Gnomon. Una indagine sul numero 8845915018, 9788845915017

Lo "gnomone" di cui si parla in questo libro non è quello stilo, più o meno monumentale, la cui ombra indica l

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Gnomon. Una indagine sul numero
 8845915018, 9788845915017

Table of contents :
Copertina
Indice
Premessa
1. Crescita e diminuzione
2. Le misure del fuoco
3. Numeri e cielo
4. Il "logos" di Euclide
5. "Logos"come algoritmo
6. Operazioni e immagini elementari ( I )
7. Operazioni e immagini elementari ( II ). Gnomone e calcolo di radici
8. Algebrizzazione
9. Operazioni elementari ( III ). Viete, Newton, Raphson
10. Formalizzazione ( I ). I numeri interi secondo Dedekind
11. Formalizzazione ( II ). Cantor, Mèray, Veronese
12. Dal continuo al discreto. Il progetto di aritmetizzazione di John Von Neuman
13. Complessità e struttura
Indice dei nomi

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DELLO STESSO AUTORE:

Breve storia dell'infinito La ribellione del numero

Paolo Zellini

GNOMON Una indagine sul numero

ADELPHI EDIZIONI

© 1999 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO ISBN 88-459-1501-8

INDICE

Premessa

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1. CRESCITA E DIMINUZIONE

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1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5. 1.6.

L'altro e il diverso Numeri pitagorici «Secondo la natura dello gnomone» Numeri che girano Duplicazione del cubo. Il Colosso di Rodi La matematica: una scienza della quantità?

2. LE MISURE DEL FUOCO

2.1. 2.2. 2.3. 2.4.

La ricostruzione di Prajapati L'ingrandimento di Agni Equivalenza e invarianza La geometria degli altari è vera matematica?

3. NUMERI E CIELO

3.1. Un modello aritmetico del cosmo 3.2. Ambiguità nel cielo e nei numeri 4. IL «LOGOS» DI EUCLIDE

4.1. Logos come rapporto 4.2. Illogos di Euclide: i numeri

19 26 32 41 50 54 59 59 68 79 1 00 108 109 116 130 132 136

4.3. Il logos di Euclide: le grandezze 4.4. Il Teorema dello gnomone 5. «LOGOS» COME ALGORITMO

5. 1 . 5.2. 5.3. 5.4.

La scoperta dell'incommensurabilità Logos come antanairesis (o anthyphairesis) Numeri laterali e diagonali Etica e calcolo

6. OPERAZIONI E IMMAGINI ELEMENTARI ( I )

6.1. Eccesso e difetto 6.2. Analisi e sintesi 6.3. Ripetizione e similarità (Bruno, Piero della Francesca, Keplero, Huygens)

6.4. Origine delle operazioni elementari 7. OPERAZIONI E IMMAGINI ELEMENTARI ( II ) GNOMONE E CALCOLO DI RADICI

Lo gnomone in India. L'approssimazione di 12 Calcoli egizi Radici quadrate in Mesopotamia Lo gnomone in Cina. Risoluzione di equazioni algebriche con il metodo di Horner 7 .5. Calcoli gnomonici in Grecia

7 .1. 7.2. 7 .3. 7.4.

8. ALGEBRIZZAZIONE

8.1. 8.2. 8.3. 8.4.

L'algebra araba

Regulafalsi

Cardano, Bombelli, Viète e Descartes La computatio algebrica di Newton

9. OPERAZIONI ELEMENTARI ( III ) VI ÈTE, NEWTON, RAPHSON

9.L 9. 2. 9.3. 9.4. 9.5.

Lo gnomone nei metodi analitici di Viète Il metodo di Newton Il metodo iterativo di Raphson La serie di Taylor Intuizione e pensiero

147 153 162 164 1 78 184 197 208 209 218 226 236

244 246 254 257 259 278 287 287 298 300 309

319 320 327 333 337 348

lO. FORMALIZZAZIONE (I) I NUMERI INTERI SECONDO DEDEKIND

10.1. 10.2. 10.3. 10.4. 10.5. 10.6.

Immagini oscure Operazioni ricorsive Corrispondenze simili Le immagini di Frege I numeri naturali di Dedekind Non c'è alienazione

1 1. FORMALIZZAZIONE (II) CANTOR, MÉRAY, VERONESE

355 356 358 361 366 369 375

378

11.1. I numeri reali di Cantor 11.2. I numeri non archimedei di Giuseppe Veronese

378 386

12. DAL CONTINUO AL DISCRETO. IL PROGETTO DI ARITMETIZZAZIONE DI JOHN VON NEUMANN

395

12.1. 12.2. 12.3. 12.4. 12.5. 12.6.

Errori nel calcolo aritmetico Matrici Aritmetizzazione automatica Stabilità Calcolo nello spazio e nel tempo Applicazioni e generalizzazioni dell'algoritmo di Newton-Raphson 12.7. Interpretazione dell'errore 12.8. Irregolarità e smisuratezza

13. COMPLESSITÀ E STRUTTURA

13.1. Complessità concreta 13.2. Limiti di complessità. Mfinità con 13.3. 13.4. 13.5. 13.6. 13.7.

la calcolabilità astratta Numeri e algoritmi Struttura e algoritmi La variabile tempo Serie temporali e strutture di Toeplitz Dallogos al Golem

Indice dei nomi

397 400 401 409 414 421 426 431 435 437 444 450 455 458 460 476 479

GNOMON UNA INDAGINE SUL NUMERO

a Francesco, Susanna e Roberto Leone

Desidero ringraziare vivamente Giuseppe Trautteur per i suoi pre­ ziosi consigli e Maurizio Bruno per la sua attentissima e sapiente lettura del manoscritto.

PREMESSA

Che cosa sono, e che cosa vogliono significare i numeri? La risposta ovvia alla classica domanda di Dedekind sarebbe che i numeri servono anzitutto a contare degli oggetti, e che le varie teorie del numero che si sono succedute nel tempo indicano delle possibili estensioni e generalizzazioni di questo processo del contare. Ma questa risposta tradirebbe in parte l 'immagine del numero che ci ha tramandato la storia. Numero come quantità, numero come simbolo, numero come segno, nume­ ro come astrazione, numero come processo di calcolo, numero come informazione, numero come emblema: sono questi i più frequenti connotati del numero, conosciuti in parte fin dal­ l ' antichità più remota. Nella matematica antica si trovano non solo anticipazioni di teorie scientifiche recenti, ma anche i se­ gni di un complesso sistema di esperienze del quale potevano far parte una teoria metafisica o l 'esecuzione di un rito, una concezione della natura o il modo di prospettare un problema etico. Esiste qualche chiave di lettura che possa aiutarci a capire come sono stati generalmente concepiti i numeri (nelle prin­ cipali accezioni del termine) , e perché sono stati concepiti proprio in quel modo? A quali domande dovevano originaria­ mente rispondere le formule aritmetiche, al di là del loro sen­ so immediato e della loro coerenza di semplici formule? Può essere utile, per tentare di rispondere, individuare con­ cetti , immagini o schemi che possano servire da criterio di 13

orientamento nel tipo di esperienza che abbiamo complessiva­ mente maturato sul numero. Conviene allora rifarsi a teorie antiche, ma già sufficientemente elaborate da mostrare con chiarezza certe « costanti tematiche » che ancora oggi fanno sentire la loro influenza e la loro, si sarebbe tentati di dire, im­ prescindibilità. La prima osservazione è che i numeri, oltre che come sem­ plici entità individuali, si presentavano nell' antichità come ter­ mini di sequenze o di progressioni, ed erano verosimilmente preposti alla rappresentazione di fenomeni di diminuzione e di crescita di grandezze. La progressione più semplice era quella dei numeri naturali 1, 2, 3, 4, , ma questa stessa pro­ gressione era intesa anche in modi meno ovvi, tali da mettere in evidenza meccanismi di generazione e schemi di ragiona­ mento che risultarono decisivi per ogni sviluppo successivo. Dietro questo modo di pensare i numeri, dietro i meccanismi e le immagini regolarmente associati alla loro generazione, si intravedono i cardini di una concezione complessiva, arcaica, della natura e del cosmo. Nelle progressioni numeriche Plato­ ne vedeva come stampati i caratteri della natura, e nelle loro proprietà di ripetizione ciclica erano simbolicamente e quanti­ tativamente rappresentati i cicli che regolavano il movimento delle costellazioni. Nella struttura degli algoritmi numerici si riconosce inoltre la struttura delle regole rituali da cui, secon­ do recenti teorie, potrebbe avere avuto origine la matematica stessa. Una soprattutto sembra essere l ' idea ricorrente in questi primi algoritmi numerici: l'idea cioè di qualcosa che, crescen­ do o diminuendo in grandezza, mantiene la propria forma. Più che dal modo ovvio e diretto di considerare la successione dei numeri naturali questa idea poté sorgere, verosimilmente, dall'elaborazione di immagini simboliche che provenivano dalla mediazione teologica o rituale. La speculazione sul nu­ mero poté infatti svilupparsi anche grazie a una teologia e a una esperienza rituale nelle quali era insistentemente presen­ te l 'idea che il carattere polimorfo e dinamico della divinità e della natura dipendeva in ultima analisi da un unico e medesi­ mo atto, nel quale si riassumeva la potenza unificante di quel­ lo che in Grecia si chiamava logos. Come accade per il dio che, rimanendo simile a se stesso, si accresce o si rimpicciolisce, si divide e si ricompone, sparisce e riappare; o come accade al lo­ gos dell'anima, che si dilata o si contrae (secondo quanto asse­ rivano Eraclito e Platone) , cosÌ pure accade per il numero, il . . .

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quale finisce ogni volta per riflettersi nell'immagine di una forma che varia in grandezza senza mutare di aspetto. Di qui i fenomeni di similarità e di autosimilarità che regolano - come suggeriscono le fonti e diverse ipotesi interpretative - le teorie del rapporto e della proporzione, i metodi di approssimazione dei numeri irrazionali e le fondamentali proposizioni dell'al­ gebra geometrica. Ai procedimenti numerici corrisponde re­ golarmente una figura geometrica che contiene al suo interno una copia di se stessa. Come verosimilmente avevano intuito i pitagorici, questa immagine poteva anche rappresentare il rapporto tra « conoscente» e « conosciuto », e rivelare quindi, simbolicamente, una fondamentale identità, nella diversità, tra oggetto e soggetto. E proprio a questa rivelazione doveva tendere la costruzione scientificamente minuziosa di quegli spazi sacri su cui 1'Jndia vedica aveva fondato i suoi rituali. Si attribuisce a Cebysev un detto che rimase vivo a lungo tra i colleghi del suo circolo: « Nell'antichità i problemi matemati­ ci erano proposti dagli dèi - un esempio era la duplicazione del cubo. Nel periodo classico da semidei come potevano esse­ re Newton e Leibniz, Euler e Lagrange. Oggi sono proposti dai tecnici».1 Questa dichiarazione potrebbe essere presa alla let­ tera. Da antiche fonti risulta che divinità o eroi come Hermes e Prometeo, Apollo e Palamede, Thoth e Osiride, Agni e Prajapati svolsero un ruolo non indifferente nella scoperta e nella prima formulazione dei diversi problemi matematici. Pi­ tagora stesso era considerato un semidio, un'incarnazione vi­ vente di Apollo. Quelle scoperte hanno spesso il sapore di ve­ rità elementari, o di semplici fatti accertati empiricamente; e la matematica sviluppatasi negli ultimi secoli in Occidente ap­ pare, al loro confronto, infinitamente superiore. Ma se ci si in­ terroga sulla natura delle operazioni elementari che più han­ no contribuito all'invenzione dei moderni formalismi e sulle principali motivazioni che le hanno promosse, è difficile pre­ scindere dalla matematica degli dèi. Le prime costruzioni del­ la geometria e i primi algoritmi numerici che si incontrano nelle diverse tradizioni - in Grecia, in Cina, in India, in Egitto e in Mesopotamia - contengono infatti gli stessi ingredienti che, rivestiti del più potente linguaggio algebrico, hanno con­ tribuito all'edificazione dell'Analisi di Newton e di Lagrange. Il primo metodo generale per risolvere un'equazione algebril . A. Ostrowski, On Trends and Problems in Nummcal Approximation, in Collected Mathnnatical Papers, voI. VI, Basel-Boston-Stuttgart, 1 985, p. 3.

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ca di grado arbitrario scoperto in Occidente (da Viète intorno al 1600) è costruito sulle stesse operazioni che intervengono in algoritmi conosciuti dall'antichità più remota. Ai tecnici si de­ ve lo sviluppo della matematica negli ultimi tre o quattro seco­ li; ma gli elementi più antichi del pensiero razionale, di cui an­ che la scienza più recente ha potuto giovarsi, sono costante­ mente riferiti, nelle fonti, a un logos di natura divina; e vicever­ sa, le imprese mitiche degli dèi in Grecia e in Egitto, la ritua­ lità vedica, e l'idea di « natura» nella tradizione filosofica greca potrebbero trovare nella matematica antica una qualche chia­ ve di decifrazione. Il carattere costruttivo della geometria antica è ricondotto di solito - con qualche importante eccezione - a due soli stru­ menti, la riga e il compasso, che permettono di definirne le principali operazioni. Alle costruzioni con riga e compasso si deve, in buona parte, lo sviluppo dell' « algebra geometrica » in Grecia e poi, con il contributo delle conoscenze più specifica­ mente algoritmiche degli Arabi e delle tradizioni orientali, lo sviluppo dell'Algebra e dell'Analisi in Occidente. Esiste qual­ che strumento che svolga un'analoga funzione per una scienza costruttiva del numero e degli algoritmi algebrici e aritmetici? Una prima risposta ci viene dai pitagorici: secondo fonti atten­ dibili Filolao concepiva il numero « in conformità alla natura dello gnomone»; e proprio la figura dello gnomone doveva ri­ velarsi, sorprendentemente, uno strumento insostituibile non solo per l'algebra geometrica, ma anche per lo sviluppo di quel sistema di procedure da cui è dipeso, in un senso rigoro­ samente costruttivo e algoritmico, il progetto di aritmetizzazio­ ne della matematica, cioè la possibilità di ricondurne le for­ mule a operazioni sui soli numeri interi. L'esempio dello gno­ mone non è del resto isolato: molte procedure elementari del­ la matematica antica sembrano infatti modellate su una imma­ ginazione di tipo geometrico, legata a proprietà strutturali di semplici figure dello spazio euclideo. Per capire il significato di questa aritmetizzazione, special­ mente dopo l'introduzione del calcolo automatico nella se­ conda metà del Novecento, è necessario reinterpretare il sen­ so di quelle antiche tecniche di approssimazione numerica che sono state spesso considerate un mero preludio empirico a una matematica più rigorosa. Quelle tecniche di approssima­ zione sono in realtà fondate su schemi e algoritmi elementari che stanno all'origine sia delle costruzioni della geometria ri­ gorosa di Euclide, sia delle formule e delle dimostrazioni del16

l'analisi moderna, sia infine dei metodi computazionali neces­ sari a tradurre le formule matematiche in procedure numeri­ che automatiche. Gli algoritmi dell ' aritmetica e dell ' algebra ­ antica creazione degli dèi - non hanno mai perso il ruolo es­ senziale di mattoni e atomi irriducibili della ratia calcolante, entrando a far parte, anche in tempi recentissimi, delle più complesse procedure della matematica computazionale.

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CRESCITA E DIMINUZIONE

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L a matematica s i crea i n virtù d i un'azione libera e indipendente dall'esperienza; si sviluppa da una singola basilare intuizione a priori, che po­ trebbe essere chiamata invarianza nel cambiamen­ to, come anche unità nel molteplice. l.UITZEN EGBERTUS BROUWER

.. , . -. .

Fin dall'antico pitagorismo, con l'aritmetica e la geometria si cercò di spiegare come la trasformazione, la crescita e la di­ minuzione delle grandezze potessero accompagnarsi all'espe­ rienza dell'invariante e dell'identico. Questo è rimasto nei se­ coli successivi uno degli scopi più o meno espliciti della mate­ matica, fino a diventare, in alcuni momenti cruciali della sua storia, un elemento utile per la sua stessa definizione. Alcune tecniche per esprimere il fenomeno dell'invarianza risalgono a tempi antichissimi, ma non devono considerarsi, per questo, obsolete. Quelle tecniche continuano a far parte di una scienza che non smette di cercare - pur nella divisione e nella specializzazione - l'unità nel molteplice. 1.1 L'altro e il diverso

« Tutte le cose si paragonano al numero » :l cosÌ suona un ce­ lebre detto pitagorico, principio di una interminabile sequen­ za di scoperte che, nel corso della storia, ne fornirono altret­ tante conferme e testimonianze. Il detto si fonda su un 'idea di 1. Giamblico, Vita pitagorica,

162. Questa non è tuttavia l ' unica fonte. Ad esempio Stobeo, che si rifà ai libri Sull'aritmetica di Aristosseno (una delle au­ torità più attendibili) riferisce come Pitagora apprezzasse sopra ogni altro lo studio dei numeri e « tutte le cose paragonasse ai numeri » ( Stobaeus, Eclogae ph)'sicae, I, ed. A. Meineke, Lipsiae, 1 860, tomo l, p. 4) .

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« conformità che apre alla possibilità del paragone, in cui si condensa tutta la questione del rapporto tra le cose e l'astra­ zione del numero. Al paragone e alla conformità si affianca un 'idea di condivisione (lle'tOXr,) :1 una sorta di comunicazione tra le forme materiali molteplici e corruttibili e le forme intel­ ligibili e incorporee, un contatto che non è sovrapposizione, ma solo vicinanza, possibilità di raffronto e di arrangiamento del molteplice in conformità a un principio unificante. I pita­ gorici, riferisce Aristotele, parlavano a questo proposito di « i­ mitazione » (lltIlTlO"tç) , mentre Platone, per esprimere la stessa idea, preferiva « partecipazione » (llégeçtç) .2 I pitagorici, si legge ancora in Aristotele, « sembrano ritene­ re che il numero è il principio (apxr, ) , sia in quanto materia per le cose sia in quanto costituente le loro modificazioni (1ta9T1) e i loro stati permanenti (eçetç»>.3 Per Platone numeri e forme erano strettamente legati. Egli sosteneva che i numeri sono « princìpi causali per le altre cose » (ahtot 'tolç aÀÀotç) , e che la stessa connotazione spetta alle forme (e'{oTl ) .4 Se si dovevano cercare gli elementi ultimi di tut­ to ciò che esiste ci si poteva quindi basare sia sulle forme che sui numeri. Entrambi venivano da lui ricondotti a due princìpi fondamen tali: il « grande e piccolo » ('tò Iléya Ka1 'tò Ilt KpOV) , pertinente alla materia (uÀTI ) , e « l'uno » ('tò EV), riferito all'es­ senza (oùcrta) . La tesi che l'uno e il grande e piccolo fossero le cause ultime « per le altre cose » assume un senso più preciso se si tiene con­ to del ruolo complessivo della matematica pitagorica e plato­ nica. Questo ruolo riguardava innanzi tutto i numeri in sé, il 10ro sviluppo spaziale in successioni regolate da incrementi o contrazioni (il grande e piccolo) secondo una legge (l'uno) »,

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1. Giamblico, Vita pitagorica, 1 59 e 1 60. 2 . Aristotele, Metafisica, 987 b 1 1- 1 2 , ed. W. Jaeger, Oxford, 1 957. Sul rappor­ to tra « imitazione » e « partecipazione » si veda ad esempio il commento di ]. Tricot in Aristote, La Métaphysique, a cura di ]. Tricot, voI. I , Paris, 1 970, p. 57. 3. Metafisica, 986 a 1 6- 1 7. Fa eco Tommaso d'Aquino: « Videntur . . . ponere nu­ merum esse principium entium sicut numerum, et passiones numeri esse si­ cut passiones entium et sicut habitus » (in Aristote, La Métaphysique, cit., p. 44) . Qui si è tenuto conto anche della traduzione di T. Heath (A HistOTy of Greek Mathematics, New York, 1 98 1 , voI. I, p. 67) . 4. Aristotele, Metafisica, 987 b 24-25 e 987 b 1 8 . 5. Metafisica, 987 b 1 8-2 1 . Sulla riduzione delle cose alle idee ( o forme) e ai numeri si veda E . Berti, Le dottrine platoniche non scritte «Intorno al Bene" nelle te­ stimonianze di Aristotele, in M.W., Verso una nuova immagine di Platone, a cura di G. Reale, Milano, 1 994, pp. 259 sgg.

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che ne manteneva inalterata la forma. Ma il fatto decisivo era la funzione di causa attribuita ai concetti matematici nei con­ fronti di costruzioni e trasformazioni di figure elementari del­ lo spazio, come pure la ricerca, attraverso problemi specifici, dell' equivalenza e dell' invananza, o della permanenza della forma e dei rapporti nelle operazioni usate per mettere in relazione re­ ciproca grandezze diverse. Invarianza e permanenza (l'uno) co­ me superamento della dualità e della diversità (il grande e pic­ colo) : a questo miravano le costruzioni della geometria i loro corrispondenti processi numerici; e per questo i concetti che rendevano possibili queste costruzioni e questi processi erano princìpi causali per le altre cose. Aristotele, per esempio, si ri­ feriva ai medi proporzionali come alla vera causa della trasfor­ mazione di un rettangolo in un quadrato della stessa area; e anche l'incommensurabilità di due grandezze aveva una sua causa » , la quale sarebbe stata riconoscibile nella speciale struttura di un processo computazionale basato su un princi­ pio di sottrazione (.3 Ma già Epicarmo parlava dell'importanza e dell'efficacia compensativa del logos, della legge che regola i processi di trasformazione, presenti nell'uomo come nel numero. Alcuni pitagorici stabilivano un collegamento diretto tra numero e anima, e individuavano una qualità distintiva di entrambi nel « muoversi da sé » . E que­ sta autodeterminazione era sottolineata in un frammento di Filolao, assieme alla forza, che compete al numero, di contra­ stare la diversificazione e lo smembramento del divenire. Filo­ lao giungeva cosÌ ad affermare che « il numero è la forza sovral. Ibid. , 40 1 0. Da notare, osserva Leopardi, che in italiano si dice ancora « nien t'altro " per rafforzare il senso di « niente » . 2. Ovidio, Metamorfosi, XV, v. 1 78. 3. Si veda K. Kerényi , Die Giittin Natur, in « Eranos:Jahrbuch 1 946", Ziirich, 1 94 7 ( trad. it. La dea Natura, in Miti e misteri, Torino, 1 9 7 9, pp. 342-44) . La re­ dazione del testo risalirebbe ai primi secoli (I-III) della nostra èra. Ma le tesi dell' Inno alla natura apparterrebbero comunque sia alla tradizione orfica che alla tradizione stoica.

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na, autogenetica che mantiene l'eterna permanenza delle co­ se del cosmo » .1 Il numero poteva allora esprimere la compre­ senza di alterità (materia) e di invarianza (forma) nel divenire della natura. Se per i pitagorici il grande e piccolo era materia del numero (come il legno può esserlo per una statua) , l'as­ senza del numero poteva essere sinonimo di materia indiffe­ renziata, cioè appunto dell' « altro » .2 1.2 Numeri pitagorici

Come si esprimeva nel numero ciò che non poteva ridursi a materia? Nella matematica pitagorica i numeri naturali ( 1, 2 , 3, ... ) si distribuivano in successioni, serialmente, secondo varie leggi. Il costume pitagorico era anche di denotare ogni nume­ ro mediante un insieme di punti, una collezione di unità di­ sposte nello spazio secondo un ordine prefissato. Per i pitago­ rici i numeri erano tradizionalmente « punti aventi posizione » . Secondo alcune interpretazioni, le unità-punti dovevano esse­ re opportunamente distanziate, e ciascuna possedeva un suo proprio « campo » o « spazio » (xropa) di pertinenza.3 Lo spazio complessivo occupato dai punti era il numero, e ad esso dove­ va corrispondere una precisa figura geometrica. I numeri cosÌ disposti formavano anche delle progressioni. Le principali progressioni, conosciute almeno dai tempi dei pitago­ rici, seguendo una testimonianza di Porfirio su Archita; si fondano su almeno tre concetti: il rapporto (BulcrtT\lla, intervallo, inteso qui come logos) , la proporzione (ùvaA.oyia) e la « medietà ». Secondo il libro V degli Elementi di Euclide , per rapporto si intende una sorta di relazio-

l. Diels-Kranz, 44 B 23. Kerényi ricorda una connotazione di « autogeneran­ te » anche per la physis. 2. 'Apl9!1oç (