ai casi particolari. Riflessione individuale che potrebbe portare all’anarchia, a liberare forze centrifughe tali da minacciare irrimediabilmente la coesione sociale se non fosse che la divisione del lavoro crea vincoli che, rispetto a quelli determinati dalla solidarieta` meccanica, non solo sono piu` numerosi, ma sono anche piu` forti e meno facili da tradire. La coscienza collettiva deve quindi lasciare scoperta una parte della coscienza individuale, affinche´ in essa si stabiliscano le funzioni specifiche che essa non puo` regolare; e piu` questa regione e` estesa, piu` forte e` la coesione che risulta da tale solidarieta`. Infatti, da un lato, quanto piu` diviso e` il lavoro, tanto piu` strettamente l’individuo dipende dalla societa`, e dall’altro, quanto piu` specializ29 zata e` l’attivita` dell’individuo, tanto piu` essa e` personale.

Autodeterminazione, responsabilita` individuale, identita` personale, richiamano l’immagine di un individuo molto piu` libero, rispetto al passato, di esprimere le proprie opinioni personali, il proprio credo religioso, le proprie convinzioni politiche. Si distinguono in tal modo due tipi di morale: una collettiva, comune a tutti, e una, che si afferma con la modernita`, specifica alle varie parti sociali. Ad esse corrispondono, rispettivamente, il diritto penale e quello professionale: Dove il diritto penale e` molto voluminoso, la morale comune e` molto estesa: c’e` quindi una molteplicita` di pratiche collettive poste sotto la custodia dell’opinione pubblica. Dove il diritto restituivo e` molto sviluppato, per ogni professione c’e` una morale professiona30 le. 29 30

Ivi, pp. 134-5. Ivi, p. 136.

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Quest’ultima, rispetto alla morale pubblica, non suscita reazioni di sdegno collettive quando vengono violate le norme che la riguardano, poiche´ coinvolge solo settori specializzati della societa`. Cio` non significa che l’etica professionale sia meno vincolante delle altre, poiche´ ci obbliga comunque a regolamentare e disciplinare i nostri comportamenti sulla base di interessi collettivi, vincolandoci in una rete di obbligazioni dalle quali non abbiamo il diritto di renderci indipendenti. Il substrato di tale rete, che rende gli individui interdipendenti e complementari in virtu` della divisione del lavoro, rimane la solidarieta` e lo Stato assume il ruolo di un organismo super partes che vincola e rappresenta tutte le parti sociali. A torto, dunque, si contrappone la societa` che deriva dalla comunita` delle credenze a quella che ha per base la cooperazione, e si accorda soltanto alla prima un carattere morale, mentre non si vede che nella seconda un aggruppamento economico. (...) Ma la natura delle due forme di moralita` e` differente: quella che deriva dall’uniformita` e` forte soltanto se l’individuo non lo e`. Costituita di regole praticate senza distinzione da tutti, essa riceve da tale pratica universale ed uniforme un’autorita` che fa di essa qualcosa di sovrumano e che la sottrae, in misura maggiore o minore, alla discussione. L’altra invece si sviluppa a misura che si rafforza la 31 personalita` individuale.

Nella societa` moderna l’uomo conquista la liberta` di decidere il proprio destino. Non subisce impotente l’eredita` ricevuta alla propria nascita, la sorte definita dalla sua appartenenza sociale. Con un atto di libera scelta noi uomini moderni possiamo, se vogliamo, disegnare la trama della nostra vita e stringere i nodi dei nostri legami (scegliamo la professione, la citta` dove abitare, le persone da amare...). Esistono dunque due grandi correnti, (...) quella che trae origine dalle uniformita` sociali procede all’inizio sola e senza rivali, e si confonde con la vita stessa della societa`. Poi, a poco a poco, essa si canalizza e si rarefa`, mentre la seconda si ingrossa sempre piu`. Analogamente la struttura segmentaria viene sempre piu` ricoperta dall’altra, senza pero` mai sparire del tutto.32

31 32

Ivi, p. 137. Ivi, p. 138.

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

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Sfera pubblica e sfera privata della vita, che prima dell’avvento della modernita` erano sovrapposte, progressivamente si separano. Nella sfera privata dell’esistenza il controllo sociale che l’individuo deve sopportare e` meno forte rispetto a quanto accade nella sua vita pubblica, c’e` una scarsa regolamentazione ed egli, a meno di non violare i diritti altrui, puo` agire in modo relativamente libero. Ma c’e` un territorio di esclusivo dominio dell’individuo, quello interno e inaccessibile della propria individualita`, che, per quanto forti possano essere i vincoli sociali che egli ha stretto, lo distingue da tutti gli altri. Anche la religione, via via che avanza la modernita`, perde il suo potere sull’individuo. Se in origine tutto cio` che era sociale era religioso: i due termini erano sinonimi, progressivamente mondo sacro e mondo profano si separano. La religione cessa di dettare le regole della vita quotidiana e i rapporti tra gli individui. Essa – che in virtu` del proprio dominio temporale ha esercitato per secoli, in maniera piu` o meno diretta, sia il potere legislativo che quello giuridico – si ritrae nelle coscienze individuali di ciascuno. Dio abbandona il mondo agli uomini e alle loro controversie e, potremmo aggiungere, lascia al singolo la responsabilita` della scelta. Anche quella di scegliere il proprio Dio. La modernita` dunque avanza a passi rapidi e la velocita` del cambiamento, avverte Durkheim, potrebbe creare, anzi crea, mancanza di regole e quindi situazioni di anomia. Poiche´ la crescita della divisione del lavoro rappresenta il motore di tale cambiamento, e` nell’organizzazione del lavoro che si manifestano contraddizioni e squilibri. Essi, abbiamo visto, non dipendono dall’indebolimento della coscienza collettiva e dalla incapacita` della divisione del lavoro di creare nuovi e altrettanto forti legami di solidarieta`, quanto, si suppone, da una regolamentazione ancora imperfetta: A misura che il mercato si estende, appare la grande industria, il cui effetto e` la trasformazione delle relazioni dei padroni e degli operai. La maggiore fatica del sistema nervoso, insieme all’influenza contagiosa dei grandi agglomerati, aumenta i bisogni di questi ultimi. Il lavoro della macchina sostituisce quello dell’uomo; la manifattura sostituisce la piccola officina. L’operaio viene irreggimentato, staccato per tutta la giornata dalla famiglia, vive sempre piu` separato da chi lo impiega, e cosı` via. Queste nuove condizioni della vita industriale reclamano evidentemente un’organizzazione

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nuova; ma dato che queste trasformazioni si sono compiute con un’estrema rapidita`, gli interessi in conflitto non hanno avuto ancora il tempo di equilibrarsi.33

Ma questa spiegazione, se pure del tutto coerente con la sua definizione di anomia, non soddisfa Durkheim. Le contraddizioni della societa` industriale sono troppo evidenti, lo sfruttamento della manodopera troppo feroce, la parcellizzazione e la dequalificazione del lavoro troppo spinte: qualunque sia la maniera in cui ci si rappresenta l’ideale morale – egli scrive — non si puo` restare indifferenti ad un simile avvilimento della natura umana. Troppo facile liquidare tutto cio` come conseguenza di una regolamentazione ancora imperfetta, semplici incidenti di percorso dovuti al cambiamento troppo veloce. La divisione del lavoro non produce queste conseguenze in virtu` di una necessita` derivante dalla sua stessa natura, ed esse non dipendono neanche, o per lo meno non dipendono solo, aggiunge Durkheim (se pure in una nota alla seconda edizione delle Regole) dalla velocita` del cambiamento, poiche´ ...dovunque la si osserva, si incontra nel medesimo tempo, una regolamentazione sufficientemente sviluppata che determina i rapporti reciproci delle funzioni. C’e` un vizio di fondo che rende perverse le conseguenze sociali della moderna organizzazione del lavoro, un male che non minaccia soltanto le funzioni economiche, bensı` tutte le funzioni sociali. In realta` le contraddizioni, le tensioni, gli squilibri, che caratterizzano le societa` moderne sono l’effetto delle disuguaglianze sociali e dell’antagonismo sociale che tali disuguaglianze determinano. Un cancro che mina il corpo sociale e che non potra` certo guarire spontanea34 mente. ...questo antagonismo non e` interamente dovuto alla rapidita` delle trasformazioni, ma deriva in gran parte dalla disuguaglianza ancora troppo grande delle condizioni esterne della lotta. Il tempo non agisce per nulla su questo fattore.35 33

Ivi, pp. 149-50. La divisione del lavoro, inoltre, crea altri possibili squilibri, vere e proprie patologie del sistema: gli eccessi di costrizione nella regolamentazione e l’insufficiente coordinamento delle prestazioni individuali; ma appare chiaro come tali anomalie possano essere ricondotte alla mancanza di regole, e dunque all’anomia. 35 In questa antologia, pag. 150, corsivo mio, nota di Durkheim. 34

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

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E` vero che un’affermazione cosı` radicale e cosı` carica di conseguenze rimane ai margini dell’analisi durkheimiana sulla modernita`, ma e` anche vero che rimane con tutta la sua forza dirompente, tale da avvicinare Durkheim, suo malgrado, alle 36 posizioni socialiste. Successivamente, ne Le suicide (del 1897), Durkheim, analizzando le due forme del suicidio anomico, ritornera` comunque su questi temi. Egli indica, infatti, due situazioni che favoriscono l’anomia in una societa` (determinando un aumento dei tassi di suicidio). La prima si verifica in situazioni di recessione economia o, al contrario, di boom economico, quando, cioe`, si crea un disequilibrio significativo tra i bisogni e i mezzi per soddisfare tali bisogni (nel primo caso si contraggono mezzi, nel secondo si gonfiano i bisogni). La seconda forma di anomia, a cui puo` essere ricondotta la prima, compare quando, in una societa` fondata sulla divisione del lavoro, si creano condizioni di forte disuguaglianza. Cio` crea una situazione di tensione e squilibrio perche´ le societa` moderne, basate sulla differenza e la mobilita` sociale, richiedono, per il loro funzionamento, condizioni di eguaglianza sociale e di pari opportunita` per tutti i loro membri. Se cio` non accade si indeboliscono i vincoli di solidarieta` che sono saldi solo se tutti si sentono parte di un unico organismo sociale all’interno del quale ciascuno ha potuto scegliere, seguendo le proprie attitudini e sfruttando le 37 proprie abilita`, di svolgere una precisa funzione. La divisione del lavoro suppone che il lavoratore, lungi dal restare chino sul suo compito, non perda di vista i suoi collaboratori, agisca su di essi e riceva la loro azione. Egli non e` quindi una macchina che ripete movimenti dei quali non scorge la direzione, ma sa che essi tendono da qualche parte verso un fine che comprende piu` o meno distintamente.38 36

Questa osservazione e` di Alessandro Pizzorno. Cfr. Pizzorno A., Introduzione, in Durkheim E´mile, La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunita`, Milano, 1999 37 Sono invece le societa` basate sull’eguaglianza, o meglio sull’uniformita` dei loro membri, a temere l’eguaglianza delle opportunita` e dei diritti che, facendo emergere le singole individualita`, creerebbe squilibri nel sistema. In queste societa`, infatti, la solidarieta` nasce dalla forza della coscienza collettiva, dalla condivisione dei valori comuni, dal riconoscimento di un principio di autorita` (Dio-la societa`) che trascende i singoli individui. 38 In questa antologia, p. 151.

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Ma cio` non puo` accadere se la divisione del lavoro assume caratteri coercitivi, se la maggior parte degli individui, come direbbe Marx, e` costretta a vendere la propria forza lavoro e a svolgere mansioni dequalificate e ripetitive alienata dal prodotto del proprio lavoro. E` evidente che, all’interno dell’organizzazione sociale, sono necessarie posizioni differenti (in termini di reddito, centralita`, prestigio...), ma tali differenze dovrebbero essere l’effetto di una disuguaglianza ‘naturale’ (di intelligenza, talento, determinazione...) e non di processi di esclusione e di emarginazione sociale. E` pur vero che non siamo fin dalla nascita predestinati a questo o a quell’impiego specifico; abbiamo tuttavia gusti e attitudini che limitano la nostra scelta. Se non li teniamo presenti, se sono incessantemente in urto con le nostre occupazioni quotidiane, soffriamo e cerchiamo il modo di porre termine alle nostre sofferenze; e possiamo farlo soltanto mutando l’ordine stabilito e rifacendone uno nuovo. Affinche´ la divisione del lavoro produca la solidarieta` non basta quindi che ognuno abbia la propria attivita`; 39 occorre anche che tale attivita` gli convenga.

La solidarieta` nelle moderne societa` basate sulla differenziazione sociale e la divisione del lavoro, aggiunge Durkheim, e` forte nel momento in cui si determina un’assoluta eguaglianza delle condizioni esterne della lotta in modo da permettere alle ineguaglianze sociali di esprimere esattamente le ineguaglianze naturali. Progressivamente la societa` deve operare perche´ si attenuino le disuguaglianze di nascita, perche´ si crei un’eguaglianza di diritti tra i cittadini, perche´ vengano eliminati i pregiudizi di ceto, perche´ tutti abbiano le stesse opportunita`. L’eguaglianza delle condizioni esterne della lotta non e` necessaria soltanto per legare ogni individuo alle proprie funzioni, ma anche per vincolare reciprocamente le funzioni40

Poiche´ il passaggio dalla solidarieta` meccanica a quella organica segna il passaggio dallo status al contratto, occorre essere ben 39 40

Ivi, p. 152-53. Ivi, p. 158.

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consapevoli che il contratto, nel senso moderno del termine, e` valido soltanto quando e` consensuale e i contraenti si trovano su un piano di parita` e reciprocita`, all’interno di uno stesso stato di diritto. La liberta`, nel senso moderno del termine, e` tale quando e` regolamentata, quando cioe` le liberta` in concorrenza non si rechino danno reciprocamente. La morale, nel senso moderno del temine e`, per Durkheim, morale civica, basata sul riconoscimento della funzione sociale e della responsabilita` di ciascuno. Il compito delle societa` moderne, infine, e` un’opera di giustizia e l’ideale deve essere quello di assicurare il libero spiegamento di tutte le forze socialmente utili. Con queste indicazioni Durkheim, fedele a un modello di sviluppo storico liberale che era nato all’interno della tradizione illuministica francese, richiama con forza la necessita`, da parte delle societa` moderne, di non perdere di vista il proprio orizzonte etico, di non rinunciare alla propria tensione morale. Cosı` facendo mantiene la sua promessa secondo la quale la scienza sociale puo` e deve offrire indicazioni per favorire uno sviluppo armonico della societa`. Altro non poteva fare.

Georg Simmel Chi meglio di Simmel poteva cogliere e descrivere i rumori, i ritmi, i suoni, i colori del nuovo secolo che si preannunciava e la velocita` con cui la modernita` conquistava via via i territori del suo regno mutandone i caratteri, stravolgendone gli equilibri, imponendo nuove figure sociali? Chi meglio di lui, che pone l’ambivalenza come carattere sostanziale del rapporto tra l’individuo e la societa` e che sostiene che ogni fenomeno sociale, per essere compreso, deve essere considerato anche nel suo contrario, 41 avrebbe potuto descriverne i caratteri contraddittori? Chi, con 41

Per Simmel la maggior parte delle forme che assumono le interazioni tra gli individui sono definite dalla tensione tra istanze tra loro contrapposte e interdipendenti (per esempio, conflitto e cooperazione, attrazione e repulsione, vicinanza e lontananza, identificazione e differenziazione... e cosı` via). La stessa esistenza individuale risponde simultaneamente a due esigenze fra loro inconciliabili e imprescindibili: da una parte l’autopercezione del soggetto come membro e prodotto della societa`, il suo bisogno di appartenenza e di identificazione; al polo opposto la consapevolezza della propria individualita`, l’esigenza di differenziazione e di autonomia, la convinzione dell’unicita` della propria esperienza. Inoltre ogni singola espressione concettuale del nostro rapporto con le cose, trova, nel corso dell’evoluzione del pensiero e della conoscenza, un corrispondente nel suo contra-

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altrettanta passione e lucidita`, avrebbe potuto cantarne le lodi, plaudirne e comprenderne fino in fondo la furia innovativa e liberatoria e, nello stesso tempo, rivelarne il lato oscuro? E i demoni che egli evoca non sono quelli, o meglio non sono solo quelli, che si accaniscono contro i piu` deboli, gli sfruttati dal capitale, ma sono quelli che si annidano nella psiche stessa dell’uomo moderno e che minacciano tutti, senza alcuna distinzione di classe e ceto: quella solitudine esistenziale che si puo` provare solo in mezzo a una folla, la frammentazione dell’esperienza, l’afasia del cuore... In questa antologia leggerete alcune pagine tratte da un’opera importante e complessa, Philosophie des Geldes, che Simmel pubblica nel 1900 (e mai data poteva essere piu` evocativa) e un famoso saggio del 1903, Die Grossta¨dte und das Geistensleben. Sperimenterete come la lettura di Simmel puo` essere a volte molto gravosa, soprattutto quando il linguaggio filosofico sembra prendere il sopravvento su quello sociologico e i concetti che lui espone diventano difficili da comprendere; a volte, invece, scorre via senza nessun impedimento e la sua scrittura assume una tale forza evocativa che non puo` non coinvolgere anche il lettore piu` impreparato. Nel primo caso cercate di cogliere il senso complessivo del discorso simmeliano, nel secondo lasciatevi sedurre dalle parole e dalle immagini. Per Simmel il denaro e la metropoli sono i simboli della modernita`. Il primo ne rappresenta la metafora perfetta: analizzare i caratteri del denaro, significa analizzare i caratteri essenziali della modernita`, catturarne e svelarne l’anima. Per contro la metropoli e` il luogo d’elezione dove la modernita` si manifesta e l’uomo moderno, con tutta la sua forza e la sua debolezza, viene forgiato e agisce. L’economia monetaria modifica i rapporti sociali e a loro volta tali trasformazioni agiscono sui sentimenti e le emozioni delle persone, sulle loro esperienze piu` intime e soggettive. La grande metropoli e` il palcoscenico ideale dove si recita la nuova commedia umana e la modernita` mostra cio` che ha creato. Per Simmel il processo che conduce alla modernita` corrisponde a quello che porta all’affermazione dell’economia monetario. Tali principi non devono essere considerati nella loro contrapposizione, bensı` nella loro corrispondenza e complementarita`. Per approfondire tali temi cfr. A.R. Calabro`, L’ambivalenza come risorsa, Laterza, 1977.

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ria matura. Per dirla in altri termini, a quel processo che trasforma le societa` medioevali dell’occidente in societa` aperte e dinamiche, caratterizzate dalla circolazione di merci e individui e all’interno delle quali tutti i rapporti sociali sono mediati dal denaro. Utilizzare il denaro come mediatore, anzi, come il mediatore, equivale ad attribuirgli un potere reale e un significato simbolico pressoche´ infiniti. Significa, nel bene e nel male, mettere nelle sue mani il destino degli uomini. Il denaro, infatti, rende oggettivo il valore delle cose, libero, cioe`, dalle valutazioni soggettive del singolo. E cio` ha delle conseguenze molto importanti. La storia, se cosı` ci si puo` esprimere, comincia quando gli uomini raggiungono una capacita` di mediazione simbolica, sufficiente a capire che e` possibile confrontare, valutare, misurare cose del tutto dissimili tra loro se, invece del confronto diretto, si usa un’unita` di misura adeguata. Un altro oggetto che abbia come caratteristica qualcosa in comune con tutti gli altri. Per mediazione simbolica si intende la capacita`, cioe`, di utilizzare dei simboli – qualcosa che sta al posto di qualcos’altro – come accade con il linguaggio e il pensiero astratto che, di tale capacita`, sono le fondamentali manifestazioni. Uno dei piu` rilevanti progressi dell’umanita` – la scoperta di un nuovo mondo ricavato col materiale di quello vecchio – consiste nell’aver stabilito una proporzione tra due grandezze non piu` in termini di confronto diretto, ma ponendo ogni singola grandezza in rapporto con una terza e considerando le due frazioni ottenute 42 come uguali o diseguali.

Da questo momento in poi tutto – cose, persone, sentimenti... – assume un valore misurabile. L’estetica, la morale, il concetto stesso di tempo e spazio, di uguaglianza e di disuguaglianza derivano da questa straordinaria intuizione. Dalla capacita` di stabilire delle relazioni tra realta` tra loro non commensurabili misurando ciascuna di esse rispetto a una scala di valori determinata in relazione a qualcos’altro (un oggetto, una persona, ma anche un’idea astratta: il peso, la lunghezza, la velocita`, il colore, l’armonia, l’efficienza, il desiderio... diventano cosı` unita` di misura, criteri di valutazione) e, successivamente, ricomponendo tali relazioni in un’unita` di giudizio. 42

In questa antologia, p. 167.

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Il denaro rappresenta la sintesi e l’espressione piu` avanzata di questo processo che e` insieme sociale, culturale e cognitivo: Il denaro, come prodotto di questa fondamentale forza o forma del nostro intimo, non ne costituisce soltanto l’esempio estremo, ma ne e` per cosı` dire la pura incorporazione.43

Il denaro ha solo un valore simbolico che gli deriva dal potere di stabilire, quantificandolo, il valore degli oggetti (le merci, il lavoro, il tempo...) e il rapporto di valore tra oggetti che, altrimenti, non sarebbero confrontabili. Il fatto che il denaro non abbia in se´ alcun valore reale (ormai solo di carta e di vile metallo si tratta) e` il risultato di un lungo processo che corrisponde, abbiamo visto, alla progressiva capacita` di una societa` di ricorrere alla mediazione simbolica, utilizzando simboli il cui significato e` condiviso da tutti i suoi membri. Capacita` che e` direttamente proporzionale al livello culturale raggiunto. In questo senso il denaro appare come un elemento di una profonda tendenza culturale. Si possono caratterizzare i diversi livelli culturali indagando in quale grado e per quali aspetti essi manifestino una diretta relazione con gli oggetti che li concernono e in quali casi invece essi ricorrono alla mediazione simbolica.44

Man mano che le societa` si sviluppano, e quindi diventano sempre piu` complesse e differenziate, alla realta` dei sensi si sostituisce la rappresentazione, mediante simboli e concetti generali, di tale realta` e si moltiplicano le occasioni della vita sociale in cui si fa ricorso a simboli o a procedure simboliche generalizzate. (Basti pensare alle implicazioni di una transazione economica o della firma sotto un documento, ai diritti e ai doveri che implica un contratto matrimoniale o, semplicemente, quello di affitto di un appartamento, alle operazioni di Borsa in cui somme enormi di denaro si spostano a livello virtuale, all’effetto che ci fa vedere una macchina della polizia stradale mentre guidiamo o a cosa significa esporre un pezzo di stoffa color arcobaleno alla finestra...) La quantita` di fattori – forze, sostanze ed avvenimenti – che operano nella vita moderna, richiede una concentrazione degli 43 44

Ivi, p. 169. Ivi, pp. 169-70.

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stessi in simboli onnicomprensivi che possono essere utilizzati nella certezza di ottenere lo stesso risultato che si sarebbe verificato operando e tenendo conto di tutto l’insieme dei dettagli; cosicche´ il risultato diventa senza dubbio valido e applicabile in ogni caso particolare.45

Appare evidente che la possibilita` di tradurre gli aspetti qualitativi della realta` in aspetti quantitativi (dunque misurabili e confrontabili tra loro) mediante un processo psicologico di astrazione degli aspetti quantitativi delle cose, ne facilita la manipolazione simbolica. E appare altrettanto evidente che tale possibilita` trova nel denaro la sua espressione piu` compiuta nell’ambito di un processo continuo che vede i simboli perdere progressivamente qualsivoglia affinita` con la realta` che essi rappresentano (la bandiera rappresenta un’idea astratta di patria che non ha nulla a che vedere con la concretezza di un territorio, la sua costituzione morfologica e fisica, i suoi confini...). Nel momento in cui, per mezzo del denaro, la qualita` si trasforma in quantita` tutto diventa uguale. Paradossalmente non c’e` piu` nessuna differenza tra una Ferrari e una bicicletta poiche´ il valore di entrambe si puo` tradurre in denaro. Il denaro esprime il valore relativo di tutte le cose, riducendole al denominatore comune del loro valore economico. Con l’avanzare della modernita` l’economia monetaria si afferma come unico modello possibile e tale processo va di pari passo con una svolta radicale della cultura nella direzione dell’intellettualita`. Della tendenza, cioe`, da parte degli individui, ad agire razionalmente piuttosto che emotivamente e a condurre la maggior parte delle relazioni sociali in termini di neutralita` affettiva. La crescita delle facolta` intellettuali e lo sviluppo della capacita` di astrazione caratterizzano l’epoca in cui il denaro diventa sempre 46 piu` simbolo e sempre piu` indifferente al proprio valore intrinseco.

Denaro e intelletto dominano la modernita`. Entrambi privi di carattere. Entrambi specchi indifferenti della realta`. A entrambi `e comune l’atteggiamento della mera neutralita` oggettiva con cui trattano uomini e cose, un atteggiamento in cui una giustizia formale si unisce spesso una 45 46

Ivi, p. 170. Ivi, p. 172.

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durezza senza scrupoli. Il primo riflesso meccanico dei rapporti di valore delle cose, un simbolo che perde sempre piu` contatto materiale con le realta` definite dalla sua sfera. Il secondo specchio in cui tutti gli elementi sono ugualmente giustificati, perche´ la loro legittimita` in questo caso consiste soltanto nel loro essere reali, privati, come sono, delle loro connotazioni affettive. Assenza di carattere, nelle persone e nelle cose, vuol dire assenza di tutti quegli aspetti peculiari che rendono unica e irripetibile quella cosa o quella persona, che la differenziano ed escludono da tutte le altre cose o le altre persone. Un tratto negativo, dunque, ma che nel caso del denaro e dell’intelletto ha delle conseguenze positive. In una qualsiasi transazione in denaro, infatti, tutte le persone sono uguali. Colore della pelle, abitudini sessuali, convinzioni religiose, non hanno assolutamente alcun valore perche´ cio` che conta e` solo il denaro. Mille euro sono sempre mille euro indipendentemente da chi li possiede. Se ho soldi per pagare, entro in un negozio e compro cio` che voglio, mangio in un ristorante, vado al cinema, prendo un taxi, mi faccio curare dal dentista o difendere da un avvocato. Sono un cittadino che paga le tasse e con cio`, al pari di tutti gli altri cittadini, ho accesso a tutta una serie di servizi. Se io pago un servizio, se io compro un oggetto, ho diritto ad avere quel servizio e quell’oggetto e` mio: nessuno puo` mettere in discussione tale diritto, nessuno puo` discriminarmi per le mie idee politiche, per i caratteri della mia personalita`, per il mestiere che faccio, per la lingua che parlo. Nelle societa` premoderne, al contrario, dove l’economia monetaria era poco sviluppata, non c’era alcuna possibilita` di emanciparsi dalla propria condizione di nascita, i diritti erano rigorosamente legati allo status e tra un aristocratico e un plebeo c’era un abisso che non poteva essere colmato da alcuna somma di denaro. In epoca moderna il denaro, indifferente alle differenze, ci rende uguali. Analogamente l’intelletto, estraneo alle passioni, ci rende, sı`, piu` freddi e indifferenti, ma anche piu` tolleranti, piu` inclini alla mediazione. Lo spirito conciliante, che nasce dall’indifferenza nei confronti dei problemi fondamentali della vita interiore che non possono essere risolti razionalmente, relativizza le differenze. Per chi non si pone domande circa la salvezza dell’anima non c’e` alcuna differenza tra un ebreo e un cristiano e tra se` e loro, mentre chi vive con passione la propria fede e si lascia dominare da tale passione, potrebbe rischiare di essere intollerante verso chi professa una fede

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diversa. L’intelletto avvicina gli uomini, nel senso che li rende uguali, riconoscibili l’uno all’altro. La passione li allontana, poiche´ esalta ed esaspera le rispettive individualita` e quando li avvicina, se non e` mediata dalla razionalita`, non tollera alcun ostacolo, alcuna mediazione e, per tale ragione, puo` anche annientare e distruggere. In un conflitto le persone razionali discutono, quelle dominate dalle passioni uccidono. Come sottolinea Simmel, nelle moderne lotte commerciali, che pure sanno essere spietate, il nemico di oggi potrebbe tranquillamente essere il socio di domani perche´ il conflitto si pone comunque al di sopra del piano puramente personale e l’intesa, se conviene, e` sempre possibile. Del resto una guerra che pone come contenzioso questioni di tipo meramente economico, per quanto possa essere terribile, fa meno paura di una guerra che trova le sue ragioni d’essere nella religione, nell’odio etnico o nei nazionalismi. L’agire razionale e` prevedibile, osserva delle regole ben precise, sa essere prudente, segue delle strategie, parla un linguaggio che tutte le intelligenze possono comprendere. La passione e` cieca, imprevedibile e non tollera limiti ai propri appetiti. Come colui che ha denaro gode di una superiorita` rispetto a chi ha la merce, cosı` l’uomo intellettuale in quanto tale e` in un certo senso piu` forte di chi vive piu` intensamente nella sfera del sentimento e dell’impulso. Poiche´, per quanto la sua personalita` complessiva possa valere di piu` di quella del primo, per quanto in ultima istanza le sue forze lo sovrastino, e` piu` unilaterale, piu` impegnato, meno spregiudicato, non ha la sovranita` di sguardo e la possibilita` sfrenata di utilizzare tutti i mezzi della prassi che ha invece il puro uomo d’intelletto.47

Naturalmente, avverte Simmel, il denaro e` neutrale se considerato come forma dei movimenti economici, nello stesso modo in cui l’intelletto e` privo di carattere se considerato forma delle interazioni sociali. (Vi ricordo che per forme Simmel intende particolari modalita` di interazione sociale, indipendenti dai contenuti specifici che tali forme possono assumere. Per esempio il conflitto, cosı` come l’amore, e` una forma di relazione che presenta delle caratteristiche che prescindono dalla specificita` degli attori, dalle contingenze storiche, dalle ragioni del conflitto. Le forme sono 47

Ivi, p. 176.

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dunque delle astrazioni concettuali, degli strumenti euristici di conoscenza, poiche´ e` ovvio che nella realta` forme e contenuti non si possono separare, cosı` come le relazioni tra le persone non si presentano mai nella forma del puro conflitto o dell’amore totale). La realta` ci mostra, infatti, come le relazioni economiche possano assumere tratti completamente diversi da quelli indicati per motivi di contenuto di altro tipo, e come la razionalita` dell’intelletto si accompagni sempre all’irrazionalita` delle passioni. Cio` che di fatto la modernita` afferma e` il prevalere dell’oggettivita` dello stile di vita, ovvero il prevalere di certe forme su altre (la razionalita` sull’istinto, la neutralita` sull’affettivita`, l’oggettivita` sulla soggettivita`...). Quest’ultime, pero`, non scompaiono ma restano nell’ombra senza tuttavia cessare di esercitare la propria influenza, per quanto debole questa possa essere. Questa posizione, al di la` delle determinatezze del carattere, nella quale la vita viene collocata dall’intellettualita` e dall’economia monetaria, senza pregiudizi di tutte le altre loro conseguenze capaci di inasprire i contrasti, puo` essere definita come oggettivita` dello stile di vita. (...) Questa oggettivita` della struttura della vita 48 deriva dal suo rapporto con il denaro.

L’oggettivita` del comportamento reciproco degli uomini si realizza infatti, nella sua forma piu` completa, quando la relazione si svolge attraverso una transazione di denaro. Se io compro o vendo qualcosa, un appartamento, ad esempio, cio` che conta, una volta esplicate le procedure adeguate che sono del tutto oggettive e standardizzate e che garantiscono la legalita` dell’affare, e` il denaro che offro o che ricevo mentre risulta del tutto indifferente, ai fini dell’affare, l’identita`, il carattere, e perfino l’onesta` di coloro da cui compro o a cui vendo. (Posso benissimo aver venduto il mio appartamento a un evasore fiscale e a un trafficante di droga senza che io sia tenuto a saperlo o debba risponderne. Del resto un gioielliere che vende a uno sconosciuto entrato nel suo negozio un prezioso anello non chiede al cliente come si sia procurato i soldi per l’acquisto). C’e` inoltre un ulteriore carattere dell’epoca moderna il cui razionalismo rende visibile l’influsso della natura del denaro. Il fatto, cioe`,

48

Ivi, p. 174.

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che molteplici aspetti della sua vita sociale e individuale e perfino le sue funzioni spirituali (in base alle quali l’evo moderno si accorda con il mondo e ne regola i rapporti interni) possono essere tradotti in termini di calcolo. Il loro ideale conoscitivo consiste nel considerare il mondo come un grande esempio di calcolo, nel rinchiudere i processi e le 49 determinazioni qualitative delle cose in un sistema di numeri.

A ben veder la stessa democrazia, che si basa sul principio della rappresentanza e sul fatto che in parlamento le decisioni, a cui la minoranza deve sottostare, vengono prese dalla maggioranza attraverso il voto, puo` essere ridotta ad una mera faccenda di calcolo aritmetico. Il principio che la minoranza deve adattarsi significa che il valore assoluto o qualitativo della voce individuale, e` ridotto ad un’unita` di significato puramente quantitativo. Il livellamento democratico, per il quale il valore di chiunque e` uguale ad uno e nessuno vale di piu`, e` il correlato o la premessa di questo procedimento di calcolo in cui la maggiore o minore quantita` aritmetica di unita` anonime esprime la realta` interna di un gruppo e assume la 50 guida di quella esterna.

Il calcolo – questo tratto psicologico, questa essenza dell’eta` moderna, fatta di misure, di pesi, di conti esatti – `e la piu` pura rappresentazione del suo intellettualismo ed e` strettamente collegata all’economia monetaria. Lo spirito moderno `e diventato sempre piu` calcolatore, la complessita` della vita moderna – la molteplicita` delle sue catene di interdipendenze, la pluralita` delle funzioni reciprocamente collegate – richiede precisione, prevedibilita`, puntualita`, certezza nella determinazione delle uguaglianze e delle disuguaglianze, standardizzazione delle procedure, in altre parole un’intellettualita` calcolatrice di cui il denaro e l’orologio rappresentano i simboli. La determinazione del tempo astratto resa possibile dagli orologi, come quella del valore astratto resa possibile dal denaro, fornisce uno schema di piu` sottili e sicure distinzioni e misurazioni

49 50

Ivi, p. 179. Ivi, p. 180.

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che, assumendo in se´ i contenuti della vita, conferisce a questi, almeno dal punto di vista della pratica esterna, una trasparenza e una calcolabilita` altrimenti irraggiungibili.51

Inoltre il denaro, con la sua flessibilita` infinita e con la sua infinita divisibilita`, rende possibile la pluralita` delle relazioni economiche proprie della vita moderna non solo per evidenti ragioni pratiche, ma anche perche´ elimina da tali relazioni l’elemento personale e rende possibile un approccio utilitaristico e razionale. Se provate a contare quante sono le persone con le quali ciascuno di voi ha un rapporto diretto o indiretto di dipendenza (e i servizi e i beni che tali persone producono o forniscono), vi renderete ben presto conto che tale numero e` pressoche´ infinito e che sarebbe impossibile intrattenere rapporti non solo intimi, ma neanche personali con ciascuna di esse. Vi renderete conto che se non ci fossero procedure standardizzate a regolare tali rapporti e se tali rapporti non fossero mediati dal denaro ma si basassero, poniamo, su uno scambio di servizi reciproco, su una conoscenza diretta (per esempio tra produttore e consumatore) o su una relazione affettiva, tale numero si ridurrebbe drasticamente e dovremmo rinunciare alla maggior parte delle attivita`, degli oggetti, delle relazioni... di tutto cio`, insomma, che, nel bene e nel male, costituisce e da` senso alla nostra vita. Questo sistema di interdipendenze reso possibile dal denaro e dallo sviluppo dell’intellettualita`, ci vincola strettamente gli uni agli altri, ma, nello stesso tempo, ci dona una liberta` che prima, nelle precedenti epoche storiche, non era possibile neanche immaginare. Il fatto di dipendere da cosı` tante persone, ma di essere legati alla maggior parte di loro da interessi esclusivamente esprimibili in termini monetari, nella misura in cui ci rende indifferenti nei loro confronti, ci consente anche di scegliere chi ci sembra piu` affidabile ed efficiente e di sciogliere tali legami qualora non ne fossimo soddisfatti (salvo rare eccezioni e` molto piu` semplice cambiare il meccanico che il fidanzato). L’occasione che la vita moderna ci offre di venire a contatto con un cosı` grande numero di persone, ci permette di scegliere con quante e quali di loro vogliamo stringere rapporti e con chi avere una relazione che vada al di la` dello scambio economico. 51

Ivi, p. 181.

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Le relazioni che ciascuno di noi stringe, nel corso della giornata e della vita, si possono esprimere, secondo Simmel, in termini di vicinanza/lontananza, laddove piu` c’e` vicinanza piu` c’e` dipendenza e viceversa (senza pero`, come ci indica sempre la sociologia formale simmeliana, mai cancellare l’altro termine della relazione). Secondo questa prospettiva appaiono evidenti le differenze che ci sono (sia in termini qualitativi che quantitativi) nei rapporti che ciascuno di noi sceglie di avere con l’amico, l’amante, il medico, l’insegnante, il commesso del negozio, l’impiegato delle poste... e cosı` via. E quanto piu` la relazione e` mediata dal denaro, tanto piu` la distanza aumenta e il rapporto perde i suoi caratteri di soggettivita` e affettivita` per diventare sempre piu` indifferente, neutrale e oggettivo. Ma questa liberta`, che riguarda il nostro presente e la nostra esperienza quotidiana, e` solo il riflesso di un percorso di emancipazione che ha avuto inizio, in epoca moderna, con l’affermarsi dell’economia del denaro e che ha visto gli individui liberarsi progressivamente dai propri vincoli di nascita e prendere in mano il proprio destino. Il lavoro salariato, per quanto duro, costrittivo, poco tutelato possa essere (ricordate che Simmel si riferisce alle condizioni lavorative degli operai immediatamente dopo la rivoluzione industriale, quegli stessi operai le cui terribili condizioni di vita erano state denunciate dagli scritti di Marx ed Engels), offre al lavoratore, che, riconosce Simmel, puo` sembrare uno schiavo travestito, un’arma potente per la propria liberazione. Non solo perche´ per la prima volta nella storia la massa di coloro che non hanno alcuna proprieta` possono accedere a un lavoro libero e a un reddito personale, ma anche perche´ il rapporto tra l’operaio e l’imprenditore, rapporto mediato dal denaro, e`, per tale carattere, incommensurabilmente meno vincolante e rigido di qualsiasi altro precedente rapporto di lavoro. Certo, l’operaio e` incatenato al lavoro come il contadino lo era alla gleba, ma la frequenza con cui l’economia monetaria sostituisce gli imprenditori e la frequente possibilita` di sceglierli e di cambiarli, che la forma del salario concede all’operaio, gli danno 52 una liberta` del tutto nuova all’interno dei suoi vincoli. 52

Ivi, pp. 183-84.

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E` vero, osserva Simmel, sotto certi aspetti il padrone di ieri trattava meglio il suo schiavo di quanto il capitalista di oggi tratti l’operaio (in fondo il primo era direttamente responsabile della vita del secondo e aveva tutto l’interesse a mantenere efficiente e in buona salute chi aveva pagato a cosı` caro prezzo, mentre il capitalista non conosce neanche personalmente coloro che lavorano per lui e sa che chiunque, in qualsiasi momento, puo` essere sostituito). Ma, nel momento in cui il rapporto di dipendenza si spoglia di qualsiasi carattere di tipo personalistico e vale la regola della reciproca sostituibilita`, si spezza il vincolo di subordinazione e comincia irreversibilmente ad affermarsi il principio della liberta` individuale. E a questo punto si apre un altro conflitto – l’ultima metamorfosi della lotta con la natura che l’uomo primitivo deve condurre per la sua esistenza fisica – vale a dire lo sforzo che deve fare l’uomo moderno per preservare la sua individualita` e indipendenza nei confronti del meccanismo tecnico-sociale prodotto dalle societa` moderne che tende a massificare e livellare gli individui. Se il secolo XVIII rappresenta l’affermazione dei principi universalistici (di cui la rivoluzione francese si fa portatrice), il secolo successivo vede affermarsi principi individualistici: la particolarita` dell’uomo legata alla divisione del lavoro, il senso che ciascuno ha della propria originalita` e unicita`, il significato stesso di un’identita` che si costruisce nella capacita` di progettare autonomamente la propria vita, coltivare i propri interessi, sviluppare le proprie abilita` e seguire la propria vocazione. Simmel non ha dubbi nel descrivere la modernita` come l’affermazione dell’intellettualita` e dell’economia del denaro e nello stabilire tra loro una forte correlazione non solo perche´ l’una non puo` fare a meno dell’altra, ma anche perche´ entrambe determinano l’oggettivita` delle relazioni e l’affermazione di principi di tipo universalistico. Questo pero` non esclude che possa essere vero anche il contrario. Cioe` che l’intellettualita` e l’economia del denaro possano sviluppare nella societa` tendenze individualistiche e particolaristiche. Accanto cioe` all’oggettivita` impersonale, che e` propria dell’intelligenza in base ai suoi contenuti, si manifesta un rapporto estremamente stretto dell’intelligenza proprio con l’individualita` e con il principio dell’individualismo nella sua integralita`; il denaro, da parte sua, per quanto trasformi i modi di agire impulsivamente

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soggettivi in modi impersonali e oggettivamente sottoposti a norme, e` tuttavia il vivaio dell’individualismo e dell’egoismo economici.53

Nonostante il suo carattere universalistico, ma anzi in virtu` di questo, l’intellettualita` di fatto genera individualita` e differenze (se non altro per il semplice fatto che l’intelligenza, pur essendo un carattere universale, e` un bene distribuito in misura diversa tra le persone e dunque rappresenta un forte fattore di differenziazione). Inoltre non c’e` nulla di piu` individualizzante e caratterizzante dell’intelligenza sposata all’istruzione e alla cultura. Chi possiede entrambe costituisce, scrive Simmel, un’aristocrazia inattaccabile che nessuna rivoluzione puo` minacciare. Ma l’istruzione e` un bene che solo apparentemente e` a disposizione di tutti. Nelle societa` moderne l’accesso all’istruzione diventa allora un potente strumento di controllo e l’istituzione scolastica un mezzo per riprodurre le disuguaglianze sociali: la meno intelligente delle persone istruite e` enormemente superiore al piu` intelligente dei proletari. L’apparente uguaglianza, con la quale si offre a chiunque voglia impadronirsene la materia prima per la sua educazione, e` in realta` un sarcasmo sanguinoso, proprio come altre liberta` contemplate dalle dottrine liberali che non impediscono a nessuno di ottenere beni di qualsiasi tipo, ma trascurano il fatto che soltanto chi e` gia` favorito da alcune circostanze ha la possibilita` di appro54 priarsene.

Il carattere ambivalente dell’intellettualita` trova nel denaro il suo corrispondente. Il denaro, la cui essenza consiste nella sua assoluta oggettivita` e validita` universale, dal punto di vista della sua effettiva utilizzazione entra al servizio dell’egoismo e della differenziazione. (Il reddito e` un elemento potente di differenziazione sociale, per cui se e` vero che due persone che entrano in un negozio con mille euro per comprare un vestito sono agli effetti della transazione assolutamente identiche, e` altrettanto vero che non tutti possono disporre di mille euro per comprare un vestito). Non c’e` nessuna contraddizione in questa realta`, ne´ c’e` nulla di sbagliato nel ragionamento di Simmel. Il fatto e` che la modernita`, proprio perche´ afferma principi di tipo universalistico, apre la 53 54

Ivi, p. 176. Ivi, p. 177.

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strada al riconoscimento delle differenze. L’uguaglianza dei diritti, che della modernita` e` il vessillo, di fatto consente lo sviluppo delle individualita` perche´ offre a ciascuno, almeno potenzialmente, il diritto e la possibilita` di esprimere il proprio carattere e mettere a frutto i propri talenti e la propria intelligenza. Per Simmel la modernita` si rappresenta nell’incontro scontro tra questi due principi contrapposti ma strettamente interdipendenti. Un conflitto che non vedra` mai vinti e vincitori e che trova nella metropoli il suo piu` adeguato campo di battaglia. E` infatti nella metropoli che l’individuo deve lottare per affermare la propria individualita` contro un meccanismo che tende a massificarlo ed ingoiarlo, a renderlo uno fra tanti, anonimo e invisibile. Ma e` solo lı`, nella metropoli, che egli puo` affermare la propria individualita` e giocare le proprie carte. In un saggio pubblicato nel 1903, il cui titolo puo` essere tradotto Metropoli e vita dello spirito, Simmel (aprendo in tal modo la strada ad un futuro e proficuo scambio tra sociologia e psicologia) affronta tali tematiche e descrive, con indubbia efficacia e con un pizzico di premonizione, il processo di adattamento della personalita` all’ambiente sociale della metropoli. Il confronto tra la vita in una grande metropoli e quella in un piccolo centro rurale e di provincia (confronto che oggi, in epoca di globalizzazione e di internet, sta velocemente perdendo di significato) puo` spiegare i cambiamenti che la vita moderna produce nella psiche umana e puo` essere anche un buon espediente per esemplificare, nei suoi caratteri essenziali, la differenza tra vivere in societa` chiuse e statiche come quelle premoderne e vivere in societa` aperte e dinamiche come quelle moderne. Colui che abita una citta` moderna e` sottoposto ad un numero di stimoli infinitamente superiore rispetto a chi vive in un piccolo centro. Cio` appare tanto piu` evidente se tenete conto che Simmel scrive agli inizi del secolo scorso quando le grandi industrie si insediavano nelle citta` e le metropoli del nord america erano meta di un flusso enorme e costante di immigrazione che continuamente (i sociologi della scuola di Chicago descriveranno abilmente tale processo) ridefiniva la stessa morfologia della citta`. La metropoli moderna, che Simmel racconta, e` fatta di rumori, colori, notizie, traffico, persone, incontri, fabbriche, uffici, palazzi in continua costruzione, negozi, tensioni sociali, ricchezza ostentata e poverta` feroce. Sede di potere e luogo di emargina-

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I   :   

zione e` la sola in grado di offrire a tutti opportunita` di lavoro e riscatto... Tutto cio` rischierebbe di sopraffare l’individuo, spaventarlo, disorientarlo, addirittura paralizzarlo nelle sue scelte e renderlo sordo come chi, sottoposto a un grande rumore non e` piu` in grado di udire, se egli non fosse capace di difendersi. L’intellettualismo e` la sua arma, la capacita` cioe` di rispondere a tali stimoli e far fronte all’intensificazione della vita nervosa con la razionalita` e non piu` in modo prevalentemente istintivo e sentimentale. Sviluppare l’intelletto, potenziare la propria coscienza, cioe` la consapevolezza di se´ e della propria individualita`, significa dotarsi di una capacita` di adattamento al cambiamento infinitamente superiore rispetto a chi risponde mettendo in gioco gli stati piu` profondi e meno consapevoli della sua coscienza, quelli, vale a dire, dove abitano i sentimenti e gli istinti. (Pensate a quante volte vi e` capitato di essere convinti di comportarvi in maniera sbagliata ma non essere in grado di fare altrimenti: cio` accade perche´, anche se razionalmente siete pronti a cambiare, ancora non lo siete emotivamente). Cio` innanzitutto permette di comprendere il carattere intellettualistico della vita psichica metropolitana, nel suo contrasto con quella della citta` di provincia, che e` basata per lo piu` sulla sentimentalita` e sulle relazioni affettive. Queste ultime si radicano negli strati meno consci della psiche e si sviluppano innanzitutto nella quieta ripetizione di abitudini ininterrotte, la sede dell’intelletto, invece, sono gli strati trasparenti consci e superiori della nostra psiche. L’intelletto e` la piu` adattabile delle nostre forze interiori: per venire a patti con i cambiamenti e i contrasti dei fenomeni non richiede quegli sconvolgimenti e quei drammi interiori che la sentimentalita`, a causa della sua natura conservatrice, richiederebbe necessariamente per adattarsi ad un ritmo analogo di 55 esperienze.

Nelle relazioni sociali l’intellettualismo si puo` sviluppare grazie al fatto che il denaro media la quasi totalita` delle relazioni sociali, rendendole in tal modo oggettive e impersonali. Una risorsa tanto piu` preziosa se si tiene conto del numero delle persone che si incontrano in una grande metropoli, con le quali, abbiamo gia` visto, non sarebbe possibile stabilire rapporti affettivi. In tal senso 55

Ivi, p. 188.

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la differenza con il piccolo centro abitato, dove tutti si frequentano e sono al corrente di tutto, e` evidente. Certo, si ama ancora dire che, mentre in un piccolo centro esiste una dimensione umana nei rapporti sociali (alludendo alla conoscenza reciproca, l’amicizia, i legami affettivi...), nella grande citta` tale dimensione si perde e i rapporti tra le persone si disumanizzano, diventano freddi, utilitaristici e anonimi. Questo e` vero, ma il significato di cio` cambia se lo si legge in termini numerici: in una grande citta` si stringono rapporti con cento persone, rapporti occasionali, veloci, strumentali, impersonali (commessi, impiegati, colleghi di lavoro...) e tra queste cento persone accade di stringere rapporti piu` intimi con alcuni di loro, per nostra scelta, per affinita` elettive, per contiguita` di gusti e carattere... con loro diamo parola ai sentimenti mentre la maggior parte degli altri ci risulta del tutto indifferente. E non potrebbe essere altrimenti: se pure volessimo non ci basterebbe una vita per conoscere tutti piu` da vicino. Nell’immobilismo di un piccolo centro il numero delle persone si riduce a tal punto che la scelta e` interdetta: le persone sono sempre quelle, gli incontri sono gli incontri di tutti i giorni, conosciamo tutti e tutti ci conoscono. Amicizia, amore, affari e scambi, si esauriscono all’interno di tale ristretta cerchia. Si crea un controllo sociale reciproco che certamente ci rassicura, che tessendo legami di solidarieta` ci protegge, ma che, altrettanto sicuramente, impedisce alla nostra individualita` di svilupparsi e di esprimersi e ci rinchiude, in un rassicurante ma castrante conformismo, all’interno del gruppo. Quello stesso gruppo che vede chiunque sia estraneo ad esso come un potenziale nemico e 56 qualsivoglia defezione e dissenso alla stregua di un tradimento . Se riconduciamo tale discorso all’interno del processo di differenziazione sociale e di interdipendenza reciproca dovuto alla divisione del lavoro e allo sviluppo dell’economia del denaro propria delle societa` moderne, comprendiamo perche´ la metropoli, dove intellettualita` e denaro regolano le relazioni sociali, diventa per Simmel metafora della modernita`. E abitante della metropoli e` l’individuo blase´: freddo, razionale, distaccato, indifferente. Nulla lo sorprende e nulla lo coinvolge. 56

Il richiamo e` alla sociologia della forma di Simmel secondo il quale l’entita` numerica di un gruppo cambia il carattere delle relazioni interne ed esterne al gruppo stesso.

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Un carattere sociale nuovo ed inedito come nuova ed inedita e` la metropoli moderna. Un ‘‘mutante’’, se volessimo usare un termine caro alla fantascienza, effetto di una variazione genetica: l’adattamento dell’organismo vivente al nuovo ambiente che lo circonda. Capace, in virtu` della propria indifferenza e della propria freddezza, di resistere alla velocita` e alla contraddittorieta` degli stimoli esterni senza lasciarsene coinvolgere e lacerare. Creatura senza cuore in una societa` senza cuore governata dal denaro. Privo di emozioni e per tale ragione inattaccabile, insensibile e dunque invincibile. Per lui il significato e il valore delle differenze, e con cio` il significato e il valore delle cose stesse, sono avvertiti come irrilevanti. Al blase´ tutto appare di un colore uniforme, grigio, opaco, incapace di suscitare preferenze. Ma questo stato d’animo e` il fedele riflesso soggettivo dell’economia monetaria, quando questa sia riuscita a penetrare fino in fondo. Nella misura in cui il denaro pesa tutta la varieta` delle cose in modo uniforme ed esprime tutte le differenze qualitative in termini quantitativi, nella misura in cui il denaro con la sua assenza di colori e la sua indifferenza si erge ad equivalente universale di tutti i valori, esso diventa un terribile livellatore, svuota senza scampo il nocciolo delle cose, la loro particolarita`, il loro valore individuale, la loro imparagonabilita`. Le cose galleggiano con lo stesso peso specifico nell’inarrestabile corrente del denaro, si situano tutte sullo stesso piano, differenziandosi 57 unicamente per la superfice che ne ricoprono.

Ma non si tratta di un mutante, non stiamo parlando di un futuro prossimo a venire e Simmel non e` uno scrittore di fantascienza. Usa un linguaggio efficace ed evocativo, questo sı`, ma che mai abbandona la prospettiva sociologica. Una prospettiva che implica, sempre, la possibilita` di rovesciare il discorso e di leggere quello stesso fenomeno nei suoi caratteri contrari, senza percio` contraddirne i contenuti ma, al contrario, rafforzandoli nel loro significato. Per tale ragione abbiamo visto come il denaro liberi gli uomini e nello stesso tempo li asservisca e come tale duplicita`, pur rappresentando i termini di una contraddizione insanabile, ne rappresenta anche la sua vera essenza. Nello stesso modo il carattere blase´ descrive un aspetto inedito e importante della

57

In questa antologia, pp. 191-2.

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nostra identita` di uomini moderni, ma cio` non significa che non siamo piu` in grado di commuoverci, di lasciarci coinvolgere dalla pieta` e dai sentimenti. Significa solo che dalla commozione, dalla pieta` e dai sentimenti sappiamo razionalmente anche difenderci e prendere le distanze. (Puo` sembrare un discorso crudele ma pensate cosa sarebbe la nostra vita se una qualsiasi morte — di cui ogni giorno, quasi in ogni momento, vediamo le immagini sui giornali o in televisione — ci colpisse e ci facesse soffrire quanto la morte di una persona a noi cara; se la paura che ogni giorno provano coloro che vivono in un paese in guerra fosse anche, senza alcun filtro razionale, la nostra paura; o, molto piu` banalmente, se dovessimo desiderare e considerare indispensabile tutto cio` che la pubblicita` cerca di farci desiderare e considerare indispensabile...) In realta`, se al continuo contatto esteriore con una infinita` di persone dovesse corrispondere la stessa quantita` di reazioni interiori che si verifica in una citta` di provincia, dove ciascuno conosce tutti quelli che incontra e dove si ha un rapporto affettivo con ognuno, ciascuno di noi diverrebbe interiormente del tutto disintegrato, e finiremmo per trovarci in una condizione psichica insoste58 nibile.

Lo stesso discorso vale per la riservatezza e il riserbo che rappresentano la manifestazione sociale dell’atteggiamento blase´. Caratteri che spesso diventano diffidenza e assumono una sfumatura di celata avversione nei confronti degli altri. Caratteri che colorano la maggior parte delle relazioni sociali all’interno di una grande citta`, dove spesso non conosciamo neanche i nostri vicini di casa. Questi sentimenti ci espongono alla solitudine, all’isolamento, a quel senso di smarrimento e disorientamento che solo una folla di sconosciuti puo` evocare, ma, nello stesso tempo, ci offrono un’occasione di liberta` personale altrimenti sconosciuta. Non ci sono obblighi, non c’e` controllo, non ci sono ipocrisie ne´ pregiudizi. E se la grande citta` e` popolata di sconosciuti, tra sconosciuti possiamo essere cio` che vogliamo, riscattare i nostri errori, presentarci per quello che vogliamo diventare e non per quello che siamo stati. Non abbiamo una reputazione da cui difenderci, ne´ una reputazione da difendere. 58

Ivi, p. 192.

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Ma c’e` di piu`: in una folla anonima possiamo facilmente nasconderci ma, se vogliamo distinguerci e farci notare, siamo costretti a tirar fuori quello che c’e` in noi di piu` inedito e originale. Analogamente, in un contesto come quello di una metropoli moderna, all’interno del quale la divisione del lavoro e` molto avanzata, siamo stimolati, se vogliamo emergere ed essere concorrenziali sul mercato, ad offrire prestazioni ancora inedite, addirittura a suscitare nel pubblico nuovi bisogni. In sintesi a sviluppare abilita` e talenti che altrimenti rischierebbero di rimaner soffocati in una ambiente piu` ristretto e provinciale. Ma il pericolo e` alto. Accanto alla solitudine si prefigurano altre insidie altrettanto pericolose: la frammentazione dell’esperienza, l’eccentricita` fine a se stessa, l’afasia dei sentimenti, l’indifferenza che diventa noia e la noia che diventa apatia, l’isolamento e la solitudine. E c’e` un’ulteriore insidia, forse la piu` pericolosa perche´ la piu` pervasiva, che minaccia l’uomo moderno: il progressivo divario che si viene a creare tra l’insieme delle conoscenze e delle produzioni culturali della societa` e le conoscenze del singolo individuo. Un divario cosı` grande da farci sentire impotenti. La cultura moderna si caratterizza per un’accentuata atrofia della cultura soggettiva a cui corrisponde l’ipertrofia della cultura oggettiva. Lo spirito oggettivo domina quello soggettivo. Se consideriamo l’immensa quantita` di cultura che si e` incorporata negli ultimi cento anni in cose e conoscenze, in istituzioni e comodita`, e la paragoniamo con il progresso culturale degli individui nel medesimo lasso di tempo – anche solo nei ceti piu` elevati – fra i due processi si mostra una terrificante differenza di crescita, e addirittura, per certi versi, un regresso della cultura degli individui 59 in termini di spiritualita`, delicatezza, idealismo.

Il modo in cui si sviluppa e si caratterizza la cultura moderna definisce dunque i termini del conflitto tra individualita` e generalita`, della lotta che l’individuo deve sostenere per non diventare la semplice rotella di un ingranaggio che lo ingloba e lo annulla, ma a cui, comunque, non puo` fare a meno di partecipare. Di nuovo la metropoli, dove la divisione del lavoro trova la sua espressione piu`

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Ivi, p. 196.

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accentuata, rappresenta il palcoscenico ideale di tale conflitto. Da una parte essa esalta l’individualita` e l’autonomia dell’uomo moderno, dall’altra lo costringe a prestazioni sempre piu` parcellizzate e unilaterali che determinano spesso un deperimento della sua personalita` complessiva. L’individuo e` sempre meno all’altezza dello sviluppo lussureggiante della cultura oggettiva. Forse meno nella coscienza che nei fatti, e nei confusi sentimenti che ne derivano, l’individuo e` ridotto ad una quantite´ ne´gligeable, ad un granello di sabbia di fronte a un’organizzazione immensa di cose e di forze che gli sottraggono tutti i progressi, le spiritualita` e i valori, trasferiti via via dalla loro forma 60 soggettiva a quella di una vita puramente oggettiva.

Ma in Simmel non esiste un confine netto tra bene e male, tra vincolo e risorsa, tra salvezza e perdizione: i contrari rappresentano solo i poli opposti di un continuum, i caratteri contrapposti di una stessa realta`, i segni della condizione umana, della sua stessa possibilita` di esistere. E la modernita` raffigura la manifestazione piu` compiuta ed evidente di questa tragedia e di questa meravigliosa avventura.

Max Weber Dove cela la sua anima la modernita`? Il suo cuore, i suoi principi etici? Cosa accade se tali principi vengono negati o dimenticati? E l’uomo moderno sapra` rinunciare agli dei e ai profeti per assumere fino in fondo la responsabilita` delle proprie scelte? L’interesse di Weber a trovare riposta a queste domande deriva dalla convinzione che il ruolo unilaterale che Marx attribuisce all’economia – l’economia come causa laddove religione e cultura ne sono solo l’effetto, struttura la prima, sovrastrutture ideologiche storicamente determinate le seconde – contraddice la complessita` della realta` sociale e non coglie, perche´ li semplifica, le ragioni e il significato che gli uomini attribuiscono alle proprie azioni. Weber non ha nessun interesse a respingere le tesi del materialismo storico, non nega che le ragioni dell’economia e la struttura dei rapporti di classe possano condizionare o addirittura determi60

Ivi, pp. 196-7.

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nare il sistema di valori della societa`, ma ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1905) sostiene, e dimostra, che tale condizionamento e` a doppio senso e che la relazione di causa-effetto tra economia ed etica puo` anche essere invertita. Il rapporto deve essere letto in termini di reciprocita` e le influenze religiose interpretate come una delle concause che hanno determinato l’affermarsi del capitalismo moderno. Ma si deve porre in chiaro soltanto se ed in quanto influenze religiose abbiano avuto parte nella formazione qualitativa e nella espansione quantitativa di quello spirito nel mondo e quali lati concreti della civilta` che posa su base capitalistiche derivino da tali 61 influenze.

Il fatto di aver attribuito alla riforma protestante un ruolo attivo nell’affermazione della moderna economia di mercato conduce ad importanti conseguenze. Senza rinunciare ad uno sguardo critico nei confronti del capitalismo, restituisce alle azioni di coloro che ne sono stati gli artefici un significato complessivo che va oltre la volonta` di denaro e potere per acquistare uno spessore etico. Cosı` facendo introduce l’idea che l’economia di mercato, che si impone con l’avvento della modernita` e che da` avvio ad un processo irreversibile di razionalizzazione e di progressivo disincanto del mondo, ha bisogno di essere regolamentata da un sistema morale di valori e da uno Stato di diritto forte e garantista. L’importanza di questa opera (per altro famosissima) di Weber consiste dunque nell’aver affermato la centralita` del sistema di credenze nell’indirizzare le azioni degli uomini e dell’importanza della morale nel disciplinarle. (Ovviamente la sua e` una interpretazione laica della morale nel senso moderno del termine. Weber ha studiato a fondo il rapporto tra religione e societa`, ha riconosciuto nel pensiero religioso l’origine del pensiero etico e della morale, ha analizzato i processi di razionalizzazione e secolarizzazione che hanno accompagnano la nascita delle societa` moderne e laicizzato 62 etica e morale) . Egli dimostra la sua tesi individuando nel sistema di valori e di regole di comportamento di alcune comunita` protestanti calviniste,

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Ivi, p. 207. Weber M., Sociologia delle religioni, Utet, Torino, 1976

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un terreno favorevole alla nascita del capitalismo che, a partire dal seicento, si e` sviluppato prima nei paesi dell’Europa del Nord e successivamente, a seguito dell’immigrazione, in America. Anche se tale lettura puo` essere facilmente criticata e storicamente confutata (basti pensare al ruolo svolto, nel determinare una proto mentalita` capitalista, dalle citta` mercantili dell’Italia pre-rinascimentale dove nacque la moderna attivita` bancaria) cio` non indebolisce affatto, e per molte ragioni, l’importanza del suo lavoro. Innanzi tutto lo stesso Weber risponderebbe che il calvinismo e` solo una delle concause che hanno favorito la nascita del capitalismo (Per Weber, solo pensare che il capitalismo possa essere interpretato come prodotto della Riforma protestante sarebbe, per usare le sue stesse parole, una tesi pazzamente dottrinaria). In secondo luogo tale opera e` l’occasione per analizzare uno dei caratteri sostantivi del capitalismo, e cioe` l’organizzazione razionale del lavoro finalizzata al profitto. Carattere che prefigura la stessa modernita` e al quale Weber, a ragione, attribuiva grande importanza per decifrare il presente e avanzare ipotesi sul futuro. Infine, il suo insistere sull’importanza di un legame saldo tra etica ed economia risulta oggi, in un momento in cui l’economia di mercato sembra mostrare la sua faccia piu` cinica e spregiudicata, particolarmente attuale (e le sue preoccupazioni a tale proposito 63 decisamente lungimiranti). Detto questo, la lettura delle pagine selezionate in questa antologia offrono una piccola sintesi del percorso che compie Weber per dimostrare la sua tesi. In primo luogo egli disegna l’ideal tipo del capitalismo moderno individuandone gli aspetti determinanti. (Vi ricordo che per ideal tipo Weber intende un modello che rappresenta nelle sue caratteristiche essenziali, quel determinato fenomeno che si vuole studiare, in questo caso il capitalismo o la burocrazia. Il termine ideale non ha nulla a che vedere con l’ideale inteso come valore, ne´ il modello e` costruito su medie statistiche bensı` sulla base di un’analisi comparata delle varie espressioni che il fenomeno in 64 questione ha assunto nel tempo o nello spazio) . 63 In questo senso una recente intervista a Guido Rossi, uno dei piu` autorevoli studiosi italiani di Weber, al quotidiano Repubblica (7 aprile 2004). 64 Per la lettura di alcune pagine scelte di Weber e un’introduzione a tali tematiche, cfr. A.R. Calabro`, Oggetto e metodo della sociologia: parlano i classici, Liguori, Napoli, 2003.

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La sete di lucro, l’aspirazione a guadagnare denaro piu` che sia possibile, non ha di per se stessa nulla in comune col capitalismo... avverte Weber e procede elencando via via quei caratteri che, presi isolatamente, possono essersi gia` presentati nella storia, ma che, considerati nel loro insieme, congiunti l’uno all’altro, disegnano una forma storicamente inedita e distinguono il capitalismo occidentale moderno da qualsiasi altra forma di comportamento economico. • Il capitalismo si basa su comportamenti razionali finalizzati alla vendibilita` degli investimenti. • La prospettiva di guadagno e` su basi formalmente pacifiche. • L’azione e` orientata secondo il calcolo del capitale sulla base di un bilancio iniziale e un bilancio di chiusura. • Il capitalismo si basa sull’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero e orientato secondo le congiunture del mercato. • L’amministrazione prevede la separazione giuridica del capitale dell’azienda e la tenuta razionale della contabilita`. • Le conoscenze scientifiche e l’evoluzione tecnologica sono messe al servizio del capitalismo. • Si assiste allo sviluppo del diritto amministrativo e, in generale, di una regolamentazione formale delle imprese. Appare evidente che, perche´ tale congiuntura potesse verificarsi, occorreva che il processo di razionalizzazione e secolarizzazione in atto nell’occidente con l’avvento della modernita`, fosse giunto ad uno stadio ormai avanzato. Che, in altre parole, gli individui si fossero liberati dai vincoli della tradizione e avessero sviluppato l’attitudine ad agire secondo criteri di razionalita` e autodeterminazione. L’obbiettivo che si pone Weber e` quello di capire come tale processo si fosse messo in moto e per raggiungere tale obbiettivo era per lui necessario assumere come prospettiva il senso attribuito alle proprie azioni dagli individui che avevano dato avvio al processo, ricostruire lo spirito del mondo che aveva salutato l’alba del capitalismo. Al di la` delle condizioni economiche e degli avvenimenti storici e politici che determinarono l’avvento della modernita`, per

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Weber, convinto che i comportamenti degli uomini, nelle diverse epoche e nelle diverse societa`, possono essere compresi soltanto alla luce dei valori e delle credenze che costituiscono il loro universo significante, appariva essenziale capire come, e perche´, quegli uomini che avevano partecipato alla nascita del capitalismo, avessero modificato la loro visione del mondo e la loro filosofia di vita. E come tutto cio` avesse condizionato i loro comportamenti economici. Si giunge percio` a questo problema: cercar di spiegare il particolare carattere del razionalismo occidentale, ed in seno a questo, di quello moderno, e le sue origini. Ogni tentativo di spiegazione del genere deve, data l’importanza fondamentale dell’economia, aver riguardo soprattutto alle condizioni economiche. Ma non deve rimanere inosservato anche il rapporto causale inverso. Poiche´ il razionalismo economico dipende principalmente, oltre che dalla razionalita` della tecnica e del diritto, dalla capacita` e dalla disposizione degli uomini a determinate forme di condotta pratico-razionale nella vita. Quando questa era impedita da ostacoli di natura psicologica anche la razionale condotta economica urto` in gravi resistenze interne. Tra gli elementi piu` importanti che informavano in tutti i paesi la condotta degli uomini, appartennero nel passato le forze magiche e religiose e le idee dei doveri 65 strettamente connessi con tali credenze.

Partendo da tale presupposto era gioco forza per Weber cercare il principio di tutto nella religione perche´, prima che la modernita` affermasse i suoi valori laici e razionali, era la religione ad essere l’unica fonte di senso per l’agire degli uomini, a rappresentare l’unico principio ordinatore del mondo, a legittimare, unica autorita`, il potere. Appare ovvio che il punto non era tanto accertare quale Chiesa frequentasse la nascente borghesia industriale, quanto stabilire, e in questo senso la tesi di Weber diventa del tutto convincente, che tale borghesia era mossa da valori etici molto forti che richiamavano, per assonanza, affinita`, effetti, quelli del protestantesimo ascetico. Weber individua tra i principi che si affermano con la Riforma e quelli che costituiscono l’etica professionale che sta all’origine del capitalismo, una forma di affinita` elettiva cosicche´

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In questa antologia, pp. 205-6.

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il movimento religioso, in forza di tali affinita`, influenzo` lo svolgimento della civilta` economica mettendo in moto un vero e proprio circolo virtuoso. Per riassumere al lettore i tratti di quello che puo` essere definito lo spirito del capitalismo e cioe` l’etica professionale del proto capitalista, Weber ricorre ad una serie di aforismi di Franklin (siamo nella seconda meta` del XVIII secolo) che ben ne sintetizzano il carattere. Abilita` professionale, spirito di sacrificio, sobrieta` e morigeratezza nei comportamenti, puntualita` nei pagamenti e correttezza negli affari, costituiscono la ricetta del successo economico, il premio per chi compie il proprio dovere professionale. Successo che non e` il mezzo per soddisfare dei bisogni materiali, ma lo scopo stesso della vita dell’uomo. Il guadagno lecito di denaro e` il risultato dell’abilita` professionale e tale abilita` costituisce l’alpha e l’omega della morale di Franklin. Osserva Weber: In realta` e` essenziale alla nostra materia il fatto che qui venga predicata, non una tecnica di vita, ma una particolare etica, la cui violazione viene trattata non come una pazzia, ma come una specie di negligenza dei propri doveri. (...) Il concetto infatti del dovere professionale, a noi oggi cosı` ovvio ed in realta` di per se stesso cosı` poco comprensibile; il concetto di un’obbligazione morale, che il singolo deve sentire e sente di fronte all’oggetto della sua attivita` professionale, qualunque essa sia, ed indipendentemente dal fatto che al modo di sentire comune essa appaia come semplice valorizzazione della propria capacita` di lavoro o del proprio capitale, questo concetto e` caratteristico dell’etica sociale della civilta` capitalistica, anzi in un certo senso e` per essa di un’importanza fondamentale.66

Gli insegnamenti di Calvino e le condotte che i suoi proseliti mettono in atto a partire dalla fine del XVI secolo non solo presentano una corrispondenza ideale con i principi dell’etica sociale capitalista e ne anticipano di gran lunga i tratti, ma introducono un’esigenza di razionalizzazione dei comportamenti che, del capitalismo, e` il presupposto stesso. L’affinita` elettiva tra orientamenti mondani e attitudini economiche risulta evidente se si considerano i principi teologici del calvinismo e gli effetti che tali principi ebbero sui comportamenti mondani dei seguaci. 66

Ivi, pp. 209-10.

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Il calvinismo pose Dio – i suoi decreti, le sue intenzioni, la sua volonta`... – al di la` di qualsiasi tipo di comprensione da parte dell’uomo. Incommensurabile e imperscrutibile la distanza tra Lui e le sue creature, e gli uomini non dovevano neanche osare l’idea di poter conoscere il destino loro riservato. Nessun pentimento e nessuna redenzione era possibile, nessun rito di perdono e di purificazione sarebbe stato in grado di modificare la sorte a cui ciascuno e` predestinato e non sarebbe bastata neanche la piu` virtuosa delle esistenze a garantire la grazia divina. Niente e nessuno poteva ormai sollevare l’uomo dall’incertezza o alleviare la solitudine con cui andava incontro al proprio destino. Il protestantesimo porto` a termine quel processo di disincanto del mondo che vide la razionalita` diventare lo strumento piu` forte – piu` forte della tradizione, piu` forte della religione – di attribuzione di senso. Dal mondo magico dei popoli primitivi, dove gli stessi fenomeni della natura non erano altro che manifestazioni di una forza imprevedibile e incomprensibile all’uomo, si passo` al mondo pervaso dal sacro delle societa` premoderne dove i valori religiosi davano significato e ordine a tutta la gamma delle attivita` umane, da quelle economiche a quelle politiche. Lentamente, poi, man mano che le societa` progredivano, mondo sacro e mondo profano cominciarono a differenziarsi, finche´ quest’ultimo prese il sopravvento e quello sacro arretro` in una dimensione squisitamente soggettiva e individuale. La Riforma protestante diede un’accelerazione significativa a tale processo contestando al cattolicesimo quegli aspetti liturgici che avrebbero potuto richiamare rituali arcaici legati alla superstizione e alla magia (la vendita delle indulgenze, la venerazione delle reliquie, la confessione come atto assolutorio, il culto dei santi...). La definitiva scomparsa dei sacramenti come mezzi di salute amministrati dalla Chiesa, che nel Luteranesimo non si e` mai del tutto compiuta, e` la differenza decisiva nei confronti col Cattolicesimo. (...) Quel gran processo storico religioso dell’eliminazione dell’elemento magico nel mondo che si inizio` colle antiche profezie giudaiche, e il quale col pensiero scientifico greco rigetto` tutti i mezzi magici nella ricerca della salute considerandoli come super67 stizione delittuosa, trovo` qui la sua conclusione. 67

Ivi, p. 211.

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Eliminata qualsiasi mediazione ecclesiastica tra l’uomo e Dio, negata ogni possibilita` di conoscere e cambiare il proprio destino, al Puritano non rimase altro che accettare la propria sorte e fare cio` per cui era stato creato: glorificare Dio. Glorificarlo hic et nunc, assolvendo i propri doveri mondani. Poiche´ se il mondo non era altro che una manifestazione della gloria di Dio, a tale glorificazione bisognava partecipare attivamente portando il contributo del proprio lavoro. Seguire la propria vocazione professionale (il termine usato da Weber e` Beruf, che puo` essere tradotto sia come vocazione che come professione), secondo la posizione che ciascuno occupa nella societa`, divento` allora principio etico. Compiere il proprio dovere nel lavoro ed incrementare in tal modo l’ordinamento razionale della vita sociale dovere morale; avere successo nel proprio lavoro l’unico modo per cogliere i segnali della propria predestinazione. E se cio` non poteva certo modificare quello che Dio, per sue imperscrutabili ragioni, aveva gia` deciso – salvezza o dannazione che fosse – poteva almeno sollevare l’uomo, che in tal modo si sentiva partecipe dell’armonia divina, dall’ansia dell’incertezza. Si prefigurava in tal modo il tipo ideale dell’imprenditore capitalista che dalla sua ricchezza non ricava nulla per se stesso; tranne l’irrazionale sentimento del compimento del proprio dovere professionale. La concezione che della professione aveva il calvinismo – e che si puo` sintetizzare nella razionalizzazione della condotta di vita – corrisponde a quel desiderio di profitto che, sposato ad una disciplina razionale, costituisce storicamente la caratteristica distintiva del capitalismo accidentale. Tale profitto, ottenuto attraverso l’organizzazione razionale del lavoro e della produzione, deve essere reinvestito e produrre altro profitto. Cosicche´ il tipo ideale di capitalista rifugge l’ostentazione della sua ricchezza e assume uno stile di vita che corrisponde a quello raccomandato dal protestantesimo ascetico. Dottrina da cui il capitalismo trasse significato e forza. L’ascesi cristiana, da principio fuggendo dal mondo nella solitudine, mentre rinunciava al mondo, aveva quasi dominato ecclesiasticamente il mondo stesso. Ma, nel complesso, essa aveva lasciato alla vita quotidiana profana il suo carattere naturalmente spregiudicato. Ora essa veniva sul mercato della vita, chiudeva dietro a se´ le porte dei chiostri, ed incominciava ad impregnare della sua metodicita` la vita quotidiana profana, ed a trasformarla in

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una vita razionale nel mondo, e tuttavia non di questo o per questo mondo...68

All’interno di tale concezione di vita, la ricchezza doveva essere considerata pericolosa e immorale quando conduceva all’ozio, allo spreco, all’edonismo, all’ostentazione e al godimento spregiudicato e irrazionale della proprieta`, ma come risultato del successo professionale, della condotta morigerata e dell’uso razionale e oculato del denaro, diventava virtu` e segno di grazia. La nascente borghesia capitalista assunse, o comunque rappresento` adeguatamente, i principi del puritanesimo: dignita` e moralita`, decoro, un tenore di vita orientato al confort e non al lusso, discrezione, etica del lavoro, parsimonia, individualismo, identico disprezzo nei confronti degli aristocratici ancien re´gime e dei poveri. Entrambi parassiti della societa`, entrambi colpevoli di offendere l’opera e la gloria di Dio: i primi perche´ dilapidavano irrazionalmente i suoi doni, i secondi perche´ non li sfruttavano adeguatamente. In questa sorta di circolo virtuoso tra i comportamenti economici dei capitalisti e gli orientamenti etici dei puritani, prese forma e si ando` affermando la nuova morale borghese basata su una identica solidita` di patrimoni ingenti e di valori rispettabili. Priva, osserva Weber, di qualsiasi anelito all’universalita` faustiana, incapace di qualsivoglia utopia e immaginazione, sorda a qualunque slancio ideale. In grado di parlare soltanto il linguaggio della razionalita` strumentale, in un mondo ormai defraudato di qualsiasi incantesimo. Nel corso del tempo il capitalismo, mentre si affermava come unico modello di produzione e di mercato, perdeva man mano la sua matrice etico-religiosa, si inaridiva di pensieri e valori, diventava, per la maggior parte degli individui, semplice costrizione economica. L’eredita` che giunge a noi uomini moderni, e` una sorta di gabbia di acciaio: il capitalismo ci costringe all’interno del suo potente ordinamento economico e ci riduce, consumatori compulsivi di merci, a semplici parti dell’ingranaggio. Il Puritano volle essere un professionista, noi dobbiamo esserlo. Poiche´ in quanto l’ascesi fu portata dalle celle dei monaci nella vita

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Ivi, pp. 214-5.

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professionale e comincio` a dominare la moralita` laica, essa coopero` per la sua parte alla costruzione di quel potente ordinamento economico moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica, che oggi determina con strapotente costrizione, e forse continuera` a determinare finche´ non sia stato consumato l’ultimo quintale di carbon fossile, lo stile della vita di ogni individuo, che nasce in questo ingranaggio, e non soltanto di chi prende parte all’attivita` puramente economica. Solo come un mantello sottile, che ognuno potrebbe buttar via, secondo la concezione di Baxter, la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle degli “eletti”. Ma il destino fece del mantello una gabbia di acciaio. Mentre l’ascesi imprendeva a trasformare il mondo e ad operare nel mondo, i beni esteriori di questo mondo acquistarono una forza sempre piu` grande nella storia. Oggi lo spirito dell’ascesi e` sparito, chissa` se per sempre da questa gabbia.69

Di questa gabbia l’organizzazione burocratica del lavoro amministrativo (sia pubblico che privato) rappresenta l’acciaio con cui e` forgiata. L’apparato amministrativo degli affari pubblici (pensiamo solo alla riscossione dei tributi) non e` nuovo alla storia. Sono invece inediti i principi su cui tale organizzazione si basa, in grado di garantire la razionalita` e l’efficienza funzionale e rendere impersonale, oggettivo, anonimo e neutrale il sistema, i compiti che svolge e gli eventuali servizi che offre al pubblico. In tal modo, i principi della razionalita` strumentale e quelli universalistici, che si sono affermati con l’avvento della modernita`, trovano nella burocrazia piena realizzazione. L’organizzazione burocratica moderna mostra la sua superiorita` tecnica rispetto a qualsiasi altra forma organizzativa del lavoro amministrativo e funziona secondo criteri di rapidita` dell’informazione, prevedibilita`, oggettivita`, neutralita` affettiva, competenza e razionalita`. • L’organizzazione e` strutturata da un insieme di uffici che svolgono funzioni specializzate. • All’interno di ciascun ufficio, i ruoli sono predisposti secondo un preciso ordine gerarchico, le funzioni di ruolo sono rigidamente regolamentate e le procedure lavorative standardizzate.

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Ivi, pp. 217-8.

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• Poiche´ l’ufficio e` una professione, i burocrati sono selezionati secondo criteri oggettivi, devono possedere requisiti prestabiliti (competenze, titoli di studio...) e la carica ha generalmente durata vitalizia. • I burocrati dedicano all’attivita` d’ufficio tutto il loro tempo di lavorativo, sono inseriti in percorsi di carriera generalmente definiti sulla base di criteri di anzianita`, ricevono uno stipendio calcolato secondo precise norme e hanno diritto ad una pensione. • Non c’e` alcuna connessione tra la funzione pubblica del burocrate e la sfera privata: gli uffici sono sempre separati dalle abitazioni private e le cariche non sono di proprieta` delle persone che le svolgono (e quindi non possono essere ne´ ereditate, ne´ fatte oggetto di commercio come accadeva in passato). • Non c’e` alcuna connessione tra la funzione e l’individuo che svolge tale funzione poiche´ ciascuno deve agire secondo gli ordini astratti di un rigoroso regolamento. La descrizione di alcune delle caratteristiche di tale sistema (meglio esplicitate nelle pagine di Weber che leggerete) rende palesi i principi di razionalita` e universalismo su cui tale sistema si basa e mette a nudo la sua anima moderna che deriva dalla pretesa di “eguaglianza giuridica” in senso personale e oggettivo, che aborre il “privilegio” e rifiuta in linea di principio una soluzione “caso per caso”. Per tale ragione lo sviluppo del sistema burocratico moderno non poteva che andare di pari passo con quello dell’economia monetaria e la nascita dello stato moderno, per quanto riguarda l’amministrazione pubblica, e, sul fronte di quella privata, con l’espansione delle imprese capitalistiche. Infine, se e` vero che l’organizzazione burocratica corrisponde ad una concentrazione dei mezzi di impresa nelle mani di chi ne detiene il potere, sia che si tratti delle grandi imprese capitalistiche private che delle comunita` pubbliche, e` altrettanto vero che, per i suoi caratteri di universalita`, oggettivita` e neutralita` essa presuppone lo sviluppo dei moderni sistemi democratici di potere e la nascita di un diritto amministrativo che ne regolamenti giuridicamente le funzioni. Naturalmente Weber non intende con cio` fare l’apologia del sistema burocratico: cio` che egli descrive e` l’ideal tipo di tale

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organizzazione che anche nella sua forma piu` coerente presenta evidenti limiti. Per esempio soffre di un’eccessiva rigidita` che non lascia alcun spazio all’autonomia e all’iniziativa dei suoi funzionari e appare assai poco flessibile e capace di adattarsi ai casi particolari (che non sono neanche contemplati). Ma cio` che Weber voleva analizzare erano quei principi di razionalita` strumentale che, nella societa` moderna, permeano non solo le strutture economiche, ma anche quelle di potere e che, se da una parte tutelano l’individuo sottraendolo definitivamente all’arbitrarieta` dei privilegi feudali e al giogo della tradizione, di fatto gli costruiscono intorno nuove prigioni che limitano la sua liberta` personale. E di queste prigioni l’apparato burocratico e`, per l’appunto, l’esempio piu` eclatante. Pur condividendo alcune delle critiche che Marx avanza nei confronti del capitalismo (per esempio il divario tra salario e profitto, la produzione finalizzata a suscitare sempre nuovi bisogni...) Weber, a differenza di Marx, non crede che sia possibile scalzare l’organizzazione del lavoro che il capitalismo ha imposto. Egli e` convinto che la burocrazia, una volta che sia pienamente realizzata, costituisca una delle formazioni sociali piu` difficilmente abbattibili. Sarebbe vano tentarlo da parte di chicchessia: non solo l’apparato burocratico del potere e` indifferente ai cambiamenti del potere stesso, ma anche quello legato alle imprese capitalistiche private continuera` a sussistere e a svilupparsi qualunque sia la forma della proprieta` dei mezzi di produzione. E cio` per la semplice ragione che esso, con tutti i suoi limiti, e` ancora il migliore possibile. La necessita` oggettiva dell’apparato gia` esistente, connesso alla sua “impersonalita`”, comporta d’altra parte il fatto che esso si trovi facilmente disposto – in antitesi agli ordinamenti feudali, fondati sulla reverenza personale – a lavorare per chiunque abbia saputo impadronirsi del potere nei suoi confronti. Un sistema di funzionari ordinato razionalmente continua, quando il nemico occupa il territorio, a funzionare in modo inappuntabile nelle sue mani con il semplice mutamento degli organi supremi.70

La complessita` delle societa` moderne necessita di un “agire sociale” ordinato razionalmente, la gestione della cosa pubblica e le 70

Ivi, p. 230.

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esigenze della produzione richiederebbero comunque un apparato amministrativo di tipo burocratico che e` quello in grado di rispondere meglio a tali esigenze. Per tali ragioni, sostiene Weber mostrando notevole chiaroveggenza, il sistema sopravvivrebbe anche ad un cambiamento di tipo rivoluzionario. D’altra parte i dominati non possono fare a meno ne´ sostituire l’apparato burocratico di potere gia` esistente, dato che esso si fonda su una sintesi sistematica di preparazione specialistica, di divisione specializzata del lavoro e di disposizione stabile a funzioni individuali abituali e padroneggiate con virtuosismo. Se l’apparato interrompe il suo lavoro, o se questo viene impedito con la forza, ne deriva un caos che molto difficilmente puo` essere sottoposto a controllo improvvisando un surrogato da parte dei dominanti.71

In un gioco di luci e di ombre Weber delinea cosı` la condizione oggettiva ed esistenziale dell’uomo moderno. Libero eppure prigioniero, consapevole ma disorientato, forte della sua razionalita` eppure orfano di valori e certezze, padrone del proprio destino ma all’interno di un processo di cui non si conoscono gli esisti. In un mondo, quello delle societa` occidentali entrate nel ventesimo secolo, che, insieme alla superstizione, il fatalismo, la schiavitu`, il totale l’arbitrio dei piu` forti sui piu` deboli, sembra aver perduto anche il cuore e l’anima e in cui l’efficienza produttiva appare l’unica religione possibile. Nessuno sa ancora chi nell’avvenire vivra` in questa gabbia e se alla fine di questo enorme svolgimento sorgeranno nuovi profeti od una rinascita di antichi pensieri ed ideali o, qualora non avvenga ne´ l’una cosa ne´ l’altra, se avra` luogo una specie di impietramento nella meccanizzazione, che pretenda di ornarsi di un’importanza che essa stessa nella sua febbrilita` si attribuisce. Allora in ogni caso per gli ultimi uomini di questa evoluzione della civilta` potra` essere vera la parola: “Specialisti senza intelligenza, gaudenti senza cuore: questo nulla si immagina di esser salito ad un 72 grado di umanita`, non mai prima raggiunto”.

Del resto niente e nessuno possono squarciare il velo che nasconde il futuro. Ne´ la religione, che ha perso il suo dominio sul 71 72

Ivi, p. 229. Ivi, p. 218.

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mondo, ne´ la scienza, che pure sembra sul punto di vincere la sua sfida nei confronti della natura, hanno tale potere. Il progressivo disincanto del mondo moderno ha lasciato l’uomo orfano dei suoi maestri e dei suoi profeti: la religione non e` piu` in grado di indicare e legittimare l’ordine e i valori che tengono insieme la societa` e la scienza non puo` dettare agli uomini, in nome della verita`, le azioni da compiere. (Vi ricordo che per Weber la scienza empirica deve abbandonare qualsiasi ambizione valutativa: “una scienza empirica non puo` mai insegnare ad alcuno cio` che egli deve, ma soltanto cio` che egli puo` e – in determinate circostanze – cio` che egli vuole”)73. Venendo a mancare la forza ordinatrice della religione e della tradizione, e a fronte del processo progressivo e irreversibile di razionalizzazione e differenziazione della societa`, le vari regioni del sociale – l’economia, la politica, la giustizia, la sfera privata dell’esistenza... – si separano e finiscono per definire in maniera autonoma i propri codici normativi. Il conflitto tra i valori che contraddistinguono i diversi ordini di attivita` rappresenta di fatto l’humus che garantisce l’assetto democratico delle societa` moderne, ma, nello stesso tempo, rende tale assetto continuamente rinegoziabile e relativo e contraddittorio l’orizzonte etico di riferimento. Gli dei dell’Olimpo sono in lotta tra loro, scrive Weber, alludendo a tale conflitto e all’uomo, che tali dei non puo` piu` invocare, non resta che rifugiarsi nell’intimo dei propri affetti per avere conforto e ritrovare certezze. Per il resto niente e nessuno puo` sollevarlo dalla responsabilita` delle sue scelte. In cio` l’uomo moderno e` solo e da solo deve trovare il demone che tiene insieme i fili della “sua vita”, da solo individuare la sua meta, disegnare la rotta, scegliere i compagni di viaggio. Da solo definire i limiti che la sua coscienza non puo` valicare. Per la prima volta pienamente consapevole del peso di tale responsabilita`, del suo immenso potere e della sua terribile solitudine.

73

M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 1958, p.172. Per una lettura scelta e un’introduzione a tali tematiche, cfr. A.R. Calabro`, Oggetto e metodo della sociologia: parlano i classici, Liguori, Napoli, 2003.

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Norbert Elias Nel 1936, Norbert Elias, intellettuale ebreo in fuga dal nazismo, pubblica, presso un piccolo editore svizzero, la prima parte della ¨ ber den Prozeß der Zivilisasua opera piu` impegnativa e importante: U tion. Tale opera, che inizialmente ebbe scarsa fortuna nell’ambiente scientifico dell’epoca, offre al lettore l’occasione di uno straordinario viaggio nel tempo che, a partire dal medioevo, ci conduce fino alla nascita delle societa` moderne. Un viaggio alla scoperta delle radici della modernita` per comprendere la genesi della nostra identita` di uomini occidentali civili, delle nostre abitudini sociali, della nostra democrazia. Una comprensione quanto mai necessaria in un’epoca, la nostra, in cui venti di guerra tornano a parlare in nome della civilta`, della democrazia e del progresso. Elias, in contrasto con le tendenze del suo tempo (l’impianto del suo lavoro fu elaborato intorno al 1930), non sottoscrive l’equazione progresso-miglioramento, bensı` esprime la necessita`, per comprendere il presente, di assumere una visione processuale della realta` sociale. Egli non parla infatti di progresso, quanto, piuttosto, della trasformazione congiunta, nel corso del tempo, con esiti imprevedibili ma secondo una precisa direzione, delle strutture psichiche e di quelle sociali. L’evoluzione dei rapporti sociali – che hanno dato vita alle diverse forme di potere e alle diverse modalita` del comportamento e della sensibilita` individuale che si sono succedute nella storia – costituisce quello che Elias definisce il processo di civilizzazione di cui la modernita` rappresenta l’ultima tappa in ordine di tempo. Esso consiste in un progressivo aumento della differenziazione e dell’interdipendenza tra gli uomini a cui fa riscontro, a livello sociopolitico, la nascita dello Stato moderno che detiene il monopolio della violenza legale e quello fiscale (gestiti entrambi da un permanente e specializzato apparato amministrativo) e, a livello psichico, l’interiorizzazione dei divieti e delle norme sociali. Questo processo di progressivo accentramento monopolistico dei centri del potere e di decentramento nelle coscienze individuali dei meccanismi di controllo del comportamento, prende il via nelle societa` tardo-medioevali del XI secolo. Societa` frammentate in piccole unita` di dominio, indipendenti funzionalmente l’una all’altra, non sottoposte ad alcun regime di monopolio, in libera concorrenza tra loro (libere cioe` di guerreggiare per offesa o per

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difesa) e scarsamente conflittuali al loro interno (vista la facilita` con cui potevano rivolgersi all’esterno per l’acquisizione delle risorse). All’interno di queste realta` locali, le diverse famiglie di guerrieri avevano governato, fino a quel momento, secondo il proprio arbitrio, usando come strumento di dominio la costrizione fisica sulle persone, esigendo dai propri sottoposti tributi in natura e servizi di vario genere dovendo onorare scarsi obblighi, generalmente militari e qualche volta fiscali, di vassallaggio. Solo in caso di aggressione esterna i vari signori stringevano alleanza, accentrando nelle mani dell’imperatore potere e risorse militari. Questa fase di libera concorrenza per il monopolio del potere duro` finche´ le risorse militari e di giurisdizione coincisero e costituirono una sorta di proprieta` privata in mano ai diversi signori le cui forze si equivalevano. L’economia era un’economia di baratto e la ricchezza era rappresentata dalla proprieta` della terra. Ma ad un certo punto l’equilibrio si rompe. A partire dall’antico regno dei Franchi occidentali, non piu` minacciato dai nemici esterni, si crea una particolare congiuntura sociale, politica ed economica: la relativa pace e il consolidamento della proprieta` della terra provocano un sensibile aumento demografico. A questo punto le risorse non sono piu` sufficienti per tutta la popolazione, la fame di terra diviene straordinariamente forte e, poiche´ non sono possibili ulteriori espansioni territoriali verso l’esterno, i signori feudali si rivolgono gli uni contro gli altri. Si costituiscono e si tradiscono alleanza, il piu` forte vince il piu` debole, ne annette i territori e, ancora piu` potente, trova un nuovo nemico... finche´, via via, le unita` in competizione si fanno sempre meno numerose. La legge che governa tale processo e` facile da descrivere nei sui caratteri essenziali: In uno spazio sociale sia data la presenza di un certo numero di individui e di un certo numero di chances che sono scarse o comunque insufficienti in rapporto alle esigenze di tutti. Assumendo che in un primo tempo ciascuno di questi individui lotti con un solo individuo per assicurarsi le chances esistenti e` molto improbabile che tutti rimangano per un periodo indeterminatamente lungo in questa posizione d’equilibrio e che nessuno dei due rivali risulti vincitore, soprattutto quando la lotta sia effettivamente libera e non sia influenzata da nessun potere monopolistico, al contrario e` straordinariamente probabile che prima o poi uno dei due sconfigga l’avversario. Quando cio` avviene le chances dei vincitori aumentano

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mentre diminuiscono quelle degli sconfitti; allora nelle mani di una parte dei contendenti si accumulano maggiori chances, mentre l’altra parte e` costretta ad abbandonare la lotta diretta. Se poi ciascuno dei vincitori a sua volta combatte con un altro vincitore la vicenda si ripete... (...) Il processo si ripete incessantemente finche´, nel caso ottimale, un solo individuo finisce per disporre di tutte le chances mentre tutti gli altri vengono a dipendere da lui.74

E` un po’ quello che succede con i meccanismi monopolistici dell’economia moderna. Queste formazioni di dominio, infatti, assomigliano all’inizio a delle imprese private in regime di libera concorrenza, le cui fortune sono legate all’abilita` e al fiuto del singolo imprenditore. Man mano pero` che l’impresa si espande, cambiano sia le condizioni del mercato esterno (si moltiplicano gli interessi in gioco e le modalita` di distribuzione delle risorse), sia i rapporti sociali interni (in termini di progressiva differenziazione delle funzioni e di interdipendenza tra i vari settori). Questa legge, che Elias chiama il gioco del meccanismo di monopolizzazione, si applica prima tra i feudi, poi all’interno delle signorie, poi tra le signorie stesse, determinando un movimento irreversibile di accentramento del potere e dei diversi territori. Nel frattempo il processo di monopolizzazione, che aveva minato le basi della societa` feudale, stava producendo un altro effetto, cruciale nel far crollare il sistema e aprire le porte alla modernita`. Coloro che via via perdevano la competizione per il controllo delle chance, si trovavano a dipendere da coloro che, al contrario, le stavano monopolizzando. Ma l’aumento delle catene di interdipendenza modifica le relazioni di potere. Chi accumula potere e` inevitabilmente costretto, ad un certo punto, a delegarne la gestione e il controllo, finendo cosı` per dipendere da coloro che dipendono da lui. Un processo lento, avverte Elias, che puo` essere contrastato e impiegare un tempo lunghissimo per manifestarsi e poi concretizzarsi in istituzioni permanenti, ma che e` inevitabile ed inequivocabile nella sua necessita`. Quanto piu` numerosi sono gli individui divenuti dipendenti attraverso il gioco del meccanismo di monopolizzazione, tanto maggiore diviene la potenza sociale non del singolo individuo dipendente ma della massa dei dipendenti in rapporto ai pochi o 74

In questa antologia, pp. 243-4.

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all’unico monopolista; e cio` avviene tanto a causa del loro numero quanto della dipendenza in cui vengono a trovarsi i pochi monopolisti, dalla massa crescente di dipendenti per poter conservare e sfruttare le loro chances monopolizzate.75

Si arriva cosı` al XIV secolo che vede la lotta per la supremazia tra poche dinastie rivali, nel contesto di un sistema economico ancora molto instabile. Ma da questo punto in poi le cose cominciano a cambiare. Il denaro e` l’elemento esterno che interviene attivamente ed accelera il processo che vede, all’interno dei diversi territori dell’Europa occidentale, l’accentramento dei centri di dominio, la progressiva differenziazione delle funzioni e il potenziamento dei legami di interdipendenza. Esso rompe l’equilibrio precedentemente fondato sul carattere privato della gestione del potere. Infatti, nel corso delle lunghe guerre tra dinastie, alcune delle quali si sarebbero concluse intorno alla meta` del XV con la nascita dei primi Stati nazionali, i prelievi in denaro, necessari a sostenere le spese di guerra, diventano costanti, trasformandosi progressivamente in uno stabile istituto delle imposte mentre, parallelamente, in un’economia a carattere ancora prevalentemente naturale, comincia a crescere il settore monetario e commerciale. Inoltre, con l’afflusso di denaro alle casse statali, si forma un apparato amministrativo centralizzato sempre piu` potente che si cura del prelievo fiscale, della sua regolamentazione e della destinazione delle risorse monetarie. La divergenza di interessi tra la borghesia in ascesa e la nobilta` in declino (indebolita dalle lotte intestine e progressivamente esclusa dalla gestione dell’apparato amministrativo) non consente loro un’alleanza per contrastare il processo di monopolizzazione del potere, inoltre le loro forze sono ancora su un piano di equilibrio e dunque ne´ si possono combattere a vicenda, ne´ puo`, una delle due, rivolgersi da sola contro il sovrano. Con la scoperta dell’America questo processo di mobilita` sociale ascendente e discendente subisce uno straordinario impulso: il commercio fiorisce e aumenta considerevolmente la massa monetaria in circolazione rafforzando gli strati produttivi urbani e indebolendo i nobili le cui proprieta`, per altro, si erano fortemente impoverite a causa della guerra. L’aumento della massa d’oro in 75

Ivi, p. 245.

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circolazione e la maggiore richiesta di beni provocano il deprezzamento della moneta compromettendo seriamente la posizione sociale dell’aristocrazia che vive esclusivamente della proprieta` agraria. Poiche´ su tale proprieta` non esiste alcun tipo di investimento, i redditi che ne derivano non possono essere aumentati in misura proporzionale alla perdita di potere d’acquisto del denaro. Intorno alla meta` del XVI secolo, in Francia, Spagna ed Inghilterra a occidente, e in Russia e Prussia, ad oriente, le monarchie hanno ormai concluso il processo di unificazione nazionale, rafforzato il prestigio del sovrano e organizzato stabilmente eserciti e burocrazie amministrative. Ma, a questo punto, la posizione del terzo Stato si rivela troppo forte a fronte di un’aristocrazia troppo debole e priva di ruoli significativi per poter costituire una sponda adeguata al potere della prima: uno squilibrio pericoloso che mette a rischio la monarchia. Si costituiscono allora le grandi corti europee che, fino alle rivoluzioni del XVII e del XVIII secolo, svolgeranno il compito di bilanciare le forze tra noblesse d’e´pe´e e noblesse de robe e in tal modo assicurare al sovrano il monopolio del potere. La corte diventa uno straordinario istituto di sorveglianza e di sussistenza: restituisce all’aristocrazia i propri privilegi di ceto e la pone sotto il diretto controllo del sovrano, senza mettere in discussione, anzi rafforzando, il ruolo della borghesia nell’amministrazione dello Stato. Il sovrano, in un’economia ormai monetaria, non e` piu` costretto ad usare la terra come merce di scambio, frammentando il suo territorio e indebolendo il suo potere di controllo e di dominio: lo fa dispensando denaro e cariche pubbliche. Si crea cosı` un particolare sistema di diritti e privilegi in grado di legare a se´ i due gruppi sociali antagonisti e mantenerli in un rapporto di pari forza e di interdipendenza reciproca. In tal modo, fino alla rivoluzione francese, la monarchia conservera` un potere pressoche´ assoluto. L’equilibrio sociale cosı` costituito, infatti, si rompera` quando un settore della societa` che aveva progressivamente assunto importanza e forza, lo strato borghese rappresentato dai commercianti e dai primi proto capitalisti, riconosce nell’ordine sociale esistente e nei criteri di amministrazione delle finanze, un ostacolo ai propri interessi. Si rimette cosı` in moto il processo di monopolizzazione in grado di ricostituire un nuovo ordine. La rivoluzione francese spezza l’equilibrio su cui reggeva l’ancien re´gime e determina la

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sconfitta dei due ceti fratelli-nemici che ne rappresentavano la struttura: la nobilta` di corte e la borghesia corporativa dei membri del terzo stato (i detentori privilegiati degli uffici e gli appartenenti alle antiche corporazioni artigianali). L’ultimo atto della storia che Elias racconta e` la progressiva democratizzazione delle societa` occidentali che conduce alla nascita dello stato moderno, basato sui principi della separazione dei poteri e della sovranita` popolare. Con la rivoluzione francese, infatti, si chiude la prima fase del meccanismo di monopolizzazione caratterizzata dalla libera concorrenza tra le parti in lotta per il controllo delle risorse, nel corso della quale tale controllo diventa prerogativa di un numero sempre piu` esiguo di individui fino a rimanere nelle mani di uno solo che ne detiene in monopolio. Nel corso della seconda fase, si mette in moto un meccanismo contrario, e il controllo del potere monopolistico dalle mani del singolo passa progressivamente a quelle di un consorzio di individui interdipendenti che agiscono su delega dell’intera comunita`. Il monopolio delle chances da privato diventa pubblico e la complessita` del sistema e` ormai cosı` avanzata, il meccanismo della divisione del lavoro talmente sensibile e complicato, la trama delle interdipendenze cosı` ramificata che coloro che detengono il potere sono subordinati al consenso e al controllo di coloro che governano. La modernita` a questo punto si e` pienamente affermata e le societa` occidentali si propongono come portatrici di democrazia e civilta`. Una parte piu` o meno rilevante degli individui che da questo apparato monopolistico dipendono crea solide istituzioni di controllo. La possibilita` di disporre del monopolio, di occupare posizioni-chiave non e` piu` decisa da un’unica lotta “non monopolistica”, ma attraverso periodiche lotte per l’eliminazione che non ricorrono pero` all’impiego delle armi e che sono regolate dall’apparato monopolistico, lotte “controllate” dal monopolio. Si forma cosı` 76 quello che siamo soliti chiamare un “regime democratico”.

A questo progressivo processo di differenziazione delle funzioni, di interdipendenza degli individui e di monopolizzazione dei centri del potere corrisponde un processo altrettanto potente e pervasivo che riguarda e modifica le strutture psichiche dell’indivi76

Ivi, p. 251.

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duo. Le societa` moderne nascono insieme all’uomo moderno, vale a dire all’uomo civile. Cio` che fa di un uomo un uomo civile, secondo le convenzioni sociali, e` la sua capacita` di controllare le emozioni e moderare le proprie manifestazioni affettive, differire nel tempo la soddisfazione dei propri bisogni, agire educatamente, adeguandosi senza sforzo alle norme sociali. Una persona civile sa, nelle diverse circostanze, come deve comportarsi e cio` accade spontaneamente senza che occorra minaccia o coercizione. Una persona civile agisce razionalmente e mai di impulso e quando agisce e` consapevole e responsabile delle conseguenze delle proprie azioni. Anche se oggetto di un sopruso o di un’ingiustizia si astiene da atti di violenza o di vendetta non per timore di essere sanzionata ma perche´ convinta che solo il potere sovrano abbia il diritto di usare la forza ed esercitare la giustizia. La complessita` della vita moderna richiede che il comportamento di ciascuno sia prevedibile, stabile, regolare. L’intreccio delle loro azioni deve essere organizzato in modo sempre piu` preciso e rigoroso affinche´ ogni singola azione possa adempiervi la sua funzione sociale. Il pericolo principale, semmai, `e che qualcuno, in questo ingranaggio, perda l’autocontrollo. Repressione delle aggressivita` spontanee, controllo degli affetti, ampliamento dell’orizzonte mentale, in modo da abbracciare la catena antecedente causale e la susseguente catena di effetti, sono tutti aspetti diversi di una medesima trasformazione del comportamento, e precisamente di quella che necessariamente si compie in concomitanza con la monopolizzazione del potere di esercitare la violenza fisica e con l’ampliamento delle catene di azioni e delle interdipendenze nello spazio sociale. Ed e` una modificazione del 77 comportamento che procede nel senso della “civilizzazione”.

Ma l’autocontrollo non e` innato: e` psicologicamente appreso nel corso del processo di socializzazione e storicamente determinato nelle sue forme. La societa` medioevale e` una societa` in cui la divisione delle funzioni e` scarsa e l’interdipendenza sociale molto debole. In tale societa` gli individui vivono dei prodotti della terra e l’uso della violenza e` un evento quotidiano e abituale. La legge e`, nel vero senso del termine, la legge del piu` forte. Chiunque si trova in una 77

Ivi, p. 258.

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situazione di forza nei confronti di qualcun altro (il vincitore verso il vinto, il feudatario verso i sottoposti, gli uomini verso le donne, gli adulti verso i bambini...) puo` esercitare il suo potere senza controllo e senza limiti. Le leggi servono a sancire i privilegi e a farne rispettare gli obblighi, non a tutelare dei diritti nel senso universalistico del termine. Incapace di dominare le sue passioni, ma da loro dominato, l’individuo usa la violenza e la forza fisica per soddisfarle. In una societa` in cui tutti sono liberi di dare sfogo ai propri istinti, ciascuno e` in balia di chi e` piu` forte di lui. Il trapasso dal Medioevo all’Eta` Moderna coincide con un movimento di accelerazione verso la differenziazione sociale e l’interdipendenza reciproca delle funzioni e dei territori: l’aumento della massa d’oro in circolazione, la diminuzione del potere d’acquisto della moneta, l’impulso del commercio, favorisce gli strati borghesi e i detentori del monopolio fiscale mentre costringe gli appartenenti all’antica aristocrazia guerriera a cercare a corte status e risorse finanziarie. All’economia naturale comincia a sostituirsi quella di mercato che spinge la divisione del lavoro all’interno di unita` sociali sempre piu` vaste. La conseguente riorganizzazione dei rapporti richiede uno stabile istituto giuridico di regolamentazione del comportamento reso possibile dal parallelo processo di accentramento del potere militare e coercitivo nelle mani di organismi piu` complessi e organizzati, posti sotto il diretto controllo del potere centrale. Le strutture stesse del mercato pretendono una regolamentazione dei rapporti di scambio mentre aumenta l’interdipendenza tra le diverse unita` produttive. Ma cio` che rende possibile questa evoluzione del comportamento e` il progressivo passaggio dall’eterocostrizione all’autocostrizione. Tant’e` che il processo che conduce al controllo sociale della violenza puo` dirsi compiuto solo quando si traduce nella forma dell’autogoverno psichico. Mentre il mercato e la burocrazia prendono prepotentemente posto nella societa` riorganizzandone le strutture e invadendo la vita quotidiana, gli individui si trovano sempre piu` dipendenti l’uno dall’altro, piu` garantiti dalla violenza e dall’arbitrio, ma anche meno liberi di soddisfare direttamente le proprie pulsioni. Dalla vita quotidiana vengono banditi gli eccessi: non solo la violenza individuale, i sentimenti prorompenti, la ricerca immediata di soddisfazione ai propri bisogni, ma anche quelle forme cosı` radicali di ascesi che avevano caratterizzato l’epoca medioevale.

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La violenza, immagazzinata dietro le quinte della vita quotidiana, non cessa di esercitare la sua influenza. Non scompare, ma assume fattezze piu` discrete e modi piu` civili. Lo Stato si assume il monopolio dell’uso delle armi e lascia all’individuo la possibilita` di esprimere i propri istinti competitivi e violenti nei modi e nei luoghi socialmente deputati: il gioco come simulazione della guerra, la competizione sociale e di mercato... La complessita` obbliga l’individuo a strategie di comportamento che devono tener conto nel tempo degli effetti dell’azione, propria e altrui, lungo la catena delle interdipendenze sociali e tale necessita` conduce ad un autocontrollo sempre piu` automatico, rigido e pressante. Il campo di battaglia viene in un certo modo interiorizzato, scrive Elias alludendo al conflitto perenne tra ragione e passione, razionalita` e istinto, essere e dover essere. Il disagio esistenziale sembra caratterizzare l’uomo moderno, talmente abituato a reprimere le proprie emozioni da non essere piu` capace di esprimerle... e forse neanche di provarle. E la noia e la solitudine rischiano di diventare compagne della sua vita. Una parte delle tensioni e passioni che venivano risolte nello scontro diretto tra uomo e uomo deve essere ora risolto da ciascuno entro di se´. Le piu` pacifiche costrizioni esercitate su ogni uomo dal rapporto con i suoi simili vengono riflesse al suo interno; si consolida in lui un particolare meccanismo consuetudinario, uno specifico ‘Super-io’ che si sforza continuamente di regolare i suoi affetti in conformita` con la struttura sociale, di trasformarli o reprimerli. (...) E non sempre questa lotta semi-automatica dell’uomo con se stesso ha una soluzione felice; non sempre la trasformazione di se´ imposta dalla vita in questa societa` porta ad un nuovo equilibrio dell’economia pulsionale. Molto spesso provoca turbamenti piu` o meno gravi, rivolte di una parte dell’uomo contro l’altra, atrofie che rendono piu` difficile o addirittura impedi78 scono l’esercizio delle funzioni sociali.

E c’e` un ulteriore vincolo a cui l’uomo moderno deve sottostare. Un’autorita` che e` il risultato dallo stesso processo di monopolizzazione e di autocostrizione che conduce alla modernita`. Un’autorita` che disciplina il comportamento di ciascuno con un

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Ivi, pp. 264-5.

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rigore inedito nella storia e le cui regole sono a tal punto introiettate che l’individuo le considera innate e non si rende piu` conto che esse sono culturalmente determinate. Stiamo parlando del tempo, o meglio, della concezione e dell’organizzazione sociale del tempo. Una delle piu` importanti istituzioni sociali che esercita eterocostrizione e determina autocostrizione. Ma di che cosa si parla quando si parla di tempo? Noi non possiamo vedere il tempo, ne´ sentirlo, non possiamo udirlo, ne´ gustarlo, ne´ toccarlo. Ma gli orologi non misurano forse il tempo? In realta`, ci spiega Elias, cio` che gli orologi misurano e` la durata di un evento nel corso del quale qualcosa cambia: l’atleta inizia la gara e raggiunge il traguardo, l’autobus parte e ci conduce a destinazione, il telefono squilla e inizia una conversazione... Gli orologi ci consentono di coordinare le nostre azioni e i nostri movimenti nella catena delle interdipendenze sociali: vado alla stazione sapendo quando partira` il treno, vado a scuola quando comincia la lezione e alle poste quando apre lo sportello, incontro il mio amico all’ora dell’appuntamento. Gli orologi rappresentano l’unita` di misura che permette di confrontare tra loro fenomeni che altrimenti non sarebbero confrontabili: la diversa durata di due viaggi, di due lezioni... Per usare le parole di Elias, la parola tempo esprime un concetto unitario di elevato livello di sintesi che permette di esprimere cio` che `e comune a piu` sequenze di avvenimenti e puo` essere indirettamente afferrato solo mettendolo in riferimento ad una sequenza standard. In epoca moderna tale sequenza standard e` data dagli orologi che sono, appunto, sequenze socialmente standardizzate (e cioe` condivise da tutti) di avvenimenti che incorporano modelli di sequenze uniformemente ricorrenti come le ore e i minuti; in passato, invece, gli uomini facevano ricorso alla natura per definire tali sequenze, per esempio il movimento del sole che determina l’ombra che si sposta sulla meridiana. Gli orologi, al pari delle semplici sequenze naturali con la medesima funzione sociale, servono agli uomini come mezzo per orientarsi nel succedersi delle sequenze sociali e naturali in cui si trovano inseriti. Analogamente i calendari, senza i quali non potremo calcolare la nostra eta` (ma neanche organizzare la nostra vita quotidiana, programmare le nostre attivita`, decidere le nostre vacanze...) ci offrono un unita` di misura socialmente standardizzata e ripetibile (il computo dei mesi e dei giorni) che ci consente di misurare qualcosa per sua natura

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irripetibile (il trascorrere degli anni, il passaggio alle varie eta` della vita, l’intervallo tra la nascita e la morte). Appare allora evidente che il tempo non e` altro che uno strumento che gli uomini usano per organizzare e coordinare le attivita` sociali. Dunque, alle diverse societa` che si sono succedute nella storia o che nella storia hanno convissuto, corrispondono modi diversi di organizzare e concepire il tempo e questi diversi modi sono lo specchio dei valori, delle necessita`, delle relazioni economiche e di potere delle societa` che li hanno espressi... Nelle societa` primitive di cacciatori e raccoglitori gli uomini vivono di attivita` predatorie e si spostano in cerca di cibo. L’esperienza del tempo e` del tutto frammentaria poiche´ i fenomeni naturali non sono ancora compresi nel loro carattere ciclico e totalmente passiva, cioe` per nulla organizzata. Le poche attivita` che gli uomini svolgono, infatti, sono regolamentate esclusivamente, e in modo del tutto istintuale, dai ritmi del tempo biologico (la fame, la sete, il sonno, gli impulsi sessuali... e non ha alcun significato l’esperienza della scarsita` o, al contrario, dell’abbondanza del tempo. La natura offre all’uomo cio` di cui ha bisogno per la sua sopravvivenza (acqua, cibo, riparo...) senza che, per lungo tempo, egli intervenga in alcun modo: essa con i suoi fenomeni (la pioggia, il sole...) e i suoi ritmi (le stagioni, il giorno e la notte...) sovrasta e domina totalmente l’uomo primitivo, impotente e sgomento nei suoi confronti. Per un lungo, lunghissimo tratto del suo cammino, egli non ha alcuna percezione del tempo che non sia quella del presente. Gli manca la memoria dell’esperienza passata, indispensabile per evitare strategicamente il pericolo, e la pur minima concezione del futuro, necessaria per compiere un’azione, seppur semplice, come la conservazione del cibo. Ma poi, lentamente, l’uomo comincia ad elaborare le prime forme di mediazione simbolica – il ruggito che avverte l’arrivo del leone, il tramonto che prelude la notte, con la certezza, poi, di un’alba... – e con queste la capacita` di connettere due e piu` eventi in un rapporto di causaeffetto (lancio la freccia, colpisco il leone e il leone muore) e di mezzo-fine (incido la freccia per poter uccidere il leone). L’elaborazione del pensiero astratto in grado di operare tali connessioni logiche implica la capacita` di percepire la realta` nella sua scansione temporale prima-durante-dopo che e` la prima condizione perche´, una volta che tale pensiero abbia raggiunto uno stadio di elaborazione sufficientemente avanzato (capace cioe` di abbracciare nella mente eventi non immediatamente contigui nel tempo), possa svilupparsi l’agricoltura.

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I   :   

E` con l’avvento dell’agricoltura che l’uomo comincia a dover organizzare le proprie attivita` e usare il tempo come strumento per dare loro ordine e ritmo. In tal modo il tempo da passivo diventa attivo, vale a dire, se pure in maniera molto semplice, organizzato; ciclico e concreto, vincolato cioe` strettamente e concretamente ai ritmi del tempo naturale, all’avvicendarsi ciclico del giorno e della notte e delle stagioni; discontinuo e impreciso (la durata del giorno, varia a seconda della durata delle stagioni). Sono i ritmi del tempo naturale che, insieme al calendario delle cerimonie religiose, danno ordine e disciplina alle attivita` e alla vita degli uomini. Il passaggio non e` pero` immediato: per lungo tempo la natura continua ad essere avvolta da un alone di magia e mistero e gli uomini delegano ai sacerdoti il compito – e il potere – di decifrarne i segnali per stabilire il momento della semina o del raccolto. Essi stessi probabilmente non si pongono piu` di tanto il problema di sapere in che modo il loro sacerdote e` giunto ad ottenere la risposta. Non hanno ancora alcuna sensibilita` per il tempo in senso astratto, come di qualcosa che trascorre. (...) I loro concetti sono molto piu` strettamente collegati ai cicli ricorrenti dei loro bisogni tangibili, all’eterno circolo di soddisfacimento momentaneo, bisogno nuovamente rinnovato e ricerca di un ulteriore sod79 disfacimento.

Man mano che la divisione del lavoro avanza e accanto alla domesticazione delle piante compare anche quella degli animali, gli uomini raggiungono capacita` superiori di astrazione fino a poter tradurre la propria esperienza del tempo in concetti regolativi ad un livello relativamente elevato di sintesi: il tempo scandito nei giorni, nei mesi, negli anni secondo calcoli matematici basati sull’astronomia. Ma nelle societa` premoderne, semplici, statiche e scarsamente differenziate, il presente e` ancora l’unica dimensione temporale dotata di senso. Il passato, infatti, e` rappresentato dalla tradizione che garantisce il ripetersi dell’ordine naturale delle cose (legittima il potere, vincola l’individuo al proprio destino di nascita...) e non esiste alcuna possibilita` di progettare e modificare il futuro. Certo, il futuro si puo` organizzare e programmare (per esempio si organizzano e programmano le attivita` agricole) ma non si puo` ne´ 79

Ivi, pp. 274-5.

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L    

predeterminare ne´ influenzare (in una concezione ciclica del tempo, che si basa sui cicli della natura, il futuro non e` altro che il ripetersi, l’eterno ritorno, di cio` che la tradizione stabilisce). Bisogna aspettare che si sviluppino il commercio e le prime attivita` bancarie perche´, insieme all’economia di mercato, si sviluppi una strategia imprenditoriale (basata sugli investimenti e sull’assunzione del rischio) e si cominci ad associare l’idea di tempo a quella di denaro (per esempio pretendendo degli interessi calcolati sulla durata dei prestiti). Ma e` con la rivoluzione industriale che il tempo diventa quello che noi oggi conosciamo: scarso, matematico, standardizzato, astratto, irreversibile, progressivo, oggettivo, rigorosamente organizzato e mercificato. La modernita`, di cui la rivoluzione industriale e` simbolo, mette in moto un processo che accelera progressivamente la velocita` del cambiamento. Gli scambi e le comunicazioni si fanno sempre piu` intensi e urgenti; mercato e societa`, uno specchio dell’altra, raggiungono gradi sempre piu` elevati di complessita`, differenziazione e interdipendenza; l’organizzazione razionale del lavoro e della produzione richiede un livello sempre piu` sofisticato di regolamentazione e di coordinamento delle funzioni, sia all’interno di ciascuna unita` produttiva che tra le diverse unita` produttive; gli individui si trovano costretti a conciliare gli impegni legati alla crescente molteplicita` dei ruoli sociali che ricoprono e delle istituzioni a cui appartengono e da cui dipendono e tali istituzioni, a loro volta, devono organizzare le proprie attivita` tenendo conto l’una dell’altra. Tutto cio`, per poter funzionare, richiede un tale livello di coordinamento che solo una rigida disciplina temporale puo` garantire. Una disciplina le cui regole, al di la` dei confini geografici e culturali, siano standardizzate e condivise. Un sistema di orari e calendari a cui tutti, individui ed istituzioni, possano riferirsi. Il tempo diventa astratto e lineare, calcolo matematico di una successione di ore, giorni e mesi che non ha piu` nulla a che fare con la concretezza e la ciclicita` dei ritmi della natura (un giorno dura ventiquattro ore sia in inverno che in estate). Il tempo diventa denaro, perche´ piu` si produce e piu` si guadagna, e ogni piu` piccola perdita di tempo danneggia il sistema. Il tempo diventa una merce, ma una merce scarsa che non basta mai a fronte della molteplicita` di prodotti, persone, informazioni e attivita` che deve coordinare ed organizzare.

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I   :   

E l’uomo moderno, in questo nuovo mondo cosı` dinamico e veloce, si riappropria della propria storia e del proprio destino laddove, nella scansione temporale della sua biografia, il presente sembra impallidire e contrarsi per diventare solo il luogo in cui l’esperienza passata diventa progetto futuro. Schiavo dell’orologio, ma padrone del tempo.

Per concludere Marx ed Engels, Simmel, Durkheim, Weber, Elias sono autori tra loro molto diversi. Sono diversi i loro caratteri e le loro biografie, dissimili i ruoli che hanno svolto a livello politico, sociale ed intellettuale nel corso della loro vita. Hanno fatto la storia della sociologia ma li dividono le posizioni teoriche che hanno assunto, i percorsi metodologici che hanno intrapreso, gli interessi che hanno coltivato e gli obiettivi che hanno perseguito. Eppure, l’analisi che ciascuno di loro ha svolto della modernita`, rivela una stessa sensibilita` ed intelligenza ed in questo senso cio` che li accomuna appare non meno rilevante di quanto li separi. Innanzitutto, pur partendo da posizioni molto diverse tra loro, ciascuno giunge a riconoscere nei processi di razionalizzazione, differenziazione, secolarizzazione e individualizzazione i caratteri salienti delle societa` moderne. Fin qui nulla di sorprendente: essendo dei grandi era prevedibile che con la stessa lucidita` arrivassero immediatamente, per cosı` dire, al cuore del problema. Ma cio` che davvero li accomuna e` lo spirito con cui guardano la modernita`. Uno spirito capace di non cedere alle lusinghe in essa contenute e di non lasciarsi intimorire dalle minacce in agguato. Nelle pagine che leggerete la modernita` viene descritta come una sorta di Giano bifronte che mostra entrambe le sue facce: mostruosa l’una, seducente l’altra. Ha immagazzinato la violenza dietro le quinte della vita quotidiana, ci dira` Elias, ma il campo di battaglia e` stato introiettato dall’individuo; ha affermato principi di uguaglianza e universalismo, ma, denuncia Marx, il sistema economico che le ha fatto da veicolo, ha creato nuovi servi; ha disegnato un mondo, per Weber, dove gli dei dell’Olimpo sono in lotta tra loro e l’uomo moderno, che ha rinunciato alla loro protezione, sopporta da solo il fardello della propria consapevo-

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L    

lezza e la responsabilita` delle proprie scelte. Si e` finalmente reso libero dalle catene del passato ma si e` costruito nuove prigioni, vere e proprie gabbie di acciaio, fuori e dentro di se´; e` padrone del tempo ma schiavo dell’orologio; ha domato la natura e innalzato metropoli ma, avverte Simmel, rischia la frammentazione dell’esperienza e l’afasia del cuore. Malato di mal di vivere in un occidente opulento e arrogante. Per tutti loro la modernita` non era, come molti allora credevano, la terra promessa dove il progresso avrebbe consentito la vittoria definitiva dell’uomo sulla la natura e saputo imporre un modello di sviluppo dalle virtu` indiscutibili. Ma non era neanche, come altri lamentavano, il luogo desolato dell’innocenza perduta, dove “l’autenticita`” dei rapporti umani era stata sacrificata alla logica del calcolo utilitaristico. Le grandi intelligenze sociologiche che si affacciarono al novecento non condividevano con i loro contemporanei l’onnipotenza nei confronti del futuro o il rimpianto del passato. Ne´ ottimisti, ne´ pessimisti nei confronti del presente, analizzarono lucidamente i caratteri di un cambiamento i cui esiti, essi avvertivano, sarebbero stati determinati da una molteplicita` di fattori interagenti ma anche dalla capacita`, o incapacita`, delle generazioni successive di scansarne i pericoli e coglierne le potenzialita`. Il loro compito e` stato quello di indicarci gli uni e le altre, il nostro quello di raccogliere tale eredita`. A voi, che vi apprestate a studiarli, il compito di riconoscere nel vostro presente l’eco e il significato di quelle parole, in una societa` che si e` lasciata alle spalle la modernita` ed e` entrata nella postmodernita` – con tutti i dubbi, le contraddizioni e, ancora una volta, le promesse che un tale cambiamento comporta.

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Parte prima Karl Marx e Friedrich Engels

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 La citta` , la divisione del lavoro e la nascita dell’economia moderna*

La piu` grande divisione del lavoro materiale e intellettuale e` la separazione di citta` e campagna. L’antagonismo tra citta` e campagna comincia col passaggio dalla barbarie alla civilta`, dall’organizzazione in tribu` allo Stato, dalla localita` alla nazione, e si protrae attraverso tutta la storia della civilta` fino ai nostri giorni (...). L’esistenza della citta` implica immediatamente la necessita` dell’amministrazione, della polizia, delle imposte, ecc., in una parola dell’organizzazione comunale, e quindi della politica in genere. Apparve qui per la prima volta la divisione della popolazione in due grandi classi, che e` fondata direttamente sulla divisione del lavoro e sugli strumenti di produzione. La citta` e` gia` il fatto della concentrazione della popolazione, degli strumenti di produzione, del capitale, dei godimenti, dei bisogni, mentre la campagna fa apparire proprio il fatto opposto, l’isolamento e la separazione. L’antagonismo fra citta` e campagna puo` esistere solo nell’ambito della proprieta` privata. Esso e` la piu` crassa espressione della sussunzione dell’individuo sotto la divisione del lavoro, sotto una determinata attivita` che gli viene imposta; sussunzione che fa dell’uno il limitato animale cittadino, dell’altro il limitato animale campagnolo, e che rinnova quotidianamente l’antagonismo fra i loro interessi. Il lavoro e` qui ancora una volta la cosa principale, il potere sopra gli individui, e fin tanto che questo esiste, deve esistere la proprieta` privata. L’abolizione dell’antagonismo fra citta` e

separazione citta` e campagna separazione lavoro intellettuale lavoro materiale

la citta` come concentrazione di risorse

* Karl Marx-Friedrich Engels: Die Deutsche Ideologie. Kritik der neuesten deutschen Philosophie in ihren Repra¨sentanten Feuerbach, B. Bauer und Stirner und des deutschen Sozialismus in seinen verschiedenen Propheten, Moskva-Frankfurt, MEGA, 1932. Trad. it. L’ideologia tedesca. Critica della piu` recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer und Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, Roma, Editori Riuniti, 1958, pag. 47-58.

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I   :   

antagonismo di interessi tra capitale e proprieta` fondiaria

fuga dei servi nelle citta` medievali

nascita delle corporazioni

il lavoro ... o era regolato dalla corporazione... ... o era lavoro a giornata

campagna e` una delle prime condizioni della comunita`, condizione che dipende a sua volta da una quantita` di presupposti materiali e che non puo` essere realizzata dalla semplice volonta`, come ciascuno puo` osservare a prima vista. (Queste condizioni debbono ancora essere spiegate). La separazione fra citta` e campagna puo` essere vista anche come la separazione fra capitale e proprieta` fondiaria, come l’inizio di un’esistenza e di uno sviluppo del capitale indipendente dalla proprieta` fondiaria, di una proprieta` che ha la sua base soltanto nel lavoro e nello scambio. Nelle citta` che, nel Medioevo, non erano tramandate gia` fatte dalla storia precedente, ma che furono formate ex novo dai servi divenuti liberi, il particolare lavoro di ciascuno era la sua unica proprieta`, al di fuori del piccolo capitale che portava con se´, consistente quasi solo nello strumento di lavoro piu` necessario. La concorrenza dei servi fuggitivi che affluivano incessantemente nella citta`, la guerra incessante della campagna contro la citta` e, di conseguenza, la necessita` di una forza militare cittadina organizzata, il legame della proprieta` comune in un lavoro determinato, la necessita` di edifici in comune per la vendita delle merci in un’epoca in cui gli artigiani erano contemporaneamente commerc¸ants, e la conseguente esclusione degli estranei da questi edifici, la necessita` di una protezione del lavoro appreso con fatica e l’organizzazione feudale dell’intero paese furono la causa dell’unione in corporazioni dei lavoratori di ciascun mestiere. Non occorre che qui ci dilunghiamo sulle molteplici modificazioni del sistema corporativo, che sorsero attraverso i successivi sviluppi storici. La fuga dei servi nelle citta` continuo` ininterrotta durante tutto il Medioevo. Questi servi, perseguitati nelle campagne dai loro signori, arrivavano isolatamente nelle citta`, dove trovavano una comunita` organizzata contro la quale erano impotenti e nella quale dovevano assoggettarsi alla posizione che ad essi assegnava il bisogno del loro lavoro e l’interesse dei loro concorrenti cittadini organizzati. Questi lavoratori che arrivavano isolatamente non potevano mai costituire una forza, perche´ se il loro lavoro era regolato da una corporazione e doveva essere appreso, i maestri della corporazione se li sottomettevano e li organizzavano secondo il loro interesse; ovvero, se il loro lavoro non doveva essere appreso e quindi non era regolato da una corporazione ma era lavoro a giornata, essi non arrivavano mai a costituire un’organizzazione e restavano plebe disorganizzata. La necessita` del lavoro salariato nelle citta` creo` la plebe. Queste citta`

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L ,        ’ 

erano delle vere «associazioni», provocate dal bisogno immediato, dalla preoccupazione di proteggere la proprieta` e di moltiplicare i mezzi di produzione e i mezzi di difesa dei singoli membri. La plebe di queste citta`, per essere composta di individui tra loro estranei, giunti isolatamente, disorganizzati e contrapposti a una forza organizzata, equipaggiata militarmente, che li sorvegliava gelosamente, era priva di ogni potere. In ciascun mestiere i garzoni e gli apprendisti erano organizzati nel modo che meglio rispondeva all’interesse dei maestri; il rapporto patriarcale in cui essi si trovavano con i maestri dava a questi un doppio potere: da una parte nella loro influenza diretta sull’intera vita dei garzoni; d’altra parte perche´ per i garzoni che lavoravano presso lo stesso maestro questi rapporti rappresentavano un vero legame, che li teneva uniti di contro ai garzoni degli altri maestri e li separava da essi; infine i garzoni erano legati all’ordinamento esistente se non altro per l’interesse che avevano a diventare essi stessi maestri. Quindi, mentre la plebe arrivava almeno a compiere delle sommosse contro l’intero ordine cittadino, che pero` restavano affatto inefficaci a causa della sua impotenza, i garzoni giungevano soltanto a piccole ribellioni all’interno delle singole corporazioni, com’e` nella natura stessa del regime corporativo. Le grandi sollevazioni del Medioevo partirono tutte dalla campagna, ma restarono ugualmente senza alcun effetto per la dispersione e per la conseguente rozzezza dei contadini. Nelle citta` la divisione del lavoro tra le singole corporazioni era ancora [del tutto spontanea] e all’interno delle corporazioni stesse, fra i singoli lavoratori, non si era ancora affatto sviluppata. Ogni lavoratore doveva essere abile in tutto un ciclo di lavoro, doveva saper fare tutto cio` che andava fatto con i suoi strumenti; le relazioni limitate e gli scarsi collegamenti tra le singole citta`, la rarita` della popolazione e la limitatezza dei bisogni non consentiva il sorgere di una divisione del lavoro piu` spinta, e percio` chiunque voleva diventare maestro doveva essere completamente padrone del suo mestiere. Per questo negli artigiani medievali si trova ancora un interesse per il proprio particolare lavoro e per l’abilita` che poteva elevarsi fino ad un certo, limitato, senso artistico. Per questo, pero`, ogni artigiano medievale era interamente preso dal suo lavoro, aveva con esso un rapporto di soddisfatto asservimento ed era sussunto sotto di esso assai piu` del lavoratore moderno, per il quale il suo lavoro e` indifferente.

la plebe costituita dai salariati urbani... ... era disorganizzata e priva di ogni potere

la relazione tra garzone e maestro era di tipo patriarcale

non c’era divisione del lavoro tra le singole corporazioni

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I   :   

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il capitale urbano era capitale naturale...

...non valutabile in denaro

la prima trasformazione significativa verso l’economia moderna fu la separazione tra produzione e commercio

lo scambio urbano come specializzazione della produzione fra le singole citta`

In queste citta` il capitale era un capitale naturale, che consisteva nell’abitazione, negli strumenti del mestiere e nella clientela naturale, ereditaria, e non essendo realizzabile, per le relazioni non ancora sviluppate e per la mancanza di circolazione, doveva essere trasmesso di padre in figlio. Questo capitale non era valutabile in denaro, come quello moderno, per il quale e` indifferente l’essere investito in questa o in quella cosa; esso era invece direttamente legato al lavoro determinato del possessore, inseparabile da esso, e quindi era un capitale connesso con un ordine sociale. La successiva estensione della divisione del lavoro fu la separazione di produzione e relazioni commerciali, la formazione di una classe speciale di commercianti, separazione che nelle citta` storicamente tramandate era gia` stata trasmessa (fra l’altro con gli ebrei) e che in quelle di nuova formazione apparve ben presto. Con cio` era data la possibilita` di comunicazioni commerciali che oltrepassavano la cerchia piu` immediata, possibilita` la cui realizzazione dipendeva dai mezzi di comunicazione esistenti, dallo stato della sicurezza pubblica nelle campagne, dipendente dalle condizioni politiche (e` noto che durante tutto il Medioevo i mercanti viaggiavano in carovane armate), e dai bisogni piu` o meno rozzi o evoluti, condizionati caso per caso dal grado di civilta`, del territorio accessibile agli scambi. Col traffico costituito in una classe particolare, con l’estensione del commercio, da parte dei mercanti, al di la` dei dintorni immediati della citta`, appare immediatamente una influenza reciproca fra produzione e scambio. Le citta` entrano in collegamento reciproco, nuovi strumenti vengono portati da una citta` nell’altra, e la divisione fra produzione e scambio provoca presto una nuova divisione della produzione fra le singole citta`, ciascuna delle quali ben presto sfrutta un ramo d’industria predominante. La limitazione iniziale alla localita` comincia a poco a poco ad essere eliminata. Nel Medioevo in ogni citta` i cittadini erano costretti ad unirsi contro la nobilta` delle campagne per difendere la pelle; l’estensione del commercio, lo stabilirsi delle comunicazioni conduceva le singole citta` a conoscere altre citta` che avevano fatto trionfare gli stessi interessi lottando contro la stessa opposizione. Dalle numerose borghesie locali delle singole citta` sorse assai lentamente la classe borghese. Attraverso l’opposizione contro le condizioni esistenti e attraverso il modo di lavoro da esse condizionato, le

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L ,        ’ 

condizioni di vita del singolo borghese diventarono insieme condizioni che erano comuni a tutti i borghesi e indipendenti da ciascun individuo singolo. I borghesi avevano creato queste condizioni in quanto si erano svincolati dai legami feudali, ed erano stati creati da esse in quanto erano determinati dalla loro opposizione contro il sistema feudale preesistente. Con lo stabilirsi dei collegamenti delle singole citta` queste condizioni comuni si svilupparono per diventare condizioni di classe. Le stesse condizioni, la stessa opposizione, gli stessi interessi dovevano far sorgere in complesso anche gli stessi costumi dappertutto. La borghesia stessa non si sviluppa che a poco a poco insieme con le sue condizioni, si scinde poi in varie frazioni sulla base della divisione del lavoro e infine assorbe in se´ tutte le classi possidenti preesistenti (mentre trasforma in una nuova classe, il proletariato, la maggioranza dei non possidenti che prima esistevano e una parte della classe fino allora possidente) nella misura in cui tutta la proprieta` preesistente e` trasformata in capitale industriale o commerciale. I singoli individui formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro un’altra classe; per il resto essi stessi si ritrovano l’uno di contro all’altro come nemici, nella concorrenza. D’altra parte la classe acquista a sua volta autonomia di contro agli individui, cosicche´ questi trovano predestinate le loro condizioni di vita, hanno assegnata dalla classe la loro posizione nella vita e con essa il loro sviluppo personale, e sono sussunti sotto di essa. Questo fenomeno e` identico alla sussunzione dei singoli individui sotto la divisione del lavoro e puo` essere eliminato soltanto mediante il superamento della proprieta` privata e del lavoro stesso. Abbiamo gia` accennato piu` volte come questa sussunzione degli individui sotto la classe si sviluppi in pari tempo in una sussunzione sotto idee di ogni genere, ecc.. Dipende unicamente dall’estensione delle relazioni commerciali se le forze produttive acquisite in una localita`, soprattutto le invenzioni, vadano o no perdute per lo sviluppo successivo. Fin tanto che non esistono relazioni che oltrepassino le vicinanze immediate, ogni invenzione deve essere fatta separatamente in ciascuna localita`, e avvenimenti puramente accidentali, come l’irruzione di popoli barbari o persino le consuete guerre, sono sufficienti per costringere un paese con forze produttive e bisogni sviluppati a ricominciare dal principio. Agli inizi della storia ciascuna invenzione doveva essere rifatta ogni giorno e in ogni

svincolata dai legami feudali, nella citta` nasce la borghesia...

...e il proletariato

gli individui sono assoggettati alla classe sociale di appartenenza il commercio produce sviluppo delle conoscenze

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I   :   

le citta` si specializzano e nascono le manifatture

concentrazione della popolazione concentrazione del capitale

la tessitura fu la prima e principale manifattura...

...svincolata dalle corporazioni

localita` indipendentemente. Quanto poco le forze produttive perfezionate siano al sicuro da una completa scomparsa, anche in presenza di un commercio relativamente assai esteso, e` dimostrato dai fenici, le cui invenzioni andarono perdute per la maggior parte, e per lungo tempo, in seguito all’eliminazione di quel popolo dal commercio, alla conquista di Alessandro e al declino che ne seguı`. Altrettanto puo` dirsi, per esempio, per la pittura su vetro del Medioevo. Solo quando le relazioni si sono estese su scala mondiale ed hanno per base la grande industria, quando tutte le nazioni sono trascinate nella lotta della concorrenza, la durata delle forze produttive acquisite e` assicurata. La divisione del lavoro fra le diverse citta` ebbe come prima conseguenza il sorgere delle manifatture, rami di produzione scaturiti dal sistema corporativo. Il primo fiorire delle manifatture – in Italia e piu` tardi nelle Fiandre – ebbe come presupposto storico il commercio con nazioni straniere. In altri paesi – Inghilterra e Francia, per esempio – le manifatture si limitarono inizialmente al mercato interno. Oltre quelli indicati, le manifatture avevano come presupposto una gia` progredita concentrazione della popolazione – soprattutto nelle campagne – e del capitale, che cominciava ad accumularsi nelle mani di pochi, parte nelle corporazioni, nonostante i regolamenti corporativi, parte presso i commercianti. Quel lavoro che presupponeva fin da principio una macchina, sia pure nella forma piu` rudimentale, si dimostro` ben presto come il piu` capace di sviluppo. La tessitura, che fino allora era esercitata in campagna dai contadini come attivita` secondaria, per procurarsi il vestiario occorrente, fu il primo lavoro che in seguito all’estensione del commercio ebbe impulso e ulteriore sviluppo. La tessitura fu la prima manifattura e resto` la principale. La crescente domanda di stoffe, dovuta all’aumento della popolazione, l’incipiente accumulazione e mobilizzazione del capitale naturale grazie all’accelerata circolazione, il bisogno di lusso che cio` provocava e che era favorito in genere dal progressivo estendersi del commercio, dettero alla tessitura un impulso quantitativo e qualitativo che la strappo` alla forma di produzione fino allora esistente. Accanto ai contadini che tessevano per il proprio consumo, che continuavano ad esistere ed esistono ancora, sorse nelle citta` una classe nuova di tessitori i cui tessuti erano destinati all’intero mercato interno e per lo piu` anche ai mercati stranieri. La tessitura, lavoro che nella maggior parte dei casi richiede poca abilita` e che si

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L ,        ’ 

suddivide presto in un’infinita` di rami, per sua natura riluttava assolutamente ai vincoli della corporazione. La tessitura fu quindi generalmente esercitata senza organizzazione corporativa anche in villaggi e borgate commerciali, i quali diventarono gradualmente citta` e anche, ben presto, le citta` piu` fiorenti di ciascun paese. Con la manifattura svincolata dalla corporazione mutarono immediatamente anche i rapporti di proprieta`. Il primo passo avanti, rispetto al capitale naturale degli ordini sociali, fu segnato dalla comparsa dei commercianti, il cui capitale nacque subito come capitale mobile, capitale nel senso moderno per quel tanto che se ne puo` parlare rispetto alle condizioni di quell’epoca. Il secondo passo avanti si ebbe con la manifattura, la quale a sua volta mobilizzo` una massa di capitale naturale e accrebbe in genere la massa del capitale mobile di contro al capitale naturale. La manifattura divento` in pari tempo un rifugio per i contadini contro le corporazioni che li escludevano o li pagavano male, cosı` come prima le citta` corporative erano state un rifugio per i contadini contro [la nobilta` rurale che li opprimeva]. Contemporaneamente all’inizio delle manifatture si ebbe un periodo di vagabondaggio, provocato dalla scomparsa delle compagnie al seguito dei feudatari, dallo scioglimento degli eserciti che si erano raccolti e che avevano servito i re contro i vassalli, dal miglioramento dell’agricoltura e dalla trasformazione in pascolo di grandi estensioni di terreno arativo. Da cio` gia` appare come questo vagabondaggio sia precisamente in rapporto con la dissoluzione del feudalesimo. Gia` nel tredicesimo secolo appaiono epoche isolate con questi caratteri, ma in forma generale e permanente questo vagabondaggio si manifesta solo con la fine del quindicesimo e con l’inizio del sedicesimo secolo. Questi vagabondi, i quali erano talmente numerosi che tra l’altro Enrico VIII d’Inghilterra ne fece impiccare 72.000, erano indotti a lavorare solo a prezzo di grandi difficolta`, se spinti da un’estrema miseria e soltanto dopo lunga resistenza. Il rapido fiorire delle manifatture, specialmente in Inghilterra, a poco a poco li assorbı`. Con la manifattura le varie nazioni entrarono in un rapporto di concorrenza, nella lotta commerciale che fu combattuta con guerre, dazi protettivi e proibizioni, laddove prima le nazioni, quando erano in relazione, avevano praticato tra loro pacifici scambi. Da questo momento in poi il commercio ha importanza politica. Con la manifattura fu in pari tempo introdotto un diverso

...trasformo` villaggi e borgate in citta` il commercio creo` un capitale mobile in contrapposizione a quello naturale

dissoluzione del feudalesimo 1400-1500

con lo sviluppo del commercio e delle manifatture le varie nazioni entrano in concorrenza

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

I   :   

maestro-garzone capitalistalavoratore

1942: la scoperta dell’America

la colonizzazione

grande borghesiacapitale mobile piccola borghesiacapitale naturale

rapporto fra lavoratore e datore di lavoro. Nelle corporazioni sussisteva il rapporto patriarcale fra garzoni e maestro; nella manifattura subentro` in suo luogo il rapporto di denaro fra lavoratore e capitalista: rapporto che in campagna e nelle piccole citta` conservo` una tinta patriarcale, mentre nelle citta` piu` grandi, propriamente manifatturiere, perdette ben presto quasi ogni colore patriarcale. La manifattura e il movimento della produzione in genere presero uno slancio enorme in seguito all’allargamento del commercio che si ebbe con la scoperta dell’America e della via marittima delle Indie orientali. I nuovi prodotti di la` importati, soprattutto le masse d’oro e d’argento che entrarono in circolazione, trasformarono completamente la posizione reciproca delle classi sociali e assestarono un duro colpo alla proprieta` fondiaria feudale e ai lavoratori, le spedizioni degli avventurieri, la colonizzazione e soprattutto l’allargamento dei mercati in mercato mondiale, che solo ora era diventato possibile e si attuava ogni giorno di piu`, provocarono una nuova fase dello sviluppo storico sulla quale, in generale, non occorre che ci soffermiamo oltre. La colonizzazione dei paesi di recente scoperta dette alla lotta commerciale fra le nazioni nuovo alimento e, di conseguenza, una maggiore estensione e una maggiore asprezza. L’estendersi del commercio e della manifattura accelero` l’accumulazione del capitale mobile, mentre nelle corporazioni, che non ricevettero alcuno stimolo ad allargare la produzione, il capitale naturale restava statico o anche diminuiva. Il commercio e la manifattura crearono la grande borghesia, mentre nelle corporazioni si concentrava la piccola borghesia, che non dominava piu` come prima nelle citta` ma doveva piegarsi al dominio dei grandi mercanti e manifatturieri. Da qui il declino delle corporazioni, non appena entrarono in contatto con la manifattura. I rapporti reciproci fra le nazioni, nel commercio, assunsero due aspetti diversi durante l’epoca di cui abbiamo parlato. All’inizio la scarsa quantita` d’oro e d’argento circolante provoco` il divieto di esportare questi metalli; e l’industria, resa necessaria per occupare la crescente popolazione cittadina e per lo piu` importata dall’estero, non poteva fare a meno dei privilegi che naturalmente potevano essere accordati non solo contro la concorrenza interna, ma principalmente contro quella straniera. In queste proibizioni primitive il privilegio corporativo locale fu esteso a tutta la na-

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

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L ,        ’ 

zione. I dazi nacquero dai tributi imposti dai signori feudali ai mercanti che attraversavano il loro territorio, come indennizzo per i saccheggi, tributi che piu` tardi furono ugualmente imposti dalle citta` e che all’apparizione dello Stato moderno rappresentarono per il fisco il mezzo piu` a portata di mano per far denaro. Quei provvedimenti acquistarono un altro significato con la comparsa dell’oro e dell’argento americano sui mercati europei, col progressivo sviluppo dell’industria, col rapido slancio del commercio e la conseguente ascesa della borghesia non legata alle corporazioni, e con l’importanza crescente del denaro. Lo Stato, per il quale era ogni giorno piu` difficile fare a meno del denaro, mantenne per considerazioni fiscali il divieto di esportare l’oro e l’argento; i borghesi, per i quali l’obiettivo principale era di accaparrare queste masse di denaro appena gettate sul mercato, ne erano completamente soddisfatti; i privilegi gia` esistenti diventarono una fonte di entrate per il governo e furono venduti per denaro; nella legislazione doganale apparvero i dazi di esportazione i quali, non facendo altro che ostacolare l’industria, avevano uno scopo puramente fiscale. Il secondo periodo comincio` con la meta` del secolo diciassettesimo e duro` quasi fino alla fine del diciottesimo. Il commercio e la navigazione si erano sviluppati piu` rapidamente della manifattura, che rappresentava una parte secondaria; le colonie cominciarono a diventare grossi consumatori, le singole nazioni si divisero lottando a lungo nel mercato mondiale che si apriva. Questo periodo ha inizio con le leggi sulla navigazione e i monopoli coloniali. La concorrenza fra le nazioni fu esclusa nella massima misura possibile mediante tariffe, proibizioni, trattati; e in ultima istanza la lotta di concorrenza fu condotta e decisa con le guerre (specialmente con le guerre marittime). La nazione piu` potente sul mare, l’Inghilterra, conservo` la preponderanza nel commercio e nella manifattura. Gia` qui troviamo la concentrazione in un paese. La manifattura era continuamente tutelata con dazi protettivi sul mercato interno, con monopoli sul mercato coloniale, e il piu` possibile con dazi differenziali sui mercati esteri. Fu favorita la lavorazione del materiale prodotto all’interno (lana e lino in Inghilterra, seta in Francia), vietata l’esportazione della materia grezza prodotta all’interno (lana in Inghilterra), trascurata o inedita quella della materia importata (cotone in Inghilterra). La nazione predominante nel commercio marittimo e nella potenza

i dazi nati come privilegi nell’economia feudale ora proteggono la manifattura sistema fiscale e stato moderno

legislazione doganale

1600/1700

leggi sulla navigazione monopoli doganali la guerra e la concorrenza economica

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

I   :   

la manifattura non sopporta un regime di libera concorrenza....

... cosı` come commercianti e armatori avevano bisogno dei monopoli

si crea un mercato mondiale

coloniale si assicuro` naturalmente anche la maggiore estensione quantitativa e qualitativa della manifattura. La manifattura non poteva in genere fare a meno della protezione, poiche´ il minimo mutamento verificatosi in altri paesi puo` farle perdere il mercato e rovinarla; essa viene introdotta facilmente in un paese, in condizioni piu` o meno favorevoli, e appunto per questo puo` essere facilmente distrutta. E intanto, per il modo in cui era praticata soprattutto nel secolo XVIII nelle campagne, essa e` cosı` intimamente legata con le condizioni di vita di una gran massa di individui che nessun paese puo` osare di metterne in gioco l’esistenza col permettere la libera concorrenza. Nella misura in cui giunge ad esportare, essa dunque dipende completamente dall’espansione o dalla limitazione del commercio, ed esercita su di esso una reazione relativamente assai limitata. Da cio` la sua importanza secondaria e l’influenza dei commercianti nel diciottesimo secolo. Furono i commercianti, e in particolare gli armatori, che piu` di tutti fecero pressione per la protezione di Stato e i monopoli; e` vero che anche i manifatturieri sollecitavano ed ottenevano la protezione, ma per importanza politica restarono sempre dietro ai commercianti. Le citta` commerciali, e specialmente le citta` marinare, diventarono relativamente civili ed erano centri della grande borghesia, mentre le citta` industriali conservavano uno spirito estremamente piccolo-borghese. (...) Questo periodo e` anche caratterizzato dalla cessazione del divieto di esportare oro e argento, dal sorgere del mercato monetario, delle banche, del debito pubblico, della carta-moneta, delle speculazioni sulle azioni e i capitali, dell’aggiottaggio su tutti gli articoli e dallo sviluppo del sistema finanziario in genere. Il capitale perdette nuovamente gran parte del carattere naturale che ancora gli era rimasto. La concentrazione del commercio e della manifattura che nel secolo diciassettesimo si sviluppo` ininterrottamente in un solo paese, l’Inghilterra, creo` gradualmente per questo paese un mercato mondiale relativo e quindi una domanda per i prodotti manufatti di questo paese che non poteva essere piu` soddisfatta dalle forze produttive industriali allora esistenti. Questa domanda crescente al di la` delle forze produttive fu la forza motrice che, creando la grande industria — l’impiego delle forze elementari a scopi industriali, le macchine e la divisione del lavoro portata al massimo – suscito` il terzo periodo della proprieta` privata dal

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

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L ,        ’ 

Medioevo in poi. Le altre condizioni di questa nuova fase – la liberta` di concorrenza all’interno della nazione, il perfezionamento della meccanica teorica (la meccanica perfezionata da Newton nel XVIII secolo era la scienza piu` popolare in Francia e in Inghilterra), ecc. – esistevano gia` in Inghilterra. (La libera concorrenza all’interno della nazione stessa dovette essere conquistata dappertutto con una rivoluzione: 1640 e 1688 in Inghilterra, 1789 in Francia). La concorrenza costrinse presto ogni paese che voleva conservare la sua funzione storica a proteggere le sue manifatture con nuove misure doganali (i vecchi dazi non servivano piu` contro la grande industria) e subito dopo a introdurre la grande industria sotto dazi protettivi. Nonostante questi mezzi di protezione, la grande industria universalizzo` la concorrenza (essa e` la liberta` di commercio pratica, e i dazi protettivi non sono in essa che un palliativo, uno strumento di difesa all’interno della liberta` di commercio), stabilı` i mezzi di comunicazione e il mercato mondiale moderno, sottomise a se´ il commercio, trasformo` ogni capitale in capitale industriale e genero` cosı` la circolazione rapida (perfezionamento del sistema finanziario) e la centralizzazione dei capitali. Con la concorrenza universale essa costrinse tutti gli individui alla tensione estrema delle loro energie. Essa distrusse il piu` possibile l’ideologia, la religione, la morale, ecc. e quando cio` non le fu possibile ne fece flagranti menzogne. Essa produsse per la prima volta la storia mondiale, in quanto fece dipendere dal mondo intero ogni nazione civilizzata, e in essa ciascun individuo, per la soddisfazione dei suoi bisogni, e in quanto annullo` l’allora esistente carattere esclusivo delle singole nazioni. Sussunse le scienze naturali sotto il capitale e tolse alla divisione del lavoro l’ultima parvenza del suo carattere naturale. Per quanto cio` era possibile nell’ambito del lavoro, distrusse l’impronta naturale in genere e risolse tutti i rapporti naturali in rapporti di denaro. In luogo delle citta` naturali, creo` le grandi citta` industriali moderne, sorte da un giorno all’altro. La` dove penetro`, essa distrusse l’artigianato e in generale tutti gli stadi anteriori dell’industria. Completo` la vittoria della citta` commerciale sulla campagna. [Il suo primo presupposto] e` il sistema automatico. [Il suo sviluppo] creo` una massa di forze produttive per le quali la proprieta` privata divento` un intralcio non minore di quel che era stata la corporazione per la manifattura e la piccola azienda rurale per l’artigianato in via di sviluppo. Sotto la proprieta` privata queste forze produttive non

nasce la libera concorrenza

la grande industria prende il dominio

spazza via il passato...

...nazionalismi e individualismi

impone il dominio del denaro...

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

I   :   

determina la nascita di una nuova classe sociale: il proletariato

conoscono che uno sviluppo unilaterale, per la maggior parte diventano forze distruttive, e una quantita` di tali forze non puo` trovare nel regime della proprieta` privata alcuna applicazione. In generale essa creo` dappertutto gli stessi rapporti fra le classi della societa` e in tal modo distrusse l’individualita` particolare delle singole nazionalita`. E infine, mentre la borghesia di ciascuna nazione conserva ancora interessi nazionali particolari, la grande industria creo` una classe che ha il medesimo interesse in tutte le nazioni e per la quale la nazionalita` e` gia` annullata, una classe che e` realmente liberata da tutto il vecchio mondo e in pari tempo si oppone ad esso. Essa rende insopportabile al lavoratore non soltanto il rapporto col capitalista, ma il lavoro stesso. (...)

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 Il lavoro moderno come lavoro alienato*

L’operaio diventa tanto piu` povero quanto piu` produce ricchezza, quanto piu` la sua produzione cresce in potenza e estensione. L’operaio diventa una merce tanto piu` a buon mercato quanto piu` crea delle merci. Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini. Il lavoro non produce soltanto merci; esso produce se stesso e il lavoratore come una merce, precisamente nella proporzione in cui esso produce merci in genere. Questo fatto non esprime nient’altro che questo: che l’oggetto, prodotto dal lavoro, prodotto suo, sorge di fronte al lavoro come un ente estraneo, come una potenza indipendente dal producente. Il prodotto del lavoro e` il lavoro che si e` fissato in un oggetto, che si e` fatto oggettivo: e` l’oggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro e` la sua oggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare, nella condizione descritta dall’economia politica, come annullamento dell’operaio e l’oggettivazione appare come perdita e schiavitu` dell’oggetto, e l’appropriazione come alienazione, come espropriazione. La realizzazione del lavoro si palesa talmente come annullamento che l’operaio e` annullato fino alla morte per fame. L’oggettivazione si palesa tale perdita dell’oggetto che l’operaio e` derubato non solo degli oggetti piu` necessari alla vita, ma anche degli oggetti piu` necessari del lavoro. Lo stesso lavoro, anzi, diventa un oggetto di cui egli puo` impadronirsi solo con lo sforzo piu` grande e le interruzioni piu` irregolari. L’appropriazione dell’oggetto prodotto si palesa tale estraniazione che piu` oggetti l’operaio produce,

il valore del mondo delle cose e di quello degli uomini e` inversamente proporzionale

l’oggettivazione del lavoro ...come perdita ed espropriazione

* Karl Marx, Oekonomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844, in Gesamtausgabe, Moskva-Frankfurt, MEGA, 1927. Trad. it. Manoscritti economicofilosofici del 1844, in Opere complete, Roma Editori Riuniti, 1976 (Vol. III — 1843-1844), pag. 194-203.

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

I   :   

l’operaio e` totalmente estraneo al prodoto del suo lavoro...

...in cio` consiste la sua alienazione

egli e` schiavo di cio` che produce...

meno puo` possederne e tanto piu` cade sotto il dominio del suo prodotto, del capitale. Tutte queste conseguenze si trovano nella determinazione: che l’operaio sta in rapporto al prodotto del suo lavoro come ad un oggetto estraneo. Poiche´ e` chiaro, per questo presupposto, che quanto piu` l’operaio si consuma nel lavoro tanto piu` acquista potenza il mondo estraneo, oggettivo, ch’egli si crea di fronte, e tanto piu` povero diventa egli stesso, il suo mondo interiore, e tanto meno egli possiede. Come nella religione. Piu` l’uomo mette in Dio e meno serba in se stesso. L’operaio mette nell’oggetto la sua vita, e questa non appartiene piu` a lui, bensı` all’oggetto. Piu` e` grande questa sua attivita` e piu` l’operaio diventa senza oggetto. Cio` ch’e` il prodotto del suo lavoro, esso non lo e`. Quanto maggiore dunque questo prodotto, tanto minore e` egli stesso. L’espropriazione dell’operaio nel suo prodotto non ha solo il significato che il suo lavoro diventa un oggetto, un’esterna esistenza, bensı` che esso esiste fuori di lui, indipendente, estraneo a lui, come una potenza indipendente di fronte a lui, e che la vita, da lui data all’oggetto, lo confronta estranea e nemica. Consideriamo piu` da vicino l’oggettivazione, la produzione dell’operaio, ed in essa l’alienazione, la perdita dell’oggetto, del suo prodotto. L’operaio non puo` produrre nulla senza la natura, senza il mondo esterno sensibile. La natura e` il materiale su cui il suo lavoro si realizza, in cui esso e` attivo, da cui e mediante cui esso produce. Ma come la natura fornisce l’alimento del lavoro, nel senso che il lavoro non puo` sussistere senza oggetti, sui quali esercitarsi, cosı` essa fornisce d’altra parte anche gli alimenti in senso stretto, cioe` i mezzi la sussistenza fisica dell’operaio stesso. Dunque, quanto piu` l’operaio si appropria col suo lavoro il mondo esterno, la natura sensibile, tanto piu` si priva di alimento, nel duplice senso: che´, in primo luogo, il sensibile mondo esteriore cessa sempre piu` di esser un oggetto appartenente al suo lavoro, un alimento del suo lavoro e in secondo luogo, esso mondo sensibile cessa sempre piu` di esser alimento nel senso immediato di mezzo per la sussistenza fisica dell’operaio. Sotto questo duplice aspetto, dunque, l’operaio diventa uno schiavo del suo oggetto: primieramente in quanto egli riceve un oggetto di lavoro, cioe` lavoro, e secondariamente in quanto riceve mezzi di sussistenza. Primieramente, dunque, in quanto puo` esistere

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

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I     

come lavoratore, secondariamente in quanto puo` esistere come soggetto fisico. L’apice di questa schiavitu` e` che egli, ormai, solo in quanto e` piu` che operaio puo` conservarsi come soggetto fisico, e che solo in quanto e` piu` che soggetto fisico egli e` operaio. (L’alienazione dell’operaio nel suo oggetto si esprime, secondo le leggi dell’economia politica, in modo che, quanto piu` l’operaio produce, tanto meno ha da consumare, e quanto piu` crea dei valori, tanto piu` egli e` senza valore e senza dignita`, e quanto piu` il suo prodotto ha forma, tanto piu` l’operaio e` deforme, e quanto piu` e` raffinato il suo oggetto, tanto piu` e` imbarbarito l’operaio, e quanto piu` e` potente il lavoro, tanto piu` impotente diventa l’operaio, e quanto piu` e` spiritualmente ricco il lavoro, tanto piu` l’operaio e` divenuto senza spirito e schiavo della natura.) L’economia politica occulta l’alienazione ch’e` nell’essenza del lavoro per questo: ch’essa non considera l’immediato rapporto fra operaio (il lavoro) e la produzione. Certamente il lavoro produce meraviglie per i ricchi, ma produce lo spogliamento dell’operaio. Produce palazzi, ma caverne per l’operaio. Produce bellezza, ma deformita` per l’operaio. Esso sostituisce il lavoro con le macchine, ma respinge una parte dei lavoratori ad un lavoro barbarico, e riduce a macchine l’altra parte. Produce spiritualita`, e produce la imbecillita`, il cretinismo dell’operaio. L’immediato rapporto del lavoro ai suoi prodotti `e il rapporto dell’operaio agli oggetti di sua produzione. Il rapporto del facoltoso agli oggetti della produzione e a questa stessa e` soltanto una conseguenza di questo primo rapporto. E ne e` la conferma. Consideriamo piu` tardi quest’altro lato. Se ci chiediamo dunque quale sia il rapporto essenziale ch’e` il lavoro, ci chiediamo del rapporto dell’operaio con la produzione. Abbiamo finora considerato l’alienazione, l’espropriazione dell’operaio solo secondo un lato: quello del suo rapporto coi prodotti del suo lavoro. Ma l’alienazione non si mostra solo nel risultato, bensı` anche nell’atto della produzione, dentro la stessa attivita` producente. Come potrebbe l’operaio confrontarsi come un estraneo col prodotto della sua attivita`, se egli non si e` estraniato da se stesso nell’atto della produzione stessa? Il prodotto non e` che il riepilogo dell’attivita`, della produzione. Se, dunque, il prodotto del lavoro e` la espropriazione, la stessa produzione dev’essere espropriazione in atto, o espropriazione dell’attivita`, o attivita` di espropriazione. Nell’alienazione dell’oggetto del lavoro si riassume soltanto l’alie-

...non solo perche´ cio` che produce gli e` estraneo, ma anche perche´ la sua sussistenza dipende da esso

viene negato il rapporto tra l’operaio e la produzione

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

I   :   

l’alienazione non e` solo nei confronti di cio` che viene prodotto, ma anche nell’atto stesso della produzione e cioe` nel lavoro...

...perche´ il lavoro, nell’economia capitalista, e` solo costrizione e sacrificio e non fonte d’identita`

nazione, l’espropriazione, che avviene nell’attivita` stessa del lavoro. In che consiste ora l’espropriazione del lavoro? Primieramente in questo: che il lavoro resta esterno all’operaio, cioe` non appartiene al suo essere, e che l’operaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensı` si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, bensı` mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito. L’operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori del lavoro, e fuori di se´ nel lavoro. A casa sua egli e` quando non lavora e quando lavora non lo e`. Il suo lavoro non e` volontario, bensı` forzato, e` lavoro costrittivo. Il lavoro non e` quindi la soddisfazione di un bisogno, bensı` e` soltanto un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni a esso. La sua estraneita` risalta nel fatto che, appena cessa di esistere una costrizione fisica o d’altro genere, il lavoro e` fuggito come una peste. Il lavoro esterno, il lavoro in cui l’uomo si espropria, e` un lavorosacrificio, un lavoro-mortificazione. Infine l’esteriorita` del lavoro al lavoratore si palesa in questo: che il lavoro non e` cosa sua ma di un altro, che il lavoro non gli appartiene, e che in esso egli non appartiene a se´, bensı` a un altro. Come nella religione l’attivita` propria dell’umana fantasia, dell’umano cervello e del cuore umano, opera sull’individuo indipendentemente da esso, cioe` come un’attivita` estranea, divina o diabolica, cosı` l’attivita` del lavoratore non e` la sua attivita` propria. Essa appartiene ad un altro, e` la perdita del lavoratore stesso. Il risultato e` che l’uomo (il lavoratore) si sente libero ormai soltanto nelle sue funzioni bestiali, nel mangiare, nel bere e nel generare, tutt’al piu` nell’aver una casa, nella sua cura corporale ecc., e che nelle sue funzioni umane si sente solo piu` una bestia. Il bestiale diventa l’umano e l’umano il bestiale. Il mangiare, il bere, il generare ecc., sono in effetti anche schiette funzioni umane, ma sono bestiali nell’astrazione che le separa dal restante cerchio dell’umana attivita` e ne fa degli scopi ultimi e unici. Abbiamo considerato da due lati l’atto di alienazione dell’attivita` pratica umana, del lavoro. 1) Il rapporto dell’operaio col prodotto del lavoro come oggetto estraneo e avente un dominio su di lui. Rapporto che e` contemporaneamente rapporto col mondo sensibile, cogli oggetti naturali, come mondo che gli sta di fronte estraneo, nemico. 2) Il rapporto del lavoro con l’atto di produzione nel

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

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I     

lavoro. Rapporto ch’e` il rapporto dell’operaio con la sua propria attivita` come estranea, non sua, l’attivita` come passivita`, la forza ch’e` debolezza, la generazione ch’e` impotenza, l’energia fisica e spirituale propria dell’operaio, la sua vita personale – che cos’e` la vita se non attivita` – come un’attivita` rivolta contro lui stesso, da lui indipendente, a lui non appartenente. L’autoalienazione, allo stesso modo in cui vedemmo sopra l’alienazione della cosa. Abbiamo ancora da trarre dalle precedenti una terza caratteristica del lavoro alienato. L’uomo e` un ente generico non solo in quanto egli praticamente e teoricamente fa suo oggetto il genere, sia il proprio che quello degli altri enti, ma anche – e questo e` solo un altro modo di esprimere la stessa cosa – in quanto egli si rapporta a se stesso come al genere presente e vivente; in quanto si rapporta a se stesso come a un ente universale e percio` libero. La vita del genere, tanto dell’uomo che dell’animale, consiste sotto l’aspetto fisico anzitutto in questo: che l’uomo (come l’animale) vive della natura inorganica, e quanto piu` universalmente ne vive l’uomo in confronto all’animale, tanto piu` universale e` l’ambito della natura inorganica di cui egli vive. Come le piante, gli animali, le pietre, la luce ecc., costituiscono una parte della coscienza umana teoretica, sia in quanto oggetti delle scienze naturali che in quanto oggetti dell’arte – cioe` sono la spirituale natura inorganica dell’uomo, gli alimenti spirituali, ch’egli, per goderne e digerirli, deve soltanto preparare; cosı` essi costituiscono anche praticamente una parte della vita umana e dell’attivita` umana. Fisicamente l’uomo vive solo di questi prodotti, appaiano essi nella forma di alimenti, riscaldamento, vestimenti, abitazione ecc. L’universalita` dell’uomo si manifesta praticamente proprio nell’universalita` per cui l’intera natura e` fatta suo corpo inorganico, 1) in quanto questa e` un immediato alimento, 2) in quanto essa e` la materia, l’oggetto e lo strumento dell’attivita` vitale dell’uomo. La natura e` il corpo inorganico dell’uomo: cioe` la natura nella misura in cui non e` essa stessa corpo umano. Che l’uomo vive della natura significa: che la natura e` il suo corpo, con il quale egli deve rimanere in un processo continuo per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell’uomo e` congiunta con la natura, non ha altro significato se non che la natura si congiunge con se stessa, che´ l’uomo e` una parte della natura. Poiche´ il lavoro alienato 1) aliena all’uomo la natura, e 2)

rapporto dell’operaio con il lavoro

l’universalita` dell’uomo si manifesta nel fatto che egli appartiene alla natura sia dal punto di vista fisico che da quello spirituale...

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

I   :   

...ma il lavoro alienato rende l’uomo estraneo alla natura e dunque estraneo a se stesso

il lavoro non e` piu` un fine in se stesso, un’attivita` vitale, ma diventa solo un mezzo di sussistenza... come nel mondo animale

l’animale produce sotto la spinta del bisogno immediato

l’uomo, invece, produce universalmente e cioe` libero dal bisogno immediato

aliena all’uomo se stesso, la sua attiva funzione, la sua attivita` vitale, aliena cosı` all’uomo il genere; gli riduce cosı` la vita generica ad un mezzo della vita individuale. In primo luogo estrania l’una all’altra la vita generica e la vita individuale, in secondo luogo fa di quest’ultima nella sua astrazione lo scopo della prima, parimente nella sua forma astratta e alienata. Giacche´ primieramente il lavoro, l’attivita` vitale, la vita produttiva, appare all’uomo solo come un mezzo per la soddisfazione di un bisogno, del bisogno di conservazione dell’esistenza fisica. Ma la vita produttiva e` la vita generica. E` la vita generante la vita. Nel modo dell’attivita` vitale si trova l’intero carattere di una specie, il suo carattere specifico. E la libera attivita` consapevole e` il carattere specifico dell’uomo. Ma la vita stessa appare soltanto mezzo di vita. L’animale fa immediatamente uno con la sua attivita` vitale, non si distingue da essa, e` essa. L’uomo fa della sua attivita` vitale stessa l’oggetto del suo volere e della sua coscienza. Egli ha una cosciente attivita` vitale: non c’e` una sfera determinata con cui immediatamente si confonde. L’attivita` vitale consapevole distingue l’uomo direttamente dall’attivita` vitale animale. Proprio solo per questo egli e` un ente generico. Ossia e` un ente consapevole, cioe` ha per oggetto la sua propria vita, solo perche´ e` precisamente un ente generico. Soltanto per questo la sua attivita` e` libera attivita`. Il lavoro alienato rovescia il rapporto, nel senso che l’uomo, precisamente in quanto e` un ente consapevole, fa della sua attivita` vitale, della sua essenza, solo un mezzo per la sua esistenza. La pratica produzione di un mondo oggettivo, la lavorazione della natura inorganica e` la conferma dell’uomo come consapevole ente generico, cioe` ente che si rapporta al genere come al suo proprio essere ossia si rapporta a se´ come ente generico. Invero anche l’animale produce: esso si costruisce un nido, delle abitazioni, come le api, i castori, le formiche ecc. Ma esso produce soltanto cio` di cui abbisogna immediatamente per se´ o per i suoi nati; produce parzialmente, mentre l’uomo produce universalmente; produce solo sotto il dominio del bisogno fisico immediato, mentre l’uomo produce anche libero dal bisogno fisico e produce veramente soltanto nella liberta` dal medesimo. L’animale produce solo se stesso, mentre l’uomo riproduce l’intera natura; il prodotto dell’animale appartiene immediatamente al suo corpo fisico, mentre l’uomo confronta libero il suo prodotto. L’animale forma cose

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

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I     

solo secondo la misura e il bisogno della specie cui appartiene, mentre l’uomo sa produrre solo secondo la misura di ogni specie e dappertutto sa conferire all’oggetto la misura inerente; quindi l’uomo forma anche secondo le leggi della bellezza. Proprio soltanto nella lavorazione del mondo oggettivo l’uomo si realizza quindi come un ente generico. Questa produzione e` la sua attivita` generica. Per la natura si passa opera sua, dell’uomo, e sua realta`. L’oggetto del lavoro e` quindi l’oggettivazione della vita generica dell’uomo: poiche´ egli si sdoppia non solo intellettualmente, come nella coscienza, bensı` attivamente, realmente, e vede quindi se stesso in un mondo fatto da lui. Allorche´, dunque, il lavoro alienato sottrae all’uomo l’oggetto della sua produzione, e` la sua vita generica che gli sottrae, la sua reale oggettivita` di specie, e cosı` trasforma il suo vantaggio sull’animale nello svantaggio della sottrazione del suo corpo inorganico, della natura. Egualmente, in quanto il lavoro alienato abbassa l’attivita` autonoma, la libera attivita`, ad un mezzo, fa della vita generica dell’uomo il mezzo della sua esistenza fisica. La coscienza che l’uomo ha del suo genere si trasforma dunque, attraverso l’alienazione, in cio`: che la vita generica gli diventa mezzo. Il lavoro alienato fa dunque: 3) della essenza specifica dell’uomo, tanto della natura che dello spirituale potere di genere, un’essenza a lui estranea, il mezzo della sua individuale esistenza; estrania all’uomo il suo proprio corpo, gli estrania tanto la natura di fuori quanto il suo spirituale essere, la sua umana essenza. 4) che un’immediata conseguenza del fatto che l’uomo e` estraniato dal prodotto del suo lavoro, dalla sua attivita` vitale, dalla sua specifica essenza, e` lo straniarsi dell’uomo dall’uomo. Quando l’uomo sta di fronte a se stesso, gli sta di fronte l’altro uomo. Cio` che vale del rapporto dell’uomo al suo lavoro, al prodotto del suo lavoro e a se stesso, cio` vale del rapporto dell’uomo all’altro uomo, e al lavoro e all’oggetto del lavoro dell’altro uomo. In generale, il dire che la sua essenza specifica e` esaltata dall’uomo significa che un uomo e` estraniato dall’altro, come ognuno di essi dall’essenza umana. L’alienazione dell’uomo, e in generale ogni rapporto in cui l’uomo si [trovi] con se stesso, si realizza soltanto e si esprime nel rapporto nel quale l’uomo sta con [l’]altro uomo...

...e in cio` si realizza come ente generico

il lavoro alienato aliena dunque l’uomo da se stesso...

...e se stesso dagli altri uomini

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

I   :   

a chi appartiene cio` che viene sottratto al lavoratore (e cioe` la sua stessa essenza universale di uomo)?

poiche´ il rapporto dell’uomo con se stesso e` oggettivo e reale solo nel rapporto con gli altri uomini...

Dunque, nel rapporto del lavoro alienato ogni uomo considera l’altro secondo la misura e il rapporto in cui si trova egli stesso come lavoratore. Siamo partiti da un fatto dell’economia politica, dall’alienazione dell’operaio e della sua produzione. Abbiamo espresso il concetto di questo fatto: il lavoro alienato, espropriato. Abbiamo analizzato questo concetto: abbiamo cosı` analizzato semplicemente un fatto dell’economia politica. Vediamo ora dell’altro: come il concetto del lavoro alienato, espropriato, possa esprimersi e presentarsi nella realta`. Se il prodotto del lavoro mi e` estraneo, mi sta di fronte come una potenza straniera, a chi esso appartiene allora? Se la mia propria attivita` non mi appartiene, ma e` un’estranea e coartata attivita`, a chi appartiene allora? A un ente altro da me. Chi e` questo ente? La Divinita`? Certamente nei primi tempi la produzione principale, ad esempio la costruzione di templi ecc., in Egitto, in India, al Messico, e` al servizio degli de`i e anche il prodotto appartiene agli de`i. Ma gli de`i non furono mai i soli padroni del lavoro. Tanto meno la natura. E quale contraddizione sarebbe anche che, vieppiu` l’uomo si sottomette la natura col suo lavoro, e vieppiu` i prodigi degli de`i sono resi superflui grazie ai prodigi dell’industria, l’uomo debba rinunciare per amore di tali potenze alla gioia della produzione e al godimento del prodotto. L’ente estraneo, al quale appartiene il lavoro e il prodotto del lavoro, al servizio del quale sta il lavoro e per il godimento del quale sta il prodotto del lavoro, puo` esser soltanto l’uomo stesso. Quando il prodotto del lavoro non appartiene all’operaio, e gli sta di fronte come una potenza estranea, cio` e` solo possibile in quanto esso appartiene a un altro uomo estraneo all’operaio. Quando la sua attivita` gli e` penosa, essa dev’essere godimento per un altro, gioia di vivere di un altro. Non gli de`i, non la natura, soltanto l’uomo stesso puo` esser questa potenza estranea sopra [l’uomo]. Si rifletta ancora al principio stabilito prima: che il rapporto dell’uomo a se stesso e` oggettivo e reale soltanto tramite il rapporto dell’uomo all’altro uomo. Quando egli sta in rapporto, dunque, al prodotto del suo lavoro, al suo lavoro oggettivato, come ad un oggetto estraneo, nemico, possente, da lui indipendente, sta in rapporto ad esso cosı´ perche´ un altro uomo, a lui estraneo e

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

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I     

nemico, possente, indipendente da lui, e` il padrone di questo oggetto. Quando egli si rapporta alla sua propria attivita` come ad un’attivita` non libera, si rapporta a essa come ad un’attivita` al servizio, sotto il dominio, la costrizione e il giogo di un altro uomo. Ogni autoalienazione dell’uomo a se stesso e alla natura si palesa nel rapporto, ch’egli stabilisce, di se´ e della natura, con altri uomini, distinti da lui. Percio` l’autoalienazione religiosa si palesa necessariamente nel ruolo del laico col sacerdote, o anche, poiche´ si tratta qui del mondo intellettuale, con un mediatore, ecc. E nel mondo pratico e reale l’autoalienazione puo` palesarsi soltanto nel rapporto pratico e reale con altri uomini. Il mezzo con cui procede l’alienazione e` esso stesso un mezzo pratico. Attraverso il lavoro alienato l’uomo non istituisce, dunque, soltanto il suo rapporto con l’oggetto e con l’atto della produzione come con potenze estranee e a lui nemiche, ma istituisce anche il rapporto in cui altri uomini stanno con la sua produzione e il suo prodotto, ed il rapporto in cui egli sta con questi altri uomini. Come egli genera la produzione sua per il proprio annullamento, per la propria pena, e il suo prodotto quale perdita, quale prodotto non appartenente a lui, cosı` egli genera il dominio che colui che non produce ha sulla produzione e il prodotto. Come egli si aliena la sua propria attivita`, attribuisce cosı` all’estraneo la attivita` che non gli e` propria. Abbiamo considerato fino ad ora il rapporto solo dal lato del lavoratore, lo considereremo poi anche dal lato del non nonlavoratore. Dunque, nel lavoro alienato, espropriato, l’operaio produce il rapporto che a questo lavoro ha un uomo estraneo e che sta fuori di esso. Il rapporto dell’operaio col lavoro genera il rapporto del capitalista – o come altrimenti si voglia chiamare il padrone del lavoro col medesimo lavoro. La proprieta` privata e` dunque il prodotto, il risultato, la necessaria conseguenza del lavoro espropriato, del rapporto estrinseco dell’operaio alla natura e a se stesso. La proprieta` privata risulta cosı´ dall’analisi del concetto del lavoro espropriato, cioe` dell’uomo espropriato, del lavoro alienato, della vita alienata, dell’uomo alienato. Abbiamo certamente ricavato il concetto del lavoro espropriato (della vita espropriata) dall’economia politica come risultato del movimento della proprieta` privata. Ma nell’analisi di questo concetto si

...solo un altro uomo puo` essere il suo padrone: il capitalista

la proprieta` privata e` dunque il prodotto del lavoro alienato

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

I   :   

essa e` il risultato e insieme la realizzazione del lavoro alienato

salario e proprieta` privata sono le due facce della stessa medaglia...

...l’aumento del salario non rappresenta dunque nessuna conquista da parte dell’operaio

mostra che, quando la proprieta` privata appare come ragione e causa del lavoro espropriato, essa e` piuttosto una conseguenza di quest’ultimo, cosı` come gli de`i sono in origine non causa ma bensı` effetto dello smarrimento dell’intelletto umano. Poi questo rapporto si rovescia in un effetto reciproco. Solo all’ultimo punto culminante dello sviluppo della proprieta` privata questa fa di nuovo risaltare il suo segreto: cioe` che, da una parte, essa e` il risultato del lavoro espropriato, e secondariamente ch’essa e` il mezzo col quale il lavoro si espropria, la realizzazione di questa espropriazione. Questo sviluppo culminante illumina subito diverse collisioni finora insolute. 1) L’economia politica parte dal lavoro come anima autentica della produzione, e tuttavia al lavoro non da` nulla e alla proprieta` privata da` tutto. Proudhon da questa contraddizione ha concluso a favore del lavoro contro la proprieta`. Ma noi comprendiamo che questa speciosa contraddizione e` la contraddizione del lavoro alienato con se stesso e che l’evoluzione politica ha espresso soltanto le leggi del lavoro estraniato. Noi quindi comprendiamo anche che salario e proprieta` privata sono identici: che´ il salario, nel quale il prodotto, l’oggetto del lavoro, retribuisce il lavoro stesso, e` solo una necessaria conseguenza dell’alienazione del lavoro, cosı` come nel salario il lavoro non si palesa fine a se stesso, bensı` mezzo che serve al salario. (...) Un forzato aumento del salario (prescindendo da tutte le altre difficolta`, prescindendo dal fatto che, essendo un’anomalia, esso potrebbe esser mantenuto soltanto con la forza) non sarebbe dunque altro che una migliore retribuzione degli schiavi e non sarebbe la conquista, ne´ per il lavoratore ne´ per il lavoro, della loro umana vocazione e dignita`. Sı`, anche l’eguaglianza dei salari, come l’esige Proudhon, trasforma soltanto il rapporto dell’odierno operaio al suo lavoro in un rapporto di tutti gli uomini al lavoro: e la societa` e` allora concepita come un astratto capitalista. Il salario e` un’immediata conseguenza del lavoro alienato, e il lavoro alienato e` la causa immediata della proprieta` privata. Con un aspetto deve, quindi, cadere anche l’altro. 2) Dal rapporto del lavoro alienato alla proprieta` privata consegue inoltre che l’emancipazione della societa` privata eccetera, dalla servitu`, si esprime nella forma politica dell’emancipazione

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operaia non come se si trattasse soltanto dell’emancipazione dell’operaio, bensı`, per il fatto che nell’emancipazione di questo e` implicita la generale emancipazione umana; e vi e` contenuta in quanto l’intera servitu` umana e` coinvolta nel rapporto dell’operaio alla produzione, e tutti i rapporti di servitu` sono soltanto modificazioni e conseguenze di questo rapporto.

l’emancipazione operaia e` l’emancipazione di tutti gli uomini

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 La societa` moderna come teatro dello scontro tra borghesi e proletari*

La storia di ogni societa` esistita sinora e` storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri di corporazione e garzoni, in breve, oppressori e oppressi sono sempre stati in conflitto tra loro, hanno sostenuto una lotta incessante, a volte occulta a volte palese, una lotta che si e` sempre conclusa o con una trasformazione rivoluzionaria dell’intera societa` o con la comune rovina delle classi in lotta. Nelle prime epoche della storia troviamo quasi dovunque una completa divisione della societa` in caste diverse, una varia e minuta gradazione delle posizioni sociali. Nell’antica Roma incontriamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba e, in quasi ognuna di queste classi, ulteriori particolari gradazioni. La moderna societa` borghese, scaturita dalla rovina della societa` feudale, non ha eliminato i conflitti fra le classi. Essa ha solo posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta al posto di quelle antiche.1 La nostra epoca, l’epoca della borghesia, si caratterizza tuttavia per il fatto che essa ha semplificato i conflitti fra le classi. Sempre piu` l’intera societa` si va scindendo in due grandi campi avversi, in due grandi classi direttamente contrapposte: borghesia e proletariato.

lo scontro si e` radicalizzato, la societa` si e` scissa in due gruppi antagonisti

* K. Marx, F. Engels (1848), Manifesto del partito comunista, trad. it. M. Monaldi, Rizzoli, Milano 2001, pag. 47-87. 1 Per borghesia si intende la classe dei moderni capitalisti, che sono proprietari dei mezzi sociali di produzione e impiegano lavoro salariato. Per proletariato si intende la classe dei moderni lavoratori salariati, i quali, non possedendo alcun mezzo di produzione, sono costretti a vendere la loro forza-lavoro per poter vivere [nota di Engels all’edizione inglese del 1888].

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

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i comuni avevano diritto di amministrazione autonoma dai signori

Dai servi della gleba del Medioevo sono discesi gli abitanti dei sobborghi delle prime citta`; da questi si sono sviluppati i primi elementi della borghesia. La scoperta dell’America, la circumnavigazione dell’Africa fornirono alla nascente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell’America, gli scambi con le colonie, l’accrescimento dei mezzi di scambio e delle merci in generale diedero al commercio, alla navigazione, all’industria uno slancio mai conosciuto prima d’allora, e con cio` determinarono il rapido sviluppo dell’elemento rivoluzionario in seno alla societa` feudale che andava gia` disgregandosi. L’organizzazione dell’industria, sino a quel momento feudale e corporativa, non basto` piu` a soddisfare le necessita` che crescevano insieme ai nuovi mercati. Subentro` la manifattura. I maestri di bottega vennero rimpiazzati dal ceto medio industriale; la divisione del lavoro tra le diverse corporazioni cedette il posto a quella che si determino` all’interno del singolo opificio. Ma piu` crescevano i mercati, piu` cresceva la domanda. Anche la manifattura non era piu` sufficiente. Il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. Alla manifattura subentro` la grande industria moderna, al ceto medio industriale succedettero i milionari dell’industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni. La grande industria ha prodotto il mercato mondiale, gia` preparato dalla scoperta dell’America. Il mercato mondiale ha determinato l’enorme sviluppo del commercio, della navigazione, delle comunicazioni su terraferma. Tale sviluppo ha reagito a sua volta sull’estensione dell’industria e nella stessa misura in cui si diffondevano industria, commercio, navigazione e reti ferroviarie, si sviluppava anche la borghesia, che accresceva i suoi capitali e respingeva in secondo piano tutte le classi che erano residuo del Medioevo. Noi dunque vediamo come la stessa borghesia moderna sia il prodotto di un lungo processo di sviluppo, di una serie di sconvolgimenti nei modi di produzione e di scambio. Ognuna di queste fasi di sviluppo della borghesia fu accompagnata da un corrispondente progresso politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, associazione armata e autoamministrata nel Comune, qui repubblica cittadina autonoma, la` terzo stato con obblighi fiscali sotto la monarchia, poi, al tempo della

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

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L `         

manifattura, sia contrappeso alla nobilta` nella monarchia assoluta sia in quella con poteri limitati, principale fondamento della grande monarchia in genere, la borghesia si e` infine conquistata, con l’affermazione della grande industria e del mercato mondiale, un dominio politico esclusivo nel quadro del moderno Stato rappresentativo. Il potere politico dello Stato moderno e` soltanto un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese. La borghesia ha svolto nella storia un ruolo altamente rivoluzionario. La borghesia, dovunque e` giunta al potere, ha distrutto tutti i rapporti feudali, patriarcali, idilliaci. Ha lacerato spietatamente tutti quei variopinti vincoli che nella societa` feudale legavano l’uomo ai suoi naturali superiori e non ha lasciato valere altro legame tra uomo e uomo all’infuori del nudo interesse, dello spietato «pagamento in contanti». Ha annegato nella gelida acqua del calcolo egoistico i fremiti santi dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco, del sentimentalismo piccolo-borghese. Ha fatto della dignita` personale un valore di scambio e al posto delle innumerevoli franchigie ben documentate e faticosamente acquisite ha messo la sola liberta` di commercio priva di scrupoli. In una parola, al posto dello sfruttamento mascherato da illusioni religiose e politiche, ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto, indifferente. La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte quelle attivita` che in precedenza erano considerate degne di venerazione e rispetto. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l’uomo di scienza in suoi operai salariati. La borghesia ha squarciato il velo sentimentale dei rapporti familiari e ne ha fatto un puro rapporto di denaro. La borghesia ha messo in chiaro come l’esercizio brutale della forza, che i reazionari tanto ammirano nel Medioevo, avesse il suo adeguato completamento nell’inerzia piu` infingarda. Essa ha mostrato per prima che cosa puo` fare l’attivita` degli uomini. Ha realizzato ben altre meraviglie che le piramidi egizie, gli acquedotti romani, le cattedrali gotiche; ha compiuto ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le Crociate. La borghesia non puo` esistere senza rivoluzionare incessantemente gli strumenti di produzione e quindi i rapporti di produzione, e quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali. L’immutata conservazione degli antichi modi di produzione era invece la

lo stato moderno nasce come strumento amministrativo della borghesia

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

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processo di globalizzazione dell’economia capitalista

prima condizione di esistenza di tutte le precedenti classi industriali. L’incessante rivoluzionamento della produzione, l’ininterrotto sovvertimento di tutte le condizioni sociali, l’insicurezza e il movimento perpetui caratterizzano l’epoca della borghesia rispetto a tutte le precedenti. Tutti gli antichi, arrugginiti rapporti sociali vengono dissolti insieme al loro seguito di opinioni e credenze antiche e venerate, tutti i rapporti che subentrano invecchiano prima di potersi consolidare. Tutto cio` che era stabile e corrispondeva a gerarchia di ceto, evapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare la loro posizione nella vita e i loro rapporti reciproci con occhi liberi da ogni illusione. Il bisogno di sbocchi sempre piu` estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia su tutta la faccia della terra. Ovunque essa deve insediarsi, ovunque stabilirsi, ovunque allacciare collegamenti. Attraverso lo sfruttamento del mercato mondiale, la borghesia ha reso cosmopoliti la produzione e il consumo di tutti i paesi. Con grande rammarico dei reazionari, ha privato l’industria della sua base nazionale. Le piu` antiche industrie nazionali sono state e continuano a essere quotidianamente annientate. Vengono soppiantate da nuove industrie, la cui introduzione diventa una questione di vita o di morte per le nazioni civilizzate, da industrie che non lavorano piu` le materie prime locali bensı` materie provenienti dalle zone piu` remote, e i cui prodotti non si consumano soltanto all’interno del paese ma anche in tutte le parti del mondo. Ai bisogni a soddisfare i quali bastavano i prodotti nazionali ne succedono di nuovi, che esigono prodotti di paesi e climi lontanissimi. Al posto dell’antico isolamento locale e nazionale e all’autosufficienza subentra un traffico universale, una reciproca dipendenza universale tra le nazioni, tanto nella produzione materiale quanto in quella spirituale. I prodotti spirituali delle nazioni diventano un patrimonio comune. L’unilateralita` e la ristrettezza nazionali diventano sempre piu` impraticabili e dalle molte letterature nazionali e locali si forma una letteratura mondiale. Grazie al rapido perfezionamento di tutti gli strumenti di produzione, attraverso le comunicazioni rese di gran lunga piu` agevoli, la borghesia trascina nella civilta` anche le nazioni piu` barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con cui essa abbatte tutte le muraglie cinesi, con cui fa capitolare

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

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L `         

anche l’odio piu` tenace che i barbari nutrono per lo straniero. Essa costringe tutte le nazioni, se non vogliono andare in rovina, ad adottare il modo di produzione borghese, le obbliga a introdurre a casa loro la cosiddetta civilta`, cioe` a diventare borghesi. In una parola, essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza. La borghesia ha sottomesso la campagna al dominio della citta`. Ha creato citta` enormi, ha prodigiosamente accresciuto la popolazione urbana rispetto a quella rurale e ha quindi strappato una considerevole parte della popolazione alla ristrettezza d’orizzonti della vita rurale. Come ha assoggettato la campagna alla citta`, cosı` ha reso dipendenti i paesi barbari o semibarbari da quelli civili e ha subordinarlo i popoli contadini ai popoli borghesi, l’Oriente all’Occidente. La borghesia sopprime sempre piu` il frazionamento dei mezzi di produzione, della proprieta` e della popolazione. Essa ha ammassato la popolazione, centralizzato i mezzi di produzione, concentrato la proprieta` in poche mani. Come conseguenza necessaria, ne e` risultata la centralizzazione politica. Province indipendenti, a malapena collegate fra loro da vincoli federali, con interessi, leggi, sistemi doganali e governi diversi sono state ridotte a una nazione, con un governo, una sola legge, un interesse nazionale di classe, un solo confine doganale. Nei cento anni o poco meno del suo dominio di classe, la borghesia ha creato forze produttive piu` ingenti e colossali di quanto abbiano fatto, insieme, tutte le generazioni passate. Soggiogamento delle forze naturali, macchine, applicazione della chimica all’industria e all’agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafo elettrico, dissodamento di interi continenti, fiumi resi navigabili, intere popolazioni sorte dal suolo come per incanto — quale dei secoli passati avrebbe mai previsto che tali forze produttive fossero latenti nel grembo del lavoro sociale? Abbiamo visto pero` che i mezzi di scambio e di produzione, sulla cui base si eresse la borghesia, vennero prodotti in seno alla societa` feudale. A un certo stadio di sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio le condizioni nelle quali la societa` feudale produceva e scambiava, ossia l’organizzazione feudale dell’agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti di proprieta` feudali non corrisposero piu` al pieno sviluppo delle forze produttive. Ostacolavano la produzione anziche´ promuoverla. Si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate e furono spezzate.

ogni volta che si crea un contrasto tra le modalita` di lavoro legate allo sviluppo della tecnologia da una parte e la proprieta` dei mezzi di produzione e l’organizzazione del lavoro dall’altra, si verifica un cambiamento sociale

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

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la moderna societa` borghese produce essa stessa le ragioni della sua crisi

l’epidemia della sovraproduzione

A esse subentro` la libera concorrenza con la costituzione sociale e politica a essa adeguata, con il dominio economico e politico della classe borghese. Un processo analogo si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Le condizioni borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprieta`, la moderna societa` borghese che ha destato come per incanto mezzi di scambio e di produzione cosı` portentosi, assomiglia allo stregone che non sa piu` controllare le potenze sotterranee da lui evocate. Da decenni a questa parte la storia dell’industria e del commercio e` ormai soltanto la storia della ribellione delle moderne forze produttive contro i moderni rapporti di produzione, contro i rapporti di proprieta` che sono la condizione dell’esistenza della borghesia e del suo dominio. Basta ricordare le crisi commerciali, che con la loro comparsa periodica mettono sempre piu` minacciosamente a repentaglio l’esistenza dell’intera societa` borghese. In ogni crisi commerciale viene distrutta gran parte non solo dei prodotti finiti ma addirittura delle forze produttive gia` create. Nelle crisi si diffonde un’epidemia sociale, che sarebbe apparsa come un controsenso in tutte le epoche precedenti: epidemia della sovrapproduzione. La societa` si trova improvvisamente risospinta in uno stato di momentanea barbarie: sembra che una carestia o una guerra di sterminio generalizzata l’abbiano privata di tutti i mezzi di sostentamento. L’industria, il commercio sembrano annientati: e perche´? Perche´ la societa` ha troppa civilta`, troppi mezzi di sostentamento, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive, di cui dispone, non servono piu` a promuovere lo sviluppo della civilta` borghese e dei rapporti di proprieta` borghesi; al contrario, esse sono diventate troppo potenti per tali rapporti, ne vengono ostacolate e non appena rimuovono tale ostacolo gettano nel disordine l’intera societa` borghese, mettono in pericolo l’esistenza della proprieta` borghese. I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere la ricchezza da essi prodotta. Come riesce la borghesia a superare le crisi? Da un lato, con la distruzione forzata di una grande quantita` di forze produttive; dall’altro, con la conquista di nuovi mercati e con un piu` intenso sfruttamento di quelli vecchi. Con che mezzo, dunque? Preparando crisi piu` vaste e piu` devastanti, e riducendo i mezzi per prevenirle. Le armi con cui la borghesia ha abbattuto il feudalesimo si rivolgono ora contro la stessa borghesia.

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

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L `         

Ma la borghesia non ha soltanto forgiato le armi che devono recarle la morte; essa ha anche prodotto gli uomini che useranno queste armi — i moderni operai, i proletari. Nella stessa misura in cui si sviluppa la borghesia, ovvero il capitale, si sviluppa anche il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo finche´ trovano lavoro e trovano lavoro solo finche´ il loro lavoro accresce il capitale. Questi operai, che sono costretti a vendersi al minuto, sono una merce come ogni altro articolo di commercio e sono percio` ugualmente esposti a tutte le vicissitudini della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato. (...) I piccoli ceti medi tradizionali, i piccoli industriali, i negozianti e i beneficiari di piccole rendite, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi precipitano nel proletariato, in parte perche´ il loro piccolo capitale non e` sufficiente per l’attivita` della grande industria e soccombe quindi alla concorrenza di capitalisti piu` grandi, in parte perche´ le loro abilita` vengono svalutate dai nuovi mezzi di produzione. E` cosı` che il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione. (...) Ma con lo sviluppo dell’industria il proletariato non si limita a crescere di numero: esso si addensa in masse sempre piu` grandi, la sua forza aumenta e, con la forza, la coscienza di essa. Gli interessi e le condizioni di vita all’interno del proletariato si livellano sempre piu`, in quanto la macchina riduce progressivamente le differenze del lavoro e quasi ovunque deprime il salario a uno stesso basso livello. La crescente concorrenza dei borghesi fra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono il salario dei lavoratori sempre piu` incerto; l’incessante e sempre piu` rapido perfezionamento delle macchine rende sempre piu` precarie le loro condizioni di vita. I conflitti tra singoli operai e singoli borghesi acquistano il carattere di conflitti tra due classi. Di conseguenza, gli operai cominciano a formare coalizioni contro i borghesi; si uniscono per rivendicare il loro salario. Fondano persino delle associazioni permanenti per garantire gli approvvigionamenti nel caso di sollevazioni. Qua e la` la lotta si fa sommossa. Di quando in quando gli operai ottengono delle vittorie, ma solo transitorie. Il vero risultato delle loro lotte non e` tanto il successo immediato, bensı` l’unione sempre piu` estesa degli operai. Essa viene agevolata dai crescenti mezzi di comunicazione, che sono creati dalla grande industria e mettono in contatto gli operai delle diverse localita`. Basta questo semplice collegamento per

la moderna societa` borghese produce essa stessa coloro che segneranno la sua fine

il proletariato prende coscienza di se´...

...e unendosi diventa piu` forte

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

I   :   

Le altre classi sociali non possono che schierarsi o da una parte o dall’altra

concentrare le molte lotte locali, aventi ovunque lo stesso carattere, in una lotta nazionale, una lotta di classe. Ma ogni lotta di classe e` una lotta politica. E quell’unione, che i cittadini dei borghi medievali, con le loro strade vicinali, impiegarono secoli a realizzare, i proletari moderni, utilizzando le ferrovie, la realizzano in pochi anni. Questa organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico, si sgretola a ogni istante per la concorrenza tra gli stessi operai ma torna sempre a risorgere, piu` forte, piu` robusta, piu` potente. Essa impone il riconoscimento di singoli interessi degli operai sul piano legislativo, sfruttando le divisioni interne della borghesia. Cosı` fu in Inghilterra per la legge sulle dieci ore lavorative. I conflitti in seno alla vecchia societa` alimentato in vario modo l’evoluzione del proletariato. La borghesia e` di continuo in lotta: dapprima contro l’aristocrazia, poi contro quei settori della stessa borghesia i cui interessi sono in contrasto col progresso dell’industria, sempre contro la borghesia di tutti i paesi stranieri. In tutte queste lotte essa si vede costretta ad appellarsi al proletariato, a ricorrere al suo aiuto e a trascinarlo cosı` nel movimento politico. Essa stessa fornisce quindi al proletariato gli elementi per la sua educazione, cioe` le armi contro se stessa. Inoltre, come abbiamo gia` visto, interi settori della classe dirigente vengono precipitati nel proletariato a causa del progresso dell’industria, o vengono quantomeno minacciati nelle loro condizioni di vita. Anch’essi recano al proletariato una massa di elementi della loro educazione. Infine, nei periodi in cui la lotta di classe si avvicina al momento decisivo, il processo di dissoluzione in seno alla classe dominante, a tutta la vecchia societa` assume un carattere cosı` aspro e violento che una piccola parte della classe dominante si distacca da questa e si unisce alla classe rivoluzionaria, alla classe che ha il futuro nelle sue mani. Come quindi una parte della nobilta` passo` alla borghesia, allo stesso modo ora una parte della borghesia passa al proletariato, e segnatamente quella parte degli ideologi borghesi che si sono innalzati alla comprensione teorica del movimento storico nel suo complesso. Tra tutte le classi che oggi stanno dinanzi alla borghesia, solo il proletariato e` una classe effettivamente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e tramontano con la grande industria, mentre il proletariato ne e` il prodotto piu` autentico.

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

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L `         

I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, l’artigiano, il contadino, tutti costoro combattono la borghesia per preservare dalla rovina la loro esistenza di ceti medi. Dunque, essi non sono rivoluzionari ma conservatori. Ancora piu`, sono reazionari, perche´ cercano di riportare indietro la ruota della storia. Se sono rivoluzionari, lo diventano in vista del loro imminente passaggio nel proletariato, in quanto difendono non i loro interessi immediati ma futuri, in quanto abbandonano il loro punto di vista per assumere quello del proletariato. Il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli strati piu` bassi della vecchia societa`, viene occasionalmente gettato nel movimento da una rivoluzione proletaria, ma per le sue stesse condizioni di vita sara` piu` incline a farsi comprare e mettere al servizio di scopi reazionari. Le condizioni di vita della vecchia societa` sono gia` distrutte nelle condizioni di vita del proletariato. Il proletario e` senza proprieta`, il suo rapporto con la donna e coi bambini non ha piu` niente in comune con il rapporto familiare borghese; il moderno lavoro industriale, il moderno asservimento al capitale, lo stesso in Inghilterra come in Francia, in America come in Germania, lo hanno privato di ogni carattere nazionale. Le leggi, la morale, la religione sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro cui si nascondono altrettanti interessi borghesi. Tutte le classi che finora si impadronirono del potere cercarono di consolidare le posizioni acquisite sottomettendo l’intera societa` alle condizioni del loro modo di appropriazione. I proletari, invece, possono impadronirsi delle forze sociali produttive solo abolendo il modo della loro appropriazione finora vigente, e quindi tutto il precedente sistema di appropriazione. I proletari non hanno nulla di proprio da salvaguardare, essi hanno invece da distruggere tutte le sicurezze private e tutte le private garanzie finora esistite. Sino a ora, tutti i movimenti sono stati movimenti di minoranze o nell’interesse di minoranze. Il movimento proletario e` il movimento indipendente della stragrande maggioranza nell’interesse della stragrande maggioranza. Il proletariato, che e` lo strato piu` basso dell’attuale societa`, non puo` sollevarsi, non puo` insorgere senza che vengano fatti saltare in aria tutti i sovrapposti strati che formano la societa` ufficiale. (...) Ogni societa` sinora esistita poggiava, come abbiamo visto, sull’antagonismo tra le classi degli oppressori e degli oppressi. Ma

‘‘Proletari di tutto il mondo non avete che da perdere le vostre catene’’ (Marx-Engels)

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

I   :   

per poter opprimere una classe bisogna garantirle almeno quelle condizioni che le permettano di avere un’esistenza servile. Il servo della gleba, mantenendo il suo stato di servo, e` potuto diventare membro del Comune, cosı` come il borghigiano ha potuto diventare un borghese sotto il giogo dell’assolutismo feudale. Al contrario, l’operaio moderno, invece di elevarsi con il progresso dell’industria, sprofonda sempre piu` al di sotto delle condizioni della sua propria classe. L’operaio diventa il povero, e il pauperismo si diffonde molto piu` rapidamente della popolazione e della ricchezza. Di qui appare evidente che la borghesia non e` in grado di restare ancora la classe dominante della societa` e di imporre a quest’ultima, come legge regolatrice, le condizioni di esistenza della sua classe. Essa e` incapace di dominare, perche´ non e` capace di assicurare al suo schiavo l’esistenza neanche nei limiti della sua schiavitu`, perche´ e` costretta a farlo sprofondare in una condizione in cui essa deve nutrirlo anziche´ farsene nutrire. La societa` non puo` piu` vivere sotto il suo dominio, cioe` l’esistenza della borghesia non e` piu` compatibile con la societa`. La condizione piu` essenziale per l’esistenza e il dominio della classe borghese e` l’accumulazione della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e l’aumento del capitale: condizione del capitale e` il lavoro salariato. Quest’ultimo poggia esclusivamente sulla concorrenza tra gli operai. Il progresso dell’industria, di cui la borghesia e` l’agente involontario e passivo, sostituisce all’isolamento degli operai, dovuto alla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria mediante l’associazione. Lo sviluppo della grande industria toglie quindi di sotto i piedi della borghesia il terreno sul quale essa produce e si appropria dei prodotti. Prima di ogni altra cosa essa produce i suoi becchini. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono egualmente inevitabili.

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Parte seconda E´ mile Durkheim

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 La modernita` come progressiva affermazione della solidarieta` organica e del diritto restitutivo*

. La coscienza collettiva L’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri della stessa societa` forma un sistema determinato che ha una vita propria; possiamo chiamarlo coscienza collettiva comune. Senza dubbio, essa non ha per substrato un organo unico; essa e`, per definizione, diffusa in tutta l’estensione della societa`, ma non per questo manca dei caratteri specifici che ne fanno una realta` distinta. Infatti essa e` indipendente dalle condizioni particolari nelle quali gli individui si trovano; questi passano, e quella resta. Ed e` la medesima a Nord e a Sud, nelle grandi e nelle piccole citta`, nelle diverse professioni; cosı` pure essa non muta ad ogni generazione, ma al contrario vincola le une alle altre le generazioni successive. E` dunque altra cosa dalle coscienze particolari, per quanto non si realizzi che negli individui; e` il tipo psichico della societa`, dotato di proprieta`, di condizioni di esistenza e di un modo di sviluppo che gli sono propri, cosı` come lo sono i tipi individuali, benche´ in maniera diversa. Essa ha quindi, a questo titolo, il diritto di essere designata con un termine specifico. Quello che abbiamo impiegato non e` – e` vero – senza ambiguita`. Dato che collettivo e sociale sono termini spesso presi l’uno per l’altro, si e` indotti a credere che la coscienza collettiva sia l’intera coscienza sociale, cioe` che essa abbia un’estensione eguale a quella della vita psichica della societa`, mentre invece – soprattutto nelle societa` superiori – la coscienza collettiva costituisce soltanto una parte

la coscienza collettiva designa delle uniformita` sociali

* E´mile Durkheim, De la division du travail social, Paris, Alcan, 1893. Trad. it. La divisione del lavoro sociale, Milano, Edizioni di Comunita`, 1977, pag. 101-106, 121-132, 143-146, 161-170, 180-184, 231-234.

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

I   :   

un’atto e` criminale quando offende la coscienza collettiva

molto ristretta della vita psichica. Le funzioni giudiziarie, governative, scientifiche, industriali, in breve tutte le funzioni specifiche sono di ordine psichico, poiche´ consistono di sistemi di rappresentazione e di azione: tuttavia sono evidentemente al di fuori della coscienza comune. (...) Possiamo dunque dire, riassumendo l’analisi che precede, che un atto e` criminale quando offende gli stati forti e definiti della coscienza collettiva. La lettera di questa proposizione non e` contestata da nessuno, ma abitualmente si attribuisce ad essa un senso molto differente da quello che deve avere. La si interpreta come se essa esprimesse non la proprieta` essenziale del reato, ma una delle sue ripercussioni. Si sa che il reato colpisce sentimenti molto generali ed energici, ma si crede che questa generalita` e questa energia provengano dalla natura criminale dell’atto che, di conseguenza, resta interamente da definire. Nessuno contesta che ogni azione delittuosa sia universalmente riprovata, ma si considera fuori discussione il fatto che la riprovazione di cui e` oggetto risulta dal suo carattere delittuoso; soltanto che poi, quando si tratta di dire in che cosa esso consiste, si e` molto imbarazzati. In un’immoralita` particolarmente grave? Sia pure; ma cio` significa rispondere alla domanda mediante la domanda, e mettere un termine al posto di un altro: infatti, si tratta precisamente di sapere che cosa e` l’immoralita`, e soprattutto quella immoralita` particolare che la societa` reprime mediante pene organizzate e che costituisce la criminalita`. Essa non puo` evidentemente derivare che da uno o piu` caratteri comuni a tutte le varieta` criminologiche; ora, il solo carattere che soddisfa a questa condizione e` l’opposizione tra il reato – qualunque esso sia – e certi sentimenti collettivi. Questa opposizione, e` quindi cio` che, lungi dal derivarne, costituisce il reato. In altri termini, non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perche´ e` criminale, ma che e` criminale perche´ urta la coscienza comune. Non lo biasimiamo perche´ e` un reato, ma e` un reato perche´ lo biasimiamo. (...)

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

L       

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. La natura del diritto penale nelle societa` premoderne e in quelle moderne (...) In primo luogo, la pena consiste in una reazione passionale. Questo carattere e` tanto piu` evidente quanto meno le societa` sono civilizzate. I popoli primitivi, infatti, puniscono per punire, fanno soffrire il colpevole unicamente per farlo soffrire e senza aspettarsi nessun profitto — dalle sofferenze che gli impongono. Ne e` prova il fatto che non cercano ne´ di colpire giustamente ne´ di colpire utilmente, ma soltanto di colpire. Per questo essi castigano gli animali che hanno commesso un atto riprovato oppure anche gli esseri inanimati che sono stati il suo strumento passivo. Quando la pena e` applicata soltanto alle persone, si estende sovente ben al di la` del colpevole raggiungendo anche innocenti, come la moglie, i figli, i vicini e cosı` via. Cio` accade perche´ la passione – che e` l’anima della pena – non si arresta se non quando si e` esaurita, e percio`, se le restano ancora delle forze dopo aver distrutto colui che l’ha suscitata in modo piu` immediato, continua ad espandersi del tutto meccanicamente. Anche quando e` abbastanza moderata per applicarsi soltanto al colpevole, essa fa sentire il suo peso mediante la tendenza a oltrepassare in gravita` l’atto contro il quale reagisce: da cio` deriva la raffinata crudelta` che accompagna la pena capitale. Ancora a Roma, il ladro doveva non soltanto rendere l’oggetto rubato, ma anche pagare un’ammenda di duplice o quadruplice valore. D’altra parte, la pena del taglione, che e` cosı` generale, non e` forse una soddisfazione accordata alla passione della vendetta? Ma oggi – si dice – la natura della pena e` mutata; la societa` non castiga per vendicarsi, ma per difendersi. Il dolore che infligge e` – nelle sue mani – soltanto uno strumento metodico di protezione. Essa punisce non perche´ il castigo in se stesso le offre qualche soddisfazione, ma affinche´ il timore della pena paralizzi le cattive volonta`. Non gia` la collera ma la previdenza determina, a ragion veduta, la repressione. Le osservazioni precedenti non potrebbero quindi venire generalizzate: esse riguarderebbero soltanto la forma primitiva della pena e non potrebbero venir estese alla sua forma attuale. Ma per avere il diritto di distinguere cosı` radicalmente queste due forme di pene, non basta constatare che esse vengono impiegate in vista di scopi differenti. La natura di una pratica non muta necessariamente perche´ le intenzioni coscienti di coloro che la

la natura della pena nelle societa` premoderne

la natura della pena nelle societa` moderne

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

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I   :   

anche il diritto penale moderno cela un atto di vendetta

applicano si modificano: essa poteva infatti avere gia` in altri tempi il medesimo compito, senza che nessuno pero` se ne accorgesse. In tal caso, perche´ mai dovrebbe trasformarsi per il solo fatto che ci si rende meglio conto degli effetti che produce? Essa si adatta, senza mutamenti essenziali alle nuove condizioni di esistenza che le vengono cosı` offerte. E` cio` che succede a proposito della pena. Infatti e` un errore credere che la vendetta sia soltanto un’inutile crudelta`; e` ben possibile che di per se´ essa consista in una reazione meccanica e senza un fine preciso, in un movimento passionale ed inintelligente, in un bisogno irragionevole di distruggere; ma cio` che essa tende a distruggere era effettivamente una minaccia per noi. Essa costituisce quindi in realta` un autentico atto di difesa; per quanto istintivo e irriflessivo. Ci vendichiamo soltanto di cio` che ci ha fatto del male, e cio` che ci ha fatto del male e` sempre un pericolo. L’istinto della vendetta non e` insomma che l’istinto di conservazione esasperato dal pericolo. Percio` la vendetta non ha certamente avuto nella storia dell’umanita` la parte negativa e sterile che le viene attribuita: e` un’arma difensiva che ha i suoi pregi; soltanto, e` un’arma grossolana e rozza. Non avendo coscienza dei servizi che rende automaticamente, essa non puo` regolarsi in conformita` di questi, ma si espande un po’ a caso, conformemente alle cause cieche che la spingono e senza che nulla moderi le sue intemperanze. Al giorno d’oggi, conoscendo meglio il fine che vogliamo raggiungere, sappiamo utilizzare di piu` i mezzi dei quali disponiamo; ci proteggiamo con maggiore metodo, e quindi piu` efficacemente. Ma questo risultato veniva ottenuto fin dai primi tempi, per quanto in modo piu` imperfetto: tra la pena di oggi e quella di una volta non c’e` dunque un abisso; di conseguenza non era necessario che la prima mutasse completamente per adattarsi alla parte che sostiene nelle societa` civili. Tutta la differenza consiste nel fatto che essa produce i suoi effetti con maggiore coscienza di cio` che compie. Benche´ la coscienza, individuale o sociale, non manchi di influenzare la realta` che chiarisce, essa non ha pero` il potere di mutare la sua natura. La struttura interna dei fenomeni resta la medesima, che essi siano coscienti o meno. Possiamo dunque aspettarci che gli elementi essenziali della pena siano gli stessi di una volta. Ed in effetti la pena e` rimasta, almeno in parte, un atto di vendetta; si dice che non facciamo soffrire il colpevole per farlo soffrire – ma e` pur sempre vero che troviamo giusto che soffra.

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L       

Forse abbiamo torto; ma non e` questa la questione. Per il momento cerchiamo di definire la pena quale e` o quale e` stata, non quale deve essere. E` certo che il richiamo alla vendetta pubblica, che incessantemente si riscontra nel linguaggio dei tribunali, non e` un termine vano; supponendo che la pena possa realmente servire per proteggerci per l’avvenire, noi stimiamo che debba essere, anzitutto, un’espiazione del passato. Lo provano le minuziose precauzioni che prendiamo per proporzionarla con la massima esattezza alla gravita` del reato, e che sarebbero inspiegabili se non credessimo che il colpevole deve soffrire perche´ ha fatto del male e nella stessa misura. (...) Pertanto la natura della pena non e` essenzialmente mutata. Tutto cio` che possiamo dire, e` che il bisogno di vendetta e` meglio guidato oggi di un tempo. Lo spirito di previdenza, che si e` svegliato, non lascia piu` un’eguale liberta` di azione alla cieca passione; la contiene entro certi limiti e si oppone alle violenze assurde, agli sconvolgimenti privi di ragione. Piu` illuminata, essa si espande meno a caso; non la si vede piu` scagliarsi contro gli innocenti per avere comunque soddisfazione. Ma e` rimasta pur tuttavia l’anima della penalita`. Possiamo dunque dire che la pena consiste in una reazione passionale di intensita` graduale. (...) Quando si pensa al diritto penale che e` in funzione nelle societa` attuali, ci si rappresenta un codice nel quale pene ben definite sono messe in rapporto con reati ugualmente definiti. Il giudice dispone – e` vero – di un certo margine per applicare ad ogni caso particolare le disposizioni generali; ma nelle sue linee essenziali la pena e` predeterminata per ogni categoria di mancanze. Questa organizzazione – che e` opera di scienziati – non e` pero` costitutiva della pena, dato che essa esiste in molte societa` senza essere stata fissata in anticipo. Nella Bibbia vi sono numerose proibizioni imperative nel modo piu` assoluto, che tuttavia non sono sanzionate da nessun castigo espressamente formulato. Non per questo si puo` mettere in dubbio il loro carattere penale; infatti, anche se i testi non si pronunciano a proposito della pena, essi esprimono nello stesso tempo un tale orrore per l’atto proibito che non si puo` supporre neppure per un istante che esso possa rimanere impunito. (...) La sola organizzazione che incontriamo ovunque vi siano pene propriamente dette, si riduce quindi al tribunale. Non importa la maniera in cui viene composto, e neppure che esso

la pena come una reazione passionale di intensita` graduale...

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

I   :   

...che la societa` esercita mediante un organo costituito la reazione al reato ...ha carattere sociale... ...ed e` collettiva

comprenda la popolazione intera o soltanto un’e´lite, e neppure se segua o meno una procedura regolare, tanto nell’istruzione del processo quanto nell’applicazione della pena: per il fatto stesso che l’infrazione, invece di venire giudicata da un qualunque privato cittadino, viene sottomessa alla valutazione di un corpo costituito, per il fatto stesso che la reazione collettiva ha per intermediario un organo definito, essa cessa di essere diffusa — cioe` e` organizzata. L’organizzazione potra` diventare piu` completa, ma a partire da questo momento esiste. La pena consiste dunque essenzialmente in una reazione passionale, di intensita` graduale, che la societa` esercita mediante un corpo costituito su quelli dei suoi membri che hanno violato certe regole di condotta. (...) Quanto al carattere sociale di questa reazione, esso deriva dalla natura sociale dei sentimenti offesi. Dato che questi si trovano in tutte le coscienze, l’infrazione commessa solleva in tutti coloro che ne sono testimoni o che conoscono la sua esistenza la medesima indignazione. Tutti sono colpiti, e di conseguenze tutti fan fronte all’attacco. La reazione e` non soltanto generale ma anche – cosa ben diversa – collettiva; non si produce isolatamente in ciascuno, ma accorda ed unisce tutti, in modo che varia d’altronde secondo i casi. Infatti, come i sentimenti contrari si respingono, quelli simili si attirano con tanta piu` forza quanto maggiore e` la loro intensita`. La contraddizione – essendo un pericolo che li esaspera, amplifica la loro forza attrattiva. Mai proviamo cosı` intenso il bisogno di rivedere dei compatrioti come quando siamo in paese straniero; mai il credente si sente attratto dai suoi correligionari come in un’epoca di persecuzioni. Senza alcun dubbio, noi amiamo sempre la compagnia di coloro che pensano e sentono come noi, ma la ricerchiamo con passione, e non piu` soltanto con piacere, al termine di discussioni durante le quali le nostre credenze comuni sono state vivamente combattute. Il delitto avvicina quindi le coscienze oneste e le concentra. Basta per questo considerare cio` che succede soprattutto in un piccolo centro, quando uno scandalo morale e` appena stato commesso: ci si ferma per via, ci si rende visita, ci si ritrova in luoghi convenuti per parlare dell’avvenimento e ci si indigna in comune. Da tutte le impressioni simili scambiate, da tutte le collere espresse, deriva una collera unica, piu` o meno determinata secondo i casi, che e` la collera di tutti senza essere quella di nessuno in particolare. E` la collera pubblica.

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L       

Soltanto essa, d’altra parte, puo` servire a qualcosa. I sentimenti in gioco, infatti, traggono la loro forza dal fatto di essere comuni a tutti; sono energici perche´ incontestati. Essi devono il rispetto particolare di cui sono oggetto al rispetto universale di cui godono. Ma il reato e` possibile soltanto se, il rispetto non e` veramente universale; esso implica di conseguenza che i sentimenti non siano assolutamente collettivi, e mette in questione quell’unanimita` che e` fonte della loro autorita`. Se quindi, quando il delitto si produce, le coscienze che esso urta non si unissero per testimoniarsi reciprocamente che restano in comunione e che quel caso particolare e` un’anomalia, queste non potrebbero evitare a lungo andare di perdere il loro vigore. Esse devono riconfortarsi e rassicurarsi a vicenda, dimostrando che sono sempre all’unisono: e per farlo hanno un solo mezzo, di reagire in comune. (...) La natura dei sentimenti collettivi e` dunque certamente quella che rende conto della pena, e quindi del reato. Vediamo inoltre di nuovo che il potere di reazione di cui dispongono le funzioni di governo, una volta apparse, non e` che l’emanazione del potere diffuso nella societa`, in quanto esso nasce appunto dalla societa`. L’uno e` soltanto il riflesso dell’altra; l’estensione del primo varia come l’estensione della seconda. Dobbiamo aggiungere d’altra parte che l’istituzione di questo potere serve a mantenere la stessa coscienza comune, la quale si indebolirebbe se l’organo che la rappresenta non partecipasse al rispetto che ispira e all’autorita` particolare che esercita. Tale partecipazione non e` possibile senza che tutti gli atti che offendono l’organo siano repressi e combattuti, in quanto atti che offendono la coscienza collettiva – anche quando non incidono direttamente su di essa.

sono i sentimenti collettivi che suscita il reato a definire l’entita` della pena

l’atto deviante offende la coscienza collettiva

. Il diritto penale e la solidarieta` meccanica L’analisi della pena ha confermato la nostra definizione del reato. Abbiamo cominciato con lo stabilire per via induttiva che esso consiste essenzialmente in un atto contrario agli stati forti e definiti della coscienza comune; abbiamo appena visto che tutti i caratteri della pena derivano effettivamente da questa natura del reato. Cio` vuol dire dunque che le regole che essa sanziona esprimono le piu` fondamentali uniformita` sociali.

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

I   :   

la causa della coesione sociale risiede nella conformita` di tutte le coscienze particolari al tipo psichico della societa`

la coscienza individuale... ...e la coscienza collettiva...

...sono entrambe sociali

solidarieta` meccanica

Vediamo in questo modo quale specie di solidarieta` il diritto penale simbolizza. Tutti sanno che c’e` una coesione sociale la cui causa risiede in una certa conformita` di tutte le coscienze particolari a un tipo comune, la quale non e` altro che il tipo psichico della societa`. In tali condizioni, infatti, non soltanto tutti i membri del gruppo sono attratti individualmente gli uni verso gli altri perche´ si somigliano, ma sono anche riferiti alla condizione dell’esistenza del tipo collettivo, vale a dire alla societa` che formano mediante la loro riunione. Non soltanto i cittadini si amano e si ricercano tra loro, piuttosto che ricercare la compagnia di estranei, ma amano anche la patria. La vogliono, cosı` come vogliono se stessi, e ritengono che sia nel loro interesse che essa duri e prosperi, perche´ senza di essa il funzionamento di tutta una parte della loro vita psichica sarebbe reso difficile. Inversamente, e` nell’interesse della societa` che tutti presentino queste fondamentali somiglianze che costituiscono la condizione della sua coesione. Vi sono in noi due coscienze: l’una contiene soltanto stati personali propri di ciascuno di noi e che ci caratterizzano, mentre gli stati che l’altra comprende sono comuni alla societa` intera. La prima non rappresenta che la nostra personalita` individuale e la costituisce; la seconda rappresenta il tipo collettivo e di conseguenza la societa`, senza la quale non esisterebbe. Quando la nostra condotta e` determinata da un elemento di quest’ultima, non agiamo in vista del nostro interesse personale, ma miriamo a fini collettivi. Le due coscienze, per quanto distinte, sono reciprocamente vincolate, poiche´ in fondo sono tutt’uno, dato che entrambe hanno il medesimo ed unico substrato organico. Esse sono dunque solidali. Da cio` risulta una solidarieta` sui generis che, nata da certe somiglianze, collega direttamente l’individuo alla societa`; nel prossimo capitolo potremo meglio mostrare perche´ proponiamo di chiamarla meccanica. Questa solidarieta` non consiste soltanto nell’attaccamento generale e indeterminato dell’individuo al gruppo, ma rende anche armoniche le singole parti dei movimenti. Infatti, dato che i corpi collettivi in movimento si trovano ad essere ovunque i medesimi, essi producono anche dovunque gli stessi effetti. Ogni volta che entrano in gioco, le volonta` si muovono spontaneamente e in perfetto accordo nel medesimo senso. Questa e` la solidarieta` che il diritto repressivo esprime, per lo meno in cio` che ha di vitale. Gli atti che esso proibisce e qualifica come reati sono di due tipi: o manifestano direttamente una

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

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L       

dissomiglianza troppo violenta rispetto all’agente che li compie e al tipo collettivo, o offendono l’organo della coscienza comune. In entrambi i casi la forza colpita dal reato che lo reprime e` sempre la stessa: essa e` il prodotto delle piu` essenziali uniformita` sociali, e ha per effetto il mantenimento della coesione sociale che risulta da tali uniformita`. E` questa la forza che il diritto penale protegge contro ogni indebolimento, esigendo da noi un minimo di somiglianze, senza le quali l’individuo sarebbe una minaccia per l’unita` del corpo sociale, ed imponendoci nello stesso tempo il rispetto del simbolo che esprime e riassume tali somiglianze, al tempo stesso in cui le garantisce. (...) La pena non serve – o non serve che secondariamente – a correggere il colpevole o a intimidire i suoi possibili imitatori; da questo duplice punto di vista e` giustamente dubbia, e in ogni caso mediocre. La sua vera funzione e` di mantenere intatta la coesione sociale, conservando alla coscienza comune tutta la sua vitalita`. Categoricamente cosı` negata, la coscienza comune perderebbe necessariamente parte della sua energia se una reazione emozionale della comunita` non intervenisse per compensare tale perdita: il rilassamento della solidarieta` sociale sarebbe l’inevitabile risultato. Occorre dunque che essa si affermi energicamente nel momento stesso in cui viene contraddetta, ed il solo mezzo che ha per affermarsi e` di esprimere l’avversione unanime che il delitto continua ad ispirare, mediante un atto autentico che puo` consistere soltanto in un dolore inflitto all’agente. In tal modo, pur essendo il prodotto necessario delle cause che lo generano, questo dolore non rappresenta una crudelta` gratuita, ma il segno che attesta che i sentimenti collettivi sono sempre collettivi, che la comunione degli spiriti nella medesima fede sussiste interamente e ripara in tal modo al male che il reato ha recato alla societa`. Ecco perche´ ha ragione chi dice che il criminale deve soffrire in proporzione al suo reato, ecco perche´ le teorie che rifiutano alla pena ogni carattere espiatorio sembrano a tanti spiriti sovversive dell’ordine sociale. Tali dottrine infatti non potrebbero venir praticate che in una societa` nella quale la coscienza comune fosse quasi completamente abolita. Senza questa soddisfazione, cio` che viene chiamato coscienza morale non potrebbe essere conservato. Possiamo dire senza cadere nel paradosso che il castigo e` destinato soprattutto ad agire sulle persone oneste; infatti, poiche´ serve a guarire le ferite inferte ai sentimenti collettivi, puo` adempiere a questa funzione

la coesione sociale risulta dall’uniformita`

La pena ha una scarsa efficacia deterrente... ...la sua vera funzione e` vendicare l’offesa subita dalla coscienza collettiva

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

I   :   

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soltanto dove questi sentimenti esistono, e nella misura in cui sono vivi. (...)

. Il diritto restitutivo e la solidarieta` organica Con l’evento della modernita` si afferma un diritto di tipo restitutivo ...che consiste in una riparazione e non in una espiazione

l’opinione pubblica tollera che le regole del diritto restitutivo possano essere cambiate...

La natura stessa della sanzione restitutiva e` sufficiente per mostrare che la solidarieta` sociale alla quale corrisponde questo diritto e` di tutt’altra specie. Cio` che distingue questa sanzione e` il fatto che non comporta un’espiazione, ma si riduce ad una semplice riparazione. Nessuna sofferenza proporzionale al misfatto viene inflitta a colui che ha violato il diritto o che lo misconosce: egli viene semplicemente condannato a sottomettersi ad esso. Se il fatto e` gia` stato compiuto, il giudice ripristina quello che avrebbe dovuto essere lo status quo: parla in termini di diritto, non di pena. I danni-interessi non hanno carattere penale, ma sono soltanto un mezzo che permette di ritornare al passato per poi ripristinarlo – nei limiti del possibile – nella sua forma normale. (...) Chi manca a queste regole non e` neppure punito da una pena diffusa. La parte civile che ha perduto il suo processo non diventa, per questo, oggetto di infamia, ed il suo onore non e` intaccato. Possiamo perfino immaginare che tali regole siano diverse da quelle che sono senza sentirci rivoltare. L’idea che l’assassinio possa essere tollerato ci indigna, ma non abbiamo difficolta` ad accettare che il diritto di successione sia modificato, e molti ritengono anche che possa venir soppresso. Si tratta per lo meno di una questione che non ci rifiutiamo di discutere. Analogamente, ammettiamo senza difficolta` che il diritto delle servitu` e quello degli usufrutti siano organizzati altrimenti, che le obbligazioni del rivenditore e quelle del compratore siano determinate in un’altra maniera, che le funzioni amministrative vengano assegnate secondo altri principi. Poiche´ tali prescrizioni non corrispondono in noi a nessun sentimento, e poiche´ generalmente non conosciamo le loro ragioni di esistere – dato che una scienza del genere non e` ancora stata elaborata – nella maggior parte di noi esse non sono veramente radicate. Vi sono senza dubbio delle eccezioni. Non possiamo tollerare l’idea che un impegno contrario ai costumi o ottenuto mediante la violenza possa vincolare i contraenti. Percio`, quando l’opinione pubblica si trova in presenza di casi di questo

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

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L       

genere, essa si mostra meno indifferente di quanto abbiamo detto nelle righe precedenti ed aggrava con il suo biasimo la sanzione legale. Cio` accade perche´ i differenti campi della vita morale non sono radicalmente separati, ma sono in rapporto di continuita`: per questo, vi sono tra di essi regioni limitrofe nelle quali ritroviamo contemporaneamente caratteri differenti. Tuttavia la proposizione precedente resta vera per il piu` gran numero di casi, e costituisce la prova del fatto che le regole a sanzione restitutiva o non fanno assolutamente parte della coscienza collettiva o rappresentano stati deboli di essa. Il diritto repressivo corrisponde al cuore, al centro della coscienza comune; le regole puramente morali ne costituiscono una parte gia` meno centrale; il diritto restitutivo, infine, ha origine in regioni del tutto eccentriche per estendersi al di la` di tale coscienza. Quanto piu` diventa veramente se stesso, tanto piu` si allontana dal suo luogo di origine. (...) Ma queste regole, pur essendo piu` o meno al di fuori della coscienza collettiva, non per questo interessano soltanto i privati. Se cosı` fosse, il diritto restitutivo non avrebbe nulla in comune con la solidarieta` sociale, poiche´ i rapporti che regola vincolerebbero reciprocamente gli individui senza collegarli alla societa`; si tratterebbe di semplici avvenimenti della vita privata, simili per esempio alle relazioni di amicizia. Ma la societa` e` ben lungi dall’essere assente da questo campo della vita giuridica. E` ben vero che, di solito, essa non interviene direttamente e spontaneamente: deve venire sollecitata dagli interessati. Ma, anche se provocato, il suo intervento e` pur sempre l’ingranaggio essenziale del meccanismo, poiche´ soltanto essa lo fa funzionare. La societa` legifera mediante l’organo dei suoi rappresentanti. Qualcuno ha sostenuto tuttavia che tale compito non ha niente di sociale, ma si riduce a quello di conciliatore di interessi privati; in conseguenza di cio`, ogni privato cittadino potrebbe assumerlo e – se la societa` se ne incaricasse – sarebbe unicamente per ragioni di comodita`. Ma nulla e` piu` inesatto che fare della societa` una specie di terzo-arbitro tra le parti. Quando e` indotta ad intervenire, non lo fa per mettere d’accordo interessi individuali; non cerca la soluzione piu` vantaggiosa per gli avversari e non propone loro compromessi; ma applica al caso particolare che le viene proposto le regole generali e tradizionali del diritto. Ma il diritto e` principalmente sociale e il suo oggetto e` tutt’altro che l’interesse delle parti in causa. Il giudice che esamina una do-

...perche´ le regole infrante non offendono, od offendono solo parzialmente, la coscienza collettiva...

cio` non vuol dire che il diritto restitutivo non abbia a che fare con la solidarieta`

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

I   :   

il diritto restitutivo regola le relazioni non tra l’individuo e la societa` ma tra parti specifiche della societa`

manda di divorzio non si preoccupa di sapere se la separazione e` veramente auspicabile per i coniugi, ma se le cause addotte rientrano in una delle categorie previste dalla legge. Per ben apprezzare l’importanza dell’azione sociale, non bisogna pero` osservarla soltanto nel momento in cui la sanzione si applica e il rapporto turbato viene ripristinato, ma anche quando il diritto si istituisce. Essa e` infatti necessaria sia per fondare sia per modificare alcune relazioni giuridiche regolate da questo diritto, che il consenso degli interessati non basta ne´ a creare ne´ a mutare. A questo gruppo appartengono tra l’altro le relazioni che concernono lo stato delle persone. Benche´ il matrimonio sia un contratto, i coniugi non possono ne´ formarlo ne´ scioglierlo a piacimento. Lo stesso accade a proposito di tutti gli altri rapporti domestici e, a maggior ragione, di tutti i rapporti regolati dal diritto amministrativo. (...) Ogni contratto presuppone quindi, dietro le parti che si impegnano, la societa` pronta ad intervenire per far rispettare gli impegni che sono stati presi; percio` essa presta una forza vincolante soltanto ai contratti che hanno per se stessi valore sociale, cioe` che sono conformi alle regole del diritto. Vedremo anche che il suo intervento e` talvolta ancora piu` positivo. Essa e` dunque presente in tutte le relazioni del diritto restitutivo, anche a quelle che sembrano assolutamente private; e la sua presenza, anche se – per lo meno allo stato normale – non e` sentita, non per questo e` meno essenziale. Poiche´ le regole a sanzione restitutiva sono estranee alla coscienza comune, i rapporti che esse determinano non concernono indistintamente tutti; cio` significa che si stabiliscono immediatamente non tra l’individuo e la societa`, ma tra certe parti ristrette e specifiche della societa` che essi vincolano reciprocamente. Ma d’altra parte la societa`, visto che non e` assente, deve necessariamente essere piu` o meno direttamente interessata alle sanzioni restitutive, e risentirne i contraccolpi. Allora, secondo la vivacita` con la quale li risente, interviene piu` o meno attivamente mediante organi specifici, incaricati di rappresentarla. Queste relazioni sono dunque ben differenti da quelle regolate dal diritto repressivo, le quali connettono direttamente e senza intermediari la coscienza privata alla coscienza collettiva, vale a dire l’individuo alla societa`.

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

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L       

Ma tali rapporti possono assumere due forme molto differenti: o sono negativi, e si riducono alla pura astensione, o sono positivi, cioe` di cooperazione. Alle due classi di regole che determinano questi forme, corrispondono due specie di solidarieta` sociale, che e` necessario distinguere. (...) Poiche´ la solidarieta` negativa non produce di per se´ nessuna integrazione, e poiche´ d’altra parte essa non ha nulla di specifico, riconosceremo soltanto due tipi di solidarieta` positiva, distinti in base ai seguenti caratteri. 1) La prima vincola direttamente l’individuo alla societa` senza intermediari; nella seconda, invece, l’individuo dipende dalla societa` perche´ dipende dalle parti che la compongono. 2) La societa` non e` considerata nei due casi dal medesimo punto di vista. Nel primo caso, cio` che e` indicato da questo nome e` un insieme piu` o meno organizzato di credenze e di sentimenti comuni a tutti i membri del gruppo: si tratta cioe` del tipo collettivo. Invece, la societa` con la quale siamo solidali nel secondo caso e` un sistema di funzioni differenti e specifiche, unite da rapporti definiti. Queste due societa` d’altra parte fanno tutt’uno: sono le due facce della stessa ed unica realta`, che pero` esigono di essere distinte. 3) Dalla seconda differenza ne deriva un’altra, che ci servira` per caratterizzare e denominare i due tipi di solidarieta`. La prima forma non puo` essere forte che nella misura in cui le idee e le tendenze comuni a tutti i membri della societa` oltrepassano in numero e in intensita` le idee e le tendenze che appartengono personalmente a ciascuno di essi. Quanto piu` considerevole e` tale eccedenza, tanto piu` energica e` la solidarieta`. Ma l’elemento costitutivo della nostra personalita` e` cio` che ciascuno di noi ha di proprio e di caratteristico, cio` che lo distingue dagli altri. Questa solidarieta` puo` dunque aumentare soltanto in ragione inversa alla personalita`. In ognuna delle nostre coscienze vi sono – abbiamo detto – due coscienze: l’una, comune a noi e a tutto il gruppo al quale apparteniamo, non si identifica quindi con noi stessi, ma e` la societa` in quanto vive ed agisce in noi; l’altra non rappresenta invece che noi in cio` che abbiamo di personale e di distinto, in cio` che fa di noi un individuo. La solidarieta` che deriva dalle somiglianze e` al suo maximum quando la coscienza collettiva ricopre esattamente la nostra coscienza totale, e coincide punto per punto con essa: ma in quel momento la nostra individualita` e` scomparsa.

societa` come insieme di credenze e sentimenti comuni

societa` come insieme di funzioni differenti e specifiche

c’e` un rapporto inversamente proporzionale tra coscienza collettiva e individuale...

tuttavia queste due coscienze non costituiscono in noi due regioni geograficamente distinte, ma si compenetrano da ogni lato solidarieta` per somiglianza...

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

I   :   

...ovvero solidarieta` meccanica

solidarieta` per differenza ...prodotta dalla divisione del lavoro...

Essa puo` nascere soltanto se la comunita` lascia in noi un certo margine. Siamo qui in presenza di due forze contrarie – l’una centripeta e l’altra centrifuga – che non possono aumentare contemporaneamente: non possiamo svilupparci nello stesso tempo in due direzioni cosı` opposte. Se abbiamo una viva inclinazione per il pensiero e l’azione personale, non possiamo essere fortemente inclini a pensare e ad agire come gli altri. Se il nostro ideale e` di farci una fisionomia che sia soltanto nostra, non possiamo desiderare di assomigliare a tutti. Inoltre, nel momento in cui la solidarieta` esercita la sua azione, la nostra personalita` scompare, per cosı` dire, per definizione; infatti non siamo piu` noi stessi, ma l’essere collettivo. Le molecole sociali non sarebbero coerenti che in questo modo, e non potrebbero agire in perfetto accordo che nella misura in cui fossero prive di movimenti propri — come accade per le molecole dei corpi inorganici Percio` proponiamo di chiamare meccanica la solidarieta` di questa specie. Tale termine non significa che essa venga prodotta da mezzi meccanici ed artificialmente: diamo ad essa questo nome soltanto per analogia con la coesione che unisce tra loro gli elementi dei corpi bruti, in antitesi a quella che costituisce l’unita` dei corpi viventi. Per meglio giustificare tale denominazione ricorderemo che il vincolo che unisce in tale modo l’individuo alla societa` e` del tutto analogo a quello che ricollega la cosa alla persona. La coscienza individuale, considerata da questo punto di vista, non e` che un semplice annesso del tipo collettivo, del quale essa segue tutti i movimenti, come l’oggetto posseduto segue i movimenti che il proprietario gli imprime. Nelle societa` in cui questa solidarieta` e` molto sviluppata, l’individuo non appartiene a se stesso — come vedremo piu` avanti; esso e` letteralmente una cosa di cui la societa` dispone. Percio` in questi tipi sociali i diritti personali non sono ancora distinti dai diritti reali. Completamente diverso e` il caso della solidarieta` prodotta dalla divisione del lavoro. Mentre la precedente implica una somiglianza tra gli individui, questa presuppone la loro differenza. La prima e` possibile soltanto nella misura in cui la personalita` individuale e` assorbita dalla personalita` collettiva; la seconda e` possibile soltanto se ognuno ha un proprio campo di azione, e di conseguenza una personalita`. La coscienza collettiva deve quindi lasciare scoperta una parte della coscienza individuale, affinche´ in

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

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L       

essa si stabiliscano le funzioni specifiche che essa non puo` regolare; e piu` questa regione e` estesa, piu` forte e` la coesione che risulta da tale solidarieta`. Infatti, da un lato, quanto piu` diviso e` il lavoro, tanto piu` strettamente l’individuo dipende dalla societa`, e dall’altro, quanto piu` specializzata e` l’attivita` dell’individuo, tanto piu` essa e` personale. Indubbiamente, per quanto circoscritta, essa non e` mai completamente originale; perfino nell’esercizio della nostra professione ci conformiamo a certi usi e a certe pratiche che sono comuni a noi e a tutta la nostra corporazione. Ma, anche in questo caso, il giogo che subiamo e` ben meno pesante di quello che la societa` ci impone quando grava tutta intera su di noi e lascia un margine ben piu` grande al libero gioco della nostra iniziativa. L’individualita` del tutto si accresce quindi contemporaneamente a quella delle parti; la societa` impara sempre piu` ad agire in perfetto accordo, nello stesso tempo in cui ognuno dei suoi elementi acquista una maggior autonomia. Questa solidarieta` assomiglia a quella che osserviamo negli animali superiori. Ogni loro organo ha infatti la sua fisionomia specifica e la sua autonomia; tuttavia l’unita` dell’organismo e` tanto maggiore quanto piu` accentuata e` l’individuazione delle parti. A causa di questa analogia proponiamo di chiamare organica la solidarieta` dovuta alla divisione del lavoro. (...)

...ovvero solidarieta` organica maggiori individuazione delle parti, maggiore unita` dell’insieme

. L’uniformita` delle coscienze e la divisione del lavoro sociale La vita sociale deriva da una duplice fonte: l’uniformita` delle coscienze e la divisione del lavoro sociale. Nel primo caso l’individuo e` socializzato perche´, non avendo un’individualita` propria, si confonde con i suoi simili in seno allo stesso tipo collettivo; nel secondo caso perche´, pur avendo una fisionomia e un’attivita` personale che lo distinguono dagli altri, dipende da essi proprio nella misura in cui da essi si distingue, e percio` dipende dalla societa` che risulta dalla loro unione. L’uniformita` delle coscienze da` origine a certe regole giuridiche che determinano la natura e i rapporti delle funzioni divise, la cui violazione produce soltanto misure riparatrici, prive del carattere di espiazione. Ognuno di questi corpi di regole giuridiche e` d’altra parte

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

I   :   

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morale comune

morale professionale

anche la divisione del lavoro determina tra gli individui dei vincoli di solidarieta`

...a cui lo stato ci richiama

accompagnato da un corpo di regole puramente morali. Dove il diritto penale e` molto voluminoso, la morale comune e` molto estesa: c’e` quindi una molteplicita` di pratiche collettive poste sotto la custodia dell’opinione pubblica. Dove il diritto restitutivo e` molto sviluppato, per ogni professione c’e` una morale professionale. All’interno di un gruppo di lavoratori esiste un’opinione, diffusa in tutta l’estensione di questo aggregato ristretto, che pur essendo sprovvista di sanzioni legali si fa tuttavia obbedire. Vi sono costumi e usanze, comuni ad un dato ordine di funzionari, che nessuno di essi puo` infrangere senza incorrere nel biasimo della corporazione. Questa morale pero` si distingue dalla precedente mediante differenze analoghe a quelle che separano le due forme corrispondenti di diritto. Essa e` infatti localizzata in una regione limitata della societa`; inoltre il carattere repressivo delle sanzioni ad essa connesse e` sensibilmente meno accentuato. Gli errori professionali determinano un movimento di riprovazione pubblica molto piu` debole di quello suscitato dagli attentati contro la morale pubblica. Tuttavia, le regole della morale e del diritto professionale sono imperative come le altre; esse obbligano l’individuo ad agire in vista di scopi che non sono i suoi, a fare concessioni, a consentire a compromessi, a tener conto di interessi superiori ai suoi. Di conseguenza, anche dove la societa` riposa completamente sulla divisione del lavoro, essa non si risolve percio` in una miriade di atomi giustapposti, tra i quali non possono stabilirsi che contatti esterni e passeggeri; ma i suoi membri sono uniti da vincoli che si estendono ben al di la` dei brevi momenti in cui avviene lo scambio. Ognuna delle funzioni che esercitano e` sempre dipendente dalle altre, e forma con esse un sistema solidale: dalla natura del compito scelto derivano quindi doveri permanenti. Dal momento che adempiamo a questa o quella funzione domestica o sociale, siamo coinvolti in una rete di obbligazioni dalle quali non abbiamo il diritto di renderci indipendenti. C’e` soprattutto un organo nei confronti del quale il nostro stato di dipendenza aumenta sempre piu` — lo Stato. I punti in cui siamo in contatto con esso si moltiplicano, al pari delle occasioni nelle quali esso ha l’incarico di richiamarci al sentimento della solidarieta` comune. Percio` l’altruismo non e` destinato a diventare – come pretende Spencer – una specie di piacevole ornamento della vita sociale, ma ne costituira` sempre la base fondamentale. Come potremmo infatti

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

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L       

farne a meno? Gli uomini non possono vivere insieme senza capirsi e, di conseguenza, senza sacrificarsi l’uno per l’altro, senza vincolarsi reciprocamente in modo efficace e duraturo. Ogni societa` e` una societa` morale. Sotto certi aspetti, questo carattere e` perfino piu` pronunciato nelle societa` organizzate. Dal momento che l’individuo non e` autosufficiente, egli riceve dalla societa` tutto cio` che gli e` necessario, in quanto lavora per essa. Si forma cosı` in lui un sentimento vivissimo dello stato di dipendenza in cui si trova, ed egli si abitua a stimarsi per quello che vale, cioe` a non considerarsi che la parte di un tutto, l’organo di un organismo. Sono questi i sentimenti che, per la loro stessa natura ispirano non soltanto i sacrifici giornalieri che assicurano lo sviluppo regolare della vita sociale quotidiana, ma anche, all’occorrenza, atti di rinuncia completa e di abnegazione senza restrizioni. Da parte sua la societa` impara a considerare i membri che la compongono non piu` come cose sulle quali ha diritti, ma come cooperatori dei quali non puo` fare a meno e nei confronti dei quali ha doveri. A torto, dunque, si contrappone la societa` che deriva dalla comunita` delle credenze a quella che ha per base la cooperazione, e si accorda soltanto alla prima un carattere morale, mentre non si vede nella seconda che un aggruppamento economico. In realta` la cooperazione ha essa pure una moralita` intrinseca. Abbiamo pero` ragione di credere – come vedremo meglio in seguito – che nelle societa` attuali questa moralita` non ha ancora tutto lo sviluppo che sarebbe fin da ora necessario. Ma la natura delle due forme di moralita` e` differente: quella che deriva dall’uniformita` e` forte soltanto se l’individuo non lo e`. Costituita di regole praticate senza distinzione da tutti, essa riceve da tale pratica universale ed uniforme un’autorita` che fa di essa qualcosa di sovrumano e che la sottrae, in misura maggiore o minore, alla discussione. L’altra invece si sviluppa a misura che si rafforza la personalita` individuale. Una funzione, per quanto regolata, lascia sempre un ampio margine all’iniziativa dei singoli. Inoltre, molte delle obbligazioni cosı` sanzionate hanno la loro origine in una scelta della volonta`: scegliamo noi la nostra professione ed anche alcune delle nostre funzioni domestiche. Indubbiamente, a partire dal momento in cui la nostra risoluzione ha cessato di essere interiore, dando luogo a conseguenze sociali, siamo vincolati: esse impongono a noi doveri che non avevamo espressamente voluto. Eppure, esse hanno avuto origine da un atto

le societa` tradizionali e le societa` moderne sono entrambe societa` morali

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

I   :   

volontario. Infine, dal momento che tali regole di condotta si riferiscono non gia` alle condizioni della vita comune ma alle differenti forme dell’attivita` professionale, esse hanno un carattere per cosı` dire piu` temporale – il quale, pur lasciando loro una forza vincolante, le rende piu` accessibili all’azione degli uomini. Esistono dunque due grandi correnti della vita sociale, alle quali corrispondono due tipi di struttura non meno differenti. Di tali correnti, quella che trae origine dalle uniformita` sociali procede all’inizio sola e senza rivali, e si confonde con la vita stessa della societa`. Poi, a poco a poco, essa si canalizza e si rarefa`, mentre la seconda si ingrossa sempre di piu`. Analogamente, la struttura segmentaria viene sempre piu` ricoperta dall’altra, senza pero` mai sparire del tutto. (...)

. La progressiva preponderanza della solidarieta` organica e le sue conseguenze

rispetto alla comunita` di credenze e sentimenti, la divisione del lavoro crea vincoli piu` numerosi

...e piu` forti

Basta infatti gettare uno sguardo sui nostri codici per constatare lo spazio ridotto che occupa il diritto repressivo, in rapporto al diritto cooperativo. Che cosa rappresenta il primo nel confronti del vasto sistema formato dal diritto domestico, dal diritto contrattuale, dal diritto commerciale e cosı` via? L’insieme delle relazioni sottomesse alla regolamentazione penale rappresenta soltanto la piu` piccola frazione della vita generale, e di conseguenza i vincoli che ci collegano alla societa` e che derivano dalla comunita` delle credenze e dei sentimenti sono molto meno numerosi di quelli che risultano dalla divisione del lavoro. (...) Da questa comparazione non possiamo pero` dedurre quale sia la parte della solidarieta` organica nella coesione generale della societa`. Infatti, cio` che fa sı` che l’individuo sia piu` o meno strettamente fissato al gruppo, non e` soltanto la quantita` maggiore o minore dei punti di connessione, ma e` anche l’intensita` variabile delle forze che lo tengono ad esso collegato. Potrebbe quindi darsi che i vincoli risultanti dalla divisione del lavoro, pur essendo piu` numerosi, siano piu` deboli degli altri, e che la maggiore energia di questi ultimi compensi la loro inferiorita` numerica. In realta`, e` vero il contrario. Infatti, cio` che misura la forza relativa dei due vincoli sociali e` la facilita` diseguale con la quale si infrangono. Il meno resistente e`

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L       

evidentemente quello che si rompe sotto la minima pressione; e proprio nelle societa` inferiori, presso le quali la solidarieta` mediante somiglianza e` la sola forma, o quasi la sola, di solidarieta`, le rotture sono piu` frequenti e piu` agevoli. (...) La situazione muta completamente, a misura che il lavoro si divide. Le diverse parti dell’aggregato, per il fatto stesso di assolvere funzioni diverse, non possono venir facilmente separate. «Se – dice Spencer – separassimo dal Middlesex i suoi dintorni, tutte le sue operazioni si fermerebbero entro pochi giorni, in mancanza di materiali. Separate il distretto nel quale si lavora il cotone da Liverpool e dagli altri centri: l’industria si arrestera` e la popolazione perira`. Separate le popolazioni che vivono dell’industria carbonifera dalle popolazioni vicine che fondono i metalli o fabbricano a macchina tessuti di abbigliamento: esse moriranno subito socialmente, ed in seguito moriranno individualmente. Indubbiamente, quando una societa` civile subisce una divisione tale che una delle sue parti resta priva di direzione centrale capace di esercitare l’autorita`, non tarda a costituirsene un’altra; ma essa corre il grave rischio di dissolversi e — prima che la riorganizzazione ricostituisca un’autorita` sufficiente – e` esposta al rischio di restare per lungo tempo in uno stato di disordine e di debolezza». Per questa ragione, le annessioni violente – un tempo cosı` frequenti – diventano operazioni sempre piu` delicate e di incerto successo. Oggi, infatti, strappare una provincia a un paese equivale a recidere uno o piu` organi ad un organismo. La vita della regione annessa e` profondamente turbata, separata com’e` dagli organi essenziali dai quali dipendeva – e le mutilazioni e le perturbazioni di questo genere determinano necessariamente dolori duraturi il cui ricordo non si cancella. (...) Non soltanto la solidarieta` meccanica vincola in generale gli uomini in maniera meno forte della solidarieta` organica, ma anche, a misura che l’evoluzione sociale avanza, essa si allenta sempre piu`. Infatti la forza dei vincoli sociali che hanno questa origine varia in funzione delle tre condizioni seguenti: 1) il rapporto tra il volume della coscienza comune e quello della coscienza individuale: quanto piu` completamente la prima ricopre la seconda, tanto piu` energici sono i vincoli sociali; 2) l’intensita` media degli stati della coscienza collettiva: supponendo eguale il rapporto dei volumi, quanto maggiore e` la sua vitalita`, tanto maggiore e` la sua azione sull’individuo – mentre se

man mano che la solidarieta` organica si rafforza, si indebolisce quella meccanica... ...e si modifica il rapporto tra coscienza collettiva e coscienza individuale

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I   :   

essa e` costituita soltanto da impulsi deboli, non lo trascina che debolmente nel senso collettivo, ed allora gli sara` piu` facile seguire le proprie inclinazioni, e la solidarieta` sara` meno forte; 3) la maggiore o minore determinatezza di questi stessi stati: quanto piu` le credenze e le pratiche sono definite, tanto minore e` il margine che lasciano alle divergenze individuali. Si tratta di stampi uniformi nei quali coliamo tutti uniformemente le nostre idee e le nostre azioni; il consensus raggiunge quindi il massimo della perfezione; tutte le coscienze vibrano all’unisono. Inversamente, quanto piu` le regole della condotta e quelle del pensiero sono generali ed indeterminate, tanto piu` la riflessione individuale deve intervenire per applicarle ai casi particolari. Ma essa non puo` risvegliarsi senza che scoppino dissidi; variando infatti da individuo a individuo in qualita` e in quantita`, tutto cio` che la riflessione produce ha lo stesso carattere. Le tendenze centrifughe si moltiplicano a scapito della coesione sociale e dell’armonia dei movimenti. D’altra parte gli stati forti e definiti della coscienza comune costituiscono le radici del diritto penale. Vedremo ben presto che il loro numero e` oggi minore di un tempo, e che esso diminuisce progressivamente a misura che le societa` si avvicinano al tipo attuale. Cio` significa che l’intensita` media e il grado medio della determinatezza degli stati collettivi sono essi pure diminuiti. (...) Moltissimi tipi criminologici sono progressivamente scomparsi. Oggi la regolamentazione della vita domestica ha perduto quasi del tutto il carattere penale: sole eccezioni, la proibizione dell’adulterio e quella della bigamia. Ed inoltre l’adulterio occupa nella lista dei reati che abbiamo tracciato un posto del tutto eccezionale, poiche´ il marito ha il diritto di esentare dalla pena la moglie condannata. Quanto ai doveri degli altri membri della famiglia, essi non hanno piu` sanzione repressiva. Un tempo era diverso: il decalogo fa della pieta` filiale un’obbligazione sociale; per questo il fatto di battere i genitori o di maledirli o di disobbedire al padre era punito con la morte. Nella polis ateniese che, pur appartenendo al medesimo tipo di quella romana, rappresenta una varieta` piu` primitiva, la legislazione aveva su questo punto lo stesso carattere. Le mancanze commesse contro i doveri familiari davano adito ad una querela specifica, la graphe´ kakoseoos. Coloro che maltrattavano o insultavano i genitori o gli ascendenti, che non fornivano loro i mezzi di

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

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L       

sostentamento di cui avevano bisogno, che non procuravano loro funerali adeguati alla dignita` della famiglia... potevano essere perseguiti mediante la graphe´ kakoseoos. I doveri dei genitori verso gli orfani dei due sessi venivano sanzionati da azioni dello stesso genere. Tuttavia, le pene notevolmente minori che colpivano questi delitti attestano che i sentimenti corrispondenti non avevano ad Atene la forza o la determinatezza che avevano avuto in Palestina. A Roma, infine, una nuova ed ancor piu` accentuata regressione si manifesta: le sole obbligazioni familiari consacrate dalla legge penale sono quelle che vincolano il cliente al padrone e viceversa. In quanto alle altre colpe domestiche, esse non vengono piu` punite se non mediante provvedimenti disciplinari adottati dal padre di famiglia. Indubbiamente l’autorita` di cui dispone gli permette di reprimerle severamente; ma, quando egli si serve del suo potere, non lo fa in quanto pubblico funzionario ne´ in quanto magistrato incaricato di far rispettare a casa sua la legge generale dello stato, bensı` agisce in qualita` di privato cittadino. Le infrazioni di questo tipo tendono quindi a diventare affari puramente privati, dei quali la societa` si disinteressa. Percio` a poco a poco i sentimenti domestici hanno abbandonato la parte centrale della coscienza comune. (...) Nelle societa` semplici, in cui la tradizione e` onnipotente e quasi tutto e` in comune, gli usi piu` puerili diventano, con l’abitudine, doveri imperativi. Nel Tonkino, una grande quantita` di mancanze alle convenienze e` punita piu` severamente di certi gravi attentati contro la societa`. In Cina viene punito il medico che non ha regolarmente redatto una ricetta. Il Pentateuco e` gremito di prescrizioni dello stesso genere: senza parlare di un grandissimo numero di pratiche semi-religiose, la cui origine e` evidentemente storica e la cui forza proviene dalla tradizione; l’alimentazione, l’abbigliamento, e mille dettagli della vita economica sono sottoposti ad un’estesissima regolamentazione. (...) La religione vieta agli Ebrei di mangiare certe carni, ordina loro di vestirsi in un modo determinato; impone questa o quell’opinione sulla natura dell’uomo e delle cose, sulle origini del mondo; essa regola molto spesso le relazioni giuridiche, morali ed economiche. Il suo campo di azione si estende quindi ben al di la` del commercio dell’uomo con il divino. (...) Se dunque esiste una verita` che la storia ha resa indubbia, questa e` proprio l’estensione sempre minore della porzione di vita

man mano che le societa` diventano complesse si allarga la sfera privata

nelle societa` semplici la tradizione e` legge...

...e la religione detta le regole della vita quotidiana

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

I   :   

il processo di secolarizzazione libera l’individuo

la coscienza collettiva si indebolisce, ma non scompare

nelle societa` moderne si sviluppa un vero e proprio culto dell’individuo...

sociale che la religione ricopre. In origine essa si estendeva a tutto; tutto cio` che era sociale era religioso: i due termini erano sinonimi. In seguito, a poco a poco, le funzioni politiche, economiche, scientifiche si sono rese indipendenti dalla funzione religiosa, costituendosi a parte ed assumendo un carattere temporale sempre piu` accentuato. Dio – per cosı` dire – che in principio era presente a tutte le relazioni umane, si ritira progressivamente da esse; abbandona il mondo agli uomini e alle loro controversie. Per lo meno – anche se continua a dominarlo – lo fa dall’alto e da lontano; e l’azione che esercita, diventando piu` generale e piu` indeterminata, lascia un margine maggiore al libero giuoco delle forze umane. L’individuo si sente quindi – ed e` realmente – meno diretto; diventa maggiormente una fonte di attivita` spontanea. In breve, non soltanto il dominio della vita religiosa non aumenta nello stesso tempo e nella medesima misura in cui aumenta quello della vita temporale, ma esso si restringe sempre piu`. La sua regressione non e` cominciata a un dato momento della storia, ma possiamo seguirne le fasi fin dalle origini dell’evoluzione sociale: essa e` quindi vincolata alle condizioni fondamentali dello sviluppo delle societa`, ed attesta in tal modo la crescente diminuzione del numero delle credenze e dei sentimenti collettivi che sono tali abbastanza, e abbastanza forti, per assumere un carattere religioso. Cio` equivale a dire che l’intensita` media della coscienza comune sta essa stessa sempre piu` indebolendosi. (...) Cio` non significa, d’altra parte, che la coscienza comune corra il pericolo di sparire completamente; essa consiste sempre piu` di maniere di pensare e di sentire estremamente generali e indeterminate, le quali lasciano un margine a una molteplicita` sempre crescente di dissidenze individuali. Non manca anche un luogo in cui si e` raffermata e precisata – quello che concerne l’individuo. A misura che le altre credenze e le altre pratiche assumono un carattere sempre meno religioso, l’individuo diventa oggetto di una specie di religione. Abbiamo per la dignita` della persona un culto che – come ogni culto fortemente sentito – ha gia` le sue superstizioni. Si tratta quindi, se vogliamo, di una fede comune; ma, in primo luogo, essa non e` possibile se non in virtu` del crollo delle altre, e di conseguenza non puo` produrre gli effetti che producevano le svariate credenze estinte. Non vi e` compensazione. Inoltre, anche se e` comune in quanto condivisa dalla comunita`, essa e` tuttavia individuale dal punto di vista del suo oggetto.

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

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L       

Anche se essa volge tutte le volonta` verso il medesimo scopo, questo scopo non e` sociale. La sua e` quindi una situazione del tutto eccezionale nella coscienza collettiva. Trae sı` dalla societa` tutta la propria forza, ma non ci collega alla societa`, bensı` a noi stessi. Pertanto essa non costituisce un autentico vincolo sociale. Si e` potuto quindi giustamente rimproverare ai teorici che hanno fatto di questo sentimento la base esclusiva della loro dottrina morale, di dissolvere la societa`. Possiamo quindi concludere dicendo che tutti i vincoli sociali che risultano dall’uniformita` si allentano progressivamente. Questa legge basta gia` di per se´ a mostrare quale parte importante abbia la divisione del lavoro. Infatti, dato che la solidarieta` meccanica si sta indebolendo, bisogna o che la vita propriamente sociale diminuisca o che un’altra solidarieta` si sostituisca a poco a poco a quella che se ne va: occorre scegliere. Invano qualcuno sostiene che la coscienza collettiva si estende e si rafforza contemporaneamente alla coscienza degli individui. Abbiamo appena provato che i due termini variano in senso inverso. Tuttavia il progresso sociale non consiste in una dissoluzione continua: quanto piu` si procede, tanto piu` profonda e` la consapevolezza che le societa` hanno di se stesse e della loro unita`. Deve quindi esserci qualche altro vincolo sociale per produrre questo risultato; e non puo` essere se non quello che deriva dalla divisione del lavoro. Se poi si tiene anche presente che, perfino dove essa e` piu` resistente, la solidarieta` meccanica non vincola l’uomo con la stessa forza con la quale lo vincola la divisione del lavoro, e che d’altronde la maggior parte dei fenomeni sociali attuali resta estranea alla sua azione, sara` ancora piu` evidente che la solidarieta` sociale tende a diventare esclusivamente organica. La divisione del lavoro assume sempre piu` la funzione sostenuta un tempo dalla coscienza comune; essa principalmente realizza la coesione degli aggregati sociali dei tipi superiori.

...una fede che non costituisce pero` vincolo morale...

... e` la divisione del lavoro che vincola l’un l’altro gli uomini!

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 Modernita` e disuguaglianza*

. L’organizzazione anomica del lavoro Benche´ Comte abbia riconosciuto che la divisione del lavoro e` una fonte di solidarieta`, ci sembra che non abbia visto che tale solidarieta` e` sui generis, e si sostituisce a poco a poco a quella generata dalle uniformita` sociali. Per questo, osservando che queste sono molto modeste dove le funzioni sono molto specializzate, egli ha visto nella loro scomparsa un fenomeno morboso, una minaccia per la coesione sociale, derivante dall’eccesso della specializzazione, ed ha spiegato su questa base i fenomeni di noncoordinazione che accompagnano talvolta lo sviluppo della divisione del lavoro. Ma poiche´ abbiamo stabilito che l’indebolimento della coscienza collettiva e` un fenomeno normale, non possiamo dire che essa sia la causa dei fenomeni anormali che stiamo studiando. Se in certi casi la solidarieta` organica non e` tutto cio` che dovrebbe essere, questo non accade di certo perche´ la solidarieta` meccanica ha perso terreno, bensı` perche´ non tutte le condizioni si sono interamente realizzate. Sappiamo infatti che, dovunque la si osserva, si incontra nel medesimo tempo una regolamentazione sufficientemente sviluppata che determina i rapporti reciproci delle funzioni. Affinche´ la solidarieta` organica esista non basta che vi sia un sistema di organi necessari gli uni agli altri e consapevoli in generale della loro solidarieta`, ma occorre anche che la maniera in cui debbono cooperare sia predeterminata, se non in ogni tipo di incontro, almeno nelle circostanze piu` frequenti. Altrimenti ad ogni istante sarebbero necessarie nuove lotte perche´ il loro equilibrio si rea-

Auguste Comte (1798-1857)

* E´mile Durkheim, De la division du travail social, Paris, Alcan, 1893. Trad. it. La divisione del lavoro sociale, Milano, Edizioni di Comunita`, 1977, pag. 357-377.

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

I   :   

le regole che derivano dalla divisione del lavoro hanno a che fare con le funzioni e non con gli individui

non creano dipendenze tra le parti, ma le esprimono

lizzi, dal momento che le condizioni dell’equilibrio non possono essere trovate che mediante tentativi nel corso dei quali ogni parte considera l’altra come un avversario, per lo meno nella stessa misura in cui la considera come alleata. Tali conflitti si rinnoverebbero quindi incessantemente e percio` la solidarieta` non potrebbe essere che virtuale. Per ogni caso particolare le loro obbligazioni reciproche dovrebbero essere di nuovo interamente discusse. Qualcuno dira` che ci sono i contratti. Ma, in primo luogo, non tutte le relazioni sociali sono suscettibili di assumere questa forma giuridica. Sappiamo d’altronde che il contratto non e` autosufficiente, ma presuppone una regolamentazione che si estende e si complica come la stessa vita contrattuale. Inoltre, i vincoli che hanno questa origine sono sempre di corta durata: il contratto non e` che una tregua assai precaria; sospende le ostilita` soltanto per un certo tempo. Naturalmente una regolamentazione, per quanto precisa, lascera` sempre un margine a molti dissensi, ma non e` necessario ne´ possibile che la vita sociale sia esente da lotte. Il compito della solidarieta` non e` di sopprimere la concorrenza, ma di moderarla. D’altronde, allo stato normale le regole derivano spontaneamente dalla divisione del lavoro: ne sono in un certo senso il prolungamento. E` certo che, se mettesse in contatto soltanto individui che si uniscono per qualche istante per scambiare servizi personali, non potrebbe dar luogo a nessuna azione regolatrice. Ma quelle che mette di fronte sono le funzioni, vale a dire modi di agire definiti, che si ripetono sempre identici in date circostanze, in quanto dipendono dalle condizioni generali e costanti della vita sociale. I rapporti che si stringono tra queste funzioni non possono quindi non giungere allo stesso grado di stabilizzazione e di regolarita`. Alcuni dei modi in cui reagiscono le une sulle altre, essendo piu` conformi alla natura delle cose, si ripetono piu` sovente e diventano abitudini; poi le abitudini, a misura che la loro forza aumenta, si trasformano in regole di condotta. Il passato predetermina l’avvenire; in altri termini, c’e` una certa distribuzione dei diritti e dei doveri che l’uso stabilisce, e che finisce per diventare vincolante. La regola non crea quindi lo stato di dipendenza reciproca nel quale si trovano gli organi solidali, ma lo esprime in maniera sensibile e definita, in funzione di una data situazione. Analogamente il sistema nervoso, lungi dal dominare l’evoluzione dell’organismo – come si credeva un tempo – risulta da essa. I

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M  

filamenti nervosi non sono probabilmente che linee di passaggio seguite dalle onde di movimenti e di eccitazioni scambiati tra i diversi organi; sono canali che la vita si e` scavata da sola scorrendo sempre nel medesimo senso — ed i gangli sono forse i luoghi in cui si intersecano parecchie di queste linee. Proprio perche´ hanno trascurato questo aspetto del fenomeno, alcuni moralisti hanno accusato la divisione del lavoro di non produrre un’autentica solidarieta`; ed hanno visto in essa soltanto scambi particolari, effimere combinazioni prive sia di passato sia di avvenire, nelle quali l’individuo e` abbandonato a se stesso, non gia` il lento lavoro di consolidamento, la rete di vincoli che a poco a poco si tesse da sola e che fa della solidarieta` organica qualcosa di permanente. In tutti i casi che abbiamo gia` descritto, questa regolamentazione o non esiste o non ha nessun rapporto con il grado di sviluppo della divisione del lavoro. Non vi sono piu` al giorno d’oggi regole che stabiliscano il numero delle imprese economiche, e in nessun ramo dell’industria la produzione e` regolata in modo da restare esattamente al livello della consumazione. Non vogliamo d’altronde trarre da questo fatto nessuna conclusione pratica: non sosteniamo che sia necessaria una legislazione restrittiva – non e` nostro compito pesarne i vantaggi e gli inconvenienti. Quel che e` certo, e` che la mancanza di regolamentazione non permette l’armonia regolare delle funzioni. Gli economisti dimostrano – e` vero – che l’armonia si ristabilisce spontaneamente quando e` necessario, grazie all’aumento o allo svilimento dei prezzi che, secondo i bisogni, stimola o rallenta la produzione. Ma in ogni caso non si ristabilisce che dopo rotture di equilibrio e perturbazioni piu` o meno prolungate. D’altra parte, tali perturbazioni sono naturalmente tanto piu` frequenti quanto piu` specializzate sono le funzioni; infatti, quanto piu` un’organizzazione e` complessa, tanto piu` si fa sentire la necessita` di un’estesa regolamentazione. I rapporti del capitale e del lavoro sono restati, fino ad oggi, nello stesso stato di indeterminatezza giuridica. Il contratto di affitto dei servizi occupa nei nostri Codici un posto ben piccolo, soprattutto quando si pensa alla diversita` e alla complessita` delle relazioni che e` tenuto a regolare. Del resto non e` necessario insistere su una lacuna 1 che tutti i popoli attualmente sentono e si sforzano di colmare.

la mancanza di regolamentazione ostacola l’organizzazione e crea anomia

e` fondamentale che le relazioni industriali siano regolamentate

1

Questo fu scritto nel 1893. In seguito, la legislazione industriale ha occupato un posto piu` importante nel nostro diritto: cio` prova quanto fosse grave la lacuna – e ce ne vorra` prima che sia colmata. (Nota aggiunta nella seconda edizione).

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I   :   

(...) Questi diversi esempi sono dunque varieta` della medesima specie; in tutti questi casi, se la divisione del lavoro non produce la solidarieta`, e` perche´ le relazioni degli organi non sono regolate – perche´ si trovano in uno stato di anomia. perche´ nelle societa` moderne ci sono casi in cui la divisione del lavoro non provoca solidarieta` ma anomia

Ma da dove proviene questo stato? Dal momento che un corpo di regole e` la forma definita che assumono col tempo i rapporti che si stabiliscono spontaneamente tra le funzioni sociali, si puo` dire a priori che lo stato di anomia e` impossibile dovunque gli organi solidali sono sufficientemente ed abbastanza a lungo in contatto. Infatti, essendo contigui, essi sono facilmente avvertiti in ogni circostanza del bisogno che hanno gli uni degli altri, ed hanno percio` la consapevolezza viva e continua della loro mutua dipendenza. Per la stessa ragione gli scambi tra di essi avvengono facilmente; essendo regolari, sono anche frequenti; si regolarizzano da soli ed il tempo completa a poco a poco l’opera di consolidamento. Infine, dal momento che le minime reazioni possono venir risentite da ogni parte, le regole che cosı` si formano ne recano l’impronta; esse prevedono e stabiliscono nei minimi particolari le condizioni dell’equilibrio. Se invece tra le parti si interpone un mezzo opaco, soltanto le eccitazioni dotate di una certa intensita` possono comunicarsi da un organo all’altro. Poiche´ le relazioni sono rare, non si ripetono abbastanza per determinarsi; si ricomincia ogni volta a procedere a tastoni. Le linee di passaggio seguite dalle onde di movimenti non possono scavarsi perche´ esse stesse sono troppo intermittenti; o per lo meno, se certe regole giungono ciononostante a costituirsi, esse sono generali e vaghe, poiche´ in queste condizioni soltanto i contorni piu` generali dei fenomeni possono stabilizzarsi. Lo stesso accade se la contiguita`, pur essendo sufficiente, e` pero` troppo recente o di troppo breve durata. Nella maggior parte dei casi la situazione stessa fa sı` che questa condizione si realizzi: una funzione puo` infatti dividersi tra due o piu` parti di un organismo soltanto se esse sono piu` o meno contigue. Inoltre, una volta che il lavoro e` diviso, avendo esse bisogno le une delle altre, tendono naturalmente a diminuire la distanza che le separa. Per questo, a misura che ci si innalza nella scala animale si vedono gli organi avvicinarsi e – come dice Spencer – introdursi gli uni negli interstizi degli altri. Ma un concorso di circostanze eccezionali puo` far sı` che le cose vadano altrimenti.

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E cio` che accade nei casi dei quali ci occupiamo. Finche´ il tipo segmentario e` molto accentuato, vi sono press’a poco altrettanti mercati economici quanti sono i segmenti differenti; di conseguenza, ognuno di essi e` molto limitato. I produttori, essendo vicinissimi ai consumatori, possono rendersi facilmente conto dell’estensione dei bisogni da soddisfare. L’equilibrio si stabilisce quindi senza difficolta` e la produzione si regola da sola. Al contrario, a misura che il tipo organizzato si sviluppa, la fusione reciproca dei diversi segmenti provoca la fusione dei mercati in un unico mercato che comprende press’a poco tutta la societa`. Essa si estende anzi al di la`, e tende a diventare universale; infatti le frontiere che separano i popoli si abbassano contemporaneamente a quelle che separano i segmenti di ognuno di essi. La conseguenza e` che ogni industria produce per consumatori che sono dispersi su tutta la superficie del paese o anche del mondo intero. Il contatto non e` quindi piu` sufficiente. Il produttore non puo` piu` avere sotto gli occhi tutto il mercato ne´ immaginarselo; non puo` piu` rappresentarsi i suoi limiti, poiche´ esso e` per cosı` dire illimitato. Alla produzione mancano percio` sia i freni sia le regole; essa non puo` che procedere a tastoni, ed e` inevitabile che brancolando cosı` nel buio, la misura venga oltrepassata a volte in un senso e a volte nell’altro – donde le crisi che turbano periodicamente le funzioni economiche. L’aumento delle crisi locali e ristrette, che si chiamano fallimenti, e` probabilmente un effetto di questa stessa causa. A misura che il mercato si estende, appare la grande industria, il cui effetto e` la trasformazione delle relazioni dei padroni e degli operai. La maggiore fatica del sistema nervoso, insieme all’influenza contagiosa dei grandi agglomerati, aumenta i bisogni di questi ultimi. Il lavoro della macchina sostituisce quello dell’uomo; la manifattura sostituisce la piccola officina. L’operaio viene irreggimentato, staccato per tutta la giornata dalla famiglia; vive sempre piu` separato da chi lo impiega, e cosı` via. Queste nuove condizioni della vita industriale reclamano evidentemente un’organizzazione nuova; ma dato che queste trasformazioni si sono compiute con un’estrema rapidita`, gli interessi in conflitto non 2 hanno ancora avuto il tempo di equilibrarsi .

le condizioni del mercato

2

Ricordiamo tuttavia che – come vedremo nel capitolo seguente – questo antagonismo non `e interamente dovuto alla rapidita` delle trasformazioni, ma deriva in gran parte dalla disuguaglianza ancora troppo grande delle condizioni esterne della lotta. Il tempo non agisce per nulla su questo fattore. (Nota di Durkheim)

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

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(...) Cio` che precede toglie ogni fondamento ad uno dei piu` gravi rimproveri che siano stati fatti alla divisione del lavoro. Essa e` stata sovente accusata di diminuire l’individuo riducendolo al ruolo di una macchina. Effettivamente, se egli non sa a che cosa tendono le operazioni che gli sono richieste, se non le collega a nessun fine, non puo` assolverle che per abitudine. Tutti i giorni egli ripete i medesimi movimenti con monotona regolarita`, ma senza interessarsi ad essi e senza comprenderli. Non e` piu` la cellula vivente di un organismo vivente, che vibra in continuazione al contatto delle cellule vicine, che agisce su di esse e risponde a sua volta alla loro azione, che si estende, si contrae, si piega e si trasforma a seconda dei bisogni e delle circostanze; e` soltanto un ingranaggio inerte al quale una forza esterna da` l’avvio e che si muove sempre nel medesimo senso e nello stesso modo. Evidentemente, qualunque sia la maniera in cui ci si rappresenta l’ideale morale, non si puo` restare indifferenti ad un simile avvilimento della natura umana. Se il fine della morale e` il perfezionamento individuale, essa non puo` permettere che si rovini a tal punto l’individuo; e se il suo scopo e` invece la societa`, non puo` lasciare che la fonte stessa della vita sociale si inaridisca; il male infatti non minaccia soltanto le funzioni economiche, bensı` tutte le funzioni sociali, per quanto elevate. «Se – dice Comte – si e` sovente e a giusto titolo deplorato nell’ordine materiale che l’operaio sia occupato durante tutta la vita esclusivamente dalla fabbricazione di manichi di coltello o di capocchie di spillo, la sana filosofia non deve, in fondo, farci rammaricare di meno – nell’ordine intellettuale – dell’impiego esclusivo e continuo del cervello umano per la soluzione di alcune equazioni o per la classificazione di alcuni insetti: l’effetto morale e` in entrambi i casi purtroppo analogo ». Qualcuno ha talvolta proposto come rimedio di dare ai lavoratori, in piu` delle loro conoscenze tecniche e specifiche, un’istruzione generale. Ma, anche supponendo che si possa in questa maniera ovviare ad alcuni degli effetti negativi attribuiti alla divisione del lavoro, questo non e` un mezzo per prevenirli. La natura della divisione del lavoro non muta perche´ la si fa precedere dalla cultura generale. E` naturalmente bene che il lavoratore sia in grado di interessarsi alle cose dell’arte, della letteratura e cosı` via: ma non per questo cessa di essere un male il fatto che tutto il giorno sia stato trattato come una macchina. Chi non vede d’altronde che queste due esistenze sono troppo opposte per essere

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conciliabili e per poter essere vissute contemporaneamente dallo stesso uomo! Se si prende l’abitudine dei vasti orizzonti, delle visioni d’insieme, delle belle generalita`, non ci si lascia piu` confinare senza impazienza negli stretti limiti di un compito specifico. Un rimedio di questo genere renderebbe quindi la specializzazione inoffensiva, soltanto rendendola intollerabile e, di conseguenza, piu` o meno impossibile. Cio` che annulla la contraddizione e` il fatto che, contrariamente a quanto si dice, la divisione del lavoro non produce queste conseguenze in virtu` di una necessita` derivante dalla sua stessa natura, ma soltanto in circostanze eccezionali ed anormali. Affinche´ possa svilupparsi senza avere un’influenza cosı` disastrosa sulla coscienza umana, non e` necessario temperarla mediante il suo contrario; le occorre e le basta essere se stessa, senza che nulla intervenga dal di fuori a snaturarla. Normalmente, infatti, il gioco di ogni funzione specifica esige che l’individuo non si chiuda strettamente in essa, bensı` che si tenga costantemente in contatto con le funzioni vicine, che diventi cosciente dei loro bisogni, dei mutamenti ai quali sono soggette, e cosı` via. La divisione del lavoro suppone che il lavoratore, lungi dal restare chino sul suo compito, non perda di vista i suoi collaboratori, agisca su di essi e riceva la loro azione. Egli non e` quindi una macchina che ripete movimenti dei quali non scorge la direzione, ma sa che essi tendono da qualche parte verso un fine che comprende piu` o meno distintamente. Egli e` consapevole di servire a qualcosa. Percio` non e` necessario che egli abbracci porzioni molto vaste dell’orizzonte sociale, ma basta che ne scorga abbastanza per capire che le sue azioni hanno uno scopo che le oltrepassa. Da allora in poi la sua attivita`, per quanto specifica ed uniforme, e` l’attivita` di un essere intelligente, perche´ ha un senso ed egli lo sa. Gli economisti non avrebbero lasciato nell’ombra questo carattere essenziale della divisione del lavoro e, di conseguenza, non l’avrebbero esposta a questo rimprovero immeritato, se non l’avessero ridotta a un mezzo per aumentare il rendimento delle forze sociali, se avessero visto che e` anzitutto una fonte di solidarieta`.

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



I   :   

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. La divisione coercitiva del lavoro Tuttavia non basta che vi siano regole, poiche´ talvolta proprio le regole sono la causa del male. E` cio` che accade nella guerra delle classi. L’istituzione delle classi o delle caste costituisce un modo di organizzazione della divisione del lavoro, e si tratta di un’organizzazione rigorosamente regolata; tuttavia, e` sovente fonte di dissensi. Le classi inferiori, non essendo o non essendo piu` soddisfatte della parte che il costume o la legge attribuisce loro, aspirano alle funzioni che sono loro interdette, cercando di spodestare coloro che le esercitano: da cio` hanno origine guerre intestine derivanti dalla maniera in cui il lavoro e` distribuito. Nulla di simile si osserva nell’organismo. Indubbiamente, nei momenti di crisi i differenti tessuti si fanno guerra e si nutrono gli uni a spesa degli altri, ma ne´ le cellule ne´ gli organi cercano mai di usurpare una funzione che non sia quella loro assegnata, per il semplice motivo che ogni elemento anatomico si dirige meccanicamente verso il suo fine. La sua costituzione, il suo posto nell’organismo determinano la sua vocazione; il suo compito e` la conseguenza della sua natura. Puo` assolverlo male, ma non puo` assumere quello di un altro, a meno che quest’ultimo non rinunci ad esso – come accade nei rari casi di sostituzione dei quali abbiamo parlato. La situazione e` diversa nelle societa` in cui la contingenza e` piu` grande: c’e` una maggiore distanza tra le disposizioni ereditarie dell’individuo e la funzione sociale che assolvera`; le prime non implicano la seconda con una necessita` altrettanto immediata. Questo margine aperto ai tentativi e alla deliberazione e` anche aperto al gioco di una molteplicita` di cause che possono far deviare la natura individuale dalla sua direzione normale, e creare uno stato patologico. Essendo piu` malleabile, questa organizzazione e` anche piu` delicata e piu` accessibile al mutamento. E` pur vero che non siamo fin dalla nascita predestinati a questo o quell’impiego specifico; abbiamo tuttavia gusti e attitudini che limitano la nostra scelta. Se non li teniamo presenti, se sono incessantemente in urto con le nostre occupazioni quotidiane, soffriamo e cerchiamo il modo di porre termine alle nostre sofferenze; e possiamo farlo soltanto mutando l’ordine stabilito e rifacendone uno nuovo. Affinche´ la divisione del lavoro produca la solidarieta` non basta quindi che ognuno abbia la propria attivita`; occorre anche che tale attivita` gli convenga.

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Ma e` proprio questa condizione che non e` realizzata nell’esempio che esaminiamo. Infatti, se l’istituzione delle classi o delle caste da` origine talvolta a dolorosi dissensi invece di produrre la solidarieta`, cio` accade perche´ la distribuzione delle funzioni sociali sulla quale riposa, non corrisponde, o meglio non corrisponde piu`, alla distribuzione dei talenti naturali. Infatti – malgrado cio` che e` stato detto – non e` soltanto per spirito di imitazione che le classi inferiori finiscono con l’ambire alla vita delle classi piu` elevate. Neppure l’imitazione, in verita`, puo` spiegare nulla di per se´, dal momento che presuppone qualcosa d’altro; essa non e` possibile che tra esseri che si assomigliano gia`, e nella misura in cui si assomigliano – e non si verifica tra specie o varieta` differenti. Il contagio morale e` analogo a quello fisico: non si manifesta bene che in terreni predisposti. I bisogni si espandono da una classe all’altra soltanto se le differenze, che in origine separavano le classi, sono scomparse o diminuite. Occorre che, in seguito ai mutamenti sopravvenuti nella societa`, gli uni siano diventati atti alle funzioni che prima eccedevano le loro forze, mentre gli altri perdevano parte della loro superiorita` primitiva. Quando i plebei si misero a disputare ai patrizi l’onore delle funzioni religiose e amministrative, non lo fecero soltanto per imitarli, ma anche perche´ erano diventati piu` intelligenti, piu` ricchi, piu` numerosi, e perche´ i loro gusti e le loro ambizioni si erano modificati in conformita`. Per effetto di queste trasformazioni, l’accordo tra le attitudini degli individui e il genere di attivita` loro assegnato risulta rotto in un’intera regione della societa`: soltanto la costrizione, piu` o meno violenta e piu` o meno diretta, li vincola alle loro funzioni; e per tanto non e` piu` possibile che una solidarieta` imperfetta e perturbata. Questo risultato non e` dunque una conseguenza necessaria della divisione del lavoro: esso non si verifica che in circostanze del tutto particolari, vale a dire quando essa costituisce l’effetto di una costrizione esteriore. La situazione e` completamente diversa quando essa si stabilisce in virtu` di una spontaneita` puramente interna, senza che nulla intervenga per intralciare le iniziative degli individui. A questa condizione, infatti, l’armonia tra le nature individuali e le funzioni sociali non puo` non realizzarsi, per lo meno nella media dei casi. Se infatti nulla avversa o favorisce indebitamente i concorrenti che si disputano i compiti, e` inevitabile che soltanto coloro che sono, piu` degli altri, atti ad un certo

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

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

I   :   

perche´ la divisione del lavoro possa produrre solidarieta`, occorre che ci sia consenso

differenza e non ineguaglianza

tipo di attivita` giungano a ottenerli. La sola causa che determina allora la maniera in cui il lavoro si divide e` la diversita` delle capacita`. La distribuzione avviene quindi per forza nel senso delle attitudini, poiche´ non c’e` ragione che la si faccia altrimenti: in tal modo l’armonia tra la costituzione di ogni individuo e la sua condizione si realizza da sola. Qualcuno dira` che gli uomini non sono mai contenti, e che per alcuni di essi i desideri oltrepassano sempre le facolta`: questo e` vero, ma si tratta di casi eccezionali e per cosı` dire morbosi. Normalmente, l’uomo trova la felicita` nella realizzazione della propria natura; i suoi bisogni sono in rapporto con i suoi mezzi – cosı` come nell’organismo ogni organo reclama soltanto la quantita` di cibo che e` proporzionale alla sua dignita`. La divisione coercitiva del lavoro e` quindi il secondo tipo morboso che riconosciamo. Ma non bisogna ingannarsi sul senso del termine: cio` che costituisce la costrizione non e` ogni tipo di regolamentazione, dal momento che al contrario la divisione del lavoro – lo abbiamo appena visto – non puo` fare a meno delle regolamentazioni. Anche quando le funzioni si dividono in base a regole prestabilite, la distribuzione non e` necessariamente l’effetto di una costrizione: cio` ha luogo perfino nel regime delle caste, finche´ esso e` fondato nella natura delle societa`. Questa istituzione, infatti, non e` sempre e dappertutto arbitraria: quando funziona in una societa` regolarmente e senza incontrare resistenze, vuol dire che essa esprime, per lo meno nelle sue linee generali, la maniera immutabile in cui si distribuiscono le attitudini professionali. Per questo, sebbene i compiti siano in una certa misura distribuiti dalla legge, ogni organo assolve spontaneamente il suo. La costrizione non comincia che quando la regolamentazione, non corrispondendo piu` alla vera natura delle cose, e non avendo quindi piu` la sua base nei costumi, non si regge piu` che con la forza. Viceversa, si puo` dire che la divisione del lavoro non produce la solidarieta` a meno che essa non sia spontanea, e nella misura in cui lo e`. Ma per spontaneita` bisogna intendere l’assenza non soltanto di ogni violenza esplicita e formale, ma anche di tutto cio` che puo` avversare – anche indirettamente – il libero spiegamento della forza sociale che ognuno reca in se´. Essa presuppone non soltanto che gli individui non siano relegati dalla forza in funzioni determinate, ma anche che nessun ostacolo, di qualsiasi natura, impedisca loro di occupare nei quadri sociali il posto rispondente alle loro facolta`. In breve, il lavoro si divide spontaneamente

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

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soltanto se la societa` e` costituita in modo da permettere alle ineguaglianze sociali di esprimere esattamente le ineguaglianze naturali. Percio` occorre, ed e` sufficiente, che queste ultime non siano ne´ rincarate ne´ deprezzate da cause esteriori. La perfetta spontaneita` non e` quindi altro che una conseguenza ed un’altra forma di questo fatto – cioe` dell’assoluta eguaglianza delle condizioni esterne della lotta. Essa consiste non in uno stato di anarchia che permetterebbe agli uomini di soddisfare liberamente tutte le loro tendenze, buone o cattive, bensı` in un’organizzazione sapiente nella quale ogni valore sociale – non essendo esagerato ne´ in un senso ne´ nell’altro da qualcosa di estraneo – sarebbe stimato per quello che vale. Qualcuno obiettera` che, anche in tali condizioni, vi sono ancora delle lotte, – e di conseguenza dei vincitori e dei vinti – e che questi ultimi non accetteranno mai la loro sconfitta se non mediante la costrizione. Tale costrizione non assomiglia pero` all’altra, ed ha in comune con essa soltanto il nome: cio` che costituisce la costrizione propriamente detta e` il fatto che la lotta e` per se stessa impossibile, che non si e` neppure ammessi a combattere. E` vero che questa perfetta spontaneita` non e` riscontrabile in nessun luogo come fatto realizzato; in nessuna societa` essa si trova allo stato puro. Se l’istituzione delle caste corrisponde alla distribuzione naturale delle capacita`, e` anche vero che tale corrispondenza e` soltanto approssimativa, e in fin dei conti rozza. L’ereditarieta`, infatti, non agisce mai con una precisione tale da far sı` che i figli siano la ripetizione identica dei genitori, neppure dove essa incontra le condizioni piu` favorevoli alla sua influenza. Vi sono sempre eccezioni alla regola, e di conseguenza vi sono casi in cui l’individuo non e` in armonia con le funzioni che gli sono attribuite. Queste discordanze diventano piu` numerose a misura che la societa` si sviluppa, fino al giorno in cui i quadri, diventati troppo angusti, si spezzano. Quando il regime delle caste e` scomparso dal punto di vista giuridico, esso sopravvive pero` nei costumi, grazie alla persistenza di certi pregiudizi: alcuni sono favoriti ed altri sfavoriti, indipendentemente dai rispettivi meriti. Infine, anche quando non resta piu` per cosi dire nessuna traccia di tutte queste vestigia del passato, basta la trasmissione ereditaria delle ricchezze per rendere molto diseguali le condizioni esterne nelle quali la lotta comincia, poiche´ essa stabilisce per alcuni dei vantaggi che non corrispondono necessariamente al loro valore personale. An-

pari opportunita`

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

I   :   

eguaglianza come riconoscimento dei meriti

cora oggi, e presso i popoli piu` civili, vi sono carriere totalmente precluse o piu` difficili per i diseredati della fortuna. Potrebbe quindi sembrare che non abbiamo il diritto di considerare normale un carattere che la divisione del lavoro non presenta mai allo stato puro, se non si osservasse d’altra parte che quanto piu` si sale nella scala sociale, tanto piu` il tipo segmentario sparisce, sostituito dal tipo organizzato, e queste disuguaglianze tendono a livellarsi completamente. Infatti il declino progressivo delle caste, a partire dal momento in cui la divisione del lavoro si e` stabilita, costituisce una legge della storia; essendo vincolate all’organizzazione politico-familiare, esse regrediscono necessariamente di pari passo con questa organizzazione. I pregiudizi ai quali hanno dato origine e che lasciano dietro di se´ non sopravvivono indefinitamente, ma si spengono a poco a poco. I pubblici impieghi sono sempre piu` aperti a tutti, indipendentemente dalla loro fortuna. Infine, anche l’ultima disuguaglianza – quella che deriva dall’esistenza di ricchi e di poveri per nascita – pur senza sparire completamente, e` per lo meno un po’ attenuata. La societa` si sforza di ridurla il piu` possibile, assistendo in diverse maniere coloro che si trovano in una situazione troppo sfavorevole e aiutandoli ad uscirne. Cio` dimostra anche che essa si sente obbligata a lasciare libero campo a tutti i meriti, e che riconosce come ingiusta un’inferiorita` che non sia personalmente meritata. Ma questa tendenza e` manifestata ancor meglio dalla credenza – oggi tanto diffusa – che l’eguaglianza tra i cittadini diventa sempre maggiore e che e` giusto che lo diventi. Un sentimento cosı` generale non puo` essere una mera illusione, ma deve esprimere in modo confuso un aspetto della realta`. D’altra parte dato che i progressi della divisione del lavoro implicano al contrario una sempre crescente diseguaglianza, l’eguaglianza di cui la coscienza pubblica afferma in tal modo la necessita` non puo` essere se non quella di cui parliamo – vale a dire l’eguaglianza delle condizioni esterne della lotta. E d’altronde facile capire che cosa renda necessario questo livellamento. Abbiamo appena visto infatti che tutte le forme di diseguaglianza esteriore compromettono la solidarieta` organica. Questo risultato non ha nulla di molto increscioso per le societa` inferiori, in cui la solidarieta` e` assicurata soprattutto dalla comunita` delle credenze e dei sentimenti. Infatti, per quanto in esse siano tesi i vincoli che derivano dalla divisione del lavoro, non

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essendo quelli che collegano piu` fortemente l’individuo alla societa`, la coesione sociale non e` per questo minacciata. Il malessere che deriva dalle aspirazioni contrariate non basta per far rivoltare gli individui anche se soffrono contro l’ordine sociale che ne e` la causa: essi infatti tengono a questo ordine, non perche´ vi trovano il campo necessario allo sviluppo della loro attivita` professionale, ma perche´ riassume ai loro occhi la molteplicita` di credenze e di pratiche di cui vivono. Tengono all’ordine sociale perche´ tutta la loro vita interiore e` vincolata ad esso, perche´ tutte le loro convinzioni lo presuppongono, perche´ – servendo da base all’ordine morale e religioso – sembra loro sacro. Screzi privati e di natura temporanea sono evidentemente troppo leggeri per scuotere gli stati di coscienza che mantengono, in virtu` di una tale origine, una forza eccezionale. D’altronde, dato che la vita professionale e` poco sviluppata, tali screzi sono soltanto intermittenti: per tutte queste ragioni essi sono debolmente sentiti. Ci si abitua quindi senza difficolta` ad essi: si trovano perfino le diseguaglianze non soltanto tollerabili, ma perfino naturali. Completamente diverso e` cio` che accade quando la solidarieta` organica diventa preponderante; infatti tutto cio` che la indebolisce tocca allora il vincolo sociale nella sua parte vitale. In primo luogo, dato che in tali condizioni le attivita` specifiche sono esercitate in modo pressappoco continuo, esse non possono venir contrariate senza che ne risultino sofferenze ininterrotte. In seguito, con l’indebolirsi della coscienza collettiva, i dissidi che in tal modo si verificano non possono piu` essere completamente neutralizzati. I sentimenti comuni non hanno piu` la stessa forza per mantenere l’individuo collegato ad ogni costo al gruppo: le tendenze sovversive, non avendo piu` i contrappesi di un tempo, nascono sempre piu` facilmente. L’organizzazione sociale, perdendo sempre piu` il carattere trascendente che la situava quasi in una sfera superiore agli interessi umani, non ha piu` la stessa forza di resistenza nel tempo stesso in cui e` maggiormente battuta in breccia; opera completamente umana, non puo` piu` opporsi altrettanto bene alle rivendicazioni umane. Proprio quando la marea diventa piu` violenta, la diga che la tratteneva viene violentemente scossa: essa si trova quindi ad essere molto piu` pericolosa. Ecco perche´ nelle societa` organizzate e` indispensabile che la divisione del lavoro si avvicini sempre piu` all’ideale di spontaneita` che abbiamo definito. Se esse si sforzano – e debbono sforzarsi – di annullare quanto piu`

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

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

I   :   

e` possibile le diseguaglianze esteriori, cio` avviene non soltanto perche´ e` una lodevole impresa, ma perche´ la loro stessa esistenza e` impegnata nel problema. Infatti possono persistere soltanto se tutte le parti che le formano sono solidali, e la solidarieta` non e` possibile che a questa condizione. Percio` si puo` prevedere che quest’opera di giustizia debba diventare sempre piu` completa con lo sviluppo del tipo organizzato. Per quanto importanti siano i progressi realizzati in questo senso, essi non danno probabilmente che una pallida idea di quelli che verranno compiuti.

. Il contratto nelle societa` moderne

le condizioni del contratto devono essere regolamentate

la modernita` sviluppa il diritto contrattuale

L’eguaglianza delle condizioni esterne della lotta non e` necessaria soltanto per legare ogni individuo alla propria funzione, ma anche per vincolare reciprocamente le funzioni. Infatti, le relazioni contrattuali si sviluppano necessariamente con la divisione del lavoro, dal momento che essa non e` possibile senza lo scambio di cui il contratto rappresenta la forma giuridica. In altri termini, una delle varieta` importanti della solidarieta` organica e` quella che potremmo chiamare solidarieta` contrattuale. Senza dubbio, e` falso credere che tutte le relazioni sociali possano riportarsi al contratto, tanto piu` che il contratto presuppone qualcosa in piu` di se stesso; vi sono tuttavia vincoli specifici che hanno origine nella volonta` degli individui. C’e` un consensus di un certo genere che si esprime nei contratti, e che nelle specie superiori rappresenta un fattore importante del consensus generale. E` quindi necessario che, in queste stesse societa`, la solidarieta` contrattuale sia il piu` possibile messa al riparo da tutto quanto puo` turbarla. Infatti, se nelle societa` meno progredite essa puo` senza grandi inconvenienti rimanere instabile, per i motivi che abbiamo citato, dove essa costituisce una delle forme eminenti della solidarieta` sociale non puo` venire minacciata senza che l’unita` del corpo sociale venga minacciata nello stesso istante. I conflitti che nascono dai contratti assumono quindi una maggiore gravita` a misura che anche il contratto assume importanza nella vita generale. Percio`, mentre vi sono societa` primitive che non intervengono neppure per risolverli, il diritto contrattuale dei popoli civili diventa sempre piu` voluminoso. Ed esso non ha altro scopo che

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quello di assicurare la collaborazione regolare delle funzioni che entrano in rapporto in questo modo. Affinche´ questo risultato venga raggiunto, non basta che l’autorita` pubblica procuri che si assolva agli impegni contratti; occorre anche che, per lo meno nella maggior parte dei casi, si assolva ad essi spontaneamente. Se i contratti non fossero osservati che per forza o per paura della forza, la solidarieta` contrattuale sarebbe singolarmente precaria. Un ordine del tutto esteriore dissimulerebbe male dissensi troppo generali per essere indefinitamente arginati. Ma – dira` qualcuno – perche´ non vi sia piu` la minaccia di questo pericolo, basta che i contratti siano stipulati liberamente. E` vero, ma la difficolta` in questo modo non e` risolta: infatti, che cosa costituisce il libero consenso? L’assenso verbale o scritto non ne e` una prova sufficiente, si puo` dare il proprio assenso perche´ forzati a farlo. Bisogna quindi che la costrizione sia assolutamente assente; ma dove comincia la costrizione? Essa non consiste soltanto nell’uso diretto della violenza, poiche´ la violenza indiretta sopprime altrettanto bene la liberta`. Se l’impegno che ho strappato minacciando qualcuno di morte e` moralmente e legalmente nullo, come potrebbe essere valido se – per ottenerlo – ho approfittato di una situazione della quale non ero la causa, e` vero, ma che metteva l’altro nella necessita` di cedere o di morire? In una data societa` ogni oggetto di scambio ha, ad ogni istante, un valore determinato che potremmo chiamare valore sociale. Esso rappresenta la quantita` di lavoro utile che contiene; con cio` si deve intendere non gia` il lavoro integrale che ha potuto costare, ma la parte di quell’energia che e` suscettibile di produrre effetti sociali utili, cioe` corrispondenti a bisogni normali. Per quanto una simile grandezza non possa essere calcolata matematicamente, non e` per questo meno reale. Possiamo perfino intravedere facilmente le principali condizioni in funzione delle quali varia: anzitutto la somma degli sforzi necessari alla produzione dell’oggetto, l’intensita` dei bisogni che soddisfa, ed infine l’estensione della soddisfazione che apporta ad essi. Effettivamente, il valore medio oscilla proprio intorno a questo punto; non se ne allontana che sotto l’influenza di fattori anormali, e in tal caso la coscienza pubblica ha generalmente una consapevolezza piu` o meno viva di questo divario. Essa trova ingiusti tutti gli scambi nei quali il prezzo dell’oggetto non e` in rapporto con la pena che costa e con i servizi che rende.

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

I   :   

Stabilita questa definizione, diremo che il contratto non comporta un consenso pieno se i servizi scambiati non hanno un valore sociale equivalente. In queste condizioni, infatti, ognuno riceve la cosa che desidera e consegna quella che da` in cambio in base al loro rispettivo valore. L’equilibrio delle volonta`, che il contratto constata e consacra, si produce e si mantiene quindi da solo, poiche´ non e` altro che una conseguenza e un’altra forma dell’equilibrio delle cose: esso e` realmente spontaneo. E` ben vero che talvolta desideriamo ricevere per il prodotto che cediamo piu` di quello che vale; le nostre ambizioni non hanno limiti, e di conseguenza si moderano soltanto perche´ si frenano reciprocamente. Ma la costrizione, che ci impedisce di soddisfare oltre misura anche i nostri desideri smoderati, non puo` essere confusa con quella che ci priva dei mezzi necessari per ottenere la giusta remunerazione del nostro lavoro. La prima non esiste per l’uomo sano: soltanto la seconda merita questo appellativo, perche´ essa sola altera il consenso. Ma essa non esiste nel caso che abbiamo citato. Se, al contrario, i valori scambiati non si bilanciano, vuol dire che per equilibrarsi hanno avuto bisogno dell’intervento di una forza estranea: le due parti sono state lese e le volonta` hanno quindi potuto mettersi d’accordo soltanto se l’una o l’altra ha subito una pressione diretta o indiretta – e questa pressione costituisce una violenza. In una parola, affinche´ la forza obbligatoria del contratto sia intera non basta che esso sia stato oggetto di un assenso esplicito; occorre anche che questo sia giusto, e non e` giusto per il solo fatto di essere stato consentito verbalmente. Un semplice stato del soggetto non puo` da solo generare il potere vincolante che inserisce alle convenzioni; o per lo meno, affinche´ il consenso abbia questa virtu`, occorre che riposi anch’esso su un fondamento oggettivo. La condizione necessaria e sufficiente in virtu` della quale questa equivalenza puo` costituire la base dei contratti, e` che i contraenti si trovino in condizioni esteriori eguali. Infatti, dato che l’apprezzamento delle cose non puo` essere determinato a priori, ma deriva dagli scambi medesimi, occorre che gli individui tra i quali avvengono gli scambi abbiano – per fare apprezzare cio` che vale il loro lavoro – soltanto la forza che traggono dal loro merito sociale. In questo modo, infatti, i valori delle cose corrispondono esattamente ai servizi che rendono e alla fatica che costano, poiche´ ogni

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

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M  

altro fattore capace di farli variare e`, per ipotesi, eliminato. Naturalmente il loro merito diseguale assegnera` sempre agli uomini situazioni diverse nella societa` – ma queste diseguaglianze sono esteriori soltanto in apparenza, poiche´ non fanno altro che esprimere diseguaglianze interne: esse influiscono quindi sulla determinazione dei valori soltanto in quanto stabiliscono tra di essi una gradazione parallela alla gerarchia delle funzioni sociali. La situazione muta se qualcuno riceve da qualche altra fonte un supplemento di energia, poiche´ essa ha necessariamente l’effetto di spostare il punto di equilibrio – ed e` evidente che questo spostamento e` indipendente dal valore sociale delle cose. Ogni superiorita` ha ripercussioni sulla formazione dei contratti; se quindi non ha attinenza con la persona degli individui, con i loro servizi sociali, essa altera le condizioni morali dello scambio. Se una classe della societa` e` obbligata per vivere a fare accettare a qualsiasi prezzo i suoi servizi, mentre un’altra puo` farne a meno grazie alle risorse di cui dispone, e che tuttavia non sono necessariamente dovute ad una superiorita` sociale, la seconda impone ingiustamente la sua legge alla prima. In altri termini, non possono esservi ricchi e poveri di nascita senza che vi siano contratti ingiusti. A maggior ragione, cio` accadeva quando anche le condizioni sociali erano ereditarie, e il diritto consacrava ogni forma di diseguaglianze. Queste ingiustizie non sono pero` fortemente risentite finche´ le relazioni contrattuali sono poco sviluppate e la coscienza collettiva e` forte. Per effetto della scarsita` dei contratti, esse hanno meno occasione di verificarsi; e soprattutto le credenze comuni neutralizzano i loro effetti. La societa` non soffre per questo, perche´ non e` in pericolo; ma, a misura che il lavoro si divide e che la fede sociale si indebolisce, le ingiustizie diventano piu` insopportabili, perche´ le circostanze che le producono ritornano piu` spesso ed anche perche´ i sentimenti che risvegliano non possono piu` essere altrettanto completamente temperati da sentimenti contrari. E` cio` che attesta la storia del diritto contrattuale, la quale tende sempre piu` a togliere ogni valore alle convenzioni nelle quali i contraenti si sono trovati in situazioni troppo diseguali. In origine ogni contratto, concluso nelle sue forme, ha forza obbligatoria, quale che sia il modo in cui lo si e` ottenuto. Il consenso non e` neppure il suo fattore primitivo; l’accordo delle volonta` non basta per vincolarle ed i vincoli formati non risultano

la solidarieta` organica richiede condizioni di giustizia sociale

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

I   :   

direttamente da questo accordo. Affinche´ il contratto esista, occorre, ed e` sufficiente, che certe cerimonie vengano compiute e che certe parole vengano pronunciate: la natura degli impegni e` determinata non dall’intenzione delle parti bensı` dalle formule impiegate. Il contratto consensuale non appare che in un’epoca relativamente recente. Esso costituisce un primo progresso sulla via della giustizia. Ma per lungo tempo il consenso che bastava per convalidare i patti, pote´ essere molto imperfetto, cioe` poteva venire estorto con la forza o con la frode. Soltanto assai tardi il pretore romano accordo` alle vittime dell’astuzia e della violenza l’azione de dolo e l’azione quod metus causa; ed inoltre la violenza esisteva legalmente soltanto se vi era stata minaccia di morte o di supplizi corporali. Il nostro diritto e` diventato piu` esigente su questo punto. Nello stesso tempo la lesione, debitamente stabilita, fu ammessa tra le cause che possono, in certi casi, viziare i contratti. Non e` forse per questa ragione, d’altronde, che i popoli civili rifiutano tutti di riconoscere il contratto di usura? Esso suppone infatti che uno dei contraenti sia completamente alla merce´ dell’altro. Infine la morale comune condanna ancora piu` severamente ogni specie di contratto leonino, nel quale una delle parti viene sfruttata dall’altra perche´ e` la piu` debole, e non riceve una giusta remunerazione per la sua fatica. La coscienza pubblica reclama con sempre maggior insistenza l’esatta reciprocita` dei servizi scambiati e – non riconoscendo che una forza vincolante molto ridotta alle convenzioni che non soddisfano questa condizione fondamentale di ogni tipo di giustizia – si mostra molto piu` indulgente della legge verso coloro che la violano. Agli economisti spetta il merito di avere per primi rilevato il carattere spontaneo della vita sociale, mostrando che la costrizione non puo` che farla deviare dalla sua direzione naturale e che normalmente essa risulta non gia` da assestamenti esteriori ed imposti ma da una libera elaborazione interna. A questo titolo essi hanno reso alla scienza della morale un importante servizio; pero` si sono ingannati a proposito della natura di questa liberta`. Vedendo in essa un attributo costitutivo dell’uomo e deducendola logicamente dal concetto di individuo di per se´ preso, ritengono che sia gia` intera nello stato di natura, facendo astrazione da ogni societa`. L’azione sociale – secondo loro – non ha dunque nulla da aggiungere; tutto cio` che puo` e deve fare, e` regolarne il funziona-

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

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M  

mento esteriore, in modo che le liberta` in concorrenza non si rechino danno reciprocamente. Quando non si racchiude rigorosamente in questi limiti, essa sconfina nel loro legittimo dominio e lo diminuisce. Ma, a parte il fatto che e` falso ritenere che tutte le regolamentazioni siano prodotte dalla costrizione, anche la liberta` e` il prodotto di una regolamentazione. Lungi dall’essere in antitesi all’azione sociale, risulta proprio da essa; e` cosı` poco una proprieta` inerente allo stato di natura che al contrario costituisce una conquista della societa` sulla natura. Naturalmente, gli uomini sono diseguali nella loro forza fisica; essi si trovano in condizioni esteriori che presentano vantaggi diseguali; e perfino la vita domestica, con l’ereditarieta` dei beni che implica e con le diseguaglianze che ne derivano, e` tra tutte le forme della vita sociale quella che dipende piu` strettamente da cause naturali – e noi abbiamo appena visto che queste sono la negazione stessa della liberta`. In definitiva, cio` che costituisce la liberta` e` la subordinazione delle forze esteriori alle forze sociali, poiche´ soltanto a questa condizione queste ultime possono svilupparsi liberamente. Ma tale subordinazione e` piuttosto il rovesciamento dell’ordine naturale. Essa non puo` quindi realizzarsi che progressivamente, a misura che l’uomo si eleva al di sopra delle cose per imporre loro la sua legge, per spogliarle del loro carattere fortuito, assurdo e amorale, cioe` nella misura in cui diventa un essere sociale. Essa non puo` infatti sfuggire alla natura se non creandosi un altro mondo dal quale dominarla – e questo mondo e` la societa`. Il compito delle societa` piu` progredite e` quindi, si puo` dire, un’opera di giustizia. Che effettivamente esse siano consapevoli della necessita` di orientarsi in questo senso, e` cio` che abbiamo gia` mostrato e che ci prova l’esperienza di ogni giorno. Come l’ideale delle societa` inferiori era di creare o di mantenere una vita comune il piu` possibile intensa, nella quale l’individuo doveva essere assorbito, il nostro e` di introdurre un’equita` sempre maggiore nei rapporti sociali, per assicurare il libero spiegamento di tutte le forze socialmente utili. Tuttavia, quando si pensa che per secoli gli uomini si sono accontentati di una giustizia molto meno perfetta, ci si sorprende a domandarsi se queste aspirazioni non siano per caso dovute a impazienze prive di ragione, se non rappresentino una deviazione dallo stato normale piuttosto che un’anticipazione del futuro stato normale, e se, in breve, il modo

liberta` non vuol dire mancanza di regolamentazione

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

I   :   

di guarire il male del quale rivelano l’esistenza consista nel soddisfarle o nel combatterle. Le proposizioni stabilite nei libri precedenti ci hanno permesso di rispondere con precisione all’interrogativo che ci preoccupa. Nessun bisogno e` piu` fondato di queste tendenze, poiche´ esse sono una conseguenza necessaria dei mutamenti avvenuti nella struttura delle societa`. Dal momento che il tipo segmentario scompare ed il tipo organizzato si sviluppa, dal momento che la solidarieta` organica si sostituisce a poco a poco a quella che risulta dalle somiglianze, e` indispensabile che le condizioni esteriori si livellino. L’armonia delle funzioni e, di conseguenza, l’esistenza hanno questo prezzo. Come i popoli antichi avevano in primo luogo bisogno di una fede comune per vivere, noi abbiamo bisogno di giustizia, e possiamo essere certi che questo bisogno diventera` sempre piu` esigente se – come tutto fa prevedere – le condizioni che dominano l’evoluzione resteranno identiche.

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Parte terza Georg Simmel

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 Il denaro come metafora della modernita` *

. L’oggettivita` del valore economico L’elemento determinante dell’oggettivita` del valore economico, la quale delimita il campo economico come campo autonomo, consiste nella fondamentale liberazione della sua validita` dal singolo soggetto. Il fatto di dover dare un oggetto per ottenerne un altro, dimostra che esso non ha un valore soltanto per me, ma anche per se´, cioe` anche per un’altra persona. L’equazione: oggettivita` = validita` per i soggetti in genere, trova nella forma economica del valore una delle piu` chiare giustificazioni. Il tratto caratteristico e specifico dell’oggettivita` si inscrive nel valore attraverso questa equivalenza, che acquista consapevolezza e interesse soltanto in occasione dello scambio. Ognuno degli elementi puo` avere un modo di essere soltanto personale o un valore soltanto soggettivo, ma che siano entrambi uguali costituisce pero` un momento oggettivo, che non esiste in nessuno di tali elementi singolarmente e neppure al di fuori di entrambi. Lo scambio presuppone una misurazione oggettiva di valutazioni soggettive, non nel senso di una precedenza temporale, ma nel senso che entrambe sussistono nel medesimo atto. (...)

lo scambio: misurazione oggettiva di valutazioni soggettive

. Lo sviluppo del carattere puramente simbolico del denaro Uno dei piu` rilevanti progressi dell’umanita` – la scoperta di un nuovo mondo ricavato col materiale di quello vecchio – consiste nell’aver stabilito una proporzione tra due grandezze non piu` in * Georg Simmel, Philosophie des Geldes, Liepzig, Duncker und Humblot, 1900. Trad. it. Filosofia del denaro, Torino, Utet, 1984, pag. 606-630.

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

I   :   

il confronto e` possibile solo in relazione ad una scala di valori determinata in relazione a un tipo ideale

termini di confronto diretto, ma ponendo ogni singola grandezza in rapporto con una terza e considerando le due frazioni ottenute come uguali o disuguali. Due prestazioni di livello differente diventano confrontabili quando evidenziano lo stesso impiego di volonta` e dedizione in relazione all’entita` di energia che entrambi gli attori dovevano impiegare; due destini si discostano alquanto sulla scala della felicita`, ma entrano immediatamente in un rapporto di misura, se li si considera singolarmente in relazione alla misura del premio che si merita o non si merita il soggetto in questione. Due movimenti dotati di velocita` completamente diverse diventano associabili ed uguali quando osserviamo che le accelerazioni, che ognuno di essi subisce in relazione allo stadio iniziale, si equivalgono. Questo senso di appartenenza tra due elementi estranei tra loro rispetto al rapporto immediato delle sostanze, il cui rapporto pero` con un terzo e un quarto elemento si equivale non e` soltanto il prodotto del nostro sentimento. In questo modo un elemento diventa fattore della calcolabilita` dell’altro. Nella stessa direzione, per quanto due persone possano apparire inconfrontabili nelle loro caratteristiche esteriori, i rapporti di entrambe con una terza persona creano tra loro un’uguaglianza; appena la prima persona dimostra amore o odio, potere o sottomissione rispetto ad una terza, come la seconda persona rispetto ad una quarta, si vede come queste relazioni creino al di sotto della estraneita` dell’essere un’uguaglianza profonda ed essenziale. Non potremmo confrontare tra loro la perfezione di opere d’arte diverse, non potremmo formare una scala dei loro valori, se ogni opera non si trovasse in una determinata relazione con l’ideale proprio del suo tipo. Il problema, il materiale utilizzato, lo stile di ogni opera d’arte combinati assieme, producono una norma nei confronti della quale l’opera stesa si colloca in una relazione di prossimita` o distanza, ed e` proprio questa relazione che permette il confronto tra le opere d’arte piu` diverse. La possibile uguaglianza di tali relazioni fa sı` che le singole opere, tra loro eterogenee, producano un mondo estetico, un ordine preciso, un’appartenenza ideale in base al valore. Ma cio` non si verifica soltanto nel mondo dell’arte. La nostra visione del mondo si arricchisce di questo tratto, grazie alla formazione sulla base del materiale delle nostre valutazioni isolate di un insieme di significati di uguaglianza o gradazione, in modo tale che la percezione della disarmonia sorge soltanto come conseguenza dell’aspirazione a un ordine

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

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I     

unitario e a una relazione interna di valori, e grazie alla nostra capacita` di confrontare non soltanto due cose, ma anche le relazioni di due cose rispetto ad altre due e di ricomporre poi queste relazioni ad unita` in un giudizio di uguaglianza o somiglianza. Il denaro, come prodotto di questa fondamentale forza o forma del nostro intimo, non ne costituisce soltanto l’esempio estremo, ma ne e` per cosı` dire la pura incorporazione. Il denaro, infatti, esprime la relazione di valore delle merci tra loro realizzata nello scambio soltanto ponendo l’uguaglianza tra il rapporto di una singola somma con un denominatore comunque determinato e il rapporto tra la merce corrispondente a tale somma e la totalita` delle merci disponibili per lo scambio. Il denaro non e` per natura un oggetto dotato di valore, le cui parti abbiano per caso tra di loro o rispetto alla totalita` la stessa proporzione di altri valori tra di loro. Il denaro esaurisce il suo scopo esprimendo il rapporto di valore di questi altri oggetti tra loro. Cio` avviene per effetto di quella facolta` dell’intelligenza umana progredita che permette di stabilire relazioni di uguaglianza tra cose anche quando le cose stesse non presentano alcun elemento di uguaglianza o somiglianza. (...) L’importanza del denaro in quanto espressione dei valori relativi delle merci e`, in base alle nostre precedenti considerazioni, del tutto indipendente dal suo valore intrinseco; la scala di misura che la moneta offre per la determinazione dei valori e` indipendente dalla natura del materiale monetario, cosı` come e` indifferente che un metro per la misura delle distanze nello spazio sia di ferro, di legno o di vetro, perche´ si considerano soltanto i rapporti delle varie frazioni tra di loro, rispettivamente, con una terza grandezza. Il significato ideale del denaro come termine di misura ed espressione del valore delle merci e` rimasto inalterato, mentre e` mutato in parte ed e` ancora in via di ulteriore mutamento il suo carattere di merce intermedia, di mezzo di conservazione e trasporto di valori. Il denaro si sposta da una forma di immediatezza e sostanzialita` assunta in un primo tempo in vista di queste funzioni, verso una forma ideale, cioe` esercita la sua funzione come una pura idea che si esprime mediante un simbolo rappresentativo. In questo senso il denaro appare come un elemento di una profonda tendenza culturale. Si possono caratterizzare i diversi livelli culturali indagando in quale grado e per quali aspetti essi

il denaro in se´ non ha valore ma stabilisce il rapporto di valore tra gli oggetti...

...che tra di loro, altrimenti, non sarebbero confrontabili

la capacita` di mediazione simbolica segnala i diversi livelli culturali

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

I   :   

tradurre la qualita` in quantita` facilita la manipolazione simbolica delle cose

manifestino una diretta relazione con gli oggetti che li concernono e in quali casi invece essi ricorrano alla mediazione simbolica. I modi di vita variano sensibilmente a seconda che i bisogni religiosi vengano soddisfatti con riti e formule simboliche, oppure attraverso una relazione diretta tra l’individuo ed il proprio Dio; a seconda che il rispetto reciproco tra esseri umani si manifesti in schemi determinati in cui le posizioni rispettive sono indicate in modo cerimoniale, oppure in forme di cortesia, di attaccamento e di rispetto privi di forma particolare; a seconda che gli acquisti, gli accordi e i contratti avvengano mediante la semplice presa d’atto del loro contenuto, oppure vengano legalizzati e sanzionati ufficialmente attraverso simboli esteriori di natura procedurale; a seconda che la conoscenza teorica, si riferisca direttamente alla realta` dei sensi o alla sua rappresentazione mediante concetti generali e simboli metafisici o mitologici. (...) La quantita` di fattori – forze, sostanze ed avvenimenti – che operano nella vita moderna, richiede una concentrazione degli stessi in simboli onnicomprensivi che possono essere utilizzati nella certezza di ottenere lo stesso risultato che si sarebbe verificato operando e tenendo conto di tutto l’insieme dei dettagli; cosicche´ il risultato diventa senza dubbio valido e applicabile in ogni caso particolare. Cio` diventa sempre piu` possibile quanto piu` cresce nello stesso tempo l’indipendenza delle relazioni quantitative tra le cose. La progressiva differenziazione della nostra facolta` di rappresentazione porta con se´ una separazione psicologica tra l’idea del «quanto» e l’idea del «che cosa» – anche se cio` puo` sorprendere da un punto di vista logico. Il primo esempio in cui cio` si e` realizzato con pieno successo ci e` dato dalla formazione dei numeri dove l’idea della quantita` si rende indipendente dalla qualita` di cose effettive. L’attenzione si orienta tanto piu` verso le relazioni quantitative dei concetti quanto piu` questi risultano stabili dal punto di vista del loro contenuto qualitativo. Infine, l’ideale della conoscenza viene identificato nella dissoluzione di tutte le determinazioni qualitative della realta` in determinazioni puramente quantitative. Questa separazione e accentuazione degli aspetti quantitativi facilita la manipolazione simbolica delle cose: i rapporti, le determinazioni, i movimenti di una cosa possono fornire una rappresentazione valida di analoghe caratteristiche relative ad un oggetto diverso, dato che cose di contenuto assai dissimile possono equivalersi dal punto di vista quantitativo. Gli

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

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I     

esempi piu` semplici sono le palline del pallottoliere che ci rappresentano visivamente le determinazioni numeriche di qualsiasi oggetto, o il termometro che ci indica in gradi l’aumento o la diminuzione di percezione termica che ci possiamo aspettare. Oggi puo` apparire evidente che si possano costruire dei simboli mediante un processo psicologico di astrazione degli aspetti quantitativi delle cose, si tratta peraltro di una delle conquiste dello spirito umano piu` ricche di conseguenze. Anche l’istituzione del denaro e` da ricondurre a questa separazione nella misura in cui, prescindendo dalla qualita`, il denaro rappresenta il puro aspetto quantitativo del valore in forma numerica. Un esempio molto indicativo di transizione dall’espressione qualitativa a quella quantitativamente simbolica ci viene dalla storia antica della Russia. Le pelli di martora servivano in un certo periodo come mezzi di scambio. Con lo sviluppo del commercio, scomparve la influenza che la dimensione e la qualita` delle singole pelli esercitavano sul potere di scambio, ogni pelle equivaleva alle altre e contava solo il loro numero. Infine, con l’intensificarsi degli scambi, si affermo` l’uso della punta delle pelli come moneta, al punto che iniziarono a circolare come mezzi di scambio solo pezzetti di pelle, probabilmente timbrati dal governo. In questa caso si vede chiaramente come una riduzione al puro aspetto quantitativo sia determinante per la simbolizzazione del valore su cui poggia in modo puro la diffusione del denaro. (...) La rilevanza di cose e atti simbolici e` evidentemente possibile solo ad uno stadio elevato di intellettualita`, quando cioe` si e` in presenza di una forza spirituale cosı` autonoma da non richiedere il riferimento agli aspetti di dettaglio dei singoli fenomeni. In tempi remoti, invece, si poteva imporre l’ordine pubblico soltanto con l’uso della forza fisica mentre ora basta che compaia un pubblico funzionario; ora, una semplice firma ci obbliga incondizionatamente sia verso l’esterno che verso noi stessi; tra persone sensibili basta una semplice parola sussurrata o un’espressione del viso per indicare un rapporto duraturo mentre tra persone intellettualmente meno evolute cio` si verifica soltanto dopo confronti e comportamenti protratti nel tempo; noi possiamo essere indotti a fare dei sacrifici anche soltanto in base a documenti scritti, mentre gli stessi sacrifici si possono imporre a persone illetterate soltanto attraverso l’operare concreto dei fattori implicati. Ho introdotto queste considerazioni per chiarire la posizione

il denaro come puro aspetto quantitativo del valore

solo uno stadio elevato di intellettualita` consente l’elaborazione simbolica

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

I   :   

dominio dell’economia monetaria dominio dell’intellettualita`

del denaro anche in questa tendenza culturale. Il principio del risparmio di energia e di materiali diventa sempre piu` efficace e conduce a procedimenti sempre piu` estesi di rappresentanza e simbolizzazione dove non si ravvisa piu` alcuna affinita` di contenuto tra il simbolo e cio` che viene rappresentato; nella stessa direzione, le operazioni con i valori si realizzano mediante un simbolo che perde sempre piu` contatto materiale con le realta` definite della sua sfera e diventa meramente un simbolo. Questa forma di vita non presuppone soltanto un’eccezionale estensione dei processi psichici — quali complessi presupposti psicologici richiede gia`, ad esempio, solamente la copertura di banconote con riserva di liquidita` — ma anche una loro intensificazione, una svolta radicale della cultura nella direzione dell’intellettualita`. L’idea che la vita sia fondata prevalentemente sull’intelletto e che l’intelletto stesso valga in pratica come la piu` preziosa delle nostre energie psichiche, va passo passo con la diffusione dell’economia monetaria, come sara` dimostrato dalle considerazioni che seguono. Nell’ambito della sfera del commercio e specialmente nel caso di pure transazioni finanziarie, l’intelletto domina quindi sovrano. La crescita delle facolta` intellettuali e lo sviluppo della capacita` di astrazione caratterizzano l’epoca in cui il denaro diventa sempre piu` simbolo e sempre piu` indifferente al proprio valore intrinseco.

. Assenza di carattere e oggettivita` della vita

l’intelletto come specchio indifferente della realta`

cosı` come l’intelletto anche il denaro non ha carattere

Questo rapporto tra il significato dell’intelletto e il significato del denaro per la vita permette di determinare le epoche o i campi d’interesse dove dominano innanzitutto in negativo nel senso di una certa assenza di carattere. Se il carattere significa sempre che le persone o le cose sono decisamente ancorate ad un tipo di esistenza individuale che si differenzia ed esclude tutti gli altri, allora l’intelletto, in quanto tale, ne e` completamente privo, infatti, e` lo specchio indifferente della realta`, uno specchio in cui tutti gli elementi sono ugualmente giustificati, perche´ la loro legittimita` in questo caso consiste soltanto nel loro essere reali. (...) Esattamente in questo consiste anche la mancanza di carattere del denaro. Come il denaro in se´ e per se´ e` il riflesso meccanico dei rapporti di valore delle cose e si offre ugualmente a tutte le

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I     

parti, cosı` in una transazione in denaro tutte le persone sono equivalenti, non perche´ ognuna di esse abbia valore, ma perche´ nessuna ne ha: vale soltanto il denaro. Ma l’assenza di carattere nell’intelletto, come nel denaro, di solito va oltre questo senso puramente negativo. Noi pretendiamo – forse non sempre con un diritto oggettivo – che tutte le cose abbiano un carattere determinato e facciamo carico all’uomo puramente teoretico del fatto che il suo comprendere tutto lo porta a perdonare tutto: oggettivita` questa che certo si addice a un dio, ma non a un uomo, che in questo modo finisce per porsi in aperto contrasto sia con gli impulsi della sua natura, che con il suo ruolo nella societa`. Cosı`, rimproveriamo all’economia monetaria di mettere il suo valore centrale come uno strumento completamente docile a disposizione della piu` infame macchinazione. Infatti, cio` non viene compensato dal fatto che lo stesso vale anche per la piu` nobile delle imprese; anzi, in questo modo emerge nella luce piu` chiara il rapporto del tutto casuale tra la serie delle operazioni monetarie e la serie dei nostri piu` elevati concetti di valore, e l’insensatezza di commisurare l’una all’altra. Il peculiare appiattimento della vita emotiva, che si imputa all’epoca contemporanea quando la si confronta con la forza unilaterale e la durezza di epoche precedenti; la facilita` dell’intesa sul piano intellettuale, che esiste persino tra uomini che hanno la piu` diversa natura e occupano le piu` divergenti posizioni (mentre persino una personalita` della levatura intellettuale e con gli interessi teoretici di Dante giunge a dire che a certi teorici avversari non e` lecito rispondere con dei motivi, ma soltanto con il pugnale); lo spirito conciliante, che nasce dall’indifferenza nei confronti dei problemi fondamentali della vita interiore, che si possono definire quelli che riguardano in primo luogo la salvezza dell’anima e che non possono essere risolti con l’intelletto, e giunge all’idea della pace universale, che viene accarezzata particolarmente nei circoli liberali, i portatori storici dell’intellettualismo e del traffico monetario: tutto cio` deriva come conseguenza positiva da quel tratto negativo dell’assenza di carattere. (...)

appiattimento della vita emotiva nell’epoca moderna

aspetti positivi nelle societa` moderne...

...dominate dalla razionalita` e dall’economia monetaria

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

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. Il duplice ruolo dell’intelletto e del denaro: sovrapersonali in relazione al contenuto, individualistici ed egoistici in relazione alla funzione nelle moderne lotte commerciali il nemico d’oggi potrebbe essere il socio di domani

l’economia del denaro come principio di neutralita`

il denaro e` neutrale se considerato come ‘‘forma’’ dei movimenti economici

oggettivita` dello stile di vita

La violenza delle moderne lotte commerciali, senza esclusione di colpi, e` soltanto apparentemente in contraddizione con questi tratti dell’economia monetaria, perche´ esse vengono scatenate proprio dall’interesse immediato per il denaro. Infatti, non solo si svolgono in una sfera oggettiva in cui la personalita` non conta come carattere, ma come base di una determinata potenza economica oggettiva, e il concorrente, il mortale nemico di oggi, e` il socio di domani; (...) le lotte di interessi nell’ambito dell’economia monetaria non impediscono che essa costituisca un principio di neutralita`, che pone le ostilita` al di sopra di un piano puramente personale e offre loro un terreno sul quale, infine, e` sempre possibile un’intesa. Certamente il fatto di trattare uomini e cose in modo puramente razionale ha in se´ qualcosa di crudele, ma non come impulso positivo, bensı` in quanto semplice imperturbabilita` di fronte alle sue conseguenze puramente logiche, inaccessibile ai riguardi, alla benevolenza, alla dolcezza. Per lo stesso motivo, l’uomo che ha soltanto interessi pecuniari di solito cade dalle nuvole quando gli si rinfacciano crudelta` e brutalita` perche´ e` convinto della mera consequenzialita` e oggettivita` delle sue azioni, nelle quali non interviene alcuna volonta` malvagia; naturalmente va tenuto ben fermo il punto di vista che qui si tratta del denaro soltanto come forma dei movimenti economici, ai quali percio` si possono anche aggiungere dei tratti completamente diversi da quelli indicati per motivi di contenuto di altro tipo. Questa posizione, al di la` delle determinatezze del carattere, nella quale la vita viene collocata dall’intellettualita` e dall’economia monetaria, senza pregiudizio di tutte le altre loro conseguenze capaci di inasprire i contrasti, puo` essere definita come oggettivita` dello stile di vita. (...) Questa oggettivita` della struttura della vita deriva dal suo rapporto con il denaro. In un precedente e diverso contesto ho accennato a come il commercio rappresenti una grande elevazione sull’originaria indifferenziata soggettivita` dell’uomo. Anche oggi vi sono popoli in Africa e nella Micronesia che per il cambiamento di proprieta` conoscono soltanto la forma della rapina o del dono. Ma, come per l’uomo piu` elevato, accanto e al di sopra delle

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spinte soggettivistiche dell’egoismo e dell’altruismo – nella cui alternativa purtroppo l’etica continua di solito a restringere le motivazioni umane – nascono interessi oggettivi, una dedizione o degli obblighi che non hanno niente a che fare con gli interessi dei soggetti, ma con una coerenza a degli ideali oggettivi, cosı` si sviluppa, al di la` dell’impulsivita` egoistica della rapina e di quella non meno altruistica del dono, il cambiamento di proprieta` secondo la norma della correttezza e della giustizia oggettiva, lo scambio. Il denaro rappresenta il momento dell’oggettivita` delle operazioni di scambio con una, per cosı` dire, pura assolutezza ed una autonoma incarnazione, perche´ e` libero da tutte le qualificazioni unilaterali delle singole cose che possono essere scambiate e percio`, di per se´, non ha con nessun soggetto economico un rapporto piu` pronunciato di quello che puo` avere con qualsiasi altro oggetto. (...) E proprio il fatto che, nonostante cio`, nelle piu` diverse personalita` si sviluppino le piu` diverse relazioni con il denaro, dimostra il suo essere al di la` di ogni particolarita` soggettiva; questa posizione e` comune ad altre grandi potenze storiche che assomigliano a grandi laghi, da ogni riva dei quali si puo` attingere tutto quello che il nostro recipiente consente in base alla sua forma e alla sua capienza. L’oggettivita` del comportamento reciproco degli uomini – che certo e` soltanto una formazione costituita originariamente da energie soggettive, ma che ha anche, infine, un’esistenza e una normativita` indipendenti – giunge, nel caso degli interessi puramente economico-monetari, alla sua espressione piu` completa. Cio` di cui ci si disfa per denaro giunge al massimo offerente, senza tener conto di che cosa e chi egli sia in altre circostanze; ma quando entrano in gioco altri equivalenti, quando si aliena una proprieta` per ottenere onore, servizi, riconoscenza, si considera la qualita` della persona a cui la proprieta` viene ceduta. Viceversa, quando compero, mi e` indifferente da chi compero cio` che desidero e che vale il prezzo richiesto; ma quando il prezzo dell’acquisto consiste nella prestazione di un servizio, nell’obbligo personale in un rapporto interiore ed esterno, si esamina attentamente con chi si ha a che fare, perche´ ad una persona qualunque non vorremmo dare di noi nient’altro che il denaro. L’avvertenza, presente sui biglietti di banca, secondo cui il loro valore e` pagabile a «vista» al portatore e` caratteristica dell’assoluta oggettivita` con cui si agisce in questioni di denaro. Sul suo terreno e` possibile, in

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soggettivita` A A oggettivita`

il denaro come regno dell’oggettivita` ...il denaro come regno dell’individualismo e dell’egoismo (nell’utilizzo che ne puo` essere fatto)

analogia tra il denaro e l’intelletto essenza utilizzo

un popolo molto piu` passionale di quello degli Indu`, un parallelo con quella esenzione dell’agricoltore dalle guerre: tra gli Indiani il mercante puo` commerciare nel territorio delle tribu` che sono scese sul sentiero di guerra contro la sua! Il denaro pone le azioni e le relazioni degli uomini al di fuori dell’uomo in quanto soggetto, come la vita spirituale, nella misura in cui e` puramente intellettuale, dalla sfera della soggettivita` personale entra in quella dell’oggettivita` e la riflette. Su cio` si fonda evidentemente un rapporto di superiorita`. Come colui che ha denaro gode di una superiorita` rispetto a chi ha la merce, cosı` l’uomo intellettuale in quanto tale e` in un certo senso piu` forte di chi vive piu` intensamente nella sfera del sentimento e dell’impulso. Perche´, per quanto la sua personalita` complessiva possa valere di piu` di quella del primo, per quanto in ultima istanza le sue forze lo sovrastino, e` piu` unilaterale, piu` impegnato, meno spregiudicato, non ha la sovranita` di sguardo e la possibilita` sfrenata di utilizzare tutti i mezzi della prassi che ha invece il puro uomo d’intelletto. (...) Questa fondazione della correlazione tra intellettualita` ed economia monetaria sull’oggettivita` e sull’indeterminatezza del carattere, che sarebbero comuni a entrambe, trova ora un’istanza contraria molto decisa. Accanto cioe` all’oggettivita` impersonale, che e` propria dell’intelligenza in base ai suoi contenuti, si manifesta un rapporto estremamente stretto dell’intelligenza proprio con l’individualita` e con il principio dell’individualismo nella sua integralita`; il denaro, da parte sua, per quanto trasformi i modi di agire impulsivamente soggettivi in modi impersonali e oggettivamente sottoposti a norme, e` tuttavia il vivaio dell’individualismo e dell’egoismo economici. Qui dunque si presentano in modo esplicito delle tortuosita` concettuali che bisogna sciogliere e delle ambiguita` che vanno chiarite per comprendere lo stile di vita che puo` essere definito da tali concetti. Quel doppio ruolo, che giocano tanto l’intelletto quanto il denaro, diventa comprensibile, non appena si distingue il loro contenuto, il contenuto della loro essenza, dalla funzione che lo sostiene, ovvero dall’utilizzazione che ne viene fatta. Nel primo senso l’intelletto ha un carattere livellato, anzi, si potrebbe dire comunistico. Innanzitutto, perche´ l’essenza dei suoi contenuti e` che essi siano in generale comunicabili e che, presupponendo la loro correttezza, ogni spirito sufficientemente preparato debba essere in grado di convincersene – cosa per la quale sul piano della volonta` e del sentimento non vi e` alcuna analogia. (...)

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La potenza dell’intelligenza superiore si basa proprio sul carattere comunistico della sua qualita`: poiche´ essa e` in base al suo contenuto l’elemento universalmente valido e riconosciuto, gia` la mera quantita` di essa di cui un individuo dispone in base alle sue doti gli attribuisce un vantaggio piu` assoluto di quello che gli potrebbe assicurare una proprieta` qualitativamente piu` individuale, che proprio a causa della sua individualita` non sarebbe utilizzabile dovunque e non troverebbe nella stessa misura in ogni punto del mondo pratico un campo di dominio. Qui, come in altri casi, e` proprio il terreno dell’uguaglianza universale dei diritti che porta le differenze individuali al completo sviluppo e ne rende possibile il massimo sfruttamento. (...) La validita` generale dell’intellettualita` nei suoi contenuti, valendo ogni intelligenza individuale, mira alla atomizzazione della societa`; sia per suo mezzo, sia visto a partire da essa, ognuno appare come un elemento chiuso in se´ stesso accanto agli altri, senza che questa generalita` astratta trapassi in qualche modo in quella concreta, in cui il singolo possa costituire un’unita` soltanto insieme agli altri. Infine, l’intrinseca accessibilita` delle conoscenze teoretiche e la possibilita` di ripercorrerle con il pensiero (il che non si puo` negare a nessuno in linea di principio, come invece accade per certi sentimenti e certe volizioni), hanno una conseguenza che rovescia direttamente il loro risultato pratico. In particolare, la caratteristica della generale accessibilita` fa si che circostanze del tutto estranee alle qualita` personali decidano della effettiva utilizzazione delle conoscenze il che porta all’enorme superiorita` della meno intelligente tra le persone «istruite» sul piu` intelligente proletario. L’apparente uguaglianza, con la quale si offre a chiunque voglia impadronirsene la materia prima per la sua educazione, e` in realta` un sarcasmo sanguinoso, proprio come altre liberta` contemplate dalle dottrine liberali che non impediscono a nessuno di ottenere beni di qualsiasi tipo, ma trascurano il fatto che soltanto chi e` gia` favorito da alcune circostanze ha la possibilita` di appropriarsene. Ma poiche´, infine, dei contenuti dell’educazione – nonostante, o a causa della loro generale disponibilita` – ci si puo` appropriare solo mediante un’attivita` individuale, essi producono la aristocrazia piu` inattaccabile perche´ piu` impalpabile, una distanza che non puo` essere cancellata da un decreto o da una rivoluzione come lo sono invece le differenze economico-sociali, e contro cui e` impotente anche la buona volonta` dell’interessato;

l’uguaglianza dei diritti consente lo sviluppo dell’individualita`

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analogia tra denaro e intellettualita` contraddizione tra essenza e utilizzo

Gesu` poteva ben dire al giovane ricco: cio` che e` tuo dallo ai poveri, ma non poteva dirgli: dai ai poveri la tua istruzione. Non c’e` nessun privilegio che appaia cosı` odioso a chi occupa gli ultimi gradini della scala sociale, nessun privilegio di fronte al quale si senta interiormente cosı` oppresso e indifeso come quello dell’educazione. (...) Ho trattato cosı` diffusamente questo argomento perche´ la contradditorieta` del concetto di intellettualita` trova nel denaro una precisa analogia. Ad esempio il fatto che l’impersonalita` e la validita` universale della sua essenza astratta e concreta, non appena si tratta della sua funzione e della sua utilizzazione, entrano al servizio dell’egoismo e della differenziazione. Il carattere dı` razionalita` e di logicita`, che si rivelava nell’egoismo, aderisce anche alla piena e spregiudicata utilizzazione del possesso di denaro. Abbiamo indicato prima come specifico del denaro nei confronti di altri possessi il fatto di non contenere in se´ nessun rimando a un tipo determinato di utilizzazione e, in egual misura, nessun ostacolo, che renda un tipo di utilizzazione piu` estraneo o arduo di un altro. In ogni uso, anche se discutibile, il denaro si risolve completamente senza che si stabilisca un rapporto tra la sua qualita` e quella degli oggetti reali, che li favorisca o li pieghi ad essa (da questo punto di vista si sviluppa in modo analogo a quello delle forme logiche che si prestano indifferentemente a qualsiasi contenuto, al suo sviluppo o alle sue combinazioni e proprio cosı` procurano a cio` che e` oggettivamente piu` insensato e dannoso la stessa possibilita` di rappresentazione e di correttezza formale che forniscono a cio` che e` piu` dotato di valore; lo stesso vale anche per gli schemi del diritto, che spesso a tal punto e` privo di disposizioni di garanzia da far sı` che la piu` dura ingiustizia materiale si dia una veste di giustizia formale inattaccabile). Questa possibilita` assoluta di sfruttare fino in fondo le forze del denaro non appare soltanto come giustificazione ma anche, per cosı` dire, come necessita` logico-concettuale del suo agire reale. Poiche´ non contiene in se´ ne´ direttive ne´ ostacoli, segue di volta in volta l’impulso soggettivo piu` forte, impulso che nei campi dell’impiego del denaro e` di solito di tipo egoistico. Quelle immagini inibitorie che dipingono il denaro «bagnato di sangue» o sul quale pesa una maledizione sono sentimentalismi che con la crescente indifferenza del denaro – in quanto cioe` sempre piu` puramente denaro – perdono ogni significato. La qualificazione puramente negativa in

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base alla quale nessun tipo di considerazione di carattere etico oppure concreto, che deriva invece da altre forme di proprieta`, determina l’utilizzazione del denaro, diventa assenza di scrupoli intesa come tipo di comportamento del tutto positivo. L’arrendevolezza, che deriva dal suo essere completamente sciolto da interessi, da origini e da rapporti di carattere singolare sembra avere come logica conseguenza l’invito a non esercitare nessun tipo di costrizione nelle provincie del suo dominio. Nella sua assoluta oggettivita`, che risulta proprio dall’esclusione di ogni oggettivita` unilaterale, l’egoismo trova che e` gia` stata fatta tabula rasa, analogamente a quanto accadeva anche nel caso della pura intellettualita`, per nessun altro motivo se non perche´ il movente egoistico e` logicamente il piu` semplice e il piu` prossimo, cosı` che le potenze della vita puramente formali ed indifferenti trovano in esso la loro prima realizzazione, quella per cosı` dire naturale ed elettivamente affine. (...)

. Il calcolo come essenza dell’epoca moderna Nel quadro dello stile del presente vengo ad un ultimo tratto il cui razionalismo rende visibile l’influsso della natura del denaro. Le funzioni spirituali, in base alle quali l’evo moderno si accorda con il mondo e ne regola i rapporti interni – individuali e sociali – si possono in gran parte definire in termini di calcolo. Il loro ideale conoscitivo consiste nel considerare il mondo come un grande esempio di calcolo, nel rinchiudere i processi e le determinazioni qualitative delle cose in un sistema di numeri: Kant crede di trovare vera scienza nella dottrina della natura solo in quanto vi puo` venir applicata la matematica. Ma non basta soggiogare spiritualmente il mondo fisico con pesi e misure; il pessimismo, come l’ottimismo, vuol stabilire il valore stesso della vita mediante il computo delle quantita` reciproche di gioia e dolore, tendendo, almeno idealmente, alla fissazione numerica di entrambi i fattori. Allo stesso orientamento appartengono le varie determinazioni della vita pubblica che si realizzano attraverso decisioni prese a maggioranza. La possibilita` di mettere in minoranza il singolo mediante il fatto che altri, che a priori godono soltanto degli stessi diritti, sono di un’altra opinione, non e` affatto cosı` evidente come ci appare oggi; gli antichi diritti germanici non la conoscono: chi

la modernita` traduce i rapporti individuali e sociali in termini di calcolo

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il calcolo come tratto psicologico dell’epoca moderna

non aderisce alla decisione della comunita` non e` affatto legato ad essa; nel consiglio delle tribu` irochesi, nelle Cortes aragonesi fino al XVI secolo, nella Dieta polacca e in altre comunita` non, c’era alcuna possibilita` di voto di maggioranza; la decisione non unanime non era valida. Il principio che la minoranza deve adattarsi significa che il valore assoluto o qualitativo della voce individuale e` ridotto ad una unita` di significato puramente quantitativo. Il livellamento democratico, per il quale il valore di chiunque e` uguale ad uno e nessuno vale di piu`, e` il correlato o la premessa di questo procedimento di calcolo in cui la maggior o minor quantita` aritmetica di unita` anonime esprime la realta` interna di un gruppo e assume la guida di quella esterna. Questa essenza dell’eta` moderna, fatta di misure, di pesi, di conti esatti e` la piu` pura rappresentazione del suo intellettualismo, che certo produce anche qui, al di sopra dell’eguaglianza astratta, la piu` egoistica particolarizzazione degli elementi. Infatti, con fine criterio istintivo, la lingua con il termine «calcolatore» intende un uomo che lo e` in senso egoistico. Proprio come con l’uso di «intelligente» e «ragionevole» si penetra oltre il formalismo apparentemente del tutto imparziale del concetto e si intende la sua disposizione a realizzarsi con un determinato contenuto unilaterale. Mi sembra che questo tratto psicologico della nostra epoca – che si pone in netto contrasto con l’essenza piu` impulsiva, piu` orientata verso la totalita` e piu` ricca di sentimenti di epoche precedenti – abbia uno stretto collegamento causale con l’economia monetaria. Il denaro induce di per se´ la necessita` di continue operazioni matematiche nella vita quotidiana. La vita di molti uomini viene riempita da tale attivita` di definizione, di ponderazione, di calcolo, di riduzione dei valori qualitativi a valori quantitativi. I contenuti della vita risultarono determinati con una precisione e una delimitazione molto maggiori proprio per effetto della diffusione della valutazione in denaro che insegnava a determinare e a specificare di ogni valore anche le differenze piu` sottili. Quando le cose vengono pensate nel loro immediato rapporto reciproco – senza quindi venir ridotte al denominatore comune del denaro – si procede in misura molto maggiore con arrotondamenti, al fine di poter contrapporre unita` ad unita`. L’esattezza, il rigore, la precisione nei rapporti economici della vita, che naturalmente influenzano anche gli altri rapporti, vanno di pari passo con la diffusione del denaro – certo non al fine di promuovere il

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grande stile nella condotta di vita. L’economia monetaria ha gia` introdotto nella vita pratica – e, chissa`, forse anche in quella teoretica – l’ideale della calcolabilita` numerica. (...) Data l’essenza calcolatrice del denaro, nel rapporto degli elementi della vita si e` affermata una precisione, una certezza nella determinazione delle uguaglianze e delle disuguaglianze, un’inequivocabilita` negli accordi e nelle intese pari a quella che, su un piano esteriore, risulta dalla diffusione universale degli orologi da tasca. La determinazione del tempo astratto resa possibile dagli orologi, come quella del valore astratto resa possibile dal denaro, fornisce uno schema di piu` sottili e sicure distinzioni e misurazioni che, assumendo in se´ i contenuti della vita, conferisce a questi, almeno dal punto di vista della pratica esterna, una trasparenza e una calcolabilita` altrimenti irraggiungibili. L’intellettualita` calcolatrice che vive in queste forme puo` a sua volta ricevere da esse una parte delle energie con cui domina la vita moderna. Tutti questi rapporti si concentrano, come in un punto focale, nell’istanza negativa in base alla quale gli spiriti che si oppongono con maggior estraneita` e ostilita` alla considerazione e al fondamento economico delle cose umane: Goethe, Carlyle, Nietzsche, presentano in linea di principio un orientamento spirituale antiintellettualistico e nello stesso tempo rifiutano totalmente quella interpretazione della natura basata sull’esattezza del calcolo che abbiamo visto essere il parallelo teoretico dell’essenza del denaro.

l’orologio rende il tempo astratto e matematico

il denaro rende il valore delle cose astratto e calcolabile

. Il denaro come portatore delle relazioni impersonali tra gli uomini e quindi della liberta` individuale L’economia monetaria, dal canto suo, tratteggia uno schizzo di questa differenziazione medesima nel campo degli interessi privati, in quanto da una parte il denaro con la sua flessibilita` infinita e con la sua infinita divisibilita` rende possibile quella pluralita` di dipendenze economiche, d’altra parte con la sua essenza indifferente ed oggettiva favorisce la rimozione dell’elemento personale dalle relazioni fra gli uomini. Paragonato al moderno uomo civile, chi appartiene ad una qualsiasi economia antica o primitiva dipende apparentemente soltanto da un numero minimo di persone. Non solo l’ambito dei nostri bisogni e` molto piu` ampio, ma

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catene di interdipendenza e liberta` individuale

vicinanza/distanza

persino le necessita` elementari, che abbiamo in comune con gli antichi e i primitivi (vitto, vestiario, alloggio), possono essere soddisfatte con l’aiuto di un apparato molto piu` vasto, e passando per un numero di mani molto maggiore. Non soltanto la specializzazione della nostra attivita` esige una cerchia infinitamente estesa di altri produttori, con i quali scambiare i prodotti ma la stessa attivita` immediata dipende da un numero crescente di lavori preliminari, di prestazioni accessorie, di prodotti semilavorati. La cerchia relativamente assai ristretta, dalla quale dipendeva l’uomo in una economia monetaria poco o per nulla sviluppata, aveva un carattere molto piu` personale. Erano uomini determinati, conosciuti personalmente, per cosı` dire inconfondibili, quelli dai quali dipendevano dal punto di vista economico l’antico contadino germanico l’artigiano indiano appartenente a una corporazione, il membro di una comunita` domestica slava o indiana, spesso anche l’uomo del Medioevo. Quanto minore e` il numero delle funzioni reciprocamente collegate, tanto piu` stabili e rilevanti sono gli uomini che le rivestono. Da quanti «fornitori» dipende invece l’uomo nell’economia monetaria! Ma egli e` incomparabilmente piu` indipendente da ogni singolo fornitore determinato e attua facilmente, e quando vuole, i suoi scambi con lui. Basta paragonare la vita di una piccola citta` con quella di una grande citta` per cogliere inconfondibilmente questo sviluppo, anche se in scala ridotta. Mentre l’uomo nelle precedenti epoche storiche doveva pagare la scarsita` dei rapporti di dipendenza con l’angustia dei rapporti personali, spesso con la sua personale insostituibilita`, noi veniamo risarciti della molteplicita` delle nostre dipendenze dall’indifferenza nei confronti delle persone implicate e dalla liberta` di sostituzione delle stesse. Se per la complessita` dei nostri bisogni da un lato, e la specializzazione delle nostre capacita` dall’altro, siamo molto piu` dipendenti dall’insieme della societa` di quanto non lo fosse l’uomo primitivo, che in ogni caso poteva andare avanti vivendo nel suo gruppo ristretto in completo isolamento, siamo in cambio straordinariamente indipendenti da ogni elemento determinato di questa societa` in quanto il suo significato per noi e` trapassato nell’oggettivita` unilaterale della sua prestazione, la quale pertanto puo` essere fornita molto piu` facilmente da tanti altri uomini, personalmente diversi, ai quali siamo legati solo da un interesse completamente esprimibile in termini monetari. La liberta` individuale non e` la pura determinazione interna di un

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

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soggetto isolato, ma un fenomeno di relazione, che perde il proprio senso quando non c’e` una controparte. Se ogni rapporto tra uomini si basa su elementi di vicinanza e su elementi di distanza, vi e` indipendenza quando questi ultimi raggiungono il massimo. I primi pero` non scompaiono affatto, come nell’idea di sinistra non scompare l’idea di destra. Il problema e` ora soltanto quello di sapere quale sia la configurazione concreta piu` favorevole di entrambi gli elementi per giungere all’indipendenza sia come fatto oggettivo, sia nella coscienza soggettiva. Tale configurazione sembra data quando vi siano estese relazioni con altri uomini, dalle quali pero` siano eliminati tutti gli elementi di natura propriamente individuale; quando vi siano influssi, che tuttavia vengono esercitati reciprocamente in modo del tutto anonimo; quando siano presenti determinazioni non specificamente indirizzate verso qualche persona. La causa, come l’effetto di tali dipendenze oggettive, all’interno delle quali il soggetto come tale e` libero, sta nella sostituibilita` delle persone. Nel cambiamento, volontario o provocato dalla struttura del rapporto, dei soggetti, si rivela quell’indifferenza del momento soggettivo della dipendenza che porta con se´ il sentimento della liberta`. (...) Un esempio primitivo e` dato dalla differenza caratteristica tra il vassallo medievale e il servo: mentre il primo poteva cambiare signore, il secondo era sempre incatenato ad un unico signore. Anche se l’entita` del vincolo nei confronti del signore, considerata in se stessa, fosse stata la medesima, nel primo caso vi sarebbe stato un grado di liberta` incomparabilmente piu` elevato che non nel secondo. Non il vincolo in generale, ma il vincolo con un padrone individualmente determinato e` il vero e proprio polo opposto della liberta`. (...) Uno sviluppo formalmente uguale si manifesta nell’economia monetaria per quanto riguarda il lavoro salariato. Se si guarda alla durezza e al grado di costrizione presenti nel lavoro, gli operai salariati sembrano soltanto degli schiavi travestiti. Vedremo in seguito come il fatto che siano schiavi del processo di produzione oggettivo possa venir spiegato come momento di passaggio verso la loro liberazione. Ma il lato soggettivo di questo processo consiste nel fatto che il rapporto di lavoro con il singolo imprenditore e` incomparabilmente meno rigido che nelle precedenti forme di lavoro. Certo, l’operaio e` incatenato al lavoro come il contadino lo era alla gleba, ma la frequenza con cui l’economia monetaria

dipendenza/ indipendenza

la liberta` di stringere relazioni

il lavoro salariato come tappa di un processo di liberazione

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sostituisce gli imprenditori e la frequente possibilita` di sceglierli e di cambiarli, che la forma del salario concede all’operaio, gli danno una liberta` del tutto nuova all’interno dei suoi vincoli. Lo schiavo non poteva cambiare padrone nemmeno se era pronto ad accettare condizioni di vita molto peggiori, mentre l’operaio salariato puo` farlo in qualsiasi momento. Quando cessa l’oppressione della dipendenza irrevocabile da un signore individualmente determinato, si comincia, nonostante ogni vincolo concreto, a percorrere la via che porta alla liberta` personale. Il fatto di riconoscere l’inizio di questo processo di liberazione non ci impedisce di riconoscere anche il fatto che molto spesso cio` non ha influenza sulla condizione materiale dell’operaio. Perche´ qui, come in altri campi, non c’e` assolutamente, tra liberta` e elevazione eudemonistica, quella necessaria connessione che i desideri, le teorie e le agitazioni sociali danno di solito per scontata. Non bisogna dimenticare, che alla liberta` del lavoratore corrisponde anche una liberta` del datore di lavoro che in forme di lavoro maggiormente soggette a vincoli non esisteva. Il proprietario di schiavi, come il signore feudale, ha un interesse personale a mantenere i propri schiavi, o i propri servi della gleba, in buono stato e in condizioni che ne garantiscano le prestazioni. Alla luce del suo stesso interesse, i suoi diritti su di loro diventano doveri. Non e` questo il rapporto del capitalista con l’operaio salariato, o, quando lo e`, non viene affatto riconosciuto come tale. Il prezzo della liberazione dell’operaio e`, per cosı` dire, quello della liberazione del datore di lavoro, la fine cioe` di quelle cure di cui godeva il lavoratore non libero. La durezza o l’insicurezza della sua situazione attuale e` quindi proprio la prova dello svolgersi del processo di liberazione che inizia con l’eliminazione del rapporto di dipendenza di natura individuale. Dal punto di vista sociale la liberta`, come la non liberta`, e` un rapporto tra uomini. Lo sviluppo dalla non liberta` alla liberta` procede fondamentalmente in modo tale che il rapporto si trasforma dalla forma della stabilita` e dell’invariabilita` in quella dell’instabilita` e della sostituibilita` delle persone. Se liberta` significa in genere indipendenza dalla volonta` altrui, essa comincia allora con l’indipendenza dalla volonta` di alcuni altri ben determinati. Non dipendente e` il colono solitario nella foresta germanica o americana, indipendente, nel senso positivo della parola, e` il moderno cittadino della metropoli. Questi ha certamente bisogno di un’infinita` di fornitori, operai e collaboratori, senza i quali

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sarebbe del tutto impotente, ma ha con loro soltanto un rapporto, mediato dal denaro, assolutamente oggettivo. Non dipende cioe` da una singola entita` determinata, ma soltanto da prestazioni oggettive, valutate in termini monetari, che possono essere fornite da persone qualsiasi e sostituibili. In quanto il puro rapporto monetario collega molto strettamente il singolo al gruppo come totalita`, per cosı` dire, astratta e, piu` precisamente, in quanto, come si e` visto precedentemente, il denaro rappresenta le forze astratte del gruppo, il rapporto del singolo con gli altri uomini ripete soltanto il rapporto dell’uomo con le cose mediato dal denaro. Con il rapido aumento delle quantita` di merci da un lato, e con la vera e propria diminuzione e perdita di significato che le cose subiscono nell’economia monetaria, dall’altro, il singolo oggetto diventa indifferente, quasi privo di valore. Per contro, non solo l’insieme complessivo di questi oggetti mantiene la sua importanza, ma con l’avanzamento della civilta` diventiamo sempre piu` dipendenti dagli oggetti e` da un numero di oggetti sempre maggiore. Percio`, come gia` prima abbiamo sottolineato, il singolo spillo e` per noi tanto utile quanto privo di valore, mentre dello spillo in genere il moderno uomo civile non sa piu` fare a meno. In base alla stessa norma si sviluppa infine il significato stesso del denaro: l’enorme ribasso del suo costo rende la singola quantita` di denaro sempre piu` irrilevante e priva di valore, ma il ruolo del denaro in generale diviene sempre piu` importante ed esteso. In tutti questi fenomeni, gli oggetti nella loro singolarita` e individualita` diventano per noi, nell’ambito dell’economia monetaria, sempre piu` indifferenti, inessenziali, sostituibili, mentre la funzione oggettiva, che la categoria degli oggetti nel suo complesso esercita, diviene per noi sempre piu` importante e ci rende sempre piu` dipendenti.

interscambiabilita` degli oggetti dipendenza dagli oggetti

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 La metropoli come metafora della modernita` *

I prolemi piu` profondi della vita moderna scaturiscono dalla pretesa dell’individuo di preservare l’indipendenza e la particolarita` del suo essere determinato di fronte alle forze preponderanti della societa`, dell’eredita` storica, della cultura esteriore e della tecnica – l’ultima metamorfosi della lotta con la natura che l’uomo primitivo deve condurre per la sua esistenza fisica. Che il secolo XVIII abbia fatto appello alla liberazione da tutti i legami del passato negli ambiti dello Stato, della religione, della morale e dell’economia, per lasciar sviluppare liberamente la buona natura originaria, cio` che e` uguale per tutti gli uomini; che il secolo XIX, oltre alla semplice liberta`, abbia fatto appello alla particolarita` dell’uomo e della sua prestazione, quella particolarita` che deriva dalla divisione del lavoro, che rende il singolo imparagonabile a qualunque altro e a volte indispensabile, ma che lo vincola anche ad una maggiore complementarita` con gli altri; che Nietzsche nella lotta senza quartiere degli uni contro gli altri, o il socialismo proprio nel tenere a freno questa lotta, abbiano visto le condizioni per il pieno sviluppo degli individui — ebbene, in tutto cio` agisce lo stesso motivo fondamentale: la resistenza del soggetto a venir livellato e dissolto all’interno di un meccanismo tecnicosociale. (...) La base psicologica su cui si erge il tipo delle individualita` metropolitane e` l’intensificazione della vita nervosa, che e` prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori.

individualita` generabilita`

* Georg Simmel, Die Grossta¨dte und das Geistensleben, Dresden, Jahrbuch der Gehe-Stiftung, 1903. Trad. it. La metropoli e la vita dello spirito, Roma, Armando, 1995, pag. 35-57.

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

I   :   

all’intensificazione della vita nervosa corrisponde un aumento del grado di intellettualita`

processo di adattamento della personalita` all’ambiente sociale della metropoli

L’uomo e` un essere che distingue, il che significa che la sua coscienza viene stimolata dalla differerenza fra l’impressione del momento e quella che precede; le impressioni che perdurano, che si differenziano poco, o che si succedono e si alternano con una regolarita` abitudinaria, consumano per cosı` dire meno coscienza che non l’accumularsi veloce di immagini cangianti, o il contrasto brusco che si avverte entro cio` che si abbraccia in uno sguardo, o ancora il carattere inatteso di impressioni che si impongono all’attenzione. Nella misura in cui la metropoli crea proprio queste ultime condizioni psicologiche – ad ogni attraversamento della strada, nel ritmo e nella varieta` della vita economica, professionale, sociale – essa crea gia` nelle fondamenta sensorie della vita psichica, nella quantita` di coscienza che ci richiede a causa della nostra organizzazione come esseri che distinguono, un profondo contrasto con la citta` di provincia e con la vita di campagna, con il ritmo piu` lento, piu` abitudinario e inalterato dell’immagine sensorio-spirituale della vita che queste comportano. Cio` innanzitutto permette di comprendere il carattere intellettualistico della vita psichica metropolitana, nel suo contrasto con quella della citta` di provincia, che e` basata per lo piu` sulla sentimentalita` e sulle relazioni affettive. Queste ultime si radicano negli strati meno consci della psiche e si sviluppano innanzitutto nella quieta ripetizione di abitudini ininterrotte. La sede dell’intelletto, invece, sono gli strati trasparenti consci e superiori della nostra psiche. L’intelletto e` la piu` adattabile delle nostre forze interiori: per venire a patti con i cambiamenti e i contrasti dei fenomeni non richiede quegli sconvolgimenti e quei drammi interiori che la sentimentalita`, a causa della sua natura conservatrice, richiederebbe necessariamente per adattarsi ad un ritmo analogo di esperienze. Cosı` il tipo metropolitano – che naturalmente e` circondato da mille modificazioni individuali – si crea un organo di difesa contro lo sradicamento di cui lo minacciano i flussi e le discrepanze del suo ambiente esteriore: anziche´ con l’insieme dei sentimenti, reagisce essenzialmente con l’intelletto, di cui il potenziamento della coscienza, prodotto dalle medesime cause, e` il presupposto psichico. Con cio` la reazione ai fenomeni viene spostata in quell’organo della psiche che e` il meno sensibile ed il piu` lontano dagli strati profondi della personalita`. Questo intellettualismo, che intendiamo come una difesa della vita soggettiva contro la violenza della metropoli, si ramifica e si interseca con molti altri fenomeni.

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

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L     

Le metropoli sono sempre state la sede dell’economia monetaria, poiche´ in esse la molteplicita` e la concentrazione dello scambio economico procurano al mezzo di scambio in se stesso un’importanza che la scarsita` del traffico rurale non avrebbe potuto mai generare. Ma economia monetaria e dominio dell’intelletto si corrispondono profondamente. A entrambi e` comune l’atteggiamento della mera neutralita` oggettiva con cui si trattano uomini e cose, un atteggiamento in cui una giustizia formale si unisce spesso a una durezza senza scrupoli. L’uomo puramente intellettuale e` indifferente a tutto cio` che e` propriamente individuale, perche´ da questo conseguono relazioni e reazioni che non si possono esaurire con l’intelletto logico – esattamente come nel principio del denaro l’individualita` dei fenomeni non entra. Il denaro infatti ha a che fare solo con cio` che e` comune ad ogni cosa, il valore di scambio, che riduce tutte le qualita` e le specificita` al livello di domande che riguardano solo la quantita`. Tutte le relazioni affettive tra le persone si basano sulla loro individualita`, mentre quelle intellettuali operano con gli uomini come se fossero dei numeri, come se fossero elementi di per se´ indifferenti, che interessano solo per il loro rendimento oggettivamente calcolabile. E` in questo modo che l’abitante della metropoli si rapporta con i suoi fornitori o con i suoi clienti, con i suoi servi e spesso anche con le persone che appartengono al suo ambiente sociale e con cui deve intrattenere qualche relazione, mentre in una cerchia piu` stretta l’inevitabile conoscenza delle indivualita` produce una altrettanto inevitabile colorazione affettiva del comportamento, che va al di la` del mero inquadramento oggettivo della relazione in termini di prestazione e controprestazione. Sul piano economico-psicologico, l’essenziale qui e` che in condizioni piu` primitive si produce per un cliente che ordina la merce, cosı` che produttore e cliente si conoscano reciprocamente. La metropoli moderna, al contrario, vive quasi esclusivamente della produzione per il mercato, cioe` per clienti totalmente sconosciuti, che non entrano mai nel raggio visuale del vero produttore. Questo fa sı` che l’interesse di entrambe le parti diventi di una spietata oggettivita`; il loro egoismo economico, basato sul calcolo intellettuale, non deve temere nessuna distrazione che provenga dall’imponderabilita` delle relazioni personali. E questo e` evidente-

la metropoli come sede dell’economia monetaria

economia monetaria e dominio dell’intelletto si corrispondono....

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

I   :   

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...in un rapporto di reciproca determinazione

al carattere calcolatore dello spirito moderno...

...corrisponde una rigida organizzazione sociale del tempo

mente in una corrispondenza cosı` stretta con l’economia monetaria che domina nelle metropoli – eliminandovi ogni resto di produzione per l’autoconsumo e di scambio immediato di merci, e riducendo sempre piu` il contatto diretto col cliente – che nessuno saprebbe dire se sia la disposizione intellettualistica dell’animo a spingere verso l’economia monetaria, oppure se sia quest’ultima a determinare la prima. Sicuro e` solo che la forma della vita metropolitana e` l’humus migliore per questa relazione di influenza reciproca; il che del resto potrebbe essere illustrato da quel detto del piu` noto storico della costituzione inglese: quello per cui, nel corso di tutta la storia dell’Inghilterra, Londra non avrebbe mai agito come il cuore del suo paese, avrebbe agito spesso come il suo cervello, e sempre, in ogni caso, come il suo portafogli! In un tratto apparentemente insignificante della superficie della vita convergono – il che e` caratteristico – le stesse tendenze psichiche. Lo spirito moderno e` diventato sempre piu` calcolatore. All’ideale delle scienze naturali, quello di trasformare il mondo intero in un calcolo, di fissarne ogni parte in formule matematiche, corrisponde l’esattezza calcolatrice della vita pratica che l’economia monetaria ha generato; solo quest’ultima ha riempito la giornata di tante persone con le attivita` del bilanciare, calcolare, definire numericamente, ridurre valori qualitativi a valori quantitativi. Il carattere calcolatore del denaro ha introdotto nelle relazioni fra gli elementi della vita una precisione, una sicurezza nella definizione di uguaglianze e disuguaglianze, una univocita` negli impegni e nei contratti, come quella che e` prodotta esteriormente dalla diffusione generalizzata degli orologi da tasca. Ma sono le condizioni della metropoli ad essere causa ed effetto di questo tratto caratteristico. Le relazioni e le faccende del tipico abitante della metropoli tendono infatti a essere molteplici e complesse: con la concentrazione fisica di tante persone dagli interessi cosı` differenziati, le relazioni e le attivita` di tutti si intrecciano in un organismo cosı` ramificato che senza la piu` precisa puntualita` negli accordi e nelle prestazioni il tutto sprofonderebbe in un caos inestricabile. Se tutti gli orologi di Berlino si mettessero di colpo a funzionare male andando avanti o indietro anche solo di un’ora, tutta la vita economica e sociale sarebbe compromessa molto a lungo. A

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

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L     

questo poi si aggiungerebbe – cosa irrilevante solo in apparenza – l’ampiezza delle distanze, che farebbe di ogni attesa e di ogni appuntamento mancato una perdita di tempo irreparabile. Di fatto, la tecnica della vita metropolitana non sarebbe neppure immaginabile se tutte le attivita` e le interazioni non fossero integrate in modo estremamente puntuale in uno schema temporale rigido e sovraindividuale. (...) Gli stessi fattori che attraverso l’esattezza e la precisione minuta della forma di vita sono cosı` confluiti in una forma di estrema impersonalita` tendono, d’altro canto, a produrre un risultato estremamente personale. Forse non esiste alcun fenomeno psichico cosı` irriducibilmente riservato alla metropoli come l’essere blase´. Innanzitutto, questo carattere e` conseguenza di quella rapida successione e di quella fitta concentrazione di stimoli nervosi contraddittori, dai quali ci e` sembrato derivare anche l’aumento dell’intellettualismo metropolitano; tanto e` vero che le persone sciocche e naturalmente prive di vita intellettuale non tendono affatto a essere blase´. Cosı` come la smoderatezza nei piaceri rende blase´ perche´ sollecita costantemente i nervi a reazioni cosı` forti che questi alla fine smettono di reagire, allo stesso modo anche le impressioni piu` blande impongono a chi e` sciocco o inerte, con la velocita` e la contraddittorieta` del loro alternarsi, delle risposte tanto violente da sbatacchiarlo per cosı` dire di qua e di la`, in modo tale da mobilitare anche le sue ultime riserve vitali, senza che egli abbia modo, rimanendo nello stesso ambiente, di raccoglierne di nuove. Questa incapacita` di reagire a nuovi stimoli con l’energia che competerebbe loro e` proprio il tratto essenziale del blase´: un tratto che, a ben vedere, gia` ogni bambino della metropoli mostra in confronto ai bambini di un ambiente piu` tranquillo e meno stimolante. Ma a questa fonte fisiologica del carattere blase´ che contraddistingue le metropoli se ne unisce una seconda, che deriva dall’economia monetaria. L’essenza dell’essere blase´ consiste nell’attutimento della sensibilita` rispetto alle differenze fra le cose, non nel senso che queste non siano percepite – come sarebbe il caso per un idiota – ma nel senso che il significato e il valore delle differenze, e con cio` il significato e il valore delle cose stesse, sono avvertiti come irrilevanti. Al blase´ tutto appare di un colore uniforme, grigio, opaco, incapace di suscitare preferenze. Ma questo

l’atteggiamento blase´ come forma psichica individuale

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

I   :   

la riservatezza come atteggiamento sociale

la metropoli consente all’individuo un inedito grado di liberta` personale

stato d’animo e` il fedele riflesso soggettivo dell’economia monetaria, quando questa sia riucita a penetrare fino in fondo. Nella misura in cui il denaro pesa tutta la varieta` delle cose in modo uniforme ed esprime tutte le differenze qualitative in termini quantitativi, nella misura in cui il denaro con la sua assenza di colori e la sua indifferenza si erge a equivalente universale di tutti i valori, esso diventa il piu` terribile livellatore, svuota senza scampo il nocciolo delle cose, la loro particolarita`, il loro valore individuale, la loro imparagonabilita`. Le cose galleggiano con lo stesso peso specifico nell’inarrestabile corrente del denaro, si situano tutte sullo stesso piano, differenziandosi unicamente per la superficie che ne ricoprono. (...) Ciascuno affronta individualmente questa forma di esistenza, e in qualche modo ne decide, ma la sua autoconservazione nei confronti della metropoli gli chiede d’altro canto un atteggiamento di natura sociale non meno negativo. Da un punto di vista formale, si potrebbe definire l’atteggiamento spirituale con cui gli abitanti della metropoli si rapportano gli uni con gli altri come riservatezza. In realta`, se al continuo contatto esteriore con una infinita` di persone dovesse corrispondere la stessa quantita` di reazioni interiori che si verifica in una citta` di provincia, dove ciascuno conosce quasi tutti quelli che incontra e dove si ha un rapporto effettivo con ognuno, ciascuno di noi diverrebbe interiormente del tutto disintegrato, e finiremmo per trovarci in una condizione psichica insostenibile. E` in parte questa condizione psicologica, e in parte la legittima diffidenza verso gli elementi della vita metropolitana con cui abbiamo contatti sporadici, a costringerci a quel riserbo a cui e` dovuto il fatto che spesso per anni non conosciamo neppure di vista i nostri vicini, e che ci fa apparire cosı` spesso freddi e insensibili all’abitante della piccola citta`. (...) Questa riservatezza, con la sua sfumatura di celata avversione, pare tuttavia ancora una forma o un rivestimento di una piu` generale essenza spirituale della metropoli. Questa concede infatti all’individuo un genere e un grado di liberta` personale di cui non esiste l’uguale in nessuna altra situazione: e con cio` ritorniamo ad una delle grandi tendenze di sviluppo della vita in societa` in quanto tale, una delle poche per le quali possiamo indicare una formula quasi universale. Lo stadio originario delle formazioni sociali, che si riscontra

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

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L     

sia nelle formazioni storiche sia in quelle che si vanno plasmando sotto i nostri occhi, e` quello di una cerchia relativamente piccola, con una forte chiusura verso le cerchie vicine, estranee o in qualche modo antagoniste, ma con una coesione cosı` stretta al suo interno da permettere al singolo solo un raggio d’azione limitato sia per lo sviluppo delle sue qualita` particolari sia per movimenti liberi e responsabili. Cosı` iniziano gruppi politici e famigliari, partiti, associazioni religiose; l’autoconservazione di unioni molto giovani richiede dei limiti severi e un’unita` fortemente concentrata, e non puo` quindi concedere all’individuo nessuna liberta` e nessuna particolarita` di sviluppo, tanto interiormente quanto esteriormente. Ma a partire da questo stadio l’evoluzione sociale si muove contemporaneamente in due direzioni differenti e tuttavia complementari. Nella misura in cui il gruppo cresce – nel numero, nello spazio, per importanza e contenuti di vita – la sua unita` interna immediata si allenta, la nettezza dei suoi confini originali viene mitigata da relazioni e connessioni con altri gruppi; e contemporaneamente l’individuo guadagna una liberta` di movimento che va ben oltre i vincoli posti dapprima dalla gelosia del gruppo, e sviluppa una specificita` e una peculiarita` che sono rese possibili e necessarie dalla divisione sociale del lavoro all’interno del gruppo ingrandito. Secondo questo schema si sono sviluppati lo Stato e il cristianesimo, corporazioni e partiti politici, e infiniti altri gruppi, anche se ovviamente condizioni e forze particolari possono modificarne lo schema generale. Ad ogni modo questo schema mi sembra riconoscibile chiaramente anche nello sviluppo dell’individualita` nella vita cittadina. La vita della piccola citta`, nell’antichita` come nel Medio Evo, imponeva al singolo tali limiti di movimento e di relazione all’esterno, e di indipendenza e differenziazione all’interno, che l’uomo moderno vi avrebbe l’impressione di soffocare; e ancora oggi l’abitante della metropoli che si trasferisca in una citta` di provincia avverte qualcosa di analogo, almeno per quanto riguarda la qualita` dei limiti. Quanto piu` piccola e` la cerchia che forma il nostro ambiente, e limitate sono le relazioni che ne oltrepassano i confini, tanto piu` ansiosamente questa cerchia sorveglia le prestazioni, la condotta e le convinzioni dell’individuo affinche´ nulla di troppo peculiare – quantitativamente e qualitativamente – faccia saltare il quadro d’insieme. (...)

le dimensioni del gruppo di appartenenza definiscono le relazioni all’interno e con l’esterno

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

I   :   

la metropoli rende l’individuo indipendente, in grado di esprimere la propria individualita`... ...ma lo espone alla solitudine

la metropoli come luogo del cosmopolitismo

Come nel feudalesimo l’uomo «libero» era colui che era soggetto al diritto del paese, vale a dire al diritto della cerchia sociale piu` vasta, e non-libero era chi attingeva il proprio diritto solo dalla cerchia ristretta di relazioni feudali, che escludeva i diritti piu` ampi, cosı` oggi, in un senso sublimato e raffinato, l’uomo metropolitano e` «libero» in confronto alle piccinerie e ai pregiudizi che limitano l’orizzonte di chi vive nella citta` di provincia. Il riserbo e l’indifferenza reciproci – i presupposti spirituali delle cerchie piu` ampie – non sono mai avvertiti piu` fortemente nei loro effetti sull’indipendenza dell’individuo che nella piu` densa confusione della metropoli, dove la vicinanza e l’angustia dei corpi rendono piu` sensibile la distanza psichica. Ed e` solo l’altra faccia di questa liberta` il fatto che a volte non ci si senta da nessuna parte cosı` soli e abbandonati come nel brulichio della metropoli: qui come altrove, non e` detto affatto che la liberta` dell’uomo si debba manifestare come un sentimento di benessere nella sua vita affettiva. Non e` solo la grandezza immediata del territorio e della popolazione a far sı` che la metropoli, in virtu` della correlazione universale che sussiste tra l’aumento della cerchia e la liberta` interna ed esterna della persona, sia la sede ideale di quest’ultima: al di la` della loro ampiezza, le metropoli sono il luogo del cosmopolitismo. Una volta che sia superata una certa soglia, il raggio visuale, le relazioni economiche, personali, spirituali e il perimetro ideale della citta` aumentano in progressione geometrica – un po’ come si sviluppano i patrimoni, per cui al di la` di un certo ammontare la proprieta` tende a crescere da se´ in progressione accelerata. Ogni incremento acquisito non e` staffetta di un uguale incremento successivo, ma di uno piu` ampio; ogni filo che se ne dirama ne aggancia sempre altri, proprio come nella citta` l’unearned increment della rendita fondiaria porta al proprietario guadagni automaticamente crescenti grazie al semplice aumento del traffico. La quantita` della vita si traduce immediatamente in qualita` e carattere. La sfera di vita della citta` di provincia si conclude sostanzialmente in essa e con essa. Per la metropoli, invece, e` decisivo il fatto che la sua vita interiore si espande in onde concentriche su di un’ampia area nazionale o internazionale. (...) Le citta` sono anzitutto le sedi della divisione del lavoro piu`

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

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L     

sviluppata; in questo campo producono fenomeni estremi come a Parigi, ad esempio, la proficua professione del Quatorzie`me, persone individuabili attraverso cartelli apposti sul portone di casa, che all’ora di pranzo si tengono pronte vestite di tutto punto per poter essere chiamate rapidamente la` dove ci si trovi in tredici a tavola. Mano a mano che si espande, la citta` offre sempre di piu` le condizioni fondamentali della divisione del lavoro: una cerchia che per la sua grandezza e` capace di accogliere una grande e variegata quantita` di prestazioni, mentre contemporaneamente la concentrazione degli individui e la loro concorrenza per gli acquirenti costringe ciascuno a specializzarsi in modo tale da non rischiare di essere sostituito da altri. Il punto decisivo e` che la vita urbana ha trasformato la lotta con la natura per il cibo in una lotta per l’uomo: che la posta in palio non viene data dalla natura, ma dall’uomo. Qui infatti non si tratta solo della specializzazione, di cui si e` detto, ma di qualcosa di piu` profondo: del fatto che l’offerente deve cercare di suscitare bisogni sempre nuovi e sempre piu` specifici nelle persone a cui si rivolge. La necessita` di specializzare la propria prestazione per trovare una fonte di guadagno non ancora esaurita, una funzione non facilmente sostituibile, spinge a differenziare, raffinare e arricchire i bisogni del pubblico – il che del resto porta evidentemente e necessariamente ad una differenziazione personale crescente all’interno del pubblico stesso. E cio` conduce, a sua volta, alla individualizzazione spirituale delle qualita` psichiche in senso stretto, cui la citta` da` occasione in virtu` della sua ampiezza. Una serie di cause e` evidente. Innanzitutto, la difficolta` di mettere in risalto la propria personalita` all’interno delle dimensioni della vita metropolitana. Dove l’aumento quantitativo del valore e dell’energia ha toccato il limite, si ricorre alla particolarizzazione qualitativa per poter attirare su di se´ in qualche modo, grazie alla stimolazione del senso delle differenze, l’attenzione del proprio ambiente: cio` che finisce per portare alle eccentricita` piu` arbitrarie, alle stravaganze tipicamente metropolitane della ricercatezza, dei capricci, della preziosita`, il cui senso non sta piu` nei contenuti di tali condotte, bensı` solo nell’apparire diversi, nel distinguersi e nel farsi notare – il che in definitiva rimane per molti l’unico mezzo per salvare, attraverso l’attenzione degli altri, una qualche stima di se´ e la coscienza di occupare un posto.

la metropoli come espressione piu` sviluppata della divisione del lavoro

laddove l’offerta e` ampia occorre suscitare nuovi bisogni per rafforzare la domanda

il desiderio di distinguersi conduce ad atteggiamenti eccentrici

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

I   :   

atrofia della cultura soggettiva ipertrofia della cultura oggettiva...

...come effetto della divisione del lavoro

Nello stesso senso agisce del resto un altro elemento impercettibile, i cui effetti finiscono pero` per sommarsi e diventare ben visibili: la brevita` e la rarita` degli incontri che, in confronto alle relazioni quotidiane della piccola citta`, sono concessi a ciascuno. La tentazione di presentarsi in modo arguto, conciso, possibilmente caratteristico, e` infatti straordinariamente piu` forte in questo caso che la` dove la frequenza e la durata degli incontri fornisce a ciascuno un’immagine inequivocabile della personalita` dell’altro. Ma il motivo piu` profondo per cui e` proprio la metropoli che favorisce la tendenza alla massima individualita` dell’esistenza personale – e non importa se cio` avvenga sempre in modo giustificato o con successo – mi pare il seguente: lo sviluppo della cultura moderna si caratterizza per la preponderanza di cio` che si puo` chiamare lo spirito oggettivo sullo spirito soggettivo; in altre parole, nel linguaggio come nel diritto, nella tecnica della produzione come nell’arte, nella scienza come negli oggetti di uso domestico, e` incorporata una quantita` di spirito al cui quotidiano aumentare lo sviluppo spirituale dei soggetti puo` tener dietro solo in modo incompleto e con distacco sempre crescente. Se consideriamo l’immensa quantita` di cultura che si e` incorporata negli ultimi cent’anni in cose e conoscenze, in istituzioni e in comodita`, e la paragoniamo con il progresso culturale degli individui nel medesimo lasso di tempo – anche solo nei ceti piu` elevati – fra i due processi si mostra una terrificante differenza di crescita, e addirittura, per certi versi, un regresso della cultura degli individui in termini di spiritualita`, delicatezza, idealismo. Questa sproporzione e` essenzialmente effetto della crescente divisione del lavoro; questa richiede infatti al singolo una prestazione sempre piu` unilaterale, il cui piu` alto potenziamento determina spesso un deperimento della sua personalita` complessiva. In ogni caso, l’individuo e` sempre meno all’altezza dello sviluppo lussureggiante della cultura oggettiva. Forse meno nella coscienza che nei fatti, e nei confusi sentimenti che ne derivano, l’individuo e` ridotto ad una quantite´ ne´gligeable, ad un granello di sabbia di fronte a un’organizzazione immensa di cose e di forze che gli sottraggono tutti i progressi, le spiritualita` e i valori, trasferiti via via dalla loro forma soggettiva a quella di una vita puramente oggettiva. Occorre appena ricordare che le metropoli sono i veri palcoscenici di questa cultura che eccede e sovrasta ogni elemento personale. Qui, nelle costruzioni e nei luoghi di insegnamento, nei

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

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L     

miracoli e nel comfort di una tecnica che annulla le distanze, nelle formazioni della vita comunitaria e nelle istituzioni visibili dello Stato, si manifesta una pienezza dello spirito cristallizzato e fattosi impersonale cosı` soverchiante che, per cosı` dire, la personalita` non puo` reggere il confronto. Da una parte la vita le viene resa infinitamente facile, poiche´ le si offrono da ogni parte stimoli, interessi, modi di riempire il tempo e la coscienza, che la prendono quasi in una corrente dove i movimenti autonomi del nuoto non sembrano neppure piu` necessari. Dall’altra, pero`, la vita e` costituita sempre piu` di questi contenuti e rappresentazioni impersonali, che tendono a eliminare le colorazioni e le idiosincrasie piu` intimamente singolari; cosı` l’elemento piu` personale, per salvarsi, deve dar prova di una singolarita` e una particolarita` estreme: deve esagerare per farsi sentire, anche da se stesso. L’atrofia della cultura individuale dovuta all’ipertrofia di quella oggettiva e` una delle ragioni dell’odio feroce che i predicatori dell’individualismo estremo, a cominciare da Nietzsche, nutrono per le metropoli, ma anche una ragione del fatto che essi siano cosı` appassionatamente amati proprio nelle metropoli, dal momento che appaiono al loro abitante i profeti e i redentori della sua nostalgia inappagata. Se chiediamo quale sia la posizione storica di queste due forme di individualismo, entrambe alimentate dalle condizioni quantitative della grande citta` (l’indipendenza individuale e lo sviluppo dell’originalita` o peculiarita` personale), la metropoli acquista un valore del tutto nuovo nella storia universale dello spirito. Il diciottesimo secolo aveva trovato l’individuo avvolto in relazioni politiche e agrarie, corporative e religiose, che lo violentavano e avevano perduto ogni significato: restrizioni che imponevano all’uomo per cosı` dire, una forma innaturale e delle ineguaglianze che ormai da tempo erano avvertite come ingiuste. In questa situazione si levo` l’appello alla liberta` e all’uguaglianza – la fede nella completa liberta` di movimento dell’individuo in tutti i rapporti sociali e spirituali, che avrebbe fatto emergere in tutti quel nocciolo di nobilta` comune posto in ognuno dalla natura e deformato dalla storia e dalla societa`. Accanto a questo ideale liberale, nel diciannovesimo secolo se ne e` sviluppato un altro, da un lato per opera di Goethe e del romanticismo, dall’altro a causa della divisione economica del lavoro: l’ideale per cui gli individui,

indipendenza individuale peculiarita` personale

1700 universalismo

1800 individualismo

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

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liberati dai legami storici, si debbono anche distinguere tra loro. Non piu` «l’uomo universale» in ogni singolo individuo, ma proprio l’unicita` e la insostituibilita` qualitativa del singolo sono ora i depositari del suo valore. Nella lotta e negli intrecci mutevoli fra questi due modi di concepire il posto del soggetto all’interno della totalita` si svolge la storia esteriore e interiore del nostro tempo. La funzione delle metropoli e` di fornire uno spazio per il contrasto e per i tentativi di conciliazione di queste due tendenze, nella misura in cui le loro condizioni specifiche sono – come abbiamo mostrato – occasione e stimolo per lo sviluppo di entrambe. Con cio` esse acquistano una posizione unica, carica di significati incalcolabili, nello sviluppo della realta` spirituale e si rivelano come una di quelle grandi formazioni storiche in cui le correnti contrapposte che abbracciano l’insieme della vita si uniscono e si dispiegano con pari dignita`.

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Parte quarta Max Weber

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 La riforma protestante e la nascita del capitalismo moderno*

. Il capitalismo moderno come forma inedita di comportamento economico La sete di lucro, l’aspirazione a guadagnare denaro piu` che sia possibile, non ha di per se stessa nulla in comune col capitalismo. Quest’aspirazione si ritrova presso camerieri, medici, cocchieri, artisti, cocottes, impiegati corruttibili, soldati, banditi, presso i crociati, i frequentatori di bische, i mendicanti; si puo` dire presso all sorts and conditions of men, in tutte le epoche di tutti i paesi della terra, dove c’era e c’e` la possibilita` obiettiva. Dovrebbe ormai entrare nei piu` rudimentali elementi della educazione storica l’abbandonare una volta per sempre questa ingenua definizione del concetto di capitalismo. Brama immoderata di guadagno non e` affatto identica col capitalismo, tanto meno corrisponde allo «spirito» di questo. Il capitalismo puo` anzi identificarsi con un disciplinamento o per lo meno con un razionale temperamento di un tale impulso irrazionale. In ogni caso, il capitalismo e` identico colla tendenza al guadagno in una razionale e continua impresa capitalistica, al guadagno sempre rinnovato, cioe` alla rendibilita`. E cosı` esso deve essere. In un ordinamento capitalistico di tutta l’economia, una singola intrapresa capitalistica, che non si orientasse secondo l’eventualita` di raggiungere la «rendibilita`» sarebbe condannata a perire. Definiamolo piu` esattamente di quel che non si faccia generalmente.

il capitalismo si basa su comportamenti razionali... ...finalizzati alla rendibilita` degli investimenti

* Max Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, (1904-5) in Gesammelte Aufsa¨tze zur Religionssoziologie, Tu¨bingen, Mohr, 1922. L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze, 19773, pag. 67-77, 100-106, 128-129, 138-145, 162-163, 176-179, 185-192, 197, 261, 263, 273-274, 289-290, 303-306.

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

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la prospettiva di guadagno e` su basi formalmente pacifiche...

...l’azione e` orientata secondo il calcolo del capitale...

...sulla base di un bilancio iniziale...

...e un bilancio di chiusura

Un atto economico capitalistico significa per noi un atto che si basa sull’aspettativa di guadagno derivante dallo sfruttare abilmente le congiunture dello scambio, dunque da probabilita` di guadagno formalmente pacifiche. L’acquisto violento (formale ed attuale) segue le sue leggi particolari, e non e` utile – se anche non si possa proibire di farlo – porlo sotto la stessa categoria coll’attivita` orientata secondo le probabilita` di guadagno nello scambio. Quando si tende in modo razionale al guadagno capitalistico, l’azione corrispondente e` orientata secondo il calcolo del capitale. Cio` vuol dire che essa e` ordinata secondo un impiego prestabilito di prestazioni reali o personali quali mezzi per conseguire un profitto, in modo tale che la consistenza patrimoniale stimata in denaro alla chiusa dei conti superi il capitale, ossia il valore di stima, messo in bilancio, dei beni strumentali reali impiegati nell’acquisto a mezzo dello scambio. Nel caso di una impresa continua la consistenza patrimoniale in denaro calcolata periodicamente in bilancio deve periodicamente superare il capitale. Sia che si tratti di un complesso di merci in natura consegnate in commenda ad un mercante viaggiatore il cui profitto finale puo` consistere in altre merci in natura, o di una fabbrica i cui singoli impianti, edifici, macchine, scorte di denaro, materie prime, prodotti ultimati e semi-lavorati rappresentano esigenze cui corrispondono impegni: l’importante e` questo, che venga fatto un calcolo del capitale espresso in denaro, sia in modo moderno con libri regolari, sia in modo primitivo e superficiale. Ed all’inizio dell’impresa ha luogo del pari un bilancio iniziale, come prima di ogni singolo atto commerciale un calcolo per controllo e saggio della rispondenza dell’atto allo scopo prefisso, e alla chiusura, per accertare quel che si e` guadagnato, si ha un calcolo retrospettivo: il bilancio di chiusura. Il bilancio iniziale di una commenda e` per esempio l’accertamento del valore espresso in denaro che debbono avere per le parti contraenti le merci, in quanto esse non siano gia` di per se stesse denaro; il bilancio di chiusura e` la stima finale che e` fondamento della ripartizione del guadagno e della perdita. Un calcolo e` a fondamento di ogni singolo atto dell’accomandatario, qualora questo agisca razionalmente. (...) Per il concetto questo solo importa: che il confronto fra il risultato calcolato in denaro e l’apporto calcolato in denaro, in qualunque forma, anche primitiva, esso si faccia, determini l’atto

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

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economico. In questo senso ci sono stati «capitalismo» ed «imprese capitalistiche» anche con una certa razionalita` nel calcolo del capitale in tutti i paesi civili del mondo; perlomeno fin dove risalgono i documenti economici che possediamo. (...) Ma in Occidente ha un grado d’importanza che non si riscontra altrove; e di questa importanza danno la ragione le specie e forme ed indirizzi del capitalismo che non sono sorti in altri luoghi. In tutto il mondo ci sono stati mercanti dediti al commercio all’ingrosso e al dettaglio, locale ed in paesi lontani, vi sono stati prestiti di ogni specie, sono state molto diffuse banche con funzioni diversissime, ma perlomeno simili nella sostanza a quelle delle banche del nostro sedicesimo secolo; prestiti marittimi, affari e societa` in accomandita, commende sono stati professionalmente molto diffusi. Sempre, dove furono finanze a base monetaria degli enti pubblici fece la sua apparizione il banchiere; in Babilonia, in Grecia, in India, in Cina ed a Roma; per il finanziamento anzitutto delle guerre e della pirateria, per forniture e lavori d’ogni genere, nella politica coloniale come colonizzatori, piantatori o conduttori di concessioni a schiavi o con lavoratori costretti in varie forme; per la concessione in appalto di demani, di uffici, e sopratutto di imposte, per il finanziamento di capi-partito per le elezioni e di condottieri per la guerra civile; insomma, come speculatori su probabilita` di ogni sorta valutabili in denaro. Questa specie d’imprenditori: gli avventurieri capitalistici, ci sono stati in tutto il mondo. Le loro possibilita` erano – ad eccezione del commercio e degli affari di credito e di banca – o di carattere puramente irrazionale speculativo od erano orientate verso l’acquisto merce´ la violenza, verso la preda, sia che fosse bottino occasionale di guerra o bottino cronico e fiscale, cioe` la spogliazione dei sudditi. (...) Ma l’Occidente conosce nell’epoca moderna una specie di capitalismo ben diverso e che altrove non si e` mai sviluppato: l’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero. La stessa organizzazione del lavoro non libero raggiunse solo nelle piantagioni e, in una misura molto limitata, negli ergasteri dell’antichita` un certo grado di razionalita`; ed ebbe un grado di razionalita` ancor minore nelle curtes e fabbriche e industrie domestiche dei grandi possessi agrari col lavoro degli schiavi e dei servi della gleba nel principio dell’eta` moderna. Per il lavoro libero sono documentate, fuori dell’Occidente, vere e proprie «industrie domestiche»

il capitalismo come organizzazione razionale del lavoro formalmente libero...

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

I   :   

...orientato secondo le congiunture del mercato

la separazione giuridica del capitale dell’azienda la tenuta razionale dei libri

capitalismo ed evoluzione tecnologica

in occidente le conoscenze scientifiche furono messe al servizio del capitalismo...

solo in casi isolati e l’impiego di salariati giornalieri che naturalmente si trova dappertutto, all’infuori di eccezioni molto rare e particolarissime, tuttavia ben lontane dalle organizzazioni industriali moderne (si trattava in specie di monopoli di Stato), non produsse mai grandi manifatture e neppure un’organizzazione razionale di mestiere a tipo patronale sullo stampo di quella del nostro Medioevo. L’organizzazione razionale dell’industria orientata secondo le congiunture del mercato e non secondo probabilita` politiche od irrazionalmente speculative, non e` pero` l’unico fenomeno particolare del capitalismo occidentale. L’organizzazione razionale moderna dell’attivita` capitalistica non sarebbe stata possibile senza altri due importanti elementi del suo sviluppo: la separazione dell’amministrazione domestica dell’azienda, che ormai domina la vita economica odierna; e strettamente connessa a questa, la tenuta razionale dei libri. Separazione materiale di locali di lavoro o di vendita dalla abitazione si trova anche altrove (nel bazar orientale e negli ergasteri di altre civilta`). Anche la creazione di associazioni capitalistiche con separata contabilita` dell’azienda si ritrova nell’Asia orientale, nel vicino Oriente e nell’antichita` classica. Ma di fronte all’autonomia delle aziende moderne questi sono soltanto tentativi. E in particolare per la ragione che mancano del tutto o sono appena agli inizi del loro sviluppo i presupposti di questa autonomia: tanto la nostra tenuta razionale dei libri, quanto la nostra separazione giuridica di capitale dell’azienda e di patrimonio personale. (...) Il capitalismo specificatamente occidentale e` stato, evidentemente, determinato in forte misura anche dallo sviluppo delle possibilita` tecniche. La sua razionalita` e` oggi fortemente condizionata dalla calcolabilita` dei fattori tecnici decisivi; dal fondamento insomma di un calcolo esatto; il che, in realta`, significa dal particolare carattere della scienza europea, specialmente delle scienze naturali a fondamento razionale, sperimentale e matematico. Lo sviluppo di queste scienze e della tecnica che si basa su di esse, ricevette a sua volta e riceve tuttora impulsi decisivi dalle probabilita` di rendimento capitalistico, che si connettono alla loro applicazione economica come « premi ». Ma il sorgere della scienza occidentale non e` stato determinato da tali chances. Anche gli Indiani hanno avuto la loro algebra, hanno calcolato con numeri astronomici, essi che hanno inventato

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

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L        

il sistema numerico sulla base della posizione, che solo in Occidente fu usato a servizio del capitalismo, nel suo sviluppo, ma che in India non dette origine a nessun calcolo o sistema di bilancio moderno. Anche le origini della matematica e della meccanica non furono condizionate da interessi capitalistici. Ma ne fu condizionata l’applicazione tecnica di cognizioni scientifiche; questo fatto decisivo per l’ordinamento della vita delle nostre masse, fu condizionato da «premi» economici, che proprio in Occidente vi furono connessi. Questi «premi» od investimenti derivavano dallo speciale ordinamento sociale dell’Occidente. Bisogna dunque chiedersi da quali elementi di questo speciale ordinamento, poiche´, senza dubbio, non tutti vi influirono in ugual modo. Agli elementi indubbiamente influenti appartiene la razionale struttura del diritto e della amministrazione. Poiche´ il capitalismo moderno industriale su basi razionali, ha bisogno, al pari dei mezzi tecnici calcolabili, di un diritto di cui si possa fare calcolo e di una amministrazione secondo regole formali, senza dei quali sono bensı` possibili un capitalismo d’avventure e speculativo ed ogni sorta di capitalismo politico, ma non un’industria privata, razionale, con capitale fisso e calcolo sicuro. Ma un tale diritto ed una tale amministrazione, con una tale perfezione tecnico-giuridica e formalistica, solo l’Occidente l’assicuro` ai dirigenti dell’economia. Di dove ebbe l’Occidente un tale sistema giuridico? – ci si dovra` dunque chiedere. Certamente anche interessi capitalistici, insieme con altre circostanze, hanno da parte loro spianato la via nelle curie e nelle amministrazioni al ceto dei giuristi, addottrinati nel diritto razionale, come lo dimostrano tutte le indagini storiche. Ma non furono questi soltanto e neppure principalmente. E non questi interessi hanno creato quel diritto; ma forze del tutto diverse agirono in questo svolgimento. E perche´ gli interessi capitalistici non agirono nello stesso senso nella Cina o nell’India? Perche´ non indirizzarono ne´ lo svolgimento scientifico, ne´ quello artistico, ne´ quello statale, ne´ quello economico in quelle vie della «razionalizzazione» che sono proprie dell’Occidente? Poiche´ in tutti i particolari casi citati si tratta manifestamente di uno speciale «razionalismo» della civilta` occidentale. (...) Si giunge percio` a questo problema: cercar di spiegare il particolare carattere del razionalismo occidentale, ed in seno a questo, di quello moderno, e le sue origini. Ogni tentativo di

...che trovo` terreno fertile per il suo sviluppo nella struttura razionale del diritto e dell’amministrazione

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

I   :   

spiegazione del genere deve, data l’importanza fondamentale dell’economia, aver riguardo soprattutto alle condizioni economiche. Ma non deve rimanere inosservato anche il rapporto causale inverso. Poiche´ il razionalismo economico dipende principalmente, oltre che dalla razionalita` della tecnica e del diritto, dalla capacita` e dalla disposizione degli uomini a determinate forme di condotta pratico-razionale nella vita. Quando questa era impedita da ostacoli di natura psicologica anche la razionale condotta economica urto` in gravi resistenze interne. Tra gli elementi piu` importanti che informavano in tutti i paesi la condotta degli uomini, appartennero nel passato le forze magiche e religiose e le idee dei doveri strettamente connessi con tali credenze. (...)

. Come considerare la relazione tra orientamenti etici e comportamenti economici

gli orientamenti religiosi come una delle concause che hanno determinato l’affermazione del capitalismo moderno

Noi trattiamo, per i fini che ci siamo proposti, di aspetti della Riforma, che alla coscienza religiosa debbono apparire periferici o addirittura estranei. Poiche´ si tentera` unicamente di rendere un po’ piu` chiaro il filo, che motivi religiosi hanno introdotto nel tessuto della nostra civilta` moderna sorta da innumerevoli singoli motivi storici, e rivolta a fini specificamente terreni. Noi ci chiediamo soltanto quali di taluni contenuti caratteristici di questa civilta` possano essere attribuiti, come a loro causa storica, alla Riforma. In questa indagine noi dobbiamo certamente liberarci dall’opinione che si possa dedurre la necessita` della Riforma nell’evoluzione storica da spostamenti delle basi economiche. Fu necessaria la cooperazione di innumerevoli gruppi di fatti storici, che non rientrano non soltanto in nessuna legge economica, ma addirittura in nessun punto di vista economico, sopra tutto di eventi puramente politici, perche´ le Chiese recentemente create potessero continuare ad esistere. Ma d’altra parte non si deve combattere per una tesi cosı` pazzamente dottrinaria come sarebbe la seguente: che lo «spirito capitalistico» (sempre preso nel senso da noi provvisoriamente dato finora a questa parola) sia potuto sorgere solo come emanazione di determinate influenze della Riforma o che addirittura il capitalismo come sistema economico sia un prodotto della Riforma. Gia` il fatto che alcune importanti forme di aziende

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capitalistiche sono notoriamente assai piu` antiche della Riforma si oppone una volta per sempre ad una tale opinione. Ma si deve porre in chiaro soltanto se ed in quanto influenze religiose abbiano avuto parte nella formazione qualitativa e nella espansione quantitativa di quello «spirito» nel mondo e quali lati concreti della civilta` che posa su basi capitalistiche derivino da tali influenze. Su questa indagine, tenuto conto dell’immensa confusione di reciproci influssi tra le basi materiali, le forme d’organizzazione sociale e politica, e il contenuto spirituale dei periodi storici della Riforma, si puo` procedere solo cosı`; indagare per prima se ed in quali tratti siano riconoscibili determinate affinita` elettive tra alcune forme di fede religiosa e di etica professionale. Con cio` stesso si illumina, per quanto e` possibile, il modo e l’indirizzo generale, secondo i quali il movimento religioso, in forza di tali affinita`, influenzo` lo svolgimento della civilta` economica. Solo dopo che cio` sia stato posto in chiaro, si potra` tentare di valutare in qual misura a motivi religiosi o ad altri debba essere attribuita l’origine storica dei vari elementi che formano il contenuto della nostra moderna civilta`.

. Lo spirito del capitalismo, ovvero: l’etica professionale (...) Se si deve dunque fermare l’oggetto, che si vuole analizzare e spiegare storicamente, non si potra` avere una definizione concettuale; ma dapprima soltanto una considerazione provvisoria di quel che si intende per spirito del capitalismo. Un tale sguardo d’insieme e` infatti indispensabile per intenderci circa la materia della nostra indagine, e per raggiungere questo scopo ci atteniamo a un documento di quello « spirito » che contiene, in una purezza quasi classica, quel che per ora ci interessa, ed offre al tempo stesso il vantaggio di esser libero da ogni rapporto diretto con argomenti religiosi, di esser dunque, per il nostro tema, senza presupposti: Ricordati che il tempo `e denaro. Chi potrebbe guadagnare col suo lavoro dieci scellini al giorno, e va a passeggio mezza giornata, o fa il poltrone nella sua stanza, se anche spende solo sei pence per i suoi piaceri, non deve contare solo questi; oltre a questi egli ha speso, anzi buttato via, anche cinque scellini.

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Ricordati che il credito `e denaro. Se uno lascia presso di me il suo denaro esigibile, mi regala gli interessi, o quanto io in questo tempo posso prenderne. Cio` ammonta ad una somma considerevole se un uomo ha molto e buon credito, e ne fa buon uso. Ricordati che il denaro `e di sua natura fecondo e produttivo. Il denaro puo` produrre denaro, ed i frutti possono ancora produrne e cosı` via. Cinque scellini impiegati diventano sei, e di nuovo impiegati sette scellini e tre pence e cosı` via finche´ diventano cento lire sterline. Quanto piu` denaro e` disponibile, tanto piu` se ne produce nell’impiego, cosı` che l’utile sale sempre piu` alto. Chi uccide una scrofa, uccide tutta la sua discendenza fino al millesimo maialino. Chi getta via un pezzo di cinque scellini, uccide (!) tutto quel che si sarebbe potuto produrre con esso: intere colonne di lire sterline. Ricordati che – come dice il proverbio – chi paga puntualmente `e il padrone della borsa di ciascuno. Colui di cui si sa che paga puntualmente alla data promessa, puo` in ogni tempo prendere a prestito tutto il denaro, di cui i suoi amici non hanno bisogno. Cio` e` di grande utilita`. Insieme colla diligenza e colla sobrieta`, niente aiuta un giovane a farsi la sua strada nel mondo, quanto la puntualita` e l’esattezza in tutti i suoi affari. Percio` non tener mai il denaro preso a prestito un’ora di piu` di quel che tu hai promesso, acciocche´ il risentimento del tuo amico per il ritardo, non ti chiuda per sempre la sua borsa. Le azioni piu` insignificanti, che hanno influenza sul credito di un uomo, debbono esser da lui tenute in considerazione. Il colpo del tuo martello, che il tuo creditore sente alle cinque del mattino od alle otto di sera, lo rende tranquillo per sei mesi; se ti vede al bigliardo o ode la tua voce all’osteria, quando dovresti essere al lavoro, la mattina seguente ti cita per il pagamento ed esige il suo denaro prima che tu l’abbia disponibile. Inoltre cio` mostra che tu hai memoria per i tuoi debiti; ti fa figurare come uomo non solo preciso, ma anche d’onore, e cio` aumenta il tuo credito. Guardati dal ritenere per tua proprieta` tutto quel che possiedi e dal vivere secondo tale idea. Su tale illusione cadono molte persone, che hanno credito. Per evitar cio`, tieni calcolo esatto delle tue spese e della tua rendita. Se ti prendi una volta la pena di osservare i piccoli dettagli, cio` dara` il seguente buon risultato: scoprirai quali piccolissime spese salgano a poco a poco a grandi somme e noterai quel che si sarebbe potuto risparmiare e quel che si potra` risparmiare in avvenire.

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

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L        

Per sei sterline all’anno puoi aver l’uso di 100 sterline, dato che tu sia un uomo di nota avvedutezza ed onesta`. Chi spende inutilmente un grosso al giorno, spende inutilmente sei sterline all’anno, e questa somma e` il prezzo per l’uso di cento sterline. Chi perde ogni giorno una parte del proprio tempo per il valore di un grosso e possono essere solo due minuti, perde, da un giorno dietro l’altro, il privilegio di usare 100 sterline per un anno. Chi spreca tempo per il valore di 5 scellini, perde cinque scellini, e potrebbe del pari gettare cinque scellini in mare. Chi perde cinque scellini, non perde soltanto questa somma, ma tutto quello che si sarebbe potuto guadagnare con essa impiegandola nell’industria, il che, se si tratti di un giovane che raggiunga poi un’eta` avanzata, ammonta ad una somma assai considerevole. E` Beniamino Franklin colui che ci predica questi aforismi. (...) In realta` e` essenziale alla nostra materia il fatto che qui venga predicata, non una tecnica di vita, ma una particolare etica, la cui violazione viene trattata non come pazzia, ma come una specie di negligenza dei propri doveri. (...) Il guadagno e` considerato come scopo della vita dell’uomo, e non piu` come mezzo per soddisfare i suoi bisogni materiali. Questa inversione del rapporto naturale, che e` addirittura priva di senso per il modo di sentire comune, e` manifestamente un motivo fondamentale del capitalismo cosı` come e` estranea all’uomo non tocco dal suo soffio. Ma essa contiene al tempo stesso una serie di sentimenti, che sono in stretta connessione con talune concezioni religiose. Se infatti si domanda perche´ gli uomini devono far denaro, Beniamino Franklin nella sua autobiografia risponde, benche´ egli fosse un deista aconfessionale, con un versetto della Bibbia, e ricorda che il padre suo, severamente calvinista, da giovane gli aveva sempre impresso: «Se vedi un uomo prestante nella sua professione, e` segno che egli puo` apparire dinanzi ai Re». Il guadagno di denaro e` – in quanto avvenga in modo lecito – il risultato e l’espressione della abilita` nella professione, e tale abilita` costituisce, cosı` ora ci e` dato facilmente di riconoscere, l’alpha e l’omega della morale di Franklin come appare nel passo citato ed in tutti gli altri suoi scritti senza eccezione. Il concetto infatti del dovere professionale, a noi oggi cosı` ovvio ed in realta` di per se stesso cosı` poco comprensibile; il concetto di un’obbligazione morale, che il singolo deve sentire e

1706-1790 Scrittore, scienziato, uomo politico americano

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

I   :   

sente di fronte all’oggetto della sua attivita` professionale, qualunque essa sia, ed indipendentemente dal fatto che al modo di sentire comune essa appaia una semplice valorizzazione della propria capacita` di lavoro o del proprio capitale, questo concetto e` caratteristico dell’etica sociale della civilta` capitalistica, anzi in un certo senso e` per essa di un’importanza fondamentale.

. La predestinazione e la sollecitudine del credente. Ovvero: cosa ha a che fare l’etica protestante con lo spirito del capitalismo le ragioni per cui si e` salvi o dannati sono intelligibili all’uomo

nessuna azione puo` modificare il nostro destino

Non Dio e` per l’uomo; ma l’uomo per Dio; e tutto cio` che accade – percio` anche il fatto, per Calvino indubbio, che solo una piccola parte degli uomini e` chiamata alla beatitudine eterna – puo` aver un senso solo come mezzo che la maesta` divina attua per glorificare se stessa; l’applicare misure di «giustizia» terrena alle sue disposizioni sovrane non ha alcun significato ed e` un’offesa della sua maesta` poiche´ egli ed egli soltanto e` libero, cioe` non sottoposto ad alcuna legge, ed i suoi decreti in tanto sono per noi intelligibili o solo conosciuti in quanto egli trovo` giusto di rivelarceli. Noi dobbiamo esser paghi di questi frammenti, della verita` eterna; tutto il resto, il senso nel nostro destino individuale, e` circondato da oscuri arcani, che e` vana presunzione indagare. Se i dannati volessero lamentarsi della sorte, come di cosa immeritata, sarebbe lo stesso che le bestie si dolessero di non esser nate uomini. Poiche´ ogni creatura e` separata da Dio da un abisso insuperabile e merita dinanzi a Lui solo la morte eterna, tranne che Egli non abbia decretato diversamente a maggior gloria della propria Maesta`. Cio` che noi sappiamo e` soltanto questo: che una parte dell’umanita` sara` salva e un’altra rimarra` dannata. L’ammettere che merito o colpa umana concorra a determinare tale destino equivale a considerare mutevoli per influenza d’uomo, le decisioni assolutamente libere di Dio che sono fisse «ab aeterno»; pensiero di per se´ assurdo. Il Padre «che sta nei cieli» umanamente intelligibile, del Nuovo Testamento, che si rallegra del ritorno del peccatore, come la donnetta della moneta ritrovata, si e` trasformato in un Ente Trascendente, sottratto ad ogni misura di intendi-

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mento umano, che dall’eternita` ha assegnato secondo decreti imperscrutabili ad ogni singolo il suo destino ed ha disposto di ogni piu` piccola cosa nel Cosmo. Ne´ la grazia divina si puo` perdere da coloro a cui e` assegnata, ne´ si puo` acquistare da quelli, cui e` negata. Nel suo pathos inumano tale dottrina dovette avere come principal conseguenza nello stato d’animo di una generazione, che si abbandono` alla sua rigorosa coerenza, il sentimento di una straordinaria solitudine interiore dell’individuo singolo. Nella cura, che per gli uomini del tempo della Riforma era la piu` importante: quella della salute eterna, l’uomo era avviato a seguire in solitudine la sua strada incontro a un destino fisso dall’eternita` in poi. Nessuno lo poteva aiutare. (...) La definitiva scomparsa dei sacramenti come mezzi di salute amministrati dalla Chiesa, che nel Luteranesimo non si e` mai del tutto compiuta, e` la differenza decisiva nei confronti col Cattolicesimo. (...) Quel gran processo storico-religioso dell’eliminazione dell’elemento magico nel mondo che si inizio` colle antiche profezie giudaiche, e il quale col pensiero scientifico greco rigetto` tutti i mezzi magici nella ricerca della salute considerandoli come superstizione delittuosa, trovo` qui la sua conclusione. Il Puritano genuino ripudio` perfino ogni traccia di cerimonie religiose sulla tomba e seppellı` i suoi cari senza canti ne´ suoni, per non far sorgere superstizione di alcun genere, ne´ fiducia in influenze salutifere magico-sacramentali. E non c’era alcun mezzo non solo magico, ma di nessun’altra natura per far discendere la grazia divina su colui al quale Dio aveva decretato di negarla. (...) Il mondo e` destinato al solo scopo di servire alla glorificazione di Dio, ed il Cristiano eletto esiste solo per aumentare, per la sua parte, la gloria di Dio nel mondo, mediante l’esecuzione dei suoi comandamenti. Ma Dio vuole che il Cristiano operi nella societa`, poiche´ vuole che la forma sociale della vita sia ordinata secondo i suoi comandamenti ed in modo tale da corrispondere a quello scopo. Il lavoro sociale del calvinista nel mondo e` esclusivamente lavoro «in maiorem gloriam Dei». Questo carattere ha pertanto anche il lavoro professionale che e` a servigio della vita terrena della comunita`. Gia` in Lutero noi abbiamo trovato che la divisione professionale del lavoro e` fatta derivare dall’«amor del prossimo». Ma quello che in lui rimase un concetto incerto

l’uomo va da solo incontro al suo destino

attraverso il lavoro il calvinista glorifica Dio

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puramente dottrinale, nei Calvinisti divento` parte caratteristica del loro sistema etico. L’amore del prossimo, poiche´ deve esser solo in servigio della gloria di Dio e non delle creature, si manifesta in prima linea nell’adempimento dei doveri professionali imposti dalla lex naturae e prende cosı` il carattere obiettivo ed impersonale di servigio reso all’ordinamento razionale del mondo sociale che ci circonda. Poiche´ la forma e l’ordinamento, meravigliosamente disposti ad un fine, di questo mondo, che gia` secondo la rivelazione biblica, ed anche secondo la naturale intelligenza, e` manifestamente destinato a servire all’utilita` della razza umana, fanno riconoscere che il lavoro in servigio di questa impersonale utilita` sociale torna ad incremento della gloria di Dio e percio` e` da Dio voluto. (...) Ma qui noi torniamo ancora una volta alla particolare considerazione della dottrina della predestinazione. Poiche´ per noi il problema decisivo e` anzitutto questo: come venne sopportata una tale dottrina in un tempo, per il quale l’al di la` non solo era piu` importante, ma sotto molti rispetti, anche piu` sicuro di tutti gli interessi della vita terrena? Una domanda doveva sorgere per ogni credente e spingere in un secondo piano tutti gli altri interessi: sono io dunque fra gli eletti? e come posso acquistar la certezza di questa elezione? (...) Fintantoche´ il dogma dell’elezione mediante la grazia non venne interpretato diversamente, attenuato, e, nella sostanza, abbandonato, si presentano come caratteristici, due tipi di consigli per la salvezza delle anime, tra loro connessi. Da una parte viene addirittura fatto un dovere di ritenersi eletti e di respingere ogni dubbio come un assalto del demonio, poiche´ la scarsa sicurezza di se stesso e` conseguenza di fede insufficiente, cioe` di insufficiente efficacia della grazia. L’ammonimento dell’Apostolo di consolidare la propria «vocatio» vien qui dunque interpretato come il dovere di conquistare nella lotta quotidiana la certezza subiettiva della propria elezione e giustificazione. E d’altra parte, come mezzo migliore per raggiungere quella sicurezza di se´, fu raccomandato un indefesso lavoro professionale. Esso ed esso solo dissipa il dubbio religioso e da` la sicurezza dello stato di grazia. (...) Quanto inadatte sono le buone opere come mezzo per la salvezza – poiche´ anche l’Eletto rimane creatura, e tutto quel che egli fa rimane ad infinita distanza addietro rispetto alle esigenze di

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Dio – tanto sono indispensabili come segno dell’elezione. Esse sono il mezzo tecnico, non per ottenere la salvezza, ma per liberarsi dall’ansia per la salvezza. (...)

. La professione come vocazione Non si puo` disconoscere che gia` la parola tedesca «Beruf» come, e forse in modo ancor piu` chiaro, quella inglese «calling», per lo meno riecheggia un concetto religioso – e che esso diventa tanto piu` percepibile, quanto piu`, nel caso concreto, noi accentuiamo con energia tale parola. E se noi seguiamo storicamente la parola anche attraverso gli idiomi dei popoli civili, ci appare dapprima che i popoli cattolici non conoscono un’espressione di colorito simile, per cio` che noi chiamiamo Beruf (nel senso di posizione nella vita, di limitato campo di lavoro), come non la conosce l’antichita` classica, mentre essa esiste presso i popoli prevalentemente protestanti. E al pari del significato della parola, anche il concetto – e cio` dovrebbe esser noto nel suo complesso – e` nuovo ed e` un prodotto della Riforma. Non che gia` nel Medioevo, e persino nell’antichita` (nel tardo Ellenismo) non siano esistiti accenni di quella valutazione del lavoro quotidiano, che si rispecchia nel concetto di «Beruf»; di cio` parleremo piu` tardi. Assolutamente nuova era tuttavia una cosa: il valutare l’adempimento del proprio dovere, nelle professioni mondane, come il piu` alto contenuto che potesse assumere l’attivita` etica. Tutto questo, per conseguenza inevitabile, contribuı` a dare un significato religioso al lavoro quotidiano e creo`, in questo senso, il concetto di professione. Trova dunque espressione nel concetto di «Beruf» quel dogma centrale di tutte le denominazioni protestanti, che rigetta la distinzione cattolica dei comandamenti etici del Cristianesimo in praecepta e consilia, e che riconosce come solo mezzo per vivere in maniera grata a Dio, non la sopravalutazione dell’ascesi monacale rispetto alla morale di chi vive nel mondo, ma esclusivamente l’adempimento dei propri doveri mondani, quali essi risultano dalla posizione di ciascuno nella vita, funzione che con cio` appunto diventa la sua «vocazione» (Beruf). (...)

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



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. Ascesi e spirito capitalista

razionalizzazione della condotta di vita per colui che vuole cogliere i segnali della sua predistinazione

Il «tipo ideale» dell’imprenditore capitalistico rifugge dall’ostentazione inutile come dal godimento cosciente della sua potenza, e il ricevere i segni esteriori della considerazione sociale di cui gode, gli e` assai penoso. La sua condotta di vita ha spesso un carattere ascetico, quale si manifesta chiaramente nella «predica» gia` citata di Beniamino Franklin; e noi dovremo approfondire il significato storico di questo fenomeno per noi cosı` importante. Non di rado infatti si puo` trovare in lui una fredda modestia, che e` sostanzialmente piu` sincera di quella riserva, che Beniamino Franklin raccomanda con tanta accortezza. Dalla sua ricchezza non ricava nulla per se stesso; tranne l’irrazionale sentimento del compimento del suo dovere professionale. D’ora in poi dovremo seguire l’idea puritana di professione nella sua influenza sulla vita professionale, dopo che lo studio precedente ha cercato di spiegare il suo fondamento religioso. (...) Per ricapitolare, fu decisiva per l’oggetto della nostra considerazione, la concezione, sempre ritornante in tutte le denominazioni, dello stato di grazia, come di uno stato che separa l’uomo dalla corruzione delle creature, dal «mondo», ma il cui possesso, qualunque fosse il modo di ottenerlo secondo la dogmatica delle diverse denominazioni, non poteva esser garantito da qualche mezzo magico-sacramentale o col sollievo della Confessione, o con singole azioni pie, ma col mantenersi in una condotta di uno speciale carattere, e diversa, in modo non equivoco, dal genere di vita dell’uomo «secondo natura». (...) E questa ascesi non era piu` un opus supererogationis, ma un’opera che veniva richiesta da ognuno, che volesse essere sicuro della sua beatitudine eterna. Questa vita speciale dei santi, promossa dalla religione, diversa dalla vita «naturale», si svolgeva – questo e` il punto decisivo – non piu` fuori del mondo in comunita` di monaci, ma in mezzo al mondo nei suoi ordinamenti. Questa «razionalizzazione» della condotta della vita, nel mondo, collo sguardo rivolto alla vita ultraterrena, era l’effetto della concezione che della professione aveva il Protestantesimo ascetico. L’ascesi cristiana, da principio fuggendo dal mondo nella solitudine, mentre rinunciava al mondo, aveva quasi dominato ecclesiasticamente il mondo stesso. Ma, nel complesso, essa aveva

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lasciato alla vita quotidiana profana il suo carattere naturalmente spregiudicato. Ora essa veniva sul mercato della vita, chiudeva dietro a se´ le porte dei chiostri, ed incominciava ad impregnare della sua metodicita` la vita quotidiana profana, ed a trasformarla in una vita razionale nel mondo, e tuttavia non di questo o per questo mondo. (...) La ricchezza, in quanto tale, e` un grave pericolo, le sue tentazioni sono continue, il tendere verso di essa e` non soltanto privo di senso di fronte all’importanza prevalente del regno divino, ma anche moralmente sospetto. (...) Cio` che e` veramente riprovevole dal punto di vista morale, e` l’adagiarsi nella ricchezza, il godimento della ricchezza colla sua conseguenza dell’ozio e degli appetiti carnali, soprattutto di sviamento dallo sforzo verso la vita eterna. E la ricchezza e` sospetta solo perche´ porta con se´ il pericolo di questo riposo; poiche´ il «riposo eterno dei Santi» e` nell’al di la`; ma sulla terra l’uomo per esser sicuro del suo stato di grazia deve «compiere le opere di Colui, che lo ha mandato fintanto che e` giorno». Non l’ozio e il godimento, ma solo l’azione serve, secondo la volonta` da Dio manifestamente rivelata, ad accrescimento della sua gloria. La perdita di tempo e` cosı` la prima e, per principio, la piu` grave di tutte le colpe. Lo spazio della vita e` brevissimo ed infinitamente prezioso per affermare la propria vocazione. La perdita di tempo nella societa`, la «conversazione oziosa», il lusso, persino il dormire piu` di quel che sia necessario alla salute – da 6 ad 8 ore al massimo – e` da un punto di vista morale, assolutamente riprovevole. Non si dice ancora, come dira` Franklin: «Il tempo e` moneta» ma questa sentenza vale, per cosı` dire, in senso spirituale: esso e` infinitamente prezioso, perche´ ogni ora perduta e` tolta al lavoro a servizio della gloria di Dio. «Se Iddio vi mostra un cammino, sul quale, senza danno per l’anima vostra o per altri, potete guadagnare in modo legittimo piu` che in un altro, e voi lo rifiutate e seguite il cammino che puo` apportare meno guadagno, allora voi vi opponete ad uno degli scopi della vostra vocazione (calling). Voi rifiutate di essere amministratori (stewart) di Dio, e di accettare i suoi doni, per poterli usare per lui, se egli lo dovesse richiedere. In realta` non al fine del godimento della carne e del peccato, ma per Dio voi dovete lavorare ed esser ricchi». La ricchezza e` pericolosa solo come tentazione ad adagiarsi nella pigrizia e a godere nel

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non la ricchezza e` immorale, ma la sua ostentazione non il gudagno razionale ma il suo dispendio irrazionale

costumi aristocratici e morale borghese

peccato, e pericoloso e` lo sforzo verso di essa solo quando avviene per poter vivere piu` tardi senza preoccupazioni ed allegramente. Ma come esercizio del dovere professionale quello sforzo e` non soltanto lecito moralmente, ma addirittura comandato. La parabola di quel servo, che fu scacciato perche´ non aveva messa a frutto la libbra a lui affidata, sembrava esprimere chiaramente questo comando. Volere esser povero significava, come spesso si portava per argomento, lo stesso che volere esser malato; e sarebbe stato riprovevole come santificazione di opera e dannoso alla gloria di Dio. Ed infine il chieder l’elemosina da parte di uno che fosse stato capace di lavorare, era cosa non solo colpevole come pigrizia, ma anche conformemente alla parola dell’apostolo, contraria all’amor del prossimo. (...) L’ascesi laica protestante – cosı` noi possiamo riassumere cio` che abbiamo detto fin qui – opero` con grande violenza contro il godimento spregiudicato della proprieta`, e restrinse il consumo, in ispecie il consumo di lusso. D’altra parte essa libero`, nei suoi effetti psicologici, l’acquisto di beni dagli ostacoli dell’etica tradizionalistica, in quanto non solo lo legalizzo`, ma addirittura, nel senso che esponemmo, lo riguardo` come voluto da Dio. La lotta contro i piaceri della carne e l’attaccamento ai beni esteriori non era una lotta contro il guadagno razionale, ma sibbene contro l’impiego irrazionale della proprieta`. E questo consisteva nell’alto apprezzamento, da condannarsi come idolatria, delle forme ostensibili del lusso, che erano cosı` vicine al modo di sentire feudale, in luogo dell’impiego voluto da Dio, razionale ed utilitario, per i fini della vita del singolo e della collettivita`. Non si voleva imporre al possidente la macerazione, ma l’uso della sua ricchezza per cose necessarie e di pratica utilita`. Il concetto di «comfort» allarga in modo caratteristico il cerchio dei fini, moralmente leciti, in cui quella ricchezza si puo` impiegare. Di contro alle brillanti apparenze della pompa cavalleresca, che, poggiando su basi economiche poco solide, preferisce una magra eleganza alla semplicita` modesta, essi oppongono come ideale la pulita e solida comodita` dello «home» borghese. (...)

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. La gabbia d’acciaio Uno degli elementi costitutivi dello spirito capitalistico moderno, e non soltanto di questo, ma di tutta la civilta` moderna: la condotta razionale della vita sul fondamento dell’idea di professione, e` nata, cio` vorrebbero dimostrare questi saggi, dallo spirito dell’ascesi cristiana. Si rilegga ancora una volta il trattato di Franklin, citato all’inizio di questo saggio, per vedere che gli elementi importanti di quel modo di sentire, la` definito come «spirito del capitalismo» sono quelli stessi che noi stabilimmo essere il contenuto dell’ascesi professionale puritana, ma privi del fondamento religioso che in Franklin era gia` scomparso. Il pensiero che il lavoro professionale moderno abbia un carattere ascetico non e` in realta` nuovo. Anche Goethe, al culmine della sua saggezza ed esperienza della vita, nei «Wanderjahre» e nella conclusione che dette alla vita di Faust, ci ha voluto insegnare questo motivo ascetico fondamentale dello stile della vita borghese, se questa appunto voglia avere uno stile: che cioe` il limitarsi al lavoro professionale colla rinuncia alla universalita` faustiana, che questa limitazione comporta, sia nel mondo moderno il presupposto di ogni azione degna di stima, che azione dunque e rinuncia si condizionano inevitabilmente a vicenda. Per lui questo riconoscimento significava rinuncia ed un addio ad un tempo di piena e bella umanita`, che non si rinnovera` piu`, nel corso della nostra civilta`, come nell’antichita` non si rinnovo` il fiorire di Atene. Il Puritano volle essere un professionista, noi dobbiamo esserlo. Poiche´ in quanto l’ascesi fu portata dalle celle dei monaci nella vita professionale e comincio` a dominare la moralita` laica, essa coopero` per la sua parte alla costruzione di quel potente ordinamento economico moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica, che oggi determina con strapotente costrizione, e forse continuera` a determinare finche´ non sia stato consumato l’ultimo quintale di carbon fossile, lo stile della vita di ogni individuo, che nasce in questo ingranaggio, e non soltanto di chi prende parte all’attivita` puramente economica. Solo come un mantello sottile, che ognuno potrebbe buttar via la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle degli «eletti». Ma il destino fece del mantello una gabbia di acciaio. Mentre l’ascesi imprendeva a trasformare il mondo e ad operare nel mondo, i beni esteriori di questo mondo acquistarono una forza sempre piu` grande nella storia. Oggi lo spirito dell’ascesi e` sparito, chissa` se per sempre, da questa gabbia.

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Il capitalismo vittorioso in ogni caso, da che posa su di un fondamento meccanico, non ha piu` bisogno del suo aiuto. Sembra impallidire per sempre anche il roseo stato d’animo del suo sorridente erede: l’Illuminismo, e come un fantasma di concetti religiosi che furono, si aggira nella nostra vita il pensiero del dovere professionale. Ove l’adempimento di questo non possa esser posto direttamente in relazione coi piu` alti beni spirituali della civilta`, o dove inversamente non debba esser sentito anche soggettivamente come semplice costrizione economica, per lo piu` l’individuo rinuncia ad ogni spiegazione di esso. Nel paese, dove piu` fortemente si e` sviluppato, negli Stati Uniti, l’attivita` economica, spogliata del suo senso etico-religioso, tende ad associarsi a passioni puramente agonali, che non di rado le imprimono precisamente il carattere di uno sport1. Nessuno sa ancora chi nell’avvenire vivra` in questa gabbia e se alla fine di questo enorme svolgimento sorgeranno nuovi profeti od una rinascita di antichi pensieri ed ideali o, qualora non avvenga ne´ l’una cosa ne´ l’altra, se avra` luogo una specie di impietramento nella meccanizzazione, che pretenda di ornarsi di un’importanza che essa stessa nella sua febbrilita` si attribuisce. Allora in ogni caso per gli ultimi uomini di questa evoluzione della civilta` potra` essere vera la parola: «Specialisti senza intelligenza, gaudenti senza cuore: questo nulla si immagina di esser salito ad un grado di umanita`, non mai prima raggiunto».

1

«Questo vecchio coi suoi 75.000 dollari all’anno non potrebbe riposarsi? No! La facciata del suo negozio deve essere allargata fino a 400 piedi di larghezza. Perche´? Tbat beats everything – egli dice. La sera, quando la moglie e le figlie fanno una lettura in comune, egli sospira l’ora di andare a dormire; di domenica egli guarda tutti i cinque minuti l’orologio, per vedere quando il giorno finira`. Un’esistenza infelice!». Cosı` il genero (immigrato tedesco) del principale, un dry-good-man di una citta` dell’Ohio, riassumeva il suo giudizio sul suocero. Giudizio che al vecchio a sua volta sarebbe apparso del tutto inconcepibile e sintomo di tedesca mancanza di energia.

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 La modernita` e il processo di burocratizzazione*

. Il funzionamento della burocrazia moderna Il modo specifico di funzionamento della burocrazia moderna si esprime nel modo seguente. I. Esiste il principio delle competenze di autorita` definite, disciplinate in modo generale mediante regole, cioe` mediante leggi e regolamenti amministrativi. Cio` comporta: 1) una stabile suddivisione delle attivita` regolari richieste per gli scopi della formazione burocratica dominante – in forma di doveri di ufficio; 2) i poteri di comando necessari per l’adempimento di questi compiti sono pure suddivisi in modo stabile e limitati mediante regole nei mezzi coercitivi (fisici o sacrali o di altro tipo) loro attribuiti; 3) all’adempimento regolare e continuativo dei compiti cosı` suddivisi, e all’esercizio dei diritti corrispondenti, si provvede in modo sistematico con l’assunzione di persone fornite di una qualificazione regolata in via generale. Questi tre momenti rappresentano, nel potere di diritto pubblico, la sussistenza di un «organo di autorita`» burocratico e, nel potere economico privato, quella di un’«impresa» burocratica. In questo senso tale istituzione e` stata sviluppata completamente per la prima volta nelle comunita` politiche e religiose dello stato moderno, e nell’economia privata con le piu` avanzate formazioni capitalistiche. Anche in formazioni politiche molto vaste quali quelle dell’antico Oriente, e cosı` pure nei regni di conquista

i principi che sono alla base dell’organizzazione burocratica

potere di diritto pubblico potere economico privato

* Max Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, Tu¨bingen, Mohr, 1922. Economia e societa`, Milano, Edizioni di Comunita`, 1999, vol. IV, pag. 58-88.

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germanici o mongolici e in molte formazioni statali feudali, gli organi permanenti di autorita` forniti di competenza stabile non sono la regola ma l’eccezione. In essi il detentore del potere affida i compiti piu` importanti a fiduciari personali, commensali o servitori di corte con incarichi e competenze non rigidamente delimitate, e create volta a volta per il singolo caso. il principio della gerarchia degli uffici

la separazione degli uffici dalla sfera privata

II. Esiste il principio della gerarchia degli uffici e della serie delle istanze, cioe` un sistema rigidamente regolato di sovra-ordinazione e sub-ordinazione degli organi di autorita` con controllo dei superiori sugli inferiori – sistema che offre anche ai dominanti una possibilita` rigidamente regolata di appellarsi dall’istanza inferiore a quella superiore. Quando si abbia un completo sviluppo del tipo, questa gerarchia e` organizzata in modo monocratico. Il principio della serie gerarchica delle istanze si trova tanto nelle formazioni statali ed ecclesiastiche quanto in tutte le altre formazioni burocratiche, come le grandi organizzazioni di partito e le grandi imprese private – qualora si vogliano chiamare «organi di autorita`» anche le istanze private. Con un completo sviluppo del principio di «competenza», pero`, la subordinazione gerarchica non vuol dire, almeno negli uffici pubblici, che l’istanza «superiore» sia abilitata a richiamare a se´ gli affari dell’istanza «inferiore». La regola e` proprio l’opposto, e percio` nel caso del disbrigo di una partita da parte di un ufficio incaricato non puo` aversi alcun spostamento. III. La moderna condotta dell’ufficio si fonda su documenti (atti) che vengono conservati in originale o in copia, e su un apparato di funzionari subalterni e scritturali di ogni tipo. Il complesso dei funzionari attivi in un organo di autorita`, e l’apparato di mezzi e di atti ad esso corrispondente, costituisce un «ufficio» (nelle imprese private esso e` spesso designato come «ufficio commerciale»). L’organizzazione moderna degli organi di autorita` separa completamente la sede dell’ufficio dall’abitazione privata, e cio` in quanto distingue del tutto l’attivita` di ufficio come ambito isolato rispetto alla sfera della vita privata, e cosı` pure distingue le finanze e i mezzi dell’ufficio dal possesso privato del funzionario. Si puo` affermare che la peculiarita` dell’imprenditore moderno consiste nel fatto che egli si considera come «primo funzionario» della sua impresa, nello stesso modo in cui il dominatore di uno stato moderno specificamente burocratico si dice il «primo servitore» di esso.

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IV. Ogni attivita` di ufficio, e almeno ogni attivita` specializzata – come specificamente moderna – presuppone normalmente una minuziosa preparazione specializzata. Cio` vale sempre piu` per i moderni dirigenti e impiegati di un’impresa economica privata come per i funzionari statali.

la specializzazione degli uffici

V. L’attivita` di ufficio – quando questo sia completamente sviluppato – pretende tutta la capacita` lavorativa del funzionario, prescindendo dalla circostanza che il tempo del lavoro di ufficio sia stabilmente determinato. Cio` e` di norma il prodotto di un lungo sviluppo negli uffici pubblici e privati: viceversa, una volta la norma era che gli impegni di ufficio fossero assolti come «professione secondaria».

il funzionario dedica all’attivita` di ufficio tutto il suo tempo lavorativo

VI. La condotta dell’ufficio del funzionario segue regole generali che possono essere apprese, e che sono piu` o meno fisse ed esaurienti. La conoscenze di tali regole rappresenta percio` una tecnica particolare – a seconda che si tratti della giurisprudenza o della teoria dell’amministrazione o della ragioneria – che i funzionari posseggono.

regole formali disciplinano le funzioni di ruolo

. I caratteri del funzionario moderno Tutto cio` ha le conseguenze che seguono sulla posizione interna ed esterna del funzionario. L’ufficio e` una «professione». Cio` si manifesta in primo luogo nella richiesta di un corso di studi rigorosamente predeterminato, tale da assorbire di solito per lungo tempo l’intera capacita` lavorativa, e in prove di qualificazione prescritte in via generale come condizioni preliminari dell’assunzione; e inoltre nel carattere di dovere della posizione del funzionario, mediante la quale la struttura interna della sua relazione viene determinata in modo che la titolarita` di un ufficio non viene considerata, ne´ giuridicamente ne´ di fatto, come il possesso di una fonte di rendite o di introiti che possa venir sfruttato in cambio dell’adempimento di determinate prestazioni – come normalmente accadeva nel Medioevo, e sovente fino alla soglia dei tempi piu` recenti. (...) La posizione personale del funzionario si configura nel modo seguente.

l’ufficio e` una professione

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I   :   

le modalita` di nomina del funzionario... ...sono determinate da considerazioni di tipo tecnico

durata vitalizia della carica del funzionario

1) Anche il funzionario moderno, sia pubblico che privato, aspira sempre, e gode per lo piu` di una considerazione sociale «di ceto», specificamente rilevante rispetto ai dominanti. La sua posizione sociale e` garantita mediante regolamenti gerarchici e, nei funzionari politici, mediante particolari prescrizioni di diritto penale contro l’«offesa ai funzionari» o il «disprezzo» degli organi statali ed ecclesiastici di autorita`. L’influenza del titolo di studio, al cui possesso e` di solito legata la qualificazione necessaria per assumere l’ufficio, accresce naturalmente il fattore «di ceto» nella posizione sociale dei funzionari. (...) 2) Il tipo puro del funzionario burocratico e` quello nominato da una istanza a lui superiore. Il funzionario non elettivo ma designato dal detentore del potere funziona, da un punto di vista puramente tecnico, in modo piu` preciso; e cio` in quanto, a parita` di ogni altra condizione, sono le considerazioni e le qualita` tecniche a determinare, con maggiore probabilita`, la sua selezione e la sua carriera. (...) 3) Almeno negli organismi burocratici pubblici e in quelli ad essi affini, ma sempre di piu` anche negli altri, esiste la durata vitalizia della carica che, come regola di fatto, viene presupposta anche dove si hanno licenziamenti o riassunzioni periodiche. Anche nelle imprese private questo elemento caratterizza normalmente l’impiegato rispetto all’operaio. Tale carattere vitalizio, stabilito giuridicamente o vigente di fatto, non vale pero` come un «diritto di possesso» del funzionario all’ufficio, come avveniva in molte altre forme di potere del passato. Invece, quando sorgono garanzie giuridiche contro la destituzione o il trasferimento arbitrario – come da noi per tutti i funzionari giudiziari, e in misura crescente anche per quelli amministrativi – esse hanno il solo scopo di offrire una garanzia per il rigoroso adempimento oggettivo, libero da considerazioni personali, dello specifico dovere di ufficio in questione. Lo stesso strato dei funzionari aspira naturalmente a un «diritto dei funzionari» che, oltre a garantirli in vecchiaia, aumenti le garanzie contro l’arbitraria destituzione dall’ufficio. Tuttavia tale aspirazione ha i suoi confini. Uno sviluppo molto forte del «diritto all’ufficio» rende naturalmente piu` difficile l’attribuzione degli incarichi in base a criteri di opportunita` tecnica, e anche le possibilita` di carriera degli aspiranti piu` zelanti. Questa circostanza, e in primo luogo l’inclinazione a dipendere da chiunque meno che dai dominati socialmente subordinati, reca al

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

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L      

fatto che in complesso i funzionari non considerano in generale pesante la dipendenza «dall’alto». (...) 4) Di regola il funzionario riceve una ricompensa monetaria sotto forma di uno stipendio normalmente fisso e di un’assicurazione della vecchiaia mediante pensione. Lo stipendio e` commisurato in linea di principio alla prestazione, e determinato piuttosto «in conformita` al ceto», cioe` in base al tipo delle funzioni (al «rango»), ed eventualmente secondo la durata del periodo di servizio. (...) 5) In corrispondenza all’ordinamento gerarchico degli organi di autorita`, il funzionario e` inserito in una «carriera» che muove dai posti inferiori, meno importanti e meno pagati, fino a quelli superiori. Il ceto dei funzionari aspira naturalmente ad una fissazione il piu` possibile meccanica delle condizioni di avanzamento – se non negli uffici almeno nei gradi di stipendio – sulla base dell’«anzianita`» ed eventualmente, qualora esista uno sviluppato sistema di prove di qualifica, con riguardo alle note di qualifica che di fatto costruiscono qui un character indelebilis del funzionario, il cui effetto dura tutta la vita. (...)

il funzionario riceve uno stipendio e ha diritto a una pensione

il funzionario e` inserito in un percorso di carriera

. I presupposti sociali ed economici della burocrazia moderna I presupposti sociali ed economici di questa configurazione moderna dell’ufficio sono i seguenti. Il primo presupposto e` costituito dallo sviluppo dell’economia monetaria. Un certo grado di sviluppo dell’economia monetaria e` il presupposto normale, se non per la creazione, almeno per un’immutata permanenza delle amministrazioni puramente burocratiche. Senza di essa – come mostra l’esperienza storica – e` quasi inevitabile che la struttura burocratica venga mutando fortemente la sua struttura interna oppure si trasformi addirittura in una diversa. Il conferimento di stabili assegnazioni in natura dalle provviste dei magazzini del signore o dalle entrate in natura che ne derivano – quale e` prevalso nei secoli in Egitto o in Cina, e poi ha rivestito importanza notevole nella tarda monarchia romana e anche altrove – puo` significare gia` un primo passo verso l’appropriazione delle fonti di imposta da parte dei funzionari e la loro utilizzazione come possesso privato. Quando il signore si trova

1. lo sviluppo dell’economia monetaria.... ...rende stabile il sistema organizzativo

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I   :   

...e elimina il possesso personale dell’ufficio da parte del funzionario

economia monetaria e amministrativa burocratica

2. sviluppo quantitativo dei compiti amministrativi

nella situazione di aver bisogno non tanto di rendite correnti quanto piuttosto di capitale liquido – ad esempio per la condotta di una guerra o per il pagamento di una penalita` – la concezione puramente economica dell’ufficio come fonte privata di acquisizione del funzionario puo` portare direttamente alla vendita dell’ufficio: essa e` sussistita, come istituzione assolutamente regolare, proprio negli stati dell’epoca moderna, sia nello stato ecclesiastico che in Francia e in Inghilterra – e invero tanto per sinecure quanto per uffici molto seri, per esempio anche per il titolo di ufficiale – ed i suoi residui hanno resistito fino al secolo XIX. Ogni tipo di trasmissione al funzionario di vantaggi, imposte e servizi che competono al signore in quanto tale, per farne oggetto di sfruttamento personale, comporta sempre una rinuncia rispetto al tipo puro dell’organizzazione burocratica. In tale situazione il funzionario ha un diritto di possesso generale sull’ufficio. Cio` si verifica in misura ancora piu` elevata quando il dovere di ufficio e la ricompensa sono posti tra loro in relazione in modo tale che il funzionario non trasmette alcuna rendita dagli oggetti che gli sono affidati, ma dispone di questi soltanto per i suoi scopi privati, e per contro presta al signore servizi di carattere personale o militare o politico o ecclesiastico. (...) Se quindi il pieno sviluppo dell’economia monetaria non e` una condizione preliminare indispensabile della burocratizzazione, tuttavia questa, come specifica struttura permanente, e` connessa al presupposto della sussistenza di introiti continuativi per la sua conservazione. Quando questa non puo` sostentarsi col profitto privato, come succede nell’organizzazione burocratica delle grandi intraprese moderne, oppure con stabili rendite fondiarie, come accade nella signoria fondiaria, uno stabile sistema di imposte e` condizione preliminare della durevole esistenza di un’amministrazione burocratica. La sola base sicura a tal fine e` offerta, per motivi a tutti noti, dall’attuazione di un’economia monetaria. (...) Cio` vale in primo luogo per lo sviluppo quantitativo di questi compiti: infatti nel campo politico il classico terreno della burocratizzazione e` costituito dal grande stato e dal partito di massa. E` ovvio che il grande stato moderno, perdurando nel tempo, deve sempre piu` fondarsi, da un punto di vista tecnico, su una base semplicemente burocratica; e cio` in modo tanto maggiore quanto piu` esso e` grande, e soprattutto quanto piu` e` o diviene una grande potenza. Il carattere di una struttura statale non burocratica, o che

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L      

almeno non e` tale in senso tecnico – quale la posseggono ancora gli Stati Uniti – cede inevitabilmente, anche nella forma, alla struttura burocratica, quanto piu` grandi diventano le superfici di attrito con l’esterno e quanto piu` urgenti diventano, all’interno, le unita` dell’amministrazione. Piu` che l’espansione estensiva e quantitativa, e` pero` motivo della burocratizzazione l’espansione intensiva e qualitativa e lo svolgimento interno dell’ambito dei compiti amministrativi. Cio` in quanto la crescente burocratizzazione e` funzione di un aumento del possesso disponibile e utilizzato a scopo di consumo e di una tecnica sempre piu` raffinata, corrispondente alle possibilita` che vengono in tal modo offerte, della configurazione esteriore della vita. Nella sua reazione sulla situazione generale dei bisogni, cio` produce una crescente necessita` soggettiva della cura organizzata per il bene comune – affidata all’economia comune e di carattere inter-locale, e percio` su base burocratica – delle piu` diverse esigenze di vita, prima ignote oppure soddisfatte privatamente o localmente. Nel senso della burocratizzazione influisce in maniera particolarmente durevole, tra gli elementi puramente politici, il crescente bisogno di ordine e di protezione («polizia») in tutti i campi da parte di una societa` abituata ad un assoluto soddisfacimento. Tra i fattori essenzialmente tecnici devono essere considerati infine, come elementi propulsori del processo di burocratizzazione, quei mezzi di comunicazione (strade e corsi d’acqua pubblici, ferrovie, telegrafi e cosı` via) che devono venir amministrati, in parte per necessita` e in parte per opportunita` tecnica, in gestione comune. (...) Il fondamento decisivo per il procedere dell’organizzazione burocratica e` pero` sempre stato la sua superiorita` puramente tecnica su ogni altra forma. Un meccanismo burocratico pienamente sviluppato e` rispetto ad esso nello stesso rapporto in cui si trova una macchina nei confronti dei mezzi non meccanici di produzione dei beni. Nell’amministrazione burocratica – e specialmente in quella monocratica, affidata a funzionari individuali qualificati – la precisione, la rapidita`, l’univocita`, la pubblicita` degli atti, la continuita`, la discrezione, la coesione, la rigida subordinazione, la riduzione dei contrasti, le spese oggettive e personali sono recati alla misura migliore rispetto a tutte le forme collegiali o di uffici onorari o assolti come professione secondaria. Quando si tratta di compiti complessi, il lavoro burocratico remu-

3. sviluppo qualitativo dei compiti amministrativi

superiorita` dell’organizzazione burocratica rispetto a qualsiasi altra forma organizzativa del lavoro amministrativo

...per efficienza...

...e costi

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la burocrazia funziona secondo criteri di: rapidita`

prevedibilita`

oggettivita`

neutralita` affettiva

competenza

nerato non soltanto e` piu` preciso, ma in definitiva e` spesso piu` economico di ogni altro lavoro formalmente gratuito, svolto come ufficio onorario. (...) E` soprattutto da parte del moderno traffico economico capitalistico che viene richiesto oggi all’amministrazione un disbrigo il piu` rapido possibile, e percio` piu` preciso, univoco e continuativo degli affari di ufficio. Le piu` grandi intraprese capitalistiche moderne sono esse stesse, normalmente, esempi ineguagliati di rigida organizzazione burocratica. Il loro movimento di affari si fonda quasi sempre sulla crescente precisione, continuita` e soprattutto rapidita` delle operazioni. Cio` e` a sua volta condizionato dalla caratteristica specifica dei moderni mezzi di comunicazione, tra i quali e` anche il servizio di informazione della stampa. La straordinaria rapidita` della comunicazione di avvisi pubblici, e di fatti economici o anche puramente politici, esercita ora, gia` in quanto tale, una continua pressione nella direzione di una maggiore rapidita` del tempo di reazione dell’amministrazione di fronte alle situazioni del momento; e il mezzo piu` efficace in questo caso e` rappresentato di regola soltanto da una rigida organizzazione burocratica. (...) La burocratizzazione offre soprattutto la maggiore possibilita` di attuazione del principio della divisione del lavoro amministrativo in base a criteri puramente oggettivi, con l’attribuzione dei singoli compiti a funzionari preparati in modo specialistico, che si qualificano sempre di piu` con il continuo esercizio. In questo caso, l’adempimento «oggettivo» significa in primo luogo un adempimento «senza riguardo alla persona», in base a regole prevedibili. (...) La caratteristica della civilta` moderna, e specialmente la sua struttura tecnico-economica, esige proprio questa «calcolabilita`» dell’effetto. La burocrazia nel suo pieno sviluppo si trova anche, in senso specifico, sotto il principio della condotta sine ira ac studio. La sua specifica caratteristica, gradita al capitalismo, ne promuove lo sviluppo in modo tanto piu` perfetto quanto piu` essa si «disumanizza» – e cio` vuol dire che consegue la sua struttura propria, ad essa attribuita come virtu`, che comporta l’esclusione dell’amore e dell’odio, di tutti gli elementi affettivi puramente personali, in genere irrazionali e non calcolabili, nell’adempimento degli affari di ufficio. La civilta` moderna, quanto piu` diventa complessa e specializzata, tanto piu` esige per l’apparato esterno che la sostiene il competente indifferente a considerazioni umane, e percio` rigoro-

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L      

samente «oggettivo», al posto del signore degli antichi ordinamenti che agiva per interesse personale, per favore, per grazia, per gratitudine. Ma tutto cio` e` appunto offerto in opportuna connessione dalla struttura burocratica. Essa di regola crea per prima alla giurisprudenza il terreno per la realizzazione di un diritto razionale e concettualmente sistematico, sulla base di «leggi» — quale e` stato creato per la prima volta, con alta perfezione tecnica, dal tardo Impero romano. Nel Medioevo la recezione di questo diritto ha proceduto di pari passo con la burocratizzazione dell’amministrazione della giustizia, cioe` con la penetrazione della specializzazione professionale – fondata sulla preparazione razionale – in luogo dell’antico accentramento del diritto, vincolato alla tradizione o a presupposti irrazionali. (...) La struttura burocratica procede di pari passo con la concentrazione dei mezzi oggettivi di impresa nelle mani del detentore del potere. Cosı` avviene in modo tipico nello sviluppo delle grandi imprese capitalistiche private, che trovano in questo la loro caratteristica essenziale. Cio` ha pero` luogo in modo corrispondente anche nelle comunita` pubbliche. (...) La burocratizzazione dell’amministrazione procede in modo assolutamente eguale in altre sfere, insieme alla concentrazione dei mezzi di impresa. L’antica amministrazione di satrapi e di governatori, al pari dell’amministrazione mediante appaltatori o acquirenti degli uffici, e soprattutto l’amministrazione ad opera di personale feudale, vengono decentralizzando i mezzi oggettivi di impresa: il fabbisogno locale della provincia, compresi i costi dell’esercito e dei funzionari subalterni, viene di regola sostenuto anzitutto con le entrate locali, e soltanto il rimanente perviene alla cassa centrale. Il funzionario infeudato amministra di tasca propria. Lo stato burocratico porta invece le spese complessive dell’amministrazione statale sul suo bilancio e dota le istanze inferiori di mezzi di impresa correnti, regolandone e controllandone l’utilizzazione. Per l’«economicita`» dell’amministrazione cio` riveste lo stesso significato della grande impresa centralizzata di tipo capitalistico. Se, nonostante l’indubbia superiorita` tecnica della burocrazia, questa e` stata ovunque il prodotto di uno sviluppo relativamente tardo, cio` e` dovuto ad una serie di ostacoli che scomparvero soltanto in determinate condizioni sociali e politiche. L’organizzazione burocratica e` infatti di regola giunta al po-

razionalita`

l’organizzazione burocratica corrisponde ad una concentrazione dei mezzi d’impresa

il processo di democratizzazione e` il presupposto dell’organizzazione burocratica

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I   :   

tere sulla base di un livellamento, almeno relativo, delle differenze economiche e sociali, nell’importanza che esse rivestono per l’esercizio delle funzioni amministrative. In particolare essa e` un inevitabile fenomeno collaterale della moderna democrazia di massa, in antitesi all’auto-amministrazione democratica di piccole unita` omogenee; e cio` in primo luogo come conseguenza del suo principio caratteristico, cioe` dell’astratto vincolo alla regola dell’esercizio del potere. Questo deriva infatti dalla pretesa di «eguaglianza giuridica» in senso personale e oggettivo, che aborre il «privilegio» e rifiuta in linea di principio una soluzione «caso per caso». Ma esso deriva anche dalle condizioni sociali del suo sorgere. Ogni amministrazione non burocratica di una formazione sociale quantitativamente grande riposa, in qualche modo, sul fatto che un privilegio esistente di carattere sociale, materiale o onorifico, viene collegato con le funzioni e i doveri dell’amministrazione. Di regola ne consegue che lo sfruttamento economico o anche «sociale», diretto e indiretto, della posizione che ogni tipo di attivita` amministrativa conferisce ai suoi titolari, rappresenta la ricompensa per la sua assunzione. La burocratizzazione e la democratizzazione comportano percio` entro l’amministrazione statale, nonostante il loro carattere normalmente «piu` economico» nei confronti di quelle forme, un incremento delle spese pure delle casse pubbliche. La democrazia di massa, che elimina nell’amministrazione i privilegi feudali, patrimoniali e – almeno nelle intenzioni – plutocratici, deve porre necessariamente un lavoro professionale ricompensato al posto della precedente amministrazione dei notabili, concepita come professione secondaria.

. Il potere della burocrazia La burocrazia, una volta che sia pienamente realizzata, costituisce una delle formazioni sociali piu` difficilmente abbattibili. La burocratizzazione e` il mezzo specifico per trasformare un «agire di comunita`» in un «agire sociale» ordinato razionalmente. Come strumento dell’«associazione» delle relazioni di potere, essa fu ed e` percio` un mezzo di potenza di primissimo ordine per chi dispone dell’apparato burocratico. Infatti, rimanendo eguali tutte le altre possibilita`, l’«agire sociale» ordinato e diretto sistematicamente e` superiore ad ogni «agire di massa» o anche ad ogni «agire di

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L      

comunita`» che si contrapponga ad esso. Quando la burocratizzazione dell’amministrazione sia completamente realizzata, si e` creata cosı` una forma pratica, ed altrettanto infrangibile, delle relazioni di potere. Il singolo funzionario non puo` sottrarsi all’apparato nel quale e` inserito. Il funzionario di professione – in antitesi ai «notabili» che amministrano in posizione di professione secondaria o onoraria – e` incatenato alla sua attivita` con la sua intera esistenza materiale e ideale. Nella grande maggioranza dei casi, egli e` soltanto un membro incaricato di compiti specializzati, entro un meccanismo che puo` essere mosso o arrestato soltanto dalle autorita` supreme ma (normalmente) non da lui, che funziona senza sosta e che gli prescrive una tabella di marcia vincolante. Per questo egli e` soprattutto prono alla comunita` di interessi di tutti i funzionari inseriti in questo meccanismo, affinche´ questo continui a funzionare e perduri il potere esercitato associativamente. D’altra parte i dominanti non possono fare a meno ne´ sostituire l’apparato burocratico di potere gia` esistente, dato che esso si fonda su una sintesi sistematica di preparazione specialistica, di divisione specializzata del lavoro e di disposizione stabile a funzioni individuali abituali e padroneggiate con virtuosismo. Se l’apparato interrompe il suo lavoro, o se questo viene impedito con la forza, ne deriva un caos che molto difficilmente puo` essere sottoposto a controllo improvvisando un surrogato da parte dei dominati. Cio` vale in modo assolutamente eguale nel campo dell’amministrazione pubblica come in quello dell’amministrazione economica privata. Cresce sempre di piu` il vincolo del destino materiale delle masse al continuo corretto funzionamento delle organizzazioni capitalistiche private, ordinate sempre piu` in modo burocratico, e il pensiero che sia possibile la loro eliminazione diventa percio` sempre piu` utopistico. Gli «atti» da una parte e dall’altra la disciplina dei funzionari alla precisa obbedienza entro la loro attivita` abituale, diventano sempre piu`, nell’impresa pubblica come in quella privata, il fondamento di ogni ordinamento; ma cio` vale soprattutto per la «disciplina», per quanto importante sia la conformita` agli atti dell’amministrazione. L’ingenua concezione del bakuninismo, di poter annientare mediante la distruzione degli atti la base dei «diritti acquisiti» e il «potere», dimentica che la disposizione degli uomini a osservare le norme e i regolamenti abituali continua a esistere indipendentemente dagli atti. Ogni riordinamento di truppe sconfitte e disperse, e anche

l’organizzazione burocratica e` una forma pratica delle relazioni di potere

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l’apparato burocratico del potere e` indifferente ai cambiamenti del potere stesso

ogni restaurazione di un ordinamento amministrativo distrutto da rivolte, dal panico o da altre catastrofi, si realizza mediante un appello a quella disposizione inculcata, da una parte nei funzionari e dall’altra nei dominati, ad inserirsi con obbedienza in quegli ordinamenti; se ha successo, l’appello fa semplicemente «scattare di nuovo» il meccanismo distrutto. La necessita` oggettiva dell’apparato gia` esistente, connesso alla sua «impersonalita`», comporta d’altra parte il fatto che esso si trovi facilmente disposto – in antitesi agli ordinamenti feudali, fondati sulla reverenza personale – a lavorare per chiunque abbia saputo impadronirsi del potere nei suoi confronti. Un sistema di funzionari ordinato razionalmente continua, quando il nemico occupa il territorio, a funzionare in modo inappuntabile nelle sue mani con il semplice mutamento degli organi supremi. (...)

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 La modernita` : un’epoca senza Dio e senza profeti*

Le scienze naturali come la fisica, l’astronomia, la chimica, presuppongono come evidente di per se´ che le leggi ultime dell’accadere cosmico – costruibili, fin dove arriva la scienza – sian degne di esser conosciute. Non soltanto perche´ con queste nozioni si possono raggiungere successi tecnici, ma – se han da essere «vocazione» – «per loro stesse». Questo presupposto a sua volta non e` assolutamente dimostrabile; e meno che mai si puo` dimostrare se il mondo da esse descritto sia degno di esistere: se abbia un « significato », e se abbia un senso esistere in esso. Di cio` quelle scienze non si preoccupano. Oppure prendete una tecnologia pratica cosı` sviluppata scientificamente come la medicina moderna. Il « presupposto » generale di questa attivita` e` – in parole povere – che sia considerato positivo, unicamente come tale, il compito della conservazione della vita e della riduzione al minimo del dolore. E cio` e` problematico. Il medico cerca con tutti i mezzi di conservare la vita al moribondo, anche se questi implora di esser liberato dalla vita, anche se la sua morte e` e dev’essere desiderata – piu` o meno consapevolmente – dai suoi congiunti, per i quali la sua vita non ha piu` valore mentre insopportabili sono gli oneri per conservarla, ed essi gli augurano la liberazione dai dolori (si tratta, poniamo il caso, di un povero folle). Ma i presupposti della medicina e il codice penale impediscono al medico di desistere. La scienza medica non si pone la domanda se e quando la vita valga la pena di esser vissuta. Tutte le scienze naturali danno una risposta a questa domanda: che cosa dobbiamo fare se vogliamo dominare tecnicamente la vita? Ma se vo-

le scienze naturali non possono rispondere alle domande ultime dell’esistenza ne´ offrire direttive etiche ...

* Max Weber, Politik als Beruf. Wissenschaft als Beruf, Duncker und Humblot, Berlin, 1919. Trad. it. Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1983, pag. 26-43.

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...ne´ lo possono fare le scienze umane gli scienziati non possono offrire giudizi di valore... ...poiche´ il contrasto tra i valori e` inconciliabile

gliamo e dobbiamo dominarla tecnicamente, e se cio`, in definitiva, abbia veramente un significato, esse lo lasciano del tutto in sospeso oppure lo presuppongono per i loro fini. Prendiamo, se volete, una disciplina come la critica d’arte. Il fatto che vi siano opere d’arte costituisce, per l’estetica, un presupposto. Essa cerca di stabilire a quali condizioni cio` si verifichi. Ma non si pone la domanda se il dominio dell’arte non sia per avventura un regno di magnificenza diabolica, un regno di questo mondo, e percio` intimamente opposto al divino e, per il suo carattere intrinsecamente aristocratico, allo spirito di fraternita`. Essa quindi non si domanda se debbano esservi opere d’arte. Oppure, prendiamo la giurisprudenza: essa stabilisce cio` che e` valido secondo le regole del pensiero giuridico, in parte imperativamente logico e in parte vincolato da schemi convenzionali; vale a dire, stabilisce se sono riconosciute obbligatorie determinate regole giuridiche e determinati metodi per la loro interpretazione. Non decide se debba esservi il diritto e se debbano esser formulate proprio quelle regole; questo soltanto essa puo` indicare: se si vuol conseguire un risultato, il mezzo per raggiungerlo ci e` dato da questa regola giuridica, secondo le norme del nostro pensiero giuridico. O prendete ancora le scienze storiche (historischen Kulturwissenschaften). Esse ci insegnano ad intendere i fenomeni della civilta` (Kulturerscheinungen) – politici, artistici, letterari o sociali – nelle condizioni del loro sorgere. Ma non rispondono di per se´ alla domanda intorno al valore positivo di questi fenomeni, e neppure all’altra questione, se valga la pena di conoscerli. Esse presuppongono che abbia un interesse il partecipare, mediante tale procedimento, alla comunita` degli «uomini civili» (Kulturmenschen). Ma che cosı` stiano le cose, a nessuno esse sono in grado di dimostrarlo « scientificamente », e che esse lo presuppongano non dimostra affatto che cio` sia evidente. E infatti non lo e` per nulla. Soffermiamoci ora su quelle discipline con le quali ho maggior dimestichezza, e cioe` la sociologia, la storia, l’economia, la politica e quelle forme di filosofia dello spirito (Kulturphilosophie) che si propongono di spiegarle. Sono disposto a provare sulle opere dei nostri storici che, ogniqualvolta l’uomo di scienza mette innanzi il proprio giudizio di valore, cessa la perfetta intelligenza del fatto. Una simile impresa e` sostanzialmente assurda in quanto tra i diversi valori che presiedono all’ordinamento del mondo il contrasto e` inconciliabile. Il vecchio Mill, la cui filosofia non intendo peraltro lodare, ma che su questo punto ha ragione, dice in

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L : ’  D   

qualche luogo: partendo dalla pura esperienza si giunge al politeismo. La formula e` superficiale e sembra un paradosso, tuttavia contiene un nocciolo di verita`. Di questo, se non altro, oggi siamo certi: che qualcosa puo` esser sacro non solo anche senza esser bello, bensı` perche´ e in quanto non e` bello (potrete trovarne le prove nel cap. LIII del Libro di Isaia e nel Salmo XXI; che qualcosa puo` esser bello non solo anche senza esser buono bensı` in quanto non e` tale, come abbiamo imparato da Nietzsche, e anche prima lo troviamo illustrato nelle Fleurs du mal, come chiamo` Baudelaire il suo volume di poesie; ed e` infine una verita` di tutti i giorni che qualcosa puo` esser vero sebbene e in quanto non sia bello, ne´ sacro, ne´ buono). Ma questi sono soltanto gli esempi piu` elementari di tale conflitto tra gli de`i che presiedono ai singoli ordinamenti e valori. Come si possa fare per decidere «scientificamente» tra il valore della cultura tedesca e di quella francese, io lo ignoro. Anche qui c’e` un antagonismo tra divinita` diverse, in ogni tempo. Mutato soltanto l’aspetto, avviene come nel mondo antico, ancora sotto l’incanto dei suoi de`i e dei suoi demoni: come i greci sacrificavano ora ad Afrodite e ora ad Apollo, e ciascuno in particolare agli de`i della propria citta`, cosı` e` ancor oggi, senza l’incantesimo e l’ammanto di quella trasfigurazione plastica, mitica ma intimamente vera. Su questi de`i e sulle loro lotte domina il destino, non certo la «scienza». E` dato solamente intendere che cosa sia il divino nell’uno o nell’altro caso, ovvero in un ordinamento o nell’altro. Ma con cio` la questione e` assolutamente chiusa a qualsiasi discussione in un’aula per bocca di un insegnante, quantunque naturalmente non sia affatto chiuso l’enorme problema di vita che vi e` contenuto. Qui pero` la parola spetta ad altre forze che non alle cattedre universitarie. Chi vorra` provarsi a «confutare scientificamente» l’etica del Sermone della Montagna, per esempio la massima: «non far resistenza al male», oppure l’immagine del porgere l’altra guancia? Eppure e` chiaro che, dal punto di vista mondano, vi si predica un’etica della mancanza di dignita`: bisogna scegliere tra la dignita` religiosa, che e` il fondamento di questa etica, e la dignita` virile, che predica qualcosa di ben diverso: «Devi far resistenza al male, altrimenti sei anche tu responsabile se questo prevale». Dipende dal proprio atteggiamento rispetto al fine ultimo che l’uno sia il diavolo e l’altro il dio, e sta al singolo decidere quale sia per lui il dio e quale il diavolo. E cosı` avviene per tutti gli ordinamenti della vita. Il grandioso

gli dei che presiedono i singoli ordinamenti e valori sono in perenne conflitto tra loro...

...neanche la scienza puo` conciliarli l’un l’altro... ...ne´ e` compito dei maestri indicare agli allievi quali scelte fare...

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

I   :   

...anche la religione ha abdicato questo compito...

...lasciando l’uomo moderno solo davanti alle sue scelte

quei giovani che cercano dai propri maestri delle risposte cercano in realta` dei capi e dunque dei cattivi maestri

quali sono i compiti della scienza e quali sono i compiti di un maestro che della scienza fa professione

razionalismo della condotta della vita secondo un’etica metodica, che sgorga da ogni profezia religiosa, aveva detronizzato questo politeismo a favore dell’«Uno, che e` necessario», e poi, di fronte alla realta` della vita interiore ed esteriore, si e` visto costretto a scendere a quei compromessi e a quelle relativizzazioni che tutti conosciamo dalla storia del cristianesimo. Ma cio` e` oggi per la religione una «realta` quotidiana» (Alltag). Gli antichi de`i, spogliati del loro fascino personale e percio` ridotti a potenze impersonali, si levano dalle loro tombe, aspirano a dominare sulla nostra vita e riprendono quindi la loro eterna contesa. Ma cio` che per l’uomo moderno e` appunto tanto difficile, e sommamente difficile per la giovane generazione, e` il saper far fronte a siffatta realta` quotidiana. Tutto quell’affannarsi in cerca dell’«esperienza vissuta» deriva da questa debolezza. Giacche´ e` una debolezza non poter tenere levato lo sguardo al volto severo del destino dei tempi. Ma il destino della nostra civilta` e` appunto questo, di essere noi oggi divenuti nuovamente e piu` chiaramente consapevoli di cio` che un millennio di orientamento – che si presume o si afferma esclusivo – verso il grandioso pathos dell’etica cristiana aveva celato ai nostri occhi. Ma basta ora con questi problemi che ci conducono troppo lontano. Poiche´, quando una parte dei nostri giovani volesse dare a tutto cio` questa risposta: «Gia`, ma noi veniamo a lezione per ricavarne un’esperienza che non consista soltanto in analisi e in constatazioni di fatto», essi incorrerebbero nell’errore di cercar nel professore qualcosa di diverso da cio` che sta loro di fronte, e cioe` un capo e non un maestro. La cattedra ci e` conferita solo come maestri. Si tratta di due cose ben diverse, e di cio` e` facile convincersi. Permettetemi di condurvi ancora una volta in America, dove queste cose si possono spesso vedere nella loro piu` grezza originarieta`. Dell’insegnante che gli sta di fronte, il giovane americano ha quest’opinione: egli mi vende le sue nozioni e i suoi metodi per il denaro di mio padre, cosı` come l’erbivendola vende i cavoli a mia madre. Con cio` e` detto tutto. (...) Voi mi porrete infine la domanda: se cosı` stanno le cose, che offre allora la scienza di veramente positivo per la «vita» pratica e personale? E con cio` siamo daccapo al problema della vostra professione. Anzitutto, naturalmente, la scienza offre nozioni sulla tecnica per padroneggiare la vita, rispetto agli oggetti esterni e rispetto all’azione umana, mediante il calcolo: ebbene, voi repli-

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

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L : ’  D   

cherete che con cio` siamo pur sempre al punto dell’erbivendola del ragazzo americano. Sono perfettamente del vostro avviso. Ma v’e` in secondo luogo qualcosa che quell’erbivendola non e` tuttavia capace di fare: i metodi del pensare, gli strumenti e la preparazione a quello scopo. Direte forse che se questi non sono proprio gli ortaggi, non sono tuttavia piu` che i semplici mezzi per procurarseli. Bene, diamolo oggi per ammesso. Ma fortunatamente l’opera della scienza non e` ancor finita, bensı` noi siamo in condizione di aiutarvi a conseguire un ulteriore risultato: la chiarezza. A patto, naturalmente, di possederla noi stessi. Cio` posto, questo possiamo rendervi chiaro: rispetto al problema del valore, intorno al quale sempre ci si aggira – per comodita` vi prego di riferirvi, come esempio, ai fenomeni sociali – si possono prendere praticamente diverse posizioni. Se si prende l’una o l’altra, bisogna applicare, secondo i risultati della scienza, certi mezzi o certi altri per attuarla praticamente. Ora questi mezzi possono essere di per se´ tali che voi crederete di doverli respingere. Allora, bisogna appunto scegliere tra il fine e i mezzi indispensabili. Il fine « giustifica » o no questi mezzi? L’insegnante puo` mostrarvi la necessita` di questa scelta, ma non puo` far di piu`, in quanto voglia rimanere insegnante e non divenir demagogo. Naturalmente, puo` ancora dirvi: se volete questo o quell’altro fine, dovete mettere in conto anche questa o quell’altra conseguenza, che si verifica conforme all’esperienza; la situazione, cioe`, e` sempre la medesima. Tuttavia, tutti questi sono pur sempre problemi quali possono sorgere anche per ogni tecnico, il quale in innumerevoli casi deve decidere secondo il principio del minor male o del meglio relativo. Ma per lui, una cosa, quella principale, e` di solito gia` data: il fine. Non cosı` avviene per noi, non appena siano in questione problemi veramente «ultimi». E con cio` siam giunti al piu` alto servigio che la scienza possa rendere alla chiarezza, e contemporaneamente tocchiamo anche i confini di ogni scienza; vale a dire, noi possiamo – e dobbiamo – anche dirvi: questa o quest’altra posizione pratica puo` dedursi con intima coerenza e serieta`, conforme al suo significato, da questa o da quest’altra fondamentale concezione del mondo (Weltanschauungsma¨ssigen Grundposition) – da una soltanto o forse anche da piu` –, ma non mai da quella o da quell’altra. Voi servite questo dio – per parlar figuratamente – e offendete quell’altro, se vi risolvete per questo atteggiamento. Giacche´ perverrete a queste ed a quest’altre estreme ed importanti conseguenze intrinse-

calcolare i mezzi piu` opportuni per raggiungere determinati fini

rendere chiara e consapevole la scelta dei fini

offrire le ragioni per una scelta coerente...

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

I   :   

...ovvero offrire gli strumenti per una coscienza di se´...

alla domanda: cosa debbo fare? solo i profeti o redentori possono rispondere

che, se rimarrete fedeli a voi stessi. Quest’opera, almeno in linea di principio, puo` esser compiuta. A cio` tendono la disciplina speciale della filosofia e le discussioni, per loro essenza filosofiche, sui principi delle singole discipline. Possiamo quindi, se abbiamo ben capito il nostro compito (il che dev’esser qui presupposto), costringere il singolo – o almeno aiutarlo – a rendersi conto del significato ultimo del suo proprio operare. Questo non mi sembra sia troppo poco, anche per la vita puramente personale. Di un insegnante che riesca in questo compito sarei tentato di dire che si e` messo al servizio di potenze «etiche», per promuovere il dovere, la chiarezza e il senso di responsabilita`, e credo che ne sara` tanto piu` capace quanto piu` coscienziosamente evitera` di fornire bell’e pronta o di suggerire per proprio conto ai suoi ascoltatori la posizione da prendere. (...) Che la scienza sia oggi una « professione » specializzata, posta al servizio della coscienza di se´ e della conoscenza di situazioni di fatto, e non una grazia di visionari e profeti, dispensatrice di mezzi di salvazione e di rivelazioni, o un elemento della meditazione di saggi e filosofi sul significato del mondo, – e` certamente un dato di fatto inseparabile dalla nostra situazione storica, al quale, se vogliamo restar fedeli a noi stessi, non possiamo sfuggire. E se di nuovo sorge in voi il Tolstoj a domandare: «Se dunque non e` la scienza a farlo, chi risponde allora alla domanda: che dobbiamo fare? e come dobbiamo regolare la nostra vita?», oppure, nel linguaggio che teste´ abbiamo usato: «Quale degli de`i in lotta dobbiamo servire? o forse qualcun altro, e chi mai?», bisogna dire che la risposta spetta a un profeta o a un redentore. Se questi non e` fra noi o se il suo annuncio non e` piu` creduto, non varra` certo a farlo scendere su questa terra il fatto che migliaia di professori tentino di rubargli il mestiere nelle loro aule, come piccoli profeti privilegiati o pagati dallo stato. Cio` servira` soltanto a nascondere tutta l’enorme importanza e il significato del fatto decisivo, che cioe` il profeta, che invocano tanti della nostra piu` giovane generazione, non esiste. L’interesse interiore di un uomo davvero «musicale» in senso religioso non sara` mai e poi mai soddisfatto, io credo, dall’espediente per cui si cerca di nascondergli con un surrogato, come sono tutti questi falsi profeti in cattedra, il fatto fondamentale che il destino gli impone di vivere in una epoca senza Dio e senza profeti. E` il destino dell’epoca nostra, con la sua caratteristica raziona-

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

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L : ’  D   

lizzazione e intellettualizzazione, e soprattutto col suo disincantamento del mondo, che proprio i valori supremi e sublimi sian divenuti estranei al gran pubblico per rifugiarsi nel regno extramondano della vita mistica o nella fraternita` dei rapporti immediati e diretti tra i singoli. Non e` a caso che la nostra arte migliore sia intima e non monumentale, e che oggi soltanto, in seno alle piu` ristrette comunita`, nel rapporto da uomo a uomo, nel pianissimo, palpiti quell’indefinibile che un tempo pervadeva e rinsaldava come un soffio profetico e una fiamma impetuosa le grandi comunita`. (...) Oggi tutti coloro i quali vivono nell’attesa di nuovi profeti e nuovi redentori si trovano nella stessa situazione descritta nel bellissimo canto della scolta idumea durante il periodo dell’esilio, che si legge nell’oracolo di Isaia: «Una voce chiama da Seir in Edom: Sentinella! quanto durera` ancora la notte? E la sentinella risponde: Verra` il mattino, ma e` ancor notte. Se volete domandare, tornate un’altra volta». Il popolo, al quale veniva data questa risposta, ha domandato e atteso ben piu` di due millenni, e sappiamo il suo tragico destino. Ne vogliamo trarre l’ammonimento che anelare ed attendere non basta, e ci comporteremo in altra maniera: ci metteremo al nostro lavoro ed adempiremo al «compito quotidiano» – nella nostra qualita` di uomini e nella nostra attivita` professionale. Cio` e` semplice e facile, quando ognuno abbia trovato e segua il demone che tiene i fili della sua vita.

...ma aspettare redentori o profeti per l’uomo moderno e` attesa vana

l’uomo moderno non puo` confidare ne´ nella religione, ne´ nella scienza, ma deve trovare da solo il demone che tiene i fili della sua vita

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Parte quinta Norbert Elias

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 Sociogenesi dello stato moderno*

. Il meccanismo della monopolizzazione La societa` che definiamo societa` dei tempi moderni e` caratterizzata, soprattutto in occidente, da un livello ben preciso di monopolizzazione. Il singolo individuo non e` piu` in condizioni di disporre liberamente dei mezzi militari di potere, riservati invece ad un governo centrale, qualunque ne sia la fisionomia; allo stesso modo, la riscossione delle imposte sulla proprieta` o sulle entrate dei singoli e` concentrata nelle mani di un potere sociale centrale. I mezzi finanziari che cosı` vi affluiscono gli permettono di conservare il monopolio della costrizione e questo, a sua volta, di conservare il monopolio fiscale. Nessuno dei due prevale sull’altro: ne´ il monopolio economico su quello militare, ne´ quello militare sul monopolio economico. Si tratta di due aspetti diversi di una stessa posizione monopolistica. Se l’uno scompare, automaticamente anche l’altro seguira` la stessa sorte, benche´ talvolta il monopolio del potere sia stato piu` fortemente minacciato ora da un lato ora dall’altro. Certe prefigurazioni di questa monopolizzazione delle risorse finanziarie e dell’esercito in un territorio relativamente ampio sono gia` esistite qua e la` anche in societa` in cui la suddivisione delle funzioni era minore, soprattutto a seguito di grandi campagne di conquista. Ma cio` che avviene in una societa` in cui la divisione delle funzioni e` assai progredita, e` la formazione di un permanente e specializzato apparato amministrativo per gestire questi mono-

caratteri dello stato moderno: monopolio militare monopolio fiscale

¨ ber den Prozeß der Zivilisation. I. Wandlungen des Verhaltens * Norbert Elias, U in den weltlichen Oberschichten des Abendlandes. II. Wandlungen der Gesellschaft. Entwurf zu einer Theorie der Zivilisation, Frankfurt, Suhrkamp, 1969. Trad. it. Il processo di civilizzazione. I. La civilta` delle buone maniere; II. Potere e civilta`. Bologna, il Mulino, 1992, pag. 500-513.

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

I   :   

non si tende piu` alla spartizione dei monopoli bensı` alla ridistribuzione dei loro oneri e profitti

XI secolo: il processo di feudalizzazione sta per concludersi e comincia lentamente un processo di accentramento delle risorse

poli. Soltanto allorche´ e` stato costituito tale apparato di dominio differenziato, la disponibilita` dei mezzi finanziari e militari acquista in pieno il carattere di monopolio; soltanto allora il monopolio militare e fiscale diviene un fenomeno permanente. Le lotte sociali non mirano ormai piu` ad eliminare l’apparato di dominio, ma vertono sul problema di chi deve disporre dell’apparato monopolistico, donde reclutarli e come ripartire oneri e utili. Soltanto dopo che e` stato costituito tale monopolio permanente del potere centrale, insieme a un apparato specialistico di dominio, le unita` di dominio acquistano il carattere di «Stati». Negli Stati si cristallizzano dunque i due monopoli suindicati, oltre ad una serie di altri; ma i due primi sono e restano i monopoli-chiave. Se essi crollano, crollano anche tutti gli altri, crolla lo «Stato». Il quesito che si pone, dunque, e`: come e perche´ si e` pervenuti a questa monopolizzazione? Nella societa` del IX, X e XI secolo, certamente essa non esiste ancora. A partire dall’XI secolo vediamo pero` come essa vada lentamente formandosi, nei territori ereditari dei franchi occidentali. In un primo periodo, ogni guerriero del paese che possedesse un pezzo di terra esercitava tutte quelle funzioni di governo che, successivamente, divennero poi monopolio di un governo centrale e furono gestite da un meccanismo specializzato. Il cavaliere faceva la guerra, quando lo riteneva opportuno, per conquistare nuove terre o per difendersi: la conquista di terre, unitamente alle funzioni di dominio legate al suo possesso, cosı` come la difesa armata delle terre stesse erano lasciate, come si direbbe in linguaggio moderno, all’«iniziativa privata». E poiche´ con l’aumento della popolazione la richiesta di terra, la pressione sulla terra, la fame di terra divennero straordinariamente forti, anche la competizione divenne straordinariamente vivace in tutto il paese, e venne condotta servendosi della violenza militare ed economica, a differenza delle analoghe lotte del XIX secolo che furono condotte esclusivamente attraverso i mezzi della violenza economica, grazie appunto al monopolio della violenza detenuto dallo Stato. Per comprendere i meccanismi della monopolizzazione presenti nelle fasi piu` antiche della societa`, non e` superfluo rammentare le lotte di competizione e la formazione di monopoli che avvengono direttamente sotto i nostri occhi; quando si considera l’evoluzione sociale nella sua totalita`, e` certamente valido tenere

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

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S   

presente l’evoluzione moderna quando si studia quella piu` antica. Questa e` stata la premessa di quella, e il nucleo centrale di entrambi i movimenti e` costituito dall’accumulazione dei principali mezzi di produzione di ciascuna epoca, o almeno dall’accumulazione nelle mani di un numero sempre piu` ridotto di persone del potere di disporne; nell’un caso si tratta di accumulazione di terre, nell’altro di accumulazione di mezzi finanziari. Abbiamo gia` brevemente accennato al meccanismo della formazione di monopoli: quando in un’unita` sociale di una certa ampiezza – cosı` possiamo riassumere il fenomeno – parecchie delle piu` piccole unita` sociali che con la loro interdipendenza formano le unita` maggiori dispongono di una forza sociale relativamente uguale e, di conseguenza, possono liberamente (vale a dire senza esserne impedite da monopoli gia` esistenti) entrare in competizione reciproca per garantirsi le chances della forza sociale (vale a dire soprattutto i mezzi di sussistenza e di produzione) `e altamente probabile che alcune vincano e altre perdano, e la conseguenza `e che a poco a poco un numero sempre minore di esse dispone di un numero sempre maggiore di chances; aumenta sempre piu` il numero di quelle che debbono abbandonare la lotta per la concorrenza finendo per dipendere, direttamente o indirettamente, da un numero sempre minore di unita` piu` potenti. L’intreccio sociale coinvolto in questo movimento tende allora, qualora non possano essere prese misure per ostacolarlo, verso una situazione in cui di fatto il potere di disporre di queste chances disputate si raccoglie nelle mani di un individuo solo; un sistema di chances aperte si trasforma a questo modo in un sistema di chances chiuse. Lo schema generale secondo il quale si svolge tale processo e` assai semplice: in uno spazio sociale sia data la presenza di un certo numero di individui e di un certo numero di chances, che sono scarse o comunque insufficienti in rapporto alle esigenze di tutti. Assumendo che in un primo tempo ciascuno di questi individui lotti contro un solo individuo per assicurarsi le chances esistenti, e` molto improbabile che tutti rimangano per un periodo indeterminatamente lungo in questa posizione di equilibrio e che nessuno tra i due rivali risulti vincitore, soprattutto quando la lotta sia effettivamente libera e non influenzata da nessun potere monopolistico; al contrario e` straordinariamente probabile che prima o poi uno dei due sconfigga l’avversario. Quando cio` avviene, le chances dei vincitori aumentano mentre diminuiscono quelle degli sconfitti; allora nelle mani di una parte dei contendenti si accumu-

il meccanismo della formazione dei monopoli e` legato o...

...all’ampiezza del territorio...

...al numero degli individui...

...alla quantita` delle risorse disponibili...

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I   :   

...al rapporto tra la domanda e l’offerta di tali risorse

lano maggiori chances, mentre l’altra parte e` costretta ad abbandonare la lotta diretta. Se poi ciascuno dei vincitori a sua volta combatte contro un altro vincitore, la vicenda si ripete: ancora una volta una parte dei contendenti vince e fa proprie le chances degli sconfitti; a questo punto un numero ancora inferiore di persone dispone di un numero ancor superiore di chances, mentre un numero maggiore di persone viene eliminato dalla libera lotta per la concorrenza. Il processo si ripete incessantemente finche´, nel caso ottimale, un solo individuo finisce con il disporre di tutte le chances mentre tutti gli altri vengono a dipendere da lui. Nella realta` della storia, ovviamente non si e` trattato sempre di individui singoli coinvolti in questo meccanismo ma assai spesso di intere unita` sociali, ad esempio di territori o di Stati. Nella realta`, inoltre, il processo si svolge in modo assai piu` complicato di quanto non mostri questo schema, e per di piu` con numerose varianti. Ad esempio, avviene spesso che un certo numero di unita` piu` deboli si alleino per sconfiggerne una che ha accumulato troppe chances ed e` divenuta troppo potente. Se vi riescono, se si impadroniscono delle chances dello sconfitto o di una parte di esse, la lotta per il possesso di tali chances e per la supremazia continua tra di essi. Il risultato, ossia lo spostamento dei rapporti di forza, e` sempre lo stesso. Con questo processo il sistema tende comunque, attraverso una serie di lotte per l’eliminazione, a radunare prima o poi nelle mani di pochi una quota sempre maggiore di chances. I modi e il ritmo di questo spostamento dell’equilibrio a danno della massa e a favore di pochi dipendono, in larga misura, dal rapporto tra la domanda e l’offerta delle chances. Assumendo che nel corso del movimento il numero delle domande e quello delle chances nel complesso non cambi, la domanda di chances aumentera` non appena la situazione cambia; il numero di coloro che sono dipendenti e l’intensita` di tale dipendenza aumenteranno e cambieranno anche qualitativamente. Se a funzioni relativamente indipendenti nella societa` subentreranno funzioni sempre piu` dipendenti – ad esempio, se ai liberi cavalieri subentreranno i cavalieri di corte e infine i cortigiani, o a commercianti relativamente indipendenti subentreranno commercianti e impiegati dipendenti – allora necessariamente muteranno nello stesso tempo anche le reazioni affettive, la struttura dell’economia pulsionale e del pensiero, insomma tutto l’habitus sociogeno e l’attitudine sociale degli uomini: e cio` tanto in coloro che si avviano verso una posizione

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S   

monopolistica quanto, e altrettanto, in coloro che perdendo determinate chances hanno perduto insieme la possibilita` di competere liberamente per esse e che, di conseguenza, si trovano ormai in condizioni di dipendenza diretta o indiretta. Infatti questo processo non deve affatto essere inteso come se durante il suo svolgimento diminuisse il numero dei «liberi» e aumentasse sempre piu` quello dei «dipendenti», anche se in determinate fasi esso sembrerebbe offrire appunto questo quadro. Ma se si osserva il movimento nel suo complesso, non sara` affatto difficile riconoscere e comprendere che – perlomeno in ogni societa` piu` ampiamente e articolatamente differenziata – a partire da una determinata fase del processo la condizione di dipendenza si trasforma in modo assai peculiare. Quanto piu` numerosi sono gli individui divenuti dipendenti attraverso il gioco del meccanismo di monopolizzazione, tanto maggiore diviene la potenza sociale non del singolo individuo dipendente ma della massa dei dipendenti in rapporto ai pochi o all’unico monopolista; e cio` avviene tanto a causa del loro numero quanto della dipendenza in cui vengono a trovarsi i pochi monopolisti, dalla massa crescente di dipendenti per poter conservare e sfruttare le loro chances monopolizzate. L’accumulazione di terra, di soldati, di capitali, sotto qualsiasi forma avvenga, nelle mani di un solo ne rende sempre piu` difficile il controllo, e proprio in funzione del monopolio stesso accresce la sua dipendenza dagli altri, il suo coinvolgimento nell’intreccio di coloro che da lui dipendono. Sono modificazioni che spesso impiegano secoli per manifestarsi, e altri secoli ancora per concretizzarsi in istituzioni permanenti. Certe leggi strutturali della societa` possono frapporre infiniti ostacoli al processo, ma il suo meccanismo e la sua tendenza sono inequivocabili. Quanto piu` ampie diventano le chances monopolizzate, quanto piu` intensa diviene la divisione del lavoro nell’intreccio degli individui che partecipano in quanto funzionari alla gestione delle chances monopolistiche, o dal cui lavoro, dalla cui funzione dipende in un modo o nell’altro la sopravvivenza del monopolio, tanto piu` questo campo di dominio del monopolista fa valere il proprio peso e le proprie leggi. Colui che detiene il monopolio puo` conformarsi a queste leggi e accettare le limitazioni che gli impone la sua funzione di proprietario di una struttura tanto potente. Ma puo` anche lasciarsi andare e permettere che le sue personali tendenze e disposizioni affettive prendano il sopravvento. In tal caso, pero` il

l’aumento delle catene di interdipendenza modifica le relazioni di potere

quanto piu` il monopolio e` effetto della divisione del lavoro tanto piu` il monopolio diventa pubblico e oggetto di regolamentazione

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I   :   

man mano che aumenta l’ampiezza del territorio cresce l’esigenza di un apparato amministrativo adeguato...

complicato apparato sociale da cui sono scaturite le chances da lui privatamente accumulate finira` per sconvolgersi e per fargli sentire duramente la sua resistenza e le sue proprie leggi. In altre parole, quanto piu` un monopolio e` ampio e quanto piu` in esso progredita e` la divisione del lavoro, tanto piu` esso tende inesorabilmente verso un limite nel quale il o i monopolisti si trasformano in meri funzionari centrali di un apparato dalle funzioni ben distinte: saranno forse piu` potenti di altri funzionari, ma certo non meno dipendenti ne´ meno legati. Tale mutamento puo` verificarsi in modo appena percettibile, attraverso piccoli passi o piccole lotte; oppure puo` accadere che l’intera massa dei dipendenti riesca infine a imporre con la violenza la propria forza sociale sui pochi monopolisti. In ogni caso, il potere di disporre delle chances accumulate attraverso molte lotte per l’eliminazione grazie all’iniziativa privata tende, quando ha raggiunto il limite ottimale di grandezza, a sfuggire dalle mani dei monopolisti e a passare nelle mani dei dipendenti in quanto totalita` oppure, in un primo tempo, di alcuni gruppi di dipendenti, ad esempio dei gruppi che fino a quel momento avevano l’incarico di amministrare il monopolio. Il monopolio privato del singolo individuo si socializza, diviene il monopolio di interi strati sociali, un monopolio pubblico, l’organo centrale di uno Stato. L’evoluzione di quello che oggi chiamiamo «bilancio dello Stato» offre un esempio quanto mai eloquente di tale processo. Il bilancio dello Stato si sviluppa dal «bilancio privato» delle dinastie feudali; per meglio dire, in un primo tempo non esisteva ancora una separazione tra quelle che piu` tardi vennero contrapposte come entrate o spese «pubbliche» e «private». Sostanzialmente le entrate del signore centrale provenivano dalle sue proprieta` dinastiche o demaniali; queste entrate servivano tanto per le spese del mantenimento della corte, per la caccia, per gli abiti o i doni che il signore dispensava quanto per l’amministrazione, ancora relativamente ridotta, per eventuali truppe mercenarie o per erigere castelli. Poi, un numero sempre maggiore di terre si accumula nelle mani di una dinastia, e il singolo e` sempre meno in grado di controllare l’amministrazione delle sue entrate e uscite, la gestione e la difesa dei suoi possedimenti. Tuttavia, anche quando le proprieta` dirette della dinastia, i suoi domini demaniali non sono ormai da tempo la sua piu` importante fonte di entrate, quando con la crescente commercializzazione della societa` alla «camera»

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del signore affluiscono da tutto il paese tributi monetari e quando il monopolio della terra, insieme con quello della potenza militare, e` diventato anche un monopolio di tributi monetari, un monopolio fiscale, anche allora il signore in un primo tempo ne dispone a suo piacere come delle entrate personali della sua casa. Per un certo periodo puo` sempre decidere liberamente quante di queste entrate debbano essere assegnate alla costruzione di castelli, alla distribuzione di doni, alle necessita` della cucina, al mantenimento della corte, e quante per mantenere le truppe e compensare gli amministratori. La ripartizione delle entrate derivanti dal monopolio delle chances e` insomma lasciata al suo arbitrio. Ma osservando meglio non si manchera` di rilevare che l’ambito decisionale del detentore del monopolio si e` sempre piu` ridotto a causa della maggior complessita` dell’intreccio sociale del suo dominio. Aumenta la sua dipendenza dai funzionari amministrativi, la cui influenza per contro aumenta; le spese fisse dell’apparato monopolistico ingrandiscono costantemente, e al termine di questo processo il signore assoluto nonostante il suo potere apparentemente illimitato subisce gia` in larga misura la pressione, le leggi e la dipendenza funzionale dalla societa` su cui domina. Il suo potere illimitato non e` unicamente la conseguenza della sua monopolizzazione delle chances, ma la funzione di una specifica struttura della societa` di cui tratteremo in seguito. Tuttavia anche nell’impostazione del bilancio dell’assolutismo francese non esiste ancora una distinzione tra le spese «private» e quelle «pubbliche» del re. E` ben noto come la socializzazione del monopolio di dominio trovi infine espressione nel bilancio. Il detentore del potere centrale, qualunque sia il titolo che porta, si vede assegnare nel bilancio una somma come qualsiasi altro funzionario; da essa il signore, sia re o presidente, deve ricavare le spese per il mantenimento della sua casa o della sua corte; le spese necessarie per l’organizzazione amministrativa del paese vengono rigorosamente separate da quelle personali dei singoli individui; il monopolio privato del dominio si e` trasformato in un monopolio pubblico, anche se ne e` detentore un singolo individuo in qualita` di funzionario della societa`. Lo stesso quadro ci si presenta quando seguiamo nel suo insieme la formazione dell’apparato di dominio. Esso si sviluppa dall’amministrazione «privata» – se vogliamo – della corte e dei domini del re o del principe. Allo stesso modo, tutti gli organi

... da cui finisce per dipendere il detentore stesso del monopolio

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dell’apparato statale nascono dalla differenziazione delle varie funzioni di una corte principesca, a volte assimilando anche gli organi di un’amministrazione locale autonoma. Infine, quando questo apparato di dominio e` divenuto statale ossia pubblico, l’amministrazione privata (Haushalt) del signore centrale si e` trasformata nel migliore dei casi in un organo tra gli altri, e alla fine neppure questo. (...)

. La regolamentazione della competizione e la nascita dei regimi democratici Dunque il processo di formazione dei monopoli, almeno nelle sue linee generali, ha una struttura molto chiara. In questo processo la libera concorrenza ha un suo posto ben individuabile e una sua funzione positiva: si tratta della lotta e della concorrenza tra molti per conquistare quelle chances che non sono ancora monopolio di un singolo o di pochi individui. Ogni formazione sociale di monopoli presuppone questa libera lotta per l’eliminazione; ogni libera lotta sociale per l’eliminazione o la concorrenza tende alla formazione di monopoli. Rispetto a questa fase di libera concorrenza, la formazione di monopoli comporta, da un lato, l’impossibilita` per un numero crescente di persone di accedere direttamente a determinate chances; dall’altro lato, comporta una crescente centralizzazione del potere di disporne. Tale centralizzazione sottrae le chances alla lotta diretta di molti concorrenti; nel migliore dei casi, esse sono a disposizione di una singola unita` sociale. Ma tale unita`, ossia il monopolista, non e` mai in condizione di utilizzare per se´ solo i profitti derivanti dal suo monopolio; soprattutto non lo e` quando nella societa` in cui vive le funzioni sono largamente divise. In un primo tempo, qualora goda di una sufficiente forza sociale, puo` rivendicare per se´ una quota preponderante degli utili e compensare con un minimo vitale i servizi resigli. Tuttavia, proprio perche´ dipende da questi servizi e funzioni di altri, e` costretto a distribuire agli altri una grossa quota delle chances di cui dispone, e la quota e` tanto piu` grossa quanto maggiore e` il possesso accumulato, e altresı` quanto maggiore diviene la dipendenza del monopolista da altri, e quindi la forza di questi ultimi. Cosı`, per la spartizione delle chances si riaccende la lotta tra coloro che da tali chances

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dipendono; ma mentre nella fase precedente la competizione era «libera», vale a dire la decisione dipendeva dalla forza o dalla debolezza dei contendenti in un dato momento, ora dipende anche dalla funzione oppure dall’attivita` che il monopolista nel panorama generale del suo ambito di potere assegna al singolo. Alla libera competizione subentra una competizione meno libera, che e` diretta o e` suscettibile di essere diretta da un organo centrale o da alcuni individui; e le qualita` che in una simile lotta possono assicurare il successo, la selezione che essa provoca, i tipi umani che produce sono quanto mai differenti da quelli della precedente fase di libera competizione. Ne e` un esempio la differenza tra la situazione della libera nobilta` feudale e quella della nobilta` di corte. Nel primo caso, la forza sociale della singola casa, espressione nello stesso tempo dei suoi mezzi economici e militari, insieme con la forza fisica e l’abilita` del singolo influenzano in modo decisivo la spartizione delle chances; e in questa libera competizione l’impiego diretto della violenza e` un mezzo di lotta insostituibile. In ultima analisi, la ripartizione delle chances viene decisa da colui la cui casa, o i cui predecessori, sono usciti vincitori da questa lotta, e che ora detengono il monopolio della coercizione fisica. Grazie a questo monopolio, nella lotta della nobilta` per conquistare le chances a disposizione del principe l’impiego diretto della violenza e` sempre piu` escluso: i mezzi di lotta si sono raffinati o sublimati, mentre e` aumentato il controllo sulle manifestazioni affettive imposto al singolo dalla sua stessa dipendenza dal detentore del monopolio. Ora i singoli individui si dibattono tra l’opposizione alle costrizioni cui sono sottoposti, l’odio che provano per questo stato di dipendenza e sottomissione, la nostalgia per la libera competizione cavalleresca, da un lato; e, dall’altro, l’orgoglio per l’autocostrizione che hanno saputo imporsi o la soddisfazione per le nuove possibilita` di piaceri che gli si offrono: in breve, abbiamo un nuovo passo verso la civilizzazione. Il passo successivo e` quindi l’assunzione da parte della borghesia del monopolio della fiscalita` e della coercizione e di tutti gli altri monopoli di dominio che su questi si fondano. A quest’epoca, la borghesia e` uno strato sociale che, nel suo complesso, dispone gia` di determinate chances economiche sotto forma di monopolio non organizzato. Ma all’inizio tali chances non sono ancora tanto equamente ripartite tra i suoi membri da consentire a parecchi di

man mano che aumentano le catene di interdipendenza la competizione non e` piu` libera ma regolamentata

nobilta` feudale

nobilta` di corte

borghesia

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centralizzazione e monopolizzazione delle risorse

essi di impegnarsi in una libera concorrenza reciproca. La lotta che questo strato intraprende contro i principi, e dalla quale risultera` infine vittoriosa, non contempla affatto la distruzione del monopolio del dominio: la borghesia non mira affatto a una nuova ripartizione tra i suoi stessi membri di queste chances monopolizzate della fiscalita` e del potere militare e poliziesco; i suoi membri non intendono diventare signori terrieri, ciascuno dei quali disponga a suo arbitrio di una propria potenza militare e di proprie entrate fiscali: la conservazione di un unico monopolio della fiscalita` e della coercizione fisica e` invece la base della loro stessa esistenza sociale: e` la premessa affinche´ la libera competizione che essi conducono gli uni contro gli altri per conquistare determinate chances economiche sia limitata all’impiego della potenza economica. Cio` a cui tendono in questa lotta per la conquista del monopolio del dominio, e che alla fine otterranno, non e`, come abbiamo detto, la spartizione dei monopoli gia` esistenti bensı` una redistribuzione dei loro oneri e dei loro profitti. Il fatto che ora non sia piu` un principe assoluto a disporre di questi monopoli ma un intero strato sociale e` dunque un passo verso la direzione indicata: e` un passo verso una fase nella quale le chances offerte da questo monopolio saranno sempre meno ripartite secondo l’arbitrio personale e l’interesse privato di un singolo e sempre piu`, secondo un piano piu` impersonale e piu` preciso, nell’interesse di un gran numero di individui interdipendenti, e infine nell’interesse di un intero consorzio umano composto di individui interdipendenti. In altre parole, attraverso la centralizzazione e la monopolizzazione quelle chances che un tempo potevano essere conquistate grazie alla potenza militare o economica di singoli individui possono ora essere utilizzate e gestite in modo pianificato. Da un certo stadio dello sviluppo in poi, la lotta per i monopoli non mira piu` alla loro distruzione bensı` alla possibilita` di disporre dei loro profitti, a pianificare il modo di organizzarli e di ripartirne gli oneri e i vantaggi: in altre parole, diviene un problema di distribuzione. Tale distribuzione, che e` il compito del detentore o dell’amministrazione del monopolio, nel corso di questa lotta si trasforma da funzione privata in funzione pubblica; la sua dipendenza da tutte le altre funzioni del consorzio umano interdipendente si manifesta sempre piu` chiaramente anche sul piano organizzativo. In sostanza, i funzionari centrali in questa rete di interdipendenze

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sono ormai dipendenti come tutti gli altri. Una parte piu` o meno rilevante degli individui che da questo apparato monopolistico dipendono crea solide istituzioni di controllo. La possibilita` di disporre del monopolio, di occupare le posizioni-chiave non e` piu` decisa da un’unica lotta «non monopolistica», ma attraverso periodiche lotte per l’eliminazione che non ricorrono pero` all’impiego delle armi e che sono regolate dall’apparato monopolistico, lotte «controllate» dal monopolio. Si forma cosı` quello che siamo soliti chiamare un «regime democratico». Questo regime, come oggi sembra presentarsi – se si osservano unicamente determinati processi monopolistici di carattere economico del nostro tempo – non e` del tutto inconciliabile con la presenza dei monopoli, ne´ la sua esistenza presuppone quella di un campo d’azione in cui puo` operare la libera concorrenza. Al contrario, ha come presupposto proprio l’esistenza di monopoli altamente organizzati, anche se senza dubbio puo` formarsi e funzionare in modo permanente soltanto in presenza di determinate circostanze, soltanto grazie ad una specifica struttura dell’intero campo sociale e in una fase assai avanzata della monopolizzazione. Dunque, nel corso di un meccanismo di monopolizzazione possiamo distinguere due grandi fasi, a quanto ci e` possibile giudicare al livello attuale della nostra esperienza: primo, la fase della libera concorrenza o delle lotte per l’eliminazione, in cui domina la tendenza all’accumulazione di chances nelle mani di pochi e infine di uno solo; questa e` la fase della formazione dei monopoli. Secondo, la fase nella quale il potere di disporre di chances centralizzate e monopolizzate tende a sfuggire dalle mani del singolo per passare in quelle di un gruppo sempre piu` consistente e divenire infine funzione di un consorzio di individui interdipendenti; ed e` la fase in cui un monopolio relativamente «privato» diviene «pubblico». Anche nelle societa` in cui la divisione delle funzioni e` limitata, non mancano indizi che annunciano questa seconda fase. Ma, senza dubbio, essa puo` svilupparsi completamente soltanto in societa` in cui la divisione delle funzioni e` ampia e tende ad aumentare. L’intero movimento puo` dunque essere riassunto in una formula molto semplice. Il punto di partenza e` una situazione in cui un intero strato dispone di chances monopolistiche non organizzate e in cui la loro ripartizione tra i membri di questo strato e`

1a fase: societa` scarsamente differenziate, libera concorrenza 2a fase: societa` altamente differenziate, monopoli pubblici, concorrenza regolamentata

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sostanzialmente decisa dalla libera lotta e dalla violenza aperta; nei suoi sviluppi, tende ad una situazione in cui la possibilita` di uno strato di disporre di queste chances – e piu` tardi la possibilita` di disporne da parte di tutti coloro che in quanto massa interdipendente ne dipendono – e` organizzata dal centro e garantita mediante istituzioni di controllo. La ripartizione dei profitti avviene in base ad un piano orientato non gia` in funzione degli interessi di un singolo ma nell’ambito dei processi di divisione del lavoro, cioe` in funzione della collaborazione ottimale di tutti gli individui, tra loro collegati grazie alla divisione delle funzioni.

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 Psicogenesi dell’uomo moderno*

. Dalla costrizione sociale all’autocostrizione Quale rapporto puo` esservi tra l’organizzazione della societa` in forma di «Stato», la monopolizzazione e centralizzazione delle imposte e del potere di costrizione fisica all’interno di un grande territorio, e la «civilizzazione»? Finora abbiamo cercato di mostrare quali tipi di interconnessione, di reciproci rapporti ed interdipendenze degli uomini hanno messo in moto il processo di feudalizzazione. Abbiamo mostrato come le costrizioni derivanti da situazioni di concorrenza abbiano spinto molti signori feudali a combattere gli uni contro gli altri: come a poco a poco la cerchia dei concorrenti si sia ristretta, come si sia affermata la posizione monopolistica di uno di essi e infine – in collegamento con altri meccanismi di interdipendenza – come si sia imposto uno Stato assolutistico. Questa riorganizzazione totale dei rapporti umani ha senza dubbio influito in modo diretto su quella trasformazione dell’habitus umano il cui risultato provvisorio e` il nostro modo «civile» di comportarci e di sentire. (...) Ma quale specifica modificazione del comportamento imposto agli uomini dalla vita in comune modella il loro apparato psichico orientandolo appunto verso una «civilizzazione»? La prima e piu` generale risposta a quest’altra domanda, basata su quanto abbiamo detto in precedenza circa le trasformazioni della societa` occidentale, e` assai semplice: a partire dalle primissime epoche della storia occidentale fino all’epoca nostra, le funzioni sociali

il processo di differenziazione sociale...

¨ ber den Prozeß der Zivilisation. I. Wandlungen des Verhaltens in Norbert Elias, U den weltlichen Oberschichten des Abendlandes. II. Wandlungen der Gesellschaft. Entwurf zu einer Theorie der Zivilisation, Frankfurt, Suhrkamp, 1969. Trad. it. Il processo di civilizzazione. I. La civilta` delle buone maniere; II. Potere e civilta`, Bologna, Il Mulino, 1992, pag. 500-513.

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... e di interdipendenza....

...fa sı` che il comportamento di ogni singolo sia piu` regolare e stabile

autocontrollo consapevole

autocontrollo inconsapevole

tendono sempre piu` a differenziarsi sotto la forte pressione della concorrenza. Quanto piu` esse si differenziano, tanto piu` aumenta il loro numero e quindi anche quello di coloro dai quali il singolo individuo dipende interamente in tutte le sue attivita`, dalle piu` semplici e quotidiane alle piu` complesse e rare. I comportamenti di un numero crescente di uomini devono quindi accordarsi tra loro, l’intreccio delle loro azioni deve essere organizzato in modo sempre piu` preciso e rigoroso affinche´ ogni singola azione possa adempiervi la sua funzione sociale. Il singolo individuo e` costretto a regolare il suo comportamento rendendolo sempre piu` differenziato, piu` regolare e piu` stabile. Abbiamo gia` sottolineato sopra come tale regolazione non sia affatto consapevole. E cio` che caratterizza la modificazione dell’apparato psichico nel corso del processo di civilizzazione e` appunto il fatto che questa regolazione piu` differenziata e piu` stabile del comportamento sempre piu` viene inculcata all’individuo fin da piccolo come una sorta di automatismo, come un’autocostrizione a cui egli non puo` sottrarsi, anche se interiormente lo desidera. L’intreccio delle azioni diviene cosı` complicato e vasto, la tensione imposta dalla necessita` di comportarsi «in modo corretto» diviene cosı` forte che nell’uomo si consolida, accanto all’autocontrollo cosciente, anche un apparato di autocontrollo che opera in modo cieco e automatico: tale meccanismo crea contro ogni deviazione dal comportamento usuale nella societa` una barriera di pesanti angosce; ma proprio perche´ funziona in modo automatico e cieco provoca spesso indirettamente deviazioni dalla realta` sociale. Coscientemente o no, l’orientamento, di questa modificazione del comportamento in funzione di una sempre piu` differenziata regolazione di tutto l’apparato psichico e` determinato dall’orientamento della differenziazione sociale, dalla progressiva divisione delle funzioni e dall’ampliamento delle catene di interdipendenza in cui direttamente o indirettamente vengono inseriti ogni moto, ogni manifestazione del singolo. Se cerchiamo un’immagine semplice che possa mettere in luce questa differenza tra l’inserimento del singolo in una societa` poco differenziata e il suo inserimento in una societa` piu` differenziata, e` sufficiente rammentare i tipi di vie e di strade nei due diversi tipi di societa`. Esse sono in un certo senso funzioni spaziali dell’interdipendenza sociale, la cui totalita` non puo` piu` essere espressa soltanto da un apparato concettuale ricavato da un continuum quadridimensionale. Si considerino le strade di campagna – acci-

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P ’ 

dentate, non lastricate, rese sconnesse dalla pioggia e dal vento – di una semplice societa` di guerrieri a economia prevalentemente naturale. Il traffico, a parte poche eccezioni, e` scarso; il pericolo principale per gli uomini e` rappresentato dalla guerra o da un attacco di briganti. Se gli uomini si guardano attorno, se scrutano alberi e colline lo fanno innanzitutto perche´ debbono sempre aspettarsi di essere attaccati con le armi, e soltanto in secondo o terzo luogo perche´ debbono scansare qualcuno. Quando si percorrono le strade principali, in questa societa`, bisogna essere sempre pronti a combattere e a far emergere la propria aggressivita` per difendere la propria vita o i propri beni contro un attacco. La circolazione sulle strade principali di una grande citta`, nella piu` differenziata societa` dell’epoca nostra, esige tutt’altro adattamento dell’apparato psichico. Qui il pericolo di un attacco di guerrieri o di briganti e` ridotto al minimo. Le automobili sfrecciano avanti e indietro; pedoni e ciclisti cercano di destreggiarsi in mezzo alla confusione delle macchine; ai grandi incroci i vigili urbani cercano con maggiore o minore fortuna di regolare il traffico. Ma questa regolazione dall’esterno e` concordata a priori in modo tale che ciascuno regoli rigidamente da se´ il proprio comportamento secondo le necessita` di questo intreccio di interdipendenze. Il pericolo principale cui l’uomo e` esposto qui, e` che qualcuno in questo ingranaggio perda l’autocontrollo. Sono necessari un costante controllo di se´ un’autoregolazione del comportamento altamente differenziata perche´ il singolo sappia destreggiarsi in mezzo al traffico. E` sufficiente che la tensione provocata da questa necessita` di costante autoregolazione divenga troppo forte per l’individuo, perche´ egli stesso e altri si trovino in pericolo di morte. Si tratta, naturalmente, soltanto di un’immagine. L’intreccio delle catene di azioni in cui si trova coinvolta ogni singola azione all’interno di questa societa` differenziata e` assai piu` complicato, gli autocontrolli a cui la vita ci abitua fin da piccoli son assai piu` profondamente radicati di quanto non risulti da questo esempio. Tuttavia, esso da` se non altro un’idea del nesso esistente tra l’habitus psichico dell’uomo «civile», cosı` profondamente condizionato dalla persistenza e differenziazione delle autocostrizioni, e la differenziazione delle funzioni sociali, la molteplicita` delle azioni che debbono essere costantemente accordate tra loro. Lo schema delle autocostrizioni, il modello del condizionamento delle pulsioni sono certamente assai diversi a seconda della

nelle societa` moderne il pericolo e` la perdita dell’autocontrollo

il sistema delle autocostrinzioni costituisce l’habitus psichico dell’uomo civile

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ai cambiamenti delle strutture sociali corrispondono cambiamenti nelle strutture psichiche

il monopolio della costrizione crea delle zone sociali pacificate

funzione e della collocazione del singolo entro questo intreccio; e anche oggi in molti settori del mondo occidentale la forza e la stabilita` dell’apparato di autocostrizione registrano una serie di gradazioni che risultano assai considerevoli se solo le si guarda da vicino. Ne scaturisce una serie di problemi particolari per la soluzione dei quali il metodo sociogenetico puo` essere di grande aiuto. Osservando l’habitus degli uomini in societa` meno differenziate, queste differenze e gradazioni cosı` forti in una societa` piu` differenziata appaiono assai meno importanti, mentre emerge in modo piu` chiaro e netto la linea generale della trasformazione che a noi qui interessa in primo luogo: via via che il tessuto sociale si va differenziando, il meccanismo sociogenetico dell’autocontrollo psichico diviene a sua volta piu` differenziato, piu` universale e piu` stabile. Ma la progressiva differenziazione delle funzioni sociali non e` che la prima e la piu` generale trasformazione sociale che si impone all’osservatore allorche´ va a ricercare le origini del mutamento dell’habitus psichico verso la «civilizzazione». Una totale riorganizzazione del tessuto sociale procede di pari passo con questa progressiva divisione delle funzioni. Abbiamo ampiamente illustrato come in una societa` in cui la divisione delle funzioni e` scarsa, gli organi centrali siano proporzionalmente instabili ed esposti facilmente alla disgregazione, quando tale societa` ha raggiunto un certo ordine di grandezza; abbiamo inoltre mostrato come, grazie ad un determinato sistema di costrizioni relazionali, le tendenze centrifughe e i meccanismi della feudalizzazione siano stati lentamente eliminati e come, passo passo, si siano costituiti organi centrali piu` stabili, piu` saldi monopoli della costrizione fisica. La peculiare stabilita` dell’apparato di autocontrollo psichico che emerge come un tratto decisivo nell’habitus di ogni uomo «civile», e` strettamente collegata alla formazione di monopoli della costrizione fisica e alla crescente stabilita` degli organi sociali centrali. Soltanto con la loro formazione entra in azione quell’apparato di condizionamento sociale che abitua l’individuo fin da piccolo ad un costante ed esattamente regolato controllo di se´. Soltanto allora, quindi, si forma nell’individuo un piu` stabile apparato di autocontrollo che in buona parte opera in modo automatico. Allorche´ entra in azione un monopolio della costrizione, si formano nella societa` zone pacificate, campi che di norma sono al

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P ’ 

riparo dall’impiego della violenza. Le costrizioni che all’interno di tali campi operano nel singolo individuo sono ora di genere differente. Le forme di violenza che sono sempre esistite, e che fino ad ora erano state mescolate o fuse con la violenza fisica, vengono emarginate; permangono sı` negli spazi pacificati, ma adeguatamente modificate. Alla coscienza contemporanea dello standard di comportamento appaiono visibili soprattutto sotto forma di violenza economica, di costrizione economica; in realta`, negli spazi umani in cui la violenza fisica non compare piu` come dato quotidiano e contribuisce soltanto, in forma mediata, a inculcare certe consuetudini, permane tuttavia una mescolanza di violenza e costrizioni di vario genere. Piu` in generale, il comportamento e l’economia affettiva degli uomini allorche´ si trasforma la struttura delle interrelazioni umane, come abbiamo descritto sopra, mutano seguendo una precisa direzione: le societa` in cui il monopolio della violenza non e` stabile sono sempre, nello stesso tempo, societa` in cui la divisione delle funzioni e` relativamente limitata e le catene di azioni che legano i singoli individui sono piuttosto brevi. Inversamente le societa` in cui i monopoli della violenza sono piu` stabili – e in un primo tempo si incarnano sempre in una corte principesca o reale di grandi dimensioni – sono societa` in cui la divisione delle funzioni e` piu` o meno avanzata, le catene di azioni che legano i singoli individui sono piu` lunghe e le interdipendenze funzionali degli uomini sono maggiori. In esse, l’individuo e` ampiamente protetto contro attacchi improvvisi, contro un brutale impiego della forza fisica ai suoi danni; ma nello stesso tempo e` costretto a sua volta a reprimere l’esplosione delle sue passioni, l’aggressivita` che lo spinge ad aggredire un altro. E le altre forme di costrizione che predominano negli spazi pacificati condizionano nello stesso senso il comportamento e le manifestazioni affettive del singolo. Quanto piu` fitto diviene l’intreccio delle interdipendenze che avviluppano il singolo con la progressiva divisione delle funzioni, quanto piu` ampi sono gli spazi umani su cui questo intreccio si estende e che, grazie a tale intreccio, si fondano in una unita` sia funzionale sia istituzionale, tanto piu` l’individuo che si abbandona all’aggressivita` e alle pulsioni spontanee vede compromessa la propria esistenza sociale; tanto piu` si avvantaggia invece sul piano sociale colui che sa dominare le pulsioni e tanto piu` ciascuno viene spinto fin da piccolo a meditare sull’effetto che le sue azioni o

il livello di complessita` delle societa` e` direttamente proporzionale alla stabilita` dei monopoli della violenza e alla capacita` di autocontrollo dell’individuo

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alla maggiore liberta` pulsionale corrisponde una costante minaccia di aggressioni...

quelle di altri possono avere su molti elementi della catena. Repressione delle aggressivita` spontanee, controllo degli affetti, ampliamento dell’orizzonte mentale, in modo da abbracciare la catena antecedente causale e la susseguente catena di effetti, sono tutti aspetti diversi di una medesima trasformazione del comportamento, e precisamente di quella che necessariamente si compie in concomitanza con la monopolizzazione del potere di esercitare la violenza fisica e con l’ampliamento delle catene di azioni e delle interdipendenze nello spazio sociale. Ed e` una modificazione del comportamento che procede nel senso della «civilizzazione». La trasformazione dei nobili da cavalieri a cortigiani ne e` un esempio. Negli spazi in cui l’impiego della violenza e` un evento quotidiano e inevitabile e in cui le catene di interdipendenza sono abbastanza brevi perche´ gli individui vivono per la maggior parte dei prodotti della loro terra, non e` necessario ne´ possibile ne´ utile un costante controllo delle pulsioni o degli affetti. La vita dei guerrieri, ma anche quella di tutti gli altri che vivono in questa societa` di guerrieri, trascorre incessantemente e direttamente sotto la minaccia di aggressioni violente; pertanto se la paragoniamo alla vita negli spazi pacificati essa oscilla tra due estremi. Il guerriero ha la possibilita` – rispetto ad altre societa` – di godere di una liberta` eccezionalmente ampia per quanto concerne l’espressione dei suoi sentimenti e passioni, abbandonarsi a piaceri selvaggi, di saziare sfrenatamente i suoi impulsi sessuali o anche i suoi odi distruggendo tutto cio` che e` nemico o che appartiene al nemico. Ma, nello stesso tempo, quando e` sconfitto e` tremendamente esposto alla violenza e alle passioni altrui, a un asservimento cosı` radicale, a forme talmente estreme di tortura fisica che successivamente, quando le torture fisiche, la cattura e la totale umiliazione del singolo saranno diventate monopolio del potere centrale, nella vita quotidiana di norma non esisteranno piu`. A causa di tale monopolizzazione, la minaccia fisica che pesa sul singolo assumera` lentamente un carattere piu` impersonale; non dipendera` piu` in un modo altrettanto immediato da emozioni improvvise; a poco a poco sara` sempre piu` sottoposta a regole e leggi precise; e infine anche in caso di trasgressione delle leggi si addolcira`, entro precisi limiti e nonostante certe fluttuazioni. Come abbiamo visto, dunque, la maggior liberta` pulsionale e la piu` accentuata minaccia fisica, che si ritrovano sempre nelle societa` in cui non si sono ancora formati monopoli centrali solidi e

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

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forti, sono fenomeni complementari. In questa struttura della societa` la possibilita` per il vincitore e per il libero di dare sfogo a pulsioni ed affetti e` maggiore, ma e` maggiore anche il pericolo che l’individuo corre da parte degli altri ed e` sempre presente la possibilita` dell’asservimento e della piu` brutale umiliazione, qualora un uomo si trovi in potere di un altro. Cio` non vale soltanto per i rapporti tra guerrieri, tra i quali con il progredire della monetizzazione e il restringersi del campo della libera concorrenza si e` via via venuto creando un codice di comportamento che impone di mitigare gli affetti: anche nella societa` nel suo complesso la liberta` d’azione del signore rispetto alla limitatezza della condizione femminile e alla inerme dipendenza dei sudditi, dei vinti e dei servi della gleba e` infinitamente piu` accentuata di quanto non sara` in seguito. Ad un’esistenza in balia di simili estremi, alla costante insicurezza imposta al singolo dalla struttura di questo intreccio sociale corrisponde la struttura del comportamento e dell’economia psichica individuali. Come i rapporti tra uomo e uomo possono tradursi per il singolo individuo in un atroce pericolo o nella possibilita` subitanea e imprevedibile di vincere o di essere liberato, cosı` anche il piacere e la sofferenza si alternano di continuo e in modo subitaneo. In effetti, la funzione sociale del libero guerriero e` assai poco strutturata al fine di poter prevedere a distanza i pericoli, di poter valutare con esattezza le ripercussioni delle singole azioni sul terzo o quarto membro della catena, anche se gia` nel Medioevo la crescente centralizzazione della forza militare ha lentamente avviato una trasformazione in tal senso. Ma all’inizio e` sempre la situazione presente che stimola l’impulso; mutando la situazione presente mutano anche le manifestazioni affettive; se essa apporta piacere, questo piacere viene gustato fino in fondo senza riserve, senza riflettere alle possibili conseguenze nel futuro; se apporta affanni, prigionia, sconfitta, anche tutto questo deve essere sopportato senza riserve. L’insopprimibile inquietudine, la costante vicinanza del pericolo, tutta l’atmosfera di questa vita cosı` poco prevedibile e insicura, in cui esistono tuttavia piccole e spesso fugaci isole di un’esistenza piu` riparata, provocano assai spesso e anche senza bisogno di stimoli esterni questi subitanei passaggi dalla gioia piu` sfrenata alla piu` profonda contrizione e penitenza. In questa esistenza l’anima, diciamo cosı`, e` assai piu` pronta a passare con la stessa intensita` da un estremo all’altro, e spesso

...ciascuno e` libero di dar sfogo alle proprie passioni ma ciascuno e` in balia di chi e` piu` forte di lui

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

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sono sufficienti impressioni minime, associazioni incontrollabili per far esplodere l’angoscia e un improvviso cambiamento di umore.

. Il controllo della violenza nelle societa` moderne

gli eccessi e la violenza vengono banditi dalla vita quotidiana...

...ma non cessano di esercitare la loro influenza sull’individuo

Quando muta la struttura dei rapporti umani, quando si formano le organizzazioni monopolistiche della violenza fisica e non sono piu` le costrizioni delle faide e guerre permanenti ma le piu` costanti costrizioni di funzioni pacifiche, fondate sul guadagno di ricchezza o di prestigio, a tenere a freno il singolo individuo, lentamente le manifestazioni affettive tendono verso una posizione intermedia. Le oscillazioni del comportamento e delle manifestazioni affettive non scompaiono, ma si fanno piu` moderate. Gli scarti verso l’uno o l’altro estremo sono meno accentuati, i cambiamenti d’umore meno repentini. Per rendersi conto del mutamento, basta osservare il quadro opposto. La minaccia che l’uomo rappresenta per i suoi simili e` sottoposta ad una piu` rigorosa regolazione grazie alla formazione dei monopoli della costrizione, e puo` essere piu` facilmente prevista. La vita quotidiana e` meno condizionata da mutamenti tali da provocare traumi. L’uso della violenza e` relegato nelle caserme; soltanto in casi estremi, in tempo di guerra o di rivolgimenti sociali, puo` irrompere direttamente nella vita del singolo. Di solito pero`, essendo divenuta monopolio di determinati gruppi specializzati, e` esclusa dalla vita degli altri; e questi specialisti, questa organizzazione monopolistica della violenza fisica sono ormai relegati ai margini della vita quotidiana della societa`, come un’organizzazione destinata a controllare il comportamento dell’individuo. Anche come organizzazione di controllo, pero`, la violenza fisica e la minaccia che ne promanano esercitano una determinata influenza sull’individuo, che egli lo sappia o no. Tuttavia essa non introduce nella vita dell’individuo una costante insicurezza, bensı` una particolare forma di sicurezza. Non lo fa piu` oscillare, da aggressore o da aggredito, da vincitore o da vinto, tra violente esplosioni di gioia e pesanti angosce; ma da questa violenza immagazzinata dietro le quinte della vita quotidiana promana una pressione costante e uniforme sulla vita del singolo, della quale egli quasi non si avvede perche´ vi e` abituato, perche´ fin dall’infanzia il

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

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suo comportamento e la sua conformazione pulsionale sono stati plasmati in armonia con questa struttura della societa`. Cio` che si e` modificato, in effetti, e` il meccanismo che modella il comportamento; e di conseguenza sono mutati non soltanto singoli modi di comportamento ma l’intero condizionamento del comportamento, l’intera struttura dell’autogoverno psichico. L’organizzazione monopolistica della costrizione fisica di solito non opera sull’individuo attraverso una minaccia diretta: quella che si esercita di continuo sul singolo, e` infatti una costrizione o pressione variamente mediata e largamente prevedibile. In buona parte, opera attraverso il mezzo della sua stessa riflessione. Di solito e` presente soltanto in modo potenziale, come istanza di controllo nella societa`; la costrizione effettiva e` quella che il singolo esercita su se stesso in quanto e` consapevole delle conseguenze dei suoi atti su tutta una serie di intrecci di atti, oppure in base ai corrispondenti gesti degli adulti che hanno modellato il suo apparato psichico fin dall’infanzia. La monopolizzazione della costrizione fisica, la concentrazione delle armi e dei portatori di armi nelle mani di uno solo rendono piu` o meno prevedibile l’impiego della costrizione stessa e costringono gli uomini inermi che vivono negli spazi pacificati, ad un atteggiamento controllato dalle proprie capacita` di previsione o di riflessione; in una parola, li costringono in misura piu` o meno elevata a dominare se stessi. Anche nella societa` guerriera medioevale, o in altre societa` che non dispongono di solidi e differenziati monopoli della costrizione fisica, non e` certo mai mancato del tutto una sorta di dominio di se´. Il meccanismo psichico degli autocontrolli, il Super-Io, la coscienza o comunque vogliamo chiamarlo era inculcato, imposto e mantenuto in vigore in una societa` di guerrieri in stretta connessione con l’esercizio della violenza fisica; la sua configurazione, quindi, corrispondeva pienamente a questo tipo di vita, con i suoi accentuati contrasti e i suoi subitanei salti d’umore. Rispetto al meccanismo di autocostrizione in societa` piu` fortemente pacificate, esso era confuso, instabile e lasciava ampi spazi a violente esplosioni affettive; le angosce che garantiscono un comportamento socialmente «corretto» in quella societa` non erano ancora state neppur lontanamente trasferite dalla coscienza del singolo al «profondo» della sua psiche. Dato che il pericolo principale proveniva non gia` da un fallimento dell’autoregolazione, da un cedimento dell’autocontrollo, ma da una diretta minaccia fisica dall’esterno, anche l’angoscia che

anche nelle societa` medievali agiva il meccanismo psichico dell’autocontrollo...

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

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...ma esso era instabile e confuso e oscillava da un estremo all’altro

il controllo della violenza si accentra nelle mani di un’istituzione pubblica e si decentra nelle coscienze dei singoli individui

gli era solita assumeva soprattutto la figura di una paura ispirata da potenze esterne. E poiche´ quel meccanismo era meno stabile, era anche meno universale, piu` unilaterale o parziale. In una societa` di questo genere, ad esempio, puo` essere inculcata una fortissima capacita` di sopportare la sofferenza fisica, che ha pero` come complemento quella che rispetto ad una societa` piu` pacificata – appare come un’estrema liberta` di esercitare la propria crudelta` su altri. Parallelamente, anche in determinati settori della societa` medioevale troviamo forme abbastanza estreme di ascesi, di autocostrizione e di automortificazione, alle quali in altri settori della societa` si contrappongono esplosioni altrettanto estreme di piacere; e abbastanza di frequente possiamo rilevare nella vita di uno stesso individuo repentini passaggi da un atteggiamento all’altro. L’autocostrizione che in questa societa` l’individuo impone a se stesso, la lotta contro la propria carne non e` meno intensa e unilaterale, non meno radicale e passionale del suo opposto: la lotta contro i suoi simili, lo sfrenato godimento dei piaceri. La monopolizzazione dell’impiego della violenza negli spazi pacificati e` un altro tipo di dominio di se´ o di autocostrizione. E un dominio di se´ assai meno passionale. Al meccanismo di controllo e sorveglianza esercitato dalla societa` corrisponde il meccanismo di controllo che si forma nell’economia psichica dell’individuo. Tanto l’uno quanto l’altro cercano ora allo stesso modo di assoggettare ad una piu` rigorosa regolazione l’intero comportamento, tutte le passioni. Entrambi – e in buona parte condizionandosi a vicenda – esercitano una costante e uniforme pressione per tenere a freno le manifestazioni emozionali. Entrambi mirano a ridurre il divario tra le oscillazioni estreme nel comportamento e nelle manifestazioni emotive. Come la monopolizzazione della violenza fisica tende a diminuire la paura che gli uomini si ispirano reciprocamente, e nello stesso tempo anche la possibilita` di ciascuno di atterrire, angosciare o torturare gli altri uomini (cioe` la possibilita` di dare libero sfogo ai propri piaceri o alla propria aggressivita`), cosı` anche l’autocontrollo costante al quale il singolo viene sempre piu` abituato mira a ridurre i contrasti e i subitanei mutamenti del comportamento, l’esplosione emozionale in tutte le sue manifestazioni. Il singolo viene dunque spinto a trasformare tutta la sua economia psichica nel senso di una continua e uniforme regolazione della sua vita pulsionale e del suo comportamento in ogni aspetto della vita.

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

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Nella stessa direzione operano anche le costrizioni e le forze non violente cui l’individuo e` sempre esposto negli spazi pacificati, ad esempio le costrizioni economiche. Anche queste sono meno cariche di passionalita`, piu` moderate, piu` stabili e continuative delle costrizioni che l’uomo esercitava sui suoi simili in una societa` di guerrieri priva di monopoli. Anch’esse, che si incarnano nella globalita` delle funzioni socialmente aperte al singolo, lo costringono incessantemente a guardare, al di la` del presente, al passato e al futuro, conformemente alle piu` lunghe e differenziate catene in cui si inserisce automaticamente ciascuna azione; esigono che il singolo sappia costantemente dominare i propri momentanei stimoli affettivi e pulsionali, tenendo conto degli effetti che il suo comportamento puo` avere sulla distanza. Coltivano nell’individuo un dominio su di se´ uniforme – se paragonato ad altri standards – che circondi come una solida cerchia ogni suo comportamento, e una piu` costante regolazione dei suoi impulsi conformemente agli standards sociali. Come sempre, non sono soltanto le funzioni degli adulti a sviluppare negli uomini tale riserbo, tale costante regolazione degli impulsi e degli affetti; gli adulti inculcano nei bambini comportamenti e costumi corrispondenti ai propri, in parte in modo automatico e in parte consapevolmente. Fin dalla prima infanzia l’individuo viene indirizzato verso quel costante riserbo e quella lungimiranza di cui avra` bisogno per esercitare le funzioni di adulto. Tale riserbo, tale regolazione del suo comportamento e della sua economia pulsionale divengono in lui, fin da piccolo, a tal punto un’abitudine da provocare nel suo intimo la creazione di una sorta di relais degli standards sociali, un automatico autocontrollo degli istinti volta per volta adeguato agli schemi e modelli di ciascuna societa`, cosicche´ egli e` soltanto parzialmente consapevole di reprimere pulsioni e tendenze. In precedenza, nella societa` di guerrieri il singolo se era abbastanza forte e potente poteva esercitare la violenza; poteva abbandonarsi liberamente alle sue inclinazioni in molti campi, che successivamente sono stati colpiti da divieti sociali e quindi non piu` praticabili. Tuttavia, questa piu` ampia chance di godere di piaceri immediati era controbilanciata da una piu` ampia chance di soffrire per paure manifeste e immediate: le concezioni medioevali dell’inferno ci fanno intuire, data questa struttura dei rapporti tra gli uomini, quanto intensa fosse nel singolo questa paura. Piacere e

la divisione del lavoro e l’interdipendenza nelle societa` moderne esigono da parte dell’individuo un costante calcolo retrospettivo degli effetti delle proprie azioni

moderazione, riserbo e lungimiranza sono i caratteri dell’uomo civile

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l’uomo moderno non e` piu` schiavo delle proprie passioni...

...ma deve continuamente combattere una battaglia contro se stesso

sofferenza si manifestavano in modo piu` aperto e libero verso l’esterno, ma l’individuo ne era prigioniero: molto spesso era frastornato dalle sue stesse sensazioni come da forze di natura. Dominava meno le sue passioni e ne era invece piu` fortemente dominato. Successivamente, quando i «tapis roulants» che attraversano l’esistenza del singolo si fecero piu` lunghi e differenziati, egli apprese a dominarsi in modo piu` regolare e fu dunque meno schiavo di un tempo delle sue passioni. Ma dato che era legato in modo piu` solido di prima ad un numero sempre maggiore di uomini, a causa della sua dipendenza funzionale, anche nel suo comportamento si trovo` ad essere assai meno libero di soddisfare direttamente le sue inclinazioni e pulsioni. In un certo senso, la vita diviene piu` scevra di pericoli ma anche piu` vuota di affetti e di piaceri, almeno per quanto riguarda la manifestazione immediata del proprio desiderio di piacere. Come surrogato, tutto cio` che nella vita quotidiana viene a mancare viene trasferito nel sogno, nei libri e nei dipinti. Cosı` la nobilta`, gia` incamminata verso la curializzazione, incomincia a leggere romanzi cavallereschi, e cosı` oggi il borghese puo` pascersi di violenza e di passione amorosa nei film. Gli scontri fisici, le guerre e le faide si diradano; tutto cio` che li rammenta, perfino lo squartamento di animali macellati o l’uso del coltello a tavola, viene rimosso o perlomeno sottoposto ad una regolazione sociale sempre piu` rigorosa. Ma nello stesso tempo il campo di battaglia viene in un certo senso introiettato. Una parte delle tensioni e passioni che un tempo venivano risolte nello scontro diretto tra uomo e uomo deve essere ora risolta da ciascuno entro di se´. Le piu` pacifiche costrizioni esercitate su ogni uomo dal rapporto con i suoi simili vengono riflesse al suo interno; si consolida in lui un particolare meccanismo consuetudinario, uno specifico «Super-Io» che si sforza continuamente di regolare i suoi affetti in conformita` con la struttura sociale, di trasformarli o di reprimerli. Ma le pulsioni, le passioni che ora non possono piu` venire direttamente alla ribalta nei rapporti tra gli uomini, assai spesso lottano in modo non meno violento all’interno dell’individuo contro quella parte di se´ che esercita il controllo. E non sempre questa lotta semi-automatica dell’uomo con se stesso ha una soluzione felice; non sempre la trasformazione di se´ imposta dalla vita in questa societa` porta ad un nuovo equilibrio dell’economia pulsionale. Molto spesso provoca turbamenti piu` o meno

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

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gravi, rivolte di una parte dell’uomo contro l’altra o atrofie che rendono piu` difficile o addirittura impediscono l’esercizio delle funzioni sociali. Le oscillazioni verticali, se cosı` possiamo chiamarle, i trapassi repentini dalla paura alla gioia, dal piacere alla penitenza diminuiscono: aumenta invece la spaccatura orizzontale che attraversa l’individuo da una parte all’altra, la tensione tra «Super-Io» e «Inconscio» o «Subconscio». Ancora una volta lo schema generale di questi fenomeni di interdipendenza appare abbastanza semplice, se ne osserviamo non soltanto le strutture statiche ma la sociogenesi. L’interdipendenza reciproca di gruppi umani di ampie proporzioni e l’eliminazione dell’impiego della violenza fisica danno vita ad un meccanismo sociale nel quale le costrizioni che gli uomini esercitano gli uni sugli altri si trasformano in autocostrizioni; queste ultime, funzioni della costante osservazione retrospettiva e prospettiva cui il singolo viene abituato fin dall’infanzia dato il suo inserimento in ampie catene di azioni, assumono in parte la forma di un consapevole dominio di se´ e in parte quella di consuetudini che operano in modo automatico. Esse provocano una repressione piu` uniforme, un riserbo costante, una piu` precisa regolazione delle manifestazioni pulsionali e affettive, secondo uno schema differenziato e corrispondente alla situazione sociale. Ma a seconda della pressione interna, a seconda della situazione della societa` e del singolo, provocano in lui anche peculiari tensioni e turbamenti nel comportamento e nella vita pulsionale. In determinate circostanze possono produrre un’irrequietudine e un’insoddisfazione costanti, proprio perche´ una parte delle inclinazioni e degli impulsi possono ora essere soddisfatte soltanto mutando forma, ad esempio nella fantasia, o in un atteggiamento da spettatore e uditore, o nei sogni e nei parti dell’immaginazione. A volte l’abitudine a reprimere le proprie emozioni va tanto oltre – e ne sono un esempio la costante sensazione di noia o di solitudine – che l’individuo non e` piu` in grado di esprimere liberamente le proprie emozioni trasformate o di soddisfare direttamente le pulsioni represse. (...)

l’abitudine a reprimere le proprie emozioni puo` condurre alla noia, alla solitudine e infine ad una atrofia delle emozioni

. Fra costrizione e autocostrizione Cio` che fa del processo di civilizzazione in Occidente un fenomeno particolare e unico e` il fatto che qui la divisione delle

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il ‘‘ritmo’’ dell’epoca moderna

la costituzione del tempo sociale l’organizzazione sociale del tempo come misura del cambiamento sociale

funzioni ha acquistato tali proporzioni, i monopoli della violenza e quelli fiscali sono divenuti cosı` stabilı`, le interdipendenze e le competizioni si sono estese a spazi cosı` estesi e a masse umane talmente grandi che non ritroviamo nulla di simile in tutta la storia dell’umanita`. (...) Uno dei fenomeni che evidenziano in modo particolare questo nesso tra la vastita` e la pressione interna della rete di interdipendenze da un lato, e la situazione psichica dell’individuo dall’altro, e` quello che chiamiamo il «ritmo» della nostra epoca. Questo «ritmo» in effetti non esprime che il numero di catene di interdipendenze che si annodano in ogni funzione sociale, e altresı` la pressione concorrenziale che scaturisce da quest’ampia e popolosa rete stimolando ogni azione. Lo possiamo rilevare in un funzionario o in un imprenditore dal gran numero di colloqui o trattative, oppure in un operaio dalla precisa sincronizzazione di ogni suo movimento. In entrambi i casi, il «ritmo» esprime la quantita` di azioni che dipendono l’una dall’altra, la lunghezza e densita` delle catene cui si riallacciano le singole azioni come parte di un tutto, l’intensita` delle lotte per la concorrenza o l’eliminazione che mantengono in movimento tutto questo intreccio di interdipendenze. In entrambi i casi, la funzione posta al punto di raccordo di tante catene di azioni esige una rigorosa ripartizione del proprio tempo; abitua a subordinare le inclinazioni momentanee alle esigenze di una cosı` ampia interdipendenza; allena a eliminare ogni oscillazione nel proprio comportamento e ad esercitare una costante autocostrizione. Ecco il motivo per cui tanto spesso le tendenze del singolo si rivoltano contro il tempo sociale rappresentato dal suo «Super-Io», per cui tanti uomini sono costretti a lottare con se stessi per poter essere puntuali. Dallo sviluppo degli strumenti di misurazione del tempo e della coscienza del tempo – cosı` come da quello del denaro e di altri strumenti di interdipendenza – si puo` dedurre con sufficiente esattezza come progredisca la divisione delle funzioni e con essa l’autoregolazione imposta al singolo. (...)

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 La concezione e l’organizzazione del tempo dalle societa` primitive a quelle moderne*

. Di cosa si parla quando si parla di tempo «Se non mi chiedono che cos’e` il tempo, lo so» disse una volta un vecchio saggio, «ma se me lo chiedono, non lo so». Perche´ chiederselo allora? Se studiamo il problema del tempo, possiamo apprendere delle cose sugli uomini e, dunque, anche su noi stessi che prima ci sfuggivano. Diventano accessibili dei problemi che alla sociologia e alle scienze umane in genere, visto lo stadio sinora raggiunto dalle loro teorie, rimangono ancora incomprensibili. I fisici dicono talvolta di misurare il tempo. Si servono di formule matematiche in cui la misura del tempo, come quantita` concreta, gioca un ruolo importante. Tuttavia noi non possiamo vedere il tempo, ne´ sentirlo, non possiamo udirlo, ne´ gustarlo, ne´ toccarlo. E` un problema che attende ancora una risposta. Come possiamo misurare qualcosa che non riusciamo a percepire con i sensi? Un’ora e` invisibile. Ma gli orologi non misurano forse il tempo? Gli orologi ci servono certamente per misurare qualcosa. Tuttavia questo qualcosa non e` propriamente il tempo invisibile, ma qualcosa di molto tangibile, come la lunghezza di una giornata di lavoro o di una eclissi di luna oppure la velocita` di un atleta che corre i cento metri. Gli orologi sono sequenze socialmente standardizzate di avvenimenti che incorporano modelli di sequenze uniformemente ricorrenti come le ore e i minuti. Se lo stato dello sviluppo sociale lo richiede e lo consente, tali modelli possono essere gli stessi in un ¨ ber die Zeit, Frankfurt, Main, 1985. Trad. it. Saggio sul tempo, * Norbert Elias, U Bologna, il Mulino, 1986, pag. 7-13, 17-18, 63-71, 127-129.

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il tempo come strumento per organizzare e coordinare le attivita` sociali

intero paese e persino in molti paesi diversi. Cosı`, con l’ausilio degli orologi, possiamo confrontare la velocita` di aerei che percorrono la medesima distanza spaziale in luoghi totalmente diversi della terra. Col loro aiuto possiamo confrontare la lunghezza o la velocita` di certe sequenze percettibili che, per loro natura, non consentirebbero un confronto diretto, giacche´ avvengono l’una dopo l’altra, come nel caso della lunghezza di due discorsi tra loro successivi. Quando trovano necessario farlo, per confrontare due sequenze non direttamente confrontabili gli uomini ricorrono allora ad una sequenza socialmente standardizzata di avvenimenti. A che scopo lo fanno e a quale stadio di sviluppo essi iniziano ad elaborare un concetto unitario di elevato livello di sintesi, come quello contenuto nella parola «tempo», che permette loro di esprimere cio` che e` comune a piu` sequenze di avvenimenti e puo` essere indirettamente afferrato solo mettendolo in riferimento ad una sequenza standard, e` una cosa che resta ancora da studiare. Cio` di cui possiamo essere certi, comunque, e` che anche gli orologi, al pari delle semplici sequenze naturali con la medesima funzione sociale, servono agli uomini come mezzo per orientarsi nel succedersi delle sequenze sociali e naturali in cui si trovano inseriti, e probabilmente servono loro anche come strumenti per regolare i loro comportamenti in vista di un reciproco coordinamento in base a sequenze pure, vale a dire non manipolate dagli uomini. Quando, negli stadi primitivi di sviluppo, e` sorta la necessita` di dare una risposta alla domanda circa la posizione dei fenomeni o la lunghezza di una qualche sequenza nel succedersi degli avvenimenti, gli uomini hanno utilizzato di solito, come sequenza standard, un certo tipo di serie naturali. Hanno fatto ricorso a sequenze naturali che, come tutto quanto avviene in successione, erano in realta` uniche e irripetibili, ma la cui ricomparsa in seguito rivelava un modello molto simile o uguale al modello apparso in precedenza. Un tale modello ricorrente di successione di eventi, quale e` ad esempio quello del flusso e riflusso delle maree, quello dei battiti ripetuti del polso o quello del comparire e scomparire del sole e della luna, e` stato utilizzato dagli uomini, in uno stadio primitivo, come strumento per armonizzare le attivita` umane sia tra di loro che con sequenze di avvenimenti extraumani, allo stesso modo in cui gli uomini degli stadi piu` tardi utilizzano il modello ricorrente e simbolico che appare sul quadrante degli orologi da loro stessi creati. (...)

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L   ’        

La grande importanza sociale assunta nella nostra epoca dalle scienze fisiche ha invece contribuito a farci apparire il tempo, con una certa dose di ovvieta`, come se fosse un dato facente parte del grande contesto dei fenomeni naturali non umani e quindi appartenente, come oggetto di indagine scientifica, all’ambito di competenza dei fisici. Uno sguardo allo sviluppo dei modi di determinazione temporale e dei suoi strumenti ci rivela al contrario che il predominio dei fisici e dell’immagine naturalistica del tempo e` di data relativamente recente. In effetti, sino all’epoca di Galilei cio` che chiamiamo «tempo», come cio` che chiamiamo «natura», era incentrato principalmente sui gruppi umani. Il tempo era soprattutto un mezzo per orientarsi nel mondo sociale, per regolare la convivenza degli uomini. Le sequenze naturali standardizzate e manipolate dagli uomini trovavano applicazione come strumenti per determinare la posizione o la durata delle attivita` sociali nel flusso degli avvenimenti e solo di recente da cio` e` derivato l’impiego degli orologi in veste di strumenti utili a studiare le sequenze puramente naturali. Il mistero del tempo, da sempre avvertito dagli uomini, si e` cosı` rafforzato. Di sfuggita possiamo notare qui un problema fondamentale per la sociologia: dalla vita comune degli uomini scaturisce qualcosa che essi non comprendono, qualcosa che a loro stessi sembra enigmatico e misterioso. Che gli orologi siano strumenti prodotti e impiegati dagli uomini per scopi determinati e in base a certe esigenze della loro vita comune, non e` difficile da riconoscere. Ma che anche il tempo abbia un carattere strumentale, a quanto pare, e` una cosa piu` difficoltosa da comprendere. Non sentiamo come esso scorre inesorabilmente sulla testa degli uomini? Del resto anche la consuetudine linguistica intralcia il nostro giudizio. Essa ci fa sembrare che il tempo sia qualcosa di misterioso che pero` gli orologi, gli strumenti creati dagli uomini, possono misurare. (...)

. L’organizzazione sociale del tempo Nelle societa` piu` sviluppate, ad esempio, sembra quasi ovvio che un uomo sappia quanti anni ha. E` con stupore e forse con un gesto d’incomprensione che gli appartenenti a tali societa` reagiscono alla notizia che, nelle societa` piu` semplici, vi sono uomini

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

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

I   :   

occorre un’unita` di misura socialmente standardizzata

il riferirsi a un calendario comune consente alle varie istituzioni sociali di funzionare

l’organizzazione sociale del tempo diventa via via un fatto ovvio...

...cosı` come l’autocostrizione individuale rispetto alla disciplina temporale

che invece non saprebbero dare una risposta precisa alla domanda di quanti anni hanno. Ma se nel repertorio di conoscenze sociali di un gruppo non c’e` anche un calendario, e` difficile che qualcuno sappia calcolare il numero d’anni della propria vita. Noi possiamo, infatti, misurare indirettamente la lunghezza di un segmento di vita soltanto se lo mettiamo a confronto con la lunghezza di un altro segmento e per farlo abbiamo bisogno del quadro di riferimento offerto da una sequenza di avvenimenti che sia dotata di un segmento ricorrente di lunghezza socialmente standardizzata. In una parola, abbiamo bisogno di cio` che si chiama un calendario. Il succedersi irripetibile degli anni, in questo caso, rappresenta simbolicamente il succedersi irripetibile di una sequenza sociale e naturale di avvenimenti. Esso serve in tal modo anche da mezzo per orientarsi nel grande continuum di mutamenti rappresentato dal mondo sociale e naturale. Il computo dei mesi e dei giorni del calendario costituisce pertanto un modello ripetibile di sequenze irripetibili di avvenimenti. E la totalita` di questi simboli del calendario e` in genere, nelle societa` piu` complesse, indispensabile anche per regolare le relazioni interumane e dunque, ad esempio, per determinare il periodo delle ferie oppure la durata di un contratto. Cosı`, in queste societa`, la conoscenza del tempo del calendario e degli orologi, sia come mezzo per regolare le relazioni interumane che come mezzo che permette a ciascun individuo di orientare se stesso e sapere la propria eta`, diviene per gli uomini che ne sono membri un fatto ovvio, su cui raramente essi riflettono. Cessano di chiedersi come mai la convivenza degli uomini appartenenti ad uno stadio piu` primitivo dello sviluppo ha potuto ugualmente funzionare senza gli orologi e i calendari, mentre negli stadi piu` tardi la convivenza sarebbe difficilmente possibile senza questi strumenti di regolazione e orientamento temporale. Non si chiedono come e perche´ si e` giunti ad una precisa differenziazione in giorni, ore e persino secondi di certi apparecchi standardizzati come dispositivi temporali, ne´ si chiedono come si e` arrivati al corrispondente modello di autocontrollo individuale, alla corrispondente autocostrizione a sapere sempre che ora e`. La comprensione delle connessioni esistenti tra la struttura sociale, con la sua indispensabile, ma anche ineluttabile, rete di determinazioni temporali, e la struttura della personalita`, con il suo alto grado di sensibilita` e disciplina temporale, non e` piu` un problema acuta-

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L   ’        

mente avvertito da questi uomini. Sentono incombere l’urgenza del tempo quotidiano degli orologi e – con tanta piu` forza quanto piu` divengono vecchi – la corsa sfrenata degli anni del calendario. Tutto cio` diventa una seconda natura; ci sembra essere un destino comune a tutti e lo accettiamo. Ma il cieco processo in questa direzione va ancora oltre. Particolarmente, ma di certo non soltanto, nel caso di posizioni piu` elevate di coordinamento, cresce costantemente il numero delle catene di interdipendenza di cui tali posizioni sono punto d’incrocio, e cosı`, sugli uomini che si trovano di volta in volta ad occuparle, aumenta la pressione che li spinge a suddividere con sempre maggiore precisione le loro attivita` professionali. (...) Ciascun individuo non s’inventa il concetto di tempo da solo. Sin dall’infanzia, noi apprendiamo sia il concetto che l’istituzione sociale, da questo inseparabile, del tempo, sempre ammesso che si cresca in una societa` in cui questo concetto e questa istituzione sono di casa. Nelle societa` in cui cio` avviene, noi apprendiamo il concetto di tempo non solo come strumento di una riflessione il cui risultato e` destinato alla pubblicazione sui libri di filosofia. In tali societa`, ogni bambino impara invece quasi subito a riconoscere nel «tempo» il simbolo di una istituzione sociale e inizia molto presto ad avvertire la sua eterocostrizione. Se, entro i primi dieci anni di vita, non impara a sviluppare un apparato di autocostrizione conforme a questa istituzione; se, in altri termini, un bambino che vive in tali societa` non impara per tempo a regolare il proprio comportamento e la propria sensibilita` in conformita` all’istituzione sociale del tempo, gli riuscira` oltremodo difficile, se non addirittura impossibile, occupare in seguito, in queste stesse societa`, la posizione di adulto. (...)



la complessita` sociale richiede una rigorosa organizzazione delle attivita` secondo un sistema di orari e calendari

la socializzazione alle regole temporali della societa`

. L’esperienza del tempo dalle societa` primitive a quelle moderne «Quando lo facciamo?». Questa e` la prima domanda a cui gli uomini danno una risposta quando affrontano il viaggio avventuroso che li conduce alla determinazione del tempo. Il punto di partenza, vale a dire cio` che si cerca di determinare, sono innanzitutto sempre le proprie attivita`; negli stadi piu` primitivi particolarmente le proprie attivita` di gruppo. A dire il vero, sotto certi

l’esperienza del tempo nelle societa` primitive

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

I   :   

organizzazione temporale delle attivita` orologio fisiologico/ orologio naturale

determinazione passiva del tempo

l’organizzazione sociale del tempo inizia con l’avvento dell’agricoltura e gli uomini si assoggettano a una certa disciplina temporale...

aspetti, gli uomini iniziano a determinare temporalmente le loro attivita` gia` in uno stadio nel quale non si trovano ancora di fronte a quei problemi che trovano la loro espressione in esplicite e articolate domande relative al «quando». In stadi simili, la determinazione del tempo e` passiva; essa e` concepita ed esperimentata in minima parte in quanto tale, e in misura limitata tale determinazione passiva del tempo continua a sussistere ancora oggi. Cosı`, ad esempio, si possono «temporalizzare» le proprie attivita` piu` o meno secondo l’impulso dei propri istinti animali: si mangia quando si ha fame, si va a dormire quando si e` stanchi. Nel nostro genere di societa` questi cicli piu` animali sono regolati e strutturati secondo una organizzazione sociale differenziata, che sino ad un certo punto spinge gli uomini ad accordare, e pertanto a disciplinare, il loro orologio fisiologico secondo l’orologio sociale. Nelle societa` relativamente semplici cio` avviene molto meno; in esse la regolazione e strutturazione dell’orologio fisiologico (ammesso che si possa parlare in generale di «regolazione») dipende molto piu` direttamente dalla misura in cui la natura non umana – ma a volte anche gli uomini, giacche´ li si puo` sempre rapinare – consente od ostacola il soddisfacimento dei propri bisogni. In queste societa` gli uomini possono andare a caccia non appena hanno fame e smettere di affaticarsi non appena si sono saziati. Ad un livello un po’ piu` elevato nella determinazione passiva del tempo essi possono andare a dormire quando fa buio e alzarsi quando sorge il sole. Nei loro discorsi e pensieri essi impiegano la parola «sonno» invece della parola «notte». Vi sono dunque stadi, nello sviluppo delle societa` umane, in cui gli uomini hanno solo in minima parte dei problemi relativi alla determinazione sociale del tempo tali da richiedere che le loro attivita` di gruppo siano attivamente sincronizzate con altri mutamenti. Lo scenario cambia in misura considerevole allorche´ gli uomini passano a produrre attivamente il loro cibo. Un buon esempio e` l’agricoltura, vale a dire l’utilizzazione delle piante coltivate. In questo stadio compaiono dei problemi relativi alla determinazione attiva del tempo (in aggiunta alla determinazione passiva) e con essi dei problemi relativi ad un controllo sociale e personale piu` attivo. Infatti, attraverso il dominio e la utilizzazione del mondo vegetale, gli uomini vengono assoggettati ad una disciplina prima sconosciuta, che e` loro imposta dall’esigenza di coltivare le

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L   ’        

piante da cui viene a dipendere ora il loro approvvigionamento alimentare. Un esempio tratto dalla storia di una piccola tribu` africana del secolo scorso puo` servire ad illustrare questo punto. Esso mostra in breve uno dei problemi grazie ai quali l’agricoltore primitivo e` spinto a sviluppare delle forme di determinazione attiva del tempo:



...sviluppando un atteggiamento attivo rispetto al tempo

Un lavoro tra i piu` impegnativi del [...] sacerdote era quello di osservare le stagioni affinche´ egli potesse annunciare e rendere a tutti noto il tempo della semina e il tempo per la celebrazione delle feste. Per quanto riguarda il primo compito, egli doveva salire sino a un punto di osservazione rivolto verso levante, da cui poter osservare ogni giorno il sorgere del sole. Si dice che ci fosse a levante [...] un monte piatto come una tavola [...], e se si vedeva il sole alzarsi proprio dietro quella montagna allora si poteva considerare la prima pioggia della settimana sufficiente per la semina. Il giorno successivo alla pioggia il sacerdote lanciava un allarme che veniva ripetuto e propagato per l’intero distretto montano. Poco dopo si potevano vedere gli agricoltori e le loro famiglie correre giu` dalla montagna con le zappe e le ceste per partecipare al lavoro comune. L’allarme dice cosı`: Gettate via la miseria la fame e` finita. Mai lo si dice, di notte o di giorno, ma ora io voglio dirlo affinche´ essa sia cacciata nella terra del dolore. Si poteva udire la gente cantare questo allarme sino a che durava la semina, ma chi avesse in seguito osato [dire questo versi, cioe` utilizzare la formula magica per cacciare la fame nella terra del dolore] costui o costei sarebbe stato pesantemente punito o, peggio, gettato in schiavitu`. Per poter dire invece al suo popolo qualcosa di preciso circa la celebrazione delle feste di meta` anno, il sacerdote doveva andare su un’altra rupe, rivolta verso ponente, e la`, ad ogni apparizione della luna nuova, fare un segno con la pietra o mettere una conchiglia in un vaso appositamente apprestato. Nessuno poteva toccare il vaso eccetto il sacerdote e i suoi aiutanti.

Questo passaggio illustra molto chiaramente l’esperienza del tempo di uomini appartenenti ad uno stadio agricolo relativamente primitivo. Si tratta di una esperienza determinata da biso-

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

I   :   

coordinare il ciclo delle attivita` sociali con quello delle stagioni

il calendario richiede un alto livello di pensiero astratto

gni sociali pratici. In quanto tale, essa e` strettamente autoreferenziale, non nel senso di un se´ individuale, quanto nel senso del gruppo che si trova di fronte al problema di determinare il tempo. Il sacerdote osserva il corso del sole e dalla luna non perche´ si interessa di astronomia, ma perche´ quelle mutevoli luci del cielo, e per loro tramite forse una qualche potenza invisibile, gli dicono quando il suo popolo deve iniziare la seminagione e quando deve celebrare le sue feste culturali con riti e sacrifici, magari con canti e danze, per ottenere in tal modo l’aiuto della divinita` nel produrre il cibo e difendersi da ogni possibile pericolo. In questo stadio la produzione alimentare e i comportamenti culturali sono ancora strettamente uniti. Insieme essi appartengono a quei primi ambiti sociali della vita che mettono gli uomini di fronte ad una attiva determinazione del tempo. La determinazione passiva del tempo non richiede alcuna decisione; la determinazione attiva del tempo invece la richiede. Il punto critico e` dato dal coordinamento del ciclo continuo delle attivita` sociali con il ciclo continuo delle modificazioni in seno alla natura non umana. Cosı`, ad esempio, il raccolto dell’anno precedente, che e` stato accantonato per i mesi di magra, ad un certo momento puo` avvicinarsi all’esaurimento. Anche se le provviste possono venire in parte rimpiazzate dalla carne di animali uccisi o da radici raccolte qua e la`, per integrarle nuovamente occorre attendere il successivo raccolto. Rispetto al mutare ciclico, non dominabile dall’uomo, delle stagioni e rispetto al ritmo, dominabile in modo comparabilmente piu` facile, della crescita delle piante, sorge il problema di decidere quando si deve iniziare la semina. Nella situazione dell’Africa occidentale cio` significa: quando al tempo della siccita` subentrera` il tempo della pioggia? La pioggia che e` caduta ne e` un annuncio o e` un episodio senza seguito? Ora invece il sole, per bocca del sacerdote, ha dato la risposta; e gli uomini esultano. Essi stessi probabilmente non si pongono piu` di tanto il problema di sapere in che modo il loro sacerdote e` giunto ad ottenere la risposta. Non hanno ancora alcuna sensibilita` per il tempo in senso astratto, come di qualcosa che trascorre. Cio` di cui si preoccupano sono i loro problemi immediati, come, ad esempio la diminuzione delle provviste. Vi sono certo delle societa` ad uno stadio di sviluppo incomparabile a questo cui simili esperienze non si sono ancora consolidate in concetti regolativi ad un livello relativamente elevato di astrazione

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L   ’        

o, meglio ancora, di sintesi, in concetti dunque come «mese», «anno» o persino «tempo». I loro concetti sono molto piu` strettamente collegati ai cicli ricorrenti dei loro bisogni tangibili, all’eterno circolo di soddisfacimento momentaneo, bisogno nuovamente rinnovato e ricerca di un ulteriore soddisfacimento. In questo stadio la determinazione del tempo ha ancora il carattere di ricerca di segnali piuttosto che quello di osservazione di un impersonale orologio celeste. Soltanto gradualmente essa iniziera` da qualche parte a trovare un posto e un significato tra questi due poli. Inoltre, per questi uomini risulta ancora difficile, quando non e` del tutto assente, il calcolo astratto che fa uso soltanto di indicazioni numeriche. Percio` il sacerdote, ogni volta che vede la luna nuova passare sopra un certo posto, mette una conchiglia in un vaso; per ricordare in questo modo quante volte, a partire dal cessare dei venti caldi e secchi, si deve osservare in cielo la luna nuova. La grandezza del mucchio di conchiglie gli dice approssimativamente se e` giunto il tempo delle festivita`. Puo` essere difficile oggi immaginare la vita degli uomini in uno stadio in cui non si e` ancora sviluppata una conoscenza dei numeri astratti simile alla nostra; cosı` come e` difficile immaginarsi uno stadio in cui gli uomini non hanno ancora sviluppato quelle tecniche di determinazione del tempo e di datazione in base alle quali soltanto noi possiamo fare esperienza del «tempo» come flusso continuo. Tentare di farlo, pero`, ne vale la pena. L’episodio che abbiamo tratto dalla storia di un piccolo popolo di montagna mostra diverse particolarita` strutturali che sono di grande interesse per la sociologia del tempo. Considerato sociologicamente, il tempo ha una funzione di coordinamento e di integrazione. Negli stadi piu` primitivi la funzione sociale di coordinamento e integrazione e` di norma esercitata da alcune figure centrali quali i sacerdoti o i re. In particolare, la coordinazione attuata mediante un sapere riguardante il «tempo esatto» in cui le cose devono essere fatte e` a lungo una speciale prerogativa sociale dei sacerdoti. Lo possiamo vedere qui. I sacerdoti sono esentati dalla fatica di prodursi il cibo. Essi hanno piu` tempo a disposizione per osservare le mutevoli luci del cielo. Gia` in questo piccolo villaggio-Stato africano il sacerdote, in forza del suo sapere segreto relativo al «tempo esatto», possiede un potere ed una autorita` sufficienti per decidere per i membri della sua comunita` quando devono avere inizio le attivita`



all’inizio la natura viene interrogata per trarre dei segnali, solo successivamente la natura suggerira` l’elaborazione di calendari e strumenti per misurare il tempo

la funzione sociale di coordinamento e integrazione delle attivita`

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

I   :   

la funzione sociale dei sacerdoti ...determinare attivamente il tempo

un esempio dell’esercizio di questo monopolio nelle odierne societa` statali e` dato dalla commutazione dell’«ora invernale» in «ora estiva» (nota di Elias)

collettive di coltivazione dei cereali e i riti stagionali di culto. Questo non e` assolutamente un caso unico. Quasi ovunque, nel lungo sviluppo delle societa` umane, furono i sacerdoti i primi specialisti nella determinazione attiva del tempo. In una fase piu` tarda, quando ebbero origine societa`-Stato piu` grandi e complesse, i sacerdoti condivisero di solito la funzione sociale di stabilire il momento temporale delle piu` importanti attivita` sociali con altre autorita` statali mondane, in una comunanza spesso ricca di tensioni. Quando poi la lotta per la supremazia tra i sacerdoti e i re si concluse a vantaggio di questi ultimi, la determinazione del tempo, al pari del battere moneta, divenne uno dei monopoli dello Stato. Tuttavia, anche dopo questo momento di centralizzazione, i sacerdoti rimasero ancora a lungo degli specialisti nei procedimenti di determinazione del tempo. In Assiria, ad esempio, i sacerdoti che scrutavano il cielo dovevano sempre informare il re se dai loro speciali «osservatori» avevano scorto una luna nuova; il calcolo preventivo dei cicli di rotazione della luna attorno alla terra era infatti allora ancora al di la` della portata degli uomini. Ad Atene vi era un particolare funzionario sacerdotale, lo Ieromnemone, un membro del piu` alto organo di governo, il quale anno dopo anno doveva apprestare la redazione del nuovo calendario (e Aristofane probabilmente suscito` uno scoppio di ilarita` quando prego` il nuovo Ieromnemone di fare attenzione a che i giorni del calendario sociale che stava per redigere fossero sincronizzati con i cicli visibili della luna meglio di quanto non avessero fatto i suoi predecessori). Cesare consulto` il Pontifex maximus quando volle migliorare il vecchio calendario: questo non corrispondeva piu` ai movimenti osservabili dei corpi celesti ed evidentemente Cesare era dell’opinione che compito di un sovrano fosse anche quello di predisporre un efficiente quadro di datazione e determinazione temporale per tutte le azioni pubbliche. Come c’era da aspettarsi, il bisogno di un calcolo ordinato e unitario del tempo vario` con la crescita e il declino delle unita` statali, con la dimensione e il grado di integrazione dei loro popoli e territori e con il corrispondente grado di differenziazione e lunghezza delle loro catene di compenetrazione commerciale e industriale. Le istituzioni giuridiche degli Stati richiesero metri di misura del tempo unitari, che fossero adeguati alla complessita` e molteplicita` delle circostanze che dovevano regolare. Con la crescente urbanizzazione e commercializzazione, l’esigenza di sincro-

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L   ’        

nizzare il crescente numero delle attivita` umane e di disporre di un reticolo temporale uniformemente continuo come quadro di riferimento comune divenne sempre piu` impellente. Fu compito delle istanze centrali – mondane o sacerdotali – predisporre un simile reticolo e assicurare il suo funzionamento. Da cio` dipendevano il computo ordinato e ricorrente delle tasse, tributi, salari e l’assolvimento dagli altri impegni e obblighi; e lo stesso vale per i giorni di festa in cui gli uomini si riposavano dalle fatiche del lavoro. Si puo` riconoscere molto chiaramente in che modo, sotto la spinta di queste esigenze, le autorita` dello Stato e della Chiesa, che possedevano il monopolio della determinazione temporale, cercassero di venire legittimate a quel compito. Cosı´, ad esempio, persino all’interno di uno stesso Stato, permangono per secoli delle tradizionali differenze locali rispetto all’inizio e, di conseguenza, la fine di un certo anno. Per quanto possiamo vedere, fu il re Carlo IX di Francia che nel 1563 decise, dopo concorde discussione, di imporre alla societa` francese una data unitaria per l’inizio dell’anno, e la stabilı´ al primo di gennaio. Il suo editto, che entro` in vigore nel 1566, interruppe una tradizione piu` o meno ufficiale che collegava l’inizio dell’anno alla festa di Pasqua. Di conseguenza l’anno 1566, che inizio` il 14 aprile e termino` il 31 dicembre, ebbe solo otto mesi e diciassette giorni. I mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre, che secondo la tradizione romana di iniziare l’anno a marzo, erano stati, come del resto dice il loro nome, il settimo, ottavo, nono e decimo mese dell’anno, divennero da quel momento, abbastanza paradossalmente, il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo mese. Questa conversione incontro` allora una forte resistenza, mentre invece una simile discrepanza ci colpisce appena. I calendari, in quanto istituzioni della societa`, hanno la funzione sociale di regolazione. Oggi consideriamo ovvio che il primo gennaio sia veramente l’inizio dell’anno. Possiamo non avere chiaro che l’anno ha una funzione sociale ed e` una realta` sociale che fa riferimento ad una realta` naturale, ma e` diversa da questa; siamo piuttosto propensi a percepire l’anno semplicemente come un dato di fatto naturale. Un altro esempio: papa Gregorio XIII decise una revisione del calendario giuliano poiche´ l’equinozio di primavera, da cui, secondo quanto stabilito dal Concilio di Nicea del 325, dipendeva la festa di Pasqua, nel corso dei secoli successivi si era progressivamente spostato dal 21 all’11 marzo. Una bolla papale soppresse



+ differenziazione + interdipendenza + organizzazione sociale del tempo

monopolio della determinazione temporale con la nascita degli Stati c’e` la necessita` di uniformare il calendario

il calendario moderno e` una realta` sociale che non corrisponde del tutto a quella naturale

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

I   :   

il tempo come reticolo complesso di relazioni

dieci giorni dell’anno 1582 e stabilı` che il giorno successivo al 4 ottobre non fosse il 5, ma il 15 ottobre. La riforma gregoriana, che modifico` il calendario romano gia` riformato da Giulio Cesare, fu l’ultimo tentativo in ordine di tempo di creare un calendario sistematico corrispondente ad un anno sociale che, per i secoli a venire, non differisse eccessivamente dall’«anno naturale», vale a dire dal periodo di tempo impiegato dal sole – rispetto agli uomini presi come osservatori e centri di riferimento – per fare ritorno in un certo punto del cielo da essi stessi scelto come punto iniziale. Come esempio dei continui sviluppi che permangono malgrado la pluralita` di discontinuita` politiche e d’altro tipo – malgrado dunque cio` che piu` sopra abbiamo indicato come «continuum di cambiamenti» – lo sviluppo di un quadro sociale per determinare il tempo nella forma del calendario e` molto istruttivo. L’esempio ci fa ricordare che cio` che chiamiamo «tempo» e` un reticolo sovente molto complesso di relazioni e che la determinazione del tempo rappresenta essenzialmente una sintesi, un atto di integrazione. In questo caso, come metro di misura del continuum di cambiamenti sociali muoventesi in modo relativamente veloce, gli uomini utilizzano innanzitutto il continuum naturale dei cambiamenti che avvengono in cielo, il quale muta in modo comparabilmente tanto lento da sembrare, in rapporto a quelli, che non muti affatto. Mediante la fissazione piu` o meno arbitraria di una determinata posizione del sole (ad esempio in rapporto ad altre stelle) come punto iniziale e terminale di una unita` sociale di determinazione del tempo – un anno – essi riescono a creare un quadro di riferimento per sincronizzare le attivita` umane. Che gli uomini siano riusciti solo lentamente, solo nel corso di un processo secolare, ad elaborare nella forma di calendario una scala temporale, che e` stata ritagliata relativamente bene sul continuum fisico ed e` risultata adatta a fornire un metro di misura articolato e unitario per sincronizzare tra loro un insieme di uomini integrati in uno Stato e oggi persino per sincronizzare una rete globale di Stati, mostra tutte le difficolta` dell’impresa.

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Gli eventi che hanno accompagnato l’avvento della modernita` di Simona D’Arienzo

/ XV-XVI secolo: le origini della modernita` La rivoluzione culturale: la civilta` umanistico-rinascimentale L’umanesimo si afferma, principalmente in Italia, grazie agli sviluppi politici, economici e demografici. Il termine “umanesimo” indica la valorizzazione delle humanae litterae, ossia degli studi letterari considerati necessari alla formazione degli uomini. L’Umanesimo esalta l’autonomia dell’individuo ed il suo diritto ad uno sguardo critico nei confronti della realta`. L’individuo deve osservare e studiare il mondo, libero da ogni pregiudizio religioso e influenza metafisica. Esso rifiuta l’ingenua fiducia del periodo medievale, caratterizzato dal potere indiscusso della Chiesa e dell’Impero. L’Umanesimo vede lo sviluppo del mecenatismo, ossia la disponibilita` da parte di principi e pontefici a finanziare e a proteggere gli uomini di scienza e gli artisti (mecenati importanti furono la famiglia Sforza a Milano, i Medici a Firenze, gli Aragonesi a Napoli). Al mecenatismo si lega la “cultura della citta`” che nell’epoca comunale diviene il fulcro di nuovi mezzi di produzione, nuove classi sociali e nuovi modi di pensare. Sull’Umanesimo si innesta il Rinascimento che rafforza l’idea dell’autonomia dell’intelletto umano ed esalta le sue capacita` creative e critiche. Esso introduce una visione laica della vita e pone l’uomo al centro del mondo con le sue passioni, i suoi sogni e i suoi ideali. Tra i protagonisti di questa rivoluzione culturale Pietro Pompo-

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

I   :   

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nazzi (1462-1525), Niccolo` Machiavelli (1469-1527) e Leonardo da Vinci (1452-1519).

La rivoluzione tecnico-scientifica L’ampliamento degli orizzonti culturali permette agli intellettuali di vivere in un clima aperto alle scoperte e alle novita`. Questo e` il periodo in cui iniziano i primi esperimenti per la costruzione di macchine capaci di alleviare le fatiche umane, migliorare i risultati e ottimizzare il tempo di lavoro. Si registrano importanti cambiamenti in campo finanziario grazie allo sviluppo delle banche che accelerano la circolazione del denaro utilizzando nuove tecniche (come, ad esempio le lettere di cambio). Questo e` anche il secolo della stampa: si passa dalla pergamena alla carta e Johann Gutenberg (1398-1468) introduce la stampa a caratteri mobili. Lo sviluppo della stampa puo` essere considerata la causa e, contemporaneamente, la conseguenza delle crescenti esigenze culturali del pubblico.

La rivoluzione politica: formazione degli stati nazionali In quest’epoca, l’appoggio della borghesia cittadina e mercantile favorisce la formazione delle monarchie costituzionali che possono essere considerate il preludio degli Stati nazionali. La Francia, l’Inghilterra e la Spagna sono i primi Stati ad organizzare la loro unificazione e l’accentramento di alcune funzioni (ad esempio, la riscossione dei tributi, la formazione di un esercito e cosı` via). La creazione degli Stati-nazione non avviene in modo pacifico come dimostra la Guerra dei Cento Anni (1337-1453), combattuta tra Francia e Inghilterra per il diritto al possesso delle Fiandre. Un personaggio storico di questa vicenda, dal carattere affascinante e controverso, e` Giovanna d’Arco (1412-1431).

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La rivoluzione della geopolitica: la scoperta del mondo extraeuropeo L’umanesimo, con la sua profonda fiducia nelle capacita` umane, stimola nuovi interessi economici, curiosita`, spirito di avventura e di conquista, l’allargamento degli orizzonti mentali e fisici dell’individuo. Inizia il periodo delle grandi esplorazioni e delle scoperte di nuove terre e di nuove rotte per l’Estremo Oriente: il portoghese Bartolomeo Diaz (1457-1500) oltrepassa per la prima volta il Capo di Buona Speranza; Cristoforo Colombo (1451-1506) scopre l’America; Amerigo Vespucci (1454-1512) esplora le coste meridionali dell’America appena scoperta; Vasco de Gama (1469-1524) doppia il Capo di Buona Speranza e arriva nell’India meridionale; il portoghese Ferdinando Magellano (1480-1521) circumnaviga la Terra. I loro viaggi sono finanziati da principi, re e regine per motivi di carattere economico, politico e commerciale e danno inizio ad una vera e propria lotta tra i vari Stati per il dominio sulle colonie, fonti di metalli preziosi e materie prime. Il prezzo di queste conquiste e` la distruzione di antiche e affascinanti civilta` presenti nei territori occupati ad opera dei conquistadores. La colonizzazione comporta profonde trasformazioni nel mondo europeo: il Mediterraneo perde il suo primato ed i mercati europei sono sommersi di metalli preziosi che influiscono sull’aumento dei prezzi. Le conseguenze sono, da un lato, lo sviluppo dei ceti produttivi, dall’altro, la rovina dei ceti piu` deboli, costretti ad abbandonare le campagne per stabilirsi in citta` in cerca di migliori condizioni di vita. Le storie economiche dell’Occidente e dell’Oriente europeo iniziano a divergere poiche´ l’Occidente sfrutta le nuove possibilita` mentre l’Oriente, ancorato alle proprie tradizioni, rimane legato ad un’economia agricola.

La rivoluzione economica: la nascita del capitalismo In questo secolo, il processo economico (o il modo di produzione, come lo definirebbe Marx) si trasforma grazie ad un’ondata di novita`. Lo sviluppo del capitale mercantile e il trasferimento della forza lavoro nelle citta` favorisce il divario tra lavoratori e possessori del capitale. A differenza dei servi della gleba, i lavoratori sono liberi sia di vendere, sia di scegliere a chi vendere, la propria

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forza lavoro. La produzione a livello domestico e` sostituita dalle prime manifatture soprattutto di tipo tessile, grazie all’introduzione dei macchinari seppure ancora rudimentali rispetto a quelli che si svilupperanno nel ’700. L’aumento della popolazione e degli scambi commerciali nelle citta` accompagna la rivoluzione economica. L’ascesa del capitalismo e` rallentata dall’eccessiva richiesta, da parte dei re, dei capitali necessari a finanziare le attivita` belliche e dall’afflusso massiccio di metalli preziosi dalle colonie americane che paralizzano l’intera attivita` finanziaria.

La rivoluzione religiosa Il processo di mondanizzazione della Chiesa diviene un fenomeno diffuso. La vendita delle indulgenze (la remissione totale o parziale dei peccati a seguito del versamento di una somma di denaro) desta un profondo malcontento tra i religiosi che auspicano il ritorno alla purezza del messaggio evangelico. Erasmo da Rotterdam (1466-1536), uno dei piu` famosi umanisti cristiani, accusa la Chiesa delle sue scelleratezze mondane nell’Elogio della Follia (1509). Martin Lutero (1483-1546) e` il primo ad avere il coraggio di sfidare direttamente la Chiesa cattolica denunciando la corruzione papale e dando avvio alla Riforma Protestante. La riforma costituisce una minaccia per l’autorita` ecclesiastica, poiche´ evidenzia la necessita` di strutturare la vita religiosa sul consenso spontaneo dei fedeli, anziche´ sull’istituzione facente capo al Papa. Lutero professa la salvezza attraverso l’interpretazione individuale dei testi sacri che egli stesso traduce dal latino al tedesco, permettendo cosı` sia l’accesso diretto dei fedeli alla Bibbia, sia la diffusione della lingua tedesca nei territori germanici. La Riforma elimina qualsiasi mediazione tra l’uomo e Dio e i sacramenti rappresentano l’unico strumento per stabilire una comunione con Dio. L’uomo e` segnato dal peccato originale per l’eternita` ed e` predestinato alla salvezza o alla dannazione secondo l’imperscrutabile volonta` di Dio. La fede e` uno slancio mistico interiore e le opere umane non possono influire sulla sorte degli individui, determinata esclusivamente ed a priori dalla incorruttibile volonta` di Dio. Giovanni Calvino (1509-1564), che sviluppa le idee di Lutero, afferma con convinzione il dogma della predestinazione ma, a

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differenza di Lutero, invita i fedeli ad agire, ad impegnarsi nella propria attivita` professionale per onorare Dio e la sua volonta`. I successi non sono personali, ma testimoniano l’intervento della benevolenza divina. L’avvento della riforma protestante e la scissione che ne consegue pongono fine all’egemonia del cattolicesimo. Il Concilio di Trento (1545-1563) sancisce i principi della Controriforma con la riaffermazione dell’importanza della tradizione e dei sacramenti, accompagnata da una rinnovata severita` etica verso i membri del clero, riconosciuti come gli unici interpreti delle Sacre Scritture. Il Concilio, inoltre, decide di assumere una linea dura nei confronti dei dissidenti. L’istituzione del Santo Uffizio (1542) e` lo strumento utilizzato dalla Curia per sovrintendere sia il tribunale della Santa Inquisizione, che indaga sui presunti episodi di eresia, sia l’Indice dei libri proibiti (1559), che bandisce i testi giudicati un insulto alla morale religiosa. Le vicende di Giordano Bruno (1548-1600), arso sul rogo, e di Galileo Galilei (1564-1642), condannato alla reclusione perpetua nella sua villa di Arcetri, esprimono il clima di repressione che segna questo periodo.

La rivoluzione scientifica La rivoluzione scientifica e` caratterizzata dal passaggio dal sistema geocentrico (o tolemaico, secondo cui la terra e` immobile al centro dell’universo) a quello eliocentrico (o copernicano, che afferma la rotazione della Terra attorno al Sole e su se stessa). Questo passaggio e` rivoluzionario sia perche´, per la prima volta, la terra e l’uomo non sono piu` considerati al centro dell’universo, sia perche´ si assiste alla separazione della scienza dalla religione, requisito necessario per porre le basi della scienza moderna. La teoria copernicana suscita l’indignazione delle autorita` ecclesiastiche in quanto mette in discussione l’esistenza di quei punti fissi, eterni ed immutabili nell’universo, da sempre considerati simboli dell’immagine di Dio. Giordano Bruno (1548-1600) contribuisce a scuotere profondamente le convinzioni e le coscienze di tutti, affermando che il sistema eliocentrico e` solo uno dei sistemi in un universo infinito. Il suo scontro con la Chiesa rivendica una maggiore liberta` della scienza rispetto alla tradizione. Numerosi studiosi che hanno contribuito alla formazione della

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scienza moderna, vivono a cavallo tra il ’500 ed il ’600. Tra loro si ricordano: il gia` menzionato Galileo Galilei, il primo ad introdurre il metodo sperimentale basato sull’osservazione per la formulazione di leggi (l’uso del cannocchiale di sua invenzione gli permette di studiare in modo sistematico l’universo); Giovanni Keplero (15711630), scopritore del movimento ellittico dei pianeti; Rene´ Descartes (1569-1650), fondatore della geometria analitica.

-XVII secolo: la preparazione alla modernita` La rivoluzione geopolitica europea Il ’600 e` caratterizzato da tensioni tra i diversi stati europei, che sfociano in numerose guerre, in particolare quella dei Trenta anni combattuta tra Francia e Inghilterra tra il 1635 e il 1648. Alla fine di questo tormentato periodo, la Pace di Westfalia (1648) sancisce la supremazia europea della Francia e libera il territorio tedesco dalla dominazione dell’impero austriaco. Questo e` uno dei periodi piu` floridi per la Francia che vede la costruzione della monumentale Reggia di Versailles in onore di Luigi XIV (1638-1715), detto il Re Sole. Per quel che riguarda la Germania e l’Impero asburgico, entrambi subiscono le tensioni causate dalle spinte nazionaliste dei popoli sottomessi. L’idea della sfera politica disgiunta da quella religiosa si diffonde progressivamente, cosı` come quella riguardante l’importanza delle imprese economiche e commerciali per la costituzione di uno stato nazionale forte. Questi eventi sviluppano un dibattito pubblico sull’affermazione dell’autonomia e dell’autorita` dello stato moderno, della legge e del patto sociale (Thomas Hobbes, 1588-1679). La rivoluzione geopolitica si esprime anche attraverso l’avventura coloniale. La storia europea in questo secolo, infatti, assume aspetti planetari perche´ l’espansione coloniale riduce interi continenti ad appendici degli stati nazionali europei. In principio, le colonie sono solo depredate ma presto ci si rende conto del loro valore sia come fonti di profitto commerciale (le colonie producono beni non presenti sul continente europeo come la patata, il pomodoro, i fagioli, il cacao, il mais e il tabacco), sia come nuovi mercati per vendere i prodotti europei. Questo nuovo modo di

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considerare le colonie e` associato, soprattutto in America, allo schiavismo ed alla tratta degli schiavi, cioe` alla deportazione sistematica di forza lavoro dall’Africa attraverso la cosiddetta rotta triangolare tra Europa, Africa, America. Seguendo questo iter, i negrieri partono dall’Europa con merci scadenti, arrivano nel golfo di Guinea dove acquistano gli africani rapiti dalle loro terre e, trasportandoli in condizioni disumane su navi da carico, li rivendono in America. La scelta degli schiavisti ricade sugli africani, considerati forti, docili e privi di diritti secondo le teorie razziste che ne dimostrano “scientificamente” l’inferiorita`.

La rivoluzione sociale Questo e` un secolo ricco di contraddizioni perche´, mentre da un lato si registra l’aumento della ricchezza posseduta dalla borghesia finanziaria e commerciale, dall’altro si ha un generale impoverimento della popolazione. Un indicatore del potere della borghesia e` la diffusione delle enclosures o recinzioni, ossia la privatizzazione di quei terreni da sempre considerati un bene comune e sfruttati liberamente per il pascolo e per la raccolta del legno. L’impossibilita` di trarre sostentamento dalla terra accelera il fenomeno di migrazione verso le citta`. L’Inghilterra e` il primo paese a vivere questi cambiamenti. Lo sviluppo dell’agricoltura, dell’industria e del commercio accresce il prestigio sociale della borghesia che, divenuta insofferente nei confronti delle autorita` tradizionali, attua una serie di rivendicazioni per partecipare alla gestione degli affari statali e, quindi, del potere.

La rivoluzione nel campo delle scienze esatte Questa e` l’epoca dei grandi scienziati, tra cui Blaise Pascal (1623-1662), artefice del calcolo delle probabilita` e del moderno metodo scientifico basato sulla formulazione di ipotesi da confutare tramite esperimenti, e Isaac Newton (1642-1728), scopritore della legge di gravita` (anche grazie agli studi compiuti da Keplero) ed inventore del telescopio. Tali scoperte sono importanti perche´ forniscono gli strumenti necessari a governare e a comprendere in modo sistematico la natura circostante.

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La rivoluzione inglese La rivoluzione inglese puo` essere considerata il preludio agli avvenimenti del 1700. L’Inghilterra dell’epoca e` caratterizzata da una forte instabilita` politica causata dalla crescente opposizione nei confronti della corona da parte degli organi legislativi (il Parlamento) e delle forze emergenti, quali la city (la nuova borghesia mercantile) e la gentry (la piccola e media nobilta` terriera inglese). Gli strati piu` altolocati della societa` costituiscono la base sociale del movimento puritano e della prima rivoluzione (1642-1646). Questa guerra civile si conclude con la decapitazione del re Carlo I (1600-1649) nel 1649 e la proclamazione della Repubblica (Commonwealth). Il periodo successivo e` caratterizzato dalla stabilita` garantita, fino alla sua morte, dalla dittatura militare di Oliver Cromwell (1599-1658). Seguono lunghi anni di forte tensione sociale per motivi di ordine sia religioso (tra i cattolici e i protestanti) che politico (tra i Tories, che sono i futuri conservatori, e i Whigs, i futuri liberali). La pace torna nel 1688 quando le varie parti in causa si accordano sulla nomina a sovrano di Guglielmo III d’Orange (1650-1702). Questa rivoluzione e` conosciuta come la Glorious Revolution perche´ e` la prima volta nella storia che un cambio di dinastia avviene senza spargimento di sangue, permettendo l’instaurarsi di una monarchia costituzionale basata sul Bill of Rights o Carta dei Diritti che sancisce, da un lato, i diritti e le liberta` dei sudditi e, dall’altro, la linea di successione al trono.

 – XVIII secolo: l’esplosione della modernita` La rivoluzione industriale In Inghilterra, verso la fine del ’700, prende avvio una trasformazione radicale dei processi produttivi, conosciuta come Rivoluzione industriale, che comporta profonde innovazioni a livello sociale, economico e tecnologico: elevata mobilita` sociale (favorita dai trasferimenti dalla campagna alla citta` e dalla rottura con la tradizione), monopolio del potere da parte della borghesia, sviluppo delle vie e dei mezzi di comunicazione, crescita della domanda di merci. Motore di tale trasformazione e` l’invenzione

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della macchina a vapore da parte di James Watt (1736-1819), introdotta in una fabbrica di Birmingham nel 1775. L’introduzione dei nuovi macchinari determina il passaggio da un sistema produttivo di tipo prevalentemente domestico ad un sistema di fabbrica, ovvero da tecniche artigianali eseguite in laboratori familiari alla produzione a catena realizzata nelle manifatture. La diffusione delle fabbriche e` accompagnata dal processo di urbanizzazione. La nascita e lo sviluppo dei nuclei cittadini a carattere industriale si registra nelle aree di approvvigionamento delle materie prime e nei pressi delle principali vie di comunicazione.

La rivoluzione americana I paesi del Nord America rappresentano una meta per molti esuli provenienti dall’Europa in cerca di liberta` e di riscatto sociale. Il grado di dipendenza e di subordinazione delle colonie americane dalla madrepatria inglese rende i rapporti tesi, perche´ essa impedisce loro uno sviluppo industriale autonomo. La guerra dei 7 anni (combattuta da Inghilterra e Francia per il dominio sulle colonie americane tra il 1756 e il 1763 e terminata con la sconfitta dei francesi e la pace di Versailles) aveva visto le colonie inglesi combattere al fianco della madrepatria. Ciononostante l’Inghilterra emana delle leggi sfavorevoli agli interessi delle colonie conducendole cosı` alla ribellione. Il 4 Luglio del 1776, i rappresentanti delle 13 colonie americane sottoscrivono a Philadelfia la Dichiarazione d’indipendenza che viene considerata dall’Inghilterra l’equivalente di una dichiarazione di guerra. I paesi del Nord America ottengono l’appoggio dell’opinione pubblica europea e l’aiuto della Francia nel condurre la guerra contro l’Inghilterra. Il conflitto termina con il riconoscimento inglese dell’indipendenza americana e l’elezione di George Washington (1732-1799) a primo presidente degli Stati Uniti.

La rivoluzione francese La rivoluzione americana accende gli animi in tutta Europa e soprattutto in Francia che soffriva di una generale situazione d’arretratezza: arretratezza economica (l’attivita` era ancora prevalen-

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temente agricola), politica (il potere assoluto era nelle mani del re), sociale (caratterizzata dal disagio delle classi meno abbienti e dagli ostacoli posti allo sviluppo della borghesia) e culturale (le idee illuministe erano fortemente contrastate). Questo stato di cose porta ad un malcontento diffuso che sfocia nella ribellione. La rivoluzione francese del 1789 e` capeggiata dalla borghesia commerciale e finanziaria che, ostacolata dalla staticita` della societa` francese, instilla nel popolo l’odio verso il sovrano e la classe aristocratica. Gli eventi piu` importanti sono la presa della Bastiglia (il tradizionale simbolo del potere della monarchia) il 14 Luglio, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino il 26 Agosto (che sancisce i diritti alla liberta`, all’uguaglianza e alla fraternita`) e la marcia su Versailles, il 5 Ottobre, che segna la fine della monarchia. La vittoria, pero`, non riesce a risolvere i problemi immediati della Francia ed e` seguita da lunghi periodi di sconvolgimenti nel mondo politico. Un esempio del clima di sospetto e di tensione venutosi a creare e` il periodo del Terrore che vede l’istituzione del Direttorio e l’ascesa di Napoleone Bonaparte (1769-1821). La rivoluzione francese e` salutata con entusiasmo dai grandi pensatori dell’epoca. Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), per l’occasione, pianta a Tubinga (centro culturale tedesco di primaria importanza per la filosofia) l’albero della liberta` (simbolo della liberazione dello spirito) ma, successivamente, la politica aggressiva di Napoleone nei confronti dei paesi tedeschi modifica l’atteggiamento del filosofo e lo conduce a orientamenti politici di tipo conservatore.

La rivoluzione culturale: l’Illuminismo L’Illuminismo e` un vasto, multiforme movimento intellettuale e politico che si sviluppa nel corso del XVIII secolo e che assume differenti caratteri in relazione alle situazioni economiche, politiche, sociali e culturali dei vari paesi. Gli attori di questo movimento sono gli intellettuali ai quali viene riconosciuta la capacita` di organizzare, approfondire e diffondere il sapere e guidare l’opinione pubblica. I caratteri di questo movimento sono: • il processo di razionalizzazione sia del metodo conoscitivo (la verifica delle ipotesi attraverso un rapporto piu` diretto

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e sperimentale con la realta` empirica) che dell’approccio critico capace di sottoporre alla ragione le convinzioni, la fede e i miti dell’uomo; il processo di secolarizzazione: l’emancipazione del mondo umano dalla sfera divina e dall’apparato dottrinale tradizionale; il materialismo: l’idea secondo cui la realta` e` determinata dalla materia e non dipende da entita` astratte; il riconoscimento dei diritti di cittadinanza su principi di tipo universalistico; la liberta` di espressione delle istituzioni scientifiche e/o letterarie e la diffusione del sapere, della scienza e del pensiero.

-XIX secolo: la metamorfosi della modernita` La seconda rivoluzione industriale Questa seconda rivoluzione e` caratterizzata dallo sviluppo delle ferrovie e della navigazione grazie all’introduzione delle turbine a vapore, del motore a scoppio (la prima automobile risale al 1877), delle scoperte sull’elettricita` e sulle leggi idroelettriche. In questo periodo si assiste ad un ulteriore aumento della concentrazione urbana a causa dell’emigrazione verso le citta` e a profondi cambiamenti nel mondo agricolo dovuti alla trasformazione della produzione che da intensiva diviene estensiva per soddisfare la crescente domanda della popolazione. L’urbanizzazione si accompagna alla crescita e all’affermazione della questione sociale legata alla realta` operaia (memorabili sono le pagine in cui Marx ed Engels descrivono le condizioni di vita del proletariato) che, in Inghilterra, fa nascere il movimento del Cartismo (1836-1848) il cui nome deriva dalla People’s Charter, un programma di riforme del sistema elettorale in senso democratico. La lotta del movimento per il riconoscimento dei diritti politici si trasforma, ben presto, nella rivendicazione dei diritti sociali dei lavoratori che apre la strada al movimento socialista. La seconda rivoluzione industriale favorisce ulteriormente lo sviluppo della stampa e, quindi, la proliferazione

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di giornali e di opere a buon mercato che, insieme alla diffusione dell’istruzione obbligatoria, contribuiscono alla circolazione delle nuove idee.

Le rivoluzioni sociali Questo secolo e` da considerare fondamentale dal punto di vista dell’acquisizione dei diritti sociali e politici. Esso si apre con l’impresa napoleonica che, in poco tempo, ridisegna i confini del territorio europeo. Incoronatosi Imperatore nel 1804, Napoleone I (1769-1821) attua una politica estera aggressiva e bellicosa e una politica interna che annovera tra i suoi vari obbiettivi l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e l’istruzione media e superiore per la borghesia (leggi presenti nel Codice Civile). La sua caduta, dopo la disastrosa campagna russa, porta al Congresso di Vienna (1814) che, affermando il principio di legittimita`, segna il ritorno di tutti i re sui rispettivi troni (il periodo e` definito Restaurazione). L’ordine, pero`, non dura molto. Il 1800 e` ricordato come il secolo delle rivoluzioni. Nel 1820, la prima rivoluzione e` quella spagnola, dove la ribellione del popolo costringe il re Ferdinando VII di Borbone (1784-1833) a concedere la Costituzione. Contemporaneamente, scoppiano rivolte in Italia e in Grecia per l’indipendenza (la prima e` repressa, la seconda riesce nel suo intento). Nel 1830, il popolo parigino si ribella al reazionario Carlo X (1757-1836) affermando la Monarchia di Luglio, ossia il regno borghese di Luigi Filippo (1773-1850). Altre rivolte per l’indipendenza scoppiano e sono represse nel sangue in Italia, dagli austriaci, e in Polonia, dallo zar. L’anno cruciale e` il 1848, quando l’azione delle societa` segrete porta contemporaneamente allo scoppio di rivoluzioni in numerosi paesi. In Italia, Boemia e Ungheria la ribellione e` sempre per l’indipendenza e viene repressa dall’Impero asburgico (che solo nel 1867 diventera` austro-ungarico per realizzare un equilibrio stabile tra le numerose nazionalita` di cui era composto). In Francia si ha la II Repubblica rovesciata dal colpo di stato di Napoleone III (1808-1873) ed, infine, in Germania la ribellione scoppia per il riconoscimento dei diritti da parte dei lavoratori e del popolo. Tra il 1861-1865, negli Stati Uniti d’America si combatte la

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Guerra di Secessione tra il Nord antischiavista e il Sud conservatore, mentre, in Polonia, lo zar Alessandro II (1818-1881) reprime violentemente l’insurrezione popolare. Nel 1871, la caduta di Napoleone III in Francia porta alla costituzione della III Repubblica, disturbata dalla breve esperienza della Comune di Parigi. Questa insurrezione popolare, dopo la sconfitta del settembre 1870 a Sedan di Napoleone III, nasce per impedire la cessione dell’Alsazia e della Lorena agli Stati dell’Europa centrale. L’esperienza della Comune si conclude con la repressione da parte del governo di Louis Adolphe Thiers (17971877). Intanto Otto von Bismarck (1815-1898), dopo la sconfitta dei francesi, riesce abilmente a costituire l’Impero federale germanico unificandone i territori sotto Guglielmo I di Prussia (1861-1888).

La rivoluzione culturale: il Romanticismo Generalmente, si ritiene che il Romanticismo nasca in contrapposizione all’Illuminismo. In realta`, esso risponde ad esigenze filosofiche, morali, religiose, sentimentali derivanti dalla crisi dell’Illuminismo, dal fallimento dei moti rivoluzionari e dall’avvento della Restaurazione. Esso nasce in Germania con la corrente dello Sturm und Drang e in Inghilterra con i poeti laghisti, come Samuel T. Coledridge (1772-1834), George Byron (1788-1824), John Keats (1795-1821), Percy Bysshe Shelley (1792-1822), William Wortsworth (1770-1850). Il Romanticismo si diffonde in tutta Europa assumendo, in ciascun paese, caratteristiche diverse. Caratterizzato dall’anticlassicismo, ossia dal rifiuto dei classici e dalla ricerca di un’espressione autentica e originale, afferma l’identita` di ciascuna nazione sia sulla base delle comuni radici storiche (i miti fondatori) che della comune appartenenza alla collettivita` umana. Il Romanticismo rivaluta il Medioevo che considera un periodo importante per la formazione della nazione e il simbolo nostalgico di un passato ormai lontano. Dal punto di vista religioso al rifiuto delle religioni rivelate corrisponde un contatto diretto con Dio attraverso la riscoperta della natura e la ricerca di nuove forme di spiritualita`. Si sviluppa un amore per il viaggio esotico e fantastico alla ricerca di una nuova spontaneita` nei sentimenti e nelle passioni: esso rappresenta una fuga dalla civilta` occidentale considerata viziosa. Il dilagante antisemitismo che

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attraversa l’Europa si manifesta nell’affare Dreyfus (la condanna di un capitano israelita in Francia nel 1894 accusato ingiustamente di spionaggio) che provoco` lo sdegno di molti intellettuali come E´mile Zola ed E´mile Durkheim.

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Profili d’autore di Simona D’Arienzo

Karl Marx Karl Marx fu e rimane uno dei protagonisti assoluti del pensiero moderno. Uomo brillante, sagace e con una forte avversione per l’ingiustizia sociale ebbe molti nemici nella sua vita ma anche amici fedeli come Friedrich Engels. La sua vita non fu facile: la poverta`, la malattia, numerosi lutti in famiglia lo colpirono gravemente. Ciononostante egli continuo` a combattere trovando conforto nello studio. Molti lo ricordano come vorace lettore quando, nel suo esilio a Londra, passava intere giornate nella biblioteca del British Museum. Amato e odiato, come ogni maestro che si rispetti, con le sue analisi della societa` a lui contemporanea ha dato un contributo fondamentale alla sociologia. 1818-1835 Marx proviene da una famiglia borghese agiata di Treviri. La famiglia e` di origine ebraica, fattasi protestante per necessita`, e inserita in una regione cattolica. La difficolta` di dotarsi di un’identita` religiosa precisa, probabilmente, predispone Marx a una visione laica e critica della societa`. Nell’ottobre del 1835, Marx va a studiare legge all’universita` di Bonn dove diviene membro dell’Associazione degli studenti di Treviri (un gruppo di studenti insofferente alle regole e alla disciplina). Scelta che non piace al padre che decide di trasferirlo all’Universita` di Berlino. 1836-1841 A Berlino Marx inizia i suoi studi filosofici con tale intensita` da ammalarsi. Egli entra a far parte dei Giovani hegeliani (un gruppo di giovani intellettuali con idee progressiste, critici verso l’idealismo hegeliano) la cui influenza lo porta a sviluppare le sue idee filosofiche e sociali. Dopo la tesi, Marx intraprende la strada del giornalismo pubblicando articoli sul Deutsche Jahrbucher. Nell’estate del 1837 si consolida il rapporto con Jenny, la primogenita di una nobile famiglia che viveva accanto ai Marx, che sposera` nel 1843.

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

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1842-1844 Marx si trasferisce a Colonia dove entra a far parte della redazione della Rheinische Zeitung e aderisce al movimento liberale. La collaborazione assidua al giornale fa sı` che Marx ne diventi presto il capo redattore. Nel frattempo, in Germania, si vanno diffondendo le idee socialiste e intorno al giornale si concentra un gruppo di intellettuali interessati alle questioni sociali. I continui scontri con le autorita` addette alla censura portano alla soppressione del giornale. Marx si ritrova di nuovo nella condizione dell’intellettuale disoccupato e senza prospettive: il suo nome e` inserito nella lista nera dei dissidenti. La voglia di fondare una rivista socialista porta Marx a Parigi che, in seguito alle rivoluzioni del 1789 e del 1830, e` considerata la capitale di tali idee. Qui diviene amico di Engels, figlio di un industriale e fortemente interessato alle condizioni di vita degli operai. A Parigi inizia a pubblicare i Deutsche-Franzo¨sische Jahrbu¨cher. 1845-1848 Marx e` costretto ad abbandonare Parigi perche´ il re, Luigi Filippo, convinto dal governo prussiano, decreta l’espulsione della maggior parte dei filosofi tedeschi. Marx si trasferisce a Bruxelles, dove inizia il periodo piu` felice per la sua famiglia grazie ad una certa tranquillita` economica. Scrive con Engels L’ideologia tedesca e La Sacra Famiglia e con l’amico si reca, per un breve periodo, in Inghilterra dove entra in contatto con l’associazione operaia tedesca affiliata alla Lega dei Comunisti. La Lega, nata dalla Lega dei Giusti, fondata da gruppi di operai tedeschi guidati da intellettuali, auspica la realizzazione una societa` priva di classi e si diffonde segretamente in tutta Europa. Partecipa al II Congresso della Lega dei Comunisti in occasione del quale, insieme ad Engels, redige Il Manifesto del Partito Comunista che e` pubblicato alla vigilia delle grandi rivoluzioni del 1848. Marx e` consapevole del fatto che queste sommosse non hanno alcuna possibilita` di successo ma le considera come dimostrazioni dell’eroismo degli operai e della forza dei loro ideali, il tentativo di realizzare la prima rivoluzione socialista della storia. Il governo belga, ricevuta notizia delle sommosse a Parigi (dove si ebbero gli scontri piu` violenti), decide di adottare la linea dura ed espelle tutti coloro che costituivano un pericolo per la stabilita` politica: tra questi Karl Marx. Egli si trasferisce a Colonia dove fonda, grazie all’aiuto di Engels, la Neue Rheinische Zeitung, un giornale fortemente influenzato dalla sua dottrina. Marx arriva in Germania con la speranza di portarvi il clima rivoluzionario pa-

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rigino ma si sbaglia. Il giornale e` chiuso ed egli, dopo esser stato arrestato con la moglie Jenny, per l’ennesima volta e` espulso. 1849-1856 Marx si trova a Londra. Qui svolge un’intensa attivita` politica per il Comitato socialdemocratico e inizia a collaborare con il comitato centrale londinese della Lega dei Comunisti. La situazione finanziaria in cui versa e` cosı` disastrosa che il figlio di un anno muore a causa di un attacco di meningite. Nel 1852 i Marx sono addirittura costretti ad impegnare i propri vestiti per mangiare e a farsi prestare i soldi per la sepoltura di Franziska, l’ultima arrivata, che muore per bronchite. Nel frattempo, Marx pubblica Il 18 Brumaio di Luigi Napoleone in cui sviluppa la sua teoria sulla rivoluzione e comincia la collaborazione con il New York Daily Tribune. Solo nell’estate del 1855 le condizioni economiche della famiglia migliorano grazie ad un lascito dello zio di Jenny. 1857-1864 I Marx si trasferiscono in un quartiere residenziale ma vivono isolati. In questo periodo Marx lavora ai Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, in cui sviluppa i pensieri espressi nei Manoscritti del 1844. Il lavoro non ottiene consenso poiche´ giudicato eccessivamente frammentario e astratto. 1865-1883 Marx lavora alla stesura de Il capitale. I primi volumi pubblicati, pero`, non sono ben accolti. Contemporaneamente Marx si impegna nell’Internazionale che stava attraversando un periodo di ripresa grazie alla rinascita della lotta operaia in tutta l’Europa. Questo fu l’ultimo atto perche´, dopo la repressione della Comune di Parigi, il sogno della rivoluzione muore e la sede dell’Internazionale e` trasferita a New York. Durante gli anni ’70 la vita di Marx diviene piu` tranquilla e Il capitale ottiene il successo sperato. Le condizioni di salute, diventate precarie, costringono Marx a passare da un luogo di cura ad un altro, sempre controllato dalla polizia che lo ritiene in ogni modo un pericolo. L’ultimo periodo della sua vita e` molto doloroso. La morte della moglie e quella della figlia Jenny, a soli 38 anni, sono un colpo troppo duro per Marx che muore nel 1883.

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



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Opere: 1844

O¨ konomisch-Philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844, Moskva-Frankfurt, MEGA, 1932. Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, Einaudi, 1968.

1844

Die heilige Familie oder Kritik der kritischen Kritik gegen Bruno Bauer und Konsorten, Frankfurt am Main, Literarische Anstalt, 1845. La sacra famiglia: ovvero la critica della critica contro Bruno Bauer e consorti, Roma, Edizioni Rinascita, 1954.

1846

Die Deutsche Ideologie. Kritik der neuesten deutschen Philosophie in ihren Repra¨sentanten Feuerbach, B. Bauer und Stirner und des deutschen Sozialismus in seinen verschiedenen Propheten, Moskva-Frankfurt, MEGA. L’ideologia tedesca. Critica della piu` recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer und Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, Roma, Editori Riuniti, 1958.

1848

Der Manifest der kommunistischen Partei, London. Il manifesto del Partito Comunista, Milano, Fantuzzi, 1891.

1852

Der achtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte, Hamburg, Meissner, 1869. Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, Roma, Editori Riuniti, 1964.

1858

Grundrisse der Kritik der politischen O¨konomie, Berlin, Dietz Verlag. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica [2 voll.], Firenze, La Nuova Italia, 1970.

1859

Zur Kritik der politischen O¨konomie, Berlin, Duncker. Per la critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, 1971.

1867-94

Das Kapital. Kritik der politischen O¨konomie, Hamburg. Il Capitale, Roma, Editori Riuniti, 19645.

Friedrich Engels Engels era un uomo affascinante, capace di sedurre le persone con la sua intelligenza e il suo acume. Ribelle ed indipendente per natura, era insofferente ad ogni tipo di autorita`. La sua capacita` di apprendimento gli permise di avvicinare ogni tipo di disciplina che lo stimolasse. Padrone di una molteplicita` di lingue, coltivava amicizie cosmopolite e la domenica il suo salotto appariva una babele di lingue. Legato da una dedi-

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zione assoluta all’amico Marx, indimenticabili tra i due sono le interminabili passeggiate e l’epistolario. Per tutta la vita Engels aiuto` finanziariamente e partecipo` attivamente alla produzione intellettuale dell’amico. Fu uno dei protagonisti della politica del suo tempo appoggiando il partito socialista: la sua influenza e` considerata fondamentale per la formulazione dei programmi e delle politiche socialiste. Egli, come Marx, credeva fermamente che gli uomini siano il prodotto delle condizioni materiali in cui vivono e dell’educazione che ricevono. 1820-1841 Engels nasce a Barmen, nella provincia renania in Prussia, in una famiglia di industriali. Il padre e` un imprenditore manifatturiero che possiede fabbriche a Barmen, Manchester e Engelskirchen. Pietista, racchiude in se´ tutte le virtu` morali del protestantesimo (austerita`, senso del risparmio...) e segue un comportamento politicamente conservatore. La madre, al contrario, e` figlia di un professore universitario e ama i piaceri della vita che affronta con gioia e leggerezza. Engels, che a differenza di Marx riceve un’educazione commerciale e industriale, abbandona gli studi a 17 anni e inizia a lavorare come impiegato nella fabbrica paterna di Barmen. Nonostante cio`, continua come autodidatta gli studi scientifici e politici e, soprattutto, quelli filosofici. Dal 1837 al 1840 lavora a Brema, porto commerciale, nella fabbrica di un amico del padre. Questa esperienza lo segna profondamente poiche´ gli consente di entrare in contatto con numerose culture e di imparare numerose lingue. Nel 1841 torna per un breve periodo nella sua citta` natale per poi ripartire alla volta di Berlino. Engels vi arriva per svolgere il servizio militare: la tattica militare sara` uno dei numerosi interessi (la famiglia Marx lo soprannomino` scherzosamente ‘generale’). Qui entra in contatto con i giovani hegeliani e inizia ad interessarsi alla politica. 1842-1844 Nel 1842 incontra per la prima volta Karl Marx a Colonia. Tra i due non c’e` simpatia: Marx considera Engels uno dei tanti fanatici appartenente al gruppo dei giovani hegeliani guidati da Bauer (che Marx aveva aspramente criticato) ed Engels non si fida di Marx. Questo primo incontro, quindi, non lascera` tracce. Dopo l’anno passato a Berlino, Engels parte per Manchester dove lavora in un ufficio dell’impresa tessile di famiglia. Qui inizia una relazione con una giovane operaia irlandese, Mary Burns, che gli permette di conoscere alcuni membri del movimento cartista (movimento che promuove l’estensione del diritto di voto alla classe operaia) e gli mostra le condizioni di poverta` e di miseria in cui versa il proletariato. Questa esperienza rappresenta per lui una vera

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



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propria presa di coscienza che lo spinge a documentarsi a fondo su tali problemi. 1845-1846 Nel 1845, Engels pubblica La condizione della classe operaia in Inghilterra e, nel suo ritorno a Barmen, si ferma a Parigi dove, il 26 agosto, incontra Marx che, da allora, diviene suo compagno inseparabile. I due condividono numerosi aspetti: sono socialisti, mostrano interesse verso le condizioni della classe operaia e nei confronti del socialismo francese ma, soprattutto, condividono l’urgenza di riformare il pensiero filosofico del loro tempo introducendovi un maggiore interesse per la realta` materiale. A Parigi Engels collabora al testo di Marx La sacra famiglia, che contiene i fondamenti del ‘materialismo storico’ e una feroce critica ai fratelli Bauer e ai loro ‘fratelli’ giovani hegeliani (da qui il titolo ironico dell’opera), e pubblica alcuni articoli sul Deutsche-Franzo¨sische Jahrbu¨cher. Torna a Barmen nel 1846, ma si trasferisce per un periodo a Bruxelles presso la famiglia Marx costretta ad abbandonare Parigi a causa dell’attivita` politica di Marx. La collaborazione tra i due culmina nel 1846 con la pubblicazione dell’Ideologia tedesca, dove consolidano il concetto di materialismo storico e di ‘socialismo vero’. Engels, nel frattempo, continua il suo lavoro scientifico e l’attivita` politica con i lavoratori tedeschi a Bruxelles e a Parigi. 1847-1870 Nel 1847, Marx ed Engels partecipano a Londra al II Congresso della Lega dei Giusti. La Lega commis- siona loro la redazione del Manifesto del Partito Comunista che, pubblicato nel 1848, contiene lo spirito e le linee guida dell’organizzazione e della lotta operaia. La rivoluzione del 1848, nata in Francia e diffusasi in tutta Europa, spinge Marx ed Engels a tornare nel loro paese d’origine per dirigere la rivolta. Qui Marx fonda la rivista democratica Neue Rheinische Zeitung che, pero`, e` presto soppressa e Marx, ormai considerato rivoluzionario di professione, e` espulso. Nel frattempo, Engels partecipa ad una sommossa operaia a Colonia e, dopo un breve arresto, e` costretto a riparare in Inghilterra, a Manchester. Qui torna a gestire la fabbrica di famiglia principalmente per aiutare economicamente la famiglia Marx. In questo periodo ha molteplici interessi: lavora nell’industria paterna, pubblica vari articoli e partecipa attivamente alla politica. Nel 1870 si trasferisce a Londra andando ad abitare vicino alla famiglia Marx. 1871-1895 La collaborazione intellettuale tra Marx ed Engels, che durera` fino alla scomparsa di Marx nel 1883, porta alla pubblicazione di numerosi articoli riguardanti la situazione politica e sociale di

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

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varie parti del mondo: la Russia e il movimento rivoluzionario guidato da Bakunin, i Balcani e la Crimea, gli Stati Uniti (perche´ Marx scriveva per il New York Daily Tribune), l’Oriente (perche´ si e` nel periodo della crisi della Compagnia delle Indie) ed, infine, l’Europa durante la guerra francoprussiana e la Comune di Parigi. Nel frattempo Marx continua a lavorare a Il Capitale di cui Engels e` il primo lettore e critico e di cui pubblica postumi gli ultimi due libri, radunando e organizzando il materiale lasciato incompiuto da Marx. Dopo la morte di Marx, Engels si occupa dei suoi figli e continua la funzione di consigliere e leader del partito socialista europeo fino alla sua morte, nel 1895.

Opere: 1844

Die Heilige Familie oder Kritik der kritischen Kritik gegen Bruno Bauer und Konsorten, Frankfurt am Main, Literarische Anstalt, 1845. La sacra famiglia: ovvero la critica della critica contro Bruno Bauer e consorti, Roma, Edizioni Rinascita, 1954.

1845

Die Lage der arbeitenden Klasse in England: nach eigener Anschauung und authentischen Quellen, Leipzig, Wiand, 1892. La condizione della classe operaia in Inghilterra secondo un’inchiesta diretta e fonti autentiche, Roma, Edizioni Rinascita, 1955.

1846

Die deutsche Ideologie. Kritik der neuesten deutschen Philosophie in ihren Repra¨sentanten Feuerbach, B. Bauer und Stirner und des deutschen Sozialismus in seinen verschiedenen Propheten, Moskva-Frankfurt, MEGA, 1932. L’ideologia tedesca: ciritca. Critica della piu` recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer und Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, Roma, Editori Riuniti, 1958.

1848

Der Manifest der kommunistischen Partei, London. Il manifesto del Partito Comunista, Milano, Fantuzzi, 1891.

1878

Herr Eugen Du¨hring Umwa¨ltzung der Wissenschaft (Anti-Du¨hring), Leipzig. Anti-Du¨hring; Dialettica della natura, Roma, Editori Riuniti, 19564.

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

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E´ mile Durkheim E´mile Durkheim fu uomo di carattere, godette di una solida posizione nell’ambiente sociale ed intellettuale dell’epoca e con passione e determinazione partecipo` alla vita pubblica e politica del suo paese. Il suo impegno per la rigenerazione morale della Francia assorbı` totalmente la sua vita e il suo lavoro, per questo si dedico` allo studio scientifico della realta` sociale e allaccio` rapporti con tutti coloro che avrebbero potuto aiutarlo nell’opera di ricostruzione morale del suo paese. La sua attivita` di studioso fu fondamentale nell’accreditare la sociologia come scienza riconosciuta a livello accademico, dimostrandone la capacita` esplicativa e lo spessore teorico. 1858-1875 E´mile Durkheim nasce ad E´pinal, in Francia. Egli e` figlio di un rabbino, ma la relazione di Durkheim con la religione fu sempre contraddittoria: da un lato vi era una forte attrazione mistica per il sacro, dall’altro maturo` nel tempo un atteggiamento profondamente laico che lo condusse all’analisi scientifica delle origini e degli effetti dei fenomeni religiosi sulla societa`. Ottiene il baccalaure´ats in lettere nel 1874 e quello in scienze nel 1875. Il suo intento e` quello di diventare professore cosicche´ inizia a studiare per essere ammesso all’E´cole normale supe´rieure. Per far cio` si trasferisce nella capitale dove approfondisce lo studio del latino e della retorica. 1879-1882 Nel 1879 Durkheim riesce ad essere ammesso all’E´cole normale supe´rieure, tradizionale luogo di formazione dell’e´lite e, quindi, anche delle figure intellettuali e politiche della Terza Repubblica. Tuttavia Durkheim appare deluso dal tipo di studi dell’E´cole perche´ non corrispondono ai suoi interessi orientati ad una prospettiva molto piu` scientifica che letteraria ed estetica. Questo lo spinge ad essere additato come uno studente arrogante e presuntuoso: la punizione, quando nel 1882 conclude i suoi studi, e` la sua collocazione in fondo alla lista dei laureati. Durkheim, comunque, ricordo` sempre con nostalgia questi anni in cui fece incontri importanti per la sua formazione e partecipo` attivamente ai dibattiti politici e filosofici che avvenivano tra gli studenti dell’E´cole. 1882-1887 Durkheim insegna filosofia nei licei in provincia di Parigi ad eccezione di un anno in cui si reca in Germania dove ha contatti con il celebre laboratorio psicologico di Wilhelm Wundt. Quest’esperienza fu significativa per Durkheim perche´ comprese come si potesse ricondurre la moralita` a principi sociali utilizzando un procedimento scientifico e razionale.

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1887-1902 Durkheim e` riconosciuto per i suoi studi nel campo della filosofia sociale ed e` chiamato ad insegnare sociologia e pedagogia all’universita` di Bordeaux, presso il dipartimento di filosofia: era la prima volta che in Francia la sociologia veniva riconosciuta come disciplina universitaria. Questo non avvenne senza opposizioni poiche´ il giovane scienziato sociale si scontro` con i sostenitori delle tradizionali discipline umanistiche (filosofia, storia e giurisprudenza) che, preoccupati dall’affermazione di un “imperialismo sociologico” e dalla capacita` esplicativa di questa disciplina, impedirono a Durkheim di entrare nella potente cerchia di professori parigini. Nello stesso periodo sposa Louise Dreyfus, che lo aiuto` e assistette nel suo lavoro e che gli diede due figli: Maria e Andrea.Poco si sa della sua vita privata perche´ Durkheim mantenne sempre un grande riserbo. Furono questi anni altamente produttivi che gli consentirono di assumere una posizione di rilievo nell’accademia francese sebbene fosse sempre al centro di aspre polemiche. 1893

Discute la sua tesi di dottorato: La divisione del lavoro sociale.

1895

Pubblica Le regole del metodo sociologico.

1896

Diventa professore ordinario di Scienze sociali: e`, in Francia, la prima cattedra di sociologia.

1897

Pubblica Il suicidio.

1898

Fonda «L’Anne´e Sociologique» periodico scientifico dedicato alla sociologia divenuta ormai oggetto d’interesse per un vasto pubblico. La rivista diventa luogo di incontro e dibattito per giovani studiosi che, pur appartenendo ad ambiti disciplinari diversi, sono sedotti dalla prospettiva sociologica di Durkheim.

1902-1912 Durkheim e` chiamato come charge´ de cours alla Sorbona, dove dopo quattro anni diviene titolare della cattedra di pedagogia. A Parigi i primi periodi non furono facili perche´ Durkheim era osteggiato dai filosofi per la sua “scienza della moralita`”, dai cattolici per la sua “scienza della religione” e dai politici di destra per il suo approccio politico di tipo liberale. Tuttavia, il suo arrivo alla Sorbona gli consentı` (essendo il suo corso obbligatorio) di educare i futuri professori francesi, di aprire le loro menti, di affascinarli con le sue idee e i suoi studi.

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

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

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1912-1917 Durkheim pubblica Le forme elementari della vita religiosa in cui analizza l’origine sociale dei fenomeni religiosi, un’idea, questa, che, all’epoca, era considerata blasfema. Nonostante i problemi di salute causati dall’eccesso di lavoro, Durkheim partecipa con entusiasmo e ottimismo alla campagna di difesa nazionale per la I guerra mondiale pur essendo oggetto, come altri ebrei, di attacchi antisemiti. La morte del figlio Andrea, che considerava il suo erede intellettuale (morte che avvenne nel natale del 1915, in un ospedale bulgaro, a causa delle ferite riportate in combattimento), lo colpisce duramente: si rinchiude in se stesso e nel lavoro. Pur provato dal dolore e privo di energie continua, con l’impegno di sempre, a lavorare e a partecipare ad innumerevoli convegni fin quando, dopo uno di questi appassionati incontri, collassa all’eta` di 59 anni.

Opere principali: 1893 De la division du travail social, Paris, Alcan. La divisione del lavoro sociale, Milano, Comunita`, 1962. 1895 Les re`gles de la me´thode sociologique. Sociologie et Philosophie, Paris, Alcan. Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Milano, Comunita`, 1963. 1897 Le suicide. E´tude sociologique, Paris, Alcan. Il suicidio, l’educazione morale, Torino, Utet, 1969. 1912 Les formes ´ele´mentaires de la vie religieuse. Le syste`me tote´mique en Australie, Paris, Alcan. Le forme elementari della vita religiosa. Il sistema totemico in Australia, Milano, Comunita`, 1963.

Georg Simmel Georg Simmel non fu mai legato ad un’unica disciplina. La sua vivacita`, sensibilita` e spregiudicatezza intellettuale lo resero uno studioso modernissimo e affascinante ma concorsero anche alla sua sfortunata carriera nell’ambiente universitario. Simmel era uno spirito libero e anticonformista, difficilmente definibile come “accademico”. La comunita` scientifica e la societa` tedesca si resero sempre conto della sua genialita` ma non si fidarono mai di lui perche´ non ne compresero la complessita` di stile, la modernita` di pensiero, il fascino intellettuale.

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1858-1876 Georg Simmel nasce a Berlino ma non fu mai legato ad un’appartenenza culturale e di nascita. Fu sempre ‘straniero’ nel senso che lui stesso aveva dato del termine: la sua vita fu al confine di molteplici influenze, spirito libero, intellettualmente moderno e spregiudicato. I genitori sono entrambi di origine ebraica: il padre, uomo d’affari benestante, muore quando Simmel e` ancora giovane lasciandolo alle cure della madre, una donna severa che, probabilmente, fu causa del senso di incertezza e marginalita` che accompagno` per sempre Simmel. 1876-1885 Dopo gli studi liceali, si iscrive all’Universita` Humboldt di Berlino. Qui, dopo la laurea, consegue nel 1881 il dottorato in filosofia e l’abilitazione all’insegnamento con una tesi su Kant. Critico fermo delle teorie positiviste ed evoluzionistiche, si avvicina alle posizioni neokantiane dello stocismo tedesco e della filosofia dei valori e alla fenomenologia di Husserl. Nel 1885 diviene Privatdozent all’universita` di Berlino (una sorta di docente senza stipendio pagato dagli stessi allievi). Rimane per quindici anni in questa posizione marginale a causa dell’antisemitismo che viziava l’ambiente universitario tedesco nel periodo prebellico, della diffidenza che ancora penalizzava la sociologia e del pregiudizio dei colleghi scandalizzati dal suo eclettismo e la sua anticonvenzionalita` intellettuale. In compenso e` amatissimo dai suoi studenti che seguivano in massa le sue lezioni, ed e` il primo professore a permettere alle donne di assistere alle lezioni universitarie. 1885-1900 Subito dopo la laurea pubblica La differenziazione sociale. Ricerche sociologiche e psicologiche in cui vuole fondare una sociologia che abbia il compito di descrivere le forme di associazione tra gli individui. In questo periodo si avvicina ai «socialisti della cattedra» (professori di sinistra che utilizzavano le loro lezioni per la propaganda politica). Sposa Gertrud Kinel, illustre filosofo e brillante intellettuale, che gli dara` un figlio di nome Hans. Ma Simmel ha anche una figlia, Angi, avuta da una relazione fuori dal matrimonio. 1900-1908 Simmel pubblica Filosofia del denaro e nel 1901 diventa Ausserordentlicher Professor (professore straordinario) di filosofia all’universita` di Berlino. Ma e` un titolo puramente onorifico che non modifica affatto la sua posizione di marginalita` all’interno dell’accademia. La sua e` una situazione paradossale: ha innumerevoli titoli, e` celebre in Europa e negli Stati Uniti e le sue opere sono tradotte in diversi paesi, e` protagonista della vita sociale e intellettuale berlinese, il suo salotto e` frequen-

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



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tato dalla migliore intelligenza del paese, partecipa sia alla cultura ufficiale che a quella controculturale degli ambienti socialisti e anticonformisti dell’epoca, e` brillante, famoso e geniale. Ma non riesce a vincere un concorso universitario. 1908-1913 Simmel pubblica Sociologia in cui, accanto all’analisi delle forme di associazione, precisa il concetto di interazione delle forze sociali. Max Weber e il fratello, Alfred Weber, non riescono a fargli conferire una cattedra all’universita` di Heidelberg e Simmel rifiuta l’offerta di un’universita` americana ritenendo di non potersi esprimere con la stressa efficacia in una lingua che non avesse la potenza espressiva del tedesco. Nel 1909 fonda insieme a Weber, To¨ennies e Sombart la Deutsche Gesellschaft fu¨r Soziologie e gli viene conferita la laurea honoris causa in scienze politiche all’universita` di Friburgo. 1914-1918 Simmel si trasferisce a Strasburgo dove, finalmente, ottiene la promozione a professore ordinario. Tuttavia le disavventure accademiche di Simmel non finiscono perche´, poco dopo il suo arrivo, scoppia la guerra, l’attivita` accademica viene sospesa e l’universita` diviene un ospedale militare. La guerra segna profondamente Simmel che reagisce criticando aspramente la politica del kaiser. Non vedra` la fine della guerra: poco prima del termine delle ostilita` Simmel si ammala gravemente di cancro e muore all’eta` di 60 anni.

Opere principali: ¨ ber Soziale Differenzierung: sociologische und psychologische Untersuchungen, 1890 U Liepzig, Duncker und Humblot. La differenziazione sociale, Bari, Laterza, 1982. 1900 Philosophie des Geldes, Liepzig, Duncker und Humblot. Filosofia del denaro, Torino, Utet, 1984. 1903 Die Groszta¨dte und das Geistesleben, Dresden, Jahrbuch der GeheStiftung. Le metropoli e la vita dello spirito, Roma, Armando, 1995. 1908 Soziologie: Untersuchungen u¨ber die Formen der Vergesellschaftung, Liepzig, Duncker und Humblot. Sociologia, Milano, Comunita`, 1989.

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Max Weber Max Weber fu un uomo complesso, tormentato da conflitti interiori, lucidissimo intellettualmente e sorprendentemente fecondo. Ebbe molti allievi, di cui incoraggiava la liberta` intellettuale, ma non si considero` mai un maestro nel senso tradizionale del termine. Le sue posizioni pubbliche lo portarono, spesso, a rimanere isolato nell’ambiente sociale e politico dell’epoca: egli era un uomo dotato di fervore intellettuale accompagnato, pero`, da una calma interiore, capace di disarmare i suoi oppositori. Weber fu, innanzitutto, uno studioso eccezionale il cui lavoro fu sempre caratterizzato dalla grande scrupolosita` scientifica e dal rigore intellettuale e rimase sempre fedele alle premesse epistemologiche della sua sociologia. 1864-1882 Weber nasce a Erfurt in Turingia, in un’agiata e colta famiglia borghese protestante. Il padre e` un uomo politico, la madre una donna raffinata e colta. Il salotto della casa paterna a Berlino, dove nel ’69 la famiglia si era trasferita, e` frequentato da ospiti illustri cosicche´ Weber cresce in un ambiente intellettualmente stimolante e culturalmente elevato. E` qui che egli inizia ad avere conoscenza della situazione politica e sociale della Germania dell’epoca. Da ragazzo fu un lettore onnivoro e uno studente precoce che, seppure timido e di salute cagionevole, mal sopportava l’autorita` degli insegnanti. 1882-1891 Weber entra nell’universita` di Heidelberg dove studia giurisprudenza, economia, storia, filosofia e teologia. Svolge il servizio militare a Strasburgo dove subisce l’influenza delle idee liberali e anti bismarckiane dello storico Hermann Baumgarten, marito di una sorella della madre, donna di forte carattere, profondamente devota ai princı`pi del calvinismo. I genitori, preoccupati per questa influenza, lo convincono a tornare a studiare all’Universita` di Berlino dove, nel 1889, sostiene la sua tesi di dottorato. La carriera accademica e di studioso di Weber, inizialmente, e` legata alla «Verein fu¨r Sozialpolitik», una societa` di studiosi interessati all’analisi della realta` economica e sociale tedesca. 1891-1895 Weber consegue, nel 1891, l’abilitazione all’insegnamento universitario ed inizia a lavorare a tempo pieno presso il tribunale di Berlino, proseguendo, contemporaneamente a questa attivita`, i suoi studi di tipo storico-sociali con una intensita` e un impegno tali da mettere in pericolo il suo equilibrio psico-fisico. Una situazione che dura fino al 1893 quando e` chiamato ad insegnare economia all’universita` di Friburgo. Nello stesso anno sposa Marianne Schnitzer che fu

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anche sua compagna intellettuale e figura di rilievo nell’ambiente intellettuale dell’epoca. Nello stesso periodo inizia ad occuparsi attivamente di politica criticando gli Junkers (l’aristocrazia agraria dell’est dell’Elba) per la mancanza di interesse verso la formazione e l’educazione politica della nazione. 1895-1897 Weber ottiene la cattedra di economia ad Heidelberg. Qui il salotto della sua casa, grazie a Marianne, diviene uno dei luoghi piu` significativi e prestigiosi nell’ambiente culturale ed intellettuale della citta`. In questi stessi anni inizia una proficua amicizia e collaborazione con Ernst Troeltsch, dalle cui idee trae spunti per la sua sociologia religiosa. Weber, se pure poco piu` che trentenne, acquista grande credito e prestigio nell’ambiente accademico, tra coloro che condividevano il suo impegno non solo intellettuale ma anche sociale e politico all’interno dei circoli cristiano-sociali. 1897-1905 Weber, a causa di un esaurimento nervoso dovuto ai ritmi di lavoro e ai sensi di colpa per un violento litigio con il padre (che morı` improvvisamente un mese dopo, senza essersi riconciliato con il figlio), e` costretto a ritirarsi dalla vita accademica. Incapace di lavorare, mentre prima di allora il lavoro aveva sempre rappresentato un modo per trovare sollievo alle sue tensioni psichiche, comincia a viaggiare e trascorre anche un breve periodo in una casa di cura. Pian piano comincia a riprendersi e a recuperare forze fisiche e capacita` di lavoro. 1903-1914 Torna a Heidelberg e nel 1903, insieme a Sombart e Jaffe`, viene nominato direttore della «Archiv fu¨r Sozialwissenschaft und Sozialpolitik» che, in breve tempo, diviene la rivista di scienze sociali piu` importante in Germania. Tra il 1904 e il 1905 pubblica la prima e la seconda parte de L’etica protestante e lo spirito del capitalismo; nel 1910 fonda, insieme a To¨nnies e Simmel, la Societa` tedesca di Sociologia e, sempre con loro, la «Deutsche Gesellschaft fu¨r Soziologie» prima rivista di sociologia. Sono gli anni della sua supremazia intellettuale, di una produzione eccezionalmente feconda, dell’esercizio continuo del suo spirito critico e dell’impegno politico. 1914-1920 Lo scoppio della I Guerra Mondiale e` appoggiato attivamente da Weber, fedele alle sue idee nazionaliste. Ben presto, pero`, la dura realta` della guerra lo induce a criticare aspramente l’operato del governo e, alla fine della guerra, non solo diviene membro della delegazione tedesca per la conferenza

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di pace a Versailles ma partecipa anche alla stesura della costituzione tedesca della Repubblica di Weimar. Nel 1919, accetta di ricoprire la cattedra di economia a Monaco (paradossalmente Weber, pur essendo conosciuto come uno dei padri fondatori della sociologia, in vita ricoprı` sempre cattedre di economia). All’inizio del 1919 tenne due famosissime conferenze che poi furono pubblicate in Wissenschaft als Beruf e Politik als Beruf. (La scienza come professione e La politica come professione). Gli ultimi anni della sua vita sono di intenso lavoro: si dedica alla sua Sociologia delle religioni di cui pubblica via via i diversi capitoli, lavora a Economia e societa` che, incompiuta, uscira` postuma nel 1922, a cura di Marianne, come postuma uscira` Il metodo delle scienze storico-sociali, una raccolta di saggi in gran parte precedentemente pubblicati, di carattere metodologico. Muore il 14 giugno 1920, a 56 anni, per una polmonite. Le sue ultime parole furono il suo testamento intellettuale: la verita` `e la verita`.

Opere principali: 1904 Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, Tu¨bingen, Mohr L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Roma, Leonardo, 1945. 1919 Geistige Arbeit als Beruf (Wissenschaft als Beruf - Politik als Beruf), Mu¨nchen. (Il lavoro intellettuale come professione [La scienza come professione - La politica come professione], Torino, Einaudi, 1948). Sociologia delle religioni, Torino, Utet, 1976. 1922 Wirtschaft und Gesellschaft, Tu¨bingen, Mohr. Economia e societa`, Milano, Comunita`, 1961. 1922 Gesammelte Aufsa¨tze zur Wissenschaftlshere, Tu¨bingen, Mohr. Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Einaudi, 1958.

Norbert Elias Norbert Elias fu uno studioso animato da una fervida curiosita` intellettuale e da un profondo interesse per le relazioni tra gli uomini, capace di trarre spunto da ogni situazione, anche quella piu` drammatica. La sua vita fu caratterizzata da tragedie storiche (visse in prima persona l’esperienza della I e della II guerra mondiale) e personali (soffrı` l’antisemitismo e la perdita della madre in un campo di concentramento). I suoi interessi furono multidisciplinari e strinse numerosi debiti intellettuali (sociologici, psicoanalitici, medici, storici, ecc.), tuttavia raramente si ritrovano, nei suoi scritti, note in cui l’autore cita le sue fonti probabilmente

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

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perche´, grazie alle sue doti intellettuali, fu in grado di rendere proprio e originale il materiale letto e studiato. 1897-1915 Elias nasce a Breslavia, figlio unico di una famiglia ebraica rispettabile e con un forte senso etico del lavoro. Il padre e` proprietario di una piccola fabbrica, la madre e` una donna che si dedica totalmente alla cura del figlio. Il contesto in cui cresce e` caratterizzato dall’affetto e dall’amore che, in qualche modo, compensano l’atteggiamento di ostilita` nei confronti degli ebrei diffuso nella Germania guglielmina. 1915-1922 Lo scoppio della prima guerra mondiale segna la fine di questo periodo tranquillo perche´ Elias e` costretto a partire per il fronte nonostante il suo atteggiamento profondamente pacifista. Qui conosce l’orrore della violenza e dell’esclusione sociale e inizia ad interessarsi agli studi medici e sociologici. I primi nascono dall’interesse per l’anatomia umana, un interesse che Elias coltivera` anche in futuro; i secondi sorgono dall’osservazione dei comportamenti tenuti dai soldati. La guerra gli appare come una situazione in cui i freni comportamentali, interiorizzati durante il processo di socializzazione, vengono meno lasciando emergere la parte istintuale. Alla fine della guerra, si iscrive all’universita` di Breslau per studiare filosofia e medicina. Qui si scontra con i professori a causa della sua vivacita` intellettuale, il suo spirito ribelle e la tendenza ad utilizzare un approccio originale e interdisciplinare. Ben presto comprende di essere attratto piu` dalla sociologia che dalla filosofia. La sociologia, infatti, gli appare come la scienza piu` adatta a soddisfare la sua esigenza di coniugare la teoria con la realta` (a differenza della filosofia ritenuta eccessivamente astratta). Inoltre la sociologia, essendo una disciplina relativamente giovane, appare ancora aperta a nuove interpretazioni e approcci. 1922-1933 L’inflazione, causata dalla guerra, si abbatte sulla Germania e sulla famiglia di Elias che e` costretto ad abbandonare gli studi per trovare lavoro in una ditta di import-export. Una volta passata la crisi economica, Elias lascia il lavoro per diventare giornalista del «Berliner Illustrierte» ma questa carriera non lo soddisfa. Il suo obiettivo e` diventare professore universitario nonostante le difficolta` legate al fatto di essere ebreo, non piu` giovanissimo e senza appoggi. Elias parte per Heidelberg dove gli studi sociologici sono particolarmente prestigiosi e importanti grazie all’opera di studiosi di notevole spicco (un nome tra tanti e` quello di Max Weber). Qui e` ammesso nel

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cuore della vita intellettuale della piccola citta`: il salotto di Marianne Weber. Frequenta i seminari di Alfred Weber e di Karl Mannheim, di cui diviene assistente (anche se era piu` anziano di lui). Quando Mannheim ottiene la cattedra di sociologia a Francoforte, Elias lo segue. Francoforte, all’epoca, e` uno dei centri piu` vivaci intellettualmente e il confronto accademico tra professori avviene, spesso, nei caffe` della citta`, tra schiere di studenti. In questo periodo, Elias si occupa principalmente dell’insegnamento e, contemporaneamente, lavora alla stesura della Societa` di corte. Partecipa inoltre, pur con un ruolo secondario, alle attivita` dell’«Institut fu¨ r Sozialforschung» (la cosiddetta «Scuola di Francoforte»), istituto collegato all’universita` e frequentato da un gruppo di intellettuali di tradizione marxista interessati alla interdisciplinarita`. I rapporti all’interno dell’Istituto sono improntati alla rivalita` ma cio` non spegne il dialogo e l’accettazione delle diverse posizioni. 1933-1940 Hitler sale al potere e la sua ascesa costringe tutti gli intellettuali di Francoforte, tra questi anche Elias, ad emigrare per evitare di essere colpiti dal regime. Dopo esser stato in Francia, dove non riesce a trovare finanziamenti per fare ricerca, arriva in Inghilterra e, grazie ad una borsa di studio, conclude il Processo di civilizzazione. Il testo viene pubblicato in Svizzera nel 1939, dall’unico editore disposto a farlo, ma non riscuote il dovuto successo. L’ascesa di Hitler, infatti, crea numerosi problemi alla diffusione dei testi tedeschi nel mercato culturale europeo. Intanto Elias riesce ad ottenere una borsa di studio alla London School of Economics e si trasferisce a Cambridge. L’approccio della sociologia inglese differisce da quello di Elias a tal punto da porgli seri problemi di integrazione nell’ambiente accademico. 1940-1977 Elias accetta la cattedra a Leicester e inizia la sua relazione affettiva con Ilya Neustadt piu` giovane di lui con la quale, dal punto di vista intellettuale, condivide il dissenso verso l’approccio sociologico anglosassone. In questo periodo scrive, insieme al suo allievo John Scott, The Established and the Outsiders: a sociological enquiry into community problems, in cui analizza le dinamiche di inclusione e di esclusione sociale presenti in una piccola comunita`. Il feroce isolamento in cui si chiude dura fino a quando entra in contatto con la psicoanalisi partecipando al «Group Analytic Society» nell’ambito del quale inizia una terapia di gruppo. Un’esperienza questa che lo aiuta ad affrontare i problemi legati alla tragica morte della madre e alle difficolta` dell’inserimento nel mondo accademico inglese.

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Dopo aver concluso la sua carriera universitaria continua a partecipare alla vita accademica tenendo dei seminari. Egli decide di abbandonare l’Inghilterra accettando un ruolo come professore di sociologia in Ghana per due anni. Nel frattempo ottiene riconoscimenti e popolarita` grazie alla prima pubblicazione in Germania de La societa` di corte, una riedizione de Il processo di civilizzazione. Nel 1970 esce Was ist Sociologie?. La sua fama diviene internazionale tanto che passa cinque anni nell’illustre universita` di Bielefeld. Gli ultimi anni li trascorre in Olanda, che elegge come seconda patria. Muore nel 1977, circondato dai suoi allievi piu` fedeli.

Opere: ¨ ber den Prozeß der Zivilisation, soziogenetische und psychogenetische 1936 U Untersuchungen, Basel, Haus zum Falken. Il processo di civilizzazione, Bologna, il Mulino, 1988. 1965 The Established and the Outsiders: a sociological enquiry into community problems, London, Sage. 1969 Die hofische Gesellschaft: Untersuchungen zur Soziologie des Konigstums und der hofischen Aristokratie; mit einer Einleitung: Soziologie und Geschichtswissenschaft, Berlin, Neuwied. La societa` di corte, Bologna, il Mulino, 1980. 1970 Was ist Sociologie?, Mu¨nchen, Juventa. Cos’e` la sociologia?, Torino, Rosenberg & Sellier, 1990. ¨ ber die Zeit, Frankfurt, Suhrkamp. 1985 U Saggio sul tempo, Bologna, il Mulino, 1986. 1987 Die Gesellschaft der Individuen, Frankfurt, Suhrkamp, 1991. La societa` degli individui, Bologna, il Mulino, 1990.

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Lessico sociologico

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Collana diretta da Anna Rita Calabrò

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Oggetto e metodo della sociologia: parlano i classici. Durkheim, Simmel, Weber, Elias, a cura di Anna Rita Calabrò I caratteri della modernità: parlano i classici. Marx, Engels, Durkheim, Simmel, Weber, Elias, a cura di Anna Rita Calabrò E come educazione. Autori e parole-chiave della sociologia, a cura di Maddalena Colombo S come scienza, T come tecnica e riflessione sociologica. Un’antologia a partire dai classici: Comte, Marx, Mumford, Merton, Latour, Bourdieu, a cura di Ercole Giap Parini e Giuseppina Pellegrino

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