Il 9 ottobre 1967 a La Higuera, in Bolivia, muore Ernesto "Che" Guevara, dopo 199 giorni di guerriglia per por
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Italian Pages 247 [215] Year 2017
Table of contents :
Copertina
Abstract
Biografia
Frontespizio
Copyright
Il mio lavoro con Francesco Rosi di Maria Procino
Il film che non ho fatto su Che Guevara
1. Perù
2. Bolivia
3. Cuba
4. Roma
Che Guevara. Soggetto
Che Guevara. Treatment
Cronologia
Note
Indice
Il 9 ottobre 1967 a La Higuera, in Bolivia, muore Ernesto “Che” Guevara, dopo 199 giorni di guerriglia per portare la rivoluzione in tutta l’America Latina. È un evento che colpisce il mondo intero: la fine, velata di mistero, di un visionario che ha incarnato il sogno di giustizia del popolo. Il 31 ottobre 1967 Francesco Rosi parte per Cuba. Vuole fare un film sulla morte del Che per raccontare i suoi ultimi giorni. Arriva a La Habana e incontra Fidel Castro. “Fidel è come Fellini con la barba” scrive Rosi nel suo diario. “È
bugiardo
come
lui,
e
come
lui
geniale,
parlatore
irresistibile, canaglia e disarmato allo stesso tempo.” Ottenuta la sua “benedizione”, intraprende un viaggio sulle orme di Guevara, dal Perù alla Bolivia e poi ancora a Cuba. Incontra i protagonisti e i testimoni della guerriglia. Studia con la sua macchina fotografica quei paesaggi resi surreali dal silenzio. Raccoglie
documenti
e
prende
nota
sui
suoi
taccuini
della
miseria, della povertà e della rassegnazione che legge sui volti delle persone. Il suo obiettivo è rappresentare Ernesto “Che” Guevara attraverso le contraddizioni della sua epoca: non solo in America Latina ma nell’intero Terzo Mondo, dal Vietnam all’Africa, in cui la lotta contro le ingiustizie non è stata in grado
di
provocare
la
ribellione
dei
più
deboli.
Scrive
un
trattamento il cui protagonista risulti indissolubilmente legato con la Storia. Ma quello che era riuscito a fare in Sicilia, cioè girare
un
mafia”,
film
a
su
Cuba
Salvatore diventa
Giuliano
impossibile.
“sotto
gli
occhi
“Sbagliavo
della
non
nei
calcoli” ricorda Rosi, “ma nel giudizio: di fronte ai politici la mafia è uno scherzo.” Il film non verrà mai realizzato, restano solo
queste
pagine
che
sono
la
preziosa
testimonianza
del
lavoro attento e meticoloso di un maestro del cinema perché “la vita di un regista sono i suoi film”. Tutti, anche quelli che non sono stati conclusi.
FRANCESCO ROSI (1922-2015), regista e sceneggiatore, ha diretto alcuni dei film più belli del cinema italiano tra cui Salvatore Giuliano (1962) Orso d’argento; Le mani sulla città (1963)
Leone
d’oro; Uomini
contro
(1970); Il
caso
Mattei
(1972) Palma d’oro; Lucky Luciano (1973); Cronaca di una morte
annunciata
(1987).
Viene
premiato
con
il
David
di
Donatello per i film: Cadaveri eccellenti (1976), Cristo si è fermato a Eboli (1979), Tre fratelli (1981), Carmen (1984) e La tregua (1997). Riceve la nomination all’Oscar per il miglior film straniero con Tre fratelli. Viene premiato per la carriera con l’Orso d’oro nel 2008 e il Leone d’oro nel 2012. Ha scritto con
Giuseppe
Tornatore
l’autobiografia
Io
lo
chiamo
cinematografo (Mondadori 2012). MARIA PROCINO, studiosa di archivi di personalità della cultura
dello
spettacolo
e
di
diaristica,
collabora
con
la
Fondazione Eduardo De Filippo. Ha lavorato al progetto di riordino
dell’archivio
Eduardo
dietro
le
di
quinte
Francesco (Bulzoni
Rosi. 2003)
Ha e
ha
pubblicato curato
il
Carteggio Enrico Cuccia Alberto D’Agostino, (Franco Angeli 2007).
Francesco Rosi
I 199 giorni del Che Diario di un film sulle tracce del rivoluzionario a cura di Maria Procino
Proprietà letteraria riservata © 2017 Rizzoli Libri S.p.A. / Rizzoli, Milano eISBN 978-88-58-68954-7 Prima edizione: maggio 2017 Per le immagini dell’inserto iconografico si ringrazia la Biblioteca Francesco Rosi. Realizzazione editoriale: studio pym / Milano In copertina: Art Director: Francesca Leoneschi Graphic Designer: Andrea Cavallini / theWorldof DOT www.rizzoli.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Il mio lavoro con Francesco Rosi
Questo
volume
nasce
dal
progetto
di
Francesco
Rosi
di
pubblicare i suoi diari scritti durante il viaggio che intraprese a Cuba e in America Latina dal 17 gennaio al 17 marzo 1968. Il regista era stato a Cuba già nel 1967 a pochi giorni dalla morte di Ernesto «Che» Guevara, deciso a realizzare un film sul rivoluzionario argentino e sulle condizioni del Sudamerica in quel
periodo.
Habana,
con
il
Partì
da
sostegno
Roma il 30 del
suo
ottobre;
amico
giunto
2
3
Guevara
4
e a Pepe Aguilar,
La 1
Saverio
presentò il progetto ai dirigenti dell’Icaic Saúl Yelin
a
Tutino,
e Alfredo
amico della famiglia Guevara.
Riuscì a incontrare Fidel Castro il 19 novembre e il 21 Aleida, la seconda moglie di Guevara, esponendo loro la sua idea: un film che raccontasse gli ultimi centonovantanove giorni di Che Guevara e dei guerriglieri, ma soprattutto le condizioni di un popolo, di un territorio, che portarono alla guerriglia ma anche alla
separazione
dei
guerriglieri
dai
contadini
e
al
loro
isolamento. «Questa realtà io l’ho avvicinata guardandola, più che altro, perché per il mio mestiere le cose le devo vedere per 5
poterle giudicare.»
Il 23 novembre tornò a Roma restando in attesa di una risposta da Cuba. Il 17 gennaio 1968 ripartì accompagnato da Enzo
6
Provenzale.
Il
progetto
venne
poi
accantonato,
ma
Francesco Rosi non abbandonò mai l’idea di poter riprendere in mano tutto il materiale che aveva conservato e provare a realizzare
il
suo
film,
nel
suo
stile.
Non
gli
interessava
dichiarare cosa era giusto o sbagliato né schierarsi: l’obiettivo del regista era creare un’opera cinematografica, documentare attraverso
il
suo
documentarsi,
lasciando
al
pubblico,
allo
spettatore attivo e pensante, il diritto e il dovere di prendere posizione, di discutere.
Nel 2012 Carolina Rosi mi chiamò per collaborare con il padre
sia
alla
biblioteca,
sistemazione
sia
Francesco
era
alla
del
rilettura
preoccupato
e
per
suo alla
la
archivio
e
correzione
mole
di
della dei
sua
diari.
documentazione
relativa alla sua attività che aveva conservato e che avrebbe lasciato «sulle spalle» di Carolina. Accettai
con
timore
ma
con
grande
entusiasmo.
E
iniziammo a leggerli insieme. Alla sua morte ho continuato la trascrizione e la ricerca. Dalla sua biblioteca romana (il suo archivio
cinematografico
è
oggi
conservato
al
Museo
nazionale del cinema di Torino) sono emerse le sue parole che mettono in chiaro la storia del progetto, offrendo a chiunque si avvicini a questo testo una chiave di lettura del suo modo di vivere, di fare il cinema. I
diari
momento
rappresentano storico
la
molto
testimonianza
complesso;
diretta
l’itinerario
di
un
di
un
intellettuale che riflette sullo sfruttamento, sulla povertà fisica e morale, sul sistema economico occidentale; il viaggio di un artista che ha già in mente il film e annota forme e contenuti, ragionamenti ed emozioni. Registra eventi e coglie non solo l’essenza
di
un’umanità
che
appare
priva
di
speranza,
ma
anche la bellezza dei paesaggi che incontra, l’eccezionalità degli avvenimenti appena trascorsi. I diari attestano il legame tra l’idea di un film e la sua realizzazione, si propongono come contributo
significativo
a
chi
voglia
studiare
le
vicende
di
quell’epoca ma soprattutto il metodo e il rigore di uno dei grandi Maestri del cinema. «Io non voglio tirare le somme, voglio lasciare molti dubbi e molto alle interpretazioni.» I
testi
autografi
sono
consegnati
a
due
quadernetti
con
copertina di colore nero e tre quaderni di diverso colore, di cui uno reca sulla copertina rigida l’annotazione Che Guevara di mano
dell’autore.
rispettoso possibile,
degli
trascrizione
originali,
anche
caratteristiche,
La
le
seguito
conservandone,
parentesi
correggendo
ha
solo
tonde i
e
refusi
un
quando le più
criterio è
stato
interpuntive evidenti
e
sciogliendo i nomi che sono trascritti con le iniziali laddove l’identificazione è parsa certa. Si è ricorso al corsivo quando nell’originale l’autore evidenzia parte del testo racchiudendolo tra parentesi quadre o in forme geometriche come quadrati o
rettangoli. Non sono stati effettuati tagli, che spesso possono rappresentare pericolose operazioni di “chirurgia” che mettono a rischio il senso e lo scopo dato agli scritti dall’autore stesso. Nel volume sono raccolti: gli appunti di Rosi sulla genesi del progetto e sul suo primo soggiorno a Cuba; il soggetto e il treatment inviati ad Alfredo Guevara che confermano la sua intensa e scrupolosa attività per realizzare il film fissandone in fase di scrittura ogni idea e ogni approfondimento. Dunque mi sono limitata a seguire, come facevo sempre, le sue
indicazioni
accurate
e
puntuali.
E
posso
essere
solo
onorata di aver goduto di quei giorni, dei suoi ricordi, delle sue riflessioni, della sua umiltà, della sua intelligente curiosità e soprattutto della sua amicizia. Maria Procino
Ringraziamenti La mia gratitudine va a Carolina Rosi per la stima e la fiducia che ha avuto in me affidandomi questo lavoro e supportando i miei cura.
dubbi
e
le
Ringrazio
progetto, attente
ansie
giustificate
inoltre
Manuela verifiche
l’editore
Galbiati nella
e
dalla per
Paola
responsabilità
l’impegno
Rabezzana
correzione
delle
in per
della
questo le
bozze
e
loro la
comprensione dei miei numerosi quesiti. Un ringraziamento va a
Monica
richiesta.
Caliendo
per
la
pazienza
nel
soccorso
a
ogni
A mio padre. Finisco quello che hai iniziato, con amore. Carolina
Il film che non ho fatto su Che Guevara di Francesco Rosi
Nell’ottobre del 1967 mi rompevo la testa per far quadrare un’idea che mi agitava da qualche tempo: mi affascinava il personaggio di Bruto, l’uccisore di Cesare. Il fanatico amore della giustizia e della virtù che lo aveva spinto al tirannicidio, e l’incapacità di gestire le conseguenze del suo gesto se non con la
forza
della
logica
ma
non
con
quella
della
conoscenza
dell’animo della plebe sorda al linguaggio degli astratti ideali, mi sembravano elementi da riproporre emblematicamente in un confronto con l’attualità; e mi muovevo infatti alla ricerca di
una
struttura
investigatore
che
nella
facesse
coscienza
di e
un
regista
nel
di
cinema
comportamento
un
tra
un
intellettuale di ieri e uno di oggi. Richard Burton mi aveva dato serie speranze di voler correre l’avventura con me. Poi, una volta, volli leggere di seguito le pagine di Svetonio, di Plutarco e, infine, la tragedia di Shakespeare; e mi fu chiaro che stavo perdendo tempo: il drammaturgo si era servito del cronista e dello storico come sceneggiatori e aveva aggiunto i dialoghi, cioè la poesia. E c’era tutto quello che io avrei voluto dire;
ma
non
Shakespeare,
mi
con
sentivo attori
di
che
misurarmi
avrebbero
al
cinema
dovuto
con
recitare
in
inglese. Mi aggiravo quindi tra le pietre dei Fori sconsolato e rabbioso di non riuscire a trovare una soluzione, quando fui raggiunto
dalla
notizia
della
morte
di
Che
Guevara.
Fu
un’illuminazione improvvisa: sarebbe stato lui il mio Bruto. Corsi dai miei amici e collaboratori Tonino Guerra e Raffaele La Capria: furono d’accordo sulle mie riflessioni, ma rimasero sbalorditi
quando
dissi
loro
che
sarei
partito
subito,
senza
perdere tempo, per Cuba. Mi rendevano superabile la difficoltà di quella decisione la conoscenza
della
lingua
spagnola,
la
stima
che
i
cubani
avevano dimostrato per i miei film e il fatto che Che Guevara aveva dichiarato a un amico comune, una notte, seduto davanti
a Fontana di Trevi qui a Roma, che il film sulla Rivoluzione cubana dovevo farlo io. Telefonai
all’Habana,
all’Istituto
di
cinema:
chiesi
del
presidente Alfredo Guevara – nessuna parentela con l’altro – che conoscevo solo di nome; gli dissi che volevo fare un film su
Che
Guevara:
seguì
un
silenzio
lungo
e
impenetrabile.
Dopo di che, mi fu passato un collaboratore del presidente, che,
ignorando
tempo
quanto
volevano
avevo
invitarmi
a
detto
prima,
illustrare
il
mi
mio
disse
lavoro
che ai
da
loro
cineasti e che gli sembrava fosse arrivato il momento, se io ero d’accordo. A
quei
tempi,
per
raggiungere
La
Habana
ci
volevano
sedici ore perché i vecchi Britannia turboelica della Cubana de Aviación non potevano sorvolare il territorio degli Stati Uniti e dovevano fare o la rotta di Praga o quella del Polo. A
La
Habana
corrispondente sempre
trovai
il
dell’«Unità».
molto
scettici
e
mio I
amico
comunisti
guardinghi,
Saverio
italiani
se
non
Tutino,
erano
stati
chiaramente
contrari fino al sarcasmo, nei confronti di Fidel Castro e di Che
Guevara.
rivoluzionario
Amendola da
farmacia;
aveva
definito
i
amici
miei
il
Che
Davide
un
Lajolo,
Trombadori, Pajetta mi giudicarono pericolosamente stravolto dal mito rivoluzionario; e da buoni comunisti vedevano in me, socialista senza partito, il pericolo del solito massimalismo del Partito socialista italiano. Non era così, ma poco importa: non è facile far capire a un uomo politico che un narratore può essere
affascinato
da
un
personaggio
anche
senza
doverne
necessariamente condividere ideologie e gesti. Il politico sta attento sempre solo all’uso politico che si può fare di un film, di un libro, fossero poi i comunisti italiani che in questo sono stati sempre maestri, più ancora dei democristiani. Tutino
conosceva
nomenklatura
e
si
Cuba,
stupì
che,
La non
Habana, appena
e
tutta
arrivato,
io
la
fossi
riuscito a rendermi conto che là funzionava bene solo ciò che era
militarizzato.
inquadrati
e
Ma
era
coinvolti,
dittatoriali,
in
un
immediato
riscontro
evidente.
come
processo con
di
I
avviene
giovani in
esaltazione
alcuni
positivi
erano
tutti
i
regimi
ideologica –
stati
e
di
effettivamente
rivoluzionari – risultati nel campo dell’educazione, della sanità e della cultura, che assieme alla caratteristica della vita dolce
dei Caraibi, aveva creato quella strana mescolanza di elementi di radicale astratto idealismo, rigidità militare e impositiva di tipo sovietico e disponibilità ai piacere della vita, che resero Cuba mitica, centro di incontro degli intellettuali di tutto il mondo.
Ma
i
metodi
impressionante anche
se
che
rapidità)
Castro
avevano
erano
allora
si
appresi
quelli
dello
permetteva
e
adottati
Stato
di
(con
totalitario,
mancare
a
un
ricevimento all’ambasciata sovietica per andare invece a uno di quelli della Cina popolare. Mi tennero a bagnomaria: mi facevano incontrare gli studenti, i cineasti, mi portavano in giro, vedevo film dell’America Latina, spettacoli, sentivo jazz che era proibito, andavo a vedere lotte di galli, anche quelle proibite,
ma
non
si
entrava
mai
nell’argomento
che
a
me
interessava: il film. Il Che era morto da appena una ventina di giorni e La Habana era tappezzata di suoi ritratti listati a lutto; si parlava solo di quello, ovviamente. E posso capire che un pazzo che si era precipitato lì per voler fare un film sul personaggio più scottante
allora
nel
mondo,
potesse
costituire
un
problema
quasi insolubile in una società a struttura comunista. Ma io, ingenuo, fino a un certo punto però, avevo voluto agire come mi
ero
comportato
quando
avevo
con
fatto
la
struttura
della
Salvatore
società
Giuliano:
mafiosa,
disarmarli
provocandoli con un comportamento chiaro e controllabile alla luce del sole. Un gioco rischioso per i risultati, ma non per la condotta. Dirmi di no non sarebbe stato possibile né politico: un regista che stimavano, di sinistra, anche se non comunista; film come Salvatore Giuliano e Le mani sulla città dietro le spalle; chissà, avrebbe potuto anche fare qualcosa di utile. Ma gli ostacoli erano tanti. Prima di tutto essere sicuri di come io la pensavo veramente. E di qua, la necessità di «consegnarmi in caserma», l’hotel Habana Libre, ex Hilton, dorata prigione dotata di piscina e di un via vai di poeti, pittori, musicisti, registi,
scrittori,
politici
di
tutto
il
mondo
che
venivano
a
studiare il fenomeno Cuba e a esaltarsi nella constatazione e nella
speranza
che
la
rivoluzione
poteva
veramente
essere
possibile. Era un momento esaltante, quello, e io ho avuto la sorte
di
viverlo
bene
e
a
fondo.
Il
pretesto
della
lunga
consegna era l’appuntamento con Fidel che non arrivava mai. Anche
uscire
con
una
ragazza
diventava
arduo,
se
non
impossibile: dovevo aspettare la telefonata per l’appuntamento
che poteva arrivare da un momento all’altro, più che altro di notte. Consegnati con me, in quel periodo, c’erano anche K.S. Karol, che stava scrivendo il libro sulla Rivoluzione, e Oscar Lewis, che aspettava l’autorizzazione per la serie di interviste che avrebbe fatto tra il popolo come materiale per i suoi libri di
carattere
all’Istituto
sociale
(I
cubano;
figli
erano
di
Sánchez).
roba
che
Vide
gli
i
miei
apparteneva
film come
metodo di lavoro e stile narrativo: mi entrò in camera esaltato con in mano un capitolo da La vida, il suo gran libro sui portoricani a New York che stava scrivendo allora. Lo lesse, e disse: «Questo è il film che devi fare quando avrò finito di scriverlo». Poi negli anni seguenti seppi che lo aveva comprato Kazan, dopo la morte di Lewis; e io, data l’amicizia per il grande regista americano, mi tirai indietro. Stavo
benissimo:
andavo,
venivo,
facevo
bagni,
fumavo
sigari, incontravo sul pianerottolo dell’ascensore Feltrinelli e Valerio Riva, portavo Pajetta a bere il «dajquiri» per il gusto di sentirgli dire che non era altro che una «granatina»; vedevo giù nel ristorante Alberto Ronchey, non ancora mio grande amico e allora da me avvicinato con la diffidenza che comportavano le differenti posizioni ideologiche; andavo a spasso con Tutino, mi commuovevo alle cose realizzate che portavano avanti le idee
di
progresso,
indietro;
ogni
mi
tanto
incazzavo incontravo
per
quelle
qualcuno
che
portavano
dell’Istituto
di
cinema, più che altro preoccupato di sorvegliarmi. Una sera rientrando, mi sento chiamare: «Rosi!». Mi giro: una ragazza splendida,
vestita
da
miliziana,
con
mitra
sottobraccio,
una
bolognese che aveva sposato un suonatore di jazz svedese e tutti
e
Cuba;
due
si
erano
mi
dice:
ristorante.
Forse
arruolati
«Fidel ti
sta
nell’esercito
mangiando
vedrà». Il
coniglio
rivoluzionario
il
coniglio
allora
a
Cuba
di
giù
al
era
il
massimo, date le scarse possibilità alimentari del momento, e Fidel
ne
era
telefono. «Rosi!»
Uno «Chi
ghiottissimo; squillo, è?»
mi
«Soy
corro
in
precipito.
Maria»
camera, Una
«Chi
a
voce
Maria?»
guardia
del
femminile: «Maria,
la
china!» «E chi ti conosce?!». Nei Caraibi le ragazze sono fatte così:
ti
chiamano,
gli
piace
provocare,
scherzare
e
poi
magari… niente! Erano
passati
ormai
venti
giorni:
m’ero
stufato,
volevo
andar via. Quando arriva Tutino e mi dice misterioso: «Scendi! C’è il ministro della Cultura che ti aspetta». Il ministro arriva
in Giulietta (le auto le avevano solo i dirigenti). Carica me e Saverio. Comincia a correre per La Habana in un itinerario tortuoso come per una gimcana: capisco che fa così per far perdere
le
finalmente
tracce
a
casa
sua.
a
un
eventuale
Mangiamo
inseguitore;
sardine
in
arriviamo
scatola,
frutta
tropicale, un po’ di riso: non c’era altro allora a La Habana. Mi racconta dei suoi record nello sport; sento il rumore del motore di una jeep che non si arresta. Tutino e il ministro si guardano: io li guardo. Poi, attraverso le larghe stecche scostate delle persiane di legno dei tropici, vedo passare un mitra portato a spalla da un miliziano e poi un altro uomo in uniforme. Un momento di silenzio, poi «Olà, Rosi!» ed entra… Federico Fellini. Fidel è come Federico con la barba, è alto come lui, ha la stessa corpulenza, la stessa voce; la stessa voglia di piacerti e di inchiodarti al suo «charme»; è bugiardo come lui, e come lui
geniale,
parlatore
irresistibile,
canaglia
e
disarmato
allo
stesso tempo. Comincia a parlare entrando dalla porta; poi si siede sul bracciolo del divano dove io ero sistemato, e ogni tanto mi allunga un sigaro che gli passa il fido Vallejo, il suo medico militare di fiducia che sta accanto alla porta per sorvegliare e assistere. Qualsiasi cosa si pensi di Castro, è impossibile non restare
affascinati
dall’uomo.
È
il
patriarca
di
Márquez,
l’ultimo dittatore dell’America Latina, e allo stesso tempo il capo di una leggendaria rivoluzione che, al tempo, aveva fatto sperare che il socialismo democratico e liberale potesse essere realizzato anche nei Paesi a conduzione comunista. Fidel parlò di agricoltura, di vacche da latte, di caffè, di zucchero, tutti problemi fondamentali sui quali aveva puntato per lo sviluppo del Paese; di economia, di Sartre, di Hemingway, di baseball, e poi mi disse: «Se la moglie è d’accordo, tu il film sul Che lo puoi fare». Ciò che rendeva difficile le cose era il fatto che io volevo la partecipazione di Cuba, ma allo stesso tempo conservare la mia
autonomia:
Grimaldi
con
il il
film
sarebbe
quale
avevo
stato il
prodotto
progetto
di
da
Alberto
Bruto
in
associazione con l’Istituto di cinema cubano. L’Icaic era su posizioni
del
tutto
diverse:
non
volevano
il
produttore
«capitalista». Io non volevo fare un film «per» Cuba ma «con»
Cuba,
quale
osservatore
e
narratore
indipendente
di
un
personaggio e di vicende storiche, e ritenevo che i miei film precedenti potessero costituire sufficiente garanzia. Castro si mostrava d’accordo: Alfredo Guevara no. Dovevo accettare
il
rischio
che
i
due
avessero
concordato
preventivamente i rispettivi ruoli; Castro d’altra parte aveva la vista lunga, allora era più spregiudicato politicamente e capiva che un film con circolazione mondiale sarebbe stato certo più utile di un film di stretta osservanza delle loro posizioni. Ci lasciammo demandando la decisione ultima al Comitato politico che si occupava di tutte le attività che riguardavano la persona
del
Che.
E
intanto
avrei
visto
Aleida,
la
seconda
moglie del Che. L’incontro andò bene, ma anche Aleida si rimetteva alle decisioni del Comitato e di Fidel. Ci sono momenti, nella progettazione di film come quello che io volevo fare, in cui il confronto con la realtà dei fatti e di chi li possiede diventa frustrante, ti sembra che il mondo ti si chiuda davanti in una impenetrabilità gelosa: eppure tu sai che devi romperla se vuoi andare avanti. Ci vuole pazienza e non bisogna sbagliare i tempi di intervento della strategia che hai formulato. La girare
scommessa
era
nei
della
luoghi
quasi
impossibile,
verità
ma
impenetrabile
ero di
riuscito
a
Salvatore
Giuliano, sotto gli occhi della mafia, perché non avrei dovuto riuscirci qui? Sbagliavo non nei calcoli, ma nel giudizio: di fronte ai politici la mafia è uno scherzo. Avevo dalla mia un caparbio entusiasmo, senza il quale d’altra parte prenderebbero il sopravvento solo il pessimismo e la prudenza. Decisi di tornare in Italia e stare al gioco, per non perdere questo entusiasmo. Era la fine di novembre: ai primi di gennaio del ’68 tornai a Cuba, fui invitato al Grande congresso culturale de La Habana. L’Icaic non voleva perdere i contatti…
Diario
1 Perù 17 gennaio 1968 – 22 gennaio 1968
17 gennaio 1
Partenza da Roma per Perù e Bolivia.
Arrivo a Lima – Gran Hotel Bolívar, tipico confort da città coloniale. Grande albergo «oasi» – tutti americani Usa. Per la strada (sono circa le 11 di sera) una fiumana di gente: prima impressione
di
folla
peruviana,
massa
molto
floja,* livello
umano e condizione sociale tipo grossa città del Sud Italia, Bari,
ma
periferia,
perché
tutto
sommato
mi
sembrano
più
vicini a Benevento che altro. Vengono tutti dalla piazza dove c’è
stata
una
«fiesta»
per
la
celebrazione
della
fondazione
della città spagnola: in un angolo c’è il monumento equestre per Francisco Pizarro, fondatore della Ciudad de los Reyes. Ai piedi del monumento simili a «pidocchi» i ragazzini indios con cassettine minuscole da limpia botas,** attaccaticci per una propina***
ma
dolci,
pronti
a
scapparsene
via
se
li
tratti
bruscamente. Nella grande piazza de Armas: da una parte la cattedrale (brutta, niente di particolare), dall’altra il Palazzo della municipalità, bianco, coloniale, bello, attraverso i balconi aperti lampadari enormi da favola per la massa di miserabili di fuori; da un altro lato il Palazzo governamentale con sentinelle indios, lunghi cappottoni e buoni mitra. Nel centro della piazza, un palco e una coppia che balla un rudimentale flamenco: lui in bianco di lino, lei in moderno, lui agita un fazzoletto tra i suoi piedi e quelli di lei. La folla è miserabile. Le macchine sono enormi, bianche e lucide, Usa, macchinoni della Polizia con faro a cupoletta, rosso, soldati su camion. Immagine forse troppo retorica e ovvia del rapporto potere e sottoposti in America Latina.
p
p L’albergo è bello, confortevole, caro, carissimo, ma senza
aria condizionata: strano.
2
18 gennaio È
caldo:
qui
è
estate,
dura
fino
a
giugno-luglio.
Il
fresco
gradevole di ieri sera evidentemente è dovuto a questa corrente di Humboldt che a leggerla nei libri uno non ci crede che riesca
a
dare
fresco
a una
zona
tropicale così
grande.
Nei
negozi e negli uffici non c’è aria condizionata. Banche come monumenti. costa
Negozi,
naturalmente
alcuni
belli:
carissimo.
tutto
Quello
è
d’importazione
che
si
è
visto
e di
peruviano sono pelli di llamas, vasi di terracotta, un po’ di stoffa, camicie, vestiti e scarpe (orrende) care lo stesso. Tutto il resto è d’importazione, al 90% Usa. In
libreria
una
signora
(direttrice
e
proprietaria)
mi
indirizza a un giovane commesso dall’aria dello studente che subito aderisce al discorso del subdesarollo.* L’autista del taxi: «… quello che ci vuole sono scuole, ma i ricchi non vogliono perché hanno interesse a tenere i poveri in stato di servitù: camerieri, autisti, maggiordomi». La conferma di
questo
residenziale
discorso di
San
è
quello
Isidro.
che
Molto
si
vede
bello:
nel
aveva
quartiere ragione
il
consigliere di ambasciata italiana che dice che neanche negli Usa ci sono quartieri residenziali così. L’impressione è non solo di una gran ricchezza e tranquillità, ma soprattutto di una impenetrabilità
a
tutto
ciò
che
non
è
allo
stesso
livello:
francamente mai visto un mondo tanto chiuso. Country club, golf, prati soffici, nurses e carrozzine stupende per bambini ecc.;
a
poche
centinaia
di
metri,
tutto
intorno
alla
città
(e
bisogna vederlo dall’alto), un cerchio di miseria e di fame che finirà per soffocare Lima come mi diceva non mi ricordo chi e dove. L’Ermitaño, barrio di baracche ai piedi e lungo i fianchi di un cerro* alla cui sommità giganteggia una croce; un mare di baracche e di indios venuti da fuori città. Sui fianchi della montagna, in direzione della scuola di ingegneria, una scritta ricavata nel fianco di terra, inneggiante a Che Guevara e alla lotta armata. Molti venditori ambulanti indios, ma fanno colore facile.
La
gente
nelle
barriadas**
è
tutt’altro
discorso.
Bisognerebbe vederle di notte. Capire dove si ferma questa rassegnazione silenziosa e dolce e dove può cominciare con sentimenti di revanche. Diceva l’autista: «La carne oggi costa al chilo più della giornata di lavoro di un uomo: 40, 50 soles (poco più di mille lire), come protestiamo, gridando? E chi ci sente?
A
chi
facciamo
paura!
Dall’altra
parte
ci
sono
i
soldati…». Io: «E non sono poveri anche loro?». «Certo.» «Guadagnano molto?» «Niente.» «E allora?» «Stanno
dall’altra
parte»
(forse
perché
hanno
un
letto,
un’uniforme, un vitto, una investitura d’autorità, di ordine… chissà). «Il governo è una pantalla* per quelli che hanno i grossi
interessi
da
difendere.»
Diceva
l’incaricato
di
affari
dell’ambasciata: «Che si risolve sparando? Questi non sanno e non saprebbero neanche perché sparare. È stata scoperta nella foresta
gente
che
sparava,
in
possesso
di
dollari:
da
dove
vengono questi dollari? Russi? Castristi? Certo è che questi per continuare ad avere dollari sparano, ma non per altro e non è così che si risolve il problema. Bisognerebbe educarli! Ma come si fa? Vada a vedere fuori Lima, i paesini di neanche cinquecento anime, come ci si arriva con l’educazione, dove li porta? Fabbriche: poca roba locale, ceramica, con un po’ di tessuto
fatto
male,
i
manufatti
vengono
da
fuori
e
costano
carissimo». Per la vicuña** c’è la proibizione di lavorarla perché ce n’è
poca,
si
estingue
la
razza.
Gli
indios
vengono
in
città
attratti dalla vita di città, dal cinematografo, dai divertimenti, più che altro perché tanto lavoro non ce n’è. Cenato moderno,
in
un
«Club
ristorante 91»,
al
scoperto
nono dopo
piano che
di è
un
un
edificio
ristorante
italiano. Broccato rosso alle pareti, musica di violino e organo, candele ai tavoli, uomini d’affari americani Usa rimpinzati dai sudamericani che devono concludere. C’è una signora sudamericana, un disegno di Bartoli, che si lavora una donna Usa che suda persino sotto le borse degli
occhi e si asciuga con la salvietta. Dall’altra parte un tavolo di francesi e sudamericani: affari. Ristorante carissimo.
19 gennaio Partenza alle 7.00 dall’hotel per Cuzco (due ore di aereo). Viaggio 3400
metri.
aereo
su
Antica
deserto
montagnoso.
capitale.
Hotel
de
Arrivo turistas,
a
Cuzco, piccola,
coloniale, simpatica pensione per turismo. Signora italiana di Torino, sposata al nipote di Schliemann, quello di Troia; aveva sentito parlare di me a Hollywood: «Il film sulle città e sulle case». In giro subito con l’autista Alberto (misto arabo e indio) a vedere rovine inca: primi contatti per le vie della città e fuori, con una immagine di miseria ai limiti di quello che si può immaginare. Nel pomeriggio giro per la città. Mercato: la «grande» miseria agglomerata. Terribile. E la chiesa spagnola che sovrasta. L’immagine della chiesa indios è una indicazione più storica (politica) che altro, ma già è una indicazione: ma non basta. Ci vogliono le statistiche altrimenti il discorso è limitato, rischierebbe addirittura la pietà estetizzante. Fa più il contatto con la grande Chevrolet bianca che passa in mezzo a tanta merda. La Chiesa è la principale fonte dei guai… «Il Vangelo in una mano e la spada nell’altra» così i primi conquistatori e i monaci della Mercede ammazzavano in nome di Dio. Cosa fanno i preti ora? Secondo Alberto peggio. I militari – i soldati indios, gli ufficialetti meticci – sono l’oppressione di potere evidente.
Uniformi
alla
falangista.
Dove
vive
questa
gente
inebetita dalla masticazione della coca? Come può svegliarsi? Onesti mai. C’è il problema dei figli, della nuova generazione. C’è qualcosa in Cuzco che mi ricorda Trujillo in Extremadura. Le stesse proporzioni possenti di muratura (forse a imitazione delle costruzioni inca: difatti i conquistadores si costruirono i palazzotti a Trujillo di ritorno dall’America). È come se il tempo si fosse fermato, ma intanto ci sono le Chevrolet in giro e la televisione. Prima, signori di una loro civiltà (e il passo è diretto: stessi vestiti, stesse facce, stessi bisogni primari). Prima, signori di una loro civiltà, ora servi di una civiltà straniera, di tipo economico, ma neppure inseriti perché inutili e ritenuti tali o resi tali o fatti rimanere tali, a
meno che non si tratti di sfruttarli come muratori ad altezze alle quali nessun altro potrebbe fare il muratore. Quindi di questo
tipo
di
civiltà
economica
non
godono
neppure
i
benefici. L’origine di tanti guai risale indubbiamente al tipo di conquista
degli
spagnoli.
Gli
imperi
economici,
sia
statali
stranieri, sia privati locali, hanno fatto il resto. I ricchi locali non
hanno
mai
fatto
prosperare
nessuna
delle
attività
che
avrebbero potuto dare una base di vita decente al loro Paese, non ci hanno neppure vissuto, non hanno fatto circolare là i loro soldi. Tutto è straniero: in tanto abbrutimento di miseria enormi réclame della Coca-Cola, gigantesche General Motors ecc. Gli uomini indios si lasciano fotografare, imbottiti di coca, le donne, dolcissime madri-natura si riparano il viso o quello dei figli nello scialle dietro le spalle, con gli enormi cappelloni di paglia bianca. (Qui si può girare con il sistema del mordi e fuggi.)
20 gennaio Escursione a Machu Picchu. Bellissimo. L’ordine geometrico dell’impero Inca espresso tutto riunito nelle costruzioni di una fortezza-città rifugiata a 3000 metri circa. Ci si arriva con il trenino. Tre ore. Lungo la strada ferrata misere capanne di fango e niente più che questo. Quale sarà stato il contenuto dell’articolo del Che su Machu 3
Picchu: lavoro
l’ordine di una antica civiltà collettivizzata, dove il
era
distribuite
obbligatorio saggiamente?
e La
la
ricchezza
terra
era
e
della
la
produzione
collettività
e
il
cittadino era obbligato a lavorarla. (C’è un gruppetto familiare di indios che vengono a visitare le rovine.) La libertà della proprietà. O avrà scritto della fine di questi antichi padroni della loro civiltà, estranei a una nuova perché mai fattivi accedere? Alberto, l’autista di Cuzco, ci viene a prendere al ritorno, dice che quella miseria costituisce il 90%. Mi viene l’idea della nascita e della morte, cioè l’indio dalla nascita alla morte, una rapidissima sintesi, accompagnata –
come
necessariamente
in
tutto
il
capitolo
che
riguarda
l’A.L.* – da dati statistici incontrovertibili. Al ritorno passo
davanti a un minuscolo cimiterino di fango tra alcuni gruppi di capanne di fango. L’idea è giusta. Parlo della morte di questa gente
con
Alberto:
mi
conferma
l’idea.
Qui
gli
indios
li
sotterrano persino senza bara, nel terreno comune.
21 gennaio E vado a dare un’occhiata al cimitero di Cuzco, la domenica mattina. Il reparto abbiente è sistemato con loculi incorniciati con grosse e bellissime cornici di bronzo dorato e argentato, difesi da un cristallo dietro il quale c’è una placca dello stesso metallo con figura di madonna per lo più e fiori di plastica o veri. Molto tipico e folclorico. Il reparto poveri è una collinetta di terra seminata letteralmente di croci e tombette di gesso (quando ci sono) a forma di bara, quasi tutte dipinte di bianco e di azzurro. Le croci per la maggior parte sono due pezzi di legno inchiodati. Mi inoltro tra le croci – a un certo punto mi fermo, i miei piedi prigionieri delle assi e dei tumuli (non più tombette man mano che si va su) e delle ossa che qua e là affiorano. (Non ho mai visto – anche tra quelli dei paesini della zona depressa della Sicilia – un cimitero di poveri tanto povero.) Grossi ciuffi di verde e fresca finocchiella coprono qualche croce e una vecchia india ne fa raccolta: per le sue bestie, mi dice Alberto, ma mette l’erba con troppa religione nel suo scialle perché non possa venire il dubbio che la raccolta sia per lei. Montiamo in macchina diretti a Chincheros. La strada – un fangoso e pericoloso sentiero tra i monti – è costeggiata qua e là da gruppetti di capanne di fango con il tetto di paglia. Solita immagine: certo non ci si accorge che è domenica, la gente percorre i sentieri con legna o erba sulle spalle come tutti i giorni,
coperta
degli
stessi
stracci
di
tutti
i
giorni
che,
a
giudicare dal tanfo e dallo sporco sulle mani e sulle parti del corpo scoperte, credo che non si tolgano di dosso neppure quando
si
buttano
a
dormire
sulla
paglia
o
su
qualsiasi
giaciglio. La zona da Cuzco a Chincheros è molto suggestiva: le montagne
alte
e
maestose,
alcune
cime
coperte
di
neve,
improvvise pianure verdi, un fiume abbastanza ricco, silenzio
e solitudine. Qualche gruppo di pecore o di llamas con un ragazzino che sorveglia. Rarissimi gli uccelli. A Machu Picchu non ne ho visto uno. Neanche
quelli
bellissima,
di
grosse
estremamente
altezze.
Strano.
suggestiva.
Mura
Chincheros incaiche
e
è su
quelle elevato un muro di cinta a una chiesa di tipo vecchia Castilla. Tutta bianca di fuori, un campanile di fango e dietro la chiesa poche capanne di fango arrampicate su viottoli in salita. In un silenzio, anzi in un bisbiglio ovattato che è più che un silenzio quando si vede da quanta gente viene, centinaia di indios sono accovacciati per terra o si muovono da gruppetto all’altro. Qualche asino. Qualche alimento che frigge su un fuocherello di legna sulle pietre. Vengono qui ogni domenica, da
tutti
i
gruppetti
soprattutto fagioli,
di
pane,
di
capanne
alimenti. farina,
della
Poverissime
dolci,
carne
zona,
per
cose:
un
ecc.,
quasi
fare
baratto
sacchetto
di
totalmente
o
addirittura totalmente non circola moneta. Tutti in costume, gli uomini con il bolo di coca, bevono tutti enormi bicchieroni di chicha.* Dalla chiesa esce gente a frotte, in silenzio. Piove. Entro in chiesa: c’è ancora pochissima gente, un gruppettino attorno al prete; alla fioca luce di un paio di candele stanno battezzando
un
bambino
indio
piccolissimo,
tutto
nudo
nel
freddo della enorme chiesa vuota ed esattamente come una chiesa
vecchia
fotografia
Castilla
sicuro
al
anche
98%
nell’interno:
che
non
prendo
verranno,
mi
qualche chiedono
delicatamente qualche soldo. Non glieli do per paura che gli altri vedano e allora sarebbe finita: poi si raggruppano tutti accosciati in un angolo buio della chiesa attorno alla creaturina da rivestire. Silenziosi, buoni, rassegnati, timidi: mi avvicino, do l’equivalente di poco più di un migliaio di lire. Si alzano a turno, padre, madre, familiari ad abbracciarmi chiamandomi «papà». Fuori della chiesa c’è ancora la riunione degli indios. Da
qualche
parte
viene
una
musica
di
violini
e
chitarrini
suonati come nel Nordafrica e in Asia. Ci si è accodata una fotografa Usa, una spilungona secca noiosa mondo
delicata a
fare
zitella
vecchina
fotografie
che
anglosassone piazza
poi
che al
gira
il
«National
Geographic Magazine». Le offriamo il passaggio in macchina nel nostro itinerario di ritorno fino a Cuzco. La strada per
Urumumba è molto bella, aumenta la maestosità, la solitudine, il paesaggio delle Ande. Ci fermiamo a mangiare. Ollantaytambo – fortezza inca. È una fortezza costruita su di una montagna, nella gola tra due montagne, dominante un passaggio obbligato prima di arrivare a Machu Picchu. Solito sistema di terrazze di difesa, come a Machu Picchu, enormi blocchi di pietra tagliati con precisione geometrica e incastrati con la stessa precisione. Ai piedi della fortezza il villaggetto, un gruppo di povere case che fondamentalmente sono ancora le stesse di quelle dove vivevano le famiglie della guarnigione di Ollantaytambo. Continuiamo
verso
Maras.
Ancora
miseria
e
fango,
bambini assieme alle bestie. Risolvere il problema degli indios in un paese dove su circa 4.000.000 di abitanti ce n’è l’80% deve essere un problema enorme, e certo non credo lo si possa risolvere se non con un rivoluzionamento totale delle strutture, dalla base. Queste montagne sono piene di rame: non sfruttate. Su altre si trova lo stagno allo stato naturale. Petrolio ce n’è una quantità ma è tenuto come riserva dagli Usa.
Le
pianure
sono
tante
e
ricchissime.
Il
paesaggio
da
Ollantaytambo a Maras è maestoso: le Ande, le cime bianche di neve, la solitudine sulle pianure a distesa infinita. Ogni tanto passa un indio, come quel gruppetto marrone come il sentiero di fango lungo il quale procede dietro a un carro carico di sterpi. «Propiname papà!» Si fa notte: nel fascio di luce dei fari della macchina capita un gruppo di indios, maschi e femmine, ubriachi fradici di chicha: ecco finalmente la domenica! L’americana che è con noi non vede altro che civiltà morte, costumi tipici e folclore, e qui l’unica cosa che ti viene voglia di fare
è
di
prendere
a
calci
nel
culo
chi
si
innamora
del
folclore. Ha passato, coraggiosamente (mi fa ricordare quelle dell’Esercito della salvezza a Lima), la notte in una stamberga di Chincheros per essere di buon mattino alla missione degli indios
sullo
spiazzo
davanti
alla
chiesa.
Racconta
che
il
padrone di casa aveva la radio, il grammofono e la macchina da scrivere ma non il cesso, e a me viene in mente quelli che
dicevano a Napoli che dài un bidet a quelli dei bassi e ci piantano il basilico. Abbiamo parlato anche, per un momento, di Cuba. Non capiva perché gli Usa avrebbero dovuto avere interesse
a
impedire
agli
Stati
dell’America
Latina
di
commerciare con Cuba. (Tenere presente l’unione indio-llama-maiale-coca-trago.) Maras: villaggio miserabile. Fango da tutte le parti. Una lunga strada centrale di fango con casette basse imbiancate. Una india non in costume, dall’aria di quella che ha qualcosa (non in costume ma cappellone bianco alto in testa lo stesso), vuole
vendersi
casupola.
il
portale
Fotografo,
(spagnolo,
vuole
soldi,
bellissimo)
non
glieli
do,
della non
sua
se
la
prende, è spiritosa. A Maras ci sono le saline di acqua salata che viene giù dalla montagna, evapora e ci sono quindi le saline all’aria aperta. Ma non riusciamo ad andarci perché ha piovuto e il sentiero è una palude di fango impraticabile. La bicicletta è rarissima, ne avrò viste quattro. Vista una motocicletta. Ogni
tanto
s’incrocia
un
camion
carico
di
indios:
dove
vanno, da dove vengono? Che generi di lavoro vanno a fare?
22 gennaio Cuzco. Visitato un paio di chiese perché l’aereo per La Paz ritarda la partenza. Le chiese non sono niente di eccezionale, ma ci sono dentro degli esempi di misto pittorico spagnolo indio
abbastanza
interessante.
Le
interessanti. mura
inca
La sulle
sagrestia quali
è
del
duomo
costruito
è
San
Domenico molto belle. Un tempio cristiano su quello incaico. Facevano
così
sempre
gli
spagnoli
anche
con
quelli
arabi.
Vista la reliquia d’oro della Mercedes, una custodia del SS. Sacramento di oro alta circa un metro tempestata di pietre preziose e una perla enorme a forma di nudo femminile messo 4
in risalto in una custodia d’oro a forma di donna.
Divertente.
All’aeroporto l’ufficialetto. Come è contento e felice della sua uniforme. •
Povere capanne di fango qua e là. Come vivono.
•
Mura e ruderi poveri indios.
•
Paesaggi desolati e maestosi – llamas e indios…
•
Riuniti nel mercato all’interno del muro di Chincheros.
•
Interno chiesa – il battesimo del bambino indio (i soldati si segnano più volte devotamente), il bambino esposto alla luce che entra dalla porta aperta.
•
Il baratto.
•
Il bambino cresce si fa grande.
•
La periferia di Lima.
•
Le migliaia di indios, il mercato ecc.
•
Le barriadas.
•
La città evoluta e ricca e venduta e schiava.
•
Il contrasto.
•
Il cerchio di fame intorno alla città si stringe.
•
La morte di un indio povero.
*
Pigra.
**
Lustrascarpe.
***
Mancia.
*
Sottosviluppo.
*
Collina.
**
Baraccopoli.
*
Schermo.
**
Vigogna, lana che si ricava da un piccolo camelide andino.
*
America Latina.
*
Bevanda alcolica derivata dalla fermentazione di mais, altri cereali o frutti.
2 Bolivia 23 gennaio 1968 – 13 febbraio 1968
1
23 gennaio Arrivo
a
La
situazione
Paz,
piccolo
montagne
incredibile ragazzotti
intorno
nell’aeroporto che
si
aeroporto
–
da
maestosa
città e
confusione
accaparrano
i
di
provincia:
bellissima.
Folla
–
una
ridda
di
biglietti
del
bagaglio.
Finalmente il nostro ragazzotto riesce a raggruppare le nostre valigie – le vuole portare tutte lui; pur essendo noi disposti a prendere un altro ragazzotto riesce a mandare via l’intruso e porta tutto lui. Autista taxi: «Hemos limpiado todo».* Moltissime scritte sui muri inneggianti alla libertà e alla guerriglia. Malessere di montagna perché faccio l’opposto di quello che si deve fare: mi muovo, trasporto valigie ecc. Telefonata all’ambasciatore: era stato avvertito del mio arrivo. Appuntamento per domani. Uscita.
Freddo.
Immagine
Catanzaro.
Indios,
ma
apparentemente più nutriti che a Lima-Cuzco. Di un altro tipo gli indios – situazione miseria diversa da quella della morsa di fame che stringe Lima o dall’abisso di povertà di Cuzco. Ma anche se qui nella città la prima immagine è di una miseria meno
abissale
l’impressione
(ma è
di
bisognerà un
vedere
nei
sottosviluppo
prossimi
totale.
Il
giorni)
livello
è
bassissimo, grandi macchine Usa in giro, facce rassegnate di indios buoni. Articoli meno cari che a Lima, ma prodotti locali agricoli
più
ricchi,
pare.
Comunque,
sempre
lo
stesso
problema dei prezzi altissimi dei prodotti di importazione e dei manufatti. Bigliettini alle pareti (come quelli delle processioni nelle piccole città del Sud in Italia) di saluti al presidente 2
Barrientos
di
ritorno
in
patria.
Manifestino
proclamante
3
Huber Matos, dichiarante
il vero leader della vera Rivoluzione cubana e
l’appoggio
del
popolo
boliviano
alla
vera
Rivoluzione cubana (quella che non soggiace a imperialismi di sorta). Mangiato al Daiquiri Club. Parrillada. Bene. Cameriere indio. Non parla – indifferente – poi, finalmente, lo smuovo: poche parole con sguardi terrorizzati in giro sulla situazione dei minatori, dei fermenti, sulla milizia armata. I padroni del locale sono jugoslavi: ci sono jugoslavi qui per le miniere. La stampa – mi stupisce – è critica contro il governo, gode di
una
notevole
libertà.
Si
critica
tutto
l’aspetto
delle
dichiarazioni contraddittorie sulla morte del Che ecc.
24 gennaio All’ambasciata.
4
L’ambasciatore
è
persona
civile,
prudente,
gentile, ma da buon diplomatico si tiene alla larga e io lo incoraggio in una posizione del genere. Colazione a casa sua con una signora italiana che vive qui da molti anni, che si proclama socialistissima e allo stesso tempo esalta l’esercito boliviano e lo sforzo dell’esercito per liberare il paese dalla guerriglia. Il solito discorso: «Il Che è un eroe, un Cristo, ma si è sbagliato: qui le condizioni del paese non consentono una rivoluzione. È vero stanno male, è vero che ci sono ricchezze enormi, governo
è
vero
contro
la la
gente
è
sottosviluppata,
guerriglia».
ma
L’ambasciatore:
sono «I
con
il
governi
militari sono l’ordine. Ma siccome il livello non consente delle elezioni
veramente
democratiche,
allora
sono
i
militari
per
tanti versi la classe più evoluta del Paese, che prendono il governo assumendosi la responsabilità – che sentono come un dovere – di stabilire e mantenere l’ordine. Sono colpi di Stato, è vero, ma non c’è altra strada». «Ma
la
trasformazione
delle
strutture,
l’educazione,
la
creazione delle condizioni per arrivare a un governo che si liberi delle schiavitù economiche…?» «Gli
Stati
Uniti
d’America
non
esercitano
pressioni
monopolistiche, anzi accettano di buon grado chi si voglia affiancare a loro nella distribuzione nell’area di sfruttamento economico dei paesi dell’America Latina» (!!!). Comunque mi ha dato il suo libro sull’America Latina.
Mi procurerà dei contatti ma – e sono d’accordo con lui – non in via ufficiale. All’ambasciata.
Conversazione
con
l’incaricato
di
affari
Vigevani: «Il paese è ricchissimo ma non sfruttato, e gli indios si accontentano di poco e non vogliono altro perché non lo conoscono. Questo governo fa qualcosa per aiutare a uscire fuori
da
un
livello
così
basso
di
vita.
Ma
è
venuta
la
5
guerriglia…». È decisamente contro Debray. Al
giornale
«Presencia»
conversazione
con
il
direttore:
molto intelligente, equilibrato, cerca la conferma delle prove, vuole, esige che si comprenda la Bolivia per quello che è, non per il Paese sanguinario che si immagina in Europa. Succo della conversazione: Guevara un uomo rispettabilissimo e molto valoroso e virile: non ha valutato bene la realtà di fronte alla quale si sarebbe trovato. Ha sottovalutato i soldati boliviani che,
anche
prima
dell’allenamento
dei
rangers
cominciati nell’aprile, erano quelli che fanno tre giorni di marcia senza mangiare ma vanno (come insegna la storia della Bolivia e forse Guevara non la conosceva). Dice però: «… gli dài una manciata di foglie di coca e vanno e si buttano a combattere». Secondo il direttore se non ci fosse stato l’allenamento dei rangers ci sarebbero stati molti più morti tra i soldaditos, ma 6
Guevara avrebbe perso lo stesso. Ovando
diceva: «Non ho vie
di entrata nella selva io, ma non ha via di uscita neanche lui». (È naturale: dal momento che era completamente braccato e accerchiato nella zona individuata con intorno i monti brulli.) (Il
soldadito
interrogato
da
7
Pierini:
«Perché
lo
fai?»
«Para defender!». E che cosa ha coscienza di difendere?) Però poi si è accorto che il soldato boliviano era diverso da quello che lui si immaginava e lo ha persino ammesso nel diario. D. «Lei lo ha letto il diario?» R.
«No,
solo
i
militari.»
(Ma
ciononostante
lo
cita
continuamente e per più aspetti che mi sembrano più dei pezzi riprodotti fotostatici).
È
stato
braccato
senza
requie.
È
una
zona
di
insetti
tremendi, l’umidità fa imputridire i vestiti, le armi stesse, i viveri non si sa da dove possono arrivare, i medicinali (questo inseguimento lo si potrebbe dare molto bene). Cita
un
pezzo
di
diario
in
cui
il
Che
dice:
«Abbiamo
mangiato conchos* come se fossimo noi stessi conchos» (per dire
che
erano
stati
braccati
senza
poter
mangiare
fino
a
buttarsi a dormire finalmente dopo giorni…). È evidente che gli avevano promesso un’apertura di un altro fronte, promessa che poi non è stata mantenuta. Forse si è 8
basato sulle dichiarazioni dei comunisti boliviani alle Olas che assicuravano che il Paese era pronto.
I leader dei partiti comunisti (ce ne sono cinque di partiti) non tutti sono all’altezza: parlano; ma a combattere non vanno loro. E qui la massa non c’è: i minatori (30.000) impauriti non hanno
reagito
ed
erano
comunque
lontani
dalla
zona
del
combattimento. La città non ha reagito. Il contadino (proprietario in seguito alla riforma agraria del suo pezzo di terra) non vuole sentir parlare di comunismo e di rivoluzione.
E
continuamente
ha
denunciato
las
guerrillias
quando si è trovato ad avere qualche indizio di segnalazione. D.
«Ma
avevano
messo
una
taglia
di
50.000
pesos
su
Guevara?» R. «La taglia è stata messa dopo.» D. «Da quello che ricordo io, l’hanno messa non appena hanno avuto la sicurezza della presenza di Guevara.» R. «Anche prima, anche prima ne parlavano.» D.
«Ma
ufficialmente
prima la
del
23
guerriglia,
marzo, non
si
quando sapeva
ha
avuto
inizio
dell’esistenza
dei
guerriglieri.» La tesi che i contadini hanno denunciato i guerriglieri – anche
senza
essere
ancora
a
conoscenza
della
presenza
di
Guevara – va legata al fatto che qui è opinione comune – del direttore, di Vigevani, della signora amica dell’ambasciatore, dell’ambasciatore stesso – che si è stati sicuri della presenza di Guevara solo quando Debray ha parlato. Prima, erano solo
voci e nessuno ci credeva. Quindi i contadini avrebbero dato segnalazioni spontanee nel periodo che va tra il 23 marzo e l’arresto di Debray, cioè verso la fine di aprile. Ma anche dopo, secondo il direttore e Vigevani, i contadini hanno parlato spontaneamente e senza lo stimolo della taglia, perché è gente buona, tranquilla (rassegnata, perché senza luce di speranza), non ha aderito perché i capi della guerriglia erano stranieri,
e
perché
c’è
una
tradizione
di
abnegazione
e
di
sacrificio nel soldato boliviano che ha una sua conferma nella storia stessa. Il Che, secondo sempre il direttore, aveva scelto benissimo il posto, strategicamente parlando, perché vicino alla zona di Camiri dove avrebbe potuto bloccare gli oleodotti petroliferi e l’aeroporto, ma non ha avuto gli appoggi nei quali gli avevano fatto
credere
e
perciò
si
è
trovato
a
doversi
spostare
–
continuamente braccato dai soldaditos fino a che, nel tentativo di
dirigersi
al
segnalazioni
nord,
date
non
dai
è
stato
insaccato,
campesinos
–
nel
in
virtù
delle
dal
quale
cañon*
assolutamente non poteva avere via di uscita. Caldo insopportabile, umidità al 100% (si sono trovati sui cadaveri di certi guerriglieri morti in combattimento, coperti di stracci, gli abiti ridotti a stracci dalla umidità; senza scarpe), i puma, i serpenti, los bichitos, insetti vari che si impossessano di un corpo che non possa reagire, in una notte lo rendono uno scheletro;
non
poteva
cacciare
per
mangiare
perché
si
sarebbero sentiti gli spari; non poteva accendere il fuoco di giorno perché si sarebbe visto il fumo; non poteva accendere il fuoco di notte perché si sarebbe visto il fuoco; senza alimenti quindi,
senza
rendevano
medicine,
inefficienti,
senza
abiti,
denunciato
con
dai
le
armi
contadini
che
che
si
non
appena avevano un indizio correvano ad avvertire l’esercito (la taglia), la tattica di Ovando cambiata per cui l’esercito era diviso
in
piccole
pattuglie
«attaccanti»
(praticamente
adoperavano la stessa tattica di imboscata dei guerriglieri), per Che
Guevara
non
c’era
più
scampo
(l’articolo
del
«Time
Magazine» del 7 ottobre dice le stesse cose più o meno). Il
direttore
sostiene
che
il
Che
era
molto
debilitato
dall’asma: anzi è sua opinione che l’azione di guerriglia in Bolivia del Che era la scelta di un uomo spossato da una malattia,
amareggiato
(sue
presunte
dichiarazioni
deluse
su
politica Unione sovietica e razzismo cinese), insomma nella fase calante. Dice che dalle ultime pagine del diario viene fuori una grande e profonda amarezza, oltre al suo stupore sulla tattica di braccamento dei soldaditos boliviani e sulla loro resistenza. Opinione sulla morte: la tesi della raffica di mitra a breve 9
distanza (si riferiva all’articolo della Michèle Ray)
cadrebbe
secondo lui, perché le scuole nei paesi e anche alcune di La Paz, sono unitarie, cioè constano di un solo ambiente, piccolo quanto la sua stanza al giornale, quindi a quella distanza una raffica
di
mitra
lo
avrebbe
quasi
diviso
in
due.
Anche
se
avessero sparato con una colt da quella distanza si sarebbero trovate sul corpo tracce più disastrose di quelle che ci sono. E poi, l’espressione del Che morto, così sereno, illanguidito, fa più
pensare
a
uno
che
sia
morto
per
dissanguamento
o
comunque che piano piano abbia perso la vita piuttosto che a uno che sia stato falciato da una raffica ravvicinata. Non può escludere però che lo abbiano fucilato per farlo fuori. E uno degli
elementi
maggiormente
provanti
è
la
lesione
alla
subclavicolare; ma anche qui, di che genere di lesione si tratta? Perché ce n’è che non lascerebbero più di pochi secondi di vita. Comunque a La Higuera non si entra. D. «Perché evidentemente la gente sa?» R. «Evidentemente. Anche perché lo avranno interrogato e quindi… però non porta tracce di grosse ecchimosi, quindi non lo hanno percosso.» Il
direttore
si
esprime
con
una
sincera
ricerca
di
obbiettività: esprime i suoi dubbi sulla raffica di mitra a breve distanza,
ma
non
esclude
che
lo
abbiano
giustiziato
a
parecchie ore dalla cattura. La stessa ricerca di obbiettività la esprime
quando
collaboratori
mi
(tipo
racconta il
dei
suoi
interrogatori
corrispondente
di
«Sucre»
ai
suoi
Hugo
Delgadillo Olivares), per accertare se raccontavano fantasia o fatti da poter pubblicare senza dubbi. Vuole rispettare la legge a tutti i costi e afferma che anche i boliviani hanno innato questo senso di lealtà alla legge. Dice che nel processo di Debray
sono
stati
commessi
certamente
degli
abusi
e
allo
stesso tempo disprezza profondamente Debray. Desidera che i boliviani siano giudicati per quello che sono e per quella che è stata la loro storia. Mi dice a questo riguardo che in 150 anni
di «rivoluzioni» (di cui dice che la unica vera è stata quella del 10
1952) un
ci sono stati non più di 800 morti. Mi propone di fare
film
su
confronto
Melgarejo
con
piuttosto
Melgarejo
che
sparirebbe.
su
Guevara
Comunque
mi
che
al
dice
di
sentire anche il suo vicedirettore che su molte cose è della stessa opinione. Su
Debray
il
direttore
non
ha
dubbi:
lo
disprezza
profondamente, lo definisce un piccolo playboy al quale era andata
bene
in
Colombia;
non
lo
ritiene
neppure
un
intellettuale interessante e per quanto riguarda la qualifica di «filosofo» dice che a La Paz stessa ce ne sono venti in grado di tenere una conferenza o una lezione sull’esistenzialismo a un livello estremamente superiore a quello tenuto da Debray. Non ha dubbi sul fatto che l’individuazione precisa di Guevara in Bolivia la si deve a Debray. Afferma che la dichiarazione fatta da Debray il giorno della morte di Guevara è un capolavoro di abilità nell’affermare una posizione morale e allo stesso tempo nel non compromettersi giuridicamente. Avevo avuto al riguardo di questa dichiarazione la stessa impressione
io
quando
la
lessi
a
Roma.
Ma
non
ho
assolutamente elementi per condividere il resto e comunque penso
che
Debray,
pur
con
una
partenza
da
playboy
intellettualizzato, si è esposto fino in fondo di persona, anche se ad alcune sue azioni si può fare imputazione di leggerezza o superficialità;
la
stampa
francese
(anche
«Le
Nouvel
Observateur») lo esprime abbastanza chiaramente. Mi
esorta,
contrasto,
la
se
faccio
virilità,
la
il
film,
valentia,
a il
evidenziare coraggio,
ponendoli
la
a
nobiltà,
la
lucidità ideologica di Guevara contro la bassezza e la fragilità 11
e la pochezza di Debray. Di Bustos dice che ha fatto i disegni
perché evidentemente gli avevano promesso la libertà; e poi 12
invece ha avuto anche lui trent’anni. Di Roth vero,
si
è
sospettato
che
fosse
della
Cia.
Ma
dice che sì, è non
ci
sono
sufficienti elementi per sospettarlo, anche se questa famosa laurea da giornalista conseguita in America Usa è contrastata dal fatto che Roth non sa mettere insieme più di due parole per fare un articolo né in inglese né in spagnolo, e si è guadagnato la vita facendo solo e sempre il fotografo. Apertamente
dà
la
colpa
ai
leader
comunisti
di
aver
lasciato solo Guevara. Dice che ci sono passi nel diario in cui
il Che afferma: «Siamo soli – sono solo – non si sa niente dalla 13
città». Nella città dice che c’era stato qualcosa; Tania,
per
esempio, era una segretaria degli uffici della presidenza. Dice che i guerriglieri pare abbiano molto profittato di Tania, unica donna, specie i cubani. Dice
che
un
il
modo
indignato
tedesco di
un
aver
giorno
teso
nel
suo
ufficio
l’imboscata
–
da
criticò
parte
dei
boliviani – al gruppo di Tania sul Rio Grande dove fecero fuori tutti. «E
proprio
lei
tedesco
mi
viene
a
dire
questo?
Cosa
avrebbero dovuto fare, in una guerriglia, avvertirli a fischi che stavano lì a dargli il tempo di mettersi in difesa?!» Secondo lui per il comunismo si vive e si deve essere disposti a morire: ma chi ha ragione di farlo sono gli operai, gente dura con interessi precisi, disposta a morire, o gli studenti. Qui le masse operaie non ci sono, gli studenti non si muovono e i leader del Partito comunista
(anzi
delle
varie
correnti
del
Partito
comunista
boliviano, Mosca, diviso in due, Cina e trotskisti) non sono certo quelli che si espongono a morire nella guerriglia. Quindi, secondo lui, avrebbero illuso Castro e Guevara sulle effettive, reali condizioni di preparazione alla lotta nel Paese e poi, al momento buono, non sarebbero stati capaci di dare un effettivo aiuto o perché non seguiti o per la decisione di mantenersi indifferenti
per
rimanere
nella
linea
dei
partiti
comunisti
ortodossi. Comunque avrebbero promesso al Che l’apertura di un fronte che non c’è stato.
25 gennaio Tutto il giorno in albergo a leggere e lavorare. Indisposto, reumatismi.
Viene
Vigevani 14
domani con Mejía.
a
trovarmi,
c’è
l’appuntamento
Vigevani è proprio fascista. Oggi dice:
«Perché quando ha capito che era tutto perduto, verso luglio agosto non si è tagliato la barba e se ne è andato?».
26 gennaio 15
Incontrati Mejía e Céspedes. scopre
senz’altro
più
dell’altro
Mejía vuole fare il furbo, si che
è
brillante,
intelligente,
abbastanza
colto,
sicuro
di
sé,
e
comunque
provoca
su
un
terreno di dialogo già più chiaro e al quale ho risposto in maniera
altrettanto
buono»
della
chiara.
pellicola
naturalmente.
Me
Mi
sarà
lo
pone
chiede
il
Che
come
alla e
fine
gli
se
il
rispondo
domanda
«niño di
sì,
«indiscreta».
Vedremo quali saranno le altre domande indiscrete. Esordisce con il dire che la scelta di Guevara era perfetta. Mi mostra alla carta geografica la zona e le regioni strategicamente valide. Confini con Argentina (Jujuy, Salta, zone turbolente), Cile, Venezuela,
Perù.
Oleodotti,
gas,
la
pianura
più
ricca,
l’aeroporto. Dice che Guevara ha sbagliato nel sottovalutare il contadino
boliviano
che,
proprietario
della
terra
dopo
la
Rivoluzione e la riforma agraria, vuole starsene in pace: ha già quello che può desiderare e quindi… La guerriglia è arrivata a disturbare, a interrompere i lavori di miglioramento sociale in corso, le scuole, gli ospedali ecc.; quando il Che si presentava e
offriva
20
pesos
per
una
gallina
che
ne
valeva
10,
il
contadino si insospettiva, fiutava che c’era qualcosa che non andava. Il contadino ha sentito che erano stranieri, oltre tutto. L’azione era stata preparata meravigliosamente da due anni. Debray era venuto già tre volte, a dare corsi di filosofia, a dimostrarsi
amico
del
Paese,
bene
intenzionato
a
favorire
accordi tra la Francia e la Bolivia. C’erano alcuni dei migliori uomini di Castro. Avevano contatti radiofonici quotidiani, in un cifrario perfetto, che cambiava ogni giorno. «Manila» era La Habana. «Leche» era Castro. Debray era entrato attraverso il Cile con i soldi. Gli uomini erano addestrati, arrivati quasi tutti dall’Europa, anche gli elementi boliviani (pochi). I
partiti
comunisti
hanno
avuto
un
contatto,
ma
al
momento della proposta da parte dei comunisti di comandare la guerriglia in due, Guevara si è opposto decisamente e allora i partiti comunisti lo hanno abbandonato. Guevara un idealista, freddo, chiuso nelle sue idee, duro ma allo stesso tempo romantico con certe debolezze che nella guerriglia biglietto
non per
l’originale
sono
Castro,
nello
ammesse:
per
esempio,
lo
faceva
cifrare,
ma
zaino.
Aveva
abbandonato
poi
scriveva
un
conservava
Tania
quando
aveva saputo che aveva un tumore all’utero. Non si lavava. 16
Alejandro
dice
nel
diario:
«El
Che
lo
olemos
a
500
metros».* Nel diario del Che c’è scritto: «Oggi ho fatto un bagno
dopo
sette
mesi».
Nel
diario
c’è
tutta
la
parabola
discendente dell’uomo che ormai è convinto di aver perso la partita. Ci sono molti altri commenti. Per il diario sono in trattativa con «Time», «Life», «Stern», Mondadori. D. «Ne avete il diritto?» R. «E perché no? Bottino di guerra.» D. «Ma non è detto che potete sfruttarlo, il bottino.» Mi ha risposto qualcosa come di un decreto che hanno fatto apposta. E poi, le spese che hanno sostenuto, e i morti? I diritti vanno a risarcimento. Debray «es un niño» immaturo. Appena preso, al sacerdote chiese: risposta
«I
minatori
negativa
sono
si
mise
insorti? le
E
mani
i
contadini?».
nei
capelli
E
alla
disperato
esclamando: «No me digas!».* Ha sostenuto la tesi di essere un giornalista fin quando gli è
stato
possibile, lui
poi
(fotografie
di
transfuga,
episodio
messo
armato,
alle
strette
deposizione
sentinelle):
«Lei
davanti di
un
alle
prove
guerrigliero
avrebbe
sparato
sull’esercito?» «Sì!» È crollato. Poi al momento della morte del Che, fa la dichiarazione per voler essere considerato guerrigliero alla stessa stregua. Il padre il giorno dopo la sentenza parte dicendo: «Credevo che mio figlio dicesse la verità». Sostiene che non erano sicuri che il Che fosse in Bolivia, fin quando Debray non ha parlato. Ci rivedremo lunedì. Rientro
con
De
17
Leonardis
(Alitalia).
Simpatico,
intelligente, aria buona, un po’ deluso (ho l’impressione che sia comunista o ex, Enzo poi me lo conferma). Conferma l’opinione su Debray. Il Paese è complicatissimo da capire: i contadini non si muovono, i minatori sono impauriti, il partito comunista ha inizialmente voluto profittare aggregandosi, poi si è ritirato e ha lasciato Guevara. Guevara personaggio magnifico, non ha capito la Bolivia, non la conosceva. È tutta colpa di quel 5% di bianchi che dal tempo della rivoluzione se ne sono fregati.
18
Disse a quello dello stagno (non Patiño,
l’altro grosso):
«Perché in queste sue terre (sconfinate) non pianta patate, riso per i suoi operai?». R.
«In
questo
paese
non
bisogna
metterci
“ni
un
centavo”.»** In
serata
andato
alla
Peña
Pachamama,
musica
folclorica
niente di particolare.
27 gennaio Vivace,
appassionato
posizioni
di
conoscitore
dignità
morale
delle
ma
cose,
anche
di
attaccante pura
su
tecnica
professionale, buon giornalista il codirettore di «Presencia» 19
Bailey.
La versione della morte del Che più probabile: ferito solo nella
coscia,
20
Prado
lo
porta
a
Higuera
e 21
guerriglia per combattere contro Inti Peredo 22
la mattina del martedì arrivano Zenteno
poi
torna
alla
e gli altri. Solo 23
e Selich
(prima
sono venuti altri a interrogarlo, registrando quando possibile sue dichiarazioni). Il Che sta su di un giaciglio a terra nel camerone: appoggiato con la schiena al muro fuma la pipa. Zenteno lo interroga. A un certo punto Zenteno lo aggredisce: «Comunista invasore del nostro Paese, assassino ecc.». Il Che replica dandogli del «gorilla». Selich afferra per il petto il Che e gli urla che non si deve permettere di rivolgersi al colonello boliviano in quella maniera. Il Che gli dà uno schiaffo e gli sputa in faccia. Selich prende la pistola e gli spara un colpo solo (quello sotto il cuore). Altra versione (che non esclude questa precedente): entra nella
camerata
il
sottoufficiale
con
i
suoi
due
soldati.
Il
sottoufficiale gli spara la raffica di mitraglietta, poi ordina a un soldato di rematarlo.* Il soldato ha un 45: si avvicina, il Che agonizza e pronuncia i nomi dei figli… il soldato gli spara un 45 nel collo (buco che o non si vedrebbe per la posizione della testa tenuta incassata nel torace in virtù del pezzo di legno messo sulla pietra della lavanderia di Vallegrande, o sarebbe quello cosiddetto del formolo, cucito con il filo che si vede). Secondo
il
prima
ricevere
di
soldato il
(interrogato) colpo
di
il
Che
si
sarebbe
grazia. Anche
segnato
il soldato
si
è
segnato dopo averlo finito. Il Che (sempre secondo il soldato) avrebbe avuto al collo una medaglietta d’oro con l’immagine di
una
Vergine
venerata
in
Argentina
e
dall’altra
scritto
«Ernesto Guevara» che ora sarebbe in possesso del soldato. Il corpo arrivato a Vallegrande era un disastro di sangue ecc. Lo hanno
pulito, 24
Ugarteche
accomodato,
composto.
Ovando
Candia
e
sarebbero arrivati a Vallegrande da La Paz solo il
martedì mattina (visti in aereo dal cronista di «Presencia»). Ha letto il diario per venti minuti. Si
sono
trovati
nello
zaino
del
Che,
oltre
ai
diari,
un
libretto di più di duecento nomi e indirizzi, piani militari e carte,
un
libro
delle
poesie
di
Pablo
Neruda,
e
alcuni
dei
messaggi originali inviati a Cuba in chiave. Bailey
dice
che
nel
diario
ci
sono
alcune
osservazioni
critiche su Fidel tipo: «Come mi liscia, come mi tiene buono» alludenti a un discorso di Fidel. Secondo Bailey il Che aveva già fatto dichiarazioni critiche sulla linea di Castro, al ritorno dall’Algeria (o Vietnam) e in Jugoslavia. Tornato da Cuba, era stato messo da parte: era stato tre mesi all’Habana quasi in incognito. Poi mandato in Bolivia, scelta che il Che avrebbe fatto
perché,
vedeva
in
non
questa
essendo
uomo
decisione
la
di
sua
politica,
ma
possibilità
di
di
azione,
chance:
il
disegno grandioso di creare più Vietnam in A.L., accendere i nuovi
focolai
per
una
sollevazione
di
più
Paesi,
se
fosse
riuscito lo avrebbe reso grande per l’eternità oltre a cominciare a cambiare la faccia del mondo. Perché ha sbagliato? Debray che nel suo libro fa un’analisi per certi versi giusta sulla Bolivia (minatori) dice che non ha capito a fondo la situazione del Paese. E anche gli altri osservatori. Il posto dove erano non era certamente quello scelto per la guerriglia. Erano lì dall’ottobre e nel marzo sono stati obbligati a rivelarsi dagli avvenimenti. I minatori erano lontani quattro giorni di strada. I veri contadini (quelli di Muyupampa, Cochabamba e Santa Cruz) non solo lontani, ma soddisfatti della cosiddetta riforma agraria. I comunisti di Mosca mai aderiti. Gli
altri
25
Por
(rivalità e gelosia).
e
Pekino
non
d’accordo
sulla
guerriglia
(Ricordarsi che un dato importante è quello della fornitura degli elicotteri da parte degli Usa alla Bolivia.) Inizialmente c’era sicuramente un progetto di due fronti. Precipitati gli avvenimenti non c’è stato il tempo di realizzare il progetto. Comunque nei due paesini dove il Che ha parlato riportandone l’impressione riferita nel diario «gli indios sono impenetrabili come le pietre», aveva parlato di giustizia sociale a gente che non poteva comprendere cosa fosse e di dare la terra a gente che ne aveva quanta ne avrebbe voluta. Dice che nella valle di Santa Cruz si sta facendo molto (non c’è stata la divisione della riforma dappertutto): giapponesi, Usa, tedeschi, spagnoli… non hanno bene analizzato la realtà dell’A.L. L’esercito boliviano era demoralizzato, non ha mai vinto una battaglia – Cile, Chaco, rivoluzioni ecc. – anche quando erano mandati (bisogna vedere Las Cañadas) alla guerriglia; ma da quando hanno saputo che c’era da prendere il Che sono stati investiti di una mistica che hanno sentito e sono diventati guerriglieri alla caccia di altri guerriglieri. («Perché lo fai?» 26
«Para defender!»). L’agente della Cia
non si sa bene se è
apparso a Vallegrande o ha viaggiato con il corpo del Che sull’elicottero. Le contraddizioni del governo e dei generali hanno fatto crollare nella merda il piccolo trionfo dell’esercito boliviano. Parla benissimo di Barrientos: dice che conosce la Bolivia e i contadini, va dappertutto, è un uomo maturo, serio, un militare con una coscienza sociale, ma non sa bene come indirizzare
la
strumentalizzazione
di
un
piano
per
il
vero
sviluppo sociale. Ma in effetti – aggiunge – non lo sa nessuno. Il Paese è troppo vario, difficile, stratificato nella miseria e nello sfruttamento di chi va al governo solo per avere soldi, potere, una bella Mercedes ecc. Episodio del ragazzo boliviano guerrigliero venuto dalla Germania
dove
prossimità
di
studiava; si
Camiri,
si
trova,
non
presenta
si
sa
davanti
come, la
solo
in
di
un
casa
contadino e, arma in pugno, requisisce tutto il commestibile che c’è, poi si allontana nella selva. Il contadino lo segue, gli spara due colpi: una brutta ferita alla pancia ecc. In ospedale il ragazzo quando viene interrogato dice solo: «Fate presto a ricucirmi le budella che io devo tornare alla guerriglia». Il
prete
momento
tedesco
dell’arresto
conferma se
i
che
contadini
Debray (e
i
ha
chiesto
minatori)
al
avevano
fatto nulla, si erano ribellati e che al sapere ciò aveva mostrato décéption,* ma non nel modo in cui riportavano i giornali. «Ce n’est pas possible!» Debray ha parlato quando correvano voci che Guevara era lì, ma non si era ancora sicuri dove. Quattro giorni
prima
servizio
(o
segreto
dopo) si
la
deposizione
presenta
al
di
Debray,
in
ospedale
ragazzo
uno e
del
si
fa
riconoscere come uno della guerriglia, avendo a disposizione elementi inconfutabili di riconoscimento; il ragazzo dice che ha visto il Che una volta sola una settimana prima che lui fosse preso, molto sofferente di asma. La maestra di Higuera sa. Anche il prete. A cena a casa di De Leonardis. Simpatica casa, belle figlie, moglie molto simpatica. C’è un nipote della moglie, boliviano, andato a New York, tornato in Bolivia con un incarico di una associazione per i Paesi sottosviluppati che non so bene cos’è. Aria
molto
sveglia,
informatissimo
(27
anni)
alla
Furio
Colombo. Aveva visto i miei film, anche C’era una volta che gli è molto piaciuto. Sapeva anche della differenza che alcuni critici a New York hanno fatto tra Salvatore Giuliano come origine e come maggior risultato artistico e La battaglia di Algeri che pure ha avuto molto successo. In serata alla Peña Galeria Mayre, tutt’altra cosa che la Peña Pachamama: prima di tutto qui veramente solo folclore e di ottima qualità (il flauto del gringo, uno svizzero professore di flauto che si è impantanato qua è dolcissimo e ispiratissimo potrebbe
servire
pubblico
è
ancora
di
però
e
così
livello
quei
chitarrini
deliziosi)
e
poi
intellettuale-borghese-progressista
condizionato
dal
superconsumismo
e
il
non
civiltà
conseguente.
28 gennaio Diretti
a
Tiahuanaco.
La
strada
è
una
sorpresa!
Paesaggio
stupendo, pianura a perdita d’occhio di terra per lo più incolta; chilometri e chilometri. Ogni tanto una casetta di fango con tetto di paglia e corral* per le bestie. Le bestie (pecore, vacche e maiali selvatici che assomigliano a cinghiali) stanno in giro custodite da ragazzine in bombetta sulle ventitré o ragazzini con passamontagna. Si fanno chilometri e chilometri senza incontrare
anima
viva,
ogni
tanto
passa
un
solitario
o
una
solitaria
o
tutt’al
più
una
coppia.
A
piedi,
in
un
silenzio
maestoso come le Ande spolverate di neve sullo sfondo. Poi
un
cimiterino
piccolo
piccolo
piccolo:
un
muro
di
fango, un quadrato, e dentro tombette di fango a tumulo. Poi, una croce nell’immensità del paesaggio e una india seduta davanti in una serena contemplazione. Come uno stronzo non l’ho fotografata, ma la macchina correva e dirgli ogni volta di tornare indietro è un traffico, dovrebbe essere del mestiere… tanto non devo fare delle belle fotografie. La strada ferrata, unico binario, sul quale passa, quando non si sa, un treno a legno della metà o forse fine Ottocento. Ogni tanto si vede arrancare, sul letto di ciottoli tra i binari, una india con bombetta e figlio dietro, scalza (le donne sono più spesso scalze più degli uomini). Si vede qualche uccello. La
terra
sarebbe
fertilissima,
mancano
trattori,
aratri
meccanici ecc. Certo che terra ne hanno quanta ne vogliono, ma se non hanno i mezzi per lavorarla rimane sempre così incolta. Si passa per Laja. È qui che gli spagnoli fondarono La Paz e poi la spostarono per l’oro. Tutto un paesino di fango, piazza immensa e cattedrale spagnola. Dentro ci sono i soliti quadri, molti di arte spagnola e incaica, bellissimi in rovina. Altare d’argento massiccio, oro. Tiahuanaco. Rovine. Niente rispetto a Cuzco. Ma la chiesa e il paese una meraviglia di fango ecc. Nella chiesa gli indios a gruppetti
seduti
in
terra
qua
e
là,
mangiano,
parlano,
cioè
bisbigliano, accudiscono i bambini. Hanno, alcuni, la testa o i panni pieni di coriandoli: è segno di battesimo o matrimonio. Eppure all’ingresso della chiesa, sulla soglia, a metà, è sola, una bara che aspetta evidentemente il suo turno per arrivare davanti famiglia
all’altare. del
Da
morto.
una
parte,
Questa
sotto
chiesa
è
un
albero,
stata
tutta
costruita
la
con
materiale trovato nelle rovine: ci sono due monoliti a figura umana all’ingresso che sono una meraviglia. Continuiamo fino al lago Titicaca. Non è il punto più bello, dovremmo
arrivare
a
Copacabana
ma
non
c’è
il
tempo,
bisognerebbe pernottare. Ma ciò che si vede già basta. Ande con neve. Pace incredibile. Non un essere umano.
Io non so come è qui, ma le distanze tra casa e casa e tra casa
e
villaggio
sono
tali
da
non
far
certo
pensare
a
una
possibile sollevazione del «campesinato». A
cena
(racconta
a
casa
del
di
Che
De
Leonardis. Padre
travestito
che
chiese
27
José una
Gramont
intervista
a
Barrientos: «Quel tupé! Dicen los franceses»)*: «Che Guevara no
es
un
genio
corrispondere sull’errore
le
di
es
un
mito».**
circostanze
alle
valutazione
Il sue
delle
genio idee.
è
chi
sa
Subito
condizioni
fare
discorso
del
Paese.
Deceptión per il fatto (secondo lui sicuro) che il Che abbia detto «No me mates,*** valgo più vivo che morto». Padre 28
(Monsignor) Morandini
considera il Che un grande uomo
pur dichiarandosi dell’idea di padre Gramont. «Non lo faccia morire da cattolico.» Gli
è
mancato
il
fronte
minatori
e
il
fronte
città,
e
ha
dovuto fare scoppiare la guerra molto prima. Nelle
miniere
adesso
c’è
una
discriminazione:
alcuni
li
«facciamo» restare e altri no.
29 gennaio Miniere di Milluni, 4600 m. Siamo saliti più in alto prima di arrivarci, poi siamo di nuovo
scesi:
il
bivio
per
Chacaltaya
a
5600
m,
una
vetta
coperta di neve. All’uscita da La Paz c’è il cimitero degli indios, un’immagine incredibile con tutta la vallata piena di case e di tetti di lamiere che luccicano di La Paz. Lo stesso tipo di cimitero, all’aperto, molto piccolo, c’è prima di entrare a Milluni, con sotto i capannoni delle miniere e i tetti di lamiera delle povere catapecchie dove vivono i minatori e le loro famiglie: l’accampamento. È
come
un
campo
di
concentramento.
Vivono
a
4600
metri, lavorano otto ore di seguito – gli portano il cibo e il the (l’impresa
è
inglese
giù
in
miniera)
–
quelli
che
stanno
sottoterra e dodici ore quelli in superficie. 500 pesos boliviani (25.000 lire) al mese, fino ad arrivare a un massimo di 800 (qualche specializzato). Le famiglie vivono in poverissime e squallide baracche – solite indie con bombetta (anche qui), i
bambini
hanno
una
scuola
(e
rispettano
lo
stesso
regime
scolastico della città: ora che è estate stanno in vacanza e giocano nel fango, una pena, con maialini e cani), ci sono due chiesine, avverte
l’evangelica
il
passare
e
la
delle
cattolica.
ore,
ai
Un
gong
momenti
di
lamiera
importanti
della
giornata. Una stamberghetta piena di calcinacci è il teatro. Di 29
quando in quando l’Usis
manda qualche film. Hanno uno
spaccio dove acquistano a prezzi normali, tranne la carne (4 pesos al chilo) e il pane a prezzi più bassi. (Così tutto torna alle imprese). Naturalmente le facce dei minatori sono diverse da quelle degli indios che si vedono in città o nelle campagne. Sono
operai
e
hanno
quindi
altro
atteggiamento,
altra
coscienza. Il posto è incredibile, speriamo siano venute le foto. Ci ha preso una bufera di neve e le fotografie sono state fatte tutte sotto la bufera. C’è un minuscolo ospedale. Il ragazzo (una bellissima faccia) ci accompagna in giro. Ci fa vedere. È molto simpatico, si è sposato due mesi fa, ha la moglie a La Paz e scende una volta alla settimana. Quelli che hanno moglie e figli su si muovono rarissimamente. Noi ci abbiamo messo poco
più
di
un’ora
per
una
strada
orribile,
basterebbe
accomodare la strada, organizzare un servizio di autobus per permettere a questi disgraziati di vivere a contatto, perlomeno, con gli altri. Cosa avverrà nella testa di quei bambini che vivono sempre lassù in mezzo a quelle montagne senza mai vedere nessuno e senza sapere del mondo? E sono sempre più convinto che il problema di questi Paesi è la preparazione della nuova generazione. Tornano i minatori dal turno in una nebbia di vapore che si alza dal terreno dopo la nevicata. Un’immagine da inferno, con quelle catapecchie e le donne in bombetta che aspettano con i più piccoli avvolti nella coperta dietro le spalle. Che rassegnazione
deve
avere
questa
gente,
quanti
secoli
di
oppressione li hanno resi così, se non parlano mai. Ti guardano solo
e
in
raramente
quello una
sguardo
luce
che
c’è
una
corrisponde
bontà a
un
rassegnata, bisogno,
a
ma una
coscienza. Ora non hanno bisogni, si accontentano di poco, questo è uno dei punti fondamentali della loro rassegnazione, credo; ma quando qualcuno gli farà capire che dalla vita si può pretendere
di
più?
E
si
deve
pretendere
di
più
per
la
responsabilità verso noi stessi nella storia e verso i nostri figli? Il ragazzo che ci accompagna studia per corrispondenza in
Usa; mi chiede libri sulla vita sociale, sulla tecnica ecc. Qui ci sono «los
carabineros» per
controllo
dei
minatori.
Capisco
come sia difficile per loro qualsiasi cosa. Ci sono dal 1966, prima non c’erano. Nelle grandi miniere nazionalizzate ci sono anche per il controllo dei civili. I minatori aderivano al movimento, anche dopo lo scoppio della guerriglia – nelle intenzioni e come preparazione a un movimento armato, perché di guerriglieri minatori ce ne sono stati cinque, sei; in città c’era una preparazione, poi a un certo 30
punto, verso luglio, si è fermato tutto. Catavi,
credo io, e
accordi tra Por, partiti comunisti, Guevara ecc. Al
ritorno,
fango
e
neve
sulla
montagna
e
llamas
bellissimi. Secondo le leggende, l’alpaca, tutto nero o marrone scuro,
era
un
principe
e
la
llama
dai
garretti
sottili,
una
principessa. Pomeriggio e serata senza incontri importanti.
31
30 gennaio
Giorno dedicato alle interviste. Domani, mi ha comunicato 32
Céspedes, vedremo il coronel Rios
per i permessi e «las
facilitationes». Da
padre
José
Gramont,
gesuita,
spagnolo
catalano
di
Tarragona. Ci fornisce alcune lettere di presentazione per preti della zona di miniera. Faccio due interviste con lui per Radio Fides, una sul film e sul Che, un’altra sul cinema italiano ecc. Dice che in tutta la Bolivia ci sono nove radio emisoras* del Vaticano,
perché
il
Paese
è
diviso
per
mentalità,
abitudini,
idioma anche, quindi c’è bisogno di indirizzarsi a ogni gruppo nella maniera adatta. Parto dai «campos» dei minatori – «vedono molto cinema» – si ubriacano molto, l’alcol è una vera piaga (è alcol puro allungato con acqua e un po’ di zucchero).
31 gennaio Alle 8 e un quarto mi telefona uno che si qualifica come il deputato nazionale Hernando Araus, desideroso di parlare con
me,
avendo
letto
sui
dell’appartamento.
giornali
All’ora
ecc.
Mi
chiede
dell’appuntamento
il
si
numero
presentano
due tipi molto scalcinati, «de la parte del diputato Araus». Li faccio entrare. «I contadini sono cattolici, non vogliono sentir neanche parlare di comunismo, qui il comunismo non ci sarà mai, lei li vedrà i contadini di quella zona, hanno Dio nel cuore e nella testa. E poi non avrebbero potuto mai rispondere a un appello che veniva da stranieri. Al Che gli hanno fatto credere
chissà
che
della
situazione
in
Bolivia,
il
Partito
comunista gli ha fatto promesse e poi lo ha abbandonato.» Uno è dell’ex Mnr, caduto il partito nel 1964, è caduto anche lui, era
deputato.
L’altro
è
del
Frente
Nacional
Revolucionario
(governo). Io avevo chiesto loro se lavoravano. Il clientelismo politico
qui
proposito
deve
essere
degli
terribile,
studenti,
una
tutti
rete
dicono
diffusissima.
che
si
(A
iscrivono
all’università per fare legge o una cosa come scienze politiche per
poi
mettersi
«praticamente»
nella
politica.)
falangista,
della
Il
deputato
falange
Araus
è
rivoluzionaria.
Volevano un sussidio di 200 pesos per partire l’indomani. […] «Vedrà che paesaggi, delle “prese” magnifiche. Speriamo che dal suo esempio, altri come lei vengano in Bolivia per farla
conoscere
l’alimento
al
falso,
mondo.»
io
credo,
Il
«sentimento
del
boliviano.
nazionale» Cos’è
è
questo
cattolicesimo del campesino che non risponde al comunismo o 33
agli stranieri? E quando Paz Estenssoro se
la
presero,
naturalmente,
e
non
nazionalizzò la terra
fecero
questione
se
il
governo era comunisteggiante. Io ho l’impressione che qui i contadini fanno ciò che uno è capace di imporre loro, secondo le
circostanze,
le
condizioni,
il
momento
e
la
forza
degli
elementi reali. L’impressione che io ho avuto sia a Cuzco che qua è che la religione
cattolica
è
un
elemento
applicato
dal
dominatore
spagnolo con la stessa violenza con la quale applicava il suo dominio
di
sfruttamento
economico.
Hanno
subito
uno
«choque»* e sotto quello sono rimasti, con tutto il fascino, la protezione,
la
sottrazione
di
responsabilità
personale
che
esercita la religione su chi è umile, povero, rassegnato, senza speranza, povero di spirito. Ha
telefonato
Andrew
St.
34
George.
Lunch
con
lui.
Racconta della sua permanenza sulla Sierra Maestra due anni,
e due anni ancora dopo a La Habana. Aveva una casa là e si era portato anche i figli, sua amicizia e sue discussioni con il Che – sue interviste e sua amicizia con Fidel Castro. Castro gli diceva che avrebbe fatto da padrino a suo figlio. Dice che ha 15.000 fotografie di Cuba, Sierra Maestra e dopo, di New York. Dice che ha letto tutti i documenti, i diari del Che più altri
sei:
molti
guerriglieri
tenevano
un
diario.
Dice
dell’accordo che stanno facendo con il governo per l’acquisto di
questo
materiale.
Io
gli
dico
che
questo
materiale
non
m’interessa e che comunque la nostra produzione non ha la forza per competere con una XX Century Fox. Questo perché mi dice che l’ambasciatore boliviano in Usa sta trattando con XX Century Fox e che probabilmente per questa ragione mi faranno delle difficoltà per i permessi alla zona
militare.
Mi
può
anticipare
questo,
avendo
visto
Céspedes ieri sera. Se avessi queste difficoltà che gli telefoni. (È d’accordo con qualcuno, con Céspedes?) Secondo lui non mi daranno mai il permesso di girare qui (particolarmente per le trattative XX Century Fox). 15.30. Andati dal col. Rios. Difficoltà. «È tutta zona militare perché ci sono ancora guerriglieri.» «Ma ci sono stati giornalisti di tutto il mondo.» «Era un’altra epoca, dovevamo fargli vedere il Che morto, hanno visto tutti la stessa cosa.» «Ma ci sono stati anche dopo.» «E questo è stato il male: hanno cominciato a falsificare la verità.» «Ma anche la stampa boliviana…» Nessuna risposta. «… c’è stato un articolo del “New York Times” del 7 ottobre con descrizione esatta del luogo dove era imbottigliato il gruppo di Guevara: come facevano a saperlo? L’avevano visto?
Quindi
proprio
circolare liberamente.» Nessuna risposta.
in
quei
giorni
un
giornalista
poteva
«C’è
stato
Pierini
dell’“Europeo”,
Frank
Perry
per
la
fondazione Bertrand Russell…» «… eh, questa fondazione ci ha fatto del male.» «C’è stato Luigi Ghersi di Astrolabio, Michèle Ray per “Paris Match”…» «Vede, loro non sono giornalisti, è un’altra cosa; siamo d’accordo, però certamente per studiare, farsi un’idea devono interrogare gente ed è proprio quello che noi vogliamo evitare perché poi escono fuori notizie che alterano la verità.» «Non è il dettaglio di come precisamente è morto che mi interessi,
sebbene
le
faccio
notare
che
molte
versioni
sono
sempre meglio che due sole in contrasto o una ufficiale senza prove.» Nessuna risposta. «Comunque insisto sul fatto che ci sono state persone in 35
tutto il mondo, il prof. Corghi, «Sì,
precisamente
per
ultimamente, lo conosce?»
lui
abbiamo
dovuto
chiedere
informazioni attraverso il nostro ambasciatore in Roma.» Segna su un foglietto i nostri nomi e le nostre credenziali, la società e il nome di Grimaldi e l’indirizzo. Gli faccio notare che fa più presto a chiedere all’ambasciatore d’Italia. Faccio una ipotesi, legata alla visita di St. George senza un motivo chiaro, se non quello di rivolgersi a lui in caso di difficoltà.
Stanno
trattando
la
vendita
dei
documenti
(ha
parlato di mezzo milione di dollari) ma difficilmente secondo me arriveranno in fondo per la faccenda dei diritti da parte dei familiari – il bottino di guerra non autorizza secondo me a farne
uso
di
sfruttamento
economico
–
e
allora
tentano,
attraverso St. George, e attraverso le difficoltà, di buttare l’amo perché
noi
si
abbocchi.
O
può
essere
anche
un
gioco
più
piccolo: quello di una negoziazione dei permessi di visitare la zona. Ora, andare attraverso l’ambasciata non esclude di poter avere la porta aperta alla negoziazione per girare qui, con i loro
elementi,
significare risolverebbe
un
mentre gesto
rivolgersi di
nell’acquisto
subito
debolezza anche
che
di
a
St. in
una
George
ogni sola
può
caso parte
si di
documenti perché non voglio dare un soldo per il bottino di guerra prelevato ai guerriglieri. Io sono disposto a far pagare una prestazione di soldati, armi, gente, asesoramiento* e solo in questa forma. Parlato
con
movimento
di
giornalisti,
del
Céspedes:
guerriglieri prof.
dice
ecc.
Corghi
che
Obietto
ecc.
effettivamente le
visite
Riconosce
c’è
degli
allora
altri
che
è
proprio questo: la Michèle Ray che è arrivata con l’aereo del presidente stesso e poi, uscita fuori dal Paese, li ha trattati da «gorilla» ecc. D. «Ma prima o poi uno il film lo farà: o io, o la XX Cent. Fox, o Richardson o Castro.» R.
«Effettivamente
so
che
c’è
in
corso
qualcosa
con
qualche casa americana per l’acquisto dei diritti per il film, dei documenti,
lei
d’altra
parte
non
ha
parlato
di
acquisto
di
documenti, di diritti ecc.» D. «A me non interessa acquistare i diritti, né i documenti; il mio viaggio ha uno scopo che è quello di vedere il Paese e rendermi
conto
di
persona
di
quelle
famose
realtà
che
avrebbero reso possibile la sconfitta del Che; e una prospettiva che è quella, nel caso che dal viaggio esca fuori l’utilità e la convenienza, di girare qui alcune scene, in questo caso mi sarei
servito
alcuni
di
ufficiali,
soldati, dei
di
mezzi
contadini,
di
dell’esercito assessori,
e
boliviano, quindi
di
avrei
pagato per questo.» R. «D’accordo, anche se non sono d’accordo su altri punti, per esempio su quello di fare un eroe uno che è venuto a portare la morte nel nostro Paese.» D. «Il suo obiettivo ultimo non era la Bolivia.» R. «D’accordo era il Sudamerica.» D. «E io come cineasta, come narratore, mi rivolgo a un fatto che riguarda la storia, tutto il mondo.» R. «E noi non possiamo certo impedirle di girare un film su Guevara.» D. «Ma mi potete impedire di girare il film in Bolivia.» R. «Ma lei può girarlo dove vuole.»
D. «Certo e per ora sono qui solo per vedere il Paese.» R.
«Si
rivolga
alla
sua
ambasciata,
ma
non
dica
che
gliel’ho suggerito io.» Telefonato all’ambasciata e andato da Tortorici. Interverrà ma:
«Sa…
non
posso
ufficialmente…
perché
se
poi…
comunque dirò che voi siete qui per ragioni professionali… ma se poi mi chiedono qualcosa io dovrò fare un telegramma a Roma al ministero per avere un incarico a intervenire».
1 febbraio Vigevani,
secondo
all’ambasciata
dopo
l’ambasciatore,
ci
comunica che bisogna scrivere una lettera al generale Ovando con richiesta ecc. Ore 11.00. Andiamo a vedere questo documentario (Peter Toussaint) fatto sulle miniere. Il sig. Walter Villagomes, jefe de
Relaciones
Públicas
de
la
Comibol,
mi
ha
chiesto
di
vederlo. Mi ha telefonato per offrirsi di portarci in giro alle miniere, invitati, ma naturalmente la cosa è addomesticata e noi dobbiamo cercare a tutti i costi di andarci per nostro conto. Infatti,
il
documentario
è
una
serie
di
immagini
propagandistiche, i minatori che fanno sport (anche il golf!! L’immagine
è
una
pallina
da
golf
e
un
paio
di
scarpe
da
operaio, la palla urtata dal bastone va e non si sa dove, tra la polvere della pista nella montagna a 4500), i figli a scuola ecc. Ho visto Milluni, e la moglie di Vigevani ci dice che a Catavi stanno peggio. Vedremo. 36
12.00. All’ambasciata di Francia. M.me de Lioncourt,
console di Francia. Non c’è niente da fare, malgrado tutto, i francesi hanno sempre uno spirito più aperto, meno servile, più intraprendente del nostro e infatti tra come parla questa e come parlano
Tortorici
o
Vigevani
c’è
l’abisso.
Régis
Debray
è
furioso per come hanno interpretato la sua lettera agli amici. È vero che pensa dei comunisti locali quello che ha scritto, cioè con tradimento. (Può darsi) che sia colpa sua in buona parte
le
Bolivia.
informazioni Giura
deposizioni
dei
e
date
spergiura primi
al
Che che
sulle
condizioni
l’armata,
guerriglieri
della
attraverso
disertori,
le
Vincente
37
Rocabado
e
Pastor
Barrera,
dei
quali
uno 38
poliziotto, sapeva già del Che. Salustio Choque
era
un
ex
si è aggiunto
un paio di giorni dopo. Comunque, secondo Debray una spia si era infilata tra i guerriglieri prima o durante il mese di marzo e aveva potuto fare fotografie. Fu messo alle strette davanti alle dichiarazioni degli altri, compresa quella di Bustos, e allora confermò. Il fronte dei minatori non ha risposto. I partiti di sinistra lo hanno abbandonato, forse lo hanno venduto. È stato tradito e venduto da tutti. Debray dice che sin da quando s’incontrò con il Che in Bolivia,
dal
primo
momento,
lo
trovò
un
uomo
diverso.
Assente e rassegnato al proprio destino, parlava del martirio, che, avendo perduto la speranza di vivere, rimaneva la luce del sacrificio per quelli che dovevano raccogliere la missione e continuare la lotta. Il Che gli diceva che il suo posto era un altro e doveva andarsene fuori… che capiva il suo desiderio di sposarsi e avere un figlio, più per il figlio in se stesso che per una donna. Debray veniva via per compiere una missione. È falso che abbia detto, non appena preso: «Sono andato a fare l’intervista del secolo». Lo ha detto molto dopo, quando già non poteva più sostenere di essere solo un giornalista. Sta quando
bene, gli
si
lì.
Si
occupa
chiede
della
più
di
metafisica
guerriglia
che
risponde
già
di
altro;
lontano,
distaccato, nei suoi giri di meditazione da filosofo. Dice che il Che era malato, soffriva, non poteva camminare molto,
andava
sulla
mula;
che
trattava
tutti,
e
lui
particolarmente, con bontà. Aveva come il presentimento della morte. M.me
de
Lioncourt
racconta
di
un
incontro
con
il
col.
Zenteno, persona squisita, gentile, sensibile, che soffre in un certo senso il peso di dover essere stato lui a dare la caccia al Che. Uno di quelli che hanno dovuto trasmettere l’ordine di finirlo. Ha studiato in Francia, è un grande narratore e racconta
g l’episodio del negro guerrigliero. «I
soldaditos
acquattati
–
nella
tutti
selva
ragazzi
in
di
18-19
un’operazione
anni
di
–
erano
appostamento,
quando improvvisamente dal folto della selva esce fuori questo guerrigliero negro, immenso, alto, coperto di armi. I soldaditos trattengono il respiro spaventati, più per la superstizione che per altro, quel “negro” immenso sbucato fuori all’improvviso. Comunque
riescono
malgrado
la
paura,
a
non
tradire
la
consegna di non sparare, per non rivelarsi e così il negro se ne torna nel folto della foresta così come ne era uscito.» Con
Madame
si
parla
di
miniere.
Milluni,
anche
lei
impressionata per il cimiterino e del fatto che molte tombe 39
hanno tutte la stessa data. Chris Marker ha
filmato
al
di
qua
della
sbarra
di
le ha filmate ma non
accesso
alla
miniera.
(Credo che Enzo abbia ragione quando dice che bisogna venire con
macchine
facilmente.)
da
Poi
16
per cui si
Chris
Marker
può
non
passare
è
potuto
la
dogana
ritornare
più
e
ha
mandato due suoi uomini a filmare e questi hanno avuto la fortuna di trovarsi a Siglo XX quando padre Gregorio si è opposto alla troupe dei soldati che avevano cacciato fuori dalla miniere le donne e i bambini, e volevano cacciare ora anche le 40
vedove della notte di San Giovanni. del
«Nouvel
Observateur»
della
Le dico della versione
notte
di
San
Giovanni,
i
vagoni merci arrivati in mezzo ai minatori che festeggiavano, si aprono gli sportelli e sparano. Mi
dice:
«C’est
beaucoup
plus
bien»*
ma
non
può
confermare. Lei non ha notizie di questa versione. Ma anche l’altra basta. Mi raccontano – non mi ricordo chi – dei soldati che
scendevano
dalla
montagna
con
le
armi
puntate:
un
minatore spara (è stato lui per primo? È questo che bisogna appurare) e allora i soldati cominciano a sparare sulla folla. Mi pare che basti. Ho visto la fotografia delle vedove davanti alle bare con i minatori composti dentro. Altro che golf! Chi sta qui finisce con l’adattarsi a una certa situazione di «miseria e complesso di inferiorità che discolpa e giustifica» e anche M.me de Lioncourt parla con una certa simpatia per i locali (per quanto riguarda gli indios e la gente media, certo non
i
militari,
le
migliaia
di
persone
che
si
buttano
nella
politica per clientelismo e basta) e una certa propensione a giustificare le ragioni per cui la guerriglia non è riuscita. Così
queste benedette ragioni della «realtà della Bolivia» che a me pare
sia
condannata
ab
aeterno.
Contadini
soffocati
dalla
religione cattolica, con pochi bisogni in una terra per lo più non
coltivata
minatori
e
comunque
piantonati
piantonati
dai
dai
soldati
senza
soldati
i
mezzi
(infatti
avevano
fatto
per
coltivarla.
quando dalle
non
I
erano
miniere
«una
repubblica nella repubblica»), come dice el jefe de Relaciones Públicas de la Comibol, «poi è venuto il presidente Barrientos e ha messo l’ordine». D. «Ha dimezzato le paghe?» R.
«Ha
situazione
messo
ordine,
deficitaria
per
ha
le
dato
un
livello
provenienze
reale
demagogiche
alla del
regime Paz Estenssoro.» Comunque M.me dice che dal gennaio, da quando cioè avevano avuto qualche dubbio sulla presenza di guerriglieri sul territorio nazionale, il governo era stato molto abile a fare una propaganda massiccia nelle campagne contro i comunisti e il comunismo che avrebbe ripreso le terre ai contadini e avrebbe portato via i figli alle donne. Per quella povera gente ignorante allo stato primitivo, questi due argomenti bastavano. M.me ha visto i foglietti che affiggevano dappertutto ma non ne ha più nessuno. Il Che, secondo M.me Lioncourt, era fuori dalla realtà. Comunque un calvario penoso gli ultimi mesi: braccati da tutte
le
parti,
in
un
fondo
di
burrone
con
i
soldati
che
li
potevano sorvegliare, puntare, ammazzare quando volevano. Senza
indumenti
tutti
infradiciati
dall’umido,
il
Che
senza
scarpe: andava in giro con due-tre paia di calzini uno infilato nell’altro e come scarpe aveva pezzi di stoffa ricuciti con fil di ferro, spago, pezzi di stoffa presi agli indumenti dei morti. «C’est une belle histoire, mais il faut la racconter bien… excusez moi! Souvent on a dit, quelle belle histoire pour le cinema… Camiri… monsieur Debray dans l’hotel de Camiri qui sortait de su chambre… dans… les belles photos… ma a vous interet pas, c’est le Che…»* Ci
dà
il
nome
dei
due
corrispondenti
a
Rio,
uno
del
«Figaro», l’altro de «Le Monde», che sanno tutto e hanno appreso molto da Régis perché sono stati mesi a Camiri.
Lei
è
convinta
che
faranno
uscire
Debray:
Debray
è
convinto di starci perlomeno dieci anni. Vuole un figlio e la Elisabeth gli scrive (le lettere passano attraverso l’ambasciata): «Avevi tutto il tempo due, tre anni e non lo hai fatto, e ora che stai in prigione…». M.me de Lioncourt va a Camiri lunedì, anticiperà a Debray la mia visita e le mie domande. Pomeriggio: prima in albergo a scrivere le due lettere, una di
rettifiche
alla
nuova intervista
a
«Presencia»,
e
l’altra
a
Ovando, poi all’ambasciata per la traduzione.
2 febbraio Portata allo Stato maggiore la lettera per Ovando. Al giornale «Presencia» a leggere la collezione.
3 febbraio Partiti alle 8.00 da La Paz per la zona delle miniere in attesa che ci diano il permesso per andare in zone di operazioni. Paesaggio
stupendo;
mare
di
terra
incolta
da
una
parte
e
dall’altra e montagne in fondo: siamo sull’altopiano a 4000 metri massimo. Ogni tanto un indio in tanta «immensità». Un trenino a vapore del secolo passato, pecore, llamas. Vacche, cani, niente uccelli, spruzzate di pioggia, cielo pieno di nubi, asini
sventrati
dai
camion
che
passano
ogni
tanto
a
gran
velocità. Sica Sica, una chiesa dalla facciata bellissima, un intarsio nel tufo: busso mi viene ad aprire un vecchio con la bocca piena di coca e una ragazzina con una bambina di un paio di anni, santi dipinti, bellissimi, indios. Dopo Sica Sica (verso Oruro) Centro Belén – in mezzo al deserto poche capannine di adobe* e un tempio «adventista 7° dia». Un
capannoncino
con
dentro
donne
senza
passamontagna
le
armonium,
vecchia
una
che
lo
indios
(gli
bombetta),
suona.
uomini
con
banchi,
Pregano,
cantano
un e
predicano (il sabato). Un giovane indio in giacca grigia deve essere il prete: bellissimo, si concentra con gli occhi chiusi, l’aria ispirata.
A
poca
distanza
gruppetto
di
capanne
e
un
cimiterino
povero povero di fango senza i nomi sulle tombe. Silenzio. Panduro. Chiesetta di fango formidabile, piccolo tunnel, silenzio malgrado la presenza di gente qua e là dietro i muri dei corrales. Cimiterino con muretto intorno e coroncine di carta bianca attorno alle croci. Il silenzio in Bolivia è impenetrabile. Oruro. Huanuni. Ci fermiamo a Oruro. Miseria, disperazione ecc. Siamo all’hotel Prefectura dello Stato, mai visto niente di simile, mente
mai il
dormito
pezzo
in
in
una
Moby
stamberga
Dick,
quando
simile, il
mi
viene
capitano
si
in
trova
Queepeg in camera. Qui in ogni camera ci sono perlomeno tre letti, nelle camere ci sono tendine con personaggi di caccia inglese, a cavallo con cani ecc. come la vetrina di un negozio di merda dove ci sono le mazze da golf. Dev’essere un’eredità di quello stronzo che ha fatto il documentario sulle miniere facendo
vedere
documentario:
solo
lo
Huanuni.
sport Fango,
ecc.
Infatti
eccolo
catapecchie,
300
qui
il
pesos
al
mese (massimo 400), me lo dice un ragazzo salito sulla nostra jeep
per
un
passaggio,
10
pesos
al
mese
per
ogni
figlio,
l’incentivo di massimo 90 pesos al mese. Quelle merde di catapecchie le paga il governo e così la scuola. Il cinema (in una
palazzina
schifosa)
una
volta
al
giorno
per
chi
vuole.
(«Pero veer mucho»,* aveva detto padre Gramont!) Milluni è peggio, ma anche qui non si scherza. Mi metto a letto quasi vestito. Che nostalgia di Carolina, giù al tavolo c’era una bambina piccola quasi come lei!
4 febbraio Partiamo alle 8.00 da Oruro, imbarcando un tecnico di Siglo XX che torna a casa portando pescetti per un acquario. La parte alta della miniera di Huanuni si chiama Katarikagua, qui il 24 giugno c’è stata una forte resistenza – morti – dietro la
collina ai cui piedi ci sono le villettine della gerencia, ci sono los cuarteles** dei soldati (rangers) 1000. Per
domare
la
resistenza
nella
parte
alta
(Katarikagua)
venivano dal basso e quindi i minatori si sono potuti difendere di più. A Siglo XX a detta del tecnico ci fu (la notte del 24 giugno) un vero e proprio «massacro». Alla fine perlomeno 100 morti, nel giorno stesso 35. Morti uomini, donne, bambini. Era notte alta, i minatori avevano festeggiato la notte di San Giovanni, erano tutti ubriachi, i soldati scesero dal «cerro» e cominciarono a sparare. Con mitra, mitragliatrici con piede, bazooka anche. A Siglo XX ci sono 2000 soldati. I minatori avevano occupato pacificamente le miniere, il che
significa
che
avevano
rotto
i
sindacati
misti,
los
carabineros non avevano reagito. C’era stato un sindacalista di Huanuni che aveva spinto a prendere parte per la guerriglia. «Bisogna aiutarli… hanno anche molti soldi…» Le
condizioni:
a
Huanuni,
Siglo
XX,
un
trabajador
guadagna 300 o 400 pesos al mese, più 10 pesos al mese a figlio (sono nazionalizzate) e un premio di produttività se si superano (l’impresa) le 350 tonnellate al mese a 1,50 (prezzo dello stagno). Ora il prezzo è a 1,41 perché gli Usa hanno buttato sul mercato molte delle loro riserve (ne avrebbero per dieci
anni)
per
fare
un
po’
di
soldi,
data
la
perdita
per
il
Vietnam, e hanno abbassato il prezzo internazionale. Quindi niente
premio
di
produttività
perché
dovrebbero
realizzare
perlomeno 700 tonnellate al mese (dato il prezzo a 1,41). Se fanno straordinari, vengono pagati in ragione del doppio ogni ora. Vivono negli accampamenti (a spese del governo), il pane, la carne, il riso sono a buon mercato, tutto il resto costa come fuori. Dopo il massacro tutti i lavoratori che erano implicati con i sindacati furono cacciati via (una ottantina), dovettero prendere le loro cose dalle catapecchie degli accampamenti e andarsene via. (A Oruro, a Potosí, a La Paz, dove avevano appoggi.) Sindacalista fa opera di propaganda. Situazione questioni di lavoro. Minatori. Occupazione. Notte San Giovanni (hanno aspettato che si ubriacassero). Truppe.
Massacro. Prima con Paz Estenssoro guadagnavano quasi il doppio. Un minatore abituato a stare a 4500 metri difficilmente si ammala o peggiora nella tubercolosi: se cambia clima, volesse andare mettiamo in una granja,* anche a Cochabamba che sono 3250, gli scoppierebbe la tisi e dopo poco morirebbe. Quindi per un minatore non c’è praticamente scampo; anche se gli abbassano il sueldo** sempre in miniera deve rimanere: si oppone con agitazioni ecc., ed è proprio per questo che li hanno circondati di soldati. All’ingresso
della
«zona
minera»
sia
a
Milluni
che
a
Huanuni che a Siglo XX c’è un casotto con i soldati e una sbarra che si alza come quella dei passaggi a livello. Noi siamo passati non solo perché c’era il tecnico, ma perché abbiamo detto di essere della parrocchia. Huanuni è squallida e triste e miserabile più o meno come Milluni che resta il massimo dello squallore. Siglo XX è un poco meno miserabile. Il materiale di scarico forma montagne: qualche puntino nero, sono due, tre donne che cercano di recuperare materiale che vendono poi all’impresa. Subito dopo la sbarra di ingresso, ci sono mucchietti di materiale in mezzo al quale lavorano molti tipi di contadini (non di minatori) per proprio conto a recuperare minerale in un ruscelletto. Un praticello: giocano a golf. Pezzo di strada da Siglo XX-Llallagua al bivio per OruroPotosí bellissimo per montagna e vallata, sembra di stare in aereo. Strada
nella
montagna,
un
solo
campesino
che
va.
La
domenica è molto importante nei pueblos negli accampamenti «mineros» tutti ubriachi. Los campesinos tramortiti di coca e di alcol non ce la fanno neanche a battersi. Dalla strada con le chitarrelle, i flauti di canna. Le due coppie (una delle due donne con il bambino dietro) che nella poca acqua di un ruscello giocavano come bambini a tirarsi addosso l’acqua o a chi riusciva a non entrare nell’acqua (molto bello e patetico). Un acquazzone da diluvio: le strade (!!!) sono un disastro, pozzanghere,
ogni
volta
che
se
ne
presenta
una
ho
l’impressione che ci si possa anche sprofondare dentro e non uscirne più tanto sono nere ed enormi e invece ogni volta il Land Rover riesce a farcela sollevando acqua da tutte le parti. Gli inglesi – e sono loro – hanno fatto il Land Rover con il tergicristallo solo dalla parte di chi guida e dallo sportello entra
tutta
la
pioggia
malgrado
il
vetro,
e
non
c’è
riscaldamento. Avevamo progettato di arrivare fino a Potosí, ma invece, dopo aver attraversato fiumiciattoli, pozze, buche ecc., dopo quattro ore di macchina, ci fermiamo alle 21.30 in un pueblo – si chiamerebbe Challata (domani controllerò): un negozietto di alimentari, hotel; la padrona, una donna di mezza età che ha proprietà a Sucre, fuma, con la bombetta ci accoglie: sopra ci sono camere, come sempre a tre-quattro letti, con bacinella, giù all’aperto c’è una fontanella ma a quest’ora non si vede niente, è tutto buio. Ceniamo – c’è un pezzo di animale su di un tavolo dal quale tagliano un pezzo, la carne non la mangio, mangio le uova, il riso, le patate, birra, ottime gallette italiane. Vado a parlare con la vecchina, tutto in vezzeggiativo e diminutivo – tenerito, cariña ecc. Poi arrivano quattro avventori, quelli della dogana
tre
uomini
e
una
donna,
e
si
ficcano
tutti
in
una
camera. Esce una notte tiepida piena di stelle. Siamo scesi di qualche centinaio di metri. Ora sono a letto e sono a lume di candela e mi ci trovo benissimo (Provenzale invece non ne ha l’aria.) Cerco ora di riepilogare la faccenda del 24 giugno e tutta la giornata con l’ingegnere. L’ingegnere è un tipo che ha lavorato quattro anni a Chicago, due a Miami è stato quattro anni in Cile e ora sta a Siglo XX. Ci vuole restare dieci anni e poi ritirarsi a Lochabamba. Guadagna 350 dollari al mese. La moglie e i figli ora stanno in vacanza a Cochabamba. A furia di vivere accontentandosi di poco si finisce per abbrutirsi, si fa presto credo, sono due notti che già ho preso l’abitudine di andare a letto con il pullover e potrei anche andarmene a letto tutto vestito, basta potersi lavare la mattina dopo. La
casetta
dell’ingegnere
è
ai
margini, non
inserita
nel
gruppo delle catapecchie degli operai. Ogni giorno c’è mercato e
quindi
pueblo,
l’accampamento,
come
un’infima
che
è
borgata
un
po’
romana
un di
piccolissimo baraccati
del
dopoguerra,
è
pieno
sempre
di
contadini,
indios,
donne,
bambini, gente inebetita dalla coca ecc. Al
centro,
omonimo
la
sotto
piazza
del
quale
oggi
il
minatore che
è
con
il
monumento
domenica
suona
una
minuscola banda in civile. Sulla piazza si affaccia l’edificio del sindacato misto sede, fino al 24 giugno 1967, della emisora dei
minatori,
per
la
quale pagavano un boliviano al mese. Dopo la notte di San Giovanni il governo ha messo a tacere la emisora, parla solo quella dei gesuiti (che qui sono in borghese), la emisora Pio 41
42
XII,
quella del famoso padre Gregorio.
Attraverso la radio, i sindacalisti facevano propaganda per raccogliere fondi per i minatori che erano nella guerriglia (e chissà se non volevano mettersele in tasca loro dice l’ing.) e tutto
andava
guerriglia
tranquillo.
erano
pochi,
I
minatori
gli
altri
si
che
erano
astenevano.
andati C’era
alla però
notizia di un grande meeting lì a Siglo XX, sarebbero venuti da Catavi, da Huanuni, da Llallagua. La notte di San Giovanni la gente faceva i fuochi davanti a casa propria o si fermava davanti ai fuochi ballando e bevendo nella piazza. I più erano andati a letto quasi tutti ubriachi. Rimaneva però ancora gente nella piazza. Alle 4 e mezzo del mattino,
improvvisamente,
senza
nessun
preavviso
dalle
montagne circostanti, da tutte le parti, si apre il fuoco sulla piazza
(i
soldati
avrebbero
voluto
occupare
la
miniera
ma
avendo visto ancora gente in giro aprirono il fuoco), ci furono subito
caduti.
Dalla
montagna
sparavano
con
mitra,
fucili,
mitragliatrici, bazooka. Dopo la prima reazione di sgomento, i minatori corsero in casa presero armi e dinamite. (Ne hanno sempre.) E cominciò la reazione. Dalle 6.00 di mattina alle prime luci dell’alba, il fuoco dei soldati si intensificò, un vero inferno, inoltrata,
c’erano
i
verso
le
morti 11.00,
e
i
feriti
in
terra,
solo
a
mattina
vennero
le
autoambulanze
e
gli
infermieri. I soldati scendevano lungo i pendii delle montagne, soldati
a
gruppetti,
cercando
di
raggiungere
il
riparo
delle
rocce (i monti sono brulli); i minatori avanzavano, tiravano la dinamite; alle 9.30 i soldati tiravano ancora ma isolatamente. Una donna uscita da casa con il figlio dietro le spalle per andare allo spaccio fu colpita dal fuoco, lei e il figlio. A terra c’erano
circa
una
trentina
di
morti
(alla
fine
pare
che
ammontarono a 100) e feriti. Anche i soldati ebbero perdite: pure loro pare una trentina (verificare). I soldati occuparono la miniera facendo anche barricate (tra i soldati ce n’erano alcuni che avevano i genitori tra i minatori). I minatori morti furono accumulati in un grande ambiente unico di un club: furono lasciati nelle bare al pianto dei parenti. Ormai! Dopo quindici giorni,
i
minatori
sospetti
furono
cacciati
via
(il
camion
davanti le porte, caricare e via). Anche le vedove, malgrado le protesta di padre Gregorio. Ora non si muove più nessuno. Anche a Huanuni ci fu battaglia. I soldati presidiano da lontano (si vede una jeep che attraversa il campo, non di più, ma si sa che stanno là dietro). Ne ho avuto una conferma dalla padrona
dell’hotel
questa
sera:
dice
che
qui
c’era
una
guarnigione di 1000 rangers con molti armamenti, prima che fossero spostati alla miniera. C’è gente in queste miniere, nata qui, cresciuta qui senza sapere che cosa è il mondo fuori di qui. Non sanno, non hanno un avvenire per i bambini, è tremendo. Basterebbe uno sforzo per una generazione, 15, 20 anni. Centinaia abitati,
si
ha
e
centinaia
quasi
di
chilometri
l’impressione
che
incolti, è
vero
quasi che
non
qui
le
rivoluzioni si fanno a La Paz. Il campesino non ha neppure curiosità, questo mi sembra il peggio.
5 febbraio Dormito benissimo, lavato come gli sfollati e in viaggio verso Potosí. Lavorano esclusivamente per il poco, pochissimo che serve per mangiare. La lana se la filano da soli, come quel marito e moglie a coppia che venivano su per la strada che da Oruro porta a Potosí. (Far capire bene questo tipo di discorso: nella
sterminata
distesa
di
terra
incolta
c’è
il
gruppo
di
capanne e intorno quel poco coltivato. Asini ce ne sono; ma non ne ho visto montare uno, non li adoperano, per andare da un posto all’altro vanno a piedi.)
In Sicilia la gente fa tre ore di mulo la mattina e tre ore la sera per andare a lavorare il campo ed esce di casa alle tre di notte.
Qui
i
contadini
alle
7.00
stanno
ancora
chiusi
in
capanna. Si capisce il perché (inedia secolare, mancanza di bisogni se non i primari) ma è così. Si contentano di niente: mais, papa, chuño, tunta,* fermentano il mais e si fanno la chicha, sono coperti di stracci, non hanno curiosità, anzi hanno paura.
I
ragazzini
che
stanno
ai
margini
della
strada
a
sorvegliare llamas e ovejas** tendono il cappello per chiedere (tutti chiedono) ma poi, se ti fermi con la macchina, succede che hanno paura e scappano. Anche la pastorizia è niente per quello che potrebbe essere: potrebbero allevare tanti llamas, vicuñas, alpacas, diffondere lana a tutto il mondo; così per la carne con le vacche, i buoi ecc. •
Far capire che Paese è.
•
Dove sta.
•
L’orografia incombente: i minerali.
•
Le sterminate pianure fertili incolte: indio indolente per incuria secolare.
•
La Chiesa dappertutto.
•
L’ignoranza.
•
La paura.
•
La mancanza di stimoli infantili.
•
La Paz accentra tutto.
•
È lì che si fanno le rivoluzioni e si capisce il perché.
•
L’oligarchia
potente,
ricca
ed
egoista.
Non
esiste
il
mare
di
ricchissimo se non questa oligarchia militare. •
C’è
una
vasta
piccola
classe
media
e
un
campesinos indios analfabeti, indolenti, incapaci. •
Per i preti è terra di conquista.
Il giro fatto da La Paz, i posti più importanti: •
La Paz
•
Sica Sica (chiesa)
•
Centro Belén
•
Panduro
•
Caracollo
•
Oruro
•
Huanuni – (miniera)
•
Katarikagua – (parte alta di Huanuni)
•
Siglo XX – miniera
•
Llallagua – (pueblo della miniera)
•
Catavi – (reparto lavorazione fine miniera)
•
Machacamarca
•
Poopó
•
Pazña
•
Challapata – (abbiamo dormito)
•
Cruce de Culta
•
Lenas
•
Yocalla (abbiamo mangiato hotel Continental)
•
Totora
•
Tarapaya
•
Aroifilia
•
San Antonio
•
Cantumarca
•
Potosí
•
La Paz con El Illimani (6600 m) sul fondo
•
Il tetto con su scritto «Fe y alegría» (A proposito dello zoom, tenere presente la necessità di un
braccetto che si sposti in avanti e in altezza tipo dollyno che si possa però applicare al tetto di una macchina o sulle spalle di qualcuno.) •
Zoom elettrico
•
Techniscope a 3 buchi
•
Obiettivo 300-1000.
Potosí.
La
montagna,
«el
Cerro»,
fa
davvero
impressione.
Domina la città, da tutte le parti. La città è a 4050. El Cerro è quasi 5000. In giro per la città c’è l’impronta della Spagna più che altrove in Bolivia per ora. Le donne, o tutte in nero, per lo più, o colorate e allora con cappellone alto e bianco, di paglia panama bellissimo e alto nastro o azzurro o bianco con ricamo lustro come paillettes, o grande nastro nero con coccarda. Le donne tutte nere con scialli fino ai piedi, calze nere, scarpe nere, sombrero alto nero, sono figure spagnole. Ci
avviamo
allas
minas.
Entriamo
senza
fermarci
per
permessi, anche perché qui i soldati di guardia non ce ne sono. La montagna è un termitaio: buchi, buchi da tutte le parti e minatori e campesinos e donne a tutte le altezze che scendono, salgono, scavano, setacciano, a un’altezza incredibile con sotto altra montagna, di fronte, con neve, nubi ecc. La
cosa
dall’alto
più
della
lampade, stracci, o
impressionante
montagna
ancora
accese,
indumenti
dei e
e
particolare
minatori,
l’elmetto,
indios,
o
tute
o
a
è
piedi,
tutto
il
giacche.
la
con
resto C’è
discesa le
loro
sono di
o
tutto.
Bisogna prenderle una per una queste formiche, queste termiti e
accompagnarle
in
questa
opera
di
sfruttamento
di
una
montagna che dà e che si dà; sono 450 anni che butta argento, stagno, piombo: accompagnarle nei buchi, nei setacciamenti, nelle discese, nelle salite, nelle caverne. Noi siamo saliti fin quasi alla vetta ultima a 5000. Si può ritentare con la macchina, ma bisogna passare in tre non di più. Non bisogna dare nell’occhio. Qui ci sono minatori (5000) dell’impresa nazionalizzata e di
imprese
private,
contrattisti
ecc.
C’è
di
tutto
e
tutti
arrampicati su questo monte pieno di buchi. Ai
piedi
minatori
della
montagna
dell’impresa
ci
sono
gli
accampamenti
dei
nazionalizzata,
gli
altri
dal
vengono
«pueblo». I nazionalizzati vanno e vengono in camion, hanno assistenza medica, fanno il football, il basket, hanno lo spaccio con la carne, il riso e il pane a buon mercato. Per il resto è lo stesso: 240, 250, 300 pesos al mese.
I
contrattisti
salgono
con
il
camion
(50
centavos)
e
scendono a piedi (3/4 d’ora). I ragazzi che abbiamo accompagnato noi – contrattisti – lavorano dalle 9.00 di mattina alle 5.00 del pomeriggio. La
montagna
a
quell’altezza,
con
quelle
donne
accovacciate con i cappelloni in testa, con le altre simili che cercano il materiale buono tra quello di scarto, gli indios, i ragazzini che, con la bocca piena di coca anche loro, si ficcano con l’asinello nelle budella della montagna o con la decauville e ne escono dopo mezz’ora con il carico di materiale… È il caos, il disordine, arrangiarsi, lo sfruttamento di qualcosa che dà ancora ma non si sa ancora per quanto. La parte alta è lasciata ai contrattisti, è la più sfruttata. Giù,
alla
base,
c’è
la
miniera
più
grande.
La
più
importante, quella dell’impresa nazionalizzata. Vicino c’è la città: qui sono minatori che non si muovono; «malgrado che il minatore
sia
un
elemento
ribelle»
dice
il
ragazzo, ma
qui,
come altrove, sono molto guardati. Ai piedi del «cerro» c’è la città di Potosí. Si può chiamare città, è certamente più nobile di La Paz. C’è la Spagna con il suo carico di eredità malefica e con
la
sua
impronta
di
grosso
respiro:
ci
sono
palazzotti,
palazzi di un barocco merlettato, divertente, bello a volte e dunque estroso. Chiese con facciate del tipo di questo barocco: una, all’interno, è tutta dipinta a vernice lucida con grandi medaglioni di stucco alle pareti, bellissima, elegante. Pavimenti di legno, e non capisco perché, alberi come in tutta la Bolivia vista fin ora, non ne vedo. Le case hanno tutte il patio alla spagnola. C’è una piccola borghesia, che a Oruro non c’è. C’è un’aria di città, di qualcosa che è stato. Anche le donne col cappello sono diverse dalle bombette di
La
Paz,
sono
meno
contadine,
fanno
costume,
hanno
dignità. Poi ci sono gli indios, come dappertutto qui, laceri, senza tempo,
senza
luce
negli
occhi,
con
la
coca
in
bocca
(la
vendono dappertutto nei negozi, agli angoli delle strade, dei mercati), allocchiti davanti alla luce di una vetrina, a gruppi intorno
a
un
camion
(l’unica
forma
di
civiltà
moderna,
meccanica che abbiano assorbito), a una india che distribuisce beveroni bollenti, o a un indio che tira fuori da uno zufolo di
legno
o
di
canna
delle
note
di
una
tristezza
di
secoli
di
schiavitù, di oppressione, di miseria, di dominazione spagnola bestiale
e
incivile.
I
bambini
sono
quelli
che
fanno
–
naturalmente – più pena. Anche qui occhieggianti dietro le spalle delle madri, o avvolti in coperte, o rotolanti per terra – deliziosi bestiale
–
senza
delle
protezione,
madri
che
in
senza
aiuto,
quelle
se
creature
non
l’amore
hanno
l’unica
ragione per vivere. E poi? Appena a otto, nove anni, già vecchi ma sperduti, impauriti, e qui anche i vecchi hanno tanta paura, in genere tutti hanno paura, e già facchini, in città, o pastorelli sperduti in un mare di terra incolta. Che destino infame! Che cos’è la civiltà se non riesce ad aiutare questa gente: Guerlain, Fifth Avenue, via Condotti, l’attico a via Gregoriana o a Park Avenue,
il
ristorante
dove
rimpinzarsi.
Lo
champagne,
le
stronzate più o meno inutili di cui ci si copre? E questi? E i milioni come loro in tutta l’America Latina, in Africa, in Asia?
6 febbraio Partiamo alle 8.00 da Potosí. Abbiamo dormito – civilmente – all’hotel IV Centenario (quarto centenario della fondazione di Potosí festeggiata nel 1930). Sono 175 chilometri a Sucre ma ci vogliono cinque ore di guida nel Land Rover. Ho guidato io e
abbastanza
l’altezza
velocemente,
perde
il
40%
«pessimissimissime»,
e
di
come
poi
il
Land
potenza tutte
le
e
Rover
per
strade
le
che
per
condizioni
boliviane,
della
strada. È un’amalfitana moltiplicata per cinque, senza un solo parapetto, tutto terreno e fango e buche e fiumi da attraversare (chi non ha il Land Rover o il Willy americano, deve togliere la
cinghia
del
ventilatore,
passare
a
farfalla
ferma
e
poi
rimettere la cinghia) si parte da 4050 e si scende di molto fino in fondo alle truchadas, i fiumi secchi, e poi si risale e poi si ridiscende a 2750. Quindi dal freddo al caldo ecc. Abbiamo raccolto un signore, un commerciante polacco che sta qui da trent’anni, come tutti i commercianti vuole stare tranquillo e vede solo i fatti suoi, ma gentile, ormai boliviano. Gli dico: «Come mai non prendono i soldati, ora ne hanno 28.000,
e
accomodare
non le
li
distribuiscono
strade,
a
fare
delle
per
tutto
passerelle,
il
Paese,
dei
ponti
ad di
legno?». «Se i soldati li mandano in giro per il Paese a fare questi lavori, l’opposizione ne approfitta per rovesciare subito il governo. È così in Bolivia.» Prima all’uscita di Potosí, abbiamo raccolto un altro, un amministratore
di
un’impresa
privata
mineraria
di
qui.
«Potrebbe esserci ganado,* fertilità, sfruttamento di miniere, ma gli Usa poi se arrivano soldi vogliono che si comprino i loro macchinari, e invece quelli dei tedeschi sono superiori e più a buon mercato. Deve vedere l’Oriente, fertile, alberi, selva ecc.
e
non
c’è
coltivazione.
Sì,
avevano
cominciato
a
fare
qualcosa, ma è niente. Ci sono i giapponesi, ma noi lavoriamo preferendo gli europei.» A Sucre gli indios, e non li ho potuti fotografare, portano i capelli lunghi e il codino dietro. Sucre è stata la capitale. Un palazzo del governo enorme, chiesa, – lo stesso barocco merlettato di Potosí – ballatoi e balconi
coloniali
–
caldo
–
ma
lo
stesso
elemento
indio
dappertutto: buttato per terra o a trascinare pesi enormi con il bolo di coca in bocca, o nei mercati, sono la maggioranza del Paese. Comunque meno affascinanti di Potosí. Le
donne
indios
portano
una
specie
di
blusa,
una
camiciona che casca sulla gonna colorata e lucida, tipo satin, celeste o gialla o rosa con disegni luccicanti e cappello di feltro
da
uomo,
tout
court
niente
a
che
vedere
né
con
la
bombetta dell’altopiano né con i feltri alti alla «conquistada» di Potosí. Questa zona, da Potosí a Sucre (tranne las quebradas che naturalmente sono diverse da quelle della vera zona tropicale) non serve agli effetti del mio racconto. Prendiamo
l’aereo
per
Cochabamba
dove
non
si
sa
se
troveremo il colonnello Zenteno. Comunque ieri, telefonando a Vigevani all’ambasciata a La Paz, si è saputo che non ha visto il col. Rios e quindi non si sa…
Temo
che
rimandino
senza
dire
mai
no.
E
siccome
Tortorici non muoverà mai un dito, domattina vedrò io stesso quello che si potrà fare. Se l’aereo parte in tempo (ore 8.00) da Cochabamba,
alle
9.00
potremo
essere
a
La
Paz.
Dopo
quaranta minuti di volo su di un DC3 siamo a Cochabamba.
Primo percorso su monti brulli, poi zona pianura fertile e petrolio in prossimità Cochabamba. Cittadina in pianura, biciclette, come una nostra cittadina meridionale,
polverosissima,
sporca,
ma
con
un
certo
movimento, gente apparentemente più inserita in un discorso di minimo progresso civile: si vedono meno bombette in testa di donne indios. Aspetto coloniale, fa caldo. Giro tre ore per riuscire
a
trovare
il
telegrafo
per
telegramma
a
Giancarla.
Ceniamo con signora Giuliana. Domani dovrei vedere il col. Zenteno alle 11.30. Quindi rimandiamo la partenza alle 15.00. Non si è potuto parlare con La Paz, quindi non si sa niente dei permessi. Oggi un signore mi ha fermato: «El señor Rosi?». Era un fisionomista. Si interessa di cinema. «Ma il governo che dice?» «Tenga suerte.»*
7 febbraio L’impressione che mi fa vedere les planches* di
fotografie
della maggior parte del cinema Usa o italiano western esposte in questi Paesi, è che questo cinema sia fatto esclusivamente per gettare questa gente ancora di più nell’abisso in cui sono, oltre che «scientificamente» proprio per sfruttare questo tipo di gente: per cui, mi viene lo schifo per il cinema inteso in questa maniera. Gli indios (85% del Paese) sono buoni, timidi, impauriti, rassegnati, impenetrabili e sporchi, ma tutti e in maniera tale che le campagne del napoletano e i loro sporchi abitanti sanno di Guerlain. Il col. Zenteno ha riunione di Stato maggiore: ci riceverà nel pomeriggio. All’aeroporto militare per affittare aereo e fare Camiri da qui.
Il
maggiore
Niño
de
43
Guzmán
è
molto
gentile,
mi
riconosce, si interessa: forse oltre a Camiri riusciremo a fare un altro giro e probabilmente con lui. Staremo a vedere. Incontro con il col. Zenteno. Persona gentilissima, dolce, amabile, credo buona, è un soldato che ha fatto il suo mestiere, perlomeno fino a quando è dipeso da lui: l’atto finale dipende da «ordini superiori». Lo ammette, fra di noi, «Ustedes son señores que…»,** che è stata una cosa fatta molto male.
Ha
la
carabina
del
Che
con
la
canna
trapassata
dalla
pallottola. (L’M1 che poteva anche sparare a raffica per una modifica fatta dai guerriglieri e diventava M2. Per il caricatore avevano trovato un sistema simile a quello trovato da Giuliano: ne mettevano due insieme uniti da una fascia di plastica e quando finiva uno, giravano sotto sopra e infilavano l’altro.) 44
Ha le giberne cartuccere di Coco Peredo lasciato
il
Generale
sistemazione
Ovando
definitiva).
Ha
– le
dice
–
(cose che gli ha
in
deposizioni
attesa dei
di
una
prigionieri
(Bustos, ecc.). Ha molte fotografie inedite. Particolarmente, un rotolino
trovato
nello
zaino
di
uno
dei
guerriglieri
e
fatto
stampare da lui. Ci sono due fotografie interessanti del Che: una
di
spalle
appoggiato
al
rudimentale
forno
di canna
da
zucchero (camicia, pant. lunghi, scarponi, berrettino e capelli lunghi
quasi
sulle
spalle)
e
un’altra
del
Che
di
fronte
(in
uguale tenuta in più pipa) con due bambini di contadini seduti, uno
per
parte,
sulle
sue
ginocchia.
Scarponi
quasi
tutti
slacciati, sorridente. Un altro guerrigliero, con cappellone alla 45
Cienfuegos,
gli è vicino. Altri guerriglieri nelle fotografie.
Tania da viva (assomigliava vagamente a Mina) e da morta, ripescata dopo sette giorni con il cuoio capelluto distrutto dalle mosche che vi avevano fatto il nido. Una fotografia del Che morto adagiato sulla barella quando è stato trasportato da La Higuera
a
Vallegrande:
particolare
strano,
ha
gli
occhi
completamente chiusi, perlomeno è molto evidente così. Spiega che la guerriglia e la controguerriglia devono tener conto
e
regolarsi
in
conformità
delle
condizioni
fisiche,
demografiche, sociali, economiche e politiche del terreno dove si svolge la loro azione. Tatticamente il posto scelto per la guerriglia era perfetto: zona di selva, umida, boschi dove non filtrava neppure la luce, fiumi (pesca e acqua), non li avrebbe trovati mai nessuno. Strategicamente
–
tenuto
conto
degli
altri
Paesi
dell’America Latina che avrebbero dovuto rappresentare anche altri fuochi (Brasile, Argentina, Paraguay), ma rispetto alla Bolivia e in una previsione pessimistica dello sviluppo degli avvenimenti negli altri Paesi – era completamente sbagliato. Lontani
dal
mare,
lontani
dagli
altri
Paesi,
al
centro
della
Bolivia, erano condannati a essere accerchiati. Comunque la fortuna ha giocato un importante ruolo, come i contadini (e
particolarmente
los
corregidores)*
informatori
di
loro
spontanea volontà (la paura del comunismo e l’identificazione del comunismo con i guerriglieri, e l’opportuna propaganda del governo per incrementare questa identificazione), come gli allenatori americani dei rangers unità questa che però è entrata in azione solo il 27 settembre. C’è stato disaccordo tra il Che e i comunisti: il Che nel suo diario li definisce cerdos** buoni solo a prendere soldi (li definiva anche Giuda). Evidentemente si aspettava l’apertura di un secondo fronte (zona mineraria) e di una sollevazione in città, ma sono eventi che non si sono realizzati. Nell’accampamento
guerrigliero
di
Ñancahuazú
si
è
trovata una lista di elementi cittadini, ma si è scoperto subito, anche, che era gente non del tutto in attività. Alcuni minatori hanno partecipato inizialmente, ma poi si sono ritirati perché erano di idee differenti. I contadini non hanno aderito perché in quella zona tutti sono
proprietari
della
loro
terra,
ignoranti,
attaccati
a
quel
pezzetto di (inutile) proprietà. Debray,
con
le
sue
informazioni,
deve
aver
contribuito
all’errore di valutazione sui contadini. Il Che deve aver avuto sicuramente delle promesse che poi non sono state mantenute. L’anticipazione dell’inizio della guerriglia al 23 marzo è stata fatale. L’esercito sapeva già della presenza del Che attraverso le informazioni date da Vicente Rocabado, Salustio Choque e l’altro; Bustos (in un’interessante relazione data assieme ai disegni) e Debray hanno confermato. (Debray dice – a detta di M.me de Lioncourt – che il Che non era più quello di una volta, sembrava rassegnato a un destino da martire, era distaccato dalle cose). Il Che sarebbe stato
ottimista
preso
(carabina
fino
all’ultimo.
resa
Al
inutilizzabile
momento e
ferito)
di il
essere Che
stato
avrebbe
avuto la sua pistola. Il 7 di luglio c’è stato un momento di forte panico
per
l’armata:
i
guerriglieri
hanno
tenuto
per
venti
minuti la strada Santa Cruz-Cochabamba, in concomitanza con movimenti di studenti e di professori in La Paz e in miniera
(repressioni cominciate il 24 di giugno). Ma è stata cosa di poca durata: una compagnia motorizzata (informazione partita subito) è arrivata sul posto e i guerriglieri erano già spariti. L’errore
fatale
del
Che
sarebbe
stato
quello
di
aver
ripiegato nella zona di (Vallegrande) Higuera dove non c’è selva, c’è una boscaglia spinosa ma i monti sono brulli. I soldati venivano riforniti da aerei Cessna che sono lenti e possono volare basso (facevano segnalazioni con fumo e allora si potevano effettuare lanci di carne seccata al sole e pane duro resistente all’umidità). I guerriglieri non avevano più neanche cosa mettersi addosso: il Che, quando è stato preso, portava tre paia di calzini, l’uno sull’altro e per scarpe aveva dei pezzi di cuoio messi insieme con fil di ferro. Si suppone (è una delle ipotesi) che abbia preso la zona di Higuera e della quebradas per cercare nell’altura un po’ di sollievo all’asma. Ma ormai era in trappola. L’episodio del guerrigliero negro che appare e spaventa
i soldaditos
fa
parte
dell’episodio
in
cui
trovò
la
morte Tania. «Che Guevara era un gran personaggio, un mistico.» «È
inesplicabile
perché
i
guerriglieri
si
facessero
tante
foto.» «Sono inesplicabili gli errori nei quali è caduto il Che.» I contadini facevano ore e ore di cammino nella selva per correre ad avvertire le autorità militari degli spostamenti dei guerriglieri
(spontaneamente,
tutt’al
più
ricevevano
50,
100
pesos per tornare al pueblo e un paio di scarpe da soldati). Dal 23 marzo in poi, le operazioni militari sono state di tre tipi – di individuazione, di accerchiamento e di distruzione. Se
fosse
rimasto
nella
zona
centrale,
selva,
alto
bosco,
sarebbe stato molto difficile. I movimenti dei guerriglieri sono stati quelli di cercare una strada
al
Nord,
poi,
vistisi
accerchiati
(avevano
radio
per
rintracciare gli spostamenti dei militari) ripiegare sui propri movimenti e poi infilarsi nella zona maledetta finale, dove non ci sarebbe stato più scampo. 46
In un diario di un guerrigliero (credo Joaquín)
si dice che
in un rio della zona della selva c’era tanto di quel pesce che lo
potevano ammazzare a colpi di pietra. Willy era un minatore boliviano, un uomo basso, tarchiato. Ho visto anche la foto della scuola di Higuera «dove è stato il Che». Fuori ci sono tutti i soldaditos con la coperta a tracolla.
47
8 febbraio
Maggiore Jaime Niño de Guzmán: «Tutto ciò che è avvenuto lo si può giudicare da quattro punti di vista: come uomo come militare come boliviano come politico e come politico si può anche essere contro al boliviano». Maggiore Niño de Guzmán, quello che portò in elicottero, nella «camilla» sistemata sul pattino dell’elicottero, Guevara ferito («a me mi dissero che era ferito»), dal posto dove fu ferito,
cioè
i
soldati
lo
portarono
un
po’
più
in
là
per
permettere all’elicottero di atterrare a La Higuera e poi da La Higuera a Vallegrande. La zona di Vallegrande sembra l’unica zona fitta fitta di piccoli pueblos e di contadini, e quindi o errore di valutazione nell’appoggio
dei
contadini,
o
errore
di
scelta
della
zona,
nell’atto finale. Il racconto del maggiore (Niño de Guzmán: uomo aperto, sensibile,
simpatico,
intelligente,
soggetto
al
richiamo
dei
problemi sociali): Già quindici giorni prima del giorno 8 di ottobre i guerriglieri erano a La Higuera. Infatti un giorno un ragazzino campesino «bianco» di 10, 12 anni veniva dal Rio Grande per andare a La Higuera
e
risaliva
la
quebrada,
quando
s’imbatté
in
due
guerriglieri seduti con zaino e tutto. I guerriglieri gli chiesero di dove fosse, se era di La Higuera. Il ragazzino fu intelligente e disse che veniva dal Rio Grande, dove aveva la sua casa, e andava in cerca delle sue vacche. I guerriglieri gli chiesero se a
casa
sua
c’erano
«Nemmeno.»
soldati.
Lo
«No.»
lasciarono
«E
a
La
andare,
Higuera?»
dopo
avergli
raccomandato di non dire niente di averli visti ecc. Il ragazzino andò in direzione di Rio Grande, dopo un po’ invece cambiò direzione e andò a La Higuera ad avvertire il tenente. Subito i soldati
si
misero
in
moto,
ma
arrivarono
che
i
guerriglieri
erano scomparsi in fretta avendo lasciato anche gli zaini per fuggire subito ai primi rumori sospetti che avevano sentito. Malgrado zona
di
questo
La
episodio
Higuera.
i
Dopo
guerriglieri qualche
si
fermarono
giorno
nella
incontrarono
la
vecchia con le capre, quella della figlia malata. Dopo di che, la notte tra il 7 e il giorno 8, un contadino che veniva da un altro paese
sentì
stranieri
delle
e,
voci:
senza
si
fermò,
neanche
appurò
cercare
che
di
erano
voci di
vedere
da
chi
provenissero quelle voci, corse a dare l’allarme al tenente a Vallegrande. Partì così l’azione che portò allo scontro con il Che. Lo scontro avvenne all’una. Il Che fu ferito alla gamba, 48
continuò a sparare. Gli colpirono la carabina, Willy
lo aiutò,
fu allora che fu di nuovo ferito. Si arrese. Aveva la pistola, una pistola argentina con il caricatore pieno di colpi. Avrebbe detto «Non sparate sono Che Guevara». Correzione al racconto della mattina: Il maggiore era distante dal punto del combattimento. Era fermo con l’elicottero in un posto tra La Higuera e il punto dello scontro. Aveva tre soldati, due feriti, il terzo morì. Quindi poteva portare il Che. Tre feriti si trasportano all’interno: i morti fuori in
«camilla»,
cominciava
a
sui
pattini
fare
buio.
dell’elicottero. Non
potette
Erano
aspettare
le il
18.00 Che,
e
non
glielo fecero aspettare, l’ordine era di evacuare prima di tutto i 49
soldati boliviani feriti (vedi articolo di Pierini)
e poi gli altri.
Il Che venne portato su in una coperta. Il maggiore arrivò a Vallegrande dovettero facevano
a
portare
disporre luce
con
a i
i
feriti
boliviani
Vallegrande fari
(a
che
quattro
quadrato)
era
jeep
per
già a
buio
terra
–
che
permettergli
di
atterrare. L’indomani mattina (di notte non si poteva volare con
l’elicottero)
all’alba
era
a
La
Higuera.
(Possibile
altra
versione: dal posto dove stava andò ad accogliere il Che ferito con l’elicottero e lo trasportò a La Higuera.) Là discusse («Lei non l’avrebbe fatto? Era un uomo importante, un uomo di
valore, non un criminale, non era Al Capone.») per trasportare il Che ferito a Vallegrande, gli fu ingiunto di trasportare prima i soldati. È molto sensibilizzato al ricordo di quanto gli si attribuisce nell’articolo di Pierini. L’indomani
mattina
vide
il
Che:
era
molto
mal
messo,
molto debole, gli abiti a brandelli, due paia di calze, quelle di filo sotto e quelle di lana sopra, mancavano però di tallone e punte, una specie di mocassino sostenuto con pezzi di cuoio e fil di ferro. Emanava cattivo odore come uno che non si lava da
mesi.
Faceva
fatica
ad
accendersi
la
pipa.
Allora
il
maggiore si avvicinò, gliela caricò («Anch’io fumo la pipa quindi so»), gliela accese. Il Che fu gentile con lui. Non era né avvilito né ottimista: sembrava indifferente a tutto quello che accadeva intorno come già pronto a morire. Il maggiore lo trasportò morto in elicottero a Vallegrande. Precedentemente nella giornata c’è stato l’incontro con Debray e Bustos. In aereo Cessna fino a Camiri sorvolando la zona della guerriglia.
Il
Ñancahuazú
fitto
di
selva.
La
Higuera
più
visibile, con più fitta demografica. Nel Ñancahuazú non c’è anima viva, non si vede una capanna di contadini per decine e decine di chilometri. Due ore di volo. Camiri, centro di petrolio, molto caldo. Vediamo documento.
il
generale
Chiedono
per a
permesso.
Debray
se
Impronte vuole
digitali
vedermi.
e
Sì.
Torniamo alle ore 14.00. Vediamo Bustos e Debray. Bustos è internato in una cella dove può disegnare (fa molti disegni alle pareti, gli permettono di fare ritratti e di prendere pure qualche soldo). Ha l’aria molto avvilita. Anche Debray sembra un po’ giù, incurvato nelle spalle piccole, ma ha due occhi azzurri enormi e cristallini, e acuti! Anche Bustos ha una bella faccia, sperduto, avvilito dai pensieri, forse dal rimorso di aver fatto i ritratti,
ma
i
tre
avevano
parlato
prima.
Ci
portano
in
una
stanza dove c’è una specie di salottino, con movimento fuori di ragazzini, campesinos ecc. Tutti presenti, ufficiali, soldati, i piloti che ci hanno accompagnato e la grabadora.* Mi
conoscono
entrambi,
hanno
visto
i
miei
film,
li
stimano. Debray dice che per lui Giuliano «es una biblia».** Dobbiamo parlare in castellano. Faccio alcune domande, la
prima è imbarazzante: cosa pensano dei partiti comunisti di Bolivia, hanno abbandonato, quando? Debray passa la parola a Bustos: «La domanda è troppo importante per poter rispondere in
poco
tempo…».
Comunque
i
due
sono
d’accordo
nel
dichiarare che non si può emettere un giudizio tanto deciso e negativo: le cose non sono facili (anche se lui nella sua lettera agli amici – e secondo quanto detto da M.me de Lioncourt – si è scagliato contro il Pc ma dice che il suo concetto è stato falsificato). Una cosa è certa: che il Che li considerava un nemico in più. Comunque c’è stata la questione del comando che il Che non ha voluto condividere con nessuno. Debray: «Le condizioni dei guerriglieri erano deplorevoli. Già nel
marzo-aprile:
senza
indumenti
di
ricambio,
senza
medicine, con pochi alimenti… Credo che a un certo punto, il Che abbia voluto morire… si farebbe un torto al Che se non si pensasse così… si è reso anche conto che non poteva contare sull’elemento campesino, ma non aveva importanza… sì c’è stato un errore di analisi della situazione del campesino» (chi l’aveva
fatta
questa
analisi,
lui?
Le
informazioni
sul
Ñancahuazú erano di lui, Debray? Non sembrerebbe, perché quando ho parlato della «giusta» scelta «tattica» – secondo Zenteno – i due si sono guardati, quasi con un sorriso, e hanno dichiarato che tatticamente era sbagliata la scelta del posto). «Non un contadino – dice Bustos – e non si può fare niente senza l’appoggio contadino.» Debray: «È proprio quando il Che si è reso conto della profonda non coordinazione tra la strategia (giusta) e tattica (sbagliata) che si è accorto dell’errore. Errori ne ha commessi e anche profondi… ma ha voluto fino in fondo essere fedele alla sua idea… non era un romantico… io credo però che queste analisi siano premature e quindi lei che fa dei film critici, rischia di sciupare il suo talento per un film che risulta prematuro». «Può
darsi,
ma
io
non
voglio
tirare
le
somme,
voglio
lasciare molti dubbi e molto alle interpretazioni.» «In giusta,
questo come
caso
allora
Giuliano,
potrebbe
ma
d’altra
venir
fuori
in
il
Che
parte
maniera non
è
Giuliano… c’è una questione di responsabilità nel criticare tutti questi elementi. La storia li decanterà…»
«Non
credo
responsabilità, chiaramente
tutti
per
–
alcuni
es.,
perché
è
hanno
resteranno
difficile
sempre
un
oscuri
che
vengano
altro
aspetto
–
le
fuori che
ne
giustifica le decisioni in un senso o nell’altro…» Debray: «Per conoscere bene il Che bisogna parlare con Fidel… Castro, è l’unico che lo conosce a fondo. Comunque, io credo che l’errore più grosso del Che è stato quello di avere anticipato i tempi di dieci, venti anni, non si sa…» (ha parlato anche di responsabilità del Che evidentemente nei confronti della decisione della guerriglia). Per
quanto
riguarda
l’anticipazione
al
23
marzo
della
data
dell’inizio della guerriglia (molto prima del dovuto) negano entrambi
che
si
sia
trattato
di
un
guerrigliero
che
avrebbe
sparato senza ordine (e poi degradato dal Che). L’incidente consiste nel fatto che la guerriglia era stata scoperta (già tra il 1° e il 23 di marzo molti fattori tra i quali i tre minatori disertori) e quindi non c’era rimedio. Quindi l’imboscata era stata preparata e voluta, perché dal momento che l’esercito sapeva della loro presenza non c’era altra uscita. Ma
è
vero?
Potevano
rimanere
nascosti
e
aspettare?
Aspettare che, se era già chiaro che non ci sarebbero stati grossi aiuti? Ma è vero che in quel momento si era già sicuri che non ci sarebbero stati aiuti grossi? È indubbio comunque che l’anticipazione è stato uno dei fattori determinanti il fracaso.* Il
maggiore
aveva
(e
abbandonati:
indumenti,
armi.
anche non Le
Zenteno) più
invio
frontiere
dice di
che
anche
medicinali,
sono
Cuba
li
alimenti,
vastissime
e
non
perfettamente custodite. I
guerriglieri
riceventi:
erano
avevano in
[una]
contatto
radio
continuo
trasmittente con
Cuba.
e
molte
Poi
hanno
perso la trasmittente e sono rimasti con le riceventi che hanno tenuto
fino
all’ultimo,
ma
pare
che
Cuba
non
segnalasse
neppure più. Pare che nel diario il Che dica chiaramente di sentirsi abbandonato anche da Castro. Il maggiore dice: «I primi giorni la stampa nel riportare brani del diario non ha risparmiato il generale Barrientos, cioè ha riportato il brano in
cui il Che lo definisce uno stupido, un testone, perché avrebbe dovuto “falsificare” altri brani del diario?». Debray dice che avrebbero tanto voluto collaborare con me, ma che la «situazione»… Al pensiero che il film possa essere
fatto
vedendo
le
cose
dall’alto,
nelle
linee
generali
(come io vorrei) e non per tirare le conclusioni, è più disposto all’idea del film, e alla sua possibilità di riuscita in maniera giusta. «D’altra parte lei ha fatto Giuliano che lasciava campo all’interpretazione, alle deduzioni dello spettatore, e in questa direzione si potrebbe anche ora, mais quand même il Che non è Giuliano…» Sembra preoccupato (e mi pare anche giustamente) che si vogliano
trarre
responsabilità
delle
precise,
conclusioni delle
colpe,
ora, le
attribuire
responsabilità
delle degli
errori… Una parte di responsabilità le deve avere anche lui, perlomeno per quanto riguarda l’analisi della situazione del contadino (lo dice anche M.me de Lioncourt) e mi è sembrato che
lo
abbia
ammesso,
implicitamente,
quando
dice
che
l’analisi della situazione del contadino non è stata esatta e approfondita al punto giusto. Dice: «È vero, i contadini avevano avuto la terra per la riforma, ma la riforma era incompleta (per la mancanza degli strumenti per renderla attiva) e quindi avrebbero dovuto sentire delle
istanze
sociali…»
Io
continuo
a
rivolgere
domande
«difficili»: i minatori, la città ecc., ma le risposte (ovviamente) sono reticenti. Mentre parliamo, si affaccia gente dalla strada, ragazzi ecc. Il colloquio è durato venti minuti più del previsto consentito (che era di trenta minuti). Debray dice: «Ha sido para mi un honor y un placer».* Io gli dico lo stesso. Ci stringiamo la mano, anche con Bustos, calorosamente; i due se ne vanno nel gruppo di militari e fanno una pena tremenda. Mi ha detto anche (Debray): «Fare un film subito è anche alimentare
il
mito
romantico
a
uso
dell’europeo
che
ben
pasciuto», nutrito come cerdo, parla del Che, lo vede come un romantico… Io: «… scarica la sua falsa coscienza…» Debray: «… esatto. Però lei fa dei film critici, proprio per distruggere “il mito” e quindi in questo senso potrebbe essere
utile». Se
ne
vanno,
Debray
curvo
nelle
sue
spallucce
da
uccellino, Bustos con gli occhi sempre tristi e smarriti, e sono sicuro
che
non
mi
hanno
potuto
dire
niente
di
quello
che
veramente avrebbero potuto dire e sarebbe stato utile dire. (I due giornalisti del Rio, ma come si fa ad andare anche laggiù?) Il maggiore carceriere dopo il colloquio è più sciolto con me. Dev’essere un brav’uomo, io non avevo chiesto di vedere Bustos, piacere
me a
lo
ha
proposto
Bustos,
per
anche
lui.
considerato
lui
farlo
sicuramente, sentire
Lasciamo
credo,
meno
delle
per
far
abbandonato,
sigarette
per
i
prigionieri, le due bottiglie di scotch che avevamo portato non è consentito. Torniamo a Cochabamba. Colloquio con il maggiore (vedi in precedenza). Il modo di vedere deve essere necessariamente dall’alto, nelle linee generali. 1. Chi era, perché è diventato quello che era? Il Terzo Mondo
e
la
Rivoluzione
cubana
fino
al
Triunfo
de
la
Revolución. 2.
Perché
personaggio
ha
lasciato
storico,
aveva
il
suo
posto?
già
dato
il
suo
(Già
era
contributo
un alla
storia.) Il suo travaglio politico – di dirigente – di riformatore – il periodo critico (Cuba – industria – agricoltura – ciò che avviene
nel
mondo
–
il
Terzo
Mondo
–
la
falsità
della
coesistenza pacifica – il richiamo alla punta avanzata della Rivoluzione cubana). 3. Perché ha scelto la Bolivia? Perché ha fracasato?* I problemi restano aperti (v. il Terzo Mondo). (Marito e moglie sull’altopiano che camminano filando lana.) Questi tre punti hanno bisogno di suture esplicative (non solo i dati statistici ecc.) ma interviste. N.B. Le informazioni dei contadini quegli stessi per i quali lui ha lottato ed è morto. Interviste. Il maggiore, Fidel Castro, la moglie (e anche la prima moglie – il padre?), Zenteno (operazioni militari), il soldadito, il campesino, il guerrigliero, Debray. Padre Schwarz ecc., il
mondo borghese inquieto a Parigi, Londra, New York, Buenos Aires ecc. Il maggiore dice: «Perché un uomo che già apparteneva alla storia, che poteva mandare avanti e perfezionare quello che aveva già fatto, è andato via per venire a morire qui?». È tutto qui, mi pare. Il
maggiore
dice:
«Joaquín
è
morto
come
un
capo,
ha
sparato fino all’ultimo momento». Il Che non ha sparato fino all’ultimo, aveva la pistola carica, non aveva sparato un solo colpo della pistola. Praticamente si è arreso (e il maggiore è un ammiratore del Che). A parte certe debolezze dell’intellettuale che vede crollare il suo disegno (questo discorso de las debilidades ha molto interessato Debray quando io lo facevo), c’è – è probabile – tutto un monte di supposizioni: se avesse preferito essere preso per
parlare
(al
mondo)
e
per
continuare
la
sua
opera
da
prigioniero o comunque prima di morire? Comunque può non essere escluso che – a quel punto – pur essendo consapevole della morte o desiderandola (tesi Debray) non abbia voluto morire o non si sia voluto dare la morte lui. Il
fatalismo.
Ne
ha
parlato
Bustos,
Debray
sembrava
d’accordo.
9 febbraio Dopo rinvii di partenze per maltempo, partiamo in Cessna per Vallegrande
e
per
tentare
poi
Pucarà
ecc.
All’arrivo
a
Vallegrande (caldo forte), ragazzini intorno a noi, colonnello che parla con i ragazzini fra le gambe, pista aeroporto piena di vacche
(che
hanno
dovuto
allontanare
per
farci
atterrare),
atterraggio avventurosissimo con salti, buche ecc. Il col. Selich vuole permessi. Telefonerà alle autorità (io dico che ho chiesto e che mi hanno detto che Vallegrande è fuori zona). Andiamo al pueblo. Coloniale tipo Sicilia. Hotel Teresita, dipinto e formica dopo soldi «guerriglia». Cortiletto delizioso, camerette idem anche se senza lavandino ecc. Mi riprometto
l’interesse
del
giro
a
Pucarà
(quattro
ore
andata
e
quattro
ritorno, ma speranza incontrare padre Schwarz). Ma arriva il capitano
dell’aereo
dobbiamo
lasciare
e
dice
che
subito
il
comando
Vallegrande,
ha
detto
manu
che
militare.
Approfittiamo di un’assenza di cinque minuti del capitano per svignarcela
e
fare
un
giretto
(la
morgue
non
ce
la
fanno
vedere) e troviamo un negozietto di un orologiaio indio che sembra un cinese che vende foto di guerriglieri, morti, vivi ecc. Alcune sono quelle fatte vedere con senso di proibito, dal maggiore e dal col. Zenteno, come cosa che aveva solo lui, le compriamo. Andiamo a Santa Cruz (per aereo). Questa città e questo dipartimento
sono
come
un’altra
nazione.
Tutta
pianura
fertilissima. L’albergatore mi spiega: «Noi siamo il granaio della
Bolivia,
il
petrolio
lo
diamo
noi
(Camiri
è
Oriente,
infatti) ma il governo ci mette a lavorare anche indios, meticci ecc. Qui non c’è un meticcio, siamo tutti bianchi, c’è una sola lingua: il castellano, non ci sono dialetti ecc. Il governo ci dà dei separatisti e ha paura che da un momento all’altro noi possiamo dirgli “hasta luego!”.* C’è un comité per le opere di interesse pubblico (e infatti pallidamente si vede qualcosa). Giriamo la città: vegetazione tropicale, tutti bianchi, tranne qualche indio sperduto sceso dall’altopiano a cercare lavoro e malissimo tollerato, donne bellocce, piacenti (è nota in Bolivia per «le belle donne»), una città coloniale spagnola, un altro mondo, totalmente, a solo mezz’ora di Cessna da Vallegrande, marciapiedi alti come quelli di Pompei, sia per la pioggia che per mancanza di scoli (non si sa ancora), inonda tutta la città, strade periferiche impossibili, fossi, fango, un’avventura, la macchina qui infatti è la jeep, anche i taxi. L’albergo
principale
non
ha
posto,
andiamo
a
un
altro
(l’autista lo definisce lujo,* ma è la più lurida stamberga mai frequentata di questo viaggio fin’ora). Comincia
il
carnevale:
c’è
[un]
ballo
mascherato
di
giovani, giovanissimi, suono di orchestra beat, ma fuori c’è una banda tipo cubana, con trombe, percussioni ecc. Allegria provinciale di tipo Centro America più che altro (da ciò che conosco io).
10 febbraio Piove (come del resto quasi ogni giorno da quando siamo in A.L.,
è
estate)
Bisogna 11.00
e
ancora
per
arrivati
riparare
all’aeroporto il
Cochabamba.
guasto
non
c’è
dell’aereo.
Ripartiamo
da
il
capitano.
Partiamo
Cochabamba
alle alle
16.00. Ritorniamo a La Paz alle 17.00. Trovo
alcune
telefonate
di
gente
che
vuole
dare
informazioni: tra le telefonate, quella del capitano Gary Prado. Ricevo visita di Vigevani che spiega del permesso che sarebbe un NI e che bisogna andarlo a ritirare dal col. Rios.
11 febbraio Mattinata e pomeriggio in albergo a lavorare su stampa. Ore
18.00.
Dal
capitano.
Racconto
da
ricostruire
per
appunti e cartine. (Due ore di colloquio.) Giovane sensibile, di buona
famiglia,
angosciato
da
una
preoccupazione
che
lo
spinge a fare un racconto che credo per la massima parte sia vero. Mi pare che voglia salvare da sospetti e responsabilità della
morte,
Zenteno,
ma
non
mi
pare
che
abbia
nessuna
preoccupazione del genere per Selich. Conferma la versione Michèle
Ray.
A
cena
da
De
Leonardis
con
monsignor
Morandini. Di nuovo: Bustos e Debray furono messi in un aereo dopo che da un aereo era stato buttato giù uno che non parlava (o che aveva parlato). Per il terrore Bustos promise i disegni,
Debray
dell’arresto
che
avrebbe era
detto
andato
a
sin fare
dal
primo
momento
un’intervista
al
Che.
(Morandini insiste.) Un guerrigliero entrò dall’Argentina vestito da prete. La segretaria da Cuba (ora a Miami o Panama) dice della rivalità fra i due. Morandini
insiste
nel
dubbio,
perlomeno
che
Castro
lo
abbia mollato. «Perché medicinali, compiere
non
ha
fatto
indumenti,
degli
atti
al
entrare
scarpe,
gente
armi?
momento
in
in
Perché
cui
tutto
aiuto, non
o
ha
con fatto
precipitava,
o
subito dopo la morte del Che, che manifestassero la presenza viva della guerriglia in Bolivia, terra scelta come il primo dei
Vietnam d’America Latina? Far saltare un oleodotto (e certo non sarebbe stato difficile, una bomba sotto la macchina del presidente sotto l’ambasciata americana ecc.)?» (Perché sarebbero stati atti di terrorismo – gli rispondo io – dimostranti solo la rabbia per la sconfitta e quindi l’impotenza, ma non avrebbero costituito la continuazione di una impresa già fallita nei suoi elementi che avrebbero voluto appoggiare la guerriglia di Guevara. Città, miniere, studenti, professori.) Gli
elementi
è
chiaro
che
erano
tutti
preparati
ma
non
hanno ascoltato, sono falliti. Le sarebbe
cose
sono
stato
andate
tutto:
città,
male,
se
fossero
campagne,
non
andare
i
bene,
minatori
ci
perché
guardati a vista dai soldati intorno alle montagne. La
notte
di
San
Giovanni
avrebbero
sparato
prima
tre
minatori.
12 febbraio Lettura collezione «Presencia». Conosciuto
l’arcivescovo
di
La
Paz:
«La
prossima
rivoluzione di minatori mi metto io davanti a tutti e li guido».
13 febbraio Lettura collezione «Presencia». 50
Con Alcázar
a colazione: dice di avere la verità. È in 51
trattative con Maspero
e «Presencia».
Indago: è questione di dettagli, ma corrisponde a quello che so (dal capitano) e in definitiva è la versione di Michèle Ray
con
qualche
dettaglio
modificato.
(Ugarteche
che
non
c’era. Lo schiaffo al tenente non si è sicuri. La pipa toltagli dalla bocca non è vero.) Gli do l’incarico di indagare per la deposizione Debray. Nella prima delle due stanze della scuola fu messo il Che 52
(forse inizialmente anche Willy e Aniceto
che erano vivi e i
guerriglieri morti, poi lo lasciarono solo e tutti gli altri nella
stanza accanto). La maestra gli portò da mangiare (lo chiese) alle 6 di mattina. Il gruppo di soldati che lo prese era di dieci e due andarono avanti. Il Che era rimasto senza pallottole nel fucile M1; i soldati lo puntarono, il Che alzò le mani con l’arma (Willy era nascosto dietro una roccia) e quando i soldati gli dissero di venire avanti, era ferito, fece un passo falso e un movimento che poteva sembrare volesse imbracciare l’arma e sparare. Il primo
soldato
sparò
con
una
pistola
45
e
colpì
la
canna
dell’arma del Che che gli volò via dalle mani. I soldati gli furono addosso, lo perquisirono: una pistola carica alla cintola e un’altra piccola cecoslovacca alla caviglia, tra le calze. Il soldato che comandava gli diede un calcio. Alcázar dice che il soldato che ha dato il tiro di grazia giura che il Che dopo aver ricordato i figli, la moglie e Fidel Castro, si segnò. Io
sono
fortuna.
Il
convinto
che
i
Ñancahuazú
boliviani
era
hanno
perfetto
avuto
per
una
gran
nascondersi
e
aspettare… che la città e le miniere al momento dello scoppio simultaneo a tre… l’esercito fosse richiamato in gran numero su questi fronti. Allora sarebbero usciti loro per andare in giro dai contadini (su cui c’era stata un’analisi sbagliata, ma non su quelli dell’altopiano che sono più duri). L’esercito sapeva della presenza del Che ma non diceva niente per non terrorizzare la popolazione e i soldaditos che a sapere
di
combattere
paura.
Hanno
il
aspettato
Che il
53
sapevano chi era Ramón,
30
avrebbero giugno
(e
avuto già
sicuramente
il
30
maggio
ma era segreto militare) quando le
operazioni militari già erano migliorate o quando i guerriglieri erano notevolmente spompati e braccati e affamati o quando, dopo
il
24
giugno,
si
sentivano
più
tranquilli
sul
fronte
minatori. Pomeriggio: continuo lettura collezione «Presencia». Sono
convinto
che
il
governo,
per
quanto
riguarda
le
notizie relative alla presenza del Che, ha agito con abilità al contrario di quanti – specialmente locali – dicono invece che «non sapevano, non immaginavano, hanno agito come hanno potuto, senza abilità né pratica».
Sono altrettanto convinto che dietro il loro comportamento c’è stato l’abile consiglio della Cia. I primi quattro disertori avevano dato notizie del Che fin dalla
metà
creduto,
di
ma
marzo
un
(probabilmente
allarme
c’è
stato).
non
Il
ci
hanno
ragazzo
molto
dichiarò
la
presenza del Che e la sua partecipazione alla riunione dei capi a Santa Cruz, alla metà di aprile. Bustos e Debray confermarono lo scoprimento della Cueva 54
del Oso,
che porta allo scoprimento di foto del Che e della
canzone dei guerriglieri inneggiante al Che. Ma le notizie ufficiali della presenza del Che risalgono al 30 di giugno, e dopo poco ci furono esibizioni di foto, di documenti ecc. Tutto ciò per vari motivi: •
evitare l’allarme eccessivo nella popolazione
•
evitare la psicosi di pericolo, derivante dal mito del Che, nei combattenti
•
essere sicuri al 100%
•
essere in grado di poterlo prendere con un forte numero di probabilità. Uno dei sintomi, per me, della direzione Cia, perlomeno
per le iniziative ufficiali di informazione, è il fatto che due giorni prima di mettere la taglia di 50.000 pesos sul Che vivo o morto, Barrientos aveva dichiarato alla stampa e al Paese che il Che non esisteva, era morto da tempo. Trovo
in
albergo
il
biglietto
di
un
giornalista
francese,
residente a Buenos Aires; sta scrivendo un libro sui fatti della guerriglia e vorrebbe parlarmi. Alle
undici
della
sera
mi
telefona
dalla
hall,
lo
faccio
salire. È in compagnia di un prete-operaio francese (dello stesso ordine
di
padre
Gregorio).
È
giovane,
alto,
biondo,
con
occhiali, sembra un belga un po’ del tipo di Vittorio Emanuele. Come
tutti
i
francesi,
informatissimo,
brillante,
un
po’
saccente, e vuole che i conti tornino, vuole una risposta a tutto.
55
Scriverà un libro, mi annuncia che anche Rojo
«il grande
amico del Che» ne sta scrivendo uno. Tutti ora stanno, stiamo, facendo qualcosa sul Che: il Vietnam, il Che… e tutti lì come le mosche intorno al miele. Succede qualcosa e dall’Europa, dove non succede niente, tutti lì. E la «civiltà» ci consente di arrivarci presto. M.G.M. sta trattando – ha dato 50.000 dollari di
anticipo
–
con
gli
americani
–
stanno
a
La
Paz
–
che
dovrebbero scrivere il libro d’accordo con lo Stato maggiore boliviano.
XX
Century
Fox.
Il
gruppo
rappresentato
da
Andrew St. George sta trattando il diario. Mi dice che il suo personaggio, più che il Che, è la Bolivia. Gli preciso che il mio è l’America Latina (o il Terzo mondo, meglio se riuscissi a metterci dentro le «inquietudini»). Dice: «Ha sbagliato nell’analisi della realtà boliviana. Ha preteso dagli uomini (in particolare dai minatori) che agissero come emanazione di un ideale e non di una personalità umana, e
tanto
debole
e
corruttibile
come
quella
dell’operaio
boliviano». (Questo è vero, ma non è nuovo nell’esame della personalità esigente del Che che da se stesso chiedeva questa totale
partecipazione
realizzazione teorizzato
di
essa.)
questi
debolezza
di
all’idea
Doveva
incidenti
questa
e
alla
rappresentazione
«prevedere»,
«prevedibili»
gente.
Come
lui
nella
doveva
e
che
alla
aveva
guerriglia, prevedere
la gli
incidenti tipo le infiltrazioni di spie nel suo accampamento o le «diserzioni» e quindi doveva essere preparato a fronteggiarle e non, per conseguenza di esse, essere costretto ad anticipare la guerriglia. Un moderno capo di guerriglia deve prevedere tutti i
mezzi
impiegati
ora
per
combattere
la
guerriglia.
Non
mangiavano a sufficienza: nel diario del medico cubano (non ricordo
il
nome)
già
nel
gennaio
si
diceva
che
avevano
mangiato zuppa di uccello e gli uccelli da quelle parti si sa sono
pappagalletti
l’azione,
quindi
la
ecc.
Come
teorizzava,
«intellettuale»
che
cercava
la
non
è
provocava,
stato
all’altezza della sua fama di uomo lucido, calcolatore. Avrebbe dovuto prevedere tutto. Debray dice che il Che aveva in Bolivia la vocazione alla morte. Una specie di sentimento di fatalità o fatalismo. Debray dice che il Che era molto umano, e più che umano (nel senso della debolezza umana).
In Argentina, «dove hanno una certa ironia», dicono che il Che è andato in Bolivia a morire con i 12 (apostoli). I soldati boliviani erano pochi a combatterlo: come ci si può spiegare anche l’insuccesso militare? Non crede nell’aiuto (militare) degli Usa. Il col. Zenteno lo avrebbe aspettato sulla strada per Santa Cruz
e
invece
56
luglio,
il
Che,
tranne
l’episodio
di
Samaipata
il
7
non ci era mai andato. Perché accortosi che non c’era
nulla da fare, non ha preferito «salvarsi» e così salvare anche il suo personaggio? È stato lui a chiamare Debray, quello che forse aveva capito e interpretato meglio la sua ideologia e che forse
l’aveva
resa
chiara
ideologicamente,
forse
anche
più
delle sue stesse esposizioni. Né
lui,
né
Debray
danno
molto
valore
alla
ribellione
cittadina. Creare un «fuoco», e poi tutto verrà naturalmente. 57
Non è stato di insegnamento Salta? mai
dato
importanza
agli
E Cuzco? Il Che non ha
enlaces.*
Soldi
nelle
tasche
dei
sindacalisti. Anche questo avrebbe dovuto prevedere, perché si tratta
della
Bolivia,
dei
sindacalisti
boliviani,
dei
minatori
boliviani. Interviene il prete dicendo – se mi ricordo bene – che
nei
rivolta
minatori stessa.
giornalista
è
Gli
francese
più
presente
interrogativi –
che
alle
l’idea che mie
della si
rivolta
pone
obiezioni
il
che
la
giovane
rifletteva
e
aderiva o comunque si disponeva a un’adesione possibile – sono più o meno quelli che ognuno si pone al riflettere sulle ragioni della sconfitta. Sono interrogativi ai quali si dovrebbe poter rispondere con argomenti logici, che non lascino dubbi, ma ciò non è possibile non solo perché ogni risposta apre un altro dubbio, ma perché la scelta di quel tipo di lotta ha richiesto e previsto quel tipo di rischio. Si può concludere che il momento è stato scelto con grande anticipo di tempo sulla storia? Ma l’attesa delle condizioni favorevoli al sicuro esito della guerriglia è legata alla realtà storica di un Paese e gli evidenti contrasti della realtà boliviana costituiscono proprio quelle condizioni favorevoli
alla
creazione
della
realtà
rivoluzionaria.
Nella
scelta c’è sicuramente un aspetto da «gesto disperato», come sempre
quando
non
ci
sono
le
«condizioni
per
una
organizzazione ferrea della lotta». Il gesto è disperato perché è
legato a una realtà che offre tutti gli elementi per creare le condizioni
favorevoli
alla
lotta,
ma
non
la
sicurezza
del
perfetto funzionamento di tutti questi elementi. Il disegno è grandioso ed è lucido malgrado un certo suo aspetto (Così
disperato,
mi
posso
cioè
è
lucido
spiegare
il
proprio
fatto
che
il
nella Che
disperazione. considerasse
i
comunisti boliviani «un nemico in più». È uno degli elementi –
forse
il
più
importante
–
che
è
mancato:
rientra
nelle
possibilità previste. E allora entra in gioco l’altro aspetto del disegno, quello più disperato, più romantico, ma non meno lucidamente
previsto:
il
valore
dell’esempio,
del
sacrificio.
«Benvenuta sia la morte in qualunque posto ci raggiunga.» Sono parole del Che e fanno parte del suo disegno. Così mi spiego le parole di Debray: «… sarebbe fare torto al Che se non si pensasse che a un certo punto egli ha desiderato la morte», la «vocazione» del martirio.) La strategia – secondo Debray – era giusta e la tattica sbagliata. (Mettere
in
relazione
–
spiegandole
–
le
due
teorie
contrastanti di Debray e di Zenteno. Con loro.) Il
posto
scelto
era
l’ideale
per
nascondersi
e
prepararsi:
abbastanza vicino a Camiri, centro nevralgico per aeroporto, strade, petrolio. L’eventuale
apertura
del
fronte
delle
miniere
avrebbe
richiamato un buon contingente dell’esercito boliviano. I movimenti in città, idem. La guerriglia, idem. I contadini – secondo me – avrebbero dovuto venire in seguito per germinazione derivata dai fuochi più importanti e motori
della
lotta:
la
guerriglia
e
i
minatori.
I
contadini
dell’altipiano, più a nord, gente più dura, armata, scontenta di una riforma che pur avendo distribuito terra – e ce n’è per tutti –
non
aveva
distribuito
i
attuato
mezzi
e
la gli
riforma
nel
strumenti
senso
per
che
lavorarla
non e
aveva
renderla
produttiva. I contadini dell’Oriente, ex lavoratori di latifondo o non
ancora
raggiunti
dalla
riforma,
zona
del
Paese
completamente diversa dal resto, consapevoli di produrre per tutta la Bolivia, animati da spirito in un certo senso separatista.
Bolivia, al centro dell’America del Sud, confinante con zone sottosviluppate del Brasile, dell’Argentina, del Perù, del Paraguay (dove avrebbero dovuto accendersi altri fuochi di ribellione e di guerriglia). La preparazione è stata affrettata, non portata a compimento? La guerriglia è scoppiata prima – in Bolivia – di quanto gli elementi in soccorso – apertura del fronte interno dei minatori – fossero pronti? Il
ragazzo
prevedere
francese
l’incidente
dice
che
che
ha
il
Che
portato
avrebbe
alla
dovuto
scoperta
della
guerriglia anzitempo. E anche se così fosse stato, non sarebbe rimasto il fatto che a quel punto l’esercito sapeva? E allora, secondo me, è stato inevitabile farla scoppiare la guerriglia, pur avendo calcolato gli enormi rischi per non dare il tempo all’esercito di agguerrirsi (cosa che ha potuto fare infatti, poi, con il passare del tempo, con l’aiuto dei mezzi americani Usa, con l’allenamento di truppe specializzate ecc.). È venuta a mancare la adesione del Pc; l’adesione morale c’è stata, in parte e contrastata, titubante e poi invece negata per
divergenze
ideologiche,
ma
quella
effettiva
no
–
e
le
indecisioni, le divergenze ideologiche, il timore di perdere il controllo di una parte di lavoratori, l’intervento dei soldati con azioni
repressive
facilmente,
di
hanno
fuoco
reso
in
zone
inefficace
minerarie l’azione
controllabili
di
quelli
che
avrebbero dovuto costituire il fronte più forte e più distraente l’esercito (50.000 minatori). Nel Ñancahuazú – zona ideale per la preparazione restando nascosti e imprendibili – c’erano poche possibilità di risorse autonome. Cacciare era impossibile, gli spari, il fumo ecc. I fiumi – solo il Rio Grande è quello sempre in piena – non tutti utilizzabili per la pesca. Non un contadino e «senza l’appoggio dei contadini non può riuscire una rivoluzione» (Bustos). (Ma dal
Ñancahuazú
avrebbero
dovuto
spostarsi
al
momento
dell’inizio delle operazioni per cercare una via al Nord, come hanno tentato di fare.) E i contadini se li sono trovati contro e non a favore. Avrebbe dovuto prevedere anche questa reazione da parte dei contadini:
•
cattolici – per secolare «oppressione» di un sentimento religioso imposto contemporaneamente allo stesso modo brutale della conquista;
•
inerti
–
perché
si
contentano
non
hanno
di
quel
nessuna
poco
che
possono
coscienza
di
avere
quello
che
potrebbero avere di più – ignoranti senza informazione – strade
che
rendono
impossibili
le
comunicazioni
al
contadino se non per brevi distanze – senza conoscenza (non
c’è
forme
neanche
più
la
attuali
televisione)
di
di
quelle
civilizzazione
–
che
senza
sono
le
neanche
curiosità – quindi massa inerte, difficile a muovere; nel 1957 si mossero per ottenere la terra per un sentimento di proprietà e non certo per una coscienza di un diritto per una più giusta ripartizione sociale in nome – poi – di un processo
lavorativo
nell’interesse
della
collettività
–
facilmente influenzabile dalla propaganda del governo che aveva fatto coincidere la guerriglia con il comunismo e il comunismo come prelevatore di terre e di figli – distanze enormi da un gruppettino di capanne a un altro, a volte da una
capanna
all’altra
(mentre,
invece,
la
zona
di
La
Higuera è fittissima rispetto al resto e quindi nel momento in cui ci entrò – già impopolare – pericolosissima). In effetti l’analisi dell’elemento campesino non era stata approfondita, come ammesso dallo stesso Debray. I contadini, al vedere i loro simili – parenti naturalmente, oltre
tutto
rivolsero centinaia
uccisi,
contro di
le la
varie
guide
guerriglia.
campesinos
civili
(Il
sulla
ecc.
–
ancor
giuramento
tomba
del
del
più
palo
primo
si di
civile
campesino morto.) Ma
la
previsione
di
questa
reazione
non
avrebbe
mai
potuto – da sola – determinare un ritiro o un arresto, proprio perché
consapevole,
determinante trascinare,
da
del
penso,
contadino
aggregare
ma
del
ruolo
in a
non
conclusivo,
Bolivia.
Cioè
movimento
già
non
massa
da
felicemente
avviato. A ognuno viene in mente, naturalmente, il confronto con il contadino della Sierra Maestra, quasi servo della gleba aggregatosi poi felicemente al movimento rivoluzionario; con 58
la situazione di condizioni diverse, di tutti contro Batista, tutti
a
favore
di
cubani
come
analizzati, giudicati anche dal Che.
loro.
Elementi
di
esaminati,
C’erano molti stranieri, è vero. Ma l’idea rivoluzionaria investiva
tutto
il
continente,
non
un
solo 59
proposito è da ricordare che Kolle Cueto moscovita
–
a
metà
maggio
sosteneva
Paese.
(A
questo
– capo fazione Pc
ancora
il
carattere
nazionale boliviano della guerriglia, sostenendo che c’era solo puñado de estranjeros.)* «Questi contadini (indios) sono come pietre» scrive il Che nel suo diario: segno sicuro di una delusione – ed è naturale, perché deve essere lecito aspettarsi una reazione in gente che vive come le bestie; perlomeno lo è alla base di una idea rivoluzionaria e lo deve essere, anche se si analizzano con calcolo certi elementi di una lealtà difficile e avversa. Alcuni dicono che in Bolivia le rivoluzioni si fanno a La Paz, ma dimenticano che non sono rivoluzioni, ma colpi di Stato, rivolgimenti di palazzo, estranei alla coscienza popolare, e
quindi
oppressivi,
oppressioni
non
rivoluzioni,
non
rivoluzione delle strutture del Paese, e il Che «voleva» che il movimento fosse popolare, venisse dal popolo: un processo di presa
di
coscienza
delle
esigenze
rivoluzionarie,
germinato
quasi spontaneamente da un fuoco di provocazione o da fuochi di provocazioni. Chissà se il reclutamento di giovanissimi nell’esercito non è
stato
fatto
l’opinione
apposta
pubblica
–
per
specie
commuovere le
reazioni
dei
maggiormente contadini
–
di
fronte alla morte di questi ragazzi nelle imboscate? E quando il contadino ha reagito così, «se sauvér»
per
salvare anche il proprio personaggio, dice il ragazzo francese. Eh,
già,
Guevara
ma
salvare
padre
di
il
una
personaggio idea
significa
rivoluzionaria
salvare
che
Che
trascina
il
popolo, che predica la creazione dei più Vietnam, e che dice: «E se la morte ci coglie, benvenuta sia». Non è un generale che
si
limita
a
studiare
avanzate,
pronto
eventualmente
a
ripiegare se la tattica non lo assiste e ritirarsi. La sua abilità e il suo dovere devono essere anche quelli, ma la sua funzione ideologica va al di là. È per questo che, io credo, non si possono far tornare i conti sui dettagli cioè sulla logica dei fatti – come vorrebbe il francese e tante gente – ma sulle grandi linee della ideologia.
I CENTONOVANTANOVE GIORNI DI CHE GUEVARA
Mal
nutriti,
mal
movimento,
vestiti,
traditi
a
senza
ogni
medicine,
passo,
braccati
abbandonati.
a
È
ogni molto
importante il fatto che dal maggio in poi attaccano solo per rifornirsi di cibo, di indumenti e di medicine. Accertare motivi
veri
gli
per
errori cui
del
[la]
Che
è
Bolivia,
importante; pur
analizzare
essendo,
come
i
dice
l’ambasciatore americano o quel senatore di cui ho il nome nei ritagli, pronta per la rivoluzione non ha aderito, è importante; ma
è
ancora
più
importante
l’analisi
di
queste
ragioni
in
relazione al problema (o ai problemi) dell’America del Sud. Questo
film
senza
la
presenza
dolorosa
e
angosciosa
dell’America del Sud con la somma dei suoi problemi che si sono ingigantiti attraverso il passare dei secoli fino a richiedere l’esigenza di una rottura esplosiva, sarebbe poca cosa. Chincheros:
quegli
indios
muti,
fermi
nel
passare
dei
secoli, ancora al baratto. Il battesimo di quell’esserino nudo tra le braccia di una madre più impaurita per la sorte che gli toccherà che felice. E quei cimiteri di fango, tumuli senza nome. E quelle famiglie di indios accampate nelle chiese, dove si vestono, mangiano, parlano sommessamente. E quella bara che aspetta sulla soglia della chiesa. E le Ande coperte di neve nella solitudine di un mare di terra non coltivata dove pascolavano las llamas guardate da ragazzine
e
ragazzini
che
non
sanno
e
non
sapranno
mai
niente, se continua così, di che cosa è il mondo fuori di loro. Le capanne di fango: un villaggio che sembra disabitato, tanto è il silenzio, e poi scopri la vita, protetta da quei muri di barro,* nelle sue forme più eterne. Bambini senza altra realtà che
una
tradizione
che
si
tramanda
per
necessità
per
sole
necessità fisiologiche. E la vita, con tutto ciò che la civiltà può portare
dagli
Usa,
soffocata
da
un
cerchio
di
barriadas
di
miserie e di fame che si allarga e si stringe sempre di più. E
quegli
occhi
terrorizzati
e
rassegnati,
in
una
figura
accovacciata davanti a una porta contro un muro di fango, in mezzo a tanti occhi come quelli nei tanti mercati di indios di Bolivia e del Perù; o fermi in una figura di stracci rannicchiata
sui gradini del sagrato di una delle tante cattedrali innalzata dai dominatori per la Gloria del Signore. E le Mercedes, le Chevrolet che passano in tanto mare di merda. E le vetrine piene solo di prodotti che vengono dagli Usa. E l’undici per cento, e basta, su un prezzo che fa lei, (2000 dollari a barile quando viene venduto a 3800) che la Gulf corrisponde alla Bolivia per il petrolio che estrae dalle «viscere della sua terra». E la sua ferma opposizione, della Gulf, sostenuta e sancita, fatta votare apposta dal congresso, da una legge che vieta le modifiche ai contratti esistenti. E la Bolivia che deve accettare. E i militari, unica casta privilegiata. E i soldati con le uniformi a pezzi. E gli occhi dei bambini dietro le spalle delle madri. E gli uomini fermi, istupiditi dalla coca che masticano per non «avere fame». E il fango. E la mancanza di strade. E il campesino che va solo, a piedi, nella «assolutamente incredibile» immensità di quel paesaggio. E tutta quella terra che potrebbe dare e non viene sfruttata. E la vergogna per gli uomini che è l’accampamento dei minatori di Milluni, a un’ora dalla città, e pure prigionieri di quelle montagne, per la vita. E il minatore che prende 300 pesos al mese. E «el cerro de Potosí». E
Siglo
XX,
Huanuni,
Katarikagua,
e
la
montagna
di
materiale di scarto nel quale le donne cercano per ore e ore qualche pietra con dentro il materiale. E la pulpería* che vende a prezzi normali – tranne carne, riso e pane che sono a buon mercato. E
i
bambini
lavorano
e
ci
che
nascono
muoiono,
senza
nelle aver
miniere, visto
crescono
altro
lì,
mondo
ci
che
quello. E la coppia di marito e moglie, vestiti tutti di nero, che avanzano
giovanissimi,
nella
solitudine
e
nella
immensità
dell’altopiano filando la lana. E l’aeroporto di La Paz pieno zeppo gremito di preti e monache americani. È terra di conquista per i preti. E i preti rivoluzionari. E i preti nelle miniere. E il massacro di «la noche de San Juan». E il quartiere residenziale Miraflores di Lima. E il cimitero indio di La Paz con tutta la città sotto. E Laja. E il centro della chiesa avventista di Centro Belén…
14 febbraio Viaggio alle 18.50 (due di differenza dall’orario di La Paz, lì sono le 20.50). Arriviamo a Ciudad de México.
15 febbraio Parlato
con 60
Llanusa
Giancarla
e
Saverio
a
Roma.
Dice 61
e gli altri vogliono farlo, che Orsini 62
e si muove anche lui, che Santiago Álvarez
che
José
ha annunciato
sta mettendo da
parte materiale perché anche lui farà un film, che Alfredo si è incazzato perché dalla Bolivia sarebbe arrivata notizia che io farei il film per la United Artists (!!!). Saverio fino a sabato è a Roma. La settimana seguente la passa fra Torino e Milano. Argentina Bolivia Perù Cile? Guatemala
Mexico Brasile Venezuela? Colombia Paraguay Uruguay Spedizione Granma – Cuba Sierra Maestra: repertorio, foto ecc. Invasione dell’isola – Cuba Processi – Cuba Industrializzazione – miniere nichel – Cuba Punta del Este Onu Due anni in giro – foto Congo – repertorio Vietnam? Cina La «carta» alla Tricontinental Guerriglia – dalla parte dei guerrilleros – Cuba Dalla parte dei soldati – Bolivia Pueblos e indios – Bolivia La noche de San Juan – Cuba Intervista con Zenteno (conferenza stampa) Ovando-Candia-Barrientos Régis Debray Niño de Guzmán Campesinos Mineros – Bolivia Padre Schwarz
(incontro di Muyupampa) I giornalisti arrivano a Vallegrande L’esposizione del Che morto (L’arrivo del fratello) Esterno «presunto» della scuola e La Higuera Interno per raccordare del contadino, ultimo ad averlo denunciato, davanti al Che morto Esterno di notte a La Higuera Lo sviluppo dell’economia L’anno dell’alfabetizzazione (repertorio) Ciò che succede a Cuba oggi La brigada invasora – Cuba Interni della scuola a La Higuera «La Esperanza» Aerei, elicotteri ecc. Nel caso che la Bolivia non desse i permessi bisogna fare lo stesso tutta la parte introduttiva e documentaria, con maggior attenzione a qualche possibilità di raccordo. Il problema grave sarebbe quello dei contadini indios con particolare riferimento a: •
incontri a Muyupampa
•
il giuramento dei contadini
•
i pueblos dove i guerriglieri (e il Che) si sono fermati e hanno parlato
•
i campesinos delatori. Vedere
comunque
–
prima
di
orientarsi
con
maggiori
dettagli – che cosa offre Cuba come paesaggi, pueblos e gente campesina.
16 febbraio Partenza da Città del Messico.
*
«Abbiamo pulito tutto.»
*
Avanzi.
*
Canyon.
*
«Il Che lo annusiamo a 500 metri.»
*
«Non mi dire!»
**
«Neanche un centesimo.»
*
Finirlo.
*
Delusione.
*
Recinto.
*
«Quel tupé! Dicono i francesi.»
**
«Che Guevara non è un genio, è un mito.»
***
«Non mi uccidere…»
*
Emittenti.
*
Shock.
*
Consulenza.
*
«È molto meglio.»
*
«È una bella storia, ma bisogna raccontarla bene… mi scusi! Spesso si è detto, che bella storia per il cinema… Camiri… il signor Debray nell’hotel di Camiri che usciva dalla sua camera… ne… le belle foto… ma a voi non interessa, è il Che…»
*
Mattone crudo.
*
«Però vedere molto.»
**
Caserme.
*
Fattoria.
**
Paga.
*
Patata, fecola, fecola bianca.
**
Pecore.
*
Bestiame.
*
«Buona fortuna.»
*
Bacheche.
**
«Loro sono signori che…»
*
Funzionari.
**
Maiali.
*
Registratore.
**
«È una bibbia.»
*
Fallimento.
*
«Per me è stato un onore e un piacere.»
*
Fallito.
*
“Arrivederci!”
*
Lusso.
*
Collegamenti.
*
Una manciata di stranieri.
*
Fango.
*
Negozio di alimentari.
3 Cuba 17 febbraio 1968 – 17 marzo 1968
17 febbraio La
Habana.
A
colaz.
con
Alfredo
si
aspetta
decisione
di
Castro.
18 febbraio La Habana. A cena con Pepe.
19 febbraio La Habana. Visita a San Andrés.
1
20 febbraio La Habana.
Tre sono le domande: 1.
Come e perché è diventato quello che era: la conoscenza di un continente che considerava tutto la sua patria. Viaggio attraverso: •
Argentina
•
Perù
•
Bolivia
•
Guatemala – periodo della repressione United Fruit
2.
•
conoscenza con Fidel Castro – partenza – Granma
•
Rivoluzione cubana fino al trionfo della stessa.
Perché
ha
lasciato
il
posto
(il
ruolo)
di
dirigente
della
Rivoluzione:
3.
•
la sua linea politica
•
il Terzo mondo in lotta
•
il richiamo alla lotta nel mondo, nel Terzo mondo.
Perché scelse la Bolivia e perché è morto: •
la Bolivia
•
le ragioni strategiche di una scelta
•
la preparazione
•
i 199 giorni di Che Guevara.
2
21 febbraio La Habana.
3
Pagano
conferma la tesi del focolaio da creare, ma con
appoggi seri anche se non erano quelli forniti da Kolle Cueto e 4
Mario Monje.
Il Che avrebbe fatto affidamento su una rete
personale, che faceva capo a Coco e Inti Peredo. Effettivamente, quindi, il Che non faceva, perlomeno da un certo momento in poi, affidamento sui comunisti «ufficiali» locali che lo abbandonarono. Confermata la discussione e rottura tra il Che e Mario Monje. I
minatori,
abituati
all’altopiano,
al
clima
tropicale
di
Ñancahuazú non resistevano e andavano via. Confermata la faccenda della ricerca disperata di alimenti e medicine. Pare che il farmacista di Vallegrande che li riforniva di medicine fingesse
un’aggressione
(dei
guerriglieri)
per
giustificare
la
mancanza di un contingente di medicinali, di cui il governo e l’esercito tenevano esatta lista. La spericolatezza del Che. Nella sua analisi, Fidel Castro ne fa preciso richiamo, quando parla della lettera scritta dal
Che a Fidel Castro, nella quale gli chiede scusa per essersi fatto ferire (cioè si scusava per essersi esposto troppo). Nicaragua
o
Honduras
possono
sostituire
benissimo
il
Guatemala. I cavalli in Bolivia non campano.
5
22 febbraio
Partenza molto presto in mattinata per Santiago di Cuba e «giro» da effettuare. Oltre a essere una natura bellissima, la gente è molto pulita, poco del contadino nel senso per es. Italia del
Sud.
Le
ragazze
sono
vestite
più
da
cittadine
che
da
contadine. La popolazione è fittissima. Entri in una capanna di legno, anche dove non ci sono strade, e ce ne sono dappertutto, per es. per la Gran Tierra dove siamo diretti, c’è una strada asfaltata che va fino a Baracoa, e poi per l’interno, dove fanno una grande zona sperimentale agricola, di villaggi ecc., c’è ancora una strada impossibile. Abbiamo fatto undici ore di jeep, le peggiori di quelle fatte fino a ora. Le montagne sono basse, la natura è rigogliosissima, le piante e i fiori anche. La gente dolce, simpatica, bella e civile. È tardi, le otto di sera, e dappertutto si vedono interni illuminati, anche nei centri di capanne nell’interno, con bambini che studiano. È quasi una mania; ma in queste zone non arrivava strada, si camminava solo a cavallo per la strada orrenda che abbiamo fatto noi. Ora ci sono dispensari medici, scuole e, fitte, le aziende agricole sperimentali
ecc.
Il
pezzo
più
interessante
è
un
passaggio
chiuso tra rocce, con salti, burroncini, grosse rocce, un po’ d’acqua, molto suggestivo sulla strada per Baracoa, Rio Jauco. Ma
è
roba
più
da
passaggi
che
altro.
C’è
una
strada,
ma
sempre un sentiero tagliato è! Non è quello che cerco. Mi viene in mente, pensando allo sbarco del Granma e alle fotografie dei morti – che a quanto ho creduto di capire, sono messe nella Colorada a unico ricordo di quanto avvenuto –, che
potrebbe
essere
bello,
dopo
un
tratto
realistico,
la
spedizione e il passaggio del Granma, passare a un pezzo di memoria, con le fotografie dei morti, e ritrovarli nel gruppo, ma tutto solarizzato e i movimenti rallentati e i suoni, gli spari, i granchi dilatati.
Io credo che il film deve andare avanti attraverso queste suggestioni, non deve essere tutto un racconto filato realistico, di ricostruzione realista. Baracoa. Dormiamo nel «salone» a dieci letti. Alle 24 a letto, pieno di dolori.
23 febbraio Il risveglio è da avanguardisti, un po’ come la retorica del guerrigliero – per certe situazioni che riguardano loro, ed è più che giustificata (la nostra no). Però sono giovani e quindi si capisce. Per la retorica dei Paesi caldi, qui non ci sono vetri e siccome abbiamo dormito sulla spiaggia, l’umido è tremendo. Ci avviamo a Moa (miniere nichel). Attraversiamo vegetazione pulite,
l’interno,
stupenda,
dappertutto
macchie
casette
scuole.
turchesi,
come
acqua
di
ieri; legno
Mare
lo o
stesso di
stupendo:
trasparentissima.
carattere,
palma, cale,
Qui
il
molto calette,
mare
è
pochissimo sfruttato: sia come fonte di alimento, che come via di comunicazione, che come sport. È essenzialmente gente di terra: la giustificazione che le spiagge erano detenute dai ricchi e i poveri non potevano entrarci è un argomento che funziona per la città, ma non per queste zone assolutamente isolate e impraticabili.
Tutto
quello
che
si
vede
ora
è
opera
della
Rivoluzione: le casette di legno, le scuole, i dispensari medici, gli abiti dei bambini, la strada di terreno battuto (ma per il 90% è la strada peggiore che io abbia mai fatto, figuriamoci prima!).
Questa
è
zona
di
cocco,
caffè,
cacao,
banane.
Ci
siamo fermati a chiedere di bere acqua di cocco, colto il cocco dall’albero,
tagliato
e
bevuto,
delizioso.
Non
hanno
voluto
niente. Gente simpatica, cordiale, buona e civile. E così fino a Moa. Industrie, miniere: ferro, nichel. Ordinato pueblo nuevo, mare, sole, caldo ecc. Sono a pezzi e ho la febbre. Decidiamo di prendere l’aereo per tornare a Santiago, anche perché il terreno che si attraverserebbe non ha elementi di interesse per la mia «localizzazione». Ho 38°, mi metto a letto. Mi sembra senza dubbio che l’intenzione del Che era quella di creare vari fuochi rivoluzionari (nella stessa Bolivia più di uno e poi in Argentina, in Brasile, in Colombia, in Perù, in Paraguay, in Venezuela) e lasciarli ardere per creare un continente tutto in
fermento, sia per attirare i contingenti di truppe dei governi locali che gli Usa. Sull’esito escludo che si facesse grosse illusioni: gli Usa non avrebbero mollato mai, a ogni costo, i loro interessi in America Latina e solo il sogno che quelle repubbliche diventassero tanti Vietnam poteva essere la meta più
vicina.
Io
credo
che,
malgrado
il
fatto
che
l’America
Latina sia pronta alla rivoluzione (che non ha mai avuto), le varie repubbliche non potranno mai diventare dei Vietnam: la gente è nazionalista perché non riesce a credere in altro, ma la coscienza dei propri diritti e della propria possibile forza credo che sia il bene di pochi, e quindi la massa si attende la libertà come
una
conquista
dei
più
forti
della
quale
poter
eventualmente godere. Dall’epoca della conquista a oggi c’è un salto: parlo della Bolivia, del Perù, ma il discorso credo che valga anche per Brasile, Argentina, Cile, Venezuela dove in certi modi gli operai sono dei privilegiati rispetto agli altri e quindi perdono carica rivoluzionaria. L’indio è indifferente, apatico, senza carica, senza nemmeno curiosità: in Bolivia la rivoluzione del 1952, se così la si può chiamare, partiva da un obiettivo per loro concreto, anche se poi non avrebbero saputo cosa fare: avere la terra. Ma di terra ce n’è per tutti, bisogna lavorarla,
gli
strumenti
non
ci
sono,
e
gli
indios
si
accontentano di lavorare quel poco per i loro scarsi bisogni. Quindi
non
è
stata
una
rivoluzione,
perché
non
c’è
stato
nessun vero cambiamento di strutture. Le distanze immense nel
Paese,
la
bassa
demografia,
la
poca
partecipazione
di
grandi masse «colonizzate» non credo che rendano possibile dei
Vietnam;
esplosione questo
di
che
penso tipo in
piuttosto
che
violentissimo
questi
Paesi
i
e
sia
favorevole
rivendicativo. militari
Ed
a
una
è
per
costituiscono
e
costituiranno, fin quando i soldati «figli della terra» anch’essi non
si
ribelleranno,
«sacrificio»
del
Che,
la
classe
calcolando
privilegiata. le
scarse
Pensando
probabilità
al che
aveva, si può capire quando Debray parla di fatalismo, non di desiderio di morire; forse chissà, solo quando si è accorto che troppe
cose
fallivano,
che
era
isolato,
accerchiato,
tradito,
venduto… ma in questo caso resta sempre il dubbio perché non si sia fatto ammazzare quando li hanno presi.
24 febbraio
Resto
in
albergo,
al
Motel
Versailles
in
Santiago
di
Cuba,
perché indisposto. Lavoro. Tentativo di scaletta. 1° capitolo Nel cielo di Vallegrande l’elicottero. (Il corpo – dal corpo sul pattino – sulla piccola città. Montagne di La Higuera). Gli indios. L’elicottero atterra, ci sono giù i giornalisti (?). La donna lava il corpo, lo compongono sulla pietra. I soldati, la gente, l’americano (Cia), la curiosità e lo sbigottimento, l’orgoglio, la confusione di questi militari da Paese provinciale. La conferenza stampa: la versione ufficiale (il colonnello sul corpo). La stanza della scuola di La Higuera. Gli occhi del Che,
il 6
Terán.
viso, Poi
il lo
corpo fa
seduto
fuori
con
le
spalle
all’improvviso.
al
Il
muro.
tiro
di
Entra
grazia.
Ammazzano anche nell’altra stanza. Autopsia (con relazione alla versione che viene dopo). Altra versione, quella di Bailey: discussione con Zenteno, interviene Selich: schiaffo e sputo a Selich, colpo di pistola di quest’ultimo e dopo raffica e colpo di grazia. Autopsia (non parla del colpo al cuore). Di nuovo versione ufficiale. Il cap. Prado nella quebrada: io l’ho lasciato ferito. Ecco come sono andati i fatti: tutta l’ultima battaglia da quando il contadino avvertire.
di
notte
sente
Operazione
e
vede
militare.
Il
passare Che
i
preso.
17.
Corre
Portato
a
ad La
Higuera. Tutto il racconto di Gary Prado con (analisi Fidel) fino al pezzo di schiaffo e sputo smentito (Gary Prado) ma poi rimesso
perché
lo
conferma
un
soldato
(analisi
di
Fidel
o
intervista). Arriva(no) da Vallegrande i superiori: «Quien quiere?». «Yo». E si rivede tutta la morte fino al colpo di grazia. L’immensa solitudine di Machu Picchu. Le parole dell’articolo del Che? Altre da Il socialismo e 7
l’uomo a Cuba.
Il Perù – l’indio. Chincheros – il battesimo. Come vivono soli, distanza. Ubriachi, non sanno. Il cimiterino. Las barriadas. La scritta sulla montagna. Elementi statistici Cepal. 8
La motocicleta y la balsa* Argentina – Bolivia? Il Guatemala. Il Messico. L’incontro con Fidel. La partenza del Granma.
La Colorada – le foto ricordo: da qui la spedizione come un ricordo. I morti. Tutto allontanato nel tempo, solarizzato, rallentato, dilatato nei rumori poi… di nuovo la realtà sui 12 che vanno e si inoltrano nella Sierra. Pezzi di guerra nella Sierra di repertorio. L’invasione: •
i contadini aderiscono
•
i soldati aderiscono
•
i borghesi aderiscono. Tutti gli scritti esistenti del Che perché servono, attraverso
la citazione di brani, da commento e legame ai vari momenti 9
«chiave» del film. Consultare Retamar
e vedere se può servire
come collaboratore.
10
25 febbraio
Andiamo all’aeroporto. Ci imbarchiamo su di un elicottero sovietico per sedici persone (i cubani caricano fino a circa il doppio, salgono fino a 8600 metri e vanno fino a 220 all’ora, mentre
sovietici
consigliano
180),
voliamo
per
un
po’
ma
siamo costretti a tornare indietro per il forte vento e rimandare a domani mattina alle 7.00.
Il «camarografo» dell’Icaic ha una vecchia Bell and Owell 35 mm a molla, una torretta di tre obiettivi, magazzini da 100 feets, grande quanto una 16 mm da amateurs: mi sembra che vada
presa
molto
in
considerazione.
Non
c’è
bisogno
di
batteria, né di assistente, potrebbe essere l’ideale come ausilio e
come
protagonista
di
certe
situazioni,
tipo
miniere.
Informarsi a Roma, fare provini ed event. technicolor. Preparare Bolivia Produttore locale De Leonardis Provenzale Credenziali prof. Corghi Preparare auto targata Bolivia per ingresso da Argentina Autista Smistamento chassis Pepe Aguilar Preparare Argentina Ricerca Che Buenos Aires I due giornalisti francesi a Rio de Janeiro Il pezzo della tv di San Paolo Perù (Aereo per riprese) Cile Sopraluoghi ed eventualmente girare Sostituzione Guatemala Leprosario I due in motocicletta Balsa Marco Preparare Cuba, e in secondo momento con Pepe. Bell and Owell Ottica
Ultimo tipo Zoom (elettrico) 300 (256) Filtri Cavalletto (da far fare riducibilissimo) Lampade minuscole (a quarzo) Problema
pellicola
da
portarsi
dietro
e
da
trovare
sul
posto o da spedire quantitativo Arriflex Camuflage accessori (pezzi ricambio auto) Obiettivi macchina fotografica Braccetto grue Registratore minuscolo Technicolor: 3 buchi 3 buchi bianco e nero.
26 febbraio Partito in elicottero alle 8.00 per sorvolare Sierra Maestra. Per le
condizioni
atmosferiche
(molto
vento
e
nuvole)
il
volo
presenta delle difficoltà e non possiamo proseguire e terminare tutto
l’itinerario.
Comunque
ci
sono
pezzi
che
possono
(sempre in un quadro generale nel quale la Bolivia sia ben presente
non
solo
fisicamente
con
le
sue
montagne
ben
maestose, ma anche nel racconto che riguardi il campesino e il pueblo) essere utilizzati. Atterriamo importante
in
un
posto,
combattimento:
El
Uvero,
c’era
un
che
blocco
fu di
sede
di
pietra
un con
bassorilievi dei morti e feriti. Ora il tutto è un parco della rimembranza, modesto, ma con una sua semplice suggestione. Il nostro gruppo ed equipaggio dell’elicottero più Bebo, Pardo e Guillermo (tutti giovani uomini, tranne Pardo che ha 41), parlano continuamente, fittamente della Rivoluzione, di quello
che
non
c’era
prima, di
quello
che c’è
ora.
Questo
elicottero sovietico è magnifico per il viaggio, non altrettanto per le esigenze del cinema che richiede che si volteggi, si ritorni sulle cose, si parli e qui c’è un rumore d’inferno, non si sente, il pilota è lontano… Alle 15 vengono i soldati: facciamo il pieno per domani. Ci fermiamo anche a cena; simpatici dei ragazzini. Vidal, il pilota, è proprio un ragazzino, gli insegno e spiego come è fatta Venezia: vuole vedere Venezia (e ha ragione!). Itinerario eventuale di domani: •
Sierra Maestra
•
zona El Francés
•
un fiume con curva larga (ora secco)
•
due con cañadas
•
tre con lomas y quebradas*
•
La Mesa, tentare di atterrare
•
La Plata, boschi fitti tropicali, tentare di atterrare
•
Turquino
•
Manzanillo – combustibile
•
La Colorada.
27 febbraio Questa mattina alle 7.00 siamo già all’aeroporto. Alle 7.30 partiamo. A un certo punto mi seggo accanto al pilota e posso meglio vedere, fare fotografie (attraverso lo sportello aperto). La
prima
zona
di
montagne,
venendo
da
Santiago,
che
presenti un certo interesse è il Madrugón. È un complesso spelacchiato
ma
con
sfondo
un
massiccio
montagnoso
che
appare tutto nudo e sembra più alto di quello che è. C’è il letto di
un
fiume
(non
completamente
secco)
che
scende
a
serpentina e nel quale si inserisce un altro corso di fiume, anch’esso ora secco. Allo sbocco a mare, naturalmente, si allarga, offrendo varie possibilità.
(Il guaio di queste zone della Sierra è che sono rari i pezzi che non presentino qualche casetta, gruppo di case, capanne. Alcune all’occorrenza possono anche servire, coprendole di fango alla maniera boliviana, forse.) Zona
di
interesse:
Peladero,
Dos
Brazos,
La
Mesa,
Rio
Turquino. Questa zona presenta vari aspetti interessanti: •
Altezza.
•
Aspetto da massiccio montagnoso simile a quelli boliviani (La Higuera).
•
Corsi di fiumi (ora secchi) con relative quebradas.
•
Aperture dei letti dei fiumi in prossimità del mare che è molto vicino.
•
Natura varia della selva, per lo più però piuttosto rada.
•
Località abbastanza accessibili.
•
Il picco del Turquino (2000 m) sullo sfondo. La
Mesa
presenta
anche
una
vegetazione
tupida*
tipo
Ñancahuazú. Quindi, secondo l’optimum (ed è a quello che bisogna mirare anche
per
lasciarsi
la
porta
aperta
per
tornare
in
Bolivia)
bisognerebbe fare in Bolivia gli episodi a carattere militare visti dalla parte dei soldati boliviani e cercare di ottenere anche le interviste sulle operazioni militari (Zenteno, Gary Prado, Niño
de
Guzmán
ecc.)
e
in
Cuba
la
corrispondente
parte
guerrigliera, compreso dalla cattura del Che alla sua morte, costruendo qui nelle montagne la scuola di La Higuera e un profilo del pueblo. A questo scopo occorrerebbe comunque un sopraluogo accurato in Bolivia. È importante l’architetto e lo scenotecnico. Per i raccordi ciò che sarà diverso è la limpidezza dell’aria. Bolivia: visioni aeree (dopo spiegazioni sulla carta della Bolivia, col. Zenteno) del Ñancahuazú, casa Calamina… Cuba: … accampamento guerrigliero Ñancahuazú. Cuba: imboscata 23 marzo.
Bolivia (continua la spiegazione di Zenteno). Miste:
operazioni
militari.
Oppure
(nella
peggiore
delle
ipotesi) tutto a Cuba, ma con pezzi generali (che non siano quelli
precedenti,
clandestini)
su
Bolivia:
e
nel
caso
non
permettessero questi pezzi in Bolivia, bisognerebbe farli in Cile. Bolivia incontro con campesinos (padre Schwarz ecc.). Bolivia giuramento campesinos. Bolivia la caccia ai guerriglieri soldati. Cuba guerriglieri (ricerca dei viveri – cercare tipi indios da trasferire). La battaglia di La Higuera Soldati boliviani. Bolivia. Cap. Prado. Guerriglieri e dalla cattura del Che – Cuba. Interni scuola – Cuba. Altra zona di interesse: La Plata. C’è
un
pezzo
molto
fitto
di
vegetazione,
come
Ñancahuazú. Non atterriamo né a La Mesa né a La Plata, c’è difficoltà, e comunque sarebbe inutile perché bisogna andare da terra ed esplorare bene al momento stesso della scelta, tenendo conto che gli esterni di campagna cambiano con il cambiare delle stagioni: fiumi, vegetazione ecc. Problema barba Che per sbarco Granma (per ultimo). Problema
ricostruzione
La
Higuera:
sopraluoghi
e
ricostruzione non appena a Cuba. Intanto (che si ricostruisce e si prepara) girare cose per es. invasione;
Cuba
dopo;
Marco,
prima,
scegliere
e
preparare
questa gente. Atterriamo
a
Manzanillo
simpaticissimo
e
ottimo
desayuno* al campo militare dell’aeroporto. La simpatia di questi ragazzi militari mi fa tornare alla mente la simpatia
degli americani a Napoli nel ’44, ’45, ma purtroppo il ricordo si fa ancora più struggente. Da liberatori a oppressori. Qui quello
che
si
continua
a
vedere
fatto
dalla
Rivoluzione
(pueblos, ospedali, case, scuole) è segno non solo di un ritorno travolgente, ma di un disegno ben preciso tutto allo scopo di creare la nuova generazione e la grande produzione agricola. Fidel è intoccabile (lo amano sul serio). Il Che è un santo, infallibile. Da
Manzanillo
a
Las
Coloradas
(sorvoliamo
banchi
di
sabbia e vegetazione in un mare di tutti i colori dal turchese all’anice, all’azzurro, al viola). Las Coloradas, incredibile lo sforzo che devono aver fatto per attraversare l’intrico di radici, rami, foglie, incredibile alla descrizione, senza machete nel fango fino al petto; orribile e meraviglioso. E la Sierra lontana. Come ci sono arrivati? Zona intermedia di acqua. Bombardamenti. Potrebbe venire bene. Rendere più bianchi gli sterpi, più spettrali. E non staccare le foglie, o addirittura invece, a una a una. Da giù e dall’aria. Al punto dello sbarco c’è il cartellone con i 27 morti: molto squallido, ma per questo con un certo che. Riflettere se posso realizzare l’idea dell’evocazione. Buon rumore di vento. I granchi (vedere). I piedi tutto… Fino all’ingresso. Sierra. Ho un dolore reumatico nella spalla che mi tormenta. Torniamo alle 16 a Santiago. In albergo a lavorare.
28 febbraio In giro per Santiago di Cuba.
Granja Siboney. Cuartel Moncada. Esposizione fotografica dal Moncada alla Sierra. Alle 16 si parte per La Higuera. Promemoria per La Habana: •
Fotografia del Che (chiedere a Pardo).
•
Rivedere
«Hasta
la
victoria
siempre»
–
episodio
Villa
Clara per Manuela. A. Varda. Bolivia. L’artificiere. •
Mauro Casagrande.
•
Pagano (ambasciata Italia).
•
Retaman.
•
Esemplare rivista Cuba dedicato al Che.
•
Quello che è uscito recentemente sul Che.
•
Karol.
•
Oscar Lewis.
•
Libri
di
Lewis:
Antropologia
de
la
pobreza
e
Pedro
Martínez. •
Raúl Prebisch, uno dei maggiori economisti americani già direttore della Cepal (commissione dell’Onu per l’America Latina) e attualmente segretario generale della Conferenza per il commercio e lo sviluppo.
•
Josué de Castro ex direttore della Fao.
•
Nueva historia de Bolivia di Enrique Finot.
Promemoria per José Luis Alcázar (Bolivia): •
Tutto
ciò
che
riguarda
movimenti
nella
zona
mineraria
prima del 24 giugno. •
Montare
informazioni
su
foto
mie,
se
è
venuto
fuori
qualcosa dei servizi di Bailey. •
Cercare
di
avvicinare
uno
dei
sindacalisti
o
minatori
allontanati. •
Dirigentes mineros: Juan Arce, Pacifico Medina, Cecilio Fernández (24 giugno).
•
Padre Gregorio: emisora Pio XII (Siglo XX), nastri delle comunicazioni 24 giugno da Siglo XX.
•
René Chacón (dirigente di Siglo XX) si è messo d’accordo col governo per soldi.
•
Repressioni in città, studenti.
•
Avv. Torrigo (le settanta cartelle).
•
Pezzi di diario fatti circolare.
29 febbraio La Habana. Alfredo mi annuncia che non è possibile incontrarsi con Fidel. prima di lunedì della settimana prossima e che quindi devo rimandare la partenza, ma che comunque a dire di Celia 11
Sánchez
nella
settimana
poi
sicuramente
si
prenderà
una
decisione.
1 marzo La Habana. In albergo a lavorare. 12
Loin du Vietnam
all’Icaic.
Un giorno di un campesino del Cuzco. Un giorno di un campesino immigrato in una «barriada» a Lima. Un giorno di un campesino dell’altopiano in Bolivia. o La nascita. La vita. La morte. L’immagine
delle
ricchezze
naturali
dell’America
del
Sud,
tenute come «riserva» dagli Usa (appoggiare questa tesi con
autorevoli
pareri
storici
ecc.)
è
un
altro
degli
elementi
indispensabili per la conoscenza del problema. Ricchezze naturali in superficie e sotto la terra. Paz Estenssoro (Lima). Bolivia terra di conquista per i preti.
2 marzo Enzo è tornato a Santiago per effettuare un sopraluogo da terra sulla zona individuata nella Sierra Maestra. 13
A colazione con Carlos Franqui:
il Che credeva nella
gente (in un viaggio che avevano fatto in Polonia era contento che non esistessero più in quel Paese prostitute), è possibile che, quando è stato convinto, all’ultimo, che i contadini (il popolo) non lo seguivano, sia rimasto annientato da questo fatto e che, visto tutto perso, abbia voluto morire. D’altra parte che poteva fare. Andare via, mettersi in salvo, dalla parte del Cile,
come
i
cinque
che
ci
sono
riusciti;
non
poteva
Che
Guevara uscire dalla Bolivia in quella maniera. Tutti o quasi tutti i suoi compagni cubani erano morti in combattimento. Avrà pensato anche, a quel punto, che sarebbe stato certamente più utile alla Rivoluzione da morto. Non portava la pistola, per il peso. Preferiva non portare neanche
un
analizzatore Fidel
che
cuchillo* della
anche
per
realtà, nei
evitare
del
il
peso.
momento,
momenti
più
Era
ma,
difficili
a
un
grande
differenza
era
e
di
rimaneva
sempre convinto della vittoria, poteva avere delle delusioni molto
profonde
e
pericolose
nel
confronto
con
la
realtà
a
distanza. (Debray dice che il suo crollo «intimo» è cominciato quando
si
è
reso
conto
che
la
tattica
–
sbagliata
–
non
corrispondeva alla strategia giusta.) Lui pensa che ci siano stati degli scontri di discussione con Coco Peredo: Coco gli avrebbe assicurato l’adesione popolare, sempre. E qualche episodio può essere stato una prova voluta fare dal Che. Per es. l’aver parlato alla gente, gli indios sono come pietre. (Può essere la conferma richiesta per smentire l’asserzione di Coco.)
Nella lotta rivoluzionaria certi errori vengono fuori dallo sviluppo dei fatti, non si possono prevedere, anche a costo di rischiare grosso. L’«indifferenza» dal momento in cui lo hanno preso
ferito,
la
conferma
con
episodi
precedenti
e
comportamento relativo. Il Che e Debray non si erano capiti. Uno degli elementi più importanti, il determinante della sconfitta
della
dell’America
guerriglia,
Latina.
è
Prima
la
ritirata
erano
dei
partiti
d’accordo,
comunisti
poi
si
sono
ritirati (ed è chiaro che quando c’è la guerriglia in un Paese il comando lo deve avere chi comanda la guerriglia e non il Partito comunista), il che ha determinato sfiducia nella gente stessa,
oltre
alla
mancanza
di
appoggio
dell’organizzazione
politica di partito. Le rivoluzioni non possono nascere fuori dal movimento politico di un partito. Né d’altra parte possono essere solo ideologiche come era finito per diventare il motivo della guerriglia in Bolivia. La sera Pepe mi ha invitato dopo teatro – La notte del faraone, spettacolo di Gran Guignol molto buono – a casa 14
dell’attore Sergio Corrieri dove c’era anche Celia Guevara.
Credo che l’incontro sia stato provocato da lei per «vedermi» più che conoscermi, perché un dialogo diretto sull’argomento con lei non c’è stato. Dice Pepe che è una che non ne vuole sentire neanche parlare, non nel senso che sta contro (conosce i
miei
film
e
mi
stima),
ma
perché
non
vuole
parlare
dell’argomento. Ha l’aria molto intelligente e viva, ma più da ascoltatrice
che
dopo
aver
meditato,
anche
per
più
di
un
giorno, poi si fa viva in qualche modo, che di quelle a colpo diretto subito.
3 marzo Sono
arrivati
ieri
sera
Pierini
e
15
Moroldo
per
tentare
un
servizio sui cinque. Parlo di Pierini a Pepe per tentare un eventuale incontro con Aleida. Pepe dice che non c’è niente da fare, tanto meno con lui [il padre]. Ce l’hanno con lui per la faccenda della dichiarazione: «Cercherò il corpo di mio figlio dappertutto in Bolivia, Santo Domingo, Cuba…». Dice che lui ha il dubbio
che l’informatore sia [Ricardo] Rojo, amico del Che che loro non amano. Andiamo
tutti
a
teatro
(La
noche
de
los
asesinos,
alla
Tennessee Williams, ma con un secondo atto migliore e più umano, meno isterico ed esteriore del primo, ottimo livello di recitazione, di regia e tecnico) e c’è anche Celia: ostenta molta ostilità all’incontro con Pierini, che ci rimane malissimo e si allontana per tutta la serata restando con l’ambasciatore di Cuba in Marocco. Celia spiega poi a Carlos Franqui e me la faccenda della dichiarazione del padre che è falsa, che il padre alludeva al ’59, che il padre dopo l’episodio ha avuto una depressione nervosa.
Carlos
evidente
che
e
io
essendo
tentiamo
la
quella
«posizione»
la
difesa
di
Pierini. della
Ma
è
famiglia,
anche se il vecchio, in un momento così alla morte del figlio, esasperato dal dolore e dalla mancanza di sicurezza di notizie, ha detto esattamente quello che Pierini dice che è la verità, niente potrà cambiarla, neanche eventuali prove. Siamo
passati
a
salutare
Retamar
perché
Karol
parte
domattina. È il secondo del «club» che riesce a partire; lui e Oscar Lewis, poi ci dovrei essere io. Pepe parte domani e resta fuori fino a venerdì. Parlato con lei a proposito di notizie precise [sul] Guatemala, incontro con 16
Fidel, Patojo La
sua
e preparazione lavoro Argentina. È d’accordo.
posizione
di
non
buoni
rapporti
con
Alfredo
si
è
accentuata a seguito del suo intervento sotterraneo di aiuto a Tutino – Aleida – Llanusa ecc. (Ma a me questo non deve interessare.) E comunque mi dice che Celia Sánchez ha detto che se si fa questo film, lei ci deve lavorare, come d’altronde io ho deciso sin dal primo momento. Aleida ha i diari del marito del tempo del Guatemala (già allora annotava tutto giorno per giorno) e Pepe conta di potervi avere accesso. Pensare che Pepe potrebbe essere utile per: •
Ricerche periodo Guatemala incontro con Fidel
•
Patojo
•
Periodo ministero Industria, cronologia esatta viaggi Che
•
Anticipo viaggio in Argentina e relativa preparazione
•
Ricerca altro Che
•
Che giovane
•
Mentre io in Bolivia, ricerche in Honduras e Nicaragua
•
Sostituzione di Guatemala
•
Ricerca posto leprosario
•
Balsa, motocicletta ecc.
•
Accertare
movimento
rivoluzionari
di
17
Masetti
a
Salta
(raccogliere quello che c’è).
4 marzo Saluto
al
telefono
Oscar
Lewis
di
partenza
per
Ciudad
de
México e New York. Gli confermo che i primi due capitoli de La vida, che mi dice uscirà in spagnolo a luglio, mi sono molto piaciuti. La situazione de I figli di Sánchez è che Anthony Mann gli ha dato 50.000 dollari e allo scadere dell’opzione, 1970, dovrebbe dargliene altri 20.000. Naturalmente a Mann cederebbe il tutto, ma è caro (anche se gli è costato fare una sceneggiatura che Oscar dice che è molto brutta). Cederebbe il tutto a 100.000 dollari. Oscar insiste per l’ultimo (già uscito a New
York
e
Kazan
gli
ha
detto
che
vorrebbe
farlo),
il
personaggio di Fernando è molto bello: la storia si svolge tra Portorico e New York. 18
Viaggio Che e Granado.
I primi viaggi dal 1950. Solo sulla bicicletta a motore. A bordo nave carretta. Viaggio lungo con Alberto Granado nel 1952 iniziato con la Norton di Osvaldo Bidinost. Argentina. Attraverso un passaggio in Cile, deserto di Atacama, nord Cile da Iquique a Lima (Perù) in nave. Leprosario di Huambo (Perù).
I versi di Pablo Neruda. «La rivoluzione senza sparare!» Porto del Callao, si imbarcano clandestini. Il cap. li fa buttare in mare. Iquitos (Alto Perù), alto Rio delle Amazzoni. Attacco di asma. Leprosario di San Pablo, provincia di Loreto. Sulla zattera, discesa di 200 km del Rio delle Amazzoni. Leticia (Colombia). Caracas: Granado resta, Guevara prosegue con aereo – cavalli. Miami. Buenos Aires. A cena con Laura Gonsalez. Da quanto sa (sta preparando 19
l’antologia del Che per Einaudi)
e dalla nostra conversazione
viene fuori la conferma a molte delle opinioni che mi sono via via andato formando: soprattutto sulla fondamentale struttura da intellettuale del Che, sul suo volontarismo, sulla sua fiducia volontaristica nell’uomo, sulla sua convinzione di poter creare l’uomo nuovo. Penso ancora una volta che, alla scoperta della non
adesione
popolare
(contadini)
alla
fine,
in
lui
ci
deve
essere stato il crollo. A dire di molti, in Fidel sarebbe stato diverso: ha più fiducia a distanza, più forza di convinzione. Fidel è la storia, si identifica con la storia, fa la storia e che la gente intorno a lui cada, ha una relativa importanza. Sono convintissimo che il Che era un sentimentale (malgrado le sue analisi, la sua lucidità ecc.): viene fuori chiaro dai suoi scritti. La
pagina
scritta
per
Patojo.
In
definitiva
l’amore
per
la
famiglia, la voglia di avere una famiglia o l’idea di questa, i figli ecc. Libri •
Gabriel García Márquez, Cien años de soledad (Editorial Sudamericana, Buenos Aires).
•
Los funerales de la Mamá Grande.
•
Er coronel no tiene quien le escriba.
•
Julio Cortázar, Rayuela (Editorial Sudamericana, Buenos Aires).
•
Juan Rulfo, Pedro Páramo (Nortis, Mexico).
•
Cile, dirigente della Lega campesina.
•
Deputato Partito socialista.
•
Il presidio ribellioni in massa.
Laura è convinta di un forte rapporto di filiazione tra il Che e Fidel. Fidel è stato sempre quello che ha agito con un denso passato
di
azione
politica,
mentre
il
Che
veniva
da
un’esperienza teorica e di azione, però per quanto riguardava una sua ansia di agire in nome di una giustizia. La coscienza rivoluzionaria gli si fece man mano in questa esperienza di conoscenza di un mondo in cui le ingiustizie sociali erano tanto forti ed evidenti da insinuargli poco a poco una chiara coscienza rivoluzionaria e il cambiamento, da un certo momento in là. [Il]
Guatemala
fu
decisivo
e
totale
fino
a
chiarirsi
attraverso l’incontro con Fidel e a rafforzarsi in una precisa e lucida esigenza e coscienza rivoluzionaria.
5 marzo Da tutto quello che ha lasciato scritto il Che – le varie lettere oltre tutto da quando ha deciso di andare in Bolivia – appare chiara la coscienza delle scarse possibilità di riuscita piena e al momento delle imprese, e quindi la sua probabile fine. Io non credo
che
qui
come
altrove
sia
molto
chiaro
ciò
che
si
prefiggeva il Che: sono tutti sempre alla ricerca delle ragioni degli errori, come se tirare le «conclusioni» fosse importante agli
effetti
di
l’accendersi cosa
una
dei
secondo
vittoria.
vari
me
La
vittoria
fuochi rivoluzionari
prematura
per
le
sarebbe (dei
stata
vari
condizioni
solo
Vietnam
dell’A.L.)
dappertutto e quindi il grosso problema creato agli Usa. È naturale accettato.
6 marzo
che
questo
progetto
venga
difficilmente
capito
e
20
Oggi sono arrivati i tre guerriglieri cubani, tra i quali Pombo
e le due guide boliviane. Naturalmente prima di vederli, se ne daranno la possibilità, chissà quanto ci vorrà.
21
7 marzo È
giovedì
e
comincio
a
mettere
seriamente
in
dubbio
la
possibilità dell’incontro con Fidel prima di domenica.
8 marzo Ormai
sono
psicologicamente
entrato
nell’idea
di
aspettare
ancora una settimana; tanto, non è che uno può agire molto diversamente quando si tratta di incontrarsi con il personaggio che è Fidel. E d’altra parte, dopo quattro mesi e mezzo di lavoro e di pazienza e di manovre più o meno abili, sarebbe anche da fesso mollare tutto così. Aspetterò fino a domenica 17, incoraggiato anche dal fatto che la coincidenza di essere partito da Roma il 17 (gennaio) e di ripartire da qui il 17 (marzo) potrebbe essere un segno favorevole, per quello che a me comunica di piacevole la vista del numero 17 che mi capita molto sotto gli occhi da un po’ di tempo a questa parte.
9 marzo Comunicata Alfredo
la
decisione;
comunque
mi
accettata
sembrava
come
veramente
cosa e
prevista.
sinceramente
dispiaciuto del fatto di non poter riuscire a fare di più. La cosa che più mi addolora è che non potrò essere a Napoli per il 22
compleanno di Francesca.
10 marzo Mi vado a fare un bagno al mare. Fa caldo da fine giugno a Roma.
11 marzo
Comincia un’altra settimana. E ci vuole molta calma e molta pazienza. camera
Comincia
ad
a
muoversi
avvertirmi
di
un
qualcosa:
incontro
Alfredo
molto
viene
importante
in per
questa sera. Fidel – come io immaginavo – elude l’incontro perché
praticamente
risolverebbero
tutti
anche i
vari
con
un
suo
problemi
di
«sì»
non
si
conoscenza,
di
approfondimenti del mio modo di avvicinarmi all’argomento, 23
al personaggio Che; e quindi ha dato incarico a Barba Roja, personaggio avviare
il
importante processo
e
influente,
«decisivo»
di
per
prendere
lui,
o
contatto
addirittura
e la
decisione. Altra preoccupazione è l’aspetto finanziario: sono preoccupati di doversi esporre – per partecipare al film – con un
esborso
di
denaro,
ma
tra
me
e
Enzo
abbiamo
tranquillizzato Alfredo assicurandogli che tutto quello che sarà fuori Cuba è peso della produzione italiana, e quello in Cuba invece dipenderebbe da loro, «grosso modo» naturalmente. Alle nove di sera ci troviamo alla «Torre» in una saletta privata. Con Barba Roja c’è un personaggio molto giovane e che si va rivelando poi via via un profondo conoscitore di tutti i fatti della guerriglia e quindi elemento preziosissimo come asesor ora e in seguito. Barba Roja è giovane, simpaticissimo, cordiale,
con
una
faccia
molto
aperta
e
occhi
intelligenti,
attenti spiritosi, ma che improvvisamente mutano espressione per farsi anche impenetrabili e duri. È un uomo robusto che ama ridere e ride con humor, ma con uno spirito critico dei fatti
e
degli
atteggiamenti
l’impressione idealistico,
che
che
è
sempre
all’entusiasmo
morale
e
e
costruttore,
presente.
alla
fiducia
unisca
una
Mi di
dà tipo
notevole
esperienza di vita fatta combattendo sulla Sierra e nei posti di governo e come ricerca culturale personale. È
uno
dei
tre
membri
della
commissione
degli
Affari
esterni del partito e il viceministro degli Affari interni. Siamo lui,
Alfredo,
il
«personaggio
informato»,
Enzo
e
io.
La
conversazione si protrae fino alle 2.00. Spiego come voglio fare
il
film:
Giuliano
e
interessante.
(prima di
si
è
situazione
Insomma,
è
parlato
di
politica d’accordo
pesca in e
subacquea
Europa). dice
che
e
di
Gli
pare
gli
pare
un’iniziativa «importante» così come io lo voglio impostare il film.
Ammira
(ritenendolo
indispensabile)
un
certo
tipo
di
collaborazione tecnico-militare-guerrigliera al film, agli effetti della verità ecc. Insomma saremmo forse usciti dalla palude.
12 marzo Penso
che
lo
staff
di
preparazione
dovrebbe
essere
così
composto: •
Saverio Tutino – A La Habana, completamento ricerche e raccolta notizie, documenti, dettagli storici di ricostruzione episodi viaggio Granma, sbarco a Las Coloradas, Alegría de Pio fino alla riunione con Fidel.
•
Elementi statistici – Invasione dell’isola fino all’arrivo a La
Habana.
Raccolta
documenti
e
dettagli
periodo
post
trionfo della Rivoluzione, viaggi all’estero del Che, fino alla partenza del Che da Cuba. Incontro con personaggi autentici
attori
degli
avvenimenti.
Messa
a
fuoco
dei
passaggi storici salienti e corrispondenti passi dagli scritti del
Che
dai
commento
quali
viene
migliore
ai
fuori
fatti
la
sua
ideologia
e
il
stessi.
(A
questo
fine
si
potrebbe ricorrere forse anche a un personaggio cubano che
potrebbe
aiutarlo,
che
stia
facendo
un
lavoro
di
raccolta di tutti gli scritti del Che. Si potrebbe chiedere ad Alfredo.) •
Marco Guarnaschelli – A La Habana e in stretto contatto con il lavoro di Saverio.
•
Collaboratore locale – Ricerca tipi e mezzi militari per guerriglieri, per sbarco Granma, per Alegría de Pio, per l’invasione, per l’arrivo a La Habana.
•
Tutti i personaggi veri e ricreati.
•
Uniformi, barbe, armi ecc. Documentarsi molto vedendo tutti i documenti filmati esistenti all’Icaic (e anche i film, per quello che non si deve fare). Ricerca personaggi tipo: Patojo, Coco, capi guerriglieri, ufficiali boliviani ecc. (con ricerca in Mexico ed event. Cile, attori e non). Sopraluoghi preliminari.
•
Pepe
Aguilar
(Nicaragua, Argentina.
–
Preparazione
Honduras).
Argentina,
Eventuale
Documentazione
(anche
Guatemala
ricerca attraverso
attore lettere
in e
diari del Che – famiglia e moglie) sui viaggi del Che, sulla situazione politica in Argentina, su Salta. •
Leprosario Alto Perù. Cile?
•
Sergio
24
Canevari
–
Preparazione
eventuali
costruzioni.
Armi, effetti speciali. Considerare se fargli fare un viaggio prima.
•
Costumi?
Urgente Fare subito prova pellicola 16 mm in 35 a colori e in bianco e nero formato. Macchina da presa – cavalletti ecc. Suono, microfoni. Sistema fotografico per creare dimensione memoria. Confrontare lavoro Roma e Ltc Parigi. Urgente vedere Corona. «Gentile Cogis.» Faccia molto interessante (suoi occhiali cerchiati oro). 25
Chino López.
Lo si trova a La Casa de las Américas. La giornata si è svolta, come prevedevo e come è ormai prassi accertata
qui,
senza
«richiami»
allo
sblocco
situazione
avvenuto ieri sera. Ho sollecitato ancora una volta gli incontri che mi servono e… bisognerà aspettare. Mi è arrivata notizie comunque che «Alfredo è contento». In serata incontro con Chino López, lo guardavo senza riconoscerlo per un ragazzo già conosciuto la prima volta che sono venuto a La Habana, 26
per la sua forte rassomiglianza con il disegno de El Chino,
il
quale comunque dovrebbe avere avuto più anni. Comunque López
ha
una
faccia
molto
interessante
e
un’espressione
attenta, patetica e intensa insieme da tenere presente Al Polinesio arriva Barba Roja, solo; ci salutiamo e ci invita al suo tavolo. Mi conferma la sua ottima impressione dell’impostazione che io voglio dare al film: nel pomeriggio aveva parlato con Aleida (non si era fatto vivo nessuno, ma le cose camminavano lo stesso). Mi annuncia un incontro per domani. Gli dico che ho bisogno di parlare con quello che stava la sera prima con lui: non dice né sì né no. Staremo a vedere.
Assicura
collaborazione.
È
un
personaggio
importantissimo, moltissimo
in
e
come
preda
a
tutti un
i
dirigenti
impulso
cubani,
lavora
mistico-concreto
di
dedizione assoluta alla idea che è la forza maggiore di questa Rivoluzione. Senza l’esempio di questa gente si sarebbe fatto ben poco, credo. L’esempio è quello che conta quando non c’è una condizione rivoluzionaria esplosiva giù a livello popolare, e a questa esigenza ha finito per immolarsi (può darsi negli ultimi tempi con piena coscienza e decisione) il Che.
13 marzo Telefono
a
Pepe
per
comunicargli
gli
incontri
e
sapere
qualcosa di Aleida: non risponde. Bisogna riflettere sull’esigenza di mettere a pendant della azione Granma – Las Coloradas – Alegría de Pio – Sierra – il 27
sollevamento in Santiago di Cuba (Frank País)
e l’assalto al
Palazzo presidenziale (José Antonio Echeverría). La battaglia più importante della Sierra? El Uvero? Attesa
in
albergo,
ma,
come
ormai
mi
è
chiarissimo
e
secondo il costume di qua e secondo anche ciò che io ho sempre previsto, è una attesa vana perché nessuno si fa vivo. Staranno parlando: semplicemente fanno passare il tempo. O ancora può darsi che il discorso di questa sera di Fidel li tenga occupati. Ore 20.00 vado per il discorso di Fidel. Comincia alle 21.00 finisce alle 2.00. Bellissimo discorso. Al
Polinesio,
dopo
il
discorso,
incontro
Piñeiro
(Barba
Roja) ma non fa alcuna allusione a eventuali appuntamenti per domani, come aveva invece fatto la sera prima. Incontro Papito 28
Serguera:
mi chiede e mi dà l’impressione che non sappia
niente.
14 marzo Alle 9.30 con Saúl vado per l’appuntamento con il capitano del buque atunero* Emperador. Ci vuole tutta la mattinata per trovarlo, e poco male che andiamo da una parte all’altra del porto, così vedo cose nuove.
Il discorso di Fidel, duro con la gente che non segue la Rivoluzione,
è
sacrosanto:
sempre
di
più
mi
faccio
la
convinzione che qui, tolti i dirigenti, i giovani e i soldati, la massa
si
lascia
trascinare,
pretendendo
che
la
Rivoluzione
risolva – come dovere – i loro problemi: deve essere un peso tremendo e orribile; gente pigra, inerte (La Habana è un quarto della
popolazione
di
tutta
Cuba)
che,
come
in
tutte
le
rivoluzioni, rappresenta un peso morto e più che morto perché un elemento di decisione continua dell’opinione. Al porto la gente lavora con un ritmo – che è lo stesso di tutti, camerieri, bagnini, autisti di taxi ecc. – per il quale ci vuole perlomeno il triplo del tempo a fare le cose. Tutti in guanti
all’uso
americano,
se
la
prendono
comodissima.
Il
problema dell’efficienza della gente nel mondo socialista è un vero dramma e, a giudicare dai risultati che sta dando una generazione
di
giovanissimi
in
Urss,
un
dramma
che
si
fa
sentire anche sul futuro. Qui però i giovanissimi – i ragazzini – vengono allevati e educati in uno spirito più libero, senza le costrizioni, le rinunce, le oppressioni che dovettero subire i giovani
nell’Unione
sovietica,
quindi
le
cose
dovrebbero
essere diverse. Naturalmente i problemi dei due Paesi sono profondamente socialismo…
diversi,
servirà
ma
dato
anche
che
questo
qui
stanno
esame
di
facendo
un
il
processo
realizzativo. Andiamo in giro e finalmente poi vedo il ragazzo: ha una bellissima faccia, occhi piccoli ma acuti e attenti. Labbra un po’ carnose. La faccia è bella, il corpo anche, i movimenti pure, non dà però l’impressione a occhio e croce di un giovane studente acceso di ardore come il Che da giovane, e non so quanto
gli
assomigli
da
giovane.
Comunque
ha
una
faccia
molto bella. Vado a vedere il Palazzo presidenziale per farmi un’idea 29
del 13 marzo ’57:
è piccolo, niente di spettacolare, ma la sua
goffaggine di palazzo di rappresentanza in America del Sud può giocare il suo ruolo. Comunque l’episodio mi sembra importante per esprimere la partecipazione della città allo stesso tempo della lotta nella Sierra. Pomeriggio di attesa vana.
Niente di nuovo anche per la sera e la notte.
15 marzo Enzo,
secondo
una
comunicazione
di
ieri
sera,
dovrebbe
vedere alle 13.00 Yelin e il vicepresidente dell’Icaic. Invece
mi
modificato
avverte
perché
che
l’appuntamento
Piñeiro
e
il
sarebbe
personaggio
stato
che
si
accompagnava a lui l’altra notte hanno chiesto di incontrarmi. Infatti, arrivano (con un ritardo di un’ora e mezzo e avendo già
mangiato,
colazione
mentre
insieme
–
era
convenuto
ritardo
e
che
cambio
saremmo
di
andati
programma,
a
cose
normali per le abitudini cubane) alle 14.30 e ci fermiamo a chiacchierare
fino
intelligente
simpatico,
e
alle
17.30. ma
Barba
anche
non
molto
solo
concreto
è
molto e,
cosa
assolutamente «contro» le abitudini dei cubani, rapido: lo si spiega con il fatto che è militare e dirigente rivoluzionario e uomo
abituato
all’azione.
Il
fatto
che
lui
sia
ritornato
a
incontrarmi è segno che l’iniziativa interessa a livello alto, e ne ho avuto anche continue conferme da altre parti. Profitto della sua presenza per perorare la causa di Pierini e lo faccio venire in camera, e Pierini ne sa approfittare solo in parte perché invece di andare più al sodo, comincia a parlare e parlare, soprattutto di cose inutili, e l’altro invece lo invita a essere «flessibile» in quanto a periodo di sosta in Cuba, una speranza praticamente, e un’apertura. Alle 19.00 tutti all’auto di Fidel. Una pioggia dirotta e ininterrotta sotto la quale resto tutto il tempo (incontro e parlo a lungo con la moglie di Llanusa) ad aspettare per incontrare Fidel, ma alla fine vengo fregato dalle guardie che mi tagliano fuori e dal fango che mi impedisce di fare in fretta per avvicinarmi a Fidel. Pazienza! In serata mi viene
annunciato
Pombo.
Questo
è
l’incontro il
segno
della più
mattinata
chiaro
e
seguente
importante
con della
attenzione e dell’interesse in alto per andare avanti: P. non lo ha
visto
nessuno
personaggi militari.
al
di
fuori
di
alcuni
pochissimi
alti
16 marzo L’incontro avviene in una casetta fuori dalla città. Personaggio estremamente interessante, anche perché a vederlo sembra un ragazzo
(è
molto
giovane)
senza
particolare
peso,
ma
al
parlargli le cose cambiano: ha occhi penetranti e indagatori e soprattutto una sicurezza in quella che è stata ed è la sua missione
espressa
con
semplicità
ma
senza
dubbi
e
senza
enfasi, come una vocazione… quando esamina certe foto di compagni morti, ne parla con affetto, ma senza compassione patetica o ostentata, con un dolore e un affetto nello sguardo e nel
sorriso
come
se
si
trovasse
di
fronte
a
quegli
stessi
personaggi ancora vivi. È sicuramente il sentimento di uno abituato a dover considerare la morte una probabilità continua e
sicura.
Certi
suoi
accenni
di
racconti
mi
anticipano
l’interesse che ci può essere in una analisi ricostruita di tutti i 199 giorni del Che e del periodo immediatamente precedente. Si tratta di aspettare. La versione di Prado, per esempio, è abbastanza vera per quanto riguarda la successione dei fatti, la disposizione
degli
uomini
ecc.,
ma
mi
è
stata
comunicata
sbagliata dal punto di vista topografico. E questo mi è chiaro oggi perché, nel caso che venisse fuori da un film l’esatta sistemazione
topografica,
non
ci
sarebbe
equivoco
per
i
boliviani sull’identità dell’informatore. La spiegazione di Pombo sulla posizione del campesino durante la guerriglia è molto chiara e mi pare che sarebbe interessante presentarla nel film attraverso una intervista con lui (anche a continuazione della citazione dello stesso concetto 30
espresso eventualmente dal Che o in guerra de guerrillas
o
in altro scritto). Conferma
l’importanza
relativa
dell’adesione
del
campesino o dei minatori o della città: guerra di guerriglia come fuoco e poi sollevazione generale, nel caso di vittoria della guerriglia. Chiaro che le defezioni dei minatori (secondo lui
più
per
maggiore
motivi
del
di
principio
previsto
dei
che
altro)
campesinos
e
sono
l’indifferenza stati
elementi
negativi e anche di delusione. Come è chiaro che l’ultima battaglia è stata una sconfitta militare. malato,
Dice ma
che
il
Che
continuava
a
un
mese
prima
camminare
era
stato
malgrado
molto
fortissimi
attacchi di asma. Il suo morale era molto forte e pure il suo
spirito di volontà e di sacrificio (nel senso della fatica e della difficoltà), anche perché lui, «uomo di città, e oltre tutto uomo di
città
malato»,
doveva
faticare
e
penare
moltissimo
per
sopportare la vita nei boschi della Bolivia. Pombo
smentisce
la
boliviano.
Dice
dell’esercito
combattività che
e
all’inizio
l’efficienza
non
andavano
neanche a raccogliere i loro morti (dice anche feriti, ma questo lo devo indagare meglio perché mi sembra un po’ grossa): dopo la prima imboscata, i guerriglieri diedero tre giorni di tempo all’esercito boliviano per raccogliere i loro morti (si incontrarono con i due medici come da «Presencia»), ma dice che l’esercito non lo fece; quando loro stessi dopo poco tempo incontrarono di nuovo quei morti, si trovarono di fronte a un mucchio di ossa spolpate totalmente dai bichitos. Spiego
a
Pombo
nell’impostazione positivamente.
quella
del
Al
film:
parlare
che pare
delle
è
la
che
mia
intenzione
capisca,
condizioni
reagisce
di
vita
del
campesino in Bolivia, dice una cosa che mi pare abbia un grande
significato
umano:
«Vedere
le
condizioni
di
vita
di
quella gente ci ha dato una grande forza». (Il che significa che l’ideologia da sola non basta e ha bisogno di spinta e sostegni più
umani:
e
«esportare»
questo,
una
per
chi
rivoluzione
si
trova
per
nella
condizione
di
un’altra,
mi
provocarne
sembra un dato concreto sul quale seminare e far germogliare il
proprio
relazione
slancio anche
e
la
alla
propria spinta
vocazione
rivoluzionaria
rivoluzionaria
che
si
in
vuole
provocare negli altri.) P. dovrebbe essere l’asesor della guerriglia. Dice che posti simili
a
quelle
quebradas
nella
Sierra
Maestra
si
possono
incontrare, come dice che i tipi di contadini come quelli della zona di Vallegrande non è difficile incontrarli nell’interno di Cuba e della Sierra. Ci lasciamo dandoci appuntamento ad «analisi» compiuta, più o meno tra un mese. L’aiutante di Barba mi comunica la difficoltà dell’incontro con Aleida perché è sotto check-up e mi annuncia un probabile incontro con Celia Guevara. Ricevo, nel primo pomeriggio, una telefonata da Alfredo che vuole avere dei chiarimenti sul tipo
di
treatment,
perché
sta
mettendo
per
iscritto
un
«documento» di accordo previo (quello studiato nella mattina
p con
Enzo).
Gli
dico
q
che,
essendo
questo
tipo
di
film
particolare, anche il treatment sarà particolare. Rimandiamo comunque una chiarificazione a più tardi, a dopo che saprò se c’è e quando questo incontro con Celia. Mi
vedo
con
Carlos
Franqui:
mi
mette
in
guarda
nel
trattare certi episodi della Rivoluzione, come Alegría de Pio e 13 di marzo, perché il primo costituì un disastro per alcuni errori
e
diversa
il da
secondo quella
perché
di
Fidel
espressione e
da
lui
del
Direttorio,
avversata
come
linea
quella
partitaria del colpo di Stato e della morte del tiranno in seguito ad
attentato,
come
«soluzione».
Mi
suggerisce
di
inserire
l’episodio del 30 novembre (Santiago di Cuba – Frank País) come espressione della lotta cittadina (ci avevo pensato per la verità; però anche il 13 di marzo è importante per esprimere la presenza
dei
fermenti
rivoluzionari
in
più
di
una
località
dell’isola). Parliamo anche dell’atteggiamento dell’Icaic che può
forse
avere
ancora
delle
incertezze,
da
una
parte
giustificate dal tipo di responsabilità e da un’altra da una loro naturale difficoltà ad affrontare le iniziative se non attraverso un processo di dubbi e incertezze burocratiche, di riflesso sulle responsabilità ecc. E poi questa iniziativa è di uno straniero e questo,
come
dappertutto,
pesa
nel
piatto
negativo
della
bilancia. Pepe Aguilar, che viene più tardi in albergo, esprime il parere che in America Latina conviene andare in giro con un paio di macchine targate Italia. Può darsi. Ci avevo pensato anch’io, ma avevo messo da parte l’idea per i dubbi che tali targhe possano dare maggiormente nell’occhio. Comunque ci si può ripensare perché questa soluzione offrirebbe i vantaggi di
poter
studiare
preventivamente
la
sistemazione
delle
macchine da presa, attrezzature, pellicola ecc. e in giro per i paesi il vantaggio di avere un’etichetta da turisti; nelle miniere si potrebbe tentare di entrare con il taxi o affittando macchine locali. Alfredo mi comunica per telefono una richiesta di Aleida (uscita apposta dalla clinica dove è ricoverata per il check-up) di
incontrarsi
con
me.
È
ancora
all’Icaic
a
lavorare
al
«documento». Lo vogliono costruire «incastrante»: è un po’ il peso della responsabilità, un po’ un tipo di rivendicazione sulla «concessione», «dovuta» fare (per interventi soprattutto degli
elementi più concreti, attivi e politici e meno intellettuali che conoscono
bene
«sfruttamento» meschina
il
di
valore
tipo
esigenza
reale
delle
capitalista,
umana
di
e
cose
un
reali)
po’
creare
la
allo
piccola,
difficoltà
anche
inconsapevolmente, quando le cose si avviano per un verso positivo contro la volontà iniziale. Certo che l’intervento dei personaggi alti ha portato la cosa su un piano di interesse più generale e in una sfera che sfugge al dominio (più tecnico) del responsabile di un solo istituto: da una parte la cosa si fa sempre più difficile e rischiosa (e anche eccitante, proprio per il rischio) per me, da un’altra è ormai decisamente avviata alla decisione
finale
(a
esposizione treatment
compiuta,
ma
già
coinvolta fortemente fin da ora). Sto lavorando da quasi cinque mesi, è doveroso continuare, anche se c’è una probabilità di dubbio. La difficoltà maggiore sarà credo, invece, intenderci sul terreno della collaborazione, non agli effetti del risultato, ma del
metodo,
delle
discussioni
ecc.
Me
ne
rendo
conto
dall’incontro con Aleida, anche se dal suo ragionamento viene fuori un’esigenza di verità e di precisione. Ci incontriamo alle 23 e qualcosa. Mi accompagna Alfredo che poi va quasi subito via per raggiungere Enzo in albergo per la discussione del «documento». (Come sempre a Cuba, tutto si discute e si risolve nella ultima notte nella quale si finisce per non andare neanche a letto:
e
anche
questa
volta,
la
consuetudine
non
viene
smentita.) C’è Barba, l’aiutante e Aleida che è molto cordiale e in quel suo atteggiamento ironico, simpatizzante e indagatore che non è solo atteggiamento di attacco tipicamente femminile, ma anche «difesa» di una debolezza tipicamente femminile. È una donna
intelligente,
carica
di
dolore,
amarezza
forza
e
responsabilità: attaccata soprattutto all’idea che non ci siano equivoci
sulla
figura
del
Che,
sul
«fatalismo»,
sulla
sua
ideologia. Parlo,
parlo,
parlo
e
lei
ascolta.
Fa
degli
interventi
dimostrando di avere buona memoria – mi ricorda che nella precedente esposizione (al tempo della mia prima venuta a Cuba) avevo detto (parlando anche dello stile di Giuliano) che l’uso
nel
film
di
materiale
documentario
avrebbe
interrotto
l’unità del film, lo stile unico attraverso un’atmosfera unica. Chiarisco che qui si tratta di materiale documentario filmato da
me,
discorso
e
che
sarà
preciso
materiale
relativo
al
documentario
mondo
che
segue
esterno-interno
del
un
Che
durante il suo periodo formativo. Mostra interesse e accordo. Fa molte domande. Indaga, mi legge dentro, vuole sapere e capire cose e aspetti che neanche io posso ancora sapere. Ma l’impostazione
la
capisce:
la
storia
della
divisione
nei
tre
capitoli anche, sembra d’accordo. Interviene – giustamente – per l’esigenza della conoscenza della guerriglia per me «non guerrigliero che non ho mai fatto la guerriglia e quindi non so cosa sia; se non attraverso la lettura». Ha ragione; preciso che io stesso chiedo questo tipo di collaborazione, anche se ho molte
preoccupazioni
dell’accordo,
sul
modo
sul in
tipo cui
di si
discussioni
arriverà
a
agli
effetti
esprimere
e
a
chiarire la linea ideologica. Ma d’altra parte non ho altra scelta che sottostare a questo tipo di discussioni e di interventi che ho sempre
voluto
evitare,
ma
che
sono
l’inevitabile
costo
di
un’impresa come questa che vuole inserirsi in un avvenimento storico
ancora
vivo
e
vuole
rappresentarlo
in
questa
sua
«palpitante» attualità. È
rischioso
agli
effetti
di
una
eventuale
non
intesa
di
«linee» di «interpretazioni» ecc., ma l’ho previsto e messo nel conto sin dal primo momento. Vedremo che succede. Prevedo che si dovrà parlare molto, ma non è escluso che si arrivi a raggiungere una linea di intesa. Barba è più pratico, anche se richiede in effetti le stesse cose, e ha un senso più reale e «politico» delle cose. Aleida mi promette l’articolo del Che su Machu Picchu; vuole vedere le mie fotografie fatte a Machu Picchu per confrontarle con quelle del Che (dice: «Usted es un artista… me interesa ver los diferentes puntos de vista…»).* È commovente il suo sforzo per riuscire a capire fino a che punto io possa «capire» il Che. Mi chiede ancora di portare al mio ritorno anche le altre fotografie. (Le parlo del Burckhardt sul 31
Rinascimento,
me lo chiede in spagnolo.)
C’è una lunga disputa tra lei e l’aiutante se i guerriglieri avevano tutti le abarcas** oppure no. Secondo lui sì e secondo lei no (il Che avrebbe perso le scarpe nell’attraversare il fiume il 26 settembre). Comunque lei tende a mettere in chiaro che il fatto di avere o non avere le scarpe non è importante agli effetti del giudizio sull’«andamento», sulle «condizioni» della
guerriglia. Come non lo ha il fatto che dovevano assaltare fattorie e case per cibo e medicine (perché è previsto che la guerriglia
si
rifornisca
sullo
stesso
teatro
di
operazione).
Comunque io credo che la difficoltà degli approvvigionamenti in tutti i sensi (e nel primo stadio, quando sono costretti ad assaltare
per
averli,
e
non
ad
averli
con
il
consenso
dei
contadini come può essere il terzo stadio, può senza dubbio costituire un drammatico impedimento se si protrae a lungo nel
tempo)
difficoltà. abarcas
ha
dovuto
Pombo su
senz’altro
stesso
quelle
lo
dice
montagne
costituire
che
per
una
camminare
chi
non
è
grossa con
las
abituato
è
difficilissimo. La disputa si placa con questa conclusione: «Rosi quiere decir che a pesar de las difficultades el moral era alto, la lucha
continuava,
ecc.».*
La
sua
preoccupazione
è
che
il
morale del marito sia stato alto fino all’ultimo. Dice che sarà importante
leggere
il
diario.
Ne
parlano
come
se
avessero
certezza di poterlo ottenere. Cita la frase: «Abbiamo vissuto in un
clima
campestre
ecc.»
che
però
potrebbe
anche
essere
interpretata ironicamente. A conclusione, Barba dice: «Francesco usted vée cuanto interese tenemos nosostros»** ecc., apposta,
alla
presenza
di
Aleida,
e
praticamente questo
esprime
interesse
per
ufficializzare una prima tappa avanzata verso una probabile conclusione. Chiedo se quello è lo studio del Che, è una bella libreria piena di libri, una bella casa, mi sembra un po’ contrastante con i gusti decisamente e ideologicamente antiborghesi del Che, e infatti una battuta di Aleida che è andata a guardare i libri mi conferma l’impressione: la casa del Che era mucho mas modesta.* Questa è la casa di Barba che ride e le fa notare che anche loro per un periodo… Sì ma quando il Che era malato… Sono le 2.00, andiamo via. Aleida fa dello spirito alla sua maniera,
anche
su
Tony
32
Richardson,
per
«provocarmi»
simpaticamente. In albergo incontro Enzo, Alfredo e Raul, vicepresidente amministrativo Icaic. Enzo mi legge il «documento» da loro preparato: c’è un punto controverso, vogliono un po’ tirare la
corda e studiamo il modo di non fargliela tirare troppo. Si fanno le 9 del mattino. Alle 6.00 partenza dall’hotel. *
La motocicletta e la chiatta.
*
Colline e burroni
*
Cespugliosa.
*
Prima colazione.
*
Coltello.
*
Nave da pesca.
*
«Lei è un artista… mi interessa vedere i diversi punti di vista…»
**
Calzature con le suole di cuoio che coprono solo la pianta del piede.
*
«Rosi vuole dire che nonostante le difficoltà il morale era alto, la lotta continuava ecc.»
**
«Francesco lei vede quanto interesse abbiamo.»
*
Molto più modesta.
4 Roma 17 marzo 1968 – 2 dicembre 1968
17 marzo Questa mattina partiamo con Iberia, nel carico di gusanos.* Viene Alfredo, accetta, perlomeno sembra preparato a doverlo accettare, le modifiche all’articolo che non ci piaceva. Alle 22.25 (ora locale, sei ore di differenza) arriviamo a Madrid. Il 17 siamo partiti da Roma, il 17 siamo ripartiti da La Habana e il 17 è un numero che mi piace tanto.
18-31 marzo Roma.
1-2 aprile Roma.
3 aprile Roma. Nel cinematografo quello che più fa imbestialire e quindi avvilisce per il sentimento di impotenza nel quale ti cala, dopo la prima sfuriata, è il fatto che c’è sempre un momento in cui si determinano delle difficoltà, delle soste, degli ostacoli che non dipendono dalla tua volontà. E malgrado la passione e
l’intenzione di andare a tutti i costi avanti, sono delle gravi battute
di
arresto,
sempre
pericolose,
ma
che
possono
diventare addirittura fatali per una «impresa» come questa. Poi succede
anche
che
queste
stesse
soste
sono
servite
per
decantare meglio la materia, dubbi, carica di azione, ma questo lo si può dire solo quando si risolvono positivamente e il film continua ad andare avanti. A oggi sono passate più di due settimane dal mio rientro e, anche
se
non
sono
molti
giorni,
sono
state
sufficienti
per
accumulare una serie di grossi e piccoli intoppi che hanno bisogno
di
una
soluzione
positiva
perché
tutto
si
metta
in
marcia in quella maniera che io reputo indispensabile come ritmo di marcia di questo film. Grossi impedimenti: la firma del «documento» tra Cuba e 1
Pea
che
versione
continua ultima
a
essere
cubana.
rinviata
Come
loro
perché
non
abitudine
arriva
tutto
la
viene
ritardato in maniera esasperante. La clausola di approvazione del film da parte loro assieme a
me,
da
loro
infilata
nel
documento
–
a
quanto
dice
Provenzale – la notte precedente la nostra partenza e quindi non
in
tempo
utile
già
per
una
discussione
preventiva,
costituisce un grosso impedimento per Grimaldi in quanto in teoria dovrebbe accettare l’ipotesi che il film non esca mai, e per
me
perché,
anche
se
disposto
a
un
controllo
di
tipo
collaborativo con loro, non posso arrivare al punto di dover accettare fino alle conseguenze estreme la loro volontà perché può essere soggetta a influenza di tipo politico o meglio di convenienza politica che possono sfuggire a una valutazione politica
prevedibile
e
discutibile
del
contenuto
del
film.
Il
treatment – come possibilità di intesa sull’impostazione del film – dovrebbe bastare e poi il rischio da entrambe le parti, altrimenti bisognerà trovare una scappatoia a quella clausola che consenta a Grimaldi e a me di assumere le responsabilità complete – sia dal punto di vista finanziario che di autore – nei confronti del prodotto finito. Grimaldi senza la firma del documento non va avanti e lo capisco.
D’altra
parte
c’è
tutta
una
serie
di
decisioni
(collaborazioni soprattutto) che devono essere prese subito. Io non prendo soldi da sette mesi o più e devo mettere a posto la mia situazione. Attendo anche la risposta di Alfredo Guevara
relativa alla mia intenzione di prendere Pepe Aguilar come collaboratore. Alfredo Guevara ha annunciato il suo arrivo a Roma, ma quando? La
difficoltà
dell’organizzatore
del
film
che
verrebbe
a
mancare nei viaggi di tournage la si risolverà con un sostituto. L’operatore fa intanto un altro film e si possono però fare lo stesso dei provini. Grimaldi pone un limite di finanziamento (sui 300 da parte sua: dovrò legare una parte del mio compenso ai rientri? È probabile). Il fatto grave è poi e soprattutto che stando qui il film
cade
in
una
serie
di
ragionamenti,
dubbi,
ipotesi
che
vivono una dimensione tutta diversa dagli stessi fatti là, in mezzo a quella realtà e a quelle urgenze. Va bene che tutto va discusso meglio dal di fuori delle cose, ma non sono convinto che questo procedimento sia il più adatto per questo tipo di film. Il racconto rifiuta la finzione, l’effetto, per la verità, c’è la responsabilità, la sincera umiltà con la quale è affrontato il personaggio
e
l’argomento,
ma
sempre
un
racconto
per
immagini deve essere e deve vivere della forza d’urto e di persuasione delle immagini, con l’ausilio della ragione lucida (linea
ideologica,
pensiero
del
Che
e
statistiche),
ma
non
escluso quello della commozione autentica. Pombo mi diceva a La Habana: «Le condizioni di quella gente sono state un aiuto per noi, ci hanno dato forza». E si tratta di autentici rivoluzionari, e hanno avuto bisogno essi stessi dell’aiuto della commozione. Non si può ridurre il film solo a un discorso di tipo televisivo. È un sacrificio (non è il termine più adatto, ma forse lo è anche) per un regista: non ci sono scene di fiction, tali da eccitare, ma c’è l’urgenza di un certo tipo di discorso ed è su quello che è urgentissimo che io lavori ora per arrivare a una chiarificazione che sia quanto più possibile ferma a delle idee e a una passione e a una esigenza di tipo ideologico.
4-24 aprile [Roma]
25 aprile Alfredo
Guevara,
come
c’era
da
aspettarsi
ma
come
non
avrebbe dovuto accadere, non è ancora arrivato, né ha inviato il «documento» per la produzione, né la risposta al telegramma al riguardo di Pepe Aguilar. Ha annunciato il suo arrivo per la settimana in corso (è arrivato a Londra e poi a Parigi, dove si trova tuttora per l’acquisto di film per l’Icaic). Prima a Enzo Provenzale
–
al
quale
avevo
fatto
prendere
l’iniziativa
di
cercarlo per telefono – poi a me direttamente attraverso la telefonata di un uruguaiano di passaggio a Roma, Achugar. Lo stesso Achugar mi dice e mi offre notizie e documenti per il Che (le riprese brasiliane tv dell’arrivo del corpo a Vallegrande dovrebbero
essere
a
Roma
tra
una
quindicina
di
giorni)
e
apprendo anche che – ha, hanno, ma chi sono? – fatto un film sull’America film?
C’è
Latina,
la
qualcosa
violenza,
sotto
come
il
Che.
offerta
Che
di
cos’è
vendita
questo o
è
un
progetto autonomo? Non sono riuscito a vedere Achugar ma tornerà a Roma il giorno 8 di maggio. Intanto potrà dirmi qualcosa Alfredo. Il ritardo di Alfredo è stato molto dannoso per i miei piani di mantenere vivo e attivo il periodo di preparazione (Aguilar in Argentina, Guarnaschelli a Cuba ecc.) in quanto Grimaldi è autorizzato ad attendere prima di muoversi, fin quando non si discuta l’articolo 7, la pretesa approvazione assieme a noi, da parte cubana dell’edizione definitiva del film. Pepe Aguilar ha già
telefonato
due
volte
da
Cuba.
Io,
da
parte
mia,
ho
commesso l’errore – psicologicamente parlando – di mettere Grimaldi nella posizione di chi permette al regista di «tentare» un’impresa contratto «fatto»
quasi
impossibile.
«Bruto»
in
praticamente,
«Che», sarebbe
la
Se
avessi
trasformato
sensazione,
diversa,
ora,
o in
il
comunque previsione
il di
difficoltà più serie o di rottura. Le difficoltà ci sono soprattutto per la natura squisitamente politica del rapporto con Cuba e per
l’impostazione 2
chiesto a Solinas
del
film.
In
questi
ultimi
tre
giorni
ho
e Tutino che mandino avanti un discorso di
tipo «esclusivamente» politico per operare una verifica della linea narrativa – contenuti ideologici-politici. Il
rischio
ovviamente, sarebbe
della
ma
ridicolo
genericità
neanche data
la
quello vastità
non di
un
della
può
essere
«trattato» materia,
eluso, che
la
poi
nostra
posizione di uomini di cinema necessariamente condannati alla superficialità nel caso che ci si volesse mettere a spiegare tutta la politica e la storia della A.L., comunismo, imperialismo nel mondo… precisa,
Un
ma
proprio
in
posizioni
filo
una
discorso,
testimonianza
quanto non
di
allo
testimonianza,
ancora
chiare
una
di
posizione
stesso
tempo
rispecchiare fatti
ideologica
il
che
può,
dramma
compresi,
di
di
punti
interrogativi drammatici. Staremo a vedere. In serata Alfredo Guevara mi telefona da Roma.
26-27 aprile [Roma]
28 aprile Vedo Alfredo Guevara solo la domenica 28. Lo aspetto per le 11, arriva alle 12.30. Parliamo: richiesta
di
asserisce Pepe
di
aver
Aguilar
subito
come
detto
di
collaboratore,
sì
alla
mia
negando
il
telegramma da lui inviato e di cui conserviamo l’originale; poi aggiunge che per telefono aveva ribadito il sì, a Provenzale, e solo dopo le nostre insistenze – intimidito dalla sfacciataggine della bugia – ammette che forse il telegramma in effetti poteva essere stato un po’ oscuro. E invece non è oscuro per niente perché c’è scritto: «In riferimento il telegramma di Provenzale (che parlava solo della faccenda di Aguilar) ho risposto per lettera». Questo modo di comportarsi è preoccupante come previsione
di
rapporti,
ma
può
essere
giustificato
da
fatti
interni loro – tentativo non riuscito di scaricare Aguilar – e può essere accettato come necessità, ma sempre rimanendo preoccupati per il sistema. La
conversazione
non
aggiunge
niente
di
nuovo.
Dopo
colazione si incontra da solo con Enzo e ribadisce la ferma intenzione di rimanere nella posizione: o accettazione degli articoli 4 e 7 o niente. Mi telefona alle 19.30. Lo raggiungo a 3
casa di Amado-Blanco.
Mi conferma la conversazione con
Provenzale adducendo però le ragioni: «… ma non capisce Grimaldi che ha da fare con Fidel Castro?». Ci lasciamo con l’intesa che tenterò io una nuova operazione con Grimaldi.
29 aprile Vedo Grimaldi, ma è inutile perché sono convinto anch’io che Grimaldi
–
e
chiunque
altro
farebbe
e
«dovrebbe»
fare
lo
stesso – non può accettare l’articolo 7.
30 aprile Vado a lavorare a Fregene da Solinas. Mi telefona Provenzale che ci ha raggiunto in proiezione per fissare un appuntamento. Grimaldi (ho pensato di vedere che cosa può nascere da un incontro
diretto
tra
i
due)
non
ha
neanche
interrotto
la
proiezione ed è stato vago, non ha tempo. Il risultato della giornata di lavoro con Solinas e Tutino porta a un passo avanti per quanto riguarda la linea politica – storia di Cuba e rapporto tra il Che e gli avvenimenti nel mondo
–
e
porta
anche
a
una
ulteriore
e
più
precisa
chiarificazione della mia esigenza fondamentale che è quella di non fare un trattato scientifico-politico sull’argomento. Perché
le
autonomia
immagini di
da
discorso
me
girate
devono
interpretativo
di
avere
un
certo
una
loro
tipo
di
emozione e commozione che io – e tutto il mondo – ho avuto alla conoscenza dei fatti del Che. Non è solo un problema di forma – cioè non fare delle immagini le didascalie di concetti e informazioni – ma di stile. Il trattato scientifico-politico non sta a me farlo in quanto non ho la preparazione politica per farlo né il mio «pensiero» potrebbe essere illuminante al riguardo. È la mia emozione e la mia partecipazione alla causa del Che e dell’A.L. che può giocare un ruolo importante – eventualmente – assieme a una struttura di discorso politico che deve essere indubbiamente chiaro e preciso e inequivocabile. Se i contenuti politici vengono espressi attraverso delle immagini
che
svolgono
un
loro
discorso
autonomamente
persuasivo, qualsiasi posizione radicale o estremista può essere
p
q
p
p
giustificata, altrimenti diventa un’interpretazione politica delle cose affidata solo a concetti, pareri, didascalie, discorsi e come tale discutibile solo sul piano dei concetti, dei pareri, delle ideologie,
dei
punti
di
vista
ecc.
Non
servirebbe
a
niente
un’interpretazione politica che poi sarebbe una chiave – già esistente
negli
avvenimenti
del
mondo
–
per
spiegarsi
le
necessità e le convinzioni del Che e niente altro. Un film di montaggio
lo
saprebbe
esprimersi
attraverso
immagini
a
fare
questo
commento
di
meglio
di
genere.
me
chi
Mettere
didascalie,
è abituato
insieme
discorsi
a
delle
ecc.
ha
indubbiamente la sua persuasione e la sua utilità ma non vedo l’utilità né per me né per l’argomento che sia io a svolgere questo
tipo
di
metodo
espressivo.
La
ricerca
stilistica
è
comunque difficile, ma non credo impossibile se ci si muove tra
l’emozione-commozione
e
il
filo
logico-politico
del
discorso.
1 maggio Per telefono Alfredo mi dice: «Che lo vedo a fare Grimaldi, per parlare di baseball?». Il suo tono è sempre non ispiratore di cordialità, interesse
e
obbliga
nel
a
progetto
pensare
è
che
affidato
il
alla
«suo»
inerzia
(perlomeno) e
non
a
una
volontà. Dice: «Ho i minuti contati», e io ogni volta che sono stato a Cuba mi sono fermato perlomeno due settimane in più per aspettare appuntamenti, parlare ecc. La volta che dopo cinque giorni sono andato via, venne all’aeroporto alle 7 di mattina «preoccupato» o a manifestarmi le «preoccupazioni» degli
altri
(Llanusa
ecc.)
perché
io
andavo
via
così
precipitosamente. Cioè i «compagni» sono preoccupati, ma lui era preoccupato? Può quello
darsi
che
che
il
preferisce
suo che
atteggiamento questo
film
da non
«sempre» si
faccia
sia
di
(posso
anche capirne le ragioni politiche, ma il non essere chiari porta a
questa
palude
preoccupazioni,
a
dalla mio
quale parere,
bisogna non
sono
uscire). tanto
Le
loro
riguardo
i
contenuti – per i quali avrebbero le più ampie garanzie in me, Solinas e nella loro stessa collaborazione al treatment –, ma per implicazioni e complicazioni politiche future per cui non può esservi via di uscita. Io la fiducia così a loro la darei completa e loro a me? Fidel Castro disse: «È un rischio che
possiamo accettare». (Da tenere presente l’approvazione del treatment).
Comunque
il
modo
di
fare
di
Alfredo
Guevara
dimostrerebbe una linea di intransigenza per provocare una rottura a meno di non ottenere tutto ciò che desiderano, cioè un controllo totale e definitivo. Aspetto tutto il pomeriggio una telefonata annunciata per dopo le 17.00: alle 20.30 non è ancora arrivata. Parlo con Saverio che è andato a Fregene che mi comunica che, dietro una telefonata di Alfredo, Franco è partito da Fregene per incontrarlo.
2 maggio Alfredo fa un salto a casa mia in mattinata: gli articoli 4 e 7 sono per loro, perlomeno per lui, una questione di principio, comunque per superarli, eventualmente, non lo può decidere da solo e quindi deve tornare a Cuba. Ma intanto, quando ci si vede per la linea del film? Prendo appuntamento per il venerdì mattina, il giorno dopo. Solinas
mi
dice
che
Alfredo
gli
ha
confermato
le
loro
intenzioni buone ecc., sempre il solito discorso.
3 maggio Riunione a casa mia: Alfredo, Solinas, Tutino e Provenzale. Ricevuto
la
linea
narrativa
ideologica
facendo
presente
le
lacune, i dubbi miei sul fatto che si possa raggiungere una strada autonoma delle immagini, l’esigenza di poter dire sulla guerriglia alcune cose che siano un’analisi della guerriglia. Alfredo risponde che, pur parlando per proprio conto senza con questo anticipare una decisione di Fidel o del governo cubano, gli sembra imprescindibile e che pensa che sia arrivato il momento di fare questa analisi anche valutando certi errori del Che. Gli dico che, oltre a ritenere io giusta e ovvia l’esigenza del
produttore
all’approvazione
di
non
finale
del
legare film
il da
suo parte
finanziamento dei
cubani,
è
indispensabile per me un margine di libertà dall’approvazione del treatment – che possiamo andare a scrivere a Cuba per
p stabilire
maggiori
p
contatti
di
collaborazione
–
alla
realizzazione e edizione ultima del film. Conclusione: scrivere un po’ più dettagliatamente la linea e farla avere ad Alfredo entro il 14 a Madrid. Da Cuba potrebbe far
sapere
subito
se
in
base
alla
linea
si
può
arrivare
al
superamento dell’articolo 7. Nel pomeriggio vado da Tonino e gli racconto il film: la sua reazione è negativa per quanto riguarda la necessità di spiegare e raccontare troppe cose storiche e politiche. Dice che si
può
dire
tutto
lo
stesso
attraverso
immagini
«poetiche».
Sono d’accordo sull’esigenza di una sintesi: è il mio problema fondamentale e non escludo che ci possa arrivare, ma penso che
sia
indispensabile
una
spiegazione
storico-politica-
ideologica che illumini il Che che non può essere raccontato solo attraverso le «azioni». Devo arrivare a uno stile che si esprime attraverso un’autonomia «poetica» di immagini che siano
la
mia
visione
delle
cose,
la
mia
emozione
da
comunicare e attraverso la quale comunicare la figura del Che, il suo pensiero, le sue azioni, punteggiata da ponti informativi storici altrettanto importanti per far comprendere la figura del Che. Un’altra delle difficoltà è nella faccia. Tonino dice la devi vedere, lo devi amare: io penso che bisogna vederla ma non fino a farlo diventare protagonista di un film romantico sul personaggio. Il mio vorrebbe essere un film storico in cui il personaggio, espressione di un mondo e di una ideologia, non sovrasti né l’uno né l’altra e che non distragga soprattutto l’attenzione e la tensione per la visione globale delle cose. Se si sceglie la strada del personaggio materializzato fino a fargli prendere il sopravvento, bisogna poi stare alle regole e «raccontare» il personaggio direttamente. Io vorrei che il personaggio, anche se visto poche volte, continuasse a far sentire il suo peso anche senza la sua presenza fisica.
4 maggio Penso
che
bisogna
senz’altro
procedere
alla
scrittura
della
scaletta-linea-quasi treatment da consegnare ad Alfredo entro
il 14.
5-7 maggio Lavoro di raccolta del materiale per la scrittura della scaletta. Decisione che la scaletta, non avendo il tempo di allargarla perché come niente la ricchezza del materiale la porterebbe al treatment, sarà una correzione e ampliamento di quella già fatta.
8 maggio A Fregene.
9-15 maggio La lettura della scaletta ultimata non soddisfa: viene deciso di migliorarla e di inviarla a Cuba attraverso Saverio.
16 maggio Esposta questa linea di condotta a Grimaldi. L’interesse di Grimaldi è, ovviamente, diminuito.
17-21 maggio Lavoro per le correzioni alla scaletta.
22 maggio Vedo
Grimaldi.
Gli
chiedo
un
po’
di
soldi.
Non
fa
molte
difficoltà: chiede a che titolo, gli rispondo: «Per il contratto che abbiamo per un film, comunque». Chiarisce che non si è impegnato di fare Guevara «a tutti i costi». Neanche io lo voglio fare «a tutti i costi». Ma l’impegno a «tentare» di farlo esiste anche da parte sua, non l’ho certo obbligato. Gli ricordo di avergli chiesto più di una volta di chiarire a se stesso i
motivi della sua decisione e di pensarci, e che la sua decisione è
stata
invece
sempre
quella
di
non
pensarci
perché
consapevole di volerlo fare. Questa sua precisazione di oggi dimostra il contrario. Lo tranquillizzo che, se la precisazione è fatta per mettere le mani avanti in vista di una mia eventuale richiesta
di
adempimento
contrattuale
nel
caso
che
non
si
faccia il film, si sbaglia, stia tranquillo. Dice che non è questo. Comunque, si va avanti e si decide di non aspettare oltre il 10 giugno (la risposta da Cuba).
23-26 maggio La
nuova
scaletta-linea-treatment
è
pronta:
venticinque
cartelle. Decisamente si capisce che tipo di film si vuol fare, anche se presenta ancora lacune e ripensamenti.
27 maggio Saverio Tutino parte per La Habana con la scaletta tradotta in spagnolo.
28 maggio [Roma]
29 maggio Consegnata la scaletta a Grimaldi. Si riparla dell’impegno a fare il film. Gli chiedo qual è la sua intenzione, nel caso che Cuba risponda affermativamente. «Sempre che il film rientri in un costo “ragionevole” partiamo.»
30 maggio Grimaldi dice a Provenzale che, avendo letto la linea, non vuole fare il film. È antiamericano e non è quello il film che vuole fare. Vado a Milano. Sull’antiamericanismo del film se ne
è
parlato
mesi
fa,
nelle
occasioni
citate
di
richiesta
a
Grimaldi di pensarci bene. «Certo il film sarà antiamericano, ma dipende da come si fa…» E siccome nel cinema questa formula, «dipende da come si fa», costituisce il margine di ambiguità nel quale è conveniente muoversi, si finisce sempre per aggirare l’ostacolo senza prendere una decisione in tempo. Naturalmente, se non ci fossero i dubbi della decisione di Cuba, il terreno sul quale misurarsi sarebbe più chiaro: ma il problema
non
è
quello
–
in
definitiva
–
se
decidere
di
trasportare sul contratto per un altro film i trenta milioni di spese oppure no. Il problema vero è quello di fare o no questo film… e sono terribilmente in alto mare, trasportato da maree che non sono la mia volontà e che non posso controllare.
31 maggio [Milano]
1 giugno Grimaldi
partito
per
l’America.
Apprendo,
in
seguito,
che
prima di partire ha avuto una conversazione telefonica con Solinas deciso
a di
proposito prima
a
dell’antiamericanismo non
fare
e
ecc.,
comunque
forse
meno
«colpito»
dalla
proposta di Solinas di fare una società a parte pubblicizzando la sua intenzione di finanziare certi autori e certi progetti anche senza
dover
necessariamente
condividere
le
loro
posizioni
ideologiche. È evidente, comunque, che Grimaldi è uno che fa marcia indietro da un momento all’altro. Lo avevo previsto da quando ho avuto i primi contatti con lui: il «salto di qualità» dai film che faceva a quelli che vuole fare diventa insostenibile per
uno
che
è
finanziatore
ma
non
produttore.
La
marcia
indietro che sta facendo è su tutto il fronte: con Fellini la situazione è ancora più grave. Contribuisce naturalmente la paura per l’esito delle elezioni con la prospettiva di un periodo senza governo ecc., i fatti in Francia ecc. Telefono a Gallo (Italnoleggio) ma è a Pesaro.
2-9 giugno
[Roma] Parlo con Saverio a La Habana. È pessimista: dice che Alfredo Guevara ora è impenetrabile. «Il mio parere è quello della direzione…» Poi mi manda un telegramma dal quale esce fuori che tutto il
ritardo
sarebbe
addebitabile
all’assenza
di
Castro
da
La
Habana… e il fatto che Aleida Guevara non abbia ricevuto il soggetto anche quello dipenderebbe dalla stessa ragione. L’attesa si fa sempre più logorante. D’altra parte se volessi decidere di fare il film senza Cuba troppi motivi validi mi convincono del contrario. Per capire Guevara bisogna capire cosa è stata la Rivoluzione cubana. Tentare di fare di questo film una specie di documento politico nel quale Guevara non sia
tanto
un
situazione
uomo
da
«raccontare»
internazionale,
significa
ma
un
reagente
secondo
me
a
una
implicare
Cuba con tutto quello che significa un clima di partecipazione umana e politica. Intanto gli altri cominciano o annunciano l’inizio. 4
Paolo Heusch con Rabal.
Comincia il lunedì 11. Rabal si 5
è trovato a fare Giuliano nel progetto Amato mio,
quindi,
la
situazione
è
recidiva.
all’epoca del
Lizzani
annuncia
Intolerance: l’intolleranza per una nuova ondata di nazismo che si è abbattuta sul mondo (!). Non mi pare che le cose stiano così. Fleischer (XX Cent. Fox) pare abbia scritturato Sharif. Quest’ultima, da un punto di vista commerciale, e quindi decisione di Grimaldi, è il più pericoloso. Lizzani è fastidioso per la faccenda Volonté al quale avevo cominciato a pensare. L’argomento superato
dagli
di
«attualità»
avvenimenti
presenta
oltre
al
il
rischio
pericolo
di
di
essere
trovarsi
nel
mezzo di una mischia come quella che si è creata intorno al Che. Basterebbe questo per avere voglia di rimandare: a voler fare le cose seriamente oggi si rischia di essere ampiamente superati da quelli che questa serietà non ce l’hanno per niente. Ma si può lavorare con la preoccupazione di «fare più presto di un altro» che se no ti mangia la polpetta nel piatto? Negli affari
è
stimolante,
qualcosa…!
ma
esprimersi,
fare
un
film
per
dire
10 giugno [Roma]
11 giugno Oggi, più o meno, scatterebbe la data limite data ai cubani. Loro dei limiti di date se ne fregano, beati loro! E quindi ora deve dipendere tutto da una mia decisione, oltre che da quella di Grimaldi, aspetto ancora un po’… proprio perché è duro affossare qualcosa alla quale hai lavorato per otto mesi…
12 giugno Parlo con Saverio a La Habana, Alfredo gli ha riferito che la cosa è nelle mani di Fidel al quale è stato anche detto che non dare
una
risposta
entro
questa
settimana
equivarrebbe
a
decidere per il no. Llanusa avrebbe detto che credeva che «la cosa fosse già avviata». Gli
ho
Grimaldi,
e
risposto quindi
facendogli
oggi
più
presente
che
mai
c’è
le
titubanze
bisogno
di
un
di sì
incoraggiante da Cuba. Alla luce degli ultimi avvenimenti nel mondo, mi pare che la coerenza di Guevara sia l’aspetto suo da esaltare maggiormente nel film.
13 giugno Il preventivo è portato a 300 milioni, escluso la regia e incluso un alto compenso per un attore (Gian Maria Volonté). Ho fatto fare una proposta a Volonté: non è l’ideale (forse, sulla mia quasi-decisione, gioca il fatto di voler ricorrere a un attore, comunque, e quindi il non voler stare a impazzire inutilmente dopo mesi di infruttuose ricerche. La somiglianza tra Volonté e il Che nella fotografia a colori, il fatto che fosse già segnalato per
il
progetto
pensarci…).
È
di
Lizzani
arrivata
(quando
anche
una
io
avevo
risposta
cominciato entusiasta
a di
Volonté, il quale prega di prendere una decisione al più presto, perché si possa regolare con i suoi impegni.
14-19 giugno Da Cuba nessuna notizia, comincio a pensare a un crollo di tutto il progetto. Comincio anche a uscire dalla «chiusura» mentale e passionale sul solo progetto Che e mi guardo attorno per
vedere
su
che
mettere
le
mani
per
aprile:
un
nuovo
discorso dopo cinque mesi dedicati infruttuosamente al Bruto e alle tre morti di Kennedy, Pio XII e Stalin e gli otto mesi dedicati al Che… comunico a Provenzale l’idea L’eccezione e la regola, Brecht.
20-22 giugno [Roma]
23 giugno A Ischia, dove sono andato con Carolina e Giancarla, arriva una telefonata di Saverio da Cuba. Non si sente, ma immagino, ed è sempre così quando la tensione di passione e di fatti su di un progetto di cinema si allenta, è quello il momento in cui invece «gli altri» cominciano a muoversi.
24 giugno Provenzale, da Roma, parla con Cuba: conferma il punto di vista espresso sopra… i film su Guevara ora sono tre e già in corso… Grimaldi è impaurito o comunque tiepido… io non posso
continuare
mandare
avanti
a
le
occuparmene cose
assieme
en alle
amateur… loro
Decido
concrete
e
di
vere
possibilità, senza cioè far dipendere in tutto la mia vita da un’idea e dalle decisioni altrui, che, malgrado il mio disegno abbastanza abilmente portato avanti fino a oggi, sono troppo pesanti per poter essere manovrate completamente sulla strada da me voluta… si tratta di decisioni di Fidel Castro ecc.
25-30 giugno
La
mia
decisione
è
saggia:
queste
famose
comunicazioni
positive da Cuba, infatti, non sono ancora arrivate. Mi muovo intanto sempre più per il Brecht. In un incontro tenuto il 27 con Grimaldi e nel quale gli ho detto del Brecht, si è tornati sull’argomento Che… di nuovo dell’impressione di eccessivo antiamericanismo, acredine ecc. Con Grimaldi non so fino a che punto potrà funzionare bene usargli dolce ma ferma violenza, ma non credo che per ora ci sia altra strada, perché attendere e dipendere dalle sue decisioni
significherebbe
non
muoversi
più…
anche
l’altro
sistema è pericoloso ma d’altra parte non c’è alternativa e non c’è scelta, data la storia dei miei rapporti e dei miei progetti…
1 luglio Ritelefona Saverio a Ischia da La Habana. Annuncia una vera definitiva apertura positiva.
2 luglio Da
Roma
insistono…
riparlo Gli
con
dico:
Saverio:
«Va
bene,
sono aspetto
loro
adesso
che
comunicazioni
e
decisioni» (che intanto non arrivano). Gli faccio presente che ora i tempi sono diversi, che non può più uscire sulla coda degli altri filmetti fatti sull’argomento… Intanto a Cuba hanno stampato il diario del Che, sui giornali esce l’annuncio della pubblicazione con prefazione di Fidel… La decisione che ha preso Castro di apparire come mandante e organizzatore della guerriglia ha un peso e un significato preciso (prendersi la sua parte di responsabilità ora che il Che viene attaccato non solo dai russi ma anche dai cinesi) e credo che sia dipesa dal fatto che cominciava a essere già troppo pubblicizzata (Rojo, la pagina di diario da me inviata a Cuba come prova di una diffusione anche così periferica della cosa ecc.).
3-17 luglio [Roma]
18 luglio In tutto questo periodo ancora un paio di comunicazioni da Saverio
da
l’articolo
La
7
Habana
può
essere
e
un
telegramma
superato
con
che
un
annuncia
rapporto
che
stabilito
direttamente dall’Icaic con me. Ho fatto rispondere a Saverio chiedendo, a questo punto, una comunicazione ufficiale con la quale
poter
rimontare
la
situazione
presso
il
produttore:
continuare en amateur non è più possibile, non solo, ma non ne
ho
più
voglia
dopo
tutto
quello
che
ho
fatto.
Grimaldi
indeciso su tutto, era travolgibile e mi era riuscito di farlo fin quando non è stato creato tanto massiccio peso negativo.
19-22 luglio Mando avanti il progetto L’eccezione e la regola da Brecht.
23 luglio Arriva
un
telegramma
di
Alfredo
Guevara
da
La
Habana,
datato 21 luglio, e invita me e Provenzale a partire il giorno 23 (!!!). Rispondo con un telegramma ad Alfredo che per ora non mi
è
possibile
muovermi
subito
ma
che
gli
comunicherò
tempestivamente le mie possibilità e di conseguenza quelle di Provenzale. È tipico del cinema – è ormai nelle regole non smentite che rarissimamente – che quando ci si allontana da un progetto perché non si crede più nella possibilità di realizzarlo malgrado e a causa dei grandi sforzi e della tensione tenuta, il progetto poi ti riassale. Ora
sono
pieno
di
cautele:
1)
malgrado
le
insistenze
cubane, non credo che sia tanto facile arrivare a una soluzione che faccia rimontare Grimaldi al livello di adesione al quale lo avevo tenuto fino a poco fa. 2) La lettura del diario del Che impone un rilievo maggiore – come ho sempre sostenuto – ai 199 giorni e un approccio forse diverso al problema Mario Monje. Comunque ora la mia decisione è quella di mandare avanti il progetto Che e il progetto Brecht per non rimanere come un salame dopo un anno e mezzo di lavoro e tentativi.
Se il Che può andare avanti subito, meglio, altrimenti fare prima il Brecht (e montare il Brecht, per il tipo di resistenza sorta
che
oppone
Grimaldi,
è
anche
quella
una
fatica
limbo
nella
improba!). Grimaldi
deve
uscire
da
una
situazione
da
quale ama essere immerso per non prendere responsabilità e affrontare la sua parte di adesione attiva. Devo assolutamente avere un incontro conclusivo con lui a questo proposito.
24-28 luglio A Londra per parlare con Steiger per il Brecht. In serata a Fregene, di ritorno da Londra, parlo con Saverio da La Habana che mi chiede quando vado. Gli rispondo con il contenuto del telegramma inviato ad Alfredo Guevara. Insiste.
29-30 luglio Parlo con Saverio a La Habana: insiste. Lo metto al corrente della notizia stampa e mia rettifica. (Rinuncia al film sul Che.) Mi chiama Alfredo Guevara da La Habana. È deluso che non possa andare subito. Dice che la notizia stampa lo ha lasciato «muy frio». Gli spiego della rettifica. Gli comunico che farò di tutto per anticipare mia andata là.
5 settembre Mi
telefona
preoccupato
da del
La
Habana
mio
Pepe
silenzio.
Aguilar.
Sono
Mi
dice
costretto
che
quindi
è a
informarlo delle difficoltà che ho con il produttore. Del resto, spero che si saranno resi conto che se siamo arrivati a questo punto
lo
si
deve
solo
alle
stronzate
e
perdite
di
tempo
di
Alfredo.
6 settembre Ho finalmente un incontro con Grimaldi. Parlo tre ore. Ma è inutile. La mentalità non è fatta per capire né per voler capire
le ragioni storiche di una scelta che poteva anche – e ne sono sicuro – coincidere con le ragioni di una conveniente impresa commerciale, per lui. È la paura politica che gli impedisce di andare avanti, di rischiare. Si deve essere legato sempre di più agli americani che, d’altra parte, non è escluso che gli abbiano fatto
delle
pressioni.
Gli
faccio
la
proposta
–
come
da
suggerimento di Tonino che è una conferma d’altra parte di idea che avevo covato in embrione – di farmi partire subito per l’America Guevara
del e
Sud,
una
sull’America
girare
serie
Latina
roba
che
televisiva
nel
quale
ci
può
o
servire
alle
sia
a
brutte
Guevara,
fare
un ma
il
film senza
ricorrere a Cuba. Non reagisce: vuole i conti e le previsioni di ripresa, capitali ecc. La proposta era utile perché comunque mi avrebbe permesso di saltare un momento di fermo che sarebbe – in ogni caso – la andata a Cuba e le nuove dismissioni e i nuovi accordi e i nuovi dubbi e le nuove sabbie mobili di una indecisione ecc… Da questo film ne esco solo se comincio a girare e non dovrei avere padroni di nessun genere, né produttori italiani né protettori-controllori-estimatori
cubani.
Ma
come
farlo
da
solo? I soldi della distribuzione ecc. è un problema!
9 settembre Monsignor Morandini, segretario della nunziatura apostolica di
La
Paz,
viene
a
cena
a
casa:
c’è
Tonino,
Bulù
oltre
Giancarla, poi viene Antonella, in seguito siamo raggiunti da Furio
e
Marco.
Morandini
mi
riferisce
che
gli
amici
di
«Presencia» più di una volta hanno ripreso notizie riguardanti le mie dichiarazioni sull’intenzione di insistere, malgrado le difficoltà, nel tentativo di realizzare il mio progetto di film sul Che. Morandini spinge con la mondanità del diplomatico e forse anche con un fondo di sincera stima. Riferisce che la situazione
in
Bolivia
è
sempre
più
confusa:
Barrientos
e
Ovando insieme nel pericolo e ognuno per conto proprio in pace
(ma
quando
6
Arguedas direttori
ispirazione
là
la
pace?).
Barrientos
sarebbe
Cia.
ha agito con tutti che sapevano. Bailey, uno dei due
di
dirigente
c’è
«Presencia»,
attivista,
di
è una
rivoluzionaria.
diventato
un
attivista,
organizzazione
«Noi
(“Presencia”
se
non
cattolica è
cattolico
di e
finanziato dai preti) lo lasciamo fare fin quando non diventa troppo pericoloso.» Si è lasciato crescere la barba. Gli studenti si
muovono:
tutto
si
muove;
i
minatori
«non
possono
muoversi» e questo lo si sa. La diplomazia di Morandini è un 7
freno a un discorso libero. Non ama Hélder Câmara
e questo
rientra nella sua funzione, oltre che nella sua costituzione. È molto simpatico e furbo come e più di una vecchia volpe.
13 settembre Vinco
la
nausea
prodottami
dall’ennesimo
ritorno
sull’argomento e cerco di scuotere un’ultima volta Grimaldi richiamandolo a un senso di rispetto verso se stesso che non dovrebbe consentirgli di far dileguare un progetto come nebbia al sole dopo un anno di lavoro mio e di impegno – anche se ora discusso – suo. Ammette candidamente che si tratta di paura politica e che deve stare a sentire dagli americani come la
prenderebbero
se
lui
facesse
il
film.
Nega
che
le
preoccupazioni siano di natura economica. Mi chiede ancora sette giorni per arrivare a una conclusione.
14 settembre Vedo
Franco
Solinas:
ha
ricevuto
una
visita
di
Grimaldi
(Provenzale dice che dopo il mio ultimo colloquio lo ha visto «scosso») che gli ha parlato del progetto Che. C’è anche la paura economica, oltre la politica. Solinas gli ha rinnovato la proposta della società nella quale non dovrebbe impegnarsi ideologicamente, ma limitarsi – ufficialmente – a una scelta di autori che stima e che vuole aiutare. Parlo un poco con Franco del film: io sono sempre dell’idea che si possa fare un film con una lunga introduzione riguardante la collocazione politicasociale
e
l’avventura
i
precedenti boliviana
storici, durante
dalla la
quale
quale,
fare però,
emergere dovrebbe
ritornare a più riprese la natura sociale e politica ed economica del Terzo mondo. Franco ha qualche dubbio sull’impiego del personaggio in quanto tale, io no. Ha anche dubbi sull’azione di Guevara. I dubbi che sono legati agli errori sono però legati alla natura appassionata del Che e sono un contrasto spiegabile con la sua teoria. Un teorico lucido, ma non tanto da evitare di
finire travolto dal carattere passionale delle sue stesse teorie e se si esamina il problema con occhio non europeo lo si può 8
capire. La teoria del foco di Guevara
è diversa da quella di
Debray. Per il primo credo che si tratti di stabilire che è un motore,
per
il
secondo
che
è
l’unico
motore
e
quindi
teorizzabile in maniera quasi astratta, mentre in Guevara non c’è niente di astratto; di utopistico sì, ma non di astratto.
15 settembre Federico Fellini mi viene a trovare nella casetta di Fregene. È molto caro: mi mette affettuosamente, sinceramente in guardia dai pericoli dell’inazione. Lui ci è passato e ne sa qualcosa. Non faccio fatica a dargli ragione. Da qualche giorno mi sto scuotendo
da
un
dolce
avvelenamento
che
mi
aveva
preso
negli ultimi due, tre mesi: ho voglia di fare, ma la mente e la passione,
forse
l’orgoglio
anche,
mi
riportano
sempre
sul
progetto Che, anche se comincio a pensare a qualcosa per riempire o rompere. Per es. ritorno a Ritratto della mia città, un’ora
di
racconto
libero
su
Napoli,
per
la
televisione.
Federico è entusiasta dell’idea, dice che la farebbe anche lui ecc., che può parlane a Bernabei, a Gencarini, ma io penso che è meglio parlarne a Fabiani, giornale televisivo e Tv7 per via della
maggiore
libertà
politica.
L’entusiasmo
di
Federico
è
generosità e anche euforia per la sua decisione di mettersi in un ingranaggio a pieno ritmo lavorativo. Ha ragione ma può anche avere torto se poi finisce per mollare con se stesso sul rigore della ricerca per una scelta. Il Satirycon potrà essere 9
bellissimo, ma il Mastorna
lo avrebbe dilaniato di più in una
ricerca se non altro per fare i conti con se stesso.
16 settembre Combino
una
proiezione
di
La
hora
de
los
10
hornos
di
Solanas, c’è anche l’autore. Il film ha il difetto di essere troppo enunciativo e reiterato negli argomenti: è una nobilissima e utile iniziativa, ma senza il racconto di una materia.
19 settembre
In seguito a una sua telefonata, mi incontro con l’ambasciatore di Cuba preso la Santa sede, Amado-Blanco, molto amico di Alfredo Guevara. È dell’opinione – e dice che lo ha detto anche a Cuba – che il film deve essere italiano e l’accordo con Cuba
non
ufficiale.
«Errori
inevitabili»
sono
quelli
che
ammette attribuibili alle lungaggini ed esitazioni burocratiche di Alfredo. Comunque, lui si offre per suavizar todo,* cercare di facilitare le cose, propone un incontro con il produttore ecc. È
evidente,
se
non
lo
fosse
già
abbastanza
attraverso
i
telegrammi e le telefonate, un’intenzione da parte di Cuba di non perdere il contatto e da parte di Alfredo, probabilmente, di non
volersi
assumere
la
responsabilità
di
un’azione
che
avrebbe fatto sballare l’iniziativa. Mi
muovo
intanto
contemporaneamente
con
Cristaldi
e
l’avv. Carpi. Sono entrato nella determinazione di tentare di combinare il film anche da solo e con Cuba o senza Cuba. Cristaldi
aspetta
Noleggio,
l’avv.
Feltrinelli,
e
di
vedere
Carpi
Carpi
è
come
è
va
una
l’Interfilm
l’avvocato
di
possibile (dietro
Feltrinelli)
via
c’è e
Ital-
anche gli
ha
preparato un promemoria.
24 settembre Dalla bocca di Grimaldi, strappatogli con la fatica che ti fa fare solo un indeciso su tutto, esce: «Non me la sento di fare questo film».
25 settembre L’avv. Sabelli incontra Grimaldi il quale nega di avermi mai manifestato la volontà di fare il film e dice che tutto quello che è stato fatto lo ha fatto per «farmi piacere». Che l’avv. Sabelli «senta Provenzale se vuol conoscere la verità». L’avv. Carpi mi comunica che la mentalità dei distributori fa sì che il fatto che ci sia già un film «Che Guevara» e che l’America
annuncerà
impedimento
decisivo
la a
lavorazione non
far
di
prendere
un in
altro, esame
sia il
un mio
progetto. Aggiunge che nell’ambiente si dice che il motivo
addotto
da
Grimaldi
ai
suoi
dubbi
e
alle
sue
perplessità
è
proprio il progetto XX Century Fox.
27 settembre Vado a colazione con Gorodisky che mi rinnova la proposta di portargli qualche progetto e torna timidamente all’idea di quel film mafia-sbarco alleato in Sicilia che avevo poi rifiutato.
1 ottobre Todini (De Laurentiis) mi offre un film su un negro che in Vietnam,
avendo
combattuto
ed
essendo
decorato,
si
sente
come i bianchi e quando torna in America e si ritrova a essere nero ecc… non gli resta che sparare. A parte il tema logoro (già gli stessi americani l’hanno fatto sugli ebrei ecc.), che cazzo ne so io della «società» americana da «penetrarla» con un’analisi?
Perché
per
un
film
del
genere
l’unica
strada
sarebbe un’analisi approfondita di una società. Rifiuto. Penso che, malgrado tutte le riflessioni sullo spostamento di interesse da temi italiani a temi universali (internazionali), un tentativo da fare sarebbe quello di restituire al cinema italiano una sua fisionomia.
Trattare
proprio
quel
per
un
tanto
tema di
italiano
universale
sprovincializzandolo
che
può
contenere,
e
lasciare anche quel tanto di autenticamente «nazionale» che dovrebbe essere un elemento di interesse. Torno con l’idea a Napoli come umanità di vermi, che soffoca, Terzo mondo di casa nostra. Scoprire il Terzo mondo in casa nostra, sarebbe 11
giusto! Qualche sera fa, Vincenzoni,
12
in presenza di Lopert,
mi dice: «leggi Drum». È una storia di un negro. Ora tutto il cinema, qui e in America e dappertutto, si «butta» sul negro e con quella ambiguità tipica del cinema e di un certo cinema che si nasconde dietro un alibi, nel migliore dei casi, perché nella maggioranza dei casi fanno anche a meno dell’alibi. A proposito di negri, Andrea Barbato e Furio Colombo mi hanno
proposto
anche
loro
una
storia
di
negri,
ma
questa
potrebbe contenere la possibilità di uscire fuori dall’equivoco dell’alibi e oltre tutto non richiede neppure l’analisi di una società. In un certo modo, è una storia astratta pur se concreta, perché
procede
attraverso
un’esemplificazione
di
contrasti
ideologici. Pur con le difficoltà dell’argomento, della lingua ecc., è una cosa da prendere in considerazione.
2 ottobre Mi incontro all’Excelsior con il gruppo Columbia. Sono sette tra americani e inglesi: quello che sembra più autorevole o, perlomeno, il più rispettato e ascoltato, è giovane, simpatico e con un’aria intelligente. Vogliono scavalcare il «produttore» italiano. Si sono accorti finalmente che rappresenta per loro uno svenamento. Espongo sulle generali le due idee, quella su Napoli
e
equivoci
quella sul
sui
mio
negri,
e,
proprio
personaggio,
perché
espongo
non
il
ci
siano
tutto
sotto
un’angolazione politica, ideologica, pur facendo attenzione a mettere in forte evidenza gli aspetti umani e sociali. Sui negri c’è
una
certa
resistenza
pregiudiziale:
«Attenzione
a
non
eccitare gli animi», «Il problema negro è nato con Noè ecc.», «Noi stessi adesso facciamo Malcolm X ma bisogna che un film sia istruttivo, costruttivo e non distruttivo altrimenti la legge non lo fa uscire ecc.». L’altra idea sembra che non cada nel vuoto. «Naturalmente tutto dipende da come si sviluppano drammaturgicamente le situazioni.»
E
certo
siamo
d’accordo.
Quando
ho
roba
da
leggere, mandare. Giancarla mi ricorda che avrei dovuto tentare con l’affare Brecht. Ha ragione, ma d’altra parte quello ha già venduto al produttore del musical…
4 ottobre Parlo con Carlos Franqui che è a Venezia a casa di Nono, «Non hanno
rinunziare». fatto
da
È
una
Cuba!
parola,
Lui
no,
dopo
tutte
perché
le
non
cazzate
è
che
certamente
d’accordo con Alfredo Guevara, ma più ci penso e più mi convinco che l’unico colpevole è stato Alfredo; con una buona dose di giustificazione all’inizio, ma da un certo punto in qua senza
più
alcuna
giustificazione,
cioè
della
dell’articolo 7. Cercherò di vedere Carlos a Milano.
richiesta
5 ottobre Mi
chiama
Ermanno
Olmi.
Lo
avevo
chiamato
per
uno
scrupolo. Gli devo accennare alla faccenda che le distribuzioni sono condizionate dall’idea che esce il film XX Century Fox con Sharif. Comunque mi richiamerà martedì, al ritorno da S. Marino. Il film su Napoli si fa strada: c’è materia, ne sono sicuro, ma non so fino a che punto universale, per ora perlomeno. E ricorrere a un fatto che dia suspence non so fino a che punto sia utile o giusto. Dovrei leggere qualcosa su questo Charles de Foucauld per rispondere ad André Michelin che vuole fare questo film.
8 ottobre Viene Carlos Franqui a Roma. Lo metto al corrente di tutta la situazione.
In
base
anche
alla
sua
esperienza
personale
frustrata in Cuba per colpa dell’Icaic – dice lui – (Loin du Vietnam,
libro
su
Fidel,
per
questo
non
Icaic),
pur
riconoscendo le grandi qualità di Alfredo, conferma in parte la convinzione che mi sono fatto che tutto ha preso la piega che ha preso per difficoltà burocratiche. Io personalmente sono convinto che, a parte la giusta, fino a un certo punto, titubanza sull’opportunità di fare il film, c’è stata una serie di difficoltà provenienti
proprio
da
una
certa
mentalità
responsabile
di
Alfredo e dalla sua funzione di direttore dell’Icaic che non poteva limitarsi ad appoggiare a tutti i costi uno «straniero» nella sua intenzione di fare questo film. Va bene, cioè può anche avere la sua giustificazione tutto ciò, ma allora dove va a finire la differenza tra Cuba e il resto?
10 ottobre Mi
telefona
Alfredo
da
La
Habana.
Mi
chiede
«estas
filmando?».* Sarebbe tropo facile rispondergli mandandolo a fare in culo: mi limito a metterlo al corrente dei miei passi che urtano contro la realtà delle «uscite» degli altri due prodotti concorrenziali. Mi dice che verrà in Europa alla fine del mese come se volesse farmi qualche proposta. La natura di mistico
nell’ideologia e nell’applicazione di essa, di Alfredo, credo che sia la vera – e sotto quell’aspetto, giustificabile – ragione del
suo
comportamento
che
sicuramente
ha
mostrato
una
contraddizione: per quasi tutto il tempo – e cioè sette mesi – dubbi, incertezze, diffidenze; e poi, da tre mesi a questa parte, insistenze come se, di fronte alla conseguenza che nel mondo per il momento ci sono le due edizioni di film sul Che, non certo le più vicine a una seria intenzione, tutte le incertezze debbano cadere. Ma
era
facile,
per
uno
che
non
sia
un
mistico
e
che
conosce come vanno queste cose, specie nel cinema, prevedere che sarebbe andata a finire così! E quindi, sapendo oltre tutto con
chi
tempo!
si
aveva
Dando
a
che
fare,
dimostrazione
«gettarsi di
nella
mischia»!
intelligenza
politica,
Per oltre
tutto, come aveva ben capito subito il suo capo!
11 ottobre Vado dall’ambasciatore cubano presso la Santa sede, AmadoBlanco, molto amico di Alfredo. Gli riferisco della telefonata con Alfredo e gli comunico che gli ho detto che, per forza maggiore, il progetto va rinviato. Secondo quanto detto dallo stesso
Blanco,
occorre
che
io
aspetti
una
«opportunità
opportuna». Suggerisco all’ambasciatore di fare o far fare da Aleida
un’azione
contro
i
film
realizzati
o
in
corso
di
realizzazione sul Che.
14 ottobre Ho un colloquio con Grimaldi per riprendere il discorso con lui. Dice che ha intenzione di fare non uno ma due film con me. Gli parlo dell’idea di Napoli; mi chiede di quella dei negri (Colombo e Barbato), gli piace, ma lo avverto che è un film politico
anche
quello,
poi
mi
parla
lui
di
Cent’anni
solitudine e si interessa per una opzione sui diritti.
24 ottobre
di
Parlato
con
Pepe
Aguilar
che
è
a
Madrid.
Ha
da
dirmi
qualcosa di importante che non può dirmi per telefono. Lo invito a Roma perché non ha soldi per il viaggio e d’altra parte io non ho tempo per andare tranquillamente a Madrid e poi capisco che gli fa piacere venire a Roma.
26 ottobre Arriva Pepe: ha deciso di tornarsene in Argentina, a Buenos Aires. È stato a Cuba cinque anni e ha scoperto a Cuba di essere argentino. Io credo – e così viene fuori dai suoi racconti – che è Alfredo Guevara ad averlo obbligato ad accorgersene: infatti
lo
mise
in
condizioni
di
dover
dare
le
dimissioni
dall’Icaic. Opinioni, punti di vista e notizie di Pepe Aguilar: •
La responsabilità di Alfredo Guevara riguarda l’andamento negativo del progetto del film. Pepe suppone – pur non avendo
elementi
avrebbe
condotto
concreti la
di
cosa
giudizio
così
per
–
che
addirittura
preferire
un
altro
progetto, quello di Tony Richardson con il quale ha una relazione personale di amicizia. •
Quando venne in Italia – al momento in cui con Solinas e Tutino
lavoravamo
alla
preparazione
di
una
linea
ideologica del film – Alfredo non aveva avvertito nessuno dei dirigenti a Cuba: quindi ulteriore perdita di tempo in quanto
continuazione
personali
di
Alfredo
di
discussioni
che
avrebbero
inutili
su
potuto
posizioni
già
essere
modificate in partenza dietro conoscenza del parere degli altri e quindi avrebbero permesso di guadagnare tempo qua. •
L’impuntatura sull’articolo 7 e sull’articolo 4 è quello che ha fregato tutto. La decisione di voler trattare solo con me poteva essere presa tanto tempo prima e Grimaldi aveva ammesso di volerla prendere in considerazione.
•
Aleida gli disse sulla tribuna a Santa Clara che lo riteneva responsabile dell’esito negativo. Il consiglio di Pepe è di andare a parlare personalmente a
Cuba e di non trattare più a Roma dove ad Alfredo può riuscire
meglio il suo gioco (e la perdita di tempo). Secondo
Pepe,
Alfredo
verrebbe
qui
come
mi
ha
annunciato per raccogliere una mia rinuncia. Lasciare invece tutto sospeso a una mia intenzione di non rinunciare (mia vera posizione d’altronde) e rimandare la decisione a Cuba non appena in grado di disporre di elementi positivi. Al momento in cui Alfredo inviò il telegramma invitando me e Provenzale a così stretto giro di giorni (due) a partire per La Habana, c’era stata decisione da parte di Fidel e Aleida. Secondo
Pepe
(cosa
che
non
sarebbe
neanche
a
conoscenza di Alfredo) Fidel e Aleida avrebbero deciso di fornire a me gli elementi contenuti nei diari del Che di tutto il periodo da quando sparì da Cuba (Congo ecc.), perché oltre tutto questa sarebbe stata una forma politicamente valida di divulgazione
(dato
che
contengono
cose
che
potrebbero
compromettere Cuba se divulgate direttamente). Un produttore spagnolo, Terejeta, sarebbe interessato. Pepe ha ricordato che il
Che,
dopo
aver
visto
Giuliano,
disse
che
quel
regista
avrebbe dovuto fare [un film] sulla Rivoluzione cubana se un giorno fosse stata presa questa decisione.
31 ottobre Pepe
riparte
per
Barcellona-Madrid-Puerto
Rico-Buenos
Aires. Gli pago io la differenza: è un ragazzo che merita di essere aiutato. Gli ho fatto vedere Roma e Napoli. È servito anche
a
contatto
me
andare
in
panoramico
giro e
con
occhi
sintetico
da
con
straniero una
per
un
situazione
contradditoria tra civilizzazione esterna super industriale ed eterni
immutabili
problemi
di
fondo
che
mutano
solo
per
non
un
peggiorare, colonizzare e schiavizzare. Cos’è
altro
l’urbanizzazione
di
Napoli
se
colonialismo? Prendiamo quel vicolo traversa di Forcella dove c’è il palazzone moderno nello stesso spazio e con quattro, cinque, sei, sette volte di più, la gente. Serve a capire tutto. E il Vaticano a Roma e il cinismo romano. Ora, a che punto sono io a un anno di distanza dal giorno in cui ho progettato il film su Che Guevara e l’America Latina? •
Sempre appassionato all’idea.
•
Sempre fiducioso che valga la pena, anche con il rischio di sbagliare o dire cose incomplete.
•
Sempre
mosso
da
un
interesse
ideologico,
artistico,
personale ecc. che mi impedisce seriamente di passare ad altre serie passioni che si accendono in questo periodo, invece, e si spengono come lampadine con i fili interni già consumati e prossimi a finire definitivamente. È come un amore che, anche se uno ha deciso che deve finire, non finisce mai. E bisognerebbe buttarsi a capofitto in qualcosa d’altro anche se non ti muove quanto quello di prima. Ho tentato varie strade locali per riprendere in mano il progetto su una differente impostazione produttiva, ma con risultati negativi. Mi
resterebbe
tentare
con
vari
produttori,
distributori
esteri, ma l’idea di tutta la trafila mi terrorizza per il tempo che ci vuole e perché dovrebbe farla qualcun altro e non io. Mi fa paura anche l’idea di dover ricominciare con Cuba, Alfredo Guevara, le attese, le cineserie politiche ecc. Il tempo che si perde. Ci vorrebbe qualcuno che mi aiuti: un uomo dall’abilità e simpatia di Tonino Cervi e seriamente messo sulle cose come lui non si impegna, o politicamente e pasticcionamente abile come
Pietro
Notarianni
che
però
è
incasinato
al
punto
di
straparlare… che cazzo farò per venire fuori da questo periodo di merda nel quale sono immerso sino al collo e del quale si può solo venire fuori troncando netto in un senso o quello suo contrario?
2 novembre Ho deciso, comunque, di andare avanti con il progetto del Che: si farà quando si potrà, prima o dopo un altro film, ma per nessuna ragione voglio – per quanto riguarda la mia volontà – lasciare
finire
così
stupidamente
e
miseramente
una
«passione» che corrisponde a un interesse profondo, a una scoperta,
a
un
accostamento
umano
e
a
un
processo
di
chiarificazione politica interna – e a un anno di lavoro. Alfredo Guevara vedremo come risponde, come reagisce.
Mi vedo con Pietro Notarianni perché penso che, attraverso di
lui,
mi
è
più
possibile
manovrare
all’interno
dell’Ital-
Noleggio: e penso anche che la tortuosità politica – tendenza naturale in Pietro – sarà il terreno sul quale si potranno meglio intendere
con
Alfredo
Guevara
lasciando
lavorare
me
«abbastanza» tranquillamente, per quanto ci creda poco. Ma, d’altra parte, non c’è altra scelta se uno vuole fare il film in un certo modo, con la collaborazione di Cuba: e la strada da me scelta da sempre, non solo è questa, ma sono convinto che è la più giusta proprio per questo tipo di scelta che obbliga poi a questo tipo di difficoltà. Pietro aderisce per natura – cioè per voglia di stare sempre in
mezzo
–
per
elezione
politica
e
per
necessità,
cioè
convenienza di stare, sempre all’interno dell’ente che più gli interessa e nel quale ha bisogno di ristabilire un suo prestigio, comunque attorno o dentro un progetto di questo genere.
3 novembre Viene
Enzo
Provenzale
a
casa:
esprime
il
suo
parere
favorevole a Back to Africa e la sua «preoccupazione» che i contenuti
ideologici
un’osservazione preoccupazione spettacolare venire
e
fuori
si
sovrappongano
addomesticata che
di i
un
film
svolgimento contenuti;
dal
mestiere,
mantenga di
ma
ai
una
avvenimenti è
fatti. cioè
sua dai
È
dalla
validità quali
un’osservazione
far
giusta
trattandosi di un film che deve marciare su due binari – come questo – i fatti e i contenuti. Che poi è il problema di sempre, risolto, per quanto mi riguarda in Giuliano più che ne Le mani sulla città dove il dibattito ideologico era mantenuto allo stato vergine
di
idee
che
facevano
passare
in
secondo
piano
gli
avvenimenti stessi. Pare che Grimaldi sia interessato pur esprimendo le solite preoccupazioni
di
natura
politica
che
non
si
può
non
pretendere che vengano da un uomo come lui. D’altra parte, è proprio da questo giro alterno di interesse, paura, furbizia che possono essere mandati avanti oggi certi progetti che vogliono essere
cinema
di
idee
vende
e
ti
consente
che
dignitosamente.
e
allo
Altrimenti
di il
stesso
tempo
andare piccolo
cinema
avanti film,
più
che o
poi
meno
spaccatutto,
ma
temo
che
sia
un
discorso
da
«giovani»
anagraficamente
parlando. Noi forse non saremmo più capaci, perché abituati o «viziati»
da
una
storia
personale
del
nostro
lavoro
che
coincideva con una storia generale, nel senso che ognuno si inseriva
in
un
tipo
di
discorso
ideologico
generale
che
costituiva la nostra forza e la nostra protezione. Ed era proprio il tentare di fare un certo tipo di film senza contravvenire in maniera totale a certe regole di commerciabilità ecc. Oggi per poter fare qualcosa di veramente valido fuori dagli schemi e dagli accordi e dalle concessioni, bisognerebbe proprio uscire 13
totalmente fuori dai sistemi. La Cina è vicina, Escalation,
15
14
Grazie zia,
non sono certo esempi di quello che dico, anzi
tutt’altro. È un finto essere giovani, di giovani già nati vecchi con tutti i nostri vizi e le nostre concessioni, rispolverate però abilmente
e
ripresentate
con
l’occhio
e
con
l’orecchio
ben
attento al pubblico. Giuliano e Le mani sulla città restano – a parte la loro vitalità estetica – proprio per la loro coerenza e il loro rigore di opere che escono o tentano di uscire fuori da certi schemi e da certe regole. Un film deve essere visto dalla gente, deve essere didattico e questo è il massimo che si possa permettere
di
coerenza
morale
e
di
sforzo
di
opposizione
all’interno di un sistema. Altrimenti, sperimentare, ma nella maniera
più
rivoluzionaria
della
sua
concezione,
alla
impostazione, alla realizzazione. E allora non si possono fare giochetti più o meno riusciti di accordi, concessioni ecc. Beninteso, se ne vale veramente la pena. Ma chi lo decide se non l’autore e la validità dell’opera compiuta? E allora, o un produttore mecenate o un autore libero che rinuncia in partenza a tutto, accettando il rischio di prendere poi, o non prendere del tutto. Rivedo Mino
Pietro
Guerrini,
Notarianni.
amico
di
Da
voci,
Alfredo
cose
Guevara)
dette pare
ecc. che
(da la
predilezione di Afredo per Tony Richardson esistesse ed esista davvero. Vedremo. Chiedo a Pietro di mettermi in contatto con i capoccioni dell’Ital-Noleggio e dell’Ente di gestione. Poi gli preciso che: •
film italiano
•
collaborazione e approvazione treatment dopo di che mia libertà
•
papocchi
politici
ridotti
all’indispensabile
e
comunque
fuori di me perché ne ho i coglioni pieni •
impegni scritti
•
esclusione conseguente di Cuba in altri progetti sul Che.
8 novembre Mi incontro, presente Pietro Notarianni, con Pasquale Lancia a Cinecittà.
Gli
espongo
il
progetto
del
film
sul
Che,
le
condizioni politiche, il carattere di italianità del film ecc. È molto
interessato,
perlomeno
lo
dimostra,
e
naturalmente
subordina tutto alle decisioni da prendere in sede collegiale, politica ecc. Enzo Provenzale dice che gli ha parlato giorni fa e che Lancia era per il «no» (ragioni politiche).
12 novembre Sono a Roma, arrivati nel pomeriggio Alfredo Guevara e Saul Yelin. Pietro Notarianni mi riferisce di aver parlato anche a Mario Gallo con esito positivo.
13 novembre Vengono
qui
a
casa
Alfredo
Guevara
e
Saul
Yelin.
Come
sempre con Alfredo è difficile stabilire un rapporto «caldo». È sempre tutto ufficiale. «Siamo, e non solo io in quanto sono interprete dei sentimenti dei compagni a Cuba, sempre per appoggiare e sostenere la tua iniziativa audace ecc.» Questo impedisce di portare il discorso sulla sua responsabilità nel ritardo e quindi nel fallimento del progetto per quest’anno. D’altronde
non
sarebbe
neanche
un
discorso
realistico
e
concreto. Registra la mia «urgenza» a fare altre cose prima del Guevara. Nota che, quindi, passerà perlomeno un anno. Dico che certo, passerà non meno di un anno.
Propone di farlo tutto a Cuba, con l’apporto di materiale documentario
che
hanno
(il
pezzo
dei
brasiliani)
e
dato
il
livello di qualità raggiunto dai loro tecnici («questo è stato l’anno del salto»), riservando a me un mercato, e facendo una società fuori Cuba e appoggiandosi a un piccolo produttore nell’Occidente. Gli rispondo che il problema oggi più di prima è quello di fare un film sulla situazione generale dell’America Latina in rapporto a Che Guevara e che quindi non lo si può fare tutto a Cuba. E che, oltre tutto, un film fatto tutto a Cuba (anche se sotto
etichetta
differente)
avrebbe
sicuramente
difficoltà
di
diffusione. Dopo aver perso un anno, io ora non ho nessuna fretta. L’importante è farlo bene. Però se i loro interessi sono altri… «Anche noi abbiamo interesse a fare le cose seriamente… certo che i film che escono ora ci daranno fastidio, ma ci penseranno
localmente
i
giovani
a
fare
giustizia
copia
per
copia» (e in questo senso non accoglie la proposta da me fatta di una azione legale a nome della vedova di Che Guevara). Mi riannuncia che Santiago Álvarez farà anche lui, senza fretta, un film documentario sul Che e che quello sarà l’omaggio dell’Icaic al Che e ai rivoluzionari. Gli sembra una buona cosa quella dell’eventuale accordo con l’Ente di gestione. A colazione con Pietro Notarianni ripetute le stesse cose.
Dal 14 novembre al 2 dicembre La mia possibilità di intesa con Alfredo Guevara sul piano umano continua a essere molto scarsa: riconosco che è molto intelligente, molto colto, molto abile, ma la sua impostazione mistico-politica, oltre a costituire un filtro tra me e lui sul piano di una «simpatia» umana, che si realizzi attraverso il calore autentico degli incontri, è sicuramente la ragione prima della non riuscita del progetto del film. Pietro possibilità
Notarianni di
annuncia
finanziamento
fuori
che della
avrebbe
trovato
eventualità
Ente
la di
gestione, ma da quel momento è sparito e non si è fatto più vivo.
Guevara
è
partito:
gli
ho
riconfermato
di
non
aver
rinunciato al progetto e che gli farò avere notizie non appena le date degli altri miei impegni mi consentiranno di poter fare un programma preciso. Apprendo che sceneggiatore (o unico autore) del film di Fleischer è Mike Wilson: sono curiosissimo di sapere qual è la strada che ha seguito uno dei «dieci» cacciati da Hollywood e tornato ora a lavorare a Hollywood di fronte a un film che sicuramente deve affrontare anche sul terreno dell’ideologia. La conclusione a oggi è che bisogna lasciar passare del tempo:
non
tanto
per
questi
progetti
(che
indubbiamente
costituiscono la difficoltà pratica), ma anche per un necessario processo di decantazione di tutta la materia. E così, chiudo per il momento questo episodio del mio lavoro e della mia vita, con una sensazione di castrazione per aver esaurito un processo di preparazione di un progetto e per non averlo potuto esprimere. *
Gusanos, vermi, è l’appellativo dato dai rivoluzionari agli anticastristi che lasciavano Cuba.
*
Addolcire tutto.
*
«Stai girando?»
Che Guevara Soggetto di Francesco Rosi
Il
film
non
significato
vuole
essere
convenzionale
una al
biografia, quale
un
perlomeno certo
nel
tipo
di
cinematografo ha aderito quando si è trattato di raccontare la vita di un uomo che, per una ragione o per un’altra, è uscito dai
limiti
storia.
delle
Io
Salvatore
ho
sue
già
vicende
fatto
Giuliano:
mi
personali
qualcosa riferisco
di
per
simile
appartenere con
naturalmente
il
mio
allo
alla film
stile,
al
modo di raccontare una serie di avvenimenti in maniera che lo spettatore possa assistervi non solamente per subire i fatti, ma per parteciparvi, come se fosse chiamato a prendere coscienza di quello che accade sullo schermo, quasi a sentirsi attore egli stesso
di
quegli
avvenimenti
che
formano
la
storia
di
un
momento della vita di un Paese, ma che è un momento della vita stessa dell’umanità. E «Che» Guevara fa parte ormai della storia, come fa parte della dinamica della storia lo sforzo della Rivoluzione cubana di uscire dai limiti nazionali per proiettare la carica del suo entusiasmo rinnovatore in un movimento che comprenda tutti i popoli dell’America Latina. Poco
importa
come
esattamente
sia
morto
il
Che,
le
coincidenze di tutti quegli avvenimenti che hanno portato i suoi nemici insperatamente a eliminare fisicamente chi si era fatto alfiere di una rivoluzione che ha fatto parlare di sé il mondo e che costituisce ormai il riferimento di tutti i popoli oppressi del Terzo mondo, la spinta per il risveglio di quanti, vivendo nell’avvilimento di dover combattere quotidianamente solo
per
soddisfare
dell’uomo,
non
quelli
possono
e
che non
sono
i
vogliono
bisogni
primari
aspettare
che
la
risoluzione di questi bisogni venga affidata a un tipo di lotta organizzata
su
masse
organizzate.
Quando
il
popolo
non
è
nemmeno in condizioni di avere coscienza della forza dei suoi diritti, c’è bisogno di chi crei questa condizione, di un impulso motore, cioè, che muova questa forza. Questo impulso è la
q scelta
di
un
uomo
e
di
p
un
gruppo
di
uomini
pienamente
coscienti del tipo di sacrificio al quale si votano, posizione romantica e lucidamente ideologica assieme, come nel caso del Che. Come lo hanno ammazzato, quante volte e come lo hanno fatto morire, ricostruire gli ultimi momenti della sua generosità di uomo che aveva messo la sua vita a servizio di una grande idea, il riscatto di tutti gli oppressi dell’America Latina; le contraddizioni, il caso, le menzogne di un Potere militare che si
sente
insicuro
e
che
ha
fretta
di
sotterrare,
bruciare,
nascondere chi è la sua condanna vivente, chi rappresenta il pericolo, il richiamo potente, perché va avanti con la forza dell’esempio e non solo delle idee teorizzate, al risveglio della coscienza di quanti hanno bisogno di vedere, di toccare per credere che il riscatto può essere un fatto concreto, e non solo una ispirazione. I
fatti:
Come
sono
è
quelli
stato
circostanze
che
che
possibile hanno
interessano uccidere
fatto
sì
che
alla
mia
narrazione.
quest’uomo, il
cerchio
si
le
varie
chiudesse
intorno a lui, lo sprezzo per il pericolo che forse ha giocato una parte importante negli ultimi avvenimenti di questa storia, la generosità dell’esempio spinto fino alla sottovalutazione del pericolo stesso. E
intorno
liquidare,
e
al
corpo
intorno
al
ferito
l’accanimento
corpo
senza
vita,
di
chi
poi,
lo la
deve fretta
malaccorta di chi deve sbarazzarsene, quasi a voler seppellire uno
spettro
che
incute
timore,
ma
lo
spettro
continua
ad
aggirarsi con la forza delle sue idee. E dall’immagine di quel corpo ormai senza vita fisica, far venire fuori la vita che c’è stata, il passato: ma il passato di un uomo al servizio di una idea e non solo semplicemente gli avvenimenti che formano via via la personalità di un uomo. La scoperta della sofferenza di un popolo che non era suo solo perché abitante della sua stessa nazione, ma suo in quanto uomo
di
un
appartengono
più a
vasto
più
continente
nazioni,
quasi
dove tutte
i
popoli
legate
oppressi
dalla
stessa
lingua, tutte sicuramente legate dallo stesso tipo di schiavitù economica, anche se da una differente storia. Il Guatemala, un momento in cui la coscienza già apertasi sulla realtà di un certo tipo di sofferenza, dolore che chiama
p altro dolore, si approfondisce nella conoscenza delle ragioni di questa condizione di sofferenza. E l’incontro poi con Fidel, che in altra parte dello stesso continente
aveva
consapevolezza,
sentito
in
più,
le
della
stesse necessità
urgenze,
con
la
dell’organizzazione
della lotta armata. E la grande avventura della Rivoluzione cubana, l’epopea della
sollevazione
sforzo
per
di
affermare
un
popolo,
una
l’invasione
rivoluzione
sociale
dell’isola, che
lo
cambierà
istituzioni, ordinamento sociale ed economia di un Paese nella determinazione,
mai
risolta
prima
di
allora,
di
scuotersi
dall’oppressione prepotente del Potere economico. «Altre terre nel mondo reclamano l’aiuto dei miei modesti sforzi.
E
io
posso
fare
quello
che
a
te
è
negato
dalle
tue
responsabilità di fronte a Cuba. È giunta l’ora di lasciarci.» È un programma chiaro, la divisione di due tipi di responsabilità che si integrano, due uomini chiamati, ognuno per la strada che gli compete, a portare avanti la lezione della Rivoluzione cubana fuori dei limiti nazionalistici, al di là degli interessi solo del proprio Paese. Il ritorno sul corpo senza vita esposto sulla fredda pietra, nella lavanderia dell’ospedale di Vallegrande, è il ritorno a una realtà di più limitato respiro; l’inchiesta sui fatti, miseri nel loro accadimento di avvenimenti non sostenuti da una forza morale,
in
un
succedersi
di
particolari
che
hanno
la
triste
funzione di compiere un destino, una vocazione che, nata nella consapevolezza della possibilità di morte, in essa si conclude ma non si esaurisce. Quando ha giocato il caso? Quando le debolezze umane, il confluire
delle
dell’ultimo
atto
differenti di
strade
questo
che
dramma
ognuno ha
dei
vissuto
personaggi per
proprio
conto? I guerriglieri, i minatori, i contadini, i giornalisti, i soldati, gli indios dallo sguardo che non si capisce se indifferente o solo
impaurito,
i
rangers,
i
personaggi
taciturni,
ambigui,
responsabili ma che non vogliono apparire tali, tutti attori della complessa, intricata ma pur chiara storia che si è svolta intorno al Che vivo e al Che morto.
La taglia, miserabile vantaggio per chi era stato chiamato invece a prendere coscienza e a godere dei propri diritti. Se
a
noi,
che
in
un
minuscolo
punto
della
mappa
terrestre assolviamo al dovere che andiamo predicando e
poniamo
al
servizio
della
lotta
tutto
ciò
che
disponiamo, e cioè la nostra vita, il nostro sacrificio, se a noi capitasse uno di questi giorni di esalare l’ultimo respiro su una qualsiasi terra, che è nostra, bagnata dal nostro
sangue,
valutato
il
ognuno
significato
consideriamo
niente
dovrà
dei
sapere
nostri
altro
che
che
atti
e
abbiamo
che
elementi
del
non
ci
grande
esercito proletario, pur sentendoci orgogliosi di avere appreso dalla Rivoluzione cubana e dal suo più alto dirigente
la
grande
atteggiamento
in
lezione
questa
che
parte
proviene del
del
mondo:
suo cosa
importano i rischi o i sacrifici di un uomo o di un 1
popolo quando è in gioco il destino dell’umanità?
E i rischi e i sacrifici degli uomini non cessano perché la lotta armata continua in America Latina come nelle altre parti del
mondo
dove
c’è
l’umanità
oppressa
da
una
parte
e
oppressori dall’altra. Non so, e non vedo come potrei prevederlo sin da questo momento,
se
in
questo
film
adopererò
scene
di
attualità
documentaria: agli effetti dell’unità drammatica e stilistica del film vorrei farne a meno, anche perché è mio convincimento che non bisogna temere di riprodurre la realtà per grandiosa e storica che sia, proprio per trascenderla dal suo dato realistico e trasferirla in una dimensione in cui la realtà venga illuminata dal
valore
avvalersi
ideologico. con
particolare
Ma
vantaggio
importanza
non di
è
escluso
documenti
storica
ed
che
il film
possa
cinematografici efficacia
di
realistica.
Ugualmente non posso sapere fino a che punto e in quale percentuale di sviluppo drammatico avrò bisogno di «attori», professionali
o
improvvisati
che
siano,
che
interpretino
i
personaggi storici di questo film. Certo è che ne avrò bisogno, come è certo che per quanto riguarda il Che (come spero si sia capito dalla mia esposizione di questa prima impostazione di struttura interessa,
narrativa ma
la
del
film)
personalità
non
è
la
recitazione
dell’uomo,
che
è
che
riuscito
mi a
determinare i fatti e che dai fatti stessi è stato determinato.
Uno
sguardo,
possono precisa
una
illuminare e
sviluppata
battuta sul
definitiva
carattere
articolazione
di
al
un
momento
uomo
psicologica;
più
giusto, che
tenuto
una
conto
della difficoltà di trovare chi possa interpretare il Che e tenuto conto
del
fatto
che
nel
linguaggio
cinematografico
la
psicologia di un uomo può venire a volte costruita più dal montaggio delle conseguenze delle sue azioni che dalle sue azioni stesse. A riguardo poi della somiglianza più o meno esatta, che ovviamente con ogni sforzo di ricerca dovrà essere la più soddisfacente ed efficace, va considerato che la mia intenzione è quella di fare un film che circoli nel mondo e non nella sola Cuba, dove del Che e degli altri personaggi storici di questa vicenda si conoscono sembianze, gesti e voci al punto di
scoraggiare
chiunque
si
accinga
a
un’impresa
di
riproduzione creativa. Il problema esiste forse più per Fidel, e per il momento non vorrei pensarci, anche perché non sarei capace di risolverlo se non decidendo sin da ora di ricorrere a pezzi di repertorio documentaristico, cosa che per il momento vorrei non fare. Francesco Rosi 12 novembre 1967 La Habana, Cuba
Che Guevara Treatment di Francesco Rosi
Basta prendere la vita di un indio, accompagnarlo attraverso le tappe
obbligate
della
sua
breve
esistenza,
della
sua
sopravvivenza biologica. Basta confrontare questa condizione umana
con
le
forme
evidenti
di
un
potere
straniero
che
si
alimenta su di essa. Basta allargare lo sguardo: così è in Perù, in Bolivia, in Cile, nel Nordest brasiliano, in Columbia, in Guatemala… e in Africa… e in Asia. Nel
Vietnam,
le
forme
dell’imperialismo
non
sono
più
soltanto «economiche». C’è la guerra. In Europa, c’è il benessere. Nei parlamenti, si discute. La tragedia
del
popolo
vietnamita
viene
affrontata
con
le
sfumature, le cautele, le comprensioni della politica e della diplomazia
tradizionali.
Nelle
piazze
i
comunisti
chiedono:
«Pace nel Vietnam»… «Due, tre, molti Vietnam…» L’atmosfera stagnante di un Occidente compiaciuto del proprio benessere viene lacerata improvvisamente
dalle
manifestazioni
del
movimento
studentesco: «Creare due, tre, molti Vietnam…». Accanto agli slogan, i ritratti di Lenin, Mao, Ho Chi Minh. E il ritratto di Che Guevara. El deber de todo revolucionario…* Un
elicottero
delle
forze
aeree
boliviane
vola
sulle
montagne di Vallegrande. Avvolto in una coperta, legato a un pattino dell’elicottero, il corpo del Che morto. «Se a noi, che in un minuscolo punto della mappa terrestre assolviamo al dovere che andiamo predicando e poniamo al servizio vita…»
della
lotta
tutto
ciò
di
cui
disponiamo:
la
nostra
Il
cadavere
del
Che
viene
avvolto
dalla
coperta,
preso,
trasportato. Intorno a lui, sempre, una piccola folla curiosa e sbigottita di soldaditos, indios, ufficiali boliviani, giornalisti. E c’è
qualcuno
impedisce
che
alla
si
gente
distingue di
tra
tutti:
avvicinarsi
al
con
modi autoritari
cadavere.
È
l’agente
della Cia. Un
generale
boliviano
espone
ai
giornalisti
la
versione
ufficiale della fine del Che: morto dissanguato in seguito alle ferite riportate nel combattimento. Il
referto
dei
medici
smentisce:
il
Che
è
morto
immediatamente dopo essere stato colpito da una pallottola al cuore. Come e quando è morto effettivamente il Che? Nella scuola di La Higuera, il Che è seduto in terra, la schiena contro il muro. Due ufficiali boliviani lo interrogano. La risposta del Che è uno schiaffo: l’ufficiale lo fredda con un colpo al cuore. Subito dopo entrano altri militari che crivellano di colpi il corpo abbattuto al suolo. Nella scuola di La Higuera, il Che è seduto in terra, la schiena
contro
il
muro.
Si
spalanca
la
porta
ed
entra
un
sergente dei rangers. «Alzati in piedi!» «Perché, se mi devi uccidere.» Il sergente finge di uscire, poi si volta e lascia partire una raffica. Entrano altri militari che crivellano di colpi il corpo abbattuto al suolo. Nella scuola di La Higuera, il Che è seduto in terra, la schiena contro il muro. Nella penombra i due ufficiali entrano nascondendo le armi. Poi uno spara alle spalle e l’altro gli scarica l’arma in pieno petto. Poi entrano gli altri militari che lo finiscono. Il
presidente
Barrientos
dichiara
che
il
corpo
è
stato
sepolto in luogo segreto. Il generale Ovando Candía dichiara che è stato cremato e che solo due dita sono preservate per il riconoscimento delle impronte.
All’Avana Fidel Castro parla ai cubani: «Empiezan a llegar todas
estas
noticias
de
que
si
fue
enterrado,
de
que
si
lo
desenterraron, de que si fue incinerado, de que si despues le habian contado una mano, de que si el dedo, toda una serie de noticias
ademas
opinion
hay
de
macabras
possiblemente
contradictiorias…
algo…
que
debe
ser
En
la
mi
causa
fundamental de todas estas cosas extrañas. Y es el temor al Che despues de muerto…».* Il corpo del Che su una tavola di pietra della lavanderia dell’ospedale Nuestro Señor de Malta. I suoi occhi sono aperti, fermi
nell’immobilità
della
morte.
Le
sue
labbra
sono
dischiuse. Sembra che sorrida… «Ogni-nostra-azione-è-un-grido-di-guerra-control’imperialismo…» Guatemala, 1954. Imperialismo economico: United Fruit. La ferrovia è United Fruit. L’impresa elettrica è United Fruit. Il telegrafo è United Fruit. La radio è United Fruit. I porti, le compagnie
di
navigazione,
la
terra
coltivabile 1
Fruit. Il governo democratico di Árbenz
sono
United
tenta di attuare la
riforma agraria. È qualcosa di nuovo per l’America Latina. Il
Che
portuale. quanto
è
è
in
Vuole
Guatemala. provare
faticoso
Puerto
quanto
sollevarlo
e
Barrios:
pesa
un
portarlo
lavora
casco
di
durante
come
banane, un’intera
giornata di lavoro di uno schiavo dell’United Fruit. Árbenz non impone la riforma agraria, ma la discute con i legali dell’United Fruit. E
la
risposta
dell’United
Fruit
è
un
esercito
di
millecinquecento mercenari che invadono il Paese. L’esercito non oppone resistenza. I contadini difendono con il machete le loro speranze. Vengono massacrati. Che: «In Guatemala era necessario battersi e nessuno ha combattuto. Era necessario resistere, nessuno lo ha fatto». In quella stessa epoca in altri Paesi del Terzo mondo si combatteva. Santiago di Cuba. Alle prime luci dell’alba, si prolunga ancora la notte di carnevale. Un gruppo di uomini attacca il Cuartel Moncada. Li guida Fidel Castro.
La stampa comunista latinoamericana disapprova: «Questo è avventurismo». Algeria.
Aurès.
Un
gruppo
di
insorti
tendono
un’imboscata. È l’inizio dell’insurrezione armata. La stampa comunista francese disapprova: «È fare il gioco dei colonialisti». Vietnam. Dien Bien Phu. I comunisti vietnamiti obbligano alla resa l’esercito colonialista francese. Santiago di Cuba. L’assalto al Moncada è fallito. L’esercito di Batista dà la caccia ai superstiti. Si accanisce contro di loro. Li massacra. È il 26 luglio 1953. Le strutture e le scritte delle raffinerie
di
petrolio
nordamericane
dominano
la
città
silenziosa e atterrita. Oggi il Moncada è una scuola. In un’aula dell’edificio c’è il museo fotografico della rivoluzione. Una serie di immagini. Rivivono
in
esse:
l’arresto
di
Fidel,
il
suo
processo,
la
prigionia a Isla de Pinos, la scarcerazione… e il Messico. L’incontro di Che Guevara con Fidel Castro: «Fidel, in questo
momento
mi
ricordo
di
molte
cose. 2
conobbi nella casa di Maria Antonia…».
Di
quando
ti
«Lo conobbi in una
di quelle fredde notti di città del Messico e ricordo che la nostra prima discussione riguardò la politica internazionale. Poche ore dopo di quella stessa notte, all’alba, io diventai uno dei partecipanti alla spedizione.» Fidel Castro «… primero se hundirà la Isla en el mar antes que consintamos en ser esclavos de nadie…».* All’alba del 2 dicembre 1956 le coste dell’isola di Cuba si disegnano nella foschia dell’orizzonte. Il
Granma
faticosamente.
Il
è
sballottolato
battello
non
ha
dalle spazio
onde.
Avanza
sufficiente
per
gli
ottantadue uomini della spedizione. È il nuovo tentativo di Fidel Castro. Las
Coloradas.
Il
battello
si
arena
sul
bassofondo.
Gli
uomini sbarcano carichi dei loro zaini e delle loro armi. Il faticoso avanzare nell’intrico dei manglares.** Gli aerei di
Batista.
I
mitragliamenti.
La
fuga
nei
canneti
verso
la
Sierra…
Allegria
del
Pio.
La
trappola.
L’inferno
della
sparatoria. I canneti in fiamme. Inseguiti, dispersi, sterminati. Sono rimasti in pochi, con Fidel Castro. Fra questi Che Guevara. Estate 1958. La grande offensiva dell’esercito di Batista. In lunga linea, avanzano a rastrello i casquitos, i soldati della dittatura. Facce di contadini, feroci o atterrite, inconsapevoli… Le due lunghe file di guerriglieri dalla Sierra discendono verso la pianura. Si congiungono. Avanzano in colonna. E il cielo diventa nero. Piove. Gli uomini affondano nel fango. Cresce il vento. Aumenta. Il ciclone investe la colonna, la rompe. La spazza via. Ma la marcia continua… Non c’è più vento. L’aria è tornata ferma, soffocante. Il fango
si
è
indurito.
Gli
uomini
sono
scalzi,
laceri,
feriti.
Continuano ad avanzare, le due colonne di Camilo Cienfuegos e di Ernesto Guevara. I quindici superstiti del Granma sono diventati un esercito ribelle
e
poi
un
popolo
in
armi
che
come
un
fiume
entra
all’Avana… Vallegrande. Il corpo del Che è su una tavola di pietra della lavanderia dell’Ospedale Nuestro Señor de Malta. I suoi occhi sono aperti, fermi nell’immobilità della morte. Le sue labbra sono dischiuse. Sembra che sorrida… All’Avana,
il
popolo
in
armi
come
un
fiume
invade,
sommerge, dilaga e si confonde con la folla. E
poi
continua
cancelli
dell’United
miniere
di
ancora. Fruit:
Matahambre.
Invade
le
riforma Entra
campagne. agraria.
nelle
Abbatte
Scende
banche,
i
nelle
occupa
le
industrie, le raffinerie. Nazionalizzazione. Per tutta Cuba, fino alle cime della Sierra, alle paludi, al mare, partono le brigate dell’alfabetizzazione. Sulle spiagge non più vietate si spande l’allegria dei negri, dei bianchi, dei mulatti per la prima volta insieme, alla pari. Cuba è socialista. Fidel Castro:
Che
cosa
insegna
la
rivoluzione
cubana?
Che
la
rivoluzione è possibile, che i popoli possono farla, che nel mondo contemporaneo non vi sono forze capaci di impedire il movimento di liberazione dei popoli. 3
Allen Dulles:
Millecinquecento Guatemala.
esuli
Faremo
bombardamento
di
cubani
sono
precedere
aerei
privi
lo di
pronti
sbarco
in
da
un
contrassegno…
A
Miami è già pronto il nuovo governo. Una volta che lo sbarco avrà avuto successo e il corpo di spedizione si sarà attestato a Playa Girón, il governo si trasferirà nell’isola e chiederà il nostro intervento. John Kennedy: Quali probabilità esistono che la popolazione cubana appoggi questa iniziativa? Allen Dulles: Le
nostre
informazioni
ci
garantiscono
una
sollevazione immediata. Almeno il cinquanta per cento dell’esercito castrista è pronto a passare dalla nostra parte. 15 aprile 1961. Un giorno come gli altri della nuova Cuba. Da aerei
sconosciuti,
le
prime
bombe.
I
mercenari
sbarcano
a
Playa Girón. Il popolo non si solleva, combatte. Le milizie non disertano, combattono. Gli invasori non riescono ad attestarsi, vengono sconfitti, dispersi, catturati… Per un momento ancora la vecchia Cuba dei miliardari, degli arricchiti, dei corruttori, degli sbirri rivive negli interrogatori dei mercenari. *** Che: Haciendo
un
recuento
de
mi
vida,
creo
haber
trabajado con suficiente honradez y dedicación para consolidar el triunfo revolucionario.* Intervista con Sweezy: il Che, Cuba e l’America Latina. Intervista con Sartre: il Che e Karl Marx. Intervista con Bettelheim: il Che e Lenin.
Intervista con Cabral: il Che e il Terzo mondo. *** Settembre
1962.
Tecnici
militari
sovietici
installano
rampe
missilistiche sul territorio di Cuba. Da lassù, dai ventimila metri degli aerei spia nordamericani, le rampe sono invisibili a occhio nudo. Puntini infinitesimali, ma che, ingranditi tante volte
e
progressivamente,
riacquistano
l’esattezza
dei
loro
contorni. Le navi da guerra statunitensi stringono un cerchio intorno a Cuba. I cacciabombardieri si concentrano nella Florida. I riservisti
vengono
richiamati
alle
armi.
I
dispositivi
della
guerra nucleare sono pronti a scattare… Il mondo trattiene il respiro. L’Urss ispezioni
accetta
Cuba
di
per
ritirare
i
controllare
missili. il
ritiro.
Accetta Castro
che
l’Onu
respinge
il
controllo… Ma i missili vengono portati via. L’ingrandimento delle immagini riprese adesso dagli aerei spia mostra che le rampe sono state rimosse. I marines intervengono a Panama. I marines sbarcano a Santo Domingo. Aerei Usa bombardano il Nord Vietnam, è l’escalation. Vallegrande. Il corpo del Che è su una tavola di pietra della lavanderia dell’Ospedale Nuestro Señor de Malta. I suoi occhi sono aperti, fermi nella immobilità della morte. Le sue labbra sono dischiuse. Sembra che sorrida… «Gli
imperialisti
agitano
lo
spauracchio
della
guerra,
ricattano l’umanità. La vera risposta da dare è quella di non aver paura della guerra: attaccare con durezza, senza sosta, in ogni punto del fronte di lotta…» 23 marzo 1967. I guerriglieri attaccano in Bolivia. Che cos’è la Bolivia? Tre abitanti per chilometro quadrato. Il novanta per cento indios. Il settanta per cento analfabeti. Novanta
bambini
su
mille
muoiono
prima
di
compiere
un
anno. Speranza di vita: quarantanove anni. Alimentazione: la metà del minimo indispensabile. Principale creditore straniero: Usa. Principale fornitore straniero: Usa.
Al
centro
cinque
Paesi:
dell’America le
sue
Latina,
selve
la
intricate,
Bolivia
è
le
montagne
sue
chiusa
tra si
prolungano in Argentina, nel Paraguay, in Cile, in Perù e nel Brasile. Una guerriglia può espandersi ovunque. 31 dicembre 1966. Nella selva di Ñancahuazú un uomo che
non
ha
l’aspetto
di
un
guerrigliero
viene
condotto
al
cospetto del Che. È Mario Monje. Uno dei segretari del Partito comunista
boliviano.
all’unione:
le
due
Un
linee
lungo
incontro
divergono.
Il
che
non
Partito
porta
comunista
boliviano non accetta di assumere una parte nella guerriglia. Febbraio 1968, Santiago del Cile. Pombo, luogotenente di Guevara,
è
sfuggito
all’accerchiamento
boliviano.
Risponde
alle domande dei giornalisti. Pombo: «Il Partito comunista boliviano ci ha dato il suo appoggio morale». Giornalista: «In che cosa consisteva?». Pombo: «Niente». Giornalista: «Dunque non c’era aiuto». Pombo: «C’erano tendenze che non volevano appoggiare la
guerriglia,
altre
che
lo
volevano.
Ma
queste
preferirono
aspettare per vedere come si sarebbero messe le cose». Giornalista: «Cosa ne sa lei della conversazione tra Mario Monje e Che Guevara?». Pombo: «Ce ne ha parlato il Che. Monje sosteneva tre punti.
Primo:
che
la
fazione
pro-cinese
del
partito
avrebbe
dovuto restare fuori. Secondo: che la guida politica e militare doveva
essere
nelle
mani
del
partito.
Terzo:
che
avremmo
dovuto aspettare una decisione e sollecitare l’aiuto di tutti i partiti comunisti latinoamericani. Il Che si oppose a tutti e tre i punti. E su uno fu inflessibile: dovevamo tenere noi la guida del
movimento
finché
boliviana.
Monje,
prima
andarsene
di
non
come
si
leader
disse
che
fosse del
costituita
una
forza
partito, rifiutò. Tuttavia,
personalmente,
non
come
membro del partito, intendeva arruolarsi nella guerriglia e che sarebbe tornato fra noi. Come lei sa, non è tornato mai». Isolato
nella
selva,
l’accampamento
è
distante il
dalle
nascondiglio
più
sperdute
dove
si
casupole,
addestrano
i
guerriglieri. Gennaio. Febbraio. Marzo. Una parte dei guerriglieri si spinge
lontano
dall’accampamento.
Vanno
a
verso
nord,
Vallegrande.
Li
guida
Una
Che
regione
Guevara.
più
abitata.
Cercano di stabilire legami con i contadini. A metà marzo quelli che sono rimasti a Ñancahuazú sono in allarme. Due guerriglieri non rispondono all’appello. Prima direzione.
Primo
scontro
con
l’esercito.
Primo
caduto:
un
soldadito boliviano. A Guevara non resta che dare battaglia. Pombo: «La guerriglia è come l’uomo: alla nascita, una creatura
indifesa.
cresciuta
e
si
Se
la
sarebbe
nostra
fosse
sviluppata.
Ma
sopravvissuta ci
sarebbe
scoprirono
troppo
presto. Dovemmo batterci fin da marzo. Il Che aveva previsto di entrare in azione in dicembre…» Ñancahuazú,
Iripití,
moltiplicano.
In
Mesón,
tutta
Tiraboy…
l’America
la
gli
guerriglia
scontri
è
sulle
si
prime
pagine dei giornali. A Buenos Aires si riunirono i capi di stato maggiore degli eserciti di sette Paesi: Stati Uniti, Bolivia e i suoi
vicini.
Ha
inizio
l’operazione
«Tenaglie».
Arrivano
in
Bolivia gli istruttori militari degli Stati Uniti. In una fattoria della pianura di Oriente si apre un altro accampamento: quello dove si addestrano i rangers per la controguerriglia… Un istruttore Usa a un altro: «Ammazzare un Vietcong costa agli Stati Uniti 450.000 dollari. Un guerrigliero morto qui in Bolivia ci costa molto meno». Fra
le
mani
degli
agenti
del
Servizio
di
intelligenza
passano documenti, pagine di diario e fotografie. I guerriglieri vengono riconosciuti uno a uno. Il Che è stato già individuato. Régis Debray: «Del Che si sapeva già. Cinque persone ormai avevano confermato i sospetti dell’esercito…». 24
giugno.
Miniere
di
Catavi-Siglo
XX.
Le
notizie
sulla
guerriglia sono sulla bocca di tutti. È il giorno della festa di San
Giovanni.
Si
scambiano
propositi
diversi.
Alcuni
progettano di raggiungere la guerriglia, altri diffidano. In piena notte sono ancora accesi i falò della festa. Dai monti calano i reparti dell’esercito. Si spara a lungo nell’oscurità. Settanta morti tra i minatori.
7 luglio. I guerriglieri occupano Samaipata. Tagliano per venti minuti la più importante arteria del Paese. Il Che parla alla popolazione. Intorno a un piccolo comando nella zona di operazioni si muovono
istruttori
americani,
ufficiali
boliviani,
qualche
civile, contadini. Ultima settimana di agosto. La retroguardia dei guerriglieri è in cammino lungo il Rio Masicurì. Devono attraversare il fiume. Un contadino si impegna a guidarli. È lo stesso che appariva presso il piccolo comando nella zona di operazioni. Conosce i guerriglieri. Li ha già aiutati in passato. 31 agosto. Vado del Yeso. I soldati sono in agguato tra gli alberi
lungo
le
due
sponde
del
Rio
Masicurì.
Il
contadino
guida i guerriglieri nel punto preciso dove ha detto ai soldati di appostarsi.
Il
fuoco
incrociato
dei
soldati
non
cessa
finché
l’ultimo degli undici non scompare morto nella corrente del fiume. Il
piccolo
contadino
è
comando
di
nuovo
lì:
nella si
zona
aggira
delle
fra
i
operazioni.
soldati,
mentre
Il i
cadaveri dei guerriglieri arrivano sui muli. Pombo:
«In
dicembre
saremmo
stati
più
preparati:
Avremmo avuto solidi legami con le città. E anche la sfiducia dei contadini sarebbe scomparsa». Giornalista: «Non c’era appoggio contadino?». Pombo: «Sì, ce n’era… Ma erano spaventati. Spaventati dall’esercito, dai più forti…». I ventidue uomini camminano ora verso i monti nudi di Alto Seco. Il 24 settembre entrano nel villaggio in fila indiana, due uomini
a
dorso
di
mulo:
uno
è
Che
Guevara…
Il
gruppo
guerrigliero è molto sporco, gli abiti in brandelli non hanno più
scarpe.
Sono
stanchi
ma
non
demoralizzati.
Arrivano
lentamente per la strada principale. Passano tutta la notte ad Alto Seco. La gente non è ostile. Il Che si ferma a lungo a parlare con il maestro del villaggio. Ultima settimana di settembre. I rangers sono pronti. Sotto l’allenamento
degli
istruttori
nordamericani
ognuno
soldaditos è diventato un maestro nell’arte di uccidere.
di
quei
26 settembre. La Higuera. Mentre i guerriglieri camminano lungo un versante della montagna, dall’altro versante i soldati li
vedono.
Tendono
un’imboscata.
Muoiono
tre
guerriglieri
della pattuglia avanzata. Il quarto si consegna all’esercito. Il Che è localizzato. 8 ottobre: «New York Times»: Anche
per
un
uomo
che
ha
viaggiato
tanto,
come
Ernesto Che Guevara, il deserto vallone senza uscite, dove
le
Ande
dell’Amazzonia,
è
qualsiasi
Il
parte.
degradano un
luogo
sole
verso
la
abbastanza
splende
ogni
conca
lontano
giorno
da
sulla
polverosa vallata, riscaldando la terra. Gli insetti, le gigantesche
mosche
e
zanzare,
ragni
e
scarabei
che
pungono, abbondano nel silenzio che regna. La polvere e le punture trasformano la pelle di ogni essere umano in un mantello di miseria. L’aspra vegetazione, secca e coperta di spine, rende praticamente impossibile ogni movimento, se non sui sentieri e sulle sponde dei fiumi che si trovano strettamente sorvegliate. Secondo i rapporti militari ricevuti, quello che fu una volta comandante cubano e sedici esausti compagni di guerriglie sono stati imbottigliati nella valle, con uno stretto
accerchiamento
settimane.
I
miliardi
delle
forze
boliviani
armate,
esprimono
da
due
l’opinione
che il comandante Guevara non ne uscirà vivo… I diciassette avanzano a fatica. È notte. C’è la luna. Accanto a un piccolo seminato, sotto un fico, si accampano per dormire. Un
contadino
li
sente.
Sono
voci
di
estranei.
Corre
ad
avvertire. Sotto
il
sole
a
picco
i
guerriglieri
possono
avanzare
soltanto seguendo il fondo del burrone. Sulla sommità brulla dei monti sono appostati i rangers. Quattro plotoni a dominare i due lati della gola e due sezioni a bloccare le uscite. Primo contatto
verso
l’una
del
pomeriggio:
quattro
morti
fra
i
rangers. Secondo contatto mezz’ora più tardi. Poi il silenzio. Alle tre si scatena l’inferno. Mitragliatrici, fucili, mortai. Una delle sezioni rimontando la gola obbliga il piccolo gruppo del Che a risalire il fianco della montagna. Il Che è ferito a una gamba. La sua carabina è inservibile. La canna è attraversata
da un proiettile. Un compagno lo aiuta a inerpicarsi. Da dietro i cespugli sbucano quattro soldati con i mitra puntati. In una delle due aule della scuola di La Higuera il Che è solo nel buio con le mani legate. Sulla piazza del villaggio il capitano dei rangers distribuisce ai soldati il bottino di guerra, gli oggetti dei prigionieri. Nell’aula si affaccia continuamente qualcuno
per
vedere
il
famoso
Che
Guevara.
Il
via
vai
prosegue tutta la notte. 9 ottobre, mattina. Il Che chiede di parlare con la maestra del villaggio. Il dialogo dura qualche istante. Un elicottero va e viene. Trasporta gli ufficiali superiori che vanno a vedere il Che e ancora tentano di farlo parlare. In ultimo viene l’agente della Cia. L’ordine da La Paz: bisogna liquidarlo. Per insieme
primi con
il
vengono Che.
uccisi
Nella
i
stanza
due
guerriglieri
accanto.
Il
Che
catturati sente
un
grido, le raffiche. Si alza in piedi. Cammina per la stanza. Si siede
in
un
angolo,
il
capo
appoggiato
alla
mano
destra.
Un’altra raffica. È la fine. Giornalista: «Perché è fallita la guerriglia?». Pombo: «Non è fallita. Abbiamo perso una battaglia». 1968.
Nel
americani
cuore
stesso
abbandonano
dell’imperialismo, la
politica
della
milioni non
di
negri
violenza:
combattono nelle città. Nei ghetti, sui posti di lavoro, nelle case, nelle sedi del Black Power sono apparsi i ritratti di Che Guevara… Fine *
Il dovere di ogni rivoluzionario…
*
«Cominciano ad arrivare tutte queste notizie, che è stato sepolto, che è stato cremato, che dopo gli avevano tagliato una mano, il dito, tutta una serie di notizie oltre che macabre contraddittorie… A mio parere c’è probabilmente qualcosa… che deve essere la causa fondamentale di tutte queste cose strane. Ed è il timore del Che dopo morto…» Stralcio della conferenza stampa radiotelevisiva di Fidel Castro del 15 ottobre 1967, pubblicata in «Granma» il giorno seguente.
*
«… l’Isola affonderà in mare prima che accettiamo di essere schiavi di qualcuno…»
**
Mangrovie.
*
Facendo il racconto della mia vita credo di aver lavorato con sufficiente onore e dedizione per consolidare il trionfo rivoluzionario.
Cronologia
23 marzo Primo combattimento in Bolivia dei guerriglieri con a capo Ernesto
«Che»
Guevara.
Una
pattuglia
dell’esercito
viene
fermata presso il Rio Ñancahuazú. Sette morti e quattordici prigionieri tra i soldati. Il Che era entrato segretamente nel Paese
nel
novembre
1966.
L’inizio
degli
scontri
viene
anticipato a causa della diserzione di due minatori boliviani (16 marzo) e dalla successiva cattura di Salustio Choque (17 marzo), che rivelano la presenza di circa cinquanta uomini armati,
pronti
alla
guerriglia,
appoggiati
da
Fidel
Castro
e
comandati da Che Guevara.
27 marzo Arrivano
in
Bolivia
dagli
Stati
Uniti
il
tenente
Redmond
Weber e il maggiore Ralph «Pappy» Shelton, seguiti, dopo alcuni
giorni,
da
quindici
istruttori
dell’antiguerriglia.
Il
gruppo boliviano dei guerriglieri forma l’Esercito nazionale di liberazione e lancia il primo comunicato al popolo boliviano.
4 aprile Con l’aiuto dei primi disertori, seguendo le indicazioni del prigioniero Salustio, l’esercito, agli ordini del maggiore Rubén Sánchez,
localizza
e
occupa
l’accampamento
centrale
dei
guerriglieri.
10 aprile Imboscata
di
dell’esercito.
Iripití. Muore
Undici il
morti
guerrigliero
e
El
trenta Rubio
prigionieri (il
capitano
cubano Jesús Suárez Gayol).
17 aprile Per cercare una via d’uscita per i giornalisti Régis Debray e Ciro
Roberto
Bustos,
accampamento Muyupampa,
il
20
che
lo
marzo,
separandosi
hanno il
dalla
raggiunto
Che
si
al
spinge
retroguardia
di
suo
fino
a
diciassette
uomini comandata da Joaquín (il comandante cubano Vitalio Acuña Núñez). Il contatto tra di loro non si ristabilirà più.
18 aprile A
Muyupampa
vengono
catturati
Debray
e
Bustos
(quest’ultimo sotto il falso nome di Carlos Fructuoso) insieme al giornalista inglese George Andrew Roth che più tardi sarà identificato
da
fonti
dell’intelligence
boliviana
come
collaboratore della Cia.
25 aprile Muore in combattimento Rolando (il capitano cubano Eliseo Reyes), secondo il Che «l’uomo migliore della guerriglia». Due perdite anche nell’esercito. Il giorno successivo ancora due perdite per l’esercito a Taperillas.
27 aprile In
una
missione
guerrigliero torturato
El
di
Loro
esplorazione (Jorge
nell’ospedale
di
viene
Vázquez Choreti,
catturato
Viaña);
viene
ferito
interrogato
il e
successivamente
fucilato (o, secondo un’altra versione, riesce a scappare).
28 aprile Viene
firmato
un
accordo
tra
l’esercito
boliviano
e
quello
statunitense per organizzare l’addestramento di un battaglione di rangers boliviani, di cui fanno parte i capitani Gary Prado e Mario Vargas Salinas. Washington incrementa l’invio di armi all’esercito boliviano.
30 aprile Cadono i guerriglieri Danton e Carlos e con loro si perdono le comunicazioni con Cuba (Dantón) e lo schema di azione in Argentina (Carlos).
5 maggio Régis Debray, Carlos Fructuoso e Roth vengono trasferiti da Camiri a Santa Cruz. Si diffonde la notizia che Debray verrà giudicato
da
un
tribunale
militare
a
Camiri
come
presunto
guerrigliero.
8 maggio Dall’interrogatorio si scopre che il vero nome di Fructuoso è Bustos. In una nuova imboscata al Ñancahuazú, la guerriglia fa tre morti e dieci prigionieri dell’esercito.
11 maggio Il consigliere del presidente americano Lyndon Johnson scrive un
memorandum
in
cui
afferma
di
aver
ricevuto
il
primo
rapporto credibile che sostiene che il Che sia vivo e attivo in Sudamerica, ma sono necessarie ulteriori controprove.
14 maggio Debray scrive una lettera al Dr. González (l’agente della Cia che ha condotto il suo interrogatorio) precisando e rettificando alcuni
punti
consegnata
delle
sue
personalmente
dichiarazioni. al
generale
La
lettera
Ovando.
Da
viene Bustos,
durante gli interrogatori, si ottengono alcuni ritratti a memoria dei guerriglieri.
24 maggio Diserta
dalla
retroguardia
Pepe
catturato e ucciso dall’esercito.
(Julio
Velazco)
e
viene
30 maggio Imboscata pattuglia
a
El
Espino:
dell’esercito
due
morti
comandata
dal
e
quattro
feriti
colonnello
nella
Calderón.
Dopo tre giorni cadono in combattimento Marcos (Antonio Sánchez Diaz) e Víctor (Casildo Condori), componente della retroguardia.
6 giugno L’assemblea dei minatori di Huanuni esprime la sua solidarietà con i guerriglieri.
7 giugno Il governo del generale Barrientos decreta lo stato d’assedio.
10 giugno In cerca di Joaquín, la colonna del Che si incammina verso nord e attraversa il Rio Grande. Scontri a El Cafetal, in cui muore una staffetta dell’esercito e viene ferito un soldato.
23 giugno I delegati dei sindacati dei minatori si riuniscono a Siglo XX. I minatori decidono di donare ai guerriglieri un giorno di salario e una partita di medicine.
24 giugno All’alba, truppe militari entrano a Siglo XX e Huanuni: dopo la festa di San Giovanni l’esercito attacca gli accampamenti dei
minatori
sparando
su
uomini,
donne
e
bambini.
È
un
massacro con più di ottanta morti e decine di feriti.
26 giugno La colonna del Che cade in un’imboscata organizzata in base alle informazioni delle spie liberate. Scontro a Pirasí: muore il
guerrigliero Tuma (Carlos Coello), ferito Pombo. Tre morti e due feriti nell’esercito. Muore Coello, ferito Villegas. Il Che in questi giorni è preda di forti attacchi d’asma.
30 giugno Dichiarazione di Ovando Candia: l’esercito sta combattendo con guerriglieri perfettamente preparati, tra i quali si trovano anche un comandante vietcong.
6 luglio Con un’azione a sorpresa la guerriglia conquista il paese di Samaipata,
sulla
strada
Cochabamba-Santa
Cruz,
ma
non
riesce a procurarsi tutti i viveri necessari né le medicine utili a Guevara. L’8 luglio Roth viene liberato.
9 luglio Il
gruppo
di
Joaquín
si
scontra
due
volte
con
l’esercito.
Serapio Aquino Tudela (Serafín) muore in un’imboscata.
14 luglio Il massacro di San Giovanni provoca una crisi politica. I due partiti che sostengono la coalizione di governo con i militari si ritirano, restano i generali Barrientos e Ovando Candia come presidente e vice.
15 luglio Barrientos
annuncia
l’operazione
«Cintia»,
per
liquidare
la
guerriglia in poche ore.
20 luglio Combattimento della retroguardia a Ticucha. Nella confusione generale disertano Eusebio (Eusebio Tapia Aruni) e Chingolo
(Hugo
Choque
Silva).
Verranno
arrestati
il
23
luglio
a
Chuayaco.
26 luglio Imboscata
della
guerriglia
alla
compagnia
dell’esercito
«Trinidad». Il giorno successivo, in un ulteriore scontro, viene uccisa una guida civile e ferito un soldato.
30 luglio La guerriglia viene sorpresa a Morocos, ma si ritira facendo quattro
vittime
nell’esercito.
Cadono
i
guerriglieri
Ricardo
(José María Martínez Tamayo) e Raúl Quispaya; ferito Pacho (Alberto Fernández Montes de Oca).
10-11 agosto Chingolo Silva guida il capitano Saravia ai depositi sotterranei dei
guerriglieri
dove
l’esercito
sequestrerà
fotografie,
medicine, un manoscritto del Che e documenti.
31 agosto Imboscata capitano
a
Vado
Salinas,
del
Yeso:
grazie
una
all’aiuto
pattuglia del
agli
contadino
ordini
del
Honorato
Rojas, stermina il gruppo di Joaquín. Con lui cadono altri otto guerriglieri, tra cui Tania. L’unico sopravvissuto è Paco (José Castillo) che viene portato a La Paz.
3 settembre Scaramuccia a Yajo Pampa. La colonna del Che continua ad avanzare verso nord in cerca di zone più propizie.
7 settembre Viene trovato nel Rio Grande il cadavere di Tania in stato di decomposizione. Sarà seppellita segretamente.
22 settembre I guerriglieri arrivano al paese di Alto Seco, dove realizzano il loro primo incontro con la popolazione. Dopo due giorni viene occupato anche Rio Santa Elena.
24 settembre Affamati e deboli arrivano a un rancho chiamato Loma Larga.
26 settembre L’avanguardia
della
colonna
del
Che
cade
in
un’imboscata
vicino a La Higuera. Muoiono Coco (Roberto Peredo Leigue), Miguel (Manuel Hernández) e Julio (Mario Gutiérrez Ardaya). I sopravvissuti progettano di fuggire verso il Rio Grande.
28 settembre Diserzione di León (Antonio Domínguez Flores) e cattura di Camba (Orlando Jiménez Bazán). Restano in diciassette. Sono ormai accerchiati dall’esercito. In questi giorni la radio cilena informa che il Che è bloccato con i suoi in un canalone nella selva boliviana.
6 ottobre Continua la marcia disperata del Che e dei suoi diciassette uomini alla ricerca di acqua, procedendo soprattutto di notte.
8 ottobre In seguito alla delazione di un contadino che li vede mentre sta raccogliendo patate, la colonna è circondata nella quebrada del Churo (o Yuro). Cadono tre guerriglieri: Antonio (Orlando Pantoja), Arturo (René Martínez Tamayo) e Aniceto (Aniceto Reinaga). Il Che (Fernando) è ferito e viene catturato con tre compagni: Willy Chang
(Simeón
Cuba
Navarro).
Sarabia),
Quattro
morti
Pacho, e
Chino
quattro
(Juan
feriti.
Pablo
Pacho
è
gravemente
ferito,
Chino
quasi
cieco.
Gli
altri
guerriglieri,
comandati da Inti Peredo, riescono a fuggire.
9 ottobre Il
Che,
Willy
e
Chino
vengono
uccisi
nella
scuola
di
La
Higuera. Pacho è morto alcune ore prima dissanguato. In un comunicato “Che”
le
Forze
Guevara
è
armate
caduto
boliviane
nelle
mani
affermano: delle
«Ernesto
nostre
truppe
gravemente ferito e in pieno possesso delle sue facoltà mentali. Dopo la fine del combattimento è stato trasportato nel paese di La Higuera all’incirca alle 20.00 di domenica 8 ottobre, dove è morto a causa delle ferite». La versione ufficiale è subito messa in dubbio dai risultati dell’autopsia: secondo esperti e giornalisti un uomo con nove ferite
di
arma
da
fuoco
–
come
segnalato
dai
due
medici
argentini che l’hanno effettuata –, alcune vicine a organi vitali, difficilmente
avrebbe
potuto
resistere
le
ore
autorità militari. Inizia la ricerca della verità.
indicate
dalle
Note
Il mio lavoro con Francesco Rosi 1
Saverio
Tutino,
giornalista
e
scrittore
italiano,
ha
lavorato
a
Cuba
come
corrispondente dell’«Unità». 2
Saúl Yelin è uno dei fondatori dell’Icaic, l’Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos.
3
Alfredo
Guevara,
anch’egli
tra
i
fondatori
dell’Icaic,
di
cui
fu
due
volte
presidente. 4
Pepe González Aguilar, amico di gioventù di Che Guevara, dopo la rivoluzione lo seguì a Cuba per lavorare all’Icaic.
5
Biblioteca
Francesco
Rosi,
S.
Vilaseca,
Francesco
Rosi,
Messaggio
da
pubblicare su «Casa de las Américas», ottobre 1968, minuta, ds. non f.to. 6
Enzo Provenzale, produttore e regista italiano, negli anni Sessanta è stato lo sceneggiatore di fiducia di Francesco Rosi, con cui firma Salvatore Giuliano e Le mani sulla città.
1. Perù 1
«Bogotá: aeroporto enorme, proporzioni raramente viste, alluminio anodizzato ecc. Subito salta agli occhi il sottosviluppo; indios, gente miserabile a contrasto con l’aria che vuole avere l’aeroporto (pieno di aerei privati). Libri da azione cattolica
1930,
ma
panalatinoamericano benestantissima.»
allo di
stesso Bolívar.
Annotazioni,
tempo Sale
riviste in
mercoledì
con
aereo
17
articoli gente
gennaio
sul
pensiero
apparentemente
1968,
agendina
1°
trimestre 1968 [da ora A. 1, 68]. 2
«All’ambasciata italiana. In giro per Callao-Lima. Mangiato a “Todo fresco”. San Isidro – quartiere residenziale e barriadas [baraccopoli]. In giro per Lima. Cenato
al
“Club
91”
non
buono
(scoperto
poi
che
è
ristorante
italiano).»
Annotazioni, venerdì 19 gennaio 1968, A. 1, 68. 3
Si riferisce a un articolo pubblicato durante il suo secondo viaggio in America, a Panama, uscito sulla rivista «Siete». È l’unica volta che il Che pubblica con il suo vero nome.
4
Si tratta della celebre Custodia de la Merced conservata nel Templo de la Merced (o Basílica Menor de la Merced) e realizzata da Luis Ayala Olmos, nel XVII secolo. Pregiato manufatto di oreficeria, la custodia d’oro è tempestata di diamanti, pietre preziose e da una perla, a forma di sirena dal corpo femminile, considerata una delle più grandi del mondo.
2. Bolivia 1
«13.00. Partenza in aereo per La Paz con Braniff Douglas, bellissimo aereo. Dopo un’ora e mezzo di volo arrivo a La Paz (spostamento orario in avanti di un’ora).
Hotel
Crillon.
Tel.
ambasciatore
d’Italia
Tortorici.»
Annotazioni,
martedì 23 gennaio 1968, A. 1, 68. 2
René Barrientos Ortuño, militare e politico boliviano, è stato presidente della Bolivia, insieme al generale Ovando, dal 1964 al 1966.
3
Rivoluzionario e attivista cubano, fu poi un oppositore di Fidel Castro, venne imprigionato e quindi costretto all’esilio.
4
Pietro Quirino Tortorici, ambasciatore a La Paz dal 1965 al 1970.
5
Régis
Debray,
intellettuale
francese,
prese
parte
al
fallito
tentativo
di
rivoluzione in Bolivia di Che Guevara. Dalla fine degli anni Sessanta viene sospettato, insieme con l’artista e rivoluzionario Ciro Bustos, di essere uno dei «traditori» del Che. Arrestati entrambi dall’esercito boliviano qualche mese prima della cattura e della morte di Guevara, avrebbero collaborato rivelando la sua presenza in Bolivia. 6
Alfredo Ovando Candia, presidente de facto della Bolivia dal 26 maggio 1965 al 2 gennaio 1966 assieme a René Barrientos Ortuño, dal 2 gennaio al 6 agosto 1966 e dal 26 settembre 1969 al 7 ottobre 1970.
7
Franco Pierini, giornalista dell’«Europeo», autore tra l’altro dell’articolo Mio figlio Guevara, «L’Europeo», 2 novembre 1967.
8
Organizzazione latinoamericana di solidarietà.
9
Michèle Ray, Comment on a tué Che Guevara, «Paris Match», 1967. Della stessa autrice cfr. anche In cold blood. The Execution of Che by the Cia, apparso su «Ramparts», marzo 1968.
10
Si riferisce alla rivoluzione nazionalista scoppiata nel 1952 a opera di Víctor Paz Estenssoro e l’Mnr, il Movimiento Nacionalista Revolucionario creato nel 1942. Furono nazionalizzate le miniere e l’anno seguente si arrivò alla riforma agraria.
11
Ciro Bustos, pittore argentino e compagno di guerriglia di Che Guevara in Bolivia, fu accusato di aver disegnato i volti dei guerriglieri del Che durante il suo interrogatorio da parte dei militari boliviani, che poi aiutarono i militari a identificare i guerriglieri.
12
Si tratta di George Roth, fotografo cileno, successivamente identificato come collaboratore della Cia.
13
Haydée Tamara Bunke Bider, più nota come Tania la Guerrigliera, il 31 agosto 1967, dopo una delazione, cade con altri combattenti in un’imboscata al guado di Puerto Mauricio, lungo il Rio Grande.
14
Hector Mejía era l’addetto stampa del presidente della Bolivia René Barrientos.
15
Augusto
Céspedes,
uno
dei
più
importanti
esponenti
della
letteratura
rivoluzionaria boliviana, fu anche politico, giornalista e diplomatico, partecipò alla
fondazione
dell’Mnr,
di
cui
diresse
l’ufficio
di
propaganda
politica
ideologica. 16
Alejandro (Gustavo Machín Hoed de Beche), uno dei guerriglieri del Che.
17
Un produttore locale.
18
Simon Patiño, re dello stagno.
19
Jaime Bailey Gutierrez, caporedattore della rivista «Presencia».
e
20
Il capitano Gary Prado Salmón comandava la piccola unità entrata in contatto con il gruppo dei guerriglieri e catturò Guevara.
21
Guido Álvaro Peredo Leigue, più noto come Inti, guerrigliero boliviano che partecipò alla spedizione di Guevara in Bolivia.
22
Joaquín Zenteno Anaya, generale dell’esercito boliviano.
23
Andrés
Selich
Chop,
colonnello
dell’esercito
boliviano,
interrogò
Guevara
insieme a Prado e al tenente colonnello Miguel Ayoroa. 24
Horacio Ugarteche, ammiraglio della Forza navale boliviana.
25
Partido Obrero Revolucionario fondato nel 1935 a Cordoba (Argentina).
26
Félix Ismael Rodríguez Mendigutia, esule cubano, agente della Cia, guidò la missione contro Guevara.
27
José Gramont (o Gramunt) de Moragas, sacerdote gesuita, fu direttore di Radio Fides e, nel 1964 fondò la Agencia de Noticias Fides (Anf) che ha diretto fino al 2014.
28
Giovanni Battista Morandini nel 1966 entra nella diplomazia vaticana ed è responsabile
della
nunziatura
in
Bolivia
fino
al
1970.
Dal
2008
è
nunzio
apostolico emerito. 29
La United State Information Service fu creata nel 1953 per promuovere e propagandare nel mondo la politica e la cultura degli Usa attraverso stampa e editoria, radio, cinema ecc.
30
Rosi si riferisce al massacro dei minatori della zona di Catavi nel giugno del 1967.
31
«La Paz. Telefonato giornalista di “El Diario” dicendo che siccome sentiranno il
parere
dei
militari
(Ovando)
lui
vuole
parlare
prima
con
me.
10.00.
Dall’ambasciatore (Céspedes mi ha riferito che aspetta parere delle autorità per il
giro
nelle
zone
“delicate”).
13.00
Appuntamento
con
giornalista
per
intervista “Presencia”.» Annotazioni, martedì 30 gennaio 1968, A. 1, 68. 32
Si tratta del colonnello Augusto Rios capo dell’ufficio dell’Intelligence militare boliviano.
33
Ángel Victor Paz Estenssoro, politico boliviano, è stato presidente della Bolivia tre volte: 1952-1956, 1960-1964 e 1986-1989. Fu uno dei fondatori del Mnr.
34
Andrew
St.
George,
reporter
e
fotografo
freelance,
nato
in
Ungheria
e
naturalizzato americano, famoso per le sue interviste a Guevara e Castro. 35
Corrado Corghi, consigliere nazionale della Dc, fece parte di una delegazione italiana in visita a Cuba, non conobbe però né Guevara né Castro.
36
Thérèse de Lioncourt, cavaliere della Legione d’onore, era viceconsole presso l’ambasciata francese a La Paz.
37
Vicente
Rocabado
Terrazas
(Orlando)
era
stato
espulso
dalla
sezione
investigativa della polizia criminale di cui faceva parte. Lui e Pastor Barrera Quitana (Daniel) furono catturati nei pressi di Ipita, ammisero di far parte di un gruppo di guerriglieri e fecero i nomi di alcuni compagni e del Che. 38
Salustio Choque, uno dei guerriglieri catturati il 17 marzo che si convertì in delatore.
39
Chris Marker, regista, produttore e sceneggiatore francese.
40
Il 24 giugno 1967, festa di San Giovanni. Nel paese minerario di Catavi, mentre si festeggiava, i ranger boliviani scesero da Cerro de San Miguel e, aprendo il fuoco, uccisero trecento tra donne, bambini e uomini ferendone altri mille.
41
Radio Pio XII fu fondata dai Misioneros Oblatos de Maria Immaculada il primo maggio 1959.
42
Padre
Gregorio
Iriarte,
conosciuto
per
la
sua
lotta
per
i
diritti
umani
e
l’appoggio ai minatori. 43
Niño de Guzmán era il pilota dell’elicottero che trasportò Zenteno e Rodríguez da Vallegrande a La Higuera.
44
Roberto Peredo Leigue, più noto come Coco, compagno di guerriglia del Che in Bolivia.
45
Camilo
Cienfuegos
Gorriarán,
uno
dei
leader
principali
della
rivoluzione
cubana, morì nel 1959 in circostanze mai chiarite. 46
Juan Vitalio Acuña Núñez, più noto come Joaquín, compagno del Che in Bolivia.
47
«10.00.
Arrivo
Ripartenza
e
a
volo
Camiri. per
14.00-15.00
sorvolare
zona
colloquio
con
guerriglia.»
Debray
Annotazioni,
e
Bustos.
giovedì
8
febbraio 1968, Ag. 1, 1968. 48
Simeón Cuba Sarabia, più noto come Willy, compagno del Che, morto come lui a La Higuera.
49
Franco Pierini, Come ho ucciso Guevara, «L’Europeo», 26 ottobre 1967.
50
Il giornalista boliviano José Luis Alcázar, autore di Ñacahuazú. La guerrilla del Che in Bolivia, Era ed., Messico 1969.
51
François Maspero, editore francese che poi pubblicherà la versione di Debray.
52
Aniceto
Reynaga
Gordillo,
uno
dei
guerriglieri
boliviani
del
Che,
nato
a
Colquechaca nel 1940, morì l’8 ottobre 1967. 53
Pseudonimo usato da Guevara.
54
La grotta dove i guerriglieri avevano nascosto armi e altri materiali.
55
Ricardo
Rojo, attivista
politico
antiperonista
e
scrittore
argentino,
conobbe
Guevara a La Paz nel 1953 e ne divenne amico. Scriverà il volume Mi amigo el Che. 56
Il 7 luglio 1967, un gruppo di guerriglieri (fra loro venne riconosciuto anche Guevara) entrò nel villaggio di Samaipata, fermandosi in una farmacia ad acquistare
medicine
e
cibo.
Nella
scaramuccia
iniziale
morì
un
soldato
boliviano e un altro venne ferito; poi prima di avviarsi verso Santa Cruz, liberarono le dieci persone che avevano preso in ostaggio nel villaggio. 57
Si riferisce ai primi infruttuosi tentativi di guerriglia in Argentina nella zona di Salta, progettati a partire dal 1962 da Guevara e dal giornalista di origini bolognesi Jorge Masetti.
58
Fulgenzio Batista, figlio di un operario zuccheriere di Cuba, dominò la scena politica dell’isola per ben venticinque anni dal 1933; nel 1940 venne eletto presidente fino al 1959, quando venne sconfitto da Fidel Castro e dai suoi guerriglieri. L’8 gennaio Castro entrò a L’Avana, Batista riuscì a fuggire in Portogallo e poi in Spagna dove visse in esilio fino alla morte.
59
Jorge Kolle Cueto fu poi segretario generale del Partito comunista boliviano dal 1970 al 1981.
60
José
Llanusa
Gobel,
atleta
e
politico
cubano,
fu
direttore
dell’Instituto
Nacional de Deporters (Inder) e dal 1965 al 1970 ministro dell’Educazione (Mined). 61
Valentino Orsini, regista italiano.
Á
62
Santiago Álvarez, cineasta cubano, scrisse e diresse soprattutto documentari sulla vita politica e culturale di Cuba.
3. Cuba 1
«Icaic proiez. El cerro pelato, Muerte a l’invasore, La doze sillas. In alb. a lavorare.» Annotazioni, martedì 20 febbraio 1968, A. 1, 68.
2
«In albergo a lavorare. (Lewis [Oscar] vede S. Giuliano e Mani sulla città). Visto Pepe (telefonare ad Aleida, al ritorno, per avvertirlo di tornare sabato). [ore 15] Visto Giancarlo Pajetta (venuto in delegazione con Sandri e Boldrini). [ore 21] Con Pajetta, Boldrini, Sandri e Karol in giro.» Annotazioni, mercoledì 21 febbraio 1968, A. 1, 68.
3
Gaetano Pagano di Melito, giornalista e scrittore, partecipò alla Rivoluzione cinese nel 1949 ed è noto per la celebre intervista a Fidel Castro realizzata nel 1976 con la televisione svedese e presentata al Festival di Cannes con il titolo: La Historia me absolverá.
4
Come Cueto, anche Mario Monje Molina fu esponente del Partito comunista boliviano dell’epoca.
5
«[ore
4.45]
usciti
dall’hotel
io,
Enzo
P.,
Pardo.
[ore
6.45]
partenza
aereo.
Ricordarsi di vedere anche: Miniere (di nichel e altre), Pico Turquino. El “Granma”. [ore 10.00] Partiti subito in jeep con due ragazzi dell’Icaic che conoscono la zona.» Annotazioni, giovedì 22 febbraio 1968, A. 1. 68. 6
Mario Terán, il militare boliviano che sarebbe stato estratto a sorte per fucilare Che Guevara.
7
Scritto di Che Guevara del 1965.
8
Il riferimento è ai viaggi raccontati da Guevara nei Diari della motocicletta.
9
Lo scrittore cubano Roberto Fernández Retamar.
10
«[ore 8.00] Aeroporto, elicottero, voliamo e torniamo per vento. Di ritorno telefonare a: Laura Gonsalez, Pagano, Llanusa, Papito Serguera, Aleida-Pepe, Oscar Lewis, Karol, Suarez (lampada), dir. rivista “Tricontinental”, “Bohemia”, Retamar, Carlos Franqui, Alfredo Guevara. Archivio numero unico sul Che. Collaboratori. Julio Cortázar, Reunion. Pasaje de la guerra revolucionaria: Che.» Annotazioni, domenica 25 febbraio 1968, A. 1. 68.
11
Rivoluzionaria amica di Fidel Castro.
12
Documentario del 1967 diretto da Joris Ivens, William Klein, Claude Lelouch, Agnès Varda, Jean-Luc Godard, Chris Marker e Alain Resnais.
13
Carlos Franqui, scrittore e giornalista cubano, ha partecipato alla Rivoluzione da cui più tardi si è dissociato.
14
Sorella minore del Che.
15
Gianfranco
Moroldo,
fotoreporter,
lavorò
per
molti
anni
per
il
periodico
«L’Europeo». 16
Julio Roberto Cáceres Valle, più noto come el Patojo, giornalista e militante del Partito guatemalteco del lavoro.
17
Jorge Ricardo Masetti, giornalista argentino, fondatore e primo direttore di Prensa Latina (agenzia stampa cubana); nel giugno del 1963 attraversò insieme a un gruppo di guerriglieri il passo di Coyambuco nei pressi di Salta, il gruppo fu
il
primo
nucleo
dell’Egp
(Esercito
guerrigliero
del
popolo).
scomparve nella selva argentina nell’aprile dell’anno successivo.
Masetti
Il riferimento è ai viaggi giovanili del Che in America Latina, in particolare a 18
quello del 1951 con Alberto Granado, descritto da Guevara nel suo diario e da cui è stato tratto in anni più recenti il film I diari della motocicletta (2004).
19
Laura Gonsalez, Ernesto Che Guevara, Scritti, discorsi e diari di guerriglia. 1959-1967, Einaudi, Torino 1969.
20
Harry Antonio Villegas Tamayo, più noto come Pombo (1940), fu uno dei tre guerriglieri cubani sopravvissuti alla missione in Bolivia.
21
«[ore 10.00] Proiezione Icaic dcumentario Vietnam Felix Green. [ore 13.30] A colazione dall’ambasciatore Paolucci, alla Residenza». Annotazioni, giovedì 7 marzo 1968, A, 1, 68.
22
Francesca
Rosi,
figlia
primogenita
del
regista
e
di
Nora
Ricci,
morì
giovanissima nel 1969. 23
Manuel Piñeiro Losada, più noto come Barba Roja, guerrigliero cubano.
24
Sergio Canevari, scenografo, lavorò con Rosi in Salvatore Giuliano e Le mani sulla città.
25
Fotografo cubano che ha ritratto, tra gli altri, i guerriglieri nella Sierra Maestra.
26
Juan Pablo Chang Navarro, più noto come El Chino, guerrigliero peruviano catturato e giustiziato a La Higuera.
27
Frank
Isaac
País
García,
più
noto
come
David,
combatté
la
dittatura
di
Fulgenzio Batista. Nominato nel 1955 capo d’azione del Movimento 26 luglio, organizza la sollevazione di Santiago di Cuba il 30 novembre 1956. Fu ucciso il 30 luglio 1957. 28
Jorge
«Papito»
Serguera,
comandante
rivoluzionario,
conosciuto
come
«il
censore della Rivoluzione». 29
L’assalto Direttorio
al
Palazzo
presidenziale
rivoluzionario
di
José
e
a
Radio
Antonio
Reloj.
Echevarria
e
Fu dal
organizzato Movimento
dal 26
luglio. Il colpo di stato fallì e l’esercito di Batista represse l’azione nel sangue uccidendo anche Echevarría. 30
Las guerras de guerrillas, libro di Che Guevara pubblicato nel 1960.
31
Jacob Burckhardt, La civiltà nel Rinascimento in Italia, 1860.
32
Tony Richardson, regista e produttore inglese, avrebbe dovuto realizzare un film su Che Guevara.
4. Roma 1
Produzioni europee associati.
2
Franco
Solinas,
considerato
uno
dei
più
importanti
sceneggiatori
italiani,
insieme a Suso Cecchi d’Amico ed Enzo Provenzale, firmò la sceneggiatura di Salvatore Giuliano. 3
Luis
Amado-Blanco
Fernández,
scrittore,
giornalista
e
diplomatico
ispano-
cubano. 4
Il riferimento è al film El «Che» Guevara (1968) girato da Paolo Heusch con protagonista Francisco Rabal.
5
Nell’estate del 1961 il produttore Peppino Amato diresse Morte di un bandito con Francisco Rabal.
6
Antonio Arguedas Mendieta, ministro degli Interni boliviano.
7
Hélder Pessoa Câmara, arcivescovo e teologo brasiliano. Fu portavoce di una Chiesa vicina alle classi meno abbienti, fu definito il «vescovo comunista» ispiratore della Teologia della liberazione.
8
Secondo Guevara, l’esperienza della Rivoluzione cubana dimostra che quando le condizioni oggettive non sono sufficienti a indurre le masse a portare avanti la rivoluzione socialista, l’innesco di un piccolo focolaio (foco) di guerriglia potrebbe farlo, estendendosi come un incendio.
9
Il
viaggio
di
G.
Mastorna,
detto
Fernet,
progetto
di
Federico
Fellini
mai
portato a compimento. 10
La
hora
de
los
hornos
di
Fernando
Solanas
del
1966-1968,
fu
girato
in
clandestinità durante la dittatura di Juan Carlos Onganía occupandosi della situazione sociopolitica, economica e culturale dell’Argentina. 11
Luciano Vincenzoni, scrittore e sceneggiatore italiano.
12
Ilya Lopert, produttore capo della United Artists in Europa.
13
La Cina è vicina, di Marco Bellocchio (1967).
14
Grazie zia, di Salvatore Samperi (1968).
15
Escalation, di Roberto Faenza (1968).
Che Guevara. Soggetto 1
Ernesto
Che
Guevara,
«Mensaje
a
los
pueblos
del
mundo
a
través
de
la
Tricontinental», La Habana, 16 aprile 1967.
Che Guevara. Treatment 1
Il colonnello Jacobo Árbenz Guzmán, politico guatemalteco democratico, fu presidente dal 1951 al 1954 quando venne rovesciato da un colpo di Stato organizzato dalla Cia.
2
L’incontro tra Fidel e Ernesto avvenne a luglio del 1955 nella casa della cubana María
Antonia
González
in
calle
Emparán.
Cfr.
F.
Castro,
I.
Ramonet,
Autobiografia a due voci, Mondadori, Milano, 2008 pag. 163. 3
Allen Welsh Dulles è stato un agente segreto statunitense, direttore della Cia dal 1953 al 1961 e membro della Commissione Warren.
Indice
Il mio lavoro con Francesco Rosi di Maria Procino Il film che non ho fatto su Che Guevara 1. Perù 2. Bolivia 3. Cuba 4. Roma Che Guevara. Soggetto Che Guevara. Treatment Cronologia Note
Annotazioni e disegni di Francesco Rosi degli itinerari in Bolivia.
Articolo del giornale cubano «Juventud Rebelde» sulla prima visita di Rosi a Cuba, nel novembre 1967.
Rosi al cimitero di Cuzco: «Il reparto poveri è una collinetta di terra seminata letteralmente di croci e tombette di gesso (quando ci sono) a forma di bara».
I taccuini di Francesco Rosi per il suo viaggio sulle orme del Che.
Il regista in cerca di immagini per il film.
«Le
bestie
stanno
in
giro
custodite
da
ragazzine
in
bombetta
sulle
ventitré
o
ragazzini con passamontagna. Si fanno chilometri e chilometri senza incontrare anima viva.»
«Gli “indios” vengono alla città attratti dalla vita di città, dal cinematografo, dai divertimenti, più che altro perché tanto lavoro non ce n’è.»
Che Guevara durante la campagna di Bolivia «con due bambini di contadini seduti, uno per parte, sulle sue ginocchia. Scarponi quasi tutti slacciati, sorridente». La foto fa parte di una serie acquistata da Francesco Rosi a Vallegrande, in Bolivia, nel negozietto di un orologiaio indio.
Ritratti dei guerriglieri realizzati da Ciro Bustos durante l’interrogatorio da parte dei militari boliviani. I disegni aiutarono i militari a identificare i combattenti.
«Il Che era morto da appena una ventina di giorni e La Habana era tappezzata di suoi ritratti listati a lutto; si parlava solo di quello.»
«E poi, l’espressione del Che morto, così sereno, illanguidito, fa più pensare a uno che sia morto per dissanguamento o comunque che piano piano abbia perso la vita piuttosto che a uno che sia stato falciato da una raffica a breve distanza.»
Appunti sul trattamento del personaggio di Che Guevara.
Primi abbozzi della scaletta del film.