I 199 giorni del Che. Diario di un film sulle tracce del rivoluzionario
 8817094692, 9788817094696

Table of contents :
Copertina
Abstract
Biografia
Frontespizio
Copyright
Il mio lavoro con Francesco Rosi di Maria Procino
Il film che non ho fatto su Che Guevara
1. Perù
2. Bolivia
3. Cuba
4. Roma
Che Guevara. Soggetto
Che Guevara. Treatment
Cronologia
Note
Indice

Citation preview

Il 9 ottobre 1967 a La Higuera, in Bolivia, muore Ernesto “Che” Guevara, dopo 199 giorni di guerriglia per portare la rivoluzione in tutta l’America Latina. È un evento che colpisce il mondo intero: la fine, velata di mistero, di un visionario che ha incarnato il sogno di giustizia del popolo. Il 31 ottobre 1967 Francesco Rosi parte per Cuba. Vuole fare un film sulla morte del Che per raccontare i suoi ultimi giorni. Arriva a La Habana e incontra Fidel Castro. “Fidel è come Fellini con la barba” scrive Rosi nel suo diario. “È

bugiardo

come

lui,

e

come

lui

geniale,

parlatore

irresistibile, canaglia e disarmato allo stesso tempo.” Ottenuta la sua “benedizione”, intraprende un viaggio sulle orme di Guevara, dal Perù alla Bolivia e poi ancora a Cuba. Incontra i protagonisti e i testimoni della guerriglia. Studia con la sua macchina fotografica quei paesaggi resi surreali dal silenzio. Raccoglie

documenti

e

prende

nota

sui

suoi

taccuini

della

miseria, della povertà e della rassegnazione che legge sui volti delle persone. Il suo obiettivo è rappresentare Ernesto “Che” Guevara attraverso le contraddizioni della sua epoca: non solo in America Latina ma nell’intero Terzo Mondo, dal Vietnam all’Africa, in cui la lotta contro le ingiustizie non è stata in grado

di

provocare

la

ribellione

dei

più

deboli.

Scrive

un

trattamento il cui protagonista risulti indissolubilmente legato con la Storia. Ma quello che era riuscito a fare in Sicilia, cioè girare

un

mafia”,

film

a

su

Cuba

Salvatore diventa

Giuliano

impossibile.

“sotto

gli

occhi

“Sbagliavo

della

non

nei

calcoli” ricorda Rosi, “ma nel giudizio: di fronte ai politici la mafia è uno scherzo.” Il film non verrà mai realizzato, restano solo

queste

pagine

che

sono

la

preziosa

testimonianza

del

lavoro attento e meticoloso di un maestro del cinema perché “la vita di un regista sono i suoi film”. Tutti, anche quelli che non sono stati conclusi.

FRANCESCO ROSI (1922-2015), regista e sceneggiatore, ha diretto alcuni dei film più belli del cinema italiano tra cui Salvatore Giuliano (1962) Orso d’argento; Le mani sulla città (1963)

Leone

d’oro; Uomini

contro

(1970); Il

caso

Mattei

(1972) Palma d’oro; Lucky Luciano (1973); Cronaca di una morte

annunciata

(1987).

Viene

premiato

con

il

David

di

Donatello per i film: Cadaveri eccellenti (1976), Cristo si è fermato a Eboli (1979), Tre fratelli (1981), Carmen (1984) e La tregua (1997). Riceve la nomination all’Oscar per il miglior film straniero con Tre fratelli. Viene premiato per la carriera con l’Orso d’oro nel 2008 e il Leone d’oro nel 2012. Ha scritto con

Giuseppe

Tornatore

l’autobiografia

Io

lo

chiamo

cinematografo (Mondadori 2012). MARIA PROCINO, studiosa di archivi di personalità della cultura

dello

spettacolo

e

di

diaristica,

collabora

con

la

Fondazione Eduardo De Filippo. Ha lavorato al progetto di riordino

dell’archivio

Eduardo

dietro

le

di

quinte

Francesco (Bulzoni

Rosi. 2003)

Ha e

ha

pubblicato curato

il

Carteggio Enrico Cuccia Alberto D’Agostino, (Franco Angeli 2007).

Francesco Rosi

I 199 giorni del Che Diario di un film sulle tracce del rivoluzionario a cura di Maria Procino

Proprietà letteraria riservata © 2017 Rizzoli Libri S.p.A. / Rizzoli, Milano eISBN 978-88-58-68954-7 Prima edizione: maggio 2017 Per le immagini dell’inserto iconografico si ringrazia la Biblioteca Francesco Rosi. Realizzazione editoriale: studio pym / Milano In copertina: Art Director: Francesca Leoneschi Graphic Designer: Andrea Cavallini / theWorldof DOT www.rizzoli.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

Il mio lavoro con Francesco Rosi

Questo

volume

nasce

dal

progetto

di

Francesco

Rosi

di

pubblicare i suoi diari scritti durante il viaggio che intraprese a Cuba e in America Latina dal 17 gennaio al 17 marzo 1968. Il regista era stato a Cuba già nel 1967 a pochi giorni dalla morte di Ernesto «Che» Guevara, deciso a realizzare un film sul rivoluzionario argentino e sulle condizioni del Sudamerica in quel

periodo.

Habana,

con

il

Partì

da

sostegno

Roma il 30 del

suo

ottobre;

amico

giunto

2

3

Guevara

4

e a Pepe Aguilar,

La 1

Saverio

presentò il progetto ai dirigenti dell’Icaic Saúl Yelin

a

Tutino,

e Alfredo

amico della famiglia Guevara.

Riuscì a incontrare Fidel Castro il 19 novembre e il 21 Aleida, la seconda moglie di Guevara, esponendo loro la sua idea: un film che raccontasse gli ultimi centonovantanove giorni di Che Guevara e dei guerriglieri, ma soprattutto le condizioni di un popolo, di un territorio, che portarono alla guerriglia ma anche alla

separazione

dei

guerriglieri

dai

contadini

e

al

loro

isolamento. «Questa realtà io l’ho avvicinata guardandola, più che altro, perché per il mio mestiere le cose le devo vedere per 5

poterle giudicare.»

Il 23 novembre tornò a Roma restando in attesa di una risposta da Cuba. Il 17 gennaio 1968 ripartì accompagnato da Enzo

6

Provenzale.

Il

progetto

venne

poi

accantonato,

ma

Francesco Rosi non abbandonò mai l’idea di poter riprendere in mano tutto il materiale che aveva conservato e provare a realizzare

il

suo

film,

nel

suo

stile.

Non

gli

interessava

dichiarare cosa era giusto o sbagliato né schierarsi: l’obiettivo del regista era creare un’opera cinematografica, documentare attraverso

il

suo

documentarsi,

lasciando

al

pubblico,

allo

spettatore attivo e pensante, il diritto e il dovere di prendere posizione, di discutere.

Nel 2012 Carolina Rosi mi chiamò per collaborare con il padre

sia

alla

biblioteca,

sistemazione

sia

Francesco

era

alla

del

rilettura

preoccupato

e

per

suo alla

la

archivio

e

correzione

mole

di

della dei

sua

diari.

documentazione

relativa alla sua attività che aveva conservato e che avrebbe lasciato «sulle spalle» di Carolina. Accettai

con

timore

ma

con

grande

entusiasmo.

E

iniziammo a leggerli insieme. Alla sua morte ho continuato la trascrizione e la ricerca. Dalla sua biblioteca romana (il suo archivio

cinematografico

è

oggi

conservato

al

Museo

nazionale del cinema di Torino) sono emerse le sue parole che mettono in chiaro la storia del progetto, offrendo a chiunque si avvicini a questo testo una chiave di lettura del suo modo di vivere, di fare il cinema. I

diari

momento

rappresentano storico

la

molto

testimonianza

complesso;

diretta

l’itinerario

di

un

di

un

intellettuale che riflette sullo sfruttamento, sulla povertà fisica e morale, sul sistema economico occidentale; il viaggio di un artista che ha già in mente il film e annota forme e contenuti, ragionamenti ed emozioni. Registra eventi e coglie non solo l’essenza

di

un’umanità

che

appare

priva

di

speranza,

ma

anche la bellezza dei paesaggi che incontra, l’eccezionalità degli avvenimenti appena trascorsi. I diari attestano il legame tra l’idea di un film e la sua realizzazione, si propongono come contributo

significativo

a

chi

voglia

studiare

le

vicende

di

quell’epoca ma soprattutto il metodo e il rigore di uno dei grandi Maestri del cinema. «Io non voglio tirare le somme, voglio lasciare molti dubbi e molto alle interpretazioni.» I

testi

autografi

sono

consegnati

a

due

quadernetti

con

copertina di colore nero e tre quaderni di diverso colore, di cui uno reca sulla copertina rigida l’annotazione Che Guevara di mano

dell’autore.

rispettoso possibile,

degli

trascrizione

originali,

anche

caratteristiche,

La

le

seguito

conservandone,

parentesi

correggendo

ha

solo

tonde i

e

refusi

un

quando le più

criterio è

stato

interpuntive evidenti

e

sciogliendo i nomi che sono trascritti con le iniziali laddove l’identificazione è parsa certa. Si è ricorso al corsivo quando nell’originale l’autore evidenzia parte del testo racchiudendolo tra parentesi quadre o in forme geometriche come quadrati o

rettangoli. Non sono stati effettuati tagli, che spesso possono rappresentare pericolose operazioni di “chirurgia” che mettono a rischio il senso e lo scopo dato agli scritti dall’autore stesso. Nel volume sono raccolti: gli appunti di Rosi sulla genesi del progetto e sul suo primo soggiorno a Cuba; il soggetto e il treatment inviati ad Alfredo Guevara che confermano la sua intensa e scrupolosa attività per realizzare il film fissandone in fase di scrittura ogni idea e ogni approfondimento. Dunque mi sono limitata a seguire, come facevo sempre, le sue

indicazioni

accurate

e

puntuali.

E

posso

essere

solo

onorata di aver goduto di quei giorni, dei suoi ricordi, delle sue riflessioni, della sua umiltà, della sua intelligente curiosità e soprattutto della sua amicizia. Maria Procino

Ringraziamenti La mia gratitudine va a Carolina Rosi per la stima e la fiducia che ha avuto in me affidandomi questo lavoro e supportando i miei cura.

dubbi

e

le

Ringrazio

progetto, attente

ansie

giustificate

inoltre

Manuela verifiche

l’editore

Galbiati nella

e

dalla per

Paola

responsabilità

l’impegno

Rabezzana

correzione

delle

in per

della

questo le

bozze

e

loro la

comprensione dei miei numerosi quesiti. Un ringraziamento va a

Monica

richiesta.

Caliendo

per

la

pazienza

nel

soccorso

a

ogni

A mio padre. Finisco quello che hai iniziato, con amore. Carolina

Il film che non ho fatto su Che Guevara di Francesco Rosi

Nell’ottobre del 1967 mi rompevo la testa per far quadrare un’idea che mi agitava da qualche tempo: mi affascinava il personaggio di Bruto, l’uccisore di Cesare. Il fanatico amore della giustizia e della virtù che lo aveva spinto al tirannicidio, e l’incapacità di gestire le conseguenze del suo gesto se non con la

forza

della

logica

ma

non

con

quella

della

conoscenza

dell’animo della plebe sorda al linguaggio degli astratti ideali, mi sembravano elementi da riproporre emblematicamente in un confronto con l’attualità; e mi muovevo infatti alla ricerca di

una

struttura

investigatore

che

nella

facesse

coscienza

di e

un

regista

nel

di

cinema

comportamento

un

tra

un

intellettuale di ieri e uno di oggi. Richard Burton mi aveva dato serie speranze di voler correre l’avventura con me. Poi, una volta, volli leggere di seguito le pagine di Svetonio, di Plutarco e, infine, la tragedia di Shakespeare; e mi fu chiaro che stavo perdendo tempo: il drammaturgo si era servito del cronista e dello storico come sceneggiatori e aveva aggiunto i dialoghi, cioè la poesia. E c’era tutto quello che io avrei voluto dire;

ma

non

Shakespeare,

mi

con

sentivo attori

di

che

misurarmi

avrebbero

al

cinema

dovuto

con

recitare

in

inglese. Mi aggiravo quindi tra le pietre dei Fori sconsolato e rabbioso di non riuscire a trovare una soluzione, quando fui raggiunto

dalla

notizia

della

morte

di

Che

Guevara.

Fu

un’illuminazione improvvisa: sarebbe stato lui il mio Bruto. Corsi dai miei amici e collaboratori Tonino Guerra e Raffaele La Capria: furono d’accordo sulle mie riflessioni, ma rimasero sbalorditi

quando

dissi

loro

che

sarei

partito

subito,

senza

perdere tempo, per Cuba. Mi rendevano superabile la difficoltà di quella decisione la conoscenza

della

lingua

spagnola,

la

stima

che

i

cubani

avevano dimostrato per i miei film e il fatto che Che Guevara aveva dichiarato a un amico comune, una notte, seduto davanti

a Fontana di Trevi qui a Roma, che il film sulla Rivoluzione cubana dovevo farlo io. Telefonai

all’Habana,

all’Istituto

di

cinema:

chiesi

del

presidente Alfredo Guevara – nessuna parentela con l’altro – che conoscevo solo di nome; gli dissi che volevo fare un film su

Che

Guevara:

seguì

un

silenzio

lungo

e

impenetrabile.

Dopo di che, mi fu passato un collaboratore del presidente, che,

ignorando

tempo

quanto

volevano

avevo

invitarmi

a

detto

prima,

illustrare

il

mi

mio

disse

lavoro

che ai

da

loro

cineasti e che gli sembrava fosse arrivato il momento, se io ero d’accordo. A

quei

tempi,

per

raggiungere

La

Habana

ci

volevano

sedici ore perché i vecchi Britannia turboelica della Cubana de Aviación non potevano sorvolare il territorio degli Stati Uniti e dovevano fare o la rotta di Praga o quella del Polo. A

La

Habana

corrispondente sempre

trovai

il

dell’«Unità».

molto

scettici

e

mio I

amico

comunisti

guardinghi,

Saverio

italiani

se

non

Tutino,

erano

stati

chiaramente

contrari fino al sarcasmo, nei confronti di Fidel Castro e di Che

Guevara.

rivoluzionario

Amendola da

farmacia;

aveva

definito

i

amici

miei

il

Che

Davide

un

Lajolo,

Trombadori, Pajetta mi giudicarono pericolosamente stravolto dal mito rivoluzionario; e da buoni comunisti vedevano in me, socialista senza partito, il pericolo del solito massimalismo del Partito socialista italiano. Non era così, ma poco importa: non è facile far capire a un uomo politico che un narratore può essere

affascinato

da

un

personaggio

anche

senza

doverne

necessariamente condividere ideologie e gesti. Il politico sta attento sempre solo all’uso politico che si può fare di un film, di un libro, fossero poi i comunisti italiani che in questo sono stati sempre maestri, più ancora dei democristiani. Tutino

conosceva

nomenklatura

e

si

Cuba,

stupì

che,

La non

Habana, appena

e

tutta

arrivato,

io

la

fossi

riuscito a rendermi conto che là funzionava bene solo ciò che era

militarizzato.

inquadrati

e

Ma

era

coinvolti,

dittatoriali,

in

un

immediato

riscontro

evidente.

come

processo con

di

I

avviene

giovani in

esaltazione

alcuni

positivi

erano

tutti

i

regimi

ideologica –

stati

e

di

effettivamente

rivoluzionari – risultati nel campo dell’educazione, della sanità e della cultura, che assieme alla caratteristica della vita dolce

dei Caraibi, aveva creato quella strana mescolanza di elementi di radicale astratto idealismo, rigidità militare e impositiva di tipo sovietico e disponibilità ai piacere della vita, che resero Cuba mitica, centro di incontro degli intellettuali di tutto il mondo.

Ma

i

metodi

impressionante anche

se

che

rapidità)

Castro

avevano

erano

allora

si

appresi

quelli

dello

permetteva

e

adottati

Stato

di

(con

totalitario,

mancare

a

un

ricevimento all’ambasciata sovietica per andare invece a uno di quelli della Cina popolare. Mi tennero a bagnomaria: mi facevano incontrare gli studenti, i cineasti, mi portavano in giro, vedevo film dell’America Latina, spettacoli, sentivo jazz che era proibito, andavo a vedere lotte di galli, anche quelle proibite,

ma

non

si

entrava

mai

nell’argomento

che

a

me

interessava: il film. Il Che era morto da appena una ventina di giorni e La Habana era tappezzata di suoi ritratti listati a lutto; si parlava solo di quello, ovviamente. E posso capire che un pazzo che si era precipitato lì per voler fare un film sul personaggio più scottante

allora

nel

mondo,

potesse

costituire

un

problema

quasi insolubile in una società a struttura comunista. Ma io, ingenuo, fino a un certo punto però, avevo voluto agire come mi

ero

comportato

quando

avevo

con

fatto

la

struttura

della

Salvatore

società

Giuliano:

mafiosa,

disarmarli

provocandoli con un comportamento chiaro e controllabile alla luce del sole. Un gioco rischioso per i risultati, ma non per la condotta. Dirmi di no non sarebbe stato possibile né politico: un regista che stimavano, di sinistra, anche se non comunista; film come Salvatore Giuliano e Le mani sulla città dietro le spalle; chissà, avrebbe potuto anche fare qualcosa di utile. Ma gli ostacoli erano tanti. Prima di tutto essere sicuri di come io la pensavo veramente. E di qua, la necessità di «consegnarmi in caserma», l’hotel Habana Libre, ex Hilton, dorata prigione dotata di piscina e di un via vai di poeti, pittori, musicisti, registi,

scrittori,

politici

di

tutto

il

mondo

che

venivano

a

studiare il fenomeno Cuba e a esaltarsi nella constatazione e nella

speranza

che

la

rivoluzione

poteva

veramente

essere

possibile. Era un momento esaltante, quello, e io ho avuto la sorte

di

viverlo

bene

e

a

fondo.

Il

pretesto

della

lunga

consegna era l’appuntamento con Fidel che non arrivava mai. Anche

uscire

con

una

ragazza

diventava

arduo,

se

non

impossibile: dovevo aspettare la telefonata per l’appuntamento

che poteva arrivare da un momento all’altro, più che altro di notte. Consegnati con me, in quel periodo, c’erano anche K.S. Karol, che stava scrivendo il libro sulla Rivoluzione, e Oscar Lewis, che aspettava l’autorizzazione per la serie di interviste che avrebbe fatto tra il popolo come materiale per i suoi libri di

carattere

all’Istituto

sociale

(I

cubano;

figli

erano

di

Sánchez).

roba

che

Vide

gli

i

miei

apparteneva

film come

metodo di lavoro e stile narrativo: mi entrò in camera esaltato con in mano un capitolo da La vida, il suo gran libro sui portoricani a New York che stava scrivendo allora. Lo lesse, e disse: «Questo è il film che devi fare quando avrò finito di scriverlo». Poi negli anni seguenti seppi che lo aveva comprato Kazan, dopo la morte di Lewis; e io, data l’amicizia per il grande regista americano, mi tirai indietro. Stavo

benissimo:

andavo,

venivo,

facevo

bagni,

fumavo

sigari, incontravo sul pianerottolo dell’ascensore Feltrinelli e Valerio Riva, portavo Pajetta a bere il «dajquiri» per il gusto di sentirgli dire che non era altro che una «granatina»; vedevo giù nel ristorante Alberto Ronchey, non ancora mio grande amico e allora da me avvicinato con la diffidenza che comportavano le differenti posizioni ideologiche; andavo a spasso con Tutino, mi commuovevo alle cose realizzate che portavano avanti le idee

di

progresso,

indietro;

ogni

mi

tanto

incazzavo incontravo

per

quelle

qualcuno

che

portavano

dell’Istituto

di

cinema, più che altro preoccupato di sorvegliarmi. Una sera rientrando, mi sento chiamare: «Rosi!». Mi giro: una ragazza splendida,

vestita

da

miliziana,

con

mitra

sottobraccio,

una

bolognese che aveva sposato un suonatore di jazz svedese e tutti

e

Cuba;

due

si

erano

mi

dice:

ristorante.

Forse

arruolati

«Fidel ti

sta

nell’esercito

mangiando

vedrà». Il

coniglio

rivoluzionario

il

coniglio

allora

a

Cuba

di

giù

al

era

il

massimo, date le scarse possibilità alimentari del momento, e Fidel

ne

era

telefono. «Rosi!»

Uno «Chi

ghiottissimo; squillo, è?»

mi

«Soy

corro

in

precipito.

Maria»

camera, Una

«Chi

a

voce

Maria?»

guardia

del

femminile: «Maria,

la

china!» «E chi ti conosce?!». Nei Caraibi le ragazze sono fatte così:

ti

chiamano,

gli

piace

provocare,

scherzare

e

poi

magari… niente! Erano

passati

ormai

venti

giorni:

m’ero

stufato,

volevo

andar via. Quando arriva Tutino e mi dice misterioso: «Scendi! C’è il ministro della Cultura che ti aspetta». Il ministro arriva

in Giulietta (le auto le avevano solo i dirigenti). Carica me e Saverio. Comincia a correre per La Habana in un itinerario tortuoso come per una gimcana: capisco che fa così per far perdere

le

finalmente

tracce

a

casa

sua.

a

un

eventuale

Mangiamo

inseguitore;

sardine

in

arriviamo

scatola,

frutta

tropicale, un po’ di riso: non c’era altro allora a La Habana. Mi racconta dei suoi record nello sport; sento il rumore del motore di una jeep che non si arresta. Tutino e il ministro si guardano: io li guardo. Poi, attraverso le larghe stecche scostate delle persiane di legno dei tropici, vedo passare un mitra portato a spalla da un miliziano e poi un altro uomo in uniforme. Un momento di silenzio, poi «Olà, Rosi!» ed entra… Federico Fellini. Fidel è come Federico con la barba, è alto come lui, ha la stessa corpulenza, la stessa voce; la stessa voglia di piacerti e di inchiodarti al suo «charme»; è bugiardo come lui, e come lui

geniale,

parlatore

irresistibile,

canaglia

e

disarmato

allo

stesso tempo. Comincia a parlare entrando dalla porta; poi si siede sul bracciolo del divano dove io ero sistemato, e ogni tanto mi allunga un sigaro che gli passa il fido Vallejo, il suo medico militare di fiducia che sta accanto alla porta per sorvegliare e assistere. Qualsiasi cosa si pensi di Castro, è impossibile non restare

affascinati

dall’uomo.

È

il

patriarca

di

Márquez,

l’ultimo dittatore dell’America Latina, e allo stesso tempo il capo di una leggendaria rivoluzione che, al tempo, aveva fatto sperare che il socialismo democratico e liberale potesse essere realizzato anche nei Paesi a conduzione comunista. Fidel parlò di agricoltura, di vacche da latte, di caffè, di zucchero, tutti problemi fondamentali sui quali aveva puntato per lo sviluppo del Paese; di economia, di Sartre, di Hemingway, di baseball, e poi mi disse: «Se la moglie è d’accordo, tu il film sul Che lo puoi fare». Ciò che rendeva difficile le cose era il fatto che io volevo la partecipazione di Cuba, ma allo stesso tempo conservare la mia

autonomia:

Grimaldi

con

il il

film

sarebbe

quale

avevo

stato il

prodotto

progetto

di

da

Alberto

Bruto

in

associazione con l’Istituto di cinema cubano. L’Icaic era su posizioni

del

tutto

diverse:

non

volevano

il

produttore

«capitalista». Io non volevo fare un film «per» Cuba ma «con»

Cuba,

quale

osservatore

e

narratore

indipendente

di

un

personaggio e di vicende storiche, e ritenevo che i miei film precedenti potessero costituire sufficiente garanzia. Castro si mostrava d’accordo: Alfredo Guevara no. Dovevo accettare

il

rischio

che

i

due

avessero

concordato

preventivamente i rispettivi ruoli; Castro d’altra parte aveva la vista lunga, allora era più spregiudicato politicamente e capiva che un film con circolazione mondiale sarebbe stato certo più utile di un film di stretta osservanza delle loro posizioni. Ci lasciammo demandando la decisione ultima al Comitato politico che si occupava di tutte le attività che riguardavano la persona

del

Che.

E

intanto

avrei

visto

Aleida,

la

seconda

moglie del Che. L’incontro andò bene, ma anche Aleida si rimetteva alle decisioni del Comitato e di Fidel. Ci sono momenti, nella progettazione di film come quello che io volevo fare, in cui il confronto con la realtà dei fatti e di chi li possiede diventa frustrante, ti sembra che il mondo ti si chiuda davanti in una impenetrabilità gelosa: eppure tu sai che devi romperla se vuoi andare avanti. Ci vuole pazienza e non bisogna sbagliare i tempi di intervento della strategia che hai formulato. La girare

scommessa

era

nei

della

luoghi

quasi

impossibile,

verità

ma

impenetrabile

ero di

riuscito

a

Salvatore

Giuliano, sotto gli occhi della mafia, perché non avrei dovuto riuscirci qui? Sbagliavo non nei calcoli, ma nel giudizio: di fronte ai politici la mafia è uno scherzo. Avevo dalla mia un caparbio entusiasmo, senza il quale d’altra parte prenderebbero il sopravvento solo il pessimismo e la prudenza. Decisi di tornare in Italia e stare al gioco, per non perdere questo entusiasmo. Era la fine di novembre: ai primi di gennaio del ’68 tornai a Cuba, fui invitato al Grande congresso culturale de La Habana. L’Icaic non voleva perdere i contatti…

Diario

1 Perù 17 gennaio 1968 – 22 gennaio 1968

17 gennaio 1

Partenza da Roma per Perù e Bolivia.

Arrivo a Lima – Gran Hotel Bolívar, tipico confort da città coloniale. Grande albergo «oasi» – tutti americani Usa. Per la strada (sono circa le 11 di sera) una fiumana di gente: prima impressione

di

folla

peruviana,

massa

molto

floja,* livello

umano e condizione sociale tipo grossa città del Sud Italia, Bari,

ma

periferia,

perché

tutto

sommato

mi

sembrano

più

vicini a Benevento che altro. Vengono tutti dalla piazza dove c’è

stata

una

«fiesta»

per

la

celebrazione

della

fondazione

della città spagnola: in un angolo c’è il monumento equestre per Francisco Pizarro, fondatore della Ciudad de los Reyes. Ai piedi del monumento simili a «pidocchi» i ragazzini indios con cassettine minuscole da limpia botas,** attaccaticci per una propina***

ma

dolci,

pronti

a

scapparsene

via

se

li

tratti

bruscamente. Nella grande piazza de Armas: da una parte la cattedrale (brutta, niente di particolare), dall’altra il Palazzo della municipalità, bianco, coloniale, bello, attraverso i balconi aperti lampadari enormi da favola per la massa di miserabili di fuori; da un altro lato il Palazzo governamentale con sentinelle indios, lunghi cappottoni e buoni mitra. Nel centro della piazza, un palco e una coppia che balla un rudimentale flamenco: lui in bianco di lino, lei in moderno, lui agita un fazzoletto tra i suoi piedi e quelli di lei. La folla è miserabile. Le macchine sono enormi, bianche e lucide, Usa, macchinoni della Polizia con faro a cupoletta, rosso, soldati su camion. Immagine forse troppo retorica e ovvia del rapporto potere e sottoposti in America Latina.

p

p L’albergo è bello, confortevole, caro, carissimo, ma senza

aria condizionata: strano.

2

18 gennaio È

caldo:

qui

è

estate,

dura

fino

a

giugno-luglio.

Il

fresco

gradevole di ieri sera evidentemente è dovuto a questa corrente di Humboldt che a leggerla nei libri uno non ci crede che riesca

a

dare

fresco

a una

zona

tropicale così

grande.

Nei

negozi e negli uffici non c’è aria condizionata. Banche come monumenti. costa

Negozi,

naturalmente

alcuni

belli:

carissimo.

tutto

Quello

è

d’importazione

che

si

è

visto

e di

peruviano sono pelli di llamas, vasi di terracotta, un po’ di stoffa, camicie, vestiti e scarpe (orrende) care lo stesso. Tutto il resto è d’importazione, al 90% Usa. In

libreria

una

signora

(direttrice

e

proprietaria)

mi

indirizza a un giovane commesso dall’aria dello studente che subito aderisce al discorso del subdesarollo.* L’autista del taxi: «… quello che ci vuole sono scuole, ma i ricchi non vogliono perché hanno interesse a tenere i poveri in stato di servitù: camerieri, autisti, maggiordomi». La conferma di

questo

residenziale

discorso di

San

è

quello

Isidro.

che

Molto

si

vede

bello:

nel

aveva

quartiere ragione

il

consigliere di ambasciata italiana che dice che neanche negli Usa ci sono quartieri residenziali così. L’impressione è non solo di una gran ricchezza e tranquillità, ma soprattutto di una impenetrabilità

a

tutto

ciò

che

non

è

allo

stesso

livello:

francamente mai visto un mondo tanto chiuso. Country club, golf, prati soffici, nurses e carrozzine stupende per bambini ecc.;

a

poche

centinaia

di

metri,

tutto

intorno

alla

città

(e

bisogna vederlo dall’alto), un cerchio di miseria e di fame che finirà per soffocare Lima come mi diceva non mi ricordo chi e dove. L’Ermitaño, barrio di baracche ai piedi e lungo i fianchi di un cerro* alla cui sommità giganteggia una croce; un mare di baracche e di indios venuti da fuori città. Sui fianchi della montagna, in direzione della scuola di ingegneria, una scritta ricavata nel fianco di terra, inneggiante a Che Guevara e alla lotta armata. Molti venditori ambulanti indios, ma fanno colore facile.

La

gente

nelle

barriadas**

è

tutt’altro

discorso.

Bisognerebbe vederle di notte. Capire dove si ferma questa rassegnazione silenziosa e dolce e dove può cominciare con sentimenti di revanche. Diceva l’autista: «La carne oggi costa al chilo più della giornata di lavoro di un uomo: 40, 50 soles (poco più di mille lire), come protestiamo, gridando? E chi ci sente?

A

chi

facciamo

paura!

Dall’altra

parte

ci

sono

i

soldati…». Io: «E non sono poveri anche loro?». «Certo.» «Guadagnano molto?» «Niente.» «E allora?» «Stanno

dall’altra

parte»

(forse

perché

hanno

un

letto,

un’uniforme, un vitto, una investitura d’autorità, di ordine… chissà). «Il governo è una pantalla* per quelli che hanno i grossi

interessi

da

difendere.»

Diceva

l’incaricato

di

affari

dell’ambasciata: «Che si risolve sparando? Questi non sanno e non saprebbero neanche perché sparare. È stata scoperta nella foresta

gente

che

sparava,

in

possesso

di

dollari:

da

dove

vengono questi dollari? Russi? Castristi? Certo è che questi per continuare ad avere dollari sparano, ma non per altro e non è così che si risolve il problema. Bisognerebbe educarli! Ma come si fa? Vada a vedere fuori Lima, i paesini di neanche cinquecento anime, come ci si arriva con l’educazione, dove li porta? Fabbriche: poca roba locale, ceramica, con un po’ di tessuto

fatto

male,

i

manufatti

vengono

da

fuori

e

costano

carissimo». Per la vicuña** c’è la proibizione di lavorarla perché ce n’è

poca,

si

estingue

la

razza.

Gli

indios

vengono

in

città

attratti dalla vita di città, dal cinematografo, dai divertimenti, più che altro perché tanto lavoro non ce n’è. Cenato moderno,

in

un

«Club

ristorante 91»,

al

scoperto

nono dopo

piano che

di è

un

un

edificio

ristorante

italiano. Broccato rosso alle pareti, musica di violino e organo, candele ai tavoli, uomini d’affari americani Usa rimpinzati dai sudamericani che devono concludere. C’è una signora sudamericana, un disegno di Bartoli, che si lavora una donna Usa che suda persino sotto le borse degli

occhi e si asciuga con la salvietta. Dall’altra parte un tavolo di francesi e sudamericani: affari. Ristorante carissimo.

19 gennaio Partenza alle 7.00 dall’hotel per Cuzco (due ore di aereo). Viaggio 3400

metri.

aereo

su

Antica

deserto

montagnoso.

capitale.

Hotel

de

Arrivo turistas,

a

Cuzco, piccola,

coloniale, simpatica pensione per turismo. Signora italiana di Torino, sposata al nipote di Schliemann, quello di Troia; aveva sentito parlare di me a Hollywood: «Il film sulle città e sulle case». In giro subito con l’autista Alberto (misto arabo e indio) a vedere rovine inca: primi contatti per le vie della città e fuori, con una immagine di miseria ai limiti di quello che si può immaginare. Nel pomeriggio giro per la città. Mercato: la «grande» miseria agglomerata. Terribile. E la chiesa spagnola che sovrasta. L’immagine della chiesa indios è una indicazione più storica (politica) che altro, ma già è una indicazione: ma non basta. Ci vogliono le statistiche altrimenti il discorso è limitato, rischierebbe addirittura la pietà estetizzante. Fa più il contatto con la grande Chevrolet bianca che passa in mezzo a tanta merda. La Chiesa è la principale fonte dei guai… «Il Vangelo in una mano e la spada nell’altra» così i primi conquistatori e i monaci della Mercede ammazzavano in nome di Dio. Cosa fanno i preti ora? Secondo Alberto peggio. I militari – i soldati indios, gli ufficialetti meticci – sono l’oppressione di potere evidente.

Uniformi

alla

falangista.

Dove

vive

questa

gente

inebetita dalla masticazione della coca? Come può svegliarsi? Onesti mai. C’è il problema dei figli, della nuova generazione. C’è qualcosa in Cuzco che mi ricorda Trujillo in Extremadura. Le stesse proporzioni possenti di muratura (forse a imitazione delle costruzioni inca: difatti i conquistadores si costruirono i palazzotti a Trujillo di ritorno dall’America). È come se il tempo si fosse fermato, ma intanto ci sono le Chevrolet in giro e la televisione. Prima, signori di una loro civiltà (e il passo è diretto: stessi vestiti, stesse facce, stessi bisogni primari). Prima, signori di una loro civiltà, ora servi di una civiltà straniera, di tipo economico, ma neppure inseriti perché inutili e ritenuti tali o resi tali o fatti rimanere tali, a

meno che non si tratti di sfruttarli come muratori ad altezze alle quali nessun altro potrebbe fare il muratore. Quindi di questo

tipo

di

civiltà

economica

non

godono

neppure

i

benefici. L’origine di tanti guai risale indubbiamente al tipo di conquista

degli

spagnoli.

Gli

imperi

economici,

sia

statali

stranieri, sia privati locali, hanno fatto il resto. I ricchi locali non

hanno

mai

fatto

prosperare

nessuna

delle

attività

che

avrebbero potuto dare una base di vita decente al loro Paese, non ci hanno neppure vissuto, non hanno fatto circolare là i loro soldi. Tutto è straniero: in tanto abbrutimento di miseria enormi réclame della Coca-Cola, gigantesche General Motors ecc. Gli uomini indios si lasciano fotografare, imbottiti di coca, le donne, dolcissime madri-natura si riparano il viso o quello dei figli nello scialle dietro le spalle, con gli enormi cappelloni di paglia bianca. (Qui si può girare con il sistema del mordi e fuggi.)

20 gennaio Escursione a Machu Picchu. Bellissimo. L’ordine geometrico dell’impero Inca espresso tutto riunito nelle costruzioni di una fortezza-città rifugiata a 3000 metri circa. Ci si arriva con il trenino. Tre ore. Lungo la strada ferrata misere capanne di fango e niente più che questo. Quale sarà stato il contenuto dell’articolo del Che su Machu 3

Picchu: lavoro

l’ordine di una antica civiltà collettivizzata, dove il

era

distribuite

obbligatorio saggiamente?

e La

la

ricchezza

terra

era

e

della

la

produzione

collettività

e

il

cittadino era obbligato a lavorarla. (C’è un gruppetto familiare di indios che vengono a visitare le rovine.) La libertà della proprietà. O avrà scritto della fine di questi antichi padroni della loro civiltà, estranei a una nuova perché mai fattivi accedere? Alberto, l’autista di Cuzco, ci viene a prendere al ritorno, dice che quella miseria costituisce il 90%. Mi viene l’idea della nascita e della morte, cioè l’indio dalla nascita alla morte, una rapidissima sintesi, accompagnata –

come

necessariamente

in

tutto

il

capitolo

che

riguarda

l’A.L.* – da dati statistici incontrovertibili. Al ritorno passo

davanti a un minuscolo cimiterino di fango tra alcuni gruppi di capanne di fango. L’idea è giusta. Parlo della morte di questa gente

con

Alberto:

mi

conferma

l’idea.

Qui

gli

indios

li

sotterrano persino senza bara, nel terreno comune.

21 gennaio E vado a dare un’occhiata al cimitero di Cuzco, la domenica mattina. Il reparto abbiente è sistemato con loculi incorniciati con grosse e bellissime cornici di bronzo dorato e argentato, difesi da un cristallo dietro il quale c’è una placca dello stesso metallo con figura di madonna per lo più e fiori di plastica o veri. Molto tipico e folclorico. Il reparto poveri è una collinetta di terra seminata letteralmente di croci e tombette di gesso (quando ci sono) a forma di bara, quasi tutte dipinte di bianco e di azzurro. Le croci per la maggior parte sono due pezzi di legno inchiodati. Mi inoltro tra le croci – a un certo punto mi fermo, i miei piedi prigionieri delle assi e dei tumuli (non più tombette man mano che si va su) e delle ossa che qua e là affiorano. (Non ho mai visto – anche tra quelli dei paesini della zona depressa della Sicilia – un cimitero di poveri tanto povero.) Grossi ciuffi di verde e fresca finocchiella coprono qualche croce e una vecchia india ne fa raccolta: per le sue bestie, mi dice Alberto, ma mette l’erba con troppa religione nel suo scialle perché non possa venire il dubbio che la raccolta sia per lei. Montiamo in macchina diretti a Chincheros. La strada – un fangoso e pericoloso sentiero tra i monti – è costeggiata qua e là da gruppetti di capanne di fango con il tetto di paglia. Solita immagine: certo non ci si accorge che è domenica, la gente percorre i sentieri con legna o erba sulle spalle come tutti i giorni,

coperta

degli

stessi

stracci

di

tutti

i

giorni

che,

a

giudicare dal tanfo e dallo sporco sulle mani e sulle parti del corpo scoperte, credo che non si tolgano di dosso neppure quando

si

buttano

a

dormire

sulla

paglia

o

su

qualsiasi

giaciglio. La zona da Cuzco a Chincheros è molto suggestiva: le montagne

alte

e

maestose,

alcune

cime

coperte

di

neve,

improvvise pianure verdi, un fiume abbastanza ricco, silenzio

e solitudine. Qualche gruppo di pecore o di llamas con un ragazzino che sorveglia. Rarissimi gli uccelli. A Machu Picchu non ne ho visto uno. Neanche

quelli

bellissima,

di

grosse

estremamente

altezze.

Strano.

suggestiva.

Mura

Chincheros incaiche

e

è su

quelle elevato un muro di cinta a una chiesa di tipo vecchia Castilla. Tutta bianca di fuori, un campanile di fango e dietro la chiesa poche capanne di fango arrampicate su viottoli in salita. In un silenzio, anzi in un bisbiglio ovattato che è più che un silenzio quando si vede da quanta gente viene, centinaia di indios sono accovacciati per terra o si muovono da gruppetto all’altro. Qualche asino. Qualche alimento che frigge su un fuocherello di legna sulle pietre. Vengono qui ogni domenica, da

tutti

i

gruppetti

soprattutto fagioli,

di

pane,

di

capanne

alimenti. farina,

della

Poverissime

dolci,

carne

zona,

per

cose:

un

ecc.,

quasi

fare

baratto

sacchetto

di

totalmente

o

addirittura totalmente non circola moneta. Tutti in costume, gli uomini con il bolo di coca, bevono tutti enormi bicchieroni di chicha.* Dalla chiesa esce gente a frotte, in silenzio. Piove. Entro in chiesa: c’è ancora pochissima gente, un gruppettino attorno al prete; alla fioca luce di un paio di candele stanno battezzando

un

bambino

indio

piccolissimo,

tutto

nudo

nel

freddo della enorme chiesa vuota ed esattamente come una chiesa

vecchia

fotografia

Castilla

sicuro

al

anche

98%

nell’interno:

che

non

prendo

verranno,

mi

qualche chiedono

delicatamente qualche soldo. Non glieli do per paura che gli altri vedano e allora sarebbe finita: poi si raggruppano tutti accosciati in un angolo buio della chiesa attorno alla creaturina da rivestire. Silenziosi, buoni, rassegnati, timidi: mi avvicino, do l’equivalente di poco più di un migliaio di lire. Si alzano a turno, padre, madre, familiari ad abbracciarmi chiamandomi «papà». Fuori della chiesa c’è ancora la riunione degli indios. Da

qualche

parte

viene

una

musica

di

violini

e

chitarrini

suonati come nel Nordafrica e in Asia. Ci si è accodata una fotografa Usa, una spilungona secca noiosa mondo

delicata a

fare

zitella

vecchina

fotografie

che

anglosassone piazza

poi

che al

gira

il

«National

Geographic Magazine». Le offriamo il passaggio in macchina nel nostro itinerario di ritorno fino a Cuzco. La strada per

Urumumba è molto bella, aumenta la maestosità, la solitudine, il paesaggio delle Ande. Ci fermiamo a mangiare. Ollantaytambo – fortezza inca. È una fortezza costruita su di una montagna, nella gola tra due montagne, dominante un passaggio obbligato prima di arrivare a Machu Picchu. Solito sistema di terrazze di difesa, come a Machu Picchu, enormi blocchi di pietra tagliati con precisione geometrica e incastrati con la stessa precisione. Ai piedi della fortezza il villaggetto, un gruppo di povere case che fondamentalmente sono ancora le stesse di quelle dove vivevano le famiglie della guarnigione di Ollantaytambo. Continuiamo

verso

Maras.

Ancora

miseria

e

fango,

bambini assieme alle bestie. Risolvere il problema degli indios in un paese dove su circa 4.000.000 di abitanti ce n’è l’80% deve essere un problema enorme, e certo non credo lo si possa risolvere se non con un rivoluzionamento totale delle strutture, dalla base. Queste montagne sono piene di rame: non sfruttate. Su altre si trova lo stagno allo stato naturale. Petrolio ce n’è una quantità ma è tenuto come riserva dagli Usa.

Le

pianure

sono

tante

e

ricchissime.

Il

paesaggio

da

Ollantaytambo a Maras è maestoso: le Ande, le cime bianche di neve, la solitudine sulle pianure a distesa infinita. Ogni tanto passa un indio, come quel gruppetto marrone come il sentiero di fango lungo il quale procede dietro a un carro carico di sterpi. «Propiname papà!» Si fa notte: nel fascio di luce dei fari della macchina capita un gruppo di indios, maschi e femmine, ubriachi fradici di chicha: ecco finalmente la domenica! L’americana che è con noi non vede altro che civiltà morte, costumi tipici e folclore, e qui l’unica cosa che ti viene voglia di fare

è

di

prendere

a

calci

nel

culo

chi

si

innamora

del

folclore. Ha passato, coraggiosamente (mi fa ricordare quelle dell’Esercito della salvezza a Lima), la notte in una stamberga di Chincheros per essere di buon mattino alla missione degli indios

sullo

spiazzo

davanti

alla

chiesa.

Racconta

che

il

padrone di casa aveva la radio, il grammofono e la macchina da scrivere ma non il cesso, e a me viene in mente quelli che

dicevano a Napoli che dài un bidet a quelli dei bassi e ci piantano il basilico. Abbiamo parlato anche, per un momento, di Cuba. Non capiva perché gli Usa avrebbero dovuto avere interesse

a

impedire

agli

Stati

dell’America

Latina

di

commerciare con Cuba. (Tenere presente l’unione indio-llama-maiale-coca-trago.) Maras: villaggio miserabile. Fango da tutte le parti. Una lunga strada centrale di fango con casette basse imbiancate. Una india non in costume, dall’aria di quella che ha qualcosa (non in costume ma cappellone bianco alto in testa lo stesso), vuole

vendersi

casupola.

il

portale

Fotografo,

(spagnolo,

vuole

soldi,

bellissimo)

non

glieli

do,

della non

sua

se

la

prende, è spiritosa. A Maras ci sono le saline di acqua salata che viene giù dalla montagna, evapora e ci sono quindi le saline all’aria aperta. Ma non riusciamo ad andarci perché ha piovuto e il sentiero è una palude di fango impraticabile. La bicicletta è rarissima, ne avrò viste quattro. Vista una motocicletta. Ogni

tanto

s’incrocia

un

camion

carico

di

indios:

dove

vanno, da dove vengono? Che generi di lavoro vanno a fare?

22 gennaio Cuzco. Visitato un paio di chiese perché l’aereo per La Paz ritarda la partenza. Le chiese non sono niente di eccezionale, ma ci sono dentro degli esempi di misto pittorico spagnolo indio

abbastanza

interessante.

Le

interessanti. mura

inca

La sulle

sagrestia quali

è

del

duomo

costruito

è

San

Domenico molto belle. Un tempio cristiano su quello incaico. Facevano

così

sempre

gli

spagnoli

anche

con

quelli

arabi.

Vista la reliquia d’oro della Mercedes, una custodia del SS. Sacramento di oro alta circa un metro tempestata di pietre preziose e una perla enorme a forma di nudo femminile messo 4

in risalto in una custodia d’oro a forma di donna.

Divertente.

All’aeroporto l’ufficialetto. Come è contento e felice della sua uniforme. •

Povere capanne di fango qua e là. Come vivono.



Mura e ruderi poveri indios.



Paesaggi desolati e maestosi – llamas e indios…



Riuniti nel mercato all’interno del muro di Chincheros.



Interno chiesa – il battesimo del bambino indio (i soldati si segnano più volte devotamente), il bambino esposto alla luce che entra dalla porta aperta.



Il baratto.



Il bambino cresce si fa grande.



La periferia di Lima.



Le migliaia di indios, il mercato ecc.



Le barriadas.



La città evoluta e ricca e venduta e schiava.



Il contrasto.



Il cerchio di fame intorno alla città si stringe.



La morte di un indio povero.

*

Pigra.

**

Lustrascarpe.

***

Mancia.

*

Sottosviluppo.

*

Collina.

**

Baraccopoli.

*

Schermo.

**

Vigogna, lana che si ricava da un piccolo camelide andino.

*

America Latina.

*

Bevanda alcolica derivata dalla fermentazione di mais, altri cereali o frutti.

2 Bolivia 23 gennaio 1968 – 13 febbraio 1968

1

23 gennaio Arrivo

a

La

situazione

Paz,

piccolo

montagne

incredibile ragazzotti

intorno

nell’aeroporto che

si

aeroporto



da

maestosa

città e

confusione

accaparrano

i

di

provincia:

bellissima.

Folla



una

ridda

di

biglietti

del

bagaglio.

Finalmente il nostro ragazzotto riesce a raggruppare le nostre valigie – le vuole portare tutte lui; pur essendo noi disposti a prendere un altro ragazzotto riesce a mandare via l’intruso e porta tutto lui. Autista taxi: «Hemos limpiado todo».* Moltissime scritte sui muri inneggianti alla libertà e alla guerriglia. Malessere di montagna perché faccio l’opposto di quello che si deve fare: mi muovo, trasporto valigie ecc. Telefonata all’ambasciatore: era stato avvertito del mio arrivo. Appuntamento per domani. Uscita.

Freddo.

Immagine

Catanzaro.

Indios,

ma

apparentemente più nutriti che a Lima-Cuzco. Di un altro tipo gli indios – situazione miseria diversa da quella della morsa di fame che stringe Lima o dall’abisso di povertà di Cuzco. Ma anche se qui nella città la prima immagine è di una miseria meno

abissale

l’impressione

(ma è

di

bisognerà un

vedere

nei

sottosviluppo

prossimi

totale.

Il

giorni)

livello

è

bassissimo, grandi macchine Usa in giro, facce rassegnate di indios buoni. Articoli meno cari che a Lima, ma prodotti locali agricoli

più

ricchi,

pare.

Comunque,

sempre

lo

stesso

problema dei prezzi altissimi dei prodotti di importazione e dei manufatti. Bigliettini alle pareti (come quelli delle processioni nelle piccole città del Sud in Italia) di saluti al presidente 2

Barrientos

di

ritorno

in

patria.

Manifestino

proclamante

3

Huber Matos, dichiarante

il vero leader della vera Rivoluzione cubana e

l’appoggio

del

popolo

boliviano

alla

vera

Rivoluzione cubana (quella che non soggiace a imperialismi di sorta). Mangiato al Daiquiri Club. Parrillada. Bene. Cameriere indio. Non parla – indifferente – poi, finalmente, lo smuovo: poche parole con sguardi terrorizzati in giro sulla situazione dei minatori, dei fermenti, sulla milizia armata. I padroni del locale sono jugoslavi: ci sono jugoslavi qui per le miniere. La stampa – mi stupisce – è critica contro il governo, gode di

una

notevole

libertà.

Si

critica

tutto

l’aspetto

delle

dichiarazioni contraddittorie sulla morte del Che ecc.

24 gennaio All’ambasciata.

4

L’ambasciatore

è

persona

civile,

prudente,

gentile, ma da buon diplomatico si tiene alla larga e io lo incoraggio in una posizione del genere. Colazione a casa sua con una signora italiana che vive qui da molti anni, che si proclama socialistissima e allo stesso tempo esalta l’esercito boliviano e lo sforzo dell’esercito per liberare il paese dalla guerriglia. Il solito discorso: «Il Che è un eroe, un Cristo, ma si è sbagliato: qui le condizioni del paese non consentono una rivoluzione. È vero stanno male, è vero che ci sono ricchezze enormi, governo

è

vero

contro

la la

gente

è

sottosviluppata,

guerriglia».

ma

L’ambasciatore:

sono «I

con

il

governi

militari sono l’ordine. Ma siccome il livello non consente delle elezioni

veramente

democratiche,

allora

sono

i

militari

per

tanti versi la classe più evoluta del Paese, che prendono il governo assumendosi la responsabilità – che sentono come un dovere – di stabilire e mantenere l’ordine. Sono colpi di Stato, è vero, ma non c’è altra strada». «Ma

la

trasformazione

delle

strutture,

l’educazione,

la

creazione delle condizioni per arrivare a un governo che si liberi delle schiavitù economiche…?» «Gli

Stati

Uniti

d’America

non

esercitano

pressioni

monopolistiche, anzi accettano di buon grado chi si voglia affiancare a loro nella distribuzione nell’area di sfruttamento economico dei paesi dell’America Latina» (!!!). Comunque mi ha dato il suo libro sull’America Latina.

Mi procurerà dei contatti ma – e sono d’accordo con lui – non in via ufficiale. All’ambasciata.

Conversazione

con

l’incaricato

di

affari

Vigevani: «Il paese è ricchissimo ma non sfruttato, e gli indios si accontentano di poco e non vogliono altro perché non lo conoscono. Questo governo fa qualcosa per aiutare a uscire fuori

da

un

livello

così

basso

di

vita.

Ma

è

venuta

la

5

guerriglia…». È decisamente contro Debray. Al

giornale

«Presencia»

conversazione

con

il

direttore:

molto intelligente, equilibrato, cerca la conferma delle prove, vuole, esige che si comprenda la Bolivia per quello che è, non per il Paese sanguinario che si immagina in Europa. Succo della conversazione: Guevara un uomo rispettabilissimo e molto valoroso e virile: non ha valutato bene la realtà di fronte alla quale si sarebbe trovato. Ha sottovalutato i soldati boliviani che,

anche

prima

dell’allenamento

dei

rangers

cominciati nell’aprile, erano quelli che fanno tre giorni di marcia senza mangiare ma vanno (come insegna la storia della Bolivia e forse Guevara non la conosceva). Dice però: «… gli dài una manciata di foglie di coca e vanno e si buttano a combattere». Secondo il direttore se non ci fosse stato l’allenamento dei rangers ci sarebbero stati molti più morti tra i soldaditos, ma 6

Guevara avrebbe perso lo stesso. Ovando

diceva: «Non ho vie

di entrata nella selva io, ma non ha via di uscita neanche lui». (È naturale: dal momento che era completamente braccato e accerchiato nella zona individuata con intorno i monti brulli.) (Il

soldadito

interrogato

da

7

Pierini:

«Perché

lo

fai?»

«Para defender!». E che cosa ha coscienza di difendere?) Però poi si è accorto che il soldato boliviano era diverso da quello che lui si immaginava e lo ha persino ammesso nel diario. D. «Lei lo ha letto il diario?» R.

«No,

solo

i

militari.»

(Ma

ciononostante

lo

cita

continuamente e per più aspetti che mi sembrano più dei pezzi riprodotti fotostatici).

È

stato

braccato

senza

requie.

È

una

zona

di

insetti

tremendi, l’umidità fa imputridire i vestiti, le armi stesse, i viveri non si sa da dove possono arrivare, i medicinali (questo inseguimento lo si potrebbe dare molto bene). Cita

un

pezzo

di

diario

in

cui

il

Che

dice:

«Abbiamo

mangiato conchos* come se fossimo noi stessi conchos» (per dire

che

erano

stati

braccati

senza

poter

mangiare

fino

a

buttarsi a dormire finalmente dopo giorni…). È evidente che gli avevano promesso un’apertura di un altro fronte, promessa che poi non è stata mantenuta. Forse si è 8

basato sulle dichiarazioni dei comunisti boliviani alle Olas che assicuravano che il Paese era pronto.

I leader dei partiti comunisti (ce ne sono cinque di partiti) non tutti sono all’altezza: parlano; ma a combattere non vanno loro. E qui la massa non c’è: i minatori (30.000) impauriti non hanno

reagito

ed

erano

comunque

lontani

dalla

zona

del

combattimento. La città non ha reagito. Il contadino (proprietario in seguito alla riforma agraria del suo pezzo di terra) non vuole sentir parlare di comunismo e di rivoluzione.

E

continuamente

ha

denunciato

las

guerrillias

quando si è trovato ad avere qualche indizio di segnalazione. D.

«Ma

avevano

messo

una

taglia

di

50.000

pesos

su

Guevara?» R. «La taglia è stata messa dopo.» D. «Da quello che ricordo io, l’hanno messa non appena hanno avuto la sicurezza della presenza di Guevara.» R. «Anche prima, anche prima ne parlavano.» D.

«Ma

ufficialmente

prima la

del

23

guerriglia,

marzo, non

si

quando sapeva

ha

avuto

inizio

dell’esistenza

dei

guerriglieri.» La tesi che i contadini hanno denunciato i guerriglieri – anche

senza

essere

ancora

a

conoscenza

della

presenza

di

Guevara – va legata al fatto che qui è opinione comune – del direttore, di Vigevani, della signora amica dell’ambasciatore, dell’ambasciatore stesso – che si è stati sicuri della presenza di Guevara solo quando Debray ha parlato. Prima, erano solo

voci e nessuno ci credeva. Quindi i contadini avrebbero dato segnalazioni spontanee nel periodo che va tra il 23 marzo e l’arresto di Debray, cioè verso la fine di aprile. Ma anche dopo, secondo il direttore e Vigevani, i contadini hanno parlato spontaneamente e senza lo stimolo della taglia, perché è gente buona, tranquilla (rassegnata, perché senza luce di speranza), non ha aderito perché i capi della guerriglia erano stranieri,

e

perché

c’è

una

tradizione

di

abnegazione

e

di

sacrificio nel soldato boliviano che ha una sua conferma nella storia stessa. Il Che, secondo sempre il direttore, aveva scelto benissimo il posto, strategicamente parlando, perché vicino alla zona di Camiri dove avrebbe potuto bloccare gli oleodotti petroliferi e l’aeroporto, ma non ha avuto gli appoggi nei quali gli avevano fatto

credere

e

perciò

si

è

trovato

a

doversi

spostare



continuamente braccato dai soldaditos fino a che, nel tentativo di

dirigersi

al

segnalazioni

nord,

date

non

dai

è

stato

insaccato,

campesinos



nel

in

virtù

delle

dal

quale

cañon*

assolutamente non poteva avere via di uscita. Caldo insopportabile, umidità al 100% (si sono trovati sui cadaveri di certi guerriglieri morti in combattimento, coperti di stracci, gli abiti ridotti a stracci dalla umidità; senza scarpe), i puma, i serpenti, los bichitos, insetti vari che si impossessano di un corpo che non possa reagire, in una notte lo rendono uno scheletro;

non

poteva

cacciare

per

mangiare

perché

si

sarebbero sentiti gli spari; non poteva accendere il fuoco di giorno perché si sarebbe visto il fumo; non poteva accendere il fuoco di notte perché si sarebbe visto il fuoco; senza alimenti quindi,

senza

rendevano

medicine,

inefficienti,

senza

abiti,

denunciato

con

dai

le

armi

contadini

che

che

si

non

appena avevano un indizio correvano ad avvertire l’esercito (la taglia), la tattica di Ovando cambiata per cui l’esercito era diviso

in

piccole

pattuglie

«attaccanti»

(praticamente

adoperavano la stessa tattica di imboscata dei guerriglieri), per Che

Guevara

non

c’era

più

scampo

(l’articolo

del

«Time

Magazine» del 7 ottobre dice le stesse cose più o meno). Il

direttore

sostiene

che

il

Che

era

molto

debilitato

dall’asma: anzi è sua opinione che l’azione di guerriglia in Bolivia del Che era la scelta di un uomo spossato da una malattia,

amareggiato

(sue

presunte

dichiarazioni

deluse

su

politica Unione sovietica e razzismo cinese), insomma nella fase calante. Dice che dalle ultime pagine del diario viene fuori una grande e profonda amarezza, oltre al suo stupore sulla tattica di braccamento dei soldaditos boliviani e sulla loro resistenza. Opinione sulla morte: la tesi della raffica di mitra a breve 9

distanza (si riferiva all’articolo della Michèle Ray)

cadrebbe

secondo lui, perché le scuole nei paesi e anche alcune di La Paz, sono unitarie, cioè constano di un solo ambiente, piccolo quanto la sua stanza al giornale, quindi a quella distanza una raffica

di

mitra

lo

avrebbe

quasi

diviso

in

due.

Anche

se

avessero sparato con una colt da quella distanza si sarebbero trovate sul corpo tracce più disastrose di quelle che ci sono. E poi, l’espressione del Che morto, così sereno, illanguidito, fa più

pensare

a

uno

che

sia

morto

per

dissanguamento

o

comunque che piano piano abbia perso la vita piuttosto che a uno che sia stato falciato da una raffica ravvicinata. Non può escludere però che lo abbiano fucilato per farlo fuori. E uno degli

elementi

maggiormente

provanti

è

la

lesione

alla

subclavicolare; ma anche qui, di che genere di lesione si tratta? Perché ce n’è che non lascerebbero più di pochi secondi di vita. Comunque a La Higuera non si entra. D. «Perché evidentemente la gente sa?» R. «Evidentemente. Anche perché lo avranno interrogato e quindi… però non porta tracce di grosse ecchimosi, quindi non lo hanno percosso.» Il

direttore

si

esprime

con

una

sincera

ricerca

di

obbiettività: esprime i suoi dubbi sulla raffica di mitra a breve distanza,

ma

non

esclude

che

lo

abbiano

giustiziato

a

parecchie ore dalla cattura. La stessa ricerca di obbiettività la esprime

quando

collaboratori

mi

(tipo

racconta il

dei

suoi

interrogatori

corrispondente

di

«Sucre»

ai

suoi

Hugo

Delgadillo Olivares), per accertare se raccontavano fantasia o fatti da poter pubblicare senza dubbi. Vuole rispettare la legge a tutti i costi e afferma che anche i boliviani hanno innato questo senso di lealtà alla legge. Dice che nel processo di Debray

sono

stati

commessi

certamente

degli

abusi

e

allo

stesso tempo disprezza profondamente Debray. Desidera che i boliviani siano giudicati per quello che sono e per quella che è stata la loro storia. Mi dice a questo riguardo che in 150 anni

di «rivoluzioni» (di cui dice che la unica vera è stata quella del 10

1952) un

ci sono stati non più di 800 morti. Mi propone di fare

film

su

confronto

Melgarejo

con

piuttosto

Melgarejo

che

sparirebbe.

su

Guevara

Comunque

mi

che

al

dice

di

sentire anche il suo vicedirettore che su molte cose è della stessa opinione. Su

Debray

il

direttore

non

ha

dubbi:

lo

disprezza

profondamente, lo definisce un piccolo playboy al quale era andata

bene

in

Colombia;

non

lo

ritiene

neppure

un

intellettuale interessante e per quanto riguarda la qualifica di «filosofo» dice che a La Paz stessa ce ne sono venti in grado di tenere una conferenza o una lezione sull’esistenzialismo a un livello estremamente superiore a quello tenuto da Debray. Non ha dubbi sul fatto che l’individuazione precisa di Guevara in Bolivia la si deve a Debray. Afferma che la dichiarazione fatta da Debray il giorno della morte di Guevara è un capolavoro di abilità nell’affermare una posizione morale e allo stesso tempo nel non compromettersi giuridicamente. Avevo avuto al riguardo di questa dichiarazione la stessa impressione

io

quando

la

lessi

a

Roma.

Ma

non

ho

assolutamente elementi per condividere il resto e comunque penso

che

Debray,

pur

con

una

partenza

da

playboy

intellettualizzato, si è esposto fino in fondo di persona, anche se ad alcune sue azioni si può fare imputazione di leggerezza o superficialità;

la

stampa

francese

(anche

«Le

Nouvel

Observateur») lo esprime abbastanza chiaramente. Mi

esorta,

contrasto,

la

se

faccio

virilità,

la

il

film,

valentia,

a il

evidenziare coraggio,

ponendoli

la

a

nobiltà,

la

lucidità ideologica di Guevara contro la bassezza e la fragilità 11

e la pochezza di Debray. Di Bustos dice che ha fatto i disegni

perché evidentemente gli avevano promesso la libertà; e poi 12

invece ha avuto anche lui trent’anni. Di Roth vero,

si

è

sospettato

che

fosse

della

Cia.

Ma

dice che sì, è non

ci

sono

sufficienti elementi per sospettarlo, anche se questa famosa laurea da giornalista conseguita in America Usa è contrastata dal fatto che Roth non sa mettere insieme più di due parole per fare un articolo né in inglese né in spagnolo, e si è guadagnato la vita facendo solo e sempre il fotografo. Apertamente



la

colpa

ai

leader

comunisti

di

aver

lasciato solo Guevara. Dice che ci sono passi nel diario in cui

il Che afferma: «Siamo soli – sono solo – non si sa niente dalla 13

città». Nella città dice che c’era stato qualcosa; Tania,

per

esempio, era una segretaria degli uffici della presidenza. Dice che i guerriglieri pare abbiano molto profittato di Tania, unica donna, specie i cubani. Dice

che

un

il

modo

indignato

tedesco di

un

aver

giorno

teso

nel

suo

ufficio

l’imboscata



da

criticò

parte

dei

boliviani – al gruppo di Tania sul Rio Grande dove fecero fuori tutti. «E

proprio

lei

tedesco

mi

viene

a

dire

questo?

Cosa

avrebbero dovuto fare, in una guerriglia, avvertirli a fischi che stavano lì a dargli il tempo di mettersi in difesa?!» Secondo lui per il comunismo si vive e si deve essere disposti a morire: ma chi ha ragione di farlo sono gli operai, gente dura con interessi precisi, disposta a morire, o gli studenti. Qui le masse operaie non ci sono, gli studenti non si muovono e i leader del Partito comunista

(anzi

delle

varie

correnti

del

Partito

comunista

boliviano, Mosca, diviso in due, Cina e trotskisti) non sono certo quelli che si espongono a morire nella guerriglia. Quindi, secondo lui, avrebbero illuso Castro e Guevara sulle effettive, reali condizioni di preparazione alla lotta nel Paese e poi, al momento buono, non sarebbero stati capaci di dare un effettivo aiuto o perché non seguiti o per la decisione di mantenersi indifferenti

per

rimanere

nella

linea

dei

partiti

comunisti

ortodossi. Comunque avrebbero promesso al Che l’apertura di un fronte che non c’è stato.

25 gennaio Tutto il giorno in albergo a leggere e lavorare. Indisposto, reumatismi.

Viene

Vigevani 14

domani con Mejía.

a

trovarmi,

c’è

l’appuntamento

Vigevani è proprio fascista. Oggi dice:

«Perché quando ha capito che era tutto perduto, verso luglio agosto non si è tagliato la barba e se ne è andato?».

26 gennaio 15

Incontrati Mejía e Céspedes. scopre

senz’altro

più

dell’altro

Mejía vuole fare il furbo, si che

è

brillante,

intelligente,

abbastanza

colto,

sicuro

di

sé,

e

comunque

provoca

su

un

terreno di dialogo già più chiaro e al quale ho risposto in maniera

altrettanto

buono»

della

chiara.

pellicola

naturalmente.

Me

Mi

sarà

lo

pone

chiede

il

Che

come

alla e

fine

gli

se

il

rispondo

domanda

«niño di

sì,

«indiscreta».

Vedremo quali saranno le altre domande indiscrete. Esordisce con il dire che la scelta di Guevara era perfetta. Mi mostra alla carta geografica la zona e le regioni strategicamente valide. Confini con Argentina (Jujuy, Salta, zone turbolente), Cile, Venezuela,

Perù.

Oleodotti,

gas,

la

pianura

più

ricca,

l’aeroporto. Dice che Guevara ha sbagliato nel sottovalutare il contadino

boliviano

che,

proprietario

della

terra

dopo

la

Rivoluzione e la riforma agraria, vuole starsene in pace: ha già quello che può desiderare e quindi… La guerriglia è arrivata a disturbare, a interrompere i lavori di miglioramento sociale in corso, le scuole, gli ospedali ecc.; quando il Che si presentava e

offriva

20

pesos

per

una

gallina

che

ne

valeva

10,

il

contadino si insospettiva, fiutava che c’era qualcosa che non andava. Il contadino ha sentito che erano stranieri, oltre tutto. L’azione era stata preparata meravigliosamente da due anni. Debray era venuto già tre volte, a dare corsi di filosofia, a dimostrarsi

amico

del

Paese,

bene

intenzionato

a

favorire

accordi tra la Francia e la Bolivia. C’erano alcuni dei migliori uomini di Castro. Avevano contatti radiofonici quotidiani, in un cifrario perfetto, che cambiava ogni giorno. «Manila» era La Habana. «Leche» era Castro. Debray era entrato attraverso il Cile con i soldi. Gli uomini erano addestrati, arrivati quasi tutti dall’Europa, anche gli elementi boliviani (pochi). I

partiti

comunisti

hanno

avuto

un

contatto,

ma

al

momento della proposta da parte dei comunisti di comandare la guerriglia in due, Guevara si è opposto decisamente e allora i partiti comunisti lo hanno abbandonato. Guevara un idealista, freddo, chiuso nelle sue idee, duro ma allo stesso tempo romantico con certe debolezze che nella guerriglia biglietto

non per

l’originale

sono

Castro,

nello

ammesse:

per

esempio,

lo

faceva

cifrare,

ma

zaino.

Aveva

abbandonato

poi

scriveva

un

conservava

Tania

quando

aveva saputo che aveva un tumore all’utero. Non si lavava. 16

Alejandro

dice

nel

diario:

«El

Che

lo

olemos

a

500

metros».* Nel diario del Che c’è scritto: «Oggi ho fatto un bagno

dopo

sette

mesi».

Nel

diario

c’è

tutta

la

parabola

discendente dell’uomo che ormai è convinto di aver perso la partita. Ci sono molti altri commenti. Per il diario sono in trattativa con «Time», «Life», «Stern», Mondadori. D. «Ne avete il diritto?» R. «E perché no? Bottino di guerra.» D. «Ma non è detto che potete sfruttarlo, il bottino.» Mi ha risposto qualcosa come di un decreto che hanno fatto apposta. E poi, le spese che hanno sostenuto, e i morti? I diritti vanno a risarcimento. Debray «es un niño» immaturo. Appena preso, al sacerdote chiese: risposta

«I

minatori

negativa

sono

si

mise

insorti? le

E

mani

i

contadini?».

nei

capelli

E

alla

disperato

esclamando: «No me digas!».* Ha sostenuto la tesi di essere un giornalista fin quando gli è

stato

possibile, lui

poi

(fotografie

di

transfuga,

episodio

messo

armato,

alle

strette

deposizione

sentinelle):

«Lei

davanti di

un

alle

prove

guerrigliero

avrebbe

sparato

sull’esercito?» «Sì!» È crollato. Poi al momento della morte del Che, fa la dichiarazione per voler essere considerato guerrigliero alla stessa stregua. Il padre il giorno dopo la sentenza parte dicendo: «Credevo che mio figlio dicesse la verità». Sostiene che non erano sicuri che il Che fosse in Bolivia, fin quando Debray non ha parlato. Ci rivedremo lunedì. Rientro

con

De

17

Leonardis

(Alitalia).

Simpatico,

intelligente, aria buona, un po’ deluso (ho l’impressione che sia comunista o ex, Enzo poi me lo conferma). Conferma l’opinione su Debray. Il Paese è complicatissimo da capire: i contadini non si muovono, i minatori sono impauriti, il partito comunista ha inizialmente voluto profittare aggregandosi, poi si è ritirato e ha lasciato Guevara. Guevara personaggio magnifico, non ha capito la Bolivia, non la conosceva. È tutta colpa di quel 5% di bianchi che dal tempo della rivoluzione se ne sono fregati.

18

Disse a quello dello stagno (non Patiño,

l’altro grosso):

«Perché in queste sue terre (sconfinate) non pianta patate, riso per i suoi operai?». R.

«In

questo

paese

non

bisogna

metterci

“ni

un

centavo”.»** In

serata

andato

alla

Peña

Pachamama,

musica

folclorica

niente di particolare.

27 gennaio Vivace,

appassionato

posizioni

di

conoscitore

dignità

morale

delle

ma

cose,

anche

di

attaccante pura

su

tecnica

professionale, buon giornalista il codirettore di «Presencia» 19

Bailey.

La versione della morte del Che più probabile: ferito solo nella

coscia,

20

Prado

lo

porta

a

Higuera

e 21

guerriglia per combattere contro Inti Peredo 22

la mattina del martedì arrivano Zenteno

poi

torna

alla

e gli altri. Solo 23

e Selich

(prima

sono venuti altri a interrogarlo, registrando quando possibile sue dichiarazioni). Il Che sta su di un giaciglio a terra nel camerone: appoggiato con la schiena al muro fuma la pipa. Zenteno lo interroga. A un certo punto Zenteno lo aggredisce: «Comunista invasore del nostro Paese, assassino ecc.». Il Che replica dandogli del «gorilla». Selich afferra per il petto il Che e gli urla che non si deve permettere di rivolgersi al colonello boliviano in quella maniera. Il Che gli dà uno schiaffo e gli sputa in faccia. Selich prende la pistola e gli spara un colpo solo (quello sotto il cuore). Altra versione (che non esclude questa precedente): entra nella

camerata

il

sottoufficiale

con

i

suoi

due

soldati.

Il

sottoufficiale gli spara la raffica di mitraglietta, poi ordina a un soldato di rematarlo.* Il soldato ha un 45: si avvicina, il Che agonizza e pronuncia i nomi dei figli… il soldato gli spara un 45 nel collo (buco che o non si vedrebbe per la posizione della testa tenuta incassata nel torace in virtù del pezzo di legno messo sulla pietra della lavanderia di Vallegrande, o sarebbe quello cosiddetto del formolo, cucito con il filo che si vede). Secondo

il

prima

ricevere

di

soldato il

(interrogato) colpo

di

il

Che

si

sarebbe

grazia. Anche

segnato

il soldato

si

è

segnato dopo averlo finito. Il Che (sempre secondo il soldato) avrebbe avuto al collo una medaglietta d’oro con l’immagine di

una

Vergine

venerata

in

Argentina

e

dall’altra

scritto

«Ernesto Guevara» che ora sarebbe in possesso del soldato. Il corpo arrivato a Vallegrande era un disastro di sangue ecc. Lo hanno

pulito, 24

Ugarteche

accomodato,

composto.

Ovando

Candia

e

sarebbero arrivati a Vallegrande da La Paz solo il

martedì mattina (visti in aereo dal cronista di «Presencia»). Ha letto il diario per venti minuti. Si

sono

trovati

nello

zaino

del

Che,

oltre

ai

diari,

un

libretto di più di duecento nomi e indirizzi, piani militari e carte,

un

libro

delle

poesie

di

Pablo

Neruda,

e

alcuni

dei

messaggi originali inviati a Cuba in chiave. Bailey

dice

che

nel

diario

ci

sono

alcune

osservazioni

critiche su Fidel tipo: «Come mi liscia, come mi tiene buono» alludenti a un discorso di Fidel. Secondo Bailey il Che aveva già fatto dichiarazioni critiche sulla linea di Castro, al ritorno dall’Algeria (o Vietnam) e in Jugoslavia. Tornato da Cuba, era stato messo da parte: era stato tre mesi all’Habana quasi in incognito. Poi mandato in Bolivia, scelta che il Che avrebbe fatto

perché,

vedeva

in

non

questa

essendo

uomo

decisione

la

di

sua

politica,

ma

possibilità

di

di

azione,

chance:

il

disegno grandioso di creare più Vietnam in A.L., accendere i nuovi

focolai

per

una

sollevazione

di

più

Paesi,

se

fosse

riuscito lo avrebbe reso grande per l’eternità oltre a cominciare a cambiare la faccia del mondo. Perché ha sbagliato? Debray che nel suo libro fa un’analisi per certi versi giusta sulla Bolivia (minatori) dice che non ha capito a fondo la situazione del Paese. E anche gli altri osservatori. Il posto dove erano non era certamente quello scelto per la guerriglia. Erano lì dall’ottobre e nel marzo sono stati obbligati a rivelarsi dagli avvenimenti. I minatori erano lontani quattro giorni di strada. I veri contadini (quelli di Muyupampa, Cochabamba e Santa Cruz) non solo lontani, ma soddisfatti della cosiddetta riforma agraria. I comunisti di Mosca mai aderiti. Gli

altri

25

Por

(rivalità e gelosia).

e

Pekino

non

d’accordo

sulla

guerriglia

(Ricordarsi che un dato importante è quello della fornitura degli elicotteri da parte degli Usa alla Bolivia.) Inizialmente c’era sicuramente un progetto di due fronti. Precipitati gli avvenimenti non c’è stato il tempo di realizzare il progetto. Comunque nei due paesini dove il Che ha parlato riportandone l’impressione riferita nel diario «gli indios sono impenetrabili come le pietre», aveva parlato di giustizia sociale a gente che non poteva comprendere cosa fosse e di dare la terra a gente che ne aveva quanta ne avrebbe voluta. Dice che nella valle di Santa Cruz si sta facendo molto (non c’è stata la divisione della riforma dappertutto): giapponesi, Usa, tedeschi, spagnoli… non hanno bene analizzato la realtà dell’A.L. L’esercito boliviano era demoralizzato, non ha mai vinto una battaglia – Cile, Chaco, rivoluzioni ecc. – anche quando erano mandati (bisogna vedere Las Cañadas) alla guerriglia; ma da quando hanno saputo che c’era da prendere il Che sono stati investiti di una mistica che hanno sentito e sono diventati guerriglieri alla caccia di altri guerriglieri. («Perché lo fai?» 26

«Para defender!»). L’agente della Cia

non si sa bene se è

apparso a Vallegrande o ha viaggiato con il corpo del Che sull’elicottero. Le contraddizioni del governo e dei generali hanno fatto crollare nella merda il piccolo trionfo dell’esercito boliviano. Parla benissimo di Barrientos: dice che conosce la Bolivia e i contadini, va dappertutto, è un uomo maturo, serio, un militare con una coscienza sociale, ma non sa bene come indirizzare

la

strumentalizzazione

di

un

piano

per

il

vero

sviluppo sociale. Ma in effetti – aggiunge – non lo sa nessuno. Il Paese è troppo vario, difficile, stratificato nella miseria e nello sfruttamento di chi va al governo solo per avere soldi, potere, una bella Mercedes ecc. Episodio del ragazzo boliviano guerrigliero venuto dalla Germania

dove

prossimità

di

studiava; si

Camiri,

si

trova,

non

presenta

si

sa

davanti

come, la

solo

in

di

un

casa

contadino e, arma in pugno, requisisce tutto il commestibile che c’è, poi si allontana nella selva. Il contadino lo segue, gli spara due colpi: una brutta ferita alla pancia ecc. In ospedale il ragazzo quando viene interrogato dice solo: «Fate presto a ricucirmi le budella che io devo tornare alla guerriglia». Il

prete

momento

tedesco

dell’arresto

conferma se

i

che

contadini

Debray (e

i

ha

chiesto

minatori)

al

avevano

fatto nulla, si erano ribellati e che al sapere ciò aveva mostrato décéption,* ma non nel modo in cui riportavano i giornali. «Ce n’est pas possible!» Debray ha parlato quando correvano voci che Guevara era lì, ma non si era ancora sicuri dove. Quattro giorni

prima

servizio

(o

segreto

dopo) si

la

deposizione

presenta

al

di

Debray,

in

ospedale

ragazzo

uno e

del

si

fa

riconoscere come uno della guerriglia, avendo a disposizione elementi inconfutabili di riconoscimento; il ragazzo dice che ha visto il Che una volta sola una settimana prima che lui fosse preso, molto sofferente di asma. La maestra di Higuera sa. Anche il prete. A cena a casa di De Leonardis. Simpatica casa, belle figlie, moglie molto simpatica. C’è un nipote della moglie, boliviano, andato a New York, tornato in Bolivia con un incarico di una associazione per i Paesi sottosviluppati che non so bene cos’è. Aria

molto

sveglia,

informatissimo

(27

anni)

alla

Furio

Colombo. Aveva visto i miei film, anche C’era una volta che gli è molto piaciuto. Sapeva anche della differenza che alcuni critici a New York hanno fatto tra Salvatore Giuliano come origine e come maggior risultato artistico e La battaglia di Algeri che pure ha avuto molto successo. In serata alla Peña Galeria Mayre, tutt’altra cosa che la Peña Pachamama: prima di tutto qui veramente solo folclore e di ottima qualità (il flauto del gringo, uno svizzero professore di flauto che si è impantanato qua è dolcissimo e ispiratissimo potrebbe

servire

pubblico

è

ancora

di

però

e

così

livello

quei

chitarrini

deliziosi)

e

poi

intellettuale-borghese-progressista

condizionato

dal

superconsumismo

e

il

non

civiltà

conseguente.

28 gennaio Diretti

a

Tiahuanaco.

La

strada

è

una

sorpresa!

Paesaggio

stupendo, pianura a perdita d’occhio di terra per lo più incolta; chilometri e chilometri. Ogni tanto una casetta di fango con tetto di paglia e corral* per le bestie. Le bestie (pecore, vacche e maiali selvatici che assomigliano a cinghiali) stanno in giro custodite da ragazzine in bombetta sulle ventitré o ragazzini con passamontagna. Si fanno chilometri e chilometri senza incontrare

anima

viva,

ogni

tanto

passa

un

solitario

o

una

solitaria

o

tutt’al

più

una

coppia.

A

piedi,

in

un

silenzio

maestoso come le Ande spolverate di neve sullo sfondo. Poi

un

cimiterino

piccolo

piccolo

piccolo:

un

muro

di

fango, un quadrato, e dentro tombette di fango a tumulo. Poi, una croce nell’immensità del paesaggio e una india seduta davanti in una serena contemplazione. Come uno stronzo non l’ho fotografata, ma la macchina correva e dirgli ogni volta di tornare indietro è un traffico, dovrebbe essere del mestiere… tanto non devo fare delle belle fotografie. La strada ferrata, unico binario, sul quale passa, quando non si sa, un treno a legno della metà o forse fine Ottocento. Ogni tanto si vede arrancare, sul letto di ciottoli tra i binari, una india con bombetta e figlio dietro, scalza (le donne sono più spesso scalze più degli uomini). Si vede qualche uccello. La

terra

sarebbe

fertilissima,

mancano

trattori,

aratri

meccanici ecc. Certo che terra ne hanno quanta ne vogliono, ma se non hanno i mezzi per lavorarla rimane sempre così incolta. Si passa per Laja. È qui che gli spagnoli fondarono La Paz e poi la spostarono per l’oro. Tutto un paesino di fango, piazza immensa e cattedrale spagnola. Dentro ci sono i soliti quadri, molti di arte spagnola e incaica, bellissimi in rovina. Altare d’argento massiccio, oro. Tiahuanaco. Rovine. Niente rispetto a Cuzco. Ma la chiesa e il paese una meraviglia di fango ecc. Nella chiesa gli indios a gruppetti

seduti

in

terra

qua

e

là,

mangiano,

parlano,

cioè

bisbigliano, accudiscono i bambini. Hanno, alcuni, la testa o i panni pieni di coriandoli: è segno di battesimo o matrimonio. Eppure all’ingresso della chiesa, sulla soglia, a metà, è sola, una bara che aspetta evidentemente il suo turno per arrivare davanti famiglia

all’altare. del

Da

morto.

una

parte,

Questa

sotto

chiesa

è

un

albero,

stata

tutta

costruita

la

con

materiale trovato nelle rovine: ci sono due monoliti a figura umana all’ingresso che sono una meraviglia. Continuiamo fino al lago Titicaca. Non è il punto più bello, dovremmo

arrivare

a

Copacabana

ma

non

c’è

il

tempo,

bisognerebbe pernottare. Ma ciò che si vede già basta. Ande con neve. Pace incredibile. Non un essere umano.

Io non so come è qui, ma le distanze tra casa e casa e tra casa

e

villaggio

sono

tali

da

non

far

certo

pensare

a

una

possibile sollevazione del «campesinato». A

cena

(racconta

a

casa

del

di

Che

De

Leonardis. Padre

travestito

che

chiese

27

José una

Gramont

intervista

a

Barrientos: «Quel tupé! Dicen los franceses»)*: «Che Guevara no

es

un

genio

corrispondere sull’errore

le

di

es

un

mito».**

circostanze

alle

valutazione

Il sue

delle

genio idee.

è

chi

sa

Subito

condizioni

fare

discorso

del

Paese.

Deceptión per il fatto (secondo lui sicuro) che il Che abbia detto «No me mates,*** valgo più vivo che morto». Padre 28

(Monsignor) Morandini

considera il Che un grande uomo

pur dichiarandosi dell’idea di padre Gramont. «Non lo faccia morire da cattolico.» Gli

è

mancato

il

fronte

minatori

e

il

fronte

città,

e

ha

dovuto fare scoppiare la guerra molto prima. Nelle

miniere

adesso

c’è

una

discriminazione:

alcuni

li

«facciamo» restare e altri no.

29 gennaio Miniere di Milluni, 4600 m. Siamo saliti più in alto prima di arrivarci, poi siamo di nuovo

scesi:

il

bivio

per

Chacaltaya

a

5600

m,

una

vetta

coperta di neve. All’uscita da La Paz c’è il cimitero degli indios, un’immagine incredibile con tutta la vallata piena di case e di tetti di lamiere che luccicano di La Paz. Lo stesso tipo di cimitero, all’aperto, molto piccolo, c’è prima di entrare a Milluni, con sotto i capannoni delle miniere e i tetti di lamiera delle povere catapecchie dove vivono i minatori e le loro famiglie: l’accampamento. È

come

un

campo

di

concentramento.

Vivono

a

4600

metri, lavorano otto ore di seguito – gli portano il cibo e il the (l’impresa

è

inglese

giù

in

miniera)



quelli

che

stanno

sottoterra e dodici ore quelli in superficie. 500 pesos boliviani (25.000 lire) al mese, fino ad arrivare a un massimo di 800 (qualche specializzato). Le famiglie vivono in poverissime e squallide baracche – solite indie con bombetta (anche qui), i

bambini

hanno

una

scuola

(e

rispettano

lo

stesso

regime

scolastico della città: ora che è estate stanno in vacanza e giocano nel fango, una pena, con maialini e cani), ci sono due chiesine, avverte

l’evangelica

il

passare

e

la

delle

cattolica.

ore,

ai

Un

gong

momenti

di

lamiera

importanti

della

giornata. Una stamberghetta piena di calcinacci è il teatro. Di 29

quando in quando l’Usis

manda qualche film. Hanno uno

spaccio dove acquistano a prezzi normali, tranne la carne (4 pesos al chilo) e il pane a prezzi più bassi. (Così tutto torna alle imprese). Naturalmente le facce dei minatori sono diverse da quelle degli indios che si vedono in città o nelle campagne. Sono

operai

e

hanno

quindi

altro

atteggiamento,

altra

coscienza. Il posto è incredibile, speriamo siano venute le foto. Ci ha preso una bufera di neve e le fotografie sono state fatte tutte sotto la bufera. C’è un minuscolo ospedale. Il ragazzo (una bellissima faccia) ci accompagna in giro. Ci fa vedere. È molto simpatico, si è sposato due mesi fa, ha la moglie a La Paz e scende una volta alla settimana. Quelli che hanno moglie e figli su si muovono rarissimamente. Noi ci abbiamo messo poco

più

di

un’ora

per

una

strada

orribile,

basterebbe

accomodare la strada, organizzare un servizio di autobus per permettere a questi disgraziati di vivere a contatto, perlomeno, con gli altri. Cosa avverrà nella testa di quei bambini che vivono sempre lassù in mezzo a quelle montagne senza mai vedere nessuno e senza sapere del mondo? E sono sempre più convinto che il problema di questi Paesi è la preparazione della nuova generazione. Tornano i minatori dal turno in una nebbia di vapore che si alza dal terreno dopo la nevicata. Un’immagine da inferno, con quelle catapecchie e le donne in bombetta che aspettano con i più piccoli avvolti nella coperta dietro le spalle. Che rassegnazione

deve

avere

questa

gente,

quanti

secoli

di

oppressione li hanno resi così, se non parlano mai. Ti guardano solo

e

in

raramente

quello una

sguardo

luce

che

c’è

una

corrisponde

bontà a

un

rassegnata, bisogno,

a

ma una

coscienza. Ora non hanno bisogni, si accontentano di poco, questo è uno dei punti fondamentali della loro rassegnazione, credo; ma quando qualcuno gli farà capire che dalla vita si può pretendere

di

più?

E

si

deve

pretendere

di

più

per

la

responsabilità verso noi stessi nella storia e verso i nostri figli? Il ragazzo che ci accompagna studia per corrispondenza in

Usa; mi chiede libri sulla vita sociale, sulla tecnica ecc. Qui ci sono «los

carabineros» per

controllo

dei

minatori.

Capisco

come sia difficile per loro qualsiasi cosa. Ci sono dal 1966, prima non c’erano. Nelle grandi miniere nazionalizzate ci sono anche per il controllo dei civili. I minatori aderivano al movimento, anche dopo lo scoppio della guerriglia – nelle intenzioni e come preparazione a un movimento armato, perché di guerriglieri minatori ce ne sono stati cinque, sei; in città c’era una preparazione, poi a un certo 30

punto, verso luglio, si è fermato tutto. Catavi,

credo io, e

accordi tra Por, partiti comunisti, Guevara ecc. Al

ritorno,

fango

e

neve

sulla

montagna

e

llamas

bellissimi. Secondo le leggende, l’alpaca, tutto nero o marrone scuro,

era

un

principe

e

la

llama

dai

garretti

sottili,

una

principessa. Pomeriggio e serata senza incontri importanti.

31

30 gennaio

Giorno dedicato alle interviste. Domani, mi ha comunicato 32

Céspedes, vedremo il coronel Rios

per i permessi e «las

facilitationes». Da

padre

José

Gramont,

gesuita,

spagnolo

catalano

di

Tarragona. Ci fornisce alcune lettere di presentazione per preti della zona di miniera. Faccio due interviste con lui per Radio Fides, una sul film e sul Che, un’altra sul cinema italiano ecc. Dice che in tutta la Bolivia ci sono nove radio emisoras* del Vaticano,

perché

il

Paese

è

diviso

per

mentalità,

abitudini,

idioma anche, quindi c’è bisogno di indirizzarsi a ogni gruppo nella maniera adatta. Parto dai «campos» dei minatori – «vedono molto cinema» – si ubriacano molto, l’alcol è una vera piaga (è alcol puro allungato con acqua e un po’ di zucchero).

31 gennaio Alle 8 e un quarto mi telefona uno che si qualifica come il deputato nazionale Hernando Araus, desideroso di parlare con

me,

avendo

letto

sui

dell’appartamento.

giornali

All’ora

ecc.

Mi

chiede

dell’appuntamento

il

si

numero

presentano

due tipi molto scalcinati, «de la parte del diputato Araus». Li faccio entrare. «I contadini sono cattolici, non vogliono sentir neanche parlare di comunismo, qui il comunismo non ci sarà mai, lei li vedrà i contadini di quella zona, hanno Dio nel cuore e nella testa. E poi non avrebbero potuto mai rispondere a un appello che veniva da stranieri. Al Che gli hanno fatto credere

chissà

che

della

situazione

in

Bolivia,

il

Partito

comunista gli ha fatto promesse e poi lo ha abbandonato.» Uno è dell’ex Mnr, caduto il partito nel 1964, è caduto anche lui, era

deputato.

L’altro

è

del

Frente

Nacional

Revolucionario

(governo). Io avevo chiesto loro se lavoravano. Il clientelismo politico

qui

proposito

deve

essere

degli

terribile,

studenti,

una

tutti

rete

dicono

diffusissima.

che

si

(A

iscrivono

all’università per fare legge o una cosa come scienze politiche per

poi

mettersi

«praticamente»

nella

politica.)

falangista,

della

Il

deputato

falange

Araus

è

rivoluzionaria.

Volevano un sussidio di 200 pesos per partire l’indomani. […] «Vedrà che paesaggi, delle “prese” magnifiche. Speriamo che dal suo esempio, altri come lei vengano in Bolivia per farla

conoscere

l’alimento

al

falso,

mondo.»

io

credo,

Il

«sentimento

del

boliviano.

nazionale» Cos’è

è

questo

cattolicesimo del campesino che non risponde al comunismo o 33

agli stranieri? E quando Paz Estenssoro se

la

presero,

naturalmente,

e

non

nazionalizzò la terra

fecero

questione

se

il

governo era comunisteggiante. Io ho l’impressione che qui i contadini fanno ciò che uno è capace di imporre loro, secondo le

circostanze,

le

condizioni,

il

momento

e

la

forza

degli

elementi reali. L’impressione che io ho avuto sia a Cuzco che qua è che la religione

cattolica

è

un

elemento

applicato

dal

dominatore

spagnolo con la stessa violenza con la quale applicava il suo dominio

di

sfruttamento

economico.

Hanno

subito

uno

«choque»* e sotto quello sono rimasti, con tutto il fascino, la protezione,

la

sottrazione

di

responsabilità

personale

che

esercita la religione su chi è umile, povero, rassegnato, senza speranza, povero di spirito. Ha

telefonato

Andrew

St.

34

George.

Lunch

con

lui.

Racconta della sua permanenza sulla Sierra Maestra due anni,

e due anni ancora dopo a La Habana. Aveva una casa là e si era portato anche i figli, sua amicizia e sue discussioni con il Che – sue interviste e sua amicizia con Fidel Castro. Castro gli diceva che avrebbe fatto da padrino a suo figlio. Dice che ha 15.000 fotografie di Cuba, Sierra Maestra e dopo, di New York. Dice che ha letto tutti i documenti, i diari del Che più altri

sei:

molti

guerriglieri

tenevano

un

diario.

Dice

dell’accordo che stanno facendo con il governo per l’acquisto di

questo

materiale.

Io

gli

dico

che

questo

materiale

non

m’interessa e che comunque la nostra produzione non ha la forza per competere con una XX Century Fox. Questo perché mi dice che l’ambasciatore boliviano in Usa sta trattando con XX Century Fox e che probabilmente per questa ragione mi faranno delle difficoltà per i permessi alla zona

militare.

Mi

può

anticipare

questo,

avendo

visto

Céspedes ieri sera. Se avessi queste difficoltà che gli telefoni. (È d’accordo con qualcuno, con Céspedes?) Secondo lui non mi daranno mai il permesso di girare qui (particolarmente per le trattative XX Century Fox). 15.30. Andati dal col. Rios. Difficoltà. «È tutta zona militare perché ci sono ancora guerriglieri.» «Ma ci sono stati giornalisti di tutto il mondo.» «Era un’altra epoca, dovevamo fargli vedere il Che morto, hanno visto tutti la stessa cosa.» «Ma ci sono stati anche dopo.» «E questo è stato il male: hanno cominciato a falsificare la verità.» «Ma anche la stampa boliviana…» Nessuna risposta. «… c’è stato un articolo del “New York Times” del 7 ottobre con descrizione esatta del luogo dove era imbottigliato il gruppo di Guevara: come facevano a saperlo? L’avevano visto?

Quindi

proprio

circolare liberamente.» Nessuna risposta.

in

quei

giorni

un

giornalista

poteva

«C’è

stato

Pierini

dell’“Europeo”,

Frank

Perry

per

la

fondazione Bertrand Russell…» «… eh, questa fondazione ci ha fatto del male.» «C’è stato Luigi Ghersi di Astrolabio, Michèle Ray per “Paris Match”…» «Vede, loro non sono giornalisti, è un’altra cosa; siamo d’accordo, però certamente per studiare, farsi un’idea devono interrogare gente ed è proprio quello che noi vogliamo evitare perché poi escono fuori notizie che alterano la verità.» «Non è il dettaglio di come precisamente è morto che mi interessi,

sebbene

le

faccio

notare

che

molte

versioni

sono

sempre meglio che due sole in contrasto o una ufficiale senza prove.» Nessuna risposta. «Comunque insisto sul fatto che ci sono state persone in 35

tutto il mondo, il prof. Corghi, «Sì,

precisamente

per

ultimamente, lo conosce?»

lui

abbiamo

dovuto

chiedere

informazioni attraverso il nostro ambasciatore in Roma.» Segna su un foglietto i nostri nomi e le nostre credenziali, la società e il nome di Grimaldi e l’indirizzo. Gli faccio notare che fa più presto a chiedere all’ambasciatore d’Italia. Faccio una ipotesi, legata alla visita di St. George senza un motivo chiaro, se non quello di rivolgersi a lui in caso di difficoltà.

Stanno

trattando

la

vendita

dei

documenti

(ha

parlato di mezzo milione di dollari) ma difficilmente secondo me arriveranno in fondo per la faccenda dei diritti da parte dei familiari – il bottino di guerra non autorizza secondo me a farne

uso

di

sfruttamento

economico



e

allora

tentano,

attraverso St. George, e attraverso le difficoltà, di buttare l’amo perché

noi

si

abbocchi.

O

può

essere

anche

un

gioco

più

piccolo: quello di una negoziazione dei permessi di visitare la zona. Ora, andare attraverso l’ambasciata non esclude di poter avere la porta aperta alla negoziazione per girare qui, con i loro

elementi,

significare risolverebbe

un

mentre gesto

rivolgersi di

nell’acquisto

subito

debolezza anche

che

di

a

St. in

una

George

ogni sola

può

caso parte

si di

documenti perché non voglio dare un soldo per il bottino di guerra prelevato ai guerriglieri. Io sono disposto a far pagare una prestazione di soldati, armi, gente, asesoramiento* e solo in questa forma. Parlato

con

movimento

di

giornalisti,

del

Céspedes:

guerriglieri prof.

dice

ecc.

Corghi

che

Obietto

ecc.

effettivamente le

visite

Riconosce

c’è

degli

allora

altri

che

è

proprio questo: la Michèle Ray che è arrivata con l’aereo del presidente stesso e poi, uscita fuori dal Paese, li ha trattati da «gorilla» ecc. D. «Ma prima o poi uno il film lo farà: o io, o la XX Cent. Fox, o Richardson o Castro.» R.

«Effettivamente

so

che

c’è

in

corso

qualcosa

con

qualche casa americana per l’acquisto dei diritti per il film, dei documenti,

lei

d’altra

parte

non

ha

parlato

di

acquisto

di

documenti, di diritti ecc.» D. «A me non interessa acquistare i diritti, né i documenti; il mio viaggio ha uno scopo che è quello di vedere il Paese e rendermi

conto

di

persona

di

quelle

famose

realtà

che

avrebbero reso possibile la sconfitta del Che; e una prospettiva che è quella, nel caso che dal viaggio esca fuori l’utilità e la convenienza, di girare qui alcune scene, in questo caso mi sarei

servito

alcuni

di

ufficiali,

soldati, dei

di

mezzi

contadini,

di

dell’esercito assessori,

e

boliviano, quindi

di

avrei

pagato per questo.» R. «D’accordo, anche se non sono d’accordo su altri punti, per esempio su quello di fare un eroe uno che è venuto a portare la morte nel nostro Paese.» D. «Il suo obiettivo ultimo non era la Bolivia.» R. «D’accordo era il Sudamerica.» D. «E io come cineasta, come narratore, mi rivolgo a un fatto che riguarda la storia, tutto il mondo.» R. «E noi non possiamo certo impedirle di girare un film su Guevara.» D. «Ma mi potete impedire di girare il film in Bolivia.» R. «Ma lei può girarlo dove vuole.»

D. «Certo e per ora sono qui solo per vedere il Paese.» R.

«Si

rivolga

alla

sua

ambasciata,

ma

non

dica

che

gliel’ho suggerito io.» Telefonato all’ambasciata e andato da Tortorici. Interverrà ma:

«Sa…

non

posso

ufficialmente…

perché

se

poi…

comunque dirò che voi siete qui per ragioni professionali… ma se poi mi chiedono qualcosa io dovrò fare un telegramma a Roma al ministero per avere un incarico a intervenire».

1 febbraio Vigevani,

secondo

all’ambasciata

dopo

l’ambasciatore,

ci

comunica che bisogna scrivere una lettera al generale Ovando con richiesta ecc. Ore 11.00. Andiamo a vedere questo documentario (Peter Toussaint) fatto sulle miniere. Il sig. Walter Villagomes, jefe de

Relaciones

Públicas

de

la

Comibol,

mi

ha

chiesto

di

vederlo. Mi ha telefonato per offrirsi di portarci in giro alle miniere, invitati, ma naturalmente la cosa è addomesticata e noi dobbiamo cercare a tutti i costi di andarci per nostro conto. Infatti,

il

documentario

è

una

serie

di

immagini

propagandistiche, i minatori che fanno sport (anche il golf!! L’immagine

è

una

pallina

da

golf

e

un

paio

di

scarpe

da

operaio, la palla urtata dal bastone va e non si sa dove, tra la polvere della pista nella montagna a 4500), i figli a scuola ecc. Ho visto Milluni, e la moglie di Vigevani ci dice che a Catavi stanno peggio. Vedremo. 36

12.00. All’ambasciata di Francia. M.me de Lioncourt,

console di Francia. Non c’è niente da fare, malgrado tutto, i francesi hanno sempre uno spirito più aperto, meno servile, più intraprendente del nostro e infatti tra come parla questa e come parlano

Tortorici

o

Vigevani

c’è

l’abisso.

Régis

Debray

è

furioso per come hanno interpretato la sua lettera agli amici. È vero che pensa dei comunisti locali quello che ha scritto, cioè con tradimento. (Può darsi) che sia colpa sua in buona parte

le

Bolivia.

informazioni Giura

deposizioni

dei

e

date

spergiura primi

al

Che che

sulle

condizioni

l’armata,

guerriglieri

della

attraverso

disertori,

le

Vincente

37

Rocabado

e

Pastor

Barrera,

dei

quali

uno 38

poliziotto, sapeva già del Che. Salustio Choque

era

un

ex

si è aggiunto

un paio di giorni dopo. Comunque, secondo Debray una spia si era infilata tra i guerriglieri prima o durante il mese di marzo e aveva potuto fare fotografie. Fu messo alle strette davanti alle dichiarazioni degli altri, compresa quella di Bustos, e allora confermò. Il fronte dei minatori non ha risposto. I partiti di sinistra lo hanno abbandonato, forse lo hanno venduto. È stato tradito e venduto da tutti. Debray dice che sin da quando s’incontrò con il Che in Bolivia,

dal

primo

momento,

lo

trovò

un

uomo

diverso.

Assente e rassegnato al proprio destino, parlava del martirio, che, avendo perduto la speranza di vivere, rimaneva la luce del sacrificio per quelli che dovevano raccogliere la missione e continuare la lotta. Il Che gli diceva che il suo posto era un altro e doveva andarsene fuori… che capiva il suo desiderio di sposarsi e avere un figlio, più per il figlio in se stesso che per una donna. Debray veniva via per compiere una missione. È falso che abbia detto, non appena preso: «Sono andato a fare l’intervista del secolo». Lo ha detto molto dopo, quando già non poteva più sostenere di essere solo un giornalista. Sta quando

bene, gli

si

lì.

Si

occupa

chiede

della

più

di

metafisica

guerriglia

che

risponde

già

di

altro;

lontano,

distaccato, nei suoi giri di meditazione da filosofo. Dice che il Che era malato, soffriva, non poteva camminare molto,

andava

sulla

mula;

che

trattava

tutti,

e

lui

particolarmente, con bontà. Aveva come il presentimento della morte. M.me

de

Lioncourt

racconta

di

un

incontro

con

il

col.

Zenteno, persona squisita, gentile, sensibile, che soffre in un certo senso il peso di dover essere stato lui a dare la caccia al Che. Uno di quelli che hanno dovuto trasmettere l’ordine di finirlo. Ha studiato in Francia, è un grande narratore e racconta

g l’episodio del negro guerrigliero. «I

soldaditos

acquattati



nella

tutti

selva

ragazzi

in

di

18-19

un’operazione

anni

di



erano

appostamento,

quando improvvisamente dal folto della selva esce fuori questo guerrigliero negro, immenso, alto, coperto di armi. I soldaditos trattengono il respiro spaventati, più per la superstizione che per altro, quel “negro” immenso sbucato fuori all’improvviso. Comunque

riescono

malgrado

la

paura,

a

non

tradire

la

consegna di non sparare, per non rivelarsi e così il negro se ne torna nel folto della foresta così come ne era uscito.» Con

Madame

si

parla

di

miniere.

Milluni,

anche

lei

impressionata per il cimiterino e del fatto che molte tombe 39

hanno tutte la stessa data. Chris Marker ha

filmato

al

di

qua

della

sbarra

di

le ha filmate ma non

accesso

alla

miniera.

(Credo che Enzo abbia ragione quando dice che bisogna venire con

macchine

facilmente.)

da

Poi

16

per cui si

Chris

Marker

può

non

passare

è

potuto

la

dogana

ritornare

più

e

ha

mandato due suoi uomini a filmare e questi hanno avuto la fortuna di trovarsi a Siglo XX quando padre Gregorio si è opposto alla troupe dei soldati che avevano cacciato fuori dalla miniere le donne e i bambini, e volevano cacciare ora anche le 40

vedove della notte di San Giovanni. del

«Nouvel

Observateur»

della

Le dico della versione

notte

di

San

Giovanni,

i

vagoni merci arrivati in mezzo ai minatori che festeggiavano, si aprono gli sportelli e sparano. Mi

dice:

«C’est

beaucoup

plus

bien»*

ma

non

può

confermare. Lei non ha notizie di questa versione. Ma anche l’altra basta. Mi raccontano – non mi ricordo chi – dei soldati che

scendevano

dalla

montagna

con

le

armi

puntate:

un

minatore spara (è stato lui per primo? È questo che bisogna appurare) e allora i soldati cominciano a sparare sulla folla. Mi pare che basti. Ho visto la fotografia delle vedove davanti alle bare con i minatori composti dentro. Altro che golf! Chi sta qui finisce con l’adattarsi a una certa situazione di «miseria e complesso di inferiorità che discolpa e giustifica» e anche M.me de Lioncourt parla con una certa simpatia per i locali (per quanto riguarda gli indios e la gente media, certo non

i

militari,

le

migliaia

di

persone

che

si

buttano

nella

politica per clientelismo e basta) e una certa propensione a giustificare le ragioni per cui la guerriglia non è riuscita. Così

queste benedette ragioni della «realtà della Bolivia» che a me pare

sia

condannata

ab

aeterno.

Contadini

soffocati

dalla

religione cattolica, con pochi bisogni in una terra per lo più non

coltivata

minatori

e

comunque

piantonati

piantonati

dai

dai

soldati

senza

soldati

i

mezzi

(infatti

avevano

fatto

per

coltivarla.

quando dalle

non

I

erano

miniere

«una

repubblica nella repubblica»), come dice el jefe de Relaciones Públicas de la Comibol, «poi è venuto il presidente Barrientos e ha messo l’ordine». D. «Ha dimezzato le paghe?» R.

«Ha

situazione

messo

ordine,

deficitaria

per

ha

le

dato

un

livello

provenienze

reale

demagogiche

alla del

regime Paz Estenssoro.» Comunque M.me dice che dal gennaio, da quando cioè avevano avuto qualche dubbio sulla presenza di guerriglieri sul territorio nazionale, il governo era stato molto abile a fare una propaganda massiccia nelle campagne contro i comunisti e il comunismo che avrebbe ripreso le terre ai contadini e avrebbe portato via i figli alle donne. Per quella povera gente ignorante allo stato primitivo, questi due argomenti bastavano. M.me ha visto i foglietti che affiggevano dappertutto ma non ne ha più nessuno. Il Che, secondo M.me Lioncourt, era fuori dalla realtà. Comunque un calvario penoso gli ultimi mesi: braccati da tutte

le

parti,

in

un

fondo

di

burrone

con

i

soldati

che

li

potevano sorvegliare, puntare, ammazzare quando volevano. Senza

indumenti

tutti

infradiciati

dall’umido,

il

Che

senza

scarpe: andava in giro con due-tre paia di calzini uno infilato nell’altro e come scarpe aveva pezzi di stoffa ricuciti con fil di ferro, spago, pezzi di stoffa presi agli indumenti dei morti. «C’est une belle histoire, mais il faut la racconter bien… excusez moi! Souvent on a dit, quelle belle histoire pour le cinema… Camiri… monsieur Debray dans l’hotel de Camiri qui sortait de su chambre… dans… les belles photos… ma a vous interet pas, c’est le Che…»* Ci



il

nome

dei

due

corrispondenti

a

Rio,

uno

del

«Figaro», l’altro de «Le Monde», che sanno tutto e hanno appreso molto da Régis perché sono stati mesi a Camiri.

Lei

è

convinta

che

faranno

uscire

Debray:

Debray

è

convinto di starci perlomeno dieci anni. Vuole un figlio e la Elisabeth gli scrive (le lettere passano attraverso l’ambasciata): «Avevi tutto il tempo due, tre anni e non lo hai fatto, e ora che stai in prigione…». M.me de Lioncourt va a Camiri lunedì, anticiperà a Debray la mia visita e le mie domande. Pomeriggio: prima in albergo a scrivere le due lettere, una di

rettifiche

alla

nuova intervista

a

«Presencia»,

e

l’altra

a

Ovando, poi all’ambasciata per la traduzione.

2 febbraio Portata allo Stato maggiore la lettera per Ovando. Al giornale «Presencia» a leggere la collezione.

3 febbraio Partiti alle 8.00 da La Paz per la zona delle miniere in attesa che ci diano il permesso per andare in zone di operazioni. Paesaggio

stupendo;

mare

di

terra

incolta

da

una

parte

e

dall’altra e montagne in fondo: siamo sull’altopiano a 4000 metri massimo. Ogni tanto un indio in tanta «immensità». Un trenino a vapore del secolo passato, pecore, llamas. Vacche, cani, niente uccelli, spruzzate di pioggia, cielo pieno di nubi, asini

sventrati

dai

camion

che

passano

ogni

tanto

a

gran

velocità. Sica Sica, una chiesa dalla facciata bellissima, un intarsio nel tufo: busso mi viene ad aprire un vecchio con la bocca piena di coca e una ragazzina con una bambina di un paio di anni, santi dipinti, bellissimi, indios. Dopo Sica Sica (verso Oruro) Centro Belén – in mezzo al deserto poche capannine di adobe* e un tempio «adventista 7° dia». Un

capannoncino

con

dentro

donne

senza

passamontagna

le

armonium,

vecchia

una

che

lo

indios

(gli

bombetta),

suona.

uomini

con

banchi,

Pregano,

cantano

un e

predicano (il sabato). Un giovane indio in giacca grigia deve essere il prete: bellissimo, si concentra con gli occhi chiusi, l’aria ispirata.

A

poca

distanza

gruppetto

di

capanne

e

un

cimiterino

povero povero di fango senza i nomi sulle tombe. Silenzio. Panduro. Chiesetta di fango formidabile, piccolo tunnel, silenzio malgrado la presenza di gente qua e là dietro i muri dei corrales. Cimiterino con muretto intorno e coroncine di carta bianca attorno alle croci. Il silenzio in Bolivia è impenetrabile. Oruro. Huanuni. Ci fermiamo a Oruro. Miseria, disperazione ecc. Siamo all’hotel Prefectura dello Stato, mai visto niente di simile, mente

mai il

dormito

pezzo

in

in

una

Moby

stamberga

Dick,

quando

simile, il

mi

viene

capitano

si

in

trova

Queepeg in camera. Qui in ogni camera ci sono perlomeno tre letti, nelle camere ci sono tendine con personaggi di caccia inglese, a cavallo con cani ecc. come la vetrina di un negozio di merda dove ci sono le mazze da golf. Dev’essere un’eredità di quello stronzo che ha fatto il documentario sulle miniere facendo

vedere

documentario:

solo

lo

Huanuni.

sport Fango,

ecc.

Infatti

eccolo

catapecchie,

300

qui

il

pesos

al

mese (massimo 400), me lo dice un ragazzo salito sulla nostra jeep

per

un

passaggio,

10

pesos

al

mese

per

ogni

figlio,

l’incentivo di massimo 90 pesos al mese. Quelle merde di catapecchie le paga il governo e così la scuola. Il cinema (in una

palazzina

schifosa)

una

volta

al

giorno

per

chi

vuole.

(«Pero veer mucho»,* aveva detto padre Gramont!) Milluni è peggio, ma anche qui non si scherza. Mi metto a letto quasi vestito. Che nostalgia di Carolina, giù al tavolo c’era una bambina piccola quasi come lei!

4 febbraio Partiamo alle 8.00 da Oruro, imbarcando un tecnico di Siglo XX che torna a casa portando pescetti per un acquario. La parte alta della miniera di Huanuni si chiama Katarikagua, qui il 24 giugno c’è stata una forte resistenza – morti – dietro la

collina ai cui piedi ci sono le villettine della gerencia, ci sono los cuarteles** dei soldati (rangers) 1000. Per

domare

la

resistenza

nella

parte

alta

(Katarikagua)

venivano dal basso e quindi i minatori si sono potuti difendere di più. A Siglo XX a detta del tecnico ci fu (la notte del 24 giugno) un vero e proprio «massacro». Alla fine perlomeno 100 morti, nel giorno stesso 35. Morti uomini, donne, bambini. Era notte alta, i minatori avevano festeggiato la notte di San Giovanni, erano tutti ubriachi, i soldati scesero dal «cerro» e cominciarono a sparare. Con mitra, mitragliatrici con piede, bazooka anche. A Siglo XX ci sono 2000 soldati. I minatori avevano occupato pacificamente le miniere, il che

significa

che

avevano

rotto

i

sindacati

misti,

los

carabineros non avevano reagito. C’era stato un sindacalista di Huanuni che aveva spinto a prendere parte per la guerriglia. «Bisogna aiutarli… hanno anche molti soldi…» Le

condizioni:

a

Huanuni,

Siglo

XX,

un

trabajador

guadagna 300 o 400 pesos al mese, più 10 pesos al mese a figlio (sono nazionalizzate) e un premio di produttività se si superano (l’impresa) le 350 tonnellate al mese a 1,50 (prezzo dello stagno). Ora il prezzo è a 1,41 perché gli Usa hanno buttato sul mercato molte delle loro riserve (ne avrebbero per dieci

anni)

per

fare

un

po’

di

soldi,

data

la

perdita

per

il

Vietnam, e hanno abbassato il prezzo internazionale. Quindi niente

premio

di

produttività

perché

dovrebbero

realizzare

perlomeno 700 tonnellate al mese (dato il prezzo a 1,41). Se fanno straordinari, vengono pagati in ragione del doppio ogni ora. Vivono negli accampamenti (a spese del governo), il pane, la carne, il riso sono a buon mercato, tutto il resto costa come fuori. Dopo il massacro tutti i lavoratori che erano implicati con i sindacati furono cacciati via (una ottantina), dovettero prendere le loro cose dalle catapecchie degli accampamenti e andarsene via. (A Oruro, a Potosí, a La Paz, dove avevano appoggi.) Sindacalista fa opera di propaganda. Situazione questioni di lavoro. Minatori. Occupazione. Notte San Giovanni (hanno aspettato che si ubriacassero). Truppe.

Massacro. Prima con Paz Estenssoro guadagnavano quasi il doppio. Un minatore abituato a stare a 4500 metri difficilmente si ammala o peggiora nella tubercolosi: se cambia clima, volesse andare mettiamo in una granja,* anche a Cochabamba che sono 3250, gli scoppierebbe la tisi e dopo poco morirebbe. Quindi per un minatore non c’è praticamente scampo; anche se gli abbassano il sueldo** sempre in miniera deve rimanere: si oppone con agitazioni ecc., ed è proprio per questo che li hanno circondati di soldati. All’ingresso

della

«zona

minera»

sia

a

Milluni

che

a

Huanuni che a Siglo XX c’è un casotto con i soldati e una sbarra che si alza come quella dei passaggi a livello. Noi siamo passati non solo perché c’era il tecnico, ma perché abbiamo detto di essere della parrocchia. Huanuni è squallida e triste e miserabile più o meno come Milluni che resta il massimo dello squallore. Siglo XX è un poco meno miserabile. Il materiale di scarico forma montagne: qualche puntino nero, sono due, tre donne che cercano di recuperare materiale che vendono poi all’impresa. Subito dopo la sbarra di ingresso, ci sono mucchietti di materiale in mezzo al quale lavorano molti tipi di contadini (non di minatori) per proprio conto a recuperare minerale in un ruscelletto. Un praticello: giocano a golf. Pezzo di strada da Siglo XX-Llallagua al bivio per OruroPotosí bellissimo per montagna e vallata, sembra di stare in aereo. Strada

nella

montagna,

un

solo

campesino

che

va.

La

domenica è molto importante nei pueblos negli accampamenti «mineros» tutti ubriachi. Los campesinos tramortiti di coca e di alcol non ce la fanno neanche a battersi. Dalla strada con le chitarrelle, i flauti di canna. Le due coppie (una delle due donne con il bambino dietro) che nella poca acqua di un ruscello giocavano come bambini a tirarsi addosso l’acqua o a chi riusciva a non entrare nell’acqua (molto bello e patetico). Un acquazzone da diluvio: le strade (!!!) sono un disastro, pozzanghere,

ogni

volta

che

se

ne

presenta

una

ho

l’impressione che ci si possa anche sprofondare dentro e non uscirne più tanto sono nere ed enormi e invece ogni volta il Land Rover riesce a farcela sollevando acqua da tutte le parti. Gli inglesi – e sono loro – hanno fatto il Land Rover con il tergicristallo solo dalla parte di chi guida e dallo sportello entra

tutta

la

pioggia

malgrado

il

vetro,

e

non

c’è

riscaldamento. Avevamo progettato di arrivare fino a Potosí, ma invece, dopo aver attraversato fiumiciattoli, pozze, buche ecc., dopo quattro ore di macchina, ci fermiamo alle 21.30 in un pueblo – si chiamerebbe Challata (domani controllerò): un negozietto di alimentari, hotel; la padrona, una donna di mezza età che ha proprietà a Sucre, fuma, con la bombetta ci accoglie: sopra ci sono camere, come sempre a tre-quattro letti, con bacinella, giù all’aperto c’è una fontanella ma a quest’ora non si vede niente, è tutto buio. Ceniamo – c’è un pezzo di animale su di un tavolo dal quale tagliano un pezzo, la carne non la mangio, mangio le uova, il riso, le patate, birra, ottime gallette italiane. Vado a parlare con la vecchina, tutto in vezzeggiativo e diminutivo – tenerito, cariña ecc. Poi arrivano quattro avventori, quelli della dogana

tre

uomini

e

una

donna,

e

si

ficcano

tutti

in

una

camera. Esce una notte tiepida piena di stelle. Siamo scesi di qualche centinaio di metri. Ora sono a letto e sono a lume di candela e mi ci trovo benissimo (Provenzale invece non ne ha l’aria.) Cerco ora di riepilogare la faccenda del 24 giugno e tutta la giornata con l’ingegnere. L’ingegnere è un tipo che ha lavorato quattro anni a Chicago, due a Miami è stato quattro anni in Cile e ora sta a Siglo XX. Ci vuole restare dieci anni e poi ritirarsi a Lochabamba. Guadagna 350 dollari al mese. La moglie e i figli ora stanno in vacanza a Cochabamba. A furia di vivere accontentandosi di poco si finisce per abbrutirsi, si fa presto credo, sono due notti che già ho preso l’abitudine di andare a letto con il pullover e potrei anche andarmene a letto tutto vestito, basta potersi lavare la mattina dopo. La

casetta

dell’ingegnere

è

ai

margini, non

inserita

nel

gruppo delle catapecchie degli operai. Ogni giorno c’è mercato e

quindi

pueblo,

l’accampamento,

come

un’infima

che

è

borgata

un

po’

romana

un di

piccolissimo baraccati

del

dopoguerra,

è

pieno

sempre

di

contadini,

indios,

donne,

bambini, gente inebetita dalla coca ecc. Al

centro,

omonimo

la

sotto

piazza

del

quale

oggi

il

minatore che

è

con

il

monumento

domenica

suona

una

minuscola banda in civile. Sulla piazza si affaccia l’edificio del sindacato misto sede, fino al 24 giugno 1967, della emisora dei

minatori,

per

la

quale pagavano un boliviano al mese. Dopo la notte di San Giovanni il governo ha messo a tacere la emisora, parla solo quella dei gesuiti (che qui sono in borghese), la emisora Pio 41

42

XII,

quella del famoso padre Gregorio.

Attraverso la radio, i sindacalisti facevano propaganda per raccogliere fondi per i minatori che erano nella guerriglia (e chissà se non volevano mettersele in tasca loro dice l’ing.) e tutto

andava

guerriglia

tranquillo.

erano

pochi,

I

minatori

gli

altri

si

che

erano

astenevano.

andati C’era

alla però

notizia di un grande meeting lì a Siglo XX, sarebbero venuti da Catavi, da Huanuni, da Llallagua. La notte di San Giovanni la gente faceva i fuochi davanti a casa propria o si fermava davanti ai fuochi ballando e bevendo nella piazza. I più erano andati a letto quasi tutti ubriachi. Rimaneva però ancora gente nella piazza. Alle 4 e mezzo del mattino,

improvvisamente,

senza

nessun

preavviso

dalle

montagne circostanti, da tutte le parti, si apre il fuoco sulla piazza

(i

soldati

avrebbero

voluto

occupare

la

miniera

ma

avendo visto ancora gente in giro aprirono il fuoco), ci furono subito

caduti.

Dalla

montagna

sparavano

con

mitra,

fucili,

mitragliatrici, bazooka. Dopo la prima reazione di sgomento, i minatori corsero in casa presero armi e dinamite. (Ne hanno sempre.) E cominciò la reazione. Dalle 6.00 di mattina alle prime luci dell’alba, il fuoco dei soldati si intensificò, un vero inferno, inoltrata,

c’erano

i

verso

le

morti 11.00,

e

i

feriti

in

terra,

solo

a

mattina

vennero

le

autoambulanze

e

gli

infermieri. I soldati scendevano lungo i pendii delle montagne, soldati

a

gruppetti,

cercando

di

raggiungere

il

riparo

delle

rocce (i monti sono brulli); i minatori avanzavano, tiravano la dinamite; alle 9.30 i soldati tiravano ancora ma isolatamente. Una donna uscita da casa con il figlio dietro le spalle per andare allo spaccio fu colpita dal fuoco, lei e il figlio. A terra c’erano

circa

una

trentina

di

morti

(alla

fine

pare

che

ammontarono a 100) e feriti. Anche i soldati ebbero perdite: pure loro pare una trentina (verificare). I soldati occuparono la miniera facendo anche barricate (tra i soldati ce n’erano alcuni che avevano i genitori tra i minatori). I minatori morti furono accumulati in un grande ambiente unico di un club: furono lasciati nelle bare al pianto dei parenti. Ormai! Dopo quindici giorni,

i

minatori

sospetti

furono

cacciati

via

(il

camion

davanti le porte, caricare e via). Anche le vedove, malgrado le protesta di padre Gregorio. Ora non si muove più nessuno. Anche a Huanuni ci fu battaglia. I soldati presidiano da lontano (si vede una jeep che attraversa il campo, non di più, ma si sa che stanno là dietro). Ne ho avuto una conferma dalla padrona

dell’hotel

questa

sera:

dice

che

qui

c’era

una

guarnigione di 1000 rangers con molti armamenti, prima che fossero spostati alla miniera. C’è gente in queste miniere, nata qui, cresciuta qui senza sapere che cosa è il mondo fuori di qui. Non sanno, non hanno un avvenire per i bambini, è tremendo. Basterebbe uno sforzo per una generazione, 15, 20 anni. Centinaia abitati,

si

ha

e

centinaia

quasi

di

chilometri

l’impressione

che

incolti, è

vero

quasi che

non

qui

le

rivoluzioni si fanno a La Paz. Il campesino non ha neppure curiosità, questo mi sembra il peggio.

5 febbraio Dormito benissimo, lavato come gli sfollati e in viaggio verso Potosí. Lavorano esclusivamente per il poco, pochissimo che serve per mangiare. La lana se la filano da soli, come quel marito e moglie a coppia che venivano su per la strada che da Oruro porta a Potosí. (Far capire bene questo tipo di discorso: nella

sterminata

distesa

di

terra

incolta

c’è

il

gruppo

di

capanne e intorno quel poco coltivato. Asini ce ne sono; ma non ne ho visto montare uno, non li adoperano, per andare da un posto all’altro vanno a piedi.)

In Sicilia la gente fa tre ore di mulo la mattina e tre ore la sera per andare a lavorare il campo ed esce di casa alle tre di notte.

Qui

i

contadini

alle

7.00

stanno

ancora

chiusi

in

capanna. Si capisce il perché (inedia secolare, mancanza di bisogni se non i primari) ma è così. Si contentano di niente: mais, papa, chuño, tunta,* fermentano il mais e si fanno la chicha, sono coperti di stracci, non hanno curiosità, anzi hanno paura.

I

ragazzini

che

stanno

ai

margini

della

strada

a

sorvegliare llamas e ovejas** tendono il cappello per chiedere (tutti chiedono) ma poi, se ti fermi con la macchina, succede che hanno paura e scappano. Anche la pastorizia è niente per quello che potrebbe essere: potrebbero allevare tanti llamas, vicuñas, alpacas, diffondere lana a tutto il mondo; così per la carne con le vacche, i buoi ecc. •

Far capire che Paese è.



Dove sta.



L’orografia incombente: i minerali.



Le sterminate pianure fertili incolte: indio indolente per incuria secolare.



La Chiesa dappertutto.



L’ignoranza.



La paura.



La mancanza di stimoli infantili.



La Paz accentra tutto.



È lì che si fanno le rivoluzioni e si capisce il perché.



L’oligarchia

potente,

ricca

ed

egoista.

Non

esiste

il

mare

di

ricchissimo se non questa oligarchia militare. •

C’è

una

vasta

piccola

classe

media

e

un

campesinos indios analfabeti, indolenti, incapaci. •

Per i preti è terra di conquista.

Il giro fatto da La Paz, i posti più importanti: •

La Paz



Sica Sica (chiesa)



Centro Belén



Panduro



Caracollo



Oruro



Huanuni – (miniera)



Katarikagua – (parte alta di Huanuni)



Siglo XX – miniera



Llallagua – (pueblo della miniera)



Catavi – (reparto lavorazione fine miniera)



Machacamarca



Poopó



Pazña



Challapata – (abbiamo dormito)



Cruce de Culta



Lenas



Yocalla (abbiamo mangiato hotel Continental)



Totora



Tarapaya



Aroifilia



San Antonio



Cantumarca



Potosí



La Paz con El Illimani (6600 m) sul fondo



Il tetto con su scritto «Fe y alegría» (A proposito dello zoom, tenere presente la necessità di un

braccetto che si sposti in avanti e in altezza tipo dollyno che si possa però applicare al tetto di una macchina o sulle spalle di qualcuno.) •

Zoom elettrico



Techniscope a 3 buchi



Obiettivo 300-1000.

Potosí.

La

montagna,

«el

Cerro»,

fa

davvero

impressione.

Domina la città, da tutte le parti. La città è a 4050. El Cerro è quasi 5000. In giro per la città c’è l’impronta della Spagna più che altrove in Bolivia per ora. Le donne, o tutte in nero, per lo più, o colorate e allora con cappellone alto e bianco, di paglia panama bellissimo e alto nastro o azzurro o bianco con ricamo lustro come paillettes, o grande nastro nero con coccarda. Le donne tutte nere con scialli fino ai piedi, calze nere, scarpe nere, sombrero alto nero, sono figure spagnole. Ci

avviamo

allas

minas.

Entriamo

senza

fermarci

per

permessi, anche perché qui i soldati di guardia non ce ne sono. La montagna è un termitaio: buchi, buchi da tutte le parti e minatori e campesinos e donne a tutte le altezze che scendono, salgono, scavano, setacciano, a un’altezza incredibile con sotto altra montagna, di fronte, con neve, nubi ecc. La

cosa

dall’alto

più

della

lampade, stracci, o

impressionante

montagna

ancora

accese,

indumenti

dei e

e

particolare

minatori,

l’elmetto,

indios,

o

tute

o

a

è

piedi,

tutto

il

giacche.

la

con

resto C’è

discesa le

loro

sono di

o

tutto.

Bisogna prenderle una per una queste formiche, queste termiti e

accompagnarle

in

questa

opera

di

sfruttamento

di

una

montagna che dà e che si dà; sono 450 anni che butta argento, stagno, piombo: accompagnarle nei buchi, nei setacciamenti, nelle discese, nelle salite, nelle caverne. Noi siamo saliti fin quasi alla vetta ultima a 5000. Si può ritentare con la macchina, ma bisogna passare in tre non di più. Non bisogna dare nell’occhio. Qui ci sono minatori (5000) dell’impresa nazionalizzata e di

imprese

private,

contrattisti

ecc.

C’è

di

tutto

e

tutti

arrampicati su questo monte pieno di buchi. Ai

piedi

minatori

della

montagna

dell’impresa

ci

sono

gli

accampamenti

dei

nazionalizzata,

gli

altri

dal

vengono

«pueblo». I nazionalizzati vanno e vengono in camion, hanno assistenza medica, fanno il football, il basket, hanno lo spaccio con la carne, il riso e il pane a buon mercato. Per il resto è lo stesso: 240, 250, 300 pesos al mese.

I

contrattisti

salgono

con

il

camion

(50

centavos)

e

scendono a piedi (3/4 d’ora). I ragazzi che abbiamo accompagnato noi – contrattisti – lavorano dalle 9.00 di mattina alle 5.00 del pomeriggio. La

montagna

a

quell’altezza,

con

quelle

donne

accovacciate con i cappelloni in testa, con le altre simili che cercano il materiale buono tra quello di scarto, gli indios, i ragazzini che, con la bocca piena di coca anche loro, si ficcano con l’asinello nelle budella della montagna o con la decauville e ne escono dopo mezz’ora con il carico di materiale… È il caos, il disordine, arrangiarsi, lo sfruttamento di qualcosa che dà ancora ma non si sa ancora per quanto. La parte alta è lasciata ai contrattisti, è la più sfruttata. Giù,

alla

base,

c’è

la

miniera

più

grande.

La

più

importante, quella dell’impresa nazionalizzata. Vicino c’è la città: qui sono minatori che non si muovono; «malgrado che il minatore

sia

un

elemento

ribelle»

dice

il

ragazzo, ma

qui,

come altrove, sono molto guardati. Ai piedi del «cerro» c’è la città di Potosí. Si può chiamare città, è certamente più nobile di La Paz. C’è la Spagna con il suo carico di eredità malefica e con

la

sua

impronta

di

grosso

respiro:

ci

sono

palazzotti,

palazzi di un barocco merlettato, divertente, bello a volte e dunque estroso. Chiese con facciate del tipo di questo barocco: una, all’interno, è tutta dipinta a vernice lucida con grandi medaglioni di stucco alle pareti, bellissima, elegante. Pavimenti di legno, e non capisco perché, alberi come in tutta la Bolivia vista fin ora, non ne vedo. Le case hanno tutte il patio alla spagnola. C’è una piccola borghesia, che a Oruro non c’è. C’è un’aria di città, di qualcosa che è stato. Anche le donne col cappello sono diverse dalle bombette di

La

Paz,

sono

meno

contadine,

fanno

costume,

hanno

dignità. Poi ci sono gli indios, come dappertutto qui, laceri, senza tempo,

senza

luce

negli

occhi,

con

la

coca

in

bocca

(la

vendono dappertutto nei negozi, agli angoli delle strade, dei mercati), allocchiti davanti alla luce di una vetrina, a gruppi intorno

a

un

camion

(l’unica

forma

di

civiltà

moderna,

meccanica che abbiano assorbito), a una india che distribuisce beveroni bollenti, o a un indio che tira fuori da uno zufolo di

legno

o

di

canna

delle

note

di

una

tristezza

di

secoli

di

schiavitù, di oppressione, di miseria, di dominazione spagnola bestiale

e

incivile.

I

bambini

sono

quelli

che

fanno



naturalmente – più pena. Anche qui occhieggianti dietro le spalle delle madri, o avvolti in coperte, o rotolanti per terra – deliziosi bestiale



senza

delle

protezione,

madri

che

in

senza

aiuto,

quelle

se

creature

non

l’amore

hanno

l’unica

ragione per vivere. E poi? Appena a otto, nove anni, già vecchi ma sperduti, impauriti, e qui anche i vecchi hanno tanta paura, in genere tutti hanno paura, e già facchini, in città, o pastorelli sperduti in un mare di terra incolta. Che destino infame! Che cos’è la civiltà se non riesce ad aiutare questa gente: Guerlain, Fifth Avenue, via Condotti, l’attico a via Gregoriana o a Park Avenue,

il

ristorante

dove

rimpinzarsi.

Lo

champagne,

le

stronzate più o meno inutili di cui ci si copre? E questi? E i milioni come loro in tutta l’America Latina, in Africa, in Asia?

6 febbraio Partiamo alle 8.00 da Potosí. Abbiamo dormito – civilmente – all’hotel IV Centenario (quarto centenario della fondazione di Potosí festeggiata nel 1930). Sono 175 chilometri a Sucre ma ci vogliono cinque ore di guida nel Land Rover. Ho guidato io e

abbastanza

l’altezza

velocemente,

perde

il

40%

«pessimissimissime»,

e

di

come

poi

il

Land

potenza tutte

le

e

Rover

per

strade

le

che

per

condizioni

boliviane,

della

strada. È un’amalfitana moltiplicata per cinque, senza un solo parapetto, tutto terreno e fango e buche e fiumi da attraversare (chi non ha il Land Rover o il Willy americano, deve togliere la

cinghia

del

ventilatore,

passare

a

farfalla

ferma

e

poi

rimettere la cinghia) si parte da 4050 e si scende di molto fino in fondo alle truchadas, i fiumi secchi, e poi si risale e poi si ridiscende a 2750. Quindi dal freddo al caldo ecc. Abbiamo raccolto un signore, un commerciante polacco che sta qui da trent’anni, come tutti i commercianti vuole stare tranquillo e vede solo i fatti suoi, ma gentile, ormai boliviano. Gli dico: «Come mai non prendono i soldati, ora ne hanno 28.000,

e

accomodare

non le

li

distribuiscono

strade,

a

fare

delle

per

tutto

passerelle,

il

Paese,

dei

ponti

ad di

legno?». «Se i soldati li mandano in giro per il Paese a fare questi lavori, l’opposizione ne approfitta per rovesciare subito il governo. È così in Bolivia.» Prima all’uscita di Potosí, abbiamo raccolto un altro, un amministratore

di

un’impresa

privata

mineraria

di

qui.

«Potrebbe esserci ganado,* fertilità, sfruttamento di miniere, ma gli Usa poi se arrivano soldi vogliono che si comprino i loro macchinari, e invece quelli dei tedeschi sono superiori e più a buon mercato. Deve vedere l’Oriente, fertile, alberi, selva ecc.

e

non

c’è

coltivazione.

Sì,

avevano

cominciato

a

fare

qualcosa, ma è niente. Ci sono i giapponesi, ma noi lavoriamo preferendo gli europei.» A Sucre gli indios, e non li ho potuti fotografare, portano i capelli lunghi e il codino dietro. Sucre è stata la capitale. Un palazzo del governo enorme, chiesa, – lo stesso barocco merlettato di Potosí – ballatoi e balconi

coloniali



caldo



ma

lo

stesso

elemento

indio

dappertutto: buttato per terra o a trascinare pesi enormi con il bolo di coca in bocca, o nei mercati, sono la maggioranza del Paese. Comunque meno affascinanti di Potosí. Le

donne

indios

portano

una

specie

di

blusa,

una

camiciona che casca sulla gonna colorata e lucida, tipo satin, celeste o gialla o rosa con disegni luccicanti e cappello di feltro

da

uomo,

tout

court

niente

a

che

vedere



con

la

bombetta dell’altopiano né con i feltri alti alla «conquistada» di Potosí. Questa zona, da Potosí a Sucre (tranne las quebradas che naturalmente sono diverse da quelle della vera zona tropicale) non serve agli effetti del mio racconto. Prendiamo

l’aereo

per

Cochabamba

dove

non

si

sa

se

troveremo il colonnello Zenteno. Comunque ieri, telefonando a Vigevani all’ambasciata a La Paz, si è saputo che non ha visto il col. Rios e quindi non si sa…

Temo

che

rimandino

senza

dire

mai

no.

E

siccome

Tortorici non muoverà mai un dito, domattina vedrò io stesso quello che si potrà fare. Se l’aereo parte in tempo (ore 8.00) da Cochabamba,

alle

9.00

potremo

essere

a

La

Paz.

Dopo

quaranta minuti di volo su di un DC3 siamo a Cochabamba.

Primo percorso su monti brulli, poi zona pianura fertile e petrolio in prossimità Cochabamba. Cittadina in pianura, biciclette, come una nostra cittadina meridionale,

polverosissima,

sporca,

ma

con

un

certo

movimento, gente apparentemente più inserita in un discorso di minimo progresso civile: si vedono meno bombette in testa di donne indios. Aspetto coloniale, fa caldo. Giro tre ore per riuscire

a

trovare

il

telegrafo

per

telegramma

a

Giancarla.

Ceniamo con signora Giuliana. Domani dovrei vedere il col. Zenteno alle 11.30. Quindi rimandiamo la partenza alle 15.00. Non si è potuto parlare con La Paz, quindi non si sa niente dei permessi. Oggi un signore mi ha fermato: «El señor Rosi?». Era un fisionomista. Si interessa di cinema. «Ma il governo che dice?» «Tenga suerte.»*

7 febbraio L’impressione che mi fa vedere les planches* di

fotografie

della maggior parte del cinema Usa o italiano western esposte in questi Paesi, è che questo cinema sia fatto esclusivamente per gettare questa gente ancora di più nell’abisso in cui sono, oltre che «scientificamente» proprio per sfruttare questo tipo di gente: per cui, mi viene lo schifo per il cinema inteso in questa maniera. Gli indios (85% del Paese) sono buoni, timidi, impauriti, rassegnati, impenetrabili e sporchi, ma tutti e in maniera tale che le campagne del napoletano e i loro sporchi abitanti sanno di Guerlain. Il col. Zenteno ha riunione di Stato maggiore: ci riceverà nel pomeriggio. All’aeroporto militare per affittare aereo e fare Camiri da qui.

Il

maggiore

Niño

de

43

Guzmán

è

molto

gentile,

mi

riconosce, si interessa: forse oltre a Camiri riusciremo a fare un altro giro e probabilmente con lui. Staremo a vedere. Incontro con il col. Zenteno. Persona gentilissima, dolce, amabile, credo buona, è un soldato che ha fatto il suo mestiere, perlomeno fino a quando è dipeso da lui: l’atto finale dipende da «ordini superiori». Lo ammette, fra di noi, «Ustedes son señores que…»,** che è stata una cosa fatta molto male.

Ha

la

carabina

del

Che

con

la

canna

trapassata

dalla

pallottola. (L’M1 che poteva anche sparare a raffica per una modifica fatta dai guerriglieri e diventava M2. Per il caricatore avevano trovato un sistema simile a quello trovato da Giuliano: ne mettevano due insieme uniti da una fascia di plastica e quando finiva uno, giravano sotto sopra e infilavano l’altro.) 44

Ha le giberne cartuccere di Coco Peredo lasciato

il

Generale

sistemazione

Ovando

definitiva).

Ha

– le

dice



(cose che gli ha

in

deposizioni

attesa dei

di

una

prigionieri

(Bustos, ecc.). Ha molte fotografie inedite. Particolarmente, un rotolino

trovato

nello

zaino

di

uno

dei

guerriglieri

e

fatto

stampare da lui. Ci sono due fotografie interessanti del Che: una

di

spalle

appoggiato

al

rudimentale

forno

di canna

da

zucchero (camicia, pant. lunghi, scarponi, berrettino e capelli lunghi

quasi

sulle

spalle)

e

un’altra

del

Che

di

fronte

(in

uguale tenuta in più pipa) con due bambini di contadini seduti, uno

per

parte,

sulle

sue

ginocchia.

Scarponi

quasi

tutti

slacciati, sorridente. Un altro guerrigliero, con cappellone alla 45

Cienfuegos,

gli è vicino. Altri guerriglieri nelle fotografie.

Tania da viva (assomigliava vagamente a Mina) e da morta, ripescata dopo sette giorni con il cuoio capelluto distrutto dalle mosche che vi avevano fatto il nido. Una fotografia del Che morto adagiato sulla barella quando è stato trasportato da La Higuera

a

Vallegrande:

particolare

strano,

ha

gli

occhi

completamente chiusi, perlomeno è molto evidente così. Spiega che la guerriglia e la controguerriglia devono tener conto

e

regolarsi

in

conformità

delle

condizioni

fisiche,

demografiche, sociali, economiche e politiche del terreno dove si svolge la loro azione. Tatticamente il posto scelto per la guerriglia era perfetto: zona di selva, umida, boschi dove non filtrava neppure la luce, fiumi (pesca e acqua), non li avrebbe trovati mai nessuno. Strategicamente



tenuto

conto

degli

altri

Paesi

dell’America Latina che avrebbero dovuto rappresentare anche altri fuochi (Brasile, Argentina, Paraguay), ma rispetto alla Bolivia e in una previsione pessimistica dello sviluppo degli avvenimenti negli altri Paesi – era completamente sbagliato. Lontani

dal

mare,

lontani

dagli

altri

Paesi,

al

centro

della

Bolivia, erano condannati a essere accerchiati. Comunque la fortuna ha giocato un importante ruolo, come i contadini (e

particolarmente

los

corregidores)*

informatori

di

loro

spontanea volontà (la paura del comunismo e l’identificazione del comunismo con i guerriglieri, e l’opportuna propaganda del governo per incrementare questa identificazione), come gli allenatori americani dei rangers unità questa che però è entrata in azione solo il 27 settembre. C’è stato disaccordo tra il Che e i comunisti: il Che nel suo diario li definisce cerdos** buoni solo a prendere soldi (li definiva anche Giuda). Evidentemente si aspettava l’apertura di un secondo fronte (zona mineraria) e di una sollevazione in città, ma sono eventi che non si sono realizzati. Nell’accampamento

guerrigliero

di

Ñancahuazú

si

è

trovata una lista di elementi cittadini, ma si è scoperto subito, anche, che era gente non del tutto in attività. Alcuni minatori hanno partecipato inizialmente, ma poi si sono ritirati perché erano di idee differenti. I contadini non hanno aderito perché in quella zona tutti sono

proprietari

della

loro

terra,

ignoranti,

attaccati

a

quel

pezzetto di (inutile) proprietà. Debray,

con

le

sue

informazioni,

deve

aver

contribuito

all’errore di valutazione sui contadini. Il Che deve aver avuto sicuramente delle promesse che poi non sono state mantenute. L’anticipazione dell’inizio della guerriglia al 23 marzo è stata fatale. L’esercito sapeva già della presenza del Che attraverso le informazioni date da Vicente Rocabado, Salustio Choque e l’altro; Bustos (in un’interessante relazione data assieme ai disegni) e Debray hanno confermato. (Debray dice – a detta di M.me de Lioncourt – che il Che non era più quello di una volta, sembrava rassegnato a un destino da martire, era distaccato dalle cose). Il Che sarebbe stato

ottimista

preso

(carabina

fino

all’ultimo.

resa

Al

inutilizzabile

momento e

ferito)

di il

essere Che

stato

avrebbe

avuto la sua pistola. Il 7 di luglio c’è stato un momento di forte panico

per

l’armata:

i

guerriglieri

hanno

tenuto

per

venti

minuti la strada Santa Cruz-Cochabamba, in concomitanza con movimenti di studenti e di professori in La Paz e in miniera

(repressioni cominciate il 24 di giugno). Ma è stata cosa di poca durata: una compagnia motorizzata (informazione partita subito) è arrivata sul posto e i guerriglieri erano già spariti. L’errore

fatale

del

Che

sarebbe

stato

quello

di

aver

ripiegato nella zona di (Vallegrande) Higuera dove non c’è selva, c’è una boscaglia spinosa ma i monti sono brulli. I soldati venivano riforniti da aerei Cessna che sono lenti e possono volare basso (facevano segnalazioni con fumo e allora si potevano effettuare lanci di carne seccata al sole e pane duro resistente all’umidità). I guerriglieri non avevano più neanche cosa mettersi addosso: il Che, quando è stato preso, portava tre paia di calzini, l’uno sull’altro e per scarpe aveva dei pezzi di cuoio messi insieme con fil di ferro. Si suppone (è una delle ipotesi) che abbia preso la zona di Higuera e della quebradas per cercare nell’altura un po’ di sollievo all’asma. Ma ormai era in trappola. L’episodio del guerrigliero negro che appare e spaventa

i soldaditos

fa

parte

dell’episodio

in

cui

trovò

la

morte Tania. «Che Guevara era un gran personaggio, un mistico.» «È

inesplicabile

perché

i

guerriglieri

si

facessero

tante

foto.» «Sono inesplicabili gli errori nei quali è caduto il Che.» I contadini facevano ore e ore di cammino nella selva per correre ad avvertire le autorità militari degli spostamenti dei guerriglieri

(spontaneamente,

tutt’al

più

ricevevano

50,

100

pesos per tornare al pueblo e un paio di scarpe da soldati). Dal 23 marzo in poi, le operazioni militari sono state di tre tipi – di individuazione, di accerchiamento e di distruzione. Se

fosse

rimasto

nella

zona

centrale,

selva,

alto

bosco,

sarebbe stato molto difficile. I movimenti dei guerriglieri sono stati quelli di cercare una strada

al

Nord,

poi,

vistisi

accerchiati

(avevano

radio

per

rintracciare gli spostamenti dei militari) ripiegare sui propri movimenti e poi infilarsi nella zona maledetta finale, dove non ci sarebbe stato più scampo. 46

In un diario di un guerrigliero (credo Joaquín)

si dice che

in un rio della zona della selva c’era tanto di quel pesce che lo

potevano ammazzare a colpi di pietra. Willy era un minatore boliviano, un uomo basso, tarchiato. Ho visto anche la foto della scuola di Higuera «dove è stato il Che». Fuori ci sono tutti i soldaditos con la coperta a tracolla.

47

8 febbraio

Maggiore Jaime Niño de Guzmán: «Tutto ciò che è avvenuto lo si può giudicare da quattro punti di vista: come uomo come militare come boliviano come politico e come politico si può anche essere contro al boliviano». Maggiore Niño de Guzmán, quello che portò in elicottero, nella «camilla» sistemata sul pattino dell’elicottero, Guevara ferito («a me mi dissero che era ferito»), dal posto dove fu ferito,

cioè

i

soldati

lo

portarono

un

po’

più

in



per

permettere all’elicottero di atterrare a La Higuera e poi da La Higuera a Vallegrande. La zona di Vallegrande sembra l’unica zona fitta fitta di piccoli pueblos e di contadini, e quindi o errore di valutazione nell’appoggio

dei

contadini,

o

errore

di

scelta

della

zona,

nell’atto finale. Il racconto del maggiore (Niño de Guzmán: uomo aperto, sensibile,

simpatico,

intelligente,

soggetto

al

richiamo

dei

problemi sociali): Già quindici giorni prima del giorno 8 di ottobre i guerriglieri erano a La Higuera. Infatti un giorno un ragazzino campesino «bianco» di 10, 12 anni veniva dal Rio Grande per andare a La Higuera

e

risaliva

la

quebrada,

quando

s’imbatté

in

due

guerriglieri seduti con zaino e tutto. I guerriglieri gli chiesero di dove fosse, se era di La Higuera. Il ragazzino fu intelligente e disse che veniva dal Rio Grande, dove aveva la sua casa, e andava in cerca delle sue vacche. I guerriglieri gli chiesero se a

casa

sua

c’erano

«Nemmeno.»

soldati.

Lo

«No.»

lasciarono

«E

a

La

andare,

Higuera?»

dopo

avergli

raccomandato di non dire niente di averli visti ecc. Il ragazzino andò in direzione di Rio Grande, dopo un po’ invece cambiò direzione e andò a La Higuera ad avvertire il tenente. Subito i soldati

si

misero

in

moto,

ma

arrivarono

che

i

guerriglieri

erano scomparsi in fretta avendo lasciato anche gli zaini per fuggire subito ai primi rumori sospetti che avevano sentito. Malgrado zona

di

questo

La

episodio

Higuera.

i

Dopo

guerriglieri qualche

si

fermarono

giorno

nella

incontrarono

la

vecchia con le capre, quella della figlia malata. Dopo di che, la notte tra il 7 e il giorno 8, un contadino che veniva da un altro paese

sentì

stranieri

delle

e,

voci:

senza

si

fermò,

neanche

appurò

cercare

che

di

erano

voci di

vedere

da

chi

provenissero quelle voci, corse a dare l’allarme al tenente a Vallegrande. Partì così l’azione che portò allo scontro con il Che. Lo scontro avvenne all’una. Il Che fu ferito alla gamba, 48

continuò a sparare. Gli colpirono la carabina, Willy

lo aiutò,

fu allora che fu di nuovo ferito. Si arrese. Aveva la pistola, una pistola argentina con il caricatore pieno di colpi. Avrebbe detto «Non sparate sono Che Guevara». Correzione al racconto della mattina: Il maggiore era distante dal punto del combattimento. Era fermo con l’elicottero in un posto tra La Higuera e il punto dello scontro. Aveva tre soldati, due feriti, il terzo morì. Quindi poteva portare il Che. Tre feriti si trasportano all’interno: i morti fuori in

«camilla»,

cominciava

a

sui

pattini

fare

buio.

dell’elicottero. Non

potette

Erano

aspettare

le il

18.00 Che,

e

non

glielo fecero aspettare, l’ordine era di evacuare prima di tutto i 49

soldati boliviani feriti (vedi articolo di Pierini)

e poi gli altri.

Il Che venne portato su in una coperta. Il maggiore arrivò a Vallegrande dovettero facevano

a

portare

disporre luce

con

a i

i

feriti

boliviani

Vallegrande fari

(a

che

quattro

quadrato)

era

jeep

per

già a

buio

terra



che

permettergli

di

atterrare. L’indomani mattina (di notte non si poteva volare con

l’elicottero)

all’alba

era

a

La

Higuera.

(Possibile

altra

versione: dal posto dove stava andò ad accogliere il Che ferito con l’elicottero e lo trasportò a La Higuera.) Là discusse («Lei non l’avrebbe fatto? Era un uomo importante, un uomo di

valore, non un criminale, non era Al Capone.») per trasportare il Che ferito a Vallegrande, gli fu ingiunto di trasportare prima i soldati. È molto sensibilizzato al ricordo di quanto gli si attribuisce nell’articolo di Pierini. L’indomani

mattina

vide

il

Che:

era

molto

mal

messo,

molto debole, gli abiti a brandelli, due paia di calze, quelle di filo sotto e quelle di lana sopra, mancavano però di tallone e punte, una specie di mocassino sostenuto con pezzi di cuoio e fil di ferro. Emanava cattivo odore come uno che non si lava da

mesi.

Faceva

fatica

ad

accendersi

la

pipa.

Allora

il

maggiore si avvicinò, gliela caricò («Anch’io fumo la pipa quindi so»), gliela accese. Il Che fu gentile con lui. Non era né avvilito né ottimista: sembrava indifferente a tutto quello che accadeva intorno come già pronto a morire. Il maggiore lo trasportò morto in elicottero a Vallegrande. Precedentemente nella giornata c’è stato l’incontro con Debray e Bustos. In aereo Cessna fino a Camiri sorvolando la zona della guerriglia.

Il

Ñancahuazú

fitto

di

selva.

La

Higuera

più

visibile, con più fitta demografica. Nel Ñancahuazú non c’è anima viva, non si vede una capanna di contadini per decine e decine di chilometri. Due ore di volo. Camiri, centro di petrolio, molto caldo. Vediamo documento.

il

generale

Chiedono

per a

permesso.

Debray

se

Impronte vuole

digitali

vedermi.

e

Sì.

Torniamo alle ore 14.00. Vediamo Bustos e Debray. Bustos è internato in una cella dove può disegnare (fa molti disegni alle pareti, gli permettono di fare ritratti e di prendere pure qualche soldo). Ha l’aria molto avvilita. Anche Debray sembra un po’ giù, incurvato nelle spalle piccole, ma ha due occhi azzurri enormi e cristallini, e acuti! Anche Bustos ha una bella faccia, sperduto, avvilito dai pensieri, forse dal rimorso di aver fatto i ritratti,

ma

i

tre

avevano

parlato

prima.

Ci

portano

in

una

stanza dove c’è una specie di salottino, con movimento fuori di ragazzini, campesinos ecc. Tutti presenti, ufficiali, soldati, i piloti che ci hanno accompagnato e la grabadora.* Mi

conoscono

entrambi,

hanno

visto

i

miei

film,

li

stimano. Debray dice che per lui Giuliano «es una biblia».** Dobbiamo parlare in castellano. Faccio alcune domande, la

prima è imbarazzante: cosa pensano dei partiti comunisti di Bolivia, hanno abbandonato, quando? Debray passa la parola a Bustos: «La domanda è troppo importante per poter rispondere in

poco

tempo…».

Comunque

i

due

sono

d’accordo

nel

dichiarare che non si può emettere un giudizio tanto deciso e negativo: le cose non sono facili (anche se lui nella sua lettera agli amici – e secondo quanto detto da M.me de Lioncourt – si è scagliato contro il Pc ma dice che il suo concetto è stato falsificato). Una cosa è certa: che il Che li considerava un nemico in più. Comunque c’è stata la questione del comando che il Che non ha voluto condividere con nessuno. Debray: «Le condizioni dei guerriglieri erano deplorevoli. Già nel

marzo-aprile:

senza

indumenti

di

ricambio,

senza

medicine, con pochi alimenti… Credo che a un certo punto, il Che abbia voluto morire… si farebbe un torto al Che se non si pensasse così… si è reso anche conto che non poteva contare sull’elemento campesino, ma non aveva importanza… sì c’è stato un errore di analisi della situazione del campesino» (chi l’aveva

fatta

questa

analisi,

lui?

Le

informazioni

sul

Ñancahuazú erano di lui, Debray? Non sembrerebbe, perché quando ho parlato della «giusta» scelta «tattica» – secondo Zenteno – i due si sono guardati, quasi con un sorriso, e hanno dichiarato che tatticamente era sbagliata la scelta del posto). «Non un contadino – dice Bustos – e non si può fare niente senza l’appoggio contadino.» Debray: «È proprio quando il Che si è reso conto della profonda non coordinazione tra la strategia (giusta) e tattica (sbagliata) che si è accorto dell’errore. Errori ne ha commessi e anche profondi… ma ha voluto fino in fondo essere fedele alla sua idea… non era un romantico… io credo però che queste analisi siano premature e quindi lei che fa dei film critici, rischia di sciupare il suo talento per un film che risulta prematuro». «Può

darsi,

ma

io

non

voglio

tirare

le

somme,

voglio

lasciare molti dubbi e molto alle interpretazioni.» «In giusta,

questo come

caso

allora

Giuliano,

potrebbe

ma

d’altra

venir

fuori

in

il

Che

parte

maniera non

è

Giuliano… c’è una questione di responsabilità nel criticare tutti questi elementi. La storia li decanterà…»

«Non

credo

responsabilità, chiaramente

tutti

per



alcuni

es.,

perché

è

hanno

resteranno

difficile

sempre

un

oscuri

che

vengano

altro

aspetto



le

fuori che

ne

giustifica le decisioni in un senso o nell’altro…» Debray: «Per conoscere bene il Che bisogna parlare con Fidel… Castro, è l’unico che lo conosce a fondo. Comunque, io credo che l’errore più grosso del Che è stato quello di avere anticipato i tempi di dieci, venti anni, non si sa…» (ha parlato anche di responsabilità del Che evidentemente nei confronti della decisione della guerriglia). Per

quanto

riguarda

l’anticipazione

al

23

marzo

della

data

dell’inizio della guerriglia (molto prima del dovuto) negano entrambi

che

si

sia

trattato

di

un

guerrigliero

che

avrebbe

sparato senza ordine (e poi degradato dal Che). L’incidente consiste nel fatto che la guerriglia era stata scoperta (già tra il 1° e il 23 di marzo molti fattori tra i quali i tre minatori disertori) e quindi non c’era rimedio. Quindi l’imboscata era stata preparata e voluta, perché dal momento che l’esercito sapeva della loro presenza non c’era altra uscita. Ma

è

vero?

Potevano

rimanere

nascosti

e

aspettare?

Aspettare che, se era già chiaro che non ci sarebbero stati grossi aiuti? Ma è vero che in quel momento si era già sicuri che non ci sarebbero stati aiuti grossi? È indubbio comunque che l’anticipazione è stato uno dei fattori determinanti il fracaso.* Il

maggiore

aveva

(e

abbandonati:

indumenti,

armi.

anche non Le

Zenteno) più

invio

frontiere

dice di

che

anche

medicinali,

sono

Cuba

li

alimenti,

vastissime

e

non

perfettamente custodite. I

guerriglieri

riceventi:

erano

avevano in

[una]

contatto

radio

continuo

trasmittente con

Cuba.

e

molte

Poi

hanno

perso la trasmittente e sono rimasti con le riceventi che hanno tenuto

fino

all’ultimo,

ma

pare

che

Cuba

non

segnalasse

neppure più. Pare che nel diario il Che dica chiaramente di sentirsi abbandonato anche da Castro. Il maggiore dice: «I primi giorni la stampa nel riportare brani del diario non ha risparmiato il generale Barrientos, cioè ha riportato il brano in

cui il Che lo definisce uno stupido, un testone, perché avrebbe dovuto “falsificare” altri brani del diario?». Debray dice che avrebbero tanto voluto collaborare con me, ma che la «situazione»… Al pensiero che il film possa essere

fatto

vedendo

le

cose

dall’alto,

nelle

linee

generali

(come io vorrei) e non per tirare le conclusioni, è più disposto all’idea del film, e alla sua possibilità di riuscita in maniera giusta. «D’altra parte lei ha fatto Giuliano che lasciava campo all’interpretazione, alle deduzioni dello spettatore, e in questa direzione si potrebbe anche ora, mais quand même il Che non è Giuliano…» Sembra preoccupato (e mi pare anche giustamente) che si vogliano

trarre

responsabilità

delle

precise,

conclusioni delle

colpe,

ora, le

attribuire

responsabilità

delle degli

errori… Una parte di responsabilità le deve avere anche lui, perlomeno per quanto riguarda l’analisi della situazione del contadino (lo dice anche M.me de Lioncourt) e mi è sembrato che

lo

abbia

ammesso,

implicitamente,

quando

dice

che

l’analisi della situazione del contadino non è stata esatta e approfondita al punto giusto. Dice: «È vero, i contadini avevano avuto la terra per la riforma, ma la riforma era incompleta (per la mancanza degli strumenti per renderla attiva) e quindi avrebbero dovuto sentire delle

istanze

sociali…»

Io

continuo

a

rivolgere

domande

«difficili»: i minatori, la città ecc., ma le risposte (ovviamente) sono reticenti. Mentre parliamo, si affaccia gente dalla strada, ragazzi ecc. Il colloquio è durato venti minuti più del previsto consentito (che era di trenta minuti). Debray dice: «Ha sido para mi un honor y un placer».* Io gli dico lo stesso. Ci stringiamo la mano, anche con Bustos, calorosamente; i due se ne vanno nel gruppo di militari e fanno una pena tremenda. Mi ha detto anche (Debray): «Fare un film subito è anche alimentare

il

mito

romantico

a

uso

dell’europeo

che

ben

pasciuto», nutrito come cerdo, parla del Che, lo vede come un romantico… Io: «… scarica la sua falsa coscienza…» Debray: «… esatto. Però lei fa dei film critici, proprio per distruggere “il mito” e quindi in questo senso potrebbe essere

utile». Se

ne

vanno,

Debray

curvo

nelle

sue

spallucce

da

uccellino, Bustos con gli occhi sempre tristi e smarriti, e sono sicuro

che

non

mi

hanno

potuto

dire

niente

di

quello

che

veramente avrebbero potuto dire e sarebbe stato utile dire. (I due giornalisti del Rio, ma come si fa ad andare anche laggiù?) Il maggiore carceriere dopo il colloquio è più sciolto con me. Dev’essere un brav’uomo, io non avevo chiesto di vedere Bustos, piacere

me a

lo

ha

proposto

Bustos,

per

anche

lui.

considerato

lui

farlo

sicuramente, sentire

Lasciamo

credo,

meno

delle

per

far

abbandonato,

sigarette

per

i

prigionieri, le due bottiglie di scotch che avevamo portato non è consentito. Torniamo a Cochabamba. Colloquio con il maggiore (vedi in precedenza). Il modo di vedere deve essere necessariamente dall’alto, nelle linee generali. 1. Chi era, perché è diventato quello che era? Il Terzo Mondo

e

la

Rivoluzione

cubana

fino

al

Triunfo

de

la

Revolución. 2.

Perché

personaggio

ha

lasciato

storico,

aveva

il

suo

posto?

già

dato

il

suo

(Già

era

contributo

un alla

storia.) Il suo travaglio politico – di dirigente – di riformatore – il periodo critico (Cuba – industria – agricoltura – ciò che avviene

nel

mondo



il

Terzo

Mondo



la

falsità

della

coesistenza pacifica – il richiamo alla punta avanzata della Rivoluzione cubana). 3. Perché ha scelto la Bolivia? Perché ha fracasato?* I problemi restano aperti (v. il Terzo Mondo). (Marito e moglie sull’altopiano che camminano filando lana.) Questi tre punti hanno bisogno di suture esplicative (non solo i dati statistici ecc.) ma interviste. N.B. Le informazioni dei contadini quegli stessi per i quali lui ha lottato ed è morto. Interviste. Il maggiore, Fidel Castro, la moglie (e anche la prima moglie – il padre?), Zenteno (operazioni militari), il soldadito, il campesino, il guerrigliero, Debray. Padre Schwarz ecc., il

mondo borghese inquieto a Parigi, Londra, New York, Buenos Aires ecc. Il maggiore dice: «Perché un uomo che già apparteneva alla storia, che poteva mandare avanti e perfezionare quello che aveva già fatto, è andato via per venire a morire qui?». È tutto qui, mi pare. Il

maggiore

dice:

«Joaquín

è

morto

come

un

capo,

ha

sparato fino all’ultimo momento». Il Che non ha sparato fino all’ultimo, aveva la pistola carica, non aveva sparato un solo colpo della pistola. Praticamente si è arreso (e il maggiore è un ammiratore del Che). A parte certe debolezze dell’intellettuale che vede crollare il suo disegno (questo discorso de las debilidades ha molto interessato Debray quando io lo facevo), c’è – è probabile – tutto un monte di supposizioni: se avesse preferito essere preso per

parlare

(al

mondo)

e

per

continuare

la

sua

opera

da

prigioniero o comunque prima di morire? Comunque può non essere escluso che – a quel punto – pur essendo consapevole della morte o desiderandola (tesi Debray) non abbia voluto morire o non si sia voluto dare la morte lui. Il

fatalismo.

Ne

ha

parlato

Bustos,

Debray

sembrava

d’accordo.

9 febbraio Dopo rinvii di partenze per maltempo, partiamo in Cessna per Vallegrande

e

per

tentare

poi

Pucarà

ecc.

All’arrivo

a

Vallegrande (caldo forte), ragazzini intorno a noi, colonnello che parla con i ragazzini fra le gambe, pista aeroporto piena di vacche

(che

hanno

dovuto

allontanare

per

farci

atterrare),

atterraggio avventurosissimo con salti, buche ecc. Il col. Selich vuole permessi. Telefonerà alle autorità (io dico che ho chiesto e che mi hanno detto che Vallegrande è fuori zona). Andiamo al pueblo. Coloniale tipo Sicilia. Hotel Teresita, dipinto e formica dopo soldi «guerriglia». Cortiletto delizioso, camerette idem anche se senza lavandino ecc. Mi riprometto

l’interesse

del

giro

a

Pucarà

(quattro

ore

andata

e

quattro

ritorno, ma speranza incontrare padre Schwarz). Ma arriva il capitano

dell’aereo

dobbiamo

lasciare

e

dice

che

subito

il

comando

Vallegrande,

ha

detto

manu

che

militare.

Approfittiamo di un’assenza di cinque minuti del capitano per svignarcela

e

fare

un

giretto

(la

morgue

non

ce

la

fanno

vedere) e troviamo un negozietto di un orologiaio indio che sembra un cinese che vende foto di guerriglieri, morti, vivi ecc. Alcune sono quelle fatte vedere con senso di proibito, dal maggiore e dal col. Zenteno, come cosa che aveva solo lui, le compriamo. Andiamo a Santa Cruz (per aereo). Questa città e questo dipartimento

sono

come

un’altra

nazione.

Tutta

pianura

fertilissima. L’albergatore mi spiega: «Noi siamo il granaio della

Bolivia,

il

petrolio

lo

diamo

noi

(Camiri

è

Oriente,

infatti) ma il governo ci mette a lavorare anche indios, meticci ecc. Qui non c’è un meticcio, siamo tutti bianchi, c’è una sola lingua: il castellano, non ci sono dialetti ecc. Il governo ci dà dei separatisti e ha paura che da un momento all’altro noi possiamo dirgli “hasta luego!”.* C’è un comité per le opere di interesse pubblico (e infatti pallidamente si vede qualcosa). Giriamo la città: vegetazione tropicale, tutti bianchi, tranne qualche indio sperduto sceso dall’altopiano a cercare lavoro e malissimo tollerato, donne bellocce, piacenti (è nota in Bolivia per «le belle donne»), una città coloniale spagnola, un altro mondo, totalmente, a solo mezz’ora di Cessna da Vallegrande, marciapiedi alti come quelli di Pompei, sia per la pioggia che per mancanza di scoli (non si sa ancora), inonda tutta la città, strade periferiche impossibili, fossi, fango, un’avventura, la macchina qui infatti è la jeep, anche i taxi. L’albergo

principale

non

ha

posto,

andiamo

a

un

altro

(l’autista lo definisce lujo,* ma è la più lurida stamberga mai frequentata di questo viaggio fin’ora). Comincia

il

carnevale:

c’è

[un]

ballo

mascherato

di

giovani, giovanissimi, suono di orchestra beat, ma fuori c’è una banda tipo cubana, con trombe, percussioni ecc. Allegria provinciale di tipo Centro America più che altro (da ciò che conosco io).

10 febbraio Piove (come del resto quasi ogni giorno da quando siamo in A.L.,

è

estate)

Bisogna 11.00

e

ancora

per

arrivati

riparare

all’aeroporto il

Cochabamba.

guasto

non

c’è

dell’aereo.

Ripartiamo

da

il

capitano.

Partiamo

Cochabamba

alle alle

16.00. Ritorniamo a La Paz alle 17.00. Trovo

alcune

telefonate

di

gente

che

vuole

dare

informazioni: tra le telefonate, quella del capitano Gary Prado. Ricevo visita di Vigevani che spiega del permesso che sarebbe un NI e che bisogna andarlo a ritirare dal col. Rios.

11 febbraio Mattinata e pomeriggio in albergo a lavorare su stampa. Ore

18.00.

Dal

capitano.

Racconto

da

ricostruire

per

appunti e cartine. (Due ore di colloquio.) Giovane sensibile, di buona

famiglia,

angosciato

da

una

preoccupazione

che

lo

spinge a fare un racconto che credo per la massima parte sia vero. Mi pare che voglia salvare da sospetti e responsabilità della

morte,

Zenteno,

ma

non

mi

pare

che

abbia

nessuna

preoccupazione del genere per Selich. Conferma la versione Michèle

Ray.

A

cena

da

De

Leonardis

con

monsignor

Morandini. Di nuovo: Bustos e Debray furono messi in un aereo dopo che da un aereo era stato buttato giù uno che non parlava (o che aveva parlato). Per il terrore Bustos promise i disegni,

Debray

dell’arresto

che

avrebbe era

detto

andato

a

sin fare

dal

primo

momento

un’intervista

al

Che.

(Morandini insiste.) Un guerrigliero entrò dall’Argentina vestito da prete. La segretaria da Cuba (ora a Miami o Panama) dice della rivalità fra i due. Morandini

insiste

nel

dubbio,

perlomeno

che

Castro

lo

abbia mollato. «Perché medicinali, compiere

non

ha

fatto

indumenti,

degli

atti

al

entrare

scarpe,

gente

armi?

momento

in

in

Perché

cui

tutto

aiuto, non

o

ha

con fatto

precipitava,

o

subito dopo la morte del Che, che manifestassero la presenza viva della guerriglia in Bolivia, terra scelta come il primo dei

Vietnam d’America Latina? Far saltare un oleodotto (e certo non sarebbe stato difficile, una bomba sotto la macchina del presidente sotto l’ambasciata americana ecc.)?» (Perché sarebbero stati atti di terrorismo – gli rispondo io – dimostranti solo la rabbia per la sconfitta e quindi l’impotenza, ma non avrebbero costituito la continuazione di una impresa già fallita nei suoi elementi che avrebbero voluto appoggiare la guerriglia di Guevara. Città, miniere, studenti, professori.) Gli

elementi

è

chiaro

che

erano

tutti

preparati

ma

non

hanno ascoltato, sono falliti. Le sarebbe

cose

sono

stato

andate

tutto:

città,

male,

se

fossero

campagne,

non

andare

i

bene,

minatori

ci

perché

guardati a vista dai soldati intorno alle montagne. La

notte

di

San

Giovanni

avrebbero

sparato

prima

tre

minatori.

12 febbraio Lettura collezione «Presencia». Conosciuto

l’arcivescovo

di

La

Paz:

«La

prossima

rivoluzione di minatori mi metto io davanti a tutti e li guido».

13 febbraio Lettura collezione «Presencia». 50

Con Alcázar

a colazione: dice di avere la verità. È in 51

trattative con Maspero

e «Presencia».

Indago: è questione di dettagli, ma corrisponde a quello che so (dal capitano) e in definitiva è la versione di Michèle Ray

con

qualche

dettaglio

modificato.

(Ugarteche

che

non

c’era. Lo schiaffo al tenente non si è sicuri. La pipa toltagli dalla bocca non è vero.) Gli do l’incarico di indagare per la deposizione Debray. Nella prima delle due stanze della scuola fu messo il Che 52

(forse inizialmente anche Willy e Aniceto

che erano vivi e i

guerriglieri morti, poi lo lasciarono solo e tutti gli altri nella

stanza accanto). La maestra gli portò da mangiare (lo chiese) alle 6 di mattina. Il gruppo di soldati che lo prese era di dieci e due andarono avanti. Il Che era rimasto senza pallottole nel fucile M1; i soldati lo puntarono, il Che alzò le mani con l’arma (Willy era nascosto dietro una roccia) e quando i soldati gli dissero di venire avanti, era ferito, fece un passo falso e un movimento che poteva sembrare volesse imbracciare l’arma e sparare. Il primo

soldato

sparò

con

una

pistola

45

e

colpì

la

canna

dell’arma del Che che gli volò via dalle mani. I soldati gli furono addosso, lo perquisirono: una pistola carica alla cintola e un’altra piccola cecoslovacca alla caviglia, tra le calze. Il soldato che comandava gli diede un calcio. Alcázar dice che il soldato che ha dato il tiro di grazia giura che il Che dopo aver ricordato i figli, la moglie e Fidel Castro, si segnò. Io

sono

fortuna.

Il

convinto

che

i

Ñancahuazú

boliviani

era

hanno

perfetto

avuto

per

una

gran

nascondersi

e

aspettare… che la città e le miniere al momento dello scoppio simultaneo a tre… l’esercito fosse richiamato in gran numero su questi fronti. Allora sarebbero usciti loro per andare in giro dai contadini (su cui c’era stata un’analisi sbagliata, ma non su quelli dell’altopiano che sono più duri). L’esercito sapeva della presenza del Che ma non diceva niente per non terrorizzare la popolazione e i soldaditos che a sapere

di

combattere

paura.

Hanno

il

aspettato

Che il

53

sapevano chi era Ramón,

30

avrebbero giugno

(e

avuto già

sicuramente

il

30

maggio

ma era segreto militare) quando le

operazioni militari già erano migliorate o quando i guerriglieri erano notevolmente spompati e braccati e affamati o quando, dopo

il

24

giugno,

si

sentivano

più

tranquilli

sul

fronte

minatori. Pomeriggio: continuo lettura collezione «Presencia». Sono

convinto

che

il

governo,

per

quanto

riguarda

le

notizie relative alla presenza del Che, ha agito con abilità al contrario di quanti – specialmente locali – dicono invece che «non sapevano, non immaginavano, hanno agito come hanno potuto, senza abilità né pratica».

Sono altrettanto convinto che dietro il loro comportamento c’è stato l’abile consiglio della Cia. I primi quattro disertori avevano dato notizie del Che fin dalla

metà

creduto,

di

ma

marzo

un

(probabilmente

allarme

c’è

stato).

non

Il

ci

hanno

ragazzo

molto

dichiarò

la

presenza del Che e la sua partecipazione alla riunione dei capi a Santa Cruz, alla metà di aprile. Bustos e Debray confermarono lo scoprimento della Cueva 54

del Oso,

che porta allo scoprimento di foto del Che e della

canzone dei guerriglieri inneggiante al Che. Ma le notizie ufficiali della presenza del Che risalgono al 30 di giugno, e dopo poco ci furono esibizioni di foto, di documenti ecc. Tutto ciò per vari motivi: •

evitare l’allarme eccessivo nella popolazione



evitare la psicosi di pericolo, derivante dal mito del Che, nei combattenti



essere sicuri al 100%



essere in grado di poterlo prendere con un forte numero di probabilità. Uno dei sintomi, per me, della direzione Cia, perlomeno

per le iniziative ufficiali di informazione, è il fatto che due giorni prima di mettere la taglia di 50.000 pesos sul Che vivo o morto, Barrientos aveva dichiarato alla stampa e al Paese che il Che non esisteva, era morto da tempo. Trovo

in

albergo

il

biglietto

di

un

giornalista

francese,

residente a Buenos Aires; sta scrivendo un libro sui fatti della guerriglia e vorrebbe parlarmi. Alle

undici

della

sera

mi

telefona

dalla

hall,

lo

faccio

salire. È in compagnia di un prete-operaio francese (dello stesso ordine

di

padre

Gregorio).

È

giovane,

alto,

biondo,

con

occhiali, sembra un belga un po’ del tipo di Vittorio Emanuele. Come

tutti

i

francesi,

informatissimo,

brillante,

un

po’

saccente, e vuole che i conti tornino, vuole una risposta a tutto.

55

Scriverà un libro, mi annuncia che anche Rojo

«il grande

amico del Che» ne sta scrivendo uno. Tutti ora stanno, stiamo, facendo qualcosa sul Che: il Vietnam, il Che… e tutti lì come le mosche intorno al miele. Succede qualcosa e dall’Europa, dove non succede niente, tutti lì. E la «civiltà» ci consente di arrivarci presto. M.G.M. sta trattando – ha dato 50.000 dollari di

anticipo



con

gli

americani



stanno

a

La

Paz



che

dovrebbero scrivere il libro d’accordo con lo Stato maggiore boliviano.

XX

Century

Fox.

Il

gruppo

rappresentato

da

Andrew St. George sta trattando il diario. Mi dice che il suo personaggio, più che il Che, è la Bolivia. Gli preciso che il mio è l’America Latina (o il Terzo mondo, meglio se riuscissi a metterci dentro le «inquietudini»). Dice: «Ha sbagliato nell’analisi della realtà boliviana. Ha preteso dagli uomini (in particolare dai minatori) che agissero come emanazione di un ideale e non di una personalità umana, e

tanto

debole

e

corruttibile

come

quella

dell’operaio

boliviano». (Questo è vero, ma non è nuovo nell’esame della personalità esigente del Che che da se stesso chiedeva questa totale

partecipazione

realizzazione teorizzato

di

essa.)

questi

debolezza

di

all’idea

Doveva

incidenti

questa

e

alla

rappresentazione

«prevedere»,

«prevedibili»

gente.

Come

lui

nella

doveva

e

che

alla

aveva

guerriglia, prevedere

la gli

incidenti tipo le infiltrazioni di spie nel suo accampamento o le «diserzioni» e quindi doveva essere preparato a fronteggiarle e non, per conseguenza di esse, essere costretto ad anticipare la guerriglia. Un moderno capo di guerriglia deve prevedere tutti i

mezzi

impiegati

ora

per

combattere

la

guerriglia.

Non

mangiavano a sufficienza: nel diario del medico cubano (non ricordo

il

nome)

già

nel

gennaio

si

diceva

che

avevano

mangiato zuppa di uccello e gli uccelli da quelle parti si sa sono

pappagalletti

l’azione,

quindi

la

ecc.

Come

teorizzava,

«intellettuale»

che

cercava

la

non

è

provocava,

stato

all’altezza della sua fama di uomo lucido, calcolatore. Avrebbe dovuto prevedere tutto. Debray dice che il Che aveva in Bolivia la vocazione alla morte. Una specie di sentimento di fatalità o fatalismo. Debray dice che il Che era molto umano, e più che umano (nel senso della debolezza umana).

In Argentina, «dove hanno una certa ironia», dicono che il Che è andato in Bolivia a morire con i 12 (apostoli). I soldati boliviani erano pochi a combatterlo: come ci si può spiegare anche l’insuccesso militare? Non crede nell’aiuto (militare) degli Usa. Il col. Zenteno lo avrebbe aspettato sulla strada per Santa Cruz

e

invece

56

luglio,

il

Che,

tranne

l’episodio

di

Samaipata

il

7

non ci era mai andato. Perché accortosi che non c’era

nulla da fare, non ha preferito «salvarsi» e così salvare anche il suo personaggio? È stato lui a chiamare Debray, quello che forse aveva capito e interpretato meglio la sua ideologia e che forse

l’aveva

resa

chiara

ideologicamente,

forse

anche

più

delle sue stesse esposizioni. Né

lui,



Debray

danno

molto

valore

alla

ribellione

cittadina. Creare un «fuoco», e poi tutto verrà naturalmente. 57

Non è stato di insegnamento Salta? mai

dato

importanza

agli

E Cuzco? Il Che non ha

enlaces.*

Soldi

nelle

tasche

dei

sindacalisti. Anche questo avrebbe dovuto prevedere, perché si tratta

della

Bolivia,

dei

sindacalisti

boliviani,

dei

minatori

boliviani. Interviene il prete dicendo – se mi ricordo bene – che

nei

rivolta

minatori stessa.

giornalista

è

Gli

francese

più

presente

interrogativi –

che

alle

l’idea che mie

della si

rivolta

pone

obiezioni

il

che

la

giovane

rifletteva

e

aderiva o comunque si disponeva a un’adesione possibile – sono più o meno quelli che ognuno si pone al riflettere sulle ragioni della sconfitta. Sono interrogativi ai quali si dovrebbe poter rispondere con argomenti logici, che non lascino dubbi, ma ciò non è possibile non solo perché ogni risposta apre un altro dubbio, ma perché la scelta di quel tipo di lotta ha richiesto e previsto quel tipo di rischio. Si può concludere che il momento è stato scelto con grande anticipo di tempo sulla storia? Ma l’attesa delle condizioni favorevoli al sicuro esito della guerriglia è legata alla realtà storica di un Paese e gli evidenti contrasti della realtà boliviana costituiscono proprio quelle condizioni favorevoli

alla

creazione

della

realtà

rivoluzionaria.

Nella

scelta c’è sicuramente un aspetto da «gesto disperato», come sempre

quando

non

ci

sono

le

«condizioni

per

una

organizzazione ferrea della lotta». Il gesto è disperato perché è

legato a una realtà che offre tutti gli elementi per creare le condizioni

favorevoli

alla

lotta,

ma

non

la

sicurezza

del

perfetto funzionamento di tutti questi elementi. Il disegno è grandioso ed è lucido malgrado un certo suo aspetto (Così

disperato,

mi

posso

cioè

è

lucido

spiegare

il

proprio

fatto

che

il

nella Che

disperazione. considerasse

i

comunisti boliviani «un nemico in più». È uno degli elementi –

forse

il

più

importante



che

è

mancato:

rientra

nelle

possibilità previste. E allora entra in gioco l’altro aspetto del disegno, quello più disperato, più romantico, ma non meno lucidamente

previsto:

il

valore

dell’esempio,

del

sacrificio.

«Benvenuta sia la morte in qualunque posto ci raggiunga.» Sono parole del Che e fanno parte del suo disegno. Così mi spiego le parole di Debray: «… sarebbe fare torto al Che se non si pensasse che a un certo punto egli ha desiderato la morte», la «vocazione» del martirio.) La strategia – secondo Debray – era giusta e la tattica sbagliata. (Mettere

in

relazione



spiegandole



le

due

teorie

contrastanti di Debray e di Zenteno. Con loro.) Il

posto

scelto

era

l’ideale

per

nascondersi

e

prepararsi:

abbastanza vicino a Camiri, centro nevralgico per aeroporto, strade, petrolio. L’eventuale

apertura

del

fronte

delle

miniere

avrebbe

richiamato un buon contingente dell’esercito boliviano. I movimenti in città, idem. La guerriglia, idem. I contadini – secondo me – avrebbero dovuto venire in seguito per germinazione derivata dai fuochi più importanti e motori

della

lotta:

la

guerriglia

e

i

minatori.

I

contadini

dell’altipiano, più a nord, gente più dura, armata, scontenta di una riforma che pur avendo distribuito terra – e ce n’è per tutti –

non

aveva

distribuito

i

attuato

mezzi

e

la gli

riforma

nel

strumenti

senso

per

che

lavorarla

non e

aveva

renderla

produttiva. I contadini dell’Oriente, ex lavoratori di latifondo o non

ancora

raggiunti

dalla

riforma,

zona

del

Paese

completamente diversa dal resto, consapevoli di produrre per tutta la Bolivia, animati da spirito in un certo senso separatista.

Bolivia, al centro dell’America del Sud, confinante con zone sottosviluppate del Brasile, dell’Argentina, del Perù, del Paraguay (dove avrebbero dovuto accendersi altri fuochi di ribellione e di guerriglia). La preparazione è stata affrettata, non portata a compimento? La guerriglia è scoppiata prima – in Bolivia – di quanto gli elementi in soccorso – apertura del fronte interno dei minatori – fossero pronti? Il

ragazzo

prevedere

francese

l’incidente

dice

che

che

ha

il

Che

portato

avrebbe

alla

dovuto

scoperta

della

guerriglia anzitempo. E anche se così fosse stato, non sarebbe rimasto il fatto che a quel punto l’esercito sapeva? E allora, secondo me, è stato inevitabile farla scoppiare la guerriglia, pur avendo calcolato gli enormi rischi per non dare il tempo all’esercito di agguerrirsi (cosa che ha potuto fare infatti, poi, con il passare del tempo, con l’aiuto dei mezzi americani Usa, con l’allenamento di truppe specializzate ecc.). È venuta a mancare la adesione del Pc; l’adesione morale c’è stata, in parte e contrastata, titubante e poi invece negata per

divergenze

ideologiche,

ma

quella

effettiva

no



e

le

indecisioni, le divergenze ideologiche, il timore di perdere il controllo di una parte di lavoratori, l’intervento dei soldati con azioni

repressive

facilmente,

di

hanno

fuoco

reso

in

zone

inefficace

minerarie l’azione

controllabili

di

quelli

che

avrebbero dovuto costituire il fronte più forte e più distraente l’esercito (50.000 minatori). Nel Ñancahuazú – zona ideale per la preparazione restando nascosti e imprendibili – c’erano poche possibilità di risorse autonome. Cacciare era impossibile, gli spari, il fumo ecc. I fiumi – solo il Rio Grande è quello sempre in piena – non tutti utilizzabili per la pesca. Non un contadino e «senza l’appoggio dei contadini non può riuscire una rivoluzione» (Bustos). (Ma dal

Ñancahuazú

avrebbero

dovuto

spostarsi

al

momento

dell’inizio delle operazioni per cercare una via al Nord, come hanno tentato di fare.) E i contadini se li sono trovati contro e non a favore. Avrebbe dovuto prevedere anche questa reazione da parte dei contadini:



cattolici – per secolare «oppressione» di un sentimento religioso imposto contemporaneamente allo stesso modo brutale della conquista;



inerti



perché

si

contentano

non

hanno

di

quel

nessuna

poco

che

possono

coscienza

di

avere

quello

che

potrebbero avere di più – ignoranti senza informazione – strade

che

rendono

impossibili

le

comunicazioni

al

contadino se non per brevi distanze – senza conoscenza (non

c’è

forme

neanche

più

la

attuali

televisione)

di

di

quelle

civilizzazione



che

senza

sono

le

neanche

curiosità – quindi massa inerte, difficile a muovere; nel 1957 si mossero per ottenere la terra per un sentimento di proprietà e non certo per una coscienza di un diritto per una più giusta ripartizione sociale in nome – poi – di un processo

lavorativo

nell’interesse

della

collettività



facilmente influenzabile dalla propaganda del governo che aveva fatto coincidere la guerriglia con il comunismo e il comunismo come prelevatore di terre e di figli – distanze enormi da un gruppettino di capanne a un altro, a volte da una

capanna

all’altra

(mentre,

invece,

la

zona

di

La

Higuera è fittissima rispetto al resto e quindi nel momento in cui ci entrò – già impopolare – pericolosissima). In effetti l’analisi dell’elemento campesino non era stata approfondita, come ammesso dallo stesso Debray. I contadini, al vedere i loro simili – parenti naturalmente, oltre

tutto

rivolsero centinaia

uccisi,

contro di

le la

varie

guide

guerriglia.

campesinos

civili

(Il

sulla

ecc.



ancor

giuramento

tomba

del

del

più

palo

primo

si di

civile

campesino morto.) Ma

la

previsione

di

questa

reazione

non

avrebbe

mai

potuto – da sola – determinare un ritiro o un arresto, proprio perché

consapevole,

determinante trascinare,

da

del

penso,

contadino

aggregare

ma

del

ruolo

in a

non

conclusivo,

Bolivia.

Cioè

movimento

già

non

massa

da

felicemente

avviato. A ognuno viene in mente, naturalmente, il confronto con il contadino della Sierra Maestra, quasi servo della gleba aggregatosi poi felicemente al movimento rivoluzionario; con 58

la situazione di condizioni diverse, di tutti contro Batista, tutti

a

favore

di

cubani

come

analizzati, giudicati anche dal Che.

loro.

Elementi

di

esaminati,

C’erano molti stranieri, è vero. Ma l’idea rivoluzionaria investiva

tutto

il

continente,

non

un

solo 59

proposito è da ricordare che Kolle Cueto moscovita



a

metà

maggio

sosteneva

Paese.

(A

questo

– capo fazione Pc

ancora

il

carattere

nazionale boliviano della guerriglia, sostenendo che c’era solo puñado de estranjeros.)* «Questi contadini (indios) sono come pietre» scrive il Che nel suo diario: segno sicuro di una delusione – ed è naturale, perché deve essere lecito aspettarsi una reazione in gente che vive come le bestie; perlomeno lo è alla base di una idea rivoluzionaria e lo deve essere, anche se si analizzano con calcolo certi elementi di una lealtà difficile e avversa. Alcuni dicono che in Bolivia le rivoluzioni si fanno a La Paz, ma dimenticano che non sono rivoluzioni, ma colpi di Stato, rivolgimenti di palazzo, estranei alla coscienza popolare, e

quindi

oppressivi,

oppressioni

non

rivoluzioni,

non

rivoluzione delle strutture del Paese, e il Che «voleva» che il movimento fosse popolare, venisse dal popolo: un processo di presa

di

coscienza

delle

esigenze

rivoluzionarie,

germinato

quasi spontaneamente da un fuoco di provocazione o da fuochi di provocazioni. Chissà se il reclutamento di giovanissimi nell’esercito non è

stato

fatto

l’opinione

apposta

pubblica



per

specie

commuovere le

reazioni

dei

maggiormente contadini



di

fronte alla morte di questi ragazzi nelle imboscate? E quando il contadino ha reagito così, «se sauvér»

per

salvare anche il proprio personaggio, dice il ragazzo francese. Eh,

già,

Guevara

ma

salvare

padre

di

il

una

personaggio idea

significa

rivoluzionaria

salvare

che

Che

trascina

il

popolo, che predica la creazione dei più Vietnam, e che dice: «E se la morte ci coglie, benvenuta sia». Non è un generale che

si

limita

a

studiare

avanzate,

pronto

eventualmente

a

ripiegare se la tattica non lo assiste e ritirarsi. La sua abilità e il suo dovere devono essere anche quelli, ma la sua funzione ideologica va al di là. È per questo che, io credo, non si possono far tornare i conti sui dettagli cioè sulla logica dei fatti – come vorrebbe il francese e tante gente – ma sulle grandi linee della ideologia.

I CENTONOVANTANOVE GIORNI DI CHE GUEVARA

Mal

nutriti,

mal

movimento,

vestiti,

traditi

a

senza

ogni

medicine,

passo,

braccati

abbandonati.

a

È

ogni molto

importante il fatto che dal maggio in poi attaccano solo per rifornirsi di cibo, di indumenti e di medicine. Accertare motivi

veri

gli

per

errori cui

del

[la]

Che

è

Bolivia,

importante; pur

analizzare

essendo,

come

i

dice

l’ambasciatore americano o quel senatore di cui ho il nome nei ritagli, pronta per la rivoluzione non ha aderito, è importante; ma

è

ancora

più

importante

l’analisi

di

queste

ragioni

in

relazione al problema (o ai problemi) dell’America del Sud. Questo

film

senza

la

presenza

dolorosa

e

angosciosa

dell’America del Sud con la somma dei suoi problemi che si sono ingigantiti attraverso il passare dei secoli fino a richiedere l’esigenza di una rottura esplosiva, sarebbe poca cosa. Chincheros:

quegli

indios

muti,

fermi

nel

passare

dei

secoli, ancora al baratto. Il battesimo di quell’esserino nudo tra le braccia di una madre più impaurita per la sorte che gli toccherà che felice. E quei cimiteri di fango, tumuli senza nome. E quelle famiglie di indios accampate nelle chiese, dove si vestono, mangiano, parlano sommessamente. E quella bara che aspetta sulla soglia della chiesa. E le Ande coperte di neve nella solitudine di un mare di terra non coltivata dove pascolavano las llamas guardate da ragazzine

e

ragazzini

che

non

sanno

e

non

sapranno

mai

niente, se continua così, di che cosa è il mondo fuori di loro. Le capanne di fango: un villaggio che sembra disabitato, tanto è il silenzio, e poi scopri la vita, protetta da quei muri di barro,* nelle sue forme più eterne. Bambini senza altra realtà che

una

tradizione

che

si

tramanda

per

necessità

per

sole

necessità fisiologiche. E la vita, con tutto ciò che la civiltà può portare

dagli

Usa,

soffocata

da

un

cerchio

di

barriadas

di

miserie e di fame che si allarga e si stringe sempre di più. E

quegli

occhi

terrorizzati

e

rassegnati,

in

una

figura

accovacciata davanti a una porta contro un muro di fango, in mezzo a tanti occhi come quelli nei tanti mercati di indios di Bolivia e del Perù; o fermi in una figura di stracci rannicchiata

sui gradini del sagrato di una delle tante cattedrali innalzata dai dominatori per la Gloria del Signore. E le Mercedes, le Chevrolet che passano in tanto mare di merda. E le vetrine piene solo di prodotti che vengono dagli Usa. E l’undici per cento, e basta, su un prezzo che fa lei, (2000 dollari a barile quando viene venduto a 3800) che la Gulf corrisponde alla Bolivia per il petrolio che estrae dalle «viscere della sua terra». E la sua ferma opposizione, della Gulf, sostenuta e sancita, fatta votare apposta dal congresso, da una legge che vieta le modifiche ai contratti esistenti. E la Bolivia che deve accettare. E i militari, unica casta privilegiata. E i soldati con le uniformi a pezzi. E gli occhi dei bambini dietro le spalle delle madri. E gli uomini fermi, istupiditi dalla coca che masticano per non «avere fame». E il fango. E la mancanza di strade. E il campesino che va solo, a piedi, nella «assolutamente incredibile» immensità di quel paesaggio. E tutta quella terra che potrebbe dare e non viene sfruttata. E la vergogna per gli uomini che è l’accampamento dei minatori di Milluni, a un’ora dalla città, e pure prigionieri di quelle montagne, per la vita. E il minatore che prende 300 pesos al mese. E «el cerro de Potosí». E

Siglo

XX,

Huanuni,

Katarikagua,

e

la

montagna

di

materiale di scarto nel quale le donne cercano per ore e ore qualche pietra con dentro il materiale. E la pulpería* che vende a prezzi normali – tranne carne, riso e pane che sono a buon mercato. E

i

bambini

lavorano

e

ci

che

nascono

muoiono,

senza

nelle aver

miniere, visto

crescono

altro

lì,

mondo

ci

che

quello. E la coppia di marito e moglie, vestiti tutti di nero, che avanzano

giovanissimi,

nella

solitudine

e

nella

immensità

dell’altopiano filando la lana. E l’aeroporto di La Paz pieno zeppo gremito di preti e monache americani. È terra di conquista per i preti. E i preti rivoluzionari. E i preti nelle miniere. E il massacro di «la noche de San Juan». E il quartiere residenziale Miraflores di Lima. E il cimitero indio di La Paz con tutta la città sotto. E Laja. E il centro della chiesa avventista di Centro Belén…

14 febbraio Viaggio alle 18.50 (due di differenza dall’orario di La Paz, lì sono le 20.50). Arriviamo a Ciudad de México.

15 febbraio Parlato

con 60

Llanusa

Giancarla

e

Saverio

a

Roma.

Dice 61

e gli altri vogliono farlo, che Orsini 62

e si muove anche lui, che Santiago Álvarez

che

José

ha annunciato

sta mettendo da

parte materiale perché anche lui farà un film, che Alfredo si è incazzato perché dalla Bolivia sarebbe arrivata notizia che io farei il film per la United Artists (!!!). Saverio fino a sabato è a Roma. La settimana seguente la passa fra Torino e Milano. Argentina Bolivia Perù Cile? Guatemala

Mexico Brasile Venezuela? Colombia Paraguay Uruguay Spedizione Granma – Cuba Sierra Maestra: repertorio, foto ecc. Invasione dell’isola – Cuba Processi – Cuba Industrializzazione – miniere nichel – Cuba Punta del Este Onu Due anni in giro – foto Congo – repertorio Vietnam? Cina La «carta» alla Tricontinental Guerriglia – dalla parte dei guerrilleros – Cuba Dalla parte dei soldati – Bolivia Pueblos e indios – Bolivia La noche de San Juan – Cuba Intervista con Zenteno (conferenza stampa) Ovando-Candia-Barrientos Régis Debray Niño de Guzmán Campesinos Mineros – Bolivia Padre Schwarz

(incontro di Muyupampa) I giornalisti arrivano a Vallegrande L’esposizione del Che morto (L’arrivo del fratello) Esterno «presunto» della scuola e La Higuera Interno per raccordare del contadino, ultimo ad averlo denunciato, davanti al Che morto Esterno di notte a La Higuera Lo sviluppo dell’economia L’anno dell’alfabetizzazione (repertorio) Ciò che succede a Cuba oggi La brigada invasora – Cuba Interni della scuola a La Higuera «La Esperanza» Aerei, elicotteri ecc. Nel caso che la Bolivia non desse i permessi bisogna fare lo stesso tutta la parte introduttiva e documentaria, con maggior attenzione a qualche possibilità di raccordo. Il problema grave sarebbe quello dei contadini indios con particolare riferimento a: •

incontri a Muyupampa



il giuramento dei contadini



i pueblos dove i guerriglieri (e il Che) si sono fermati e hanno parlato



i campesinos delatori. Vedere

comunque



prima

di

orientarsi

con

maggiori

dettagli – che cosa offre Cuba come paesaggi, pueblos e gente campesina.

16 febbraio Partenza da Città del Messico.

*

«Abbiamo pulito tutto.»

*

Avanzi.

*

Canyon.

*

«Il Che lo annusiamo a 500 metri.»

*

«Non mi dire!»

**

«Neanche un centesimo.»

*

Finirlo.

*

Delusione.

*

Recinto.

*

«Quel tupé! Dicono i francesi.»

**

«Che Guevara non è un genio, è un mito.»

***

«Non mi uccidere…»

*

Emittenti.

*

Shock.

*

Consulenza.

*

«È molto meglio.»

*

«È una bella storia, ma bisogna raccontarla bene… mi scusi! Spesso si è detto, che bella storia per il cinema… Camiri… il signor Debray nell’hotel di Camiri che usciva dalla sua camera… ne… le belle foto… ma a voi non interessa, è il Che…»

*

Mattone crudo.

*

«Però vedere molto.»

**

Caserme.

*

Fattoria.

**

Paga.

*

Patata, fecola, fecola bianca.

**

Pecore.

*

Bestiame.

*

«Buona fortuna.»

*

Bacheche.

**

«Loro sono signori che…»

*

Funzionari.

**

Maiali.

*

Registratore.

**

«È una bibbia.»

*

Fallimento.

*

«Per me è stato un onore e un piacere.»

*

Fallito.

*

“Arrivederci!”

*

Lusso.

*

Collegamenti.

*

Una manciata di stranieri.

*

Fango.

*

Negozio di alimentari.

3 Cuba 17 febbraio 1968 – 17 marzo 1968

17 febbraio La

Habana.

A

colaz.

con

Alfredo

si

aspetta

decisione

di

Castro.

18 febbraio La Habana. A cena con Pepe.

19 febbraio La Habana. Visita a San Andrés.

1

20 febbraio La Habana.

Tre sono le domande: 1.

Come e perché è diventato quello che era: la conoscenza di un continente che considerava tutto la sua patria. Viaggio attraverso: •

Argentina



Perù



Bolivia



Guatemala – periodo della repressione United Fruit

2.



conoscenza con Fidel Castro – partenza – Granma



Rivoluzione cubana fino al trionfo della stessa.

Perché

ha

lasciato

il

posto

(il

ruolo)

di

dirigente

della

Rivoluzione:

3.



la sua linea politica



il Terzo mondo in lotta



il richiamo alla lotta nel mondo, nel Terzo mondo.

Perché scelse la Bolivia e perché è morto: •

la Bolivia



le ragioni strategiche di una scelta



la preparazione



i 199 giorni di Che Guevara.

2

21 febbraio La Habana.

3

Pagano

conferma la tesi del focolaio da creare, ma con

appoggi seri anche se non erano quelli forniti da Kolle Cueto e 4

Mario Monje.

Il Che avrebbe fatto affidamento su una rete

personale, che faceva capo a Coco e Inti Peredo. Effettivamente, quindi, il Che non faceva, perlomeno da un certo momento in poi, affidamento sui comunisti «ufficiali» locali che lo abbandonarono. Confermata la discussione e rottura tra il Che e Mario Monje. I

minatori,

abituati

all’altopiano,

al

clima

tropicale

di

Ñancahuazú non resistevano e andavano via. Confermata la faccenda della ricerca disperata di alimenti e medicine. Pare che il farmacista di Vallegrande che li riforniva di medicine fingesse

un’aggressione

(dei

guerriglieri)

per

giustificare

la

mancanza di un contingente di medicinali, di cui il governo e l’esercito tenevano esatta lista. La spericolatezza del Che. Nella sua analisi, Fidel Castro ne fa preciso richiamo, quando parla della lettera scritta dal

Che a Fidel Castro, nella quale gli chiede scusa per essersi fatto ferire (cioè si scusava per essersi esposto troppo). Nicaragua

o

Honduras

possono

sostituire

benissimo

il

Guatemala. I cavalli in Bolivia non campano.

5

22 febbraio

Partenza molto presto in mattinata per Santiago di Cuba e «giro» da effettuare. Oltre a essere una natura bellissima, la gente è molto pulita, poco del contadino nel senso per es. Italia del

Sud.

Le

ragazze

sono

vestite

più

da

cittadine

che

da

contadine. La popolazione è fittissima. Entri in una capanna di legno, anche dove non ci sono strade, e ce ne sono dappertutto, per es. per la Gran Tierra dove siamo diretti, c’è una strada asfaltata che va fino a Baracoa, e poi per l’interno, dove fanno una grande zona sperimentale agricola, di villaggi ecc., c’è ancora una strada impossibile. Abbiamo fatto undici ore di jeep, le peggiori di quelle fatte fino a ora. Le montagne sono basse, la natura è rigogliosissima, le piante e i fiori anche. La gente dolce, simpatica, bella e civile. È tardi, le otto di sera, e dappertutto si vedono interni illuminati, anche nei centri di capanne nell’interno, con bambini che studiano. È quasi una mania; ma in queste zone non arrivava strada, si camminava solo a cavallo per la strada orrenda che abbiamo fatto noi. Ora ci sono dispensari medici, scuole e, fitte, le aziende agricole sperimentali

ecc.

Il

pezzo

più

interessante

è

un

passaggio

chiuso tra rocce, con salti, burroncini, grosse rocce, un po’ d’acqua, molto suggestivo sulla strada per Baracoa, Rio Jauco. Ma

è

roba

più

da

passaggi

che

altro.

C’è

una

strada,

ma

sempre un sentiero tagliato è! Non è quello che cerco. Mi viene in mente, pensando allo sbarco del Granma e alle fotografie dei morti – che a quanto ho creduto di capire, sono messe nella Colorada a unico ricordo di quanto avvenuto –, che

potrebbe

essere

bello,

dopo

un

tratto

realistico,

la

spedizione e il passaggio del Granma, passare a un pezzo di memoria, con le fotografie dei morti, e ritrovarli nel gruppo, ma tutto solarizzato e i movimenti rallentati e i suoni, gli spari, i granchi dilatati.

Io credo che il film deve andare avanti attraverso queste suggestioni, non deve essere tutto un racconto filato realistico, di ricostruzione realista. Baracoa. Dormiamo nel «salone» a dieci letti. Alle 24 a letto, pieno di dolori.

23 febbraio Il risveglio è da avanguardisti, un po’ come la retorica del guerrigliero – per certe situazioni che riguardano loro, ed è più che giustificata (la nostra no). Però sono giovani e quindi si capisce. Per la retorica dei Paesi caldi, qui non ci sono vetri e siccome abbiamo dormito sulla spiaggia, l’umido è tremendo. Ci avviamo a Moa (miniere nichel). Attraversiamo vegetazione pulite,

l’interno,

stupenda,

dappertutto

macchie

casette

scuole.

turchesi,

come

acqua

di

ieri; legno

Mare

lo o

stesso di

stupendo:

trasparentissima.

carattere,

palma, cale,

Qui

il

molto calette,

mare

è

pochissimo sfruttato: sia come fonte di alimento, che come via di comunicazione, che come sport. È essenzialmente gente di terra: la giustificazione che le spiagge erano detenute dai ricchi e i poveri non potevano entrarci è un argomento che funziona per la città, ma non per queste zone assolutamente isolate e impraticabili.

Tutto

quello

che

si

vede

ora

è

opera

della

Rivoluzione: le casette di legno, le scuole, i dispensari medici, gli abiti dei bambini, la strada di terreno battuto (ma per il 90% è la strada peggiore che io abbia mai fatto, figuriamoci prima!).

Questa

è

zona

di

cocco,

caffè,

cacao,

banane.

Ci

siamo fermati a chiedere di bere acqua di cocco, colto il cocco dall’albero,

tagliato

e

bevuto,

delizioso.

Non

hanno

voluto

niente. Gente simpatica, cordiale, buona e civile. E così fino a Moa. Industrie, miniere: ferro, nichel. Ordinato pueblo nuevo, mare, sole, caldo ecc. Sono a pezzi e ho la febbre. Decidiamo di prendere l’aereo per tornare a Santiago, anche perché il terreno che si attraverserebbe non ha elementi di interesse per la mia «localizzazione». Ho 38°, mi metto a letto. Mi sembra senza dubbio che l’intenzione del Che era quella di creare vari fuochi rivoluzionari (nella stessa Bolivia più di uno e poi in Argentina, in Brasile, in Colombia, in Perù, in Paraguay, in Venezuela) e lasciarli ardere per creare un continente tutto in

fermento, sia per attirare i contingenti di truppe dei governi locali che gli Usa. Sull’esito escludo che si facesse grosse illusioni: gli Usa non avrebbero mollato mai, a ogni costo, i loro interessi in America Latina e solo il sogno che quelle repubbliche diventassero tanti Vietnam poteva essere la meta più

vicina.

Io

credo

che,

malgrado

il

fatto

che

l’America

Latina sia pronta alla rivoluzione (che non ha mai avuto), le varie repubbliche non potranno mai diventare dei Vietnam: la gente è nazionalista perché non riesce a credere in altro, ma la coscienza dei propri diritti e della propria possibile forza credo che sia il bene di pochi, e quindi la massa si attende la libertà come

una

conquista

dei

più

forti

della

quale

poter

eventualmente godere. Dall’epoca della conquista a oggi c’è un salto: parlo della Bolivia, del Perù, ma il discorso credo che valga anche per Brasile, Argentina, Cile, Venezuela dove in certi modi gli operai sono dei privilegiati rispetto agli altri e quindi perdono carica rivoluzionaria. L’indio è indifferente, apatico, senza carica, senza nemmeno curiosità: in Bolivia la rivoluzione del 1952, se così la si può chiamare, partiva da un obiettivo per loro concreto, anche se poi non avrebbero saputo cosa fare: avere la terra. Ma di terra ce n’è per tutti, bisogna lavorarla,

gli

strumenti

non

ci

sono,

e

gli

indios

si

accontentano di lavorare quel poco per i loro scarsi bisogni. Quindi

non

è

stata

una

rivoluzione,

perché

non

c’è

stato

nessun vero cambiamento di strutture. Le distanze immense nel

Paese,

la

bassa

demografia,

la

poca

partecipazione

di

grandi masse «colonizzate» non credo che rendano possibile dei

Vietnam;

esplosione questo

di

che

penso tipo in

piuttosto

che

violentissimo

questi

Paesi

i

e

sia

favorevole

rivendicativo. militari

Ed

a

una

è

per

costituiscono

e

costituiranno, fin quando i soldati «figli della terra» anch’essi non

si

ribelleranno,

«sacrificio»

del

Che,

la

classe

calcolando

privilegiata. le

scarse

Pensando

probabilità

al che

aveva, si può capire quando Debray parla di fatalismo, non di desiderio di morire; forse chissà, solo quando si è accorto che troppe

cose

fallivano,

che

era

isolato,

accerchiato,

tradito,

venduto… ma in questo caso resta sempre il dubbio perché non si sia fatto ammazzare quando li hanno presi.

24 febbraio

Resto

in

albergo,

al

Motel

Versailles

in

Santiago

di

Cuba,

perché indisposto. Lavoro. Tentativo di scaletta. 1° capitolo Nel cielo di Vallegrande l’elicottero. (Il corpo – dal corpo sul pattino – sulla piccola città. Montagne di La Higuera). Gli indios. L’elicottero atterra, ci sono giù i giornalisti (?). La donna lava il corpo, lo compongono sulla pietra. I soldati, la gente, l’americano (Cia), la curiosità e lo sbigottimento, l’orgoglio, la confusione di questi militari da Paese provinciale. La conferenza stampa: la versione ufficiale (il colonnello sul corpo). La stanza della scuola di La Higuera. Gli occhi del Che,

il 6

Terán.

viso, Poi

il lo

corpo fa

seduto

fuori

con

le

spalle

all’improvviso.

al

Il

muro.

tiro

di

Entra

grazia.

Ammazzano anche nell’altra stanza. Autopsia (con relazione alla versione che viene dopo). Altra versione, quella di Bailey: discussione con Zenteno, interviene Selich: schiaffo e sputo a Selich, colpo di pistola di quest’ultimo e dopo raffica e colpo di grazia. Autopsia (non parla del colpo al cuore). Di nuovo versione ufficiale. Il cap. Prado nella quebrada: io l’ho lasciato ferito. Ecco come sono andati i fatti: tutta l’ultima battaglia da quando il contadino avvertire.

di

notte

sente

Operazione

e

vede

militare.

Il

passare Che

i

preso.

17.

Corre

Portato

a

ad La

Higuera. Tutto il racconto di Gary Prado con (analisi Fidel) fino al pezzo di schiaffo e sputo smentito (Gary Prado) ma poi rimesso

perché

lo

conferma

un

soldato

(analisi

di

Fidel

o

intervista). Arriva(no) da Vallegrande i superiori: «Quien quiere?». «Yo». E si rivede tutta la morte fino al colpo di grazia. L’immensa solitudine di Machu Picchu. Le parole dell’articolo del Che? Altre da Il socialismo e 7

l’uomo a Cuba.

Il Perù – l’indio. Chincheros – il battesimo. Come vivono soli, distanza. Ubriachi, non sanno. Il cimiterino. Las barriadas. La scritta sulla montagna. Elementi statistici Cepal. 8

La motocicleta y la balsa* Argentina – Bolivia? Il Guatemala. Il Messico. L’incontro con Fidel. La partenza del Granma.

La Colorada – le foto ricordo: da qui la spedizione come un ricordo. I morti. Tutto allontanato nel tempo, solarizzato, rallentato, dilatato nei rumori poi… di nuovo la realtà sui 12 che vanno e si inoltrano nella Sierra. Pezzi di guerra nella Sierra di repertorio. L’invasione: •

i contadini aderiscono



i soldati aderiscono



i borghesi aderiscono. Tutti gli scritti esistenti del Che perché servono, attraverso

la citazione di brani, da commento e legame ai vari momenti 9

«chiave» del film. Consultare Retamar

e vedere se può servire

come collaboratore.

10

25 febbraio

Andiamo all’aeroporto. Ci imbarchiamo su di un elicottero sovietico per sedici persone (i cubani caricano fino a circa il doppio, salgono fino a 8600 metri e vanno fino a 220 all’ora, mentre

sovietici

consigliano

180),

voliamo

per

un

po’

ma

siamo costretti a tornare indietro per il forte vento e rimandare a domani mattina alle 7.00.

Il «camarografo» dell’Icaic ha una vecchia Bell and Owell 35 mm a molla, una torretta di tre obiettivi, magazzini da 100 feets, grande quanto una 16 mm da amateurs: mi sembra che vada

presa

molto

in

considerazione.

Non

c’è

bisogno

di

batteria, né di assistente, potrebbe essere l’ideale come ausilio e

come

protagonista

di

certe

situazioni,

tipo

miniere.

Informarsi a Roma, fare provini ed event. technicolor. Preparare Bolivia Produttore locale De Leonardis Provenzale Credenziali prof. Corghi Preparare auto targata Bolivia per ingresso da Argentina Autista Smistamento chassis Pepe Aguilar Preparare Argentina Ricerca Che Buenos Aires I due giornalisti francesi a Rio de Janeiro Il pezzo della tv di San Paolo Perù (Aereo per riprese) Cile Sopraluoghi ed eventualmente girare Sostituzione Guatemala Leprosario I due in motocicletta Balsa Marco Preparare Cuba, e in secondo momento con Pepe. Bell and Owell Ottica

Ultimo tipo Zoom (elettrico) 300 (256) Filtri Cavalletto (da far fare riducibilissimo) Lampade minuscole (a quarzo) Problema

pellicola

da

portarsi

dietro

e

da

trovare

sul

posto o da spedire quantitativo Arriflex Camuflage accessori (pezzi ricambio auto) Obiettivi macchina fotografica Braccetto grue Registratore minuscolo Technicolor: 3 buchi 3 buchi bianco e nero.

26 febbraio Partito in elicottero alle 8.00 per sorvolare Sierra Maestra. Per le

condizioni

atmosferiche

(molto

vento

e

nuvole)

il

volo

presenta delle difficoltà e non possiamo proseguire e terminare tutto

l’itinerario.

Comunque

ci

sono

pezzi

che

possono

(sempre in un quadro generale nel quale la Bolivia sia ben presente

non

solo

fisicamente

con

le

sue

montagne

ben

maestose, ma anche nel racconto che riguardi il campesino e il pueblo) essere utilizzati. Atterriamo importante

in

un

posto,

combattimento:

El

Uvero,

c’era

un

che

blocco

fu di

sede

di

pietra

un con

bassorilievi dei morti e feriti. Ora il tutto è un parco della rimembranza, modesto, ma con una sua semplice suggestione. Il nostro gruppo ed equipaggio dell’elicottero più Bebo, Pardo e Guillermo (tutti giovani uomini, tranne Pardo che ha 41), parlano continuamente, fittamente della Rivoluzione, di quello

che

non

c’era

prima, di

quello

che c’è

ora.

Questo

elicottero sovietico è magnifico per il viaggio, non altrettanto per le esigenze del cinema che richiede che si volteggi, si ritorni sulle cose, si parli e qui c’è un rumore d’inferno, non si sente, il pilota è lontano… Alle 15 vengono i soldati: facciamo il pieno per domani. Ci fermiamo anche a cena; simpatici dei ragazzini. Vidal, il pilota, è proprio un ragazzino, gli insegno e spiego come è fatta Venezia: vuole vedere Venezia (e ha ragione!). Itinerario eventuale di domani: •

Sierra Maestra



zona El Francés



un fiume con curva larga (ora secco)



due con cañadas



tre con lomas y quebradas*



La Mesa, tentare di atterrare



La Plata, boschi fitti tropicali, tentare di atterrare



Turquino



Manzanillo – combustibile



La Colorada.

27 febbraio Questa mattina alle 7.00 siamo già all’aeroporto. Alle 7.30 partiamo. A un certo punto mi seggo accanto al pilota e posso meglio vedere, fare fotografie (attraverso lo sportello aperto). La

prima

zona

di

montagne,

venendo

da

Santiago,

che

presenti un certo interesse è il Madrugón. È un complesso spelacchiato

ma

con

sfondo

un

massiccio

montagnoso

che

appare tutto nudo e sembra più alto di quello che è. C’è il letto di

un

fiume

(non

completamente

secco)

che

scende

a

serpentina e nel quale si inserisce un altro corso di fiume, anch’esso ora secco. Allo sbocco a mare, naturalmente, si allarga, offrendo varie possibilità.

(Il guaio di queste zone della Sierra è che sono rari i pezzi che non presentino qualche casetta, gruppo di case, capanne. Alcune all’occorrenza possono anche servire, coprendole di fango alla maniera boliviana, forse.) Zona

di

interesse:

Peladero,

Dos

Brazos,

La

Mesa,

Rio

Turquino. Questa zona presenta vari aspetti interessanti: •

Altezza.



Aspetto da massiccio montagnoso simile a quelli boliviani (La Higuera).



Corsi di fiumi (ora secchi) con relative quebradas.



Aperture dei letti dei fiumi in prossimità del mare che è molto vicino.



Natura varia della selva, per lo più però piuttosto rada.



Località abbastanza accessibili.



Il picco del Turquino (2000 m) sullo sfondo. La

Mesa

presenta

anche

una

vegetazione

tupida*

tipo

Ñancahuazú. Quindi, secondo l’optimum (ed è a quello che bisogna mirare anche

per

lasciarsi

la

porta

aperta

per

tornare

in

Bolivia)

bisognerebbe fare in Bolivia gli episodi a carattere militare visti dalla parte dei soldati boliviani e cercare di ottenere anche le interviste sulle operazioni militari (Zenteno, Gary Prado, Niño

de

Guzmán

ecc.)

e

in

Cuba

la

corrispondente

parte

guerrigliera, compreso dalla cattura del Che alla sua morte, costruendo qui nelle montagne la scuola di La Higuera e un profilo del pueblo. A questo scopo occorrerebbe comunque un sopraluogo accurato in Bolivia. È importante l’architetto e lo scenotecnico. Per i raccordi ciò che sarà diverso è la limpidezza dell’aria. Bolivia: visioni aeree (dopo spiegazioni sulla carta della Bolivia, col. Zenteno) del Ñancahuazú, casa Calamina… Cuba: … accampamento guerrigliero Ñancahuazú. Cuba: imboscata 23 marzo.

Bolivia (continua la spiegazione di Zenteno). Miste:

operazioni

militari.

Oppure

(nella

peggiore

delle

ipotesi) tutto a Cuba, ma con pezzi generali (che non siano quelli

precedenti,

clandestini)

su

Bolivia:

e

nel

caso

non

permettessero questi pezzi in Bolivia, bisognerebbe farli in Cile. Bolivia incontro con campesinos (padre Schwarz ecc.). Bolivia giuramento campesinos. Bolivia la caccia ai guerriglieri soldati. Cuba guerriglieri (ricerca dei viveri – cercare tipi indios da trasferire). La battaglia di La Higuera Soldati boliviani. Bolivia. Cap. Prado. Guerriglieri e dalla cattura del Che – Cuba. Interni scuola – Cuba. Altra zona di interesse: La Plata. C’è

un

pezzo

molto

fitto

di

vegetazione,

come

Ñancahuazú. Non atterriamo né a La Mesa né a La Plata, c’è difficoltà, e comunque sarebbe inutile perché bisogna andare da terra ed esplorare bene al momento stesso della scelta, tenendo conto che gli esterni di campagna cambiano con il cambiare delle stagioni: fiumi, vegetazione ecc. Problema barba Che per sbarco Granma (per ultimo). Problema

ricostruzione

La

Higuera:

sopraluoghi

e

ricostruzione non appena a Cuba. Intanto (che si ricostruisce e si prepara) girare cose per es. invasione;

Cuba

dopo;

Marco,

prima,

scegliere

e

preparare

questa gente. Atterriamo

a

Manzanillo

simpaticissimo

e

ottimo

desayuno* al campo militare dell’aeroporto. La simpatia di questi ragazzi militari mi fa tornare alla mente la simpatia

degli americani a Napoli nel ’44, ’45, ma purtroppo il ricordo si fa ancora più struggente. Da liberatori a oppressori. Qui quello

che

si

continua

a

vedere

fatto

dalla

Rivoluzione

(pueblos, ospedali, case, scuole) è segno non solo di un ritorno travolgente, ma di un disegno ben preciso tutto allo scopo di creare la nuova generazione e la grande produzione agricola. Fidel è intoccabile (lo amano sul serio). Il Che è un santo, infallibile. Da

Manzanillo

a

Las

Coloradas

(sorvoliamo

banchi

di

sabbia e vegetazione in un mare di tutti i colori dal turchese all’anice, all’azzurro, al viola). Las Coloradas, incredibile lo sforzo che devono aver fatto per attraversare l’intrico di radici, rami, foglie, incredibile alla descrizione, senza machete nel fango fino al petto; orribile e meraviglioso. E la Sierra lontana. Come ci sono arrivati? Zona intermedia di acqua. Bombardamenti. Potrebbe venire bene. Rendere più bianchi gli sterpi, più spettrali. E non staccare le foglie, o addirittura invece, a una a una. Da giù e dall’aria. Al punto dello sbarco c’è il cartellone con i 27 morti: molto squallido, ma per questo con un certo che. Riflettere se posso realizzare l’idea dell’evocazione. Buon rumore di vento. I granchi (vedere). I piedi tutto… Fino all’ingresso. Sierra. Ho un dolore reumatico nella spalla che mi tormenta. Torniamo alle 16 a Santiago. In albergo a lavorare.

28 febbraio In giro per Santiago di Cuba.

Granja Siboney. Cuartel Moncada. Esposizione fotografica dal Moncada alla Sierra. Alle 16 si parte per La Higuera. Promemoria per La Habana: •

Fotografia del Che (chiedere a Pardo).



Rivedere

«Hasta

la

victoria

siempre»



episodio

Villa

Clara per Manuela. A. Varda. Bolivia. L’artificiere. •

Mauro Casagrande.



Pagano (ambasciata Italia).



Retaman.



Esemplare rivista Cuba dedicato al Che.



Quello che è uscito recentemente sul Che.



Karol.



Oscar Lewis.



Libri

di

Lewis:

Antropologia

de

la

pobreza

e

Pedro

Martínez. •

Raúl Prebisch, uno dei maggiori economisti americani già direttore della Cepal (commissione dell’Onu per l’America Latina) e attualmente segretario generale della Conferenza per il commercio e lo sviluppo.



Josué de Castro ex direttore della Fao.



Nueva historia de Bolivia di Enrique Finot.

Promemoria per José Luis Alcázar (Bolivia): •

Tutto

ciò

che

riguarda

movimenti

nella

zona

mineraria

prima del 24 giugno. •

Montare

informazioni

su

foto

mie,

se

è

venuto

fuori

qualcosa dei servizi di Bailey. •

Cercare

di

avvicinare

uno

dei

sindacalisti

o

minatori

allontanati. •

Dirigentes mineros: Juan Arce, Pacifico Medina, Cecilio Fernández (24 giugno).



Padre Gregorio: emisora Pio XII (Siglo XX), nastri delle comunicazioni 24 giugno da Siglo XX.



René Chacón (dirigente di Siglo XX) si è messo d’accordo col governo per soldi.



Repressioni in città, studenti.



Avv. Torrigo (le settanta cartelle).



Pezzi di diario fatti circolare.

29 febbraio La Habana. Alfredo mi annuncia che non è possibile incontrarsi con Fidel. prima di lunedì della settimana prossima e che quindi devo rimandare la partenza, ma che comunque a dire di Celia 11

Sánchez

nella

settimana

poi

sicuramente

si

prenderà

una

decisione.

1 marzo La Habana. In albergo a lavorare. 12

Loin du Vietnam

all’Icaic.

Un giorno di un campesino del Cuzco. Un giorno di un campesino immigrato in una «barriada» a Lima. Un giorno di un campesino dell’altopiano in Bolivia. o La nascita. La vita. La morte. L’immagine

delle

ricchezze

naturali

dell’America

del

Sud,

tenute come «riserva» dagli Usa (appoggiare questa tesi con

autorevoli

pareri

storici

ecc.)

è

un

altro

degli

elementi

indispensabili per la conoscenza del problema. Ricchezze naturali in superficie e sotto la terra. Paz Estenssoro (Lima). Bolivia terra di conquista per i preti.

2 marzo Enzo è tornato a Santiago per effettuare un sopraluogo da terra sulla zona individuata nella Sierra Maestra. 13

A colazione con Carlos Franqui:

il Che credeva nella

gente (in un viaggio che avevano fatto in Polonia era contento che non esistessero più in quel Paese prostitute), è possibile che, quando è stato convinto, all’ultimo, che i contadini (il popolo) non lo seguivano, sia rimasto annientato da questo fatto e che, visto tutto perso, abbia voluto morire. D’altra parte che poteva fare. Andare via, mettersi in salvo, dalla parte del Cile,

come

i

cinque

che

ci

sono

riusciti;

non

poteva

Che

Guevara uscire dalla Bolivia in quella maniera. Tutti o quasi tutti i suoi compagni cubani erano morti in combattimento. Avrà pensato anche, a quel punto, che sarebbe stato certamente più utile alla Rivoluzione da morto. Non portava la pistola, per il peso. Preferiva non portare neanche

un

analizzatore Fidel

che

cuchillo* della

anche

per

realtà, nei

evitare

del

il

peso.

momento,

momenti

più

Era

ma,

difficili

a

un

grande

differenza

era

e

di

rimaneva

sempre convinto della vittoria, poteva avere delle delusioni molto

profonde

e

pericolose

nel

confronto

con

la

realtà

a

distanza. (Debray dice che il suo crollo «intimo» è cominciato quando

si

è

reso

conto

che

la

tattica



sbagliata



non

corrispondeva alla strategia giusta.) Lui pensa che ci siano stati degli scontri di discussione con Coco Peredo: Coco gli avrebbe assicurato l’adesione popolare, sempre. E qualche episodio può essere stato una prova voluta fare dal Che. Per es. l’aver parlato alla gente, gli indios sono come pietre. (Può essere la conferma richiesta per smentire l’asserzione di Coco.)

Nella lotta rivoluzionaria certi errori vengono fuori dallo sviluppo dei fatti, non si possono prevedere, anche a costo di rischiare grosso. L’«indifferenza» dal momento in cui lo hanno preso

ferito,

la

conferma

con

episodi

precedenti

e

comportamento relativo. Il Che e Debray non si erano capiti. Uno degli elementi più importanti, il determinante della sconfitta

della

dell’America

guerriglia,

Latina.

è

Prima

la

ritirata

erano

dei

partiti

d’accordo,

comunisti

poi

si

sono

ritirati (ed è chiaro che quando c’è la guerriglia in un Paese il comando lo deve avere chi comanda la guerriglia e non il Partito comunista), il che ha determinato sfiducia nella gente stessa,

oltre

alla

mancanza

di

appoggio

dell’organizzazione

politica di partito. Le rivoluzioni non possono nascere fuori dal movimento politico di un partito. Né d’altra parte possono essere solo ideologiche come era finito per diventare il motivo della guerriglia in Bolivia. La sera Pepe mi ha invitato dopo teatro – La notte del faraone, spettacolo di Gran Guignol molto buono – a casa 14

dell’attore Sergio Corrieri dove c’era anche Celia Guevara.

Credo che l’incontro sia stato provocato da lei per «vedermi» più che conoscermi, perché un dialogo diretto sull’argomento con lei non c’è stato. Dice Pepe che è una che non ne vuole sentire neanche parlare, non nel senso che sta contro (conosce i

miei

film

e

mi

stima),

ma

perché

non

vuole

parlare

dell’argomento. Ha l’aria molto intelligente e viva, ma più da ascoltatrice

che

dopo

aver

meditato,

anche

per

più

di

un

giorno, poi si fa viva in qualche modo, che di quelle a colpo diretto subito.

3 marzo Sono

arrivati

ieri

sera

Pierini

e

15

Moroldo

per

tentare

un

servizio sui cinque. Parlo di Pierini a Pepe per tentare un eventuale incontro con Aleida. Pepe dice che non c’è niente da fare, tanto meno con lui [il padre]. Ce l’hanno con lui per la faccenda della dichiarazione: «Cercherò il corpo di mio figlio dappertutto in Bolivia, Santo Domingo, Cuba…». Dice che lui ha il dubbio

che l’informatore sia [Ricardo] Rojo, amico del Che che loro non amano. Andiamo

tutti

a

teatro

(La

noche

de

los

asesinos,

alla

Tennessee Williams, ma con un secondo atto migliore e più umano, meno isterico ed esteriore del primo, ottimo livello di recitazione, di regia e tecnico) e c’è anche Celia: ostenta molta ostilità all’incontro con Pierini, che ci rimane malissimo e si allontana per tutta la serata restando con l’ambasciatore di Cuba in Marocco. Celia spiega poi a Carlos Franqui e me la faccenda della dichiarazione del padre che è falsa, che il padre alludeva al ’59, che il padre dopo l’episodio ha avuto una depressione nervosa.

Carlos

evidente

che

e

io

essendo

tentiamo

la

quella

«posizione»

la

difesa

di

Pierini. della

Ma

è

famiglia,

anche se il vecchio, in un momento così alla morte del figlio, esasperato dal dolore e dalla mancanza di sicurezza di notizie, ha detto esattamente quello che Pierini dice che è la verità, niente potrà cambiarla, neanche eventuali prove. Siamo

passati

a

salutare

Retamar

perché

Karol

parte

domattina. È il secondo del «club» che riesce a partire; lui e Oscar Lewis, poi ci dovrei essere io. Pepe parte domani e resta fuori fino a venerdì. Parlato con lei a proposito di notizie precise [sul] Guatemala, incontro con 16

Fidel, Patojo La

sua

e preparazione lavoro Argentina. È d’accordo.

posizione

di

non

buoni

rapporti

con

Alfredo

si

è

accentuata a seguito del suo intervento sotterraneo di aiuto a Tutino – Aleida – Llanusa ecc. (Ma a me questo non deve interessare.) E comunque mi dice che Celia Sánchez ha detto che se si fa questo film, lei ci deve lavorare, come d’altronde io ho deciso sin dal primo momento. Aleida ha i diari del marito del tempo del Guatemala (già allora annotava tutto giorno per giorno) e Pepe conta di potervi avere accesso. Pensare che Pepe potrebbe essere utile per: •

Ricerche periodo Guatemala incontro con Fidel



Patojo



Periodo ministero Industria, cronologia esatta viaggi Che



Anticipo viaggio in Argentina e relativa preparazione



Ricerca altro Che



Che giovane



Mentre io in Bolivia, ricerche in Honduras e Nicaragua



Sostituzione di Guatemala



Ricerca posto leprosario



Balsa, motocicletta ecc.



Accertare

movimento

rivoluzionari

di

17

Masetti

a

Salta

(raccogliere quello che c’è).

4 marzo Saluto

al

telefono

Oscar

Lewis

di

partenza

per

Ciudad

de

México e New York. Gli confermo che i primi due capitoli de La vida, che mi dice uscirà in spagnolo a luglio, mi sono molto piaciuti. La situazione de I figli di Sánchez è che Anthony Mann gli ha dato 50.000 dollari e allo scadere dell’opzione, 1970, dovrebbe dargliene altri 20.000. Naturalmente a Mann cederebbe il tutto, ma è caro (anche se gli è costato fare una sceneggiatura che Oscar dice che è molto brutta). Cederebbe il tutto a 100.000 dollari. Oscar insiste per l’ultimo (già uscito a New

York

e

Kazan

gli

ha

detto

che

vorrebbe

farlo),

il

personaggio di Fernando è molto bello: la storia si svolge tra Portorico e New York. 18

Viaggio Che e Granado.

I primi viaggi dal 1950. Solo sulla bicicletta a motore. A bordo nave carretta. Viaggio lungo con Alberto Granado nel 1952 iniziato con la Norton di Osvaldo Bidinost. Argentina. Attraverso un passaggio in Cile, deserto di Atacama, nord Cile da Iquique a Lima (Perù) in nave. Leprosario di Huambo (Perù).

I versi di Pablo Neruda. «La rivoluzione senza sparare!» Porto del Callao, si imbarcano clandestini. Il cap. li fa buttare in mare. Iquitos (Alto Perù), alto Rio delle Amazzoni. Attacco di asma. Leprosario di San Pablo, provincia di Loreto. Sulla zattera, discesa di 200 km del Rio delle Amazzoni. Leticia (Colombia). Caracas: Granado resta, Guevara prosegue con aereo – cavalli. Miami. Buenos Aires. A cena con Laura Gonsalez. Da quanto sa (sta preparando 19

l’antologia del Che per Einaudi)

e dalla nostra conversazione

viene fuori la conferma a molte delle opinioni che mi sono via via andato formando: soprattutto sulla fondamentale struttura da intellettuale del Che, sul suo volontarismo, sulla sua fiducia volontaristica nell’uomo, sulla sua convinzione di poter creare l’uomo nuovo. Penso ancora una volta che, alla scoperta della non

adesione

popolare

(contadini)

alla

fine,

in

lui

ci

deve

essere stato il crollo. A dire di molti, in Fidel sarebbe stato diverso: ha più fiducia a distanza, più forza di convinzione. Fidel è la storia, si identifica con la storia, fa la storia e che la gente intorno a lui cada, ha una relativa importanza. Sono convintissimo che il Che era un sentimentale (malgrado le sue analisi, la sua lucidità ecc.): viene fuori chiaro dai suoi scritti. La

pagina

scritta

per

Patojo.

In

definitiva

l’amore

per

la

famiglia, la voglia di avere una famiglia o l’idea di questa, i figli ecc. Libri •

Gabriel García Márquez, Cien años de soledad (Editorial Sudamericana, Buenos Aires).



Los funerales de la Mamá Grande.



Er coronel no tiene quien le escriba.



Julio Cortázar, Rayuela (Editorial Sudamericana, Buenos Aires).



Juan Rulfo, Pedro Páramo (Nortis, Mexico).



Cile, dirigente della Lega campesina.



Deputato Partito socialista.



Il presidio ribellioni in massa.

Laura è convinta di un forte rapporto di filiazione tra il Che e Fidel. Fidel è stato sempre quello che ha agito con un denso passato

di

azione

politica,

mentre

il

Che

veniva

da

un’esperienza teorica e di azione, però per quanto riguardava una sua ansia di agire in nome di una giustizia. La coscienza rivoluzionaria gli si fece man mano in questa esperienza di conoscenza di un mondo in cui le ingiustizie sociali erano tanto forti ed evidenti da insinuargli poco a poco una chiara coscienza rivoluzionaria e il cambiamento, da un certo momento in là. [Il]

Guatemala

fu

decisivo

e

totale

fino

a

chiarirsi

attraverso l’incontro con Fidel e a rafforzarsi in una precisa e lucida esigenza e coscienza rivoluzionaria.

5 marzo Da tutto quello che ha lasciato scritto il Che – le varie lettere oltre tutto da quando ha deciso di andare in Bolivia – appare chiara la coscienza delle scarse possibilità di riuscita piena e al momento delle imprese, e quindi la sua probabile fine. Io non credo

che

qui

come

altrove

sia

molto

chiaro

ciò

che

si

prefiggeva il Che: sono tutti sempre alla ricerca delle ragioni degli errori, come se tirare le «conclusioni» fosse importante agli

effetti

di

l’accendersi cosa

una

dei

secondo

vittoria.

vari

me

La

vittoria

fuochi rivoluzionari

prematura

per

le

sarebbe (dei

stata

vari

condizioni

solo

Vietnam

dell’A.L.)

dappertutto e quindi il grosso problema creato agli Usa. È naturale accettato.

6 marzo

che

questo

progetto

venga

difficilmente

capito

e

20

Oggi sono arrivati i tre guerriglieri cubani, tra i quali Pombo

e le due guide boliviane. Naturalmente prima di vederli, se ne daranno la possibilità, chissà quanto ci vorrà.

21

7 marzo È

giovedì

e

comincio

a

mettere

seriamente

in

dubbio

la

possibilità dell’incontro con Fidel prima di domenica.

8 marzo Ormai

sono

psicologicamente

entrato

nell’idea

di

aspettare

ancora una settimana; tanto, non è che uno può agire molto diversamente quando si tratta di incontrarsi con il personaggio che è Fidel. E d’altra parte, dopo quattro mesi e mezzo di lavoro e di pazienza e di manovre più o meno abili, sarebbe anche da fesso mollare tutto così. Aspetterò fino a domenica 17, incoraggiato anche dal fatto che la coincidenza di essere partito da Roma il 17 (gennaio) e di ripartire da qui il 17 (marzo) potrebbe essere un segno favorevole, per quello che a me comunica di piacevole la vista del numero 17 che mi capita molto sotto gli occhi da un po’ di tempo a questa parte.

9 marzo Comunicata Alfredo

la

decisione;

comunque

mi

accettata

sembrava

come

veramente

cosa e

prevista.

sinceramente

dispiaciuto del fatto di non poter riuscire a fare di più. La cosa che più mi addolora è che non potrò essere a Napoli per il 22

compleanno di Francesca.

10 marzo Mi vado a fare un bagno al mare. Fa caldo da fine giugno a Roma.

11 marzo

Comincia un’altra settimana. E ci vuole molta calma e molta pazienza. camera

Comincia

ad

a

muoversi

avvertirmi

di

un

qualcosa:

incontro

Alfredo

molto

viene

importante

in per

questa sera. Fidel – come io immaginavo – elude l’incontro perché

praticamente

risolverebbero

tutti

anche i

vari

con

un

suo

problemi

di

«sì»

non

si

conoscenza,

di

approfondimenti del mio modo di avvicinarmi all’argomento, 23

al personaggio Che; e quindi ha dato incarico a Barba Roja, personaggio avviare

il

importante processo

e

influente,

«decisivo»

di

per

prendere

lui,

o

contatto

addirittura

e la

decisione. Altra preoccupazione è l’aspetto finanziario: sono preoccupati di doversi esporre – per partecipare al film – con un

esborso

di

denaro,

ma

tra

me

e

Enzo

abbiamo

tranquillizzato Alfredo assicurandogli che tutto quello che sarà fuori Cuba è peso della produzione italiana, e quello in Cuba invece dipenderebbe da loro, «grosso modo» naturalmente. Alle nove di sera ci troviamo alla «Torre» in una saletta privata. Con Barba Roja c’è un personaggio molto giovane e che si va rivelando poi via via un profondo conoscitore di tutti i fatti della guerriglia e quindi elemento preziosissimo come asesor ora e in seguito. Barba Roja è giovane, simpaticissimo, cordiale,

con

una

faccia

molto

aperta

e

occhi

intelligenti,

attenti spiritosi, ma che improvvisamente mutano espressione per farsi anche impenetrabili e duri. È un uomo robusto che ama ridere e ride con humor, ma con uno spirito critico dei fatti

e

degli

atteggiamenti

l’impressione idealistico,

che

che

è

sempre

all’entusiasmo

morale

e

e

costruttore,

presente.

alla

fiducia

unisca

una

Mi di

dà tipo

notevole

esperienza di vita fatta combattendo sulla Sierra e nei posti di governo e come ricerca culturale personale. È

uno

dei

tre

membri

della

commissione

degli

Affari

esterni del partito e il viceministro degli Affari interni. Siamo lui,

Alfredo,

il

«personaggio

informato»,

Enzo

e

io.

La

conversazione si protrae fino alle 2.00. Spiego come voglio fare

il

film:

Giuliano

e

interessante.

(prima di

si

è

situazione

Insomma,

è

parlato

di

politica d’accordo

pesca in e

subacquea

Europa). dice

che

e

di

Gli

pare

gli

pare

un’iniziativa «importante» così come io lo voglio impostare il film.

Ammira

(ritenendolo

indispensabile)

un

certo

tipo

di

collaborazione tecnico-militare-guerrigliera al film, agli effetti della verità ecc. Insomma saremmo forse usciti dalla palude.

12 marzo Penso

che

lo

staff

di

preparazione

dovrebbe

essere

così

composto: •

Saverio Tutino – A La Habana, completamento ricerche e raccolta notizie, documenti, dettagli storici di ricostruzione episodi viaggio Granma, sbarco a Las Coloradas, Alegría de Pio fino alla riunione con Fidel.



Elementi statistici – Invasione dell’isola fino all’arrivo a La

Habana.

Raccolta

documenti

e

dettagli

periodo

post

trionfo della Rivoluzione, viaggi all’estero del Che, fino alla partenza del Che da Cuba. Incontro con personaggi autentici

attori

degli

avvenimenti.

Messa

a

fuoco

dei

passaggi storici salienti e corrispondenti passi dagli scritti del

Che

dai

commento

quali

viene

migliore

ai

fuori

fatti

la

sua

ideologia

e

il

stessi.

(A

questo

fine

si

potrebbe ricorrere forse anche a un personaggio cubano che

potrebbe

aiutarlo,

che

stia

facendo

un

lavoro

di

raccolta di tutti gli scritti del Che. Si potrebbe chiedere ad Alfredo.) •

Marco Guarnaschelli – A La Habana e in stretto contatto con il lavoro di Saverio.



Collaboratore locale – Ricerca tipi e mezzi militari per guerriglieri, per sbarco Granma, per Alegría de Pio, per l’invasione, per l’arrivo a La Habana.



Tutti i personaggi veri e ricreati.



Uniformi, barbe, armi ecc. Documentarsi molto vedendo tutti i documenti filmati esistenti all’Icaic (e anche i film, per quello che non si deve fare). Ricerca personaggi tipo: Patojo, Coco, capi guerriglieri, ufficiali boliviani ecc. (con ricerca in Mexico ed event. Cile, attori e non). Sopraluoghi preliminari.



Pepe

Aguilar

(Nicaragua, Argentina.



Preparazione

Honduras).

Argentina,

Eventuale

Documentazione

(anche

Guatemala

ricerca attraverso

attore lettere

in e

diari del Che – famiglia e moglie) sui viaggi del Che, sulla situazione politica in Argentina, su Salta. •

Leprosario Alto Perù. Cile?



Sergio

24

Canevari



Preparazione

eventuali

costruzioni.

Armi, effetti speciali. Considerare se fargli fare un viaggio prima.



Costumi?

Urgente Fare subito prova pellicola 16 mm in 35 a colori e in bianco e nero formato. Macchina da presa – cavalletti ecc. Suono, microfoni. Sistema fotografico per creare dimensione memoria. Confrontare lavoro Roma e Ltc Parigi. Urgente vedere Corona. «Gentile Cogis.» Faccia molto interessante (suoi occhiali cerchiati oro). 25

Chino López.

Lo si trova a La Casa de las Américas. La giornata si è svolta, come prevedevo e come è ormai prassi accertata

qui,

senza

«richiami»

allo

sblocco

situazione

avvenuto ieri sera. Ho sollecitato ancora una volta gli incontri che mi servono e… bisognerà aspettare. Mi è arrivata notizie comunque che «Alfredo è contento». In serata incontro con Chino López, lo guardavo senza riconoscerlo per un ragazzo già conosciuto la prima volta che sono venuto a La Habana, 26

per la sua forte rassomiglianza con il disegno de El Chino,

il

quale comunque dovrebbe avere avuto più anni. Comunque López

ha

una

faccia

molto

interessante

e

un’espressione

attenta, patetica e intensa insieme da tenere presente Al Polinesio arriva Barba Roja, solo; ci salutiamo e ci invita al suo tavolo. Mi conferma la sua ottima impressione dell’impostazione che io voglio dare al film: nel pomeriggio aveva parlato con Aleida (non si era fatto vivo nessuno, ma le cose camminavano lo stesso). Mi annuncia un incontro per domani. Gli dico che ho bisogno di parlare con quello che stava la sera prima con lui: non dice né sì né no. Staremo a vedere.

Assicura

collaborazione.

È

un

personaggio

importantissimo, moltissimo

in

e

come

preda

a

tutti un

i

dirigenti

impulso

cubani,

lavora

mistico-concreto

di

dedizione assoluta alla idea che è la forza maggiore di questa Rivoluzione. Senza l’esempio di questa gente si sarebbe fatto ben poco, credo. L’esempio è quello che conta quando non c’è una condizione rivoluzionaria esplosiva giù a livello popolare, e a questa esigenza ha finito per immolarsi (può darsi negli ultimi tempi con piena coscienza e decisione) il Che.

13 marzo Telefono

a

Pepe

per

comunicargli

gli

incontri

e

sapere

qualcosa di Aleida: non risponde. Bisogna riflettere sull’esigenza di mettere a pendant della azione Granma – Las Coloradas – Alegría de Pio – Sierra – il 27

sollevamento in Santiago di Cuba (Frank País)

e l’assalto al

Palazzo presidenziale (José Antonio Echeverría). La battaglia più importante della Sierra? El Uvero? Attesa

in

albergo,

ma,

come

ormai

mi

è

chiarissimo

e

secondo il costume di qua e secondo anche ciò che io ho sempre previsto, è una attesa vana perché nessuno si fa vivo. Staranno parlando: semplicemente fanno passare il tempo. O ancora può darsi che il discorso di questa sera di Fidel li tenga occupati. Ore 20.00 vado per il discorso di Fidel. Comincia alle 21.00 finisce alle 2.00. Bellissimo discorso. Al

Polinesio,

dopo

il

discorso,

incontro

Piñeiro

(Barba

Roja) ma non fa alcuna allusione a eventuali appuntamenti per domani, come aveva invece fatto la sera prima. Incontro Papito 28

Serguera:

mi chiede e mi dà l’impressione che non sappia

niente.

14 marzo Alle 9.30 con Saúl vado per l’appuntamento con il capitano del buque atunero* Emperador. Ci vuole tutta la mattinata per trovarlo, e poco male che andiamo da una parte all’altra del porto, così vedo cose nuove.

Il discorso di Fidel, duro con la gente che non segue la Rivoluzione,

è

sacrosanto:

sempre

di

più

mi

faccio

la

convinzione che qui, tolti i dirigenti, i giovani e i soldati, la massa

si

lascia

trascinare,

pretendendo

che

la

Rivoluzione

risolva – come dovere – i loro problemi: deve essere un peso tremendo e orribile; gente pigra, inerte (La Habana è un quarto della

popolazione

di

tutta

Cuba)

che,

come

in

tutte

le

rivoluzioni, rappresenta un peso morto e più che morto perché un elemento di decisione continua dell’opinione. Al porto la gente lavora con un ritmo – che è lo stesso di tutti, camerieri, bagnini, autisti di taxi ecc. – per il quale ci vuole perlomeno il triplo del tempo a fare le cose. Tutti in guanti

all’uso

americano,

se

la

prendono

comodissima.

Il

problema dell’efficienza della gente nel mondo socialista è un vero dramma e, a giudicare dai risultati che sta dando una generazione

di

giovanissimi

in

Urss,

un

dramma

che

si

fa

sentire anche sul futuro. Qui però i giovanissimi – i ragazzini – vengono allevati e educati in uno spirito più libero, senza le costrizioni, le rinunce, le oppressioni che dovettero subire i giovani

nell’Unione

sovietica,

quindi

le

cose

dovrebbero

essere diverse. Naturalmente i problemi dei due Paesi sono profondamente socialismo…

diversi,

servirà

ma

dato

anche

che

questo

qui

stanno

esame

di

facendo

un

il

processo

realizzativo. Andiamo in giro e finalmente poi vedo il ragazzo: ha una bellissima faccia, occhi piccoli ma acuti e attenti. Labbra un po’ carnose. La faccia è bella, il corpo anche, i movimenti pure, non dà però l’impressione a occhio e croce di un giovane studente acceso di ardore come il Che da giovane, e non so quanto

gli

assomigli

da

giovane.

Comunque

ha

una

faccia

molto bella. Vado a vedere il Palazzo presidenziale per farmi un’idea 29

del 13 marzo ’57:

è piccolo, niente di spettacolare, ma la sua

goffaggine di palazzo di rappresentanza in America del Sud può giocare il suo ruolo. Comunque l’episodio mi sembra importante per esprimere la partecipazione della città allo stesso tempo della lotta nella Sierra. Pomeriggio di attesa vana.

Niente di nuovo anche per la sera e la notte.

15 marzo Enzo,

secondo

una

comunicazione

di

ieri

sera,

dovrebbe

vedere alle 13.00 Yelin e il vicepresidente dell’Icaic. Invece

mi

modificato

avverte

perché

che

l’appuntamento

Piñeiro

e

il

sarebbe

personaggio

stato

che

si

accompagnava a lui l’altra notte hanno chiesto di incontrarmi. Infatti, arrivano (con un ritardo di un’ora e mezzo e avendo già

mangiato,

colazione

mentre

insieme



era

convenuto

ritardo

e

che

cambio

saremmo

di

andati

programma,

a

cose

normali per le abitudini cubane) alle 14.30 e ci fermiamo a chiacchierare

fino

intelligente

simpatico,

e

alle

17.30. ma

Barba

anche

non

molto

solo

concreto

è

molto e,

cosa

assolutamente «contro» le abitudini dei cubani, rapido: lo si spiega con il fatto che è militare e dirigente rivoluzionario e uomo

abituato

all’azione.

Il

fatto

che

lui

sia

ritornato

a

incontrarmi è segno che l’iniziativa interessa a livello alto, e ne ho avuto anche continue conferme da altre parti. Profitto della sua presenza per perorare la causa di Pierini e lo faccio venire in camera, e Pierini ne sa approfittare solo in parte perché invece di andare più al sodo, comincia a parlare e parlare, soprattutto di cose inutili, e l’altro invece lo invita a essere «flessibile» in quanto a periodo di sosta in Cuba, una speranza praticamente, e un’apertura. Alle 19.00 tutti all’auto di Fidel. Una pioggia dirotta e ininterrotta sotto la quale resto tutto il tempo (incontro e parlo a lungo con la moglie di Llanusa) ad aspettare per incontrare Fidel, ma alla fine vengo fregato dalle guardie che mi tagliano fuori e dal fango che mi impedisce di fare in fretta per avvicinarmi a Fidel. Pazienza! In serata mi viene

annunciato

Pombo.

Questo

è

l’incontro il

segno

della più

mattinata

chiaro

e

seguente

importante

con della

attenzione e dell’interesse in alto per andare avanti: P. non lo ha

visto

nessuno

personaggi militari.

al

di

fuori

di

alcuni

pochissimi

alti

16 marzo L’incontro avviene in una casetta fuori dalla città. Personaggio estremamente interessante, anche perché a vederlo sembra un ragazzo



molto

giovane)

senza

particolare

peso,

ma

al

parlargli le cose cambiano: ha occhi penetranti e indagatori e soprattutto una sicurezza in quella che è stata ed è la sua missione

espressa

con

semplicità

ma

senza

dubbi

e

senza

enfasi, come una vocazione… quando esamina certe foto di compagni morti, ne parla con affetto, ma senza compassione patetica o ostentata, con un dolore e un affetto nello sguardo e nel

sorriso

come

se

si

trovasse

di

fronte

a

quegli

stessi

personaggi ancora vivi. È sicuramente il sentimento di uno abituato a dover considerare la morte una probabilità continua e

sicura.

Certi

suoi

accenni

di

racconti

mi

anticipano

l’interesse che ci può essere in una analisi ricostruita di tutti i 199 giorni del Che e del periodo immediatamente precedente. Si tratta di aspettare. La versione di Prado, per esempio, è abbastanza vera per quanto riguarda la successione dei fatti, la disposizione

degli

uomini

ecc.,

ma

mi

è

stata

comunicata

sbagliata dal punto di vista topografico. E questo mi è chiaro oggi perché, nel caso che venisse fuori da un film l’esatta sistemazione

topografica,

non

ci

sarebbe

equivoco

per

i

boliviani sull’identità dell’informatore. La spiegazione di Pombo sulla posizione del campesino durante la guerriglia è molto chiara e mi pare che sarebbe interessante presentarla nel film attraverso una intervista con lui (anche a continuazione della citazione dello stesso concetto 30

espresso eventualmente dal Che o in guerra de guerrillas

o

in altro scritto). Conferma

l’importanza

relativa

dell’adesione

del

campesino o dei minatori o della città: guerra di guerriglia come fuoco e poi sollevazione generale, nel caso di vittoria della guerriglia. Chiaro che le defezioni dei minatori (secondo lui

più

per

maggiore

motivi

del

di

principio

previsto

dei

che

altro)

campesinos

e

sono

l’indifferenza stati

elementi

negativi e anche di delusione. Come è chiaro che l’ultima battaglia è stata una sconfitta militare. malato,

Dice ma

che

il

Che

continuava

a

un

mese

prima

camminare

era

stato

malgrado

molto

fortissimi

attacchi di asma. Il suo morale era molto forte e pure il suo

spirito di volontà e di sacrificio (nel senso della fatica e della difficoltà), anche perché lui, «uomo di città, e oltre tutto uomo di

città

malato»,

doveva

faticare

e

penare

moltissimo

per

sopportare la vita nei boschi della Bolivia. Pombo

smentisce

la

boliviano.

Dice

dell’esercito

combattività che

e

all’inizio

l’efficienza

non

andavano

neanche a raccogliere i loro morti (dice anche feriti, ma questo lo devo indagare meglio perché mi sembra un po’ grossa): dopo la prima imboscata, i guerriglieri diedero tre giorni di tempo all’esercito boliviano per raccogliere i loro morti (si incontrarono con i due medici come da «Presencia»), ma dice che l’esercito non lo fece; quando loro stessi dopo poco tempo incontrarono di nuovo quei morti, si trovarono di fronte a un mucchio di ossa spolpate totalmente dai bichitos. Spiego

a

Pombo

nell’impostazione positivamente.

quella

del

Al

film:

parlare

che pare

delle

è

la

che

mia

intenzione

capisca,

condizioni

reagisce

di

vita

del

campesino in Bolivia, dice una cosa che mi pare abbia un grande

significato

umano:

«Vedere

le

condizioni

di

vita

di

quella gente ci ha dato una grande forza». (Il che significa che l’ideologia da sola non basta e ha bisogno di spinta e sostegni più

umani:

e

«esportare»

questo,

una

per

chi

rivoluzione

si

trova

per

nella

condizione

di

un’altra,

mi

provocarne

sembra un dato concreto sul quale seminare e far germogliare il

proprio

relazione

slancio anche

e

la

alla

propria spinta

vocazione

rivoluzionaria

rivoluzionaria

che

si

in

vuole

provocare negli altri.) P. dovrebbe essere l’asesor della guerriglia. Dice che posti simili

a

quelle

quebradas

nella

Sierra

Maestra

si

possono

incontrare, come dice che i tipi di contadini come quelli della zona di Vallegrande non è difficile incontrarli nell’interno di Cuba e della Sierra. Ci lasciamo dandoci appuntamento ad «analisi» compiuta, più o meno tra un mese. L’aiutante di Barba mi comunica la difficoltà dell’incontro con Aleida perché è sotto check-up e mi annuncia un probabile incontro con Celia Guevara. Ricevo, nel primo pomeriggio, una telefonata da Alfredo che vuole avere dei chiarimenti sul tipo

di

treatment,

perché

sta

mettendo

per

iscritto

un

«documento» di accordo previo (quello studiato nella mattina

p con

Enzo).

Gli

dico

q

che,

essendo

questo

tipo

di

film

particolare, anche il treatment sarà particolare. Rimandiamo comunque una chiarificazione a più tardi, a dopo che saprò se c’è e quando questo incontro con Celia. Mi

vedo

con

Carlos

Franqui:

mi

mette

in

guarda

nel

trattare certi episodi della Rivoluzione, come Alegría de Pio e 13 di marzo, perché il primo costituì un disastro per alcuni errori

e

diversa

il da

secondo quella

perché

di

Fidel

espressione e

da

lui

del

Direttorio,

avversata

come

linea

quella

partitaria del colpo di Stato e della morte del tiranno in seguito ad

attentato,

come

«soluzione».

Mi

suggerisce

di

inserire

l’episodio del 30 novembre (Santiago di Cuba – Frank País) come espressione della lotta cittadina (ci avevo pensato per la verità; però anche il 13 di marzo è importante per esprimere la presenza

dei

fermenti

rivoluzionari

in

più

di

una

località

dell’isola). Parliamo anche dell’atteggiamento dell’Icaic che può

forse

avere

ancora

delle

incertezze,

da

una

parte

giustificate dal tipo di responsabilità e da un’altra da una loro naturale difficoltà ad affrontare le iniziative se non attraverso un processo di dubbi e incertezze burocratiche, di riflesso sulle responsabilità ecc. E poi questa iniziativa è di uno straniero e questo,

come

dappertutto,

pesa

nel

piatto

negativo

della

bilancia. Pepe Aguilar, che viene più tardi in albergo, esprime il parere che in America Latina conviene andare in giro con un paio di macchine targate Italia. Può darsi. Ci avevo pensato anch’io, ma avevo messo da parte l’idea per i dubbi che tali targhe possano dare maggiormente nell’occhio. Comunque ci si può ripensare perché questa soluzione offrirebbe i vantaggi di

poter

studiare

preventivamente

la

sistemazione

delle

macchine da presa, attrezzature, pellicola ecc. e in giro per i paesi il vantaggio di avere un’etichetta da turisti; nelle miniere si potrebbe tentare di entrare con il taxi o affittando macchine locali. Alfredo mi comunica per telefono una richiesta di Aleida (uscita apposta dalla clinica dove è ricoverata per il check-up) di

incontrarsi

con

me.

È

ancora

all’Icaic

a

lavorare

al

«documento». Lo vogliono costruire «incastrante»: è un po’ il peso della responsabilità, un po’ un tipo di rivendicazione sulla «concessione», «dovuta» fare (per interventi soprattutto degli

elementi più concreti, attivi e politici e meno intellettuali che conoscono

bene

«sfruttamento» meschina

il

di

valore

tipo

esigenza

reale

delle

capitalista,

umana

di

e

cose

un

reali)

po’

creare

la

allo

piccola,

difficoltà

anche

inconsapevolmente, quando le cose si avviano per un verso positivo contro la volontà iniziale. Certo che l’intervento dei personaggi alti ha portato la cosa su un piano di interesse più generale e in una sfera che sfugge al dominio (più tecnico) del responsabile di un solo istituto: da una parte la cosa si fa sempre più difficile e rischiosa (e anche eccitante, proprio per il rischio) per me, da un’altra è ormai decisamente avviata alla decisione

finale

(a

esposizione treatment

compiuta,

ma

già

coinvolta fortemente fin da ora). Sto lavorando da quasi cinque mesi, è doveroso continuare, anche se c’è una probabilità di dubbio. La difficoltà maggiore sarà credo, invece, intenderci sul terreno della collaborazione, non agli effetti del risultato, ma del

metodo,

delle

discussioni

ecc.

Me

ne

rendo

conto

dall’incontro con Aleida, anche se dal suo ragionamento viene fuori un’esigenza di verità e di precisione. Ci incontriamo alle 23 e qualcosa. Mi accompagna Alfredo che poi va quasi subito via per raggiungere Enzo in albergo per la discussione del «documento». (Come sempre a Cuba, tutto si discute e si risolve nella ultima notte nella quale si finisce per non andare neanche a letto:

e

anche

questa

volta,

la

consuetudine

non

viene

smentita.) C’è Barba, l’aiutante e Aleida che è molto cordiale e in quel suo atteggiamento ironico, simpatizzante e indagatore che non è solo atteggiamento di attacco tipicamente femminile, ma anche «difesa» di una debolezza tipicamente femminile. È una donna

intelligente,

carica

di

dolore,

amarezza

forza

e

responsabilità: attaccata soprattutto all’idea che non ci siano equivoci

sulla

figura

del

Che,

sul

«fatalismo»,

sulla

sua

ideologia. Parlo,

parlo,

parlo

e

lei

ascolta.

Fa

degli

interventi

dimostrando di avere buona memoria – mi ricorda che nella precedente esposizione (al tempo della mia prima venuta a Cuba) avevo detto (parlando anche dello stile di Giuliano) che l’uso

nel

film

di

materiale

documentario

avrebbe

interrotto

l’unità del film, lo stile unico attraverso un’atmosfera unica. Chiarisco che qui si tratta di materiale documentario filmato da

me,

discorso

e

che

sarà

preciso

materiale

relativo

al

documentario

mondo

che

segue

esterno-interno

del

un

Che

durante il suo periodo formativo. Mostra interesse e accordo. Fa molte domande. Indaga, mi legge dentro, vuole sapere e capire cose e aspetti che neanche io posso ancora sapere. Ma l’impostazione

la

capisce:

la

storia

della

divisione

nei

tre

capitoli anche, sembra d’accordo. Interviene – giustamente – per l’esigenza della conoscenza della guerriglia per me «non guerrigliero che non ho mai fatto la guerriglia e quindi non so cosa sia; se non attraverso la lettura». Ha ragione; preciso che io stesso chiedo questo tipo di collaborazione, anche se ho molte

preoccupazioni

dell’accordo,

sul

modo

sul in

tipo cui

di si

discussioni

arriverà

a

agli

effetti

esprimere

e

a

chiarire la linea ideologica. Ma d’altra parte non ho altra scelta che sottostare a questo tipo di discussioni e di interventi che ho sempre

voluto

evitare,

ma

che

sono

l’inevitabile

costo

di

un’impresa come questa che vuole inserirsi in un avvenimento storico

ancora

vivo

e

vuole

rappresentarlo

in

questa

sua

«palpitante» attualità. È

rischioso

agli

effetti

di

una

eventuale

non

intesa

di

«linee» di «interpretazioni» ecc., ma l’ho previsto e messo nel conto sin dal primo momento. Vedremo che succede. Prevedo che si dovrà parlare molto, ma non è escluso che si arrivi a raggiungere una linea di intesa. Barba è più pratico, anche se richiede in effetti le stesse cose, e ha un senso più reale e «politico» delle cose. Aleida mi promette l’articolo del Che su Machu Picchu; vuole vedere le mie fotografie fatte a Machu Picchu per confrontarle con quelle del Che (dice: «Usted es un artista… me interesa ver los diferentes puntos de vista…»).* È commovente il suo sforzo per riuscire a capire fino a che punto io possa «capire» il Che. Mi chiede ancora di portare al mio ritorno anche le altre fotografie. (Le parlo del Burckhardt sul 31

Rinascimento,

me lo chiede in spagnolo.)

C’è una lunga disputa tra lei e l’aiutante se i guerriglieri avevano tutti le abarcas** oppure no. Secondo lui sì e secondo lei no (il Che avrebbe perso le scarpe nell’attraversare il fiume il 26 settembre). Comunque lei tende a mettere in chiaro che il fatto di avere o non avere le scarpe non è importante agli effetti del giudizio sull’«andamento», sulle «condizioni» della

guerriglia. Come non lo ha il fatto che dovevano assaltare fattorie e case per cibo e medicine (perché è previsto che la guerriglia

si

rifornisca

sullo

stesso

teatro

di

operazione).

Comunque io credo che la difficoltà degli approvvigionamenti in tutti i sensi (e nel primo stadio, quando sono costretti ad assaltare

per

averli,

e

non

ad

averli

con

il

consenso

dei

contadini come può essere il terzo stadio, può senza dubbio costituire un drammatico impedimento se si protrae a lungo nel

tempo)

difficoltà. abarcas

ha

dovuto

Pombo su

senz’altro

stesso

quelle

lo

dice

montagne

costituire

che

per

una

camminare

chi

non

è

grossa con

las

abituato

è

difficilissimo. La disputa si placa con questa conclusione: «Rosi quiere decir che a pesar de las difficultades el moral era alto, la lucha

continuava,

ecc.».*

La

sua

preoccupazione

è

che

il

morale del marito sia stato alto fino all’ultimo. Dice che sarà importante

leggere

il

diario.

Ne

parlano

come

se

avessero

certezza di poterlo ottenere. Cita la frase: «Abbiamo vissuto in un

clima

campestre

ecc.»

che

però

potrebbe

anche

essere

interpretata ironicamente. A conclusione, Barba dice: «Francesco usted vée cuanto interese tenemos nosostros»** ecc., apposta,

alla

presenza

di

Aleida,

e

praticamente questo

esprime

interesse

per

ufficializzare una prima tappa avanzata verso una probabile conclusione. Chiedo se quello è lo studio del Che, è una bella libreria piena di libri, una bella casa, mi sembra un po’ contrastante con i gusti decisamente e ideologicamente antiborghesi del Che, e infatti una battuta di Aleida che è andata a guardare i libri mi conferma l’impressione: la casa del Che era mucho mas modesta.* Questa è la casa di Barba che ride e le fa notare che anche loro per un periodo… Sì ma quando il Che era malato… Sono le 2.00, andiamo via. Aleida fa dello spirito alla sua maniera,

anche

su

Tony

32

Richardson,

per

«provocarmi»

simpaticamente. In albergo incontro Enzo, Alfredo e Raul, vicepresidente amministrativo Icaic. Enzo mi legge il «documento» da loro preparato: c’è un punto controverso, vogliono un po’ tirare la

corda e studiamo il modo di non fargliela tirare troppo. Si fanno le 9 del mattino. Alle 6.00 partenza dall’hotel. *

La motocicletta e la chiatta.

*

Colline e burroni

*

Cespugliosa.

*

Prima colazione.

*

Coltello.

*

Nave da pesca.

*

«Lei è un artista… mi interessa vedere i diversi punti di vista…»

**

Calzature con le suole di cuoio che coprono solo la pianta del piede.

*

«Rosi vuole dire che nonostante le difficoltà il morale era alto, la lotta continuava ecc.»

**

«Francesco lei vede quanto interesse abbiamo.»

*

Molto più modesta.

4 Roma 17 marzo 1968 – 2 dicembre 1968

17 marzo Questa mattina partiamo con Iberia, nel carico di gusanos.* Viene Alfredo, accetta, perlomeno sembra preparato a doverlo accettare, le modifiche all’articolo che non ci piaceva. Alle 22.25 (ora locale, sei ore di differenza) arriviamo a Madrid. Il 17 siamo partiti da Roma, il 17 siamo ripartiti da La Habana e il 17 è un numero che mi piace tanto.

18-31 marzo Roma.

1-2 aprile Roma.

3 aprile Roma. Nel cinematografo quello che più fa imbestialire e quindi avvilisce per il sentimento di impotenza nel quale ti cala, dopo la prima sfuriata, è il fatto che c’è sempre un momento in cui si determinano delle difficoltà, delle soste, degli ostacoli che non dipendono dalla tua volontà. E malgrado la passione e

l’intenzione di andare a tutti i costi avanti, sono delle gravi battute

di

arresto,

sempre

pericolose,

ma

che

possono

diventare addirittura fatali per una «impresa» come questa. Poi succede

anche

che

queste

stesse

soste

sono

servite

per

decantare meglio la materia, dubbi, carica di azione, ma questo lo si può dire solo quando si risolvono positivamente e il film continua ad andare avanti. A oggi sono passate più di due settimane dal mio rientro e, anche

se

non

sono

molti

giorni,

sono

state

sufficienti

per

accumulare una serie di grossi e piccoli intoppi che hanno bisogno

di

una

soluzione

positiva

perché

tutto

si

metta

in

marcia in quella maniera che io reputo indispensabile come ritmo di marcia di questo film. Grossi impedimenti: la firma del «documento» tra Cuba e 1

Pea

che

versione

continua ultima

a

essere

cubana.

rinviata

Come

loro

perché

non

abitudine

arriva

tutto

la

viene

ritardato in maniera esasperante. La clausola di approvazione del film da parte loro assieme a

me,

da

loro

infilata

nel

documento



a

quanto

dice

Provenzale – la notte precedente la nostra partenza e quindi non

in

tempo

utile

già

per

una

discussione

preventiva,

costituisce un grosso impedimento per Grimaldi in quanto in teoria dovrebbe accettare l’ipotesi che il film non esca mai, e per

me

perché,

anche

se

disposto

a

un

controllo

di

tipo

collaborativo con loro, non posso arrivare al punto di dover accettare fino alle conseguenze estreme la loro volontà perché può essere soggetta a influenza di tipo politico o meglio di convenienza politica che possono sfuggire a una valutazione politica

prevedibile

e

discutibile

del

contenuto

del

film.

Il

treatment – come possibilità di intesa sull’impostazione del film – dovrebbe bastare e poi il rischio da entrambe le parti, altrimenti bisognerà trovare una scappatoia a quella clausola che consenta a Grimaldi e a me di assumere le responsabilità complete – sia dal punto di vista finanziario che di autore – nei confronti del prodotto finito. Grimaldi senza la firma del documento non va avanti e lo capisco.

D’altra

parte

c’è

tutta

una

serie

di

decisioni

(collaborazioni soprattutto) che devono essere prese subito. Io non prendo soldi da sette mesi o più e devo mettere a posto la mia situazione. Attendo anche la risposta di Alfredo Guevara

relativa alla mia intenzione di prendere Pepe Aguilar come collaboratore. Alfredo Guevara ha annunciato il suo arrivo a Roma, ma quando? La

difficoltà

dell’organizzatore

del

film

che

verrebbe

a

mancare nei viaggi di tournage la si risolverà con un sostituto. L’operatore fa intanto un altro film e si possono però fare lo stesso dei provini. Grimaldi pone un limite di finanziamento (sui 300 da parte sua: dovrò legare una parte del mio compenso ai rientri? È probabile). Il fatto grave è poi e soprattutto che stando qui il film

cade

in

una

serie

di

ragionamenti,

dubbi,

ipotesi

che

vivono una dimensione tutta diversa dagli stessi fatti là, in mezzo a quella realtà e a quelle urgenze. Va bene che tutto va discusso meglio dal di fuori delle cose, ma non sono convinto che questo procedimento sia il più adatto per questo tipo di film. Il racconto rifiuta la finzione, l’effetto, per la verità, c’è la responsabilità, la sincera umiltà con la quale è affrontato il personaggio

e

l’argomento,

ma

sempre

un

racconto

per

immagini deve essere e deve vivere della forza d’urto e di persuasione delle immagini, con l’ausilio della ragione lucida (linea

ideologica,

pensiero

del

Che

e

statistiche),

ma

non

escluso quello della commozione autentica. Pombo mi diceva a La Habana: «Le condizioni di quella gente sono state un aiuto per noi, ci hanno dato forza». E si tratta di autentici rivoluzionari, e hanno avuto bisogno essi stessi dell’aiuto della commozione. Non si può ridurre il film solo a un discorso di tipo televisivo. È un sacrificio (non è il termine più adatto, ma forse lo è anche) per un regista: non ci sono scene di fiction, tali da eccitare, ma c’è l’urgenza di un certo tipo di discorso ed è su quello che è urgentissimo che io lavori ora per arrivare a una chiarificazione che sia quanto più possibile ferma a delle idee e a una passione e a una esigenza di tipo ideologico.

4-24 aprile [Roma]

25 aprile Alfredo

Guevara,

come

c’era

da

aspettarsi

ma

come

non

avrebbe dovuto accadere, non è ancora arrivato, né ha inviato il «documento» per la produzione, né la risposta al telegramma al riguardo di Pepe Aguilar. Ha annunciato il suo arrivo per la settimana in corso (è arrivato a Londra e poi a Parigi, dove si trova tuttora per l’acquisto di film per l’Icaic). Prima a Enzo Provenzale



al

quale

avevo

fatto

prendere

l’iniziativa

di

cercarlo per telefono – poi a me direttamente attraverso la telefonata di un uruguaiano di passaggio a Roma, Achugar. Lo stesso Achugar mi dice e mi offre notizie e documenti per il Che (le riprese brasiliane tv dell’arrivo del corpo a Vallegrande dovrebbero

essere

a

Roma

tra

una

quindicina

di

giorni)

e

apprendo anche che – ha, hanno, ma chi sono? – fatto un film sull’America film?

C’è

Latina,

la

qualcosa

violenza,

sotto

come

il

Che.

offerta

Che

di

cos’è

vendita

questo o

è

un

progetto autonomo? Non sono riuscito a vedere Achugar ma tornerà a Roma il giorno 8 di maggio. Intanto potrà dirmi qualcosa Alfredo. Il ritardo di Alfredo è stato molto dannoso per i miei piani di mantenere vivo e attivo il periodo di preparazione (Aguilar in Argentina, Guarnaschelli a Cuba ecc.) in quanto Grimaldi è autorizzato ad attendere prima di muoversi, fin quando non si discuta l’articolo 7, la pretesa approvazione assieme a noi, da parte cubana dell’edizione definitiva del film. Pepe Aguilar ha già

telefonato

due

volte

da

Cuba.

Io,

da

parte

mia,

ho

commesso l’errore – psicologicamente parlando – di mettere Grimaldi nella posizione di chi permette al regista di «tentare» un’impresa contratto «fatto»

quasi

impossibile.

«Bruto»

in

praticamente,

«Che», sarebbe

la

Se

avessi

trasformato

sensazione,

diversa,

ora,

o in

il

comunque previsione

il di

difficoltà più serie o di rottura. Le difficoltà ci sono soprattutto per la natura squisitamente politica del rapporto con Cuba e per

l’impostazione 2

chiesto a Solinas

del

film.

In

questi

ultimi

tre

giorni

ho

e Tutino che mandino avanti un discorso di

tipo «esclusivamente» politico per operare una verifica della linea narrativa – contenuti ideologici-politici. Il

rischio

ovviamente, sarebbe

della

ma

ridicolo

genericità

neanche data

la

quello vastità

non di

un

della

può

essere

«trattato» materia,

eluso, che

la

poi

nostra

posizione di uomini di cinema necessariamente condannati alla superficialità nel caso che ci si volesse mettere a spiegare tutta la politica e la storia della A.L., comunismo, imperialismo nel mondo… precisa,

Un

ma

proprio

in

posizioni

filo

una

discorso,

testimonianza

quanto non

di

allo

testimonianza,

ancora

chiare

una

di

posizione

stesso

tempo

rispecchiare fatti

ideologica

il

che

può,

dramma

compresi,

di

di

punti

interrogativi drammatici. Staremo a vedere. In serata Alfredo Guevara mi telefona da Roma.

26-27 aprile [Roma]

28 aprile Vedo Alfredo Guevara solo la domenica 28. Lo aspetto per le 11, arriva alle 12.30. Parliamo: richiesta

di

asserisce Pepe

di

aver

Aguilar

subito

come

detto

di

collaboratore,



alla

mia

negando

il

telegramma da lui inviato e di cui conserviamo l’originale; poi aggiunge che per telefono aveva ribadito il sì, a Provenzale, e solo dopo le nostre insistenze – intimidito dalla sfacciataggine della bugia – ammette che forse il telegramma in effetti poteva essere stato un po’ oscuro. E invece non è oscuro per niente perché c’è scritto: «In riferimento il telegramma di Provenzale (che parlava solo della faccenda di Aguilar) ho risposto per lettera». Questo modo di comportarsi è preoccupante come previsione

di

rapporti,

ma

può

essere

giustificato

da

fatti

interni loro – tentativo non riuscito di scaricare Aguilar – e può essere accettato come necessità, ma sempre rimanendo preoccupati per il sistema. La

conversazione

non

aggiunge

niente

di

nuovo.

Dopo

colazione si incontra da solo con Enzo e ribadisce la ferma intenzione di rimanere nella posizione: o accettazione degli articoli 4 e 7 o niente. Mi telefona alle 19.30. Lo raggiungo a 3

casa di Amado-Blanco.

Mi conferma la conversazione con

Provenzale adducendo però le ragioni: «… ma non capisce Grimaldi che ha da fare con Fidel Castro?». Ci lasciamo con l’intesa che tenterò io una nuova operazione con Grimaldi.

29 aprile Vedo Grimaldi, ma è inutile perché sono convinto anch’io che Grimaldi



e

chiunque

altro

farebbe

e

«dovrebbe»

fare

lo

stesso – non può accettare l’articolo 7.

30 aprile Vado a lavorare a Fregene da Solinas. Mi telefona Provenzale che ci ha raggiunto in proiezione per fissare un appuntamento. Grimaldi (ho pensato di vedere che cosa può nascere da un incontro

diretto

tra

i

due)

non

ha

neanche

interrotto

la

proiezione ed è stato vago, non ha tempo. Il risultato della giornata di lavoro con Solinas e Tutino porta a un passo avanti per quanto riguarda la linea politica – storia di Cuba e rapporto tra il Che e gli avvenimenti nel mondo



e

porta

anche

a

una

ulteriore

e

più

precisa

chiarificazione della mia esigenza fondamentale che è quella di non fare un trattato scientifico-politico sull’argomento. Perché

le

autonomia

immagini di

da

discorso

me

girate

devono

interpretativo

di

avere

un

certo

una

loro

tipo

di

emozione e commozione che io – e tutto il mondo – ho avuto alla conoscenza dei fatti del Che. Non è solo un problema di forma – cioè non fare delle immagini le didascalie di concetti e informazioni – ma di stile. Il trattato scientifico-politico non sta a me farlo in quanto non ho la preparazione politica per farlo né il mio «pensiero» potrebbe essere illuminante al riguardo. È la mia emozione e la mia partecipazione alla causa del Che e dell’A.L. che può giocare un ruolo importante – eventualmente – assieme a una struttura di discorso politico che deve essere indubbiamente chiaro e preciso e inequivocabile. Se i contenuti politici vengono espressi attraverso delle immagini

che

svolgono

un

loro

discorso

autonomamente

persuasivo, qualsiasi posizione radicale o estremista può essere

p

q

p

p

giustificata, altrimenti diventa un’interpretazione politica delle cose affidata solo a concetti, pareri, didascalie, discorsi e come tale discutibile solo sul piano dei concetti, dei pareri, delle ideologie,

dei

punti

di

vista

ecc.

Non

servirebbe

a

niente

un’interpretazione politica che poi sarebbe una chiave – già esistente

negli

avvenimenti

del

mondo



per

spiegarsi

le

necessità e le convinzioni del Che e niente altro. Un film di montaggio

lo

saprebbe

esprimersi

attraverso

immagini

a

fare

questo

commento

di

meglio

di

genere.

me

chi

Mettere

didascalie,

è abituato

insieme

discorsi

a

delle

ecc.

ha

indubbiamente la sua persuasione e la sua utilità ma non vedo l’utilità né per me né per l’argomento che sia io a svolgere questo

tipo

di

metodo

espressivo.

La

ricerca

stilistica

è

comunque difficile, ma non credo impossibile se ci si muove tra

l’emozione-commozione

e

il

filo

logico-politico

del

discorso.

1 maggio Per telefono Alfredo mi dice: «Che lo vedo a fare Grimaldi, per parlare di baseball?». Il suo tono è sempre non ispiratore di cordialità, interesse

e

obbliga

nel

a

progetto

pensare

è

che

affidato

il

alla

«suo»

inerzia

(perlomeno) e

non

a

una

volontà. Dice: «Ho i minuti contati», e io ogni volta che sono stato a Cuba mi sono fermato perlomeno due settimane in più per aspettare appuntamenti, parlare ecc. La volta che dopo cinque giorni sono andato via, venne all’aeroporto alle 7 di mattina «preoccupato» o a manifestarmi le «preoccupazioni» degli

altri

(Llanusa

ecc.)

perché

io

andavo

via

così

precipitosamente. Cioè i «compagni» sono preoccupati, ma lui era preoccupato? Può quello

darsi

che

che

il

preferisce

suo che

atteggiamento questo

film

da non

«sempre» si

faccia

sia

di

(posso

anche capirne le ragioni politiche, ma il non essere chiari porta a

questa

palude

preoccupazioni,

a

dalla mio

quale parere,

bisogna non

sono

uscire). tanto

Le

loro

riguardo

i

contenuti – per i quali avrebbero le più ampie garanzie in me, Solinas e nella loro stessa collaborazione al treatment –, ma per implicazioni e complicazioni politiche future per cui non può esservi via di uscita. Io la fiducia così a loro la darei completa e loro a me? Fidel Castro disse: «È un rischio che

possiamo accettare». (Da tenere presente l’approvazione del treatment).

Comunque

il

modo

di

fare

di

Alfredo

Guevara

dimostrerebbe una linea di intransigenza per provocare una rottura a meno di non ottenere tutto ciò che desiderano, cioè un controllo totale e definitivo. Aspetto tutto il pomeriggio una telefonata annunciata per dopo le 17.00: alle 20.30 non è ancora arrivata. Parlo con Saverio che è andato a Fregene che mi comunica che, dietro una telefonata di Alfredo, Franco è partito da Fregene per incontrarlo.

2 maggio Alfredo fa un salto a casa mia in mattinata: gli articoli 4 e 7 sono per loro, perlomeno per lui, una questione di principio, comunque per superarli, eventualmente, non lo può decidere da solo e quindi deve tornare a Cuba. Ma intanto, quando ci si vede per la linea del film? Prendo appuntamento per il venerdì mattina, il giorno dopo. Solinas

mi

dice

che

Alfredo

gli

ha

confermato

le

loro

intenzioni buone ecc., sempre il solito discorso.

3 maggio Riunione a casa mia: Alfredo, Solinas, Tutino e Provenzale. Ricevuto

la

linea

narrativa

ideologica

facendo

presente

le

lacune, i dubbi miei sul fatto che si possa raggiungere una strada autonoma delle immagini, l’esigenza di poter dire sulla guerriglia alcune cose che siano un’analisi della guerriglia. Alfredo risponde che, pur parlando per proprio conto senza con questo anticipare una decisione di Fidel o del governo cubano, gli sembra imprescindibile e che pensa che sia arrivato il momento di fare questa analisi anche valutando certi errori del Che. Gli dico che, oltre a ritenere io giusta e ovvia l’esigenza del

produttore

all’approvazione

di

non

finale

del

legare film

il da

suo parte

finanziamento dei

cubani,

è

indispensabile per me un margine di libertà dall’approvazione del treatment – che possiamo andare a scrivere a Cuba per

p stabilire

maggiori

p

contatti

di

collaborazione



alla

realizzazione e edizione ultima del film. Conclusione: scrivere un po’ più dettagliatamente la linea e farla avere ad Alfredo entro il 14 a Madrid. Da Cuba potrebbe far

sapere

subito

se

in

base

alla

linea

si

può

arrivare

al

superamento dell’articolo 7. Nel pomeriggio vado da Tonino e gli racconto il film: la sua reazione è negativa per quanto riguarda la necessità di spiegare e raccontare troppe cose storiche e politiche. Dice che si

può

dire

tutto

lo

stesso

attraverso

immagini

«poetiche».

Sono d’accordo sull’esigenza di una sintesi: è il mio problema fondamentale e non escludo che ci possa arrivare, ma penso che

sia

indispensabile

una

spiegazione

storico-politica-

ideologica che illumini il Che che non può essere raccontato solo attraverso le «azioni». Devo arrivare a uno stile che si esprime attraverso un’autonomia «poetica» di immagini che siano

la

mia

visione

delle

cose,

la

mia

emozione

da

comunicare e attraverso la quale comunicare la figura del Che, il suo pensiero, le sue azioni, punteggiata da ponti informativi storici altrettanto importanti per far comprendere la figura del Che. Un’altra delle difficoltà è nella faccia. Tonino dice la devi vedere, lo devi amare: io penso che bisogna vederla ma non fino a farlo diventare protagonista di un film romantico sul personaggio. Il mio vorrebbe essere un film storico in cui il personaggio, espressione di un mondo e di una ideologia, non sovrasti né l’uno né l’altra e che non distragga soprattutto l’attenzione e la tensione per la visione globale delle cose. Se si sceglie la strada del personaggio materializzato fino a fargli prendere il sopravvento, bisogna poi stare alle regole e «raccontare» il personaggio direttamente. Io vorrei che il personaggio, anche se visto poche volte, continuasse a far sentire il suo peso anche senza la sua presenza fisica.

4 maggio Penso

che

bisogna

senz’altro

procedere

alla

scrittura

della

scaletta-linea-quasi treatment da consegnare ad Alfredo entro

il 14.

5-7 maggio Lavoro di raccolta del materiale per la scrittura della scaletta. Decisione che la scaletta, non avendo il tempo di allargarla perché come niente la ricchezza del materiale la porterebbe al treatment, sarà una correzione e ampliamento di quella già fatta.

8 maggio A Fregene.

9-15 maggio La lettura della scaletta ultimata non soddisfa: viene deciso di migliorarla e di inviarla a Cuba attraverso Saverio.

16 maggio Esposta questa linea di condotta a Grimaldi. L’interesse di Grimaldi è, ovviamente, diminuito.

17-21 maggio Lavoro per le correzioni alla scaletta.

22 maggio Vedo

Grimaldi.

Gli

chiedo

un

po’

di

soldi.

Non

fa

molte

difficoltà: chiede a che titolo, gli rispondo: «Per il contratto che abbiamo per un film, comunque». Chiarisce che non si è impegnato di fare Guevara «a tutti i costi». Neanche io lo voglio fare «a tutti i costi». Ma l’impegno a «tentare» di farlo esiste anche da parte sua, non l’ho certo obbligato. Gli ricordo di avergli chiesto più di una volta di chiarire a se stesso i

motivi della sua decisione e di pensarci, e che la sua decisione è

stata

invece

sempre

quella

di

non

pensarci

perché

consapevole di volerlo fare. Questa sua precisazione di oggi dimostra il contrario. Lo tranquillizzo che, se la precisazione è fatta per mettere le mani avanti in vista di una mia eventuale richiesta

di

adempimento

contrattuale

nel

caso

che

non

si

faccia il film, si sbaglia, stia tranquillo. Dice che non è questo. Comunque, si va avanti e si decide di non aspettare oltre il 10 giugno (la risposta da Cuba).

23-26 maggio La

nuova

scaletta-linea-treatment

è

pronta:

venticinque

cartelle. Decisamente si capisce che tipo di film si vuol fare, anche se presenta ancora lacune e ripensamenti.

27 maggio Saverio Tutino parte per La Habana con la scaletta tradotta in spagnolo.

28 maggio [Roma]

29 maggio Consegnata la scaletta a Grimaldi. Si riparla dell’impegno a fare il film. Gli chiedo qual è la sua intenzione, nel caso che Cuba risponda affermativamente. «Sempre che il film rientri in un costo “ragionevole” partiamo.»

30 maggio Grimaldi dice a Provenzale che, avendo letto la linea, non vuole fare il film. È antiamericano e non è quello il film che vuole fare. Vado a Milano. Sull’antiamericanismo del film se ne

è

parlato

mesi

fa,

nelle

occasioni

citate

di

richiesta

a

Grimaldi di pensarci bene. «Certo il film sarà antiamericano, ma dipende da come si fa…» E siccome nel cinema questa formula, «dipende da come si fa», costituisce il margine di ambiguità nel quale è conveniente muoversi, si finisce sempre per aggirare l’ostacolo senza prendere una decisione in tempo. Naturalmente, se non ci fossero i dubbi della decisione di Cuba, il terreno sul quale misurarsi sarebbe più chiaro: ma il problema

non

è

quello



in

definitiva



se

decidere

di

trasportare sul contratto per un altro film i trenta milioni di spese oppure no. Il problema vero è quello di fare o no questo film… e sono terribilmente in alto mare, trasportato da maree che non sono la mia volontà e che non posso controllare.

31 maggio [Milano]

1 giugno Grimaldi

partito

per

l’America.

Apprendo,

in

seguito,

che

prima di partire ha avuto una conversazione telefonica con Solinas deciso

a di

proposito prima

a

dell’antiamericanismo non

fare

e

ecc.,

comunque

forse

meno

«colpito»

dalla

proposta di Solinas di fare una società a parte pubblicizzando la sua intenzione di finanziare certi autori e certi progetti anche senza

dover

necessariamente

condividere

le

loro

posizioni

ideologiche. È evidente, comunque, che Grimaldi è uno che fa marcia indietro da un momento all’altro. Lo avevo previsto da quando ho avuto i primi contatti con lui: il «salto di qualità» dai film che faceva a quelli che vuole fare diventa insostenibile per

uno

che

è

finanziatore

ma

non

produttore.

La

marcia

indietro che sta facendo è su tutto il fronte: con Fellini la situazione è ancora più grave. Contribuisce naturalmente la paura per l’esito delle elezioni con la prospettiva di un periodo senza governo ecc., i fatti in Francia ecc. Telefono a Gallo (Italnoleggio) ma è a Pesaro.

2-9 giugno

[Roma] Parlo con Saverio a La Habana. È pessimista: dice che Alfredo Guevara ora è impenetrabile. «Il mio parere è quello della direzione…» Poi mi manda un telegramma dal quale esce fuori che tutto il

ritardo

sarebbe

addebitabile

all’assenza

di

Castro

da

La

Habana… e il fatto che Aleida Guevara non abbia ricevuto il soggetto anche quello dipenderebbe dalla stessa ragione. L’attesa si fa sempre più logorante. D’altra parte se volessi decidere di fare il film senza Cuba troppi motivi validi mi convincono del contrario. Per capire Guevara bisogna capire cosa è stata la Rivoluzione cubana. Tentare di fare di questo film una specie di documento politico nel quale Guevara non sia

tanto

un

situazione

uomo

da

«raccontare»

internazionale,

significa

ma

un

reagente

secondo

me

a

una

implicare

Cuba con tutto quello che significa un clima di partecipazione umana e politica. Intanto gli altri cominciano o annunciano l’inizio. 4

Paolo Heusch con Rabal.

Comincia il lunedì 11. Rabal si 5

è trovato a fare Giuliano nel progetto Amato mio,

quindi,

la

situazione

è

recidiva.

all’epoca del

Lizzani

annuncia

Intolerance: l’intolleranza per una nuova ondata di nazismo che si è abbattuta sul mondo (!). Non mi pare che le cose stiano così. Fleischer (XX Cent. Fox) pare abbia scritturato Sharif. Quest’ultima, da un punto di vista commerciale, e quindi decisione di Grimaldi, è il più pericoloso. Lizzani è fastidioso per la faccenda Volonté al quale avevo cominciato a pensare. L’argomento superato

dagli

di

«attualità»

avvenimenti

presenta

oltre

al

il

rischio

pericolo

di

di

essere

trovarsi

nel

mezzo di una mischia come quella che si è creata intorno al Che. Basterebbe questo per avere voglia di rimandare: a voler fare le cose seriamente oggi si rischia di essere ampiamente superati da quelli che questa serietà non ce l’hanno per niente. Ma si può lavorare con la preoccupazione di «fare più presto di un altro» che se no ti mangia la polpetta nel piatto? Negli affari

è

stimolante,

qualcosa…!

ma

esprimersi,

fare

un

film

per

dire

10 giugno [Roma]

11 giugno Oggi, più o meno, scatterebbe la data limite data ai cubani. Loro dei limiti di date se ne fregano, beati loro! E quindi ora deve dipendere tutto da una mia decisione, oltre che da quella di Grimaldi, aspetto ancora un po’… proprio perché è duro affossare qualcosa alla quale hai lavorato per otto mesi…

12 giugno Parlo con Saverio a La Habana, Alfredo gli ha riferito che la cosa è nelle mani di Fidel al quale è stato anche detto che non dare

una

risposta

entro

questa

settimana

equivarrebbe

a

decidere per il no. Llanusa avrebbe detto che credeva che «la cosa fosse già avviata». Gli

ho

Grimaldi,

e

risposto quindi

facendogli

oggi

più

presente

che

mai

c’è

le

titubanze

bisogno

di

un

di sì

incoraggiante da Cuba. Alla luce degli ultimi avvenimenti nel mondo, mi pare che la coerenza di Guevara sia l’aspetto suo da esaltare maggiormente nel film.

13 giugno Il preventivo è portato a 300 milioni, escluso la regia e incluso un alto compenso per un attore (Gian Maria Volonté). Ho fatto fare una proposta a Volonté: non è l’ideale (forse, sulla mia quasi-decisione, gioca il fatto di voler ricorrere a un attore, comunque, e quindi il non voler stare a impazzire inutilmente dopo mesi di infruttuose ricerche. La somiglianza tra Volonté e il Che nella fotografia a colori, il fatto che fosse già segnalato per

il

progetto

pensarci…).

È

di

Lizzani

arrivata

(quando

anche

una

io

avevo

risposta

cominciato entusiasta

a di

Volonté, il quale prega di prendere una decisione al più presto, perché si possa regolare con i suoi impegni.

14-19 giugno Da Cuba nessuna notizia, comincio a pensare a un crollo di tutto il progetto. Comincio anche a uscire dalla «chiusura» mentale e passionale sul solo progetto Che e mi guardo attorno per

vedere

su

che

mettere

le

mani

per

aprile:

un

nuovo

discorso dopo cinque mesi dedicati infruttuosamente al Bruto e alle tre morti di Kennedy, Pio XII e Stalin e gli otto mesi dedicati al Che… comunico a Provenzale l’idea L’eccezione e la regola, Brecht.

20-22 giugno [Roma]

23 giugno A Ischia, dove sono andato con Carolina e Giancarla, arriva una telefonata di Saverio da Cuba. Non si sente, ma immagino, ed è sempre così quando la tensione di passione e di fatti su di un progetto di cinema si allenta, è quello il momento in cui invece «gli altri» cominciano a muoversi.

24 giugno Provenzale, da Roma, parla con Cuba: conferma il punto di vista espresso sopra… i film su Guevara ora sono tre e già in corso… Grimaldi è impaurito o comunque tiepido… io non posso

continuare

mandare

avanti

a

le

occuparmene cose

assieme

en alle

amateur… loro

Decido

concrete

e

di

vere

possibilità, senza cioè far dipendere in tutto la mia vita da un’idea e dalle decisioni altrui, che, malgrado il mio disegno abbastanza abilmente portato avanti fino a oggi, sono troppo pesanti per poter essere manovrate completamente sulla strada da me voluta… si tratta di decisioni di Fidel Castro ecc.

25-30 giugno

La

mia

decisione

è

saggia:

queste

famose

comunicazioni

positive da Cuba, infatti, non sono ancora arrivate. Mi muovo intanto sempre più per il Brecht. In un incontro tenuto il 27 con Grimaldi e nel quale gli ho detto del Brecht, si è tornati sull’argomento Che… di nuovo dell’impressione di eccessivo antiamericanismo, acredine ecc. Con Grimaldi non so fino a che punto potrà funzionare bene usargli dolce ma ferma violenza, ma non credo che per ora ci sia altra strada, perché attendere e dipendere dalle sue decisioni

significherebbe

non

muoversi

più…

anche

l’altro

sistema è pericoloso ma d’altra parte non c’è alternativa e non c’è scelta, data la storia dei miei rapporti e dei miei progetti…

1 luglio Ritelefona Saverio a Ischia da La Habana. Annuncia una vera definitiva apertura positiva.

2 luglio Da

Roma

insistono…

riparlo Gli

con

dico:

Saverio:

«Va

bene,

sono aspetto

loro

adesso

che

comunicazioni

e

decisioni» (che intanto non arrivano). Gli faccio presente che ora i tempi sono diversi, che non può più uscire sulla coda degli altri filmetti fatti sull’argomento… Intanto a Cuba hanno stampato il diario del Che, sui giornali esce l’annuncio della pubblicazione con prefazione di Fidel… La decisione che ha preso Castro di apparire come mandante e organizzatore della guerriglia ha un peso e un significato preciso (prendersi la sua parte di responsabilità ora che il Che viene attaccato non solo dai russi ma anche dai cinesi) e credo che sia dipesa dal fatto che cominciava a essere già troppo pubblicizzata (Rojo, la pagina di diario da me inviata a Cuba come prova di una diffusione anche così periferica della cosa ecc.).

3-17 luglio [Roma]

18 luglio In tutto questo periodo ancora un paio di comunicazioni da Saverio

da

l’articolo

La

7

Habana

può

essere

e

un

telegramma

superato

con

che

un

annuncia

rapporto

che

stabilito

direttamente dall’Icaic con me. Ho fatto rispondere a Saverio chiedendo, a questo punto, una comunicazione ufficiale con la quale

poter

rimontare

la

situazione

presso

il

produttore:

continuare en amateur non è più possibile, non solo, ma non ne

ho

più

voglia

dopo

tutto

quello

che

ho

fatto.

Grimaldi

indeciso su tutto, era travolgibile e mi era riuscito di farlo fin quando non è stato creato tanto massiccio peso negativo.

19-22 luglio Mando avanti il progetto L’eccezione e la regola da Brecht.

23 luglio Arriva

un

telegramma

di

Alfredo

Guevara

da

La

Habana,

datato 21 luglio, e invita me e Provenzale a partire il giorno 23 (!!!). Rispondo con un telegramma ad Alfredo che per ora non mi

è

possibile

muovermi

subito

ma

che

gli

comunicherò

tempestivamente le mie possibilità e di conseguenza quelle di Provenzale. È tipico del cinema – è ormai nelle regole non smentite che rarissimamente – che quando ci si allontana da un progetto perché non si crede più nella possibilità di realizzarlo malgrado e a causa dei grandi sforzi e della tensione tenuta, il progetto poi ti riassale. Ora

sono

pieno

di

cautele:

1)

malgrado

le

insistenze

cubane, non credo che sia tanto facile arrivare a una soluzione che faccia rimontare Grimaldi al livello di adesione al quale lo avevo tenuto fino a poco fa. 2) La lettura del diario del Che impone un rilievo maggiore – come ho sempre sostenuto – ai 199 giorni e un approccio forse diverso al problema Mario Monje. Comunque ora la mia decisione è quella di mandare avanti il progetto Che e il progetto Brecht per non rimanere come un salame dopo un anno e mezzo di lavoro e tentativi.

Se il Che può andare avanti subito, meglio, altrimenti fare prima il Brecht (e montare il Brecht, per il tipo di resistenza sorta

che

oppone

Grimaldi,

è

anche

quella

una

fatica

limbo

nella

improba!). Grimaldi

deve

uscire

da

una

situazione

da

quale ama essere immerso per non prendere responsabilità e affrontare la sua parte di adesione attiva. Devo assolutamente avere un incontro conclusivo con lui a questo proposito.

24-28 luglio A Londra per parlare con Steiger per il Brecht. In serata a Fregene, di ritorno da Londra, parlo con Saverio da La Habana che mi chiede quando vado. Gli rispondo con il contenuto del telegramma inviato ad Alfredo Guevara. Insiste.

29-30 luglio Parlo con Saverio a La Habana: insiste. Lo metto al corrente della notizia stampa e mia rettifica. (Rinuncia al film sul Che.) Mi chiama Alfredo Guevara da La Habana. È deluso che non possa andare subito. Dice che la notizia stampa lo ha lasciato «muy frio». Gli spiego della rettifica. Gli comunico che farò di tutto per anticipare mia andata là.

5 settembre Mi

telefona

preoccupato

da del

La

Habana

mio

Pepe

silenzio.

Aguilar.

Sono

Mi

dice

costretto

che

quindi

è a

informarlo delle difficoltà che ho con il produttore. Del resto, spero che si saranno resi conto che se siamo arrivati a questo punto

lo

si

deve

solo

alle

stronzate

e

perdite

di

tempo

di

Alfredo.

6 settembre Ho finalmente un incontro con Grimaldi. Parlo tre ore. Ma è inutile. La mentalità non è fatta per capire né per voler capire

le ragioni storiche di una scelta che poteva anche – e ne sono sicuro – coincidere con le ragioni di una conveniente impresa commerciale, per lui. È la paura politica che gli impedisce di andare avanti, di rischiare. Si deve essere legato sempre di più agli americani che, d’altra parte, non è escluso che gli abbiano fatto

delle

pressioni.

Gli

faccio

la

proposta



come

da

suggerimento di Tonino che è una conferma d’altra parte di idea che avevo covato in embrione – di farmi partire subito per l’America Guevara

del e

Sud,

una

sull’America

girare

serie

Latina

roba

che

televisiva

nel

quale

ci

può

o

servire

alle

sia

a

brutte

Guevara,

fare

un ma

il

film senza

ricorrere a Cuba. Non reagisce: vuole i conti e le previsioni di ripresa, capitali ecc. La proposta era utile perché comunque mi avrebbe permesso di saltare un momento di fermo che sarebbe – in ogni caso – la andata a Cuba e le nuove dismissioni e i nuovi accordi e i nuovi dubbi e le nuove sabbie mobili di una indecisione ecc… Da questo film ne esco solo se comincio a girare e non dovrei avere padroni di nessun genere, né produttori italiani né protettori-controllori-estimatori

cubani.

Ma

come

farlo

da

solo? I soldi della distribuzione ecc. è un problema!

9 settembre Monsignor Morandini, segretario della nunziatura apostolica di

La

Paz,

viene

a

cena

a

casa:

c’è

Tonino,

Bulù

oltre

Giancarla, poi viene Antonella, in seguito siamo raggiunti da Furio

e

Marco.

Morandini

mi

riferisce

che

gli

amici

di

«Presencia» più di una volta hanno ripreso notizie riguardanti le mie dichiarazioni sull’intenzione di insistere, malgrado le difficoltà, nel tentativo di realizzare il mio progetto di film sul Che. Morandini spinge con la mondanità del diplomatico e forse anche con un fondo di sincera stima. Riferisce che la situazione

in

Bolivia

è

sempre

più

confusa:

Barrientos

e

Ovando insieme nel pericolo e ognuno per conto proprio in pace

(ma

quando

6

Arguedas direttori

ispirazione



la

pace?).

Barrientos

sarebbe

Cia.

ha agito con tutti che sapevano. Bailey, uno dei due

di

dirigente

c’è

«Presencia»,

attivista,

di

è una

rivoluzionaria.

diventato

un

attivista,

organizzazione

«Noi

(“Presencia”

se

non

cattolica è

cattolico

di e

finanziato dai preti) lo lasciamo fare fin quando non diventa troppo pericoloso.» Si è lasciato crescere la barba. Gli studenti si

muovono:

tutto

si

muove;

i

minatori

«non

possono

muoversi» e questo lo si sa. La diplomazia di Morandini è un 7

freno a un discorso libero. Non ama Hélder Câmara

e questo

rientra nella sua funzione, oltre che nella sua costituzione. È molto simpatico e furbo come e più di una vecchia volpe.

13 settembre Vinco

la

nausea

prodottami

dall’ennesimo

ritorno

sull’argomento e cerco di scuotere un’ultima volta Grimaldi richiamandolo a un senso di rispetto verso se stesso che non dovrebbe consentirgli di far dileguare un progetto come nebbia al sole dopo un anno di lavoro mio e di impegno – anche se ora discusso – suo. Ammette candidamente che si tratta di paura politica e che deve stare a sentire dagli americani come la

prenderebbero

se

lui

facesse

il

film.

Nega

che

le

preoccupazioni siano di natura economica. Mi chiede ancora sette giorni per arrivare a una conclusione.

14 settembre Vedo

Franco

Solinas:

ha

ricevuto

una

visita

di

Grimaldi

(Provenzale dice che dopo il mio ultimo colloquio lo ha visto «scosso») che gli ha parlato del progetto Che. C’è anche la paura economica, oltre la politica. Solinas gli ha rinnovato la proposta della società nella quale non dovrebbe impegnarsi ideologicamente, ma limitarsi – ufficialmente – a una scelta di autori che stima e che vuole aiutare. Parlo un poco con Franco del film: io sono sempre dell’idea che si possa fare un film con una lunga introduzione riguardante la collocazione politicasociale

e

l’avventura

i

precedenti boliviana

storici, durante

dalla la

quale

quale,

fare però,

emergere dovrebbe

ritornare a più riprese la natura sociale e politica ed economica del Terzo mondo. Franco ha qualche dubbio sull’impiego del personaggio in quanto tale, io no. Ha anche dubbi sull’azione di Guevara. I dubbi che sono legati agli errori sono però legati alla natura appassionata del Che e sono un contrasto spiegabile con la sua teoria. Un teorico lucido, ma non tanto da evitare di

finire travolto dal carattere passionale delle sue stesse teorie e se si esamina il problema con occhio non europeo lo si può 8

capire. La teoria del foco di Guevara

è diversa da quella di

Debray. Per il primo credo che si tratti di stabilire che è un motore,

per

il

secondo

che

è

l’unico

motore

e

quindi

teorizzabile in maniera quasi astratta, mentre in Guevara non c’è niente di astratto; di utopistico sì, ma non di astratto.

15 settembre Federico Fellini mi viene a trovare nella casetta di Fregene. È molto caro: mi mette affettuosamente, sinceramente in guardia dai pericoli dell’inazione. Lui ci è passato e ne sa qualcosa. Non faccio fatica a dargli ragione. Da qualche giorno mi sto scuotendo

da

un

dolce

avvelenamento

che

mi

aveva

preso

negli ultimi due, tre mesi: ho voglia di fare, ma la mente e la passione,

forse

l’orgoglio

anche,

mi

riportano

sempre

sul

progetto Che, anche se comincio a pensare a qualcosa per riempire o rompere. Per es. ritorno a Ritratto della mia città, un’ora

di

racconto

libero

su

Napoli,

per

la

televisione.

Federico è entusiasta dell’idea, dice che la farebbe anche lui ecc., che può parlane a Bernabei, a Gencarini, ma io penso che è meglio parlarne a Fabiani, giornale televisivo e Tv7 per via della

maggiore

libertà

politica.

L’entusiasmo

di

Federico

è

generosità e anche euforia per la sua decisione di mettersi in un ingranaggio a pieno ritmo lavorativo. Ha ragione ma può anche avere torto se poi finisce per mollare con se stesso sul rigore della ricerca per una scelta. Il Satirycon potrà essere 9

bellissimo, ma il Mastorna

lo avrebbe dilaniato di più in una

ricerca se non altro per fare i conti con se stesso.

16 settembre Combino

una

proiezione

di

La

hora

de

los

10

hornos

di

Solanas, c’è anche l’autore. Il film ha il difetto di essere troppo enunciativo e reiterato negli argomenti: è una nobilissima e utile iniziativa, ma senza il racconto di una materia.

19 settembre

In seguito a una sua telefonata, mi incontro con l’ambasciatore di Cuba preso la Santa sede, Amado-Blanco, molto amico di Alfredo Guevara. È dell’opinione – e dice che lo ha detto anche a Cuba – che il film deve essere italiano e l’accordo con Cuba

non

ufficiale.

«Errori

inevitabili»

sono

quelli

che

ammette attribuibili alle lungaggini ed esitazioni burocratiche di Alfredo. Comunque, lui si offre per suavizar todo,* cercare di facilitare le cose, propone un incontro con il produttore ecc. È

evidente,

se

non

lo

fosse

già

abbastanza

attraverso

i

telegrammi e le telefonate, un’intenzione da parte di Cuba di non perdere il contatto e da parte di Alfredo, probabilmente, di non

volersi

assumere

la

responsabilità

di

un’azione

che

avrebbe fatto sballare l’iniziativa. Mi

muovo

intanto

contemporaneamente

con

Cristaldi

e

l’avv. Carpi. Sono entrato nella determinazione di tentare di combinare il film anche da solo e con Cuba o senza Cuba. Cristaldi

aspetta

Noleggio,

l’avv.

Feltrinelli,

e

di

vedere

Carpi

Carpi

è

come

è

va

una

l’Interfilm

l’avvocato

di

possibile (dietro

Feltrinelli)

via

c’è e

Ital-

anche gli

ha

preparato un promemoria.

24 settembre Dalla bocca di Grimaldi, strappatogli con la fatica che ti fa fare solo un indeciso su tutto, esce: «Non me la sento di fare questo film».

25 settembre L’avv. Sabelli incontra Grimaldi il quale nega di avermi mai manifestato la volontà di fare il film e dice che tutto quello che è stato fatto lo ha fatto per «farmi piacere». Che l’avv. Sabelli «senta Provenzale se vuol conoscere la verità». L’avv. Carpi mi comunica che la mentalità dei distributori fa sì che il fatto che ci sia già un film «Che Guevara» e che l’America

annuncerà

impedimento

decisivo

la a

lavorazione non

far

di

prendere

un in

altro, esame

sia il

un mio

progetto. Aggiunge che nell’ambiente si dice che il motivo

addotto

da

Grimaldi

ai

suoi

dubbi

e

alle

sue

perplessità

è

proprio il progetto XX Century Fox.

27 settembre Vado a colazione con Gorodisky che mi rinnova la proposta di portargli qualche progetto e torna timidamente all’idea di quel film mafia-sbarco alleato in Sicilia che avevo poi rifiutato.

1 ottobre Todini (De Laurentiis) mi offre un film su un negro che in Vietnam,

avendo

combattuto

ed

essendo

decorato,

si

sente

come i bianchi e quando torna in America e si ritrova a essere nero ecc… non gli resta che sparare. A parte il tema logoro (già gli stessi americani l’hanno fatto sugli ebrei ecc.), che cazzo ne so io della «società» americana da «penetrarla» con un’analisi?

Perché

per

un

film

del

genere

l’unica

strada

sarebbe un’analisi approfondita di una società. Rifiuto. Penso che, malgrado tutte le riflessioni sullo spostamento di interesse da temi italiani a temi universali (internazionali), un tentativo da fare sarebbe quello di restituire al cinema italiano una sua fisionomia.

Trattare

proprio

quel

per

un

tanto

tema di

italiano

universale

sprovincializzandolo

che

può

contenere,

e

lasciare anche quel tanto di autenticamente «nazionale» che dovrebbe essere un elemento di interesse. Torno con l’idea a Napoli come umanità di vermi, che soffoca, Terzo mondo di casa nostra. Scoprire il Terzo mondo in casa nostra, sarebbe 11

giusto! Qualche sera fa, Vincenzoni,

12

in presenza di Lopert,

mi dice: «leggi Drum». È una storia di un negro. Ora tutto il cinema, qui e in America e dappertutto, si «butta» sul negro e con quella ambiguità tipica del cinema e di un certo cinema che si nasconde dietro un alibi, nel migliore dei casi, perché nella maggioranza dei casi fanno anche a meno dell’alibi. A proposito di negri, Andrea Barbato e Furio Colombo mi hanno

proposto

anche

loro

una

storia

di

negri,

ma

questa

potrebbe contenere la possibilità di uscire fuori dall’equivoco dell’alibi e oltre tutto non richiede neppure l’analisi di una società. In un certo modo, è una storia astratta pur se concreta, perché

procede

attraverso

un’esemplificazione

di

contrasti

ideologici. Pur con le difficoltà dell’argomento, della lingua ecc., è una cosa da prendere in considerazione.

2 ottobre Mi incontro all’Excelsior con il gruppo Columbia. Sono sette tra americani e inglesi: quello che sembra più autorevole o, perlomeno, il più rispettato e ascoltato, è giovane, simpatico e con un’aria intelligente. Vogliono scavalcare il «produttore» italiano. Si sono accorti finalmente che rappresenta per loro uno svenamento. Espongo sulle generali le due idee, quella su Napoli

e

equivoci

quella sul

sui

mio

negri,

e,

proprio

personaggio,

perché

espongo

non

il

ci

siano

tutto

sotto

un’angolazione politica, ideologica, pur facendo attenzione a mettere in forte evidenza gli aspetti umani e sociali. Sui negri c’è

una

certa

resistenza

pregiudiziale:

«Attenzione

a

non

eccitare gli animi», «Il problema negro è nato con Noè ecc.», «Noi stessi adesso facciamo Malcolm X ma bisogna che un film sia istruttivo, costruttivo e non distruttivo altrimenti la legge non lo fa uscire ecc.». L’altra idea sembra che non cada nel vuoto. «Naturalmente tutto dipende da come si sviluppano drammaturgicamente le situazioni.»

E

certo

siamo

d’accordo.

Quando

ho

roba

da

leggere, mandare. Giancarla mi ricorda che avrei dovuto tentare con l’affare Brecht. Ha ragione, ma d’altra parte quello ha già venduto al produttore del musical…

4 ottobre Parlo con Carlos Franqui che è a Venezia a casa di Nono, «Non hanno

rinunziare». fatto

da

È

una

Cuba!

parola,

Lui

no,

dopo

tutte

perché

le

non

cazzate

è

che

certamente

d’accordo con Alfredo Guevara, ma più ci penso e più mi convinco che l’unico colpevole è stato Alfredo; con una buona dose di giustificazione all’inizio, ma da un certo punto in qua senza

più

alcuna

giustificazione,

cioè

della

dell’articolo 7. Cercherò di vedere Carlos a Milano.

richiesta

5 ottobre Mi

chiama

Ermanno

Olmi.

Lo

avevo

chiamato

per

uno

scrupolo. Gli devo accennare alla faccenda che le distribuzioni sono condizionate dall’idea che esce il film XX Century Fox con Sharif. Comunque mi richiamerà martedì, al ritorno da S. Marino. Il film su Napoli si fa strada: c’è materia, ne sono sicuro, ma non so fino a che punto universale, per ora perlomeno. E ricorrere a un fatto che dia suspence non so fino a che punto sia utile o giusto. Dovrei leggere qualcosa su questo Charles de Foucauld per rispondere ad André Michelin che vuole fare questo film.

8 ottobre Viene Carlos Franqui a Roma. Lo metto al corrente di tutta la situazione.

In

base

anche

alla

sua

esperienza

personale

frustrata in Cuba per colpa dell’Icaic – dice lui – (Loin du Vietnam,

libro

su

Fidel,

per

questo

non

Icaic),

pur

riconoscendo le grandi qualità di Alfredo, conferma in parte la convinzione che mi sono fatto che tutto ha preso la piega che ha preso per difficoltà burocratiche. Io personalmente sono convinto che, a parte la giusta, fino a un certo punto, titubanza sull’opportunità di fare il film, c’è stata una serie di difficoltà provenienti

proprio

da

una

certa

mentalità

responsabile

di

Alfredo e dalla sua funzione di direttore dell’Icaic che non poteva limitarsi ad appoggiare a tutti i costi uno «straniero» nella sua intenzione di fare questo film. Va bene, cioè può anche avere la sua giustificazione tutto ciò, ma allora dove va a finire la differenza tra Cuba e il resto?

10 ottobre Mi

telefona

Alfredo

da

La

Habana.

Mi

chiede

«estas

filmando?».* Sarebbe tropo facile rispondergli mandandolo a fare in culo: mi limito a metterlo al corrente dei miei passi che urtano contro la realtà delle «uscite» degli altri due prodotti concorrenziali. Mi dice che verrà in Europa alla fine del mese come se volesse farmi qualche proposta. La natura di mistico

nell’ideologia e nell’applicazione di essa, di Alfredo, credo che sia la vera – e sotto quell’aspetto, giustificabile – ragione del

suo

comportamento

che

sicuramente

ha

mostrato

una

contraddizione: per quasi tutto il tempo – e cioè sette mesi – dubbi, incertezze, diffidenze; e poi, da tre mesi a questa parte, insistenze come se, di fronte alla conseguenza che nel mondo per il momento ci sono le due edizioni di film sul Che, non certo le più vicine a una seria intenzione, tutte le incertezze debbano cadere. Ma

era

facile,

per

uno

che

non

sia

un

mistico

e

che

conosce come vanno queste cose, specie nel cinema, prevedere che sarebbe andata a finire così! E quindi, sapendo oltre tutto con

chi

tempo!

si

aveva

Dando

a

che

fare,

dimostrazione

«gettarsi di

nella

mischia»!

intelligenza

politica,

Per oltre

tutto, come aveva ben capito subito il suo capo!

11 ottobre Vado dall’ambasciatore cubano presso la Santa sede, AmadoBlanco, molto amico di Alfredo. Gli riferisco della telefonata con Alfredo e gli comunico che gli ho detto che, per forza maggiore, il progetto va rinviato. Secondo quanto detto dallo stesso

Blanco,

occorre

che

io

aspetti

una

«opportunità

opportuna». Suggerisco all’ambasciatore di fare o far fare da Aleida

un’azione

contro

i

film

realizzati

o

in

corso

di

realizzazione sul Che.

14 ottobre Ho un colloquio con Grimaldi per riprendere il discorso con lui. Dice che ha intenzione di fare non uno ma due film con me. Gli parlo dell’idea di Napoli; mi chiede di quella dei negri (Colombo e Barbato), gli piace, ma lo avverto che è un film politico

anche

quello,

poi

mi

parla

lui

di

Cent’anni

solitudine e si interessa per una opzione sui diritti.

24 ottobre

di

Parlato

con

Pepe

Aguilar

che

è

a

Madrid.

Ha

da

dirmi

qualcosa di importante che non può dirmi per telefono. Lo invito a Roma perché non ha soldi per il viaggio e d’altra parte io non ho tempo per andare tranquillamente a Madrid e poi capisco che gli fa piacere venire a Roma.

26 ottobre Arriva Pepe: ha deciso di tornarsene in Argentina, a Buenos Aires. È stato a Cuba cinque anni e ha scoperto a Cuba di essere argentino. Io credo – e così viene fuori dai suoi racconti – che è Alfredo Guevara ad averlo obbligato ad accorgersene: infatti

lo

mise

in

condizioni

di

dover

dare

le

dimissioni

dall’Icaic. Opinioni, punti di vista e notizie di Pepe Aguilar: •

La responsabilità di Alfredo Guevara riguarda l’andamento negativo del progetto del film. Pepe suppone – pur non avendo

elementi

avrebbe

condotto

concreti la

di

cosa

giudizio

così

per



che

addirittura

preferire

un

altro

progetto, quello di Tony Richardson con il quale ha una relazione personale di amicizia. •

Quando venne in Italia – al momento in cui con Solinas e Tutino

lavoravamo

alla

preparazione

di

una

linea

ideologica del film – Alfredo non aveva avvertito nessuno dei dirigenti a Cuba: quindi ulteriore perdita di tempo in quanto

continuazione

personali

di

Alfredo

di

discussioni

che

avrebbero

inutili

su

potuto

posizioni

già

essere

modificate in partenza dietro conoscenza del parere degli altri e quindi avrebbero permesso di guadagnare tempo qua. •

L’impuntatura sull’articolo 7 e sull’articolo 4 è quello che ha fregato tutto. La decisione di voler trattare solo con me poteva essere presa tanto tempo prima e Grimaldi aveva ammesso di volerla prendere in considerazione.



Aleida gli disse sulla tribuna a Santa Clara che lo riteneva responsabile dell’esito negativo. Il consiglio di Pepe è di andare a parlare personalmente a

Cuba e di non trattare più a Roma dove ad Alfredo può riuscire

meglio il suo gioco (e la perdita di tempo). Secondo

Pepe,

Alfredo

verrebbe

qui

come

mi

ha

annunciato per raccogliere una mia rinuncia. Lasciare invece tutto sospeso a una mia intenzione di non rinunciare (mia vera posizione d’altronde) e rimandare la decisione a Cuba non appena in grado di disporre di elementi positivi. Al momento in cui Alfredo inviò il telegramma invitando me e Provenzale a così stretto giro di giorni (due) a partire per La Habana, c’era stata decisione da parte di Fidel e Aleida. Secondo

Pepe

(cosa

che

non

sarebbe

neanche

a

conoscenza di Alfredo) Fidel e Aleida avrebbero deciso di fornire a me gli elementi contenuti nei diari del Che di tutto il periodo da quando sparì da Cuba (Congo ecc.), perché oltre tutto questa sarebbe stata una forma politicamente valida di divulgazione

(dato

che

contengono

cose

che

potrebbero

compromettere Cuba se divulgate direttamente). Un produttore spagnolo, Terejeta, sarebbe interessato. Pepe ha ricordato che il

Che,

dopo

aver

visto

Giuliano,

disse

che

quel

regista

avrebbe dovuto fare [un film] sulla Rivoluzione cubana se un giorno fosse stata presa questa decisione.

31 ottobre Pepe

riparte

per

Barcellona-Madrid-Puerto

Rico-Buenos

Aires. Gli pago io la differenza: è un ragazzo che merita di essere aiutato. Gli ho fatto vedere Roma e Napoli. È servito anche

a

contatto

me

andare

in

panoramico

giro e

con

occhi

sintetico

da

con

straniero una

per

un

situazione

contradditoria tra civilizzazione esterna super industriale ed eterni

immutabili

problemi

di

fondo

che

mutano

solo

per

non

un

peggiorare, colonizzare e schiavizzare. Cos’è

altro

l’urbanizzazione

di

Napoli

se

colonialismo? Prendiamo quel vicolo traversa di Forcella dove c’è il palazzone moderno nello stesso spazio e con quattro, cinque, sei, sette volte di più, la gente. Serve a capire tutto. E il Vaticano a Roma e il cinismo romano. Ora, a che punto sono io a un anno di distanza dal giorno in cui ho progettato il film su Che Guevara e l’America Latina? •

Sempre appassionato all’idea.



Sempre fiducioso che valga la pena, anche con il rischio di sbagliare o dire cose incomplete.



Sempre

mosso

da

un

interesse

ideologico,

artistico,

personale ecc. che mi impedisce seriamente di passare ad altre serie passioni che si accendono in questo periodo, invece, e si spengono come lampadine con i fili interni già consumati e prossimi a finire definitivamente. È come un amore che, anche se uno ha deciso che deve finire, non finisce mai. E bisognerebbe buttarsi a capofitto in qualcosa d’altro anche se non ti muove quanto quello di prima. Ho tentato varie strade locali per riprendere in mano il progetto su una differente impostazione produttiva, ma con risultati negativi. Mi

resterebbe

tentare

con

vari

produttori,

distributori

esteri, ma l’idea di tutta la trafila mi terrorizza per il tempo che ci vuole e perché dovrebbe farla qualcun altro e non io. Mi fa paura anche l’idea di dover ricominciare con Cuba, Alfredo Guevara, le attese, le cineserie politiche ecc. Il tempo che si perde. Ci vorrebbe qualcuno che mi aiuti: un uomo dall’abilità e simpatia di Tonino Cervi e seriamente messo sulle cose come lui non si impegna, o politicamente e pasticcionamente abile come

Pietro

Notarianni

che

però

è

incasinato

al

punto

di

straparlare… che cazzo farò per venire fuori da questo periodo di merda nel quale sono immerso sino al collo e del quale si può solo venire fuori troncando netto in un senso o quello suo contrario?

2 novembre Ho deciso, comunque, di andare avanti con il progetto del Che: si farà quando si potrà, prima o dopo un altro film, ma per nessuna ragione voglio – per quanto riguarda la mia volontà – lasciare

finire

così

stupidamente

e

miseramente

una

«passione» che corrisponde a un interesse profondo, a una scoperta,

a

un

accostamento

umano

e

a

un

processo

di

chiarificazione politica interna – e a un anno di lavoro. Alfredo Guevara vedremo come risponde, come reagisce.

Mi vedo con Pietro Notarianni perché penso che, attraverso di

lui,

mi

è

più

possibile

manovrare

all’interno

dell’Ital-

Noleggio: e penso anche che la tortuosità politica – tendenza naturale in Pietro – sarà il terreno sul quale si potranno meglio intendere

con

Alfredo

Guevara

lasciando

lavorare

me

«abbastanza» tranquillamente, per quanto ci creda poco. Ma, d’altra parte, non c’è altra scelta se uno vuole fare il film in un certo modo, con la collaborazione di Cuba: e la strada da me scelta da sempre, non solo è questa, ma sono convinto che è la più giusta proprio per questo tipo di scelta che obbliga poi a questo tipo di difficoltà. Pietro aderisce per natura – cioè per voglia di stare sempre in

mezzo



per

elezione

politica

e

per

necessità,

cioè

convenienza di stare, sempre all’interno dell’ente che più gli interessa e nel quale ha bisogno di ristabilire un suo prestigio, comunque attorno o dentro un progetto di questo genere.

3 novembre Viene

Enzo

Provenzale

a

casa:

esprime

il

suo

parere

favorevole a Back to Africa e la sua «preoccupazione» che i contenuti

ideologici

un’osservazione preoccupazione spettacolare venire

e

fuori

si

sovrappongano

addomesticata che

di i

un

film

svolgimento contenuti;

dal

mestiere,

mantenga di

ma

ai

una

avvenimenti è

fatti. cioè

sua dai

È

dalla

validità quali

un’osservazione

far

giusta

trattandosi di un film che deve marciare su due binari – come questo – i fatti e i contenuti. Che poi è il problema di sempre, risolto, per quanto mi riguarda in Giuliano più che ne Le mani sulla città dove il dibattito ideologico era mantenuto allo stato vergine

di

idee

che

facevano

passare

in

secondo

piano

gli

avvenimenti stessi. Pare che Grimaldi sia interessato pur esprimendo le solite preoccupazioni

di

natura

politica

che

non

si

può

non

pretendere che vengano da un uomo come lui. D’altra parte, è proprio da questo giro alterno di interesse, paura, furbizia che possono essere mandati avanti oggi certi progetti che vogliono essere

cinema

di

idee

vende

e

ti

consente

che

dignitosamente.

e

allo

Altrimenti

di il

stesso

tempo

andare piccolo

cinema

avanti film,

più

che o

poi

meno

spaccatutto,

ma

temo

che

sia

un

discorso

da

«giovani»

anagraficamente

parlando. Noi forse non saremmo più capaci, perché abituati o «viziati»

da

una

storia

personale

del

nostro

lavoro

che

coincideva con una storia generale, nel senso che ognuno si inseriva

in

un

tipo

di

discorso

ideologico

generale

che

costituiva la nostra forza e la nostra protezione. Ed era proprio il tentare di fare un certo tipo di film senza contravvenire in maniera totale a certe regole di commerciabilità ecc. Oggi per poter fare qualcosa di veramente valido fuori dagli schemi e dagli accordi e dalle concessioni, bisognerebbe proprio uscire 13

totalmente fuori dai sistemi. La Cina è vicina, Escalation,

15

14

Grazie zia,

non sono certo esempi di quello che dico, anzi

tutt’altro. È un finto essere giovani, di giovani già nati vecchi con tutti i nostri vizi e le nostre concessioni, rispolverate però abilmente

e

ripresentate

con

l’occhio

e

con

l’orecchio

ben

attento al pubblico. Giuliano e Le mani sulla città restano – a parte la loro vitalità estetica – proprio per la loro coerenza e il loro rigore di opere che escono o tentano di uscire fuori da certi schemi e da certe regole. Un film deve essere visto dalla gente, deve essere didattico e questo è il massimo che si possa permettere

di

coerenza

morale

e

di

sforzo

di

opposizione

all’interno di un sistema. Altrimenti, sperimentare, ma nella maniera

più

rivoluzionaria

della

sua

concezione,

alla

impostazione, alla realizzazione. E allora non si possono fare giochetti più o meno riusciti di accordi, concessioni ecc. Beninteso, se ne vale veramente la pena. Ma chi lo decide se non l’autore e la validità dell’opera compiuta? E allora, o un produttore mecenate o un autore libero che rinuncia in partenza a tutto, accettando il rischio di prendere poi, o non prendere del tutto. Rivedo Mino

Pietro

Guerrini,

Notarianni.

amico

di

Da

voci,

Alfredo

cose

Guevara)

dette pare

ecc. che

(da la

predilezione di Afredo per Tony Richardson esistesse ed esista davvero. Vedremo. Chiedo a Pietro di mettermi in contatto con i capoccioni dell’Ital-Noleggio e dell’Ente di gestione. Poi gli preciso che: •

film italiano



collaborazione e approvazione treatment dopo di che mia libertà



papocchi

politici

ridotti

all’indispensabile

e

comunque

fuori di me perché ne ho i coglioni pieni •

impegni scritti



esclusione conseguente di Cuba in altri progetti sul Che.

8 novembre Mi incontro, presente Pietro Notarianni, con Pasquale Lancia a Cinecittà.

Gli

espongo

il

progetto

del

film

sul

Che,

le

condizioni politiche, il carattere di italianità del film ecc. È molto

interessato,

perlomeno

lo

dimostra,

e

naturalmente

subordina tutto alle decisioni da prendere in sede collegiale, politica ecc. Enzo Provenzale dice che gli ha parlato giorni fa e che Lancia era per il «no» (ragioni politiche).

12 novembre Sono a Roma, arrivati nel pomeriggio Alfredo Guevara e Saul Yelin. Pietro Notarianni mi riferisce di aver parlato anche a Mario Gallo con esito positivo.

13 novembre Vengono

qui

a

casa

Alfredo

Guevara

e

Saul

Yelin.

Come

sempre con Alfredo è difficile stabilire un rapporto «caldo». È sempre tutto ufficiale. «Siamo, e non solo io in quanto sono interprete dei sentimenti dei compagni a Cuba, sempre per appoggiare e sostenere la tua iniziativa audace ecc.» Questo impedisce di portare il discorso sulla sua responsabilità nel ritardo e quindi nel fallimento del progetto per quest’anno. D’altronde

non

sarebbe

neanche

un

discorso

realistico

e

concreto. Registra la mia «urgenza» a fare altre cose prima del Guevara. Nota che, quindi, passerà perlomeno un anno. Dico che certo, passerà non meno di un anno.

Propone di farlo tutto a Cuba, con l’apporto di materiale documentario

che

hanno

(il

pezzo

dei

brasiliani)

e

dato

il

livello di qualità raggiunto dai loro tecnici («questo è stato l’anno del salto»), riservando a me un mercato, e facendo una società fuori Cuba e appoggiandosi a un piccolo produttore nell’Occidente. Gli rispondo che il problema oggi più di prima è quello di fare un film sulla situazione generale dell’America Latina in rapporto a Che Guevara e che quindi non lo si può fare tutto a Cuba. E che, oltre tutto, un film fatto tutto a Cuba (anche se sotto

etichetta

differente)

avrebbe

sicuramente

difficoltà

di

diffusione. Dopo aver perso un anno, io ora non ho nessuna fretta. L’importante è farlo bene. Però se i loro interessi sono altri… «Anche noi abbiamo interesse a fare le cose seriamente… certo che i film che escono ora ci daranno fastidio, ma ci penseranno

localmente

i

giovani

a

fare

giustizia

copia

per

copia» (e in questo senso non accoglie la proposta da me fatta di una azione legale a nome della vedova di Che Guevara). Mi riannuncia che Santiago Álvarez farà anche lui, senza fretta, un film documentario sul Che e che quello sarà l’omaggio dell’Icaic al Che e ai rivoluzionari. Gli sembra una buona cosa quella dell’eventuale accordo con l’Ente di gestione. A colazione con Pietro Notarianni ripetute le stesse cose.

Dal 14 novembre al 2 dicembre La mia possibilità di intesa con Alfredo Guevara sul piano umano continua a essere molto scarsa: riconosco che è molto intelligente, molto colto, molto abile, ma la sua impostazione mistico-politica, oltre a costituire un filtro tra me e lui sul piano di una «simpatia» umana, che si realizzi attraverso il calore autentico degli incontri, è sicuramente la ragione prima della non riuscita del progetto del film. Pietro possibilità

Notarianni di

annuncia

finanziamento

fuori

che della

avrebbe

trovato

eventualità

Ente

la di

gestione, ma da quel momento è sparito e non si è fatto più vivo.

Guevara

è

partito:

gli

ho

riconfermato

di

non

aver

rinunciato al progetto e che gli farò avere notizie non appena le date degli altri miei impegni mi consentiranno di poter fare un programma preciso. Apprendo che sceneggiatore (o unico autore) del film di Fleischer è Mike Wilson: sono curiosissimo di sapere qual è la strada che ha seguito uno dei «dieci» cacciati da Hollywood e tornato ora a lavorare a Hollywood di fronte a un film che sicuramente deve affrontare anche sul terreno dell’ideologia. La conclusione a oggi è che bisogna lasciar passare del tempo:

non

tanto

per

questi

progetti

(che

indubbiamente

costituiscono la difficoltà pratica), ma anche per un necessario processo di decantazione di tutta la materia. E così, chiudo per il momento questo episodio del mio lavoro e della mia vita, con una sensazione di castrazione per aver esaurito un processo di preparazione di un progetto e per non averlo potuto esprimere. *

Gusanos, vermi, è l’appellativo dato dai rivoluzionari agli anticastristi che lasciavano Cuba.

*

Addolcire tutto.

*

«Stai girando?»

Che Guevara Soggetto di Francesco Rosi

Il

film

non

significato

vuole

essere

convenzionale

una al

biografia, quale

un

perlomeno certo

nel

tipo

di

cinematografo ha aderito quando si è trattato di raccontare la vita di un uomo che, per una ragione o per un’altra, è uscito dai

limiti

storia.

delle

Io

Salvatore

ho

sue

già

vicende

fatto

Giuliano:

mi

personali

qualcosa riferisco

di

per

simile

appartenere con

naturalmente

il

mio

allo

alla film

stile,

al

modo di raccontare una serie di avvenimenti in maniera che lo spettatore possa assistervi non solamente per subire i fatti, ma per parteciparvi, come se fosse chiamato a prendere coscienza di quello che accade sullo schermo, quasi a sentirsi attore egli stesso

di

quegli

avvenimenti

che

formano

la

storia

di

un

momento della vita di un Paese, ma che è un momento della vita stessa dell’umanità. E «Che» Guevara fa parte ormai della storia, come fa parte della dinamica della storia lo sforzo della Rivoluzione cubana di uscire dai limiti nazionali per proiettare la carica del suo entusiasmo rinnovatore in un movimento che comprenda tutti i popoli dell’America Latina. Poco

importa

come

esattamente

sia

morto

il

Che,

le

coincidenze di tutti quegli avvenimenti che hanno portato i suoi nemici insperatamente a eliminare fisicamente chi si era fatto alfiere di una rivoluzione che ha fatto parlare di sé il mondo e che costituisce ormai il riferimento di tutti i popoli oppressi del Terzo mondo, la spinta per il risveglio di quanti, vivendo nell’avvilimento di dover combattere quotidianamente solo

per

soddisfare

dell’uomo,

non

quelli

possono

e

che non

sono

i

vogliono

bisogni

primari

aspettare

che

la

risoluzione di questi bisogni venga affidata a un tipo di lotta organizzata

su

masse

organizzate.

Quando

il

popolo

non

è

nemmeno in condizioni di avere coscienza della forza dei suoi diritti, c’è bisogno di chi crei questa condizione, di un impulso motore, cioè, che muova questa forza. Questo impulso è la

q scelta

di

un

uomo

e

di

p

un

gruppo

di

uomini

pienamente

coscienti del tipo di sacrificio al quale si votano, posizione romantica e lucidamente ideologica assieme, come nel caso del Che. Come lo hanno ammazzato, quante volte e come lo hanno fatto morire, ricostruire gli ultimi momenti della sua generosità di uomo che aveva messo la sua vita a servizio di una grande idea, il riscatto di tutti gli oppressi dell’America Latina; le contraddizioni, il caso, le menzogne di un Potere militare che si

sente

insicuro

e

che

ha

fretta

di

sotterrare,

bruciare,

nascondere chi è la sua condanna vivente, chi rappresenta il pericolo, il richiamo potente, perché va avanti con la forza dell’esempio e non solo delle idee teorizzate, al risveglio della coscienza di quanti hanno bisogno di vedere, di toccare per credere che il riscatto può essere un fatto concreto, e non solo una ispirazione. I

fatti:

Come

sono

è

quelli

stato

circostanze

che

che

possibile hanno

interessano uccidere

fatto



che

alla

mia

narrazione.

quest’uomo, il

cerchio

si

le

varie

chiudesse

intorno a lui, lo sprezzo per il pericolo che forse ha giocato una parte importante negli ultimi avvenimenti di questa storia, la generosità dell’esempio spinto fino alla sottovalutazione del pericolo stesso. E

intorno

liquidare,

e

al

corpo

intorno

al

ferito

l’accanimento

corpo

senza

vita,

di

chi

poi,

lo la

deve fretta

malaccorta di chi deve sbarazzarsene, quasi a voler seppellire uno

spettro

che

incute

timore,

ma

lo

spettro

continua

ad

aggirarsi con la forza delle sue idee. E dall’immagine di quel corpo ormai senza vita fisica, far venire fuori la vita che c’è stata, il passato: ma il passato di un uomo al servizio di una idea e non solo semplicemente gli avvenimenti che formano via via la personalità di un uomo. La scoperta della sofferenza di un popolo che non era suo solo perché abitante della sua stessa nazione, ma suo in quanto uomo

di

un

appartengono

più a

vasto

più

continente

nazioni,

quasi

dove tutte

i

popoli

legate

oppressi

dalla

stessa

lingua, tutte sicuramente legate dallo stesso tipo di schiavitù economica, anche se da una differente storia. Il Guatemala, un momento in cui la coscienza già apertasi sulla realtà di un certo tipo di sofferenza, dolore che chiama

p altro dolore, si approfondisce nella conoscenza delle ragioni di questa condizione di sofferenza. E l’incontro poi con Fidel, che in altra parte dello stesso continente

aveva

consapevolezza,

sentito

in

più,

le

della

stesse necessità

urgenze,

con

la

dell’organizzazione

della lotta armata. E la grande avventura della Rivoluzione cubana, l’epopea della

sollevazione

sforzo

per

di

affermare

un

popolo,

una

l’invasione

rivoluzione

sociale

dell’isola, che

lo

cambierà

istituzioni, ordinamento sociale ed economia di un Paese nella determinazione,

mai

risolta

prima

di

allora,

di

scuotersi

dall’oppressione prepotente del Potere economico. «Altre terre nel mondo reclamano l’aiuto dei miei modesti sforzi.

E

io

posso

fare

quello

che

a

te

è

negato

dalle

tue

responsabilità di fronte a Cuba. È giunta l’ora di lasciarci.» È un programma chiaro, la divisione di due tipi di responsabilità che si integrano, due uomini chiamati, ognuno per la strada che gli compete, a portare avanti la lezione della Rivoluzione cubana fuori dei limiti nazionalistici, al di là degli interessi solo del proprio Paese. Il ritorno sul corpo senza vita esposto sulla fredda pietra, nella lavanderia dell’ospedale di Vallegrande, è il ritorno a una realtà di più limitato respiro; l’inchiesta sui fatti, miseri nel loro accadimento di avvenimenti non sostenuti da una forza morale,

in

un

succedersi

di

particolari

che

hanno

la

triste

funzione di compiere un destino, una vocazione che, nata nella consapevolezza della possibilità di morte, in essa si conclude ma non si esaurisce. Quando ha giocato il caso? Quando le debolezze umane, il confluire

delle

dell’ultimo

atto

differenti di

strade

questo

che

dramma

ognuno ha

dei

vissuto

personaggi per

proprio

conto? I guerriglieri, i minatori, i contadini, i giornalisti, i soldati, gli indios dallo sguardo che non si capisce se indifferente o solo

impaurito,

i

rangers,

i

personaggi

taciturni,

ambigui,

responsabili ma che non vogliono apparire tali, tutti attori della complessa, intricata ma pur chiara storia che si è svolta intorno al Che vivo e al Che morto.

La taglia, miserabile vantaggio per chi era stato chiamato invece a prendere coscienza e a godere dei propri diritti. Se

a

noi,

che

in

un

minuscolo

punto

della

mappa

terrestre assolviamo al dovere che andiamo predicando e

poniamo

al

servizio

della

lotta

tutto

ciò

che

disponiamo, e cioè la nostra vita, il nostro sacrificio, se a noi capitasse uno di questi giorni di esalare l’ultimo respiro su una qualsiasi terra, che è nostra, bagnata dal nostro

sangue,

valutato

il

ognuno

significato

consideriamo

niente

dovrà

dei

sapere

nostri

altro

che

che

atti

e

abbiamo

che

elementi

del

non

ci

grande

esercito proletario, pur sentendoci orgogliosi di avere appreso dalla Rivoluzione cubana e dal suo più alto dirigente

la

grande

atteggiamento

in

lezione

questa

che

parte

proviene del

del

mondo:

suo cosa

importano i rischi o i sacrifici di un uomo o di un 1

popolo quando è in gioco il destino dell’umanità?

E i rischi e i sacrifici degli uomini non cessano perché la lotta armata continua in America Latina come nelle altre parti del

mondo

dove

c’è

l’umanità

oppressa

da

una

parte

e

oppressori dall’altra. Non so, e non vedo come potrei prevederlo sin da questo momento,

se

in

questo

film

adopererò

scene

di

attualità

documentaria: agli effetti dell’unità drammatica e stilistica del film vorrei farne a meno, anche perché è mio convincimento che non bisogna temere di riprodurre la realtà per grandiosa e storica che sia, proprio per trascenderla dal suo dato realistico e trasferirla in una dimensione in cui la realtà venga illuminata dal

valore

avvalersi

ideologico. con

particolare

Ma

vantaggio

importanza

non di

è

escluso

documenti

storica

ed

che

il film

possa

cinematografici efficacia

di

realistica.

Ugualmente non posso sapere fino a che punto e in quale percentuale di sviluppo drammatico avrò bisogno di «attori», professionali

o

improvvisati

che

siano,

che

interpretino

i

personaggi storici di questo film. Certo è che ne avrò bisogno, come è certo che per quanto riguarda il Che (come spero si sia capito dalla mia esposizione di questa prima impostazione di struttura interessa,

narrativa ma

la

del

film)

personalità

non

è

la

recitazione

dell’uomo,

che

è

che

riuscito

mi a

determinare i fatti e che dai fatti stessi è stato determinato.

Uno

sguardo,

possono precisa

una

illuminare e

sviluppata

battuta sul

definitiva

carattere

articolazione

di

al

un

momento

uomo

psicologica;

più

giusto, che

tenuto

una

conto

della difficoltà di trovare chi possa interpretare il Che e tenuto conto

del

fatto

che

nel

linguaggio

cinematografico

la

psicologia di un uomo può venire a volte costruita più dal montaggio delle conseguenze delle sue azioni che dalle sue azioni stesse. A riguardo poi della somiglianza più o meno esatta, che ovviamente con ogni sforzo di ricerca dovrà essere la più soddisfacente ed efficace, va considerato che la mia intenzione è quella di fare un film che circoli nel mondo e non nella sola Cuba, dove del Che e degli altri personaggi storici di questa vicenda si conoscono sembianze, gesti e voci al punto di

scoraggiare

chiunque

si

accinga

a

un’impresa

di

riproduzione creativa. Il problema esiste forse più per Fidel, e per il momento non vorrei pensarci, anche perché non sarei capace di risolverlo se non decidendo sin da ora di ricorrere a pezzi di repertorio documentaristico, cosa che per il momento vorrei non fare. Francesco Rosi 12 novembre 1967 La Habana, Cuba

Che Guevara Treatment di Francesco Rosi

Basta prendere la vita di un indio, accompagnarlo attraverso le tappe

obbligate

della

sua

breve

esistenza,

della

sua

sopravvivenza biologica. Basta confrontare questa condizione umana

con

le

forme

evidenti

di

un

potere

straniero

che

si

alimenta su di essa. Basta allargare lo sguardo: così è in Perù, in Bolivia, in Cile, nel Nordest brasiliano, in Columbia, in Guatemala… e in Africa… e in Asia. Nel

Vietnam,

le

forme

dell’imperialismo

non

sono

più

soltanto «economiche». C’è la guerra. In Europa, c’è il benessere. Nei parlamenti, si discute. La tragedia

del

popolo

vietnamita

viene

affrontata

con

le

sfumature, le cautele, le comprensioni della politica e della diplomazia

tradizionali.

Nelle

piazze

i

comunisti

chiedono:

«Pace nel Vietnam»… «Due, tre, molti Vietnam…» L’atmosfera stagnante di un Occidente compiaciuto del proprio benessere viene lacerata improvvisamente

dalle

manifestazioni

del

movimento

studentesco: «Creare due, tre, molti Vietnam…». Accanto agli slogan, i ritratti di Lenin, Mao, Ho Chi Minh. E il ritratto di Che Guevara. El deber de todo revolucionario…* Un

elicottero

delle

forze

aeree

boliviane

vola

sulle

montagne di Vallegrande. Avvolto in una coperta, legato a un pattino dell’elicottero, il corpo del Che morto. «Se a noi, che in un minuscolo punto della mappa terrestre assolviamo al dovere che andiamo predicando e poniamo al servizio vita…»

della

lotta

tutto

ciò

di

cui

disponiamo:

la

nostra

Il

cadavere

del

Che

viene

avvolto

dalla

coperta,

preso,

trasportato. Intorno a lui, sempre, una piccola folla curiosa e sbigottita di soldaditos, indios, ufficiali boliviani, giornalisti. E c’è

qualcuno

impedisce

che

alla

si

gente

distingue di

tra

tutti:

avvicinarsi

al

con

modi autoritari

cadavere.

È

l’agente

della Cia. Un

generale

boliviano

espone

ai

giornalisti

la

versione

ufficiale della fine del Che: morto dissanguato in seguito alle ferite riportate nel combattimento. Il

referto

dei

medici

smentisce:

il

Che

è

morto

immediatamente dopo essere stato colpito da una pallottola al cuore. Come e quando è morto effettivamente il Che? Nella scuola di La Higuera, il Che è seduto in terra, la schiena contro il muro. Due ufficiali boliviani lo interrogano. La risposta del Che è uno schiaffo: l’ufficiale lo fredda con un colpo al cuore. Subito dopo entrano altri militari che crivellano di colpi il corpo abbattuto al suolo. Nella scuola di La Higuera, il Che è seduto in terra, la schiena

contro

il

muro.

Si

spalanca

la

porta

ed

entra

un

sergente dei rangers. «Alzati in piedi!» «Perché, se mi devi uccidere.» Il sergente finge di uscire, poi si volta e lascia partire una raffica. Entrano altri militari che crivellano di colpi il corpo abbattuto al suolo. Nella scuola di La Higuera, il Che è seduto in terra, la schiena contro il muro. Nella penombra i due ufficiali entrano nascondendo le armi. Poi uno spara alle spalle e l’altro gli scarica l’arma in pieno petto. Poi entrano gli altri militari che lo finiscono. Il

presidente

Barrientos

dichiara

che

il

corpo

è

stato

sepolto in luogo segreto. Il generale Ovando Candía dichiara che è stato cremato e che solo due dita sono preservate per il riconoscimento delle impronte.

All’Avana Fidel Castro parla ai cubani: «Empiezan a llegar todas

estas

noticias

de

que

si

fue

enterrado,

de

que

si

lo

desenterraron, de que si fue incinerado, de que si despues le habian contado una mano, de que si el dedo, toda una serie de noticias

ademas

opinion

hay

de

macabras

possiblemente

contradictiorias…

algo…

que

debe

ser

En

la

mi

causa

fundamental de todas estas cosas extrañas. Y es el temor al Che despues de muerto…».* Il corpo del Che su una tavola di pietra della lavanderia dell’ospedale Nuestro Señor de Malta. I suoi occhi sono aperti, fermi

nell’immobilità

della

morte.

Le

sue

labbra

sono

dischiuse. Sembra che sorrida… «Ogni-nostra-azione-è-un-grido-di-guerra-control’imperialismo…» Guatemala, 1954. Imperialismo economico: United Fruit. La ferrovia è United Fruit. L’impresa elettrica è United Fruit. Il telegrafo è United Fruit. La radio è United Fruit. I porti, le compagnie

di

navigazione,

la

terra

coltivabile 1

Fruit. Il governo democratico di Árbenz

sono

United

tenta di attuare la

riforma agraria. È qualcosa di nuovo per l’America Latina. Il

Che

portuale. quanto

è

è

in

Vuole

Guatemala. provare

faticoso

Puerto

quanto

sollevarlo

e

Barrios:

pesa

un

portarlo

lavora

casco

di

durante

come

banane, un’intera

giornata di lavoro di uno schiavo dell’United Fruit. Árbenz non impone la riforma agraria, ma la discute con i legali dell’United Fruit. E

la

risposta

dell’United

Fruit

è

un

esercito

di

millecinquecento mercenari che invadono il Paese. L’esercito non oppone resistenza. I contadini difendono con il machete le loro speranze. Vengono massacrati. Che: «In Guatemala era necessario battersi e nessuno ha combattuto. Era necessario resistere, nessuno lo ha fatto». In quella stessa epoca in altri Paesi del Terzo mondo si combatteva. Santiago di Cuba. Alle prime luci dell’alba, si prolunga ancora la notte di carnevale. Un gruppo di uomini attacca il Cuartel Moncada. Li guida Fidel Castro.

La stampa comunista latinoamericana disapprova: «Questo è avventurismo». Algeria.

Aurès.

Un

gruppo

di

insorti

tendono

un’imboscata. È l’inizio dell’insurrezione armata. La stampa comunista francese disapprova: «È fare il gioco dei colonialisti». Vietnam. Dien Bien Phu. I comunisti vietnamiti obbligano alla resa l’esercito colonialista francese. Santiago di Cuba. L’assalto al Moncada è fallito. L’esercito di Batista dà la caccia ai superstiti. Si accanisce contro di loro. Li massacra. È il 26 luglio 1953. Le strutture e le scritte delle raffinerie

di

petrolio

nordamericane

dominano

la

città

silenziosa e atterrita. Oggi il Moncada è una scuola. In un’aula dell’edificio c’è il museo fotografico della rivoluzione. Una serie di immagini. Rivivono

in

esse:

l’arresto

di

Fidel,

il

suo

processo,

la

prigionia a Isla de Pinos, la scarcerazione… e il Messico. L’incontro di Che Guevara con Fidel Castro: «Fidel, in questo

momento

mi

ricordo

di

molte

cose. 2

conobbi nella casa di Maria Antonia…».

Di

quando

ti

«Lo conobbi in una

di quelle fredde notti di città del Messico e ricordo che la nostra prima discussione riguardò la politica internazionale. Poche ore dopo di quella stessa notte, all’alba, io diventai uno dei partecipanti alla spedizione.» Fidel Castro «… primero se hundirà la Isla en el mar antes que consintamos en ser esclavos de nadie…».* All’alba del 2 dicembre 1956 le coste dell’isola di Cuba si disegnano nella foschia dell’orizzonte. Il

Granma

faticosamente.

Il

è

sballottolato

battello

non

ha

dalle spazio

onde.

Avanza

sufficiente

per

gli

ottantadue uomini della spedizione. È il nuovo tentativo di Fidel Castro. Las

Coloradas.

Il

battello

si

arena

sul

bassofondo.

Gli

uomini sbarcano carichi dei loro zaini e delle loro armi. Il faticoso avanzare nell’intrico dei manglares.** Gli aerei di

Batista.

I

mitragliamenti.

La

fuga

nei

canneti

verso

la

Sierra…

Allegria

del

Pio.

La

trappola.

L’inferno

della

sparatoria. I canneti in fiamme. Inseguiti, dispersi, sterminati. Sono rimasti in pochi, con Fidel Castro. Fra questi Che Guevara. Estate 1958. La grande offensiva dell’esercito di Batista. In lunga linea, avanzano a rastrello i casquitos, i soldati della dittatura. Facce di contadini, feroci o atterrite, inconsapevoli… Le due lunghe file di guerriglieri dalla Sierra discendono verso la pianura. Si congiungono. Avanzano in colonna. E il cielo diventa nero. Piove. Gli uomini affondano nel fango. Cresce il vento. Aumenta. Il ciclone investe la colonna, la rompe. La spazza via. Ma la marcia continua… Non c’è più vento. L’aria è tornata ferma, soffocante. Il fango

si

è

indurito.

Gli

uomini

sono

scalzi,

laceri,

feriti.

Continuano ad avanzare, le due colonne di Camilo Cienfuegos e di Ernesto Guevara. I quindici superstiti del Granma sono diventati un esercito ribelle

e

poi

un

popolo

in

armi

che

come

un

fiume

entra

all’Avana… Vallegrande. Il corpo del Che è su una tavola di pietra della lavanderia dell’Ospedale Nuestro Señor de Malta. I suoi occhi sono aperti, fermi nell’immobilità della morte. Le sue labbra sono dischiuse. Sembra che sorrida… All’Avana,

il

popolo

in

armi

come

un

fiume

invade,

sommerge, dilaga e si confonde con la folla. E

poi

continua

cancelli

dell’United

miniere

di

ancora. Fruit:

Matahambre.

Invade

le

riforma Entra

campagne. agraria.

nelle

Abbatte

Scende

banche,

i

nelle

occupa

le

industrie, le raffinerie. Nazionalizzazione. Per tutta Cuba, fino alle cime della Sierra, alle paludi, al mare, partono le brigate dell’alfabetizzazione. Sulle spiagge non più vietate si spande l’allegria dei negri, dei bianchi, dei mulatti per la prima volta insieme, alla pari. Cuba è socialista. Fidel Castro:

Che

cosa

insegna

la

rivoluzione

cubana?

Che

la

rivoluzione è possibile, che i popoli possono farla, che nel mondo contemporaneo non vi sono forze capaci di impedire il movimento di liberazione dei popoli. 3

Allen Dulles:

Millecinquecento Guatemala.

esuli

Faremo

bombardamento

di

cubani

sono

precedere

aerei

privi

lo di

pronti

sbarco

in

da

un

contrassegno…

A

Miami è già pronto il nuovo governo. Una volta che lo sbarco avrà avuto successo e il corpo di spedizione si sarà attestato a Playa Girón, il governo si trasferirà nell’isola e chiederà il nostro intervento. John Kennedy: Quali probabilità esistono che la popolazione cubana appoggi questa iniziativa? Allen Dulles: Le

nostre

informazioni

ci

garantiscono

una

sollevazione immediata. Almeno il cinquanta per cento dell’esercito castrista è pronto a passare dalla nostra parte. 15 aprile 1961. Un giorno come gli altri della nuova Cuba. Da aerei

sconosciuti,

le

prime

bombe.

I

mercenari

sbarcano

a

Playa Girón. Il popolo non si solleva, combatte. Le milizie non disertano, combattono. Gli invasori non riescono ad attestarsi, vengono sconfitti, dispersi, catturati… Per un momento ancora la vecchia Cuba dei miliardari, degli arricchiti, dei corruttori, degli sbirri rivive negli interrogatori dei mercenari. *** Che: Haciendo

un

recuento

de

mi

vida,

creo

haber

trabajado con suficiente honradez y dedicación para consolidar el triunfo revolucionario.* Intervista con Sweezy: il Che, Cuba e l’America Latina. Intervista con Sartre: il Che e Karl Marx. Intervista con Bettelheim: il Che e Lenin.

Intervista con Cabral: il Che e il Terzo mondo. *** Settembre

1962.

Tecnici

militari

sovietici

installano

rampe

missilistiche sul territorio di Cuba. Da lassù, dai ventimila metri degli aerei spia nordamericani, le rampe sono invisibili a occhio nudo. Puntini infinitesimali, ma che, ingranditi tante volte

e

progressivamente,

riacquistano

l’esattezza

dei

loro

contorni. Le navi da guerra statunitensi stringono un cerchio intorno a Cuba. I cacciabombardieri si concentrano nella Florida. I riservisti

vengono

richiamati

alle

armi.

I

dispositivi

della

guerra nucleare sono pronti a scattare… Il mondo trattiene il respiro. L’Urss ispezioni

accetta

Cuba

di

per

ritirare

i

controllare

missili. il

ritiro.

Accetta Castro

che

l’Onu

respinge

il

controllo… Ma i missili vengono portati via. L’ingrandimento delle immagini riprese adesso dagli aerei spia mostra che le rampe sono state rimosse. I marines intervengono a Panama. I marines sbarcano a Santo Domingo. Aerei Usa bombardano il Nord Vietnam, è l’escalation. Vallegrande. Il corpo del Che è su una tavola di pietra della lavanderia dell’Ospedale Nuestro Señor de Malta. I suoi occhi sono aperti, fermi nella immobilità della morte. Le sue labbra sono dischiuse. Sembra che sorrida… «Gli

imperialisti

agitano

lo

spauracchio

della

guerra,

ricattano l’umanità. La vera risposta da dare è quella di non aver paura della guerra: attaccare con durezza, senza sosta, in ogni punto del fronte di lotta…» 23 marzo 1967. I guerriglieri attaccano in Bolivia. Che cos’è la Bolivia? Tre abitanti per chilometro quadrato. Il novanta per cento indios. Il settanta per cento analfabeti. Novanta

bambini

su

mille

muoiono

prima

di

compiere

un

anno. Speranza di vita: quarantanove anni. Alimentazione: la metà del minimo indispensabile. Principale creditore straniero: Usa. Principale fornitore straniero: Usa.

Al

centro

cinque

Paesi:

dell’America le

sue

Latina,

selve

la

intricate,

Bolivia

è

le

montagne

sue

chiusa

tra si

prolungano in Argentina, nel Paraguay, in Cile, in Perù e nel Brasile. Una guerriglia può espandersi ovunque. 31 dicembre 1966. Nella selva di Ñancahuazú un uomo che

non

ha

l’aspetto

di

un

guerrigliero

viene

condotto

al

cospetto del Che. È Mario Monje. Uno dei segretari del Partito comunista

boliviano.

all’unione:

le

due

Un

linee

lungo

incontro

divergono.

Il

che

non

Partito

porta

comunista

boliviano non accetta di assumere una parte nella guerriglia. Febbraio 1968, Santiago del Cile. Pombo, luogotenente di Guevara,

è

sfuggito

all’accerchiamento

boliviano.

Risponde

alle domande dei giornalisti. Pombo: «Il Partito comunista boliviano ci ha dato il suo appoggio morale». Giornalista: «In che cosa consisteva?». Pombo: «Niente». Giornalista: «Dunque non c’era aiuto». Pombo: «C’erano tendenze che non volevano appoggiare la

guerriglia,

altre

che

lo

volevano.

Ma

queste

preferirono

aspettare per vedere come si sarebbero messe le cose». Giornalista: «Cosa ne sa lei della conversazione tra Mario Monje e Che Guevara?». Pombo: «Ce ne ha parlato il Che. Monje sosteneva tre punti.

Primo:

che

la

fazione

pro-cinese

del

partito

avrebbe

dovuto restare fuori. Secondo: che la guida politica e militare doveva

essere

nelle

mani

del

partito.

Terzo:

che

avremmo

dovuto aspettare una decisione e sollecitare l’aiuto di tutti i partiti comunisti latinoamericani. Il Che si oppose a tutti e tre i punti. E su uno fu inflessibile: dovevamo tenere noi la guida del

movimento

finché

boliviana.

Monje,

prima

andarsene

di

non

come

si

leader

disse

che

fosse del

costituita

una

forza

partito, rifiutò. Tuttavia,

personalmente,

non

come

membro del partito, intendeva arruolarsi nella guerriglia e che sarebbe tornato fra noi. Come lei sa, non è tornato mai». Isolato

nella

selva,

l’accampamento

è

distante il

dalle

nascondiglio

più

sperdute

dove

si

casupole,

addestrano

i

guerriglieri. Gennaio. Febbraio. Marzo. Una parte dei guerriglieri si spinge

lontano

dall’accampamento.

Vanno

a

verso

nord,

Vallegrande.

Li

guida

Una

Che

regione

Guevara.

più

abitata.

Cercano di stabilire legami con i contadini. A metà marzo quelli che sono rimasti a Ñancahuazú sono in allarme. Due guerriglieri non rispondono all’appello. Prima direzione.

Primo

scontro

con

l’esercito.

Primo

caduto:

un

soldadito boliviano. A Guevara non resta che dare battaglia. Pombo: «La guerriglia è come l’uomo: alla nascita, una creatura

indifesa.

cresciuta

e

si

Se

la

sarebbe

nostra

fosse

sviluppata.

Ma

sopravvissuta ci

sarebbe

scoprirono

troppo

presto. Dovemmo batterci fin da marzo. Il Che aveva previsto di entrare in azione in dicembre…» Ñancahuazú,

Iripití,

moltiplicano.

In

Mesón,

tutta

Tiraboy…

l’America

la

gli

guerriglia

scontri

è

sulle

si

prime

pagine dei giornali. A Buenos Aires si riunirono i capi di stato maggiore degli eserciti di sette Paesi: Stati Uniti, Bolivia e i suoi

vicini.

Ha

inizio

l’operazione

«Tenaglie».

Arrivano

in

Bolivia gli istruttori militari degli Stati Uniti. In una fattoria della pianura di Oriente si apre un altro accampamento: quello dove si addestrano i rangers per la controguerriglia… Un istruttore Usa a un altro: «Ammazzare un Vietcong costa agli Stati Uniti 450.000 dollari. Un guerrigliero morto qui in Bolivia ci costa molto meno». Fra

le

mani

degli

agenti

del

Servizio

di

intelligenza

passano documenti, pagine di diario e fotografie. I guerriglieri vengono riconosciuti uno a uno. Il Che è stato già individuato. Régis Debray: «Del Che si sapeva già. Cinque persone ormai avevano confermato i sospetti dell’esercito…». 24

giugno.

Miniere

di

Catavi-Siglo

XX.

Le

notizie

sulla

guerriglia sono sulla bocca di tutti. È il giorno della festa di San

Giovanni.

Si

scambiano

propositi

diversi.

Alcuni

progettano di raggiungere la guerriglia, altri diffidano. In piena notte sono ancora accesi i falò della festa. Dai monti calano i reparti dell’esercito. Si spara a lungo nell’oscurità. Settanta morti tra i minatori.

7 luglio. I guerriglieri occupano Samaipata. Tagliano per venti minuti la più importante arteria del Paese. Il Che parla alla popolazione. Intorno a un piccolo comando nella zona di operazioni si muovono

istruttori

americani,

ufficiali

boliviani,

qualche

civile, contadini. Ultima settimana di agosto. La retroguardia dei guerriglieri è in cammino lungo il Rio Masicurì. Devono attraversare il fiume. Un contadino si impegna a guidarli. È lo stesso che appariva presso il piccolo comando nella zona di operazioni. Conosce i guerriglieri. Li ha già aiutati in passato. 31 agosto. Vado del Yeso. I soldati sono in agguato tra gli alberi

lungo

le

due

sponde

del

Rio

Masicurì.

Il

contadino

guida i guerriglieri nel punto preciso dove ha detto ai soldati di appostarsi.

Il

fuoco

incrociato

dei

soldati

non

cessa

finché

l’ultimo degli undici non scompare morto nella corrente del fiume. Il

piccolo

contadino

è

comando

di

nuovo

lì:

nella si

zona

aggira

delle

fra

i

operazioni.

soldati,

mentre

Il i

cadaveri dei guerriglieri arrivano sui muli. Pombo:

«In

dicembre

saremmo

stati

più

preparati:

Avremmo avuto solidi legami con le città. E anche la sfiducia dei contadini sarebbe scomparsa». Giornalista: «Non c’era appoggio contadino?». Pombo: «Sì, ce n’era… Ma erano spaventati. Spaventati dall’esercito, dai più forti…». I ventidue uomini camminano ora verso i monti nudi di Alto Seco. Il 24 settembre entrano nel villaggio in fila indiana, due uomini

a

dorso

di

mulo:

uno

è

Che

Guevara…

Il

gruppo

guerrigliero è molto sporco, gli abiti in brandelli non hanno più

scarpe.

Sono

stanchi

ma

non

demoralizzati.

Arrivano

lentamente per la strada principale. Passano tutta la notte ad Alto Seco. La gente non è ostile. Il Che si ferma a lungo a parlare con il maestro del villaggio. Ultima settimana di settembre. I rangers sono pronti. Sotto l’allenamento

degli

istruttori

nordamericani

ognuno

soldaditos è diventato un maestro nell’arte di uccidere.

di

quei

26 settembre. La Higuera. Mentre i guerriglieri camminano lungo un versante della montagna, dall’altro versante i soldati li

vedono.

Tendono

un’imboscata.

Muoiono

tre

guerriglieri

della pattuglia avanzata. Il quarto si consegna all’esercito. Il Che è localizzato. 8 ottobre: «New York Times»: Anche

per

un

uomo

che

ha

viaggiato

tanto,

come

Ernesto Che Guevara, il deserto vallone senza uscite, dove

le

Ande

dell’Amazzonia,

è

qualsiasi

Il

parte.

degradano un

luogo

sole

verso

la

abbastanza

splende

ogni

conca

lontano

giorno

da

sulla

polverosa vallata, riscaldando la terra. Gli insetti, le gigantesche

mosche

e

zanzare,

ragni

e

scarabei

che

pungono, abbondano nel silenzio che regna. La polvere e le punture trasformano la pelle di ogni essere umano in un mantello di miseria. L’aspra vegetazione, secca e coperta di spine, rende praticamente impossibile ogni movimento, se non sui sentieri e sulle sponde dei fiumi che si trovano strettamente sorvegliate. Secondo i rapporti militari ricevuti, quello che fu una volta comandante cubano e sedici esausti compagni di guerriglie sono stati imbottigliati nella valle, con uno stretto

accerchiamento

settimane.

I

miliardi

delle

forze

boliviani

armate,

esprimono

da

due

l’opinione

che il comandante Guevara non ne uscirà vivo… I diciassette avanzano a fatica. È notte. C’è la luna. Accanto a un piccolo seminato, sotto un fico, si accampano per dormire. Un

contadino

li

sente.

Sono

voci

di

estranei.

Corre

ad

avvertire. Sotto

il

sole

a

picco

i

guerriglieri

possono

avanzare

soltanto seguendo il fondo del burrone. Sulla sommità brulla dei monti sono appostati i rangers. Quattro plotoni a dominare i due lati della gola e due sezioni a bloccare le uscite. Primo contatto

verso

l’una

del

pomeriggio:

quattro

morti

fra

i

rangers. Secondo contatto mezz’ora più tardi. Poi il silenzio. Alle tre si scatena l’inferno. Mitragliatrici, fucili, mortai. Una delle sezioni rimontando la gola obbliga il piccolo gruppo del Che a risalire il fianco della montagna. Il Che è ferito a una gamba. La sua carabina è inservibile. La canna è attraversata

da un proiettile. Un compagno lo aiuta a inerpicarsi. Da dietro i cespugli sbucano quattro soldati con i mitra puntati. In una delle due aule della scuola di La Higuera il Che è solo nel buio con le mani legate. Sulla piazza del villaggio il capitano dei rangers distribuisce ai soldati il bottino di guerra, gli oggetti dei prigionieri. Nell’aula si affaccia continuamente qualcuno

per

vedere

il

famoso

Che

Guevara.

Il

via

vai

prosegue tutta la notte. 9 ottobre, mattina. Il Che chiede di parlare con la maestra del villaggio. Il dialogo dura qualche istante. Un elicottero va e viene. Trasporta gli ufficiali superiori che vanno a vedere il Che e ancora tentano di farlo parlare. In ultimo viene l’agente della Cia. L’ordine da La Paz: bisogna liquidarlo. Per insieme

primi con

il

vengono Che.

uccisi

Nella

i

stanza

due

guerriglieri

accanto.

Il

Che

catturati sente

un

grido, le raffiche. Si alza in piedi. Cammina per la stanza. Si siede

in

un

angolo,

il

capo

appoggiato

alla

mano

destra.

Un’altra raffica. È la fine. Giornalista: «Perché è fallita la guerriglia?». Pombo: «Non è fallita. Abbiamo perso una battaglia». 1968.

Nel

americani

cuore

stesso

abbandonano

dell’imperialismo, la

politica

della

milioni non

di

negri

violenza:

combattono nelle città. Nei ghetti, sui posti di lavoro, nelle case, nelle sedi del Black Power sono apparsi i ritratti di Che Guevara… Fine *

Il dovere di ogni rivoluzionario…

*

«Cominciano ad arrivare tutte queste notizie, che è stato sepolto, che è stato cremato, che dopo gli avevano tagliato una mano, il dito, tutta una serie di notizie oltre che macabre contraddittorie… A mio parere c’è probabilmente qualcosa… che deve essere la causa fondamentale di tutte queste cose strane. Ed è il timore del Che dopo morto…» Stralcio della conferenza stampa radiotelevisiva di Fidel Castro del 15 ottobre 1967, pubblicata in «Granma» il giorno seguente.

*

«… l’Isola affonderà in mare prima che accettiamo di essere schiavi di qualcuno…»

**

Mangrovie.

*

Facendo il racconto della mia vita credo di aver lavorato con sufficiente onore e dedizione per consolidare il trionfo rivoluzionario.

Cronologia

23 marzo Primo combattimento in Bolivia dei guerriglieri con a capo Ernesto

«Che»

Guevara.

Una

pattuglia

dell’esercito

viene

fermata presso il Rio Ñancahuazú. Sette morti e quattordici prigionieri tra i soldati. Il Che era entrato segretamente nel Paese

nel

novembre

1966.

L’inizio

degli

scontri

viene

anticipato a causa della diserzione di due minatori boliviani (16 marzo) e dalla successiva cattura di Salustio Choque (17 marzo), che rivelano la presenza di circa cinquanta uomini armati,

pronti

alla

guerriglia,

appoggiati

da

Fidel

Castro

e

comandati da Che Guevara.

27 marzo Arrivano

in

Bolivia

dagli

Stati

Uniti

il

tenente

Redmond

Weber e il maggiore Ralph «Pappy» Shelton, seguiti, dopo alcuni

giorni,

da

quindici

istruttori

dell’antiguerriglia.

Il

gruppo boliviano dei guerriglieri forma l’Esercito nazionale di liberazione e lancia il primo comunicato al popolo boliviano.

4 aprile Con l’aiuto dei primi disertori, seguendo le indicazioni del prigioniero Salustio, l’esercito, agli ordini del maggiore Rubén Sánchez,

localizza

e

occupa

l’accampamento

centrale

dei

guerriglieri.

10 aprile Imboscata

di

dell’esercito.

Iripití. Muore

Undici il

morti

guerrigliero

e

El

trenta Rubio

prigionieri (il

capitano

cubano Jesús Suárez Gayol).

17 aprile Per cercare una via d’uscita per i giornalisti Régis Debray e Ciro

Roberto

Bustos,

accampamento Muyupampa,

il

20

che

lo

marzo,

separandosi

hanno il

dalla

raggiunto

Che

si

al

spinge

retroguardia

di

suo

fino

a

diciassette

uomini comandata da Joaquín (il comandante cubano Vitalio Acuña Núñez). Il contatto tra di loro non si ristabilirà più.

18 aprile A

Muyupampa

vengono

catturati

Debray

e

Bustos

(quest’ultimo sotto il falso nome di Carlos Fructuoso) insieme al giornalista inglese George Andrew Roth che più tardi sarà identificato

da

fonti

dell’intelligence

boliviana

come

collaboratore della Cia.

25 aprile Muore in combattimento Rolando (il capitano cubano Eliseo Reyes), secondo il Che «l’uomo migliore della guerriglia». Due perdite anche nell’esercito. Il giorno successivo ancora due perdite per l’esercito a Taperillas.

27 aprile In

una

missione

guerrigliero torturato

El

di

Loro

esplorazione (Jorge

nell’ospedale

di

viene

Vázquez Choreti,

catturato

Viaña);

viene

ferito

interrogato

il e

successivamente

fucilato (o, secondo un’altra versione, riesce a scappare).

28 aprile Viene

firmato

un

accordo

tra

l’esercito

boliviano

e

quello

statunitense per organizzare l’addestramento di un battaglione di rangers boliviani, di cui fanno parte i capitani Gary Prado e Mario Vargas Salinas. Washington incrementa l’invio di armi all’esercito boliviano.

30 aprile Cadono i guerriglieri Danton e Carlos e con loro si perdono le comunicazioni con Cuba (Dantón) e lo schema di azione in Argentina (Carlos).

5 maggio Régis Debray, Carlos Fructuoso e Roth vengono trasferiti da Camiri a Santa Cruz. Si diffonde la notizia che Debray verrà giudicato

da

un

tribunale

militare

a

Camiri

come

presunto

guerrigliero.

8 maggio Dall’interrogatorio si scopre che il vero nome di Fructuoso è Bustos. In una nuova imboscata al Ñancahuazú, la guerriglia fa tre morti e dieci prigionieri dell’esercito.

11 maggio Il consigliere del presidente americano Lyndon Johnson scrive un

memorandum

in

cui

afferma

di

aver

ricevuto

il

primo

rapporto credibile che sostiene che il Che sia vivo e attivo in Sudamerica, ma sono necessarie ulteriori controprove.

14 maggio Debray scrive una lettera al Dr. González (l’agente della Cia che ha condotto il suo interrogatorio) precisando e rettificando alcuni

punti

consegnata

delle

sue

personalmente

dichiarazioni. al

generale

La

lettera

Ovando.

Da

viene Bustos,

durante gli interrogatori, si ottengono alcuni ritratti a memoria dei guerriglieri.

24 maggio Diserta

dalla

retroguardia

Pepe

catturato e ucciso dall’esercito.

(Julio

Velazco)

e

viene

30 maggio Imboscata pattuglia

a

El

Espino:

dell’esercito

due

morti

comandata

dal

e

quattro

feriti

colonnello

nella

Calderón.

Dopo tre giorni cadono in combattimento Marcos (Antonio Sánchez Diaz) e Víctor (Casildo Condori), componente della retroguardia.

6 giugno L’assemblea dei minatori di Huanuni esprime la sua solidarietà con i guerriglieri.

7 giugno Il governo del generale Barrientos decreta lo stato d’assedio.

10 giugno In cerca di Joaquín, la colonna del Che si incammina verso nord e attraversa il Rio Grande. Scontri a El Cafetal, in cui muore una staffetta dell’esercito e viene ferito un soldato.

23 giugno I delegati dei sindacati dei minatori si riuniscono a Siglo XX. I minatori decidono di donare ai guerriglieri un giorno di salario e una partita di medicine.

24 giugno All’alba, truppe militari entrano a Siglo XX e Huanuni: dopo la festa di San Giovanni l’esercito attacca gli accampamenti dei

minatori

sparando

su

uomini,

donne

e

bambini.

È

un

massacro con più di ottanta morti e decine di feriti.

26 giugno La colonna del Che cade in un’imboscata organizzata in base alle informazioni delle spie liberate. Scontro a Pirasí: muore il

guerrigliero Tuma (Carlos Coello), ferito Pombo. Tre morti e due feriti nell’esercito. Muore Coello, ferito Villegas. Il Che in questi giorni è preda di forti attacchi d’asma.

30 giugno Dichiarazione di Ovando Candia: l’esercito sta combattendo con guerriglieri perfettamente preparati, tra i quali si trovano anche un comandante vietcong.

6 luglio Con un’azione a sorpresa la guerriglia conquista il paese di Samaipata,

sulla

strada

Cochabamba-Santa

Cruz,

ma

non

riesce a procurarsi tutti i viveri necessari né le medicine utili a Guevara. L’8 luglio Roth viene liberato.

9 luglio Il

gruppo

di

Joaquín

si

scontra

due

volte

con

l’esercito.

Serapio Aquino Tudela (Serafín) muore in un’imboscata.

14 luglio Il massacro di San Giovanni provoca una crisi politica. I due partiti che sostengono la coalizione di governo con i militari si ritirano, restano i generali Barrientos e Ovando Candia come presidente e vice.

15 luglio Barrientos

annuncia

l’operazione

«Cintia»,

per

liquidare

la

guerriglia in poche ore.

20 luglio Combattimento della retroguardia a Ticucha. Nella confusione generale disertano Eusebio (Eusebio Tapia Aruni) e Chingolo

(Hugo

Choque

Silva).

Verranno

arrestati

il

23

luglio

a

Chuayaco.

26 luglio Imboscata

della

guerriglia

alla

compagnia

dell’esercito

«Trinidad». Il giorno successivo, in un ulteriore scontro, viene uccisa una guida civile e ferito un soldato.

30 luglio La guerriglia viene sorpresa a Morocos, ma si ritira facendo quattro

vittime

nell’esercito.

Cadono

i

guerriglieri

Ricardo

(José María Martínez Tamayo) e Raúl Quispaya; ferito Pacho (Alberto Fernández Montes de Oca).

10-11 agosto Chingolo Silva guida il capitano Saravia ai depositi sotterranei dei

guerriglieri

dove

l’esercito

sequestrerà

fotografie,

medicine, un manoscritto del Che e documenti.

31 agosto Imboscata capitano

a

Vado

Salinas,

del

Yeso:

grazie

una

all’aiuto

pattuglia del

agli

contadino

ordini

del

Honorato

Rojas, stermina il gruppo di Joaquín. Con lui cadono altri otto guerriglieri, tra cui Tania. L’unico sopravvissuto è Paco (José Castillo) che viene portato a La Paz.

3 settembre Scaramuccia a Yajo Pampa. La colonna del Che continua ad avanzare verso nord in cerca di zone più propizie.

7 settembre Viene trovato nel Rio Grande il cadavere di Tania in stato di decomposizione. Sarà seppellita segretamente.

22 settembre I guerriglieri arrivano al paese di Alto Seco, dove realizzano il loro primo incontro con la popolazione. Dopo due giorni viene occupato anche Rio Santa Elena.

24 settembre Affamati e deboli arrivano a un rancho chiamato Loma Larga.

26 settembre L’avanguardia

della

colonna

del

Che

cade

in

un’imboscata

vicino a La Higuera. Muoiono Coco (Roberto Peredo Leigue), Miguel (Manuel Hernández) e Julio (Mario Gutiérrez Ardaya). I sopravvissuti progettano di fuggire verso il Rio Grande.

28 settembre Diserzione di León (Antonio Domínguez Flores) e cattura di Camba (Orlando Jiménez Bazán). Restano in diciassette. Sono ormai accerchiati dall’esercito. In questi giorni la radio cilena informa che il Che è bloccato con i suoi in un canalone nella selva boliviana.

6 ottobre Continua la marcia disperata del Che e dei suoi diciassette uomini alla ricerca di acqua, procedendo soprattutto di notte.

8 ottobre In seguito alla delazione di un contadino che li vede mentre sta raccogliendo patate, la colonna è circondata nella quebrada del Churo (o Yuro). Cadono tre guerriglieri: Antonio (Orlando Pantoja), Arturo (René Martínez Tamayo) e Aniceto (Aniceto Reinaga). Il Che (Fernando) è ferito e viene catturato con tre compagni: Willy Chang

(Simeón

Cuba

Navarro).

Sarabia),

Quattro

morti

Pacho, e

Chino

quattro

(Juan

feriti.

Pablo

Pacho

è

gravemente

ferito,

Chino

quasi

cieco.

Gli

altri

guerriglieri,

comandati da Inti Peredo, riescono a fuggire.

9 ottobre Il

Che,

Willy

e

Chino

vengono

uccisi

nella

scuola

di

La

Higuera. Pacho è morto alcune ore prima dissanguato. In un comunicato “Che”

le

Forze

Guevara

è

armate

caduto

boliviane

nelle

mani

affermano: delle

«Ernesto

nostre

truppe

gravemente ferito e in pieno possesso delle sue facoltà mentali. Dopo la fine del combattimento è stato trasportato nel paese di La Higuera all’incirca alle 20.00 di domenica 8 ottobre, dove è morto a causa delle ferite». La versione ufficiale è subito messa in dubbio dai risultati dell’autopsia: secondo esperti e giornalisti un uomo con nove ferite

di

arma

da

fuoco



come

segnalato

dai

due

medici

argentini che l’hanno effettuata –, alcune vicine a organi vitali, difficilmente

avrebbe

potuto

resistere

le

ore

autorità militari. Inizia la ricerca della verità.

indicate

dalle

Note

Il mio lavoro con Francesco Rosi 1

Saverio

Tutino,

giornalista

e

scrittore

italiano,

ha

lavorato

a

Cuba

come

corrispondente dell’«Unità». 2

Saúl Yelin è uno dei fondatori dell’Icaic, l’Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos.

3

Alfredo

Guevara,

anch’egli

tra

i

fondatori

dell’Icaic,

di

cui

fu

due

volte

presidente. 4

Pepe González Aguilar, amico di gioventù di Che Guevara, dopo la rivoluzione lo seguì a Cuba per lavorare all’Icaic.

5

Biblioteca

Francesco

Rosi,

S.

Vilaseca,

Francesco

Rosi,

Messaggio

da

pubblicare su «Casa de las Américas», ottobre 1968, minuta, ds. non f.to. 6

Enzo Provenzale, produttore e regista italiano, negli anni Sessanta è stato lo sceneggiatore di fiducia di Francesco Rosi, con cui firma Salvatore Giuliano e Le mani sulla città.

1. Perù 1

«Bogotá: aeroporto enorme, proporzioni raramente viste, alluminio anodizzato ecc. Subito salta agli occhi il sottosviluppo; indios, gente miserabile a contrasto con l’aria che vuole avere l’aeroporto (pieno di aerei privati). Libri da azione cattolica

1930,

ma

panalatinoamericano benestantissima.»

allo di

stesso Bolívar.

Annotazioni,

tempo Sale

riviste in

mercoledì

con

aereo

17

articoli gente

gennaio

sul

pensiero

apparentemente

1968,

agendina



trimestre 1968 [da ora A. 1, 68]. 2

«All’ambasciata italiana. In giro per Callao-Lima. Mangiato a “Todo fresco”. San Isidro – quartiere residenziale e barriadas [baraccopoli]. In giro per Lima. Cenato

al

“Club

91”

non

buono

(scoperto

poi

che

è

ristorante

italiano).»

Annotazioni, venerdì 19 gennaio 1968, A. 1, 68. 3

Si riferisce a un articolo pubblicato durante il suo secondo viaggio in America, a Panama, uscito sulla rivista «Siete». È l’unica volta che il Che pubblica con il suo vero nome.

4

Si tratta della celebre Custodia de la Merced conservata nel Templo de la Merced (o Basílica Menor de la Merced) e realizzata da Luis Ayala Olmos, nel XVII secolo. Pregiato manufatto di oreficeria, la custodia d’oro è tempestata di diamanti, pietre preziose e da una perla, a forma di sirena dal corpo femminile, considerata una delle più grandi del mondo.

2. Bolivia 1

«13.00. Partenza in aereo per La Paz con Braniff Douglas, bellissimo aereo. Dopo un’ora e mezzo di volo arrivo a La Paz (spostamento orario in avanti di un’ora).

Hotel

Crillon.

Tel.

ambasciatore

d’Italia

Tortorici.»

Annotazioni,

martedì 23 gennaio 1968, A. 1, 68. 2

René Barrientos Ortuño, militare e politico boliviano, è stato presidente della Bolivia, insieme al generale Ovando, dal 1964 al 1966.

3

Rivoluzionario e attivista cubano, fu poi un oppositore di Fidel Castro, venne imprigionato e quindi costretto all’esilio.

4

Pietro Quirino Tortorici, ambasciatore a La Paz dal 1965 al 1970.

5

Régis

Debray,

intellettuale

francese,

prese

parte

al

fallito

tentativo

di

rivoluzione in Bolivia di Che Guevara. Dalla fine degli anni Sessanta viene sospettato, insieme con l’artista e rivoluzionario Ciro Bustos, di essere uno dei «traditori» del Che. Arrestati entrambi dall’esercito boliviano qualche mese prima della cattura e della morte di Guevara, avrebbero collaborato rivelando la sua presenza in Bolivia. 6

Alfredo Ovando Candia, presidente de facto della Bolivia dal 26 maggio 1965 al 2 gennaio 1966 assieme a René Barrientos Ortuño, dal 2 gennaio al 6 agosto 1966 e dal 26 settembre 1969 al 7 ottobre 1970.

7

Franco Pierini, giornalista dell’«Europeo», autore tra l’altro dell’articolo Mio figlio Guevara, «L’Europeo», 2 novembre 1967.

8

Organizzazione latinoamericana di solidarietà.

9

Michèle Ray, Comment on a tué Che Guevara, «Paris Match», 1967. Della stessa autrice cfr. anche In cold blood. The Execution of Che by the Cia, apparso su «Ramparts», marzo 1968.

10

Si riferisce alla rivoluzione nazionalista scoppiata nel 1952 a opera di Víctor Paz Estenssoro e l’Mnr, il Movimiento Nacionalista Revolucionario creato nel 1942. Furono nazionalizzate le miniere e l’anno seguente si arrivò alla riforma agraria.

11

Ciro Bustos, pittore argentino e compagno di guerriglia di Che Guevara in Bolivia, fu accusato di aver disegnato i volti dei guerriglieri del Che durante il suo interrogatorio da parte dei militari boliviani, che poi aiutarono i militari a identificare i guerriglieri.

12

Si tratta di George Roth, fotografo cileno, successivamente identificato come collaboratore della Cia.

13

Haydée Tamara Bunke Bider, più nota come Tania la Guerrigliera, il 31 agosto 1967, dopo una delazione, cade con altri combattenti in un’imboscata al guado di Puerto Mauricio, lungo il Rio Grande.

14

Hector Mejía era l’addetto stampa del presidente della Bolivia René Barrientos.

15

Augusto

Céspedes,

uno

dei

più

importanti

esponenti

della

letteratura

rivoluzionaria boliviana, fu anche politico, giornalista e diplomatico, partecipò alla

fondazione

dell’Mnr,

di

cui

diresse

l’ufficio

di

propaganda

politica

ideologica. 16

Alejandro (Gustavo Machín Hoed de Beche), uno dei guerriglieri del Che.

17

Un produttore locale.

18

Simon Patiño, re dello stagno.

19

Jaime Bailey Gutierrez, caporedattore della rivista «Presencia».

e

20

Il capitano Gary Prado Salmón comandava la piccola unità entrata in contatto con il gruppo dei guerriglieri e catturò Guevara.

21

Guido Álvaro Peredo Leigue, più noto come Inti, guerrigliero boliviano che partecipò alla spedizione di Guevara in Bolivia.

22

Joaquín Zenteno Anaya, generale dell’esercito boliviano.

23

Andrés

Selich

Chop,

colonnello

dell’esercito

boliviano,

interrogò

Guevara

insieme a Prado e al tenente colonnello Miguel Ayoroa. 24

Horacio Ugarteche, ammiraglio della Forza navale boliviana.

25

Partido Obrero Revolucionario fondato nel 1935 a Cordoba (Argentina).

26

Félix Ismael Rodríguez Mendigutia, esule cubano, agente della Cia, guidò la missione contro Guevara.

27

José Gramont (o Gramunt) de Moragas, sacerdote gesuita, fu direttore di Radio Fides e, nel 1964 fondò la Agencia de Noticias Fides (Anf) che ha diretto fino al 2014.

28

Giovanni Battista Morandini nel 1966 entra nella diplomazia vaticana ed è responsabile

della

nunziatura

in

Bolivia

fino

al

1970.

Dal

2008

è

nunzio

apostolico emerito. 29

La United State Information Service fu creata nel 1953 per promuovere e propagandare nel mondo la politica e la cultura degli Usa attraverso stampa e editoria, radio, cinema ecc.

30

Rosi si riferisce al massacro dei minatori della zona di Catavi nel giugno del 1967.

31

«La Paz. Telefonato giornalista di “El Diario” dicendo che siccome sentiranno il

parere

dei

militari

(Ovando)

lui

vuole

parlare

prima

con

me.

10.00.

Dall’ambasciatore (Céspedes mi ha riferito che aspetta parere delle autorità per il

giro

nelle

zone

“delicate”).

13.00

Appuntamento

con

giornalista

per

intervista “Presencia”.» Annotazioni, martedì 30 gennaio 1968, A. 1, 68. 32

Si tratta del colonnello Augusto Rios capo dell’ufficio dell’Intelligence militare boliviano.

33

Ángel Victor Paz Estenssoro, politico boliviano, è stato presidente della Bolivia tre volte: 1952-1956, 1960-1964 e 1986-1989. Fu uno dei fondatori del Mnr.

34

Andrew

St.

George,

reporter

e

fotografo

freelance,

nato

in

Ungheria

e

naturalizzato americano, famoso per le sue interviste a Guevara e Castro. 35

Corrado Corghi, consigliere nazionale della Dc, fece parte di una delegazione italiana in visita a Cuba, non conobbe però né Guevara né Castro.

36

Thérèse de Lioncourt, cavaliere della Legione d’onore, era viceconsole presso l’ambasciata francese a La Paz.

37

Vicente

Rocabado

Terrazas

(Orlando)

era

stato

espulso

dalla

sezione

investigativa della polizia criminale di cui faceva parte. Lui e Pastor Barrera Quitana (Daniel) furono catturati nei pressi di Ipita, ammisero di far parte di un gruppo di guerriglieri e fecero i nomi di alcuni compagni e del Che. 38

Salustio Choque, uno dei guerriglieri catturati il 17 marzo che si convertì in delatore.

39

Chris Marker, regista, produttore e sceneggiatore francese.

40

Il 24 giugno 1967, festa di San Giovanni. Nel paese minerario di Catavi, mentre si festeggiava, i ranger boliviani scesero da Cerro de San Miguel e, aprendo il fuoco, uccisero trecento tra donne, bambini e uomini ferendone altri mille.

41

Radio Pio XII fu fondata dai Misioneros Oblatos de Maria Immaculada il primo maggio 1959.

42

Padre

Gregorio

Iriarte,

conosciuto

per

la

sua

lotta

per

i

diritti

umani

e

l’appoggio ai minatori. 43

Niño de Guzmán era il pilota dell’elicottero che trasportò Zenteno e Rodríguez da Vallegrande a La Higuera.

44

Roberto Peredo Leigue, più noto come Coco, compagno di guerriglia del Che in Bolivia.

45

Camilo

Cienfuegos

Gorriarán,

uno

dei

leader

principali

della

rivoluzione

cubana, morì nel 1959 in circostanze mai chiarite. 46

Juan Vitalio Acuña Núñez, più noto come Joaquín, compagno del Che in Bolivia.

47

«10.00.

Arrivo

Ripartenza

e

a

volo

Camiri. per

14.00-15.00

sorvolare

zona

colloquio

con

guerriglia.»

Debray

Annotazioni,

e

Bustos.

giovedì

8

febbraio 1968, Ag. 1, 1968. 48

Simeón Cuba Sarabia, più noto come Willy, compagno del Che, morto come lui a La Higuera.

49

Franco Pierini, Come ho ucciso Guevara, «L’Europeo», 26 ottobre 1967.

50

Il giornalista boliviano José Luis Alcázar, autore di Ñacahuazú. La guerrilla del Che in Bolivia, Era ed., Messico 1969.

51

François Maspero, editore francese che poi pubblicherà la versione di Debray.

52

Aniceto

Reynaga

Gordillo,

uno

dei

guerriglieri

boliviani

del

Che,

nato

a

Colquechaca nel 1940, morì l’8 ottobre 1967. 53

Pseudonimo usato da Guevara.

54

La grotta dove i guerriglieri avevano nascosto armi e altri materiali.

55

Ricardo

Rojo, attivista

politico

antiperonista

e

scrittore

argentino,

conobbe

Guevara a La Paz nel 1953 e ne divenne amico. Scriverà il volume Mi amigo el Che. 56

Il 7 luglio 1967, un gruppo di guerriglieri (fra loro venne riconosciuto anche Guevara) entrò nel villaggio di Samaipata, fermandosi in una farmacia ad acquistare

medicine

e

cibo.

Nella

scaramuccia

iniziale

morì

un

soldato

boliviano e un altro venne ferito; poi prima di avviarsi verso Santa Cruz, liberarono le dieci persone che avevano preso in ostaggio nel villaggio. 57

Si riferisce ai primi infruttuosi tentativi di guerriglia in Argentina nella zona di Salta, progettati a partire dal 1962 da Guevara e dal giornalista di origini bolognesi Jorge Masetti.

58

Fulgenzio Batista, figlio di un operario zuccheriere di Cuba, dominò la scena politica dell’isola per ben venticinque anni dal 1933; nel 1940 venne eletto presidente fino al 1959, quando venne sconfitto da Fidel Castro e dai suoi guerriglieri. L’8 gennaio Castro entrò a L’Avana, Batista riuscì a fuggire in Portogallo e poi in Spagna dove visse in esilio fino alla morte.

59

Jorge Kolle Cueto fu poi segretario generale del Partito comunista boliviano dal 1970 al 1981.

60

José

Llanusa

Gobel,

atleta

e

politico

cubano,

fu

direttore

dell’Instituto

Nacional de Deporters (Inder) e dal 1965 al 1970 ministro dell’Educazione (Mined). 61

Valentino Orsini, regista italiano.

Á

62

Santiago Álvarez, cineasta cubano, scrisse e diresse soprattutto documentari sulla vita politica e culturale di Cuba.

3. Cuba 1

«Icaic proiez. El cerro pelato, Muerte a l’invasore, La doze sillas. In alb. a lavorare.» Annotazioni, martedì 20 febbraio 1968, A. 1, 68.

2

«In albergo a lavorare. (Lewis [Oscar] vede S. Giuliano e Mani sulla città). Visto Pepe (telefonare ad Aleida, al ritorno, per avvertirlo di tornare sabato). [ore 15] Visto Giancarlo Pajetta (venuto in delegazione con Sandri e Boldrini). [ore 21] Con Pajetta, Boldrini, Sandri e Karol in giro.» Annotazioni, mercoledì 21 febbraio 1968, A. 1, 68.

3

Gaetano Pagano di Melito, giornalista e scrittore, partecipò alla Rivoluzione cinese nel 1949 ed è noto per la celebre intervista a Fidel Castro realizzata nel 1976 con la televisione svedese e presentata al Festival di Cannes con il titolo: La Historia me absolverá.

4

Come Cueto, anche Mario Monje Molina fu esponente del Partito comunista boliviano dell’epoca.

5

«[ore

4.45]

usciti

dall’hotel

io,

Enzo

P.,

Pardo.

[ore

6.45]

partenza

aereo.

Ricordarsi di vedere anche: Miniere (di nichel e altre), Pico Turquino. El “Granma”. [ore 10.00] Partiti subito in jeep con due ragazzi dell’Icaic che conoscono la zona.» Annotazioni, giovedì 22 febbraio 1968, A. 1. 68. 6

Mario Terán, il militare boliviano che sarebbe stato estratto a sorte per fucilare Che Guevara.

7

Scritto di Che Guevara del 1965.

8

Il riferimento è ai viaggi raccontati da Guevara nei Diari della motocicletta.

9

Lo scrittore cubano Roberto Fernández Retamar.

10

«[ore 8.00] Aeroporto, elicottero, voliamo e torniamo per vento. Di ritorno telefonare a: Laura Gonsalez, Pagano, Llanusa, Papito Serguera, Aleida-Pepe, Oscar Lewis, Karol, Suarez (lampada), dir. rivista “Tricontinental”, “Bohemia”, Retamar, Carlos Franqui, Alfredo Guevara. Archivio numero unico sul Che. Collaboratori. Julio Cortázar, Reunion. Pasaje de la guerra revolucionaria: Che.» Annotazioni, domenica 25 febbraio 1968, A. 1. 68.

11

Rivoluzionaria amica di Fidel Castro.

12

Documentario del 1967 diretto da Joris Ivens, William Klein, Claude Lelouch, Agnès Varda, Jean-Luc Godard, Chris Marker e Alain Resnais.

13

Carlos Franqui, scrittore e giornalista cubano, ha partecipato alla Rivoluzione da cui più tardi si è dissociato.

14

Sorella minore del Che.

15

Gianfranco

Moroldo,

fotoreporter,

lavorò

per

molti

anni

per

il

periodico

«L’Europeo». 16

Julio Roberto Cáceres Valle, più noto come el Patojo, giornalista e militante del Partito guatemalteco del lavoro.

17

Jorge Ricardo Masetti, giornalista argentino, fondatore e primo direttore di Prensa Latina (agenzia stampa cubana); nel giugno del 1963 attraversò insieme a un gruppo di guerriglieri il passo di Coyambuco nei pressi di Salta, il gruppo fu

il

primo

nucleo

dell’Egp

(Esercito

guerrigliero

del

popolo).

scomparve nella selva argentina nell’aprile dell’anno successivo.

Masetti

Il riferimento è ai viaggi giovanili del Che in America Latina, in particolare a 18

quello del 1951 con Alberto Granado, descritto da Guevara nel suo diario e da cui è stato tratto in anni più recenti il film I diari della motocicletta (2004).

19

Laura Gonsalez, Ernesto Che Guevara, Scritti, discorsi e diari di guerriglia. 1959-1967, Einaudi, Torino 1969.

20

Harry Antonio Villegas Tamayo, più noto come Pombo (1940), fu uno dei tre guerriglieri cubani sopravvissuti alla missione in Bolivia.

21

«[ore 10.00] Proiezione Icaic dcumentario Vietnam Felix Green. [ore 13.30] A colazione dall’ambasciatore Paolucci, alla Residenza». Annotazioni, giovedì 7 marzo 1968, A, 1, 68.

22

Francesca

Rosi,

figlia

primogenita

del

regista

e

di

Nora

Ricci,

morì

giovanissima nel 1969. 23

Manuel Piñeiro Losada, più noto come Barba Roja, guerrigliero cubano.

24

Sergio Canevari, scenografo, lavorò con Rosi in Salvatore Giuliano e Le mani sulla città.

25

Fotografo cubano che ha ritratto, tra gli altri, i guerriglieri nella Sierra Maestra.

26

Juan Pablo Chang Navarro, più noto come El Chino, guerrigliero peruviano catturato e giustiziato a La Higuera.

27

Frank

Isaac

País

García,

più

noto

come

David,

combatté

la

dittatura

di

Fulgenzio Batista. Nominato nel 1955 capo d’azione del Movimento 26 luglio, organizza la sollevazione di Santiago di Cuba il 30 novembre 1956. Fu ucciso il 30 luglio 1957. 28

Jorge

«Papito»

Serguera,

comandante

rivoluzionario,

conosciuto

come

«il

censore della Rivoluzione». 29

L’assalto Direttorio

al

Palazzo

presidenziale

rivoluzionario

di

José

e

a

Radio

Antonio

Reloj.

Echevarria

e

Fu dal

organizzato Movimento

dal 26

luglio. Il colpo di stato fallì e l’esercito di Batista represse l’azione nel sangue uccidendo anche Echevarría. 30

Las guerras de guerrillas, libro di Che Guevara pubblicato nel 1960.

31

Jacob Burckhardt, La civiltà nel Rinascimento in Italia, 1860.

32

Tony Richardson, regista e produttore inglese, avrebbe dovuto realizzare un film su Che Guevara.

4. Roma 1

Produzioni europee associati.

2

Franco

Solinas,

considerato

uno

dei

più

importanti

sceneggiatori

italiani,

insieme a Suso Cecchi d’Amico ed Enzo Provenzale, firmò la sceneggiatura di Salvatore Giuliano. 3

Luis

Amado-Blanco

Fernández,

scrittore,

giornalista

e

diplomatico

ispano-

cubano. 4

Il riferimento è al film El «Che» Guevara (1968) girato da Paolo Heusch con protagonista Francisco Rabal.

5

Nell’estate del 1961 il produttore Peppino Amato diresse Morte di un bandito con Francisco Rabal.

6

Antonio Arguedas Mendieta, ministro degli Interni boliviano.

7

Hélder Pessoa Câmara, arcivescovo e teologo brasiliano. Fu portavoce di una Chiesa vicina alle classi meno abbienti, fu definito il «vescovo comunista» ispiratore della Teologia della liberazione.

8

Secondo Guevara, l’esperienza della Rivoluzione cubana dimostra che quando le condizioni oggettive non sono sufficienti a indurre le masse a portare avanti la rivoluzione socialista, l’innesco di un piccolo focolaio (foco) di guerriglia potrebbe farlo, estendendosi come un incendio.

9

Il

viaggio

di

G.

Mastorna,

detto

Fernet,

progetto

di

Federico

Fellini

mai

portato a compimento. 10

La

hora

de

los

hornos

di

Fernando

Solanas

del

1966-1968,

fu

girato

in

clandestinità durante la dittatura di Juan Carlos Onganía occupandosi della situazione sociopolitica, economica e culturale dell’Argentina. 11

Luciano Vincenzoni, scrittore e sceneggiatore italiano.

12

Ilya Lopert, produttore capo della United Artists in Europa.

13

La Cina è vicina, di Marco Bellocchio (1967).

14

Grazie zia, di Salvatore Samperi (1968).

15

Escalation, di Roberto Faenza (1968).

Che Guevara. Soggetto 1

Ernesto

Che

Guevara,

«Mensaje

a

los

pueblos

del

mundo

a

través

de

la

Tricontinental», La Habana, 16 aprile 1967.

Che Guevara. Treatment 1

Il colonnello Jacobo Árbenz Guzmán, politico guatemalteco democratico, fu presidente dal 1951 al 1954 quando venne rovesciato da un colpo di Stato organizzato dalla Cia.

2

L’incontro tra Fidel e Ernesto avvenne a luglio del 1955 nella casa della cubana María

Antonia

González

in

calle

Emparán.

Cfr.

F.

Castro,

I.

Ramonet,

Autobiografia a due voci, Mondadori, Milano, 2008 pag. 163. 3

Allen Welsh Dulles è stato un agente segreto statunitense, direttore della Cia dal 1953 al 1961 e membro della Commissione Warren.

Indice

Il mio lavoro con Francesco Rosi di Maria Procino Il film che non ho fatto su Che Guevara 1. Perù 2. Bolivia 3. Cuba 4. Roma Che Guevara. Soggetto Che Guevara. Treatment Cronologia Note

Annotazioni e disegni di Francesco Rosi degli itinerari in Bolivia.

Articolo del giornale cubano «Juventud Rebelde» sulla prima visita di Rosi a Cuba, nel novembre 1967.

Rosi al cimitero di Cuzco: «Il reparto poveri è una collinetta di terra seminata letteralmente di croci e tombette di gesso (quando ci sono) a forma di bara».

I taccuini di Francesco Rosi per il suo viaggio sulle orme del Che.

Il regista in cerca di immagini per il film.

«Le

bestie

stanno

in

giro

custodite

da

ragazzine

in

bombetta

sulle

ventitré

o

ragazzini con passamontagna. Si fanno chilometri e chilometri senza incontrare anima viva.»

«Gli “indios” vengono alla città attratti dalla vita di città, dal cinematografo, dai divertimenti, più che altro perché tanto lavoro non ce n’è.»

Che Guevara durante la campagna di Bolivia «con due bambini di contadini seduti, uno per parte, sulle sue ginocchia. Scarponi quasi tutti slacciati, sorridente». La foto fa parte di una serie acquistata da Francesco Rosi a Vallegrande, in Bolivia, nel negozietto di un orologiaio indio.

Ritratti dei guerriglieri realizzati da Ciro Bustos durante l’interrogatorio da parte dei militari boliviani. I disegni aiutarono i militari a identificare i combattenti.

«Il Che era morto da appena una ventina di giorni e La Habana era tappezzata di suoi ritratti listati a lutto; si parlava solo di quello.»

«E poi, l’espressione del Che morto, così sereno, illanguidito, fa più pensare a uno che sia morto per dissanguamento o comunque che piano piano abbia perso la vita piuttosto che a uno che sia stato falciato da una raffica a breve distanza.»

Appunti sul trattamento del personaggio di Che Guevara.

Primi abbozzi della scaletta del film.