Grande antologia filosofica Marzorati. Il pensiero contemporaneo. Sezione seconda [Vol. 30]

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Grande antologia filosofica Marzorati. Il pensiero contemporaneo. Sezione seconda [Vol. 30]

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GRANDE ANTOLOGIA FILOSOFICA diretta da MICHELE FEDERICO SCIACCA coordinata da MARIA A. RASCHINI e PIER PAOLO OTTON ELLO

MARZORATI. EDITORE - MILANO

Proprietà letteraria riservata ©

Copyright

1978

by Marzorati Editore - Milano

IL PENSIERO

CONTEMPORANEO (Sezione Seconda)

Volume Trentesimo

INDICE ROSARIO ASSUNTO- VITTORIO STELLA

L'estetica dalla seconda metà dell'BOO al 1944 INTRODUZIONE

·

pag .

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Bibliografia essenziale.

TESTI: l. L'ARTE COME PERFEZIONE DELLA VITA. Enrico Federico Amiel. John Ruskin. · Robert de La Sizeranne. '--Il. IL REALISMO CONTRO l'ARTE. Catlo Marx. - Nicolai Gavrilovic Cernyseevski. - Dobroliubov e la negazione dell'e­ stetica. • Dimitri lvanovic Pisarev. - III. L'ASSOLUTO DELLA BELLEZZA. Walter Pater. - Angelo Conti. - IV. PUREZZA E VALORE DELLA FORMA. Eduard Hanslik. - Conrad Fiedler. • Heinrich Wolfflin. - V. L' ARTE NEL MONDO E IL MONDO NELL'ARTE. Hyppolite Taine. Jean-Marie Guyau. Ixidor-Auguste­ François-Marie-Xavier Comte. - Friedrich Nietzsche. - VI. LA BELLEZZA CON­ TRO LO SCIENTISMO. Wilhelm Dilthey. · Gabriel J. R. Séailles. · Henry-Louis Bergson. '-- VII. L'AUTONOMIA DELL'ARTE E I SUOI PROBLEMI. Antonio Tari. · Benedetto Croce. - Giuseppe Antonio Borgese. • Alfredo Gargiulo. · Giovanni Gentile. - VIII. LA CRISI DELL'ESTETICA TEORICA E LE ESTETICHE DELLA CRISI. José Ortega y Gasset. - Henri Bremond. - Charles Du Bos. - Adriano Tilgher.' Alain. - IX. L'ESTETICA DEI GRANDI SISTEMI. Etienne Souriau. · Nicolai Hart­ mann. -X. L'ARTE E LA NASCITA DELLA COSCIENZA. Sigmund Freud. · Cari Gu­ stav Jung. - Xl. L'ARTE AL DISOPRA DEL QUOTIDIANO. Louis Lavelle. · Jacques Maritain. -XII. IL VALORE DELLE FORME SENSIBILI. Adelchi Baratono. · Henri Focillon. · Alfred North Whitehead. - XIII. L'ARTE COME ESPERIENZA E LA FENOMENOLOGIA DELL'ARTE. John Dewey. · Antonio Banfi. � XIV. ESISTENZA DELL'ARTE, ESISTENZA NELL'ARTE. Karl Jaspers. · Martin Heidegger.

GIUSEPPE BESCHIN

L 'estetica dal 1945 ad oggi INTRODUZIONE: l. Gli ·sviluppi dell'estetica fenomenologica: M. Dufrenne, Anceschi. - 2. Gli sviluppi dell'estetica dell'esistenzialismo: J.-P. Sartre, H. G. Gadamer, L. Pareyson. - 3. L'estetica del marxismo: G. Lukacs, E. Bloch, G. Della Volpe, L. Goldmann. - 4. La scuola di Francoforte: T. Wie­ sengrund Adorno, H. Marcuse. - 5. La sociologia della letteratura e dell'arte: P. Francaste!, J. Duvignaud. - 6. Estetica e psicologia: G. Bachelard, E. H. Gombrich, R. Arnheim. - 7. L'estetica personalistica: L. Stefanini. - 8. Este­ tica e linguistica: Ch. Morris, S. Langer, M. Weitz, J. Mukaì'ovsky, R. Jakohson, R. Barthes, C. Segre, J. Derrida. - 9. Estetica e teoria dell'informazione: M. Bense, A. Moles. - Bibliografia essenziale. L.

TESTI: l. GLI SVILUPPI DELL'ESTETICA FENOMENOLOGICA: l. M. Dufren­ · 2. L. Anceschi. . Il. GLI SVILUPPI DELL'ESTETICA DELL'ESISTENZIALISMO: J.-P. Sartre . . 2. H. G. Gadamer. - 3. L. Pareyson. -c- III. L'ESTETICA DEL MARXISMO: l. G. Lukacs. - 2. E. Bloch. - 3. G. Della Volpe. - 4. L. Gold­ mann. - IV. LA SCUOLA DI FRANCOFORTE: l. T. Wiesengrund Ador­ no. · 2. H. Marcuse. - V. LA SOCJOLOGIA DELLA LETTERATURA E DELL'ARTE: l. P. Francastel. - 2. J. Duvignaud. - VI. ESTETICA E PSICOLOGIA: l. G. Ba­ chelard. - 2: E. H. Gombrich. - 3. R. Arnheim. - VII. L'ESTETICA PERSO­ NALISTICA: 1. Stefanini - VIII. ESTETICA E LINGUISTICA: l. Ch. Mor­ ris. - 2: S. Langer. - 3. M. Weitz. - 4. Il circolo linguistico di Praga. · 5. J. Mukaì'ovsky. - 6. R. Jakobson. - 7. R. Barthes. - 8. C. Segre. - 9. J. Derri­ da. - IX. ESTETICA E TEORIA DELL'INFORMAZIONE: l. M. Bense. · 2. A. Moles.

ne. l.

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Indice

GIUSEPPE CATALFAMO - LEONE AGNELLO pag.

Il pensiero pedagogico dal XIX al XX secolo INTRODUZIONE TESTI: l. S. GIOVANNI Bosco: Il sistema preventivo. - Il. H. SPENCER: l. Prospettive di ordine generale. - 2. Educazione intellettuale. - 3. Educazione morale. - 4. Educazione fisica. - III. R. ARDIGò: l. Definizione della peda­

gogia. - 2. L'attività come applicazione pedagogica.- IV. A. GABELLI: l. Il fine dell'istruzione. · 2. Il concetto di metodo. - 3. Le materie di studio. - 4. Ancora sul metodo. - V. P. SICILIANI: l. L'autodidattica contrapposta allo spirito si­

stematico nell'insegnamento. - 2. Natura formatrice e Arte integratrice. - VI. A. ANGIULLI: l. L'educazione è un dovere nazionale. - 2. L'istruzione scientifica. - · 3. La scuola laica. - 4. L'eliminazione del catechismo non rende la scuola antireligiosa. - VII. G. PIZZIGONI: La scuola rinnovata. - VIII. L. TOLSTOJ: Caratteristiche generali della scuola. - IX. A. MANJON: l. Le finalità della scuola dell'Ave Maria. - 2. Il carattere dell'educazione. - X. E. DEMOLINS: Il

programma degli studi nella scuola nuova. - Xl. P. GEHEEB: l. La scuola dell'Odenwald. Fondamenti spirituali. - 2. Coeducazione come concezione di vita. - XII. E. MEUMANN: Il compito della p�dagogia sperimentale. - XIII. O. DECROLY: l. Nozione classica della formazione delle idee e sue applicazioni pedagogiche. - 2. Le applicazioni della funzione globale dell'insegnamento. - 3. Il programma delle idee associate. I centri d'interesse e la funzione globàle. Gli interessi del fanciullo e l'attività globalizzatrice. - XIV. E. CLAPARtDÈ: Rousseau e la concezione funzionale dello sviluppo. -

2.

4. l.

Per una fondazione

scientifica della didattica. - XV. A. BINET: l. D criterio per una buona istruzione. - 2. La misurazione del grado di istruzione. - 3. Il valore della misura esatta del grado di istruzione. - 4. I compiti di una nuova pedagogia.- XVI. A.

FERRitRE: La scuola attiva. - XVII. P. PETERSEN: Il piano di Jena. - XVIII. P. KERGOMARD: La scuola materna. - XIX. R. AGAZZI: l. Il museo didattico. 2. La lingua parlata nella scuola materna. - XX. M. MONTESSORI: l. I pre­ supposti dell'autoeducazione. - 2. Il segreto dell'infanzia. - 3. La scoperta del bambino.- XXI. J. DEWEY: l. Scuola e società.- 2. L'educazione conservatrice e progressiva. - 3. Il pensare nell'educazione. - XXII. W. H. KILPATRICK: l. Cultura e educazione. - 2. La funzione sociale della scuola democratica. XXIII. H. PARKHURST: l fondamenti teorici del Piano Dalton. - XXIV. C. W ASHBURNE: l. Scienza ed educazione. - 2. Educazione democratica. - 3. Edu­ cazione progressiva ed educazione tradizionale. - XXV. G. KERSCHENSTEINER:

l. Il concetto pedagogico del lavoro. - 2. Il concetto dell'educazione civica. XXVI. G. GENTILE: l. Filosofia e pedagogia. - 2. Identità di filosofia e peda­ gogia. - 3. La pedagogia come tecnica. - 4. L'educazione come sintesi a priori. 5.

rlo·lln spiriln. - XXVII. G; LOMBARDO RADICE: didauio-u. - 2. n concetto -della vita. -XXVIII. M. BOSCHETTI ALBERTI: La scuola serena di Agno. - XXIX. E. CODIGNOLA: l. Diritto all'educazione. - 2. Scuola-città. - 3. Scuola e lavoro. - XXX. C. A. SACHÈLI: l. Il concetto della pedagogia. - 2. Il concetto di didattica. - XXXI. F. W. FOERSTER: I compiti essenziali dell'educazione. - XXXII. H. NOHL: L'essenza dell'educazione. - XXXIII. T. LITI: l. Le scienze e l'uomo. - 2. Natura e compiti dell'educazione politica. - XXXIV. E. SPRANGER: l. La vita educa. - 2. Difesa della pedagogia europea. - XXXV. L. LABERTHONNitRE: L'educazione comi' processo

l. La lezione nell'oq:anismo

L'autorità educatrice. - XXXVI. E. DEVAUD: Una scuola attiva secondo l'or­ dine cristiano. - XXXVII. J. MARITAIN: L'educazione al bivio. - XXXVIII. R. RESTA: l. L'educazione come pFoblema della destinazione dell'uomo. - 2. L'educazione come problema di metodo. - XXXIX. G. CALò: Natura e grazia nell'educazione. - XL. L. STEFANINI: Personalismo educativo. - XLI. A. S. MAKARENKO: l. Pedagogia scolastica sovietica. - 2. Consigli ai genitori.- XLII.

A. GRAMSCI: Per la ricerca del principio educativo. - XLIII. C. FREINET: l. Necessità e urgenza di una pedagogia moderna. - 2. Nascita di una pedagogia popolare. - XLIV. R. CousiNET: L'educazinnc nuova. - XLV. B. RUSSELL: Gli scopi dell'educazione.

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ROSARIO ASSUNTO- VITTORIO STELLA

L'estetica dalla seconda metà deli'800 al 1944 SOM M AR IO INTRODUZIONE -

Bibliografia essenziale.

l. L'ARTE COME PERFEZIONE DELLA VITA. Enrico Federico Amiel. - John Ruskin. - Robert de La Sizeranne. - Il. IL REAUSMO CONTRO L'ARTE. Carlo Marx. - Nicolai Gavrilovic Cemyscevski. Dobroliubov e la negazione dell'estetica. - Dimitri Ivanovie Pisarev. - III. L'ASSOLUTO DELLA BELLEZZA. Walter Pater. -Angelo Conti. - IV . PUREZZA E VALORE DELLA FORMA. Eduard Hanslik. - Conrad Fiedler. - Heinrich Wolfflin. - V. L'ARTE NEL MONDO E IL MONDO NELL'ARTE. Hyppolite Taine. - Jean-Marie Guyau. - lxidor-Auguste-François.Marie-Xavier Comte. - Friedrich Nietzsche. - V I. LA BELLEZZA CONTRO LO SCIENTISMO. Wilhelm Dilthey.- Gabriel J.R.Séailles.- Henry-Louis Bergson. - VII. L'AUTONOMIA. DELL'ARTE E I SUOI PROBLEMI. Antonio Tari. - Benedetto Croce. Giuseppe Antonio Borgese. - Alfredo Gargiulo. - Giovanni Gentile. - \"III. LA CRISI DELL'ESTETICA TEORICA E LE ESTETICHE DELLA CRISI. José Ortega y Gasset; - Henri Brumond. - Charles Du Bos. ·­ Adriano Tilgher. - Alain. -IX. L'ESTETICA DEI GRANDI SISTEMI. Etienne _ Souriau.- Nicolai Hart­ mann. -X. L'ARTE E LA NASCITA DELLA COSCIENZA. Sigmund Freud. · Cari Gustav Jung. - Xl . L'ARTE AL DISOPRA DEL QUOTIDIANO. Louis Lavelle. - Jacques Maritain. - XII. I L VALORE DELLE FORME SENSIBIU. Adelchi Baratono. - Henri Focillon. - Alfred North Whitehead. -XIII. L'ARTE COME ESPERIENZA E LA FENOMENOLOGIA DELL'ARTE. John Dewey. - Antonio Banfi. - XIV. ESI· STENZA DELL'ARTE, ESISTENZA NELL'ARTE. Kar) Jaspers. • Martin Heidegger.

TESTI:

INTRODUZIONE

Presentare un'antologia, soprattutto un'antologia filosofica, vuol dire, in primo luogo, rendere conto delle inclusioni e (pifl ancora) delle esclusioni. Le quali

esclusioni sono, in questi casi, esclusioni orizzontali ed esclusioni verticali. Non v'è infatti antologia nella quale la presenza di certi autori non comporti l'assenza di altri, contemporanei di quelli inclusi e ad essi in vari modi legati, in qualità di antagonisti polemici o di piii o meno ·concordi compagni di lavoro. E tutte le an­ tologie, qualunque sia la loro materia, fanno partire le loro scelte da un certo anno (all'incirca, ovviamente: con gli anticipi, cioè, e con i ritardi che l'ordine e la coerenza delle scelte richiedono) e le fanno finire ad un altro anno, o almeno a

cavallo di esso. Chiameremo orizzontale il primo tipo di inclusioni e di esclusioni (nel senso che inclusioni ed esclusioni sono ,fra loro sincroniche) é chiameremo

invece verticale il secondo tipo, quello che lascia fuori gli autori e le opere ante­ riori ad un certò anno e lascia del pari fuori gli autori e le opere posteriori ad un certo altro anno. Delle inclusioni e delle esclusioni, nel duplice senso, orizzonta­ le-sincronico e verticale-diacronico, per le quali ·la · presente antologia si definisce per come essa è, differenziandosi da altre che eventualmente trattino del pensiero

estetico negli ultimi cento anni, dobbiamo ora esporre ai lettori i motivi - e co­ minceremo con una giustificazione delle scelte (e correlative esclusioni) che dia-

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ROSARIO ASSUNTO

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VITTORIO STELLA

cronicamente si comprendono tra il terminus a quo ed il terminus ad quem entro i quali abbiamo piii. o meno rigidamente cercato di tenerci nel leggere gli autori e nel presentarli sotto la luce che pareva la piii. rispondente. Non occorrono molte parole per giustificare il terminus a qrw, la metà del secolo decimonono, essendoci esso stato fissato, sia pure con alquanto elastica tas­ satività, in quanto è punto di partenza delle sezioni a questa parallele della Grande Antologia Filosofica che l'indimenticabile Michele Federico Sciacca, cui va il no­ stro pensiero memore e reverente, non ebbe la ventura di portare a compimento. È invece doveroso, da parte nostra, rendere conto del perché le nostre scelte per un verso retrocedono alquanto (e includono, ad esempio, pagine di Marx anteriori al 1850) , mentre per un altro verso hanno lasciato fuori autori non certo secondari, che negli anni intorno al 1850 erano nel pieno della loro operosità. Basti per tutti un nome, quello di Friedrich Theodor Vischer che lungamente e laboriosamente abbiamo discusso, domandandoci se convenisse oppur no includerlo, tanto piii. che facilmente accessibile è ormai la sua monumentale .ii.sthetik oder Wissenschaft des Schonen, da alcuni anni pubblicata in riproduzione fotomeccanica dell'edizione curata nel 1923 dal figlio Roberto (assente anch'egli, dobbiamo confessarlo, e ne esporremo piii. avanti i motivi) . Le difficoltà che ci hanno indotti a rinunziare all'inclusione di alcune pagine dell'opera dei Vischer padre e figlio si riassumono nell'impossibilità di presentare in venti o anche cinquanta pagine (il massimo che ci saremmo potuti permettere) un pensiero estetico cosi complesso, e diciamo pure, senza alcun intento di biasimo, macchinosamente articolato, qual'è quello che Fr. Th. Vischer svolse muovendo da presupposti hegeliani - tanto piii. trattandosi di un autore del quale ben pochi possono avere conoscenza diretta, mentre di Robert (del quale sono ben noti in Italia gli splendidi saggi su Raffaello e su Rubens) bisognava esporre le pagine teoriche sul Bello di natura a suo tempo prese in esame dal Croce. E la preliminare esclusione dei due Vischer ci obbligherà a dare a tutta l'antologia un taglio che da tale esclusione (e di altre non meno penose: faremo i nomi, una volta per tutte, del Glockner, del Nohl, oltre che di tutti i teorici della Einfiihlung tra i tedeschi; e, per i francesi, quelli di Victor Basch, di Charles Lalo: e quelli di Bosanquet, Colling­ wood nel mondo anglosassone) potesse fornire una plausibile motivazione, diffe­ renziando (come forse era inevitabile in una presentazione antologica del pensiero estetico di cento e piii. anni) questa nostra raccolta da quella che p�trebbe essere l'antologia estetica ideale; un corpus completo ed organico, quale, or sono circa venti anni, lo aveva progettato per l'età medioevale, su scala internazionale e con la collaborazione di studiosi d'ogni paese il grande filosofo polacco Wladislaw Ta­ tarkiewicz: decano oggi, degli estetologi (brutto vocabolo, ma non sostituibile) di tutto il mondo e scientificamente operoso all'età di novant'anni felicemente com­ piuti; cui si deve una Storia dell'estetica (con appendici antologiche) che è la migliore esistente - e ·di essa i lettori non slavisti possono disporre dell'edizione inglese, mentre tarda, non si sa perché, la traduzione italiana, sebbene risulti che un'importante casa editrice se n'è da alcuni anni assicurati i diritti. Nella impossibilità di compilare un'antologia completa, per la quale sarebbero stati necessari dieci anni almeno di lavoro (e per il solo periodo che va dalla metà dell'Ottocento, quando la filosofia classica viene messa in crisi dallo scientismo, al grande spartiacque, anche filosofico, della seconda guerra mondiale, avrebbe ri­ chiesto non meno di duemila pagine a stampa), finimmo col deciderci per una raccolta di testi (criticamente presentati) attraverso i quali potessero, risalendo alle fonti, rendersi conto delle contrastanti ragioni che hanno mosso e dibattuto il pa­ norama dell'estetica contemporanea, tutti coloro che senza essere specialisti di

L'estetica c;alla seconda metà dell'BOO al 1 944

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estetica, e senza nemmeno coltivare l'estetica in modo esclusivo, ad essa fossero comunque interessati: studiosi di altre discipline filosofiche; insegnanti di filosofia non storditi dagli imbonimenti ufficiali, e desiderosi di sottrarre la filosofia ed il suo insegnamento al soffocante abbraccio delle scienze impropriamente chiamate « umane »; uomini di lettere liberi dalla soggezione alle idées reçues; giornalisti pensanti con la propria testa e non disposti a diventare automatici ripetitori di parole d'ordine, renitenti a ridursi semplici cinghie di trasmissione ideologica. Un libro, insomma, che delle correnti ideali oggi in conflitto nel campo dell'estetica (intesa nel senso piii largo) mostrasse le premesse teoriche a tutte le persone desi­ derose di sapere di che si tratta, quando discutono o sentono discutere di arte e di letteratura, e si interrogano sul destino, oggi, dell'arte (anzi: delle arti) , su quello della poesia e della letteratura; o, magari, cercano un filo di Arianna che li aiuti a venir fuori dai labirintici discorsi intorno ai rapporti dell'arte e della letteratura (delle arti, anzi, e della poesia) , con le scienze sperimentali e con le scienze esatte, con l'economia e con la politica; e vogliono esteticamente orientarsi nel mondo che si definisce moderno (quello, appunto, che ha inizio intorno al 1850) ma non è ancora contemporaneo: perché la nostra contemporaneità, piaccia essa o no ·a chi è costretto a viverla, scoppia, se cosi si può dire, in quella notte del 1939 in cui i cannoneggiamenti di Danzica diedero inizio al secondo conflitto dell'Europa contro se stessa. Orientarsi, magari, appurando come, quando, da chi furono teorizzati alcuni dei temi oggi sul tappeto, quelli che ci obbligano a porre a noi stessi le tormentose domande sulla storicità o metastoricità delle opere d'arte, delle cate­ gorie con le quali le opere d'arte interpretiamo e giudichiamo; e inducono a chiedersi se le opere d'arte, le poesie e musiche e ponti e torri e cattedrali e statue e dipinti sono libere espressioni dello spirito oppure semplici effetti di una caus �lità meccanica, biopsichica o socioeconomica essa sia. Per non parlare,- ancora, del tema per cui ci rammarichiamo di non aver potuto ospitare qui gli scritti di Roberto Vischer, e piii ampio respiro dare a Nicolai Hartmann (la cui Estetica, postuma, è peraltro uscita dopo la fine della seconda guerra mondiale) : il tema, cioè, dei rapporti tra arte e natura, natura-come-arte o arte-come-natura; che non può non rinviare chi filosoficamente voglia affrontarlo, alle pagine kantiane della Critica del Giudizio e oggi è stato restituito all'attualità, dopo troppo facili e troppo insistiti dinieghi motivati dalle meno probanti pagine dell'Estetica di Hegel, nel corso di ormai annosi dibattiti sull'ambiente: dibattiti che non di rado, anche in sede uffi­ ciale e ufficiosa (per non parlare delle grossolanità polemiche di quei neo-illumi­ nisti di terza mano che sentenziano aver la filosofia idealista per un trentennio bandito dalle scuole italiane lo studio delle scienze naturali!), vengono banalizzati positivisticamente e ridotti alla piii vieta rimasticatura di luoghi comuni scienti­ stico-populisti; e questo proprio per insufficiente o mancata consapevolezza dei presupposti estetici che soli autorizzerebbero ad affrontare in modo filosoficamente corretto il problema di una salvaguardia dell'ambiente naturale. Nessuna meraviglia, quindi, se, magari a costo di lasciar fuori filosofi uffi­ cialmente canonizzati, abbiamo incluso nella nostra antologia (e non senza dargli il risalto necessario a incuriosire e interessare i lettori usi riconoscer soltanto gli autori presenti nei manuali di storia della filosofia) un pensatore come Ruskin; che filo­ sofo nel senso pieno della parola non si può dire, ma anticipò le piii tormentose tematiche di oggi: dalla polemica estetica sulla civiltà tecnologico-industriale alla meditazione sul destino delle città che la pletora degli abitanti rende inabitabili e ripugnanti come certe scene infernali dipinte ,da Hyeronymus Bosch. Una storia antologica dell'estetica moderna che a John Ruskin non avesse fatto il dèhito posto .sarebbe stata, in verità, una storia convenzionale, manualistica - e sarebbe stata -

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ROSARIO ASSUNTO - VITTORIO STELLA

priva di quella rispondenza alle piii pressanti inquietudini di oggi, che ad essa abbiamo voluto conferire. E motivo di rammarico è per noi l'aver dovuto sacrifi­ care William Morris, in un primo tempo presente, anche con pagine ins'?lite per chi ne conosca solo l'interpretazione politico-sociologica oggi ufficiale. Di Morris avremmo voluto far risaltare non soltanto la fin troppo ovvia derivazione da certi insegnamenti ruskiniani, ma anche la disconti nuità rispetto a Ruskin che si rifiutò sempre di legittimare esteticamente tecnologia e industria; delle quali invece il Morris propose, non solo teoricamente, una sorta di riscatto estetico-etico (piii propriamente: etico in quanto estetico) ; l'uno e l'altro però, proprio per difetto di fondazione speculativa, restando sul piano di una polemica non bastevolmente ra­ gionata nei suoi presupposti logici, e perciò destinata a non trovar sufficiente ascolto. Non minore di quello che ci è costata l'esclusione, oltre che di filosofi rigorosi come i due Vischer, di un saggista militante come Morris, è stato il nostro ram­ marico di dover rinunziare a sottoporre l'attenzione dei lettori interessati all'estetica su altro pensatore-saggista che nessuno (a torto) piii legge, di questi tempi: Tom­ maso Carlyle che del Ruskin critico del progressismo (e piii o meno diretto erede di Novalis autore di Cristianità o Euro pa) si può considerare l'antecessore piii im­ mediato. Di Carlyle avremmo voluto presentare almeno alcune pagine del volume su Schiller, e i piii pungenti squarci (per le parti interessanti il giudizio estetico sulla civiltà moderna e su quella medioevale) di quel Sartor resartus del quale non si capisce (o si capisce fin troppo bene) perché non venga rimessa in circolazione, magari dopo una revisione stilistica, l'antica traduzione del Chimenti. Ma una troppo generosa apertura ai pensatori-saggisti ci avrebbe obbligati ad estendere il­ limitatamente il numero delle pagine, ed a stipare ancor di piii la fin troppo stipata raccolta di testi che qui presentiamo. Cosi, insieme con la scelta degli scritti di Morris sono cadute le pagine ricavate dalle opere teoriche di Wagner - in un primo momento incluso, per essere collocato vis à vis al suo avversario viennese, Edoardo Hanslick, la cui presentazione era, ovviamente, indispensabile; ed a con­ tatto di gomito con le pagine antiwagneriane di Nietzsche: successivamente elimi­ nate (per lasciare, del Nietzsche, solo lo stretto necessario) cosi come è stato gio­ coforza eliminare quelle filo-wagneriane di Mallarmé, totalmente sacrificato, questi, nonostante la· sua importanza teorica oltre che poetica, alla necessità di non mol­ tiplicare eccessivamente i sedicesimi a stampa. E sin dall'inizio abbiamo dovuto depennare dal nostro elenco testi a nostro avviso importanti per capire la vicenda artistica a noi contemporanea: quelli di Kandinskij e di Mondrian, per esempio; e poi, la saggistica, oggi del resto fin troppo diffusa, dei formalisti russi; nonché, dagli scritti teorici di Schonberg, le pagine piii illuminanti per chi volesse capire la sua idea della musica. Sarebbe stato come mettersi su un piano inclinato, senza piii la possibilità di fermarsi: basti pensare che nel periodo tra le due guerre creativamente operarono, e sull'arte non episodicamente teorizzarono, Proust e Thomas Mano, Eliot e Valéry, per fare soltanto i primi e piii autorevoli nomi che vengono in mente. Con i soli letterati e musicisti e pittori (lasciando da parte, non senza ar­ bitrio, i politici), ci sarebbero voluti almeno altri due volumi di mole quasi eguale a questa in cui raccogliamo unicamente scritti di filosofi: dei saggisti includendo solo quelli piii rari nell'informazione e riella conversazione estetica oggi corrente, anche se ben conosciuti per altre ragioni: Amiel, W alter Pater, nell'Ottocento; nella inquietissima Europa entre deux guerres, teorizzatori la cui voce, sebbene oggi sopraffatta da ben diversi clamori (e questa non è l'ultima _delle ragioni per cui non abbiamo dubitato un istante della loro necessaria presenza) risuonò alta e forte, ai loro tempi; e imparti lezioni che sarà bene non dimenticare.

L'estetica dalla seconda metà dell'BOO al 1 944

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Non crediamo di far torto ai nostii lettori, soprattutto ai piu giovani, se ci diciamo sicuri che a molti, non per colpa loro ma per effetto del fragoroso inin­ terrotto e organizzatissimo col portage degli ultimi dieci o quindici anni, pagine come quelle che abbiamo scelte da Ortega e da Alain, da Charles Du Bos e da Henri Brémond saranno motivo di sorpresa - e per alcuni - forse ( « oportet »,

sta scritto) anche di scandalo. E scandalose, o quanto meno sorprendenti anche per lo stile oggi inconsueto (non diciamo con questo che sia da lodare o da biasimare),

saranno quelle che abbiamo voluto riportare da un libro a suo tempo celebrato, e

che variamente influenzò la vita intellettuale italiana del primo Novecento, so­ prattutto negli ambienti piu disposti ad accogliere, per esempio, l'arte dei Pre-raf­ faelliti inglesi: la Beata Riva di Angelo Conti, sodale, per un certo tempo, di Ga­

briele D'Annunzio che in lui credette di riconoscere la propria coscienza teorica. E siccome intendevamo, e intendiamo, fare opera di conoscenza critica, senza con­ trapporre a certi tipi di col portage un colportage diverso ma ugualniente unilate­ rale, abbiamo ritenuto necessario, anzi doveroso, ortare a conoscenza. dei lettori,

p

senza con ciò farne oggetto di apologetica o di polemica, non solo il pensiero estetico di Marx (che abbiamo scoperto lettore di Ruskin) ma anche le piu signi­ ficative pagine di quei teorici rivoluzionari russi che in piu modi anticiparono certe condanne dell'arte oggi notevolmente diffuse - ed

è stato un vero peccato, se la

necessità di sfrondare il fin troppo copioso materiale jnizialmente raccolto ci co­ strinse ad espungere (al pari di Mallarmé e di

W agner) anche quel grandissimo

scrittore, da motivazioni etico-sociali portato su posizioni simili a quelle dei critici democratici », che fu il conte Lev Nikolaevic Tolstoj (dei suoi scritti di

cc

detti

estetica

è oggi accessibile, per merito dell'editore Boringhieri, una traduzione ri­

gorosa e completa, che sostituisce quella, di seconda mano, del Panzacchi); e per le

stesse ragioni abbiamo dovuto rinunziare ad includere certe graffianti pagine del

Diario

di uno scrittore_, integralmente tradotto da Lo Gatto per la casa editrice cc a pro­ posito di») del contenutista e realista Dobroljubov, mettendo in discussione i Sansoni: in cui Dostoevskij duramente polemizza contro la critica (detta

presupposti estetici sui quali essa si fonda.

È

necessario aggiungere, a questo punto, per chi volesse estendere le proprie

conoscenze dell'este�ca russa dell'Ottocento e.del primo Novecento, che le scelte a cui ci siamo attenuti sono state ispirate dal desiderio di documentare e sottoporre alla meditazione critica dei nostri lettori, quel filone di pensiero che, partendo da uno Hegel ·filtrato attraverso Feuerbach, arriva, si può dire continuità, fino alle teorie del

cc

senza soluzioni di

realismo socialista »: con la cui mediazione esso ha

influenzato buona parte dell'estetica e della critica militante dei paesi occidentali

(del

nostro in particolare) a partire, per lo meno, dal

1948-49. Che le teorie di

Cernysevskij, di Dobroljubov, di Pisarev esauriscano l'estetica russa, per gli anni dal

1850 alla Rivoluzione (e oltre), è cosa che ci guardiamo bene dal pensare. Abbiamo

già ricordato i formalisti (e gli scritti, per esempio, dello Skloyskij sono ormai

accessibili a tutti in ottime traduzioni); e per gli spi�itualisti, dobbiamo fare il nome del piu importante, forse, e del piu autorevole, Solovev. Possiamo del resto ag­ giungere che lo svolgimento del pensiero estetico russo

è rigorosamente documen­

tato dalla preziosa antologia (purtroppo non si ristampa da anni) che il piu insigne dei nostri slavisti, Ettore Lo Gatto, pubblicò nel

1944 per i tipi dell'editore Sansoni.

Senza dire, poi, che chi si interessi al pensiero estetico-religioso nella Russia di prima e di dopo la Rivoluzione dispone, da un paio d'anni (ed è merito di Rusconi, un editore non incline ad ubbidienze di sorta) della traduzione integrale di quel libro affascinante quanto difficile, e in certi lati opinabile, che è La colonna e il

fondamento

della verità, di Pavel Florenskij - e ancora un motivo di rammarico

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dobbiamo qui confessare: quello di essere stati costretti, nella spietata ma indi­ spensabile riduzione di un libro la cui.mole, come i nostri lettori ben vedono, è fin troppo grande, ad espungere le molte pagine che avevamo scelte dal saggio di F1orenski sull' lc;ona, tradotto da Elémire Zolla, per una rivista di necessaria lettura anche per gli studiosi di estetica, qual è Conoscenza religiosa: che Zolla dirige e la Casa editrice « La, Nuova Italia » ha il merito di pubblicare. Non ci dilungheremo oltre nella giustifica delle esclusione orizzontali, che sono state il prezzo pagato per le inclusioni, forse troppo numerose. È venuto il mo­ mento di rendere conto delle esclusioni, dirò cosi, verticali, e cioè del terminus ad quem oltre il quale non ci siamo spinti. E non credo occorrano molte parole per una spiegazione siffatta: chi prenda in mano la preziosa, impeccabile antologia (Situazione dell'estetica in Italia) curata da Lino Rossi per la collana La tradizione del Nuovo che Luciano Anceschi, maestro e caposcuola autorevolissimo, oggi, dell'estetica italiana, dirige presso Paravia, si renderà conto che sarebbe stato ne­ cessario moltiplicarla per lo meno per quattro, se si voleva dare un panorama dell'estetica nel mondo, a partire dal 1940. Vogliamo fare alcuni nomi. I primi che vengono alla mente, di autori ciascuno dei quali avrebbe richiesto un numero di pagine per lo meno eguale a quante ne abbiamo dedicate allo Heidegger, il solo, tra quelli presenti, del quale, essendo egli il filosofo della transizione tra il periodo qui documentato e gli anni della guerra e di dopo, del quale sono stati inclusi scritti posteriori al 1940. Pensiamo, restando in Europa ed escludendo l'Italia, per la quale, ripeto, c'è ormai l'eccellente libro del Rossi, e facendo i nomi per coppie, dirò cosi, antagoniste: Lukacs e Adorno; Herbert Read e Urs von Balthasar; Roland Barthes e Gadamer; e Roman lngarden - e poi, last but not least, filosofi del­ l'importanza di Tatarkiewicz, già ricordato - nonché Bruno Liebrucks, del quale (se fossimo arrivati fino ad oggi) sarebbe stato necessario inserire, forse conclusi­ vamente, il saggio Kunst und Sprache (tradurrei: Arte e parola), che egli espose e discusse in Italia, nella primavera del 1972: presso l'Istituto di Estetica di Urbino e presso la Scuola di Perfezionamento in Filosofia della Facoltà romana di Magi­ stero... E poi, avrebbe aVuto un senso escludere Coomaraswami, della cui cono­ scenza siamo ormai debitori alla collega Grazia Marchianò? Meglio fermarsi, come ci siamo fermati - lasciando peraltro il diritto alla Redazione ed alla Casa Editrice, qualora lo ritengano opportuno se non necessario, di allegare in appendice un panorama (magari brevemente antologico) dell'estetica contemporanea, affidandolo ad autori (o ad autore) che, riscuotendo la loro fiducia, non possono non dare garanzia di serietà e di rigore non solo a noi ma a tutti i destinatari di questa Antologia. Ancora un'avvertenza, prima di accomiatarmi dal lettore. Ho scritto in prima persona plurale, ma non per il vezzo, ormai desueto, del pluralis maiestatis. La verità è che tutte le considerazioni qui formulate sono state da me lungamente discusse e concordate con Vittorio Stella, collega e amico carissimo, che di questa Antologia è coautore. A lui, ed a tutti i collaboratori - il collega e amico Enrico Garulli e la professoressa Gabriella Zanoletti; Luigi Russo, collega anch'egli, e amico, e il mio valoroso discepolo Vincenzo Cocozza; le traduttrici Marje-Jeanne Duruz-Garulli e Francesca Zanetov - vadano i miei ringraziamenti. Un grazie particolarmente augurale, infine, al professor Massimo Leotta, che da anni si dedica appassionatamente allo studio del pensiero estetico dell'ingiustamente dimenticato Antonio Tari, del quale ha presentato qui alcune pagine pochissimo note. C'è bi­ sogno di aggiungere che sarebbe ormai tempo vedesse la luce il suo studio sul Tari, bloccato da non so quali misteriose ragioni editoriali? Ma non posso concludere senza un altro ringraziamento, particolarmente ca-

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loroso. Di esso sono destinatari l'editore dottor Marzorati e tutti i suoi collabora­ tori: che di tanta pazienza mi sono stati generosi, nei lunghi indugi che la prepa­ razione di questo volume ha richiesti. Spero che i risultati, non abbiano ad esser per loro deludenti. Roma-Urbino, febbraio ·1977

RosARIO AssuNTO

Notizia sui collaboratori e le collaborazioni: Sono stati curati da V. STELLA, Taine, Comte, Guyau, Séailles, Croce, Gentile, Alain, Maritain: inoltre, la Bibliografia generale. Sono stati curati da E. GARULLI: Lavelle, Souriau, ]aspers, Heidegger. L. Russo ha curato Freud, mentre Bergson e Ortega sono stati curati, rispet­ tivamente da V. CocozzA e G. ZANOLETTI. I rimanenti autori sono stati curati di­ rettamente da me. Vittorio Stella è professore di Estetica presso la Facoltà di Magistero di Roma; Enrico Garulli è professore di Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Magistero di Urbino; Luigi Russo, già professore di Estetica presso la Facoltà di Lettere di Chieti è ora professore di Estetica presso la Facoltà di Lettere di Palermo; Gabriella Zanoletti è insegnante di lettere negli Istituti Tecnici; lavora e risiede a Milano; Vìncenzo Cocozza è contrattista presso la Cattedra di Estetica della Facoltà di Lettere di Bologna.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Storie. - M. SCHASLER, Kritische Geschichte der Aesthetik, Berlin, 1872; M. MENÉNDEZ y PELAYO, Historia de las ideas estéticas en Espana, Madrid, 1883-911; B. BoSANQUET, History of Aesthetics, London, 1892; B. C ROCE, Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, Bari, 19073; E. MEUMANN, Einfiihrung in die Aesthetik der Gegenwart, 1908-12; E. B ERGMANN, Geschichte der Aesthetik und Kunstphilosophie, 1914; T. A. MusTOXIDI, Histoire de l'esthétique française (1700-1900), Pa�s, 1920; M. B ITES PALÉVICH, Essai sur les tendances critiques et scientifiques de l'esthétique allemande contemporaine, Paris, 1926; P. Moss, Die Deutsche Aesthetik der Gegenwart, 1928; A. NEEDHAM, Le développement de l'esthétique sociologique en France et en Angleterre au XIX• siècle, Paris, 1928; W. PASSARGE, Die Philosophie der Kunstgeschichte in der Gegenwart, 1930; R. 0DEBRECHT, Aesthetik der Gegenwart, 1932; C. SGROI, Gli studi estetici in Italia nel primo trentennio del Novecento, Firenze, 193 1; E. UTITZ, Geschichte der Aesthetik, Berlin, ,1932; EARL OF LISTOWEL, A çritical History of Modern Aesthetics, London, 1933; V. FELDMAN, L'esthétique française contemporaine, Paris, 1936 (tr. it., Mi­ lano, 1945); H. LDTZELER, Einfiihrung · in die Philosophie der Kunst, Bonn, 1939; F. KAINZ, Vorlesungen iiber die Aesthetik, Wien, 1943; A. ATTISANI, Gli studi di estetica, in cinquant'anni di vita intellettuale italiana (1896-1946), Napoli, 1950; G. MoRPURGO-TAGLIABUE, Il concetto dello stile, Milano-Roma, 1951; K. E. Gn.­ BERT-H. KuHN, A History of Aesthetics, Bloomington, 19542; D. HUISMAN, L'esthétique, Paris, 1954; A. SOREIL, Introduction à l'histoire de l'esthétique fran­ çaise, Bruxelles, 1955; G. MoRPURGO-TAGLIABUE, L 'esthétique contemporaine. Une enquete, Milano, 1960. Nei Momenti e problemi di storia dell'estetica (compresi nella serie Problemi ed orientamenti critici· di lingua e letteratura italiana dell'editore Marzorati di Milano) il periodo su cui verte questa sezione della pre­ sente antologia (all'incirca il secolo dal 1850 alla fine della seconda guerra mon­ diale) è ritratto nelle parti III e IV Dal Romanticismo al Novecento (1961) dai seguenti Autori: A. ATTISANI, L'estetica di F. De Sanctis e dell'idealismo italiano, pp. 1492-1580; L. ANCESCHI, Le poetiche del Novecento in Italia, pp. 1581-1732; D. FAUCCI, L'estetica del marxismo, pp. 1733-1804; D. HUISMAN� L'estetica francese negli ultimi cento anni, pp. 1067-1181; A. PLEBE, L'estetica tedesca del Novecento, pp. 1183-1238; D. PESCE, L'estetica inglese e americana del Novecento, pp. 1239-1278; V. MARRERO, Le correnti dell'estetica spagnola negli ultimi cento anni, pp. 1279-1369. Successivamente: R. B AYER, L 'esthétique mondiale au xx· siècle, Paris, 1961; V. STELLA, Aspetti e tendenze dell'estetica italiana odierna, in « Giornale di Metafisica », XVIII (1963), XIX (1964), XX (1965); A. SIMONINI, Storia dei movimenti estetici nella cultura italiana, Firenze, 1968. WLADISLAW TATARKIEWICZ, Historia estetyki, Varsavia, 1962 sgg. (tr. inglese: L'Aia, 1970 sgg.; tr. it.: in preparazione) . Repertori Bibliografici. - W. A. HAMMOND, A Bibliography of Aesthetics and

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of the Philosophy of the Fine Arts, New York, 1933; A. R. C HANDLER-E. BARNHAT, A Bibliography of Psychological and Experimenyal Aesthetics 1864-1937, Ber­ keley Ca., 1938; Tu. B ALLAUF-G. BEYRODT, Bibliographie fiir Aesthetik und All­ gemèine Kunstwissenschaft 1944- '49, Stuttgart, 1951. Riviste. - « Rivista di Estetica », dal 1956, Torino (fond.: L. Stefanini; dir.: L. Pareyson, L. Anceschi, G. Morpurgo-Tagliabue, D. Formaggio, R. Assunto, G. Dorfles, G. Vattimo) : « Il Verri >>, dal 1960, Milano, poi Bologna (dir.: L. Ance­ schi); « Studi di estetica », dal 1973, Bologna (dir.: L. Anceschi); (( Repertorium fiir Kunstwissenschaft », Stuttgart, 1876-1905; ((Zeitschrift fiir Aesthetik und all­ gemeine Kunstwissenschaft », Stuttgart, 1906-1939 (fond. e dir.: M. Dessoir), poi ((Jahrbuch fiir Aesthetik und allgemeine Kunstwissenschaft » (dir.: H. Liitzeler), dal 1966, di nuovo ((Zeitschrift ecc. »; ((The British Journal of Aesthetics », dal 1962, London; British Society of Aesthetics (dir.: H. Osborne) ; ( The Journal of Aesthetics and Art Criticism », dal 1943. Ohio Univ. Press, American Society of Aesthetics (dir.: H. M. Schneller); ((The Journal of Aesthetic Education », dal 1966, Univ. of Illinois Press (dir.: R. A. Smith);·(( Revue d'esthétique », dal 1948, Paris, Centre National de la Recherche Scientifique (dir.: E. Souriau, M. Du­ frenne); ((Sciences de l'art », dal 1964, Paris, lnstitut d'esthétique et de Sciences de l'art (dir.: L. Brion-Guérry e R. Francès); ((Revista da ideas estéticas », dal 1943, Madrid (dir.: D. A. liiiguez); ((Aisthesis », dal 1966, Santiago del Chile, Centro de lnvestigaciones estéticas de l'Universidad Catolica; (( Analele Universi­ tatii Bucaresti. Stiinti sociale. Estetica », dal 1968; XpoviKix AiM11nKijç-, dal 1962, Atene, Società ellenica di estetica; ((Estetica », Praga, Accademia cecoslovacca delle scienze; ((Studia estetyczne », dal 1964, Warszaw:a, (dir.: Z. Lissa, S. Mo­ rawski, S. Zolkiewski); ((Bigaku », dal 1950, Tokyo, Società giapponese di estetica. Si presenta inoltre una breve rassegna bibliografica degli scrittori di estetica che hanno operato all'incirca dal 1850 al 1950, distinti per aree linguistiche e, in modo naturalmente molto approssimativo, per grandi raggruppamenti di correnti. ITALIA

Neoidealismo e neospiritualismo

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F. D E SANCTIS. L'edizione delle opere e dell'epistolario di F. De Sanctis, in 22 volumi; in corso dal 1951 presso l'editore Einaudi, Torino, è vicina al termine. Notevoli, in genere, le introduzioni che precedono ciascuna opera. Su De S.: B. CROCE, E. ClONE, C. MuscETTA, Studi desanctisiani, Napoli, 1931; L. Russo, F. De S. e la cultura napoletana, Bari, 1928; F. MONTANARI, F. De S., Brescia, 1939; E. ClONE, F. De S., Milano, 1944; E. ClONE, L'estetica di F. De S., Milano, 1945; E. e A. C ROCE, De S., Torino, 1964. G . M ACERA, F. de S., restauro critico, Napoli, 1968 - A. GARGIULO, Scritti di estetica, raccolta postuma a c ura di M. Castiglioni, Firenze, 1952. Su. G.: E. D E M ICHELIS, Omaggio a G., Fiume, 1937. - A. CARLINI, La vita dello spirito, Firenze, 1921; La religiosità dell'arte e della filosofia, Fi­ renze, 1934; Il mito del realismo, Firenze, 1936. Sul pensierò estetico di A. C., saggi, di G. Della Volpé, V. Stella. Su C.: V. SAINATI, A. C., Torino, 1961. - G. CHIAVACCI, La ragion poetica, Firenze, 1947. - U. SPIRITO, La vita come arte, Firenze, 1941; su S.: G. RICONDA, U. S., Torino, 1956; V. STELLA, L'aspetto dell'arte, Roma, 1976 e saggi di R. Cantoni, E. Paci, L. Stefanini, R. Raggiunti. G. CALOGERO, Estetica Semantica /storica, Torino, 1946. Su G. C.: E. PERA GEN­ ZONE, G. C., Torino, 1961; R. RAGGIUNTI, Logica e linguistica nel pensiero di G. C.,

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Firenze, 1963 e saggi di M. Fubini, A. Caracciolo. - C. CARBONARA, Del Bello e dell'Arte, Catania, 1944 n.e.: Napoli, 1973; Introduzione alla filoso.fw, Napoli, 1946. Sull'estetica di C., saggi di G. A. Bianca, U. Eco, A. Negri, V. Stella. - L. Russo, F. De Sanctis e la cultura napoletana, Venezia, 1928; Problemi di metodo critico, Bari, 1929; La critica letteraria contemporanea, Bari, 1942-43. G. BERTONI, Programma di filologia romanza come scienza idealistica, Ginevra, 1922; Linguaggio e poesia, Rieti, 1930; Lingua e pensiero, Roma, 1932; Lingua e cul­ tura, Firenze, 1939. - F. FLORA, I miti della parola, Trani, 1931; Orfismo della parola, Bologna 1953. - L. VENTURI, La critica e l'arte di L. Da Vinci, 1919; Il gusto dei primitivi, 1926; The History of Art Criticism, New York, 1936; ed. it.: Storia della critica d'arte, Firenze, 1947; n. ed., a cura di N. Ponente, Torino, 1944. - S. BoTIARI, La critica figurativa e l'estetica moderna, Bari, 1935; I miti della critica figurativa, Messina, 1936; Il linguaggio figurativo, Messina, 1940. C. L. RAGGHIANTI, Commenti di critica d'arte, Bari, 1946 e Miscellanea minore di critica d 'arte, Bari, 1947, comprendenti scritti dal 1935 al 1940. Su R.: G. BA­ GLIONI, La critica dello storicismo estetico, Pisa, 1953, e saggi di G. Morpurgo-Ta­ gliabue, V. Stella, ecc. - A. PARENTE, La musica e le arti, Bari, 1936. - L. STEFANINI, Problemi attuali dell'arte, Padova, 1939; Arte e critica, Milano, 1942; Metafisica dell'arte, Padova, 1948; Estetica, Roma, 1952; Educazione estetica e artistica, Brescia, 1953; Trattato di estetica, Brescia, 1954. Su S.: « Rivista di Estetica », I (1956), n. 2. -

Marxisrrw

A. GRAMSCI, Il Materialismo storico e la filosofia di B. Croce, Torino, 1948; Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Torino, 1948; Letteratura e vita nazionale, Torino, 1950; Passato e presente, Torino, 1951 (tutti postumi). Edi­ zione critica dei Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, 1975. Su G.: AA.VV., Studi gramsciani, atti del convegno tenuto a Roma dall'Il all3 gennaio 1958, Roma, 1958 (sull'estetica e la critica saggi di R. Dal Sasso, G. Petronio, A. Seroni, G. Trevisani); AA.Vv., La Città futura. Saggi sulla figura e il pensiero di A. G., Milano, 1958 (sull'est. ecc. saggi di L. Rosiello, G. Scalia) ; R. MusOLINO, Marxismo ed estetica in Italia, Roma, 1963; G. FERRATA, Prefazione a 2.000 pqgine di G., Milano, 1963; A. AsoR RosA, Scrittori e popolo, Roma, 1965; S. F. R mli\NO, A.G., Torino, 1965; A. GuiDUCCI, Dallo zdanovismo allo strutturalismo, cit. (su G. saggi del 1951, 1952, 1958); G. LENTINI, G. e Croce, Palermo, 1967; N. STIPCEVIC, Knigevni pogle di A. G., Beograd, 1967 (tr. it. G. e i problemi letterari, Milano, 1968); L. TOPUZOVA, G. ed alcune tendenze fondamentali dell'estetica italiana, Sofia, 1968; AA.Vv., G. e la cultura contemporanea, Atti del convegno interna­ zionale di studi gramsciani tenuto a Cagliari il 23-27 aprile 1967 a cura di P. Rossi, 2 voll., Roma, 1970 (sui problemi estetici ecc. relazione di N. Sapegno e saggi di

A. M. Cirese, B. Anglani, L. M. Lombardi Satriani, L. Rosiello). - G. D ELLA VOLPE, Crisi critica dell'estetica romantica, Messina, 1941; Critica dei principi lO­ gici, Messina, '1942 (rifatta col titolo Logica come scienza positiva, Messina-Fi­ renze, 1950); Il verosimile filmico, Roma, 1954; Poetica del Cinquecento, Bari, 1957; Critica delgusto, Milano, 1966; Storia del gusto, Roma, 1971. Edizione delle sue opere in 6 voll., Roma, 1971 e sgg. Su della V.: G. PRESTIPINO, L'arte e la dialettica, op. cit.

Fenomenologia ed esistenzialismo

A. BANFI: per il posto dell'arte nella concezione filosofica: La filosofia e la vita spirituale, Milano, 1922; Principi di 1!-na teoria della ragione, Milano, 1926.

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Gli scritti di estetica sono raccolti in I problemi di un'estetica filosofica, Milano, 1961 (a cura e con introduzione di L. Anceschi, comprende anche Vita dell'arte, Milano, 19471) e Filosofia dell'arte, Roma, 1962 (a cura e con intr. di D. For­ maggio); inoltre Scritti letterari, Roma, 1970. Su B.: G. M. BERTIN, A. B., Pa­ dova, 1943; in « Aut aut >>, VIII, 1958, nn. 43-44, sull'estetica di B. articoli di L. Anceschi, D. Formaggio, L. Rognoni; F. PAPI, Il pensiero di A. B., Milano, 1961; In A. B. e il pensiero contemporaneo, Atti del convegno di studi banfiani (Reggio Emilia 13�14 maggio 1967), Firenze, 1969, saggi sul pensiero estetico e critico di R. Barilli, G. Scaramuzza, R. Assunto, D. Formaggio, E. Mattioli, C. Cordiè, A. Montevecchi, A. Pellegrini, L. Rognoni, C. Sughi. - L. ANCESCHI, Autonomia ed eteronomia dell'arte, Firenze, 19361; Saggi di poetica e di poesia, Firenze, 19421; Rapporto sull'idea di Barocco, Milano, 1945; Idea della lirica, Milano, 1945; Eugenio D'Ors e il nuovo classicismo europeo, Milano, 1945; Civiltà delle lettere, Milano, 1945; Poetica americana, Pisa, 1953; L'estetica dell'empirismo inglese, Bòlogna, 1958; Le poetiche del barocco letterario in Europa, Milàno, 1959; Ba­ rocco e Novecento, Milano, 1960; Le poetiche del Novecento in Italia, Milano, 1962; Progetto di una sistematica dell'arte, Milano, 1962; Tre studi di estetica, Milano, 1966; Il modello della poesia, Milano, 1966; Da Bacone a Kant, Milano, 1972. C. B RANDI, Carmine o della pittura, Roma, 1944\ Celso o della poesia, Torino, 1957; Arcadio o della scultura; Eliante o dell'architettura, Torino, 1956; La fine dell'avanguardia e l'arte d'oggi, Firenze, 1952; Segno e immagine, Mi­ lano, 1960; Teoria del restauro, Roma, 1963; Le due vie, Bari, 1966; Strutture e architettura, Torino, 1968; Teoria generale della critica, Torino, 1974. - G. M. BERTIN, L'ideale estetico, Milano, 1948. - M. MARTINI, La deformazione estetica, Milano, 1948. E. PACI, Esistenza e immagine, Milano, 1948; Ingens sylva, Milano, 1949; Esistenzialismo e storicismo, Milano, 1950. N. ABBAGNANO, Il problema dell'arte, Napoli, 1925; La struttura dell'esistenza, Torino, 1939; In­ troduzione all'esistenzialismo, Milano, 1942. Su A. G. G IANNINI, L'esistenzialismo positivo di N. A., Brescia 1956. -

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Altre tendenze

G. A. CESAREO, Saggio sull'arte creatrice, Bologna, 1919. Su C.: F. CALANDRINO, C., Livorno, 1930. - M. PILO, Estetica, 3 voli., Milano, 1906-21; G. RENSI (scetticismo relativistico) La scepsi estetica, 1919. - F. OLGIATI (neoscolastico) , L'arte, l'universale e i l giudizio, Milano, 1935. - A. ALIOTTA (sperimentalismo critico), L'estetica del Croce e la crisi dell'idealismo italiano, Napoli, 1904; Il problema estetico e didattica dell'arte, Palermo, 1924; L'est etica di Kant e degli idealisti romantici, Roma, 1942. Su A.: D. GENTILUOMO, Il relativismo sperimentale di A. A., nel suo svolgimento storico, Roma, 1955. A. BARATONO (sensismo), Sociologia estetica, Torino, 1900; Natura e arte, Milano, 1930; Il mondo sensibile, Messina-Milano, 1934; Estetica e neo-linguistica, Milano, 1936; Arte e letteratura, Milano, 1940; Arte e poesia, Milano, 1945. Su B.: C. TALENTI, A. B., Torino, 1957. - E. GALLI, L'estetica e i suoi problemi, Napoli, 1936.

G. A.

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PAESI DI LINGUA TEDESCA

Neokantismo, Formalismo, Gestalttheorie, Kunstwissenschaft, simbolismo, icono­ logia G. SEMPER. Bedeutung als Kunstsymbol, 1856; Der Stil in den technischen und tektonischen Kiinsten, 2 voli., Munchen, 1860-63; Laute, Entwiirfe und Skizzen,

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Berlin, 1881; Kleine Schriften, Berlin, 1884. Su S.: E. STOCKMEYER, G. S. s. Kunsttheorie, Ziirich, 1939. - R. ZIMMERMANN, Geschichte der Aesthetik aks philosophische wissenschaft, Wien, 1858. - M. SCHASLER, K ritische Geschichte der Aesthetik, Berlin, 1872; Das System der Kiinste, Leipzig-Berlin, 1881. - A. RIEGL, Stilfragen, Berlin, 1893; Die Entstehung der Barochkunst in Rom, (1901-02), Wien, 1908; Spatromische K unstindustrie, Wien, - 1901 (tr. it. Firenze, 1953 e Torino, 1959). - A. R. HILDEBRAND (purovisibilista), Das Problem der Form in der bildenden Kunst, Strassburg, 1893 (tr. it. Messina, 1949); Gesammelte Auf­ siitze, Strassburg, 1909. Su H.: A. HEILMEYER, A. von H., Bielefeld, 1902; W. HAUSENSTEIN, A. von H., Miinchen, 1947. - E. GROSSE, Die Anfiinge der K unst, Freiburg, 1894; Kunstwissalschaftliche studien, Tiibingen, 1900. - A. RIEHL, Bemerkungen zu dem Problem der Form in Dichtkunst, 1897; Friedrich Nietzsche: der Kiinstler und der Denker, Stuttgart,_ 1897. Su R.: AA.VV., Festheft zum 70. Geburtstag, > (Amiel), e: «Sich selbst wie ein Fatum nehmen, nicht sich anders wollen .. » (Nietzsche). Senza voler portare troppo avanti un parallelo Amiel-Nietzsche, dell'uno e dell'altro, in quanto filosofi, si dovrà rilevare il procedere a-sistematico, o antisi­ stematico, il rifiuto di ogni pretesa ad una filosofia come scienza. In Amiel, del resto, frequenti sono le puntate contro i positivisti, non meno che contro l'aprio­ rismo speculativo: « Tous les scolasticismes me sont nauséabonds . . » (30 agosto 1872) . Combattuto tra una vocazione poetica non sempre soddisfatta di sé (piu volte, nel ]ournal egli si interroga intorno al valore della propria produzione poetica: 25 luglio 1858, 26 agosto 1868; 15 aprile 1876; 13 maggio 1876 ... ) ed una aspirazione filosofica, che peraltro non si realizzò in alcuna opera organica, Amiel si può identificare nella figura di quello che egli chiamava il pensatore, distin­ guendolo dal filosofo (27 febbraio 1851: « le penseur ( ... ) c'est le philosophe lit�éraire, orateur, causeur et écrivain; le philosophe est le penseur scientifique.. . »); e nella saggistica egli riusci a comporre il contrasto tra il desiderio di capire che .

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ostacolava le sue doti creative, e la sensibilità vibratile . che gli inibì ogni costante e ponderata ricerca e riflessione speculativa. Come saggista vanno ricordati di lui la conferenza del 1879 su Rousseau, l'altra su Madame de Stael (1876), l'altra ancora, del 1872, sul tema della Libertà (dove si legge una sua definizione della filosofia: « Philosopher, c'est précisément essayer de sortir soi-meme des contradictions verbales, et de faire ressortir soi-meme des contradictions réelles une notion moins imperfecte des choses. .. >>) , che contiene indicazioni sulle quali assai utile sarebbe il meditare: « elle est à la fois une indépendence et une dépendence, l'affranchissement d'un obstacle et l'obéissance à une règle . .. >>; > - e piii avanti, dopo avere elencato tutti i limiti che la libertà umana trova intorno a sé, fino a quello, per ogni individuo, del suo proprio passato, ricorda l'ostacolo che all'idea della fatalità, tranquillante (proprio nel senso di certi medicamenti oggi assai diffusi), oppone l'ostinata realtà del rimorso, il quale continuamente ripropone all'uomo, questo eterno Edipo, l'eterno enimma che gli sottopone la , Sfinge del suo destino... E tuttora importante può essere il riconoscimento, che in quel saggio, Amiel fa del­ l'esigenza del libero arbitrio, sopravvissuta alle difficoltà della teologia e della metafisica, « et s'étant maintenu soit devant l'idée de Dieu, soit devant celle de l'univers logique », come contrastante, nel mondo moderno, con la scienza speri­ mentale, in quanto biologia e sociologia, critica della civiltà, critica religiosa, sta­ tistica, fisiologia; concludendo col mostrare (e su questo tema Amiel si ferma anche nel diario del 20 gennaio 1871) l'irrimediabile illiberalità del positivismo sotto tutti i suoi aspetti, « théorie dont le caractère est la réduction expresse de la science à la constatation des phénomènes et de leurs lois >>, e di cui metodo uni­ versale è il determinismo, « explication de tout phénomène par un ou plusieurs ' phénomènes antécédants, lesquels sont la condition et la raison d'etre du premier ·, - non senza una acuta sottolineatura delle radici hegeliane del positivismo. Né vanno dimenticate certe pagine del ]ournal intime che prefigurano la crisi della libertà in una società democratico-egualitaria. In quanto saggista, Amiel, sia che teorizzi il problema della libertà, sia che interpre� grandi figure di scrittori, sia che evochi luoghi ed ambienti, ha il dono di immedesimare sé all'argomento trattato (del quale parla, diciamo, cosi, dall'interno) e . insieme di partecipare lucidamente al pensiero dell'autore di cui si occupa, compenetrandosi in esso; oppure, come, nel saggio sulle libertà o nella esposizione di problemi estetici particolari (si veda il saggio su Naturalismo e idealismo nel­ l'arte) di seguire i punti di vista contra'stanti, vivendoli, si può dire, in proprio. A questa sua qualità si debbono certe acutissime pagine di critica letteraria e di critica musicale, come quella su Mozart e Beethoven, nel diario del 14 maggio 1853, o di psicologia dei popoli, assai frequenti nel ]ournal intime. Ma dove le doti di pen­ siero e di sensibilità, di acume critico e di finezza stilistica di Amiel si compene­ trano in una acutezza intellettuale che è insieme sentimento dell'esperienza vissuta, è nella interpretazione delle città, condotta con la stessa profondità appassionata con cui Amiel critica uno scrittore, un compositore. Si tratti di Heidelberg o di Torino, 'di Scheveningen, di Basilea ( « . . . È tardi e io veglio, e il vecchio Reno rumoreggia sotto la mia finestra e si frange coniro i piloni del ponte . .. >>, 11 set­ tembre 1870), della Berlino nel 1848: « Non è facile delineare il carattere di una città. La miglior cosa, forse, è andare dall'esterno all'interno, dalla città esteriore alla città morale ( ... ). Berlino cresce come una città americana: la stessa assenza del •••

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passato, la stessa avidità d'avvenire (... ) Non è abbastanza noto che v'è un'organo­ genesi delle città, e che la pianta d'una città è come un'autopsia, che fa penetrare nei segreti della vita. Questa fisiologia delle capitali è una scienza tutta da fare ( ... ) L'uniformità di queste interminabili strade ad angolo retto, di queste case regolari come dei granai o delle filande ( ... ); la freddezza tranquilla e silenziosa di interi quartieri, un non so che d'artificiale e di superficiale, mostra che la natura si vendica ». Sempre Amiel interpreta lo spirito della città illuminandone criticamente l'aspetto, come espressione estetica del modo di sentire e di pensare che è l'anima di una città. La critica della città, e soprattutto la critica del paesaggio, interpretato an­ ch'esso come si interpretano le opere d'arte, quale espressione della natura nella sua intrinseca spiritualità, sono forse gli aspetti piu originali di Arnie] pensatore e scrittore di estetica. N on per nulla, si deve a lui la definizione del paesaggio come stato d'animo, troppo spesso fraintesa nel senso di una riduzione soggettivistica del paesaggio naturale, mentre nel contesto essa vuole avere tutt'altro significato, allude a una oggettivazione degli stati d'animo nella natura che si esprime come paesaggio, correlativa ad una soggettivazione della natura vissuta come paesaggio. La pagina del ]ournal intime che porta la data del 31 ottobre 1852 e contiene la teoria di quella estetica del paesaggio di cui egli si può considerare uno dei piu autorevoli teorici, è forse la pagina piu importante che Amiel abbia scritta su argomenti di estetica teorica; e per questa ragione conclude la breve scelta in cui ho voluto presentare uno scorcio del pensiero estetico di Arnie]; del quale di solito non si trova notizia nelle storie della filosofia, e nemmeno negli studi storici di estetica o nelle rassegne bibliografiche dedicate all'estetica europea nel secolo decimonono.

Bibliografia essenziale. Del ]ournal intime (17.000 pagine manoscritte, conservate presso l'Università di Ginevra), è in corso dal 1948 l'edizione completa. L'edizione piu accessibile è, a tutt'oggi, la scelta curata da B. BoUYIER: Fragmènts d'un ]ournal intime, Parigi, 1949, con attenta e preziosa introduzione. Sempre a cura di Bouvier erano state pubblicate una scelta in tre volumi (1923), una in due volumi (1927) e una scelta di frammenti, pure nel 1927. La prima edizione del ]ournal, piu volte ristampata e rimaneggiata, con prefazione di Edmond Scherer, era stata pubblicata da Fanny Merier nel 1883. L'unica traduzione italiana è quella a cura di Maria Ghiringhelli (Giornale intimo, Frammenti, Torino, 1925), con un ampio studio introduttivo di Carlo Pascal, che è ancora il migliore e piu completo studio italiano su Arnie], arricchito anche da una notizia su quanto precedente­ mente scritto in Italia su Amiel. Gli Essais critiques, dispersi sii giornali e riviste e miscellanee, furono raccolti e pubblicati con introduzione e note a cura del Bou­ vier, Parigi, 1932. -

SUL NATURALISMO E L'IDEALISMO NELL'ARTE Che cosa è, in arte, l'idealismo? che cosa, il naturalismo? Il bello consta di due elementi, l'idea e la forma, come l'uomo consta di due elementi, lo spirito e il corpo. Preoccuparsi soprattutto della bellezza interiore, dell'espressione profonda dello spirito o dell'idea: ecco, in breve che cosa è l'ideali­ smo. Collocare al primo posto la bellezza esteriore, la grazia del

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contorno, lo splendore del colore, insomma la forma sensibile: ecco che cosa è il naturalismo. Le parole stesse l'indicàno: l'uno dipende dall'ideale, l'altro dal naturale. L'idealismo e il naturalismo non sono degli scopi, essi sono dei . Il loro fine ultimo è uno solo. Entrambi, al limite, debbon'o ezzi m pervenire ad un'alleanza dei due elementi, alleanza necessaria, fusione indispensabile, matrimonio felice che solo costituisce la totalità della bellezza. Del tutto opposto è però il loro cammino. Ciascuno di essi co mincia dall'elemento che il rivale trascura quasi completamente. Cosi, punto di partenza dell'idealismo è l'immaterialità, quella bellezza che non si trova nella natura, ma che nella natura cerchiamo: è il modello soprannaturale, quel misterioso archetipo interiore che ogni uomo sensibile al bello porta dentro di sé, correndo avidamente dietro alle sue manifestazioni. Questo archetipo, appunto, questo modello è l'ideale. Il naturalismo, al contrario, parte da ciò che si vede e si tocca. Esso prende gli oggetti esterni cosi come essi sono, e dapprima li copia assai male; dopo, rettifica, migliora, perfeziona l'imitazione e con dei procedimenti sempre piii ingegnosi, sempre piii perfezionati, si studia di condurla alla rappresentazione esatta del reale. Il bello, abbiamo detto, è come l'uomo. Due famiglie di eredi di Prometeo si sforzano di realizzarlo. Gli uni prima impastano l'argilla, modellano la statua e sperano di farla cosi perfetta che a lei venga concessa l'anima. Di questi è Dedalo, che da un blocco ribelle di marmo pario fa venir fuori Venere. Lo scultore, in ginocchio davanti alla fattura delle proprie mani, la liscia, la ritocca, la arrotonda e l'affina, e una volta arrivata l'ora solenne, quando lo scalpello si ri­ posa davanti alla forma portata a compimento, l'artista infervorato solleva gli occhi al cielo. Egli prega, e qualche volta, come accadde a Pigmalione, la divinità di pietra scende dal suo piedistallo, il fuoco della vita comincia a splendere nelle sue pupille marmoree, e nel petto di marmo il cuore comincia a battere. Gli dèi d'Olimpo hanno esaudito la preghiera; la materia cosi sublimata è parsa loro degna del pensiero, e glie l'hanno accordato. Qui, è la forma che si è innalzata fino all'idea; è il corpo che, per cosi dire, ha conquistato a sé l'anima. Gli altri, invece, prosternati al cospetto della visione che scende a visitarli nelle loro veglie, contemplano in estasi le magnificenze del­ l'ideale, spregiano il mondo dei sensi, e adorano. Ben presto, però, un pensiero generoso li illumina; essi vogliono riprodurre, per gli uomini loro fratelli, quelle apparizioni sublimi, quei godimenti ineffabili. In raccoglimento, allora, essi prendono il pennello e cercano di trovare nel mondo materiale un involucro si puro che quelle immagini im­ materiali si degnino di calarsi in esso, trasparente quanto è necessario

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affinché la loro maestà suprema non vi perda tutto il proprio splen­ dore. Di questi è fra Angelico, che chiuso nella sua cellà implora piangendo la santità del cuore, affinché gli sia concesso di dipingere la divina espressione di beatitudine e di amore delle figure celesti che egli ha vedute in sogno. Non è l'idea, qui, che cerca la propria forma? Non sembra di vedere l'ideale, giovane angelo luminoso, errante, leggero e incorporeo nel cielo, sua patria, che chiede all'artista di incarnarlo in questo mondo, per venire a consolare e nobilitare l'u­ manità? Non è in certo modo l'anima che si conquista un corpo? Straordinario! Senza che lo avessimo premeditato, poiché vole­ vamo parlare soltanto di naturalismo e di idealismo, già gli esempi venuti cosi spontaneamente sotto la nostra penna hanno oltrepassato il nostro pensiero. Ci occupavamo solo di teoria, ed eccoci già quasi nella storia . Perché mai, involontariamente, istintivamente, il natu­ ralismo ci ha fatto pensare alla scultura e l'idealismo alla pittura? Non v'è ìn ciò qualcosa che dà da pensare? È solo una figura stilisticà, un accostamento di immagini, che non ricopre nulla di piii serio e che va trattato come ogni altra immagine? Indifferenti nella nostra scelta, e.c co che la Grecia ci ha presentato il tipo del naturalismo, il Cri­ stianesimo il tipo dell'idealismo. Si tratta di un semplice caso, di un puro accidente? No, no. Non è caso, né accidente: è una illuminazione. L'oppo­ sizione recisa dei due principi non si può manifestare in modo piii vistoso che nell'ellenismo e nel cristianesimo. Si studiino le origini dell'arte greca e quelle dell'arte cristiana: è come chi dicesse natu­ ralismo puro e idealismo puro, con tutto il rigore dell'astrazione. Andate a Palermo, esaminate le dieci metope trovate a Selinunte, monumenti preziosi delle prime età della scultura, nei quali uno se­ gue i graduali progressi di quest'arte presso i Greci. Che cosa vi troverete? Degli abbozzi grossolani, senza dubbio; ma da dove co­ mincia la perfezione? Dalla pat:te che piii è lontana dalla vita, da ciò che meno partecipa all'espressione del pensiero, dalle estremità in­ feriori, dai piedi. Uscite dalla città, risalite la valle che gli aranceti inodorano, ed entrate nella vecchia cattedrale di Monreale, che dalla montagna guarda giù al mare. Quando i vostri occhi si saranno assuefatti al­ l'oscurità delle arcate gotiche, attraverso quelle mistiche tenebre, sulle pareti, sulle volte, nelle cappelle, dappertutto vedrete risplen­ dere quest'infinito mosaico dal fondo d'oro che riveste tutta intera la basilica di una luce strana, e sembra fare di essa il soggiorno di un'eterna apparizione che scenda dall'alto. Considerate ora le figure che regnano in questo cielo sognante. Esse sono informi, primitive,

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incolte. Ma cos'è che vi colpisce? Che cosa comincia, in esse, ad esser perfetto? La testa . Se questo fatto nulla vi dice, nulla abbiamo da aggiungere. Che mai si può dire a quelli che in esso non scoprono un mondo? Delle due arti, una prende l'uomo dal basso, l'altra dall'alto. L'una va prima al pensiero, l'altra alla parola. L'una cerca il vaso prima del liquore, l'altra il liquore prima del vaso. N on sono questi due poli antitetici? Non possediamo in germe le due civiltà? Dalla direzione dello stelo, uno giudica il luogo dove esso aspira la sua vita. Il genio greco e il genio cristiano sono come due piante contrapposte. Delle due arti, l'una, quella che comincia dal punto per il quale l'uomo si attacca al suolo e lentamente risale fino ai luoghi in cui palpita la vita, non arrivando al viso se non dopo tutto il resto, questa non ha affondato le proprie radici nella terra? L'altra invece, che scende nell'uomo dallo sguardo, poi, dal volto in giii, a poco a poco conquista le parti piii terrestri, non si è dato il cielo come base alle proprie radici? Non riconosciamo in ciò due maniere di vedere la vita? due ma­ niere di concepire l'uomo? e, se ci è permesso dire tutto il nostro pensiero, due maniere di concepire lo stesso Dio? In verità, il genio delle arti conserva sempre i lineamenti di suo padre, il genio della religione: e, secondo che la religione parte dal visibile o dall'invisi­ bile, l'arte parte dalla terra o dal cielo. Una volta che la contrapposizione sia stata chiàramente stabilita, si chiederà a noi di giudicarla? di decidere quale sia il migliore, dei due punti di partenza? Questo apprezzamento sarebbe prematuro. L'idealismo e il. naturalismo si propongono entrambi di farci arrivare ad una fusione; questo è il loro scopo supremo. Attendiamo i risultati dei loro sforzi, prima di pronunciarci. Per il momento, essi non sono buoni né cattivi; sono, soltanto, e non possono non essere, dal ino­ niento che sono fondati in natura. Tutto quello che si può osservare, è che l'uno sembra piii facile, l'altro piu grande ... Può lo scopo supremo consistere nell'equilibrio? Può la perfe­ zione dell'arte consistere nella divisione delle due nature in parti eguali? Può . essere che si ingannino entrambe, l'arte che affonda le sue radici nel cielo e quella che invece le fissa alla terra? Considerate piu da presso il vegetale, esso non fa né come l'una né come l'altra. Due sistemi opposti, in certo modo contrastanti, si incrociano nei suoi tessuti, e si compenetrano per costituirli. Il tronco, essere complesso e pertanto unico, il tronco che è il vero vegetale, si dilata con le estremità in due regioni, e attinge la propria vita a due sorgenti. Con il suo fogliame, simile ad aeree radici, esso affonda nel libero spazio per aspirarvi il vento e la luce, il fluido elettrico, suo principio ideale,

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per cosi dire; con le sue radici, fogliame sotterraneo, esso affonda nel suolo fecondo per aspira,rvi la linfa e l'elemento robusto della realtà. Non siamo qui di fronte a un mistero? Non è, ogni esistenza, somi­ gliante al vegetale? Non è forse la condizione di ogni vita, in questo mondo, quella di esserle composta di due sostanze, e di abbeverarsi a due fiumi, l'uno che scaturisce dalla TERRA, l'altro che discende dal CIELO? Non intendiamo risolvere questo mistero; ma che una formula rafforzi e completi la nostra immagine. Leibniz ha definito il genio: capacità di vedere sempre l'astratto nel concreto e il concreto nel­ l'astratto. Questo è il genio filosofico. Non sarà forse, il genio delle arti, la capacità di vedere sempre l'ideale nel reale e il reale nell'i­

deale?

L'alternativa si presenta all'artista, come ad ogni uomo. Non vi sono che due soluzioni: si o no; egli deve scegliere. Ma possiamo rinchiuderei nell'individuo? È all'arte nella sua totalità che l'alter­ nativa si pone, o piuttosto all'umanità. L'arte non esiste. Essa è una delle voci, una delle espressioni dell'intimo pensiero delle epoche. È uno specchio, nel quale, non cercando se non i tratti di un popolo o di un secolo, si possono leggere tutti gli altri. L'arte, come si vede, non è affatto indipendente. L'umanità detta: l'arte scrive. L'umanità va : rarte segue. Se dunque l'umanità sceglie il cristianesimo, allora sarà l'ideali­ smo a caratterizzare la sua arte. Che cosa è infatti il cristianesimo? La lotta dello spirito contro la carne, la disfatta della materia e il trionfo dell'invisibile. E che cosa è l'idealismo? Precisamente la stessa cosa, nel campo dell'arte. Ora, è questa la scelta che l'umanità ha fatta. Per secoli e secoli, la fede fu ritenuta essere la prima cosa della vita; il Cristo, l'ideale supremo, la sorgente sovrana del bello come della felicità; le pale d'altare, la rappresentazione del Salvatore, degli apostoli, del Para­ diso, si ritenne fossero il massimo dei piaceri ed il principale interesse del mondo. Ma dopo il divino, l'umano si fece strada. Il mondo protestò. Ci si stancò del cielo. Saziatisi di adorazione, i popoli cambiarono culto. Si svegliarono il bisogno di attività, il bisogno di passione, il bisogno di critica, in una parola, tutti i bisogni umani. Dopo la preghiera e l'estasi, venne la vita politica e sociale. Dopo il cielo, la terra. Dopo la fede in Dio, la fede nell'uomo. La vita positiva, dopo i sogni dell'a­ dolescenza. Dopo l'epoca in cui il Cristianesimo era tutto , l'epoca in cui esso è solo qualche cosa. Dopo la bordata dell'infinito (se ci è permesso richiamare questa immagine da noi altrove adoperata), la bordata del finito. Ovvero, per dire tutto in una sola parola, dopo

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l'u omo soprannaturale, l'uomo naturale. È questa la spiegazione del nat uralismo nell'arte cristiana: è il motto del secolo decimoquinto. No n v'è in ciò nulla di necessario? si tratta solo di una caduta, di apo stasia dell'umanità? No, v'è, di questo movimento, una spie­ na u gazi on e piu profonda, una spiegazione provvidenziale. Uno dei due principi regnava da solo; non v'era combattimento. Ad esso è stato suscitato un avversario. Questa simultaneità è destinata ad esaltare la dignità umana. Nel dominio dell'arte come in quello della religione, non è forse nella offerta di una scelta, nella possibilità di prendere una via o quella opposta, che consiste la nostra LIBERTÀ? Da questo punto di vista piu elevato, ritratteremo la parola ma­ ledire che altra volta ci accadde di pronunciare su quell'abbandono dell'ispirazione cristiana. Non si maledice piu, si può solo piangere. Una grave e santa . tristezza commuove il cuore riconoscendo che lo spirito è fragile e che il visibile trionfa; ma resta una consolazione austera, la speranza che lo spirito rinascerà. Decideremo nettamente la disputa su idealismo e naturalismo nell'arte cristiana? Ma sarebbe, lo abbiamo veduto or ora, come fare il processo all'umanità. Essa ha modificato le proprie credenze e cambiato il punto di vista, questo è certo . Si sbaglia, o vede piu giusto? È quello che ciascheduno deciderà. Noi affronteremo il problema sotto un altro aspetto. A ben ri­ flettere, si troverà forse la connessione del quesito che stiamo per porre con quello di cui ci stiamo occupando. La terra ha in se stessa il suo valore e il suo fine? O è soltanto un vestibolo,_ un'anticamera del cielo? A ciascuno la sua scelta. Nel primo caso, il naturalismo ha il suo fondamento filosofico, la sua base solida e incontestabile. N el secondo caso, è l'idealismo ad aver ragione, ad essere meglio fondato. Swedenborg ha detto una parola profonda: « L'uomo è sempre quale è l'oggetto del suo amore ,, _ Egli ha detto il vero, e per questo quelli che vivono con gli occhi levati al cielo, e quelli che per patria hanno la terra, non potranno mai intendersi appieno. L'uomo CE­ LESTE e l'uomo TERRESTRE sono antipatici l'uno all'altro, su ciò non v'è dubbio. C'è però, forse, un terzo partito, quello dell'uomo REALE, con i suoi slanci e le sue cadute, con il suo istinto divino e il suo istinto umano, che vorrà le due arti perché esse rispondono ciascuna a uno dei suoi bisogni; l'uomo reale, che, non potendo mantenersi sempre nel cielo né immergersi perennemente nella materia, passerà dall'una all'altra delle due arti, e farà alternativamente appello a ciascuna delle due; l'uomo che chiederà altri libri accanto a quelli religiosi, e altri argomenti accanto a quelli della fede, ma che saprà umilmente

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riconoscere in essi una concessione alla sua misera natura, e manterrà gli argomenti ed i libri religiosi nel rango superiore che ad essi è dovuto. (Essais critiques, Parigi, Bouvier, 1932. pp. 54-51).

SUL BELLO DELLA NATURA, NELL'ARTE, NELLA POESIA (1) ( ... ) Che mai sarebbe la natura senza la bellezza? il pensiero senza l'ideale? la vita senza l'arte, e l'umanità senza la poesia? Sarebbe un mondo senza gioia, senza grazia e senza amore. Sarebbe orribile. Grazie a Dio, il bello esiste, il bello che Ì:istora, che consola, che fortifica, che versa a torrenti · nel nostro essere giovinezza, elasticità, allegria; il- bello, questa benedizione della Provvidenza, ci attornia come un involucro o come un ·oceano, e tutte le creature non muti­ late, « che hanno intelletto », come dice in senso mistico il grande poeta fiorentino, sono chiamate a bere a questa sorgente · divina l'ammirazione, l'entusiasmo e la felicità. Ma quanti si distolgono da quelle acque perché non hanno questa sete celeste? Goethe sostiene addirittura che mentre tutti gli uomini sono organizzati per il bene, solo un piccolissimo numero di essi è organizzato per il bello. E Plotino ce ne addita, probabilmente, la causa, in questa sentenza immortale: « Solo perché è di natura solare, l'occhio può vedere il sole, e l'anima deve diventare bella essa stessa nella misura in cui vuole scorgere la bellezza » . Godere, però, non è sapere. Ora, la bellezza, l'ideale, l'arte, la poesia, questi fenomeni misteriosi, possono essi essere oggetto di scienza? Si, noi lo crediamo, al pari di ogni altra realtà. La scienza del bello è anche una scienza delle piii belle e delle piii vaste che vi siano. Ma se Socrate, d'accordo con un adagio greco, dichiarava che il bello è difficile, ancora piu malagevole è la scienza del bello. Difficile anche a farsi accettare è la scienza del bello: Il senti­ merito di quelli che godono dèl bello, l'immaginazione di quelli che lo producono. recalcitrano contro l'analisi e hanno ripugnanza della riflessione, per una diffidenza istintiva che assomiglia alla difesa , personale. La scienza del bello è difficile anche da far studiare; poiché questo studio richiede un'abnegazione, una serietà e un coraggio piu rari di quanto non siano l'epicureismo della sensazione, o la delica­ tezza della sensibilità. Essa ha per condizione una doppia cultura, o la ·(2) Dal saggio sull'opera dello stesso titolo di Adolphe Pictet, del quale Arnie) aveva seguito i corsi di estetica all'Università di Ginevra a partire dal 1840.

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delicatezza della sensibilità. Essa ha per condizione una doppia cul­ tura, nutrita di fatti e di meditazione, che non sempre si trovano accoppiati. Essa riisponde a un duplice bisogno, quello di sentire, cioè di" abbandonarsi, e di comprendere, cioè di dominare, non frequente a trovarsi in uno stesso individuo. Questa scienza è ancora piu difficile farla, poiché essa impone rudi privazioni e condizioni severe. Essa si rifiuta allo spirito arguto, questo arruffamatasse del pensiero, questo grande « corruttore del genio ,, (per ticordare una condanna pronunziata da Lamartine), questo profano amabile davanti al quale sempre si chiudono le porte segrete del santuario. Essa si rifiuta al filosofismo che, p.ella sua- im­ pertinente frivolezza, confonde i taglienti aforismi dell'aridità intel­ lettuale, rimasta al di fuori delle cose, con il paziente amore dei fe­ nomeni, il quale, per essere iniziato ai loro misteri, li abbraccia nella loro totalità e profondità. Essa esige l'equilibrio di due ordini di fa­ coltà fra loro poco compatibili nella loro natura e nel loro esercizio, quelle dell'artista e quelle del filosofo. Essa è possibile solo dopo un immenso accumulo di materiali comparativi, e dopo la formazione di una metafisica i cui principi siano abbastanza ricchi da poter rendere conto di questa porzione del re�le. Del resto come la teologia può nuocere alla pietà nelle anime deboli, nelle inenti imperfettamente organizzate, la scienza estetica può, riconosciamolo, comportare degli inconvenienti insieme con delle noie. Posto e accordato tutto ciò, la scienza del bello continuerà ad affermarsi con il suo diritto, con la sua utilità, con i fatti. Il diritto imprescrittibile del pensiero, è di rendersi conto di tutto e di se stesso; e di portare la sensazione, il sentimento, l'emozione, la pas­ sione fino alla chiarezza dell'intelligenza. Tutti coloro che vogliono gradualmep.te estendere la loro capacità di godimento, se' non fino alla totalità, almeno fino al piu grande insieme possibile di fenomeni di quest'ordine; tutti coloro che vorranno non soltanto sentire, ma giu­ dicare e dominare l'anarchia dei giudizi contraddittori ordinandoli dialetticamente; tutti quelli, infine, che vorranno innalzare il loro ideale e creare, con la sicurezza di essere in armonia con le leggi universali, cioè a dire, in fin dei conti, gli spettatori autentici, i critici autentici e gli autentici pro,duttori del bello, cercheranno in questa scienza la filosofia della loro pratica e ne iQ.dovineranno l'utilità. Infine, la qual cosa ci esime da ogni altra giustificazione, questa scienza c'è perché essa è inevitabile e risponde a un bisogno legittimo e ineliminabile dell'uomo. Sebbene sia il piu giovane di tutti i rami della filosofia, essa ha già dato origine a numerosi e magnifici lavori, dei quali sarebbe lunga la bibliografia completa, e la loro collezione

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costituirebbe una biblioteca speciale. Quanto al suo pubblico, esso sarà sempre facoltativo, come quello di ogni libera scienza, poiché una scienza altro non è che una risposta, e nulla ha da dire a chi nulla ha da domandarle; ma per chi ha in se medesimo dato il via al senso del bello e al senso filosofico, per le anime che, seguendo il consiglio di Plotino, cercano di diventare belle e vere per contemplare e con­ cepire la verità e la bellezza, questo studio non invecchierà giammai. L'estetica però, essendo vasta come la morale, per riavvicinare a sé tutti i lavori incompleti e tutte le vedute frammentarie, dovrà orga­ nizzare le proprie sanzioni, ordinare i propri piani, costituire la propria enciclopedia. Dovrebbe, per esempio, distinguersi interna­ mente in estetica generale e speciale, pura e applicata, induttiva e speculativa, storica e teorica, educativa, regolativa e tecnica ecc. E ciascuno di questi rami, derivato dal tronco centrale, potrebbe essere coltivato nella sua specificità, nel mentre che il loro insieme forme­ rebbe l'espandersi di una sola e unica dottrina, allo stesso modo che tutte le arti rientrano nell'arte, e tutte le forme nella forma, e tutte le famiglie di cittadini nello Stato. Il bello è un impero; o meglio, è un mondo. (Essais critiques. cit., pp. 179-186).

LA POESIA

È

ANTIEGOISTA ( * )

( . . . ) I dolori profondi e personali debbono . essere silenziosi, perché diventando opere d'arte guariscono. L'esercizio di un talento consola. E quando un padre che ha perduto la figlia può dire a se stesso: « Come bene ho espresso il dolore paterno, come ho pianto pateticamente )), egli manca di rispetto a colei di cui piange la per­ dita, introduce l'amor proprio nel dolore, lusinga se stesso sotto il pretesto del culto dei morti. La poesia del dolore soggettivo è pura e toccante solo quando è un monologo interiore, o al massimo un dialogo tra l'anima e Dio. Non appena essa convoca il pubblico, di­ venta vanitosa, e di conseguenza profana. Avviso a chi tocca. Sta attento a te stesso. La sfumatura è delicata, e la frontiera facile da passare. Anche nel lirismo piu individuale, il poeta deve avere un valore generale; egli esprime uno stato d'animo che può essere il suo, ma che deve essere anche quello di molti altri. Ogni poesia intima deve essere rappresentativa, cioè deve rendere e tradurre l'anima umana non già l'io del poeta. Il poeta deve essere il ( * ) Titolo mio (R. A.)

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po �tavoce dei lettori, e non già onorarli della sua persona. In termini sc olastici, egli deve oggettivare la sua soggettività o generalizzare i suoi casi particolari. La poesia è dunque antiegoista, e il padre che piange da poeta deve piangere a nome di tutti i padri incapaci di _ cantare come lui, ma capaci di sentire come sente lui. E necessario che nel poetare uno dimentichi se stesso e che ogni lettore non pensi a sé. È lui, il poeta lirico che deve farsi impersonale a forza di essere psicologicamente vero; e tocca al lettore di restar chiuso nello stretto cerchio del suo proprio sentimento. Il poeta è dunque l'uomo di tutti, colui che soffre, piange e canta con gli altri e per gli altri. Immaginate che in lui l'amor proprio dell'artista si possa ridurre a zero, e che egli non sia piu un uomo, ma l'uomo: sarebbe il poeta p erfetto. L'oggettività poetica, è la salute. Allo stesso modo che non ci accorgiamo delle nostre viscere se non quando sono malate, il vero poeta deve essere impersonale, e le sue sofferenze debbono essere puramente simpatetiche, altrimenti la sua poesia diventa meschina e morbosa. Egli assiste alla sofferenza che lo pervade, ma la attornia come il cielo sereno attornia la tempesta. La poesia è una liberazione perché è una libertà. Lungi dall'essere un'emozione, essa è lo spec­ chio di un'emozione; essa ne, sta fuori e al di sopra, tranquilla e se­ rena. Per cantare una pena, bisogna esserne se non guarito, per lo meno convalescente. Il canto · è un sintomo di equilibrio, una vittoria sul turbamento, il ritorno della forza. Il poeta è, per la sua propria vita, in piccolo, quello che Dio è per il mondo. Vi penetra con la sensibilità, ma nell'essenza lo domina. La sua natura è contemplativa e la sua attività non è che un mondo inferiore. Cantare è qualcosa di mezzo tra il pensiero e l'azione. L'arte è uri simbolo indebolito del­ l' opera del grande poeta, la Creazione. (Fragments d'ltn journal intime, intr. di Bernard Bouvier, Parigi, Stock, 1949, pp. 272-273). DEFINIZIONE DEL GUSTO (* *) ... Quello che si chiama gusto consiste nel non destare che delle idee consonanti con l'effetto che si vuole ottenere, che non disturbino l'impressione prodotta e possibilmente l'accrescano addirittura . Il gusto dunque sceglie accuratamente i colori, i suoni, le parole, le immagini, per evitare le dissomiglianze e tutti gli incontri fastidiosi; esso moltiplica gli armonici attorno alla nota fondamentale, le allu­ sioni impegnative attorno al motivo che le sviluppa. Il gusto, è il tatto (**) Titolo mio (R. A.)

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letterario. L'oratore, il poeta, il compositore procedono come il fio­ rista. Si tratta di creare il mazzo pio espressivo e piii. fascinoso. Ogni opera d'arte graziosa è quello che gli arabi chiamano un selam, un mazzo di fiori esprimente un significato, e ogni selam mira a per­ suadere . Il gusto è il metodo istintivo per piacere. (Fragmenls d'un journal intime, cit., p. 424).

APPARENZA E REALTÀ ( * * * ) Ho conversato oggi con la mia figlioccia intorno al trompe-l'mil, e, di conseguenza, sulla illusione poetica e artistica che non vuole essere confusa con la realtà. Il trompe-l'reil desidera ingannare la sensazione; l'arte autentica vuole soltanto incantare l'immaginazione, senza in­ gannare l'occhio. Quando vediamo un buon ritratto, diciamo: è vivo; in altre parole, gli prestiamo in soprappiii. la vita. Quando vediamo una figura di cera, proviamo una specie di terrore; quella . vita che non si muove ci fa un'impressione come di morte, e diciamo: è una fantasima, uno spettro. In questo caso, noi vediamo ciò che manca, e ne sentiamo l'esigenza; nell'altro caso, vediamo ciò che ci è dato e doniamo a nostra volta. L'arte si indirizza dunque all'immaginazione; tutto quello che non si indirizza che alla sensazione sta al disotto dell'arte, quasi fuori dall'arte. Un'opera di arte deve far lavorare in noi la facoltà poetica, indurci a immaginare, a completare la perce­ zione. E questo noi non lo facciamo che in imitazione dell'artista e dietro sua istigazi.one. La pittura-copia, la riproduzione realista, l'i­ mitazione pura ci lasciano freddi, perché il loro autore è una mac­ china, uno specchio, una lastra fotografica e non un'anima. L'arte non vive che di apparenze, ma queste apparenze sono vi­ sioni spirituali, sogni fermati per sempre. La poesia ci · rappresenta una natura diventata consustanziale all'anima, perché essa non è che un ricordo commosso, un'immagine vibrante, una forma senza peso, in breve 'un modo dell'anima. Le · produzioni piii. oggettive non sono che le espressioni di un'anima che sa oggettivarsi meglio delle altre, cioè che maggiormente si dimentica al cospetto delle cose; ma sono sempre l'espressione di un'anima; da qui ciò che si chiama lo stile. Lo stile può essere solo collettivo, ieratico, nazionale, quando l'artista è ancora l'interprete della comunità; esso tende a farsi personale a misura che la società si adatta all'individualità e desidera vederla in espansione. (** *) Titolo mio (R. A.)

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L'originalità è l'individualità dello stile, è il calco psicologico

degli oggetti che esso presenta, o piuttosto è la traccia involontaria del _ modellato re. (Frag"':erìts d'un journal intime, cit., pp. 433-434).

L'ESTETICA DEL PAESAGGIO ( * * * * ) Ogni paesaggio è uno stato dell'animo, e chi legge in entrambi si

stup irà di trovarli cosi simili in ogni particolare. La vera poesia è piii. vera della scienza, perché essa è sintetica e coglie a primo colpo Ciò che la combinazione di tutte le scienze potrà al massimo raggiungere

in ultimo come risultato. L'anima della natura è indovinata dal poeta, il dotto non farà altro che accumulare i materiali con cui dimostrarla. Il primo resta nell'insieme; il secondo vive in una regione · partico·

lare. L'anima del mondo è piii. aperta e intelligibile per l'ani�p.a indi­ viduale: essa ha piii. spazio e tempo e forza per manifestarsi. (Fragments d'un journal intime, cit., p. 76).

(** **) Titolo mio (R. A.).

JOHN RUSKIN

John Ruskin nacque in Londra, nel 1819, da John James Ruskin, titolare della ditta Ruskin, Telford e Domecq, specializzata nell'importazione di vini spagnoli e portoghesi, e da Margaret Cox, cugina del marito, del quale era piu anziana di quattro anni. Entrambi i genitori professavano la religione presbiteriana ed in po­ litica erano conservatori. John James, il padre, pur essendo un accortissimo com­ merciante, amava la letteratura, i viaggi, la pittura romantica; e queste sue predi­ lezioni trasmise all'unico figlio: il quale imparò a leggere e scrivere da solo, avanti l'età scolare; a dieci anni aveva già composto numerose poesie; e a undici anni cominciò a studiare privatamente il latino e il greco. Un viaggio in Svizzera, at­ traverso la Renania e la Foresta Nera, fece conoscere al tredicenne John il pae­ saggio alpino, che doveva essere un suo grande amore di tutta la vita, e doveva suggerirgli pagine infocate contro la violenza usata alla natura dalla mercantilizza­ zione turistica. Altro oggetto dei suoi entusiasmi estetici doveva essere Venezia, città nella quale egli si recò per la prima volta all'età di sedici anni, nel 1835. Ipersensibile, solitario, impacciato piu di quanto normalmente non lo siano tutti i figli unici, John Ruskin doveva conoscere ben presto le pene dell'amore malamente espresso e per nulla corrisposto, innamorandosi a diciassette anni di Adele Domecq, figlia di un contitolare della ditta paterna; la qual cosa non gli impedi di iniziare gli studi presso il Christ Church College di Oxford, e di ricevere qualche premio letterario, e di cominciare la sua attività di critico d'arte come studioso della pittura di Turner. All'età di diciotto a,nni, nel 1837, pubblicò a puntate sul · « London's Architectural » gli articoli sulla Poesia dell'Architettura (The Poetry of Architecture; il loro titolo originario era: lntroduction to the Poetry

of Architecture; or The Architecture of the Nations of Europe considered in its Association with Natural Scenery and National character; ed erano firmati con un emblematico pseudonimo grecizzante: Kata Physin, Secondo Natura), che dove­

vano poi esser raccolti in volume e pubblicati per un editore americano nel 1873. The Poetry of Architecture si divide in due parti. La prima, di sei capitoli, The Cottage: è dedicata allo studio delle case di campagna, in montagna e in pianura, come si presentano in Inghilterra, Francia, Svizzera e Italia - ed il suo concetto teorico fondamentale, dimostrato con abbondanza di argomenti e con illustrazioni di mano dell'autore (oggi preziose: anche perché i loro modelli sono stati quasi tutti distrutti dalla tecnologia e dall'urbanizzazione) era quello (contro cui, magari ap­ pellandosi ad altri aspetti del pensiero di Ruskin, dovevano nel nostro secolo po­ lemizzare le estetiche funzionaliste e razionaliste), secondo il quale « il materiale che in ogni contrada è fornito dalla natura, e la forma, che la natura suggerisce, renderanno sempre bellissimo l'edificio che grazie a loro sarà il piu adatto al luogo e il piu rispondente allo scopo ». Nella seconda parte, che consta di sette capitoli, tre di essi erano dedicati alla villa italiana, studiata soprattutto nell'Italia setten­ trionale (ed una lunga nota a pie' di pagina apposta al paragrafo 103 può esser considerata uno dei piu rigorosi e compiuti esempi di critica estetica del paesaggio

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italiano nel suo carattere unitario e nei suoi differenti aspetti), e i rimanenti quattro erano dedicati allo studio delle ville inglesi, secondo la diversa figura che esse ac­ quistavano rispettivamente nelle zone coltivate, nelle zone boschive, nelle zone collinari: con pagine esemplari, anche qui, in quanto testi di critica estetica rigorosa del paesaggio naturale. Nella introduzione, inoltre, Ruskin enunciò per la prima volta uno dei principi che dovevano stare al centro di tutte le sue teorie sull'ar­ chitettura: « nessuno può essere architetto se non è un metafisico » ( « no man can be- an architect, who is not a metaphysician >> ) . La delusione per essere stato respinto da Adele Domecq, e la salute malferma, dovevan o costringere Ruskin, nel 1840, ad interrompere gli studi per un lungo soggiorno in Italia e nelle Alpi; al ritorno dal quale (1842), egli consegue in Oxford il titolo di Bachelor of Arts (laureato in lettere: un grado meno di « dottore » ) e scrive il primo volume dei Modern Painters, pubblicato nel 1843. Anche questo libro contiene osservazioni critico-teoriche sul paesaggio naturale, dello studio estetico del quale Ruskin si può considerare il fondatore; e dal recente, lungo soggiorno alpino gli furono suggerite le considerazioni sulla neve perenne che si leggono in alcuni paragrafi ( si risolve in una pura assur­ dità. In un'organizzazione comunista della società in ogni caso cessa la sussunzione dell'artista sotto la ristrettezza locale e nazionale, che deriva unicamente dalla divisione del lavoro, e la sussunzione del­ l'individuo sotto questa arte determinata per cui egli è esclusivamente un pittore, uno scultore, ecc.: nomi che già esprimono a sufficienza la limitatezza dalla divisione del lavoro. In una società comunista non esistono pittori, ma tutt'al piii uomini che, tra l'altro, dipingono. (L'ideologia tedesca, tr. it., Roma, Editori Riuniti, 1958, p. 395).

NICOLA! GAVRILOVI C C ERNYSC EVSKI Nicolai Gavrilovic Cernyscevski nacque nel 1828 a Saratov. Figlio di un ec­ clesiastico, venne avviato alla carriera paterna, e cominciò gli studi nel seminario della sua città natale. Uscito dal seminario nel 1846, si iscrisse alla Facoltà filologica dell'Università . di Pietroburgo, trasferendosi definitivamente in · quella città nel 1853, insieme con la moglie Olga, da lui sposata due anni prima. All'Università di Pietroburgo Nicolai Gavrilovic consegui la laurea, nel 1855, con la tesi in �itolata Rapporti fra l'arte e la. realtà nell'estetica, opera nella quale il giovane Cernys: cevski si rivelava pensatore originale e acuto, oltre che attento e dottissimo cono­ scitore della filosofia classica tedesca - di Hegel, soprattutto, che dopo averlo letto nelle traduzioni russe, egli aveva avuto modo di studiare nel testo originale. Di quelle letture, decisive per la sua formazione, scriverà egli stesso nella Prefazione alla terza edizione di Rapporti fra arte e realtà nell'estetica; opera che appena pubblicata nel 1855 incontrò l'interesse di larghe cerchie di lettori e nel 1865, mentre l'autore era in esilio, venne edita per la seconda volta, con un suc­ cesso ancora piii grande, cui non fu estranea (oltre al valore intrinseco che quello studio, con i suoi non pochi limiti, indubbiamente possiede), anche la simpatia per la nobilìà umana dell'autore, religiosamente votatosi alla causa della rivoluzione, e la stima che anche i suoi avversari letterari e filosofici, come Dostoevskij dovevano attestargli in piii di un'occasione. Scriverà dunque Cernyscevski nel 1887 (lo scritto però doveva vedere la luce solo nel 1906, poiché la terza edizione del libro a cui esso faceva da prefazione, e èhe era stato . liberamente stampato mentre l'autore scontava una condanna in Siberia, venne invece proibita nel 1888, e poi autorizzata nel 1906) che quando egli, diciottenne; si trasferi da Saratov a Pietroburgo, co­ minciò a leggere Hegel nel testo tedesco; ed aggiunge che nell'originale Hegel « gli . piacque assai meno di quanto .si aspettasse nelle traduzioni russe ». giacché « i se­ guaci russi di Hegel ne avevano esposto il sistema ispirandosi alla sinistra della scuola hegeliana ,;, mentre, letto nei testi « Hegel si rivelò simile piii ai filosofi del XVII secolo e persino agli scolastici », e dunque di « palese inutilità nell'elabora­ zione di un pensiero scientifico » ( 1) . Ancor piii decisiva (cosi eglj stesso racconta in quella stessa prefazione), dove,va invece essere per il giovane Cernyscevski la lettura delle opere di Feuerbach, compiuta intorno al 1852; e proprio all'intento di esporre « le idee sull'arte, e in particolare sulla poesia, che gli erano sembrate deducibili dalle concezioni di Feuerbach » ('J doveva egli ispirarsi nel preparare la sua tesi di laurea, destinata a diventare il testo teorico fonda,!Dentale per l'estetica dell'umanismo materialista; della quale senza alcun dubbio Cernyscevski rimane uno dei teorici piii autorevoli. « Come Feuerbach av�va dimostrato che la religione era costituita dall'alienazione dell'essenza umana che veniva trasposta in un sopramondo illusorio, e aveva voluto ·

( 1) Prefazione alla terza edizione, in: Arte e realtà, a cura di l. Ambrogio, Roma, 1954, p.70. (2) Ibidem.

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ricondurre tale essenza in potere dell'uomo, cosi anche Cernysèevski intese dimo­ strare nella sua dissertazione [. . . ] che l'arte non possedeva un'esistenza indipendente in un iperuranio posto ad una certa altezza al disopra di questo basso mondo, ma che al contrario essa derivava la sua esistenza e traeva i suoi concetti dalla vita stessa, e in sostanza quindi coinci�eva con essa >> (l). La dissertazione di laurea di Cernysèevski, proprio in quanto teorizzava l'arte come un dato secondario nel divenire della realtà, e dichiarava che « l'estetica può presentare un certo interesse per il pensiero, perché la soluzione dei suoi problemi dipende dalla soluzione di altre questioni piii interessanti >> ( 4), nel mentre si col­ locaya all'inizio di un movimento che poteva portare (sia pure contro le intenzioni di Cernysèevski stesso) alla negazione dell'estetica, anzi dell'arte, come doveva proclamarla, nel 1862, il personaggio di Bazarov nel romanzo Padri e Figli di Turgenev, era inevitabile preludesse al congedo dell'autore dagli stud_i di estetica teorica. E se, proprio in base ai concetti enunciati in quel suo saggio, Cernysèevski doveva dedicarsi alla critica letteraria ed alla narrativa, è stato rilevato da tutti gli specialisti, indipendentemente dalle loro personali convin �ioni filosofico-estetiche e dalle loro preferenze politiche, che la critica letteraria di Cernysèevski è una critica che studia la letteratura in relazione agli effetti che essa produce sulla vita soCiale; e questa constatazione · può facilmente essere documentata quando si l!!ggano certi passi del saggio su Lessing nella storia del popolo . tedesco che Cernysèevski pubblicò a punt;lte sulla rivista « Il Contemporaneo >> a partire dal 1856, cioè ·su­ bito dopo la pubblicazione della sua opera teorica - « ... la letteratura tedesca dell'ultima metà del secolo passato e dell'inizio dell'attuale deve essere considerata soprattutto dal punto di vista della sua influenza sulla storia del popolo tede­ sco . . . >> (-i) - oppure certi passi dei saggi, pubblicati anch'essi nel « Contempora­ neo » negli anni successivi • alla laurea, Sul periodo gogoliano della letteratura russa: cc Gogol [.. . ] è tra quegli scrittori, l'amore per i quali esige al contempo un consumo dell'anima, perché la loro attività è al servizio di una determinata ten­ denza delle aspirazioni morali [. . . ] Molto debbono a Gogol coloro che necessitano di una difesa, egli si è eosto alla testa di chi combatte il male e la piatta trivia­ lità . . . » (6). Quanto al .Cernysèevski narratore, autore di un solo romanzo, Che fa· re?, chiunque lo abbia letto (sia pure nella traduzione datane a suo tempo da Fe­ derico Verdinois, o in quella, piii recente, di Ignazio Ambrogio), non potrà non riconoscere la sostanziale esattezza di quanto su quel libro, che applica si può dire puntualmente i concetti fondamentali dell'estetica cernyscevskiana è stato scritto da uno slavista di grande autorità: > (Il) - sicché attraverso l'applicazione all'estetica delle teorie di Feuerbach sulla religione, egli si doveva proporre di capovolgere la tesi hegeliana, e mostrare che non il bello naturale sarebbe un riflesso del bello ap­ partenente allo spirito, un modo imperfetto, incompleto, ma al contrario è la bel­ lezza artistica ad essere un riflesso del bello naturale, un modo che rispetto a quello del bello naturale rimane, esso si, imperfetto e incompleto.. Ed in questo bisogno di riscattare la bellezza della natura, di giustificarla filosoficament� va forse identifi­ cata una delle esigenze fondamentali dell'estetica realista di Cernyscevski: nella quale, almeno per quanto riguarda una delle esigenze che la sollecitarono, può esser lecito vedere non una negazione del giudizio estetico, ma il tentativo di dare ad esso una fondazione oggettiva e scientifica, nel contesto di una filosofia materialisti­ ca ( 1 1 ) . Una completa esposizione della propria maniera di concepire il bello naturale, Cernyscevsky la formulò in uno scritto intitolato Sguardo critico sulle concezioni estetiche, rimasto inedito in vita dell'autore, ma pubblicato postumo nel 1924; che dalla dissertazione di laurea, con la quale ha in comune i concetti fondamentali, si differenzia in quanto !- una parte dedicata alle dottrine estetiche genericamente idealiste (nella quale Cernyscevski dà prova di ben conoscere il pensiero estetico del Settecento europeo: e non solo quello dei filosofi, ma anche quello di Winc­ kelmann, di Goethe) succede l'esposizione delle personali vedute dell'Autore, in­ centrata, appunto, sul bello naturale come espressione della vita gioiosa, piena ricca (12) - esposizione che tratta successivamente della bellezza umana ( 13) , della bellezza del regno animale ( 1�) . della bellezza del regno vegetale (15). E pro _erio nell'esposizione di questi concetti emerge l'altra esigenza da cui l'estetica di Cer•

(10) HEGEL, Estetica, tr. Merker-Vaccaro (1963), Torino, 1972, p. 7. Ma sulla relativa indifferenza di Hegel per le bellezze naturali sj legga quanto scrive (Vita di HPI{el. tr. Bodei, Firenze, 1966, pp. 64-65) K. Rosenkranz, autore che Cernyscevski conosceva (almeno a quantn risulta dalla Prefazione del 1887; ma non è escluso avesse egli letto l'opera del Rosenkranz, pubblicata nel 1844 e che recava in appendice il diario di Hegel sul viaggio nelle Alpi bernesi compiuto nt'l 1796, già al tempo in cui redigeva i Rapporti fra arte e realtà nell'estetica). • ( " ) Sul rapporto arte-natura nel pensiero estetico di Cernyscevski, si vedano le osservazioni cri­ tiche del Pacini: « egli [ ... ) giustappone il concetto dell'arte come copia (inferiore all'originale) e sur­ rogato della realtà, al . concetto di arte come interpretazione e giudizio della realtà stessa. quindi come prodotto essenzialmente umano e qualitativamente 'diverso e incommensurabile con la realtà oggettiva >> (La grande stagione, cit., p. 79). Arte e realtà, cit., p. 50. « Dalle nostre osservazioni risulta chiaramente che per noi la bellezza umana è ciò in cui vediamo un'espressione della vita e, in particolare, di quella vita che ci affascina, di quella vita verso la quale ci sentiamo inclinati » (ivi, p. 54). ( l�) ( 1 ') . Non dobbiamo però sopravvalutare codeste ingenuità del pensiero estetico di Cernyscevski, che sono una conseguenza diretta della sua aspirazione a trovare bellezza nella realtà materiale in quanto tale e cioè, se vogliamo adoperare esten­ sivamente e per analogia dei vocaboli kantiani, della sua aspirazione a teorizzare il giudizio estetico come giudizio determinante e non come giudizio riflettente ( 1� . E del resto, in Rapporti fra arte e realtà (di cui lo sguardo critico può esser consi­ derato, a pari titolo, uri abbozzo preparatorio . o un tentativo di sviluppo e insieme di popolarizzazione) tutta la tematica che ora abbiamo sfiorata viene trattata con maggior sobrietà e finezza espositiva: nonché (per quanto, non conoscendo la lingua russa, è dato giudicare sulle traduzioni) con maggiore freschezza di scrittura: « È assolutamente superfluo addentrarsi in dimostrazioni minuziose dell'idea che nel regno animale sembra bello all'uomo l'oggetto' che esprime, secondo un concetto antropomorfico, una vita fresca, piena di salute e . di vigore ( ... ). Non occorre neppure dimostrare che nelle piante apprezziamo la freschezza del colore, la vi­ vacità, la varietà delle · forme, che rivelano mia vita fresca, ricca di vigore (...). Ritengo inutile dimostrare in modo particolareggiato per i diversi regni della na­ tura, l'idea che il bello è la vita e in primo luogo la vita che ricorda l'uomo e la vita umana ( ... ) il bello, in tutti i campi della realtà, la quale diventa agli occhi del­ l'uomo bella solo come allusione al bello presente in lui e nella sua vita è la vita stessa ... >> (l'l). E quando le leggjamo avendo in mente queste premesse, possiamo capire certe considerazioni che Cernyscevski scrisse nel 1854, in una recensione alla traduzione russa della Poetica di Aristotele curata da Boris I vanovic Ordynski: nella quale si legge una riabilitazione della condanna platonic� dell'arte, che for­ nisce una delle chiavi per intendere la critica letterària di Cernyscevski (t- _poi quella del suo discepolo Dobroliubov) , in quanto basata, per il modo comt• Cer­ nyscevski l'interpreta, su una considerazione della scienza e dell'arte « non sotto l'aspetto scientifico e artistico ma sociale e morale )) e�•

.•.

(1b) Ib., p. 55. ') Ibidem. Subito dopo si legge: « In breve, negli animali apprezziamo un corpo pieno e forme ben proporzionate. Perché? Perché in esse scopriamo un 'affinità con l'espressione della vita fiorente dell'uomo, che si esprime nella pienezza e nell'armonia delle forme » . E si tengano presenti certe acute osservazioni del Pacini: « il pensiero estetico rifiutava ogni tentativo di distaccare l'arte dalla r�altà, riv!'ndicando - in formule talora un po' anguste - la stretta dipendenza della prima dalla seconda ( ... ) Cemysèevski porta nelle proprie concezioni una conseguen­ zialità un po' arida e talora scolastica che conferisce al suo pensiero una certa unilateralità e monotonia » (La grande stagione, cit., pp. 76-77). ( l'l) Ibidem, pp. 86-87 . (20) Sulla « poetica » di Aristotele. i,!' Arte e realtà, cit., p. 9. Da questa lettura di Platone segue il carattere fondamentale dell'estetica di Cernysèevski, nella quale (facciamo nostra la perfetta formu-

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Se bellezza è la vita stessa, bellezza dell'arte, in quanto riflesso della .bellezza reale, sarà la vita che essa rappresenta e incrementa; e valore dell'arte sarà non la bellezza, ma il servizio utile che essa rende alla vita. Ideale della vita umana, scrive Cernysèevski, fu, per Platone, > . Ecco un argomento veramente inconfutabile [se­ condo la scuola hegeliana e molte altre scuole filosofiche], che hanno assunto l'assoluto a criterio non solo della verità teorica, ma anche delle tendenze pratiche dell'uomo. Ma questi sistemi si sono già di­ sgregati ed hanno ceduto il posto ad altri sistemi, sviluppatisi da essi in forza di un processo dialettico interno, ma che intendono la vita in modo assolutamente diverso. Ci limitiamo qui ad indicare l'inconsi­ stenza filosofica della concezione da cui è derivata la subordinazione di tutte le tendenze umane all'assoluto e scegliamo per la nostra cri­ tica un diverso angolo visuale, piii pertinente alle nozioni puramente estetiche, affermando che, in generale, l'attività dell'uomo non tende all'assoluto; anzi non lo conosce affatto, si propqne fini diversi, pu­ ramente umani. Il senso e l'attività estetici sono, sotto questo aspetto, del tutto affini agli altri sensi e attività dell'uomo. Nella realtà non troviamo nulla di assoluto; non possiamo pertanto desumere dall'e­ sperienza l'impressione prodotta su di noi dalla bellezza assoluta; ma sappiamo almeno dall'esperienza che similis simile gaudet, e che quindi noi, esseri individuali, incapaci di superare i nostri limiti in­ dividuali, apprezziamo molto l'individualità, la bellezza individuale, che non può superare i suoi limiti individuali. Ogni ulteriore argo­ mentazione è superflua. Bisogna aggiungere soltanto che l'idea del carattere individuale della genuina bellezza è stata elaborata dallo stesso sistemà di concezioni estetiche, che non considera l'assoluto coine criterio del bello. Dall'idea che l'individuale costituisce il tratto essenziale del bello risulta necessariamente la tesi che il criterio del­ l'assoluto è estraneo al campo del bello; conclusione che contraddice

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la concezione fondamentale di questo sistema. Simili contraddizioni, non sempre evitate dal sistema di éui stiamo parlando, hanno la loro fonte nella combinazione, propria del sistema, di conclusioni geniali tratte dall'esperienza e di tentativi altrettanti geniali ma intimamente inconsistenti di subordinare tutte queste conclusioni ad una conce­ zione aprioristica che spesso le contraddice. (Rapporti fra arte e realtà nell'estetica, tr. cit., pp. 113-126).

DOBROLIUBOV E LA NEGAZIONE DELL'ESTETICA Delle diverse e talora contrastanti esigenze dalle quali fu sollecitato il pensiero . di Cernyscevski, la sola che doveva avere un futuro fu quella che nel giudizio sull'arte sostituiva alla categoria del bello la categoria dell'utile - inteso l'utile come utilità sociale: dal quale concetto « dipende quello di un'arte spiegatrice della vita, nel senso che l'artista non riproduce soltanto la vita, ma, spiegandola, dà il suo giudizio sui fatti della vita stessa >> ( l) . Dileguava invece la passione per la bellezza (come bellezza reale, bellezza della vita, da raggiungere per mezzo dell'arte, ma non dell'arte soltanto); e addirittura dimenticata doveva essere la problematica riguar­ dante il bello naturale, nel suo triplice aspetto di bellezza umana (socialmente condizionata nei suoi ideali), di bellezza del regno animale e di bellezza paesistica, avente come protagonista la vita che si esprime nel regno vegetale: una tematica di cui abbiamo visto quale e quanta importanza avesse avuta nella genesi del pensiero cernyscevskijano: del quale, nonostante le ingenuità che viziano la sua trattazione, essa costituisce forse l'aspetto oggi piu vivo. Si tratta però di un'esigenza alla quale non. pare fosse sensibile il piu immediato contin!latore e in un certo senso discepolo di Cernyscevski, Nicolai Alexandrovic Dobroliubov; il quale anche viaggiando in Italia (paese che egli amò moltissimo) sembra facesse unicamente attenzione (e con singolare acutezza, dal punto di vista della democrazia radicale) alle vicende poli­ tiche - almeno a quanto risulta dalla pur interessantissima Lettera da Torino del 1861 (2): leggendo la quale vien fatto di pensare che se al posto di Dobroliubov si fosse trovato Cernyscevski, non minore sarebbe stata l'attenzione alle circostanze politiche, ma ad essa si sarebbero aggiunte considerazioni sull'aspetto della città, i suoi colli, il suo fiume, redatte nello spirito di certe pagine di Rapporti fra arte e realtà e dello Sguardo critico sulle concezioni estetiche. Non per nulla, del resto, Turgenev pare si sia ispirato alla figura e alle idee di Dobroliubov (e piu ancora, forse, a quelle del suo continuatore oltranzista, Pisarev) nel cr�are la figura di Bazarov, il rivoluzionario nobilmente fanatico, convinto seguace del materialismo di Biichner (di cui anche è ernyscevski era sostenitore), che professa una totale avversione per l'arte e per la contemplazione della bellezza naturale ('). Nicolai Alexandrovic Do�roliubov nacque a �ishni-Novgorod nel 1836. Figlio di un ecclesiastico al pari di Cernyscevski, come Cernyscevski ·iniziò i suoi studi in seminario, per poi iscriversi all'Università di Pietroburgo. Da studente fondò un giornale clandestino, che ebbe larga diffusione, e vi pubblicò i primi scritti, che _ attirarono su di lui l'attenzione di Cernyscevski; il quale, nel 1857, lo invitò a ( l) E. Lo G.HTO, L'estetica e la poetica in Russia, Introduzione, cit., p. 15. Tr. it. in: Il pensiero democratico russo del XIX secolo. cit.. pp. 210-248. (1) Si veda: Padri e figli. cap. X: « ... Noi agiamo in forza di ciò che riconosciamo per utile, disse Bazarov. - Presentem> (l Nella recensione a Umiliati e Offesi, del resto, è possibile leggere in nuce le teorie estetiche professate da Dobroliubov: « . .. ormai la misura delle nostre esi­ genze cambia: l'autore può non dar nulla all'arte, non fare un passo m�lla storia della letteratura propriamente detta, e tuttavia essere per noi importante per l'in­ dirizzo fondamentale e il significato delle sue opere. Che egli non soddisfi le esi­ genze artistiche, che egli fallisca qualche volta, che non si esprima bene: noi non facciamo piu caso a questo, siamo tuttavia disposti a ragionare molto e a lungo su di lui, purché il senso delle sue opere sia per qualche ragione importante per la società .. . » ( 1') . Sono concetti che doveva!lo essere ripresi, quasi alla lettera, intorno alla metà del nostro secolo, da Andrei Zd!lnov, il quale dichiaratamente si profes­ sava erede della critica e delle teorie di Cernyscevski e di Dobroliubov (). Ed il teorico che doveva po�tarli a formulazioni piu estreme, in polemica talvol la f·on gli stessi Dobroliubov e Cernyscevski, fu Dmitri lvanovic Pisarev.

Bibliografw essenziale. - Delle opere di Dobroliubov e su Dobroliubov pubblicate fino al 1944, si veda: E. Lo GATTO, Storia della letteratura russa, cit., p. 262. Del Lo Gatto, da tener sempre presente L'estetica e la poetica in Russia, cit.,

(�) PACI\ 1. La grande stagione della critica letteraria russa, cit., p. 96. ( :;) N. A. DoBROLirBm·, Gente dimenticata, in: Il pensiero democratico russo del XIX secolo, cit .• p. 250. I nomi degli autori tra parentesi quadra, a p. 249. (1') Ib., p. 267. ( ;) Un tipico esempio di sviluppo e applicazione dei concetti estetico-critici dobroliuboviani lo possiamo trovare nel notissimo giudizio dello :ldanov sulla poesia di Anna Achmatova (1946) : « . . . Queste opere possono soltanto seminare lo sconforto, la demoralizzazione. il pessimismo, l'aspira­ zione a evadere dai problemi essenziali della vita sociale, ad abbandonare l'ampia via della vita e delle attività sociali per il ristretto mondo delle esperienze individuali » (Rapporto sulle riviste « Zviezda » e « Leningrad », in: A\DREJ :l D.\\01-. Politica e ideologia, Roma, 1950, p. 71).

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16. Traduzioni italiane posteriori a quelle indicate dal L o GATTO: Gente di­ menticata, in: Il pensiero democratico russo del XIX secolo, cit.; Che cos'è l'oblo­ movismo? seguito da Quando verrà il vero giorno?, a cura di l. Ambrogio, Milano, 1952; Che cos'è l'oblomovismo?, tr. di G.L. Pacini, in: La grande stagione della critica letteraria russa. p.

SUL MODO DI LEGGERE LE OPERE LETTERARIE ( ... ) Rinunciamo alla funzione di « educatori del gusto estetico del pubblico », per scegliere un altro compito, piii. modesto e piii. ade­ guato alle nostre forze. N oi vogliamo soltanto compilare il bilancio dei dati sparsi nell'opera dello scrittore e da noi considerati come un fatto compiuto, come un fenomeno della vita, presente davanti a noi. È un lavoro poco scaltro, ma necessario perché, a causa della troppa fatica e del troppo riposo, di rado qualcuno pensa ad analizzare un'opera letteraria in tutti i suoi dettagli, ad elaborare, verificare e collocare al proprio posto tutte le cifre, da cui risulta costituito questo complesso resoconto su uno degli aspetti della nostra vita so­ ciale, e a riflettere inoltre sul totale, alle promesse e agli impegni che comporta per noi. Una verifica e una riflessione di tale genere non sono del tutto inutili a proposito del nuovo racconto del signor Turghienev (�Sappiamo che gli esteti puri ci accuseranno immediatamente dell'intenzione di imporre le nostre opinioni all'autore e di prescri­ vere determinati còmpiti al suo talento. Difendiamoci, dunque, seb­ bene ciò sia molto noioso. No, noi non imponiamo nulla all'autore e affermiamo subito di ignorare con quale scopo e in seguito a quali considerazioni preliminari egli abbia narrato la storia, che costituisce il contenuto del racconto: « Alla vigilia ,, _ Per noi ciò che l'autore ha voluto esprimere importa meno di ciò che egli ha espresso, anche senza intenzione, solo riproducendo veridicamente i fatti della vita. Noi apprezziamo ogni opera di talento proprio perché in essa pos­ siamo studiare i fatti della nostra vita nazionale, che è altrimenti cosi poco aperta allo sguardo dell'osservatore comune. Nella nostra vita non è esistita finora un'opinione pubblica oltre a quella ufficiale; dappertutto incontriamo non uomini vivi, ma persone ufficiali, im­ piegate in questo o in quell'ufficio: negli uffici troviamo gli scrivani; nelle sale da ballo i danzatori, nei clubs i giocatori di carte; nei teatri i clienti dei parrucchieri, ecc. Ciascuno nasconde nel profondo la sua (") Si tratta del romanzo Alla vigilia pubblicato nel 1860, e di cui Dobroliubov scrisse critica· mente col saggio Quando dunque verrà il vero giorno? (pubblicato nella rivista « Il contemporaneo ») di cui si riportano qui gli enunciati teorici fondamentali.

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vita spirituale; ciascuno vi guarda come se volesse dire: « Sono venuto qui per ballare e per mostrare la mia pettinatura; contentati dunque di sapere che mi comporto cosi, non cercare di conoscere i miei sentimenti e le mie idee ,, _ E in realtà, nessuno studia gli altri, né si interessa dei suoi simili e tutta la società si disperde, ciascuno va per suo conto, accettando di 'malanimo la necessità di incontrarsi in oc­ casioni ufficiali, quali la prima di un'opera, un banchetto o la seduta di un qualsiasi comitato. Ma come può conoscere la vita un uomo che non si è dedicato esclusivamente all'osservazione dei costumi sociali? E inoltre, quale varietà e quali contrasti talvolta nei diversi ambienti e classi della nostra società! Idee, divenute piu banali e passate di moda in un ambiente, sono ancora discusse con passione in un altro; ciò che alcuni considerano inadeguato e debole, sembra ad altri troppo violento e ardito, ecc. Per sapere ciò che declina, ciò che vince, ciò che incomincia a consolidarsi e a dominare nella vita morale della società, abbiamo un solo indice: la letteratura e, so­ prattutto, le opere d'arte; Lo scrittore-artista, pur non traendo con­ clusioni generali sullo stato del pensiero e della morale sociali, riesce sempre ad afferrare i tratti essenziali, ad illuminarli chiaramente e a porli sotto gli occhi degli uomini che riflettono. Per questo riteniamo che, quando in uno scrittore si rivela il talento, ossia la sua capacità di sentire e di rappresentare la verità dei fenomeni d�lla vita, le sue opere ci forniscono, proprio in forza di questo riconoscimento, un motivo legittimo per discutere sull'ambiente e sull'epoca che hanno ispirato all'autore questa o quell'opera. E la misura del talento dello scrittore sarà data, in tale caso, dall'ampiezza di rappresentazione della vita, dalla plasticità e pienezza dei personaggi da lui creati. Abbiamo ritenuta necessaria questa premessa per giustificare il nostro metodo, che consiste nel discutere dei fenomeni della vita stessa sulla base dell'opera letteraria, senza peraltro imporre all'autore idee e compiti predeterminati. Il lettore vedrà che per noi sono im­ portanti proprio quelle opere, ìn cui la vita si è manifestata da sé e non secondo il programma impostole in precedenza dall'autore. (Che cma è l'oblomo•·ismo? seguito da Quando dunque verrà il vero giorno?. Milano, Universale Economica. 1952. pp. 64-66).

DIMITR l IVANOVIC PISAR:E;V Dimitri lvanovic Pisarev nacque nel 1840 e mori a Riga ventottenne, forse suicida, per annegamento, il 4 luglio 1868. Cominciò a scrivere quando era ancora studente, e continuò fino alla morte, non interrompendo la propria collaborazione a riviste, con articoli filosòfici e letterari, neppure durante i quattro anni di pri­ gione scontati nella famigerata fortezza di Pietro e Paolo, dal 1862 al 1866. La pubblicazione dei suoi scritti raccolti in volume fu possibile soltanto (e incompleta) nel 1894; ma un'edizione completa doveva essere autorizzata non prima del 1907. Le teorie estetiche di Pisarev furono esposte nel saggio intitolato La distruzione dell'estetica, che egli pubblicò nel 1865 (cioè mentre si trovava in prigione), sulla rivista �TI, La Beata Riva, Milano, 1900 (Appendice, L'Arte delle Muse, ed ivi, a guisa di prefazione, Dell'Arte della Critica e del Fer­ vore, di Gabriele D'Annunzio).

LA BELLEZZA , L'ARTE, LA " CRITICA

»

Parecchi tentativi furon fatti, da scrittori di cose d'arte e di poesia, per definire la bellezza in astratto, per esprimerla nei termini piu generali, per trovare qualche universale formula di essa. Ma il valore di questi tentativi fu assai spesso riposto nelle cose suggestive e penetranti incidentalmente dette. Discussioni siffatte ci aiutano poco a godere di ciò che è ben operato nell'arte e nella poesia, a discernere fra quel che è piu e quel che è meno eccellente in esse, o ad usare parole, come bellezza eccellenza arte poesia, con significato piu preciso di quello che potrebbero altrimenti avere. La bellezza, come tutte le altre qualità offerte all'esperienza uma:pa, è relativa; e la sua definizione diventa insignificante ed inutile in proporzione della sua astrattezza. Definire la bellezza, non nei piu astratti ma nei piu concreti termini possibili; trovare, non la sua formula universale, ma la formula che piu adeguatamente esprima questa o quella sua spe­ ciale manifestazione: questa è la finalità del vero studioso di estetiche. « Vedere l'oggetto qual' è realmente in se stesso )) fu ben detto essere il fine d'ogni vera critica; e nella critica estetica il primo passo verso la visione di un oggetto quale è realmente, consiste nel cono­ scere qual è realmente l'impressione ricevutane, di discernerla, di concretarla separatamente. La musica, la poesia, le forme artistiche ed (") Ultimi sa��i. Bari. 1935. p. 39.

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elette della vita umana, tutte le cose delle quali tratta la cntiCa estetica, sono in verità ricettacoli di altrettante forze o potenze; pos­ seggono, come i prodotti della natura, altrettante qualità o virtu. Che cosa è quel canto o quella pittura, quell'attraente personalità pre­ sentata nella vita o in un libro, per me? Quale effetto produce real­ mente su me? Mi dà piacere? e in tal caso quale specie o quale grado di piacere? In qual modo la mia natura è modificata dalla sua pre­ senza e dal suo influsso? Le risposte a tali domande costituiscono i primi dati dei quali tratta il critico; e, come nello studio della luce, delle morali, dei numeri, o si chiariscono innanzi tutto quei dati fondamentali, o nulla si chiarisce. E colui che, fortemente provando quelle impressioni, è indotto a discernerle e ad analizzarle con im­ mediatezza, non ha bisogno di turbare la sua mente con questioni astratte su quel che la bellezza è in se stessa o su le precise sue re­ lazioni con l'esperienza o con la verità - quistioi:ti metafisiche, im­ proficue come qualsiasi altra quistione metafisica. Egli può eliminarle tutte come di nessun interesse per lui, sieno oppur no . suscettibili d'una risposta. Il critico, dunque, considera tutte le cose che lo riguardano, tutte le opere di arte e le piu elette forme della natura e della vita, come forze o potenze produttive di sensazioni piacevoli, di una piu o meno precipua od unica specie. Quel loro influsso egli sente, ed è indotto a spiegarlo analizzandolo e riducendolo nei suoi elementi. Per lui, un quadro, un paesaggio, un'attraente personalità presentata dalla vita o in un libro - la Gioconda, le Alpi di Carrara, Pico della Mirandola - sono valutabili per le loro virtu, come sogliamo dire parlando di un'erba, di un vino, di una gemma; per la proprietà che hanno di commuovere con una speciale unica impressione di piacere. La nostra educazione si completa a misura che la nostra suscettibilità a coteste impressioni si fa piu profonda e varia. La funzione del critico è nel distinguere, nell'analizzare, nel separare da tutto il resto la virtu per la quale un quadro, un paesaggio, una bella personalità della vita o di un libro, producono' una speciale impressione, e sotto quali condi­ zioni si produce. La sua méta sarà raggiunta quando egli avrà disce­ verata quella virtu, determinandola come un chimico determinereb­ be, per sé e per gli altri, qualche elemento di natura; e la norma per coloro i quàli vogliono raggiungere cotesta finalità è posta . con grande esattezza nelle parole di un critico recente di Sainte-Beuve: - De se

borner à connaitre de prés les belles choses et à s 'en nourrir en exquis amateurs, en humanistes accomplis.

Non importa, dunque, che il critico possegga una corretta defi­ nizione astratta della bellezza, ma uno speciale temperamento, il po­ tere di essere profondamente toccato dalla presenza di cose belle. E gli

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ricorderà sempre che la bellezza esiste in molteplici forme. Per lui tutti i periodi, tutti i tipi, tutte le scuole di gusto artistico, sono in se stessi eguali. In tutte le età furonvi artefici eccellenti ed eccellenti opere furon compiute. La questione da lui posta sarà sempre: - In che cosa il moto, il genio, il sentimento del tempo trovano rispon­ denza? Ove fu il ricettacolo del loro raffinamento, della loro eleva­ zione, del loro gusto? « I tempi son tutti eguali » dice William Blakc « ma il genio è sempre al di sopra del tempo suo » . . . (Il Rinascimento, Prefazione. tr. D e Rinaldis, Napoli, Ricciardi, 1925. pp. 3-5).

LE ARTI E L'ESSENZA DELL'ARTE È errore della comune critica considerar la poesia, la musica, la pittura, tutti i prodotti dell'arte, sol come traduzioni in differenti linguaggi di una data somma di pensiero imaginativo, col completa­ mento di talune qualità tecniche ---:- qualità di colore nella pittura i suono nella musica, di parole ritmiche nella poesia. In tal modo l e­ lemento sensitivo nell'arte, e con esso quasi tutto ciò che nell'arte è essenzialmente artistico, diventa oggetto d'indifferenza e, nella chiara comprensione del principio - cioè che la materia sensibile di cia­ scùna arte porta seco una fase o qualità speciale di bellezza intradu­ cibile nelle forme di ogni altra, un ordine di impressioni distinte nella specie - è il principio d'ogni vera critica estetica. Come l'arte non è volta al puro senso, e ancor meno al puro intelletto, ma alla « ragione imaginativa )) traverso i sensi, sonvi differenze di specie nella bellezza estetica, corrispondenti a differenze di specie nelle facoltà dei sensi. Per ciò ciascuna arte ha il suo proprio precipuo intraducibile fascino sensistivo, la sua propria special maniera di giungere all'imaginazione, il suo special modo di rispondere alla materia sua propria. Una delle funzioni della critica estetica è di definire questi limiti, ed estimare il grado nel quale una data opera d'arte risponda alla sua special ma­ teria; di notare in una pittura quel vero fascino pittorico, che non è soltanto pensiero o sentimento poetico e né pur semplice resultato di comunicabile maestria tecnica in colore e disegno; di definire in un poema quella vera qualità poetica che non è semplicemente descrit­ tiva o meditativa, ma vien da trattazione inventiva del linguaggio ritmico, dell'elemento del canto nel cantare; di notar nella musica il fascino musicale, quella essenziale musica che non è presentata da alcuna parola, . da alcuna materia di sentimento e di pensiero separa­ bile dalla special forma nella quale ci viene offerta. Ad una siffatta filosofia delle variazioni della bellezza fu contri­ buto importante l'analisi del mondo della scultura e del mondo della

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poesia fatta da Lessing nel Laocoonte; ma una valutazione vera di tali cose è soltanto possibile nella luce di un completo sistema di quelle casuistiche d'arte. Or la pittura è l'arte nella cui critica maggiormente va rafforzata la verità suddetta, perché appunto nei comuni giudizi su di essa maggiormente prevalse la falsa generalizzazione di tutte le arti nelle forme della poesia. Che nella delineazione e nel tocco tutto sia semplice conquista della tecnica, preparatasi nell'intelletto e all'in­ telletto rivolgentesi, o d'altra parte, che tutto sia d'un interesse sem­ plicemente poetico o · letterario, anch'esso rivolto alla pura intelli­ genza; tale è la supposizione di moltissimi contemplatori, e di molti critici dell'arte, i quali non èbber mai visione di quella verace qualità pittorica che sta di mezzo fra l'interesse poetico e il semplice fatto tecnico, e che è l'indice unico del dono pittorico, di quella inventiva o creativa trattazione della pura linea e del colore, la quale (come quasi sempre nella pittura neerlandese, come anche spesso ndle opere di Tiziano e del Veronese) è tutta indipendente da qualsiasi cosa di precisamente poetico nel soggetto cui è connessa. E il disegno proiettato da quel peculiare temperamento pittorico, nel quale (mentre può esser possibile l'ignoranza delle giuste proporzioni ana­ tomiche) ogni qualsiasi cosa, ogni poesia, ogni idea anche astratta od oscura, emerge come imagine o scena visibile; è il colore - quel tessuto di luce tramato come di fili d'oro a pena percettibili traverso le vesti, la carne, l'atmosfera della Bella di Tiziano, ch'effonde una nuova deliziosa qualità fisica nel tutto. Questo disegno dunque (l'a­ rabesco tracciato nell'aria dalle violenti figure del Tintoretto, o dagli sfondi arborati di Tiziano), questo colore (le magiche condizioni di luce e di tinte nell'atmosfera della Bella di Tiziano o nèlla Discesa dalla Croce di Rubens) , quelle essenziali qualità pittoriche, debbono innanzi tutto dar godimento al senso, in maniera cosi immediata come potrebbe un frammento di vetro veneziano; e tal godimento è il solo veicolo ·di qualunque scienza che, separatamente da quelle qualità, possa esser nelle intenzioni del compositore. Una grande pittura non ha, nel suo primo aspettq, linguaggio piu definito per noi d'un acci­ dentale gioco di sole e d'ombra che duri pochi momenti su la parete o sul pavimento ed essa non è in verità che uno spazio di luce, ove i colori s'accolgono come ne' tappeti d'Oriente, ma raffinati ed ela­ borati con maggior sottigliezza e squisitezza che nella natura stessa. Riempita questa prima ed essenziale condizione, possiamo rin­ Ìracciar l'avvento della poesia nella pittura per . fini gradazioni ulte­ riori, partendo, ad esempio, dalla pittura giapponese su ventagli, ove troviamo dapprima �oltanto colore astratto, poi a pena un piccolo interfuso . senso della poesia dei fiori, e poi talvolta una perfetta pit­ tura floreale; e cosi di seguito, fin che in Tiziano abbiamo come la

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sua poesia nell'Ariadne, e un tratto di vero sp irito infantile nella minuscola luminosa figura, chiusa nella sua gonna serica, che ascende la scalea del tempio nel quadro della Presentazione della Vergine a Venezia. Ma, se bene ciascuna arte abbia cosi il suo proprio specifico or­ dine di impressioni ed un intraducibile fascino, e posto che una giusta com prensione delle estreme -differenze delle arti fra di loro è il princip io della critica estetica, è da notare tuttavia che, nel suo s pe­ cial modo di elaborar la materia sua pro pria, ciascuna arte può esser considerata nel suo passaggio alle condizioni di qualche altra arte, p er quel che i critici tedeschi chiamano un Anders-streben - una par­ ziale alieQ.azione dai prop ri limiti, p er la quale le arti possono, non veramente assumere ciascuna il posto di ciascun'altra, ma prestarsi reciprocamente delle forze nuove. Cosi taluna delle p iii. deliziose musiche sembra avvicinarsi di continuo alla figura, alla definizione pittorica. L'architettura poi, benché abbia leggi sue pro prie - leggi abbastanza esoteriche, come il vero architetto sa bene - può talvolta mirar a riempire le condizioni di una pittura, come nella Cappella dell'Arena, o di una scultura, come nell'impeccabile unità del camp anile di Giotto di Firenze; e assume sp esso un vero sp irito di p oesia in quelle sc-ale stranamente attorte dei castelli della regione della Loire (ove quei loro strani av­ volgimenti sembran costruiti p er consentire agli attori di una teatral foggia della vita di p assare l'uno accanto all'altro, senza vedersi), p oi che anche esiste una p oesia delle memorie, o nata dal solo effetto del tem p o, della quale l'architettura grandemente profitta. Cosi, inoltre, la scultura aspira ad andar oltre le rigide limitazioni della pura forma verso il colore o gli equivalenti del colore; e la poesia anche trova, in varia guisa, ausilio nelle altre arti, giacché le analogie fra una tragedia greca e un'o p era della scultura greca, fra un sonetto ed un rilievo, tra la poesia francese in genere e l'arte dell'incisione, sono assai piii. che semplici figure retoriche. E tutte insieme le arti asp irano a raggiun­ gere il p rincipio della musica, poi che la musica è l'arte tipica, l'arte idealmente p erfetta, l'oggetto della grande Anders-streben di tutte le arti, di tutto ciò che è artistico o che partecip a delle qualità dell'arte.

Tutte le arti aspir(lno costantemente a raggiunger la condizione di musica. Giacché mentre in ogni sorta di manifestazione dell'arte

(che non sia musica) è dato alla nostra intelligenza distinguer la materia dalla forma, è tuttavia sforzo costante dell'arte il tendere all'annullamento d'una .distinzione siffatta. La semplice materia d'un p oema (il suo soggetto, la sua situazione, i suoi dati episodi) , la semp lice materia d'una pittura (le circostanze effettive di un evento, la real to p ografia di un paesaggio) sarebbero nulle senza la forma, lo

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spinto, l'elaborazione: or che questa forma, questa maniera di ela­ borazione, diventi fine a se stesso, penetri ciascuna parte della ma­ teria, è appunto ciò che tutte le arti si sforzano di raggiungere, e che adempiono in differenti gradi. Questo linguaggio astratto diventa chiaro abbastanza se ci fer­ miamo su esempi della realtà. In un paesaggio vero vediamo, ad esempio, una lunga strada bianca che subitamente si perde nel profilo d'una collina. Questa è la materia d'una delle incisioni di Alfonso Legros: il paesaggio è · informato ad un'inquieta solennità di espres­ sione, veduta in esso o soltanto intravveduta entro i limiti di un momento eccezionale, o forse tratta dallo stato d'animo dell'artista ma da lui tenuta come la vera essenza del soggetto nell'opera sua. Tal­ volta un momentaneo accenno di temp�sta investe una scena casalinga con un carattere che ben potrebb'essere stato tratto dalle zone pro­ fonde deil'imaginazione. E quindi possiamo dire che quel particolare effetto di luce, quel subitaneo avvolgimento di filo d'oro traverso la trama del fieno, e i pioppi, e l'erba, porge alla scena tali qualità ar­ tistiche da renderla simile a un quadro. E taluni giochi di accentua­ zione son comunissimi nei paesaggi che han poche qualità salienti loro proprie; perché in tali scene i particolari materiali vengon fa­ cilmente assorbiti da quella espressione informatrice di luce che passa, ed elevati in tutto il · loro sviluppo da un effetto delizioso e nuovo. E in questo è la superiorità, per molte condizioni del pitto­ resco, d'una riviera francese rispetto a una vallata svizzera; giacché su la riviera francese la topografia, il semplice materiale, conta assai poco; e tutto essendovi assai puro, intatto, e tranquillo in se stesso, la sola luce e l'ombra facilmente posson modularlo secondo un tono dominante. D'altra parte, il paesaggio veneto ha, nelle sue materiali condizioni, molto di rigido o rigidamente definito; ma i maestri della scuola veneziana non se ne fecero schiavi, e dei suoi sfondi alpini ritennero soltanto taluni astratti elementi di fresco colore e di linee tranquille, e ne adoperarono i particolari effettivi - i suoi campi giallicci, i suoi rabeschi arborei - soltanto come note di una musica che debitamente accompagna i loro uomini e le loro donne, presen­ tandoceli con lo spirito o soltanto con l'essenza di una specie parti­ colare di paesaggio - paese di pura riflessione o di memoria se­ mi-imaginativa. La poesia, inoltre, opera con parole rivolte in primo tempo alla pura intelligenza, ed assai spesso tratta un soggetto o una Situazione definiti: cosi può trovare talvolta una nobile e del tutto legittima funzione nel manifestare aspirazioni politiche o morali, come spesso nell'opera di Victor Hugo. In tal caso è abbastanza facile al nostro intendimento distinguer la materia dalla forma, o almeno molto che

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della materia, del soggetto, dell'elemento che si volge alla pura in­ telligenza, è stato penetrato dall'artistico spirito informatore. Ma i tipi ideali di poesia sono quelli nei quali cotesta distinzione è ridotta al minimo; e cosi la poesia lirica, appunto perché in essa possiam meno disgiunger la materia dalla forma, senza una deduzione - di qualcosa della materia stessa, è, almeno artisticamente, la piii alta e completa forma di poesia. E la perfezion vera di questa poesia spesso sembra dipendere, in parte, da una soppressione o da una certa vaghezza del puro soggetto, cosi che il significato ce ne giunge traverso cammini non distintamente tracciabili dall'intelletto, come in alcune delle piii imaginose composizioni di William Blake e spesso nei canti di Sha­ kespeare, e specialmente in quel canto del paggio di Mariana in Measure for Measure, ove la poesia e la vivificante forza dell'intera composizione sembran mutarsi per un momento in una vera correntia di musica C) . Questo. principio è valido per tutte · le cose che partecipano, in qualche grado, delle qualità artistiche - della mobilia delle nostre case, ad esempio, e delle nostre vesti: _ della vita stessa, del gesto e del discorso e degli elementi delle nostre vicissitudini quotidiane, le quali son suscettibili, per l'uomo saggio, di una novità e di un fascino de­ rivanti dal senso nel quale si svolgono, e che le fan pregevoli in se stesse. In ciò dunque risiede quel che è valutabile e giustamente at­ traente, in quel che è detto la moda di un tempo, che eleva il comune discorrere e i modi e i costumi in « finalità per se stesse » e dà loro fascino e misteriosa grazia. L'arte dunque è cosi sempre sospinta ad essere indipendente dalla pura intelligenza, a divenire un fatto di pura percezione, a rispondere liberamente al suo proprio soggetto, poi che gli esempi ideali di poesia e di pittura son quelli nei quali gli elementi costitutivi della composizione son cosi fortemente saldati insieme, che il loro soggetto non può p iii colpire soltanto l'intelletto, né la forma l'occhio o l'udito soltanto; ma forma e materia, nella loro unione o identità, offrono un effetto singolo alla « ragione imaginativa >>, a quellà complessa facoltà per la qual ciascun pensiero e ciascun sentimento nasce insieme al suo simbolo o equivalente sensibile. È l'arte della musica quella che piii compiutamente realizza quest'ideale artistico, questa perfetta identificazione della materia e della forma. Nei suoi migliori momenti il fine non è distinto dai

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Cfr. 5 1 1 .\ K E,'I'EARE. Measure for Mesure, Act IV.. Scene 1: « Take. O take those lips away!l That so sweetly were forsworn:/ And those eyes break of day./ Lights that do mislead the morn:/ But my kisses bring again. bring again,/ Seal• of love. but seald'd in vain. seald'd in vain •· « Tngli. n tngli via queste tue labbra/ Che cosi dolcemente sono state spergiure:/ E questi tuoi occhi. luce albeggiante./ Lumi che ingannano il mattino:/ Ma i baci riportali. riporta i miei baci./ Sigilli d'amore. ma di amore sigillato invano. invano. invano •.

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mezzi, la forma dalla materia, il soggetto dall'espressione; essi sono inerenti e completamente saturati a vicenda; e perciò ad essa, alla condizione dei suoi perfetti momenti, deve supporsi che tutte le arti tendano ed aspirino. Nella musica, dunque, pio che nella poesia, è da cercare il vero tipo o modello dell'arte perfetta. E se bene Ciascuna arte abbia il suo elemento intrasmessibile, il suo intraducibile ordine di impressioni, il suo modo unico dì raggiungere la « ragione imagi­ nativa ,,, le arti tuttavia possono esser rappresentate come di continuo aspiranti alla legge o principio della musica, a una condizione cui la musica soltanto compiutamente adempie; ed una delle principali funzioni della critica estetica, trattando di prodotti nuovi, o antichi dell'arte, è di stimare il grado nel quale ciascuno di siffatti prodotti s'approssima, in tal senso, alla legge musicale. (Il Rinascimento, tr. cit . . pp. 121. 129).

LA VITA E L'ARTE

Aèyet '7TOV HpaKÀEt'TOç' O'Tt '7TtlP'TlX xwpei' Ka.Ì ov8èv pivet C) .

È tendenza, sempre meglio accentuata, del pensiero moderno considerar tutte le cose ed i principi delle cose come forme o modi impermanenti. Cominciamo da ciò che è esteriore - dalla nostra vita fisica. Fissiamola in uno dei suoi pio squisiti momenti: in quello, ad esem­ pio, di deliziosa emersione dai flutti nella caldura estiva. Che cosa è tutta la vita fisica, in quel momento, se non una combinazione di elementi naturali ai quali la scienza porge il loro nome? Ma questi elementi, fosforo e calcio e delicate fibre, non esistono nel corpo soltanto, e noi li troviamo pur nelle cose che ne son pio lontane: La nostra vita fisica è un loro_ moto continuo - il refluire del sangue, il logorio e il ripristino delle lenti oculari, il modificarsi dei tes�uti cerebrali ad ogni raggio di luce e ad ogni suono; processi che la scienza riduce alle piii semplici ed elementari forze. A simiglianza degli elementi dei quali noi siano composti, l'azione di queste forze s'estende oltre di noi: fa maturare il grano, dà ruggine al ferro. Or quegli elementi, fuori di noi, sono per ogni dove effusi, sospinti per molteplici correnti; e il nascere e il gestire e il morire, e poi lo sbocciare delle violette dalle zolle della tomba, sono soltanto alcune delle migliaia e migliaia delle loro resultanti combinazioni. La chiara delineazione del volto e delle membra non è che un 'imagine tutta nostra, sotto la quale noi gruppiamo quegli elementi - simile a un (c) P i . ITI I \ E. Crati/o. 402. A. 8:



Dice Eraclito che tutto si muove e niente sta fermo ».

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disegno tracciato in un tessuto i cui fili s'estendano oltre i suoi con­ torni. E tutto questo, infine, fa che la nostra vita, simile alla fiamma, non è che il concorrere, di movimento in movimento rinnovato, di forze che prima e poi andranno pel cammino loro proprio. Or se noi partiamo dal mondo interiore del pensiero e del senti­ mento, anche piii. rapido è il gorgo, piii. vivida e piii. edace la fiamma. N o n piii. quivi il graduale oscurarsi degli occhi, la graduale consun­ zione del colore - non piii. fenomeni simili a un moto d'acqua sul lido, ove in verità l'acqua scorre se bene in apparente immobilità; ma un cammino di sottocorrente, un refluire di atti istantanei di perce­ zione, di passione e di pensiero. A prima vista, l'esperienza par seppellirei sotto una fiumana di cose esteriori che premono su di noi con una pesante e pressante realtà, e che ci chiamano fuor di noi stessi a mille forme di azioni. Ma quando la riflèssione comincia il suo gioco su q�J.elle cose este­ riori, esse si dissolvono sotto il suo potere; la loro forza coesiva par interrotta come per virtii di magia; e, nella mente dell'osservatore, ciascuna cosa si disperde e si tramuta in un gruppo di impressioni impressioni di colore, di òdore, di consistenza. E se il nostro pensiero persiste ad indugiare su quel mondo - non di oggetti nella solidità della quale si riveste il linguaggio, ma di impressioni impermanenti, ondulanti, inconsistenti, che s'accendono e s'estinguono con la co­ scienza che ne abbiamo - esso anche piii. si restringe: tutta la portata dell'osservazione s'impiccolisce e si riduce nella camera angusta della mente individuale. L'esperienza, già ridotta a un gruppo d'impres­ sioni, resta chiusa in ciascuno di noi da questa spessa muraglia della personalità, traverso la quale mai alcuna voce ha fatto il suo passaggio verso di noi, o da noi a ciò che possiamo soltanto congetturare essere al di fuori. Ciascuna di queste impressioni è quella dell'individuo nel suo isolamento, giacché ciascuno spirito tiene in sé racchiusa la sua propria visione di un mondo come un prigioniero solitario. L'analisi fa ancora un passo innanzi; e ci attesta che quelle impressioni della mente individuale, alle quali l'esperienza è per ciascun di noi ridotta, sono in istato di perpetuo volo; che ciascuna di esse è limitata dal tempo e che, come il tempo è infinitamente divisibile; poiché tutto quanto v'è d'effettivo in essa è appena un attimo, già fuggito mentre ne cercavamo l'apprensione, e del quale è sempre piii esatto dire che sia cessato di esistere anzi che esista. Al tremolio d'un siffatto fuoco fatuo, che di continuo si ricostituisce di sul corso delle cose, a una vivida e singola impressione siffatta, recante-un piii o meno fuggevole sentore di quegli attimi dileguati, ciò ch'è reale nella nostra vita s'intensifica e si chiarisce. È qui che l'analisi si arresta: su questo moto, su questo passaggio,

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su questo dissolversi di impressioni, di imagini, di sensazioni - su quel continuo svanire, quello strano perpetuo fluire e refluire di noi stessi. Philosophiren, dice N ovalis, ist dephlegmatisiren vivificiren: fi­ losofare significa togliersi la flemma di dosso, vivificarsi. Il servigio che la filosofia, la cultura speculativa, rende allo spirito umano è di svegliarlo e di scuoterlo in una vita di costante e piii. acuta osserva­ zione. Ad ogni momento una perfezione di forma appare in una mano o in un volto; qualche tonalità sui monti o sul mare è la piii. eletta del rimanente: qualche carattere di passione o di visione o di eccitamento intellettuale è irresistibilmente reale ed attraente per noi - per quel momento solo . Non il frutto dell'esperienza, ma l'esperienza stessa è la finalità. E solamente un limitato numero di pulsazioni di una vita colorita e drammatica ci è concesso. Come possiamo noi vedere, nel corso della loro durata, tutto ciò che è da scorgervi coi sensi piii. raffinati? In qual modo potremo noi piii. velocemente passare da un punto all'altro, ed esser sempre presenti al fuoco radiante nel quale il maggior numero delle forze vitali si uniscono nelle loro piii. pure energie? Arder sempre con questa forte fiamma pura come una gemma, mantener questa estasi è il successo nella vita. In un certo senso po­ · trebbe dirsi che la nostra manchevòlezza è nel prender abitudini: giacché, dopo tutto, l'abitudine è relativa ad un mondo stereotipato, e solo un errore degli occhi fa sembrar eguali fra loro due persone, due cose, due situazioni. Mentre tutto si mescola o si confonde in­ torno a noi, ben possiamo aggrapparci a qualche passione squisita, a qualche contributo alla conoscenza che per un istante sembri offrire allo spirito la libertà di un vasto orizzonte, a qualche commozione della sensibilità - strane sfumature di toni, strani colori, aromi sin­ golari, opere della mano di artisti, un volto amico. Rinunziare a di­ scernere ad ogni istante qualche attitudine appassionata in quelli che ci circondano, e a scorgere nello stesso splendore delle - loro facoltà qualche tragica sciss11ra di forze, significa dormire in.nanzi sera in questo breve giorno di gelo e di sole. Con questo senso dello splen­ dore nella nostra esperienza e della sua terribile brevità, raccogliendo il nostro essere in un disperato sforzo di vedere e di toccare, diffi­ cilmente noi avremo tempo di comporre teorie intorno le cose che vediamo e tocchiamo. Quel che noi dobbiamo fare è di attestare con curiosità nuove opinioni, di sperimentare nuove impressioni, mai acquiescendo ad una facile ortodossia di Comte o di Hegel, ò semplicemente nostra. Le idee o le teorie filosofiche, come punti di vista, come strumenti di ·

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critica, possono aiutarci a cogliere quel che altrimenti sfuggirebbe alla nostra considerazione. « La filosofia è il microscopio del pensiero » . La teoria, o dea, o sistema, che c i chiede il sacrificio di una parte di questa esperienza, in considerazione di qualche interesse nel quale non possiamo entrare, o di qualche teoria astratta che non abbiamo identificata con noi stessi, o di ciò che è soltanto convenzionale, non possiede realità di voce per noi. Uno dei piii bei passi di Rousseau è quello del libro sesto delle Confessioni, dov'egli descrive lo svegliarsi del senso letterario nel suo spirito. Un indefinibile sentimento della morte era stato in lui sem­ pre; ed infine, nella prima maturità della vita, si credette colpito da malattia mortale. Si chiedeva con qual mezzo avrebbe riempito, nel miglior modo possibile, il tempo che gli restava, chè a nulla era stato incline durante l'antecedente sua vita; e decise che il mezzo da cer­ care era nell'eccitamento letterario, che appunto allora egli trovava nelle chiare e fresche acque di Voltaire. Ebbene! Noi siamo tutti « condannati » come dice Victor Hugo : siamo tutti sotto sentenza di morte, ma con una specie di dilazione indefinita - les hommes sont tous condamnés à mort avec des sursis infinis: noi non disponiamo che di un breve intervallo di tempo: poi, non ci sarà piii posto per noi nel mondo. Taluni spendono quell'in­ tervallo di tempo in indolenza, alcuni in alte passioni, i piii saggi almeno fra « i figli di questo mondo >> - nell'arte e nel canto. È fortuna per noi poter ampliare quell'intervallo, raggiungendo un numero di pulsazioni di vita che sia massimo per un tempo deter­ minato. Grandi passioni possono darci questo accelerato senso. della vita : l'estasi e il dolore dell'amore, le forme varie dell'attività entu­ siastica, disinteressata o non, che a molti di noi vengono naturalmente offerte; quel che importa è che si tratti di passione vera - che ef­ fettivamente gèneri una rapida è molteplice coscienza. Di tale saggezza assai partecipano la passione poetica, il desiderio della bellezza, l'amore dell'arte, come fine a se stesso. Giacché l'arte viene a voi, e francamente vi propone di dedicare ai momenti fug­ gitivi della vostra vita soltanto le vostre qualità piii elette - e non per altro che per grazia d'essi. (Il Rinascimento. tr. cit. . pp. 211-221).

ANGELO CONTI Angelo Conti, di famiglia abruzzese, nacque a Roma nel 1860. Ultimati gli studi, entrò nell'Amministrazione delle Belle Arti, di cui percorse tutta la carriera, insegnando per qualche tempo all'Accademia di Venezia. Critico militante, tenne la rubrica d'arte del quotidiano «La Tribuna» e collaborò attivamente al settimanale fiorentino , fondato nel 1896 dai fratelli Angiolo e Arturo Orvieto poeta, il primo, al cui gusto il Conti era assai vicino - che ebbe collaboratori anche Pascoli e D'Annunzio. Col D'Annunzio (che con 'tutta probabilità era stato da lui iniziato all'interesse per Walter Pater, l'estetismo inglese ed il preraffaelli­ smo), il Conti era amico dagli anni nei quali entrambi collaboravano alla , giornale in cui gli scritti del Conti sulle arti figurative erano spesso affiancati alle cronache mondane di D'Annunzio (firmate Il duca minimo), che riferivano anche sui concerti, preparando le pagine di critica musicale dei romanzi d'ambiente romano, (Il Piacere ed Il Trionfo della Morte). Ed è da' supporre che il Conti abbia contribuito a destare nel D'Annunzio quella curiosità schopenhaueriana di cui il testo piii. significativo è il romanzo Il Fuoco; nel quale Angelo Conti compare sotto il nome di Daniele Glauro, ed espone alcuni concetti del suo libro teorico La Beata Riva, Trattato dell'Oblw, che usci nel 1900 presso gli editori Treves, con una prefazione, appunto, (l'aveva pubblicata a parte nel di Adolfo De Bosis), del D'Annunzio intitolata Dell'arte, della critica e del fervore. Collaboratore del , il Conti fu un fautore dell'intervento iialiano nella Prima guerra mondiale, nella quale perdette un figlio. Cònvertitosi successivamente al cattolicesimo, _ ed entrato nel Terzo Ordine Francescano, il Conti scrisse una bio­ grafia di S. Francesco d'Assisi pubblicata postuma. Mori in Napoli, quasi cieco, nel

1930.

Sebbene scarsa sia l'originalità teoretica dell'estetica di Angelo Conti, il cui pensiero deriva dal terzo libro del Mondo come Volontà e Rappresentazione di Schopenhauer, riletto nel senso dell'estetismo inglese che aveva avuto in Walter Pater il suo piu autorevole teorico, per la storia della cultura estetica e del costume artistico-letterario l'opera di Angelo Conti è interessante in quanto essa influenzò in piii. modi la critica militante, la letteratura - va ricordato che Conti, insieme con Enrico Nencioni fu tra i primi a far conoscere in Italia il pensiero di Walter �ater - e il gusto stesso degli artisti, tra i quali la Duse che del Conti si considerò in certo modo discepola. A suo modo anticipatore di quella polemica antipositivista che doveva trionfare nella filosofia e nella cultura italiana del periodo cosiddetto idealista, dominato dalle grandi figurè del Croce e del Gentile (i quali svilupparono in termini rigorosamente logici il rifiuto del positivismo dominante nella cultura italiana di fine Ottocento), il Conti, nel saggio su Giorgione (1894) e nella Beata Riva, diede alla insofferenza per il positivismo una formulazioòe platonico-mistica, nella quale l'insegnamento di Kant, esplicitamente e piu volte ricordato nella Beata Riva, viene recepito e ripensato attraverso l'interpretazione schopenhaueriana e

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wagneriana, piuttosto che attraverso l'idealismo di Schelling e di Hegel cui doveva riferirsi il pensiero dei grandi filosofi Croce e Gentile. Contro la critica positivista, che vagheggiava un ideale del critico-scienziato, il saggio sul Giorgione rivendicava l'idea del critico artifex additus artifici; con una risoluzione del giudizio in parafrasi lirica delle opere d'arte, e interpretazione poetica delle figure degli artisti e delle loro biografie. Questo aspetto dell'opera del Conti fu celebrato dal D'Annunzio, il quale, nel Ragionamento premesso alla Beata Riva, del Conti interprete di Giorgione citò a lungo e piii. volte le conside­ razioni critiche - delle quali merita qui di essere riportata una parte della pagina sulla Tempesta: ; e > disconosce questo fatto, trascura completamente l'« udire >> e prende in consi­ derazione immediatamente il « - sentire ». Essi pensano che la musica sia fatta per il cuore, e che l'orecchio sia una cosa triviale.

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Si, per quello che questi esteti chiamano orecchio, per il « labi­ rinto » o il « timpano >> non compone certo un Beethoven. Ma la fantasia, che è organizzata sulle sensazioni uditive e per la quale il « senso >> significa qualcosa di ben diverso da un semplice imbuto alla superficie dei fenomeni, la fantasia gusta sensibilmente le figure so­ nore, le 'costruzioni di note, e vive liberamente e immediatamente nella contemplazione di esse. È straordinariamente difficile descrivere questo bello indipen­ dente della musica, questo elemento specificamente musicale. Poiché la musica non ha modelli in natura e non esprime alcun contenuto concettuale, · si può parlare di essa soltanto con aridi termini tecnici, oppure con immagini poetiche. Il suo regno effettivamente « non è di questo mondo ». Tutte le fantastiche rappresentazioni, illustrazioni, descrizioni di un pezzo musicale sono figurate ò erronee. Ciò che per ogni altra arte non è che descrizione, per la_ musica è già metafora. La musica insomma vuoi essere intesa come musica, e può essere èom­ presa e gustata solo in se stessa. Lo « specificamente musicale » non è per nulla da intendersi co­ me bellezza puramente acustica o come simmetria proporzionale, rami questi che esso comprende in sé come subordinati, - e ancora meno si può parlare di un « solletico delle orecchie prodotto dai suoni », o simili: tutte definizioni con le quali di solito si mette in evidenza la mancanza di spiritualità. Insistendo sulla bellezza musi­ cale, noi non abbiamo escluso il contenuto spirituale, ma anzi l'ab­ biamo postulato come esigenza. N o i infatti non riconosciamo nessuna bellezza senza una tale partecipazione dello spirito. Ma avendo fatto consistere il bello musicale essenzialmente in « forme », è già sottin­ teso che il contenuto spirituale sta in rapporto strettissimo con queste forme sonore. Il concetto di « forma » trova nella musica una rea­ lizzazione tutta caratteristica. Le forme che i suoni producono, non sono vuote, ma riempite, non sono semplici contorni di un vuoto, ma spirito che si plasma interiormente. Di fronte all'arabesco la musica è quindi in realtà un'immagine, ma tale che il suo oggetto non si può racchiudere in parole e subordinare ai nostri concetti. Nella musica c'è senso e logica, ma « musicali »; essa è Una lingua che noi parliamo e comprendiamo, ma che non siamo in grado di tradurre. C'è un profondo significato nel fatto che anche a proposito di pezzi musicali si parla di « pensieri », e, come nel linguaggio, anche qui il giudizio esperto distingue facilmente pensieri veri da · semplici modi di dire. Altrettanto riconosciamo il senso razionalmente com piuto di un gruppo di note, chiamandolo una «frase». E proprio come in ogni pe­ riodo logico, sentiamo esattamente dove il senso è finito. Benché la veri­ tà delle due specie di periodi sia assolutamente incommensurabile. __

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La razionalità che in · sé e per sé può esistere nelle forme musicali, e che ci dà un senso di appagamento, è basata su certe leggi fonda­ mentali primitive, che la natura ha posto nell'organizzazione del­ l'uomo e nei fenomeni sonori esterni. È in particolar modo la legge primitiva della « progressione armonica ,, quella che, analogamente alla forma circolare nelle arti figurative, porta in sé il germe degli sviluppi ulteriori piit importanti e la spiegazione - purtroppo oscurissima - dei diversi rapporti musicali. Tutti . gli elementi musicali sono stretti fra di loro in segrete re­ lazioni ed affinità elettive, basate su leggi naturali. Queste affinità elettive, che invisibili dominano il ritmo, la melodia e l'armonia, esigono di essere seguite nella musica quale prodotto umano e bollano di arbitrio e di bruttezza ogni rapporto che a loro contraddica. Esse vivono istintivamente, se pure non nella forma scientifica e cosciente, in ogni orecchio colto, dal quale perciò l' organicità e la razionalità di un gruppo di note, o l'assurdità e l'innaturalezza di esso, sono av­ vertite per pura intuizione, senza che il criterio sia fornitp da un concetto logico o da un tertium comparationis C 1 . I n questa negativa e interiore razionalità, che è insita nel sistema musicale mediante leggi naturali, ha le radici l'ulteriore facoltà da esso posseduta, di ricevere un contenuto « positivo ,, di bellezza. Il comporre è un lavoro dello spirito su un materiale spiritualiz­ zabile. Quanto ricco e copioso abbiamo trovato essere questo mate­ riale musicale, altrettanto elastico e penetrante esso si dimostra per la fantasia artistica. Quest'ultima costruisce non, come l'architetto, con pietra grezza e pesante, ma sull'effetto di suoni già in precedenza uditi. Di natura piit fine e spirituale di ogni altro materiale artistico, i suoni assumono in sé qualunque idea dell'artista. Ora poiché i collegamenti di note, nelle cui relazioni consiste il bello musicale, sono ricavati non con un allineamento meccanico, ma con un libero creare della fantasia, cosi la forza spirituale e la particolarità di questa determinata fantasia dà la sua impronta caratteristica al prodotto. Come creazione di uno spirito che pensa e sente, una composizione musicale ha quindi in alto grado la facoltà di essere essa stessa piena di spirito e di sentimento. Questo contenuto spirituale noi l'esigeremo in ogni opera d'arte musicale, ma non lo ricercheremo in alcun altro momento di essa, se non nella « forma musicale ,, stessa. Il nostro ( 12) u La poesia può in certo modo adoperare liberamente il brutto. Infatti poiché l'effetto della poesia giunge al sentimento solo attraverso la mediazione dei concetti da essa suscitati. la rappresenta· zione della finalità attenuerà a priori l'impressione del brutto in modo tale, che esso come stimolo e contrapposto potrà perfino produrre il piu alto effetto. Ma l'impressione della musica è· ricevuta e gustata immediatamente dal senso, il c o nsenso dell'intelletto sopraggiunge troppo tardi pec rimediare alle perturbazioni del brutto. Perciò Shakespeare può andare fino all'orrido, mentre a Mozart fu confine il bello » (Grillparzer, IX, 142) (N.d.A.).

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punto di vista riguardo alla sede dello spirito e del sentimento in una composizione sta, col modo di vedere comune, nello stesso rapporto in cui stanno i concetti di immanenza e di trascendenza. Ogni arte ha per scopo di portare a manifestarsi esteriormente un'idea divenuta viva nella fantasia dell'artista . Questo ideale nella musica è un ideale sonoro e non un ideale concettuale che i suoni•lebbano solo tradurre. Non il proposito di rappresentare musicalmente una passione, ma l'invenzione di una determinata melodia è il punto di partenza, dal quale muove ogni ulteriore creare del compositore. Per opera di quella potenza primitiva e misteriosa, nella cui fucina l'occhio umano non penetra né penetrerà mai, risuona nello spirito del compositore un tema, un motivo. Al di là del sorgere di questo primo seme noi non possiamo risalire, dobbiamo accettarlo come fatto semplice. Una volta caduto nella fantasia dell'artista, ha inizio da parte di questo il lavoro di composizione, che, partendo da tale tema principale e sempre riferendovisi, persegue il fine di rappresentarlo in tutti i suoi rapporti. Il bello di un tema indipendente e semplice si annuncia al sentimento estetico con quella immediatezza, che non sopporta altra spiegazione se non tutt'al piii. l'intima finalità del fenomeno, l'armo­ nia delle sue parti, senza riferimento a null'altro di estraneo. Ci piace in sé, come gli arabeschi, le colonne, o come i prodotti del bello di natura come foglie e fiori. (Il bello musicale, tr. cit., pp. 82-91).

LA PERCEZIONE ESTETICA DELLA MUSICA IN OPPOSIZIONE A QUELLA PA­ TOLOGICA Niente ha tanto ostacolato lo sviluppo scientifico dell'estetica musicale, quantò l'esagerato valore che si è attribuito agli effetti della musica sui sentimenti. Quanto piii. notevoli si mostravano questi ef­ fetti, tanto piu altamente li si lodava come araldi della bellezza mu­ sicale. Noi invece abbiamo visto che proprio alle impressioni piii. travolgenti prodotte dalla musica si mescola, da parte dell'ascoltatore, una grandissima dose di eccitazione « fisica )). Da parte della musica questo vivo potere di penetrare nel sistema nervoso non appartiene tanto al momento « artistico )) di essa, quanto piuttosto al suo « ma­ teriale )), nel quale la natura ha posto quell'inspiegabile affinità elettiva fisiologica. Sono gli elementi primi della musica, il suono e il movimento, quelli che incatenano gli_ indifesi sentimenti di tanti musicofili, i quali del resto si trascinano molto volentieri in tali ca­ tene. N o i ci guardiamo bene dal voler sminuire i diritti del senti­ mento sulla musica. Ma questo sentimento, che effettivamente piii. o

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meno si accoppia alla pura contemplazione, può avere un valore ar­ tistico solo quando rimanga conscio della sua origine artistica, e cioè del piacere suscitato da quel determinato bello: Se manca questa coscienza, se manca la libera intuizione di quel determinato bello artistico, e se l'animo si sente preso dalla potenza naturale dei suoni, allora tale impressione può tanto meno ascriversi all'arte, quanto piu è intensa. Il numero di coloro che odono, o propriamente sentono, la musica in tal modo, è assai notevole. La­ sciando agire su di sé in passiva ricezione il lato elementare della musica, pervengono ad un'eccitazione ipersensibilmente sensibile e vaga, determinata solo dal carattere del tutto generico del pezzo musicale. Il loro comportamento di fronte alla musica non è con­ templativo, ma patologico; un continuo crepuscolo, un sentire; un entusiasmarsi, un agitarsi in un nulla sonoro. Se al musicista senti­ mentale presentiamo piu pezzi di uguale carattere, per esempio scorrevoli e lieti, egli rimarrà sempre sotto la stessa impressione. Solo ciò che è comune a questi pezzi, e cioè il movimento scorrevole e lieto, si assimila al suo sentire, mentre il carattere particolare di cia­ scun componimento musicale, l'individualità artistica di essi, sfugge alla sua comprensione. Proprio al contrario procederà invece l'ascoltatore musicale. La particolare fisionomia artistica di una composizione, ciò che la rende opera d'arte autonoma e inconfondibile fra U:na dozzina di altre composizioni del medesimo carattere, occupa la sua attenzione in maniera cosi predominante, che egli dà ben poco peso all'impressione uguale o diversa prodotta dal sentimento. La percezione isolata di un contenuto sentimentale astratto in lq.ogo del concreto fenomeno ar­ tistico è caratteristica di tale modo di sentire la musica. Solo la po­ tenza di una luce speciale si presenta non di rado analoga ad essa, imponendosi a parecchie persone in modo tale, che esse non riescono a rendersi conto del paesaggio in sé, illuminato da quella luce. Una sensazione totale immotivata, e appunto perciò tanto piu penetrante, viene inghiottita in blocco. Sprofondati in dormiveglia nella loro poltrona, quegli entusiasti si lasciano trasportare e cullare dalle vibrazioni dei suoni, invece di esaminarle con acuto sguardo. Il crescere, il diminuire, l'esultare o il tremare dei suoni li getta in un indefinito stato d'animo, che essi sono cosi ingenui da credere puramente spirituale. Essi costituiscono il pubblico « piu riconoscente )) e quello piu sicuramente adatto e screditare la dignità della musica. L'elemento estetico del piacere spirituale manca nel loro modo di ascoltare; un fine sigaro, una pic­ cante ghiottoneria, un tepido bagno è per loro, inconsciamente, pari ad una sinfonia. Dal comodo e spensierato starsene sprofondati in

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poltrona degli �ni, alla pazza esaltazione degli altri, il principiO è sempre lo stesso: il godimento provocato dall'elemento materiale della musica. Recentemente si è fatta del resto una magnifica scoperta, che per gli ascoltatori i quali, senza alcuna attività spirituale, non cercano se non l'effetto sentimentale della musica, sorpassa' di gran lunga quest'arte. Vogliamo dire il cloroformio. In realtà questo medicinale infonde a tutto l'organismo una ebbrezza dolcemente sognante senza la volgarità del bere il vino, che del resto non è senza effetto musicale. Per tale concezione le composizioni musicali rientrano nella serie dei prodotti naturali, godendo i quali ci entusiasmiamo, ma non sia­ mo indotti a pensare, a prendere in considerazione uno spirito che crea coscientemente. Il dolce profumo di un'acacia si può odorare anche ad occhi chiusi, sognando. Ma i prodotti dello spirito umano rifiutano questa specie di godimento, altrimenti si abbassano al grado di stimoli sensibili naturali. In nessun'altra arte ciò è possibile in misura cosi elevata, come nella musica, il cui lato sensuale rende per lo meno possibile un go­ dimento non spirituale. Già il cessare di essa, mentre i prodotti delle altre arti restano, assomiglia notevolmente all'atto del consumare. · Un quadro, una chiesa, un dramma non si possono centellinare; ma un'aria si. Perciò anche non c'è nessun'altra arte, il cui godimento si presti tanto a servizi accessori. Le migliori composizioni possono ' eseguirsi come musica da tavola e facilitare la digestione dei fagiani. La musica è l'arte piu indiscreta e insieme la piii tollerante. Il piii lamentevole organetto, appostato davanti alla nostra casa, si è costretti a > in sé, allora quell'accusa è fin troppo vera. Beethoven esigeva che la musica dovesse « sprigionare fuoco dallo spirito >> dell'uomo. Nota bene: « dovesse >> . Ma non può avvenire invece che questo fuoco, suscitato ed alimentato dalla mu­ sica, arresti e impedisca lo sviluppo della volontà e del pensiero dell'uomo? In o gni casò, questa accusa mossa all'influenza della musica ci sembra piu degna della smoderata esaltazione di essa. Come gli effetti fisici della musica stanno in rapporto diretto all'eccitabilità morbosa del sistema nervoso sul quale agiscono, cosi l'influenza morale dei suoni cresce inversamente• alla cultura dello spirito e del carattere. Quanto minore è la risonanza della cultura, tanto maggiore è l'effetto di tale potere. L'azione piu forte è esercitata dalla musica, com'è noto, sui selvaggi. I nostri musicisti-etici non si spaventano per questo. Essi comin­ ciano, preludiando, di preferenza con numerosi esempi dimostranti come « perfino gli animali >> si inchinano alla potenza della musica. È vero, il richiamo della tromba riempie il cavallo di animosità . e di spirito combattivo, il violino trascina l'orso a tentare un balletto, il fragile ragno e il massiccio elefante si muovono udendo i suoni pre­ diletti. Ma è davvero cosi onorifico essere un entusiasta della musica in simile compagnia? (Il bello musicale, tr. cit., pp. 145-1 53).

CONRAD FIEDLER

La vita di Conrad Adolf Fiedler fu quella di un gentiluomo dell'Ottocento tedesco, di agiata condizione, il quale, scoperta relativamente tardi la propria vo­ cazione agli studi sull'arte, questa vocazione coltivò finché visse; senza sbanda­ menti, senza avventure, senza snobismi estetizzanti, nella duplice veste di scrittore teorico e di consigliere e mecenate degli artisti suoi amici. Nato nel 1841 nella cittadina di Oederan, · appartenente all'allora regno di Sassonia, Conrad Fiedler studiò giurisprudenza in Heidelberg, in Berlino, e poi a Lipsia, dove si addottorò nel 1865, avviandosi subito dopo alla professione di avvocato. Abbandonata presto la pratica forense, il giovane Fiedler si dedicò per lungo tempo ai viaggi di studio, visitando la Francia, l'Inghilterra, la Grecia, i paesi del vicino Oriente; e soprattutto l'Italia, dove si trattenne piu a lungo che altrove, contraendo amicizia con gli artisti tedeschi domiciliati, piu o meno stabilmente, nel nostro paese: Hans Thoma; Anselmo Feuerbach; Arnold Boecklin - e soprattutto - il pittore Hans von Marées (che nel 1873 doveva eseguire le decorazioni pit­ toriche dell'Acquario di Napoli) e lo scultore Adolf Hildebrand, a sua volta buon teorico d'arte; nella cui abitazione fiorentina (scoperta dal von · Marées che vi abitò anch'egli per un certo tempo) in un convento abbandonato nella collina di Bello­ sguardo, lo stesso Fiedler doveva piu volte essere ospitato. La diuturna corrispon­ denza del Fiedler con lo Hildebrand e con il von Marées è importante per inten­ dere cosi il pensiero del Fiedler come l'arte dei suoi interlocutori. Basti leggere alcuni passi di una lettera che Hans von Matées scriveva da Roma al Fiedler, in data 5 febbraio 1882: « Se a uno riuscisse di penetrare nell'essenza di ciò che ap­ pare e tener fermo ciò che in essa è piu importante, alla stessa stregua gli riusci­ rebbe facile il comprendere l'essere della propria arte e comportarsi sempre con naturalezza e rispondenza nell'esercizio di questa. Entrambe le cose; comprendere la natura e comprendere l'arte, sono interamente necessarie, per farsi un retto giudizio di quello che dobbiamo fare e di quello che possiamo fare » (i). All'opera di Hans von Marées, del resto, il Fiedler doveva dedicare un lungo saggio (pub­ blicato nel 1889, due anni dopo la morte dell'artista, avvenuta in Roma il 5 giugno 1887) nel quale un intero capitolo, l'ottavo, raccoglie pensieri teorici sull'arte ri­ cavati dalla corrispondenza del Marées a lui diretta (2). Nel 1876, Fiedler sposò l'unica figlia di Julius Meyer, scrittore d'arte e con­ servatore dei Musei di Berlino; del quale egli doveva curare la raccolta dei saggi, pubblicata nel 1895 presso un editore di Lipsia ( l) . Dopo il matrimonio, i Fiedler abitarono per alcuni anni in Berlino, trasferendosi poi a Monaco, dove Conrad Fiedler mori, il 3 giugno del 1895. Le opere di Fiedler vennero pubblicate una

( 1)

In H. 1 I l '\ M .\Rf:E,. Briefe, Milnchen, Piper Verlag, 1920, n. 164, p. 213. (2) In: C. FI WLER. Schriften iiber Kunst, ed. da H. Marbach, Leipzig, 1896, p. 443 sgg. (1) Zur Geschichte und Kritik der modemen deutschen Kunst, Gesammelte, A ufsiitze von ]ulius Meyer. ed. da C. Fiedler. Leipzig, nei Fr. Wilh. Grunow, 1895.

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prima volta in un solo volume, a cura . di Hans Marbach, nel 1896; e una seconda volta, in due volumi a cura di Hermann Konnerth nel 1913-14. La prima edizione, che reca nel frontespizio interno la firma dell'editore Hirzel di Lipsia, fu assorbita dall'editore Piper di Monaco, che ne firmò la copertina, facendosi poi editore della seconda edizione completa. Non ancora ultimata la pubblicazione dell'epistolario. « A Lei è riuscito a dire in breve molte cose nuove e incontrovertibili su ar­ gomenti che davvero non sono facili da rendere con le parole [.. . ] Lei ha inoltre provato che sensazioni (GesinnU.ng) e giudi�io (Einsicht) non sono scindibili . . . >>. Cosi scriveva al Fiedler, da Roma, Han? von Marées, il giorno 29 gennaio 1876, esprimendo la propria gratitudine di lettore e di artista per il saggio allora uscito che si intitola Il giudizio sulle opere d'arte figurativa (�) . Il problema del Fiedler, scrivendo quel saggio che costituisce il punto di par­ tenza della sua operosità teorica, era quello di un giudizio sull'arte che riguardi veramente il contenuto autentico dell'opera d'arte, e Jion si occupi, invece (come spesso accadeva ai suoi tempi e piii spesso ancora accade ai nostri giorni) , del « milieu >> e del « moment >> . La costitutiva importanza di tali elementi viene posta con chiarezza come cardine metodologico proprio nell'introduzione alla let­ teratura inglese. La prima serie degli Essais de critique et d'histoire fu raccolta nel '58; alla seconda edizione di essi (1866) Taine premise una prefazione (qui tradotta) che riassume ,nitidamente i criteri del suo procedimento di ricerca ove filosofia, storia e critica convergono nel medesimo ideale di una scientificità fondata sulle verifiche dell'esperienza. I viaggi in Belgio e in Olanda, in Germania, in Inghilterra e in Italia fomirono anche am pia materia di osservazione diretta ai corsi che egli professò dal 1864 all'Ecole· des Beaux-Arts, dove aveva assunto la ca ttedra che era stata di FrançoiH Viollet-le-Duc e che diedero luogo alle opere tainiane di piii diretto riferimento ai problemi dell'arte: De l'idéal dans l'art (1865), la Philosophie de l'art (1866), la Philosophie de l'art en Italie (1866), la Philosophie �e l'art dans les Pays-Bas

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(1869), la Philosophie de l'art en Grèce (1869). Non diversamente dall'Histoire de la litérature anglaise, questi agili cicli di lezioni consistono, piu che nello studio

delle specifiche attività artistiche, in una colorita illustrazione dello spirito di cia­ scuno dei popoli fatti oggetto di storia, sorretta da quella concezione positivista che ha ormai profonde radici nell'autore. Molto discusse, anche per il loro realismo che allora sembrò crudo, furono le

Notes sur Paris. Vie et opinions de M. Frédéric Graindorge, le quali, pubblicate dal 1863 sulla « Vie Parisienne », riapparvero in volume nel 1867. Si trattava di os­ servazioni sul costume e sulle condizioni di vita che si traducevano, forse anche di là dall'intento dell'autore� in una denuncia sociale in quanto documentavano le tristi condizioni in cui era ca!futo il proletariato della capitale al momento della rapida industrializzazione della banlieue. Lo psicologismo che permea tutte le opere di Taine ha in questo periodo la sua espressione teorica piii compiuta nel saggio De l'Intelligence, cominciato nel 1866 ed uscito nel '70.

Addolorato per la disastrosa guerra franco-prussiana e soprattutto per gli atroci episodi di guerra civile che in Francia ne seguirono, Taine, il cui interesse per il pensiero politico si faceva fra ttanto piii intenso ma che dalla vita politica si tenne sempre lontano, visse da allora per lo piu nell'alpestre ritiro di Menthon, in Alta Savoja, cosi propizio agli studi, soddisfaèendo quel contemplativo amore della na­ tura che egli aveva espresso in termini romantici sin dal saggio su La Fontaine e che era stato tema ricorrente dei su ?i libri di viaggio. « Questo grande cuore infelice dell'uomo moderno; tormentato dal bisogno e dall'impossibilità di adorare, non trova la bellezza perfetta e consolante se non nella natura infinita. Ha troppo sentito e troppo giudicato, troppo sperato e . troppo distrutto. Ritoròa a lei dopo tanti sviamenti: la trova giovane e sorridente come i primi giorni, si turba e ad un tempo si riconforta al suo contatto e al suo respiro; tende le braccia verso di lei, e la sua vecchia anima, resa dolente da tanti sforzi ed esperienze, riacquista la salute e il coraggio a contatto della madre che l'ha portata in seno. O madre, silenziosa e dormiente, come sei calma e bella, e quale linfa immortale di felicità · e di forza scorre ancora attraverso il tuo essere con il tuo placido sangue! » (Essai sur les Fables de la Fontaine, Parigi, 1895, p. 216). Ma proprio dalla crisi successiva alla sconfitta della Francia egli si senti sti­ molato alla sua opera maggiore, le monumentali Origines de la France contempo­ mine (1878 e segg.) cui lavorò quasi fino alla 'morte, avvenuta il 3 marzo 1895. Nel novembre 1878 era stato eletto accademico di Francia, subentrando nel posto di Beau de Loménie. Nel 1894 aveva licenziato i Derniers essais de critique et d'hi­ stoire che appariranno postumi, cosi come postumo uscirà l'ultimo volume delle

Origines.

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Nonostante la molteplicità delle sue opere, la varietà dei temi trattati e il non breve spazio di tempo in cui la sua operosità di studioso e di scrittore si esplicò, la personalìtà teoretica di Taine non presenta veri svolgimenti speculativi e metodo­ logici né considerevoli trasformazioni di stile. E sebbene la storiografia civile sia assurta a preminente centro dei suoi interessi e del suo programma di lavoro solo nella tarda maturità - con quelle Origines che certo costituiscono in questo campo il suo contributo piii cospicuo - sono già storia i diversi volumi della Philosophie de , l'Art e perfino i suoi libri di viaggio, ove il piacere della contemplazione della natura trova spesso compimento e incentivo nei suoi costitutivi nessi con la me­ moria della civiltà e con i suoi aspetti presenti che di continuo hanno modificato e riplasmato la stessa configurazione naturale. Parimenti, la sua « vocazione » di scrittore che risponde pienamente alla sua concreta inclìnazione di storico ancor

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piu che al suo modo d'intendere teoreticamente �a storia, si rivela sin dalle prime opere come quella di un prosatore di non comune limpidezza, nel quale l'intenso gusto e l'autentico sentimento della natura si congiungono a un caldo senso della vita e ad una comprensione delle sue passioni, orientati e qualificati da un'acuta capacità di osservazione e di giudizio psicologico. Tuttavia il risolversi di queste attitudini di analisi in una descrittività fluida e vibrante occulta in parte con la sua eloquente naturalezza le difficoltà interne della ricerca, ma in parte lascia anche trasparire, per la stessa genericità dell'argomentazione, e per una certa uniformità di riferimenti, una relativa carenza di problemi. La notissima teoria che fa della stirpe, dell'ambiente e della circostanza tem­ porale - le condizioni di ogni attività umana - in altri termini i « fattori » della storia, è la risultante del tentativo di mediazione tra la filosofia positiva, di Spencer soprattutto e di Stuart Mill, ed alcuni iltflussi hegeliani, ossia dell'unica filosofia idealistica che Taine abbia mostrato, almeno in parte, di apprezzare, pur senza propriamente penetrarla, .ma che senza dubbio contribuisce a dare ricchezza di articolazioni umane alla sua storiografia. A malgrado di qualche attenuazione, la teoria tainiana rimane causalistico-deterministica e tende a ridurre la storia nel­ l'ambito delle scienze biologiche. Il filosofo non avverte come sul fondamento di un tale scientismo la spiegazione dei « fatti » venga per necessità sospinta, di rinvio -in rinvio, ad una rf'j!ressione infinita, né. come, pertanto, il suo tentativo di riaf­ fermare ùna riequilibrat rice fungenza dell'umana libertà di scelta come protago­ nista del mondo storico, dia luogo ·altrettanto necessariamente ad una contraddi­ zione insolubile poiché la radice di un atto non è mai posta nel momento del suo venire in essere ma in una sua interminata genealogia. Il causalismo fideistico e il determinismo biologico preposti all'interpretazione della storia inevitabilmente dissolvono l'evento nel tipo o classe di·eventi e l'individuo nella specie, vanificando l'uno come prodotto e l'altro come produttore di volontà. Sono proprio l'estetica - e di riflesso la critica letter�ria, la critica d'arte, le quali d'altra parte nell'opera di Taine hanno spazio ben piu largo dell'estetica fi­ losofica - - a risentire maggiormente le conseguenze di questo sociologismo che si adopera a spiegare l'opera d'arte per mezzo di qualcosa di diverso dall'attività dell'arte e dalla sua spirituale personalità. Un fatto verrebbe cosi a trovare la sua qualificazione essenziale in una serie di altri fatti che gli sono assegnati d'arbitrio come cause, giacché arbitrario è il procedimento (non importa se dichiarato o ir­ razionalmente presupposto) onde i fatti precedenti ·si distinguono in fatti che avrebbero efficacia causativa ed altri che tale efficacia non avrebbero. Ma poiché la sensibilità estetica e storica di Taine sovrasta felicemente•le rigidezze e le strettoie della sua teoria, non è un'eccezione, nelle sue molte opere, il rivolgersi delle ca­ pacità di vivida descrizione e di analisi anche al fine di cogliere le ragioni distintive delle singole personalità. Ne emergono belle pagine di ritratto, magari qua e là maculate di compiaciuta bravura, fra le quali ci limiteremo a ricordare, ad esempio. quelle della Philosophie de l'art dans les Pays-Bas su Rubens e su Rembrandt. Di Rubens Taine mette soprattutto in risalto la potente rappresentazione della vitalità animale dell'uomo che prevale di gran lunga sulla rappresentazione dell'imperso­ namento dei sentimenti piu elevati: « Per suo [di Rubens] tramite tutti gli istinti animali della natura umana entrano in scena; erano stati esclusi perché grossolani. egli li fa rientrare perché veri; e in lui, come in natura, essi s'incontrano con gli altri. Niente gli manca, tranne i molto puri, i molto nobili; ha sottomano tutta la natura umana, salvo la cima piu alta. Per questo la sua invenzione è la piu vasta che si sia vista e comprende tutti i tipi, cardinali italiani, imperatori romani, signori

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contemporanei, borghesi, contadini, guardiane di vacche, con le innumerevoli di­ versità che il gioco delle forze naturali imprime alle creature, e piu di millecin­ quecento quadri non bastano ad esaurirli » (pp. 134-35). La caratterizzazione psi­ cologica si trasforma in individuazione di caratteri formali: > e « L'organisateur ». Nel 1825, Comte sposa Caroline Massin: una donna per nulla irreprensibile, che da quattro anni era con lui in relazione, sia pure con non infrequenti dissidi e abbandoni; ma il matrimonio doveva essere tutt'altro che felice, fino alla separazione del 1842, dopo la quale, peraltro, i due ex-coniugi continueranno a scriversi ancora per vari anni. Nonostante le traversie della sua vita sentimentale (quando conobbe Caroline, Augusto era già padre di una figlia naturale avuta da una relazione con una donna sposata di lui piu anziana) , Comte continua i suoi studi, seguendo la tradizione di pensiero dei cosiddetti > ( 1). e> Ecce Homo, Prologo. 3. tr. di F. Masini e R. Calasso. in: Opere di Federico Nietzsche. voL VI. III (Il caso Wagner. Crepuscolo degli idoli, L'Anticristo Ecce Homo, Nietzsche contro Wagner). Addphi. Milano. 1970. p. 266. Uno studio su Nietzsche teorico del paesaggio e critico di paesaggi sarebbe peraltro di estremo interesse . (1) Jb .. p. 270. (4) F. NIETZSCHE, Ecce Homo. in: Werke in drei Banden, ed. K. Schlechta, Miinchen, 1955, Il, .P. 1093. E si legga, versn la fin> , « perché io ti amo, o Eternità! », la chiusa a ogni strofa tor­ nante della canzone intitolata Il settimo · sif{illo, con la quale termina il terzo libro di Cosi parlò Zarathustra): che nell'apollinea, nell'arte plastica e figurale, è eternità delle figure individuàte, in quanto fermano in sé il giro dell'eterno ritorno; mentre nel dionisiaco, nella musica è annullamento del tempo - e perciò diversa è l'eb­ brezza - poiché in entrambi gli opposti, nell'apollineo come nel dio-nisiaco, v'è ebbrezza, anzi, secondo quella che sarà una esplic-ita dichiarazione di Nietzsche, l'apollineo e il dionisiaco sono intesi entrambi come una specie di ebbrezza: « L'ebbrezza apollinea riesce soprattutto a eccitare l'occhio, cosi che esso ac­ quista la forza della visione. 11 pittore, lo scultore; il poeta epico sono visionari par excellence. Nello stato dionisiaco per contro l'intero sistema degli affetti è eccitato e potenziato .. )) n . Solo nell'arte, e in un'arte tragica, nella quale Apollo parli il linguaggio di Dioniso e Dioniso parli il linguaggio di Apollo, può esser rimosso il contrasto dell'Apollineo e del Dionisiaco - rimosso e conservato nel medesimo tempo. E la sola filosofia legittima, potrà essere dunque, una filosofia estetica e tragica - non una filosofia dialettica, comportante l'unilaterale assolutizzazione di uno solo dei due principi, quello apollineo, nello schematismo logico; come egli già nella Nascita della Tragedia, al paragrafo 14, aveva scritto, dando inizio a quella sua polemica contro lo spirito dialettico che doveva identificarsi con l'intero suo filosofare (h). Il senso di pagine come quelle di Crepuscolo degli idoli intitolato al Problema So­ crate n. può anche essere decifrato come ulteriore rivendicazione della superiorità di 'una filosofia tragica, « esperienza di un'opposizione che non ammette conci­ liazione, mediazione e superamento >> (li) - e dunque di una filosofia estetica rispetto alla filosofia teoretica, dialettizzante. Ed è questo il motivo per cui le primissime pagine della Nascita della Tragedia sono state qui scelte come intro­ duzione a quella estetica di Nietzsche che in realtà si identifica con il pensiero di Nietzsche, tout court. ..•

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Bibliografia essenziale. - In quanto l'estetica di Nietzsche coincide con la filosofia di Nietzsche, lo studio di essa non può prescindere dalle opere dedicate a questa, nella sua totalità: a cominciare da quelle, ormai classiche, di J ASPERS (1936), 114.

e) Crepuscolo degli idoli. scorribande di un inauuale. 10: tr. Masini in: Opere. vo. Il. t. III. p.

(6) ()

E si veda: Rorrc;_E,;. Nietzsche und die Dialektik der Aujkliirung. cit.. p. 12 sgg. In Op'e re. vol. VI. t. III. cit., p. 62 sgg. (8) M. PER'\IOL-1. Nietzsche e l'opposizione eccessiva. in «"Il Verri �- marzo 1975. p. 18.

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LOWITH, N. S. Philosophie der ewigen Wiederkehr des Gleichen, 1935 e Von Hegel N., 1939: tr: it:. Da Hegel a N.. Torino, 1949, a quelle piil recenti ed egualmente autorevoli di FI:XK, N.s Philosophie, 1960,; HEIDEGGER, N., 1961; D.nTO, N. as Philosopher, 1965; KLOSSO\YSKI, Nietzsche et le circle vicieux, Paris, 1969; ROTTGES, N. und die Dialektik der Aufkliirung, cit., 1972; B ERTI :", La morte di Dio. 1973. Ed inoltre gli studi particolari di HEI MSOETH, Des jungen N. Weg zur Philosophie, 1943; ora in: Studien zur Philosophiegeschichte, Colonia, 1961; BLA:XCHOT, Rifles­ sioni sul nihilismo, 1970; tr. it. ne « Il Verri », n. 39-40, novembre 1972; e si veda l'Intervento introduttivo al fascicolo tutto dedicato a Nietzsche, con contributi di G. BATAILLE, G. CoLLI, M. Mo:xTI:XARI, G. DELEPZE, .M. FoPc.\nT, P. KwssowsKI. S. KoFM.H, P. L.\cor-L.\BARTHE, B. P.U'TR.H, J.-M. REY, E. TR IA\ E. GRASSI; ' C ocozZA, Libertà e immaginazione - con postille a una lettura di N., in: ; Filoso-fia e so­ cietà », n. 7-8, 1974; PER:XIOLA, N. e l'opposizione eccessiva, cit., 1975. Per i pro­ blemi di una corretta lettura e interpretazione di Nietzsche: K. ScHLECHTA, Der Fall N., Monaco, 1959. I testi nietzscheani, vanno letti ormai nella monumentale edizione critica curata da G. Colli e M. Montinari, attualmente in corso presso l'editore De Gruyter di Berlino, con parallela traduzione italiana presso la casa editrice Adelphi di Milano. Presso lo stesso De Gruyter e sempre a cura di G. Colli e M. Montinari si è anche iniziata la pubblicazione dell'epistolario completo, con traduzione italiana presso Adelphi di tutte le lettere di N. Preziose le Notizie e note apposte ad ogni volume. Sempre da leggere l'antologia Nietzsche a cura di E. Paci, Milano, 1944. zu

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L'OPPOSIZIONE INTERNA DELL'ARTE: L'APOLLINEO E IL DIONISIACO Molto avremo guadagnato alla scienza estetica, quando non solo saremo pervenuti alla comprensione, ma avremo anche con imme­ diata sicurezza intuito che lo sviluppo dell'arte è legato alla dicotomia dell apo llineo e del dionisiaco, non diversamente da come la genera­ zione dipende dalla dualità dei sessi, il cui · incessante conflitto solo periodicamente giunge a conciliazione. I due nomi, li prendiamo in prestito dai Greci; i quali non già per concetti palesarono alla intel­ ligenza la profonda occulta dottrina della loro visione artistica, ma nelle figure fortemente intelligibili del loro mondo divino. Su en­ trambe le loro divinità artistiche, Apollo e Dioniso, si fonda la nostra teoria: secondo la quale un enorme contrasto sussiste nel mondo greco, contrasto di origine e contrasto di scopo, tra l'arte figurante, apollinea, e la non figurante arte della musica, la quale è propria­ mente l'arte di Dioniso; ed entrambi i due cosi differenti impulsi procedono l'uno accanto all'altro, in aperto conflitto, per lo piu, ma pure vicendevolmente stimolandosi a sempre nuove e sempre piu gagliarde produzioni, allo . scopo di perpetuare con esse la lotta di quegli opposti che il corrente vocabolo « arte )) pacifica solo in ap­ parenza; fino a che, grazie ad un metafisico miracolo della « volontà )) ellenica, i due opposti compaiono accoppiati tra loro, ed in questo '

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accoppiamento generano alfine l'opera d'arte, dionisiaca ed apollinea a un tempo, della tragedia attica. Per meglio comprendere entrambi codesti impulsi, li penseremo dapprima come i distinti mondi artistici del sogno e dell'ebbrezza: tra le cui rispettive fisiologiche manifestazioni è da rilevare un contrasto corrispondente a quello tra l'apollineo e il dionisiaco. Nel sogno, se­ condo che poetò Lucrezio, per la prima volta si. mostrarono alle anime degli uomini le sovrane immagini degli dèi ("); nel sogno il grande scultore vide le affascinanti sembianze degli esseri sovrumani, ed il poeta ellenico, interrogato sul segreto della creazione poetica si sarebbe anch'egli ricordato del sogno, ed un insegnamento avrebbe impartito simile a quello che impartisce Hans Sachs nei Maestri

Cantori:

« Mein Freund, das grad ist Dichters W erk, dass er sein Traumen deut' und merk'. Glaubt mir, des Menschen wahrster Wahn wird ihm im Traume aufgetan: ali Dichtkunst und Poeterei ist nocht als Wahrtraum-Deuterei )) ( ' ") .

La bella apparenza dei mondi del sogno, nella creazione dei quali ogni uomo è perfetto artista, è il presupposto di ogni arte figurativa, e anzi, come vedremo, di pio che metà della poesia. N o i godiamo nell'immediata comprensione della figura, tutte le forme ci parlano, nulla vi è di indifferente o di superfluo. Nella piii intensa vita di questa realtà di sogno, serbiamo però la sensazione del suo essere apparenza: questa è almeno la mia esperienza, sulla cui generalità, anzi normalità, non poche testimonianze potrei addurre, comprese le dichiarazioni dei poeti. L'uomo filosofante ha persino il presenti­ mento che dietro questa realtà in cui noi viviamo e siamo, un'altra se ne nasconda, tutta diversa, sicché è apparenza anche questa che vi­ viamo come realtà, e nel dono che taluno ha, di vedere in certi momenti uomini e cose come se fossero meri fantasmi o immagini di sogno, Schopenhauer riconosce addirittura il contrassegno del talento filosofico (1 1) . Come il filosofo con la realtà dell'esistenza, cosi si ('� Cfr. De Rerum Natura. V. 1169 sgg.: • Quip1w etenim iam tum divom mortalia saecla l egregias animo facies vigilante videbant l et magis in somnis mirante• cnrpnris auctu » - • Allora i mortali �;li aspetti sovrumani degli dèi vedevano, e corpi d'immensa statura. da svegli e piu spesso nei so�;ni » . ( 1 11) R. WAG\J:: R . I maestri cantori di Norimberga, atto III, s e . II. vv . 1934-37. • Amico mio. proprio qnesta è l'opera del poeta. interpretare i propri sogni. e fermarli. l Credete a me. dell'uomo la l'arte e tutta la· poesia l Altro non è che piu vera visinne. l A lui nel so�tno viene svelata:. l Tutta. · veridica interpretazione del sogno » . ( I l) Il mondo come t•olonlà e rappresentazione, l. I, * 5.

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comporta con la realtà del sogno l'uomo artisticamente sensibile: la contempla attentamente e volentieri, perché in base alle sue immagini egli interpreta la vita, ed in base agli esempi di essa egli si addestra alla vita. Né sono soltanto le immagini gradevoli e amiche quelle che egli con tanto lucida comprensione apprende per come sono in se stesse: anche ciò che è severo, e cupo, e malinconico, e tenebroso; anche gli impedimenti repentini e le angherie del caso e le aspetta­ zioni angosciose: in breve, l'intera « divina Co.mmedia )) della vita passa dinanzi ai suoi occhi, con tutto il proprio Inferno; e non come un semplice giuoco di ombre - ché in queste scene egli vive e patisce, non senza, peraltro, che in lui venga meno la fuggevole sen­ sazione del loro esser soltanto apparenze; e forse molti rammente­ ranno al pari di me come tra i pericoli e lo spàvento del . sogno, ri­ prendendo animo e con effetto immediatò abbiano esclamato fra sé: « È un sogno! Voglio sognarlo ancora! )) . Mi è stato anzi raccontato di persone le quali avevano la capacità di prolungare la causalità di un medesimo sogno per tre. e piu notti consecutive: fatti, codesti, che arrecano chiara testimonianza di come il nostro intimo essere, il sottofondo a noi tutti comune, sperimenti il sogno per se stesso con profondo piacere e con gioiosa necessità. Questa gioiosa necessità dell'esperienza sognante, i Greci l'hanno raffigurata nel loro Apollo: dio di tutte le capacità figuratrici, Apollo è anche il dio proft;tante. Egli che, secondo la radice del nome, è « colui che appare )) la divinità della luce, signoreggia anche la bella ' apparenza dell'intimo mondo della fantasia. La eccelsa verità, la perfezione di questa condizione, in contrapposto alla realtà giorna­ liera lacunosamente intelligibile, e insieme la profonda coscienza della natura che nel sonno e nel sogno risana ed aiuta, è simbolico riscontro, a un tempo, della .capacità profètante e in generale delle arti grazie alle quali la vita si fa sopportabile e degna di esser vissuta. Non può però mancare, nella figura di Apollo, quella sottile linea che l'immagine di sogno non può oltrepassare se non vuole avere un ef­ fetto patologico, altrimenti l'apparenza ci ingannerebbe facendosi si­ mile a grossolana realtà - la moderata limitazione, quella libertà dalle sfrenate emozioni, la calma sapiente piena di saggezza del dio della forma. Solare, in conformità alla sua nascita, deve esser l'occhio di lui; anche quando si adira e guarda aècipigliato, c'è intorno a lui l'aureola della bella apparenza. In senso analogico, potrebbe perciò valere per Apollo ciò che Schopenhauer dice dell'uomo preso nel velo della Maja: « .. come sull'infuriante mare che, per tutti i lati infinito, ululando montagne d'acqua innalza e precipita, siede in . barca il navigante e sé affida al debole naviglio; cosi siede tranquillo, in mezzo a un mondo pieno di tormenti, il singolo uomo, poggiandosi .

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fidente sul principio individuationis » C1) . Di Apollo, certo, bisogne­ rebbe dire che in lui l'imperturbabile fiducia in quel principio e la tranquillità di chi su di esso si fonda hanno avuto sovrana espres­ , sione; e potremmo riconoscere il supremo divino prototipo del principium individuationis proprio in Apollo, i gesti e gli sguardi del quale, insieme con la sua bellezza comunicano a noi tutto il piacere e tutta la saggezza del principio di individuazione. N ello stesso luogo, Schopenhauer ha descritto il mostruoso orrore che assale l'uomo quando di colpo viene strappato dalle forme co­ noscitive dell'apparenza, allorché il principio di ragion sufficiente sembra patire eccezione in taluna delle sue manifestazioni. Se accanto a questo orrore poniamo il voluttuoso rapimento che per l'infrazione stessa del principium individuationis si leva dalle piu intime profon­ dità dell'uomo, anzi del)p . ' natura, noi avremo gettato uno sguardo nell'essenza del dionisiaco, che ci viene resa ancor piu accessibile dal paragone con l'ebbrezza. O dall'influsso delle bevande narcotiche, di cui inneggiando parlano tutti gli uomini e i popoli primitivi, o per l'approssimarsi della primavera che di letizia compenetra l'intera natura sopravvengono quei dionisiaci moti, nel cui sollevarsi svanisce la soggettività in completo oblio di sé medesima. Anche nel Medioevo tedesco cantando si avvicendavano di borgo in borgo, e danzando, schiere sempre piu fitte dominate da quello stesso furore dionisiaco: in codesti danzatori di S. Giovanni e di S. Vito noi ritroviamo i cori bacchici greci, con tutte le loro reminiscenze dell'A sia Minore, di Babilonia, persino, feste orgiastiche sacre. Vi sono uomini insuperbiti della propria sanità, i quali, vuoi per inesperienza vuoi per stoltezza, si fanno beffa di siffatti fenomeni ovvero li biasimano, considerandoli come « morbosità collettiva •• : e non sospettano, i meschini, quanto cadaverica e spettrale appaia la loro sanità, quando li sfiori fremendo l'avvampante vita dei tripudiatori dionisiaci. N o n soltanto si stringe di nuovo, sotto l'incantesimo del dioni­ siaco, il legame tra gli esseri umani; anche la natura, estraniata, ostile, o soggiogata festeggia la propria riconciliazione col suo figliuol pro­ digo, l'uomo. Spontaneamente la terra offre i propri doni, e mansuete si avvicinano le fiere delle rupi e dei deserti. Di fiori e ghirlande si copre il carro di Dioniso, sotto il cui giogo avanzano la pantera e la tigre. Si tramuti in un quadro il cantico alla « Gioia •• di Beethoven e non ci si fermi con l'immaginazione, fino a che non si vedano milioni di uomini prosternarsi, abbrividendo, nella polvere: solo cosi possia­ mo appressarci al dionisiaco. Ogni schiavo è adesso un uomo liber-o, ( 11) Il mondo come c·olontà Bari. 1968. vol. IL p. 463.

e

rappresentazione. L l. � 63. tr. Savj-Lopez e Di Lorenzo (1914-16). ·

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si infrangono ormai tutte le rigide, ostili barriere che la necessità, l'arbitrio, la « moda insolente » avevano erette tra gli uomini. Ora nel vangelo dell'universale armonia ciascuno si sente non solo riunito al proprio prossimo, con lui conciliato e con esso immedesimato, ma con il suo prossimo si sente uno, come se stracciato si fosse il velo della Maja e ridotto in brandelli svolazzasse davanti al mistero del­ l'Uno primigenio. Cantando e danzando l'uomo si rivela membro di una superiore comunità: il camminare e il parlare, egli li ha disim­ parati ed è sul punto di involarsi, danzando, nell'aria . La magia parla nei suoi gesti. E come ora gli animali parlano e la terra dà latte e miele, cosi anche dall'uomo armoniosamente si propaga alcunché di sovrannaturale, egli si sente come un dio e incede egli stesso rapito e sublime come nel sogno vide incedere gli dèi. L'uomo non è piii ar­ tista; è diventato egli stesso un'opera d'arte: a suprema beatificazione dell'Uno primigenio, con un brivido di ebbrezza in lui si rivela la potenza artistica dell'intera natura. La creta piii nobile viene ora impastata: l'uomo; il marmo piii prezioso viene ora levigato : l'uomo; ed ai colpi di scalpello dell'artefice dionisiaco costruttore di mondi risponde l'appello dei misteri Eleusini: « Non vi prosternate, o mi­ lioni di esseri? Non presenti tu il tuo creatore, o mondo? >> . (La nascita della tragedia. curata da K. Schlechta. vol. l, pp. 21-25).

VI.

LA BELLEZZA CONTRO LO SCIENTISMO

WILHELM DILTHEY Della lunga e operosa vita di Wilhelm Dilthey, nato nel 1833 a Biedrich (Nassau), e morto a Siusi nel 1911, gli unici eventi importanti sono costituiti dagli studi, dalla carriera accademica� dalle oper� pubblicate in vita e da quelle lasciate inedite, e pubblicate postume a cura di antichi discepoli o di studiosi in vario modo legati al suo pensiero, come, tra gli altri, Bernard Groethuysen e Ludwig Landgrebe. A somiglianza di tanti filosofi tedeschi delle generazioni precedenti, ivi com­ presi Schelling e Hegel, anche Dilthey discendeva da una famiglia di ecclesiastici (calvinista, nel suo caso, e non luterana), ed alla carriera ecclesiastica era stato egli stesso destinato. La madre apparteneva ad una famiglia di musicisti; e commen­ tando questo particolare biografico, Carlo Antoni, nel suo saggio su Dilthey, scrive che ben presto egli si rese conto (e sarà un punto di forza del suo pensiero estetico) del carattere di effusione proprio della musica tedesca, che « rappresentava un'e­ vasiont· dalle strettoie del dogma, quasi una forma di religiosità eterodossa » ( 1) ed è osservazione da tener presente quando si leggano i frequenti riferimenti a Bach e a Beethoven negli scritti di Dilthey dedicati all'arte. Dopo avere frequentato l'Università di Heidelberg, Dilthey si trasferi, nel 1855, alla Facoltà filosofica berlinese, dove furono suoi maestri, tra gli altri, l'allora giovane Ludwig Adolf Trendelenburg, il grande storico della logica, e lo storiografo Leopold von Ranke; ed all'insegnamento di quei maestri con tutta probabilità si deve lo sviluppo di quella che nel Dilthey era vocazione innata: il rigore nel teo­ rizzare accompagnato da vastità e sicurezza di conoscenze storiche (anche: stori­ co-artistiche e storico-letterarie), sempre possedute di prima mano. Appena ultimati gli studi universitari, Dilthey si impegnò nello studio e nella pubblicazione degli inediti di Schleiermacher, di cui a ventiquattro anni doveva farsi biografo (limi­ tatamente al periodo della giovinezza), con il suo primo libro: Das Leben Schleiermachers, la cui prima edizione è del 1867. La carriera accademica di Dilthey cominciò nel 1866, quando egli fu chiamato a insegnare filosofia nell' Università di Basilea (tra le piu prestigiose, allora, del mondo tedesco) dove rimase fino al 1868. Dal 1868 al 1871, egli insegnò all'U­ niversità di Kiel, dalla quale passò a Breslavia, dove insegnò per oltre dieci anni, per trasferirsi poi a Berlino, nel 1882; ed in Berlino egli insegnò, assurgendovi a grande autorità, fino alla Emeritierung: che prima del 1968, in Germania come in tutti gli altri paesi europei, Italia compresa, era la conclusione di una vita di studio e di insegnamento iniziata, di solito, con il conseguimento della libera docenza: e ( i) C. A \TI I \ 1. Dilthe_, .. in: Dallo storicismo allo sociologia [1939). Firenze. 1951 1• p. 4.

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oggi è sostituita dallo sprezzante pensionamento emarginatorio, che per demagogia si chiede di continuo venga anticipato. E sono degli anni berlinesi gli scritti da lui espressamente dedicati all'estetica teorica: come la conferenza del 1886 su Fantasia poetica e follia (Dichterische Einbildungskraft und Wahnsinn), da leggersi ancora oggi con profitto, sia per l'affinità che in essa, anticipando Freud e Jung, Dilthey istituisce tra la fantasia poetante, in quanto è un pensare per immagini, e il sogno, questo poeta nascosto dentro di noi (ma, e questo va sottolineato, nella fantasia poetante, a differenza che nel sogno, nel delirio, nell'allucinazione, è attiva la coerenza di impressioni, rappresentazioni, sentimenti nel loro adattarsi alla realtà), non senza però che nella poesia il libero dispiegarsi delle immagini al di sopra della realtà abbia una rigorosa e volontaria organicità: sicché sarà lecito dire (ed era affermazione assai importante, in tempi di antropologia positivista assimilante genio e follia) che (, il Genio non è una manifestazione patologica: è anzi l'uom o sano e perfetto » (�. Sul tema della fantasia poetica, Dilthey doveva ritornare l'anno dopo, con il lungo saggio intitolato La fantasia del poeta, Materiali costruttivi di una poetica (Die Einbildungskraft des Dichters, Bausteine fiir eine Poetik), il cui tema decisivo era il rapporto tra il nucleo nel quale « il ·significato della yita, come potrebbe esporla il poeta, è identico per tutti i tempi, e per questo i grandi poeti hanno qualcosa di eterno )) e la condizione dell'uomo in quanto essere storico n: un tema, come si vede, ancora oggi attualissimo. Il problema affrontato nel saggio del 1887 era quello della poetica come si poneva dopo la morte della poetica di Aristotele ( « Die von Aristoteles geschaffene Poetik ist tot ») , e cioè in tempi nei quali l'a­ narchia del gusto è indizio che un nuovo modo di sentire la realtà ha frantumato le forme esistenti e sconvolto le regole prima vigenti - e cioè come ricognizione dei termini nei quali si pone il compito dell'odierna filosofia e storiografia artistica e letteraria: « ristabilire il sano rapporto tra il pensiero estetico e l'arte » ( 1) , do­ mandandosi di conseguenza se la poetica .« può pervenire a leggi di universale va­ lidità; che si possano adoperare come regole del fare artistico e come norme della critica >> C) . Nel saggio del 1892 intitolato Le tre epoche dell'estetica moderna e il

loro còmpito odierno (Die drei Epochen der modetnen Asthetik und ihre heutige Aufgabe; un saggio che tra l'altro contiene una storia dell'estetica. moderna, a

partire da Leibniz, che è prezioso per l'esattezza della ricostruzione e l'acutezza delle valutazioni critiche), Dilthey sottolineerà come lo stile, e propriamente il

modo costante di vedere e di rappresentare, che per scopi, mezzi e leggi condiziona un'arte, sia stato prodotto « dalla forza geniale di un artista », dal suo patrimonio

spirituale, il quale peraltro « è storicamente condizionato e comune a gran parte degli artisti di un'epoca » ( ") . Si poneva cosi, all'interno dell'estetica, il problema del rapporto, nell'uomo, tra l'individuo vivente e il suo essere storico. Questo problema è il problema di fondo della filosofia di Dilthey; e dal punto di vista estetico vive concretamente in pagine ricche e profonde, quali sono i saggi su Lessing, Goethe, Novalis, Holderlin, scritti in vari periodi e riuniti nel 1905 sotto il titolo Esperienza vissuta e poesia (Das Erlebnis und die Dichtung). Né vi può essere, per la penetrazione nel pensiero estetico diltheyano, introduzione migliore della lettura di quei saggi - oltre a ��� W.

D t J .THn.

Gesammelte Schriften. VI. Abhandlung zur Poetik, Ethik und Padagogik. p. 94.

Stull�art. T•·ubner. 1958'1•

.

(l� Jb . . l'· 241. ( 1) /b. . pp. 103-104. ("') /b., p. 107. (6) /b.• p. 284.

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quella degli scritti storici, datati tra il 1891 e il 1904, e raccolti nel secondo volume delle opere complete (traduzione italiana a cura di G. Sauna, L 'analisi dell'uomo e l'intuizione della natura dal Rinascimento al _sec. XVIII) - dove si leggono con­ siderazioni di grande interesse; come quelle sul « trasferirsi dell'interesse religioso dal dramma cosmico al rapporto passionale dell'individuo con Cristo e con Dio padre >> , che cc appare anche nei quadri di Giovanni Bellini e del Perugino, di Ruggero van der Weyden e del Memling >> ( ) ; o le altre intorno all'influenza della scienza dell'uomo e della teoria circa la condotta della vita, quali ' le aveva con­ quistate lo sforzo del Rinascimento, nella poesia, nelle arti figurative (assai sugge­ stivo un rilievo su Rubens, del quale Dilthey suppone cc si sia trovato sotto l'in­ fluenza di quella tendenza spirituale che sentiva, apprezzava ed analizzava in ma­ niera nuova i forti moti, gli affetti dell'anima e le forti azioni che ne seguono >> ) e nella letteratura drammatica del Cinquecento e del Seicento europei (Il). Ma con­ verrà ora esporre le linee generali del pensiero estetico di Dilthey. L'estetica · di Dilthey presuppone quella autonomia delle scienze dello spirito (rispetto alle . scienze della natura) la cui fondazione preoccupò costantemente il Dilthey teorizzatore. Il rigore scientifico del filosofare diltheyano era difatti, e voleva essere, un rigore di metodo, ma non un 'assimilazione delle scienze filosofi­ che alle scienze della natura, quale si proponeva lo scientismo ai suoi tempi dila­ gante, e quale lo dà per dimostrato lo scientismo che negli ultimi decenni imper­ versa in tutti i campi del sap ere. E per intendere la distinzione di fondo tra scienze della natura e scienze dello spirito, che è il fondamento sul quale sorge l'estetica di Dilthey, converrà leggere una pagina dal saggio del 1910 intitolato La costruzione

del mondo storièo nelle scienze dello spirito (Der Aujbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften}, un lungo capitolo del quale si intitola, appunto, alla Diversità della costruzione nelle scienze della nàtura e nelle scienze dello spirito. cc La natura - scrive il Dilthey - è il substrato delle scienze dello spirito. La

natura non è solo il palcoscenico della storia; i processi fisici, le necessità in essi insite e gli effetti che ne derivano, formano il substrato di tutti i rapporti, del fare e del subire, dell'azione e della reazione nel mondo storico, e il mondo fisico co­ stituisce anche il materiale per l'intero dominio in cui lo sl'irito ha espresso i suoi scopi, i suoi valori, la sua essenza: su questa base si eleva però la realtà in cui le scienze dello spirito si immergono sempre piii profondamente da due lati - dal­ l'Erleben dei propri stati e dalla comprensione dell'elemento spirituale oggettivato nel mondo esterno. Cosi è data la distinzione di due specie di scienze: nella natura esterna la connessione è ripost� al di sotto dei fenomeni, in un nesso di concetti astratti, mentre nel monc;lo spirituale la connessione viene immediatamente vissuta e intesa. La connessione della natura è astratta, la connessione psichica e storica è vivente, portatrice di vita . . . >> 0 : e codesta connessione psichica e storica è quella delle scienze dello spirito, le quali in tanto giungono a istituire un ordine, in quanto cc ritraducono sempre e principalmente la realtà esterna storico-sociale dell'uomo, che si estende in una maniera che non consente alcun calcolo, nella vitalità spiri­ tuale da cui essa è scaturita >> ( 1'�. Oggetto delle scienze dello spirito sono arte, religione, filosofia, in quanto omologhe e non dialettizzabili tra loro, essendo altrettante interpretazioni della realtà fondate su una Weltanschauung, su una visione del mondo, che sorge dallo () L "nnnli.> ( 11 ) . In questo mondo d'apparenza, l'.f;rlebnis viene rivissuto con un atteggia­ mento che ha le proprie radici nel disinteresse estetico a suo tempo teorizzato da Kant, in quanto apprendiamo lo Erlebnis nella significatività per cui esso « ci manifesta qualcosa della natura della vita » (11. E per questo in quella azione dell'anima che è il godimento di un'opera d'arte ( 1 3) « noi godiamo in parte il modo di essere dell'oggetto, la sua bellezza, il suo significato, e in parte l'elevazione della nostra propria esistenza: modi di essere della nostra persona, che danno valore alla nostra esistenza )) e�) . Quella che godiamo è dunque la bellezza: della quale Dilthey ebbe a scrivere, nel saggio su Fantasia poetica e follia, che su o unico tr�tto essenziale è una quiete _ che sottrae al tempo le opere d'arte, le quali pure sono opere dell'uomo storico, il cui essere è essere temporale ( « eine Ruhe die sie der Zeit etnnimt »); una quiete per la quale sempre le opere d'arte colmano di un godimento totale il contempla­ tore ad esse tornante: « weil sie immer neu den zuri.ickkehrenden Betrachter mit totaler Befriedigung erfi.illen » ( L>) . No n sono considerazioni prive di importanza; e può sempre giovare il rileggerle e il meditarle. Bibliografia essenziale. - Le opere di Dilthey sono raccolte negli undici vo­ lumi di Gesammelte Schriften, Stoccarda, 1914-58. Traduzioni italiane: Critica della ragione storica, a cura di P. Rossi, Torino, 1954; Esperienza vissuta e poesia, a cura di N. Accolti Gil Vitale, Milano, 1947; L'analisi dell'uomo e l'intuizione della natura dal Rinascimento al secolo XVIII, a cura di G. Sanna, Venezia, 1927� Sul pensiero estetico di Dilthey, il saggio piii importante è quello di R. WELLEK, W. D.s Poetik und Literarische Theorie, in « Merkur », 1950, n. 5; importante anche per l'estetica, il saggio di C. A\'T0\'1, D., nel citato volume Dallo storicismo alla sociologia. Fondamentale la monografia di C. V tCE\TI\1, Studiò su Dilthey, Milano, 1974 (uscita quando già era stata ultimata la presente nota) che contiene un'esauriente biblio�rafia diltheyana.

LA VITA La poesia è rappresentazione ed espressione della vita. Essa esprime l'esperienza che l'uomo fa della vita e rappresenta la realtà esterna della vita medesima. Io tento di richiamare alla memoria dei miei lettori gli aspetti della vita. Nella vita mi sono dati il rriio io nel

( 1 1)

L'essenza della filosofia. in Critica della ragiòne storica. tr. cit.. p- 456. Ib. . pp. 457-458. (t :l) Die drei Epochen der modernen Asthetik. cit.. in Gesammelte Schriften. VI. cit.. p. 271. ( 14) Bausteine fiir eine Poetik. cit., in Gesammelte Schriften, VI. cit.. p. 150. (!.>) Gesammelte Schriften. cit.. VI. p. 98. (16) Queste pa@:ine, scritte nel 1907-1908 e pubblicate postume. riprendono. e in parte sviluppano o rielaborano, con esclusivo riferimento alla poetica. argomenti trattati nel Pian der Fortsetzung zum Auftbau der geschichtlicheu Welt in den Geisteszt"issenschaften (postumo): si confronti la traduzione di P. Rossi, in: W. DILTHE\, Critica della ragione storica, Torino. 1954 (parte terza. I. Erleben espressione e intendere, III. Le categorie della vita, l. La vita. 2, L'« Erlebenis p. 331).

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suo ambiente, il sentimento della mia esistenza, un atteggiamento e una condotta di fronte agli uomini e alle cose intorno a me; tutto ciò esercita una pressione su me o mi adduce forza e gioia di vita, pone a me delle esigenze e viene a prendere un posto nella mia esistenza. Cosi ogni cosa ed ogni persona ricevono forza e colorito pro pri dai nÌiei rapporti con la vita. La finitezza dell'esistenza, circoscritta dalla nascita e dalla morte e delimitata dalla pressione della realtà, sveglia in me la nostalgia di qualcosa di durevole, d'immutabile, di qualcosa che sfugge alla pressione della realtà, e le stelle alle quali levo lo sguardo diventano il simbolo di tale mondo eterno e irraggiungibile. In tutto ciò che mi circonda rivivo ciò che ho provato in me. Nel cre­ puscolo della sera guardo verso una città tranqùilla ai miei piedi; le luci che si accendono l'una dopo l'altra nelle case sono per me l'e­ spressione di una pacifica esistenza raccolta. Questo contenuto di vita nel mio io, nei miei stati d'animo, negli uomini e nelle cose attorno a me, ne forma il valore vitale a differenza dei valori che alle cose competono per gli effetti che e�se producono. Questo e null'altro è ciò che la poesia ci fa anzi tutto vedere. Il suo oggetto non è la realtà, quale essa esiste per un soggetto conoscente, ma la natura di me stesso e delle cose quale si manifesta nei loro rapporti con la vita. Da ciò si spiega quel che una poesia lirica . o un racconto fanno vedere e che cosa non ha esistenza per essi. I valori della vita stanno però in re­ lazioni reciproche fondate' sul nesso della vita stessa, e son queste a dare significato a persone, cose, situazioni, avvenimenti. Cosi il poeta si volge a ciò che è significativo. E quando poi il ricordo, l'esperienza della vita e il suo contenuto ideale sollevano in una sfera di tipicità questo nesso fra vita, valori e significati, quando l'avvenimento cioè diventa esponente e simbolo di un universale e i fini e i beni della vita assurgono a ideali, allo_ra anche in questo contenuto . poetico universale riceve espressione non una conoscenza della realtà ma la piii vivida esperienza dei rapporti della nostra esistenza col senso della vita . All'infuori di essa non vi è nessuna idea di un'opera poe­ tica e nessun valore estetico che la poesia debba realizzare. Questa è la relazione fondamentale fra vita e poesia, da cui di­ pende ogni forma storica di poesia. Ora la prima e decisiva proprietà della poesia di Goethe è che essa rampolla da una straordinaria energia di esperienza vissuta. Egli entra cosi nella poesia illuministica come un elemento completamente eterogeneo, sicché anche Lessing non poté apprezzarlo. I suoi stati d'animo ricreano ogni cosa reale, le sue passioni danno un'accentuà­ zione enorme al significato e alla forma di situazioni e di cose, e il suo impulso plastico che mai non si placa trasmuta ogni cosa intorno a sé in figura e immagini. In ciò la sua vita e la sua poesia non si diffe-

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renziano, le sue lettere mostrano queste qualità né piu né meno che le sue poesie. È necessario che tale differenza sia chiara a chi confronti le lettere di Goethe con quelle di Schiller. Ecco già indicato il netto distacco della poesia di Goethe da quella dell'illuminismo. N ella vita sono contenute le forze operanti nella fantasia. (Esperienza t·issuta e poesia. t r. di N. Accolti Gil Vitale. Milano. Istituto Editoriale Italiano. 194 7. pp. 179-181).

LA FANTASIA POETICA La fantasia ci appare come una cosa miracolosa, come un feno­ meno totalmente diverso dalla quotidiana attività degli uomini, ep­ pure non .è altro che un'organizzazione piu potente di certi uomini, fondata sulla rara vigoria di determinati processi elementari; sulla base di questi elementi si costruisce poi la vita spirituale secondo le sue leggi generali, assumendo una forma che in tutto diverge da ogni altra forma consueta. La peculiarità del poeta si fa sentire già quando la percezione costruisce figure nello spazio da sensazioni contempo­ ranee ovvero ritmi, melodie, complessi sonori dalla loro successione nel tempo; sulla formazione della percezione operano nel poeta con forza originaria soprattutto i suoi rapporti con la vita; i suoi stati d'animo, le sue passioni. Le immagini · del ricordo hanno quindi in individui diversi, a parità di condizioni, un grado tutto diverso di chiarezza e di forza, di concretezza e di plasticità. Dalle rappresentazioni quali ombre senza colore e senza suono fino alle forme delle cose e degli uomini proiettabili ad occhi chiusi nel campo visivo si ha una serie di forme di riproduzione totalmente diverse. Al talento per la poesia raffigu­ ratrice è congiunta una straordinaria capacità di conservare o di conferire evidenza e concretezza chiarissima alle rappresentazioni ri­ prodotte o formate liberamente. Il pensare del poeta in figure ha sempre bisogno infatti, come della sua base, di concretezza e del movimento d'immagini dai netti contorni. In pari tempo esso richiede la ricchezza delle impressioni acquisite e la compiutezza delle im­ magini del ricordo: perciò i poeti sono per lo piu anche potenti narratori. Qual è ora il rapporto fra l'esperienza accumulata e la fantasia che liberamente crea, fra la riproduzione di forme, di situazioni e destini e la loro creazione? L'associazione che rievoca elementi dati in un dato rapporto con la ' rappresentazione, e l'immaginazione che isti­ tuisce rapporti nuovi dagli elementi dati, sembrano separate dalla piii chiara linea di_ demarcazione. Indagando il rapporto reale esistente

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fra questi due grandi fattori psichici, è necessario applicare il metodo descrittivo, escludendo ogni ingerenza di ipotesi esplicative. Soltanto cosi lo storico della poesia può essere incoraggiato a servirsi delle piu sottili vedute della psicologia, in luogo delle idee grossolane della vita comune, per la sua interpretazione della letteratura. N el processo psicologico, che può essere colto da noi, raramente ritorna in una coscienza la stessa rappresentazione, come raramente accade ch'essa si ripresenti perfettamente eguale in una seconda co­ scienza. Come la nuova primavera non mi fa rivedere le vecchie foglie sugli alberi, cosi le rappresentazioni di un giorno trascorso, che il giorno attuale ridesta, sono sempre piu oscure o indistinte. Cosi, quando noi, rimanendo nella medesima posizione, chiudiamo l'occhio che ha colto in sé un oggetto, e la rappresentazione cui la percezione è passata possiede ancora la massima forza e concretezza, si ha che nell'immagine riprodotta dal ricordo viene rappresentata soltanto una parte di quegli elementi che erano contenuti nel processo percettivo; e già qui, dove pur ha luogo soltanto un ricordo inerte e morto, è chiaramente riconoscibile un tentativo di riproduzione nel vivace sforzo di richiamare in vita tutta l'immagine. Se però fra la perce­ zione e la rappresentazione si sono insinuate altre immagini e noi facciamo lo sforzo di richiamarci completamente quella percezione, la rappresentazione rievocata si edifica allora da un determinato punto di vista interiore; prende allora, come materiale costruttivo, da ciò che è realmente rimasto della percezione tanti elementi quanti le condizioni attuali comportano, e queste conferiscono all'immagine la sua luce sentimentale mediante il rapporto, per analogia, o contrasto, con l'attuale stato d'animo; cosi come infatti in tempi d'inquietudinè dolorosa l'immagine di uno stato tranquillo e pur privo di gioia di altri tempi può affiorare davanti ai nostri occhi quale isola beata di pace radiosa. Se noi ora infine non ci sforziamo di richiamarci im­ pressioni singole, · il cui ricordo si riferisca ad un determinato atto di percezione come ad un'immagine istantanea ma a rappresentazioni o complessi di rappresentazioni, ciascuna delle quali raffiguri l'oggetto in tutte le sue situazioni da noi percepite, la costruzione di tale rappresentazione si distanzia ancor piu da una morta riproduzione e ancor piu si avvicina a quella della riproduzione artistica. Insomma: come non c'è nessuna immaginazione che non poggi sulla memoria, cosi non c'è nessuna memoria che non contenga già in sé un aspetto dell'immaginazione. La rievocazione del ricordo, è in pari tempo una metamorfosi. E questo rilievo ci fa vedere il nesso fra i processi piu elementari della vita psichica e i maggiori risultati dell'attività della nostra facoltà creatrice. Ci fa guardare nelle scaturigini di quella mobile vita spirituale varia, sempre e tutta individuale in ogni suo

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momento, che ha un'esistenza irripetibile e la cui espressione pm felice sono le creature immortali della fantasia artistica. La riprodu­ zione è già per sé un processo creativo. Da questo lato l'organizzazione del poeta si mostra già nella po­ tenza dei processi semplici della percezione, della memoria, della ri­ produzione, mediante i quali si muovono nella coscienza immagini del - genere piu vario, caratteri, destini e situazioni. Già nel ricordo scopriamo un aspetto per cui esso è affine all'immaginazione. La metamorfosi governa tutta la vita delle immagini nella nostra anima. E ciò appare anche nei singolari fenomeni delle visioni. V'è qualcuno che prima di addormentarsi non abbia provato ad occhi chiusi la delizia di uno dei fenomeni piu semplici qui esposti? Nel senso ec­ citabile della vista, quando è in stato di riposo, gli stimoli organici interni appaiono come raggi, vapori fluttuanti, e da essi si formano e si svolgono luminose immagini fantastiche a colori che si trasformano continuamente - tùtto ciò senza che vi cooperi una qualsiasi in­ tenzione, essendo noi al contrario immersi in una pura e calma contemplazione. La trasformazione delle immagini e dei nessi d'im­ magini cosi come ha luogo nel ricordo, è però soltanto il caso piu semplice e perciò piu istruttivo dei processi creativi che caratteriz­ zano la fantasia. Con un'opera ora inconsapevole ed ora volontaria di accentuazione, di attenuazione, di disposizione in un ordine, di ge­ neralizzazione, di creazione di tipi, di formazione e trasformazione, questi processi producono nuove figurazioni intuitive senza numero. Alcuni elementi delle immagini vengono estromessi, altri accentuati, e le intuizioni vengono integrate dai ricordi. E la stessa trasformazione per la c-reazione di qualche cosa di nuovo che superi il contenuto di un'esperienza e osservazione della vita o di quanto da essa possa de­ sumersi, si compie anche nei nessi delle immagini della rappresenta­ zione. Sorge un pensare in immagini. Quivi la fantasia raggiunge una nuova libertà. Noi tentiamo di dare al passato un altro volto col nostro pensiero. Ci immaginiamo le possibilità dell'avvenire. Inven­ tiamo avvenimenti liberi e c'immergiamo in essi. C'immedesimiamo col nostro sentimento in ogni cosa inanimata e le doniamo una vita inaudita. E tutto ciò si accentua, se l'attività autonoma qui imperante ha la consapevole intenzione di agire finalisticamente. Le forze che provocano questa serie di processi creativi hanno origine nella pro­ fondità dell'anima spinta variamente dalla vita al piacere, al dolore, al sentimento, alla passione, all'aspirazione. In tutto ciò c'è una grande forza che in tutti i processi della vita psicologica, dai piit bassi ai- piu alti, sospinge alla creazione poetica le nature all'uopo organizzate. Essa agisce col piu grande vigore nel fanciullo, nell'uomo di natura, negli uomini affettivi e sognatori, negli

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artisti. Si differenzia dalla fantasia regolata, com'è quella operante nel cervello di un politico, di un inventore, di uno scienziato, il cui as­ siduo autocontrollo tiene legati i processi creativi alla misura della realtà. Or_ come sorge da questo elemento della fantasia che avvia alla creazione , poetica, la fantasia poetica stessa e quali sono · i suoi segni distintivi? La fantasia è intessuta - l'abbiamo visto - con tutto il nesso psichico. Tutto ciò che accade nella vita quotidiana modifica invo­ lontariamente ogni intima esperienza della vita; desideri, apprensioni, sogni dell'avvenire trascendono il reale; l'agire è determinato da un'immagine di qualcosa che non esiste ancora; gli ideali della vita passano davanti all'uomo, anzi davanti all'umanità e l'avviano in­ contro a fini piii alti: i grandi momenti dell'esistenza, nascita amore e morte, vengono trasfigurati da usi che rivestono quelle realtà di for­ me, le quali ci additano qualcosa che li trascende. Dai processi fin qui esaminati distinguo ora innanzi tutto quel f a r e d e I l a f a n t a s i a c h e s i c o s t r u i s c e u n s e c o n­ d o mondo diverso dal mondo delle n o stre a z i o n i . Cosi la fantasia si manifesta nei fantasmi del sogno, che è il piii antico di tutti i poeti, involontariamente. Crea poi nella vita stessa, volontariamente, tale secondo mondo, là dove l'uomo tende a liberarsi dai vincoli che la realtà determina: nel gioco, soprattutto però nei -balli mascherati, nei travestimenti, nei cortei solenni, li dove l'esaltazione festosa dell'esistenza produce un mondo diverso dalla vita quotidiana. L'età cavalleresca e la civiltà delle corti ·del rina­ scimento mostrano come la creazione di un mondo poetico total­ mente sciolto dalla vita si prepari nella vita stessa. Si edifica pure un mondo diverso dalla realtà empirica nelle visioni della fantasia reli­ giosa. Qui sorgono, nel commercio con le forze invisibili, le raffigu­ razioni di esseri divini. Essi sono intrecciati con la vita, con la sua vicenda di patimento e di attività. Cosi questa fantasia religiosa è in un primo tempo legata, nel mito e nella mitologia, . ai bisogni della vita . Nel corso della civiltà essa si differenzia a poco a poco da ogni finalismo religioso, ed eleva quindi quel secondo mondo ad un si­ gnificato indipendente, come ci mostrano Omero, i tragici greci, Dante, Wolfram von Eschenbach. Di conseguenza, soltanto la poesia affranca completamente il mondo religioso sovrasensibile dal vincolo contenuto nei nostri bisogni pràtiei e nelle relazioni finalistiche. Soltanto ora riusciamo a comprendere la natura della f a n t a­ s i a p o e t i c a . Tutto ciò che abbiamo detto finora, ne contiene soltanto le condizioni generali. Essa_ è l'insieme· dei processi psichici, in cui si forma il mondo poetico. Base di questi processi psichici sono

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sempre le esperienze vissute e il substrato da esse creato all'intuizione. I rapporti con la vita dominano la fantasia poetica e vi giungono ad espressione, anzi influenzano già la formazione delle percezioni nel poeta. Vigono qui dappertutto processi involontari, impercettibili. Ed esercitano un assiduo lavorio nel dar colore e forma al mondo in cui vive il poeta. È questo il pùnto in cui comincia a rivelarcisi il nesso fra esperienza vissuta e fantasia nel poeta. Il mondo poetico esiste prima èhe al poeta baleni da un qualsiasi avvenimento la concezione di un'opera, e prima ch'egli ne scriva il primo rigo. Il inodo in cui, mediante questi processi psichici, s o r g e i l m o n d o p o e t i c o e s i f o r m a una singola o p e r a d' a r t e. , ha la sua legge in un comportamento di fronte alla realtà della vita, :'che è totalmente di­ verso dalla relazione tra gli elementi dell'esperienza col nesso della conoscenza. Il poeta vive nella ricchezza delle esperienze del mondo umano come egli le trova in sé e le percepisce fuori di sé, e questi fatti non sono per lui né dati di cui egli si serva per tacitare il suo sistema di bjsogni, né elementi tali dal seno dei quali egli riesca a ricavare delle generalizzazioni; l'occhio del p oeta posa su essi, pen­ soso e calmo: essi sono per lui s i g n i f i c a t i v i ; i sentimenti del poeta ne vengono sollecitati ora lievemente, ora con forza, e ' non importa quanto questi fatti siano lontani dal suo interes·se o da quanto tempo siano trascorsi: essi sono una parte del suo se stesso. A formare la trama del variopinto tappeto della poesia raffigu­ ratrice operano, insieme con l� figure che vi sono rappresentate, le forze congiunte di tutto l'uomo. L'anima è il principio vitale di ogni poesia. La poesia però è nel contempo permeata di pensiero. Vi sono infatti nell'uomo sviluppato solo poche rappresentazioni che non contengono in sé elementi universali, e non v'è nel mondo umano nessun individuo che, in forza dell'azione di generali rapporti sociali e di comportamenti psicologici, non sia pure, sotto diversi punti di vista, rappresentativo, non c'è nessun destino che non sia un caso singolo di un tipo piii generale di sorti umane. Sotto l'influenza di una meditazione logica queste immagini di uomini e di destini ven­ gono configurate in guisa tale che, pur rappresentando un fatto sin­ golo, sono però tutte sature di universalità e in tal modo rappresen­ tative di essa. A tal uopo non c'è affatto bisogno che nell'opera poetica siano intercalate considerazioni di carattere universale, la cui funzione è piuttosto prevalente per liberare a volta a volta l'autore dall'incantesimo della passione, della tensione, della travolgente par­ tecipazione del suo sentimento. elevandola ad uno stato d'animo contemplativo. Infine ogni poesia mostra l'impronta della volontà dalla quale è scaturita. Già Schiller ricercava nella bellezza sempre il riflesso dell'eticità; Goethe si espresse con le seguenti parole: « Il si-

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gnificato di uno scrittore presso il pubblico è dato dal suo carattere . personale, non dalle arti del suo ingegn� )) . La fo rma della volontà che agi sulla produzione dell'opera d'arte, si manifesta nel modo con cui viene condotta l'azione. Il rapporto della fantasia con le sue figure assomiglia, entro certi limiti, a quello con gli uomini reali. Cosi Dickens viyeva con le sue figure come fossero suoi simili, soffriva con esse quando si avvicinavano alla catastrofe, temeva il momento della loro fine. Balzac parlava dei personaggi della sua Comédie humaine come se fossero vivi; li analizzava, biasimava e lodava, come se fa­ cessero parte insieme a lui della stessa buona società; poteva sostenere lunghi dibattiti sul partito migliore a cui appigliarsi in una situazione in cui essi si trovavano. E in quale misura Goethe, nel corso di un'opera d'arte, fosse agitato dalle passioni tragiche della sua poesia, si può desumerlo da ciò ch'egli disse una volta a Schiller, di non sapere cioè se poteva scrivere una vera tragedia, si spaventava però di una tale impresa ed era quasi convinto che il semplice �ntativo avrebbe potuto distruggerlo. Il poeta dunque si allontana da tutte le altre classi di uomini in un grado di gran lunga superiore a quello che si è inclini ad ammettere e, di fronte ad una concezione filistea che si appoggia alla brava e mediocre gente del mestiere poetico, dovremo assuefarci a conside­ rare il c.ongegno interno di queste nature demoniche e la loro con­ dotta esterna di vita, movendo dalla loro struttura organica e non dal livello medio dell'uomo normale. (Esperienza l'issuta e poesia. tr. cit.. pp. 181-189).

L'ESPERIENZA E IL GENIO Alla base di ogni comportamento poetico - come pure di ogni opera musicale - c'è l'esperienza di una compiuta vicenda psichica che viene riferita all'interiorità dell'individuo nel sentimento. Co­ munque sia provocato il corso di questi intimi stati d'animo, da un'esperienza singola determinata dall'esterno o da sensazioni ehe, indipendenti dal mondo esterno, salgano dall'interno, ovvero anche da una massa d'idee storiche o filosofiche, la poesia muove sempre da questo processo sentimentale e ne esprime il contenuto. Il genio lirico possiede soprattutto la proprietà di rivivere con pienezza e purezza la vicenda interiore, secondo la legge che le è propria e di abbandonarvisi tutto non tocco da ciò che potrebbe turbare dall'esterno il normale decorso di tale vicenda. Il genio lirico esprime le leggi teleologiche che presiedono ai fatti dell'anima. Hol­ derlin era un autentico genio lirico. La sua interi�rità inattiva, la sua

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lontananza dal traffico del mondo, la profondità della sua anima ri­ piegata in se stessa cooperarono a fargli percepire i ritmi delle vi­ cende del nostro sentimento che fluiscono sommessamente. Egli sa­ peva intendere come uno stato iniziale del sentimento si dispiega in tutte le sue parti e infine ritorna in sé ma non piii per ricadere nella indeterminatezza di prima bensi per formare nella sintesi evocativa del ricordo un'armonia in cui è la voce di tutte le parti; sapeva in­ tendere come il nostro sentimento spumeggia e poi in una svolta del processo psicologico lentamente cade; come una lotta di sentimenti contrastanti si risolve in noi o all'estrema acutizzazione di qualcosa di . troppo doloroso succede infine la calma. Con il processo interiore da cui scaturisce una poesia non va di pari passo il processo creativo; può darsi che soltanto singoli accenti vi penetrino mentre questo si svolge; il potere del poeta lirico consiste nel fermare quel processo, nell'oggettivarlo e nello sforzarsi di creare per esso un'espressione. Ci sono poeti in cui il passaggio dall'espe­ rienza vissuta alla rappresentazione poetica può svilupparsi, come spesse volte in Goethe, con rapidità. Holderlin era lento nel creare questa rappresentazione. Come il compositore di musica sinfonica lavora a lungo per dare un'ampia espressione musicale alla prima esperienza vissuta, e in questo lavoro gli vengono poi in aiuto sempre nuovi sentimenti; cosi sembra che Holderlin abbia a lungo lavorato per mettere in rilievo il ritmo del fluire del sentimento nei suoi semplici tratti essenziali, per collegare saldamente le sue articolazioni e dargli espressione nel fluire interno della lingua. Il tratto infatti che predomina nel procedimento creativo di Holderlin lirico è quello di dare alla vicenda interiore una connessione cosciente in tutti i suoi elementi essenziali, anche in quelli che gli passavano per l'anima impercettibili e fuggevoli. (Esperienza vissuta e poesia , tr. eit.. pp. 449-451).

FRAMMENTI PER LA POETICA

Considerazione preliminare Nella religione, nell'arte, nella antropologia, nella metafisica le esperienze vissute costituiscono il fondamento; e non si tratta soltanto di accettarle in quanto date, si tratta di evocarle e distinguerle. Si tratterà allora di caratterizzarle, di raffrontarle, ecc. Libera medita­ zione su questa bellezza della vita e la sua purezza. In qual modo noi « ci aggiriamo » sulla terra. La profondità dell'esperienza vissuta.

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L 'esperienza vissuta Vivere l'esperienza di una realtà è un modo peculiarmente ca­ ratterizzato in cui una certa realtà è tale per me. L'esperienza vissuta, vale a dire, non mi viene incontro come qualcosa di percepito o di rappresentato; essa non è per noi qualcosa di dato, ché anzi la sua realtà c'è per noi in quanto noi ce ne accorgiamo, in quanto io in qualche modo la posseggo immediatamente come qualcosa che in un certo senso appartiene a me. Solo nel pensiero essa acquista una sua oggettualità . . Tutto ciò di cui io ho avuto o posso avere esperienza vissuta · co­ stituisce allora « un contesto >> . Vita è la successione che è legata in contesto strutturale in una totalità che comincia nel tempo e nel tempo finisce; e che si mostra all'osservatore, attraverso l'identità del corpo appariscente, come qualcosa di specifico, isolato: avente un cominciamento e una fine, ma che nel medesimo tempo, per la ri­ marchevole fattispecie, è caratterizzato nella sua differenza da quasi ogni corpo organico che nasce, cresce, decade e finisce, in quanto ogni parte di essa è ' congiunta ' con tutte le altre parti mediante una coscienza < esperienza? > di continuità, coesione, medesimezza di ciò che in tal modo decorre. Nelle scienze dello spirito, adopero l'espressione « vita » restriu­ gendola al mondo umano; essa è qui dunque determinata mediante il campo di applicazione, e non è esposta a fraintendimento alcuno. Codesta « vita » temporalmente, spazialmente e p'er le sue iute­ razioni è localizzata in relazione al concetto generale dell'accadere che ha sede nella nostra esperienza. Queste relazioni temporali, spaziali, consistenti nella correlatività, sono però differenziate da quelle che hanno luogo nelle scienze della natura e cosi via� lntera­ zione, nelle scienze dello spirito non vuoi dire quel rapporto che nella natura si pone mediante il pensiero, secondo il quale cause ed effetti possono essere conosciuti in quanto determinati in base al principio causa aeq uat e. ffectum e cosi via. Nelle scienze dello spirito interazione vuoi dire piuttosto un'esperienza vissuta. Questa nell'e­ spressione di se stessa può essere designata mediante il rapporto di impulso e di opposizione, comprensione, interiorizzazione dell'esi­ genza, piacère per altre persone e cosi via. Del pari, impulsò, qui, naturalmente, non vuoi dire una forza, spontaneità o causalità, intesa secondo una qualche teoria psicologica, bensi soltanto lo stato di cose. comunque fondato, esperibile nell'unità della vita, secondo il quale noi sperimentiamo l'intenzione con cui viene eseguito il seguito di movimenti che si dirigono al conseguimento di un certo effetto. Hanno cosi origine le esperienze vissute c.he generalmente vengono

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espresse come correlazioni di persone distinte l'una dall'altra. L'espressione > una serie di estratti legati da una serie di sunti, del secondo non fu mai pubblicato

nulla ad onta del desiderio di Benedetto Croce che, invece, avrebbe voluto pub­ blicare interamente e l'uno e l'altro. È da ricordare, inoltre, che sempre mano­ scritto troviamo un Manuale che riassume gli argomenti trattati nell'Estetica Ideale e nell'Estetica esistenziale in due sezioni, mentre in una terza viene sunteggiata

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l'Estetica reale con l'aggiunta di una storia delle arti. Infine dobbiamo notare che un'altra esposizione sintetica del pensiero di Tari ci viene data dalle Lezioni di estetica generale raccolte dallo Scamaccia-Luvarà, un alunno del filosofo. Queste

lezioni formano una sintesi dei tre momenti fondamentali dell'Estetica trattati in modo ampio e particolareggiato nei rispettivi volumi anche se la concezione, identica nelle linee fondamentali, subisce variazioni, anche notevoli, il che è fa­ cilmente spiegabile considerando che Tari, col passar degli anni, perfezionava le sue teorie e andava modificando e mutando le sue posizioni. Tari intendeva superare il dilemma e della posizione idealistica e della posi­ zione realistica in quell'ideai-realismo che voleva, da una parte evitare le secche del panlogismo e dall'altro si rifiutava categoricamente di cadere nel piii banale posi­ tivismo: ché, anzi, Tari fu del positivismo acerrimo nemico. Il nostro filosofo, in­ somma, concepiva la vita come una continua scommessa con ciò che ancora non è, il che appunto definiva come lnnominabile. L'uomo - secondo il filosofo napo­ letano - impegna tutto il suo essere e tutta la sua ragione non certamente a co­ noscere ciò che è già conosciuto, ma a conoscere un oggetto che ignora e parte dal noto per afferrare l'ignoto e parte dalla ragione per razionalizzare l'irrazionale. Ma quell'oggetto, trascendente perché fuori dell'uomo prima della conoscenza, non può essere trascendente in assoluto. Il divenire dell'uomo è veramente la sintesi del principio parmenideo ed eracliteo, identità di essere categoriale nel mutare inces­ sante dei contenuti storici. Nessuna ragione, la piii perfetta, la piii esercitata, potrà mai prevedere il futuro e la ragione sufficiente non coinciderà mai con la verità di fatto: eppure la prima vivrà per quanto saprà ridurre a, sé la seconda e continuerà a vivere per quanto la seconda non potrà mai essere ridotta totalmente alla prima. Essere e divenire, ragione sufficiente e verità di fatto sono il campo speculativo del dramma dell'lnnominabile, vale a. dire del dramma della Storia. Ecco il perché della formula metafisica tariana: hoc unum scio me aliquid nescire. Quell'aliquid rappresenta l'eterno non sapere dell'uomo, l'unica garanzia per il continuo cono­ scere nella novità � l'unica possibilità per la Storia di essere un dramma e non 'una recita, un campo di battaglia e non una bella favola raccontata male. Ma se la metafisica di Antonio Tari investe i suddetti fondamentali problemi dell'essere umano, non meno importante per questi medesimi argomenti risulta essere la filosofia della natura che si può evincere dall'Estetica esistenziale il cui significato in ordine a quest'ultimo problema è molto piii importante del proposito dichiarato dell'Autore di trattare il Bello di Natura. Infatti la trattazione filosofica della Natura svolta nell'Estetica esistenziale non ha nulla da invidiare alla specu­ lazione di Schelling e per di piii, dietro le suggestioni dell'evoluzionismo di Darwin, interpretato però in chiave idealistica e non positivistica, ricerca tutti i processi ideali e spirituali nel loro fondamento naturale, negando alla natura una concezione meccanicistica e allo spirito una interpretazione astratta, scoprendo con ciò l'in­ dissolubile legame esistente tra natura e spirito nella dimensione di un continuo processo intenzionale che dal mondo minerale al mondo vegetale, animale e piii generalmente biologico si dirige con passo sicuro verso le piu alte mete razionali. Queste, in sintesi, le proposizioni fondamentali dell'opera tariana. Le pagine che qui presentiamo, tra le piii significative del pensiero estetico del Tari, sono tratte dall'Estetica Ideale, ma rappresentano la Propedeutica a tutta la trattazione del Bello e quindi, nella mente dell'Autore dovevano servire da intro­ duzione non solo all'indagine sull'idealità del Bello propria dell'Estetica Ideale, ma anche al Bello esistenziale e al Bello reale che sono gli argomenti dell'Estetica esistenziale e dell'Estetica reale.

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Come il lettore avrà modo di constatare, l'importanza della Propedeutica ta­ riana sta tutta in alcune geniali intuizioni che - per la prima volta - afferme­ ranno l'autonomia dell'arte sia come fare artistico sia come Estetica o scienza del Bello. Pur ammettendo che l'Estetica suppone la > della facoltà di lettere e fi­ losofia dell'Università di Napoli, vol. XIII, n. s. I (1970-71), pp. 3 13-341; G. Or.. DRINI, Gli hegeliani di Napoli, Milano, 1963, pp. 27, 30, 39, 45; La cultura filo­ sofica napoletana dell'Ottocento, Bari, 1973; A. PARENTE, La musica e il riscatto dell'autonomia dell'arte in A. T., in Castità della musica, Torino, 1961, pp. 198-221; Antonio Tari,. musicologo, ne «Il Mattino >> di Napoli, 29 settembre 1933; A. RoLLA, Storia delle Idee estetiche in Italia, Torino, 1905; L. Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana (1860-1865), Venezia, 1928, pp. 106-110; G. gia

))

TOMASUOLO,

Elementi di estetica generale. Compendio secondo il metodo di A. Tari,

Napoli, 1885, pp. 1-106; F. VERDINOIS, Profili letterari napoletani di Picche, Na­ poli, . 1882.

PROPEDEUTICA

La scienza, che imprendiamo a trattare, è quella, che ha per ob­ bietto il Bello, riguardato si nello Spirito conoscitore, che nella na­ tura e nelle arti.

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Tale scienza fa parte delle discipline filosofiche. Stanteché spetta alla filosofia appunto il definire le origirii, e determinare l'uso delle funzioni dell'animo: ed, in ispecie, delle ideali, precipue fra tutte. Il metodo _filosofico rigoroso, per conseguenza, quello è che meglio ci può manodurre nelle investigazioni, cui siamo per por mano. Ma prima di volgerei con tutta la serietà, di che siamo capaci, al nostro argomento, stimiamo conducente il premettere alcune considerazioni, che appresso ci potremmo pentire di non aver fatte. Parleremo alla buona e popolarmente de' varii rispetti, che reputiamo utili allo studio dell'Estetica, e di altri, che stimiamo doversi evitare. E quando ci saremo accordati plausibilmente su tali quistioni in via extra­ scientifica, questa prima parte potrà riguardarsi come una Prope­ deutica della scienza nostra, da essere, col tempo, meglio svolta ed approfondita. N on vi ha parte della filosofia, e, diremo anche, dello scibile in genere, che non abbisogni di propedeutica. Il vantaggio, che si trae da codeste protasi, o cominciamenti espositivi, è manifesto. Primamente, si eliminano molti pregiudizii, o vedute inesatte, che potrebbero ot­ tenebrare i criteri della scienza in quistione. Poi si ha, come in un prologo di commedia, sott'occhio, sino dal bel principio, il sentiero, che si dee trascorrere in tutta l'estensione. Finalmente tra · lettore ed ' autore si roga una specie di compromesso filosofico, in effetto del quale le vedute dell'uno e dell'altro s'incontrano in un certo numero di principi comuni, che sono necessarii, come premesse. alle seguenti discettazioni. Noi, per parte nostra, supponendo ne' lettori una sufficiente coltura logica, non dubitiamo punto d'intendercela facilmente con loro intorno agli anzidetti principii regolatori. In conseguenza di che, chiameremo la prima sezione . della nostra propedeutica « Delle qui­ stioni preliminari )). A cui succederanno « La topica della scienza estetica )); e « La divisione dell'Estetica )) . La quale ultima sezione esaurita, e con lei fatto fino ad ogni proemiale riguardo, entreremo in materia. SEZIONE l

Q UISTIONI

PRELIMINARI

Ridurremo le quistioni, ch'è bene assodare anticipatamente a tre: a quelle, cioè: a) che riguardano la denominazione, e la definizione dell'at­ tuale scienza;

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b) che discutono il metodo, a lei proprio; c) che determinano il limite di essa con le omogenee discipline. a) E cominciando dalla denominazione, facciamo osservare che la voce Estetica, suonava pe' Wolfiani, che primi l'usarono: trattato della sensibilità. In tal senso fu accettata da Kant nella Critica della ragion pura. L'insufficienza è qui manifesta. Non è esatto il presup­

porre che i fatti estetici si riferiscano alla sola sensibilità e con tale teoria non sarebbe possibile comprenderne uno solo. Avvegnaché la sensibilità non comprenda, ma subisca i suoi obbietti. Piacque ad alcuni trattatisti, perciò, mutar nome alla loro disci­ plina. Chi la chiamò Callistica, o Callosofia (filosofia del Bello); chi la disse « Scienza del giudizio riflesso )) con Kant; chi, infine, « Scienza del gusto )) come Krug; o « Scienza delle arti belle )) come Solger ecc. ecc. Denominazioni tutte, piii. o me'n o inesatte. lnipe­ rocché, o accennano troppo esclusivamente, come fa Kant, all'ele­ mento subbiettivo nel fatto del Bello; o danno troppa generalità alla nozione di gusto, che non comprende i :riguardi sensibili, necessarii all'estetico non meno de' razionali; o, finalmente, isolano troppo la considerazione delle arti, che non è unica in questa scienza, ma ul­ tima e corona delle altre. N on è, del resto, necessità indeclinabile il nominare una branca dello scibile con matematica precisione. A rigor di termini, questo battesimo dovrebbe venir dopo la definizione, ed esprimere ciò, che in essa è contenuto. Or chi ignora, per poco che sia pratico di filosofia, che la defi­ nizione, quando non sia nominale ed arbitraria, dee seguire e non precedere le investigazioni? In fatto, il pensiero non può essere compiutamente conscio di un obbietto, epperò capace di definirlo, se non quando ne abbia considerato, come voleva la scuola, genere e differenza specifica. Ciò si riduce a dire niente di meno che: è ne­ cessario avere acquistata una nozione generale (generica), la quale sia specificata, cioè talmente modificata in un gruppo di note esistenziali, che nasca il concetto della cosa, che abbiamo dinanzi. Mettiamo da banda le varie e sottili vedute, cui può dar luogo codesta genesi: ché non fanno punto al proposito attuale. Quello, ch'è ovvio, è che non definiremo bene se avremo trascurata alcuna delle anzidette note del definibile; il che torna a dire che definiremo sol bene quando avremo la scienza di esso. Chi ci desse una definizione, buona per lui, se conobbe scientificamente prima, ma inutile per noi: ci direbbe im­ plicitamente « credetemi su parola fino a che non abbiavi mostrata la ragionevolezza del mio definire )) . In verità, stando la cosa in tali termini, e' poteva risparmiarsi l'incomodo di parlare. Nell'impossibilità, pertanto, di definire l'Estetica anticipatamente, ·

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e nella superfluità di denominarla di un modo, anziché di un altro, stimiamo di tenercene al suo nome vulgato. Esso ha per sé l'uso, ch'esercita una specie di prescrizione, ingiusta forse nella scienza non meno che nella vita, ma appoggiata a convenienze, che non si può preferire. b) Tocchiamo ora del metodo, che si vuole seguire nella me­

tafisica della bellezza.

Per far ciò plausibilmente è mestieri premettere alcune avvertenze sulla metodologia in genere: ad indi venirne a discutere i due metodi fondamentali, cioè l'empirico e l'aprioristico. Dalla loro unione sin­ tetica si vedrà sorgere la dialettica, che avvisiamo sol propria alle indagini filosofiche; e quindi alle nostre. Laonde, cominciamo per osservare che un metodo solo per tutte le parti dello scibile, un metodo, che, riguardata la scienza come la medela degli errori; sarebbe una specie di panacea metodica, ad usum dei dotti: è cosa inconcepibile affatto . Ben la vollero codesta pietra filosofale molti antichi e moderni. Gli Scolastici la ricercarono nella sillogistica, i Baconiani nell' esprimentare sistematico. Ma il frutto di tali sforzi fu sempre un vuoto formalismo. N on di rado avvenne, ed avviene tuttavia a parecchi, che, dopo aver creduto bonariamente di sapere qualcosa, un bel mattino scoprirono nell' obbietto determina­ zioni cotali, che convertirono loro tra mani la scienza in ignoranza. E come non dovrebbe avvenir questo? A negare all'obbiettività ogni diritto ad essere valutata secondo le proprie categorie: ad essere, a certo modo, visitata a casa propria, converrebbesi tanto assorbirla nel pensiero, che non rimanesse traccia di lei. Cosi il pensiero, profon­ dato in sé, sarebbe perduto e naufrago in sé. La sua vita, come ogni vita, non è puro negare, che distrugga sé in tutto; ma negar del ne­ gare, che organizza le determinazioni senza sopprimerle. Né giova, dall'altra parte, assottigliare la diversità obbiettiva, quando non si ha lo scettico sangue freddo di spegnerla e suicidarsi seco. Se rimane un'ombra di lei, dalla evanescente, capillare dimen­ sione nel pensiero, diremo sempre che quell'infinitesimale alterità ha il diritto di essere trattata da noi secondo le sue leggi e non secondo le nostre. Qual maniera di sapere a ciò consegua, ha a deciderlo la Metafisica, e non ci riguarda in questo luogo. Certo è, per ciò che si riferisce al metodo, che non havvi via di mezzo nella seguente al­ ternativa. O l'investigatore dee accontentarsi a navigare nel vuoto sul remigio di riflessioni, che non toccano nulla e non muovono nulla; o dee condiscendere a farcisi incontro, se non da discepolo, non al certo al tutto da maestro. Modificherà, in somma, il metodo a norma delle discipline, che avrà alla mano.

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Or gli estremi di ogni modificazione metodica possibile sono: il metodo empirico, e l'aprioristico puro. Il primo è cosiffatto che, anziché un metodo, dovrebbe addi­ mandarsi non-entità metodica. Usarlo a rigore riesce, per la sua stessa futilità, di una malagevolezza disperata. A vvegnaché si tratti di os­ servare tanto passivamente, che la cognizione ne divenga automatica affatto; postulandosi astenenza, pura di ogni pensar proprio, nel pensiero. Que'_ fisici, èhe s'immaginano bonariamente di essersi emancipati dalle categorie della mente, perché fecero fermo proposito di solo vedere e toccare, resterebbero trasecolati al sentirsi dimostrare che vista e tatto, e tutto che pare percezione e non piii, ha innanzi a sé codificazioni logiche incoscienti, in effetto delle quali soltanto il subbietto può gratificarsi dello spettacolo di un obbietto, e della supposizione, che spetti a lui di analizzarlo, se vuole conoscerle. Essi ordinano, classificano, instituiscono esperimenti artifiziosi, in con­ formità a' consigli di Bacone. I dabbenuomini avvisano che possano aver fatto ciò all'insciente della tirannica subbiettività, il dispotismo della quale, a ragione, vorrebbero rovesciare. Non v'ha schiavi piii compiuti di quelli, che ignorano la loro schiavitii! Il perché noi ripetiamo, parerei il puro empirismo una preten­ sione, piuttosto che una realtà. Forse nell'infanzia dell'individuo, non meno che in quella della civil comunanza, è qualcosa, che si ap­ prossima a una ricettività pura. Ma tale stato, se pure ha luogo, è tanto transitorio, che non porta il pregio di occuparsene. Il secondo de' due metodi estremi è l'aprioristico puro. Questo balza al polo opposto all'empirismo; e ciò conseguente­ mente all'opposizione diametrale degli obbietti ideali ed empirici. La geometria, che se ne serve, non va in busca nella natura esterna degli schemi obbiettivi; di che si occupa. Gli trae dàll'eterno viridario della mente; di modo che èssi sono la piii gran prova che la natura; nella cognizione, non signoreggia l'intelligenza, sibbene ne è non di rado signoreggiata. Or il metodo aprioristico si comporta, inverso l'obbietto, che gli appartiene in proprio, con autorità e libertà compiuta. Lo analizza senza temer di equivocare; lo compone, senza pericolo di essere re­ darguito d'inesattezza da alcun tipo esterno. In somma, lo studia ,con tali criterii infallibili, che converrebbe essere uscito di senno a non percepire immediatamente o gli errori, o la giustezza delle dimostra­ zioni. Il segreto di codesti vantati prodigii si riduce, del resto, alla molto triviale circostanza, che bene il pensiero può ripensare e dirci ciò, che un bel giorno si avvisò di pensare liberamente. Quando le taumaturghe dell'astratto schematismo, le matematiche,_ condiscen­ dono a farsi applicate, e ad entrare in collisione con le libere esi-

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stenze, perdono in gran parte il prestigio del loro metodo. Se si li­ mitano a misurare e pesare, cioè se hanno l'accorgimento di non varcar la soglia della loro èategoria: ci danno approssimazioni utilis­ sime. Ma se si avventurano, povere farfalle, nel foco della vita; sono perdute. In tal caso il loro lodato metodo geometrico si riduce a vanità ed impotenza. I· due metodi esaminati peccavano di esclusività: il primo suppo­ nendo una natura priva di pensiero, il secondo un pensiero privo di natura. Ma è egli poi vero che, in fondo a tutte cose, ed indomito a petto della estrema astrazione, sia questo dualismo di Natura e Spi­ rito, necessità e libertà? I filosofi unitarii lo negano; gli atomisti lo affermano pertinacemente. Avremmo a scrivere un trattato a indicare il modo, che stimiamo conducente a superare l'antinomia sopradescritta. Per fortuna, la difficultà è attenuata di molto nelle indagini estetiche. A vendo esse ad obbietto il Bello, che innegabilmente appoggiasi, se non mira, ad un dato sensibile; si può senza inconvenienti seguire una via mediana tra l'esperimento e l'a-priori. Ammettendo degli incoati di Bello, in­ costruibili come primalità, pur costruirassi il loro organarsi a giudizio estetico nella coscienza; al modo medesimo che, al dire del Lotze, si può studiare la legge di rotazione di un vortice, tutto che si rinunzii ·

a conoscere il libero affluire in esso delle onde del fiume.

E poiché quella legge di rotazione è il metodo dialettico, come noi

lo concepiamo; facciamoci a tratteggiarlo in breve; lasciando all'in­

dagine il compito di mostrarlo in azione, e quindi giustificarlo. L'obbietto, in quanto obbietto del pensiero, dimostrasegli identi­ co: almeno in codesto appartenergli primitivo. Il dialettico parte da tal punto a far ·vivere a' f�nomeni la vita, a lor propria. Esperimen­ tatore dapprima, registra le vicissitudini della dualità della coscienza. Avvedesi, poscia, che i tennini di essa erano momenti di una supe­ riore unità; e che, quindi, il comprendere fu legittimo, poiché s'i­ dentificò col compreso. In altre parole, si avvede che, nella com­ prensione, pensato e pensante sono TRASCENDENTALMENTE una sol

cosa.

Ora, la scienza non solo ha a dirsi, ma a farsi questa. Perciò co­ mincerà per ammettere una sembianza empirica quale è nella perce­ zione. Criticherà, poi, l'ammetterla, che fece. Trovatolo contraddit­ torio, lo emenderà, infine, in modo che riducasi a un OBBIETTIVARSI,

sempre piii compiuto, della cognizione. È manifesto che l'indicato movimento occuperà successivamente tre stazioni, cioè: l) L'immediazione, o accettazione pura dell'appa­ renza; 2) la mediazione, o approfondimento critico di essa; 3) la Sintesi, o il passare dalla inconsapevolezza sensibile alla consapevo-

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lezza conoscitiva, nell'obbietto, importa la sua OBBIETTIVITÀ verace. Comprendesi pure come solo a questa guisa si possa esser certi che il sapere non riesca illusorio, sendo non piu esterno al conoscibiie, ma il conoscibile stesso, che si esplica ed espone. Dal detto fin qui apparisce, essere il metodo dialettico la sintesi dell'empirico e dell'aprioristico . A pprensivo, ma non servile, come il primo, presenzia la vita, dove quello studia la morte. Ideale, ma non astratto, a mo' del secondo, non riesce a un formalismo . quasi tanto­ logico; ma è fattivo, cioè s'identifica con le esistenze. Speriamo che, ciò premesso, nessuno neghi alle discipline filoso­ fiche, e quindi all'Estetica nostra, i vantaggi di una dialettica elàbo­ razione; ahneno ne' discrezionali termini soprammentovati. c) Rimane ora, a compimento delle considerazioni preliminari, il tener discorso de' limiti dell'Estetica. Essi vanno riguardati o in rapporto al sistema delle scienze filo­ sofiche, o in ordine all'artista vita. E diciamo in rapporto restrin­ gendo l'attenzione al solo nesso, che implichi comunanza di scopo e destini, senza perdersi in .una relatività lata e poco importante. P. e., l'Estetica viene pure talvolta in relazione con l'Etica, dal lato dello Spirito, e con le Scienze Fisiche dal lato della natura. Ma il fissare rigorosamente codesti limiti, che possono bene dar luogo a particolari problemi, non ha alcuno interesse generale per noi. La cosa sta al­ trimenti in proposito della Metafisica, direttric�, o dell'Arte, esecu­ trice dell'Idea del Bello. Esse hanno troppa solidarietà nell'azienda delle cose del gusto per essere impunemente trascurate. Il perché ci restringeremo a diffinire, e quasi tracciare la frontiera della nostra scienza, di rincontro a cotali due discipline. E cominciando dalla Metafisica, diciamo che se in Estetica ne supponiamo la cognizione, ne accettiamo il metodo ed alcuni fonda­ mentali risultamenti, non ne dobbiamo riprodurre _l'esplicazione in modo sommario ed abboracciato. La Metafisica è cosa, che o si dà tutta e bene, o non si ha a dare· in modo veruno. Cotali rapsodie nocciono all'una dottrina ed all'altra. Ed alla seconda, cioè all'Este­ tica, fanno soprattutto il mal giuoco di trasformarla in cattivo stru­ mento di un'altra scienza, che, nella sua giurisdizione, ella avrebbe a riguardare come strumento suo. In somma, l'estetico, quantunque teorista anch'egli, non dee ignorare che i giardini delle arti non sono già Accademie e Licei. N on si vergognerà, quindi, di ricorrere a presupposti, che, in un'applicazione del v�dere filosofico al fatto del Bello, stanno al luogo loro. Né converrebbegli aver ritegno di rife­ rirsi, per alcune difficoltà capitali, ad un sapere esterno e superiore al sapere proprio. Autonomia scientifica l'ha bene egli. Ma tale auto­ nomia comincia e finisce con la sua specialità. E notisi che, suppo-

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nendo sempre innanzi a sé una Metafisica bella e fatta, non può uscire del limite, che gli abbiamo prescritto, senza, o ripetere ciò ch'è stato assodato, o, se ha qualcosa di nuovo a dire, senza costruire una scienza, diversa dalla sua. In somma, il limite dell'Estetica, dal lato della pura filosofia, è quello che separa il sapere implicito dal­ l'esplicito. Sia latente tutta la logica, e ne circoli la vita in tutto l'organismo estetico. Badisi, peraltro, che non si esplichi per sé; ché ciò importerebbe la decomposizione della scienza nostra. Il secondo limite, di che ci proponemmo ragionare, è quello, che separa l'estetico sapere dal fare artistico. La scienza può bene, a sua posta, anzi dee, esplorare le fonti, misurare la profondità, seguire le sinuosità, e studiare le fertilizzanti inondazioni del regal fiume dell'arte. Ma sarebbe meglio che di ciò l'arte non ne sapesse nulla. Essa -rive vita propria ed estatica accanto a Giove: dove la colloca il bell'epigramma di Schiller. Nessun filosofo al mondo seppe educare· un artista vero; e guai all'alunno delle muse, che scambiasse le impervie falde del Parnaso con gli ambulatorii com odissimi dell'Accademia. Eppure vediamo a' nostri tèmpi uno strano spettacolo. Da una parte sta un accigliato Minosse, dall'altra una di quelle anime nocenti, o innocenti artistiche, che attendono da lui che sentenzii. « · Quantunque gradi vuoi che giii sia messa )) nella bolgia critica, che le appartiene. N on fu mai maggiore confusione d'idee. Che un sapiente possa, non meno che di tante cose, conoscersi del mestiere di rivendugliolo di quadri, o di cicerone di monumenti, non lo neghiamo. Quello, che crediamo aver diritto di negare è, che tale dilettantismo faccia menomamente parte del suo sapere. E re­ clamiamo dall'Estetica, che smetta alfine da' suoi abiti critici, o dal volere determinare i pregi de' singoli prodotti di arte, che vogliono essere gustati e non sillogizzati. Il peggio di codesta torta relazione è che gli artisti, credendo sopra parola agli uffiziosi loro maestri, co­ minciano oggidi a lambiccarsi il cervello con tante e tali astrattezze, che la loro ingenua intuizione, non solo somiglia alle fanciulle del secolo passato, cui la moda imponeva il vestirsi da vecchie; ma imita le famose Gee della favola, che nascevano sdentate e rimbambite. , Di ciò ha colpa l'Estetica quando sconosce il suo limite. E spe­ cialmente ne incriminiamo l'attuale Estetica alemanna, ch'ama tanto a sfoggiare in finezze di gusto ed in pretensiose ricerche da amatore. Molti trattati solenni ci riducono a mente il motto di Apelle a colui, che avea dipinta una Venere, mediocremente bella, ma sontuosa­ mente àbbigliata: « Amico )) - esclamò il gran pittore; - « tu non potendola fare bella, l'hai almeno fatta ricca! )). In conclusione, il limite dell'Estetica dal lato del fare artistico, è definito dalla critica specialista, eh' è arte e non scienza; epperò, non

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che parte, non è che in un ristrettissimo senso, derivazione della Metafisica della bellezza. Cosi, con la circoscrizione dell'ambito scientifico, che ci occupa, abbiamo dato termine alla sezione prima dell'estetica Propedeutica, ed alle quistioni preliminari, che proponevasi. Possiamo ora passare alla seconda, che discute la topica, ossia il luogo, che hanno nel­ l'Enciclopedia filosofica le estetiche investigazioni. SEZIONE Il

DELLA TOPICA DELL'ESTETICA

A determinare convenientemente il posto dello speciale sapere, che trattiamo, nel sistema dello scibile, vuolsi indicare le piii. famose divisioni, che prevalsero in quest'ultimo; ed il luogo, che all'Estetica toccò in ciascuna. Limitandoci alle piii. importanti, e riguardandole in grandi masse, riduciamo le anzidette divisioni a tre: cioè, a) a quella, stata in uso ne' tempi antikantiani; b) a quella, che accreditò il kantismo; c) a quella, infine, che ha radice nell'Idealismo assoluto. Soggiungeremo, in poche parole, con quale restrizione e eome modificata ammettiamo la classificazione ultima. Faremo fine discu­ tendo, in questa, la controversia circa il rapporto del momento este­ tico co' momenti affini. a) Potremmo esser brevi nell'indicare il risultamento della fi­ losofia antikantiana, transrenana o cisrenana che fosse. In que' tempi classici dell'intendimento, e del suo illuminismo, i sensisti francesi ed i moralisti di Scozia non sapevano gran fatto. di teorie sul Bello e sulle arti belle. Per giunta, non eransi punto in­ nalzati al concetto della genesi, e dell'organica compagine della co­ gnizione speculativa. Testimone la crassa tripartizione del sapere, che gli Enciclopedisti usavano, in sapere matematico, fisico, e morale; secondo la quale, o non v'ha seggio per l'Estetica nell'anfiteatro en­ ciclopedico, o la male arrivata ha ad adagiarsi in grembo alla religione ed alla filosofia, non troppo sue buone amiche. Il piii., che sapessero fare que' vecchi, era il dettar trattati in huon dato sul tipo della poetica di Orazio; cioè il farsi manodurre dal puro buon senso. Le indagini piii. alte di Home, di Burke, di Hutcheson, non disdegnavano considerarsi quali escursioni a sollazzo· ne' fioriti campi della fantasia, di messere intendimento, che profittava cosi di

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qualche momento fuggevole del suo scioperio. I W olfiani stessi, piu serii, registravano l'Estetica tra le parti della Logica, che era la sfera teorica del loro sistema, a rincontro della pratica. Dal quale vedere la nostra scienza, organo della sensibilità per essi, buscava un modesto cantuccio accanto alla Psicologia. . Tutto ciò, come ognun vede, non era un gran sistematizzare, e conveniva proceder oltre. b) Il kantismo esprime tale decisivo processo. Il bisogno di ordinare in un tutto organico le varie, e spesso antitetiche, conclu­ sioni della sua speculazione; e piu che altro il suo genio che avea bisogno di farsi largo nel suo sistema, sospinse Kant a quell'archi­ tettonica delle facoltà, ch'è stata tanto censurata; e che pure la prima pose l' Estetica in luogo di onore, cioè al centro delle altre discipline. Suppongo nota la d isposizione sistematica del Kantismo. Certo, scavando un incolmabile abisso · tra le funzioni teoriche e le pratiche dell'animo, non si potea senza contraddizione supporre che esse si stringano la mano nel giudizio riflesso. Eppure cotale contraddizione sublime è forse il massimo de' vanti del filosofo di Koenisberga. Il quale sforzandosi di comprimere nella vuota subbiettività la media­ zione geniale, ed a tal uopo essendo obbligato a tirare l' obbietto dalle viscere del subbietto, prova fortunatamente troppo. Egli prova che la mediazione, se sussiste è assoluta, e quindi la funzione estetica ha a dirsi verità delle altre due. Ma i kantiani non seguirono l'impulso, o fecondarono l'idea del maestro. Alcuni collocarono l'Estetica tra le pratiche discipline, ed errarono falsandone il carattere dottrinale. Altri la coordinarono al conoscere teorico, e s'ingannarono a loro volta, sc,:moscendone le tendenze fattive. Il solo Schiller, meraviglioso intelletto, riguardò l'estetica come un equilibrio di forze; e nello scioperio (ludus dei latini, spiel de' tedeschi) ravvisò le origini del­ l'arte, che cosi poté dichiarare la piu grande educatrice della nostra specie. L'Estetica, insignita di tanto magisterio, non avea che ad organarsi come sfera di tutto lo Spirito. Ciò fece nelle filosofie dell'Identità, la speculativa compagine dei quali passiamo ad esaminare. c) Tale compagine, che va studiosamente meditata nelle opere, che la espongono, può solo tratteggiatsi qui per sommi capi. Ma la cosa riuscirà sufficiente ad orientarci nel caso nostro. Le filosofie dell'Identità partono da un lavoro fenomenologico, che è la Propedeutica, o il viaggio di scoperta ad ignoti mondi. Si giunge, al termine dell'esplorazione, a comprendere l'identità del­ l'obbietto e del subbietto, dell'essere e del pensiero nella cognizione; e fatto l'acquisto di cQdesto vello d'oro, ponsi mano alla fondazione del tempio di Sofia, o della Logica. Qui veggiamo l'essere, compreso

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che sia, trasformarsi in esistente; l'esistente, compreso, divenire il fi­ nito; il finito, compreso, . farsi la cosa; e poi l'essenza; e poi la so­ stanza; e poi la causa, ed infine il concetto; che una volta avvedutosi,

nella sua libertà, di avere appo sé l' obbietto, passa a contrapporsegli come vita, o subbietto; ed infine, trasfigurato in Idea, a dominarlo in forma di Scienza primamente, in forma di Bene poi, e da ultimo a perdersi nell'oceano dello SPIRITO vivo come Religione, come Arte, come Sapere. Ecco la nostra disciplina, sublimata al vertice del piu stupendo, e forse piu superbo obelisco, che innalzasse a sua glorificazione il pensiero dell'uomo. Eccola uno dei momenti del sapere assoluto, in quanto riguarda il mondo mediano dello Spirito, ovvero l'Arte. Non pretendendo né di censurare qui, né di subire passivamente l'azione fantasmagorica della dialettica enunciata, ci affrettiamo a far osservare che il piu degli estetici moderni, anche i contraddittori acerrimi di lei, non contrastano punto al Bello ed alla sua Metafisica la partecipazione �Ila triade dello Spirito concreto, attribuitagli. Né noi, minimi tra tutti, che pure con inalterabile proposito, tutroché con parvità di forze, adoperiamo a comprendere libere dall'aristo­ cratismo dell 'Idea Assoluta le primigenie efficienze umane; possiamo, per questo lato, sottrarci all'indeclinabile dominazione del vero. Infine una quistione d'importanza piu esagerata che reale sem­ braci quella, recata in mezzo ultimamente fra gli estetici alemanni, intorno alla precedenza nell'esplicazione, e quindi al posto corri" spettivo della religione e dell'arte. V'ha chi avvisa, il posto mediano appartenersi alla prima e non alla seconda, che, tuttavia contaminata di sensibile, siccom'è, do­ vrebbe appresentarsi innanzi. Ma altri ottimamente rispondono, lo Spirito essere libertà assoluta; e conseguentemente la religione, in che nessun elemento è libero coscientemente ancora, precedere l'arte, in che è libero almeno l'elemento dell'inventiva. Con la quale considerazione sia fatta fine alla topica della scienza nostra. SEZIONE III

DELLA DIVISIONE DELL'ESTETICA

Passando, in ultimo, ad indicare le parti di ogni possibile estetica investigazione, diciamo non poter essere che tre di numero, cioè: a) l ' E STETICA IDEALE , che espone la Metafisica dell'Idea bella;

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b)

l'ESTETICA E SISTENZIALE,

nella fantasia;

che segue quell' Idea nella natura e

c) l'ESTETICA REALE, che la studia allo stato di idea.le concre­ tezza, nelle varie arti.

Delle quali tre discipline il seguente trattato non avventurasi che ad elaborare, il meno male che si possa per noi, la sola prima. Ma­ nifestamente costituisce .una totalità scienziale, indipendente dalle altre. Del resto, il tempo e l'incoraggiamento, che potessero meritare i nostri sforzi, condizioneranno ogni ulteriore ricerca.

BENEDETTO CROCE Benedetto Croce nacque il 25 febbraio 1866 a Pescasseroli (L'Aquila) da Pa­ squale e da Luisa Sipari. La sua era un'antica famiglia di ricchi agricoltori e ma­ gistrati originaria di Montenerodomo, ma stabilitasi da molto tempo a Napoli. Quanto vi è di essenziale nella sua vita fino ai cinquant'anni, è detto nel Contributo alla critica di me stesso, posto a chiusura di Etica e Politica: pagine certo fra le piii belle che egli abbia scritto, ove il limpido . stile è specchio di un sereno atteggia­ mento morale. La sua vita, anche se ebbe peso ragguardevole nella storia nazionale, fu tutt'altro che avventurosa. Sin dal liceo, le sue cognizioni e le sue ricerche si orientarono verso l'erudi­ zione letteraria e storica: la Napoli del Sei e del Settecento, il mondo meridionale in genere, i teatri e la letteratura popolare e dialettale; Carducci e De Sanctis, personalità quanto mai -diverse, ma accomunate dal bisogno e dal senso della storia, cominciarono ad attrarlo. All'università assisteva da uditore alle lezioni di Ber­ trando Spaventa, cugino di suo padre e fratello di Silvio, ed a quelle degli hegeliani Vittorio lmbriani e Antonio Tari. Nel terremoto di Casamicciola del 18 luglio 1883 perdette entrambi i genitori ed una sorella: Rimasto egli stesso gravemente ferito, ebbe a tutore Silvio Spaventa, nella cui casa romana visse tre anni che considerò poi come quelli della sua crisi. Al trawna affettivo provocato dalla tragica fine dei genitori, si aggiunsero infatti il turbamento per l'ambiente diverso e l'insoddisfazione degli studi universitari di giurisprudenza, facoltà alla quale si era iscritto seguendo il consiglio dello Spaventa che desiderava avviarlo alla diplomazia. Quei corsi, furono però frequentati 'poco e con scarsa voglia, tanto che egli non sostenne nessun esame. Lo interessarono molto, invece, le lezioni di filosofia morale di Antonio La­ briola che finalmente poté ascoltare direttamente. Ne fu avvicinato al marxismo che improntò fortemente nell'ultimo quinquennio del secolo la sua attività di stu­ dioso. Attività dapprincipio erudita, ma tale da trascendere subito la pura erudi­ zione, per quella « passione » che la muoveva e che presto generò il bisogno di un pensiero organico. Tornare a Napoli nell'86, significò dunque per lui soprattutto restituirsi à un tranquillo ambiente di studio che g�i permise di attendere con piii raccolta ed intensa disciplina al proprio lavoro. Napoli, alternata a non brevi viaggi e soggiorni all'estero ed a villeggiature, 'oltre che nel natio Abruzzo, a Perugia, in Lombardia e in Piemonte, rimase cosi la città piii congeniale alla sua persona e perciò piii proficua per la sua operosità. L'inizio della produzione significativa può essere indicato nel 1893, anno in cui appare la dissertazione La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte. Emergono cosi in evidenza quelli che rimarranno due pilastri del suo pensiero: la storia e l'arte, che prenderanno poi rispettivamente la forma dell'intuizione e del concetto. L'anno appresso apparve il libretto su La critica letteraria e nei cinque anni seguenti si succedettero gli studi sul marxismo che formarono il volume Materialismo storico ed economia marxistica (1899).

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Sulla fine del secolo preparò anche la memoria Tesi fondamentale di un'E­ stetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, che apparve nel 1900

negli (( Atti dell'Accademia Pontaniana » di Napoli e, rifusa e accompagnata da una larga trattazione storica del pensiero sull'arte dal mondo classico ai contemporanei, conflui nell'Estetica (1902). Sin dalle· Tesi è presente l'identificazione di estetica e linguistica, cioè la concezione del linguaggio come espressione, che certamente costituisce uno dei teoremi capitali del suo pensiero. L'Estetica, concepita dapprima come un'opera a se stante, dà inizio al sistema. Dai problemi da essa posti o in essa già avviati a soluzione e corrispondente ai suoi interessi per la critica, la poesia, la letteratura, ma anche per la storia, per la vita morale e politica, si senti spinto a delineare una compiuta Filosofia dello Spirito, ossia un trattato di filosofia, sebbene diversamente disposto · da quelli tradizionali. Gli altri tre volumi che costituiscono questo disegno della sua filosofia sono la Logica, che ebbe anch'essa laborioso sviluppo prima di assestarsi in definitiva stesura (Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro, 1905; Logica come scienza del concetto ·puro, 1909); la Filosofia della pratica: economica ed etica (1908), e, infine, la Teoria e storia della storiografia che, elaborata e pub­ blicata nel 1912-13 in tedesco, usci in italiano nel 1917, arricchita di altri capitoli. Ma l'operosità del Croce in questo periodo non si esaurisce nei quattro volumi della Filosofia dello spirito. A questi si affiancano i saggi su Hegel (1906) e su Vico (1911); i Problemi di estetica e i Nuovi saggi di estetica, i Frammenti di etica, le prime due serie delle Conversazioni critiche; la rielaborazione e raccolta in volume dell'attività di erudizione storica e letteraria, svolta per lo piii negli anni giovanili

(La rivoluzione napoletana del 1 799. Biografie, racconti e ricerche; I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo XVIII, grosso volume successivamente ridotto a ni..ino r mole; La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, le Storie e leggende napoletane) ; l'inizio e la grande fioritura di buona parte della

larghissima opera di critica letteraria: i primi quattro volumi della Letteratura della nuova Italia; i Saggi sulla letteratura italiana del Seicento; la prima edizione del Saggio su Goethe.

L'opera crociana è stata detta d'occasione, in senso forte, cioè (( suggerita dagli . avvenimenti, come riflessione del presente ». Di rado, quindi, le sue opere sono nate come volume: nella maggior parte dei casi, specialmente dopo la costruzione sistematica, esse sono raccolte di saggi, ma mai abbandonano il dovere della coe­ renza. E la prima !lede di tali saggi, dopo i numerosi apparsi in periodici napoletani tra fine e inizio di secolo, fu la (( Critica >>, rivista progettata nel 1902 e diretta e costruita numero per numero fino al 1944, anno in . cui venne sostituita dai (( Quaderni della critica >> , durati fino al 1951 con piii libera periodicità. La (( Critica >> fu, nel modo piii rigoroso, una rivista di tendenza, animata dall'attività del direttore: un lavoro intenso, perché Croce fu magna pars nei fascicoli della sua rivista sia come pianificatore del loro contenuto, sia come coordinatore, amico e maestro dei suoi collaboratori; che furono in primo luogo Gentile e Gargiulo, Vossler, Omodeo, De Ruggiero ecc. Non meno considerevole l'attività editoriale del Croce (al quale i Laterza mi­ sero a disposizione la propria Casa) non solo per la pubblicazione della (( Critica » ma per alcune collane che ebbero grande incidenza sulla cultura del tempo. Gli (( Scrittori d'Italia » in un certo >'("liso rinnovarono il quadro della letteratura ita­ liana, spostando l'accento dall'indirizzo quasi esclusivamente letterario-umanistico al piii largo respiro dell'umanesimo storiografico, economico, sociale, critico; i (( Filosofi antichi e medievali >>, diretti dal Gentile, e i (( Classici della filosofia moderna >>, diretti dallo stesso Croce, costituirono il primo corpus italiano com-

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prendente molte tra le maggiori opere dei grandi pensatori, presentate con serietà scientifica sia per la cura del testo che per l'esattezza delle traduzioni. Anche la preesistente, ma rinnovata, « Biblioteca di cultura moderna >>, inclusiva di saggi e studi per lo piii contemporanei di italiani e stranieri, lontani tanto dall'accademi­ smo quanto dal dilettantismo, s'inquadrava con efficacia nell'azione culturale che aveva in Croce il suo animatore. Questo insieme di attività non lo distolse del tutto dagli impegni civili. Piii volte, infatti, Croce accettò incarichi pubblici quando determinate non facili cir­ costanze lo indussero a ritenerlo necessario. Fece parte di commissioni ed ammi­ nistrazioni scolastiche in Napoli, fu membro del Consiglio Superiore degli Archivi (dal 1912), Ministro della Pubblica . Istruzione nell'ultimo Ministero Giolitti (1920-21) e come tale tracciò le linee fondamentali di quella riforma che avrebbe poi preso nome di riforma Gentile. Durante la prima guerra mondiale aveva tenuto un atteggiamento di grande saggezza, alieno dalla retorica nazionalistica come da ogni esaltazione della guerra. Questo gli valse accuse calunniose quanto inconsistenti di filogermanesimo (la Germania che egli amava era quella romantica e idealistica, non quella dell'impe­ rialismo guglielmino), ma sollevò la sua figura morale ben al disopra della maggior parte degli intellettuali di quegli anni, fattisi spesso strumento di propaganda go­ vernativa, quando addirittura non si atteggiassero a letterario compiacimento per il « lavacro di sangue ». Il fascismo lo trovò dapprima in una condizione di osservatore abbastanza distaccato, ma non sfavorevole, sia pure senza nessuna partecipazione ufficiale e senza approvazione morale. La cultura idealistica identificava positivismo e demo­ crazia e coinvolgeva questa nella sua avversione per l'egualitarismo giacobino; d'altra parte, a quel tempo, Croce riteneva la politica un'attività rigidamente au­ tonoma dalla morale; non era cioè ancora pervenuto a teorizzare quel primato dell'etica che caratterizzerà la fase successiva al 1925. Per diversi anni, pertanto, ritenne possibile che i gruppi dirigenti liberali, cui egli dava fiducia, utilizzassero il fascismo come strumento provvisorio per il rinsaldamento della cosa pubblica che egli vedeva vacillare, erosa dalla demagogia. Ma, dopo il discorso mussoliniano del 3 gennaio 1925 che chiari gli intenti dittatoriali del regime, e dopo il manifesto di confermata adesione di Gentile alla politica del nascente regime, cui egli oppose un contrario manifesto sottoscritto da numerosi ed autorevoli rappresentanti della cultura di quegli anni, Croce passò all'opposizione, esprimendola · fin che possibile in Parlamento, poi negli scritti, nella rivista, nell'attività editoriale. La sua operosità dunque non diminui affatto durante i venti anni della ditta­ tura. Alcuni dei suoi libri piii significativi nacquero proprio nella tarda maturità e nell'età anziana, recando in sé nuove proposizioni, sviluppi e modifiche al sistema, su taluni dei punti piii delicati e piii decisivi di esso. Si pensi soprattutto a La Poesia (1936), a La storia come pensiero e come azione (1938) ed all'intensa attività di storiografia etico-civile che si concreta nella Storia del Regno di Napoli, nella Storia dell'età Barocca in Italia, nella Storia d'Europa del secolo XIX e nella Storia d'Italia dal 1871 al 1 915, all'accennata dimensione etico-religiosa cui la meditazione sul « vitale » sospinge il suo storicismo. Il crollo del fascismo indusse Croce a riassumere temporaneamente, benché in età avanzata, responsabilità politiche come presidente del partito liberale, ministro senza portafogli nei ministeri Badoglio. e Bonomi, membro della Consulta nazionale e deputato alla Costituente. Anche nell'ultimo quinquennio della sua vita continuò a far sentire spesso la sua voce su problemi essenziali, mentre la sua opera si ac­ cresceva di numerosi scritti che davano valido apporto alla saggistica filosofica,

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storica e letteraria, dalle Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici alle Letture di

poeti.

La morte lo colse il 20 novembre 1952, ancora intellettualmente attivo. La sua opera comprende circa ottanta volumi; ma quando alle opere vere e proprie si aggiungeranno compiutamente i molti scritti brevi ·non ancora ristampati, i diari, o, piuttosto, « taccuini di lavoro » dal 1906 al '52 e l'immenso epistolario - di cui alcune parti sono apparse - il centinaio di volumi sarà certo superato. Una per­ sonalità, dunque, non di intellettuale « organico >> il cui impegno si mortifichi in opportunistico servizio, ma di intellettuale che s'impegna a testimonianza della li­ bertà cosi nella sua opera di pensiero come nella forma che la situazione storica richiede e la consapevolezza delle proprie attitudini e dei limiti ddla propria azione consentono. Croce muove da posizioni idealistiche in quanto l'uomo è per lui al centro del mondo in cui dispiega il proprio essere e pertanto il reale e il razionale si identi­ ficano immediatamente nel senso che il razionale è immanente al reale. La realtà è dunque spiritualità perché è creazione dello spirito, o soggetto trascendentale, che rende possibile cioè pone l'esperienza. La realtà, o spirito, si svolge secondo un movimento o processo dialettico di distinzione. La distinzione si presenta in due attività: la teoria e la pratica, ed ognuna di queste attività si distingue a sua volta nei due gradi dell'individuale e dell'universale. Si hanno cosi le quattro forme dello spirito: l'estetica che è conoscenza intuitiva o fantastica (produzione d'immagini) dell'individuale, creazione espressiva; la logica, conoscenza delle relazioni (univer­ sale) per mezzo dei concetti prodotti dalla ragione; la volontà economica, attività pratica rivolta a fini m sé, particolari, ossia utili; la volontà etica che è rivolta al fine razionale (universale) e si esplica in azioni morali. Accanto alla distinzione (passaggio da una forma all'altra), persiste la dialettica degli opposti, interna ai gradi: bello-brutto, vero-falso, utile-antiutile, bene-male. D processo della distinzione non esclude l'unità dello spirito; anzi nasce con essa, in quanto nessuna delle quattro forme opera disgiunta dalle altre. Le forme sono cioè articolazioni dello spirito: nella sintesi concreta, in cui l'attività s'indi­ vidua, si ha si l'egemonia di una categoria, ma il carattere sintetico dell'indivi­ duazione è fondato sulla totale presenza dello spirito in quel suo determinato momento. La circolarità dello spirito implica dunque l'inesistenza di forme che annullino in sé le altre. Ogni forma viene sostituita dalla successiva, ma sussiste anche in quella si da rendere possibile il ritorno dalle attività conoscitive o volitive dell'universale (forme, cioè, di secondo grado) alle attività conoscitive o volitive dell'individuale considerate primarie. Ed infatti Croce parla di auroralità dell'arte, di vitalità « cruda e verde >> ecc. Il circolo si riproduce per il bisogno di raggiungere l'universalità sia del conoscere che dell'agire. ' L'intuizione si oggettiva sempre in un'espressione, cioè produce un'immagine. È questa l'attività formativa dell'arte, la quale per Croce è prelogica in quanto disinteressata a distinguere la realtà dalla fantasia. Per questo carattere di pura contemplazione, non concettualmente distinta, la teoreticità dell'arte, anche per il Cmce della Filosofia dello spirito, è quella del romantico sogno. Se l'intera spiri­ tualità è compresente in ogni uomo, ne derive che ognuno è artista. Il genio è identico al gusto, nel senso che il genio è attività creativa, ma anche il gusto non sarebbe, se non fosse capace di ricreare l'immagine. L'estrinsecazione o comuni­ cazione o fissazione oggettuale d'immagine, invece, non è per Croce, costitutiva dell'arte. Si tratta di un atto pratico dovuto a conoscenze tecniche, e possibilità e condizioni esterne e finalizzato alla memorizzazione del fantasma interiore. Dall'affermato carattere volontario dell'estrinsecazione, Croce desume la man-

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canza di rilievo', in sede di teoria estetica, della distinzione delle arti e delle tec­ niche. Infatti la scelta e l'uso del mezzo espressivo sono successivi alla generazione delle immagini ed inerenti alla loro estrinsecazione tecnica. Si connette a questa posizione la teoria per cui alla volizione economica appartengono anche i generi letterari, i quali derivano dall'imporre alle opere d'arte schemi intellettualistici e regole, desunte, comunque, da determinate esperienze artistiche e non già ad esse preesistenti. Al contrario l'estetica crociana pone fortemente l'accento sull'astori­ cità dell'arte per l'irripetihilità e l'incomparabilità di ogni individualità artistica. Linguaggio ed espressione fanno una sola cosa, in quanto libera manifestazione di creatività. Da ciò l'identità arte-linguaggio e la conseguente risoluzione dello studio del linguaggio, della linguistica cioè come filosofia del linguaggio, con l'estetica. L'intuizione è dunque forma linguistica. Ma la sua purezza non significa mancanza di contenuto bensi prelogicità, cioè assenza di astrazione e di elementi concettuali. Dopo l'Estetica del 1902 si sono susseguiti gli sviluppi e le precisazioni sul­ l'arte. Ma, in Croce, l'insofferenza dei sistemi non ha attenuato l'esigenza di guar­ darsi dalle contraddizioni, cosicché i saggi successivi alla Filosofia dello Spirito non hanno mai smentito apertamente quella struttura, anche quando, di fatto, l'hanno messa in crisi: sono stati da lui presentati come chiarimenti, non come rifacimenti. I punti salienti dello svolgimento ulteriore del pensiero sull'arte possono essere fissati nella conferenza su L 'intuizione pura e il carattere lirico dell'arte, tenuta a Heidelherg nel 1908 (poi nei Problemi di estetica); nel Breviario di estetica del 1912 (poi nei Nuovi saggi di estetica) con la ripresa del concetto kantiano di sintesi a priori; nell'attributo di totalità e cosmicità dell'arte posto in evidenza sia nel saggio Il carattere di totalità dell'espressione artistica, incluso anch' esso nei Nuovi saggi, che nell'Aesthetica in nuce; e, infine, nel concetto di letteratura elaborato intorno al '30 e riconosciuto positivo ne La Poesia. Il carattere lirico dell'arte implica che se l'intuizione è intuizione di qualche cosa, se cioè è sintesi contenuto-forma, suo oggetto « è. la vita, la commozione, il calore, il sentimento dell'artista ». La presenza del sentimento, ossia in fondo della ricchezza spirituale, di tutta la vita pratica come materia dell'intuizione, distingue l'arte dal suo opposto, dalla forma vuota e dal contenuto informe. La connotazione del contenuto, del sentimento come materia viene superata dall'introduzione, nel Breviario, dalla sintesi a priori estetica. Tale sintesi concreta (soggetto-predicato; individuale-universale) afferma insieme la prevalenza. di una forma nel singolo momento e la compresenza in esso di tutto lo spirito ed abban­ dona, di fatto, la precedente teoria per cui il trapasso da una forma .all'altra im­ plicava l'abbassamento della forma precedente a materia della forma che in atto si realizza. Poiché, se l'attività che si attua nell'arte è sintesi a priori di co.ntenuto e forma, l'elemento lirico o contenutistico (sentimento) non è subordinato, ma esso stesso costitutivo dell'intuizione-espressione. Totalità e cosmicità approfondiscono la sintetica liricità dell'arte. Con esse il filosofo vuoi dare maggior evidenza alla presenza del mondo pratico nell'arte. La praticità appare ora esplicitamente universalizzata, perché sentimento della dram­ maticità della vita umana è un sentimento che riequilibra se stesso nella superiore visione dell'immagine. La praticità estetica non è pertanto praticità vitalistica, ma catarsi delle passioni, quindi eticità, coscienza morale. Né con questo Croce ricade nel moralismo estetico tante volte ironizzato e respinto, perché il fondamento della poesia nella coscienza morale significa semplicemente la partecipazione dell'artista all'intera esperienza dell'uomo, non configurabile al di fuori della fondante pre­ senza della moralità, non già la subordinazione dell'arte ai fini eteronomi di una didassi moralistica.

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Infine, nel periodo culminante nella Poesia, la letteratura viene considerata il prépon, ossia il conveniente, e da qualcuno fu ritenuta qualcosa che s'inserisse tra la pratica e l'arte. Ma gli stessi termini in. cui viene caratterizzata ne chiariscono l'ascrizione all'attività pratica. Essa infatti rappresenta ciò che si addice alla comunicazione, ossia il decoro, la tradizione: espressiva, la forma, nel senso della retorica classica, di veste di un contenuto, di un concetto. Teorie, come ad esempio quella dei generi letterari, ricevono dal concetto di letteratura, al quale non può evidentemente estendersi l'essenza astorica della poesia, un inquadramento piii fruttuoso. Il concetto crociano di critica letteraria è parte integrante dell'estetica. Nelle parecchie esposizioni che il filosofo ne ha fatte, ha ricevuto ritocchi e rifiniture, ma è rimasto essenzialmente, dopo i primissimi tentativi, uno degli elementi piii stabili dell'intero quadro della sua meditazione. La. forma piii matura e pressoché defi­ nitiva di esso è quella presentata ne La Poesia. Critica è giudizio, ossia « dare il nome alle cose », ascrivere un atto, un'opera (il soggetto intuito) ad una delle categorie concettuali (al suo oggettivo predicato), ed > le' cose stesse. Al giudizio critico si giunge mediante la preparazione filologica, l'interpretazione rievocativa costituita dall'>, e la caratterizzazione del" conte­ nuto, del >, per cui il sentimento, ossia il conténuto stesso nella sua sintesi · for­ male, si definisce in formula. Ma la riduzione della poesia in formula non è certo l'equivalente logico della ·poesia, poiché questa non può avere. equivalenti in altro da sé. Cosi il risultato critico non ci soddisfa piii e dalla critica torniamo ad im­ mergerci òell'arte. Si tratta dunque di quella insoddisfazione dialèttica e quindi positiva, promotrice del nuovo che è caratteristica dell'attività umana. Con l'affermazione che ogni critica è critica della critica s'intende, d'altra parte, significare l'acquistata consapevolezza dell'indefinitività della >, cioè dello svolgimento problematico della critica stessa. Critica è dunque filosofia: identificazione non contraddetta, anzi confermata, da chi affermi che al critico basta il buon senso, poiché il buon senso non è altro se non >. Il giudizio di poesia è > perché, come ogni giudizio, implica un'affermazione di esistenza (di realtà) e la qualifica categoriale (cioè la qualifica di poesia e non-poesia) della cosa di cui viene affermata l'esistenza. L'essenziale schema logico di ogni giudizio critico è pertanto: >. Ma il fatto che il giudizio dell'arte sia un'affermazione storica non implica che l'arte sia storica: dall'una all'altra opera d'arte non · c'è, infatti, nesso di svolgimento. Nella Poesia si sostiene, al riguardo, che l'esistenza di un nesso di svolgimento implicherebbe il darsi di un'unica opera d'arte, che contraddirebbe alle radici l'affermazione dell'irripetibilità e della di­ versa caratterizzazione delle individuate opere d'arte. Senonché questa prospettiva dell'unicità è quanto il pensiero estetico crociano ha altrove teorizzato. La· critica letteraria del filosofo, - estesa all'intero svolgimento della lettera­ tura italiana, alle grandi letterature europee, soprattutto la tedesca, la francese, l'inglese, la spagnola ed anche, negli anni tardi, alle letterature classiche - è ri­ masta in genere abbastanza fedele alla sua concezione speculativa, anche se qualche volta se ne è distaccata. Né i momenti del relativo distacco appaiono necessaria­ mente meno felici di quelli della piii rigorosa adesione alla > della critica da lui concettualizzata. Croce procede alla caratterizzazione, alla definizione in > di Torino (allora diretta da Alfredo Frassati) negli anni tra il 1909 e il l9l l, dal l912 fu collaboratore fisso del cc Corriere della Sera », di cui doveva poi diventare critico letterario ufficiale (si deve a lui la definizione di Gozzano, Corazzini, Moretti come ·cc crepuscolari »; e fu lui, nel 1929, a riconoscere l'importanza degli Indifferenti ddl'allora giovanissimo Moravia), mantenendo tale incarico fino a quando il suo costante e mai nascosto antifascismo non gli rese impossibile, avendo egli rifiutato di prestare giuramento, quale professore universitario, il rientro in Italia dagli Stati Uniti, dove era stato invitato nel 1931 per tenervi delle conferenze culturali. Chiamato a insegnare al­ l'Università di Milano nel 1917, a partire dal l926 vi ricopri la cattedre di Estetica: ed in qualità di professore di Estetica fu relatore alla tesi di laurea di Guido Pio­ vene. Poeta :e narratore, pubblicò nel 192 1 il romanzo Rubè, la cui importanza artistica e storica si .fa sempre piii manifesta col passare del tempo, un volume di poesie (1923); il romanzo I vivi e i morti (1923), oltre a diversi volumi di novelle. Impegnato nella politica militante, collaborò nel 1917 alla stipulazione del Patto di Roma 'tra l'Italia e le minoranze slave dell'Impero austro-ungarico; e si adoperò, durante la seconda guerra mondiale, in -difesa della nazione e del popolo italiano, cui cercò, professore all'Università di Chicago, in quanto tale diventato cittadino americano, di impedire che venisse inflitta una pace punitiva, sostenendo che non era giusto coinvolgere la nazione e il popolo nelle responsabilità storiche del regime fascista. Rientrato in Italia nel 1946, riprese il suo insegnamento all'Università di Mi­ lano; ma stentò ad orientarsi in una situazione letteraria assai diversa da quella che egli aveva lasciata quindici anni prima. Ed era forse sul punto di riannodare un proficuo colloquio con gli scrittori stati compagni della sua giovinezza, e con la letteratura e il pensiero delle nuove generazioni, quando la morte lo colse, a set­ tant'anni vigorosamente portati, nella villa di Fiesole dove soleva abitare (quando ragioni di lavoro non lo richiamavano negli Stati Uniti) il 4 dicembre 1952. Nell'ultima sua conferenza (il cui testo fu messo in ordine da Maria Luisa Gengaro), Borgese rievocò tre temi di un originario 'dissenso col Croce, che dove­ vano essere poi i punti di partenza - della sua autonoma riflessiòne estetica: cc l) superstizione del capolavoro assoluto: dissenso intorno a ciò che in termini crociani si dice individualismo; 2) primitivismo; 3) espressionismo » (1) : e sviluppava codesta ricapitolazione affermando che cc L'opera d'arte è sempre " imperfetta " e " si tiene sù ", per mezzo dell'amicizia di quelle che l'hanno preceduta e di quelle che se­ guiranno » (2) - non senza aggiungere che in ogni arte cc l'ispirazione esiste ed è indispensabile: ma esiste come compenso dell'esercizio quotidiano » (3); e contro l'identificazione crociana di intuizione e di espressione (sviluppando per conto proprio un motivo di scontentezza e di insofferenza che in altra direzione di gusto ( 1) La mia prospettiva estetica (miscellanea con presentazione di L. Stefanini, a cura dell'Uni­ versità degli Studi di Padova), Brescia, 1953, p. 15. (2) Ib., pp. 19-20. (3) lb.; p. 20.

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militante aveva nei decenni precedenti svolto Alfredo Gargiulo, crociano pure lui della prima generazione) si domandava: « il problema essenziale dell'arte è quello di esprimere o di comunicare? Ma esprimere è inevitabile, soprattutto se si rinuncia a quelle tali categorie dell'inespresso .. Quello che invece è evitabile e troppo spesso evitato è il comunicare » (4) . E già nel 1920, scrivendo la N1UJva prefazione alla Storia della Critica Romantica in Italia, Borgese aveva precisato i termini del proprio distacco dal Croce caratterizzando l'estetica crociana quale modo di della Casa editrice Laterza, la Critica del Giudizio di Kant, impresa eh� il Gargiulo portò a termine nel 1906, quando già da due anni collaborava alla > e quello di Spinoza: >. L'arte non deve limitarsi al mondo dei sentimenti: è al servizio di un valore ben piu alto, poiché nell'opera d'arte l'uomo cerca di migliorarsi incessan­ temente. Secondo Ortega sarebbe un diseducare il pubblico, l'offrirgli facili mezzi di emozioni, che spesso sono puerili e superficiali e non vanno al di là del senti­ mentalismo amoroso o falsamente religioso, e che stimolano la violenza della sen­ sualità. La musica di Stravinsky ha maggior probabilità di piacere ai suoi contem­ poranei, dice Ortega, di quella di Wagner, perché ha grazia, agilità, ingegno mentre il diletto di Wagner stava nel gigantesco; · Nelle arti figurative, la sua preferenza va a Cézanne: la cui pittura gli pare aderisca ai ritmi della vita e sostituisca corpi delle cose dei volumi irreali, di pura invenzione. Second_o Ortega, Cézanne dipinge delle idee, degli oggetti ideali im­ manenti al soggetto o intrasoggettivi. Il pensiero continuo e segreto di Ortega è quello dell'interrogazione dell'uomo sul mondo: la pittura di Cézanne, egli pensa, pittura concettuale può aiutarlo a scoprire il senso della sua vita. > L'arte derealizzata dunque non vuole liberarci delle cose comuni in nome di super-oggetti, ma aiutarci a comprendere la quidditas della cosa, che solitamente è nascosta ai nostri occhi. Le espressioni di Ortega, tanto discusse: > non vanno prese nel loro valore normativo; l'arte come ci è suggerita da Ortega è , 1957, pp. 109-123; J. GANTNER, O. y G. y el arte espanol, « Folia Hu­ manistica », luglio-agosto e settembre 1976, pp. 481-489, 571-579. -

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COMINCIA LA DISUMANIZZAZIONE DELL'ARTE

L'arte di oggi si è dissociata dall'arte precedente con rapidità vertiginosa, verso direzioni ed intenti divergenti. Niente sarebbe piu facile che sottolineare appunto la divergenza di intenti fra le varie produzioni artistiche. Però la puntualizzazione di tali diversità e di ciò che è peculiare all'arte nuova, ris-qlterebbe inutile se prima non si sottolineasse il fondo comune che veramente, ed- anche contraddittoriamente si afferma in ognuna di esse. Già ci aveva insegnato il nostro buon vecchio Aristotele, che le cose diverse si differenziano proprio in ciò in cui si assomigliano, cioè nell'ambito di uno stesso comune carattere. Poiché i corpi hanno tutti lo stesso colore, ne avvertiamo le diverse sfumature. Le speci sono esattamente le diverse specificazioni di un genere e le comprendiamo bene soltanto quando le vediamo modulare in forme diverse, il loto comune patrimonio. Le direzioni particolari dell'arte giovane mi in­ teressano mediocremente e salvo alcune eccezioni, mi interessa ancor meno ogni singola opera. Però, a sua volta, questo mio giudizio dei nuovi prodotti artistici non deve interessare nessuno. Gli scrittori che riducono la loro ispirazione ad esprimere la loro stima o disistima per le opere d'arte non dovrebbero scrivere; non sono utili per questo arduo impiego. Come diceva Clarin, di un maldestro drammaturgo, sarebbe meglio che dedicassero il loro sforzo ad un altro lavoro: per esempio a formare una famiglia. Forse che già l'hanno? Ebbene, ne fondino un'altra. L'importanza è che esiste nel mondo il .fatto indubitabile di una nuova sensibilità estetica C). Di fronte alla pluralità delle direzioni ( l) Questa n�ova sensibilità non si verifica soltanto negli artisti, ma a11che nella gente che fa da pubblico. Quando ho detto che l'arte nuova è un'arte per gli artisti, non intendevo soltanto quelli che producono arte, ma anche per coloro che hanno la capacità di percepire valori puramente artistici (N.d.A.).

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speciali e delle opere individuali, questa sensibilità rappresenta il genere e come la sorgente di quelle. È questo che mi interessa defi­ nire. E indagando sullo spunto peculiare della nuova produzione, trovo la tendenza a disumanizzare l'arte. Il paragrafo precedente dà a questa formula una certa precisione. Se mettendo a confronto un quadro dipinto secondo il nuovo stile con rm altro del 1860, usiamo il sistema piii semplice, cominceremo con il confrontare gli oggetti che vi sono raffigurati, via via, un uomo, una casa, una montagna. Subito ci renderemo conto che l'artista del 1860 si è proposto innanzi tutto di dare agli oggetti del suo quadro lo stesso aspetto che essi hanno quando fanno parte della realtà viva ed umana. È possibile che oltre a questo l'artista del 1860 si proponga molte altre compli­ cazioni estetiche; però l'importante è notare che ha· cominciato con l'assicurarsi tale somiglianza. L'uomo, la casa e la montagna, sono appunto riconoscibili, sono nostri vecchi, abituali amici. Al contrario ci costa fatica il riconoscerli nel quadro di stile recente. Lo spettatore pensa allora che il pittore non abbia saputo raggiungere tale somi­ glianza. Ciò si verifica se il quadro del 1860 è mal dipinto e fra gli oggetti del quadro e gli stessi oggetti al di fuori dello stesso corra una gran différenza, una reale distanza. Certamente qualunque sia la di­ stanza a cui gli errori dell'artista tradizionale si collocavano nei confronti dell'oggetto « uma:r.o », si trattava soltanto di lievi cadute nel cammino verso di questo ed equivalgono al « Questo è un gallo » con il quale l'Orbaneja cervantino orientava il suo pubblico. Nel quadro recente accade l'opposto; non è che il pittore sbagli o che le deviazioni dal « naturale » non riescano a rappresentarlo, ma piutto­ sto le stesse portano su un cammino opposto a quello che potrebbe condurre verso l'oggetto umano. Piuttosto che andare piii o meno maldestramente verso la realtà, si nota che è andato contro la stessa. Si è proposto coraggiosamente di deformarla, di rompere con il suo aspetto umano, di disumanizzarla. Con le cose rappresentate nel quadro tradizionale potremmo illuso­ riamente convivere; della Gioconda si sono innamorati molti inglesi. Con le cose rappresentate nel quadro nuovo, la convivenza è impos­ sibile: · per togliere loro il loro aspetto di realtà viva, il pittore ha tagliato il ponte e bruciato le navi che potevano trasportarle nel no­ stro mondo abituale. L'artista di oggi ci chiude in un universo astruso, ci forza a trattare con oggetti con i quali non trattiamo « umanamente » . Dobbiamo improvvisare una forma completamente diversa di relazione con le cose; dobbiamo inventare atti inediti che siano adeguati a quelle figure insolite. Questa nuova vita, questa vita inventata dopo avere annullata quella spontanea, è precisamente la

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comprensione ed il piacere artistico. N on mancano ad essa sentimento e passioni, però evidentemente queste passioni e questi sentimenti appartengono ad una flora psichica molto diversa da quella che copre i paesaggi della nostra vita primaria. Sono emozioni secondarie che nel nostro artista provocano interiormente questi ultraoggetti (); sono sentimenti specificatamente estetici. Si dirà che per tale risultato sa­ rebbe stato piu semplice . prescindere da queste forme umane, uomo, casa, montagna e costruire figure del tutto originali. Ma questo è assolutamente impossibile C) . Allo stesso tempo, nella piu astratta li­ nea ornamentale vibra, larvatamente, una tenace reminiscenza di certe forme « naturali )) , In secondo luogo, e questa è la ragione piu im­ portante, l'arte di cui parliamo non è soltanto .inumana perché non contiene cose umane, ma consiste anche attivamente in questa opera di disumanizzazione. Nella sua fuga dall'umano non le importa tanto il termine ad quem, la fauna eteroclita alla quale si appoggia, quanto il termine a quo, l'aspetto umano che distrugge. Non si tratta di di­ pingere qualcosa che sia completamente distinta da un uomo, o da una casa o da una montagna, ma di dipingere un uomo che assomiglia il meno possibile ad un uomo, una casa che conservi di tale aspetto ciò che è strettamente necessario perché possiamo assistere alla sua metamorfosi, un cono che è mutato miracolosamente dalla montagna che era precedentemente, come il serpente muta la sua pelle. Il pia­ cere estetico per l'artista nuovo nasce da questo trionfo sull'umano; per questo è necessario concretare la vittoria e presentare in ogni caso la vittima strangolata. Il volgo crede che sia facile uscire dalla realtà, mentre è la cosa piu difficile del mondo. È facile dire o dipingere una cosa che manchi completamente di senso, che sia inintelligibile e come nulla; basterà infilare parole senza nesso e), o menare fendenti all'azzardo. Però otienere di costruire qualcosa che non sia copia del « naturale )), e che tuttavia possegga una sua « sostanzialità )) implica il dono piu sublime. La « realtà )) acceca costantemente l'artista perché impedisce la sua evasione. Quanta astuzia suppone la fuga geniale! Dev'essere un Ulisse ,�lla rovescia, che si libera della sua Penelope quotidiana e naviga fra gli scogli verso la magia di Circe. Quando ottiene di sfuggire un momento alla perpetua schiavitu, non giudichiamo male . ( 2)

« Ultraismo » è uno dei nomi piii azzeccati per definire una nuova sensibilità (N.d.A.). Un saggio è stato scritto su questo significato estremo (certe opere di Picasso) però con in­ successo esemplare (N.d.A.). ( 4) V aie a dire quanto ha fatto lo scherzo dadaista. Si può venire avvertendo (vedasi la nota anteriore) che la stessa stravaganza e certi intenti falliti della nuova arte derivano da una certa logica del suo principio organico, il quale dimostra . E per questo, scrive ancora il Bremond nel tredicesimo Eclaircissement, la poesia include in sé la totalità della vita, (( elle est la source intérieure de l 'etre en ses manifestations les plus diverses, et l'on doit l'étudier comme telle, ainsi que l'on distingue le sentiment du beau independemmant de l'art et de ses formes... >>. Un valore ontologico sopradiscorsivo è dunque quello che il Bremond rico­ nosce come fondamentale per la poesia, che è un modo in cui l'anima si congiunge mistiéamente all'Assoluto. Ed in questa concezione, della quale non sarebbe diffi­ cile mettere in evidenza le componenti neo-platoniche, il Bremond continua, e dichiaratamente inoltra sul terreno religioso, l'idea soprarazionale e sopraconosci­ . tiva della poesia che nel ,corso del secolo decimonono era stata professata e praticata da Edgar Poe e poi, con la poetica dell'analogia, dai simbolisti francesi dai quali dovevano derivarla cosi i loro continuatori fiamminghi (come Rodenbach e Maeterlinck) e tedeschi (come Rilke e G.eorge, allievo diretto di Mallarm:é e di Verlaine) come pure i pittori del cosiddetto espressionismo astratto, che ebbero il loro massimo rappresentante in Kandinsky: il quale, già nel 1912, col suo libro Vber das Geistige in der Kunst, (nel quale fa espresso riferimento a Maeterlinck ed alle sue teorie) aveva anticipato una teorizzazione estetico-mistica sotto molti aspetti analoga a quella del Bremond: al quale va riconosciuto il merito di aver fatta valere con la massima decisione l'esigenza di una non riducibilità della poesia a semplice comunicazione e significazione; contribuendo cosi a rafforzare l'argine che le teorie simboliste ed analogiche della poesia sempre oppongono al prevaricare di quelle contro-poetiche del realismo e def razionalismo delle quali Robert de Souza, po­ stillatore della Poésie pure per invito dello stesso Bremond, scriveva che a causa di esse (( nous arrivons non seulement è perdre notre proprie faculté lyrique, mais à ne plus savoir reconnaitre où sont les trésors dont elle à comblé notre passé >> (l). Una considerazione del 1925 che a distanza di oltre mezzo secolo conserva, rafforzata, 'tutta la sua veridicità.

Bibliografia essenziale. - C. Bo, Memoria di Bremond (1937), in Saggi di Letteratura Francese, Brescia, 1940; E. R. CURTIUS, Franz6sischer Geist im Zwan­ zigsten .Jahrhundert, Berna, 1952; A. TILGHER, La poetica dell'abate Bremond, in Estetica, Roma, 1931; Ancora la poetica dell'abate Bremond, in Studi di poetica, Roma, 1944 3•

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I teorici moderni della poesia pura, Edgar Poe, Baudelaire, Mal­ lanné, Paul Valéry, non sono quei pericolosi innovatori che, a volta si è portati a credere. N o n nego si possa, in qualche dettaglio, tacciarli (l) Un débat sur la poésie, Il, in: H. BREMOND, La poésie pure, Parigi, Grasset, 1925. p. 185. Lettura tenuta nella pubblica seduta delle cinque Accademie il 24 ottobre 1925.

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da eretici. ma sulle questioni di fondo. essi perpetuano una tradizione assai rispettabile. In Francia, l'abate Dubos, che fu segretario a vita dell'« Accademia >> dal 1722 al 1744, li precorre e li prepara; e Dubos da parte sua, non fa che seguire le orme dell' Umanesimo italiano come due storici stranieri, l'inglese Robertson e l'italiano Toffanin hanno recentemente dimostrato con penetrazione pari alla dottri­ na C) . Ma non è possibile riassumere in poche pagine un progresso cosi lungo. e pertanto mi limiterò a chiarire il concetto di « poesia pura >> . Prendiamo questa nozione di « poesia pura >> nell'attimo in cui, · timida, silenziosa, e come in punta dì piedi, essa attraversa ciò che c'è di virgiliano nel padre Rapin e) . Questo buon letterato, docile ·agli insegnamenti di Aristotele, ha appena enumerato i caratteri essenziali della bellezza poetica. Dovrebbe fermarsi là, ma sente confusamente, poeta egli stesso, che, in proposito, gli resta da dire l'essenziale. « Vi sono anche nella poesia >> insinua golosamente Rapin « anche >> (e quell'anche è per noi parola decisiva) certe cose indefinibili, ine­ splicabili. Queste cose ne costituiscono come il mistero. N on ci sono regole per svelare le grazie segrete, i fascini impalpabili e tutte quelle nascoste attrattive della poesia, che vanno direttamente al cuore. Come è lontano da noi, ancora, il padre Rapin, eppure quanto è vi­ cino! Oggi non diciamo piii. che vi sono in un poema, pitture vivaci. pensieri e sentimenti sublimi, che c'è questo, c'è quello, e in piii. c'è qualcosa di ineffabile: oggi noi diciamo che, al di sopra e prima di ogni cosa, il poema ha in sé l'ineffabile, pur se strettamente legato al questo e al quello. Ogni composizione poetica deve il suo carattere strettamente poetico alla presenza, al fascino, all'azione trasfigurante ed unifica­ trice di quella misteriosa realtà chiamata poesia pura. Cominciamo da un'esperienza che tutti facciamo, ma, di solito, senza farci attenzione, quando leggiamo una poesia. Affinché abbia inizio in noi lo stato poetico non v'è alcun bisogno di una preliminare conoscenza della intera poesia, anche se breve. Sono sufficienti tre quattro versi letti a caso, ad apertura di pagina, a volta persino un frammento diverso: « Primum Gra'ius homo ... Ibant oscuri ... ». La frase non è completa, si ignora il sèguito, eppure pncanto è operato ed il fascino è già in noi. La prima scena dell'Ifigenia è una ouverture nel senso musicale della parola; essa ci mette, se cosi posso dire, in uno stato di grazia poetico, fa penetrare in noi la poesia di tutta ·

_ (3) J. G. ROBERTSON, Studies in the genèsis of Romantic theory in the eighteenth century, Cam­ bndge, 1923; F. TOFFANIN; La fine dell'Umanesim·o, Torinp, 1920. (4) Si riferisce al gesuita René Rapin (1621-1687), autore di poemi latini e di un trattato di estetica, Ré.flections sur la Poétique d'Aristate (1674).

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l'opera. « Una tela di Delacroix », diceva Baudelaire, « può produrre sulla nostra anima un'impressione reale anche se vista da una distanza tale da essere impossibile analizzarne i particolari od anche com­ prenderne il soggetto ,,, L'effetto che hanno in noi certi casi staccati dal loro contesto, è eguahnente immediato, improvviso, dominatore, tale da farci sentire totalmente appagati, senza bisogno di andare piu avanti. In ciò consiste la maggiore difficoltà nella lettura di certi sommi poeti, di Dante, per esempio. Verrebbe voglia di dire loro: « Fermatevi, fermatevi ,,; di questo bel verso del senso indeciso lais­ sez nous plus longtemps savourer les délices, ( « Lasciateci piii a lungo godere le delizie... ,,), mentre alla prosa gridiamo: « Avanti, avanti! Ad eventum Jestina ,, , E divoriamo o voltiamo le pagine, se la di­ mostrazione o il racconto tardano troppo. Prosa e poesia hanno riti diversi. Leggere il De rerum natura come si leggerebbe una tesi su Epicuro, aspettarsi dall'Eneide lo stesso piacere che si può provare leggendo l tre moschettieri, è come peccare contro la poesia, per una sorta di avidità simoniaca; in termini piu moderati, come se a Ingres chiedessimo un'aria per violino. Il poeta ci promette a un tempo molto di piu e molto di meno del romanziere. Egli stesso, del resto, si sente appagato dalle due prime ispirazioni. Il seguito sarà quello che sarà, e cosi la conclusione, giacché una conclusione ci vuole, bon gré malgré. Il sonetto per Elena avrebbe potuto conclu­ dersi in un'omelia; « Heureux qui comme Ulysse ... ,, poteva anche finire con l'apoteosi del Palatino. La cosiddetta influenza segreta è un invito imperioso per quanto è confuso. Si parte . nella notte senza bagagli, a volte senza bussola. Spetta alla rima intervenire nei mo­ menti di penuria; spetta ad altre combinazioni, fissare il termine del viaggio. In ogni caso, per leggere una poesia nel modo giusto, intendo dire poeticamente, non basta, e del resto non è sempre necessario, che se ne afferri il senso. Una contadina sensibile, si apre senza sforzo alla poesia latina dei Salmi, anche se non sono cantati; e piu di un bambino ha gustato la prima egloga prima di comprenderla. Soleva dire Jules Lemaitre, che di Virgilio, in chi abbia conseguitç. il bac­ cellierato rimangono, di solito, otto o dieci controsensi. Ebbene, se il messaggio arriva a destinazione, che importa deci­ frarlo? Uno solo di quei controsensi ci consegna intatta tutta la poesia di Virgilio, forse ancora piu intatta, di quanto lo sarebbe stata se ne avessimo rettamente interpretato il testo. In fin dei conti, il senso esatto della Quarta egloga, se pur essa ne ha uno, non è poi gran cosa: la comprensione di quelle parole oscure, di quell'appello ad un redentore che non può tardare, avviene in noi, virgiliani piu di Vir­ gilio, ma grazie a Virgilio, nella poesia inespressa che quelle righe

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ispirano. CÒntrosenso da un lato, intuizione infallibile dall'altro; vit­ toria del puro sull'impuro, della poesia sulla ragione. È vero che di ben rado si contrappongono cosi clamorosamente il puro e l'impuro; ma un caso estremo come questo ci avverte che non dobbiamo mai confonderle. Non sappiaiJlO certo, ed un uomo di gusto neppure cerca dì saperlo, che cosa significhi una certa canzone di Shakespeare, nondimeno deliziosa. Di certe poesie di Burns, soleva dire il bravo Angellier che « sembra non vi sia piii nulla; i singoli componimenti sono spogli di contenuto intellettuale; sono vuoti, privi di colore, di contenuti intellettuali. Essi sono animati da immagini di una fiamma invisibile. E l'effetto è profondo, inafferrabile )) . Dal canto suo Ge­ rard de Nerval confessa sorridendo: « I miei sonetti sono piii oscuri ·della metafisica di H egel e perderebbero ogni fascino, una volta spiegati, sempre che ciò fosse possibile )) . La qual cosa però, non ci vieta di ripetere . con fervore· « lo sono il tenebroso, vedovo inconso­ labile principe d'Aquitania, senza casa., né tetto l È morta la mia stella e il mio triste liuto l anela al sole nero della malinconia ... )) . (« Je suis le ténébreux, - le veuf, - l'inconsolé, Le prince d' Aquitaine à la tour abolie Ma seule étoile est morte, et mon luth constellé Porté le soleil noir de la Mélancolie ... ))) La poesia popolare di tutti i popoli, compreso il nostro, ama il non-senso, gliene occorre sempre almeno un pizzico. Per questo Bé­ ranger fu soltanto un uomo di spirito . La strofa cristallina: « Orléans, Beaugency... Vendome, Vendome ... )) non presenta neppure un si­ ' mulacro di ragionamento. Ma chi non la preferirà, peraltro, a cento volumi di versi « ragionevoli )). Dopo la sconfitta di Ramillies, hanno voluto mettere della zavorra in questa canzone, e ne è venuto: « Villeroy, Villeroy A fort bien servi le roi Guillaume, Guillaume )). Ed ecco che tutta la poesià è svanita, schiacciata, quasi, sotto questo spessore di significato. Né ripugna, alla poesia, di prender stanza in un semplice epigramma. E si pensi l'indiscutibile capola­ voro: « Lorsque Maillart, juge d'enfer, menoit A Montefa.u lcon Semblançay l'ame rendre ... )). . Il poeta degli ChatimeTits ·non saprebbe fare di meglio. E qui va rilevata questa cosa singolare: che la corrente poetica, per accumu­ larsi ed esplodere, abbia bisogno del nome di Maillart. Si metta Dupont al posto di Maillart ed ecco che, mentre il pensiero contenuto nell'epigramma non perde nulla, manca del tutto la scintilla poetica. Se le cicogne di Victor Hugo venissero da Mulhouse e non dal Cay_

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stre, la gloriosa strofa dei « Magi )) perderebbe tutta la sua luce. Può anche succedere, secondo il grado dell'ispirazione poetica, che una parola, una sola piccola parola sia elettrizzata da tutta la corrente poetica. Il verso appropriato, ma tutto narrativo, di Stazio « . . Solatur lacrymas: qualis Bereciynthia Mater. . )) si imporpora, ' quando di esso si appropria il nostro Gioacchino [du Bellay] , di tutti i fuochi del Sole al tramonto. Aspettiamo ora che i filosofi della poesia-razionale ci spieghino, per prima cosa, perché il verso di Malherbe: « Et les fruit passeront la promesse des fleurs )) è uno dei quattro o cin'que miracoli della poesia francese; e perché ci spieghino poi di esso non si possa toccare una sola · lettera senza de­ gradarlo tutto quanto . Aggiungerà il peso del piii piccolo fiocco di neve al verso di codesti divini anapesti: « Et les fruits passeront les promesses des fleurs )) , Ecco che l'incantesimo è rotto. Questo verso ha un senso - il raccolto sarà buono -, ma un senso , cosi povero da rendere inconcepibile come da esso possa spri­ gionarsi tanta poesia. E questo è vero di una moltitudine di splendidi poemi, a cominciare dalle Georgiche. Ma a che scopo prolungare questa analisi? Intelligenti pauca. Impuro, dunque - di una impurità non reale, ma metafisica! è tutto quello che in un'opera poetica occupa, o può occupare, le no­ stre attività di superfice: ragione, immaginazione, sensibilità; tutto ciò che il poeta ci sembra abbia voluto esprimere, o lo ha effettiva­ niente espresso: tutto ciò che noi diciamo egli abbia suggerito. Tutto ciò che l'analisi del grammatico e del filosofo coglie, tutto �iò infine che anche la traduzione lascia intatto. Impuro, è fin troppo evidente, è il soggetto di un poema; ma anche il senso di ogni singola frase, la serie logica delle idee, lo svolgimento del racconto, i dettagli della descrizione, le stesse emozioni suscitate. Insegnare, raccontare, de­ scrivere, commuovere, basterebbe la prosa per ottenere tutto questo, che della prosa è l'oggetto naturale. Impura, in una parola, è l'elo­ quenza: per eloquenza intendendo non già l'arte di parlare molto per non dire nulla, ma l'arte di parlare per dire qualche cosa. E senza dubbio, il verso di Boileau dice sempre qualche cosa, ma non per cosi poco esso è poesia. Nella sua qualità di animale ragionevole, il poeta osserva, di solito, le regole comuni della ragione, come pure quelle della grammatica: non però nella sua qualità di poeta. Ridurre la poesia ai procedimenti della conoscenza discorsiva ragionevole, sa­ rebbe andare contro natura, come volere un circolo quadrato. « Sa­ rebbe povera cosa - confessa ancora il padre Rapin - quello che dice la maggioranza dei poeti, se lo spogliassimo dell'espressione )) , E .

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ne segue di necessità che, anche di un'opera nella quale il sublime abbonda, la qualità propriamente poetica, l'ineffabile, consiste nel­ l'espressione. Ma questa espressione, questo vuoto di senso, o meglio, questo qualcosa di cui il senso conta poco, o che, anche se ricca del senso migliore, ci riserva piaceri sconosciuti alla ragione; queste pa­ role di tutti i giorni e di tutta la gente, per quale strabiliante meta­ morfosi si trovano a vibrare di una luce e di una forza nuova, sepa­ rata dalla prosa pura, coniugata alla poesia? A che pro andar tanto cercando, rispondono molti, e tra questi delle alte intelligenze, come, per esempio l'autore di Variété C) . La metamorfosi avviene, l'e­ spressione diviene poetica, il verso diventa poesia, dal momento in cui una tecnica sottile e paziente secondata, a volte, da casi felici, arriva a captare, per orchestrarle religiosamente, le risorse musicali del linguaggio. Una penna esperta fa cantare la pagina, come una piccola canna fa cantare la foresta. Il poeta è solo un musico fra altri musici. Poesia, musica, è tutt'uno. D'accordo ma anche la musica pura, essendo misteriosa, non è meno misteriosa della poesia; io mi domando se questo non è un voler definire l'« ignoto » con l'« ignoto ». Del resto, se ci si picca di dare, cosi dicendo, una grande idea della poesia, mi pare ci si sbagli. La poesia sarebbe una musica gracile al paragone della musica: vera e propria: Baudelaire e Wagner. E poi, se ogni poesia è musica verbale, di ciò ne convengo, non tutta la musica verbale è poesia. In quanto musico, Bossuet vale Victor Hugo. So bene che, a volte, la prosa di Bossuet, di Michelet, di Loti, di Barrès non si distingue dalla poesia. Ma Dablancourt, semplice traduttore di prose, Ìna Balzac il vecchio, non sono armoniosi al pari di qualsiasi poeta? Di Dablancourt, se­ condo Saint-Evremond, tutto il fascino svanisce, solo che si sposti una sola delle sue sillabe. Fissate dunque, se ne siete capaci la sfumatura esatta, ed esclusivamente musicale, per cui di quelle due musiche, una sola, e spesso la meno armoniosa, è poesia. Dopo di che, avrete un bel da fare, temo, a rovesciare i quadri, mettere Desportes e Bertaut a livello di Ronsard, Malherbe piii. su di Quinault, Delille al di sopra di Al{red de Vigny. Tutti noi conosciamo ve:rsi immortali che conten­ gono la sola musica che le regole di prosodia consentono. E ve n'è del resto, e tanti, dei quali noi vantiamo l'armonia, peraltro reale, solo perché la loro strana seduzione siamo incapaci di definirla altrimenti. Credo dunque che dobbiamo rinunciare a questo pigro accostamento. Non che con i teorici della poesia-musica noi intendiamo rompere.

(5) « Quello che fu chiamato il simbolismo si riassume, assai semplicemente, nell'intenzione, co­ mune a piii gruppi di poeti... di farsi restituire i loro heni dalla musica ... » (P. VALE:RY, Variété, Parigi, Gallimard, 1925, p. 97).

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Dio non voglia! Essi saranno sempre i nostri alleati naturali contro i teorici della poesia-ragione. Lungi dall'annoverare la musica fra le impurità che sono appannaggio esclusivo della prosa - le immagini, le idee, i sentimenti - anche noi affermeremo che la musica è in­ separabile dalla poesia, che non c'è poesia senza una certa musica verbale (cosi peculiare, del resto, che andrebbe chiamata altrimenti) e che dal momento in cui questa musica raggiunge un orecchio capace, d'intenderla, allora ci sarà poesia. Ma del pari aggiungiamo che una cosa cosi modesta, alcune vibrazioni sonore, un poco d'aria smossa non potrebbe essere l'elemento principale, e meno che mai unico di un'esperienza nella quale si trova impegnata tutta la nostra anima. Tintinnar delle rime, flusso e riflusso delle allitterazioni, cadenze, secondo i casi, previste o dissonanti, nessuno di questi amabili rumori raggiungerà la zona profonda del nostro spirito, quella in cui ribolle l'ispirazione e dove non altro si ascolta, come il Pericle di Shake­ speare, che la « musica delle sfere » . Stando cosi le cose, come mai è possibile che alcune parole col­ locate al posto giusto, il ritmo, la rima, ci schiudan d'un sùbito . l'accesso di queste profondità spirituali, e che il poeta, se ci vuole trasmettere la sua esperienza poetica, debba ricorrere a mezzi cosi grossolani? È mai possibile che un'anima immortale dipenda cosi strettamente dall'argilla che l'imprigiona e che solo da lei riceve la vita? Sembra tuttavia certo che, in questa paradossale collaborazione, le parole non agiscano in virtii della loro bellezza propria, pittorica o musicale. Noi ci offriamo alle loro vibrazioni fuggitive (per quanto squisite siano le loro carezze) non per gustare il piacere che esse donano, ma per ricevere il fluido misterioso che esse ci trasmettono: semplici conduttori, piii o meno preziosi o sonori, non importa o piuttosto conduttori che devono il loro splendore alla corrente che le attraversa. Certo ricordate gli anelli di cui parla Socrate nello J o ne di Platone: la pietra meravigliosa che Euripide aveva chiamato « ma­ gnete », non solo li attira, ma comunica loro la sua propria forza d'attrazione. Sono dei talismani e dei sortilegi, dei gesti o delle for­ mule magiche, degli incantesimi nel senso proprio della parola. Semplice armonia che nella prosa è legata al significato, questa mu­ sica verbale, una volta imposta al poeta diventa vero e proprio in­ cantesimo. « Magia suggestiva » diceva Baudelaire, non pensando forse che la facoltà di suggerire, di evocare, si dirige esclusivamente alle nostre facoltà di superficie, appartiene alla mera prosa. Contagio o irradiazione, direi; oppure creazione o trasformazione magica, quella di cui noi rivestiamo non le idee e i sentimenti del poeta, ma lo stesso stato d'animo che lo ha fatto tale: un'esperienza confusa, globale,

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inaccessibile alla coscienza distinta. Le parole della prosa eccitano, stimolano, colmano di sé le nostre attività ordinarie: le parole della poesia le placano, vorrebbero sospenderle. Esse ci distolgono dalle ombre accecanti, che .il nostro imperialismo antimistico, effetto del peccato · originale, ci rende troppo gradevoli, per trasportarci nelle tenebre felici in cui gli artigli delle tre concupiscenze non avranno piu presa. Magia che ci concentra in noi stessi, secondo che dicono i mistici, e che ci invita ad una quiete in cui non ci resta che abban­ donarci, ma attivamente, a qualcuno che è piu grande di noi e di noi migliore. La prosa: una fosforescenza viva e vorticosa, che ci trascina lon­ tano da noi stessi. La poesia: un richiamo dell'interiorità, un peso confuso, come diceva Wordsworth, ·un calore santo, come diceva Keats, un peso d'immortalità del cuore: un awful warmth about my Heart, like a load of iinmortality. Amor Pondus. Questo peso, dove ci vuoi far precipitare, se non verso le auguste solitudini dove ci attende e ci chiama una presenza soVI-umana? Se dobbiamo credere a Walter Pater, « tutte le arti aspirano alla' condizione della musica )) , No: esse, tutte aspirano - ciascuna, però, con la magia dei suoi propri inter­ mediari - le note, i colori, i versi - alla -condizione della preghiera. ·

(La poésie pure, Parigi, Grasse!, 1926, pp. 15-27).

CHARLES DU BOS Charles Du Bos nacque a Parigi nel 1882, da una famiglia di agiata condizione. La madre, Mary Johnston, era di origine inglese, e l'inglese fu la seconda lingua del Du Bos, che peraltro padroneggiava pedettamente anche il tedesco e l'italiano. Privo di interessi intellettuali nell'adolescenza e nella primissima giovinezza (« Je suis né à dix-sept ans )), doveva dire piu tardi, in una lettera al Bergson, che insieme a Georg Simmel fu uno dei suoi maestri di filosofia), il giovane Charles si recò a 'diciotto anni a Oxford, studiando per un anno al Balliol College, e venendo a contatto con il pensiero di Ruskin, di Morris, di Walter Pater, del cui estetismo egli, assimilò e fece proprio il lato mistico piu che non quello etico-sociale. Da Oxford, passò in Italia, senza compiere studi universitari regolari, ma appassionandosi alla pittura di Botticelli. Terza tappa dei suoi anni di noviziato doveva essere Berlino; dove egli non solo ascoltò e segui le lezioni di Simmel, allora s�mplice libero do­ cente, e in certo senso outsider rispetto alla cultura accademica ufficiale, ma fu accolto nel giro assai esclusivo degli amici di casa Simmel, facendo ivi amicizia con , Bernhard Groethuysen. Tornato in Francia, tentò inutilmente di conseguire la laurea in lettere con lo studio sul Botticelli che aveva compiuto in Firenze sotto la guida di Bernardo Berenson; dopo il suo matrimonio (1907) incominciò a redigere il proprio diario, nel quale, fino alla morte, doveva annotare giorno per giorno gli eventi, gli incontri, i sentimenti, le letture. Faceva intanto amicizia con Gide, con Valéry, con Jacques Rivière: insieme con Gide, nel 1914, fondò il « Foyer Franco-Beige )) per venire in ' aiuto ai profughi del Belgio invaso; e nel 1922. venne introdotto (forse proprio da Gide) nel gruppo di letterati e pensatori europei che si riunivano annualmente nell'abbazia cistercense di Pontigny. Qui Du Bos ritrovò Ernst Ro.bert Curtius, da lui conosciuto in Germania, il quale nell'evocare gli incontri di Pontigny ricorda come in quello sceltissimo ambiente di letterati, il solo, tra i francesi, che avesse interessi autenticamente filosofici, era, appunto, il Du Bos; per il cui spirito, egli scrive, « Novalis era piu eccitante di Laclos, Meister Eckhardt piu urgente di Stendhal )), E ancora Curtius avanza l'ipotesi (confermata, in parte dal ]ournal di Du Bos, da Auxerre, 25 agosto 1922), che la conoscenza di quanto restava della grande arc:ttitettura cistercense, risvegliando antiche suggestioni ruskiniane, abbia avviato Du Bos alla conversione, o meglio, al ritorno al cattolicesimo (in cui gli fu guida un suo amico di gioventu, l'abate Mugnier) e che fu solennemente �ancito il 29 luglio del 1927, portando a compimento un travaglio interiore che aveva radici remote nello spirito del Du Bos, e di cui già nel · primo volume del ]ournal si possono cogliere i primi segni. Dopo la conversione, Du Bos continuò a esercitare la saggistica letteraria, continuando le Approximations, il cui primo volume era uscito nel 1922, e pub­ blicando nel 1929 il Dialogue avec André Gide, cui segui, nel 1933, l'altro suo libro su François Mauriac et le problème du romancier catholique. Invitato nel 1938 a tenere un corso di lezioni al Saint Mary's College Notre Dame di Indiana, ·

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vi lesse in inglese i saggi che poi, tradotti in francese dalla moglie, dovevano essere pubblicati sotto il titolo Qu'est-ce que la littérature. Rientrato in Francia, dopo il soggiorno americano, mori nel 1939 nel suo ritiro di Celle Saint-Cloud. Al centro del pensiero estetico del Du Bos (un pensiero che non conosce salti rilevanti tra il periodo anteriore al ritorno al cattolicesimo e gli anni successivi: il Du Bos cattolico, scriverà Jacques Madaule, « ne rompt avec rien de ce qu'il a aimé; rien de ce qu'il a admiré ... >>) sta il rapporto tra vita e arte, che è anche, dal punto di vista filosofico, un passaggio dall'immediatezza particolare alla mediazione universale, dalla semplice soggettività alla soggettività che oggettivandosi nello stile (e vanno lette le pagine sullo stile di Bergson, nel ]ournal nel 1921) trascende quel che ha in se .stessa di effimero. Il passaggio, insomma, dalla semplice vita alla vita che infinitizza se stessa nell'arte, in cui sopravvive a se stessa, già in quanto vita mondana. E se nella prima lezione di Qu'est-ce que la littérature? il Du Bos asse­ risce l'eternità come essente al di là della sopravvivenza, nell'arte, della vita a se stessa (« cette immortalité au delà de laquelle c'est la vie éternelle qui commen­ ce »), già alcuni anni prima, in una pagina degli Aperçus sur Goethe, scritti du­ rante il centenario goethiano del 1932, egli aveva fatto proprio il concetto dilt­ heyiano di Erlebnis come mediazione tra realtà, dunque vita vissuta, e poesia: una sorta di precipitato della vita vissuta, che il poeta modella in tal modo che « tout l'essentiel, tout le permanent, tout le valable, et meme ici tout l'universellement valable ( ... ) j oignent cet état second de la vie qu'est l'expression de la vie, la vie exprimée, et qui ne se joint que dans l'art ... » ( 1) . Lo scrittore cattolico, anzi l'é­ crivain chretien (cosi Du Bos si definiva nell'Avvertissement che precede gli Aperçus sur Goethe), formulava qui, anticipando le teorizzazioni del suo insegna­ mento americano, una teoria · che non vale solo per i cattolici o i cristiani militanti, una teoria che nella poesia, e nell'arte in generale, vede la vita che facendosi og­ getto a se stessa si conferma, per cosi dire, oltre le angustie della propria finitezza. E se per il Du Bos del 1932 l'arte del poeta, esemplata in Goethe, era un « rapprocher, confronter la vie et la parole » (2), già undici anni prima, in una pagina del ]ournal dedicata alla figura di Amiel, al suo dramma interiore, pren­ dendo lo spunto da una considerazione di Henri James, Du Bos aveva osservato che l'arte pittorica consente u��: superamento della vita e delle sue inquietudini, una purificazione della vita: « cette paix· souveraine que versent un Giorgione, ou un Baldovinetti, un Van Eyck ou un Vermeer » ( 3) . Ed un sostanziale sviluppo di questa concezione troviamo nella terza lezione di Qu'est-ce que la littérature?, quella sulla letteratura e la bellezza: dove, a proposito di Bach, sta scritto che tutte le cose belle prodotte dall'uomo appartengono Jb., P· n (6) ]ournal, \ ol. cit.. l '· l f>l (da \ u " 'IT> . Quattro anni or sono, tenendo una conferenza sulla Fontana e volendo mostrare fino

a qual punto questo libro era un esempio di quella realizzazione ec-

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cezionale che è un roman� o assoluto, io ebbi ad aggiungere: « In ogni grande arte, come in ogni grande filosofia, l'intemporale è l'empireo, il cielo delle stelle fisse a cui l'opera, una volta compiuta, si leva per non discenderne mai pio ». La letteratura, la letteratura degna di questo nome, è il cielo delle stelle fisse; e se la letteratura è debitrice alla vita del suo contenuto, la vita deve alla letteratura la sua sopravvivenza, le deve quella im­ mortalità che. si arresta soltanto sul limitare dell' Eterno, quella im­ mortalità al di là della quale non v'è che il cominciamento della vita eterna. E si potrebbe anche asserire, senza ombra di paradosso, che la vita deve piii. alla letteratura di quanto la letteratura non debba alla vita: perché, se è vero, in linea generale, che senza la vita la lettera­ tura sarebbe priva di contenuto, tuttavia si dà piii. di un caso, nel­ l' ordine letterario - e lo si vede quando ci si occupa di Shelley - in cui la letteratura può fare a �!leno della vita, ubbidire alla propria vocazione, raggiungere il proprio empireo nell'atto stesso in cui si disinteressa della vita. E sono si ricche, d'altro canto, sono si illimi� tate le possibilità della letteratura, ed i suoi poteri, che essa è capace di restituire il fluire stesso della vita, il �empo irrecuperabile, nel modo stesso in cui noi lo viviamo: preservando di esso, vale a dire, il carattere stesso di scorrimento e di irrecuperabilità; e pertanto (questo, appunto, è il miracolo del genio) restituendo il fluire del tempo, la sua irrecuperabilità, in guisa tale da inserirli nel cielo delle stelle fisse: e a questo proposito, basterà evocare i due maestri che sotio questo aspetto sono sovrani rispetto a tutti gli altri, Tolstoi e Cechov. (Qu'est-ce que la littérature, Parigi, Plon, 1945, pp. l-13).

ADRIANO TILGHER Adriano Tilgher nacque a Resina, l'antica Ercolano, nel 1887, da padre tedesco e da madre di m;igine francese. Laureatosi in Giurisprudenza nell'Università di Napoli, entrò nella carriera amministrativa della Pubblica Istruzione, dedicandosi in pari tempo al giornalismo di cultura, che fu sua unica occupazione dopo lasciata la pubblica amministrazione. Collaborò a , >. Esercitò la critica teatrale sulle colonne del « Mondo » di Giovanni Amendola, ed in qualità di critico teatrale sostenne il teatro di Luigi Pirandello avversato dai sostenitori del realismo e del naturalismo - non senza sovrapporre alla poetica di Pirandello la sua teoria del «. pirandellismo » come arte alimentata dal contrasto tra la fissità delle forme e il dinamismo della vita. Antifascista, visse . molto modestamente durante il periodo fascista (del 1quale non fece in tempo a vedere la fine), contentandosi di collaborazioni di terza pagina, non sempre firmate1 procurategli da giornalisti amici (collaborò al quotidiano « Il popolo di Roma » ed al settimanale « Omnibus » diretto da Longaiiesi), e pubblicando presso editori amici (e secondari) i suoi libri dei quali non era permesso si pubblicassero recen­ sioni. Mori in Roma nell'autunno del 1941. La formazione filosofica di Tilgher ebbe inizio già negli anni di liceo e con­ tinuò al tempo degli studi universitari, durante i quali egli frequentò Benedetto Croce, e tradusse per i « Classici della Filosofia Moderna », allora diretti dal Croce e dal Gentile presso la casa editrice Laterza la Dottrina della Scienza di Fichte (1910), il Discorso sul metodo e le Meditazioni di Cartesio (1913). E sin da quel tempo, l'operosità intellettuale di Tilgher investe con la stessa appassionata parte­ cipazione gli studi filosofici, quelli religiosi (non senza un certo interesse per le filosofie orientali, oltre che per l'occultismo e lo spiritismo, al quale egli si era familiarizzato da ragazzo per l'amicizia di sua madre con Eusapia Paladino, famosa medium napoletana), la problematica politica e sociale, e l'arte in tutte le sue manifestazioni. Distaccatosi ben presto dall'idealismo del Croce e da quello del Gentile (contro il quale, nel 1924, scrisse un feroce libello intitolato Lo spaccio del bestione trionfante), il Tilgher approdò ben presto a una sua filosofia relativista e antidia­ lettica, che in un articolo dell'ultimissimo periodo doveva paradossalmente pre­ sentare sotto la metafora di un neopoliteismo. Ed in questa concezione relativistica maturarono le sue teorie estetiche, culminanti nell'Estetica del 1931, che portò a compimento la riflessione teorica iniziata nel 1911 con il volume Arte, Conoscenza e Realtà e continuata nel 1922 con l'altro studio intitolato L'arte come originalità (poi ripubblicato negli Studi sul Teatro Contemporaneo) - non senza che la fa­ miliarità con il teatro e la letteratura italiana ed europea degli anni tra il 1910 e il 1930 (durante i quali Tilgher segui criticamente Pirandello e Valéry, Andrev e Proust, Rilke e Crommelynk, Rosso di San Secondo e l'abate Bremond) contri­ buisse ad arricchire la consapevole esperienza artistica del Tilgher: il quale aveva anche la virtii di pensare con assoluta chiarezza e con chiarezza esporre critica-

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mente (sia pure a costo di una certa superficialità) il pensi-ero proprio ed altrui, collocando le vicende letterarie e teatrali del suo tempo al centro di una crisi della quale egli. attento lettore di saggisti come Unamuno e Ortega y Gasset, senti tutta la drammatica contraddittorietà, renitente ad ogni semplificazione di schemi sociolo­ gici e psicologici oltre �he ad ogni dialettica precostituita. E forse proprio in questo rifiuto delle spiegazioni schematizzanti e sistematizzanti (che lo portava, in arte, a studiare le molteplici e varie estetiche e poetiche degli scrittori: alle quali egli annetteva importanza teorica non minore di quella che va riconosciuta alle esteti­ che dei filosofi) consiste il pregio maggiore di Tilgher, pensatore inquieto teoriz­ zante l'inquietudine éome condizione fondamentale della vita, della storia, dell'arte. Di questa filosofia dell'inquietudine è un aspetto l'estetica del Tilgher, che, partendo dal concetto dì arte come vita-non-vissuta, dopo avere identificato nel­ l'originalità il valore dell'arte, perviene alla distinzione tra amore di oggetti, che sta alla base della vita vissuta, e amore di vita, che dà origine all'arte nella quale la vita ama se stessa e si rappresenta. Una concezione, bisogna aggiungere, nella quale non piccola, seppure originalmente ripensata, è l'influenza_ del bergsonismo in gioventu professato dal Tilgher; e con essa, piu che il ricordo della contrapposizione tra Wille (cioè l'amore di oggetti come vita vissuta) e Vorstellung (la , ciò che mette in moto nella percezione il processo conoscitivo è dunque la volontà di giudizio. La volontà ha perciò un carattere originario, �utocreativo e la conoscenza costituisce l'attuazione, il compimento di esso. La creatività come primario attributo del valore fonda una metafisica della libertà e del tempo . ove il libero volere si eplica. Ciò tuttavia non pregiudica, nell'orizzonte di Alain, la consistenza reale del mondo, ossia della sede in cui la libertà si svolge ed ha modo di manifestarsi tale per ciò che ad essa si oppone. La volontà è fondamento dell'eguaglianza degli uomini, cosicché compito dell'educatore è quello di promuoverla in ciascuno, promuovendone per ciò stesso la libertà. Ma il miglior modo di promuoverla, ossia di porre in essere il · processo dell'educazione, è quello di sviluppare la volontà dell'alunno mediante l'apprendimento, ossia di conoscerlo nel suo sforzo di conoscenza anziché illudersi di conoscerlo prima per poi poter svegliare in lui il bisogno di conoscere. L'affer­ mazione di eguaglianza sta; com'è naturale, a fondamento del radicalismo demo­ cratico di Alain: l'eccedenza istituzionalizzata di determinate volontà umane su altre produce quelle condizioni che a loro volta rendono possibile la guerra. Questa, distruggendo gli uomini ed il loro lavoro, distrugge libertà concretamente esercitate, mentre il senso del tempo in cui la volontà .umana si esplica, procede verso la produZione, non verso la distruzione.

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Che l'arte occupi anche materialmente tanto spazio nelle riflessioni di Alain

(Système des beaux-arts, 1920; Propos sur l'Esthétique, 1923; Vingt leçon sur les beaux-arts, 1929; Propos de Littérature, 1933; Les Dieux, 1934; Préliminaires à l'Esthétique, 1942; Commenti a Charmes e alla ]eune Parque di Valéry. 1929 e 1935; En lisant Balzac, 1935; Stendhal, 1935; Entretiens avec le sculpteur, 1937) è

un fatto che, seppure -ha le sue ragioni piii immediate nel gusto, nelle abitudini, nella formazione culturale dell'autore, si spiega con una ragione essenzialmente filosofica. È infatti coerente che, in una filosofia della volontà come quella di Alain, ossia di una volontà instauratrice del rapporto fattivo col reale determinato mediante la conoscenza, l'arte adempia una funzione rilevantissima. L'arte, consi­ derata nella sua poieticità, nel suo esser opera fabbrile, nel suo processo genetico come plasmazione oggettuale, costituisce la manifestazione privilegiata della volontà in rapporto al fare. Da ciò la diffidenza antiromantica di Alain per l'ispirazione, per l'immagine come soltanto « riproduzione di una visione interiore >> (Bridoux) . L'opera d'arte è invece qualcosa che viene in essere - quale da ultimo si presenta - nell'elaborazione del suo farsi, quindi proprio in ciò che le coeve estetiche idealistiche - e valga per tutte il caso dell'estetica crociana - denominano il momento pratico, la fissazione dell'immagine in un oggetto per memoria di essa, perché . sia offerta alla rie_vocazione. Per Alain, al contrario, il lavoro sulla materia è ciò in cui l'arte prende forma, non qualcosa di estrinseco e di successivo all'in­ tuizione-espressione. Il processo esecutivo suggerisce l'effettivo farsi dell'opera modificandone gli iniziali spunti e progetti con una serie d'interventi che possono assecondare, cancellare, innestare motivi nuovi, essere d'insegnamento, e in ciò arricchiscono e reinventano fino a quando l'artista non abbia definitivamente di­ staccato da sé il suo prodotto. Per questo i mestieri vengono rivalutati: quale piii quale meno hanno tutti qualcosa del fare dell'arte; e d'altra parte è per questo che all'arte si attribuisce principalmente il potere di mettere in contatto lo spirito, Ia volontà con le cose. Accade cosi che non soltanto le ansie relative alla produzione dell'arte, ma le inquietudini in genere e i dolori umani si plachino nell'esecuzione di essa, quando la materia foggiata e suscitata a vita propria altro non è se non il prolungamento della personalità dell'artista immedesimatosi con essa. Ed- a questa attenzione ai mezzi d'espressione va congiunto il carattere essenziale della distin­ zione delle arti. Alla rappresentazione artistica Alain riconosce valore istitutivo di civiltà perché l'evidenza, con cui i caratteri dd mondo - e dell'uomo in quel mondo - sono colti dall'arte, raggiunge una for:l!a promotrice di spiritualità che supera quella delle cosiddette esistenze reali. Proprio da questo sovrastare dell'arte sul reale che essa raffigura non per imitarlo ma per trascenderlo, certo avvalendosi nella sua genesi della materia che la realtà le porge, deriva che essa, piii di ogni altra realtà umana, rechi in sé e soddisfi le esigenze di eternità, di bellezza e di libertà creativa. E se l'arte rivela all'uomo se stesso, è in lei anche implicita una tensione religiosa. Che un'istanza religiosa sottenda la filosofia di Alain, trova del resto conferma nell'essere per lui la volontà de"Q'uomo, come bisogno formativo che ha nell'arte la sua piii efficace e significativa attuazione, orientata verso i valori. Giustamente, quindi, è stata definita come un ottimismo umanistico, perché l'o­ rizzonte mt:tafisico trova sostegno in una robusta fiducia nell'attingibilità dei valori, anche se la testimonianza di questi valori, assai piii che dalla storicità dell'agire umano germina da un'iniziativa dell'individuo che volta a volta istituisce il suo rapporto con la realtà ove i valori assumono concreta esistenza. Lo stile di Alain, le cui già accennate tonalità dominanti risultano da una composta e serena ricerca sulla parola quasi mai cedente alle tentazioni dell'este­ tismo, rende trasparente, configurandolo nel modo piii adeguato, il carattere es-

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senziale di questo pensiero, dalle articolazioni nel complesso _forse alquanto tenui, ma documento, in ogni caso, di una civiltà estetica matura e consapevole, colta da chi ne fa parte e ad essa ha contribuito in un· momento in cui quella concezione e quella pratica del vivere si trovavano ancora di qua dalla crisi che ne avrebbe scosso le profonde radici. Notevoli i riflessi dell'estetica di Alain sugli scrittori francesi (si pensi al rap­ porto con Valéry) e sull'ambiente letterario italiano (Gargiulo, Solmi), nel quale ha agito fra il '30 e il '50 come uno dei sostegni teorici delle cc ricerche di stile » e come una delle componenti (( moderate )) delle riserve e obiezioni di tipo (( for­ malistico » avanzate verso l'idealistico concetto di forma.

Bibliografia essenziale. Per la bibliografia di Alain fino al 1960: S. DEWIT, A. Essai de bibliographie, Bruxelles, 1961. I piii di 5.000 Propos di Alain sono compresi nelle seguenti raccolte: Cent et un propos d'A., lète série, Rouen, 1908; Cent et un propos d'A., 2• série, Rouen, 1910; Cent et un propos d'A., 3• série, Rouen, 1911, Cent et un propos d'A ., 4• série, Rouen, 1914; Vingt et un propos d'A., Parigi; 19151; Parigi, 19202; Les propos d'A., 2 voll., Parigi, 1920 (antologia); Libres propos, ]ournal d'Alain. Nimes. 1921; Mars ou la guerre jugée, Parigi. 1921; Propos sur l'Esthétique, Parigi, 1923; Propos sur le Christianisme, Parigi, 1924; Propos sur le bonheur, Nimes, 1925; Parigi, 19282; Buenos Aires, 19443; Eléments d'une doctrine radicale, Parigi, 1945; ]eanne d'Are (l914) , . Nimes, 1926; Sentiments, Passions et Signes, Farigi, 1926, 1958 15; Esquisse de l'homme, Parigi, 1927; 19372, 19543; Cent et un propos d'A., s• série, Parigi, 1928; Propos sur l'é­ ducation, Parigi, 1932, 19482 (tr. it. di R. Rinaldi, Bologna 1959); Propos de littérature, Parigi, 1933; Propos de politique, Parigi, 1934; Propos d'économique, Parigi, 1935; Les Saisons de l'Esprit, Parigi, 1935; Propos sur la Religion, Parigi, 1938; 19512; Minerve, ou de la ' sagesse, Parigi, 1939, 19562; Suite à Mars I. Con­ vulsions de la Force; II. Echec à la Force, Parigi, 1939; Préliminaires à l'Esthéti­ que, Parigi, 1942; Humanités, Parigi, 1956. - Altre opere: Quatre-vingt et un chapitres sur l'Esprit et les Passions, Parigi, 1917; Les marchands . du sommeil, Parigi, 1919; Système des Beaux-arts, Parigi, 1920, 19262; Lettres au Docteur Henri Mondor, sur le sujet du Coeur et de l'Esprit, Parigi, 1924; Souvenirs concernant ]ules Lagneau, Parigi 1925; Les sentiments familiaux, Parigi, 1927; Les Idées et les Ages, 2 voli., Parigi, 1927; Etude sur Descartes, Parigi, 1927; Introduction à la lecture des Passions .de l'Ame de Descartes, Parigi, 1928; Onze chapitres sur Pia­ ton, Parigi, 1928; Charmes, poèmes de Paul Valéry, commentés par A.! Parigi, 1929; Entretiens aux bords de la mer. Recherche de l'entendement, Parigi, 1931; Vingt leçons sur les beaux-arts, Parigi, 1932 (tr. it. Roma, 1953); Idées. Platon, Aristote, Descartes, Hegel, Parigi, 1932, 19392; Les Dieux, Parigi, 1934; En lisant Balzac, Parigi, 1935; poi col titoli Avec Balzac, Parigi, 1937; Stendhal, Parigi, 1935, 19482; Histoire de mes pensées, Parigi, 1936; La ]eune Parque, poème de Paul Valéry commenté par A., Parigi, 1936; Souvenirs de guerre, Parigi, 1937; Entretiens avec le sculpteur, Parigi, 1937; Eléments de fhilosophie, Parigi, 1941, 19512; Préliminaires à la mythologie, Parigi, 1943, 1951 ; Les aventures du cmur, Parigi, 1945, 19522; Lettres à Sergio Solmi sur la philosophie de Kant, Parigi, 1946; Spinoza, Parigi, s.a. (l ed. col nome di E. Chartier); 19462• Opere postume: Po­ litiques, Parigi, 1952, 1962"; Définitions, Parigi, 1953; Vingt et une scènes de comédie, Parigi, 1955; Philosophie (textes choisis pour les classes par Drevet), Parigi, 1955, 19592; Lettres sur la philosophie première, J;larigi, 1955, Propos d'un Normand (1906-14), Parigi, 1955, 19602; Difficultés de Kierkegaard, Parigi, 1955; Correspondance avec Elie et Florence Halévy, Parigi, 1958; Portraits de famille, -

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Parigi, 1961; Equisses d 'A.: L Pédagogie enfantine, Il. La conscience morale, 1964: Il. La recherche du bonheur, Parigi, 1963-1968; La théorie de la connaisance des Sto'iciens, Parigi, 1964. L'edizione piii facilmente accessibile delle opere di Alain (si tratta tuttavia di una scelta, sia pure molto ampia) è quella della Bihliotèque de la Pléiade, in 4 voli., dei quali il I, con pref. di A. Maurois e a cura di M. Sauvin, 1956, 19682, ed il Il, a cura di S. S. de Sacy, riuniscono poco meno di 1.400 Propos del 1906 al 1936; il III, dal titolo /,-es Arts et les Dieux, 1968, con pref. di A. Bridoux ed a cura di G. Bénéze, raccoglie quasi tutti gli scritti di estetica o relativi alla letteratura ed alle arti e al mito; il IV, Les passions et la sagesse, 1960, anch'esso con la pref. di A. Bridoux e a cura di G. Bénéze, contiene le opere di filosofia, di morale e di po­ litica. Su Alain: F. VANDÉREM, A., in Le Miroir des lettres, Parigi, 1919; A. GARGIULO, « Felice chi orna una pietra dura », in Fiera letteraria, 3 ottobre 1926, ora in Scritti di estetica, Firenze, 1952, pp. 244-49; articoli di J. PRÉVOST, A. THIBAUDET, R. FERNANDEZ, J. SCHLUMBERGER, P. BosT in « Europe », 15 gennaio 1928; E. BORNE, Propos sur A., in « Chroniques », 1929; S. SoLMI, Il pensiero di A., Milano, 1930, 19452; G. HESS, A. in der Reihe der franzosischen Moralisten, Berlino, 1932; L. LAVELLE, L'art, ou la passion dominée e recensione alle Vingt leçons sur les beaux-arts, in: Le temps, l ottobre 1933; ora in: Science, Esthétique, Métaphysique, Parigi, 1967, pp. 95 sgg.; R. W. RICHARD, A., Socrates y Platon, « lnsula », Buenos Aires, l, 1934, n. 3; J. B. LUCAS, La pédagogie d'A., « Revue apologétique >>, 1934; . l. W. ALEXANDRE, Le relatif et l'aciuel. En marge des pensées d'A., (( Revue phi­ losophique de la France et de l'Etranger », LXII, 1937; J. B ENDA, in La France byzantine où le triomphe de la littérature pure, Parigi, 1945; G. PASCAL, Pour connaitre la pensée d'A.,' Parigi, 1946, 19572; A. M AUROIS, A., Parigi, 1949, 19522; (( Mercure de France » 1° dicembre 1950, numero dedicato ad A.; G. AUDRY, Hommage à A . (( Les Temps modern�s », VII, 1951; (( La Nouvelle Revue Fran-. çaise », 1952, n. 9, dedicato ad A. e contenente, fra gli altri, i seguenti scritti: C. LEVI, Le sublime quotidien; E. PACI, A. et notre liberté; S. SoLMI, A. aujourd'hui et demain; (( Revue de Métaphysique et de Morale », 1952, n. 2, dedicato a Lagneau e ad A.: ivi i seguenti scritti: L W. ALEXANDER, L'reuvre écrite d'A. ; F. KHODOSS, Le poème de la critique; S. PÈTREMENT, Sur la politique d'A.: R. A RON, Remarques sur la pensée politique d'A.; G. C ANGUILHEM, Réjlexions sur la création artistique selon A.; C. AUDRY, A. et le roman; R. MoYSE, A. et Dieu; H. MONDOR, A., Parigi, 1953; D. ·FORMAGGIO, Le arti in A., introduzione alla tr. it. di Venti lezioni sulle belle arti, Roma, 1953; S. PÈTREMENT, Sur la religion d'A., (( Rev. de Mét. et de Mor. », 1955; C. RoBINSON, A., lecteur de Balzac et Stendhal, Parigi, 1958; C. CARBONARA., L'arte e le arti secondo A., Napoli, 1959; S. S. DE S ACY, A. et la lecture, (( Esprit », 1960; R. BÉNÉZE, Généreux A., Parigi, 1962; G. GONTIER, A. à la guerre, Parigi, 1963; G. PASCAL, A. éducateur, Parigi, 1964; A. BRIDOUX, A.,, Parigi, 1964, 19692; D. HALDA., A., Parigi, 1965; J. LACROIX, Un philosophe du jugement, in Panorama de la philosophie française contemporaine, Parigi, 1966; O. R EBOUL, L'homme et ses passions d'après A., Parigi, 1968.

l MOBILI

Socrate diceva, e Platone lo fa proprio, che un cucchiaio di legno di fico è bello se è utile. Questa idea cosi naturale dev'essere spesso

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tenuta presente quando si tratta delle arti belle, poiché il cattivo gusto forse non è altro che la smania dell'ornamento per l'ornamento. Le opere rispondono severamente a questi tentativi puerili; la fanta­ sia, dacché si è fatta cosa, manda in rovina tutte le speranze, e la legge delle misure in nessun caso si esprime con tanto rigore quanto nelle opere che restano e che non si fanno dimenticare. Ma si deve per­ donare molto a questi cercatori di ornamenti e di forma. « La co­ lomba - diceva Kant - può credere che nel vuoto volerebbe anche meglio )) , C'è dell'obbedienza nelle opere belle ed anche nelle belle azioni. Cosi, seguendo le vie dell'utile, l'uomo semina i gioielli qua e là, secondo l'occasione, la materia e la comodità. « Il pittore - dice Balzac - non deve meditare se non col pennello in mano )) , Ma il suo pittore lavorava troppo discosto dalla materia e mori pazzo. lo direi piuttosto, avvicinando maggiormente l'idea alla · cosa, che l'arti­ sta deve meditare solo adoperando i suoi arnesi. È questo ciò che il piii. sommario studio dei bei mobili mostra abbastanza, perché forse proprio nell'arte del mobile lo stile viene meglio riconosciuto. L'idea di congiungere legni differenti, o solo pezzi del medesimo legno, ma diversamente orientati, è un'idea da falegname; ed è cosi che si ottengono quei blocchi solidi dai quali si ricavano le eliche d'aeroplano. E l'ornamento, come nei. pavimenti, non è altro che una regola seguita affinché le piccole variazioni del legno si compensino. Cosi l'ornamento segna l'opera durevole. Allo stesso modo, le sculture servono prima di tutto a render sensibile agli occhi la solidità della materia impiegata. Infatti, in primo luogo una materia fragile non si presta al lavoro dello scultore e, in secondo luogo, un cattivo legno o un metallo debole e cavo non resistono all'urto all'usura, e la forma lo attesta, o piuttosto la forma e la materia testimoniano l'una del­ l'altra. Cosi l'utile risplende nell'ornamento. Per esempio se un pa­ vimento a rosoni si solleva o si deforma, il rosone lo mostra; lo stesso un intarsio . Cosi si vede veramente, alla prima occhiata, se una sedia dai piedi scolpiti non è zoppa, senza provarla. Ognuno ha potuto osservare che nelle poltrone belle ci si sta ben seduti. Ma non sdraiati. I mobili di bello stile, o semplicemente di stile - come si dice cosi bene - sono tutti per la conversazione e le buone maniere; e, con ancor maggior evidenza di quanto faccia il costume, regolano l'at­ teggiamento, e quindi i pensieri e i sentimenti. Anche i gradi, quando ci sono. Dal momento in cui quest'ordine severo, e cosi necessario alle conversazioni, non è piii. visibile, le forme non hanno piii. senso. Bisogna che la società sia sostenuta dai mobili, come le donne dal bustino. Se ci si mettono l'incuria, l'indifferenza, la stravaganza non avrete nemmeno piii. spirito. L'uomo non ha niente di buono da dire se non si controlla, e una confidenza non val mai la pena di ascol-

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tarla, se non è composta. Il gusto sta principalmente nel presentire tutte le sciocchezze che possono nascere da un mobiliere compia­ cente. È vero che, se si ripetono luoghi comuni, vien Q.oia, e viene spesso. Ma occorre anche che l'improvvisazione sia regolata, perché è importante che nessuno sia ferito, né tema di esserlo. Con la cortesia succede come con ogni forma; se è vuota non è piii niente. All'in­ verso, cos'è un racconto senza forma? L'arte di piacere ra·c contando è un'arte peritura, di cui non resta qualche traccia se non nello stile epistolare; ma i mobili ne conservano qualche traccia. So bene che Rousseau trovava le sue idee altrove che su quei mobili; ma non era un uomo di conversazione e d'altra parte lo stile scritto ha regole diverse. Occorre dire infine che gli ornamenti dei mobili obbediscono anche ad un'altra condizione, cioè che non debbono né impacciare, né dar fastidio, né afferrare, perché i piaceri di società dipendono anche dalla libertà e agevolezza dei movimenti, e il piii piccolo in­ cidente guasta una serata. Se si mettono insieme tutte queste condi­ zioni, sarà abbastanza chiaro come i mobili belli siano nati da sé, a poco a poco, dal lavoro degli artigiani, dalla preferenza data ai mo­ delli migliori e dalle copie che se ne facevano. Niente può sostituire la prova del tempo, qui tanto piii efficace in quanto la, vanità, il desiderio e il bisogno di affermare la propria capacità con opere originali stimolano lo spirito dell'artigiano e lo spingono a ricercare i vecchi modelli; di modo che l'arte del mobiliere progredisce me­ diante un genio comune e come diffuso. Si coglierà la sorprendente analogia che c'è tra quest'arte artigianale e la musica popolare, che ha trovato anch'essa la sua perfezione e il suo stile nella sottomissione alle necessità. Lo spirito è da secoli creatore in queste lotte, e la sua opera meraviglia. Pensieri forti e durevoli, per la materia che hanno capita. Ma non accettando queste sagge lezioni, gli inventori di uno stile nuovo sono al caos precedente la Genesi: il verbo fluttua sulle acque. ·

(Les Art.s et les DieU.X, Parigi, NRF Gallimard, 1968, pp. 351-354).

POESIA

Gli dèi agresti non hanno volto. Sono la cosa stessa, sempre divina per ciò che la circònda� Una sorgente è misteriosa per via dei boschi e dei monti. L'albero e il vento stanno insieme. Cosi le cose piii fa­ miliari hanno sempre qualche significato strano e qualche inspiega­ bile risonanza. Il cittadino dei nostri giorni ritro�a qualcosa di questa emozione che non ha per oggetto se non la presenza del tutto in

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ciascuna parte; ·e l'apparato mitologico, di fauni, di silvani, di naiadi e di driadi viene abbassato al livello delle metafore. Il poeta non cerca altro che l'ombra dei boschi, l'albero, là · fonte; e meglio li percepisce come sono, piii li sente come non sono nel loro aspetto; e il divino si rifugia tutto nella forma vera, come il mutamento della poesia e perfino della pittura all'estremo della nostra civiltà fa in­ tendere in mille modi. Il meraviglioso agreste, da quando viene rap­ presentato p�r mezzo della forma umana, è altrettanto freddo, e per le stesse cause, del soprannaturale cristiano nell'epopea. Ciò deve confermare la convinzione che gli dèi silvestri sono un'importazione dalla città ed una filiazione degli dèi del focolare. Il paganesimo è spesso confuso con la religione olimpica, che tuttavia non è affatto agreste, bensi politica. Ora questi dèi secondari non� sono altro che divinità inoffensive, che rappresentano assai male la natura sovrana e le potenze alle quali il contadino sacrifica dei fiori, del grano, un agnello o un bue. È questo il motivo per cui il poeta ai nostri giorni si trova meglio disposto del suo antenato omerico per ritrovare nella sua purezza qualche cosa del sentimento agreste, che alla fonte me­ desima offre il sangue dell'agnello, all'albero offre la corona di fiori, alla primavera, la sua Pasqua senza dio. Questo dio Pan ritrovato nella sua forma preziosa, che è tutta forma, dall'erba fino all'albero druidico, non dev'esser preso per un nuovo dio, figlio d'intelletto e di ragione. Il panteismo venne sempre denunciato dalla religione dello spirito come un errore capitale, e vorrei spiegare a poco a poco, in queste pagine, che esso effettivamente è un errore, al quale neppure i piii sottili teologi riescono sempre a sfuggire; e ciò deriva dal fatto­ che essi non hanno percorso, secondo l'ordine di struttura, che è il vero ordine della storia, la serie degli dèi e la guerra degli dèi. Si comprenderà forse, dai piii spaventosi misteri della religione agreste, che il panteismo era già eresia, e temibile, ai tempi di Giove Olim­ pico. Era un far fremere i Titani, sepolti una volta per tutte sotto le montagne; era un risuscitare il selvaggio contro lo spirito delle città, centro reale della pace dei campi! È proprio della religione, ed essenzialmente, che la religione della natura, pur mantenuta, venga subordinata. Per questo la celebre prova di Dio a causa dello spettacolo della natura è uno scandalo agli occhi dello spirito. Infatti, anzitutto è falsa. Non è vero che tutto sia buono e divino, come non è vero che i lavori dei campi siano facili e lieti. Questa è l'illusione d'un uomo di città. Il contadino adora il serpente in un certo modo, ma ciò non gli impedisce di ucciderlo. E il bue si deve pur mangiarlo. La natura è severa e senza tenerezza al di fuori dell'uomo; nell'uomo è ancora peggiore ed il giansenista ha ragione. L'offerta a Venere non è in sé meri o tragica del sacrificio

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d'Ifigenia: e la parola « tragico », che viene dal caprone, mi sembra esprimere in modo abbastanza forte perfino l'odore dei nostri drammi. Questa è la ragione per cui il sedicente ed inebriante pan­ teismo dev'essere continuamente respinto e riportato al suo livello. Nutre tutta la parte superiore, come il ventre nutre il petto e la testa, ma non è che ventre, e l'uomo non è altro che ventre. Per questo non sono mai troppo tutto l'apparato del ritmo e tutte la grazia del canto, per far rivivere, secondo una giusta proporzione, quella religione madre per la quale e contro la quale noi siamo, come l'ambiguità dello sguardo animale, all'occasione ce lo ricorda. Am­ miro a questo proposito l'eccesso di Descartes che non è affatto poeta e che tiene inflessibilmente la sua strada contro l'idea stessa dell'a­ nima animale. Questo freddo soldato doveva superare un difficile passo. Il poeta può e potrà tornare a suo fratello albero e a sua sorella serpe; ma queste due grandi immagini insieme congiunte nel poema biblico levano sempre la loro doppia minaccia, e si sente già quel che c'è di positivo e di sempre buonò da capire in un grande mito. Si arriverà, senza dubbio - e si arriva già - a non chiedersi, a pro­ posito degli oracoli, se essi furono cosi e se parlarono cosi; ma pre­ feribilmente, abbastanza contenti del fatto che essi si presentino e parlino cosi nelle nostre favole, ci si dedicherà soltanto a compren­ derli. Le metafore dei nostri poeti hanno questo medesimo duplice senso, che insieme evoca e trascende le potenze inferiori. Nessuno si domanda se il serpente di Valéry è quello della Bibbia, perché esso è esattamente quello della Bibbia. Ma pure nessuno crede che il diavolo abbia preso quella forma; il fatto è che esso ce l'ha. E piu si penserà al setpe:pte com'è, meglio e con maggiore ardimento si penserà al­ l'uomo com'è ed alla prudenza che la piu piccola esistenza umana richiede, se non vuol ricadere per sempre nel sogno animale. Queste conturbanti ed umilianti verità sono messe in chiaro nella leggenda del serpente tentatore; ma, perché esse non ci colpiscano come una qualità reale, tutto avviene come se non comprendessimo che si tratta di noi. Ma a considerare il vero serpente che non di altro ci parla se non di sé e del suo sussiego, ei rendiamo conto che si tratta di noi e che lo spirito è una debole posta su un immenso tappeto. È cosi che la metafora, lungo i nostri pensieri, fa insorgere con precauzione l'ostacolo vero che il pensatore astratto dimentica troppo facilmente. Poiché il si e il no, e la contraddizione in terminis sono una sorta di ostacolo che ha anche la sua importanza, ma solo grammaticale; e la logica è buona soltanto a sostenere l'immagine del poeta, e a cir­ condarla quasi con un cordone di sicurezza, cosa che aiuta, col ritmo e la canzone, a sorpassare la presenza dell'immagine, diciamo pure a sopportarla, cioè a vincere ancora una volta la natura selvaggia. La ·

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filosofia ci porta piu avanti nella sapienza, ma non vi conduce tutto l'uomo. E, nel mondo dei sapienti, non conosco altri che Platone che l'abbia ben compreso. Leggete dunque una volta di piii. Gige o Er, al fine di mettere a posto questo primo insieme di riflessioni. (Les Arts et les Dieux, cit., pp. 1287-1290).

HUGO E STENDHAL

Hugo non amava Stendhal; gli negava la qualità dello ·stile. Io li amo tutti e due; ma confesso che Hugo per me è troppo lungo, quasi sempre. Lo leggo di corsa; e salto, anche. Prevedo dove va a parare; sviluppa quasi sempre ]ln'idea comune, ma commovente, giustizia, carità, lealtà, coraggio, fratellanza; la sviluppa senza spiegarla; non vi aggiunge mai niente: soltanto ci trasporta; viene mosso dalle sue strofe, e va, · va. Ha scritto una poesia dove dice soltanto: « Andrò, andrò, e poi andrò » , senza che si sappia dove: è una tra le belle. Lo seguo come si segue il reggimento; ma mi capita anche di stare ad aspettarlo al momento buono. Forse è necessario farselo leggere; perché è allora che l'immaginazione si' libera senza che il ritmo venga spezzato; e, se si è in parecchi ad ascoltarlo, quell'accordo e quelle differenze producono effetti prodigiosi. È un oratore. Credo che i poeti ritroverebbero la loro gloria se, invece di farsi stampare, si fa­ cessero recitare. Il ritmo misura il tempo; e questo richiede una ve­ locità regolata, alla quale l'occhio che legge non si costringe. Forse, in futuro, da Lemerre si venderanno fonografi; i poeti saranno invisibili, e parlatori soltanto. L'eloquenza aveva le sue regole, tratte dalla natura stessa delle cose: infatti, poiché l'ascoltatore non torna mai indietro, le ripetizioni erano piu utili e, in ogni caso, meno avvertibili; bisognava anche che tutto fosse chiaro, perché non si dà mai tempo alla riflessione; il discorso non aspetta nessuno, segna esso stesso il tempo, come un orologio. L'occhio, invece, va e viene, coglie l'insieme, prima indo­ vina, analizza poi, se ne vale la pena; come chi passeggia volge gli occhi intorno ma non guarda tutto, cosi l'occhio che legge non si costringe a una determinata velocità, né all'ordine del tempo. Quel­ l'altro genere di lettura deve definire un'altra arte ben diversa dal­ l'eloquenza. E non si definirebbe male Stendhal dicendo che egli è del tutto estraneo all'eloquenza. È un autore che occorre rileggere passo per passo; perché non ripete affatto e non sviluppa affatto; è come un paesaggio lontano; piii ci si avvicina e piii. si fanno scoperte. Non ha neanche ritmo; non trascina, non vuoi trascinare: contraste­ rebbe con la sua arte. Da ciò capisco come l'oratore Hugo non ci

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abbia capito niente. Balzac sta tra i due; è ancora eloquenza, ma per l'occhio. Bisogna legger lo pure passo per passo ma allora si risolve di colpo compendiariamente: lungo a leggersi, e talvolta diffuso, dà al ricordo quadri di una mirabile concisione. Per Stendhal succede il contrario; uqa certa descrizione della Chartreuse, o un certo episodio, pullulano di particolari, a ripensarli: se li rileggo, trov� una mezza pagina, e spesso [solo] due righe. Il lettore non è abituato a quest'arte senza eloquenza; è avvezzo ai predicatori; le ridondanze sono per lui forme di cortesia; e Stendhal gli sembrerà non tanto oscuro, com'è, ma piuttosto impertinente. Contrasto tra l'occhio e l'orecchio. 26 agosto 1911 ·

(Propos, Parigi, Gallimard, "vol. l, 19692, pp. 116-117).

IX. L'ESTETICA DEI GRANDI SISTEMI

ETIENNE SOURIAU Nato a Lilla il 26 aprile 1892, ha studiato a Nancy e in seguito nell'« Ecole normale supérieure ». Dopo la prima guerra mondiale, trascorsa quasi per intero in prigionia in Germania, ha insegnato nei licei di Sarreguemines e Chartres. Conse· goito il dottorato in lettere nel 1925 (fra i suoi esaminatori figurano André Lalande e Léon Brunschvicg), già agrégé di filosofia dal 1920, divenne professore di filo· sofia e di estetica nelle Università di Aix-en-Provence e a Lione (1926-1941). Negli anni 1941-1962 è stato invece titolare della cattedra di filosofia e di estetica e scienza dell'arte alla Sorbonne. Ha fondato la « Revue d'Esthétique » nel 1948 assieme a R. Bayer e Ch. Lalo, diventando in seguito anche Presidente della >, in cui si fa strada comunque l'idea di un'instaurazione cosmica, che trova il suo equivalente nel mondo dell 'arte. Non fa meraviglia quindi che il Souriau abbia cercato di approfondire tale concetto, per lui fondamentale, attorno a un'opera organica, appunto, L'instaura­ tion philvsophique (1939), considerando tale principio anche come « filosofia della

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filosofia », in grado di valorizzare e di comporre ciò che vi ha di parziale o di incompleto nelle singole dottrine filosofiche. È soprattutto in · quest'opera che si ritrovano delineati alcuni principi fondamentali di cui il Souriau farà largo uso nelle sue indagini intorno all'arte: « chiamiamo instaurazione ogni processo, astratto o concreto, di operazioni creatrici, costruttrici, ordinatrici od evolutive, che con­ duce alla posizione di un essere nella sua evidenza, cioè un bagliore sufficiente di realtà; ed instaurativo tutto ciò che conviene a un tale processo »; « chiamo ana­ fora la determinazione dell'essere in tanto che essa è accrescimento continuo di realtà; e promozioni anaforiche le operazioni che riguardano direttamente la pro­ mozione dell'essere instaurato verso la sua evidenza ». La visione dell'arte di Souriau sembra quindi contenere elementi diversi: aspetto fisico (oggetto), elementi fenomenali (le qualità), cosali (significati) ed estraestetici. Partendo dalla costituzione fisica, il Souriau delinea una tavola di qualia, ossia di elementi che vengono a trovarsi in ciascuna arte (legno, volume, luce, ecc.); da qui, poi, si procede alla classificazione delle arti in rappresentative (disegno, scultura, pittura, cinema, pantomima, letteratura� musica descrittiva) ed in presentative (decorazione, architettura, pittura pura, gioco di luce, danza, prosodia, musica). A queste diverse classificazioni delle arti il Souriau ha aggiunto il concetto di « corrispondenza », con cui intende le semplificazioni, le affinità, le leggi comuni che possono esserci, per esempio, fra una statua e un quadro, fra un sonetto e un'anfora: in queste ricerche estetiche comparate il Souriau rivela la sua profonda cultura e conoscenza delle varie arti, descrivendo un vasto periplo delle belle arti, che è destinato ad allargarsi via via che certe produzioni umane assurgono a dignità artistica. L'arte viene ad essere cosi per il Souriau il « demiurgo dell'instaurazione », che opera secondo un principio intrinsecamente finalistico: « uno sforzo per condurre il dato intravisto, abbozzato, verso il suo proprio sboccio, verso tutto il compimento di cui è suscettibile, verso la sua completa presenza, verso la sua evidenza piena, nelle condizioni pratiche e concrete in cui opera l'arte ». In questo modo l'arte si riporta per Souriau alla vita; e come c'è l'arte di vivere bene, cosi c'è l'arte di condurre l'esistenza al pio alto compimento, e tutto ciò, secondo Souriau, si chiama « sforzo » e « scienza >>; nell'arte, poi, (( questa scienza diretta dell'essere viene realizzata dall'artista sia nei successi improvvisi e gratuiti, che gli concedono gli dèi, sia nelle lunghe e dure prove del lavoro lento, meditato, e criticamente controlla­ to ».

Bibliografia essenziale. Un' ((autopresentazione» del proprio pensiero, si trova in G. DELEDALLE-D . HUISMAN, Les philosophes frariçais d'aujourd'hui, Parigi, 1963-65, pp. 81-89; CH. LALO, L'reuvre d'E. S., in Mel. Esth et Se. de l'art offerts à E. S., Parigi, 1952, pp. 17-21 (in cui si trovano anche saggi di R. BAYER e M. GUEROULT) ; J. CL. PIGUET, Le Dieu d'un philosophe, in (( St. philos. », 1956, pp. 224-233; C. DoLLO, L'estetica comparata di E. S.: metodologia e linguistica gene­ rale, in (( Sophia », 1965, pp. 367-378; Analisi esistenziale e sistema delle belle arti, ibid., 1966, _pp. 369-381; G. MoRPURGO-TAGLIABUE, Les tendances esthétiques, in AA.VV., Les grands courants de la pensée contemporaine, Milano, 1961, ·vol. II, ' pp. 1353-1357. -

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ATIIVITÀ INSTAURATRICE ED ESTENSIONE DEL CONCETTO DI BELLEZZA

Per paragonare fra loro le diverse arti, occorre farne l'inventario; e quindi precisare dapprima fin dove si estende l'arte. Cos'è l'arte? Per dirne qualcosa in generale, l'arte è l'attività in­ stauratrice. È l'insieme dei procedimenti, orientati e motivati, che tendono espressamente a condurre un -essere (occorre aggiungere: fattizio?, se ne discuterà fra poco) dal nulla o dal caos iniziale fino all'esistenza completa, singolare, concreta, che si conferma in pre­ senza indubitabile. Ma, intendiamoci bene, si tratta meno di questi procedimenti, in ciò che essi hanno di esecutivo e di pratico, che dello spirito che li anima, cioè esattamente delle ragioni di tutti gli atti tramite i quali si opera questa anafora ----: questa progressiva formazione di un essere dal nulla all'esistenza piena. L'arte è ciò che giudica sugli effetti da produrre, e sulle cause che produrranno questi effetti; sulla giusta disposizione delle qualità che dovranno progressivamente risaltare nell'opera, sul cammino dell'essere, oggetto delle sue cure, verso questo punto terminale e culminante, soglia della sua esistenza· piena: il compimento. L'arte non è soltanto ciò che fa l'opera, ma ciò che la guida e l'orienta. Per questo, si può dire con precisione dell'arte, ma in termini un po' difficili, che essa è la dialettica della promozione anaforica, o per parlare in termini meno esoterici, che l'arte è la saggezza instaum­ trice ess,endo ben inteso che questa parola saggezza, che esprime l'acquisizione intuitiva e il possesso, l'uso attivo e concreto di un sapere direttivo, che prevede le conseguenze future e le armonie d'insieme - non esclude né la potenza né l'amore. Saggezza! Questa parola non stupirà se non quelli che vedono nell'arte una follia, una scapigliatura, un'incoscienza ignorando quanto essa conserva nei suoi ardenti trasporti di sapienza e di controllo valutativo, di norme di misura e di precisione; anche quelli che non riflettono, al contrario, su tutto ciò che si suppone di arte in. un mondo quando si crede di vedervi la saggezza di un creatore ( .. ) Tutto ciò, questi vari gradi, questa decisione finale, questo insie­ me di atti motivati, è la dialettica dell'arte, chiave della promozione anaforica dell'opera. E tutti i motivi che presiedono a questi atti, che formano nel loro sistema completo una specie di sapere direttivo e promotore o di saggezza instaurativa, sono l'arte stessa in ciò che ha di piu fondamentale e di essenziale. L'arte cosi definita, sotto certi aspetti, appartiene al genere della finalità. Ma ciò non significa nulla se non si precisa che si tratta di una finalità di un genere del tutto particolare: quella, il cui termine è -

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un'esistenz�, e piu precisamente l'esistenza di un essere; di un essere singolare con tutto ciò che questa parola 'comporta, cioè, di ricchezza, originalità, potenza unica di manifestarsi, d'essere insostituibile e presente. Finalità, voglio dire, del tutto originale. La maggior parte delle azioni umane sono orientate non verso la produzione degli .esseri, ma verso quella degli avvenimenti. Un cacciatore mira a una lepre, un pescatore dà l'esca a un luccio, un capo di eserciti o un giocatore di scacchi combinano una manovra, un finanziere compra o vende dei valori: il fine non è né l'esistenza della lepre, né quella del luccio, né quella della scacchiera, bensi gli avvenimenti della cattura, della vittoria o dell'arricchimento. Questo distingue dapprima l'arte dalla tecnica. Benché talvolta si a�operi la parola arte per designare l'insieme dei procedimenti c_he conducono a tali avvenimenti - si dice l'arte del tiro, l'arte militare, l'arte alieutica (quella, cioè, del pescatore) - la parola giusta sarebbe tecnica. Questo criterio ontico di finalità che definisce l'attività in­ stauratrice, è sufficiente per distinguere i due generi di attività. Senza dubbio esse cooperano, si mescolano. Ma proprio cosi potremmo ana­ lizzarle, separarle, conoscerne il dosaggio. Infatti, se ogni arte ha le sue tecniche, quasi ogni tecnica può elevarsi verso l'arte. Che lo scopo dell'ingegnere sia non il passaggio del fiume (avvenimento, azione) ma il ponte stesso, questa realtà che oramai rimane e si afferma con le. sue linee, il suo movimento o il suo slancio, le sue prospettive di archi che l'acqua riflette in giochi di luce e di ombre; la sua presenza, la sua durata; allora il costruttore è artista, architetto. Anche il nostro finanziere lo è un po', se si sforza, col �adagno, anche di costruire una specie di organismo economico e finanziario, una specie di mo­ numento di cui apprezza l'architettura. ( ) Caratterizzando in questa maniera l'arte, potremmo dire, in un modo empirico, senza dubbio, e quasi terra a terra, in apparenza, ma in realtà sufficiente e approfondito: le arti sono, fra le attività ...

umane, quelle che sono espressamente e intenzionalmente fabbrica­ trici di cose, o piu generalmente_ di esseri umani singolari, di cui l'esistenza è il loro fine. Il vasaio rustico vuole l'esistenza di una

dozzina di vasi comuni: il ceramista greco quello dell'anfora di Ca­ nosa, Dante quella della Divina Commedia, e Wagner quella .Jella Tetralogia. Il loro lavoro si esplica e si espone interamente con queste parole. Si presentano spesso le cose in altro modo. Si crede indispensabile far intervenire, nella definizione dell'arte, l'idea del bello. Ma è oscurare il fatto principale, attraverso l'aggiunta di una circostanza sussidiaria, del resto equivoca e vaga.

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La parola arte - è detto nel Vocabulaire technique et critique de la philosophie - designa (nel senso in cui essa si oppone alla tecnica)

« ogni produzione della bellezza per mezzo di opere di un essere cosciente )). E sia. Ciò significa riferirsi a idee correnti. Esse non sono meno disastrose. N on insistiamo su questa idea di coscienza, destinata ad eliminare l'opera della natura. (E perché partire dal pregiudizio che la natura non può essere in nessun modo artista? D'altra parte, non si segnala spesso qualche cosa di incosciente nell'operazione del genio? Bisogna considerare a parte il genio, nell'uomo che fa opera d'arte?) . È soprattutto la definizione dell'arte come finalità verso il bello che ci sembra temeraria benché quasi universale. Cosa ha voluto l'autore della 25a Mazurka? ( ... ) Non ha voluto queste grazie, queste morbidezze, queste seduzioni, questi turbamenti o se si vuole queste nervosità che fanno di essa un essere a parte (malgrado l'aria di famiglia) non solo fra tutti gli esseri musicali, non solo nell'opera di Chopin, ma fra le 51 Mazurke? Ora questa potenza particolare di commuovere è meno la ragion d'essere che la piu viva testimonianza d'esistenza di questo essere unico, posto davanti a noi, e con questa presenza cosi capace di ge­ nerare commozione e amore, attestato piii . reale che molte altre creature vaghe di questo mondo di fantasmi chiamato piii specifica­ mente il reale. Ed è in primo luogo questa esistenza, di cui il musicista fece il suo · scopo diretto ( ... ) . Il creatore l'ha intuita in ciò che essa ha di unico, di personale - quello che fa che essa è se stessa; che è questo e nulla d'altro. Egli l'ha giudicata degna di essere per e con essa stessa; degna di meritare il suo sforzo realizzatore, e tutte le cure, tutti i lavori necessari per darle questo sboccio nel mondo delle realizzazioni musicali. Cosa importa che essa sia - tenera o crudele, bizzarra o su­ blime, irritante o divertente, se la si gradirà, secondo il caso per questa tenerezza o questa crudeltà, questa sublimità o questa bizzar­ ria. Né è diversamente per tutti gli -altri amori aventi per oggetto tutte le creature di questo mondo? Per essere ciò che esse sono, belle o sublimi, graziose o poetiche, occorre dapprima che esse siano. È in ciò il grande problema. Consideriamo in effetti l'operazione dell'arte in tutta la sua estensione e, se cosi posso dire, in tutta la sua magnanimità. Le arti, dicevamo, sono quelle che fabbricano le cose. Per mezzo di esse si erigono le cattedrali, le statue, le sinfonie, i vasi, i quadri, le epopee, i drammi. Attraverso esse le vibrazioni sonore dell'aria, i gesti dei corpi in movimento prendono valore di monumenti. Per mezzo di esse i sogni o le visioni vaghe di un'anima illuminata o fervente si dirigono verso uno scopo concreto e finiscono per compiersi in realtà

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esteriormente e durevolmente presenti davanti agli uomini. ( . . . ) Eb­ bene questo universo, quale che sia il suo modo di esistenza, esiste. Di piii, capolavoro, dispone di · un'esistenza particolarmente intensa, splendente. È occorso che esso soddisfacesse (o che si soddisfacesse per lui) a tutte le condizioni, generali o particolari di questa esistenza. E in ciò il compito profondo e quasi miracoloso dell'arte. Fra queste condizioni, attestare soltanto la bellezza, significa dire ben poco di fronte a un problema il cui contenuto è cosi ricco, cosi preciso, cosi variato, e nello stesso tempo cosi profondamente situato nel cuore dell'essere. ( ... ) Cos'è la bellezza? È l'impressione che fa su di noi, per il sentimento e nel suo insieme, la riuscita perfetta dell'arte ilei suoi scopi. Definire l'arte attraverso queste impressioni finali significa aggirarsi in un circolo. Diciamo che l'arte ha per scopo diretto, co­ stitutivo, l'esistenza per lo meno sufficiente, e se è possibile piena, trionfale, ardente, dell'essere singolare, la sua opera; e il cerchio sparisce. In questo modo, la nostra definizione è sufficiente a caratterizzare fra le attività umane le nove (per lo meno, probabilmente dodici) belle arti; e a raccogliere ugualmente ciò che sussiste di arte nelle attività congeneri. È forse un male? Se vogliamo dire ciò che è, in se stessa, l'arte, non bisogna precisamente definirla cosi largamente da far apparire questa affinità, questa presenza ancora riconoscibile dell'arte al di fuori dei limiti delle sue presenze, in qualche modo professionali e tipiche? Può esserci arte in un lavoro filosofico o scientifico - nell'instaurazione di un monumento di . idee; di una grande ipotesi. Si dovrà riconoscerla, evidente e necessaria, in un'o­ pera educatrice nel senso piii bello di questa parola. Formare un carattere, temprare bene un'anima, condurre un essere umano alla piena compiutezza della sua esistenza personale; chi potrà riuscire in questo scopo se egli non sente tutto ciò che esige d'arte - voglio dire di cure, di divinazione del futuro, di strada al compimento con tanta sollecitudine estetica quanta ne può esigere il lavoro dell'artista? Pertanto, i limiti dell'arte nell'attività umana sono mal definiti, perché essa la penetra e la mobilizza in tutte le parti. Perfino le belle arti non hanno un limite preciso. Le arti minori sfuggono per gradi indefiniti a questa atmosfera che sembra caratterizzare questo tipico dominio. Nessun dubbio che non rimane arte nella fabbricazione di un coltello da tavola, di una bambola, di un vestito, o di un cappello, e anche nell'impianto di una macchina. Le arti maggiori hanno tali lacune e dietro di loro trascinano ombre impure e indebolite d'esse stesse. L'architetto non costruisce solo chiese, palazzi, ma anche im­ mobili, ponti di ferrovie, fogne, muri di giardino. Ogni scultura non si trova nelle esposizioni, nei musei, non è cesellata in marmo bianco.

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Eccola che si diverte, si perde a tagliare l'osso, il corno, le castagne d'India: teste di pipe e teste di canne. Dopo il pittore al cavalletto ecco l'imbianchino; senza dimenticare l'arte di « truccare >> e ornare il proprio viso. Dopo la musica dei grandi concerti sinfonici ecco la musica da ballo, la musica militare, soneria e segnali. Dopo la danza spettacolare, la danza da salotto, il dancing, la balera. Dov'è il limite che noi cerchiamo? Desinit in piscem. Tutto ciò che si può dire dunque è che le nostre nove o dodici belle arti costituiscono solo delle attività-tipo. Queste non hanno quasi altra caratteristicà che di essere piii. concentrate, piii. pure, piii. immediatamente orientate verso produzioni autonome di una certa gratuità, di una certa purezza esistenziale. Intorno vi è tutto un alone di attività meno pure, impegnate. in esigenze complesse, creanti opere, il cui uso non le limita a questo solo statuto, d'essere state fatte con l'arte e di attestarla con privilegio. - Riconosciamo a questo gruppo di belle arti questa importanza e questa particolarità di formare co.me un centro stellare e ben orga­ nizzato di attività artistiche; purissime, sufficienti a se stesse. È in ciò il loro merito e la loro importanza particolare come perno della no­ stra ricerca. L'arte ha una dimensione ancora piii. estesa? Qui le cose diventano piii. oscure e si comincia a fiutare sapore di ipotesi. La questione si allargherà, per esempio, cosi: la vostra definizione dell'arte, dirà qualcuno, pronto alle obiezioni, è ben elastica. Bisognerà chiamare arte ogni processo capace di promuovere un'esistenza? Ma allora, dirà sarcasticamente Menippo, mi basta fare un figlio per essere artista? Battuta di cattivo gusto . Certamente, risponderemo nello stesso tono a Menippo, se in quei momenti pensate di fare un figlio biondo o bruno, se voi sapete come dargli occhi azzurri o neri, gusti scien­ tifici o letterari, allora, non negatelo, siete artista, anzi grande artista. Comunemente è la natura che decide di . ciò; è essa che, secondo le sue norme, formerà misteriosamente, sapientemente, delicatamente, il nuovo essere. Essa è la vera artista. Là è l'ùnica vera importanza dell'obiezione, l'unica difficoltà. Si può veramente ritenere la natura artista nelle sue operazioni instau­ rative, e in particolare in quelle che producono un essere vivente? La questione è delicata, filosoficamen�e controversa, soprattutto scientificamente, e noi ci guarderemo dal trattarla fino in fondo. Ci limiteremo a dire ciò: la nostra definizione è talmente valida che ci permette di chiarire meglio, di formulare in equazione questo diffi­ cile problema. Di due cose l'una, in effetti; e ciò che segue è un dilemma. O la natura, in questo susseguirsi di avvenimenti che si conclu·

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dono con la nascita, la crescita, l'affermazione compiuta di un essere, non ha niente da fare con l'esistenza stessa di questo genere. Essa opera unicamente per mezzo di leggi meccaniche, cieche, senza orientamento, di cui il risultato fatale ma indifferente sarà, secondo le circostanze, tanto la nascita che può svilupparsi, tanto l'aborto; tanto la creazione di una specie tanto la sua scomparsa; attraverso un gioco di leggi che dipendono dagli avvenimenti che portano all'uno o al­ l'altro senza preferenza, senza che si accetti il risultato della loro operazione, che questo risultato sia esistenza o 'nulla, mostro o · crea­ tura riuscita. In questa ipotesi, non c'è vero processo instaurativo nella natura, nessun orientamento di nessuno dei suoi procedimenti verso l'esi­ stenza di tal o tal essere, e di conseguenza nessuna arte. Cosi la nostra definizione dell'arte, lungi dall'essere troppo vasta e di includere a torto processi naturali instaurativi, serve al contrario a dimostrare che l'arte, cosi concepita, non esiste nella natura. Criterio efficace, questa definizione permette di indicare una illusione e .di mostrare esatta­ mente quale sia il suo oggetto. lnvero, se è cosi, l'apparenza instau­ rativa dei processi naturali è pura illusione. ( . ) Oppure la natura non ha questa indifferenza di fronte all'esi­ stenza. Non che occorra per ciò supporla cosci�nte o soltanto capace di volere, desiderare, anche inconsciamente. E sufficiente supporre che l'esistenza o il nulla e le qualità intrinseche dell'essere, risultato del processo, intervengano in qualche modo, a titolo di coefficiente, nella legge del fenomeno. È anche sufficiente supporre che nella serie degli avvenimenti, che si concludono nella presenza, per esempio di tale cristallo, o del giglio o del leone, o dell'uomo, le qualità proprie di questi esseri, e piii generalmente la loro stessa esistenza, la loro presenza nel mondo, e non la loro assenza o H loro niente, abbiano un peso qualsiasi ( ... ) nella bilancia degli avvenimenti di cui il mondo tale qual è, è stato il risultato. In simili casi si ha ben il diritto e anche il dovere (se ciò è vero) di parlare insieme di processo vera­ mente instauratore, e, di conseguenza, di arte della natura. Un'arte, evidentemente, oscura, incosciente, che non agisce se non per favorire un po' l'esistenza contro il nulla, per condurre attraverso mille in­ successi, mille sconfitte, mille ostacoli, in modo che l'ev()luzione degli esseri e delle cose, che ne deve infine risultare, alla meno peggio, tutte le presenze di cui lo studio della natura ne conferma la testi­ monianza, in modo che le forme del cristallo, del giglio e del leone non siano assolutamente un puro caso, ma l'effetto di un coefficiente d'arte realmente presente e operante fievolmente o fortemente nella natura. In questo caso, la nostra definizione è ugualmente valida, ..

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poiché essa permette di scoprire (se v'è) questo coefficiente d'arte, la . sua presenza, i mezzi del suo operare e il suo luogo esatto. Riassumendo, o vi è arte nella natura, e la nostra definizione deve comprenderla; o essa non vi è in alcun modo; e la nostra definizione deve permettere di cacciare questa illusione: ed è ciò che essa fa. In ogni modo, essa è valida. Non esiteremo d'altronde, a dire, secondo noi, che l'ipotesi af­ fermativa (quella dell'esistenza di un fievole ma efficace coefficiente d'arte nella natura) sia quella valida. Crediamo (ed è il solo senso veramente accettabile per la scienza che si può dare all'idea di fina­ lità) che vi sono dei coefficienti esistenziali nell'ordine biologico, cioè che l'esistenza, la presenza positiva di certi esseri, e di conseguenza anche di certe loro qualità (morfologiche o altro) - ciò che le fa tali quali sono - intervengono in un modo positivo (e anche misurabile statisticamente) nel decorso degli avvenimenti ai quali assistiamo. Ma in questo caso, questa arte cosmica, naturale, realmente presente nell'evoluzione del mondo, differisce moltissimo con caratteri facil­ mente osservabili dall'arte umana. E non è indifferente all'estetica comparàta di tracciare a grandi tratti il quadro di queste differenze, cosi problematica o controversa che sia l'ipotesi di base. Quest'arte naturale dapprima ha questo di sorprendente, che essa opera molto differentemente · nel mondo della vita e nella natura inanimata. In questa si può dire che le sue opere (con il ricco tesoro di forme decorative che esse ci presentano) hanno soprattutto per legge le condizioni di stabilità. ( ... ) Quanto all'arte nelle instaurazioni organiche o biologiche, essa ha dei caratteri molto netti. Dapprima tutto avviene come se fosse lontano dall'essere perve­ nuto (e questo è abbastanza comprensibile) alla stessa perfezione, alla stess� stabilità, allo stesso rigore definitivo dell'arte inorganica. Si trova in fase di prova, di tentativi, superando con prontezza ed esattezza (è il fatto della « tachigenesi » ) solo i periodi di reinizio e per cosi dire di ricapitolazione dei processi anteriormente acquisiti, attraverso i quali l'essere vivente, nella sua evoluzione ontogenetica, percorre l'evoluzione filogenetica. Ancora in queste ricapitolazioni, semplificate, abbreviate, condensate, mantiene parecchie lunghezze inutili, molte digressioni, spiegate soltanto dalla storia contingente della vita. Perché la natura dovendo fare un mammifero gli dà dapprima le branchie, che cancella in seguito? In quanto la sua arte è impacciata, impura, ancora mescolata a tentativi storici. ( ... ) Po­ trebbe darsi che le origini della vita fossero fra le operazioni rapide e dirette della natura, che forse vacillerebbero allora nelle instaurazioni di un altro genere, su di un piano superiore. La natura non fa presto

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e bene se non ciò che essa ha indefinitamente ricominciato, m pro­ cessi sempre piii. abituali, sempre piii. stereotipati. In questo dominio della vita, dove essa vacilla, nessun compi­ mento vero, d'altronde. Un acmé soltanto, un culmine provvisorio, facendo indovinare talvolta attraverso un essere reale un essere ideale, che essa ha cominciato a rendere impossibile, a uccidere nel mo­ mento stesso in cui gli dava questa vita, che un declino, prima o poi afferra. Essere ideale che spesso l'arte tenta a indovinare, nelle tra­ sparenze del reale, e a porre nel suo splendore, nella sua certezza. ( . . . ) Non dimentichiamo che questa arte della natura è sempre impura, mescolata a un gioco di leggi dipendenti da avvenimenti indifferenti, sui quali la finalità ontica non ha che una influenza molto limitata, molto tenue. Non si tratta che di un principio generale di orienta­ mento, abbastanza debole nella · sua azione per essere scoperto solo per mezzi statistici, validi per i grandi numeri, e che · non prende rigore e valore stringente nei casi individuali se non àbbandonando anche il suo carattere finalista: è quando si sclerotizza in processi divenuti abituali e meccanici, vere tecniche, vuote d'arte, di questo lavoro naturale. Non dimentichiamo, in effetti, che il paragone con l'arte piii. pura (benché piii. limitata nei suoi mezzi) dell'artista resta la chiave di tali studi. Essa permette, con l'isolamento della dialettica del compimento in un processo anaforico, imperfetto e oscuro, di discernere nella confusione del processo naturale, questo fattore estetico velato, complicato e imperfetto, sempre combinato con il gioco delle leggi indifferenti o perturbatrici in rapporto all'orientamento generale che ne definisce il tenore artistico. L'arte umana, d'altra parte, si appoggia da ogni parte, su questa arte naturale. Essa ne purifica le azioni, ne libera e ne esprime da parte certi ideali, prende in prestito con altri scopi questo tesoro di forme, di cui non può del tutto liberarsi. Ma tuttavia, ciò facendo, se ne affranca, la supera con la sua libertà. Queste forme le impone ad altre materie. L'arte dona a un tessuto un effetto ornamentale im­ prontato alla fruttificazione di un muschio, al diagramma di un fiore. Essa dona al marmo la forma di un corpo vivente - questa forma che nella natura inerisce alla chimica dei composti del carbonio, os­ sigeno, idrogeno e azoto. Tale è la grande, l'enorme e la principale differenza fra l'arte umana e l'arte naturale: l'arte umana è quasi affrancata da questa terribile condizione dell'arte naturale; l'imma­ nenza della forma in una materia data. N on che essa non la subisca per contraccolpo: lo vedremo quando affronteremo il problema del ruolo della materia nell'arte, e l'importanza delle suggestioni modo­ logiche di questa. Tuttavia, in principio, l'arte umana conserva il

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diritto, e tenta l'avventura, di far servire la forma ai suoi propri di­ segni, e di non invocare la materia che in modo sussidiario, nella misura in cui si presta ai suoi disegni. Abbiamo raggiunto i limiti di ogni presenza possibile dell'arte? Nell'ordine delle osservazioni concrete, può darsi; ma non certamente in tutte le dimensioni dell'inquietudine filosofica. C'è bisogno di dire che l'idea di un passaggio orientato da una saggezza o da uno spirito . dialettico verso l'esistenza risveglia mille echi metafisici? Arte divina, instaurazione assoluta dell'essere, ' organi�zazione totale della «rap­ presentazione)) per mezzo dello Spirito; tante sono le questioni che il lettore di questa opera richiede senza dubbio di veder dibattute in profondità. Ma non è inutile ricordare che esse mettonò bene in causa l'idea di arte. Problemi insolubili o tentativi coraggiosi di illumina­ zione dell'inconoscibile, le speculazioni metafisiche su questi oggetti si aprono davanti a noi come luci tenebrose. N o n è indifferente nemmeno per l'estetico di constatare: l) che l'arte qui è ben in gioco, cioè che l'idea principale che dobbiamo farci di questa dev'essere capace di includere, se è necessario, queste ipotesi enormi, se in esse c'è qualche cosa che corrisponde a una realtà e che lo spirito umano può dibattere con frutto; 2) che la luce illuminante va dall'arte umana verso queste speculazioni inquiete e incerte, non inversa­ mente. È in ciò per lo meno una superiorità dei teologi: essi non esitano a evocare l'idea di un Dio artista: Dio di cui le categorie estetiche possono impregnare l'azione. Deus artifex. L'analogia che va da Mi­ chelangel?, lo scalpello in mano, a Jahwé' nello splendore dei suoi sei giorni, non indica soltanto l'estetico ma piu ancora il metafisico. Aprendo un capitolo di estetica comparata - avvicinare l'arte umana all'idea d'arte divina; confrontare l'instaurazione parziale di un mi­ crocosmo all'instaurazione totale possibile del macrocosmo - essa apre soltanto, all'analista delle belle arti, la vista su un'ipotesi che approfondisce, che gli fornisce alcune immagini e il sentimento del­ l'importanza della sua questione, all'inquietudine della metafisica, allo sforzo disperato della teodicea; essa suggerisce un metodo ricor­ dandogli che se è impossibile di « penetrare le vie del Signore )) per ' lo meno la sola immagine che abbiamo a nostra portata dei compiti dell'instaurazione cosmica è nei procedimenti dell'artista. E ciò non è solo un'immagine ma un'esperienza. È ciò che non dovrebbe dimenticare (ma che spesso oblia) il metafisico puro, in quanto la stessa analogia va non solo a Jahwé nei suoi sei giorni, ma anche allo spirito hegeliano o hameliniano nelle sue triadi di categorie. Donde viene che Hegel dimenticò di far fi­ gurare nel suo monumento il problema del compimento dello stadio

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finale, della conclusione del gioco? Donde viene che Hamelin si confonde all'idea di categorie puramente estetiche mettendo in . peri­ colo le. sue categorie intellettuali? Da ciò che l'uno e l'altro hanno concepito l'arte (per essersene fatta un'idea troppo stretta e, per esempio, riportandola soltanto all'atmosfera della bellezza) come una provincia parziale, come una parte limitata, come un capitolo soltanto della loro grande epopea; senza accorgersi che essa penetrava tutta la loro trama, che ne era in verità il motore e la chiave dialettica pro­ fonda. Non tenteremo di trattare qui questo capitolo di estetica compa­ rata. Non parleremo né dell'arte divina né di quella dello spirito. Ci contenteremo di aver mostrato come si pone il problema. L'essenziale è di ricordare a quelli che si avventurano in tali regioni che essi non hanno altro filo conduttore che lo studio della dialettica dell'arte; e a quanti si interessano all'arte, che le sue risonanze metafisiche sono. reali e profonde. L'esperienza che vi si trova ha un senso ontologico - piii. esattamente ontogonico - che non bisogna né omettere né tacere. ( ... ) . E pertanto se alle nostre precedenti definizioni dell'arte aggiun­ giamo ancor questa: l'arte è ciò che v 'è di comune ad una sinfonia o

a una cattedrale, a unq statua o a un'anfora; è ciò che rende pa­ ragonabili fra esse la pittura e la poesia, l'architettura o la danza,

non vogliamo indicare soltanto un soggetto di studio bello e nobile. Facciamo vedere inoltre che questo studio supera in valore, il sem­ plice interesse alle cose della bellezza e del genio che esso distingue nelle attività in se stesse nobili e di rilievo per la condizione umana un principio che può superare in valore, in importanza o in essenza il piano wnano. Abbiamo visto che almeno nove arti caratteristiche formano al centro della sua regione umana il nodo della nebulosa dell'arte. Tradizionalmente si elencano cosi: architettura, scultura, disegno, pittura, danza, poesia, musica, piu questo gruppo complesso che so­ vente si denominano arti minori (cosidette arti decorative, arti in­ dustriali, sia pure con limiti evidenti a questi termini) . E occorre aggiungere quest'ultima, non piii. contestata, l'arte cinematografica. Donde viene che esistono piii. arti? Questa questione inevitabile, centrale alla nostra ricerca, non può essere risolta prima di aver studiato la morfologia generale comune a ogni opera d'arte. È sem­ plicemente quando si saranno riconosciuti i diversi piani esistenziali sui quali questa si stabilisce che si potranno stabilire con esattezza le ragioni di questa pluralità. Un'opera d'arte è un essere unico - cosi unico come può esserlo

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una persona umana, nella sua singolarità, ma per quanto completa ed essenziale che sia l'unità di un essere umano, costui si pone su piani diversi o modi di esistenza. Si incontra l'uomo nella sfera dell'esi­ stenza fisica, in quella dello psichismo, della spiritualità, dell'attuale o del virtuale. Una persona è tanto il centro ipotetico, il principio originale di mille azioni diverse, quanto il compimento ideale e per cosi dire situato all'infinito di una unità che si cerca. A metà strada, d'altronde, sempre fra l'esistenza piena e l'abbozzo tratto dal nulla. L'opera d'arte esiste piii. intensamente, può darsi, in un modo piii. vistoso, piii. completo e piii. compiuto. Con le sue pr,esenze indubita­ bili, essa è stabilita su una pluralità di piani essenziali, tutti indi­ spensabili. Contiamoli. Vaiutiamo questo spessore o questa profonda prospettiva del suo essere. (La correspondance des arls. Elémenls d'esthétique comparée, Parigi, · Flammarion, 1948, pp. 27-46). (Traduzione di Marie-Jeanne Duruz-Garulli).

NICOLA! HARTMANN Nicolai Hartmann, appartenente ad umi famiglia di tedeschi del Baltico, naè­ que a Riga, allora russa, nel 1882 e cominciò gli studi universitari a Pietroburgo, da dove si trasferì a Marburgo, per completare la propria formazione alla scuola dei neokantiani Cohen (il maestro di Ortega y Gasset) e Natorp, negli stessi anni in cui a Marburgo studiavano, oltre a Ortega, filosofi che dovevano avere grande autorità nel pensiero europeo tra le due guerre, fino ai nostri giorni, come Heinz Haimsoeth e Wladislaw Tatarkiewicz. Abilitato nel 1909 all'insegnamento universitario, lo Hartmann, nel 1922 successe alla cattedra del suo maestro Natorp, dal pensiero del quale, in precedenza pienamente condiviso, egli doveva ben presto distaccarsi po­ lemicamente. Chiamato nel 1925 ad insegnare nell'Università di Colonia,_ vi ebbe colleghi Scheler e Heidegger. Negli anni di Colonia, Hartmann studia Hegel e la fenome­ nologia di Husserl, pubblicando, tra l'altro l'Etica (Ethik, 1926: la redazione è anteriore alla chiamata a Colonia), gli studi sull'idealismo tedesco; mentre con il saggio sulla possibilità di un'ontologia critica (Wie ist die kritische Ontologie i.i­ berhaupt miiglich?, 1924) egli aveva già formulato il programma della sua filosofia successiva, della quale non è stato ancora abbastanza studiato il parallelismo, tal­ volta anche terminologico, con l'ontologismo critico che negli stessi anni veniva elaborando in Italia, nel piu assoluto isolamento, un filosofo di tutt'altra forma­ zione, Pantaleo Carabellese. Chiamato nel 1925 all'Università di Berlino, vi insegnò fino al 1945, atten­ dendo con severità al proprio insegnamento ed ai propri studi, senza fare alcuna concessione al nazismo. Esemplare e commovente la dedizione con la quale, come racconta la vedova in una postilla alla A sthetik, lo Hartmann intraprese a scrivere quella sua ultima opera il 9 marzo 1945 incurante dei bombardamenti, delle di­ struzioni, dell'assedio e della fame, e la portò a termine l'll settembre dello stesso anno , testimoniando con quella sua fedeltà al pensiero la propria libertà di filosofo e di uomo. Quel suo primo manoscritto di estetica fu da lui svolto oralmente nel primo corso di lezioni tenuto all'Università di Gottinga, dove venne chiamato nel 1945, e dove mori il 9 ottobre 1950, senza esser riuscito a portare a termine la stesura definitiva del suo ultimo libro: un testo fondamentale del pensiero estetico moderno, che doveva vedere la luce postumo, a cura del condiscepolo Heinz Heimsoeth, allora professore all'Università' di Colonia. In base ad una distinzione fra atto estetico e oggetto estetico, lo Hartmann mette in rilievo che l'atto estetico può e deve esser tr�ttato come atto di ricezione, mentre l'oggetto possiamo studiarlo nella sua struttura, nel suo modo di essere, nel suo valore. Oggetto universale dell'estetica è il bello, che si articola in bello natu­ rale, bello umano, bello artistico, in quanto tutto ciò che è cade, fra l'altro, sotto l'alternativa del bello e del brutto, e può dunque aspirare ad una valutazione estetica. Quella che chiamiamo « natura » non consiste solo in un sistema di leggi, ma anche in un ordinamento di immagini, abbiano esse un carattere organico op-

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pure soltanto dinamico, le quali sono debitrici del loro carattere strutturale ad un'intima unità e totalità. Questa concezione della natura viene dallo Hartmann ricondotta alla dottrina kantiana del giudizio riflettente, che si tratta, per lui, di unificare, riconducendo ad un solo principio regolativo il giudizio estetico ed il giudizio teleologico. >, Milano, 1960; F. Low, L'Estetica di N. H., in « Aut Aut >>, settembre 1954; G. MoRPURGO-TAGLIABUE, L'esthétique contempo­ raine, Milano, 1960, pp. 447 sgg: e passim. -

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L'OBBIETTIVAZIONE ARTISTICA

Per l' obbiettivazione artistica, si può ripetere quanto si è detto circa la parola e lo scritto: anch'essa è fissazione di un contenuto spirituale in una maniera che, dal canto suo, resta sempre in qualche modo eterogenea al contenuto. Nella propria configurazione, essa costituisce sempre una specie di primo piano dell'immagine com­ plessiva, che spicca rispetto a un secondo strato di sfondo. Ed anche qui abbiamo un'analoga differenza delle maniere d'essere; il primo piano è reale, lo sfondo del tutto irreale. Questa- volta, però, il rap­ porto è piii intimo e profondo, inoltre per molti aspetti, piii enig-

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matico e solo sommariamente accessibile all'analisi. Non consiste piii in una pura coordinazione e non dipende da una convenzione. Qui, la formazione sensibile non è affatto traducibile in altra formazione, né d'altra parte, si può dire che si tratti della semplice espressione di un contenuto: al contrario, fa parte anch'essa del contenuto e il valore artistico del tutto dipende da essa non meno che dallo sfondo. Tuttavia, in linea di principio, vi si può riconoscere lo stesso rapporto essenziale già osservato nella parola, un rapporto determi­ nato da un'identica eterogeneità nella maniera di essere. Che è poi la condizione fondamentale della comparsa del valore artistico. Perciò non corrisponde affatto a un principio esteriore di ripar­ tizione delle arti, il distinguerle secondo il tipo di materiale di cui fanno uso. Ogni genere di materiale permette solo un certo tipo di formazione di primo piano; e ogni genere di formazione di primo piano impone, a sua volta, una certa selettività prescrivendo un certo tipo di configurazione dello sfondo. Ambedue determinano in ma­ niera essenziale la particolare qualità del valore artistico di un'opera. Le arti plastiche fanno uso di un materiale fisico (pietra, metallo), la pittura si serve dei .colori e della loro · distribuzione artificiale, la musica delle note, la poesia della parola. La drammaturgia ha in piii la recitazione sul palcoscenico, la musica l'esecuzione udibile di un interprete, che fanno parte entrambe di quello che abbiamo chiamato il primo piano. Tutto ciò implica una differenziazione dei tipi di obbiettivazioni e quindi anche delle opere d'arte e del loro valore.

Le arti plastiche. Forma statica e intuizione di movimento Chi si attenga scrupolosamente ai fenomeni, può scorgere senza difficoltà quanto la legge della doppia stratificazione si adatti alle varie arti. Ciò non nega la profonda disparità delle arti, · anzi, le forme assunte dal rapporto di stratificazione ne riflettono palesemente le particolarità. Lo si vede benissimo nella scultura, solo che si considerino opere raffiguranti corpi in movimento: il satiro danzante, il lottatore, il discobolo, il cavaliere a cavallo; o anche sculture nelle quali il mo­ vimento non è rappresentato direttamente ma solo si annuncia nel­ l'atteggiamento: il David di Michelangelo prima del lancio. Nessuno contesta che la pietra scolpita sia immobile. Nella forma spaziale è fissato solo un momento, eppure' il movimento si vede. Cioè, noi vediamo piii di quanto non ci sia realmente. Si vede la scena della lotta; l'impennarsi del cavallo, il lancio nella palestra.

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In effetti, il cavallo sul suo stretto piedistallo non può certo trotta�e: cadrebbe nel vuoto; il discobolo tra le pareti del museo non ha lo spazio per lanciare il suo disco; il lancio avviene in un altro spazio che però, nella finzione artistica, noi vediamo benissimo . Il movimento dunque è irreale, e irreale è anche il suo spazio. La stessa vivacità ed umanità delle figure è completamente irreale. Non esiste in sé, ma solo « per » chi guarda, sè guarda con l'occhio dell'arte. È una vita che si intuisce nel rigore inerte della pietra scolpita - e sempre nel contrasto con quel rigore; una vita che « appare >> in forma plastica senza pretendere d'essere reale. È mia vita soltanto apparente. Eppure, proprio questa vita apparente è il nucleo essenziale . del­ l'opera plastica; che si può chiamare opera d'arte solo in quanto « appare >> in quella forma in sé rigida. Ciò che appare nel primo piano reale come vero contenuto dell'opera, è lo strato di sfondo. La formazione ha due strati. La forma reale del marmo ha un'esistenza indipendente dallo spettatore; il suo movimento e la sua vita possono esistere solo « per » uno spirito capace di comprensione artistica. Non possiedono alcun esser-per-sé ma solo un esser-per-lui. Se consideriamo l'opera plastica come un'obbiettivazione, ci ac­ corgiamo naturalmente che il contenuto che appare come sfondo è ben lontano dal contenere soltanto un importo spirituale. La vita e il movimento in se stessi non sono spirito. In molte opere di scultura ' appare bensi anche una vita spirituale, come nei ritratti della tarda antichità o in figurazioni simboliche. Ma questo non è sempre il caso, né è necessario che lo sia. La cosa cambia radicalmente se teniamo presente quanto già detto: che non viene obbiettivato solo un deter�inato contenuto, ma anche il modo di vederlo e di comprenderlo. Nel dorifero di Policleto non vediamo solo ciò che l'autore vedeva, ma anche « come » lo vedeva. Se si considera poi che il modo di vedere, e di sentire ciò che si vede, costitujsce la sostanza della vita artistica di un'epoca, il contenuto di sfondo rivela anche qui il carattere eminentemente spirituale. In esso, lo spirito artistico di una grande epoca creativa si conserva e appare ai posteri come se fosse presente.

La pittura. Spazio apparente e luce apparente Trasportato . nella pittura, il rapporto resta lo stesso; qui però la differenza tra l'essere degli strati è ancora piii rilevante. Anche qui nell'eterogenea materialità dei colori sulla tela - è la vita e la var�età dei moti umani che « appare » come qualcosa di irreale e tuttavia concreto e palpabilè .

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Ma la situazione è piii complessa. La disposizione reale dei colori sulla tela è superficiale, bidimensionale. Ciò che in essa appare è però la profondità spaziale, la piena tridimensionalità. È caratteristico dell'« immagine » di render visibile, di suscitare come per incanto quest'àltra piena spazialità. Cosi la luce reale, che cade sull'immagine, non è la luce nell'immagine, benché sia la condizione del suo appa­ rire. La luce dipinta è solo luce apparente; ma proprio in quanto apparente, essa è quella in cui appare la plasticità e la varietà formale di tutto ciò che si trova rappresentato nello spazio apparente del­ l'immagine. Quello che si verifica, qui, è . un vedere di tipo particolare. Chi guarda con l'occhio dell'arte, vede ciò che in realtà non esiste affatto e neppure viene simulato esistente. Schematicamente parlando, si deve dire che il « paesaggio » dipinto che pende nella sua cornice alla parete, non è affatto un paesaggio; il ritratto non è affatto l'uomo che rappresenta. Il paesaggio sussiste solo per lo sguàrdo dell'uomo, è .solo un paesaggio apparente. A nessuno spettatore verrebbe in mente di prenderlo per vero. D'altra parte, nemmeno l'artista che lo ha dipinto si sogna di renderlo reale. Ciò che egli fa è tutt'altro: lo rappresenta e rende visibile a un determinato modo di guardare, lo fa apparire dentro la formazione reale da lui costruita. Ma l'apparire implica il soggetto cui qualcoa appare: non c'è un apparire in sé. L'artista può plasmare direttamente soltanto il primo piano, la formazione reale. Ma può plasmarla in modo che, in essa, lo spettatore possa vedere la profondità spaziale, la luce, il paesaggio o anche l'uomo coi suoi tratti caratteristici. In un certo senso, nel modo stesso di plasmarlo, egli conferisce al reale che plasma una traspa­ renza per qualcos'altro che in esso deve apparire. E ciò in base a una coordinazione tale che quel qualcosa vi appaia di necessità, per chiunque lo comprenda artisticamente. Egli costringe lo sguardo a guardare, attraverso la formazione reale, ciò che in essa è rappre­ sentato. In tal modo l'artista guida il vedere. Fa vedere allo spettatore ciò che questi, da sé, non saprebbe vedere. La sua arte sta proprio in questa capacità di far vedere qualcosa - qualcosa di irreaie, dentrQ la pienezza e varietà della realtà effettuale. In termini obbiettivi, il valore artistico di un'opera consiste proprio nella trasparenza della formazione reale per l'intuizione comprensiva di uno sfondo non realmente esistente. Ancora una volta è essenziale, non soltanto che una formazione concreta e oggettuale appaia, ma che essa sia configurazione di un primo piano in cui sia prescritto un modo di vedere e di sentire. Solo in questo senso si può sostenere - nonostante i molti e svariati

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rimproveri rivolti alla pittura per il suo contenuto tematico essa è in generale obbiettivazione in un importo spirituale.

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che

La musica. Suono e sequenza sonora, audizione acustica e musicale ·

Si potrebbe pensare che, nella musica, le cose stiano altrimenti.

La musica pura non ha temi oggettuali presi in prestito da altri do­

mini, sia cosali che umani. È vero che tali temi le si possono imporre, e ne abbiamo molti esempi nei titoli delle opere musicali. Si va: dalla semplice messa in musica di un testo poetico, all'opera lirica o al­ l'oratorio. Per contro, ci si può sempre chiedere se un contenuto tematico di questo tipo possa ancora valere come un contenuto pro­ priamente musicale. Del . resto, comunque la si pensi circa la musica a programma, è certo che essa non può fornirci un punto di vista valevole per ogni tipo di musica. C'è infatti anche l'altra musica, quella « pura )) libera ' da temi extramusicali. E se è vero che in essa si esterna sempre un'atmosfera psicologica, è anche dubbio che si possa considerare tale tonalità sentimentale come obbiettivazione di un contenuto spirituale, tanto piu che, in ogni caso, la costruzione puramente musicale è già di per sé una formazione stratificata. Essenziale per ogni e qualsiasi tipo di musica è piuttosto, ancora una volta, che la « sensazione puramente acustica )) di una formazione sonora (e quindi reale) spicchi con chiarezza sopra l'« audizione musicale )) di uno sfondo. In senso acustico, è forse possibile udire la totalità unitaria di un « movimento )) quale, ad es., il primo dell'E­ ro ica? È forse possibile cogliere, in senso puramente acustico, almeno l'unità di una sequenza melodica di note, di un cosiddetto « tema )) o ' la sequenza di accordi di una modulazione? Le note non risuonano simultaneamente ina in successione; gli accordi che si succedono, uditi acusticamente nella simultaneità, darebbero la piu caotica di­ sarmonia. Si possono percepire acusticamente, appunto, solo nella successione. L'unità musicale dell'opera, o di una sua parte, è però l'unità di una composizione in cui la nota passata, che comunque in quest'attimo non si ode piu sensibilmente, è ancora presente ed è essenziale in quanto · è presente. La peculiarità dell'audizione musicale, rispetto a quella pura­ mente acustica, sta proprio nel fatto che, ndla successione di mo­ menti tonici e armonici distinti, si « ode )) l'unità musicale di una costruzione . che, in quanto tale, non si può udire in alcun momento, pur costituendo essa la composizione vera e propria ed integrando il singolo « movimento )) nel tutto. Ma non basta: noi udiamo antici-

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pando musicalmente, aspettandoci il sèguito, la soluzione, prevedendo l'esecuzione; nell'attimo in cui abbiamo la sensazione acustica di un dato accordo, aderiamo ancora intimamente a ciò che è passato e non risuona piii., e intanto siamo già protesi verso ciò che verrà. Ogni fase musicale rimanda insomma oltre se stessa. ' ' Se un pezzo musicale è costruito rigorosamente, nel decorso temporale del « pezzo » si costruisce piano piano una totalità che si compie in tutte le sue parti, si consolida e non è -perfetta finché la serie acustica degli accordi non sia passata e risuonata. Nell'audizione musicale si rivela dunque un udire sintetico di ordine superiore che permette un'audizione simultanea dell'unità e della totalità, quale non sarebbe mai possibile nelll'udire puramente artistico. Musicalmente, si ode piii. di quanto non sia dato alla sensazione. Soprattutto, si ode qualcosa d'altro e di molto piii. importante. Questo altro è propria­ mente il pezzo mÙsicale, la romanza, la fuga, la sinfonia. Nella sua struttura com:elessiva, questo qualcosa d'altro è una ti­ pica formazione di sfondo. E qualcosa di acusticamente irreale e non realizzabile come insieme di note. Lo si sente « attraverso >> la serie degli accordi e in opposizione ad essi, e in contrasto col loro disporsi nelle fasi temporali. Né si può dubitare che il valore artistico del­ l'opera musicale consista proprio nella capacità della sequenza sen­ sibile dei suoni di far apparire questa unità e totalità della costruzione - la sua interiore configurazione. Ne sono esempio probante quelle composizioni musicali che agi­ scono sull'ascoltatore quasi come una serie di effetti singoli e sepa­ rati. In esse manca, appunto, un'unità di configurazione interna. La piacevolezza dei particolari non può compensare tale mancanza. Il nesso totale riguarda unicamente lo sfondo, ma questa totalità può apparire unicamente nella separazione e successione temporale della serie acusticamente sensibile degli accordi. Anche nella musica abbiamo dunque fondamentalmente la stessa duplicità di strati, la stessa eterogeneità delle maniere d'essere, lo stesso « apparire >> del contenuto entro una « materia >> sensibile, ed anche la stessa trasparenza del primo piano. Naturalmente, in questo caso, l'intimo nesso reciproco degli strati è tutto particolare e non trasferibile ad altre arti. Anche il carattere della formazione di sfondo è qui peculiare; è fàcile vedere, anzi, che lo sfondo deve valere come formazione di contenuto spirituale in un senso tutto nuovo e diverso; cosi pure, il modo di udire, cogliere e sentire contribuisce in senso eminente a determinare il contenuto mentre, a sua volta, è nettamente condizionato e predeterminato dalla totalità della configurazione in­ terna. Tutte queste però sono differenze relative al carattere proprio della musica e non intaccano il rapporto generale di sfondo.

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La poesia. Parola formata e figurazione poetica Nel vasto dominio della poesia, la stratificazione presente in ogni arte diventa particolarmente semplice e chiara. · Ciò dipende dalla materia con cui lavora: la parola e lo scritto. In questo senso, essa è piu vicina di altre arti all' obbiettivazione extra-artistica; le opere di poesia sono scritte come è scritta qualsiasi altra nota di qualche im­ portanza culturale. Se quella stessa parola che serve agli usi piu modestamente pratici può ricevere anche una formazione di ordine superiore, attraverso la quale diventa trasparente per qualcosa che la vita quotidiana non sa dire, questo è dovuto al tocco della poesia. Oggetto di poesia è tutta la varietà dei possibili vissuti dell'esi­ stenza umana. Le piu delicate sfumature del sentimento, i destini e le passioni degli uomini, le figure, le personalità, i caratteri della vita e dell'azione - tutto que�to « appare » ed è intuibile nella parola formata. La parola si può udire, leggere, ed è, nella sua stessa forma poetica, una formazione reale; ma le cose umane, che in essa ap­ paiono, sono formazioni di tutt'altro genere, che nessuno confonderà con la parola scritta e neppure con la parola parlata. Nessuno le prenderà per vicende, passioni e caratteri reali solo perché appaiono intuibili in figure concrete. Si sa che sono irreali, e che lo sono anche quando la materia della poesia è tratta dalla realtà effettuale. Si può dire, quindi, che nel campo della poesia la differenza degli strati, ·come pure l'eterogeneità ddla loro maniera d'essere, è cosa del tutto corrente: parimenti, è ben noto il rapporto di apparizione e la trasparenza della parola nei confronti dell'importo poetico. Il poeta fa apparire davanti a noi tutto 'un mondo, i suoi person�ggi vivono sotto i nostri occhi e noi possiamo immedesimarci nella loro vita. Ma è un mondo astratto dal contesto dei rapporti reali nei quali si muove la nostra vita, un mondo che sta li, chiuso in sé, con confini ben precisi, dotato di una propria unità e totalità. N ella parola formata, la poesia ha la forza di far apparire un simile mondo di poesia, coi suoi personaggi poetici. · Fin qui, il rapporto è facilmente comprensibile. Si complica, però, nell'arte drammatica, dove l'operazione raffiguratrice dell'artista e dell'attore assume una forma ambigua - tra la parola formata e scritta, da un lato, e il contenuto umano-psicologico dei personaggi e del loro destino, dall'altro. Se oltre al testo scritto e letto, conside­ riamo anche il testo recitato e « guardato » sulla scena, l'àmbito della formazione reale si allarga, nel caso dell'opera drammatica, in misura straordinaria. Infatti, la recitazione sul palcoscenico è un evento del tutto reale e, in quanto tale, è vissuto sensibilmente. È facile obbiettare, allora, che in questo caso tutta l'« azione ))

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viene trasportata sul piano della realtà; e sarebbe come dire che non resterebbe alcun margine per l'apparire di uno sfondo irreale dentro la formazione reale.

Arte drammatica. Realtà della scena e irrealtà dell'azione Invece si può dimostrare che l'obbiezione non regge. Il rapporto fondamentale è lo stesso, ciò che cambia è soltanto il suo contenuto. Una parte di ciò che negli altri . generi di poesia resta irreale ed ap­ partiene allo sfondo, qui viene effettivamente trasportato in primo piano e, quindi risucchiato nella dimensione reale. Ma ciò non ri­ guarda affatto la totalità della formazione di sfondo. La scenografia, l'azione visibile, la mimica, il dialogo entrano ovviamente nel campo della realtà, e vi acquistano un carattere di fluidità perché il gioco dei mimi è instabile, non è fissabile né, da parte sua, è in grado di fissare alcunché; infatti ogni « messà in sce­ na >> dell'opera ne è anche una riproduzione sempre nuova e divèrsa, con nuovi e diversi particolari. Stabile è solo lo scritto in quanto tale e ciò che in esso si trova immediatamente fissato; esso solo custodisce l'unità dell'« opera » autentica nella pluralità delle interpretazioni. A guardar . bene questo vale, entro certi limiti, anche per i « personaggi » dell'opera . . Anch'essi, sulla scena, assumono la forma della realtà; anche l'interpretazione di un personaggio da parte di un attore è un conferimento di forma di natura effimera. L'esterioriz­ zazione sensibile, cosi raggiunta, il realismo dell'inte�pretazione, hanno un prezzo: un'esistenza effimera, legata al momento. A questo punto emerge, altresi, il limite del realismo scenico. Se i personaggi assumono sulla scena la forma della realtà, non per questo diventano reali. Solo l'aspetto visibile del loro comportamento viene realizzato; il loro odiare ed amare, le loro passioni e il loro destino non si svolgono nella realtà, né lo pretendono. L'estetica drammatica si è lungamente ingannata su questo punto, con la teoria dell'illu­ sione: allo spettatore si sarebbe data l'illusione di assistere ad un'a­ zione reale. Il che è sbagliato. Offrendo la riproduzione di un'azione rèale, si sarebbe preteso dallo spettatore qualcosa di impossibile: egli avrebbe dovuto restare in un atteggiamento contemplativo, mantenere la distanza di un apprezzamento puramente artistico, mentre era te­ stimone del dolore umano e del conflitto, della malvagità e del tra­ dimento; della distruzione, dell'ingiustizia, dell'assassinio. Il senso della tragedia sarebbe stato capovolto. È dunque vero il contrario. Proprio l'ovvia consapevolezza della realtà degli eventi, della pura recitazione, permette allo spettatore un ·

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atteggiamento contemplativo. Proprio perché non confonde l'attore con l'eroe, il suo destino di uomo col destino dell'eroe, l'« azione » éhe si svolge sul palcoscenico acquista trasparenza ai suoi occhi. L'azione vera è per lui proprio quella recitata; solo la recitazione è reale, ma in essa gli « appare >> qualcos'altro: la serietà del destino e delle passioni. L'arte del mi�o è appunto in questo lasciare apparire. Prova esemplare dell'esistenza di questo rapporto, è il bisogno estetico di limitare il realismo della recitazione. Lo si nota nell'effetto del verso nel dialogo, nella moderazione decente della violenza e della crudeltà sulla scena. Il vedere e l'udire artistico, infatti, vengono turbati da un eccesso di realismo. E poiché lo sfondo, coi suoi per­ sonaggi e. i suoi destini, appare in generale soltanto « per >> un guar­ dare e un udire artistici, anche l'oggetto estetico ne risulterebbe di­ strutto. Forse, piii che nella repressione del realismo, ciò risulta evi­ dente in certi casi-limite nei quali, dal gioco si passa nella vita, e il destino dell'eroe diventa quello del suo interprete. Non si può fare a meno di pensare, a questo proposito, al tema dei Pagliacci dove, dietro la gelosia finta, si cela quella vera, che alla fine rompe gli argini; ed è questa irruzione, con la scena stessa in cui si svolge, ciò che vien messo in scena. Cosi però, la commedia recitata si trasforma in realtà· recitata, e il divertimento recitato del pubblico in scena, nello sconcerto dell'esser coinvolti in una realtà effettiva. Giusta la frase: « la commedia è finita. ». Cosi, nella rappresentazi� ne scenica, si può cogliere chiarame�te la stessa duplicità di strati che è sempre presente in ogni genere di poesia e in tutte le arti. Cambia solo il contenuto. Nello stato reale dell'azione drammatica appare qualcosa che è e resta irreale; una pura apparenza che se intuita con l'occhio dell'arte non viene con­ siderata reale. L'essenza della rappresentazione drammatiça non è suggerimento di una realtà effettuale, come non lo è la rappresenta­ zione classica o pittorica. Ma è solo obiettivazione in quanto ogget­ tuazione intuitiva di un'apparenza.

L 'architettura in quanto obbiettivazione Infine, il punto di vista della stratifi� azione può essere appli­ cato a quelle arti nelle quali non viene rappresentato nulla diretta­ mente, che quindi non pretendono immediatamente . di essere ob­ biettivazioni di un contenuto idt;mtificabile. Che questa relazione sia applicabile alla musica, è già una dimostrazione della sua validità il­ limitata. Bisogna riconoscere tuttavia che non dappertutto lo strato irreale di fondo è tanto chiaramente e oggettualmente rilevabile.

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Questo è soprattutto il caso dell'architettura, dove la forma spa­ ziale, la statica delle masse, la concezione e la tecnica costruttiva appartengono tutte alla formazione reale nella quale, dunque, non sembrerebbe apparire nulla di ulteriore. E tuttavia non c'è dubbio che nell'impressione che lo spettatore artisticamente atteggiato ne riceve è dato qualcosa di piii. D'altronde, come si spiegherebbe che certi tipi di costruzioni architettoniche producano un « effetto di grandiosità >> senza essere particolarmente grandi, o che · un determi­ nato stile architettonico popolare sia immediatamente e intuitiva­ mente sentito nella sua specificità anche dopo molti secoli? La « grandiosità >> dell'effetto è una grandezza puramente apparente, non reale; l'originalità, cosi sentita, del gruppo etnico vi appare soltanto. Ci si può chiedere, ancora, come mai, passeggiando per le stanze interne di un edificio, la totalità di questo si raccolga intuitivamente nell'unità di un'espressione complessiva, che non possiamo affatto ricavare da una semplice visione diretta. Qui, evidentemente, dietro la visione ottica c'è un'altra visione sintetica che vede piii di quella. Quest'altra visione è la visione artistica, e ciò che essa vede è l'interna configurazione della composizione e quindi, bisogna aggiungere, se è vero che quest'altra visione vede piii a fondo, ciò che essa vede dovrà pure in qualche modo esistere « per >> lei. Ma, appunto, questa esi­ stenza non dovrà essere intesa come un'esistenza reale. In ogni opera umana, si rivela lo spirito creatore dell'uomo, che si obbiettiva in opere architettoniche non meno che in opere plastiche, figurative o letterarie. Se guardiano alle costruzioni monumentali di epoche trascorse, o anche soltanto alle loro rovine, ce ne rendiamo conto al di là di ogni dubbio. In esse parla la grandezza umana, lo stile di una spiritualità umana, l'habitus interiore di epoche intiere. L 'unica differenza sta nel linguaggio con cui parla, che è diverso da quello della pittura e delle lettere, come del resto radicalmente diverso e originale è ogni volta il materiale dell'obbiettivazione. Perciò i diversi materiali non ci rivelano lo stesso aspetto, ma aspetti diversi dello stesso spirito. (n problema dell'essere spirituale, tr. it. di A. Marini, Firenze, La Nuova Italia, 1971, pp. 565-578).

X. L'ARTE E LA NASCITA DELLA COSCIENZA

SIGMUND FREUD Sigmund Freud nacque il 6 maggio 1856 a Freiberg, oggi Pribor, in Moravia da genitori ebrei. Il padre J acoh, che era al terzo matrimonio, aveva un piccolo commercio di lane. La crisi economica del 1859 lo gettò quasi in rovina obbli­ gandolo, per cercar fortuna, a trasferirsi l'anno successivo con la famiglia a Vienna, dove tuttavia la situazione non consenti molto oltre che una dignitosa povertà. Malgrado ciò Freud poté fare studi regolari, primeggiando per le sue ottime ca­ pacità �d un impegno fuor dell'ordinario, tanto da concludere gli studi secondari nel 1873 summa cum laude. La scelta della facoltà universitaria fu influenzata sia dalle condizioni economiche della famiglia che dall'origine etnico-religiosa; irt pratica la scelta finiva col cadere fra giurisprudenza e medicina: Freud scelse quest'ultima. Egli stesso · racconta nell'Autobiografia (1925) che già allora come in seguito non provava una particolare predilezione per la professione medica, laddove « mi dominava piuttosto una specie di curiosità di sapere che, però, si riferiva piii ai fenomeni umani che agli oggetti naturali [... ] ho sentito un bisogno prepotente di capire qualcosa degli enigmi del mondo in cui viviamo e forse anche di contribuire un poco alla loro soluzione. Il mezzo piii opportuno per raggiungere questo fine mi sembrò quello di iscrivermi alla facoltà di medicina ». Ma fu determinante, in qualche misura, anche l'entusiasmo suscitato dalle idee di Darwin e l'avere ascol­ tato, in una conferenza, la lettura del poema pseudogoethiano Sulla natura. Dato un approccio cosi poco ortodosso non sorprende se Freud consegui in ritardo la laurea (1881), e se delle discipline mediche approfondi sostanzialmente solo quelle neurologiche. In realtà il suo interesse per i problemi del mondo umano, la solu­ zione dei quali però riteneva non potesse darsi al di fuori di un metodo scientifico rigoroso, spiega molto bene, dopo un inquieto vagabondare iniziale fra diverse di­ scipline universitarie che lo portò a frequentare anche i seminari di filosofia tenuti da F. Brentano (1838-1917), l'impegno quasi esclusivo di studi e ricerche profusi nell'Istituto di Fisiologia diretto da E. Briicke (1819-92). Questi, scienziato di fama, tedesco e non viennese per quanto fondatore della Scuola di Vienna, era uno dei capofila di quell'importante movimento scientifico di portata europea comune­ mente noto, dal maggiore rappresentante, come « scuola di Helmholtz >>, che aveva il suo punto di riferimento nella Società JlSica di Berlino. Il Briicke appunto, che Freud ricorderà sempre con venerazione fu il suo primo vero maestro ed ebbe un'influenza decisiva nella sua formazione intellettuale. Impossibilitato, per le solite ragioni economiche, a proseguire l'attività di ri­ cercatore iniziata già da studente e costretto a guadagnarsi da vivere anche in vista dell'agognato matrimonio con Martha Bernays, una giovane ebrea con la quale si era fidanzato nel 1882, Freud inizia la professione in campo neurologico. Non ·

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tralasciò tuttavia di continuare come poteva l'attività di ricerca, tanto da ottenere nel 1885 la nomina a Privatdozent in neuropatologia. Lo stesso anno vinse una borsa ministeriale per un viaggio di studio all'estero che lo condusse alla Salpe­ trière di Parigi dal famoso neuropsichiatra J_ M. Charcot (1825-93), la seconda personalità che piu impressionò il giovane Freud; il quale anche di lui si professò allievo e ne tradusse in tedesco le Lezioni. Tornato a Vienna e sposatosi nel 1886, Freud· cura soprattutto malati isterici e nevrotici dapprima con l'elettro terapia e l'ipnotismo, per abb�acciare infine il « metodo catartico » del medico amico e �o­ stenitore J. Breuer (1842-1925); che egli svilupperà originalmente nel metodo analitico fondato sulle associazioni libere. Frattanto mette a punto la nosografia e la spiegazione teorica dell'isteria, sostenendone l'eziologia sessuale. Le sue idee scan­ dalizzano l'ambiente medico viennese, che lo condanna ad un quasi completo iso­ lamento: isolamento ed incomprensione che non cessano nemmeno con la comparsa degli Studi sull'isteria (1895), composti in collaborazione con Breuer. Cessata la collaborazione fra i due, Freud, ancora psicologicamente insicuro e bisognoso di qualcuno a cui .appoggiarsi emotivamente, intensifica i rapporti epistolari con l'a­ mico odontoiatra berlinese W. Fliess (1858-1928), che tiene minutamente �nformato di ogni suo progresso intellettuale e a cui invia anche preziose Minute teoriche. Grazie a codesto carteggio possiamo assistere cosi alla nascita della stessa dottrina psicoanalitica freudiana, come fu resà possibile dalle scoperte che Freud fece nel corso della sua autoanalisi cominciata nel maggio 1897; e possiamo seguire il tra­ vaglio che portò nel 1899 alla pubblicazione dell'Interpretazione dei sogni, la prinla, e fondamentale, opera della maturità. Il carteggio con Fliess, come pure quello antecedente con la fidanzata, sono peraltro molto importanti anche per la ricostruzione della formazione dell'estetica freudiana. Guastatisi i rapporti con Fliess, nel 1902 Freud prese a raccogliere intorno a sé i primi seguaci, ebrei viennesi e quasi tutti non medici, (Adler, Reitler, Stekel, �edem) , nella Società psicologica del mercoledi, che divenne poi Società psicoa­ nalitica di Vienna. Nel 1905 cade la pubblicazione di opere capitali quali: Tre saggi sulla teoria sessuale, Il motto di spirito, Frammento di un'analisi d'isteria; e mentre infuria la tempesta intorno alle teorie freudiane, cominciano a comparire i primi seguaci non viennesi: Jung (1906), Abraham (1907), Brill e Jones e Ferenczi (1908) . Nel 1907 comparve il primo scritto estetico di Freud: Delirio e sogni nella , una conferenza dal titolo Il poeta e la fantasia apparsa a stampa l'anno successivo, nella quale sviluppava e completava il giro teorico solo dispiegato nel saggio precedente. Orbene in questi due lavori, non lunghissimo il primo e molto breve il secondo, è consegnato essenzialmente il pensiero estetico di Freud. Nel senso, almeno, che gli scritti freudiani successivi arricchiscono ulteriormente e specificano certo la sua teoria estetica, ma non ne modificano le linee di fondo né sostanzialmente la in­ novano� Sicché è opportuno in queste brevi note, che aspirano solo a costituire una éornice introduttiva alla lettura delle pagine freudiane, esaminare innanzi tutto le ragioni e le modalità di codesto esordio di Freud in estetica . Ragioni e modalità su cui sovente parecchio di inesatto è stato detto, con · la conseguenza d'impedire o rendere alquanto sfocato un sicuro possesso della dottrina estetica freudiana ed una sua adeguata valutazione. Il periodo intorno al 1906, l'anno appunto di composizione di Gracliva, fu un momento · cruciale nella vita di Freud. Nel quinquennio precedente egli si era prodotto in un tour de force intellettuale veramente prodigioso. In quel lustro in­ fatti pubblicò, tralasciando scritti minori, ben tre opere teoriche di grande impegno e rigore (Interpretazione dei sogni, 1900; Tre saggi sulla teoria sessuale, 1905; Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio, 1905), un libro di taglio piii divulgativo ma egualmente significativo (Psicopatologia della vita quotidiana, 1901) e il primo e piii famoso dei casi clinici (Frammento di un'analisi d'isteria. Caso clinico di Dora, 1905). Grazie a questa corolla di opere i pilastri della psi­ coanalisi erano stati fondati, ed assicurati anzi con una somma di prove e di ar­ gomentazioni solidissime. È allora molto probabile, · ancorché solo per approssi­ mazione non sia documentabile con sicurezza, ritenere che Freud non disperasse di potere cominciare a far breccia nel muro d'ignoranza-indifferenza-opposizione, che fino ad allora _aveva elevato intorno alle sue idee la comunità. scientifica. D'altra parte la piccola cerchia di seguaci unitasi intorno a lui nella « Società del merco­ ledi >>, rimaneva compatta e cominciava a fruttificare; e, soprattutto, il contatto appena stabilito con un'autorità di rinomanza europea, come lo psichiatra s.rizzero E. Breuler e il suo geniale assistente C. G. Jung,, cominciava a rivelarsi un canale di diffusione e di proselitismo molto efficace. Insomma tutta una serie di fattori fece probabilmente un po' coltivare a Freud la speranza che fosse prossi�o un muta­ mento di ·tendenza verso la sua Sache, e cioè che la dottrina psicoanalitica stesse per

462

ROSARIO ASSUNTO - VITTORIO STELLA

uscire dal ghetto in cui l'aveva confinata la « scienza ufficiale » (come Freud stesso

la chiamava) . In realtà i tempi e gli uomini erano ancora troppo acerbi. Special­

Tre sàggi

mente i

e il

Caso Dora

avevano ulteriormente esacerbato, offrendo

pretesto perché gli attacchi a Freud ed alle sue dottrine non solo venissero rinno­ vati, ma raggiungessero una virulenza - e financo una bassezza - veramente inauditi. Ma le speranze di Freud tramontarono definitivamente col l Congresso

Internazionale di Psichiatria e Neurologia, che si tenne ad Amsterdam nel set­

tembre del

1907.

Freud per quanto invitato non vi partecipò e preferi lasciare al

solo Jung il compito di difendere la causa della psicoanalisi, nella speranza che essa cosi trovasse meno resistenza. Ma fini in un ennesimo scacco, ed ancora piu bru­ ciante del solito. Freud assorbi bene il colpo, e rispondendo a Jung il

1907

19

settembre

dichiarò: « La Sua lettera sugli sviluppi ulteriori del Congresso non mi ha

depresso l .. ./ In me, ancora una volta, aumenta il rispetto per la causa. Stavo già

quasi per dirmi: " Ma come, dopo appena dieci anni, già sulla via del riconosci­

mento? Ma non può essere una cosa ben fatta. " Adesso mi è di nuovo permesso ritenerla tale ».

W. Jensen (1837-1911), '900: Gradiva. Fantasia pom­

Frattanto Freud si era già imbattuto in una novella di

scrittore molto rinomato in Germania intorno al

peiana,

pubblicata nel

1903.

La novella non poteva non attirare moltissimo il

fondatore della psicoanalisi. « Di fatti la novella narra la storia di un individuo dalla mente conturbata, che per l'azione psicologica su di lui esercitata da una

ragazza rinsavisce e Si normalizza. I disturbi del protagonista, la loro origine chia­

ramente collegata a una rimozione della sessualità, i sogni che egli fa, e le tra­ sformazioni che attraverso i colloqui con la fanciulla subisce, sembrano ideate da chi avesse un'assai precisa conoscenza dei punti di vista di Freud >> (Musatti) . In realtà Jensen non conosceva affatto la psicoanalisi, ed esplicitamente interrogato, affermò che la novella era esclusivamente un prodotto della sua fantasia. · « Ma una conclusione - scrisse allora Freud - sembra che s'imponga: o entrambi, il medico e il poeta, abbiamo in egual modo frainteso l'inconscio, o entrambi lo abbiamo compreso esattamente. ,, In altri termini, proprio la novella di Jensen, nata com­ pletamente al di fuori dell'orbita culturale della psicoanalisi e completamente libera

da intenti scientifici, può rappresentare la piu immediata e brillante riprova della bontà delle tesi psicoanalitiche, e delle sue tesi di fondo: la realtà dell'inconscio,

l'interpretazione dei sogni, la pulsione della

transfert.

terapeutico dell'analisi fondato sul Freud. Che il alla

Gradiva!

26

maggio

1907

libido,

e finanche lo stesso processo

Insomma: una bella gratificazione per

scriveva a Jung: « Un grazie cordiale per le Sue lodi

(. . . ) Questa volta sapevo che quel piccolo lavoro merita lode; esso è

nato in giornate luminose e anche a me aveva procurato molta gioia. Certo · non porta nulla di nuovo per noi, ma credo ci permetta di rallegrarci della nostra ric­ chezza. Non mi aspetto di sicuro che apra gli occhi alla arcigna opposizione; da un

.pezzo non mi curo delle reazioni da quella parte >> . Ma c'è di piu. Presentandosi come un clamoroso caso di ètncomitànza fra arte e scienza,

Gradiva

suscitava naturalmente la curiosità e l'interesse dei lettori; e di

lettori · che non erano piu unicamente e/ o prevalentemente i medici e in genere gli scienziati della mente, quegli stessi cioè che ignoravano, osteggiavano o deridevano

le teorie freudiane. Un saggio come

Gradiva scavalcava

naturalmente la cerchia dei

lettori specializzati ed era raggiungibile dal piu vasto pubblico dei lettori colti, un pubblico non prevenuto e del tutto indipendente dalle baronie (c'erano anche' al­ lora!) accademiche e professionali.

E

per il fatto di collegare intimamente pressoché

tutti i postulati basilari della dottrina freudiana, riformulandoli si in maniera or-

L'estetica dalla seconda metà dell' 800 al 1 944

463

ganica e paradigmatica ma anche in uno stile piano e frizzante, essa finiva in pratica col divenire la piu stimolante introduzione alla stessa psicoanalisi. Freud avverti quasi subito l'importanza di questa chance insperata. Il 18 agosto 1907 scriveva a Jung: « Non ha importanza che si venga compresi sul momento dai rappresentanti della scienza ufficiale. Nella massa senza nomè che si trova nascosta dietro di loro, ci sono abbastanza persone che vogliono capire e che improvvisa­ mente si faranno avanti >> . La battaglia per l'affermazione della psicoanalisi nel mondo scientifico oramai era chiaro che poteva vincersi soltanto proiettata nel futuro; ma intanto, a tener vivo l'interesse per essa, a farla acclimatare e penetrare in profondità nel mondo della cultura, i canali piu indicati erano quelli non medici. Ossia, facendo di necessità virtu, bisognava rivolgere una nuova attenzione alle applicazioni non terapeutiche della psicanalisi, allargando il suo raggio d'incidenza verso le zone limitrofe delle scienze umane, quali l'etnologia, la religione, e verso quell'entità che in quest'ambito costituisce la realtà piu inquietante: la realtà arti­ stica. Cosi avvenne che Freud, scienziato e neurologo, continuasse ancora per de­ cenni ad essere di regola ignorato o pochissimo apprezzato dagli ambienti medici e scientifici, laddove · su scala internazionale era dive�uto un polo vitale di riferi­ mento per numerosi e disparati altri ambienti culturali, a cominciare da quelli letterari. Non a caso l'unico grande riconoscimento ufficiale che gli fu tributato, nel 1930, dalla cultura tedesca fu il premio Goethe: cioè un premio letterario. Gradiva dunque costitui nella vita culturale di Freui:l e nella vicenda della fortuna della teoria psicoanalitica un momento di chiarimento sostanziale e di impegnative scelte di fondo. E, per quello poi che direttamente ci interessa, fu l'inizio di tutta una nuova attività scientifica di Freud, quell'attività appunto che portò alla formula­ zione dell'estetica freudiana el o della psicoanalisi dell'arte. Fu grazie comunque ad attività di questo tipo che Freud divenne un autore conosciuto: e rispettato da molti, anche se non rispettabile per tutti. Nondimeno Gradiva, malgrado il grande impatto che il saggio realizza e l'im­ pressione ammaliante che di regola suscita nel lettore, presenta all'ottica dell'este­ tologo contenuti concettuali tutto sommato modesti. O, diciamo meglio e diversa­ mente: la sua maggiore rilevanza sta soprattutto nelle prospettive che apre e non nelle mete che raggiunge. Il fatto che una novella sia costruita come un caso clinico non risolve infatti nessun problema estetico: si pone piuttosto, per l'estetica, coine un problema da risolvere. Problema la cui esistenza non sfugge naturalmente allo stesso Freud; ma il soddisfarlo esorbitava dall'interesse che perseguiva in Gradiva. E i cenni di Freud a riguardo qui sono troppo brevi e en passant, per essere ve­ ramente significativi. A lui veramente interessava che « Probabilmente, noi e lui [Jensen]; attingiamo alle stesse fonti, lavoriamo sopra lo stesso oggetto, ciascuno di noi con ·un metodo diverso; e la coincidenza dei risultati sembra costituire una garanzia che abbiamo entrambi lavorato in modo corretto ». Ma se, appunto, la realtà artistica conferma l'esistenza dell'inconscio, e sembra avvalorare anche le altre tesi della psicoanalisi, tanto piu per questo è enormemente interessante ap­ purare il ruolo che l'inconscio svolge, e in genere quali processi psicologici sono in giuoco, nell'attività artistica. Ora Freud aveva esposto ampiamente intorno alle dinamiche dell'inconscio nel volume pubblicato l'anno precedente, per quello che riguarda Il motto di spirito. E però dinanzi allo sconcertante caso di Jensen, che scrive un « racconto fantastico » ma che è quasi compiutamente riformulabile nei termini della scienza psicoanalitica, appare impegno sempre piu stringente, ed anzi ineludibile, quello di rispondere direttamente su come operi, secondo la psicoa­ nalisi, questa, tradizionalmente sempre alquanto fantomatica, « fantasia poetica ».

464

ROSARIO ASSUNTO - VITTORIO STELLA

Risposta che ben presto Freud si premurò di dare giusto nella conferenza Il poeta

e la fantasia.

La conferenza ebbe un buon successo. Il pubblico, composto da una novantina di persone, con massiccia prevalenza di artisti e letterati, pur smarrito sulle prime, si era mostràto poi molto interessato ed aveva finito con l'applaudire calorosa­ mente. Due giorni dopo, 1'8 dicembre 1907, Freud di buon umore scriveva pro­ feticamente a Jung: « È stata un'irruzione in un campo da noi finora appena sfiorato, e sul quale ci si potrebbe comodamente stabilire >>. In realtà l'occupazione della provincia estetica, da parte di Freud e della psicoanalisi, a quella data era già un fatto compiuto. Che rivolgere il suo interesse ' all'estetica sia stato da parte di Freud un fatto del tutto occasionale e contingente, non suscitato cioè dall'urgenza di intrinseche ne­ cessità di ricerca e sorto con lo scopo di soddisfare sollecitazioni di diversa natura, è un fatto incontestabile. Ma è fatto che dimostra molto meno di quanto non possa sembrare. Vale a dire che sarebbe del tutto scorretto e fuorviante, equivocando su questo dato di fatto, costruirsi il cliché di un Freud cinico ed invadente scienziato, pronto a travalicare i propri confini specialistici per trasferire ;meccanicamente, in zone culturali limitrofe o addirittura in province dalla sua competenza lontanissime e di aliena etnia, proprie tematiche specialistiche, col magro e frettoloso bagaglio di rapide e molto approssimative letture. Ciò, ancor pJ;"ima e piii che ingeneroso, sa­ rebbe da respingere come interpretazione tendenziosa non rispondente alla realtà stmica, quale è ricostruibile e documentabile. Studioso. , occupino un posto estremamente significativo - se non, senz'altro, fondamentale - nell'estetica contemporanea. Anche un lettore non particolarmente versato nelle questioni di estetica non può non avvertire la ricchezza di motivi che circola solo nelle dieci pagine de Il poeta e la fantasia. E però la cultura estetica di Freud non è solo ipotizzabile per approssimazione, ma piuttosto in buona parte storicizzabile e, con sufficiente at­ tendibilità, filologicamente riconducibile a fonti e contesti teorici ben determinati. Nozioni e tematiche quali: l'arte come ricerca del piacere e la spiegazione pura­ mente psicolcigica del piacere estetico, la teoria dell'illusione artistica, quella del­ l'arte come giuoco, la problematica di arte e follia, lo stesso fondarsi sul metodo genetico: rappresentano tutto un grappolo di teorie perfettamente attribuibili. In pratica tutta la cultura estetica tedesca, a partire da Goethe e da Schiller, e in particolare tutto il plesso di dottrine dibattute in Germania nella seconda metà dell'800, segnatamente nell'arco che va dall'estetica sperimentale del Fechner al­ l'Einfuhlung del Lipps, è largamente presente, magari solo come condizione d'avvio o presupposto polemico, nell'analisi freudiana. D'altronde è già di per sé signifi­ cativa la grandissima considerazione che Freud stesso professò per il Fechner ed il

L'estetica dalla seconda metà dell'BOO al 1 944

465

Lipps e la grande confidenza che ebbe con le loro opere, largamente e puntual­ mente utilizzate nei suoi lavori. Ma a ben vedere non si tratta solo di taluni spunti teorici mutuati da singole dottrine vigenti al tempo di Freud, e piii. o meno da lui recepite e rinverdite. In realtà la possibilità stessa della riflessione di Freud sull'arte trova la sua piii. piena giustificazione nello sfondo di una considerazione scientifica dei problemi della creazione artistica, esigenza che portò in Germania - come si sa - alla costituzione di una scienza speciale dell'arte, Kunstwissenschaft, del tutto separata dall'estetica filosofica tradizionalmente intesa, A esthetik, e che portò, in particolare, ad un fiorente sviluppo della psicologia dell'arte, il cui esponente piii. rinomato fu poi R. Muller-Freienfels (1882-1949). Se dunque Freud era tutt'altro che digiuno di letture di estetica, ma possedeva invece un retroterra ramificato, in cui lungamente avevano maturato tutta una serie di consap�volezze culturali e di punti di vista schiettamente speculativi; egli era egualmente tutt'altro che carente di un'esperienza estetica personale. La pubblica­ zione della monumentale Life di Jones, di buona parte delle numerosissime lettere di Freud e di altri importanti documenti di, e su, Freud rendono possibile una visione molto piii nitida ed approfondita, non solo della nascita e dello sviluppo della psicoanalisi, ma anche dell'iter dell'educazione estetica dello stesso Freud e in genere della sua formazione culturale. Cosi oggi è consentito affermare che il pensiero estetico freudiano costituisce anche, e forse soprattutto, la· concettualiz­ zazione di una vastissima esperienza dei fenomeni estetici (fatta eccezione unica­ mente per la musica e includendo, sotto la voce di « fenomeni estetici >>, non solo le opere d'arte ma anche la bellezza paesaggistica e naturale), di una fruizione senza dubbio genuina e gratificante, lungamente coltivata da Freud e che vanta una propria storia mossa ed articolata, in buona parte documentabile fin dal suo sorgere e dispiegarsi aurorale, e nd suo progressivo arricchirsi e farsi sempre piii. evoluta e consapevole. Per converso l'esistenza di una problematica estetica sia pure in nuce, ossia la presenza costante di certi interessi, l'impegno ricorrente volto alla soluzione di certi temi e problemi, e un particolare taglio teorico messo in atto è avvertibile, in Freud, a date molto precoci; e comunque molto prima della nascita ufficiale della sua estetica, situabile come abbiamo visto intorno al 1906-07. Limiti di spazio non ci consentono di accostare tali tematiche, neanche a volo d'uccello. Ci limiteremo pertanto a qualche velocissima osservazione, a mo' di campionatura, riguardante i passi antologizzati. Ad esempio il problema della genialità artistica, problema vi­ vacemente dibattuto nella seconda metà dell'800 come fatto eccezionale che tra­ valica la normalità psicologica per apparentarsi a quella patologica, e che appas­ sionò tutta una schiera di studiosi, da Hausegger a Dessoir a Dilthey a Mobius a Lombroso, interessò moltissimo lo stesso Freud, che per altro alla questione .era particolarmente stimolato proprio dalle sue competenze specialistiche. Orbene chi ha presente la limpida trattazione freudiana sulla patografia dell'artista, poniamo in Leonardo, non può non ritrovarne con meraviglia, quanto meno il germe, in os­ servazioni risalenti a molti lustri prima, di cui solo un'esemplificazione partico­ larmente felice è il calibrato passaggio intitolato Poesia e '' fine Jrenzy "· Parimenti può impressionare scoprire che l'analisi dei meccanismi psicologiCi attivati nella fruizione artistica, o in altre parole la spiegazione dell'effetto che l'opera d'arte produce sullo spettatore, trattazione sviluppata in modo organico ne Il poeta e la fantasia, era già stata adombrata da Freud due anni prima, in ·un manoscritto, pubblicato solo nel 1942 e in inglese: Personaggi psicopatici sulla scena. Non solo, ma essa aveva anche sostanziato le famose pagine su Edipo e Amleto contenute

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ROSARIO ASSUNTO - VITTORIO STELLA

nell'Interpretazione dei sogni; e, perfettamente focalizzata, aveva infine fatto la sua

prima comparsa nella corrispondenza con Fliess, il 15 ottobre 1897_ Il fatto è che a questo momento del carteggio con Fliess, sullo scorcio del secolo, Freud stava per portare quasi completamente a maturazione la sua dispo­ nibilità verso l'esperienza estetica e le sottese problematiche teoriche_ Grazie a due fattori determinanti_ Anzitutto il rapporto stesso con l'amico Fliess, e i suggerimenti e gli stimoli da questo avuti, che fecero evolvere del tutto il suo gusto, rendendolo capace di guardare all'arte non solo per i suoi motivi di contenuto ma anche nella sua strutturazione formale (lettera a Fliess del 18 agosto 1897) _ In secondo luogo per il contatto sempre pio intimo ed appassionato che Freud cominciò ad intrat­ tenere con l'arte italiana, soprattutto ma non esclusivamente con la grande pittura rinascimentale, nel corso dei viaggi che compi sistematicamente, a partire dal set­ tembre 1896, nel nostro Paese, spingendosi nel suo vagare fino in Sicilia (1910)_ Per avere un'esatta misura di questa maturazione progressiva, per toccare anzi quasi con mano il distacco che intercorre fra il modo di accostarsi all'opera d'arte del giovane Freud e quello successivo dell'età matura, basterà mettere a confronto, la pur vivace descrizione de La Pinacoteca di Dresda (1882) con la cautela e il procedere problematico di Freud nel saggio su Il Mosè di Michelangelo (1913)_ In verità gli scritti successivi alla fatidica data 1906-07 ripigliano certo spunti e questioni anteriori, ma battono un'altra direzione di marcia, o meglio: una diversa consapevolezza li sorregge e li informa_ Nel senso cioè che .essi conseguono alla psicoanalisi, di cui sono una stringente applicazione; ma non nascono da e con essa, come era stato per le osservazioni germinali, ma pur capitali, contenute nel car­ teggio con Fliess. Sono per altro i saggi pio noti, e anche i pio problematici di tutto il pensiero estetico di Freud. Appaiono consegnati alla meditazione postfreudiana, a dibattiti ancora aperti. E sono pagine esemplari, di grande taglio e respiro. Freud, col consueto rigore analitico e l'abituale umiltà del pensatore, colloquia con Leo­ nardo e con Shakespeare, con Michelangelo e con l'amatissimo Goethe. Sappiamo che, per qualche tratto, con ognuno di essi Freud si identificò. Ed è veramente un colloquio da pari a pari_ ·

Bibliografw essenziale. I testi di Freud specificatamente interessanti l'e­ stetica sono stati raccolti in: Saggi sull'arte, la letteratura e il linguaggio, Torino, 1969, voli. 2. Ma spunti, questioni, osservazioni originali non mancano in pio luoghi del corpus freudiano. Fra gli scritti maggiori ricordiamo anzitutto: Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio; e inoltre almeno: Interpretazione dei -

sogni, Psicopatologia della vita quotidiana, Totem e tabu, Introduzione alla psi­ coànalisi. In attesa che venga completata la pubblicazione organica di tutte le Opere di Freud in italiano, attualmente (novembre 1976) giunta al volume 86

(1915-1917), la maggior parte di esse è già reperibile in italiano, quasi tutte nelle edizioni Boringhieri. Dati di primaria importanza, �i fini del nostro argomento, sono anche nei Dibattiti ed epistolari di Sigmund Freud, che lo stesso Boringhieri sta pubblicando sistematicamente in relazione alle Opere, specialmente in: Lettere

1873-1 939: lettere alla fidanzata e ad altri corrispondenti, Le origini della psi­ coanalisi: lettere a Wilhelm Fliess, Dibattiti della Società psicoanalitica di Vienna, Lettere fra Freud e ]ung. Per ogni studio sistematico su Freud è fondamentale il classico E. J ONES, Vita � opere di F., Milano, 1962, voli. 3. Per un profilo di Freud aggiornato e ricco di elementi nuovi, e soprattutto per una sua calibrata collaborazione nella storia della psichiatria dinamica, essenziale è la monumentale opera di H. F. E LLENBERGER, La scoperta dell'inconscio. Storia della psichiatria dinamica, Torino, 1972, Tre ottimi

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strumenti di iniziazione alla psicoanalisi e di consultazione sono: C. MusATII, Trattato di psicoanalisi, Torino, 1968; e J. LAPLANCH-J. B. PoNTALIS, Enciclopedia della psicanalisi, Bari, 1968; H. NAGERA (a cura di), I concetti fondamentali della psicoanalisi, Torino, 1972-74, voll. 3. Da un punto di vista filosofico il libro d'insieme piu rilevante sul pensiero di Freud, e con stimolanti pagine anche sulla sua estetica, è quello di P. RICOEUR, Della interpretazione, Saggio su F., Milano, 1967. S. KoFMAN, L'enfance de l'art. Une interprétation de l'esthetique freudienne, Paris, 1970; J. S PECTOR, L'estetica di F., Milano, 1977. Studi complessivi sull'estetica di Freud: R. STERBA, The Problem of Art in F. 's Writings, > (4 ) , essendo l'incosciente collettivo, il deposito, vivo e pronto a reagire, di tutte le esperienze umane fino ai piu oscuri primordi (5 ) : i cui contenuti sono gli archetipi, che in un altro saggio, dal titolo Anima e terra, esso pure del 1927, Jung definiva cc come le fondamenta dell'anima cosciente nascoste in profondità » (6). Gli archetipi, aggiunge Jung, con bellissima espressione che aiuta a capire il senso della sua teoria dell'arte - e piii ancora degli sviluppi e delle applicazioni che di essa sono state date in sede di critica letteraria ed artistica dallo stesso Jung, il quale studiò dal proprio punto di vista, tra l'altro, Joyce e Picasso: e Poi da . studiosi e scrittori come la Bodkin, o, piii liberamente, lo storico letterario Fritz Strich, lo scrittore e saggista Hermann Broch - cc sono sistemi potenziali che sono insieme immagine ed emozione », costituendo, ripetiamo ancora la bella definizione di Jung, cc la parte ctonica dell'anima [. . . ] quella parte per cui essa è attaccata alla natura, o in cui almeno appare nel modo piii comprensibile il suo legame con la terra e col mondo .. . » C). Da qui la grande importanza che anche nella sua pratica di psichiatra, Jung attribuiva alla conoscenza della psicologia primitiva, alla mito­ logia, alla archeologia comparata, come egli stesso scrisse (1929) nel .saggio Scopi della psicoterapia ( 8 ) ; ed a chi gli obiettava che cosi facendo concedeva troppo alla fantasia, egli replicò, in quello stesso saggio, con alcune 4)SServazioni di importanza fondamentale per chi voglia capire la fondazione delle teorie estetiche j unghiane, nel loro rapporto con la psicologia e la psicoterapia da Jung teorizzate e praticate. Sono osservazioni che converrà leggere per esteso, perché costituiscono la mi­ gliore premessa alla lettura del saggio sulla Psicologia analitica nei suoi rapporti con l'arte poetica, nonché alla critica letterario-artistica di impostazione junghiana - meno rumorosa, forse, e meno orecchiabile o strumentalizzabile, di quella freudianeggiante; ma proprio per questo piii aderente all'autentico essere dell'arte. cc Io mi sforzo applinto di unirmi al paziente nelle sue fantasie - scrive infatti Jung - perché ho un'opinione molto alta della fantasia. Per me essa è, in ultima analisi, la forza materna creatrice dello spirito umano. In fondo noi non siamo mai del tutto al di fuori della fantasia. È vero che vi sono fantasie prive di ogni valore, inadeguate, morbose ed insoddisfacenti, la cui sterile natura viene immediatamente riconosciuta da chiunque sia provvisto di senso comune; ma ciò naturalmente nulla «

·

(2) (3) (4) (5) (•) (') (B)

lb., lb., lb., Ib., Ib., Ib., lb.,

p. p. p. p. p. p. p.

125. 130. 131. 137. 142. 140. 82.

L'estetica dalla .seconda metà dell'BOO al 1 944

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prova contro il valore dell'immaginazione creativa. Tutte le opere dell'uomo hanno la loro origine nella fantasia creativa .. . » (9 ) . E la conclusione di quel saggio, che è dello stesso anno della conferenza nella quale Jung espose le proprie teorie sull'arte, riferisce come i pazienti di Jung si orientassero > (1°): verso quella interpretazione, vale a dire, che taluni seguaci di Jung, o scrittori piu o meno partecipi delle sue teorie, a piu riprese hanno proposte per la letteratura e l'arte, applicando, forse, estensivamente le concezioni estetiche di Jung; il senso della estetica junghiana potendo in ogni caso riassumersi in una nuova acquisizione della nozione di simbolo: che se, da un lato, sembra possa portare ad una svalutazione dell'arte in quanto tale (giacché nell'arte vede una manifestazione che dà forma agli archetipi dell'inconspio collettivo cosi come l'uomo-artista-o-scrittore li vive nel profondo della propria anima) dall'altro pro­ muove l'arte e la letteratura e la poesia, proprio in quanto dicono altro, significano altro (ma non come meri segni, bensi essendo insieme se stesse e l'altro che dicono e significano) a rivelazione di verità profonde, non conoscibili razionalmente. Si può dire dunque che l'insegnamento j unghiano si riassuma, in estetica, in una concezione dell'arte come significante altro, ma di un significare che non ha fuori di sé il significato, bensi è ciò che significa (da qui la non-riducibilità, secondo Jung, della bellezza alla mera significatività), un significare che non indica e nemmeno nasconde, ma rivela.

Bibliogr,;fia essenziale, - Delle opere di Jung è in corso una traduzione ita­ liana integrale e rigorosa, a cura di L. Aurigemma (Torino, 1969, sgg.). In altre edizioni, sono reperibili (e tutte piu o meno importanti per l'estetica): Sulla psi­ cologia dell'inconscio, Roma, · 1947; L'Io e l'inconscio, Torino, 1948; Il problema dell'inconscio nella psicologia moderna, Torino; 1943, n. ed., 1959; La simbolica dello spirito, Torino, 1959; Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia (in collaborazione con K.Kerényi), Torino 1948; Risposta a Giobbe, Milano, 1965; Ricordi sogni e riflessioni, Milano, 1962; Realtà dell'anima, Torino, 1970. Della critica citiamo: M. BoDKIN, Archetypal Patterns in Poetry, Oxford, 1934; F. STRICH Das Symbol in der Dichtung, Berna, 1939 (ora in: Der Dichter und die Zeit, Berna, 1947, dove il saggio del 1939 reca una postilla, presumibilmente del 1946-47, nella quale lo Strich si ,dichiara d'accordo con la dottrina junghiana come dopo il 1939 si era venuta sviluppando negli studi il cui punto d'arrivo doveva essere, nel 1948, Symbolik des Geistes): H. B ROC H, Dichten und Erkennen, Zurigo (tr. it.: Poesia e conoscenza, Milano, 1966, fondamentale il saggio su Joyce e quello sulla Eredità mitica nella poesia) . Si vedano inoltre tutti gli scritti di K. KERÉNYI, soprattutto i due volumi, non ancora tradotti in italiano, che si intitolan(), rispet­ tivamente, Geistiger Weg Europas, e Unwillkiirliche Kunstreisen.

LA PSICOLOGIA ANALITICA NEI SUOI RAPPORTI CON L'ARTE POETICA C 1 )

Nonostante l a difficoltà dell'argomento, sono assai lieto dell'oc­ casione che mi si presenta, di poter parlare dei rapporti tra la psi(9) Ib., p. 83. (10) /b., P· 91. ( 1 1 ) Conferenza tenuta nel 1922.

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cologia analitica e l'arte poetica, e di chiarire il mio punto di vista sulla questione tanto dibattuta delle relazioni tra psicologia ed arte. Tra di esse, malgrado la loro incommensurabilità, esistono Indub­ biamente dei rapporti molto stretti, che è necessario spiegare chia­ ramente. Questi rapporti poggiano sul fatto che l'esercizio dell'arte è un'attività psicologica, o un'attività umana dovuta a motivi psicolo­ gici, e come tale è e dev'essere sottoposta all'analisi psicologica. Questa constatazione determina nettamente, al tempo stesso, i limiti entro ai quali è possibile applicare i punti di vista di questa scienza:

soltanto quella parte dell'arte che comprende i processi di formazione artistica può essere oggetto di studi di tale genere, ma non quella che rappresenta l'essenza medesima dell'arte. Questa seconda parte, che cerca di sapere in che cosa consiste l'arte in se stessa, non può di­ venire oggetto di indagine psicologica, ma soltanto di un esame estetico-artistico. Nel campo della religione siamo costretti a fare una

distinzione analoga; giacché la psicologia può considerare solo il fe­ nomeno emozionale e simbolico di una religione, il che non ha niente a che fare con l'essenza della religione stessa, essenza che è impossi­ bile cogliere per via psicologica. Se ciò fosse possibile, non solo la religione, ma anche l'arte potrebbe essere considerata come una se· zione della psicologia. N on si esclude, con questo, che tali soprusi non abbiano avuto luogo. Ma colui che li compie dimentica "eviden­ temente che si potrebbe fare altrettanto per la psicologia ed annien­ tare il suo valore specifico e la sua propria essenza, trattandola come una semplice attività cerebrale a fianco delle altre attività ghiandolari, in un capitolo secondario della fisiologia. Si sa peraltro che ciò è già stato fatto. L'arte nella sua essenza non è una scienza, e la scienza nella sua essenza non è un'arte; perciò questi due domini spirituali hanno un loro · proprio territorio riservato. Se noi quindi vogliamo parlare dei rapporti tra psicglogia ed arte, dobbiamo occuparci solamente di quella. parte dell'arte che può, senza soprusi, essere sottoposta ad un simile esame. Ciò che la psicologia potrà dire dell'arte si limiterà sempre ai processi psicologici dell'attività artistica, senza raggiungere mai la sua essenza piii intima. Ciò è cosa tanto impossibile, quanto è impossibile per l'intelletto rappresentarsi o persino comprendere l'essenza del sentimento. Questi due fenomeni psicologici non esiste­ rebbero separati, se da lungo tempo la loro differenza intima non si fosse imposta all'intuizione. È vero che nel bambino la « lotta delle facoltà )) non è ancora scoppiata, e che le possibilità artistiche, scientifiche, religiose, sonnecchiano ancora tranquillamente le une presso le altre; che presso i primitivi i rudimenti dell'arte, della scienza e della religione sono confusi ancora nel caos della mentalità

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magica, e, infine, che nell'animale non si osserva ancora nessuna traccia di « spirito )) ma semplicemente « l'istinto naturale )); ma ' tutto ciò non dimostra un'unità originaria dell'essenza dell'arte e della scienza, unità che sola giustificherebbe una dipendenza reciproca tra di esse, o una riduzione di una all'altra. Pur potendo risalire nell'e­ voluzione spirituale fin dove spariscono le sostanziali differenze tra i vari campi dello spirito, non di meno non possiamo raggiungere la conoscenza di un piii. profondo principio della loro unità, ma sem­ plicemente quella di uno stato piii. primitivo della loro evoluzione storica, stato di non differenziazione in cui essi non esistevano. Ora questo stato piii. elementare non costituisce un principio dal quale possiamo trarre conclusioni sulle caratteristiche di periodi ulteriori piii. sviluppati, anche se questi derivano da esso direttamente, come in genere accade. L'atteggiamento scientifico tenderà sempre a non ri­ conoscere l'essenza di una differenziazione e a vedere soprattutto la derivazione causale, sforzandosi di subordinarla ad un concetto piii. generale, forse, ma anche piii. elementare. Tali riflessioni sembrano qui del tutto appropriate, giacché ulti­ . mamente abbiamo spesso visto interpretare la poesia con questo si­ stema di riduzione a stati piii. elementari. Indubbiamente si possono far risalire le condizioni della creazione artistica, il soggetto e la maniera individuale di trattarlo, ai rapporti personali del poeta con i suoi genitori; ma con ciò nulla s'è guadagnato circa la comprensione della sua arte C2 ) . La stessa riduzione si può praticare, invero, in moltissimi casi, e in special modo nei disturbi psichici. Anche la nevrosi e la psicosi si possono ridurre ai rapporti dei figli coi genitori; lo stesso dicasi delle buone e delle cattive abitudini, delle convin­ zioni, delle particolarità del carattere, delle passioni e degli interessi particolari. Ma non si può ammettere che tutte queste cose, tanto diverse, abbiano un'unica spiegazione; altrimenti bisognerebbe con­ cludere che, in definitiva, esse non sono che un'unica cosa. Poiché, se si spiega un'opera d'arte nello stesso modo con cui si spiega una ne­ vrosi, si può concludere che l'opera d'arte è una nevrosi, e la nevrosi un'opera d'arte. Si potrebbe considerare un simile gioco di parole come un modo di dire, ma il buonsenso si rifiuta di mettere su di uno stesso piano l'opera d'arte e la nevrosi. Un medico analista, tutt'al piii.� guardando attraverso le lenti dei suoi pregiudizi professionali, potrebbe giungere a fare della nevrosi un'opera d'arte; ma il profano intelligente si guarderà bene dal confondere un fenomeno morboso con l'arte, per quanto non possa negare che spesso l'opera d'arte sia ( ") Allusione polemica a Freud ed ai freudiani. Tutta la teoria junghiana dell'arte è del resto fondata su una critica serrata della riduzione freudiana che tratta, positivisticamente, l'arte come sin· tomo di nevrosi.

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condizionata da fenomeni psicologici analoghi a quelli che condi­ zionano la nevrosi. Ma è naturale che ciò avvenga, poiché certi par­ ticolari stati psicologici si riscontrano dappertutto e, data la, relativa rassomiglianza delle condizioni della vita umana, sono sempre gli stessi che si presentano, si tratti di un sapiente nervoso, di un poeta o di un uomo normale. Tutti hanno avuto dei genitori, tutti hanno avuto ciò che si chiama un complesso paterno o materno, tutti hanno una sessualità e con questa alcune tipiche difficoltà comuni a tutti gli esseri umani. Che su quel poeta abbiano influito specialmente le sue relazioni col padre, e su quell'altro il suo attaccamento alla madre, e che un terzo manifesti tracce incontestabili di inibizione sessuale, sono osservazioni che si possono fare ugualmente nei riguardi di qualsiasi nevrosi e persino di ogni individuo normale. Con ciò non si è appreso nulla di specifico che ci aiuti a giudicare un'opera d'arte. Nel migliore dei casi, si riesce in tal moc;l.o ad estendere e ad appro­ fondire la conoscenza dei precedenti storici dell'opera d'arte. Sta di fatto che l'indirizzo psicologico inaugurato da Freud ha dato nuovi slanci agli storici della letteratura, incitandoli a mettere in rapporto alcune particolarità dell'opera d'arte individuale con le esperienze intime � personali del poeta. N on pretendo affermare con ciò che lo studio scientifico dell'opera poetica non avesse già scoperto da lungo tempo che spesso, intenzionalmente o no, la vita intima personale del poeta è legata a tutta la sua opera. Ma i metodi di Freud permettono di vedere in modo piii. profondo e completo le influenze che eserci­ tano sulla creazione artistica gli avvenimenti che risalgono sino alla prima infanzia. Impiegati con tatto e con misura, essi offrono sovente un quadro d'insieme piacevole circa la maniera in cui la creazione artistica è da una parte intessuta nella vita dell'artista, e d'altra parte si libera da tale groviglio. In questo senso la cosi detta psicoanalisi dell'opera d'arte non si distingue, · in sostanza, in nessun modo da un'analisi psicologica letteraria, profonda ed abilmente tratteggiata. Al massimo v'è una differenza di grado, sorprendente talvolta per le indiscrete conclusioni e constatazioni, che una maggiore delicatezza di sentimento tralascerebbe. Tale assenza di ritegno di fronte al­ l'« uman� - troppo umano », è proprio la particolarità professionale di una psicologia medica che, come giustamente Mefistofele ha già osservato, « si permette volentieri ogni genere di cose, per le quali un altro si affanna durante molti anni ,, C3 ) , ma disgraziatamente non sempre ciò è a suo vantaggio. La possibilità di conclusioni audaci ("') Citazione a memoria dal Faust di Goethe, parte prima, vv. 2030-2031: « Zum Willkomm tappt ihr dann nach allen Siebensachen, l Um die ein andrer viele Jahre streicht ». Sono parole di Mefistofele, travestito da dottor Faust, che allo studente venuto in cerca di consigli enumera i vantaggi della pro­ fessione medica, anche nei rapporti con le pazienti.

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conduce facilmente a violenze. Un sospetto di chronique scandaleuse costituisce sovente il sale di una biografia, ma se si supera, anche di poco, il giusto limite, ciò si trasforma in un'indagine poco pulita, in un fallimento del buon gusto, dissimulato sotto il mantello . della scienza. Insensibilmente l'interesse si distoglie dall'opera d'arte, per perdersi nel caos indistricabile degli antecedenti psicologici, ed il poeta diviene un caso clinico, un esempio che si inquadra in un de­ terminato capitolo della Psychopathia sexualis. In tal guisa la psi­ coanalisi dell'opera d'arte si è allontanata dal suo soggetto, spostando la discussione su di un campo del tutto umano, che non è affatto specifico per l'artista ed evidentemente è privo d'ogni importanza per la sua arte. Questo tipo di analisi pone l'opera d'arte nella sfera della psicologia umana generale. Le spiegazioni dell'opera d'arte, che da questo tipo di analisi si traggono, sono assai dozzinali; come per esempio l'affermazione che « ogni artista è un narcisista )) . Chiunque segua, per quanto gli sia possibile, la propria linea di vita, è un « narcisista )) se è lecito impiegare in modo tanto esteso un concetto ' cosi particolare della patologi1;1 della nevrosi; perciò, appunto, una simile frase non significa nulla; essa stupisce semplicemente come un motto arguto, o qualcosa del genere. Questo tipo di analisi non preoccupandosi minimamente dell'opera d'arte di per se stessa, ma cercando di penetrare subito, a guisa di una tampa, sino alle cause retrostanti e profonde, finisce col condurre sempre allo stesso terreno comune a tutta l'umanità; perciò le sue spiegazioni sono di una sor­ prendente monotonia. Si ha l'impressione di assistere ad una con­ sultazione medica. Il metodo riduttivo di Freud non è che un procedimento curativo medico, che ha per oggetto un quadro morboso. Tale quadro mor­ boso prende il posto di un'attività normale, e occorre quindi di­ struggerlo per lasciare la via libera ad un sano adattamento. In un simile caso la riduzione a una base generalmente umana si trova perfettamente al suo posto. Ma se applicata all'opera· d'arte, essa conduce al risultato che noi abbiamo segnalato: essa strappa dal mantello scintillante dell'òpera d'arte la nudità quotidiana dell' homo sapiens elementare, alla cui specie appartiene anche il poeta. L'oro scintillante della creazione suprema, di cui si voleva parlare, si spe­ gne, poiché è stato esposto al metodo dissolvente che si applica alla fantasia malata dell'isterico. Un tale procedimento è di certo assai interessante e forse ha altrettanto valore scientifico quanto l'autopsia del cervello di Nietzsche, che ci ha solo permesso di conoscere la forma atipica di paralisi progressiva di cui egli è morto. Ma tutto ciò ha rapporto col suo Zarathustra? Quali ne possano essere state le cause lontane e profonde, non si tratta di un mondo che è tutto al di

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là dell'insufficienza « umana, troppo umana », di un mondo al di là delle emicranie e delle atrofie delle cellule cerebrali? In che consiste il metodo riduttivo di Freud? Esso consiste in una tecnica medico-psicologica per l'esame psichico del malato; si occupa esclusivamente dei procedimenti e dei mezzi che permettono di rag­ girare il primo piano cosciente, o di penetrarlo per giungere ai re­ tropiani psichici chiamati incosciente. Questa tecnica poggia sull'i­ potesi che il nevrotico reprima alcuni elementi psichici, a causa della loro incompatibilità colla coscienza. Questa incompatibilità avrebbe un carattere morale; gli elementi psichici repressi avrebbero invece un carattere negativo, infantile, sessuale, osceno, criminale, che li rende inaccettabili alla coscienza. Dato che non esistono uomini perfetti, ciascuno possiede dei retro­ piani di tal genere, sia che lo confessi o no. È perciò possibile sco­ prirli dappertutto, alla condizione però che si applichi la tecnica di interpretazione ideata da Freud. Non esporremo i particolari di questa tecnica. Alcuni accenni saranno sufficienti. I retropiani dell'incosciente non restano inattivi, essi si tradiscono sempre per l'influenza caratteristica che esercitano sul contenuto della coscienza. Essi producono, per esempio, delle fantasie di natura particolare, che talvolta si spiegano facilmente in base a certe rappresentazioni sessuali dei retropiani. Oppure provo­ cano alcuni turbamenti dei processi coscienti, che si possono egual­ mente ridurre a fatti di repressione psichica. Fonté veramente im­ portante per la conoscenza del contenuto incosciente sono i sogni, prodotti diretti dell'attività dell'incosciente. L'essenziale, nel metodo riduttivo di Freud, è che esso raccoglie gli indizi delle cause subco­ scienti e precoscienti e ricostruisce i processi elementari incoscienti per mezzo dell'analisi e dell'interpretazione. Gli elementi coscienti che lasciano intravedere i retropiani incoscienti sono chiamati da Freud simboli, ma impropriamente, perché nella sua dottrina essi hanno solamente l'ufficio di indizi o di sintomi di processi del sub­ cosciente, e niente affatto l'ufficio di simboli propriamente detti. Infatti per simbolo bisogna intendere un mezzo atto ad esprimere un'intuizione, per la quale non si possano trovare altre o migliori espressioni. Quando Platone con la parabola della caverna esprime il problema della teoria della conoscenza, o quando Gesii. Cristo esprime con parabole la sua idea del Regno di Dio, noi abbiamo dei veri e propri simboli, cioè dei tentativi di esprimere ciò per cui non esiste nessun concetto verbale. Se noi interpretiamo secondo Freud la pa­ rabola di Platone, arriveremmo naturalmente all'utero, dimostrando che persino lo spirito di Platone era ancora profondamente immerso nella primitività della sèssualità infantile. Ma con ciò avremmo tra-

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scurato completamente quanto Platone ha creato dalle premesse primitive della sua intuizione filosofica, lasciando cosi da parte, senza osservarlo, ciò che di essenziale v'è in lui, per scoprire semplicemente che egli aveva delle fantasie infantili, come tutti i semplici mortali. Una simile constatazione avrebbe valore soltanto per chi, avendo vi­ sto in Platone un essere superumano, avesse poi la soddisfazione di scoprire che anche Platone, dopo tutto, era un uomo anche lui. Ma chi mai potrebbe considerare Platone come un Dio? Soltanto chi è dominato da fantasie infantili e per conseguenza ha una mentalità da nevrotico. Per una persona del genere, la riduzione a comuni verità umane è utile per ragioni mediche. Ma tutto ciò non ha minimamente a che vedere col significato della parabola platonica. Mi sono soffermato a bella posta lungamente sui rapporti della psicoanalisi con l'opera d'arte, poiché questo tipo di psicoanalisi è al tempo stesso la dottrina di Freud. Col suo rigido dogmatismo, Freud ha fatto si che queste due cose, cosi diverse in sostanza, fossero daJ pubblico considerate come identiche. In molti casi medici si può adottare con vantaggio questa tecnica, senza però, al tempo stesso, elevarla a dottrina. Anzi, contro questa dottrina bisogna sollevare energiche obbiezioni. Essa poggia su supposizioni arbitrarie; per esempio, non è vero che le nevrosi e le psicosi si basino esclusiva­ mente su repressioni sessuali. N o n è vero che i sogni contengano soltanto desideri inadeguati e quindi repressi, che si presentano velati da un'ipotetica censura onirica. La tecnica freudiana d'interpretazio­ ne dei sogni, finché è sottoposta all'influenza delle sue ipotesi uni­ laterali e quindi inesatte, è di un'evidente arbitrarietà. Per dare all'opera d'arte ciò che le è dovuto, è necessario che la psicologia analitica escluda completamente ogni pregiudizio di ca­ rattere medic.o, poiché l'opera d'arte non è una malattia e quindi richiede un orientamento del tutto diverso da quello medico. Se il medico deve ricercare le cause di una malattia per · eliminarla il piu completamente possibile, invece deve prendere, dinanzi all'opera d'arte, un atteggiamento del tutto opposto. Egli non cercherà mini­ mamente di sapere quali sono le condizioni umane che l'hanno im­ mediatamente preceduta, perché ciò è superfluo, ma cercherà invece il senso dell'opera stessa, e tutt'al piu s'informerà delle condizioni umane precedenti solo nella misura in cui esse possono essergli utili per comprendere il significato dell'opera stessa. La causalità ha con l'opera d'arte la medesima relazione che ha il terreno con la pianta che gli cresce sopra. È ovvio che potremo comprendere determinate particolarità della pianta solo conoscendo le caratteristiche del suolo su cui essa cresce. Senza dubbio questo è un fattore importante per uno studioso di botanica. Ma nessuno vorrà sostenere che in tal modo

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si giungerà a conoscere quanto di essenziale v'è nella pianta. L'o­ rientamento esclusivo verso i fattori personali, che è richiesto dalla ricerca della causalità personale, non è assolutamente ammissibile per l'opera d'arte, poiché qui non si tratta di un essere umano, ma di una produzione che va oltre l'individuo . Si tratta di una cosa che non ha personalità e per la quale quanto è personale non può essere un criterio di giudizio. La vera opera d'arte trae il suo significato parti­ colare dal fatto che è riuscita a liberarsi dalla stretta e dall'ostacolo di quanto è personale, lasciando lungi da sé ogni elemento caduco e contingente della pura personalità. Debbo confessare, per esperienza personale, che per il medico _non è cosa facile il deporre, in presenza di U:n'opera d'arte, il proprio sguardo professionale, escludendo cosi dal suo pensiero la causalità biologica corrente. Ma ho finito col comprendere 'che una psicologia, il cui orientamento sia esclusiva­ mente biologico, potrà essere applicata forse con ragione all'uomo, ma mai all'opera d'arte; perciò non la si può applicare all'uomo quale creatore. Una psicologia puramente causale non può far altro che ridurre ciascun essere umano a membro della specie homo sapiens, poiché per essa non vi sono che derivazioni e riduzioni. Ma l'opera d'arte non è soltanto questo, essa è anche una nuova creazione sorta da quelle condizioni dalle quali la psicologia causalista voleva, a buon diritto, farla derivare. La pianta . non è semplicemente un prodotto della terra, essa è anche un processo che sta a sé, vivente e creatore, la cui essenza nulla ha che vedere �ol carattere del terreno. Cosi pure bisogna considerare l'opera d'arte come una creazione che utilizza liberamente ogni condizione precedente. Il suo senso e · il suo carat­ tere sono in essa e non nelle condizioni umane che l'hanno preceduta; quasi si potrebbe dire che essa utilizza l'uomo e le sue disposizioni personali semplicemente come terreno nutritivo, impiegandone le energie secondo leggi proprie, e modellando se stessa secondo ciò che vuole divenire. Ma io sto anticipando quanto vorrei dire, perché parlo di un genere particolare d'opera d'arte· che non ho ancora specificato. Non tutte le opere d'arte infatti si presentano sotto questo aspetto. Vi sono opere, in poesia e in prosa, nate dall'intenzione e dalla decisione cosciente dell'autore di provocare tale o tal altro effetto. In tal caso l'autore sottopone il suo soggetto ad un trattamento di cui l'orienta­ mento è stato intenzionalmente determinato, vi aggiunge o vi toglie qualcosa, sottolinea un effetto, ne attenua ùn altro, qui mette un colore là un altro, pesando con la massima cura i possibili effetti, osservando continuamente le leggi e la bella forma dello stile. L'au­ tore utilizza in tale lavoro il suo giudizio piu acuto, e sceglie le sue es'jnessioni in piena libertà. La materia che egli tratta è sottoposta alla

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sua intenzione artistica; egli vuole rappresentare ciò e non altro. In una simile attività, il poeta è un tutto unico con il processo creatore: o egli si è volontariamente messo a capo del movimento creatore, o questo si è cosi completamente impossessato di lui, come istrumento, da impedirgli di rendersene conto. Egli stesso è il processo creatore, in cui si è interamente immerso, e non se ne differenzia malgrado tutte le sue intenzioni ed il suo talento. N on è necessario, credo, portare esempi presi dalla storia della letteratura o dalle confessioni dei poeti stessi. Senza dubbio non dirò nulla di nuovo anche parlando dell'altro tipo d'opera d'arte, che appare piu o meno come un tutto unico sgorgato dalla pena dell'autore, e che viene alla luce del giorno tutto completo come Minerva sorti tutt'armata dal capo di Zeus. Queste opere s'impongono all'autore, c'è qualcosa che in certo qual modo si è impossessato della sua mano, la sua penna scrive cose che stupi­ scono l'animo suo. L'opera porta con sé la propria forma; ciò che l'autore vorrebbe aggiungervi viene respinto; ciò 'che egli vorrebbe respingere, gli viene imposto. Mentre la sua coscienza trovasi come annientata e vuota di fronte al fenomeno, egli viene sommerso da un fiume di idee e di immagini che non sono, in alcun modo, il prodotto della sua intenzione, e che la sua volontà mai avrebbe voluto creare. Tuttavia egli deve riconoscere a malincuore che in tutto ciò è il suo Io che si esprime, è la sua natura pio profonda che . si rivela, pro­ clamando ad alta voce quanto egli non avrebbe mai osato confidare alla sua lingua. N on gli Pesta che obbedire e seguire questo impulso apparentemente estraneo, rendendosi conto che la sua opera è piu grande di lui, e perciò ha su di lui un potere al quale egli non può sottrarsi. Egli non si identifica col processo creativo, è conscio di trovarsi al di sotto dell'opera sua o, almeno, a lato di essa, come una seconda persona che è entrata a .far parte della sfera di una volontà estranea alla sua. Quando noi parliamo della psicologia dell'opera d'arte, è neces­ sario innanzi tutto avere sott'occhio le due maniere del tutto diverse in cui essa si manifesta, giacché molti fattori importanti per il giu­ dizio psicologico dipendono da questa distinzione. Schiller aveva già avvertito tale contrasto; è noto che egli cercò di esprimerlo con i concetti della sentimentalità e dell'ingenuità. La scelta di queste sue espressioni proviene, senza dubbio, dal fatto che egli aveva soprat­ tutto sott'occhio l'attività poetica. Dal punto di vista psicologico, noi diciamo che gli artisti della prima categoria sono introvertiti e che quelli della seconda categoria sono extravertiti. L'atteggiamento in­ trovertito è caratterizzato dall'affermazione del soggetto e delle sue intenzioni e scopi coscienti di fronte alle esigenze dell'oggetto: al

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contrario, l'atteggiamento extravertito è caratterizzato dalla sotto­ missione del soggetto alle esigenze dell'oggetto. I drammi di Schiller dànno, a parer mio, un'idea chiara dell'atteggiamento dell'introvertito verso l'oggetto; e altrettanto la maggior parte dei suoi poemi. L'ar­ gomento è dominato dall'intenzione del poeta. Un buon esempio dell'atteggiamento opposto ci vien dato dalla seconda parte del Faust. Qui l'argomento oppone una tenace resistenza. Un esempio ancora piu notevole ci è dato dallo Zarathustra di Nietzsche. L'autore stesso ha affermato che « la sua personalità s'era sdoppiata ». Nel corso stesso della mia esposizione avete compreso quale spostamento del punto di vista psicologico vi sia stato, quando abbiamo considerato non piii. il poeta come persona, ma il processo creativo. Il centro dell'interesse s'è spostato verso quèst'ultimo, m_entre il primo, in certo modo, non appare piii. che come un oggetto che reagisce. Dove la coscienza dell'autore non si identifica piii. col processo creatore, la cosa si comprende facilmente, ma nel primo caso discusso sembre­ rebbe, a prima vista, trattarsi completamente del contrario; l'autore appare come un creatore del tutto indipendente, libero da ogni co­ strizione. Forse egli stesso è del tutto convinto della sua libertà e non vorrà mai ammettere che la sua creazione non sia frutto della sua volontà, e che non provenga esclusivamente da questa e dal suo ta­ lento. Qui ci imbattiamo in una questione alla quale non possiamo rispondere colle confessioni dei poeti circa il loro modo di creare, e non lo possiamo fare poiché si tratta di un problema di natura scientifica, che solo la psicologia può risolvere. Potrebbe in effetti accadere, e vi ho già velatamente accennato, che anche il poeta il quale sembra crei coscientemente e liberamente, e che vuoi creare ciò che crea, sia invece, nonostante la sua consapevolezza, talmente preso dall'impulso creativo, da non pote'rsi ricordare di aver voluto qual­ cosa di diverso da quanto ha prodotto; cosi come il poeta apparte­ nente all'altro tipo non può piii. riconoscere immediatamente la pro­ pria volontà nell'ispirazione che in apparenza gli è estranea, per quanto il suo io gli parli chiaramente. In tal modo la convinzione della totale libertà della sua creazione non sarebbe che un'illusione della sua coscienza: egli crede di nuotare, quando invece è una cor­ rente invisibile che lo porta avanti. Questo dubbio non è certo campato in aria, ma sorge dall'esperienza della psicologia analitica, le cui ricerche sull'incosciente hanno scoperto in quanti modi la co­ scienza può essere non solo influenzata, ma perfino guidata dall'in­ cosciente; il dubbio è quindi giustificato. Ma come po tremo provare la nostra ipotesi che un poeta, pur essendo cosciente, possa esser af­ ferrato dalla sua opera stessa? Le prove possono essere di natura di­ retta ed indiretta. Come prove dirette, noi avremmo quei casi in cui

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il poeta, piii o meno palesemente, dice nella sua opera piii di quanto crede. Questi casi non sono tanto rari. Come prove indirette, noi avremmo quei casi in cui l'apparente spontaneità della produzione nasconderebbe dietro di sé un « imperativo >> superiore, il quale fa­ rebbe sentire con autorità le sue esigenze, non appena vi fosse una rinunzia volontaria all'attività creatrice, oppure quei casi, nei quali si hanno immediatamente gravi manifestazioni psichiche, quando la produzione viene ad essere involontariamente interrotta. L'analisi psicologica degli artisti mette sempre in evidenza la po­ tenza dell'impulso creativo artistico proveniente dall'incosciente, e cì mostra quanto esso sia irregolare e dispotico. Quante biografie di grandi artisti, da tempo, ci hanno rivelato che il loro impulso creativo era cosi potente da accaparrarsi tutto ciò che di umano era in loro, per metterlo a servizio dell'opera d'arte, sia pure sacrificando la loro salute e la loro felicità umana! L'opera non creata è, nell'animo del­ l'artista, una forza naturale che si realizza o con sottile scaltrezza, senza tener alcun conto del benessere personale dell'uomo che porta in sé la forza creatrice. Tale forza creatrice vive e cresce nell'uomo, come un albero cresce nel suolo da cui assorbe il suo nutrimento. È quindi giusto considerare il processo della formazione creatrice come un essere vivente piantato nell'animo dell'uomo. La psicologia anali­ tica lo definisce come complesso autonomo, il qu.ale, come anima parziale dissociata, ha una vita psichica indipendente al di fuori della gerarchia della coscienza, ed appare, secondo .il suo valore energetico e la sua forza, come un turbamento del processo cosciente guidato dalla volontà, o come un'istanza di carattere superiore, che può sot­ toporre l'Io al suo servizio. Di conseguenza, quel poeta che si iden­ tifica con il processo creatore sarebbe come chi si sottomette imme­ diatamente alla minaccia dell'imperativo incosciente. Ma quell'altro poeta, al quale la forza creatrice si ·presenta come una potenza estranea, è uno, che per qualche ragione non poté sottomettersi, e perciò fu preso alla sprovvista dell'« imperativo >>. Ci si potrebbe aspettare che la diversa origine si facesse sentire anche nell'opera. Nel primo caso di tratta di una produzione intenzionale, accompagnata e diretta dalla coscienza, che per mezzo della riflessione giunga alla forma e all'effetto voluti; nell'altro caso si tratta, al contrario, di un fenomeno che sorge dalla natura incosciente, si realizza senza l'in­ tervento della coscienza umana, anzi, all'occasione, insorge persino contro di essa, per conquistarsi in modo dispotico la propria forma ed il proprio effetto. Ci attenderemmo dunque, nel primo caso, che l'opera d'arte non trasgredisca minimamente i limiti posti dalla comprensione cosciente, che l'effetto da essa prodotto non superi mai le intenzioni dell'autore, e che non dica nulla di piii di quanto questi

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abbia voluto esprimere. Nell'altro caso dovremmo aspettarci mvece qualcosa che superi l'individuo, trasgredendo tanto piii alle limita­ zioni della comprensione cosciente, quanto piii la- coscienza dell'au­ tore è estranea allo sviluppo della sua opera. Dovremmo attenderci immagini e forme strane, idee afferrabili solo intuitivamente, un linguaggio gravido di significati, le cui espressioni avrebbero valore di veri simboli, poiché . esse esprimono nel modo migliore cose ancora sconosciute, e sono come ponti gettati verso una riva invisibile. Questi criteri sono in sostanza esatti. Quando si tratta di un'opera veramente intenzionale, .su di un soggetto scelto coscientemente, le caratteristiche indicate nel primo caso sono giuste; altrettanto per il secondo caso. I drammi di Schiller, che già conosciamo, da mia parte; dall'altra la seconda parte del Faust, o meglio ancora Zarathustra, possono servirei quali esempi. Tuttavia, dovremmo guardarci dal collocare con troppa facilità nell'uno o nell'altro gruppo l'opera di un poeta sconosciuto, senza avere prima studiato a fondo i rapporti personali del poeta con la sua opera. N on basta neppure sapere che un poeta appartiene al tipo umano introvertito o al tipo extravertito, giacché ognuno può assumere ora l'atteggiamento extravertito, ora quello introvertito. Ciò si osserva in modo particolare nella differenza esistente tra le opere poetiche e le opere filosofiche di Schiller; in Goethe lo si osserva nella differenza che c'è tra i suoi poemi di forma perfetta, e il lungo travaglio che gli costò la seconda parte del Faust; in Nietzsche, nella differenza che esiste tra i suoi aforismi ed il coerente fluire di Zarathustra. Uno stesso poeta può avere un diverso atteggiamento a seconda delle sue diverse opere, ed è in base a questi diversi atteggiamenti che si dovrebbe dedurre, in ogni singolo caso, quale sia il criterio da adottare. Questo è un problema assai com­ plesso, e la complessità cresce se consideriamo piii da presso il ra­ gionamento fatto poc'anzi nei riguardi del poeta che si identifica con la forza creatrice. Se anche il metodo di produzione cosciente e in­ tenzionale non fosse che un'appare1;1za, un'illusione soggettiva del poeta, anche la sua opera avrebbe proprietà simboliche tali da giun­ gere sino all'indefinito e superare la coscienza della sua epoca. Esse sarebbero soltanto assai piii segrete, poiché anche il lettore non po­ trebbe andare oltre il limite fissato alla coscienza dell'autore dallo spirito del tempo in cui vive. Poiché, chiuso anch'egli nei limiti della coscienza contemporanea, il lettore non sarebbe in alcun modo ca­ pace di trovare, fuori del suo mondo, un punto d'appoggio per me�zo del quale poter scardinare la sua coscienza contemporanea; in altri termini, egli non potrebbe riconoscere il simbolo contenuto in un'o­ pera di tal genere. Il simbolo significherebbe: possibilità e indizio di

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un significato ancor piii ampio ed elevato, al di là delle attuali ca­ pacità di comprensione. Il problema è molto delicato. Mi limito a porlo per non creare un ostacolo, con la mia definizione di tipi, alla comprensione del senso possibile di un'opera d'arte, anche quando in apparenza non vuole essere e non vuoi dire nient'altro che quanto apertamente è e dice. Capita spesso che un p�eta venga improvvisamente riscoperto. Ciò avviene quando la nostra coscienza ha raggiunto un grado piii alto,' da cui ci pare di sentire che l'antico poeta dica qualcosa di nuovo. Questo qualcosa di nuovo era già nella sua opera, ma sotto forma di simbolo nascosto, che ci è permesso di comprendere grazie ad un rinnovamento dello spirito dell'epoca. Occorrevano, per questo, altri occhi, occhi nuovi, poiché quelli di prima non potevano distinguere che ciò che avevano l'abitudine di vedere. Tali esperienze debbono indurci alla prudenza, poiché esse confermano l'opinione ora esposta. L'opera deliberatamente simbolica non ha alcun bisogno di tali sot­ tigliezze; il suo linguaggio, che lascia supporre tutto un mondo di idee, ci dice: « Le mie parole dicono in realtà di piii di quanto sembri ». Noi possiamo allora toccar con mano il simbolo, anche se non riuscissimo a risolvere l'enigma in modo soddisfacente. Il sim­ bolo resta di continuo un soggetto di studio per la nostra riflessione e per il nostro sentimento. È senza dubbio per questo, che l'opera simbolica stimola maggiormente, poiché essa penetra piii profonda­ mente in noi, e ci procura raramente un piacere estetico che sia del tutto puro; mentre l'opera che manifestamente non ha nulla di sim­ bolico parla con maggior purezza al sentimento estetico, giacché essa ci -permette la visione armoniosa della perfezione. Ma - ci sarà chiesto - come può la psicologia analitica contri­ buire a risolvere il problema centrale della creazione artistica? Che ci può insegnare circa iJ mistero della creazione? Tutto quanto abbiamo trattato fin qui, insomma, non è che fenomenologia psicologica. Come « nessuno spirito creato può penetrare nell'intimo della natura », non aspettiamoci ch.e la psicologia realizzi l'impossibile e dia una spiega­ zione soddisfacente deL gran segreto della vita di cui abbiamo l'in­ tuizione immediata nella forza creatrice. La psicologia, come ogni altra scienza, non reca che Un modesto contributo ad una conoscenza migliore piii profonda dei fenomeni della vita, ma essa è lontana dall'assoluto, tanto quanto tutte le sue sorelle. Abbiamo parlato cosi spesso del senso e del significato dell'opera d'arte, che ci si difende con difficoltà da un primo dubbio; I'«_ arte )) significa realmente qualche cosa? Forse l'arte non « significa )) nulla; forse non ha alcun « senso )), almeno nell'accezione che noi diamo qui a questa parola. Forse essa è come la natura, che semplicemente

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« è » e non « significa >> nulla. Il « significato » è forse necessaria­ mente qualcosa di piu di una semplice interpretazione, segretamente riposta entro le cose da un intelletto desideroso di dar loro un senso? Si potrebbe dire che l'arte è bellezza e che nella bellezza essa si realizza e si soddisfa. Essa non ha bisogno di alcun senso. La que­ stione del senso non ha nulla a che fare con l'arte. Se io mi pongo dal punto di vista puramente artistico, debbo sottomettermi alla verità di questa affermazione. Ma quando si tratta del rapporto tra psicologia ed opera d'arte, noi ci troviamo fuori dell'arte, e non possiamo fare altro che teorizzare e interpretare affinché le cose abbiano un senso, altrimenti non potremmo fare alcuna considerazione sull'arte. Noi dobbiamo risolvere in immagini, in significati e in concetti la vita e i fenomeni che si realizzano di per se stessi, e cosi facendo ci allon­ taniamo sempre piu dal mistero della vita. Fintanto che noi siamo presi dalla forza creatrice, noi non vediamo e non conosciamo nulla, non ci è concesso neppure di conoscere, poiché nulla è piu pernicioso e pericoloso, in quel momento, della conoscenza. Per poter cono­ scere, bisogna uscire dal processo creatore e considerarlo dal di fuori; solo allora esso diviene un'immagine che esprime significati. A questo punto, non solo ci è permesso di parlare di « senso », ma anzi è un obbligo per noi il farlo. Ciò che prima era un puro fenomeno si trasforma ora in qualcosa che ha un significato, in qualcosa che è in relazione con altri fenomeni, che serve a particolari scopi e produce effetti sensati. Quando riusciamo a vedere tutto ciò, abbiamo la netta sensazione di essere riusciti a scoprire e a spiegare qualcosa. In �al modo ci rendiamo conto della necessità della scienza. Per ciò che riguarda quanto abbiamo detto prima, anziché fare il paragone dell'albero che cresce sul suolo dal quale prende il nutri­ mento, avremmo potuto fare quello piu comune del bambino nel grembo materno. Ma siccome tutti i paragoni sono inesatti, è prefe­ ribile impiegare la precisa terminologia scientifica, al posto della metafora. È opportuno ricordare che piu sopra abbiamo considerato l'opera d'arte in statu nascendi come un complesso autonomo. In genere si designano con questo termine tutte quelle strutture psichi­ che che dapprima si sviluppano in modo del tutto incosciente, e che solo dal momento in cui giungono alla soglia della coscienza irrom­ pano in essa. L'associazione che avviene poi tra loro e la coscienza non ha il valore di un'assimilazione ma di una percezione, il che significa che il complesso autonomo viene di certo percepito, ma che non può essere sottoposto né al controllo cosciente, né all'inibizione, né alla riproduzione volontaria. Il complesso esprime la sua autono­ mia apparendo e sparendo nel modo proprio alla sua tendenza intima; esso è indipendente dal potere arbitrario della coscienza. Anche il

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complesso creatore ha questo carattere, comune a tutti i complessi autonomi. È proprio qui che si delinea la possibilità d'una analogia coi processi morbosi, poiché la loro caratteristica consiste precisa­ mente nell'apparizione di complessi autonomi, almeno per la maggior parte dei perturbamenti psichici. Il divino furore dell'artista presenta con la malattia un rapporto veramente impressionante, ma senza es­ sere per nulla identico a questa. L'analogia consiste nella presenza di un complesso autonomo. Il fatto di questa presenza non significa che vi sia qualcosa di morboso, poiché anche individui normali sono momentaneamente o durevolmente sotto l'influenza di complessi au­ tonomi. Questo fatto è semplicemente una delle normali particolarità della psiche, e bisogna essere in possesso di una forte misura di in­ coscienza, per non rendersi conto dell'esistenza di tale complesso. Ogni atteggiamento, tipico, un po' differenziato, ha, per esempio, una certa quale tendenza a trasformarsi in complesso autonomo; ciò ac­ cade nella maggior parte dei casi. Ogni istinto ha anche, piu o meno, le medesime proprietà. Il complesso autonomo, quindi, non è un fenomeno di per se stesso morboso; solo se esso appare troppo fre­ quentemente crea la sofferenza e la malattia. Come si forma un complesso autonomo? Per una ragione qual­ siasi, di cui non si possono qui discutere i dettagli, entra in attività una regione della psiche fino allora incosciente; una volta animata, essa si sviluppa e cresce, attirando verso di sé le associazioni con lei affini. L'energia che a ciò occorre viene naturalmente sottratta alla coscienza, a meno che la coscienza stessa non preferisca identificarsi col complesso. In caso diverso, vediamo apparire ciò che Janet de­ finisce: « l'abbassamento del livello mentale ». L'intensità degli inte­ ressi e delle attività coscienti svanisce a poco a poco, producendo o un'inattività apatica, stato frequente negli artisti, oppure un'evolu­ zione regressiva delle funzioni coscienti, cioè un abbassarsi di queste funzioni verso i loro stadi infantili ed arcaici, una specie di degene­ razione. Le parties inférieures des fonctions si spingono avanti, l'i­ stinto si pone di fronte all'etica, l'ingenuità infantile di fronte alla riflessività dell'adulto, l'inadattabilità di fronte all'adattabilità. La vita di molti artisti ci ha fatto conoscere tutto ciò. È da questa energia sottratta alla guida della personalità cosciente che sorge il complesso autonomo. Quali sono le componenti del complesso creatore autonomo? Non è possibile assolutamente saperlo al principio, finché l'opera portata a termine non ci avrà aperto le vie che ci conducono alle sue fonda­ menta. L'opera ci offre una perfetta immagine, nel senso piO. vasto della parola. Questa immagine possiamo sottoporla all'analisi, purché si possa scorgere in essa il simbolo. Ma fin quando non siamo capaci

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di scoprirei alcun valore simbolico, noi constatiamo che, almeno per noi, l'opera non ha altro significato di quello che manifesta esplici­ tamente; in altre parole, constatiamo che essa per noi non è nulla di piii di ciò che sembra essere. Io dico « sembra )) poiché può darsi che sia la nostra prevenzione a non permetterei di intuire di piii. Co­ munque, noi non troviamo in quest'ultimo caso nessuna opportunità, nessun punto d'appoggio per fare un'analisi; Invece nel primo caso ci ricorderemo di una frase di Gerhart Hauptmann, come di un prin­ cipio fondamentale: « esser poeta significa far risuonare dietro le parole la parola primordiale )). Se traduciamo ciò in linguaggio psi­ cologico, dobbiamo formulare cosi la nostra prima questione: a quale immagine primordiale dell'incosciente collettivo si può far risalire l'immagine sviluppata nell'opera d'arte? Questa questione richiede una _ spiegazione da diversi punti di vista. Ho considerato qui, come ho già detto, il caso di un'opera d'arte simbolica, e per di piii, di un'opera d'arte le cui origini non sono da cercarsi nel subcosciente personale dell'autore, ma in quella sfera della mitologia incosciente, le cui immagini -primordiali sono proprietà eomune dell'umanità. Ho per questa ragione definito tale sfera· col termine di incosciente collettivo, allo scopo di distinguerla dal subcosciente personale, che considero come la totalità di quegli avvenimenti psichici che di per se stessi sarebbero suscettibili di es­ sere coscienti, e che talvolta lo sono stati, ma che a causa della loro incompatibilità - sono stati repressi, e te:ìmti artificialmente al di sotto della soglia della coscienza. Anche da questa sfera sgorgano energie artistiche, ma sono torbide, e ·quando prendono il sopr�ento l'opera d'arte che esse producono non è simbolica, ma sintomatica. Noi la­ sceremo, certo senza timore e senza rimpianto, questo genere d'arte al metodo « purgativo )) di Freud. Contrariamente _ al subcosciente personale, che occupa in certo modo un piano relativamente superficiale, appena al di sotto della soglia della coscienza, l'incosciente collettivo in condizioni normali non può assolutamente divenire cosciente, e quindi non v'è .nessuna tecnica analitica che possa farlo ricordare, dato che esso non è né represso né dimenticato . Di per se stesso l'incosciente collettivo non esiste neppure, in quanto esso non è altro che una possibilità, quella possibilità appunto che noi ereditiamo da epoche remote in forme determinate di immagini mnemoniche, o, per parlare daf punto di vista anatomico, quelle possibilità che ci è trasmessa nella struttura del nostro cervello. Non esistono rappresentazioni innate, ma possi­ bilità innate di rappresentazioni, che pongono limiti definiti anche alla fantasia piii audace, cioè esistono categorie dell'attività della fantasia, in certo qual modo idee a priori di cui l'esistenza non è ·

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dimostrabile senza l'esperienza. Esse appaiono solamente nella ma­ teria formata, quali principi regolatori della sua formazione; il che significa che noi non possiamo ricostruire il modello primitivo del­ l'immagine primordiale se non per mezzo di conclusioni tratte dal­ l'opera d'arte finita. L'immagine primordiale o archetipo è una fi­ gura, demone, uomo, o processo, che si ripete nel corso della storia, ogni qualvolta la fantasia creatrice si esercita liberamente. Essa è in prima linea una figura mitologica. Esaminandola da presso, notiamo che essa è in certo qual modo la risultante di innumerevoli esperienze tipiche di tutte le generazioni passate. Si potrebbero scorgere in essa i residui psichici di innumerevoli avvenimenti dello stesso tipo. Essa rappresenta una media di milioni di esperienze individuali e dà un'immagine della vita psichica, suddivisa e proiettata nelle forme multiple del pandemonium mitologico. Ma anche le figure mitologi­ che sono di per se stesse già dei prodotti elaborati della fantasia creatrice, esse attendono di essere tradotte in un linguaggio concet­ tuale, di cui per ora non abbiamo che dei penosi inizi. Quei concetti, che in maggior parte sono ancora da creare, potrebbero procurarci una conoscenza astratta e scientifica dei processi dell'incosciente, proces�i che costituiscono la radice delle immagini primordiali. In ciascuna di queste immagini è racchiuso un frammento di psicologia e di destino umano, un frammento dei dolori e delle gioie che si sono succedute infinite volte, secondo un ritmo su per giii sempre · uguale, nelle schiere dei nostri antenati. Sembra quasi che nell'anima si sia formato come il letto di un fiume, in cui la vita che prima tentennava nell'incertezza e si spandeva su superfici vaste, ma poco profonde, all'improvviso riesce a fluire con forza, se si è avverato quel parti­ colare concatenarsi di circostanze, che contribui sempre alla produ­ zione delle immagini primordiali. Il momento in cui appare la si­ tuazione mitologica è sempre contrassegnato da una particolare in­ tensità emotiva, come se in noi fossero toccate corde che ordinaria­ mente non risuonano mai, o come se si scatenassero potenze di cui non supponevamo l'esistenza. La lotta per l'adattamento è assai pe­ nosa, poiché abbiamo sempre a che fare con condizioni individuali, cioè con condizioni atipiche; Perciò non deve stupirei il fatto, che nel momento preciso in cui giungiamo ad una situa�ione tipica, proviamo un improvviso sentimento di liberazione, sentimento del tutto spe­ ciale, né deve stupirei di sentirei come trasportati o afferrati da una specie di potenza sovrumana. In tali · momenti non siamo piU. degli es­ seri particolari, noi siamo la specie, ed è la voce dell'umanità- che risuona in noi. È per questa ragione che l'individuo isolato non è adatto asso­ lutamente ad utilizzare la piena misura delle sue forze, a meno che una di quelle rappresentazioni collettive, che si chiamano ideali, non accorra

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i n suo soccorso, liberando in lui tutte le sue forze Istmtlve, a cui la volontà ordinaria cosciente non può da sola trovar accesso. Gli ideali piii efficaci sono sempre varianti, piii o meno trasparenti, di un archetipo; lo �i riconosce facilmente per il fatto che tali ideali sono spesso e volentieri rappresentati da allegorie, per esempio la patria è rappresentata come madre; e in questo caso l'allegoria non ha una propria forza di moti­ vazione, ma la trae dal valore simbolico dell'idea di patria. L'archetipo corrispondente è la cosiddetta participation mystique del primitivo col suolo che abita e che non contiene che gli spiriti dei suoi antenati. Lo �traniero rappresenta per lui la miseria. Ogni relazione con l'archetipo, vissuta o semplicemente espressa, è « commovente >> , cioè essa agisce poiché sprigiona in noi una voce piii potente della nostra. Colui che parla con immagini primordiali, è come se parlasse con mille voci; egli afferra e domina, e al tempo stesso eleva, ciò che ha designato dallo stato di precarietà e di ca­ ducità alla sfera delle cose eterne; egli innalza il destino personale a destino dell'umanità e al tempo stesso libera in noi tutte quelle forze soccorritrici, che hanno sempre reso possibile all'umanità di sfuggire ad ogni pericolo e di sopravvivere persino alle notte piii lunghe. Ques�o è il segreto dell'azione che può compiere l'arte. Il processo creatore, per quanto p·ossiamo seguirlo, consiste in un'animazione incosciente dell'archetipo, nel suo sviluppo e nella sua formazione, fino alla realizzazione dell'opera perfetta. Il dar forma all'immagine primordiale è in certo modo un tradurla nella lingua di oggi, ed è per mezzo di questa traduzione che ognuno può ritrovare l'accesso alle fonti piu profonde della vita, accesso che fino a quel momento gli era stato interdetto. In ciò sta l'importanza sociale dell'arte: essa lavora continuamente all'educazione dello spirito contemporaneo facendo sorgere le forme che piii gli difettano. Volgendo le spalle alla man­ chevolezza presente, l'aspirazione dell'artista si ritrae, sino a rag­ giungere nel suo incosciente l'immagine primordiale che potrà com­ pensare nel modo piu efficace l'imperfezione e la parzialità dello spirito contemporaneo. Essa si impossessa di questa immagine, e traendola dalla piii profonda incoscienza per ravvicinarla alla co­ scienza, ne modifica la forma in modo che essa possa essere accetta all'uomo d'oggi, a seconda delle sue capacità. · Il tipo dell'opera d'arte ci permette di trarre conclusioni sul ca­ rattere dell'epoca in cui essa è apparsa. Che cosa rappresentano, per la loro epoca, il naturalismo ed il realismo? Che cos'è il romantici­ smo? Che cos'è l'ellenismo? Sono orientamenti dell'arte che misero in luce quanto v'era di piii. necessario per l'atmosfera spirituale di ogni epoca. L'artista come educatore della sua epoca, ecco un soggetto sul quale oggi ci si potrebbe a lungo intrattenere.

(Il problema dell'inconscio nella psicologia moderna, Torino, Einaudi, 1943, pp. 33-57).

XI. L'ARTE AL DISOPRA DEL QUOTIDIANO

LOUIS LAVELLE Louis Lavelle nacque il 15 luglio 1883 a Saint Martin de Villeréal (Lot e Ga· ronne). Nelle sue opere appare spesso l'influsso che il paesaggio natale esercitò nella formazione del suo pensiero. Attratto dalle filosofie di Brunschvicg e Hamelin che, assieme ad Alain e Maritain, formano il nucleo dei pensatori francesi piii. rappre­ sentativi negli anni della prima guerra mondiale, ben presto si accorgerà che questa tradizione di pensiero non è del tutto confacente alle sue esigenze piii. intime. Sarà la filosofia di Bergson ad orientarlo in una via nuova. L'insegnamento, poi, in di­ versi licei di provincia, gli permetterà di precisare il suo pensiero. Fra il 1914 e il 1918, precisamente durante una lunga prigionia, avrà la possibilità di porre le basi principali della sua dottrina. Dopo la guerra, la sua attività riprende a Strasburgo, poi a Parigi, ai Licei Louis-le-Grand e Henri IV. Collabora a > o di « esistenzialismo cristiano ». In ogni caso, nella speculazione lavelliana entra l'uo­ . mo. Ma Lavelle si distingue profondamente dall'esistenzialismo, in quanto, 'pur ammettendo che l'esistenza precede l'essenza (come si esprimerà in seguito Sartre), riconosce che « l'esistenza non ci è data se non mediante la conquista stessa del­ l'essenza ». In proposito, Lavelle parla anche di (( essenza individualizzata », di­ stinguendola tuttavia dalle (( essenze-categorie », che sono oggetto di una riflessione piii generale sulla costituzione del mondo ontologico. Se, dunque, da una parte, la libertà è un atto profondo di esistenza, che, quando non si esercita, riduce il nostro essere al mondo delle cose, dall'altra, la libertà non è nemmeno, come vuole Sartre, scelta contingente e arbitraria, bensi proporzionalità, dipendenza di fronte alle ra­ gioni; allimite una necessità. La logica della partecipazione implica cosi una teoria dei valori. Il valore trasfigura il dato e rivela ciò che è la verità dell'essenza,- il significato al di là dell'apparenza, o meglio di fondamento dell'essere di questa apparenza. Piii che di un processo di natura logica, si tratta di un unico moto di spirito, che si riconosce esso stesso come valore. Quando, poi, la vita spirituale prende la sua forma completa, essa diventa vita religiosa. La nostra vita si pone cosi sul piano dell'assoluto; ma anche questo termine non va inteso come una rappre­ sentazione logica, bensi come (( fondamento », sotto la forma di un (( apporto del­ l'essere "· Infine, il significato piii intimo di questa esperienza si attinge nella modalità con cui sperimentiamo il tempo. Lavelle ha scritto pagine bellissime su questo momento della filosofia della partecipazione. Il te�po è un ordine spirituale che si comprende interiormente: esso è anzi la rivelazione dello spirito a se stesso. Nel tempo si vive il passaggio non già dal nulla all'essere, ma dalla possibilità alla attualità. Attraverso la partecipazione si rende possibile l'accesso all'eternità del­ l'essere. Il tempo si costruisce cosi all'interno del presente, da cui, in un certo senso, non si esce mai. Ma la nostra esperienza prende la forma del presente, del passato e dell'avvenire. Per considerare queste determinazioni, non dobbiamo considerarle come realtà costituite, che vengono a situarsi l'una dopo l'altra. Il teinpo è la trasformazione stessa delle cose, nella pérenne modalità della coscienza. Il tempo diventa per ciò un istante (( intemporale », corrispondendo cosi alla legge piii alta della partecipazione. La vita dello spirito ci appare dunque come un'attività che trova in se stessa la propria giustificazione. È in rapporto ad essa, preparandola ed esprimendola, che tutto può prendere valore. È un ideale che dobbiamo sempre conquistare e purificare. La saggezza è intelligenza di ciò che è la vita intelligente. Essa ci mostra che noi siaino attratti verso una (( purezza » (su cui sono imperniate alclUle pagine pro fondamente poetiche dedicate da Lavelle al problema dell'arte) che non è il mondo delle cose, ma l'atto stesso, quando si corrisponde alle sue esigenze interiori. Si è per ciò potuto dire a ragione che la filosofia di Lavelle, cosi marcata verso i problemi dell'esistenza, si caratterizza come essenzialismo, in cui si dà il primato delle essenze e dei valori. Ciò che conta, per Lavelle, non è l'esistenza, ma _i valori, le essenze che valorizzano; allo stesso modo, il mondo sensibile non è che ombra del mondo delle idee. Sono le idee a costituire il vero reale; esse ci forniscono le norme necessarie per l'orientamento della nos tra condotta. L'im­ pressione critica piii diffusa è che Lavelle realizzi con ciò una sintesi fra essen­ zialismo ed esistenzialismo: uno dei punti nodali del pensiero contemporaneo, e non solo · di quello francese. Temperamento profondamente metafisico, Lavelle, pur non teorizzando un momento estetico se non all'interno della sua visione ontologica fondamentale (in uno dei suoi scritti piii significativi; De l'Acte, fa notare che (( la creazione artistica è un esempio privilegiato in cui si apprende nella perfezione stessa del finito un

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infinito presente ») ha scritto pagine di una rara profondità sui caratteri dell'« arte pura », sui rapporti di questa con i temi della « forma >>, dell'), analizzabile in forme separate, come avviene nella matematica, a un « in­ finito qualitativo », qual è quello che si esprime nel linguaggio lirico. Chiedendosi, infine, quale sia il fine dell'arte, Lavelle può rispondere che l'arte non è astrazione, non è tecnica, non è nemmeno e soltanto ispirazione, ma è un momento dello spirito in cui si vive la tensione fra un progetto e la sua realizzazione. L'arte nasce cioè in un momento che si può definire di « intervallo metafisico »; ma, proprio in questa sua singolare e specifica origine, l'arte è lo spirito stesso come atto che ci libera dal caos dell'immediatezza, progettando una superiore unità di senso e in­ telletto, passività e attività, finito e infinito. In questo senso, l'arte si riconduce alla natura dell'« atto », con il quale condivide la sua natura di germinazione ideale e « intemporale ».

Bibliografia essenziale. Per quanto riguarda la filosofia francese contem­ poranea, cfr. dello stesso L. LAVELLE, La philosophie française entre les deux guerres, Parigi, 1942 (a quest'opera si possono affiancare scritti notevoli di altri autori; per esempio: J. W AHI., Tableau de la philosophie française, Parigi, 1962, tr. it., Firenze, 1965; J. LACROIX, Panorama de la philosophie française; tr. it., Roma, -

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1971). Fra gli studi italiani cfr. F. V ALENTINI, La filosofia francese contemporanea, Milano, 1957. « Autopresentazione », in La mia prospettiva filosofica, Padova, 1950, pp. 123-143; M. DE PETRI, L'antologia di L. Lavelle, in « Ann. Scuola Norm. sup. di Pisa Il, 1938, nn. 2-3; L. PELLOUX, n problema del male nella filosofia esistenzialistica di Lavelle, in: « Riv. di Filos. Neosc. 11, 1940, n. 5; P. G. GRASSO, Lavelle, Brescia, 1949; L. P AREYSON, Studi sull'esistenzialismo, 2a ed., Firenze, 1952; L. STEFANINI, Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico, Padova, 1952. Si veda poi il « Giornale di metafisica 11; n. 4 del 1952 (dedicato a Lavelle con uno scritto inedito e carteggio con M. F. Sciacca) . Per una bibliografia aggiornata si veda il saggio di A. F OREST, L. Lavelle, in Les grands courants de la pensée mondiale contemporaine, Portraits, Milano, 1964. vol. II, pp. 831-859. Altri scritti su Lavelle: O. M. NoBILE, La filosofia di L. Lavelle, Firenze, 1943; E. CENTINEO, Il problema della persona nella filosofia di L. Lavelle, Palermo, 1944; G. DI NAPOLI, La concezione dell'essere nella filosofia contemporanea, Roma, 1950; M. F. SCIACCA, L. Lavelle, in « Giornale di Metafisica 11, 1956, pp. 735-752; U. REGINA, L'esito formalistico dell'antologia di L. Lavelle, in « Rivista t!i filosofia Neoscolastica 11, 1962, pp. 3 18-350: G. BE!'CHIN, Il tempo e la libertà in L. Larelle, Milano. 1 964: G. PENATI, Ontologia e critica del concreto in Lavelle e Merlt�au· Ponty, Milano, 1970; F. Po LATO, L. Lavelle. L'essere e il tempo, Ravenna, 1972. Per i problemi estetici, cfr. G. MoRPURGO-TAGLIABUE, Les tendances esthétiques, in Les Granils courants de la pensée mondiale, op. cit., vol. II (Les tendances principales), p. 1383; M. PÉRIGORD, Art et métaphysique chez Lavelle, in « Revue d'Esthétique 11 , n. l, 1951.

L'ARTE PURA (*) Non esistono parole che esercitano sui nostri contemporanei piu fascino che la parola « puro ». È forse per il fatto che la nostra civiltà meccanica e democratica tende ad abolire le distanze fra le cose, fra gli uomini e le idee, perché minaccia, forse, di mescolare e confon­ dere tutto, che si produce una reazione di difesa, entro cui si cerca di mantenere e salvare queste differenze autentiche, questa originalità e questa indipendenza, che conferiscono a ogni tipo di esistenza, a ogni forma di attività il suo proprio rilievo e valore assoluto. La preoc­ cupazione di purezza va al di là di quello che si pensa, ed ha una portata metafisica che non si potrebbe misconoscere. Suppone che ogni mescolanza non può che viziare, alterare e corrompere la vera realtà. Significa forse che questa è formata di essenze separate, come nel mondo di Platone? E si deve ammettere che esse possono offu­ scarsi e degradarsi, in modo che sia proprio il ruolo della nostra at­ tività spirituale ritrovarle attraverso il flusso delle apparenze, e, per . (*) Dalla raccolta postuma di saggi di Lavelle composti tra il 1930 e il 1942 pubblicati nel volume di « Cronache filosofiche »: Science Esthetique Métaphysique, éditions Albin Miche), Parigi, 1967, pp. 73-173 (E. G.).

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cosi dite, restare loro fedeli, mentre il divenire rmiversale tende sempre a farle sparire e dissolverle? Si comprende da ciò come la purezza possa sembra·re una virtu negativa, che designa tanto un af­ francamento da tutte le sollecitazioni esteriori, che verrebbero a in­ flettere lo slancio spontaneo del nostro pensiero, tanto questa perfetta trasparenza che ci mostra le cose, tali e quali, senza che il desiderio venga a turbare la loro immagine, tanto questa attività assolutamente gratuita, come diciamo noi oggi, che si disinteressa di ogni fine, che non si subordina né all'utilità né alla moralità, e gioisce solo del suo libero gioco. È notevole che sia negli elementi stessi della natura, nell'acqua, nell'aria e nella luce, che noi cerchiamo i primi simboli della purezza. Ma è perché l'acqua, l'aria e la luce conferiscono ai nostri sensi un alimento quasi immateriale. In piu, si tratta di ambienti che avvol­ gono le cose, ma in modo da rivelarle anziché dissimularle. Essi danno la loro purezza ai colori e alle curve; ci servono a comprendere che la purezza è sempre un'atmosfera, attraverso la quale il reale ci appare, e non affatto un carattere che apparterrebbe ad alcune delle sue forme; tutto il reale può essere purificato. È nello stesso senso che l'espressione di « ragione pura » introdotta da Kant ha sempre eser­ citato sulla mente una specie di prestigio; e benché Kant non abbia pensato · che a limitare le pretese di qu,esta . facoltà, . il mondo della ragione pura sarà sempre per noi il mondo chiaro, limpido, sottile, armonioso, che si svelerebbe appena il corpo cessasse d'interporre fra il reale e noi il velo delle sensazioni e quello della passione; La purezza è dunque la virtu propria dello spirito, come avviene quando, precisamente, si comprendano sotto il nome di impurità tutte le lordure per mezzo delle quali egli cede ai richiami del corpo e cerca di compiacervisi. Ma è ancora dalla mescolanza di cose diffe­ renti, che si corromperebbero, per cosi dire, l'un l'altra, che usci­ rebbe l'impurità. Inversamente, si parla della purezza e anche del­ l'innocenza del corpo. Tutti coloro che prendono a cuore la purezza del sangue o della razza, non si curano affatto dello spirito che abita in tutti gli uomini proprio nella misura in cui in ciascuno di essi v'è l'aspirazione a una verità comune a tutti C ) . È dunque giusto dire che la parola purezza, nella nostra epoca, designa sempre una conformità della nostra natura o della nostra azione nei confronti di una certa essenza particolare. In modo tale che si può parlare, per esempio, della « passione tutta pura », non senza una certa ammirazione, tal­ volta là ove la passione non è adulterata �a elementi estranei che (l) La data del saggio, l dicembre 1935, ci aiuta a capire quali preoccupazioni ispirassero al­ l'autore queste pagine scritte mentre in Europa cominciava ad attecchire il veleno delle teorie razziste.

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verrebbero a mescolarsi alla sua essenza propria, con sentimenii di un'altra origine, come la timidezza� l'ipocrisia o lo scrupolo. Da qui anche l'interesse che presentano le espressioni cosi diffuse di « arte pura » e di « poesia pura », con le quali non si pretende di tornare, puramente e semplicemente, all'antica concezione dell'« arte per l'arte >> , che isolava l'attività artistica da tutte le altre funzioni dello spirito, considerandola un fine autosufficiente; ma si mira a scoprire in tutte le arti una legge interiore, capace di spiegare e regolare tutte le loro operazioni, indipendentemente dal soggetto che serve loro di materia o dal significato che l'opera stessa potrà ricevere ( . .. ) . Non bisogna chiedere se l'arte pura abbia un senso, né che dia un senso alle cose. Essa è al di là di ogni senso. Volere che le cose ab­ biano un senso, è cercare la causa che le spieghi o il fine al quale si possono fare servire. Il proprio dell'arte pura è soltanto di rivelarci la loro natura segreta, la disposizione interiore con la quale si organiz­ zano, si uniscono e sono autosufficienti, e che ci dà la gioia della loro presenza, la gioia stessa di ciò che esse sono. L'arte pura compone con gli elementi del reale tutte le emozioni che il reale è capace di darci, ed è per questo che ci appare sia come la reahà stessa che ci è mo­ strata tutto di un tratto, sia come artificio, come un fascino che in­ canta. Si comprende facilmente che l'arte pura non accetta di essere · né preda, né schiava. Si vede bene che ogni fine estraneo, cui si vorrebbe subordinarla, rovinerebbe la sua essenza, cercando di soddisfare in essa altre esigenze della coscienza, o altererebbe la natura dell'attività che la produce, l'emozione inimitabile che l'accompagna e la rela­ zione metafisica che stabilisce fra il reale e noi. Si vede anche da ciò perché è impossibile che essa si realizzi se non attraverso arti sepa­ rate. Esiste in effetti un legame, e quasi una complicità dello spirito e del sensibile: nell'arte, lo spirito chiama il sensibile a testimonianza. E vi saranno tante arti quanti sono i mezzi con i quali lo spirito arriva a penetrare nel sensibile, per ritrovarvi l'effetto delle sue proprie operazioni. Significa, questo, che il sensibile è diventato mezzo al servizio dello spirito? Non è anch'esso fine, dato che ci mostra queste relazioni spirituali, che, senza di lui, resterebbero allo stato di sem­ plici possibilità? Ma, allora, si comprende facilmente che nella per­ fezione dell'arte pura, il soggetto e il senso debbono ugualmente cancellarsi. Essi qui introdurrebbero sempre un elemento estraneo, e per cosi dire astratto, che impedirebbe all'opera di sussistere per se stessa, cioè attraverso la legge interiore che unisce le sue parti. Un quadro deve risultare dal solo accordo fra i colori, come una si.nfonia dal solo accordo fra i suoni, e un edificio dal solo accordo fra le linee di forza. È in questi puri rapporti che risiede il loro valore eterno;

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questo esclude ogni altra interpretazione ideale o utilitaria ( ... ) . Questo vuol dire che l'arte non è affatto, come si crede, evocatrice di altra cosa; non è segno di nulla, per il fatto che ci rende la realtà stessa presente. L'arte sparisce appena compare l'astrazione. E, per una specie di miracolo è l'arte la piii sensibile che riesce meglio a farci penetrare il sensibile stesso, per mostrarci la legge spirituale che l'illumina e lo sostiene. L'oggetto, allora, si annulla; non mostra piu che rapporti profondi fra gli elementi stessi che lo formano, che creano e mantengono la sua stessa esistenza. ( ... ) Può darsi che si debba dire che vi sono fra tutte le opere dello spirito tentativi con i quali l'intelligenza cerca di riconoscere come le cose stesse si creano: in un incontro a caso, l'artista, il poeta, e può darsi anche il pensa­ tore, se occorre, sempre che il pensiero si esprima e divenga esso stesso un'arte, scoprono una convergenza misteriosa fra le esigenze dello spirito e l'architettura stessa del reale. È il ruolo dell'arte farla sentire e produrla. È per questo che essa crea continuamente nuove forme. Poiché la for:r�a delinea il movimento, per mezzo del quale lo spirito s'impadronisce della materia, essa immobilizza nella purezza della linea l'atto nobile che l'ha tracciata. Essa ci dona la visione commovente di un intelligibile realizzato ( . . ) . Così, benché ogni arte sia costretta a conservare la sua indipen­ denza, si può ritrovare attraverso le differenti arti la presenza di certi rapporti identici, che l'investigazione scientifica perverrà a mettere in luce con l'aiuto di qualche metodo ingegnoso. Si mostrerà, per esempio, che una melodia è un · arabesco in movimento, che fra un poema, un quadro, una sonata, un edificio, si può trovare la corri­ spondenza rigorosa di certi ritmi. Come uno stesso motivo musicale si può riconoscere ancora attraverso trasposizioni nei differenti modi o toni, uno stesso motivo artistico può incarnarsi nella scultura, nella pittura, nella musica o nella poesia. Quanto ai mezzi stessi che lo spirito impiega, per disporre gli elementi del reale, in modo da pro­ durre l'emozione, essi sono senza dubbio in piccolo numero e restano gli -stessi nelle differenti arti ( . . ) . Non bisogna poi dimenticare che l'artista è u n artigiano; m a egli non cerca come questi l'utile. La sua arte consiste esclusivamente nel gioco della sua attività, nelle condizioni del suo esercizio, nelle pro­ porzioni delle sue combinazioni; ed è così che fa nascere la bellezza, che è l'essere delle cose. Accordando l'intelligenza con i sensi, l'arte realizza l'intuizione vera· e ci fa provare una gioia priva d 'interesse, che è la gioia dell'esistenza pura ( ... ) Pertanto se l'arte è uno sforzo verso la purezza radicale, occorre che essa sia incapace di conseguirla, in quanto non c'è nulla di per­ fetto che possa accordarsi con le leggi della realtà ( ... ) . Dell'arte pura, .

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bisogna d�re che i rapporti interni che la sostengono, sono incapaci di bastare alle sue esigenze. Nella sua essenza propria, si può ben ridurla alla logica dell'attività creatrice: solo il creatore è un essere di sofferenze e di amore e, attraverso questa logica, ciò che ci mostra è sempre la suà preferenza più profonda e, se si può dire, la sua atti­ tudine più personale e più segreta nei riguardi della vita.

L'ARTE E LA FORMA Lo spazio è un abisso indifferente nel quale vediamo emergere forme distinte, imprigionate in una linea, e che subiscono continua­ mente nuove metamorfosi. Lo sguardo, il pensiero e l'azione non hanno altro oggetto che di riconoscere il disegno di queste forme che popolano il mondo, di ricostruirle attraverso un'operazione interiore o di modificarle secondo le esigenze del desiderio. Prima che le forme compaiano, il mondo è un caos, ma lo sguardo, unendosi alle inflessioni dell'ombra e della luce, discerne presto in questo caos delle creste precise, delle linee sinuose che si inseguono, si raggiun­ gono e fanno sorgere un'infinita varietà di figure diverse. Lo spirito, a sua volta, cerca di scoprire la legge segreta alla quale esse obbedi­ scono e che permette di impadronirsene e di crearle, per cosi dire, indefinitamente. Lo spirito ne inventa di nuove che la volontà cerca di realizzare: solo imprimendo il suo segno all'universo, ciascun essere fa giocare le virtualità che sonnecchiano nel suo fondo, e che com­ piono il suo destino proprio. Assistere alla na.scita delle forme significa cogliere nel suo eser­ cizio l'atti.vità della potenza creatrice. Gli antichi consideravano la natura come l'opera di un Dio artista, di un Ermes, che inventa e foggia in continuazione forme nuove; ora c'è nel geometra un'austera ebbrezza con la quale il suo spirito crede di partecipare allo stesso potere: in questo spazio trasparente e fluido, che non oppone alcuna resistenza alla sua iniziativa, egli si dà ad un gioco divino e fa sboc­ ciare davanti a lui un'architettura perfetta, che è un miracolo di precisione e di immaterialità. Ma succede, talvolta, che, rivolgendo il suo sguardo verso il mondo sensibile, egli prova una specie di delu­ sione, alla quale anche Platone non era sfuggito, in quanto v'è una distanza impossibile a raggiungere fra l'esatta semplicità di ogni co­ struzione ideale e la complessità infinita della linea, la piii. umile e familiare. Pertanto, come non considerare la prima come un modello che la natura non potrebbe realizzare senza alterarla o corromperla? Ma accade, in realtà, che la natura dispone di una geometria cosi sapiente e cosi sottile da superare sempre la nostra: la forma di un

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albero o quella di un corpo umano possiede una flessibilità e una perfezione che scoraggiano il regolo e il compasso; l'intelligenza non perviene mai a calcolarle perfettamente, e per comprenderle ha bi­ sogno del soccorso della sensibilità, che si rende docile alla delica­ tezza delle loro linee, alla loro sinuosità imprevedibile e ineluttabile. È proprio dell'arte impegnarci a discernere tutte queste forme vi­ venti, cercare di isolarle in creazioni separate che si aggiungono a quelle della natura, che le prolungano, le variano, rivelando nello spirito la presenza di u:pa fecondità inesauribile, sempre pronta a nuove incarnazioni in una materia che non cessa mai di offrirsi. Cosi è l'arte, senza dubbio, precisamente in quanto è mediatrice fra lo spirito e la natura, che ci rivelerà nel migliore dei modi il vero significato della forma. Questa appartiene a un tempo al di dentro e al di fuori; è il limite in cui si raggiungono e comunicano. È attra­ verso essa che il mondo esteriore e il mondo interiore vengono per cosi dire a toccarsi. Il profilo di ciascun essere è, per cosi dire, l'e­ spressione della sua vita nascosta, il disegno di tutti i suoi movimenti .incominciati e compresi, la curva stessa della sua attività, colta al limite della · sua espansione, al punto in cui, per realizzarsi, sembra fermarsi e morire, diventan-d o una pura superficie di contatto con . il mondo che la circonda. Cosi la fornia è l'anima che si mostra e che diventa visibile, non soltanto, come si crede, attraverso una maschera che ci obbliga a decifrarla, ma attraverso tutti gli slanci che la por­ tano verso il mondo e verso noi, - e che l'obbligano precisamente a prendere tale forma, senza della quale non sarebbe nulla. C'è nella forma un'unione dell'immobilità e del movimento della materia e del senso, della realtà la piu nascosta e dello spettacolo stesso che dona. Cosi ogni forma è fisionomica. Io stesso non posso coglierla che cercando di tracciarla; ma per questo occorre che utilizzi tutte le risorse dell'attenzione e dell'amore, che ritrovi in me, per una vera simpatia, il movimento interiore che la crea, che cioè si esprima e si realizzi con essa. È l'anima che la modella con un lavoro segreto; ma, attraverso la forma, l'anima ci dona il suo essere manifestato, che non fa che uno con il suo essere stesso e che sboccia alla luce, èontem­ poraneamente, per lo sgÙardo e per lo spirito. La forma non viene soltanto a confondere la realtà con la sua apparenza, a fare del mistero stesso della vita. un dono offerto a tutti; essa è il doppio punto d'incontro della nostra attività e della nostra passività, del finito e dell'infinito. E, in primo luogo, ogni forma è inseparabile dall'atto stesso che la fa essere, che è tanto la spinta dello slancio vitale, tanto il gesto dell'artista creatore; ma la forma s'inse­ risce in seguito nel mondo come una realtà che occorre accettàre· e accogliere, il cui profilo diviene una guida che domanda di essere

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seguita con esatta fedeltà. Ora è questa passività nei confronti del­ l'attività stessa che crea l'essenza di ogni possesso. In pari tempo, ogni forma è una limitazione; essa circoscrive l'essere particolare, ma situandolo in uno spazio senza confini, indi­ spensabile perché · questa forma appaia e che è sempre, in rapporto ad essa, un infinito che la sostiene, è un al di là che la supera. La forma piii. debole è un recinto che il pensiero perviene a circondare; ma che protegge una specie di infinito presente, segreto, che non si può mai esaurire. Cosi la forma non ha bisogno, come si crede, di farsi incerta e vaga, al fine di evocare questo infinito in cui piomba il finito, e da cui non si può mai separare. Poiché la precisione della forma piii. pura non basterebbe a isolarla dall'infinito, essa potrebbe conferire, come ritenevano i · Greci, un carattere di compimento e di perfezione, ma che, secondo noi, risulta sempre dalla linea stessa di demarcazione che essa introduce fra due infiniti, un infinito interiore, che essa contiene e di cui si impadronisce, e un infinito esteriore, che essa esclude, ma che subisce e che la modella ( . . . ) . Ma le forme che nascono nello spazio e nel tempo dominano lo spazio e il tempo, anziché subirne le leggi. Cosi l'arte dorica come sito ha creato una Grecia senza la quale la Grecia della natura non sa­ rebbe che un luminoso deser-to. L'arte gotica come sito ha creato profili di orizzonte, di città, che hanno impresso il ' loro carattere a certi paesaggi del nostro Paese. In piii., si può dire che esistono forme che sono un oggetto di predilezione per alcune famiglie di spiriti unite da legami segreti al di là del tempo e del luogo. Infatti, ciascun uomo è il contemporaneo di se stesso e della sua generazione, ma egli è anche il contemporaneo del gruppo spirituale di cui fa parte. Tuttavia per sfuggire decisamente, contemporaneamente, al tempo e allo spazio, occorre - può darsi - che le forme raggiungano quello stato di perfezione che il Focjllon descrive mirabilmente come « un breve momento di pieno possesso delle forme, una felicità rapida in cui il giogo della bilancia non oscilla che debolmente. Ciò che io aspetto non è di vederla di nuovo oscillare presto, e ancora meno il momento della fissità assoluta, ma, nel miracolo di questa immobilità esitante, il leggero tremore, impercettibile, che mi indica che vive » . Si comprende facilmente che questo possesso non può essere conti­ nuato, che sfugge all'applicazione di regole, che è la punta estrema dello slancio della vita colta dalla coscienza e disciplinata dalla ra­ gione ( . . ) . .

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L' ARTE O LA PASSIONE DOMINATA Fra tutte le specie di attività, quella artistica è senza dubbio la piii misteriosa; è, nello stesso tempo, primitiva e raffinata; nelle sue forme piii ricercate, cerca di ritrovare le forme piii originarie. Essa nasce in questo fondo tenebroso dell'ispirazione, che sembra sfuggire allo sguardo della coscienza e all'azione della volontà; e pertanto mette in gioco tutte le risorse dell'attenzione, le regole di una tecnica severa, una scelta e un controllo rigoroso di tutte le nostre idee e di tutti i nostri gesti; non lascia nulla al caso, e nello sforzo stesso che fa per modellare il reale, diffonde su questo una luce nuova. C'è sempre nell'arte un artificio e un'illusione, ma da cui non si è mai ingannati, e con i loro mezzi, riesce a renderei sensibile l'essenza stessa delle cose che si nascondono, quando esse sono sotto i nostri occhi. L'arte tocca le frontiere del divertimento e anche della frivolezza; tuttavia c'è in essa una gravità che l'avvicina alla religione e che l'associa al destino della religione. È la piii inutile di tutte le nostre occupazioni (quale vanità la pittura! dice Pascal); ed è vero che l'arte si corrompe non appena il minimo pensiero di utilità la guida o è di comple­ mento; ma l'artista sacrifica ad essa le occupazioni piii serie, e nella contemplazione dell'opera realizzata, tutti i bisogni sono dimenticati, tutti i desideri della coscienza superati e colmati. Infine, l'opera d'arte è sempre una creazione unica e personale; è perfino tanto piii grande quanto piii rivela il segno di un'originalità piii profonda, piii segreta, inimitabile; ed è allora, dunque, che crea fra tutti gli uomini la comunione piii sincera e commovente. Ma se il problema dell'arte solleva tante difficoltà, è senza dubbio perché l'arte è quasi sempre considerata nello spettacolo che ci fa vedere piii che nell'atto che l'ha fatto nascere. Non ci si deve mera­ vigliare, allora, che una sensibilità passiva si accontenti di chiedere un piacere compiaciuto e facile che assomiglia ad una specie di carezza immateriale. Ma è sempre un giudicare le cose superficialmente il volerle stimare secondo l'intensità o la qualità del piacere che esse ci donano: la loro essenza si rifiuta sempre a colui che cerca solo di gioirne; e questi piaceri un po' molli che si chiamano estetici sono sconosciuti a chi li prodiga agli altri. Ciò che si trova, al contrario, presso l'artista, è un'attività tesa e incerta, piena di speranza e di paura, di dolore e di ansietà, che non cessa di oscillare tra un'aspi­ razione sempre imperiosa e oscura che lo tormenta e lo sostiene, e una materia ribelle in . cui egli cerca di incarnarsi e fuori della quale non perverrebbe giammai a coglierla. Fin nella gioia della vittoria egli ritrova la gravità dello sforzo doloroso per mezzo del quale essa è stata conseguita e che gli sembra ancora necessaria per conservarla.

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Ci si potrebbe domandare. pertanto, se l'attività artistica, anziché apparirci eccezionale e contraddire alla nostra attività normale, àlla quale cerchiamo vanamente di ridurla, non servirebbe piuttosto a illuminarla mostrandocela per cosi dire allo stato puro. Essa è crea­ trice; mette però l'atto creativo a livello della nostra umanità; crea una nuova natura che si può ben dire illusoria ma che, liberandosi della vera, ne libera il senso che l'altra ci impediva di vedere. Ci dà del reale un possesso essenziale e disinteressato che compie la per­ cezione, supera un oggetto eterno della contemplazione, l'operazione soggettiva e temporale che a ciascun istante dona l'essere a noi stessi. Allora, non vi sarebbe attività propriamente estetica: e si potrebbe presumere, come è vero, che ogni forma di attività deve diventare necessariamente estetica quando essa raggiunge q�esto ultimo grado in cui, cessando di cercare un fine fuori di sé, perviene ad essere autosufficiente nella creazione di un'immagine che la rappresen­ ta ( ... ) . Cosi, sotto tutte le sue forme, l'arte tende ad abolire il puro av­ venimento e, per consegu�nza, la passione che ne è sempre insepa-· rabile. Non si limita a calmare i nostri furori, sottomettendoli alla potenza dello spirito con un operazione che rende bella l'opera rea­ lizzata e sublima la volontà che ha osato intraprenderla.- Imprigio­ nando un atto interiore in una forma sensibile, essa lo libera, colma il desiderio. Ci dà del reale un possesso attuale che il tempo rinnova senza mai consumarlo. Riconcilia lo spirito con il è'orpo, l'ispirazione con il mestiere e la grazia con la natura. Cerca di raggiungere questo grado di coincidenza misteriosa fra il mondo e noi, in cui il mondo non è piii che pensiero compiuto e il pensiero un mondo che sta sbocciando. Abolisce ogni distinzione fra l'atto e lo spettacolo; l'atto è lo spettacolo che nasce e lo spettacolo è l'atto contemplato. Ci in­ segna, come la vita stessa, a trionfare sul destino, con una vittoria che ci costa molti sforzi e dolori, ma che ci ridà la pace dell'anima mo­ strandoci, attraverso l'apparenza che ci delude e la materia che ci resiste, una presenza spirituale che non manca mai di risponderei, a condizione che la nostra libertà si eserciti e cominci a sollecitarla, •

SINCERITÀ DELL'ARTISTA Esiste una specie di paradosso della sincerità che l'arte e la vita confermano ugualmente. Il nostro io non è un essere formato, ma un essere che si forma di continuo. N on è una realtà già fatta, sulla quale dovrebbe regolarsi la nostra sincerità, che ne sarebbe il modello, e che le nostre parole o opere potrebbero esprimere con piii o meno

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esattezza o fedeltà. Cosi si è potuto dire che non esiste una verità sull'io come v'è una verità sull'oggetto. Il celebre precetto che ci comanda di conoscere noi stessi è di un'applicazione cosi difficile, in quanto, per conoscersi, ci si deve prima di tutto formare. Le due operazioni non fanno che una. · Per ciò le nostre azioni, ai nostri propri occhi, ci mostrano sempre come diversi da quelli che crediamo di essere. Ciò che pensiamo di noi stessi è anche un velo che ci sottrae a noi stessi. L'azione toglie il velo; sottomette ad una prova; obbliga all'impegno, a portarci al di là di tutte le nostre acquisizioni. Giudica ancora meno sulle nostre facoltà che sulla loro messa in gioco; fa penetrare nel reale, cui domanda di collaborare e rispon­ dere. Le opere, le piii personali, sono sempre per il loro autore una sorpresa e una rivelazione. N on crede. di scoprirsi in esse se non in quanto si forma per loro mezzo. C'è sempre fra l'uomo e l'artista una specie di legame segreto. L'uomo può sentirsi esiliato nell'ambiente dove si svolge la sua vita quotidiana, ma l'arte è per lui la ricerca di una patria spirituale o, come oggi diciamo, del suo vero ambiente. Ha un bel dire Monta�gne, « altra cosa è la predica, altra il pre­ dicatore », e possiamo esitare a lungo, quando si cerchi l'autentico Verlaine, tra l'angelo· e il maiale: i due contrari sono piii solidali di quanto si crede, essi coabitano nella medesima coscienza. L'io ha sovente bisogno della loro discordia per compiersi. Egli cerca sempre di raggiungere la propria unità. Accade che il desiderio piii ardente di una purificazione spirituale sia nutrito dal fuoco delle passioni piii basse, che lascia dietro di sé i residui piii brutti. L'arte, allora, non sarebbe piii per noi un semplice divertimento. Non sarebbe né un'evasione del pensiero nel dominio del sogno, né attività sostitutiva che ci darebbe la rivincita di una vita mancata. Fra l'artista e il sognatore c'è perfino una specie di opposizione. È il sognatore che fugge lontano dal reale e che cerca nell'ozio certe compiacenze facili dell'immaginazione. La sua mano non ha la forza di afferrare l'attrezzo; lo lascia subito cadere. L'artista, anche il piii idealista, al contrario, vuole toccare il reale e farcelo toccare; la percezione comune non lo accontenta, in quanto non trattiene delle cose che il loro aspetto esteriore, rivelando solo il loro uso. Ma quando lo sgu�rdo dell'artista si posa sulla loro superficie, dà a queste subito il movimento e la vita; attraverso questa superficie, si stabilisce una specie di osmosi che permette alla loro essenza segreta di rivelarsi e alla nostra sensibilità di porsi innanzi. Fra le cose e noi si produce una' comunione. Noi godiamo della loro esistenza, diventando attenti alla loro presenza pura. Ma l'artista sa bene che, per . conseguire questo effetto, perché possa prendere possesso delle cose e fare corpo ·

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con esse, occorre che la sua attività le colga e pervenga in qualche modo a prodÙrle. La creazione artistica, in tal modo, non assomiglia a un gioco, ma ha sempre il carattere di serietà e di sforzo: la ten­ sione, l'impazienza dolorosa, fanno si che il compito quotidiano, quando la ritroviamo, si presenti come rilassamento. Non vi è gioia paragonabile a quella che essa ci dona, ma è gioia grave che non si potrebbe spiegare, se non si pensasse che ci permette di ottenere una visione del reale piu profonda della ":ostra di ogni giorno ( ... ) .

FILOSOFIA E POESIA Questo è, propriamente, il ruolo dell'arte: un'attività intellettuale e volontaria che, pur prendendo tutto dal caso, non si risolve in ésso. Questa attività non cessa mai di tentare combinazioni, da cui ricava nuovo piacere. In tutte quelle che trova nel suo cammino, che sem­ brano offrirsi ad essa, bisogna che introduca le esigenze del suo proprio gioco, prima di adottarle e riconoscerle come proprie. N o n ci dà mai un consenso, che non abbia essa stessa deliberato. Arte è l'operare di questa ragione che è l'uomo stesso, poiché, là dove essa abdica, dove cessa di giudicare e di decidere, siamo strappati a noi stessi e diventiamo l� preda di ogni impulso, disordine e delirio. Hanno sempre sparlato della ragione solo queJV che hanno mancato del coraggio per metterla in opera. L'emozione che l'artista cerca di produrre, però, non è eco fedele dell'atto che la cerca e la chiama. Nel momento in cui l'atto si compie in un oggetto, il cui scopo non è piii che d'essere contemplato e commuoverci, non concepiamo solo in questo oggetto l'atto che l'ha creato, ridotto in una forma perfetta e per cosi dire immobilizzata. Senza dubbio, uno spirito libero e padrone di sé prova sempre una certa vergogna a lasciarsi sorprendere da un'emozione che non ha previsto e, fino ad Wl certo punto, preparata e diretta. Tuttavia, non c'è creatore cosi cosciente, cosi scrupoloso nel regolare i suoi movi­ menti int�riori piuttosto che subirli, il quale non conosca una specie di timore nel momento della conversione di questa possibilità (che egli portava in sé e da cui ricavava il poco d'essere che aveva) in una realtà che ·sussiste ormai davanti a lui e che tutti sono capaci di comprendere. In presenza di questa creazione, che tuttavia è sua, egli prova un sentimento come di rivelazione. È questa distanza fra ciò che egli ha voluto e ciò che egli ha fatto ad accreditare ancor oggi il termine di ispirazione. 'Ora, questa analisi ci mostra chiaramente che l'attività che esercitiamo, per quanto sia riflessa, non ha in anticipo quello che cerca. Essa utilizza tutte le risorse della· tecnica, ma la

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tecnica non basta; non produrrebbe che opere astratte, suscettibili di ripetersi indefinitamente come le operazioni dell'aritmetica, come i prodotti delle nostre macchine, come le macchine stesse. L'attività dello spirito supera tutti i concetti; entra nell'intimo del reale cer­ candone una specie di complicità; postula fra il reale e lui un'intesa misteriosa. Comincia senza dubbio con il volerlo dominare e tidurlo alla sua legge, ma ciò non l'accontenta, benché sia questo lo stadio in cui il sapiente accetta di restare. Non prova una reale soddisfazione se non quando il reale gli risponde e comprende la sua risposta. Allora il piacere che essa prova è il piacere che si è dato attraverso il puro esercizio, ma che va tuttavia al di la di questo esercizio stesso, è un piacere che ci meritiamo veramente, ma che tuttavia dobbiamo chie.dere che ci sia concesso. Per questo motivo si presenta sotto una forma sensibile; c'è in esso questa sottigliezza e complessità senza misura che lo rendono ribelle ad ogni analisi: è per questo che è capace di gustarlo chi è impotente a farlo nascere. È il punto di coincidenza fra la sensibilità e .la volontà, fra la nostra passività e la nostra attività a costituire l'essenza stessa del piacere poetico. (Traduzione di Marie-Jeanne Duruz-Garulli)

JACQUES MARITAIN

Jacques Maritain nacque a Parigi nel 1882, da Paul, un colto avvocato di Macon, e da Geneviève, figlia di Jules Favre, appartenente ad una famiglia educata al protestantesimo liberale. Spinoziano ed appassionato di scienze naturali, durante gli anni del liceo ( « Henri IV » 1898-1901), si accostò alle idee del socialismo ri­ voluzionario. Frequentò poi alla Sorbonne materie scientifiche ma anche filosofi­ che conseguendo l'agrégation, appunto, in filosofia, nel 1905. Nel 1902 aveva co­ nosciuto Gertrude Ra"issa Oumançoff (Urmansov) nata a Rostov sul Don (Ucraina) di famiglia di tradizionale pietà israelitica. La conversione di Jacques e di Ra"issa, che Jacques aveva sposato nel 1904, al cattolicesimo, maturò presto (1906) al contatto con Péguy e Bloy, che i due giovani ebbero amici. Gli anni della borsa di studio di Heidelberg (1906-08), alla scuola del biologo Hans Driesch, coincidono però, nell'evoluzione filosofica di Maritain, con l'adesione al bergsonismo: solo nel 1909 comincerà a studiare San Tommaso col domenicano p. H. Clérissac. Nel 'lO pubblica i primi articoli filosofici: La science moderne et la raison e Le néo-vitalisme en Allemagne et le darwinisme, nella >, non era certo in armonia con le posizioni assunte da « L'Humanité >>, ma si trovava in netto contrasto con quelle di Massis. A malgrado della chiarezza del proprio atteggia­ mento, Maritain, ripetute volte attaccato dopo la pubblicazione di Humanisme intégral, viene da qualcuno definito come un « marxista cristiano ». Contro Salle­ ron e contro Desclaùsais, acremente polemici verso Maritain in quella « Revue Unìverselle » dell:a quale egli era stato per diversi anni assiduo collaboratore, Etienne Bome prende le difese del filosofo nella « Vie lntellectuelle ». Reciso è l'antifranchismo di M. durante la guerra civile spagnola. Egli si associa alla protesta degli intellettuali cattolici contro la strage di Guernica ed esprime ripetutamente il suo sdegno per la ferocia di quel conflitto in articoli e in prefazioni. Altrettanto tempestiva e decisa la sua condanna dell'antisemitismo (Les Juifs parmi les nations, 1938). Ma il suo lavoro filosofico, e l'interesse per l'arte, non conoscono ?Oste. Nel '35 aveva ristampato Art et scholastique e pubblicato a parte il saggio Frontières de la poésie, unitamente ad alcuni scritti di critica d'arte. Quell'anno esce anche Si­ tuation de la poésie, uno dei libri cui Ra'issa collabora con capitoli propri. Nell'imminenza della nuova guerra mondiale proseguono le polemiche all'in­ terno delle file stesse degli intellettuali cattolici. Maritain, con Mauriac e Bernanos, al pari di lui provenienti certo dalla destra, si trova ancora una volta in radicale dissenso con le correnti conservatrici e apertamente reazionarie che tra i loro adepti contavano in quel momento anche Marcel de Corte e Claudel. Scoppiata la guerra, la parte da lui avuta nella pubblicistica antinazista non appare dunque in alcun modo un fatto occasionale, ma il proseguimento in una strada scelta e testimoniata ormai da parecchi anni. Nel '39 aveva assolto per il governo francese, una missione negli Stati Uniti. Nell'aprile del '40 si trova per il corso annuale all'Università di Toronto; so,rpreso in Amerièa dall'invasione tedesca della Francia, si stabilisce · in volontario esilio negli Stati Uniti insegnando alla Princeton University, New Jersey (1941-42), e alla Columbia University (1941-44). Dagli Stati Uniti è tra i maggiori animatori, con i suoi scritti e con la presidenza dell'Ecole Libre des Hautes Etudes françaises di New York (194344), della resistenza ·della cultura francese (A travers le désastre;

Messages; Confession de foi; Ransoming the Time; Les droits de l'homme et la loi naturelle; Christianisme et démocratie; Principes d'une politique humaniste). Dal

settembre 1943 allo sbarco in Normandia collabora con la radio di New York parlando ogni settimana ai suoi connazionali per la « Voce dell'America ». Ritornato in Francia sin dal '44, è nominato, nel dicembre dello stesso a�mo, ambasciatore presso la Santa Sede, carica che terrà fino al giugno del '48, ma neppure questo impegno diplomatico lo allontana dagli studi. Dal settembre del '48 al '51 è di nuovo professore alla Princeton University. Il suo pensiero, specialmente quello politico, si accresce di molti nuovi contributi, il piu importante dei quali è Man and the State (1951). A questa fase appartiene anche Creative lntuition in Art and Poetry (1953), la sua piu vasta trattazione del problema estetico, che com­ prende le sei « Mellon Lectures » sulle belle arti, conferenze �enute nella primavera del '52 alla National Gallery of Art di Washington. Venutagli a mancare nel '60, con la morte dell'amatissima moglie Ra'issa, quell'autentica e profonda comunione di sensibilità e di pensiero in cui era vissuto per quasi sessant'anni, Maritain passò gli ultimi tempi dell'età avanzata nel ritiro religioso dei Petits Frères di Saint Foucauld presso Tolosa in assidua vita di preghiera, di meditazione e di lavoro. lvi

L'estetica dalla seconda metà dell'BOO al 1 944

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mori novantunenne, il 28 aprile 1973. Nel 1966, con Le paysan de la Garonne aveva preso fermamente le distanze dalle tendenze estremistiche che si erano dif­ fuse largamente per certe interpretazioni date dal Concilio. Il pensiero di Maritain, nonostante i primi orientamenti spinoziani e bergso­ niani della sua formazione, può considerarsi tutto racchiuso nel tomismo e diretto in ciò da un tale proposito di fedeltà che il filosofo rifiuta di dirsi « neotomista », preferendo definirsi semplicemente « tomista ». La ·scrupolosa professione di orto­ dossia non ha però impedito che consistenti riserve si siano piii. volte levate proprio da parte di autorevoli neoscolastici circa la piena aderenza delle sue interpretazioni all'orizzonte speculativo di S. Tommaso. La gnoseologia e la metafisica maritainiane sòno dominate dal problema del rapporto fra essenza e realtà. Se la realtà ha un fondamentale statuto antologico, ciò significa che l'essenza non ha valore di concretezza se non nell'esistenza, onde la fusione, nel concreto, dei due termini. La loro distinzione, posta dell'intelletto, indica che le essenze sono possibilità di esistenza; laddove la loro coincidenza si­ gnifica che l'intellegibilità dell'esistente è internamente costituita dalla sua essenza. Se il problema critico della conoscenza viene affrontato nella specie dell'intenzio­ nalità, l'assunzione intenzionale quale è intesa da Maritain esclude ogni accosta­ mento tanto alle prospettive idealistiche quanto a quelle fenomenologiche. Vero � che il concetto - come· bene interpreta il Piemontese - « guardato dal punto di vista della sua entità, è una modificazione del soggetto conoscente » e che esso, se visto dal lato « della sua intenzionalità, fa tutt'uno con l'oggetto », ma ciò che conta, per qualificare la posizione seguita da Maritain, è la conferma che l'oggetto « fa tutt'uno colla res, colla realtà », cosicché « il realismo tomisiico viene qui in­ tegralmente accettato ». La filosofia dell'arte, come la filosofia morale, si riferisce all'ordine dei rapporti tra conoscenza pura e conoscenza pratica. Nella dimensione della pratica operosità, conoscenza per agire � la prudenza, conoscenza per fare è l'arte, ed il fare dell'arte ha per fine non l'utile, ma la perfezione del prodotto. La struttura portante dell'estetica maritainiana resta nell'insieme quella esposta in Art et Scholastique, anche se le opere successive, soprattutto Creative lntuition, vi apporteranno quei fruttuosi arricchimenti che derivano da un'esperienza molto piii vasta del mondo dell'arte, ricavata anche dalla frequentazione e dallo scambio d'idee assiduo ed amichevole con artisti e scrittori. L'arte è un abito operativo dell'intelletto pratico, intendendosi per « habitus opératif », in radicale distinzione dal termine passivo di « habitude », la capacità di disporre la propria attività, si da dar luogo a « des surélévations intrinsèques de la spontanéité vivante, des développements vitaux qui rendent l'ame meilleure dans un ordre donné et qui la gonflent d'une sève active: turgentia ubera animae >> (A'rt et Scholastique, p. 18) . L'abito dell'arte si determina come virtii., vale a dire « une qualité qui, triomphant de l'in:détermination originelle de la faculté intellective, aiguissant et trempant à la fois la pointe de son activité, la porte à l'égard d'un objet défini à un certain maximum de perfection, donc d'efficacité opérative » (ib., 20) . Dal suo essere una virtii dell'intelletto pratico, votata dunque al bene della sua verità, deriva all'arte una rettitudine infallibile. Ma, nella specificazione per cui l'arte si riferisce all'umano produrre intenzionato alla bellezza, si evidenzia la disparità tra la sua essenza assoluta e la sua riuscita nelle opere storicamente « fabbricate » dall'uomo. La riuscita dell'artista è fallibile, perché esposte all'errore e al mancamento, al­ l'insufficienza e all'eccesso sono l'ideazione e l'esecuzione, allo stesso modo che, nel campo della prudenza, la retta intenzione può falsarsi e stravolgersi per non essere sino in fondo chiara a se stessa, si che ad una saggia intenzione non sempre con-

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ROSARIO .ASSUNTO

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VITTORIO STELLA

segue un'azione efficace. Né per attuazione ed esecuzione sono da considerare gli strumenti della estrinsecazione quanto proprio quello « sviluppo intrinseco della ragione >> e quella « nobiltà dell'intelligenza » cui si deve l'intuizione propria del­ l'arte e della cui diversità si connota e colora la pluralità delle persone. La qualità che piu adeguatamente identifica l'arte è la bellezza, cioè la gioia della visione, della conoscenza intuitiva. L'intelligenza, come disvelamento attivo dell'infinità dell'essere, si manifesta nell'uomo, e nell'arte umana in particolare, nell'immanenza del tramite sensoriale alla percezione del bello nelle sue condizioni di integrità, di proporzione e di chiarezza. Ma il bello che la nostra conoscenza ed il nostro produrre raggiungono non è colto nella sua· essenza, nel suo « segreto ontologico », ma nella sua connaturalità all'uomo, ove si istituisce un rapporto di conformità incommensurabile con quella intuizione che, nella sua forza folgorante ed esaustiva, è facoltà divina, potere divino. Dalla presa di coscienza della parzialità e limitatezza della propria intuizione nasce il tormento del fare, ma l'insoddisfa­ zione dell'opera fatta si vince nella coscienza che l'uomo ha del proprio stato creaturale. E la gioia, in quanto attributo della visione bella, conseguita per l'atto di produzione in cui s'incarna l'intuizione conoscitiva, non è un compiacimento quietivo, ma è mozione di desiderio e germinazione di amore. I caratteri d'integrità, di proporzione e di chiarezza si riassumono nel rapporto dell'espressione al fine dell'opera, del lavoro d'arte, il quale non è sottratto ai suoi vincoli