Husserl. Intenzionalità e precategoriale
 9788867053100

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Mario Autieri

HUSSERL. INTENZIONALITÁ E PRECATEGORIALE

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Mario Autieri, Husserl. Intenzionalità e precategoriale Prima edizione: Marzo 2015 ISBN: 978-88-6705-310-0 Copertina e progetto grafico: ufficio grafico Ledizioni

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L’Intenzionalità | La fenomenologia non è psicologia

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Husserl: Intenzionalità e precategoriale INDICE Introduzione: Fenomeno

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Parte 1 L’intenzionalità • La fenomenologia non è psicologia • L’Intenzionalità come problema della conoscenza • L’Intenzionalità in Brentano • L’intenzionalità affettiva nelle Ricerche Logiche • Fenomenologia statica e genetica

13 21 29 33 37

Parte 2 Il pre-categoriale • VI Ricerca Logica • IV Ricerca Logica, Teoria del significato, Derrida: • Dalla semantica alla sintassi • Dalla sintassi alla semantica • Categoriale e Pre-categoriale • Derrida • Per non concludere • Da Esperienza e Giudizio: la genesi ante-predicativa della negazione • Da Idee II e Meditazioni cartesiane: Le due mani • Il Mondo della vita come pre-categoriale • Bibliografia principale

49 57 57 62 63 70 75 81 85 92 97

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L’Intenzionalità | La fenomenologia non è psicologia

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Introduzione: Fenomeno

Quando parliamo di “presenza” andiamo incontro ad un dato fenomenologicamente molto complesso; del resto, se così non fosse non avremmo bisogno di alcuna epochè e di alcun metodo. La presenza, infatti, nasconde un complesso ed intrecciato intrigo di fili intenzionali. Se la coscienza è sempre coscienza di vuol dire che la presenza implica sempre degli atti e degli oggetti; c’è dunque una dimensione soggettiva- sto pensando, sto ricordando, etc…- ed una dimensione oggettiva- l’oggetto mi si da di sbieco, in primo piano, in modo distinto, etc…-; c’è poi tutta la dimensione temporale di questa esperienza, per cui ho delle aspettative, delle ritenzioni, delle sedimentazioni che incidono nella mia stessa attuale esperienza. Non c’è dubbio, infatti, che quando guardo un oggetto esso è per lo più sovradeterminato, ovvero non si mostra da sé, ma è ricoperto da ciò che io so su di lui, da ciò che gli somiglia, da ciò che ne ho semplicemente sentito dire. Se Husserl insiste tutta la vita sull’epochè, è perché la presenza è sempre predefinita da tutta una serie di pregiudizi che necessariamente ci accompagnano; ragion per cui noi non prestiamo certo attenzione al modo in cui il nostro corpo partecipa alla strutturazione di una nostra concreta visione. Anzi, il modo stesso di entrare in un contesto è pre-delineato da tutta una serie di abitudini; questo, appunto, implica che il nostro interesse non sia mai rivolto al “senso” di ciò che concretamente viviamo, cioè al “mondo della vita”. Se c’è qualcosa come il mondo esso non è il prodotto della spontaneità; non esiste una materia informe che verrebbe poi strutturata dal pensiero. Ciò che si dà è sempre qualcosa di costituito, seppur passivamente, e che produce 7 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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Introduzione

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“tendenze”, “affezioni”, ancor prima che l’io sia attivamente diretto sull’apparire. La “singolarità assoluta” a cui Husserl fa riferimento nella Crisi a proposito del mondo, vuole esprimere proprio la dinamica per cui per cui ciò che si impone all’io non è mai qualcosa di isolato, ma sempre un’intenzione che reca una serie di rimandi più o meno espliciti; e questi rimandi non costituiscono il polo di una relazione che vedrebbe dall’altro lato una soggettività costituente non contaminata; questi rimandi hanno un significato solo perché formano gli strati di ciò che chiamiamo io. Quando Husserl parla allora di mondo come “rappresentazione” non si riferisce al mondo come totalità delle cose, ma al mondo come l’orizzonte trascendentale della manifestatività dell’ente in generale. Il fatto fenomenologico non si configura perciò come una semplice forma del pensiero, ma come il continuo flusso delle formazioni in cui il pensiero si articola, cioè mai indifferente ai contenuti che l’intenzionalità, come medium universale di tutti gli erlebnis, veicola. L’elemento per noi decisivo è che si fa riferimento alla vita del pensiero. Sempre nelle Meditazioni cartesiane Husserl sostiene che nell’atteggiamento fenomenologico questo io ingenuamente interessato al mondo viene preso di mira dall’io fenomenologico inteso come “spettatore disinteressato” in grado di mettere in pratica quella riflessione capace di isolare l’idealità del fatto. È conciliabile una intenzionalità “vivente” con la sua stessa pretesa di risolvere la fattualità in un atteggiamento disinteressato? La risposta di Heidegger è negativa. Quello che divide Heidegger da Husserl riguarda la costituzione della significatività di ciò che è significativo. Soprattutto con le Idee Husserl, secondo Heidegger, prende una svolta neokantiana e cartesiana affermando che la soggettività trascendentale è la fonte di tutto ciò che dà significato. Heidegger sostiene che il mondo, in cui le cose vengono incontrate, è la fonte del significato. Quando usa la parola essere, egli intende l’essere ridotto fenomenologicamente, ovvero come significatività; quando parla del das seiende, egli intende l’essere come intellegibile, non qualcosa che è qui e ora, ma qualcosa che è presente significativamente all’interno di un contesto umano. L’essere come presenza (Anwesen) non si riferisce ad una presenza di tipo spazio-temporale, fuori da un contesto; significa presenza carica di significato in correlazione con la comprensione del 8 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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significato stesso. Quando l’Anwesen viene resa con la vicinanza, questa vicinanza non è spaziale, ma è una significanza; ciò che è vicino, è ciò che è presente all’interno del nostro contesto di riferimenti. La natura di questa significatività è il soggetto della domanda principale di Heidegger. Phainomenon indica ciò che si manifesta da se stesso, cioè quanto, da se, si pone nella luce, nella manifestatività, in maniera più originaria rispetto al rapporto soggetto-oggetto; non occorre alcun intervento dell’intenzionalità perché emergano delle unità oggettuali; esse sono strutturalmente inserite nella costituzione fondamentale dell’esserci, dal nostro abitare emotivamente il mondo. Quando Heidegger pensa all’ente che si manifesta, non pensa, ovviamente, alle cose della natura o agli oggetti caratteristici della conoscenza umana; non c’è distinzione, per utilizzare una terminologia kantiana, tra fenomeno e cosa in sé; questo modo di pensare moderno si oppone a quello greco originario- che Heidegegr tenta appunto di recuperare- in cui tutte le cose si manifestano. Ma questo manifestarsi ha una duplice essenza: il phainomenon è l’ente che si manifesta ma è anche “ciò in cui” si manifesta, ovvero la luce. Dunque, il fenomeno in Heidegger non dipende dalla coscienza; il fenomeno si manifesta, per quanto ciò che gli consente di manifestarsi- la luce-, non si manifesta- ed è questa la differenza ontologica heideggeriana tra essere ed ente-; l’essere è in tutti gli enti, ma appunto si nasconde nell’ente determinato: ragion per cui la filosofia è costitutivamente votata al fallimento, incapace di cogliere l’essere dell’ente. A mostrarsi è solo l’ente, e lo fa storicamente; per cui tutte le cose appaiono sempre all’interno di un complessivo senso dell’esistenza. Da questo punto di vista Heidegegr obietta ad Husserl che la sua idea di epochè e coscienza trascendentale pura è interna al primato dell’aspetto conoscitivo tipico della modernità e della sua relazione soggetto-oggetto, mentre l’incontro originario con l’ente non è conoscitivo, è emozionale1. Fermo restando che il primato della 1 Nonostante le premesse, anche in Heidegger, però, il vissuto non sfugge alla deriva gnoseologica che aveva irrimediabilmente condizionato l’impostazione husserliana: “il fatto è che Heidegger tratta le affezioni dell’esistente come categorie, che sono sì modelli interpretativi, ma di pertinenza ontologica, concernenti l’essere dell’esistente e non l’esistenza stessa nella sua effettiva singolarità, e non guarda al fondo emozionale, al puro incomunicativo del vissuto, in cui soltanto le affezioni sono autentiche, patite come mie”. ( A.Masullo, (2003), Paticità e indifferenza, Il Melangolo, Genova, p. 44-45).

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relazione conoscitiva costituisce, effettivamente, il marchio del lavoro husserliano, cercheremo di mostrare che non è semplicemente possibile ignorare l’impostazione husserliana, a meno che non ci si occupi di altro; e che il percorso di Husserl è così denso da riuscire a rivelare aspetti insospettabili per tutta una tradizione di ricerca che ha imposto, a proposito della fenomenologia, la semplice immagine di una forma di idealismo. Liquidare come “moderna” la filosofia husserliana è una semplificazione inaccettabile, giustificabile solo a partire da considerazioni extra-filosofiche2. Il modo in cui Husserl scopre l’attività della coscienza, e quanto la precede prima di raggiungere le forme della certezza e dell’evidenza, è imprescindibile per ogni riflessione che, da Sartre a Derrida3, ha preteso di affrontare gli stessi temi. In particolare, dopo aver cercato di chiarire tutta l’ampiezza e il 2 Come si fa a considerare le ricerche husserliane sul tempo (che Heidegger ben conosceva, avendo curato l’introduzione delle Lezioni sul tempo di Husserl, e per aver avuto accesso, come allievo, agli inediti sul tempo del maestro), e quelle sulle cinestesie come interne al paradigma moderno? Levinas, che ben conosceva entrambi, è stato netto su questi punti; a proposito delle cinestesie, come poi vedremo, ha scritto: “non bisogna forse intendere la trascendenza nel senso etimologico del termine, come un superamento, uno scavalcamento, un avanzamento, piuttosto che come una rappresentazione? [...] il pensiero non oltrepassa se stesso incontrando una realtà oggettiva, ma entrando nel cosiddetto mondo lontano”; E.Levinas, (1998),Intenzionalità e sensazione, in Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, tr.it. di F.Sossi, Cortina editore, Milano, p. 182-183. 3 E questo è stato riconosciuto da tutti i più noti pensatori francesi- eccezion fatta per Foucault che, però, si è occupato d’altro ed ha ignorato i problemi sollevati da Husserl- come si evince nell’Archeologia del sapere-; ma lo stesso discorso vale anche per tutta la filosofia di Heidegger, come ancora Levinas chiarisce magistralmente parlando dell’intenzionalità husserliana: “la presenza in mezzo alle cose che si riferisce agli orizzonti […] annuncia in effetti la stessa filosofia dell’essere in senso heideggeriano. Ogni pensiero che si dirige sull’ente si trova già nell’essere dell’ente, che Heidegger dimostra essere irriducibile all’ente, orizzonte e luogo che determina ogni prese di posizione, luce di un paesaggio che guida già l’iniziativa del soggetto che vuole, che lavora e che giudica”; E.Levinas, La rovina della rappresentazione, in Scoprire l’esistenza, cit., p. 150. Senza trascurare il fatto che le scoperte recenti sul ruolo dei neuroni specchio ha riportato l’attenzione degli stessi scienziati sugli studi di Husserl relativi al “corpo proprio” e alle cinestesie come forma di intenzionalità; cfr. Cfr. G.Rizzolatti, C.Sinigaglia, (2006), So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina, Milano.

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continuo sviluppo del concetto di intenzionalità, interrogheremo la questione del categoriale e del pre-categoriale, cercando di mostrare la grande difficoltà che Husserl scopre e con cui è costretto a confrontarsi. Se la percezione è giù strutturata linguisticamente, l’idea che il reale oggettivo, così come esso è espresso dal giudizio S é P, possa radicarsi nella sfera intuitiva viene a cadere, proprio perché ritroveremmo in esso non delle proprietà reali, ma delle specie concettuali. A meno che, come in effetti si proverà a spiegare, non sia possibile riconoscere un accordo tra la sfera intuitiva e quella concettuale mediante l’operatività di una “tipica” della coscienza passiva; questo, però, non significa schiacciare tutta la dimensione linguistica sul mero rispecchiamento di quella intuitiva, visto che, entro certi limiti, il linguaggio conserva la possibilità di sistemare, selezionare e variare le modalità di presentificazione degli elementi intuitivamente dati. Nelle Ricerche Logiche la percezione è qualcosa di semplice, nel senso che la sua unità appare di colpo e, per procedere all’esplicazione delle parti occorrono formazioni categoriali di cui va considerato l’eventuale riempimento. Se, invece, come avviene in Esperienza e Giudizio, noi constatiamo che la percezione non è “semplice”, e che ogni già in essa opera una sintesi esplicativa, noi stiamo considerando il livello dell’intuizione come autonomo rispetto al giudizio, cioè rispetto alla necessità che intervengano nuovi atti intenzionali per determinare le caratteristiche della percezione. Ma se la percezione annovera già in sé dei riferimenti a delle oggettività universali, ci si scontra con il problema che la genesi di quest’ ultime viene da Husserl tracciata proprio a partire dalla sfera intuitiva, come si evince nel suo ultimo grande testo, Esperienza e Giudizio; veniamo così rinviati dalla sfera intuitiva agli elementi concettuali e viceversa; è possibile uscire da quello che, in effetti, è un circolo vizioso? Desidero ringraziare l’Istituto Italiano per gli studi filosofici di Napoli e, in particolare il suo segretario, il prof. Antonio Gargano, per il continuo sostegno alla mia attività di ricerca.

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L’Intenzionalità

La fenomenologia non è psicologia Che cosa si intende per fenomeno? Da Galilei in poi la scienza si è definita scienza dei fenomeni della natura; con il termine fenomeno essa ha inteso riferirsi a ciò che, nella nostra vita naturale, viene colto come “cosa” tramite l’esperienza sensibile; prima, dunque, che intervenga la scienza a prendere in considerazione le caratteristiche, i rapporti, con cui le cose sono determinate. Da questo punto di vista le cose non sono “mere apparenze”, ma manifestano un qualcosa che diviene conoscibile mediante le metodologie fisiche e matematiche. Quello che connette questa concezione moderna all’esperienza sensibile è il fatto che sussiste una “credenza nella realtà”. Il discorso scientifico considera dunque il fenomeno entro dei confini determinati; se, continua Husserl, si vuole intendere il percorso di una fenomenologia come scienza dei fenomeni, bisogna allora ampliare il concetto stesso di fenomeno, andando al di là delle manifestazioni delle cose sensibili, fino a considerare tutti i modi delle “rappresentazioni intuitive”: il ricordo, il sogno, la fantasia, l’illusione, etc…, e all’interno di queste modalità, tutte le diverse presentazioni dello stesso oggetto. Giunti a questo punto possiamo distinguere gli “oggetti della natura”, in quanto oggetti extra-coscienziali, dai fenomeni della coscienza, in quanto immanenti alla coscienza stessa. Da qui la distinzione tra atteggiamento naturale scientifico e atteggiamento fenomenologico; nel primo caso il reale della natura scorre nella nostra coscienza e noi lo assumiamo come realtà oggettiva; nell’atteggiamento fenomenologico, invece, il nostro interesse si rivolge al modo in cui 13 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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gli elementi della coscienza realizzano la comprensione, l’unità, del mondo sensibile o della più alta oggettivazione ideale. All’epoca del saggio La Filosofia come scienza rigorosa è chiaro che “la distinzione critica di metodo psicologico e metodo fenomenologico mostra in quest’ultimo la vera via per una teoria scientifica della ragione e al tempo stesso per una adeguata psicologia” 4. Il problema fondamentale che Husserl evidenzia è che la psicologia è irrimediabilmente vincolata alla ricostruzione di catene causali mediante processi di generalizzazione induttiva di dati di fatto: “il superamento dello psicologismo associazionistico sembra a Husserl realizzabile solo se si fonda la validità del rapporto enunciato in un atto di coscienza originario, che non sia esso il rapporto di fatto, ma l’evidenza vissuta e perciò non rifiutabile del rapporto di fatto, rispetto alla quale il rapporto enunciato non sia che l’esplicitazione discorsiva”5. Al 1916 risale il saggio Fenomenologia e Psicologia6, prolusione inaugurale in occasione del suo insediamento a Friburgo. Qui Husserl opera la netta distinzione tra i due tipi di esperienze, una immanente e l’altra trascendente: “l’esperienza immanente consiste nel semplice sguardo della riflessione contemplante che coglie i fenomeni nella loro assoluta medesimezza”; nel secondo caso “la coscienza[…] è così prodigiosa che i fenomeni a lei immanenti danno il senso di manifestazioni di oggetti estranei alla coscienza”7. Il carattere di assolutezza conferito alla prima esperienza deriva dal fatto che “sarebbe insensato dubitare dell’essere dei rispettivi piacere, volere, rappresentare, pensare, che io colgo nello sguardo riflettente”, mentre una cosa esterna offre alla sensibilità diversi aspetti, per cui l’esperito immanente è secondo la sua esistenza assolutamente indubitabile, “l’esperito trascendente no”8. 4 E. Husserl, (2001), Philosophie als strenge Wissenschaft ; tr. it. a cura di G. Semerari ,La filosofia come scienza rigorosa, p. 70, Roma, Laterza. 5 A. Masullo, (1961), Introduzione a E. Husserl, Logica, Psicologia, Filosofia. Un’introduzione alla fenomenologia, p. 12, a cura di A. Masullo, Il Tripode. 6 E. Husserl, (2003), Fenomenologia e Psicologia, a cura di A. Donise, Filema, Napoli. 7 ib., p. 49- 50. 8 ib., p. 50.

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Con questo non ne deriva affatto una minore complessità del fenomeno proprio della fenomenologia; anzi, anche in queste pagine Husserl ribadisce l’importanza della distinzione, interna al fenomeno, tra noesi e noema, dove il primo concetto, già presente nelle Ricerche Logiche, riguarda gli atti conoscitivi soggettivi, mentre il secondo, introdotto nelle Idee, individua il contenuto di pensiero, che è da non confondere con l’oggetto trascendente, perché questo- nell’esempio di Husserl un albero- come qualcosa di esistente può crescere, seccare, mentre il noema di questo fenomeno percettivo non ha proprietà reali, non può bruciare, pur essendo l’aspetto oggettivo dell’esperienza vissuta . Ma per queste indagini non opera la psicologia come scienza di tutti i tipi di coscienza? Husserl ha un’alta considerazione della psicologia del suo tempo, soprattutto di quella brentaniana, tanto da arrivare a dire, nel §12 di Fenomenologia e Psicologia, che la fenomenologia proviene da interessi psicologici e nei suoi inizi non si distingueva nettamente da questi. Ma si tratta di due discipline che, seppur relazionabili, si distinguono profondamente perché, secondo Husserl, la psicologia continua ad avere i suoi riferimenti metodologici nelle scienze della natura e nelle conseguenti categorie di causa- effetto; la sua deficienza principale, però, consiste nel fatto di assumere le datità psichiche come oggetti dell’analisi psicologica, ma senza affrontarne in maniera rigorosa le caratteristiche cosicché “essa è nel nocciolo anche psicologia senza coscienza”9. L‘esperienza del sé oggetto della psicologia descrive un ambito che annovera soggetti empirici, qualità caratteriali, ovvero presuppone il mondo empirico nel quale io mi trovo; in questo senso i fenomeni della psicologia non sono puri, perché si riferiscono a realtà che trascendono la coscienza. Se l’esperienza del fenomenologo è un’esperienza puramente immanente- attraverso metodologie di riduzione della realtà su cui ci soffermeremo-, cosa trova in queste esperienze? Non trova dei “fatti” ma delle “essenze”. Il riferimento più ovvio per comprendere questo tipo di scienza è la geometria. Anche quest’ultima non si preoccupa di trovare forme spaziali fattuali, ma le regole inerenti a delle figurazioni 9 Ib., p. 74.

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spaziali intuite e la cui esistenza non è né un presupposto né un tema di ricerca: “la geometria non ha ‘realtà’, ‘fatti’, né esserci individuali come ambito di ricerca, bensì un’idea che è la cornice di un’infinità di idee o di essenze con le loro proprie leggi di essenze e rapporti di essenze. Il geometra trae queste essenze totalmente dalla ‘intuizione’. Questa non è un’esperienza; poiché esperienza è il cogliere fatti individuali come realtà essenti […]. Un ruolo molto più importante lo gioca per lui la libera fantasia”10. La stessa fenomenologia, sulla base della fantasia liberamente variabile, cerca di cogliere le essenze inerenti alla percezione, al ricordo, all’esperienza riproduttiva, etc… . Meglio precisare subito che queste analogie non devono farci automaticamente pensare ad un comune stile scientifico tra geometria e fenomenologia; la struttura di una scienza dipende sempre dal tipo di essenze del suo ambito di ricerca. La fenomenologia non ha lo stesso andamento deduttivo della matematica e della logica, né ha come filo conduttore il principio di causa delle scienze della natura; la fenomenologia, vedremo, ha le sue proprie condizioni di possibilità per le datità intuitive. La prima domanda che si impone è da dove iniziare a praticare la fenomenologia; secondo Husserl l’esperienza è, nella sua ultima originarietà, percezione11 ed è in questa che noi troviamo le prime evidenze, escludendo tutto ciò che non è realmente percepito. Questo metodo, dice Husserl, è un ampliamento del metodo del dubbio cartesiano, ampliamento reso necessario dal difetto di fondo dell’impostazione del filosofo francese, ovvero la mancata esclusione delle trascendenze obiettive, in particolare la corporeità. La confusione tra fenomenologia e psicologia nasce proprio da questo, dal confondere l’evidenza della riflessione sul cogito con l’evidenza dell’esperienza psicologica di sé; infatti, anche nella VI Ricerca Logica Husserl non manca di tornare su questo aspetto: “è una teoria molto ovvia e molto diffusa dai tempi di Locke in poi, ma anche fondamentalmente erronea quella che sostiene che […]- le categorie 10 Ib.,p. 84. 11 E. Husserl, (1970), Ideen zu einer Phänomenologie und phänomenologischen philosophie, Halle 1928; tr. It. Di G. Alliney, Idee 1 per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, Einaudi, Torino, p. 70.

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logiche come essere e non essere, unità, pluralità[…]- sorgono dalla riflessione su certi atti psichici, quindi nel campo del senso interno, della ‘percezione interna’.[…]. Un sistema, ad esempio, è dato e può essere dato in una riunione attuale, quindi in un atto che perviene ad espressione nella forma del collegamento congiuntivo A e B e C […]. Ma il concetto di sistema non nasce dalla riflessione su questo atto; invece che all’atto che opera questa datità dobbiamo guardare piuttosto a ciò che esso dà, al sistema che esso porta in concreto a manifestazione, ed elevare la sua forma generale alla coscienza della generalità concettuale”12. Il confronto di Husserl con la filosofia moderna, soprattutto con l’empirismo inglese, è costante e non privo di interessi anche per cogliere il suo distanziamento dalla psicologia, per molti aspetti debitrice di questa corrente filosofica. In effetti, è noto che Cartesio, nelle prime due Meditazioni, scopre il presupposto fondamentale di ogni filosofia trascendentale: l’idea di una soggettività chiusa in se stessa che può sempre, in una assoluta indubitabilità, prendere coscienza di sé. Ma sappiamo anche come le successive tre Meditazioni prendano una strada completamente diversa, con il loro riferimento a Dio per giungere alla conoscenza del mondo extra-soggettivo. Il merito di Locke è proprio quello di aver ripreso ciò che non era stato fatto da Cartesio, la tematizzazione diretta dell’ego. Senza dilungarci troppo, qual è il punto debole individuato da Husserl? Locke considera l’esistenza dei corpi come assoluta nelle loro componenti geometrico-meccaniche; queste componenti, o qualità primarie, hanno degli effetti sui nostri sensi, e di conseguenza noi abbiamo intuizioni empiriche di questi corpi, con la conseguente percezione di qualità secondarie- perché solo soggettive- come il suono, il caldo, il colore; il merito di queste qualità secondarie è quello di indicare le proprietà geometrico-meccaniche tramite leggi psico-fisiche (ad es. la percezione del suono indica la vibrazione dell’aria). Evidente, anche qui, il modello delle scienze della natura; alla base sia degli stati fisici che di quelli psichici, vi sarebbe una sostanza sconosciuta di cui nulla si può sapere, responsabile 12 E.Husserl, (1922), Logische Untersuchungen, Niemeyer, Halle; tr. it. di G. Piana, Ricerche logiche, 2 voll., Il Saggiatore, Milano, 1968, vol.2, pp.442-444.

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delle azioni della natura e della trascrizione dei segni sulla tabula rasa. Il risultato è un circolo vizioso in cui si presuppone il modello delle sostanze della scienza naturale proprio quando ci si interroga sulla sua possibile validità. Berkeley coglie le “assurdità” implicite in Locke, confutando sia la distinzione tra qualità primarie e secondarie13, quanto il passaggio dai dati sensibili immanenti alla coscienza ad una causa sostanziale esterna che produrrebbe gli effetti sui corpi: un’inferenza, osserva Berkeley, ingiustificabile. Da qui il tentativo di dispiegare la costituzione del mondo reale nella soggettività conoscitiva; solo che Berkeley, continua Husserl, resta prigioniero di un pregiudizio caratteristico di tutto l’empirismo, ovvero il fatto che solo “i momenti individuali” possono essere intuiti; ragion per cui la cosa percepita nell’evidenza è, di volta in volta, un corrispondente complesso di dati visivi, o tattili, etc…: “(Berkeley) è cieco nei confronti della coscienza della cosa come coscienza d’unità”14. Berkeley, in altre parole, considera, come già Locke prima di lui, l’associazione come il principio che tiene insieme dei complessi di dati sensoriali che si presentano con una regolarità empirica; ma l’associazione è un principio psico-fisico che viene assunto come principio assoluto quando l’unica regione assoluta dovrebbe essere la coscienza immanente; il riferimento husserliano alla “coscienza di unità” equivale a rimproverare Berkeley per non aver scoperto l’intenzionalità. Analogamente, scrive Husserl, in Hume si verifica il seguente paradosso; date certe “impressioni” come percezioni primitive e vivaci esse, fondendosi tra loro, dovrebbero darmi o una percezione attuale- mettiamo, di un colore-, o il ricordo, o 13 Locke diceva che posso pensare un oggetto senza colore, ma non senza estensione e ne deduceva la distinzione tra qualità secondarie e primarie; obietta Berkeley che, in realtà, io posso astrarre dal colore perché posso ancora pensare di toccarlo; ma la stessa estensione può essere vista solo perché grazie al tatto ho imparato a distinguere i limiti di un’estensione dal contesto. Di conseguenza, senza estensione l’oggetto mi appare inconcepibile non perché l’estensione sia una proprietà primaria, ma perché esse viene concepita mediante i due sensi più importanti (vista e tatto), a differenza di altre proprietà che, invece, coinvolgono solo singole qualità sensoriali; il che mi fa concludere che tutte le qualità sono secondarie. 14 Husserl, (1989), Storia critica delle Idee, a cura di G.Piana, Guerini, Milano, p.166.

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L’Intenzionalità | La fenomenologia non è psicologia

la semplice fantasia di un colore. Cosa autorizza queste distinzioni? Il riferimento alla vivacità o alla fugacità di queste impressioni non autorizza delle distinzioni così radicali, a meno che “non si esamini l’unico grande tema dell’intenzionalità, che si sviluppa all’infinito in molteplici diramazioni”15.

15 Ib., p.180.

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L’Intenzionalità | L’Intenzionalità come problema della conoscenza

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L’intenzionalità come problema della conoscenza

Quando Husserl giunge a definire la fenomenologia ha alle spalle la Filosofia dell’aritmetica e le Ricerche Logiche; ciò non significa affatto che egli abbandoni i suoi precedenti lavori di fronte al fatto di porsi su una strada, quella della fenomenologia appunto, che egli stesso percorre per la prima volta e da solo. E non tanto perché egli stesso riconoscerà successivamente che già in quelle opere si muoveva da fenomenologo senza saperlo, ma perché si trattava di un effettivo approfondimento di questioni già emerse nei suoi primi lavori. Finchè io vivo nell’evidenza ingenua di certi oggetti dati posso tranquillamente continuare ad operare con questi oggetti nella completa padronanza delle loro caratteristiche; dove si produce l’equivoco è ad un altro livello. Io posso pensare che certe proposizioni della logica pura abbiano un’origine empirico-psicologica solo perché non mi sono mai posto nella posizione di interrogare l’evidenza in cui esse mi appaiono, il loro “senso d’essere”; questo non significa andare alla ricerca di una spiegazione generale da cui derivare la spiegazione della mia conoscenza dell’oggetto; significa, invece, mettere in discussione la prima evidenza ingenua in cui noi già sempre siamo, ovvero il fatto di concepire una relazione uniforme che aggancia il soggetto ad un oggetto esteriore; assumere l’evidenza fenomenologica come campo di indagine significa stabilire che il pensiero, come senso, non necessariamente si limita ad annunciare la conoscenza di un oggetto spazio-temporale. Nelle Ricerche Logiche l’ideale della conoscenza, attraverso la percezione interna, è costituito dall’evidenza dei vissuti. 21 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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L’Intenzionalità | L’Intenzionalità come problema della conoscenza

La prima e fondamentale evidenza è quella connessa all’io; eppure Husserl non considera questo punto di partenza come caratterizzato da un’esplicita determinabilità, nel senso che la rappresentazione connessa all’io presenta una certa vaghezza concettuale. Ragion per cui, enunciati in prima persona come ‘Io odo, percepisco, etc..’ risultano allo stesso tempo un dominio assolutamente certo di quanto è connesso all’io e, ugualmente, un vissuto in cui l’io si confonde con la stessa sensazione16. La mancata distanza tra io e vissuto è solidale con un’immagine della temporalità- l’ora- identificata con un attimo effimero, puntuale, come il tempo della sensazione. Ovviamente Husserl sa bene che la sensazione può durare nel tempo, assumere la forma di un ricordo e, quindi, chiamare in causa l’unità del soggetto che la esperisce e la ricorda; ma questa unità, proprio per quanto detto, non si distingue dai vissuti; è l’unità della connessione stessa dei vissuti e, in ultima analisi, fa affidamento su un meccanismo causale che tiene in piedi la connessione tra i vissuti. In questo modo Husserl mette fuori gioco ogni tipo di scetticismo fondato sull’empirismo, ovvero la convinzione di poter legare la verità di una conoscenza all’esperienza; d’altro canto, non posso neppure identificare la verità di una conoscenza con il flusso di stati soggettivi che possono caratterizzarla. L’impostazione di Husserl prevede che la correttezza di un ragionamento sia indipendente dagli stati della soggettività, perché dipende solo dal fatto di accedere all’oggettività ideale. Ora, finchè penso al triangolo posso porre la questione nei termini dell’eidos o essenza del triangolo come ciò che presenta una serie di predicati soppressi i quali io non ho più il triangolo ma qualcos’altro. Il problema è che a questo livello è sempre possibile avanzare l’obiezione che gli oggetti sono convenzionali e, dunque, anche la mia conoscenza lo è. Per questo Husserl dice che l’essenza riguarda anche la percezione, per cui se riconosco un colore, nel giudizio che lo esplicita è implicita anche la percezione della sua essenza: se provo a concepire 16 Scrive V.Costa: (2003), “se ci fosse l’evidenza, quell’evidenza descritta nelle Ricerche Logiche, non ci sarebbe la coscienza” in La fenomenologia tra soggettività e mondo, Leitmotiv 3, p.14. Vedremo che Husserl affronterà questo problema di come intendere l’io.

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L’Intenzionalità | L’Intenzionalità come problema della conoscenza

il colore senza estensione sparisce l’oggetto colore. Ne consegue che queste essenze non sono affatto formali, ma materiali, perché esprimono delle relazioni necessarie tra oggetti e sono indipendenti dall’esperienza; anzi, esse sono le condizioni grazie a cui un oggetto può esistere, e in questo senso sono a-priori, proprio perché slegate da ogni tipo di accordo con un principio di intellegibilità; la loro intellegibilità è la loro stessa evidenza per la coscienza che li intenziona, cioè li mira. Significa forse tornare alla psicologia e all’analisi dei vissuti per cui l’oggetto è per me? No, perché qui in gioco è l’evidenza dell’intuizione stessa. In effetti il campo d’indagine dell’intenzionalità è amplio, comprendendo tutto il campo dei significati verbali; al di fuori restano solo le indagini sulla costituzione del tempo immanente. Quando parliamo di significati verbali vogliamo dire che la comprensione delle parole- il suo significato- non è un’immagine associata alla percezione uditiva e visiva della stessa; noi non associamo due fatti psicologici- il suono e l’immagine appunto- ma nell’espressione noi miriamo ciò che pensiamo. L’unica forma di esteriorità che Husserl concede è esattamente la relazione tra il pensiero come attività e il pensato; la povertà dell’empirismo consiste nel partire dalla realtà dell’oggetto, mentre nella prospettiva husserliana l’oggetto è interno all’atto di dare un senso. Questa impostazione realizza una serie di implicazioni reciproche da verificare; se l’intenzionalità è posizione di un oggetto (il desiderato di un desiderio, il sentito di un sentimento, etc…) ne consegue che l’intenzionalità è indissolubilmente intrecciata alla rappresentazione? Ma se abbiamo associato il processo di comprensione all’evidenza, cioè ad un processo di identificazione, vuol dire che esso può anche essere indeterminato, come dotato di un senso, ma non oggettivo. Il pervenire ad una verità non implica il collegare due o tre concetti attraverso il giudizio; il modello che qui fa da riferimento è connesso alla visione, all’evidenza della percezione; anche su questo punto, però, attenzione a non restringere troppo il campo. Assumere come modello delle percezioni non significa limitare il campo della verità a dei contenuti materiali: “deve esserci un atto che svolge rispetto agli elementi significanti la stessa funzione assolta dalla percezione sensibile nei confronti degli elementi materiali”17. Esiste cioè un’intuizione catego17 E.Husserl, Ricerche Logiche, cit., vol. 2, p. 445.

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L’Intenzionalità | L’Intenzionalità come problema della conoscenza

riale oltre ad un’intuizione sensibile, e le due forme differiscono per il modo in cui l’oggetto viene raggiunto; il che, d’altro canto, non è da intendersi come un capriccio della coscienza. Se gli oggetti rivelano delle strutture materiali e formali, vuol dire che l’intenzionalità assume forme specifiche a seconda degli oggetti: se osservo un colore, se provo una paura o percepisco una relazione, avrò differenti forme di intenzionalità e differenti intuizioni. Nel caso del colore avrò un’intuizione sensibile, ovvero l’immediata esposizione dell’oggetto allo sguardo; nel caso di un sentimento avremo una particolare forma di intensità che dovremo indagare; se percepisco una relazione –ad es. una similitudine tra due oggetti- ho un’intuizione categoriale, la quale non deriva direttamente dall’intuizione sensibile, ma si appoggia su di essa per costruire un’intenzione più generale. L’intenzionalità husserliana rivela degli aspetti decisamente originali. L’intenzionalità non è la caratteristica di una coscienza passiva che si mette in moto quando la realtà preme su di essa; al contrario, è la realtà ad essere subordinata alla coscienza come produzione di senso. Ancora una volta, però, anticipiamo una possibile lettura; questo non è un tipo di idealismo in cui tutta la realtà, comprese le forme logiche, sono costruite da noi; la produzione di senso è il modo originario in cui gli oggetti, secondo la loro struttura, vengono presi di mira dall’intenzionalità; e questo esser presi di mira ci offre un’immagine della coscienza in cui essa non è una realtà piena di contenuti psicologici che rispecchierebbero la realtà materiale, quanto un insieme di significati. Se noi abbiamo significati imperfetti, indeterminati, mutevoli, non è perché la nostra coscienza è limitata; le sue imperfezioni sono i diversi modi di accedere alle caratteristiche degli oggetti. Una coscienza che si identifica con la molteplicità dei suoi significati è una coscienza che è determinata in tutte le sue forme di identificazione, senza che nulla possa essere considerato irrilevante: ogni manifestazione della coscienza ha un senso. Ricollocare il senso degli oggetti nel contesto degli atti intenzionali spiega il perché della riduzione fenomenologica. La necessità della riduzione si coglie non tralasciando l’obiettivo polemico che essa ha di mira, e cioè il dubbio cartesiano e, più in generale, l’atteggiamento in cui anche quest’ultimo rientra, “l’atteggiamento naturale”: “il mondo 24 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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che in ogni momento di veglia mi è coscienzialmente ‘alla mano’ non si esaurisce in questa compresenza, intuitivamente chiara o oscura, distinta o indistinta, che costituisce l’alone del mio campo percettivo. […]. Questo mondo […] ha il suo orizzonte bilateralmente infinito, il suo passato e il suo futuro, noto o ignoto [..]; non solo un mondo di cose ma, con la stessa immediatezza, anche mondo di valori, mondo di beni, mondo pratico”18. Una riduzione ci riporta in un campo di esperienza da cui deve emergere la validità di una posizione: ad es., la posizione di categorie logiche come “è”, “non”, esibite in quanto ricondotte all’esperienza ante-predicativa; oppure, in Idee 1, la posizione di qualcosa in quanto “reale”. Rispetto alla riduzione eidetica, in cui la riduzione va presa in senso letterale –ricondurre qualcosa all’eidos- nelle riduzioni propriamente dette compare una parte metodologica assente nella precedente. La prima riduzione annunciata da Husserl è quella in Idee 1, ovvero il diritto con cui qualcosa può essere posto come reale. Ovviamente la riduzione è trascendentale proprio perché investe le condizioni di validità dell’oggettività. Il fatto che nel contesto della riduzione la realtà venga messa tra parentesi, allude alla sospensione- non al rifiuto- della sua abituale funzione, allo stesso modo in cui una parola tra parentesi non svolge la sua normale funzione grammaticale nel contesto di una proposizione. Quindi noi assumiamo nominalmente una cosa e cerchiamo, in un determinato campo di esperienza, di dedurne la validità posizionale, il suo valere come reale. Ovviamente la riduzione ha una portata universale e non singolare, cioè di un singolo atto o oggetto, perché gli oggetti intenzionali sono sempre all’interno di orizzonti che relazionano una serie di cose; in ultima analisi siamo sempre condotti al mondo come orizzonte: osservo la parte frontale di una casa e con essa intenziono tutta una serie di possibili azioni corporee grazie a cui posso entrare, perlustrare le stanze, fare considerazioni su come ci sono arrivato, etc…; proprio per questo la posizione di realtà assume necessariamente un valore universale. Su quanto mi viene dato dal mondo io posso certo avanzare dei dubbi, ma anche quando ho tutti gli strumenti per accedere ad un’intuizione adeguata di questo mondo, in modo da superare gli ingan18 E.Husserl, Idee 1, cit., § 27, p. 61-63.

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L’Intenzionalità | L’Intenzionalità come problema della conoscenza

ni della percezione, io sto pur sempre ricorrendo ad una scienza che presuppone l’esistenza del mondo a cui si applica; il mio pensiero, in altre parole, è completamente ignaro delle sintesi che l’hanno condotto a certe oggettualità e si comporta, invece, come un abituale modo di enunciare proposizioni su delle oggettualità abitualmente ammesse al commercio tra gli uomini e il mondo: l’atteggiamento naturale non è falso, è solo tremendamente ingenuo. Ed è questa ingenuità ad aver liquidato la coscienza attraverso la sua psicologizzazione e sostanzializzazione. Come se l’io fosse un oggetto individuale e individuabile, e i contenuti di coscienza dei semplici oggetti rimpiccioliti ricavati dalla realtà. Applicare la riduzione significa dunque fare violenza contro la nostra naturale ingenuità, al fine di sospendere ogni tesi che contenga l’esistenza degli oggetti. Questa sospensione da un lato si esercita rilevando che la percezione del mondo presenta sempre delle anticipazioni – io non osservo un oggetto nella sua totalità ma da punti di vista che mi fanno però presumere ciò che ancora manca alla mia percezione- ; ragion per cui l’esistenza del mondo non può essere considerata assoluta. Ma accanto a questa argomentazione, tutto sommato tradizionale, c’è un’altra direzione. Chi è che compie questa riduzione? Ovviamente un soggetto; ma non devo sospendere la tesi anche su di esso? Ora, mentre l’oggetto emerge nella continuità dei profili che si danno alla mia percezione, “la corrente dei vissuti che è la mia, di colui che cogita, è corrente dei vissuti, e per quanto non venga afferrata che in ristretta misura […], appena dirigo lo sguardo sulla vita che fluisce nel suo vero presente e colgo me stesso quale puto soggetto di questa vita […], necessariamente e in maniera assoluta affermo: io sono, questo vivere è, io vivo: cogito”19. Mentre una cosa spaziale, continua Husserl, può non esistere, un vissuto, invece, non può non esistere. Questo significa, e Husserl lo dice esplicitamente, che l’io può esistere anche senza il mondo e quindi io non devo applicare nessuna riduzione su di esso, perché assumere l’assolutezza dei vissuti non implica l’assunzione dell’io come res cogitans. Dal punto di vista husserliano la nostra libertà non consiste, a questo punto, nell’operare nel mondo e sul mondo, quanto nella possibilità di pervenire all’evidenza della costituzione degli oggetti. Una volta sospesa l’evidenza degli oggetti, 19 Ib., §46, p. 111.

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L’Intenzionalità | L’Intenzionalità come problema della conoscenza

e una volta che ci si è concentrati sugli atti di conoscenza, l’atto ci appare come un “intendere” (Meinen) rivolto ad un elemento inteso (Gemeint); il suo carattere trascendentale è dato dal fatto che questa operazione di conferimento di un senso non è una necessità psicologica, ma una struttura ideale necessaria; rispetto all’illustre precedente, cioè il trascendentale kantiano, quello husserliano non conosce distinzioni tra intelletto e ragione. Quando intenziono l’io, ciò che viene intenzionato è un’attività e il pensiero è questa stessa attività; anche se io intenziono qualcosa di diverso dal mio pensare, il pensiero che si dirige sull’oggetto è sempre un pensiero presente a se stesso in questa attività. Dove si esplica la successione, l’identificazione, la duplicazione di questi contenuti? Esattamente nell’analisi della coscienza del tempo, a partire dall’ “impressione originaria”. Husserl si accorge che le sintesi originarie del tempo avvengono nella sfera della passività e precedono, di fatto, la coscienza di queste stesse sintesi. In altri termini, solo quando l’io è recettivo rispetto a se stesso in quanto atto che temporalizza l’appercezione20, la coscienza può poi tematizzare se stessa come tempo, in virtù dell’essenziale temporalità dell’atto. Ma ciò ci induce a porre la seguente domanda: il presente si riduce alla sua fase di contenuto singolo, oppure non può prescindere da un orizzonte protenzionale e ritenzionale- disposizione verso il passato e il futuro- che ne costituisce la struttura? Quando intendo il presente in quest’ultimo modo non lo sto considerando più come impressione istantanea- frutto di un’astrazione-, ma come un durare, cioè un fluire, un processo continuo; questo ovviamente apre un’ulteriore difficoltà, ovvero il fatto che la coscienza mi appare sia come un flusso che come una struttura portatrice di una forma di autoriflessione. Ora, tutto ciò che è per me è sempre nella situazione del “di fronte a”; posso avere anche me stesso in questa situazione. Nel cambiamento di vissuto, l’io che prima era fungentepuro essere attivo-, mi si pone ‘di fronte’: “la riflessione è la differenza 20 Per appercezione si intende l’inserimento dell’oggetto in un orizzonte di possibilità non conosciute; dunque il termine è usato in un senso più originario rispetto all’appercezione di Leibniz, la quale corrisponderebbe in Husserl alla percezione in “carne ed ossa”.

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L’Intenzionalità | La fenomenologia non è psicologia

e coincidenza dell’io […], è perciò l’esplicitazione originaria del tempo e della temporalità”21; dunque la riflessione non produce la temporalità, ma solo la esplicita; e questo significa che la coscienza irriflessa non è esterna al tempo, perché la riflessione è sempre una possibilità attiva della coscienza irriflessa. Questa stessa distinzione appare ad Husserl il frutto di un’attività dell’io, che si esercita su pre-datità passive- il flusso vivente- e solo in virtù di questa operazione riflessiva rendiamo oggettiva la temporalizzazione immanente. All’epoca non pochi neokantiani pensarono che, dopotutto, la questione di Husserl fosse la stessa di Kant, ma viziata da un pregiudizio empiristico- un soggetto originariamente presente a se stesso tramite un flusso di vissuti-; in realtà non è così. Come diverrà progressivamente chiaro a partire dagli anni 20, il problema di Husserl non è quello del criticismo, anche se nel momento in cui si dice, in Idee 2 §21, che la natura è un “correlato di coscienza”, l’equivoco non solo è possibile ma legittimo; il fatto è che in Husserl la questione è più radicale. Non si tratta di cogliere la genesi del dato per me, ma l’origine del mondo, cioè di tutte quelle questioni che Kant non aveva affrontato perché davano luogo ad esiti aporetici; e si tratta di coglierle a partire da me. Anche quest’ultima specificazione è da tenera ferma, perché Husserl parlerà appunto di mondo, di intersoggettività, ma sempre come forme di intenzionalità. In altri termini, io non sono innanzitutto gettato nel mondo, dimentico della mia nascita, etc…; io sono, come Husserl stesso dirà, una monade, ovvero capace di prendere distanza dal mondo e di osservarlo solo in quanto oggetto di riduzioni.

21 G. Brand, (1955), Welt Ich und Zeit; tr. It. di Enrico Filippini, Mondo Io e Tempo, intr. di Enzo Paci, Bompiani, Milano 1960, p. 135. Brand fa notare che quando Sartre attribuisce ad Husserl l’idea della riflessione come coscienza istantanea, misconosce il fatto che per Husserl non si dà mai l’identità tra coscienza riflessa e irriflessa, perché al posto dell’io riflesso si presenta sempre e necessariamente “un nuovo io anonimo e fluente”: il flusso accade, non dipende da un’attività dell’io. Cosicchè, il presente dell’io è nella costante disposizione verso il passato e il futuro; ib., p. 139.

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L’Intenzionalità | L’intenzionalità in Brentano

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L’intenzionalità in Brentano

Brentano parte dalla distinzione tra “fenomeni psichici” e “fenomeni fisici”. Per quanto riguarda gli ultimi- luce, suono, calore, luogo, movimento locale-, essi sono propriamente dei “segni” che si riferiscono a qualcosa di “reale”; questo qualcosa, agendo, produce rappresentazioni che vengono da noi percepite- i fenomeni appunto-; possiamo anche dire, continua Brentano, che questi segni manifestano dei rapporti che potrebbero avere dei riscontri in questo qualcosa che li produce ma, al di là di ciò, l’unica cosa che si può dire è che questo “qualcosa” non compare in sé per sé nel fenomeno; dunque, l’unica cosa vera non si manifesta, mentre noi cogliamo solo il fenomeno che, in quanto tale, non è vero come ciò che lo produce. In altri termini, la tesi metafisica enunciata è che esiste un mondo reale che, attraverso una causalità sconosciuta, produce dei segni. Esistono poi i fenomeni psichici; mediante la sensazione o la fantasia noi abbiamo delle rappresentazioni, e il termine fenomeno indica non tanto i vari oggetti rappresentati, quanto l’atto stesso di avere rappresentazioni. Che cosa caratterizza un fenomeno psichico? Il fatto che in esso noi abbiamo un rapporto con un contenuto, “un’oggettività immanente”, non intesa come realtà, ma come “in-esistenza intenzionale”. C’è, insomma, un collegamento direzionale tra me e l’oggetto; il modo in cui Brentano lo spiega non chiama in causa, però, un certo modo dell’atto psichico di dirigersi verso sull’oggetto; è piuttosto quest’ultimo che, lasciandosi vedere, mi dirige verso la sua visibilità. Così come l’intentio degli scolastici, anche l’intenzionalità di Brentano è passiva. Questa passività viene tanto più rimarcata quanto più 29 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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L’Intenzionalità | L’intenzionalità in Brentano

Brentano ci tiene a chiarire la sua distanza ed avversione rispetto al suo bersaglio polemico, Kant e la tradizione idealistica. Tutte le forme di conoscenza derivano immediatamente dagli oggetti verso cui gli atti psichici sono chiamati a dirigersi. La stessa autonomia morale e politica, al centro di Kant e della cultura illuminista, viene, con questa impostazione, radicalmente annullata, perché è come dire che esiste un ordine oggettivo della realtà anteriore alla ragione umana anche sul piano dei valori- non a caso Karol Wojtyla dirà che c’è una linea Brentano-Scheler che rappresenta la più forte confutazione del soggettivismo-. Da un punto di vista descrittivo Brentano distingue tre tipi di atti intenzionali sulla base di tre tipi di oggetti intenzionali: le intenzioni rappresentative, le quali includono i concetti della logica e della matematica; i giudizi, cioè il fatto di essere diretto su un oggetto nella modalità dell’accettazione o del rifiuto; infine i sentimenti, nel senso più ampio della parola: da una semplice simpatia per qualcosa, fino alle convinzioni più articolate in rapporto ad un fine. Partiamo da questi ultimi, perché essi includono anche le altre due forme. Si gioisce, si ama, si teme, etc…; io sono rivolto verso gli oggetti amati temuti, etc…; alla base di un sentimento c’è un giudizio; ed entrambi si fondano su una rappresentazione. Questo schema evidentemente esclude l’esistenza di sentimenti non intenzionali, cioè di tutti i sentimenti vaghi o di ciò che, ad es., chiamiamo umore; ed infatti non viene minimamente tematizzato il fatto che io sono diretto non solo sull’oggetto rappresentato, ma anche sul fatto che esso ha un valore- espresso dal giudizio-.; l’intenzione si riduce solo a quella rappresentativa, ovvero quella oggettiva. Questo punto di vista diventa ancora più chiaro quando, tenuto conto del fatto che questo terzo tipo di atti sta alla base degli stessi principi morali, Brentano si chiede come facciamo a cogliere la verità nell’etica. La dinamica che egli descrive chiama in causa la “percezione interna” come capacità di riflettere sui sentimenti. Cosa ci guida in questa riflessione? Sulla scia del suo realismo oggettivo Brentano non fornisce un’argomentazione, ma un postulato: “noi abbiamo dalla natura un’inclinazione per la conoscenza chiara ed una ripugnanza per l’errore e l’ignoranza. Tutti gli uomini, dice Aristotele nelle belle parole iniziali della sua Metafisica, per loro natura aspirano al sapere. Questo aspirare è un esempio che ci può servire. È 30 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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L’Intenzionalità | L’intenzionalità in Brentano

un piacere in quella forma superiore che è l’analogo dell’evidenza sul piano del giudizio”22: non c’è nessuna attività sintetica soggettiva perché, coerentemente con questa impostazione, il bene può essere solo una proprietà ontologica degli oggetti che ci si impone con evidenza. Per concludere, la coscienza di Brentano non produce alcunchè visto che, attraverso la percezione interna, può solo contemplare il semplice susseguirsi di oggetti dotati di alcune caratteristiche23.

22 F.Brentano, (1966), Sull’origine della conoscenza morale, La scuola, Brescia, p. 46. 23 V. H.Putnam (1988), Representation and reality, M.I.T. Press, Cambridge, cap.1, in cui si analizza il carattere passivo, diversamente da quanto avverrà in Husserl, dell’intenzionalità di Brentano.

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L’Intenzionalità | L’intenzionalità affettiva nelle Ricerche Logiche

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L’intenzionalità affettiva nelle Ricerche Logiche

Il modo di procedere di Husserl nelle Ricerche Logiche è diverso; esiste un contenuto psichico e un oggetto. Questa distinzione gli permette di affermare, a differenza di Brentano, l’esistenza di qualcosa di immanente nella coscienza, ma che non coincide con l’oggetto intenzionale. Che cosa troviamo dal lato dell’atto psichico? Abbiamo la sensazione come parte immanente del vissuto e, inseparabile da questa, l’atto di apprensione o appercezione con cui la sensazione viene “animata” e noi riusciamo a percepire un’oggettualità; in questo nesso sensazione-interpretazione, ciò che è intenzionale è la seconda componente, mentre le sensazioni non lo sono; tant’è che Husserl scrive: “non vedo le sensazioni di colore ma le cose colorate”24. La determinazione dell’oggetto è quanto viene da Husserl chiamata “materia” dell’atto, mentre il modo in cui l’oggetto viene inteso indica la “qualità” dell’atto: lo stesso contenuto- “esseri intelligenti su Marte” può essere contenuto di un’interrogazione, di un dubbio, di un’affermazione scientifica; queste differenti modalità esprimono la qualità dell’atto, mentre “esseri intelligenti” è la materia. Ad essere dominante in questa descrizione è l’atto come conferimento di senso, come capacità di “tendere a”, e non l’intenzionalità brentaniana come atto completamente dipendente dall’oggetto; e infatti questo “tendere” può essere anche indeterminato, vago. L’unico legame che continua ad esserci con Brentano è la dimensione ricetti24 E.Husserl, Ricerche Logiche, cit.,vol. 2, p. 164.

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L’Intenzionalità | L’intenzionalità affettiva nelle Ricerche Logiche

va dell’intenzionalità legata al ruolo della sensazione. Quest’ultima ci introduce in una questione particolarmente complessa; partiamo da alcune situazioni definite. Consideriamo una scottatura, il piacere per un cibo, per la permanenza al sole, etc…; in questi casi osserviamo, è vero, un riferimento oggettuale, ma esso si fonde immediatamente con un determinato campo sensoriale; non sono dunque degli atti- in questi casi affettivi-, ma solo del materiale di supporto per un’interpretazione affettiva; e tuttavia noi chiamiamo queste “sensazioni di sentimento”. Ciò accade, spiega Husserl, perché il nostro modo di affrontare la comprensione dei sentimenti parte proprio da queste situazioni- in ogni sentimento, cioè ogni volta che ci dirigiamo su un oggetto in modo affettivo, noi abbiamo anche il vissuto di certe sensazioni: “l’oggetto rappresentato può costituire da fondamento per l’intenzione affettiva se esso si manifesta con una certa coloritura”25. Negli atti affettivi veri e propri, dunque, non abbiamo un semplice sentimento che si aggiungerebbe all’oggetto rappresentato; a fare da tramite ci sono proprio le sensazioni di sentimento, le quali da un lato indicano certe proprietà dell’oggetto, e dall’altro esprimono uno stato del soggetto. Gli elementi in questione sono, abbiamo visto, tre: intenzioni affettive, rappresentazioni e sensazioni di sentimento ; per esprimere il loro intreccio indissolubile Husserl ricorre ad una formula compromissoria: “i sentimenti sono debitori del loro riferimento integrale a certe rappresentazioni soggiacenti. Ma non è meno vero che essi hanno ciò di cui sono debitori”26; in altri termini, è impensabile un atto affettivo senza che esso si diriga su un oggetto rappresentato e, contemporaneamente, tale atto affettivo ha in sé ciò che deve all’oggetto, perché gli stati affettivi sono intenzioni, modi specifici che il soggetto ha di riferirsi all’oggetto. Di conseguenza, il rapporto tra intenzione e rappresentazione non è mai un rapporto estrinseco, come se un paesaggio assolato, in qualità di realtà esterna, fosse capace di causare un effetto su di me: il rapporto è invece intrinseco, nel senso che il paesaggio vale come piacevole solo in quanto intenzionato in un certo modo. Tirando le conclusioni di queste analisi tutte legate alla V Ricerca Lo25 Ib., tr.it., p. 183. 26 Ib., tr.it., p.179.

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L’Intenzionalità | L’intenzionalità affettiva nelle Ricerche Logiche

gica §15, dobbiamo dire che il dato certo è la direzione sull’oggetto rappresentato e il sentimento che ne interpreta certe sensazioni a metà strada tra il soggetto e l’oggetto; ma l’unica forma intenzionale è quella rappresentativa, nel senso che qui Husserl ancora non dice che se un oggetto mi risulta piacevole io intenziono oltre che l’oggetto anche la piacevolezza come valore; solo se interviene un atto oggettivante io posso sentire la piacevolezza, cioè solo se prendo coscienza di quanto c’è in un vissuto; dal punto di vista fenomenologico il valore degli oggetti rientra in una classe di predicati tolti i quali un oggetto continua ad avere la stessa natura; mentre, ad es., se ad un oggetto tolgo i predicati geometrici, esso perde la sua natura di oggetto: esistono dunque predicati che esprimono l’essenza di un oggetto e altri che lo rendono dal punto di vista di una coscienza pratico-affettiva: nel §95 di Idee 1 Husserl dice esplicitamente che, da un lato noi “parliamo della cosa con il carattere di valore”, e dall’atro “parliamo degli stessi valori concreti”. Il passo in avanti compiuto in questo testo, però, consiste nella chiarificazione dell’unità strutturale di atti qualitativamente distinti tra loro; sia che parliamo di sentimenti, di interrogazioni, di volizioni, noi ci troviamo di fronte ad atti che “pongono l’essere”, ovvero atti che possono attualizzare l’apprensione dell’oggetto in una specifica modalità: ad es., io posso vivere la gradevolezza di un oggetto e poi, con una specifica attenzione, porre il valore della gradevolezza come oggetto stesso. La conseguenza della generalizzazione di questa qualità d’atto è che ogni atto può essere logicamente esplicitato, ovvero espresso linguisticamente; inoltre, l’ambiguità delle Ricerche Logiche, con l’atto sospeso tra soggetto e oggetto, viene risolta: i giudizi vertono sempre su oggetti e non solo su stati del soggetto, proprio perché ogni atto è potenzialmente oggettivante.

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L’Intenzionalità | Fenomenologia statica e genetica

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Fenomenologia statica e genetica

Nel §85 di Idee 1 Husserl fa riferimento al problema della hylé intenzionale; questo problema occuperà buona parte degli anni successivi, a partire da un testo- Fenomenologia statica e genetica- che, programmaticamente, fa emergere un cambio di prospettiva. Fino ad Idee 1 la pratica dell’epochè impedisce ad Husserl di affrontare i problemi connessi agli impulsi, agli istinti, perché la riduzione impone un atteggiamento fenomenologico rivolto alle oggettività costituite nell’ambito del nostro riferimento cosciente ad esse. In un testo risalente al 1921 e pubblicato nel XIII volume della Husserliana27 è chiaramente delineata la distinzione tra fenomenologia statica e genetica e la differenza tra genesi psicologica e fenomenologica. Mentre in ambito psicologico la genesi ha la connotazione classica delle scienze della natura, per cui è genesi causale, la specificità di quella fenomenologica è l’individuazione di sistemi di leggi a priori in virtù dei quali tanto la costituzione degli oggetti, quanto quella della coscienza costituente stessa, avvengono mediante le leggi della motivazione e delle sintesi passive. Causalità e motivazione si riferiscono a due ambiti diversi e l’indagine genetica della fenomenologia consiste proprio nella ricerca di tali motivazioni28. Motivante è l’esperienza 27 Manoscritto AV 3, in E.Husserl, (2003), Metodo statico e genetico, tr.it. di M. Vergani, Il Saggiatore, Milano. 28 L’appercezione è coscienza in sé di qualcosa di individuale, non realmente incluso nella percezione benché possa darsi anche questo caso. Ogni motivazione è appercezione. Il presentarsi di un vissuto a motiva quello di un b nell’unità di una coscienza. Si può anche dire che l’appercezione stessa sia una motivazione, che essa

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che, mediante “concordanza” e “conferma”, giunge a costituire una convinzione stabile, che orienta e dirige il comportamento ulteriore. Sul piano operativo questo si traduce in una connessione che si esplica tra la coscienza presente e il suo orizzonte storico e mondano: “la descrizione della costituzione degli oggetti isolati viene integrata da un’ulteriore esplicitazione delle sue modalità. Di fatto, l’analisi degli oggetti immanenti alla coscienza intenzionale tiene conto anche della costituzione dell’orizzonte al quale tali oggetti appartengono. Innanzitutto dell’orizzonte temporale, poi, in senso più generale, degli orizzonti universali della storia e del mondo”29. Proprio per questo, Husserl parla del metodo genetico nei termini di domanda di ritorno (Rückfrage). Nel 1908 il filosofo aveva introdotto il concetto di monade, divenuto operativo a cavallo degli anni venti, in virtù dell’esigenza di reimpostare il problema della soggettività costituente; io e coscienza hanno ormai un valore metaforico in quanto inadeguati a esprimere l’autocostituzione del flusso, la sua concretezza e “genesi spontanea”. Husserl ci dice che solo la monade riesce a esprimere l’unificazione dei flussi in un’unica struttura genetica: “la monade è un essere semplice, non spezzettabile, è ciò che è in quanto continuamente diveniente nel tempo, e tutto ciò che le appartiene è in un punto qualsiasi di questo divenire continuo e ha il suo essere come pienezza temporale in questo tempo immanente riempito, e non è nulla per sé, perché tale riempimento è continuo ed è riferito a uno stesso identico io polo”30. Più chiaramente, si parla di un’analisi di decostruzione come analitica della soggettività trascendentale a proposito della fenomenologia statica, che dunque parte da oggettualità costituite definitivamente; e di un’analisi di costruzione come esplicazione della connessione totale della monade concreta, ovvero dei sistemi di leggi che regolano il sorgere dei prodotti statici correlativi. Nello stesso giro di anni Husserl dedica un’accurata analisi al tema motivi, qualunque sia la cosa che può sopraggiungere come riempimento. 29 M.Vergani, Saggio introduttivo a E.Husserl, Metodo statico e genetico, cit., p.17. 30 E. Husserl, Metodo statico e genetico, cit. p .67.

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della volontà; e le sue analisi, che qui richiameremo solo per i nostri espliciti temi di indagine, mostrano un progressivo allargamento della sfera di influenza attribuita alla volontà. Nel §122 di Idee1 c’è un generico riferimento al fatto che ogni nostro prendere posizione è paragonabile ad un “fiat” per il fatto di presentare un aspetto di spontaneità; il che implica una sostanziale continuità dalla sfera teoretica a quella pratica. Nel manoscritto AVI 12 risalente al 1910 Husserl affronta la distinzione tra desiderare e volere, e conclude affermando che la specificità dell’atto del volere è data dal fatto di non indirizzarsi solo sull’essere di qualcosa, ma di prevedere la realizzazione nel futuro di ciò che si vuole. In questo tipo di manifestazione, che può declinarsi nelle forme del bramare, del decidersi, etc…, Husserl sottolinea la presenza di una risoluzione soggettiva che fa passare dal pensiero all’azione. Con un termine ripreso da W.James, la volontà viene assimilata ad un “fiat”. Proprio quest’ultimo punto evidenzia un aspetto di cui Husserl dovrà esplicitare tutte le conseguenze; se alla volontà appartiene questa spontaneità, e se inoltre essa, come detto, investe anche la sfera teoretica, noi ci troviamo di fronte al fatto che, mentre alla percezione appartiene essenzialmente un tipo di passività, alla volontà appartiene invece un carattere produttivo. Il problema che, però, Husserl subito rileva è che la spontaneità della volontà non mostra solo prese di posizione oggettualmente dirette, ma anche un carattere istintuale non intenzionale, cioè una volontà che si manifesta ma non per decidere. In un manoscritto del 1911, facente parte delle annotazioni che Husserl conduce sul testo Motivi e motivazioni di Pfänder31, si fa riferimento ad una tendenza come mero stimolo e ad una tendenza che può diventare un cogito attuale, cioè un’autentica intenzione dossica. Come esempio della prima tendenza troviamo il respiro, perché è un accadimento soggettivo nella forma di un cieco impulso; eppure lo stesso impulso, in questo caso, può diventare anche oggetto di una risoluzione intenzionale con la quale accelerare, rallentare o semplicemente ascoltare il proprio respiro. Tra questi due estremi troviamo una vasta gamma di tensioni. Se sono impegnato in un compito teoretico 31 A.Pfänder, (1963), Phänomenologie des Wollens. Motiven und motivation, Barth, München.

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posso, contemporaneamente, pensare o no di assecondare la tendenza ad accendere una sigaretta. In un caso intermedio come questo, nota Husserl, la volontà di fumare è già presente anche se latente. Per questo, qui, il passaggio dall’atto latente a quello manifesto è diverso rispetto alla risoluzione dell’esempio precedente nei confronti del respiro. L’aspetto rilevante sta nel fatto che la tendenza viene assunta come dimensione della coscienza, arrivando a qualificare un tipo di intenzionalità appunto come tendenza32. Ma cos’è questa intenzionalità non cosciente, non necessariamente diretta su un oggetto? Husserl riconosce nella sensibilità un’intenzionalità che è senza intreccio con una rappresentazione e comprende questa forma di intenzionalità come un sistema di impulsi (Triebsystem) originariamente sussistente. In altre parole, la coscienza è affezione originaria. La funzione di questi impulsi o istinti è duplice: essi rendono possibile l’apertura del soggetto al mondo, per cui vengono denominati da Husserl “istinti diretti mondanamente” (Instinkte der Weltlichkeit)33; in secondo luogo, il dinamismo che impongono alla coscienza è volto al preservamento di sé da parte di quest’ultima (Selbsterhaltungs - instinkte)34. Ma allora come si dispiegano questi istinti? Gli istinti si dispiegano mediante i movimenti del corpo, i quali, pertanto, vanno considerati eventi intenzionali: “questi movimenti che appartengono all’essenza della percezione e servono a portare a datità l’oggetto da tutti i lati possibili, noi li chiamiamo ‘cinestesi’. Essi sono esplicazioni delle tendenze del percepire, in certo senso attività, sebbene non azioni volontarie.”35. Cosa accade da un punto di vista noetico perché 32 Il problema evidenziato da tutti gli interpreti del lascito Husserliano è che non si trova una precisa delimitazione semantica dei termini impulso, tendenza, pulsione; M.Henry parla, a proposito di Husserl, dell’intervento della pulsione “fuori di ogni contesto teorico appropriato”; v. (1990), Phénomenologie matérielle, PUF, Paris; tr.it. di Edmondo de Liguori, Fenomenologia materiale, Guerini e Associati, Milano 2001, p. 93. Questo limite, pur presente, non giustifica tuttavia il giudizio troppo netto del filosofo francese perché, in questo modo, si fa torto alla densità della riflessione Husserliana. 33 V. manoscritto E III 3, p.4. (cit. in Fenomenologia della volontà di Irene A. Bianchi, (2003), Franco Angeli, Milano, p. 157. 34 Ib. 35 E.Husserl, (1939), Erfahrung und Urteil. Untersuchung zur Genealogie der

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la mia intenzionalità si diriga verso qualcosa? Gli esempi più chiari ci vengono forniti nelle Lezioni sulle sintesi passive, dove Husserl si chiede esplicitamente: “quando emerge una serie di suoni come una melodia?”36. E risponde: “perché si formi un’unità sensibile debbono realizzarsi condizioni di somiglianza contenutistica e di contrasto, ma non sono sufficienti; è necessario che […] subentri un’altra forza; è necessaria una forza affettiva.”37. Accade, insomma, che una melodia possa risuonare senza essere avvertita, fino al momento in cui un frammento mi colpisce e trascina con sé l’intera melodia; in questo caso la parte precede la manifestazione dell’intero. Dobbiamo forse considerare questa parte come indipendente dall’affezione, si chiede Husserl? In realtà, l’affezione è sempre presente e, benché la sua propagazione non contribuisca alla formazione dell’unità, tuttavia costituisce un incremento di intensità che determina il ridestarsi dell’attenzione: “un qualsiasi quid costitutivo è pre-dato se esercita uno stimolo affettivo, è dato se l’io ha aderito allo stimolo”38. Quello che emerge nelle Analisi sulle sintesi passive, e che viene confermato anche nei testi successivi, è il concetto di predelineazione, cioè la direzione fornita all’intenzione nell’ambito di una intenzionalità fungente che la predispone a un possibile riempimento: “l’intenzione non si estende solo nel modo dell’anticipazione delle determinazioni, che adesso vengono attese e risultano annesse a un certo oggetto esperito, ma oltrepassa anche, per altro verso, questa cosa stessa con tutte le sue possibilità anticipatrici di ulteriori determinazioni future, per andare agli altri oggetti consaputi insieme ad essa, sebbene in un primo tempo solo sullo sfondo.”39 La costituzione coscienziale degli oggetti rimanda alla costituzione di oggetti precedenti. In questo modo ogni esperienza presenta, implicitamente, le sue stesse esplicitazioni, attraverso un ridestamento di Logik, redatte ed edite da L. Landgrebe, Meiner Verlag, Hamburg 1985; tr.it. di F. Costa, Esperienza e Giudizio, Bompiani, Milano 1995, p.76. 36 E.Husserl, (1966), Analysen zur passiven Synthesis, a cura di M. Fleischer, Nijhoff, Den Haag; tr. it. di V. Costa, Lezioni sulle Sintesi Passive, Guerini e Associati, Milano, 1993, p. 209. 37 Ib., p. 211. 38 Ib., p. 220. 39 E.Husserl, Esperienza e giudizio, cit., p. 30.

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modalizzazioni anticipatorie, che presentano una loro regolarità anche nei gradini più bassi delle sintesi passive40. Se fino ad Ideen I la hylé viene intesa come priva di una sua specifica possibilità intenzionale, a partire dai testi elaborati negli anni Venti l’emergere dell’affezione si lega alla dinamicità interna al materiale contenutistico che, attraver40 “Si possono individuare quattro livelli di strutturazione nel percorso della sintesi passiva. La sintesi associativa interviene nella sfera primordiale della temporalità oggettiva. In questo primo livello di datità irrelate interviene la sintesi di unità associativa (Einheitsbildung) o pre-affettiva, sulla base dei tre principi della somiglianza o omogeneità del contrasto e della contiguità. Il secondo livello riguarda l’affezione operante nel presente fluente che produce il ridestamento (Weckung) delle datità nella ritenzione e nella protenzione. Quando l’affezione motiva un dirigersi dell’io, sorge il momento della recettività, che fonda l’apprensione dell’oggetto come tale. L’apprensione (Auffassung), da un lato, permette il subentrare di una forma di attività della coscienza, dall’altro lato, resta motivata del tutto passivamente. Nel quarto livello, la recettività permette la formazione dell’oggetto e la sua comprensione (Erfassung) ed esplicazione (Explikation)”; Giulio Greco, Temporalità e affezione nelle“Analysen zur passiven synthesis”di Husserl; disponibile sul sito www. Biblioteca-Husserliana.net. La percezione ha un carattere sintetico-processuale, nel senso che se mi soffermo a considerare la percezione della scena attuale devo ammettere che nella sua strutturazione assumono un peso le scene appena passate e quelle anticipate- se faccio correre lo sguardo su zone diverse di un paesaggio posto di fronte a me, il fatto che io continui a mantenere l’esistenza di una zona di paesaggio che in questo momento non sto guardando, perché nel frattempo sono passato ad altro, non implica ammettere il ricorso del ricordo o dell’immaginazione nella percezione-; che cosa bisogna ammettere? Il fatto che la percezione ha un carattere sintetico o temporale, cioè che il presente della percezione ha un carattere esteso. Questa estensione non va considerata come una somma di punti-istante, né va assimilata ad una durata interiore che non si lascerebbe spazializzare (vulgata bergsoniana)- contrapposizione, quest’ultima, così estranea ad Husserl che, infatti, usa le coordinate cartesiane per il suo diagramma temporale-; questa estensione va considerata come un punto in movimento, rigido e fluente allo stesso tempo. Il riferimento al carattere temporale delle sintesi va inquadrato nella prospettiva di un processo al cui interno i contenuti percettivi presentano dei legami tra loro, indipendentemente dal soggetto; per meglio dire, il soggetto entra in questo processo ma solo perché è il luogo delle unità temporali delle scene del processo in questione: è la condizione formale delle sintesi. Su quest’ultimo punto G.Piana fa notare come già nella Filosofia dell’aritmetica Husserl abbia l’idea di collegamenti contenutistici nei quali non c’è traccia di attività sintetica che crea legami; ovvero manifesta il primo nucleo di quello che sarà il carattere passivo delle sintesi; v. G.Piana,(1979), Elementi di una dottrina dell’esperienza, Il Saggiatore, Milano, p. 188.

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so “la fusione”41 e “il contrasto”, presenta già una vita intenzionale: “è, questa, un’unità non solo in rapporto al rilevamento e all’osservazione tematica di una cosa singola o di un evento percepito, ma già in rapporto al fenomeno unitario dell’impressione che fonda questa attività, impressione nella quale ci è sensibilmente già data l’unità di un’oggettività (comunque questa possa essere composta di molti elementi), come unità per noi passivamente esistente. Si tratta di una formazione originariamente costituita di un’immagine che scorre fino a noi. Quest’immagine, sia come immagine della percezione (della datità sensibile originaria), che come immagine del ricordo, esiste già di per sé, e solo le intenzioni di orizzonte le conferiscono la connessione con l’oggettività che si estende oltre di essa, ossia con il mondo oggettivo di cui essa è una parte”42. Questo ci porta a dire che la genesi costitutiva, nel suo riferimento ad un’intenzionalità fungente, è un’effettiva appercezione , un ambito di oggettività costituentesi pre-date. L’introduzione delle sintesi passive porta in tal modo con sé la ridefinizione del conecetto di a- priori, perché le forme dell’esperienza non derivano più dall’intelletto ma dall’esperienza stessa; in secondo luogo, l’analisi della recettività conduce Husserl ad un livello nel quale attività e passività sono intrecciate fino a costituire una struttura chiasmatica, nel senso che in essa si costituiscono tanto l’oggetto quanto l’atto oggettivante che lo comprende: “non c’è quindi soltanto una passività prima dell’attività, cioè la passività del flusso temporale ori41 A proposito della “fusione”, G.Piana fa notare come questo concetto venga tematizzato nella Filosofia dell’aritmetica con un esplicito rimando alla Psicologia del suono di Carl Stumpf e alla sua scoperta delle “qualità sensoriali simultanee”; v. G.Piana, Elementi di una dottrina dell’esperienza, cit., p. 57-59. 42 E.Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., p.145 (corsivo mio). Nel manoscritto AVII 12 troviamo il seguente passo tradotto e commentato da Irene Bianchi nel suo Fenomenologia della volontà; cit., p.160: “il contenuto passivo intrinseco si modifica, nel suo predeterminato succedersi cinetico,in senso corrispondente, diviene il ripetersi, il rivolgersi, in modo adeguato, della stessa serie di variazioni cinestesiche […], si trasforma attraverso il ritorno e la ripetizione del processo avviato dalla cinestesi stessa, delimitando e mostrando la stessa sequenza di passi già precedentemente pensati e posati (Setzungen) in un’associazione di validità, [..] e questo non inteso come un mero ripetersi di atti vissuti (Akterlebnissen), una mera passiva associazione, ma un’associazione del precedentemente pensato inteso come una legge che, nel ripetersi, costituisce l’identico e rende possibile un ripetersi, sempre di nuovo, di un ripetersi originario, verso la presa di identiche validità”.

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ginario costituente, che però è soltanto pre-costituente, ma c’è anche una passività che vi si sovrappone, la quale è veramente oggettivante in quanto tematizza o con-tematizza gli oggetti. Questa passività appartiene all’atto non come sua base ma come atto ed è come una specie di passività nell’attività”43. Gli “istinti mondani” (Instinkte der Weltlichkeit), ci aiutano così a chiarire le prime fasi della costituzione genetica della cosalità, ovvero le modalizzazioni abituali, le appercezioni sistematiche, che secondo Husserl intervengono a configurare il rapporto del soggetto con il mondo, rendendo necessaria una descrizione della genesi in termini di attività e passività. La dimensione attiva qualifica una specifica attività dell’io autocosciente, mentre la genesi passiva allude al funzionamento di quell’intenzionalità fungente capace di offrire come già dati 43 E.Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., p. 98. Primaria, infatti, diventa l’affezione da cui scaturisce la tendenza dell’io; se nella genesi attiva un atto viene motivato da altri atti, qui è la legalità propria dei dati sensibili a motivare l’io. Questa descrizione comporta due elementi che cambiano completamente il quadro; uno, i dati sensibili non vengono più concepiti come amorfi anzi, sono dotati di una proprietà associativa determinata dalla qualità stessa dei contenuti; secondo, questi dati non vengono più concepiti immanenti, ma come facenti parte del campo percettivo del soggetto. Eppure, come tenere insieme, pur nell’ambito di un’evidente evoluzione del pensiero, testi come le Ricerche Logiche e quelli sulle sintesi passive? Se facciamo riferimento al famoso §49 di Idee1, troviamo formulata la tesi dell’assolutezza della coscienza e della contingenza del mondo. Se anche il mondo si dissolvesse, cioè se l’esperienza, per contrasti insanabili del materiale della realtà, non riuscisse più a garantire delle apparizioni stabili e concordanti, noi non potremmo più dire di avere un mondo, ma potremmo continuare a dire di avere una coscienza che ci da il senso di un mondo vago, instabile, etc… . Dunque la contingenza del mondo non indica una posizione idealistica classica- un mondo caotico continuerebbe ad esserci-, né un’ipostatizzazione dell’oggetto, nel senso di un oggetto reale che sussisterebbe al di là di quello fenomenico. Un oggetto è tale solo se fa parte di una possibile datità: la coscienza è assoluta perché è la condizione imprescindibile del darsi dell’oggetto. E però, come già detto, la regolarità delle apparizioni dell’oggetto non è introdotta dal soggetto, quanto dalle caratteristiche intrinseche alle stesse apparizioni dell’oggetto: “il mondo è il mio mondo circostante- non è cioè il mondo della fisica, bensì il mondo tematico della mia e della nostra vita intenzionale (è inoltre ciò che è presente alla coscienza pur essendo extra-tematico, che partecipa all’affezione e che è accessibile alle mie posizioni tematiche, è il mio orizzonte tematico” E.Husserl, (1965), Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Zweites Buch; tr.it di E.Filippini, Idee2, Einaudi, Torino, §55, p. 222.

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gli oggetti tematicamente assunti dall’attività dell’io. Quest’ultimo, in ultima analisi, contribuisce alla dialettica tra genesi attiva e passiva, fornendo le oggettività destinate a tramutarsi in abitualità, dischiudendo una dimensione in cui la coscienza si sa dipendente nei confronti di una vita irriflessa. L’istinto così non necessariamente poggia su una rappresentazione, e il suo riempimento è un “essere diretto”, seppur in un orizzonte informe: la fame ha di mira la sazietà, il dispiacere la voglia di allontanarlo, etc… . Se prendiamo in considerazione il §48 di Esperienza e Giudizio, questa tematica la troviamo inquadrata in termini piuttosto chiari. Quando noi consideriamo l’agire nel senso comune, ci riferiamo al fatto di poter elaborare oggetti esterni a partire da altri oggetti; in questo caso la volontà si mostra come tendenza ad un possesso dell’oggetto nel suo valore di usabile, apprezzabile, buono, etc…; ma quando, invece, essa si esercita nella conoscenza, in che modo si mostra? In questo caso, dice Husserl, l’io vive “nell’oggettivazione”44. Ciò non implica, però, che siano due modi del tutto eterogenei. Il valutare si fonda su una tendenza desiderativa che, a partire dal fiat, procede nell’agire appagandosi progressivamente si avvicina allo scopo; è vero che nella tendenza conoscitiva questo appagamento negli oggetti esterni non c’è, ma c’è un’analogia strutturale con quanto descritto, perché anche qui sussiste un progressivo appagamento “finchè l’oggetto non ci sta davanti come perfettamente conosciuto”45 in una determinazione predicativa caratterizzata intenzionalmente come un prodotto dell’io. In questa descrizione troviamo diverse conferme e novità; cominciamo da queste ultime. È indubbia la centralità assunta dall’io rispetto ad ogni ente, e questo perché nel momento in cui cerco di risalire ai dati originari a partire dal mondo così come è costituito, non posso non ritrovare l’io come ciò che pensa questa datità, che l’interroga, etc…; non c’è, insomma, alcuna caratteristica dell’oggetto che possa essere considerata senza un riferimento al soggetto. In che modo riesco a cogliere all’opera questo necessario ancoraggio al soggetto? È attraverso la sensibilità46. 44 E.Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., p. 182.

45 Ib., p. 183. 46 La centralità assunta dalla categoria dell’attività della coscienza- sia in ambito pratico

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In una serie di testi classificati (M III 3 II), di cui Langrebe ha tenuto conto nell’introduzione ad Esperienza e Giudizio, Husserl prende in considerazione alcune particolari situazioni. Mettiamo il caso in cui io stia mangiando diverse parti di un dolce, e che ne riceva sensazioni di estrema gradevolezza; ad un certo punto, però, subentra un senso di sgradevolezza, come esito finale di una serie cospicua di pezzi dello stesso dolce; cosa è successo? È successo che il sentimento riferito al pezzo di dolce ha cambiato verso al termine della serie dei pezzi; ma se il primo pezzo procurava sentimenti gradevoli, cioè era lo stesso oggetto a suscitare determinati sentimenti di sensazione, non è possibile che sia lo stesso oggetto a causare poi sentimenti sgradevoli; dobbiamo ipotizzare, dice Husserl, sentimenti sensibili intenzionali, dove ad un certo “ritmo” della tendenza affettiva subentra un altro “ritmo” rivolto sempre verso il dolce. Un altro esempio considerato è quello dell’umore (Stimmung); se mi accade qualcosa di positivo- ad es. vedere un film che mi piace- succede che la sensazione piacevole mostri la capacità di propagarsi, colorando di sé altre sensazioni che, che teoretico- ha un suo momento centrale nei corsi che Husserl dedica a Fichte tra il ’15 e il ’17 – dopo un primo corso del 1903-. Al di là del ripensamento che questo comporta in rapporto alla stessa filosofia di Kant- inizialmente criticato sulla scia di Brentano, come visto-, le vicende filosofiche di questi anni hanno una portata decisamente più vasta e un orizzonte culturale che ci aiuta a capire il percorso di Husserl fino alla Crisi. C’è infatti la grande delusione dell’intellettuale tedesco che, come la maggior parte, aveva aderito con entusiasmo “all’eticità” della Grande guerra e alla missione tedesca; tanto da non opporre alcuna resistenza alla decisione dei tre figli di partire volontari; i due maschi come soldati e la figlia come infermiera. Nel ’16 uno dei due ragazzi muore e, pur senza mai riferirsi esplicitamente all’evento, Husserl matura una straordinaria rivisitazione del suo stesso percorso intellettuale. È come se il filosofo applicasse la sua fenomenologia genetica alle formazioni di senso che lo avevano portato a schierarsi a favore della guerra; ed è in questa analisi che egli scopre una tendenza all’universalità come valore etico, rispetto a cui il nazionalismo gli appare come l’ultima e fatale manifestazione di quel naturalismo che ha sempre costituito il versante ingenuo della cultura europea, da Talete in poi. Il fenomenologo che aveva realizzato l’epochè in Idee1 senza contestare il presente, cede il passo al fenomenologo che vede la coscienza operativa nel mondo attraverso un più articolato concetto di intenzionalità che, nelle forme non oggettuali delle cinestesi, trovano la possibilità stessa di “potere” o “non potere” qualcosa- ovvero il primo nucleo dell’identità personale come la definisce Husserl-. Una libertà, dunque, immanente, che si scopre al termine del superamento dell’atteggiamento naturale; in altre parole una soggettività trascendentale. Su questi temi: R.Donnici, Intenzioni d’amore di scienza e d’anarchia, Bibliopolis, Napoli 1996; in part. Cap. V e VI. Cfr. anche R.Cristin, (2001), La Rinascita dell’Europa. Husserl, la civiltà europea e il destino dell’Occidente, Donzelli, Roma. E gli atti del convegno (1999), La fenomenologia e l’Europa, Vivarium, Napoli.

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L’Intenzionalità | Fenomenologia statica e genetica

in altri momenti, sarebbero risultate sgradevoli, indifferenti, etc… . Ma se una situazione sarebbe dovuta risultare sgradevole, e invece io la trovo addirittura divertente in virtù del mio umore felice, non posso certo dire che sia l’oggetto a suscitare questi sentimenti contrastanti; devo concludere che anche l’umore è intenzionale. Husserl sta dicendo, cioè, che esistono forme di intenzionalità affettive, non dirette oggettualmente- infatti, nel caso dell’umore, si suole dire ‘non so perché mi sento così’- , ovvero non supportate da una rappresentazione; ed è proprio per queste forme di intenzionalità che Husserl parla di “sistema di impulsi” di carattere originario; la vita della coscienza, nella sua essenza, è questa capacità di affezione originaria. In altre parole, la vita della coscienza appare ad Husserl come uno strato di sedimenti, alla cui base ci sono queste formazioni istintuali passive, e al cui vertice ci sono le formazioni coscienziali propriamente dette. Sono gli stessi istinti che, dotati di una precisa intenzionalità, si direzionano verso il livello logico-predicativo a partire da questa originaria condizione ante-predicativa. Ritornando al §48 di Esperienza e Giudizio, è ormai chiaro che lì Husserl, nell’analogia tra desiderio e conoscenza, dichiarava esattamente il fatto che c’è un impulso tanto alla base dell’intenzione percettivo-conoscitiva- l’impulso che spinge ogni percezione a percorrere l’orizzonte delle possibilità percettive fino all’evidenza- quanto alla base dell’intenzione affettiva- l’impulso alla soddisfazione-. Sparisce così ogni residuo dogmatico di fronte alla coscienza, in modo da poterla intendere completamente intenzionale; se la fenomenologia statica, con i suoi dati iletici, appariva ancora debitrice di un’impostazione empiristica, la fenomenologia genetica non concepisce nessun aspetto dell’oggetto che non sia in relazione con il soggetto. Su questo versante intervengono le cinestesi corporee. Come Husserl chiarisce nel §76 di Esperienza e giudizio, il corpo, anche senza alcuna consapevolezza, è sempre implicato in possibili movimenti di organi a cui corrispondono modificazioni del sistema di apparizione tattile, visivo, etc… . È questa costitutiva attività a fare del nostro Korper qualcosa in rapporto cinestetico col mondo e, dunque, originariamente implicato in atti di costituzione; non esiste dato hyletico grezzo, poiché la possibilità stessa di un mondo di oggetti è una 47 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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L’Intenzionalità | Fenomenologia statica e genetica

formazione egoica. Fondamentale risulta, a tal fine, la considerazione che Husserl matura attorno all’idea di “polo egologico”. Se, in conformità a quanto stabilito in Idee1, Husserl ha concepito per molti anni l’Io come uno statico centro di irradiazione di atti che permane identico pur nella continuità dei vissuti, nel momento in cui si sofferma, come già accennato, sulla dimensione pre-predicativa della conoscenza l’Io comincia ad essere valutato come la funzione di continuità che, mediante forme non oggettuali di intenzionalità- e su questo risultano ancora decisive le forme cinestetiche dell’Io posso, non posso47- conduce dai “profili delle cose” alla determinazione predicativa dello “stato di cose”, ossia allo sviluppo di quegli impulsi tendenziali della volontà verso la datità completa dell’oggetto; così Husserl focalizza il passaggio dalle oggettività ricettivamente date alle oggettività dell’intelletto: “il ‘fare’ dell’Io che motiva il flusso dei complessi molteplici di dati sensoriali può essere completamente involontario; i flussi si racchiudono anche passivamente in unità, senza che arrechi differenza il fatto che l’io si volga a ciò che in essi appare mediante una prensione ricettiva oppure no. In certo modo l’oggetto c’è anche così […]. Al contrario, l’oggettività dell’intelletto o lo stato di cose non può costituirsi se non essenzialmente nel fare spontaneamente produttivo e cioè a condizione di una compresenza dell’io. Se questa non ha luogo, si resta tutt’al più all’oggetto ricettivamente costituito che rimane nel campo come percepibile, ma nulla di nuovo si costituisce sulla base dell’oggetto”48.

47 Cfr.E. Husserl, Idee2, cit., §59-60. 48 E.Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., p. 229-230. Se la conoscenza è attraversata da una forma di volontà come tendenza ad vaere l’oggetto nella sua datità completa, essa si rivela un continuo “porre” il senso dei vissuti che si manifestano; ragion per cui Husserl può dire che “ la logica trascendentale è l’auto-esplicazione della ragione pura medesima” Logica formale e trascendentale, cit., p. 38.

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Il Pre-categoriale | VI Ricerca Logica

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Il Pre-categoriale

VI Ricerca Logica Ogni espressione ha un significato, cioè dice qualcosa su qualcosa; ma il significato non coincide con l’oggetto su cui ci si esprime. Il significato dell’espressione non è altro che il suo contenuto; e infatti più espressioni possono avere lo stesso significato ma oggetti diversi, oppure significati diversi ma lo stesso oggetto. Il fatto che i significati possano essere valutati come “lo stesso”, pur di fronte ad oggettualità diverse, deriva dallo statuto logico del significato, ovvero il costituire una classe di concetti detti “oggetti generali”49. Qui la polemica è con Brentano che identificava l’essere con l’essere reale, e considerava fittizi la classe di oggetti che invece per Husserl rappresenta la classe delle oggettualità pre-categoriali. Nel §19 della Prima Ricerca Husserl si scaglia contro quelli che associano il momento del significato all’intuizione; ma egli sottolinea che un linguaggio privo di intuizioni non è privo di idee. Posso dire qualcosa senza necessariamente avere un oggetto di riferimento, avendo dunque un rappresentare “simbolico”§20- senza un riempimento diretto. Ma quando i significati sono fluttuanti bisogna tornare alle intuizioni fondanti- §21-. Ad Husserl preme sottolineare l’eterogeneità che caratterizza la coscienza degli oggetti individuali e quella degli oggetti generali; nel §21 Husserl scrive: “ciò a cui è rivolta la nostra attenzione non è quindi l’oggetto concreto 49 E.Husserl, Ricerche Logiche, cit., vol.1, p. 369.

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Il Pre-categoriale | VI Ricerca Logica

dell’intuizione, né un contenuto parziale astratto dell’oggetto stesso, ma è piuttosto l’idea nel senso dell’unità specifica”50. In altre parole, non mi riferisco al “rosso” dell’oggetto di intuizione individuale, ma al “rosso”. Anche considerando il rapporto di fondazione che può esserci tra i due momenti, resta il fatto che ci sono due tipi di oggetti –individuali, questo rosso-, e generali – il rosso-. La percezione determina sempre il significato di un’espressione: “la percezione realizza la possibilità per il dispiegamento dell’intendere –questo con il suo riferimento determinato all’oggetto, ad es., a questo foglio di carta di fronte ai miei occhi; ma essa stessa non costituisce, a nostro avviso, il significato, e neppure una sua parte”51; viene a costituire, così, il modello generale dell’intenzionalità, in quanto mostra che in gioco non è la connessione tra due cose poste l’una accanto all’altra -la parola “rosso” e la cosa rossa sul tavolo-, ma la connessione tra vissuti intenzionali e decorsi percettivi. Se considero la cosa nella sua temporalità, come progressivo riempimento di significato attraverso l’intuizione corrispondente dell’oggetto in questione, io ho, al termine di questo percorso, la conoscenza dell’oggetto come cristallizzazione di questo dinamismo che si trascina l’identità dell’oggetto: “è chiaro che l’identità non viene portata alla luce soltanto da una riflessione comparativa e intellettualmente mediata, ma che essa sussiste fin dall’inizio, essa è un vissuto, un vissuto che non è stato espresso e concettualizzato”52. L’ancoraggio dell’elemento logico-categoriale nella percezione contribuisce, nelle esigenze di Husserl, a rendere intuitivo il carattere stesso dell’universale; il riferimento all’intuizione non deve essere considerato come una condizione soggettiva di conoscenza, ma come una condizione sensibile o categoriale di cui sono portatori gli stessi oggetti53 che si manifestano in generale, come era già implicitamente emerso attraverso il concetto di intenzionalità fungente. Quando Hus50  Ib., p. 427. 51  Ib., p. 319. 52  Ib. p. 333. 53 Costa, a proprosito di Husserl, può scrivere del materiale fenomenico che esso “emerge alludendo ad un senso che al soggetto si impone, ma che questi deve attualizzare assumendo esplicitamente, con un atto dossico e oggettivante, questa tendenza che scaturisce passivamente”; V.Costa, (1999), L’estetica trascendentale fenomenologia. Sensibilità e razionalità nella filosofia di Edmund Husserl, Vita e Pensiero, Milano, p. 226 (corsivo mio).

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Il Pre-categoriale | VI Ricerca Logica

serl deve descrivere le caratteristiche delle connessioni categoriali, precisa che ci troviamo di fronte a delle oggettualità date “nella modalità della percezione” mediante “atti fondati in altri atti, che sono in ultima analisi atti della sensibilità”54. La percezione dell’oggettualità categoriale è tra virgolette perché essa non è un’apprensione diretta, ma avviene solo attraverso il riferimento ad altri atti. Questa fondazione non implica, però, che il “riempimento” dell’atto categoriale non sia la mera sensibilità: “il riempimento è invece insito sempre in una sensibilità a cui certi atti categoriali hanno conferito una forma”55. L’intuizione categoriale, in altre parole, non è “l’intuizione intellettuale” attribuita a Dio, mediante cui quest’ultimo produce e conosce immediatamente l’oggetto; la forma a cui allude Husserl è una forma discorsiva56 e si tratta proprio di capire come lasciar sussistere discorsività e intuizione nell’ambito intellettuale; fatto fuori lo schematismo kantiano, questi due momenti sono separati o separabili? Esiste un pre-discorsivo indipendente? Ora, il rapporto dell’atto con l’intuizione ci riporta proprio alla questione di come il pre-categoriale possa costituire la base per gli atti categoriali complessi. Ritroviamo, contemporaneamente, la difficoltà intrinseca al tentativo di esplicitare questa connessione. Nei termini di Husserl significa, infatti, prendere la logica formale e provare ad indagarne i concetti fondamentali, alla luce del fatto che la logica dà per scontata l’evidenza di un mondo reale e strutturato. Ma proprio quando vado a descrivere il terreno delle intuizioni legate alle datità originarie, mi trovo di fronte al problema di dover trattare con concetti quello che si colloca prima di ogni ordine concettuale, e che vale come fondamento per atti complessi proprio per questa sua priorità. Dall’effettuazione ingenua degli atti, all’atteggiamento riflessivo, c’è un salto qualitativo che modifica i primi atti, argomenta Husserl nel §3 dell’Introduzione alle Ricerche Logiche. Pur consapevole di questa enorme difficoltà Husserl mantiene entrambi i livelli di indagine; del resto, come rilevato dalla critica, il concetto di “evidenza” non è il primo nome del pre-categoriale in Husserl? L’evi54  E.Husserl, Ricerche Logiche, cit., vol.2, p. 303. 55  Ib. 56  Su questo ritorneremo esaminando gli aspetti propriamente semantici e sintattici del significato.

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Il Pre-categoriale | VI Ricerca Logica

denza è il carattere assunto da un determinato riempimento della significazione; da un lato abbiamo il riempimento signitivo, e dall’altro l’evidenza adeguata. Nella percezione di un oggetto esso può rivelarci un lato, mentre tutto il resto non si presenta, pur venendo co-intenzionato nel riconoscimento dell’identità dell’oggetto; a queste componenti non visibili Husserl attribuisce il nome di componenti “signitive”. Il caso limite che possiamo concepire è la rappresentazione senza componenti signitive, in cui ogni determinazione dell’oggetto è intenzionata direttamente57: ossia, ciò che è inteso perviene a datità effettiva. L’esempio più ovvio di questa scala è quella che parte dagli oggetti dati sensibilmente; e però, quando intuisco i concetti “generali” Husserl specifica che viene a cadere la distinzione tra “percezione” e “immaginazione”58; a questo punto, come egli stesso riconosce, la necessità di ampliare il concetto di percezione: “ed è del resto indifferente che si tratti di un oggetto individuale o generale, di un oggetto in senso stretto o di uno stato di cose”59. Pervenuti a questo risultato Husserl può porre la questione per lui cruciale: “io vedo questo foglio di carta, un calamaio, alcuni libri […]: ma anche: io vedo che questo foglio di carta è scritto, che qui vi è un calamaio di bronzo[…]. A qualcuno potrà sembrare sufficientemente chiaro il riempimento dei significati nominali; ma in che modo va inteso il riempimento dell’intero enunciato, e in particolare considerando ciò che va al di là […] dei termini nominali? Che cosa può e deve procurare il riempimento ai momenti significanti che costituiscono la forma proposizionale come tale, a cui appartiene ad esempio la copula […]?”60; nella stessa pagina Husserl fornisce altri esempi di forme categoriali: il, un, e, non, poco; la forma aggettivo e la forma sostantivo, stati di cose, concetti generali. Di fronte a queste forme è ancora possibile, si chiede il filosofo, associare ad ognuna di esse il corrispondente riempimento tramite percezione? La risposta è chiaramente negativa; ma se queste forme hanno un significato, devono comunque avere il loro riempimento; e quale atto svolge rispetto ad esse la funzione che la percezione svolge nei 57  E.Husserl, Ricerche Logiche, cit., vol.2, p. 380-381. 58 Ib., p. 420. 59 Ib., p. 422. 60 Ib., p. 431-432.

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Il Pre-categoriale | VI Ricerca Logica

confronti dei “momenti sostanziali”? Poiché la funzione di riempimento è omogenea, e nella sua generalità va considerata come un’intuizione che ha come correlato un oggetto, noi abbiamo un concetto ampio di percezione – quello categoriale- e uno più ristretto- quello sensibile- i quali, però, non stanno in un rapporto esteriore, ma in “un rapporto radicato nelle cose stesse”61. Come si manifesta l’intuizione categoriale? Partiamo dall’intuizione semplice; ho scorci e prospettive di un oggetto fin quando la “fusione” delle intenzioni nel decorso percettivo non mi dà l’identità dell’oggetto. Quando si compie l’atto di identificazione, io ho la “messa in forma” delle oggettualità che mi venivano date nella schietta intuizione sensibile; c’è dunque un riferimento alle percezioni, ma senza la messa in forma categoriale io non potrei avere conoscienza- in questo caso il riconoscimento dell’identità dell’oggetto, ma più avanti vedremo situazioni più complesse-. Resta il fatto che le sintesi di “fusione”, “coincidenza”, etc…, non sono a loro volta contenuti sensibili, ma unità che si producono passivamente a partire dalle intuizioni sensibili. Queste ultime restano valide anche in un altro caso di intuizione categoriale a Husserl molto cara, quella eidetica; in questo caso entra in gioco anche l’immaginazione come capacità di variare l’oggetto individuale di partenza. Non ci soffermeremo sul ruolo dell’immaginazione; il motivo per cui l’abbiamo richiamata è che, anche in questo caso, Husserl precisa che l’immaginazione non può procedere in modo arbitrario: “ad esempio quando portiamo ad effettuazione intuitiva un rapporto tra intero e parte, possiamo bensì rovesciare questo rapporto in modo normale, ma non in modo tale da poter intuire, restando immutato il contenuto reale, la parte come intero e l’intero come parte”62; il che non significa altro, ma Husserl lo dice esplicitamente in Esperienza e Giudizio, che le sintesi passive pre-delineano le oggettualità, le quali dunque pervengono al soggetto pre-strutturate, imponendo delle limitazioni all’attività categoriale. Ed impone senz’altro un limite alla sovrapposizione tra Husserl e l’idealismo classico63; l’attività riflessiva va ad esplicita61 Ib., p. 446. 62 Ib., p. 490. 63 La questione dell’idealismo husserliano può essere affrontata da almeno due punti di vista; il primo, legato ad una presa di posizione negativa, riguarda il rifiuto husserliano della

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re quanto è contenuto nel fondamento sensibile-intuitivo delle operazioni anonime- anonime in quanto passive- che occupano i primi gradini della costituzione. Il problema che di nuovo emerge è quello “dell’oggettualizzazione dei dati pre-oggettuali, cioè il fatto che, là dove vengono tematizzati, essi sono inevitabilmente trattati e concepiti- anzitutto dal punto di vista linguistico- come oggetti, sebbene non lo siano”64. La portata teoretica di questa questione è estremamente densa; noi assistiamo ad un raddoppiamento dell’intuizione- prima sensibile, a cui poi si aggiunge quella categoriale-; la stessa intuizione sensibile, messa in forma, diventa categoriale. Vuol dire che, considerato il materiale percettivo, esso non contiene forme categoriali, ma delle articolazioni o, potremmo dire, una sintassi che può essere colta intellettualmente. Specifichiamo, in particolare, questo aspetto dell’essere ‘colto’; il punto, infatti, è che la connessione degli elementi sencosa in sé; il secondo, invece, riguarda il carattere operativo della coscienza. Nel primo caso Husserl si rifiuta di considerare un raddoppiamento del mondo che, sulla scia di Kant, postula alle spalle della realtà fenomenica una realtà in sé inconoscibile e sussistente al di là di ogni esperienza soggettiva. In questo modo l’idealismo husserliano è puramente metodologico, perché non considera affatto la coscienza il principio ontologico fondamentale della costituzione della realtà, ma solo il luogo della costituzione della realtà, sulla base della necessaria correlazione tra essere e soggettività. Contrariamente a quanto si crede, questa tematica idealistica non compare con Idee1, ma è già presente nelle Ricerche Logiche, esattamente nel momento in cui Husserl rifiuta per la percezione la possibilità di considerarla come una coscienza segnica, ovvero rivolta all’oggetto esterno mediante raffigurazioni interne: la percezione è, invece, immediata. Dall’altro punto di vista c’è stato in Husserl- almeno fin quando non ha posto l’intenzionalità anche per i dati hyletici: v. nota 43- una forte accentuazione idealistica tradizionale. Nel momento in cui si pongono i vissuti come dati immanenti alla coscienza, vuol dire che si sta ponendo la percezione interna come ontologicamente primaria; un complesso sensoriale può essere appreso in modi diversi o rappresentare oggetti diversi- ad es. un colore- perché il senso gli viene conferito da un determinato atto che lo fa diventare apparizione di qualcosa. Su entrambi i punti di vista idealistici pesa Brentano e il suo modo di considerare la “percezione interna” e i “fenomeni psichici” come gli elementi dotati di un’esistenza effettiva, nel senso che i contenuti sensibili non possono essere considerati esistenti indipendentemente dall’atto percettivo. È chiaro il contrasto; da un lato Husserl vuole rifiutare l’implicazione brentaniana di una realtà che, di per sé inaccessibile, mi si da solo attraverso segni; e il rifiuto avviene affermando con forza che l’oggetto si costituisce come correlato di una coscienza; dall’altro però Husserl mantiene la presenza delle cogitationes come materiali interni su cui si edifica la conoscenza attraverso i dati sensoriali espressi dai dati cinestetici. Da qui la difficoltà, già sottolineata, di definire lo statuto della cosa come ciò che non sta al di là delle sue apparizioni e che, però, rischia di sparire nelle sensazioni immanenti. 64 V. De Palma, (1994), Genesi e struttura dell’esperienza, in “Discipline filosofiche”, IV, p. 193.

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sibili non viene fornita dall’intelletto, perché è lo stesso materiale passivamente costituentesi ad offrire una direzione all’attività connettente nel momento in cui quest’ultima diventa sapere esplicito. Ovviamente il punto, ormai noto, è che queste connessioni presenti nella sensibilità vengono sapute e, dunque, modificate quando diventano patrimonio della conoscenza intellettuale. La formulazione più matura di questa problematica- il che non significa affatto eliminarne la paradossalità- è quanto Husserl chiama “tipica particolare”- riferita ai reali individualie “tipica della totalità”, come orizzonte del mondo nel suo carattere infinito. Il carattere prospettico dell’afferramento percettivo implica che ci sono sempre lati non veduti di una cosa i quali, però, attraverso “un’anticipazione di senso” possono essere presentificati al di là del contenuto attuale della percezione. Ma questa nostra capacità non ha i caratteri della totale arbitrarietà; nel passare da una variante all’altracome ad es. “anticipare il colore della parte posteriore di una cosa”- io mi muovo nell’unità “anticipatrice” che mi è data dalla “generalità” colore. Il ripetersi di questi “accessi” all’esplicitazione produce la sedimentazione di ciò che impariamo ad attenderci nella forma di un certo decorso delle esperienze sulla base di esperienze con decorsi percettivi analoghi: “insieme ad un oggetto di nuova specie o, per dirla in maniera genetica, costituito per la prima volta, rimane tracciato un nuovo tipo di oggetto, e in virtù di questo tipo vengono appresi in anticipo altri oggetti simili a quello”65; come si evince, parliamo di connessioni non concettuali, il che ci consente di porre questa sfera nel pre-categoriale. Abbiamo anticipato che questa non è una conclusione; che questo chiasma di attività e passività lascia in una tensione irrisolta e, probabilmente irrisolvibile, il polo soggettività e il polo mondo tanto che, nella stessa Crisi, dove il concetto della “tipica” si trasforma in quello più noto di “stile”, la doppia articolazione persiste66. 65 E.Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., p. 35. 66 Nel §9 della Crisi leggiamo: “Anche se noi possiamo pensare questo mondo fantasticamente mutato e anche se possiamo pensare di rappresentarci il futuro decorso del mondo, in ciò che ci è ignoto, ‘così come potrebbe essere’, nelle sue possibilità: necessariamente noi ce lo rappresentiamo nello stile in cui noi abbiamo il mondo e in cui l’abbiamo avuto finora. Possiamo giungere ad un’espressa coscienza di questo stile nella riflessione e attraverso una libera variazione di questa possibilità. […]. Appunto così ci accorgiamo che, in generale, le

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Il Pre-categoriale | VI Ricerca Logica

cose e gli eventi non si manifestano e non si sviluppano arbitrariamente, che sono bensì legati ‘a priori’ da questo stile, dalla forma invariabile del mondo intuitivo.” Nel §61 di Ideen II leggiamo: “in un certo senso, si può parlare dell’individualità come di uno stile complessivo e di un habitus del soggetto che attraversa, nella forma di una concordante unità, tutti i suoi modi di comportamento, tutte le attività e le passività, […]; uno stile unitario nel modo in cui certe cose ‘gli vengono in mente’, nel modo in cui gli si presentano certe analogie, in cui opera la sua fantasia […]”.

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IIV Ricerca Logica, Lezioni sulla Teoria del Significato (1908), Derrida.

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IV Ricerca Logica, Lezioni sulla Teoria del Significato (1908), Derrida.

Dalla semantica alla sintassi Nella prima parte della IV Ricerca Logica Husserl sostiene la possibilità di impostare un principio compositivo del linguaggio di tipo semantico, cioè un principio che sosterrebbe la configurazione delle parti linguistiche non in virtù della loro forma sintattica, ma della loro significazione. Il problema è che Husserl non offre esempi capaci di rendere conto del principio che si presume regga il dominio del linguaggio; in secondo luogo, è chiaro che questo principio dovrebbe stare dalla parte della costituzione del pensiero e non dei simboli linguistici. Fatto sta, che questa parte iniziale viene da Husserl stesso non ulteriormente sviluppata e, a partire dal § XII, gli aspetti propriamente sintattici prendono il sopravvento. Nei primi nove paragrafi non c’è alcuna considerazione sintattica a guidare la questione del perché il senso di una frase è irriducibile alla somma delle sue parti. Nel § 4 Husserl si pone la seguente questione: ogni parte di un complesso linguistico ha una significazione che gli è propria? Oppure, secondo la tradizionale distinzione tra termini categorematici e sincategorematici, esiste una classe d’espressione, i sincategorematici, che non hanno una significazione propria, ma ne acquistano una esercitando una funzione connettiva? Questo darebbe alla distinzione un valore puramente grammaticale, considerando le articolazioni nell’espressione verbale senza alcun rapporto con le articolazioni nella significazione. La soluzione di Husserl è che i sincategorematici hanno un significato, 59 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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IV Ricerca Logica, Lezioni sulla Teoria del Significato (1908), Derrida.

ma tale significato è non indipendente: “la distinzione grammaticale ammette tuttavia un’altra interpretazione, purchè si intenda la completezza o incompletezza delle espressioni come calco di una certa completezza o incompletezza dei significati, quindi la differenza grammaticale come calco di una certa differenza essenziale dei significati”67. Vediamo come Husserl spiega il sincategorema “e”: “noi comprendiamo lo e isolato perché ad esso si associa come significato anomalo l’idea indiretta, benché verbalmente non articolata, di una certa particella a noi ben nota; oppure perché, con l’aiuto di vaghe rappresentazioni di cose e senza alcuna integrazione verbale interviene un’idea del tipo A e B.”68. Qui Husserl determina il linguaggio per la sua funzione, cioè perché serve ad esprimere qualche cosa, ubbidendo, a priori, al compito di esprimere delle rappresentazioni, ovvero articolare grammaticalmente ciò che è già composto intenzionalmente. La distinzione tra termini categorematici e sincategorematici ci dice che il linguaggio, per assolvere alla propria funzione, necessita di forme semantiche. In particolare, il linguaggio deve poter accogliere le “rappresentazioni parziali” e le loro forme intenzionali di connessione; in funzione della distinzione su menzionata Husserl introduce i concetti mereologici di “significazioni dipendenti” e “significazioni indipendenti” che abbiamo trovato. Se ci rappresentiamo il contenuto “testa di cavallo”, dice Husserl, esso ci viene dato inevitabilmente in un contesto; in che senso allora esso è “svincolabile mediante le rappresentazioni”? Scrive Husserl: “l’esistenza di questo contenuto, quanto a ciò che dipende da esso, alla sua essenza, non è affatto condizionata dall’esistenza di altri contenuti, che esso, così com’è, a priori, cioè secondo appunto la sua essenza, potrebbe esistere anche se non ci fosse nulla oltre se stesso, o se tutto intorno ad esso variasse arbitrariamente, cioè al di là di ogni legge”. […]. Correlativamente il senso della non indipendenza risiede nell’idea positiva della dipendenza. Per sua essenza il contenuto è legato ad altri contenuti, non può essere se insieme ad esso non sono dati al tempo stesso altri contenuti. […]. Quindi i contenuti non indipendenti possono essere solo come parti di 67 E.Husserl, Ricerche Logiche, cit., vol.2, p. 96. 68  Ib., p. 106.

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contenuti.”69 Husserl designa le significazioni sincategorematiche come dipendenti e quelle categorematiche come indipendenti. Il modo in cui Husserl, abbiamo visto, descrive il funzionamento del sincategorema “e” obbedisce ad un principio configurazionale, come accade nel campo percettivo, irriducibile ad una linearizzazione di tipo sintattico delle parti del discorso. Il senso di una significazione dipendente è tale che non solo prescrive la co-presenza di altre significazioni, ma ne prescrive anche la natura semantica. L’uso di un avversativo chiede di figurare in un contesto che ne sappia rappresentare il contrasto, l’antagonismo: “ad ogni non indipendenza inerisce una legge, secondo cui in generale un contenuto di una certa specie, ad esempio della specie α, può essere solo nel contesto di un intero G (α,β…μ), dove β…μ sono segni di determinate specie di contenuti.”70. In altre parole, tra mondo referenziale e sistema simbolico si colloca il livello dei modi di concettualizzazione, specificati attraverso i sincategoremi. Lo stesso tipo di connessione viene stabilita in Esperienza e Giudizio tra sachlage e sachverhalt. Fino a questo momento Husserl ha trascurato un tratto distintivo del sistema simbolico del linguaggio, ovvero il principio di distribuzione lineare. Nella seconda parte della IV Ricerca viene stabilito proprio l’anteriorità della sintassi rispetto alla semantica, laddove nella I Ricerca Husserl aveva stabilito che solo l’intenzione di significare conferisce senso ad un’espressione. Ma vediamo ora come l’a-priori sintattico acquista la propria rilevanza nell’orizzonte husserliano. Ciò accade nel § 10 della IV Ricerca. Se nella prima parte di questo paragrafo Husserl richiama quanto detto fino ad ora71, verso la fine della stessa pagina avviene il cambio di registro, con la preminenza assegnata al criterio sintattico72. Subito dopo Husserl continua af69 Ib., p. 27-28. 70 Ib., p. 102. 71  “Tutte le connessioni in generale sottostanno a leggi pure, ed in particolare tutte le connessioni materiali, limitate ad un campo intrinsecamente unitario, nelle quali i risultati della connessione debbono cadere nello stesso campo dei suoi membri”; ib., p. 107. 72 “ In nessun campo possiamo unificare singolarità qualsiasi mediante forme qualsiasi: il campo delle singolarità delimita invece a priori il numero delle forme possibili e determina le leggi delle loro saturazioni. […]. Per ciò che concerne il campo dei significati, anche una riflessione molto rapida insegna che nel connettere significati con significati, noi non siamo liberi, e perciò non possiamo scambiare arbitrariamente gli elementi all’interno di una data unità di connessione provvista di senso. Solo in certi modi, preliminarmente determinati, i

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fermando che l’impossibilità di certe connessioni non deriva dalla loro specificità semantica, ma dal fatto che i significati da connettere possano appartenere a differenti “categorie del significato”; è pur vero, però, che queste categorie sono di natura sintattica e non semantica. Si tratta di capire, ora, come agiscono i principi di connessione tra queste “categorie del significato”. L’esempio di Husserl è noto: “questo albero è verde”, essendo un’espressione dotata di un’unità di significazione, può essere formalizzata nella sua “struttura pura di significato” del tipo “ S è P”. Questa forma ideale può materializzarsi in un’infinità di modi e, tuttavia, non siamo del tutto liberi perché la materia nominale può essere sostituita da qualsiasi materia nominale, ma non aggettivistica o da un’intera materia preposizionale. L’unità del senso implica, allora, solo l’esistenza di un’istanza di natura sintattica che integra in una maniera pre-determinata le “categorie di significato”. Così Husserl sintetizza il proprio programma di ricerca: “il compito di elaborare una scienza dei significati consisterebbe dunque nell’indagare l’organizzazione legale ed essenziale dei significati e le leggi, in essa fondate, della connessione e della modificazione del significato, riconducendole ad un numero minimo di leggi elementari ed indipendenti. […]. Più esattamente dovrebbero essere fissate le forme primitive dei significati indipendenti, delle proposizioni complete, con le loro articolazioni immanenti e le strutture di queste articolazioni.”73. Ma stando così le cose, la distinzione tra significazioni dipendenti e indipendenti non perde valore? Non sfuma sotto il peso, qui decisivo, della “forma primitiva”? L’esistenza di una tale forma non significa che è stato già risolto ogni problema di connessione? Mentre in un approccio di tipo semantico noi avevamo accesso alla struttura interna dell’espressione attraverso le parti dipendenti, ora, propriamente parlando, diventa difficile parlare di parti perché esse emergono solo in riferimento ad una forma sintattica già data che regola la loro distribuzione lineare in funzione delle differenti forma categoriali. Per cui, un sincategorema staccato non viene più considerato nella sua funzione di apportare una significazione al tutto al quale partecipa, ma solo nella sua posizione in quanto materia connettiva. In questo ultimo caso il linsignificati sono reciprocamente congruenti”; ib., p. 107-108. 73  Ib., p. 117-119.

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guaggio è affare di un sistema simbolico chiuso e schiacciato in quanto fa a meno di ogni considerazione sulle intenzioni di significazione. Come ha rilevato Benoist74, o la grammatica è un modo di combinare linguisticamente ciò che è stato già composto intenzionalemente, oppure è un sistema originario nel quale troviamo distinzioni formali, una forma di composizione lineare, che non trovano riscontro nelle sintesi percettive ( la distinzione tra categorema e sincategorema è inderivabile secondo questa prospettiva). Anche se a quest’ultima distinzione Husserl arriva proprio attraverso una riflessione sul piano dell’espressione che rilevava differenze di natura semantica, a loro volta fondate su una distinzione tra tipi di atto. Infine, è vero certo che le distinzioni grammaticali non trovano riscontro sul piano del dominio percettivo; ma non potremmo forse chiederci, come Husserl farà in Esperienza e Giudizio, se le distinzioni grammaticali non hanno il loro fondamento in ambiti extra-linguistici? Se invece consideriamo il linguaggio come un sistema simbolico che combina le significazioni indipendentemente dalla loro specificità semantica, noi dovremmo attribuire un valore referenziale ad ogni simbolo formale; solo in questo modo il linguaggio può, allo stesso tempo, combinare delle forme simboliche e, indirettamente, il senso referenziale che è loro correlato. Dunque nessun rapporto tra percezione e linguaggio in quest’ottica: la percezione fornirebbe le entità di senso e il linguaggio, autonomamente, combinerebbe i simboli che a quelle si riferiscono. Qui sorge il problema; se dal vissuto percettivo all’espressione noi cambiamo completamente piano di essenza perché cambiano le leggi di composizione, com’è possibile che il linguaggio riesca ad essere così fedelmente corrispondente alle infinite situazioni che descrive? Nei termini di Esperienza e Giudizio, le sachverhalten si edificano senza sachlage; il che implicherebbe una concezione dell’esperienza tale che quest’ultima fornirebbe al linguaggio solo dei “mattoni” referenziali; sommandoli uno ad uno, come risultante avremmo il senso globale, anche se il concetto di significazione dipendente rende complicata questa visione, dato che le significazioni dipendenti hanno un rapporto con gli atti intenzionali. 74  Cfr., J.Benoist, (2001), Intentionalité et langage dans les Recherches Logiques de Husserl, PUF, Paris, p. 100-101.

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Dalla sintassi alla semantica La necessità di mantenere anche un approccio semantico ritorna in Logica formale e trascendentale, e proprio a sconfessare certe acquisizioni della IV Ricerca. Nel § 89 di Logica formale e trascendentale Husserl propone questo esempio: “questo colore + 1 =3” e nega ad esso qualsiasi senso. Ben diversamente si era comportato nella IV Ricerca dove aveva distinto tra “non senso” e “controsenso”. Se io dico “quadrato rotondo”, i due significati parziali sono incompatibili solo nell’unità del significato “in quanto viene colpita l’oggettualità e, rispettivamente, la verità dei significati interi […]; ma il significato stesso esiste”75; questo è un “controsenso”. Il fatto, dunque, che un’espressione abbia senso è indipendente da qualsiasi informazione legata all’oggetto cui essa si riferisce. Questa è la condizione essenziale per la creazione di “una grammatica puramente logica”; la questione del riferimento, cioè il passaggio ad un piano ontologico, interviene solo quando mi pongo il problema della verità, ciò che nella IV Ricerca viene affrontato nei termini del problema del “riempimento” del significato. Ma fin quando resto al livello del senso è sufficiente rispettare le regole sintattiche. Se invece diciamo “un uomo è e” abbiamo un caso di non-senso, perché è lo stesso significato unitario a non tollerare la coesistenza di certi significati parziali; qui “il giudizio di incompatibilità è legato alle rappresentazioni, là agli oggetti”76. Dicevamo che le cose cambiano in Logica formale e trascendentale. L’elemento di novità compare nel § 89-b di Logica formale e trascendentale: “Prima di tutti i giudizi si trova un terreno universale dell’esperienza, che è presupposto costantemente come unità concordante dell’esperienza possibile. Entro questa concordanza, tutto ha a che fare concretamente con tutto. Ma l‘unità dell’esperienza può anche divenire discorde, benché essenzialmente in modo che ciò che contrasta abbia una comunità d’essenza con ciò con cui è in contrasto, cosicché nell’unità dell’esperienza interdipendente, e pur sempre interdipendente anche nello stesso modo del contrasto, tutto stia con tutto in 75  Husserl, Ricerche Logiche, cit., p. 116. 76 Ib., p. 117.

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una comunità essenziale”77. Qui l’elemento del senso chiama in causa una certa comunità di esperienza, cioè dei significati che non possono prescindere da una componente ontologica; ed infatti in questo testo “l’evidenza della distinzione” opera tra i significati effettuando una selezione che non può prescindere dal riferimento all’esperienza; è quest’ultima il terreno che può mettere fuori gioco alcuni significati78. Se, dunque, “questo colore +1 =3” nella IV Ricerca avrebbe avuto senso e un valore di verità come enunciato falso, qui esso semplicemente non ha senso, non ammette alcuna distinzione tra i suoi momenti in vista di un loro collegamento; e questo perché a confliggere non sono solo le regole sintattiche, ma i contenuti dei significati presi in considerazione: il loro conflitto distrugge la possibilità stessa del giudizio perché non contempla “un’unità concordante dell’esperienza”. Si tratta ora di capire in che modo ci si può accostare, da un punto di vista fenomenologico, a questa “comunità essenziale”. Categoriale e pre-categoriale Sappiamo che le ricerche di Esperienza e giudizio riguardano l’origine del giudizio predicativo, nell’ottica di una fondazione dello stesso su strati più originari della vita del soggetto: “al centro della logica formale, nella forma che essa ha storicamente assunto, sta il concetto del giudizio predicativo […]. Diremo solo che è nel giudizio che tutte le forme categoriali, tema dell’ontologia formale, si appongono agli oggetti; […]. La chiarificazione fenomenologica dell’origine di ciò che è logico scopre che il dominio di esso è ben più ampio di quello che la logica tradizionale ha fin qui trattato; […] si trova che proprio negli strati inferiori son da cercare i presupposti nascosti sul cui 77  E.Husserl, (1966), Formale und transzendentale Logik: HU XVII; tr. it. di G.D. Neri, Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari., § 19-b. 78  Come rileva giustamente Benoist: “l’istituzione di un nuovo concetto di nonsenso testimonia qui una evoluzione nella stessa concezione del senso, che non si poteva affatto svincolare dalla sua assegnazione a un mondo che è quello dell’esperienza. Da una concezione pura del significato si era passati a una concezione ontologica, che gli faceva portare con risolutezza la sua iscrizione in un mondo”; J.Benoist, Fenomenologia e teoria del significato, “Leitmotiv” 3/2003, http://www.ledonline.it/leitmotiv/, p.142.

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fondamento soltanto divengono intelligibili infine il senso e il diritto delle evidenze di grado più elevato che lo studioso di logica possiede”79. Si tratta di capire, da un punto di vista scientifico, in che modo “il mondo della vita” può fungere da fondamento pre-logico rispetto alle verità logiche. Di che scienza si tratterà? Ovviamente, sarà una scientificità non di ordine “logico-obiettivo”, ma una scienza che pratichi le diverse forme di epoché in modo che “a partire dal concreto fenomeno del mondo venga a conoscere […] l’ego trascendentale nella sua concrezione, nella sistematica dei suoi strati costitutivi e delle sue fondazioni di validità inespresse e occulte”80. Ma quando l’analisi intenzionale va ad urtare contro “concrezioni mute” che precedono le forme di coscienza riflessiva, in che misura ciò che viene riportato in superficie non risente delle obiettivazioni degli strati superiori, quelli propriamente riflessivi? Quello che cercherò di mostrare è che la contrapposizione husserliana categoriale/pre-categoriale o concettuale/non concettuale, e la volontà di chiarire il tipo di relazione di dipendenza ontologicamente rilevante tra i due livelli così distinti, si scontra proprio con l’impossibilità di considerare in una specifica legalità uno dei due livelli. Ci soffermeremo esclusivamente su due testi: le Lezioni del 1908, che riprendono e approfondiscono le Ricerche Logiche, e il postumo Esperienza e Giudizio. Ogni espressione ha un significato e un oggetto al quale si riferisce. Oggetto e significato vengono distinti in quanto possono esserci espressioni di differente significato che hanno, però, lo stesso oggetto, come sappiamo. L’oggetto è il medesimo, dice Husserl, “sia che io dica Napoleone sia che io dica il vincitore di Jena”81. In linea generale Husserl afferma che uno stesso soggetto/oggetto può avere diversi modi di significato pur mantenendo inalterata una specifica determinazione. L’oggettualità nel “come” giunge ad affermazione viene da Husserl 79  E.Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., p.11-12. 80  E.Husserl, (1972), Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie. tr. it. di E. Filippini La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore Milano, p.213. 81 E.Husserl, (2008), Vorlesungen Über Bedeutungslehre. Sommersemster 1908, Martinus Nijhoff publishers, Dordrecht 1987; tr.it. di A. Caputo, La Teoria del significato, Bompiani, Milano, p.215.

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assimilata allo “stato di cose” e distinta dalla “situazione”. Questi due concetti della I Ricerca Logica vengono da Husserl ridefiniti nelle lezioni del 1908 e così li ritroveremo in Esperienza e Giudizio. Il rapporto tra “stato di cose” e “situazione” comporta il riferimento, dunque, ad un identico e ad un molteplice: “giudizi predicativi equivalenti rimandano alla stessa situazione come un rapporto dato intuitivamente. […], per es. la situazione quantitativa a-b contiene i due stati di cose a≥b e b≤a”82. La citazione ci dice che l’identico della “situazione” è tale solo implicitamente, nel senso che, pur essendo ricettivamente coglibile, la nostra attenzione è primariamente orientata verso le oggettività “schiette” presenti nella “situazione”. Quest’ultima appare dunque come un fondamento passivamente costituito, che solo successivamente può essere colta. Ovvero essa è ante-predicativa perché esiste indipendentemente dagli atti della coscienza, ma solo attraverso un giudizio predicativo può essere strappata dal flusso delle esperienze e divenire l’identico di molteplici “stati di cose” (sachverhalten). Ricapitolando, le oggettività schiette sono alla base delle “situazioni” e queste ultime danno luogo a diversi “stati di cose”. Come a dire che “gli stati di cose” sono la forma di una determinata “situazione” o “materia”, dove l’ordine introdotto dal giudizio si manifesta come ordine di natura sintattica; ma su questo ritorneremo. È proprio la messa in forma categoriale, cioè il significare in un certo modo, che diviene il tratto originario dell’espressione, prima ancora del fatto di riferirsi ad un oggetto. Ma questo non vuol dire che il significato sia un atto o un momento reale dell’atto. Se pronuncio la parola “leone”, scrive Husserl, il suo significato non contiene né gli atti del parlare né quelli della comprensione della parola, ma “il qualcosa di identico” che permane pur utilizzando la parola in innumerevoli e differenti contesti: “gli atti che conferiscono il senso sono vissuti transeunti, mentre il significato stesso è un’unità ideale, in- temporale, a se stessa identica come qualsiasi idea”83. Infatti nelle lezioni sulla Teoria del significato del 1908 Husserl sottolinea come il concetto di significato elaborato nelle Ricerche Logiche sia rivolto all’essenza degli atti nella misura in cui essi entrano nella costituzione di un’oggettualità. 82 E.Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., §59, tr.it., p.219. 83 E.Husserl, La teoria del significato,cit., p.221.

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Ma, e questo è il contributo originale delle lezioni sulla Teoria del significato, si può dare alla parola “significato” anche un altro senso che spetta “a ciò che, correlativamente, sta di fronte all’atto dal lato oggettuale. Si parla spesso dell’oggetto intenzionale in quanto tale, oppure dell’oggetto significato in quanto tale; e questo ‘in quanto tale’ non riguarda qui solo l’indifferenza per l’essere e il non essere che vale già, per antonomasia, per l’oggetto denominato o significato; esso ha di mira anche il ‘come’ della “formulazione categoriale”84. Prima di soffermarci su quest’ultima chiariremo la prima parte della citazione. Husserl ricorre, a tal fine, a due esempi: “il vincitore di Jena” e “il vinto di Waterloo”. Queste due affermazioni si rivolgono alla stessa persona ma in due modi differenti; ovvero, ci si riferisce a diverse determinazioni specifiche in modo tematico, nel senso che ho dapprima una città, poi un’altra, e occorrono diversi eventi. Dunque il tema trattato nelle due affermazioni non è lo stesso e non coincide con l’oggetto che, invece, è implicitamente lo stesso pur non venendoci “mai e in nessun luogo davanti agli occhi”85. Husserl può concludere che “il significato sarebbe così quanto sta di fronte ai nostri occhi […], pensato e compreso in questo e questo ‘modo’, ove però l’espressione non deve indurre a pensare che l’oggetto stia davanti agli occhi e ad esso, in seguito, verrebbe ad aggiungersi un modo per pensarlo; l’oggetto, invece, deve semplicemente essere pensato nel modo in cui appunto lo abbiamo alla coscienza vivendo nella comprensione dell’espressione: il vincitore di jena”86. Nel cap.V delle lezioni La teoria del significato si fa riferimento ad uno strato pre-categoriale, nel senso di Esperienza e giudizio, che non può privarsi dell’elemento categoriale: “tutti gli atti predicativi sono categoriali; ma gli atti categoriali possono anche essere non predicativi. L’apprendere e il conoscere che si riferisce a qualcosa, per esempio sul fondamento della mera percezione, senza parole e senza il significare verbale, comprende in sé certe forme d’atto categoriali che non sono predicative”87. 84  Ib., p. 229-231. 85  Ib., p .231. 86  Ib., p. 233 (corsivo nostro). 87  Ib., p. 277.

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Consideriamo la coscienza percettiva: in questo caso abbiamo le diverse fasi di una percezione che entrano in unità facendo si che ci si presenti davanti agli occhi qualcosa di identico. Eppure già a questo livello, ciò che abbiamo descritto come un fluire di singole percezioni, assume un’articolazione concettuale perché “vengono apprese parti o contrassegni di modo che si forma la coscienza ‘questo ha questo e questo ά’, oppure la coscienza ‘ è determinato così e così’. Tutto ciò accade anteriormente ad ogni espressione verbale.”88 È evidente come il ruolo che Husserl attribuisce al linguaggio sia secondario, perché esso non fa che esplicitare quanto è già dato implicitamente. Infatti, poco dopo, il filosofo aggiunge che deve esserci un preciso parallelismo tra pensiero e rappresentazione verbale: “nel linguaggio sufficientemente sviluppato si devono rispecchiare, naturalmente nell’aspetto grammaticale dell’espressione, le rappresentazioni categoriali e le loro forme”89. Consideriamo l’esempio portato da Husserl, cioè la rappresentazione “il mulino sta sul ruscello”. Dice Husserl che in questa coscienza, come in ogni coscienza percettiva, abbiamo presentazioni concettualmente intuitive, ovvero abbiamo una “situazione”. La comprensione categoriale di questa “situazione” consiste “nel guardare dentro la rappresentazione nominale (“il mulino sta sul ruscello”). Vi troviamo una datità, ma non l’oggetto tout court, giacchè l’oggetto sta prima di questa riflessione […]; troviamo, piuttosto, l’oggetto pensato così e così in quanto tale”, cioè non la nominalizzazione “questa casa” o “questo antico mulino a vento”, ma “lo stato di cose” “il mulino sta sul ruscello””90. In altre parole, l’ordine sintattico introdotto dal categoriale consiste nel fatto che la “situazione” presenta, indifferentemente, i suoi elementi o a partire dall’edificio (il mulino) o a partire dalla distanza spaziale (lo stare sul ruscello); questa indifferenza sparisce nella forma categoriale perché si da in “una strutturazione oggettiva”91. La limitazione imposta da Husserl alla formazione del categoriale è che questo si fondi su di una “coscienza offerente” o “percipiente”. 88 Ib., p. 315. 89  Ib. 90 Ib., p. 321. 91 E.Husserl, Ricerche Logiche, cit., p. 488.

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E nei casi un cui questo non avviene? Husserl ci dice che il concetto di significato coincide con lo stesso categoriale nel caso di atti predicativi “evidenti”, o con il “categoriale presunto”, avente carattere di ideazione, quando gli atti predicativi non possono ottenere evidenza: “non poniamo l’albero nel modo dell’essere […]; poniamo invece un albero in modo completamente differente, in modo ‘assuntivo’ […]. È questo il modo in cui possiamo compiere dei giudizi anche sul decaedro regolare, sul quadrato rotondo”92. Si è visto che il proposizionale non coincide con la “situazione”: “naturalmente le oggettività categoriali così prodottesi sono fondate su quelle ricettivamente coglibili. Le prime includono in sé le seconde, come per es. lo stato di cose “la terra è più grande della luna” include un oggetto che può darsi ricettivamente, “la terra”. Ma il contesto stesso non è nulla che si possa palesare come struttura di senso nel polo di senso “terra”, così come le determinazioni interne (le proprietà) e le relazioni appartengono come momenti di senso al senso oggettivo, al senso cioè in cui l’oggetto “terra” è colto ricettivamente. Ciò che corrisponde nella ricettività a un tale stato di cose sono le relazioni o, diremmo, situazioni (sachlagen): relazioni del contenere e del contenuto, del maggiore e minore, ecc.. .”93 Le situazioni sono dunque oggetti antepredicativi, ma sono isolabili dal flusso dell’esperienza solo con l’intervento di un giudizio predicativo che esplica differenti “stati di cose”. La forma categoriale non è quindi negli oggetti; gli stati di cose, cioè, non sono specie ideali, ma solo l’aspetto formale di una “materia” o “situazione”. Che rapporto c’è tra “stati di cose” e oggetto in senso ordinario? Nel cap. III delle Lezioni del 1908 Husserl fa queste considerazioni sempre a partire dagli esempi “il vincitore di jena” e “il vinto di waterloo”: “non è forse evidente che non potremmo essere rivolti agli oggetti denominati senza esservi rivolti in questo e questo significato? […] il nostro oggetto è il vincitore di Jena, quindi ciò che è ‘identico’ a Napoleone, e così via, ma non il significato “il vincitore di Jena”. Ma il significato non è cosciente, necessariamente cosciente? Come già sappiamo, possiamo rappresentare l’oggetto solo attraverso il me92 E.Husserl, La teoria del significato, cit., p. 341. 93 E.Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., §59, p. 219.

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dium del significato”94. Il significato da un lato consente di individuare l’oggetto tout court e dall’altro diventa oggetto per altre rappresentazioni. Come si rapportano questi due momenti? “Ora, se gli stati di cose riguardano le realtà, non entrano in esse in qualità di membri dei corrispondenti stati di cose gli stessi oggetti reali? Dunque gli stati di cose abbracciano necessariamente in sé le forme categoriali; […]. D’altra parte lo stato di cose, come ogni oggetto, è assolutamente oggettuale in una certa formulazione rappresentativa e, in quanto oggetto di pensiero, in una formulazione di pensiero”95. Ancora una volta la relazione è del tipo ‘essere membro di’. Soffermiamoci su una conseguenza fondamentale di quanto detto fino ad ora. Quello che viene chiaramente superato in Husserl è la contrapposizione tra oggetto, da un lato, e forme del pensiero dall’altro. Non è attraverso le forme inerenti agli atti del ricordare, del percepire, del credere, che l’oggetto viene conosciuto da noi, perché “solo nel pensiero può essere compiuta a- priori la separazione tra lo stesso oggetto e il pensiero dell’oggetto”, e “se produciamo un’affermazione […] viviamo nelle cose, non compiamo alcuna riflessione e non ci dirigiamo con lo sguardo ad alcun atto o momento d’atto”96. Cioè gli oggetti non stanno accanto ai significati ontici, ma nei significati, con la conseguenza che il sachverhalt è un senso i cui componenti sono gli oggetti ridotti97.

94 E.Husserl, La teoria del significato, cit., p., 241 e 247. 95  Ib., p. 249. 96  Ib., p. 253. Questa è una conseguenza che troverà sviluppo in Merleau-Ponty. 97  Nota A.Caputo nella sua Introduzione alle La teoria del significato: “Dato che in Ideen Husserl renderà il noema entità si astratta, ma coglibile dai sensi, possiamo ritenere che in quanto intero di contenuto e forma esso sia, riguardo al suo statuto fenomenologico, equivalente o simile ai Sachverhalten, col distinguo che la sua parte materiale è ricettivamente coglibile sia nella percezione quotidianamente intesa, sia in quella fenomenologica, attraverso una riflessione categoriale, solo che nella percezione quotidianamente atteggiata queste materie non costituiscono il polo immediato dell’interesse, dato che quest’ultimo è rappresentato dagli schietti oggetti”; cfr. Introduzione del curatore italiano, cit. p. 48.

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Derrida Il discorso condotto da Husserl fin qui presenta alcune questioni inaggirabili. La prima delle due questioni che tenteremo di analizzare porta la firma di Derrida; attraverso La voce e il fenomeno il filosofo francese ci mostra come la delimitazione del campo intenzionale della presenza e del presente, così come la possibilità di ottenere una presenza immediata, mettono Husserl di fronte a dei fenomeni non riducibili all’interiorità e alla presenza. Eppure lo sforzo di Husserl è proprio quello di chi reputa necessario dimostrare come il significato sia qualcosa di sempre presente, disponibile ad uno sguardo che sappia cogliere nel segno la distinzione tra indice ed espressione o tra comunicazione ed espressione. Per segni indicativi si intende un tipo di oggetti empirici o stati di cose il cui sussistere rimanda al sussistere di altri oggetti o stati di cose. Un segno significativo, invece, non necessita di fungere in questo modo; ad esso compete solo significare qualcosa in senso pregnante, anche se, all’interno di un discorso comunicativo, può anche indicare qualcosa. Prendendo in considerazione solo i segni significativi- o espressioni-, noi distingueremo, dal lato oggettivo, tra segno e designato, e dal lato soggettivo tra la parte fisica dell’espressione (complesso fonetico) e parte psichica (cioè i vissuti psichici). Prendere in considerazione solo le espressioni autentiche significa prescindere dalla comunicazione e dai rapporti tra parlante e ciò di cui si discorre; cioè significa riferirsi, in modo paradigmatico, al pensare e al parlare solitari. Perché proprio il pensare e il parlare solitari? Perché da un punto di vista fenomenologico le relazioni significanti facenti riferimento all’indice e all’espressione non si trovano mai isolate l’una dall’altra: “il voler dire nel discorso comunicativo si trova sempre intrecciato in un certo rapporto con l’essere indice”98. A partire da quest’intreccio Husserl vuole elaborare la possibilità di una separazione d’essenza tra queste due funzioni. Se ciò non fosse possibile in base all’intreccio tra indice ed espressione, dovremmo concludere sull’assimilazione della parola al gesto, che è esattamente quanto Husserl vuole scongiurare 98  Husserl, Ricerche Logiche, vol. 1, cit., p. 291.

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dimostrando l’estraneità dell’espressione alla specie dell’indicazione. Poiché è proprio nel discorso comunicativo che, secondo Husserl, espressione ed essere indice si trovano concatenati, dobbiamo risalire ad un linguaggio senza comunicazione, “alla vita solitaria dell’anima”. L’intenzione di un soggetto che anima il segno si scontra, nel caso dell’indicazione, con la fisicità tanto del segno, quanto dell’indicato che esiste nel mondo, mentre nell’espressione l’intenzione mira un segno senza corpo (la voce interiore) e l’espresso è una idealità che non esiste nel mondo. L’espressione sembra procedere secondo il binario intenzionalità/coscienza volontaria, visto che dall’espressione sono esclusi “il gioco mimico e i gesti con i quali involontariamente […] accompagniamo il nostro discorrere”99. L’idealità, qui, è sinonimo della purezza dell’intenzionalità e dell’espressione; l’assenza della comunicazione, infatti, scongiura la presenza dell’indice- e quindi della realtà- perché non essendo presente il vissuto altrui, la cui assenza alla nostra intuizione originaria rende necessaria l’indicazione, l’espressione “sarà presente ad un’intuizione o ad una percezione interna”100. Ogni volta che la presenza piena è sottratta alla “percezione interna” noi non abbiamo un “essere vissuto”, ma solo un “essere presupposto”. Visto che nella comunicazione il vissuto altrui si sottrae alla nostra intuizione originaria, il significante è necessariamente di natura indicativa. L’espressività è dunque associata ala presenza immediata di un contenuto significato; poiché l’indice è sempre presente nel mondo, l’espressione deve marcare una differenza essenziale rispetto alla natura e allo spazio. Sarà dunque presente ad una percezione “interna”, che non potendo essere il vissuto altrui di un contesto comunicativo, sarà percezione di sé, sarà il monologo interiore, l’unico contesto in cui siamo capaci di vivere nella comprensione della parola. Vivere nel significato, come dice Husserl, significa mirare al significato come unità ideale, senza alcun riferimento “all’avvenimento fisico del linguaggio”101. Nel pensare e nel parlare interiori si compie un flusso di rappresentazioni fantastiche, ma ai complessi fonetici in questo modo 99  Ib., p. 298. 100  Derrida, (1967), La voix et le phénomène, PUF, Paris ; tr. it. a cura di G.Dalmasso, La voce e il fenomeno, Jaca Book, Milano 2010, p.72. 101 Ib., p.73

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fantasticati non è assegnato alcun riferimento al mondo reale102. Tra la coscienza del complesso fonetico, o del segno scritto, e la coscienza del significato vi è una differenza fenomenologica; nel seguire con lo sguardo i segni scritti abbiamo di mira qualcosa di completamente diverso: le oggettualità del significato, “viviamo nella coscienza del significato”. Sulla parola “grava la tendenza” a dirigere la nostra attenzione all’oggettualità significata: “essa distoglie lo sguardo da sé”103. Qual è l’essere dell’idealità? Non è quello dell’esistenza sensibile, abbiamo visto; il suo essere è legato ala possibilità di rappresentazioni che si legano in vista di relazioni di identità104. Husserl si trova fin qui ad operare su più livelli. Innanzitutto, considerando il monologo, egli ha detto che in questo caso non ci si comunica nulla, non si fa altro che rappresentare se stessi come persone che parlano e che comunicano. Il che fa pensare alla comunicazione comune come alla circostanza in cui la rappresentazione non interviene in maniera essenziale. Ma Derrida fa notare che questa separazione tra rappresentazione e realtà non regge perché “un fonema o un grafema è sempre necessariamente altro, in una certa misura, ogni volta che si presenta in un’operazione o una percezione, ma può funzionare come segno o linguaggio soltanto se un’identità formale permette di riprenderlo e di riconoscerlo”105. La dinamica husserliana dell’espressione presente all’intuizione riceve nelle Idee 1 una precisa formulazione nei termini di “un vissuto presentemente vissuto”106; in questo modo l’essere come presenza viene a coincidere con la forma generale della prossimità ad una sguardo presente alla presenza di turno. Su questo Derrida fa incrociare il vissuto come originaria intenzione di significato e la genesi di ogni produzione, compresa quella dell’atto significante. L’idealità ha sempre la forma dell’oggetto preso di mira dall’atto 102  “dei segni non esistenti mostrano dei significati (bedeutungen) ideali, dunque non esistenti, e certi, perché presenti all’intuizione”; ib., p. 75-76. 103 E.Husserl, La teoria del significato, cit., p. 205 104 “in ogni giudizio non è presente nient’altro che una certa rappresentazione in esso manifestantesi, e nel migliore dei casi, una seconda rappresentazione di contenuto diverso che si lega a essa nella sintesi di identità”; ib., p. 261. 105 Derrida, La voce e il fenomeno, cit., p. 83. 106 E.Husserl, Idee 1, cit., p. 243.

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IV Ricerca Logica, Lezioni sulla Teoria del Significato (1908), Derrida.

di ripetizione; a sua volta la ripetizione, come decorso temporale, ha sempre un inizio, un “ora” da cui partire. Se la struttura del segno è originariamente ripetitiva, allora, nota Derrida, “la presenza del presente deriva dalla ripetizione e non il contrario”107: la presentazione, la rappresentazione ( sia quest’ultima quella del semiologo, quella dello psicologo ecc…), non hanno il privilegio dell’unità, come vorrebbe Husserl. Su questa base Derrida opera l’assimilazione tra la necessità del segno e la necessità della ritenzione; perché proprio la ritenzione? Perché Husserl è costretto ad un’estensione della sfera dell’originarietà per salvaguardare la continuità del flusso temporale. Derrida fa notare che nel § 35 delle Lezioni sul tempo Husserl sostiene che non bisogna rappresentarsi il flusso come se ogni sua fase si estendesse in identità con se stessa. E, nonostante ciò, continua il filosofo francese, in Idee 1, § 78, si parla di validità assoluta della percezione e della ritenzione: “in tutte questa direzioni, la presenza del presente è pensata a partire dalla piega del ritorno, dal movimento della ripetizione, e non il contrario”108. Questo comporta conseguenze non in linea con le distinzioni husserliane; il primato fenomenologico del discorso interiore si basava sull’inutilità del segno nel rapporto a sé, visto che nel monologo ci sono rappresentazioni fantastiche e non comunicazioni effettive. Ma il costitutivo intreccio presenza/non presenza visto all’opera rende vano ogni tentativo di fare a meno dell’indice, perché la semplicità del presente è inattingibile; e però è esattamente quello che Husserl si sforza di circoscrivere. Il primato della voce interiore si spiega esattamente in questo contesto. La voce, dice Derrida, è l’unico medium capace di preservare la presenza dell’oggetto ideale, in virtù del fatto che parlare implica ascoltarsi; non è certo il fatto di costituire un’auto-affezione a rendere peculiare questo fenomeno. La peculiarità della voce rispetto ad altre auto-affezioni descritte da Husserl- le due mani- è che essa è pura: “le mie parole sono vive perché sembrano non lasciarmi: non cadere fuori di me, fuori dal mio respiro”109; in altre parole, qui non c’è esteriorità, mondo, come invece accade nel caso delle mani. L’espressione è “improduttiva” e “riflettente” proprio 107 Derrida, La voce e il fenomeno, cit., p. 85. 108 Ib., cit., p. 104. 109 Ib., p. 114.

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IV Ricerca Logica, Lezioni sulla Teoria del Significato (1908), Derrida.

perché, secondo Husserl, qui non c’è scarto tra significante e significato. Abbiamo detto, però, che l’idealità non è fuori dal tempo; il suo essere è legato alla ripetizione senza limiti e poiché il movimento della temporalizzazione ha sempre una sorgente e quest’ultima è “genesi originaria”, noi possiamo parlare, secondo Husserl, solo nella temporalità costituita e non costituente. Il problema, nota Derrida, è che “ si è sempre già deviato nella metafora ontica […]. Il presente vivente sgorga a partire dalla sua non identità a sé e dalla possibilità della traccia ritenzionale. […]. Il sé del presente vivente è originariamente una traccia”110. L’imperativo intuizionista, come lo chiama Derrida, porta Husserl a scontrarsi con un ulteriore elemento che dovrebbe garantire la frontiera tra discorso solitario e discorso comunicativo, cioè il pronome io. Husserl ha riconosciuto in più luoghi che intenzionalità e intuizione sensibile sono indipendenti, ovvero il contenuto di un enunciato di percezione viene inteso anche in assenza di un contenuto hic et nunc, là dove solo nel caso dell’io, ricorda Derrida, Husserl precisa “che nel discorso isolato il significato dell’io si realizza essenzialmente nella rappresentazione immediata della propria personalità, ed in ciò risiede anche il significato della parola nel discorso comunicativo”111; ma osserva Derrida: “quando dico a me stesso ‘io sono’, questa espressione […] ha lo statuto di discorso solo se è intellegibile in assenza dell’oggetto, della presenza intuitiva, dunque di me stesso. D’altronde è così che l’ergo sum si introduce nella tradizione filosofica”112. Il motivo per cui Husserl cade in queste contraddizioni, secondo Derrida, è che il motivo semantico resta imprigionato, anche quando è “vuoto”, “assuntivo”, in un criterio epistemologico dominato dal riferimento oggettuale.

110  Ib., p. 123-124. 111 E.Husserl, Ricerche Logiche, cit., p. 351; il passo è citato anche in nota da Derrida in La voce e il fenomeno, cit., p.134.

112 Derrida, La voce e il fenomeno, cit., p. 135.

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Il pre-categoriale | Per non concludere.

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Per non concludere

Ci eravamo lasciati con la descrizione dei livelli di analisi coinvolti nel passaggio dalla percezione al categoriale; si tratta di considerare più da vicino alcuni elementi di queste relazioni considerate. Cominciamo dal passaggio più problematico, quello dalla percezione sensibile al nome. Il nome è un termine singolare, come le descrizioni definite – per es. “il vincitore di Jena”-, o come i deittici; in entrambi i casi esso sta per un oggetto. Sempre nella prima Ricerca, Husserl si trova a polemizzare con Stuart Mill perché questi considera il nome un segno indicativo, in virtù del suo riferimento immediato, e privo di mediazione concettuale, all’oggetto. Husserl concorda sul riferimento immediato, ma considera il nome un’espressione. Cerchiamo di seguire un esempio portato da Husserl stesso. Se io utilizzo il nome proprio “Colonia”, la città viene ad essere l’oggetto dell’espressione; qual è il suo significato? Inoltre, se il nome si riferisce direttamente all’oggetto, bisogna concluderne che la percezione sensibile costituisca il riempimento adeguato del nome proprio? Partiamo da quest’ultima domanda. Sappiamo che il nome può entrare a far parte di predicazioni in qualità di soggetto, oggetto ecc… . Nella VI Ricerca Logica, al §49, Husserl scrive: “gli atti oggettivanti presi puramente in se stessi e gli stessi atti oggettivanti in quanto hanno la funzione di costituire dei punti di riferimento di relazioni qualsiasi, non sono in realtà identici, essi si distinguono fenomenologicamente. […]. Il senso apprensionale

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Il pre-categoriale | Per non concludere.

si è mutato”113. Il mutamento della materia, cioè il modo in cui l’atto si riferisce al proprio oggetto, segna qui la distinzione tra percezione semplice e atto nominale, perché solo in virtù di questo cambiamento il nome può appunto entrare nella formazione di enunciati predicativi con diverse funzioni grammaticali. È propriamente questa l’eccedenza del nome rispetto alla semplice percezione ed è evidente, quindi, che il riempimento del nome non è la semplice percezione- da qui il problema dell’intuizione categoriale-. Infatti il nome viene ad assumere quella generalità che è caratteristica di tutte le espressioni, in modo da poter abbracciare, nel suo senso unitario, diverse intuizioni possibili; generalità, dunque, che non è altro che l’idealità del significato. Ma in cosa consiste, nel caso del nome “Colonia” il significato? Sempre nella VI Ricerca Logica Husserl scrive, a proposito delle rappresentazioni nominali, che la forma categoriale, in questo caso, “è qualcosa che include in se l’intero senso apprensionale precedente attribuendo ad esso […] soltanto un senso nuovo, quello di ruolo”114. Per cui, nota giustamente la Rizzoli, “il significato è qui, si potrebbe dire, ridotto al minimo poiché si esaurisce nel trasformare l’oggetto sensibile in un possibile oggetto predicativo”115. È il nome proprio ad effettuare il passaggio dalla percezione al categoriale. Ma se l’essere in grado di riconoscere l’oggetto denominato apre il campo del categoriale e del concettuale, dobbiamo concludere che tutto ciò che precede questo livello ha a che fare con contenuti non concettuali? Questo è il punto che dobbiamo chiarire, cioè provare a capire che cosa si intende con pre-categoriale. Quando Husserl parla di categoriale intende, abbiamo visto, stati cognitivi con contenuti concettuali, attraverso i quali un oggetto viene determinato predicativamente come avente determinati momenti individuali; in questo senso abbiamo parlato di giudizi già a livello della percezione. Nel §80 di Esperienza e Giudizio Husserl fornisce una definizione più circoscritta del concetto di giudizio, intendendo con esso non solo la capacità di porre delle individualità, ma soprattutto la capacità di ricondurre queste stesse in113 E.Husserl, Ricerche Logiche, vol.2, cit., p. 458. 114  Ib., p. 459. 115 L.Rizzoli, (2003), Nome proprio e Begriffsbildung fenomenologica, “Leitmotiv”, 3, p.213.

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Il pre-categoriale | Per non concludere.

dividualità all’estensione di nozioni astratte. Abbiamo già evidenziato come questi livelli vadano analizzati nell’ottica di una certa continuità, soprattutto alla luce del fatto che Esperienza e Giudizio considera la capacità concettuale come geneticamente debitrice di precedenti livelli di sviluppo cognitivo. Prima, infatti, di arrivare al concetto di giudizio in senso ristretto, Husserl afferma che il soggetto deve aver acquisito la capacità di discriminare percettivamente l’ambiente circostante, di costituire oggetti dotati di continuità temporale, e di esplorare gli orizzonti interni ed esterni dell’oggetto. Se, come abbiamo detto, il pensiero concettuale riconduce i momenti individuali alla specie astratta di cui essi partecipano, vuol dire che il soggetto, attraverso “la familiarità”, “l’uguaglianza”, è impegnato in continue “sintesi di identificazione”. In altre parole, un oggetto isolato non esiste, trovandosi ogni oggetto relazionato ad oggetti di differenti fasi temporali; proprio per questo Husserl può dire nel §24 di Esperienza e Giudizio che l’oggetto “è presente da subito in un carattere di pre-conosciutezza; è appreso come oggetto di un tipo in qualche modo già noto e più o meno determinato”, ovvero ciò che è comune verrà riconosciuto e poi esplicitato. Ma se si tratta solo di esplicitare, in che misura possiamo dire che il pre-categoriale è privo di contenuti concettuali? Su questo il discorso di Husserl non permette una netta presa di posizione. Se facciamo riferimento ai §§29 e 30 di Esperienza e Giudizio, il processo di “esplicitazione” sembra coinvolgere contenuti non concettuali. Infatti, nel §29, presentando il concetto di sostrato, scrive che “essi (il colore o una figura) possono comparire originariamente solo come determinazioni di un corpo, ossia di un oggetto spazio-temporale figurato, colorato come sostrato di esse. Prima deve emergere l’oggetto in modo affettivo, almeno nello sfondo; anche se l’io non si volga ad esso e il suo interesse passi subito oltre per cogliere in tal caso esclusivamente il colore, sicchè è questo che otterrà subito l’interesse tematico principale”116, per poi aggiungere, nel paragrafo successivo, che “quando io passo dal bianco che percepisco, che ho già prima reso oggettivo, alla carta, questa è in rapporto al bianco un 116  E.Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., §29, tr.it., p. 123.

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‘intero’. Io accolgo così nel mio sguardo un di più”117: in queste due citazioni Husserl non fa riferimento a capacità concettuali per l’esplicitazione delle sintesi percettive che intervengono nel passaggio dall’ “esplicato” (il colore in questo caso) al “sostrato” (l’oggetto). Eppure nel §49 Husserl sembra dire esattamente il contrario: “quando noi, per esempio, determiniamo questo oggetto di percezione qui come rosso in un giudizio di percezione della forma semplicissima S è p, allora in questo ‘determinare come rosso’ è già implicitamente contenuta, in virtù dell’universalità del significato ‘rosso’, il riferimento all’essenza universale del rosso, anche se tale riferimento non deve adesso diventare tematico, come accade per esempio nella forma: questo è un oggetto rosso. È solo in questo caso che noi possiamo parlare di un pensare concettuale in senso proprio per distinguere a buon diritto il pensiero meramente determinante o relazionale, come quello in cui la relazione alle universalità è contenuta solo implicitamente ma non è ancora divenuta tematica. Noi qui astraiamo dai problemi che derivano dal fatto che ad ogni predicare si connette un esprimere e un significare in generale, in tal senso anche un concepire”118. Husserl sembra qui sostenere che già a livello percettivo siano presenti forme di apprensione concettuale. Cioè, se per pre-categoriale si volesse intendere uno strato preliminare rispetto all’elaborazione concettuale, viene fuori la difficoltà di dovere presupporre capacità concettuali per far emergere il categoriale119. Husserl lo sa benissimo; non ignora la 117 Ib., p. 128. 118  Ib., p. 185-186. 119 Anche nel caso in cui ci riferiamo esclusivamente a giudizi individuali, cioè adoperiamo la modalità esplicativa che chiama in causa i dimostrativi in un processo di esplicitazione – e che quindi si qualifica come articolazione di strutture percettive non concettuali-, ci troviamo di fronte alle stesse difficoltà: “la forma linguistica di A è p, in questo modo, sarebbe propriamente A è questa cosa qua (ad esempio, è rosso), dove questa cosa qua si riferisce alla caratteristica individuale concretamente presentata nell’oggetto percettivo. Ma questo tipo di riferimento sembra almeno coinvolgere la capacità di re-identificare il colore concretamente presentato nel corso di un processo di esplicitazione, e questa capacità sembra afferire ad un tipo di attività concettuali che dovrebbero essere assenti se l’articolazione percettiva deve poter essere qualificata pienamente come non concettuale”; T.Piazza, (2003), Husserl teorico del contenuto non concettuale?, “Leitmotiv”, 3, p.205. Interessante far notare che in Italia questi problemi relativi ad Husserl vennero avvertiti presto; v. F.Brosio (1966): “non è dunque possibile sprofondare senza residui nell’originario. Questo invece necessita di essere compreso e disvelato secondo un senso razionale di verità. Il ritorno all’originario è il compito teleologico

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Il pre-categoriale | Per non concludere.

stessa sua posizione di soggetto caratterizzato da un sapere specifico che viene messo in atto nella descrizione del fenomeno. Husserl aveva già tematizzato il rapporto tra una pratica come l’agrimensura e la geometria; e però, proprio nel chiarire il passaggio dalle misure della terra attraverso il corpo alle idealità geometriche, egli corre troppo velocemente, lasciando intendere che già in quelle pratiche corporee devono essere implicitamente contenute le categorie. Si ma come? Una stessa oggettualità può essere esplicata in diversi modi; analogamente, posso variare il modo in cui prendo di mira l’oggetto, passando da una proprietà all’altra; posso anche variare i punti di osservazione da cui miro l’oggetto. Tutto ciò, però, non mi impedisce di riconoscere il fatto che mi trovo sempre di fronte allo stesso oggetto, che lo sto guardando, e che continuo a farlo anche se mi sposto e lo perdo di vista: com’è possibile? Tutte la molteplicità dei dati fenomenici si raccoglie in unità grazie al sistema cinestesico, e ciò garantisce il riconoscimento dell’identità nel tempo. È solo perché il meccanismo associativo della coscienza passiva produce “la sintesi del simile con il simile” nell’intero corso dei vissuti, che noi riusciamo ad esperire gli oggetti come tipicamente noti, e a produrre il riconoscimento del “questo” individuale in un campo di analogie che si è andato progressivamente a sedimentare nella serie degli schemi psicomotori costitutivi di ogni percezione. Husserl non dice mai esplicitamente che l’effettivo riconoscimento cognitivo avvenga in questa sfera intuitiva, ma è innegabile il ruolo costitutivo che attribuisce a questi livelli di analisi; qui risiede il campo di indagine che potrebbe farci uscire dal circolo vizioso della reciproca presupposizione di categoriale e pre-categoriale. Da qui, due possibili esempi.

della riconquista autocosciente di ciò che la soggettività trascendentale ha costituito senza riconoscersi”; in Fondazione della logica in Husserl, Lampugnani, Firenze, p.177.

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Il pre-categoriale | Da Esperienza e Giudizio: la genesi ante-predicativa della negazione

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Da Esperienza e Giudizio: la genesi ante-predicativa della negazione

In Esperienza e Giudizio-cap.1- Husserl prende in esame la struttura della predicazione, e cerca di operare una deduzione delle categorie in essa adoperate. Questa deduzione, a differenza di quella kantiana, non chiama in causa l’intelletto come dotato di forme con cui catturare la realtà, ma muove dall’esperienza come forma di correlazione tra i dati della sensibilità e la soggettività che li riceve. Questa connessione emerge con particolare chiarezza in rapporto al problema delle modalizzazioni; le nozioni di certezza, possibilità e necessità si connettono alle problematiche dell’affermazione e della negazione. Nel caso della percezione normale, quando il processo continuo delle sue fasi non viene impedito, ossia in ciò che comunemente si dice percezione tout court, ha luogo un processo continuo di stimolazioni che si attualizzano e quindi un progressivo riempimento, ovvero un soddisfacimento delle aspettative, che è sempre parallelamente una determinazione ulteriore dell’oggetto. L’appagamento dell’interesse e delle tendenze, nel passaggio da una fase percettiva a un’altra, da un modo di datità dell’oggetto a un altro, è altresì riempimento delle intenzioni di aspettazione. Questo è il caso normale del corso ininterrotto delle intenzioni; l’oggetto sta allora nella certezza schietta come esistente e come esistente così per noi. Il caso diametralmente opposto si dà quando le tendenze ad una maggiore determinazione vengono impedite e ci si ferma ad una sola immagine dell’oggetto, poiché il decorso percettivo viene meno. Oppure quando l’interes83 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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Il pre-categoriale | Da Esperienza e Giudizio: la genesi ante-predicativa della negazione

se percettivo per l’oggetto continua ma, invece del soddisfacimento delle intenzioni aspettative subentra la delusione. Mettiamo il caso di vedere una sfera uniformemente rossa. Per un certo tratto il processo della percezione si è svolto in modo che questa prensione sia concordemente soddisfatta. Ma poniamo che nel prosieguo della percezione si mostri ora a poco a poco un tratto della parte posteriore della sfera ancora non veduta e che, in opposizione alla delineazione originaria, che suona come “rosso sferico uniforme”, subentra ora la coscienza di qualcos’altro che delude l’aspettativa, ossia la coscienza di un “non rosso ma verde” e “non sferico, ma ammaccato”. Osserviamo innanzitutto che la delusione tocca solo una parte dell’intenzione d’attesa, dato che, per poter mantenere l’unità di un processo intenzionale, ovvero la coscienza percettiva di questa sfera, è necessario che in una certa misura l’intenzione d’attesa venga comunque soddisfatta. D’altra parte, là dove subentra la delusione si produce un contrasto tra i contenuti delle attese (ancora vive nella coscienza) e i nuovi contenuti di senso che ora fanno la loro apparizione in modo originario, sicché contemporaneamente si produce una sopraffazione, sulla certezza dei contenuti pre-intenzionati da parte della certezza originaria, dei nuovi contenuti, con la loro maggiore forza impressionale. L’anticipazione dell’essere-rosso rimane nella coscienza, ma in quanto sopraffatta, ora è caratterizzata da un senso di “nullità”. Naturalmente la sopraffazione si ripercuote su tutta la sfera ritenzionale, nella forma di una cancellazione retroattiva. Ciò significa che se noi, in un atto di esplicita rimemorazione, ci rendiamo intuitivi gli elementi ritenzionali, allora nel ricordo non ritroviamo soltanto la vecchia delineazione così com’era, ma la ritroviamo trasformata dall’improvviso apparire del “verde e ammaccato”, ragion per cui tutti i momenti in contrasto con tale apparire sono ora caratterizzati come “nulli”. Dato però che questi momenti appartengono al senso oggettivo unitario di un unico processo intenzionale, è questo senso nella sua interezza che viene attraversato da uno sdoppiamento e ne risulta modalizzato, appare cioè con il carattere del “non così, ma altrimenti”. Ciò che l’annullamento va a colpire con il carattere del “non”, è il momento oggettivo “rosso” e la sua proprietà di “esistere”: la cosa “intesa” come interamente rossa non esiste più, ma ora in certe sue parti risulta verde. 84 www.torrossa.com – Uso per utenti autorizzati, licenza non commerciale e soggetta a restrizioni.

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Il pre-categoriale | Da Esperienza e Giudizio: la genesi ante-predicativa della negazione

Con il cambiamento subìto dalla percezione originariamente schietta e normale, si riproduce una percezione che assomiglia a quella normale, e un senso unitario continuamente concordante, tale da tornare a garantire un soddisfacimento stabile delle intenzioni: con l’introduzione del “verde e ammaccato” tutto riprende a concordare. Questo esempio della sfera rotonda rossa, poi verde e ammaccata, mostra come la negazione appaia nella sua forma originaria già nella sfera antepredicativa della recettività, e inoltre come sia essenziale che un nuovo senso si sovrapponga a un senso già costituito che contemporaneamente viene soppiantato. Tutto questo discorso – attraverso l’esempio analizzato – vuol mostrare come la riflessione husserliana sia volta a far vedere che le idealizzazioni - cioè l’ambito dell’attività umana che costituisce il livello della cultura e la cui espressione paradigmatica è l’universo della scienza - si pongono al termine di un processo di costituzione che, nei suoi gradi inferiori, rivela un’infrastruttura passiva, preliminare all’attività di idealizzazione. Per questo – come sottolinea Merleau-Ponty - “la fenomenologia denuncia l’atteggiamento naturale e, nello stesso tempo, fa molto di più di qualsiasi altra filosofia per riabilitarlo. Husserl diviene sempre più cosciente dell’identità di queste due direzioni e vuole considerarle come un’unica esigenza”120.

120  Merleau-Ponty, (1995), La nature, Ėditions du Seuil, Paris; tr.it. di M.Mazzacut-Mis e F.Sossi, La natura. Lezioni al Collège de France 1956-1960, Cortina, Milano 1996, p. 106.

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Il pre-categoriale | Da Idee II e Meditazioni Cartesiane: Le due mani

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Da Idee II e Meditazioni Cartesiane: Le due mani

Analizzando la genesi del concetto di negazione, abbiamo trovato la storia di questo significato sedimentata nelle possibilità motrici di un atto percettivo. Non che i movimenti del mio corpo apparissero come fattori oggettivi di conoscenza, ma contribuivano ad una comprensione del mondo che assegnava al corpo la localizzazione delle sensazioni. La polarità attività/passività, in gioco a questo livello di analisi, non è sovrapponibile, contrariamente a quanto si possa pensare, a quella tra attualità e inattualità, perché ci sono forme di intenzionalità passive e attuali come le cinestesi. A partire da ciò, il corpo mi appare come soggetto e oggetto. Husserl lo spiega ricorrendo all’esempio del tatto e tematizzando la differenza tra Korper e Leib nei termini che Merleau-Ponty definirà di “reversibilità” tra l’uno e l’altro121. Se l’aspetto noematico della percezione è indicato come figura nello spazio causalmente connessa ad un orizzonte mondano, ovvero la relazione della singola cosa con lo sfondo materiale e con le circostanze122 della percezione stessa, il correlato noetico si presenta come 121 In particolare si vedano i § 36- 42 di Ideen II; cfr. anche il § 44 delle Meditazioni Cartesiane dove Husserl scrive: “Nella mia attività percettiva percepisco (o posso percepire) tutta la natura e in essa la mia corporeità propria che in quest’atto è perciò riferita a se stessa. Ciò diviene possibile perché io posso percepire una mano per mezzo di un’altra, l’occhio per mezzo della mano, e così via, dove l’organo funzionante deve farsi oggetto e l’oggetto organo funzionante.”; E.Husserl, (1950), Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Nijhoff, Den Haag; tr. it. di Filippo Costa, Meditazioni Cartesiane con l’aggiunta dei Discorsi Parigini, Fabbri, Milano 1996, p.116 sgg. 122   “D’un côte […] sous le nom de circostances Husserl evoque sinon la relation de causalitè, du moins un style causal qui serait la racine […] d’autre part, cette analyse n’est pas intellectualiste; cette causalitè n’est pas penseé; elle est une dependence vue, perçue.” P.Ri-

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cinestesi, sensazione, cioè, capace di riempire e qualificare lo schema della cosa: i due momenti qui in questione sono il fantasma come figura nello spazio, di cui non è predicabile alcuna determinazione qualitativa, e lo schema come riempimento del fantasma. In altri termini il “corpo proprio” è in situazione e il campo percettivo si modifica in corrispondenza con il movimento organico, per cui un oggetto viene percepito come mobile nello spazio in virtù della connessione tra campo e sistema cinestetico. La considerazione della sensazione, dunque, sfugge all’eredità dell’empirismo, che ne faceva un riflesso psicologico di una modificazione corporea. Piuttosto che prefigurare un effetto causale nell’ordine oggettivo, è descritto un processo di partecipazione del corpo ad ogni esperienza sensibile, in modo da costituire immediatamente un’esperienza nello spazio123. Husserl adotta un metodo esplicitamente finzionale, circa la costituzione progressiva del senso d’essere del corpo, partendo da una considerazione delle cinestesie. Queste sono assunte come condizioni minime per il conferimento di senso al “corpo proprio”. Superando la tradizione kantiana, che nella costituzione estetica delle cose tendeva a subordinare i movimenti del soggetto alla variazione delle immagini, il contributo originale dell’impostazione husserliana è quello di non aver assunto l’unità totale del corpo come un dato iniziale, ma come il prodotto di una progressiva costituzione, strato dopo strato, del senso d’essere del corpo124. L’esempio della mano con cui tocco l’altra mia coeur (1951), Analyses et problemes dans Ideen II, cfr. Revue de metaphysique et de morale, 35, p.366. 123 Quello che conferisce all’impostazione husserliana la sua novità in rapporto alla tradizione è il non privilegiare un tipo di approccio per il quale ciò che vediamo chiama in causa la distanza e la direzione angolare della scena visiva che ci riguarda. Il richiamo al modello della varietà e del continuo di Riemann avvicina Husserl a quelle che saranno le innovazioni della Gestalt, proprio per il privilegio accordato, nell’ambito della percezione, ad unità esplicative articolate, come le relazioni tra le serie di apparizioni e il legame che esse hanno con i diversi modelli cinestesici. È ovvio che, soprattutto con le cinestesi, ritroviamo parametri che fanno parte anche di modelli tradizionali, come l’aggiustamento oculo-motorio, ma qui valgono in un contesto radicalmente modificato, come testimoniato dall’adozione, come unità minima della percezione, del luogo della proprietà visiva considerata, a scapito della distanza. 124 “Husserl ha reinterpretato l’esperienza del corpo proprio come quella dell’intervento dell’io nel mondo. Essendosi la concezione tradizionale delle cinestesie - ‘sensazioni di movimento’- rivelata incompatibile con questa interpretazione, egli ha osato ricollegare le sinestesie alla volontà, e ha cominciato a ripensarle sotto la categoria della praxis.”; Jean-Luc

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mano esemplifica l’operazione di auto-costituzione trascendentale del corpo proprio. Quando la mia mano destra tocca la mia mano sinistra, quest’ultima è avvertita come orientata in un certo modo nello spazio aptico, e la stessa mano destra mi appare orientata per mezzo delle sensazioni tattili veicolate dalla mano sinistra da essa toccata. Lo scambio di tocchi tra le due mani realizza un sistema che si riconfigura ogni volta che un nuovo dato accede alla coscienza nell’attualizzazione effettiva del sistema cinestesico della mano destra toccante. Quello di cui Husserl si rende conto, come testimonia il continuo tornare su questa esperienza, è che se appare poco problematica la spiegazione per cui la mano destra, nel toccare la sinistra, ne rende comprensibili le qualità tattilo-motrici ed appare nella funzione di organo di presentazione obiettivante, tutto questo risulta, però, in un certo senso contingente, e nulla ci conduce ad una considerazione del corpo come “proprio”. Infatti l’animazione del corpo operata dalle cinestesie può avvenire anche solo parallelamente alla continua variazione delle apparizioni del corpo stesso in seguito ai tocchi tra le mani: “la soluzione sta nel fatto che, nell’atto stesso della costituzione di questa superficie tattile avvolgente, le cinestesie motivanti sono apprese come emanazioni delle intenzionalità motrici o delle azioni dell’io, invece che solamente messe in conto come sensazioni di movimento associate alla presentazione delle diverse parti del corpo toccato. Ora, questo è precisamente ciò che si acquisisce con la distinzione tra cinestesie percipienti e cinestesie volontarie, o pratiche, e col principio che la costituzione del corpo differisce da quella degli altri corpi nella misura in cui le cinestesie vi funzionano eccezionalmente, per il capovolgimento di toccante e toccato, come prospettivizzanti125”. Questo punto specifico costituisce una delle principali intuizioni di Husserl, almeno stando alla letteratura scientifica sui meccanismi di segregazione funzionale delle mappe corticali, inerenti tanto alla categorizzazione percettiva dell’ambiente quanto alla costituzione del corpo proprio126. Il corpo come latore di sensazioni localizzate appare Petit, (2006), La spazialità originaria del corpo proprio; cfr. Neurofenomenologia. Le scienze della mente e l’esperienza cosciente; a cura di M. Cappuccio, Mondadori, Milano, p. 169. 125 Ib., p. 172-173. 126  Proviamo a fare il ragionamento inverso. Se il tatto è implicato in tutte le sensazioni

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dunque come un corpo vivente. La psiche, nella considerazione fenomenologica, è precisamente questa animazione interna del corpo proprio naturale. Accanto a queste sensazioni costitutive delle qualità oggettive, le sensazioni cinestetiche hanno il carattere della motivazione. Ma quando Husserl scrive che “a qualsiasi percezione ineriscono funzioni della spontaneità. I decorsi delle sensazioni cinestetiche sono liberi decorsi, e questa libertà nella coscienza del decorso è un elemento essenziale della costituzione della spazialità”127, non bisogna pensare alla motivazione come rappresentazione di un ragionamento, ma come ad un avanzamento nel mondo che si costituisce; una trascendenza, dunque, profondamente radicata. Nel salvaguardare la dinamicità della costituzione, Husserl si lascia alle spalle il soggetto immobile dell’occhio esterno che può solo contemplare il costituito, e ci consegna un soggetto che si muove nello spazio che costituisce, a cui tale movimento è essenziale. Ha acutamente osservato Levinas che “la filosofia che apportava l’idea delle strutture eidetiche finisce così per denunciare radicalmente l’idea della fissità strutturale introducendo il movimento nella soggettività del soggetto e la motivazione condizionale nella sua stessa presenza”128. A sua volta Petit non manca di prendere in considerazione l’aspetto forse più criticato dell’impostazione husserliana sul piano strettamente filosofico, ovvero “l’impotenza della sua base solipsistica”, arrivando localizzate, una perdita del suo potere intenzionante produce una mancata costituzione del corpo proprio? Nell’esperienza patologica dell’autismo, presa come categoria interpretativa del mondo schizofrenico (cfr. E.Minkoswky, (1953), La schizophrenie, tr.it. di G.F.Terzina, La schizofrenia, Einaudi, Torino 1997), il tatto perde la sua funzione costitutiva; infatti il paziente sembra avere una gamma molto ridotta di sensazioni localizzate: non avverte la difficoltà delle cose e nello stesso tempo è immobile perché la destrutturazione del corpo proprio non gli consente più di agire nel mondo. Inoltre Husserl insiste sul ruolo del corpo proprio come organo di volizione (Idee II, cit. p. 546); Anche qui è opportuno fare riferimento agli studi di neuroanatomia e teoria della mente di Damasio. Ne L’ Errore di Cartesio, (Adelphi, Milano, 19965 p. 221), Damasio rileva come le lesioni di alcune aree del cervello fondamentali per il corretto funzionamento del senso tattile conducano ad una menomazione vistosa dei processi volitivi. Il caso più eclatante è quello degli anosognosici che presentano dei danni a livello della corteccia somatosensitiva. Ebbene questi malati non solo non avvertono la paralisi di un intera parte del proprio corpo, ma presentano anche enormi problemi nell’ esercitare la propria volontà non riuscendo ad assumere in maniera coerente alcuna concreta decisione. 127 Idee II, cit., p.455. 128 E. Lévinas, Intenzionalità e sensazione, cit., p. 182.

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ad evidenziarne la fecondità sul piano euristico: “come può il soggetto assicurarsi da sé del possesso del suo corpo proprio, se la nozione stessa di proprio suppone la differenza con l’estraneo, la nozione del mio, la differenza dal tuo? Ora, è forse proprio per questo solipsismo che la costituzione trova il suo fondamento neurobiologico nell’autonomia del corpo proprio. Poiché, se gli altri possono sempre attribuirmi la proprietà di questo corpo senza che io me ne appropri allo stesso modo, significa che il corpo proprio non potrebbe essere che una creazione originale di colui che lo abita. Proprio perché ha voluto tornare alle origini interiori di questo potere d’autodonazione del senso a sé stesso, la costituzione si fa comprendere oggi, fra tutti i metodi riflessivi, come quello maggiormente in grado di far volgere la coscienza alle sue origini biologiche”129. Insomma la nostra intera esperienza affonda le radici nel sostrato sensibile della corporeità. Questa dimensione pre-personale è l’aspetto dell’eredità husserliana che ha beneficiato dei maggiori approfondimenti nell’ambito della fenomenologia francese, a partire da Merleau-Ponty130

129  Jean-Luc Petit, La spazialità originaria del corpo proprio, cit., p. 175. 130  Su questo aspetto mi permetto di rinviare a M. Autieri (2011), Il pensiero pre-ri-

flessivo in Merleau-Ponty e Dufrenne, Istituto italiano studi filosofici press, Napoli; ora interamente disponibile su www.Academia.edu

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Il pre-categoriale | Il ‘Mondo della Vita’ come Pre-categoriale

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Il ‘Mondo della Vita’ come Pre-categoriale

Noi abbiamo degli organi percettivi con cui le cose si danno nei loro aspetti tattili, acustici, visuali, etc…; sono essi che partecipano alle nostre cinestesi e che segnano la presenza costante del nostro “corpo proprio” nel campo percettivo, in modo che i decorsi percettivi, pur non essendo continui, riescono ad assumere la ‘validità’ di aspetti del corpo presente nel campo percettivo. Da questo punto di vista noi siamo un corpo percettivo, nel senso che io ritrovo me stesso come partecipe di tutto ciò che mi inerisce; mi inerisce, ovviamente, non solo da un punto di vista uditivo o visivo, ma in generale, in qualità di “uomini”; veniamo colpiti da oggetti, alcuni di essi diventano ambiti di particolari applicazioni scientifiche o genericamente pratiche; facciamo progetti, valutazioni, e possiamo tornare costantemente sulle nostre attività; anche gli altri possono diventare per noi oggetti, oppure come soggetti condividere con noi un bagaglio di validità e farle diventare operative nel momento in cui ci distinguiamo come scienziati o filosofi. Questo vuol dire che quando io mi definisco, mettiamo scienziato, conto su dei presupposti che rientravano tra gli aspetti per me o per noi già validi in qualità di semplici uomini. Questi aspetti di per sé sempre disponibili, facenti parte di quello che Husserl chiama “mondo della vita”, rappresentano un terreno mai indagato, cioè il “mondo ovviamente essente e sempre intuitivamente dato”131, il 131 E.Husserl, Crisi, cit., p. 140.

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quale, quando diventa oggetto tematico di un sapere scientifico, porta con sé determinate “implicazioni di senso e validità” che possedeva nella sua qualità di campo pre-scientifico. Qualsiasi determinazione concettuale può rivendicare la sua verità solo risalendo a ciò che è dato come presenza immediata, o presentificazione di questa presenza che costituisce il campo “dell’evidenza originaria” del ‘mondo della vita’. Nel momento in cui vado a riconsiderare questo mondo già dato, devo innanzitutto premunirmi contro il peso dei pregiudizi storici e, in particolare, contro quello che ci domina dall’instaurazione della scienza moderna; devo, cioè, evitare che questo mondo comune venga considerato una semplice posizione all’interno della tematica fondamentale della “scienza obiettiva”; anzi, noi dobbiamo raggiungere un punto di osservazione superiore a quest’ultima e, al cui interno, ritroveremo anche le scienze e gli scienziati con i loro atti e le loro finalità. Husserl sa benissimo che un approccio scientifico al ‘mondo della vita’ appare contraddittorio se vuole porsi al di sopra delle scienze obiettive; e infatti si chiede esplicitamente: “come realizzare questa diversa scientificità a cui finora si è sempre sovrapposta quella obiettiva?”132. Facciamo un esempio; noi dobbiamo innanzitutto evitare di fare riferimento ai dati della sensibilità come se fossero dei dati immediati; dobbiamo evitare, dice Husserl, quei “discorsi empiristici” degli scienziati che, nel loro ingenuo richiamarsi ai fatti, si comportano come se l’obiettività fosse qualcosa di esperibile in se stessa. Per fare ciò è necessario avviare un’epochè di tutte le scienze obiettive; qualcosa di così radicale da spingere Husserl a paragonarla ad una “conversione religiosa”. Che cosa ci resta tra le mani se evito di considerare da un punto di vista scientifico qualcosa che non deve travalicare il mondo della vita perché non deve finire nelle maglie dell’obiettività scientifica? Il mondo della vita, dice Husserl, non è affatto vuoto; esso possiede, in modo pre-scientifico, quanto le scienze edificheranno come mondo in sé: “il mondo è già un mondo spazio-temporale”133; ragion per cui il compito che Husserl si propone è capire come “l’apriori obiettivo si fonda su quello soggettivo-relativo del mondo della vita”. Ma se questo è il compito, l’epochè che fino ad ora è stata considerata, cioè quella che 132 E.Husserl, Crisi, cit., p. 153. 133 Ib., p. 167.

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ci fa prescindere dalle validità delle scienze obiettive, non basta; e non basta perché questa prospettiva ci pone di fronte alle scienze come a ciò che conserva la dimensione di fatto storico e, dunque, continua a funzionare sul terreno obiettivo della scienza storica che può ricostruire l’orizzonte culturale delle epoche di cui si occupa di volta in volta. Tutto ciò significa continuare a presupporre “il terreno generale della validità del mondo” invece di cogliere il mondo in quanto ricondotto alla “pura soggettività”. Finchè noi ci adoperiamo nella costituzione della validità di questo mondo già dato, non cogliamo il fatto che, pur astenendoci da una particolare scienza obiettiva, noi continuiamo ad inerire ad un sottofondo di verità sempre disponibili, quelle degli interessi di vita già sempre praticati e disponibili; per questo l’epochè non può essere graduale, ma deve invece implicare un mettersi “al di sopra della vita universale (soggettiva e intersoggettiva)”134. E che cosa si scopre, si chiede Husserl? Innanzitutto, mettiamo da parte una facile obiezione. Husserl non pensa affatto che qualcuno sia in grado, per così dire, di mettere da parte la propria condizione umana per attingere chissà quale livello di astrazione; il mondo non sparisce. Fare riferimento all’epochè significa avere una considerazione del mondo a lato dei problemi pratici, dei problemi di valore, delle domande dell’essere, sul bello o sul buono, etc…; del resto, la stessa idea di un’indagine trascendentale presuppone il fatto che ci siano il percepito, il ricordato, gli atti della scienza, cioè un mondo; il senso dell’epochè vuole essere quello di riportarci alla soggettività che si ritrova di fronte il mondo della vita naturale, per poter aderire ad ogni forma di prassi che caratterizza la vita del soggetto naturale, affinchè si possa tematizzare il fatto stesso che l’io, nel corso della sua vita mondana, viva ponendo dei fini inerenti alle sue diverse attività. Noi dobbiamo divenire, dice Husserl, degli “spettatori disinteressati”: nel momento in cui noi gettiamo sul mondo un primo sguardo ingenuo, ad esempio percependo una o più cose, cosa troviamo? Pur avendo una cosa immutata nella percezione, il percepirla è in realtà un’esperienza multiforme: possiamo vederla, palparla, annusarla; anche se considero il solo vederla, posso farlo da differenti prospettive ed avere in un processo continuo o non, da questo lato o dall’altro, pur continuando ad 134  Ib., p. 178.

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avere coscienza del fatto che è “questa cosa”, sempre la stessa. Anche se la percezione si riferisce sempre e solo al presente, essa ha necessariamente un passato e un futuro, perché nella stessa percezione è inclusa la continuità di ciò che continua a valere per la coscienza, pur essendo stato visto prima, e la continuità di ciò che io presentifico dell’oggetto pur non essendomi state date ancora le altre sue parti. Inoltre la cosa non ci appare mai colta nella sua singolarità, perché essa è sempre in un “campo di cose”: “ognuno ha le proprie percezioni, le proprie presentificazioni, le proprie concordanze, ognuno vede le proprie certezze scadere a mere possibilità, a dubbi, a problemi, ad apparenze. Ma nella vita in comune ognuno può partecipare alla vita degli altri. Perciò il mondo non è soltanto per l’uomo singolo ma anche per la comunità umana, e ciò attraverso l’accomunamento di ciò che è semplicemente percepibile”135. Ciò non significa constatare che esistono semplicemente altri soggetti; l’epochè non mi catapulta in mezzo agli altri, perché essa non può determinare la scomparsa del fatto che “sono io che attuo l’epochè, che interrogo il mondo quale fenomeno”136. Il punto di partenza non può che essere la nostra “sfera oggettuale primordiale” nella quale, per via analogica, ritrovo l’altro. Investigando l’atto della rimemorazione, infatti, l’io che attualmente opera rimanda ad un io passato; la rimemorazione come vissuto presente dell’io attuale costituisce, dunque, il senso di un’evoluzione dell’io che, attraverso i suoi passati, giunge a se stesso nel momento attuale: “così un ‘altro io’ perviene alla validità di essere compresente in me e con i suoi modi di verificazione evidente”137. Solo seguendo questo metodo riusciamo a rilevare, a partire dal nostro ego, l’intersoggettività trascendentale. Ma Husserl sa altrettanto bene che questo processo non mette capo ad un fondamento assoluto da cui dedurre tutti i fili del nostro essere nel mondo. Egli esplicita chiaramente che i problemi della ragione universale sono gli stessi della totalità e che, proprio quando abbiamo trovato la “forma universale della formazione di senso”, ci rendiamo conto che “qualsiasi fondo si raggiunga esso rimanda effettivamente ad altri fondi, qualsiasi orizzonte si rischiuda 135 Ib., p. 190. 136 Ib., p. 210. 137 Ib., p. 212.

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esso ridesta altri orizzonti”138.

138  Ib., p. 196. Come ha scritto Lyotard: “la Fenomenologia hegeliana chiude il sistema, è la ripresa totale della realtà totale nel sapere assoluto, mentre la descrizione husserliana inaugura l’intuizione della “cosa stessa” al di qua di ogni predicazione, ed è questo il motivo per cui essa non cessa mai di riprendersi e di cancellarsi, essendo una lotta del linguaggio contro se stesso con lo scopo di cogliere l’originario”; J.F.Lyotard, (2008), Nota su Husserl e Hegel, in La fenomenologia, Mimesis, Milano, p.44.

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Bibliografia

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