Gli oggetti frattali. Forma, caso e dimensione
 8806596268, 9788806596262

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Titolo originale Les ob;ets fractals © 1975.1984 e 1987 Benoit B. Mandelbrot

© 1987 Giulio Einaudi editore s. p. a ISBN 88-06-59626-8

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Torino

BenoÌt B. Mandelbrot

BII ogg81111pallall Forma, caso e dimensione

Edizione italiana a cura di Roberto Pignoni

Indice

p. IX

Prefazione all'edizione italiana di Luca Peliti e Angelo Vulpiani

XVII

Nota all'edizione italiana di Roberto Pignoni

Gli oggetti frattali 3

Prefazione dell'autore alla seconda edizione francese

7

I.

Introduzione

9

Dove Jean Perrin evoca degli oggetti familiari di forma irregolare o interrotta

II

Intorno a due gradi di ordine nel caos: l'ordine euclideo e l'ordine frattale

12

Concetti proposti come soluzione: dimensione effettiva, figura e dimensione frattali

17

Questo saggio mescola deliberatamente divulgazione e lavoro di ricerca II.

2I 23 24 25

Quanto è lung a la costa della Bretagna? Differenti metodi di misura I dati empirici d i Lewis Fry Richardson Prime forme della dimensione frattale Dimensione (frattale) di contenuto, o dimensione di HausdorffBesicovitch

26

Due nozioni intuitive essenziali : omotetia interna e cascata

27

Modello sommario della costa d i un' isola : l a curva a fiocco di neve di Helge von Koch

29

Il concetto d i dimensione d i omotetia D. Curve frattali con D compresa tra I e 2

3I

Il problema dei punti doppi . La curva di Peano che riempie il piano

32

Senso fisico delle dimensioni frattali, quando c i s i vieta i l passaggio al limite . Taglio alle piccole e alle grandi scale

VI

INDICE

III.

Il ruolo del caso Utilizzazione del caso per migliorare il modello di costa costitui­ to dalla curva di Koch

p. 45 46

C aso semplicemente invocato e caso pienamente descritto

47

Traccia del moto browniano. Perché non costituisce un modello accettabile per una costa

48

La nozione di configurazione casuale primaria IV.

Raffiche di errori

52

L a trasmissione dei dati

54

Modello approssimativo di raffiche di errori: la polvere di Can­ tor, insieme frattale di dimensione compresa tra O e I

55

Numero medio di errori nel modello cantoriano

56

Polvere di Cantor troncata e randomizzata, condizionai mente stazionaria Polvere di Lévy, ottenuta a partire dalla retta resecando dei in modo casuale

59

« trema »

67

v.

74

VI.

I crateri della Luna La distribuzione delle galassie

75

L a densità globale delle galassie

77

Le idee essenziali che portano a un modello frattale di distribu­ zione delle galassie

79

L' universo gerarchico stretto di Fournier

81

L' universo di Charlier, di dimensione effettiva indeterminata in un intervallo

82

Il paradosso del cielo infuocato, detto di Olbers

83

Giustificazione di D

83

Cascata di Hoyle. Giustific32ione di D bilità di Jeans

85 ·86

=

I

da parte di Fournier =

I

con il criterio di sta-

Principi cosmologico e cosmografico Conseguenze di questi diversi principi

87

Digressione sull' argomento dei siti d' arresto del volo di Ray­ leigh e sulla dimensione D 2

90

Un concetto generalizzato di densità, e un' osservazione sull'e­ spansione dell'universo

90

L'universo disseminato: un nuovo modello di distribuzione del­ le galassie

91

Siti d' arresto di un volo di Lévy. Le galassie come polvere frat­ tale di dimensione D < 2

=

92

Confronto con gli errori telefonici

93

Universi frattali ottenuti per mezzo di agglutinazioni successive

INDICE

VII

VII. Modelli del rilievo terrestre

P· 1 04

Preliminari: cammini aleatori senza lacci. Effetto Noè ed effetto Giuseppe

105 1 08

Moti browniani frazionari Modello browniano del rilievo terrestre e struttura delle coste oceaniche Modello browniano frazionario del rilievo Superfici proiettive delle isole Il problema delle superfici dei laghi Modello frattale delle sponde di un bacino fluviale

I IO 112 II3 II3 1 26

VIII. La geometria della turbolenza

1 29 130 131

Come distinguere tra turbolento e laminare nell' atmosfera? L a cascata d i Novikov-Stewart Comportamento della dimensione frattale nell'intersezione. Costruzione di C antar in piu dimensioni

133 1 35

Insiemi spazi ali statistici alla C antor

137

Le singolarità delle equazioni di Navier·Stokes sono frattali? Questo fatto permetterà infine di risolverle? IX.

138 138 139 142

Definizione dei due gradi d i intermittenza Misura frattale d i Besicovitch C aos moltiplicativo: generalizzazione aleatoria della misura frattale di Besicovitch X.

143 143 1 46

Intermittenza relativa

Saponi, e gli esponenti critici come dimensioni Preliminare: incastonatura d i triangoli U n modello del sapone basato sull'incastonatura apolloniana dei cerchi

XI.

Org anizzazione di componenti di calcolatore

XII. Alberi di gerarchia o di classificazione, e la dimensione

1 49

Alberi lessicografici, e la legge delle frequenze delle parole (Zipf.Mandelbrot)

153

Alberi d i gerarchia, e distribuzione dei redditi salariali (legge di Pareto)

155

XIII. Lessico dei neologismi XIV. Appendice matematica

158 159

C ' è bisogno d i una definizione matematica dei frattali? Dimensione (frattale) d i contenuto o dimensione d i Hausdorff­ Besicovitch

VIII

INDICE

Misura di Hausdorff-Besicovitch Dimensioni (frattali) di ricopri mento Contenuto di Minkowski Dimensioni (frattali) di concentrazione per una misura (Man­ delbrot) Dimensione topologica Variabili aleatorie Lévy-stabili Vettori aleatori Lévy-stabili Diverse funzioni browniane XV.

1 68 172 1 73 1 76 1 78

Schizzi biog rafici Louis Bachelier : 1 I marzo 1 870 - 28 aprile 1 946 Edmund Edward Fournier d'Albe: 1 868- 1 9 3 3 Paul Lévy: 1 5 settembre 1 886 - 5 dicembre 1 9 7 1 Lewis Fry Richardson: I I ottobre 1 88 1 - 30 settembre 1 95 3 George Kingsley Zipf: 7 gennaio 1 90 2 - 25 settembre 1 950

1 80

XVI. Coda, postscriptum e ring raziamenti

1 85

Riferimenti bibliografici

Prefazione all' edizione italiana

Delle grandezze, quella che ha una dimen­ sione è linea, quella che ne ha due è superficie, quella che ne ha tre è corpo , e al di fuori di queste non si hanno altre grandezze . . . ARISTOTELE

Dall'epoca di Galileo abbiamo imparato che il libro della natura « è scritto in lingua matematica, e i caratteri son trian­ goli, cerchi, ed altre figure geometriche ». Ora, nel mondo del­ la nostra esperienza quotidiana le figure geometriche sono piuttosto l'eccezione: qual è la forma di un sasso? di una nuvo­ la? di una montagna? Sebbene per Galileo anche tali forme ri­ cadessero sotto l'impero della geometria, sta di fatto che la scienza ha preferito evolversi andando a cercare quelle carat­ teristiche piu riposte dei fenomeni, che con minore sforzo po­ tessero essere trattate prima da una geometria, poi da un' ana­ lisi che privilegiasse la regolarità e l' armonia. I fenomeni che non erano suscettibili di questo trattamento non avevano di­ ritto di cittadinanza come fenomeni scientifici. D ' altra parte, nell'evoluzione « spontanea » delle matema­ tiche nascevano « mostri » che violavano quelle caratteristiche di regolarità e di armonia che sembravano necessarie agli og­ getti di studio scientifico: cosi Riemann e Weierstrass introdu­ cono funzioni continue che non ammettono derivate in nessun punto (ed il matematico Hermite ne parla come di una « piaga lamentevole_ . . da cui distolgo lo sguardo con orrore e disgu­ sto ») e Peano una curva continua che passa per tutti i punti di un quadrato. Abbiamo cosi da una parte dei fenomeni che non " vengono trat tatisCienilficameì1ie ; 'perè hé-è ii-- are'ii"teme'iiiè ' ' 1m --sSÌljllé riCondl.irlla(ri.ino -sd�em a ma temat"i ; dan ' altra u n �� -�s�o-deglroiiorr;�-'cEe -�ieneconsTdératoTmpòrt'�ntè'solo' Rer la corre'ffiloèITruzÌone-creièo"ìlceÙib'àse'aeranàIisr; 'ma'òi­ ���iii:��[t1i�rè!isepeile- applicazioni ��ne sde�ie ·':;�t�ra1i�·.-··'

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x

LUCA PELITI e ANGELO VULPIANI

Nella «Lettera rubata» Poe suggerisce che ciò che è nasco­ sto può essere trovato, purché venga cercato con sufficiente at­ tenzione e diligenza; mentre ci vuole un intelletto superiore per trovare ciò che si ha sotto gli occhi. La contraddizione che abbiamo menzionato era sotto gli occhi degli scienziati perlo­ meno dall'inizio del secolo: ma non è stata riconosciuta come tale che in anni recenti, e principalmente ad opera di Benolt B. Mandelbrot. E quindi il suo contributo non consiste tanto in ��9E�.till (éhe pure non mancài1oY;q���t() in un'idea: che si pos­ l care la matematica svilupp ' a�a e im­ s� E.i p.�r._�tt!!Ùi�JJ�=é.�izI2�e:.aç,i�: Mandelbrot introduce una generalizzazione di concetti matematici introdotti da diversi autori, cui dà il nome di dimensione frattale .. Questa denomi­ nazione esprime il fatto che se essa viene calcolata per oggetti regolari, il suo valore coincide con la dimensione abituale. A differenza di eS5?, !a dimensione frattale può assumere valori non interi. Si può cOSI parlare di linee di dimensione 1 >4 o di superfici di dimensione 2 ,7; ecc. In questo modo la differenza di natura fr�gli .��i r�Jari .�..i f��.t_��.�!..icon9gt. ta ferenza delle lOro dimensioni.. Ma è piu importante il fatto che iÌ1 q�mOdò'furègoràrità che tanto colpisce visivamente ha un indicatore misurabile, e diventa quindi possibile progettare esperimenti che fornisçano risultati quantitativi, analizzabili, su fenomeni che finora erano rimasti sfuggenti.. Per quanto riguarda il secondo problema, la ricerca è in cor­ so. Ma appunto perché Mandelbrot ha indicato come rispon­ dere al primo problema, questa ricerca si sviluppa e avanza se­ condo i meccanismi ben oliati della «scienza normale». Si ela­ borano modelli, si risolvono rompicapi, si sviluppano metodi.. Oramai ci sono diversi gruppi -l,e si occupano dello studio dei meccanismi che producono oggetti frattali. Questo mette il contributo di Mandelbrot in una classe di­ versa rispetto ai «paradigmi totalizzanti» nella scienza che hanno recentemente colpito il grosso pubblico: come la teoria delle catastrofi di ThOffi (�lla vulgata di Zeeman), le strutture dissipative di Prigogine, h sinergetica di Haken. In effetti nes­ suno, tranne i malcapitati·.a,llievi dei «maestri», pensa seria­ mente d'investire la pr� p� carriera scientifica nello studio della sinergetica o delle s-ttu,uure dissipative: esse restano slo­ gan che occupano molto piu 'Wazio nei giornali che nelle riviste : scientifiche. � Nel diventare oggetto di rIcerca i frattali si specializzano: cosi difficilmente oggi chi li' studia può permettersi di passare da un campo all' altro con la stessa disinvoltura di Mandelbrot..

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XII

LUCA PELITI e ANGELO VULPIANI

Ciò è praticamente inevitabile in ogni passaggio da una fase pionieristica ad una di scienza «normale ». È curioso notare come il posto che i frattali occupano nei media sembra dovuto soprattutto ai loro aspetti estetici, ad esempio il fatto di essere stati utilizzati per generare paesaggi immaginari nei film di fantascienza. Vengono invece pratica­ mente passati sotto silenzio (almeno in Italia) sia il loro impat­ to scientifico che il loro aspetto di rottura con una tradizione platonico-pitagorica. Ci si può domandare perché la geometria dei frattali abbia dovuto fare una cosi lunga anticamera, per poi imporsi cosi ra­ pidamente, quando la contraddizione cui essa risponde era presente già da tempo. Due fenomeni concomitanti della re­ cente evoluzione dell'atteggiamento scientifico ne possono da­ re una ragione: da una parte la �i!lascita di un atteggiamento geometrico-c?�!ruttiYQ ,:lelle matematiche e nelle scienze (Che si"iiècompagna ad un'attenzione piti intensa verso gli" aspetti qualitativi dei fenomeni); dall'altra, il ricorso sempre piti mas­ sicCioal caléolatoiè�Os opraùutto per la simulazione. Del piimo'asp�ùo �.testimonianza il naufragio deI progetto boùrbakista di rifondazione delle matematiche. Questo pro­ getto era fondato su una profonda sfiducia nei confronti del­ l'intuizione e dell'immaginazione - e quindi della geometria. N.e.�PI(),�a l'opinione del bourbakista Dieudonné che la curva di Peano (che passa per tutti i punti di un quadrato) sia tanto è.?nii?Ìntuitiya che,sc,lo la l()gica può comprenderla, e che non si P_U? .����. l' i�,t\l�z.�()l1e per capir� le sue propriet�. Il lavoro di Mandelbrot ha dimostrato la falsità di questa opinione. Ma il naufragio bourbakista si è consumato (negli anni '70) indipen­ dentemente, quando ci si rese conto che l'eccessiva attenzione portata al rigore logico e agli aspetti formali nelle matematiche cozzava da una parte contro l'impossibilità di dare una fonda­ zione logicamente solida e coerente di tutto l'edificio matema­ tico e dall'altra contro la necessità di permettere una maggiore libertà concettuale per perseguire lo sviluppo di nuovi campi. Cosi il calcolo si poté sviluppare nel xvn secolo proprio perché il fine di ottenere nuovi risultati non era prevaricato dalla pre­ tesa di darne una giustificazione rigorosa.

PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

XIII

A questo si accompagna la rinascita di un interesse per gli aspetti qualitativi dei fenomeni. Per molto tempo il livello di descrizione qualitativo era considerato con disprezzo (è tipico il detto di Rutherford «Qualitativo è nient'altro che quantita­ tivo malfatto ») e neanche erano disponibili gli strumenti ma­ tematici per un'analisi qualitativa. Recentemente, in parallelo con lo sviluppo di questi strumenti, ci si è interessati ad aspetti quali la prevedibilità o l'apparenza piu o meno regolare delle soluzioni di equazioni differenziali, la stabilità strutturale, la struttura morfogenetica. È diventato di conseguenza interes­ sante e possibile studiare per esempio del moto browniano non solo quantità come la distanza percorsa (in media) in un dato tempo, ma anche qualità come il grado di angolosità, le carat­ teristiche di autosomiglianza. L'oggetto concreto, nella sua ir­ regolarità, può essere tirato fuori dal suo nascondiglio ed osser­ vato. Questa evoluzione non avrebbe potuto aver luogo senza il contemporaneo sviluppo ed uso dei calcolatori. Ce n'è biso­ gno, perché gli oggetti frattali a cui si applica l'analisi abbiano le caratteristiche di aleatorietà del mondo reale. È possibile in­ fatti definire dei frattali deterministici, posti in qualche modo a metà fra la regolarità dell' analisi classica e l'irregolarità sel­ vaggia della geometria frattale. Ma essi possono essere al piu simulacri del mondo reale. Solo con il calcolatore è possibile generare e rendere visibili degli oggetti irregolari, aleatori, che possiedono tuttavia una autosomiglianza e una dimensione frattale ben definita. Solo con il calcolatore è d'altra parte pos­ sibile esplorare empiricamente e sviluppare un'intuizione di quegli oggetti, come l'insieme di cui Mandelbrot «ha l'onore di portare il nome », che possono essere definiti analiticamen­ te, ma il cui studio è reso estremamente arduo dalle loro mani­ festazioni di frattalità. Nello studio dei frattali, c'è un aspetto estetico e ludico molto spiccato. Con l'ausilio di un modesto calcolatore e di uno schermo grafico è possibile passare ore ad esplorare fram­ menti sempre piu minuti di oggetti definiti in maniera molto semplice, trovandone aspetti sempre nuovi. A causa di questo aspetto ludico, i frattali hanno avuto cittadinanza su «Scien-

XIV

LUCA PELITI e ANGELO VULPIANI

tific American», nella rubrica dei giochi matematici. Dividono l'onore di essere apparsi in questa rubrica con almeno altri due fra i contributi piu interessanti alla fisica apparsi negli ultimi anni: i quasicristalli e i sistemi dinamici caotici. Tuttavia questo aspetto estetico non è il piu importante. Il punto è se questi concetti permettono di descrivere (se non di spiegare) certi aspetti del reale o no. Sta di fatto che abbastan­ za spesso l'ipotesi che esista un determinato oggetto frattale permette di collegare osservazioni fra loro slegate. Cosi, nello scorrere turbolento dell'atmosfera «si aggira forse un orribile oggetto frattale che ancora non riusciamo a rendere visibile»; cosi il comportamento caotico di certi oggetti dinamici pare es­ sere dovuto all'esistenza di «attrattori strani»: oggetti frattali che «attraggono» il punto rappresentativo dello stato del siste­ ma; cosi, in prossimità del punto critico di una transizione liquido-gas, nel gas sono presenti ad ogni istante goccioline di liquido, che al loro interno contengono cavità, che contengono a loro volta goccioline di liquido, e cosi via secondo una geo­ metria frattale che in questo caso può essere spiegata ricorren­ do alle teorie introdotte da Wilson (premio Nobel 1 982 per la fisica). E forse proprio su una generalizzazione delle teorie di Wilson può basarsi una spiegazione dell'ubiquità dei frattali. Col proseguire della ricerca, i concetti si affinano e si diver­ sificano. Cosi recentemente ci si è resi conto della necessità di introdurre una generalizzazione dei frattali, per la descrizione di diversi fenomeni naturali. Questa è una prova a posteriori del fatto che l'introduzione dei frattali risponde a una neces­ sità reale, se dalla ricerca stessa è emersa la necessità di una correzione di tiro. È innegabile che si sia ormai affermata, sia fra gli scienziati che fra i non addetti ai lavori, una «moda» dei frattali, espres­ sione di una situazione in cui la scienza tende a divenire spet­ tacolo. A questo non è estranea l'indubbia capacità pubblici­ taria di Mandelbrot stesso, né il desiderio evidente dell'Ibm (presso cui èfellow) di sfruttarlo ai propri fini. Bisogna però ri­ conoscergli un atteggiamento misurato e la capacità di colloca­ re nel contesto il proprio contributo e di riconoscere i propri debiti scientifici. Cosa non certo frequente in un mondo, quel-

PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

xv

lo della scienza, che «non esita a dimenticare i padri», il libro si conclude con schizzi biografici degli autori (fra cui Perrin, Bachelier, Richardson, Zipf) che hanno contribuito a mettere in evidenza i fenomeni in cui Mandelbrot ha riconosciuto i frattali. Adesso la geometria dei frattali sta «facendo passi porten­ tosi per organizzarsi». Si tratta ancora di una geometria, che nella massima parte dei casi si arresta a livello descrittivo. Re­ centemente si incomincia tuttavia a delineare la via verso una dinamica che spieghi i frattali e le loro proprietà. Mandelbrot ha il merito di aver richiamato l'attenzione sui frattali, di aver­ li battezzati, di aver fatto muovere loro i primi passi come og­ getti d'indagine scientifica. La costruzione esplicita delle dinamiche dei frattali è un obiettivo di lunga lena, che ci promette un intenso ed eccitan­ te lavoro per i prossimi anni. LUCA PELITI e ANGELO VULPIANI Roma, gennaio 1987.

Nota all'edizione italiana

Il saggio che viene qui presentato al lettore italiano è appar­ so in Francia undici anni fa (Les objets fractals, Flammarion, Paris 1 975) . Ha conosciuto una seconda edizione, riveduta dall' autore, nel 1 984 . Tra queste due edizioni B . Mandelbrot ha pubblicato due opere in lingua inglese (Fractals: Form, Chance and Dimension, Freeman, San Francisco 1 9 7 7 e The Fractal Geometry of Nature, ivi 1 98 2 ) che, oltre a introdurre molti argomenti nuovi, riprendevano tutti i temi trattati nel primo libro per svilupparli piu estesamente e con una piu spic­ cata attenzione per gli aspetti tecnici e matematici. Questa edizione italiana era stata concepita all'inizio come una traduzione fedele di quella del 1 984 . Un confronto siste­ matico con gli altri saggi citati ha fatto però emergere l'esigen­ za di introdurre numerose modifiche e adattamenti. Si è pale­ sata inoltre l'opportunità di eliminare alcune parti concepite troppo specificamente per il lettore francese; di fissare, nei limiti del possibile, la terminologia italiana di una disciplina (la geometria frattale) tanto giovane da essere, anche sotto il profilo linguistico, in continua evoluzione, e infine di rende­ re la bibliografia, i riferimenti e i rinvii piu precisi ed aggior­ nati. Il libro si propone dunque oggi in una forma rinnovata ri­ spetto alle versioni del 1 975 e del 1 984 . Desideriamo esprime­ re la nostra gratitudine al professor B . Mandelbrot per la cor­ tesia e la disponibilità mostrate nel riprendere in mano il testo originale allo scopo di discutere i cambiamenti da apportare e di fornire preziosi suggerimenti.

XVIII

NOTA ALL'EDIZIONE ITALIANA

Il curatore coglie infine l'occasione per ringraziare suo pa­ dre, Bruno Pignoni, che lo ha assistito nel lavoro portando un contributo essenziale sul piano dello stile . R.P.

Roma, gennaio 1 98 7 .

Gli oggelll "'allall

In memoriam, B. e C. Per Aliette

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� r2 ( I + Y6) / 5 - 0 , 6898, la dimensione formale supera 2 . La chiave del paradosso è che l' omotetia interna ha un senso rigoroso soltanto in assenza di punti doppi, e qui ciò accade so­ lo quando r rimane al di sotto di un certo valore critico rC ) ri­ guardo al quale abbiamo testé stabilito che non può superare r2 0 ,6898. Al di là di r2, una grande quantità di punti viene contata un numero enorme di volte, donde una D formale che oltrepassa la dimensione E 2 dello spazio ambiente . A for­ tiori va escluso il caso r I , che darebbe D 00 , perché in questo frangente la costruzione di Koch non converge verso un limite . =

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C apitolo terzo Il ruolo del caso

Questo capitolo prosegue la trattazione del problema con­ creto abbordato al capitolo II , e innesca la discussione del se­ condo termine del sottotitolo del presente saggio .

Utilizzazione del caso per migliorare il modello di costa costi­ tuito dalla curva di Koch . Per quanto bene possa evocare le vere carte geografiche, la curva di Helge von Koch ha due difetti, che ritroveremo, pres­ soché invariati, nei primi modelli degli altri fenomeni a carat­ tere frattale studiati in questo saggio: le sue parti sono identi­ che tra loro e i rapporti di omotetia interna devono far parte di una scala rigida, e cioè 1/3 , ( 1/3 )2, ecc . Si potrebbe pensare di migliorare iI modello complicando l' algoritmo pur mantenen­ done nel contempo il carattere interamente deterministico; questo metodo sarebbe non soltanto fastidioso, ma anche mo­ tivato da un'ispirazione inadeguata. È chiaro infatti che ogni costa è stata modellata nel corso del tempo da molteplici in­ fluenze che non è iI caso di seguire nei particolari. La situazio­ ne si presenta ancora pio complicata di quando la meccanica tratta sistemi con un numero immenso di molecole . Le leggi che governano queste ultime a livello locale sono note nei pio minuti dettagli, ed è la loro interazione al livello globale che è poco conosciuta, mentre in geomorfologia il locale e il globale sono ugualmente incerti. In geomorfologia dunque, pio ancora che in meccanica, la soluzione deve essere statistica .

GLI OGGETTI FRATTALI

Un simile ricorso al caso evoca inevitabilmente ogni sorta d'inquietudini quasi metafisiche, ma noi non ce ne preoccupe­ remo. Questo saggio invoca il caso, nella forma in cui il calcolo delle probabilità c'insegna a manipolarlo, solo perché si tratta dell' unico modello matematico a disposizione di chi cerca di cogliere l'ignoto e l'incontrollabile. Per nostra grande fortuna, questo modello è, nello stesso tempo, straordinariamente po­ tente e comodo.

Caso semplicemente invocato e caso pienamente descritto . Affrettiamoci a mettere in chiaro che per descrivere una va­ riante probabilistica del modello di Koch non basta dire « Non c'è che da rimescolarne le parti, modificandole per forma e grandezza ». Ci s'imbatte spesso in questa argomentazione, ma desiderare e invocare il caso a questo modo è piu facile di quanto non sia descrivere le regole che permettono di farlo . Per essere precisi, la questione che si pone in primo luogo è la seguente: sappiamo che il caso può generare l'irregolarità, ma è capace di generare una irregolarità cosi intensa come quella delle coste, per le quali noi cerchiamo un modello? Ebbene, si constata che non solo lo può fare, ma che è veramente difficile in molte situazioni impedire al caso di andare al di là delle no­ stre stesse aspettative . In altri termini sembra esserci l' abitudine di sottovalutare la potenza del caso nel generare mostri. La ragione sembra ri­ siedere nel fatto che il concetto di caso dei fisici è stato model­ lato sulla meccanica quantistica e sulla termodinamica, due teorie in seno alle quali il caso interviene solo a livello micro­ scopico, dove è essenziale, mentre a livello macroscopico di­ venta « benigno ». Definisco quest'ultimo termine (e ne parlo a lungo) in altre pubblicazioni, in particolare in un saggio ine­ dito sulle Formes nouvelles du hasard dans les sciences (ripreso parzialmente in Mandelbrot e Wallis 1 968 e in Mandelbrot 1 973/) . Al contrario, per quanto concerne gli oggetti fisici di cui qui ci occupiamo, l'omotetia interna fa si che il caso abbia precisamente la stessa importanza a qualsiasi scala, e ciò impli-

IL RUOLO DEL CASO

47

ca che non ha piu alcun senso parlare di livelli microscopico e macroscopico. Di conseguenza il medesimo grado di irregola­ rità che, in una costruzione certa (senza l'intervento del caso) come quella di Koch, aveva dovuto essere introdotto in manie­ ra artificiale e patologica, può senz' altro, in una costruzione aleatoria, diventare pressoché inevitabile . Quest'ultima osser­ vazione è dovuta a due autori. Fu Jean Perrin a notare l' analo­ gia qualitativa tra il moto browniano di una particella (figura 5 1 ) e la curva senza derivata di Weierstrass, e fu Norbert Wie­ ner a trasformare quest ' analogia in teoria matematica. Il pre­ cursore era stato Louis Bachelier, che aveva introdotto nel 1 900 un modello della Borsa di Parigi (episodio da me riferito nel capitolo xv) .

Traccia del moto browniano. Perché non costituisce un model­ lo accettabile per una costa . Definiamo dunque il moto browniano P (t) , dove P è un punto del piano, in modo da poter subito chiarire perché la sua « traccia » non può convenire in quanto modello di una costa. Il moto browniano è essenzialmente una successione di picco­ lissimi spostamenti mutuamente indipendenti e isotropi (tutte le direzioni hanno la stessa probabilità) . Dal punto di vista di questo capitolo la cosa piu semplice è caratterizzare P (t) attra­ verso le approssimazioni che si ottengono prendendo un com­ passo di apertura fissa TJ: qualunque sia TJ , i passi successivi di un moto browniano hanno direzioni mutuamente indipenden­ ti e isotrope . La definizione abituale è piu indiretta. Per ogni coppia di istanti t e t ' > t, si definisce il vettore spostamento come il vettore che va da P (t) a P (t ' ) , e si fanno le ipotesi se­ guenti:

a) La direzione e la lunghezza di questo vettore sono indi­ pendenti dalla posizione iniziale P (t) e dalle posizioni as­ sunte negli istanti anteriori a t. b) Questo vettore è isotropo .

GLI OGGETTI FRATTALI

c) La proiezione della sua lunghezza su un asse qualunque verifica la distribuzione gaussiana, di densità

( 2 1t I t I - t I ) - 1 /2 ex p ( - X2/ 2 I t I - t I ) . La « traccia » lasciata dal moto browniano ha ormai acquisi­ to il diritto di essere annoverata tra le « configurazioni casuali primarie » che descriveremo fra un istante. Sfortunatamente, non si presta affatto ad essere l'immagine di una costa, poiché è di gran lunga troppo irregolare. In particolare, comporta in­ numerevoli punti doppi, anche nel senso strettamente mate­ matico del termine, il che è ovviamente inaccettabile in una costa. Si tratta comunque di una di quelle curve straordinarie che - come la curva di Peano del capitolo II - riempiono tutto il piano. Si può costringerla a non avere autointersezioni, ma non lo faremo fino al capitolo VII .

La nozione di configurazione casuale primaria . Nel frattempo , ritengo utile - almeno per certi lettori spendere due parole sulle ragioni (profonde, varie e, in fondo, ancora poco conosciute) per cui, molto spesso, il risultato di operazioni di carattere deterministico mima l'aleatorio descrit­ to dal calcolo delle probabilità. La questione si pone già in maniera particolarmente esem­ plare nel contesto dello pseudoaleatorio che si simula al calco­ latore, in modo deliberato e artificiale . È cosi che sono stati costruiti, in maniera perfettamente determinata, quasi tutti i pretesi disegni aleatori che compaiono nel seguito del libro . Il procedimento combina in modo indiretto i termini di una suc­ cessione sufficientemente lunga di numeri, trattati come se fossero i risultati del ripetuto getto di un dado a dieci facce (da O a 9) ma formati in realtà in modo reiterabile da uno pseudo­ dado programmato al calcolatore . Si parte da un solo numero fissato arbitrariamente (diciamo, il numero di telefono del pro­ grammatore) , che si chiama « seme ». L'immagine parla da sola (ed è ormai impossibile cambiarla) , ma esprime molto male

IL RUOLO DEL CASO

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l'intenzione di chi cerca di simulare eventi casuali, poiché, se da un lato qualsiasi giardiniere spera che il raccolto non dipen­ da soltanto dal suolo ma soprattutto da quello che vi semina, dall' altro io mi auguro invece che la scelta del seme non abbia nessun effetto di rilievo sulle mie simulazioni. E , quindi, lo pseudodado a dieci facce costituisce una sorta di pivot obbli­ gatorio di ogni simulazione . Lo stadio a monte è di carattere universale e per giustificarlo occorre fare intervenire l'interfac­ cia tra la teoria dei numeri e il calcolo delle probabilità. Quan­ to allo stadio a valle, esso è molto variabile secondo la posta in gioco ed esige, in quelli che lo studiano, una forma mentis af­ fatto diversa; ne consegue una molto naturale divisione del la­ voro fra gli specialisti dello stadio a monte, ai quali non appar­ tengo, e quelli dello stadio a valle, fra cui mi annovero . Tutto questo aiuta a capire meglio perché lo studioso si ag­ grappi allo pseudoaleatorio naturale. Anche li si vedono, in ge­ nerale, due stadi separati, che richiedono due tipi ben diversi di forma mentis . Non esiste tuttavia un pivot universale, indi­ pendente dalla natura del problema e dalla maniera di affron­ tarlo: si ha a che fare, a seconda dei casi, con l'una o con l' altra di un gran numero di « configurazioni casuali primarie » possi­ bili . Quella che s' invoca piu spesso rimane il getto del dado, interpretato in questo caso come oggetto fisico idealizzato, ma ce ne sono parecchie altre, come punti che cadano sul bordo di un cerchio con distribuzione uniforme di probabilità, o stelle distribuite in cielo in maniera statisticamente uniforme (legata alla legge di Poisson) . Osserviamo che, quando si hanno non una, ma due o piu variabili, o addirittura un' infinità allorché si tratta di caratterizzare una curva, l'ipotesi primaria consiste tipicamente nel supporle indipendenti; tale è il caso degli spo­ stamenti di un moto browniano . Comunque, ciò che caratterizza un evento casuale primario è il fatto d'intervenire come punto di separazione fra due stadi di una teoria, quello a monte, del quale non diremo quasi nien­ te in questo libro, e quello a valle, che consisterà in definitiva nel sostituire delle forme inaspettate del caso con altre alle quali siamo già abituati .

GLI OGGETTI FRATTALI

Figura 5 1 . Esempi di moto browniano vero , e caos omogeneo .

Questa figura riproduce alcuni esempi di moto browniano piano (vale a dire tre particolari e un frammento grande) tratti da Les Atomes di Jean Perrin . Si tratta in questo caso di un processo fisico, e non del suo modello matematico: ogni seg­ mento congiunge artificialmente le posizioni successive, sul piano focale di un microscopio, di una particella sottoposta a urti molecolari. Se si osservasse la traiettoria piu particolareg­ giatamente, ad istanti due volte piu ravvicinati, ogni salto sa­ rebbe rimpiazzato da due salti di lunghezza totale superiore . Nel modello matematico tale allungamento della traiettoria prosegue senza fine, e di conseguenza la lunghezza totale di un campione è infinita. D 'altronde, la sua superficie è nulla. Tut­ tavia, la sua dimensione è D 2 e (in un certo senso) il piano viene riempito uniformemente . Questo è uno dei molteplici aspetti che ci consentono di dire che il « caos » rappresentato dal modello è omogeneo. (Nella prospettiva che assumeremo nel capitolo VI, si tratta qui, in prima approssimazione, di un volo di RayIeigh per il quale U2 sarebbe una variabile espo­ nenziale) . =

IL RUOLO DEL CASO

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C apitolo quarto Raffiche di errori

Questo capitolo introduce degli insiemi la cui dimensione è compresa tra O e I , e che sono costituiti da punti sulla retta. Per chi deve dedicarsi al loro studio e portarlo piti avanti di quanto non faremo noi, essi presentano un notevole vantaggio: la geometria è piu semplice sulla retta che non nel piano o nello spazio . Essi hanno tuttavia due seri inconvenienti. Sono pol­ veri talmente « minute » e sottili che è molto difficile disegnarle e confrontarle tra loro, e farsene quindi un'idea intuitiva; un aspetto, questo, che sarà rilevato in diverse didascalie. Inoltre il solo problema concreto che possa servirei da supporto è eso­ terico. Lo stile di questo capitolo e del capitolo v è un po' ari­ do, e il lettore può valutare se sia il caso di saltare immediata­ mente al capitolo VI , che (per parafrasare Henri Poincaré) par­ la nuovamente di « problemi che si pongono », piuttosto che di « problemi che ei si pone ». Tuttavia il presente capitolo prepa­ ra il terreno ai capitoli successivi, in quanto introduce sulla ret­ ta dei ragionamenti che in seguito rifaremo nei contesti meno semplici del piano e dello spazio .

La trasmissione dei dati. Ogni linea di tele trasmissione è un oggetto fisico, e ogni quantità fisica è inevitabilmente sottoposta a numerose flut­ tuazioni spontanee, dette « rumori » . Le fluttuazioni che c i riguardano s i manifestano particolar­ mente nelle linee dedicate alla trasmissione di dati fra calcola-

RAFFICHE DI ERRORI

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tori, e cioè alla trasmissione di segnali che possono assumere solo due valori: I o O. Anche se l'energia relativa dell'« I » è molto forte, accade di quando in quando che il rumore sia tal­ mente intenso da deformare 1'« I » in « O », o viceversa . Per questa ragione la distribuzione degli errori riflette quella del rumore, semplificandola - oserei dire - all' osso, perché una funzione che può assumere un grande numero di valori (il ru­ more) è sostituita da una funzione a due soli valori: essa è uguale a O se non ci sono errori, a I se ve ne sono. L'intervallo tra due errori sarà chiamato « intermissione ». Il problema è reso difficile dalla nostra insufficiente cono­ scenza del modo in cui la distribuzione degli errori dipende dalla natura fisica della linea di trasmissione . Ma in un caso, che ci accingiamo a discutere, il rumore ha caratteristiche mol­ to curiose e molto importanti dal punto di vista concettuale , come peraltro dal punto di vista pratico . Senza indugiare su quest'ultimo aspetto, conviene segnala­ re che la radice stessa dei lavori descritti in questo saggio si trova nello studio dei rumori in questione; io me ne interessai, senza sospettare la loro risonanza teorica futura, perché in questo studio rientrava una questione pratica importante, che sfuggiva agli strumenti ordinari degli specialisti ' . Analizziamo dunque gli errori in modo via via piu fine . An­ zitutto si riscontrano delle ore nel corso delle quali non c'è al­ cun errore . In base a questo fatto, ogni intervallo di tempo af­ fiancato da due intermissioni della lunghezza di un' ora o piu si propone sotto specie di « raffica di errori », che verrà consi­ derata « di ordine zero ». Osserviamo poi piu attentamente una di queste raffiche . Vi distingueremo diverse intermissioni di 6 minuti o piu , che separano delle « raffiche di errori di ordine I ». Analogamente, ognuna di queste ultime contiene numero­ se intermissioni di 36 secondi, che separano delle « raffiche di 1 C fr. Mandelbrot 1 97 7/, p. 9 6 : « I fisici comprendono molto bene la natura dei rumori che predominano nel caso di segnali di debole intensità . . . Nel proble. ma qui studiato, il segnale è cosi forte che i rumori classici risultano, relativamen· te parlando , trascurabili , cosicché i rumori non trascurabili non sono classici . I rumori non trascura bili sono det ti excess noises » . Nel seguito del libro , gli errori dovuti a questo genere di dis turbi della tra· smissione, e discussi nel presente capitolo, vengono anche definiti errori « strani » o « bizzarri » [N. d. T. ] .

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GLI OGGETTI FRATTALI

ordine 2 », e cosi via . . . , ogni tappa fondandosi su intermissioni dieci volte piu brevi della precedente. Per farsi un'idea di que­ sta gerarchia è utile esaminare la figura 63 . In questo risultato, la cosa piu notevole è che le distribuzioni di ciascun ordine di raffiche si sono rivelate identiche, dal punto di vista statistico, rispetto all'ordine immediatamente superiore . Si scopre cosi un nuovo esempio di omotetia interna, e la dimensione frattale non è lontana; prima di precisarla, tuttavia, ci accingiamo come al capitolo II - ad invertire l'ordine dello sviluppo stori­ co delle idee e ad esaminare, dapprima, non il modello che io raccomando, bensi una variante non aleatoria, molto somma­ ria ma, proprio per questo, nettamente piu semplice, e molto importante di per se stessa.

Modello approssimativo di raffiche di errori: la polvere di Can­ tor, insieme frattale di dimensione compresa tra O e I . L'insieme degli errori è stato appena descritto togliendo dalla retta delle intermissioni via via piu corte . Questo mi ha fatto irresistibilmente pensare a una celebre costruzione ma­ tematica, il cui risultato è generalmente chiamato insieme di Cantor, ma che riceverà in questo libro la nuova denominazio­ ne di « polvere di Cantor ». Il nome di Georg Cantor domina la preistoria della geometria frattale, tuttavia ho deliberatamente tardato a citarlo in questo saggio, essendo risaputo che provo­ ca repulsione tra i fisici. Cercherò di dimostrare che tale repul­ sione è ingiustificata. La polvere triadica di Cantor si costruisce in due fasi: prima si interpola, poi (fase generalmente meno conosciuta, ma es­ senziale) si estrapola . L'interpolazione procede nel modo seguente . Si parte dal­ l'intervallo [0, Il (la direzione delle parentesi indica che i punti estremi sono inclusi) e se ne toglie il terzo centrale, designato da ] 1/3 , 2/3 [ (non comprende gli estremi) . Successivamente si rimuove, da ciascuno dei terzi rimanenti, il suo terzo centrale, e cosi via all'infinito. Il risultato finale di detta interpolazione è cosi tenue , che è difficile rappresentarlo graficamente in

RAFFICHE DI ERRORI

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quanto tale. Per fortuna è identico all'intersezione della « sbar­ ra di Cantor » (figura 64) con il proprio asse, oppure della cur­ va di Koch (un terzo della costa dell'isola illustrata alla figura 3 7 in alto) con il segmento che ne costituisce la « base » . Per estrapolare, s i raddoppia ripetutamente il numero di re­ pliche dell'insieme interpolato. All'inizio se ne colloca una re­ plica sul segmento [2 , 3], in modo da ottenere l'insieme origi­ nale ingrandito nel rapporto 3 . Quindi si mettono due repliche su [6 , 7] e [8, 9] , e si ottiene cOSI l'insieme originale ingran­ dito nel rapporto 9 . Successivamente quattro repliche ven­ gono piazzate su [2 X 9, 2 X 9 + I ] , [2 X 9 + 2 , 2 X 9 + 3 ] , [2 x 9 + 6, 2 X 9 + 7 ] e [ 2 x 9 + 8, 3 x 9] , i n modo d a riprodur­ re l'insieme iniziale ingrandito nel rapporto 2 7 , e cOSI di seguito. È facile vedere che la polvere di Cantor possiede una omo­ tetia interna, e che la sua dimensione è D log 2 / log 3 - 0,6309 . Inoltre, variando la « regola di dissezione », si pos­ sono ottenere dimensioni differenti, sempre comprese però tra O e I. Si può anche verificare che, sulla porzione [O , 1 ] della pol­ vere di C antor, il numero delle intermissioni di lunghezza maggiore di u è N (u) ex u - D; piu precisamente, N (u) è rappre­ sentato da una curva a forma di scala che passa continuamente da una parte all' altra di u - D• Nuovo intervento della dimen­ sione - e nuovo modo di misurarla ! =

Numero medio di errori nel modello cantoriano . Come già per la costa, possiamo farci un'idea approssima­ tiva della successione di errori che ci preoccupa portando avan­ ti l'interazione cantoriana un numero finito di volte. Si arresta l'interpolazione non appena viene ad interessare segmenti uguali a una piccola scala interna T) , che corrisponde alla durata di un simbolo di comunicazione, e s'interrompe l'estrapolazio­ ne allorché raggiunge una grande scala esterna A. Infine, per ottenere una successione di lunghezza superiore a A, si ripete questa costruzione in maniera periodica. A questo punto quale sarà il numero M (R ) di errori in un

GLI OGGETTI FRATTALI

campione di lunghezza R crescente? Se il campione comincia all' origine è facile vedere che, fin quando R rimane piu piccolo di A, il numero di errori raddoppia ogni volta che R viene mol­ tiplicato per 3 , quindi il numero totale d'errori cresce supper­ giu come M (R ) ex R D , e di conseguenza la media di tale nume­ ro varia all' incirca come la funzione decrescente R D - I . Fermiamoci un momento per rilevare un nuovo tema essen­ ziale . Si conosce il ruolo di D nelle espressioni che dànno la lun­ ghezza di un segmento, la superficie di un disco e il volume di una sfera. Ebbene, questo ruolo è stato testé generalizzato a del­ le D che non devono piu essere necessariamente degli interi ! Torniamo agli errori nel caso in cui A è finito (estrapolazio­ ne bloccata) : la media del loro numero decresce fino al valore finale non nullo A D - I , assunto per R A, dopodiché rimane costante. Se A è infinito, la media diminuisce fino a zero. Qua­ lora infine i dati suggeriscano un A finito e molto grande, sen­ za permetterne tuttavia una buona valutazione, la media avrà un limite inferiore non nullo, ma mal definito e quindi privo di utilità pratica. Un altro procedimento consiste nel calcolare la media degli errori partendo da un punto che non sia l'origine: sia A finito, e supponiamo che il campione cominci nel mezzo di una lunga intermissione; allora la media è nulla all'inizio e lo rimane tan­ to piu a lungo quanto piu si protrae l' intermissione . Tuttavia essa finisce con l' assumere, per R A, lo stesso valore finale A D - I . Piu il valore di A è grande, piu piccola risulta la media finale, e piu lungo è il periodo iniziale senza errori; piu preci­ samente, data una durata finita R, piu grande è la probabilità che il campione da t a t + R risulti privo di errori. Quando A -+ 00 , quest' ultima probabilità tende verso la certezza, po­ nendo cosi problemi delicati che ho risolto introducendo il concetto di processo sporadico (cfr. Mandelbrot I 967b) . =

=

Polvere di Cantor troncata e randomizzata, condiziona/mente stazionaria . Le insufficienze della polvere di Cantor dal punto di vista pratico sono però evidenti, soprattutto per via della sua ecces-

RAFFICHE DI ERRORI

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siva regolarità, e perché l'origine v i h a u n ruolo privilegiato , che non si può giustificare in alcun modo. È dunque necessario rimpiazzare la polvere di Cantor con qualche parente, che sarà irregolare in quanto aleatorio, e invariante sotto l' effetto di traslazioni, cioè sovrapponibile a se stesso dal punto di vista statistico; la terminologia probabilistica lo definisce stazio­ nano . Un modo semplice per raggiungere parzialmente questo scopo è stato proposto in Berger e Mandelbrot 1 963 . Partendo da una approssimazione troncata della polvere di C antor, le cui scale interna ed esterna soddisfino 1) > O e A < 00 , è suffi­ ciente randomizzare (modificare a caso) l'ordine delle inter­ missioni per renderle statisticamente indipendenti le une dalle altre. Per fare ancora meglio, si suppone che le intermissioni di lunghezza maggiore o uguale a u, dove u � l , siano in numero uguale a u - D (piuttosto che alla funzione a forma di scala cui si è fatto allusione dianzi) . Per riassumere, si ipotizza che le intermissioni successive siano degli interi, che siano statisticamente indipendenti e che la distribuzione delle loro lunghezze verifichi la « distribuzione iperbolica » Pd U > u) = u - D (Pr è l' abbreviazione di probabi­ lità che adottiamo in questo saggio) . L'ipotesi di indipendenza classifica gli errori come formanti un « processo di rinnova­ mento », detto anche « processo ricorrente ». Se l'origine è un « punto di ricorrenza », avvenire e passato sono statisticamente indipendenti, mentre se si sceglie l'origine in modo arbitrario essi non lo sono. Ritroveremo spesso la distribuzione iperbo­ lica, poiché è intimamente legata a tutto ciò che concerne 1'0motetia statistica. Faremo vedere che gli errori cosi distribuiti possono effet­ tivamente venire analizzati come se formassero delle raffiche gerarchizzate. In assenza di un termine generalmente accettato (e per evitare quello che di solito si prende in prestito dall' in­ glese, clustering) , propongo un vocabolo comprensibile di per sé, e dirò che gli errori manifestano un « ammassamento » mol­ to accentuato, la cui intensità è misurata dall'esponente D al quale ho precedentemente accennato. Per stabilire che c'è am­ massamento, scegliamo dunque una « soglia » Uo; definiamo

GLI OGGETTI FRATTALI

una « uo-raffica » come una successione di errori tra due inter­ missioni di lunghezza maggiore di Uo; ripartiamo la successio­ ne di errori in uo-raffiche successive; distinguiamo le inter­ missioni in « uo-esterne » (che separano le nostre raffiche) e « uo-interne », e consideriamo le durate relative di queste in­ termissioni, cioè le durate divise per uo. Quando D si fa pic­ cola, le durate relative delle intermissioni uo-esterne hanno una forte probabilità di essere molto nettamente superiori a l (il loro limite inferiore) : per esempio, sapendo che U > uO, la probabilità condizionata che U > 5 U o è 5 -- D ; tende dunque a l quando D tende a O . Per contro, le durate relative delle in­ termissioni uo-interne diventano in maggioranza molto piu piccole di l . Questo fatto rende ragionevole la conclusione che le uo-raffiche sono chiaramente separate, il che giustifica con precisione il termine « raffica »; per di piu , lo stesso risultato vale per ogni Uo, e di conseguenza le raffiche sono gerarchiz­ zate. Tuttavia, man mano che D aumenta, la separazione tra le raffiche si fa meno evidente . Cosa davvero notevole (Berger e Mandelbrot 1 963 ) , gli in­ siemi cosi ottenuti rappresentano in maniera estremamente conveniente i nostri dati empirici sugli errori di trasmissione . Inoltre, diversi calcoli relativi alla polvere di Cantor risultano molto semplificati. Cominciamo col supporre che A < 00 e cal­ coliamo il numero medio di errori in un intervallo da t a t + R , dove R è molto piu grande della scala interna 7) , e molto piu piccolo della scala esterna A. Conviene procedere in due tappe. Inizialmente si suppone di avere un errore all'istante t, o piu generalmente che tra gli istanti t e t + R il numero di errori M (R) sia almeno uguale a 1 . I valori cosi calcolati non sono as­ soluti ma condizionati. Si trova che il valore medio condiziona­ to di M (R ) è proporzionale a R D , quindi indipendente da A, e che il rapporto di M(R) con il suo valor medio è indipendente da R e da A. Tuttavia, l'essenziale è la forma sotto la quale la dimensione si introduce nella distribuzione condizionata di M (R ) . In una polvere di Cantor tutto dipendeva dalla posizio­ ne di t rispetto all' origine. Qui, al contrario, qualsiasi distribu­ zione condizionata è invariante in rapporto alla posizione di t, donde la conclusione che la relazione M (R ) O disturbava dal punto di vista estetico e che la costruzione stes­ sa era talmente arbitraria da apparire inadeguata. Inoltre, nello spirito si discostava troppo dalla costruzione di C antor. lo dunque proposi ben presto un' alternativa, che si è rivelata mi­ gliore sotto ogni aspetto (cfr. Mandelbrot 1 965C) . Consiste nel sostituire la polvere di Cantor con una variante aleatoria deno­ minata « polvere di Lévy ». La definizione classica si risolve in una reinterpret azione della distribuzione iperbolica Pr ( U � u) u - D; abbiamo supposto finora che u sia un inte­ ro � I , laddove Lévy suppone che u sia un numero reale posi­ tivo. In ragione di ciò, la « probabilità » totale non è piu uguale a l , ma infinita! Malgrado le apparenze questa generalizzazio­ ne ha un senso preciso, benché implichi diverse difficoltà tec­ niche che conviene evitare . Lo faremo adottando un' altra co­ struzione, piu naturale, proposta in Mandelbrot 1 97 2 Z . =

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GLI OGGETTI FRATTALI

Per introdurla, è utile descrivere la costruzione di Cantor per mezzo di « trema virtuali ». (Può darsi che questo metodo sia inedito, poiché fino ad oggi non avrebbe avuto motivazio­ ni) . Anche questa volta si parte da [0, I ] , di cui si ritaglia sem­ pre il terzo centrale h/3 , 2/3 [; fatto ciò si procede come se si ritagliassero i terzi centrali di ogni terzo di [0 , Il Dato che il terzo centrale di [0 , l ) è già stato rescisso, ritagliarlo una se­ conda volta non ha alcun effetto reale, ma simili « trema vir­ tuali » si rivelano molto comodi. Si rimuovono nella stessa ma­ niera i terzi centrali di ogni nono di [0 , I ) , di ogni ventisette­ simo, ecc . Ciò che va qui notato, è che il numero di trema di lunghezza superiore a u viene ad essere piu o meno uguale a ( I - D) 1 u , dove D è una costante determinata dalle regole di dissezione . Detto questo, randomizziamo dunque le lunghezze e le po­ sizioni dei trema di cui sopra . Li sceglieremo indipendente­ mente gli uni dagli altri, di guisa che il numero medio di trema di lunghezza superiore a u sia ( I - D) 1 u. Scegliendoli indipen­ denti, si lascia che i trema si accavallino, o siano virtuali nel senso definito al capoverso precedente . Il dettaglio tecnico non ha molta importanza: l'essenziale è che il risultato della costruzione dipende radicalmente dal segno di D. Quando D � ° e ci si ferma a dei trema di lunghezza TJ > 0, è poco probabile che rimanga alcunché; se rimane qual­ cosa sarà senza dubbio un solo piccolo intervallo . Successiva­ mente, quando TJ -+ 0 , diviene pressoché certo (la probabilità diventa uguale a I) che i trema non lasciano fuori quasi nessun punto della retta. Per contro, quando ° < D < I i trema lasciano indefinita­ mente scoperto un certo insieme assai esile, che si trova ad es­ sere precisamente una polvere di Lévy di dimensione uguale a D . Questo insieme presenta una omotetia interna statistica uniforme, nel senso che il rapporto r dell'omotetia può essere scelto senza restrizioni, contrariamente a quanto avviene nel caso dell' insieme di C antor, per il quale r doveva essere della forma 3 . , dove k è un intero . È un vero peccato che (come si è detto all'inizio del capito­ lo) non si disponga di alcun buon metodo diretto per illustrare -

RAFFICHE DI ERRORI

i risultati dell'ultimo capoverso. Ad ogni modo, cosi come ci si può fare un'idea molto appropriata della polvere di Cantor in maniera indiretta, vedendola come intersezione della curva di Koch con la propria base, ci si può anche immaginare indiret­ tamente la polvere di Lévy, attraverso la città dalle strade alea­ torie rappresentata nella figura 66. La costruzione prolunga ciascun trema della retta in una direzione del piano scelta a ca­ so. Fintantoché le « case » restanti hanno una dimensione D > I , la loro intersezione con una retta arbitraria è una pol­ vere di Lévy di dimensione D I . Viceversa, se D < I , l'inter­ sezione è quasi sicuramente vuota. -

GLI OGGETTI FRATTALI

Figura 63 . Moto browniano scalare : i suoi zeri e la sua curva.

La prima curva rappresenta la successione completa delle vincite cumulative di « Pietro » su « Francesco » dopo k lanci di una monetina; si suppone che quest 'ultima rimanga eterna­ mente imparziale (probabilità uguali per testa e croce) e che sia Pietro (o Francesco) a guadagnare un denaro quando la mone­ tina cade dalla parte della testa (o della croce) . Ne consegue che il guadagno cumulativo di Pietro effettua un cammino aleatorio sulla retta; si tratta di un' approssimazione discreta di un moto browniano scalare . La seconda e la terza curva rap­ presentano due tratti consecutivi di uno stesso grafico, che evidenzia questa volta le vincite cumulative di Pietro su un piu elevato numero di lanci; ai fini della chiarezza del disegno, esse sono rappresentate unicamente a intervalli regolari di venti lanci. Questa figura di un manuale celebre (Feller 1 950) è ri­ prodotta con il consenso degli editori. L'esame ripetuto di queste curve ha svolto un ruolo decisi­ vo nell' elaborazione delle teorie descritte in questo saggio. Per cominciare, consideriamo unicamente gli zeri della nostra fun­ zione, cioè gli istanti in cui le fortune di Pietro e di Francesco ritornano al punto di partenza. Benché gli intervalli tra questi zeri siano indipendenti, le loro posizioni sembrano raggruppar­ si in raffiche gerarchizzate ben distinte; per esempio, quando la seconda curva è esaminata con la stessa accuratezza della prima, quasi ogni zero viene rimpiazzato da un' intera raffica di punti; se si avesse a che fare con il moto browniano mate­ matico, si potrebbe continuare a suddividere cosi le raffiche al­ l' infinito . Molto a proposito, questa gerarchia mi venne in mente allorché abbordai il problema della distribuzione tem­ porale degli errori telefonici esaminato al capitolo IV . Era noto che questi errori si raggruppano in raffiche, ma io volli verifi­ care se gli intervalli tra errore ed errore fossero indipendenti. Uno studio empirico confermò la mia congettura portando ai modelli discussi nel testo. Notiamo che gli zeri del moto brow-

RAFFICHE DI ERRORI

niano - di cui questa figura costituisce un' approssimazione ­ rappresentano la variante piu semplice di una polvere di Can­ tor aleatoria di dimensione D 0,5 . Si può ottenere qualsiasi altra D che si desideri - purché compresa tra O e I - tramite gli zeri di altre funzioni aleatorie . Attraverso questo modello si definisce la dimensione frattale di una successione di errori telefonici; il suo valore dipende dalle caratteristiche precise del sostrato fisico . Esaminiamo poi, oltre agli zeri della curva qui riprodotta, tutto il grafico nel suo insieme . In Mandelbrot I 963e rilevai che la sua forma richiama quella delle sezioni verticali del rilie­ vo terrestre. Piu volte generalizzata, questa osservazione portò alla successione di modelli descritta nel capitolo VII . Un processo di Poisson. Gli istanti in cui Pietro e Francesco giocano non sono necessariamente distribuiti in modo unifor­ me nel tempo; si possono scegliere a caso indipendentemente gli uni dagli altri, con la stessa densità; formano allora un pro­ cesso di Poisson. Ne risulta un cammino aleatorio che differi­ sce dal precedente in modo impercettibile , ma offre svariati vantaggi; in particolare la sua costruzione si può generalizzare al caso multidimensionale, come vedremo nel capitolo VII . =

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GLI OGG ETTI FRATTALI

Figura 64 . Sbarra di Cantor .

Questa sbarra che si polverizza interseca il proprio asse in una polvere di C antor, insieme cOSI tenue da non potersi illu­ strare dire t t amen t e .

D = log , 2

-

0,63

I



I







-

-

-

-

-

--

-

-

-

--

RAFFICHE DI ERRORI

Figura 65 ' Scala del diavolo .

La denominazione matematica ufficiale della funzione y = !(x) illustrata in questa figura è « funzione di Lebesgue del­ la polvere di C antar » . Su ciascuna delle intermissioni di que­ st' ultima /(x) è costante . Nell' applicazione pratica discussa al ' capitolo IV , �x è un intervallo di tempo , mentre �y è l' energia di un rumore durante questo intervallo . È comodo immaginar­ si la suddetta energia uniformemente distribuita lungo la ver-

ticale . La corrispondenza inversa x = ! 1 (y ) indica allora in che modo que s t a regolarità si rompe (si potrebbe anche dire « si frattalizza ») in una distribuzione molto irregolare . U n ' analoga di ! . I, nel piano o nello spazio a tre dimensio­ ni, è utile nello studio dei voli di Lévy , illustrati nelle figure da 96 a 1 0 2 .

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GLI OGGETTI FRATTALI

Figura 6 6 . Effetto del prolungamento dei trema in forma d i nastro: città daUe stra­ de aleatorie .

Il piano è percorso da strisce (nastri) di direzione isotropa, tali che l'intersezione della verticale con la striscia di rango p abbia lunghezza Q/ p (2 - D) / p. Il diagramma corrisponde a una D vicina a 2 ; la sua in terse zio ne con una retta qualsiasi è una polvere di Lévy di dimensione D I prossima a I . Se si porta tale procedimento all'infinito, quello che « rimane » per le case avrà area nulla. (Vi si dovranno costruire torri di altezza infinita?) Quando Q supera 2 , tutto il piano è riservato alle « strade », non rimane niente per le « case ». =

-

C apitolo quinto I crateri della Luna

La logica di sviluppo del modello dei trema - con il quale si è chiuso il capitolo precedente - ci porta ora ai trema del piano, a forma di disco. Per quanto il loro interesse sia incom­ parabilmente piu generale, ci accingiamo ad introdurli attra­ verso una discussione, rapida e un po' secca, del rilievo lunare. La Luna sarà cosi una tappa nella rotta verso gli oggetti celesti che studieremo nel capitolo successivo . Il vocabolo « cratere » implica un'origine vulcanica, ma sarà piu facile ragionare adottando la terminologia di un' altra teo­ ria, che li attribuisce all'impatto di meteoriti. Piu un meteorite è grosso, piu largo e profondo è il buco che provoca, ma un nuovo forte impatto può cancellare la traccia di molti altri, e un nuovo piccolo meteorite può « sbocconcellare » l'orlo di un grosso e piu antico cratere . E anche certo che altre forze con­ corrono a modificare la superficie della Luna. In fin dei conti, occorre distinguere, per quanto concerne le origini e le aree dei crateri, due differenti distribuzioni: quella osservata e quella soggiacente . Noi supponiamo (semplificazione draconiana ! ) che gli orli dei crateri s i cancellino repentinamente i n capo a un tempo fisso e senza rapporto con la grandezza del cratere stesso . Quanto alle aree dei crateri, Marcus 1 964 e Arthur 1 954 fanno vedere che esse seguono una distribuzione iperbo­ lica di esponente r vicino a l . Noi ammettiamo che si tratti, in questo caso, della distribuzione soggiacente; e sviluppiamo i nostri ragionamenti in termini del piano anziché della super­ ficie della sfera. Il che ci porta a generalizzare a due dimensio­ ni la costruzione dei trema aleatori con la quale si è appena

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GLI OGGETTI FRATTALI

concluso il capitolo IV . Sostituendo gli intervalli con dei dischi, faremo si che tutto rimanga isotropo (invariato sotto l'effetto di rotazioni del sistema di riferimento) . Un primo problema è stabilire se vi siano parti della Luna che rimangono per sempre non ricoperte da crateri. Se la rispo­ sta è affermativa, è necessario caratterizzare la struttura geo­ metrica dell'insieme che non viene ricoperto. Dobbiamo rile­ vare che l'ipotesi di usura brutale degli orli significa che rad­ doppiare la « durata di vita » V precedente l'usura equivale a raddoppiare il numero di crateri presenti in ciascuna porzione di superficie . Ecco le risposte alle due questioni che abbiamo appena sol­ levato. Intanto, si hanno due casi di scarso interesse matema­ tico e che - non era affatto evidente a priori ! - non si applica­ no alla realtà. Quando l'esponente y della legge delle aree dei crateri è pio piccolo di I , è quasi certo che - qualunque sia la durata di vita di un cratere - il risultato del bombardamento meteoritico sarà quello di ricoprire ogni punto della superficie della Luna con almeno un cratere. Se invece y > I , ogni qua­ drato della superficie della Luna ha una probabilità non nulla di rimanere fuori da qualsiasi cratere. Tale superficie ha perciò l' aspetto di una fetta di formaggio Emmenthal: la canzone che insegna ai bimbi inglesi che la Luna è fatta di formaggio verde non si sarebbe dunque sbagliata quanto alla sostanza, ma solo riguardo al colore e alla provenienza. Pio grande è il valore di y, meno numerosi saranno i buchi piccoli, e pio corposo il for­ magglO . Affrontiamo ora il caso interessante . Se y I , e la durata di vita V dei crateri supera una certa costante Vo, è ancora una volta pressoché certo che non rimarrà alcun punto al di fuori dei crateri. Se V > Vo, si può semplicemente dire che questo insieme non contiene alcun quadratino - per piccolo che sia; inoltre la sua area (definita come misura di Lebesgue) è uguale a zero; infine, la sua dimensione tende a O quando V cresce . Quando V è piccola, l'insieme non ricoperto è frattale e la sua dimensione D si avvicina a 2 : esso sembra fatto di filamen­ ti dotati di innumerevoli biforcazioni, che separano dei buchi, =

I CRATERI DELLA LUNA

molto piccoli e che non si accavallano troppo gli uni agli altri. L' amatore riconoscerà forse qui, con me, una macilenta estra­ polazione della struttura del formaggio svizzero di Appenzell. Quando V cresce e D diminuisce, si passa progressivamente a un Emmenthal, evanescente lui pure , ma stavolta per via di grossi buchi che spesso hanno parti in comune. Tra l' altro, in­ clude molti pezzi circondati da corone vuote assai irregolari. Poi, per un certo valore « critico » della dimensione, la situazio­ ne muta qualitativamente : i nostri « filamenti » di formaggio si decompongono e l'insieme non ricoperto da crateri si fa pol­ vere . Questi ultimi risultati sono illustrati nelle figure da 70 a 73 . La loro importanza va ben al di là del problema relativo ai cra­ teri della Luna .

GLI OGGETTI FRATTALI

Figure 7°-7 1 . Fette di « formaggio frattale di Appenzell » con buchi rotondi aleatori.

Ritagliamo dal piano una serie di trema circolari, rappresen­ tati in bianco, i cui centri siano distribuiti a caso (distribuzione di Poisson) e i cui raggi siano scelti in modo da assicurare 1'0motetia statistica interna. Questi raggi sarebbero dovuti essere aleatori ma in pratica li si è scelti della forma Q/Vp, dove p è il rango di un trema nella classificazione per raggi decrescenti. Si permette a un piccolo trema di intersecarne un altro piu gran­ de. Non è il caso di meravigliarsi quando si scopre che se la co­ struzione descritta viene portata avanti all'infinito, ciò che ri­ mane sarà di superficie nulla. La nostra intuizione non ci dice però se realmente rimarrà qualcosa, né se, in caso affermativo,

71

I CRATERI DELLA LUNA

la parte residua sarà costituita da fili connessi o da una polvere di punti . La risposta alle domande appena poste dipende da Q; in particolare , la dimensione D risulta uguale a 2 - 2 1t Q2 . Quando Q è molto piccolo si ha che , da un lato, i trema non ricoprono il piano che molto lentamente e, dall ' altro , la parte residua man tiene una interconnessione molto fort e , come si può vedere dal diagramma di p. 7 0 nel quale ravviso una qual­ che ras somiglianza con il formaggio svizzero di Appenzell . Questo diagramma ha una dimensione frattale di 1 , 9 9 . Sul diagramma di p. 7 I la dimensione diventa D 1 , 9 , senza che il seme del generatore pseudoaleatorio sia cambiato ; si sono dunque moltiplicate le aree dei trema precedenti per una co­ stante maggiore di l o L ' effetto è molto evidente : l ' in tercon­ nessione della parte rimanente è diminuita in modo assai mar­ cato. =

GLI OGG ETTI FRATTALI

Figure 7 2 - 73 Fette di « formaggio Emmenthal frattale » , con buchi rotondi aleatori .

Riprendiamo il procedimento della figura precedente, con­ tinuando a diminuire D, senza cambiare seme , e colorando i trema in nero . Il risultato per D 1 , 7 5 è illu strato dal dia­ gramma di p. 72 (un E m menthal un po' vuoto) . Analogamen­ te, il caso D 1 ,5 è illustrato dal diagramma quasi evanescen­ te di p. 7 3 . Finché D > O, il « residuo » è di misura nulla, ma non vuoto ; diventa però vuoto se Q aumenta al di là di 1 I Y"�; c i ò significa che l a D formale definita d a 2 - 2 1t Q' diviene negativa e smette di es sere una dimensione . =

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I CRATERI DELLA LUNA

73

C apitolo sesto La distribuzione delle galassie

In questo capitolo ritorniamo allo studio particolareggiato di un grande problema, a noi familiare . Mi propongo di mo­ strare che la teoria della formazione delle stelle e delle galassie dovuta a Hoyle, il modello descrittivo di Fournier d'Albe , nonché (cosa ancor piu importante) i dati empirici, suggerisco­ no unanimemente che la distribuzione delle galassie nello spa­ zio include una larga zona a omotetia interna, nella quale la di­ mensione frattale si avvicina a D I . Senza alcun dubbio, questa zona si arresta alle piccole scale, prima ancora che si ar­ rivi a degli oggetti dal bordo ben preciso , quali i pianeti. Ma non si sa se, alle grandi scale, questa zona si estenda all'infinito o se, al contrario, si arresti agli ammassi di galassie (si veda l'e­ sempio del gomitolo di filo, discusso al capitolo I) , per lasciare il posto ad una zona dove la dimensione apparente è D 3 . In base alla risposta a questa domanda, relativa a una questione tanto controversa, la zona in cui D < 3 risulterà piu o meno vasta, e il concetto stesso di dimensione sarà piu o meno utile. Il problema della distribuzione delle stelle, delle galassie, degli ammassi di galassie, ecc . , affascina l'amatore come lo spe­ cialista ed è oggetto di pubblicazioni in gran numero, ma resta marginale in rapporto all'insieme dell' astronomia e dell' astro­ fisica. Ciò si deve senz' altro all' assenza di una buona teoria; nessuno specialista pretende di essere riuscito a spiegare per­ ché la distribuzione della materia celeste sia irregolare e gerar­ chizzata, come indica l'osservazione a occhio nudo e come conferma il telescopio. Questa caratteristica è segnalata da tut­ te le opere ma, quando si passa agli sviluppi seri, la quasi una=

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LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

75

nimità dei teorici suppone subito che la materia stellare sia di­ stribuita uniformemente. Un' altra spiegazione di questa esita­ zione nel trattare l'irregolare è che non si sapeva come descri­ verlo geometricamente, visto che tutti i tentativi in tal senso avevano dovuto ammettere delle deficienze. Per questo moti­ vo ci si era ridotti a demandare alla statistica la decisione tra l'ipotesi dell'uniformità asintotica, conosciuta a fondo, e un'i­ potesi contraria, del tutto vaga. C 'è da stupirsi se i risultati di test COSI mal preparati sono stati tanto poco conclusivi? Per uscire dagli schemi, non sarebbe dunque utile, ancora una volta, tentare una descrizione senza aspettare la spiegazio­ ne? Non sarebbe utile mostrare con un esempio che le proprie­ tà che vorremmo trovare in questa distribuzione sono compa­ tibili le une con le altre, e questo nell' ambito di una costruzio­ ne « naturale », vale a dire nella quale non si debba mettere in anticipo tutto quello che se ne vuole tirar fuori, che non sia, dunque, troppo evidentemente ad hoc, « su misura »? Facendo uso di una generalizzazione del moto browniano, mostreremo in questo capitolo che una tale costruzione è effettivamente possibile, che sembra facile (col senno di poi) , e che include inevitabilmente i concetti di oggetto e dimensione frattali. Ve­ dremo a cosa rassomiglia, quando la si esamini radialmente a partire dalla Terra, una distribuzione sottoposta (per ripren­ dere il termine introdotto al capitolo IV) a un ammassamento illimitato; il risultato, che non è affatto evidente, non può mancare di influenzare l'interpretazione dei dati dell'esperien­ za. Il capitolo IX tratterà degli oggetti relativamente intermit­ tenti, e introdurrà la materia interstellare; per il momento sup­ poniamo comunque che lo spazio tra le stelle sia vuoto . (In pubblicazioni a carattere piu tecnico, Mandelbrot 1 9 7 5 U , 1 979U, 1 98 2g, mostro che cosa apporti il quadro d a m e propo­ sto allo studio statistico preciso del problema dell'intermitten­ za galattica) .

La densità globale delle galassie. Cominciamo con l'esaminare da vicino il concetto di densi­ tà globale della materia nell'Universo . A priori, proprio come

GLI OGGETTI FRATTALI

la lunghezza di una costa, la densità non sembra porre alcun problema, ma in realtà le cose si complicano presto e in manie­ ra interessante . Tra le tante procedure possibili per definire e misurare questa densità, la piti diretta consiste nel misurare la massa M (R ) contenuta in una sfera di raggio R centrata sulla Terra; nel valutare poi la densità media definita da M (R ) / [(4/3 ) 1t R l] ; quindi nel far tendere R all'infinito; e infi­ ne nel definire la densità globale p come il limite verso il quale la densità media non può fare a meno di convergere . Sfortunatamente la convergenza in questione lascia alquan­ to a desiderare : man mano che aumentava la profondità del mondo percepito dai telescopi, la densità media della materia non ha smesso di diminuire. Tale densità è addirittura variata in modo regolare, rimanendo suppergiti proporzionale a R D - \ dove l'esponente D è positivo, ma piti piccolo di 3 , perfino molto pitI piccolo, dell' ordine di grandezza di D I . Dunque la massa M (R) aumenta all' incirca come R D , formula che ri­ corda quella ottenuta al capitolo IV per il numero di errori stra­ ni nel lasso di tempo R, e che costituisce in tal modo una prima indicazione del fatto che D potrebbe essere una dimensione frattale . La disuguaglianza D < 3 esprime il dato che, man mano che ci si allontana dalla Terra, gli oggetti celesti si raggruppano gerarchicamente, manifestando cosi l'intenso ammassamento di cui abbiamo parlato . Nei termini eloquenti di Vaucouleurs 1 9 70 (articolo che mi ha enormemente aiutato e che racco­ mando vivamente) , « l' ammassamento delle galassie, e senza dubbio di tutte le forme della materia, rimane, in base a tutti i metodi osservabili, la caratteristica dominante della struttura dell 'Universo, senza alcuna indicazione di un avvicinamento all'uniformità; la densità media della materia diminuisce con­ tinuamente quando si considerano volumi sempre pitI grandi. . . e le osservazioni non forniscono alcuna ragione per supporre che questa tendenza non continui a distanze molto pitI grandi e densità molto meno elevate » . Se la tesi sostenuta da Gérard de Vaucouleurs dovesse ve­ nire confermata (non si può tacere che aveva suscitato delle ri=

LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

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serve, ma sembra sia sempre piu accettata) , la cosa piu sempli­ ce sarà ammettere che D sia costante . In ogni modo, l'Universo intero si comporterebbe come il gomitolo di filo discusso al capitolo II: in una zona intermedia la sua dimensione sarebbe inferiore a 3 ; su scale molto grandi, sarebbe, a seconda che Vaucouleurs abbia ragione o torto, in­ feriore o uguale a 3 ; in tutti i casi, alle scale molto piccole dal punto di vista dell' astronomia si avrebbe a che fare con punti e poi con solidi dai cOlilorni ben delimitati, e D ridiventerebbe uguale a O e poi a 3 . Per contro, l'idea ingenua che le galassie si ripartiscano nel­ l'Universo in maniera praticamente uniforme (la traduzione tecnica di quest'idea sarebbe che esse seguono la distribuzione di Poisson) farebbe a meno della zona in cui la dimensione è compresa fra O e 3 , dando semplicemente (a scale decrescenti) le dimensioni, 3 , O e 3 . Se il modello frattale con O < D < 3 non si applica che in una zona interrotta alle due estremità, si potrà dire che l'Universo è, globalmente, di dimensione 3 , ma con delle perturbazioni locali di dimensione inferiore a 3 (pro­ prio come la teoria della relatività generale afferma che l'Uni­ verso è globalmente euclideo, ma che la presenza della materia lo rende localmente riemanniano) .

Le idee essenziali che portano a un modello frattale di distribu­ zione delle galassie. Qualunque sia il valore dei suggerimenti precedenti, con­ viene domandarsi sotto quale forma matematica - evitando di contraddire la fisica, ma senza sperare di riceverne alcun aiuto, per il momento - sia possibile formalizzare l' idea che la densità approssimativa di materia converge verso zero, annul­ landosi la densità globale . La prima costruzione che dimostri la compatibilità di queste condizioni sembra proprio essere sta­ ta data nel 1 907 da Edmund Edward Fournier d'Albe, un au­ tore di fantascienza camuffata da scienza, alcuni lavori del quale sono li li per diventare effettivamente scientifici. Presen­ teremo il suo modello partendo dall'originale, poiché non ci si

GLI OGGETTI FRATTALI

può fidare di nessuno dei resoconti (sarcastici e incompleti) che di esso furono fatti. La sua strana opera, Fournier 1 907, è sopravvissuta solo perché ebbe la fortuna di attirare l'attenzio­ ne di : . 0 astronomo affermato, C . V. L. Charlier, il quale ne trasse un modello piu generale, ma in realtà meno utile, che descriveremo fra un momento . Il principio di tale modello fu discusso in Borel 1 9 2 2 ma cadde in seguito nell'oblio, per es­ sere riscoperto in Lévy 1 930, e - quel che piu conta - in Hoy­ le 1 953 . Proprio come Fournier e Charlier, Paul Lévy cercava di evitare il paradosso del Cielo infuocato, detto « paradosso di Olbers », che appassiona giustamente l'amatore e che fra breve discuteremo; Hoyle sviluppava il suo modello della genesi delle galassie, che pure prenderemo in esame . Mi sembra appropriato centrare il discorso sul modello di Fournier-Charlier, ma non si potrà pensare di attenervisi, visto che è del tutto inverosimile, allo stesso modo e per le medesi­ me ragioni per le quali l'insieme di Cantor lo era nel caso degli errori telefonici: è eccessivamente regolare e l'origine terrestre ha nella sua costruzione un ruolo privilegiato, inaccettabile in quanto va contro il principio cosmologico, che pure discute­ remo . Quest'ultimo principio pone un problema ben serio, poiché è incompatibile non soltanto con il particolare del modello di Fournier-Charlier-Hoyle, ma anche con l' idea stessa che la densità approssimativa in una sfera di raggio R tenda a O quan­ do R tende all' infinito . Ho tuttavia mostrato in qual modo la suddetta incompatibilità matematica possa venire - se cosi posso esprimermi - « esorcizzata ». Pertanto , subito dopo aver descritto il modello di Fournier, affermerò che il principio cosmografico va oltre il ragionevole e il desiderabile e che deve venire modificato in modo naturale ma radicale. Raccomande­ rò che si adotti per esso una nuova forma piu debole, che de­ finirò condizionale, postulando che il suddetto principio valga solamente per dei « veri » osservatori . In apparenza questa nuova forma indebolita sembrerà senza dubbio inoffensiva, ed è certo che la maggioranza degli astronomi non solo la troverà accettabile , ma si domanderà quale possa essere il suo nuovo contributo; essi la avrebbero studiata da tempo se le avessero

LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

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saputo riconoscere il minimo interesse. Vedremo che il princi­ pio cosmografico condizionale non implica alcuna ipotesi nei riguardi della densità globale . Per dimostrare che esso permet­ te alla densità media di crescere come RD J attorno a qualsiasi vero osservatore , descriverò una costruzione esplicita, che equivale, in un certo senso tecnico, alla sostituzione ingiusti­ ficata di un problema a N corpi, insolubile, con una combina­ zione di problemi a due corpi, di facile risoluzione; questo pro­ cedimento non pretende di avere alcuna base reale sul piano cosmografico, ma risolve il paradosso che ci riguarda. Cammin facendo, vedremo diverse ragioni per interpretare D come di­ mensione frattale .

L 'universo gerarchico stretto di Fournier. Come nella figura 95, consideriamo cinque punti che costi­ tuiscono i quattro vertici di un quadrato e il suo centro; ag­ giungiamo due punti situati rispettivamente al di sopra e al di sotto del nostro foglio di carta, sulla verticale passante per il centro e a una distanza da quest'ultimo pari a quella fra i quat­ tro vertici del quadrato iniziale: i sette punti cosi ottenuti for­ mano un ottaedro regolare centrato. Se s'interpreta ogni punto come oggetto celeste di base, o ancora come un « ammasso di ordine O », l' ottaedro sarà considerato un « ammasso di ordine I ». Si continua la costruzione nel modo seguente: un « ammas­ so di ordine 2 » si ottiene ingrandendo un ammasso di ordine I nel rapporto Ilr 7, e centrando, su ciascuno dei sette punti cosi ottenuti, una replica dell' ammasso di ordine I . Allo stesso modo un « ammasso di ordine 3 » si ottiene ingrandendo un ammasso di ordine 2 nel rapporto Ilr 7, e centrando su cia­ scuno dei 49 punti cosi ottenuti una replica dell' ammasso di ordine I . Cosi, per passare da un ordine qualunque al succes­ sivo, si aumentano il numero di punti e il raggio nel rapporto Ilr 7 . Di conseguenza, se ogni punto ha la stessa massa, as­ sunta come unità, la funzione che rappresenta la massa M (R ) contenuta in una sfera di raggio R oscilla da una parte e dall' al­ tra della funzione individuata dalla retta M (R) R . La densità =

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GLI OGGETTI FRATTALI

media nella sfera di raggio R è all'incirca proporzionale a R -2, la densità globale si annulla, e la dimensione, definita attraver­ so M (R ) ex: R D - l , è uguale a I . A partire dagli ammassi di or­ dine O, è parimenti possibile interpolare all'infinito per tappe successive; la prima tappa sostituisce ciascuno di essi con un' immagine dell' ammasso di ordine I , ridotta secondo un rapporto di 1/7 , e cosi di seguito. Si nota che le intersezioni e le proiezioni su ciascuno dei tre assi delle coordinate sono polveri di Cantor, visto che ogni fase della loro costruzione consiste nel dividere [O , I] in sette parti uguali e poi nel ritagliarne la seconda, la terza, la quinta e la sesta. Questo universo infinitamente interpolato ed estrapolato è a omotetia interna e se ne può definire la dimensione di omo­ tetia, vale a dire D log 7 / log 7 I . Facciamo notare, per in­ ciso, un elemento nuovo: un oggetto spaziale può avere dimen­ sione I senza essere né una retta, né nessun' altra curva retti­ ficabile, e anche senza essere costituito da un solo pezzo; dun­ que la stessa dimensione di omotetia è compatibile con diversi valori della dimensione topologica (nozione descritta al capi­ tolo XlV) . Questa possibilità ci insegna qualcosa di nuovo sulla dimensione di omotetia: essa può assumere un valore intero « anormale », e cioè superiore alla dimensione topologica. (Si noti che il vecchio termine « dimensione frazionaria » costrin­ geva a dire, a proposito di certi oggetti, che la loro « dimensio­ ne frazionaria è uguale a I o a 2 » ! ) Come vedremo piu avanti, diverse ragioni fisiche sono state prodotte da Fournier e Hoyle al fine di giustificare D I , ma bisogna subito rimarcare che questo valore non ha niente di inevitabile dal punto di vista geometrico. Anche se si conserva la costruzione a base di ottaedri e il valore N 7 , si può dare a I /r un valore diverso da 7 , ottenendo cosi M (R ) ex: RD con D log 7 / 10g ( I/r) . Ogni valore compreso fra 3 e l'infinito è accettabile per I/r, quindi D può assumere qualsiasi valore fra O e log 7 flog 3 1 , 77 I 2 . Altra osservazione : la scelta di N è discutibile . Fournier dice di aver preso N 7 al solo scopo di rendere possibile un disegno comprensibile, laddove il « vero » valore sarebbe (senza spiegare perché) N 1 022; Hoyle inve­ ce prende N 5 . Comunque stiano le cose , quando sia data =

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LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

una D che soddisfi D < 3 , è facile costruire delle varianti del modello di Fournier che abbiano questo valore per dimen­ SIOne . (Segnaliamo, senza soffermarci sull' argomento, che la strut­ tura infinitamente gerarchizzata dell'universo di Fournier si manifesta in tutta la sua evidenza solo se la si esamina da un punto infinitamente lontano, facendo uso di uno strumento che permetta nello stesso tempo di vedere fino all'infinito e di percepire la distanza. A un osservatore che ne faccia lui stesso parte, dotato di strumenti di potenza limitata, che gli permet­ tano di vedere fino alla profondità R < 00 , l'universo di Four­ nier apparirà sotto un aspetto del tutto differente) .

L 'universo di Charlier, di dimensione effettiva indeterminata in un intervallo . Il modello di Fournier presenta innumerevoli carenze, fra cui quella di essere troppo regolare . È questo un aspetto che Charlier 1 908 e 1 9 2 2 rettifica lasciando variare N e r da un li­ vello gerarchico all' altro, cosi da assumere i valori Nm e rm• L'oggetto che si ottiene non possiede, beninteso, né omotetia interna, né una vera dimensione . Piu precisamente, la quantità log Nm/ log ( I /rm ) , corrispon­ dente allo stadio m, può variare con m. Supponendo che si mantenga entro dei limiti che chiameremo Dmi" e Dm" si intro­ duce un tema in piu : la dimensione fisica effettiva può benis­ simo non avere un valore preciso, ma soltanto un limite supe­ riore e un limite inferiore; questo tema, tuttavia, non può ve­ nire sviluppato in questa sede . Ad ogni modo , la condizione Dma, < 2 (soddisfatta da Fournier prendendo D I ) evita il paradosso di Olbers, sul quale porteremo di qui a poco il discorso. Notiamo di sfuggita che Charlier evita di precisare la relazione geometrica esistente tra gli oggetti a uno stesso livello. Cosi facendo, chiama in cau­ sa quello che il capitolo III definisce sarcasticamente caso d'in­ vocazione, o caso-auspicio . Non possiamo ritenercene soddi­ sfatti. =

GLI OGGETTI FRATTALI

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Il paradosso

del cielo infuocato, detto di Olbers.

Keplero pare essere stato il primo a rendersi conto che l'i­ potesi del1'uniformità nel1a ripartizione dei corpi celesti è in­ sostenibile . Se cosi fosse , il cielo notturno non sarebbe nero; di giorno come di notte, il cielo intero avrebbe la stessa lumi­ nosità del disco solare, vale a dire sarebbe uniformemente del colore del fuoco. Questa inferenza è di solito chiamata « para­ dosso di Olbers », con riferimento a Olbers 1 8 2 3 ; per una di­ scussione storica ci si può riferire a Munitz 1 95 7 , North 1 965 o Jaki 1 969 . Abbiamo osservato che il paradosso scomparireb­ be, qualora ci si potesse convincere che i corpi celesti soddisfa­ no M (R) ex R D con D < 2 . L'intento principale di Fournier e Charlier era quello di costruire un universo nel quale M (R) as­ suma effettivamente questa forma. L' argomento di Olbers è la semplicità stessa: la luminosità di una stel1a, situata alla distanza R dal1' osservatore, diminui­ sce nel rapporto l/W, ma la sua superficie apparente è a sua volta proporzionale a 1 /R2, dunque la densità di luminosità apparente è la stessa per tutte le stelle . Inoltre, se l'universo è uniforme, quasi ogni direzione tracciata nel cielo interseca il disco apparente di qualche stella, pertanto la densità di lumi­ nosità apparente è la stessa su tutto il cielo . Al contrario, se M (R ) ex R D , con D al di sotto della soglia D 2 , una propor­ zione non nul1a delle direzioni si perde al1'infinito, senza in­ contrare alcunché . Ecco una ragione sufficiente perché lo sfon­ do del cielo notturno sia nero . Bisogna affrettarsi tuttavia a precisare che non si tratta di una ragione necessaria . Ci sono numerose altre spiegazioni, il cui studio sarebbe qui fuor di luogo, ma delle quali possiamo dire che è un vero peccato che abbiano avuto l'effetto di distogliere dallo studio dell' ammas­ samento stel1are o galattico . Segnaliamo pure che , se la zona in cui D < 3 è seguita, a una distanza grande ma finita, da una zona in cui D 3 , nella quale i punti perdono la loro identità per « sciogliersi » in un fluido uniforme, lo sfondo del cielo non sarà nero, bensi illu­ minato molto debolmente . =

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LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

Giustificazione di D

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I

da parte di Fournier.

Ritorniamo a Fournier . Vediamo che egli è piu preciso di Charlier, imponendosi un determinato valore di D, vale a dire D I , valore senz' altro sufficiente ad evitare il paradosso di Olbers . Lo giustifica (p . 1 03 del suo libro) con un' argomenta­ zione davvero notevole - ancor piu nel 1 907 che nel 1 97 5 ! che procede nel modo seguente. Utilizzando senza inquietudi­ ne una formula che, in linea di principio, è applicabile solo agli oggetti a simmetria sferica, suppone che sulla superficie di ogni universo visibile (di ordine arbitrario) , di massa M e raggio R , il potenziale gravitazionale prenda l a forma GM (dove G è la costante di gravitazione) . Una stella che cada su questo univer­ so avrebbe, all'impatto, una velocità di (2 GMIR)" 2. Ora, af­ ferma Fournier, l'osservazione mostra che tali velocità sono li­ mitate . (Ci si chiede su cosa si basasse quest ' affermazione nel 1 907 ; la si vede enunciare nel 1 975 come qualcosa di assoluta­ mente nuovo !) Se si vuole che, per oggetti celesti di ordine ele­ vato, questa velocità non tenda né all'infinito né a zero, è ne­ cessario che la massa M cresca come R e non (sull'esempio di una distribuzione di Poisson) come il volume (4/3 ) 1t R l . =

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Cascata di Hoyle. Giustificazione di D stabilità di Jeans.

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I

con il criterio di

Definiamo « universo pentadico finito di Fournier » un uni­ verso ottenuto basando la costruzione di Fournier su N 5 anziché su N 7 , senza estrapolare né verso l' infinitamente grande né verso l' infinitamente piccolo . Mostreremo adesso che il carattere gerarchico di un tale universo , sotto la forma « caso-auspicio » dovuta a Charlier, e il fatto che la sua dimen­ sione debba essere uguale a I , si ritrovano entrambi se si am­ mette che le galassie e le stelle siano state formate da una casca­ ta di frammentazioni, a partire da una massa gassosa uniforme . Il ragionamento, dovuto a Hoyle 1 95 3 , è controverso ma tiene conto di una certa realtà fisica. In particolare, associa =

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GLI OGGETTI FRATTALI

D I al criterio di equilibrio delle masse gassose dovuto a Jeans . Inoltre, in questo caso N 5 non è scelto per facilitare l' illustrazione ma per delle ragioni fisiche precise (sulle quali non possiamo soffermarci) . Immaginiamo una nube gassosa di temperatura T e massa Mo, distribuita con una densità unifor­ me su una sfera di raggio Ro. Jeans aveva dimostrato che, se Mo/Ro JkR TjG (dove J è un certo fattore numerico, k la co­ stante di Boltzmann e G la costante di gravitazione) , tale nube è instabile e deve inevitabilmente contrarsi. Hoyle postula che Mo/Ro assuma effettivamente questo valore critico e che la contrazione risultante si arresti a una nube di raggio RoI5 2/ l . I n seguito, tale nube s i suddivide a sua volta i n cinque nubi uguali, tutte di massa MI Mo/5 e di raggio R 1 (Ro/5 2/l ) /5 1/l R,h . La fase si conclude (di proposito) come era comincia­ ta, nell'instabilità, e sarà seguita da una seconda fase di contra­ zione e suddivisione . E ancora. Si può mostrare che la durata della contrazione di ordine m e quella della prima contrazione , sono nel rapporto 5 "' ; pertanto, anche se il processo continua all'infinito, la sua durata totale si mantiene finita, superando solo di un quarto quella della prima fase . Si perviene in tal modo alle conclusioni seguenti. In primo luogo, Hoyle riscopre il principio cantoriano già soggiacente in Fournier. In secondo luogo, Hoyle fornisce delle ragioni fisi­ che per credere a N 5 . In terzo luogo, il criterio di stabilità di Jeans provvede una seconda maniera di determinare il valo­ re della dimensione D. Fatto interessante , dà esattamente lo stesso risultato finale : la dimensione deve essere uguale a I . Del resto , i ragionamenti di Hoyle e di Fournier sono, senza dubbio, aspetti differenti di una medesima idea: infatti, osser­ vo che al bordo di una nuvola instabile di Jeans GM/R è nello stesso tempo uguale a V2/2 (Fournier) e a JkT (Jeans) . Quindi V2/2 JkT: ciò significa che la velocità di caduta di un ogget­ to macroscopico è proporzionale alla velocità media delle mo­ lecole che contribuiscono a T. =

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LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

Principi cosmologico e cosmografico . Una delle innumerevoli manchevolezze del modello di Fournier sta nel ruolo estremamente privilegiato che vi assume l'origine . È un modello decisamente geocentrico, e di conse­ guenza antropocentrico ( u) u - D è la seguente : sia che ci si trovi nel piano, sia che ci si trovi nello spazio (quando D < I , è vero perfino sulla retta) , la quantità (M (R )) diventa ormai proporzionale a R'>, essendo il rapporto M (R ) / (M (R)) una variabile aleatoria indipendente da R . In particolare, contrariamente a quel che si constata nel volo di Rayleigh, l'esponente di un volo di Lévy dipende esplicitamente dalla distribuzione dei salti. Ciò è do­ vuto al fatto che, quando (U) 00 , il teorema limite centrale classico cessa di essere valido, e deve venire rimpiazzato da un teorema limite centrale speciale, la cui forma dipende dalla leg­ ge dei salti. Il limite costituisce la versione tridimensionale di una variabile aleatoria « stabile » nel senso di Pau} Lévy (capi­ tolo XIV). Il caso scalare è trattato nel volume secondo di Feller =

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=

GLI OGGETTI FRATTALI

1 966. Il caso tridimensionale con D 3/2 s'incontra in fisica nel problema di Holtsmark, discusso da Feller 1 966 e da Chandrasekhar 1 943 . La legge stabile corrispondente a D 1 è detta legge di C auchy; di qui il termine « volo di Cauchy » utilizzato nelle figure 96 e 99. Riassumendo, grazie alla possibilità di controllare la legge dei salti, la nostra scelta della dimensione è ora piu libera: si può ottenere il valore D 1 oppure qualsiasi altro valore sug­ gerito dai fatti e dalle teorie . Tuttavia il modello cosmografico che ho basato sul volo di Lévy non deve essere preso troppo sul serio; la sua virtu prin­ cipale risiede nel fatto che dà una dimostrazione, semplice e costruttiva nello stesso tempo, del carattere non banale della mia generalizzazione condizionale del principio cosmografico. PS. Il mio modello ha in breve rivelato una seconda virtu : come risulta da Mandelbrot 1 975U, è facile stimare le correla­ zioni tra le densità delle galassie lungo due direzioni del cielo che formino un angolo 9 dato, e lungo tre direzioni del cielo che diano luogo agli angoli 9" 9,, 9 , . Inoltre, le correlazioni ri­ cavate dalla teoria si rivelano identiche a quelle ottenute in mo­ do empirico da Peebles 1 980. Si veda anche il PS di p. 1 03 . =

=

=

Confronto con gli errori telefonici. Se un volo di Lévy con D < 1 è vincolato a restare sulla ret­ ta, i suoi si ti d' arresto assomigliano all'insieme ottenuto al ca­ pitolo IV , modificando a caso l'ordine delle intermissioni di una polvere di C antor per la quale 7] > o. La differenza consi­ ste nel fatto che le intermissioni del capitolo IV si susseguono da sinistra verso destra, mentre quelle del volo di Lévy sono isotrope : vanno a casaccio, con probabilità uguali nell'una e nell' altra direzione. La ragione per cui si è dovuto rendere iso­ tropa la costruzione è che evidentemente l' idea di volare da si­ nistra a destra non è generalizzabile né al piano, né allo spazio, dal momento che questi ultimi sono privi di un ordinamento naturale . D'altra parte, nel caso della retta, in cui c'è la possibilità di

LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

93

scegliere tra due metodi, la costruzione isotropa introduce al­ cune complicazioni. In primo luogo se l'origine è un punto del­ l'insieme, gli insiemi di siti di ascissa positiva o negativa sono indipendenti nel volo da sinistra verso destra, ma non lo sono nel volo isotropo. In secondo luogo, ogni salto di un volo da si­ nistra a destra corrisponde a una sola intermissione . Al contra­ rio, un volo isotropo inverte continuamente la rotta, andando­ si a posare nel mezzo di un salto precedente; dunque quasi ogni intermissione è l'intersezione di diversi salti. Nondimeno, a causa dell'omotetia interna del tutto, la legge che dà la lun­ ghezza di una intermissione rimane di forma iperbolica . Un'altra complicazione con l a stessa origine: ricordiamo che al fine di stabilire la tendenza all'« ammassamento gerarchico », il capitolo IV introduce degli intervalli detti « uo-raffiche » che separano dei salti di lunghezza superiore a uo. Nella costru­ zione da sinistra verso destra, è escluso che due raffiche abbia­ no punti in comune . Nella costruzione isotropa, questa possi­ bilità non viene esclusa ma si dimostra che la sua probabilità ri­ mane sufficientemente debole, e tanto piu debole quanto piu D è piccola, perché si possa ancora parlare di raffiche gerar­ chizzate .

Universi frattali ottenuti per mezzo di agglutinazioni successive. Ritorniamo ora a un punto di vista piu fisico, per segnalare che numerosi autori hanno dato una spiegazione della genesi delle stelle e di altri oggetti celesti diametralmente opposta a quella di Hoyle . Essi non invocano una cascata discendente, va­ le a dire la frammentazione di masse molto grandi e molto dif­ fuse in frammenti sempre piu piccoli, ma una cascata in risali­ ta , e cioè l' agglutinazione di polveri molto disperse in parti sempre piu grandi . Il problema - ne riparleremo al momento opportuno - richiama molto da vicino quello posto dalle ca­ scate in teoria della turbolenza. Ora, in quest'ultimo dominio i piu recenti risultati suggeriscono la coesistenza dei due tipi di cascata; ci si può dunque augurare che la disputa confusa, che

94

GLI OGGETTI FRATTALI

oppone i partigiani della frammentazione a quelli della coagu­ lazione , possa venire risolta in un avvenire non troppo lon­ tano . PS. Lo studio degli aggregati frattali è diventato molto at­ tivo a partire dal 1 98 2 .

LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

95

Figura 95 ' L ' universo secondo Fournier d'Albe .

Parafrasiamo la didascalia dell'originale, in Fournier 1 90] : « Questo diagramma descrive un multi-universo costruito su un principio cruciforme o ottaedrale . Benché non si tratti né della pianta dell'infra-mondo né di quella del sopra-mondo, il diagramma è utile perché mostra che può esistere una gerar­ chia infinita di universi omotetici senza che "il cielo sia di fuo­ co" . Se i punti rappresentano gli atomi dell' infra-mondo, la figura contornata dal cerchio a rappresenterà una stella del­ l'infra-mondo, cioè un atomo del nostro. Il cerchio A corri­ sponderà a una stella del nostro mondo e il tutto rappresenterà una " sopra-stella" » . "

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( ; 1 . 1 O G G ETTI r- R A T T A LI

D=

I

b)

LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

97

Figura 9 6 . Un universo disseminato d i Mandelbrot, d i ammassamento medio ,

D = I.

I diagrammi a} e b} della pagina precedente illustrano la si­ mulazione al calcolatore di un volo di Cauchy e l'utilizzazione di un tale volo per generare un universo « disseminando » un punto ad ogni sosta. a} è una successione di segmenti, di direzione isotropa tutti gli angoli hanno la stessa probabilità - e di lunghezza conforme alla densità di probabilità u - 2 corrispondente a D I . Alla scala di riproduzione della presente figura i seg­ menti generati sono in maggioranza troppo piccoli per essere visibili; in altri termini, là dove due segmenti visibili nella fi­ gura si congiungono, non si ha a che fare con un punto isolato, ma con un piccolo ammasso di punti . Su b} le linee generatrici sono state cancellate ed ogni sito d' arresto è ormai rappresentato da una « galassia ». Per costru­ zione, la distribuzione delle galassie è, statisticamente, esatta­ mente la stessa, qualunque sia la galassia che si assume come punto di osservazione. In tal senso, ogni galassia può legittima­ mente considerarsi come il « centro del mondo ». È questo il tratto essenziale del « principio cosmografico condizionale » proposto nel presente saggio. Questo diagramma fa quindi bal­ zare agli occhi la validità di due fra i miei principali temi frat­ tali: I } il mio principio condizionale è perfettamente compati­ bile con un ammassamento dall' aspetto gerarchico e ricco di li­ velli; e 2) questo ammassamento e una grande varietà di altre configurazioni di ogni sorta possono manifestarsi in un oggetto entro il quale nulla di simile era stato inserito ad hoc . Il grado di ammassamento che corrisponde alla dimensione D I può essere utilmente considerato « medio », mentre quelli che cor­ rispondono a D > I (fig . I O I ) e a D < I sono rispettivamente inferiore e superiore alla « media ». =

=

GLI OGGETTI FRATTALI

Figura 9 9 . Vista laterale dello stesso universo disseminato

(D

=

I).

Diamo una rappresentazione piu completa della figura pre­ cedente , indicando che si trattava di un diagramma spaziale proiettato sul piano zOx, dove O è il vertice inferiore des tro e Oz è verticale e orientato verso l ' alto. I diagrammi a ' ) e b ' ) della pagina 99 costituiscono le proie­ zioni corrispondenti sul piano y Oz, e O è, adesso, il vertice in basso a sinistra, mentre Oz rimane sempre verticale . Questa disposizione ha lo scopo di aiutare il let tore a crearsi il senso dello spazio , ponendo ad esempio questo libro sul tavolo dopo ° averlo aperto a 90 , e facendo astrazione d a que s t a pagina di did ascalie (recto e verso) . Aiutandosi con il raffronto fra a) e a ' ) , il let tore scoprirà che l'enorme super-super-ammasso , par­ ticolarmente ricco di livelli gerarchici, che costituisce l ' intero b) è dovuto in gran parte a un effetto di prospettiva, e si risol­ ve in b ' ) in un oggetto abbastanza diffuso . Lo s tesso accade del suo « nucleo », apparentemente compatto in b) ma che si as­ sottiglia in b ' ) . Altri ammassi, al contrario , si coagulano .

LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

b')

99

1 00

GLI OGGETTI FRATTALI

Figura 1 0 1 . Un universo disseminato, di ammassamento inferiore alla media,

D = 1 ,5 .

Come nelle figure precedenti, questi due diagrammi rappre­ sentano rispettivamente i salti e i siti d' arresto di un volo iso­ tropo i cui salti hanno la distribuzione Pr ( U > u) U - 1 .5. Il seme del simulatore pseudoaleatorio non è stato variato e la modifica consiste nell' abbreviare i lunghi segmenti interstel­ lari, elevandoli alla potenza 2/3 . Questo intervento li accorcia in misura tanto maggiore , quanto piu erano grandi . Inoltre, siccome la scala della figura è stata scelta in modo da riempire lo spazio disponibile, i piccoli segmenti sono stati automatica­ mente allungati. Questa operazione attenua notevolmente l'in­ tensità dell ' ammassamento, riducendo non solo gli scarti tra ammassi, ma anche il numero dei livelli gerarchici apparenti . Per le esigenze dell' applicazione all' astrofisica, siamo andati senza dubbio troppo lontano, nel senso che tutto lascia sup­ porre che la dimensione delle distribuzioni stellari si situi tra I e 1 ,5 . P5. La stima migliore , nel 1 9 84, è D - 1 , 2 3 =

.

LA DISTRIBUZIO N E DELLE GALASSIE

101

102

Figura

G LI O(; ( ; E'l'TI F R A T T A LI

102.

Zona equatoriale d i u n universo disseminato , vista dalla Terra e dal « Centauro » .

Questa figura parte da un insieme di punti, generato con lo stesso procedimento degli ammassi isolati rappresentati nelle figure da 96 a 1 0 1 . T u t t avia, la dimensione è D 1 , 2 . Cosa ancora piu importan t e , si vede qui una struttura globale , proiettata su due sfere celesti differenti . L'origine della prima è (diciamo) la Terra, mentre l ' origine della seconda può venire chiamata « il Centauro » , dato che è la centesima stella nell ' or­ dine di costruzione . I n pratica, solo le zone equatoriali hanno potuto essere rappresentate . =

D=

1 ,2

LA DISTRIBUZIONE DELLE GALASSIE

1 °3

Figura 1 03 . La distribuzione delle galassie vere .

Questa figura si riferisce ai principali gruppi di galassie la cui distanza dalla Terra è inferiore a 1 6 megaparsec: essa mo­ stra che esiste una rassomiglianza generale fra la realtà e il mo­ dello descritto nel testo . Vista da vicino, la rassomiglianza è meno evidente. Il grafico viene riprodotto, con l' autorizzazio­ ne dell'editore, da Jean Heidmann, Introduction à la Cosmolo­ gie, Presses Universitaires de France , Paris 1 973 .

PS per la p. 1 0 2 . Queste figure rivelano che il mio modello di universo disseminato dà luogo inevitabilmente a grandi vuo­ ti separati da « tracce ». Gli astronomi mi hanno subito fatto notare che questo è effettivamente il caso, salvo il fatto che i vuoti di p. 1 02 sono eccessivi: il modello è troppo « lacunoso ». Si vedrà alla p. 1 3 4 quale procedimento ho adottato per otte­ nere un modello frattale meno lacunoso .

C apitolo settimo Modelli del rilievo terrestre

Ora che abbiamo acquisito una maggiore dimestichezza con il moto browniano ordinario, ci accingiamo a prendere in esa­ me i cammini aleatori senza lacci (autointersezioni) , ai quali per definizione - è proibito passare piti di una volta per lo stesso punto. Serviranno da transi.lione verso le curve brow­ niane frazionarie, che presentano una semplice tendenza a non ritornare indietro. Esamineremo infine le superfici browniane, prima ordinarie e poi frazionarie, che forniscono un modello di tutto il rilievo terrestre e ci permetteranno infine di rappre­ sentare le coste .

Preliminari: cammini aleatori senza lacci. Effetto Noè ed effet­ to Giuseppe. Per cominciare, dato un reticolo di punti nel piano o nello spazio (ad esempio quelli le cui coordinate sono degli interi) consideriamo il cammino aleatorio che muove a caso da uno di essi verso i punti vicini, assumendo che quelli che non sono an­ cora stati visitati abbiano uguale probabilità di esserlo al pros­ simo istante, mentre gli altri sono esclusi (probabilità nulla) . Nel caso degenere della retta, il cammino aleatorio prosegue nell'una o nell'altra direzione senza mai invertire senso di mar­ cia. Ma nei casi non degeneri del piano e dello spazio, iI pro­ blema è molto interessante e molto difficile. La sua importan­ za pratica nello studio dei polimeri è però tale, da essere stato fatto oggetto di simulazioni molto dettagliate.

MODELLI DEL RILIEVO TERRESTRE

1 °5

Il risultato che c'interessa è il seguente , dovuto a Domb e descritto in Barber e Ninham 1 9 7 0 . Dopo n passi, la media quadratica dello spostamento Rn è dell' ordine di grandezza di n elevato alla potenza 2 /D . Ciò suggerisce con forza che, in un cerchio o in una sfera di raggio R attorno a un sito, ci si deve aspettare di trovare all'incirca RD altri siti. Quanto è forte la tentazione di concludere che la D di cui sopra è una dimensio­ ne ! I suoi valori sono i seguenti: sulla retta D I ; nel piano D 4/3 ; nello spazio ordinario D 5/3 ; infine , in un iper­ spazio la cui dimensione tenda all'infinito, i rischi d'incontrare un laccio diminuiscono e D - 2 . Il fatto che la D 4/3 corrispondente al piano rappresenti i dati di Richardson sulle coste piu accidentate, sembra una coincidenza. Ad ogni modo, non è il caso di insistere troppo su questo aspetto, visto che nel caso dei cammini aleatori senza lacci il principio cosmografico, sulla cui importanza abbiamo tanto insistito, non pare potersi applicare sotto alcuna forma utile . Confrontiamo tuttavia iI comportamento di M (R ) per un volo di Lévy e per un cammino aleatorio senza lacci. La forma analitica è la stessa, ma le ragioni di base sono estremamente differenti. Infatti, il volo di Lévy procede per salti indipenden­ ti, e D < 2 si deve alla presenza occasionale di valori molto grandi che separano ammassi distinti. In un cammino aleatorio senza lacci i salti sono di lunghezza fissa, e D < 2 si ha perché il movimento, per il fatto stesso di evitare le posizioni prece­ dentemente occupate, acquisisce una sorta di persistenza. Nelle mie lezioni inedite Formes nouvel!es du hasard dans !es sciences (riprese parzialmente in Mandelbrot e Wallis 1 968) , ho battezzato queste due cause, rispettivamente, effetto Noè ed effetto Giuseppe, onorando COSI due eroi biblici, quello del Diluvio e quello delle sette vacche grasse e delle sette vacche magre . =

=

=

=

Moti browniani frazionari. La storia biblica di Giuseppe merita di essere presa sul se­ rio . Si riferisce indubbiamente a un avvenimento reale, e cioè

GLI OGGETTI FRATTALI

1 06

ad una sequenza di livelli alti e bassi del Nilo, livelli che sono straordinariamente persistenti, come accade per numerosi altri fiumi. Il fenomeno deve essere segnalato perché faremo largo uso della descrizione matematica che ne venne data in Man­ delbrot 1 965h e, con maggiori dettagli e alcune illustrazioni, in Mandelbrot e Wallis 1 968. Essa consiste nel rappresentare gli efflussi annuali del Nilo tramite gli incrementi di un certo processo stocastico, ottenuto modificando il moto browniano scalare della figura 63 , al fine di addolcirlo, di renderlo meno irregolare a tutte le scale. L'intensità dell' addolcimento, e quin­ di quella della persistenza degli incrementi, dipende da un uni­ co parametro; per il processo corrispondente al valore H di questo parametro, ho proposto il termine moto browniano fra­ zionario; sarà denotato con BII (t) . Per convenzione , il valore H 0 , 5 riporta al caso classico, dove non vi è alcuna dipen­ denza, mentre la persistenza aumenta progressivamente quan­ do H cresce da 0 , 5 a l . Cosi, gli efflussi annuali del Nilo, che sono ben lungi dall'essere indipendenti, possono venire rap­ presentati dagli incrementi annuali di un moto browniano fra­ zionario di parametro H 0 , 9 . Per la Loira H è piu vicino a 0 , 5 ; per il Reno H 0 , 5 , a meno di errore . Tutto ciò è appassionante, ma nel presente contesto non co­ stituisce che una preparazione allo studio delle curve nel piano, dove pure è ragionevole cercare di generalizzare il moto brow­ niano in modo tale che la sua direzione tenda a persistere, pur conservandogli il carattere di curva continua. (Il capitolo VI si sforza al contrario di rompere la continuità, senza introdurre persistenza) . Questo equivale a ricercare, per la traiettoria, una tendenza piu o meno intensa ad evitare le autointersezio­ ni, pur senza introdurre una costrizione assoluta in tale senso . Se si vuole poi preservare l'omotetia interna - come è la rego­ la nel presente saggio - la cosa piu semplice sarà richiedere che le due coordinate siano moti browniani frazionari, statisti­ camente indipendenti, con lo stesso parametro H. Tre esempi di curve cosi ottenute sono presentati nelle figure 1 1 5- I 7 . Se avessimo esibito il grafico di ciascuna delle coordinate in fun­ zione del tempo, l'andamento delle curve si sarebbe discostato di poco da quello della figura 63 , mentre a due dimensioni =

=

=

MODELLI DEL RILIEVO TERRESTRE

1 °7

l'effetto della scelta di H è incomparabilmente piu accentuato. Per il primo tracciato (fig . I 1 5 ) , H assume il valore 0,9 del quale si è detto che rende conto dell' effetto Giuseppe per il Nilo. Avendo cosi una tendenza molto forte a proseguire nella direzione presa, qualunque essa sia, il nostro punto, lo si vede bene, si diffonde molto piu rapidamente di quanto non fareb­ be il moto browniano usuale : è in grado, per tale ragione , di evitare i lacci troppo visibili . Ci riesce cosi bene che - per ri­ tornare alla questione discussa al capitolo II la nostra curva potrebbe essere, a priori, un'immagine molto ragionevole della forma delle coste meno irregolari . Ciò del resto è confermato dal valore della sua dimensione frattale : la D del moto browniano frazionario piano è l/H, e perciò è almeno uguale a I (come dev'essere, intuitivamente, nel caso di una curva continua) ed è inferiore a 2 , il che si ac­ corda, sempre secondo l' intuizione, con il fatto che tale curva riempie il piano in modo meno denso di quanto non faccia il moto browniano ordinario. Dunque, nel caso specifico della fi­ gura 1 1 5 , si ha D 1/0,9 l , I I . Per tracciare le figure 1 1 6 e I 1 7 , H è stato cambiato, mentre si è mantenuto il seme del ge­ neratore pseudoaleatorio usato precedentemente nella figura I 1 5 . Questo procedimento mette in rilievo il progressivo au­ mento di irregolarità conseguente alla diminuzione di H; nello stesso tempo si vede che la tendenza ad evitare i lacci s' inde­ bolisce molto rapidamente man mano che D aumenta. Pertan­ to, la nostra ricerca di un modello delle coste non è ancora fi­ nita; la riprenderemo di qui a poco . Segnaliamo che il moto browniano frazionario scalare può essere definito anche per O < H < 0,5, ma una curva le cui due coordinate siano funzioni di tal fatta si diffonde piu lentamente del moto browniano usuale, tornando continuamente indietro e ricoprendo il piano in modo ripetuto . Come per H 0,5, la dimensione frattale assume il piu grande valore che si possa concepire nel piano, e cioè D 2 . -

=

=

=

=

1 08

GLI OGGETTI FRATTALI

Modello browniano del rilievo terrestre e struttura delle coste oceaniche. Facciamo il punto : a due riprese, finora, non abbiamo avu­ to successo nella ricerca di una scorciatoia che permettesse di rappresentare una costa senza curarsi del rilievo . È giunto il momento di riconoscere che questa speranza era irragionevole, e di affrontare il problema delle coste mediante la rappresen­ tazione del rilievo nel suo insieme. Costruiremo presto un mo­ dello che genera superfici statisticamente identiche a quella il­ lustrata nella figura 1 1 9 , ma dobbiamo fare un'ultima devia­ zione lungo il nostro percorso . Conoscendo fin troppo bene le difficoltà poste dai lacci, ci disponiamo ad abbordare il rilievo attraverso curve caratteri­ stiche che non possano comportarne alcuno . Se si tralasciano le rocce a strapiombo, le sezioni verticali fanno al caso nostro. La didascalia della figura 63 osserva che un cammino aleatorio scalare fornisce già un' idea di queste sezioni, senz' altro som­ maria, ma non del tutto irragionevole in prima approssimazio­ ne. Che non ci sia, nella nostra scatola degli attrezzi di confe­ zionatore professionale di modelli, una superficie aleatoria le cui sezioni verticali sono tutte moti browniani? Fino ad ora un siffatto attrezzo mancava, ma io propongo che ve lo si faccia entrare: si tratta della funzione browniana di un punto, B (P) , quale venne definita in Lévy 1 948. Il suo inventore ha saputo descriverne meravigliosamente i principali aspetti, senza aver potuto (o magari voluto?) disegnarla; tuttavia, per applicarla concretamente, è necessario farsene un'idea intuitiva. Ho ra­ gione di ritenere che la figura 1 1 9 di questo saggio ne rappre­ senti il primo campione pubblicato . Prima constatazione : la sua rassomiglianza generale con la superficie della Terra è reale ma sommaria, al piu approssima­ tiva; ci incoraggia comunque a vedere piu da vicino in che mi­ sura abbiamo fatto dei progressi nello studio delle coste ocea­ niche, definite come le curve formate dai punti situati al livello dell' oceano. Un grafico cosi ottenuto è presentato a parte nelle figure 1 2 2 - 2 3 ; ci dà finalmente l'esempio (in alto e a destra) ,

MODELLI DEL RILIEVO TERRESTRE

1 °9

tanto cercato, di una curva praticamente priva di punti doppi che, da un lato, ha una dimensione frattale nettamente supe­ riore a I , e che inoltre ci ricorda qualche angolo del globo. Pio precisamente, tale dimensione è D 1 , 5 e il nostro grafico ri­ chiama da vicino il nord del Canada, le isole della Sonda (me­ glio se si abbassasse il livello del mare per avere isole pio picco­ le) o anche (se il mare diventasse ancora pio basso) il mar Egeo. Il modello è applicabile ad altri esempi ancora, ma i dati di Richardson suggeriscono in genere una D minore di 1 ,5 . È un peccato , visto che il valore D 1 , 5 sarebbe stato facile da spiegare : Mandelbrot 1 975b mostra infatti che la funzione B (P) è un' approssimazione eccellente del rilievo che sarebbe stato generato da una sovrapposizione di faglie rettilinee indipendenti . Il modello generatore è semplicemente questo: partendo da un altopiano orizzontale , lo si rompe lungo una retta scelta a caso, e s'introduce una sorta di falesia, una differenza di livello aleatoria tra i labbri della frattura; poi si ricomincia, senza fi­ ne . Procedendo cosi, si generalizza al piano la costruzione poissoniana segnalata alla fine della didascalia della figura 63 . Si vede che il ragionamento coglie almeno un aspetto dell'evo­ luzione tettonica, e ci porta ad aggiungere B (P) alla lista delle configurazioni casuali primarie discussa al capitolo III . Tuttavia, facendo ciò dobbiamo rinunciare ad un aspetto che aveva finora caratterizzato queste configurazioni, vale a dire l' indipendenza delle loro parti. La discussione di questo punto ha inevitabilmente un carattere tecnico, e va considera­ ta alla stregua di una digressione. Consideriamo due punti po­ sti ad est e ad ovest di una sezione nord-sud del rilievo. È chia­ ro che conoscere il rilievo lungo la sezione riduce l'indetermi­ nazione che esiste riguardo al rilievo nel punto Est . Ora, si può mostrare che questa indeterminazione diminuisce ulteriormen­ te, qualora si conosca il rilievo nel punto Ovest. Se, al contra­ rio, fosse rimasta immutata, il probabilista avrebbe detto che il rilievo è markoviano, esprimendo un certo grado d'indipen­ denza tra i declivi da una parte e dalI' altra della linea Nord­ Sud . (Per le superfici irregolari che c'interessano, l'idea di de­ clivio è pericolosa; non c'è però nessun inconveniente a lascia=

=

GLI OGGETTI FRATTALI

1 10

re per ora questo punto in sospeso) . L' influenza del rilievo a ovest sul rilievo a est esprime il dato che il processo generatore manifesta - inevitabilmente - una forte dipendenza globale .

Modello browniano frazionario del rilievo . Sfortunatamente, ripetiamolo, la D osservata nel caso delle coste differisce in genere da D 1 , 5 , e ci tocca quindi conti­ nuare la ricerca se desideriamo un modello che abbia una vali­ dità piu generale . Dobbiamo anzi esplorare una direzione in­ consueta, dato che mentre al capitolo II mi adoperavo perché si accettasse di far salire D al di sopra di I , adesso invece biso­ gna che la facciamo scendere sotto 1 ,5 ! Per ottenere cosi coste meno irregolari, ci servono sezioni verticali meno irregolari. Per fortuna, alcuni paragrafi precedenti di questo capitolo hanno preparato il terreno a dovere, e due possibilità balzano agli occhi. Anzitutto è sufficiente, come modello per le sezioni verti­ cali, sostituire la funzione browniana usuale con un esempio appropriato delle varianti frazionarie introdotte poco sopra . Esistono in effetti superfici aleatorie B I I (P) le cui sezioni ver­ ticali sono delle funzioni BI I (t) . Inoltre, ho messo a punto de­ gli algoritmi che permettono di simularle al calcolatore . La su­ perficie ha dimensione 3 H, e le sue sezioni piane (comprese le coste, le altre linee di livello, cosi come le sezioni verticali) hanno tutte dimensione 2 - H. Non c'è quindi piu nessuna difficoltà per ottenere qualsiasi dimensione possa essere richie­ sta dai dati empirici ! Ci si aspetta D 1 , 3 , quindi H 0 , 7 , valore che giustifica infine la nostra figura 1 1 9 . S i conoscono però anche esempi in cui H e D sono vicine a l , come pure si può avere H vicino a 0, e D a 2 . Tornando dunque alla meta­ fora, già utilizzata, della scatola degli attrezzi di confezionato­ re di modelli, vediamo che tutte le funzioni B II (P) devono trovarvi posto . Seconda possibilità: partiamo dalla costruzione di B (P) co­ me sovrapposizione di faglie verticali rettilinee, e smussiamo ogni faglia in modo che la sua inclinazione prima aumenti e poi =

-

=

=

MODELLI DEL RILIEVO TERRESTRE

III

diminuisca in maniera progressiva. È possibile ottenere BII (P) in questo modo, ma solo alla condizione di imporre al profilo della faglia una certa forma assai specifica, della quale va detto che non è, a priori, tanto naturale. È come dire che la tettonica immaginaria soggiacente non è molto convincente, e ha scarso valore esplicativo . Tratteggeremo dunque, a titolo di digressione, diverse for­ ze suscettibili di effettuare l' azione uniformatrice che l' aumen­ to di H traduce. Nella speranza di dare ragione della persisten­ za « giuseppina » dei livelli fluviali, gli ingegneri cominciarono a tener conto dell' acqua che i serbatoi naturali possono imma­ gazzinare tra una campagna e la successiva; ci si aspettava cioè che gli efflussi annuali di un fiume variassero piu lentamente che non sotto l' ipotesi di indipendenza. Tuttavia ho potuto mostrare che l'effetto di smussamento che questo modello semplificato comporta ha carattere troppo esclusivamente lo­ cale. Se si vogliono invocare simili forze uniformatrici per spie­ gare il modello browniano frazionario, ci vorrà un grande nu­ mero di smussamenti successivi, a scale differenti. Si potreb­ be, ad esempio, rappresentare il livello del Nilo per mezzo del­ la sovrapposizione additiva di tutta una serie di processi indi­ pendenti; in primo luogo un fattore casuale di ordine uno che, tenendo conto dei serbatoi naturali (già menzionati) , implica soltanto delle interazioni di anno in anno; quindi un fattore ca­ suale di ordine due, che potremmo definire microclima, e che varia ancor piu lentamente; poi un clima variabile; e via di se­ guito . Dal punto di vista prettamente teorico, si deve conti­ nuare cosi all'infinito; l'ingegnere idrologo si fermerà però alle scale temporali dell' ordine di grandezza dell' orizzonte (sempre finito) di un progetto di controllo delle acque . Torniamo ora al rilievo. Bisogna anzitutto notare (era ora) come sia inconcepibile che i modelli browniani possano essere globalmente adeguati, per il semplice motivo che la Terra è ro­ tonda. È vero che Lévy ha anche definito una funzione brow­ niana sulla sfera, ma nemmeno questa sembra adatta alla biso­ gna (PS. Si vedano tuttavia Mandelbrot 1 977/, 1 982g) . La co­ sa migliore è allora fermarsi a scale intermedie, e ammettere che i diversi smussamenti subiti dal rilievo nel corso della sto-

112

GLI OGGETTI FRATTALI

ria geologica abbiano delle scale spaziali che si spingono al massimo fino all' ordine di grandezza dei continenti. Se rite­ nessimo che tutta la Terra corrisponda a un unico valore di H e di D, sarebbe necessario aggiungere che le intensità relative dei diversi smussamenti hanno un carattere universale; ma se, piti realisticamente, si suppone che H vari da luogo a luogo, queste intensità relative dovranno avere anch'esse carattere locale .

Superfici proiettive delle isole. Un altro test ancora dell' adeguatezza del modello brownia­ no frazionario si ottiene confrontando le distribuzioni teorica ed empirica delle superfici proiettive delle isole dell'oceano, vale a dire delle aree misurate dopo la proiezione su una sfera terrestre idealizzata. Questa definizione complicata è inevita­ bile, poiché non vi è dubbio che, proprio come la lunghezza del perimetro di un'isola, la sua vera area è infinita (o, se si preferisce, dipende dal campione di misura) , mentre la super­ ficie proiettiva S non pone alcun problema concettuale. Inoltre la distribuzione delle aree relative balza agli occhi quando si guarda una carta: è anche piu sorprendente (si pensi al mar Egeo) della forma delle coste. Non c'è dunque da stupirsi se ne è stato fatto uno studio statistico; si trova che la distribuzione di S è a omotetia interna, in altri termini è la distribuzione iperbolica: Pr (S > 5) 5 - 8 • Korcak aveva frettolosamente concluso che B 0 , 5 , ma io ho scoperto che è necessaria una B piu generale. La semplicità del risultato di Korcak attirò l'at­ tenzione di Maurice Fréchet; standolo a sentire mi venne in mente che, per renderne conto, sarebbe bastato che il rilievo fosse esso stesso a omotetia interna, idea che alla fine sboccò nel mio modello browniano frazionario del rilievo . Il modello suddetto prevede che 2B D 2 H. Se H è molto vicino a I , le aree sono alquanto ineguali, nel senso che, ad esemp io, la I O ' isola è quasi trascurabile in superficie ac­ canto alla maggiore delle isole. La disuguaglianza diminuisce con H. Notiamo che la B corrispondente al rilievo frattale con H 0,7 si attaglia bene ai dati empirici relativi all'insieme del­ la Terra. =

=

=

=

=

-

MODELLI DEL RILIEVO TERRESTRE

Il problema

delle superfici dei laghi.

Gli autori che hanno esaminato a fondo le aree delle isole, hanno naturalmente fatto lo stesso per i laghi, e i risultati da essi ottenuti meritano a loro volta di essere presi in considera­ zione. La legge iperbolica fornisce una rappresentazione altret­ tanto buona che per le isole. Un' analisi superficiale potrebbe dunque farci concludere che non c'è niente di nuovo . Tutta­ via, se vi si riflette, questa nuova conferma sembra troppo buona per essere credibile, dal momento che la definizione di un lago non è affatto simmetrica a quella di un'isola oceanica. Mentre abbiamo potuto definire queste ultime in modo che ce ne fosse una dovunque lo esiga il rilievo, la presenza di un lago dipende invece da mille altri fattori: ad esempio, esso sarà trat­ tenuto entro la sua conca solo se questa è impermeabile, e la sua area (si pensi al mar Morto e al lago Ciad) varia con la piog­ gia, il vento e la temperatura ambiente. Inoltre i sedimenti dei laghi modificano il terreno addolcendone la forma. Il fatto che l' omotetia interna sopravviva a tutte queste influenze eterocli­ te merita pertanto una spiegazione particolare. Il pessimista si inquieta, domandandosi se non sia il caso di tornare indietro e rimettere in dubbio dei risultati acquisiti, come quello rela­ tivo alle isole; d'altro canto, l'ottimista (io ne sono un esempio) conclude semplicemente che tutte le influenze diverse da quel­ la del rilievo sembrano essere affatto indipendenti dalla super­ ficie. (In effetti, il prodotto di un moltiplicando aleatorio iper­ bolico per un moltiplicatore quasi completamente arbitrario viene ad essere a sua volta iperbolico) . Bisogna sperare, ad ogni modo, che dei matematici voglia­ no interessarsi alla struttura delle conche, non fosse altro che nel caso browniano H 0 , 5 . =

Modello frattale delle sponde di un bacino fluviale. Molto di quello che il capitolo II afferma sul conto delle co­ ste oceaniche si applica altrettanto bene alle sponde di un fiu-

1 14

GLI OGGETTI FRATTALI

me. Tuttavia, l'analogia non può essere che approssimativa. In effetti, avevamo sostituito l'istantanea di una costa, che varia con il vento e le maree, con la curva di livello zero, interamen­ te definita dal rilievo . Niente di simile si può realizzare per la sponda di un fiume; essa non è funzione soltanto del rilievo, ma anche della permeabilità del suolo, della pioggia e del bel tempo, non solo al momento dell' osservazione ma per tutto un periodo di tempo di difficile determinazione . Tuttavia, mal­ grado questa mancanza crudele di permanenza, i sistemi flu­ viali, proprio come i laghi, possiedono aspetti molto sistema­ tici; non potrebbe darsi che, proprio come la distribuzione del­ le superfici dei laghi mima quella delle conche del rilievo, il si­ stema fluviale mimi i percorsi seguiti dall' acqua su un terreno quanto piu accidentato possibile, subito dopo un acquazzone? Credo che sia effettivamente cosi, ma il mio ragionamento non può venire sviluppato in questa sede. Accontentiamoci di ab­ bozzare (fig . 1 2 5) il piu semplice schema di scorrimento delle acque in questione .

MODELLI DEL RILIEVO TERRESTRE

1 15

Figura 1 1 5 , Volo browniano frazionario molto persistente .

Questo disegno costituisce un esempio di curva frattale, a omotetia statistica interna, di dimensione D 1/0,9 I , I per la quale la formazione di lacci - senza essere proibita - è stata assai fortemente scoraggiata, imponendo alla curva di essere molto persistente. In questa figura e nelle successive, i diversi gradi di persistenza sono ben piu evidenti di quanto non lo sa­ rebbero stati su grafici indicanti il modo in cui le coordinate scalari variano in funzione del tempo. Se si pensa a queste cur­ ve come a sovrapposizioni di grandi, medie e piccole convolu­ zioni, si potrà dire che, nel caso presente, l'intensità di queste ultime è tanto debole che esse sono come trascinate dalle altre, e sono appena visibili. =

D

-

l,I

=

I I6

GLI OGGETTI FRATTALI

Figura 1 1 6 . Volo browniano frazionario d i persistenza media .

Partendo dalla figura precedente, senza cambiare il seme del simulatore pseudoaleatorio, abbiamo aumentato la dimen­ sione fino a D 1 /0 , 7 I A3 . Questo equivale a dire che, senza modificare nessuna delle diverse convoluzioni, abbiamo accresciuto l'importanza relativa delle piccole e (a un grado mi­ nore) delle medie. In ragione di ciò, dato che la formazione dei laccetti è stata scoraggiata in misura di gran lunga minore, essi si sono fatti molto piti evidenti. Nonostante questo, la forma generale soggiacente si riconosce ancora senza difficoltà . =

D - I A3

=

MODELLI DEL RILIEVO TERRESTRE

Figura I I 7 . Volo browniano frazionario appena persistente (prossimo a u n volo browniano) .

Qui, sempre con lo stesso seme, l a dimensione è stata por­ tata a D 1 /0 , 5 3 , quindi appena al di sotto di 1 ,9 : si avverte l' avvicinarsi del limite D 2 , che sappiamo riferirsi al moto browniano abituale. Al limite D 2 , si otterrebbe un modello matematico del processo fisico della figura 5 I , e le differenti convoluzioni aggiunte diverrebbero di uguale importanza ( 2 nel secondo, a partire dallo stesso fatto geometrico . Per non incap­ pare nel paradosso del cielo infuocato era necessario, al capi­ tolo VI, che lo sguardo , indirizzato a caso, evitasse quasi con certezza qualsiasi sorgente di luce, il che esige D < 2 . Per ren­ dere conto invece del fatto che la turbolenza è alquanto diffu­ sa, ci occorre qui che una sezione fatta a caso abbia una proba­ bilità non nulla d' intersecare il supporto della turbolenza, il che richiede D > 2 . =

Comportamento della dimensione frattale nell'intersezione. Costruzione di Cantor in piu dimensioni. La cascata di Novikov-Stewart è importante, ma conviene fare un passo all'indietro, come piu volte ci è successo, e stu­ diare nei particolari determinate costruzioni non aleatorie, di regolarità eccessiva, in seno alle quali un certo punto centrale svolge un ruolo troppo privilegiato . La generalizzazione della costruzione di C antor si può ottenere in varie maniere , che portano a risultati molto diversi . L'interpolazione si fa sempre a partire dal cubo unitario . Nella figura 1 3 6, relativa a un caso triadico, il trema che si ritaglia per primo è costituito dall'unio­ ne di tre parallelepipedi a base quadrata (di Iato uguale a 1/3 di quello del cubo originario) ; gli assi sono paralleli agli spigoli del cubo e si intersecano nel suo centro, cosicché i tre parallelepi­ pedi hanno in comune un cubo centrale di Iato 1 /3 di quello iniziale e formano una specie di croce munita di due bracci

GLI OGGETTI FRATTALI

supplementari che si protendono davanti e di dietro. L'insieme che rimane, una volta re scisso questo primo trema, si può sud­ dividere in venti piccoli cubi di lato pari a 1/3 di quello iniziale . Da ciascuno di essi possiamo ritagliare un nuovo trema simile al precedente, e andare avanti ripetendo ad ogni passo la procedu­ ra descritta. Quel che rimane, se si continua all'infinito, è una sorta di pezzetto di Emmenthal evanescente; la forma delle sue fette può venire immaginata a partire da quelle che abbiamo in­ travisto allorché descrivevamo l' insieme che rimane fuori dai crateri della Luna, ma facendo rivedere il tutto da un pittore cu­ bista. L'oggetto, che propongo di chiamare « spugna frattale di Sierpinski-Menger », è di volume uguale a zero , con buchi qua­ drati di tutte le grandezze, separati da tramezzi costituiti da infi­ niti fogli. Ci si assicura facilmente che è a omotetia interna, e che la sua dimensione frattale è uguale a log 2 0 / 10g 3 - 2 , 7 2 68. Una costruzione alternativa si ottiene rimuovendo all' inizio solo il 2 7 0 centrale, cioè un cubetto con lo stesso centro e lato pari a 1/3 di quello del cubo di partenza: si fa lo stesso con cia­ scuno dei 26 piccoli cubi rimanenti, poi con i sottocubi che re­ stano , e cosi via . Si otterrà un insieme frattale di dimen­ sione D log 2 6 / 10g 3 - 2 ,9656. È possibile uscire dallo schema triadico, se si fa uso di trema della stessa forma dei precedenti, ma « piu grossi » o « piu sotti­ li ». Si suddividerà sempre, ad ogni passo della costruzione, l' in­ sieme che rimane in una collezione di piccoli cubi da cui ritaglia­ re nuovi trema simili a quello iniziale. Si ottengono allora altri valori per la dimensione frattale dell'insieme risultante: essa su­ pera sempre 2 , ma in misura tanto minore quanto piu « è gros­ so » il trema di partenza. La disuguaglianza D - 2 > O è confor­ me all'intuizione secondo la quale le nostre spugne frattali sono « piu corpose » di qualsiasi superficie di dimensione 2 . Le cose cambiano se si adotta una procedura differente, ri­ tornando a un caso triadico ma facendo uso di trema di forma diversa (in un certo senso, ancora « piu grandi ») . Questa volta, il primo trema lascia, agli angoli del cubo iniziale, 8 piccoli cubi di lato 1/3 , e la costruzione prosegue nella maniera naturale . Si rimane pertanto con una polvere di punti sconnessi: la dimen­ sione risulta uguale a log 8/10g 3 , piu piccola di 2, ma piu grande =

LA GEOMETRIA DELLA TURBOLENZA

133

d i I . Dal punto d i vista geometrico l'insieme cosi ottenuto è semplicemente il prodotto di tre polveri di Cantor triadiche uni­ dimensionali (proprio come il quadrato è il prodotto dei suoi due lati) . Cambiamo adesso nuovamente metodo: gli 8 cubetti avanzati ad ogni tappa abbiano un lato r arbitrario, salvo il fatto che deve essere piu piccolo di 1/2 . Alla fine si ottiene sempre una polvere di punti, di dimensione log 8 / log ( l /r) , qua r: tità a sua volta arbitraria, salvù il fatto che è piu piccola di 3 . E con­ forme all'intuizione, che un insieme piu ricco di una polvere ab­ bia una dimensione piu grande di 0, ma è contrario all'intuizio­ ne che un insieme dotato di una « interconnessione minore » di quella di una linea abbia dimensione maggiore di I . Questo ri­ sultato conferma semplicemente quanto già sappiamo dallo stu­ dio degli oggetti celesti (costruzione di Fournier-Charlier) , e cioè che non vi è alcun legame necessario tra il grado di inter­ connessione e la dimensione frazionaria. Notiamo tuttavia che, per ottenere una polvere di dimensione maggiore di I , abbiamo fatto ricorso a trema di forma estremamente speciale. In assenza di tale vincolo geometrico (per esempio quando le costruzioni sono governate dal caso) , possiamo sperare che si intravedranno delle relazioni tra il grado di interconnessione e la dimensione; il problema rimane da studiare . Richiamiamo alla memoria del lettore che l' universo di Fournier-Charlier può, a sua volta, venire considerato una va­ riante spaziale della costruzione di Cantor.

Insiemi spaziali statistici alla Cantor. La prima motivazione ad introdurre delle forme statistiche della polvere di Cantor è legata, come nei capitoli precedenti, al­ la ricerca di un modello piu irregolare, nella speranza che le sue proprietà siano contraddistinte da un maggiore realismo . Una nuova motivazione è dovuta al desiderio di ripensare il legame tra dimensione e connessione, di cui il paragrafo precedente ha discusso un aspetto. Senza piu intermediari, consideriamo dei trema completamente aleatori a tre dimensioni, generalizzando cosi il metodo che abbiamo già incontrato a proposito degli er­ rori bizzarri e dei crateri circolari della Luna. La cosa piu natu-

1 34

GLI OGGETTI FRATTALI

rale è scegliere come trema delle palle aperte, cioè degli interni di sfere, e il valore atteso del numero di trema di volume supe­ riore a u sarà allora uguale a K (3 - D) / u). La forma K (3 - D) per la costante al numeratore è stata scelta in modo tale che il criterio cercato dipenda da D: quando la costante supera 3K, l'insieme residuo è quasi certamente vuoto (e D, che è negativo, non ha il significato di una dimensione) , mentre per D > O l'in­ sieme rimanente ha una probabilità non nulla di non essere vuo­ to e possiede, in tal caso, una forma di omotetia interna di di­ mensione D. In particolare, il volume dell' insieme che resta è sempre nullo; piu precisamente, è quasi sicuro che una sfera di raggio R , il cui centro sia scelto a caso, non avrà intersezione Con l'insieme residuo. Di conseguenza, è necessario prendere delle precauzioni onde evitare questa degenerazione (non si dimen­ tichi la forma condizionale del principio cosmografico! ) ; sappia­ mo che un buon modo di impostare la questione è quello di stu­ diare la geometria di questo insieme a partire da un' origine che ne faccia parte essa stessa. Ecco quel che si trova: quando D è vicino a 3, i trema lascia­ no un insieme costituito da « veli con infiniti fogli ». Le loro in­ tersezioni con dei piani o con delle superfici sferiche hanno la forma dei filamenti dalle infinite biforcazioni che abbiamo in­ contrato sulla Luna: le nostre « fette di Emmenthal ». Le loro in­ tersezioni con delle rette o (a meno di dettagli) con dei cerchi, sono « raffiche di errori bizzarri ». Per delle D piu piccole, si ha a che fare con « fili infinitamente ramificati », ma stavolta nello spazio piuttosto che nel piano. Dunque, le loro intersezioni con dei piani o delle sfere sono polveri di punti e le intersezioni con delle rette o dei cerchi sono quasi sicuramente vuote . Quando D è piccola, tutto ciò che resta dello spazio è polvere; le sue in­ tersezioni con piani e rette sono quasi certamente vuote .

PS. Trema spaziali e modelli della distribuzione delle galassie. La nozione di « lacunarità di un frattale ». Abbiamo visto, discu­ tendo le figure 1 0 2 e 1 0 3 , che il mio primo modello della distri­ buzione delle galassie genera grandi vuoti e tracce, e abbiamo ri­ levato che ciò andrebbe senz' altro bene, ma solo alla condizione che l'intensità di tali tratti possa venire attenuata. Per ottenere questo, mi è bastato all'inizio fare appello alle polveri descritte

LA GEOMETRIA DELLA TURBOLENZA

1 35

nel capoverso precedente . In seguito, scegliendo dei trema di forma non sferica, ho individuato una nuova caratteristica dei frattali, che ho chiamato « lacunarità », e che è ormai essenziale - per esempio in fisica. Si vedano i capitoli XXXIV e xxxv di The Fractal Geometry of Nature. Rimane comunque vero che non si possono dare frattali senza grandi vuoti. Per questo motivo, tutti coloro che credo­ no nei frattali si sono rallegrati per la scoperta ben nota, della fine del 1 98 2 , di vuoti intergalattici di estensione « assoluta­ mente imprevista ».

Le singolarità delle equazioni di Navier-Stokes sono frattali? Questo fatto permetterà infine di risolverle? Non si è ancora potuto stabilire alcun legame logico tra la teoria della turbolenza omogenea di Kolmogorov e le equazio­ ni di Navier-Stokes, che si ritiene fermamente .regolino lo scor­ rere dei fluidi, anche quando è turbolento . E senza dubbio questo il motivo per cui - tra gli idrodinamici - la conferma delle previsioni di Kolmogorov è stata fonte di disagio, piutto­ sto che di giubilo. Si sarebbe potuto temere che l'introduzione della mia nozione di omogeneità frattale avrebbe accentuato questo divorzio, ma io spero fortemente che si verifichi il con­ trario. Ecco le mie ragioni: si sa che molto spesso la fisica ma­ tematica riesce a sbrogliare un problema rimpiazzando le sue soluzioni con lo scheletro formato dalle loro singolarità; tale però non è stato il caso delle soluzioni turbolente delle equa­ zioni di Navier, anche dç>po Kolmogorov, ed è questo, a mio avviso, che ne ha maggiormente ritardato lo studio. Ritengo che - grazie a certe caratteristiche specifiche degli oggetti frattali, che non è possibile descrivere in questa sede - questa lacuna riguardante la natura delle suddette singolarità sia or­ mai sul punto di venire colmata. PS. Ho precisato queste idee in Mandelbrot 1 976c, espri­ mendo la congettura che le singolarità delle equazioni di Navier­ Stokes e di Eulero siano dei frattali. I risultati da me congettu­ rati appaiono avviati sulla strada di una conferma, come viene ri­ levato nel capitolo XI di The Fractal Geometry ofNature.

GLI OGGETTI FRATTALI

Figura 1 } 6 . U n formaggio nello spazio a tre dimensioni : l a spugna d i Sierpinski­ Menger.

Il principio della costruzione è evidente . Se la si continua senza fine, si ottiene un oggetto geometrico, detto spugna di Sierpinski-Menger, del quale ogni faccia esterna, detta tappeto di Sierpinski, è una figura di area nulla, ma con il perimetro to­ tale dei buchi infinito . Notiamo che le intersezioni del limite con le mediane e le diagonali del cubo iniziale sono tutte insie­ mi triadici di Cantor. (Figura riprodotta, con l'autorizzazione dell'editore, da L. M. Blumenthal e K. Menger, Studies in Geometry , Freeman, San Francisco 1 9 70) .

D

-

2,72

C apitolo nono Intermittenza relativa

Nel titolo di questo capitolo figura un concetto frattale piuttosto che un dominio d'applicazione. Ritorniamo infatti su un' approssimazione cui si è fatto ricorso in diverse applicazio­ ni. Discutendo le raffiche di errori, soffocavamo il nostro con­ vincimento che negli intervalli fra gli errori il rumore soggia­ cente si affievolisse, ma senza cessare del tutto. Prendendo in esame le distribuzioni stellari, passavamo sotto silenzio la no­ stra conoscenza dell' esistenza di una materia interstellare che rischia anch' essa di essere distribuita in modo molto irregolare. Discutendo i fogli della turbolenza, siamo cascati a nostra vol­ ta nella pania, dando credito a un'immagine del laminare in cui non succede niente. Avremmo anche potuto, senza introdurre idee essenzialmente nuove, esaminare la distribuzione dei mi­ nerali: una volta escluse le regioni in cui la concentrazione del rame o dell' oro è abbastanza alta da giustificare lo sfruttamen­ to minerario, nel territorio che rimane la percentuale di que­ sti metalli diventa debole, ma non c'è area che ne sia del tutto sprovvista. Tutti questi vuoti vanno riempiti, cercando di non compromettere le immagini già stabilite. Abbozzerò adesso un modo di impostare il discorso, che risulta conveniente quando oggetto e intermissioni sono della stessa natura e differiscono solo in grado. Per farlo, mi lascerò ancora una volta ispirare da vecchi concetti di matematica pura ritenuti « inapplicabili ». Questo capitolo sarà relativamente tecnico e secco.

1 38

GLI OGGETTI FRATTALI

Definizione dei due gradi di intermittenza . Per un'esigenza di contrasto, dobbiamo caratterizzare i fe­ nomeni considerati finora come « assolutamente intermitten­ ti ». L'espressione è motivata dal fatto che nelle intermittenze non succede assolutamente niente: non si dà energia di rumore, né materia, né dissipazione turbolenta. Inoltre, tutto quello che « succede » in un intervallo, un quadrato o un cubo, si con­ centra interamente in una piccola porzione, essa stessa conte­ nuta in un sottoinsieme che diciamo « semplice » - vale a dire un insieme formato da un numero finito di sottointervalli, sot­ toquadrati o sottocubi, la cui lunghezza, area o volume totale sono arbitrariamente vicini a zero . Spingendoci ancora oltre, diremo che l'intermittenza è « degenere », se tutto avviene in un solo punto. Per contrasto, l'intermittenza sarà detta « rela­ tiva » se non esiste alcun insieme semplice nel quale non succe­ de niente, mentre esiste un insieme semplice che contiene quasi tutto ciò che succede .

Misura frattale di Besicovitch. Rimaniamo nel contesto triadico originale di C antor, nel quale si divide [O, Il in terzi, questi a loro volta in terzi e cosi di seguito, e partiamo da una massa distribuita su [O, I l con densità uniforme uguale a I . La cancellazione del terzo centra­ le divide questa massa in parti uguali a 1 / 2 , O e 1 / 2 , ripartite con le densità 3/2 , O e 3 / 2 . Ciò si generalizza facilmente sup­ ponendo che, ad ogni tappa, la massa iniziale sia divisa in parti uguali rispettivamente a pI , P2 , P J , ripartite con le densità 3P l > 3P2, 3PJ (con, beninteso, O :::;; Pm < I e P l + P2 + PJ I ) . Quan­ do si sarà ripetuta la procedura all'infinito, la massa formerà quella che chiameremo una misura di Besicovitch (tutto questo è illustrato dalla figura q J ) . Che se ne può dire? È chiaro, tan­ to per cominciare, che nessun intervallo aperto costituisce una intermissione assoluta . In effetti, una tale intermissione do­ vrebbe includere almeno un intervallo di lunghezza 3 . , le cui =

-

INTERMITIENZA RELA TIV A

1 39

estremità sono dei multipli di 3 - \ laddove noi sappiamo che ogni intervallo di tal fatta contiene una massa non nulla. Tut­ tavia, quando k è grande, detta massa diventa estremamente piccola, poiché Besicovitch ha dimostrato (stiamo semplifican­ do il suo risultato ! ) che quasi tutta la massa si concentra su k 3 D intervalli di lunghezza 3 - . , dove si ha: D = - � Pm log } Pm
l , al contrario, un'interpretazione del genere è impossibile, perché il lessico deve essere finito, mentre un insieme frattale si può ot­ tenere solo per mezzo di una costruzione infinita. =

ALBERI DI GERARCHIA, E LA DIMENSIONE

1 53

Alberi di gerarchia, e distribuzione dei redditi salariali (legge di Pareto). Un secondo esempio di albero, forse anche piu semplice del precedente, si incontra nei gruppi umani gerarchizzati. Dire­ mo che una gerarchia è regolare, se i suoi membri sono ripartiti in livelli, in modo tale che, tranne che al livello piu basso, ogni membro abbia lo stesso numero N di subordinati; e che questi ultimi abbiano tutti lo stesso « peso » U, uguale a r volte il peso del loro superiore immediato. La cosa piu conveniente è pen­ sare al peso come a un salario . (Osserviamo che i redditi non salariali non comportano alcuna gerarchia suscettibile di rap­ presentazione mediante un albero , e non possono quindi en­ trare sotto forma di peso nel presente ragionamento) . Ancora una volta, se si devono confrontare diverse gerarchie dal punto di vista del grado di disuguaglianza che implicano nella distri­ buzione dei redditi, pare ragionevole ordinare i loro membri secondo il reddito decrescente (all'interno di ciascun livello la classificazione si farà sempre in modo arbitrario) , designare ogni individuo attraverso il suo rango p, e dare il reddito in funzione del rango. Piu rapidamente decresce il reddito al cre­ scere del rango, maggiore è il grado di disuguaglianza. Il ragio­ namento già utilizzato per le frequenze delle parole si applica pienamente, mostrando che il rango p dell'individuo di reddito U è espresso approssimativamente dalla formula iperbolica p V + U - D PD. Questa relazione mostra che il grado di disuguaglianza è deter­ minato essenzialmente dalla D di omotetia, D 10g N Ilog (I/r) : piu grande è la dimensione, maggiore è r, e piu piccolo è, quin­ di, il grado di disuguaglianza. Si può generalizzare leggermente se si suppone che U vari nell' ambito dei diversi individui di uno stesso livello k, risul­ tando uguale al prodotto di r' per un fattore aleatorio, uguale per tutti e che tenga conto, ad esempio, di effetti come l'anzia­ nità. Questa generalizzazione modifica le espressioni che dàn­ no i parametri V e P, ma lascia D invariata. Empiricamente, la distribuzione dei redditi è proprio iperbolica, fatto questo no=

_

=

GLI OGGETTI FRATTALI

1 54

to sotto il nome di « legge di Pareto », e la dimostrazione pre­ cedente, dovuta a Lydall 1 959, ne costituisce una possibile spiegazione . Sottolineiamo tuttavia che la medesima legge di Pareto si applica, con una D differente, anche ai redditi speculativi. Questa osservazione pone un problema del tutto distinto, da me affrontato in Mandelbrot 1 959P, 1 96oi, 1 9 6 u, 1 96u, 1 963P, 1 963e. Notiamo che di solito la D empirica è vicina a 2. Quando è esattamente uguale a 2 , il reddito di un superiore è pari alla media geometrica di quello dell'insieme dei suoi subordinati, e di quello di ogni subordinato preso separatamente . Se si avesse D I , il reddito suddetto sarebbe uguale alla somma di quelli degli N subordinati. Concludiamo con un discorso senza capo né coda. Qualun­ que sia D, il numero dei livelli gerarchici cresce come il logarit­ mo del numero totale dei membri della gerarchia. Se si tiene a suddividere questi ultimi in due classi, una maniera intrinseca di procedere consisterebbe nel fissare il punto di separazione al livello gerarchico medio; in tal caso, il numero dei membri della classe superiore sarà proporzionale alla radice quadrata del numero totale . Ci sono vari altri modi di dedurre questa « regola della radice quadrata »; ad esempio, la si è associata al numero ideale di rappresentanti che diverse comunità dovreb­ bero inviare al Parlamento cui partecipano . =

C apitolo tredicesimo Lessico dei neologismi

I miei lavori sembrano traboccare di neologismi. Ciò è do­ vuto al fatto che, anche quando le idee di base sono antiche, esse erano state finora cosi poco essenziali da non suscitare l'esigenza di termini atti a designarle . In qualche caso ci si era accontentati di anglicismi o di vocaboli frettolosi o pesanti che non si prestano al largo impiego da me proposto . Questo breve capitolo intende fornire al lettore italiano una chiave per alcune innovazioni linguistiche che si incontrano nel testo. Qualche termine è stato coniato da me, ad altri ho conferito un senso tecnico nuovo. ammassamento s.m. I . Disposizione a formare ammassi gerar­ chizzati. 2 . Collezione di oggetti formanti degli ammassi

distinti, raggruppati in sopra-ammassi, poi sopra-sopra­ ammassi, ecc . , in maniera (quanto meno in apparenza) ge­ rarchica. La coppia « ammasso-ammassamento » corrispon­ de all'inglese cluster-clustering.

Senso intuitivo: di forma estremamente irregola­ re, o estremamente interrotta e frammentata, e che rimane tale qualunque sia la scala a cui la si esamina; contenente degli elementi distintivi le cui scale sono molto varie e co­ prono una gamma molto larga. Motivazione: i matematici si erano occupati, da cento anni a questa parte, di alcuni de­ gli insiemi in questione, ma non avevano costruito nessuna teoria al riguardo e non avevano perciò avvertito la neces­ sità di un vocabolo che li designasse. Da quando l'autore ha mostrato che la natura rigurgita di oggetti le cui migliori

&attale agg.

GLI OGGETTI FRATTALI

rappresentazioni matematiche sono fornite da insiemi frat­ tali, si è reso necessario un termine appropriato e dal signi­ ficato univoco . DIMENSIONE FRATTALE . I . Senso generico: numero che ser­ ve a quantificare il grado di irregolarità e di frammenta­ zione di un insieme geometrico o di un oggetto naturale; la dimensione frattale non è necessariamente un intero. 2 . Senso specifico: dimensione nel senso di Hausdorff e Besicovitch . INSIEME FRATTALE . Insieme di dimensione frattale superio­ re alla dimensione ordinaria (topologica) . OGGETTO FRATTALE . Oggetto naturale che è ragionevole e utile rappresentare matematicamente a mezzo di un in­ sieme frattale . Configurazione frattale; insieme o oggetto frat­ tale . Osservazione: frattale non distingue, di proposito, tra insiemi matematici (teoria) e oggetti naturali (realtà) : si im­ piega in tutti i casi in cui la sua generalità, e la deliberata ambiguità che ne risulta, siano desiderabili, prive di incon­ venienti, e sollecitate dal contesto .

frattale s. m .

polvere sf

Collezione totalmente discontinua di punti, ovve­ ro, oggetto di dimensione topologica uguale a o. Motivazio­ ne: per denotare gli insiemi di dimensione topologica uguale a I o 2 , disponiamo di due vocaboli familiari: curva e super­ ficie. Occorreva dunque un termine familiare per denotare oggetti di dimensione topologica uguale a o .

v. tr. I n questo caso l' anglicismo è ormai d i uso corrente, e non pare esserci un vocabolo italiano, di signi­ ficato equivalente, che sia altrettanto conciso ed espressivo. Il senso in cui adoperiamo questo termine è il seguente: ren­ dere aleatorio, introdurre un elemento di caso. Randomiz­ zare una lista di oggetti significa sostituire il loro ordina­ mento originario (che poteva, ad esempio, essere alfabetico) con un ordinamento scelto a caso; sovente, tutti gli ordina­ menti possibili si vedono attribuire la stessa probabilità.

randomizzare

scalante agg.

Si dice di una figura geometrica o di un oggetto

LESSICO DEI NEOLOGISMI

1 57

naturale le cui parti hanno la stessa forma o struttura che è propria del tutto, tranne il fatto di trovarsi a una scala dif­ ferente e di poter essere leggermente deformate . Osserva­ zione: il vocabolo scaling, preso a prestito dall' inglese, è cosi radicato che è meglio non discostarsene troppo nella ricerca di un neologismo che lo sostituisca. l . Setaccio di Sierpinski . Curva frattale intro­ dotta da W. Sierpinski, il cui complementare è costituito da una collezione di triangoli (p. 1 43 ) . Questa curva ha assun­ to una grande importanza in fisica. 2 . Setaccio apollonia­ no. Curva frattale il cui complementare è costituito da una collezione di cerchi (p. 1 45 ) . 3 . Senso generico. Essendo il setaccio apolloniano topologicamente identico a quello di Sierpinski, si potrebbe estendere questo termine alle altre curve con tale proprietà.

setaccio s. m.

I trema rappresentano (ad esempio nella costruzio­ ne della polvere di Cantor del capitolo IV, o nel modello del rilievo lunare descritto nel capitolo v) delle porzioni di spa­ zio modellate, a seconda dei casi, su diverse forme geome­ triche (intervalli, dischi, cubi, ma anche figure piu irrego­ lari) e che vengono ritagliate ed asportate da un oggetto in base a una procedura che può essere tanto di carattere de­ terministico quanto di tipo aleatorio . Il neologismo « trema » riprende letteralmente il vocabolo greco 'tpiifL/X « buco », in cui si ravvisa una lontana parentela con il latino termes « termite ». Si tratta forse della parola greca piu breve fra quelle che non sono ancora state adope­ rate con un significato scientifico di rilievo.

trema s.m.

C apitolo quattordicesimo Appendice matematica

Uno sforzo deliberato ha bandito dal testo di questo saggio qualsiasi formula « complicata », ma spero che molti lettori sia­ no desiderosi di un ulteriore approfondimento. Per rendere lo­ ro piu agevole la transizione verso le opere specializzate, que­ sta appendice raccoglie alcune discussioni in miniatura, ad in­ tegrare le definizioni principali con qualche riferimento biblio­ grafico . Per una questione di comodità, l'ordine che segue si discosta da quello in cui le nozioni sono menzionate per la pri­ ma volta nel testo. C 'è bisogno di una definizione matematica dei frattali?

Occorre motivare la scelta, adottata nel testo, di caratteriz­ zare gli oggetti frattali in modo intuitivo e laborioso, evitando nel contempo di definirli in maniera matematica e compatta, attraverso figure o insiemi che si sarebbero denominati fratta­ li. Se ho deciso di procedere a questo modo, è per il timore d'impantanarmi in dettagli senza contropartita concreta. In ef­ fetti, se da un lato sono dispostissimo a contraddire i miei pre­ decessori scientifici (con l'eccezione di Jean Perrin) e a dichia­ rare che un po' di quello che essi avevano preso l' abitudine di considerare alla stregua di patologia matematica deve essere oggi riclassificato in quanto espressione della robusta comples­ sità del reale, dall' altro ritengo che in generale essi avessero perfettamente ragione. La maggior parte dei raffinamenti ana­ litici non ha contropartita concreta, e non farebbe che com-

APPENDICE MATEMATICA

1 59

plicare inutilmente la vita di coloro che v'incappano nell' am­ bito di una teoria scientifica. Piu specificamente, una volta de­ finito un qualunque concetto di dimensione D, si può tentare di definire un insieme frattale come un insieme per il quale D è un numero reale che non sia un intero, oppure per il quale D è un intero, ma il tutto è « irregolare », ad esempio si ha D 1 senza avere, con questo, una curva continua rettificabi­ le. Tuttavia, la teoria della rettificabilità è troppo confusa per­ ché si desideri dipendere da essa; inoltre, è spesso possibile, perturbando un insieme affatto classico nell'intorno di un solo punto, far si che la sua dimensione diventi una frazione . Dal punto di vista delle applicazioni concrete, esempi del genere ri­ sulterebbero insopportabili. È per evitarli che rinuncio a defi­ nire il concetto di insieme frattale . =

Dimensione (frattale) di contenuto o dimensione di Hausdor/f­ Besicovitch. Tra le numerose definizioni di dimensione frazionaria, la prima è quella proposta da Hausdorff 1 9 1 9 . Si applica a figure molto generali, che non devono essere necessariamente a omo­ tetia interna. Per chiarirla, conviene scomporla in piu stadi. Inizialmente, si suppone dato uno spazio metrico O di punti w ; vale a dire uno spazio nel quale sia stata definita, in maniera adeguata, la distanza fra due punti e, di conseguenza, la palla di centro w e raggio p: ad esempio, O può essere uno spazio eu­ clideo. Sia dato poi in O un insieme $ di supporto limitato, cioè contenuto in una palla finita. È possibile approssimare $ per eccesso, mediante un insieme finito di palle di O, tali che ciascun punto di $ sia situato in almeno una di esse. Siano pm i loro raggi. In uno spazio euclideo di dimensione d I , il con­ tenuto di una palla di raggio p è 2p; se la dimensione euclidea è d 2 , è 1tp 2 , e in generale è y (d) pd , dove si ha =

=

y (d)

=

[r ( I /2 )]d/ r ( 1 + d/ 2 )

e r è la funzione gamma di Eulero . Questa espressione y (d) pd si interpola in maniera naturale

1 60

GLI OGGETTI FRATTALI

per dare il « contenuto » formale di una palla in una dimensione d non intera. Per estensione, la somma r (d) L: p! costituisce un' approssimazione naturale del « contenuto » di $, dal punto di vista della dimensione formale d. Tuttavia, tale approssima­ zione è alquanto arbitraria. Per renderla intrinseca, è ragione­ vole, in una prima fase, fissare un raggio massimale p e consi­ derare tutti i ricoprimenti tali che Pm < p. L' approssimazione si dirà tanto piu « economica », quanto piu si avvicina al limite inferiore inf r (d) L: p�. Il secondo stadio consiste nel far Pm < P

tendere p a O . Facendo ciò, il vincolo imposto ai Pm diventa sempre più stretto, e quindi il nostro inf non può che aumen, p", < p · tare, e l espreSSiOne r (d) lim inf L: p� p ..... O p", < p

è ben determinata. S i dimostra infine che esiste un valore D di d tale che per d < D lim inf L: p! p - o p", < p

=

00 ,

mentre, per d > D , lim inf L: p! p .... O Pm < P

=

O.

(Infatti, i n quest'ultimo caso, s i h a inf

p", < p

=

O per ogni p) . La

D cosi definita s i chiama « dimensione d i Hausdorff-Besico­ vitch ». Quando il è uno spazio euclideo di dimensione E, l'espres­ sione inf r (E) L: p; relativa a $ è finita, essendo al piu uguale alla stessa espressione relativa alla palla finita che contiene $ . Quindi D � E . Per i particolari, s i possono consultare Kahane e S alem 1 963 , Federer 1 969 o Rogers 1 97 0 .

Misura di HausdorffBesicovitch. Il « contenuto » che corrisponde all'esponente D nell'espres­ sione r (d) lim inf L: p� del paragrafo precedente, viene chiap ..... O

p", < p

mato « misura d i Hausdorff ». Essa può essere sia degenere (nulla o infinita) , sia non degenere; è solo in quest'ultimo caso

APPENDICE MATEMA TICA

che risulta interessante . Illustrazioni del caso non degenere so­ no in particolare l'insieme di Cantor, la curva di Koch e l'uni­ verso di Fournier. Se la misura di Hausdorff è degenere, ciò si­ gnifica che la potenza p D misura il « contenuto intrinseco » di $ in modo imperfetto. Tale è tipicamente il caso, se $ è un in­ sieme aleatorio, per esempio la traiettoria del moto browniano, o di quello di C auchy o di Lévy . In tutti questi frangenti, il concetto di dimensione rimane acquisito, ma conviene appro­ fondire ulteriormente quello di « contenuto ». Al fine di tener­ ne conto, Besicovitch ha avuto l'idea di sostituire j ( D ) p D con una funzione h (p) piu generale, che soddisfi h (O) O. Se si ve­ rifica - poiché potrebbe non essere cosi - che esiste una fun­ zione h (p) tale che lim inf L: h (Pm) sia positivo e finito, si chia=

p ...... O Pm < p

ma il suddetto lim inf « misura di Hausdorff-Besicovitch », e si dice che tale h (p) misura il contenuto dell'insieme $ in maniera esatta. Si veda, ad esempio, Kahane e Salem 1 963 o Rogers 1970.

Dimensioni (frattali) di ricoprimento . Si prenda ancora un insieme $ in uno spazio metrico 0 , e un raggio p > O . Pontrjagin e Schnirelman 1 9 3 2 ricoprono $ per mezzo di palle di raggio uguale a p usando il metodo che ri­ chiede il minor numero di palle, N (p) (si può, senza modificare N (p) , rimpiazzare la condizione « raggio uguale a p », con « rag­ gio al massimo uguale a p ») . Quindi, facendo tendere p a O, si definisce la dimensione di ricoprimento come . . log N (p) . llm ln f p_O 10g ( l/p) Kolmogorov e Tihomirov 1 959 hanno studiato 10g N (p) ap­ profonditamente, definendolo come la p-entropia di $. Ciò porta a designare la dimensione di ricoprimento come la di­ mensione di entropia. Kolmogorov definisce anche altre quan­ tità che possono servire a caratterizzare delle dimensioni frat­ tali . Sia ad esempio M (p) il piu grande numero di punti di

GLI OGGETTI FRATTALI

$ , tali che le distanze fra coppie di essi superino p. Per defini­ zione, la capacità di $ sarà 10gM (p) e l' espressione . 10gM (p) l·lm mf p-o 10g ( l/p) sarà una dimensione - da non confondersi con la dimensione di capacità di Frostmann.

Contenuto di Minkowski. Prendiamo come spazio il lo spazio euclideo a E dimensio­ ni. Per studiare i concetti di lunghezza e di area di un insieme $ di il, Minkowski 1 9 0 1 ha suggerito di cominciare con il re­ golarizzarlo e l' ispessirlo, sostituendolo con l'insieme $ (p) di tutti i punti la cui distanza da $ è al massimo uguale a p. Si può ottenere $(p) come unione di tutte le palle di raggio p, centrate in tutti i punti di $ . Per esempio, una linea sarà rimpiazzata da un dilo », il cui volume diviso per 21tp2 fornisce una nuova valutazione della lunghezza approssimata della linea. Analoga­ mente, una superficie verrà sostituita da un « velo », e il volu­ me del velo, diviso per 2p, dà una valutazione dell' area appros­ simata della superficie. Generalizzando, Minkowski ha defi­ nito, per ogni intero d, i contenuti superiore e inferiore di $ : sono uguali, rispettivamente, ai limiti superiore e inferiore (per p -+ O) della « densità », a sua volta uguale al rapporto : volume E-dimensionale di $ (p) y (E - d) p E - d L'idea è discussa nei dettagli in Federer 1 969 . Quando i contenuti superiore e inferiore risultano uguali, il loro valore comune definisce il contenuto (tout court) . L'estensione di tutte queste definizioni ai valori non interi di d è del tutto naturale; essa si deve a Georges Bouligand . In altri termini, se esiste un valore D di d, tale che il contenuto superiore di $ si annulli per d > D e il contenuto inferiore di­ verga per d < D, questo valore D può venir chiamato dimen­ sione di Minkowski-Bouligand di $ .

APPENDICE MATEMATICA

Dimensioni (frattali) di concentrazione per una misura (Man­ delbrot). Sia dato sempre uno spazio metrico 0 , e supponiamo sia stata inoltre definita, su degli insiemi appropriati di 0, una mi­ sura (.L ($) , che soddisfi (.L (O) I , « ovunque densa » nel senso che si ha (.L (A) > O per ogni palla A . Dato che « l'insieme su cui (.L > O » coincide con 0, la dimensione di omotetia (quando si può applicare) e la dimensione di ricoprimento sono entrambe identiche alla dimensione di 0, e di conseguenza non portano nessun contributo allo studio di (.L. Può essere che si possa dire che (.L si concentra su un insieme aperto, di dimensione di Hausdorff-Besicovitch piu piccola di quella di O; sfortunata­ mente, nel caso degli insiemi aperti, tale dimensione cessa di poter essere interpretata concretamente in modo naturale, quindi si vorrebbe una nuova definizione, piu diretta. Non avendo visto nulla di simile nella letteratura, ho introdotto (per il mio uso personale) le definizioni seguenti, ancora poco esplorate, ma che potrebbero avere un interesse piu generale. Dati p > O e O < À < I , consideriamo tutti i ricoprimenti di ° che fanno uso di palle di raggio al piu uguale a p, e lasciano non ricoperto un insieme di (.L-misura al massimo uguale a À. Sia N (p, À) l'estremo inferiore del numero d i queste palle. Le espresslOlll . log N (p, À) . f l'lm m l·lm f m ._0 p-o log ( x /p) =

. log N (p, p) . m llm f p-o 10g ( I/p) definiscono ognuna una dimensione . Per la prima, il caso piu interessante è quello in cui il fattore lim-inf è indipendente da p o À, il che significa che l'operazione lim inf può essere eliminata . •-0

Dimensione topo logica . Le dimensioni di omotetia, di ricoprimento e di misura so­ no tutte relative a spazi metrici. Esse sono tutte molto diffe-

GLI OGGETTI FRATTALI

renti da un concetto ben piu usuale: la dimensione in senso to­ pologico . Quest 'ultima è assolutamente estranea alle nostre preoccupazioni, ma occorre segnalarla, perché altrimenti il ruolo quasi esclusivo che essa svolge nei trattati potrebbe dare luogo a confusione . Si dice che due spazi topologici hanno la stessa dimensione, se esiste , tra i punti dell'uno e dell' altro, una corrispondenza biunivoca e continua. La didascalia della figura 43 , che rappresenta la curva di Peano, fornisce alcuni particolari a questo riguardo; un gran numero di informazioni si trova in un libro curioso (tanto piu utilizzabile in quanto to­ talmente disorganizzato) , Gelbaum e Olmsted 1 964; infine, fra i trattati, si può citare Hurewicz e Wallman 1 94 1 . Vediamo dunque che il concetto intuitivo di dimensione è multiforme : la dimensione di Hausdorff-Besicovitch, la di­ mensione di omotetia e la dimensione topologica ne rappresen­ tano altrettanti aspetti particolari; per giunta possono senz' al­ tro assumere valori differenti. Ad esempio, sappiamo che le di­ mensioni di Hausdorff-Besicovitch della curva di Koch e delle sue varianti sono identiche alle loro dimensioni di omotetia e verificano 1 < D < 2 ; d' altro canto, trattandosi di curve con­ tinue prive di punti doppi, hanno tutte dimensione topologica uguale a l . L'insieme di Besicovitch del capitolo IX ha una di­ mensione di Hausdorff-Besicovitch che verifica O < D < I , mentre la sua dimensione di omotetia è uguale a l .

Variabili aleatorie Lévy-stabili. Risulterà conveniente definire la variabile aleatoria gaussia­ na ridotta X come quella che ha la densità 2-I

'lt - 1/2 exp ( - X2/4),

ciò per garantire che essa abbia exp ( - ç2) come funzione ca­ ratteristica (trasformata di Fourier) . La media di X è nulla, e la sua varianza è cr2 2 . Mettiamo in risalto la proprietà se­ guente . Siamo G I e G " due variabili gaussiane indipenden­ ti, con (G / ) (G " ) O, (G / 2) cr / 2 e (G " 2) cr " 2 ; la som=

=

=

=

=

APPENDICE MATEMATICA

ma G = G ' + G " è anch' essa gaussiana con (G) = O e (G2) = a 1 2 + a '1 2 . Dunque la variabile gaussiana ridotta X è soluzione dell'equazione funzionale seguente : (S)

s ' X ' + s " X " = sX,

alla quale si aggiunge la relazione ausiliaria

(A2 ) L'equazione ( S ) definisce l a stabilità nel senso d i Lévy . Dal punto di vista di (S) e di (A2) , s ' e s " sono semplicemente dei fattori di scala. Qui, accade che essi siano proporzionali a a ' e a a " , ma in altri casi non è piu cosi. Quanto alla distribuzione di C auchy, è Pr (X > x) = Pr (X < - x) = 2 - I -

1t

-1

arctg x.

La sua densità, essendo 1t - 1 ( I + X2) - I , è la trasformata di Fou­ rier della funzione caratteristica exp ( - I � I ) . Essa ha la parti­ colarità che ( I X I) = 00, e, a fortiori, che tutti i suoi momenti di ordine intero sono infiniti. L'equazione funzionale (S) rima­ ne applicabile, ma l'esponente che compare nella condizione ausiliaria è adesso uguale a I : (A I )

s ' + s " = s.

Qui, il fattore di scala non può essere piu definito attraverso i momenti, ma viene ad essere uguale alla distanza tra la me­ diana di X e i suoi quartili . Infine, è possibile, conservando la condizione di stabilità (S), generalizzare la condizione ausiliaria nella forma: (AD) Il caso D = I è dovuto, in effetti, a Poisson O ) , ma l'estensione a D � I si deve a Cauchy. Quest'ultimo riteneva che D potes­ se essere qualsiasi reale positivo, ma Lévy - che ha ripreso questo studio portandolo a termine - ha dimostrato che è ne­ cessario e sufficiente che si abbia O < D S 2 . Nel caso simme­ trico (e quindi isotropo) , la densità di probabilità corrispon­ dente assume la forma

GLI OGGETTI FRATTALI

1 66

n-I

J�

exP ( - U D) COS (UX) dU .

È l a trasformata d i Fourier della funzione caratterIstIca exp ( I� ID) . Tranne che nei casi D = 2 (Gauss) e D = 1 (Cau­ chy) , la densità di cui sopra non si può scrivere in forma ana­ litica chiusa. Se D < 2 , il momento ( I X I h) è finito solo quan­ do h < D. -

Vettori aleatori Lévy-stabili. Ci limiteremo al caso isotropo. Lévy ha mostrato che, se il vettore aleatorio isotropo X verifica (S)

s ' X ' + s " X " = sX,

si deve avere (AD) La funzione caratteristica è sempre exp ( _ I �ID) . Si può defini­ re questo vettore X esplicitamente, come integrale di contri­ buti vettori ali le cui direzioni ricoprono uniformemente tutta la sfera unitaria, e le cui lunghezze sono degli scalari aleatori infinitesimali, indipendenti e che seguono la stessa distribuzio­ ne stabile. Altro metodo ancora: X si rappresenta come l'inte­ grale, esteso a tutti i volumi elementari dxdydz dello spazio, di vettori definiti come segue : sono nulli con la probabi­ lità 1 - dxdy dz, altrimenti hanno una lunghezza uguale a I OP I - l/D, dove P è il centro di volume elementare e O è l'ori­ gine; infine, tutti questi vettori sono diretti da P verso O. Vi sono diversi problemi di convergenza, che però si risolvono senza fatica, come si vede se si interpreta ogni vettore elemen­ tare come una forza di gravitazione . La loro legge diventa newtoniana per D = 3 / 2 , nel qual caso si ha la distribuzione di Holtsmark; una discussione particolarmente semplice, rivolta ai fisici, è quella di Chandrasekhar 1 943 . Le difficoltà di con­ vergenza si risolvono grazie alla neutralizzazione reciproca delle

APPENDICE MATEMATICA

piccole attrazioni delle stelle molto distanti, e orientate in di­ rezioni opposte .

Diverse funzioni browniane. Se il moto browniano è stato il primo oggetto frattale ad es­ sere studiato, è perché è il piu semplice non solo dal punto di vista della fisica, ma anche della matematica (Wiener, Lévy) . Inoltre, un gran numero di altri oggetti frattali si ottiene mo­ dificando la definizione del moto browniano in modo del tutto naturale. Faremo ora una lista delle piu importanti fra queste generalizzazioni. Il prototipo irriducibile è il moto browniano scalare ordinario. Una volta normalizzato, è una funzione alea­ toria gaussiana, dallo scalare t allo scalare y B (t) , e tale che ((B (t) - B (O))2) t2H, con H 0 , 5 . L a prima generalizzazione interessa B , sostituendo lo sca­ lare con un vettore, oppure - si tratta, in fondo, della stessa cosa - considera un punto, tutte le coordinate del quale sono moti browniani indipendenti . Una seconda generalizzazione ritorna in primo luogo a un B scalare, quindi rimpiazza H 0,5 con un altro valore, com­ preso tra O e I , e con ciò sostituisce ti con t2H• Tale fatto porta al moto browniano frazionario, le cui principali proprietà compresa una costruzione effettiva - sono descritte in Man­ delbrot e Van Ness 1 968. N aturalmente, le due generalizza­ zioni possono venire combinate, come si è detto al capitolo vn. Una terza maniera di generalizzare B (t) , dovuta a Paul Lé­ vy, investe t, sostituendo questo scalare con un punto P. Una costruzione effettiva di B (P) , a partire dal rumore gaussiano bianco, è stata data da Tchentsov . La combinazione della se­ conda e della terza generalizzazione si deve a R. Gangolli, mentre una costruzione effettiva è dovuta a Mandelbrot 1 975b. Una quarta generalizzazione sostituisce la distribuzione gaussiana con un' altra distribuzione Lévy-stabile; è molto utile al capitolo VI. =

=

=

=

C apitolo quindicesimo Schizzi biografici

Questo saggio cita molti autori, alcuni dei quali, a giusto ti­ tolo, coronati di tutti gli allori (come Jean Perrin e John Wil­ liam Strutt, terzo barone Rayleigh) , altri rimasti invece in di­ sparte, spesso fino alla morte. Il tempo, per questi ultimi, sem­ bra essere trascorso lentamente, lasciando loro l' agio (o forse dovremmo dire che gl'impose l'obbligo) di rifinire, anno dopo anno, idee che nessuno gli contendeva. Fra essi si annoverano tre studiosi ai quali tributo un' ammirazione particolare . Spe­ rando di farla condividere, desiderando saperne di piu su uno di essi - come d' altronde su un quarto autore, del quale non so quasi nulla - e auspicando infine (come si è detto nell'introdu­ zione) che questo saggio porti un contributo alla storia delle idee, mi accingo a concludere con alcuni schizzi biografici.

Louis Bachelier: I I marzo I8lO - 28 aprile I946. Il lavoro di Roger Brown risale al 1 8 2 7 , alla preistoria, e la teoria fisica attuale è stata creata tra il 1 905 e il 1 9 1 0 da Per­ rin, Einstein, Langevin, Fokker e Planck. Quanto alla teoria matematica, essa tenne dietro alla fisica, con Wiener, che la fondò a partire dal 1 9 2 0 , e poi con Lévy . Inutile soffermarsi qui sui dettagli, che sono facilmente accessibili . Ma la storia avrebbe potuto procedere in modo diverso, e la matematica e l'economia (caso senz' altro unico! ) avrebbero an­ ticipato la fisica, se l' avventura di uno straordinario precursore avesse preso un' altra piega. Infatti, una proporzione davvero

SCHIZZI BIOGRAFICI

incredibile dei risultati della teoria era già stata descritta nei la­ vori di Louis Bachelier, a cominciare da una tesi di stato soste­ nuta a Parigi il 29 marzo 1 900. Sessant ' anni dopo la sua pub­ blicazione sulle « Annales de l' É cole Normale Supérieure », eb­ be l'onore raro di venire ristampata (in traduzione inglese) , ma è evidente che la sua influenza diretta era stata nulla. Nel cor­ so della sua attività, Bachelier pubblicò presso i migliori editori varie opere di notevole respiro. Inoltre, il suo libro popolare Le jeu, la chance et le hasard (Bachelier 1 9 1 4) conobbe diverse edi­ zioni, e si fa ancora leggere pili che onorevolmente . Non va messo in mano a chiunque, tuttavia, perché la materia ha su­ bito importanti cambiamenti ed esso è scritto sotto forma di aforismi, che non è sempre chiaro se riassumano conoscenze già acquisite o delineino problemi ancora da esplorare; l'effetto cumulativo di quest' ambiguità è piuttosto inquietante . Nonostante questi lavori, Bachelier dovette subire nume­ rosi scacchi nel corso della sua carriera, e aveva 57 anni quan­ do riuscl finalmente a essere nominato professore all'Univer­ sità di Besançon. Vista la lentezza della sua carriera, e l'esigui­ tà della traccia personale da lui lasciata (le mie ricerche , per quanto diligenti, non hanno potuto trovare che frammenti di ricordi di allievi e colleghi, e non una sola fotografia) , la sua vi­ ta sembra mediocre, e la celebrità postuma della sua tesi ne ha fatto un personaggio quasi romantico . A cosa si deve questo contrasto? Una delle ragioni (oltre al fatto che non aveva fre­ quentato scuole di particolare prestigio, che la sua tesi aveva avuto diritto soltanto alla « mention honorable », e che non do­ veva essere sufficientemente spregiudicato nel far valere le proprie capacità) va attribuita ad un certo errore matematico, di cui Paul Lévy mi raccontò la storia in una lettera del 25 gen­ naio 1 964; ne trascrivo alcuni ampi estratti, che completano ciò che si può leggere al riguardo in Lévy 1 97 0 , pp . 97-98 : « Ho sentito parlare di lui per la prima volta pochi anni do­ po la pubblicazione del mio calcolo delle probabilità; quindi in­ torno al 1 9 2 8 , anno pili anno meno . Era candidato ad un po­ sto di professore all'Università di Digione . Gevrey, che era professore, è venuto a chiedere il mio parere su un lavoro di Bachelier apparso nel 1 9 1 3 (Ann. É c. Norm . ) . Vi definiva la

G L I OGGETTI FRATTALI

1 7°

funzione di Wiener (prima di Wiener) nel modo seguente: in ogni intervallo [n 't, (n + l h] un funzione X (t l 't) ha una deriva­ ta costante + o v, i due valori essendo ugualmente probabili, e un passaggio al limite (v costante, e 't -+ O) gli dava X (t) ! Ge­ vrey era scandalizzato da questo errore e sollecitava il mio pa­ rere. Gli ho detto che ero d' accordo con lui e, su sua richiesta, l'ho confermato in una lettera che egli ha letto ai suoi colleghi di Digione. Bachelier è stato bocciato, è venuto a conoscenza del ruolo che avevo avuto, mi ha domandato delle spiegazioni, che gli ho fornito, e che non lo hanno convinto del suo erro­ re . . . sorvolo sulle conseguenze immediate di questo incidente. « Mi ero dimenticato di questo episodio, quando nel 1 93 l , nella memoria fondamentale di Kolmogorov, vedo "der Ba­ cheliers Fall " ; vado allora a cercare i lavori di Bachelier e sco­ pro che questo errore, che si trova dappertutto, non gli impe­ disce di arrivare a risultati che sarebbero stati corretti se, in luogo di v costante, avesse scritto v c't - 1 /2, e che precede Einstein e Wiener nell'individuare alcune proprietà importan­ ti della funzione detta di Wiener o di Wiener-Lévy, segnata­ mente : l'equazione della diffusione, e la legge da cui dipen­ de max X ('t) . Ci sarebbe un lavoro da fare che non ho mai O � ,. � I intrapreso: cercare, fra i risultati della mia memoria del 1 93 9 (Compositio math.), quali siano quelli che Bachelier conosceva già. « Mi ero riconciliato con lui. Gli avevo scritto che mi dispia­ ceva che l'impressione prodotta da un errore iniziale mi avesse trattenuto dal continuare la lettura di lavori dove si trovavano tante idee interessanti. Mi ha risposto con una lettera che te­ stimoniava un grande entusiasmo per la ricerca ». Fine della ci­ tazione . È tragico che sia stato proprio Lévy a svolgere questo ruolo, poiché vedremo fra breve che poco mancò che pure lui soc­ combesse per mancanza di rigore (sarebbe crudele parlare qui del grado di rigore matematico delle migliori teorie fisiche del loro tempo . . . o del nostro) . Un' altra ragione delle difficoltà di Bachelier traspare dal ti­ tolo della sua tesi, di cui ho tardato a parlare e che era Théone -

=

SCHIZZI BIOGRAFICI

mathématique de la spéculation: non già della speculazione (fi­ losofica) sulla natura del caso, bensl della speculazione (in bor­ sa) al rialzo o al ribasso dei titoli di Stato. Seguendo le parole di Henri Poincaré, che scrisse la relazione ufficiale sulla tesi, « l' argomento . . . si discosta un poco da quelli che vengono trat­ tati abitualmente dai nostri candidati ». Niente indica come venne scelto tale argomento. Benché l' autore abbia utilizzato il vocabolario della borsa con disinvoltura, non si direbbe che sia stato un giocatore (, VI, 1 39-8 7 .

Richardson , L. F. , e Stommel , H .

1 948

Note on eddy dillusion in the sea, in «]ournal of Meteorology », V, 2 38-40.

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2 °5

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