Gesù e la sua morte. Storiografia, Gesù storico e idea dell'espiazionie 8839408754, 9788839408754

Al centro del saggio di Scot McKnight sta la problematica della concezione che Gesù ebbe della propria morte, nella cons

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Gesù e la sua morte. Storiografia, Gesù storico e idea dell'espiazionie
 8839408754, 9788839408754

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Gesù e la sua morte Storiografia, Gesù storico e idea dell'espiazione Scot McKnight

Paideia Editrice

per fon, Mark, Matt e Sam

ISBN

978 . 88 . 394 . 0875 · 4

Titolo originale dell'opera: Scot McKnight ]esus and His Death Historiography, the Historical ]esus, and Atonement Theory Traduzione italiana di Franco Bassani C> Baylor University Press, Waco, Texas 2005 e Paideia Editrice, Brescia 201 5

Sommario

9

Premessa Parte prima IL DIBATTITO

I3

Capitolo I Gesù storico, morte di Gesù, storiografia e teologia

58

Capitolo 2 Gli studi sulla morte di Gesù

89

Capitolo 3 Riprendere la morte di Gesù Parte seconda LA REALTÀ DI UNA MORTE ANZITEMPO

I I9

Capitolo 4 Chi a pre la danza d eli' espiazione?

I

Capitol o 5 Presenza temporanea nella provvidenza d i Dio

34

I 53

Ca pitolo 6 Gesù e l a sorte dei profeti Parte terza IN RISCATTO PER MOLTI

1 75

Ca pitolo 7 L'autenticità dei detti sul riscatto

I92

Ca pitolo 8 Gesù e i profeti della Scrittura

203

Capitolo 9 Un copione per Gesù

22I

Capitolo IO Gesù e il servo

240

Le predizioni della passione

Capitolo I I

7

8

Sommario

Parte quarta GESÙ E L'ULTIMA CENA Capitolo

12

2 59

Pesa� nella storia giudaica

276

Capitolo 13 Pesa� e l'ultima cena

292

Capitolo 1 4 Questo pane e questo calice

311

Capitolo 15 Gesù e l'alleanza

342

Capitolo 16 Il «sangue versato» e l'escatologia

355

Capitolo 1 7 Conclusioni

399

Opere citate

437 43 9 4 59

Indice analitico Indice dei passi citati Indice degli autori mo derni

4 67

Indice del volume

Premessa

Questo libro ha avuto inizio quando per il convegno della Society of Bib­ lica/ Literature che si teneva a Nashville, N. T. Wright mi chiese di prepa­ rare, in quanto membro del comitato direttivo della Historical ]esus Sec­ tion, un'introduzione di cinque minuti all'argomento della sessione dedica­ ta alla morte di Gesù. Quando il programma comparve, scoprii che vi era prevista una mia relazione vera e propria (incidente provvidenziale, credo), così che mi misi a svolgere una ricerca sugli studi recenti su come Gesù in­ tese la propria morte. Quattro anni dopo mi sentii abbastanza sicuro del­ le mie ricerche da render/e pubbliche. Sono grato al collega Klyne Snodgrass per aver letto l'intero manoscrit­ to ed avermi espresso osservazioni preziose. Klyne è un esperto teologo di raro equilibrio e un insegnante appassionato che dedica la sua vita agli altri. Sono riconoscente anche al collega e amico Greg Clark per le nostre ininterrotte conversazioni su temi ermeneutici. Per dieci anni la sua intel­ ligenza vigile e la sua sensibilità sono state per me fonte di gioia, ed è sem­ pre con piacere che attendo ogni nostra conversazione. Mi piace anche ri­ cordare che in occasione di presentazioni mi sono stati prodighi di osser­ vazioni su varie sezioni e capitoli David Koeller, Dale Allison, fohn Koenig e Pau/ Copan, così come N. T. Wright. l/ libro è dedicato a quattro miei laureati, diventati oggi insegnanti ecce­ zionali e splendidi amici. A chi desiderasse sapere che cosa A ristotele in­ tendesse per amicizia, consiglierei di diventarne amico come ho fatto io.

Parte prima

Il dibattito

Càpitolo

1

Gesù storico, morte di Gesù, storiografia e teologia Così come altrove, gli sciocchi si precipitano anche sulla storia, e forse si devono perdonare gli angeli se anziché mettersi per strade tanto difficili calpestano G.R. E/ton 1 invece gli sciocchi.

Quando un accademico sta davanti a un uditorio a illustrare una visione del Gesù storico - in questo caso come Gesù concepiva la propria morte - e quando la questione del Gesù storico viene affrontata nel contesto di un ordinamento e di un'istruzione teologici, lo studioso può pensare di sta­ re camminando sull'acqua, e a ogni passo la voce della verità gli griderà di fare attenzione. Le acque tendono a risucchiare. Fuor di metafora, si potrebbe dire che questa voce della verità solleva tre domande: che cos'è storia? che cos'è un Gesù storico? quale funzione questo Gesù storico deve avere nel curricolo teologico ? Ognuna di queste domande richiede una risposta, in particolare la terza, perché ben pochi sono gli studiosi del Gesù storico che lavorano nel vuoto. Ciascuna dà sen­ so in base alla ricostruzione storica. Nel contesto di questo studio le do­ mande vengono precisate ulteriormente: in quali termini Gesù intese la sua morte? e, quantunque non stia qui il centro d'interesse di questo stu­ dio, nel curricolo teologico e in particolare nel modo d'intendere l'espia­ zione quale funzione deve avere la ricostruzione di ciò che Gesù pensava della propria morte ? In via preliminare e con un po' d'immaginazione si potrebbero avanza­ re ora varie risposte. � Si potrebbe dire che Gesù non pensava alla propria morte attribuendole qualche significato profondo e che quindi furono i pri­ mi cristiani a raccontare una storia che dava significato a questa morte. Per qualcuno un abisso del genere tra fede cristiana e ciò che Gesù effet­ tivamente pensava scombussolerebbe i fondamenti della fede, per altri l'abisso creerebbe lo spazio per pensare liberamente. Ma si potrebbe an­ che sostenere che Gesù pensava alla sua morte in termini profondamente soteriologici, benché non articolati, e che furono i primi cristiani a svilup­ pare il lato teologico che Gesù vedeva nella sua morte imminente. Quale che sia la risposta che si dà a queste domande, spesso si pensa che a qua ­ lunque risposta si pervenga questa dovrebbe determinare la nostra teolo­ gia, e talvolta ci si spinge fino a pensare che la chiesa, o almeno gli illumiRingrazio Paul Copan per le sue osservazioni su un primo abbozzo di questo capitolo. r G.R. Elton, The Practice of History, New York 19 67, 89. 2. V. sotto, pp. 6 7 ss.: « Momenti salienti della storia della ricerca» . 13

14

Il dibattito

nati nella chiesa, dovrebbero di conseguenza riconsiderare il modo di con­ cepire la fede. Come si è detto, imparare ad accettare il modo in cui Gesù comprese la propria morte significa affrontare tre questioni - riguardo alla storia, al Gesù storico e alla funzione della ricostruzione storica nell'opera teologica di produzione di senso. Iniziamo con la prima questione: che cos'è storia ? LA STORIOGRAFIA MODERNA: BREVE TASSONOMIA 1

Gli studiosi del Gesù storico adottano una loro storiografia, anche se pochi di loro la esplicitano a chiare lettere. 2 Queste storiografie possono essere a ragione definite postmoderne e moderne, con ogni genere di gradazione sotto ciascuna classificazione e con tutta la varietà di modi in cui esse so­ no state usate dagli studiosi del Gesù storico.3 Le storiografie più com­ piute di studiosi del Gesù storico sono quelle di N.T. Wright nei due pri­ mi volumi della sua serie in più tomi intitolata Le origini cristiane e la que­ stione di Dio,4 e la recente introduzione di James D.G. Dunn nel suo La 1 Come buona rassegna della storia della storiografia si veda E. Breisach, Historiography. An­ cient, Medieval, and Modern, Chicago :�.I 994· Non è possibile fornire qui una bibliografia com­ pleta sui temi storiografici. La rivista classica è History and Theory. Il termine storiografia, che di solito indica la «storia degli studi storici» o (meno spesso) la «scrittura della storia» , viene usato frequentemente nel mondo accademico come equivalente brachilogico di «filosofia della storia » . Quando parlo di studiosi del Gesù storico che lavorano con una determinata storiografia intendo con questo «una cognizione fornita di fondamento fi­ losofico, consapevole o meno, di ciò che si può conoscere del passato e di come venga individua­ to e rappresentato ciò che si può conoscere )) , Il noto That Noble Dream, New York 1 9 8 8 di Peter Novick, a p. 8 n. 6 afferma che >, ma in real­ tà quel tipo di storia si può capovolgere, come fanno allegramente i deco­ struzionisti, per vedervi poco più che un racconto che narra dello storico stesso. Nelle parole riepilogative di Richard Evans, che si colloca a destra di Elton, è sottinteso che lo storico non catturi fedelmente il passato ma, come il romanzie­ re, si limiti a dare l'impressione di farlo. 5

Più di una volta Jenkins lancia il guanto di sfida: parlando della Storia (con la maiuscola) egli afferma di pensare «che nessuno creda più realmente in questa singolare fantasia» e, parlando della storia (con la minuscola), di­ ce che questa maniera di vedere «è ormai insostenibile» .6 San Paolo aveva il suo pungolo nella carne, noi invece, vorrei dire, abbiamo i postmoder­ ni. Ci tengono in ginocchio. Ci tallonano. Detto un po' grossolanamente, la « Storia » consiste nelle visioni macro­ scopiche della storia - come quella della Bibbia, di Agostino, Hegel e Marx (strana scatola di cioccolatini, non vi è dubbio), mentre la « storia » è co­ stituita dai tentativi microscopici di gettare luce su aspetti minori di gente 1 Ankersmit, Historical Representation, 75-103. 2. Op. cit., 1 5 2. 3

G.R. Elton, Return to Essentials, Cambridge 1 991, 42. 49 (tr. it. 56. 63). definisce il moderno come segue: « È il generale fallimento ... del tentativo, iniziato in­ torno al XVIH secolo in Europa, di realizzare- mediante l'applicazione della ragione, della scien­ za e della tecnologia e per mezzo della promulgazione di leggi che favorissero una sempre più piena emancipazione dei loro cittadini/sudditi - un livello di benessere personale e sociale nelle formazioni sociali, di cui si potrebbe dire che nel migliore dei casi miravano a diventare 'comu­ nità di diritti umani'» ( On « What is History?», 6). s R.J. Evans, In Defense of History, 9 8 (tr. it. 121 s.). Un'altra risposta forte alla tendenza postmoderna in storiografia si può leggere in Himmelfarb, The New History and the 0/d, i cui interessi vanno preferibilmente alla supremazia della storia sociale sulla storia politica . Per la sua posizione riguardo alla storiografia postmoderna si veda tuttavia alle pp. 1 5-30. 6 jenkins, On What is History?» , 8 s. 4 Jenkins

> e la conoscenza «teologica> > o > (pp. 24 1 -270). In una nota, ad esempio, gli autori si dis­ sociano da Jenkins: « Ogni volta che si scende per la via del relativismo, la strada si oscura e dal tunnel scompare la luce» (p. 1 9 2). Di fatto affermano che «Ìn ultima analisi una storia di tipo postmoderno non può quindi esserci» (p. 237). 2 AHJ, Telling the Truth about History, 1 5 1 2 5 3 Op. ci t., 171 (corsivo aggiunto). 4 Op. ci t., 2 5 1 (corsivo aggiunto). 5 Op. ci t., 26r (corsivo aggiunto). 6 Op. ci t., I 9 5 · -

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Il dibattito

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ciò su cui questo libro torna con insistenza è la capacità umana di discriminare tra la rappresentazione falsa e quella fedele della realtà passata e, al di là di que­ sto, di formulare criteri che aiutino sia il professionista sia il lettore a stabilire di· stinzioni del genere. 1

Non è bene interrompere qui il discorso su AHJ, ma lo spazio impedisce uno studio più approfondito della posizione importante che essi occupa­ no nell'ambito della disciplina. Una loro chiosa riesce tuttavia ad aver ra­ gione delle nostre esigenze di spazio, una glossa che esprime nel modo mi­ gliore ciò che la storia soprattutto fa: « L'intelligenza umana richiede pre­ cisione, mentre l'anima desidera ardentemente senso » . 2. La storiografia di tipo (più o meno) moderno Keith Jenkins protesta contro i due storici i cui libri hanno orientato il dibattito odierno sulla storiografia, ossia le opere di E.H. Carr 3 e G.R. Elton.4 Se col suo modus operandi blandamente marxista Carr sostiene che un fatto diventa storia solo quando viene incorporato dallo storico in una storia dotata di significato, Elton rappresenta la posizione moderna allo stato puro: la storia è il tentativo di scoprire in sé e per sé ciò che è accaduto e perché, nel suo contesto proprio, nei suoi stessi termini e col suo significato proprio. 5 Carr pensa che ciò che conta è come si possa usare il passato per prevedere e costruire il futuro, mentre Elton pensa che ciò che conta non è come qualcosa possa essere usato, ma ciò che realmente è per adoperare la famosa espressione di Ranke, bloss zeigen, wie es eigentlich gewesen ist ( «mostrare semplicemente che cosa realmen­ te [o essenzialmente] è accaduto).6 Se in una misura o nell'altra sia Carr -

r

Op. cit., 261. 2. Op. cit., 262. Carr, Wath is History. Cf. J. Haslam, The Vices of lntegrity, New York 1999; M. Cox (ed.), E.H. Carr, New York 2000. 4 Elton, Practice of History; Return to Essentials. Gli insegnanti sanno che uno dei modi più collaudati per far sì che gli studenti imparino è di presentare contrapposizioni nette in modo che gli allievi possano trovare la loro strada. Mi pare questa la ragione per cui Carr ed Elton sono risultati tanto graditi (benché molti storici di oggi siano comunemente marxisti e più favo­ revoli a Carr che a Elton). Sospetto che Jenkins ed Evans possano subentrare a Carr ed Elton in funzione di antitesi dialettica. 5 Così si esprimono Howell-Prevenier, From Reliable Sources, 1 9 : «Pertanto gli storici non so­ no mai nella condizione - e non dovrebbero mai pensare di essere nella condizione - di leggere una fonte senza prestare attenzione sia al contesto storico sia a quello storiografico che le han­ no dato senso», 6 L. von Ranke, Geschichten der romanischen und germanischen Volker von 1494 bis IJI4 (Samtliche Werke 3 3/34), Leipzig l.1 874, prefazione alla prima edizione, VII (in G. Theissen D. Winter, The Quest far the Plausible ]esus, Louisville 2002, 43). Per anni ho detto wie es ei­ gentlich gewesen ist, mentre spesso si tralascia ist. Mi fa piacere vedere in Theissen-Winter la ci­ tazione corretta. 3

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Gesù storico, morte di Gesù, storiografia e teologia

2. 5

sia Elton sono rankiani, Elton è il Ranke postrankiano. Come tutti sanno, Carr ed Elton non andarono d'accordo.' Per riprendere un'immagine che già si è usata, se Jenkins afferma che né Carr né (specialmente) Elton tengono l'oca per il collo ma hanno in­ vece in mano uno specchio, Elton controbatte. Il modernista sosterrà che è Jenkins, nell'ipotesi che la sua ideologia comandi anche la sua storia, quello che ha in mano uno specchio, mentre è possibile prendere l'oca ­ se si hanno mani abbastanza forti. E lo storiografo moderno prova imba­ razzo per Jenkins che si vanta della propria posizione. Elton e quelli co­ me lui rivendicano d'essere loro a tenere l'oca per il collo, anche se sono tanto modesti da riconoscere che la loro presa è debole e talvolta l'oca scappa. Ma almeno, direbbe Elton, lo storico di tipo moderno nell'oca è interessato a ciò che resta del passato, non allo specchio di un'ideologia presente. Jenkins pensa che la metodologia di Elton sia qualcosa di superato, co­ me bere il tè dal piattino, mentre Elton pensa che Jenkins sia tutto suona­ to - tazza e sottotazza. Jenkins potrebbe pensare che il postmoderno non sia più semplicemente una possibile soluzione per gli storici, ma sia inve­ ce il destino e la condizione di chiunque e in ogni tempo lavori; ma Elton (se fosse vivo) direbbe semplicemente . . . ma, per rispondere con la sua ar­ guzia pungente, forse è meglio lasciar parlare Elton stesso: nessuno legge o scrive di storia con la testa totalmente assente, anche se una co­ spicua quantità di storia è stata scritta da persone il cui spirito sembra fosse in parte preso da altro . .z.

Detto altrimenti, Elton penserebbe che Jenkins ha il pensiero rivolto ad al­ tro (e gli occhi rivolti a uno specchio ), mentre Elton pensa di aver messo le mani al collo dell'oca e a quello di Jenkins (lo specchio era rimasto a ca­ sa, quand'era uscito per recarsi in biblioteca). Che l'immagine dell'oca sia utile o meno, la maggior parte degli studi sul Gesù storico possono definirsi rankiani, postrankiani e di tipo moderno. Nel senso che sono impegnati a scovare fatti, a scoprire che cosa i fatti significassero al loro tempo e nel loro contesto originario, e poi a stabili­ re un'interpretazione dei fatti nel modo che meglio conviene agli origina­ li. Forse gli storici di tendenza moderna più rappresentativi negli studi sul cristianesimo delle origini sono (a esclusione di quelli menzionati in nota ) studiosi come Martin Hengel, E.P. Sanders, J.P. Meier, Richard Bauck­ ham e David Aune. Essi mirano a essere critici - attenti quindi al metodo, alla neutralità e al­ l'obiettività; tra loro si respira un'aria di fiducia - quindi convinti che me' Si veda ad esempio Elton, Practice of History, 1 2-22. Carr, che era marxista, subisce da Elton questo affromo: ) e ((La morte di Ge­ sù e l'ultima settimana )) . 4 V. Taylor ]esus and His Sacrifice, 1 9 3 7, rist. London 1 9 5 5 , 270 s. s V. Taylor, New Testament Essays, Grand Rapids I 972; mi riferisco qui al suo The Origin of the Markan Passion-Sayings: NTS I ( 1 9 5 5 ) I 59-167, ristampato alle pp. 60-7 1 (p. 6o). 2

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Gli studi sulla morte di Gesù

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Quattro anni dopo l'originale ]esus and His Sacrifìce di Taylor, C.J. Ca­ doux giungeva a conclusioni analoghe riguardo a convinzioni del genere in Gesù, anche se per vie e situazioni alquanto diverse. Cadoux sostene­ va in particolare che l'adozione del ruolo del servo da parte di Gesù ave­ va per scopo di spingere al pentimento. Nel r 94 3 , due anni dopo Cadoux, dichiarando apertamente il suo profondo accordo con Vincent Taylor, W. Manson affermava che Gesù aveva compreso la sua vita e la sua morte nei termini del servo di Isaia. 2 Altra pietra miliare è l'eccellente The Servant-Messiah di un altro studio­ so inglese, T.W. Manson. Un decennio dopo il suo omonimo, questi so­ steneva che nella propria morte Gesù vide il culmine della sua missione nel­ le vesti del servo di Isaia; come Manson diceva, questa era « la logica con­ clusione del suo servizio » . 3 In un certo senso T.W. Manson prolunga la nozione mai venuta meno negli studi della rappresentatività di Gesù, te­ ma che emerge abbastanza regolarmente negli studiosi inglesi e che trova la sua forma più pura nelle opere di H. Wheeler Robinson e, in grado mi­ nore, in H.H. Rowley e C.R. North.4 Questi studiosi - da Taylor a Ca­ doux a W. Manson e T.W. Manson - potrebbero a buon diritto essere con­ siderati il punto culminante anglosassone dell'illustrazione della conce­ zione che Gesù avrebbe avuto della sua morte nei termini del servo di Isaia, ma nella guerra combattuta dall'Inghilterra contro il metodo tedesco del­ la critica delle forme, per infliggere a Bultmann il colpo finale occorrereb­ be ancora un altro studioso. Nel 1 9 5 4 R.H Fuller pubblicò uno degli studi più importanti mai scrit­ ti su come Gesù previde la propria morte: The Mission and Achievement of]esus sostiene contro Bultmann che Gesù vide nella sua morte il mezzo con cui Dio avrebbe portato la pienezza del suo regno, che nella concezio­ ne di Fuller era già all'opera nel ministero di Gesù.5 A detta di Fuller il regno era inaugurato mediante la morte di Gesù e Gesù considerava sua missione morire e introdurre così il regno. Per Fuller era importante la prospettiva di Marco (e in un certo senso al riguardo si accodava allo studio di T.W. Manson) : il nucleo delle predizioni della passione aveva il sapore dei fatti. Egli pensava anche che le parole dell'istituzione pronun1

.

C.J. Cadoux, The Historic Mission of ]esus, London 1941, 3 7 s. 149-2.65. W. Manson, ]esus the Messiah, London 194 3. ' T.W. Manson, The Servant-Messiah, Cambridge 1 9 5 3 , 8o. 4 H. Wheeler Robinson, Corporate Personality in Ancient lsrael, ed. riv. Philadelphia 1 9 80; The Cross in the 0/d Testament, Philadelphia 1 9 5 5 , 5 5 - 1 1 4; H.H. Rowley, The Servant of the Lord and Other Essays on the 0/d Testament, London 1 9 5 2, r-88; C.R. North, The Suffering Servant in Deutero-lsaiah, Oxford 1 1 9 56. Un esempio attuale è costituito dai dotti studi di H.G.M. Williamson, The Book Ca/led lsaiah, Oxford 1994; Variations on a Theme (Didsbury Lectures 1 997), Carlisle, UK 1998. ' R.H. Fuller, The Mission and the Achievement of]esus (SBT 1 2.), London 1954. l

2

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Il dibattito

eia te da Gesù combinano ls. 5 2-53 con Is. 42 in una 'sintesi soteriologica che a suo parere Gesù pensava di stare portando a compimento: « Gesù non fu solo il profeta dell'avvento imminente del regno escatologico di Dio ma pensò fosse sua missione fornire con la propria morte l'occasio­ ne decisiva mediante la quale e nella quale Dio avrebbe inaugurato quel­ l'evento la cui imminenza era suo c�mpito proclamare» 1 (dopo essersi sta­ bilito negli Stati Uniti Fuller aderì alla prospettiva del New Quest, cam­ biò queste importanti conclusioni e ritenne non storiche le predizioni del­ la passione, lasciandosi alle spalle i risultati cui era giunto un tempo). 2 Dall'altra parte della Manica, in Germania, per Bultmann era ormai il momento di ricevere critiche provenienti da casa sua. Joachim Jeremias, appoggiandosi apertamente all'opera di Gustaf Dalman/ per spiegare la concezione che Gesù aveva della propria morte si servì anche dell'idea di servo. L'uso di servo per spiegare la missione di Gesù è una glossa alla tendenza già presente negli studiosi tedeschi da Wrede in avanti a definire il titolo di messia come elemento critico per comprendere la missione di Gesù. 4 In seguito, sia perché tanti si attaccarono a Jeremias,S come fanno i rimorchiatori con le navi che entrano in porto, oppure per quel tipo di critica che porta a evitare di fare il nome di Jeremias per paura di prender­ si una botta in testa, dai diversi studi di Jeremias è stato fatto sparire il genio. Per gli studi odierni su Gesù è una tragedia che egli sia stato abbat­ tuto e usato come legname, o (per cambiare immagine) che un'epoca di chimici l'abbia presentato come alchimista.6 È semplicemente equo nei confronti di Jeremias ricordarne i contributi, anche se così facendo si potrebbe non essere in grado di risuscitarne la grande reputazione di un tempo. Né ne condivideremo l'uso eccessivo di Strack-Billerbeck, né l'insieme dei risultati, né la mancanza di prudenza nelle datazioni quando usa fonti giudaiche, né le occasionati alterazioni di dati per accordarli alle idee. Nonostante queste critiche, molti si sono interessati alle fonti giudaiche grazie a Jeremias, e nella sua generazione per il ritorno a queste fonti nello studio del Nuovo Testamento forse egli 1

Op. cit., 79·

2.

R.H. FulJer, The Fou ndations of New Testament Christology, New York I965, spec. 1 1 5·

I I 9 ; si veda anche il suo libro scritto con P. Perkins, Who is the Christ?, Philadelphia 1 9 8 3 . Sono grato a Dale Allison per avermi fatto osservare i l cambiamento di posizione d i Fuller. Per questa ragione il primo studio di Fuller nelle considerazioni qui svolte resta in secondo piano. 3 Ad esempio G. Dalman, The Words of]esus, 1 898, rist. Edinburgh 1 902, spec. r r s r I9; }esus­ ]eshua, New York I929. 4 M. Hengel, Studies in Early Christology, Edinburgh I 99 S · W. Wrede si tolse il suo dreiecking Hut [cappello a tre punte] in The Messianic Secret, 1 9 o r , rist. Cambridge 19 7 1 . s A d esempio I.H. Marshall, Last Supper and Lord's Supper, Grand Rapids 1 9 80. 6 Si veda il vivace scambio tra B.F. Meyer ed E.P. Sanders: Meyer, A Caricature of]oachim ]e­ remias and His Scholarly Work: JBL I r e ( 1 99 1 ) 4 5 1 -462; Sanders scaricò le sue pistole in De­ fending the Indefensible: JBL 1 1 0 ( 1 9 9 1 ) 463-477. -

Gli studi sulla morte di Gesù

75

fece più di chi unque altro - eccetto forse W.D. Davies. È da ricordare che lavorando pressoché senza aiuti Jeremias resistette alla tendenza dei Neu­ testamentler tedeschi a situare il cristianesimo delle origini in ambiente esclusivamente ellenistico. L'attenzione che negli studi odierni si dimostra al giudaismo di Gesù (e di Paolo) - che porta a volte Do m Crossan a cri­ ticare spiritosamente gli odierni libri su Gesù come gara a chi può dire « il mio Gesù è più giudeo del tuo» - è nata con Dalman, Strack-Billerbeck e Jeremias. 1 I risultati della ricerca odierna, tanto più sfumata, critica e in­ formata, di Hengel, Davies, Black, France, Moo, Sanders, Wright, Char­ lesworth, Chilton, Allison - per citarne alcuni - non sarebbero quello che sono senza la parte che vi ha avuto Jeremias. 2 E ora torniamo a illustrare il contributo di Jeremias riguardo a come Gesù comprese la propria morte. Due indirizzi degli studi di Jeremias meritano qui d'essere ricordati: il suo studio dell'ultima cena e un gruppo di articoli riguardanti questi te­ mi, tutti raccolti nella sua Teologia del Nuovo Testamento.3 Primo, Jere­ mias riconosce che le predizioni della passione sono state profondamente influenzate da eventi posteriori; 4 secondo, Gesù deve aver previsto una morte violenta a causa dell'ostilità di cui faceva esperienza, così come del­ la sua concezione storico-salvifica del martirio di profeti; s terzo, c'è un residuo d'informazione storicamente preziosa nelle predizioni della passio­ ne, le quali in se stesse sono varianti delle predizioni della passione fatte da Gesù, che nella loro forma più puramente originaria si trovano in Mc. 9,3 1a: «Dio consegnerà il figlio dell'uomo nelle mani degli uomini » ; quar­ to, la copiosità della documentazione riguardo alla percezione che Gesù ebbe della propria morte, insieme a diversi fattori, tra i quali il radicamen­ to nel contesto, gli aspetti non realizzati e i cosiddetti « logia dei tre gior­ ni» (Mc. 14,58; 1 5 ,29; Le. 1 3 ,3 2.3 3 ; Gv. 1 6, 1 6 . 1 7 . 1 9 ) che riportano a materiale più antico. Jeremias conclude questa sezione come segue: «non 1 Ciò non significa negare l'importanza sia di G.F. Moore sia dei profondi lavori intrapresi con gli studi giudaici su Gesù e sul cristianesimo delle origini. Per questi ultimi cf. D.A. Hagner, The _lewish Reclamation of fesus, Grand Rapids 1 9 84; Pau/ in Modern fewish Thought, in D.A. Hagnar - M.]. Harris (edd.), Pauline Studies, Grand Rapids 1980, 1 4 3 - 1 6 5 . ! Ne è u n esempio eccellente l'opera più significativa sulle donne nel mondo giudaico che s i deve J Tal Ilan, il cui primo libro consiste prevalentemente nello scavo e nella spiegazione dei testi indicati nel capitolo dedicato alle donne in Jeremias, jerusalem in the Time of jesus, Philadel­ phia 1969. Di Tal Ilan si veda fewish Women in Greco-Roman Palestine, Peabody, Mass. 1996, seguito da Integrating Women into Second Tempie History, Peabody, Mass. 2001. ; ]. Jeremias, New Testament Theology, New York 1971 (tr. it. 1 972, �1 976); The Eucharistic Words of ]esus, 1 966, rist. Philadelphia 1977 (tr. it. 1973); Abba. Studien zur neutestamentli­ chen Theologie und Zeitgeschichte, Gottingen 1966 (tr. it. parziale Abba, Brescia 1968); una rac­ colta recente di alcuni suoi studi minori si può vedere in K.C. Hanson (ed. ), jesus and the Mes­ sage of the New Testament, 1965, rist. Minneapolis 2002. 4 Jeremias, Theology, 277 s. (tr. it. 3 1 5-3 17). 5 Op. cit., 178-r8o (tr. it. 212 s.); ]esus and the Message of the New Testament, 80-8 5 .

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I l dibattito

si può assolutamente dubitare che Gesù abbia aspettato e predetto la sua passione e morte » . 1 Gesù attribuì alla sua morte un significato espiatorio ? Jeremias sostiene che il mondo giudaico di Gesù conosceva quattro mezzi di espiazione (pen­ timento, jom kippur, sofferenza e morte) e ne deduce che non è impossibi­ le che Gesù abbia pensato alla propria sofferenza e morte in termini di espiazione. Egli riassume poi i suoi studi sulle parole eucaristiche, sul det­ to del riscatto, su quello della spada, su quello su Elia, sull'espressione «consegnato » , sull'uccisione del pastore e sull'intercessione per il colpe­ vole - e conclude che «la passione viene sempre interpretata come azione vicaria a beneficio delle moltitudini (Mc. 1 0,4 5 ; 14,24 ) » . 2 Jeremias si ri­ chiama costantemente allo sfondo del canto del servo in Isaia, in partico­ lare a 5 2, 1 3 - 5 3 , 1 2. 3 Studiosi francesi che, se non per l'interesse portato all'ultima cena,4 non partecipano spesso a questo dibattito, hanno confermato ampiamente gli importanti risultati del lavoro di Jeremias, anche se l'opera di A. George si richiamava al tema del sacrificio più che al servo di Isaia.5 A detta di George, Gesù previde la sua morte, e lo fece intendendola come dimen­ sione sacrificale della sua missione redentrice. In risposta specialmente all'opera di Jeremias e di Heinz Schiirmann (v. sotto), un gruppo di studiosi cattolici tedeschi si riunì nel marzo del 1975 per discutere di come Gesù comprese la propria morte.6 A complicare il tema centrale della conferenza fu la confusione che sorse dal dibattito sui criteri per stabilire la tradizione su Gesù. In quel volume, il lungo articolo di Anton Vogtle mette a fuoco la complessità della questione di che cosa e come Gesù abbia pensato a proposito della sua morte, per concludere poi che fino all'ultima cena Gesù non fornì elementi per comprendere que­ sta morte come stellvertretende Suhne (espiazione vicaria), ma che tale ri­ velazione al momento della cena spiega nel modo migliore le tradizioni su Gesù, così come le idee che affiorano nelle chiese delle origini. 7 Gli studi approfonditi e un po' scettici presentati in quell'incontro da Gnilka e Vogtle (di cui s'è detto) non soddisfacevano Rudolf Pesch. Que­ sti, nonostante il suo penetrante saggio nello stesso volume, due anni do­ po ripeté e spiegò ulteriormente le sue idee in un lavoro monografico. 8 1 Jeremias, Theology, 286 (tr. it. 3 26). 2 Op. cit., 299 (tr. it. 342). 3 Al riguardo Jeremias ha un seguace fedele in L. Goppelt, Theology of the New Testament 1, Grand Rapids 1 9 8 1 , 193-199 (tr. it. 264-268). 4 X. Léon-Dufour, Sharing the Eucharistic Bread, New York 1986. 5 A. George, Comment ]ésus a-t-il perçu sa propre mort?: LumVie 10 1 ( 1 9 7 1 ) 34-59. 6 K. Kertelge (ed.), Der Tod ]esu (QD 74) , Freiburg 1976. 7 A. Vogtle, Todesankundigungen und Todesverstiindnis, in K. Kertelge (ed.), Tod ]esu, 5 1 - 1 1 3 . 8 J . Gnilka, Wie urteilte ]esus uber seinen Tod?, i n K . Kertelge (ed.), Der To d ]esu, 1 3-50; R.

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Delle sue conclusioni occorre mènzionàme alcune, anche se con ciò si en­ tra nel campo complesso dell'ultima cena di Gesù: 1. i testi sia di Matteo sia di Luca sono redazioni del testo di Marco; 2. Le. 22,19-20 è un Misch­ text ( « testo composito» ) redazionale lucano, che si basa su Mc. 1 4,22-25 e I Cor. 1 1 ,23-25; 3· il testo di Paolo è affatto secondario ed è un'«ezio­ logia cultuale » ; 4· i Deuteworte ( « detti interpretativi» ) dell'ultima cena sono autentici e rivelano Gesù come messia e servo che instaura un nuo­ vo patto e offre se stesso in una morte espiatrice e sacrificale per Israele. Un anno dopo, in Canada, B.F. Meyer seguì Jeremias sostenendo che Gesù intendeva « riempire di significato il suo ripudio e la sua uccisione. 1 Nella missione di Gesù, Meyer vede realtà storiche sia nel motivo del­ l'« espiazione » sia in quello del « patto » . :z. Meyer sviluppò in seguito il suo argomento interagendo con studi recenti in un successivo lavoro che met­ te al centro più esplicitamente le parole dell'istituzione; qui Gesù è il messia, il servo di Isaia e colui che adempie le speranze d'Israele.3 Per la stessa strada si mise lo studioso scozzese l. H. Marshall nel suo Last Supper .Jnd Lord's Supper. Sulla base della sua personale ricostruzione dell'ulti­ ma cena nella forma originaria, optando al riguardo per un testo di tipo bi­ zantino, Marshall sostenne che Gesù offrì se stesso ai suoi seguaci come il servo di Isaia che avrebbe perdonato i peccati mediante un sacrificio vi­ cario. L'influenza della scuola tedesca di Jeremias è evidente a ogni pagi­ na delle opere di questi due studiosi. Interessante è in particolare che nel 1980 sia Martin Hengel sia Peter Stuhlmacher pubblicassero articoli che cercavano di ristabilire l'equilibrio nella direzione di un'interpretazione più articolata del servo, anche se di fatto entrambi trattavano Jeremias con calore e Bultmann con freddezza.4 Il dibattito su Bultmann continua a occupare questi studiosi di Tubinga: si potrebbe dire che Jeremias generò Hengel e Hengel generò Stuhlmacher. Hengel situò la primissima teologia cristiana dell'espiazione nei suoi im­ portantissimi ellenisti di Gerusalemme, i quali avevano appreso dalle pa­ role stesse di Gesù nell'ultima cena che la sua morte era un' «espiazione vi­ caria» (stellvertretende Suhne).5 Per parte sua Stuhlmacher pensa che il Pesch, Das Abendmahl und ]esu Todesverstandnis, in op. cit., 1 3 7-1 87; Das Abendmahl und Jesu Todesverstandnis (QD So), Freiburg 1 978. 1 Meyer, Aims of]esus, 1.18. 2 Op. cit., 1. 1 9 . .� B.F. M eyer , The Expiation Moti{ in the Eucharistic Words. A Key to the History of ]esus?, in B.F. Meyer (ed.), One Loaf, One Cup (New Gospel Studies 6), Macon 1993, 1 I - 3 3 · 4 M . Hengel, Der stellvertretende Suhnetod ]esu. Ein Beitrag zur Entstehung des urchristlichen 1\erygmas: IKZ 9 ( 1 980) 1-1.5. 1 3 5-1 47; The Atonement, Philadelphia 1 9 8 1 ; P. Stuhlmacher, Vicariously Giving His Life {or Many, Mark r o:45 (Matt. 20:28), in Reconciliation, Law, and Righteousness, Philadelphia 1986, 1 6- 1.9 . 5 V. anche H. Merklein, Der Tod ]esu als stellvertretende Suhnetod. Entwicklung und Gehalt einer Zentralen neutestamentlichen Aussage, in H. Merklein (ed.), Studien zu ]esus und Paulus WUNT 43), Tiibingen 1987, I 8 1 - 1 9 1 .

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Il dibattito

detto sul riscatto è autentico e, con la stessa chiarezza oracolare di Bult­ mann, così conclude: «Non è quindi necessario che gli studi sul Nuovo Te­ stamento si mostrino esitanti quando si tratta di rispondere all'importan­ te questione di come Gesù abbia compreso la sua missione e la sua morte. Possono rispondere che Gesù svolse il suo ministero, soffrì e patì una mor­ te espiatoria in veste di riconciliatore messianico» . 1 Nella sua recentissi­ ma teologia del Nuovo Testamento Stuhlmacher afferma che «la crocifì.s­ sione di Gesù fu la conseguenza storica inevitabile della provocazione co­ stituita dal suo ministero di figlio dell'uomo messianico », e che «Gesù inte­ se la propria morte come morte espiatrice vi caria per 'i molti' (ossia Israe­ le e le nazioni) » .1 Dopo aver sostenuto che Mc. 9,3 1 (Le. 9,44), Mc. 10,45 e Le. 22,3 5-3 8 sono sostanzialmente autentici, Stuhlmacher afferma inol­ tre che «in quanto prende su di sé in modo vicario per i 'molti' la respon­ sabilità della colpa e col sacrificio della propria vita la sopprime, Gesù rea­ lizza per loro la giustizia che si richiede per vivere davanti a Dio »/ anche se si affretta ad aggiungere che questa morte vicaria non serve ad allonta­ nare l'ira di Dio né a dar soddisfazione al suo onore offeso (contro Ansel­ mo); essa esprime invece l'amore e la compassione di Dio, e l'insegnamento di Gesù funge quindi da fondamento dell'idea protocristiana di giustifica­ zione. Quando in varie pubblicazioni Stuhlmacher afferma che Gesù aveva co­ scienza della propria condizione di servo, 4 naturalmente non manca di cri­ tici. W. Zager gli ha risposto senza mezzi termini in un articolo sulla ZNW, ora riassunto in breve nel suo ]esus und die fruhchristliche Verkundigung.5 Zager ha rimesso ali' ordine del giorno la vecchia tesi che Gesù non consi­ derò la propria morte espiatrice, perché questa nozione fa il suo ingresso nella fede cristiana con la teologia del martirio del giudaismo ellenistico. Altri europei hanno appoggiato in generale la linea di pensiero secondo cui Gesù avrebbe concepito la propria morte nelle categorie dell'espiazio­ ne, e al riguardo viene fatto di pensare allo studio di grande respiro di Ray­ mund Schwager, Jesus in the Drama of Salvation. Questo criterio del servo di Isaia patrocinato dalla Tiibingerschule, in 1 P. Stuhlmacher, Vicariously Giving His Life for Many, 2.5 s.; Biblische Theologie des Neuen Testaments 1, 1 2 5-143. Il motivo del riconciliatore messianico è stato di recente ripreso dal­ l'americano J. Koenig, The Feast of the World's Redemption, Harrisburg 2000. 2. Stuhlmacher, Biblische Theologie des Neuen Testaments 1, 1 26. 142. 3 Op. cit., 1 30. 4 P. Stuhlmacher, Der messianische Gottesknecht: JBTh 8 ( 1 9 9 3 ) 1 3 1-154; ]es 53 in den Evan­ gelien und in der Apostelgeschichte, in Janowski-Sruhlmacher (edd.), Der leidende Gottesknecht, 93 - 1 0 5 . 5 W. Zager, Wie kam es im Urchristentum zur Deutung des Todes ]esu als Suhnegeschehen?: ZNW 87 ( 1 996) 1 6 5 - 1 86; ]esus und die fruhchristliche Verkundigung, Neukirchen/Vluyn 1 999, 3 5- 6 1 .

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cui ci s'imbatte in Hengel e Stuhlmacher,X come retroterra fondamentale del modo in cui Gesù concepiva se stesso e la propria missione (di cui cer­ tamente in qualche modo ci si compiace), è forse ben rappresentato in lin­ gua inglese nella bella raccolta di saggi pubblicata da W.H. Bellinger, Jr. e da W. R. Farmer. 2 Non persuaso dalla reazione tedesca a Stuhlmacher, nel volume di Bellinger e Farmer, Otto Betz sostiene che nell'ultima cena Gesù ha offerto proprio se stesso e « ha così messo in scena ls. 5 3 , I 2 » . 3 A ragione Betz sostiene che i criteri di Morna Hooker (v. sotto) per rico­ noscere la presenza dell'influenza dei temi del servo sono troppo restritti­ vi, approfondendo in modo particolare le risonanze di «vangelo » .4 Per non tacere come il servo, Hooker annuncia che non darà pace e brandisce la sua santa penna, ma chi ha creduto al suo racconto ? 5 Non Farmer! Nel­ la stessa raccolta di studi questi fornisce una traditionsgeschichtliche Stu­ die in cui sostiene che Gesù pensò se stesso nei termini del servo, formu­ lati in particolare nella tradizione dei detti del Signore che ora si trova in M t. 26,26-3 o. 6 Dopo i lavori di Fuller e Schiirmann, per concludere, lo studio più esau­ stivo è quello di N. T. Wright, la cui opera funge da passaggio ad altre ipo­ tesi e insieme una ricapitolazione di quanto precede.7 Prima di occuparsi di Wright è utile soffermarsi un momento a parlare del lavoro di G.B. Caird, sulla base del quale Wright ha sviluppato la sua argomentazione. 8 Caird riepiloga per sommi ca pi i motivi per accettare il servo di Isaia come ele­ mento del quadro generale della cognizione che Gesù aveva di sé e quindi per vedere come Gesù pensasse a se stesso in termini di sacrificio: «ciò che i peccatori non potevano fare per se stessi Gesù credette di farlo egli stesso dando la sua vita 'in riscatto per molti' » .9 Per Gesù il servo di Is. 5 3 era il «titolo di una 'sede vacante', un 'titolo di lavoro' incompiuto che Gesù stesso - e forse chiunque potesse essere disposto a unirsi a lui r D. Bailey, The Suffering Servant. Recent Tubingen Scholarship on lsaiah 53, in Bellinger-Far­ mer (edd.), ]esus and the Suffering Servant, 25 1-259 (riassume Janowski, sul qu a le v. sotto). � W. Bellinger - W.R. Farmer (edd.), ]esus and the Suffering Servant, Harrisburg 1 998. 3 O. Betz, ]esus and lsaiah 53, in Bellinger-Farmer (edd.), ]esus and the Suffering Servant, 7o87: 86. 4 Betz, ]esus and Isaiah 53 , 72.. 74-82. ' M. Hooker, Did the Use of Isaiah 53 to lnterpret His Mission Begin with ]esus?, in Bellinger­ Farmer (edd.), ]esus and the Suffering Servant, 8 8- 1 0 3 . 6 W. R. Farmer, Reflections o n Isaiah 53 and Christian Origins, i n Bellinger-Farmer (edd.), ]esus .md the Suffering Servant, 260-280. - Wright, ]esus and the Victory of God; The Servant and ]esus. The Relevance of Colloquy for the Current Quest of ]esus, in Bellinger-Farmer (edd.), ]esus and the Suffering Servant, 281-97. H Si veda in particolare G.B. Caird, New Testament Theology (completato a cura di L.D. Hurst), Oxford I 994, spec. 3 10-3 16. 3 69-384. 404-408. Si dovrebbero leggere le parole convincenti delle pp. 1 4 5 - 1 78, dove Caird affronta esplicitamente i problemi che fanno da corollario a una dottrina dell'espiazione. 9 Caird, New Testament Theology, 407.

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Il dibattito

era deciso a riempire» . 1 In un paragrafo che risulterà fondamentale per Jesus and the Victory of God di Wright, e che completa lo studio della morte di Gesù di Caird, questi afferma che a compiere il lungo passo dal­ la propria morte come sacrificio a questa stessa morte come «sacrificio vicario per i peccati di tutto il mondo» potrebbe essere stato Gesù. 2 N. T. W right offre un esame approfondito della documentazione, parte della quale non è mai stata fatta entrare nel dibattito (ad esempio i logia del comandamento più grande, dell'albero verde e di quello secco, della chioccia e i pulcini), esame che conduce alla conclusione che Gesù si recò a Gerusalemme per morire. Gesù fece ciò per dar corpo intenzionalmente alla storia d'Israele, allo scopo di mettere in atto un nuovo esodo e porre fine all'esilio 3 - per testimoniare e inaugurare il regno. L'importanza in Wright di Gesù che ricapitola e porta a compimento la storia d'Israele è un altro esempio della tendenza negli studi di lingua inglese a mettere in risalto Gesù come rappresentante di Israele. Con le parole di Wright: naturalmente se si cerca un elemento d'insegnamento obiettivo fornito di retro­ terra veterotestamentario in cui Gesù dica: « Ecco, io sono il servo di Is. 5 3 » , si cercherà invano . . . Ma al centro dell'immagine [di Gesù] c'è un'ipotesi che può essere formulata come segue: Gesù fece di Is. 5 2,7- 1 2 un tema della sua predica­ zione del regno . . . Se poi ci si chiede come il testo di Is. 5 2,7- 1 2 sia messo in atto, la profezia, come la lesse Gesù, dava una risposta chiara. Il braccio di Jhwh, che si manifesterà liberando Israele dall'esilio e mettendo in fuga il male, secondo ls. 5 3 , 1 si rivela nell'opera e attraverso l'opera del servo di ]hwh.4

L'idea che Gesù abbia concepito la propria morte richiamandosi ai canti del servo del Deutero-Isaia ha una lunga storia con molti alti e bassi a se­ conda delle mode ma, facendo mie le parole di S.J. Perelman, il servo sta «sempre qui, un po' ammaccato ma per il resto in ottime condizioni » . 5 Sconcerta pensare che negli ultimi trent'anni siano stati pubblicati tanti li­ bri su Gesù che hanno semplicemente ignorato i lavori su Gesù e il servo. r

Ibidem. Op. cit., 408 . Caird conclude citando Le. 24, 25-2.7 e trasforma poi la sua penna in brillante fioretto: «a chi crede nella testimonianza di Luca non è necessaria nessun'altra spiegazione; per chi non crede non è possibile nessun'altra spiegazione». 3 N.T. Wright fu bistrattato per la sua idea della 'fine dell'esilio'; anche se forse vi si richiama troppo spesso, per lo più mi trovo dalla sua parte. Si veda il volume ricco d'intuizioni di J.M. Scott, Exile. Old Testament, jewish, and Christian Conceptions (JSJSup 56), Leiden 1 997, e soprattutto si veda C.A. Evans, Aspects of Exile and Restoration in the Proclamation of ]esus and the Gospels, 2.99-328, leggermente diverso in Jesus and the Continuing Exile of Israel, in C.C. Newman (ed . ) , ]esus and the Restoration of Israel, Downers Grove 1 999, 77-100. 4 Wright, The Servant and ]esus, in Bellinger-Farmer (edd.), ]esus and the Suffering Servant, 29 1 (corsivo aggiunto). 5 S.J. Perelman, Frou-Four, or, The Future of Vertigo, in S. Martin (ed.), Most of the Most of S.]. Perelman, New York 2ooo, 58. 2.

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Wright, com'è noto, si appoggia a Dodd,X a T.W. Manson e ad altri tre di cui si dirà in breve, Barrett, Hooker e Caird, l'ultimo dei quali pur­ troppo si portò nella tomba una borsa di libri con grandi conoscenze ri­ guardo al nostro argomento. Da questa posizione Wright si spinge avanti verso una nuova sintesi sul regno, visto come «redenzione escatologica » d'Israele. 2 La spazzola di Wright è grande e passa sull'intero spettro, e la sua concezione di come Gesù vide la propria morte non trascura la picco­ la differenza del figlio dell'uomo, cui ora ci rivolgiamo. Il figlio delruomo sofferente: rineludibile Cariddi generale è da osservare che sofferente e aspettativa di patimenti non alludono di necessità al servo sofferente d'Isaia, né il «servo di Jhwh » è necessariamente una figura persona le. È merito della linea di pensiero Schweitzer-Allison-Wright se nella storia o nella profezia la sofferenza può essere associata a un tempo più che a una persona o a una figura. Ma non è facile resistere al potere di attrazione che il servo di Isaia esercita sul ter­ mine «sofferente» . Chi si richiama al figlio dell'uomo 3 come figura gene­ rativa soggiacente alla concezione che Gesù ebbe dei propri patimenti ten­ de a contestare l'immagine del servo, come avviene particolarmente nel ca­ so di Morna Hooker e più di recente di Jimmy Dunn. Nelle Shaffer Lectures di Yale del 1 9 6 5 C.K. Barrett si assumeva que­ sto stesso onere in contrasto con l'ipotesi egemone nel Regno Unito: egli sosteneva che la scoperta della figura del servo dietro a Gesù è un'illusio­ ne prospettica e che a ben guardare Gesù intese la propria morte nelle ca­ tegorie del figlio dell'uomo.4 Per usare un'altra immagine, Barrett (e al suo seguito M. Hooker) applicava alla documentazione un contatore Geiger per cercare il «servo» ma non aveva sentito alcun ticchettio. Nel senso che Dan. 7 come I 1,3 5 e I 2,2-3 indicano a sufficienza che la morte dei mar­ tiri può fungere da espiazione. Inoltre in questi testi la figura del figlio dell'uomo, rappresentante delle sofferenze escatologiche, e l'espiazione e la reintegrazione si trovano connessi. Come recita la nota tesi di Barrett, 5 non è quindi necessario richiamarsi (come fece T. W. Manson ) al servo di Isaia per capire la cognizione che Gesù aveva della propria morte. Barrett In

1 Uno dei lati straordinari di ]esus and the Victory of God di Wright è di riprendere i testi vete­ rotestamentari di Dodd (e altri) e di esplorarne la rilevanza per la comprensione di Gesù, por­ tando così a termine il compito indicato da Dodd. 2. Wright, ]esus and the Victory of God, 576-592.. 3 Sul figlio dell'uomo, v. sotto, excursus al cap. 7 · 4 C.K. Barrett, Jesus and the Gospel Tradition, London 1 9 67, 3 5-67. 5 C.K. Barrett, The Background of Mark 1 0 ,45, in New Testament Essays, ed. A.J.B. Higgins, Manchester 1 9 5 9, 1-18.

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diresse la ricerca di Morna Hooker, la ·c ui dissertazione, pubblicata col ti­ tolo Jesus and the Servant, influenzò anche Barrett, il quale sostenne que­ sta tesi più compiutamente. 1 Si dovrebbe qui osservare che né per Barrett né per Hooker questa è una discussione su che cosa sia autentico; i testi so­ no considerati resoconti attendibili delle idee di Gesù e poi sottoposti a esame rigoroso. A detta di entrambi, i testi non mostrano influenze del can­ to del servo di Is. 5 2-5 3 . Questa linea Barrett-Hooker h a avuto i suoi critici, tra i quali ne andreb­ bero menzionati almeno quattro. Sulla base della medesima documenta­ zione, nella sua dissertazione a stampa R.T. France sosteneva con forza la presenza del servo sullo sfondo della missione di Gesù. 2 In un'altra dis­ sertazione attentamente argomentata, Douglas J. Moo mise in discussio­ ne le restrizioni metodologiche di Barrett e Hooker, concludendo che di­ versi ipsissima verba alludono al servo.3 Wright rese omaggio a Barrett e Hooker, ma continuò a trovare echi del servo nella cognizione che Gesù aveva della propria morte, poiché questa cognizione si manifesta in «tut­ ta la predicazione di Gesù relativa al regno» .4 Rikki Watts, sulla base di un metodo più rigoroso e consapevole, sostenne la tesi che Mc. 1 0,4 5 ri­ specchia il servo di Isaia. 5 Anche se molti non sarebbero perfettamente d'accordo con Barrett e Hooker, negli studi oggi pare che si mostri minor fiducia nell'utilità del­ l'immagine del servo per capire sia Gesù sia la chiesa primitiva. 6 Quasi abbia udito un nuovo oracolo di Delfi, de Jonge può concludere esatta­ mente l'opposto di Stuhlmacher: «Tutto considerato si deve concludere che l'influenza di ls. 5 2, 1 3 - 5 3 , 1 2 sul più antico kerygma cristiano è diffi­ cilmente dimostrabile. Tanto più che non c'è riprova che Gesù stesso fos­ se profondamente o unicamente influenzato da questo passo scritturisti­ co».7 Pur non sostenendo il punto con tanta eloquenza, Jimmy Dunn ha di recente concluso che Gesù (come fu « ricordato » ) comprese la propria morte nei termini dei parimenti del figlio dell'uomo e all'ultima cena pare aver visto la propria morte come sacrificio di alleanza. 8

1 M. Hooker, ]esus and the Servant, Lon don I9S9· 2.

France, ]esus and the 0/d Testament, 1 ro-1 3 5 . D.J. Moo, The 0/d Testament in the Gospel Passion Narratives, Sheffield 1 9 8 3 , 1 6 5 - 1 72.. 4 Wright, ]esus and the Victory of God, 601 -604: 603 . s R. Watts, ]esus' Death, Isaiah 5 3 , and Mark 1 0:45· A Crux Revisited, in Bellinger-Farmer (edd.), jesus and the Suffering Servant, 1 2.5-1 5 1 . 6 S i veda ad esempio M . de Jonge, God's Fina/ Envoy, Grand Rapids 1998, 30-3 3 . 7 Op. cit., 3 3 · 8 S i veda Dunn, ]esus Remembered, 805-8 1 8 (tr. it. 860-872.). 3

La morte di chi esiste in pro di altri: l'espiazione senza teoria Nella ricerca tedesca successiva a Jeremias lo studio più rilevante è quello di Heinz Schi.irmann. 1 l suoi molti scritti - riveduti e riediti ma di rado tradotti - sono più difficili da sbrogliare della fonte Q di Kloppenborg e certo il suo tedesco non invoglia il lettore. Nella sua indagine approfon­ dita Schi.irmann evita di costringere la documentazione entro un'unica ca­ tegoria biblica (servo, figlio dell'uomo) e così evita la necessità di usare un termine che tradisca una teoria dell'espiazione. Dall'inizio delle sue ri­ cerche, un saggio del 1973 intitolato Wie hat fesus seinen Tod bestanden und verstanden? ( Come ha affrontato e compreso la propria morte Gesù?), fino alla redazione finale di questo e di altri saggi nel suo Jesus - Gesta/t und Geheimnis ( Gesù - forma e mistero) vent'anni dopo, Schi.irmann si è attenuto a una sola linea di pensiero: tutta la vita di Gesù fu vita di proesi­ stenza (categoria complessa ma utile, che esprime un ruolo attivo, d'in­ tercessione e di rappresentanza nel portare la grazia ai peccatori ). Gesù sapeva di dover morire e interpretò la propria morte in termini salvifici. Lo studio di Schi.irmann conclude per la proesistenza più per le azioni e i gesti di Gesù nell'ultima cena (gli ipsissima (acta) che sulla base di lo­ gia specifici. Egli definisce Erfullungszeichen ( « segni di compimento » ) gli ultimi tre atti di Gesù ( ingresso, eventi del tempio e ultima cena ), dove l'ultima cena sta al culmine di questi atti. Nel suo ultimo studio, in parti­ colare, egli mette in risalto i «gesti» di Gesù all'ultima cena vedendovi la manifestazione di un'intenzione soteriologica della morte imminente. :z. Un particolare interessante messo in luce nel suo studio è che Gesù chiese ai discepoli di bere dal suo calice anziché dai loro singoli calici. Un simile atto era contrario alle usanze di pesa�, e induce Schiirmann a considerar­ lo un atto salvifico - i seguaci di Gesù partecipano alla sua morte. A dif­ ferenza di molti, Schiirmann è poco propenso a ritenere che Gesù pensas­ se nei termini del servo o del martire. Prima di giungere a destinazione, il suo concetto di proesistenza cammina sulla lunga tavola di legno tra le due figure senza saltare in nessuna delle due direzioni.3 Detto altrimenti, Schi.irmann ha costruito una via nuova alla comprensione della concezio­ ne che Gesù ebbe della propria morte, ma a percorrere la via fino in fon­ do furono Pesch, Stuhlmacher e Wright. È un peccato che pochissimi ab­ biano interagito con Schiirmann o abbiano visto la via che egli andava aprendo e l'abbiano seguito. 4 r H. Schurmann, ]esu ureigener Tod, Freiburg 1975; Gottes Reich 1 9 8 3 ; ]esus - Gesta/t und Geheimnis (ed. K. Scholtissek), Paderborn 1.

V. anche J. Schlosser, ]ésus de Nazareth, Paris 12oo2, 2 8 1 - 3 0 1 (tr. it. 2 5 1 -2.6 9 ) .

3 Schiirmann, Jesus 4

- }esu Geschick, 1 994.

Cf.

Vogtle,

Gesta/t und Geheimnis, 2.86-3 4 5 . Todesankundigungen und Todesverstandnis, 90-92..

Freiburg

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Il dibattito

Uno dei pochi fu Joachim · cnilka, il quale scrisse Ùn lungo · articolo che su una solida base metodologica riepilogava quanto è possibile sapere della visione che Gesù ebbe della propria morte. 1 Il suo studio documen­ ta come Ernst Kasemann, Joachim Jeremias e Ferdinand Hahn andassero riconsiderando il Gesù storico in seguito al celebre saggio di Kasemann sul Gesù storico. Per tornare a Gnilka, questi sostiene (contro Schweitzer) che un Gesù che a Gerusalemme forza le cose è poco plausibile, e che nel primo cristianesimo era invece molto diffusa l'interpretazione della morte di Gesù come morte violenta di un profeta. Gnilka pensa che Gesù fornì in­ dicazioni per interpretare la sua morte: previde il ripetersi della condivi­ sione della mensa dopo la sua morte, e dalle tradizioni relative all'ultima cena emerge il linguaggio dell'espiazione. Facendo un passo indietro, Gnil­ ka sostiene che « morire per» (Sterben fur) è il più antico significato attri­ buito alla morte di Gesù e getta un ponte verso la forma che ebbero real­ mente la vita e l'opera di Gesù: in altre parole, verso la sua proesistenza. 1. Pur non prendendo posizione nei confronti del lavoro di questi studiosi tedeschi, lo studio di P.M. Casey sullo sviluppo della cristologia, ora ra­ dicale ora conservatore, delinea i nudi particolari di un Gesù che pensava la propria morte come espiazione ma che anche prevedeva una reintegra­ zione imminente. 3 Morte di un martire o di un profeta o del giusto, oppure come esempio: morte senza espiazione Molti, oggi forse i più, pensano che Gesù fosse innocente, che fosse giusto, che la sua morte fu un esempio eccelso e/o che la sua morte fu la conse­ guenza della sua autoproclamazione e della sua missione, ma che questa sua morte non venne affrontata (consapevolmente e deliberatamente) co­ me espiazione. In quanto innocente e giusto, il modello della morte di Ge­ sù è da ricercarsi nelle profondità delle tradizioni d'Israele, più in parti­ colare nei Salmi 22 e 69. Questa concezione, in gran parte tedesca, deve a Eduard Schweizer gli echi che ha riscosso e venne poi sviluppata com­ piutamente da Lothar Ruppert, anche se oggi viene riproposta di rado.4 Lo scarso interesse che suscita mi pare si debba alla teologia a cui inevita­ bilmente si richiama: l'assenza di peccato in Gesù. 1

Gnilka, Wie urteilte ]esus uber seinen Tod? Uno studio analogo, ma non sempre chiaro, è quello di C.J. den Heyer, ]esus and the Doctrine of the Atonement, Harrisburg 1998. L'autore conclude che Gesù morì « per altri >> (p. 17), ma il suo lavoro si scosta poco da quello dì Schiirmann o di Gnilka. 3 M. Casey, From ]ewish Prophet to Gentile God ( Edward Cadbury Lectures, 198 5-1986), Louis­ ville 199 1 , 64-67. 4 Al riguardo cf. E. Schweìzer, Lordship and Discipleship, London 1960, 2.2-4 1 . Un'eccellente ras­ segna di questa prospettiva si può trovare in Gubler, Die fruhesten Deutungen des Todes ]esu, 95-205; lo studio più esaustivo è quello di Ruppert, Der leidende Gerechte. 1.

Gli studi sulla morte di Gesù

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Nella sua forma più. semplice questo orientamento della ricerca sostie­ ne che Gesù fu un profeta che morì martire per la sua missione e la sua causa. 1 Nel giudaismo la morte da martire era una scelta eroica. 2 Per par­ te mia quando uso il termine martire non intendo attribuire a questi stu­ diosi l'opera espiatrice del martire che alcuni hanno argomentato. Forse nessuno ha espresso questa posizione più chiaramente di C.F.D. Moule, 3 il quale scrive che Gesù . . . non cercò la morte; non salì a Gerusalemme allo scopo di morire, ma con dedizione inflessibile proseguì la sua via, una via di verità che inevitabilmente lo '"ondusse alla morte, cui egli non cercò di sottrarsi. Sembra salisse a Gerusalem­ me nel suo ultimo viaggio fatale sia per celebrarvi la pasqua, come ogni buon giu­ deo palestinese [sic], sia da quel profeta ardente che era, per mettere la nazione davanti a un'ultima prova - per fare un ultimo tentativo di salvarla dal suo rovi­ noso cammino di cecità religiosa e politica. Ma egli capì che di fatto era costretto a morire, e non compì alcun tentativo né di sottrarsi né di difendersi. In questo senso fu vittima della propria fedeltà alla sua vocazione . . . Non un istante la con­ siderò [la sua morte] semplicemente qualcosa da subire. Su di essa esercitò sem­ pre una padronanza sovrana . . . Tutto ciò [testi come Mc. 8,3 5 qui citato] non è detto in spirito di mera rassegnazione. Manifesta invece un atteggiamento quanto mai positivo e affermativo. La necessità esterna viene quindi trasformata, nella vita interiore della volontà, in un atto di potere sovrano e creativo, come avviene ogni volta che la rinuncia alla vita si eleva alle altezze del martirio.

Un altro dei primi studi in questa prospettiva fu quello di P .E. Davies, per il quale Gesù fu profeta, martire e figlio dell'uomo nel senso di Eze­ chiele. Il risultato di una vita simile fu il martirio di un profeta. 4 Il libro di Sanders 5 su Gesù segna uno spartiacque: pochi sono stati ca­ paci di arrivare al cuore dei problemi, nessuno ha avuto ripercussioni sul piano metodo logico 6 e pochi hanno reindirizzato la problematica come • Una buona anche se invecchiata raccolta di dati si può trovare in E. Stauffer, New Testament Theology, London 1 9 5 5 , 3 3 1-334. Un importante saggio che sviluppa l'idea protocristiana che il marcirio fosse l'occasione per una testimonianza e un comportamento ispirati dallo Spirito è quello di G.W.H. Lampe, Martyrdom and lnspiration, in W. Horbury - B. McNeil (edd.), Suf­ (ering and Martyrdom in the New Testament, Cambridge 1 9 8 1 , 1 1 8- 1 3 5 · V. anche J. Pobee, The Cry of the Centurion - A Cry of Defeat, in E. Bammel (ed.), The Trial of ]esus (SBT 2.13), london 1970, 9 1 - 1 02. 2 Cf. D. Daube , Death as Release in the Bible: NovT 5 ( 1 962) 82-104; D.W. Palmer, To Die is Gain: NovT 17 ( 1 9 7 5 ) 203 -218; j.j. Collins, The Root of lmmortality. Death in the Context of lewish Wisdom: HTR 7 1 ( 1978) 1 7-92; A.j. Droge - J.D. Tabor, A Noble Death, San Francisco 1 992; D. Boyarin, Dying {or God, Stanford 1 999; Alain Segai, Life After Death, New York 2.004, 248-28 1 . 3 Moule, Origin of Christology, 109 s. _. Davies, Did jesus Die as a Martyr-Prophet?, 3 7-47. � E.P. Sanders, ]esus and ]udaism, Philadelphia 1 9 8 5 . 6 Con l'eccezione forse d i R. Bultmann, i n particolare se vagliato con i criteri stabiliti d a Norman Perrin; cf. Perrin, Rediscovering the Teaching of jesus, New York 1 967, I 5 - 5 3 . Nonostante il metodo ben articolato e una maggior coerenza, l'opera di J.P. Meier prolunga questa linea di pensiero: si veda il suo Marginai jew 1, 167-195 (tr. it. r 6o- 1 84). Per parte sua Sanders per gli

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I l dibattito

lui. Sanders pensa che il Gesù di molte interpretazioni cristiane è «stram­ bo»/ ma che un metodo storico più rigoroso porta a poche conferme della tradizione: Gesù non si recò a Gerusalemme per morire (anche se può benissimo aver previsto la sua morte), ma pensò che la sua morte non avrebbe ostacolato la venuta del regno. 2. Inoltre Gesù può aver pensato che gli sarebbe stata resa giustizia.3 Ai nostri scopi è da osservare che Sanders pensa che sia possibile che Gesù sia morto «per la sua autoprocla­ mazione » .4 Non siamo in grado di sapere altro. Il libro su Gesù di Jiirgen Becker, in modo affatto simile anche se indi­ pendente, sostiene che la conoscenza che Gesù ebbe della propria morte non indebolì la sua determinazione a continuare a lavorare per il regno di Dio.5 Nel suo studio sulle origini della cristologia neotestamentaria de Jonge giunge alla conclusione che è molto probabile che Gesù vedesse la propria morte secondo il modello della sorte del profeta e forse del giusto sofferente, ma non crede che il senso espiatorio e salvifico possa essere fatto risalire a Gesù. 6 Rientra in questa categoria anche lo studio di Da­ vid Brondos.7 Per Brondos, la cui posizione è uno sviluppo della teoria classica di Abelardo, Gesù esercitò un ministero sacerdotale di shalom per gli altri e fu messo a morte per essere stato fedele a questa vocazione. Pertanto «è salvifica per se non la morte di Gesù ma la sua fedeltà fino alla morte», e quindi « le affermazioni del Nuovo Testamento concer­ nenti la rilevanza salvifica della croce assumono diverso significato » . 8 La fedeltà di Gesù diventa efficace come effetto della risurrezione: «Dio non invia il figlio suo allo scopo che muoia . . ma perché serva come suo stru­ mento per instaurare il regno promesso di shalom e giustizia; la dedizio­ ne al suo compito lo condusse alla morte . . . ma il suo obiettivo fu l'assol­ vimento di questo compito, non la morte che ne derivò )) .9 Per ciascuno di questi studiosi tutto ciò che si ha è un martire della propria fede - qualcuno che, intenzionalmente o meno, morì per ciò che credeva. Ma a questa morte Gesù non diede significato espiatorio. 10 .

studi su Gesù avanza una teoria della storiografia meno limitata, che si dispiega sulla base di azioni, intenti, adeguatezza storica contestuale e robusto buon senso; cf. il suo ]esus and ]udaism, r - 5 8 (tr. it. 7-70). Anche se talvolta Sanders si limita ad ampliare i criteri metodologici della New Quest, la sua ipotesi fondamentale ha trasformato gli studi su Gesù. V. sopra, cap. r, «Il problema del giudizio storico». 1 Sanders, ]esus and ]udaism, 333 (tr. it. 428); cf. Cadoux, Historic Mission of]esus, 250 s. Ca­ doux pensava, alla maniera di Abelardo, che Gesù avesse dato la vita perché gli altri (Israele) si vergognassero e si pentissero; cf. pp. 262-26 5 . 2 Sanders, ]esus and ]udaism, 3 24 (tr. it. 4 1 7 s.). 3 Op. cit., 332 (tr. it. 427). 4 Op. cit., 333 (tr. it. 4 29). s Ji.irgen Becker, ]esus of Nazareth, New York 1 998, 3 27-342. 6 De Jonge, God's Fina/ Envoy, 1 2-23; cf. Luz, Warum zog ]esus nach ]erusalem?, in J . SchrO­ ter - R. Brucker (edd.), Der historische ]esus, Berlin 2002, 409-427. 7 Brondos, Why Was ]esus Cruci�ed? 8 Op. cit., 496. 9 Op. cit., 4 99 · Io Si potrebbe collocare qui anche B.D. Chilton; cf. il suo Rabbi ]esus. An Intimate Biography,

. OSSERVAZIONI . GENERALI: PARAOCCHi . GEOGRAFièi

La mia lettura della letteratura specialistica, anzitutto, rivela un campani­ lismo scoraggiante. La ricerca in Nordamerica, specialmente quella del più recente orientamento scettico, ha quasi del tutto evitato di trattare della concezione che Gesù ebbe della propria morte. Ho menzionato qualche ec­ cezione, la più recente delle quali è Koenig. Gli studi anglosassoni hanno mostrato la tendenza a raffigurare Gesù come qualcuno che sia nel suo mi­ nistero sia nella sua morte rappresenta una figura delle scritture di Israe­ le o anche Israele stesso (penso qui a Dodd, ai due Manson, a Caird e a Wright). Gli studiosi tedeschi, anche a motivo della profonda influenza di jeremias, che a sua volta reagiva a Bultmann, hanno condotto la flotta per il mare aperto tenendo conto del significato espiatorio del messia e del ser­ vo. 1 Nessuno ha dedicato tanta attenzione all'argomento della morte di Gesù quanto Schiirmann, ma non vanno dimenticati i contributi di Gnil­ ka, Pesch, Goppelt, Hengel e Stuhlmacher. Non si dovrebbero inoltre igno­ rare in questo quadro le conclusioni conservatrici nell'ottica della critica della tradizione che Gnilka trae riguardo all'ultima cena, con cui ribadisce una teologia dell'espiazione da parte di Gesù. Si dovrebbe d'altro canto os­ servare che Bultmann e i suoi amici convenivano unanimemente che Ge­ sù non attribuì un significato speciale alla propria morte, pur restando del tutto certi che egli venne ucciso per la sua predicazione con cui chiamava il giudaismo all'autenticità della decisione. 2 Forse la tendenza degli studiosi americani a cercare, fin dai tempi della teologia dialettica europea, una propria identità ha condotto il loro mondo accademico a costruirsi un modo tutto suo di affrontare la problematica di Gesù. Come che sia, la cognizione che Gesù ebbe della sua morte merita di essere ripresa in considerazione, e sarebbe bello vedere un maggior numero di nordamericani leggere l'ultimo grido della Tiibingerschule (ag­ giungo che non è più vero dire che laureati e docenti delle università ame­ ricane leggono e interagiscono quantomeno con gli studi pionieristici della ricerca tedesca. Questa chiusura al dibattito internazionale agisce per così dire nei due sensi, certo non a vantaggio degli studi). Naturalmente non è possibile leggere tutto, ma il campanilismo che si vede nella ricerca su Ge­ sù fa sì che ci si chieda perché non ci leggiamo reciprocamente di più (con�ew York 2.000. Una posizione più vecchia, anche se imperniata con grande abilità su un uni­

�o logion (Mc. 10,38-39), è qu el l a di V. Howard, Did ]esus Speak about His Own Death?: CB Q 39 ( 1 977) 5 1 5 - 5 2.7. r Cf. R. Bieringer, Traditionsgeschichtlicher Ursprung und theologische Bedeutung der ump-Aus­ sagen im Neuen Testament, in F. Van Segbroeck e al. (edd.), The Four Gospels L992 1 (BETL r oo), 1 992., 2 1 9-248. 2. Al ri g u ard o si veda Horsley, Death of ]esus, in Chilton-Evans (edd.), Studying the Historical jesus, 399-401.

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Il dibattito

fesso anch'io il mio campanilismo, ma ho cercato di leggere per quanto è possibile gli studi migliori). Una seconda osservazione generale è questa: i cinque più importanti stu­ di sull'argomento sono, oltre alla vecchia opera di Fuller, i vari contributi di Jeremias, i molti saggi di Schiirmann, lo studio di Pesch e la recente trattazione di Wright. Negli studi odierni Fuller, Schiirmann e Pesch sono quasi totalmente ignorati. Né Sanders né Wright menzionano il l ibro di Fuller (forse perché ha cambiato opinione? ) . Sanders cita soltanto una pa­ gina dei primissimi libri di Schiirmann, ma nulla dice delle sue tesi riguar­ do alla morte di Gesù; 1 ignora inoltre i saggi di Gnilka e di Pesch così co­ me i due importanti studi del 1 9 8 0 di Stuhlmacher e di Hengel. Wright non cita Schiirmann, Gnilka o Pesch. Sanders avrebbe migliorato il suo libro interagendo più in profondità con questa linea di ricerca, dal momento che nega molto di quello che essi sostengono; Wright mostra in qualche mo­ do di conoscerne le idee, considerato che segue la direzione di tutti e tre questi studiosi tedeschi. Aggiungo che non sto dicendo che questi studiosi non abbiano letto questi libri (non lo so); dico che interagendo con essi le loro trattazioni ne sarebbero state affinate. Poiché tutti questi studiosi si sono presi il tempo di dedicarsi al tema della cognizione che Gesù ebbe del­ la propria morte, sconcerta che non si siano rapportati a coloro che più di tutti hanno studiato questi problemi. La ragione fondamentale per non citare Schiirmann sembra evidente: la veemenza della sua critica della tradizione oppure la Garstigkeit del suo tedesco e i suoi neologismi. Andrebbe osservato qui che neppure Hengel né Stuhlmacher dialogano con Schiirmann: quando Stuhlmacher elenca stu­ diosi che stanno dalla sua parte evita di citare Schiirmann. D'altro lato non riesco a immaginare nessuna buona ragione per non discutere con Gnilka o Pesch. In altre parole, pare che alcuni passino attraverso questi impor­ tanti studi su come Gesù considerò la propria morte senza esserne tocca­ ti, come i giovinetti nella fornace. Non tutto ciò che è nuovo è buono; non tutto ciò che è vecchio ( e di due decenni! ) è cattivo. 1

Sanders, ]esus and ]udaism, 3 3 6 (tr. it. 430).

·

Capitolo 3. ·

Riprendere la morte di Gesù

Non è mio intento far qui da arbitro fra questi studiosi, risolvere tutti i problemi o enunciare un'opinione generalmente condivisa su come Gesù abbia considerato la propria morte. La documentazione e i relativi conte­ sti sono tanto complessi che a un consenso non si potrà mai giungere. Ma è necessario far emergere ed esaminare diverse questioni essenziali in termi­ ni più compiuti di quanto non sia stato possibile nel cap. 2, dove si è pas­ sata in rassegna la storia degli studi. In questo capitolo si tornerà a occu­ parsi della ricerca, cercando però di mostrare i problemi più importanti che comporta affrontare ciò che Gesù pensò della sua morte. Il problema maggiore è forse questo: la fede cristiana tradizionale, nel­ le sue diverse manifestazioni, struttura il vangelo stesso · intorno alla mor­ te salvifica di Gesù. Ciò nondimeno dalla ripresa degli studi sul Gesù sto­ rico quasi nessuno dei libri più importanti su Gesù concepisce la missione e la visione di Gesù in qualche associazione con la sua morte. Oltre a non nascondersi l'abisso evidente che separa la fede tradizionale dagli studi critici, ci si dovrebbero porre due domande: perché i maggiori studi su Ge­ sù hanno trascurato a tal punto la storia della letteratura specialistica de­ lineata nel capitolo precedente, una letteratura certo eterogenea ma sicu­ ramente anche interessata a come Gesù intese la propria morte? La do­ manda più importante, che si nasconde dietro a tutto ciò che verrà detto, è questa: la chiesa potrebbe avere fin dall'inizio sbagliato ad attribuire un significato storico e salvifico alla morte di Gesù? con la domanda implicita: è possibile che la chiesa abbia rivestito la morte di Gesù di significato sal­ vifico al di là di qualsiasi cosa Gesù abbia mai pensato? Il nocciolo della questione è ancora un altro: è possibile che la ricerca critica sia stata semplicemente a ciondolare lontano da una dimensione fondamentale di Gesù che, schivata molto tempo fa, per un motivo o per l'altro non è stata più fatta rientrare nella conversazione? Per riprendere anche qui le parole di Umberto Eco, « il vero problema della critica dei no­ stri modelli culturali [ossia di come Gesù concepì la propria morte] è chie­ derci, quando vediamo un unicorno, se per caso non sia un rinoceronte» . 1 Negli studi si tende a pensare che la ricerca sia i n qualche modo u n percor1

Umberto Eco, Serendipities. Language and Lunacy, San Diego 1998, 75·

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Il dibattito

so di progresso dinamico e ineluttabile, come una sintesi hegeliana, ma una convinzione del genere presuppone una mappatura che non corrisponde a nessuna realtà nota, anche se potrebbe andar bene per amici che perlo­ più ignorano gli altri. Due esempi, senza note a piè di pagina: si potrebbe affermare che la spiegazione più plausibile dell'idea che Gesù ebbe della propria morte possa essere fatta risalire al periodo compreso tra la nega­ zione di Bultmann che Gesù abbia pensato in termini di espiazione e gli studi più recenti di E.P. Sanders, J.D. Crossan e P. Fredriksen, i quali di nuovo hanno negato la storicità di una convinzione simile in Gesù. Op­ pure, come storia alternativa della ricerca, si potrebbe seguire la proble­ matica dell'uso che Gesù fece dell'Antico Testamento, in particolare per quanto riguarda il riutilizzo del servo di Isaia come copione per la sua stes­ sa vita. Si potrebbe ad esempio affermare che C.H. Dodd abbia dimostra­ to come ciò sia vero, e come venne poi seguito da C.K. Barrett e M.D. Hooker. Stranamente questa figura sopravvisse grazie all'iniziativa di R.T. France, D.j. Moo, M. Hengel, P. Stuhlmacher, C.A. Evans e N.T. Wright. Ma negli studi si procede con testi, idee e metodi. L'idea che la ricerca avan­ zi arditamente accompagnata dagli applausi degli spettatori, nel difficile mondo di paradigmi mutevoli non ha fondamento. Il solo progresso del­ la conoscenza lungo questo percorso si ha quando si esamini una specifica scuola di pensiero. D'altro canto lo studioso eclettico si renderà subito conto che quello che alcuni prendono per l'unicorno dello sviluppo è in re­ altà un rinoceronte di ordine differente, e i rinoceronti non sono addome­ sticabili. Non resta ora che affrontare otto principali linee di ricerca, che talvolta raggiungono anche un notevole accordo - può capitare di scoprire anche unicorni -, individuate nell'ultimo mezzo secolo di dibattiti su come Ge­ sù intese la propria morte. A mo' di preambolo esprimo il mio accordo con Barrett nella sua disamina sulle predizioni della passione: «Non si è rag­ giunto nulla d'importante se dalle predizioni si ricava la sola conclusione che Gesù può aver avuto qualche sentore della propria sorte prima che questa lo sopraffacesse » . 1 Con una punta di amarezza Barrett aggiungeva la seguente immaginaria riflessione di Gesù: «È chiaro che se io [Gesù] va­ do avanti in questa direzione i miei avversari cercheranno di farmi fuori. E temo che vi riusciranno e così la mia proclamazione del regno finirà e sa­ remo tutti da capo dove ci trovavamo all'inizio del mio ministero» . z. Nel­ la stessa pagina quindi conclude: «se Gesù predisse la propria morte (e non c'è ragione perché non dovrebbe averlo fatto), anche la interpretÒ» . Se si può sta bilire che Gesù s i attendeva una morte prematura, è lecito a ra­ gione chiedersi (e aspettarsi qualche tipo di risposta ) come pensasse a que­ sta morte prematura. r

C.K. Barrett, ]esus and the Gospel Tradition, London 1967, 3 7·

2.

Op. cit., 3 8.

LA DOCUMENTAZIONE:

PIÙ CONSI STENTE DI QUANTO LA RICERCA FACCIA PENSARE

Nelle tradizioni su Gesù la documentazione che può essere presa in consi­ derazione riguardo all'idea che Gesù si fece della propria morte è più nu­ trita e profonda di quanto si possa sospettare leggendo la letteratura sul­ l'argomento; per chiarire la questione intendiamo quindi metterne in ta­ vola una buona quantità. Fin qui la documentazione è soltanto potenzia­ le; per determinare quanto sia reale si deve ricorrere al giudizio storico. La I . documentazione dev'essere situata in 2. una tradizione plausibile così come nella 3 · tradizione interpretativa della prima apologetica cristiana. Non ci si può accontentare dell'idea che sia sufficiente considerare Mc. 10,4 5 e le tradizioni dell'ultima cena, sfiorare forse la tradizione lucana in I 3 ,3 1-3 5, individuare quali parole siano autentiche - se ve ne sono - in­ terpretare, e procedere oltre. 1 Di fatto la conoscenza anticipata che Gesù ebbe della propria morte e talvolta l'interpretazione che ne diede sono un filo che percorre tutte le tradizioni su Gesù. Si consenta o meno con le in­ terpretazioni che N.T. Wright dà di questi elementi documentari, è da sot­ tolineare che egli è in grado di presentare un gran numero di testi, attinti a fonti molteplici e in una varietà di forme che esplicitamente o implicita­ mente parlano dell'idea che Gesù aveva della propria morte. Nel prosieguo le fonti sono disposte nell'ordine dell'ipotesi classica di Oxford, che non intendo né dimostrare né discutere ma che faccio mia interamente. 2. Elen­ co qui le tradizioni che devono quantomeno essere prese in considerazione (se ne potrebbero elencare altre), anche se non tutte verranno esaminate nei capitoli che seguono: Tradizione marciana 2,20 8,3 1; 9,3 I 10,3 2- 3 4

9 , 1 2.

1 2,1 - 1 2

lo sposo che viene tolto predizioni della passione predizioni della passione il figlio dell'uomo che soffre ed è disprezzato, nel contesto della reintegrazione di Elia morte di Giovanni Battista calice e battesimo detto del riscatto parabola dei lavoratori della vigna

1 Si veda j. Gnilka, Wie urteilte ]esus uber seinen Tod?; P. Stuhlmacher, Biblische Theologie des Neuen Testaments I, 1 2 5 - 1 4 3 . 2. Per l a bibliografia e brevi commenti cf. S. McKnight - M.C. Williams, The Synoptic Gospels I IBR Bibliographies), Grand Rapids 2000, 37-50. Per Q si veda ora D.C. AJlison, Jr., The ]esus Tradition in Q, Harrisburg 19 97; J.S. Kloppenborg Verbin, Excavating Q, Minneapolis 2000. Non si farà nessun tentativo di studiare lo «strato)) Q, non da ultimo per la ragione che lo riten­ go troppo congetturale.

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Il dibattito

unzione di Betania monito al traditore 1 4,22-2 5 tradizione dell'ultima cena 1 4,27-28 pastore percosso calice del Getsemani 1 4,3 6 l'arresto è dettato da necessità scritturistica I 4,49 fuga dei discepoli I 4,50 14,60-6 1 . 6 5 silenzio di Gesù 1 5 ,3-4 silenzio di Gesù 1 grido di derelizione 1 5 ,34

1 4 , 1 -9 1 4,21

Tradizione Q preghiera di essere preservato dalla tentazione nessun luogo ove posare il capo oscura profezia di Giona

Tradizione lucana fuoco e battesimo di Gesù 1 2,49-50 1 3 ,3 r - 3 3 necessità che u n profeta muoia a Gerusalemme 17,25

22,3 5 -3 8 23 ,27 -3 I

i l figlio dell'uomo deve prima essere respinto necessità di una spada donne che allattano e alberi verdi e secchi

Tradizione matteana morte dei profeti 23 ,29-3 2 23,34-3 6 invio di profeti che saranno messi a morte 23,37-39 enigma della gallina e dei pulcini 26,2 il figlio dell'uomo sarà tradito per essere crocifisso Tradizione giovannea 2 I,29 agnello di Dio distruzione del tempio 2, I 9 figlio dell'uomo innalzato 3,I4 8,28 figlio dell'uomo innalzato I o, I 5 . 1 7- I 8 dare la propria vita I 2,3-7 unzione nella casa di Lazzaro 1 2, 3 3 -34 figlio dell'uomo innalzato

Si è qui davanti a una larga attestazione per fonte e forma che Gesù ha pen­ sato per sé a una morte prematura. Sulla base di questo tipo di documen­ tazione, S.H.T. Page ha concluso che «la quantità dei detti che si riferisco­ no alla morte di Cristo, la loro natura allusiva e la varietà di forme utilizx E. Schnabel, The Silence ofJesus, in B. Chilton - C.A. Evans (edd.), Authenticating the Words of jesus (NTIS 28. 1 ), Leiden 1 999, 203 -257, a detta del quale il silenzio di Gesù è segno della sua intenzione di morire. 2 Cf. R.E. Brown, The Death of the Messiah (ABRL), New York 1994, 1484-1486 (tr. it. 1 6771 679). Si pensa anche a 6,5 1; 7, 3 3 ; 1 2,23 -24; 1 3 , 1 . 3 6; 14,28; 1 6,5 ·7 · 1o.r6-17.28.

Riprendere la morte di Gesù

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zate dimostrano in maniera convincente che Gesù fu consapevole che sa­ rebbe andato incontro a una fine violenta» / Se s i segue la direzione d i D odd ,2. s i prenderanno in considerazione an­ che i seguenti fattori logici che avrebbero influito su Gesù: 1 . le tradizioni giudaiche parlano in lungo e in largo di grande tribolazione; 2. spesso i profeti avevano sofferto; 3 . Giovanni, il precursore di Gesù, era stato messo a morte; 4· Gesù avvertì della persecuzione e della morte i suoi seguaci. Poiché la documentazione è tanto varia, qualsiasi studio di come Gesù abbia pensato alla propria morte (nell'ipotesi, per parlare, che l'abbia fat­ to) sarà tutta un'opera di messa in equilibrio di esegesi, giudizio storico e adattamento complessivo al quadro che ci si sta facendo di Gesù. Ridurre la discussione al detto sul riscatto e all'ultima cena è un'offesa all'onestà storica, e aggiungervi semplicemente lo studio di qualcuno dei detti sul fi­ glio dell'uomo non fornisce il quadro completo. Diversi modi di affronta­ re il dibattito richiamano l'attenzione sulla necessità per gli studi su Gesù di riconsiderare il problema della concezione che egli aveva della propria morte, per vedere se ciò può chiarire come egli intese la propria missione. Per riprendere quanto sopra si è detto,3 uno studio che tenti di presenta­ re un singolo aspetto di Gesù senza integrarlo nella rappresentazione nar­ rativa generale di Gesù viene meno a un requisito storiografico fondamen­ tale. Viceversa, qualsiasi studio che non riesca a integrare nel racconto sin­ goli tratti salienti (per il giudizio storico), come forse molti hanno fatto ri­ guardo alla concezione che Gesù ebbe della propria morte, anch'esso vie­ ne meno a un requisito storiografico fondamentale. J .B. Green non è il solo a pensare che un messia crocifisso sarebbe im­ pensabile, o almeno «strano» per il giudaismo del tempo.4 Se così è, do­ po un solo quarto d'ora di fede pasquale qualcuno avrebbe obiettato alle affermazioni cristiane chiedendo: «Perché allora fu crocifìsso? » .5 Morna Hooker per più di cinquant'anni ha preso parte a questo dibattito su Ge­ sù e la sua morte, e dopo trent'anni ebbe a dire che «il primo compito dei predicatori protocristiani . . . fu di occuparsi del problema della morte di Cristo » .6 1 S.H.T. Page, The Authenticity of the Ransom Logion (Mark I 0:45b), in R. T. France - D. Wen­ ham (edd.), Studies of History and Tradition in the Four Gospels (Gospel Perspectives I ) , Shef­ field I 9 8o, I 3 ?- I 6 I : I44· 2. C.H. Dodd, Parables of the Kingdom, 57 (tr. it. 74 s.). 3 Al cap. I : « Che cos'è la storia?» e « Il Gesù storico: brevi osservazioni » . 4 j.B. Green, The Death of]esus (WUNT 2/3 3), Tiibingen I 9 88, 1 64-169, dove risponde alle cri­ tiche alla sua posizione. 5 V. anche D.J. Juel, Messianic Exegesis, Philadelphia I 9 8 8 , 89-1 3 3 . 6 M . Hooker, Not Ashamed of the Gospel, Carlisle, U K 1994, 1 2 (corsivo mio). W. Manson,

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L'ubiquità della documentazione di cui si è detto fa quindi capire che quantomeno i primi cristiani ebbero fin dall'inizio bisogno di un'apologe­ tica per la morte di Gesù. Senza mai staccarsi da C.H. Dodd, uno dei com­ piti di cui si fece carico Barnabas Lindars fu di spiegare l'uso che il Nuo­ vo Testamento fa dell'Antico in un quadro apologetico in cui la croce sta in primo piano. 1 Di fatto Lindars s'imbatte in molti momenti critici: che il messia muoia, che il messia venga crocifisso, che il messia venisse umilia­ to, che il messia fosse tradito da un seguace, che i suoi discepoli lo lascias­ sero solo nell'ora più grave, che la morte del messia potesse essere reden­ trice e che la cena commemorativa del messia avesse fondamento scritturi­ stico.:z. È quindi ragionevole pensare che l'accusa di essere morto appeso a un chiodo come un maledetto da Dio fosse una risposta giudaica ai prin­ cipi del primo movimento di Gesù (Deut. 2 1 ,23 ) . A una simile accusa fu da­ ta poi una piega diversa dopo che iniziò a diffondersi l'esegesi cristiana: egli era lo strumento salvifico di Dio ( Gal. J , I J ) . Fu Gesù a indicare i testi cui i primi cristiani si appellavano nella loro apologetica? Così pensava C.H. Dodd.3 Documentazione nutrita, buon senso e apologetica protocristiana sono tutti elementi che portano a pensare che ci si dovrebbe quantomeno inte­ ressare alla documentazione per vedere se Gesù previde e interpretò la propria morte. I dati sono complessi, gli argomenti devono essere chiari ed espliciti e il punto di partenza è importante, ma a chi mira a delineare una presentazione generale della missione di Gesù la documentazione fornisce materiale sufficiente per prendere in esame la morte di Gesù. IL REGNO COME CONTESTO DELLA MORTE DI GESÙ

Nessuna idea della cognizione che Gesù ebbe della propria morte può reg­ gere a un esame critico se non àncora la morte nel grande mare del regno e negli argomenti più generali della missione di Gesù, compresa la minac­ cia di giudizio rivolta a Israele se non si pente.4 Ho delineato in un altro contesto questo modo di considerare il ministero di Gesù e lascerò che que­ sta idea faccia da base a quanto qui sostengo; la questione però è impor­ tante. Gesù morì nell'ambito di una missione volta a instaurare il regno di Dio, a ristabilire Israele.5 Negli studi si è ad esempio consapevoli che di ]esus the Messiah, London 1943: «Da affermare che Gesù era il messia nonostante il fatto della croce, passarono a dire che egli era il messia in virtù di quel fatto)) (p. 1 69). x B. Lindars, New Testament Apologetic, London 1961. 2. Op. cit., 75-137. 3 C.H. Dodd, According to the Scriptures, London 1 9 5 2, 109 s. (tr. it. 1 1 3-1 1 5). 4 Così Schlosser, ]ésus de Nazareth, 299-30 1 (tr. it. 267-269); M. Reiser, ]esus and ]udgement, Minneapolis 1 997, 3 1 3 ; C. Riniker, ]esus als Gerichtsprediger?: ZNT 5 ( 2002) 2- 14. 5 S. McKnight, A New Vision for lsrael, Grand Rapids 1999, con bibliografia. Dell'immensa bi­ bliografia sul regno cito solo i seguenti tre titoli: H. Schiirmann, Das Zeugnis der Redenquelle

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rado la morte e il regno confluiscono nella tradizione di Gesù, ma due tra­ dizioni non dovrebbero essere trascurate e trovare il debito ascolto: Mc. 14,25, che nella sua trasmissione ha almeno tre varianti (Mc. 14,25; I Cor. 1 1 ,25 [ « ogni volta che mangiate, proclamate la morte del Signore finché egli venga >> ] e Didachè 1 0,6 [ « Maranatha! Vieni, Signore ! » ] ), e l'enigma­ tico logion isolato di Le. 22,28-30 che recita: «Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; come mio Padre ha preparato per me un regno, così io lo preparo per voi perché possiate mangiare . . . » . Benché queste tradizioni possano presentare problemi quando si arriva alla que­ stione dell'autenticità, spesso le si sono trovate congruenti con la tradizio­ ne fondamentale di Gesù. Se così è, la loro interpretazione non è da ripor­ tare immediatamente alla teologia protocristiana dell'espiazione, ma è par­ te invece di un gioco linguistico lievemente diverso. In questo contesto si dovrebbe prendere in considerazione Mt. 1 1, 1 2-1 3 , poiché l'ostilità e il re­ gno vi sono messi in correlazione. Detto con le parole di Jiirgen Becker, «dal momento che ogni attività di Gesù era consacrata al regno di Dio, avrebbe senso che egli considerasse la sua morte anzitempo in qualche modo connessa a questo regno» . 1 Ciò, come si sa, costituiva una giustificazione importante dell'idea che Schweit­ zer si era fatto di come Gesù considerasse la sua morte, e lo si vede nel mo­ do migliore nella sua primissima opera, The Mystery of the Kingdom of God. The Secret of]esus' Messiahship and Passion. In tempi recenti Craig Evans è riuscito a stabilire la stessa connessione col regno, 2 come pure Ray­ mund Schwager, il quale sostiene, penso a ragione, che se tutta la missio­ ne di Gesù riguarda il regno, tanto le sue azioni quanto le sue parole so­ no opere del regno. 3 Anche a questo riguardo lo studio che più direttamente associa il regno alla visione che Gesù ebbe della propria morte è quello di Schiirmann, le cui più recenti versioni dei suoi lavori sono costituite da due distinti saggi sulla morte di Gesù e il regno. Nel primo egli si occupa di argomenti co­ me la «mancanza di successo » (Erfolgslosigkeit), il pericolo per la vita di Gesù e il martirio. Il secondo è uno studio interamente dedicato a integra­ re i due temi del regno e della morte.4 Non sono da dimenticare qui i lavofar die Basileia- Verkundigung ]esu, in Logia (BETL 59), Leuven 1 9 8 2., I 2. 1 -2.oo; E.P. Sanders, /esus and the Kingdom, in E.P. Sanders (ed.), ]esus, the Gospels and the Church, Macon, Ga. 1 987, 2.2.5-2.39; J.D.G. Dunn, ]esus Remembered, 3 8 3-487 (tr. it. 42.4-5 2.8). 1 jiirgen Becker, ]esus o( Nazareth, 341; cf. H. Merklein, Der Tod ]esu als stellvertretende Suh­ netod. Entwicklung und Geha/t einer Zentralen neutestamentlichen Aussage, in H. Merklein (ed.), Studien zu ]esus und Paulus (WUNT 4 3 ), Tubingen 1987, 1 8 1 - 1 9 1 : 1 84 s. 2. C. Evans, From Public Ministry to the Passion, in ]esus and His Contemporaries (AGJU 2.5), Leiden 199 5 , 3 0 1 - 3 80. 3 Cf. R. Schwager, ]esus in the Drama of Salvation, New York 1999, 82.-1 1 8 . 4 H . Schurmann, ]esus - Gesta/t und Geheimnis, ed. K . Scholtissek, Paderborn 1 994, 1 57-167. x 68 - 1 8 5 .

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ri di W. Manson, R. Otto e del primo R.H. Fulle r, i quali sostengono tut­ ti che Gesù pensava di inaugurare il regno proprio mediante la sua mor­ te. 1 Purtroppo né Hengel né Stuhlmacher combinano i due temi, benché Stuhlmacher vi accenni nel suo saggio sui motivi della morte di Gesù. 2 Su un versante più positivo, penso qui inoltre a come Allison, Meyer e Wright, e Schweitzer prima di loro, hanno integrato nell'insegnamento di Gesù la tribolazione escatologica come motivo che è alla base della sua prospettiva della morte, anche se Allison nel suo libro su Gesù trasforma lievemente l'argomento facendone una griglia ermeneutica attraverso cui leggere la missione e l'intenzione di Gesù. ·3 Certamente, le interpretazioni di questi studiosi sono diverse, ma le loro prospettive sono fondamentali per la soluzione di una questione primaria, quella di integrare i motivi più importanti provenienti sia dal giudaismo sia da Gesù in modo che vi possa trovar posto una morte. Si dovrebbe rammentare che a parere di Schweitzer per tutto il suo ministero Gesù ebbe in mente la passione, una passione intesa come sofferenza che precede la gloria. 4 Il risultato di questi tre studi recenti è in ogni caso una cognizione del­ la morte di Gesù in certo modo in contrasto con la più remota concezio­ ne cristiana della morte di Gesù come espiazione vicaria, sacrificio espia­ torio o propiziazione. Se la morte di Gesù viene intesa come martirio o co­ me accettazione della tribolazione che precede la glorificazione oppure co­ me nuovo esodo, anche se ne possono risultare alcune dimensioni in mag­ gior continuità con il kerygma protocristiano, più fondamentalmente ne risulta una minor continuità fra la morte di Gesù come egli la intendeva e come più tardi essa venne concepita nell'interpretazione cristiana. Nella sostanza si è davanti a fattori che singolarmente presi soddisfano il crite­ rio della dissomiglianza. L'argomento verrà approfondito più avanti. Prima di passare a una terza dimensione della ricerca recente è da ricor­ dare la prospettiva del saggio pionieristico di Vogtle,S il quale sosteneva che quale che sia il periodo o il momento in cui Gesù diede per certa la propria . morte e la ritenne parte integrante della sua missione per il re­ gno, da quel momento la morte di Gesù è da considerarsi fondamentale per la sua missione. La morte di Gesù richiede quindi d'essere messa in rap­ porto non solo con i motivi più generali della sua missione ma anche con I W. Manson, Christ's View of the Kingdom of God, con introduzione di H.R. Mackintosh (Bruce Lectures), London 1 9 1 8, 140-1 44; R. Otto, The Kingdom of God and the Son of Man, London 1 9 3 8; R.H. Fuller, The Mission and the Achievement of ]esus (SBT 1 2), London 1 9 54. 2. P. Stuhlmacher, Why Did ]esus Have to Die?, in )esus of Nazareth - Christ of Faith, Pea­ body, Mass. 1993, 39-57: 47-49. 3 D.C. Allison, Jr., ]esus of Nazareth, Minneapolis 1998. 4 A. Schweitzer, The Mystery of the Kingdom of God, New York 1964, 1.. 2 3 (tr. it. 1.. 2 5 s.). s A. Vogtle, Todesankundigungen und Todesverstandnis, 56 s.

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la curva éomplessiva della sua vita - nella misura in cui sia ricostruibile. Vogtle dà dunque gran peso alle Todesankundigungen di Gesù. LA MORTE DI GESÙ E L'ULTIMA SETTI MANA

Altri attribuiscono un peso rilevante al nesso tra la morte di Gesù e gli eventi dell'ultima settimana, dalla sua protesta nel tempio all'ultima cena, viste come un unico atto - una serie di punti intenzionalmente uniti da Gesù. L'idea che l'episodio del tempio e la morte di Gesù siano connessi ac­ comuna gli studiosi da Jeremias a Sanders. 1 Leander Keck esprime que­ sto nesso con un'immagine: il galileo Gesù, che era « il dito di Dio » , a Ge­ rusalemme diventa «il pugno di Dio » . 2 Uno studio importante in propo­ sito è la recente biografia di Gesù scritta da Chilton, la cui penna è di una fecondità che sorprende quanto la sua varietà. 3 La dimostrazione nel tem­ pio è vista da Chilton come occupazione - meglio, come occupazione tem­ poranea. Ma più importante è che Chilton associa il tempio alla tradizio­ ne deli 'ultima cena, 4 dove Gesù spiega che il suo pasto è un sostituto dei sacrifici inadeguati che vengono offerti nel tempio dai capi corrotti che ora governano. Detto con le sue parole, «in assenza di un tempio che consen­ tisse alla sua concezione della purità di essere praticata, Gesù dichiarava il suo sangue e la sua carne vino e pane del sacrificio » . 5 Com'è noto que­ sta è la linea di pensiero sviluppata nella lettera agli Ebrei; che essa abbia le sue origini in Gesù è una nuova strofa del canto intonato da Chi lton. 6 Se Sanders e Fredriksen minimizzano il nesso tra l'episodio del tempio e l'ultima cena, sia Chilton, forse al seguito di un accenno di jacob Neus­ ner/ sia N.T. Wright 8 lo portano all'estremo: fatti del tempio e ultima ce­ na stanno insieme. Un'identica direzione di pensiero guida l'azione in en­ trambi i casi, e per vedere che cosa stia accadendo è necessario collegare i 1 Jeremias, Theology, 2.79 (tr. it. J I 8 ); Sanders, jesus and ]udaism, Philadelphia 1 9 8 5 . : L. Keck, Who is ]esus?, Columbia 2ooo, I 2 I . � B.D. Chilton, Rabbi ]esus, New York 2ooo; s i veda anche i l suo The Tempie of ]esus, Uni­ versity Park I 99 2 , I 3 7-I 54· _. Di Chilton è una teoria complessa e congetturale circa le origini dell'ultima cena, quantunque egli veda anche che queste hanno il loro momento iniziale prima dell'ultima settimana di Gesù; cf. A Feast of Meanings (NovTSup 72), Leiden 1 994; Rabbi ]esus, 2.48-2.59. 5 B.D. Chilron, Rabbi ]esus, 2.5 5 · Chilton sostiene che Gesù credeva nella visione di Zaccaria di un tempio puro (Zacc. 1 4 ), che si sarebbe realizzata escatologicamente quando le offerte di suk­ lwt sarebbero state presentate al tempio da giudei e non giudei insieme. 6 Lo studio di Baruch Bokser sul seder nella tradizione giudaica posteriore avanza un'ipotesi analoga: il pasto di pesa/:J diventa l'offerta di pesa/:J e la comunità unita per il pasto diventa il tempio; cf. il suo The Origins of Seder, Berkeley I 984. - J. Neusner, Money-Changers in the Tempie: NTS 35 ( 1 9 89) 287-290. 8 N.T. Wright, Christian Origins and the Question of God, 11. ]esus and the Victory of God, Minneapolis I 996, 5 5 7 s.

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due punti. Il tempio d'Israele ha bisogno di riforma e l'ultima cena di Ge­ sù è destinata a soppiantare o sostituire quelle attività del tempio. Certa­ mente ciascuno intende il pasto con concetti diversi (Chilton più generi­ camente come sostituzione del sacrificio; Wright come nuovo esodo con connotazioni soteriologiche), ma entrambi collegano gli eventi, gettando in tal modo luce su come Gesù vide (chiaramente) la propria morte. Peter Stuhlmacher pensa che Gesù «stesso inneschi il mortale conflitto finale a Gerusalemme col suo gesto di purificare il tempio » . 1 Confermando il nes­ so con il tempio, Martin Hengel pensa che la contrarietà iniziale al tem­ pio e ai sacrifici degli ellenisti riveli come alla base del memoriale dell'ul­ tima cena di Gesù praticato dal movimento cristiano debba esserci qual­ cosa che riguarda il sacrificio.2 Daniel J. Antwi esamina con finezza l'epi­ sodio del tempio, non alla luce di quanto seguì ma di quanto lo precedette: sia l'atteggiamento di Gesù nei confronti del tempio sia le sue dichiara­ zioni di perdono.3 A questo punto si deve aggiungere che oggi non manca chi contesta la storicità dell'episodio del tempio, vanificando così il gioco di «collegare i punti» cui altri si dedicano.4 Il nesso che sovente oggi si vede tra episodio del tem pio e ultima cena, o quantomeno fra episodio del tempio e morte di Gesù, induce a solleva­ re la questione dell'intenzione di Gesù: egli s'infuriò nel tempio per mostra­ re quale fosse la sua missione ? se sì, quale probabilità c'è che Gesù pen­ sasse di sopravvivere alla vicenda ? e se presagì la probabilità della morte, non è il caso di pensare, almeno come possibilità, che Gesù vide la propria morte come parte della sua missione? perché avrebbe agito come di fatto agì nel tempio, se non dava valore a una missione che poteva condurre al­ la morte? Ma come Craig Evans ha di recente affermato, forse fu soltan­ to dopo l'episodio del tempio - ossia dopo Mc. 1 1 - 1 2 - che Gesù iniziò a parlare della propria morte.5 Oggi ci si pone questa serie di domande, anche se nei libri dedicati a Gesù e nel dibattito sull'intenzione generale della missione di Gesù ad esse si danno ben poche risposte.

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Stuhlmacher, Why Did ]esus Have to Die?, 5 3 · M . Hengel, Atonement, 5 5-75 (tr. it. 203-22.8). 3 D .J. Antwi, Did ]esus Consider His Death to be an A toning Sacrifìce?: Int 4 5 ( 1 9 9 1 ) 1 7-2.8. 4 D . Seeley, ad esempio, conclude che l'episodio del tempio è una creazione di Marco; cf. il suo ]esus' Tempie Act: CBQ 5 5 ( 1 9 9 3 ) 2.63 -2.8 3 . A pensare che il fatto sia storico è ad esempio C.A. Evans, ]esus' Action in the Tempie and Corruption in the First-Century Tempie, e Cave of Robbers, in ]esus and His Contemporaries (AGJU 2. 5 ), Leiden 1995, 3 1 9-344. 345-3 6 5 . 5 C.A. Evans, Did jesus Predict his Death and his Resurrection?, i n S.E. Porter - M.A. Hayes ­ D. Tombs (edd.), Resurrection USNTSup r 8 6; Roehampton Institute London Papers 5 ), Sheffield 1999, 86-9 1 . 2.

PRECEDENTI SCRI1TURISTICI:

GESÙ COME « PRO FETA DELLA SCRITTURA»

La scoperta dei rotoli del Mar Morto ha messo i biblisti di fronte a un'ese­ gesi viva, creativa e socialmente incisiva del Tanak e spesso ha condotto a nuove valutazioni non soltanto di come i diversi esegeti di quella comu­ nità usavano le Scritture, ma anche di come le stesse Scritture siano usate all'interno del Tanak e del Nuovo Testamento.1 Oggi si cerca di superarsi l'uno con l'altro nel tentativo di trovare la figura o il motivo più plausibi­ le che meglio inquadri nel contesto la cognizione che Gesù ebbe della pro­ pria morte. La questione dell'uso che Gesù fece delle Scritture per spiegare la pro­ pria morte è più complesso di quanto tradizionalmente si convenga. Que­ sta questione cruciale andrebbe affrontata di petto: come fu mai possibile a un giudeo che credeva nella sollecitudine sovrana e provvida di Dio, che certamente credeva che Dio concedeva il perdono mediante il sistema sa­ crificale del tempio - specialmente a jom kippur - e che predicava la venu­ ta del regno atteso da tempo che era associata a queste idee di Dio e del perdono - come fu mai possibile che qualcuno del genere improvvisamen­ te pensasse che la sua morte fosse il sacrificio di tutti i sacrifici, la fine del sistema del tempio e un'espiazione sicura per tutto il popolo? Se talvolta si è risposto a questa domanda in senso negativo, talaltra si sono trovate nel Tanak indizi della cognizione che Gesù ebbe della propria morte. In questa problematica sconfinata si è spesso virato di bordo, ma quando si esamini il retroterra veterotestamentario di Gesù si dovrebbe tuttavia te­ nere davanti agli occhi a caratteri cubitali un monito di Dodd: si deve sa­ per capire «quando associazioni di idee presenti nella testa del critico so­ no state spesso addotte a riprova di connessioni esistenti in origine » .2 La varietà sconcertante di connessioni del genere, con le loro feconde possibilità interpretative per la comprensione di tutto quello che Gesù po­ té essere, dovrebbe indurre a maggior chiarezza e attenzione sul piano me­ todologico. Al riguardo le considerazioni più recenti si devono alla penna di Dale Allison, nella sua breve ma definitiva disamina dei principi a cui at­ tenersi per scoprire allusioni.3 Allison individua cinque indici rivelatori del­ l'uso di un intertesto nel testo oggetto di studio: primo, si dovrebbe iniziare dalla storia dell'interpretazione; secondo, il testo e l'intertesto devono avere in comune lessico, successio­ ne delle parole, motivi, immagini, struttura e/o circostanze; terzo, ciò che testo e intertesto condividono non dev'essere costituito da luoghi comuni; 1 V. sotto, capp. 8 - 1 0. 2. Dodd, According to the Scriptures, 2. 8 (tr. it. 2.7) . .� D.C. Allison, jr., lntertextual ]esus, 9 - 1 3 .

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quarto, l'intertesto o i suoi argomenti dovrebbero ·essere rilevanti per quel particolare autore; quinto, l'allusione all'intertesto dovrebbe corroborare il significato con­ gruente con i temi del testo. Per passare ora alla varietà dei contesti scritturistici cui Gesù può esser­ si richiamato per comprendere questa morte, da Schweitzer ad Allison a Wright ci si è richiamati alla grande tribolazione come prospettiva chiarifi­ catrice dei modi in cui Gesù comprese la sua morte imminente. 1 In passa­ to studiosi come Dodd e T. W. Manson cercavano di ancorare la missione di Gesù e la cognizione della sua morte nei canti del servo di Isaia, e per molti le loro affermazioni rimangono convincenti. 2. Riprendendo questo argomento tradizionale con l'aggiunta di qualche sottigliezza, Stuhlma­ cher sostiene che dietro la missione di Gesù ci sono i due passi di Is. 43,34 e 5 2, r 3 - 5 3 , r 2 combinati con Dan. 7,9 1 4.3 Basandosi su queste premes­ se ma guardando in una direzione lievemente diversa, Martin Hengel ri­ conduce la teologia dell'espiazione a fonti greco-romane che fecero sentire la loro influenza con la mediazione di un giudaismo maggiormente elleniz­ zato dopo Alessandro Magno. 4 Chilton prende in considerazione un com­ plesso di testi affatto diverso e nella visione della purità di Zacc. 14 vede ciò che ispira la missione e la visione di Gesù, in particolare la sua occupa­ zione del tempio. 5 N.T. Wright, in rappresentanza di molti, per la cognizione che Gesù eb­ be della propria morte sostiene un retroterra scritturistico a più fasi e co­ me suo solito discute a lungo le sue opzioni: Daniele, il Salterio, Zacca­ ria, Ezechiele e specialmente Isaia. 6 Allison, anch'egli con altri, pensa che la morte di Gesù debba essere connessa al figlio dell'uomo/ Un'idea mol­ to recente e innovativa di John Koenig è che l'ultima cena di Gesù metta insieme intenzionalmente i fili del vino e del regno di Gen. 49,8 - 1 2 . 8 Uno studio autorevole di H. Gese indaga il pasto giudaico della todah ( « offerta di ringraziamento» ) come contesto originario sulla cui base comprendere -

1 Schweitzer, Mystery of the Kingdom, 3 1 5- 3 5 4 (tr. it. 1 79-2. 1 1 ); D.C. Allison, Jr., The End of the Ages Has Come, Philadelphia 1 9 8 5 , 1 1 5-4 I ; Wright, }esus and the Victory of God, 5 7 6-92. 2 Dodd, According to the Scriptures, 92-96. 107-I 1 o (tr. it. 96-100. 1 I 1 - 1 1 5 ); T.W. Manson, The Servant-Messiah, Cambridge I 9 5 3 · 3 Stuhlmacher, Vicariously Giving His Life for Many, 1 6-2.9. 4 Hengel, Atonement, 3 3 -75 con relative note (tr. it. 178-228). Per passare a casi più specifici, Hengel ha di recente sostenuto che la riprova di un'interpretazione precristiana della sofferenza come espiazione potrebbe essere costituita da testi come Dan. I I-I 2, l'aramaico Test. Levi e an­ che 4Q540/54 I [= 4QAhA]; v. il suo Zur Wirkungsgeschichte von ]es 53 in vorchristlicher Zeit, in Janowski-Stuhlmacher, Der leidende Gottesknecht (FAT 14), Ti.ibingen I 996, 49-9 1 . 5 B.D. Chilton, Tempie of ]esus, University Park I 992, 1 1 3 -1 59· 6 Wright, ]esus and the Victory of God, 5 40-6 1 1 . 8 Koenig, Feast, 2.6-28. 7 Allison, The End of the Ages Has Come, 1 2 8- 1 3 7.

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la morte e risurrezione di Gesù. 1 A questa varietà di ipotesi è da aggiunge­ re la morte dei profeti, l'immagine del giusto sofferente, come pure i mar­ tiri giudei quali li presenta la tradizione maccabaica ( r Macc. 2, 5o; 2 Mace. 7,3 7-3 8; 4 Macc. I , I I ; 6,27-29; 9,23-24; I 7, 2 I -22; I 8,4) . 2. Talvolta ci si richiama a testi specifici della letteratura giudaica (ad es. Sir. 29, I 5 ; Test. Ben. 3 ,8), ma specialmente al targum su Isaia.3 Ma di recente l'attenzione si è spostata programmaticamente sui mano­ scritti di Qumran. Menzionerò al riguardo l'importante studio di Michael Wise, libro che mostra una rara combinazione di leggibilità e competenza tecnica, quest'ultima perlopiù raccolta comodamente in note in fondo al volume:• Nella figura qumranica del messia Wise vede un prototipo di Ge­ sù, così come la comunità è un «protocristianesimo» . 5 Wise chiama « Giuda » l a figura messianica d i Qumran; questi fu i l pri­ mo a considerarsi un messia nascosto, e Wise pensa di poter recuperare frammenti importanti della sua biografia specialmente mediante gli Inni di ringraziamento. Wise pensa di poter vedere Giuda che prevede i propri parimenti e i violenti ( I QH Io), in particolare !reano n, che vo gliono la sua vita a motivo delle sue credenze riguardo al tempio e della sua leader­ ship farisaica (in particolar modo quella di Simeone ben Shetah). Queste sue lamentazioni vennero messe per iscritto così com'erano, in una forma di protesta di cui resta traccia in 4QMMT. Giuda fu portato in giudizio come falso profeta ed esiliato; poco dopo morì di morte violenta, « passa­ to a fil di spada» (nel 72 a.C.) . Questo Giuda credeva anche di dover ri­ coprire il ruolo del servo sofferente di Isaia ( I QH 8-9) e di essere lui, non i farisei, fedele al patto con Dio. Dio lo ricompensa, così credono i suoi seguaci, con la gloria alla destra di Dio ( 26,2-IO). Wise non vede da nessu­ na parte che la morte di Giuda sia intesa come espiazione, ma Giuda pre­ vide la propria reintegrazione ( IQH I 5 ) . In una lettera privata Wise mi scrisse di pensare solo come a una possibilità che considerandosi il servo 1

H. Gese, Essays on Biblica/ Theology, Minneapolis 1 9 8 1 , 1 1 7- 1 40 (tr. it. 1 2.9- 1 54). In particolare cf. C.A. Evans, From Anointed Prophet to Anointed King, in Jesus and His Con­ temporaries (AGJU 2 5 ), Leiden 1995, 437-4 56. 3 Meriterebbe forse osservare qui come gli specialisti tedeschi si dividano nettamente a seconda che facciano nascere la teologia dell'espiazione dal giudaismo palestinese e in seguito dal giudeo­ cristianesimo palestinese oppure invece dal giudaismo ellenistico e in seguito dalle chiese elleni­ stiche. La prima tesi fu sostenuta da Lohmeyer e la seconda da Wengst. Wengst ebbe un seguito nell'importante monografia di Hengel e nell'importante saggio di Merklein. Si veda E. Lohmeyer, Martyrer und Gottesknecht ( FRLANT 64), Gottingen 19 64; K. Wengst, Christologische Forme/n und Lieder des Urchristentums (SNT 7), Giitersloh 1 972; Hengel, Atonement; Merklein, Der Tod Jesu als stellvertretende Suhnetod. 4 M.O. Wise, The First Messiah, San Francisco 1999. 5 Wise, First Messiah, 256. Benché di recente anche Israel Knohl abbia pubblicato un libro con intenti analoghi e titolo identico, trovo la sua ipotesi troppo congetturale per essere discussa in questa breve rassegna; si veda il suo The Messiah Before Jesus, Berkeley 2.000. C'è da stupirsi che in Knohl il pianoforte non faccia la parte del pianista. 2.

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Giuda abbia pensato in termini di « sofferenza redentrice» . Non è chiaro che cosa Giuda pensasse dell'espiazione, dal momento che non applicò a se stesso passi della Scrittura di questo genere. Di fatto la visione che Giu­ da ebbe della sua morte, o almeno di quella dei suoi seguaci, corrisponde molto alla linea di Mc. 14,25: la sua morte non avrebbe intralciato il dise­ gno divino. Naturalmente il libro di Wise è un esperimento, e poiché è il primo espe­ rimento critico di tali proporzioni, verrà esaminato, smontato e distillato. Che gli studiosi di Qumran condividano o meno la sua immagine della fi­ gura che sta dietro gli Inni di ringraziamento, l'ipotesi che Gesù corrispon­ da a un modello giudaico di profeta scritturistico conferma che a fare da contesto alla visione di Gesù c'è molto di ipotetico: nel cuore di Gesù c'era la riflessione sulla Scrittura e i suoi seguaci venivano da lui indirizzati ver­ so certe parti della Scrittura. CONCEZIONE DI SE STESSI E MORTE

Un punto su cui si conviene a sufficienza è che la morte di Gesù risulta dalla concezione che egli aveva di sé o, con le parole di E.P. Sanders, dal­ la sua «autoproclamazione» . 1 Per i più la morte di Gesù non fu un caso, ed egli non rimase stupito dagli atti compiuti dai rappresentanti del pote­ re nell'ultima settimana. È questo che delude tanto nello studio di Paula Fredriksen: l'autrice non tiene in considerazione la convinzione così dif­ fusa che la morte di Gesù e la sua autoproclamazione siano in qualche modo connesse. 2 C'è chi pensa che Gesù si tirò addosso volutamente tut­ to ciò che accadde 3 e si recò a Gerusalemme con la precisa intenzione di morire - a Dodd capitò di dire che Gesù « mise la testa nelle fauci del leo­ ne » .4 Mentre pochi consentono col tentativo di J.C. O'Neill di dimostra­ re che Gesù « andò incontro alla sua morte in quanto figlio eterno di Dio che offre se stesso in sacrificio per i peccati del mondo »,5 sono di più quel­ li che pensano che egli si recò a Gerusalemme da buon giudeo per prega­ re e celebrare la pasqua, ma che la sua missione e i suoi atti precedenti fe­ cero balzare in primo piano la questione del suo status. 6 Gesù era prepa­ rato a correre un pericolo del genere, ma non si recò a Gerusalemme per provocarlo da paterne morire. 1 Sanders, ]esus and ]udaism, 3 3 3 (tr. it. 42.9). Sanders pensa che l'opinione secondo cui Gesù morì per la sua a utoproclamazione sia « in parre vera)) . 2. P. Fredriksen , Jesus of Nazareth, King of the ]ews, New York 1999. 3 A. Schweitzer, The Quest of Historical ]esus, ed. J. Bowden, Minneapolis 2.001 , 349 (tr. it. 4 C.H. Dodd, The Founder o{ Christianity, 94 (tr. it. I I I ) . 5 20) . s J.C. O'Neill, Who Did ]esus Think He Was? (Biblnt I I ) , Leiden 1995, 1 3 5· 6 Ad esempio C.F.D. Moule, Origin of Christology, 109- 1 1 1 .

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Non sono pochi a pensa·re che Gesù abbia gettato il cappello al di là del muro e sapeva che ora era obbligato a scalare il muro per seguire la sua via. In realtà è opinione di molti che Gesù si sia recato a Gerusalemme per provocare una risposta della nazione: Martin Dibelius, per esempio, scrisse che tutto ciò [la sua esigenza d'essere ascoltato a Gerusalemme] può essere desunta dal fatto che Gesù prese con sé a Gerusalemme i suoi seguaci. È la sola e unica indi­ cazione a noi nota di uno sviluppo nella storia di Gesù. Con questo cambiamen­ to di scena il movimento che Gesù aveva avviato in Galilea fu trasferito nel cen­ tro re ligioso del paese. Per questo motivo, sembra, venne portato davanti al tribu­ nale come imputato. 1

Diversi lavori, alcuni di natura generale, altri con un titolo particolare, meritano d'essere menzionati. Forse uno dei primi studi a sostenere l'esi­ stenza di un concatenamento di nessi che dalla prima teologia cristiana dell'espiazione risalgono fino a Gesù fu il saggio di Joachim Gnilka che, benché eccessivamente cauto nelle sue conclusioni storiche, trova che la forma stessa della vita di Gesù porta a un'interpretazione della sua morte �ome morte salvifica.� Quest'idea venne sviluppata quattro anni più tar­ di in modi che soltanto i tedeschi (con i loro neologismi) possono prati­ care: L. Oberlinner 3 si mosse sulla linea di pensiero di Vogtle,4 che Gesù avesse una Todeserwartung, ma forse non una Todesgewissheit. 5 Nell'uno e nell'altro dei casi il modo di vedere di Gesù sarebbe emerso dall'idea che egli si era fatto di sé e dei motivi per cui era stato mandato. 6 Talvolta si è cercato di far risalire la morte di Gesù alla sua predicazione. 7 Un importante lavoro in questa direzione, che evita un po' quest'ari­ dacia del «morire o non morire » , è The Zion Traditions and the Aims of .fesus di Kim Huat Tan. 8 Per impostare su nuove basi la problematica dell'intenzione di Gesù, Tan sostiene che le tradizioni di Sion forniscono uno schema che spiega l'intenzione e le azioni di Gesù nell'ultima setti­ mana. Si possono individuare tradizioni di Sion nell'ingresso di Gesù, nell'episodio nel tempio e nella sua ultima cena. Più sopra nel suo lavoro z M. Dibelius, ]esus, Philadelphia 1 949, 63. V. anche G. Bornkamm, ]esus von Nazareth, Stutt­ gart 1 2. 1 9 80, 1 3 7-1 39 (tr. it. 1 5 4-1 56). 1. Gnilka, Wie urteilte ]esus uber seinen Tod? .\ L. Oberlinner, Todeserwartung und Todesgewissheit ]esu (SBB Io), Stuttgart 1 9 80. 4 Vogtle, Todesankundigungen und Todesverstandnis ]esu, 53-58, dove si distingue fra Todesbe­ reitschaft e Todesgewissheit [«disponibilità a morire » , «certezza di morire»]; Gesù si distingue­ va forse per la Todeserwartung [ « prospettiva di morire ,, ] ma non per la Todesgewissheit. 5 Ossia si aspettava la morte, ma non ne era certo. 6 Al riguardo si veda Brown, Death of the Messiah, 1466- 1489 (tr. it. I 6 6 1 - I 6 8 5 ) . 7 I n u n suo studio Evans, a d esempio, precisa il nesso tra predicazione e morte che i l « regno di Dio,> può sopponare (From Public Ministry, 301-3 1 8 ). 8 Kim Huat Tan, The Zion Traditions and the Aims of ]esus (SNTSMS 9 1 ), Cambridge 1997.

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Il dibattito

Tan aveva sostenuto che Le. 1 3 ,3 1 - 3 3 · e 3 4-3 5 rivelano come Gesù aves­ se visto in Gerusalemme il luogo della meta della sua missione e della pro­ pria morte. Vedendo in Gerusalemme il centro della propria missione, Ge­ sù manifesta al tempo stesso quel che pensa dei capi del giudaismo e si at­ tende che Dio farà valere in Gerusalemme la sua regalità. Questo dà un co­ lore nuovo a un vecchio vestito: Gesù si recò effettivamente a Gerusalem­ me nell'intento esplicito di adempiere la propria missione nella e per la re­ staurazione di Gerusalemme. In questo senso Tan diverge da Schweitzer (Gesù si mosse per morire) e consente con Chilton (Gesù si mosse per com­ piere qualcosa d'importante per la nazione ). La morte di Gesù è ciò che gli accade per aver portato avanti la sua missione. Salvo particolari, ci si avvicina con ciò a un consenso come quello che si ha negli studi sulla con­ cezione che Gesù ebbe della propria morte. Detto altrimenti, l'idea che Gesù ebbe di sé, pensasse d'essere un profe­ ta inviato da Dio, il messia o il rappresentante ultimo di Dio - a seconda dell'idea che ci si è fatta dell'autoproclamazione di Gesù -, quel che egli pensò d'essere lo condusse a fare quel che egli fece. E quel che fece lo mi­ se in difficoltà a Gerusalemme. Si può così dire che la sua identità e la sua morte sono connesse. Qui però l'accordo cessa : Sanders si accontenta di un'affermazione di minima (la morte di Gesù è connessa con la sua auto­ proclamazione ), mentre altri aspirano a un senso più compiuto. In termi­ ni generali penso allora che la maggior parte dovrebbe consentire col pun­ to di vista di Borg, se non con le sue parole: « [Gesù] fu ucciso perché, nel nome e nella potenza dello Spirito, mirava alla trasformazione della pro­ pria cultura » . 1 Altri trovano per Gesù un'identità più specifica che è con­ nessa con la sua morte. Di recente in Germania, in particolare a Tubinga, si è messa ben in vi­ sta l'identità messianica e la coscienza di sé di Gesù perché tutti la vedes­ sero, e ci si è poi chiesti se la morte di Gesù e la sua identità messianica va­ dano unite. La più importante raccolta di saggi al riguardo si può vedere nell'annata 1 9 9 3 dello Jahrbuch fiir Biblische Theologie, in cui si leggo­ no gli interessanti articoli di K. Koch sul figlio dell'uomo e messia nella let­ teratura apocalittica; di O. Hofius su come Gesù corrisponde e non corri­ sponde alla figura di messia, re escatologico d'Israele, e come Gesù crei un concetto di messia del tutto nuovo; di P. Stuhlmacher su Gesù che abbrac­ cia in piena consapevolezza la missione d'essere il servo messianico; di D. Zeller sull'uso del titolo di messia in Paolo.2 È interessante che il saggio di P. Stuhlmacher sia intitolato Der messianische Gottesknecht ( «Il servo 1 M. Borg, ]esus, 1 8 3 . I titoli nello Jahrbuch fiir Biblische Theologie 8 ( 1 9 9 3 ) sono: K. Koch, Der Messiah und Men­ schensohn, 73-102; O. Hofius, Ist ]esus der Messiah?, I03-1 29; D. Zeller, Zur Transformation des Xpta"t'o� bei Paulus, I 5 5 - 1 67; P. Stuhlmacher, Messianische Gottesknecht, I 3 I-I 54 · 2

Riprendere la morte di Gesù

Io 5

di Dio messianico)) ), non Der gottesknechtliche Messias ( «Il messia servo di Dio » ). L'identità messianica di Gesù è inclusa nella sua funzione di ser­ vo; in quanto servo egli offre se stesso in espiazione. Anche qui autopro­ clamazione/identità e morte si integrano a definire chi Gesù era e soprat­ tutto che cos'era la sua missione. 1 D'altro canto il messianismo non è la sola prospettiva adottata negli stu­ di quando si affronta l'identità e l'autoproclamazione di Gesù. Il classico richiamo a Gesù servo resta per molti una possibilità praticabile. I più preferiscono tuttavia parlare di un certo orientamento generale della vita di Gesù che lo condusse alla morte. Heinz Schiirmann, ad esempio, rubri­ (Ò tutto ciò sotto la categoria della proesistenza di GesÙ.2 N.T. Wright svi­ luppa lo stesso motivo quando dice che Gesù mette in atto la propria sto­ ria del regno, e sostiene che Gesù doveva portare a Sion la sua «legge» . 3 Mantenendosi piuttosto sull'astratto, B.F. Meyer osserva che « la reinte­ grazione della nazione che proponeva, Gesù l'incarnò anzitutto in se stes­ so. La sua fu una individualità fuori dell'ordinario » e si dovrebbe consi­ derare «la sua missione in termini di autenticità personale realizzata >> . 4 A dire il vero j.P. Galvin conclude il suo lucido esame degli esegeti e dei teo­ logi sistematici tedeschi dicendo che la stessa vita e morte di Gesù tradi­ scono una sorta di soteriologia: la conseguenza liberamente accettata del genere di vita che visse.5 Di recente Leander Keck, che evidentemente nel­ la sua penna ha dell'ambrosia, ha affermato che Gesù «salì [a Gerusalem­ me] per fare quel che aveva sempre fatto: incarnare ciò che sapeva che sta­ va per accadere. Nel tempio si assunse il rischio di simbolizzarlo » .6 Se il dibattito continua, in qualche modo seguirà la via segnata dalla de­ finizione dell'identità di Gesù. La questione fondamentale diventa questa: qualcuno con l'opinione di sé, con la lungimiranza e la missione di Gesù 1 Nel 1987 allo stesso complesso di problemi concernenti il messianismo giudaico fu dedicato un �ongresso americano presieduto da James H. Charlesworth: The Messiah (Princeton Symposium on Judaism and Christian Origins), Minneapolis 1992. In quest'opera si trovano singoli saggi su idee messianiche nelle Scritture giudaiche, nel primo giudaismo e nella cultura rabbinica, in di­ versi contesti sociali e in Filone; nove saggi sono dedicati alla documentazione riguardante Ge­ sù e alle credenze dei primi cristiani. Di particolare importanza per la problematica che qui inte­ ressa è il saggio di J.D.G. Duno sul Gesù storico. Rispetto agli studi di Stuhlmacher e di Hofius, il saggio di Duno vi si accorda in un punto fondamentale: Gesù sia diede un proprio contributo al messianismo giudaico, sia ne fu condizionato. Dunn lo afferma nel modo più netto quando di­ �e che Gesù non fu è sta to spesso riconosciuto; cf. Joachim Jeremias, The Prayers of ]esus, London 1 9 67, 104 s.; Davies-Allison, Matthew 1, 61 3 · 2

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ben presto ad avere l'acqua fino al collo, si dovrebbe tuttavia osservare che nella sua dissertazione Brant Pitre dà grande importanza al fatto di vede­ re il Padrenostro fitto di allusioni a un nuovo esodo, e che la formula del­ la tentazione è connessa sia alle tradizioni della pasqua di Es. I 2 (cf. Deu t. 4,27- 3 4 ; 7, 1 9 [LXX]; 29,3 [LXX] ) sia alle tradizioni posteriori della tribo­ lazione. Tutto ciò è indicativo dell'argomentazione che Pitre sviluppa nel suo studio. 1 L'importanza di quest'affermazione per il nostro studio n on può sfug­ gire: nel più profondo del cuore (così intendo il Padrenostro) Gesù non de­ siderava affrontare da solo o con i suoi discepoli il cimento finale. O egli sperava in un ravvedimento della nazione che avrebbe allontanato la pro­ va, oppure sperava in una liberazione anticipata. 2. A conti fatti penso che la seconda possibilità sia altrettanto plausibile della prima; ma in questo contesto ciò che conta è che Gesù sembra avere riconosciuto la possibili­ tà (anche se, in questa fase, ancora remota) di una morte prematura, e la sua preghiera sincera era che il Padre facesse sì che la storia prendesse un corso diverso.

Al Getsemani questo travaglio escatologico diventa personale 3 e mostra come dal principio alla fine a Gesù non piacesse ciò che pareva profilarsi all'orizzonte.4 Finché a questi due testi non sarà data una spiegazione chia­ ra e non saranno sistemati come devono nel contesto più generale della sua missione, ci si deve astenere dall'affermare che la missione di Gesù fu semplicemente di morire per i peccati del mondo. Sono restio a negare la centralità della sua morte per la comprensione del suo compimento, ma so­ no anche profondamente consapevole che la concezione cristiana tradi­ zionale della sua missione nei termini di una «vita per morire» richiede che l'affermazione sia molto più sfumata. Come D.E.H. Whiteley, che non era estraneo alla fede cristiana, ebbe a osservare, «i racconti dell'agonia nell'orto del Getsemani non sono facilmente conciliabili con l'idea che in ogni momento Cristo ritenne la propria morte inevitabile ».5 Al riguardo nessuno ha colto le implicazioni della preghiera di Gesù con maggior vi1

Cf. B.J. Pitre, The Historical ]esus, the Great Tribulation and the End of the Exile, 1 4 5 - 1 8 r . Così A. Schweitzer, The Kingdom of God and Primitive Christianity, New York 1 9 68, 1 1 8 s . .� Sull'evento del Getsemani cf. R.S. Barbour, Gethsemane in the Tradition of the Passion, 23 r2. 5 1 ; Gibson, Temptation of]esus in Early Christianity, 238-2.55; si veda anche la rassegna ma­ gistrale del dibattito in C.A. Evans, Mark n, 404-407. 4 Per un'indagine dei nessi fra Getsemani e Padrenostro, cf. Popkes, Die Letzte Bitte des Vater­ Unser, 8- 17. 5 D.E.H. Whiteley, Christ's Foreknowledge o f His Crucifixion: SE 1 (= TU 73 (1 9 59 ] ) 1 00 - r 1 4 : 100 s . 2

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La realtà di una morte anzitempo

gore di Jeff Gibson, il cui studio documentato si occupa della teologia di Marco, ma le cui parole, se consideriamo storia le parole, si applichereb­ bero a Gesù stesso. Ecco le sue osservazioni: È chiaro che l'intento di questa petizione non è altro che l'eliminazione della ero· ce dalla messianità. Gesù prega che in quanto messia non debba soffrire e mori­ re . . l'angoscia e lo smarrimento, l'esitazione e l'incertezza da cui Gesù è preso al .

Getsemani nascono dal conflitto tra il desiderio di Gesù di essere fedele alla pro­ pria vocazione e assolvere il proprio compito messianico e, d'altra parte, l'appa­ rente irrazionalità di sottomettersi obbedientemente a un piano d'azione decreta· to da Dio, quando sembrava che obbedire vanificasse i validi fini di Dio . . . Ciò rivela anche che la petizione di Gesù comporta il desiderio che, per assolvere al suo compito messianico, gli sia consentito attuare un piano d'azione che è pro­ prio l'opposto della volontà di Dio in proposito, un piano cioè che per raggiun­ gere questo scopo ricorra alla violenza e al dominio invece che alla sofferenza e al servizio, e che preveda la punizione e la distruzione di coloro che « non sono Israele » , anziché la loro inclusione nella misericordia di Dio. 1

Un elemento della documentazione di cui siamo alla ricerca è costituito dal classico testo di Mc. 14,3 5 - 3 6 e 3 8 : E avanzando u n poco, si gettò a terra e pregò che se possibile quell'ora venisse al­ lontanata da lui. Disse: « Abba, Padre, a te ogni cosa è possibile; togli da me que­ sto calice; ma non quello che io voglio, ma ciò che tu vuoi » . . . « Restate svegli e pregate che possiate non entrare nel tempo della prova [o in tentazione] » .

La cristologia di questo testo, per quanto s e n e sa, v a contro l a corrente della riflessione cristologica protocristiana, quale si lascia riconoscere sia nelle tradizioni evangeliche (cf. Gv. I 8,I I ) sia in testi non canonici (cf. Giustino, Dia/. 99; Celso in Origene, Cels. 2,24). Essa presenta un Gesù che 1 . non voleva morire e voleva che Dio cambiasse la sua volontà 2 o si attendeva a pasqua che avvenisse la fine (cf. Mek. de-r. Ishmael a Es. 1 2,42 [pp. I 1 5 s.]),3 o che, quasi incredibilmente, 2. aveva paura della morte (al­ cuni si rifanno a Mc. 14,3 3 ) . Tanto Matteo quanto Luca smorzano le emo­ zioni di Gesù di cui parla Mc. 14,3 2 4 2 4 È inoltre difficile, malgrado qualche voce in contrario, collocare questo passo nel contesto della tradizione maccabaica della teologia del martire. -

1

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Gibson, Temptation of]esus in Early Christianity, 248. 25 1 . 2 5 3 (corsivo aggiunto). Nell'Israele antico e nel giudaismo ovunque la volontà di Dio si adatta alle circostanze; cf. Gen. 18; 22; Es. 3 2, I 0-14; 2 Re 20, 1 -6; 2 Sam. I 5,25-2.6; Giud. 2, 1-3; Ger. 1 8,5-1 1 . Cf. P.D. Miller, They Cried to the Lord, Minneapolis 1 994, 5 5 - I 34; Cullmann, Prayer in the New Testament, 1 3 2-142. 3 Che recita: «In quella notte furono redenti e in quella notte saranno redenti nel futuro - que­ ste sono le parole di r. Joshua, com'è detto: «Questa stessa notte è una notte di veglia nel Si­ gnore» . Segue il dissenso di r. Eliezer, che congettura che la redenzione finale sia in Tishri e cita a sostegno Sal. 8 I ,4-5· 4 Cf. Barbour, Gethsemane in the Tradition of the Passion, 236-242. 2.

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Di farm tton c'è storia di ma·rtire giudeo che faccia luce sulla possibile angoscia del martire per la propria morte, come mostra il classico testo di 2 Ma cc. 7. I racconti riguardavano personaggi dal coraggio di Daniele o dei giovani Maccabei o erano riservati a quelli con antenati classici; par­ lavano delle Termopili e di Leonida, re di Sparta, non di paura e di pre­ ghiere di essere liberati. A riprova ci si potrebbe quindi legittimamente ap­ pellare al cosiddetto criterio della dissomiglianza. La cristologia rivela un essere umano improvvisamente preso da angoscia e dolore intensi e che quindi > (89). V. anche R.T. France, Mark, 5 8 5 . 4 R.S. Barbour vede nella tradizione sul Getsemani «pressoché i l solo punto i n cui i l racconto della passione non abbia ceduto al senso prioritario della predestinazione e dell'adempimento delle Scritture . . . » ; cf. Gethsemane in the Tradition of the Passion, 247. 5 Così con i più: cf., ad esempio, J. Nolland, Luke 1 1 1 , 1082, il quale si chiede se il logion non contrasti tanto decisamente con quello che è altrimenti noto di Gesù da far pensare di non esse­ re autentico. 6 J.D.G. Dunn, ]esus and the Spirit, Philadelphia 1975, 19. Dunn argomenta nel modo migliort: l'autenticità sostanziale della preghiera nel Getsemani (pp. 1 7-20). 7 Non si può non ricordare la recisa presa di posizione di Fitzmyer contro le tante interpreta­ zioni psicologiche: dopo averne elencate diverse, egli commenta che «la sua [di Gesù] previsio­ ne di tutto ciò avrebbe causato pena e angoscia » (Luke n, 1440). 8 Cf. Barrett, ]esus and the Gospel Tradition, 46-49. 2.

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dizio contro il suo popolo. Ciò che egli desiderava era realizzare il regno di Dio. Se spesso si vede qui una certa fragilità da parte di Gesù, confesso (con la tradizione cristiana) di pensare che si può vedere in questo testo - alla luce della missione di Gesù, del suo deciso insegnamento sulla necessità di affrontare con coraggio la persecuzione e della sua ferma determinazione quella notte di non fuggire - un senso più profondo che non sempre vie­ ne ricordato. In sostanza i logia della tentazione possono essere intesi co­ me petizioni: il desiderio di Gesù di non dover sostenere la prova è una supplica al Padre a redimere il suo popolo, a preservare l'onore dovuto al suo nome e a far ciò rapidamente e presto; se Dio agirà così, lui, Gesù, sa­ rà liberato da questo patimento. La natura escatologica della richiesta è confermata dal termine per cali­ ce che, come si mostrerà sotto, è una metafora della parola di giudizio di Jhwh, del giorno di Jhwh, sulla disobbedienza d'Israele al patto. 1 Dai gior­ ni di Giovanni Battista fino a ora la scure è stata posta contro l'albero; Ge­ sù pregava che né lui né i suoi discepoli fossero vicino all'albero quando Dio avrebbe preso la scure, conficcandola nell'albero col giudizio. Questo porta a osservare che Gesù deve aver inteso la sua morte come aspetto del­ la propria escatologia/ nel senso che dal momento che ciò che stava per accadergli faceva parte della prova finale, la sua morte doveva essere inte­ sa in senso escatologico, come parte di quello scenario escatologico che sta­ va per dispiegarsi sul teatro della storia di Gerusalemme. Il suo desiderio è che Dio rinvii l'atto di sollevare la scure. Ma ancor più profondamente egli abbandona la sua supplica alla volontà di Dio (cf. Mc. 14,3 6. 3 8 b.4 I ). Dall'inizio alla fine si può quindi affermare che Gesù desiderò che Dio inaugurasse il regno. Ma egli sapeva che la storia non segue le nostre spe­ ranze. Se la storia avesse preso un'altra strada, era pronto a cambiare an­ ch'egli direzione e a seguire la volontà di Dio. Di conseguenza pregava per il suo popolo e per se stesso che Dio trovasse un modo per intervenire a cambiare la storia. Questa conclusione può valere per gli altri testi che qui meritano attenzione, un gruppo dei quali riguarda l'apparente idea di Gesù che la sua vita non sarebbe arrivata a vedere i settant'anni, la sua idea che sarebbe stato insieme ai suoi discepoli solo temporaneamente. 1

Cf. A.T. Hanson,

2.

Così anche R.E. Brown,

The Wrath ofthe Lamb, London 1 9 .5 7, 2.7-36; Keener, Matthew, 6 3 8 n. 87. Death ofthe Messiah I, 1 5 4 · 1 5 9 s. (tr. it. 200. 205 s.) e passim.

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Capitolo 5

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! ..

Presenza temporanea nella p rovvidenza di Dio

Se Gesù considerò la propria morte una possibilità e poté vederla in con­ nessione col sopraggiungere della grande prova finale, della grande tribo­ lazione, il passo successivo della nostra indagine consisterà nel determina­ re se i suoi pensieri si spinsero al di là della possibilità fino alla probabilità. In altre parole, Gesù comprese soltanto che il corso escatologico del tem­ po poteva mettere a repentaglio la sua vita, o anche che quasi inevitabil­ mente avrebbe fatto della sua morte qualcosa di probabile ? questo corso della storia faceva parte del disegno di Dio per la sua vita ? la sua morte fu per lui un modo per assorbire i colpi di questa prova finale? Tradizioni sparse riguardo a Gesù sollevano in una forma o nell'altra queste questioni, ed evidentemente sia in momenti iniziali sia più avanti nella sua vita. Pur non toccando mai la questione dell'idea di espiazione, questi testi indicano tutti come Gesù pensasse che sarebbe morto preco­ cemente. Qui si prenderanno in esame quei testi che, se autentici, si riferi­ scono alla morte di Gesù come a un momento del disegno di Dio per la sto­ ria d'Israele. PRESENZA TEMPORANEA

Mc.

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2, I 9 - 2 0

J,

In una tradizione presente in tutti e tre i vangeli sinottici Gesù giustifica la pratica sua e dei suoi discepoli di non osservare il digiuno e al tempo stes­ so afferma che potrebbe non esserci per l'intera durata di una vita normale (Mc. 2,1 8-22 parr. Mt. 9, 1 4 1 7 ; Le. 5 , 3 3 - 3 9 ) : -

1 8 Ora, i discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare; e venne gente e gli disse: « Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano ? » . 19 Gesù disse loro: « Gli invitati alle nozze non possono digiunare mentre lo sposo è con loro; come potrebbero ? Finché hanno con sé lo sposo non possono digiunare. 2.0 Verranno i giorni in cui lo sposo sarà tolto loro e allora quel giorno digiuneranno » . 2 1 Nessuno cuce u n pezzo d i stoffa nuova a una veste vecchia; altrimenti l a pez­ za si stacca dalla vecchia, quella nuova dalla vecchia, e lo strappo diventa peggiore. 2.2. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino farà scoppiare gli otri e andranno perduti il vino e così pure gli otri; ma si mette il vino nuovo in otri nuovi » . 134

Presenza temporanea nella provvidenza di Dio

I3 5

Unanimemente si conviene che Mc. 2,18-22 è una tradizione ampliata, ma a detta di molti anche le riprove di una redazione marciana sono scarsis­ sime; nell'unità in questione la tradizione si è invece ampliata prima di Marco. Molti converrebbero che Mc. 2, 1 8- 1 9 e 2,2 1 -22 siano le unità ori­ ginarie e 2, 1 9 b-2o aggiunte posteriori ma anteriori a Marco.2 Ciò che importa per il nostro studio è se le tradizioni siano plausibilmen­ te autentiche. Norman Perrin piantò un paletto davanti al piccolo stagno di questa pericope e vi affisse il cartello « divieto di pesca » (leggi: non au­ tentico ), ma subito dopo un folto gruppo di studiosi (il Jesus Seminar) ignorò il cartello, andò sullo stagno, vi gettò qualche lenza e trovò del pe­ sce (leggi: autentico).3 Il motivo per concludere che 2,19a e 2,19b sono au­ tentici è che i discepoli di Gesù non digiunavano, mentre i discepoli di al­ tre autorità giudaiche del tempo digiunavano. Il logion esprime semplice­ mente questo fatto sociale. È ragionevole pensare che se con i suoi discepoli non si atteneva alla prassi consueta del digiuno 4 Gesù fornisse qualche tipo di giustificazione; 5 questa è esposta in 2,1 9a-b: Gesù è con loro ed è tempo di festa (cf. Q 7, 3 r-3 5 ); il regno è presente, ma stanno per venire i giorni in cui si dovrà di nuovo digiunare. Per questo stesso indirizzo di studi Mc. 2,20 rende espli­ cito in un inciso parentetico che il digiuno sarebbe ripreso quando Gesù fosse morto (cf. anche Atti 1 3 ,2-3 ; 14,23; Mt. 6, r 6- 1 8 ) . Per i più il ver­ setto è tuttavia un esempio recente di teologia cristiana 6 argomentata da una prospettiva cristologica sviluppata (cf. Le. 1 7,22). Mc. 2, 1 9 può essere illustrato anche su base escatologica: Gesù argor

1 J. Gnilka trova la redazione marciana solo in Mc. 2, 1 8a e nell'espressione «quella nuova dal­ la vecchi a )) di 2,21 (Markus I , I I I - I I 3 [tr. it. 140-143)), mentre E.J. Pryke, Redactional Style in the Marcan Gospel (SNTSMS 3 3 ), London 1 978, I 54, trova la redazione marciana solo in > indicava qualcosa come un'elemo­ sina e non la sepoltura, le parole di Gesù ora colpiscono l'uditorio con una visione diversa di quest'opera buona - diventata un rito di sepoltura. Daube sostiene che dopo morto Gesù non ricevette l'unzione funebre; in tal caso l'episodio del vangelo di Marco fu usato come unzione anticipata. Detto altrimenti, se l'unzione fu in origine più che un'unzione regale e venne poi usata come segno di unzione funebre, è probabile che sia storica, poiché diventa un fatto stori­ co ineliminabile che dovette essere usato per uno scopo diverso. 4 Cf. anche Gnilka, Markus n, 2.2.2 (tr. it. 745 s.); diversamente Marz, Die Tradition von Mk 14,3-9, I O I S. 5 Una giustificazione leggermente scotta dell'autonomia e antecedenza storiche di Gv. 1 2,1-8 si legge in j.F. Coakley, Anointing at Bethany.

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L a realtà d i una morte anzitempo

un'epoca tarda della vita di Gesù autorizzerebbe una scena in cui Gesù può benissimo avere espresso il pensiero di essere prossimo a morire. Lo si è già visto di sfuggita (e di più si vedrà in seguito), ma si dovrebbero ri­ conoscere almeno due aspetti: è quasi certo che Gesù percepisce che mo­ rirà prematuramente, ed è più che probabile che egli rifletta a fondo a ciò che potrebbe significare una morte prematura per la sua missione in vista del regno. Probabilmente in quei giorni, proprio prima dell'ultima setti­ mana, una donna s'introduce non invitata durante il pranzo nella casa (forse ) di Lazzaro, unge i piedi 1 di Gesù (o, come penso, il capo), e Gesù acconsente al gesto. Ma Gesù ne rovescia l'atto quando porge i piedi in luogo della testa: invece dell'azione profetica di ungere un re, il gesto è in realtà l'unzione anticipata del suo corpo in vista della morte imminente, di fatto un'espressione performativa. Anche se con diversi gradi di opacità, quando si tratta di dare un giudi­ zio storico di Mc. 2, 1 9-20; 10,3 8 e 14,3-9 si può quindi giungere alla con­ clusione che tutta un'interessante documentazione fa pensare che Gesù prevedesse una morte prematura e che la sua presenza fra i discepoli sareb­ be stata temporanea. In sostanza la cognizione che Gesù ebbe della sua vita e della sua morte pare trovare spiegazione in quella del suo mentore, Giovanni Battista. Un'altra tradizione conferma questa conclusione. Le. I3,32-33 È difficile sapere quando a Gesù si presentò il pensiero che sarebbe potu­ to morire, ma non vi è dubbio che la morte del suo mentore gli era rima­ sta impressa a fuoco nella memoria. Quando - ci si potrebbe chiedere - per la prima volta Gesù espresse la convinzione di dover morire? Le. 1 3 ,3 2-3 3 può essere utile a rispondere. Il luogo classico di questa tradizione è L, e si deve a Joachim Jeremias avere iniziato a esaminare seriamente questa tradizione. Nel passo riportato sotto sono in corsivo le parole che a pare­ re di J eremias sono redazionali: 2. 3 2 E disse loro: «Andate a dire per me a quella volpe: Ascoltate, io caccio i demoni e opero guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno termino la mia opera . 3 3 Non­ dimeno oggi, domani e il giorno dopo devo fare la mia strada, perché è impossi­ bile che un profeta sia ucciso fuori di Gerusalemme» .

Certi sviluppi recenti del dibattito dissentono e concludono che Le. 1 3 , 3 23 3 - a motivo del linguaggio peculiarmente lucano per l'uso di «nondime­ no », « devo » , « fare la propria strada » e «Gerusalemme» - probabilmente è per intero un brano di redazione lucana. Il v. 3 3 , si sostiene, aveva per 1

Presentazione della documentazione in Coakley, Anointing at Bethany, 246-252. Cf. J. Jeremias, Die Sprache des Lukasevangeliums (K-EKNT Sonderband), Gottingen 19 80, 2 3 3 s.

2.

Presenza temporanea nella provvidenza di Dio

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scopo di adattare I 3 , 3 2. al viaggio lucano verso Gerusalemme o quanto­ meno a rendere esplicito ciò che (se c'è) è implicito in 1 3 , 3 2.1 Lo studio recente più completo di Kim Huat Tan, Zion Traditions and the Aims of Jesus, ha tuttavia sostenuto in maniera affatto conclusiva che Le. 1 3 , 3 3 contiene sia tradizione sia redazione lucane/· Molto in Le. 1 3 , 3 2-3 3 fa propendere per la sua storicità, e a parere di T an «il discorso vie­ ne sostanzialmente da Gesù, anche se è probabile che Luca abbia sostitui­ to o usato qualcuno dei suoi termini preferiti » .3 Se si riconosce che il les­ sico possa essere stato ritoccato da Luca, per determinare l'autenticità è necessario ricorrere ad altre considerazioni. Come D.C. Allison ha osservato, nelle tradizioni su Gesù il motivo dei parimenti è presente ovunque.4 Che il pensiero di una morte prematura abbia oltrepassato la soglia della sua mente fu pressoché una certezza do­ po che Giovanni era stato decapitato. La morte di Gesù a Gerusalemme conduce a una domanda semplice: è verisimile che una fine tanto orrenda possa essere avvenuta del tutto inaspettatamente? In altre parole, sarebbe stato psicologicamente possibile per Gesù recarsi quell'ultima volta a Ge­ rusalemme fiducioso che non gli sarebbe accaduto nulla o del tutto igna­ ro che la situazione non gli era favorevole? La presenza di Gerusalemme in Le. r 3,3 3 non è quindi del tutto implausibile in un mot autentico di Ge­ sù.5 Una questione merita qui d'essere esaminata: al tempo di Gesù, Geru­ salemme come luogo della morte dei profeti era un topos (cf. Ger. 26,2.023; 3 8,4-6; Am. 7, I 0- 1 7; 2 Cron. 2.4,20-22; Giuseppe, Ant. 10,3 8; Mart. fs. 5 , 1 - 14; Giustino, Dia/. 1 20,1 4- 1 5 ; cf. anche Vit. Proph. 1 - 3 ) . 6 Detto diversamente, il ragionamento è questo: Giovanni è morto, anch'io potrei morire. Giovanni e io siamo entrambi profeti. Spesso i profeti muoiono a Gerusalemme; anch'io vi posso morire. Ma ai nostri intenti il lato problematico di Le. 1 3 ,3 2.- 3 3 è costituito dal1 Cf. M. Rese, Einige Oberlegungen zu Lukas Xlll,J I-JJ, in J. Dupont (ed.), ]ésus aux origines de la christologie (BETL 40), Gembloux-Leuven 1 9 7 5 , 201-2.2.5; A. Denaux, L 'hypocrisie des Pharisées et le dessein de Dieu, in F. Neirynck (ed.), L'Evangile de Luc (BETL 3 2.), ed. riv., Leu­ ven r 9 89, 2.45-2.8 5; Nolland, Luke n, 739; Fitzmyer, Luke n, ro28: «Si potrebbe tuttavia discu­ tere ulteriormente se il v. 33 facesse realmente parte di 'L' o fosse costruzione lucana, una sorta di commento al v. 32. al quale è parallelo (almeno in parte ) )) , 2. Cf. Tan, K . H . , Zion Traditions and the Aims of ]esus (SNTSMS 9 1 ), Cambridge 1 9 77 5769, spec. 6 5-67. 3 Op. cit., 67. 4 D.C. Allison, jr., ]esus of Nazareth, Minneapolis 1998, 46. 5 Cf. P. Stuhlmacher, Biblische Theologie des Neuen Testaments 1 , 1 27 s. 6 Quando si afferma che Gerusalemme non era un luogo di persecuzione di profeti non si tiene sufficientemente conto di due considerazioni: 1. i progetti fatti di costruire tombe per i profeti e 2. il tipo di passi citati in questo paragrafo. Ad esempio R.j. Miller, The Rejection of the Prophets in Q: JRL 1 0 7 ( 1 9 8 8 ) 2.25-240: 2.34 s. Per la costruzione di tombe si veda J. Jeremias, Heiligen­ griiber in ]esu Umwelt (Mt. 23,29; Lk. 1 I,47). Eine Untersuchung zur Volksreligion der Zeit }esu, Gottingen 1 9 5 8 . ,

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8

La realtà di una morte anzitempo

le delimitazioni di tempo (probabilmente) aramaiche: 1 «oggi e dòniani e il terzo giorno [forse joma den wejoma�ra] porto a termine 2 la mia ope­ ra » , insieme col non del tutto concordante «oggi, domani e il giorno do­ po » . Non solo è difficile armonizzare tra loro le due parti, ma nessuna del­ le due è interpretabile senza ambiguità - e si è ricondotti ancor più chia­ ramente allo stadio di una costruzione protocristiana, precedente a una ex eventu. Anche qui non è improbabile che a un uditorio ostile Gesù parli con una certa ambiguità. Queste due espressioni mirano a ricoprire un periodo di tempo indefinito, seguito da un evento certo e imminente. L'autenticità del motivo dei «tre giorni» delle predizioni marciane della passione ( 8 ,3 I; 9,3 I; 10,3 3 -34) 3 ha trovato una quantità di detrattori, ma nel nostro contesto il logion lucano manca di quel tipo di specificità che tradisce la prospettiva tarda. Il motivo del «terzo giorno» di Le. 1 3 , 3 23 3 , inoltre, non si riferisce alla risurrezione ma alla morte. I logia di Le. 1 3 ,3 2-3 3 non esprimono teologia protocristiana, ma quel genere di cose che Gesù apprezzava: ambiguità, domande e mistero. Anche a questo punto è utile tornare al mentore di Gesù, Giovanni: l'uso di «volpe» per Erode Antipa colpisce per il modo in cui s'intona al rap­ porto di Gesù con Giovanni e come reazione a ciò che Erode aveva fatto a Giovanni.4 L'atteggiamento non serviva certo ai primi cristiani a ingra­ ziarsi le autorità che governavano al loro tempo, anche se si accorda per­ fettamente con l'atteggiamento di Gesù nei confronti di altre autorità - vie­ ne qui da pensare alle innegabili critiche mosse da Gesù ai farisei. 5 La stes­ sa critica si può trovare in scritti rabbinici (ad es. bBer. 28a; b]eb. 1 09b ; tShabb. 1 ,4). È l'atteggiamento che tradisce l'autenticità della tradizione. Il contesto, lo stile e il significato, tutto parla più dell'ambiente di Gesù che di una riscrittura tarda della tradizione di Gesù. Si può raccogliere qui quanto si è trovato, ricapitolando i risultati dello studio di Tan sul significato di queste espressioni: 6 i farisei pensano che r Solida argomentazione in Black, Aramaic Approach to the Gospel and Acts, 205-2.07, dove si stabilisce un nesso col precedente «quotidiano» del Padrenostro. L'autore vede quattro linee: r. Ecco, ogni giorno caccio demoni e compio guarigioni. 2. Ma un giorno, presto, sarò reso per­ fetto. 3 · Ma ogni giorno occorre che compia la mia opera. 4· Poi un giorno, presto, passo [muo­ io]. Il punto messo in evidenza è un breve periodo indefinito seguito da un altro evento, indefinito ma imminente. 2 Sui giochi di parole latenti nel testo e specialmente in « porto a term i ne » (nÀe:toU(J.tit) si veda J.D.M. Derrett, The Lucan Christ and ]erusalem: ZNW 75 ( 1 984) 3 6-43. La sua idea (pp. 40 s.) che Gesù premesse sul popolo giudaico affinché poco alla volta si santificasse di fronte alla venuta del giorno di Jhwh, si basa tuttavia su un passo problematico (Es. 19,10-1 1; gli altri testi addotti non sono pertinenti). 3 V. sotto, cap. r 1, « Dopo tre giorni». 4 Cf. R.A. Batey, ]esus and the Forgotten City, Grand Rapids 1991, 105-1 r8. 5 Documentazione premarciana può essere trovata in Mc. 2.,1 6a; 7, 5.6.9. 1 5 ; 10,2; 12, 1 3 . 1 S; Q 1 I ,3 7-4 1 ; cf. anche Rom. 2., 1 - I I . I 7-2.9; Fil. 3 ,2.. 6 Tan, Zion Traditions and the Aims of ]esus, 69-74.

Presenza temporanea nella provvidenza di Dio

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Gesù debba arida re ·per la sua strada oppure patire per mano di Erode An­ tipa. Poiché quelli gli chiedono di « andare», Gesù riprende il termine an­ dare e, come fa spesso, vi gioca sopra: «Andate voi. Io andrò quando la mia opera sarà finita. Posso morire, ma non sarà per mano sua; sarà in­ vece a Gerusalemme » . Il paradosso di tutto ciò è che Gesù realmente va e tuttavia muore. Ciò conduce a un punto saliente per quello che qui interessa: si hanno riscontri sufficienti per pensare che Gesù fosse consapevole che non sa­ rebbe arrivato ai settant'anni. La vita di tutti, in certo senso, è tempora­ nea. Ma alcuni sanno che la loro vita è più temporanea ancora, e Gesù era uno di questi. I testi che si sono esaminati sopra fanno inoltre pensare sempre più che Gesù vide nella propria fine un nesso con Giovanni Batti­ sta, la cui morte affrettò la sua riflessione. Il Padrenostro e l'episodio del Getsemani fanno capire che una simile morte non era ciò che egli desiderava, ma il suo impegno era portare a compimento la volontà del Padre. Questi logia ed eventi della vita di Ge­ sù portano a supporre che egli legasse la sua morte prematura alla tribo­ lazione escatologica o, ancor meglio, che egli prevedesse la sua partecipa­ zione a questa tribolazione, che significava una morte prematura. La do­ LUmentazione induce inoltre a pensare che Gesù sia giunto a questa con­ vinzione poco dopo la morte di Giovanni, quando anch'egli sperimenta­ va un genere simile di ostilità da parte di autorità. Che Gesù associasse la sua morte alla prova finale conduce oltre la soglia, dal «che» di una mor­ te al «perché» di questa morte. Nelle tradizioni di Gesù vi sono indizi che implichino che Gesù abbia sottoposto la certezza della morte al vaglio del suo significato? Concluderemo questo capitolo con una riflessione gene­ rale di Gesù che fa pensare come egli vedesse la propria morte prematura come momento del disegno di Dio. LA PROVVIDENZA DI DIO

È chiaro che la morte di Giovanni accelerò la riflessione di Gesù sulla pro­ babilità della propria morte, una morte probabilmente per mano delle stes­ se autorità. Si è indotti a chiedersi se sia possibile che qualcuno come Ge­ sù, che dimostrava d'essere intelligente, riflessivo e teologo, abbia avuto qualche intuizione del significato della propria morte. 1 Mc.

I4,3 6 e Le. I3,3 2-33

Un punto da cui iniziare si trova al termine: si è ragionevolmente certi che Mc. 1 4 , 3 6 riflette un detto autentico del Gesù storico. Questo detto apre un importante squarcio sul senso che Gesù ebbe della propria morte imI Si veda J. Jeremias, ]esus and the Message of the New Testament, ed. K.C. Hanson, rist. Minneapolis 2002, 82.

192.5,

I 5o

La realtà d i u n a morte anzitempo

minente: che questa potesse essere la volontà di Dio. C.E.B. Cran6eld lo ha espresso in termini vividi: «Del tutto consapevole di quale ne fosse il costo, egli abbraccia quindi la volontà di Dio e accosta le sue labbra al ca­ lice » . 1 Circa il Padrenostro i più sono convinti di due cose: r . la petizio­ ne riguardante la volontà di Dio è una glossa marciana (cf. M t. 6, r ob ) , ma 2 . ciò nondimeno essa spiega la petizione del regno e rispecchia la mis­ sione di Gesù. 2 Quando Gesù risponde all'invito di lasciare il luogo del pericolo e diri­ gersi in una regione più sicura fuori della portata di Antipa, le sue parole, anche se difficili da formulare con precisione, contengono ciononostante lo stesso ideale della resa alla volontà di Dio (Le. 1 3 ,3 1 -3 3 ) . Di fatto egli afferma: «Dite a Erode che ho una missione da compiere e Dio mi proteg­ gerà finché la missione non sia compiuta. Il mio ministero profetico avrà termine e, com'è accaduto per il ministero di altri, proprio a Gerusalem­ me, ma non per mano di Antipa » . Con le parole di Kim Huat Tan, « Ge­ sù credette che la sua morte ricadesse nell'ambito della necessità divina » .3 Penso non si possa trovare nulla di più giudaico (cf. Qaddish e Amidah) di una religiosità che nella volontà di Dio trova il punto centrale e supre­ mo su cui l'uomo possa orientarsi. I passi che seguono, tratti da mAbot secondo la versione di Jacob Neusner, illustrano questo aspetto: Rabbi dice: E. «E tieni il tuo occhio fisso su tre cose, così non cadrai nelle strette della tra­ sgressione: F. « Conosci quello che sta sopra di te: G. « 1 . Un occhio che vede, 2. un orecchio che ascolta e 3 . tutte le tue opere che stanno scritte in un libro» ( 2 , 1 ) . Rabban Gamaliele, figlio di r. Judah il Patriarca, dice: A. Egli disse: « Fa' dei suoi desideri i tuoi desideri, così egli farà dei tuoi desi­ deri i suoi desideri » . B . «Metti da parte i tuoi desideri i n considerazione dei suoi desideri, così egli metterà da parte i desideri di altra gente a favore dei tuoi desideri » ( 2,4).

Questo senso individualista ed etico è tuttavia da situare nel più generale contesto escatologico di Gesù: la volontà di Dio è la realizzazione piena e definitiva del suo disegno per l'umanità. Questo piano ultimo comprende le decisioni individuali ed etiche prese dagli esseri umani sulla terra . La posizione di Gesù in questi tre passi (Q 1 1 ,4; Mc. 14,36; Le. 1 3 ,3 2-3 3 ) non è quindi quella delle microdecisioni etiche, ma u n atteggiamento di 1

Cranfìeld, Mark, 4 34· Cf. ad esempio Davies-Ailison, Matthew 1, 605-607; G. Liidemann, Jesus after Two Thousand Years, Amherst, N.Y. 200 1 , 1 4 7 , di non storico nel Padrenostro trova solo questa formula. 3 Tan, Zion Traditions and the Aims of]esus, 75· :z.

Presenza temporanea nella provvidenza di Dio

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vita caratterizzato dal desiderio ardente che nel tempio ritorni la gloria di Dio, che il popolo d'Israele torni a splendere in virtù del Monte Sion e che la torà di Dio governi le cose degli uomini. A questa volontà escatologica, e perciò etica, Gesù ha consegnato tutto se stesso. Se questa disposizione non equivale a camminare nella torà (halakah), trova tuttavia la sua espressio­ ne compiuta nella torà. Spingendoci oltre troviamo che Gesù sa che la vo­ lontà di Dio, già rivelata nella torà, si realizza ora appieno sulla terra e che Dio ha chiarito la parte di Gesù in questa realizzazione. Se questo vorrà dire la morte, che così sia. Gv. IO,IJ - 1 8 La cristologizzazione che s i produce nella scrittura monocromatica del quarto vangelo esprime il piano provvidenziale di Dio cui Gesù si sotto­ mette: 1 4 « lo sono il buon pastore. Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, I 5 così come il Padre conosce me e io conosco il Padre. E io do la mia vita per le pecore. I 6 Ho altre pecore che non sono di quest'ovile. Anch'esse devo condurre e ascolteranno la mia voce. Così ci sarà un solo gregge e un solo pasto­ re. I7 Per questo il Padre mi ama, perché do la mia vita per poi riprenderla di nuo­ vo. I 8 Nessuno me la toglie, ma la offro spontaneamente. Ho il potere di darla e ho il potere di riprenderla. Ho ricevuto questo comando da mio Padre » .

Questo logion giovanneo va a l d i l à della tradizione sinottica almeno per due aspetti: primo, esso trasforma la morte di Gesù da esclusiva volontà di Dio a comune decisione del Padre e del figlio, il quale ha potere sulla propria vita e ora la offre volontariamente ( Gv. ro, r4. 1 7. I 8 ); secondo, la volontà del Padre è diventata un comando esplicito: «Ho ricevuto que­ sto comando da mio Padre » ( I o, I 8 ) . Se si vuole assumere il criterio della coerenza, non c'è molta strada dalla volontà di Dio al comando del Pa­ dre. Né la sottomissione alla volontà di Dio è lontana dal poter decidere della propria sorte (cf. Gv. I 3 , 3 7 [Pietro]; 1 5 , 1 3 [Gesù per i suoi amici]; 1 Gv. 3 , 1 6 [principio etico]; cf. sotto Mc. I0,4 5 ). Se avesse voluto, Gesù in fin dei conti avrebbe potuto tornare rapidamente in Galilea; avrebbe po­ tuto sottrarsi ad Antipa e ai suoi compagni di malefatte. Tutt'e due que­ ste considerazioni meritano d'essere discusse. A dire di C.H. Dodd, Gv. IO, I 5, pur rispecchiando la teologia giovannea, è una riflessione su tradi­ zioni autentiche di Gesù, 1 anche più antiche di M t. I 1,2 7, :z. e il linguaggio di Gv. I o riflette qui una missione profetica. 3 Le considerazioni di Ray­ mond E. Brown riguardo a questo testo hanno reso alquanto verisimile che la tradizione del pastore di Gv. I O poggi su materiale autentico (cf. Le. 1

Dodd, Historical Tradition in the Fourth Gospel, 76-So (tr. it. 103-108). Op. cit., 3 59-36 1 (tr. it. 43 1 -4 3 3 ) . 3 Dodd, The Interpretation ofthe Fourth Gospel, Cambridge I 9 5 3 , 1 5 1 - 1 63 (tr. it. 1 94-209 ).

2

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La realtà di una morte anzitempo

I s ; Mc. I4,27). I Concesse queste argomentazioni, se si volesse affermare che questi versetti sono autentici nel senso ordinario del termine, si do­ vrebbe andare molto cauti. E qui ci si trova di fronte a Giovanni, sia ri­ conoscendo ciò che egli ha compiuto, sia sapendo che dietro di lui ci so­ no prolifici detti di Gesù che poterono dare origine a quel tipo di discorsi che egli attribuisce a Gesù. Nessuno l'ha detto meglio di John Robinson: Quando poi si venga all'insegnamento di Gesù, lo [Giovanni] si vede usare allo stesso scopo una diversa tecnica, anche se la differenza è di grado e non di gene­ re, perché le parole di Gesù non vengono nettamente distinte dalle sue azioni. Gio­ vanni è ancora impegnato a capire che cosa Gesù dice e pensa realmente, e le pa­ role, al pari delle azioni, possono essere interpretate a livelli molto diversi. Gio­ vanni non le espone in modo semplice e diretto per poi commentarle - consen­ tendo così ai detti e alla loro interpretazione di stare fianco a fianco, col materia­ le grezzo presentato nel suo stato ancora non trattato. Questo materiale è al con­ trario elaborato, l'interpretazione vi è interamente assimilata e integrata. 2.

D'altro canto qui non interessa chiedere tanto al nostro passo: non si chie­ de che contenga logia autentici di Gesù nel senso corrente del termine. Si chiede piuttosto quale materiale Giovanni abbia elaborato e che cosa ci fosse dietro di lui, e pare plausibile che dietro questo materiale ci sia il pensiero stesso di Gesù che I . in qualche modo e per qualche ragione Dio voleva la sua morte e 2. che egli si era consegnato a questa volontà. In que­ sti due sensi è possibile vedere in Gv. IO, I 5 - I 8 una considerazione auten­ tica del Gesù storico. 3 CONCLUSIONE

È il momento di fare una pausa per riassumere la questione: primo, è qua­ si certo che Gesù abbia dovuto pensare che poteva morire e che fosse pos­ sibile che sarebbe morto prematuramente, specialmente dopo la morte di Giovanni; secondo, è altrettanto certo che Gesù non desiderava morire; terzo, è molto probabile che un po' dopo la morte di Giovanni Gesù arri­ vasse alla conclusione che sarebbe morto, e lo manifestò parlando di pre­ senza temporanea fra i suoi discepoli; quarto, è molto probabile che Ge­ sù pervenisse all'idea che la sua morte era voluta da Dio come momento della prova finale. Quando si tenta di capire come Gesù abbia concepito la propria morte si può quindi esser certi che egli pensò che sarebbe mor­ to prematuramente e che la sua morte era voluta da Dio come parte del suo disegno escatologico di purificare Israele alla fine dei tempi. I

R.E. Brown, ]ohn I , 398 s. (tr. it. 5 1 9 s.). J.A.T. Robinson, The Priority of]ohn, ed. j.F. Coakley, Oak Park, 111. 1987, 298. 3 Uno studio persuasivo della concezione giovannea della morte di Gesù e dei modi in cui Gio­ vanni ela borò la tradizione della concezione che Gesù aveva della propria morte è quello di J. Ashton, Understanding the Fourth Gospel, Oxford 1 9 9 1 , 485-501 (tr. it. 4 5 8-468). 2.

· Capitolo 6 '

Gesù e la sorte dei profeti

A circa tre mi glia a nord-est di Nazaret, sul fianco sinistro della strada per Tiberiade si trova un villaggio che la tradizione associa a Giona, figlio di Amittai. Il villaggio si chiamava Gat-Hefer ( 2 Re 14,2 5 ; più tardi si chia­ mò Gobebata e fu sotto la guida di Sepphoris; o ggi il suo nome è el-Mesh­ hed). Gerolamo, e con lui anche rabbi Levi ( Gen. r. 98,1 r ), informa che a Gat-Hefer c'era una tomba sacra in memoria di Giona. 1 In quanto gali­ leo che parlava per galilei, 2 Gesù s'identificò con questo profeta, ma non a motivo della profezia fatta da Giona dell'ampliamento di Israele sotto Geroboamo 11 (2 Re 14,23-27). Quello che Gesù riutilizzò per se stesso fu invece il monito che Giona incarnava (nella balena ? 3 nella sua predi­ cazione? col suo atteggiamento di galileo contrario a Gerusalemme? ) : 4 co­ me Giona fu un segno per i niniviti così Gesù doveva esserlo per « questa generazione )) (Q r 1 , 29-30; cf. Vit. Proph. 10).5 Un complesso scioccante di accostamenti, certo: assimilare « questa generazione » ai niniviti è estre­ mamente eversivo. Il complesso di immagini è forse radicato soprattutto nel modo comu­ ne in Galilea di considerare Giona più che nelle scritture ebraiche. Nella sua stentata apertura ai gentili Giona è raffigurato fedele a Israele, men­ tre la tradizione giudaica lo mette contro Gerusalemme ( Tob. 1 4 ,4; Giu­ seppe, Ant. 9,208-214; Vit. Proph. ro, r r ; bSanh. 89b).6 Anche Gesù pun1 Maggiori particolari in J. Jeremias, Heiligengriiber in ]esu Umwelt (Mt. 23,29; Lk. I 1,47). Eine Untersuchung zur Volksreligion der Zeit Jesu, Gottingen I 9 5 8 , 24-28; J.L. Reed, Archaeo­ logy and the Galilean jesu, Harrisburg 2000, 204-21 1 . z. Gv. 7, 5 2 probabilmente si riferisce ccah• profeta messianico, poiché certamente gli avversari sapevano di Giona (e forse di Na um). 3 Così G.R. Beasley-Murray, jesus and the Kingdom of God, Grand Rapids 1986, 256 s. Forse la richiesta di un segno si collega a Deut. 1 J,I-2 (cf. Sifre Deut. 9 2a [a Deut. 1 3,2]. Sulla 4storia della tradizione si veda Reed, Archaeology and the Galilean jesu, 200-203; per questioni d'interpretazione cf. Beasley-Murray, jesus and the Kingdom of God, 2 5 2-257. 5 Matteo chiarisce che il ccsegno•• consiste nella correlazione dei tre giorni di sepoltura: Giona nel pesce, Gesù nel sepolcro (Mt. I 2,40). Per l'espressione ((come . . . cosh si veda D. Schmidt, The LXX Gattung in quanto questi ultimi agiscono sulla base di rivelazioni. 2 Wise, First Messiah, 2.64. \ Nel prosieguo si indicano, dei testi di Qumran, i numeri di colonna e linee secondo tradizione, seguiti tra parentesi quadre dal rinvio corrispondente nella nuova edizione di Wise e al. La tra­ duzione segue quella di Wise.

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I n riscatto per molti

Ma a Giuda non si applicano solo le parole di Malachia e del salmista; gli si applicano anche quelle di Zaccaria. Giuda afferma di essere stato chiamato da Dio «ad aprire la fontana della conoscenza per tutti gli ini­ ziati» (da r QH ro,6-22 [ro,r 8 ] ) . Ora Zacc. 1 3 , 1 dice: «In quel giorno una fontana si aprirà per la casa di Davide e gli abitanti di Gerusalemme� per lavarli dal peccato e dall'impurità» . Che soltanto qui in tutta la Bib­ bia ebraica, fontana e aprire compaiano insieme chiude la questione: «Zac­ caria ha parlato di lui » . 1 Chiamato da Dio a manifestare la verità, Giuda è rifiutato dai potenti capeggiati (a dire di Michael Wise) da Simeone ben Shetah 1. ed è in pericolo di vita. Anche se questi interpreti riscrivono il sal­ mo da una prospettiva seriore, si può essere certi che Giuda sapeva che la sua vita era matura per la tomba. Come spiegava la propria morte? Si dispone della riprova irrefutabile che Giuda Messia pensò se stesso, la propria missione e la propria morte sulla base dei canti del servo di lsaia .3 Quando Giuda chiama i suoi se­ guaci «alberi di vita » , «pozze d'acqua» in « terra arida » , «cipressi» , «l'ol­ mo e insieme il pino » , si riferisce a Js. 4 r , r 8- r 9 : «Aprirò fiumi sulle nude alture e fontane nel mezzo delle valli; farò del deserto un lago d'acqua e della terra arida sorgenti d'acqua. Porrò nel deserto il cedro, l'acacia, il mirto e l'ulivo; metterò nel deserto il cipresso, il platano e insieme il pino (da r QH 9 [ 1 6,4-1 oa] ). Nel primo verso dell'inno 9 di Wise si trova Giuda che afferma di esse­ re una sorgente di corsi d'acqua in una terra arida, allusione a Js. 5 3 ,2. In un'allusione a 5 3 , 3 -4 si legge: « [Quanto a me] la mia dimora è con la malattia e [il mio] cuore è pre[so] da afflizioni. Sono come l'uomo abban­ donato nell'angoscia » (da r QH 9 [ r 6,26-27] ). Quest'uomo abbandonato e colpito, Giuda Messia, crede che Dio lo reintegrerà ( 1 QH 8 [ 1 5,22-2 5 ] ) . I suoi seguaci videro nella sua morte il compimento del celebre passo di Zaccaria sul pastore colpito (Zacc. 1 3 ,7; CD I9,5-10). Particolari del Maestro di giustizia faranno discutere per generazioni. Ma questo resta fermo: l'autore degli Inni di ringraziamento fu un indivi­ duo originale che vide la propria vita con gli occhi delle Scritture; nel sen­ so che fu un profeta della Scrittura che nelle immagini indistinte delle vec­ chie profezie intravide tracce e profezie della sua chiamata, della sua emar­ ginazione, della sua sofferenza e della sua reintegrazione.

Wise, First Messiah, 6o. 2. Op. cit., 68-73. Si veda il prospetto in Wise, First Messiah, 290, dove si citano i paralleli di 1QH 1 5 ,8-27 e 16, 4-17,36 a ls. 4 1 , 1 1 . ! 2; 42,1 .6; 49,1.8; 50,4; 5 3,2·3·4· Questi testi, a detta di Wise, fanno anche pensare che i canti del servo fossero uniti. Se ne veda la sua traduzione (i suoi inni 8 e 9) alle pp. 1 9 2- ! 9 6. 1

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'TASSO E I SUOI PlGLI :

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Una speranza differente, ma grossomodo parallela, di provocare la vitto­ ria di Dio si può trovare nel Testamento di Mosè, pseudepigrafo di età maccabaica modificato nei primi decenni del 1 sec. d.C. (cf. 6,1 -9 ). Qui ­ nelle parole profetiche testamentarie di Mosè, il mediatore del patto ( 1 , 1 4 ) - il personaggio Tasso, storico o letterario che sia, sostiene che la li­ berazione d'Israele ad opera di Dio avverrà se si sopporterà la punizione piuttosto che infliggendo violenza. Riprendendo palesemente la storia di z Macc. 7, Tasso, padre di sette figli, si fa avanti a parlare ai suoi figli. Il suo dovere è l'obbedienza alla torà e al patto, così come la fedeltà alla tri­ bù di Levi (9,4- 5 ). La sua strategia è di riattivare o più esattamente di at­ tuare le direttive di Deut. 3 2 e ls. 3 2, 5 5 - 5 6, dove nascondersi in grotte ha a che fare con la vendetta di Dio. Le sue parole: «Digiuneremo per un pe­ riodo di tre giorni e il quarto giorno ci recheremo in una grotta che sta in aperta campagna. Qui moriremo piuttosto che trasgredire i comanda­ menti del Signore dei signori, il Dio dei nostri padri» (9,6). È chiaro che qui Tasso replica alla strategia di Mattatia di infrangere il sabato per dimo­ strare il proprio zelo per la torà. Tasso continua: « Perché se facciamo que­ sto e moriamo, il nostro sangue sarà vendicato al cospetto del Signore» (9,7). L'ultimo verso riprende chiaramente Deut. 3 2,43 e mostra come Tasso pensi che la loro morte susciterà la vendetta di Dio. Di più, Tasso pensa che la vendetta introdurrà nel regno di Dio ( I o, I - I o ) . Si possono osservare le seguenti connessioni tematiche con Gesù: 1 . « Allora apparirà il regno» [ I o, I]; 2. « allora il male avrà fine » [ I o, I ] ; 3 · « E la terra treme­ rà . . . e le montagne elevate saranno abbassate» [ 1 0,4] ; 4· «Il sole non da­ rà luce » [ I o, s ] . Messo di fronte alla minaccia di morte, invece che zelo vio­ lento Tasso propose l'obbedienza pacifica e non violenta alla torà, con­ dotta che aveva per presupposto che così ci si sarebbe procurato il favore del Dio vendicatore. TEUDA

Un esempio meno nobile di riattuazione della storia giudaica e della bio­ grafia di altri si può vedere in Teuda, il quale si reputava profeta. Uscen­ dosene in commenti alla maniera di un musone seduto in un giardino pubblico, Giuseppe pensava che Teuda fosse come i maghi della corte del faraone (Ant. 2,286.302. 3 3 2· 3 3 6), ossia un impostore (gr. goes; Ant. 20, 97-99; v. anche 20, 1 67. 1 8 8 ; cf. Eusebio, Hist. ecci. 2, I I , 1 - 3 ) . Questo imi­ tatore di Giosuè 1 esortò i suoi quattrocento seguaci 2 a fare i bagagli met1

Resta la possibilità di due altri personaggi: Mosè (Es. 1 2.- 1 3 ) ed Elia con Eliseo (2 Re 2.,8 . 1 3 !4). Dal momento che il fiume è il Giordano e che non furono liberati prima di averne attraver­ sato le acque, la tipologia di Mosè è improbabile. Che si parli di possedimenti fa pensare a Gio1 97

19 8

In riscatto per molti

tendovi dentro quanto avevano (cf. Gios. 3 -4) e a seguirlo presso il Gior­ dano, dove avrebbero visto la mano di Dio aprire le acque del fiume, co­ me al passaggio del Giordano di un tempo. È da presumere che Teuda in­ tendesse che i suoi attraversassero il fiume (verso oriente) per poi tornare indietro (verso occidente), per ripetere la conquista del paese. L'impresa di Teuda fu l'atto disperato di un capo carismatico in tempo di crisi. Cuspio Fado, che nel 44 d.C. Claudio Cesare aveva nominato pro­ curatore della Giudea al posto di Agrippa n e che non aveva sensibilità per la legge giudaica (cf. Giuseppe, Ant. 20,6), si rese conto delle implica­ zioni politiche delle azioni di Teuda e inviò quindi una squadra a cattura­ re e uccidere i suoi malconsigliati seguaci. Teuda stesso subì l'ignominia della decapitazione e di un'esposizione in pubblico a Gerusalemme. Teu­ da si riteneva evidentemente un secondo Giosuè che persuadendo il po­ polo con un miracolo presso il Giordano sarebbe stato in grado di libera­ re Israele dalla sottomissione ai romani e di ripetere la conquista della ter­ ra d'Israele. Non è noto come i seguaci spiegassero la sua morte violenta, ma si ha una buona idea di ciò che pensò di se stesso e di quale fosse la fon­ te della sua identità: il Tanak. GESÙ BEN ANANIA

In anni immediatamente precedenti alla distruzione di Gerusalemme, nel corso della festa dei tabernacoli tale Gesù figlio di Anania annunciò sven­ ture su Gerusalemme e sul tempio ( autunno del 62 d.C. ). Altri contem­ poranei vedevano nell'epoca un periodo di pace. 1 Tale Gesù, che Giusep­ pe definisce «contadino pazzo » (lòtw'twv èipotxoc;) stava nel tempio e diceva: «Una voce da oriente, una voce da occidente, una voce dai quattro venti; una voce contro Gerusalemme e il tempio, una voce contro sposi e spose, una voce contro il popolo intero ! » ( Beli. 6,3 0 1 ). Queste parole sono evi­ dentemente una ripresa di Geremia (7,34; 1 6,9; 2 5 , 10; J J , I I ) , ed è pro­ babile che Gesù ben Anania vedesse la propria chiamata sul modello di Geremia: egli deve annunciare alla nazione sventura e desolazione. Al pa­ ri di Geremia venne percosso (Giuseppe, Beli. 6,302), e ancora come Ge­ remia una simile persecuzione non lo dissuase dal persistere nella sua pre­ dicazione di distruzione. Le ultime parole di Giuseppe sono queste: «Per suè piuttosto che ai profeti. Che qui si propenda per Giosuè non cambia la struttura del pensie­ ro tipologico di Teuda. Al riguardo cf. J.A. Trumbower, The Role of Malachi in the Career of fohn the Baptist, in C.A. Evans - W.R. Stegner (edd.), The Gospels and the Scriptures of lsrael USNTSup 104 / SSEJC 3 ) , Sheffield 1994, 28-4 1 : 29-3 2. 2 Da Atti 5,36, che probabilmente si riferiscono a Teuda. Giuseppe dice che questi persuase la « parte preponderante delle masse>>, tipica esagerazione di Giuseppe (Ant. 20,97). 1 '! � !J.cXÀta"tcL 'tijc; 7toì,e:wc; e:tpl)vtuo!J.Évr,c; x11t e:ù-&r,voual)c; ( «quando la città era al culmine della pa­ ce e della prosperità » ) sono le parole di Giuseppe (Be/l. 6,JOO).

Gesù e i profeti della Scrittura

1 99

sette anni e cinque mesi lo andò ripetendo senza che la sua voce si affie­ volisse e senza provar stanchezza, e smise solo all'inizio dell'assedio, quan­ do ormai vedeva avverarsi il suo triste presagio. Infatti un giorno che an­ dava in giro sulle mura gridando a piena gola, 'Ancora una volta, povera la città, e povero il popolo, e povero il tempio' !, come alla fine aggiunse: 'E poveretto anche me', una pietra scagliata da un lanciamissili lo colpì uc­ cidendolo all'istante, ed egli spirò ripetendo ancora quelle parole » (Beli. 6, 308-309 [tr. G. Vitucci] ) Tra il n sec. a.C. e la fine del I d.C. s'incontrano diversi personaggi che ripeterono la vita di figure celebri o che trovarono nell'esempio di figure delle pagine bibliche un modello da potere seguire in modo da dare una direzione alla loro vocazione e missione. La vita di queste celebri figure (Finees, Giosuè, la figura del servo di Isaia, Geremia) funge da copione a cui gli emuli seriori potranno attenersi con coraggio, sapendo che Dio at­ tuerà di nuovo per loro questa storia e questa reintegrazione. Queste fi­ gure forniscono un contesto plausibile per comprendere le parole di Gesù che si leggono ora in Mc. 10,4 5 , ma prima di tornare di nuovo a Gesù è necessario esaminare un altro profeta, tanto vicino a Gesù nel tempo e nei rapporti che il suo esempio fa dell'immedesimazione di Gesù con perso­ naggi d'Israele pressoché una certezza. GIOVANNI BATIISTA

Si può sostenere che Giovanni si sia pensato come Elia, in particolare co­ me l'Elia escatologico profetizzato da Malachia ( 3 , 1 - 3 . 1 9-24). Ma questa non è l'unica categoria, né necessariamente quella fondamentale, per com­ prendere Giovanni. Elia, piuttosto, è una delle categorie che Giovanni ap­ plicò alla propria missione per Israele. 1 Si dovrebbe osservare che proba­ bilmente il redattore finale di Malachia individuò in Elia il messaggero che avrebbe preparato la via per il ritorno di Jhwh nel tempio (cf. Mal. 3, 1-5 e 4,5-6). Con ciò si attivava la speranza in un Elia redivivus (cf. Mc. 9, I I - I 3 ) .2 Giovanni può aver pensato di essere quell'Elia.3 Parte della docu­ mentazione, benché non sempre parimenti solida, corrobora una conclu­ sione di questo tipo.4 1 Cf. j.D.G. Dunn, ]ohn the Baptist's Use of Scripture, in Evans-Stegner (edd.), The Gospels and the Scriptures of Israel, 42-54, che limitando il suo studio a Q 3 ,7-9, mette maggiormente a fuoco il contesto isaiano. 2. Cf. J. E Taylor, The lmmerser, 2 8 1 -294. 3 Non è necessario sostenere che in Giovanni fosse dominante la fede nel ritorno di Elia per concepire la propria missione come quella di Elia. Al riguardo cf. M.M. Faierstein, Why Do the Scribes Say That Elijah Must Come First?: JBL 1 00 ( 1 9 8 r ) 7 5-86; D.C. Allison, Elijah Must Come First: JBL r o 3 ( 1 9 84) 2 5 6-258; j.A. Fitzmyer, More about Elijah Coming First: JBL 104 ( 1 985) 2.92-294· 4 Su tutto ciò d. R.L. Webb, ]ohn the Baptizer and Prophet (JSNTSup 62), Sheffield 1991, 1so254; Trumbower, Role of Malachi in the Career of ]ohn the Baptist, 3 3 -40. .

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In riscatto per molti

È assodato che il cristianesimo delle origini intese Giovanni come Elia, e Gesù come il Cristo, e i primi cristiani pensavano anche che il messia fos­ se «colui che viene » di cui si parla in Malachia (cf. Mc. 9,I I - I 3 ) . Giovan­ ni si concepiva come Elia ? Una prima gamba robusta su cui far poggiare questo modo di vedere si può trovare nel seguente complesso di testi su Giovanni: Q 3 ,7-9; Mc. 1 ,4-5.7-8; Q 3 , 1 6b- I 7; 7, I 8- I 9.22-23 . 1 Le espres­ sioni che seguono, con i loro paralleli in Malachia, rendono certo il nesso di Giovanni ed Elia: I . l'espressione «colui che viene » rivela un modo di vedere precristiano [cf. Q 7 , I 9 con Mal. 3 , I -2]; 2. l'immagine del fuoco pu­ rificatore [cf. Q 3 , 1 6b con Mal. 3 ,2b- 3 . I 9-2oa]; 3 · l'immagine dell'albero [Q 3 ,9 con Mal. 3 , I9]; 4· la funzione di Elia di predicatore del pentimen­ to prima del giorno di Jhwh [Q 3 ,7-9; cf. Mt. 2 I ,28-3 2; Le. 3 , I 0-14; Mc. 1,4-5 con Mal. 3,23 -24; Giuseppe, Ant. I 8, I I 6- I I 9].2. Una seconda gamba può essere trovata nel modus operandi di Giovan­ ni: il suo aspetto pare quello di Elia (Mc. 1 ,6; Q 7,24-28; 2 Re 1 ,8; I Re 19,I 3 . I 9 ; 2 Re 2,8 . I 3-I4; Tg. Ps.-]. su 2 Re 2,8; cf. anche Zacc. 1 3 ,4 ).3 Una terza gamba è il luogo del ministero di Giovanni, lo stesso dell'Elia antico: entrambi operarono sulla riva orientale del Giordano ( Gv. 1,28; I o,4o; 2 Re 2,8), e questo nesso stabilito nel vangelo di Giovanni contra­ sta con la precedente affermazione di Gv. I ,2 I . Un tavolo può reggersi su tre piedi, ma un quarto lo rende ancor più stabile: la violenta critica di Giovanni al matrimonio di Erode Antipa con Erodiade deve probabilmen­ te la sua foga a Mal. 2, I 3 -I 6, anche se le sue parole riecheggiano pure Lev. 1 8 , 1 6; 2o,2I . Nella Bibbia ebraica, e in un libro che stabilisce il nesso con Elia, le parole pungenti di Malachia sono una singolare critica del divor­ zio. Queste quattro gambe reggono il tavolo su cui Giovanni gettò la sua vita: il tavolo di Elia; non manca quindi chi conviene che Giovanni vide se stesso nella veste di Elia e strutturò la sua vita a sua immagine.4 La questione non è d'altro canto così chiara come le considerazioni fin qui svolte potrebbero far credere. Un esame più approfondito fa pensare che la chiarezza di Mc. 9,I I - I 3 venga dal senno di poi.5 In primo luogo, il nesso più importante di Giovanni con Elia sta nell'espressione colui che viene, che sta dietro le parole sia di Mc. I , I I sia di Q 7,I9. Sono parole. 1

Cf. J.M. Robinson e al., Criticai Edition of Q, 8-1 7. 1 1 8- 1 27. Non posso convenire con Trumbower riguardo al nesso di Mal. 3 ,2.4 con Sir. 48,10 e Sib. 4,165 per mostrare come il battesimo fosse il mezzo con cui, secondo Giovanni, sarebbe stata allonta­ nata l'ira di Dio. Il battesimo di Giovanni è un'innovazione. Cf. S. McKnight, A Light Among the Genti/es, Minneapolis 1 9 9 1 , 8 2-8 5 . 3 M. Hengel, The Carismatic Leader and His Followers, Edinburgh 1 9 8 1 , 3 6 n. 7 1 . 4 La critica sacerdotale a Mal. 3 , 3 può avere a che fare con l a posizione antisacerdotale d i Gio­ vanni. Cf. C.H. Krael ing John the Baptist, New York 1 9 5 1 , r-32.. 5 Si veda specialmente J.A.T. Robinson, Elijah, fohn and jesus. An Essay in Detection, in Twelve New Testament Studies, London 1 962, 28-52.. 2.

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queste, che Giovanni dice di Gesù, non di sé. Ora se, come sembra, colui che viene di Mal. 3 , 1 .23 -24 è Elia, allora Giovanni pensava che a essere Elia fosse Gesù, non egli stesso. In secondo luogo, le parole di Giovanni sono che colui che viene dopo di lui battezzerà con «Spirito santo e fuo­ co» (Q 3 , I 6). Malachia dice invece che le parole dell'inviato (leggi: Elia) saranno come fuoco, un fuoco che purificherà i vizi del sistema del tem­ pio - e anche qui è chiaro che Giovanni pensava che Gesù fosse questo in­ viato, e questo inviato era Elia (Mal. 3 ,2b-4; cf. I Re I 8,20-40; 2 Re 2,9I I ). Sir. 48,I-3, poi, definisce Elia uomo di fuoco. Inoltre Giovanni vede in colui che viene, cioè in Gesù, colui che brucia gli alberi abbattuti (Q 3,9) e libera la soglia dall'ingombro ( Q 3 , I 7), e questo si ricollega ancora una volta con l'Elia di Mal. 3 ,2b-4 ; 3 , 1 9 . Terzo, stando a Gv. I , I 9-28, Giovanni nega di essere Elia. Quarto, c'è un'interessante variante di Le. 9,54: quando i discepoli chiedono se Gesù vuole far venir giù il fuoco dal cielo, alcuni buoni manoscritti aggiungo­ no: «come fece anche Elia » (ACDW fi·13 Maj ). Se il testo è corretto, ed è da dire che la sua testimonianza è attendibile, questi discepoli devono aver pensato a Gesù come Elia. Quinto, ricordiamo che quando Gesù agisce nel tempio (cf. Mc. 1 1, 1 5 - I 7 parr.; Gv. 2,14- I 6) lo si interroga immediata­ mente sulla sua autorità ed egli si appella a Giovanni Battista - forse per­ ché fu Giovanni a stabilire pubblicamente il nesso fra «colui che viene» e la purificazione del tempio (Mc. 1 1 ,27- 3 3 parr. ) . 1 Quando infine dalla pri­ gione Giovanni interroga Gesù circa la sua identità, anche in questo caso si richiama a Mal. 3 . Egli vuoi sapere chi sia Gesù e gli chiede se è «colui che viene» . Gesù risponde di no e prende lo spunto da testi diversi da Ma­ lachia. Giovanni è forse sorpreso che Gesù non sia più il personaggio Elia e sia invece l'agente della realizzazione del regno di Is. 29,8-9; 3 5,5-6 e 6 r , 1 . Anche a Gesù, evidentemente, occorse u n certo tempo per spiegare chi fosse Giovanni (cf. Q I r ,7-19 ). Può essere stato questo il periodo in cui Giovanni per la prima volta stabilì il nesso fra il messaggero di Mal. 3 e se stesso; ma per lui era troppo tardi per farne qualcosa. Tutto ciò che pote­ va fare era quello che ormai aveva fatto. Ben presto un soldato gli avreb­ be staccato il capo dal collo e, indottivi da Gesù, i cristiani gli avrebbero attribuito quanto la Scrittura diceva di Elia. Queste due argomentazioni costituiscono un punto morto con, forse, un'interessante conclusione. Giovanni può essersi visto come Elia e può aver visto Gesù come Elia; è anche probabile che in Giovanni Gesù abbia 1 Andrebbe qui osservato che a parere di J.A.T. Robinson nella vita di Gesù l'azione nel tempio ha avuto luogo prima, subito dopo il battesimo, e che quindi Giovanni la riferisce immediata­ mente, anziché là dove la collocano i sinottici. Se, com'essi dicono, prima dell'ultima settimana di Gesù già da un po' di tempo Giovanni era stato messo fuori gioco, richiamarsi al battesimo di Giovanni sarebbe stato un argomento debole. Cf. il suo Elijah, fohn and ]esus, 40.

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In riscatto per molti

visto Elia. La conclusione è questa: e.ntrambi erano alla ricerca di un co­ pione che spiegasse il loro ruolo nel dilemma della nazione e cercarono la risposta nelle pagine del Tanak. Giovanni e Gesù si chiesero: «chi sono io ? » e «chi siamo noi ? » . Le risposte che diedero non sembrano chiare. Che resti incerto chi Elia sia conferma il sospetto che essi fossero impegnati nella riattivazione della vita di figure cardinali della storia di Israele. Di questo discutevano. Evidentemente la tecnica di darsi un'identità situan­ do la propria vita nella storia d'Israele era parte della loro missione. CONCLUSIONE

L'argomentazione qui svolta non dipende dall'accettazione di ogni parti­ colare. Si è invece illustrata l'impressione generale che i capi giudei inte­ sero la loro missione come riattivazione di antiche figure d'Israele. Il gra­ do di corrispondenza tra vita e copione può variare da caso a caso, ma l'ef­ fetto è certo: ai tempi di Gesù e in quelli vicini, vi furono capi che trova­ rono un copione alla propria vita in figure antiche, bibliche e storiche. Di­ rigendo la loro vita in questo modo, essi si servivano di un'interpretazio­ ne tipologica del Tanak. Pare che Gesù poté essere inteso al tempo stesso come l'uomo del fuoco di Malachia e come l'Elia escatologico; ma pare anche che Gesù abbia cambiato (o che Giovanni abbia cambiato) questa sua identità, risalendo più indietro nella sua Bibbia alle profezie di Isaia. È il momento di passare a una domanda cruciale che comporta implica­ zioni potenziali per l'interpretazione di Mc. 1 0,4 5. Anche Gesù si richia­ mò a qualcuno dei vari canovacci del Tanak o della storia ebraica per ca­ pire se stesso e la sua missione ? in particolare, si chiederà, in queste pro­ fezie Gesù intese se stesso come il servo? Se non mancano riprove che Gesù pensò se stesso come il servo di Isaia, nella questione dell'inizio del­ la storia dell'interpretazione della morte di Gesù come espiazione siamo in grado di piantare un cuneo - e questo cuneo si conficcherebbe in mo­ do da far iniziare questa storia con Gesù. Ma se al contrario non si han­ no riscontri che Gesù si sia pensato nei termini del servo di Isaia, si dovrà sostenere che nel logion l'aspetto del riscatto è probabilmente inautentico o proviene da qualche altra tradizione giudaica. Anche a questo riguardo Gesù trovò nel Tanak un copione alla propria vita? il servo di Isaia fu uno dei passi tipicamente giudaici che Gesù scelse per la propria vita e la pro­ pria missione? Nel capitolo seguente verrà illustrata la documentazione relativa ai vari canovacci a cui Gesù si rifece, per passare poi nel capitolo successivo alla questione di Gesù e del servo di Isaia.

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Capitolo 9

Un copione per Gesù

Si entra ora in un «campo minato» . Sepolta sotto la superficie di ciò a cui la nostra mente è interessata c'è tutta una serie di questioni: le intenzioni di Gesù, la sua visione di un Israele ristabilito e l'uso che egli fece dell'An­ tico Testamento come fonte in cui trovare un copione alla sua vita. Che Gesù perlustrasse il Tanak per comprendere la propria missione è un luogo comune; 1 che così facendo sia arrivato direttamente, o anche che più tardi si sia visto indotto, ai passi del servo di Isaia non va esente da dubbi. Non si dovrebbe dimenticare che fu C.H. Dodd a far entrare a viva forza negli studi sul Nuovo Testamento l'idea che questo non è un libro di testimo­ nianze slegate ma un complesso di testi al quale i primi cristiani anzitutto si richiamavano quando cercavano di comprendere Gesù o di chiarire la loro identità e gettare così le basi della loro teologia. 2 Dietro questa idea Dodd vedeva una serie di passi fondamentali: Gen. 1 2, 3 ; 22,1 8; Deut. r 8, 1 5 . 1 9 ; Sal. 2; 8; 22; 3 1 ; 34; 3 8; 41; 42-4 3 ; 69; 8o; 88; 1 1 0; r r 8; ls. 6,1-9, 7; 1 1 , 1 - 10; 2 8, 1 6; 40,1-1 1 ; 4 2, 1 -44, 5 ; 49,1 - 1 3 ; 5 0,4- 1 1 ; 4 2, 1 3 - 5 3 ,I 2; 6 1 ; Ger. 3 r , r o-34; Dan . 7; Osea; Gl. 2-3 ; Zacc. 9-14. 3 L a conseguenza più importante ai fini che qui interessano è che Dodd vedeva questi testi dietro tutto il pensiero cristiano: r Sull'uso che Gesù fece della Scrittura la bibliografia è immensa e sempre più complessa. Quan� to segue è rappresentativo dello spettro: L. Goppelt, Typos, 1939, rist. Grand Rapids 1 9 8 2; C.H. Dodd, According to the Scriptures, London 1 9 5 2; J.A.T. Robinson, Did ]esus Have a Distinct­ ive Use of the Scripture?, in Twelve More New Testament Studies, London 1 9 84, 3 5-43; R. T. France, ]esus and the Old Testament, London 1 9 7 1 ; R. Longenecker, Biblica/ Exegesis in the Apostolic Period, Grand Rapids 1975, 5 1 -78; C.F.D. Moule, Origin of Christology, 1 27-134; D.J. Moo, The 0/d Testament in the Gospel Passion Narratives, Sheffield 1983; B.D. Chilton, A Galilean Rabbi and His Bible (GNS 8), Wilmington 1 9 84; E.E. Ellis, The O/d Testament in Early Christianity, Grand Rapids 1992, 1 2 5-1 3 8 (sulla ricerca cf. pp. 5 3-74); B.D. Chilton C.A. Evans, ]esus and Israel's Scriptures, in B.D. Chilton - C.A. Evans (edd.), Studying the His­ torical ]esus, Leiden 1 994, 2 8 1 -3 3 5; D.C. Allison, Jr., Intertextual ]esus. Uno studio indipenden­ te ma ancora utile è E. Schweizer, Lordship and Discipleship (SBT 28), Naperville, Ill. 1 9 60, 42-5 5· Circa il grado di istruzione di Gesù o nel giudaismo non presuppongo nulla; sull'argomento cf. W.V. Harris, Ancient Literacy, Cambridge 1 9 89; A. Millard, Reading and Writing in the Time of ]esus (The Biblical Seminar 69 ), Sheffield 2000. 2 Dodd, According to the Scriptures. 3 Oltre a queste, Dodd vide altre fonti secondarie e supplementari; cf. Dodd, According to the Scriptures, 107 s. (prospetto [tr. it. 1 1 2]).

2.04

In riscatto per molti

Questo [complesso di passi e le conclusioni che ne ho tratto] è un brano di autenti­ co pensiero creativo. Chi ne fu l'autore? La chiesa primitiva - siamo abituati a di­ re - e forse di certo non possiamo dire di più. Ma raramente il pensiero creativo è opera di commissioni, per quanto utili esse possano essere per sistemare le idee nuove di pensatori individuali e per stimolarli a procedere ulteriormente nel loro pensiero. 1 Sono le intelligenze individuali che producono il nuovo. Di chi fu qui l'intelligenza creativa ? Tra i pensatori cristiani della prima epoca a noi noti sono tre quelli dotati di au­ tentico potere creativo: Paolo, l'autore della lettera agli Ebrei e il quarto evange­ lista . . . Che geni dimenticati possano rimanere nascosti nell'ombra di quei primi vent'anni di storia della chiesa su cui abbiamo informazioni così scarse, ci è impos­ sibile dire. Ma lo stesso Nuovo Testamento dichiara che fu Gesù Cristo stesso a di­ rigere per primo l'attenzione dei suoi discepoli verso certe parti delle Scritture, co­ me quelle in cui avrebbero potuto trovare lumi sul significato della sua missione e del suo destino . . . Per render conto dell'inizio di questo che è il processo più ori­ ginale e fecondo di ripensamento dell'Antico Testamento, troviamo necessario po­ stulare una mente creativa. I vangeli ce ne offrono una. Siamo proprio obbligati a rifiutare l'offerta ? 2

Queste parole di C.H. Dodd, fra le più indimenticabili negli studi biblici, fanno da guida agli importanti studi di B.D. Chilton, R.T. France, D.J. Moo, D. Juel, R. Hays, N. T. Wright/ C.A. Evans, W.H. Bellinger - W.R. Farmer e D.C. Allison (per rimanere nell'ambito di quanto si è scritto in inglese ), ed è necessario tenerle presenti. Di fatto Gesù non si richiama mai a qualcuno dei rotoli rinvenuti nei pressi di Qumran, ma assai spesso si rifà al Tanak. E in verità si è soste­ nuto che l 'identità di Gesù, la sua missione e la sua prospettiva su Israele sono il risultato della sua riflessione sulle Scritture vere e proprie. Come si è visto, nel giudaismo un simile interesse non è insolito, come chiara­ mente mostrano la storia di un testo come Sal. 22 e l'ambiguità dell' «io)) di questo testo. 4 Innumerevoli sono i motivi per discutere di quali detti di Gesù che al­ ludono al Tanak siano autentici, quali testi fossero i suoi preferiti, quale tradizione testuale esprima il suo programma e come le sue interpreta­ zioni vadano confrontate con altre interpretazioni giudaiche antagoniste; ma non c'è più una base su cui poggiare se si vuoi proclamare che Gesù inaugurò un corso di insegnamenti indipendente. La sua direzione fu in­ dicata dal Tanak e Gesù fu un profeta della Scrittura. Al pari delle figure 1

Al riguardo l'esperienza di Dodd e la mia differiscono. D odd, According to the Scriptures, I 09 s. ( tr. it. 1 r 3 - I I 5 ) 3 Di fatto l'intero libro di Wright su Gesù può essere visto come esplicitazione dei passi che Dodd attribuisce a Gesù! Si veda N.T. Wright, Christian Origins and the Question o( God, n. ]esus and the Victory of God, Minneapolis 1 996. 4 Cf. E.M. Menn, No Ordinary Lament. Relecture and the ldentity of the Distressed in Psalm 22: HTR 2 2 ( 2ooo) 301-34 1 . 2.

.

Un copione per Gesù

2.0 5

illustrate nel capitolo precedente, ·anche Gesù trovò nel Tanak afferma­ zioni, figure, libri e prospettive che gli sembrava si applicassero diretta­ mente a lui stesso, a chi gli era vicino e al suo mondo. 1 Prima di procedere per questa strada è tuttavia necessaria una parola riguardo al metodo. È un errore iniziare, come hanno fatto molti, col Ta­ nak e col giudaismo, delineare una figura (il messia, ad esempio) e chieder­ si poi se Gesù corrisponda o meno a questa o quella figura. Il problema è che in tal modo si attribuisce al termine o alla categoria una finalità. La do­ rnanda più propriamente storica è questa: che cos'era Gesù? e quindi: qua­ le corrispondenza c'è con le diverse figure ? e ancora: Gesù stabilì un nesso come questo? Se si pone la prima domanda si presuppone una categoria prestabilita - il messia è così - e ci si deve addentrare in una storia di pole­ miche sul fatto che Gesù sia o meno il messia del Tanak. Il secondo tipo di domanda dà la precedenza a ciò che si sa di Gesù; il primo al termine messia. 2 Il secondo tipo, contrariamente al primo, consente una maggior flessibilità da parte di Gesù a fissare la sua definizione di una data catego­ ria. Ma Gesù si rifaceva a canovacci del Tanak. Q 9 , 5 8:

FIGLIO DELL'UOMO

Un buon punto da cui iniziare sono i passi attribuiti pressoché da chiun­ que a Gesù, allo scopo di vedere come questi passi usino le Scritture per delucidare il senso della sua missione. Questa breve rassegna mette in ri­ lievo l'importanza di diverse figure e affermazioni del Tanak per il modo in cui Gesù comprese se stesso e il suo invio a Israele. Sui dettagli non si edificherà una grande teoria. Su un punto o sull'altro gli studiosi potranno cavillare; tutti dovrebbero consentire con la tesi generale. 1 Un buon esempio di questo lavoro d'indagine, che può agevolmente estendersi a una quantità di documenti e di casi, è la connessione di Gesù con Zaccaria e con le immagini di questo pro­ feta. Sull'argomento cf. S. Kim, ]esus - The Son of God, the Stone, The Son of Man, and the Servant, in G.F. Hawthorne - O. Betz (edd.), Tradition and Interpretation in the New Testament, Grand Rapids 1987, 1 3 4-148; C.A. Evans, ]esus and Zechariah's Messianic Hope, in B.D. Chil­ ton - C.A. Evans (edd.), Authenticating the Activities of ]esus, Leiden 1 998, 3 7 3 - 3 8 8 . 2. Il messia è tornato a essere u n tema preferito di discussione: s i vedano J. Becker, Messianic Ex­ pectation in the Old Testament, Philadelphia 1 980; J. Neusner e al. (edd.), ]udaisms and Their Messiahs at the Turn of the Christian Era, Cambridge 1987; J.H. Charlesworth e al. (edd.), The Messia h (Princeton Symposium on Judaism and Christian Origins), Minneapolis 1992.; Jahrbuch fi.ir Biblische Theologie 8 ( 1 993 ); P.E. Satterthwaite e al. (edd.), The Lord's Anointed (Tyndale House Studies), Grand Rapids 1995; J.J. Collins, The Scepter and the Star (ABRL), New York 1995; C.A. Evans - P.W. Flint (edd.), Eschatology, Messianism, and the Dead Sea Scrolls ( SO SSRL), Grand Rapids 1 997; D. Cohn-Sherbok, The ]ewish Messiah, Edinburgh 1 997; W. Hor­ bury, ]ewish Messianism and the Cult of Christ, London 1998. La questione fondamentale è qui il modo in cui si definiscono messianico e messia; si vedano in particolare Horbury, ]ewish Mes­ sianism and the Cult of Christ, 6 s. e l'approfondito studio di j.G. McConville, Messianic lnter­ pretation of the O/d Testament in Modern Context, in P.E. Satterthwaite e al. (edd. l. The Lord's Anointed, 9-1 5 .

206

In riscatto per molti

Iniziamo da Q 9 , 5 8 (cf. Ev. Thom. 86)/ mot poetico e ironico quasi cer­ tamente di Gesù: 2 « Le volpi hanno tane e gli uccelli dell'aria hanno nidi/ ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo » . Nel Tanak una fonte per questo logion è Gen. 1,26-28, dove Dio crea gli uomini a « nostra im­ magine » e dà loro « potere . . . sugli uccelli dell'aria» , affermazione ripresa in Sal. 8,4-8,4 dove il salmista, che è il solo a combinare figlio dell'uomo e uccelli dell'aria, si chiede «che cosa sono gli esseri umani [alla lettera, il figlio dell'uomo] che ti ricordi di loro . . . hai dato loro potere sulle opere delle tue mani . . . [sulle fiere e] sugli uccelli dell'aria » (cf. Sal. 1 44,3 -4; Sir. 1 7,4; Tg. Sal. 8; Gen. r. 79,6). Questo potere raggiunge il culmine nel figlio dell'uomo che compare davanti al Vegliardo, che gli dà «potere, gloria e regalità» (Dan. 7, 1 3 -14). Nel confronto del figlio dell'uomo con animali un'altra tradizione trova la garanzia che Dio provvederà certamente al fi­ glio dell'uomo per mezzo di qualsiasi attività cui sia chiamato (mQidd. 4, 14; bQidd. 82b), a meno che - così dice l'interpretazione - quella persona non pecchi. Ma questo privilegio del figlio dell'uomo viene rovesciato da un'altra tradizione esegetica biblica,S e precisamente Giob. 7,1 6-20 (cf. 2 5 ,6), Sal. 144,3 e r QS r r ,2o- 2 r , dove in Gen. 1 ,26-28 / Sal. 8,4 (cf. Sir. r 8,1 - 1 4, spec. v. 8 ) tutti i relativi autori vedono in luogo della gloria un esempio del­ l'umiliazione di esseri umani. Così Giobbe: «Odio la mia vita; non vivrei per sempre . . . Che cosa sono gli esseri umani che ne fai tanto conto e ri­ volgi loro la tua attenzione . . . ? » . In una preghiera per la protezione in guer­ ra il salmista recita: « Signore, che cosa sono gli esseri umani da rivolgere loro il tuo sguardo, o i mortali perché ti dia pensiero di loro ? Sono come un soffio; i loro giorni come un'ombra che passa» (Sal. 144,3-4 ) . In 1 QS r 1 ,20- 2 1 si legge: «Chi è infatti l'uomo fra le tue opere gloriose? che cosa può contare davanti a te, lui, nato di donna? Impastato di polvere, il suo corpo non è che pane per i vermi; egli è solo sputo» . Dal racconto della creazione nascono allora due tradizioni esegetiche: 6 1 Tommaso aggiunge «e riposare». Sul logion di Q si veda Allison, Intertextual Jesus, 1 6ò- 1 6 3. Si veda inoltre, sul dibattito odierno attorno al figlio dell'uomo, M. Casey, The Jackals and the Son of Man (Matt. 8:zo / Luke 9:58): JSNT 2.3 ( 1 9 8 5 ) 3-22.; Generai, Generic and Indefinite: JSNT 29 ( 1 987 ) 2.1-56. 2. Cf. M.H. Smith, No Piace for a Son of Man: Forum 4 ( 1 9 8 8 ) 83-107: 9 2. (sull'autenticità). 3 Cf. Giob. 39,2.7-2.8. 4 Sull'importanza di Sal. 8 cf. Dodd, According to the Scriptures, 3 2.-34. 104 (tr. it. 3 1-34. 108); F.j. Moloney, The Re-interpretation of Psalm VIII and the Son of Man Debate: NTS 2.7 ( 1 9 8 1 ) 6 5 6-672. 5 Smith, No Piace {or a Son of Man, 102. s. trascura di far osservare questa seconda tradizione esegetica e quindi pensa che Gesù stesso rovesci Sal. 8,4. 6 Per altri aspetti s'incontrano analogie anche in Sir. 3 6,3 1 (3 6,2.7 LXX); Plutarco, Tiberio Crac­ co 9,5 (Tiberio: «Gli animali selvatici che vagano per l'Italia )), direbbe, « hanno ciascuno una grotta o una tana in cui nascondersi, ma gli uomini che combattono e muoiono per l'Italia non

Un copione per Gesù

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il figlio dell'uomo è il vertice della creazione divina in quanto culmine del­ l'atto creativo di Dio, oppure, paradossalmente, il figlio dell'uomo è l'es­ sere più umile della terra. Gesù, come si dice in Q 9,5 8, per effetto della si­ tuazione che lo mette a dura prova e di uomo senza casa, opta per la secon­ da interpretazione e vede nella sua vita il rappresentante dell'essere uma­ no umiliato. Uccelli (cf. Sal. 84,3 ) e volpi (cf. Lam. 5 , 1 8 ) hanno più di lui. Il logion si presta all'interpretazione di « figlio dell'uomo » 2 in senso collettivo. In tal modo Gesù non fa di sé un essere unico sulla terra ma, collocandosi fuori della maggior parte degli uomini - quelli che hanno un luogo ove riposare la notte -, vede nella sua vita un esempio della piega avvilente che possono prendere gli eventi. 3 A proposito dell'espressione «figlio dell'uomo » (cf. I Cor. 1 5 ,27; Ebr. 2, 6-8 ) Gesù trova una interpretazione che si applica in modo speciale alla sua vita. La sua prospettiva sconvolge una delle tradizioni bibliche (quel­ la della gloria) richiamandosi all'altra (quella dell'umiliazione degli uomi­ ni sulla terra ). La tradizione di Q (9, 5 8 ) fa chiaramente di Gesù qualcuno di speciale, non certo un essere umano comune. Gesù si richiama alla sua condizione di profeta respinto (ad es. Sir. 3 6,2 7 LXX) più che a quella di comune essere umano.4 Mi pare del tutto possibile che in Q 9,5 8 figlio dell'uomo abbia senso collettivo - Gesù e i suoi discepoli sono itineranti che hanno bisogno di sostentamento e riparo. 5 Per anticipare un aspetto che verrà affrontato più avanti, deve inoltre restare aperta la chiara possi­ bilità che qui « figlio dell'uomo» riecheggi Dan. 7 : quivi alla sofferenza dei santi è resa giustizia collettivamente nella figura, che più viene innalzata, del figlio dell'uomo. Nel logion si afferma un elemento collettivo, vi si ve­ da o meno una possibile eco di Dan. 7 . 6 Forse è possibile dire di più per definire i contorni di Q 9,5 8 . Se questo mot di Gesù è il risultato della dura realtà dell'ostilità che egli incontra, com'è spesso il caso per i detti sul figlio dell'uomo, allora si è legittimati a 1

hanno invero che l'aria e la luce di tutti e nient'altro; senza dimora e senza casa errano qua e là con mogli e figli )) . ) I paralleli addotti da altre tradizioni non servono (ad es. Prov. 1 ,20- 3 3 ; Giob. 28,20-2.2; I Hen. 42; 94,5; 2 Sam. 1 5, 1 9-22). Così anche Davies-Allison, Matthew n , 4 3 ; Smith, No Piace for a Son of Man, 96 s.; diversamente Gnilka, Matthiiusevangelium I, 3 1 I s. (tr. it. 457-4 59); Keener, Matthew, 2 74 s. 1 Importante chiarimento di Casey, ]ackals and the Son of Man, 9-12.. 2 Al riguardo si veda l'excursus alla fine del cap. 7· 3 Diversamente Bultmann, History of the Synoptic Tradition, 28 con n. 3 ; per H.E. Toot, The Son of Man in the Synoptic Tradition, London 1965, 1 20-123 il logion riguarda l'autorità di Ge­ sù, ma gli sfugge il senso di Q 9,5 Se. 4 Cf. Nolland, Luke n, 5 4 1 . 5 Cf. B. Lindars, ]esus Son of Man, London 1983, 29-31. 6 Cf. Casey, ]ackals and the Son of Man, ro; Smith, No Piace {or a Son of Man, 97 s. limita gli echi di Dan. 7 a Dan. 7, 1 3-14 soltanto, senza riguardo per caratteristiche contestuali. V. anche M.D. Hooker, Is the Son of Man Problem Really lnsoluble?, in E. Best - R.Mcl. \X1ilson tedd. ), Text and lnterpretation, Cambridge 1979, 1 5 5- 1 68, spec. 1 67 s.

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In riscatto per molti

chiedersi se gli « uccelli» e le «volpi» non alludano agli avversari di Gesù, come porterebbe a pensare una larga base scritturistica. In questo senso si dovrebbe osservare come diversi animali 1 rappresentino nemici in Deut. 28,26 ( I ) (profetico); 1 Sam. I 7,44·46 ( I , 2) (Golia e i sarcasmi di Davi­ de); I Re I4, I I ; I 6,4; 2I ,24 ( I , 3 ) (profetico); Ger. 7,3 3 ( I , 2); I 5 ,3 ( I , 3 ); I 6,4 (I, 2); I 9,7 (I, 2); 34,20 ( I , 2) (profetico); Ez. 29,5 (I, 4); 3 2,4 ( 1 , 4); 3 9 ,4 ( 5 , 4) (profetico).2 Questo topos parla di coloro che divorano il popolo di Dio e sono tutti quanti stranieri. È ovvio pensare qui a Gesù che chiama Erode Antipa « quella volpe » (Le. I 3,3 2). Il linguaggio, come nell'altra occasione in cui ha nominato Antipa, fa pensare agli erodiani usurpatori che opprimevano Israele, soprattutto finanziariamente. Que­ sta situazione dà al logion il suo carattere generico. Questo tema degli av­ versari di Gesù che si trovano in posizioni di potere e di opulenza è inol­ tre evidente anche in Q 7,2 5 . Qui, ancora una volta, Gesù è in conflitto con le circostanze esterne del profeta e del re. Anche se non si condivide la particolare interpretazione che qui viene proposta, non si può comun­ que negare che questi termini, così come si trovano in Q 9 , 5 8 , furono so­ vente usati nel Tanak per indicare chi era destinato a opporsi al popolo e ai profeti d'Israele. Penso che gli « uccelli» e le « volpi » di Q 9,5 8 indi­ chino qualcosa più della propensione di Gesù per immagini bucoliche. In quanto figlio dell'uomo, insieme ai suoi discepoli Gesù conosceva la dura realtà dell'ostilità delle autorità straniere al regno di Dio che irrompe.3 Q

9,6I -62: ELIA E D ELISEO

Se nel figlio d eli 'uomo del salmista Gesù vide il copione della sorte sua e dei suoi discepoli, Q 9,6 I -62 fa pensare che Gesù veda in Elia che chiama Eliseo il copione della chiamata che egli rivolge ad altri.4 Una valida ra­ gione fa dubitare che Q 9,61 -62 in origine appartenesse a Q: esso è privo di parallelo in Matteo. Non convinti che tutto Q sia assorbito per intero da ogni evangelista, molti pensano tutta via che la sua congruenza con Q 9, 5 7-60 così come i suoi tratti non lucani facciano pendere la bilancia dalla parte di Q. 5 Come subito si vedrà, questo logion prescrive per Gesù la vi1 Nel prosieguo ci si serve dei numeri e dei riferimenti seguenti: 1 . per uccelli ['wf]; 2.. per fiere; 3 · per cane; 4· per cosa vivente; 5· per uccello ['jt]. 2. Il termine per la volpe (sw'ljm, Ez. 1 3,4; Lam. 5 , 1 8; Sal. 63 , 1 1 ) venne talvolta confuso con quello per sciacallo (tnjm) - e lo sciacallo è il cane degli scherni/minacce profetiche. 3 Si veda M. de jonge, ]esus' Role in the Fina/ Breakthrough of God's Kingdom, in H. Cancik H. Lichtenberger - P. Schafer (edd.), Fruhes Christentum 1 1 1 , Tiibingen I 996, 265-2.86. 4 Si veda ora S. Bryan, ]esus and Israel's Traditions of ]udgement and Restoration (SNTSMS 1 I ? ) , Cambridge 2.002., 88-r IO. � In particolare cf. J. KlopQenborg, Q Parallels, Sonoma, Cal. 1988, che come sostenitori della presenza del logion in Q elenca Crossan, Edwards, Hahn, Hawkins, Hengel, Hunter, Kloppen· ·

Un copione per Gesù

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ta di Elia, ma, come sopra si è conclu so, per la chiesa delle origini Elia era il precursore del messia e riguardo a Elia c'era stata qualche discussione tra Gesù e Giovanni (v. sopra, cap. 8 « Giovanni Battista » ) . Il detto deve quin­ di provenire da un periodo alquanto remoto, quando Giovanni pensava che Gesù fosse Elia, 1 e Giovanni pensava di sé d'esserne il messaggero.2 La richiesta radicale del logion di abbandonare la famiglia (cf. Mc. 1 , 1 6-2o; 3,3 1 - 3 5 ; 10, 1 5 ; Q 9,5 9-60; 1 4,26-27 )/ le sue vivide immagini così come l'essere imperniato sulla presenza del regno di Dio depongono a favore della sua autenticità,4 anche se alcuni particolari sono di natura più lette­ raria che storica. 5 La riprova di 1 Re fa pensare che Gesù conformò la sua chiamata di altri al modello della chiamata di Eliseo da parte di Elia: Partito di lì, Elia incontrò Eliseo figlio di Safat, che stava arando. Davanti a lui c'erano dodici paia di buoi ed egli conduceva il dodicesimo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quegli lasciò i buoi e corse dietro a Elia e disse: «Vado a baciare mio padre e mia madre e poi ti seguirò » . Gli disse Elia: « Ritorna, perché che cosa ho fatto a te ? » . Quegli, dopo averlo seguito, tornò, prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi tolti ai buoi cucinò la loro carne e la diede al popolo e quelli mangiarono. Quindi si alzò e seguì Elia e divenne suo servitore ( 1 9, 1 9- 2 1 ) .

Quasi tutti i criteri di Allison per l'individuazione di allusioni consentono di stabilire un'allusione a questo testo/evento. 6 Si è vista un'allusione al­ l'episodio di Elia/Eliseo 7 e sono diversi i termini importanti e peculiari che borg, Knox, Marshall, Polag, Schiirmann, Streeter, Vassiliadis e Wernle. All'elenco s i può ora ag­ giungere Allison, lntertextua/ ]esus, 78-8 1 . Il Progetto Q lo esclude: J .M. Robinson e a l . , Crit­ icai Edition o( Q, 1 5 6 s. 1 Questa identificazione della prima ora potrebbe spiegare Le. 9,52-56: i discepoli di Gesù vo­ gliono che Gesù faccia cadere fuoco sui samaritani; cf. 2 Re 1,9-1 6. 2. Diversamente Allison, lntertextua/ Jesus, 144 s., che nel contrasto vede forse un momento dell'evoluzione di Q. 3 Cf. specialmente R. Schnackenburg, Die sittliche Botschaft des Neuen Testaments I (HTKNT Sonderband), Freiburg 198 6, 44-5 5 (tr. it. 69-80); j. Becker, ]esus of Nazareth, New York 1998, 308-3 2 3 . Per il contesto più generale v. S. McKnight, A New Vision (or lsrael, Grand Rapids 1 999, 1 70 s. 1 7 8-1 87. 4 Bultmann, History of the Synoptic Tradition, 28 reputa autentico Q 9,62 ma vede in Q 9,61 una «situazione immaginaria ». M.G. Steinhauser pensa che Q 9,62a e 9,62b non siano autenti­ ci, ma il suo argomento è troppo rigidamente imperniato sull'idea che il « regno)) sia un luogo o una comunità. Si veda il suo Putting One's Hand to the Plow. The Authenticity of Q 9:6-62: Forum 5 ( 1 9 89) 1 5 1- 1 5 8 . 5 Così anche Nolland, Luke n , 540; Fitzmyer, Luke I , 8 3 7 . 6 Allison, lntertextual ]esus, 9- 1 3 . 78-8 1 . 142-145, anche s e trovo più allusioni a Elia d i quante ne scovi Allison. 7 Stu di recenti sull'intertestualità in Luca hanno trovato che Le. 9,5 1 -62 è una mini era d'oro per conoscere la creatività lucana, anche se di rado la questione è affrontata apertamente. Buoni stu­ di sono queHi di T.L. Brodie, The Departure (or ]erusalem (Luke 9:5 1-56) as a Rheto rica l l mi ­ tatio of Eliiah's Departure (or the ]ordan (2 Kgs r : r-2:6): Bib 70 ( 1 989) 96-109 e Luke 9,5762: SBLSP ( 1 989) 237-24 5 .

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I n ri sca tto per molti

collegano i due testi: dietro in «andò dietro» e «Seguì»; «aratro/arare»; il motivo dell'addio alla famiglia; l'abbandono totale della propria occupa­ zione. La controversia tra Gesù e Giovanni su chi fosse Elia colloca questa allusione in una storia credibile della tradizione su Gesù, e questo logion di Q, messo a confronto con le azioni di Gesù, illumina la missione profe­ tica di Gesù. 1 Al pari di Elia, Gesù r . trova i suoi discepoli nella loro vita di tutti i gior­ ni e li invita a uscire dal mondo della loro professione per seguirlo, confi­ dando nella sollecitudine del Padre, 2. si aspetta che i suoi discepoli abban­ donino tutto per la chiamata ad annunciare il regno, 3 . vede i suoi discepo­ li attratti dalla missione di un profeta (cf. Q 6,2 3 ) e 4· si aspetta che quelli che lo seguono si occupino di lui (cf. Le. 8,1-3 ). Tuttavia, a differenza di Elia, Gesù non consente rinvio né propriamente getta il mantello sui suoi discepoli. Elia consente a Eliseo di tornare alla famiglia a dare il bacio del commiato, mentre Gesù non consente una simile distrazione; il regno si è fatto vicino ed è tempo di agire, ora e risolutamente. Di fatto l'afferma­ zione di Gesù riguardo al mettere mano all'aratro senza volgersi indietro può anche essere connessa direttamente all'atto di Eliseo. Quando Eliseo tornò, dice il testo, fece cuocere la carne dei buoi mettendo sul fuoco l'ara­ tro. Se le cose stanno così, è possibile che Gesù stia dicendo che i suoi se­ guaci, al pari di Eliseo, devono bruciare i ponti che li legano alla loro vita precedente e non guardare indietro quando tornano per seguirlo, come Eliseo seguì Elia.2 Se le parole di Elia rivelano un rapporto ambiguo, la chiamata di Gesù produce un mutamento di campo che trasforma la vita.3 Per Gesù viene ricostruita la famiglia: la prediletta istituzione della famiglia ( Gen. 1,2 728; 2,23 - 24; 3 , 1 6) è stata rivalutata da Gesù e ora, poiché il regno è sul punto di giungere, essa verrà ricostituita intorno a Gesù e ai suoi fedeli (Mc. 3 , 3 I - 3 s; Q 14,26-27) . Questa conclusione trova convalida nella chiamata dei primi quattro di­ scepoli (Mc. 1 , r 6-2o), come di quella di Levi/Matteo (Mc. 2,r 3 - 1 7; M t. 9, 9- 1 3 ). Queste chiamate sono esemplate sulla chiamata di Eliseo ad opera 1

Allison, Intertextual ]esus, 78-8 1 , stabilisce un suggestivo parallelo con la moglie di Lot (Gen. 19,17.2.6) molto probabile per gezerah sawah. M. Hengel esagera il contrasto tra Elia e Gesù, vedendo maggiormente ispirata da Dio la vocazione del primo; si veda il suo The Charismatic Leader and His Followers, Edinburgh 1 9 8 1 , 16 s. (tr. it. 37-40). 2 Cf. H.J. Blair, Putting One's Hand to the Plough. Luke ix. 62 in the Light of I Kings xix. r921: ExpTim 79 ( 1 967-68) 342. s. 3 Le parole di Elia in 1 Re 1 9,2.0, > of Isaiah, in P.E. Satterthwaite e al. (edd.), The Lord's Anointed, Grand Rapids 1995, 105-139 [lettura mosaica del servo]; W.H. Bellinger, Jr. - W.R. Farmer (edd.), ]esus and the Suf­ fering Servant, Harrisburg 1998 [saggi importanti di studiosi diversi sui testi isaiani]; uno stu­ dio recente d'impostazione socio-retorica è quello di A.R. Ceresko, The Rhetorical Strategy of the Fourth Servant Song (lsaiah J2:I3-53:12): CBQ 5 6 ( 1 9 94) 42-5 5 ; B. Janowski, Er trug un­ sere Sunden, in Janowski-Stuhlmacher (edd.), Der leidende Gottesknecht (FAT 14), Ti.ibingen 1996, 27-4 8 e, nello stesso volume, il denso studio di M. Hengel, Zur Wirkungsgeschichte von ]es 53 in vorchristlicher Zeit, 49-9 1 ; C. Markschies, Der Mensch ]esus Christus im Angesicht Gottes, 1 97-248; H.-J. Hermisson, Gottesknecht und Gottes Knechte, in H. Cancik - H. Lich­ tenberger - P. Schafer (edd.), Geschichte-Tradition-Reflexion, 1 . Fruhes Christentum (ed. H. Lich­ tenberger), Ti.ibingen 19 96, 43-68. Nella storia della ricerca neotestamentaria un primo monito a guardarsi dal riferirsi avventa­ tamente e superficialmente al servo di Isaia fu pronunciato da H.J. Cadbury, ma ci volle qual-

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In riscatto per molti

5 2 , I 3 - 5 3 , 1 2 mostra varianti sufficienti per poter affermare che su basi sto­ riche oggi è affatto plausibile una lettura separata di almeno uno di questi canti. 1 Gesù si concepì nei termini del servo di Isaia? Ma che egli abbia pensato se stesso nei termini del servo di Isaia sulla base di un'unica sezio­ ne di Isaia non comporta di necessità che egli intendesse l'intera rappresen­ tazione del servo come immagine di se stesso, né che il suo richiamarsi a questa tradizione significhi che egli vide la propria morte secondo il model­ lo del servo. Né si dovrebbe ignorare la tradizione cristiana che, come Pe­ ter Stuhlmacher ha mostrato, quasi capovolge l'immagine del servo e ne fa la cifra di Gesù Cristo. 2. Ciascuno degli elementi richiede d'essere docu­ mentato in modo chiaro. Un altro appunto di carattere metodologico è questo: con ogni probabi­ lità Gesù basò la forma e il tono del suo ministero su Is. 40-66. L'ipotesi è stata resa plausibile da Otto Betz, veterano tedesco che s'interessa special­ mente al termine vangelo, dall'esauriente studio del teologo ed esegeta in­ glese N.T. Wright, così come dal lavoro di Rikki Watts. Va al di là degli in­ tenti che qui interessano illustrare nei particolari la documentazione, ma una cosa va detta, cui occorre prestare molta attenzione: nella misura in cui l'insegnamento, il ministero e la missione di Gesù poggiano sulle gran­ di tradizioni isaiane (40- 5 5 o 40-66) è lecito affermare che l'immagine del servo è perciò stesso incorporata nel medesimo insegnamento, ministero e

che decennio perché in Inghilterra questo monito trovasse ascolto nei lavori di C.K. Barrett e M.D. Hooker. Si veda il testo redazionale intitolato «Christology �� in F.J. Foakes Jackson - K. Lake (edd.), The Acts of the Apostles I, 3 84-392; cf. H.J. Cadbury, The Titles (or ]esus in Acts, in Foakes Jackson - Lake (edd.), The Acts of the Apostles v, 364-3 70. La bibliografia su Gesù e il servo è sconfinata. Qui ci si limita a elencare i seguenti: Wolff, je­ saja 53 im Urchristentum; M.D. Hooker, jesus and the Servant, London 19 59; R.T. France, ]esus and the 0/d Testament, London 1971; Bellinger-Farmer (edd.), jesus and the Suffering Servant: O. Betz, ]esus and ]esaja 53, in Lichtenberger (ed. ), Fruhes Christentum III, 3 - 1 9; nello stesso volume H.-J. Hermisson, Gottesknecht und Gottes Knechte, 43-68. Betz prosegue la sua inda­ gine nella versione inglese riveduta di ]esus and ]esaja 53, in Bellinger-Farmer (edd.), ]esus and the Suffering Servant, 70-87; nello stesso volume gli risponde Hooker, D id the Use of lsaiah 53 to Interpret his Mission Begin with ]esus?, 88-103 . Lo studio di Rikki Watts, in se stesso assai valido, qui interessa meno perché si occupa del vangelo di Marco: si veda nello stesso volume jesus' Death, Isaiah 53, and Mark I0,45· A Crux Revisited, 1 2 5 - 1 5 1 . Cf. J.D.G. Dunn , jesus Re­ membered, 809-8 1 8 (tr. it. 864-872). Anche commenti recenti portano avanti il dibattito: si veda l'impostazione congetturale di J.D.W. Watts, lsaiah 34-66 (WBC 25), Waco, Tex. 1 987, spec. I I 5 - I I 8, con passi interessanti (Israele; governanti persiani, Dario in particolare; fedeli credenti e devoti nella nuova città di Jhwh; il sofferente del quarto canto è Zorobabele); si veda anche l'impostazione canonica e teologica di B.S. Childs, Isaiah (OTL), Louisville 2.001, spec. 40- 1 2. 3 . 1 S i veda l a traduzione d i M. Wise, M . Abegg Jr. e d E . Cook, The Dead Sea Scrolls, San Fran­ cisco 1 996, 3 5 8-3 60. 2. P. Stuhlmacher, jes 53 in den Evangelien und in der Apostelgeschichte, 12.7: «Nella sua persona e nella sua opera Gesù Cristo non viene semplicemente né principalmente interpretato attraver­ so Is. 5 3 , ma egli stesso interpreta Is. 5 3 )). A detta di Stuhlmacher nell'interpretazione cristiana ls. 53 diventa un testo nuovo.

Gesù e il

servo

2.2 3

missione.' I giudei del 1 secolo non s'impossessarono di testi come questo se non per una parte preferita e ne ignorarono il contesto più generale. Una tradizione inglese di lunga data afferma parimenti che Gesù fu il primo a combinare la vocazione regale e davidica col servo di Isaia. 2 Si è in realtà davanti al dato sorprendente che Gesù, il quale si concepiva in ter­ mini regali e si figurava alla testa di un regno imminente - a che altro può far pensare il linguaggio del regno ? -, non rifuggì dalla morte. Questa tra­ dizione ermeneutica spiega la ripresa creativa delle due immagini (Davide e il servo) con la necessità che Gesù sentiva dell'avallo della Scrittura, e il complesso scritturistico più plausibile (sostiene questa tradizione) deve es­ sere quello che risulta dai testi sul servo del Deutero-Isaia (senza dimenti­ care il cugino, ls. 6 1 , 1 -9).3 Questa combinazione di immagini regali e ser­ vili può essere dimostrata con sufficiente fondamento ? Cinque testi nelle tradizioni di Gesù possono essere plausibilmente col­ legati alla figura del servo del Deutero-Isaia, ed è di questi che ora ci si oc­ cupa,4 interessati non tanto alla loro storicità quanto piuttosto agli echi isaiani, perché se questi restassero privi di riscontro la prima non avrebbe importanza. 9,9- 1 3 Gesù ha preso atto della base scritturistica della sua missione: non lui, ma Giovanni è Elia;5 Gesù è più simile a Michea. Questa discussione fra GeMC.

1 Cf. Betz, ]esus and ]esa;a 53, in Lichtenberger (ed. ), Frnhes Christentum; N. T. Wright, Chris­ tian Origins and the Question of God, n. ]esus and the Victory of God, Minneapolis I 996, 5 8 8-59 1 ; Watts, ]esus ' Death, Isaiah 53, and Mark I 0,45, in Bellinger-Farmer (edd.), ]esus and the Suffering Servant. V. anche H.-j. Hermisson, Das vierte Gottesknechtlied im deutero;esa;a­ nischen Kontext, in Janowski-Stuhlmacher (edd.), Der leidende Gottesknecht, 1-2.5. z. La combinazione era fondamentale per T.W. Manson, The Servant-Messiah, Cambridge 1953, 50-64; Robinson, The Cross in the 0/d Testament, So; Redemption and Revelation in the Ac­ tuality of History, New York I941, 1 99; North, Suffering Servant in Deutero-Isaiah, 24-2 5; F.F. Bruce, The New Testament Development of 0/d Testament Themes, Grand Rapids I 969, 83-99; Black, The «Son of Man» Passion Sayings in the Gospel Tradition: ZNW 6o ( I 969) I8; G.B. Caird, New Testament Theology, ed. L.D. Hurst, Oxford 1994, 3 1 0-3 I 6; N.T. Wright, ]esus and the Victory of God, ca pp. I 1 e I 2. Un'eco di questa concezione si può trovare in Peter Stuhlmacher e in altri studiosi tedeschi, i quali pensano che Gesù modificò l'attesa del figlio dell'uomo combinandola col tema del servo; cf. il suo Vicariously Giving His Life for Many, Philadelphia 1 9 86, I 6-2.9, spec. 2.4-2.6; si veda­ no i precedenti studi di O. Cullmann, The Christology of the New Testament, 6 5 . 1 5 8 (tr. it. 93· 2.39); Goppelt, Theology of the New Testament 1, I90- I 9 3 (tr. it. 2.58-2.6 I ) . 3 M i limito ai soli nomi degli studiosi; a favore: T.W. Manson, C.H. Dodd, G.B. Caird, R.T. France, D.J. Moo, P. Stuhlmacher, O. Cullmann, V. Taylor. Contrari: C.K. Barrett, M.D. Hook­ er, M. de Jonge, E. Schweizer. Lo studio più esaustivo della documentazione è quello di Hooker, ]esus and the Servant, 6141 02. Delle sue circa quaranta possibili allusioni o citazioni ne considero soltanto cinque che han­ no maggior valore: Mc. I , I 1 parr.; 3,2.7 parr.; 9,9- 1 3 parr.; 14,2.4 parr.; Le. 4,16-2.1 parr. con Q 7,22. Più avanti in questo capitolo si esamineranno Mc. I0,4 5 e nel seguente Mc. 1 4,2.4. 5 Approfondimenti in J.A.T. Robinson, Eli;ah, ]ohn and ]esus. An Essay in Detection, in Twelve

22 4

In riscatto per molti

sù e Giovanni, sul loro ruolo nel la storia secondo le Scritture, è p a rte inte­ grante ed essenziale dell'edificio della vita di Gesù. Il fattore guida per una chiara definizione dei ruoli è, come si è visto, la realtà della morte di Gio­ vanni e la possibilità della sofferenza per Gesù stesso. Per spiegare le pro­ prie sofferenze Gesù collega la sua esperienza alla prova finale, all'erompe­ re del male e della violenza che precede immediatamente l'avvento del re­ gno. Gli scribi, come dicono i discepoli di Gesù, pensano che prima debba venire Elia. 1 Tutti guardano a Elia perché la sua figura è connessa alla tri­ bolazione della fine dei tempi (ad es. Mal. 2,22-23 [cf. LXX]; 4 Esd. 6,26; Sir. 4 8 , r o; Sib. 2, 1 87- 1 8 8 ; 4Q5 2 1 1 3 , 1 ; 4Q 5 5 8 I 2,4; Le. 1 , 1 7; Gv. 1 , 2 1 . 2 5 ; Apoc. I 1 , I - r 3 ; mSot. 9, 1 5 ) . Una simile escatologia è sostenuta anche da Gesù: «Certamente, prima deve venire Elia a ristabilire ogni cosa » . Ma Gesù chiede anche: «Se Elia viene a ristabilire ogni cosa, perché sta scrit­ to del figlio dell'uomo che deve passare per molti patimenti ed essere trat­ tato con disprezzo ? » (Mc. 9 , 1 2).2. Come conciliare attesa della restaurazio­ ne (ristabilimento delle fortune d'Israele) e patimenti ? Non è un pensiero da poco per Gesù. Le linee della discussione sono tracciate chiaramente: si tratta di come si presenterà la situazione escato­ logica.3 Due sono per Gesù gli aspetti importanti dell'avvento del regno, ed egli (presumibilmente) chiede ai suoi discepoli come vedano il rappor­ to tra r . la ricostituzione escatologica - come venuta del messia o, com'è più probabile, come venuta di Jhwh, 4 e 2. i patimenti descritti minutamen­ te nel profeta Daniele. In particolare - questo sembra essere ciò che preme in queste parole -, che cosa viene per primo, la reintegrazione di Elia (co­ sì Mal. 3 ) oppure i patimenti del figlio dell'uomo (così Dan. 7 ) ? 5 New Testament Studies, 28-52; J. Taylor, The Coming of Elijah, Mt I 7, I O-I3 and Mk 9, I I -IJ. The Development of the Texts: RB 98 ( I 9 9 I ) I o-9; M. Casey, Aramaic Sources of Mark's Gospel (SNTSMS I 02), Cambridge I 9 98, I I I - I 3 7; S. Bryan, ]esus and Israel's Traditions of]udgement and Restoration (SNTSMS 1 17), Cambridge 2002, 88-1 10. V. anche la più vecchia posizione di V. Taylor, ]esus and His Sacrifice, 92 s.; Mark, 3 9 3 - 3 9 5 . Fra i commenti moderni si veda Pesch, Markusevangelium I I , 69-84 (tr. it. I 14-I 36); Davies-Ailison, Matthew I I , 7 I I s.; Gundry, Mark, 4 8 5 ; B.]. Pitre, The Historical ]esus, The Great Tribulation and the End of the Exile, 206-234, che mette in rapporto Giovanni e la tribolazione. 1 Sull'attesa di Elia si vedano le considerazioni di M.M. Faierstein, Why Do the Scribes Say that Elijah Must Come First?: JBL 100 ( I 9 8 I ) 75-86; ]. Fitzmyer, More about Elijah, 295 s.; D.C. Allison, Jr., Elijah Must Come First: JBL 1 03 ( I 984) 256-258. Sul prima, il presupposto sono due sensi del precedere di Elia, ossia « prima del giorno di Jhwh>> (Mal. 3 ,22-23 ) oppure prima del regno stesso (Mc. 9, 1 ) . 1 S i trascura qui i l dibattito sull'autenticità d i Mc. 9 , 1 2.b perché ciò che interessa è se i l passo ri· specchi o meno la cristologia del servo. La discussione sull'autenticità può essere rinviata a quan­ do si sarà data una risposta chiara . Non sono convinto che Mc. 9 , 1 2a e I2b identifichino Elia e il figlio dell'uomo. Direi piuttosto che i due versetti sono lievemente avversativi: Elia porterà una restaurazione ma il figlio dell'uomo soffrirà. Come si combinano queste due predizioni? Que­ sto, almeno, è il modo in cui comprendo Mc. 9, 1 2. � 3 Cf. Keener, Matthew, 4 3 9 s. n. I 22. 4 Cf. Brya n, ]esus and Israel"s Traditions, 9 8 1 0 1 . 5 Non è vero, come talvolta s i è sostenuto, che perché il figlio dell'uomo s i carichi di connotaziO*

Gesù e il servo

2 2. 5

La discussione su Elia tra Giovanni e Gesù fornisce un terreno sicuro cui ancorare queste parole nella vita di Gesù. In realtà ciò che si credette di Giovanni - che fosse Elia e che avrebbe ristabilito ogni cosa - non accad­ de; di fatto avvenne proprio l'opposto: «gli fecero tutto ciò che vollero» (Mc. 9,1 3 ) . Il ragionamento secondo cui i testi riguardanti Elia sono crea­ zione protocristiana presenta quindi i suoi problemi: 1 la chiesa primitiva avrebbe dovuto inventare qualcosa (che Giovanni era Elia; un precursore del messia) solo per scoprire che la figura che aveva scelto non si accorda­ va con i testi (Giovanni non corrisponde a ciò che afferma Malachia). È molto più probabile che i testi riguardanti Gesù, Giovanni ed Elia si spie­ ghino come oggetto di dibattito fra le due figure storiche, più che come in­ venzione ex nihilo di questi materiali ad opera della chiesa. 1 Per tornare al racconto, Gesù ora collega la nozione del ristabilimento di Giovanni ed Elia al figlio deli 'uomo e ai patimenti. 3 Secondo Gesù e una vecchia tradizione, il ristabilimento d'Israele è quindi preceduto da un tem­ po di patimenti. 4 Prima la prova finale, poi il regno. Nella sostanza ciò che qui Gesù dice si accorda con quanto sopra si è detto: Q 1 2,5 1 - 5 3 afferma che Gesù non è Elia; in questo contesto Gesù è associato alla prova finale. Nella sua vita egli può quindi aspettarsi di vedere sofferenze, e le sofferenze corrispondono a ciò che Gesù intende quando dice di essere venuto a portare non la pace ma la spada. 5 Per Ge­ sù i patimenti precedono la restaurazione di ogni cosa. L'umile «figlio del­ l'uomo» di Mc. 9,1 2, che spesso si tende a considerare un richiamo al fi­ glio dell'uomo di Dan. 7, potrebbe inoltre essere forse connesso alla tra­ dizione Q soggiacente di cui sopra si è detto: Q 9 , 5 8, dove Gesù vede in Sal. 8 ,4 il copione che prefigura la sua vita. Nei due casi figlio dell'uomo è un collettivo: Gesù, che è rappresentativo di molti, e i suoi discepoli so­ no questo figlio dell'uomo. Ma qui interessano le due espressioni che se­ guono: molte sofferenze e trattato con disprezzo. Qual è la fonte di queste espressioni? Gesù ha in mente qualche passo ni di sofferenza dev'essere stato interpretato con l'immagine del servo di Isaia (così Taylor, ]esus and His Sacrifìce, 94); quando lo si esamini debitamente, il figlio dell'uomo può avere anch'es­ so questa connotazione (così Hooker, ]esus and the Servant). L'interpretazione di Mc. 9, 1 1 - 1 3 , che i n Aramaic Sources of Mark's Gospel, 1 1 1 - 1 3 7 Casey svolge i n termini continuamente po­ lemici, ha avuto una risposta nella nota breve ma incisiva in Bryan, ]esus and lsrael's Tradi­ tions, 1 09 n. 70. 1 Cf. R.W. Funk e al., The Five Gospels, New York 1 99 3 , 82 ss. 2. V. sopra, cap. 8, « Giovanni Battista>> . 3 D.C. Allison, The End of the Ages Has Come, Philadelphia 1 9 8 5 , 6-19 passa i n rassegna la documentazione dimostrando la diversità del pensiero giudaico sulla tribolazione. 4 Così Bryan, ]esus and Israel's Traditions, 1 01 - 1 1 1. s Sulla questione dell'autenticità si veda D.C. Allison, Jr., Q I2:J I-J3 and Mk 9:rr-rj and the Messianic Woes, in B. Chilton - C.A. Evans (edd.), Authenticating the Words of ]esus (NTIS 28.1 ), Leiden 1999, 289-3 10: 3 06-3 10.

226

In riscatto per molti

particolare quando dice «molte sofferenze» (7toÀÀà 7ta-8n, lett. «soffrire molto» ) e «trattato con disprezzo» (è�ouÒEVYJ-8�) ? Iniziamo con i quattro motivi di Mc. 9,9- 1 3 : 1 . figlio dell'uomo; 2. risurrezione; 3 · Elia; 4 · soffe­ renza. Si è qui di fronte a una grave difficoltà, perché manca un testo del Tanak che unisca questi quattro motivi. Il figlio dell'uomo fa pensare a testi come Sal. 8 o D an. 7. La risurrezione richiama probabilmente Dan. 1 2 , 1 -2, anche se potrebbe essere connessa a Is. 26, 1 6- I 9 o anche, meno probabilmente, a Ez. 3 7. La figura di Elia fa pensare molto probabilmen­ te a Mal. 3 , mentre le molte sofferenze, così come l'essere trattato con di­ sprezzo, conducono al quarto canto del servo di Isaia (Js. 5 2, I 3- 5 3 , I 2) o forse a uno dei salmi ( 22; 8o; I I 8 ) . Poiché per il nostro detto Elia è mar­ ginale e di fatto Gesù contrappone la sua missione a quella di Elia, ci si può limitare agli altri tre motivi. Quale predomina, se ve n'è uno predomi­ nante, nella mente di Gesù? Per quanto attiene ai motivi, con i riscontri documentari si può proce­ dere a caso. Si può iniziare da Daniele. Per l'uso che Gesù fa di « figlio dell'uomo » Daniele è una miniera, ma in Dan. 7 il figlio dell'uomo non è soltanto una figura escatologica ma anche qualcuno che è investito di au­ torità e gloria dopo un periodo di patimenti (7,2 I-22). A favore di Da­ niele depone la continuità del tema della risurrezione ( I 2,I -2; cf. Mc. 9, 9-Io) ed è possibile che Gesù pensi appunto al figlio dell'uomo come a un modello per la propria vita, ma solo dopo avere sofferto. Benché le si sia spesso ignorate e talvolta forse sopravvalutate, in Daniele le sofferenze non mancano: I . Dan. 7,2I-22 mostra come i santi fossero spesso perse­ guitati per poi essere reintegrati (cf. 7,2 5); 2. Dan. I I racconta le lotte tra il nord e il sud, l'uno contro l'altro, con la terra d'Israele che ne soffriva in quanto zona cuscinetto. La seconda spedizione in Egitto di Antioco ha come conseguenza la sua sconfitta ad opera di Roma (kittim: I I ,30). An­ tioco reagisce furiosamente contro Gerusalemme, i suoi abitanti, il suo luo­ go santo e il suo patto ( I I ,30-3 5 ) ; i suoi capi cadranno «di spada e fiamme e patiranno prigionia e devastazione » ( I I,3 3 ) . Scrive l'autore apocalitti­ co: «Alcuni dei sapienti periranno, così da essere perfezionati, purificati e mondati finché venga la fine dei tempi » ( I I,3 5 ) . Di questi «sapienti » è detto anche che saranno innalzati ( 1 2, 1 - 3 ) . Daniele costituisce quindi una cornice plausibile: vi è il figlio dell'uomo, la risurrezione e i patimenti. Che dire di Isaia? Indubbiamente in ls. 5 2, 1 3 - 5 3 , I 2 il tema centrale dei patimenti è trattato con abbondanza di particolari, in modi che nel Tanak non hanno paralleli. Non si può pensare al servo senza pensare al suo pa­ tire in molti modi: sfigurato nell'aspetto ( 5 2, I 4), disprezzato e rifiutato ( s J ,J ), considerato percosso da Dio ( 5 3,4), piagato e calpestato ( 5 3 ,5 ), maltrattato e umiliato ( 5 3,7), condannato ingiustamente ( 5 3 , 8 ), sepolto con i malvagi ( 5 3 ,9), consumato da Dio ( 5 3 , Io) - ma la sua morte venne

Gesù e il servo

227

rovesciata dalla volontà di Dio ( 5 3 ,r0-1 2). Ovviamente qui non si allude al figlio dell'uomo, ma probabilmente il tema della risurrezione è accenna­ to nella reintegrazione del servo: egli darà origine a molte nazioni ( 5 2, I 5 ); benché morto, vedrà la sua discendenza e prolungherà i suoi giorni ( 5 3 , Io); vedrà la luce ( 5 3 , I I ), avrà soddisfazione ( 5 3 , I I b), sarà messo nel no­ vero dei giusti ( 5 3 , I 2) e dividerà il bottino con il forte ( 5 3 , 1 2 b). Ciò può non equivalere a parlare esplicitamente di risurrezione, ma affronta il te­ ma della reintegrazione finale. Is. 26, I 6- I 9 è inoltre un testo dello stesso libro profetico che tocca la risurrezione (e che sta dietro Dan. 1 2, 1 -2). Probabilmente dietro Mc. 9 , 1 2 ci sono i Salmi. In Sal. 22,6 - un salmo che talvolta si pensa stia dietro la cognizione che Gesù aveva di sé - si leg­ ge la stessa espressione: « disprezzato dal popolo» ( 22,7 LXX: È�ouÒÉVl)[J.CX Àcxou; T.M.: ubezuj 'tim ) . Il salmo ha in comune col nostro logion quest'uni­ ca espressione, che chiaramente non è un luogo comune. D'altro canto nel salmo sono presenti entrambi i temi generali della sofferenza e della risur­ rezione. Il sal mista prega per la liberazione ( 22,I 9-2 I ) e conta sulla libe­ razione ( 22,24) e la reintegrazione ( 22,25-3 I ) ad opera di Dio. Qui e là il linguaggio non è diverso da Is. 5 3 .1 Atti 4 , 1 I usa lo stesso verbo greco, è�ou.fJ.e:vÉw, come resa di Sal. 1 1 8,22, e un verbo analogo compare in Mc. 9 , 1 2 (a differenza di Mt. I 7, 1 2b). È quindi possibile che dietro il detto di Gesù ci sia Sal. I 1 8 - così come, a quanto pare e a un certo livello, si trova dietro le predizioni della passione (cf. sotto, cap. I I ) e dietro la parabola dei vignaioli malvagi (Mc. 12,10I I parr. ). Il salmo è imperniato sulla reintegrazione e la liberazione per mano di Dio, e pare probabile che sia un testo in cui Gesù vedeva deli­ neata nella Scrittura la propria sorte. Ma Sal. r I 8 è più distante da Mc. 9, I 2 degli altri tre testi, anche se mostra connessioni con la vita di Gesù (cf. Sal. 22,22. 26). Mancano, ovviamente, sia figlio dell'uomo sia soffrire mol­ te cose; la reintegrazione può essere intesa in senso lato nella categoria più specifica di risurrezione, e va da sé che nel salmo Elia non compaia. Il sen­ so generale di Sal. 1 I 8 non è tuttavia diverso dal senso generale del nostro passo - anche se le tematiche generali non sono sufficientemente concrete per spostare la bilancia a favore del nostro passo. Un interessante abbinamento di termini e motivi s'incontra anche in Sal. 8 9 ,3 8 - 3 9 , dove « l'unto» è «rigettato» (we 'attah ztina�ta wattim'as hit'ab­ barta 'im-mesi�eka) . Il contesto è congruente col motivo della sofferenza, anche se mancano i motivi di Elia, del figlio dell'uomo e della risurrezione. D'altro canto l'orientamento di questo capitolo corrisponderebbe meglio al motivo del rigetto da parte di Dio del suo unto più che al rigetto del popolo, e il salmo è l'invocazione di qualche personaggio di corte che chie1 Per tradurre Sal. I I 8,2.2. in Atti 4, r I si usa lo stesso verbo greco, o è�ou.Se:vl).Se:tç. È quindi pos­ sibile che dietro il detto di Gesù ci sia Sal. 1 I 8 . Il salmo è imperniato sulla reintegrazione.

228

In riscatto per molti

de di essere reintegrato (cf. Sal. 89,3 8- 5 1 ) . Se dietro il detto di Gesù c,è questo salmo, significa che Gesù mette in risalto che la sua morte è previ­ sta nei piani di Dio. I detti di Gesù soggiacenti a Mc. 9,9- 1 3 condividono un gran numero di motivi sia con D an. 7 e I I - I 2 sia con ls. 5 2, I 3 - 5 3 , I 2; anche i nessi con i diversi salmi rivelano qualche potenzialità. Su un piano più genera ­ le, due di questi nuclei testuali hanno svolto inoltre un ruolo più impor­ tante nella vita di Gesù: Dan. 7 e Is. 40-4 5 . Sia in Dan. 7 sia nel quarto canto del servo di Isaia non si trovano le espressioni specifiche patire mol­ te cose e trattare con disprezzo (malgrado Malachia non manchi di paral­ leli con quest'ultimo elemento: 1 ,7. I 2; 2,9). Talvolta si è d'altra parte sostenuto che il greco è�ouòevéw ( «trattare con disprezzo » ) di Mc. 9,I 2 è la resa ordinaria dell'ebraico nibzeh, nif. di bzh, «disprezzare », di Is. 5 3 , 3 . 1 Si dovrebbe considerare il passo più attenta­ mente, perché se si può stabilire con certezza che il termine greco traduce bazàh - che compare in Is. 47,7 e due volte in 5 3 ,3 -, vi sarebbe qui un indizio che Gesù aveva in mente il servo. Il verbo ebraico bàziih (nelle sue varianti morfologiche) viene reso in greco in diversi modi: I . à-tt[J.a�etv (ad es. ls. 5 3 , 3 ); 2. i�cx'tt!J-a�etv (ad es. r Re I 7 ,42); 3· è�ouòevetv, È�ouòevoùv, È�ouòévlj[J.cx, ecc. in diverse ortografie (per es. Aquila in Is. 5 3 , 3 ; Simmaco due volte in ls. 5 3 ,3 ; Teodozione in Is. 5 3 , 3 ; diversamente, a d es., A m . 6 , I ; Mal. 2,9 ) ; �, . � 4· xcx-tcx�povEt\1 (ad es. Prov. I 9 , I 6); 5 · (J.UX't"flpt�Etv (ad es. Prov. I 5 ,2o); �6. cpauÀt�etv (ad es. Is. 49,7); 7· à7tcxvcxivecr-Dat (ad es. Sir. 6,2 3 ); 8 . àÀtO"')'Etv (ad es. Mal. I ,7). ." Almeno venti volte la radice ebraica bzh è resa con È�ouÒEv-. Poiché poi dai tempi di Aquila, Simmaco e Teodozione tutti traducono ls. 5 3 , 3 col termine che ora si trova in Mc. 9,I2, ci si viene a trovare su un terreno an­ cora più solido. Dal momento che i motivi di Mc. 9,9-I 3 stanno in corre­ lazione con quelli di Is. 5 2, I 3 - 5 3 ,I 2, se ne dovrebbe prudentemente con­ cludere che in Mc. 9 , I 2 il greco è�ouòevl1-Di1 può plausibilmente essere con­ nesso col passo del servo. La singolarità del verbo, così come la necessità di trovare nell'A. T. un passo a cui ancorarlo, inducono a muoversi nella stessa direzione. Con una certa cautela si può affermare che in generale negli studi ci si è pronunciati in tal senso. 1 ·._ , ,

,

1

Così France, Jesus and the Old Testament, 1 2.. 3 s.; sul termine cf. M. Gorg, biiza, in GLAT

2

Ad esempio B. Lindars, New Testament Apologetic, London 1961, 8r; C.H. Dodd, According

I 1 7 1 - 1 I 82.

1,

Ge s ù e il servo

229

A mio parere Mc. 9 , i 2. contiene·una possibile allusione al canto del ser­ vo di Isaia. L'assenza di figlio dell'uomo è indicativa e la presenza del ter­ mine disprezzo in Sal. 22,6, gli interessanti paralleli di Sal. 8 9 , in un con­ testo di temi non dissimili, lascia l'impressione che Gesù possa aver allu­ so a diversi testi o, più probabilmente, che avesse desunto da diversi passi l'idea che avrebbe dovuto soffrire, come avevano sofferto molti inviati che Dio si era scelto. Che Gesù pensasse a qualche testo in particolare non è né necessario né certo. Poteva avere in mente il giusto sofferente di Sal. 2 2 , l'unto di Sal. 8 9 , 3 8 - 5 1 , la pietra scartata di Sal. 1 1 8 , 2 2 , il servo sofferente di Is. 5 2 , 1 3 5 3 , 1 2 o un'immagine più vaga del figlio dell'uomo d i Dan. 7 (cf. Dan. 1 1 e 1 2, 1 -3 ) . Se dovessi scegliere, opterei per il quarto canto del servo a mo­ tivo delle diverse versioni greche di ls. 5 3 , 3 in un contesto in cui compare tutto tranne che il figlio dell'uomo. Si dovrebbe d'altro lato ricordare che Daniele non è un contesto poco plausibile per qualsiasi tema se non per quello di Elia di Mc. 9,9 - 1 3 . Il dogmatismo qui è ingiustificato,1 e si dovrà prendere in esame altra documentazione per formulare un giudizio sicuro sul fatto che Gesù abbia trovato o meno nel servo un'immagine cui potersi rapportare. LC. 22,3 5-3 8

Mc. 9, 1 2 è un detto sul «figlio dell'uomo », non sul «servo », ed è appunto l'espressione «figlio dell'uomo» di Mc. 9 , 1 2 che distoglie l'attenzione de­ gli interpreti da Is. 5 2, 1 3 - 5 3 , 1 2: se non fosse per il figlio dell'uomo, si guarderebbe più istintivamente al quarto canto del servo o a uno dei sal­ mi. Il testo che ora ci attende, Le. 2 2 , 3 7, è meno ricco di motivi ma più esplicito nel dettato. La pericope delle due spade non ha come contesto plausibile il cristia­ nesimo primitivo, contrasta con la generale posizione pacifista che Gesù pare avere assunto (ad es. Mc. 8 , 3 4 - 3 8 parr.; Mt. 5 , 9 . 3 9 .4 3 -4 8 ; 26, 5 2; cf. Le. 3 , 1 4- 1 5 ) / rivela una grande urgenza, come la si trova nelle tradizioni 2.

to the Scriptures, 92. s. n. 2. (tr. it. 96 n. 20); Taylor, ]esus and His Sacrifìce, 91-97: «è una for­ ma di ipercritica dubitare che si pensi a questo brano della Scrittura [Is. 5 3 ] )) (p. 97). Pesch, Markusevangelium n, 79 (tr. it. 1 2.9 s.) collega il termine principalmente a Sal. 89,39 e 22.,6.2.5; 69, 3 3 ; 1 1 8,2.2 così come con ls. 5 3 - nella passione premarciana egli vede una mistione di fi­ glio dell'uomo, sorte del giusto sofferente, servo di Dio e insieme del profeta escatologico. 1 Così anche D.J. Moo, The Old Testament in the Gospel Passion Narratives, Sheffìeld 1 983, 89-9 1 . 2. Qui in sostanza interessa l'assenza di lessico lucano: cf. Fitzmyer, Luke n, 142.9. 3 Al riguardo la bibliografia è pregevole, ma l'argomento fondamentale è stato avanzato da j.H. Yoder, The Politics of ]esus, Grand Rapids :z.1 994; libri recenti su Gesù su questa linea sono Bammel-Moule (edd.), ]esus and the Politics of His Day; M. Borg, ]esus, 1 3 7- 1 4 1 ; Wrighr, ]esus and the Victory of God; per una posizione alternativa si veda R.A. Horsley, ]esus and the Spirai of Violence, San Francisco 1987; le posizioni meno recenti che in certa misura si basano

230

In riscatto per molti

di Gesù ( 22,3 6: «ma ora » ), senza però trovare un'attuazione - si attende che abbia inizio la prova finale - e scivola tranquillamente nel fodero del­ l'ultima sera con i discepoli (Mc. 14,4 3 - 5 2 parr., con Mt. 26,52). 1 La con­ nessione con un evento certo della vita di Gesù, il mandato dei discepoli a proclamare il regno (cf. Le. 22,3 5-3 6 con Q I O, I - 1 2 2. e Mc. 6,9- 1 3 parr. ) senza darsi pensiero per le provviste, subisce ora un'inversione: ora ai di­ scepoli accorreranno una borsa, una bisaccia e una spada - e quest'ultima è tanto importante che i discepoli dovranno vendere il mantello per com­ perarla! In generale si deve quindi dire che la pericope suona strana nelle tradizioni di Gesù, e ciò fa propendere maggiormente per l'autenticità che contro. In questa situazione Gesù afferma che la sua morte imminente è una ne­ cessità divina (Le. 22,37) e cita ls. 5 3 , 1 2: «e fu annoverato tra i senzaleg­ ge» . La citazione a memoria, vista nell'ottica di indizi di connessione con la Bibbia ebraica e con i LXX/ può spiegarsi come funzionale al conte­ sto solo se l'urgenza escatologica di Le. 22,3 6 ( « ora invece » ) significa che i giorni della proclamazione pacifica sono passati: «le autorità si occupa­ no del nostro caso, e io sto per essere arrestato » . L'assenza di pace richie­ de la spada. Quando i discepoli affermano di avere due spade, Gesù dice: «Bastano » .4 È necessario soffermarsi a considerare la funzione che la prova finale ha avuto nelle considerazioni fin qui svolte: dai giorni della morte di Gio­ vanni in avanti, Gesù ha iniziato a pensare alla propria sorte e l'ha con­ nessa alla prova finale; ora, così sembra voler dire il testo, quel momento è giunto. L'imminenza dell'escatologia è inequivocabile. Dall'uso di Is. 5 3 , 1 2 possono dedursi due significati fondamentalmen­ te diversi. 5 O Gesù pensa di essere il servo del quarto canto d'Isaia e al­ lora alluderebbe all'intero versetto inteso in senso soteriologico per i suoi seguaci,6 oppure capisce semplicemente che sta per essere arrestato e che sul nostro testo sono S. G.F. Brandon, ]esus and the Zealots, Manchester 1 967; G. W. Buchanan, ]esus. The King and His Kingdom, Macon, Ga. 1 9 84; questi due studi vengono contestualizzati in M. Hengel, The Zealots, Edinburgh 1989. 1 Cf. Jeremias, Theology, 294 (tr. it. 336 s.); France, jesus and the 0/d Testament, 1 14 s.; Moo, The Old Testament in the Gospel Passion Narratives, 1 3 8. 2. Il lessico lucano richiama chiaramente Le. 10,4 (cf. 9,3 ), la missione dei settanta( due). Ciò pro­ va che Luca ha costruito questo logion su Q oppure che questo era un complesso prelucano con radici in Q. 3 Per una disamina esaustiva di questo testo composito cf. Moo, The Old Testament in the Gospel Passion Narratives, I 3 3 s. 4 È improbabile che Luca intendesse qui richiamare un parallelo con Le. 23,33, poiché in quel passo non usa anomoi bensì kakourgoi. 5 Cf. G.W.H. Lampe, The Two Swords (Luke 2.2.:3J-3 8), i n Bammei-Moule (edd .), jesus and the Polities of His Day, 3 3 5-3 5 1 . 6 Così France, ]esus and the Old Testament, 1 1 4-1 16.

Gesù e il servo

l. 3 I

con l'arrestato sarà stigmatizzato 1 come malfattore (cf. Mc. I 5,28 in al­ cuni manoscritti) o come chi sia fuori dei confini d'Israele - e questa con­ sapevolezza lo conduce a un passo della Scrittura analogo alla sua espe­ rienza, un copione da cui essere guidato (/s. 5 3 , 1 2).2 Nel secondo caso an­ che i suoi discepoli sono in pericolo. È del tutto possibile che questa stig­ matizzazione di Gesù non sia diversa da quella già vista di «amico di pub­ blicani e peccatori» (Q 7,3 4 ) . In tal caso non si sottintenderebbe altro: il suo valore sociale è definito da una morte con malfattori o peccatori, co­ m'era stata quella del servo, ma non comporta una soteriologia. Se così viene stigmatizzato Gesù, a maggior ragione lo saranno i suoi discepoli. Al seguito di T. W. Manson spesso si vede nelle parole di Gesù il segno del cambiamento di situazione, rappresentato con un'ironia che in Le. 22, 38 induce i seguaci alla delusione: «Basta ! » (cf. Deut. 3 ,26).3 Che nell'or­ to il successivo episodio della spada faccia pensare a un 'interpretazione al­ tamente confidenziale è troppo facile (cf. Mc. 14,5 I ); il linguaggio di Le. 22,3 5 - 3 6 ha tutta l'aria d'essere letterale, e ciò porta a concludere che di fatto Gesù abbia citato Is. 5 3 , 1 2 vedendo in questa figura una sorte ana­ loga alla sua: quella di morire in modo infamante - con i malfattori. La ci­ tazione non ha quindi intento soteriologico (anche se l'identificazione con i peccatori va aggiunta ai dati fondamentali), bensì biografico.4 Il mio parere è quindi che Gesù trovi nel canto del servo un testo da in­ tendere in questo senso: egli è come il servo in quanto s'identifica con co­ loro che si sono guadagnati un titolo infamante. MC.

I , I I PARR.; MC.

9,7

PARR.; LC. 23,3 5

In queste tre occasioni - battesimo, trasfigurazione e croce - Gesù viene definito l'eletto di Dio.5 Nelle prime due la tradizione riporta che Gesù è Is. 5 3 , 1 2. usa nmnh ( «annoverare tra • , «classificare,.. , «definire>>; cf. BOB, s.v.). V. sopra, cap. 3, « La causa della morte di Gesù come primo problema >> . 3 T.W. Manson, The Sayings of ]esus, London 1 949, 3 4 1 s. (tr. it. 543 s.): .3 Questo avveniva nella generazione che ha preceduto l'attuale. Da allora si è ritornati sull'autore­ vole giudizio di Bultmann - con qualche cambiamento ? La tavola sinottica della pagina seguente richiede qualche commento. Tenere davanti agli occhi il prospetto potrebbe aiutare a ricordare quel che si pretende che Gesù abbia detto della sua morte nelle predizioni del­ la passione. I dati sono classificati sulla base di sette motivi con relativi specificazioni e si è mappata la documentazione mediante per passi te­ stuali. In modo da orientarsi facilmente, la prima predizione si trova in Mc. 8,3 1 - 3 2; Mt. r 6,21; Le. 9,22; la seconda in Mc. 9,3 1-3 2; Mt. 1 7,222 3 ; Le. 9, 44-4 5; la terza in Mc. 10,3 3-34; Mt. 2o, r 8-19; Le. 1 8,3 1-3 3 ·4 1

D.E.H. Whiteley, Christ Foreknowledge of His Crucifìxion: SE 1 TU 73 [19 59]), roo-1 14: ro8. Cf. Davies-Allison, Matthew n , 657-66 1 ; C.A. Eva ns, Did ]esus Predict His Death and Resur­ rection?, in S.E. Porter - M.A. Hayes - D. Tombs (edd.), Resurrection, 82-97; H.F. Bayer, ]esus· Predictions of Vindication and Resurrection (WUNT 2/2o), Ti.ibingen 1 9 86; P. Hoffmann, Mk 8,3 1 , in P. Hoffmann - N. Brox - W. Pesch (edd.), Orientierung an ]esus, Freiburg 1 70-204; G.R. Beasley-Murray, ]esus and the Kingdom of God, Grand Rapids 1986, 23 7-247; j.D.G. Dunn, ]esus Remembered, 798-802 (tr. it. 8 5 3-8 s6). 3 Bultmann, Theology I , 29 (tr. it. 3 8). 4 Altri paralleli sono di minor rilievo e non fornirebbero alla discussione un apporto sostanziale (ad es. Mt. 17,13; 26,2). Per i problemi di critica delle fonti è da leggere W.R. Farmer, The Pas2.

TAVOLA SINOTTICA DELLE PREDIZIONI

prima predizione

motivi I

necessità

I.

Gerusalemme adempiere le profezie

I 1.2

2 figlio dell'uomo 2. I Gesù messia 3 3 ·I 3 ·2 3 ·3 3 ·4 3·5 3 ·6 3 ·7 3 ·8 3 ·9 3 .Io 3.11

atti contro Gesù

4 4· 1 4· 2 4·3 4 ·4

attori ostili a Gesù uomtni anziani sommi sacerdoti scribi

5

risuscitato

soffrire molte cose 1 tradito rifiutato condannato consegnato ai gentili sbeffeggiato oggetto di sputi frustato insultato crocifisso ucciso •

Mc. 8

Mt. 1 6

Le. 9

+

+

+

Mt. I 7

Lc. 9

terza predizione Mc.

10

+

+

Mt. +

2.0

Le. 1 8 + +

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

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+ ·

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+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

· 2.

il terzo giorno

seconda predizione Mc. 9

6 6.1 6.2 6. 3

reazioni ignoranza paura rimprovero di Pietro

+

+

+

+

7

coraggio di Gesù

+

+

+

+

+

+

+

+

+

Si può iniziare con le seguenti osservazioni di tipo formale: 3 sion Prediction Passages·and the Synoptic Problem. A Teste Case: NTS 36 (1990) 5 5 8-570, che anche a questo riguardo mostra come non sia sostenibile un'impostazione semplicistica del problema sinottico. Ma la natura formulare delle predizioni della passione e la coerenza relativa di ogni evangelista fanno venire l'idea che la (cosiddetta) intesa di Matteo e Luca contro Marco non sia così salda come a prima vista parrebbe. 1 Cf. M. Casey, Generai, Generic, and Indefinite. The Use of the Term «Son of Man» in Aramaic Sources and in the Teaching of]esus: JSNT 29 ( 1 987) 2.1-56: 43, che vi vede dietro « morirà )) , 2. Cf. Gundry, Mark, 504. 3 Per le ricostruzioni in aramaico cf. Casey, Generai, Generic, and Indefinite, 40-49. 142.

Le predizioni della passione

24 3

1 . le predizioni della passione vedono i parimenti di Gesù come neces­ sità divina, e ciò significa che il rifiuto e la reintegrazione sono quasi cer­ tamente fondati nel Tanak, esplicitamente o implicitamente; 1 2. le predizioni della passione sono sempre presentate come sofferenze del figlio dell'uomo, tranne che in un caso (Mt. 1 6, 2 1 ) ; 1 3 . nella prima e terza predizione, coloro che agiscono contro Gesù so­ no i ca pi giudei di vario grado, mentre nella seconda predizione Gesù vie­ ne consegnato agli «uomini » e nella terza ai gentili; 4· per la predizione della risurrezione Marco ha invariabilmente « dopo tre giorni », mentre Matteo e Luca lo correggono con «il terzo giorno » . Storia della tradizione e autenticità In aggiunta a queste quattro osservazioni formali, avanzerei le seguenti os­ servazioni di critica delle tradizioni: 3 I . da un accenno ai parimenti è evi­ dente che in Mt. 26,2, se lo si mette a confronto con Mc. 14,I, si può com­ porre una predizione della passione: Mc.

Mt. 26,2

14,1

due giorni dopo ricorreva l a pasqua e la festa degli azimi. i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano un modo di arrestare Gesù con l'inganno e di ucciderlo.

voi sapete che fra due giorni è pasqua, e il figlio dell'uomo sarà consegnato

per essere crocifisso.

L'annotazione di Marco circa l'imminenza di pesa� fu sufficiente per con­ durre Matteo a pensare a una predizione della morte di Gesù. Per altri ac­ cenni a una morte anzitempo si deve essere preparati ai dovuti cambiamen­ ti. Nelle predizioni della passione si può vedere un indice certo di partico­ lari chiarificatori post factum quando Matteo trasforma in «crocifiggere» (Mt. 20, 1 9) l'« essere ucciso » di Marco ( I o, 3 4). Ne consegue che di rado oggi si nutrono dubbi sul fatto che i particolari sono stati aggiunti in que­ sto modo. 1 Cf. S.V. McCasland, The Scripture Basis of «On the Third Day»: JBL 68 ( 1 949) 1 24 - 1 3 7; B.M. Metzger, A Suggestion Concerning the Meaning of I Cor. xv.4b: JTS 8 ( 1 95 7 ) r r 8 - 1 23 . 2. Casey, Genera/, Generic, and Indefinite, 43 4 6 omette l'esame delle radici intertestuali di Mc. 8,31, dove una qualche connessione con Dan. 7 pare evidente. 3 Una prima mappa tura della storia delle tradizioni si deve a Jeremias, Theology, 2.1? �. 2.81-2.86 (tr. it. 3 1 5 s. 3 20-3 26). Primo, «è necessario)) è ellenistico; secondo, È')'Ep-:9ijvat è più recente di tivaa-Bijv�t; terzo, al racconto delle predizioni del1a passione si sovrappone della cristologia; quarto, ;;apaòtòo-:at è il nucleo della tradizione ed è in origine un participio aramaico (mitmesar). Su questa base Jeremias congettura un mashal condensato: « il figlio dell'uomo è consegnato (da Dio] nelle mani degli uomini ». Trova conferme in Le. 22,22; Mc. 1 4 , 2 1 ; 9,12.; Le. 24,7. Questo mashal è autentico ed è il nucleo della tradizione; il resto è spiegazione cristologica. Duno chia­ ramente vi conviene; cf. jesus Remembered, 801 (tr. it. 8 56). -

244

In riscatto per molti

2. Indubbiamente la predizione della passione meòo sviluppata è la se­ conda: Mc. 9,3 1 . 1 La più sviluppata è la terza (Mc. 1 0,3 3-34), dove i prov­ vedimenti presi contro Gesù vengono indicati a posteriori.2 Nell'ultima settimana sulle facce dei discepoli doveva essere dipinto lo sconcerto; que­ sto sconcerto, tocco realistico di ricordo autentico, rivela l'opera di una mano cristiana in qualcuna delle predizioni della passione. Queste sono sufficientemente esplicite perché, se Gesù le espresse come sono ora, i di­ scepoli non dovettero poi essere tanto sconcertati. Lo dico da insegnante che sa quel che gli studenti ritengono, ma lo dico con la convinzione che l'urgenza e la gravità delle parole di Gesù deve aver rafforzato la loro me­ moria. La minaccia di morte tende a intensificare la vigilanza delle persone. 3 · Nonostante l'ipotesi illuminante di Jeremias che sotto Mc. 9,3 1 ci sia un mashal, trovo altamente improbabile che Gesù abbia predetto la sua morte e non la sua reintegrazione. I due tratti delle predizioni della passione sono così strettamente intrecciati che si è indotti a riconoscere che, per quanto in termini sbiaditi, la tradizione di base parlava di rifiuto e reintegrazione. A mio parere non è possibile che uno come Gesù - pro­ feta, potenzialmente martire (tutti i segni andavano in questa direzione), figura carismatica, che vedeva parti della propria vita già messe per iscrit­ to, cresciuto in un'atmosfera che associava risurrezione, martirio e apoca­ littica 3 - abbia pensato che sarebbe morto anzitempo e non abbia pensato che suo Padre l'avrebbe reintegrato. Esagero: forse è possibile, ma è estre­ mamente improbabile che uno come Gesù abbia pensato al martirio senza reintegrazione. Gli esempi e le idee associa te ai martiri giudei vengono dà' l ontano (2 Ma cc. 7 ). La risurrezione, anche se in Israele non ha lunga tradizione, era parte integrante della posizione di gruppi apocalittici e settari (per es. Is. 24-27; Ez. 3 7; Dan. 1 2, 1 -2) e quindi, se è possibile affermarlo senza di­ scussione, di gruppi non diversi da quello che tanti pensano stia dietro Q.4 Se Gesù pensò a una morte anticipata, pensò anche alla sua reintegrazio­ ne finale. Così scrive D. C. Allison: 1 In aggiunta alla nota precedente si vedano le considerazioni di Casey, Generai, Generic, and In­ definite, 46 s.; Hooker, Mark, 2.2.6. Il saggio di Hoffmann s'impegna nella critica di molti tede­ schi che sostengono che Mc. 9,3 1 sia la forma più antica, per preferire a questo passo Mc. 8,3 1 come il più antico; si veda il suo Mk 8,3 I . 2. Cf. Taylor, Mark, 436. Tuttavia Gundry, Mark, 5 74 s., ha mostrato che per questi prestiti non ci sono modelli chiari, concludendo che Mc. 10,33-34 può essere una predizione autentica. La successione degli eventi differisce abbastanza perché si debba concludere che la predizione della passione si basava unicamente su una conoscenza generale del racconto della passione. Qual­ siasi tentativo di render conto dei particolari di Mc. 10,3 3-34 non risolve il problema della con­ fusione tra i discepoli. 3 Al riguardo si veda ora A. Segai, Life After Death, New York 2004, 2.8 5 - 3 2 1 . 3 5 1-398. 4 Cf. N.T. Wright, Resurrection in Q?, in D.G. Horrell - C.M. Tuckett (edd.), Christology, Con­ troversy and Community (NovTSup 99), Leiden 2ooo, 8 5-97, e Segai, op. cit.

Le predizioni della passione

2. 4 5

Si può sicuramente ritenere che Gesù ·non predisse semplicemente la propria mor­ te e la dissoluzione del suo movimento. Certamente ammise che, nonostante i tem­ pi oscuri che si annunciavano, Dio sarebbe stato vindice della sua causa . Sarebbe stato in genere naturale, per chi avesse fede nella giustizia e nella potenza di Dio, guardare oltre le afflizioni presenti e quelle attese, sperando nel verdetto favore­ vole del Signore. Una tale fede e una simile speranza, insieme, sono di fatto l 'ani­ ma dell 'escatologia giudaica, e difficilmente si sbaglia a pensare che Gesù le condi­ videsse entrambe. 1

Poiché è probabile che figlio dell'uomo sia autentico e provenga da Dan. vi è ragione di pensare qui a una reintegrazione collettiva, e probabil­ mente nella forma della risurrezione universale: 2 il logion prevede la rein­ tegrazione non soltanto di Gesù ma anche dei suoi seguaci. 4· Una caratteristica interessante delle predizioni della passione, talvol­ ta taciuta, è che in esse non c'è traccia di soteriologia né di riflessione sul significato della morte di Gesù. Si può pensare che i tradenti e gli evan­ gelisti sapessero ciò che credevano del significato della morte di Gesù, ma che rifuggissero da qualsiasi occasione di inserire qualche « per noi » o « in nostro favore» . La conseguenza è che qui si hanno tre predizioni della morte di Gesù che fanno semplicemente questo: predicono che egli sarà consegnato e che in seguito gli sarà resa giustizia. Non v'è traccia che la sua morte espierà o porterà a compimento la salvezza. Di fatto vi si respi­ ra l'aria del martirio di un profeta o di un capo giudeo. 5. Forse l'osservazione più interessante a favore dell'idea che Gesù abbia formulato (in generale) una predizione della passione è la conclusione cui si è già arrivati: dai giorni di Giovanni in poi Gesù dovette essersi reso con­ to che anch'egli sarebbe potuto morire; non mancano riscontri importan­ ti che Gesù pensava di poter morire anzitempo; egli associava la sua mor­ te alla prova finale; s'identificava con gli antichi profeti che spesso aveva­ no trovato una morte violenta, e con altre figure della tradizione, di cui qualcuna era andata incontro a morte precoce. In altre parole, sarebbe in­ solito se qualcosa come la predizione della propria morte (e della reintegra­ zione finale) non dovesse comparire sulle labbra di Gesù e nelle tradizioni che lo riguardano. Alla luce di quanto fin qui si è detto, una simile consi­ derazione da parte di Gesù è, in altri termini, pressoché inevitabile. 7,

1 Davies-Allison, Matthew n, 66o. Allison sostiene che la nozione di reintegrazione avrebbe im­ plicato quella di risurrezione; v. D.C. Allison, Jr., The End of the Ages Has Come, Philadelphia 1 9 8 5 , 1 3 7- 1 40; cf. anche M. Black, The ((Son of Man» Passion Sayings in the Gospel Tradition: ZNW 6o ( 1 969) 1-8: 7 s.; P.M. Casey, From ]ewish Prophet to Gentile God {Edward Cadbury Lectures 1 9 8 5 -86), Louisville 1 99 1 , 65 s.; Dunn, ]esus Remembered, 8 1 8-824 (tr. it. 872-878). Per la bibliografia meno recente v. G. Stahlin, On the Third Day: lnt r o ( 1 9 5 6 ) 28 2-299; E. Schweizer, Lordship and Discipleship {SBT 28), Naperville, Ili. 1 9 60, 22-4 1 . 2 S i veda ora Dunn , ]esu s Remembered, 8 2 1 -824 {tr. it. 875-878). S i veda anche i l suo studio del­ le tradizioni sulla risurrezione alle pp. 8 2 s-879·

2. 4 6

In riscatto per molti

È mia opinione, per concludere, che Gesù abbia detto qualcosa, se una o più volte a questo punto non importa, della morte e della reintegrazio­ ne che lo attendevano e del fatto che tutto ciò rientrava nel disegno della Scrittura (che non si citi alcun testo in particolare, né che lo si possa chia­ ramente individuare, rende ancor più solida l'ultima affermazione). Alla luce dei commenti che regolarmente esprimeva riguardo alle autorità al go­ verno e alla sua conoscenza di quello che era toccato a Giovanni per ma­ no delle autorità, è anche probabile che egli possa aver detto chi sarebbe­ ro stati gli attori principali. Ai fini della nostra indagine, tuttavia, i particolari specifici non hanno importanza . Ci è necessario sapere non tanto il contenuto specifico di que­ ste predizioni di passione/reintegrazione, quanto piuttosto se esse posso­ no aver espresso un qualche genere di interpretazione di come egli intese la propria morte. Qui interessa non tanto se Gesù seppe della sua morte, ma come la comprese. A questo scopo si esamineranno tre espressioni che spes­ so si pensa siano alla base delle predizioni della passione: dopo tre giorni, tradimento/consegna e necessità divina. È facile, specialmente per teologi cristiani, richiamarsi a figure, immagi­ ni o sacrifici del T anak come presupposti storici delle predizioni della pas­ sione, per poi sentirne ovunque il sapore dopo aver messo in pentola que­ sta documentazione. Lo si vede col servo e con le altre figure, che hanno profondamente influenzato il modo in cui Gesù comprese la sua morte. La domanda che ci si deve porre non è se le predizioni della passione pos­ sano essere spiegate alla luce di tali figure, ma a quali figure si riferiscano con la maggior probabilità le espressioni specifiche. Un esempio. Anche se, quando si tratta dei problemi di come Gesù com­ prese la sua morte, Sal. I I 8,22 non è di aiuto, merita tuttavia che a que­ sto punto lo si chiami in causa. Si dovrebbe ad esempio osservare che il sal­ mo alleluiatico I I 8,21-25, specialmente il v. 22, ebbe evidentemente un ruolo importante nella vita di Gesù, veniva presentato a pesa� e talvolta era inteso in senso escatologico. Questo salmo probabilmente sta dietro Mc. 8,3 I , viene citato esplicitamente in Mc. I 2,IO- I I in un modo com­ patibile con un nimshal della parabola e col costante biasimo di Gesù per i capi giudei, infine l'immagine della pietra si trova usata presso i primi cristiani, come Atti 4 , 1 1 e r Pt. 2,4 attestano. C.H. Dodd ha classificato il passo della pietra insieme alle sue «fonti primarie di testimonia >> e in tempi recenti l'approfondita ricerca di Klyne Snodgrass è tornata ad an­ noverare il passo sulla pietra fra i detti certi di Gesù, e fra quelli a fonda­ mento del modo in cui egli affrontò la propria morte. 1 È anche di un cer­ to interesse che Zacc. 3, 8-9 associ «pietra » e «germoglio/servo » e che la 1 Cf. C.H. Dodd, According to the Scriptures, 107 of the Wicked Tenants, spec. 95- 106.

s. (tr. it. I I I - I I 3 );

K.R. Snodgrass, Parable

Le pred izion i della passione

24 7

«pietra » 'di Sal. 1 1 8 possa essere connessa al figlio dell'uomo di Dan. 7 at­ traverso la «pietra » di D an. 2. Merita osservare che Sal. I I 8,22 mostra una struttura identica alle pre­ dizioni della passione, la struttura di rifiuto e reintegrazione. A questo pun­ to si può affermare che in contesto giudaico la struttura rifiuto-reintegra­ zione è per un profeta del tutto plausibile e che se Gesù si rivolse al Tanak in cerca di senso, non è impossibile che si sia imbattuto in un testo come questo. Per considerare Sal. I 1 8 ,22 il testo specifìco cui Gesù si sarebbe richiamato quando predisse la propria morte (nell'ipotesi che l'abbia fat­ to), e per usare questo versetto per comprendere com'egli interpretò la sua morte, è tuttavia necessario un riscontro specifico al fatto che nelle predizioni si pensi a questo testo. Lo stesso vale per altre figure. Contesti del genere sono contesti giudaici plausibili, ma a questo punto della nostra trattazione questo è tutto ciò che possono essere. Il punto va sottolineato: è del tutto giudaico che Gesù abbia riflettuto sulla propria morte; la que­ stione è come l'ha fatto (se l'ha fatto) . D a non passare sotto silenzio in qualsiasi discussione sull'autenticità di questi logia è che le predizioni contengono una promessa di risurrezione e di reintegrazione (vi si usa àvacr'tijvat invece del più ecclesiastico €yeipe:tv; cf. Rom. 4,24-2 5 ; I Cor. I 5 ,4 ) , ma tacciono chiaramente la concezione protocristiana della parusia e della venuta del figlio dell'uomo in giudi­ zio, oggetto di fede molto comune. Gesù sarà crocifisso e innalzato; que­ sto è tutto ciò che dicono questi logia. La sua morte non viene interpreta­ ta e anche la sua risurrezione resta isolata. La plausibilità in generale di un simile detto nell'ambito del giudaismo, così come l'assenza di soteriologia e di escatologia protocristiana, sono ciò che, a mio parere, depone maggiormente a favore del fatto che una predi­ zione della passione rispecchi autenticamente qualcosa detto da Gesù. Mc. 9 , 3 I , come nucleo fondamentale del tipo di cose che Gesù deve aver detto, resta immune dalla teologizzazione protocristiana sulla morte di Ge­ sù, ed è da aggiungere che una plausibile Vorlage semitico/aramaica nei termini in cui la pensano J. Jeremias (Mc. 9 , 3 I ) o M. Casey (Mc. 8,3 I ), 1 corrobora l'idea che Gesù predisse la sua morte. Le rimostranze che Pietro esprime a Gesù non dispongono di un'ambientazione protocristiana plau­ sibile, se non qualche tipo di affermazione di Gesù a proposito del rifiuto incombente (Mc. 8,3 2b - 3 3 ) . 2 Se si conviene sull'autenticità del nucleo del­ le predizioni della passione, che cosa afferma tutto ciò di quello che Gesù pensò della propria morte? vi si incontrano allusioni specifiche a testi del 1 Cf. Jeremias, Theology, 2.77 s. 2.81-2.86 (tr. it. 3 1 5-3 17. 3 2o-3 2.6); Casey, Generai, Generic, and Indefinite. 2. Così anche R.E. Brown e al. (edd.), Peter in the New Testament, Minnea polis 1 973, 67 s., che a sostegno c ita F. Hahn, R.H. Fuller ed E. Dinkler.

2.4 8

In

riscatto per molti

Tanak? Gesù vi esamina il servo? o forse qualche altra immagine? Per ap­ profondirne il retroterra plausibile si deve passare ora a qualche espressio­ ne in particolare. DOPO TRE GIORNI

Poiché non si può facilmente attribuire «dopo tre giorni » (Mc. 9,3 1 ; al­ trove « in » : Mt. 1 6,21 [ma cf. 27,63]; Le. 9,22; I Cor. r s ,4; Atti 1 0,40; Gv. 2 , 1 9 r alla teologia protocristiana (in fin dei conti Gesù non era risu­ scitato dopo tre giorni)/' si può iniziare di qui.3 Se si lascia da parte ciò che più tardi si pensò riguardo a quanto Gesù doveva avere inteso dicen­ do «dopo tre giorni », e ci si chiede invece che cosa potrebbe avere inteso e che cosa avrebbero capito i suoi discepoli, si è condotti a due testi princi­ pali: Os. 6,1-2 4 e Dan. 7,2 5, dove il secondo è da collegare a Dan. 1 2, 1 -2. 5 Os. 6,1-2 esprime la speranza del profeta in una rinascita religiosa e in una restaurazione della nazione nella forma del rinnovamento spontaneo ( « facciamo ritorno »; 6,r [wenasubah]) perché lo jhwh che ha « ferito)) può anche «guarire » .6 Infatti, « dopo due giorni ci ridarà la vita; il terzo giorno ci solleverà » - nel senso che Jhwh può restituire la nostra nazione alla sua terra (cf. Is. 26,19; Ez. 3 8, 1 4; Dan. 1 2,2; Tg. Os. 6, 1 - 2 rende esplicita la risurrezione per ciò cui fanno pensare «dopo due giorni . . . il terzo giorno » ) . Egli lo farà, così dice Osea, se il suo popolo « si preoccu­ pa di conoscere Jhwh » ( 6,3 ). L'espressione dopo due giorni può essere interpretata in due sensi: può 1

Matteo e Luca usano costantemente «il terzo giorno»: Mt. r 6,1.1; 17,1.3; 1.0, r9; Le. 9,22; r8,33· 2 Cf. Atti 1.8, 1 3 , dove «dopo u n giorno>> significa «il secondo giorno », e Gv. 4,43, dove «dopo due giorni)) probabilmente indica «il terzo giorno)) . 3 Cf. E.L . Bode, The First Easter Morning (AnBib 4 5 ), Roma 1970, ros-r 1.6, il quale sostiene che il motivo dei «tre giorni)) consegue dall'idea veterotestamentaria generale che il terzo giorno è il giorno della salvezza (cf. Gen. 22,4; Es. 1 5,1.2; 19,10- r 1 . 1 6; Gios. 3,2; Giud. 20,30; I Sam. 9, 1.0; 2 1 , 5 ; 2 Re 2o,s.8; Esd. 8, 1 5 · 3 1.; Est. 5 , 1 ; Os. 6,1.. Gion. l., r; 2 Macc. IJ,Il.). In questo elen­ co egli mischia qui e là idee e testi ma, più importante, troppo spesso la sua logica dipende dal­ l'uso di Genesis rabbah. V. anche H . K . McArthur, > sia più antico della tradizione del terzo giorno. Era parere di N. Walker, «After Three Days>>: NovT 4 ( 1960) 1.16-262 che «dopo tre giorni)) si riferisca a tre giorni dopo la ricusazione, mentre «il terzo gior­ no)) è calcolato dalla morte di Gesù. Il problema è qui che nella sua predizione della passione (8,3 r) Marco ha dopo immediatamente dopo la morte, non dopo la ricusazione di Gesù. 4 Al riguardo cf. ad esempio Dodd, According to the Scriptures, 77· 103 (tr. it. 8o. 107); J. Wijn­ gaards, Death and Resurrection in Covenantal Context (Hos. vi. 2): VT 17 ( 1967) 226-238; McArthur, On the Third Day, 8 1 -86. 5 Paralleli interessanti in Gen. 4 2 , 1 7 - 1 8 e 2 Cron. ro, 5 . 1 2. 6 Si veda ora N.T. Wright, Christian Origins and the Question of God, 1 1 1 . The Resurrection o{ the Son of God, Minneapolis 2003, r 1 8 s.

Le predizioni della passione

2.4 9

significare sia «·tosto» / ·non diversamente dalle connotazioni di Le. 1 8,?8, sia « un tempo stabilito » , che porterebbe al senso intertestuale di Os. 3 ,4-5. 2 Se lo sfondo dell'affermazione di Gesù è questo, egli affermò sol­ tanto che se per le sofferenze c'è un tempo fissato da Dio così è anche per la reintegrazione. Se si preferisce l'altro modo di vedere, Gesù intese dire che benché la sofferenza fosse imminente dopo poco sarebbe giunta an­ che la reintegrazione.3 Il problema particolare di questo testo, in quanto fondamento scritturistico del motivo dei tre giorni, è che Os. 6,2 non viene citato da nessun'altra parte nel Nuovo Testamento e non compare (evidentemente) nella prima esegesi cristiana, anche se si potrebbe soste­ nere che nell'interpretazione giudaica (protorabbinica ) esso era probabil­ mente inteso come riferimento alla risurrezione. 4 Un senso metaforico più generale di «dopo tre giorni» trova tuttavia conforto nelle tradizioni su Gesù e va tenuto in mente nella valutazione del significato delle predizioni della passione. Gesù è accusato di dire che distruggerà il tempio ma lo riedificherà in tre giorni, un tempio non fatto dalla mano d'uomo (Mc. 14, 5 8 ; 1 5,29 ) . A meno di pensare che sia stato impreciso, Gesù non può semplicemente aver inteso alla lettera tre giorni. Altri testi analoghi: il segno della tradizione di Giona (in Q 1 1 ,30) proba­ bilmente in origine era senza il motivo dei tre giorni, e una tradizione giovannea secondo cui Gesù disse di essere andato «per un poco» ( Gv. 1 6, 1 6-19), anche se i particolari sono difficili da ricuperare. Le. 1 3 ,3 2-3 3 svi­ luppa inoltre un genere di riflessioni simili da parte di Gesù: Egli disse loro: « Andate a dire per me a quella volpe: Ecco, io caccio i demoni e opero guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno ho terminato la mia opera. Ma oggi, domani e il giorno dopo, io devo essere in cammino, perché è impossibile che un profeta sia ucciso fuori di Gerusalemme » .

Queste tradizioni inducono a riconsiderare un altro testo, Dan. 7 , 2 5 , co­ me potenziale fonte di riflessione per le predizioni della passione. 5 Conti­ nuano a sorprendermi quegli studiosi che rifiutano di considerare che Dan. 1 Così j. Jeremias, Die Drei- Tage- Worte der Evangelien, in J. Jeremias e al. (edd.), Tradition und Glaube, Gottingen 1 9 7 1 , 221 -229, e più di recente Evans, Did ]esus Predict His Death and Resurrection?, 96. 2 Allora Israele sarà «per molti giorni senza un re», ma «poi gli israeliti to rnerann o » Ma è sba­ gliato affermare, come si è fatto, che l'ebraico non ha un equivalente per «un poco» ; cf. m't· Cio­ nonostante, «dopo tre giorni>> o «tre giorni>> possono probabilmente significare «tostO>>, anche se i passi citati in Davies-Allison, Matthew II, 661 non danno maggior sicurezza. È plausibile il si­ gnificato «tosto» in Os. 6,1 -2. C'è chi considera equivalenti le due espressioni dopo e in (Gnilka, Markusevangelium I I , 16 [tr. it. 3 8 ] ) . Ciò richiederebbe che sia Maueo sia Luca abbiano altera­ to l'espressione indipendentemente l'uno dall'altro . .\ Cf. V. Taylor, ]esus and His Sacrifìce, 89; Casey, Generai, Generic, and Indefinite, 44· -l Così McArthur, On The Third Day, 85 s. � Così J. Schaberg, Danie/ 7, 1 2 and the New Testament Passion-Resurrection Predictions: NTS .H ( 1 9 8 5 ) 208-222; non così Moo, The Old Testament in the Gospel Passion Narratives, 102. .

2. 5 o

In riscatto per molti

potrebbe essere il contesto delle sofferenze del figlio dell'uomo. Daniele predice le sofferenze con le parole seguenti: «Proferirà parole contro l'al­ tissimo, perseguiterà i santi dell'altissimo e cercherà di cambiare le stagio­ ni sacre e le leggi; ed essi saranno dati in suo potere per un tempo, due tem­ pi e mezzo tempo » . Il figlio dell'uomo di Dan. 7, figura dei santi dell'al­ tissimo, viene reintegrato proprio perché ha sofferto. La reintegrazione è ciò che viene promesso a coloro che soffrono; coloro che non soffrono non attendono che venga loro resa giustizia, ma ricompensa (vedi Deut. 28). Questa predizione di Daniele significa che Antioco godrà del potere per breve tempo, per «tre anni e mezzo » (Dan. 9,27) o, forse con maggior pre­ cisione, «per un periodo limitato » (Dan. 8,14 e 1 2, I I - I 2 chiariscono ul­ teriormente questo periodo di tempo e I Macc. 4 , 5 4 afferma che tale pe­ riodo è esattamente di tre anni). A questo punto potrebbe non essere irrilevante osservare che i due testi­ moni morti dell'Apocalisse giacciono sulla strada per «tre giorni e mezzo» (Apoc. r i , r - r 3 ) . Se questa tradizione esegetica (Dan. r ; I Maccabei; Apo­ calisse) proveniente forse da Os. 6,1-2 è il contesto dell'affermazione di Ge­ sù, il significato si sposta dalla speranza in una reintegrazione imminente a quello di un periodo abbreviato di sofferenza. La sofferenza deve venire, ma Dio sorveglia; egli garantirà che il periodo non sia lungo e ristabilirà i suoi eletti. Anche se lungi dall'essere quello certo, la tradizione che si in­ contra in Daniele e nell'Apocalisse di Giovanni sembra essere il contesto più probabile dell'affermazione di Gesù. Stando così le cose, anche qui si è condotti non ai canti del servo di Isaia ma al passo sul figlio dell'uomo di Daniele. Per consentire con l'idea classica che dietro a questa idea di reintegra­ zione ci sia il servo di Isaia, sia pure senza l'espressione fondamentale do­ po tre giorni, si dovrebbe tuttavia prendere in considerazione la seguente sequenza di testi: Is. 5 3 , I I - I 2 parla di innalzamento nel senso, in certo modo, di reintegrazione. Proprio quest'idea è ripresa in Dan. 1 I ,3 3 - 1 2, Io e poi di nuovo in Test. Mos. r o,9; Sap. 2,1 2-20; s, I-6 e forse in 4Q491. Il giusto servo di Dio soffre e viene reintegrato. Se si cerca il tema genera­ le del giusto sofferente cui viene resa giustizia, si può certamente imboc­ care questa strada che dal servo di Dio si inoltra nel 1 secolo, ma (come si è ricordato) il decisivo dopo tre giorni non pertiene a questa tradizione - ed è fondamentale per le predizioni della passione. Né il motivo dei tre gior­ ni è un elemento della tradizione di Sal. 1 r 8,22. 7

IL TRADIMENTO

Lo stesso retroterra ispirato a Daniele sembra sia presente anche in un'al­ tra predizione della passione: «il figlio dell'uomo sarà consegnato nelle ma-

Le predizioni della passione

2. 5 1

ni degli uomini)) (Mc. 9,3 r).1 Anch'essa ha un parallelo nella stessa visione di Daniele: «essi [i santi che subiscono parimenti] saranno dati in suo po­ tere )) (Dan. 7,2 5 ) . I LXX usano lo stesso verbo (paradidonai) della tra­ dizione marciana (Mc. 9,3 1 ; 1 0,3 3 ) .2 Non è casuale trovare due coinci­ denze significative: in un passo di D an. 7,2 5 troviamo consegnare e dopo tre giorni, che compaiono di nuovo insieme in quello che sembra essere un detto autentico di Gesù.3 La dimostrazione decisiva e importante che le predizioni della passione sono una riflessione su Dan. 7 (con Dan. 1 2,1-2 che fa da filtro a Dan. 7, 25 e forse Dan. 7 che fa da filtro a Sal. 1 1 8,22 mediante Dan. 2) è che Ge­ sù vede le sue sofferenze come quelle del figlio dell'uomo. Il dato di fon­ do delle predizioni della passione è di parlare tutte delle sofferenze del fi­ glio dell'uomo, non della figura del servo di Isaia. E nei suoi toni impassi­ bili Morna Hooker delinea qui una figura precisa: «difficilmente egli avreb­ be richiamato al suo uditorio qualcosa scritto a proposito del figlio dell'uo­ mo se in sostanza si riferiva a passi connessi con un concetto affatto di­ verso [ossia il servo di lsaia] » .4 Nelle predizioni della passione si vede co­ sì Dan. 7,12 (come un figlio d'uomo) riattualizzato da Gesù per la propria vita e la propria sorte: come il figlio dell'uomo rappresenta la reintegrazio­ ne dei santi sofferenti, così anche il limite posto alle sofferenze del popo­ lo di Dio è un incoraggiamento ad attendere che Dio renda giustizia. 5 NECESSITÀ DIVINA

Questo motivo conduce alla tradizione salda di tutta la documentazione più antica secondo la quale Gesù pensava che la sua vita avesse il suo co­ pione nella Bibbia e nel teatro divino: «è necessario » ha profonde radici nella tradizione. 6 Se si cercano passi del Tanak di cui si potrebbe affer1 Al riguardo v. N. Perrin, The Use of (mxp(X)ò�òovcu in Connection with the Passion of ]esus in the New Testament, in E. Lohse - C. Burchard - B. Schaller (edd. ), Der Ruf ]esu und die Ant­ wort der Gemeinde, Gottingen 1970, 204-2 1 2. 2. Sul problema dell'autenticità cf. Casey, Generai, Generic, and Indefinite, 40-4 2. 3 Forse il termine è ancor più generico e si riferisce solo al destino dei profeti; cf. F. Hahn, The Titles of jesus in Christology, New York 19 69, 3 8 s. Cf. Mt. 23,37; Rom. 1 1 , 1 3 ; I Tess. 2, 1 5 . 4 M.D. Hooker, jesus and the Servant, London 1959, 96; così anche Dunn, jesus Remembered, 807 (tr. it. 861 ) . 5 Si può appro fon dire l espressione «soffrire molto>> (Mc. 8,3 I ) e vedervi un profilo sommario del «giusto sofferente» , a cui un tempo ci si mostrava tanto affezionati. Cf. ad esempio Sal. 34,7 . 1 8 . 20; 2.0,20; LXX 3 0,9; 6 8 , 1 7; 101 ,2, ecc. cf. anche ls. 5 3 ,4 . V. Schweizer, Lordship and Disciple­ ship, 22-4 1, che fornisce un compendio di questa tesi. Che la chiesa delle origini si raffigurasse Gesù in questi termini è probabilmente implicito in Atti 3 , 14; 7, 5 2; 22., 14; Mt. 27,4 (B ecc.); 23, 28.35· 6 Le. 1 8, 3 1 è probabilmente lucano e spiega i n termini più vividi i l senso della necessità. S u Le. 22,37 cf. le osservazioni di Moo, The 0/d Testament in the Gospel Passion Narratives, 1 3 3 (e '

2. S 2.

In riscatto per molti

mare che implichino la necessità della sofferenza con l'implicazioné della reintegrazione si può essere condotti a Gen. 22, a Sal. 22 o I I 8 oppure a ls. 5 2, 1 3 - 5 3 , 1 2. 1 Ognuno di questi testi poté svolgere qualche funzione nella comprensione che Gesù ebbe della propria missione e per il metodo non vi è ragione di limitare il bacino a un unico angolo. Ma la persecuzione dei santi di Dan. 7, l'ovvio interesse che Gesù tro­ vò nella reintegrazione della figura del figlio dell'uomo in questo passo, l'uso esplicito di figlio dell'uomo nelle predizioni stesse della passione e l'interpretazione in senso collettivo di Dan. 7 conducono, ciascuno per di­ versa via, alla costellazione innovativa creata da Gesù mettendo i propri patimenti sotto la figura del figlio dell'uomo di D an. 7. Si dovrebbe osser­ vare che tutte le predizioni della passione sono seguite da un monito di Ge­ sù riguardo a possibili patimenti dei suoi seguaci - sempre con altri indizi di una loro reintegrazione. Nelle parole di Gesù i patimenti del figlio del­ l'uomo contengono quindi allusioni al rappresentante di un gruppo. Fra tutti i testi che si possono prendere in considerazione, le predizioni della passione riprendono i motivi di Dan. 7. 2 ALTRE PREDIZIONI DELLA PASSIONE

Di rado oggi si mette la tradizione giovannea sullo stesso piano delle tra­ dizioni sinottiche quando si tratta di recuperare il Gesù storico.3 Non si dovrebbe tuttavia dimenticare che anche le (tre) predizioni della passione di Giovanni sono intessute dei motivi della necessità, del figlio dell'uomo n. 4). Che òei possa rendere espressioni aramaiche o ebraiche di necessità, si può vedere in Lev. 5 , 1 7; 4 Regni 4, 1 3 - 1 4; ls. 3 0,2.9; Dan . 2.,2.8 .45· Cf. Gundry, Mark, 446; v. W.J. Bennett, Jr., «The Son of Man Must. . . >> : NovT 17 ( 1 97 5 ) I I 3 - 1 2.9 . r I n particolare s i può notare quanto segue: 1 . È!J.1t'tuw s'incontra tre volte nei LXX; si possono confrontare ls. so,6 e Giob. 7,19; J O, I O. Il termine si trova anche in Mc. 1 4,65 e 1 5 , 1 9 ed è molto probabilmente post factum; non si trova in ls. 5 2. , 1 3 - 5 3 , 1 2. né è un termine soteriologico. 2.. jJ.CIO''tt"(OW si trova in Is. 50,6 e anche in Mc. 14,65; probabilmente è post factum. Né il lessi­ co né il motivo sono comuni, perciò è possibile che l'autore pensi qui alla figura del servo di Isaia. Hooker, ]esus and the Servant, cammina su questo termine a passo di danza; 3· &7toÒoxt�a�w è probabile allusione a Sal. 1 r 8 ,2.2.. 4· 7tcxpcxòiòw�t : Rom. 4,2.5 si basa su Tg. Is. 5 3 , 5 (d. Rom. 8, 32.) e il termine potrebbe provenire da fs. 5 3 ,6.1 2[2x]. Significativamente il termine ha un diver­ so significato nelle predizioni della passione, ma assurdamente la differenza di un attivo rispetto a un passivo non conduce da nessuna parte nella ricerca delle origini. Cf. Moo, The Old Testa­ ment in the Gospel Passion Narratives, 95-97, che vede echi di ls. so,6; 5 3 , 1 2 e Sal. 1 1 8, 2. 2 nelle predizioni della passione. 1 Cf. le osservazioni di M. Hooker a detta della quale nei sinottici la tradizione del figlio del­ l'uomo nella sua fase primigenia fu collettiva e generale. Si veda il suo The Son of Man and the Synoptic Problem, in The Four Gospels I 9 9 2 1 (BEll. 1 oo), Leuven 1 992., 1 89-20 1 . 3 La ricerca nel suo insieme è stata di recente ripercorsa, i n un'ottica conservatrice, d a C.L. Blom ­ berg, fohn and ]esus, in S. McKnight - G.R. Osborne (edd.), The Face of New Testament Studies, Grand Rapids 2004, 209-22.6; si veda anche il recentissimo studio di Blomberg, The Historical Reliability of john's Gospel, Downers Grove 2.002..

Le predizioni della passione

25 3

e della reintegrazione: Gv. 3 , 1 3 - 1 4 (innalzamento del figlio dell'uomo); 8, 28 (innalzamento del figlio dell'uomo); I 2,3 I-34 (innalzamento del figlio dell'uomo). 1 È infatti evidente che Gesù prevede che i propri patimenti condurranno alla morte, ma al di là della morte egli vede la reintegrazione. Come il figlio dell'uomo, in quanto rappresentante dei santi dell'altissi­ mo, soffrì e Dio gli rese giustizia, così anch'egli dopo i patimenti verrà re­ integrato. È ora possibile estendere ulteriormente la nostra rete e prendere in con­ siderazione i passi seguenti come predizioni della passione che conferma­ no per l'essenziale la disamina che si è fin qui condotta delle predizioni della passione convenzionali. Primo, in Q si dovrebbe osservare Q I I ,4 748.49- 5 1 e 1 3 ,34-3 5.2 S'incontra qui il profeta di Dio perseguitato per la sua obbedienza e per aver dichiarato al popolo recalcitrante ciò che Dio gli ha dato il coraggio di dichiarare. Secondo, in Marco è da osservare Mc. 2, I 8-22 (sposo ); I 2,8 (figlio); 14,21 (figlio dell'uomo); I 4,27 (pastore); I4,36 (figlio) . Qui il figlio di Dio, il figlio dell'uomo e il pastore vengono tutti rifiutati e soffrono. Terzo, in Luca si trovano I 3 , 3 3 ; I 2,49- 50 e 22, 3 5-3 8. Il risultato di questo breve sguardo ad altre predizioni della passione por­ ta a conclusioni simili: Gesù vide la propria morte come quella di un pro­ feta martire; previde la sua sofferenza nei termini del ruolo del figlio del­ l'uomo di Dan. 7; diverse immagini potrebbero essere modi di esprimere la sua futura morte; il richiamo al servo è presente ma non è l'interpretazio­ ne che sta in primo piano; tuttavia in nessuno di questi casi Gesù vede la propria morte in termini di espiazione; egli la concepisce in senso rappre­ sentativo, come la morte di chi incarni la sorte dei suoi seguaci. Con i suoi seguaci, Gesù è il figlio dell'uomo che soffre e ottiene giustizia. CONCLUSIONE

Le predizioni della passione non mostrano una teologia dell'espiazione, né si trova in esse una riflessione coerente e solida sulla morte di Gesù alla luce del servo di Isaia. Esse sono invece autentiche riflessioni di Gesù, non tanto sulla sua morte, quanto sulla sua reintegrazione/ e il testo scrittur Si osservi che U#w/òo;ci�w ricorrono insieme in Is. 5 3 , I 2 e che i passi condividono il medesi­ mo lessico e gli stessi temi e termini che non sono correnti. 2. Cf. al riguardo il (motivo del non attuato) lancio di pietre in Gv. 8,59; 10,3 1-36; I r,8. 3 La risurrezione e il suo significato preciso nel giudaismo sono diventati ultimamente un im­ portante motivo di dibattito. Si veda l'interessante articolo di J.D. Crossan, The Resurrection of ]esus in its ]ewish Context: Neot 37 ( 2003 ) 29-57; N.T. Wright, ]esus' Resurrection and Chris­ tian Origins: Greg 3 8 ( 2002) 6I 5-63 s; Resurrection of the Son of God, 8 5-2o6, dove l'autore si batte per una «vita dopo la vita-dopo-la-morte» ); Segal, Life After Death, ca pp. 3 , 6-7, 9, I 2, I4 (anticipato in molti modi da Crossan).

154

In riscatto per molti

ristico su cui si basano sembra essere· con ogni probabilità Dan. 7, anche se non sarebbe giustificato limitare la riflessione a questo solo passo. Co­ me figlio dell'uomo Gesù sa che le sofferenze presenti aumenteranno, ma le sofferenze non sono l'ultima parola. Dio, l'antico di giorni, dopo tre giorni renderà giustizia al figlio dell'uomo - ossia, subito dopo. Dopo aver riflettuto sul copione steso da Gesù stesso per la propria vi­ ta, tutto ciò riporta alla situazione da cui si è partiti dello studio della sua previsione di una morte anzitempo. Dai tempi della morte di Giovanni Ge­ sù meditava sulla sua possibile morte, e quel che pare ne abbia pensato fu che sarebbe morto anzitempo, che ciò era intrinseco nel disegno di Dio, che egli era come altri martiri, profeti e figure del Tanak e, più in partico­ lare, che la sua morte sarebbe avvenuta con l'inizio della prova finale. La connessione che nelle predizioni della passione Gesù stabilisce col figlio dell'uomo è simile: come il figlio dell'uomo sperimentò (quella che può solo definirsi) la tribolazione escatologica, così Gesù stesso, in quanto si­ mile al figlio dell'uomo, subirà anch'egli la prova finale e al pari del figlio dell'uomo verrà anch'egli reintegrato. Questo è il racconto o lo sviluppo della storia che meglio sembra accordarsi con la documentazione che è dato trovare sullo stato d'animo di Gesù. A un attento esame di questa documentazione emergono due fatti: pri­ mo, che Gesù pensò che sarebbe morto conformemente a qualche legitti­ mazione scritturistica; secondo, che questa morte, per quanto è possibile dirne, non è considerata espiatrice. Non mancano riscontri che portano a pensare che Gesù si è richiamato al servo di Isaia; non si è certi che il «ri­ scatto per molti» possa risalire a Gesù nel contesto di Mc. 1 0,3 5 -4 5 , ma è da riconoscere che già il fatto di richiamarsi al servo fa del «riscatto per molti )) un possibile detto di Gesù. Quanto si può vedere è chiaro: Gesù sapeva che sarebbe morto e cercò risposte nel Tanak. L'interpretazione della morte di Gesù come espiazione, tuttavia, non compare in quella che i più prendono come l'affermazione fondante di Ge­ sù a proposito della propria morte: la predizione (o le predizioni) della pas­ sione. Certo Gesù pensò di dover morire, ma le predizioni della passione semplicemente non forniscono spiegazioni dell'effetto o del valore salvifi­ co di una morte anzitempo. Con tanti possibili accenni a temi del genere in Is. 5 3 e per il fatto che Gesù si sia talvolta richiamato all'immagine del servo, stupisce che per spiegare la propria morte Gesù non si sia rifatto a questo testo. Di ciò si è sicuri: Gesù si considerò nei termini del figlio del­ l'uomo di D an. 7, sofferente e reintegrato. 1

1

Beasley-Murray, ]esus and the Kingdom of Cod.

ANCORA SU MC.

10,4 5

La conclusione a cui si è giunti riguardo a Mc. r 0,4 5 è a un punto morto: per riconoscere autentico il linguaggio dell'espiazione di Mc. 1 0,4 5 si do­ vrebbe dimostrare che Gesù pensava se stesso e la sua sorte principalmen­ te come servo, di fatto come il servo del Deutero-Isaia. Di conseguenza si è dimostrato che in realtà rientrava nella prospettiva di vari capi carisma­ tici giudei pensarsi come persone che si attenevano a canovacci rinvenuti nelle pagine del Tanak. Si è inoltre trovato che Gesù pensò se stesso alla luce di diverse figure, benché tra queste figure sembra prevalere per Gesù soltanto il figlio dell'uomo. Quanto più da vicino si guardi, tanto più in­ fatti il servo scompare e si fa avanti in primo piano l'enigmatica figura col­ lettiva di Dan. 7 : il figlio dell'uomo. Anche a questo riguardo è da ricorda­ re che Mc. r o,4 5 è profondamente radicato in Dan. 7 e nella sua esegesi e che in questo testo il figlio dell'uomo soffre in vista dell'espiazione dei peccati (9,24). I Ma non è finita. La tradizione di pesa� fornisce un'ulteriore occasione di trovare qualcosa su ciò che Gesù pensò della sua morte, e ciò che for­ nisce sono alcune immagini che fanno pensare che Gesù, o qualcuno do­ po di lui, pensò che la sua fosse una morte espiatrice. È di questa tradi­ zione che ora ci si occuperà, non senza aver prima fatto osservare che lo studio di questo testo ricondurrà ancora una volta a Mc. 1 0,4 5 e al detto sul riscatto. I

Cf. B.J. Pitre, The Historical ]esus� the Great Tribulation and the End of the Exile, so8- S 3 4 ·

Parte quarta

Gesù e l'ultima cena

Capitolo

ì2.

Pesa� nella storia

giudaica

L'eucaristia è uno degli elementi della vita ecclesiale che agli uomini d'oggi può piacere o non piacere, ma nessuna persona intelligente osa ignorarla quando cerca di comprendere Gesù. Gli elementi dell'eucaristia sono gli aspetti più stabili della cristianità. I problemi abbondano e le risposte che si danno forniscono interpretazioni che guidano il fedele. Ogni domenica in tutta la cristianità i cristiani si siedono, s'inginocchiano, si alzano, par­ tecipando così al «corpo del Signore )) e al « sangue del Signore » . A molti ciò procura sollievo, senso di perdono e la sensazione d'essere in pace con Dio, con sé e con gli altri. L'eucaristia incarna la teologia cristiana del­ l'espiazione, del perdono, della riconciliazione e della missione. Rivela una cristologia e insieme annuncia un'escatologia. Nutre un'ecclesiologia tanto quanto informa la liturgia. Ma questi motivi e queste forme teologiche risalgono a Gesù stesso? Riformulando la nostra domanda in termini più consoni al 1 secolo: nella sua ultima cena con i discepoli Gesù vide la fondazione della pratica cri­ stiana dell'eucaristia o, ancor più, l'incarnazione della sua propria con­ cezione dell'espiazione ? Non si dovrebbero relegare queste domande agli angoli della storia né al limite delle nostre coscienze. Di fatto il cristiane­ simo è diventato una religione cruciforme, una religione della croce. I pri­ mi cristiani che diedero forma al movimento che andava nascendo aveva­ no questo diritto? la loro concettualizzazione delle tradizioni su Gesù me­ diante una teologia cruciforme si accordava con la vera vita di Gesù, con la sua missione, con i suoi insegnamenti e le sue azioni? oppure, in qual­ che modo, l'idea più semplice di Gesù fu avviata su un binario sbagliato ? la croce ha forse preso vita propria ? Non è un complesso di problemi da poco. Oggi infatti l'identità cri­ stiana è radicata in questa forma cruciforme del vangelo. Che cosa acca­ drebbe alla fede cristiana se improvvisamente si scoprisse, per effetto di nuovi ritrovamenti, che Gesù non intese morire per il perdono dei pecca­ ti? che non intese la propria morte come espiatrice? oppure che neppure previde la sua morte ? che di fatto quell'ultima settimana fu un insieme �onfuso di sorprese, che si fece chiaro quando dalla croce egli si vide da­ vanti una folla adirata ed era troppo tardi per fare qualcosa? Per rispon­ dere a queste domande è necessario rispondere ad altre domande ancora. 2. 5 9

260

Gesù e l'ultima cena

L'ultima cena fu in senso proprio un pasto pasquale (pesa�) ? se così è. pesa� fornisce indizi su come Gesù presagì la propria morte ? e questi in­ dizi ci fanno propendere per la direzione di un'interpretazione di questa morte che sia in continuità immediata ed esplicita con la prima interpre­ tazione cristiana secondo cui la morte di Gesù era di fatto rappresentati­ va o sostitutiva o vicaria o propiziatoria o sacrificale e fatta per assorbire i peccati ? Le domande sono molte e non consentono risposte facili. Ma prima di poter indagare sull'ultima cena come pasto di pesa�, si deve pri­ ma esaminare che cosa fosse pesa� nel I secolo. Anche qui si è assistito a marchiani errori storici - di due tipi: 1. che la tradizione di Es. 1 2 sia stata praticata integralmente e continuativamente per secoli e 2. che il trattato mishnico Pesa�im, spesso identificato con la moderna aggada di pasqua, riveli i particolari della prassi del I secolo. Uno studio della storia della pratica di pesa� nel quadro delle celebrazioni del­ la settimana dei pani azimi (ma��ot) rivela entrambi questi errori storici e consente di esaminare le tradizioni evangeliche dell'ultima cena tenendo i piedi su un terreno più saldo. PESAJ:I NELLA STORIA

L'osservanza cristiana dell'eucaristia come quella giudaica del pesa� trag­ gono in inganno il praticante facendogli equiparare l'osservanza moderna e il rituale rabbinico con la prassi del 1 secolo. 1 Le nostre pratiche liturgi­ che configurano di fatto la nostra identità religiosa e la nostra identità in­ fluenza poi la nostra concezione della liturgia. Le liturgie di pesab e dell'eu­ caristia raccontano la storia di come israeliti e cristiani concepiscano se stessi e la propria fede. Questi riti incarnano di fatto la loro storia. È pos­ sibile ritrovare le storie originarie o quantomeno una buona approssima­ zione ? Rapide istantanee sull'osservanza di pesa� nella storia giudaica - è tutto ciò di cui si dispone - forniscono una panoramica della storia della festa e una visione in rilievo di ciò che fu della massima importanza per varie comunità giudaiche. Che però l'ultima cena di Gesù sia stata o meno un vero pesab e in caso contrario quantomeno il pasto settimanale di pe­ sa�, è molto importante. S'inizierà quindi con lo sviluppo di pesa� nella storia giudaica. Anche qui ci si addentra in una pletora di enigmi storici. di dibattiti esegetici e di sviluppi teologici - la maggior parte dei quali do­ vranno semplicemente essere ignorati. È da tener presente questa sola idea: quando si entra nel mondo delle va­ rie celebrazioni di pesab ci si addentra in un mondo sacro, un mondo in cui l'israelita credeva che Dio parlasse, in cui il tempo si fermava e gli israeli1 Buon esempio di confusione relativamente ai diversi periodi storici è quello di D. Stern, ]ewish New Testament Commentary, Clarksville, Md. 1 992, 77-82.

Pesa� nella storia giudaica

26 I

ti raccontavano la loro storia - una storia in cui il significato era determi­ nato dalla memoria e dal racconto degli eventi antichi, e in cui un popolo si riuniva per esprimere la propria identità nella solidarietà, nell'adorazio­ ne e nella memoria. Quando i celebranti israeliti iniziavano pesa� congiun­ gevano le loro mani con quelle di innumerevoli predecessori che - anche se con diversità familiari, tribali, culturali, linguistiche, teologiche e poli­ tiche - erano stati al tempio e alla tavola per la stessa ragione: ricordare la liberazione dall'Egitto a opera di Dio. Erano anelli di una catena viva del­ la memoria. Quando il pellegrino lasciava Gerusalemme o faceva rientro nel tempo ordinario, rientrava nel mondo quotidiano ritemprato e forse rideterminato a confidare che Dio ancora una volta avrebbe liberato il suo popolo - da Roma come da altri. Questa fede si espresse abbastanza spes­ so perché ne rimangano testimonianze scritte, di cui ora ci occupiamo. I singoli testi antichi che documentano il pesa� e la sua celebrazione so­ no grossomodo nove. 1 Eccone l'elenco: I . i racconti istitutivi di Es. I 2- I 3 , capitoli che sono com binazioni del­ le fonti ipotetiche P ( 1 2, 1 -20. 2 8 .4o- so), E ( 1 2,21-27.29-39; I 3 ,1-19.2122) e J ( 1 3 ,2 1-22); 2 1 Lo studio più importante sull'argomento è J.B. Segai, The Hebrew Passover from the Earliest Times to A.D. 70 (London Orientai Series 1 2 ), London 1963. Tra altro l'autore sostiene che l'or­ dine biblico è anche grossomodo quello cronologico, affermandolo contro la tradizione consa­ crata della teoria documentaria di Gra f-Wellhausen. Come spiegazione più tradizionale si veda anche A. B. Bloch, The Biblica/ and Historical Background of the ]ewish Holy Days, New York 1978, 1 0 1 - 1 66; si vedano inoltre gli importanti studi di J. Tabory (Toward a History of the Pas­ chal Meal, 62-80) e I.J. Yuval (Easter and Passover as Early ]ewish Dialogue, in P.F. Bradshaw - L.A. Hoffman [edd.], Two Liturgica/ Traditions, v. Passover and Easter, Notre Dame 1 9 99, 98-1 26); L.A. Hoffman, The Passover Meal in ]ewish Traditions, 8-28; B. Leyerle, Meal Cus­ toms in the Greco-Roman World, 29-61 ; B.S. Childs, The Book of Exodus (OTL), Louisville 1 974 argomenta contro Segai (pp. 1 84-1 86); v. pp. 1 78-214. Impareggiabile negli studi su Gesù è J. Jeremias, The Eucharistic Words of]esus, Philadelphia 1 977, che dipende in tutto da G. Dal­ man, ]esus-]eshua, New York 1 9 29, e da H.L. Strack e P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch IV/I, Miinchen 1 9 6 1 , 4 1 -76; nonostante la sfacchinata della ricerca sui testi antichi, Strack e Billerbeck, mostrano la tendenza a tipologizzare e a rico­ prire ogni particolare col manto della leggenda. Cf. A.J. Saldarini, ]esus and Passover, New York 1 984; R. Pesch, Das Abendmahl und ]esus Todesverstandnis (QD So), Freiburg-Basel-Wien 1978; X. Léon-Dufour, Sharing the Eucharistic B read, New York 1 9 8 6. 2. Il tentativo più recente di scomposizione è quello di W.H.C. Propp, Exodus z � 1 8 (AB 2), New York 1 999, 3 5 5- 3 5 8 , che considera Es. 1 2, I - 1 3 , 1 6 proveniente da P e molto probabilmente da E. L'analisi delle fonti delle tradizioni del Pentateuco, comprese le tradizioni di pesa�, è oggi in stato di confusione. Lo studio di Propp è sufficientemente esaustivo da costituire una piccola mo­ nografia (pp. 3 5 5-461 ). Una fonte divulgativa ma straordinariamente utile è R. E. Friedman, The Bible with Sources Revealed, San Francisco 2003; Friedman ha pubblicato anche uno studio di piacevole lettura della sua versione più aggiornata dell'analisi delle fonti del Pentateuco in Who Wrote the Bible?, New York 1 9 87. Si vedano anche le diverse vedute di Criisemann, The Torah, Minneapolis 1 996; l. Knohl, The Sanctuary of Silence, Minneapolis 199 5 . Qui non si formule­ ranno giudizi critici né ci si servirà di posizioni del genere per qualcosa di sostanziale. Una intro­ duzione informata, anche se tradizionale, alle problematiche più generali della storia nel Tanak è quella di V.P. Long e al., Windows into Old Testament History, Grand Rapids 2002.

2.62.

Gesù e l'ultima cena

2.. le tradizioni eterogenee che si trovano ora in Es. 23,i4-I7. (E); 34,18. 23 (J); Lev. 23 (P); Num. 9,1-14 (P); 28,1 6-24 (P oppure il redattore del

Pentateuco ); 3. l'autorevole resoconto deuteronomico di D eut. I 6; 4. le tradizioni storiche di G ios. 5, r o- I 2.; 2 Re 2 3, 2 1-2 3 par. 2 Cron. 3 5 ; Esd. 6,1 9-22; Ez. 4 5 , 2 I -24; 5· Iub. 49; 6. vari testi di Giuseppe; I IQT I 7,6-9 (di scarsa importanza); 7· Filone in Spec. 2, 1 4 5 - 1 7 5 , spec. 1 4 5 - 1 49; 1 8. Mishna, specialmente il trattato Pesa�im; vari testi rabbinici; 9· le tradizioni evangeliche relative all'ultima cena (Mc. I4,22-2 5 par. Mt. 26,26-29; cf. Le. 22, I 9-20 e I Cor. r r , r 3 -26; Gv. 1 3 ) . Altri testi, ad esempio Gv. 6, forniscono solo possibili informazioni sul­ le prime visioni cristiane delle tradizioni di pesa�/eucaristia, e saranno usa­ ti soltanto di passaggio. Le diverse pratiche giudaiche di pesab provengo­ no all'incirca da cinque periodi, anche se fissare date è problematico: pri­ mo, i documenti istituti vi di Es. I 2- I 3 ; secondo, i contributi di successive tradizioni giudaiche accolte nel Pentateuco e in diversi libri storici; terzo, la tradizione deuteronomica; quarto, le testimonianze del 1 sec. a.C. e d.C.; quinto, la documentazione mishnica. Esistono almeno diciassette elemen­ ti distinti della tradizione di pesa� e la documentazione può risultare com­ plessa, perciò una mappa dell'esposizione concluderà questa sezione. Gli elementi di pesa�: breve rassegna Tutti gli elementi fondamentali di pesa� si trovano nelle tradizioni di Es. I 2- 1 3 . J.B. Segal,2 autore del libro più importante sull'argomento, ritiene che pesa� sia nata da un'originaria festa dell'anno nuovo. Perlopiù si pen­ sa che ma??Ot (la festa dei pani azimi) e pesa� fossero in origine feste sepa­ rate che le realtà della vita agreste combinarono in unità organica. 3 Dalle tradizioni istitutive emergono gli elementi seguenti di pesa�: tutto Israele, con particolare attenzione ai circoncisi, isola e sacrifica un agnello maschio senza macchia ( I O Nisan); 1 Per Filone s i veda C.T.R. Hayward, The ]ewish Tempie, London 1996, 1 3 - 3 5 . Filone chiama pesa� il ((passaggio» (òta�'t�pta), riferendosi all'attraversamento del Mar Rosso e della terra di Israele (ma non al passaggio dell'angelo vendicatore nel pesa� fondativo). La nota in calce del­ l'edizione Loeb del De Specialibus Legibus afferma che «in greco classico si chiamano Òla�a-r�pta i sacrifici compiuti prima dell'attraversamento di un confine, e anche (Piutarco, Luc. 24) prima di passare un fiume in piena ))' e si rinvia a Filone, Spec. 2.,147· 2 Segai, The Hebrew Passover, 1 1 4-1 54; Saldarini, ]esus and Passover, 6-8. 3 La documentazione antica non è chiara circa la stagione originaria della festa dell'anno nuovo: potrebbero essere state sia la primavera (pesa�) sia l'autunno (rosh hashanah e jom kippur).

Pesab nella storia giudaica

163

tutto Israele

uccide la vittima, in casa, la sera del 1 4 Nisan; 1 Israele macchia di sangue l'architrave e gli stipiti con rami d'issopo (maggiorana); Israele deve arrostire l'agnello intero e mangiarlo con pane non lievitato ed erbe amare; Israele deve consumare il pasto in fretta; Jhwh «oltrepassa » la casa se il sangue è ben visibile; nelle case dove le porte non hanno il segno del sangue muore il primo­ genito, e la famiglia ne scopre la morte il mattino seguente; la festa è perpetua e viene celebrata insieme con ma��ot (festa di sette giorni); il primo e il settimo giorno si tengono « adunanze sacre» ; a i bambini viene data una spiegazione che interpreta i l pasto e l e sue usanze di festa; Israele eredita ricchezze dai suoi vicini, il « bottino degli egiziani». Insieme a poche altre regole (ad es. l'agnello doveva rimanere nella ca­ sa, le sue ossa non dovevano essere spezzate, il sacrificio delle primizie è ri­ cordo di pesa�), sono questi gli elementi essenziali di pesa�; col passare del tempo si ebbero alterazioni, adattamenti e omissioni, ma l'essenziale è tut­ to qui. Il pasto serviva, che lo si intendesse specificamente o meno, a infon­ dere identità e coesione a tutto Israele - allora come oggi. Una seconda e posteriore fase di pesa� s'incontra d'altro canto quando si esaminano altre tradizioni del Pentateuco che sembrano rispecchiare pe­ sa� com'era celebrata in terra d'Israele (Es. 2 3 , 1 4 - 1 7; 3 4, 1 8.23; Lev. 23; Num. 9 , 1 - 1 4 ; 2 8 , 1 6-2 5 ) . In particolare, pesa� sembra essere fondamental­ mente una festa maschile legata al censimento militare. La vittima, poi, non viene più sacrifica ta in casa ma in un santuario, e il sacrificio avviene quo­ tidianamente durante ma��ot. Tale celebrazione è accompagnata, il secon­ do giorno, dall'offerta di un covone di cereali e di vino che propizia il rac­ colto su tutta la terra e il consumo delle nuove messi; questo atto anticipa pentecoste e integra le due feste. Per coloro che hanno mancato pesa� è fissato un secondo pesa�. Per concludere, si minaccia ora di esclusione chi non partecipa, forse a causa del censimento militare (è da sospettare che nei giorni sotto il faraone un simile avvertimento non fosse necessario). La cosiddetta rivoluzione deuteronomica d'Israele influenzò pesa� e lo si può vedere nelle pratiche codificate in Deut. 1 6.'" L'innovazione più in­ solita - alla fine disapprovata e forse anche soppressa è il permesso di -

1 Per il dibattito rabbinico riguardo alle ragioni di un'attesa di quattro giorni tra la scelta e il sa­ crificio si veda l'interessante scritto di j.M. Cohen, Moments of lnsight, London 1989, 37-63, dove si suppone che avessero qualche attinenza i tre giorni necessari dopo la circoncisione. 2 Come studio critico della cosiddetta storia deuteronomica si veda A. F. Campbell - M.A. O'Brien, Unfolding the Deuteronomistic History, Minneapolis 2000.

164

Gesù e

l'ultima cena

prendere la vittima di pesa� dal gregge ( 1 6,2 ; Tg. Onq. a Deut. r 6,2, do­ ve è anche specificato che il sacrificio del gregge riguarda l'offerta festiva della settimana; presupposto in mPesa�im; cf. anche mMen. 7 ,6). Anche in tal caso, con una progressiva centralizzazione della festa, la vittima vie­ ne uccisa e consumata nel tempio/santuario di Gerusalemme. I celebranti tornano alle loro « tende» ( r 6,7) il mattino dopo il pasto celebrativo. Il pa­ ne di pesa� è conosciuto ora come il «pane dell'afflizione» ( I 6,3 ) e la vitti­ ma può essere « bollita» anziché arrostita ( I 6,7), altra innovazione inte­ ressante ma contestata. Tradizioni giudaiche posteriori che s'incontrano ora nei libri storici co­ me in testi quale il Libro dei Giubilei, rivelano ulteriori adattamenti. Gios. 5 , I o- I 2 informa il lettore che quando i figli d'Israele mangiarono pane azimo, la manna cessò. Sia 2 Re 23,2I-23 sia 2 Cron. 3 5 rivelano l'emerge­ re nella festa della centralità dei sacerdoti: sacerdoti e leviti eseguono l'uc­ cisione e l'aspersione del sangue per gruppi familiari riuniti nel tempio. Il re e i principi procurano la vittima per il popolo. Come fosse un chiarimen­ to della tradizione deuteronomica più antica, le vittime della settimana po­ tevano essere bollite, non invece quella di pesa�. I leviti si prendono cura dei particolari della celebrazione sacerdotale, mentre cantori e guardiani assumono nuovi ruoli per la festa. Poche tradizioni nuove si trovano in Esd. 6,1 9-22 (dove leviti e sacerdoti svolgono un ruolo centrale) e in Ez. 45,21 -24 (anche se qui si presta maggior attenzione al principe in quanto fornitore, e pesa� incorpora [contrariamente alle tradizioni precedenti ) idee di espiazione) . Iub. 49, basato com'è s u Es. I 2 e Deut. r 6 , rivela qualche tratto interes­ sante che conduce quantomeno alla cognizione che al culmine del 1 seco­ lo si aveva delle pratiche. 1 Primo: in contrasto con le tradizioni istitutive, la settimana è segnata dalla gioia e i partecipanti bevono vino. 2 Il corso del pasto si distingue per l'evidente consuetudine delle lodi e delle preghie­ re. La sera si estende «dalla terza parte del giorno alla terza parte della not­ te» (all'incirca dalle 14 alle 2). La vittima non può essere bollita, né l'ani­ male ucciso può essere mangiato crudo. Questa disposizione è conferma­ ta dalle copie del Deuteronomio più o meno dello stesso periodo rinvenu­ te a Qumran (Deut. 1 6,7: « Poi cuocerete e mangerete» ) . La partecipazione a pesa�, rivelando la dimensione preventiva di antichi riti religiosi, pro­ teggerà dai malanni per tutto l'anno. A quanto pare i primi a partecipare sono maschi dai vent'anni in su, e anche qui tutto avrà luogo nel tempio e l'importanza attribuita a questo requisito (cf. I 9 , I 6-2r ) rivela probabil­ mente una pratica di segno opposto da parte di alcuni giudei fuori di Ge1

Hayward, ]ewish Tempie, IOJ-I07. Cf. Filone, Congr. 1 6 1 : «E pure tutti sappiamo che le feste e i giorni grandi causano gioia contentezza, non afflizione [con citazione di Deut. 1 6,3: in Giuseppe, Beli. 1 4,260 (per gli abitanti di Sardi ). 2. Sull'argomento cf. Leyerle, Meal Customs in the Graeco-Roman World, e Tabory, Toward a History of the Paschal Meal, in Bradshaw-Hoffman (edd.), Passover and Easter. Più approfon­ ditamente W.J. Slater (ed.), Dining in a Classica/ Context, Ann Arbor 1 9 9 1 ; F. Lissaggargue, The Aesthetics o( the Greek Banquet, Princeton 1 990; D.E. Smith, From Symposium to Euchar­ ist, Minneapolis 2003 , 1 3 3 - 1 7 2. 3 Su quest'ultimo si veda in particolare J. Neusner, The Rabbinic Tradition about the Pharisees Before 70 (South Florida Studies in the History of Judaism), Atlanta 1999, 202-2.04.

2. 66

Gesù e l'ultima cena

Giustificati da Filone, che li spiega con l'impazienza del popolo in attesa di un sacerdote che offra i sacrifici, i diabateria diventano per lui una festa gioiosa. La sua osservazione è che «questi sono i fatti che si scoprono stu­ diando la storia antica » ( 2, 146). Quando si trasformano in allegorie que­ sti «fatti letterali » (2,147) rappresentano la «purificazione dell'anima )) (2,147), i diabateria dal corpo e dalle passioni. Filone osserva che la casa si trasforma in tempio e che la vittima viene uccisa il 1 4 Nisan (= due vol­ te sette; 2, r48-r49). Non vedo come si possa leggere Filone senza pensa­ re che la vittima veniva uccisa anche in casa. Da altre fonti giudaiche si sa che a quel tempo egli scriveva che era abituale che le vittime fossero ucci­ se da gente comune, ma che ciò avveniva nel tempio, dove poi i sacerdoti si occupavano debitamente del sangue (cf. 2 Cro n. 30, 1 5 - I 6). Un secondo testimone è Giuseppe (il Nuovo Testamento verrà esami­ nato a tempo debito). Giuseppe tocca un punto della massima importanza quando racconta che la purità per la celebrazione di pesa� comportava un periodo preliminare di sette giorni. Evidentemente gli israeliti si recano ora a Gerusalemme una settimana prima per essere sicuri della loro purità. In questo periodo dimorano in tende nella città e nei suoi dintorni. Il sacrifi­ cio del pesa� (scelto dal gregge; cf. Tg. Onq. a Deut. 1 6,2) ha luogo tra le due e le cinque del pomeriggio. Ribaltando quanto si è visto in tradizioni precedenti, al pasto di pesa� partecipano donne e bambini, e il numero di coloro che celebrano la festa era all'incirca tra i dieci e i venti . A ricordo inoltre del rapporto della festa con l'anno rurale, giunto il momento del­ l'offerta del covone a Gerusalemme si dava il via al commercio. Ora si po­ teva consumare grano mietuto col nuovo raccolto. L'ultima importante testimonianza è infine mPesa�im, in particolare i l cap. I o, proveniente da un periodo in cui la struttura del simposio era da tempo dimenticata e capovolta, e la celebrazione aveva la forma del seder. che per secoli aveva orientato l'usanza. 1 Due condizioni influenzano que­ sto trattato: Pesa�im cerca di trovare un senso alle tradizioni di pesa� al­ la luce I . della rivalità col cristianesimo e 2. della distruzione del tempio. B. Bokser, uno dei più eminenti studiosi della letteratura mishnica, ha mes­ so in luce come il pasto stesso di pesa� ne sostituisca il sacrificio. Si ap­ prende qui che sacerdoti e leviti dividevano le folle in terzi/ le autorità fa­ cevano imbiancare le pietre del tempio (cf. Q r I ,44 come viene spiegato in Mt. 23 ,27-2 8 ) e la gente comune uccideva le vittime, mentre il sangue veniva trattato dai sacerdoti. Il vino non faceva parte del sacrificio, ma era 2.

1

Così Hoffman, The Passover Meal in ]ewish Tradition, 14. B.M. Bockser, The Origins of the Seder, Berkeley, 1984; cf. L.A. Hoffman, Beyond the Text. Bloomington 1 9 87, 86-10.2.; Tabory, Paschal Meal, e Yuval, Easter and Passover as Early ]eu·· ish Dialogue, in Bradshaw-Hoffman (edd.), Passover and Easter, 98-12.4. 3 Per come ciò sia possibile v. Sanders, ]udaism, 1 3 6 s. (tr. it. 1 8 8 s.). 2

Pesa� nella storia giudaica

267

importante nel pasto. Come gesto di solidarietà e uguaglianza, tutti duran­ te il pasto stavano sdraiati, 1 anche i poveri e gli schiavi, e si facevano do­ ni a donne e bambini. Sotto la guida dei padri si leggevano ad alta voce e spiegate parti della Bibbia, forse gli stessi passi che ora si trovano nella ag­ gada di pasqua (ad es. Deut. 2 6 , 5 - 8 ; Sal. I I J - I r 8 ), testo che ha raggiun­ to la sua forma definitiva nel IX e x sec. d.C.� Nella Mishna si dà risalto al motivo della redenzione.3 Anche se non sempre viene evidenziato nella do­ cumentazione che si è esaminata, questo motivo orienta tutta la festa. Interessante a quest'epoca è l'assenza di una serie di componenti del pe­ sa� d'Egitto: scelta della vittima il 1 0 di Nisan, macchiare di sangue archi­ trave e stipiti, mangiare in fretta. Fra le aggiunte importanti della Mishna c'è che gli israeliti eliminavano dalla casa tutto quanto era derivato dal gra­ no dell'anno precedente (mPes. 3 , 1 ) e non mescolavano tipi diversi di gra­ ni. Il pane azimo era fatto col grano dell'anno precedente e quel che rima­ neva veniva bruciato. La vittima doveva avere almeno otto giorni; si pre­ stava più attenzione alla sua purità. Poteva essere spalmata di burro o di intingolo, ma non bollita. La purità dei celebranti veniva umanizzata: se la maggioranza della famiglia era pura, tutti erano considerati puri per par­ tecipare. Per essere considerati partecipanti occorreva consumare quanto un'oliva della vittima e altrettanto di pane azimo: in altre parole, un po­ co ma non molto. Il pasto avveniva a mezzanotte; i resti venivano bruciati la sera del 1 6 Nisan. Il secondo pesab comportava un'atmosfera e una cele­ brazione più distese. 1 Cf. Leyerle, Meal Customs in the Greco-Roman World, in Bradshaw-Hoffman (edd.), Passover and Easter, 3 0 s. 2. Mi sono servito di N.N. Glatzer, The Schocken Passover Haggadah, New York 1 9 8 1 ; d. N. Martola, Passover Haggadah, in j. Neusner - A.J. Avery-Peck - W.S. Green (edd.), The Encyclo· pedia of]udaism 1 1 1 , New York 2.ooo, 105 2-1062. 3 Tutta la tradizione dell' 'iifiqomàn, il pezzo di pane spezzato conservato sino alla fine del pasto (con diverse varianti) e che forse significa il messia, è di difficile datazione (cf. mPes. 10,8, dove j. Neusner traduce 'iifiqomiin con ((squisitezze•• ). Si è dibattuto anche dell'abitudine di addolcire il sapore della vittima di pesa� o della ma��iih. D. Daube, He That Cometh (St. Paul's Lecture 5), London 19 66, e The Signifìcance of the Afikoman: Pointer 3 · 3 ( 1 968) 4-5, si distingue per il tentativo coraggioso di connettere questo dato alla vita di Gesù, sostenendo che Gesù non poté introdurre un rito in funzione messianica e al tempo stesso attuarlo. Cf. D. Carmichael, David Daube on the Eucharist and the Passover Seder: JSNT 42 ( 1 99 1 ) 45-67; W.D. Stacey, The Lord's Supper as Prophetic Drama: Epworth Review 2. 1 ( 1 994) 65-74. Le affermazioni di Dau­ be e quelle dei suoi seguaci possono essere vere; difficile, tuttavia, è determinare se Gesù volesse indicare che egli era (soltanto questo spezzato) pezzo di pane. Se così fosse, Gesù rivelerebbe con discrezione al suo piccolo gruppo di seguaci d'essere il messia. In generale la verisimiglianza non depone a favore di Daube: della liturgia di pesa� al tempo di Gesù si sa ben poco, e certo non a sufficienza per ancorare saldamente questa ipotesi ai tempi di Gesù. Come più avanti si dirà, è inoltre improbabile che l'ultima cena fosse pesa�, anche se con questo condivideva molti mo­ tivi della settimana di pesa�. Per una critica di Daube si veda Bokser, Origins, 65 s.; Tabory, Paschal Meal, 72-74 . 79 s. n. 50. È sì noto che pesa� fu associato ad attese messianiche, ma in­ torno a quale data non si sa: cf. ad esempio Mekilta de-r. Ishmael (a Es. 1 2.,42.); Es. r. I 8 , 1 2..

Gli elementi di pesa�: quadro generale

Quello che segue è un quadro dell'evoluzione di pesa� , dal pesa� dell'eso­ do alle disposizioni della Mishna. Con i titoli numerati e in corsivo si indi­ cano gli elementi delle tradizioni fondative. Tutte le altre voci indicano ele­ menti aggiuntisi nel corso della storia. elementi d i Es. I 2-I 3 Es./Lev./Num. ai. aI.I a2.

Deut.

altri giudei

1

sec.1

purità preparatoria per 7 giorni + se la maggioranza è pura, tutti sono puri pietre della rampa e altare imbiancati

I. Maschio senza macchia; di un anno; in casa il r o Nisan Ia. festa maschile; censimento + militare + I a . I di vent'anni e oltre I a. 2 donne e bambini Ib. assenza intenzionale comporta estromissione + + IC. vittima presa dal gregge I C. I agnello e ca p retti + vittima da re/principi Id. rd. r di almeno otto giorni la celebrazione protegge dai malanni + re. + ( Ez. ) I f. la festa sottolinea la redenzione I g. molta attenzione alla purità della vittima 2.

Mishna + +

+

+

+ + +

Ucciso in casa la sera de/ 1 4 Nisan sacrificio quotidiano nel santuario + + (Filone) 2b. nel santuario; tempio + 2c. i sacerdoti uccidono e versano il sangue + 2c. r uccisione delle vittime di pesa/:J dalle I 4 alle 1 7 + 2c. 2 la gente uccide, i sacerdoti trattano il sangue + (Filone? ) + i sacerdoti cospargono, i }eviti scorticano; 2d. le porzioni arrostite vengono restituite + definizione di sera: dall'ultimo terzo del giorno 2.e. + al primo terzo della notte 2a.

3 . Versare sangue sulla porta; restare in piedi fino al mattino 4·

Mangiare l'intero agnello nella notte; pane azimo; erbe amare; la mattina bruciare i resti 4a. detto pane dell'afflizione la vittima può essere bollita + 4b. 4 b. I bollire le offerte, + non la vittima

1

+

Si intende con questo una combinazione di Filone, Nuovo Testamento e Giuseppe. 2.68

Pesa!J nella storia giudaica

269

4b.2 non bollire la vittima . + + 4b. 3 spalmata o inzuppata, non bollita il sacrificio deve a vvenire 4 c. nel santuario + la mattina ritorno 4 d. + alle tende i leviti preparano il pasto 4 e. + per i sacerdoti + (Filone: niente vino) nel pasto è introdotto il vino 4f. 4g. aggiunta di lode e benedizione liturgiche + + non mangiare la vittima cruda 4h. + digiuno dal sacrificio a pesa� 4i. tutti adagiati, inclusi poveri e schiavi 4j . + lettura ad alta voce della aggada 4k . + + (Filone) di Esodo e di Hallel + doni per donne e bambini 4J . i celebranti devono mangiare un'oliva di carne e di pane + 4 m. il pasto è fatto a mezzanotte 4n. + gli avanzi bruciati la sera del I 6 Nisan + 40.

Vesti: fianchi cinti; sandali calzati; bastone; fretta 6. ]hwh passa oltre le case protette

5.

7.

Festa perpetua

8. Festa dei pani azimi:

7 giorni; 15-2 1

Nisan; minacce a chi mangia cibi

lievitati Sa.

sacrificio quotidiano al santuario + Sb. offerta di un fascio delle primizie + permette il raccolto/consumo delle messi pentecoste è il culmine della festa Sb.I apre il commercio in Gerusalemme Se. una volta mangiato, la manna cessa + Sd. il principe fornisce il covone + per l'offerta la gioia caratterizza la settimana Se. + derivati dal grano eliminati dalla casa Sf. il lievito è distrutto col fuoco 8g. Sh. proibito mescolare i grani Si. pane azimo fatto col grano dell'anno precedente 9·

+

+

Il primo e il settimo giorno di ma��ot vi sono sacre assemblee

Io.

Spiegazione del rituale ai bambini

I

L'uccisione dei primogeniti redime Israele; gli egiziani fanno partecipi delle ricchezze

1.

+ + + +

Per la parte cipazione è richiesta la circoncisione L 'agnello sta nella casa 1 4 . Le ossa non vanno spezzate I 5 . Il sacrificio delle primizie è memoriale di pesa� I 6. Istituita una seconda p �a� + I 2.

13.

I

17.

6a.

Requisiti e rituali più ridotti

Cantori e guardiani collaborano alla festa GESÙ E

+

+

IL PASTO DI PESAI:I

Per individuare che cosa Gesù e i suoi discepoli avrebbero fatto per la ce­ lebrazione di pesa� si avanzano qui, come indicativi di probabilità stori­ ca, i seguenti procedimenti metodologici: quello che per la tradizione è il centro e quello che, dalle seriori tradizioni giudaiche alla Mishna, è costan­ te. 1 Per ammissione generale, questa è un'impostazione storiografica mas­ simalista ma, per ragioni che saranno chiare nel cap. 1 3 , per il momento questo modo di procedere è tollerabile. Nessuno dovrebbe mettere in dubbio che la vittima fosse un agnello, né si dovrebbe dubitare di ciò in cui ci s'imbatte costantemente nei Giubilei, in Giuseppe e nella Mishna. Nemmeno si dovrebbe mettere in dubbio che pesa� fosse fondamentalmente una celebrazione nazionale di redenzione, o che si attenesse a un ordine abituale (seder), anche se non si è in grado di indicare quest'ordine e anche se esso era sufficientemente flessibile da consentire varianti locali. C:he una tale festa risvegliasse le speranze giu­ daiche in una liberazione nazionale non dovrebbe essere dubbio (Giusep­ pe, Ant. 1 7,149-1 67; 20, 1 1 2; Pesiqta de-rab Kahana 7,1 1 ,3 ): « la celebra­ zione era intesa a mantenere viva la memoria della lotta cruciale contro la schiavitù e della rivelazione di Dio mediante Mosè. Intendeva pure ras­ sicurare di continuo il popolo che l'altissimo avrebbe punito tutti i futuri tiranni come a v eva fatto col faraone » . 2 Si dovrebbe tener presente che il pesa� era mantenuto vivo dalla memoria orale più che grazie a testi scrit­ ti fissi. In quanto tale, l'evento era saldo ma adattabile - un capofamiglia poteva avere uno stile e una regione propri (ad es. la Galilea o la Giudea )� 1 jonathan Klawans, i n una relazione pubblica tenuta per l a SBL Historical Jesus Section a Nash­ ville, affermò che si assiste a un consenso crescente fra gli « studiosi non neusneriani )) , i quali pensano che nella Mishna ci siano spunti sto rici ma che, quando si tratti di dati su pesa� pri ma del 70, si pu ò sapere ben poco. La sua relazione è stata ora riveduta e pubblicata col titolo Was ]esus' Last Supper a Seder?: BibRev 1 7 ( 200 1 ) 24-3 3 . 47· L'autore vi dialoga con Hoffman, Beyond the Text, 89-93, il quale sostiene che la forma del seder che conoscono gli scritti rabbi­ nici è successiva al 70 d.C. V. anche R. Routledge, Passover and Last Supper: TynBul 5 3 ( 2002) 203-2 2 1 . 2 Bloch, Biblica/ and Historical Background, 102, cf. 1 1 7 s. ,

2 70

Pesa/:J nella storia giudaica

271

oppure uno schema fisso per determinati aspetti, ma la nazione aveva una memoria e un testo fondante: Es. r 2.1 Tornando al metodo per scovare informazioni circa la celebrazione nel 1 secolo, alcune caratteristiche che probabilmente facevano parte del pesa� non sono documentate dalla Mishna e quindi sarà necessario classificare talvolta certi elementi come solo probabili o possibili. Alla luce di questo modo di procedere, si provvederà qui a immaginare che cosa sarebbero stati gli elementi dell'ultima cena di Gesù se questa fosse stata un pasto di pesa�. 2 Qui si presuppone che le tradizioni su Gesù riguardanti l'ultima cena si riferiscano a un pasto di pesa� allo scopo di dare all'evento un co­ lore locale e realistico. Se l'ultima cena non fu un pasto di pesa�, allora tut­ ti i particolari del pasto cadono e si resta con un semplice pasto della set­ timana di pesa�. Su questo si dirà di più nel prossimo capitolo. È probabile che con la sua «parentela fittizia » e la sua « famiglia» Gesù sia giunto a Gerusalemme sette giorni prima per purificare sé (e loro ) dal­ le impurità dovute al contatto con cadaveri/ ed è probabile che egli ab­ bia preso parte al culto e ai riti quotidiani nel tempio. Se d'altro canto Ge­ sù non si recò a Gerusalemme sette giorni prima per procurarsi la purifica­ zione, in Galilea qualche sacerdote avrebbe praticato i riti di purificazione su Gesù e sugli altri galilei che avevano in programma quell'anno di par­ tecipare a pesa� (cf. Giuseppe, Beli. 6,290 [per essere tutti a Gerusalem­ me 1'8 Nisan]; Filone, Spec. 1 ,261 ) .4 È certo che per qualsiasi celebrante quello della purificazione era un grande cruccio; quando si tratta di pesa� o di qualche altra grande festività, nessuno pensa a trasgredire le leggi di purità. Il 1 4 Nisan (fra le quattordici/quindici e le diciassette),S giunto il mo­ mento del sacrificio Gesù porta al sacerdote e ai leviti un agnello maschio incontaminato, in nome di una famiglia che, com'è tipico, comprende uo­ mini e donne, adulti e bambini. Certo, non si hanno riscontri di una par­ tecipazione delle donne all'ultima cena, ma ciò potrebbe semplicemente confermare l'invisibilità delle donne nei resoconti giudaici. Propendo per la possibilità che Maria fosse tra i presenti, per tre ragioni: r . è altamente probabile che, come d'uso, Maria abbia celebrato pesa�, cosa che avreb­ be fatto con la sua famiglia; 2. le tradizioni più antiche di Gesù possono far pensare che fosse presente in quest'ultima settimana della vita di Gesù 1 Questo modo di concepire le tradizioni è ora elaborato nei particolari in J.D.G. Dunn, ]esus Remembered; v. sopra, p. I 5 n. 1 . 2. I l riepilogo che segue può essere confrontato con San ders , ]udaism, 1 3 2- 1 3 8 (tr. it. 1 82- 1 9 1 ) e anche con Saldarini, ]esus and Passover, 3 5-40, benché questi s i serva d i documentazione rab­ binica posteriore in modo non sufficientemente critico. 3 Cf. Sanders, ]udaism, I I 3· 1 3 4 (tr. i t. I 5 4 · I 86). 4 Questo elemento non sarebbe comparso in mPesa�im, dal momento che non era più possibile assistere a riti nel tempio. s Se di sabato tra le 14 e le 17.

272

Ge sù e l'ultima cena

[cf. Mc. I 5 ,40.47; 1 6,1]; 3 · una tradizione posteriore implica la sua pre­ senza a Gerusalemme nell'ultima settimana [Gv. 2, r-ro; 1 9,25-27] . 1 Per tornare al sacrificio della vittima, Gesù, che in questo caso funge da paterfamilias di questa famiglia, presenta un agnello puro al sacerdote, che probabilmente lo uccide alla presenza di Gesù e di chiunque l'accompagni (alla luce dei dati della Mishna è possibile che Gesù abbia ucciso l'agnel­ lo). Poi le autorità infilano l'agnello in un palo e caricano la vittima così impalata in spalla ai leviti. Costoro probabilmente agganciano l'agnello a un muro per facilitare il lavoro di staccarne le parti (mPes. 5,9 ) . Il sacer­ dote poi scortica l'agnello mettendo in atto due operazioni separate: anzi­ tutto restituisce a Gesù la pelle e porzioni di carne per il pasto di pesa� del­ la famiglia, poi raccoglie il sangue in un bacile e lo versa contro la base del­ l'altare (probabilmente mediante una serie di ciotole di sangue che pas­ sano da un levita all'altro), mentre le porzioni grasse vengono separate per essere bruciate sull'altare (immediatamente sopra i partecipanti ). Insieme ai suoi discepoli Gesù trova un luogo dove celebrare pesa�. I te­ sti evangelici presuppongono una sala da pranzo predisposta, forse con di­ vani imbottiti disposti a U, così che ognuno potesse parlare con tutti (Mc. I 4, r 2- I 6 parr.). 2 Ora dovranno mangiare l'agnello di pesa� arrostito (non bollito). Tutti ( o qualcuno di loro ) preparano la sala e i tavoli. Non è chiaro se al momento i cibi lievitati e altri tipi di grano fossero stati tol­ ti dalla stanza - probabilmente il proprietario l'aveva assicurato. Forse l'avevano già fatto i discepoli, dato che il r 3 Nisan la casa doveva essere già ripulita del lievito. Durante queste poche ore forse tutti digiunano, for­ se lo fa qualcuno, forse nessuno. La vittima di pesa� viene probabilmente spalmata di grasso o cosparsa di condimento. Ci si procura pane azimo. forse fatto con farina dell'ultimo anno, e si preparano erbe amare. Viene preparata anche una salsa di frutti e come bevanda principale per la sera compare il vino. È in sostanza da dare per certo che tutti coloro che sono a tavola con Gesù stiano sdraiati. Poiché si è incerti se con Gesù e i suoi discepoli fossero presenti bambini, non si può essere sicuri che si spieghi ai bambini il memoriale di pesa�, ma è non vi è dubbio che se fossero sta­ ti presenti bambini una tale spiegazione ci sarebbe stata. 1 Si veda in particolare D.A. Lee, Presence or Absence?: Pacifica 6 ( 1 993), 1 -2.0. Così anche je­ remias, Eucharistic Words, 46 (tr. it. so). Sulle donne nei pasti in Occidente, cf. Leyerle, Meal Customs in the Greco-Roman World, in Bradshaw-Hoffman (edd.), Passover and Easter, 4-4 5. Per l'epoca di Gesù si veda in particolare K.E. Corley, Private Women, Public Meals, Peabody. Mass. 1993; T. Ilan, ]ewish Women in Greco-Roman Palestine, Peabody, Mass. 1 996, 1 762.04, che, tra altre pecche, omette di studiare le donne in contesti festivi. 2. Cf. Leyerle, Meal Customs in the Greco-Roman World, in Bradshaw-Hoffman (edd.), Passover and Easter, 33 s.; l'autore indica un'altra possibilità, quella dello stibadium, divano semicirco­ lare con grande tavolo a forma di D. Nell'ultima cena il numero richiederebbe più di uno stiba­ dium e ciò non è impossibile.

Pesa/.? nella

storia giudaica

2

73

È possibile che a l"egolare la celebrazione di pesa� esistesse già un seder elementare. Che cosa deve aver contenuto ? È assodato che il testo di pesa� di Es. 1 2 faceva parte di questo seder, se addirittura non vi veniva letto ad alta voce - quale altro scopo poteva avere la festa ? È d'altro canto plau­ sibile che i leviti avessero già iniziato a usare i salmi alleluiatici (Sal. I I 3 l I 8 ) per i loro canti nel tempio (tSukk. 3 ,2); è anche probabile, seppure meno, che nel pasto di pesa� tale complesso di testi venisse citato, recita­ to o cantato. L'uso di Sal. 1 1 8,22-23 (Mc. 1 2, I o- 1 1 ) e I I 8,25-26 (Mc. I I , 9-10) durante l'ultima settimana di Gesù la dice lunga sulla pratica del­ l'uso dei salmi alleluiatici al tempo di Gesù. L'attestazione che i discepoli di Gesù cantassero un inno confermerebbe l'esistenza di un seder, ma sol­ tanto se si sapesse che quei salmi venivano già cantati nel corso del pasto - del che non si è certi (cf. Mc. 14,26). Non mancano tuttavia riscontri nella letteratura giudaica posteriore, per esempio nella Mishna, del fatto che si intonavano lodi e benedizioni, ed è da aggiungere che anche al termi­ ne di un simposio era abituale cantare (Ateneo, Deipn. I 5 ,702A-s). Sol­ tanto a tarda notte (dopo mezzanotte ?) Gesù e i discepoli lasciarono Ge­ rusalemme (Mc. 1 4,26.32) e provvidero, se ve ne fu bisogno, a ciò che re­ stava dell'agnello. 1 Per tenere unito tutto ciò sotto il requisito che la tradizione dell'ultima cena sia un pasto di pesa/:J e insieme (requisito non da poco) che l' aggada di pasqua rispecchi una prassi liturgica antica, gli elementi che seguono so­ no significativi ma impossibili da determinare con certezza: I. Pasto preliminare I. I parole di dedica sul primo calice Le. 22,I 6 ? Le. 22, I 7- I 8 ? benedizione del giorno di festa e del calice 1 . 2 piatto preliminare: erbe e salsa di frutti 1 . 3 viene servito i l pasto vero e proprio, viene riempito (ma non bevuto) il secondo calice. 2. Liturgia 2 . I il capofamiglia legge l'aggada di pasqua in aramaico 2.2 Hallel di pasqua, prima parte (in ebraico) Le. 22, I 6 ? 2.3 secondo calice Le. 22, I 7 - r 8 Mc. I4,23 - 2 5 ? 3 . Pasto principale 3 . I rendimento di grazie del capofamiglia sul pane Mc. I4,22 az1mo 3 . 2 pasto: agnello di pesa�, pane azimo, erbe amare, salsa di frutti, vino 1 Al riguardo s'impone qualche domanda: il Monte degli Ulivi era considerato parte di Gerusa­ lemme in senso stretto (cf. Mc. I I , I ) ? in caso negativo, i discepoli e Gesù lasciarono la città an­ zitempo contrariamente all'uso comune? era possibile che a pesa� accadesse qualcosa di simile?

3 . 3 rendimento di gra zie sul terzo calice: 4 · Conclusione 4 . 1 seconda parte del Ha/lei (in e braico ) 4. 2 lodi sul quarto calice (calice del Hallel)

" ·

'

· Mc. 1 4,23 - 2 5 ? Le. 22, 1 7- 1 8 ?

Mc. 14,23 -25 ?

Come si è accennato, vi sono forti dubbi che l'aggada di pasqua rifletta l'uso liturgico del 1 secolo, e non mancano dubbi riguardo al testo preci­ so di Luca, così come è incerto dove i diversi elementi siano in linea con il seder di pasqua. Le componenti del pasto secondo le tradizioni dell'ul­ tima cena possono quindi valere per pressoché qualsiasi pasto giudaico, e senz'altro per la maggior parte dei pasti festivi che si tenevano a Gerusa­ lemme nei giorni di grande festa. Che ne era delle porzioni di agnello rimaste? La documentazione non è univoca e le possibilità che si presentano sono tre. La prima è che il grup­ po di Gesù consumò per intero l'agnello arrostito la sera stessa. La secon­ da che non lo consumò tutto ma portò con sé le porzioni rimaste e le bru­ ciò da qualche parte (presumibilmente a Betania) la mattina seguente. La terza che non lo mangiò tutto e bruciò i resti la sera del 1 6 Nisan, secon­ do l'uso seriore. Se le tradizioni sinottiche sono quelle di un pasto di pe­ sa�, nessuna di queste soluzioni trova conferma. La prima è la più proba­ bile, dal momento che avrebbero lasciato la casa di notte - prima del mat­ tino, e senza nessuna riprova che abbiano portato in giro porzioni male­ odoranti di agnello arrostito. Che Gesù e i suoi discepoli possano essere partiti di notte implica che il requisito iniziale di Es. 1 2 di restare in casa fino al mattino era stato sospeso; implica che era stata sospesa anche la disposizione di far ritorno alle tende la mattina. La partenza notturna dei discepoli fa ritenere possibile che fosse già in vigore la disposizione della Mishna di concludere pesa� a mezzanotte. È probabile o possibile che vi sia qualche omissione. Non si dice che Ge­ sù e i suoi discepoli abbiano sparso sangue sugli stipiti e sull'architrave, perché dopo la prima celebrazione non resta traccia di questa pratica . La centralizzazione graduale della festa nel tempio rende obsoleto questo ele­ mento. In tal modo pesa�, da liberazione della famiglia per mezzo dell'ob­ bedienza al padre, diventa liberazione nazionale per mezzo del rituale sa­ cerdotale. Che i discepoli consumino il pasto in fretta è solo possibile; I con l'evol­ vere di pesa�, la fretta cedette progressivamente il passo alla gioia e al ri­ cordo (cf. Es. 1 2, 1 4; 1 3 ,3; Deut. 7, 1 8; 1 6, 3 ) . Ragion per cui è soltanto possibile che avessero cinti i lombi e calzati i sandali, e forse può esserci I Ma cf. Allison, lntertextual ]esus, 59-62.. ls. 5 2., 1 I-I 2 ribalta il tema della «fretta» di Es. I 2 perché « il Signore camminerà davanti a voi e il Dio d'Israele sarà la vostra retroguardia » .

174

Pesa� nella storia giudaica

27 5

stato un bastone. 1 Che fosse consentito ungere e spalmare la vittima rive­ la la stessa mancanza d'interesse per la fretta. 2 Questo è più o meno il mio parere. Se nella sua ultima settimana a Ge­ rusalemme Gesù celebrò un pasto di pesa�, questi furono gli elementi ri­ tuali che egli mise in atto insieme ai suoi discepoli. Qui non si è accenna­ to al fatto che affermando d'essere il pane e il vino Gesù sovvertì la storia di pesa�. Questo rito, anche se non se ne conoscono i particolari, incarna una storia e definisce un popolo - non possono intervenire gravi muta­ menti nel rito senza profonde implicazioni per la formazione dell'identità di gruppo, con ciò s'intende dire che se si trattò di pesa� Gesù lo ridefinì, e ciò significa che raccontò una nuova storia. Le considerazioni che precedono presuppongono che il pasto che Gesù consumò fu pesa�, ma la documentazione che questa cena conclusiva fu un pesa� è lungi dall'essere chiara e il bilancio dei risultati degli studi al­ lontana da questa conclusione. Per comprendere l'ultima cena la diversa si­ tuazione conduce a un altro tipo di pasto, e questa diversità solleva il pro­ blema di un nuovo rito, di una nuova liturgia e di un'altra storia e quindi di una nuova identità per un nuovo popolo - perché questa è la concezio­ ne cristiana dell'ultima cena. Ognuno di questi aspetti è determinato dai vari racconti dell'ultima cena e ognuno va esaminato prima di poter stabi­ lire che cosa Gesù stesse facendo, senza dire che il modo in cui lo fece forni­ sce indizi su come egli concepì la propria morte. 1 2

Più tardi, nella notte, si parla di armi (Le. 22,3 5-3 8). Cf. Bloch, Biblica/ and Historical Background, 109 s.

Capitolo 1 3

Pesah

e l'ultima cena

Per comprendere come Gesù presagì la propria morte si è giunti alla con­ clusione che una molteplicità di testi indica che egli si attendeva di mori­ re anzitempo e che per questa morte cercava un senso esplorando figure e testi del Tanak. I testi evangelici, tuttavia, incluso Mc. 1 0,4 5 (almeno per quanto lo si è qui approfondito ), non sono in senso storico sufficientemen­ te sicuri né sufficientemente indicativi di qualche idea di espiazione che consenta di sapere come Gesù interpretò questa morte precoce. Un'ultima tradizione da prendere in considerazione è la tradizione del­ l'ultima cena, ma sondare questo testo per fare chiarezza nella nostra inda­ gine comporta varie operazioni. Una di queste è stata compiuta: che co­ s'era pesa� nel giudaismo. Questo studio è stato compiuto allo scopo di de­ terminare se l'ultima cena fosse essa stessa pesa�. Lo scopo di questo capi­ tolo è di affrontare appunto questa questione: l'ultima cena è pesa� ? Per anticipare, se Gesù vide nel pesa� la prefigurazione della propria morte, si saprebbe che nella sua morte egli vide un analogo della vittima di pesa�. Se al contrario l'ultima cena non è pesa�, allora l'interpretazione della sua morte andrebbe cambiata. Scopo di questo capitolo è di porre le basi per rispondere alla questione. Nei primi racconti cristiani i resoconti dell'ultima cena, comprese le sue interpretazioni redazionali, sono quattro: 1 Mc. 14,1 2-2 5 ; Mt. 26,1 7-29; Le. 22,7-23; I Cor. 1 1 , 1 7-34.2 In ciascuno al centro sta il pasto, il quale richiese d'essere preparato. Durante il pasto si solleva la possibilità del trar Poiché i testi giovannei (Gv. 6; 1 3 ) non riguardano la morte di Gesù come trova espressione nel­ l 'ultima cena, ma sono invece riflessioni posteriori riguardo a questo evento, qui non saranno presi in considerazione. Oltre alla testimonianza dei sinottici G. Theissen e A. Merz individua­ no tre tipi di testi: presenza sociale (Gv. 1 3 ), presenza causale (Did. 9) e presenza reale (Gv. 61; si veda il loro Historical ]esus, 4 17-420 (tr. it. 5 1 3 -5 1 5 ). z. Una riuscita rassegna dei testi è quella di X. Léon-Dufour, Sharing the Eucharistic Bread, 46-76 (tr. it. 5 6-73), che fornisce l'esegesi di una lettura sincronica lungo tre assi: verticale (Gesù con il creato e con Dio), orizzontale (con i discepoli) e temporale (la morte imminente, la comunità che agisce e il banchetto finale sono tutti intessuti nel passato e nel presente di Gesù). Per una bre­ ve esposizione tradizionale si veda D. Wenham, How ]esus Understood the Last Supper: Them 20 ( 1 9 9 5 ) 1 1 -16. Altri studi importanti sono J. Jeremias, Eucharistic Words; J. Koenig, Feast. Come breve storia dell'interpretazione si veda Theissen-Merz, Historical ]esus, 407-4 1 4 (tr. it. 502-509); uno studio più vecchio è R.j. Daly, The Eucharist and Redemption: BTB 1 1 ( r 9 8 1 1 21 -27.

Pesa� e l'ultima cena

2. "

dimento. A queste manovre oscure si' contrappongono gli atti di Gesù stes­ so. Dietro Gv. 1 3 c'è un pasto nel corso del quale Gesù compì l'atto pro­ fetico di lavare i piedi ai suoi discepoli per mostrare loro il tipo di qualità e di servizio che desiderava da loro. In ciascuno dei racconti sinottici Ge­ sù e i discepoli sono gli attori e ci sono diverse scene importanti: Gesù be­ nedice, spezza il pane e lo distribuisce; dopo il pane eleva un ringraziamen­ to per il vino del calice, porge il calice ai discepoli e dice loro di bere. Du­ rante il pasto, infine, Gesù pronuncia parole solenni d'interpretazione per spiegare il pane e il vino e promette poi che essi saranno di nuovo insie­ me con la venuta del regno. La formulazione paolina dell'evento può esse­ re datata alla metà degli anni 3 0 o 40: Paolo conosce l'accaduto come tra­ dizione quando nella primavera del 5 5 d.C. scrive la prima lettera ai Co­ rinti; è lecito supporre che Paolo abbia saputo di questa tradizione quan­ do agiva da persecutore o, più probabilmente, quando si trovava a Dama­ sco ( Gal. 1 , 1 7 ) o a Gerusalemme ( Gal. I , 1 8-24; 2, 1-3 .6-Io). Questi brevi soggiorni ebbero luogo tra la metà degli anni 3 0 o 40.1 Questo per i dati fondamentali. Questi quattro testi possono essere suddivisi nella tradizione marciano­ matteana, in quella paolina e solo probabilmente in una tradizione luca­ na distinta da cui Luca esclude qualsiasi teologia dell'espiazione. La lezio­ ne più breve (LB) di Luca ( 22,1 5 - 1 9a) era molto verisimilmente il testo ori­ ginario di Luca, cui in seguito i redattori aggiunsero un agglomerato di tra­ dizioni testuali, preso da Marco e da Paolo, per costruire una lezione più lunga (LL). In questa narrazione (LL) i calici sono due e Gesù dice due vol­ te ai commensali che non prenderà parte di nuovo a un pasto come quel­ lo finché non sia giunto il regno (22, 1 6. 1 8 ) . La grande somiglianza di fa­ miglia di queste quattro tradizioni è d'altra parte chiaramente visibile nel loro aspetto e nel tipo di conformazione. 2 1 Cf. M. Hengel, Atonement, 47-5 5 (tr. it. I 94-2.03); Paul between Damascus and Antioch, Louis­ ville I 997, 28 8-290; Koenig, Feast, I I-I4· V. anche J.D.G. Dunn, Pau/ and the Law, Louisville 1990, I l O-I 1 3 . 2. Com'è noto i racconti dell'ultima cena i n Luca sono due: una lezione più breve, che termina in 22, 1 9a e una più lunga. In quest'ultima i calici sono due, uno fatto girare, su cui Gesù pronun­ cia le parole relative al ristabilimento della vita in comune nel regno di Dio (22,17-1 8 ) , e uno che egli interpreta come calice della nuova alleanza (22,20). Oggi si propende per la lezione più lunga. Lo studio più completo resta Jeremias, Eucharistic Words, 1 3 9- 1 5 9 (tr. it. 1 70- 196); cf. B.M. Metzger, A Textual Commentary on the Greek New Testament, London 1 9 7 1 , 1 7 3 - 1 77; J.B. Green, The Death of ]esus (WUNT 2/3 3 ), Ti.ibingen 1988, 3 5-42; ma si veda B.D. Ehrman, The Ortodox Corruption of Scripture, New York 1 9 9 3 , 1 9 7-209. Il testo più lungo di Luca aggiunge per parte sua elementi della tradizione paolina e questi ele­ menti sono, per altri motivi, secondari. La lezione più breve non contiene quasi nessun'interpre­ tazione soteriologica degli elemenri dell'ultima cena (vino, pane) e spesso si mette in risalto la coerenza della lezione più breve con la soteriologia che Luca presenta altrove (ma cf. Ani 2.0, 28). Gli argomenti maggiormente probanti contro la lezione più breve sono: r . i testimoni te­ stuali sono pochi e 2. dal punto di vista della geografia sono ristretti; 3 · questa [cosiddenaJ lezio-

278

Gesù e P ultima cena

Ad esempio, solo le tradizioni paolino-lucane (LL) registrano le parole « fate questo in memoria di me» ( I Cor. I I ,24; Le. 22, 1 9 ) e dicono che «dopo la cena» ( I Cor. I 1,25; Le. 22,20) Gesù prese il calice. Riconoscere tre tradizioni indipendenti semplifica eccessivamente i testi. Xavier Léon­ Dufour assegna Mc. I4,25 (il detto escatologico) della tradizione marcia­ no-matteana (proveniente da Gerusalemme o da Cesarea) alla tradizione paolino-lucana (di Antiochia) per formare due tendenze separate: una cul­ tuale (ad es. Mc. I4,22 e 1 Cor. I I,23-36) e una testamentaria (Mc. 14,I72 I .23 -24a[24b] . 2 5 ) . Ma queste due tradizioni riportano « uno stesso epi­ sodio » . 1 Quale sia l a forma più prossima a quella iniziale è dubbio, perché i pri­ mi cristiani hanno inquadrato Gesù in una teologia e in usanze liturgiche ed eucaristiche più recenti, come gli israeliti avevano fatto con la versione originaria di pesa�.2 C'è chi pensa che con un'operazione di recupero si troverebbe poco. Per riprendere le parole di Xavier Léon-Dufour, « la prane occidentale manca di uniformità; 4· sul piano liturgico è lectio difficilior [ma se il pasto fosse pesa� non sarebbe la più difficile]. Va a merito di Green aver argomentato a favore della lezio­ ne lunga e aver anche sostenuto che Luca tramandò quelle parole per il loro valore tradizionale (cf. Luke, 761-764). I punti deboli più significativi della lezione lunga sono: 1. è difficile spiega­ re come e perché i redattori avrebbero omesso 22,1 9b-2o e 2. la teologia dell'espiazione qui pro­ posta per la maggior parte dei resoconti non è lucana e coerentemente Luca evita una simile so­ teriologia [si osservi in Le. 22,27 l'omissione del detto del riscatto di Mc. 10,4 5 , logion che Lu­ ca presenta come parte dell'ultima cena]. La questione non è semplice. Sono colpito dall'erudizione e dagli argomenti di Bart Ehrman t vedo le cose nel modo seguente: 1 . penso che, se si preferisce la versione più breve, questa si spie­ ga meglio come omissione lucana di una tradizione precedente che come tradizione originaria. È estremamente probabile, cioè, che Luca abbia omesso le spiegazioni soteriologiche a causa della sua teologia. Se le omise, esse gli erano antecedenti e si spiegherebbe la tradizione marcia­ na; pertanto: inclusione originaria, esclusione lucana, ripristino redazionale. 2. Se si preferisce la lezione più lunga, la formulazione sarebbe elaborazione redazionale lucana della tradizione mar­ ciana alla luce della tradizione paolina. 3· In nessuno dei due casi le tradizioni testuali lucane sono una tradizione indipendente relativa alle parole di Gesù nell'ultima cena. La presentazione di Ehrman non ha avuto una risposta adeguata e quindi per il testo di Luca preferirò la lezione più breve. In quel che segue, tuttavia, tenterò di equilibrare i testi. Nulla della mia argomentazione dipende dall'adozione della lezione più breve, poiché ritengo che nella sua lezione Marco avesse quella soteriologica e credo l'avesse pure Paolo. 1 Léon-Dufour, Sharing the Eucharistic Bread, 97 (tr. it. 99); si veda anche il grafico alle pp. 78 s. (tr. it. 84) e la disamina delle pp. 96-10 1 (tr. it. 101-104). Léon-Dufour preferisce la tradizione antiochena per il suo stile meno ieratico. Ma questa ipotesi viene a cadere se nell'evento origi­ nario si pensa la dimensione testamentaria altrettanto costitutiva di quella cultuale. Un'ultima ce­ na, implicante per forza qualche genere di addio (quindi testamentaria), in cui Gesù identificò se stesso col pane e col vino e che divenne un memoriale liturgico, avrebbe necessariamente combi­ nato fin dall'inizio l'aspetto testamentario e quello cultuale. Una più precisa suddivisione delle tradizioni si impernia sul motivo dell'espiazione col patto combinato con ciò che su altre basi è connesso con la pasqua. Es. 1 2 ed Es. 24 non si succedono l'un l'altro immediatamente e gli even­ ti che riferiscono sono collegati soltanto dal racconto. V. sotto, cap. 1 5. 2. Cf. in particolare B. Kollmann, Ursprung und Gestalten der fruchristlichen Mahlfeier (Gottin­ ger Theologische Arbeiten 4 3 ), Gottingen I 990. Per il contesto del culto protocristiano si veda ora soprattutto l'eccellente studio di L. W. Hurtado, At the Origins of Christian Worship, Grand Rapids 1 999; per il culto giudaico v. L.A. Hoffman, Beyond the Text, Bloomington 1 9 87.

Pesa/:J e l'ultima certa

2.79

tica ·eucaristica Ìton deriva semplicemente dal comportamento di Gesù al­ la cena, ma suppone l'intervento di altri fattori » . Inoltre «il racconto non vuole direttamente riferire un episodio biografico, ma proclamare un'azio­ ne fondante » . 1 Prima di poter interpretare il senso che Gesù diede alla sua morte nell'ultima cena si devono passare i testi con un pettine sottile in modo da mettere in luce che cos'era possibile di ciò che accadde nell'ulti­ ma cena. IL RESOCONTO

PIÙ ANTICO DELL'ULTIMA CENA

A detta della generazione precedente di critici delle forme, sia le tradizio­ ni sinottiche sia il testo paolina riflettono non la storia ma l'attribuzione mitica a Gesù di usanze eucaristiche (si parla ad es. di eziologia cultuale).2 Ma oggi l'analisi esauriente di Rudolf Pesch, preparata dall'approfondita risposta a Bultmann di Vincent Taylor,3 ha dimostrato che la tesi di quel­ la generazione dovrebbe quantomeno essere disposta a una revisione. 4 Al­ tri vede nella tradizione originaria il riflesso di un pasto di commiato / te­ stamentario. 5 Questo modo di vedere l'ultima cena trova la sua miglior ri­ prova nella valutazione del materiale giovanneo in termini di solida tradi1

Léon-Dufour, Sharing the Eucharistic Bread, 3 9 · 84 (tr. it. 46. 88). Cf. R. Bultmann, History of the Synoptic Tradition, 265 s. 278. Scopo di una > di Gv. 1 9 , 1 4 significhi ((la set­ timana di pesa� )) · Si trova quest'affermazione in Kostenberger, john, 5 3 7 s. 2. Si è sostenuto che la locuzione preposizionale e le due frasi participiali ( « prima di . . . quando Gesù capì . . . avendo amato )) ) si riferiscono al momento della lavanda dei piedi compiuta da Ge­ sù prima di pesa�. 3 Probabilmente entrando in una casa in cui si poteva venire a contatto con lievito od oggetti im­ puri. Si vedano le considerazioni di Brown, ]ohn n , 845 s. (tr. it. 1040 s.).

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Gesù e l'ultima cena

re morì quando le si stava macellando (Giovanni). Le possibilità, a mio parere, sono due: 1 . il termine pascha ha due significati diversi, oppure 2. Marco ha « pasqualizzato» un pasto della settimana di pasqua, facendo­ ne il pasto stesso di pesa�. Sopra si è mostrato come il racconto di Mar­ co non si spieghi nel modo migliore come pasto non di pesa� e anche co­ me il testo di Giovanni si spieghi nel modo migliore se lo si intende nel sen­ so che Gesù morì il 14/1 5 Nisan, quando si stavano macellando gli agnel­ li nel tempio. Gesù venne sepolto prima che la festa avesse effettivamente IniZIO. Altre considerazioni, infine, depongono a favore della cronologia gio­ vannea. I sinedriti desideravano eliminare Gesù prima della festa, ossia pri­ ma di pesab (Mc. 14,1-2). Forse non furono in grado di farlo, ma il testo fa capire che lo desideravano e vi riuscirono. Simone che arriva dai cam­ pi (Mc. 1 5 , 2 1 ) dà l'impressione di essere stato al lavoro - il che non sareb­ be possibile per la cronologia sinottica, per chi si attenesse alle norme di pesa�. Inoltre è improbabile che Gesù possa essere stato sepolto il giorno dei preparativi, se si tratta della preparazione a pesa� ( 1 5,42). È anche da ricordare che la tradizione giovannea dell'eucaristia non presenta al­ cun segno di connessione con pesa�, anche se Paolo interpreta Gesù co­ me la vittima di pesab (I Cor. 5 ,7). In definitiva penso che qui il vangelo di Giovanni sia quello da preferi­ re e che si debba concludere che Gesù fu crocifisso il 14/1 5 Nisan, press'a poco al momento della macellazione delle vittime di pesab . Sarebbero sta­ te dunque realtà storiche quelle che indussero i cristiani a vedere in Gesù la vittima di pesab. Ritengo inoltre plausibile che Marco dia l'impressio­ ne di aver trasformato l'ultima cena in un pasto analogo a pesa� grazie a un linguaggio appropriato che mostra un colorito pasquale senza la sostan­ za dell'agnello stesso. Non penso che la documentazione sia indubbia, so­ no ben lontano dal pensarlo. Le due visioni di questi racconti (quello di Marco un vero pasto di pesab, quello di Giovanni un racconto teologiz­ zato, oppure Marco che «pasqualizza>> e Giovanni che presenta una vera morte a pesa�) possono condurre a un pasto in cui Gesù espresse chiara­ mente l'imminenza della propria morte e dove i discepoli avrebbero do­ vuto assumere gli ingredienti del pasto come fossero stati la sua stessa mor­ te. Il peso degli argomenti e dei testi fa inclinare la bilancia dalla parte della redazione di Marco più che di quella di Giovanni, ma si è da vanti a una bilancia, non a una valanga. T

1 Cf. Léon-Dufour, Sharing the Eucharistic Bread, 1 6 3 . 192 s. (tr. it. 1 6 1 . 190). B.D. Chilton so­ stiene che l'associazione con la pasqua avvenne per mano di Giacomo; tra le altre restrizioni. Chilton sostiene che il pasto era riservato solo ai circoncisi; si veda A Feast of Meanings, 98- 108. Il requisito della circoncisione, mai chiaro in sé e per sé (le donne legate a uomini circoncisi po­ tevano partecipare?) perché Es. 1 2 ordina un pasto per una famiglia, era stato lasciato cadere ben prima dei tempi di Gesù.

Pesa/:J e l'ultima cena

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Ciò detto, non è a mio parere improprio che Marco chiami pesa� il pa­ sto, poiché di fatto Gesù trasformò il pasto settimanale in una sorta di pe­ sa�. Lo fece interpretando i diversi elementi di questo pasto come simboli della propria morte. Così facendo, l'atto decisivo della redenzione non era più l'esodo ma ciò che Dio stava per fare mediante la morte del suo agen­ te di salvezza. Se la giovinezza è una questione di punto di vista, lo stes­ so era anche per pesa� - in questo caso la prospettiva che un pasto senza l'agnello possa essere pesa�. Questo punto di vista appartiene alla giovi­ nezza della pratica eucaristica cristiana, a un Gesù abbastanza audace da celebrare pesa� un giorno prima, senza un agnello e in una casa facile da trovare, e da vedere nel pane il suo corpo sacrificate e nel vino il suo san­ gue. 1 Un pasto di addio, infatti, che insieme anticipava quanto sarebbe accaduto l'indomani - per lui stesso e per i giudei in tutta Gerusalemme ­ l'uccisione degli agnelli. Un ultimo punto: è lecito dedurre che Gesù trasformò un normale pa­ sto della settimana di pasqua in triste pasto di commiato. I pasti della set­ timana pasquale, escluso pesab stesso, sarebbero stati occasioni gioiose di celebrazione della passata liberazione ad opera di Dio e di anticipazione di quella futura. Nel bel mezzo di un tale pasto Gesù improvvisamente mu­ tò il tono, dalla gioiosa celebrazione della passata liberazione ad opera di Dio alla triste contemplazione della propria morte. Questo cambiamento di umore richiama i partecipanti al tono di Es. I 2, il pesa� fondativo. Se al di là di quella morte Gesù guardò a un banchetto finale, egli solo giun­ se a quella visione mentre rivelava ai suoi discepoli che un'oscura giorna­ ta spuntava sull'orizzonte immediato. L'ultima cena risultò insipida ai se­ guaci, mentre l'astinenza che nasceva dal cordoglio e dall'attenzione con­ centrata consumava Gesù. Restano ora da considerare i motivi per cui Gesù trasformò un pasto della settimana di pesa� in un pasto in cui annunciò la propria morte im­ minente. r Come si è accennato, B.M. Bokser la pensava press'a poco allo stesso modo per mPesabim: pesa� divenne un sostituto del rituale del tempio (v. The Origins of the Seder, Berkeley 1 984); cf. L. Hoffman, A Symbol of Salvation in the Passover Haggadah: Worship 5 3 ( 1 979} 5 1 9-537.

Capitolo

14

Questo pane e questo calice

Si è concluso che è probabile, o forse soltanto possibile, che l'ultima cena non sia stata tecnicamente un pesa�. La conclusione cui si è giunti nel cap. 13 non implica tuttavia che il pasto fosse un comune pasto giudaico con uno o due otri di vino rosso, verdure, cereali, erbe, uno stufato e un as­ sortimento di salse. Anche se Gesù non celebra pesa�, durante la settima­ na della festa mangia con i discepoli, e quella settimana ogni pasto sareb­ be stato assorbito nelle celebrazioni di pesa�. Come potevano non esservi coinvolti ? Erano lontani da casa e si trovavano a Gerusalemme a un solo scopo: celebrare pesa�. La settimana era in pieno fervore. 1 Nel pasto Gesù mangia con i discepoli e, come viene raccontato, attri­ buisce al pane e al vino un chiaro valore redentivo, espressione della teo­ logia dell'esodo. z. I pasti della settimana di pesa�, anche senza volerlo, evo­ cano gli eventi che stanno dietro i riti di pesa�. Quando tutti si riunisco­ no a Gerusalemme, mangiano in luoghi particolari, vedono vecchi amici e ne fanno di nuovi, mentre Gerusalemme è tutta decorata in ricordo del suo più grande evento salvifico e i soldati romani in allerta per timore di qualche atto di ribellione - ogni partecipante alla celebrazione ha tutto questo davanti agli occhi, ogni pasto inizia riprendendo i motivi di pesa�. Tutto ciò prevedeva due eccezioni: i restanti pasti della settimana erano meno formali e ne era assente l'agnello. È questo tipo di pasto informate quello che con ogni probabilità Gesù consuma come suo ultimo pasto a cui attribuisce particolare significato. Oggi i più, jesus Seminar compreso, riconoscono all'ultima cena un cer­ to nucleo storico. Al pari dell'episodio del tempio, E.P. Sanders l'ha clas­ sificata «pressoché ugualmente certa » / e circa due decenni dopo Dunn 1 Un'esposizione eccellente, benché non convenga su certi particolari della vita e della famiglia di Gesù, è quella di P. Fredriksen, ]esus of Nazareth, King of the ]ews, New York 1999, 4 2-50. � Sui motivi teologici che si possono isolare dalle tradizioni dell'ultima cena cf. F. Hahn, Die alttestamentliche Motive in der urchristlichen Abendmahlsuberlieferung: EvT 27 ( 1 967) 3 3 73 7 4 ; Zum Stand der Erforschung der urchristlichen Abendmahles: EvT 3 5 ( 1 97 5 ) 5 5 3 - 5 6 3 ; H. Merklein, Erwagungen zur Oberlieferungsgeschichte der neutestamentlichen Abendmahlstradi­ tionen: BZ 21 ( 1 977) 8 8 - 1 01 . 2 3 5 -244; L. Goppelt, Theology of the New Testament I, 2 1 3 -222 (tr. it. 286-296); P. Stuhlmacher, Biblische Theologie des Neuen Testaments I, 1 3 0- 1 4 3 · V. an­ che lo studio di M. Casey, Aramaic Sources of Mark's Gospel (SNTSMS 102) Cambridge 1998, 219-2 5 2. 3 Sanders, ]esus and ]udaism, 307 (tr. it. 3 9 5 ).

Questo pane e questo calice

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giunse alla conclusione che nelle tradizioni dell'ultima cena c'è una « sal­ da memoria centrale di ciò che Gesù aveva detto » . 1 In qualche modo Ge­ sù trovò che il pane e il vino erano un simbolo. Molto qui parla di un nu­ cleo di attendibilità in questi due elementi . Tanto per iniziare, Gesù è no­ to per la tavola che imbandisce e crea. La stupefacente affermazione: «io sono il pane/vino» , inoltre, non ha paralleli nel giudaismo ed è il tipo di comportamento profetico che si è visto in Gesù anche in precedenza . Non sarebbe poco plausibile in Gesù prendere un evento importante (un pasto della settimana di pesa�), attribuirgli un significato nuovo e, in particolare, fare di se stesso il centro di tutto.� Per di più, come si è dimostrato, il fat­ to che fin dai tempi di Giovanni nella mente di Gesù ci fosse l'idea di una morte prematura salda questa scena alle realtà della vita di Gesù. Questi due elementi (pane e vino) distinguevano infine le prime comunità cristia­ ne da tutte le altre comunità giudaiche e ciò fin dai primissimi inizi. Non ci sono periodi del cristianesimo delle origini che non conoscano la cena del Signore, e per le sue origini non c'è spiegazione migliore di quella da­ ta dalla chiesa stessa: l'ultima cena di Gesù. 3 È tuttavia necessario non interessarsi esclusivamente alle parole di Ge­ sù. Gli atti di Gesù durante quell'ultima cena sono qui importanti quanto le sue parole, anche se sono le parole, o un racconto, a esprimere il senso e l'interpretazione.4 È congruente con Gesù in quanto profeta compiere atti simbolici e interpretarli, com'è coerente con Gesù incarnare un'auto­ rità personale in atti e detti in quanto profeta. Ma nessun profeta si acco­ stò mai a quel centro sacro in cui qui Gesù entra, poiché in questo evento Gesù offre se stesso ai suoi seguaci. Bevendo e mangiando, essi ricevono e assumono lui e tutto il suo ministero. Si cercherà ora di vedere se durante la settimana di pesa� con l'azione o con la parola Gesù interpretò la sua morte prematura come espiatrice, e si vaglieranno a fondo le diverse ag­ giunte interpretati ve delle prime chiese. 5 1 j.D.G. D unn , ]esu s Remembered, 80 4 s. (con 2.29-23 1 ) (tr. it. 859 s. [con 2.44-2.46]). Per gl i ar­ gomenti generali a sostegno della storicità dell'ultima cena cf. ]. Koenig, Feast, 1 4- 2.0. 2. Così Sanders: « Dobbiamo, ritengo, accettare quanto è ovvio: Gesù insegnò ai suoi discepoli che egli stesso avrebbe svolto il ruolo principale nel regno» Uesus and ]udaism, 307 [tr. it. 396]). 3 In generale si veda Hengel, Atonement. 4 Sulle azioni simboliche e profetiche di Gesù si veda il mio ]esus and Prophetic Actions: BBR 10 ( 2ooo) 197-2.32.; H. Schiirmann, Die Symbolhandlungen ]esu als eschatologische Erfullungs­ zeichen, in K. Scholtissek (ed. ), ]esus, Paderborn 1994, 1 3 6- 1 56; sull'ultima cena come azione profetica cf. J.W. Bowker, Prophetic Action and Sacramentai Form, in F.L. Cross (ed.), The New Testament Message (TUGAL 88), parte II di Studia Evangelica n-III, Berlin 1964, 1 29-1 3 7; N.A. Beck, The Last Supper as an Effìcacious Symbolic Act: JBL 89 ( 1 970) 192-198; Gnilka, Wie urteilte ]esus uber seinen Tod?, 36-4 1 ; D. Wenham, How ]esus Understood the Last Sup­ per. A Parable in Action: Them 20 ( 1 9 9 5 ) 1 1 - 1 6; M.D. Hooker, The Signs of a Prophet, Har­ risburg 1 997, 48-54. 5 Una storia molto intricata e congetturale della tradizione dell'ultima cena è fornita da B.D.

UN DESIDERIO ARDENTE

Poiché con ogni probabilità l'ultima cena non fu in realtà il pasto centrale di pesa�, e poiché quest'ultima cena fu allestita come pesa� senza agnel­ lo, viene ora in primo piano il desiderio di Gesù ( Le. 22,1 5 ). Il detto non ha paralleli. Le parole sono per parte loro in un aramaico plausibile (cf. 1 QapGen 20, 1 0- 1 1 ) ed esprimono un sentimento di Gesù, fatto non co­ mune nelle tradizioni su Gesù . Le espressioni di sentimenti sono spesso considerate indice di antichità, anche se il criterio non riesce a risultare del tutto persuasivo. Quando i sentimenti non sono soddisfatti, come lo era questo, sono ancor più credibili. Il racconto della passione di Gesù si crea una base nella storia con la rivelazione dei sentimenti angosciati di Gesù ( Mc. 14,3 3 . 3 5 -3 6; Gv. 1 2,27; cf. Sal. 42,6 . 1 2; 5 5 ,5; Gian. 4,9; 1 QH 8,3 2). 1 Il senso del logion del «desiderio ardente » , se lo si situa nel qua­ dro della conclusione a cui si è giunti, che il pasto non fu di pesa�, rivela l'escatologia di Gesù. Come anche in Mc. 14,2 5, Gesù esprime qui la sua fede nell'imminen­ za del regno. Egli pensa che di lì a poco morirà, come prevede la prova fi­ nale, 2 che ne verrà il regno e che solo allora sederà di nuovo a mensa in compagnia dei suoi discepoli - a pesa� ? Molto probabilmente il logion esprime quindi un desiderio insoddisfatto.3 Gesù desiderava consumare pesa� con loro, ma non avrebbe potuto farlo; come già aveva spiegato ai Chi l ton, A Feast of Meanings. Si veda la sua esposizione meno specialistica in ]esus' Prayer and ]esus ' Eucharist, Valley Forge, Penn. 1997, 52-97 (quest'ultimo libro presenta qualche piccolo aggiustamento). Chilton sostiene che i pasti di Gesù erano sacrifici alternativi a quelli impuri del tempio. Solo in seguito Pietro trasformò quei pasti nella tradizione dell'ultima cena e si svilup­ parono diverse modifiche e liturgie. Se, invece, si ancorano le tradizioni sull'ultima cena all'uni­ ca cena finale dell'ultima settimana, si vedrà che certi tratti della teoria di Chilton e quella pro­ posta sopra mostrano certe somiglianze su punti decisivi. V. anche Merklein, Erwi:igungen zur Oberlieferungsgeschichte der neutestamentlichen Abendmahlstraditionen, 2 3 5 - 244. La concezione della storia di questa tradizione che aveva la vecchia scuola della storia delle re­ ligioni era che i pasti divennero l'analogo della «teofagia )) (ingestione del dio) per opera dei pri­ mi cristiani e, in una certa misura, per Paolo, influenzato dalla religione ellenistica. Un esempio si può vedere in R. Bultmann, Theology of the New Testament I, 1 3 3 - 1 5 2 (tr. it. 1 3 4- 1 5 2.). Hans Lietzmann, Mass and the Lord's Supper, Leiden 1 976, pensò che l'eucaristia della chiesa paolina fosse stata combinata col pasto dell'agape escatologica del cristianesimo primitivo per dar vita a un pasto sacramenta le. Oscar Cullmann fece una modifica a Lietzmann: inizialmente il pasto celebrava gioiosamente la comunione della mensa alla presenza di Cristo ma, in segui­ to, Paolo reintrodusse nel pasto il tema della morte di Gesù; si veda il suo Early Christian Wor­ ship, Philadelphia 1 978, 7-36, spec. 1 4-20; The Meaning o( the Lord's Supper in Primitive Chris­ tianity, in Essays on the Lord's Supper, Atlanta 1975, 5-23. Per una breve storia della tradizio­ ne si veda Stuhlmacher, Biblische Theologie des Neuen Testaments I, 1 3 0- 1 3 3 · 1 Sia Matteo sia Luca attenuano i sentimenti d i Gesù. Cf. Taylor, Mark, 5 5 1 . 2. È pensabile che l'aggiunta 1tpÒ -rou IJ.E 1ta-8eiv sia redazione posteriore, anche se un'espressione del genere non è chiaramente lucana. Ma cf. Nolland, Luke I I I , 1049. 3 Cf. F.C. Burkitt - A.E. Brooke, St Luke xxii IJ, r6: ]TS 9 ( 1 907-08) 5 69-572; J. Jeremias, Eu­ charistic Words, 207 s. (tr. it. 2 5 8 s.). Diversamente Fitzmyer, Luke n , 1 3 9 5 s.

Questo pane e questo calice

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discepoli, prima che si mangiasse il pesa� di quell'anno egli sarebbe anda­ to incontro alla passione. Ciò significa che questo pesa� ('tou'to -rò 7tacrxcx) suscita una storia: « non consumerò il pesa� vero e proprio; desidero con­ sumare questo pesa� », ma «voglio consumare con voi il pesa� che sto per consumare, spiegandovi il significato del pasto» . QUESTO PANE: « QUESTO È I L MIO CORPO»

Sull'autenticità delle parole istitutive non c'è consenso, anche se si assiste a un importante cambiamento grazie al quale s'inizia a considerare au­ tentica quantomeno una versione ridotta dei singoli logia sul pane e il ca­ lice. 1 In particolare, del logion sul pane in cui Gesù, dopo aver reso gra­ zie (cf. Sal. 104,1 0-23, spec. 1 3 - 1 4.27; mBer. 6, 1 )/ afferma che il pane è il suo corpo, si pensa spesso che probabilmente venne pronunciato da Ge­ sù nel corso dell'ultima cena. Più decisivo, forse, è l'argomento inoppugna­ bile avanzato da Heinz Schiirmann, che in Germania trovò seguito in par­ ticolare in Peter Stuhlmacher e Martin Hengel, per il quale se se ne esclude l'origine nella vita di Gesù, la più antica pratica giudaica cristiana dell'eu­ caristia o l'interpretazione della morte di Gesù secondo categorie di reden­ zione risulterebbero prive del benché minimo fondamento. D'altra parte una prospettiva di tal genere non significa che parte o gran parte di que­ sta interpretazione sia messa in atto con parole non usate da Gesù .3 Spe­ cialmente in testi liturgici come questo ci si trova sovente a guardare da dietro le spalle di un esegeta protocristiano. Il detto sul pane è sopravvissuto in diverse tradizioni indipendenti in for­ ma pressoché identica (Mc. 14,22; I Cor. 1 1 ,24; cf. anche Le. 2 2, 1 9 ) . La sua stringatezza è all'origine di una o due integrazioni interpretative, allo stesso modo in cui il pane azimo cerca la salsa (ad es. «che è dato/spezzato per voi » in molti importanti manoscritti di Le. 2 2 ,1 9 ) . L'assenza di « da­ to per voi» nella tradizione di Marco e Matteo e l'orientamento (soterio­ logico) prevalentemente liturgico della tradizione paolina e lucana signifi­ cano d'altra parte che la formula fissa marciana «questo è il mio corpo» 1 L'ordine di Marco (il pane e poi il calice) può essere uno scostamento dai normali pasti in oc­ casione di feste, anche se la documentazione non è c oerente ; cf. 1QS 6,4- 5 . 2 S i veda l'analisi d i storia delle tradizioni d i O. Betz, ]esu Tischsegen, i n ]esus (WUNT 42), Tiibingen 1 987, 202-23 r. Betz basa il suo studio sul Sal. 104 e su mBer. 6, 1, e rinviene tracce della benedizione di Gesù in Mc. 4,24-29; Le. 1 2, 1 6- l. r ; Giac. s,?-9- I?-18; Mt. 6, 1 1 par. Le. I 1,3 (cf. Es. r 6 ); Mc. 6,30-44; Cv. 6,26- 59. 3 Cf. H. Schiirmann, ]esus - Gesta/t und Geheimnis, Paderborn 1994, I J 6- r s 6; P. Stuhlmacher, Reconciliation, Law, and Righteousness, Philadelphia 1986, r 6-29; M. Hengel, Atonement, 6s75 (tr. it. 2 1 6-228); si veda anche J.B. Green, The Death of]esus and the Ways of God: lnt 5 2 ( 1 99 8 ) 24-37, a detta del quale la morte di Gesù «si rivelò un evento storico di straordinaria fe­ condità nella produzione di senso» (p. 25).

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Gesù e l'ultima cena

è più antica. È molto probabile che si tratti di ipsissima . verba lesu. Dopo la consueta preghiera sul pane, Gesù cambia destinazione al pasto dichia­ rando il pane suo proprio corpo. Poi distribuisce il pane fra i discepoli af­ finché ne mangino. La frase è strabiliante. Qui anche gli atti di Gesù parlano: sono enunciati performativi. Si do­ vrà probabilmente riconoscere a Xavier Léon-Dufour di aver individuato nella formula di Paolo e Luca ( « dato per voi » ) un frammento di autentici­ tà: è sua opinione che il per (gr. tntÉp) non è connotato nel senso dell'espia­ zione, ma (detto con parole mie) può significare: «Do me stesso a voi per mettervi in grado di vivere, per voi e il vostro sostentamento» . 1 Se è que­ sto il senso del per voi, ci sono allora motivi plausibili per associare salda­ mente una simile espressione all'ultima cena di Gesù. E questo in fin dei conti era ciò che accadeva. Il per voi rende manifesto quel che è implicito nell'atto. 2 Il problema fondamentale di queste parole è che Marco le ta­ ce, ed è difficile trovare una ragione per l'omissione di Marco che si ac­ cordi con la frase soteriologica di Mc. I o,4 5 . Per i cristiani è difficile rendersi conto del carattere stupefacente d i que­ ste parole: al di fuori di ogni norma Gesù, in veste di paterfamilias, im­ provvisamente dichiara che il pane che ha spezzato per loro è il proprio corpo.3 Mosè ordinò ai figli d'Israele di consumare in fretta ma��ot, ma non affermò che il pane fosse lui stesso o rappresentasse i loro pericoli. Anch'egli procurò la manna ai figl i d'Israele, ma non affermò che la man­ na fosse il suo proprio corpo. I profeti e i martiri giudei - e nel contesto della missione di Gesù si è inclini a pensare a Dan. 7, Is. 40-5 5 e 6 I come a Sal. I I 8 - scesero in campo per la loro visione e la loro missione a Israele, ma nessuno pensò mai di stare sacrificando se stesso per il popolo.4 Gesù invece fa proprio questo. Nel corso di un pasto, presumibilmente il I 3/14 Nisan, nel mezzo di una settimana di pesa�, quando i giudei di ogni tipo commemoravano la liberazione ad opera di Dio dei figli d'Israele dalla ma­ no pesante del faraone, Gesù afferma che il pane che stanno mangiando è in realtà il suo stesso corpo. Non è più soltanto ma��ot, e non comme­ mora più l'urgenza dell'esodo; il pane di questo pasto è il suo corpo. Egli 1

X. Léon-Dufour, Sharing the Eucharistic Bread, New York 1 986, 1 1.0- 1 23 (tr. it. 121.-11.5). Così anche Taylor, Mark, 544· 3 Il dibattito cristiano posteriore riguardo al significato dell' èa'ttv è mosso da intenti astorici: l'aramaico o l'ebraico non avrebbero richiesto un ), ci si dovrebbe ricordare qui dell'importanza dell 'accavallarsi secolare della rivalità tra fratelli tra fede messianica e fede non messianica, che

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la chiesa degli inizi (in particolare in Paolo e nell'autore del l a lettera ag l i Ebrei) e tenterà di indagare a fondo le origini di questa ermeneutica per ve­ dere se essa può avere qualche rapporto con l'ultima cena di Gesù. L'ERMENEUTICA DELLA ( NUOVA ) ALLEANZA IN PAOLO

Al di fuori della tradizione dell'ultima cena in Mc. 1 4 /Le. 22 e I Cor. 1 1 (v. sotto), il più antico scritto pervenuto dei primi seguaci israeliti di Ge­ sù che metta ordine nella loro teologia ed esperienza di Cristo e dello Spi­ rito in termini di alleanza 1 è assai probabilmente Gal. 4,24 (che sviluppa 3 , 1 5 . 1 7 e la temporaneità della torà mosaica di 3 , 1 9-26), in una prospet­ tiva inseparabile dalla tristemente celebre allegoria di Agar e Sara: l. l'articolo di Dunn documenta e studia con tanta ricchezza. L'alleanza non ha separato cristia­ nesimo e giudaismo, ma ha espresso in termini franchi ciò che alcuni cristiani percepivano del rapporto della nuova epoca con la precedente. V. anche M. Theobald, Zwei Bunde und ein Gottesvolk: TQ 178 ( 1 996) 309- 3 2 5 . r Sull alleanza , tra una pletora di studi s i segnalano i seguenti: G.E. Mendenhall, Law and Cov­ enant in Israel and the Ancient Near East, Pittsburgh 1 9 5 5; Eichrodt, Theology of the O/d Testa­ mentI, spec. 3 6-69 (tr. it. 29-64); D.J. McCarthy, 0/d Testament Covenant, Richmond 1972; Treaty and Covenant (AnBib 2lA), Roma 2 1 978; Sanders, Pau/ and Palestinian Judaism, 24 1278, spec. 2.62.-275 (tr. it. 371-3 88); C. Levin, Die Verheissung des neuen Bundes in ihrem theo­ logiegeschichtlichen Zusammenhang ausgelegt (FRLANT 1 3 7), Gottingen 1985; P. Kalluveettil. Declaration and Covenant (AnBib 8 8), Roma 1 9 8 2.; E.W. Nicholson, God and His People, Ox­ ford 1 9 8 6; S. Lehne, The New Covenant in Hebrews (JSNTSup 44), Sheffìeld 1990, 3 5-59 e note; N.T. Wright, Christian Origins and the Question of God, II. The New Testament and the People of God, Minneapolis 1992, 244-279, spec. 2.60-262.; Christiansen, Covenant in ]udaism and Pau/; H. Lichtenberger, Alter Bund und Neuer Bund: NTS 4 1 ( 1995) 400-4 14; F. Avemarie ­ H. Lichtenberger (edd.), Bund und Tora (WUNT 92), Tiibingen 1996; Backhaus, Neue Bund; R. Rendtorff, The Covenant Formula, Edinburgh 1998. Il termine greco ot�-B�xlj significa solitamente «testamento», ma alla luce dell'uso frequente che il Nuovo Testamento fa del Tanak o dei LXX per il proprio lessico, il termine assume nor­ malmente l'accezione di alleanza presente in passi come Gen. 1 2; 1 5 ; 17; 22; Es. 1 9-24; Deute­ ronomio. Fondamentali sono al riguardo le voci dedicate alla berit in Clined (ed.), DCH 11, 264-267; M. Weinfeld in GLAT I, 1 5 89-1644; E. Kutsch in DTAT I, 295-306; si vedano inoltre G. Quell - J. Behm, Òta�S�x'Yj, in GLNT II, IOI7-I08 3 ; J. Guhrt - O. Becker, Covenant, Guarantee, Mediator, in NIDNTI I, 3 6 5-376; per un profilo dello svilu ppo della storia della tradizione cf. H.-D. Neef, Aspekte alttestamentlicher Bundestheologie, in Avemarie-Lichtenberger, Bund und Tora, 1-23. Neef sottolinea la necessità di individuare l'evoluzione e il contesto storici di tutti gli usi del termine alleanza, anche se ci si deve chiedere se gli israeliti del secondo tempio pensas­ sero con categorie tanto precise. L'impressione generale che si riceve di questo periodo è che il termine funzioni, in gradi diversi di pregnanza, su tre fronti: 1. il patto elettivo e istitutivo con Abramo, 2. le istruzioni rivelatrici della legge dell'alleanza mosaica [ad es. Es. 1 9-2.4] e 3· l'in­ violabilità della presenza davidica, come specificato in 2 Sam. 7· In questo senso lato è legittimo parlare di concetto veterotestamentario dell'alleanza. Sull'ermeneutica dell'alleanza in una cornice classica, in profonda interazione con una gran varietà di studi cf. l'eccellente lavoro di Scott W. Hahn, Kinship by Covenant, diss. Marquette University 1 996. 2. Cf. C. K. Barrett, The Allegory of Abraham, Sarah, and Hagar in the Argument of Galatian, in Essay on Pau/, Philadelphia 1982, 1 54- 1 70; Lehne, New Covenant, 65-68; Backhaus, Neue Bund, 297-306. '

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Ditemi, voi che desiderate stare sotto hi legge, non ascolterete la legge ? Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e l'altro dalla libera. Uno, il fi­ glio della schiava, fu generato secondo la carne; l'altro, il figlio della li bera, fu ge­ nerato mediante la promessa. Ora, questa è un'allegoria: queste donne sono due al­ leanze. Una è di fatto Agar, quella del Monte Sinai, che genera figli per la schia­ vitù. Ora Agar è il Monte Sinai in Arabia e corrisponde alla Gerusalemme di og­ gi, poiché è in schiavitù con i suoi figli. L'altra, invece, corrisponde alla Gerusa­ lemme di lassù; è libera ed è nostra madre. Poiché è scritto: « Rallegrati, sterile, tu che non partorisci figli, prorompi in canti e gridi, tu che non sopporti i dolori del parto; poiché i figli della sterile sono più numerosi dei figli di quella che è maritata » . Ora voi, amici, siete figli della promessa, come Isacco. Ma come allora i l figlio nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo Spirito, così è anche ora. Ma che cosa dice la Scrittura ? «Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non dividerà l'eredità col figlio della libera » . Allora, amici, noi sia­ mo figli, non della schiava ma della libera (Gal. 4,2r-3 r).

Qui è evidente quanto a Paolo piaccia la potenza retorica delle contrap­ posizioni binarie, delle antinomie: schiava vs. libera; carne vs. Spirito; car­ ne vs. promessa; Agar vs. Sara; Ismaele vs. Isacco; Gerusalemme « ora » ( = qui? di quaggiù? ) vs. Gerusalemme «di lassù » ; schiavitù vs. libertà; cre­ denti paolini vs. credenti giudaizzanti; persecutori vs. giusti sofferenti; fi­ gli della schiava vs. figli della libera. Quello che a Paolo interessa è con chi si schiereranno i galati, e perlopiù oggi si pensa che Paolo risponda qui a una nuova tendenza espressa dagli avversari giudaizzanti. 1 Per Paolo, che con questo passo viene considerato o apostolo o aposta­ ta, il principio è chiaro: in un certo senso le alleanze sono due (Rom. 9,45 ) . Una, quella che ha le sue origini nella promessa ad Abramo e Sara con il loro figlio Isacco (cf. Gal. 3,1 5-2 5 ) , conduce a Cristo e allo Spirito, alla giustificazione per fede e al perdono dei peccati (cf. Rom. 1 1,27), non al­ le « opere della legge » ; :z. l'a ltra alleanza, che ha le sue origini in Abramo e Agar e nel loro figlio Ismaele, porta a Mosè, alle opere della legge e ai giu­ daizzanti (non quindi al giudaismo), ma non alla «giustificazione» o alla «vita » ( 3 , 2 1 ) . Entrambi i figli di Abramo furono circo ncisi; per l a benedizione l a cir­ concisione non è quindi il fattore decisivo. Per Paolo si deve imparare a leggere la Bibbia (cioè a sviluppare un'ermeneutica ) sulla base della pro­ messa fatta ad Abramo, non della legge mosaica: c'è una promessa dell'alr

Martyn, Galatians, 431-466. Al riguardo cf. J.D.G. Dunn, Works of the Law and the Curse of the Law (Gal. J,I0-14), in Jesus, Pau/ and the Law, Louisville 1990, 21 5-24 1 ; ma v. anche M. Abegg, Pau/, Works of the Law» and MMT: BAR 20 (1994) 52-5 5 . 82; Hahn, Kinship by Covenant, 411 s. n. 72. 482-487 (dove si illustra una variante storico-salvifica a Dunn). 2.

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leanza con Abramo e c'è una legge dell'alleanza con Mosè.1· Se le alterna­ tive sono crudeli, la ragione è forte: gli stessi eventi delle rivelazioni ad Abramo e a Mosè fanno parte del quadro, ma Paolo, in contrasto con un Abramo uomo della torà (cf. ad es. Sir. 44, 1 9 ; CD 3 ,2-4 e mQidd. 4,1 4), delinea un Abramo anzitutto uomo di fede. 2 Non è da dimenticare che a Paolo interessa l' «lsraele di Dio » ( 6, 1 6), che è un popolo di fede. È necessario un chiarimento: è molto probabile che Paolo veda una so­ la alleanza di jhwh con Israele, non due accordi pattizi.3 Meglio, c'è una sola fondamentale alleanza, quella stretta per mezzo di Abramo, che ha i suoi predecessori (Adamo, Noè) e i suoi successori (Mosè, Davide, la nuo­ va alleanza). Ma importante è soprattutto che qui Paolo non delinea un quadro in cui poter collocare la vera alleanza, ma al contrario costruisce una v ia d'accesso al rapporto di alleanza che Dio ha con Israele - e que­ sto rapporto è dettato dalla fede, non dalle opere della legge che fissano li­ miti. Qui Paolo si consente di parlare di due alleanze, ma andrebbe osser­ vato che si tratta dell'unica alleanza affrontata o usata (o abusata) in due modi. Si dovrebbe anche osservare che, preoccupato della questione dei gentili, Paolo fa del patto di Abramo con Jhwh la cornice nella sua forma più pura e più duratura, perché questa cornice è soteriologica (ma questo non è uno studio sulla teologia di Paolo) . Quantunque nella lettera ai Galati non sia sviluppato, l'uso dell'allean­ za per la categoria della « fede in Cristo » in antitesi all' « obbedienza alla to­ rà » è destinato a diventare un potente principio d'ordine ed ermeneutico nelle discussioni ricorrenti fra giudei messianici e non messianici (cf. ad es. Eusebio, Hist. Ecci. 4,26, 1 3 - 1 4 [a proposito di Melitone]) . Qui Paolo oltrepassa una soglia, quella dell'interpretazione della storia della salvezza in termini di alleanza. Queste due alleanze, almeno come sono qui presen­ tate, creano un'antitesi fondamentale tra la torà mosaica, che reca con sé una maledizione (cf. Deut. 28; Dan. 9,1 1 ; Gal. 3 , 1 3 ),4 e l'epoca inaugura­ ta dallo Spirito, portatrice della vita che segue la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Ai cristiani d'oggi comprendere la rilevanza enorme di que­ sto assioma ermeneutico può risultare difficile: grazie almeno a questo punto, lo si sfrutti o no, ci sono le basi per un discorso nuovo che esprime r Dunn, Galatians, 2.49. Q u i Dunn mette utilmente in luce quella che in realtà è una sola alle­ anza con due modi di comprenderla, e postula che il fraintendimento potenziale di quell'unica in­ violabile alleanza con Abramo abbia impedito a Paolo di usare regolarmente l'alleanza comr propria categoria ermeneutica. z. Su Abramo cf. B. Ego, Abraham als Urbild der Toratreue Israels, in Avemarie-Lichtenberger.

Bund und Tora,

25-40.

Sull'importanza di questa discussione si veda ora Backhaus, Neue Bund, ad es. 24 6 . 1. 5 1 . 4 Cf. M . Wilcox, Upon the Tree- Deut 21:22-23 in the New Testament: JBL 96 ( 1 9 77) 8 5 -99. dove per la comprensione di Gal. 3,13 si dà grande valore alla 'aqedah. 3

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ciò che distingue l'Israele messianico dall'Israele non messianico. 1 Questo discorso afferma che l'era di Gesù Cristo porta a compimento (e proba­ bilmente soppianta ) l'era di Mosè, rivestendosi del linguaggio della torà: l'alleanza.2 Questo discorso sta a caratteri d'oro sulla copertina del Nuo­ vo Testamento e separa in due la Bibbia cristiana, anche se questa posizio­ ne riconosce l'unità fondamentale di cui molti cristiani avvertono la man­ canza.3 D'altro canto per i seguaci di Gesù questa ermeneutica dell'allean­ za 4 non era che un'opzione. Qui non è possibile far intervenire in forze tutti i testi perché, per rubare un detto felice di E.P. Sanders, «questo è un saggio, non una biblioteca » ,5 ma pochi altri esempi richiedono ancora la nostra attenzione. Un altro esempio paolino di ermeneutica dell'alleanza si può vedere nel suo midrash di Es. 3 4 ,29-3 5 in 2 Cor. 3 , che si muove sul piano della storia della salvezza per introdurvi un passato di promessa e un presente di com­ pimento, con particolare insistenza sui ministeri. 6 Questo piano storico­ salvifico di contrasti, che i termini midrash e allegoria non bastano a ren1 L a questione urgente oggi è stabilire fino a che punto Paolo sia responsabile della separazione delle strade e in quale misura egli vedesse la chiesa all'interno d'Israele e non come l'Israele stesso. Un'affermazione radicale dell'appartenenza di Paolo al giudaismo è M. Nanos, The Mys­ tery of Romans, Minneapolis I 996; The Irony o( Galatians, Minneapolis 2002. Per una posi­ zione più equilibrata si veda Dunn, Two Covenants or One?, 113-I18. 2. Uno studio esaustivo dell'ermeneutica dell'alleanza di Paolo in Gal. 3-4 è quello di Hahn, Kin­ ship by Covenant, 370-489, in particolare le interessanti considerazioni della n. 6 alle pp. 393 s., dove il rito abramico della circoncisione - in quanto azione che Abramo compie sulla carne - è connesso agli anatemi deuteronomici che accompagnano l'alleanza, e l'uno e gli altri sono spaz­ zati via dalla morte di Gesù che assorbe gli anatemi ed elimina la carne (Gal. 3,10-14). Gen. 22, inoltre, nella sostanza soppianta Gen. I7, nel senso che criticando i giudaizzanti Paolo sostiene l:he la loro decisione di passare da Gen. I2 e 15 a Gen. 17 non è un cambiamento sufficientemen­ te scritturistico - per situare il requisito dell'alleanza nel contesto era necessario che essi percor­ ressero l'intero cammino fino a Gen. 22 (cf. il richiamo di Gal. 3,8 a Gen . 12,3; 1 8,18 e 22,18) 3 Kinzig, Kat"� Òta.S�xlj, 519-544 . { pp. 398-404). �Uno degli esempi più ragguardevoli di analisi dell'Antico Testamento con le lenti dell'alleanza è la monumentale Teologia dell'Antico Testamento di Eichrodt. Il primo volume si articola co­ me segue: il rapporto di alleanza, le norme deJI'alleanza (leggi e culto), il nome e la natura del Dio dell'alleanza, gli organi dell'alleanza (capi carismatici e guide ufficiali), rottura dell'alleanza e giudizio, il compimento dell'alleanza. La teologia dell'alleanza di Eichrodt può essere messa al­ la prova sul piano della diversità degli stessi riscontri scritturistici. In altre parole, se la nozione di alleanza funge da principio d'ordine, in quanto categoria essa vale soltanto come principio d'ordine? non ci sono altre categorie fondamentali? e, come risulta ovvio da questo genere di critica, che cosa comporterebbe l'unitarietà dei riscontri scritturistici? comporterebbe un'unica categoria tematica o questa è fin dall'inizio polivalente? 5 Sanders, Covenant as a Soteriological Category, 1 5. 6 Cf. j.D.G. Dunn, 2 Corinthians 3:17- «The Lord is the Spirit», in The Christ and the Spirit, l. Christology, Grand Rapids 1998, I I s-125; C.F.D. Moule, II Cor. iii. I8b, xa.Slim:p &7tÒ xu­ ��ou r.'Je:u(.la-ro�, in Essays in New Testament Interpretation, Cambridge 1982., 2.2.7-234· V. an­ �he N.T. Wright, Reflected Glory, in L.D. Hurst - N.T. Wright (edd.), The Glory of Christ in the New Testament, Oxford 1987, 139-150; G.D. Fee, God's Empowering Presence, Peabody, Mass. '994, 2.96-320; Lehne, New Covenant, 68-71; Backhaus, Neue Bund, 298 s.

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dere, nelle parole di Paolo in 2 Cor. 3 non potrebbe essere megliò sottoli­ neato. Le chiese di Paolo sono > ) perché l'evento di pesa� era stato trasferito dallo stipite della porta all'altare del tempio. r La riflessione rabbinica posteriore (mPes. s , r -9,1 1 ) associò il sangue della vittima di pesa� al sacrificio per il peccato, ma evidentemente ciò non riguarda il 1 secolo; cf. J. Neusner, Perform­ ing Israel's Faith, Waco, Tex. 200 5 , cap. 5 (( lnside the Walls of the Israelite Household » . 2. Posizione analoga i n Jeremias, Eueharistie Words, 1 9 5 (tr. it. 24 1 ) . Diversamente J.M. Cohen, Moments of lnsight, London 1 9 8 9, 5 7 6 1 . 3 Si veda lo studio recente di Backhaus, Neue Bund, 2 9 1-297. 4 Molto tempo fa R. Otto, The Kingdom of God and the Son of Man, London 1943, 268. 273 s .. formulò l'ipotesi che in Le. 22,29 «appronto» (Òta-:We:�J-at) significhi ( Paul and Palestinian ]udaism, 237 [tr. it. 337]). La questione potrebbe es­ sere posta come segue: quando si chiede al termine 'alleanza' di sopportare questo tipo di peso si utilizza una parola che non era di rilevanza tanto primaria nell'uso di coloro che scrissero il Nuovo Testamento e la cui testimonianza noi consideriamo importante. In altre parole qui si so­ stiene che i cristiani impararono a capire la storia, in particolare la storia della salvezza, me­ diante questa ermeneutica dell'alleanza, un'ermeneutica che spesso viene imposta al materiale

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Non è qui possibile addentrarsi in una disamina approfondita dei pre­ cursori dell'alleanza di Qumran. Ci si limiterà a illustrare la conclusione che l'alleanza vi è intesa come alleanza analoga a quella di Mosè (talvolta si cita Abramo; cf. CD I 2, I I ) , e che per la comunità di Qumran questa al­ leanza è qua lcosa come un ampliamento del libro dell'alleanza ( Es. I 9 24 ) e del Deuteronomio ( I 2-26). Più i n generale, l'alleanza del periodo del secondo tempio è in sostanza il patto mosaico dell'obbligo di rispetta­ re la torà - specialmente le sue disposizioni centrali sulla circoncisione, il sabato e le norme alimentari - allo scopo di assicurare le benedizioni di Jhwh al popolo d'Israele (ad es. Sir. 3 9 , 8 ).1 Si tratta, nelle parole di E.P. Sanders, di « nomismo dell'alleanza » / · Se ci si richiama alla nuova allean­ za lo si fa pensando meno alle sue caratteristiche distintive (come le si so­ no presentate sopra) che alla convinzione della setta che questa speranza escatologica si sarebbe adempiuta nella sua comunità. L'alleanza è quindi nuova nel senso dell'escatologia, non nel senso di uno specifico compimen­ to di attese specifiche di Geremia o Ezechiele. Per questo compimento, per vedere in atto il celebre pesher dell'Israele messianico, si deve guardare alla comune esperienza visionaria, missionapiù che essere qualcosa di intrinseco a questo. Sarebbe preferibile lasciare che a indirizzare il di­ battito siano categorie specifiche dei testi anziché forzare le categorie dei testi a entrare in nostre categorie sistemiche. Il problema non è se quello di alleanza è un buon termine o meno - poiché certamente lo è; il problema è quanto spesso e in quale misura l'alleanza venga usata come cate­ goria ermeneutica esplicativa. Il termine cruciale per la maggior parte del giudaismo anterior­ mente a Gesù era 'rorà'. Questo non depone a favore del legalismo nel senso classico; il termine, piuttosto, definisce il rapporto di Israele con Jhwh come rapporto di direzione e obbedienza, e quindi cc nomismo dell'alleanza » sarebbe una buona categoria sintetica. Certo l'alleanza può es­ sere vista come il fondamento della torà o come elemento della rorà, ma il termine torà era quel­ lo preferito da coloro di cui noi oggi studiamo gli scritti. Si veda Segai, Covenant in Rabbinic Writings, il quale 1. riconosce che le testimonianze dei primissimi cristiani fanno parte del ma­ teriale che viene usato per comprendere il giudaismo e 2. sostiene che i testi liturgici completano l'immagine di un uso più generale dell'alleanza. In tutti gli scritti rabbinici la circoncisione è det­ ta l' «alleanza della circoncisione�� (pp. 57 s.). Oltre alla questione della datazione delle tradizio­ ni liturgiche avrei da obiettare soltanto alla centralità dell'alleanza nel cristianesimo che Sanders dà per presupposta, perché questo è per lui il punto su cui avviene il confronto. Per un'interpre­ tazione articolata della funzione che il termine alleanza ha nella letteratura della diaspora, con cenni al significato e talvolta alla sinonimia di altri termini, cf. Schwemer, Diatheke und Nomos. Si pronuncia per l'esistenza di una teologia rabbinica dell'alleanza F. Avemarie, Bund als Gabe und Recht, in Avemarie-Lichtenberger, Bund und Tora, 1 6 3 - 2 1 6. 1 Cf. J.D.G. Dunn, The Parting of the Ways, Philadelphia 1991, 2.3-3 I . :z. Sanders, Pau/ and Palestinian ]udaism. Il recente volume a più voci curato da D.A. Carson esamina la tesi principale di Sanders - che il giudaismo fu una religione del ccnomismo dell'al­ leanza » - approfondendo le posizioni teologiche fondamentali dell'ampio spettro del giudaismo. Dove Sanders cerca un «modello di religione », gli autori del libro vanno alla ricerca di sfuma­ ture particolari per ogni autore o corpus di opere e quindi talvolta si evidenziano disaccordi con Sanders a danno di un riconoscimento del suo intento. Si veda D.A. Carson - P.T. O'Brien - M. Seifrid (edd.), The Complexities of Second Tempie ]udaism, 1. Justifìcation and Variegated Nom­ ism, Tiibingen - Grand Rapids 200 1 . Per un esame equilibrato cf. H.-M. Rieger, Eine Religion der Gnade, in Avemarie-Lichtenberger, Bund und Tora, 12.9-161.

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ria e glossolalica (o·xenologica; cf. Atti 2,9-1 1 ) della prima chiesa di Geru­ salemme. Più in generale si deve guardare alla comunità messianica che nelle sue esperienze pneumatiche 1 vide una leva che poté essere abbassata con tale forza da erompere in movimento ( Gerusalemme: Atti 2; 8 , 1 4- I 7; 9,26-29; Damasco: Atti 9,I7; Galilea: Mc. I 6,7; chiese paoline: Gal. 3 , 1 -5; Rom. 8,4-2 7 ) . Si era fermamente convinti che nel giorno di pentecoste � si era compiuta in Gesù Cristo la pienezza deli' opera di Dio (cf. l 'uso di G/. 2,28-3 2 in Atti 2,I7-21 ), e questa esperienza è alla base dei racconti delle esperienze pneumatiche in molti altri luoghi (ad es. Atti 4,3 I ; 1 0,44-4 8 ).4 Detto in modo diverso, lo Spirito soteriologico, che è anche lo Spirito di profezia, era all'opera alla fine dei tempi allo scopo di rendere possibile che l'opera di Dio fosse sentita in potenza.5 L' « uomo dello Spirito » divenne il «dispensatore dello Spirito » . 6 Solo a pentecoste, in virtù del dono dello Spirito, i benefici e le benedizioni acquistati da Gesù con la sua morte, ri­ surrezione e ascensione, furono applicati ai discepoli.7 Così è da intender­ si l'intreccio di Luca. Per giungere a un'ermeneutica pentecostale della nuova alleanza, i cari­ smatici pentecostali della chiesa postpasquale di Gerusalemme poterono facilmente richiamarsi a ciascuna delle diverse caratteristiche delle attese della nuova alleanza di Geremia (e in via subordinata di Ezechiele ) . Questa ipotesi significa che l'ermeneutica della nuova alleanza deve la sua origi­ ne alle esperienze pneumatiche dei primi seguaci di Gesù con base a Ge­ rusalemme. Prima di delineare questa ipotesi è tuttavia da osservare che la primissima riflessione ermeneutica sull'esperienza pentecostale proviene da Gl. 2 e non da Ger. 3 I 8 o da Ezechiele. Se il primo impulso della comu2

1 In generale si veda j.D.G. Dunn, Unity and Diversity in the New Testament, Philadelphia 119 9 1 . 174-202; cf. M . Hengel, Between ]esus and Paulus, Philadelphia 1 9 8 3 , 1-29; Atonement, 47-5 5 (tr. it. 1 94-203 ). 2. Cf. Dunn, Unity and Diversity in the New Testament, 3 8-54; ]esus and the Spirit, Philadelphia 1975, 13 5 - 1 5 6; Pentecost, in Pneumatology, 2 1 0- 2 1 6; Foakes jackson - Lake (edd.), Acts of th� Apostles 1, 22 s. Per un giudizio che riconosce minor valore storico ad Atti 2, cf. Fitzmyer, Acts. 2 3 2 (tr. it. 2 1 5 s.); Levin, Verheissung, 265 -279, il quale osserva come l'idea di nuova alleanza

dei primi cristiani sia il risultato di un'esperienza e insieme una prospettiva esegetica da cui guar­ dare indietro. Levin approfondisce l'esegesi protocristiana anche per l'uso del linguaggio della nuova alleanza. 3 Cf. C.F.D. Moule, The Post-resurrection Appearances im the Light of Festival Pilgrimages: NTS 4 ( 1 9 5 7-5 8 ) 5 8-61; Dunn , ]esus and Spirit, 1 3 9-142; Pentecost, in Pneumatology, l. I 0-2 1 5 . 4 Dunn , ]esus and Spirit, 1 3 6- 1 3 9 . 5 Dunn, Baptism in the Spirit, in Pneumatology, 222-242. 6 Ulteriori approfondimenti in Dunn, 2 Corinthians 3 : I 7, ]esus-Flesh and Spirit, and I Corin­ thians 15,45, in Christology, 1 1 5 - 1 2 5 . 1 26-1 5 3 · 1 5 4-1 66, e Rediscovering the Spirit, Spirit and Kingdom, The Spirit of]esus, in Phenomenology, 74-80. 1 3 3 - 1 4 1 , 3 29-342. V. anche G.F. Haw­ thorne, The Power and the Presence, Dallas 1 99 1 . 7 j.D.G. Dunn, Baptism in the Holy Spirit, Philadelphia 1 970, 44· 8 Quest'assenza di una riflessione su Ger. 3 1 in Atti 2 conferma l'idea che sopra si è avanzata a proposito dell'assenza di un linguaggio della «nuova alleanza )) nell'evento originario dell' ultima

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nità messianica fu di spiegare la pentecoste come compimento di Gl. 2, subito dopo si assistette a una seconda riflessione (che ora si trova siste­ mata nelle tradizioni dell'ultima cena, in Paolo e nella lettera agli Ebrei ) che condusse direttamente, e ancor più profondamente, alle attese relative alla nuova alleanza dei profeti seriori d'Israele. Questa convinzione deve essere all'origine di almeno otto distinte idee. Prima di esporre queste idee è tuttavia da aggiungere che non c'è ragione di sostenere che quando i primi israeliti messianici si appropriarono di una ermeneutica della nuova alleanza intendevano implicitamente affermare che la vecchia alleanza era inferiore. Essi volevano semmai dire che le pro­ messe andavano compiendosi. In altre parole, è questione di continuità escatologica, non di cambio di religione. In ciò che accadeva essi vedevano la realizzazione della fede israelitica, non l'acquisto di una nuova fede. Era la vecchia fede che ora veniva elevata al suo livello più alto. Detto con le parole di james Dunn, «il cristianesimo non può comprendere se stesso se non come espressione dell'ebraismo, l'ebraismo non è sincero con se stesso se non riconosce nel cristianesimo un'espressione legittima del pro­ prio retaggio, e del pari il cristianesimo non è sincero con se stesso se non riconosce nell'ebraismo un'espressione legittima di questa stessa comune eredità » . I E per alcuni la scoperta di questa nuova fede sarebbe diventa­ ta consapevolezza piena del disegno di Dio lungo le linee dell'alleanza. Primo: l'interesse della comunità per il numero dodici quando si tratta di nominare un successore di Giuda (Atti 1 , 1 2-26) è il prolungamento del­ la centralità della comunità per il Gesù storico (cf. Mc. 3 , 1 3 - 1 9 ; 6 , 7 - I 3 . 3 0 ) . La vicenda è raccontata con tale dovizia di particolari da richiedere una pausa per chiedersi se non si tratti di un'invenzione posteriore. Per­ ché che ne è del sostituto di Giuda ? Come Duno ha osservato, il tentativo di sostituire Giuda è un « maldestro tentativo di mantenere la comunità a un livello artificiale e superficiale » .2 Vi si potrebbe percepire anche un'eco della promessa fatta ai dodici (cf. Le. 22,28-30), che mettendo la nazione davanti alla buona novella della risurrezione di Gesù (Atti 2,14) essi avreb­ bero iniziato a esercitare il «governo » su Israele. Secondo: se si afferma che la nuova alleanza sarà inviolabile ( Ger. 3 I, 3 2; 3 2,40), nella vicenda di Anania e Saffira c'è ragione di vedere che in ­ violabile significa « punizione immediata » (Atti 5 , I - I I ), e si è allora ten­ tati di pensare secondo le regole della comunità di Qumran e del quartie­ re essenico di Gerusalemme ( 1 QS 6,20. 24-2 5 ) .3 Un'elaborazione del moticena. Ancor più stupisce alquanto che Luca ometta il richiamo a Ger. 3 1 in Atti 2, dopo aver parlato di «nuova alleanza » nell'ultima cena (Le. 22,20 ) . I Dunn, Two Covenants or One?, in H. Lichtenberger (ed.), Frnhes Christentum, 1 19. 2 Dunn, ]esus and the Spirit, 145· 3 Op. cit., 1 66; cf. B.J. Capper, The Palestinian Cultura/ Context of Earliest Christian Com�

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vo è contenuta nel passo esortativo de l la lettera agli Ebrei come esempio della gravità del peccato per coloro che volontariamente abbracciano l'al­ leanza. Terzo: l'interiorità della nuova alleanza ha la sua base solida nella pri­ ma esperienza del dono e dell'inabitazione dello Spirito di Dio (Atti 2,14 1 , spec. vv. 3, 4, 3 3 , 3 8b), ed è un motivo che non senza sorpresa viene sviluppato nella teologia di Paolo dell'inabitazione di Cristo e dello Spiri­ to (cf. Gal. 5 , 1 3 -26; 2 Cor. 3 , 1 8 ) . La teologia di Paolo si teneva salda­ mente attaccata al significato del dono dello Spirito per la nuova epoca . 1 Ma soprattutto uno dei temi del discorso di Pietro è la democratizzazione dello spirito di profezia, che può essere ricondotta del tutto naturalmente alla conoscenza di cui parla Ger. 3 1 ,3 3 - 3 4, una conoscenza inscritta nel cuore. Se gli studi considerano il discorso di Pietro qualcosa di meno che un resoconto storico, nel discorso di Luca troverebbe espressione appun­ to questo: la democratizzazione della conoscenza di Dio. L'effetto polemi­ co di una simile idea che l 'Israele messianico ha subìto è espresso anche nei primi capitoli degli Atti : scontro con i sacerdoti, con le autorità del tempio e con il tempio stesso (cf. Atti 3 , 1 -4,22; 5,1 7-42; 6,8-8, 1 , ecc.). Quarto: l'attesa fiduciosa di Geremia che la torà di Dio sarebbe stata ac­ colta da tutti, dal più giovane al più anziano, e che non ci sarebbe stato bi­ sogno di insegnare gli uni agli altri, trova compimento nel richiamo a G/. 2,28-3 2 in Atti 2,17-21 e nella teologia di Paolo della natura egualitaria dei doni carismatici ( I Cor. 1 2- 1 4 ) . In realtà il quadro idealizzato della chiesa nei primi capitoli degli Atti ricorda l'attesa di Geremia che la legge sarebbe stata scritta nel cuore e sarebbe stata rispettata da tutti: ancor più, che Israele sarebbe diventato un popolo che avrebbe amato il suo Dio in­ condizionatamente. L'esperienza di pentecoste fissò il modello della vita pneumatica (cf. Atti r 1 , 1 5 . 1 7) . È probabile che a questa esperienza pneu­ matica ed egualitaria si dovesse in parte la comunanza dei beni nella pri­ ma chiesa di Gerusalemme e lo sviluppo di un'etica della reciprocità.1 In altre parole, la concezione di un'interiorizzazione egualitaria di Geremia assunse toni realistici e concreti nelle chiese con base a Gerusalemme. Quinto: il risalto che la teologia messianica più antica dà al « perdono » (Atti 2,3 8; 5,3 1 ; 10,43; 1 3 ,3 8 ) avrebbe facilmente potuto condurre alla teologia della nuova alleanza della prima comunità gerosolimitana, anche se nelle aspettative profetiche il perdono è inteso in termini più che indi­ vidualistici. Si potrebbe altrettanto facilmente supporre che la prima premunity of Goods, in R. Bauckham (ed.), The Book of Acts in its First Century Setting, IV. The Book of Acts in its Palestinian Setting, Grand Rapids 1 99 5, 3 2 3 - 3 5 6. 1 Chiarimento importante di Dunn in Baptism in the Spirit, in Phenomenology, 242. 2 Cf. Capper, Palestinian Cultura/ Context; Reciprocity and the Ethic o( Acts, in Marshali-Peter­ son (edd.), Witness to the Gospel, Grand Rapids 1 998, 499- 5 1 8 .

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dica di Pietro sul perdono va oltre l'individualismo - che di fatto Pietro vede nel nuovo organismo dei seguaci pneumatici ed escatologici di Gesù il nucleo del popolo d'Israele ricostituito, tanto agognato da Geremia ed Ezechiele. Sesto: ciò che accade a pentecoste viene considerato in seguito il com­ pimento delle promesse - probabilmente quelle fatte ad Abramo, a Mosè nella tradizione deuteronomica (cf. Deut. 30,6), a Davide e mediante i pro­ feti (Atti 1 ,4; 2,3 3 · 3 8-39; Gal. 3 , 6- 1 4 ) . Il significato escatologico della pentecoste fa pensare che si tratti del compimento delle attese d'Israele. E se Paolo con la sua teologia va chiaramente nella direzione di una sostitu­ zione della torà con lo Spirito ( Gal. 3 ,6-14; 5 , 1 - 2 6 ) , con ciò quantomeno insinua che pentecoste è il momento in cui l'orologio della storia della sal­ vezza batte l'ora dell'aurora, poiché a pentecoste i giudei ricordavano il dono della torà (cf. Es. I 9, I ; 2 Cron. I s , 8 - I s; Iub. r , r ; 6 , 1 7-3 r; 1 4 , 20; 2 2, r - r 6; r QS 1 , 8-2, 2 5 ; bPes. 6 8 b ) . 1 Settimo: Ezechiele proclamava che l'alleanza finale avrebbe portato la pace. Se questo motivo non è caratteristico delle attese di Geremia (dove è fatto intervenire per le vane promesse del falso profeta ), neppure è il cen­ tro della prima esperienza messianica (ma cf. Atti r o, 3 6 ) o del suo movi­ mento transnazionale imminente! 2. La ricostituzione delle dodici tribù, infine, preludeva certamente a un Israele più esteso, forse a un Israele che trascendesse i limiti nazionali . Se così è, la predicazione del vangelo rivolta a tutti a pentecoste fa ricordare le attese universali dell'Israele antico.3 Sotto tutte queste esperienze che condussero a un'ermeneutica della nuova alleanza c'è fondamentalmente la fede che lo Spirito di Dio ha riconosciuto la piccola comunità dei se­ guaci di Gesù di Gerusalemme (Atti 2) e delle altre località e vi abita.4

CONCLUSIONE

Si è così delineato un abbozzo di soluzione al problema dell'origine del­ l'ermeneutica della nuova alleanza, e i testi fanno pensare che l'esperienza di pentecoste dei primi seguaci di Gesù a Gerusalemme pose le premesse per una riflessione compiuta sul senso di questa esperienza pneumatica. Qui si trova una costellazione di fattori che sta sostanzialmente in correla­ zione con la predizione di Geremia di una nuova alleanza. Un certo mo­ mento dopo pentecoste (quando, è da osservare, il testo di Gioele viene 1

Dunn, ]esus and the Spirit, 1 40 s. 2. Dunn, Baptism in the Holy Spirit, 48 s. Un bello studio della natura sociale della chiesa gerosolimitana è quello di D.A. Fiensy, Composition of the ]erusalem Church, in Bauckham (ed.), Book of Acts, 2 1 3 -2 3 6 . 4 Dunn, Spirit and Holy Spirit i n the New Testament, in Phenomenology, 3 - 2 1 . 3

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. alla ribalta) e probabilmente ad opera di q ualcuno che non era Pietro, ac­ cadde che un cristiano pervenne alla convinzione che Pesperienza pneu­ matica di pentecoste era di fatto ciò che Geremia ed Ezechiele attendeva­ no. Di qui si dedusse che l'Israele messianico era entrato in una nuova al­ leanza. Ovunque ciò sia accaduto, quella persona consegnò ai primi cri­ stiani una categoria con implicazioni di grande portata, perché questa ven­ ne presto associata alla tradizione dell'ultima cena e si aprì la via nella cer­ chia paolina così come nell'ermeneutica dell'autore della lettera gli Ebrei. Si potrebbe dire che l'attesa del regno, quale fu espressa a quella tavola, una volta considerata alla luce della croce e di pentecoste divenne teolo­ gia del l'alleanza . 1 D'altro canto è opportuno concludere con qualche osservazione riguar­ do al genere di storia caratteristico delle tradizioni evangeliche. Si potreb­ be sostenere che l'alleanza è un elemento di un'anacronistica riflessione messianica sull'ultima cena di Gesù, che vi sono molte ragioni perché i pri­ mi israeliti messianici associassero strettamente la loro ermeneutica della nuova alleanza a Gesù stesso. Appunto queste linee di connessione inizia­ no a ricollegarsi a Geremia già durante la vita del Gesù storico. Già quan­ d'era in vita Gesù veniva percepito fondamentalmente come « pneumati ­ co » , come qualcuno per il quale veniva messo in atto il potere escatologi­ co dello Spirito di imprimere svolte alla storia (Le. 7 , 1 8 - 2 3 ; 1 1 ,2o).:l I do­ dici vennero inoltre chiamati e incaricati come nucleo dell'Israele ristabi­ lito (Mt. 1 9 , 2 8 ) , echeggiarono i toni forti di un impegno che non tollerava rivali ( Le. 9 , 5 7-62), si sondò l'importanza dell'interiorità nell'etica (Mc. 7 , 1 -20; Mt. 1 2, 3 3 -3 7 ) , furono chiaramente evidenti il potere e l'autorità dei miracoli (Mc. 6,5 . 1 4 ; I 1 , 2 8 ), prese corpo l'inclusione immaginaria di qualsiasi tipo alla tavola di Gesù (Mc. 2 , 1 8-22; Mt. 1 1 , 1 9 ) e si trovarono le offerte di perdono e di pace (Mc. 2, r - r 2; Le. r o, s -6 ) . 3 Il momento in cui Gesù sedette a tavola per l'ultima cena e parlò del suo sangue come di un evento del tipo di pesa� precedette soltanto di pochi e forsennati mesi quello in cui i suoi seguaci videro in quel sangue, per effetto della loro vi­ ta pneumatica, la vera ricostituzione della nuova alleanza di Dio con Israe­ le. Ciò che è anacronistico spesso è storico perché è ermeneutico. 4 1 Un'osservazione analoga s'incontra in H.-J. Klauck, Herrenmahl und hellenistischer Kult (NTAbh, n.s. 1 5 ), Miinster 1 9 8 2., 3 1 4. 2 Al riguardo si vedano ancora i due studi di orientamento prevalentemente esegetico di C.K. Barrett, The Holy Spirit and the Gospel Tradition, London 1966 e di Hawthorne, Presence and the Power; per una trattazione maggiormente storica cf. Duno, }esus and the Spirit, 1 1 -92.; d.

M. Borg, }esus, 2.3-7 5 .

3

Cf. S . McKnight, A New Vision for lsrael, Grand Rapids 1 9 99. Duno, Pentecost, in Phenomenology, 2. 1 3 : «Il nesso già stabilito fra pentecoste, rinnovamento dell'alleanza e dono della legge spinse probabilmente i credenti a interpretare la loro esperienza dello Spirito come compimento della promessa di una nuova alleanza, come la legge che veniva 4

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Dopo aver esaminato l'alleanza restano da affrontare diversi altri svilup­ pi dell'ultima cena per vedere se possono gettar luce su come Gesù com­ prese la sua morte imminente e anzitempo. scritta nei loro cuori (Deut. 30, 6 ; Ger. 3 1 ,3 1-34; Ez. 3 ,26-27; 37,14; cf. Atti 2,3 8-39; 3,25; I Cor. 1 1 , 2 5 ; Ebr. ro, s - r 6 . 29). Ma le implicazioni di questa idea per la fede e la condotta per­ manenti non furono riconosciute ed elaborate che con Paolo (Rom. 2,28-29; 7,6; 2 Cor. 3; Gal. 3 , 1 -4,7; Fil. 3 , 3 ; Col. 2,1 1 ; I Tess. 4, 8 ) » .

Capitolo 1 6

Il « sangue versa to » e l'escatologia

Si è giunti ora quasi al termine del pasto, ma restano da considerare due altre tradizioni riguardanti il materiale dell'ultima cena di Gesù, che po­ trebbero gettar luce su come egli intese la sua morte. Si è detto che l'ulti­ ma cena non fu, in termini tecnici, il pesa�. Fu un pasto della settimana di pesa/:J, consumato a Gerusalemme la notte prima del pesa� ufficiale. Si è af­ fermato che Gesù trasformò quel pasto da pasto ordinario della settima­ na di pesa� in pasto simbolico, e che il suo simbolismo contrastava pro­ fondamente con la tradizione di pesa�. In sostanza egli affermava che la sua morte poteva essere condivisa dai suoi discepoli se avessero mangiato il pane e bevuto il vino. Si è detto anche che è improbabile (quantunque possibile) che Gesù abbia parlato della propria morte come se con essa ve­ nisse istituita una « nuova alleanza » . Egli dichiarò che la sua morte aveva funzione rappresentativa; era una morte che avrebbe introdotto la morte di altri . In quanto il suo sangue (il vino) era simbolo di questa morte, è al­ tamente probabile che egli pensasse che la sua morte sarebbe giovata a i suoi discepoli. I l suo sangue, i n quanto sostituto o riattuazione del sangue dell'evento originario di pesa�, avrebbe protetto i suoi seguaci dal futuro giudizio di Dio su Gerusalemme e i suoi capi corrotti. C'è altro che si po­ trebbe sapere su come egli intese la propria morte ? « VERSATO))

È rimasta ancora da esaminare l'espressione « versato» (Mc. 1 4,24; Mt. 26, 28; Le. 22,29 [LL] ) . 1 Questa espressione ha un parallelo solido in altre tra­ dizioni di Gesù (cf. Mc. 10,4 5 ), anche se spesso la si ritiene inautentica. Nella tradizione paolina l'espressione non c'è, ma essa si accorda chiara­ mente con la teologia di Paolo. Si dovrebbe quindi considerare il « versa­ to per molti » come probabilmente di Gesù. Escludere dalla discussione il «versato per molti » è pretendere di sapere troppo e di saperlo con troppa precisione, ma anche usarlo equivale ad avanzare le stesse pretese. Non c'è nulla nell'ultima cena che faccia pensare che Gesù abbia potuto usare una metafora cultuale come questa, e nella discussione che si è fin qui condot1 In particolare, Marco ha «versato per molti» , Matteo