Gesta Senatus Romani De Theodosiano Publicando: Il Codice Teodosiano E La Sua Diffusione Ufficiale in Occidente 9783428120697, 3428120698

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Gesta Senatus Romani De Theodosiano Publicando: Il Codice Teodosiano E La Sua Diffusione Ufficiale in Occidente
 9783428120697, 3428120698

Table of contents :
Premessa
Indice
Abbreviazioni
Introduzione
Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni critiche deiGesta senatus del 438 d.C.
I. Il ritrovamento e l’editio princeps dei Gesta senatus
1. Clossius e la scoperta del Codex Ambrosianus C 29 inf.
2. L’editio princeps dei fragmenta milanesi
II. Edizioni critiche dei Gesta senatus: da Clossius a Krüger
III. La fonte: il Codex Ambrosianus C 29 inf.
1. Sull’utilità di una nuova indagine
2. Una nuova descrizione analitica del manoscritto
a) Descrizione esterna
aa) Consistenza
bb) Dimensioni
cc) Fascicolazione
dd) Legatura
ee) Possessori
ff) Varie
gg) Datazione
hh) Origine
ii) Materia
jj) Segnatura di fascicolo
kk) Foratura
ll) Rigatura
mm) Scrittura
nn) Copista
oo) Annotazioni
pp) Decorazione
b) Descrizione interna
qq) Contenuto
IV. Alcune considerazioni
1. Datazione e origine dei fragmenta milanesi
2. Il copista
3. Le mende del testo
4. L’attività di integrazione della redazione visigotica del Teodosiano
Capitolo secondo: I gesta senatus: formazione e struttura
I. Redazione, conservazione ed editio dei gesta senatus
1. Gli uffici competenti
2. La procedura
a) La testimonianza dei Gesta Conlationis Carthaginiensis
aa) Registrazione
bb) Custodia
cc) 'Descriptio' ed 'emendatio'
dd) 'Recognitio' ed 'editio'
ee) Durata delle operazioni
b) La redazione dei gesta senatus: un’ipotesi
II. Struttura dei gesta senatus: un tentativo di ricostruzione
1. Fonti giuridiche
2. Fonti epigrafiche e letterarie
a) Il SC.tum de pretiis gladiatorum
b) I verbali delle curie municipali: il caso di Caere
c) Gesta senatus nella Historia Augusta
3. Fonti ecclesiastiche
4. Fonti papirologiche
5. I Gesta senatus del 438 d.C.
6. Prime conclusioni
Capitolo terzo: La seduta del senato di Roma del 438 d.C.
I. Le premesse: presentazione del Codice Teodosiano in Oriente
II. La seduta del senato di Roma del 438 d.C.
1. La data
2. Il luogo
3. I presenti
4. I constitutionarii
5. La lettura della costituzione programmatica del 429 d.C.
6. Le acclamazioni dei senatori
7. L’editio dei Gesta senatus
a) Il tempo
b) Il fine
Capitolo quarto: L’oggetto della seduta senatoria
I. Osservazioni preliminari
II. Il Codice Teodosiano e la funzione di NTh. 1
III. 'Pubblicazione' e 'promulgazione': alcune precisazioni
IV. Il Codice Teodosiano e la funzione della seduta senatoria
1. Presentazione
2. Approvazione
3. Pubblicazione
4. Altro
V. Le tesi di Sirks
Capitolo quinto: Riproduzione e diffusione ufficiale del Codex Theodosianus in Occidente
I. Aspetto documentale e veste libraria del Codex Theodosianus
II. Produzione e circolazione libraria in età tardoantica
III. Autenticità, corruzione testuale e falso (cenni)
IV. Modalità di riproduzione e diffusione ufficiale del Codex Theodosianus
1. La diffusione
2. La riproduzione
a) I constitutionarii e il loro ufficio
aa) I nomi
bb) L’ufficio
cc) Le competenze
b) La procedura
3. L’autore della procedura di editio del Codex
V. NTh. 1, Gesta senatus e testo ufficiale del Codice Teodosiano
1. Volterra e la 'costituzione introduttiva' del Codice Teodosiano
a) Il Codex Basileensis C III 1
aa) Gli antigrafi: il Codex Murbacensis
bb) Gli antigrafi: il Codex Gothanus memb. I 84
b) Il Codex Bodleianus Arch. Seld. B. 16
c) Prime conclusioni
2. La NTh. 1 e il testo ufficiale del Teodosiano
3. I Gesta senatus e il testo ufficiale del Teodosiano
Capitolo sesto: La constitutio de constitutionariis
I. Un enigma nel Codex Ambrosianus
II. Diverse ipotesi ricostruttive
III. La ricostruzione di Carlo Baudi di Vesme
IV. Dubbi
V. La costituzione di Valentiniano III del 443 d.C.
Conclusioni
Appendice: Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando
Indice bibliografico
Indice analitico: fonti
Indice analitico: manoscritti
Indice analitico: nomi e autori
Indice analitico: luoghi e cose notevoli

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Freiburger Rechtsgeschichtliche Abhandlungen Neue Folge · Band 58

Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando Il Codice Teodosiano e la sua diffusione ufficiale in Occidente

Di

Lorena Atzeri

asdfghjk Duncker & Humblot · Berlin

LORENA ATZERI

Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando

Freiburger Rechtsgeschichtliche Abhandlungen Herausgegeben vom Institut für Rechtsgeschichte und geschichtliche Rechtsvergleichung der Albert-Ludwigs-Universität, Freiburg i. Br.

Neue Folge · Band 58

Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando Il Codice Teodosiano e la sua diffusione ufficiale in Occidente

Di

Lorena Atzeri

asdfghjk Duncker & Humblot · Berlin

Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.d-nb.de abrufbar.

Alle Rechte vorbehalten # 2008 Duncker & Humblot GmbH, Berlin Druck: Berliner Buchdruckerei Union GmbH, Berlin Printed in Germany ISSN 0720-6704 ISBN 978-3-428-12069-7 Gedruckt auf alterungsbeständigem (säurefreiem) Papier ∞ entsprechend ISO 9706 *

Internet: http://www.duncker-humblot.de

A Mimma e Dino p(arentibus) k(arissimis) a(tque) a(mantissimis)

Premessa Il presente lavoro costituisce lo sviluppo della mia tesi di dottorato in Diritto Romano, discussa presso l’Università ‘La Sapienza’ di Roma nel luglio 2004. Esso è frutto degli stimoli e della disponibilità di numerose persone che hanno contribuito in vario modo ad arricchire la mia formazione e che desidero in questa sede ringraziare vivamente: la prof.ssa E. Condello, le cui lezioni di Codicologia, tenute nell’A.A. 2000/01 presso la Facoltà di Lettere dell’Università ‘La Sapienza’, mi hanno avvicinata all’affascinante mondo dei manoscritti e ai problemi legati alla trasmissione delle fonti; la prof.ssa G. Nicolaj, che mi ha introdotto allo studio della Diplomatica, consentendomi di frequentare le sue lezioni tenute presso la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica nell’anno 2002/03; la prof.ssa L. Moscati, che generosamente ha messo a mia disposizione materiale bibliografico di difficile reperibilità e fondamentale per le mie ricerche; il dott. P. Mari e i professori V. Crescenzi e A.J.B. Sirks, delle cui rispettive competenze ho potuto profittare e che sono stati disponibili a discutere alcuni aspetti della ricerca, facendomi altresì pervenire, con altrettanta generosità, il testo ancora dattiloscritto di loro importanti contributi su alcuni dei temi affrontati nel presente lavoro. Al dott. Mari, che ringrazio anche per l’attenta lettura del dattiloscritto, sono inoltre debitrice di preziosi suggerimenti. Il lavoro di stesura di questo libro era già ultimato quando è apparsa l’ultima monografia di Sirks 'The Theodosian Code. A Study' (Éditions du Quatorze Septembre, Friedrichsdorf 2007), che, tra le altre cose, raccoglie all’interno di un organico impianto sistematico i decennali studi dell’Autore dedicati ai più vari aspetti della codificazione di Teodosio II e, più in generale, all’attività normativa tardoimperiale. Sebbene dell’opera non sia stato possibile tener conto in questa sede, le posizioni assunte da Sirks sul tema che qui interessa non si discostano molto da quelle già manifestate in passato e che abbiamo sottoposto ad analisi. Per la stessa ragione non ha potuto costituire oggetto di analisi e discussione il recente e poderoso lavoro di Lucio De Giovanni 'Istituzioni scienza giuridica codici nel mondo antico. Alle radici di una nuova storia' (Roma 2007). Desidero infine esprimere la mia gratitudine al mio Maestro, prof. S. Tondo, per aver creduto in questo lavoro e averne seguito l’evoluzione, sottoponendosi altresì all’ingrato compito di revisionarne le prime stesure. Profondamente grata e riconoscente sono inoltre al prof. D. Liebs, con cui ho avuto l’onore di

Premessa

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collaborare presso l’Institut für Rechtsgeschichte della Albert-LudwigsUniversität di Freiburg i. Br., da lui diretto fino al WS 2004/05. Nell’accogliente biblioteca di questo Istituto ho avuto la possibilità di condurre, tra l’agosto 2003 e il luglio 2004, parte di questa ricerca, grazie anche a una borsa di studio semestrale concessami dal DAAD. La calorosa ospitalità e piena disponibilità mostratami da parte di tutti – assistenti e collaboratori – non solo mi hanno consentito di lavorare con serenità, ma hanno anche contribuito a rendere il mio soggiorno tedesco un’esperienza incancellabile. E un ancor più sentito ringraziamento va al prof. Liebs per la sua generosa offerta di accogliere il presente lavoro nella prestigiosa Collana di quello che per noi tutti rimane in parte il 'suo' Istituto. Il presente libro viene pubblicato grazie anche ad una sovvenzione concessa dalla Freiburger Rechtshistorische Gesellschaft di Freiburg i. Br., alla quale va il mio sentito ringraziamento per il generoso contributo. Terracina-Roma, gennaio 2008

Lorena Atzeri

Indice Introduzione …………………………………………………………………………. 15 Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni critiche dei Gesta senatus del 438 d.C. I.

Il ritrovamento e l’editio princeps dei Gesta senatus …………………………. 1. Clossius e la scoperta del Codex Ambrosianus C 29 inf. …………………. 2. L’editio princeps dei fragmenta milanesi ………………………………… II. Edizioni critiche dei Gesta senatus: da Clossius a Krüger …………………….. III. La fonte: il Codex Ambrosianus C 29 inf. ……………………………………... 1. Sull’utilità di una nuova indagine …………………………………………. 2. Una nuova descrizione analitica del manoscritto …………………………. a) Descrizione esterna …………………………………………………. aa) Consistenza …………………………………………………... bb) Dimensioni …………………………………………………… cc) Fascicolazione ……………………………………………….. dd) Legatura ……………………………………………………… ee) Possessori ……………………………………………………. ff) Varie …………………………………………………………. gg) Datazione ……………………………………………………. hh) Origine ……………………………………………………….. ii) Materia ……………………………………………………….. jj) Segnatura di fascicolo ………………………………………... kk) Foratura ……………………………………………………… ll) Rigatura ……………………………………………………… mm) Scrittura ……………………………………………………… nn) Copista ……………………………………………….……… oo) Annotazioni ………………………………………………….. pp) Decorazione ………………………………………………….. b) Descrizione interna ………………………………………………… qq) Contenuto ……………………………………………………. IV. Alcune considerazioni ………………………………………………………….. 1. Datazione e origine dei fragmenta milanesi ………………………………. 2. Il copista …………………………………………………………………… 3. Le mende del testo ………………………………………………………… 4. L’attività di integrazione della redazione visigotica del Teodosiano ……..

21 21 21 26 31 37 38 41 42 42 44 44 45 46 48 48 49 50 51 52 52 53 54 55 58 60 60 64 65 68 69 74

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Indice Capitolo secondo: I gesta senatus: formazione e struttura

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I.

Redazione, conservazione ed editio dei gesta senatus …………………….….. 79 1. Gli uffici competenti ………………………………………………………. 80 2. La procedura ……………………………………………………………… 87 a) La testimonianza dei Gesta Conlationis Carthaginiensis………….… 88 aa) Registrazione ………………………………………………….. 92 bb) Custodia ……………………………………………………….. 92 cc) 'Descriptio' ed 'emendatio' …………………..………………….. 93 dd) ' Recognitio' ed 'editio' …………………………………………... 94 ee) Durata delle operazioni ……………………………………….. 96 b) La redazione dei gesta senatus: un’ipotesi ……………….………….. 97 II. Struttura dei gesta senatus: un tentativo di ricostruzione ……………………… 99 1. Fonti giuridiche ……………………………………………………………. 102 2. Fonti epigrafiche e letterarie ………………………………………………. 103 a) Il SC.tum de pretiis gladiatorum …...……………………….……….. 103 b) I verbali delle curie municipali: il caso di Caere …….………………. 104 c) Gesta senatus nella Historia Augusta .…………………………….… 105 3. Fonti ecclesiastiche ……………………………………………………….. 107 4. Fonti papirologiche ……………………………………………………….. 111 5. I Gesta senatus del 438 d.C. ……………………………………………… 114 6. Prime conclusioni …………………………………………………….…… 116 Capitolo terzo: La seduta del senato di Roma del 438 d.C.

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I. Le premesse: presentazione del Codice Teodosiano in Oriente ……………… 119 II. La seduta del senato di Roma del 438 d.C. ……………………………………. 128 1. La data ……………………………………………………………………. 129 2. Il luogo ……………………………………………………………………. 132 3. I presenti ………………………………………………………………….. 138 4. I constitutionarii …………………………………………………………. 141 5. La lettura della costituzione programmatica del 429 d.C. …………….….. 142 6. Le acclamazioni dei senatori ……………………………………………… 151 7. L’editio dei Gesta senatus ………………………………………………... 162 a) Il tempo ……………………………………………………………… 163 b) Il fine ………………………………………………………………… 165 Capitolo quarto: L’oggetto della seduta senatoria I. II. III. IV.

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Osservazioni preliminari ……………………………………………………….. 171 Il Codice Teodosiano e la funzione di NTh. 1 ………………………………… 172 'Pubblicazione' e 'promulgazione': alcune precisazioni ………………………... 178 Il Codice Teodosiano e la funzione della seduta senatoria …………………….. 180 1. Presentazione ………………………………………………………….….. 185

Indice

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2. Approvazione ………………………………………………………….….. 185 3. Pubblicazione ……………………………………………………………… 193 4. Altro ………………………………………………………………………. 200 V. Le tesi di Sirks …………………………………………………………………. 204 Capitolo quinto: Riproduzione e diffusione ufficiale del Codex Theodosianus in Occidente

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I. II. III. IV.

Aspetto documentale e veste libraria del Codex Theodosianus ……………….. 213 Produzione e circolazione libraria in età tardoantica .………………………….. 216 Autenticità, corruzione testuale e falso (cenni) ………………………………… 221 Modalità di riproduzione e diffusione ufficiale del Codex Theodosianus ……... 223 1. La diffusione ……………………………………………………………… 227 2. La riproduzione …………………………………………………………… 234 a) I constitutionarii e il loro ufficio ……………………………………. 235 aa) I nomi …………………………………………………………… 235 bb) L’ufficio ………………………………………………………… 242 cc) Le competenze ………………………………………..………… 257 b) La procedura …………………………………………………………… 259 3. L’autore della procedura di editio del Codex……………………………… 261 V. NTh. 1, Gesta senatus e testo ufficiale del Codice Teodosiano ……………….. 264 1. Volterra e la 'costituzione introduttiva' del Codice Teodosiano ………….. 266 a) Il Codex Basileensis C III 1 …………………………………………. 269 aa) Gli antigrafi: il Codex Murbacensis …………………….…….. 273 bb) Gli antigrafi: il Codex Gothanus memb. I 84 …………………. 274 b) Il Codex Bodleianus Arch. Seld. B. 16 ……………………………… 276 c) Prime conclusioni ……………………………………………………. 281 2. La NTh. 1 e il testo ufficiale del Teodosiano …………………………….. 284 3. I Gesta senatus e il testo ufficiale del Teodosiano ……………………….. 286 Capitolo sesto: La constitutio de constitutionariis I. II. III. IV. V.

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Un enigma nel Codex Ambrosianus ……………………………………………. 287 Diverse ipotesi ricostruttive ……………………………………………………. 288 La ricostruzione di Carlo Baudi di Vesme .…………………………………….. 296 Dubbi …………………………………………………………………………… 299 La costituzione di Valentiniano III del 443 d.C. ……………………………….. 307

Conclusioni ………………………………………………………………………….. 315 Appendice: Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando …………………... 319 Indice bibliografico .………………………………………………………………… 323 Indice analitico: fonti ………………………………………………………….……. 337 Indice analitico: manoscritti ………………………………………………………… 344

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Indice

Indice analitico: nomi e autori ………………………………………………………. 345 Indice analitico: luoghi e cose notevoli ..……………………………………………. 352

Abbreviazioni

AARC

Accademia Romanistica Costantiniana. Atti del … Convegno Internazionale ACO Acta Conciliorum Oecomenicorum AG Archivio Giuridico 'Filippo Serafini' AJPh American Journal of Philology AKG Archiv für Kulturgeschichte Arch. Sten. Archiv für Stenographie Arch. st. it. Archivio storico italiano Arch. Urkund. Archiv für Urkundenforschung BAV Biblioteca Apostolica Vaticana BIDR Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano c. carta CCSL Corpus Christianorum. Series Latina CGreg. Codex Gregorianus CHerm. Codex Hermogenianus ChLA Chartae Latinae Antiquiores CI. Codex Iustinianus CIL Corpus Inscriptionum Latinarum CLA Codices Latini Antiquiores col. colonna Coll. Av. Collectio Avellana CSEL Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum CTh. Codex Theodosianus D. Digesta FIRA Riccobono/Baviera/Ferrini/Furlani/Arangio-Ruiz, Fontes Iuris Romani Antejustiniani 1-3, Firenze 1943-1968 G. Conl. Carth. Gesta Conlationis Carthaginiensis JRA Journal of Roman Archaeology JRS Journal of Roman Studies Klio Klio. Beiträge zur alten Geschichte LRV Lex Romana Visigothorum MGH AA Monumenta Germaniae Historica. Auctores Antiquissimi ms. manoscritto n. numero NAnth. Novella Anthemii NMaior. Novella Maioriani NNDI Novissimo Digesto Italiano Not. Dign. Notitia Dignitatum Nov. Iust. Novella Iustiniani

14 nt. NTh. NVal. PBA PL PLRE PWRE r. RM RPAA RSDI SDHI SHA Thémis Thes. TRG VChr. ZGRW ZSS

Abbreviazioni nota Novella Theodosii Novella Valentiniani Proceedings of the British Academy Patrologia Latina Martindale/Jones, The Prosopography of the Later Roman Empire IIII, Cambridge 1971-1992 Pauly – Wissowa Real Encyclopädie riga Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts (Röm. Abt.) Rendiconti della Pontificia Accademia di Archeologia Rivista di storia del diritto italiano Studia et documenta historiae et iuris Scriptores Historiae Augustae Thémis, ou bibliothèque du jurisconsulte Thesaurus linguae latinae Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis = Revue d’histoire du droit Vigiliae Christianae Zeitschrift für geschichtliche Rechtswissenschaft Zeitschrift der Savigny-Stiftung. Romanistische Abteilung

Introduzione I primi decenni del XIX secolo sono stati particolarmente fecondi per gli studi romanistici: numerosi ritrovamenti, effettuati per lo più da studiosi tedeschi nelle biblioteche italiane1, hanno portato (o, in alcuni casi, riportato)2 alla luce antichi manoscritti contenenti importanti vestigia del passato. Le fonti di cognizione del diritto romano, in particolare, si sono arricchite, oltre che delle pressoché complete Institutiones di Gaio3, anche di numerose integrazioni al Codice Teodosiano, conosciuto fino a quel momento – ad eccezione degli ultimi otto libri4 – quasi esclusivamente nella versione epitomata offerta dalla ___________ 1 Un ampio panorama delle scoperte di antiche opere, letterarie e giuridiche, nei manoscritti custoditi nelle biblioteche europee venne tratteggiato, all’indomani di questi rinvenimenti, da A.W. von Schröter, Uebersicht der vorzüglichsten seit dem Jahre 1813, besonders durch Codices rescripti neuentdeckten Stücke der griechischen und römischen Literatur, Hermes 25 (1825) p. 271 ss. 2 E’ questo il caso, ad esempio, del ms. Vat. Reg. lat. 886: scoperto dal Du Tillet nel XVI sec., era stato difatti utilizzato da quest’ultimo e, dopo di lui, da Cuiacio per le rispettive edizioni del Codice Teodosiano. Dopo il suo acquisto da parte della regina di Svezia, alla morte di quest’ultima il manoscritto costituì, assieme al resto della biblioteca, oggetto di un legato disposto in favore del papa. Ma, giunto a Roma, del codice s’erano perse le tracce: esso venne ritrovato nel 1817 da Niebuhr nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Nell’Inventarius Mss. Reg., che si trova presso la Sala manoscritti della stessa Biblioteca Vaticana, è conservata, alla p. 137, una breve descrizione del manoscritto in questione vergata di pugno dallo stesso Niebuhr. Del prezioso ritrovamento lo studioso diede notizia a Savigny in una lettera del 5 marzo 1817, pubblicata nella rivista da questi diretta sotto il titolo 'Notizen über Handschriften in der Vaticana' (ZGRW III [1817] pp. 408-420). 3 L’opera, ritrovata anch’essa da Niebuhr nel 1816 nella Biblioteca Capitolare di Verona, costituiva la scriptio inferior di un codice palinsesto che, dopo essere sparito intorno alla metà del XVII sec. durante un’epidemia di peste, era stato assieme ad altri riportato alla luce nel 1731 da Scipione Maffei. Fu lo stesso Savigny a riconoscere nel testo ivi contenuto le Institutiones gaiane (F.C. von Savigny, Neu entdeckte Quellen des Römischen Rechts, ZGRW III [1817] pp. 129-172 [anche in Vermischte Schriften III, pp. 155-204]), mentre il Niebuhr aveva in un primo momento avanzato l’ipotesi che potesse trattarsi di un’opera di Ulpiano. Intorno a queste vicende si vedano E. Volterra, La prima edizione del Gaio veronese, BIDR 83 (1980) pp. 262-283, H.L.W. Nelson / M. David, Überlieferung, Aufbau und Stil von Gai Institutiones (Leiden 1981), nonché i più recenti e ricchi lavori di L. Moscati, Italienische Reise. Savigny e la scienza giuridica della Restaurazione (Roma 2000) p. 41 ss. (con dovizia di indicazioni bibliografiche) e di C. Vano, “Il nostro autentico Gaio”: strategie della Scuola Storica alle origini della romanistica moderna (Napoli 2000). 4 Una versione pressoché integrale dei quali è stata tramandata attraverso il già citato Vat. Reg. lat. 886.

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Introduzione

Lex Romana Visigothorum. Nuove importanti costituzioni erano venute così a integrare soprattutto i primi libri della compilazione di Teodosio II, nella trasmissione dei quali più vaste e numerose erano state le lacune. Alla restituzione di tali costituzioni hanno contribuito principalmente quattro manoscritti5, attraverso i quali sono pervenuti, sia pure in forma parziale, alcuni frammenti del testo originario del Codice Teodosiano in quanto tramandato attraverso una tradizione indipendente – in tutto o in parte – dal Breviario, e immune quindi dai rimaneggiamenti operati dai compilatori visigoti. Accanto ai citati manoscritti, un notevole contributo all’arricchimento del testo del Codice Teodosiano, e particolarmente del libro primo, venne ulteriormente apportato dal Codex Ambrosianus C 29 inf., risalente al XII sec. e che contiene, tra le altre cose, i primi due libri dell’epitome visigotica del Codice Teodosiano6. La redazione di questi libri presentava una particolarità, in quanto la serie di costituzioni selezionata dalla cancelleria di Alarico II era stata integrata, da un ignoto copista e in un’epoca imprecisabile, con ulteriori provvedimenti imperiali emessi nell’arco di tempo che va da Costantino allo stesso Teodosio II. Apparve subito chiaro che tali costituzioni, in quanto originariamente assenti dall’epitome stessa, dovevano essere state estratte da un diverso manoscritto contenente, con ogni probabilità, una versione integrale del Codice Teodosiano, con la quale quella parte del Breviarium Alarici risulta essere stata quindi 'contaminata'. Oltre a ciò, il manoscritto milanese è l’unico ad aver conservato alcuni documenti che, pur non rientrando, anche per ragioni cronologiche, nella silloge teodosiana7, si presentano tuttavia ad essa strettamente connessi: tra questi, particolarmente significativi appaiono essere, da un lato, i Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando8, cioè il verbale di una seduta del senato di Roma, svoltasi nel 438 d.C., durante la quale il Codice Teodosiano era stato fatto oggetto di una ufficiale presentazione; dall’altro lato, rilevante è anche il testo di una costituzione, anch’essa tràdita attraverso il solo Codex ___________ 5 Si tratta dei cd. Fragmenta Taurinensia a II 2 (Mo. = T), del Codex Parisinus 9643 (Mo. = R), del Codex Halberstadiensis e del Codex Vat. lat. 5766 (Mo. = W): per un’accurata descrizione dei citati manoscritti si veda Th. Mommsen, Theodosiani libri XVI cum constitutionibus Sirmondianis I. Pars prior: Prolegomena (Berlin 1905), p. XXXIX ss. Cfr. anche P. Mari, L’armario del filologo (Roma 2005) p. 244 ss. 6 Il contenuto del Codex Ambrosianus verrà dettagliatamente esposto più avanti (p. 60 ss.). 7 Nel senso che essi non fanno parte della serie di costituzioni ivi raccolte: sui possibili rapporti tra i Gesta senatus e la redazione ufficiale del Codice Teodosiano v. più oltre (p. 221 ss.). 8 Questa la definizione adottata da Mommsen nella sua edizione critica del Codice Teodosiano: Th. Mommsen, Theodosiani libri XVI cit. Pars posterior: Textus cum apparatu (Berlin 1905). A tale edizione si farà d’ora in avanti riferimento, ove non sia diversamente specificato.

Introduzione

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Ambrosianus, emessa da Valentiniano III a Roma nel 443 d.C. – pochi anni dopo, cioè, la suddetta presentazione – e contenente alcune precisazioni in merito alle disposizioni, assunte in precedenza, con cui erano state regolate la redazione e diffusione in via ufficiale degli esemplari della codificazione imperiale per l’Occidente. Il ritrovamento di queste due fonti di così grande rilievo ha consentito agli studiosi di venire finalmente a conoscenza delle vicende che interessarono il Codice di Teodosio nelle fasi immediatamente successive alla sua ultimazione. I Gesta senatus, in particolare, costituiscono una fonte di grande interesse, che offre sotto più aspetti notevoli spunti alla riflessione. Essi rappresentano, per lo storico del diritto in particolare, un invito a riconsiderare, alla luce delle nuove informazioni fornite dal verbale senatorio, le diverse fasi dell’intera vicenda compilatoria, e in particolare quelle relative alla conclusione della stessa e alla pubblicazione e diffusione del Codice Teodosiano nella pars Occidentis. E però, mentre grande interesse ha suscitato tra gli studiosi la fase di programmazione del Teodosiano, alla quale sono stati dedicati numerosi e importanti contributi, una minore attenzione è stata finora rivolta alla fase conclusiva dell’opera di codificazione, quella cioè della diffusione della silloge imperiale; fase che, secondo quanto previsto dallo stesso Teodosio, avrebbe dovuto essere propedeutica alla vigenza e applicabilità della silloge normativa in tutto l’impero. Da ciò è nata in chi scrive la decisione di intraprendere una ricerca che, incentrandosi sullo studio dei Gesta senatus e della costituzione di Valentiniano III del 443 (cd. constitutio de constitutionariis), approfondisse appunto l’aspetto della pubblicazione e diffusione degli esemplari del Codice Teodosiano in Occidente. Nel presente lavoro verranno anzitutto delineate brevemente le vicende relative alla scoperta dei Gesta senatus, vicende che offrono uno spaccato dell’ambiente accademico tedesco del XIX secolo, dominato da grandi figure di giuristi e filologi. Dei Gesta verrà anche considerata la tradizione manoscritta, che, per la sua unicità e peculiarità, ha avuto un importante ruolo nella vicenda, sviluppatasi all’interno di un vivace milieu culturale, della costituzione del loro testo. Seguirà una descrizione analitica del Codex Ambrosianus. La scelta di procedere a una nuova descrizione che affiancasse, e in parte integrasse, quelle già esistenti muove dalla considerazione che anche l’osservazione degli aspetti materiali e delle caratteristiche estrinseche di un manoscritto può apportare un contributo allo studio dei testi ivi contenuti. Del testo manoscritto del verbale senatorio, in particolare, si è inteso mettere in luce peculiarità e mende: ciò al fine di procedere a una verifica del testo critico attualmente in uso e di favorire in tal modo una migliore comprensione delle vicende testimoniate – in modo diretto e indiretto – da questa fonte. Si passerà quindi ad analizzare il verbale stesso considerandone anzitutto il profilo documentale: ciò atteso che i Gesta senatus del 438 d.C. rappresentano

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Introduzione

l’unico esemplare che sia mai pervenuto (sia pure in copia) di un verbale relativo a una seduta del senato romano, di un documento cioè formato all’interno della cancelleria senatoria ed edito dall’exceptor a ciò competente. In questa prospettiva verranno considerati gli aspetti relativi a modalità, tempi e luogo di formazione di questo documento, nonché la possibilità di individuare una procedura standard di formazione di un verbale del senato e un modello tipico dello stesso: ciò al fine di poter meglio valutare l’ipotesi che i Gesta senatus in nostro possesso, anziché riprodurre effettivamente la versione integrale del verbale originario, ne costituiscano piuttosto una redazione sunteggiata, una sorta di sintesi o estratto. E, sempre avuto riguardo all’aspetto documentale dei Gesta, poiché nel manoscritto milanese essi sono materialmente contigui e anzi premessi alla silloge normativa, verrà valutata la possibilità in ordine all’esistenza di rapporti formali tra questo verbale e il testo della redazione ufficiale del Codice Teodosiano. Ciò al fine di verificare l’ipotesi, sostenuta da taluni, che il testo dei Gesta senatus costituisse parte integrante della redazione ufficiale (quantomeno della versione occidentale) del Codice Teodosiano, quale elemento formale attestante la 'autenticità' dell’esemplare e legittimante i constitutionarii all’attività di trascrizione di copie dello stesso. Ma, poiché nel Codex Ambrosianus il testo dell’epitome visigotica del Teodosiano è insolitamente preceduto, oltre che dai Gesta senatus, anche da quello della Novella 1 di Teodosio, cioè la costituzione con cui l’imperatore orientale aveva conferito validità normativa al proprio Codice, dovrà essere affrontata anche la questione relativa ad un’eventuale collocazione di detta costituzione all’interno della stessa silloge normativa. Una tale analisi potrà contribuire, come si vedrà, a mettere in luce e a chiarire alcuni 'equivoci' sorti a tal proposito nel XVI sec. e che si sono trascinati fino ai nostri giorni. Verrà poi considerato il contenuto stesso dei Gesta, in quanto essi offrono una testimonianza – diretta – di ciò che accadde dinanzi al senato in un giorno imprecisato del 438 e – indiretta – degli avvenimenti svoltisi qualche tempo prima alla corte di Teodosio II, avvenimenti che erano stati riferiti al senato dal prefetto al pretorio d’Italia, Fausto, presidente della seduta e diretto protagonista degli stessi. Dai Gesta apprendiamo alcuni particolari relativi alla cerimonia che si era svolta a Costantinopoli – descritta da Fausto ai senatori romani e richiamata, anzi, quale presupposto di quella che li vedeva attualmente coinvolti – e che aveva avuto per oggetto la consegna ufficiale, da parte dello stesso imperatore d’Oriente ai prefetti del pretorio d’Italia e d’Oriente, di un esemplare ciascuno del Codice. Il verbale svela l’esistenza di un ordine rivolto ai medesimi prefetti di provvedere alla sua diffusione nell’impero. La testimonianza del prefetto Fausto ha fatto luce su alcuni aspetti per lungo tempo del tutto ignorati: gli intenti imperiali in relazione alla diffusione del Codice Teodosiano, le modalità di quest’ultima, la rilevanza del ruolo del senato in questa procedura.

Introduzione

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Un altro aspetto che è apparso meritevole di essere sottoposto ad indagine è quello del ruolo svolto dal senato di Roma non solo nella fase di riproduzione e diffusione del Codice Teodosiano in Occidente, ma già in quella della sua 'presentazione'. Numerosi sono gli interrogativi che sorgono a questo proposito: cos’è infatti accaduto veramente durante quella seduta senatoria? Quale fu il ruolo del senato nei riguardi del Codice, che era – non va dimenticato – una fonte normativa imperiale? Quale lettura dare delle manifestazioni senatorie espresse nel corso della seduta sotto forma di adclamationes? Si trattò di deliberazioni autonomamente assunte dal senato, come sostenuto dalla maggior parte degli studiosi? La questione, che verrà affrontata più avanti, coinvolge l’aspetto più generale relativo al ruolo del senato, e alla misura della sua partecipazione, in relazione all’attività di produzione normativa, che sappiamo ormai concentrata nella persona dell’imperatore. Per cercare di rispondere a tali interrogativi si rende necessario analizzare le dinamiche intercorrenti tra questi due organi costituzionali – imperatore e senato – nell’ambito dell’attività di produzione normativa nel V sec d.C. Se, da un lato, è noto a tutti che in età tardoantica il senato non aveva sostanzialmente più (neanche in via solo propositiva) alcun potere normativo autonomo – se non forse assolutamente marginale –, dall’altro lato, proprio la politica legislativa di Valentiniano III e Teodosio II tese ad attribuire allo splendidissimus ordo un ruolo formale di maggiore rilievo rispetto al passato, coinvolgendo in qualche misura quest’antica assemblea nell’attività normativa imperiale e, in particolare, nella stessa realizzazione del progetto di codificazione voluto da Teodosio II. I Gesta senatus sono appunto testimoni di come lo stesso senato (sicuramente quello di Roma, ma probabilmente già quello di Costantinopoli) fosse stato direttamente e formalmente coinvolto, oltre che nella fase di programmazione9, anche in quella di pubblicazione e diffusione del Codice, benché in un ruolo di mero spettatore, sia pure di grande dignità. Una particolare attenzione verrà pertanto rivolta a quelle tra le adclamationes senatorie che direttamente delineano la procedura di riproduzione delle 'copie in forma autentica' del Codice Teodosiano. A tal proposito si indagherà a quale volontà sia effettivamente da ricondurre la sostanza di tali disposizioni, se cioè a quella del senato o piuttosto dell’imperatore, e se tali acclamazioni abbiano dato vita a un formale senatoconsulto. Nel tentativo di comprendere quale sia stata la natura dell’attività svoltasi nel senato di Roma, verranno anzitutto esaminate le diverse posizioni assunte dalla dottrina. E’ possibile già anticipare che, dopo essere stata per lungo tempo ___________ 9 La prima costituzione programmatica (CTh. 1.1.5) è difatti un’oratio principis rivolta al Senato, così come doveva probabilmente esserlo anche la seconda (CTh. 1.1.6), la cui inscriptio ci è giunta però in forma lacunosa.

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Introduzione

generalmente interpretata in termini di receptio del Codice Teodosiano per l’Occidente, solo a partire da Mommsen della seduta senatoria in questione è stata data una lettura in chiave di 'pubblicazione' del Codice stesso, e su tale posizione si è attestata anche l’attuale dottrina. Inoltre, poiché sempre più spesso si legge che il Codice Teodosiano sarebbe stato 'promulgato' dal senato di Roma nel 438 d.C., non sembra superfluo tentare di fare un po’ di chiarezza intorno al significato di questa espressione. Meritevole di ulteriori riflessioni appare anche l’aspetto della pubblicazione del Codice Teodosiano. Non va difatti trascurata la peculiarità di quest’opera, che aveva sì natura di provvedimento normativo imperiale, ma che era strutturata, da un punto di vista materiale, in forma di libro. In ragione di ciò, nei suoi confronti le forme di pubblicazione comunemente adottate per le singole costituzioni imperiali non potevano trovare applicazione se non, come ben si può immaginare, con opportune modifiche. Non sembra quindi fuori luogo domandarsi se davvero, come ritengono i più, la presentazione 'fisica' del Codice dinanzi al senato di Roma, accompagnata dalla lettura della costituzione programmatica del 429 d.C., abbia integrato ed esaurito la pubblicazione della compilazione normativa in Occidente; oppure se, a causa dell’eccezionalità del provvedimento, possa invece essersi reso necessario elaborare una procedura di pubblicazione che tenesse conto dell’aspetto materiale del Codice e che, di conseguenza, si presentasse come più complessa, articolata cioè in più fasi. Solo l’esame della fase di riproduzione e diffusione dello stesso Codice, operazioni la cui cura era stata affidata al prefetto del pretorio d’Italia e a un ufficio, quello dei constitutionarii, con ogni probabilità appositamente costituito, consentirà forse di pervenire a una risposta. Infine, per una maggior completezza del discorso, non si è tralasciata quella costituzione, emessa da Valentiniano III nel 443 d.C., rivolta a risolvere alcuni problemi emersi in Occidente proprio durante la fase di riproduzione – che riteniamo di poter qualificare come ufficiale – degli esemplari della codificazione teodosiana. Se è vero che la risistemazione delle fonti normative compiuta dalla cancelleria di Giustiniano quasi un secolo più tardi ha messo in ombra la compilazione di Teodosio, ombra che si è proiettata fin sulla letteratura giuridica moderna (eccezion fatta, forse, per quella più recente), non va tuttavia dimenticato che il Codice Teodosiano non solo ha costituito il modello ufficiale per questa tipologia di opera, modello al quale appaiono essersi ispirati i legislatori successivi, ma ha anche avuto per lungo tempo vigenza – diretta prima, indiretta poi; formale, o anche solo sostanziale – in Oriente e, soprattutto, in Occidente: non può essere difatti un caso che, come testimoniato anche dal manoscritto che sarà oggetto della nostra indagine, ancora nel XII secolo, e cioè alla vigilia della rinascita giuridica avvenuta in Italia e di qui diffusasi nel resto d’Europa, il testo originario del Codice Teodosiano, pur miscelato con la sua redazione visigotica, continuasse ad essere oggetto di riproduzione.

Capitolo primo

Tradizione manoscritta ed edizioni critiche dei Gesta senatus del 438 d.C. I. Il ritrovamento e l’editio princeps dei Gesta senatus 1. Clossius e la scoperta del Codex Ambrosianus C 29 inf.1 Tra il 1819 e il 1820 il giovane giurista tedesco Walther Friedrich Clossius2, allievo di Schrader e futuro docente nelle università di Tübingen, Leipzig e Dorpat3, nel corso di un iter litterarium4 si trovò a soggiornare a Göttingen, nella cui università venne in contatto con Gustav Hugo, il precursore della Scuola Storica tedesca, e a Berlino, ove ebbe rapporti con Friedrich Carl von ___________ 1

Numerosi contributi, ricchi anche di preziosi documenti inediti, sono stati in questi anni dedicati da Laura Moscati tanto alle vicende relative al ritrovamento di questo manoscritto quanto all’interesse più in generale manifestato dagli ambienti giuridici tedeschi nel XIX sec. nei confronti della ricerca di nuove fonti. Interessanti indagini sono state poi dalla stessa condotte sull’elaborazione di nuove edizioni critiche delle fonti, con particolare riguardo al Codice Teodosiano: cfr. L. Moscati, Il Codice Teodosiano nell’Ottocento alla luce di carteggi inediti, CLIO 17 (1981) pp. 149-170; Nuovi studi sul Codice Teodosiano: tre scritti inediti di Carlo Baudi di Vesme (Roma 1983); Da Savigny al Piemonte. Cultura storico-giuridica subalpina tra la Restaurazione e l’Unità (Roma 1984); Il carteggio Hänel – Baudi di Vesme per l’edizione del Codice Teodosiano e del Breviario Alariciano (Roma 1987); Sul Codice Teodosiano 1-3, RSDI 62 (1989) pp. 389-416; Sul Codice Teodosiano 4-6, RSDI 63 (1990) pp. 437-458. Ragguagli sui medesimi temi anche in F. De Marini Avonzo, La filologia romanistica di Savigny, Quaderni fiorentini 9 (1980): Su Federico Carlo di Savigny, pp. 245-263 e spec. pp. 248-253; Ead. (a cura di), Introduzione a Savigny. Antologia di scritti giuridici (Bologna 1980) pp. 29-31. Un ampio quadro altresì in Vano, “Il nostro autentico Gaio” cit., passim. 2 Ulteriori notizie su Clossius e sulla sua carriera scientifica in E. Landsberg, Geschichte der Deutschen Rechtswissenschaft III.2. Noten (München u. Berlin 1910) p. 22 nt. 39; W. Killy (a cura di), Deutsche Biographische Enzyklopädie (DBE) II, s.v. Clossius, Walter Friedrich v., p. 346; Moscati, Da Savigny al Piemonte cit., p. 50 e nt. 50. 3 Presso la cui Università venne chiamato dallo stesso imperatore Alessandro di Russia subito dopo la pubblicazione dei frammenti da lui scoperti. 4 Viaggio di cui lo stesso Clossius dà conto nella prefazione all’edizione dei frammenti milanesi: cfr. W.F. Clossius, Praefatio a Theodosiani Codicis genuini fragmenta ex membranis Bibliothecae Ambrosianae Mediolanensis (Tubingae 1824) p. VI.

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

Savigny, che di quella Scuola fu l’esponente più autorevole. I due accademici5 esortarono lo studioso a recarsi in Italia alla ricerca di "jurisprudentiae antiquae thesauros… forte absconditos"6: era difatti ancora grande l’eco del recente ritrovamento, effettuato nel 1816 da Niebuhr presso la Biblioteca Capitolare di Verona, di un codice palinsesto contenente, quale scriptio inferior, il testo pressoché integrale delle Institutiones di Gaio, riconosciute come tali proprio dallo stesso Savigny. Nel fermento che era conseguito a questa scoperta, l’attenzione dell’ambiente giuridico tedesco era rivolta tutta verso l’Italia. In una lettera scritta a Hugo, Savigny aveva portato alla sua attenzione la possibilità che anche nei manoscritti conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano vi fossero fonti giuridiche poco note, e comunque non ancora sottoposte a un attento esame7. E lo stesso Hugo, commentando una allora recente scoperta di Angelo Mai, scriveva nel 1820 che quest’ultimo "habe in der Ambrosiana zu Mailand unter den Palimpsesten gar viele alte cose legale (sic) gefunden, aber keinen Werth darauf gelegt"8. Munito di una lettera di presentazione rilasciata dallo stesso Savigny, alla fine di settembre del 1820, nel corso di un viaggio di studio intrapreso l’anno precedente attraverso le biblioteche europee9, Clossius si recò a Milano10 presso la Biblioteca Ambrosiana – che conservava, come ebbe poi a dire, "multas juridici argumenti membranas" – nella speranza di farvi importanti scoperte: "Et eventus non fefellit exspectationem"11! Coinvolto nel progetto promosso da Schrader e da Tafel che aveva per scopo la realizzazione di una ___________ 5 Di Savigny è stata di recente messa in evidenza proprio "la passione per la ricerca, che… aveva in comune con gli storici del primo Ottocento e che voleva stimolare in tutti"; di Hugo, la speranza da questi diffusa "di poter rintracciare in biblioteche francesi o spagnole qualche manoscritto del Teodosiano integro" (De Marini Avonzo, La filologia romanistica cit., pp. 249-250). 6 Clossius, Praef. cit., p. VI. 7 Ibid., pp. VI-VIII. 8 Göttingische gelehrte Anzeigen: 13 Apr. 1820, p. 595, già segnalato da Moscati, Da Savigny al Piemonte cit., p. 49 nt. 49. 9 Oltre quelle tedesche, lo studioso visitò anche le biblioteche site in Francia e in Italia. Quanto alla Francia, la notizia dell’arrivo di Clossius era stata anticipata, nel 1819, in una Nota della rivista Thémis: "M. Clossius, docteur en droit de Tubingen, élève de M. le professeur Shrader (sic), vient d’arriver à Paris, pour compulser les manuscrits de la Bibliothèque royale, relatifs au Corpus juris civilis dont il veut donner une nouvelle édition avec des variantes. M. Clossius doit se rendre ensuite en Italie, pour continuer ses savantes recherches sur les manuscrits de Milan, Florence, etc." (Thémis I [1819] p. 400). Il giurista tedesco entrò poi in contatto con l’ambiente accademico francese, al quale fece conoscere il testo delle Institutiones gaiane recentemente scoperto a Verona e ancora ignorato oltralpe: cfr. Thémis II (1820) p. 18. 10 Più dettagliate notizie intorno al soggiorno milanese e agli studi del Clossius sul Codex Ambrosianus in Moscati, Da Savigny al Piemonte cit., p. 49 ss. 11 Clossius, Praef. cit., p. VIII.

I. Il ritrovamento e l’editio princeps dei Gesta senatus

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nuova edizione critica del Corpus Iuris Civilis12, essendo stato programmato di prendere l’avvio dalle Institutiones13, il giovane studioso tedesco aveva a tal fine iniziato a consultare un manoscritto miscellaneo conservato nell’Ambrosiana, il Codex Ambrosianus C 29 inf.14, che, oltre ad alcune opere ciceroniane, conteneva anche una copia medievale del testo delle Institutiones di Giustiniano. Per la precisione, stando all’indice secentesco che, successivamente all’acquisizione del manoscritto da parte della biblioteca, era stato apposto da un ignoto bibliotecario15 su una delle prime carte, alla silloge ciceroniana dovevano seguire, nell’ordine, le Institutiones di Giustiniano e una notazione musicale relativa ad un inno religioso, definita dallo schedatore come Rhythmus in assumptione Mariae virginis. Ma, al diretto esame condotto da Clossius, l’indice si rivelò incompleto: tra le Institutiones e il Rhythmus, e precisamente negli ultimi tre fascicoli del manoscritto, lo studioso tedesco riconobbe difatti la presenza di un frammento testuale autonomo, sfuggito all’attenzione del bibliotecario: tale frammento era costituito – come Clossius ebbe modo di appurare – da una versione parziale della Lex Romana Visigothorum, consistente cioè nei soli primi due libri16 della redazione visigotica del Codice Teodosiano. Questa redazione, il cui testo si arrestava alla sesta costituzione del titolo quarto del libro II (cioè l’attuale CTh. 2.4.6)17, presentava però una particolarità: un anonimo scriba aveva difatti integrato l’epitome con ulteriori costituzioni, inframezzandole a quelle in essa già presenti. Detta versione, che si presentava quindi in una forma aucta, ___________ 12 Schrader/Tafel/Clossius, Corpus iuris civilis… recensuit, commentario perpetuo instruxit Eduardus Schrader… In operis societatem accesserunt Theoph. Lucas Frider. Tafel… Gualth. Frider. Clossius… post huius discessum Christ. Ioh. C. Maier (Berolini 1832). Di questa progettata edizione critica venne realizzato ed edito solamente il primo volume, preceduto, circa nove anni prima, da un Prodromus degli stessi autori (Schrader/Tafel/Clossius, Prodromus corporis iuris civilis a Schradero, Clossio, Tafelio… edendi [Berolini 1823]). Ulteriori notizie sugli sviluppi di questo progetto in Landsberg, Geschichte cit., III.2. Text, pp. 59-61. 13 Il Mari ha notato di recente che a tutt’oggi, dopo cioè l’edizione critica di P. Krüger delle Institutiones (che è poi quella attualmente in uso), non è stata ancora eseguita una completa recensio di tutti i testimoni conservati (alcune centinaia), avvertendosi come necessaria quest’opera di revisione: P. Mari, L’armario del filologo ed i testi giuridici, AARC 14, 1999 (Napoli 2003) p. 135; L’armario del filologo (2005) cit., p. 251. 14 Per una descrizione analitica del manoscritto si veda infra, p. 41 ss. 15 E che lavorava probabilmente sotto la direzione del Prefetto dell’Ambrosiana Antonio Olgiati, su cui si vedano le osservazioni più sotto a p. 46 nt. 114 e 116, 47 nt. 117, 57 nt. 136. 16 Di cui il secondo non era completo, a causa dell’interruzione dell’opera di trascrizione. 17 Va peraltro segnalata la caduta di due carte nell’ultimo fascicolo, una delle quali poteva contenere ancora qualche costituzione del tit. 4 del libro II (v. lo schema dei fascicoli più oltre a p. 45 e in Mommsen, Proleg. cit., p. LXXXIV).

Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

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conteneva così anche 79 costituzioni18 estranee al Breviario e relative al primo libro del Codice Teodosiano, il testo delle quali, fino a quel momento, era in buona parte non altrimenti noto19. Tali costituzioni erano state, in un’epoca imprecisabile, molto probabilmente ricopiate da un altro e diverso manoscritto rispetto a quello da cui era stato trascritto il Breviario; un manoscritto che, come ritenuto da tutti gli studiosi, doveva contenere il testo originario del Codice Teodosiano20. Ciò è stato desunto, oltre che dall’assenza, per tali costituzioni, di qualsiasi interpretatio, soprattutto da un confronto con il Breviario stesso, del quale sono giunti fino a noi numerosi esemplari manoscritti. Le sorprese per Clossius non erano però finite: il manoscritto rivelava difatti la presenza di ulteriori elementi testuali, anch’essi fino a quel momento del tutto ignoti, che erano estranei non solo al Breviario, bensì anche – come sembrerebbe – allo stesso Codice Teodosiano. Il testo si apriva, difatti, con quello straordinario documento oggi noto come Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando, e consistente in una copia del verbale relativo alla seduta del senato di Roma, tenutasi nel 438 d.C., durante la quale venne ufficialmente presentato in Occidente uno degli esemplari 'originali' del Codice di Teodosio II. Di seguito al verbale, e anzi trascritto senza soluzione di continuità, si trovava poi il testo di una costituzione posteriore, emanata a Roma da Valentiniano III nel 443 d.C., il cui contenuto era strettamente connesso a quello degli stessi Gesta: in essa venivano difatti forniti, come si dirà più avanti, alcuni chiarimenti in ordine a quelle disposizioni, già adottate in seno alla seduta senatoria del 438, relative alle formalità da osservarsi quanto alla riproduzione di esemplari ufficiali del Codice Teodosiano e alla loro circolazione in Occidente. ___________ 18

Clossius, Praef. cit., p. XIII, ne aveva invece contate 78. Di queste nuove costituzioni, 28 erano in effetti già note siccome tramandate, sia pure in forma per lo più rimaneggiata, attraverso il Codice di Giustiniano. 20 La tradizione manoscritta del Breviario Alariciano mostra come i compendi dei tre codici (Gregoriano, Ermogeniano e Teodosiano) e delle Pauli Sententiae ivi contenuti siano stati fatti oggetto, in epoche successive, di integrazioni da parte degli utenti, che a tal fine si sarebbero serviti di redazioni più complete delle rispettive opere, venute in loro possesso. Tali integrazioni assunsero la forma ora di appendici aggiunte in fondo a ciascun titolo, di seguito alle costituzioni del Breviario (come, ad es., per il libro XVI del Teodosiano contenuto nel manoscritto d’Ivrea 17 [olim Eporediensis 35], risalente alla fine del IX sec.), ora, come nel nostro Codex Ambrosianus, di inserimenti nei luoghi corrispondenti del testo. Sull’argomento si vedano Mommsen, Proleg. cit., p. LXXXII ss.; M. Conrat (Cohn), Geschichte der Quellen und Literatur des römischen Rechts (Leipzig 1891, rist. Aalen 1963) p. 141 ss.; da ultimo D. Liebs, Römische Jurisprudenz in Gallien (Berlin 2002) p. 144 s. Sul possibile utilizzo di tali versioni in età altomedievale cfr. A. v. Wretschko, De usu Breviarii Alariciani forensi et scholastico per Hispaniam, Galliam, Italiam regionesque vicinas, in Mommsen, Proleg. cit., p. CCCVII ss.; Liebs, Römische Jurisprudenz in Gallien cit., passim. 19

I. Il ritrovamento e l’editio princeps dei Gesta senatus

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Al verbale e alla costituzione di Valentiniano III seguiva, sempre nel manoscritto, un Index titulorum non privo anch’esso di elementi insoliti, in quanto sì relativo alla Lex Romana Visigothorum, ma anch’esso accresciuto di alcune nuove – e fino a quel momento sconosciute – rubriche che, non trovando corrispondenza alcuna in quelle del Breviario, si rivelavano perciò come desunte anch’esse, con ogni probabilità, da una versione integrale del Codice Teodosiano. Veniva infine il testo della NTh. 1, già nota per far parte del Breviario Alariciano, e che però nel manoscritto ambrosiano si trova collocata in premessa al Codice stesso e, per di più, priva dell’interpretatio, che del Breviario costituiva invece un tratto caratteristico. Questo primo soggiorno di Clossius a Milano, pur così fruttuoso, ebbe breve durata: tornato in Germania a causa della chiusura autunnale della biblioteca21, egli rese nota la sua scoperta a Savigny22 e all’intera comunità scientifica23. Le reazioni non si fecero attendere: Haubold, Hugo, lo stesso Savigny24 e Schrader ___________ 21

Clossius, Praef. cit., p. XIV. Nel Nachlass Savigny, conservato presso la Biblioteca dell’Università di Marburg, tra le numerose lettere che Clossius indirizzò a Savigny tra il 1820 e il 1837 ne è conservata una scritta a Tübingen nel novembre 1820 (Universitätsbibliothek Marburg, Nachlass Savigny 925/436), in cui il giovane giurista lo metteva al corrente del suo viaggio e dei risultati delle ricerche condotte in Italia, nonché dei ritrovamenti effettuati presso la Biblioteca Ambrosiana. Lunghi stralci delle nuove fonti scoperte vennero ricopiati da Clossius per essere sottoposti al giudizio dell’eminente giurista tedesco. Del carteggio tra i due giuristi è in preparazione un’edizione diplomatica a cura della prof.ssa Marju Luts, che ringrazio per aver messo a mia disposizione una copia della citata epistola. 23 Oltre che in Germania, Clossius volle comunicare i risultati della sua ricerca anche in Francia attraverso la rivista Thémis, ai cui fondatori promise che avrebbe fatto pubblicare in seguito, sulla medesima rivista, i propri ritrovamenti: ciò in quanto gli sembrava giusto che "une découverte, qui servira à compléter le Code Théodosien, soit annoncée dans la patrie de Cujias à qui l’on en doit la première édition" (Thémis III [1821] pp. 185-187 e spec. p. 187). Le notizie fornite in un primo momento da Clossius sul contenuto dei documenti ritrovati erano però imprecise, non essendo stati questi ultimi ancora sottoposti a un’analisi approfondita. Taluni errori interpretativi – tra i quali quello relativo alla datazione dei Gesta senatus, fissata dapprima al 443 d.C. –, in cui Clossius era inizialmente incorso, vennero poi da lui rettificati in una lettera inviata alla Redazione della rivista (come risulta dalla recensione fatta dal Du Caurroy all’edizione critica di Clossius, in Thémis VI [1824] p. 416), anche a seguito delle segnalazioni di Hugo (Thémis III [1821] p. 283). Una minuziosa 'rassegna stampa' delle recensioni fatte alla scoperta di Clossius venne inserita, non senza una nota di autocompiacimento, dallo stesso nella Praefatio alla propria edizione dei frammenti milanesi (Clossius, Praef. cit., p. XIV nt. *). La rivista francese continuò a seguire le vicende dei suoi ritrovamenti. 24 Che fornì a Clossius un consistente sostegno, costituendo per lui una guida e un punto di riferimento anche in vista dell’edizione dei frammenti milanesi, come emerge dagli scambi epistolari intercorsi tra i due (cfr. I. Krekler, Briefe an Chr. G. Haubold 22

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

lo sollecitarono a portare a compimento il lavoro iniziato25. Nel marzo del 1821, Clossius si recò per pochi giorni nuovamente a Milano, al fine di realizzare un apografo dei frammenti da lui scoperti26. Nella stessa città, nei mesi di aprile e maggio, soggiornò anche, d’intesa con Savigny, Friedrich Bluhme27, che, su richiesta di questi, realizzò a sua volta un nuovo apografo28. Nel frattempo Clossius attese all’elaborazione dell’edizione critica dei suoi ritrovamenti. 2. L’editio princeps dei fragmenta milanesi Poiché il testo contenuto nel manoscritto era apparso sin dall’inizio notevolmente corrotto e pieno di mende, nella stesura dell’edizione critica dei fragmenta milanesi Clossius si avvalse della collaborazione e delle osservazioni di giuristi e filologi quali, in primo luogo, Savigny e, attraverso di lui, Klenze29, Buttmann e Wilcken30. Il coinvolgimento di questi ultimi si era reso necessario soprattutto al fine di tentare di sciogliere quei punti del testo manoscritto (uno dei quali relativo proprio alla parte finale dei Gesta senatus e a quella iniziale della costituzione di Valentiniano III del 443 d.C., che li segue)31 in cui la restituzione era resa particolarmente complicata dalla ___________ und W.F. Clossius, Ius Commune 9 [1980] pp. 220-228 e spec. p. 224; Moscati, Da Savigny al Piemonte cit., p. 52 nt. 57). 25 Anche in considerazione del fatto che era ormai prossima l’uscita dell’edizione dei Fragmenta Taurinensia scoperti, nello stesso periodo, dall’abate Peyron, "di cui non si sottovalutavano l’acutezza e la perspicacia ricostruttiva, nonché l’esperienza nella lettura testuale" (Moscati, Da Savigny al Piemonte cit., p. 52). 26 Di questo apografo si servì, ancor prima che Clossius pubblicasse i ritrovati frammenti, anche Hänel per la propria edizione del Codice Teodosiano: cfr. G. Hänel, Prolegomena a Codex Theodosianus. Ad LIV librorum … (Bonnae 1842) p. IX nt. 50. 27 Come ricordato anche da Clossius, Praef. cit., p. XX. 28 Lo stesso Bluhme aveva scritto a Savigny, nel febbraio dello stesso anno: "Ich werde vielleicht schon im Anfang des März nach Mailand aufbrechen, um unsern neuen Fund so sorgfältig abzuschreiben, als es mir möglich ist" (lettera del 9 febbraio 1821): D. Strauch (a cura di), Friedrich Carl von Savigny Briefwechsel mit Friedrich Bluhme (1820-1860) [Bonn 1962] p. 9 n. 5. Altri apografi vennero successivamente realizzati da Hänel (nel 1826) e da Carlo Baudi di Vesme (nel 1837): a questo proposito si veda ancora Moscati, Da Savigny al Piemonte cit., p.102 nt. 73. 29 Allievo e collaboratore di Savigny. 30 Tra tutti questi studiosi, ricordati dallo stesso Clossius nella sua Praefatio (p. XXXVII), fu in particolare Savigny a seguire da vicino il suo lavoro. Terminata la stesura dell’edizione critica dei frammenti del Codex Ambrosianus, Clossius la sottopose all’illustre collega, che gli fece successivamente pervenire le proprie osservazioni unitamente a quelle dei già citati studiosi, dei quali venivano indicate anche le proposte di nuove lectiones da sostituire a quelle del testo manoscritto (cfr. Moscati, Da Savigny al Piemonte cit., p. 52). 31 V. infra cap. 6.

I. Il ritrovamento e l’editio princeps dei Gesta senatus

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presenza di abbreviazioni e notae iuris usate dallo scriba, nonché da lacune e dalle numerose e varie mende che palesemente affliggevano, nel suo complesso, il testo medesimo32. Poiché il Codex Ambrosianus costituiva l’unico testimone per la maggior parte delle integrazioni ai primi due libri del Codice Teodosiano, apparve evidente la particolare delicatezza dell’operazione di analisi filologica. L’editio princeps dei fragmenta milanesi vide la luce nel 182433, per una (sotto certi aspetti sfortunata) coincidenza quasi contemporaneamente al primo apparire dell’edizione critica dei Fragmenta Taurinensia curata da Amedeo Peyron34 35. Questi ultimi, contenuti nel manoscritto scoperto negli stessi anni dal famoso orientalista nella Biblioteca di Torino, presentavano anch’essi diverse costituzioni derivate dal Teodosiano integro, alcune delle quali coincidevano anzi con quelle ritrovate nel Codex Ambrosianus. Nel redigere l’edizione del materiale testuale ritrovato nel manoscritto di Milano, Clossius prese a modello, come dichiarato dallo stesso in prefazione36, le edizioni del Codice Teodosiano, rispettivamente, di Hugo per il testo37 e di Gotofredo38 per il commento. Quanto alla veste editoriale conferita all’opera, dei ritrovati frammenti del Codex Ambrosianus Clossius realizzò un duplice testo39: il primo era rappresentato dalla riproduzione pedissequa, ma non fedele ___________ 32 A proposito di queste difficoltà, scriveva Bluhme a Savigny, in una lettera dell’aprile 1821, che il manoscritto trovato da Clossius "ist sehr interessant aber noch größtentheils sinnlos. Er [scil. Clossius] versichert, daß es keiner Revision sondern nur der Conjecturen bedarf" (lettera del 22 aprile 1821: Strauch, Briefwechsel cit., p. 15 n. 8). Circa un mese più tardi sempre Bluhme aggiungeva: "Das Manuskript von Clossius hat mich bald überzeugt, daß hier mit Schwierigkeiten der Schrift wenig zu kämpfen ist, daß aber desto mehr der Conjectural–Critik überlassen bleiben muß" (lettera del 19 maggio 1821: Strauch, Briefwechsel cit., p. 18 n. 10). 33 V. supra nt. 4. 34 A. Peyron, Codicis Theodosiani fragmenta inedita (Augustae Taurinorum 1824). 35 Entrambe le edizioni vennero recensite nella rivista Thémis da L.A. Warnkönig, Sur les fragmens du Code Theodosien découverts par MM. Peyron et Clossius, Thémis VI [1824] pp. 489-502) e nel lungo articolo dal titolo 'Neue Quellen des Römischen Rechts' apparso (suddiviso su più numeri) nella Leipziger Literatur-Zeitung del settembre 1824 [n. 236 (27 Sept.) coll. 1881-1888; n. 237 (28 Sept.) coll. 1889-1896; n. 238 (29 Sept.) coll. 1897-1904; n. 239 (30 Sept.) coll. 1905-1912]. 36 Praef. cit., p. XXIX. 37 AA. VV., Ius civile antejustinianeum codicum et optimarum editionum ope a societate Jurisconsultorum curatum… Tomus prior… Theodosiani vero libros decem priores continens (Berolini 1815) L’edizione del Teodosiano è curata da Beck. 38 Quella però ampliata da Ritter: J. Gothofredus, Codex Theodosianus cum perpetuis commentariis… editio nova… variorumque observationibus aucta quibus adiecit suas Ioan. Dan. Ritter (Lipsiae 1736). 39 Il modello seguito fu, come dichiarato dallo stesso Clossius, quello della edizione, apparsa di recente, delle Institutiones gaiane.

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quanto alla mise en page originaria40, del testo manoscritto; il secondo, disposto a fronte, ne costituiva l’edizione critica. Quest’ultima era stata inoltre corredata, in appendice, di Notae criticae contenenti le considerazioni e spiegazioni dell’editore relative ad alcuni punti del testo di più difficile interpretazione; in tali note si dava conto anche delle congetture formulate da altri studiosi41. La particolare impostazione editoriale scelta da Clossius fu però avvertita dai contemporanei come una pecca della sua edizione. Egli aveva difatti voluto riprodurre per intero il solo testo delle nuove costituzioni scoperte, mentre quello delle costituzioni già note (tra le quali anche il testo della NTh. 1) fu riportato in modo frammentario e incompleto42, limitatamente cioè a quelle parti in cui la versione del manoscritto ambrosiano divergeva da quella già nota del Breviario. Le critiche non erano prive di fondamento, poiché va in effetti riconosciuto che questo taglio editoriale rende piuttosto ardua la lettura e comprensione del testo. Per questo e per altri motivi l’edizione di Clossius dei frammenti milanesi, per la quale pure c’era grande attesa nel mondo scientifico, andò incontro, soprattutto negli ambienti giuridici e, più in generale, accademici tedeschi, a numerose critiche, alimentate per di più dal confronto con la – per molti aspetti più accurata – edizione di Peyron dei Fragmenta Taurinensia. Gli appunti mossi contro l’opera di Clossius giunsero anche ad essere piuttosto taglienti: Niebuhr, ad esempio, che, nello scrivere a Peyron, aveva manifestato grande apprezzamento per la sua edizione, di cui l’orientalista gli aveva donato una copia, così si era espresso invece a proposito dell’opera di Clossius: "Avez Vous vu la pubblication de Clossius? A coup sur, l’Allemagne ne peut pas s’enorgueillir d’avoir produit l’auteur d’un travail qui fait un triste contraste avec le Vôtre"43, impietosamente qualificando, in un’altra lettera di ___________ 40 Questo aspetto, che avrebbe negativamente influito sulla qualità dell’opera, venne stigmatizzato da Savigny già in sede di preparazione dell’edizione critica: nel settembre del 1821 quest’ultimo si rivolgeva a Bluhme pregandolo di effettuare una revisione della riproduzione di Clossius: "Machen Sie doch ja, daß Sie Clossius Cod. Theod. gleich erhalten, ich habe kleine Besorgnisse bey der Ausgabe, und vielleicht können Sie dann im Frühjahr alles etwa ungenaue leicht und durch eine Revision von wenigen Tagen berichtigen. Er hat leider nicht als Faksimile und Zeile für Zeile abgeschrieben, so daß vielleicht Manuskript und Subskript hie und da nicht richtig getrennt seyn möchten" (lettera dell’11 settembre 1821: Strauch, Briefwechsel cit., p. 42 n. 18). 41 Ad Theodosiani Codicis fragmentum conjecturae criticae Bardili, Buttmanni, Hugonis, Osianderi, Savignii, Schraderi, Tafelii: Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 161. 42 "Um den Raum nicht zu verschwenden", secondo il commentatore della Leipziger Literatur-Zeitung n. 236 (27 Sept. 1824) col. 1887. 43 Lettera del 20 agosto 1824, in E. Vischer (a cura di), B.G. Niebuhr, Briefe. Neue Folge (1816-1830) II (Bern – München 1981) p. 273. A riscuotere il plauso di Niebuhr

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pochi anni più tardi, l’edizione dei frammenti milanesi come "aussi chère que mauvaise"44. Ma anche lo stesso Savigny, che pure aveva seguito da vicino la genesi dell’opera45, contribuendovi anzi in modo attivo, arrivò a prendere le distanze tanto da quest’ultima quanto dal suo autore, esprimendo in una lettera a Bluhme, che gli aveva appena inviato una copia dell’edizione critica peyroniana dei Fragmenta Taurinensia, la propria disapprovazione per l’intera operazione: "Peyron hat in der Constitution des Textes ungleich mehr Menschenverstand bewiesen als Closius46, dessen Geschäft doch so sehr viel leichter war"47. A tali critiche andarono ad aggiungersi le osservazioni contenute in una recensione apparsa sulla Leipziger Literatur-Zeitung del settembre 1824, dove le due opere venivano messe a confronto: mentre vi si esprimeva grande apprezzamento nei confronti del commentario storico di Peyron ai frammenti torinesi, si lamentava la mancanza di un analogo contributo nell’edizione di Clossius48.

___________ era stato soprattutto il commento storico che corredava le costituzioni edite dal Peyron, il quale esplicitamente aveva affermato di voler seguire in ciò la strada tracciata da Gotofredo. 44 Lettera del 12 settembre 1827: Vischer, op. cit. III, p. 216. 45 Sul finire del 1822, dopo aver preso visione delle bozze – ancora in corso di elaborazione – dell’edizione dei ritrovati frammenti del Codex Ambrosianus, Savigny espresse a Bluhme le sue perplessità circa le scelte editoriali di Clossius e, di conseguenza, circa l’accoglienza che la critica avrebbe riservato a quest’opera, cosa che avrebbe potuto lasciare in ombra l’importanza della scoperta: "Mir hat er [scil. Clossius] auf ausdrückliches Verlangen davon 6 [scil. Druckbogen] zugeschickt, und da fürchte ich dann, daß ihm nicht die Aufnahme zu Theil werden wird, die ihm für das große Verdienst der Entdeckung so sehr zu wünschen gewesen wäre. Ich schicke ihm vor dem Abschluß noch zu, was ich an Verbesserungen auftreiben kann" (lettera del 27 dicembre 1822: Strauch, Briefwechsel cit., pp. 123-124 n. 48). 46 Così era solito chiamarlo Savigny. 47 Tuttavia, neanche il commentario di Peyron sfuggì alla tagliente critica di Savigny, la cui lettera così continua: "aber in den Erklärungen hat sich auch jener [scil. Peyron] zu meiner Betrübniß sehr prostituirt. Was er über die verschiedenen Unternehmungen von Theodosius sagt, um deren vier herauszubringen, ist gar traurig" (lettera del 14 maggio 1824: Strauch, Briefwechsel cit., p. 173 n. 76). L’appunto è rivolto al commento di Peyron alla costituzione programmatica di Teodosio II del 429 (CTh. 1.1.5), quasi del tutto viziato da un errore interpretativo in cui l’abate torinese era incorso a causa della incompletezza del testo della costituzione, che nei Fragmenta Taurinensia era privo della parte iniziale (esso è stato difatti restituito nella sua integrità proprio dal Codex Ambrosianus C 29 inf.). Tale lacuna aveva impedito a Peyron di comprendere correttamente la sequenza delle fasi in cui avrebbe dovuto articolarsi il complesso programma codificatorio originariamente previsto da Teodosio II. 48 Neue Quellen des Römischen Rechts, in Leipziger Literatur-Zeitung n. 239 (30 Sept. 1824) coll. 1911-1912: "Dem Commentar gebührt das Lob wahrer Zweckmässigkeit, und von dieser Seite hat P. seinen Fund weit besser ausgestattet als unser deutscher Landsmann".

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Ma le critiche non finirono qui. Già nel 1825, a seguito delle recenti scoperte milanesi e torinesi, erano apparse due nuove edizioni critiche della parte iniziale del Codice Teodosiano, cioè di quei primi libri che più erano stati arricchiti proprio dai nuovi elementi apportati dal Codex Ambrosianus e dai Fragmenta Taurinensia. Si tratta delle edizioni di Eduard Puggé49 e di Karl Friedrich Christian Wenck50, delle quali la prima è frammentaria e limitata ai primi sei libri del Teodosiano51, mentre la seconda, apparsa poco tempo dopo, è completa, pur se anch’essa limitata ai primi cinque libri. Entrambi gli studiosi approfittarono delle prefazioni alle rispettive edizioni per esprimere le loro riserve, più o meno velate, verso l’analisi filologica condotta da Clossius sul testo manoscritto da lui ritrovato. Puggé, dopo aver precisato di non aver sempre seguito "in constituenda lectione" le precedenti edizioni, affermò, in particolare, di aver respinto molte proposte di correzione avanzate dal giurista tedesco52; altrettanto dichiarò Wenck53, che provvide a emendare in modo autonomo alcuni punti del testo manoscritto. Un giudizio in parte negativo, sempre teso a sottolineare l’imperizia del Clossius filologo, venne espresso qualche anno più tardi, sia pure con toni più morbidi, anche da Hänel54. Questi, dopo aver anch’egli attribuito "eximiam laudem" a Peyron per la sua edizione dei Fragmenta Taurinensia, confessava la sua esitazione nel fare altrettanto nei confronti del giurista suo conterraneo: pur apprezzandone lo sforzo di integrare gli elementi mancanti nel testo manoscritto, egli non poté trattenersi dal ricordare che "in reliquis vero ita negligenter et inconsiderate egit, ut in doctorum reprehensiones incurreret"55. E ___________ 49

E. Puggaeus, Theodosiani Codicis genuina fragmenta … (Bonnae 1825). K.F.Ch. Wenck, Codicis Theodosiani libri V priores … (Lipsiae 1825). Questa edizione sembra costituire la realizzazione del desiderio espresso poco tempo addietro dalle colonne della Leipziger Literatur-Zeitung: "Zu wünschen wäre nun, dass für allgemeinen Gebrauch… ein Abdruck der fünf Bücher des Cod. Theod. mit den durch P. und Closs. gewonnenen Supplementen erschiene" (Neue Quellen des Römischen Rechts, in Leipziger Literatur-Zeitung n. 239 [30 Sept. 1824] col. 1912). 51 L’edizione di Puggé contiene difatti soltanto le costituzioni di recente scoperta, che erano andate a integrare i soli primi 6 libri del Codice Teodosiano. E’ lo stesso Autore a spiegare le ragioni di una tale scelta: nelle sue intenzioni, l’opera avrebbe dovuto essere "quasi ad illam Theodosiani Codicis editionem, quam curavere editores iuris civilis anteiustinianei, supplementum" (Puggaeus, Praefatio a Theodosiani Codicis cit., pp. VI-VII). 52 Puggaeus, Praef. cit., p. VII. Va anche detto, però, che l’edizione del giurista francese dipende, per la parte relativa alle integrazioni apportate dai fragmenta milanesi, quasi totalmente – e visibilmente – dall’edizione di Clossius. 53 Wenck, Praefatio a Codicis Theodosiani cit., p. XXI: "Vitiosam igitur Ambrosiani Cod. … scripturam non raro correxi, ubi illam Clossius non satis recte aut retinuisse, aut immutasse videbatur". 54 Hänel, Proleg. a CTh., p. XXIII s. Lo stesso Hänel sarà il successore di Clossius nella cattedra di diritto dell’Università di Leipzig. 55 Hänel, Proleg. a CTh., p. XXIII. 50

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a queste rievocate critiche Hänel non mancò di aggiungere anche le proprie, tacciando Clossius di aver operato con negligenza e scarsa riflessione nelle scelte per l’impostazione dell’edizione critica dei frammenti milanesi, oltre che di non aver mostrato adeguato acume nella restituzione del testo. In sostanza, a Clossius Hänel era disposto a riconoscere solamente il merito della scoperta ed edizione delle nuove fonti, merito che, a suo giudizio, sarebbe stato di certo più grande "si consulto et cogitate id fecisset"56. Ma, nonostante la tiepida accoglienza che era stata tributata alla sua opera, la carriera scientifica del giurista tedesco ne trasse notevole giovamento: Clossius venne presto chiamato da Alessandro, imperatore di Russia57, all’Università di Dorpat, ricevendovi "le titre de conseilleur aulique, et la noblesse héreditaire"58.

II. Edizioni critiche dei Gesta senatus: da Clossius a Krüger A seguito della pubblicazione, nel 1824, dell’editio princeps dei frammenti milanesi59, assieme agli altri documenti apparve per la prima volta al pubblico anche il ritrovato verbale senatorio del 438 d.C.60, che tanto interesse aveva già destato tra gli studiosi per il notevole contributo che mostrava di apportare alla conoscenza, non solo della fase programmatica del Codice Teodosiano, grazie alla restituzione del testo integrale della costituzione di Teodosio II del 429 d.C. (CTh. 1.1.5), ma anche, e soprattutto, delle vicende conclusive relative alla recezione della compilazione in Occidente e alla sua riproduzione ufficiale.

___________ 56 Ibid., p. XXIV. Sembra quasi di poter scorgere in queste parole una implicita critica rivolta anche a coloro che di questa edizione furono i supervisori. 57 Il quale aveva compiuto studi giuridici presso l’Università di Oxford. 58 Du Caurroy, recens. a Clossius, Theodosiani Codicis genuini fragmenta, Thémis VI (1824) p. 417. 59 Cfr. supra nt. 4. 60 Curiosamente, nella tavola cronologica annessa all’edizione di Clossius i Gesta senatus appaiono ancora datati al 443 d.C., come in un primo momento era stato dallo stesso scopritore erroneamente supposto. La svista è stata però da taluni attribuita al tipografo (cfr. Du Caurroy, recens. a Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 416). Va difatti precisato che, in un primissimo momento, Clossius non si era reso conto che quel testo apparentemente omogeneo era in realtà costituito da due documenti distinti: il verbale senatorio del 438 e la costituzione di Valentiniano III del 443. Egli aveva così esteso il dato temporale deducibile dalla subscriptio di quest’ultima anche al verbale del senato, falsandone la datazione. L’equivoco emerge con chiarezza nella lettera di Clossius a Savigny del novembre 1820, sopra citata (nt. 22).

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Il documento in questione, che ricevette nell’indice dell’opera la definizione di Gesta Senatus Urbis Romae de recipiendo Theodosiano Codice61, venne collocato – dopo la Praefatio e l’indice – in apertura dei fragmenta, conservandogli quella stessa posizione che esso già occupava nel manoscritto. E proprio all’edizione del verbale senatorio Clossius aveva dedicato una particolare cura62, tanto che, ad una prima stampa con un’iniziale impostazione editoriale, ne fece seguire una seconda, nella quale l’articolazione del testo venne modificata e migliorata, sulla scorta dei consigli nel frattempo ricevuti63. Ai Gesta senatus venne fatto immediatamente seguire, sempre nel rispetto della sequenza osservata già nel Codex Ambrosianus, il testo della costituzione di Valentiniano III del 443 d.C., che Clossius definì Constitutio ad Constitutionarios64. Nella parte dedicata alle Notae, collocata in fondo all’opera, erano stati inseriti i relativi Loca parallela e le Notae criticae65, mentre in quella dedicata alle Conjecturae criticae l’editore dava conto delle lectiones variantes proposte da altri studiosi66. Da quel momento in poi, tanto i Gesta senatus quanto (tranne qualche eccezione) la costituzione ad constitutionarios furono recepiti da tutte le successive edizioni critiche del Codice Teodosiano – e cioè sia da quelle relative ai soli fragmenta scoperti nei manoscritti ambrosiano e torinese, sia da quelle contenenti l’intera silloge. Quanto invece alla costituzione di Teodosio II del 438 de Theodosiani Codicis auctoritate (cioè la NTh. 1), la sua posizione rimase altalenante, in quanto, sebbene più spesso essa apparisse come la prima delle Novelle dell’imperatore Teodosio67, in quanto si era preferito mantenere l’impostazione del Breviario, in alcune edizioni del Teodosiano tale costituzione veniva invece presentata quale elemento introduttivo alla silloge imperiale68. Si affacciava così, non solo agli editori ma, più in generale, agli ___________ 61

Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 2. Nel titolo corrente ne appare invece una versione leggermente modificata (Gesta in senat. urbis Romae de recip. Theodosiano Codice). 62 Ibid., pp. 2-17, con relative Notae e Notae criticae. 63 Cfr. Neue Quellen cit., col. 1887. 64 Clossius, Theodosiani Codicis cit., pp. 18-19. 65 Ibid., pp. 124-127. 66 Ibid., p. 161. 67 Posizione definitivamente assegnatale da Paul Meyer. Sulle diverse tradizioni manoscritte e sulle scelte palingenetiche relative alla NTh. 1 susseguitesi dal XVI sec. ad oggi rimandiamo a E. Volterra, La costituzione introduttiva del Codice Teodosiano, in Sodalitas VI (Napoli 1984) pp. 3083-3103, passim, nonché al più recente E. Dovere, 'Ius principale' e 'catholica lex'. Dal Teodosiano agli editti su Calcedonia (Napoli 1995) p. 56 ss. 68 Posizione che questa costituzione aveva assunto per la prima volta nell’edizione di Sichardus del Breviario (J. Sichardus, Codicis Theodosiani libri XVI qiubus [sic] sunt ipsorum principum autoritate adiectae novellae… [Basileae 1528]: v. infra p. 266 nt.

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studiosi, il problema di comprendere quali rapporti, anche di natura formale, intercorressero fra questi tre documenti (e cioè i Gesta senatus, la costituzione di Valentiniano III del 443 d.C. e la costituzione di Teodosio II de Theodosiani codicis auctoritate), da un lato, e la redazione ufficiale della codificazione teodosiana, dall’altro lato. Il verbale senatorio fu accolto già nelle nuove edizioni critiche di Puggé69 e di Wenck70, entrambe apparse nel 182571. Il primo curatore approntò anzi un’autonoma edizione dei Gesta, per i quali adottò la medesima definizione già apparsa nel titolo corrente dell’edizione Clossius, e cioè Gesta in senatu urbis Romae de recipiendo Theodosiano codice. Il nuovo testo critico si discostava in diversi luoghi da quello di Clossius, pur rimanendo ad esso sostanzialmente legato. Nella propria edizione Puggé, che pure aveva scelto di conservare ai Gesta la medesima posizione che essi avevano nel manoscritto, non sempre si mantenne aderente a quest’ultimo, in quanto omise del tutto di riportare il testo della costituzione del 443, l’index titulorum e la NTh. 1. Nell’edizione curata da Wenck, che, sebbene limitata ai soli primi cinque libri (completi) del Codice Teodosiano, era più ricca nell’apparato critico rispetto alle edizioni che l’avevano preceduta, ai Gesta senatus, per i quali venne mantenuta la stessa definizione adottata da Puggé, fu conservata la collocazione in apertura del Codice72. Il documento è qui seguito, come nel manoscritto, da quella che Wenck definisce Imp. Valentiniani constitutio ad Constitutionarios73, nonché dalla costituzione de Theodosiani codicis auctoritate74. Nel frattempo, tra la prima e la seconda delle anzidette edizioni era stata pubblicata, sempre nel 1825, la Dissertatio inauguralis di Baro de Crassier, dedicata alla confectio del Codice Teodosiano75. Essa conteneva, tra le altre cose, il testo, sia pure parziale, dei Gesta senatus del 438, la cui definizione come Gesta in senatu urbis Romae de recipiendo Codcie (sic) Theodosiano non si discostava, se non per l’inversione degli ultimi due termini, da quella già attribuitale da Clossius e confermata da Puggé e da Wenck. Pur non configu___________ 160) e che veniva mantenuta ancora nell’edizione di J.L.W. Beck, Codicis Theodosiani libri quinque priores epitomati ex Breviario Alariciano. Libri undecim posteriores maximam partem integri, in AA. VV., Ius civile antejustinianeum cit. 69 Cfr. supra nt. 49. 70 Cfr. supra nt. 50. 71 Sulle quali v. Moscati, Il carteggio Hänel-Baudi di Vesme cit., p. 29. 72 Wenck, Codicis Theodosiani cit., pp. 3-7. 73 Ibid., p. 8. 74 Ibid., pp. 9-11. 75 W.L.D.J. Baro de Crassier, Dissertatio inauguralis juridica, de confectione Codicis Theodosiani (Leodii et Bonnae 1825). Il testo della comunicazione, che venne letta nel luglio 1825 ed è oggi di difficile reperibilità, mi è stato generosamente messo a disposizione dalla prof.ssa L. Moscati, che ringrazio vivamente per la sua cortesia.

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randosi questo contributo come una nuova edizione critica, esso è tuttavia caratterizzato da alcune autonome proposte di modifiche testuali rispetto alle edizioni di Clossius e di Puggé. Alcuni anni dopo, nel 1839, apparve il primo fascicolo della prima e unica edizione critica italiana del Codice Teodosiano, intrapresa (e mai portata a termine) dal giurista Carlo Baudi di Vesme76. Anch’essa includeva i Gesta senatus che, nel rispetto dell’ordine dei fragmenta milanesi, vennero premessi al Codice. Il verbale era seguito dalla costituzione di Valentiniano III del 443, del cui incipit l’Autore forniva però una lettura critica del tutto diversa e innovativa rispetto a quelle proposte fino a quel momento77, e dalla NTh. 1. La definizione del verbale senatorio venne leggermente trasformata in Gesta in senatu urbis Romae de recipiendo in Occidente Codice Theodosiano: come può notarsi il Baudi, recependo l’inversione dei due ultimi termini già operata da Baro de Crassier, vi aggiunse in Occidente, a specificazione della pars imperii in cui la recezione del Codice aveva avuto luogo78. Ma la modifica più dirompente effettuata dal giurista piemontese consistette nello spostamento del punto di cesura tra il testo del verbale e quello della costituzione che lo seguiva, nella quale venne anzi rilevata la presenza di una inscriptio: aspetti questi sui quali si tornerà più oltre (cap. 6). Il progetto del Baudi, che era intenzionato anch’egli a rimettere mano al testo critico dei Gesta senatus, aveva suscitato l’interesse di Peyron, che gli aveva inviato le proprie osservazioni79 in merito ad alcune possibili correzioni da apportarsi al testo contenuto nell’edizione critica di Wenck. Da un raffronto con il testo definitivo si può tuttavia dedurre che solamente alcuni dei suggerimenti dell’orientalista vennero effettivamente accolti dal Baudi. Con la redazione della nuova edizione critica completa del Codice Teodosiano, realizzata da Hänel nel 184280, la posizione dei Gesta senatus ricevette, ___________ 76 C. Baudi di Vesme, Codex Theodosianus ex manuscriptis codicibus et veteribus editionibus auctior et emendatior (Augustae Taurinorum 1839). L’edizione si arresta al libro IV, tit. 22, cost. 4. Sulle vicende legate alla sua tormentata elaborazione cfr. Moscati, Il carteggio Hänel-Baudi di Vesme cit., p. 66 ss. 77 Su tale aspetto v. infra cap. 6. 78 Anche se tale precisazione si trova già in Clossius, Praef. cit., p. XII. 79 BAV, Fondo Patetta. Autografi e Documenti, cart. 46, fasc. 6, f. 366. La lettera, già segnalata dalla Moscati, non è datata né vi è indicato il destinatario, ma è lo stesso Baudi a ringraziare espressamente, in una nota del Codex Theodosianus, l’orientalista torinese soprattutto per una "elegantissimam … emendationem" da questi suggeritagli e accolta dal Baudi nella propria edizione critica (Baudi di Vesme, Codex Theodosianus cit., col. 6 nt. 17; Moscati, Il Codice Teodosiano cit., p. 156 nt. 41). 80 Cfr. supra nt. 26. I primi cinque libri del Teodosiano erano stati tuttavia pubblicati separatamente da Hänel già nel 1836/37: G. Hänel, Codex Theodosianus. Ad LIV librorum manu scriptorum et priorum editionum fidem recognovit et annotatione critica

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per così dire, la sua definitiva sistemazione81: il verbale senatorio venne anche in questo caso premesso al Codice, conservando però il carattere di elemento ad esso formalmente esterno. Con la rubrica Gesta in senatu urbis Romae de recipiendo Codice Theodosiano lo studioso tedesco scelse di tornare alla primitiva definizione dei Gesta, ritenendo forse pleonastica e superflua l’integrazione proposta dal Baudi82 e accogliendo soltanto l’inversione da questi operata dei due termini finali. Ai Gesta seguiva, oltre la già ricordata costituzione di Valentiniano III, anche la NTh. 1, che però, a differenza del manoscritto, si presenta come accompagnata dall’interpretatio visigotica83. Ciò pur optando Hänel per la riproposizione della stessa costituzione anche tra le Novelle di Teodosio II. Nell’edizione di Theodor Mommsen del 190584, pur risultando confermata la posizione dei Gesta, vennero apportati notevoli e fondamentali cambiamenti alla loro definizione, che assunse la forma di Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando, seguita dalla semplice indicazione dell’anno (a. 438). Tre appaiono essere le novità più rilevanti di questa nuova edizione; di esse una è di natura sostanziale, riflesso di un ripensamento dell’intera vicenda testimoniata nel verbale senatorio. Oltre alla lieve modifica relativa al luogo, espresso ora con un aggettivo (senatus Romani in luogo di senatus urbis Romae), all’assenza della parola codice e all’introduzione dell’indicazione dell’anno – assente in tutte le precedenti edizioni –, va notata la ben più rilevante presenza del verbo publicare adoperato in luogo del precedente recipere, fino a quel momento unanimemente utilizzato per esprimere l’oggetto della seduta senatoria e, conseguentemente, del verbale che la documentava. Tale mutamento discende senz’altro da una nuova considerazione del ruolo che, secondo Mommsen, sarebbe stato svolto dal senato romano nei riguardi della compilazione teodosiana. Vediamo così che al concetto di 'approvazione', implicato dal verbo recipere, viene ad essere sostituito quello, del tutto diverso,

___________ instruxit Gustavus Haenel … (Bonnae 1837), di cui venne edito il solo fasc. I (Libb. IIV.3). Si veda a tal proposito Moscati, Il Codice Teodosiano cit., p. 156 nt. 39; Da Savigny al Piemonte cit., p. 97 s. e nt. 55. 81 Hänel, Codex Theodosianus cit., p. 82 ss. 82 Alcuni anni più tardi, tuttavia, Hänel si trovò a definire, nella prefazione alla propria edizione della Lex Romana Visigothorum, il verbale senatorio in modo quanto mai completo come Gesta in Senatu urbis Romae anno 438 de recipiendo in Occidente Codice Teodosiano (G. Hänel, Prolegomena a Lex Romana Visigothorum [Lipsiae 1849] p. LVII). 83 Nel Codex Ambrosianus tale costituzione di Teodosio II è invece, come si è detto, priva di interpretatio, particolare che ha fatto supporre agli studiosi che essa derivi non già dal Breviarium, bensì da una versione integrale del Codice Teodosiano. 84 Mommsen, Theodosiani libri XVI … I.2 cit., pp. 1-4.

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di 'pubblicazione'85. Con Mommsen appare giungere a maturazione un pensiero che si era timidamente affacciato nella dottrina sin dal tempo della prima pubblicazione dei Gesta: e difatti già Warnkönig aveva formulato, all’indomani della pubblicazione dell’editio princeps dei Gesta senatus, una critica verso l’introduzione, ad opera di Clossius, dell’idea di 'approvazione' implicata nel termine recipere86. Un’ulteriore novità dell’edizione mommseniana è inoltre rappresentata dal consapevole rifiuto di Mommsen di attribuire alla silloge teodosiana una qualsivoglia definizione, tantomeno quella di codex, preferendo indicarla con il semplice nome dell’imperatore Teodosio adoperato in forma aggettivata87. Ai Gesta segue, anche in questa edizione, la costituzione di Valentiniano III, che appare definita come Constitutio de constitutionariis (a. 443). La costituzione di Teodosio II del 438, invece, non vi compare: essa verrà posta da Meyer, seguendo l’ordine del Breviario Alariciano, in apertura del gruppo delle Novellae di questo imperatore88, e quindi accompagnata dall’interpretatio. ___________ 85

Nei Prolegomena, l’Autore manifesta una propensione verso il concetto più sfumato dell’accipere, mentre rifiuta esplicitamente quello del comprobare. Quest’ultimo appariva in qualche misura più vicino a quello, fino ad allora adoperato, del recipere, che intendeva esprimere invece una formale accettazione del Codice stesso: "Faustus… exemplar sibi traditum senatui urbis Romae intimavit, non ut senatus id comprobaret… sed ut acciperet et de exemplaribus conficiendis et edendis caveret" (Mommsen, Proleg. cit., p. XI). Su questi aspetti v. infra cap. 5. 86 Warnkönig, Sur les fragmens cit., p. 496: "Nous ne croyons pas que le but de cette séance fût de faire adopter le Code par le sénat, comme le pense M. Clossius en appelant ce procès verbal: Gesta senatus de RECIPIENDO Codice Theodos. … La pièce elle-même offre la preuve du contraire". 87 Mentre, infatti, la definizione di Codex Theodosianus è usata da Mommsen esternamente all’opera stessa, si direbbe per una maggior chiarezza e per comodità dell’utente, la parola codex viene accuratamente evitata sia nell’indice (definito semplicemente Theodosiani tituli) che nell’incipit dell’opera (Theodosiani liber primus). Mommsen, d’altra parte, che pur aveva in una certa misura ammesso il possibile consolidamento, in via di prassi, di un legame tra il termine codex e le raccolte di costituzioni imperiali ("Nachdem einmal codex bei diesem [scil. Codex Gregorianus] zum Buchtitel geworden war und speciell die Sammlung kaiserlicher Erlasse bezeichnete, werden die späteren gleichartigen diese Bezeichnung beibehalten haben": Th. Mommsen, Die Benennungen der Constitutionensammlungen, ZSS 10 [1889] pp. 345-351 e spec. p. 350), esprime chiaramente il suo pensiero nell’affermare che "Titulus syllogae, si sequimur libros scriptos, fuit Theodosianus nude" (Mommsen, Proleg. cit., p. XI). Nota lo studioso che in effetti non vi è nelle fonti una definizione univoca della compilazione, chiamata ora Codex Theodosianus, ora Liber Theodosianus, ora Corpus Theodosiani, ora semplicemente Theodosianus (ibid., pp. XI-XII). Sulla questione si vedano da ultimo le considerazioni di M.U. Sperandio, Il 'codex' delle leggi imperiali, in Ivris Vincvla VIII (Napoli 2001) p. 97 ss; Codex Gregorianus. Origini e vicende (Napoli 2005) p. 19 ss. 88 Sebbene lo stesso Mommsen riconosca che "Omnino aptius ea collocatur ante Theodosianum quam ante Theodosii novellas" (Mommsen, Proleg. cit., p. X nt. 1). Tale

III. La fonte: il Codex Ambrosianus C 29 inf.

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Infine, Paul Krüger, nella propria edizione critica (rimasta incompleta) del Codice Teodosiano89, pur conservando ai Gesta la posizione consolidata ormai da quasi un secolo, scelse per loro una definizione del tutto essenziale (Gesta senatus urbis Romae), riprendendo – ma solo in parte – quella stessa che era stata originariamente attribuita a questo documento ma evitando, al tempo stesso, di manifestare qualsiasi posizione in ordine sia alla definizione dell’intera silloge normativa, sia all’oggetto e alla funzione di quella seduta senatoria del 438. Ci sembra che l’Autore potrebbe aver intuito la pericolosità del fornire una qualsiasi definizione che, inevitabilmente frutto di interpretazione soggettiva dell’editore e passibile a sua volta di essere ulteriormente reinterpretata, avrebbe potuto ingabbiare concettualmente questo testo e, soprattutto, i fatti ivi documentati, provocando così possibili distorsioni nella loro comprensione. I Gesta vengono anche in questa edizione seguiti dalla costituzione di Valentiniano III (anch’essa priva di qualsivoglia definizione), nonché, attenendosi strettamente all’ordine del Codex Ambrosianus, da un indice dei titoli presenti nel Teodosiano e dalla costituzione di Teodosio II del 438, posta sotto la rubrica De Theodosiani Codicis auctoritate e inoltre accompagnata, come già in Hänel, dall’interpretatio visigotica.

III. La fonte: il Codex Ambrosianus C 29 inf. Il Codex Ambrosianus C 29 inf. è un codice pergamenaceo composito organizzato90, realizzato cioè attraverso la rilegatura di più fascicoli originariamente appartenenti ad almeno due diversi manoscritti, successivamente smembrati per cause a noi ignote. I fascicoli così ottenuti sono stati raccolti assieme e ricomposti in un nuovo codex (cioè quello pervenutoci) che, come desumibile dalla natura delle opere in esso trasfuse (orazioni di Cicerone, Institutiones giustinianee e Lex Romana Visigothorum)91, era probabilmente appartenuto a un cultore di studi giuridici. ___________ posizione in apertura del codice, in funzione quindi introduttiva allo stesso, sarebbe anche secondo Dovere "logicamente più opportuna" (Dovere, 'Ius principale' cit., p. 56). Ma su questo aspetto si tornerà più avanti. 89 P. Krüger, Codex Theodosianus, fasc. I, Lib. I-VI (Berolini 1922); fasc. II, Lib. VII-VIII (Berolini 1926). 90 La terminologia qui utilizzata è quella adottata da A. Petrucci, La descrizione del manoscritto2 (Roma 2001) p. 94. Viene definito 'composito' un manoscritto realizzato materialmente attraverso l’assemblaggio di più fascicoli di provenienza diversa, appartenenti in origine ad altri e diversi manoscritti successivamente smembrati. Ne consegue che spesso i codici compositi sono anche miscellanei, contengono cioè più opere distinte. Qualora tra queste ultime vi sia una connessione logica, il codice composito è definito inoltre 'organizzato'. 91 Sulle quali ampiamente infra p. 41 s.; 60 ss.

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

Acquistato da Antonio Olgiati su mandato del card. Federico Borromeo per arricchire i fondi della Biblioteca Ambrosiana, il manoscritto, per lungo tempo sepolto nell’oblio, era stato riportato alla luce agli inizi del XIX sec. dal cardinale Angelo Mai, all’epoca Prefetto della stessa Biblioteca, l’attenzione del quale era stata attratta dalle opere di Cicerone in esso contenute. Oltre ai De officiis libri tres e alle Orationes quattuor in L. Catilinam, opere già conosciute e pubblicate, il manoscritto rivelava infatti alcune orazioni inedite – corredate di scolii – del famoso retore romano, le quali vennero per la prima volta date alle stampe dallo stesso Mai nel 1814 e nel 181792. Ma le Institutiones giustinianee ivi contenute avevano attirato l’attenzione anche dei giuristi, e fu proprio seguendo le loro tracce che Clossius era giunto a fare la sua sensazionale scoperta. 1. Sull’utilità di una nuova indagine A partire dal momento del suo ritrovamento, il Codex Ambrosianus C 29 inf. è stato fatto oggetto più volte di impegnate analisi. Sue accurate descrizioni si trovano, oltre che nella Praefatio dell’editio princeps di Clossius93, anche nelle prefazioni alle edizioni critiche del Codice Teodosiano rispettivamente di Hänel94 e di Mommsen95. Una particolare attenzione vi venne poi dedicata da Carlo Baudi di Vesme che, al pari dei menzionati studiosi96, effettuò personalmente più ricognizioni sul manoscritto97. In tempi più recenti nuove ricognizioni sono state effettuate da Scherillo98 e Volterra99, ciascuno dei quali ha in seguito pubblicato le proprie osservazioni in proposito100.

___________ 92 A. Mai, M. Tullii Ciceronis trium orationum… fragmenta inedita (Mediolani 1814); M. Tullii Ciceronis sex orationum partes ante nostram aetatem ineditae… Editio altera quam ad codices Ambrosianos recensuit emendavit et curavit Angelus Maius (Mediolani 1817). 93 Clossius, Praef. cit., pp. VIII-XIII; XVII-XXVII. 94 Hänel, Proleg. a CTh., pp. IX-XI. 95 Mommsen, Proleg. cit., pp. LXXXIII-LXXXV. 96 Tra cui Hänel, Krüger (1868/69) e Mommsen (1899). 97 C. Baudi di Vesme, Del Codice Teodosiano, e di varie collezioni di leggi considerate sotto il rapporto che hanno col medesimo, edito da L. Moscati, Nuovi studi sul Codice Teodosiano: tre scritti inediti di Carlo Baudi di Vesme (Roma 1983) pp. 6078 e spec. p. 73 s.).

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Ci si potrebbe chiedere, alla luce di ciò, se sia necessario, o anche soltanto utile, sottoporre il manoscritto in questione a una nuova indagine, e se questa possa effettivamente condurre a nuove acquisizioni. A entrambi i quesiti sembra potersi dare una risposta affermativa, e ciò per le ragioni che verremo esponendo. Le descrizioni, senza dubbio accurate, realizzate dagli studiosi del XIX sec., nonché quelle più di recente fornite da Scherillo e Volterra, pur conservando nel complesso la loro validità, appaiono suscettibili di essere ulteriormente ampliate. Ciò grazie ai nuovi metodi di indagine che sono andati successivamente sviluppandosi nell’ambito di una nuova scienza, la codicologia, che solo in tempi recenti si è dotata di uno statuto autonomo, dedicandosi allo studio precipuo degli elementi materiali dei manoscritti. In seno a tale specifica disciplina è stato elaborato un nuovo approccio nella conduzione dell’indagine avente quale oggetto il prodotto librario. Il modo di 'interrogare' un manoscritto è divenuto così più completo, nella consapevolezza che lo studio dei suoi aspetti materiali, anche quelli apparentemente secondari, possa fornire elementi utili a ricostruirne la storia, a individuarne il luogo di produzione, i possibili fruitori, le influenze esterne, etc. Tutti questi aspetti possono contribuire a gettare nuova luce anche sulla storia del testo contenuto nel manoscritto: le caratteristiche materiali sono in grado di fornire, ad esempio, preziosi indizi quanto all’uso che dell’opera è stato fatto e all’interesse che la stessa ha suscitato in un dato periodo storico e in un’area geografica determinata. Ciò acquista rilevanza maggiore se riferito a testi di natura giuridica, e ancor più in relazione ad opere dotate nel passato di valore normativo, quali sono appunto quelle contenute nel Codex Ambrosianus. Una nuova analisi codicologica del manoscritto consentirebbe, inoltre, di sottoporre a verifica gli elementi fin qui acquisiti e potrebbe altresì condurre alla revisione di affermazioni contenute non solo nelle citate descrizioni, ma anche in altri studi che hanno trattato questi stessi aspetti, affermazioni che,

___________ 98 Come dichiarato dallo stesso Autore (G. Scherillo, Un manoscritto del Codice Teodosiano: Cod. Ambros. C. 29 inf., SDHI VI [1940] p. 412 nt. 14). 99 Volterra, La costituzione introduttiva cit., passim; sebbene, come si vedrà, alcune sue considerazioni facciano supporre che questi abbia analizzato non il manoscritto in originale, bensì una sua fotoriproduzione. 100 Mentre Scherillo ha scritto un articolo avente ad oggetto esclusivamente il Codex Ambrosianus e il problema dell’origine dell’interpretatio visigotica (Un manoscritto cit., pp. 408-412), Volterra, concentrandosi sull’esame della costituzione programmatica del 429 d.C. (CTh. 1.1.5), ha dedicato una parte del suo contributo all’analisi delle fonti manoscritte che l’hanno trasmessa, tra le quali figura lo stesso manoscritto milanese (Volterra, La costituzione introduttiva cit., pp. 3091-3094).

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

come vedremo, si sono in effetti rivelate, sia pure solo in parte, imprecise101 e talvolta addirittura fuorvianti: così, in particolare, per alcune osservazioni di Mommsen, ma anche per quelle di Scherillo e Volterra, come si dirà più avanti. E proprio quest’ultimo, che pure aveva rilevato come lo Scherillo, nella sua indagine, fosse incorso "in alcune inesattezze"102, nello sforzo di porvi rimedio è parimenti caduto in altre e diverse imprecisioni. Da ciò l’opportunità di tornare a esaminare il manoscritto, e precisamente tanto nell’aspetto materiale quanto nel suo contenuto, nell’intesa che i due diversi punti di vista devono tra loro sinergicamente integrarsi. V’è inoltre da considerare che il testo del Breviario Alariciano e degli ulteriori elementi che lo integrano è apparso a tutti, sin dalla sua scoperta, ricco di errori di varia natura: un aspetto che ha reso particolarmente arduo il compito del filologo. La difficoltà, nel caso specifico, di restituire un testo il più possibile corretto e vicino a quello originario è stata aggravata dalla circostanza dell’unicità di alcuni documenti (tra i quali proprio i Gesta senatus) e della conseguente impossibilità di effettuare l’operazione di recensio mediante collazione con altri manoscritti103. Per le pur necessarie correzioni, le competenze del filologo e dello storico (in particolare: dello storico del diritto) hanno qui dovuto compenetrarsi, fornendosi un vicendevole supporto104. E, ___________ 101 Gaudemet, ad esempio, nel descrivere brevemente il contenuto del Codex Ambrosianus C 29 inf, sovverte l’ordine tra l’Index e la NTh. I (J. Gaudemet, s.v. Théodosien (Code), Dictionnaire de Droit Canonique VII, col. 1224: "Ce manuscrit contient… un fragment du C. Th. … d’abord les Gesta Senatus rapportant la publication du C. Th. en Occident…, la Novelle I de Théodose II de Theod. codicis auctoritate; un Index des Titres et Livres (non numérotés), puis le texte du C. Th."). L’errore rischia di perpetuarsi: si veda ad es. quanto scrivono Scherillo, Un manoscritto cit., p. 409, 411, e Sirks, sebbene quest’ultimo richiami in una nota la descrizione – peraltro corretta – contenuta nei Prolegomena di Mommsen: A.J.B. Sirks, Observations on the Theodosian Code V: What did the Senate of Rome confirm on Dec. 25th, 438? What did the commission of 429 do?, AARC 16, 2003 (Napoli 2007) pp. 131-151 e spec. p. 135. A questo proposito ringrazio l’Autore per avermi cortesemente messo a disposizione a suo tempo il testo dattiloscritto del suo contributo. 102 Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3092. 103 E’ il nostro un caso di codex unicus, che in quanto tale impone al filologo un tipo di recensio consistente "nella descrizione e nella decifrazione più esatta che sia possibile dell’unico testimonio": P. Maas, Critica del testo3, trad. it. N. Martinelli (4ª rist. Firenze 1990) p. 2. 104 Quanto alla necessità di collaborazione tra filologi e giuristi, se non addirittura alla compenetrazione delle due competenze, particolarmente significative appaiono le considerazioni (che risentono dello spirito romantico dell’epoca, nonché di un certo ottimismo) che von Schröter esprimeva già agli inizi dell’800: "Die Zeiten einseitiger Sprachforschung und unhistorischer Betrachtung des Rechts sind vorüber; wer die Sprache und wer das Recht der Römer verstehen will, muß das Leben des Volkes nach allen seinen Richtungen studiren. Dadurch wird dem Juristen die philologische Seite des Alterthums so wichtig, wie dem Philologen die juristische; jedes isolirte Streben auf der einen oder andern Seite kann nur unreife oder kleinliche Früchte tragen; und ist

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soprattutto in considerazione del fatto che l’emendazione del testo ha avuto prevalente natura congetturale, non sembra del tutto privo di utilità procedere a una nuova analisi delle diverse tipologie di errori presenti nel testo manoscritto, onde sottoporre a verifica certe scelte filologiche che hanno riguardato punti particolarmente 'ermetici', nonché eventualmente prospettare nuove possibili soluzioni. 2. Una nuova descrizione analitica del manoscritto Qui di seguito si fornirà una scheda del Codex Ambrosianus, consistente in una descrizione analitica dello stesso105 condotta secondo i criteri attualmente in uso per la compilazione di un catalogo analitico106. Occorre premettere che, essendo il manoscritto costituito da più unità codicologiche autonome, è possibile individuare due parti materialmente distinte (che saranno qui definite come A e B), a cui corrispondono, quanto alle opere in esse contenute, quattro sezioni testuali distinte (di seguito individuate come I, II, III e IV). A questo proposito va precisato che alla parte A, che presenta un’autonomia tanto fisica quanto di contenuti, è riconducibile la sola sezione testuale I, consistente in una silloge di opere ciceroniane; mentre la parte B, pur fisicamente omogenea, può essere articolata, quanto alle opere in essa racchiuse, nei testi II (Institutiones giustinianee), III (Gesta senatus, constitutio de constitutionariis, Index titulorum, NTh. 1 e Breviario Alariciano, quest’ultimo, come si è detto, limitato a una versione parziale della redazione visigotica aucta del Codice Teodosiano) e IV (Rhythmus in assumptione Mariae virginis). Accanto all’analisi del codice nel suo complesso verrà privilegiata, per alcuni suoi aspetti, l’analisi della sola parte B, in quanto quella contenente le opere oggetto della presente ricerca. Come si vedrà, i fascicoli che compongono tale parte presentano le medesime caratteristiche fisiche, sì da lasciar supporre una loro provenienza dal medesimo originario codice, oppure ___________ hoffentlich, seit Niebuhr und Savigny zusammenwirkten, für immer verschwunden" (v. Schröter, Uebersicht cit., p. 282). 105 La descrizione che segue è frutto di un’osservazione diretta del manoscritto che ho effettuato in due diverse occasioni (nel maggio 2002 e nel maggio 2003) presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano. Un particolare ringraziamento, a questo riguardo, va al personale della Biblioteca, mostratosi sempre gentile e sollecito. 106 Si adotteranno in particolare i criteri forniti in Petrucci, La descrizione cit., passim.

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

una produzione – apparentemente contestuale – quantomeno dei testi II e III all’interno del medesimo scriptorium o officina libraria. a) Descrizione esterna Il Codex Ambrosianus C 29 inf. è custodito a Milano, nella Biblioteca Ambrosiana. Trattasi di manoscritto composito di due pezzi (parte A: cc. 1-80; parte B: cc. 81-158), membranaceo (cartacee le guardie), che misura mm. 255 x 177. Questa la composizione: cc. I-III, 158, IV. La parte A risale al X-XI sec. ed ha avuto origine probabilmente in Italia. La scrittura è una minuscola carolina. La parte B appare essere stata composta successivamente: risale con buona probabilità al XII sec. (2ª metà?) ed è stata realizzata in Francia (meridionale?) oppure in Italia (settentrionale?). La scrittura è anch’essa una minuscola carolina. Lo specchio di scrittura misura mm. (calcolati sulla c. 81). Il contenuto delle due parti è il seguente: A (cc. 1-80): - I (cc. 1r-80v)

Cic. De officiis; In Lucium Catilinam; Pro M. Marcello; Pro Quinto Ligario; Pro rege Deiotaro

B (cc. 81-158): - II (cc. 81r-139v) r

Iustiniani Institutiones v

- III (cc. 141 -156 )

Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando constitutio de constitutionariis Index titulorum NTh. 1 Codicis Theodosiani epitome visigothica (integrata)

v

r

- IV (cc. 157 -158 )

Rhythmus in assumptione Mariae virginis

Per gli aspetti materiali che seguono (consistenza, dimensioni, fascicolazione, legatura, varie) è stato preso in considerazione l’intero manoscritto (parti A e B). aa) Consistenza cc. I-III, 158, IV. Le cc. I e IV sono le guardie cartacee, apparentemente coeve alla legatura; la c. II è l’originaria risguardia membranacea; la c. III è

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l’originaria carta di guardia membranacea. E’ presente inoltre un binione di materiale cartaceo, inserito in sede di legatura (e quindi in epoca moderna) tra c. 88 e c. 89. L’attuale cartulazione, che ne sostituisce una precedente, è progressiva per l’intero codice; eseguita a lapis, consta di numeri romani sulle carte di guardia e di numeri arabi sulle altre carte; le cifre sono situate nell’angolo superiore esterno del recto di ciascuna carta (generalmente sotto un precedente numero eseguito a inchiostro, ancora visibile su alcune carte, ma per lo più eliminato dalla rifilatura). La presenza di una volontà di sostituire la numerazione a lapis alla prima cartulazione è arguibile anche dal fatto che talvolta questi ultimi numeri sono stati barrati, sì da essere annullati, con una riga tracciata a lapis (come visibile, ad esempio, nelle cc. 120r, 140r). La prima cartulazione è in numeri arabi vergati con inchiostro nero, posti nell’angolo superiore esterno del recto di ciascuna carta (ancora visibili, ad esempio, a cc. 105r, 125r, 130r). Essa è stata eseguita in epoca moderna (forse sin dall’acquisizione del manoscritto alla Biblioteca Ambrosiana) ed è autonoma per ciascuna delle tre principali sezioni testuali nelle quali il codice era stato suddiviso, per cui ognuna di esse presenta una numerazione che ricomincia ogni volta da 1. Nella maggior parte dei casi tali cifre sono però scomparse a seguito della rifilatura delle carte. Le carte del binione cartaceo inserito sono cartulate mediante lettere alfabetiche minuscole progressive apposte nell’angolo superiore esterno del recto di ciascuna carta. Ben visibile la filigrana, ricadente sulla piegatura tra c. 'a' (per la gran parte) e c. 'd': trattasi di un gambero a otto chele, con corpo ovale, solcato da due linee curve, testa piccola e coda crestata all’estremità, suddivisa in sezioni da linee crestate. Ai lati della coda sono leggibili le seguenti lettere: PE (su un lato), SE (sull’altro)107. Tale filigrana è censibile come 'varietà simile a Briquet 5940' (Rappoltsweiler108, 1549-51)109, presente anche in Alsazia ma la cui maggiore diffusione si colloca, nella seconda metà del XVI secolo, soprattutto nell’area centro-occidentale della Germania (Nordrhein-Westfalen ed Hessen). Le sezioni testuali III e IV (cc. 141-158) presentano, in più, una paginazione autonoma moderna, eseguita a inchiostro, con numeri arabi progressivi. Tale paginazione è stata presumibilmente apposta dopo il 1821, cioè dopo che ___________ 107

Forse le iniziali del nome del fabbricante. Potrebbe ad ogni modo trattarsi della cd. contromarca, il cui esatto significato, probabilmente collegato a esigenze di mercato, è tuttora oscuro: cfr. M.L. Agati, Il libro manoscritto. Introduzione alla codicologia (Roma 2003) p. 103. 108 L’odierna Ribeauvillé, in Alsazia. 109 C.M. Briquet, Les filigranes II (Genève 1907) p. 345.

Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

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Clossius ebbe a porre in evidenza l’importanza del testo contenuto in quei fascicoli, rendendolo così oggetto di attenti studi. Le sezioni testuali I, II e III (quest’ultima comprensiva anche della IV) sono state infine numerate, ciascuna come unità in sé autonoma, con numeri arabi apposti nell’angolo superiore destro del recto delle carte iniziali (cc. 1r, 81r, 141r). Tale numerazione, eseguita a inchiostro, sembra essere coeva alla prima cartulazione. Le carte di guardia I e IV appaiono coeve all’attuale rilegatura, verosimilmente eseguita intorno alla metà del XVI sec. Le carte II e III sembrano invece essere, rispettivamente, le originarie risguardia superiore e carta di guardia. È assente il richiamo.

bb) Dimensioni mm. 255 x 177 (c. 81). Le carte sono state nuovamente rifilate in sede di rilegatura del codice composito, al fine di dar loro una omogeneità di dimensioni che esse, in ragione della loro eterogenea provenienza, probabilmente non avevano. Ma la rifilatura, essendo stata più spesso eseguita in modo irregolare, ha conferito ai tagli (soprattutto a quello di piede) un andamento curvilineo e arrotondato, tale da determinare, nelle dimensioni di una stessa carta, una differenza dai 2 ai 5 mm. – tanto nella lunghezza quanto nella larghezza – tra le estremità e il centro del taglio. cc) Fascicolazione Le 158 carte che compongono il codice sono distribuite in 21 fascicoli e fascicolate come segue: Parte A: dieci quaternioni (fascicoli I-X, da c. 1 a c. 80). Questi non verranno ulteriormente analizzati. Parte B: sette quaternioni (fascicoli XI-XVII, da c. 81 a c. 136), due binioni (fascicoli XVIII-XIX, da c. 137 a c. 144), due quaternioni (fascicoli XX-XXI, da c. 145 a c. 158). Le carte dei fascicoli si susseguono regolarmente, opponendo correttamente facciate omogenee (in osservanza della cd. 'legge di Gregory')110. Il recto della prima carta di ogni fascicolo presenta il lato pelo. ___________ 110

Il filologo K. Gregory, nello studiare, sul finire del XIX sec., le modalità di costruzione dei fascicoli del codice greco, osservò che nei manoscritti antichi veniva

III. La fonte: il Codex Ambrosianus C 29 inf.

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Come si vedrà più avanti, evidenti irregolarità sono presenti solo nella struttura dell’ultimo quaternione del codice (fasc. XXI). Tra il primo e il secondo quaternione (fascicoli XI-XII) è stato inoltre inserito, in epoca moderna e in sede di rilegatura, un binione cartaceo, dalle dimensioni notevolmente più piccole (mm. 200 x 143 ca.). In esso un ignoto lettore, che stava probabilmente collazionando il testo delle Institutiones giustinianee contenuto nel manoscritto con quello di un’edizione a stampa (che non mi è stato possibile individuare) delle stesse, aveva annotato le lezioni varianti raffrontando le due versioni. L’ultima carta del fasc. XVIII, che contiene la parte finale delle Institutiones, è stata lasciata in bianco (c. 140r-v). Il penultimo quaternione (fasc. XX) potrebbe apparire in realtà un quinione: le cc. 148 e 149 sono, infatti, prive delle solidali, per cui si potrebbe ipotizzare, a una prima analisi, una caduta di carte. Ma l’osservanza della 'legge di Gregory' e l’apparente continuità del testo inducono piuttosto a ritenere che nella composizione del fascicolo siano stati utilizzati due fogli già dimezzati o le cui ridotte dimensioni non potevano in ogni caso consentire la piegatura del foglio in due carte. Un tale espediente può essere letto come espressione dell’esigenza di economizzare il materiale e contribuisce a connotare il prodotto librario in esame come manoscritto non di lusso. Nell’ultimo quaternione (fasc. XXI), le cc. 153 e 156 sono prive delle loro solidali: per questo caso è riscontrabile un’effettiva caduta di carte, come mostrano la brusca interruzione del testo a c. 156v e l’irregolarità nell’alternanza delle facce. Quanto alla solidale mancante di c. 153, che avrebbe dovuto costituire l’ultima carta del fascicolo, si può intravedere sulla linea della piegatura un lembo di pergamena, appartenente alla carta mancante, che è stato incollato sotto la risguardia. Le carte 157 e 158 erano state originariamente lasciate in bianco. dd) Legatura La legatura sembra essere di epoca moderna. Il piatto superiore, che misura mm. 265 x 180, è costituito da un supporto cartonato – ottenuto cioè mediante la sovrapposizione di più fogli di carta pressati tra loro111 – ricoperto di pelle ___________ adottata, per ragioni estetiche e di uniformità, la regolare contrapposizione delle facce, per cui al lato pelo di una carta corrispondeva il lato pelo della carta seguente, così come al lato carne corrispondeva il lato carne. 111 Tecnica adottata a partire dal periodo a cavallo tra il XV e il XVI sec., per essere poi sostituita, nel XIX, dal cartone moderno (cfr. Petrucci, La descrizione cit., p. 88).

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

rossiccia, liscia e priva di qualsiasi decorazione, che attualmente si presenta deteriorata dall’azione di insetti. Manca del tutto il dorso, mentre sono ben visibili cinque nervi, apparentemente in cuoio o in pelle. A protezione della piegatura dei fascicoli sono stati applicati, tra un nervo e l’altro, frammenti di pergamena di recupero (cd. maculature)112 molto ingiallita, forse ritagliati da uno stesso foglio manoscritto e che comunque presentano le medesime caratteristiche fisiche. Su di essi è ancora in parte visibile una scrittura gotica, con iniziali rubricate o toccate di rosso: il testo, poco leggibile, sembrerebbe appartenere a un’opera liturgica, o comunque di natura religiosa. Ai fini della determinazione della datazione della legatura possono essere combinati i dati cronologici relativi alle tecniche adoperate con quelli riguardanti il binione cartaceo rilegato assieme ai fascicoli pergamenacei: poiché quest’ultimo è databile alla seconda metà del XVI sec., la legatura non può essere anteriore a tale data. E, considerando anche l’assoluta semplicità della copertura, è possibile datare la legatura, sia pure con una certa approssimazione, tra la metà e la fine del XVI sec.113. ee) Possessori Il manoscritto venne acquistato da Antonio Olgiati, futuro Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, che agiva su mandato del card. Federico Borromeo, il fondatore, all’inizio del XVII sec., della stessa Biblioteca114 dove l’attuale Codex Ambrosianus C 29 inf. è ancora oggi conservato.

___________ 112 Tale tecnica è stata usata in Europa soprattutto fra il XV e il XVII sec. (ibid., p. 132 s.). 113 Il Codex Ambrosianus C 29 inf. non è stato incluso nel censimento, completato nel 1986 e aggiornato alla fine del 1989, delle legature ambrosiane medievali, cioè anteriori al 1500: M. Ferrari, Censimento legature ambrosiane medievali. Elenco preliminare redatto con la collaborazione di P. Nurchi (trattasi di un volumetto dattiloscritto conservato nella Biblioteca Ambrosiana, distinto dalla segnatura K 220 suss.). 114 Il progetto di quella che sarebbe divenuta la Biblioteca Ambrosiana, ultimata e inaugurata nel 1609, era maturato nel card. Borromeo sin dai primi anni del 1600. In vista della realizzazione di questo disegno, egli "avviò, con criterio sistematico, una prodigiosa «campagna» d’acquisto di codici e stampati", con i quali arricchire la consistenza della raccolta, il cui primo nucleo fu costituito da alcuni manoscritti provenienti dalla biblioteca del Collegio Borromeo di Pavia. A tale scopo il cardinale affidò l’incarico di ricercare ed acquistare manoscritti in tutta Europa e in Medioriente ad un gruppo di uomini fidati: tra questi vi era anche Antonio Olgiati, il più stretto collaboratore del cardinale, dal quale venne nominato in seguito primo Prefetto della Biblioteca. Cfr. A. Paredi / M. Rodella, Le raccolte manoscritte e i primi fondi librarii, in Storia dell’Ambrosiana I. Il Seicento (Milano 1992) pp. 45-88 e spec. pp. 45; 74.

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Il manoscritto è stato posseduto all’inizio del XVII sec. da un certo Julianus, dal quale poi è stato acquistato, come può evincersi dalla relativa nota (Emptus a Juliano) apposta nella col. b di c. 158v. Questo Julianus è esplicitamente qualificato come pictor115 in analoghe ma più complete annotazioni riscontrabili su altri manoscritti, che evidentemente facevano tutti parte del 'blocco' di otto codici venduto dal pittore ad Antonio Olgiati116. Ciò è quanto risulta da una 'nota spese' redatta da quest’ultimo su un quadernetto scoperto di recente117, nota che consente di datare con precisione l’acquisto all’8 febbraio 1605118. Sotto la nota d’acquisto è presente un’asta seguita da un punto, che era stata finora interpretata come 'l.', cioè come un’abbreviazione per liber. Tuttavia, il fatto che dopo la parola Julianus vi sia un punto e che il segno sottostante appare essere stato vergato con un inchiostro di colore leggermente diverso potrebbe far pensare a un’estraneità di tale segno rispetto all’annotazione originaria. E infatti, altre annotazioni analoghe a questa non riportano alcuna sigla, né numerazione, né segno alcuno del genere di quello appena visto. A c. IIIv può leggersi la seguente nota d’acquisto: Emptus Mediolani iussu Ill.mi Card. Federici Borrh. Ambros.ae biblioth. fundatoris, a significare, come già detto, che il manoscritto è stato acquistato sì da Antonio Olgiati, ma su mandato del card. Borromeo. E da allora è entrato a far parte dei fondi manoscritti della Biblioteca Ambrosiana.

___________ 115

Forse un pittore lombardo. Sempre l’Olgiati provvide ad annotare di suo pugno, su ciascuno di questi manoscritti, la loro provenienza da Julianus, annotazione riscontrabile anche nel codice che qui interessa. Di questo gruppo sono stati sinora identificati altri tre manoscritti: si tratta dei Codd. Ambross. C 75 sup.; D 94 sup.; A 47 inf., tutti accomunati dalla caratteristica di contenere sillogi di opere ciceroniane. Ciò potrebbe denotare nel nostro pictor una particolare preferenza per il retore romano; sempre che egli non si sia invece limitato a ricoprire nella transazione il ruolo di semplice intermediario, oppure sia divenuto casualmente proprietario di una collezione di manoscritti messa insieme da altri. 117 Tale quadernetto, che si presenta come un fascicolo composto da alcuni fogli cartacei sciolti, piegati e non rilegati, contenenti la 'nota-spese' autografa relativa agli acquisti fatti dallo stesso Olgiati per la biblioteca, è anch’esso conservato nella Biblioteca Ambrosiana (Fondo Archivio Conservatori, cartella 255, fascicolo II, inserto 4 C, f. II). A c. 9 è leggibile la seguente annotazione: "Alli 8 febbraio 1605 per libri 8 comprati dal signor Giuliano pittore"; segue un simbolo a forma di fiocco (ducati? soldi? scudi?) e la cifra '12', che indica il prezzo pagato. Ringrazio il dott. Massimo Rodella, Consulente culturale del Collegio dei Dottori della Biblioteca Ambrosiana, per avermi indicato questo documento che ha permesso di ricostruire un altro tassello della storia del manoscritto in esame. 118 E non 1606, come è stato invece annotato, sempre dall’Olgiati, su alcuni dei manoscritti facenti parte dello stock venduto da Julianus. 116

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ff) Varie A c. 158v, originariamente lasciata in bianco, sono visibili, nelle parti superiore e inferiore, delle prove di penna vergate in minuscola carolina. Si tratta prevalentemente di esercitazioni su abbreviazioni di nomina sacra o, più in generale, di espressioni di soggetto religioso: nella parte superiore della carta, in corrispondenza della col. a, sono infatti visibili le seguenti parole: ave maria; omne datu ave; omne datnj obtimnj; e, ancora, i versi iniziali del Salmo di Davide 8.2, normalmente contenuto in salteri o libri d’ore (dñe dñs tnj q amirabile ÷ nomen; dñe dñs tnj q(uam) amirabile ÷ nomen dñe dñe dñs q(uam) amirabile ÷ nom tinî, etc.). In corrispondenza della col. b sono inoltre leggibili le parole cǀfitebor; Ave; dño; dd; mƗsuetudinis. Prove di penna, sempre in minuscola carolina, anche nella parte inferiore della carta (sanctus; sanct’; a b c d e f g g g, etc.). Ciò indurrebbe a ipotizzare la permanenza di questo manoscritto in un ambiente monastico o comunque religioso: tale ipotesi verrebbe confermata anche dalla presenza, all’interno del manoscritto, di un inno religioso, trascritto in un secondo tempo su alcune carte originariamente rimaste bianche e al quale, per di più, accede una indicazione cronologica in cui il giorno e il mese sono espressi mediante la menzione della corrispondente festa liturgica119. Rare tracce di rasure, effettuate dallo stesso copista allo scopo di correggere degli errori nel testo. *** La descrizione che segue è relativa, per le comuni caratteristiche fisiche, alla sola parte B del manoscritto e, limitatamente a determinati aspetti, in particolare alle sezioni II e III ivi contenute. gg) Datazione Sulla base di elementi sia paleografici sia fisici, è possibile datare i fascicoli manoscritti costituenti la parte B come realizzati nel XII sec., più probabilmente intorno alla seconda metà.

___________ 119

Nel Medioevo, le forme di datazione dei testi e documenti prodotti (o riprodotti) soprattutto in ambiente ecclesiastico potevano risentire della pratica liturgica, come appunto in questo caso: cfr. A. Pratesi, Genesi e forme del documento medievale2 (Roma 1987) p. 134 s.

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La scrittura, classificabile come minuscola carolina, presenta difatti talune particolarità indicate dai più importanti paleografi120 come tipiche di quell’arco cronologico, e cioè: a) le aste delle lettere 'd' e 'l' sono dritte e hanno in alto una caratteristica apertura a forcella; b) è però spesso usata anche la 'd' onciale, particolarmente diffusa nell’ultimo quarto del XII sec., con asta fortemente piegata verso il basso e aderente all’occhiello; c) il dittongo 'ae' è quasi sempre sostituito dalla semplice 'e', prevalentemente priva di cediglia; d) sulla doppia 'i' si trovano sempre apposti segni diacritici (due apici obliqui e sottili) per distinguerla dalla 'u'; e) in fine di riga appare sempre utilizzato un trattino obliquo per indicare il proseguimento nella linea seguente di una parola spezzata; f) le parole sono nettamente separate tra loro; g) v’è un uso regolare dei segni – note tironiane, per la precisione – 7 (et) e 9 (con); h) non solo in fine di rigo, ma anche in fine di parola è fatto largo uso della 's' di tipo maiuscolo; i) l’occhiello della 'g' non è più rotondeggiante ma spezzato, eseguito in più tratti; j) il testo è disposto su due colonne; k) la scrittura è di modulo piccolo, fitta e compatta; in più, il tratto presenta già quell’irrigidimento121 che, in forma più accentuata, sarà tipico della scrittura gotica. hh) Origine Francia (meridionale) o Italia (settentrionale?). Se è vero che l’elemento più importante per individuare l’origine di un manoscritto è solitamente costituito dalla scrittura e, soprattutto, dall’ortografia, va però detto che alcune delle particolarità ortografiche presenti in notevole quantità nel testo sono in realtà tipiche del latino tardo e largamente diffuse per secoli in tutto il dominio romanzo122. Ne discende che esse non possono costituire da sole elemento probante ai fini di una precisa individuazione del luogo d’origine del manoscritto. Tali particolarità sono le seguenti: monottongazione del dittongo ae in e ci al posto del gruppo ti seguito da vocale (es. Laurencio, constitucio) aferesi dell’h e viceversa (es. adibeant, ethiam) f in luogo di ph (es. frigiam, pamflagoniam) ___________ 120

G. Battelli, Lezioni di paleografia4 (Città del Vaticano 1999) pp. 182-183; cfr. anche A. Petrucci, Censimento dei codici dei secoli XI-XII. Istruzioni per la datazione, in Studi medievali IX (1968) pp. 1115-1126 (seguite da un catalogo). 121 Da attribuirsi anche alla diffusione, a partire dalla seconda metà del sec. XI, di un nuovo strumento scrittorio, la penna con taglio obliquo a sinistra, che mutò il tratteggio della scrittura conferendole un andamento meno fluido (Petrucci, Censimento cit., p. 1121). 122 V. a questo proposito A. De Prisco, Il latino tardoantico e altomedievale (Roma 1991) p. 15 ss.

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Non mancano però ulteriori forme anomale dipendenti piuttosto dai mutamenti fonetici propri di una pronuncia locale; forme la cui natura riconduce anch’essa, più in generale, a un’area geografica di lingua romanza: i in luogo di e (soprattutto davanti a vocale) e viceversa (es. iubiat, pertenere) u in luogo di o e viceversa (es. preturio, auditurio) caduta della c nel gruppo ct (es. negletu, ditum) raddoppiamento di consonante semplice o semplificazione di consonante doppia (es. comittare, comercium) g in luogo di c (es. segreta) t in luogo di d e viceversa, specie in fine di parola (es. aput, velud) s in luogo di x e viceversa (es. iusta) scambio di m con n nel corso o in fine di parola (es. inpressa, conpellant) ch in luogo di h (es. nichil) b in luogo di gg (es. subiestio). Alcune di queste particolarità123 sembrerebbero ricondurre all’Italia124 e, più precisamente, all’area settentrionale125. Ma lo stile della notazione neumatica contenuta nel manoscritto, di cui si dirà, sembrerebbe piuttosto collegare quest’ultimo alla regione dell’Aquitania, cioè all’area sud-occidentale della Francia. ii) Materia Pergamena di media qualità, spessa, grossolana, rigida, talvolta corrugata (caratteristica quest’ultima particolarmente visibile nelle cc. II, III, 157, 158), frutto di manifattura modesta. Il lato pelo è generalmente di colore giallastro, a volte ruvido; evidenti i segni di follicoli piliferi. Il lato carne, in genere piuttosto chiaro e liscio, appare talvolta di colore grigiastro e ruvido al tatto (es. c. 157r). Non rara la presenza di falli di lavorazione (fori originari e piccole aree molto sottili e trasparenti) e di lisières. Particolarmente difettose le cc. 113r-120v, i cui tagli sono molto irregolari a causa della presenza di numerose lisières, circostanza che denoterebbe un bisogno di economizzare la ___________ 123

Come, in particolare, la caduta della c nel gruppo ct, la trasformazione di g in c e di gg in b (quest’ultimo qualificabile come fenomeno di ipercorrettismo). 124 Di questa opinione già Mommsen, Proleg. cit., p. LXXXIV. 125 Sono debitrice per questa osservazione alla prof.ssa E. Condello.

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pergamena. La c. II è corrugata e deteriorata da buchi causati da insetti; essa mostra, sul recto, visibili tracce di colla e doveva costituire, con buona probabilità, l’antica risguardia superiore. A c. 135, dove si può osservare un antico intervento di restauro su una lacerazione della pergamena nel margine superiore della carta, è ancora visibile il filo con cui è stata effettuata la ricucitura. jj) Segnatura di fascicolo In ragione delle loro diverse caratteristiche, le sezioni di testo indicate come II e III verranno, per l’aspetto della segnatura, analizzate distintamente. Sezione II (cc. 81r-139v): La segnatura di fascicolo originaria risulta apposta sul verso dell’ultima carta del fascicolo ed è rappresentata da un numero romano inserito tra due puntini, posizionato al centro del margine inferiore della carta, nello spazio corrispondente all’intercolumnio, a una distanza dall’ultima riga rettrice che varia tra i 32 e i 50 mm. Inoltre, la segnatura del primo fascicolo (fasc. XI) è circondata da una piccola cornicina decorata con semplici motivi geometrici, mentre la primitiva segnatura del terzo fascicolo (fasc. XIII) è stata erasa (si tratta forse di una correzione) e riprodotta più in basso dalla stessa mano. La segnatura originaria appare regolarmente nei primi sei fascicoli (fascicoli XI-XVI), mentre è assente nel settimo e nell’ottavo (fascicoli XVII-XVIII). Su quest’ultimo fascicolo è presente, invece, una segnatura realizzata posteriormente ('VIII'). Essa risulta collocata in una posizione anomala, e cioè sul recto della prima carta anziché sul verso dell’ultima, ma sempre nel margine inferiore e in posizione centrale. La mano è diversa da quella che ha eseguito le precedenti segnature, così come diverso è l’inchiostro usato (marrone scuro); inoltre, il numero non è inserito tra i due puntini. Tale segnatura appare essere stata apposta in un momento successivo rispetto a quello in cui è stato trascritto il testo, anche se non sono in grado di stabilire in quale periodo. Non sembrerebbe però essere moderna. Sezione III (cc. 141r-156v): I tre fascicoli (XIX-XXI) nei quali questa sezione si articola non presentano alcuna segnatura di fascicolo originaria sul verso dell’ultima carta e coeva alla redazione del testo, ma ne hanno soltanto una più tarda, apposta in continuità con quella realizzata in un secondo tempo sugli ultimi due fascicoli della sezione II. Anch’essa appare eseguita dalla stessa mano sul recto della prima carta. Si può ipotizzare che la segnatura anomala, non contestuale rispetto alla trascrizione del testo, sia stata apposta, forse anche al fine di sopperire all’assenza di quella originaria, solo più tardi, in sede di formazione del manoscritto composito: ad avvalorare tale supposizione la presenza della medesima forma di segnatura (apposta apparentemente dalla stessa mano), questa volta in aggiunta a quella originaria, anche sui fascicoli della parte A (cioè quello

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contenente il corpus ciceroniano), provenienti sicuramente da altro e diverso manoscritto. La anomala posizione di tale successiva segnatura (recto della prima carta – anziché verso dell’ultima – di ciascun fascicolo) può essere spiegata con la probabile necessità di evitare sovrapposizioni e confusioni con quella originaria. kk) Foratura La foratura laterale appare eseguita con due strumenti diversi, verosimilmente una piccola lama e un punteruolo – o un compasso – dalla punta piuttosto sottile. I fori, disposti con andamento abbastanza regolare, si presentano difatti talvolta in forma di taglietto, dal tratto orizzontale (es. cc. 81, 153) o verticale (in alcuni casi i due tratti sono compresenti all’interno della stessa carta: es. c. 156), talvolta invece come un piccolo foro, dalla forma rotonda e dai contorni regolari (es. c. 89). Più spesso i fori marginali sono stati eliminati con la rifilatura delle carte. Ben visibili, nei margini superiore e inferiore di ciascuna carta, i fori, dalla forma costantemente rotonda, utilizzati per realizzare le righe della giustezza. La loro regolarità lascia supporre che vi fossero infissi dei punteruoli per fissare il foglio al piano durante la fase di scrittura. I fori presenti nel margine superiore distano generalmente 20 mm. dalla prima riga rettrice; quelli presenti nel margine inferiore distano 45 mm. dall’ultima riga rettrice. Da segnalare una particolarità nella foratura delle cc. 109, 111, 112 e 156: nel margine laterale esterno vi sono difatti tracce di una doppia foratura dall’andamento alternato, il che potrebbe far pensare alla correzione di una prima errata foratura. ll) Rigatura Le carte sono rigate a secco, con uno stilo dalla punta piuttosto acuminata; la rigatura è stata eseguita sul lato pelo, prevalentemente su due fogli aperti, sovrapposti non arrangiati126. Le righe rettrici sono generalmente 37, con alcune eccezioni delle quali si dirà tra poco; esse sono per lo più circoscritte all’interno dello specchio di scrittura, che si presenta articolato in due colonne, e lasciano l’intercolumnio e i margini liberi (tranne qualche smarginamento, evidente ad esempio nelle cc. 128 e 155). Non vi sono tracce di ribadimenti. Le ___________ 126

Cioè senza rispettare la regolare contrapposizione delle facce.

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righe di giustezza si estendono in modo costante per tutta la lunghezza della carta. Nei fascicoli XI-XVII (cc. 81-136) sono presenti regolarmente 37 righe rettrici, mentre all’interno delle carte dei fascicoli che seguono si può riscontrare una certa irregolarità, così schematizzabile: nel fasc. XVIII (cc. 137-140), contenente la parte finale delle Institutiones, si contano 39 righe; nel fasc. XIX (cc. 141-144), le cc. 141 e 144 (foglio esterno) presentano 39 righe, mentre le cc. 142 e 143 (foglio interno) ne contengono 38; il fasc. XX (cc. 145-152) presenta 39 righe; il fasc. XXI (cc. 153-158) ne contiene 40. Tale progressivo aumento delle dimensioni dello specchio di scrittura sembrerebbe denotare un’esigenza di sfruttare maggiormente lo spazio a disposizione e, quindi, di ottimizzare il materiale scrittorio, forse a causa della sua scarsità o, in ogni caso, per ragioni di economia. Il sistema di rigatura sembra essere di tipo speciale: le righe 1-2, 4-5, 32-33, 36-37 si estendono, infatti, per tutta la larghezza della carta. Talvolta questo schema subisce delle variazioni: rr.1-2, 36-37 (es. cc. da 129 a 136); oppure rr. 1-2, 4-5, 36-39 (es. cc. da 137 a 140); oppure rr. 1-2, 4-5, 35-36, 38-39 (es. cc. 141 e 144). mm) Scrittura Minuscola carolina del sec. XII; inchiostro color caffellatte. La scrittura è di modulo minuto, fitta e compatta, e quindi adatta a una concentrazione testuale molto elevata. Essa impegna anche la prima riga rettrice ed è generalmente contenuta esclusivamente all’interno delle due colonne nelle quali il testo si presenta disposto. L’unica eccezione è riscontrabile a c. 113v, dove il testo è stato scritto per esteso per 15 righe, sì da occupare anche l’intercolumnio, ma senza oltrepassare le linee di giustezza più esterne. Tale disposizione si era probabilmente resa necessaria al fine di lasciare, nella parte inferiore della carta, uno spazio sufficiente a tracciare lo schema del cd. stemma cognationum (o 'albero dei gradi di parentela')127, il quale, però, è stato vergato, probabilmente da mano posteriore, solo in forma di abbozzo: nella parte lasciata originariamente in bianco è difatti visibile una losanga dai contorni irregolari, attraversata da una serie di righe verticali, anch’esse dall’andamento incerto. Nella parte superiore della losanga sono state scritte, con tratto leggero e dalle dimensioni molto ridotte, le parole tritavus, tritava (sic), abpatruus. ___________ 127 Cfr. a questo proposito F. Patetta, Nota sopra alcuni Mss. delle Istituzioni di Giustiniano, con appendice di glosse inedite, BIDR 4 (1891) pp. 17-96 e spec. pp. 5057, con schemi grafici (ora anche in Studi sulle fonti giuridiche medievali [Torino 1967] p. 41 ss.).

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nn) Copista Contrariamente a quanto finora da tutti sostenuto, il copista del Breviario non è lo stesso che ha trascritto le Institutiones di Giustiniano. Si rende perciò necessaria un’analisi delle sezioni testuali II e III separatamente considerate. Sezione II. Il testo delle Institutiones appare essere stato realizzato prevalentemente da un’unica mano, con occasionali interventi di uno o due diversi copisti, uno dei quali forse è lo stesso che attenderà alla scrittura dei Gesta senatus. L’amanuense principale ama tuttavia variare il tratto, proponendo talvolta uno stile più ricercato, che si manifesta in una scrittura diversamente atteggiata (ad esempio a c. 95r col. b; c. 130r col. b). Ciò può creare talvolta perplessità nell’attribuzione. E’ da segnalare che nelle cc. 86v – 87v col. a e nelle cc. 96v-130v il tratto cambia notevolmente: ciò sembrerebbe tuttavia doversi attribuire al diverso spessore della punta del pennino. Il secondo copista ha vergato invece poche righe (c. 130r col. b), per poi essere sostituito nuovamente dall’amanuense principale. Sembrerebbe di poter distinguere a c. 131r col. b anche una terza mano, subito sostituita però dal primo copista. Sezione III. La mano del copista di questa parte del manoscritto è quasi certamente diversa da quella che ha vergato la gran parte del testo contenuto nella sezione II. La stessa mano, come si è detto, appare brevemente e per poche righe anche nelle Institutiones. Il suo tratto presenta una maggiore rigidità e verticalità; la scrittura ha perso in parte la morbidezza delle forme arrotondate tipica della carolina e sembra tendere marcatamente alla gotica. La presenza di più copisti (almeno due), così come il loro alternarsi, l’accuratezza della scrittura e la pulizia della pagina fanno pensare a uno scriptorium (impossibile dire se laico o ecclesiastico)128 dove la produzione delle copie manoscritte era affidata a scribi di professione, forse con una certa competenza nella riproduzione di testi giuridici, come lascerebbe supporre la ___________ 128 Il copista della sezione III abbellisce talvolta (forse nei momenti di maggior stanchezza o noia) i segni di paragrafo sviluppandoli in forma di palmette (come si dirà nella sezione dedicata alla 'decorazione'). Quello della palma è uno dei simboli tipici dell’arte romanica, il quale trova la sua fonte ispiratrice soprattutto nella Bibbia e nella letteratura patristica. Esso è stato ripreso e utilizzato soprattutto nel XII secolo, quale motivo ornamentale di molte chiese: una elegante teoria di palmette di varia foggia (alcune del tutto simili a quella schizzata dal nostro copista) orna, ad esempio, i bordi di uno dei sopravvissuti altari, di età romanica, della quasi completamente distrutta abbazia di Cluny: cfr. M.M. Davy, Initiation à la symbolique romane (XIIe siècle) (Champs 1977; nouvelle édition 2001); J. Danielou, Les symboles chrétiens primitifs (Paris 1961). Questo è certo un indizio troppo labile per poter collocare il luogo d’origine del manoscritto all’interno di uno scriptorium monastico, ma potrebbe forse denotare nel copista una certa familiarità con questo tipo di ornamentazione.

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intravista perizia nell’uso delle notae iuris. Sembrerebbe pertanto da escludere l’ipotesi, implicitamente avanzata da taluni129, che questo manoscritto possa essere stato realizzato per uso personale da un privato, sia pure uno studioso di diritto. oo) Annotazioni In questa sezione verranno esaminate non soltanto le annotazioni presenti nella parte B, sezioni testuali II e III, verso cui è maggiormente rivolto il nostro interesse, bensì anche quelle che non hanno natura di riassunto o commento ai testi giuridici (o di correzione degli stessi) e che si trovano disseminate anche in altre parti del Codex Ambrosianus. Invero, questo tipo di annotazioni, oltre a contribuire alla ricostruzione della storia di un manoscritto, possono talvolta fornire elementi utili ad individuarne l’origine e la datazione. Sezione II. Le Iustiniani Institutiones, contenute in questa parte del codice, hanno evidentemente costituito già in età medievale oggetto di studio, come si può evincere dalle – seppure non numerose – annotazioni130 presenti qua e là, più spesso nei margini laterali (es. cc. 81v, 82r, 126v) e, talvolta, nei margini superiore (es. c. 90r) e inferiore (es. c. 124v), nonché nell’intercolumnio (es. c. 110r). A volte tali annotazioni sono scritte in verticale (es. c. 88v). Sono riconoscibili almeno quattro mani diverse di annotatori, coeve rispetto al manoscritto (la scrittura è una minuscola carolina molto simile a quella del testo) ma diverse da quelle dei copisti del testo. Inoltre, l’inchiostro usato per le annotazioni è diverso e di colore più chiaro rispetto a quello adoperato per il testo principale. Le annotazioni consistono talvolta in semplici sigle (es. c. 81v, cc. 83v e 84r: n o r) aventi la funzione di richiamare l’attenzione del lettore; talvolta in piccoli riassunti o semplici commenti (es. cc. 81v e 82r, dove esse si distinguono per essere circondate da una cornicina decorata con motivi geometrici). A volte l’annotatore ha provveduto a effettuare correzioni di errori presenti nel testo (es. c. 82v col. a r. 19, dove è inserita una consonante mancante). Ad alcune annotazioni è premesso un segno di rinvio, espresso in forma di croce semplice, ___________ 129

In particolare da Baudi di Vesme, Del Codice Teodosiano cit., p. 71. Queste glosse sono state studiate dal Patetta, il quale vede in alcune di esse un’affinità con quelle del ms. torinese D V 19, pubblicate da Bollati in appendice alla traduzione italiana di F.C. von Savigny, Storia del diritto romano nel Medio Evo (trad. it. E. Bollati) III (Torino 1857) p. 51 ss.; glosse che, assieme a quelle di altri manoscritti, l’Autore ritiene essere, "se non prebolognesi, almeno estranee alla nuova scuola" (Patetta, Nota sopra alcuni Mss. cit., p. 60 ss.; 94). Su tali glosse preirneriane alle Institutiones si veda anche V. Crescenzi, Per la storia della tradizione e la critica del testo delle Istituzioni di Giustiniano, AARC 14, 1999 (Napoli 2003) p. 675 s. 130

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croce con puntini o di doppio trattino ondulato131, segno che è stato poi inserito anche nel testo, nel punto a cui l’annotazione si riferisce. A c. 105r un’annotazione marginale è circondata per due lati da una linea poi ripassata in rosso, forse allo scopo di separare l’annotazione stessa dal testo, a cui è quasi aderente. III. Questa sezione appare invece quasi del tutto priva di annotazioni, se si esclude la sporadica presenza di segni di richiamo. Ciò potrebbe forse denotare un minore interesse, da parte degli utenti, verso la Lex Romana Visigothorum ivi contenuta. IV. Nell’angolo superiore sinistro di c. 157v è leggibile la seguente annotazione: hƗc psam / attuli de / mǀt agut / Ư fest’ s katƯne / año ·M° CC° XII° / ab Ưc’n’t’ dñi [ha(n)c p(ro)sam attuli de mo(n)t agut in fest(o) s(anctae) kat(ar)ine132 an(n)o 1212 ab i(n)c(ar)n(a)t(ione) d(omi)ni]. Tale annotazione, apposta dal copista dell’inno religioso, a cui essa si riferisce, consente di delimitare la datazione della sezione III (e quindi, con ogni probabilità, viste le caratteristiche omogenee, anche della sezione II) entro e non oltre il 1212. V’è da dire che, nelle datazioni, lo stile dell’incarnazione fu in uso tanto nell’Italia Settentrionale e centrale quanto nella Francia centro-meridionale133, e che l’uso di indicare i giorni con i nomi dei santi o delle altre feste religiose ricorrenti nel calendario ecclesiastico fu, nel Medioevo, adottato soprattutto in Francia, in Svizzera e, dalla metà del XIII sec., anche in Germania134. Non è invece stato possibile individuare con precisione la località (mǀt agut)135, per poterne trarre indizi utili alla determinazione del luogo con il quale il manoscritto sembra quantomeno aver avuto dei contatti: se non proprio quello d’origine, almeno il luogo in cui potrebbe essere transitato o essere stato conservato. Ma del problema dell’origine e della datazione della parte B del manoscritto si parlerà più avanti. Sono, inoltre, da segnalare le seguenti ulteriori annotazioni, presenti su parti del Codex Ambrosianus diverse da quelle qui considerate. ___________ 131 Cfr. ad esempio J. Shiel, A set of Greek reference signs in the Florentine Ms. of Boethius’ Translation of the “Prior Analytics” (B.N. CONV. SOPPR. J. VI.34), Scriptorium 38/2 (1984) p. 328 (V f; VII e). 132 Che ricorre il 25 novembre: cfr. A. Cappelli, Cronologia, Cronografia e Calendario Perpetuo6, ed. aggiornata (Milano 1988) p. 129. 133 Cfr. Cappelli, Cronologia cit., pp. 11-22. 134 Ibid., p. 26. 135 Nel repertorio toponomastico del Graesse sono segnalati numerosi Acutus mons e Mons acutus sia in Italia che in Francia, oltre che un Aguntum in Tirolo: Graesse/Benedict/Plechl, Orbis latinus. Lexikon lateinischer geographischer Namen des Mittelalters und der Neuzeit. Großausgabe, bearb. und herausg. von Helmut Plechl… unter Mitarbeit von Dr. med. Sophie-Charlotte Plechl (Braunschweig 1972) I, p. 14; II, p. 590).

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A c. Ir (carta di guardia superiore cartacea) è stata apposta in epoca moderna, a inchiostro nero, l’attuale sigla del manoscritto (C. 29. P. Inf.). Al centro della carta compare un’altra annotazione (C. 29 inf.), più recente (e comunque posteriore al 1905) e a inchiostro blu. La stessa mano ha vergato, più in basso, anche la seguente annotazione: Cfr. S.Q.L.V. 21 Theodosiani libri XVI etc. Edid. Th. Mommsen et P.M. Meyer Berolini, Weidmann, 1905 pag. VI.

A c. IIIv (antica carta di guardia pergamenacea) sono state apposte, da almeno 4 mani diverse, delle annotazioni riguardanti il contenuto del manoscritto: iniziando dalla parte superiore della carta si possono leggere, in sequenza, le seguenti indicazioni, apposte da un primo annotatore136 al momento della catalogazione del manoscritto, all’inizio del XVII sec.: Cicero de offjcijs Eiusdem in Catilinam orationes pro M. Marcello, Ligario, et Deiotaro item Imperatoris Iustiniani Institutiones

Di seguito è stata successivamente apposta, da mano diversa e posteriore, ad integrazione dell’indice, la seguente annotazione: Rithmus in assumptione Mariae virginis a. 1214137 Tra le Institutiones e il Rythmus, una mano ancora diversa (e posteriore al 1824) ha apposto, con inchiostro più scuro, un segno di rinvio che rimanda a un’ulteriore annotazione, con funzione integrativa dell’indice, presente nella parte inferiore della carta: Gesta in Senatu Romae anno 438. de recipiendo Theodosiano Codice in occidente; et alia de Theodos. Codice quae omnia typis edidit Waltherus Frid. Clossius Tubingae 1824. ex hoc ipso Cod. Ambros.

___________ 136 Tali elenchi, presenti su un gran numero di manoscritti tra quelli conservati nella Biblioteca Ambrosiana (soprattutto su quelli acquisiti all’inizio del XVII sec.), costituiscono l’indice delle opere in questi ultimi contenute e vengono anche definiti 'note dell’Olgiati', in quanto scritti di pugno da quest’ultimo o da altri bibliotecari sotto la sua direzione. Nel nostro caso però la scrittura non sembra essere quella dell’Olgiati. 137 La data, peraltro non corretta (si tratta difatti del 1212), è stata aggiunta da una mano posteriore.

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Di seguito all’integrazione relativa al Rhythmus, ritroviamo la mano del primo annotatore, che prosegue nel rigo successivo: Hic codex duplici constat charactere, quorum primus, quibus Ciceronis opera scripta sunt, est antiquissimus.

Le ultime quattro lettere della parola quibus appaiono cancellate posteriormente da una riga e sostituite dalla lettera 'o' sovrimpressa, a mo’ di correzione. Immediatamente sotto, lo stesso annotatore ha vergato anche la seguente nota d’acquisto: Emptus Mediolani iussu Ill.mi Card. Federici Borrh. Ambros.ae biblioth. fundatoris

Non vi è in questa nota alcuna indicazione dell’anno né della provenienza dell’acquisto, a differenza di annotazioni analoghe presenti su altri manoscritti acquistati per la biblioteca. Al centro della carta in esame vi è una lettera 'S' di grandi dimensioni, dal tratto sottile e vergata con inchiostro color nocciola chiaro, accanto alla quale è stata posta, in un momento successivo, la seguente sigla: V (o Y?)138 609, che appare però cancellata con una riga: in entrambi i casi trattasi di antiche segnature del manoscritto, sempre riconducibili alla loro conservazione presso la Biblioteca Ambrosiana139. Sulla risguardia inferiore (c. IV) è leggibile, in basso a destra, la seguente annotazione, eseguita a inchiostro color seppia, relativa ad un restauro a cui, in tempi recenti, il manoscritto è stato sottoposto: Restaurato per la liberalità di Marcello Mazzoleni Galbiati Gianfranco Ravasi Prefetto 3 aprile 1992

pp) Decorazione Anche in tal caso, le diverse caratteristiche delle sezioni II e III ne suggeriscono un’analisi separata. ___________ 138 L’incertezza è determinata dal fatto che l’originario tratto, più simile ad una 'V', sembra essere stato successivamente modificato, con l’allungamento della parte inferiore dell’asta destra e l’aggiunta, alla sua estremità superiore, di un ricciolo. Anche il numero sembra essere stato ripassato con inchiostro più scuro. 139 Attualmente non vi sono ancora studi specifici sui sistemi di segnatura adottati dalla Biblioteca Ambrosiana nel corso dei secoli. Devo la loro identificazione alla competenza del dott. Rodella.

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Sezione II. Le uniche decorazioni sono costituite dalla lettera incipitaria maiuscola all’inizio dell’opera e da quelle, sempre maiuscole ma più piccole, all’inizio del testo in ciascun titolo. La prima (c. 81r) è rappresentata dalla lettera 'I', di modulo grande (si sviluppa su 15 righe, posizionata all’interno della giustezza) e in forma di asta decorata con motivi geometrici, suddivisa per la lunghezza in tre parti, rispettivamente colorate in verde-turchese, rosso e blu. Le successive maiuscole decorate sono di modulo più piccolo (posizionate in tutto o in parte al di fuori della giustezza) e monocrome, colorate alternativamente di rosso, blu, giallo senape o verde-turchese, con piccoli fregi in rosso o in blu. Unica eccezione a c. 108v, dove la lettera incipitaria 'I' è di modulo grande (si sviluppa su 10 righe) ed è policroma, a fasce longitudinali blu, rosso e verde-turchese, con semplici fregi color senape. Alcuni titoli sono rubricati. Sezione III. La lettera incipitaria maiuscola 'D' con la quale ha inizio il testo dei Gesta senatus (c. 141r: DÑO. FILIO.) è di modulo grande (si sviluppa su 9 righe, con l’asta verticale in parte al di fuori della giustezza) e decorata con elaborati motivi geometrici sull’asta e all’interno dell’occhiello e con dei puntini sia all’interno che all’esterno. La lettera è monocroma, di colore rosso brillante. Rubricate sono anche le lettere iniziali (minuscole) dei titoli riportati nell’Index titulorum: va segnalato, però, che l’opera del miniatore si arresta, per questa parte, al titolo Ad legem Fabiam (libro IX) e che i titoli che seguono sono del tutto privi dell’iniziale rubricata. Sempre nell’Index sono completamente assenti, altresì, la numerazione dei libri e quella dei titoli, la cui esecuzione era di norma affidata al rubricatore e la cui presenza, come si arguisce dalle due righe lasciate in bianco tra un libro e l’altro, doveva essere stata prevista. Risulta mancante anche la lettera incipitaria maiuscola del testo della NTh. 1, come si deduce dallo spazio lasciato appositamente dallo scriba e rimasto in bianco. La lettera incipitaria maiuscola ('S') del testo della prima costituzione della Lex Romana Visigothorum, rubricata e decorata, è di modulo grande (compresa tra r. 2 e r. 7) e si trova all’interno della giustezza. Rubricate sono anche la lettera iniziale dell’inscriptio di ciascuna costituzione, del suo testo e della relativa interpretatio (ove presente). Le dimensioni di tali lettere rubricate sono leggermente più grandi rispetto a quelle del testo. Anche qui sono riscontrabili delle lacune nell’opera del miniatore, che in molti casi ha omesso di eseguire le lettere rubricate. In alcune carte del manoscritto è riscontrabile anche la presenza, nei margini laterali (es. cc. 146r, 148v, 154v) o nell’intercolumnio (es. cc. 145v, 146r), di letterine-guida140 di colore rosso: a volte queste si presentano disposte in due file verticali parallele, vicine tra loro, in quanto si riferiscono alle iniziali da

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rubricare presenti nelle due colonne sulle quali il testo è disposto. In alcuni casi il miniatore ha manifestamente frainteso o scambiato la letterina, eseguendo un’iniziale diversa da quella indicata (es. a c. 146r, dove è stato scritto 'i' al posto della indicata 'u'). In talune circostanze emerge la meccanicità nell’esecuzione del lavoro di rubricatura: ad es., nell’Index titulorum il miniatore ha tracciato delle lettere iniziali anche là dove queste non erano richieste (es. c. 142v col. a r. 38; c. 143r col. a r. 9), oppure non si è reso conto, dopo aver scritto una sequenza di lettere tutte uguali, di dover cambiare l’iniziale (es. c. 143r col. b r. 22, c. 143v col. a r. 2 e r. 18). Quali ulteriori decorazioni del manoscritto possono essere segnalati anche dei piccoli disegni con i quali il copista ha a volte abbellito taluni segni di paragrafo, dei quali fa un largo uso, soprattutto nella Lex Romana Visigothorum, per spezzare il testo abbondante e posizionarlo negli spazi liberi immediatamente adiacenti (altro indizio dell’esigenza di ottimizzare gli spazi): queste piccole decorazioni geometriche si presentano in forma di palmetta, più o meno elaborata (es. cc. 144v; 149v; 153r). b) Descrizione interna qq) Contenuto Mentre per la parte A ci si limiterà ad indicare le opere ivi contenute, la cui notorietà non rende necessaria l’indicazione dei rispettivi incipit ed explicit, per quelle costituenti la parte B verranno segnalate anche le singole particolarità. Non sempre sarà possibile invece indicarne l’incipit e l’explicit, soprattutto per quelle il cui testo presenta delle difficoltà interpretative. A:

I. Cic. De officiis (cc. 1r-48v); In Lucium Catilinam (cc. 49r-67r); Pro M. Marcello (cc. 67r-71r); Pro Quinto Ligario (cc. 71r-75v); Pro rege Deiotaro (cc. 75v-80v)

B:

II. Iustiniani Institutiones (cc. 81r-139v). Il testo finisce a r. 32 della col. b di c. 139v. Seguono 7 righe lasciate in bianco. Bianca è rimasta anche l’intera c. 140

___________ 140

Sono così definite quelle piccole lettere che il copista scriveva nei margini e che dovevano servire da guida al rubricatore nell’esecuzione delle lettere incipitarie. Frequenti sono tuttavia i fraintendimenti, nonostante la loro presenza. Tali letterine venivano solitamente eliminate con la rifilatura dei fogli.

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III. Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando (cc. 141r-142v). Nel testo del verbale è contenuta anche la prima costituzione programmatica di Teodosio II del 429 d.C., relativa alla compilazione del Codice Teodosiano (CTh. 1.1.5)141 constitutio de constitutionariis (c. 142v). Trattasi di una costituzione di Valentiniano III, emessa a Roma il 23 dicembre del 443 d.C. Theodosiani Codicis epitome visigothica parziale, comprensiva di a) Index titulorum; b) NTh. 1; c) i primi due libri della LRV, di cui il primo integrato IV. Rhythmus in assumptione Mariae virginis (cc. 157v-158r): Inc. Laudes claras canticorum; Expl. Sitos trono glorie. Amen Analizziamo più nel dettaglio gli elementi in cui si presenta articolata la redazione visigotica del Teodosiano: a) Index titulorum (cc. 142v-144r). Esso è relativo ai sedici libri della versione visigotica del Teodosiano, arricchito in più con titoli appartenenti al solo Codice Teodosiano integro. Si può infatti notare che, rispetto all’indice consueto della redazione visigotica, tra la quinta e la sesta rubrica del libro I sono stati aggiunti nove titoli142: questi, con ogni probabilità originariamente presenti nella compilazione costantinopolitana, erano stati verosimilmente soppressi in sede di rielaborazione da parte della cancelleria alariciana, forse in quanto relativi a cariche dell’amministrazione civile e militare che nessun riscontro più avevano nella realtà amministrativa del regno visigoto. Nuove rubriche appaiono essere state inserite anche nei libri VI143 e XVI144. All’interno dell’indice sono osservabili le seguenti particolarità: - è assente l’indicazione del numero di ciascun libro, che avrebbe dovuto essere apposto a cura del miniatore e per il quale il copista aveva lasciato uno ___________ 141 Tale costituzione ci è stata inoltre tramandata, sia pure mutila della parte iniziale, attraverso i cd. Fragmenta Taurinensia a II 2., in cui il testo ha inizio con le parole rei non ex ipsa necessitate: cfr. A. Peyron, Codicis Theodosiani fragmenta inedita cit.; P. Krüger, Codicis Theodosiani Fragmenta Taurinensia (Berolini 1880). 142 Si tratta dei seguenti titoli: De officio praefecti urbis; de officio magistri militum; de officio quaestoris (ms.: quaestorum); de officio magistri officiorum; de officio comitis sacrarum largitionum; de officio comitis rei privatae; de officio proconsulis et legati; de officio comitis orientis; de officio praefecti Augustalis. 143 De senatoria dignitate; de praediis senatorum. 144 De fide catholica; de his qui super religione contendunt; de haereticis; ne sanctum baptisma iteretur; de paganis sacrificiis et templis; de his qui famis tempore sunt collecti; de his qui pro paschali festivitate de carceribus educuntur. Questi ultimi due titoli del libro XVI, a differenza degli altri, non si trovano nel Vat. reg. lat. 886, mentre compaiono anche nel Codex Bodleianus Arch. Seld. B. 16.

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spazio vuoto di due righe tra un gruppo di rubriche e l’altro (spazi che sono rimasti a separare l’uno dall’altro i libri stessi) - dei titoli pertinenti al libro I, i primi 6 sono scritti a partire dalla giustezza, mentre i successivi 16 (di cui i primi 9 relativi al solo Codice Teodosiano integro) sono scritti con un vistoso rientro: questo fenomeno, difficilmente spiegabile, non è riscontrabile in nessun’altra parte dello stesso Index, neanche in corrispondenza di altre integrazioni. E’ assente qualsiasi numerazione dei titoli, che avrebbe dovuto essere anch’essa apposta dal miniatore in posizione laterale, accanto a, e prima di, ciascuna rubrica; sono inoltre assenti le lettere iniziali rubricate a partire dal titolo Ad legem Corneliam (scil. de falso: C.Th. 9.19)145 - nel testo vi sono manifeste ripetizioni (es. libro II, tit. De feriis, scritto due volte di seguito), omissioni e fraintendimenti (es. nel libro V è assente il tit. De postliminio, mentre il tit. De decurionum è erroneamente scritto come De curionu(m) id (est) curialiu(m)). A conclusione dell’indice la frase: Explicinjt tituli : lib’ teodosiani. b) NTh. 1 (cc. 144r-144v), la quale è posta sotto la rubrica De Theodosiani codicis auctoritate. Contrariamente a quanto da taluni affermato146, essa non segue immediatamente i Gesta senatus, dai quali è invece separata dall’Index titulorum. Il testo della Novella, oltre ad occupare una posizione anomala147 (in ___________ 145 Macchinosa e poco convincente è la ricostruzione fornita da Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3092: "Si ha l’impressione che lo scriba nei primi due fogli e nei primi 22 titoli della prima colonna del terzo foglio abbia scritto in colonna i titoli delle rubriche e successivamente abbia in ciascun titolo scritto con inchiostro più denso o con penna diversa in grassetto la prima lettera del titolo. Il medesimo scriba avrebbe, dopo il titolo 22 della prima colonna del terzo foglio, omesso di scrivere in grassetto la prima lettera, continuando a copiare il manoscritto", aggiungendo che "L’anomalia risulta evidente al diretto esame del testo". L’esame diretto del testo consente, al contrario, di distinguere nettamente le professionalità e i contributi del copista da quelli del miniatore, a cui spettava il compito di rubricare le lettere incipitarie: a quest’ultimo soltanto, quindi, sono da attribuire tali omissioni. L’equivoco potrebbe essere stato ingenerato piuttosto dalla visione, da parte dello studioso, di una fotoriproduzione in bianco e nero del manoscritto stesso. 146 Cfr. supra nt. 101. 147 'Anomala' rispetto all’ordine dell’epitome visigotica, nella quale tale costituzione, in quanto emanata dopo il completamento della redazione del Codice, è posta in apertura della raccolta delle Novellae. Nulla di certo può essere invece detto rispetto al Codice Teodosiano integro. Tale posizione è riscontrabile anche in altri due manoscritti: si tratta del Codex Bodleianus Arch. Seld. B. 16 e del Codex Basileensis C III 1, un apografo di più manoscritti realizzato nella prima metà del Cinquecento, attualmente conservato presso la Biblioteca Universitaria di Basilea; per questo aspetto si veda più oltre, p. 266 ss. Cfr. inoltre Mommsen, Proleg. cit., p. LXV ss.; LXXIII ss.; Volterra, La costituzione introduttiva cit., pp. 3094-3103. A proposito della posizione della NTh. 1 nel Codex Bodleianus e di possibili analogie con il Codex Ambrosianus C 29 inf., Mommsen, Proleg. cit., p. LXVI osserva: "Theodosiano anteposita est apud Willelmum

III. La fonte: il Codex Ambrosianus C 29 inf.

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quanto precede il Codice), manca dell’interpretatio. Tale costituzione è qui contenuta all’interno di quello che, nell’Index, figura come il primo titolo del libro I del Codice Teodosiano 148. L’ordine delle rubriche seguito nell’Index è tuttavia fuorviante, poiché nel manoscritto ambrosiano tale costituzione si colloca in effetti materialmente prima del (e fuori dal) libro I della redazione visigotica del Codex. Ciò può evincersi sia dall’ampio spazio che, lasciato in bianco, separa la subscriptio della costituzione di Teodosio II dall’incipit della prima costituzione del titolo De constitutionibus principis et edictis, sia dalla lettera incipitaria più solenne, rubricata e decorata, con la quale ha inizio il testo di detta costituzione. c) Codicis Theodosiani epitome visigothica integrata (cc. 145r-156v). Relativamente ad essa può essere segnalato quanto segue: - tanto i libri quanto le costituzioni non presentano alcuna numerazione - tra la fine del primo e l’inizio del secondo libro è presente un più ampio spazio di tre righe lasciate in bianco - alla fine dell’ultima costituzione del libro I è apposta semplicemente l’indicazione Explicit, scritta in caratteri più grandi I titoli, separati tra loro da una o due righe lasciate in bianco e non completate dal miniatore, non sono contraddistinti da alcuna rubrica149. Le costituzioni si susseguono l’una all’altra e hanno l’iniziale rubricata; analoghe iniziali sono riscontrabili di norma in ciascuna interpretatio, anche se talvolta risultano essere state omesse. Le 79 costituzioni integranti quelle del Breviario sono concentrate nel solo libro I, del quale il manoscritto ha restituito per intero i titoli dal sesto al quindicesimo e le prime sei costituzioni del titolo 16. Integrazioni, sia pure parziali, sono presenti anche nei titoli 4 e 5, sempre del libro I. Il testo manoscritto della Lex Romana Visigothorum è mutilo: la scrittura si arresta in corrispondenza dell’attuale CTh. 2.4.6 (suam proponat et), cui ___________ [scil. il copista del Codex Bodleianus] 'epistola Theodosii minoris de confirmatione legum antiquarum ' , scilicet novellarum Theodosii II prima 'de Theodosiani codicis auctoritate ' …; adhibuit igitur Breviarii codicem similem nostri A [scil. Codex Ambrosianus C 29 inf.]". 148 Precisamente sotto la rubrica De Theodosiani Codicis auctoritate. Per ragioni di ordine cronologico (la Novella è del 15 febbraio 438) deve però escludersi che questo titolo potesse appartenere all’originario indice del Codice Teodosiano. La rubrica è inoltre stranamente identica a quella adottata dai compilatori visigoti nella raccolta delle Novelle di Teodosio. 149 L’unica eccezione è costituita dalla rubrica De omissa actionis impetratione (CTh. 2.3), scritta, con caratteri più grandi e in modo incompleto (De omissa accionis) dallo stesso copista, senza distacco dalla costituzione che la precede.

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seguono tracce di una carta caduta e due carte originariamente lasciate in bianco150. Su di esse una mano posteriore ha quindi vergato una notazione musicale. Quanto al Rhythmus, trattasi di una notazione musicale neumatica, contenente un’annotazione in cui compare la data del 1212, che costituisce, ai fini della datazione del frammento manoscritto in esame, un terminus ante quem. La forma particolare dei neumi e delle loro congiunzioni consente di classificare lo stile di questa notazione musicale come 'aquitano', diffuso nel sud della Francia, in un’area limitata a nord da Cluny e Lyon e ad est da Novalesa (esclusa)151. Il canto, legato alla festa dell’Assunzione della Madonna, si trova ad esempio in alcuni Prosarii ad uso dei Frati Minori contenuti in manoscritti del XIV secolo152.

IV. Alcune considerazioni L’analisi condotta sul nostro manoscritto ha posto in rilievo taluni aspetti che sono stati già in passato oggetto di autonome considerazioni, ma le cui interpretazioni finora avanzate dagli studiosi non sembrano ancora aver condotto a risultati univoci. Non si è riusciti, per esempio, a circoscrivere sufficientemente l’area geografica di origine del manoscritto (rectius: dei fascicoli relativi al Breviarium); ma anche sulla loro datazione sono state espresse opinioni nettamente divergenti tra loro. Così, ancora, non v’è univocità di posizioni quanto alla 'metodologia di lavoro' seguita dal redattore nel realizzare la versione integrata della versione visigotica del Codice Teodosiano. Son proprio questi punti, già rilevanti per la storia del manoscritto, ___________ 150 Tale brusca interruzione aveva suggerito a Hänel, Proleg. a CTh., p. X la possibilità che fosse l’antigrafo ad essere già mutilo: "Equidem auguror librarium, quia ultimo duo folia… vacua reliquit, non plura invenisse in codice, quem describeret, mutilum igitur codicem in manu habuisse". Tracce di incompletezza nella realizzazione del nostro manoscritto sono però costituite anche dalla presenza di carte bianche e dall’assenza delle lettere iniziali rubricate delle ultime rubriche dell’index titulorum, nonché da quella di talune delle lettere iniziali, anch’esse rubricate, che avrebbero dovuto aprire il testo di alcune costituzioni. Inoltre, vi è un’apparente assenza di collazione dell’apografo con l’antigrafo: non vi sono, infatti, tracce di emendazione di pur palesi errori di trascrizione e di distrazione, se non quelle effettuate dallo stesso scriba nel corso della trascrizione stessa. 151 Cfr. D. G. M.a Sunyol O.S.B., Introducció a la paleografia musical gregoriana (Abadia de Montserrat 1925) p. 162 ss. e tavv. B, C. 152 Ad esempio, nel ms. B.N. lat. 1339: cfr. Bibliothèque Nationale, Catalogue général des manuscrits latins I (nn. 1-1438), publié sous la direction de Ph. Lauer (Paris 1939) p. 502 s.

IV. Alcune considerazioni

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che più potrebbero contribuire anche a una ricostruzione storica della diffusione dei testi – in particolare quelli giuridici – ivi contenuti. Ma ancor più interessante, soprattutto ai fini della costituzione critica del testo, può essere l’analisi delle varie tipologie e classi di errori riscontrabili nel testo manoscritto, aspetto a cui non è stata dedicata – salvo qualche eccezione – particolare attenzione da parte degli studiosi, neanche di recente. E tuttavia non può essere dimenticato che il Codex Ambrosianus costituisce, per taluni documenti (e, in particolare, per i Gesta senatus del 438 d.C.), l’unico testimone a disposizione: l’esame delle eventuali corruttele risulta allora operazione imprescindibile ai fini dell’emendazione del testo e restituzione di quello più vicino all’originale, giacché nessuna recensio mediante confronto con altri testimoni può essere condotta. Va aggiunto che la cristallizzazione prodotta dall’edizione mommseniana, certo a motivo del suo valore scientifico complessivo finora insuperato, ha dissuaso gli studiosi dal condurre qualsiasi nuova indagine e ha comportato la aprioristica rinuncia a qualunque tentativo di miglioramento critico, inducendo a sorvolare – o a dare tutt’al più un giudizio di non liquet – su incongruenze che pure emergono con evidenza a un’analisi che sia poco più attenta. Mentre non ci si è soffermati abbastanza sulla considerazione che anche le emendazioni proposte in passato hanno avuto – in misura ora maggiore, ora minore – natura congetturale153, pur se sostenuta dall’autorevolezza di grandi nomi. Troviamo però che l’analisi del manoscritto sopra proposta abbia apportato, per gli aspetti sopra evidenziati, nuovi elementi, utili in certi casi per corroborare alcune ipotesi rispetto ad altre o per formularne di nuove. Restano alcuni problemi, che passiamo a esporre più nel dettaglio. 1. Datazione e origine dei fragmenta milanesi Va anzitutto precisato che, attesa la sua natura di codice composito, appare più corretto, anziché parlare di datazione e origine del Codex Ambrosianus C 29 inf., circoscrivere l’analisi di tali aspetti ai soli fascicoli contenenti il Breviarium. I suoi risultati sono però suscettibili di essere estesi anche ai fascicoli che accolgono le Institutiones, i quali sembrerebbero essere originariamente appartenuti, attese le omogenee caratteristiche fisiche, al medesimo manoscritto. ___________ 153 E, com’è stato autorevolmente osservato, l’emendazione congetturale (divinatio) presenta un grado di rischio maggiore particolarmente nei casi di testimone unico (cfr. Maas, Critica del testo cit., p. 14 ss.).

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Ai fini della determinazione della datazione di un manoscritto si è soliti basarsi anzitutto sull’esame paleografico della scrittura ivi impiegata. Va però considerato che vi sono ulteriori aspetti materiali che possono contribuire a individuare, o anche solo delimitare, l’arco cronologico entro il quale collocare la data di realizzazione di un manoscritto. Il principale punto di partenza per una tale analisi resta però pur sempre la scrittura, in quanto essa può contribuire all’individuazione, oltre che del periodo, anche dell’area geografica ove il codice può aver avuto origine. Come rilevato più sopra, la scrittura adoperata nei frammenti in esame è una minuscola carolina. Non infrequente è però l’impiego della 'd' onciale, che conobbe una nuova diffusione proprio nel XII sec. Poiché però l’uso della carolina si è dispiegato su un arco di più secoli, si pone all’interprete il compito di delimitare il più possibile il periodo in cui l’esemplare manoscritto è stato realizzato. Per il nostro caso, la data del 1212, che appare chiaramente indicata in un’annotazione apposta in un’epoca senza dubbio posteriore alla realizzazione della copia del Breviario, può essere considerata un terminus ante quem. I primi studi condotti da Clossius sul Codex Ambrosianus indussero il giurista a datare, senza manifestare dubbio alcuno, i fascicoli in questione come realizzati intorno alla metà del XII sec.154. Del medesimo avviso furono anche Wenck155, che anzi espressamente approvò l’ipotesi di Clossius, e Patetta156. Più genericamente al XII sec. fa invece riferimento Hänel157, mentre Mommsen è il solo ad anticipare la datazione del manoscritto all’XI sec.158. Tale ultima opinione è rimasta però isolata, in quanto anche in molti tra i cataloghi più recenti si è optato per la datazione più tarda, cioè la metà del XII sec.159. In alcuni di essi il manoscritto è stato addirittura collocato all’inizio del XIII sec.160, forse in quanto ritenuto più vicino alla data di trascrizione del Rhythmus. Come visto più sopra, però, molti sono gli indizi che inducono a continuare a preferire la seconda metà del XII sec. ___________ 154

Clossius, Praef. cit., p. XIX. Wenck, Praef. cit., p. VII. 156 Patetta, Nota sopra alcuni Mss. cit., p. 49; Il Breviario Alariciano in Italia, AG 47 (1891) p. 38; Per la storia del diritto romano nel Medio Evo (Roma 1892) p. 26. 157 Hänel, Proleg. a CTh., p. XI. 158 Mommsen, Proleg. cit., p. LXXXIII. 159 R. Sabbadini, I codici milanesi del De officiis di Cicerone (1907) p. 508; G. Dolezalek, Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600, I (Frankfurt a.M. 1972). 160 M.L. Gengaro / G. Villa Guglielmetti, Inventario dei codici decorati e miniati della Biblioteca Ambrosiana (Secc. VII-XIII) (Firenze 1968) p. 79; R. Cipriani, Codici miniati dell’Ambrosiana (Milano 1968) p. 179; P.O. Kristeller, Iter Italicum I: Italy (Agrigento to Novara) (Leiden 1963) p. 280 (ma in forma dubitativa). 155

IV. Alcune considerazioni

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Quanto al luogo di produzione, accanto alla Francia, già individuata da Hänel come la patria più probabile161, prese consistenza presso vari Autori l’ipotesi che il manoscritto fosse da ricondursi piuttosto all’Italia. Fu soprattutto Patetta, tra i più accesi sostenitori dell’origine italiana del manoscritto162, a criticare apertamente l’ipotesi di Hänel, ironicamente commentando che questi, "al solito", avrebbe scoperto "il ductus litterarum gallicus, per cui pare avesse una debolezza"163. Altri studiosi hanno invece creduto di poter cogliere un utile indizio nell’annotazione che accede alla notazione musicale, ove si fa menzione di una località definita mo(n)t agut, la cui ubicazione, peraltro, nessun Autore è riuscito a individuare con esattezza164. Lo stesso stile dell’incarnazione in cui è espressa la datazione non fornisce un contributo decisivo in questo senso, in quanto detta modalità, come già visto165, appare essere stata in uso sia nella Francia centro-meridionale sia nell’Italia settentrionale e centrale. V’è però da considerare il particolare che l’uso di indicare il giorno attraverso una ricorrenza religiosa appare, tra le due aree geografiche in questione, essere delimitato alla Francia (e comunque all’area transalpina, comprendente anche la Svizzera e la Germania). Va tuttavia sottolineato il fatto che, quand’anche si riuscisse a individuare con precisione tale località e a determinarne l’ubicazione, la stessa, in quanto legata a un’annotazione esterna al testo e apposta successivamente, non potrebbe comunque essere determinante ai fini dell’identificazione del luogo d’origine del manoscritto stesso166, bensì soltanto rivelare un aspetto della sua ___________ 161

Hänel, Proleg. a CTh., p. X nt. 54. Patetta, Nota sopra alcuni Mss. cit., p. 49; Per la storia del diritto romano cit., p. 26; Il Breviario Alariciano cit., p. 31; 38 s. Riferisce l’Autore che la sua interpretazione sarebbe stata avvalorata da quella dell’abate Ceriani, da lui appositamente consultato, il quale non avrebbe però escluso anche una possibile origine provenzale. 163 Patetta, Il Breviario Alariciano cit., p. 38. Non trova riscontri, invece, la contestuale affermazione dell’Autore, secondo la quale "Il Closs, a quanto pare riteneva il ms. di origine italiana", idea che il giurista tedesco sembrerebbe non aver mai chiaramente espresso, quantomeno non nel luogo citato da Patetta. 164 Clossius, Praef. cit., p. XX nt. *: "Montem Agut in Geographis frustra quaesivi", anche se l’Autore propendeva per l’identificazione con Aguntum, "in comitatu Tirolis" o "in ditione olim Venetorum". Hänel, sostenitore del ductus Gallicus, ne deduce che "eum montem in Gallia fuisse et locum significari puto, qui hodie Montaigu dicitur" (Hänel, Proleg. a CTh., p. X nt. 54). Patetta, in polemica, come visto, con Hänel, dichiarava acutamente che "sarebbe vano il voler ricercare dove si trovi il monte agut, ricordato nella nota, ma certo questo nome non può essere invocato a dimostrare la provenienza francese del Ms.", riscontrando infatti l’esistenza di diverse località in Italia definite in modo del tutto analogo (Acutum; Agutianum; Agutianellum e, in generale, Monte Acuto: Patetta, Il Breviario Alariciano cit., p. 38 s.). 165 V. supra p. 56. 166 Il luogo d’origine del manoscritto, cioè quello nel quale lo stesso è stato realizzato, va infatti tenuto distinto dal luogo di provenienza, che è quello dal quale il 162

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

storia: tale indicazione potrebbe difatti ricondurre soltanto a uno dei luoghi ove il codice – oppure i soli fascicoli in esame – è transitato o è stato conservato, o con il quale ha avuto in qualche modo dei rapporti. Troviamo difatti che il Mommsen, anch’egli fautore dell’origine italiana del manoscritto, accortamente rinunciando a servirsi dell’indicazione contenuta nella predetta annotazione, nel cercare di individuare il luogo d’origine si basò piuttosto sull’analisi delle mende contenute nel testo167. Difatti, come visto nella scheda descrittiva del manoscritto, accanto ad alcune particolarità ortografiche, che, a causa della loro diffusione in aree geografiche molto ampie, non potrebbero essere decisive per sostenere un’origine italiana, si è riscontrata la presenza di altri tipi di mutamenti, più sicuramente riconducibili a varianti fonetiche legate alla pronuncia locale, alcune delle quali tipiche, come sembrerebbe, dei dialetti dell’Italia settentrionale: una circostanza che potrebbe avvalorare l’idea dell’illustre studioso tedesco. D’altro canto, però, lo stile aquitano della notazione neumatica testimonia sicuri contatti con la Francia meridionale. Sta di fatto che, in ragione della mancanza di elementi veramente decisivi, l’origine dei discussi fascicoli deve rimanere una questione aperta. 2. Il copista E’ anzitutto emerso, sulla base delle ricognizioni da noi effettuate sul manoscritto, che l’anonimo copista che ha atteso alla riproduzione del testo del Breviario non è la stessa persona che ha eseguito la copia delle Institutiones giustinianee, sulla quale hanno anzi lavorato più mani, tutte apparentemente diverse (tranne, forse, un’unica eccezione) da quella del nostro scriba. E quindi vanno riviste le affermazioni, tutte concordi tra loro, di Clossius168, Wenck169, Baudi di Vesme170, Mommsen171 e Scherillo172, che hanno postulato, come comune tanto alle Institutiones quanto al Breviarium, la presenza di un’unica mano. ___________ codice è pervenuto. La confusione tra questi due concetti potrebbe ingenerare valutazioni e attribuzioni errate. 167 Mommsen, Proleg. cit., p. LXXXIV: "qui locus ubi fuerit… equidem ignoro. De origine codicis cum aliunde non constet, scripturae corruptae… ad Italiam potissimum ducunt". 168 Praef. cit., p. XIX: "Una manus per codicem regnare videtur, etsi litterae modo paulo maiores sint, modo minores". 169 Praef. cit., p. VII. 170 Del Codice Teodosiano cit., p. 71. 171 Proleg. cit., p. LXXXIII. 172 Un manoscritto cit., p. 409.

IV. Alcune considerazioni

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Oltre che per la diversa grafia, il copista del Breviarium è distinguibile da quelli delle Institutiones anche per il diverso utilizzo delle abbreviazioni e notae iuris. Invero, nelle Institutiones sono riscontrabili alcuni tipi di notae di cui il copista del Breviario non fa invece mai uso, mostrando di non conoscerle o, quantomeno, di non essere abituato a servirsene. Ciò vale, ad esempio, per i segni ÷ (est) e 9 (con): di quest’ultimo segno in particolare il copista del Breviario non si è mai servito nelle pur numerose parole – quali, ad esempio, consul o constitutio – contenenti quest’ultimo gruppo di lettere. Per il resto, nel manoscritto è riscontrabile la maggior parte delle abbreviazioni più comunemente in uso nel XII sec. Va altresì confutata l’affermazione del Baudi di Vesme173, secondo cui sarebbero da attribuire al copista del Breviario alcune glosse marginali di commento alle Institutiones, affermazione che lascerebbe intendere che lo scriba sia stato, oltre che l’esecutore materiale della trascrizione, anche il destinatario (o il futuro fruitore) dell’opera stessa, e quindi un esperto o uno studioso di materie giuridiche, o comunque un operatore del diritto. Appare di contro evidente, a seguito di un’osservazione diretta del manoscritto, che la grafia o, meglio, le grafie (almeno quattro diverse) riscontrabili nelle annotazioni non appartengono né ai copisti delle Institutiones né al copista del Breviario, pur essendo verosimilmente coeve, o comunque non troppo distanti nel tempo, rispetto all’epoca in cui la copia è stata realizzata. Quanto alle Institutiones, l’alternanza di più mani diverse nel testo, la pulizia della pagina e della scrittura174, il modulo costante delle lettere e una certa meccanicità nel lavoro di trascrizione lasciano supporre che quest’ultimo sia stato eseguito da scribi 'di professione', anche se non può essere affermato con certezza se questi operassero all’interno di un contesto religioso piuttosto che laico. Poiché le caratteristiche fisiche dei fascicoli contenenti il testo del Breviarium riconducono al medesimo scriptorium, alla stessa conclusione può giungersi anche in relazione a quest’ultimo frammento. 3. Le mende del testo Come in precedenza rilevato, nel testo del Breviarium sono riscontrabili numerosi errori e forme corrotte di cui è possibile distinguere diverse tipologie e/o classi. L’individuazione della loro natura e, per quanto possibile, delle loro ___________ 173

Del Codice Teodosiano cit., p. 71. "Manu… perita et pulchra", come osservato da Mommsen, Proleg. cit., p. LXXXIII, che però attribuisce a questo copista anche le intere Institutiones giustinianee. Diverso il giudizio di Hänel, Proleg. a CTh., p. XI, che parla di "literae minutae, fractae et contortae… nec elegantes". 174

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

cause è operazione preliminare a qualsivoglia tentativo di emendazione finalizzato al ripristino del testo originario175. A ciò non si può rinunciare neanche dopo la pubblicazione di edizioni critiche assunte come capisaldi: studi recentemente condotti dimostrano infatti che anche le congetture dei grandi studiosi sono talvolta suscettibili di miglioramenti176. A seguito di un esame del testo, è emerso che alcuni degli errori presenti nel nostro manoscritto sono riconducibili a forme tipiche dell’epoca in cui esso è stato riprodotto177 e che sono conseguenti all’evoluzione della lingua. Altri errori sembrerebbero dipendere piuttosto dalla pronuncia locale178; altri ancora sono invece qualificabili come particolarità ortografiche comuni, per il Medioevo, alle aree geografiche di lingua romanza179. Oltre a tali mende, riconoscibili senza particolari difficoltà, alcuni studiosi ne hanno censite altre di varia natura180 che più pesantemente hanno inciso sul testo, rendendone talvolta ardua l’emendazione e la ricostituzione. Tali mende consistono prevalentemente in: lacune testuali, anche importanti181; frantumazione di parole originariamente unitarie182 o, al contrario, accorpamento di più ___________ 175 Si veda il larghissimo spazio che la trattazione del tema relativo agli errori del copista occupa, ad esempio, nell’opera di L. Havet, Manuel de critique verbale appliquée aux textes latins (rist. anast. ed. Paris 1911, Roma 1967) e di H. Kantorowicz, Einführung in die Textkritik. Systematische Darstellung der textkritischen Grundsätze für Philologen und Juristen (Leipzig 1921) p. 29 ss., di recente tradotto in italiano: L. Atzeri / P. Mari (a cura di), H. Kantorowicz. Introduzione alla critica del testo. Esposizione sistematica dei principi della critica del testo per filologi e giuristi (Roma 2007). 176 Mi riferisco, ad esempio, a una proposta di emendazione di un passo dei Gesta senatus avanzata dalla filologa Davidson, che ha confutato una poco comprensibile congettura di Mommsen, offrendo una diversa e più convincente soluzione (T.S. Davidson, A problem of senate procedure in the Late Roman Empire, AJPh 67/2 (1946) pp. 168-183). 177 Questo 'processo di modernizzazione' dell’ortografia originaria è, come avvertono i filologi, un fenomeno assolutamente comune, non necessariamente "opera conscia di un amanuense" (G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo [Firenze 1988, rist. anast. della 2ª ed. Firenze 1952] p. 17 nt. 2). 178 Non va dimenticato che il lavoro di trascrizione poteva essere eseguito anche sotto dettatura, anziché mediante visione diretta dell’antigrafo da parte dello scriba. 179 Sui quali più ampiamente supra, p. 49 s. 180 Un’accurata analisi di questo aspetto è stata condotta da Davidson, A problem cit., passim e in particolare pp. 176-179, con le relative note, dalle quali sono stati tratti gli esempi riportati nelle note che seguono. 181 Particolarmente evidenti, ad esempio, da un raffronto tra il testo delle costituzioni tratte dal Codice Teodosiano integro e quello delle costituzioni corrispondenti, tràdite attraverso i Frag. Taur. a II 2, il cui testo è in genere riconosciuto come più affidabile. 182 E’ il caso, ad esempio, della parola sedecim, trasformata nell’incomprensibile sub de cim (Gesta 2). Questo tipo di corruzione può essere conseguente al passaggio dalla scriptio continua alla separazione delle parole, oppure essere stata determinata dal frazionamento di una parola conseguente all’inizio di una nuova riga o pagina.

IV. Alcune considerazioni

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parole distinte sì da formarne una sola183; modifiche derivanti da un’errata interpretazione della grafia dell’antigrafo, oppure conseguenti ad un errato scioglimento – frutto di un’altrettanto errata interpretazione – di abbreviazioni, effettive o presunte tali184. Inoltre, così come la maggior parte dei manoscritti, anche il nostro non è privo di errori di distrazione attribuibili allo scriba, e ravvisabili nell’omissione o, al contrario, ripetizione di lettere o sillabe185, parole, frasi. Talvolta il copista appare essersene avveduto, rimediandovi nel corso stesso della trascrizione, ma generando spesso altri e diversi errori186. Più in generale, però, sembrerebbe che questa copia non sia stata collazionata con il suo antigrafo, forse per le stesse cause che hanno determinato l’intravista brusca interruzione del lavoro di trascrizione: le poche correzioni rinvenibili sono difatti da ascriversi, oltre che, come detto, allo stesso copista, a mani posteriori che si sarebbero limitate a correggere gli errori evidenti di per sé, siccome rilevabili, in mancanza di un confronto testuale, anche dalla sola lettura del testo. L’analisi di questo aspetto non consente di ricondurre con sicurezza al nostro scriba la 'paternità' di tutti gli errori presenti nei frammenti oggetto di studio, errori che ben potevano essere già presenti (in tutto o in parte) nell’antigrafo. Nemmeno si può escludere una stratificazione di tali errori nel corso della tradizione testuale: l’ambiente 'professionale' nel quale la nostra copia sembrerebbe essere stata realizzata lascia supporre una scarsa autonomia dello scriba nella manipolazione del testo da riprodurre, testo al quale, anzi, la copia avrebbe dovuto attenersi il più fedelmente possibile. Poiché, nel complesso, si può notare una certa meccanicità nell’operazione di trascrizione, ciò induce a ipotizzare che la particolare redazione 'integrata' del Breviario non sia da attribuire al nostro amanuense, ma debba essere piuttosto fatta risalire già all’archetipo, non sappiamo di quanto anteriore. Tornando alle mende del manoscritto, particolarmente interessanti appaiono quelle modifiche del testo consistenti in tentativi di 'correzione' che si rivelano essere più propriamente dei 'rabberciamenti' (manifestamente frutto di congetture) derivanti da un’errata interpretazione di sigle e abbreviazioni. E’ ___________ 183 Come, ad es., largitinominibus al posto di largitionum in omnibus (CTh. 1.10.3), che presenta in più il fraintendimento di un’abbreviazione. 184 Sui volontari 'tentativi di emendazione' quali possibile causa della genesi di errori si veda ancora Kantorowicz, Einführung cit., p. 31 ss. (Atzeri/Mari, H. Kantorowicz. Introduzione alla critica del testo cit., p. 51). 185 Ad es. sciencienciam, in CTh. 1.5.1. In taluni casi, tuttavia, anche l’omissione di singole lettere (o di gruppi di esse) è riconducibile a una difficoltà nella comprensione della scrittura dell’antigrafo. Questa tipologia di errore è molto frequente nel nostro manoscritto. 186 In riferimento a questi casi osserva Mommsen, Proleg. cit., p. LXXXV, che il "librarius quae scripserat ipse emendans non uno loco… tradita corrupit".

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

infatti possibile cogliere uno sforzo diffuso (ma non si saprebbe dire da chi sia stato compiuto, né quando) di rendere per esteso le parole celate dietro tali abbreviazioni, talvolta con risultati sconcertanti: ciò a dimostrazione del fatto che vi è stato un momento, nel corso della tradizione testuale dell’opera, in cui le numerose note, sigle e abbreviazioni presenti originariamente nel testo dovevano riuscire ormai incomprensibili187. E’ il caso di alcune abbreviazioni, soprattutto per contrazione o per sigle, quali ad esempio vc. o uc. (= vir clarissimus), talvolta sciolte erroneamente con le parole vicarius e vicarum o con la nuova e inopportuna abbreviazione vicr188. Anche le abbreviazioni usate per contrarre il titolo di praefectus praetorio sono state variamente (ed erroneamente) rese come ppsito189, pampeio190 o popetum191. Da un’abbreviazione di nostrae sembrano derivare le parole nam e192, del tutto prive di significato nel contesto in cui si trovano inserite. A questo erroneo ripristino sono state sottoposte anche alcune parole le cui terminazioni dovevano presentarsi come abbreviate per troncamento, cioè mediante omissione di una o più lettere terminali, denunciata da apposito segno: ne costituisce un esempio l’erroneo largiter, inserito al posto del corretto largitionum e che deriva dall’estensione di una probabile originaria forma abbreviata largit’193. Questo tipo di errore appare più frequentemente nelle terminazioni dei verbi, restituiti nel nostro testo in forma estesa, dove però le forme singolari e plurali vengono spesso scambiate; nonché nella terminazione dei sostantivi, dove è riscontrabile una certa confusione tra i casi194. Non privo di interesse è anche il caso dello scambio di lettere: piuttosto di frequente vengono scambiate la c per la t195 e la u per la a (e viceversa: ad es. tornicularius per cornicularius196; cuciane per tatiane197; solititudinis per ___________ 187 In questo senso anche Davidson, A problem cit., p. 177 nt. 20. Il fenomeno, abbastanza risalente, è piuttosto diffuso soprattutto nei testi giuridici, nei quali abbondava la presenza di notae iuris: cfr. a questo proposito P. Krüger, Ueber die Einwirkung der 'Notae iuris' auf fehlerhafte Ueberlieferung der Juristenschriften, in Mélanges Girard II (Paris 1912) pp. 35-42. 188 Gesta 1. 189 CTh. 1.5.14. 190 CTh. 1.6.10; 1.20.1. 191 CTh. 1.10.1. 192 CTh. 1.1.5. 193 CTh. 1.10.4. 194 Esempi in Davidson, A problem cit., p. 177 nt. 20. 195 Lo scambio tra il gruppo ci e ti seguito da vocale può essere stato, però, determinato (come visto più sopra) anche da ragioni fonetiche, fenomeno che suggerirebbe ancora una volta la pratica della dettatura. 196 CTh. 1.5.11; 1.15.11, anche se in tal caso l’errore è da attribuire piuttosto al miniatore.

IV. Alcune considerazioni

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solicitudinis198), mentre il gruppo di lettere cl viene talvolta scambiato per d: tutto ciò lascerebbe supporre che, in una fase non identificabile della tradizione testuale, questo documento sia stato redatto in una scrittura in cui le lettere appena esaminate dovevano avere un tratto molto simile tra loro e facilmente confondibile, il che lascia supporre che si trattasse di una scrittura minuscola caratterizzata da elementi corsivi199. Si può osservare che gli errori dianzi esaminati ricorrono più frequentemente nelle parti apparentemente tratte dal Codice Teodosiano integro: è quindi probabile che proprio il frammento della codificazione utilizzato per integrare il Breviario abbia creato maggiori difficoltà allo scriba-interprete, in quanto forse contenente numerose abbreviazioni; oppure è possibile che esso si presentasse già particolarmente ricco di mende200. Ciò porterebbe a escludere che, come invece da taluni ipotizzato, il frammento del Codex Theodosianus utilizzato per integrare il Breviario e realizzarne così una versione ampliata fosse addirittura uno degli esemplari ufficiali realizzati dai constitutionarii201, atteso il divieto, gravante (come si vedrà più avanti) su questi ultimi, di realizzare tali copie mediante l’uso di notae iuris e, al contempo, l’obbligo di scrivere l’intero testo per esteso, evitando qualsiasi uso di note tachigrafiche e di abbreviazioni di sorta. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che la scrittura adoperata nelle copie ufficiali doveva essere, con ogni probabilità, un’onciale202, mentre il nostro manoscritto sembrerebbe derivare, come detto, da un esemplare redatto in una scrittura con elementi corsivi203. ___________ 197

CTh. 1.15.13. CTh. 1.6.5. 199 Questo aspetto era stato già acutamente notato e segnalato dal Baudi di Vesme, il quale ne deduceva che l’antigrafo dovesse risalire al IX sec. ca. (C. Baudi di Vesme, In difficiliora duo loca e fragmentis Codicis Theodosiani a Clossio repertis coniecturae criticae, Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Fasc. II [1840] p. 20 e nt. 30). 200 Questa parrebbe essere anche l’opinione di Hänel, Proleg. a CTh., p. X. 201 Come ha sostenuto ad esempio Wenck, Praef. cit., p. VII: "Quippe quum praeter Breviarium, e quo Codicem Theodosianum, una cum interpretatione Gothica describebat, ad manus illi esset Theodosiani Codicis genuini exemplum, ante plura secula Romae scriptum, et publica fide munitum". Più correttamente, si può dire che da una tale copia 'autenticata' il frammento utilizzato dovesse discendere. 202 L’onciale, una delle scritture librarie in uso dal IV all’VIII sec. d.C., sembra essere stata formalmente adottata – forse nella sua tipizzazione definita 'B-R', come già messo in evidenza da E.A. Lowe, Greek symptoms in a Sixth-Century Manuscript of St. Augustine and in a Group of Latin Legal Manuscripts, Didascaliae. Studies in honor of Anselm M. Albareda (New York 1961) pp. 277-289 (ora anche in Palaeographical Papers. 1907-1965, II [Oxford 1972] pp. 466-474) –, quale scrittura ufficiale delle compilazioni normative imperiali dei secoli V e VI d.C., come sembrerebbero testimoniare, ad es., da un lato, i frammenti corsiniani e zurighesi del Codice Teodosiano (cfr. M. Caravale, Frammenti del 'Codex Theodosianus' conservati presso la 198

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

4. L’attività di integrazione della redazione visigotica del Teodosiano Ci si è interrogati da più parti sulla natura particolare dell’opera che si presenta ai nostri occhi, e che si pone, per così dire, a metà tra la Lex Romana Visigothorum e il Codex Theodosianus. L’attenzione è stata rivolta in particolare alle modalità di realizzazione di siffatto testo contaminato, nonché alle possibili ragioni che hanno spinto a dar vita a questo ibrido. Già Clossius aveva cercato di dare una spiegazione di questo strano modo di procedere, ipotizzando che lo scriba avesse dinanzi a sé sia un manoscritto contenente il Codice Teodosiano integro204, sia uno contenente la Lex Romana Visigothorum, e che riproducesse principalmente la seconda con l’aggiunta, però, di integrazioni tratte dal primo205. Wenck, aderendo a tale ipotesi, aggiunse che quella utilizzata dovesse essere addirittura una copia 'autenticata' del Codice Teodosiano integro, scritta a Roma e munita di publica fides206. Concordano con l’interpretazione di Clossius anche Hänel207 e Mommsen208. L’ipotesi è stata più di recente accolta da Scherillo, il quale però ritiene – a nostro avviso correttamente – che tale procedura fosse stata già seguita in sede di realizzazione dell’archetipo, e che quindi il nostro esemplare sia stato copiato da un antigrafo che si presentava già in questa forma 'integrata'209. Di ___________ Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e presso lo “Staatsarchiv” di Zurigo, in Ivris Vincvla. Studi in onore di Mario Talamanca I [Napoli 2001] pp. 433-487), i Fragmenta Taurinensia a II 2 (cfr. Lowe, CLA IV n. 440) e il frammento contenuto in P. Lond. 2485 (CLA II n. 211), anch’essi relativi al Codice Teodosiano; dall’altro, la cd. littera Florentina delle Pandette. Sui rapporti tra scrittura e libri di diritto in età tardoantica vanno segnalati i seguenti studi: G. Cavallo / F. Magistrale, Libri e scritture del diritto nell’età di Giustiniano, Index 15 (1987) pp. 97-110; G. Cavallo, Libro e pubblico alla fine del mondo antico, in Id. (a cura di), Libri, editori e pubblico nel mondo antico3 (Bari-Roma 2002) pp. 81-132 e spec. pp. 126-130; B. Breveglieri, Le Pandette fiorentine e i papiri giuridici. Nota paleografica, in Atti dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Cl. di Sc. mor. Rendiconti 69 (1980-1981) p. 181 ss. Si vedano, inoltre, le considerazioni di G. Nicolaj, Ambiti di copia e copisti di codici giuridici in Italia (secoli V-XII in.), A Ennio Cortese II (Roma 2001) pp. 478-496 e specialmente pp. 479-481 [consultato in estratto], nonché, da ultimo, le osservazioni di Mari, L’armario (1999) cit., p. 53 s.; L’armario (2005) cit., p. 234 ss. 203 Ipotizzabile pertanto anche una semionciale, che godette anch’essa di largo uso nella tradizione manoscritta delle opere giuridiche, come testimonia, ad es., il ms. Vat. reg. lat. 886. 204 Quantomeno il primo volume, ipotizzando che l’opera fosse divisa in due volumi, come il Vat. reg. lat. 886 sembrerebbe suggerire. 205 Clossius, Praef. cit., p. XXVI; XXVIII. 206 Wenck, Praef. cit., p. VII. 207 Proleg. cit., p. X. 208 Proleg. cit., p. LXXXIV. 209 Scherillo, Un manoscritto cit., pp. 409-410. Ma in questo senso si era già espresso Hänel, Proleg. a CTh., p. X.

IV. Alcune considerazioni

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opinione in parte diversa è Volterra, il quale, senza addurre particolari motivazioni, inverte il rapporto tra le due opere, sostenendo che "il redattore riproduceva il testo del Codice Teodosiano servendosi di un manoscritto del Teodosiano integro e per talune costituzioni di un manoscritto del Breviario"210. Quest’ultima opinione non sembra però condivisibile, e anzi, in accoglimento di quella dominante, sembra più corretto dire che sia stato il testo della Lex Romana Visigothorum ad essere contaminato con quello del Codice Teodosiano integro, e non viceversa. Cosa può aver spinto alla realizzazione di una siffatta opera, e per quale motivo le integrazioni interessarono soltanto alcune parti del Breviario, per di più quelle più obsolete? Molti studiosi si sono posti questa domanda, soprattutto in considerazione del fatto che non tutte le costituzioni del Teodosiano assenti dal Breviario sono state inserite in questa versione ampliata211 e che, in ogni caso, l’opera di integrazione sembra arrestarsi all’attuale CTh. 1.16.5, ben prima cioè della brusca interruzione della trascrizione dell’esemplare pervenutoci212. Secondo Scherillo, la ragione di ciò "è cosa che non sappiamo e non sapremo probabilmente mai"213. Ma già Mommsen aveva avanzato l’ipotesi che le integrazioni fossero state tratte "ex Theodosiani integri exemplari imperfecto finiente fortasse 1,16,5"214. E di incompletezza aveva ancor prima parlato Hänel, anche se solo a proposito della brusca interruzione dell’opera di trascrizione: lo studioso riteneva infatti che il nostro scriba avesse tratto la sua copia da un antigrafo a sua volta mutilo, ipotizzando che quest’ultimo contenesse già una versione integrata del Breviario215. Tuttavia, non è necessario ricorrere all’ipotesi di un antigrafo mutilo solo per giustificare l’incompletezza della ___________ 210

Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3091. Come risulta da un confronto tra il testo contenuto nel Codex Ambrosianus C 29 inf e quello, certamente relativo al Codice Teodosiano integro, pervenutoci attraverso i Fragmenta Taurinensia a II 2, che hanno consentito di venire a conoscenza di ulteriori costituzioni del libro I assenti sia nel Breviario che nel manoscritto milanese. 212 La quale, lo ricordiamo, si arresta in corrispondenza dell’attuale C.Th. 2.4.6. 213 Scherillo, Un manoscritto cit., p. 410. Alla medesima conclusione era già giunto Wenck, Praef. cit., p. IX: "Quae autem caussae fuerint, quod librarius alios titulos supplementis ornaret, alios intactos relinqueret, iis etiam quos supplet titulis… non cunctas quae desunt, sed quasdam constitutiones adderet, denique quod inchoatum opus tam mature derelinqueret, nemo facile divinarit", seguito quasi pedissequamente da Hänel, Proleg. a CTh., p. X. 214 Mommsen, Proleg. cit., p. LXXXIV. 215 Hänel, Proleg. a CTh., p. X: "Equidem auguror librarium, quia ultimo duo folia… vacua reliquit, non plura invenisse in codice, quem describeret, mutilum igitur codicem in manu habuisse. Quod si ita est, non ex authentico aut veteri ipsius Codicis Theodosiani exemplo constitutiones in Breviario omissas recepit, sed ex Breviarii Alariciani aliquo exemplo, in quod aliunde translatae erant, unde fortasse orta est magna mendorum copia, quibus codex contaminatur". 211

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Capitolo primo: Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta senatus

trascrizione: dall’analisi del manoscritto sono emerse ulteriori tracce (mancanza della segnatura di fascicolo; assenza di molte parti rubricate, mancanza della collazione con l’antigrafo, oltre che, naturalmente, la brusca interruzione rivelata dalle carte rimaste bianche) che inducono a pensare piuttosto al verificarsi di una situazione contingente che abbia impedito allo scriba di attendere ulteriormente al suo lavoro; impedimento il cui protrarsi deve averlo indotto ad abbandonare del tutto l’opera intrapresa. Ciò che resta difficile da giustificare è, piuttosto, l’apparente illogicità con cui sarebbe stato effettuato il lavoro di integrazione, che è stato condotto in modo parziale, inserendo talune costituzioni ma non altre ed arrestandosi al libro primo, senza proseguire oltre. Non è possibile pensare a una selezione razionale del materiale da inserire a scopo integrativo, in quanto basata su un criterio di utilità: le costituzioni inserite non potevano difatti avere alcun valore attuale, in quanto riguardavano per lo più, come già detto, uffici tipici dell’apparato amministrativo dell’impero romano nel V sec. d.C. Di fatto sembra però risvegliarsi, in età altomedievale, un rinnovato interesse nei confronti della silloge teodosiana in quanto lex Romana216: non va dimenticato che il cd. 'rinascimento giuridico' – e in particolare quello italiano – dei secc. XI-XII non si è esaurito nella riscoperta del diritto romano, ma ha significato anche, più in generale, "ritorno e ricerca di leggi e di codici"217. Un tentativo di spiegazione delle ragioni contingenti che possono aver indotto ad effettuare un tale lavoro di integrazione può prendere le mosse da un’osservazione di Mommsen: il testo del Codice Teodosiano integro utilizzato per integrare il Breviario poteva forse essere già mutilo, lacunoso e in cattive condizioni, circostanza che potrebbe spiegare certi apparenti 'salti' testuali e avvalorare l’ipotesi della possibile mancanza di elementi, la cui presenza originaria è suggerita a volte dal contesto testuale, oltre che dal confronto con altri testi pervenutici. La stessa scelta di non riprodurre autonomamente il solo testo del Codice Teodosiano integro, ma di 'recuperarne' soltanto quegli elementi che si presentavano come nuovi rispetto ai testi già conosciuti per essere stati trasfusi nel Breviario Alariciano, potrebbe deporre, da un lato, per la parzialità del primo testo, in quanto tale inidoneo a costituire oggetto di un volume autono ___________ 216 Va tuttavia sottolineato che, a differenza delle adiacenti Institutiones giustinianee, il testo del Breviario nel Codex Ambrosianus non è minimamente commentato né annotato, se non sporadicamente. Sull’uso del Codice Teodosiano e del Breviario Alariciano in età medievale si vedano v. Wretschko, De usu Breviarii cit., p. CCCVII ss.; I. Wood, The Code in Merovingian Gaul, in J. Harries / I. Wood (edd.), The Theodosian Code (London 1993) pp. 161-177; D. Walters, From Benedict to Gratian: the Code in medieval ecclesiastical authors, in Harries/Wood, The Theodosian Code cit., pp. 200-216. 217 Nicolaj, Ambiti di copia cit., p. 489.

IV. Alcune considerazioni

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mo; dall’altro, per la precarietà delle sue condizioni materiali, cosa che potrebbe aver impedito di conservare più a lungo i fascicoli originari. Anche l’assenza dall’esemplare auctum di talune costituzioni, che pure avrebbero potuto anch’esse concorrere a integrare il Breviario, potrebbe spiegarsi proprio con la possibile lacunosità di tali fascicoli (dovuta, ad esempio, a caduta di carte, oppure a un forte deterioramento della pergamena, o ancora a una scrittura in talune parti corrosa o sbiadita e, quindi, illeggibile). L’autore di tale integrazione potrebbe non aver compiuto, quindi, nessuna scelta ideologico-pratica, né tantomeno utilitaristica, nel selezionare il materiale di cui servirsi per integrare il Breviario (che appariva essere la sede più adatta per conservare tali documenti), ma essere stato più semplicemente necessitato da una situazione contingente218.

___________ 218 A questo proposito Mommsen, Proleg. cit., p. LXXXIV, non si è sentito di escludere nessuna ipotesi, sostenendo che il copista "Praeteriisse… quaedam sive consilio sive casu".

Capitolo secondo

I gesta senatus: formazione e struttura I. Redazione, conservazione ed editio dei gesta senatus I Gesta senatus restituiti dal Codex Ambrosianus appaiono essere la copia di un verbale redatto in occasione della seduta del senato di Roma probabilmente convocata e certamente presieduta, nel 438 d.C., dal prefetto del pretorio per l’Italia e l’Africa, Anicius Acilius Glabrio Faustus. Scopo della convocazione fu quello di presentare1 ufficialmente e solennemente in Occidente, dinanzi all’assemblea che formalmente rappresentava più di ogni altro organo la continuità della tradizione romana, la prima raccolta ufficiale di costituzioni imperiali realizzata in Oriente dalla cancelleria di Teodosio II, per volere e su progetto dello stesso imperatore. Questo documento è riconosciuto da tutti gli studiosi essere l’unico esempio di verbale senatorio pervenuto sino a noi in forma pressoché integrale e per via diretta, cioè in quanto non recepito – né quindi rielaborato – all’interno di altre fonti. Ma è in particolare l’oggetto della seduta documentata nel verbale a rendere questa fonte ancora più preziosa, poiché in essa sono testimoniate, in parte direttamente, in parte indirettamente, alcuni dei momenti più importanti della storia del Codice Teodosiano: quello della sua diffusione, a partire dalla solenne consegna, effettuata dallo stesso sovrano, di un esemplare ai prefetti del pretorio d’Oriente e d’Italia, e quello della sua presentazione al senato romano, circostanza che, a giudizio dei più, ne implicava l’adozione ufficiale quale fonte normativa anche per i territori della pars Occidentis. Prima ancora di procedere all’analisi esegetica del verbale, al fine di poter meglio cogliere il significato non solo del suo contenuto, e cioè degli avvenimenti che si svolsero dinanzi all’assemblea senatoria, così come testimoniati nel documento, ma anche degli aspetti formali, sembra opportuno premettere alcune considerazioni generali sulla formazione e conservazione degli atti del senato, e in particolare dei verbali delle sue sedute. Si passerà poi ___________ 1 Per il momento si preferisce adoperare il termine più generico di 'presentazione' anziché quello di 'pubblicazione', contenuto nella definizione mommseniana di questo documento, rinviando al successivo cap. 4 l’esame dell’oggetto della seduta senatoria.

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Capitolo secondo: I gesta senatus: formazione e struttura

a delineare una possibile struttura formale di quest’ultimo tipo di documenti, procedendo a un tentativo di ricostruzione mediante l’uso di fonti che presentano una qualche analogia con essi. 1. Gli uffici competenti Per quanto riguarda più in generale gli atti del senato2, è noto dalle fonti che per lungo tempo era stata prevista la conservazione ufficiale dei soli testi dei senatoconsulti: per l’età repubblicana il loro deposito, eseguito dai quaestores presso l’aerarium, sito nel tempio di Saturno, ne costituiva anzi requisito di validità, consentendo al tempo stesso a chiunque vi fosse interessato di prenderne visione e di farne estrarre copia. Nessuna forma di divulgazione ufficiale era invece prevista per i verbali (definiti nelle fonti ora come acta senatus, ora come gesta senatus)3 che documentavano lo svolgimento delle riunioni senatorie: tali atti, trascritti da scribae su tabulae publicae, venivano conservati soltanto mediante il loro inserimento nei commentarii dei consoli in carica al tempo in cui la seduta aveva avuto luogo. Le fonti riferiscono però che, intorno alla metà del I sec. a.C., Cesare avrebbe introdotto a questo proposito un’innovazione4, disponendo che anche i verbali senatori, al pari dei senatoconsulti, dovessero sottostare a una forma di pubblicità. Era difatti di pochi anni anteriore il precedente creato da Cicerone, il quale, durante la repressione della congiura ordita da Catilina, aveva provveduto di propria iniziativa, al fine di ben disporre l’opinione pubblica nei confronti del suo operato, a rendere pubblici i verbali di quelle sedute del senato durante le quali gli Allobrogi avevano deposto la loro testimonianza ___________ 2 Sugli acta senatus si vedano De Ruggiero, s.v. acta senatus, in Dizionario epigrafico di antichità romane I (Roma 1961) pp. 45-48; Kubitschek, s.v. acta 2) e 4): Acta senatus, PWRE I,1, coll. 286-290; O’Brien Moore, s.v. senatus, PWRE, Suppl. VI, coll. 770 s.; G. Humbert, s.v. acta senatus, in Ch. Daremberg / E. Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines I, p. 51 s.; L. Wenger, Die Quellen des römischen Rechts (Wien 1953) pp. 388-390. Cfr. anche Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht III.2 (Leipzig 1888, rist. Graz 1953) pp. 1017-1021; R.J.A. Talbert, The Senate of Imperial Rome (Princeton, New Jersey, 1984) pp. 308-337; A. Stein, Die Stenographie im römischen Senat, Arch. Sten. 56 (1905) pp. 177-186. 3 Gli acta senatus sono definiti da Tacito anche commentarii senatus (Tac., Ann. 15.74.3); non è possibile però stabilire con certezza se questa espressione sia stata impiegata dallo storico in senso tecnico (cfr. Th. Mommsen, Das Verhältnis des Tacitus zu den Acten des Senats, in Gesammelte Schriften VII, pp. 253-263). Sul passaggio dal termine acta al termine gesta e sul significato di quest’ultimo in relazione ai documenti pubblici, nonché sul processo di formazione di tali documenti, v. A. Steinwenter, Beiträge zum öffentlichen Urkundenwesen der Römer (Graz 1915) pp. 6-8; 12. 4 Secondo Svetonio, Cesare primus omnium instituit ut tam senatus quam populi diurna acta confierent et publicarentur (Svet., Caes. 20).

I. Redazione, conservazione ed editio dei gesta senatus

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contro i congiurati5. La misura cesariana, adottata sulla scia di questa nuova esigenza di 'trasparenza', consentì in realtà l’esercizio di una forma di controllo esterno sull’attività dei senatori, esponendo così questi ultimi a possibili pressioni da parte dell’opinione pubblica, a cui si trovavano ora a dover rendere conto delle proprie posizioni6. Ma già Augusto, che aveva inaugurato una politica di restaurazione (sebbene solo formale) della dignità senatoria, avrebbe abrogato quella disposizione cesariana7, facendo venir meno l’obbligatorietà della pubblicità per i verbali delle sedute senatorie8. La ridonata libertà fu però solo apparente: per poter egli stesso controllare efficacemente l’attività senatoria, l’imperatore pose difatti, al tempo stesso, a capo dell’ufficio preposto alla redazione e conservazione degli atti del senato9 un proprio rappresentante, che venne dapprima definito curator actorum senatus10, mentre successivamente, a partire da Traiano, prese il nome di ab actis11. Accanto a tali misure, venne altresì

___________ 5

Cic., Cat. 3.4 ss. Secondo l’opinione più diffusa, la misura cesariana avrebbe avuto come vero scopo la diminuzione del prestigio del senato (cfr. Humbert, s.v. acta senatus cit., p. 51). Inoltre, ad avviso della Coudry, un altro degli scopi di tale riforma dovette essere probabilmente anche quello di rendere non più possibile la reiterazione di forme di ostruzionismo esercitate verso determinati provvedimenti da parte di alcuni membri del senato, i quali, una volta chiesta la parola, proseguivano ad oltranza, impedendo che si giungesse alla votazione finale (M. Coudry, Sénatus-consultes et 'acta senatus': rédaction, conservation et archivage des documents émanants du sénat, de l’époque de César à celle des Sévères, in La mémoire perdue. A la recherche des archives oubliées, publiques et privées, de la Rome antique, publications de la Sorbonne [1994] pp. 83-85). 7 Svet., Aug. 36: Auctor et aliarum rerum fuit, in quis: ne acta senatus publicarentur. 8 Ciò non toglie che il senato stesso potesse decidere di far pubblicare, negli acta populi o anche, ad esempio, mediante incisione su lastre di bronzo, alcuni stralci di questi verbali, quelli cioè contenenti quei passaggi che si voleva portare a conoscenza del popolo (cfr. Plin., Paneg. 75.1-2). 9 Già sotto Tiberio anche gli stessi senatusconsulta venivano redatti da un funzionario imperiale, il quaestor Augusti, come testimoniato, ad esempio, dall’iscrizione epigrafica contenente il SC.tum de Cn. Pisone patre, nella cui subscriptio compare la seguente dichiarazione, originariamente di pugno dell’imperatore: h(oc) s(enatus) c(onsultum)… scriptum manu Auli q(uaestoris) mei in tabellis XIIII (cfr. W. Eck / A. Caballos / F. Fernández, Das senatus consultum de Cn. Pisone patre [München 1996] p. 50). 10 La menzione più antica di questo nuovo ufficio risale al 29 d.C. (Tac., Ann. 5.4). Ciò ha indotto taluni a pensare che detta riforma debba essere attribuita piuttosto a Tiberio (cfr. Talbert, The senate cit., p. 310). 11 Vari furono i titoli che questo funzionario assunse nel tempo: essi si trovano documentati soprattutto in fonti epigrafiche (v. De Ruggiero, s.v. acta senatus cit., p. 46). Un elenco prosopografico in Talbert, The Senate cit., pp. 334-337, e Coudry, Sénatus-consultes cit., pp. 95-102. 6

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Capitolo secondo: I gesta senatus: formazione e struttura

disposto che gli acta senatus dovessero formare oggetto di periodici invii al princeps12. Il curator actorum (o ab actis) era solitamente un uomo di fiducia dell’imperatore, scelto in un primo tempo tra coloro che si stavano avviando alla carriera senatoria, poi tra i giovani senatori stessi. Tant’è che, in seguito, il corrispondente ufficio venne annoverato tra le magistrature minori, risultando ricoperto, nel II sec. d.C., da soggetti che, avendo in passato gerito la questura, avevano acquisito già dimestichezza con le procedure di archiviazione. A partire dal IV sec. d.C., a seguito della riforma dell’amministrazione dell’impero realizzata da Costantino, il senato di Roma si troverà ad avere quale principale interlocutore istituzionale il praefectus urbi13. Questo funzionario di nomina imperiale, divenuto il più alto magistrato residente in modo stabile a Roma, venne così a rappresentare l’unico intermediario ufficiale tra il senato e l’imperatore14. Al praefectus urbi venne affidato, tra gli altri, il compito di convocare e presiedere le sedute del senato e di rappresentarne presso l’imperatore interessi e richieste, all’occorrenza ponendosi alla guida di quelle delegazioni senatorie che l’amplissimus ordo avesse ritenuto opportuno inviare a corte, onde avanzare in modo diretto al sovrano le istanze che più stavano a cuore alla classe senatoria15. Lo stesso magistrato doveva inoltre provvedere a inviare alla cancelleria palatina, e in particolare al magister officiorum, periodici rapporti sull’attività del senato, contenenti in allegato anche gli atti e le decisioni da quest’ultimo

___________ 12 Che gli imperatori venissero portati a conoscenza di tali atti emerge, ad esempio, da Svet., Tib. 73: Interim [Tiberius] cum in actis senatus legisset, dimissos ac ne auditos quidem quosdam reos…. 13 Lo studio maggiormente rilevante dedicato alla prefettura urbana nell’età del Dominato rimane quello di A. Chastagnol, La préfecture urbaine à Rome sous le BasEmpire (Paris 1960). Sui rapporti tra il praefectus urbi e il senato di Roma si vedano in particolare pp. 66-78. 14 Sulla prefettura urbana quale "tramite naturale tra la curia dell’Urbe… e il potere centrale", v. anche D. Vera, Commento storico alle 'relationes' di Quinto Aurelio Simmaco (Pisa 1981) pp. XLIII-XLVI. 15 Un esempio nella Relatio 3 di Simmaco, praefectus urbi dalla tarda primavera del 384 fino all’inizio del 385 d.C. (cfr. PLRE I, Symmachus 4, pp. 865-871). Essa consente di seguire le vicende relative alla protesta dei senatori romani contro l’ordine, impartito dall’imperatore Graziano, di rimozione dell’Ara della Vittoria dalla Curia, dove era stata posta da Augusto dopo la battaglia di Azio. Fu lo stesso Simmaco a guidare le delegazioni che il senato di Roma, nel quale la componente non cristiana era ancora influente, inviò più volte a Milano – dapprima presso lo stesso Graziano, poi presso il suo successore Valentiniano II – con l’intento di indurre gli imperatori a ritirare il provvedimento. Un’accurata analisi del complesso 'caso' in R. Klein, Der Streit um den Victoriaaltar (Darmstadt 1972); cfr. anche Vera, Commento storico cit., pp. 12-53.

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assunte, onde consentire all’imperatore di prenderne visione 16. A tali rapporti, qualora fosse necessario oppure a seguito di espressa richiesta, venivano aggiunti anche ulteriori documenti, come, ad esempio, le copie dei registri del censo e i verbali delle sedute senatorie, questi ultimi inviati anche in forma di estratti17. Oltre a queste regolari spedizioni, che avevano cadenza mensile o trimestrale, ve ne potevano essere anche di eccezionali, da effettuarsi in occasione di circostanze speciali o comunque di particolare rilevanza, in relazione alle quali l’imperatore avesse ordinato di essere tempestivamente informato18. Tale prassi risulta regolarmente osservata ancora sul finire del IV ___________ 16 Come può rilevarsi, ad esempio, già da una costituzione di Costantino del 326 d.C. (CTh. 15.14.4), indirizzata al senato ed emanata a seguito delle preces di alcuni senatori che erano stati privati del loro rango e ad navicularium munus a tyranno deiecti: con tale provvedimento l’imperatore demandò l’esame della vicenda al senato (placuit vestrae sanctitati iudicium examenque mandare, ut vos eligatis, qui splendori vestro… respondent), la cui decisione avrebbe dovuto poi essere comunicata a Costantino tramite il praefectus urbi, al fine di ottenere la comprobatio imperiale (Eorum autem, quos ut dignos elegeritis, nomina p(rae)f(ectus) urbis nobis insinuet, ut vestrum iudicium conprobemus). 17 Numerosi riscontri in Symm., Rell. 8.3-4; 9.8; 13; 23.11-12; 43; 45; 46. 18 Particolarmente significativa è, a tal proposito, la Relatio 24 di Simmaco (a. 384), indirizzata ai domini imperatores Valentiniano, Teodosio e Arcadio (ma in realtà destinata solo al primo), della quale riteniamo utile riportare l’intero testo: Per vices mensium singulorum ad perennitatis vestrae scrinia senatus et populi acta mittuntur, quae poterunt indicare, quid vir praecelsae et inlustris memoriae Praetextatus vel ad amplissimum ordinem vel ad devotum vobis populum pro saeculi vestri commendatione pertulerit, ddd. imppp. Valentiniane Theodosi et Arcadi inclyti victores ac triumphatores semper Augusti, sed quia speciatim sacris litteris imperastis, ut, si qua ab eo Romae in his coetibus gesta sunt, agenti in rebus excerpta tradantur, misi omnia iussis caelestibus obsecutus, quae ipso praesente venerabilium orationum vestrarum sanctio definivit et patrum probavit auctoritas; praeterea quae apud plebem locutus est, ut cunctos in amorem bonorum temporum provocaret, adiunxi. iudicium vero civium, quod supremo die de virtute atque innocentia eius habuerunt, speciatim v.c. et inlustri officiorum magistro subditis exemplaribus gestorum intimavi, licet vehiculo publico cum ceteris, quae ex more mittuntur, omnia necesse sit rursus ad serenitatis vestrae notitiam pervenire. Da questa relatio, che doveva accompagnare gli atti inviati dalla cancelleria del prefetto agli scrinia imperiali, apprendiamo che, per quella particolare occasione, gli imperatori avevano disposto che, in via straordinaria rispetto agli invii ex more, fossero portati a loro conoscenza gli estratti o riassunti (excerpta) degli atti compiuti dal prefetto del pretorio Pretestato dinanzi al senato e/o al popolo. Le copie dei gesta allegate alla relazione (subditis exemplaribus gestorum) avrebbero dovuto essere consegnate agli agentes in rebus (cfr. a tal proposito anche Vera, Commento storico cit., pp. 180-182). Di spedizioni speciali v’è traccia anche nella Rel. 8.4. La Collectio Avellana ci ha inoltre tramandato, tra l’altro, la relatio di un praefectus urbi indirizzata all’imperatore Onorio (29 dic. 418), per mezzo della quale il funzionario, premettendo che Quaecumque in urbe Roma geruntur, me tacere non convenit (Coll. Av. 14.1), informava l’imperatore di aver allegato alla propria relatio anche i gesta relativi alle acclamazioni pronunciate dal popolo, e precisava che altrettanto avrebbe fatto con i successivi atti (Coll. Av. 14.8: gesta acclamationum populi, quae singulis diebus habita sunt, relationi meae subieci; quicquid postea gestum fuerit, non tacebo). Di questi gesta l’imperatore accusa, pochi giorni dopo, ricevuta (Coll. Av. 15.1: Gestis omnibus

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sec. d.C., come si evince dalle numerose testimonianze offerteci dagli scritti del praefectus urbi Simmaco. Da questi emerge anche l’uso da parte del prefetto, che aveva accesso agli archivi, di far accompagnare da copie di atti del senato anche le epistole inviate a privati19. Lo stesso prefetto dell’Urbe era altresì tenuto a comunicare al senato i provvedimenti assunti dall’imperatore e indirizzati all’assemblea: le raccolte normative realizzate in età tardoantica testimoniano del fatto che, ancora in epoca avanzata, gli imperatori continuavano a inviare, sia pure con (almeno apparente) minore frequenza, orationes ad venerabilem coetum20, cioè al senato; per esse, anzi, la lettura nel corso di una sua seduta costituiva, come da più parti si è detto, un comodo mezzo di pubblicazione21. Sempre a seguito delle riforme del IV secolo, anche la cancelleria del senato venne ristrutturata e riorganizzata, passando sotto la gestione degli uffici della prefettura urbana, che veniva in questo modo sempre più strettamente legata al senato22. Tale cancelleria venne formalmente costituita quale decuria, ___________ recensitis laudanda sublimitatis tuae relatione perclaruit). A tale invio il praefectus urbi accenna anche in una relatio successiva (Coll. Av. 16.8: unde ea, quae populus Romanus publico gaudio diversis acclamationibus agens gratias maiestati vestrae credidit publicanda, relationi meae universa subieci). In un’ulteriore relatio del 25 gennaio 419 il praefectus ribadisce: quod ne in aliquo clementiam vestram lateret, eadem quae optulerunt actis inserta transmisi, ne quicquam suppressum esse quererentur (Coll. Av. 19.3). Una nuova trasmissione di gesta è attestata anche in Coll. Av. 34.4, dove il praefectus urbi riferisce agli imperatori Onorio e Teodosio le reazioni del popolo alla pubblicazione di un loro editto, allegando i relativi gesta: acclamationibus, quae subiectae sunt, gaudii sui causas plebs Romana testata est. 19 Simm., Ep. 1.13.4 (ad Ausonium): monumenta curiae nostrae plenius tecum loquentur; 3.38 (ad Hilarium): acta aplissimi ordinis Datiano honesto viro tradidi, quae ubi in manus tuas venerint, amicitiae me satisfecisse pronuntiato; 4.5.1 (ad Stilichonem): Quid de Afrorum dolore et militarium virorum querellis consultus praecepto sacro amplissimus ordo censuerit, plene atque aperte gestorum curialium inspectione cognosces. Segue una breve e sommaria descrizione del contenuto dei medesimi gesta e dell’andamento della seduta senatoria in questione; 6.22.4 (ad Nichomacos filios): si in manus meas [vestras?] venerint monumenta gestorum, legendo noscetis, quae verborum meorum verecundia noluit explicare. 20 Nella nota costituzione di Valentiniano III del 426, con la quale si provvide a elaborare un’organica disciplina delle fonti di produzione del diritto (i cui frammenti sono oggi rinvenibili parte in CI. 1.14.2; 1.14.3; 1.19.7; 1.22.5, parte in CTh. 1.4.3), la oratio ad venerabilem coetum missa compare in cima all’elenco delle leges da ritenersi aventi carattere generale, cioè del tipo che ab omnibus aequabiliter observentur (CI. 1.14.3 pr.). E questa stessa costituzione è anch’essa, in quanto indirizzata ad senatum, una oratio principis. 21 Non si può tuttavia escludere che, in certe circostanze, tali costituzioni potessero essere pubblicate in forma 'indiretta', cioè mediante propositio degli stessi gesta (o anche di un loro estratto) in cui il testo della oratio era stato insinuato. 22 Per questi aspetti v. Chastagnol, La préfecture urbaine cit., pp. 75-78.

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denominata officium censuale23 e posta, al pari delle altre decurie, sotto il comando di un magister census, a sua volta subordinato al prefetto dell’Urbe24. I censuales25, come era denominato il personale che componeva quell’ufficio, rilevarono così tutte le funzioni precedentemente svolte dall’ufficio dell’ab actis: tra esse vi era quella di sovrintendere alla redazione dei verbali delle sedute senatorie, alla conservazione degli acta senatus e, se così disposto, alla loro pubblicazione, anche mediante affissione da effettuarsi probabilmente in prossimità della Curia26. Il personale tecnico specializzato nell’eseguire la riduzione per iscritto dell’attività compiuta durante le sedute senatorie, nonché nell’effettuare la successiva stesura in forma ufficiale dei relativi verbali, era costituito da exceptores27 e scribae senatus28, mentre all’archiviazione provvedevano ___________ 23

L’officium censuale era principalmente competente per le entrate provenienti da una nuova imposta, il follis senatorio, e, più in generale, per gli oneri di cui erano gravati i senatori (v. ad es. CTh. 14.1.1). Una costituzione di Arcadio del 395, indirizzata al praefectus urbi Teodoto, aveva ordinato che omnia citatoria… ad principes specialiter revocari, precisando che gli actus vero ceteros, qui in sacratissimo coetu senatus tractari consuerunt, censualium sollicitudine celebrari (CTh. 6.28.5). Presso il magister census venivano pubblicati, a Roma come pure a Costantinopoli, anche i testamenti (CTh. 4.4.4) e gli atti di donazione (CTh. 8.12.8). 24 Not. Dign. Occ. (ed. Seeck) 4.8. 25 Detti anche fiscales o librarii (CTh. 14.1.1 a. 357 [360]: Imp. Constantius A. et Iulianus Caes. ad Iulianum. In decuriam ordine insigni, cui librariorum vel fiscalium sive censualium nomen est). 26 Le fonti pervenuteci non consentono di stabilire con certezza se i senatoconsulti oggetto di pubblicazione si riducessero esclusivamente al testo dell’oratio dell’imperatore, oppure se ad essere pubblicato fosse invece l’intero relativo verbale, comprensivo del testo della costituzione ivi insinuata: su questo punto v. P. Classen, Kaiserreskript und Königsurkunde. Diplomatische Studien zum Problem der Kontinuität zwischen Altertum und Mittelalter (Thessalonica 1977) p. 8 e nt. 19, dove è dato conto delle diverse posizioni assunte a questo proposito dalla dottrina. 27 Chiamati anche notarii, come risulta soprattutto da numerose iscrizioni epigrafiche (cfr. Stein, Die Stenographie cit., p. 182 nt. 16). La figura e l’attività dell’exceptor sono state di recente studiate a fondo da H.C. Teitler, Notarii and exceptores: an inquiry into role and significance of shorthand writers in the imperial and ecclesiastical bureaucracy of the Roman Empire (Amsterdam 1985). Questo funzionario di rango minore era sostanzialmente uno stenografo, il cui compito era quello di documentare per iscritto, prendendone contestualmente nota mediante segni tachigrafici (funzione indicata tecnicamente come excipere), le attività ufficiali del magistrato (o, più in generale, dell’ufficio) alle cui dipendenze egli lavorava. Il famoso 'dittico di Probiano' ci mostra, ad esempio, il vicarius urbis Romae seduto su uno scranno mentre esercita le sue funzioni giurisdizionali: ai due lati del magistrato sono visibili gli exceptores, con in mano le tabulae cerate, intenti a scrivere. 28 A proposito degli scribae senatus, Giulio Capitolino, il biografo di Gordiano, nello spiegare cosa fosse un senatus consultum tacitum precisa che esso, data la particolare delicatezza della decisione, era redatto in modo che non scribae, non servi publici, non censuales illis actibus interessent, senatores exciperent, senatores omnium officia censualium scribarumque conplerent (SHA, Gord. 12.3). E’ stato giustamente rilevato

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l’instrumentarius e i chartularii. Tutti questi funzionari minori esercitavano la loro attività in locali (definiti di recente genericamente come Secretarium senatus29, edificio che è stato da taluni identificato nel Chalcidicum30) siti nelle immediate adiacenze della Curia Iulia31, ove il senato, ancora in età tardoantica, teneva d’abitudine le proprie riunioni32. Durante l’invasione di Roma da parte di Alarico (410 d.C.), il cuore amministrativo dell’Urbe subì ingenti danni: anche la Curia e l’adiacente ___________ che il riferimento ai censuales appare essere un anacronismo per i tempi di Gordiano (Stein, Die Stenographie cit., p. 184 nt. 22). Un altro accenno indiretto alla normale presenza degli scribae in senato è ravvisabile, sia pure per un contesto diverso (cioè l’audizione, da parte del senato, degli indices nel corso della repressione della congiura di Catilina), già in Cic., Pro Sulla 14.41-42, dove si manifesta l’esigenza di dover sostituire gli stenografi, per motivi di segretezza, con dei senatori: introductis in senatum indicibus constitui senatores, qui omnia indicum dicta interrogata responsa perscriberent… quos sciebam memoria scientia celeritate scribendi facillime quae dicerentur persequi posse. Nel V sec. d.C. la posizione degli scribae senatus venne differenziandosi ed elevandosi rispetto a quella degli exceptores, che rimasero invece dei funzionari di basso rango. 29 Definizione data dal Lanciani all’edificio, adiacente alla Curia, poi trasformato nella chiesa dei SS. Luca e Martina e nel quale l’archeologo avrebbe ravvisato l’archivio del senato (R. Lanciani, L’Aula e gli uffici del Senato romano, Atti Acc. Naz. Lincei, III serie, vol. XI [1882-1883] pp. 3-21 e spec. p. 10; 15 ss.). 30 Ipotesi già del Lanciani, ripresa da A. Bartoli, Curia senatus. Lo scavo e il restauro (Roma 1963) p.5. Il Chalcidicum (o Chalchidicum) viene menzionato nelle fonti a partire dalla rifabbricazione della Curia Iulia ad opera di Augusto (Res Gestae IV.1). Secondo il Lanciani, tali locali sarebbero stati più tardi sostituiti dall’Atrium Minervae, nel nuovo complesso fatto realizzare da Domiziano. 31 Cfr. E. Nash, Secretarium senatus, in In memoriam Otto J. Brendel. Essays in Archaeology and the Humanities, a cura di L. Bonfante / H. von Heintze, in collab. con C. Lord (Mainz 1976) pp. 191-204. A partire dalla ristrutturazione domizianea, il senato ebbe sede in un complesso costituito dalla Curia Iulia, dal Secretarium e da due aree, l’una sita tra i due edifici (l’Atrium Minervae) e l’altra retrostante la Curia (l’Atrium Libertatis). Il Secretarium, che costituiva la cancelleria e l’archivio del senato, venne distrutto nel sec. XVII a seguito dei lavori di ristrutturazione della chiesa dei SS. Luca e Martina (Bartoli, Curia senatus cit., p. 61; Il Senato romano in onore di Ezio, Estratto dai Rendiconti della Pont. Accademia Romana di Archeologia XXII [1946-47] p. 267). Tuttavia, sull’esatta identificazione degli edifici e delle aree in questione (Chalcidicum, Atrium Minervae e Atrium Libertatis) regna ancora l’incertezza: per una rassegna sulle varie posizioni assunte dagli studiosi v. G. Lugli, 'Atrium Libertatis' e 'Libertas' nella Roma del tardo impero, in Synteleia Vincenzo Arangio-Ruiz II (Napoli 1964) p. 813. 32 Per la seconda metà del IV sec. d.C. Simmaco testimonia che le sedute del senato si tenevano prevalentemente nella Curia Iulia, dove era posto appunto l’altare della Vittoria sul quale prima di ogni seduta i senatori offrivano, secondo la tradizione, un sacrificio e giuravano fedeltà agli imperatori. Cfr. anche A. Chastagnol, Le sénat dans l’oeuvre de Symmaque, in Colloque genevois sur Symmaque à l’occasion du mille six centième anniversaire du conflit de l’autel de la Victoire, a cura di F. Paschoud / G. Fry / Y. Ruetche (Paris 1986) p. 81. L’edificio oggi noto per essere la Curia è il rifacimento di quella ricostruita per iniziativa di Diocleziano.

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cancelleria risentirono della violenza dei Goti, ma furono prontamente restaurate negli anni immediatamente successivi (412-414 d.C.)33. 2. La procedura Ben poco conosciamo delle modalità di formazione e conservazione degli atti e dei provvedimenti senatori, o, meglio, della documentazione in cui questi erano ridotti per iscritto. Quanto alla procedura di formazione dei verbali, è noto dalle fonti solamente che, già per l’età repubblicana34, il magistrato che presiedeva l’assemblea del senato doveva anche provvedere a scegliere un piccolo gruppo di senatori (almeno due)35 che avrebbero poi svolto la funzione di assistere, in qualità di testimoni, alla redazione per iscritto degli atti relativi alla seduta, in particolare dei senatoconsulti36. I nomi di tali senatori sarebbero stati espressamente menzionati nell’inscriptio degli atti37 come quelli di coloro ___________ 33 L’esecuzione di lavori di ristrutturazione è testimoniata da un’iscrizione epigrafica incisa su una fascia marmorea che incorniciava probabilmente la porta della Curia (cfr. Bartoli, Curia senatus cit., pp. 43 s.). Tali lavori, estesi poi agli uffici amministrativi, interessarono anche i locali della prefettura urbana, anch’essi in quell’occasione danneggiati. Testimonianze epigrafiche in CIL 6, 4.2 n. 31959 e 6, 4.3 n. 37114. L’iscrizione, ritrovata vicino all’attuale chiesa di S. Pietro in Vincoli e oggi conservata nel Museo delle Terme di Diocleziano a Roma, ricorda il restauro del porticum cum scriniis tellurensis secretarii tribunalib. adherentem compiuto per iniziativa del praefectus urbi Iunius Valerius Bellicius. 34 Come testimoniano, ad esempio, il SC.tum de Bacchanalibus e numerosi altri decreti senatori (v. FIRA I, 30-40). La necessità della presenza di testimoni all’atto emerge anche da un episodio della vita di Catone il Giovane riferito da Plutarco: questi narra che, mentre ricopriva la questura, Catone si sarebbe rifiutato di iscrivere un senatoconsulto nei registri, in quanto avrebbe dubitato della veridicità del documento a lui presentato, nonostante la presenza in esso di numerosi testimoni (Plut., Cat. min. 16.3). Letto in altro modo, l’episodio è indicativo, tra l’altro, della facilità (e forse anche frequenza) con cui personale compiacente della cancelleria poteva inserire nei registri ufficiali testi di senatoconsulti falsi. 35 Il loro numero poteva variare tra due, tre, sette – come ad es. nel SC.tum de Cn. Pisone patre (20 d.C.) o nel SC.tum de nundinis saltus Beguensis (138 d.C.: FIRA I, 47; CIL 8, 270) –, otto, dodici o addirittura venti. 36 De Ruggiero, nel precisare che il magistrato che aveva presieduto la seduta doveva scegliere una sorta di 'comitato per la redazione' dei relativi atti, puntualizza che di tale comitato facevano parte tanto "l’autore della sententia adottata" quanto "quelli che l’avevano appoggiata, detti qui scribendo adfuerunt" (De Ruggiero, s.v. Acta senatus cit., p. 48). Quest’ultima affermazione, un po’ fuorviante, va intesa nel senso che, di norma, venivano scelti a svolgere le funzioni di coloro che scribendo adfuerunt, oltre all’autore della proposta – poi divenuta senatoconsulto –, anche coloro che avevano espresso verso di essa opinione favorevole. 37 Subito dopo l’indicazione della data e del luogo in cui si era svolta la seduta senatoria in seno alla quale il provvedimento era stato deliberato.

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che scribendo (o scribundo) adfuerunt38. Le concrete modalità di redazione dei senatoconsulti, ma soprattutto dei verbali senatori, sono però, per quest’epoca, ancora del tutto sconosciute. Altrettanto scarse sono le notizie pervenuteci, per l’età del Principato, circa l’organizzazione dell’ufficio dell’ab actis e della sua attività di cancelleria senatoria. Per quel che qui rileva, poi, del pari poco conosciute sono sia le fasi in cui si articolava il procedimento di verbalizzazione delle sedute del senato39, sia le modalità della successiva redazione dei relativi atti e della loro gestione e conservazione negli archivi. Pur dovendo constatare che, in effetti, nessuna fonte ha conservato notizie precise sulla procedura di formazione, registrazione ed edizione dei verbali senatori, recenti studi hanno nondimeno cercato di ricostruire tali aspetti. Ciò è stato possibile in particolare con riferimento all’età tardoantica, per la quale vi sono alcune interessanti testimonianze. a) La testimonianza dei Gesta Conlationis Carthaginiensis Per operare detta ricostruzione ci si è avvalsi in primo luogo di un documento particolare: si tratta dei Gesta Conlationis Carthaginiensis40, che consistono nel verbale integrale, sia pure in parte mutilo, di un 'confronto' svoltosi a Cartagine, all’inizio del mese di giugno del 411 d.C., tra i vescovi africani cattolici (fra i quali era presente anche Agostino) e quelli che avevano aderito alle tesi estremiste di Donato; confronto che si concluse, in virtù della riconosciuta maggiore forza argomentativa delle tesi cattoliche, con la condanna della Chiesa scismatica donatista. Pur prodotto all’interno di un ___________ 38 Tale requisito formale perdurò anche nel Principato. Oltre a varie testimonianze documentali (cfr. FIRA I, 45-48) può essere, a questo proposito, ricordato un episodio accaduto durante il principato di Eliogabalo. L’imperatore, stando a quanto riportato dalle fonti, avrebbe consentito alla propria madre, e quindi ad una donna, non solo di partecipare ad una seduta del senato (cosa mai vista prima!), ma addirittura di fungere da testimone agli atti (SHA, Heliog. 4.1-2: Deinde ubi primum diem senatus habuit, matrem suam in senatum rogari iussit. Quae cum venisset, vocata ad consulum subsellia scribendo adfuit, id est senatus consulti conficiendo testis). 39 Sulla procedura di verbalizzazione v. più in generale Steinwenter, Beiträge, cit., pp. 11-15. Un recente studio su questo argomento e dedicato in modo specifico al senato è stato condotto da Coudry, Sénatus-consultes cit., pp. 65-102. 40 S. Lancel (ed.), Gesta Conlationis Carthaginiensis anno 411. Accedit Sancti Augustini breviculus conlationis cum Donatistis (Turnholti 1974) (CCSL 149A). Uno studio particolareggiato sui Gesta Conlationis Carthaginiensis e sulle tecniche redazionali dei verbali e dei documenti pubblici in E. Tengström, Die Protokollierung der Collatio Carthaginensis (Göteborg 1962). Tale documento è stato ampiamente utilizzato anche da Teitler per lo studio dell’attività degli exceptores (Notarii and exceptores cit. passim).

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contesto ecclesiastico, detto documento costituisce un’illuminante testimonianza circa le tecniche di verbalizzazione in uso a quell’epoca. Esso presenta infatti un’insolita ricchezza di preziose e dettagliate informazioni sulle varie fasi di tale attività, ivi compresa quella consistente nella successiva edizione dei verbali. Sebbene questo confronto sia avvenuto all’interno di un contesto apparentemente lontano da quello dell’amministrazione imperiale, esso presenta alcuni aspetti che hanno indotto a ritenere possibile l’estensione dei risultati emersi dallo studio di detta attività di verbalizzazione anche al di là dell’ambito ecclesiastico. Si è cioè ritenuto che nel suddetto verbale si rispecchi, in modo abbastanza fedele, l’analoga attività di verbalizzazione normalmente svolta dal personale di cancelleria dei più vari uffici in cui si articolava l’amministrazione dell’impero, quindi anche degli uffici che curavano la documentazione senatoria; si è ritenuto inoltre che gli stessi Gesta cartaginesi costituiscano di per sé un buon esempio di come dovessero essere strutturati, e quindi presentarsi, gli analoghi documenti prodotti all’interno delle suddette cancellerie41. Gli aspetti che maggiormente hanno fatto ritenere plausibile una tale analogia sono costituiti anzitutto dal fatto che questo incontro/scontro, fatto convocare dall’imperatore Onorio e finalizzato a decretare la supremazia dell’una o dell’altra Chiesa nel Nordafrica, si tenne volutamente nelle forme di un processo pubblico, impiegando modalità e schemi tipici di un contesto giurisdizionale42. Per di più, il confronto si svolse dinanzi a un funzionario ___________ 41

L’analogia tra i gesta ecclesiastici e quelli pubblici era stata già osservata da Steinwenter, Beiträge cit., pp. 11-13. 42 Aspetto già rilevato da A. Steinwenter, Eine kirchliche Quelle des nachklassischen Zivilprozesses, in Acta Congressus Iuridici Internationalis II (Roma 1935) pp. 125-144. Il presidente della seduta viene infatti definito cognitor o iudex, le parti actores e il contesto in iudicio, a sottolineare come il modello seguito fosse quello proprio di una sede processuale, modello per il quale anzi le parti, poste dal giudice di fronte alla possibilità di esercitare una scelta, optarono espressamente (G. Conl. Carth. 1.40: Marcellinus… dixit: Aliud constat esse quaesitum, ut utrum a iure publico recedi velitis et totum divinis legibus agitari vestris professionibus demonstretis). Per espressa richiesta di un vescovo donatista, la discussione nel merito avrebbe dovuto essere preceduta da una serie di accertamenti assolutamente tipici di un contesto giurisdizionale (G. Conl. Carth. 1.20: primo de tempore, de mandato, de persona, de causa, tum demum ad merita negotii veniendum est.). Infine, oltre alla procedura, anche buona parte della terminologia usata dalle parti e dal giudice è chiaramente – e intenzionalmente – tecnico-giuridica (ibid.: semper legalis nobis ritus ac sermo servandus est). Pur non essendo il caso di soffermarsi ulteriormente su questo aspetto, va tuttavia notato come sia stato da più parti rilevato (cfr. Steinwenter, Eine kirchliche Quelle cit., passim; Beiträge, cit., pp. 9-12; Wenger, Die Quellen cit., p. 314) che il documento in questione contiene molti elementi interessanti, sia pure di riflesso, in relazione sia alla procedura seguita nei processi, sia, ad esempio, alle eccezioni (spesso puramente moratorie) di natura formale che potevano essere sollevate dalle parti nel

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imperiale, il tribunus et notarius Flavio Marcellino43, appositamente incaricato dallo stesso imperatore di dirimere la controversia. Inoltre, la verbalizzazione delle sedute venne eseguita da un gruppo di exceptores reclutati anch’essi dalle cancellerie di vari uffici amministrativi africani, come quello del proconsul Africae, del vicarius Africae e del legatus Karthaginis44. La presenza anche di notarii ecclesiastici (cioè di scribi dei vescovi)45, che, operando in qualità di stenografi 'di fiducia' delle parti in conflitto, affiancarono gli stessi exceptores, non contribuì probabilmente a modificare l’impostazione decisamente 'giurisdizionale' assunta dal confronto. Si può così ragionevolmente supporre che sia le tecniche di formazione dei verbali utilizzate dagli exceptores agli ordini di Marcellino (i quali, pur provenendo da uffici diversi, mostrano di seguire tutti una comune procedura), sia alcuni elementi formali dei verbali da essi redatti fossero gli stessi impiegati anche nella formazione di atti analoghi prodotti in altri e diversi contesti. Tali Gesta cartaginesi costituiscono di per sé stessi un modello esemplare di verbale, che per di più ha eccezionalmente conservato la sua forma pressoché integrale, ed è da ritenere ancor più prezioso perché temporalmente contiguo al verbale senatorio oggetto della nostra indagine. Essi contengono inoltre, come si diceva, sia pure riportate in via incidentale, numerose notizie relative alla procedura di verbalizzazione adottata in quell’occasione dal personale di cancelleria. Queste notizie attengono per lo più ai seguenti aspetti: funzioni degli exceptores e all’uso di sistemi tachigrafici; modalità e tempi di editio dei verbali; problemi relativi all’autenticità delle copie; infine, misure anche straordinarie che potevano essere disposte dall’autorità onde garantire non soltanto l’affidabilità delle copie dei verbali rilasciate dalla cancelleria in cui essi erano custoditi, ma anche la piena corrispondenza tra il reale svolgimento della seduta e la trascrizione della stessa. Particolarmente interessante è, a questo proposito, un editto del tribunus et notarius Marcellino46 appositamente emanato in occasione dell’incontro: esso contiene difatti precise disposizioni sulla procedura da osservare nella formazione dei relativi atti, disposizioni che disciplinavano minuziosamente le ___________ corso di una controversia (eccezioni definite esplicitamente da Agostino come forensibus tergiversationibus e moratoriis contentionibus: Aug., Brevic. 1.9.9; 1.9.12). 43 E’ lui il fili carissime Marcelline a cui Agostino dedicherà, qualche anno più tardi, la sua opera De civitate dei (Aug., De civit. dei, Praef.). Sull’evoluzione di questa magistratura e sui caratteri che essa assunse in età tardoantica v. Teitler, Notarii and exceptores cit., p. 16 ss. 44 G. Conl. Carth. 1.1.13-17. 45 Su exceptores e notarii ecclesiastici ancora Teitler, Notarii and exceptores cit., passim.; E. Arns, La technique du livre d’après Saint Jérôme (Paris 1953) pp. 51-62. 46 G. Conl. Carth. 1.10.

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modalità di redazione tanto delle minute quanto degli atti ufficiali del confronto. Dal tenore di questo editto, di cui venne data lettura in apertura della prima seduta e che venne di conseguenza insinuato nel verbale, si può cogliere la particolare attenzione posta dall’alto funzionario palatino alla procedura di formazione degli atti ufficiali; una procedura che sembra essere stata rafforzata e resa particolarmente rigorosa rispetto a quella abitualmente adottata, sì da garantire la redazione di documenti 'a prova di falsificazioni', la cui autenticità si presentasse come inattaccabile. Per il momento ci limitiamo a osservare che l’emanazione di un siffatto editto da parte del tribunus et notarius lascerebbe intendere che, più in generale, e soprattutto in contesti di particolare rilevanza, a un magistrato fosse consentito disciplinare le modalità di formazione e le caratteristiche formali degli atti ufficiali da redigersi a cura del proprio ufficio, fino a poter giungere all’adozione, in via eccezionale, di particolari 'cautele' qualora gli stessi apparissero di importanza tale da richiedere un’attenzione maggiore all’affidabilità del loro testo. Non è quindi troppo azzardato ritenere che le stesse considerazioni possano valere ancor più per l’imperatore e gli atti formati dalle sue cancellerie47. Ma vediamo ora più nel dettaglio la procedura prevista e applicata in occasione del confronto cartaginese.

___________ 47

Non era difatti insolito che gli imperatori si preoccupassero degli aspetti formali della redazione degli atti da parte delle cancellerie, e non solo in riferimento alle proprie, bensì anche a quelle degli uffici di cui si componeva l’apparato amministrativo dell’impero. Valga quale esempio la costituzione emanata nel 367 d.C. dagli imperatori Valentiniano I e Valente e indirizzata al proconsul Africae (CTh. 9.19.3), con la quale era stato vietato l’uso, al di fuori delle cancellerie palatine, delle litterae caelestes: un particolare tipo di scrittura, caratterizzato dalle dimensioni notevolmente allungate delle singole lettere, che avrebbe dovuto contraddistinguere esclusivamente i documenti formati negli scrinia imperiali (praecipimus, ut posthac magistra falsorum consuetudo tollatur… ut nemo stili huius exemplum aut privatim sumat aut publice). In tutte le altre cancellerie restava consentito l’impiego delle sole litterae communes (aventi un ductus diverso: i paleografi hanno parlato anche di contrapposizione tra vecchia e nuova minuscola corsiva), con la previsione, in caso contrario, per gli autori dell’illecito di una responsabilità penale per il reato di falso. La misura si rendeva necessaria al fine non solo di evitare che si ingenerassero confusioni, ma anche di garantire ulteriormente l’autenticità degli atti e documenti prodotti negli scrinia palatini (cfr. J. Mallon, L’écriture de la chancellerie impériale romaine, Filosofia y Letras, tomo IV, núm. 2 [Salamanca 1948] pp. 21-24; 28 e nt. 64). E, guardando al Codice Teodosiano come a un prodotto della cancelleria, si noterà che le stesse costituzioni programmatiche ad esso relative (CTh. 1.1.5-6) manifestano un’estrema cura nel pianificare nei dettagli tanto la struttura dell’opera quanto la metodologia che i compilatori avrebbero dovuto seguire nella sua realizzazione.

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aa) Registrazione Nel corso della seduta più exceptores si alternarono in gruppi di due, provvedendo – ciascuno per proprio conto – a registrare contemporaneamente non solo le dichiarazioni dei presenti, ma anche qualsiasi tipo di avvenimento accaduto in quella sede48. La verbalizzazione venne effettuata mediante l’uso di notae tachigrafiche49 e il testo steso su codices cerati lignei (definiti tecnicamente come codices notarum o c. tabularum50). Questo primo testo, proprio perché redatto in forma stenografica, non aveva ancora carattere di documento ufficiale, e ciò in quanto esso, oltre ad essere ancora privo dell’approvazione del magistrato, era comunque incomprensibile a chi non aveva conoscenza dei segni tachigrafici ivi impiegati. bb) Custodia Il presidente Marcellino aveva inoltre previsto, probabilmente in via eccezionale e quale ulteriore precauzione, l’apposizione immediata a tali codices, una volta che essi fossero stati completamente riempiti dalla scrittura, di sigilli da parte di appositi custodes designati dalle parti. Tale misura ___________ 48 Tra questi poteva esservi, ad esempio, l’ingresso e l’uscita dei partecipanti dalla sala, le interruzioni, le lamentele e gli atti di protesta (G. Conl. Carth. 1.2.4-5; 1.55.5-6; 1.217.14; 3.240; 3.272). 49 L’attività dello stenografare era definita tecnicamente con i termini excipere o signare. Dalle notae tironianae, inventate, secondo le fonti, da Tirone, un liberto di Cicerone (Isid., Orig. 1.22: Romae primus Tullius Tiro Ciceronis libertus commentatus est notas, sed tantum praepositionum), erano invece derivati, in età tardoantica, diversi sistemi stenografici: a questo proposito cfr. A. Mentz, Die tironischen Noten. Eine Geschichte der römischen Kurzschrift, Arch. Urkund. 17/2 [1942] p. 155 ss. L’attività dell’excipere implica sempre l’uso di notae: ciò è visibile con evidenza in Sen., Ep. 90.25: Quid verborum notas, quibus quamvis citata excipitur oratio et celeritatem linguae manus sequitur?; Prud., Perist. 9.23 (PL 60, col. 435A): Verba notis brevibus comprendere cuncta peritus; Isid., Orig. 1.22: De notis vulgaribus. … Notarum usus erat ut quidquid pro concione aut in iudiciis diceretur librarii scriberent complures simul astantes, divisis inter se partibus, quot quisque verba et quo ordine exciperet). L’uso di notae da parte degli exceptores è attestato chiaramente in un preciso momento della seconda sessione del concilio cartaginese, quello cioè in cui il vescovo donatista Petiliano contesta la lettura di un passo del verbale tratto dai codices non ancora trascritti: Notas non novimus, neque ea natura rerum est atque ipsarum, ut ita dixerim, litterarum, ut quisquam notas legat alienas. In codicibus legere non possumus. Nisi edita fuerint gesta in paginis, non habeo quod tractem, non habeo quod legam (G. Conl. Carth. 2.43). I verbali cartaginesi sono considerati particolarmente interessanti proprio dagli studiosi dell’uso di tecniche stenografiche nell’antichità (cfr. Tengström, Die Protokollierung, cit., passim; A. Wikenhauser, Beiträge zur Geschichte der Stenographie auf den Synoden des vierten Jahrhunderts n. Chr., Arch. Sten. 59 [1908] pp. 4-9; 33-39). 50 In quanto costituiti da tabulae cerussatae, cioè tavolette cerate.

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precauzionale era stata adottata al fine di eliminare ogni possibilità che, in attesa del compimento delle ulteriori operazioni da parte del personale di cancelleria, il testo stenografico fosse dolosamente manomesso o alterato51. Una volta riempiti, i codices dovevano essere progressivamente portati in cancelleria dal personale a ciò preposto. Gli stessi custodes che avevano apposto i sigilli avrebbero quindi dovuto vigilare anche sull’attività successivamente svolta dagli exceptores all’interno della cancelleria, assicurandosi che questi ultimi trascrivessero fedelmente sulle schedae52 il testo decrittato ricavato dallo stenogramma53. cc) 'Descriptio' ed 'emendatio' All’interno dei locali della cancelleria, poi, quegli stessi exceptores a cui era stato affidato il compito di stenografare la seduta avrebbero dovuto procedere alla descriptio (o conscriptio) del testo, operazione che consisteva nella pedissequa trascrizione 'in chiaro'54, su fogli di pergamena, dello stenogramma contenuto nei codices, previa sua decrittazione. Tale operazione avrebbe dovuto essere però preceduta dalla collazione tra le diverse copie che erano state contestualmente realizzate dagli stenografi. Il testo delle schedae55 in tal modo ottenuto doveva essere ulteriormente sottoposto a emendatio56, sì da ottenere una versione finale 'ripulita', priva cioè delle quasi inevitabili ripetizioni e incongruenze che tipicamente caratterizzano la trascrizione pedissequa, in forma diretta, di un discorso orale spontaneo. Sugli exceptores gravava la responsabilità della perfetta corrispondenza tra il contenuto dei verbali e quanto effettivamente accaduto nel corso della seduta o, comunque, quanto di tale attività era stato consentito mettere a verbale a ___________ 51 G. Conl. Carth. 1.132-133; Aug., Brevic. 2.3.14: perlatis codicibus qui signati custodiebantur. 52 "Nicht reingeschriebenes Originalprotokoll" o "Grundoriginal": sul preciso significato delle parole scheda (o sceda) e schedula, nel contesto dell’attività redazionale della cancelleria di un pubblico ufficio, v. Tengström, Die Protokollierung cit., pp. 18; 35-49; Arns, La technique cit., pp. 18-22. 53 G. Conl. Carth. 1.222. 54 G. Conl. Carth. 1.10.88-89: In apices evidentes. 55 Prima di essere utilizzate per realizzare le copie ufficiali, le schedae del confronto cartaginese avrebbero dovuto essere subscriptae (oltre che dal presidente, anche dai vescovi-archivisti, i quali avrebbero dovuto apporre il loro sigillo) atque emendatae (G. Conl. Carth. 1.10.100-102). 56 L’emendatio doveva verosimilmente limitarsi a leggére modifiche testuali, dovendo il verbale rispecchiare nel modo più fedele possibile l’effettivo contenuto delle dichiarazioni emesse.

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seguito di apposita autorizzazione da parte del magistrato57. E in verità, nelle disposizioni di Marcellino può cogliersi una quasi esasperata attenzione rivolta proprio all’affidabilità del testo scritto e alla perfetta corrispondenza tra le dichiarazioni riportate a verbale e quelle effettivamente rilasciate dai partecipanti: è comprensibile che, in occasione di dispute religiose, soprattutto se volte a definire l’ortodossia cattolica e a mettere al bando tutte le 'devianze', venisse assunta ogni possibile cautela formale quanto alla redazione dei relativi atti, onde evitare equivoci, fraintendimenti, il rigetto dei verbali da parte degli avversari58, ma anche – e soprattutto – la formazione di atti falsi. La cura meticolosa di questi aspetti aveva per fine quello di smorzare il più possibile diffidenza, litigiosità e cavillosità che in simili occasioni venivano abitualmente sfoderate dalle parti59. dd) 'Recognitio' ed 'editio' Il testo emendato (definito conscripta gesta) avrebbe dovuto essere infine sottoposto all’approvazione (recognitio)60 del magistrato che aveva presieduto l’incontro. Questi, dopo avervi apposto a tal scopo la propria sottoscrizione (subscriptio o superscriptio)61, avrebbe ordinato di effettuare l’editio del ___________ 57 Nel corso del confronto cartaginese, l’estrema sospettosità (forse dettata anche dall’esperienza) dei vescovi donatisti verso gli exceptores appartenenti all’ufficio si manifestò, ad esempio, in occasione della rilettura, effettuata da uno di loro, di una parte del verbale già redatto in forma stenografica: a seguito delle proteste dei donatisti, il presidente ordinò, ne qua forte de fraude exceptores officii suspecti sint, di procedere alla lettura ex tabulis notariorum ecclesiasticorum (G. Conl. Carth. 2.45). L’episodio è riassunto nei Capitula Gestorum come ut notarii ecclesiae recitent si de fide dubitant exceptorum (Capitula Gestorum secundae cognitionis, 45). 58 Quale ulteriore cautela, Marcellino aveva difatti previsto che ogni dichiarazione dei vescovi riportata a verbale dovesse essere riconosciuta dal proprio autore, mediante specifica approvazione scritta di pugno (Et alia manu: recognovi). 59 Degno di nota è il fatto che, delle tre sessioni nelle quali il confronto tra cattolici e donatisti venne articolandosi, ben due furono dedicate esclusivamente a sollevare, dall’una e dall’altra parte, eccezioni formali e contestazioni circa l’attendibilità di quanto verbalizzato: la sfibrante schermaglia richiese tutta la perizia del tribunus et notarius, derivante dalla sua esperienza nell’ambito giurisdizionale. 60 Approvando il testo del documento (recognovi), il magistrato faceva proprie, nel loro complesso, le dichiarazioni da lui emesse e ivi trascritte: cfr. G. Conl. Carth. 1.10.72-73: ut interfatibus meis me primitus per omnia subscribente. Negli stessi Gesta anche ciascun vescovo dovette, in via eccezionale, recognoscere una per una le proprie dichiarazioni (cfr. G. Conl. Carth. 2.61.23-25; 2.62-63). Analogie riscontrabili anche in D.50.16.56 (Ulp. 62 ad ed.): 'Cognoscere instrumenta' est relegere et recognoscere. Sulla recognitio v. anche Th. Mommsen, Über die Subscription und Edition der Rechtsurkunden, in Gesammelte Schriften III (Berlin 1907) pp. 275-285 e spec. 277 s. (già in Berichte der sächs. Gesellschaft d. Wiss. Phil. –hist. Cl. III [1851] pp. 372-383). 61 Consistente piuttosto in una dichiarazione autografa, che non nell’attuale 'firma'.

I. Redazione, conservazione ed editio dei gesta senatus

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verbale62. Alla sottoscrizione del magistrato doveva comunque seguire anche quella degli exceptores e dei testimoni. La trascrizione, munita delle anzidette subscriptiones, avrebbe acquistato così carattere di documento ufficiale e sarebbe stata quindi depositata nella cancelleria. Tale testo avrebbe costituito l’originale da utilizzarsi per realizzare l’editio63, ossia la riproduzione, da parte degli scribae ed exceptores dello stesso ufficio, di più esemplari, da intendersi come 'copie autenticate' del documento64. L’attività di editio si svolgeva sotto la responsabilità di uno o più exceptores appositamente designati, individuati solitamente tra quelli che avevano già preso parte alle operazioni di verbalizzazione. Prima del rilascio, ciascuna di queste copie avrebbe dovuto però essere sottoposta nuovamente a collazione con l’antigrafo e ad emendazione. Infine, gli esemplari, muniti in calce di apposita dichiarazione autografa dell’exceptor responsabile (espressa dalla formula edidi)65, dovevano essere approvati e certificati come conformi anche dal magistrato66: solo allora avrebbero potuto essere pubblicati e diffusi mediante consegna alle parti interessate. A ciò avrebbero dovuto provvedere, su delega del magistrato67, quegli exceptores che avevano preso parte all’attività di verbalizzazione, o che comunque appartevano all’ufficio che aveva provveduto a realizzare l’editio dei gesta.

___________ 62

G. Conl. Carth. 1.223.10-11: Et alia manu: Edantur. Il termine editio, così come il corrispondente verbo edere, può avere, nel linguaggio giuridico, diversi significati. Per Ulpiano, Edere est etiam copiam describendi facere: vel in libello complecti et dare: vel dictare : D. 2.13.1.1 (Ulp. 14 ad ed.). In età tardoantica tale termine prese a indicare l’atto della realizzazione e consegna di copie ufficiali di atti pubblici da parte di exceptores o di notarii, formalità che ne veniva a costituire uno dei possibili modi di pubblicazione (Pollack, s.v. editio, PWRE V,2, col. 1960: "die… Verabfolgung der vom Beamten unterschriebenen Kopie"; cfr. anche Mommsen, Über die Subscription cit., p. 280). 64 Sulla differenza tra authenticum ed exemplar v. B. Kübler, ǴıȠȞ und ĮȞIJȓȖȡĮijȠȞ, ZSS 53 (1933) pp. 64-98. 65 G. Conl. Carth. 2.73.5-6: Et infra: Hilarus et Martialis exceptores edidimus et haec similiter ut supra emendavimus. 66 Tengström, Die Protokollierung cit., p. 24: "Die Kanzlei hatte deshalb mehrere Exemplare anzufertigen, die der scheda gleich sein sollten und durch den Richter beglaubigt wurden... Diese waren nun autoritative Urkunden, für welche die Lateinische Sprache den Ausdruck authenticum… verwendete"; p. 25: "Jedes authenticum wurde dem Richter vorgelegt, der es zu genehmigen hatte". 67 Nella cautio rilasciata dal vescovo cattolico Fortunaziano, questi, dopo aver dichiarato di aver ricevuto la copia del verbale, precisò: et suscepi tradente Martiale exceptore sedis proconsularis, qui sit deputatus Flavio Marcellino, viro clarissimo, tribuno et notario (G. Conl. Carth. 3.4.7-10). Non è però possibile dire, data la scarsità di fonti, se questa fosse la prassi generalmente seguita. 63

Capitolo secondo: I gesta senatus: formazione e struttura

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ee) Durata delle operazioni Quanto ai tempi necessari allo svolgimento delle operazioni comprese tra la descriptio e l’editio dei verbali, il tribunus et notarius Marcellino aveva previsto originariamente, all’interno di un editto68, che la prima operazione avrebbe dovuto essere portata a termine entro il giorno successivo a quello in cui ciascuna seduta verbalizzata si era conclusa69, cioè in tempi che, rispetto a quelli usuali, erano considerati brevissimi; mentre l’editio di tutti i verbali avrebbe dovuto essere complessivamente effettuata solo al termine del confronto. In realtà, i termini prefissati, in quanto eccezionalmente più brevi del solito, apparivano oggettivamente insufficienti per portare a termine tutte le necessarie operazioni: e difatti gli exceptores, pur lavorando a ritmi serrati, non riuscirono a rispettarli. A seguito di un’espressa richiesta, lo stesso magistrato dovette quindi concedere loro una consistente dilazione, resa necessaria anche dall’imprevista lunghezza delle sessioni70. Le parti in conflitto lamentarono tuttavia l’impossibilità, in mancanza del testo del verbale, anzitutto di verificarne l’attendibilità ed eventualmente contestarne in modo tempestivo l’autenticità, poi di preparare un’adeguata difesa e di controbattere così in modo efficace alle asserzioni formulate dagli avversari nel corso delle sedute. Per questo motivo i vescovi donatisti pretesero che non soltanto le operazioni di descriptio, come inizialmente previsto dal magistrato, bensì anche quelle di editio dei verbali71 delle prime due sessioni fossero portate a termine nello spazio di pochi giorni72 e comunque prima di riprendere le sedute. Le difficoltà incontrate dagli exceptores e l’urgenza manifestata dalle parti lasciano comunque intuire che i tempi (ristretti ad alcuni giorni) in cui si conclusero le operazioni di formazione e rilascio dei verbali dovettero

___________ 68

G. Conl. Carth. 1.10. G. Conl. Carth. 1.10.85-97; 1.222.8-10. Per questo motivo era stato inizialmente previsto un intervallo di un giorno tra una sessione e l’altra. 70 G. Conl. Carth. 2.61-64; Aug., Brevic. 2.3.35-37: Et concessa est sex dierum dilatio, respondentibus exceptoribus quando editione gestorum posset occurrere. 71 Una copia ufficiale del quale sarebbe rimasta anche all’ufficio del tribunus et notarius, che avrebbe provveduto a darvi ulteriore pubblicità attraverso l’affissione di un proprio programma (G. Conl. Carth. 2.74). 72 Aug., Brevic. 2.3.12-13: petentes ut prius eis ederentur gesta conscripta. 69

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configurarsi come insolitamente brevi rispetto a quelli normalmente richiesti da tali attività73. b) La redazione dei gesta senatus: un’ipotesi Torniamo ora alla redazione dei verbali delle sedute del senato. Attesa la forte commistione con le procedure tipiche dell’ambiente amministrativo, si può supporre con una certa ragionevolezza che, nel complesso, le modalità impiegate nell’esaminato confronto africano non dovessero discostarsi di molto da quelle abitualmente adottate nel senato, fatta eccezione probabilmente per quelle misure che appaiono essere state assunte in via eccezionale. E invero, già alcuni studi dedicati in passato alla procedura di formazione dei verbali senatori hanno abbondantemente attinto proprio ai Gesta cartaginesi. Dobbiamo quindi immaginare che anche in seno alle assemblee del senato romano venissero osservate le medesime modalità di verbalizzazione, con la riduzione per iscritto, ad opera di almeno due exceptores (o scribae)74 e mediante l’uso di segni tachigrafici (notae) vergati su tavolette cerate, delle dichiarazioni dei senatori e delle attività in quella sede compiute75. Gli stenografi avevano quindi il compito di indicare nominativamente tutti i presenti e di prendere nota, trascrivendoli fedelmente e integralmente, di tutti i discorsi, gli interventi e le dichiarazioni di voto dei senatori e degli altri magistrati partecipanti alla seduta (specificandone ogni volta il nome), comprese anche le esternazioni non strettamente pertinenti ai punti in discussione; a verbale dovevano essere riportate anche le eventuali acclamazioni pronunciate in quella sede, ivi comprese quelle puramente celebrative. Il verbale andava poi integrato con i testi di tutti i documenti dei quali, in occasione della seduta, fosse stata data eventualmente lettura e ordinata

___________ 73

G. Conl. Carth. 2.64: Hilarus exceptor dixit: Si crastino die subscripserint [scil. gli episcopi] vel hodie, possumus die noctuque invigilantes post tertium diem gesta edere, ita ut notarii eorum nobis de scheda subscripta dictent. 74 In effetti lo scriba è più propriamente colui che produce le copie di uno scritto, trascrivendole dal testo stenografico già decrittato. Le due professionalità, dell’exceptor e dello scriba, concettualmente distinte, potevano però anche trovarsi riunite nella stessa persona (cfr. Arns, La technique cit., p. 63). 75 All’impiego, sin dall’età repubblicana, di sistemi tachigrafici nella verbalizzazione delle riunioni senatorie Stein ha dedicato un apposito studio, dal quale emerge, tra le altre cose, che i discorsi tenuti in senato dovevano essere riportati testualmente, parola per parola (cfr. Stein, Die Stenographie cit., pp 177-186 e, in particolare, pp. 180; 182). Dello stesso avviso anche Classen, Kaiserreskript cit., p. 102.

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l’allegatio da parte del presidente76. Tale integrazione doveva probabilmente aver luogo non durante la seduta stessa, bensì solo in un secondo momento, all’interno della cancelleria, in sede di stesura del testo ufficiale, completo e definitivo, del verbale. Terminata la seduta77, all’interno dei locali della cancelleria i medesimi exceptores già impegnati nella trascrizione simultanea avrebbero dovuto provvedere a 'decrittare' le note78 e a riversare (describere) il testo 'in chiaro' in una scheda che, una volta sottoposta a emendazione, avrebbe poi dovuto essere sottoscritta dal magistrato (o altro funzionario) che aveva presieduto la seduta, nonché, probabilmente, anche da testimoni. Il presidente avrebbe dovuto poi dotare questo testo della formula edantur, con cui veniva appunto solitamente ordinata l’editio di atti pubblici79. Non si saprebbe dire se analogo ordine fosse già impartito oralmente (e quindi messo a verbale) al termine della seduta. La scheda, che avrebbe dovuto essere conservata nell’archivio del senato, avrebbe costituito l’esemplare in dotazione dell’ufficio, cioè quello dal quale avrebbero potuto essere in un secondo tempo ricavate le 'copie autenticate'. Queste ultime, munite in calce di apposita dichiarazione 'di conformità'80, venivano rilasciate, a cura dell’ufficio stesso, agli interessati dietro loro richiesta. I verbali, ordinati cronologicamente, sarebbero stati infine riportati e conservati in registri annuali (commentarii) custoditi nell’archivio stesso81. Non avendo notizie precise intorno ai tempi richiesti dalle operazioni che andavano dalla descriptio all’editio dei verbali senatori, appare verosimile che, anche qualora esse avessero avuto inizio immediatamente dopo la conclusione ___________ 76

Anzitutto le orationes principis, ma anche documenti di altra natura, come epistole, editti di magistrati, etc. 77 Non si saprebbe dire se immediatamente dopo, come sostenuto da Mommsen, oppure nei giorni successivi. 78 I sistemi tachigrafici erano talmente molteplici e vari da arrivare a poter essere configurati quasi come una tecnica personale. 79 La sequenza delle attività documentali di una cancelleria, in ordine particolarmente alla redazione di gesta forrmati in un contesto giurisdizionale, è icasticamente rappresentata in una costituzione di Teodosio II e Valentiniano III del 440 d.C. (CI. 7.62.32): 2. et ea quae geruntur excipere scribere scriptaque litigatoribus edere nostros epistulares praecipimus:… 4a. Nostri vero libellenses quae apud arbitros gesta sunt suscipiant, cognitiones inducant et ea quae geruntur excipiant scribant scriptaque litigatoribus edant. Questa sequenza, integrata dall’emendatio, era ad ogni modo quella generalmente osservata, come testimoniato da S. Girolamo (Hieron., Commentar. in Evang. Matthaei, Prolog. [PL 26, 20B-C] : At tu… dictare me cogis, ut quando notarii excipiant, quando scribantur schedulae, quando emendentur, quo spatium digerantur ad purum). 80 Probabilmente espressa con la classica formula descriptum et recognitum. 81 Come ipotizzato da Stein, Die Stenographie cit., p. 182, sulla base di un esempio fornito da un’iscrizione epigrafica che contiene un estratto di un verbale relativo ad una seduta di una curia municipale (su cui si veda infra p.104).

II. Struttura dei gesta senatus: un tentativo di ricostruzione

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della seduta (come da taluni sostenuto), attesa la loro complessità avrebbero dovuto protrarsi quantomeno per alcuni giorni82.

II. Struttura dei gesta senatus: un tentativo di ricostruzione Si è soliti affermare che degli acta o gesta senatus non è pervenuto, al di fuori del verbale della seduta del senato di Roma del 438 d.C., alcun testo 'originale'. Tale affermazione viene quindi a implicare la presunzione che i nostri Gesta costituiscano la versione 'originale' di detto verbale, e che quest’ultimo sia pertanto, oltre che autentico, anche integrale, se non per alcune accidentali lacune da ricondurre alla sua tradizione manoscritta. Ne discende che, secondo tale assunto, i Gesta senatus documenterebbero in modo puntuale e fedele l’intero svolgimento della seduta che ne costituisce l’oggetto, e quindi tutte le attività compiute dal senato e dal suo interlocutore, il prefetto Fausto. Tuttavia, già all’indomani della scoperta di questo notevole protocollo veniva da taluni avanzato il dubbio che esso, pur se quasi certamente derivante dal verbale originale, potesse in realtà rappresentarne una versione ridotta, incompleta, e comunque caratterizzata da omissioni83. Tali perplessità, più che discendere da considerazioni inerenti l’aspetto formale del documento, nascevano in effetti dall’aver rilevato nel suo contenuto alcune incongruenze di natura logica. Tra queste incongruenze ___________ 82 E’ possibile arguire ciò, argomentando a contrario, dai tempi eccezionalmente rapidi che erano stati previsti per le operazioni di verbalizzazione, descriptio ed editio dei gesta dell’incontro cartaginese. E difatti, pur essendo stati i verbali delle prime due sedute editi in tempi relativamente brevi (pochi giorni), dal programma del magistrato apprendiamo che il verbale della terza seduta venne edito soltanto 18 giorni dopo la fine dell’incontro. Ulteriori indizi sui tempi di confezione dei processi verbali vengono forniti da una costituzione di Costantino indirizzata al proconsul Africae Eliano (CTh. 1.12.1: a. 315 o 313 d.C.): Omnes civiles causas et praecipue eas, quae fama celebriores sunt, negotia etiam criminalia publice audire debebis tertia, vel ut tardissime quarta vel certe quinta die acta conficienda iussurus. Quae omnia legati quoque coercitione commoniti observabunt. Un editto del prefetto del pretorio Costantino aveva poi previsto un termine finale inderogabile di 15 giorni (Anecdota [ed. Heimbach] III: Edicta praef. praet. 19, p. 273, trad. lat. Si quis in provincia gesta confecerit apud praesidem, isque postquam " Lectum" subscripserit, intra XV dies petenti t¦ kaqar¦ non ediderit…). Va rilevato però che le citate fonti si riferiscono prevalentemente ad attività giurisdizionali, i cui relativi verbali, come si può supporre, dovevano essere particolarmente lunghi. 83 Neue Quellen des Römischen Rechts, in Leipziger Literatur-Zeitung, n. 237 (28 Sept. 1824), col. 1889: "Dass die hiermit schliessenden gesta ganz vollständig seyen, lässt sich bezweifeln; denn es ist doch sehr wahrscheinlich, dass nicht bloss der Befehl zur Abfassung, sondern auch das Publicationsgesetz des Cod. Theod. verlesen worden sey; und die vielen und kurzen Acclamationen konnten leicht Weglassungen veranlassen".

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Capitolo secondo: I gesta senatus: formazione e struttura

rientrava, ad esempio, quella costituita dalla circostanza che il presidente Fausto, apparentemente in contrasto con la sua intenzione manifestata ai presenti di voler procedere alla lettura di più leges, avrebbe dato lettura, nel corso della seduta senatoria, della sola costituzione (CTh. 1.1.5, il cui testo è, a onor del vero, l’unico che appare essere stato insinuato nel verbale) con cui Teodosio II, nel 429 d.C., aveva per la prima volta programmato la realizzazione di quella complessa opera codificatoria che si sarebbe tradotta nella redazione della raccolta normativa oggetto di presentazione al senato romano. Un’altra incongruenza è stata avvertita nel fatto che né la seconda costituzione programmatica, emanata nel 435 d.C. (CTh. 1.1.6), né tantomeno quella, anch’essa di Teodosio II, del 438 d.C. (NTh. 1), ancor più pregnante in quanto attribuiva al Codice valore normativo, avrebbero fatto ingresso all’interno della solenne cerimonia. Tali inspiegabili assenze sono state più volte rimarcate dagli studiosi, che hanno sottolineato l’illogicità di una scelta di lettura che, limitata alla costituzione programmatica del 429, avrebbe lasciato fuori gli altri due (ben più qualificanti) provvedimenti appena citati. Ma, nonostante la ragionevolezza di tali perplessità, l’ipotesi che il verbale senatorio a noi giunto possa rappresentare una versione incompleta o, quantomeno, ridotta rispetto al testo originale, e comunque rispetto a quanto realmente accaduto, non ebbe alcun seguito. E però, poiché dette perplessità non hanno ancora trovato una soluzione soddisfacente, potrebbe non essere del tutto inutile effettuare un tentativo finalizzato a comprendere se i Gesta senatus del 438 costituiscano effettivamente una versione integrale dell’originario verbale, o se rappresentino comunque lo specchio fedele e completo dell’intero svolgimento della seduta del senato, di fronte alla possibile alternativa che ne costituiscano invece una versione in forma riassuntiva e per questo incompleta, un’epitome o un estratto del verbale originario, o comunque una versione ridotta di quanto realmente accaduto. Le principali questioni di ordine metodologico che a questo punto si pongono sono due: come procedere a una tale verifica? E quali sono i limiti di un’operazione di questo tipo? In mancanza di altri testimoni di questo stesso verbale, come pure di un qualsiasi altro documento omologo, sia pure relativo ad altra e diversa seduta; in mancanza cioè di fonti omogenee con le quali poter istituire un sicuro raffronto, la ricostruzione dovrà essere tentata mediante una comparazione con fonti comunque analoghe, sia pure per certi versi, ai nostri Gesta. Ciò potrebbe comunque consentire, se non di definire una vera e propria possibile struttura tipica dei verbali senatori, almeno di individuarne alcuni degli elementi formali – forme sintattiche, struttura, etc. – dei quali, una volta rilevata la costante presenza in tutti i documenti presi in esame, si possa affermare, con una certa ragionevolezza, la tipicità.

II. Struttura dei gesta senatus: un tentativo di ricostruzione

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Tale analisi verrà condotta anzitutto su documenti – pervenuti per via non solo diretta, ma anche indiretta – che presentino natura e struttura di gesta e che siano relativi, in particolare, a sedute o del senato stesso oppure di organismi assembleari pubblici (concistoro, curie municipali, etc.) che mostrano di adottare le medesime procedure in uso nel senato. Verranno pertanto, in linea di massima, esclusi i verbali che documentano un’attività di natura giurisdizionale, se non, come si dirà, con un’unica eccezione. Saranno inoltre utilizzati alcuni verbali prodotti in contesti diversi da quello assembleare, ma comunque relativi ad attività poste in essere da organi pubblici (per lo più funzionari imperiali) e che presentano ad ogni modo delle implicazioni giuridiche, come, ad esempio, la pubblicazione di testamenti e di atti di donazione. Infine, si ricorrerà anche ai verbali che documentano lo svolgimento di concili, sinodi o confronti religiosi, in particolare quelli svoltisi nei secc. IV e V d.C.: ciò in quanto tali documenti, pur se redatti in ambiente ecclesiastico, si presentano strutturati, come rilevato in più occasioni dagli studiosi84, in modo non dissimile dagli anzidetti documenti pubblici. Oltre a stimolare la riflessione sulla loro completezza (o incompletezza), un’analisi formale dei Gesta senatus del 438 d.C. condotta alla luce di tecniche di verbalizzazione ampiamente diffuse potrebbe altresì far riflettere sulla correttezza dell’attuale testo critico relativamente ad alcuni passi e, di conseguenza, portare a rimettere in discussione alcune delle scelte filologiche operate dagli editori in merito a punti particolarmente corrotti o lacunosi del testo manoscritto: un’operazione che è stata già tentata in passato da alcuni studiosi, conducendo anche a risultati apprezzabili85. ___________ 84

Analogie formali tra le varie tipologie di verbale qui prese in considerazione erano state già notate da Classen, Kaiserreskript cit., pp. 101-104, che vi ha individuato elementi strutturali comuni, precisando che "Es ist nicht nötig, an eine unmittelbare Entlehnung der Formen des römischen Senats zu denken" (p. 103) e riconducendo quindi le analogie ad una generale e diffusa pratica di verbalizzazione relativamente indipendente – quanto alle forme – dal contesto in cui il protocollo era stato formato. L’Autore ha presenti anche i verbali prodotti in seno alle riunioni dei collegi sacerdotali pagani. Ad un vero e proprio influsso delle tecniche di verbalizzazione proprie del senato sulla formazione dei protocolli relativi agli atti dei concili pensa invece la Davidson, che mette anzi in evidenza la, sia pure occasionale, partecipazione di senatori alle riunioni dei vescovi (Davidson, A problem cit., p. 172). 85 Davidson, A problem cit., passim, ha studiato con acribia il testo manoscritto dei Gesta senatus del 438, anche al fine di offrire una ricostruzione filologica dell’originaria espressione et ad inter – priva di significato nel contesto in cui si trova collocata – prospettando, con convincenti argomentazioni, la diversa soluzione et adiecit in sostituzione di quella di Mommsen, che l’aveva invece trasformata in et addentur. Anche tale operazione è stata condotta dalla filologa sulla base di un confronto comparato con verbali formati in altri contesti, all’interno dei quali, in situazioni analoghe a quella esaminata, è generalmente riscontrabile la presenza della formula et adiecit, piuttosto diffusa e comune, e perciò ritenuta dalla Davidson anche per questo caso come la più aderente al testo originario.

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1. Fonti giuridiche Il Codice Teodosiano ha conservato, tra le altre, anche due costituzioni, risalenti alla seconda metà del IV sec. d.C., i cui testi appaiono essere in realtà frammenti tratti da verbali che documentano due sedute del concistoro costantinopolitano86, nel corso delle quali gli imperatori avrebbero assunto disposizioni normative di carattere generale, il cui contenuto qui non rileva. Si tratta di: CTh. 11.39.5 (23 marzo 362) PARS ACTORUM HABITORUM APUT IMPERATOREM IULIANUM AUGUSTUM.

Mamertino et Nevitta conss. X kal. April. Constantinopoli, in consistorio; adstante Iovio viro clarissimo quaestore, Anatolio magistro officiorum, Felice comite sacrarum largitionum, (et cetera). Imp. Iulianus A. dixit:… CTh. 11.39.8 (29 giugno 381) PARS ACTORUM HABITORUM IN CONSISTORIO APUT IMPERATORES GRATIANUM, VALENTINIANUM ET THEODOSIUM.

Cons. Syagri et Eucheri die III kal. Iul. Constantinopoli, in consistorio. Imp. Theodosius A. dixit:…

Come può osservarsi, tali frammenti conservano anche, sia pure in forma estremamente succinta, il protocollo (inteso cioè come la parte iniziale) dei gesta, dal quale emerge la presenza di alcuni elementi degni di nota. Nel protocollo di CTh. 11.39.5 si trovano indicati anzitutto la data (espressa dalla coppia consolare eponima, dal giorno e dal mese) e il luogo (la città e l’assemblea, intesa anche nel senso di sede fisica) in cui la seduta si era svolta. Segue poi, preceduto dalla formula adstante, l’elenco (qui probabilmente incompleto, come suggerisce la formula et cetera) dei nomi dei partecipanti, accompagnati anche dall’indicazione del titolo onorifico e della rispettiva carica. Nel testo in esame, pur nella sua brevità, è poi riscontrabile un’ulteriore caratteristica formale, costituita dal passaggio dal discorso indiretto, usato per indicare gli elementi oggettivi della seduta, a quello diretto, quest’ultimo adottato per riportare le dichiarazioni emesse nel corso della riunione. Tali dichiarazioni si presentano generalmente precedute dall’indicazione del loquente (in questo caso l’imperatore Giuliano) e sono introdotte dal verbo dixit. Le medesime caratteristiche sono riscontrabili, in linea di massima, anche nel secondo dei testi proposti, risalente all’epoca di Teodosio I, testo in cui è però assente la menzione dei presenti. Tale assenza sembrerebbe tuttavia da imputarsi piuttosto all’opera di 'sfoltimento' condotta dai compilatori di Teodosio II (se non già dagli autori del testo da essi utilizzato). ___________ 86 E’ stato osservato più in generale che "die inneren Formen der Kaiser- und Beamtenurkunden fast völlig gleich sind" (Classen, Kaiserreskript cit., p. 3).

II. Struttura dei gesta senatus: un tentativo di ricostruzione

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2. Fonti epigrafiche e letterarie a) Il SC.tum de pretiis gladiatorum Un’iscrizione mutila, incisa su una tavola bronzea proveniente da Italica87 e nella quale era stato inizialmente ravvisato il testo di un senatoconsulto (cd. SC.tum de sumptibus ludorum gladiatorum minuendis, definito anche come de pretiis gladiatorum)88, sembrerebbe rappresentare piuttosto, come posto in evidenza da attenti studi89, un brano tratto dal verbale di una seduta senatoria durante la quale l’assemblea, in un anno compreso tra il 177 e il 180 d.C.90, deliberò sulle spese degli spettacoli di gladiatori. L’iscrizione conservata, il cui lungo testo non sarà qui riportato per ragioni di spazio, rappresenta solamente una parte dell’intervento di un senatore riportato testualmente nella forma del discorso diretto. Si tratta in realtà di quella parte dell’orazione in cui è stata assunta la deliberazione oggetto del senatoconsulto, come suggeriscono i numerosi censeo seguiti dalla nuova disciplina della materia. Dal tenore del discorso risulta che durante la seduta era stata data lettura di un’oratio imperiale91, il cui testo non è però pervenuto attraverso il documento epigrafico. L’unico dato desumibile da questa testimonianza, molto parca quanto alle notizie che qui interessano, è rappresentato dall’uso, all’interno nel verbale, della forma del discorso diretto per riportare gli interventi degli astanti. Degno di nota è tuttavia il fatto che fu il testo del verbale (o, come è più probabile, di un suo estratto), e non quello del relativo senatoconsulto in quella sede adottato, ad essere fatto oggetto di pubblicazione nelle province. Tra le possibili ragioni per cui il testo di un verbale senatorio poteva essere edito e quindi circolare nell’impero vi era anche l’esigenza di dare pubblicità allo stesso: questa considerazione acquisterà rilevanza più avanti, quando si cercherà di spiegare l’origine del documento oggetto della nostra indagine – i Gesta senatus del 438 d.C. – e il modo in cui questo sia giunto sino a noi.

___________ 87

Città della Betica, in Spagna. FIRA I, 49. 89 Cfr. J.H. Oliver / R.E.A. Palmer, Minutes of an act of the Roman senate, Hesperia 24 (1955) pp. 320-349. 90 O tra il 176 e il 178 d.C., secondo gli editori di FIRA. 91 SC.tum de sumpt. glad. lin. 13: Legebatur etiam nunc apud nos oratio. 88

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b) I verbali delle curie municipali: il caso di Caere Alcune epigrafi hanno poi tramandato estratti di verbali relativi a sedute delle curie municipali. L’opportunità dell’uso di tali fonti è giustificata dalla considerazione che, come generalmente riconosciuto, lo svolgimento delle riunioni di questi organismi assembleari locali si modellava, quanto alla procedura seguita, su quella in uso presso il senato di Roma92. Alla luce di ciò si può presumere che l’analogia si estendesse, almeno in parte, anche alla formazione e alla struttura dei relativi atti. Per l’età traianea è pervenuta un’iscrizione epigrafica che rappresenta la copia ufficiale (come riconoscibile dalla formula descriptum et recognitum, apposta dallo scriba, che introduce il documento) di un estratto del verbale relativo a una seduta della curia del municipio di Caere svoltasi nel 114 d.C. L’estratto risulta essere stato estrapolato dal commentarium cottidianum (del quale vengono indicate con precisione anche le pagine e i kapita) a seguito di autorizzazione da parte del competente magistrato. Dell’iscrizione verranno qui riportate soltanto quelle parti rilevanti per la nostra indagine: CIL 11, 1 n. 3614 … Descriptum et recognitum factum in pronao aedis Martis ex commentario quem iussit proferri Cuperius Hostilianus per T. Rustium Lysiponum scribam in quo scriptum erat it quod infra scriptum est. L. Publilio Celso II C. Clodio Crispino Cos. idibus Aprilib. M. Pontio Celso dictatore C. Svetonio Claudiano aedile iuri dicundo praef. aerarii commentarium cottidianum municipi Caeritum inde pagina XXVII kapite VI M. Pontius Celsus dictator et C. Svetonius Claudianus decuriones in templo Divor(um) corrogaverunt ubi Vesbinus Aug(usti) lib(ertus) petit ut… In curiam fuerunt Pontius Celsus dictat(or), Svetonius Claudianus aed(ilis) iuri dic(undo), M. Lepidius Nepos aedil(is) annon(ae), Pollius Blandus, Pescennius Flavianus, Pescennius Natalis, Pollius Callimus, Petronius Innocens, Sergius Proculus. Inde pagina altera capite primo: Magistratus et decuriones Curiatio Cosano sal(utem). Idib(us) Aug(ustis)… [segue il testo di un’epistola] … Inde pagina VIII kapite primo Curiatius Cosanus mag(istratibus) et dec(urionibus) Caeretanor(um) sal(utem)… [segue il testo di un’altra epistola, che costituiva la risposta a quella letta in precedenza]

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Ancora nel 458 d.C. l’imperatore Maioriano poteva dire che i Curiales nervos esse rei publicae ac viscera civitatum… quorum coetum recte appellavit antiquitas minorem senatum (NMaior. 7 pr.). Delle affinità tra le due assemblee e, quindi, dell’utilizzabilità dei documenti formati nell’ambito delle attività delle curie municipali, al fine di trarre informazioni su quelli senatorii, è un assertore Stein, Die Stenographie cit., p. 182 nt. 13.

II. Struttura dei gesta senatus: un tentativo di ricostruzione

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Anche da questo documento è possibile ricavare alcune interessanti informazioni. Dopo un’annotazione di cancelleria, relativa al registro dal quale la copia del documento era stata estratta, è riscontrabile l’indicazione completa della data (rappresentata dalla coppia consolare, giorno e mese), nonché l’elenco dei nomi dei magistrati (con indicazione della rispettiva carica) e dei decurioni che in curiam fuerunt. Si può poi constatare l’inserimento nel verbale di brani di documenti (e, precisamente, di epistole, il cui testo non è stato qui riprodotto) dei quali era stata data lettura nel corso della seduta. Nell’iscrizione il contenuto della seduta viene sommariamente descritto e riportato in forma indiretta. Ciò sembrerebbe però costituire un’eccezione rispetto a quello che, come si vedrà, costituiva lo stile tipico dei verbali. Una possibile spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che, nel nostro caso, del testo originario dei gesta era stata inserita nel commentarium – oppure da questo estratta – una versione non solo epitomata, ma anche rielaborata quanto alla forma espositiva. c) Gesta senatus nella Historia Augusta Alcuni brani tratti da gesta senatus professati come autentici sarebbero stati inoltre tramandati, sia pure in forma indiretta e probabilmente sunteggiata, attraverso fonti letterarie. Tra queste spicca l’Historia Augusta, i cui (presunti) autori asseriscono di essersi serviti, per dare maggior completezza alle Vitae degli imperatori ivi ricostruite, anche di atti ufficiali e, in particolare, di numerosi verbali di sedute senatorie93. Stando alle affermazioni degli stessi biografi, alcuni di questi brani sarebbero stati anzi estratti proprio dagli acta senatus o dagli acta urbis (o acta diurna). Occorre anzitutto premettere alcune considerazioni sull’affidabilità di questa fonte. E’ senz’altro vero che l’uso del materiale contenuto in quella particolare opera, qual è l’Historia Augusta, richiede una certa cautela, essendo quest’ultima unanimemente giudicata ricca di invenzioni e affetta nel suo complesso da falsificazioni ed errori relativi proprio ai fatti ivi riportati: caratteristiche tutte che concorrono a farla ritenere generalmente poco attendibile. Lo stesso giudizio dovrebbe quindi colpire i documenti da essa tramandati. E però a ciò può essere obiettato che non vi è motivo di ritenere a priori che i testi qui presi in esame siano completamente frutto della fantasia degli scrittori, potendosi piuttosto ipotizzare un loro possibile rimaneggiamento, dettato dall’esigenza di presentare tali brani come apparenti trascrizioni testuali di pretesi atti originali. ___________ 93

Soprattutto quelle durante le quali veniva conferito il potere al nuovo imperatore.

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In ogni caso, al di là della veridicità o meno del contenuto, questi brani dalla veste di gesta senatus presentano quella che doveva essere, almeno durante il Principato o forse, più probabilmente, proprio per l’età tardoantica, la struttura tipica di questi documenti94. Una tale forma doveva anzi essere tanto più verosimile quanto più falso doveva esserne il contenuto. E le considerazioni che seguono all’osservazione di tali gesta tanto più possono essere estese ad un’epoca posteriore, quanto più tarda si ritenga la data di composizione della stessa Historia Augusta95. Tali riflessioni ci sembra autorizzino a servirsi di siffatti testi per tentare una ricostruzione anche delle modalità in cui si esprimevano i senatori durante le assemblee, oltre che della veste assunta dai documenti che registravano tale attività. Verranno qui riportati alcuni passi a titolo esemplificativo: SHA, Al. Sev. 6.2 Ex actis urbis: a.d. pridie nonas Martias cum senatus frequens in curiam (hoc est in aedem Concordiae templumque inauguratum) convenisset rogatusque esset Aurelius Alexander Caesar Augustus… adclamatum… 7.1 Et cum egisset gratias Alexander, adclamatum est:… 8.1-2 Et post adclamationes Aurelius Alexander Caesar Augustus:… 2. Et cum diceret, adclamatum:… 9.1 e 5 Item imp(erator) dixit:… 5. Et cum diceret, adclamatum est:… SHA, Maxim., 16.1 Senatus consulti autem hoc fuit {exemplum}: Cum ventum esset in aedem Castorum die VI. kl. Iuliarum, acceptas litteras Iunius Silanus… recitavit:… 3. Lectis litteris statim senatus adclamavit:… SHA, Valer., 5.4 e 8 Duobus Deciis conss. sexto kal. Novembrium die, cum ob imperatorias litteras in aede Castorum senatus haberetur… omnes una voce dixerunt interrupto more dicendae sententiae:… 8. Quae cum essent saepius dicta, addiderunt: «omnes», atque ita discessum est.

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Del medesimo avviso anche Stein, Die Stenographie cit., p. 181 nt. 12; Classen, Kaiserreskript cit., p. 102: "Sie wurden aber zu einer Zeit verfaßt, da regelmäßig Senatsprotokolle veröffentlicht wurden. Darum sind ihre Formen sicher denen echter Protokolle angepaßt; insbesondere wo sie mit dem einzigen echten Protokoll [scil. i Gesta senatus del 438] übereinstimmen, kann man allgemeine Regeln erkennen". 95 Nel corso del dibattito acceso da Dessau sul finire del XIX sec., varie sono state le posizioni assunte dagli studiosi sulla questione della datazione di quest’opera. Poiché non è possibile ripercorrerle in questa sede, ci si deve limitare a osservare che l’attuale tendenza colloca la redazione dell’Historia Augusta nell’età di Teodosio I (379-395 d.C.), anche sulla base di incongruenze e contraddizioni di vario tipo, di evidenti anacronismi che stridono con l’età dichiarata (dioclezianeo-costantiniana), dell’uso di termini tecnico-amministrativi correnti invece nell’età teodosiana: si veda sul punto P. Soverini, Introduzione a Scrittori della Storia Augusta I (1993) p. 27 ss.

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Pur essendo questi brani visibilmente rimaneggiati e sunteggiati, è ancora possibile cogliere in essi la presenza pressoché costante degli elementi già osservati nei documenti più sopra esaminati, e cioè: l’indicazione completa, in apertura del documento, della data (formata dalla coppia consolare, giorno e mese) e del luogo96 in cui la seduta del senato si era svolta; la riproduzione testuale, nella forma del discorso diretto (introdotto dalla formula dixit), della relatio del magistrato e di tutte le dichiarazioni dei presenti97; l’inserimento a verbale dei testi di documenti dei quali fosse stata data lettura (recitatio) all’assemblea e ordinata l’allegatio nei gesta98. Va detto che in età imperiale sempre più frequente divenne la lettura, in apertura della seduta, di orationes del principe rivolte al senato. Fanno qui, inoltre, la loro comparsa le adclamationes99, una forma di espressione corale dei senatori attraverso la pronuncia, forse ritmica, di brevi frasi da parte degli astanti. Per le acclamazioni senatorie e la loro funzione rimandiamo al cap. 3 § II.6 3. Fonti ecclesiastiche Tra l’immane massa di documenti conservati dalla Chiesa vi sono anche numerosi verbali relativi alle riunioni dei vescovi tenutesi in età tardoantica. Tali riunioni, com’è noto, potevano avere forma sia assembleare (in sede deliberante: concili o sinodi) sia contenziosa, quale confronto tra due posizioni contrapposte (cd. collationes). La struttura di detti verbali, che documentano, a volte dettagliatamente, a volte solo sommariamente, quanto accaduto ed eventualmente deliberato nel corso di queste riunioni, presenta notevoli affinità con quella dei verbali redatti nelle cancellerie degli uffici dell’amministrazione imperiale. Non sembri allora arbitrario l’utilizzo di codeste fonti per il fine che ci siamo proposti: è ormai da più parti riconosciuto che le assemblee di vescovi e presbiteri avevano, da un punto di vista formale (e ancor più quando l’occasione dell’incontro non era quella di una disputa fra correnti diverse per determinare l’ortodossia della fede)100, un andamento del tutto analogo a quello di un’assemblea del senato. ___________ 96 Nell’età del Principato, costituito solitamente dalla Curia Iulia o da un tempio inaugurato (cfr. O’Brien Moore, s.v. senatus cit., col. 767 s.). 97 Nonché i discorsi dei singoli senatori. Gli interventi individuali, tuttavia, normali in età repubblicana, andarono scemando in misura inversamente proporzionale rispetto al crescere dell’assolutismo del potere imperiale. 98 Ad esempio, le epistole che i magistrati, anche provinciali e municipali, avevano inviato ad un altro magistrato o al senato stesso. 99 Queste verranno anzi a costituire uno degli elementi più caratterizzanti, quasi immancabili, delle sedute senatorie e dei relativi verbali. 100 Nel qual caso la procedura adottata era più simile a quella normalmente caratterizzante l’attività giurisdizionale.

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La stessa seduta veniva condotta secondo una procedura molto simile a quella che regolava le sedute senatorie101. Tale analogia si esprime non solo nelle forme, ma anche nella terminologia tecnica ivi adoperata (e confluita nei documenti): per fare alcuni esempi, l’attività dei vescovi tesa a giungere a una deliberazione è definita col verbo tractare, termine con cui veniva tradizionalmente definita la corrispondente attività del senato; l’approvazione da parte dell’assemblea episcopale veniva espressa con la formula placet e le deliberazioni venivano assunte con le medesime modalità proprie all’amplissimus ordo, espresse quindi o in forma individuale, resa con le formule censeo o decerno, oppure collegialmente, mediante adclamationes102. Inoltre, non di rado exceptores che avevano già servito presso l’ufficio di un funzionario dell’amministrazione imperiale lasciavano il proprio posto per diventare notarii ecclesiastici103, portando con sé un sapere e una prassi fatta di schemi formali acquisiti all’interno dell’ufficio pubblico di provenienza. Per di più, le stesse riunioni dei vescovi, che in alcuni casi hanno visto la partecipazione anche di senatori, potevano essere talvolta presiedute da funzionari imperiali, il cui ufficio provvedeva anche allo svolgimento dell’attività di verbalizzazione. E’ questo il caso, ancora una volta, ___________ 101

Come rilevato, ad esempio, da H. Bresslau, Manuale di diplomatica per la Germania e l’Italia (Roma 1998) p. 177: "sinodi, i cui dibattiti si svolgevano secondo forme per molti aspetti vicine a quelle delle autorità romane, soprattutto del senato". Dello stesso avviso J. Gaudemet, La formation du droit séculier et du droit de l’Eglise (Paris 1957) p. 136: "sur certains points de détail, en particulier dans la procédure de tenue des conciles, l’exemple du Sénat romain put exercer un certain rôle". Del pari esplicito Batiffol, che, nell’analizzare in particolare i documenti relativi ai concili svoltisi a Cartagine nel III sec. d.C., rileva come le assemblee di vescovi siano da considerarsi "une institution qui… s’est pénétrée profondément des maximes du droit public romain", con ciò riferendosi particolarmente al senato di Roma (P. Batiffol, Le règlement des premiers Conciles africains et le règlement du Sénat romain, Bulletin d’ancienne littérature et d’archeologie chrétienne 3/1 [1913] p. 3). Da ultimo H.J. Sieben, Die Partikularsynode. Studien zur Geschichte der Konzilsidee (Frankfurt a.M. 1990) p. 243: "in Rom… scheinen die Konzilsakten vorzugsweise die gesta des Senats nachgeahmt zu haben". 102 Per ulteriori esempi Batiffol, Le règlement cit., p. 3 ss. Questi osserva, inoltre, che spesso tali sedute erano pubbliche (come testimoniato, in alcuni verbali conciliari, dalla registrata presenza della plebs), al pari di quelle senatorie, durante lo svolgimento delle quali la porta della Curia veniva lasciata aperta per consentire al popolo di parteciparvi, sia pure in forma indiretta. L’Autore conclude la propria disamina stabilendo un preciso parallelo tra le assemblee vescovili, quelle senatorie e quelle locali, affermando che "on ne concevait pas une assemblée délibérant en forme autrement que dans la forme consacrée par l’usage du sénat", e aggiungendo che "Les assemblée provinciales ou municipales… délibéraient dans la même forme" (p. 18). 103 E’ il caso, ad es., del valente notarius del vescovo Evodio, il quale aveva in precedenza servito presso il consilium di un proconsole (Aug. Ep. 158; 160; 161; 163: a. 414 d.C.). Sull’attività svolta dai notarii ecclesiastici v. Teitler, Notarii and exceptores cit., passim.

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documentato dai Gesta Conlationis Carthaginiensis, più sopra analizzati. La struttura di questo verbale è inoltre confermata, nelle sue linee principali, anche da numerosi altri gesta conciliari e sinodali per essere quella abitualmente in uso104. V’è però da dire che la maggior parte di questi documenti, così come ci sono pervenuti, risulta redatta in una versione che, proprio alla luce del confronto con i Gesta cartaginesi, potrebbe definirsi come per lo più parziale ed epitomata105. Da un’analisi comparata condotta su alcuni di questi verbali, il cui testo non verrà qui riprodotto, emerge la costante presenza, comune alla gran parte di essi, delle seguenti forme ed elementi, anche procedurali106: a) in apertura del verbale compariva regolarmente l’indicazione completa della data (cioè l’anno, individuato dal nome dei consoli eponimi, il giorno e il mese) e del luogo (città e sede) in cui la seduta si era svolta107; b) a ciò seguiva l’indicazione nominativa di tutti i presenti, introdotta dalla formula praesentibus (oppure, in alternativa, residentibus, considentibus, adstantibus)108. A volte tra i presenti venivano indicati anche gli exceptores (excipientibus etiam) che avrebbero dovuto attendere alla redazione del verbale. Di essi era solitamente menzionato il solo nomen e l’ufficio di appartenenza109; c) in occasione dell’apertura della seduta poteva essere data lettura di una serie di documenti – tra cui, se ne era stato emanato uno, l’editto di convocazione della seduta stessa – che di quell’incontro costituivano i presupposti e ne rendevano manifesta, per così dire, la genesi e preparazione110; d) le dichiarazioni, tanto del presidente quanto ___________ 104 Numerosissimi sono i gesta ecclesiastici pervenutici, per cui non appare opportuno riportare per esteso tali fonti. Tra questi sono stati qui consultati quelli relativi a un arco temporale non troppo distante dai nostri Gesta senatus: tali appaiono i Gesta Concilii Aquileiensis (a. 381 d.C.: Mansi III, col. 601A ss.); Gesta de absolutione Miseni (Coll. Av. 103), relativi ad un sinodo svoltosi a Roma nel 495; Gesta di un sinodo svoltosi a Roma nel 465, consultati nell’edizione di K. Brandi, Urkunden und Akten für rechtsgeschichtliche und diplomatische Vorlesungen und Übungen3 (Berlin – Leipzig 1932) p. 6 n. 7. 105 Bresslau, Manuale di diplomatica cit., osservava difatti che la gran parte degli atti conciliari in nostro possesso altro non sono che excerpta tratti dai verbali originari. 106 Sulla struttura dei verbali relativi in particolare ai concili romani si veda il recente studio di Sieben, Die Partikularsynode cit., p. 229 ss., dove è compiuto un analogo tentativo di individuare un 'festes Schema' di tali verbali sulla base della costante presenza in essi di elementi fissi (p. 237 ss.). Lo schema individuato dallo studioso conoscerebbe, a suo giudizio, una certa stabilità fino al X sec. inoltrato. 107 Indicati come elementi essenziali anche da Sieben, Die Partikularsynode cit., p.237. 108 Cfr. Sieben, Die Partikularsynode cit., p. 237. Residentibus e considentibus erano solitamente i vescovi e i preti, mentre i diaconi erano indicati come adstantibus. 109 G. Conl. Carth. 1.1.1-19. Questa parte del verbale viene indicata come De adstante officio nei Capitula Gestorum primae cognitionis, 1 (CCSL 149A, p. 6). 110 Nel confronto cartaginese, prima di passare al tema centrale venne data lettura dei seguenti documenti: la costituzione con la quale l’imperatore Onorio aveva prescritto

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dei membri dell’assemblea presenti, erano riportate in forma di discorso diretto, ciascuna con l’indicazione del loquente seguita dal verbo dixit; la lettura di documenti da parte di questi all’assemblea era introdotta dalle espressioni recitavit o legit111; e) nel verbale era inoltre registrata ogni altra attività dei presenti, come, ad esempio, l’ingresso e l’uscita dei partecipanti dalla sala in cui la riunione aveva luogo112 o altri loro movimenti113, le interruzioni114, eventuali lamentele e atti di protesta115; f) se alla seduta partecipava un magistrato, nel verbale ne era sempre riportata la titolatura completa116, comprensiva di titoli onorifici, cariche gerite in passato e quella attualmente ricoperta; g) degli atti rilevanti in relazione all’oggetto dell’incontro veniva data lettura, nel corso della seduta, solo per ordine del presidente. Tali documenti venivano a costituire parte integrante del verbale solamente dopo che questi ne avesse dato specifico ordine, il quale seguiva solitamente la lettura stessa117: tale ordine era per lo più espresso con preciso riferimento alla quantità dei documenti di cui era stata data lettura, e cioè al singolare, nel caso in cui si trattasse di un unico documento, al plurale, se si era proceduto alla recitatio di due o più documenti; h) la lettura dei documenti prodotti non veniva solitamente effettuata dal presidente dell’assemblea, ma competeva agli ___________ l’incontro tra i vescovi, ordinando al tribunus et notarius di convocarlo e di presiederlo (si tratta di un editto di Onorio del 14 ottobre 410, con il quale l’imperatore aveva prescritto la necessità di una Conferenza tra cattolici e donatisti: G. Conl. Carth. 1.4 e 3.24; 3.29; CTh. 16.11.3); gli editti, emanati da Marcellino, di convocazione dei vescovi e di fissazione del luogo e della data del confronto (1.5; 1.14); le notificazioni e lettere di risposta dei vescovi convocati (1.14; 1.16; 1.18); nonché altri documenti rilevanti al fine della regolarità formale dell’incontro e, in ogni caso, attinenti all’oggetto del dibattito. 111 Ad es. Martialis exceptor recitavit. Numerosi esempi sono diffusi in tutto il testo. 112 G. Conl. Carth. 1.2.4: Et ingressis universis episcopis partis Donati, ingressis etiam…; 1.99.8-10: Marcellinus… dixit: Silvanus… exeat. Quo egresso, item recitavit:… 113 Gesta synodalia (a. 465): Et cum legeret, Probus episcopus e consessu surgens, dixit:… 114 G. Conl. Carth. I.55.3-6: Romulus exceptor recitavit:… Et cum recitaret, Adeodatus episcopus dixit:… 115 G. Conl. Carth. 2.4-5: Dietro invito a sedere rivolto dal presidente ai presenti, il vescovo donatista Petiliano rispose: Patribus nostris absentibus non sedemus. A quel punto tutti si alzarono in piedi: Cumque episcopi catholici surrexisset atque sessus iudicis auferretur eiusdem iudicis iussione, et dominus noster… Marcellinus stetisset. 116 G. Conl. Carth. 1.2.1-2 e passim: Marcellinus vir clarissimus tribunus et notarius dixit:… 117 G. Conl. Carth. 1.4.70: Recitata venerabilis lex gestis praesentibus inseratur; 1.6.2: Lectum edictum gestis praesentibus adhaerebit; 1.151.2-3: tam mandatum quam subscriptiones eidem cohaerentes gestis praesentibus inserentur; 1.58.2: Has quoque subscriptiones cum mandato gesta suscipient; 3.6.2: Lectae cautiones gestis praesentibus adhaerebunt; e passim.

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exceptores118 o a coloro che rivestivano cariche corrispondenti o, comunque, minori (notarii ecclesiastici o diaconi); i) nel caso in cui da parte dell’assemblea fossero state scandite delle adclamationes, esse venivano messe a verbale119. La loro menzione era talvolta accompagnata dall’indicazione di un numero. Qualora le acclamazioni fossero venute a interrompere un’attività già in corso, come ad esempio la lettura di un documento, questa riprendeva, per ordine del presidente, non appena i presenti si fossero acquietati; j) al termine della seduta, il presidente ordinava, a quegli stessi funzionari che avevano svolto il lavoro di verbalizzazione della seduta, di provvedere all’editio dei relativi gesta. Quando il destinatario dell’editio fosse un soggetto individuato, il suo nome veniva espressamente menzionato (in caso dativo)120. Il verbale veniva infine 'autenticato' mediante l’apposizione, da parte dei partecipanti, delle rispettive sottoscrizioni. Se alcune delle caratteristiche appena elencate possono essere identificate come elementi piuttosto fissi di uno schema di verbale utilizzato senza grandi variazioni, dubbi permangono circa la forma assunta normalmente dall’atto ufficiale redatto dalla cancelleria: non è possibile cioè affermare con sicurezza se esso riportasse fedelmente l’intero contenuto della seduta (come i Gesta Conlationis Carthaginiensis sembrerebbero suggerire), oppure se si limitasse a indicarne i soli elementi essenziali e salienti, raccordandoli, come è stato da taluni osservato, con brevi e stereotipe formulette ed eliminando tutto il resto121. 4. Fonti papirologiche Sempre al fine di ricostruire la possibile struttura dei gesta senatus, o almeno di individuarne quegli elementi che ne dovevano verosimilmente far parte, ci si può servire, anche se con molta più cautela, dei cd. papiri ravennati.

___________ 118 G. Conl. Carth. 1.3.16: Martialis exceptor recitavit:…; 1.57.1: Romulus exceptor recitavit:…; e passim. Ulteriori esempi nei Monumenta vetera (PL 8 col. 730A): Nundinarius diaconus dixit: Legantur acta. Zenophilus v.c. consularis dixit: Legantur. Et dedit nundinarius, et exceptor recitavit:… 119 Cfr. ancora Sieben, Die Partikularsynode cit., p. 243 s., 258 s., dove è posto l’accento proprio sulla precisione con cui le acclamazioni venivano riportate. 120 G. Conl. Carth. 2.71; Aug., Brevic. 2.2.2; 2.2.8-9; 3.1.2 Le parti che ricevettero copia dei gesta dovettero rilasciarne ricevuta (cautio) agli exceptores che l’avevano consegnata loro. Anche tali cautiones vennero lette nel corso della terza seduta (G. Conl. Carth. 3.3-6). 121 Si vedano a questo proposito le osservazioni di Sieben, Die Partikularsynode cit., p. 243 s.

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Si tratta di alcuni documenti papiracei122, di origine ravennate e databili tra la fine del V e la prima metà del VI sec., contenenti i gesta relativi alla procedura di pubblicazione di atti relativi a negozi di natura privata (testamenti, donazioni, etc.)123. Pur essendo del tutto diverso il contesto in cui essi sono stati formati (va però ricordato che presso l’officium censuale, che era responsabile, come visto, della redazione dei verbali delle sedute senatorie, venivano pubblicati anche testamenti e atti di donazione)124, la procedura si svolgeva anche qui dinanzi a magistrati pubblici e la verbalizzazione era effettuata a cura dei loro exceptores o scribi. Degni di nota sono, in particolare, taluni elementi formali attinenti alla redazione del verbale, i quali verrebbero a confermare alcune delle modalità già osservate nei Gesta cartaginesi. Dall’analisi di tali documenti papiracei, per il cui testo si rinvia principalmente all’edizione critica di Tjäder125, è possibile osservare la presenza pressoché costante dei seguenti elementi comuni: a) dei documenti da insinuarsi nei gesta veniva data, per ordine del magistrato presidente e a cura ___________ 122 Già pubblicati da G. Marini, I papiri diplomatici… (Roma 1805); poi ripubblicati in E. Spangenberg, Juris romani tabulae negotiorum sollemnium… superstites (Lipsiae 1822) e, più di recente, da J.-O. Tjäder, Die nichtliterarischen Papyri Italiens aus der Zeit 445-700. I: Papyri 1-28 (Lund 1955); II: Papyri 29-59 (Stockholm 1982) e da R. Seider, Paläographie der lateinischen Papyri I.: Tafeln. Erster Teil: Urkunden (Stuttgart 1972). 123 Attesa la notevole diversità del contesto, si è scelto di non ricorrere all’uso di papiri contenenti atti processuali, nonostante l’andamento dei relativi gesta mostri numerose analogie con quelli esaminati: ciò a conferma del fatto che la struttura formale dei verbali doveva essere piuttosto uniforme, indipendentemente dall’attività in essi documentata. Per un riscontro si vedano, ad esempio, i documenti pubblicati in FIRA III, 172; 174; 176. 124 Una commistione tra la procedura di pubblicazione di tali atti e quella seguita nello svolgimento di sedute di altro genere – in specie la pubblicazione di testamenti – è ravvisabile anche in un momento del confronto cartaginese, dove al presidente Marcellino viene fatta, da parte dei vescovi donatisti, una contestazione formale relativamente alle modalità adottate nella lettura del verbale, il cui testo era stato tratto dai codices (e non era ancora, quindi, quello ufficialmente edito): Marcellinus… dixit: Susceptae tabulae ab ecclesiasticis notariis recitentur. Cumque, intra sabanum, volumen schedae membranaceum pro parte descriptum et codices tabularum pariter obsignati iudiciariis offerrentur adspectibus, Marcellinus… dixit: Custodes edicant utrum signa cognoverint. Leo, episcopus ecclesiae catholicae, dixit: Agnosco sigillum meum. Marinianus episcopus dixit: Agnosco sigillum meum. Marcellinus… dixit: Quoniam ab utraque parte inpressionem signorum agnitam constat, ea quae praecepi a notariis relegantur. Petilianus episcopus dixit: Sic solent testamenta, non gesta reserari. Marcellinus… dixit: Quod propter sollicitudinem partis utriusque factum est, et ex communi consensu, non decet reprehendi. Petilianus episcopus dixit: Non reprehendo cautelam, sed peto consuetudinem rerum, ut gesta legitime exponantur, ut legi ac pertractari possint (G. Conl. Carth. 2.53-55). 125 Per consentire un confronto con le precedenti edizioni di Spangenberg e di Marini, nonché, per taluni di loro, con i FIRA, verrà di seguito riportata anche la collocazione che le medesime fonti assumono in esse.

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del suo ufficio, pubblica lettura; soltanto al termine di essa lo stesso magistrato ordinava, con formule stereotipe, l’inserimento nel verbale dei testi letti126. A tale operazione era subordinato l’acquisto dell’efficacia da parte di tali atti; b) l’ordine di inserimento del testo dei documenti nei gesta era sempre espresso, con molta precisione, al singolare nel caso in cui si fosse proceduto alla lettura di un solo atto, al plurale invece se era stata data lettura di più documenti distinti127; c) al termine della procedura, la parte (o le parti) chiedeva al magistrato di ordinare alla propria cancelleria l’editio dei gesta, cioè il rilascio, alla parte stessa (il verbo edere è sempre accompagnato dal nome del destinatario espresso in caso dativo), di una copia ufficiale del verbale nel quale l’atto pubblicato era stato insinuato, sì che quest’ultimo venisse ad acquistare efficacia. L’ordine di edere (ex more) veniva impartito, a conclusione della procedura, dal magistrato mediante una formula stereotipa; in alcuni dei gesta pervenuti è riscontrabile però anche il secco edantur (verosimilmente apposto di pugno dal magistrato sulla scheda successivamente tratta dalle minute)128; d) talune operazioni relative alla formazione dei gesta, ___________ 126

P. Tjäder 4-5 A-B, seconda metà del VI sec (Spangenberg XIV, Marini LXXIVLXXIV A, FIRA III, 58), relativi alla pubblicazione contestuale, dinanzi al prefetto del pretorio a Ravenna, di più testamenti (la data del 474 che compare nei FIRA è piuttosto da riferirsi ad uno dei testamenti pubblicati, e non al documento di pubblicazione), A 810; B III,4; B IV,2-3; B V,6-7; B VI,12: Nunc carta testamenti resignetur, linum incidatur, aperiatur et per ordinem recitetur. Et inciso lino ex officio recitatum est:… [la formula è la stessa per ciascuno dei testamenti pubblicati]; B VII,12: Fl(avius) Aurelianus vir gl(oriosissimus)… Petrus Taurinus et Iohannis d(ixerunt): Quae lecta sunt, gesta suscipiant; P. Tjäder 7, anno 557 (Spangenberg XX, Marini LXXIX), 52-54: Horanius, Anthonius ad[que] Volusianus, sed et cunctus ordo d(ixerunt): Lecte petitionis seriem gesta [susci]pient; P. Tjäder 8, anno 564 (Spangenberg XXI, Marini LXXX), III,14: Ag(ens) mag(isterium) [magistratus?] d(ixit): Lecta chartula plenariae securitatis in acta migravit; P. Tjäder 10-11 A-B, anno 489 (Spangenberg XXVII, Marini LXXXIII), I,9-10: Aurelius [Virinus magistrat]us d(ixit): Suscipiatur pagina regiae largitatis… quae offertetur (sic), et a conpetenti recitetur officio. Cumque tradita, et recitata est:…; II,7: Magistratus d(ixit): Quod lectum est, actis indetur; P. Tjäder 12, anno 491 (Spangenberg XXVIII, Marini LXXXIV, I): Ql. d.: Quod lectum est, actis indetur; P. Tjäder 14-15 A-B, anno 572 (Spangenberg XXXIII, Marini LXXXVIII e LXXXVIIIa), I,7: Mag(istratus) d(ixit): Suscipiatur… offertur, et a conpetenti percorratur officio. 8. C(um)q(ue) tr(adita) f(uisset), et recitatum est:…; III,1: Mag(istratus) d(ixit): Lecta chartula donationis in acta megravit; P. Tjäder 31, anno 540 (Spangenberg L, Marini CXV), III,1: M[a]g(istratus) d(ixit): Lecta instrumenta venditionum simulque et epistulam traditionis in acta megrarunt. 127 Cfr. la nota che precede. 128 P. Tjäder 4-5 A-B, B VIII,3-7: Nunc petimus, ut ex his, quae acta sunt, gesta nobis edi propitii censeatis. 4. Fl(avius) Marianus… Petrus Taurinus et Iohannis d(ixerunt): 5. Gesta vobis ex his, quae [a]cta sunt, competens ex more edere curavit officium. Edantur. 6. Fl(avius) Severus except(or) pro Bonila praerogativar(io) edidi. 7. Edantur; P. Tjäder 7, 93-96: Petimus a grav[i]t[ate] vestra… gestorum nobis [edi]tionem iubete solemniter celebrari. Horanius, Antonius et Volus[ianus] vel cunctus ordo d(ixerunt): Gesta vobis, ut mos est, competenter edantur; P. Tjäder 10-11 A-B, IV,9-11: Actores Pieri v(iri) i(nlustris) d(ixerunt):… Gesta quoque allegationis,

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Capitolo secondo: I gesta senatus: formazione e struttura

come ad esempio la recognitio, potevano essere dal magistrato delegate ad altre persone129 di pari affidabilità. 5. I Gesta senatus del 438 d.C. Passiamo infine ad analizzare la struttura dei Gesta senatus del 438 d.C. Sembra però opportuno fare anzitutto una precisazione, al fine di evitare l’insorgere di una certa ambiguità sul piano metodologico. Poiché essi sono ritenuti l’unico esempio di verbale senatorio giunto fino a noi, è apparso opportuno non escluderli dal novero delle fonti alle quali attingere per tentare la ricostruzione di un possibile schema standard dei verbali senatori: sarebbe difatti da ritenersi quantomeno strano che, nel tentativo di ricostruire la struttura di un verbale senatorio, si vada ad escludere proprio l’unica fonte che più direttamente lo rappresenta. Non va però dimenticato che i Gesta senatus costituiscono, al tempo stesso, anche la testimonianza che con la presente ricerca si intende sottoporre a verifica. Ciò vuol dire che la presenza, anche in questo verbale, di caratteristiche simili a quelle già incontrate nelle fonti fin qui considerate andrà valutata come un elemento che potrà andare a rafforzare l’ipotesi di un loro uso abituale e diffuso; mentre le eventuali difformità dovranno incitare a un ulteriore approfondimento dell’indagine e alla formulazione di nuove ipotesi circa la reale natura di questo documento. I Gesta senatus130 si aprono con un’indicazione temporale che rappresenta, con ogni probabilità, la data in cui la seduta dovette svolgersi131. La cautela è suggerita dal fatto che tale formula è composta dai soli nomi dei consoli eponimi, mancando del tutto il giorno e il mese. Oltre a ciò va osservato che, al ___________ praeceptorum adque traditionis nobis cum vestra susc[ri]btione edi iubete. V,1-5 Flavi(us) Annia[nus] et Zenon… et Petrus… dixerunt:… Gesta quoque actionis cum nostra suscribtione vobis dabuntur ex more; P. Tjäder 12: Defensores scae Eccl. catholicae Civitatis Rav. dd.: Petimus, ut gesta nobis edi jubeatis ex more. Flavius Projectus Ql. et iterum Mag. d.: Ut petistis gesta edentur ex more; P. Tjäder 14-15 A-B, III,7-9: Defensores s(an)c(t)e eccl(esiae) cathol(icae) huius Rav(ennatis) d(ixerunt):… petimus lau(dabilitatem) v(estram)… ut gesta nobis propter munimen eccl(esiae) nostrae a conpetenti officio edi iubeatis ex more. Melminius Laurentius… d(ixit): Ut petisti, gesta vobis dabuntur ex more; P. Tjäder 31, III, 6-8: Montanus… dixit:… peto grav(itatem) v(estram)… ut gesta mihi propter monimen meum a conpetenti officio edi iubeatis ex more. Pompulius Plautus mag(istratus) dixit: Ut petisti, gesta tibi propter monimen tuum a conpetenti officio dabuntur ex more. 129 P. Tjäder 10-11 A-B, III,4: Melminius Cassianus v(ir) c(larissimus) pro Aurelio Virino magistrato gesta aput eum habita recognovi; P. Tjäder 12: Flavius Rusticus v.h. pro filio meo Projecto Ql. et iterum Mag. gesta aput eum habita recognovi. 130 Gesta 1. 131 Gesta 1: Domino [nostro] Flavio Theodosio Aug(usto) [XVI] et Anicio Achillio Glabrione Fausto v.c. consulibus.

II. Struttura dei gesta senatus: un tentativo di ricostruzione

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contrario di quanto finora visto, la data non è seguita dall’indicazione relativa al luogo in cui la seduta si svolse, bensì immediatamente dall’elenco dei partecipanti132. Quest’ultimo è formato da una semplice e breve sequenza di nomi, non preceduta da formule introduttive particolari, come, ad esempio, adstantibus, residentibus etc., osservate invece in altri documenti. Apre l’elenco il nome del prefetto del pretorio Anicio Acilio Glabrione Fausto, che verosimilmente svolgeva in quella sede la funzione di presidente della seduta e che era comunque la personalità più eminente, in quanto ufficiale più alto in grado nonché console per quell’anno assieme all’imperatore Teodosio II. Va rilevata a questo punto un’altra particolarità, che non trova riscontro in nessuno dei documenti fin qui esaminati: solo dopo il nome di Fausto, e come ad esso logicamente coordinata, segue l’indicazione del luogo in cui si tenne la riunione, che si sarebbe svolta in domo sua [scil. di Fausto], quae est ad Palmam. L’elenco, nel redigere il quale è stato visibilmente osservato un ordine gerarchico, riprende poi con la menzione espressa, quanto ai presenti, di soli altri due ufficiali: il praefectus urbi e il vicarius urbis Romae; mentre tutti gli altri partecipanti (alte personalità e senatori) sono succintamente e complessivamente indicati con l’espressione generica proceres amplissimusque ordo senatus, indicazione seguita poi dall’espressione stereotipa dum [cum?]133 convenissent. Vi è infine, per questa parte introduttiva, un breve e sintetico accenno allo svolgimento già concluso di una preliminare, ma non ulteriormente specificata, attività dell’assemblea (habuissentque inter se aliquamdiu tractatum)134. E’ poi registrato l’ingresso di due constitutionarii (Gesta 1: ibi ingressis ex praecepto Anastasio et Martino constitutionariis). Ed è solo a questo punto che il prefetto del pretorio prese la parola. Ad ogni ripresa del suo discorso, riportato con l’uso della forma ora diretta (Gesta 3 e passim: Anicius Achillius Glabrio Faustus… dixit), ora indiretta, è premessa sempre l’indicazione completa del loquente formata dal nome e dall’indicazione delle cariche – tanto quelle gerite in passato quanto quella attualmente ricoperta – e dei titoli onorifici. Come meglio si vedrà in seguito, il prefetto del pretorio appare essere l’unico soggetto a interloquire con i senatori, che invece si esprimono ___________ 132 Gesta 1: Anicius Achillius Glabrio Faustus v.c. et inl(ustris), tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius…; Flavius Paulus v.c. et inl. urbis praefectus; Iunius Pomponius Publianus vir spectabilis vicarius urbis aeternae; proceres amplissimusque ordo senatus. 133 V. infra cap. 3 nt. 33. 134 Mancando altri riscontri, non è possibile dire se si trattasse di una formula stereotipa o se si sia in presenza piuttosto di una forma epitomata rispetto ad un’originale e completa registrazione.

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Capitolo secondo: I gesta senatus: formazione e struttura

coralmente e unicamente mediante brevi ma numerose adclamationes. Queste vengono anzi a interrompere più volte il discorso di Fausto e appaiono diligentemente registrate a verbale. Per la maggior parte di esse è indicato un numero, sul cui significato sono state avanzate diverse ipotesi, di cui si darà conto più avanti (cap. 3 § II.6). Nel verbale è stata poi registrata la lettura di un documento, e precisamente della costituzione programmatica del 429 d.C., letta dallo stesso prefetto del pretorio. Il testo di tale costituzione è stato insinuato per ordine di questi nel verbale (Gesta 6: Faustus… d(ixit): Quae lecta sunt… gestis adhaerebunt). Al termine della seduta verbalizzata, che si chiude semplicemente con alcune brevi acclamazioni dei senatori, non appare essere stato registrato alcun ordine di editio del verbale. Nel testo contenuto nel Codex Ambrosianus, che pur dovrebbe rappresentare una copia del verbale rilasciata dalla cancelleria senatoria, è poi assente qualsiasi subscriptio e/o dichiarazione di recognitio. Vi appare invece la dichiarazione di editio – espressa in prima persona – apposta dall’exceptor senatus Laurentius135 e comprensiva anche della data, costituita dal giorno e mese, ma priva dell’indicazione dell’anno (cioè della coppia consolare).

6. Prime conclusioni Cerchiamo ora di procedere, sulla scorta delle occorrenze riscontrate con maggior frequenza nelle fonti sin qui esaminate, nel delineare un’ipotesi che illustri i possibili elementi costitutivi del documento ricognitivo delle discussioni e deliberazioni avvenute nel corso delle sedute del senato romano136. Il verbale senatorio doveva aprirsi con una inscriptio contenente, per prima cosa, l’indicazione completa della data (coppia consolare, giorno e mese) e del luogo (città e sede), in cui la riunione si era svolta. A ciò doveva verosimilmente seguire l’elenco (forse introdotto da espressioni come praesentibus; adstantibus etc.) di tutti i presenti (cioè qui in curia – o in senatu – fuerunt)137, per ciascuno dei quali era probabilmente specificato il titolo onorifico e, se si trattava di funzionari, l’ufficio ricoperto.

___________ 135

Gesta 8: Et alia manu: Fl(avius) Laurentius exceptor amplissimi senatus edidi sub d(ie) VIII k. Ian. 136 Tentativo in parte già intrapreso da Classen, Kaiserreskript cit., pp. 102-104. 137 Non è possibile dire con precisione se tale elenco dovesse essere completo.

II. Struttura dei gesta senatus: un tentativo di ricostruzione

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Veniva poi la registrazione dettagliata e integrale138, in forma di discorso diretto, delle dichiarazioni del presidente (indicato sempre con nome e titolatura completa) e dei senatori presenti (queste ultime espresse anche per mezzo di adclamationes), nonché delle attività compiute e di quanto, più in generale, si fosse verificato durante la seduta. Non è tuttavia possibile affermare con certezza se questi elementi entrassero a far parte anche della versione ufficiale del verbale senatorio, o se venissero piuttosto soppressi già all’interno della cancelleria per non sovraccaricare il documento. Nel corso della seduta poteva aver luogo la pubblica lettura di documenti all’uopo presentati. Alla loro lettura si procedeva solo se questa era stata ordinata dal presidente e/o autorizzata dai senatori. Il testo di quanto letto veniva insinuato nel verbale solo dietro espresso ordine del magistrato; ordine che, come sembrerebbe, era solitamente piuttosto preciso quanto al numero dei documenti da allegare. Al termine della seduta, il presidente avrebbe dovuto ordinare l’editio del verbale, forse anche mediante la semplice e stereotipa formula edantur, che doveva venire a chiudere così il documento. Scribi di cancelleria avrebbero quindi provveduto alla stesura delle minute, prima, e dei testi ufficiali, poi, secondo le modalità più sopra viste. Sul documento uscito dalla cancelleria avremmo poi trovato, a formarne l’escatocollo, la subscriptio autografa del presidente (contenente anche la sua recognitio) e, probabilmente, dei testimoni all’atto. In chiusura vi sarebbe stata apposta, da parte del funzionario (exceptor o scriba) responsabile, la dichiarazione autografa di editio, completata dalla data. E’ inoltre possibile che sul documento destinato ad essere conservato presso l’ufficio venissero apposte annotazioni d’archivio, mentre su quelli in uscita dalla cancelleria venissero aggiunte ulteriori annotazioni relative al rilascio di copie139. Se quest’ipotesi è vera, e cioè se la forma assunta da un verbale senatorio era quella appena descritta, un confronto tra i Gesta senatus del 438 d.C. e tale schema pone in evidenza nei primi, da un lato, l’assenza di alcuni degli elementi appena menzionati, dall’altro, la presenza di alcune forme che apparentemente costituiscono il sintomo di una versione epitomata. Ci riferiamo più precisamente all’incompletezza della data, alla forma riassuntiva assunta dall’elenco dei presenti, all’omissione della registrazione puntuale delle attività preliminari del senato, all’insinuatio del testo di una sola costituzione, ___________ 138 Ricordiamo che gli exceptores non avevano alcun potere di modificare il testo da loro stessi formato, se non entro limiti strettissimi e al solo fine di rendere il discorso più omogeneo e corretto, eliminando le imperfezioni tipiche di un discorso orale. 139 La tradizione manoscritta della maggior parte delle fonti pervenuteci ha tuttavia lasciato cadere gran parte di queste sottoscrizioni e annotazioni, alcune delle quali sono conservate soltanto in documenti papiracei.

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Capitolo secondo: I gesta senatus: formazione e struttura

quando invece risulta dal contesto che il prefetto intendeva dare lettura di più documenti, all’assenza delle usuali espressioni (come, ad esempio, et cum diceret…) adottate per indicare le pur numerose (almeno apparenti) interruzioni subite dal discorso di Fausto, alla compattezza della serie di acclamazioni, la cui verosimiglianza appare alquanto scarsa, all’assenza di un’adeguata formula di chiusura del verbale stesso e di un ordine di editio, all’assenza, in calce al documento, di qualsiasi sottoscrizione e recognitio, all’assenza dell’indicazione dell’anno nella data della dichiarazione di editio effettuata dall’exceptor senatus Flavius Laurentius. Se alcune di queste assenze possono trovare spiegazione nella lacunosità della tradizione testuale, altre fanno invece sorgere il dubbio che il documento a noi giunto, anzichè l’originaria registrazione completa della seduta senatoria, rappresenti piuttosto un’epitome (o estratto) derivata dal documento originale. Appare difatti poco probabile che la forma usualmente adottata per l’edizione dei verbali senatori fosse quella riassuntiva, mentre è più plausibile che una tale versione sia stata invece realizzata in un secondo momento. E’ perciò possibile che, accanto alla redazione di una versione completa e integrale del verbale, destinata ad essere inserita nei registri della cancelleria, sia stata realizzata anche una sua versione epitomata, una sorta di estratto siccome destinato a scopi diversi, quali si cercherà di precisare più avanti. La questione potrà e anzi dovrà comunque essere ripresa solo a seguito di una puntuale analisi del contenuto del documento.

Capitolo terzo

La seduta del senato di Roma del 438 d.C. I. Le premesse: presentazione del Codice Teodosiano in Oriente Fino al momento della scoperta dei Gesta senatus gli avvenimenti che ebbero luogo alla corte di Costantinopoli dopo l’ultimazione dei lavori per la raccolta sistematica di costituzioni imperiali voluta da Teodosio erano del tutto ignoti. Il verbale senatorio costituisce, difatti, l’unica fonte ad aver conservato la relatio che Fausto, prefetto del pretorio d’Italia, presente in quelle circostanze, tenne poi dinanzi al senato di Roma in occasione della presentazione ufficiale, in osservanza delle disposizioni di Teodosio, dell’esemplare che gli era stato consegnato dallo stesso imperatore orientale e che il prefetto aveva avuto cura di portare in Occidente. Di tale discorso anticipiamo alcuni brani1: Gesta 2 Aeternorum principum felicitas2 eo usque procedit augmento, ut ornamentis pacis instruat, quos bellorum sorte defendit. Proximo superiore anno cum felicissimam

___________ 1 Per il testo dei Gesta senatus ci si avvarrà d’ora in avanti dell’edizione critica di Th. Mommsen, Codex Theodosianus I/2. Textus cum apparatu (Berlin 1905, rist. Hildesheim 2000) pp. 1-4, salvo alcune modifiche che verranno proposte nel corso della trattazione. 2 Significativo è il richiamo alla felicitas degli imperatori, che compare anche più avanti (peractis feliciter nuptiis). In occasione delle nozze di Valentiniano III venne coniata anche una moneta celebrativa richiamante la Salus Orientis Felicitas Occidentis (cfr. W. Enßlin, s.v. Valentinianus III, PWRE VII A,2, col. 2236). Sembra tuttavia che la felicitas vada ricollegata non soltanto all’evento nuziale. Secondo la simbologia nella quale si rispecchiavano i valori propri dell’ideologia imperiale, ancora tipici per l’età tardoantica, ma che affondavano le loro radici nelle origini del potere imperiale stesso (una rappresentazione di essa è visibile nell’apparato iconografico della Notitia Dignitatum), la felicitas costituiva una delle quattro virtù (unitamente alla virtus, alla scientia rei militaris e all’auctoritas) nelle quali si esprimeva la Divina Providentia del sovrano. Quest’ultima, da intendersi quale opera benefica fonte di tranquillità per i sudditi, costituiva "un elemento specifico dell’essere e dell’agire dell’imperatore", riferito per lo più ai suoi compiti civili (cfr. V. Marotta, Mandata principum [Torino 1991] p. 43 ss.). La realizzazione di un corpus di costituzioni imperiali, che rientrava tra gli ornamenta pacis, viene così posta anche ideologicamente in relazione col benessere dei sudditi e il miglior andamento della vita pubblica. Proprio alla Divina Providentia dell’imperatore si era difatti appellato l’anonimo autore del De rebus bellicis nel suggerire a quello, tra le altre, una proposta di riforma che eliminasse la confusio legum

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Capitolo terzo: La seduta del senato di Roma del 438 d.C.

sacrorum omnium coniunctionem pro devotione comitarer, peractis feliciter nuptiis hanc quoque orbi suo sacratissimus princeps dominus noster Theodosius adicere voluit dignitatem, ut in unum collectis legum praeceptionibus sequenda per orbem sedecim librorum compendio, quos sacratissimo suo nomine voluit consecrari, constitui iuberet. Quam rem aeternus princeps dominus noster Valentinianus devotione socii, affectu filii conprobavit.

Intorno al 20 ottobre 437 d.C.3 l’imperatore d’Occidente Valentiniano III, poco più che adolescente, giunse a Costantinopoli per prendere in moglie Eudoxia, la figlia di Teodosio II4, con la quale era stato fidanzato sin da bambino. Le nozze, celebrate qualche giorno dopo (il 29 di ottobre), avevano un preciso scopo politico, in quanto dovevano portare a una distensione nei rapporti tra le due partes imperii e al rafforzamento della loro unità, ponendo fine anche alla tormentata questione del controllo dell’Illirico, su cui Teodosio II aveva da tempo manifestato le sue mire. Nel seguito imperiale che aveva accompagnato il giovane Valentiniano fino a Costantinopoli vi era anche il prefetto del pretorio d’Italia Anicio Acilio Glabrione Fausto5, il quale si ___________ vel iuris (De reb. bell. 21.1: De legum vel iuris confusione purganda. Divina providentia, sacratissime imperator, domi forisque rei publicae praesidiis comparatis, restat unum de tua serenitate remedium ad civilium curarum medicinam, ut confusas legum contrariasque sententias, improbitatis reiecto litigio, iudicio augustae dignationis illumines). E’ stato da molti studiosi rilevato l’ideale nesso di continuità che sembra legare questa proposta alla codificazione di Teodosio II, che di quella costituì in un certo senso l’attuazione: cfr., ad es., D. Nörr, Zu den geistigen und sozialen Grundlagen der spätantiken Kodifikationsbewegung, ZSS 80 (1963) pp. 109-140; H. Brandt, Zeitkritik in der Spätantike. Untersuchungen zu den Reformvorschlägen des Anonymus De Rebus Bellicis (München 1988) pp. 125-133. 3 Chron. pasch. I (ed. Dindorf), p. 582, s. a. 437 (trad. lat.): Aëtio II et Sigisvaldo Coss. His Coss. Valentinianus Junior Augustus venit Constantinopolim mense Hyperberetaeo, ex a. d. XII kal. Novembr. et suas celebravit nuptias, accepta Eudoxia, filia Theodosii et Eudociae Augustae, mense Hyperberetaeo, ex a.d. IV Kal. Novembres: et ex ea duas filias suscepit, Eudociam et Placidiam; Socr., Hist. Eccl. 12.13 (= CSEL LXXI, p. 681 s.). Erra pertanto Wieling nel collocare, probabilmente sulla scorta delle osservazioni di Enßlin, s.v. Valentinianus III cit., col. 2235, l’arrivo di Valentiniano al 12 di ottobre (H.J. Wieling, Die Einführung des Codex Theodosianus im Westreich, in Iurisprudentia universalis. Festschrift für Theo Mayer-Mali, a cura di M.J. Schermaier / J.M. Reiner / L.C. Winkel [Köln – Weimar – Wien 2002] p. 865). 4 Una diversa (e imprecisa) lettura degli avvenimenti era stata invece fatta dal Baudi di Vesme, secondo cui sarebbe stato il solo Fausto a recarsi a Costantinopoli in sostituzione dell’imperatore d’Occidente ("anno 437 Faustum a Valentiniano Constantinopolim missum fuisse, ut inde Eudociam Theodosii filiam sibi nupturam redux comitaretur": Baudi di Vesme, Codex Theodosianus cit., col. 6 nt. 17). 5 Anicius Acilius [o Achillius] Glabrio Faustus, prefetto del pretorio d’Italia dal 437 all’estate del 439 (sostituito poi da Petronio Massimo) e una seconda volta nell’estate del 442; console nel 438. Su di lui PWRE VI.2, col. 2092, n. 13; A. Chastagnol, Les Fastes de la Préfecture de Rome au Bas-Empire (Paris 1962) p. 286 ss.; Martindale/Jones, s.v. Faustus 8, PLRE II (Cambridge 1980) p. 452 ss.; M. Dondin-Payre, Exercise du pouvoir et continuité gentilice. Les 'Acilii Glabriones' (École Française de Rome, Palais Farnèse 1993) passim. Si preferisce usare qui la forma 'Acilio' piuttosto

I. Le premesse: presentazione del Codice Teodosiano in Oriente

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trattenne in Oriente insieme all’imperatore almeno fino alla primavera successiva6, quando gli sposi, partiti da Tessalonica, fecero ritorno a Ravenna7. Quel matrimonio, in quanto posto dallo stesso Fausto in relazione alla circostanza della consegna, da parte di Teodosio II, di un esemplare del Codice nelle mani dei prefetti del pretorio rispettivamente d’Italia e d’Oriente, venne rievocato nel suo discorso introduttivo pronunciato dinanzi ai senatori di Roma. La relatio del prefetto rivolta al senato si aprì con una tradizionale frase di ampollosa e retorica lode verso gli imperatori, alla quale seguì un breve resoconto sugli importanti avvenimenti svoltisi nei mesi precedenti alla corte di Teodosio II. Fausto esordì col riferire che, dopo le auguste nozze8, l’imperatore ___________ che quella di 'Achillio', presente nel manoscritto ma conservata solo nelle edizioni critiche di Mommsen e di Krüger, in quanto quest’ultima sembra risentire di quelle trasformazioni ortografiche più tarde che caratterizzano questo testo (raddoppiamento della consonante; inserimento della h in parole che ne erano originariamente prive) e che sono state già analizzate. La famiglia degli Acilii è, difatti, una delle più antiche di Roma, alla quale aveva dato, e continuò a dare in età tardoantica, numerosi magistrati e funzionari (cfr. anche M.T.W. Arnheim, The Senatorial Aristocracy in the Later Roman Empire [Oxford 1972] p. 107 ss.). 6 Marcell. Comes, Chronicon, s.a. 437 (MGH AA 11: Chron. Min. II, 1, 79); O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste fü die Jahre 311 bis 476 n. Chr. (Stuttgart 1919) p. 366 ss. Si era probabilmente in attesa della riapertura della stagione della navigazione. 7 Per l’anno 438 risulta in effetti una costituzione emanata da Ravenna l’8 luglio (NVal. 1.1). Ciò non autorizza però a ritenere senz’altro, come sostenuto invece da T. Honoré, Law in the Crisis of Empire, 379-455 AD (Oxford 1998) p. 129 nt. 78, ripreso poi da Sirks, Observations V (2007) cit., p. 134, che proprio a tale giorno risalirebbe lo stesso ingresso dell’imperatore in città. Non va trascurato il fatto che questa è l’unica costituzione di Valentiniano III pervenutaci per l’anno 438 e, come non è verosimile che a questa costituzione non ne siano seguite, nel corso dell’anno, delle altre, così è ben possibile che la stessa sia stata preceduta da altri provvedimenti, anch’essi non tramandati. Di conseguenza, si può unicamente affermare che Valentiniano si trovava già in Occidente a quella data, e da ciò dedurre che il suo arrivo a Ravenna dovette essere precedente ad essa. 8 Il lasso di tempo intercorso tra la cerimonia nuziale e quella di consegna dei Codici non è specificato. I primi commentatori dei Gesta senatus erano però propensi a ritenere che la cerimonia di consegna si fosse svolta l’anno seguente al matrimonio di Valentiniano III (cfr. Warnkönig, Sur les fragmens cit., p. 495). Più di recente si tende a ritenere invece che a tale cerimonia vada estesa l’indicazione temporale Proximo superiore anno a cui accenna Fausto, e che anch’essa si sia quindi svolta nel 437, cioè poco dopo le nozze: cfr. ad es. G.G. Archi, Teodosio II e la sua codificazione (Napoli 1976) p. 34 nt. 49; Wieling, Die Einführung cit., p. 865; 869. Non è del tutto da escludere, però, che l’incontro tra l’imperatore d’Oriente e i prefetti possa essere avvenuto qualche mese più tardi, forse all’inizio del 438, e comunque non molto tempo prima dell’emanazione della NTh. 1 (15 febbraio 438), che alla consegna dei Codici sembrerebbe essere strettamente connessa. In una costituzione del 447 (NTh. 2 pr) Teodosio II afferma infatti che, subito dopo la redazione della codificazione, aliam mox legem (cioè la NTh. 1) nostra pietas promulgavit. L’avverbio mox lascerebbe pensare che l’emanazione della costituzione del febbraio del 438 debba aver seguito di poco la fine della compilazione e della realizzazione dei primi esemplari ufficiali del Codice

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d’Oriente aveva fatto convocare i due prefetti del pretorio, d’Oriente (Dario oppure Florenzio9) e d’Italia (lo stesso Fausto), per consegnare nelle loro mani gli esemplari ufficiali della compilazione realizzata dalla sua cancelleria. La consegna dei codici, a cui si accompagnò l’ordine di diffonderli per orbem, avvenne forse anche alla presenza di Valentiniano III10, del quale è ricordata una formale adesione al progetto di codificazione e, come ci sembra, anche un’accettazione per l’Occidente della raccolta normativa11: ___________ Teodosiano. Secondo alcuni Autori, inoltre, l’indugio nella partenza da parte di Valentiniano potrebbe essere stato determinato proprio dalla necessità di prendere tempo al fine di consentire l’ultimazione dei lavori di redazione del Codice Teodosiano, così che un esemplare dello stesso potesse essere consegnato anche all’imperatore d’Occidente (in tal senso G. Purpura, Il Colosso di Barletta e il Codice di Teodosio, AARC 9, 1989 [Napoli 1993] p. 469). Dall’analisi del Codice è possibile osservare soltanto che l’ultima costituzione (tra quelle pervenuteci) in esso contenuta risale al 16 marzo 437 (CTh. 6.23.4), mentre non ne fa sicuramente parte una costituzione del 31 gennaio 438 (NTh. 3). 9 Non essendo del tutto sicura la data in cui avvenne la cerimonia di consegna dei codici, non è possibile dire con certezza se si sia trattato di Florenzio (prefetto del pretorio già nel febbraio 438, in quanto destinatario della NTh. 1: Martindale/Jones, s.v. Florentius 7, PLRE II cit., p. 478 ss.) oppure del suo predecessore, Dario, il quale gerì la prefettura sicuramente fino al marzo del 437, ma che forse era ancora in carica nell’ottobre dello stesso anno, come ipotizzato in Martindale/Jones, s.v. Darius 3, PLRE II, p. 348, sulla base dell’espressione con la quale Fausto si riferisce al collega, definito inlustris vir illius temporis Orientis praefectus. Tuttavia, la congettura degli autori relativa alla durata della carica di Dario si basa proprio sui Gesta senatus, cioè sulla fonte che si intende verificare. Opta per Dario anche Wieling, Die Einführung cit., p. 865. 10 Come ipotizzato già da Mommsen (Proleg. cit., p. IX: "Itaque cum in iisdem gestis memoretur corpus comprobatum esse etiam ab imperatore Occidentis, ea res acta est inter praesentes"), successivamente ripreso da Archi, Teodosio II cit., p. 10. In effetti, pur se la presenza dell’imperatore d’Occidente in quell’occasione non è espressamente ricordata da Fausto, sembra molto probabile che, trovandosi a Costantinopoli, abbia anch’egli presenziato alla cerimonia ufficiale di consegna della quale era protagonista anche il suo prefetto del pretorio, in quanto destinatario di un esemplare del Codice. Traccia di una tale presenza potrebbe, inoltre, costituire la utriusque principis praeceptio ricordata da Fausto, con la quale venne ordinata la directio del codice (Gesta 3). 11 Gesta 2: Quam rem aeternus princeps dominus noster Valentinianus … conprobavit. La generica espressione quam rem va riferita direttamente al constitui iuberet, ma anche, con ogni probabilità, indirettamente al risultato di tale iussio. Il verbo comprobare ha, tra i suoi significati, anche quello di 'confermare, rendere valido' (Thes., III, s.v. comprobo I, col. 2163 s.: “accipere, approbare”, speciatim decreta vel consulta alicuius ordinis vel imperii). Di questa opinione era già Gotofredo, sebbene ignaro dei Gesta senatus (J. Gothofredus, Prolegomena a Codex Theodosianus cum perpetuis commentariis [Leipzig 1736-1743, rist. anast. Hildesheim – New York 1975] p. CCXVII: "Idem vero Codex per occidentem quoque statim receptus fuit. Nam ut maxime nulla espressa Valentiniani super hoc constitutio occurrat, qua is hunc Codicem in imperio suo obtinere iusserat, attamen recipi is et firmari eum indubie voluit"), nonché, come si è detto, lo stesso Mommsen. Da ultimo si veda Wieling, Die

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Gesta 3 Vocatis igitur me et inl(ustri) viro illius temporis Orientis praefecto singulos codices sua nobis manu divina tradi iussit per orbem sui cum reverentia dirigendos, ita ut12 inter prima vestrae sublimitatis notioni provisionem suam sacratissimus princeps iuberet offerri. In manu est acceptus codex utriusque principis praeceptione directus.

Fausto rievoca così la cerimonia durante la quale ai due prefetti venne consegnato un esemplare ciascuno del Codice Teodosiano, ricevuto personalmente dalle mani dello stesso imperatore d’Oriente (sua… manu divina) nelle mani dei due prefetti (In manu est acceptus codex). E ciò, col porre in evidenza la mancanza d’altrui intermediazione ai fini della consegna, avrebbe anche deposto per l’assoluta autenticità dell’esemplare portato dall’Oriente quale ora esibito ai senatori stessi. Una tale consegna solenne e diretta da parte del sovrano sembra inoltre manifestare delle analogie con l’ufficiale atto di consegna dei codicilli e del liber mandatorum, che erano tradizionalmente affidati, sempre dalle mani dell’imperatore, ai nuovi governatori durante le cerimonie di investitura nella nuova carica13. Ma in questo punto della relazione del prefetto sembra potersi rilevare una contraddizione: secondo la lezione manoscritta dei Gesta, accolta da tutti gli editori (compreso Mommsen), Teodosio II avrebbe ordinato che ciascun codice fosse consegnato (tradi iussit) "con la propria (cioè dell’imperatore stesso) mano divina". E invero, mentre da un lato sembrerebbe che l’ordine per la consegna sia stato rivolto a terzi, forse a un qualche funzionario, dall’altro poi si precisa che sarebbe stato l’imperatore stesso a consegnare direttamente gli esemplari dei codici. Ma appare evidente che la consegna non può essere stata effettuata direttamente dall’imperatore e, al tempo stesso, da un’altra persona per ordine di quest’ultimo. E invero, non sembra che quella incongruenza possa essere attribuita alle parole dello stesso Fausto: trattandosi di una circostanza così solenne, anzi unica, bisogna presupporre che il discorso del prefetto, anche in qualità di presidente ___________ Einführung cit., p. 865 s.: "Selbstverständlich wurde dabei [cioè in occasione della consegna degli esemplari ai due prefetti] vereinbart, daß das Gesetzbuch auch im Westen des Reiches gelten solle", anche se più avanti l’Autore, in modo un po’ contraddittorio, riconduce la validità del Codex per l’Occidente all’approvazione del senato romano. Sull’approvazione da parte di Valentiniano pone l’accento anche V. Crescenzi, Authentica atque originalia. Problemi critici per l’edizione dei testi normativi, Initium 8 (2003) p. 291. Nega invece recisamente tale accettazione Sirks, Observations V (2007) cit., p. 137, per il quale l’imperatore d’Occidente si sarebbe limitato ad approvare il nuovo progetto di Teodosio. 12 Nel latino tardoantico si assiste a una degradazione della particella ut, che, perdendo la sua funzione subordinante, divenne più spesso un semplice legame tra due enunciati: Cfr. M. Leumann / J.B. Hofmann / A. Szantyr, Lateinische Grammatik II.2.2 (München 1965) p. 637 ss. 13 V. a tal proposito Marotta, Mandata principum cit., p. 10 e passim.

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della seduta14, pronunciato dinanzi al senato fosse stato già preparato e probabilmente redatto per iscritto, in forma di certo accurata. Non va difatti trascurata la formazione che i dignitari e i funzionari imperiali (soprattutto se provenienti da famiglie ricche e nobili) ricevevano di norma nelle scuole di retorica, formazione che spesso apriva loro l’accesso alla milizia civile. Rimane perciò difficile credere che Fausto abbia potuto riferire questa circostanza in termini così contraddittori. Inoltre, quand’anche il prefetto avesse commesso tale imprecisione, essa sarebbe stata probabilmente eliminata nella cancelleria senatoria, al momento della trascrizione 'in chiaro' del verbale ad opera degli exceptores, i quali, come già visto, dovevano provvedere anche a 'limare' il testo, eliminandone eventuali imperfezioni. Sembra quindi che questo passo dei Gesta presenti un testo corrotto15: non è incongruo avanzare l’ipotesi che l’attuale tradi possa essere una forma corrotta – a causa di un improprio troncamento finale della parola – di un originario traditos (da riferirsi quindi a singulos codices). Questo participio potrebbe essere stato scritto in forma abbreviata nell’antigrafo e male interpretato dal copista, il quale non si sarebbe avveduto del segno di abbreviazione o l’avrebbe comunque tralasciato; oppure, più semplicemente, questi potrebbe aver commesso un errore nel trascrivere, dimenticando di completare la parola. E invero, la mancanza di una o più lettere, alle estremità o all’interno delle parole, è, come più sopra riscontrato, una delle mende più frequenti nel Codex Ambrosianus. A seguito della proposta modifica, il testo si presenterebbe così: singulos codices sua nobis manu divina tradi iussit per orbem sui cum reverentia dirigendos, sì da implicare il riferimento di iussit piuttosto a dirigendos16. Se ne deduce che la iussio dell’imperatore dovesse riguardare non tanto (o non solo) la 'consegna' dei Codici ai prefetti, quanto piuttosto la loro 'diffusione' nell’impero (come anche l’uso di dirigere, qui impiegato in un’accezione tecnica, sembrerebbe suggerire); diffusione che avrebbe dovuto essere effettuata ___________ 14

Più avanti nel discorso, Fausto ribadirà la propria riconoscenza per l’onore, accordatogli dagli imperatori, di costituire il tramite tra la loro volontà e l’amplissimus ordo (Gesta 6: Hanc quoque partem inter beneficia aeternorum principum numero, quod per me magnitudini vestrae ea, quae pro legibus suis statuere dignati sunt, intimarunt). 15 Questo punto non era sfuggito a Mommsen, il quale, nell’apparato critico alla propria edizione dei Gesta senatus, commenta: "expectes tradidit". Tuttavia, la sua ipotesi non armonizza con il resto della frase, se non con l’ulteriore aggiunta di una congiunzione che coordini i due verbi tradidit e iussit. 16 Una tale costruzione sarebbe forse improbabile per il latino classico; nel latino tardo, al contrario, e in particolare nel linguaggio delle cancellerie imperiali sono riscontrabili i più numerosi esempi di costruzione 'sovrabbondante' con il verbo iubeo accompagnato ora dal gerundivo (quale perifrastica passiva), ora da debeo nella proposizione secondaria (v. Thes., VII,2, s.v. iubeo, col. 583).

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proprio a cura di questi alti ufficiali, come la presenza di Fausto dinanzi al senato romano sta a sottolineare. Va comunque aggiunto che, anche a voler mantenere inalterato il testo17, la struttura perifrastica della frase (singulos codices… tradi iussit per orbem… dirigendos) implicherebbe comunque l’idea di un dovere, una cogenza, e quindi la presenza, dietro l’attività del dirigere, di un ordine imperiale. Per quanto riguarda l’Oriente, con la costituzione del 15 febbraio 43818, indirizzata al prefetto del pretorio d’Oriente Florenzio, l’imperatore Teodosio II, esaltando l’importanza del lavoro di elaborazione della codificazione svolto dalla propria cancelleria e ringraziando e lodando tutti coloro che vi avevano preso parte19, aveva non solo attribuito efficacia normativa alla compilazione, stabilendo che la stessa sarebbe dovuta entrare in vigore il primo gennaio 43920, ma aveva anche disposto al tempo stesso, a far data dallo stesso giorno, l’impossibilità di produrre in giudizio tutte quelle costituzioni imperiali (fatte salve alcune eccezioni, espressamente previste, e ferma restando la validità dei codici Gregoriano ed Ermogeniano) che non vi fossero contenute21. Alla consegna del codice ricordata da Fausto dovette di certo seguire un’attività – probabilmente analoga a quella che, come vedremo, si svolse in Occidente – di riproduzione materiale e diffusione di copie del Codice Teodosiano presso tutti gli uffici, centrali e periferici, dotati di competenze giurisdizionali; attività che, per espresso volere dell’imperatore, avrebbe dovuto essere organizzata a cura dell’ufficio dei prefetti del pretorio, a cui era stato appunto ordinato di diffondere i codici. Resta da mettere in luce un altro punto. La precisazione di Fausto In manu est acceptus codex utriusque principis praeceptione directus sembrerebbe contenere un riferimento a due distinti ordini (anche se, probabilmente, coincidenti nella sostanza) relativi alla diffusione, ciascuno dei quali promanante in

___________ 17 Va però riconosciuto che in più luoghi del discorso di Fausto il verbo iubeo è effettivamente accompagnato da un infinito passivo (Gesta 2: constitui iuberet; Gesta 3: iuberet offerri; relegi sibi iubeat). 18 NTh. 1. 19 NTh. 1.7. 20 NTh. 1.3. 21 Veniva così conferito alla codificazione un carattere di (relativa) esclusività. Le statuizioni salienti contenute in questa costituzione vennero succintamente richiamate anche in una costituzione di Teodosio II dell’ottobre del 447 (NTh. 2 pr.): Postquam in corpus unius codicis divorum retro principum constitutiones nostrasque redegimus, aliam mox legem nostra pietas promulgavit, quae tam confecto codici vires auctoritatemque tribueret nec aliter in iudicio quas contineret leges, nisi ex ipso proferrentur, valere praeciperet….

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modo autonomo da ciascun imperatore22: circostanza che sembrerebbe rafforzare l’ipotesi della presenza di Valentiniano III alla ricordata cerimonia. Ipotizzando infatti che quest’ultimo abbia effettivamente presenziato alla consegna dei codici, niente di più probabile che sia stato lui a rivolgere a Fausto l’ordine di dirigere il Codice Teodosiano nell’impero d’Occidente, ordine espresso probabilmente in forma analoga a quello rivolto da Teodosio al proprio prefetto, se non ne costituì addirittura una mera conferma. E’ pur vero che più sopra lo stesso Fausto aveva riferito di un ordine di diffusione che, atteso l’uso del verbo al singolare (iussit per orbem … dirigendos), sembrerebbe essere stato emesso dal solo Teodosio, benché rivolto a entrambi i prefetti. Un tale modo d’agire avrebbe però travalicato la sua sfera di competenza, essendo in ogni caso il prefetto del pretorio d’Italia il diretto rappresentante dell’imperatore d’Occidente. Ma, anche a voler ammettere che ciò sia avvenuto, per vincolare anche Fausto23 l’ordine dell’imperatore d’Oriente avrebbe avuto comunque bisogno d’una conferma da parte di Valentiniano: se è vero infatti che, tra i due regnanti, Teodosio II aveva sempre avuto una posizione preminente rispetto al collega occidentale (di cui era appena divenuto anche ___________ 22

Di questa opinione sembra essere anche Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 291, secondo cui "Anicio Fausto dichiara di aver ricevuto il codex di propria pertinenza secondo la disposizione di entrambi i principes", con l’ordine di far pervenire gli esemplari per orbem. 23 Fu proprio lo stesso Teodosio a stabilire chiaramente, a più riprese e ancora nella stessa costituzione attributiva di efficacia normativa alla sua codificazione, che i provvedimenti assunti in una delle due partes imperii avrebbero assunto valore normativo anche nell’altra soltanto a condizione che fossero stati ivi accettati dal relativo imperatore e pubblicati: CTh. 1.1.5. (a. 429): In futurum autem si quid promulgari placuerit, ita in coniunctissimi parte alia valebit imperii… sed ex qua parte fuerit constitutum, cum sacris trasmittatur adfatibus in alterius quoque recipiendum scriniis et cum edictorum sollemnitate vulgandum; NTh. 1.5-6 (a. 438): His adicimus nullam constitutionem in posterum velut latam in partibus Occidentis aliove in loco ab invictissimo principe filio nostrae clementiae p(er)p(etuo) Augusto Valentiniano posse proferri vel vim legis aliquam obtinere, nisi hoc idem divina pragmatica nostris mentibus intimetur. Quod observari necesse est in his etiam, quae per Orientem nobis auctoribus promulgantur. Lo stesso principio venne ribadito pochi anni più tardi nella NTh. 2 pr. (a. 447): quam si quid iuris ab altero nostrum postea conderetur, id demum in alterius quoque principis regno vires proprias obtinere, quod generatim constitutum esset et divinis prosequentibus scriptis ad alterum principem fuisset emissum. A tale statuizione mostra di conformarsi Valentiniano III quando, l’anno successivo, scrive al proprio prefetto del pretorio Albino: Gloriosissimus principum dominus Theodosius clementiae meae pater leges a se post Codicem nominis sui latas nuper ad nos, sicut repetitis constitutionibus caverat, prosequente sacra praeceptione direxit, Albine p(arens) k(arissime) a(tque) a(mantissime). 1. Inlustris et praecelsa magnificentia tua nostrorum quoque apicum tenorem secuta perferri eas in notitiam omnium cum supradicta venerabili iussione simul missa, quae nihil dubitationis reliquit, tam suis quam provincialium iudicum decernet edictis, ut, sicuti uterque orbis individuis ordinationibus regitur, isdem quoque legibus temperetur (NVal. 26).

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suocero24), un’occasione così solenne non avrebbe tuttavia consentito di ignorare la partizione delle sfere di competenza dei due imperatori e, conseguentemente, l’ambito di validità dei rispettivi provvedimenti. Nel corso della cerimonia riferita da Fausto, l’imperatore orientale avrebbe anche stabilito che – si direbbe ancora nell’ambito delle operazioni di directio del Codice – la propria provisio avrebbe dovuto essere anzitutto portata a conoscenza del senato di Roma25 (ita ut inter prima26 vestrae sublimitatis notioni provisionem suam sacratissimus princeps iuberet offerri). La cerimonia che si stava svolgendo dinanzi al senato romano sembrerebbe, quindi, costituire il primo atto della directio, quale presupposto di qualsiasi ulteriore attività di riproduzione e diffusione del Codice: un aspetto sul quale si tornerà più avanti. Ma dal momento che quest’ultimo – ricordiamolo – sarebbe dovuto entrare in vigore, in base a quanto stabilito dallo stesso Teodosio, il primo gennaio 439, verrebbe a configurarsi un ridottissimo lasso di tempo tra la data della seduta stessa (che, stando alle risultanze manoscritte, sarebbe avvenuta, se non proprio lo stesso giorno, certo non molto tempo prima dell’editio dei Gesta, cioè del 25 dicembre) e l’acquisto della vigenza da parte della compilazione: un lasso di tempo assolutamente insufficiente per provvedere a tutte le operazioni necessarie alla riproduzione e diffusione del Codice. Ciò dovrebbe allora far riflettere, da un lato, sull’effettivo termine di entrata in vigore del Teodosiano per l’Occidente27, e, dall’altro, sulla data in cui si sarebbe effettivamente svolta

___________ 24 Gli stessi imperatori si definiscono, l’uno nei confronti dell’altro, rispettivamente come pater e filius. 25 Fausto si limita qui a usare l’espressione sacratissimus princeps, con la quale però aveva già in precedenza definito Teodosio II (Gesta 2: sacratissimus princeps dominus noster Theodosius). Forse anche tale previsione ebbe bisogno di essere formalmente accettata da Valentiniano III, al quale, anzi, detta misura era stata da taluni attribuita (ad es. Warnkönig, Sur les fragmens cit., p. 496: "Avant de faire publier le Code dans l’empire d’Occident, l’empereur Valentinien III voulut que le sénat en reçût une communication officielle"). 26 La De Marini così traduce: "in modo che tra le prime cose il sacratissimo principe comandò che…", riferendo l’espressione temporale inter prima all’ordine di Teodosio piuttosto che al contenuto dello stesso (F. De Marini Avonzo, La politica legislativa di Valentiniano III e Teodosio II2 [Torino 1975] p. 31). Ci sembra invece che l’imperatore ritenesse la presentazione in senato quale operazione preliminare ad ogni altra. Ma, anche a voler intendere la frase nel senso proposto dalla De Marini, resta il fatto che detta presentazione doveva avere carattere di precedenza su qualsiasi ulteriore attività. 27 Sulla base di una serie di considerazioni, che saranno riprese e analizzate più avanti, Sirks, Observations V (2007) cit., p. 135, ha avanzato seri dubbi su un’ufficiale vigenza del Codice Teodosiano in Occidente, quantomeno per il periodo precedente al 448, cioè all’anno in cui Valentiniano III avrebbe confermato, con la NVal. 26, le leggi orientali – ivi compresa, secondo l’Autore, anche la NTh. 1, conferente al Codice stesso vires auctoritatemque – emanate a far data dalla redazione del Codice Teodosiano.

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la sua presentazione dinanzi al senato romano. Ed è proprio su quest’ultimo punto che si tornerà tra poco.

II. La seduta del senato di Roma del 438 d.C. In ossequio a quanto stabilito dall’imperatore, il prefetto del pretorio d’Italia provvide a presentare ufficialmente al senato di Roma l’esemplare del Codice ricevuto da Teodosio II e giunto in Italia al seguito del corteo imperiale. Non è possibile dire se, come è stato ipotizzato da Mommsen28, analoga cerimonia si fosse svolta, a cura del prefetto del pretorio d’Oriente, anche dinanzi al senato di Costantinopoli. Lo stesso Fausto dovette verosimilmente aver convocato il senato romano per quella che appare essere stata una seduta straordinaria29. Nei Gesta senatus sono stati tramandati il discorso tenuto in quella sede dal magistrato e le acclamazioni pronunciate nel corso della seduta dai senatori, nonché il testo, che era stato formalmente insinuato negli atti, della costituzione programmatica di Teodosio II del 429 d.C.30, della quale in quell’occasione venne data lettura ai presenti. Passiamo ora a esaminare nel dettaglio alcuni degli aspetti più interessanti di questo documento e del suo contenuto. Il verbale si apre così: Gesta 1 Domino [nostro] Flavio Theodosio Aug(usto) [XVI] et Anicio Achillio Glabrione Fausto v.c. consulibus Anicius Achillius Glabrio Faustus v.c. et inl(ustris), tertio

___________ 28

Lo studioso tedesco sostiene che entrambi i prefetti del pretorio avrebbero dovuto "una cum senatibus publicandae syllogae curam agerent" (Mommsen, Proleg. cit., p. XI). 29 In effetti, non conoscendo il giorno preciso in cui si tenne la riunione senatoria, non è possibile neanche determinare con precisione se dovette trattarsi di una seduta ordinaria o straordinaria, anche se questa seconda ipotesi appare essere la più probabile. Da una fonte della metà del IV sec. d.C. sappiamo che, ancora in età tardoantica, il senato era solito riunirsi, in via ordinaria (senatus legitimus) e quindi senza bisogno di apposita convocazione, due volte al mese, così come aveva stabilito già Augusto con la lex Iulia de senato habendo (9 a.C.). Le due sedute cadevano all’inizio di ogni mese (l’1 o il 3) e verso la metà (in un giorno compreso tra il 13 e il 15), con qualche eccezione (Svet, Aug. 35.3: [Augustus] sanxit… ne plus quam bis in mense legitimus senatus ageretur, Kalendis et Idibus; Fasti Fvrii Dionysii Philocali, CIL 1, 1 n. 21; Ch. Lécrivain, s.v. senatus, in Daremberg/Saglio, Dictionnaire des antiquité grecques et romaines IV.2, p. 1196). Il fatto che tale seduta sia stata eccezionalmente presieduta dal prefetto del pretorio Fausto, e non, come di consueto, dal praefectus urbi, e che si sia inoltre svolta in un luogo diverso dalla Curia, più precisamente nella domus dello stesso prefetto del pretorio, rende più probabile la circostanza che si trattasse di una seduta straordinaria. 30 CTh. 1.1.5.

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expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius in domo sua, quae est ad Palmam; Fl(avius) Paulus v.c. et iná urbis praefectus; Iunius Pomponius Publianus vir spectabilis vicarius urbis aeternae; proceres amplissimusque ordo senatus dum31 convenissent habuissentque inter se aliquamdiu tractatum, ibi ingressis ex praecepto Anastasio et Martino constitutionariis Anicius Achillius Glabrio Faustus v.c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius dixit:…

1. La data La seduta si svolse in un giorno imprecisato dell’anno 43832: in apertura del verbale è, infatti, indicata la coppia consolare, costituita da Teodosio II e dallo stesso Fausto33, mentre mancano il giorno e il mese. Tale assenza può essere considerata quasi certamente una lacuna testuale34, dato che, come abbiamo appurato, nella inscriptio dei gesta l’indicazione temporale era normalmente presente in forma completa35, costituendo, con ogni probabilità, un requisito essenziale del documento stesso. La data del 25 dicembre, che compare in calce al verbale, è piuttosto da considerarsi, a stretto rigore, parte integrante non del testo di quest’ultimo, bensì della formula di editio36 che ne viene a costituire l’escatocollo e che denuncia il compimento di un’attività – l’editio del documento, appunto – necessariamente posteriore a quella verbalizzata. Ne consegue che la data indicata nella formula si riferisce non al giorno in cui si svolse ___________ 31 Il dum, quale congiunzione reggente il congiuntivo, è usato più di frequente nel latino tardo e svolge la stessa funzione, conservandone i medesimi aspetti temporali, del cum, con cui viene anzi spesso scambiato (Serv., ad Aen. 1,697: sane sciendum, malo errore “cum” et “dum” a Romanis esse confusa; Thes. V,1, s.v. dum II,B,4, col. 2229 s.). La formula cum convenissent, assieme ad analoghe espressioni, sembrerebbe essere uno stereotipo ricorrente nella parte iniziale dei verbali (ivi compresi quelli redatti in forma riassuntiva) relativi ad attività assembleari: esso è usato quasi sempre, ad esempio, in apertura dei verbali di concili o sinodi ecclesiastici, ma è attestato anche in quelli relativi alle sedute senatorie (cfr. ad es. SHA, Al. Sev. 6.2: cum senatus frequens in curiam… convenisset; Maxim. 16.1: Cum ventum esset in aedem Castorum; Valer. 5.4: cum… in aede Castorum senatus haberetur). 32 Non trova appoggio nelle fonti l’affermazione di Volterra secondo cui "la lettura dell’oratio [cioè del testo della costituzione programmatica del 429] è effettuata in Roma nella medesima data (15 febbraio 438) nella quale viene emanata a Costantinopoli la costituzione de Theodosiani Codicis auctoritate" (Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3084). Nessuna spiegazione è fornita dall’Autore a sostegno di questo assunto. 33 Gesta 1: Domino [nostro] Flavio Theodosio Aug(usto) [XVI] et Anicio Achillio Glabrione Fausto v.c. consulibus. 34 Annota infatti Mommsen nell’apparato critico che "post consulibus desideratur dies". L’analisi della struttura dei gesta condotta più sopra sembrerebbe confermare tale rilievo. 35 Cfr. supra cap. 2 § II.6. 36 Gesta 8: Fl(avius) Laurentius exceptor amplissimi senatus edidi sub d(ie) VIII k. Ian.

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la riunione, bensì più propriamente a quello in cui venne realizzata, da parte della cancelleria del senato e sotto la responsabilità dell’exceptor senatus Laurentius, l’editio dei gesta. Ma, nonostante ciò, da qualche tempo a questa parte si sta verificando una tendenziale sovrapposizione tra le due date, per cui dai più anche la stessa seduta senatoria viene ormai datata al 25 dicembre37: ciò probabilmente sulla scorta delle considerazioni di Mommsen, secondo cui le operazioni di editio del presente verbale si sarebbero svolte e concluse immediatamente dopo il termine della cerimonia38. A tale ipotesi si può tuttavia muovere l’obiezione che (come emerso dall’analisi più sopra condotta), attesi i tempi mediamente occorrenti a una cancelleria per effettuare l’editio di un verbale, difficilmente questa complessa operazione potè essere stata completata nell’arco della stessa giornata in cui la riunione senatoria ebbe luogo. Appare più probabile, invece, che l’editio del verbale abbia seguito almeno di qualche giorno la seduta. V’è, inoltre, da considerare il fatto che, come il 25 dicembre veniva già festeggiato quale dies natalis domini corporalis39, così sarebbe stato forse poco opportuno convocare proprio in un giorno siffatto una seduta straordinaria del senato, i cui componenti erano ormai per la maggior parte cristiani. ___________ 37 Assertore della data del 25 dicembre come quella in cui il senato ebbe a riunirsi fu già, ad es., Warnkönig, Sur les fragmens cit., p. 496, e, più recentemente: A. Lippold, Die Kaiser Theodosius der Grosse und Theodosius II (Stuttgart 1972) col. 152; F. De Marini Avonzo, Diritto e giustizia nell’Occidente tardoantico, in La giustizia nell’alto Medioevo (secoli V-VIII). Settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (Spoleto 1995) p. 123; La politica legislativa cit., p. 10; F. De Marini Avonzo / C. Lanza, Critica testuale e studio storico del diritto3 (Torino 2001) p. 82 (anche se la stessa De Marini aveva già precisato, in altro luogo, che la data del 25 dicembre appartiene alla sottoscrizione del verbale: cfr.; A.J.B. Sirks, From the Theodosian to the Justinian Code, AARC 6, 1983 (Perugia 1986) p. 276, ribadito anche in Observations V (2007) cit., p. 131; da ultimo anche J.F. Matthews, Laying down the Law. A study of the Theodosian Code (New Haven & London 2000) p. 31. 38 Se è vero che lo studioso tedesco, negli stessi Prolegomena, aveva formulato tale congettura (p. XI: "Anno 438 exeunte [gesta ipsa diem non enuntiant, sed edita sunt, statim opinor, Dec. 25]"), è altrettanto vero però che egli era ben consapevole del fatto che la data che compare in calce ai Gesta è piuttosto quella della editio del documento, tanto che, nella definizione da lui attribuita al verbale, si è limitato a indicare soltanto l’anno, rilevando anzi nel documento proprio l’assenza del mese e del giorno (v. apparato critico a Gesta 1). 39 Fasti Polemii Silvii (a. 448-449): CIL 1, 1 n. 22 (p. 279). Oltre alla domenica, in età tardoantica vennero riconosciuti come giorni festivi – caratterizzati dalla sospensione di ogni attività processuale e negoziale – la Pasqua e le due settimane che, rispettivamente, la precedono e la seguono; la Pentecoste, il Natale (dalla metà del IV sec.) e l’Epifania. Queste festività liturgiche andarono ad aggiungersi a quelle civili già riconosciute (cfr. Cappelli, Cronologia cit., p. 109 ss.; M. Bianchini, Cadenze liturgiche e calendario civile fra IV e V secolo. Alcune considerazioni, AARC 6, 1983 [Perugia 1986] pp. 241-263 e spec. p. 255 s.).

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Ma, anche al di là di queste ultime considerazioni, resta comunque inspiegabile, da un punto di vista logico, un tale ritardo da parte del prefetto Fausto, rispetto al suo arrivo in Italia, nella presentazione del Codice Teodosiano al senato di Roma40, soprattutto se si considera che questa attività era stata sollecitata dallo stesso imperatore Teodosio II come da effettuarsi inter prima. E’ vero peraltro che potrebbero essersi verificate circostanze impreviste (delle quali, però, nulla sappiamo) tali da aver causato uno slittamento di circa sei mesi o più – rispetto alla presumibile data dell’arrivo di Valentiniano in Italia – nello svolgimento di questa cerimonia. Ma sarebbe non troppo ragionevole pensare che tale presentazione, a cui avrebbe dovuto ancora seguire, non solo la redazione di ulteriori copie del Codice (per di più nell’osservanza di una rigorosa procedura che prevedeva l’adozione di una serie di cautele), ma anche la diffusione delle stesse copie presso tutti gli uffici amministrativi (nonché giurisdizionali) dell’impero d’Occidente, potesse precedere di soli sei giorni (o poco più) l’entrata in vigore del Codice stesso41; a meno che i relativi termini non fossero stati modificati per l’Occidente, cosa della quale tuttavia non abbiamo nessun riscontro. Poiché le fonti non aiutano a trovare una spiegazione plausibile, è possibile anche in questo caso pensare, dato lo stato generale del documento manoscritto, alla presenza di una corruzione del testo. Avanzerei così l’ipotesi che la data della formula dell’editio presente nel manoscritto, sebbene indichi il 25 dicembre (edidi subd. VIII k. ianuarii)42, possa essere frutto dell’alterazione testuale di un originario iunii, forse espresso in forma abbreviata (iun): non era così insolito, infatti, che tale ultima abbreviazione venisse scambiata, da parte dei copisti, con ian (e viceversa), anche in considerazione del fatto che in talune scritture (particolarmente quelle anteriori al XII sec.) la vocale 'a' aveva una forma corsiva aperta che la rendeva molto simile alla 'u'43. E proprio questo stesso tipo di scambio è in effetti riscontrabile, come si è visto in precedenza, in ___________ 40 Sirks, From the Theodosian cit., pp. 284 s., si era già posto questa domanda: "Why did Valentinian wait so long before sending Faustus to the Senate?", ipotizzando, quale possibile spiegazione, che ciò fosse dipeso da calcoli politici da parte dell’imperatore e da una certa riluttanza (se non, addirittura, una dura opposizione) della classe senatoria all’adozione della compilazione imperiale quale fonte normativa. 41 Di tale osservazione Sirks, From the Theodosian cit., p. 280, si serve per argomentare ulteriormente la sua teoria contro la conferma ufficiale (e quindi l’entrata in vigore) del Codex Theodosianus per l’Occidente. 42 Così il Codex Ambrosianus. Mommsen l’ha resa invece come edidi sub d(ie) VIII k. Ian. 43 La stessa tradizione testuale del Codice Teodosiano offre numerosissimi esempi di scambi tra le abbreviazioni ian, iun e iul, particolarmente nelle subscriptiones delle costituzioni: cfr. in proposito l’attenta analisi di Seeck, Regesten cit., pp. 26; 84; 98-101. Analoghe considerazioni in R.S. Bagnall et al., Consuls of the Later Roman Empire (Atlanta 1987) p. 72 s.

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più punti del manoscritto ambrosiano, che presenta al tempo stesso numerose tracce di frequenti e palesi tentativi, spesso mal riusciti, di sciogliere, e quindi rendere per esteso, sigle e abbreviazioni. Forse proprio a seguito di un tale equivoco l’abbreviazione iun potrebbe essere stata letta ian, per essere poi resa per esteso come ianuarii (anziché iunii). Ne consegue che l’editio dei gesta potrebbe essere stata effettuata otto giorni prima delle kalende di giugno del 438 (cioè il 25 maggio), e non di quelle del gennaio 439: ciò comporterebbe che la seduta del senato si sarebbe svolta intorno alla seconda metà di maggio, cioè a non molta distanza di tempo dal possibile arrivo di Valentiniano III e di Fausto in Italia. Se così fosse, la presentazione del Codice al senato di Roma sarebbe stata effettivamente fatta inter prima, sì da garantire il tempo necessario per approntare un sufficiente numero di copie dello stesso, tale da consentirne una certa diffusione e assicurarne la conoscibilità ben prima della data prevista per la sua entrata in vigore. 2. Il luogo Come abbiamo visto nel capitolo precedente, nei verbali (anche senatorii) all’indicazione della data (composta dai nomi dei consoli eponimi, giorno e mese) seguiva di solito quella del luogo nel quale la riunione si era svolta44. Questo schema appare però, nei nostri Gesta, in parte modificato: oltre alla già constatata lacuna relativa al giorno e al mese, alla data segue, infatti, immediatamente l’elenco dei presenti, aperto con il nome del prefetto e console Fausto, che tenne la presidenza della seduta. E’ soltanto dopo il suo nome che può riscontrarsi l’indicazione del luogo in cui la seduta si sarebbe svolta: stando al testo dei Gesta, il senato si riunì in domo sua [cioè di Fausto], quae est ad Palmam. E l’insolita posizione di questa indicazione, che viene a spezzare l’elenco dei presenti anziché, come di consueto, precederlo, potrebbe anche in questo caso far pensare a una forma riassuntiva o, comunque, a un rimaneggiamento del testo. Vi è una questione sulla quale si è dibattuto a lungo: se cioè sia verosimile che una seduta così solenne possa essersi svolta in una domus (e quindi – si direbbe – in un edificio privato)45, sia pure appartenente all’attuale titolare della ___________ 44 Probabilmente in questo caso non vi era bisogno dell’indicazione della città (che non poteva che essere Roma), ma soltanto dell’edificio che aveva ospitato la seduta. 45 Non va però dimenticato che la parola domus può indicare anche un edificio pubblico. Se è vero che da lungo tempo gli uffici della prefettura del pretorio non si trovavano più a Roma, vanno comunque ricordati i forti legami tra Fausto e l’Urbe, essendo questi già stato per ben tre volte praefectus urbi (precisamente dall’estate del 421 a quella del 423; nel 425 e intorno al 437) e avendo anzi promosso, durante la sua carica, una serie di opere di restauro di edifici pubblici, tra cui anche la risistemazione

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prefettura del pretorio, cioè Fausto46, anziché, come di consueto, nella Curia o, qualora questa non fosse stata agibile per una qualche ragione, in altro edificio o comunque luogo pubblico deputato ad ospitare adunanze47. E’ pur vero che non è possibile conoscere con esattezza le condizioni in cui versavano gli edifici di Roma nel 438, in considerazione del fatto che la città era stata, dal 408 al 410 d.C., assediata e fortemente danneggiata dai Goti di Alarico. Inoltre, la città potrebbe anch’essa essere stata colpita da un terremoto, registrato nelle Cronache, che aveva scosso l’Italia nel 42948. E tuttavia, come già ricordato, i locali della Curia e dell’annessa cancelleria, che pure a seguito dell’assedio e soprattutto dell’incendio gotico avevano subìto diversi danni, erano stati prontamente ristrutturati e avevano recuperato, in tempi relativamente brevi, la loro funzionalità. Accanto a questo interrogativo, vi era un altro punto che inizialmente non si era riusciti a chiarire: quello cioè relativo all’esatta individuazione dell’area definita ad Palmam e, quindi, all’ubicazione topografica della sede in cui la seduta del senato avrebbe avuto luogo. Perplessità a tal proposito erano state manifestate già dallo stesso Clossius (che anzi sospettava la presenza di una menda nel testo manoscritto)49 e, dopo di lui, da Wenck50 e da Hänel51. Oggi si ritiene dai più, sulla base delle testi ___________ dell’Atrium Libertatis adiacente alla Curia. Inoltre, lo stesso Valentiniano III soggiornò a Roma più volte e a lungo, nel corso del suo regno. 46 Secondo C. Pharr, The Theodosian Code and Novels and the Sirmondian Constitutions (Princeton 1952) p. 3 nt. 10, ciò starebbe a indicare "the low status of the Senate". Per De Francisci, sarebbero state le cattive condizioni in cui versava la Curia ad aver reso necessaria questa anomala procedura, che egli definisce per questo 'domestica' (P. De Francisci, Per la storia del senato romano e della curia nei secoli V e VI, RPAA 22 [1946/47] pp. 304-317). 47 Secondo una fonte della metà del V sec. (Polemii Silvii Laterculus IV, MGA AA 9: Chron. min. I, p. 545), Roma contava all’epoca 11 basiliche, senza considerare i locali della prefettura urbana. 48 Excerpta Sangallensia s.a. 429 (MGA AA 9: Chron. min. I, p. 300): Florentio et Dionisio conss. terrae motus factus est VII [scr. VIII] kl. Septembres die Solis (v. anche Seeck, Regesten cit., p. 356). Non è però nota l’area effettivamente interessata dal sisma. 49 Nelle sue Notae criticae apposte al testo dei Gesta, l’Autore mostra dei dubbi circa l’individuazione del luogo, definito – a seguito di un’erronea interpretazione – palma FL (laddove la sigla FL sta piuttosto a indicare, come ben presto rilevato dagli studiosi, il nomen del praefectus urbi Flavio Paolo): "Quid sibi velit palma FL (Flavii?), neque ex urbis Romae descriptionibus… neque aliunde liquet". Clossius ipotizzava pertanto una menda nel testo, da modificare, a suo dire, in "ad portam Flumentanam, sive Flaminiam" (Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 125 nt. 2). Tale ipotesi venne, però, subito – e a ragione – contestata. 50 Pur affermando di non sapere "quae sit haec palma Fl.", l’Autore avanzò, quanto alla sigla Fl., l’ipotesi che "Fortassis in hac nota latet praenomen aliquod Pauli" (Wenck, Codicis Theodosiani cit., p. 3 nt. d).

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monianze fornite da alcune fonti letterarie di età tardoantica52, che col toponimo ad Palmam venisse definita la ristretta zona del Foro compresa tra la Curia Iulia e l’arco di Settimio Severo53. Ma qualche Autore ha avanzato l’ipotesi che l’area in questione si trovasse piuttosto nel luogo delle Carinae presso l’aedes Telluris, quindi in prossimità del secretarium Tellurense, e cioè degli uffici della prefettura urbana siti sul Colle Oppio, vicino al luogo dove sorgeva la Domus aurea54. E però, tanto nel primo quanto nel secondo caso, la domus di Fausto sarebbe comunque venuta a trovarsi in un luogo assolutamente centrale della città, in quello che anzi può essere definito il 'cuore pulsante' della sua amministrazione e della vita pubblica in generale. E, proprio in considerazione di questo, sono stati avanzati dubbi 55 circa il fatto che la domus del prefetto ___________ 51 Gesta, p. 6 nt. i. Egli, nel dichiarare la propria incertezza ("De vv. ad palmam quid statuendum sit, pro certo non potest dici"), cercò di trovare una spiegazione al nome del luogo, ipotizzando come possibile il fatto che fosse dovuto alla presenza di una pianta di palma, "quae arbor etiam nostro tempore Romae rarissima est". Dello stesso avviso sembra essere Baudi di Vesme, Gesta col. 5, nt. 9: "ita ut domus Fausti a palma illi proxima designetur". 52 Anonymi Valesiani Pars posterior 66 (MGA AA 9: Chron. min. I, p. 324): (a. 501) deinde veniens [scil. rex Theodericus] ingressus urbem venit ad senatum et ad Palmam populo adlocutus se omnia deo iuvante, quod retro principes Romani ordinaverunt, inviolabiliter servaturum promittit. L’espressione ad senatum sembra avere qui anche una connotazione topografica o. comunque, equivalente a Curia (il termine senatus è in effetti usato come sinonimo di Curia nei Cataloghi regionari: su questo aspetto v. da ultimo J. Arce, El inventario de Roma: «curiosum» y «notitia», in The transformation of Urbs Roma in Late Antiquity, JRA Suppl. 33 [1999] p. 15 ss). La località ad Palmam è citata anche negli Acta S. Restituti, Act. Sanct., Mai 7.11-13: Ligaverunt ei manus a tergo et decollaverunt extra Capitolium; et extrahentes iactaverunt eum iuxta Arcum Triumphi ad Palmam ut a canibus consumaretur. Sempre a questo luogo, definito però Palma Aurea, sembra riferirsi un’altra fonte agiografica (Vita S. Fulgentii, Act. Sanct., Ian. 1.37: in loco qui Palma Aurea dicitur, memorato Theodorico rege contionem faciente), la quale narra anch’essa l’episodio del già ricordato discorso pubblico di Teodorico. Non è certo se al medesimo luogo si riferisca invece Cassiodoro quando parla di un porticus "iuxta domum Palmatam posita", vicino al Foro (Cassiod., Variae 4.30). 53 S.B. Platner / Th. Ashby, s.v. ad Palmam, in Topographical Dictionary of Ancient Rome (ed. anast. Roma 1965) p. 382; L. Richardson jr., s.v. Ad Palmam, in A New Topographical Dictionary of Ancient Rome (Baltimore-London 1992). Tale ipotesi è stata sostenuta anche da De Rossi, Gatti, Lanciani, De Ruggiero, De Francisci e Lugli: cfr. F. Guidobaldi, s.v. Palma (Ad Palmam), in E.M. Steinby, Lexicon Topographicum Urbis Romae IV (Roma 1999) p. 52 s. 54 A questa ipotesi, formulata da G. Marchetti Longhi, Senatus ad Palmam, Porticus curva e Porticus absidata. Note di Topografia antica e medievale, RPAA 25/26 (19491951) pp. 183-229, ma rimasta senza seguito, aveva aderito, sia pure ritenendola solo una possibilità, Chastagnol, La préfecture urbaine cit., p. 249 s. Cfr. anche il commento di Vera all’espressione secretarium commune presente nella Relatio 23 di Simmaco (Vera, Commento storico cit., p. 172 s.). 55 Guidobaldi, s.v. Palma (Ad Palmam) cit., in Steinby, Lexicon cit., p. 52; s.v. domus: Anicius Acilius Glabrio Faustus, in Steinby, Lexicon cit., p. 99.

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potesse essere ubicata effettivamente in quel punto56: è stato infatti osservato che quegli spazi anche giuridicamente pubblici, saturi com’erano di edifici pubblici e sacri, dovevano essere incapienti e inadatti a ospitare una grande domus privata, come, verosimilmente, doveva essere quella del prefetto Fausto, il quale discendeva – non bisogna dimenticarlo – dalle illustri e ricche famiglie degli Anici e degli Acili, di antica nobiltà e da lunghissimo tempo radicate a Roma. Nonostante sembri ad ogni modo provata l’effettiva esistenza di una zona definita ad Palmam, della quale anzi si è arrivati a determinare, sia pure in modo approssimativo, due possibili ubicazioni, e pur volendo prestare fede al fatto che la domus di Fausto fosse lì ubicata, permangono le perplessità circa le ragioni che possano aver spinto a riunire il senato, per un’occasione così speciale e solenne, in un luogo affatto insolito come, appunto, la domus del prefetto del pretorio57, la quale – ammesso che si trovasse effettivamente lì – si sarebbe situata, a seconda delle ipotesi prospettate, ora vicino alla Curia stessa, ora vicino agli uffici della praefectura urbi, senz’altro dotati di una sala d’udienza abbastanza ampia da poter eventualmente accogliere una tale riunione58. Se, da un lato, è possibile ipotizzare che il verbale originario possa, anche per questo punto del testo, aver subito, nel corso della sua trasmissione, delle modificazioni (le cui tracce potrebbero essere ravvisabili nelle lacune già notate e nell’insolita posizione degli elementi di apertura del verbale), dall’altro lato non vi sono sufficienti ragioni per rigettare completamente le informazioni offerte dalla nostra fonte. Anzi, poiché ritrovamenti archeologici e iscrizioni epigrafiche testimoniano un continuo uso, per l’epoca che qui interessa, dei locali della Curia e delle aree ad essa circostanti59, bisogna dedurre che la diversa ubicazione della seduta in esame sia stata frutto di una scelta consapevole. ___________ 56 Sulla domus ad Palmam v. anche Dondin-Payre, Exercice du pouvoir cit., p. 141 s.; 261 s.; 296. Va difatti sottolineato che i Gesta senatus del 438 sono l’unica fonte che attesterebbe l’esistenza di una domus degli Acilii Glabriones nel luogo chiamato ad Palmam. 57 Di recente Matthews ha sostenuto che lo svolgimento di questa seduta del senato nella domus di Fausto può essere in parte spiegata "by the continuing habit of pretorian prefects of conducting business in their own premises". L’Autore osserva che l’idea di Fausto di convocare i senatori presso la propria domus, anziché, in osservanza della regolare procedura, presso la Curia, potrebbe essere stata finalizzata "to emphasize his initiative in what was not after all a regular meeting of the Senate" (Matthews, Laying down the Law cit., p. 33). 58 Considerando che alla seduta senatoria dovettero prendere parte almeno 60 persone: v. infra nt. 75. 59 Il complesso degli edifici senatori risulta essere stato più volte sottoposto a restauro ancora sul finire del V sec. d.C. (cfr. Bartoli, Curia senatus cit., p. 62).

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Tenendo così per fermo il dato topico, occorre interrogarsi sulle ragioni che potrebbero aver suggerito di convocare i senatori in un luogo diverso da quello istituzionalmente deputato da secoli ad ospitarne le riunioni; e, inoltre, domandarsi se davvero la seduta ebbe effettivamente quel carattere 'privato' e quel tono dimesso (che a nostro avviso mal si concilia con la solennità dell’avvenimento) che il luogo – la domus del prefetto Fausto – sembrerebbe aver suggerito a taluni60. Va ricordato infatti che il legame tra Roma e Fausto era particolarmente stretto, essendo stato quest’ultimo prefetto dell’Urbe per ben tre volte (come ricordato nella sua stessa titolatura), e che, proprio in ragione di ciò, la sua domus non doveva certo essere una modesta abitazione privata. E’ stato da taluni osservato che, sin dall’età repubblicana, secondo una tradizione che si perpetuò ancora nei secoli successivi, il senato ebbe a riunirsi talvolta "in luoghi connessi con gli argomenti all’ordine del giorno e le decisioni da prendere"61. Possiamo quindi immaginare che, anche nel nostro caso, dovesse esservi una stretta connessione tra la domus del prefetto del pretorio e il Codice Teodosiano, ossia tra l’alto ufficiale, la presentazione del Codice stesso e quanto stabilito dal senato a proposito dell’attività di riproduzione e diffusione della raccolta normativa: ciò metterebbe in evidenza ancora maggiore il ruolo attribuito dall’imperatore ai prefetti e quindi l’alto rilievo, nel presente contesto, di questi ufficiali, a cui era stata demandata la cura di provvedere alla diffusione della silloge normativa imperiale. Ma della scelta della domus ad Palmam si potrebbe forse intravedere anche un’ulteriore ragione. Soffermandosi maggiormente su altre fonti nelle quali si trova citata la località ad Palmam, si noterà che anche in un’altra occasione quest’ultima si presenta legata a un’adunanza straordinaria del senato: quella svoltasi nell’ambito delle cerimonie organizzate per l’adventus di Teodorico, cioè il suo ingresso solenne in Roma, avvenuto nel 500 d.C.62 Tale evento ven ___________ 60

Ancora di recente commenta, ad esempio, Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 291, che il "Senatus… risulta convenuto – amaro segno dei tempi – nella residenza del prefetto che ne dispone la convocazione, quae est ad Palmam". 61 A. Fraschetti, Spazi del sacro e spazi della politica, in Storia di Roma 3. L’età tardoantica. I. Crisi e trasformazioni, pp. 675-696 e spec. p. 690 s., con alcuni esempi anche per l’età tardoantica. Nel 408 d.C., trovandosi Onorio a Roma, Stilicone, dopo aver ricevuto a Ravenna gli ambasciatori di Alarico, giunse nell’Urbe per consultarsi con l’imperatore e con il senato. In tale circostanza i senatori si sarebbero riuniti nel palazzo imperiale (sunelqoÚshj de tÁj gerousfaj eej t¦ basfleia: Zos., Hist. nov. 5.29.6) per discutere se muovere guerra contro il re visigoto. 62 Di rilievo è il fatto che, contrariamente al percorso tradizionalmente seguito dagli imperatori fino a quel momento, percorso che muoveva dal Foro in direzione del sacello dell’apostolo Pietro, con Teodorico si ebbe per la prima volta una significativa inversione del senso di marcia: infatti il corteo del re ostrogoto, privilegiando l’aspetto religioso dell’adventus, fece la sua prima tappa presso la basilica di S. Pietro, per poi recarsi verso il centro 'laico' dell’Urbe (un aspetto che è stato studiato di recente da P.

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ne seguito da un discorso che il re ostrogoto avrebbe tenuto, sembrerebbe contestualmente, al senato e al popolo convenuti ad Palmam. Rileggiamo le fonti: Anonymus Valesianus 65-6663 (65) Post facta pace in urbe ecclesiae ambulavit rex Theodericus Romam et occurrit beato Petro devotissimus ac si catholicus. cui papa Symmachus et cunctus senatus vel populus Romanus cum omni gaudio extra urbem occurrentes. (66) deinde veniens ingressus urbem venit ad senatum et ad Palmam populo adlocutus se omnia deo iuvante, quod retro principes Romani ordinaverunt, inviolabiliter servaturum promittit. Vita s. Fulgentii, Act. Sanct., Ian. 1.37 In loco qui Palma Aurea dicitur, memorato Theodorico rege concionem faciente, Romanae curiae nobilitatem decus ordinemque decorata gradibus exspectaret et favores liberi populi castis auribus audiens, qualis esset huius saeculi gloriosa pompa, cognosceret. Neque tamen in hoc spectaculo libenter aliquid intuitur…

E’ significativo che questa riunione straordinaria del senato64 sia avvenuta in concomitanza dell’adunanza del popolo, di cui è registrata la contestuale presenza. E forse la scelta del luogo ad Palmam potrebbe essere stata determinata proprio dalla volontà di consentire la più ampia partecipazione a questo solenne evento di interesse generale, così come di interesse generale sembra essere stato anche il discorso di Teodorico, tenuto subito dopo il suo ingresso a Roma, nel quale il sovrano avrebbe espresso la sua rassicurante determinazione quanto al mantenimento dello status quo, con riferimento alle disposizioni imperiali fino a quel momento emanate. Ci si deve allora chiedere se sia possibile che la scelta della domus ad Palmam, così vicina alla Curia, quale luogo di riunione del senato in occasione della presentazione ufficiale del Codice Teodosiano possa essere stata dettata da analoga esigenza. Tale è l’ipotesi avanzata da Näf, il quale ritiene che la scelta della domus di Fausto, oltre a voler sottolineare il rango del funzionario o l’eccezionalità della seduta, potrebbe essere stata dettata dalla volontà di consentire anche al popolo di seguire in qualche modo l’evento65. ___________ Liverani, Funzioni temporanee dello spazio pubblico: trionfatori e pellegrini nella tarda antichità e nell’alto medioevo, Fragmenta 1 [2007] pp. 83-102). 63 MGH AA 9: Chron. Min. I, p. 324. 64 Che di riunione formale, benché 'irregolare' ed eccezionale, si sia trattato sembrerebbe potersi dedurre dal fatto che i senatori erano – come nella Curia – disposti ordinatamente, secondo il rango di ciascuno, a rappresentare, in modo concreto e visibile, l’ordo splendidissimus simbolo di continuità della tradizione romana. Ma vi è stato anche chi l’ha ritenuta piuttosto una contio (cfr. Bartoli, Curia senatus cit., p. 72). 65 B. Näf, Fulgentius von Ruspe, Caesarius von Arles und die Versammlungen der römischen Senatoren, Klio 74 (1992) pp. 431-446 e spec. p. 442 s.: "Faustus… mag mit der Wahl dieses Ortes seinen Rang oder die Außergewöhnlichkeit der Senatsversammlung unterstrichen haben wollen… Die Lokalität ad Palmam hatte zudem den Vorteil, daß sie unmittelbar neben dem Senatsgebäude gelegen war und überdies das Volk dort

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Pur mancando effettivi riscontri di ciò, l’ipotesi sembra avere una certa plausibilità. In più occasioni il popolo romano appare chiamato a svolgere una funzione quasi di testimone nel compimento di determinati atti o in occasione del rilascio di talune dichiarazioni66. A sostegno della stessa può rilevarsi che, tra le acclamazioni registrate nel verbale, ve n’è una (Haec sunt vota senatus, haec sunt vota populi Romani) che potrebbe in effetti suggerire una qualche partecipazione concreta (anche se non è chiaro in quale forma) del popolo quale soggetto autonomo rispetto al senato67: non è, infatti, plausibile che quest’ultimo potesse essersi fatto portavoce dei vota del popolo, nei cui confronti non sembra aver mai esercitato alcuna rappresentanza istituzionale68. Siamo comunque consapevoli del fatto che tutti questi elementi, non assurgendo al ruolo di prove certe, possono solo far congetturare una possibile 'presenza' del popolo di Roma alla cerimonia di presentazione del Codice Teodosiano, una presenza che nemmeno si saprebbe dire se, e in quale misura, effettivamente concreta, o invece meramente simbolica. 3. I presenti Sempre in apertura del verbale, di seguito alla data è registrata la lista di coloro che presero parte alla seduta: quanto alle alte personalità, oltre al pre ___________ Gelegenheit hatte, das Geschehen vom Platz her zu verfolgen". L’analisi dell’Autore porta a sottolineare, molto più di quanto sia stato fatto sinora dalla dottrina, proprio l’eccezionalità e la particolarità della seduta senatoria del 438 d.C. 66 Si veda, ad esempio, una costituzione di Costantino che invita i suarii ad effettuare alcune dichiarazioni dinanzi al popolo romano, chiamato a testimone (CTh. 14.4.1: iubemus eos adstante populo Romano dicere… revocari eos iubemus idque ipsum teste et audiente populo Romano compleri). 67 La presenza, nei Gesta senatus del 438 d.C., di questo riferimento al populus Romanus e ai suoi vota è stata messa in rilievo già dalla Baccari, la quale, ravvisando anzi una certa 'concretezza' nella presentazione di tali vota, ritiene che "vi sia un nesso tra le adclamationes populi Romani e i vota populi Romani" e che "I Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando potrebbero contenere una verbalizzazione, presupporre anche le acclamazioni del popolo", ipotizzando che "sia le adclamationes populi Romani sia i vota populi Romani fossero riportati negli acta populi Romani" (M.P. Baccari, Cittadini popolo e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI [Torino 1996] p. 145 s. e nt. 37). 68 E ciò al di là della ben nota espressione Senatus populusque Romanus. Ancora in Prudenzio i publica vota, in quanto espressione della volontà del popolo, sono nettamente distinti da quelli del senato (Prud., Contra Symm. 1.599-607). Senatus e populus sono 'soggetti' distinti anche in Greg. Magn., Hom. in Ezech. 2.6.22 (PL 76, 1010 C-D): Ubi enim senatus? ubi iam populus? … senatus deest, populus interiit). Alle dinamiche senatus - populus in età tardoantica ha dedicato una parte della sua ricerca P. Garbarino, Contributo allo studio del senato in età giustinianea (Napoli 1992) pp. 1419.

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fetto Fausto, che ne tenne la presidenza e al cui nome si accompagna sempre, per l’intero verbale, la titolatura completa (comprensiva dell’indicazione del rango)69, furono presenti anche il praefectus urbi Flavio Paolo e il vicarius urbis aeternae (cioè Romae)70 Iunius Pomponius Publianus71, nonché altri personaggi di alto rango non meglio individuati, indicati sommariamente come proceres72. E’ inoltre ipotizzabile, sebbene ciò non risulti espressamente dal verbale, la presenza del vicarius Italiae73 e di Ezio, magister utriusque militiae di Valentiniano III74; mentre solo in un secondo momento avrebbero fatto il loro ingresso anche i due constitutionarii Anastasio e Martino. Nel verbale viene poi espressamente menzionato più oltre anche un vir spectabilis Veronicianus, scelto dall’assemblea senatoria per affiancare i detti constitutionarii nei loro compiti di riproduzione materiale del Codice e, verosimilmente, anch’egli presente in questa occasione. Nel complesso, l’indicazione dei presenti, pur rispettando rigorosamente l’ordo dignitatum, non appare redatta, da un punto di vista sintattico, secondo la forma più frequentemente riscontrata nei verbali (Praesentibus… adstantibus…). Va notato che non vi è alcun elenco nominativo né dei proceres né dei ___________ 69

Anicius Achillius Glabrio Faustus v(ir) c(larissimus) et inl(ustris), tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius. Come si vede, la titolatura è comprensiva degli uffici rivestiti in passato, di quello attualmente ricoperto e dei titoli onorifici: anche questa forma può essere considerata come tipica dei gesta. 70 Questa magistratura aveva sede a Roma. Sul concetto di aeternitas legato all’urbs Roma si veda M. Campolunghi, Urbs aeterna. Una ricerca sui testi giuridici, in Popoli e spazio romano tra diritto e profezia. Atti del III Seminario Internazionale di Studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (Napoli 1986) pp. 163-230 e spec. p. 205 s. 71 Il nome Publianus appare una forma corrotta derivante forse, come è stato ipotizzato, da un originario Publicianus. Poiché nessun’altra fonte ci ha conservato il nome di questo magistrato, tale forma è stata mantenuta nelle edizioni critiche. 72 I loro nomi non sono stati riportati. Secondo una disposizione di Costanzo II del 361, affinché l’assemblea potesse validamente produrre un senatoconsulto era ritenuta necessaria la presenza di almeno dieci proceres, di cui facevano parte coloro che avevano gerito le magistrature più alte, come gli ex-consoli ordinari, gli ex-prefetti, i proconsulares (cfr. CTh. 6.4.12: Praetores designentur senatus consulto legitime celebrato, ita ut adsint decem e procerum numero). 73 Amministratore dell’Italia Annonaria, accanto al vicarius urbis Romae, che era invece responsabile del governo dell’Italia Suburbicaria. Data la presenza di quest’ultimo, è lecito ipotizzare anche quella del primo, a meno che le funzioni di questa magistratura non fossero state in quel momento esercitate dallo stesso prefetto del pretorio Fausto: sulla possibilità di cumulo di queste due funzioni cfr. A.H.M Jones, Il tardo impero romano (284-602 d.C.) I, trad. it. E. Petretti (Milano 1973) p. 455. 74 Come supposto già da Wenck, Codicis Theodosiani cit., p. 6 nt. p, e, da ultimo, da Wieling, Die Einführung cit., p. 871. Ezio, che ricevette nel corso della seduta diverse acclamazioni di lode e riconoscenza da parte dei senatori, era di fatto il vero detentore del governo dell’impero d’Occidente, esercitando quel potere che Valentiniano III, descritto dalle fonti come un incapace dedito soltanto ai divertimenti, non era mai stato in grado di gestire.

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senatori che in senatu fuerunt75, i quali vengono invece complessivamente indicati con la generica espressione amplissimusque ordo senatus. L’impressione che si riceve da questa parte iniziale del verbale, contenente data e luogo della riunione seguiti dall’indicazione dei presenti, è che essa sia stata redatta in una forma riassuntiva76, nella quale sono stati omessi tutti quegli elementi che non sono stati ritenuti essenziali e che avrebbero soltanto appesantito il testo. Tale impressione è avvalorata dal fatto che anche della fase iniziale della seduta sembrerebbe non essere stata conservata la registrazione: l’adunanza dei senatori, le attività ed eventuali dichiarazioni preliminari sono così sommariamente descritte: dum convenissent habuissentque inter se aliquamdiu tractatum. Ma è quest’ultima una semplice formula stereotipa, oppure dietro di essa si cela un’effettiva attività preliminare del senato? E tuttavia, per il secondo caso, non è possibile immaginare cosa abbia potuto precedere il momento solenne della presentazione del Codex Theodosianus, se cioè i senatori si fossero occupati di altre eventuali questioni 'all’ordine del giorno' (cosa poco probabile, soprattutto se la seduta, come sembrerebbe, era stata convocata appositamente per la presentazione del Codice), oppure se si fosse svolto un dibattito o una qualche attività preliminare e/o preparatoria in vista della cerimonia che stava per avere luogo77. E comunque, per entrambi i casi, di una tale attività mancherebbe del tutto la registrazione. ___________ 75

Il cui numero minimo, ai fini della regolarità della seduta, doveva essere di 50, così come aveva stabilito Costanzo II nel 356 (CTh. 6.4.9). Un esempio di un simile elenco, molto preciso anche quanto ai titoli e al rango di ciascun senatore, può rinvenirsi in apertura del verbale della seconda seduta del concilio di Calcedonia (a. 451), dove sono elencati, oltre ai nominativi dei gloriosissimi iudices, anche quelli dei singoli membri del gloriosissimus et amplissimus senatus che, anche se solo in qualità di spettatori, presero parte ai lavori, nonché i nomi di tutti i vescovi convenuti (Mansi VI, col. 939A-B). Non può pertanto essere condivisa la supposizione di Sirks, Observations V (2007) cit., p. 132, secondo cui sarebbero stati presenti forse 28 senatori (arguendo ciò dal più alto numero di acclamazioni registrate a verbale, numero che per l’Autore potrebbe corrispondere a quello dei senatori 'acclamanti'). 76 Ipotesi avanzata, proprio in relazione a questo punto del verbale, già da A. Rodinò Di Miglione, Spigolature romanistiche in tema di burocrazia parlamentare, in Seconda miscellanea di scritti. XX Anniversario dell’Associazione ex dipendenti del Senato (2002) p. 254 [consultato in estratto]: "Segue un accenno sommario ad una prima parte della seduta che non si resoconta… Penserei piuttosto o ad un inizio informale… della seduta; a meno che non sia una formula analoga al nostro … omissis … per indicare che non si riporta in questa sede quella parte di verbale". 77 Matthews, Laying down the Law cit., p. 34, seguito da Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 291, ipotizza che potesse trattarsi di questioni di natura procedurale. Tra queste attività potrebbe forse rientrare anche l’electio (o la comunicazione ufficiale del risultato di questa), da parte dei senatori, di Veronicianus quale responsabile, accanto ai due constitutionarii, dell’autenticità dei realizzandi esemplari del Codice Teodosiano. Il fatto che la scelta dei senatori abbia avuto bisogno della conferma – si

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4. I constitutionarii Dopo aver dato conto della regolare costituzione e dell’attività preliminare del senato (dum convenissent habuissentque inter se aliquamdiu tractatum) 78, gli exceptores registrarono a verbale l’ingresso, in base a un ordine impartito verosimilmente dallo stesso Fausto79, dei constitutionarii Anastasio e Martino80, la cui presenza venne dallo stesso magistrato nuovamente sottolineata nel corso della cerimonia81. Ma chi erano i constitutionarii in generale, e chi erano Anastasio e Martino in particolare? Quale lo scopo della loro presenza nella riunione in esame? A queste domande si cercherà di rispondere più avanti82, quando si procederà ad analizzare più nel dettaglio la fase della riproduzione ufficiale del Codice Teodosiano in Occidente, in relazione alla quale al menzionato ufficio venne riservato un ruolo di assoluto rilievo. Si può per ora anticipare che, in quell’occasione, i due constitutionarii ebbero probabilmente il compito di sorvegliare l’esemplare del Codice Teodosiano portato dall’Oriente e forse anche quello di porgerlo a Fausto, che certamente se ne servì per dare lettura della costituzione programmatica ivi contenuta. Ma, come si chiarirà più avanti, forse la loro presenza costituì al tempo stesso anche una formale praesentatio dinanzi al senato di Roma, per il riconoscimento delle funzioni ufficiali loro attribuite. Infine, i constitutionarii, e anzi proprio Anastasio e Martino, sembrerebbero essere anche i destinatari di una successiva costituzione di Valentiniano III, ___________ direbbe contestuale – da parte del prefetto del pretorio potrebbe suggerire che il tutto sia avvenuto in seno alla seduta in esame. 78 L’espressione habere tractatum (alternativa al verbo tractari) è usata normalmente in un’accezione tecnica, ad indicare la riunione del senato e l’attività dell’assemblea senatoria (cfr. Chastagnol, Le sénat cit., p. 83; S. Mazzarino, Antico, tardoantico ed èra costantiniana I [Bari 1974] p. 452 ). Tale attività poteva condurre a una deliberazione e/o a una electio: cfr. NVal. 1.3.4 (a. 450), inviata al senato: Utrum mitti debeat inspector, publicus tractatus ante deliberet sublimis viri parentis patriciique nostri nec non magnifici viri praefecti praetorio; NVal. 15.2 (a. 444/445): … tam bonus rei effectus aliter non poterit provenire, nisi huic muneri certi, qui praeficiendi sunt, eligentur communi procerum nostrorum consilio atque tractatum. 79 Di un tale ordine, che pure una registrazione fedele avrebbe dovuto conservare al pari delle altre dichiarazioni di Fausto, si arguisce la presenza dall’espressione ingressis ex praecepto. Esso avrebbe potuto essere formulato, ad esempio, così: Ingrediantur… oppure Intromittantur… (numerosi esempi negli acta conciliari e sinodali). 80 Pur adottando qui, per ragioni di comodità, la lezione di Mommsen, sarei tuttavia propensa a dare maggior credito alla versione manoscritta Marcio (forma corrotta per Martio), per i motivi che saranno esposti più avanti. 81 Gesta 3: constitutionarii praesentes sunt. 82 V. infra p. 234 ss.

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emanata a Roma nel 44383, con cui l’imperatore sarebbe intervenuto in risoluzione di problemi o dubbi sorti nel corso dell’attività di edizione delle copie della codificazione, attività che all’epoca doveva essere in pieno svolgimento. 5. La lettura della costituzione programmatica del 429 d.C. Una volta presa la parola, Fausto iniziò con la narrazione degli avvenimenti accaduti in Oriente, comunicando in termini succinti il desiderio dell’imperatore Teodosio di rendere partecipe della diffusione della sua grande opera di codificazione anche il senato di Roma. Fatta constatare a verbale la presenza dei due constitutionarii, il prefetto manifestò l’intenzione di passare alla lettura, in ossequio agli ordini imperiali ricevuti, dei provvedimenti con i quali i sovrani hoc idem fieri iusserunt, preventivamente richiedendo però, con una interrogatio, come voleva il protocollo, l’assenso dei senatori: Gesta 3 Constitutionarii praesentes sunt: si placet amplitudini vestrae, has ipsas leges, quibus hoc idem fieri iusserunt, amplitudo vestra relegi sibi iubeat, ut consultissimis aeternorum principum praeceptis consentanea devotione pareamus.

Il senato, com’era prevedibile, approvò: Adclamatum est: Aequum est, placet, placet.

E il presidente, preso un volume del Codice, cominciò col recitare il testo – non nella sua versione originale, bensì in quella decurtata e inserita nella compilazione stessa – della prima delle costituzioni programmatiche, quella cioè emanata da Teodosio II nel 429 (CTh. 1.1.5). Gesta 4 Anicius Achillius Glabrio Faustus v.c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus (praetori)o et consul ordinarius legit ex codice Theodosiano, libro primo, sub titulo “de constitutionibus principum et edictis”: … Ad similitudinem Gregoriani atque Hermogeniani codicis….

Ma, in apparente contrasto con la formulata richiesta di assenso alla lettura, che avrebbe dovuto avere ad oggetto has ipsas leges, la recitatio di Fausto parrebbe essersi limitata a questa sola costituzione. Al termine della lettura, difatti, vediamo i senatori prorompere in una serie quasi infinita di acclamazioni – anch’esse debitamente registrate dagli exceptores –, a conclusione delle quali il prefetto ordinò l’insinuatio a verbale di quanto appena letto: Gesta 6 Quae lecta sunt sui cum veneratione, gestis adhaerebunt et addentur84.

___________ 83 Cd. constitutio de constitutionariis, riportata nell’edizione Mommsen di seguito ai Gesta senatus.

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E nel seguito dei Gesta non v’è più traccia alcuna di recitatio, né tantomeno di conseguente insinuatio, di altri provvedimenti. E’ anzitutto insolita la posizione dell’ordine di allegazione a verbale di quanto era stato letto. Tale ordine difatti, che normalmente segue immediatamente la lettura stessa del documento, appare essere stato qui impartito solamente a conclusione delle acclamazioni. Ciò sarebbe, secondo alcuni, da attribuirsi al fatto che queste ultime avrebbero in realtà interrotto la lettura stessa, impedendo a Fausto di prendere le disposizioni necessarie alla insinuatio del documento. E comunque, secondo Mommsen, l’ordine di Fausto andrebbe inteso in senso più ampio, in quanto ricomprendente, a quel punto, non solo il testo della costituzione letta, ma anche le acclamazioni dei senatori85. E’ stato poi da più parti osservato che, nella richiesta avanzata da Fausto, la presenza dei plurali, sia quanto ai soggetti86 sia, soprattutto, quanto all’oggetto (has ipsas leges; consultissimis… praeceptis), sembrerebbe testimoniare in modo non equivoco l’intenzione di procedere alla lettura di più provvedimenti87. E in effetti, sin dalla prima pubblicazione del nostro documento, la maggior parte degli studiosi, pur prendendo atto del dato testuale, ha trovato alquanto strano che, in sede di presentazione del Teodosiano dinanzi al senato di Roma, Fausto avesse dato lettura della sola costituzione programmatica del 429 e non invece (oppure: non anche) di quella del 43588. Ciò soprattutto in considerazione del fatto che era piuttosto quest’ultima costituzione a contenere il nuovo programma, in parte modificato rispetto al primo, a cui i compilatori dovettero attenersi, e al quale il Codice Teodosiano effettivamente realizzato dalla cancelleria costantinopolitana era certamente più vicino. E’ stato poi ritenuto altrettanto strano il fatto che non sia stata data lettura neanche della costituzione di validazione di Teodosio II del 15 febbraio 438, la cui funzione non era solo quella, per così dire, di 'presentare' il Codice o di pubblicarlo, come è stato detto, ma appunto, e in via principale, di attribuire allo stesso valore normativo (la medesima costituzione ne stabiliva anche il termine di entrata in vigore), ___________ 84

Così l’edizione mommseniana. Va però detto che la proposta della Davidson di modificare et addentur in et adiecit appare più convincente (Davidson, A problem cit., p. 168 ss.). 85 Cfr. apparato critico a Gesta 6. L’osservazione nasce però dalla necessità di spiegare la presenza di addentur, che in realtà, secondo la Davidson, potrebbe non essere la lezione originale (cfr. la nota che precede). 86 Pur non essendo il soggetto di iusserunt specificamente indicato, il contesto della frase non lascia dubbi. Inoltre, immediatamente dopo si parla nuovamente di consultissimis aeternorum principum praeceptis. 87 L’osservazione era già stata fatta da Baro de Crassier, il quale riteneva che si dovesse trattare delle costituzioni programmatiche del 429 e del 435 (Baro de Crassier, Dissertatio cit., p. 27 nt. 2), e da von Schröter, Uebersicht cit., p. 343. 88 La questione era stata posta già da von Schröter: "Warum nicht auch die zweite von 435?" (von Schröter, Uebersicht cit., p. 343; v. anche p. 362).

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nonché di statuire l’invalidità, in sede giurisdizionale, di quelle costituzioni non comprese nel Codice. Ma, poichè sembra che la recitatio di queste ulteriori costituzioni non abbia avuto luogo89, ci si è così trovati di fronte a un inspiegabile enigma90, rappresentato dalla scelta di leggere, tra le has ipsas leges, proprio e soltanto quella costituzione che, pur avendo dato l’avvio al programma di codificazione e avendone stabilito l’impianto, non rispecchiava pienamente il 'prodotto finito', frutto piuttosto di una modifica intervenuta in corso d’opera in applicazione delle nuove disposizioni del 435. Eppure, nonostante queste considerazioni, i più, in stretta aderenza al documento tramandatoci, pur notando la presenza dei plurali di cui si è detto91 non hanno mai messo in discussione il fatto che oggetto di recitatio sarebbe stata in effetti la sola CTh. 1.1.5. I dubbi rimangono. Innanzitutto: per quale motivo l’intenzione di Fausto, che pur traspare in modo abbastanza chiaro, di dare lettura di has ipsas leges sarebbe stata repentinamente abbandonata, soprattutto dal momento che tale lettura costituiva una formale recitatio e quindi, lungi dall’essere rimessa all’arbitrio del prefetto, rappresentava un atto di obbedienza – consentanea devotione92 – ai 'ponderatissimi precetti' degli aeterni principes? E, ipotizzando che i provvedimenti la cui lettura era stata prevista fossero stati in effetti più di uno, e che tra essi vi fosse anche la costituzione programmatica del 435, perché ___________ 89

A questo proposito va però osservato che la De Marini aveva in un primo momento addirittura sostenuto, senza tuttavia precisare che si trattava solamente di una propria ipotesi, che la lettura di Fausto avrebbe avuto ad oggetto le "costituzioni con cui Teodosio II aveva ordinato nel 435 la composizione [quindi CTh. 1.1.6 e non CTh. 1.1.5, salvo un errore di stampa], e nel 438 la pubblicazione [cioè NTh. 1] del suo codice" (F. De Marini Avonzo, Critica testuale e studio storico del diritto [Torino 1970] p. 35). La stessa Autrice ha poi, nell’edizione più recente della stessa opera, parlato più genericamente – ma sempre al plurale – di "lettura delle costituzioni programmatiche di Teodosio II" (De Marini Avonzo/Lanza, Critica testuale cit., p. 82). Curiosamente, anche Wieling dà per senz’altro avvenuta la lettura, oltre che di CTh. 1.1.5, anche di CTh. 1.1.6 (Wieling, Die Einführung cit., p. 873). 90 Di "piccolo mistero" parla in effetti Archi, Teodosio II cit., p. 33. "Inspiegabile" e "incomprensibile" è, anche per Volterra, la scelta di leggere la C.Th. 1.1.5, ritenuta ormai anacronistica, e non invece le costituzioni del 435 e del 438 (Volterra, La costituzione introduttiva cit., pp. 3087; 3089-3091; 3103). 91 Che taluni hanno cercato di spiegare in altro modo: Sirks, Observations V (2007) cit., p. 139, ad esempio, ritiene che il sostantivo leges si riferirebbe piuttosto ai vari precetti contenuti nella sola CTh. 1.1.5. Ma Pharr giustamente avvisava: "The plural would hardly be used if the speaker were referring to CTh. 1,1,5 only" (Pharr, The Theodosian Code cit., p. 4 nt. 20). 92 L’aggettivo consentaneus esprime l’idea di una concordanza nei contenuti rispetto a qualcosa che è già accaduto, oppure che è già stato detto o scritto: può darsi allora che l’invito rivolto ai senatori di Roma ad osservare i praecepta imperiali rispecchi una procedura seguita già in Oriente, dove forse aveva avuto luogo analoga cerimonia.

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si sarebbe preferito dare lettura solamente di quella del 42993? E, inoltre, per quale motivo non venne data lettura anche della, forse ancor più significativa, costituzione di validazione del 438 (NTh. 1)? Finora non sono stati molti i tentativi fatti per trovare una spiegazione a quella che a molti è sembrata comunque una scelta illogica94. Per alcuni, si sarebbe con ciò inteso sottolineare la particolare rilevanza ideologica e la 'superiorità', riconosciuta sin dal 438, della prima costituzione programmatica rispetto alla seconda, traendo così dall’accaduto precise conclusioni quanto ai reali rapporti tra i due programmi di codificazione normativa95, laddove il Codice realizzato non avrebbe fatto altro che rispecchiare, nelle sue linee fondamentali, il primo programma96. E però non è mancato chi, al di là del dato te ___________ 93 Il che avrebbe inevitabilmente costituito, come osserva Sirks, Observations V (2007) cit., p. 139, "a distorsion of the truth". Anche per Dovere, 'Ius principale' cit., p. 59, quella della costituzione del 429 costituirebbe una "presenza apparentemente inusitata"; una presenza, tuttavia, alla quale l’Autore ha cercato di trovare una sua giustificazione (cfr. infra nt. 95). 94 Baro de Crassier aveva spiegato la lettura della sola costituzione del 429 ipotizzando che il prefetto avesse in realtà l’intenzione di leggere anche la costituzione programmatica del 435, ma che avrebbe omesso di farlo in quanto interrotto dalle acclamazioni del senato che seguirono alla lettura della costituzione del 429: "sed lecta constit. a. 429, innumeris acclamationibus ejus oratio interrumpitur; porro cum jam initio paucis mutatum consilium exposuisset, et hujus mutationis haud inscius esset senatus, constitutionem a. 435 quoque legere supervacaneum duxit, precipue cum haec omnia dicis tantum causa fierent; nam, quod in solemni concione plerumque evenit, ut quaedam tantum propositi consilii legantur, omittantur caetera, id tum Romae obtinuisse videtur" (Baro de Crassier, Dissertatio cit., p. 32). 95 Per Archi, ad es., la CTh. 1.1.5 era "testo fondamentale… anche perché tale ritenuto dagli stessi ambienti ufficiali dell’epoca" (Archi, Teodosio II cit., p. 10; 32 ss.). A conclusioni analoghe sono in genere arrivati tutti coloro che si sono occupati dell’analisi della fase programmatica del Codice Teodosiano. Una particolare menzione merita Dovere, che ha cercato di fornire una più articolata spiegazione. Trovando anch’egli apparentemente inspiegabile la lettura di CTh. 1.1.5 ("pensata e poi pubblicata 'troppi' anni prima"), che delineava un progetto di codificazione dal quale la compilazione effettivamente realizzata si discostava in più punti, l’Autore ha, con un complesso ragionamento, individuato dietro ciò delle ragioni di opportunità politica: egli ritiene difatti che il sovrano occidentale avrebbe, con tale scelta, inteso fornire un segnale di armoniosa intesa e accordo tra le due corti, nonchè di "ininterrotta continuità della legislazione", presentando la compilazione orientale come ancora allineata a quelle prospettive di politica normativa occidentale già fissate da Valentiniano nel 426. Secondo l’Autore, dietro questa scelta andrebbe intravista anche una certa vis polemica nei confronti della corte orientale, sollecitata in tal modo a portare a compimento il programma originariamente delineato. Inoltre, la lettura di NTh. 1 sarebbe stata volutamente omessa al fine di celare in qualche modo l’allontanamento del Codice effettivamente realizzato rispetto al progetto originario: ciò avrebbe costituito così un segnale rassicurante in particolare per gli operatori del diritto (Dovere, 'Ius principale' cit., p. 60 ss.). 96 Cfr. T. Honoré, The Making of the Theodosian Code, ZSS 103 (1986) p. 166: "The undertaking which Antiochus … brought to fruition in 438 was rightly seen both by its

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stuale, anche mettendo in dubbio la completezza del verbale in nostro possesso, ha avanzato l’ipotesi che, in realtà, Fausto avesse effettivamente proceduto alla lettura anche di altre leges97. L’assenza dal verbale del testo di queste ultime – individuate, come detto, nella CTh. 1.1.6 e nella NTh. 1 – sarebbe così per alcuni da attribuirsi a una lacuna nella tradizione manoscritta98. In effetti, l’apparente scelta, riconducibile a Fausto o, secondo alcuni, già agli stessi imperatori99, di dare (o far dare) lettura della sola costituzione del 429 lascia troppi interrogativi irrisolti. E l’assenza delle ulteriori costituzioni ricordate, così importanti per l’intera vicenda codificatoria, non trova, nonostante tutto, soddisfacenti giustificazioni né logiche né ideologiche. Non del ___________ promoters and by the Roman senate as identical with the project for which Theodosius had given instructions in 429. That is why the constitution of 429 was read to the senate in 438". 97 Dell’opinione che in questa sede siano state lette anche la C.Th. 1.1.5 e la NTh. 1 sono Pharr, The Theodosian Code cit., p. 4 nt. 20 e la De Marini, la quale rileva una corruzione testuale in questo punto del verbale (De Marini Avonzo, La politica legislativa cit., p. 34 nt. 1). Decisamente contrario è invece Archi, il quale, nel commentare l’ipotesi di Pharr, sostiene recisamente che questa "non può essere accolta" sulla base di una duplice motivazione: "Anzitutto – scrive l’autore – appare estremamente improbabile che il protocollo dei Gesta, così esatto nel raccogliere tutto quanto avvenuto, si prendesse la libertà di omettere ogni accenno alle due costituzioni imperiali". In secondo luogo, Archi ritiene che il codice sia stato consegnato a Fausto dopo le nozze di Valentiniano III ma prima del 438, quando prefetto del pretorio d’Oriente era ancora Dario, e quindi prima che la NTh. 1 fosse stata emanata, "né noi possiamo immaginare quando e come fu conosciuta in Occidente" (Archi, Teodosio II cit., p. 34 nt. 49). Entrambe le considerazioni vanno però confutate. Quanto alla 'esattezza' dei Gesta, l’analisi fin qui condotta ha mostrato, al contrario, le numerose corruzioni e lacune che affliggono tale documento, lacune che possono essere attribuite in parte alla forbice di un epitomatore, in parte a una tradizione testuale poco felice. L’assenza dal protocollo di qualsiasi cenno alla lettura delle supposte costituzioni non può essere quindi interpretata in modo univoco e chiaro, come fa invece Archi. In secondo luogo, non è affatto certo che la consegna ufficiale dei codici ai due prefetti si sia svolta nel 437, potendo l’indicazione temporale Proximo superiore anno riferirsi esclusivamente al matrimonio di Valentiniano III, il quale, come in precedenza detto, si trattenne in Oriente fino alla primavera inoltrata del 438. Ritengo anzi più probabile che tra la consegna dei codici e la costituzione del 15 febbraio 438 non fosse intercorso un lungo lasso di tempo (potendovi addirittura esservi stata contestualità). Ma, anche qualora si volesse consentire con le considerazioni di Archi, non si vede perché la NTh. 1 non possa aver raggiunto, nei modi consueti, la cancelleria occidentale prima della cerimonia svoltasi dinanzi al senato di Roma ed essere stata letta nel corso di quest’ultima, soprattutto quando della seduta si voglia accettare la datazione, comunemente seguita, del dicembre del 438. Di contro alla sicurezza che traspare dalle affermazioni Archi, credo più opportuno assumere un atteggiamento dubitativo, che lasci spazio a soluzioni alternative. 98 Per von Schröter, ad esempio, tale assenza sarebbe dipesa dal copista (von Schröter, Uebersicht cit., p. 343). 99 Cfr. Dovere, 'Ius principale' cit., p. 59 s.

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tutto infondata potrebbe quindi apparire l’ipotesi di una lacuna nel testo del verbale. Ma, pur essendo senz’altro possibile, anche se poco probabile, che possa essersi trattato di una lacuna in senso tecnico, cioè della caduta accidentale di una parte del testo nel corso della sua tradizione manoscritta100, ritengo che possa essere presa in considerazione anche un’altra spiegazione. Come si è visto più sopra, e come si vedrà ancor meglio nel prosieguo dell’analisi, i Gesta senatus contengono, non solo qui ma anche in altri punti, da un lato diverse incongruenze, dall’altro forme ed espressioni riassuntive. Ciò potrebbe far allora ipotizzare che nel documento pervenuto sia da ravvisarsi non già il verbale originale consistente nella trascrizione, completa e fedele, di quanto avvenuto nel corso dell’intera seduta senatoria, bensì, piuttosto, una sua versione epitomata o un estratto. Ne conseguirebbe che alcuni degli elementi originariamente presenti nella redazione completa del verbale potrebbero essere stati volutamente tralasciati in sede di rimaneggiamento. E difatti, oltre alla già notata espressione has ipsas leges, che precedette la recitatio, un possibile indizio della effettivamente avvenuta lettura di più testi dinanzi al senato sarebbe rilevabile anche nella frase con cui il presidente della seduta ordinò l’allegatio101 nei gesta: Quae lecta sunt… gestis adhaerebunt102. Come è emerso dall’analisi condotta più sopra sulle varie tipologie di gesta, l’ordine relativo all’insinuazione nel verbale dei documenti che avevano costituito oggetto di recitatio era di regola molto preciso rispetto alla loro quantità: invariabilmente, se riguardava un solo testo esso veniva espresso al singolare, mentre l’uso del plurale alludeva sempre a più documenti, letti più spesso l’uno di seguito all’altro. E quindi l’espressione Quae lecta sunt, adottata da Fausto, anziché riferirsi genericamente ai praecepta contenuti nella sola costituzione del 429 (che sicuramente costituì oggetto di recitatio) potrebbe piuttosto alludere a più provvedimenti, autonomi e distinti. Vuol dire che il pronome relativo espresso col neutro plurale quae potrebbe piuttosto sottintendere il sostantivo constituta, spesso usato nel linguaggio della cancelleria imperiale in alternativa ___________ 100 Si tratterebbe difatti di una lacuna troppo vasta per poter essere dipesa soltanto, come ritenuto da von Schröter, da un errore del copista. Si potrebbe eventualmente pensare piuttosto a una lacuna dell’antigrafo utilizzato, in quanto privo di una o più carte. Ma anche ciò sarebbe stato abbastanza visibile, in quanto avrebbe probabilmente compromesso la coerenza del testo, che, al contrario, non sembra presentare vistosi 'salti' logici. 101 Si prende qui in prestito la terminologia propria del procedimento di pubblicazione delle donazioni, la cui validità era stata subordinata da Costantino al loro inserimento nei gesta o acta dei magistrati (Vat. Frag. 249), inserimento definito dapprima allegatio e poi, a seguito di una riforma di Giustiniano, insinuatio. Questa operazione viene nelle fonti definita anche col verbo inserere. 102 Gesta 6. L’uso del plurale (quae lecta sunt) anche in questo luogo era stato già osservato da von Schröter, Uebersicht cit., p. 362.

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a constitutiones103. E ancora a una pluralità di disposizioni, in quanto contenute in più provvedimenti emanati, si direbbe distintamente, da Valentiniano e da Teodosio104, sembrerebbero riferirsi le ulteriori considerazioni di Fausto, il quale, dopo aver ordinato l’allegatio nei gesta di ciò di cui era stata data lettura, aggiunse che gli imperatori (entrambi) gli avevano ordinato di portare a conoscenza del senato ea, quae pro legibus suis statuere dignati sunt105. Se questa supposizione è esatta, è del tutto plausibile che, oltre alla costituzione del 429, i senatori romani abbiano ascoltato anche le già ricordate costituzioni teodosiane del 435 e del 438. Quanto a quest’ultima, va osservato che, contrariamente a quanto ritenuto da alcuni, ben era possibile che, in quanto emanata all’inizio del 438, essa fosse giunta in Occidente proprio al seguito della corte imperiale, e ciò per il caso sia che si voglia ipotizzare che il suo testo fosse stato ufficialmente premesso all’edizione del Codice Teodosiano, sia invece che si voglia pensare ad una consegna diretta effettuata allo stesso Valentiniano, a quell’epoca eccezionalmente presente in Oriente. Ci si deve però ulteriormente chiedere se sia possibile che Fausto abbia proceduto alla recitatio anche di ulterori costituzioni, a noi rimaste del tutto sconosciute. Pur riconoscendo che da qui in poi si deve procedere in via meramente congetturale, alcune considerazioni sembrerebbero deporre a favore di questa ipotesi. Anzitutto, i citati provvedimenti, pur se formalmente attribuiti a entrambi gli imperatori, provengono dalla sola cancelleria costantinopolitana. Appare però poco probabile che, in occasione della ufficiale presentazione del Codice Teodosiano in Occidente, dinanzi al senato romano solennemente riunito, la voce di Valentiniano III non si sia fatta udire in alcun modo. E quindi, in via congetturale, è possibile ipotizzare che Fausto, il quale, in qualità di prefetto del pretorio d’Italia, era pur sempre il rappresentante dell’imperatore d’Occidente, abbia proceduto anche alla recitatio: 1) di un provvedimento, risalente probabilmente all’inizio dei lavori di compilazione, con cui la corte ravennate aveva ___________ 103 E proprio il sostantivo constituta (ad indicare le costituzioni raccolte nel Codex Theodosianus) è usato più volte nelle adclamationes riportate nei Gesta senatus in esame (Gesta 5: Ne interpolentur constituta… Ne constituta interpolentur…). Sempre nell’accezione di 'costituzioni' è utilizzato, ad esempio, anche in NVal. 35 (secundum Arcadii et Honorii divalia constituta, quae Theodosianum corpus ostendit). L’uso poi del neutro plurale in riferimento a più costituzioni è riscontrabile anche in CTh. 1.1.5 (validiora esse quae sunt posteriora). 104 Le iussiones degli aeterni principes sembrerebbero consistere in provvedimenti e ordini emessi autonomamente da ciascun imperatore. L’uso del plurale principes in questo contesto non va ricondotto al fatto che formalmente le costituzioni erano sempre emesse a nome di entrambi gli imperatori: e difatti lo stesso Fausto, nel riferirsi a provvedimenti del solo Teodosio, li attribuisce senz’altro unicamente al loro autore. 105 Gesta 6.

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approvato il progetto di codificazione di Teodosio; e/o 2) di un’ulteriore costituzione, posteriore alla conclusione degli stessi lavori, con cui Valentiniano avrebbe approvato e recepito il Codice come valevole anche per l’Occidente106, nonché impartito, in sostanziale aderenza alla volontà di Teodosio107, l’ordine a Fausto di dirigere nella propria pars imperii la raccolta normativa108, convocare il senato di Roma e presentarvi l’esemplare del Codice Teodosiano ricevuto a Costantinopoli. Ma, in aggiunta a queste ipotizzate costituzioni, sembrerebbe potersi anche supporre, sulla base dell’analisi tanto di alcune delle adclamationes senatorie quanto di alcuni passi della posteriore costituzione di Valentiniano III de constitutionariis109, l’esistenza – e quindi forse anche l’avvenuta lettura110 – di un’ulteriore costituzione, da attribuirsi verosimilmente a Teodosio II, con cui sarebbero state previste le modalità e cautele da adottare, da parte dell’ufficio competente, nella confezione ed edizione delle copie ufficiali del Codice. Per una migliore comprensibilità della questione si preferisce tuttavia rinviare lo sviluppo di questa ipotesi a seguito della trattazione relativa alle acclamazioni del senato e alla procedura di edizione del Teodosiano. Non va dimenticato che, in generale, la lettura, nel corso della relatio, di documenti da parte (o per ordine) del magistrato che presiedeva le sedute senatorie aveva spesso lo scopo di definire lo 'stato della questione', di portare cioè preliminarmente l’assemblea a conoscenza dei fatti che direttamente si riferivano all’oggetto della seduta, costituendone il presupposto. L’esistenza di una tale prassi sembrerebbe avvalorata dall’analisi dei gesta dei concili della Chiesa, soprattutto del V sec. d.C., dove emergono tracce di un simile modo di procedere: prima di affrontare il tema principale, che avrebbe dovuto costituire l’oggetto del dibattito tra i vescovi riuniti, si era soliti dare lettura di tutti i documenti ad esso pertinenti: come, ad esempio, le costituzioni imperiali che avevano ordinato la riunione, gli scambi epistolari tra vescovi e imperatori sulla questione che doveva essere in quella sede dibattuta, l’eventuale editto magistratuale di convocazione dell’assemblea (in forma di concilio o di collatio), i

___________ 106 L’esistenza di tali approvazioni sembrerebbe essere attestata in Gesta 2: Quam rem… Valentinianus… conprobavit. 107 La sostanziale coincidenza di contenuto sarebbe suggerita dall’espressione hoc idem fieri riferita alle has ipsas leges (Gesta 3). 108 Gesta 3: utriusque principis praeceptione directus. 109 E che verranno meglio analizzati in seguito. 110 Non si è in grado di dire se tale ipotizzata costituzione avesse la forma di una oratio principis da leggersi in senato, o se abbia piuttosto costituito la base (come una sorta di 'canovaccio') per quelle specifiche acclamazioni dei senatori, di certo previamente concertate, relative all’edizione del Codice.

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gesta di concili svoltisi in precedenza e dai quali gli attuali prendevano le mosse, e così via111. Nel nostro caso, la lettura della sola costituzione (per di più decurtata) del 429 dovrebbe portare a ritenere la seduta in questione come connotata da un’insolita scarsità di forme e povertà di contenuti, il che apparirebbe in stridente contrasto con la solennità e straordinarietà dell’evento. Tutto ciò posto, quale valore formale attribuire alla lettura della costituzione programmatica del 429 (dalla forma di oratio ad senatum) e, eventualmente, degli altri ipotizzati provvedimenti? Se ne richiedeva con ciò l’approvazione al senato di Roma, oppure intendeva tale lettura costituirne formale pubblicazione? Pare che, soprattutto volendosi pensare alla lettura di più costituzioni, occorra fare una distinzione. E’, infatti, altamente improbabile che la costituzione programmatica di Teodosio II, indirizzata sì al senato, ma risalente a circa dieci anni addietro, possa essere stata, tramite l’attuale lettura dinanzi a questo consesso, pubblicata in Occidente, e ciò sia perché essa conteneva il programma originario della codificazione – il quale, come sappiamo, venne successivamente in parte modificato –, sia perché il notevole lasso di tempo intercorso dalla sua emanazione avrebbe reso in ogni caso poco sensata una tale pubblicazione112. Potrebbe perciò cogliere nel segno Hänel nell’affermare che la costituzione del 429 "ad historiam Codicis optime illustrandam interposita est"113, nel senso che la lettura della prima costituzione programmatica (accompagnata forse anche da quella della costituzione del 435) sia stata fatta al solo scopo di consentire al senato di Roma di ripercorrere tutte le fasi della progettazione e realizzazione della compilazione teodosiana. Tale lettura avrebbe così avuto la funzione di costituire una sorta di 'antefatto' rispetto a quello che doveva costituire l’evento principale: la presentazione del Codice Teodosiano. Ma allora, se Fausto, come da noi ipotizzato, procedette effettivamente alla lettura delle costituzioni sopra menzionate, quale spiegazione dare al fatto che nei Gesta a noi pervenuti si trovi insinuata la sola costituzione programmatica del 429? Merita infatti domandarsi, senza comunque escludere la mera casualità, se più fattori possano aver favorito la conservazione unicamente di questo documento, e non anche degli altri. Innanzitutto, va detto (e ciò non sembri lapalissiano) che la costituzione programmatica del 429 sarebbe stata, in ogni ca ___________ 111 Esemplari su questo punto sono, ancora una volta, i più volte citati Gesta Conlationis Carthaginiensis. 112 Per Baro de Crassier, tale costituzione sarebbe invece stata approvata dal senato: "Hic sequitur constitutio anni 429; quam lectam senatores multis variisque acclamationibus comprobant" (Baro de Crassier, Dissertatio cit., p. 27). Di analoga opinione anche Dovere, 'Ius principale' cit., p. 53, che parla di una "recitatio normativa in senatu". 113 Hänel, Proleg. a CTh., p. X.

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so, la prima ad essere letta, e quindi ad essere trascritta: ciò vuol dire che, in una ipotetica serie di documenti, il suo testo doveva precedere tutti gli altri. L’ipotizzato epitomatore potrebbe quindi aver ritenuto troppo prolisso, e in fondo non indispensabile, riportarli tutti quanti, e aver giudicato invece sufficiente trascrivere il solo testo della prima costituzione recitata: in tal modo sarebbe stato comunque conservato uno dei documenti oggetto della recitatio, a dimostrazione del fatto che quest’ultima era stata realmente effettuata. Tale spiegazione non va comunque scissa dai presunti motivi che possono aver indotto a realizzare un’epitome del verbale senatorio. Ma di ciò si tornerà a parlare in sede di analisi della formula di editio dei Gesta. 6. Le acclamazioni dei senatori La copia dei Gesta giunta fino a noi mostra, immediatamente di seguito al testo della costituzione letta da Fausto, una lunga serie di acclamazioni che sarebbero state scandite ripetutamente dai senatori e che vennero anch’esse diligentemente registrate a verbale114, con l’indicazione – come d’uso – di quante volte ciascuna venne ripetuta115. Ma anche qui va segnalata la possibile presenza di un’anomalia: la registrazione delle acclamazioni non è difatti preceduta da alcuna di quelle espressioni 'di raccordo', come ad esempio Et cum legeretur (o cum lectum fuisset), oppure Post lectionem, che erano invece abitualmente utilizzate dai verbalizzanti per introdurre l’intervento di un diverso loquente oppure una nuova attività, soprattutto quando quest’ultima veniva a interromperne un’altra già in corso116. E difatti si è già avuto modo di notare che gli exceptores, oltre a mettere a verbale le dichiarazioni rese o i documenti letti, registravano anche tutte le altre attività compiute dai presenti, comprese le eventuali interruzioni delle stesse. Ulteriori acclamazioni vennero poi a interrompere più volte il seguito del discorso del prefetto del pretorio, relativo alla procedura di riproduzione e diffusione degli esemplari ufficiali del Codice. ___________ 114 A tal proposito commenta Wiemer: "Als die Verlesung beendet war, brach der Senat in eine wahre Litanei von Ausrufen aus, die das Protokoll mit peinlicher Genauigkeit registriert" (H.-U. Wiemer, Akklamationen im spätrömischen Reich, AKG 86/1 [2004] p. 30). 115 Il numero di ripetizioni varia dalle 10 alle 28 volte, ma non è possibile dire alcunché sulla causa di tali differenze, né se a tali numeri potesse corrispondere una maggiore o minore importanza del contenuto dell’acclamazione stessa. 116 E difatti, come visto, è stato da taluni ipotizzato che le acclamazioni del senato avessero interrotto la lettura fatta dal prefetto del pretorio, inducendolo anzi a rinunciare a procedere alla lettura – che pure doveva essere in programma – di ulteriori documenti (cfr. Baro de Crassier, Dissertatio cit, p. 32).

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In considerazione del fatto che i Gesta senatus del 438 d.C. si presentano particolarmente ricchi di queste forme espressive, è opportuno, pur senza troppo dilungarsi, spendere qualche parola sulle acclamazioni in generale e sulla natura e funzioni delle adclamationes senatorie in particolare117. Ciò anche al fine di poter meglio comprendere quelle acclamazioni che riguardano più da vicino l’oggetto della presente indagine, il cui contenuto è decisamente rilevante in merito alle modalità di riproduzione e diffusione degli esemplari in forma autentica del Codice Teodosiano. Nel mondo romano, quello delle acclamazioni non era un fenomeno particolarmente strano, né circoscritto al solo senato: esse erano anzi una forma di espressione che caratterizzava molti aspetti della vita pubblica, e soprattutto i momenti di aggregazione118, in cui una moltitudine riunita era solita scandire ripetutamente brevi frasi dal contenuto più vario, esprimendo così i propri umori. Nel contesto delle riunioni senatorie, questo fenomeno aveva più valenze. Anzitutto, l’uso dei senatori di esprimersi mediante adclamationes durante le loro assemblee, scandendo cioè ritmicamente e ad alta voce brevi frasi dal vario contenuto, non era tipico della sola età tardoantica, ma anzi ben più risalente, come testimoniato in Svetonio119 Plinio120 e Dione Cassio121. Gli esempi più ___________ 117 Delle acclamazioni senatorie e delle loro funzioni in tali sedute si è occupato ampiamente O. Hirschfeld, Die römische Staatszeitung und die Akklamationen im Senat, Sitzungsberichte der kön. preuss. Akademie der Wissenschaften (Berlin 1905) passim (ora anche in Kleine Schriften [New York 1975] pp. 689-697). 118 Sul fenomeno delle acclamazioni nei vari contesti (militare, religioso e civile) della vita pubblica nel mondo romano si vedano J. Schmidt, s.v. Acclamatio, PWRE I.1, coll. 147-150; Th. Klauser, s.v. Akklamation, in Reallexikon für Antike und Christentum I, coll. 216-233; J. Burian, Die kaiserliche Akklamation in der Spätantike, Eirene 17 (1980) pp. 17-43; B. Baldwin, Acclamations in the “Historia Augusta”, Athenaeum 59 (1981) pp 138-149; H.-I. Marrou, Decadenza romana o tarda antichità? (trad. it. P. Vismara) (Milano 1979) p. 37 s. (a proposito di un interessante mosaico ritrovato a Smirat, nella Bizacena, che conserva, "come un processo verbale, le reazioni della folla" durante una caccia al leopardo offerta da un notabile locale); Ch. Roueché, Acclamations in the Later Roman Empire: new evidence from Aphrodisias, JRS 74 (1984) pp. 181-199 (con testimonianze anche epigrafiche); G.S. Aldrete, Gestures and Acclamations in Ancient Rome (Baltimore and London 1999); da ultimo Wiemer, Akklamationen cit., pp. 27-73. 119 Svet., Aug. 58: mox in curia senatus, neque decreto neque adclamatione; Nero 46.3: Cum ex oratione eius… recitaretur in senatu … conclamatum est ab universis: “Tu facies, Auguste”; Domit. 23: Contra senatus adeo laetatus est, ut repleta certatim curia non temperaret, quin mortuum contumeliosissimo atque acerbissimo adclamationum genere laceraret. 120 Plin., Ep. 4.9.18; Paneg. 75.2: Ante orationes principum tantum eius modi genere monimentorum [cioè su tavolette di bronzo] mandari aeternitate solebant, adclamationes quidem nostrae parietibus curiae claudebantur. 121 Dio, 61.20.4-5.

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numerosi sono però tramandati nei verbali senatorii (o presunti tali) del III sec. d.C. riportati dagli Scriptores Historiae Augustae122, i quali sembrerebbero denotare una progressiva diffusione di questa pratica. E difatti, la frequenza dell’uso, da parte dei patres, di questa modalità d’espressione, che riduceva sempre più lo spazio per gli interventi personali dei singoli, sembra essere inversamente proporzionale all’autonomia decisionale del senato rispetto alla volontà dell’imperatore: nel coro, dove non c’era posto per opinioni non conformi, le individualità si dissolvevano in modo inevitabile. Quanto alle finalità delle acclamazioni senatorie, alcuni studi hanno messo in luce l’esistenza di diversi tipi123, ognuno dei quali svolgeva una funzione specifica. Vanno così distinte: 1) acclamazioni dal valore celebrativo, augurale o encomiastico, con cui i senatori esprimevano, racchiudendoli in brevi frasi124, i propri vota nei confronti dell’imperatore (o degli imperatori) e di alti funzionari imperiali; 2) acclamazioni con cui venivano rivolte richieste (desideria) e comunque manifestate delle esigenze all’imperatore125, per ottenerne l’accoglimento; 3) acclamazioni con cui i senatori esprimevano la propria dichiarazione di voto126 (consistente, nei confronti delle orationes imperiali, in una convalidazione meramente formale)127 sulle questioni ___________ 122 Cfr. Baldwin, Acclamations cit., pp. 138-149. Un’analisi di questi documenti già in Hirschfeld, Die römische Staatszeitung cit., passim. 123 Klauser, s.v. Akklamation cit., col. 224 s. 124 Molti di questi slogans costituirono dei topoi che resistettero nei secoli, con piccole (ma talvolta significative) modifiche, apportate anche in base alle circostanze. Tra le formule acclamatorie augurali, quella più frequente è senza dubbio Di te nobis dederunt, di conservent (SHA, Al. Sev. 6.3; 56.9 e passim; Maxim. 16.3). Tale adclamatio, che poteva andare soggetta anche a piccole variazioni, si ritrova anche nei Gesta senatus del 438 così trasformata: Deus vos nobis dedit, deus vos nobis servet (Gesta 5). Comuni sono anche le seguenti acclamazioni: SHA, Al. Sev. 7.5: Ut vivere delectet, Antoninorum Alexandro vitam; 7.6: In te omnia, per te omnia; 10.8: Vivas, valeas, multis annis imperes (tra le più antiche). Non infrequenti sono, poi, le acclamazioni contenenti riferimenti ai delatores, contro i quali il senato chiedeva spesso all’imperatore di adottare drastiche misure (es. SHA, Comm. 18.10: Exaudi Caesar: delatores ad leonem. Exaudi Caesar: Speratum ad leonem; ibid., 18.15: Nunc securi sumus: delatoribus metum. Ut securi simus, delatoribus metum. (Ut) salvi simus, delatores de senatu, delatoribus fustem. Te salvo delatores ad leonem. Te imperante, delatoribus fustem; 19.7: Indices de senatu. Delatores de senatu. Per una più aprofondita analisi comparativa tra le acclamazioni negli SHA e quelle riscontrabili nei Gesta senatus del 438 v. Baldwin, Acclamations cit., pp. 146-148. 125 Come, ad esempio, le richieste di infliggere una punizione ai delatori, ma anche, più in generale, di adottare provvedimenti a tutela degli interessi degli appartenenti alla classe senatoria. 126 Cfr. A. Alföldi, Die Ausgestaltung des monarchischen Zeremoniells am römischen Kaiserhofe, RM 49 (1934) pp. 84-86 (ora anche in Die monarchische Repräsentation im römischen Kaiserreiche3 [Darmstadt 1980] p. 5 ss.). 127 Tale funzione meramente convalidatoria è riscontrabile, in relazione alle deliberazioni delle gerarchie ecclesiastiche, anche negli atti dei concili del VI sec. d.C.

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dibattute, o comunque trattate nel corso della seduta: in tal modo venivano formalizzate le relative deliberazioni128 e data così vita a un senatoconsulto (detto anche decretum)129. Se, in una prima fase, fu la spontaneità a caratterizzare siffatte manifestazioni, ben presto, soprattutto in contesti formali, esse vennero preventivamente organizzate e pianificate130. La 'procedura per adclamationes' venne istituzionalizzata secondo uno schema ben preciso131: quello stesso che appare adottato, più in generale, in tutte le occasioni in cui più persone radunate (ad esempio i militari132 oppure il popolo nel circo, nel teatro o durante una festa religiosa, etc.) avevano modo d’esprimersi in maniera corale. Venivano così dapprima elevate lodi alla divinità, seguite dalle acclamazioni tributanti onori a imperatori, magistrati, comandanti militari, etc.133, verso i quali ci si rivolgeva in forma nominativa o con riferimento all’ufficio ricoperto, in stretta osservanza della gerarchia e dell’ordine di importanza. Solo dopo questa fase introduttiva si passava a pronunciare acclamazioni specifiche, mediante le quali l’assemblea poteva anche rivolgere, solitamente all’imperatore, precise richieste. Nel corso del tempo invalse l’uso, da parte dei verbalizzanti, di indicare accanto a ciascuna acclamazione un numero134. Si è discusso se esso stesse a significare quante volte le frasi venissero pronunciate in coro, come una sorta di slogans, dall’insieme dei senatori, oppure se esprimesse invece il totale dei singoli senatori che avevano pronunciato la stessa frase, o vi avevano in ___________ 128

Sulle procedure di voto del senato in età imperiale v. O’Brien Moore, s.v. senatus cit., coll. 773-775. Le modalità con cui il senato assumeva le proprie decisioni potevano dipendere dal tipo di seduta e dall’oggetto delle decisioni. 129 Cfr. Chastagnol, Le sénat cit., pp. 83-85. 130 E una "attenta regia" è stata scorta anche dietro le acclamazioni pronunciate dai senatori nella seduta in esame: cfr. Rodinò Di Miglione, Spigolature cit., p. 258. 131 Roueché, Acclamations cit. p. 189; 198 s. 132 Come testimoniato anche in alcune costituzioni, in realtà brani di acta di adunanze dell’esercito dinanzi all’imperatore: si veda, ad es., CTh. 7.20.2 (a. 320?): IDEM A. [= IMP. CONSTANTINUS] Cum introisset principia et salutatus esset a praefectis et tribunis et viris eminentissimis, adclamatum est: Auguste Constantine, dii te nobis servent; Vestra salus nostra salus; Vere dicimus, iurati dicimus…. 133 La gratiarum actio del senato ha radici antiche: lodi nei confronti non solo di Tiberio, ma anche dei membri dell’intera domus Augusta (e quindi di Giulia Augusta, Druso, Agrippina, Antonia, Livia, Claudio e i figli di Germanico), nonché dell’ordo equester, della plebs e dei milites sono, ad esempio, già rilevabili nel testo del SCtum de Cn. Pisone patre (20 d.C.): cfr. Eck/Caballos/Fernández, Das senatus consultum cit., p. 46 ss; 125. Quanto ai magistrati imperiali, cfr. C.Th. 1.16.6 e 6.9.2, con le quali venne espressamente concesso loro il diritto di ricevere acclamazioni. 134 SHA, Tac. 5.1-2; Claud. 4.2-4.

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qualche modo aderito135. La maggior parte degli autori è propensa, probabilmente a ragione, a dare più credito alla prima ipotesi136: il numero indicato accanto a ciascuna adclamatio dovette significare, almeno in età tardoantica, la frequenza con cui questa era stata scandita dai senatori. E a riprova di ciò si può osservare che anche nei gesta dei sinodi e concili ecclesiastici del V sec. d.C. – in gran parte modellati, come già osservato, sui gesta pubblici – vi era l’uso di riportare testualmente le adclamationes. L’indicazione di un numero compare anche nei casi in cui era espressamente specificato che le acclamazioni erano state pronunziate da tutti i vescovi riuniti137, il che può solo significare che detto numero segnalava quante volte le stesse erano state ripetute. Torniamo ora ai nostri Gesta senatus. Seguendo l’esempio del Matthews138, ma divergendone quanto ai criteri su cui questi basa la sua suddivisione139, verranno qui di seguito riportate le adclamationes contenute nel verbale, raggruppate in cinque blocchi in base all’oggetto e/o ai destinatari e precedute ciascuna da un numero progressivo. E però, a differenza dell’impostazione adottata dallo storico inglese, avremo cura di non separare le acclamazioni relative alla realizzazione delle copie del Codice da quelle, in esse intercalate, di lode rivolte al prefetto del pretorio Fausto e al praefectus urbi Paolo, essendovi tra loro un intreccio tale da non consentire di individuare strettamente le competenze ___________ 135

Di questa opinione era, per esempio, Mommsen, il quale, riferendosi in particolare alle adclamationes riportate nei Gesta senatus del 438, riteneva che il numero aggiunto accanto ad esse stesse ad indicare "die Zahl der bei dem einzelnen Zuruf betheiligten Personen", precisando che "es kann also nicht jeder Senator nur eine Zuruf vorgebracht haben, sondern wahrscheinlich sind umgekehrt… die einzelnen Zurufe nach einander gemacht und ist einem jeden derselben von einer Anzahl Mitglieder adhärirt worden, so dass die höchste Zahl der Einzelrufe die der Anwesenden ist oder ihr nahe kommt" (Mommsen, Römisches Staatsrecht cit., p. 1019 nt. 3). Tale opinione, condivisa anche da Stein, Die Stenographie cit., p. 181, veniva però contestata già da Hirschfeld, Die römische Staatszeitung cit., p. 692 ss. 136 Roueché, Acclamations cit. p. 189; Hirschfeld, Die römische Staatszeitung cit., p. 689. 137 Gesta synodalia, Roma, nov. 465 d.C.: Ab universis episcopis et presbyteris acclamatum est:… (in Brandi, Urkunden und Akten cit., p. 6). Lo stesso schema è seguito nei Gesta synodalia del 495 (Coll. Av. 103): levaverunt se omnes episcopi vel presbyteri rogantes et dicentes:… Omnes episcopi et presbyteri surgentes in synodo acclamaverunt:…. Seguono le adclamationes, ciascuna accompagnata da un numero (es. dictum vicies). 138 Matthews, Laying down the Law cit., p. 40 s. Non ci sembra invece indispensabile l’analisi statistica (cara all’impostazione anglosassone) basata sul numero delle ripetizioni di ciascuna acclamazione e volta, come dichiarato dallo stesso Autore, a verificare la presenza (o eventuale assenza) di una certa simmetria e, di conseguenza, di eventuali 'turbamenti' della stessa. 139 Relativamente alla quale già Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 294 nt. 68, ha manifestato delle riserve.

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dell’uno e dell’altro dignitario; mentre altre acclamazioni celebrative, rivolte a Fausto in più riprese in chiusura di verbale, costituiranno oggetto di un blocco distinto. [I] Adclamatum est: 1) Augusti Augustorum, maximi Augustorum. Dictum VIII. 2) Deus vos nobis dedit, deus vos nobis servet. Dictum XXVII. 3) Romani imperatores et pii felices, multis annis imperetis. Dictum XXII. 4) Bono generis humani, bono senatus, bono rei publicae, bono omnium. Dictum XXIIII. 5) Spes in vobis, salus in nobis. Dictum XXVI. 6) Ut viveret delectet Augustos nostros semper. Dictum XXII. 7) Orbe placato praesentes triumphetis. Dictum XXIIII. 8) Haec sunt vota senatus, haec sunt vota populi Romani. Dictum X. 9) Liberis cariores, parentibus cariores. Dictum XVI. 10) Extinctores delatorum, extinctores calumniarum. Dictum XXVIII. 11) Per vos honores, per vos patrimonia, per vos omnia. Dictum XXVIII. 12) Per vos arma, per vos iura. Dictum XX. 13) Dispositioni vestrae gratias agimus. Dictum XXIII. 14) Constitutionum ambiguum removistis. Dictum XXIII. 15) Pii imperatores sic consulunt. Dictum XXVI. 16) Causis consulitis, quieti consulitis. Dictum XXV. [II] 17) 18) 19) 20) 21) 22) 23) 24) 25) 26) 27)

Plures codices fiant habendi 140 officiis. Dictum X. In scriniis publicis sub signaculis habeantur. Dictum XX. Ne interpolentur constituta, plures codices fiant. Dictum XXV. Ne constituta interpolentur, omnes codices litteris conscribantur. Dictum XVIII. Huic codici qui faciendus a constitutionariis, notae iuris non adscribantur. Dictum XII. Codices in scriniis habendi sumptu publico fiant, rogamus. Dictum XVI. Fauste, aveas. Dictum XVII. Bis consulem te. Dictum XV. Omnia explicas, neminem laedis. Dictum XIII. Codices conscripti ad provincias dirigantur. [Dictum] XI. Tantorum beneficiorum dignus perlator. Dictum X.

___________ 140

Probabilmente tra habendi e officiis è caduta la preposizione in, assente nel manoscritto e anche nell’edizione di Mommsen. Ci sembra però di poter proporre questa integrazione sulla base delle accl. 18, 22, 30, 33, che presentano analoga struttura; cfr. anche NTh. 1.3: libri qui… sacris habentur in scriniis.

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28) 29) 30) 31) 32) 33) 34)

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Paule, aveas. Dictum XII. Consulem te. Dictum XI. Ut in scriniis publicis habeantur, rogamus. Dictum XII. Ad curam pertineat praefecturae. Dictum XII. Singuli praefecti signacula sua adhibeant. Dictum XV. In officiis suis singulos codices habeant. Dictum XII. Ut ad preces nullae leges promulgentur, rogamus. Dictum XXI.

[III] 35) 36) 37) 38)

Aeti, aveas. Dictum XV. Ter consulem te. Dictum XIII. Excubiis tuis salvi et securi sumus. Dictum XII. Excubiis tuis, laboribus tuis. Dictum XV.

[IV] 39) 40) 41) 42) 43)

Fauste, aveas. Dictum XIII. Bis consulem te. Dictum X. Desideria senatus ut suggeras, rogamus. Dictum XX. Conservator legum, conservator decretorum. Dictum XVI. His subreptionibus possessorum ius omne confunditur. Dictum XVII.

A questa serie compatta di acclamazioni vanno aggiunte quelle altre intercalate nel discorso di Fausto che segue, e anzi proprio a quest’ultimo indirizzate. Le presentiamo qui astratte dal contesto della relatio: [V] Adclamatum est: 44) Fauste, aveas. Dictum XVI. 45) Bis te consulem. Dictum X. 46) Consuli oraculi. Dictum XIII. (…) Adclamatum est: 47) Fauste, aveas. Dictum XVI. 48) Bis consulem te. Dictum XV. 49) Omnium virtutum viro. Dictum X. Anzitutto va osservato che la stessa sequenza delle acclamazioni, lungi dall’essere casuale, appare piuttosto rispondere, come si è detto dianzi, a uno schema ben preciso, con ogni probabilità previamente preparato, quale riflesso di un cerimoniale ormai 'codificato'141. Non va esclusa la possibilità che i se ___________ 141 Cfr. anche Matthews, Laying down the Law cit., p. 40; Wiemer, Akklamationen cit., p. 33 s., secondo cui l’attività preparatoria di tali acclamazioni si sarebbe svolta prima dell’inizio della seduta. Wieling ritiene che la presenza, in quella sede, di "ein

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natori stessero leggendo un testo scritto, oppure che le acclamazioni fossero loro suggerite sul momento. A un primo sguardo, ciascuna delle acclamazioni registrate nei Gesta sembra essere riconducibile a una delle tre categorie sopra individuate. La serie è aperta da acclamazioni encomiastiche e augurali142 rivolte agli imperatori e qui riunite nel gruppo I. Molte delle formule ivi utilizzate hanno radici antiche e appartengono alla tradizione: come, ad esempio, le accl. 2, 3, 6, 9, 10 e 11. Tra queste, l’accl. 9 sembra riecheggiare l’antica formula di giuramento che i senatori erano tenuti a prestare agli imperatori143. L’accl. 14, invece, dove gli imperatori sono lodati per aver rimosso constitutionum ambiguum, sembra contenere un diretto riferimento alla politica legislativa degli attuali sovrani e alle finalità da questa perseguite, richiamando in certo qual modo lo scopo attribuito, nella costituzione programmatica del 429, dallo stesso Teodosio II al proprio codex (quello in parte rimasto sulla carta) in quanto nullas patietur ambagies. In tutte le acclamazioni del primo gruppo devono essere riconosciuti, come precisato dagli stessi senatori, i vota senatus e i vota populi Romani144. Ulteriori acclamazioni di lode sono rivolte, nell’ordine: al prefetto del pretorio Fausto (gruppo II, accl. 23-25 e 27), al praefectus urbi Flavio Paolo (gruppo II, accl. 28 e 29), a Ezio, magister utriusque militiae di Valentiniano III (gruppo III, accl. 35-38), quindi nuovamente a Fausto, a più riprese e anche intercalando il seguito del discorso di quest’ultimo (gruppo IV, accl. 39, 40 e 42; gruppo V, accl. 44-49). A tutti questi alti funzionari i senatori augurano un consolato. Lo stesso Fausto, a cui è riconosciuto (più che attribuito, come ci sembra) il compito di diffondere il Codice nelle province dell’impero d’Occidente, è celebrato anche come dignus perlator di così grandi benefici imperiali (rappresentati verosimilmente dall’opera codificatoria stessa) e come conservator delle leges e dei decreta (patrum): ne risulta così evidenziato il ruolo in ordine non solo all’attività normativa imperiale più in generale, ma anche a quella più specifica di diffusione dell’opera codificatoria, destinata a fare chiarezza nel mondo farraginoso delle fonti del diritto. Quanto invece al generale Ezio, di lui vennero esaltati soprattutto i meriti militari dimostrati in quegli anni contro gli attacchi ___________ Koordinator oder Einpeitscher war ebenfalls erforderlich!" (Wieling, Die Einführung cit., p. 873). 142 Cfr. Baldwin, Acclamations cit., pp. 146-148. 143 Tale formula è così riferita da Svetonio: Ut omnibus sacramentis adiceretur: neque me liberosque meos cariores habebo quam Gaium [cioè l’imperatore Caligola] habeo (Svet., Calig. 15.5) 144 Sulla 'presenza' del popolo di Roma alla cerimonia in questione, si vedano le considerazioni svolte più sopra a p. 137 s. Wiemer, Akklamationen cit., p. 33, è invece convinto che il Senato si sia espresso "nicht nur im eigenen Namen, sondern zugleich auch in dem des gesamten populus Romanus".

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delle popolazioni barbare: grazie ai suoi sforzi e alla sua vigilanza, l’impero e i suoi cittadini erano finalmente tornati a essere salvi et securi145. Tralasciamo per il momento, invece, le acclamazioni relative al Codice Teodosiano e alla riproduzione dei suoi esemplari: queste, per il rilievo che assumono in relazione al tema della presente indagine, costituiranno oggetto di analisi in un apposito paragrafo. Va infine notata la presenza di un’acclamazione – l’ultima della serie ininterrotta – il cui senso resta oscuro: si tratta dell’accl. 43 (His subreptionibus possessorum ius omne confunditur), che appare slegata dal contesto e, comunque, di difficile interpretazione, vuoi per la possibile presenza di una menda del manoscritto146, vuoi per i limiti delle nostre conoscenze quanto al latino tardoantico e, soprattutto, al linguaggio burocratico. Pur rinunciando in questa sede ad ogni ulteriore analisi di essa, non si condivide la scelta, in qualche misura arbitraria, di Matthews, di spostare questa acclamazione in altra sede147, e ciò in ragione del fatto che, tra i pur numerosi errori presenti nel testo manoscritto, non si ravvisano mai delle trasposizioni di intere frasi. Una siffatta emendazio ___________ 145 Vi sono altre testimonianze della gratitudine dei senatori romani verso Ezio: negli anni ’40 è stata ritrovata a Roma un’iscrizione onoraria, mutila della parte iniziale, a lui dedicata (sulla quale v. A. Bartoli, Il Senato Romano in onore di Ezio, RPAA 22 [194647] pp. 267-273, consultato in estratto). Tale iscrizione, datata tra il 436 e il 437 d.C. (di poco precedente, quindi, la seduta qui analizzata), è incisa sul basamento di una statua (non ritrovata), emerso da uno scavo condotto nell’area immediatamente retrostante la Curia, area identificata come l’Atrium Libertatis. Da detta iscrizione apprendiamo che al generale, del quale sono anzitutto elencate le dignitates ricoperte e le imprese vittoriose, il senatus populusque Romanus aveva, iussu principum dominorum nostrorum Theodosi et Placidi Valentiniani, dedicato una statua, che era stata fatta innalzare nella sede del senato. L’iscrizione contiene una serie di lodi rivolte a Ezio, celebrato, tra l’altro, come semper rei publicae inpenso; morum probo; opum refugo; delatorum ut hostium inimicissimo; vindici libertatis; pudoris ultori. I meriti principalmente attribuitigli sono la salvezza e la sicurezza dell’Italia e il ripristino della libertà, minacciata dai barbari che, nel 410, erano addirittura penetrati a Roma, devastandola e saccheggiandola: come si può notare, si tratta in linea di massima degli stessi apprezzamenti contenuti nelle adclamationes tributate al generale durante la seduta in esame. 146 E difatti Mommsen prospetta l’ipotesi che his derivi in realtà da un originario III, che completerebbe il XVI che precede. E comunque, anche indipendentemente da ciò, si avverte che la frase è perturbata. 147 Matthews, Laying down the Law cit., pp. 41-43. Questa acclamazione è stata inserita dopo la 33 (Ut ad preces nullae leges promulgentur, rogamus), con pochi dubbi, da parte dell’Autore, sulla legittimità di questa operazione, che avrebbe anzi, a suo dire, l’effetto di ristabilire la famosa 'simmetria' già ricercata dal Matthews per via 'statistica'. Credo però vada fatta una certa attenzione nell’applicazione di tale metodo, che potrebbe rivelarsi piùttosto induttivo che deduttivo, con la possibile conseguenza di creare una 'realtà' storica difforme da quella effettivamente testimoniata nelle fonti. L’iniziativa di Matthews è invece accolta senza riserve da Wiemer, Akklamationen cit., p. 31 nt. 15.

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ne, anche sulla base dei correnti criteri filologici, non sembra quindi giustificabile. E’ opinione generale che, fatte salve quelle encomiastiche, tutte le acclamazioni – comprese soprattutto quelle relative alla procedura di riproduzione e diffusione degli esemplari in forma autentica del Codex148 – esprimano un’autonoma volontà del senato, e anzi costituiscano delle disposizioni o comunque richieste da parte di quest’ultimo. Quanto ad esse, ci sembra che solo alcune delle acclamazioni esprimano in modo diretto e certo delle richieste senatorie: si tratterebbe di quelle cioè seguite dalla formula stereotipa rogamus, con cui il senato prega il prefetto di farsi portavoce presso gli imperatori delle sue istanze. Tra queste richieste, solo alcune sono strettamente legate alla futura attività di riproduzione e diffusione del Codice. Tali sono la accl. 22 (Codices in scriniis habendi sumptu publico fiant, rogamus), con cui i senatori chiesero di porre a carico delle casse pubbliche le spese di realizzazione degli esemplari di cui gli scrinia publica avrebbero dovuto essere dotati; la accl. 30 (Ut in scriniis publicis habeantur, rogamus), a quella logicamente connessa e che costituirebbe in realtà il riflesso della disposizione già contenuta nella accl. 18 (In scriniis publicis sub signaculis habeantur), ove era stata prevista la conservazione di un esemplare, munito di sigilli, del Codex Theodosianus in ciascuna cancelleria dell’amministrazione dell’impero, e che si coordina anch’essa alla precedente richiesta relativa alle spese. Con l’accl. 33, invece, il senato ebbe a invitare gli imperatori149 a non emanare alcuna costituzione ad preces, cioè su sollecitazione di una specifica richiesta (precatio) e, come tale, destinata a tutelare esclusivamente gli interessi di un singolo o di un limitato gruppo di individui. L’accl. 41 invita infine il prefetto Fausto a suggerere agli imperatori i desideria senatus appena espressi: una funzione che, come si è già visto150, veniva normalmente svolta dal praefectus urbi, in quanto tramite istituzionale 'ordinario' tra l’imperatore e il senato avente, tra i vari compiti, anche quello di inviare agli scrinia imperiali i gesta delle sedute senatorie. Nella presente circostanza sarebbe stato invece il prefetto del pretorio a dover riferire con una relatio sugli avvenimenti e sottoporre, mediante suggestio, agli imperatori le richieste senatorie. Possiamo immaginare che la relatio dovesse essere inviata, oltre che a Valentiniano III, anche a Teodosio II, il quale doveva certo essere ansioso di ___________ 148 Che a noi sembrano piuttosto da ricondurre, invece, agli imperatori oppure al prefetto del pretorio d’Occidente: l’ipotesi verrà ripresa e ulteriormente sviluppata più avanti. 149 E non certo i due prefetti, del pretorio e dell’Urbe, come sostenuto da Wiemer, Akklamationen cit., p. 33: "vor allem aber sollen sie [scil. beide Präfekten] keine Gesetze auf Petitionen hin erlassen". 150 Cfr. supra p. 82 ss.

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sapere se la compilazione era stata, secondo l’espresso suo volere, effettivamente presentata ufficialmente al senato di Roma e il modo in cui quest’ultimo aveva reagito. Sull’impressionante serie di adclamationes che i senatori avrebbero pronunciato come un coro festante, apparentemente senza sosta e senza neanche riprendere fiato151, va fatta un’ultima osservazione Oltre al loro numero complessivo, già di per sé notevole, v’è da considerare che ciascuna di esse venne ripetuta più volte (tra le 10 e le 28). Taluni studiosi, calcolando in 5 secondi la durata media di ciascuna acclamazione, hanno concluso che i senatori romani dovettero esibirsi in questa performance per più di un’ora152: un’attività senza dubbio massacrante153! Le considerazioni appena esposte sarebbero certo giuste e fondate se i Gesta costituissero effettivamente il verbale integrale della seduta registrata: ma su ciò abbiamo avuto già più volte occasione di esprimere i nostri dubbi. E proprio la scarsa verosimiglianza di questa scena ripropone il problema della natura del verbale pervenutoci. Si ha difatti l’impressione che la serie di acclamazioni abbia subíto piuttosto una 'compressione', una 'compattazione', e che il verbale sia stato in questo senso manipolato e notevolmente ridotto. Non è davvero pensabile che i senatori romani potessero prodursi in una tale prestazione vocale così come i Gesta ci mostrano: senza pause, senza intermezzi, senza che nessun’altra attività sia venuta ad interrompere quel loro estenuante acclamare. Al contrario, non sarebbe così strano che un estratto del verbale possa aver conservato soltanto la registrazione dei momenti più salienti e significativi di quella importante seduta,

___________ 151 Wieling commenta: "Was darauf [scil. alla lettura della costituzione del 429] folgt kann man sich heute nur schwer als ein Geschehen in einem würdigen Senat vorstellen, man kann es wohl eher mit einem lärmenden Tumult bei einem Rockkonzert vergleichen", premurandosi però di aggiungere: "Jedoch weiß ich nicht ganz genau, was dort geschiet" (Wieling, Die Einführung cit., p. 873 e nt. 30). Che una sola acclamazione ripetuta più volte fosse sufficiente a far perdere la voce è testimoniato in Ps. Aur. Vitt., Epit. de caes. 18.1.6: ob cuius laudem ingeminatis ad vocis usque defectum plausibus acclamatum est. 152 Cfr. Wiemer, Akklamationen cit., p. 32; J. Matthews, The Roman Empire of Ammianus (London 1989) p. 248, il quale inoltre commenta che, tolte poche acclamazioni dal contenuto più sostanziale, "the rest was pure theatre". 153 Ancora Wieling ha calcolato un totale di circa 774 acclamazioni (787 per Matthews, The Roman Empire cit., p. 248), "welche nicht nur die Stimmbänder der Senatoren, sondern auch die Ohren und Geduld etwaiger Zuhörer gewaltig strapazieren haben müssen" (Wieling, Die Einführung cit., loc. cit.). In effetti furono pronunciate complessivamente 51 acclamazioni ripetute 830 volte, di cui 748 consecutivamente: decisamente i dati raffigurati nei Gesta appaiono, se presi alla lettera, del tutto inverosimili.

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eliminandone quegli elementi ritenuti non strettamente necessari. Una tale operazione potrebbe aver così conferito al verbale l’aspetto che oggi conosciamo. 7. L’editio dei Gesta senatus Lasciamo per il momento da parte il discorso che Fausto ebbe a pronunciare una volta ripresa la parola al termine della prima lunga serie di acclamazioni del senato. Su di esso torneremo più avanti, quando ci occuperemo specificamente delle disposizioni relative alla riproduzione e diffusione ufficiale del Codice Teodosiano. Con le ultime acclamazioni di lode lanciate dai senatori all’indirizzo di Fausto (gruppo V), il verbale si conclude. Non è possibile dire con sicurezza se, al tempo stesso, si sia in tal modo conclusa anche la seduta, oppure se Fausto possa aver preso ancora una volta la parola, forse per formulare delle espressioni di chiusura della cerimonia e di commiato. Quasi certamente, però, egli dovette ordinare, al termine della seduta, che si procedesse ad effettuare l’editio del verbale da parte della cancelleria competente, un ordine la cui presenza abbiamo più volte riscontrato in diversi documenti (soprattutto papiracei) di analoga natura. Esso è invece assente nel nostro esemplare: anche qui, il verbale sembrerebbe troncato ex abrupto. Il documento appare inoltre privo della sottoscrizione del magistrato, poiché è probabile che anche in questo caso fosse necessaria l’apposizione della formula recognovi da parte del presidente della seduta, formula che doveva conferire validità e autorità al documento stesso. Nel nostro verbale, invece, all’ultima delle acclamazioni segue, senza soluzione di continuità154, la formula di editio apposta dall’exceptor senatus Laurentius che, con la propria sottoscrizione, conferì carattere ufficiale al documento: Gesta 8 Et alia manu155. Fl(avius) Laurentius exceptor amplissimi senatus edidi sub d(ie) VIII k. Ian.156.

___________ 154 Ciò sembra confermare ulteriormente l’ipotesi che la nostra copia manoscritta non abbia fedelmente conservato l’originaria struttura del documento prodotto dalla cancelleria senatoria. 155 Questa precisazione, ovviamente assente nell’originale, dove il cambio di mano era visibile, dovette essere inserita in una sua copia, dalla quale il nostro testo manoscritto deriverebbe. Ciò vuol dire che non fu Laurentius a scrivere materialmente anche il testo dei Gesta (compito probabilmente affidato allo stesso exceptor che ne aveva già redatto la minuta stenografica, oppure a uno scriba dell’ufficio), essendo invece egli soltanto responsabile per l’editio. 156 Così il testo mommseniano. Il manoscritto ha invece: Fl. laurencio exceptor amplissimi senat’ edidi subd. VIII k. ianuarii.

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In cosa dovette consistere precisamente l’editio di questi Gesta? Che tipo di operazione viene a indicare? Quanto ai significati implicati dal verbo edere, in un passo di Ulpiano l’editio è descritta, tra l’altro, come la redazione di una copia (descriptio di un exemplum) di un documento157. Ma l’espressione edere assunse, in età tardoantica, anche il significato tecnico di 'consegnare' la copia ufficiale di un documento pubblico, sottoscritta e rilasciata da un exceptor (o da un notarius ecclesiastico) appartenente all’ufficio nel quale il documento era stato formato oppure era conservato158. All’editio di documenti più in generale abbiamo già dedicato un’ampia disamina159. Alle considerazioni sopra svolte si può aggiungere che, in ragione dell’ampia valenza semantica di questo termine, non appare ancora del tutto chiaro se con esso venisse tecnicamente designata la sola prima operazione di stesura – e conseguente primo rilascio – del testo ufficiale del documento, operazione che può essere compiuta una sola volta, oppure si intendesse ogni e qualsiasi rilascio di copie, anch’esse ufficiali, in qualunque tempo tratte dall’originale depositato. Nel primo caso la data dell’editio non può che essere quella in cui il documento stesso è stato definitivamente e ufficialmente formato; nel secondo caso, invece, verrebbe meno questa stretta correlazione temporale, per cui si dovrebbe parlare di tante editiones (ognuna con una propria data) quante sono le copie rilasciate. a) Il tempo Dalla formula apposta originariamente in calce ai Gesta senatus apprendiamo che l’operazione di editio venne compiuta dall’exceptor senatus Laurentius l’ottavo giorno che precede le kalende di gennaio (giugno?), cioè il 25 dicembre (maggio?)160. La data è priva dell’indicazione della coppia consolare e, quindi, dell’anno, che però – è stato detto – non può che essere lo stesso in cui la seduta si svolse, e cioè il 438 d.C. Piuttosto che a una lacuna, si è quindi pensato a un’assenza originaria, determinata dalla superfluità dell’indicazione

___________ 157 D. 2.13. [De edendo] 1.1 (Ulp. 4 ad ed.): edere est etiam copiam describendi facere. Aggiunge Modestino che Exempla instrumentorum etiam sine subscriptione edentis edi posse receptum est: D. 2.13.11 (Mod. 3 reg.). 158 Cfr. Mommsen, Über die Subscription cit., p. 280: "der technische Ausdruck edere… die Verabfolgung der von dem exceptor oder notarius der betreffenden Behörde unterschriebenen Copie selbst bezeichnet". E tra gli esempi lo studioso riporta in primo luogo proprio i Gesta senatus. 159 V. supra p. 94 ss. 160 Si veda l’ipotesi espressa più sopra a p. 131 s.

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dell’anno, restando sottinteso che l’editio del documento non poteva che essere stata realizzata sotto lo stesso consolato indicato in apertura di verbale161. L’assenza di una chiara indicazione del consolato aveva però posto ai primi editori il problema di ripristinare la datazione completa. Un notevole ruolo vi giocò l’interpretazione delle parole dominis imprs et cesaribus flaviis anastasio et hilario martino, che seguivano immediatamente la dichiarazione di editio e che in un primo tempo vennero ritenute tutte come ad essa ancora appartenenti In particolare fu Savigny, sin dal tempo della sua collaborazione all’edizione di Clossius, a sostenere che in tali parole dovesse riconoscersi un’indicazione temporale a completamento della data della formula stessa. Ma, posta in questi termini, tale considerazione venne poi rigettata dallo stesso Autore162, che ebbe a riconoscere come del tutto insolita, e quindi non attendibile, la menzione degli imperatori (cioè i Caesares Flavii) in luogo dei consoli eponimi. Dopo ulteriori riflessioni, egli giunse così alla conclusione che la coppia consolare fosse costituita da due imperatori, circostanza che, secondo i Fasti, si sarebbe verificata solo negli anni 458 – data che Savigny riteneva più probabile – e 462 d.C. Pur venendo così confutate altre ipotesi, avanzate nel frattempo da altri studiosi che avevano addirittura datato l’editio dei Gesta senatus al 517 d.C., cioè sotto il quarto consolato dell’imperatore Anastasio163, permaneva l’idea che l’editio dell’exemplar dei nostri Gesta fosse stata comunque realizzata qualche tempo dopo la seduta senatoria verbalizzata. E difatti, nel recensire l’edizione di Clossius, a proposito della subscriptio dei Gesta, Du Caurroy affermò che "Fl. Laurencius … paraît avoir délivré plus tard une expédition du même procès verbal", aggiungendo però che la datazione rimaneva comunque troppo vaga164. Hänel evitò invece di pronunciarsi sulla data dell’editio del documento, avendo anzi deciso di inserire nella propria edizione critica un mero apografo del passo palesemente corrotto, per rinviare nelle note le proprie riflessioni165. A differenza delle ipotesi sin lì formulate, però, egli ritenne che la formula dell’editio andasse circoscritta a cesaribus flaviis, ravvisando così nei nomi dei ___________ 161 In questo senso già Baudi di Vesme, Codex Theodosianus cit., col. 9 nt. 1: "cum jam consules adnotati sunt, uti hic initio Gestorum; in subscriptione nonnisi dies et mensis apponi solet". 162 F.C. von Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' vom Jahre 438, ZGR 9 (1838) pp. 213-224 (= Vermischte Schriften III [Berlin 1850] pp. 255-269 e spec. p. 256). 163 Così la proposta di Schrader, citata – ma al contempo criticata – da Clossius nella propria edizione critica (Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 127 nt. 19) e nata da una confusione con l’exceptor Anastasio e dalla trasformazione di quantum in quarto. Della stessa opinione di Schrader fu però anche Wenck, Codicis Theodosiani cit., p. 7 nt. c. 164 Du Caurroy, recens. a Clossius, Theodosianis Codicis cit., p. 415 s. 165 Hänel, Codex Theodosianus cit., col. 88.

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due constitutionarii un elemento estraneo a detta formula, e appartenente invece alla connessa costituzione di Valentiniano III166. Ma dopo la definitiva accettazione della ridefinizione del testo critico fatta da Baudi di Vesme, il quale aveva addirittura anticipato alla parola ianuarii la linea di demarcazione tra il verbale (cioè la sua formula di editio) e il testo della costituzione di Valentiniano III, Mommsen, nell’accoglierla, affermò che le operazioni di editio avrebbero avuto inizio (e si sarebbero anzi concluse) addirittura subito dopo il termine della seduta, ipotesi verso la quale abbiamo già espresso più sopra le nostre riserve. b) Il fine Varie potevano essere le finalità dell’editio di un documento pubblico da parte di una cancelleria. In primo luogo, la realizzazione di copie di documenti (compresi i verbali) poteva essere determinata da esigenze proprie dell’ufficio: ad esempio, per consentire la loro formale inserzione negli atti dello stesso (apud acta) e/o la loro conservazione nei relativi archivi; oppure la loro spedizione ad altri uffici; oppure ancora la formale e diretta pubblicazione degli stessi. L’editio poteva poi essere sollecitata da privati interessati ad avere, per le più varie finalità, una copia in forma autentica di un documento pubblico167: si pensi ad esempio all’interesse che, in un contesto giurisdizionale, le parti processuali potevano avere verso i verbali processuali; oppure a colui che aveva richiesto la pubblicazione di un testamento o di una donazione, operazione che avveniva attraverso l’allegatio dei relativi atti nel verbale di apertura del documento stesso. Quanto poi all’editio di copie di un verbale senatorio in particolare, oltre che per le ipotesi appena considerate, essa poteva essere realizzata (anche in forma di excerpta, come si è visto) per essere inoltrata – in quanto allegata alla relatio che il funzionario competente era tenuto ad inviare – all’imperatore, che dove ___________ 166 Dopo aver difatti approvato in un primo momento la nuova soluzione prospettata dal Baudi, Hänel mostrò successivamente nei suoi confronti una certa cautela, dapprima esponendo una serie di ragioni per cui tale soluzione non lo convinceva pienamente (ragioni riportate dallo stesso Baudi nel proprio Codex, tra gli Addenda et emendanda, col. XIII: tra di esse vi era proprio la mancanza dell’indicazione dell’anno – coppia consolare – nella formula di editio), poi evitando di accoglierla nella propria edizione del Codice Teodosiano. 167 Un esempio illustre: nel 384 il vescovo Ambrogio fece richiesta di una copia (conservata negli uffici della cancelleria imperiale) della relatio inviata dal praefectus urbi Simmaco all’imperatore Valentiniano II, al fine di poter adeguatamente controbattere alla richiesta, avanzata dal prefetto a nome del senato di Roma, di far ripristinare l’altare della Vittoria nella Curia (Ambr., Ep. 17.13).

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va essere costantemente e regolarmente aggiornato su attività e decisioni del senato168. L’editio di gesta senatus poteva inoltre essere realizzata allo scopo di dare pubblicità agli stessi, ad esempio mediante affissione in luoghi pubblici (a Roma, la zona adiacente alla Curia). In tal caso, i gesta potevano essere pubblicati sub programmate del magistrato, che ne riassumeva brevemente il contenuto. La pubblicazione di gesta senatus poteva inoltre servire a realizzare la pubblicazione 'indiretta' di quei documenti (tra i quali le costituzioni imperiali lette ai senatori) che fossero stati insinuati al loro interno169. Per quale di questi scopi potrebbe essere stata realizzata l’editio della copia indirettamente giunta sino a noi? Ebbe essa dei precisi destinatari? Esiste forse un rapporto, formale e materiale, tra i Gesta senatus del 438 e la redazione ufficiale del Codex Theodosianus? Sin dall’inizio, la presenza di questo documento in apertura della versione, alariciana ma aucta, del Codice Teodosiano contenuta nel Codex Ambrosianus ha fatto supporre che i Gesta senatus, ignoti al Breviario, facessero parte della redazione ufficiale occidentale del Codice. Tuttavia, non essendo pervenuto direttamente alcun esemplare di quest’ultima, tale assunto non può essere verificato, per cui sulla questione non possono che essere formulate delle congetture, più o meno articolate. Questa la prima ricostruzione di Savigny170: premesso che tanto i Gesta quanto la constitutio de constitutionariis non potevano certo far parte della redazione del Codice licenziata dalla cancelleria orientale, si doveva ritenere che la loro apposizione alla redazione occidentale fosse opera dei constitutionarii, i ___________ 168 E difatti taluni avevano ravvisato nell’espressione '' dominis imprs 7 cesaribus flaviis'' i destinatari dell’editio: questa ipotesi, avanzata dal den Tex e da van Hall, era stata però confutata da Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 257. 169 Ciò può essere dedotto in via analogica, ad esempio, dalla testimonianza offertaci da una costituzione di Onorio indirizzata al prefetto del pretorio Adriano (CTh. 16.5.37, a. 400 [405]), nella quale viene ordinato a quest’ultimo di rendere noto un rescritto imperiale di Giuliano attraverso la pubblicazione, mediante propositio di un proprio provvedimento (programma), del verbale – che a questo avrebbe dovuto essere allegato (subnecti) – nel quale tale rescritto era stato insinuato (Rescribtum, quod Donatistae a Iuliano tunc principe impetrasse dicuntur, proposito programmate celeberrimis in locis volumus anteferri et gesta, quibus est huiuscemodi allegatio inserta, subnecti, quo omnibus innotescat et catholicae confidentiae stabilita constantia et Donatistarum desperatio fucata perfidia). Una conferma può essere ravvisata in una costituzione di Giustiniano del 535 d.C., che dispone la pubblicazione della stessa non come testo autonomo, bensì in quanto insinuata nei gesta relativi alla pubblica riunione durante la quale la costituzione stessa avrebbe dovuto essere recitata (Nov. Iust. 17.16: convocatis omnibus in metropoli constitutis … insinuabis haec nostra sacra praecepta sub gestorum insinuatione et propones exemplar eorum publice, laddove si ritenga il pronome eorum riferito a gesta, come ci sembra più probabile, piuttosto che sacra praecepta). 170 Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 260 s.

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quali, ogni qualvolta avessero a rilasciare su richiesta un esemplare in forma autentica del Codice, oltre ad apporre una propria 'certificazione di conformità' ("amtliche Beglaubigung") in calce alla stessa, per farle acquistare un’autorità pubblica ("öffentliches Ansehen") dovevano munirla anche dei seguenti documenti, così originariamente ordinati: 1) il testo della constitutio de constitutionariis (ovviamente solo a partire dal 443), che avrebbe avuto la funzione di nominare ("Bestallung") i nuovi constitutionarii171 e di definirne le competenze in ordine al rilascio di esemplari ufficiali del Codice; 2) il testo dei Gesta senatus, dai quali sarebbe dipesa la validità ("die gesetzliche Gültigkeit") dello stesso Codice per la pars Occidentis. I constitutionarii Anastasio e Martino, in quanto menzionati nella subscriptio del documento, sarebbero stati i destinatari dell’editio dei Gesta172. Anche secondo Hänel, nel realizzare le copie ufficiali del Codice per l’Occidente i constitutionarii – i soli ufficiali a ciò abilitati – sarebbero stati soliti premettervi una copia dei Gesta senatus, in quanto questi ultimi avrebbero avuto la funzione di testimoniare l’avvenuta formale receptio, da parte del senato, della raccolta normativa per la pars Occidentis. Il testo della costituzione di Valentiniano III del 443 d.C. sarebbe stato invece riportato in quanto costituente uno speciale mandatum conferito dallo stesso imperatore ai constitutionarii, che potevano dimostrare in tal modo di avere da questi formalmente ricevuto la potestas scribendorum exemplorum173. Mommsen invece, avendo interpretato la presentazione del Codice al senato in chiave di pubblicazione e non più di receptio, sostenne che i constitutionarii avrebbero riprodotto tale verbale, negli esemplari della silloge teodosiana dagli stessi realizzati, in quanto esso doveva fungere da elemento introduttivo, avente la funzione di attestare l’autenticità e l’ufficialità degli stessi esemplari174. Pur essendo stata quest’ultima ipotesi recepita dalla maggior parte della dottrina175, non va dimenticato che essa è comunque frutto di una congettura – per ___________ 171

Secondo lo studioso tedesco, infatti, il constitutionarius Martius (uno dei due presenti alla seduta senatoria) sarebbe morto, per essere poi sostituito da Hilarius Martinus, che avrebbe così ricevuto una nuova nomina (Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 261 s.). 172 A detta di Savigny, anzi, ogni qualvolta i constitutionarii avessero dovuto rilasciare un esemplare in forma autentica del Codice avrebbero dovuto rivolgersi all’exceptor senatus per ottenere una copia dei Gesta al fine di potervela allegare (Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 256; 263 s.). 173 Hänel, Codex Theodosianus cit., col. 89 nt. f. 174 Mommsen, Proleg. cit., p. XI. 175 Tra cui, di recente, Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 319: "Anche per questo i gesta sono trascritti prima del testo del Theodosianus: in tal modo ne viene certificata la provenienza dell’esemplare, il suo essere un esemplare trascritto in forma autentica".

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quanto autorevole –, non essendoci elementi formali che possano avvalorare tale assunto, soprattutto dopo che è stato rigettata l’appartenenza dei nomi di Anastasio e Martino alla subscriptio dei Gesta. Il fatto che questo verbale sia pervenuto in apertura della versione alariciana del Codice Teodosiano, sia pure 'contaminata' verosimilmente con un testo integro del Teodosiano, potrebbe, in ultima analisi, anche essere addebitato al caso, o meglio all’iniziativa di un privato che, in possesso della copia di questo documento, vistane la stretta connessione tematica alla silloge normativa, abbia pensato di unirvelo. Si può allora provare a prendere in considerazione altre ipotesi. E’ anzitutto possibile che vi fossero in circolazione più copie dei Gesta senatus, svincolate dal Codice Teodosiano e realizzate per svariate finalità. Quasi certamente una copia del verbale senatorio – forse proprio in forma di estratto – era stata inviata, tramite il praefectus urbi (la cui cancelleria avrebbe dovuto conservarne una copia), o tramite forse lo stesso prefetto del pretorio Fausto (oppure da entrambi, ognuno per proprio conto), alla cancelleria imperiale176, con ciò intendendosi non solo quella di Valentiniano III, bensì anche quella orientale, dal momento che grande doveva essere l’interesse di Teodosio nei confronti della cerimonia che si era svolta a Roma177. In tal caso, anche gli archivi imperiali dovevano conservare un esemplare dei Gesta e avrebbero quindi potuto rilasciarne eventualmente una copia. E’ ugualmente ipotizzabile che il resoconto di un evento così eccezionale sia stato fatto oggetto di pubblicazione, in una delle forme tradizionali, quantomeno nella città di Roma. E’ più probabile che a tal scopo ne sia stata redatta una versione epitomata, che ne cogliesse le informazioni più salienti. E se effettivamente i Gesta senatus vennero pubblicati mediante affissione, in tal caso chiunque avrebbe potuto realizzarne anche una trascrizione informale. Infine, una copia dei Gesta avrebbe potuto materialmente accedere, cioè essere stata premessa, alla costituzione più tarda del 443 d.C. ed essere stata assieme a questa trasmessa (e forse anche pubblicata), costituendone una sorta di allegato. In ragione delle considerazioni appena svolte, alla domanda se l’editio dell’esemplare pervenutoci dei Gesta senatus avesse dei destinatari precisi, e se sì quali, non può essere data una risposta precisa, non risultando ciò esplicitamente dalla subscriptio. Di certo i constitutionarii, se non proprio Anastasio e ___________ 176 Come ipotizzato anche da J. Matthews, The Making of the Text, in J. Harries / I. Wood (a cura di), The Theodosian Code (London 1993) p. 30 nt. 30, anche se non si saprebbe dire, come invece ritiene l’Autore, se il verbale necessitasse di approvazione imperiale. 177 Sostenitore dell’esistenza di rapporti diretti tra l’imperatore orientale e il senato occidentale è, ad esempio, P. Garbarino, Appunti sulla conferma imperiale di senatoconsulti nel Tardo Impero Romano, AG 204 (1984) p. 518 ss. e passim.

II. La seduta del senato di Roma del 438 d.C.

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Martino, sono dei possibili (o addirittura i più probabili) destinatari178: essi però non furono forse gli unici. E veniamo quindi a definire meglio l’ipotesi, già avanzata in più luoghi dell’analisi fin qui condotta, che il verbale senatorio a noi noto altro non sia che una versione abbreviata, epitomata, un estratto del verbale originario, in quanto quest’ultimo, quale resoconto stenografico dell’intera seduta senatoria, avrebbe dovuto mostrare un’ampiezza, ricchezza di particolari e precisione molto maggiori di quelle effettivamente riscontrabili nel testo. E’ noto che nelle cancellerie degli uffici dell’amministrazione imperiale si era soliti realizzare epitomi di quei documenti (in entrata e in uscita) che dalle stesse dovevano essere conservati. A tal fine vi doveva essere addirittura del personale specializzato, se vogliamo prestare fede alla testimonianza offertaci, ad esempio, da una costituzione di Giustiniano inviata a Strategio, comes sacrarum largitionum179. Avendo l’imperatore, con tale provvedimento, regolamentato le liberalità offerte al popolo dai consoli all’inizio del loro anno di carica, egli dispose che un exemplar dello stesso avrebbe dovuto rimanere depositato presso la cancelleria del comes stesso: ed era a questa cancelleria che i consoli avrebbero dovuto esclusivamente rivolgersi per ottenere copie della costituzione. Queste ultime avrebbero dovuto essere sottoscritte dal comes e dai suoi impiegati, e sull’intero ufficio sarebbe ricaduta la responsabilità per l’autenticità degli esemplari e, soprattutto, la loro perfetta conformità all’originale. Il pericolo espressamente paventato era quello che il testo potesse subire alterazioni e, soprattutto, tagli da parte di his qui vocantur breviatores, ad opera dei quali le stesse disposizioni imperiali avrebbero potuto essere adulterate (adulterari aliquid horum quae a nobis disposita sunt). Sembrerebbe

___________ 178 Non è del tutto chiaro cosa intendesse Mommsen col definire la formula di editio dei Gesta come "Constitutionariorum editio": dovendo escludersi che i constitutionarii possano aver avuto una qualsiasi parte nell’editio del verbale senatorio, realizzata dalla – e all’interno della – cancelleria del senato, può solo immaginarsi che con ciò si sia voluto indicarli come i loro destinatari (ma allora sarebbe stato più giusto usare il caso dativo, richiesto dal verbo edere), e che quindi a noi sarebbe pervenuta una copia del documento originariamente rilasciato proprio ai constitutionarii. Ma tale definizione resta equivoca, tant’è che Krüger non l’ha riproposta nella propria edizione critica. 179 Nov. Iust. 105.2.4 (a. 536): Subiaceat igitur, sicuti praediximus, nostra dispositio huic legi, cuius exemplaria recondentur in foro tuae celsitudinis cum hac lege, quam apud eam direximus. Per tempora tamen gloriosissimos consules sancimus ex solo tuo foro exemplar descriptionis accipere huic subditae legi, ut secundum eam omnia dentur. Descriptionem namque ideo a sede tua dari volumus, ut nec ipsis liceat praevaricari nec his qui vocantur breviatores adulterari aliquid horum quae a nobis disposita sunt, sed periculo custodientium hanc descriptionem in foro tuae gloriae dari exemplar eius cum subscriptione cingulum habentis hoc cui nunc ipse praesides, ut per omnia inadulterata maneant quae a nobis disposita sunt.

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Capitolo terzo: La seduta del senato di Roma del 438 d.C.

così che tali breviatores operassero abitualmente nelle stesse cancellerie180. D’altra parte, è cosa nota che i testi delle costituzioni imperiali vi subivano di norma un procedimento di 'compressione', e che nei registri dei magistrati ne veniva trascritta una versione in forma abbreviata. E in fondo anche il Codice Teodosiano è, esso stesso, prodotto e testimone di un ampio lavoro di riduzione (svolto secondo le direttive e i criteri indicati dallo stesso imperatore) e revisione formale dei testi delle costituzioni imperiali in esso raccolte, lavoro che dovette essere svolto non tanto dai membri della commissione ufficialmente incaricati (tutti alti ufficiali), quanto piuttosto dal personale – tratto verosimilmente dalle cancellerie – di cui essi si avvalsero e sull’attività dei quali svolsero forse una funzione di supervisione e controllo. Un’ultima considerazione. 'Epitomare' è certo la 'parola d’ordine' a cui si conforma la maggior parte della letteratura – giuridica e non – dell’età tardoantica, fortemente caratterizzata da questa esigenza di ridurre, semplificare, chiarire. A questo trattamento non dovevano sfuggire di certo i verbali, connotati per loro natura da una sovrabbondante verbosità: la maggior parte dei verbali dei concili, ad esempio, ci sono giunti in forma epitomata, e degli stessi Gesta Conlationi Carthaginiensis, di cui abbiamo fatto largo uso in questa ricerca, esiste anche una versione epitomata realizzata da Agostino, uno dei diretti protagonisti del confronto, per essere inviata ai confratelli assenti al fine di metterli a parte delle fasi più salienti dello stesso. E quindi, anche qualora si volesse seguire l’ipotesi comunemente sostenuta, e cioè che i Gesta senatus fossero stati già dai constitutionarii premessi alle copie ufficiali del Teodosiano, nulla osterebbe al pensare che di tale verbale sia stata realizzata proprio a questo scopo una versione ridotta, in quanto si sarebbe ritenuto inutile (oltre che fisicamente oneroso, in sede di trascrizione manuale) riportarne il testo integrale.

___________ 180 A proposito dei breviatores e delle loro funzioni v. P. Noailles, Les collections de Nouvelles de l’empereur Justinien (Paris 1912) p. 55 ss.

Capitolo quarto

L’oggetto della seduta senatoria I. Osservazioni preliminari Non solo nelle trattazioni manualistiche, ma anche negli studi monografici, fioriti soprattutto negli ultimi decenni intorno al Codice Teodosiano, non sembra che di quanto accaduto nella seduta senatoria del 438 sia stata sempre data una lettura univoca. Le interpretazioni della dottrina oscillano tra la 'pubblicazione' del Codice (sulla scia dell’impostazione mommseniana), la sua 'promulgazione' (intesa talvolta come 'pubblicazione', a volte invece in senso diverso) e la sua mera 'presentazione'; mentre presso alcuni si parla persino (o forse: ancora) di 'approvazione' (o 'accettazione'), da parte del senato romano, della compilazione teodosiana, intesa nel senso della formale attribuzione – come conseguente a un altrettanto formale riconoscimento – del valore normativo per l’Occidente. E’ merito di A.J.B. Sirks l’aver di recente messo nuovamente in luce questo aspetto1, focalizzando l’attenzione, oltre che sull’oggetto della seduta senatoria del 438, anche sull’atto (o gli atti) formalmente compiuto dal senato di Roma. Le sue riflessioni, che muovono da un’analisi scevra di preconcetti e sempre strettamente aderente alle fonti, sono giunte in più di un’occasione a mettere in discussione posizioni finora considerate per saldamente acquisite. Una delle sue affermazioni più radicali è consistita nel negare l’esistenza di una ufficiale recezione del Codice Teodosiano nell’impero d’Occidente e, conseguentemente, di una vigenza ufficiale dello stesso nella medesima pars imperii. ___________ 1

Fin dal 1983 Sirks aveva espresso i suoi dubbi circa l’esistenza di una recezione ufficiale in Occidente della compilazione teodosiana e, conseguentemente, circa una validità ufficiale di quest’ultima nella pars imperii di Valentiniano III. Alla luce di questa posizione, l’Autore ha riconsiderato il ruolo del senato romano emergente dai Gesta senatus e gli effetti di questa seduta sul Codice Teodosiano (cfr. Sirks, From the Theodosian cit., passim). L’attenzione di Sirks su questi temi, manifestata nuovamente in più recenti contributi (A.J.B. Sirks, Observations sur le Code Théodosien, Subseciva Groningana 2 [1985] pp. 21-34; Food for Rome [Amsterdam 1991] p. 113 s.) si è da ultimo incentrata proprio sulla seduta senatoria del 438 e sul ruolo svolto dal senato in quel contesto (Sirks, Observations V [2007] cit., passim). Le posizioni di Sirks intorno alle fasi finali della vicenda codificatoria, delle quali lo studioso fornisce una peculiare rilettura, verranno fatte oggetto più avanti di un’analisi maggiormente approfondita.

Capitolo quarto: L’oggetto della seduta senatoria

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Nel corso della trattazione che precede, in relazione all’oggetto della seduta senatoria presieduta dal prefetto del pretorio Fausto si è intenzionalmente adottata la formulazione generica, per questo non troppo impegnativa, di 'presentazione'2 del Codice Teodosiano ai senatori romani. Ma occorre ora cercare di precisare cosa sia formalmente accaduto in seno a tale seduta, cosa cioè abbia rappresentato l’intervento senatorio nei confronti del Codex Theodosianus: se abbia avuto luogo una pubblicazione o piuttosto un’ufficiale approvazione. E, per quest’ultimo caso, ci si deve chiedere se l’approvazione del senato di Roma abbia avuto una valenza giuridica o solamente politica. Accanto a queste, non può tuttavia essere del tutto scartata l’ipotesi che l’intera cerimonia si sia invece effettivamente risolta in una mera – seppure altamente formale – presentazione, quasi un 'annuncio', più o meno ufficiale ma sostanzialmente ininfluente ai fini dell’acquisto di validità da parte del Teodosiano. Né va esclusa la possibilità che, nel corso della discussa seduta, siano stati posti in essere addirittura più atti formali. Infine, dal momento che alcuni studiosi parlano di 'promulgazione', può essere utile un chiarimento su quale significato sia in realtà sotteso a questa espressione. Va comunque premesso che la gran parte degli interrogativi appena posti presuppone anzitutto l’idea che il Codice Teodosiano, considerato nel suo complesso, possa essere ritenuto come equivalente, da un punto di vista formale, a una costituzione imperiale, ossia che esso costituisca una fonte normativa di per sé, al di là delle singole costituzioni in esso raccolte; e quindi che, al pari di queste, anch’esso necessiti dei medesimi requisiti per acquistare vigore ed essere applicabile. E’ solo partendo da questo presupposto che è possibile parlare di 'validità', 'accettazione', 'vigore', 'promulgazione' e/o 'pubblicazione' del Codice Teodosiano. Tale punto di vista, del resto, condiviso dalla gran parte della moderna dottrina, sembrerebbe essere anche quello proprio di Teodosio. Su questo tema, pur così carico di implicazioni giuridiche, sembra tuttavia regnare ancora una certa confusione, della quale si è anzi il più delle volte inconsapevoli. E tanto più, quindi, dovrà apparire non inutile che, per il prosieguo, si tenti qualche messa a punto.

II. Il Codice Teodosiano e la funzione di NTh. 1 L’esame deve prendere avvio dall’analisi – nei limiti degli aspetti qui considerati – della costituzione di Teodosio II del 15 febbraio 438 (NTh. 1), la cui ___________ 2 Non seguita tuttavia da alcuna 'consegna', come invece sembrerebbe adombrare G.G. Archi, Sulla cosiddetta 'massimazione' delle costituzioni imperiali, SDHI 52 (1986) p. 189.

II. Il Codice Teodosiano e la funzione di NTh. 1

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funzione è stata dalla dottrina individuata in modo unanime nella 'pubblicazione' e/o 'promulgazione' – ma, al contempo, anche nella conferma e validazione – del Codice Teodosiano per la pars Orientis. Tale analisi si rende necessaria soprattutto in quanto, ogni qualvolta venga esaminato l’aspetto della pubblicazione del Teodosiano in Occidente, tale costituzione è chiamata a costituirne il presupposto, venendo così generalmente posta – quanto alla funzione svolta – sullo stesso piano della seduta senatoria verbalizzata nei Gesta del 4383. Procediamo quindi con ordine, considerando anzitutto le funzioni della NTh. 1. Questa costituzione, emanata, sicuramente dopo l’ultimazione del Codice, da Teodosio II4 a Costantinopoli il 15 febbraio 438, e indirizzata al praefectus praetorio per l’Oriente Florentius, è visibilmente e strettamente connessa con la silloge imperiale. Non si intende in questa sede analizzarne il testo nel suo complesso, in quanto già attentamente studiato da più Autori. E quindi non ci si soffermerà, sulla scorta dell’ampia praefatio, né sulla delusione e amarezza dell’imperatore per il constatato basso livello degli studi giuridici5, né sulle sue riflessioni intorno alla difficoltà di orientarsi nella caligine che avvolgeva le fonti di cognizione del diritto6, né sui dichiarati scopi dell’intrapresa opera di compendio e raccolta delle fonti normative, e nemmeno sulle lodi attribuite a coloro il cui impegno aveva consentito di portare a termine il progetto imperiale7. Qui interessa piuttosto individuare il preciso contenuto dispositivo di questa costituzione. Ci sembra che esso possa essere principalmente scorto nel seguente passo: Quamobrem … compendiosam divalium constitutionum scientiam ex divi Constantini temporibus roboramus, nulli post Kal. Ian. concessa licentia ad forum et cotidianas advocationes ius principale deferre vel litis instrumenta conponere, nisi ex his videlicet libris, qui in nostri nominis vo

___________ 3

Più in generale è stato già da tempo rilevato un parallelismo tra la procedura presumibilmente seguita in Oriente e quella che venne adottata in Occidente (cfr. Gothofredus, Proleg. cit., p. CCXVII: "Statim ut Codex hic consummatus fuit et confectus, publice quoque promulgatus fuit et receptus per orientem et occidentem pariter"). 4 Non vi è alcun dubbio sul fatto che la NTh. 1 sia da ascrivere interamente all’imperatore Teodosio, anche se Wenger curiosamente sembra attribuirla – e, come sembra, non solo formalmente – anche a Valentiniano (Wenger, Die Quellen cit., p. 538: "Die kaiserliche Konstitution vom 15 Februar 438, in der es die beiden Kaiser zunächst für den Osten des Reichs publizierten"). Tale supposizione è stata di recente ripresa da Honoré, a sostegno della sua teoria sull’automatica validità generale (cioè estesa a tutto l’impero) di questa costituzione (Honoré, Law in the Crisis cit., p. 132: "Since the law of February 438 was a general law issued in the name of both emperors, there was no need in theory to promulgate it in the west"). 5 NTh. 1 pr. 6 NTh. 1.1-3. 7 NTh. 1.7.

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Capitolo quarto: L’oggetto della seduta senatoria

cabulum transierunt et sacris habentur in scriniis8. Ciò vuol dire che, con questo suo provvedimento, l’imperatore roborat (cioè conferma)9, ma al tempo stesso validandolo, il contenuto (senz’altro già di per sé normativo) della sua opera di compendio, la quale viene a ricevere così, nel suo complesso, valore normativo. E una tale conferma non è certo superflua, se solo si consideri che, a partire dal 1° gennaio 439, soltanto le costituzioni contenute nel Codice Teodosiano, e – soprattutto – nella peculiare forma ivi assunta, potranno essere prodotte, recitatae o comunque utilizzate in un contesto giurisdizionale. In tale previsione imperiale vi è quindi un’implicita abrogazione delle costituzioni (generali) anteriori al 438 d.C. non selezionate nella silloge (eccezion fatta per determinati casi espressamente previsti), e ciò pena la seguente sanzione: falsitatis nota damnandis, quae ex tempore definito Theodosiano non referuntur in codice. A tali disposizioni relative alla codificazione di Teodosio ne viene fatta seguire un’altra, ulteriore e connessa, rivolta al futuro e riguardante, più in generale, i requisiti richiesti per l’acquisto di validità, e quindi per l’utilizzabilità in giudizio, nella pars imperii diversa da quella di emissione, di tutte le costituzioni emanate dopo l’adozione ufficiale del Codice10; quasi a voler definire questi aspetti chiaramente e una volta per tutte ed evitare che, nei tempi a veni

___________ 8 NTh. 1.3. Sull’interpretazione del passo qui… scriniis si vedano le considerazioni di Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 317 ss. 9 Il verbo roborare è spesso usato da parte della cancelleria imperiale col significato di validazione di precetti (per lo più imperiali, ma non solo) già statuiti in precedenza da altri soggetti. Ciò implica una conferma che è sì rafforzativa, ma al tempo stesso anche attributiva di validità, la quale viene quindi a discendere non più, o non solo, dall’originaria statuizione bensì dalla intervenuta roboratio imperiale (si vedano, ad es., CTh. 10.10.24; 13.3.14; 13.5.14; 16.11.3; NVal. 7.2.4.). Lo stesso concetto sembra sotteso all’ordine di robur tenere o r. obtinere (cfr. CTh. 5.1.2; 14.15.5; 16.8.15) Sulla roboratio da parte dell’imperatore di provvedimenti magistratuali cfr. ad es. CTh. 14.26.1 (relativa all’editto di un prefetto del pretorio). 10 NTh. 1.5-6: His adicimus nullam constitutionem in posterum velut latam in partibus Occidentis aliove in loco ab invictissimo principe filio nostrae clementiae p(er)p(etuo) Augusto Valentiniano posse proferri vel vim legis aliquam obtinere, nisi hoc idem divina pragmatica nostris mentibus intimetur. 6. Quod observari necesse est in his etiam, quae per Orientem nobis auctoribus promulgantur. Tali disposizioni confermano in effetti quanto già stabilito dallo stesso Teodosio nella costituzione del 429 d.C. contenente l’originario progetto del Codice (CTh. 1.1.5: In futurum autem si quid promulgari placuerit, ita in coniunctissimi parte alia valebit imperii, ut non fide dubia nec privata adsertione nitatur, sed ex qua parte fuerit constitutum, cum sacris transmittatur adfatibus in alterius quoque recipiendum scriniis et cum edictorum sollemnitate vulgandum. Missum enim suscipi et indubitanter optinere conveniet, emendandi vel revocandi potestate nostrae clementiae reservata).

II. Il Codice Teodosiano e la funzione di NTh. 1

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re, potesse nuovamente ingenerarsi quella situazione di confusio legum11 a cui la codificazione imperiale aveva appunto inteso porre rimedio. La costituzione di Teodosio, il cui testo sembra essere pervenuto nella sua integrità, si conclude con la consueta clausola di pubblicazione, contenente l’ordine, rivolto al prefetto destinatario, di provvedere alla pubblicazione, nell’intero territorio di sua competenza e mediante la propositio di editti, del testo della costituzione stessa, dandole così la più ampia diffusione possibile12. I sudditi sarebbero stati così messi a conoscenza del fatto che la programmata silloge di costituzioni imperiali era giunta in porto e che ad essa l’imperatore aveva attribuito valore normativo, stabilendone i termini di entrata in vigore e imponendone, per l’ambito forense, l’utizzabilità in via esclusiva13. Ma può ravvisarsi nella pubblicazione di queste disposizioni una formale pubblicazione del Codice in sé considerato? Ponendo la questione da un diverso angolo visuale, può una presa di conoscenza, da parte dei sudditi dell’impero, del fatto che il Codice era stato ultimato, aveva ottenuto valore di legge e sarebbe entrato in vigore a partire da una certa data, considerarsi equivalente ad una presa di conoscenza (ovviamente in termini di possibilità) del Codice stesso, cioè del suo contenuto? E, tutto ciò posto, aveva poi bisogno il Codice d’una pubblicazione in questo senso? La dottrina sembra non avere avuto dubbi su questo punto: la funzione principale della NTh. 1 è stata sin dall’inizio unanimemente individuata nella 'pubblicazione' del Codice Teodosiano per la pars Orientis14. Solo alcuni studiosi ___________ 11

Rapidamente ma efficacemente delineata dall’anonimo autore del De rebus bellicis. 12 NTh. 1.8: Quod restat, Florenti p(arens) k(arissime) a(tque) a(mantissime), inlustris et magnifica auctoritas tua... edictis prop(ositis) in omnium populorum, in omnium provinciarum notitiam scita maiestatis augustae nostrae faciat pervenire. Rispetto a quella più scarna solitamente adottata dalla cancelleria imperiale (in omnium notitiam, riscontrabile soprattutto in molte Novellae post-teodosiane), questa ricca formulazione dell’ordine di pubblicazione sembrerebbe riflettere l’interesse dell’imperatore a ché si desse la più ampia diffusione possibile, nell’intera pars Orientis dell’impero, al testo della costituzione e, quindi, alla notizia dell’ultimazione dei lavori di redazione del Codice e dell’attribuzione a quest’ultimo del valore normativo. Impreciso, anche se in linea con la dottrina prevalente, Sirks, Observations (1985) cit., p. 28, là dove afferma che "la N. Theod. 1 de 438 ordonnait la promulgation du Code par des édits dans toutes les provinces de l’Orient". 13 Tale 'esclusività' deve ovviamente intendersi in senso relativo, e cioè nei limiti del 'campo' coperto dal Codice stesso: costituzioni imperiali di carattere generale, emanate a partire da Costantino in poi, fino alla data di 'chiusura' della compilazione. Non c’è infatti bisogno di ricordare, ad esempio, l’esplicito riconoscimento dei codici Gregoriano ed Ermogeniano, la cui validità è anzi implicitamente confermata. 14 In tal senso già Warnkönig, Sur les fragmens cit., p. 493, 495; G. Hänel, Geschichte des Roemischen Rechts (Leipzig 1862/63) p. 69. Anche Karlowa rileva che l’imperatore Teodosio, nel corso della cerimonia di consegna degli esemplari dei

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hanno esplicitamente sottolineato anche l’altro aspetto, quello dell’attribuzione allo stesso Codice, da parte dell’imperatore, del valore normativo, aspetto che forse è stato generalmente dato per scontato15. Tuttavia, soprattutto all’inizio, la funzione di pubblicazione è stata considerata prevalente, anzi addirittura caratterizzante la costituzione stessa, al punto che si è arrivati a qualificare la NTh. 1 come 'Publikationspatent'16 o 'Promulgationspatent'17. Solo di recente18 è stata invece posta maggiore attenzione proprio alla funzione rimasta inizialmente in ombra, cioè al conferimento, da parte dell’imperatore, dell’auctoritas e del valore normativo alla compilazione in sé, mettendo così in rilievo il fatto che essa fosse da considerarsi come opera – o, meglio, come fonte normativa – quasi dotata, rispetto alle singole costituzioni in essa contenute, di una propria individualità19. Tanto che la NTh. 1 viene oggi sempre più spesso definita in termini di 'legge di validazione', e comunque 'introduttiva', del Codice20. E tuttavia, va qui precisato che questo aspetto della ___________ Codici, avrebbe indirizzato ai due prefetti anche una Promulgationspatent, una delle quali sarebbe proprio la NTh. 1 (O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte, I. Staatsrecht und Rechtsquellen [Leipzig 1885] p. 944 s.). Allo stesso modo, Mommsen, seguito poi da tutta la letteratura successiva, ha continuato ad attribuire alla NTh. 1 la funzione di 'pubblicare' il Codice Teodosiano stesso (Mommsen, Proleg. cit., p. IX: "[Theodosianum] publicatum est a. demum 438 Febr. 15"). 15 Già Gotofredo aveva individuato nella NTh. 1 una funzione di confirmatio del Codice (Gothofredus, Proleg. cit., p. CCXIII; CCXV; CCXVII) Di 'Bestätigung' parla anche G. Hugo, Lehrbuch der Geschichte des Römischen Rechts bis auf Justinian11 II (Berlin 1832) p. 1031: "Drei Jahre später (438)… wurde diese Arbeit… von dem Kaiser bestätigt". Per P. Jörs, s.v. Codex Theodosianus, PWRE IV, col. 171, il Codice Teodosiano venne "am 15. Februar 438… vom Kaiser vollzogen". Sul punto, tuttavia, non vi sono dubbi in dottrina. 16 P. Krüger, Geschichte der Quellen und Litteratur des Römischen Rechts2 (München u. Leipzig 1912) p. 325; definizione ripresa anche dal nostro P. Bonfante, Storia del diritto romano II (rist. della 4ª ed., Milano 1959) p. 34. 17 Karlowa, Römische Rechtsgeschichte cit., p. 945. Come si dirà più avanti, il termine tedesco Promulgation altro non vuol significare che 'pubblicazione'. 18 Cfr., ad es., Volterra, La costituzione introduttiva cit., passim. Anche questo Autore non disconosce tuttavia la funzione di pubblicazione. Più di recente Ch. F. Wetzler, Rechtsstaat und Absolutismus. Überlegungen zur Verfassung des spätantiken Kaiserreichs anhand von CJ. 1.14.8 (Berlin 1997) p. 111; J. Harries, Law and Empire in Late Antiquity (Cambridge 1999) p. 59 s.; Sirks, Observations V (2007) cit., p. 133. 19 Sebbene non tutti in dottrina sembrano essere di questa opinione: cfr. ad es. De Marini Avonzo, Diritto e giustizia cit., p. 125: "il codice era solo un contenitore, le leggi traevano pur sempre la loro autorità dalla promulgazione iniziale e non dall’essere state 'codificate'". Ma anche sull’aspetto della validità – in termini territoriali e temporali – delle costituzioni contenute nel Codice Teodosiano c’è in realtà un ampio dibattito, che non può ancora considerarsi chiuso. La questione, che pure sarebbe interessante affrontare, fuoriesce però dai limiti imposti dall’oggetto della presente ricerca. 20 O anche come Einführungsgesetz o –konstitution: cfr. D. Liebs, recens. a Sirks, Food for Rome, RHD 69 (2001) p. 365 s.; Die Jurisprudenz im spätantiken Italien (260 – 640 n. Chr.) (Berlin 1987) p. 121 nt. 13.

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validazione, ribadito peraltro dallo stesso Teodosio in una posteriore costituzione21, doveva essere già chiaro all’anonimo interprete di questa Novella22. Con la NTh. 1 Teodosio avrebe quindi validato, introdotto e pubblicato la silloge normativa nella pars imperii da lui governata. Ma, a ben guardare, possiamo davvero affermare che la costituzione di Teodosio inviata al praefectus praetorio Orientis23 abbia avuto la funzione di 'pubblicare' il Codice24? Mentre difatti è assolutamente evidente la funzione di validazione dello stesso, non vi sono disposizioni che ne impongano la pubblicazione in una qualche forma: neanche una parola è detta, ad esempio, riguardo alle modalità di diffusione degli esemplari, come ci si sarebbe forse aspettato da una costituzione che intendesse regolamentare anche la fase di propagazione ufficiale del Codice. Inoltre Fausto riferisce che Teodosio, nel consegnare a ciascuno dei due prefetti convocati un esemplare del Codice, aveva espressamente imposto loro di provvedere alla sua diffusione, il che sembrerebbe costituire già un chiaro ordine di pubblicazione (in tal senso ritengo debba essere intesa l’espressione dirigere per orbem adoperata da Fausto dinanzi al senato romano). Proprio tale aspetto era stato già messo in luce da Karlowa25, che era però giunto a identificare senz’altro lo stesso 'ordine di pubblicazione' con la NTh. 126. E, a loro volta, le analoghe affermazioni di Krüger27, Wenger28 e Bonfante29 non hanno fatto altro che inserirsi in questa scia. ___________ 21

NTh. 2 pr.: Postquam in corpus unius codicis divorum retro principum constitutiones nostrasque redegimus, aliam mox legem nostra pietas promulgavit, quae tam confecto codici vires auctoritatemque tribueret nec aliter in iudicio quas contineret leges, nisi ex ipso proferrentur, valere praeciperet. Accanto a questa disposizione, l’imperatore ricorda anche l’altra, cioè quella riguardante la validità delle costituzioni emesse nell’altra pars imperii. Una conferma del fatto che proprio in queste due misure si sostanzia l’essenziale contenuto precettivo della NTh. 1. 22 Interpretatio a NTh. 1: Haec lex dicit, ut Theodosiani codicis auctoritas omni firmitate subsistat. 23 Come è stato giustamente notato, il destinatario di questa costituzione non aveva sotto la sua amministrazione l’intera pars Orientis dell’impero, bensì solo la prefettura d’Oriente, cui si affiancava quella dell’Illirico (cfr. Liebs, recens. a Sirks, Food for Rome cit., p. 366). E tuttavia, tra i due prefetti del pretorio quello Orientis era senz’altro il più rilevante. 24 Non è poi così lapalissiana l’osservazione di Arns, La technique du livre cit., p. 82: "Le fait d’écrire un livre et de le faire savoir à d’autres n’est pas encore une publication". 25 Secondo lo studioso tedesco, in occasione della cerimonia di consegna degli esemplari del Codice ciascun prefetto avrebbe ricevuto da Teodosio una "an sie adressierten Promulgationspatent", con la quale l’imperatore avrebbe loro affidato il compito di "für die weitere Versendung (directio) im Reiche Sorge zu tragen" e di portare la compilazione anzitutto a conoscenza del senato romano (Karlowa, Römische Rechtsgeschichte cit., p. 945). 26 Definita infatti dallo stesso come "das an den praefectus praetorio Orientis gerichtete Promulgationspatent" (ibid.).

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Che però la pubblicazione del Teodosiano sia stata in un certo senso sostituita dalla pubblicazione della NTh. 1, come se quest’ultima potesse svolgere funzioni, per così dire, di 'rappresentanza', è cosa della quale si può dubitare. E, come detto, una riflessione su questi temi si impone soprattutto alla luce del fatto che la seduta senatoria del 438, pur così diversa dalla costituzione del 15 febbraio, è stata anch’essa interpretata in termini di 'pubblicazione' del Codice Teodosiano.

III. 'Pubblicazione' e 'promulgazione': alcune precisazioni Attesa la generalmente asserita duplice funzione – di validazione e, al contempo, pubblicazione del Codice Teodosiano – della NTh. 1, l’uso promiscuo, soprattutto nella letteratura italiana su questo tema, dei termini 'pubblicazione' e 'promulgazione' in relazione a tali funzioni ha potuto talvolta ingenerare una certa confusione, soprattutto dal momento che taluni sembrano dare al termine 'promulgazione' un significato diverso rispetto a quello di 'pubblicazione'30. Questa confusione, a sua volta, si è poi ripercossa, in un certa misura, anche sul significato della seduta senatoria documentata dai Gesta senatus, la quale, come si è detto, viene generalmente posta sullo stesso piano della NTh. 1 e quindi definita anch’essa ora di 'promulgazione' ora di 'pubblicazione'31 – quando non addirittura di vera e propria 'accettazione' (o 'approvazione', sempre intesa quale atto attributivo di validità) – della silloge teodosiana per l’Occidente32. E perciò sembra opportuno fare preliminarmente alcune precisazioni riguardo alla terminologia adottata dagli studiosi e ai reali significati ad essa sottesi; ciò al ___________ 27

Geschichte der Quellen cit., p. 325 nt. 6. Die Quellen cit., p. 538 nt. 72. 29 Storia del diritto romano cit., p. 34. 30 E in effetti a due distinte funzioni sembrerebbe alludere Dovere quando distingue la "pubblicazione romana del Codex Theodosianus" dalla 'promulgazione' orientale avvenuta per mezzo della NTh. 1, a meno che la varietà dei termini non sia dovuta semplicemente alla volontà di evitare ripetizioni (cfr. Dovere, 'Ius principale' cit., p. 51; 53). 31 Di 'promulgazione', con riferimento sia alla NTh. 1 che alla seduta senatoria, si parla, ad esempio, in F. De Martino, Storia della costituzione romana V (Napoli 1975) p. 481, L. De Giovanni, Introduzione allo studio del diritto romano tardoantico. Lezioni (Napoli 1997) p. 169; M. Sargenti, Mito e realtà del Codice Teodosiano, in Esegesi, parafrasi e compilazione in età tardoantica. Atti del Terzo Convegno dell’Associazione di Studi Tardoantichi, a cura di C. Moreschini (Napoli 1995) p. 347. 32 Un’opinione del tutto diversa ha manifestato a questo riguardo Sirks, il quale nega che il Codice Teodosiano sia stato oggetto di alcuna di tali attività per l’Occidente. La posizione di questo Autore, la quale viene ad inserirsi in una più vasta e peculiare ricostruzione dell’intera vicenda codificatoria, verrà esaminata con maggiore attenzione più avanti. 28

III. 'Pubblicazione' e 'promulgazione': alcune precisazioni

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fine di sgombrare il campo da possibili equivoci, nei quali potrebbe cadere soprattutto l’interprete italiano, nel cui lessico giuridico ai termini 'pubblicazione' e 'promulgazione' sono sottesi concetti del tutto diversi33. In ragione delle connessioni sopra accennate, le precisazioni che seguono vanno estese anche ai Gesta senatus del 438. Quando, dopo la scoperta dei frammenti milanesi, è stato possibile fare una ricostruzione più precisa delle fasi relative alla diffusione del Codice Teodosiano nelle due partes imperii, la dottrina tedesca, nel riconsiderare la NTh. 1, ha posto in particolare evidenza la sua funzione di pubblicazione, che è stata qualificata alternativamente come 'Publikation' o 'Promulgation'34. Va però tenuto conto del fatto che i due termini sono del tutto equivalenti, dal momento che, nella terminologia giuridica tedesca, il significato di 'Promulgation' è appunto quello di 'pubblicazione'35. Gli studiosi tedeschi quindi, nel parlare di 'Promulgation', nient’altro hanno inteso significare che la 'pubblicazione' del Codice Teodosiano. Ma, a partire da qualche decennio a questa parte, tale termine è stato pedissequamente reso, presso alcuni studiosi italiani, con 'promulgazione', senza riflettere sul fatto che nel nostro linguaggio tale espressione ha, con riferimento a un provvedimento normativo, un significato ben diverso da quello di 'pubblicazione'36: e invero la promulgazione rileva sì ai fini della perfezione dell’atto normativo (o, secondo altre tesi, ha forza costitutiva rispetto ai suoi effetti), ma non si identifica con la sua pubblicazione. Ne segue che, quanto al contesto in esame, l’uso dell’espressione 'promulgazione' può ingenerare confusione, soprattutto quando si pensi che la NTh. 1 ha in effetti attribuito validità ___________ 33 Proprio questa sottile confusione sembra aver indotto Sirks a fare alcune precisazioni sulla terminologia usata da Matthews: "Generally it is assumed that the Code gained force of law in the West-Roman Empire by its reception in the senate or by a decision of the Senate, on that day. Matthews says “promulgated there at a meeting of the Roman Senate”, but apparently does not mean the word promulgate in its technical sense": Sirks, Observation V (2007) cit., p. 132. 34 Karlowa, Römische Rechtsgeschichte cit., p. 945, ha creato per la NTh. 1 la definizione di Promulgationspatent. Lo stesso atto è definito invece Publikationspatent da Krüger, Geschichte der Quellen cit., p. 325 nt. 6: "Das Publikationspatent steht in den Gesta senatus… und in Nov. Theod. 1". 35 Cfr. C. Creifelds, s.v. Promulgation, in Id., Rechtswörterbuch11 (München 1992): "Bekanntmachung, insbes. Verkündung von Rechtsvorschriften". Quest’ultima "ist deren Bekanntgabe in der durch Verfassung, Gesetz oder sonstige Bestimmungen vorgeschriebenen Form". Cfr. anche J. Filip-Fröschl / P. Mader, Latein in der Rechtssprache. Ein Studienbuch und Nachschlagewerk (Wien 1990) p. 28: "Publikation: Veröffentlichung, Bekanntmachung…; Promulgation: Verbreitung, Bekanntgabe, Bekanntmachung". Lo stesso significato ha anche l’inglese promulgation. 36 Tant’è vero che ancora nel nostro attuale ordinamento la promulgazione è una "solenne forma di proclamazione della volontà legislativa … effettuata dall’organo costituzionalmente a ciò qualificato", che nel nostro ordinamento è costituito dal Presidente della Repubblica (cfr. A.M. Sandulli, s.v. Legge [Diritto costituzionale], NNDI IX, p. 631).

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normativa al Codice e che, secondo alcuni, anche il senato romano gli avrebbe, mediante la propria approvazione, attribuito validità per l’Occidente37. Va quindi definitivamente chiarito che, per il contesto qui esaminato, il termine 'promulgazione', di tradizione tedesca, va inteso (ed eventualmente adoperato) esclusivamente nel senso di 'pubblicazione'. Ciò, appunto, sta a riprova di quanta cautela l’interprete debba adottare nel fare uso di una certa terminologia (a cui sono inevitabilmente sottesi istituti appartenenti alla propria esperienza giuridica) per descrivere una realtà giuridica ben diversa e lontana nel tempo. A ciò si aggiunga, a conferma della delicatezza necessaria in ogni attività definitoria, che nel linguaggio della cancelleria imperiale tardoantica promulgare voleva dire 'emanare', 'emettere' una costituzione38, e che tale funzione non poteva essere svolta che dall’imperatore stesso, in quanto unico detentore del potere normativo. Donde, a sua volta, consegue che, anche per quanto riguarda il Codice Teodosiano, solo l’imperatore avrebbe potuto 'promulgarlo' (in senso 'antico'), in quanto unico soggetto dotato del potere di attribuirgli auctoritas e vires.

IV. Il Codice Teodosiano e la funzione della seduta senatoria Torniamo ora alla seduta senatoria del 438 d.C. Già nel 1821, cioè ancor prima della pubblicazione dell’editio princeps dei fragmenta milanesi, negli ambienti scientifici si era iniziato a parlare, a proposito della cerimonia documentata dai Gesta (e di certo dietro le indicazioni fornite dal loro scopritore), di "Einführung des Theodosianischen Codex im Occident"39. Poi lo stesso Clossius, nel definire i Gesta, nella propria edizione critica, come "de recipiendo Theodosiano Codice" aveva manifestamente interpretato l’attività dei senatori in chiave di receptio, cioè di 'formale accettazione' della raccolta normativa orientale, dalla quale accettazione sarebbe per essa dipeso l’acquisto della validità – con conseguente efficacia e applicabilità – anche per l’Occidente. Tale interpretazione si fondava evidentemente su un ragionamento analogico che poneva sul medesimo piano la singola costituzione e il Codice Teodosiano; quindi su un’applicazione, sempre in via analogica, anche a quest’ultimo del ___________ 37

V. infra p. 185 ss. Numerosissimi sono gli esempi, riscontrabili nelle stesse costituzioni contenute nel Codice, dell’uso di questo verbo nel senso appena detto. Oltre che negli stessi Gesta 5 (Ut ad preces nullae leges promulgentur, rogamus), si vedano, ad es., CTh. 1.1.5; 1.1.6; 2.1.9; 2.5.2; 2.27.1; 3.5.1. 39 A.B., Literarische Entdeckung, in Leipziger Literatur-Zeitung n. 18 (20 Jan. 1821) col. 140. 38

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principio in base al quale l’accettazione, da parte dell’imperatore, di singole costituzioni provenienti dall’altra pars imperii conferiva loro validità anche nella propria. Contro questa interpretazione si era però levata quasi subito la critica di Warnkönig40: "Nous ne croyons pas que le but de cette séance fût de faire adopter le Code par le sénat, comme le pense M. Clossius". Egli riteneva difatti che, per volontà di Valentiniano III (e quindi non del solo Teodosio), il senato di Roma avesse ricevuto soltanto una comunicazione – sì ufficiale e solenne, ma comunque giuridicamente ininfluente – relativa all’emanazione del Codice Teodosiano; comunicazione che, quindi, non ne avrebbe costituito neanche una formale pubblicazione, ma avrebbe anzi preceduto la pubblicazione in Occidente41. E però per questa parte lo stesso studioso viene ad avvilupparsi in una ricostruzione piuttosto contorta, da comportare che la pubblicazione vera e propria sarebbe dovuta avvenire con le stesse modalità adottate in Oriente, quindi con l’emanazione, da parte di Valentiniano III, di una costituzione analoga alla NTh. 142. A tali perplessità – cui pure non mancava un certo fondamento – non venne tuttavia dato gran peso, dal momento che i Gesta senatus del 438 d.C. continuarono a essere definiti, anche nelle edizioni che seguirono a quella di Clossius, de recipiendo (in Occidente) Theodosiano Codice43. E quindi si continuò ad attribuire al senato romano un potere di approvazione nei confronti del Codice44, approvazione dalla quale quest’ultimo avrebbe tratto vigore e quindi applicabilità anche per l’Occidente. Fu il Baudi di Vesme, in particolare, a difendere esplicitamente l’idea della receptio, per di più affermando che a quell’epoca il senato ben aveva la competenza, non solo di recipere, bensì addirittura di promulgare provvedimenti normativi45. ___________ 40

Sur les fragmens cit., p. 496. Ibid.: "Avant de faire publier le Code dans l’empire d’Occident, l’empereur Valentinien voulut que le sénat en reçût une communication officielle". Meno chiara è l’affermazione, contenuta nella nt. 1, che "Cette communication précéda la publication qui en fut faite en Orient". Anche a p. 491 i Gesta senatus erano stati descritti come "le procès verbal de la séance du sénat dans laquelle le Code Théodosien fut, par les ordres de Valentinien III, présenté aux sénateurs". 42 Ibid., p. 495: [il Codice Teodosiano] "fut publié dans l’Orient par l’ordonnance adressée au Praefectus praetorio Florentius, et destiné à l’être également dans l’Occident". 43 V. più sopra p. 31 ss. 44 Anche nella Leipziger Literatur-Zeitung si definì l’attività compiuta dal senato in termini di "Empfang des eben vollendeten Cod. Theod." (27 Sept. 1824, n. 236, col. 1888). 45 Baudi di Vesme, Codex Theodosianus cit., col. 5 (sulla definizione dei Gesta): "Hanc inscriptionem improbat Warnkoenig…, h.l. non de recipiendo Codice agi 41

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Ma già nella letteratura successiva alla pubblicazione dei Gesta senatus si cominciò a riscontrare, quale riflesso delle diverse posizioni assunte dagli interpreti, una certa oscillazione nella terminologia. Troviamo infatti che, nell’articolo pubblicato sulla Leipziger Literatur-Zeitung, l’oggetto della seduta senatoria venne posto in termini ora di accettazione46, ora di presentazione47 della compilazione teodosiana. Mentre, nello stesso anno, Du Caurroy, alla cui prudente interpretazione sembrano essersi attenuti anche Hugo48 e Karlowa49, si espresse genericamente in termini di 'presentazione ufficiale' (senza quindi precisarne lo scopo)50. Jörs, poi, sembra essersi limitato, in stretta adesione alla fonte, a cogliere l’aspetto forse più evidente della seduta, e cioè l’adozione da parte del senato, mediante adclamationes, di misure di conservazione e diffusione degli esemplari del Codice in Occidente51. Fu poi Mommsen, all’inizio del XX secolo, a rifiutare recisamente l’idea di receptio, cui sostituì quella di publicatio52. Anche a questo proposito lo studioso deve aver ragionato in termini di analogia con le costituzioni imperiali – e, più precisamente, con le orationes principis in senatu habitae (o, secondo la terminologia riscontrabile nelle fonti coeve, ad senatum missae) –, nel senso che, come la lettura di una costituzione in senato ne costituiva ormai essenzialmente una tra le possibili forme di pubblicazione, così anche la presentazione, dinanzi a tale assemblea, del Codice Teodosiano avrebbe dovuto essere interpretata quale sua mera – se pure formale – publicatio53, secondo una procedura che avrebbe anzi dovuto essere seguita specularmente tanto a Costanti ___________ contendens: verum mihi Codicis receptio his ipsis Gestis contineri videtur, quod senatui etiam tam species aliqua auctoritatis in recipiendis et promulgandis legibus superesset". 46 "Die… gefundenen Gesta sind nichts Anderes, als die Verhandlungen im Röm. Senat beym Empfang des… Cod. Theod.": Neue Quellen des Römischen Rechts, in Leipziger Literatur-Zeitung, 236 (27 Sept. 1824) col. 1888 47 Ibid.: "vor Allem solle er [Fausto] das seinige [Exemplar] dem Senate vorlegen". 48 Lehrbuch cit., p. 1031: "Auch Valentinian III. ließ diese Sammlung nun durch seinen praefectus praetorio dem Senate von Rom… bekannt machen". 49 Römische Rechtsgeschichte cit., p. 945: "die Sammlung den Reichsenaten zur Kenntnisnahme vorzulegen". Anche questo Autore è del parere che analoga cerimonia dovette svolgersi anche in Oriente. 50 Du Caurroy, recens. a Theodosiani Codicis cit., p. 411. 51 Jörs, s.v. Codex Theodosianus cit., col. 171: "Die… erhaltenen Verhandlungen des römischen Senats de recipiendo Codice Teodosiano… beziehen sich auf die Aufbewahrung und Verbreitung des Gesetzbuches". 52 Come appare già nella stessa definizione da lui attribuita al documento in esame: Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando. 53 Nei suoi Prolegomena Mommsen dà una lettura dei fatti in questi termini: "Faustus ille … exemplar sibi traditum senatui urbis Romae intimavit, non ut senatus id comprobaret (id enim ab hoc aevo alienum est), sed ut acciperet et de exemplaribus conficiendis et edendis caveret" (Mommsen, Proleg. cit., p. XI).

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nopoli quanto a Roma54. Il senato avrebbe così svolto, ancora una volta, il ruolo effettivo di spettatore dinanzi all’opera che lo stesso Teodosio aveva definito come il verum … negotium temporis nostri55. Si riconobbe tuttavia all’assemblea senatoria una parte 'attiva' e apparentemente autonoma nella fissazione di una peculiare procedura di confectio ed editio del Codice stesso. Come più sopra visto, qualsiasi riferimento al possibile oggetto della seduta (in termini tanto di receptio quanto di publicatio) è invece scomparso del tutto nella definizione dei Gesta senatus contenuta nell’edizione critica di Krüger del Codice Teodosiano. E tuttavia, lo stesso studioso manifesta la propria adesione all’idea di Mommsen quando, nella sua Geschichte der Quellen, afferma: "Der Codex Theodosianus wurde, nachdem er von Valentinian III. schon 437… genehmigt worden, Ende 438 durch Vorlegung eines Exemplars… im Senate von Rom publiziert"56. Si è così consolidata, a seguito dell’abbandono delle posizioni iniziali, l’idea che, spettando unicamente all’imperatore il potere di accettare un provvedimento normativo prodotto nell’altra pars imperii, in modo da conferirgli vigore e efficacia anche nella propria, pure per il Codice Teodosiano il senato si sarebbe limitato ancora una volta, come già accadeva per le singole costituzioni57, a svolgere il ruolo, privo di alcuna reale sostanza, di 'cassa di risonanza', sia pure altamente formale, della volontà del principe58. Tanto che ci si è poi attenuti, nella prevalente dottrina, all’idea che dinanzi al senato romano si sarebbe svolta non più che una 'pubblicazione' del Codice. E tuttavia, di recente sembra sempre più riaffiorare nella dottrina l’idea che da parte dei senatori vi sarebbe stata piuttosto una ufficiale 'accettazione' (o 'approvazione') della codificazione, quale atto avente, quindi, valore sostanziale59. Al punto che, per alcuni, si sarebbe svolta, a riguardo del Codice, ___________ 54

"Exemplaria… tradita esse praefectis praetorii duobus primariis, ut una cum senatibus publicandae syllogae curam agerent" (ibid.). 55 NTh. 1.1. 56 Krüger, Geschichte der Quellen cit., p. 329. 57 Anche se va osservato che sempre più raramente la cancelleria imperiale produceva orationes dirette al senato. 58 Sul ruolo del senato, particolarmente in questa circostanza, De Martino chiaramente afferma: "Il senato funzionava piuttosto come organo di pubblicazione delle leggi, che venivano appunto lette davanti all’assemblea, che le approvava o acclamava formalmente" (De Martino, Storia della costituzione cit., p. 364). 59 Così, ad es., in G. Grosso, Lezioni di storia del diritto romano5 (Torino 1965) p. 448: "[il Codice Teodosiano] venne… subito presentato… al Senato di Roma, che lo approvò per acclamazione"; in Gaudemet, s.v. Théodosien (code) cit., p. 286: "les acclamations avec lesquelles les sénateurs adoptèrent le Code"; sembrerebbe anche in V. Arangio-Ruiz, Storia del diritto romano (3a rist. anast. della 7ª ed., Napoli 1966) p. 358: "[Fausto] lo presentò al Senato di Roma in guisa che avesse efficacia anche in partibus Occidentis". Riguardo al senato, De Francisci (il quale, aderendo strettamente al

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un’approvazione e al contempo una pubblicazione60. Né è mancato chi, anche dopo la chiara presa di posizione di Mommsen, ha preferito parlare genericamente, senza troppo sbilanciarsi, di 'presentazione' del Codice Teodosiano ai senatori riuniti, evitando di esplicitarne le finalità61. Nel tentativo di fare chiarezza sulla questione e di comprendere cosa sia formalmente accaduto in seno all’assemblea senatoria riunita nel 438, sarà bene cercare di fissare alcuni punti e, quindi, vagliare anzitutto le diverse possibilità fin qui esposte. Non senza però precisare che le considerazioni che seguono poggiano tutte sul presupposto (pur recentemente messo in discussione, ma con argomentazioni non del tutto convincenti)62 che il Codice Teodosiano sia stato fatto oggetto di ufficiale recezione anche nella pars Occidentis, entrandovi quindi formalmente in vigore e divenendo così fonte normativa per tutto l’impero. Le ragioni di questa convinzione verranno argomentate più avanti. ___________ manuale di Kübler, con la stessa imprecisione sostiene che sarebbe stato lo stesso Valentiniano a presentare al senato romano l’esemplare del Codice) aveva usato l’ambigua formula: "approvò la pubblicazione" (P. De Francisci, Storia del diritto romano III.1 [rist. Milano 1943] p. 202), così traducendo l’espressione kübleriana "beschloß die Publikation" (B. Kübler, Geschichte des Römischen Rechts [LeipzigErlangen 1925] p. 383). La De Marini, invece, parla sì di approvazione, ma riferendosi piuttosto alle costituzioni che vennero lette dinanzi al senato (De Marini Avonzo, La politica legislativa cit., p. 10; 130). Di recente, l’idea dell’approvazione è stata sostenuta da: G. Cervenca, Il Dominato, in M. Talamanca (a cura di), Lineamenti di storia del diritto romano (Milano 1979) p. 698, secondo il quale il Codice venne presentato "per l’approvazione formale al senato di Roma"; De Giovanni, Introduzione allo studio cit., p. 169: "il codice… fu inviato in Occidente ove fu formalmente approvato dal senato di Roma"; Matthews, Laying down the Law cit., p. 30: "Its [scil. del Codice Teodosiano] acceptance by the Senate" e, da ultimo, Wieling, Die Einführung cit., p. 871, secondo cui Valentiniano avrebbe inviato Fausto e il Codice a Roma "damit es dort zum Gesetz erhoben würde, was freilich nur eine Formsache war. … In diesem Haus des Faustus tagte der Senat, um den Codex Theodosianus im Westen in Kraft zu setzen" e ancora più esplicitamente a p. 875: "Durch die mannigfaltigen Zustimmungen des Senats… wird der römische Senat selbst zum Autor dieser Kodifikation, der Kodex wird geltendes Recht im Westreich". 60 Se interpreto correttamente il pensiero di Wieling, Die Einführung cit., p. 871: "Der Codex Theodosianus mußte im Westen in Kraft gesetzt und verkündet werden. Das geschah in einer besonders feierlichen Form, durch eine oratio principis in senatu habita". Anche Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 290 s. parla dapprima di "procedura attraverso la quale il Codex Theodosianus è stato promulgato in Italia, a Roma… descritta… nei gesta Senatus Romani" e, subito dopo, allo stesso proposito, di "procedura di pubblicazione e di promulgazione del Codex Theodosianus". 61 Cfr. A. Guarino, Storia del diritto romano9 (Napoli 1993) p. 551: "Il Codex Theodosianus… fu comunicato… al praefectus praetorio d’Italia per la presentazione al senato d’Occidente"; M. Bretone, Storia del diritto romano5 (Bari-Roma 1991) p. 374: "Il Codice Teodosiano… fu presentato nello stesso anno al senato di Roma". 62 Cfr. Sirks, From the Theodosian cit., p. 271 e passim; Observations (1985) cit., p. 28 s.; Food for Rome cit., p. 113 s.

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1. Presentazione Va anzitutto osservato che innegabilmente vi fu una presentazione ufficiale della compilazione imperiale dinanzi ai senatori romani: l’esemplare giunto dall’Oriente era lì, davanti ai loro occhi, accompagnato e probabilmente vigilato dai due constitutionarii; Fausto se ne servì, come risulta dal verbale, al momento di dare lettura della costituzione programmatica di Teodosio del 429, che era stata recepita nella compilazione. La presenza fisica della silloge teodosiana costituiva anzi un elemento essenziale, il punto focale, nel quadro della solennità della cerimonia: con tale opera l’imperatore aveva inteso dare una definitiva (almeno nelle intenzioni) e concreta soluzione a uno dei problemi avvertiti come più urgenti che affliggevano l’impero: quello della gestione dell’attività giurisdizionale e del reperimento di affidabili fonti normative. La codificazione stava inoltre a rappresentare, anche visibilmente, l’unità dell’impero e, al contempo, l’assolutismo del potere imperiale, in contrapposizione alle sempre più forti tendenze disgregatrici che si agitavano all’interno dei confini del mondo romano e che da tempo tendevano ad allontanarne i due vertici l’uno dall’altro. Va peraltro tenuto conto del fatto che una 'presentazione' non ha di per sé alcuna implicazione giuridica, e pertanto non si pone in modo concorrenziale e/o escludente rispetto alle funzioni di approvazione o pubblicazione, potendo anzi queste ultime costituirne il presupposto. Ma, nel nostro caso, ebbe quella presentazione anche tali ulteriori finalità (alternativamente considerate)? Insomma, bisogna ritenere che il Codice, inteso quale fonte normativa, acquistò validità e/o conoscibilità grazie a questa sua apparizione dinanzi all’assemblea più prestigiosa del mondo romano – seppure ormai quasi completamente priva di effettivi poteri (particolarmente in ambito normativo) –, oppure tale apparizione è da considerarsi un mero atto di ossequio da parte dell’imperatore, un atto con una forte valenza simbolica e forse anche politica, ma sostanzialmente fine a se stesso, svuotato di ogni contenuto giuridico? Rinviamo la risposta a conclusione della disamina delle altre due possibilità. 2. Approvazione Prendiamo quindi in esame l’idea, in passato recisamente rifiutata ma che, come abbiamo osservato, attualmente sta riscuotendo sempre più consensi, che il senato di Roma abbia espresso la propria formale approvazione nei confronti del Codice, e che quest’ultima abbia anzi costituito condizione di validità – e conseguente applicabilità anche in Occidente – di questo 'maxi-provvedimento' normativo orientale (quale appunto deve considerarsi il Codice Teodosiano, che aveva già ricevuto auctoritas e vires da Teodosio). Secondo i sostenitori di

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questa posizione63, il consenso del senato avrebbe dovuto concorrere (ma per alcuni sembra che avrebbe potuto addirittura prescinderne) con quello dell’imperatore d’Occidente, quale anzi previamente manifestato. Va preliminarmente ricordato che, come già visto, nel V sec. d.C.64, secondo le stesse direttive imperiali, l’acquisto di validità, da parte di un provvedimento normativo (di natura generale), nella pars imperii diversa da quella di emanazione era stato sottoposto ai seguenti requisiti: 1) approvazione da parte del rispettivo imperatore; 2) pubblicazione, anch’essa ordinata dall’imperatore accettante. A quest’ultimo era infatti riservata la possibilità di modificare eventualmente il testo ricevuto, per meglio adattarne il contenuto alle esigenze della propria pars imperii. Oltre ad essere stato ribadito più volte dallo stesso Teodosio65, quasi a voler fare chiarezza una volta per tutte su questo aspetto, questo principio ricevette effettivamente applicazione, come appare confermato dalla recezione, qualche anno più tardi, da parte di Valentiniano III, di una serie di costituzioni orientali inviate da Teodosio anche in Occidente per esservi accettate e pubblicate66. Poichè è lo stesso imperatore a considerare, sotto tali aspetti, il Codice Teodosiano alla stregua di un autonomo provvedimento imperiale, pur non potendo disconoscerne le innegabili peculiarità, ne discende che condizione necessaria per la vigenza e l’applicabilità del Codice Teodosiano anche in Occidente doveva essere anzitutto un’espressa accettazione dello stesso, accettazione che non poteva che provenire dall’imperatore corrispondente. Ma su questo punto non è necessario insistere, dal momento che è apparso evidente ai più, sia pure con alcune eccezioni67, che Valentiniano III abbia prestato un preciso consenso,

___________ 63

V. più sopra nt. 59. Ma in realtà l’invio, con conseguente (eventuale) recezione, di costituzioni da una pars imperii all’altra era prassi adottata già nella seconda metà del IV sec.: cfr. ad es. CTh. 10.19.7 del 370/373 d.C.; J. Gaudemet, Le partage législatif dans la seconde moitié du IVème siècle, in Studi De Francisci II (Milano 1956) pp. 318-354. 65 Come notato dallo stesso Valentiniano (NVal. 26 pr: Gloriosissimus principum dominus Theodosius… sicut repetitis constitutionibus caverat). 66 Si tratta di una serie di costituzioni emanate da Teodosio tra il 438 e il 448 e approvate da Valentiniano III, il quale le inviò, accompagnate da una propria costituzione di accettazione (NVal. 26), al prefetto del pretorio Albino, ordinandogliene la pubblicazione. L’invio delle costituzioni, da un lato, e l’accettazione delle stesse, dall’altro, non sembrano però costituire, in linea di principio, un’attività dovuta, come invece ritiene Wieling, Die Einführung cit., p. 870: "Andererseits besteht aber auch die Pflicht, erlassene Gesetze dem Herrscher des anderen Reichsteil mitzuteilen, und eine Pflicht des Empfängers, das empfangene Gesetz in Kraft zu setzen". 67 Mi riferisco qui alle posizioni di Sirks, sulle quali v. infra p. 204 ss. 64

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non soltanto alla fase progettuale del Codice, ma anche – e soprattutto – alla sua adozione quale fonte normativa per l’Occidente68. Ciò posto, ne discende che il senato romano non può aver formalmente approvato il Codice Teodosiano, in quanto tale potere era riservato esclusivamente all’imperatore. E, a ben guardare, la stessa attività di diffusione del Codice in Occidente, organizzata dal prefetto del pretorio d’Italia, che ne era stato reso diretto responsabile (quantomeno per la sua prefettura), non poteva prescindere da un ordine di Valentiniano (espresso anche solo in termini di semplice approvazione degli ordini probabilmente già impartiti al riguardo da Teodosio)69. Se infatti l’assoluto protagonista della vicenda codificatoria era senza dubbio Teodosio II, sovrano della pars Occidentis restava pur sempre Valentiniano III. Ma allora, anche la presentazione della compilazione stessa in senato, pur sollecitata da Teodosio, non poteva che essere dipesa da un ordine di Valentiniano, espresso anche solo in forma di consenso con la volontà del sovrano orientale. Non si intende qui mettere in discussione la necessità di un’approvazione imperiale del Codice Teodosiano al fine di conferire allo stesso valore normativo anche in Occidente, ma anzi la si ritiene come un punto fermo da cui partire per comprendere il senso dell’attività compiuta dal senato, e come questa si sia coordinata con la volontà dell’imperatore. A questo proposito, bisogna pur ___________ 68 E’ lo stesso Fausto a ricordare, nella relatio ai senatori, una conprobatio di Valentiniano (Gesta 2). E il fatto che, come rileva Sirks, nessuna costituzione di questo tenore ci sia pervenuta non sembra costituire un argomento conclusivo per affermarne l’inesistenza (come già rilevato da Liebs, recens. a Sirks, Food for Rome cit. p. 366). Detta conprobatio, secondo alcuni Autori, sarebbe stata addirittura prestata ancor prima dell’ultimazione della compilazione (cfr. Krüger, Geschichte der Quellen cit., p. 329: "nachdem er [scil. il Codice Teodosiano] von Valentinian III. schon 437, also vor seinem formellen Abschluß, genehmigt worden"; Bonfante, Storia II cit., p. 35: "Nel 437, cioè prima ancora che fosse finito, il Codice Teodosiano era stato accettato in Occidente dall’imperatore Valentiniano III"). Altri Autori sono arrivati persino ad attribuire – erroneamente – allo stesso Valentiniano in persona la presentazione del Codice Teodosiano al senato di Roma: cfr. De Francisci, Storia cit., p. 202: "Il codice venne inviato a Valentiniano III… e da lui venne presentato al senato in una solenne seduta"; della stessa opinione sembrerebbe anche Cervenca, Il Dominato cit., p. 698: "L’opera… viene inviata anche nella pars Occidentis, dietro richiesta dell’imperatore di Occidente Valentiniano III, che la presenta per l’approvazione formale al senato di Roma". 69 Taluni sono giunti ad affermare l’esistenza di un’apposita pragmatica sanctio di Teodosio (di cui però non v’è alcuna traccia tra le fonti pervenuteci), la quale avrebbe accompagnato l’invio del Codice all’imperatore d’Occidente: cfr. Kübler, Geschichte cit., p. 383: "Duch (sic) pragmatische Sanktion wurde er [scil. il Codice Teodosiano] dem kaiser des Westens, Valentinian III., übersandt"; analogamente De Francisci, Storia cit., p. 202; P. Frezza, Corso di storia del diritto romano3 (Roma 1974) p. 508: "il codex Theodosianus… comunicato all’imperatore di occidente Valentiniano III entro lo stesso anno [cioè il 438] per mezzo di una pragmatica sanctio".

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chiedersi se, in questa circostanza, il senato abbia espresso una propria volontà; e, per il caso affermativo, se questa presentasse caratteri di autonomia. Avrebbe una tale determinazione avuto per oggetto il Codice? In caso affermativo, quale sarebbe stato il contenuto della stessa? E, infine, può ritenersi che una tale volontà si sia formalizzata in un senatoconsulto? Nel tentativo di dare una risposta a queste domande, non potrà essere trascurato l’aspetto più generale delle relazioni – qui considerate in termini più strettamente giuridici che politici – tra il senato e l’imperatore nel quadro dell’attività normativa in età tardoantica. E, proprio per le rilevate analogie tra il Codice Teodosiano e le singole costituzioni (tra cui in particolare – a causa del coinvolgimento del senato – le orationes principis ad senatum missae), l’attenzione andrà focalizzata in primo luogo sulla procedura di emanazione di tali costituzioni e, per lo stesso proposito, sul coordinamento tra la volontà del principe e quella del senato70. Pur non consentendo i limiti della presente trattazione di ripercorrere l’intera evoluzione che il senatusconsultum conobbe in età imperiale (e, in particolare, quella dei suoi rapporti con l’oratio principis)71, appare tuttavia opportuno fare alcune precisazioni anche a tal proposito. Recenti studi72 hanno analizzato, tra varie altre cose, la procedura di formazione, in età tardoantica, di quella particolare forma di costituzione che è l’oratio principis, considerata soprattutto nella dinamica dei rapporti imperatore-senato. Nata come un effettivo discorso – a contenuto però normativo – che l’imperatore teneva dinanzi ai senatori, sia pure probabilmente leggendone il testo scritto, essa aveva lo scopo di sollecitare una pronuncia senatoria che ne recepisse il contenuto. Il provvedimento emesso, pur contenendo statuizioni volute dall’imperatore, assumeva in origine la veste formale di senatoconsulto. Donde, a sua volta, segue che originariamente l’oratio non aveva di per sé valore normativo, necessitando comunque di un’approvazione senatoria e di una recezione all’interno di una formale risoluzione dell’assemblea. In età tardoantica, avendo l’imperatore accentrato su di sé il potere di normazione, i rapporti di potere tra questi e il senato si presentano sbilanciati decisamente a favore del primo, comportando per il senato – in particolare quello ___________ 70 Si veda a questo proposito l’interessante contributo di Garbarino, Appunti sulla conferma cit., pp. 505-544. 71 Conserva ancora la sua validità l’ampia voce enciclopedica di Volterra dedicata al senatus consultum (E. Volterra, s.v. senatus consulta, NNDI XVI, pp. 1047-1078). Sull’evoluzione, durante il Principato, del rapporto formale tra senatusconsultum e oratio principis, nonché sulla progressiva autonomia di quest’ultimo provvedimento, si vedano anche gli studi condotti da D.A. Musca, Da Traiano a Settimio Severo: «senatusconsultum» o «oratio principis»?, Labeo 31 (1985) pp. 7-46. 72 Garbarino, Appunti sulla conferma cit., p. 530 ss. e, da ultimo, Wetzler, Rechtsstaat und Absolutismus cit., passim.

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romano73 – la perdita quasi completa, o comunque una forte compressione, della sua originaria autonomia decisionale. E, in questo quadro, l’oratio prese il sopravvento sul senatusconsultum, che si limitava ormai a recepirne pressoché passivamente il contenuto, in modo che in primo piano non stava più il decreto senatorio, sia pure pienamente adesivo alla volontà imperiale, bensì la stessa oratio, a cui il senato si limitava a dare la propria – per lo più scontata – approvazione. Una tale forma di costituzione, a cui gli imperatori ricorreranno sempre più di rado, è ancora collocata da Valentiniano III nel 426 – forse più come segno di formale rispetto nei confronti del senato74 – al primo posto tra i provvedimenti imperiali di natura generale75. Ma sta di fatto che non era più l’imperatore a tenere personalmente in senato la propria oratio, bensì più spesso un funzionario dell’amministrazione imperiale, che si limitava a leggere (legere, relegere o recitare), dinanzi ai senatori riuniti, il testo della costituzione data dalla cancelleria imperiale, portando così l’assemblea a conoscenza della volontà del sovrano. E però alla lettura del testo seguiva comunque, forse preceduta da un dibattito76, l’approvazione senatoria, espressa per lo più mediante adclamationes. A conclusione della seduta, gli atti ad essa relativi venivano poi inviati dal praefectus urbi all’imperatore. Certo, il senato non era sempre soltanto spettatore passivo, ma poteva anche interloquire con l’imperatore, facendo presenti proprie esigenze e avanzando precise richieste. Ma queste ultime, non potendo direttamente assumere la veste di pronuncia senatoria autonoma, sarebbero state raccolte dal praefectus urbi e portate a conoscenza dell’imperatore mediante una relatio77. E, solo se l’avesse ___________ 73 Il senato costantinopolitano, una creazione di Costantino, non conobbe mai una vera e propria autonomia rispetto alla volontà imperiale. 74 Va posto in risalto che la costituzione del 7 novembre 426 è uno dei primi provvedimenti assunti da Valentiniano, da poco salito sul trono, e che per questo potrebbe avere, oltre ad un contenuto fortemente pratico, anche una certa connotazione ideologica, forse un messaggio tranquillizzante rivolto all’aristocrazia senatoria. 75 CI. 1.14.3: Leges ut generales ab omnibus aequabiliter in posterum observentur, quae vel missa ad venerabilem coetum oratione conduntur. 76 Sebbene la compatta serie di acclamazioni senatorie riportate nei Gesta senatus suggerisca una visione del senato quale coro uniformemente piegato ai voleri del princeps, alcune fonti testimonierebbero invece del fatto che, ancora nel V sec., in seno all’assemblea senatoria c’era spazio per interventi personali. E’ il caso di un epitafio sepolcrale in distici elegiaci, databile intorno al 475, in onore di un senatore gallico (forse quel Magnus ricordato da Sidonio Apollinare, come ipotizzato da Tantillo), del quale appare celebrata, tra l’altro, l’eloquenza mostrata nella Curia: Hic iacet ingenio celsus, celeberrimus ore / quem titulis veterum iungere iure queas / conspicuam cuius suspexit curia linguam / omnia conplevit scrinia grandilocus / (…) te fora te cuncti te Magnum curia quaerit / privatam eloquio se dolet esse tuo (cfr. I. Tantillo, Un senatore gallico del V secolo d.C., Epigraphica 61 [1999] pp. 267-276). 77 Ricordiamo che nella costituzione di Valentiniano III del 426 vengono indicate, quali possibili occasiones legis, oltre allo spontaneus motus dell’imperatore, anche la relatio, la precatio e la lis mota (CI. 1.14.3). Nasce, ad esempio, sicuramente da una

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ritenuto opportuno, l’imperatore avrebbe legiferato in merito78, inviando poi l’oratio al senato per ottenerne la formale approvazione79. Sembrerebbe inoltre che, a volte, la pronuncia senatoria non avesse valore autonomo, ma necessitasse di un ulteriore provvedimento di conferma (nonché, probabilmente, di controllo sul contenuto del decreto senatorio) da parte dell’imperatore, che veniva così ad attribuire validità al senatoconsulto80. Bisogna tuttavia riconoscere che questo ulteriore passaggio è attestato nelle fonti solo in determinate occasioni, e che quindi non può essere considerato come facente parte della 'procedura ordinaria'81. Poteva il risultato di questo processo ritenersi ancora un decreto senatorio? Era ancora considerata l’approvazione senatoria un requisito di validità di questa forma di costituzione? Da un lato non si può negare che le orationes principis – per la verità sempre più rare – necessitassero pur sempre di un’approvazione formale da parte del senato, per quanto scontata essa potesse essere. D’altro lato, però, la dottrina è concorde nel ritenere che ormai, quantomeno nel V secolo, la recitatio in senato di una costituzione in forma di oratio principis non doveva essere niente di più che una forma di pubblicazione della costituzione stessa82, e che la conseguente pronuncia del senato, pur con ___________ richiesta senatoria la Relatio 3 di Simmaco, volta ad ottenere il ripristino dell’Ara della Vittoria nella Curia. Lo stesso Simmaco afferma, rivolgendosi all’imperatore, che praefecturae urbanae proprium negotium est senatorum iura tutari (Symm., Rel. 48.1). 78 Il testo di alcune costituzioni inviate ad senatum lascia intendere che l’imperatore stesse rispondendo, accogliendole, a delle richieste ben precise avanzate appunto dal senato. Si veda, ad es., anche CTh. 6.4.8 (a. 356), con la quale Costanzo confermò il potere dei senatori di nominare i pretori: Hac lege sancimus arbitrio ves[tro no]minationes solitas fieri usurpatione iudic[um cessan]te; nonché CTh. 7.8.1, 11.15.1 e 15.1.7, sempre di Costanzo (a. 361); 10.10.33, di Valentiniano III (a. 426). 79 Cfr. su questi temi ancora Garbarino, Appunti sulla conferma cit., p. 507 s. 80 Come sembrerebbe attestare la Relatio 8 di Simmaco. 81 Garbarino, Appunti sulla conferma cit., p. 534, arriva difatti a distinguere le due procedure. Anche in una costituzione del 326, inviata da Costantino al senato (CTh. 15.14.4), emerge la necessità di una comprobatio imperiale di un provvedimento senatorio: quest’ultimo però non appare consistere nell’approvazione di una oratio principis, bensì in una decisione (relativamente) autonoma del senato, a cui l’imperatore aveva demandato il compito di esaminare e giudicare sui casi di membri appartenenti all’ordine senatorio che ne erano stati esclusi in base ad un provvedimento del tyrannus (e quindi illegittimo), e che chiedevano ora la restitutio natalium. E anche nel caso riflesso nella Relatio 8 di Simmaco emerge che gli imperatori avevano demandato al senato la fissazione, sembrerebbe in modo autonomo, di una regolamentazione (tra le varie cose, anche della procedura di discussione e votazione da adottarsi in seno alle assemblee senatorie) a completamento dell’oratio imperiale inviata al senato stesso (ea, quae serenitas vestra patribus deliberanda legavit). Si vedano anche CTh. 6.4.21; 6.2.15; 6.24.11. Tutti questi casi sembrerebbero essere accomunati dalla presenza a monte di una sorta di 'delega' attribuita dall’imperatore al senato. 82 Cfr. Mommsen, Proleg. cit., p. CLIV: "Legis ad senatum datae in senatu recitatio cum locum promulgationis obtineat, eiusmodi leges non proponuntur". Ciò non è

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servando la forma di approvazione, non avesse in realtà più nessuna valenza sostanziale. Alla luce delle considerazioni appena svolte, torniamo ora agli interrogativi inizialmente posti, per cercare di dare loro una risposta. - Ha il senato romano manifestato, nella circostanza esaminata, una 'propria' volontà? L’analisi delle adclamationes più sopra condotta suggerirebbe una risposta affermativa: accanto ai vota celebrativi e augurali venne espressa nelle acclamazioni senatorie una serie di misure chiaramente dispositive. - Si è trattato di una volontà autonoma? A proposito della seduta del 438, la dottrina è abbastanza concorde nel ricondurre senz’altro alla libera determinazione del senato le disposizioni espresse nelle adclamationes. Ma, a nostro giudizio, ciò contrasterebbe nettamente con quanto generalmente – e a ragione – si sostiene circa la mancanza quasi totale di autonomia decisionale, quantomeno in età tardoantica, da parte del senato83. Un tale assunto apparirebbe inoltre stridere, più in generale, con la configurazione della dinamica dei rapporti senato-imperatore per come più sopra brevemente delineata. Nei riguardi di provvedimenti imperiali, mediante adclamationes il senato poteva solamente approvare, non statuire autonomamente. L’unica eccezione a questo principio è costituita dal caso in cui l’imperatore avesse delegato al senato la decisione su aspetti determinati: solo allora quest’ultimo avrebbe potuto assumere deliberazioni relativamente autonome (e comunque nei limiti predefiniti dalla delega), ma, in tal caso, queste sarebbero state comunque bisognose di ulteriore approvazione da parte dell’imperatore84. Se nell’occasione in esame il senato ha espresso, da un punto di vista formale, una propria volontà, questa non poteva ___________ tuttavia sempre vero, come sembrerebbe potersi arguire, per esempio, da una costituzione inviata nel 533 da Athalarico al senato romano (Cassiod., Variae 9.19.3: Haec in coetus vestri splendore recitentur et per triginta dies praefectus urbis locis celeberrimis faciat sollemni more proponi). 83 Con ciò non si vuole negare che a tale organo fosse stata lasciata una certa – sia pure molto ridotta – sfera di competenza, sulla quale questi potesse autonomamente deliberare. Da tale sfera era però stata esclusa qualsiasi attività legislativa autonoma. 84 Garbarino pone in evidenza appunto la "sostanziale novità nel quadro costituzionale tardo-imperiale" costituita dalla "partecipazione del senato all’attività legislativa in maniera, almeno apparentemente, diretta e immediata, attraverso l’uso del senatus consultum sottoposto alla conferma imperiale". In questo "uso, per così dire 'rinnovato', del senatus consultum" l’Autore ravvisa un "mezzo… per coinvolgere politicamente il senato romano", il quale viene dall’imperatore reinvestito "di una propria indipendenza decisionale (sia pure meramente 'di facciata')" (Garbarino, Appunti sulla conferma cit., p. 528). L’Autore precisa però che "al sovrano è infatti riservata l’approvazione definitiva delle decisioni senatoriali, queste anzi rimangono allo stato di semplici placita fino a quando non siano approvate dall’imperatore" (p. 530). Nei confronti della successiva costituzione imperiale di conferma, quindi, "il senatus consultum è da considerarsi un mero precedente di fatto, sia pure un precedente 'politicamente' rilevante" (p. 532).

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che essere in stretta dipendenza da quella (manifestata forse attraverso una oratio) dell’imperatore. Con ciò si vuol intendere che, a monte di ogni decisione del senato, non poteva che esservi un provvedimento imperiale di autorizzazione. - Ha avuto tale manifestazione di volontà ad oggetto il Codice Teodosiano (in senso lato)? Indubbiamente sì: è lui il protagonista della seduta in questione. - Quale sarebbe stato il contenuto di tale determinazione? Per rispondere a questa domanda, bisogna ancora una volta tenere presenti le disposizioni espresse nelle adclamationes. Queste ultime, come è stato messo in risalto dalla dottrina, si riferiscono direttamente a un aspetto ben preciso (e residuale) della compilazione, e cioè alle modalità di riproduzione e diffusione delle copie in forma autentica del Codice nell’impero d’Occidente85. Del Codice viene qui esaltato particolarmente il suo aspetto di documento, di prodotto della cancelleria imperiale. In nessuna delle disposizioni contenute nelle adclamationes riportate nei Gesta è ravvisabile un’approvazione del Codice Teodosiano; anzi, riteniamo che le misure in esse riflesse ne presuppongano già la validità. E pertanto, qualora si voglia ravvisare nelle acclamazioni un’approvazione senatoria, essa sembrerebbe aver avuto ad oggetto non il Codice in sé considerato, bensì, come ci sembra di poter intravedere, delle misure, a nostro avviso imperiali, che sembrerebbero riguardare in particolare l’aspetto delle modalità di riproduzione e diffusione del Codice stesso; forse un provvedimento che sarebbe stato fatto oggetto di recitatio in quella sede, oppure che potrebbe aver costituito la 'trama' sulla quale si sarebbero poi sviluppate le concise adclamationes. - Ma se davvero le adclamationes dei senatori costituirono una forma di approvazione, non già del Codice, bensì di un preciso provvedimento imperiale avente ad oggetto le modalità di riproduzione e diffusione del Codice stesso, può affermarsi che esse abbiano dato origine a un formale senatoconsulto? Sembrerebbe di sì: l’approvazione mediante adclamationes, sia pure di una oratio principis, conduce comunque alla produzione formale di un decreto senatorio. Ciò sembrerebbe confermato dalle parole dello stesso Valentiniano III, il quale, qualche anno più tardi, nel riferirsi alla circostanza in esame, affermò che quod invictissimus princeps [cioè Teodosio II] … in custodiendi Theodosiani codicis observatione praecepit, a senatu diligentia maiore munitum, ribadendo che il praefectus urbi era particolarmente tenuto ad osservare quod pro omnium cautela decrevit senatus86. Da queste frasi emerge che, nell’occasione, ___________ 85 In questo senso già Mommsen, Proleg. cit., p. XI: "Faustus… exemplar sibi traditum senatui urbis Romae intimavit, … ut senatus… acciperet et de exemplaribus conficiendis et edendis caveret"; Jörs, s.v. Codex Theodosianus cit., col. 172: "Die… erhaltenen Verhandlungen des römischen Senats… beziehen sich auf die Aufbewahrung und Verbreitung des Gesetzbuches". 86 Constitutio de constitutionariis.

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sulla base di una praeceptio imperiale e a sua conferma, ebbe formalmente luogo un decreto senatorio, il quale avrebbe avuto ad oggetto in particolare le misure di custodia e, conseguentemente, di riproduzione e diffusione delle copie in forma autentica del Codice, misure che avrebbero conferito alle stesse (e ai loro utenti) sicurezza circa l’attendibilità del contenuto. Non essendovi nessun cenno a un’ulteriore conferma imperiale del senatoconsulto (e di certo la costituzione di Valentiniano III, emessa cinque anni più tardi, non poteva aver svolto questa funzione)87, si deve pensare che il senato non abbia deliberato in autonomia (sia pure nei limiti imposti da una eventuale delega imperiale). Per concludere, in nessun punto dei Gesta senatus emerge un’approvazione formale del Codice Teodosiano da parte del senato romano. Se consenso nei confronti della compilazione orientale vi fu, esso dovette avere una connotazione prettamente politica, ininfluente comunque ai fini dell’acquisto di validità normativa da parte del Codice, validità che questo attingeva già, molto probabilmente, da un’approvazione in termini di receptio, da parte dell’imperatore d’Occidente, della costituzione orientale di confirmatio del febbraio 438. Le adclamationes avrebbero sì espresso una determinazione senatoria, ma questa si è probabilmente configurata non come propositiva in via autonoma, bensì come puramente confermativa: se, quindi, il senato ha espresso una propria approvazione, questa dev’essere stata rivolta non al Codice, bensì ad un provvedimento specifico (verosimilmente una oratio principis), che ha forse costituito anch’esso oggetto di lettura dinanzi all’assemblea, sebbene il suo testo non risulti conservato nei Gesta per come pervenuti fino a noi. 3. Pubblicazione Passiamo ora a considerare la tesi che, sostenuta da Mommsen, ha ricevuto da allora in poi i maggiori consensi, e anzi non è stata più messa in discussione: cioè che la cerimonia senatoria del 438 abbia avuto come scopo la pubblicazione del Codice Teodosiano in Occidente. Anche un tale assunto si basa su un’analogia tra compilazione imperiale e singola oratio principis: come la lettura di quest’ultima in senato ne costituiva una forma di pubblicazione, altrettale funzione avrebbe avuto la presentazione del Codice dinanzi all’assemblea ___________ 87 Di diverso avviso sembrerebbe Sirks, secondo cui tale costituzione "established the exclusive authority of the constitutionarii to issue copies of the Theodosian Code, just as the senatus consultum had done, but now by general rule (lex generalis)". Secondo l’Autore, infatti, "Similarly, any other decision by the Senate in that senatus consultum (e.g. a confirmation of the Code) would have required imperial confirmation to be a lex generalis" (Sirks, From the Theodosian cit., p. 279; cfr. anche Observations [1985] cit., p. 28).

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senatoria88. In quest’unico atto sarebbe quindi consistita – e si sarebbe anzi esaurita – la pubblicazione ufficiale della compilazione normativa. Se questa interpretazione appare essere la più aderente alla realtà amministrativa del V sec. d.C. e alle dinamiche che caratterizzano la produzione e pubblicazione delle costituzioni imperiali, essa non sembra tuttavia considerare fino in fondo tutte le implicazioni che la pubblicazione di un’opera così nuova e diversa doveva necessariamente comportare. Ma anche in questo caso è necessario porsi preliminarmente alcuni interrogativi. Anzitutto, necessitava il Codice Teodosiano di una ufficiale pubblicazione, al pari di qualsiasi altra costituzione? E, per il caso affermativo, quali le forme che questa pubblicazione avrebbe dovuto assumere, tenuto conto delle peculiarità del 'provvedimento'? Poteva essere sufficiente a tal scopo la sola presenza della codificazione in senato? Torniamo, per questo aspetto, alla disamina della fonte. Secondo quanto esposto dallo stesso Fausto, una volta giunto in Italia egli avrebbe dovuto, per espressa disposizione di Teodosio II, portare a conoscenza (offerre notioni) del senato di Roma la raccolta normativa imperiale (alla quale sembra alludere l’espressione provisionem suam). Appare quindi necessario analizzare per prima cosa il significato di offerre provisionem alla notio del senato. Quanto al termine provisio, esso ha, nel linguaggio della cancelleria imperiale, prevalentemente il significato tecnico di 'costituzione imperiale'89, indicando quindi un singolo provvedimento. Si deve allora ritenere che, in questo caso, la stessa parola sia stata usata in senso figurato ed estensivo, per indicare l’intera codificazione, considerata nel suo insieme alla stregua di un unico provvedimento di Teodosio. Sarebbe stato questo il 'provvedimento' da portare a conoscenza dei senatori romani (notioni senatus). Ma può ravvisarsi in tale prescritta attività una formale 'pubblicazione' della codificazione? Nella terminologia ufficiale della cancelleria imperiale è, difatti, piuttosto il termine notitia, assieme al corrispondente verbo innotescere (oppu ___________ 88

Esplicito Garbarino: "lo stesso Codex Theodosianus venne pubblicato in Occidente – attraverso la seduta di cui i Gesta senatus costituiscono i verbali – con procedura in qualche misura comparabile con quella di emanazione delle orationes missae ad venerabilem coetum" (P. Garbarino, Ricerche sulla procedura di ammissione al senato nel tardo impero romano [Milano 1988] p. 178 nt. 194). 89 Attraverso le stesse costituzioni conservate nel Codice Teodosiano è possibile riscontrare che, nel linguaggio della cancelleria imperiale, il termine provisio (qualificata come nostra, imperatoria o generalis) è usato in questa accezione sin dai tempi di Costantino (cfr. ad es. CTh. 3.17.1; 6.4.21.6; 7.15.1; 9.42.14; 11.1.35; 11.2.2; 11.7.2; 14.1.1), accezione che conserva ancora nelle costituzioni emanate dopo il 438 (ad es. NTh. 3.6; 7.3; 17.1 pr; 22.2.11; 23 pr.; 25 pr.; 26 pr.; NVal. 1.3.4; 10.4; 29.2; NMaior. 7.3). Talvolta però questo termine può avere anche il significato di 'editto del magistrato', a seconda del contesto in cui è adoperato.

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re l’espressione equivalente in notitiam alicuius facere pervenire)90 a designare in genere l’atto di pubblicazione di un provvedimento normativo. In questa accezione l’uso di tali termini è (quantomeno nelle fonti pervenuteci) piuttosto univoco, presentando le formule di pubblicazione soltanto leggere variazioni, in relazione alle modalità da adottare e all’ampiezza della pubblicazione stessa. Anche le orationes principis venivano portate, mediante la lettura dinanzi all’assemblea senatoria, ad notitiam senatus91. E però, come appena visto, non è del tutto esatto affermare che anche in tal caso si configurasse una 'formale' pubblicazione dell’oratio, dal momento che lo scopo di tale lettura era quello di ottenere un senatoconsulto, cioè un formale provvedimento di approvazione (sia pure privo di ogni valore autonomo) da parte del senato, provvedimento che avrebbe poi a sua volta potuto costituire oggetto, assieme alla costituzione, di autonoma pubblicazione92. ___________ 90 Come può rilevarsi, ad esempio, in alcune costituzioni conservate nel Teodosiano (ad es. CTh. 6.23.4; 8.7.23; 13.5.26), nelle Sirm. 9 e 14 e nella maggior parte delle Novellae post-teodosiane, il cui testo ci è pervenuto integralmente o, comunque, comprensivo di escatocollo. Quest’ultimo presenta solitamente una clausola finale contenente l’ordine, rivolto all’ufficiale destinatario della costituzione stessa, di provvedere alla sua pubblicazione, che poteva realizzarsi mediante ulteriore inoltro del testo a singoli ufficiali subordinati, oppure mediante pubblica diffusione in determinate province o verso categorie più ampie di interessati: in tal caso detto ordine era generalmente espresso con la seguente formula: Inlustris et magnifica auctoritas tua… edictis propositis ad omnium notitiam faciat pervenire (o perferri praecipiat), con leggere varianti. Più raramente viene invece usato il verbo publicare. L’aspetto della pubblicazione (modalità e funzioni) delle costituzioni imperiali – particolarmente di quelle di Valentiniano III – in età tardoantica è stato studiato anche da M. Bianchi Fossati Vanzetti, Le Novelle di Valentiniano III. I. Fonti (Padova 1988) p. 46 ss. 91 Cfr. ad es. NMaior. 1 ad senatum (a. 458): Puto instituti nostri vobis inesse notitiam; Cassiod., Variae 9.16.2, riporta una costituzione di Athalarico (a. 533) inviata al praefectus urbi Salvenzio, al quale viene ordinato: hoc vos ad notitiam senatus et Romani populi volumus sine aliqua dilatione perducere. Il termine notitia compare anche in un’altra disposizione di Teodorico inviata al senato (a. 510/511): Quapropter ordinationes nostras ad vestram facimus notitiam pervenire (Cassiod., Variae 3.31.2). 92 Sebbene nel provvedimento di Teodorico appena citato il senato e il popolo siano posti apparentemente sullo stesso piano, cosa che potrebbe indurre a ritenere che quello impartito sia per entrambi i casi un ordine di pubblicazione, in quello di Athalarico, nella previsione relativa alle modalità di diffusione del provvedimento – del quale egli vuole sia garantita la più ampia conoscibilità – si accenna chiaramente ad un’approvazione senatoria dello stesso, espressa in forma di senatoconsulto, il cui testo avrebbe dovuto essere pubblicato assieme a quello della costituzione: Verum ut principale beneficium et praesentibus haereat saeculis et futuris, tam definita nostra quam senatus consulta tabulis marmoreis praecipimus decenter incidi et ante atrium beati Petri apostoli in testimonium publicum collocari, motivando così la scelta del luogo di pubblicazione: dignus enim locus est, qui et gloriosam mercedem nostram et senatus amplissimi laudabilia decreta contineat (di nuovo un accenno ai decreta senatorii: Cassiod., Variae 9.16.2). Riferimenti ad un assensus del senato verso un provvedimento imperiale anche in un provvedimento di Teodorico (a. 507 ca.) inviato al

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Il termine notitia viene inoltre usato ad indicare, anziché una formale pubblicazione di atti normativi, una più generica 'presa ufficiale di conoscenza' di atti da parte dell’imperatore o dei suoi funzionari (pervenire ad notitiam imperatoris o aliorum officiorum)93. Diverso appare invece essere il significato del termine notio94. Esso trova più frequente impiego in ambito giurisdizionale, a indicare la cognizione di una causa da parte del giusdicente, accezione che nel caso presente può essere tranquillamente esclusa. Ma tale termine sembra anche indicare più genericamente la 'conoscenza' di un provvedimento, la quale può, ad esempio, conseguire alla (ma non sostanziarsi nella) sua pubblicazione95. Quale atto è allora rappresentato dall’offerre notioni senatus? Si tratta effettivamente di una formale pubblicazione? Di certo l’imperatore vuole che il senato venga a conoscenza della sua opera codificatoria, che veda il risultato tangibile del lavoro della commissione costantinopolitana, che partecipi (sia pure solo formalmente) all’eccezionale impresa di riordino delle fonti normative. In tal senso può quindi parlarsi di una 'pubblicazione' del Codice dinanzi al senato romano. Tuttavia, non si vede come la pubblicazione del Teodosiano possa essersi esaurita unicamente in tale cerimonia. Occorre a questo punto interrogarsi su finalità ed effetti della pubblicazione di un atto normativo. Scopo della stessa è quello di rendere un provvedimento conoscibile: ciò attribuisce certezza al diritto, consentendo di esercitare su di esso un controllo. I destinatari vengono posti nella condizione di poterne prendere cognizione e, quindi, da un lato di poterlo applicare, dall’altro di poterne osservare effettivamente i precetti statuiti. L’esigenza della pubblicità degli atti normativi non solo appartiene da secoli alla tradizione giuridica romana, ma è espressamente ribadita come viva ancora in età tardoantica, come arguibile dal sempre valido principio ignorantia legis non excusat96. La pubblicità, com’è noto, può tuttavia mirare a garantire soltanto la conoscibilità di un provvedimento, non già la sua effettiva conoscenza, dal momento che quest’ultima non potrà mai essere raggiunta pienamente per mezzo di alcuna forma di pubblica

___________ senato (Cassiod., Variae 1.4.18: et ideo, patres conscripti, quia vobis est commodus honor bonorum et iudicium nostrum vester comitatur assensus). 93 Ad es. CTh. 1.6.11; 6.4.15; 6.4.27. 94 Che è la lezione manoscritta, e sulla quale potrebbero comunque gravare sospetti di corruzione testuale. 95 Si veda, ad es., la formula di publicatio della NAnth. 2.1: Inlustris igitur et praecelsa magnificentia tua venerabilia constituta propositis divulgabit edictis, ut nullius praetereat notionem, quod in aeternum valere serenitas nostra decrevit. 96 Cfr. ad es. CTh. 2.27.1; NVal. 6.1.

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zione. Secondo taluni, poi, alla pubblicazione di un provvedimento normativo sarebbe da ricondursi anche un 'effetto costitutivo'97. Alla domanda se il Codice Teodosiano necessitasse di una pubblicazione ritengo possa darsi tranquillamente una risposta affermativa: e ciò non soltanto perché anche per questo aspetto esso presenta delle analogie con la singola costituzione imperiale, ma anche, e soprattutto, perché la sua divulgazione era uno degli scopi principali che Teodosio si era prefisso: accanto alla stabilizzazione di un testo certo, l’imperatore voleva davvero rendere effettivamente conoscibili i provvedimenti imperiali, trarli fuori dal 'carcere tenebroso' degli archivi, fugare definitivamente la caligine che li avvolgeva, illuminare le tenebre dell’ignoranza98, mostrare a tutti sequenda vitandaque99. In questo caso più che mai la pubblicazione non doveva considerarsi una mera, sia pure necessaria, formalità, ma l’atto per mezzo del quale avrebbe potuto essere raggiunta una delle finalità che avevano animato la realizzazione della compilazione stessa. Del Codice Teodosiano l’imperatore voleva garantire un’effettiva diffusione, una conoscibilità non soltanto in via teorica, ma quanto più estesa di fatto. Detto ciò, poteva la mera presenza fisica del Codice dinanzi al gruppo ristretto dei senatori romani e di alcuni alti magistrati assicurargli quella conoscibilità nella misura immaginata dall’imperatore? A mio avviso la presentazione in senato non può aver raggiunto, essa sola, l’obiettivo appena descritto: la pubblicazione sarebbe stata incompleta. Questa presentazione doveva in ___________ 97 F. v. Schwind, Zur Frage der Publikation im römischen Recht (München 1940) p. 69; 90-92; 106-110. L’Autore osserva, ad esempio, che è solitamente dalla data di pubblicazione che iniziano a decorrere i termini eventualmente previsti in un provvedimento normativo. Per riferimenti specifici al Codex Theodosianus v. alle pp. 177-180. In disaccordo con Schwind è la Bianchi Fossati Vanzetti, che, nel suo studio dedicato alle Novelle di Valentiniano III, ha esaminato anche la questione della funzione della pubblicazione, oltre a quella delle sue possibili modalità, concludendo (sulla stessa linea già di Gaudemet) che "la legge è esistente ed efficace con il momento della datio: gli interessati, funzionari o privati cittadini, la conosceranno nei modi e nei tempi permessi dalle circostanze" (Bianchi Fossati Vanzetti, Le Novelle cit., pp. 59-67 e spec. p. 66). L’Autrice riconosce però anche la possibilità che fosse l’imperatore a stabilire espressamente la data di entrata in vigore di una legge, adducendo quale 'esempio illustre' proprio il Codice Teodosiano. Favorevole alla tesi tradizionale invece Sirks (From the Theodosian cit., p. 269 nt. 7: "In view of the emphasis always given to publication, it is better to assume that it was a indispensable requirement for validity"). 98 La NTh. 1 è in tal senso più che esplicita. Lo stesso Teodosio viene celebrato nelle fonti posteriori come colui che Iustitia insultat, vitiisque a stirpe recisis / Elicit oppressas tenebroso e carcere leges (Claudian., In Rufinum I, pur confondendo Teodosio II con Teodosio I). 99 Questo era uno dei principali intendimenti mostrati nella costituzione programmatica del 429 (CTh. 1.1.5), sia pure riferito al programmato – e non realizzato – codex magisterium vitae. Ma ancora dinanzi allo stesso senato Fausto dichiara che il proposito dell’imperatore era quello di far realizzare una raccolta che contenesse sequenda per orbem (Gesta 2).

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Capitolo quarto: L’oggetto della seduta senatoria

realtà rappresentare il primo atto (in quanto da compiersi inter prima) di una diffusione ben più ampia (per orbem … dirigendos). Non dobbiamo difatti lasciarci condizionare dagli schemi moderni, in base ai quali la pubblicazione va individuata (e si esaurisce) in un singolo e ben preciso atto. E’ risaputo che della realtà costituzionale tardoantica non sono ancora ben conosciuti tutti gli aspetti; e, quanto alla pubblicazione dei provvedimenti normativi, pur essendo questa un atto fondamentale, risulta essere ancora "non chiar[a], né nei suoi modi, né nelle sue finalità"100. Inoltre, difficilmente le normali forme e modalità di pubblicazione fino ad allora conosciute e utilizzate avrebbero potuto essere adottate per il Codice Teodosiano, perlomeno non senza opportuni adattamenti. E allora, più che a un singolo 'atto' ritengo si debba pensare a un 'procedimento' o 'atto complesso' di pubblicazione. E comunque non v’è dubbio che le modalità di pubblicazione di un provvedimento imperiale fossero più in generale determinate dall’imperatore stesso101. Come si vedrà, per provvedimenti ritenuti di importanza generale questi poteva configurare in via eccezionale una procedura 'rafforzata', una sorta di 'doppia pubblicazione' o, meglio, una pubblicazione articolantesi in più fasi, al fine di garantire alle disposizioni ivi contenute la più ampia conoscibilità. Tale procedura poteva coinvolgere contemporaneamente tanto il senato (mediante recitatio del provvedimento dinanzi all’assemblea riunita) quanto il popolo (solitamente per mezzo di pubblica propositio dello stesso provvedimento o dei gesta nei quali questo era stato insinuato). E forse ad analogo principio può essere stata ispirata la procedura di pubblicazione adottata nel caso della compilazione orientale, della quale non può certo essere messa in dubbio l’importanza. Ma allora, a quali forme si sarebbe dovuti ricorrere per pubblicare quella che è, non va dimenticato, la prima raccolta ufficiale, in forma di codice, di costituzioni imperiali, in tal senso un’assoluta novità? Per rispondere a questa domanda bisogna riflettere principalmente su un aspetto: il Codex Theodosianus è un libro. Non si entrerà nel merito della discussione intorno all’uso più o meno tecnico, più o meno ufficiale, del termine codex ad indicare, come dai più si ritiene, quella particolare opera rappresentata dalla raccolta di costituzioni imperiali. Il fatto che il Codice Teodosiano sia fisicamente un libro implica però che l’analogia, sotto l’aspetto teorico, con il singolo provvedimento imperiale deve arrestarsi di fronte al dato pratico, e che l’analisi deve quindi tener conto anche ___________ 100

Bianchi Fossati Vanzetti, Le Novelle cit., p. 47. Alcune costituzioni contenevano spesso nell’escatocollo, oltre all’ordine di pubblicazione, anche le modalità per la realizzazione della stessa, particolarmente quando si discostavano dalla procedura solitamente in uso: si veda ad es. Nov. Iust. 1 epil.; Nov. Iust. 17. Disposizioni particolari potevano essere previste, sempre dall’imperatore, anche per l’editio, cioè per il rilascio di copie da parte delle cancellerie accipienti in cui le costituzioni venivano conservate, come testimoniato, ad es., da Nov. Iust. 105.2.4. 101

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del suo aspetto materiale di 'libro-contenitore'. Da ciò discenderebbe che nessuna delle forme di pubblicazione tipiche delle costituzioni imperiali potesse essere in questo caso applicata tout court: la novità e la natura dell’opera devono aver reso necessaria la creazione di una procedura di pubblicazione diversa e più complessa, pur senza troppo discostarsi, quanto ai singoli passaggi, dalle forme tradizionali. Una fonte ricorda l’anno 438 d.C. come quello in cui il Codice Teodosiano venne per la prima volta editus102. Sembrerebbe essere quindi l’editio dello stesso ad essere posta in primo piano. E col termine editio, oltre a significare l’atto di realizzazione e consegna, da parte di una cancelleria, di copie di documenti ivi conservati, si definiva anche la modalità di divulgazione propria dei libri. E a ben guardare, in questo caso è proprio l’editio a realizzare l’effettiva divulgazione del codice, a renderlo conoscibile, a svolgere, insomma, la stessa funzione delle consuete forme di pubblicazione di una costituzione. Il termine editio viene così ad acquistare una doppia valenza. Ed è proprio la procedura di editio che appare essere stata curata nei dettagli e, soprattutto, affidata a organi dell’amministrazione imperiale, sì da conferirle carattere di ufficialità. Sono infatti i constitutionarii ad avere, tra gli altri compiti, anche quello di edere populis103 le copie in forma autentica del Codice da loro realizzate (o comunque 'certificate' come tali). Attesa l’eccezionalità ed unicità dell’evento, l’imperatore potrebbe aver studiato e previsto una procedura di pubblicazione configurabile come atto complesso, avvalendosi delle forme già note ma combinandole in modo da costruire una procedura ad hoc, che tenesse conto delle peculiarità dell’insolito 'provvedimento normativo' e che, pur coinvolgendo il senato quale organo costituzionale di antichissima tradizione e di grande prestigio, prevedesse anche una fase di effettiva diffusione del testo, atta a garantirgli affidabilità e conoscibilità104. Vi sono in effetti, sia pure in fonti di età più tarda, alcuni riscontri dell’adozione di procedure eccezionali di pubblicazione, complesse e quindi 'rafforzate', previste dall’imperatore al fine di dare particolare risalto e diffusione a un provvedimento normativo. E’ il caso, ad esempio, della Nov. Iust. 17, con cui Giustiniano ripristinò il liber mandatorum (condensandolo ___________ 102 Chronica Gallica s.a. 438 d.C. (MGH AA 9: Chron. Min. I, p. 660): Theodosianus liber omnium legum legitimorum principum in unum conlatarum hoc primum anno editus. 103 Gesta 7: tertium vero constitutionarii… apud se edendum populis retinere iubeantur. 104 E, in effetti, di "procedimento di pubblicazione del Teodosiano", comprendente tutte le fasi di riproduzione degli esemplari in forma autentica dello stesso, parla anche Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 293.

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nella costituzione stessa): ai fini della pubblicazione della costituzione, l’imperatore ordinò che dapprima si facesse luogo alla convocazione, ad opera del governatore appena insediato, di un’assemblea solenne, con partecipazione di vescovo, clero e notabili della città, a cui lo stesso governatore avrebbe dovuto dare comunicazione orale dei provvedimenti imperiali105; a ciò avrebbe dovuto seguire la pubblica affissione dei relativi gesta (nei quali il testo della costituzione avrebbe dovuto essere insinuato) mediante programma, e ciò non solo nella metropoli dove aveva sede l’ufficio del governatore, bensì anche nelle altre città della provincia, alle quali la sua cancelleria avrebbero dovuto trasmettere delle copie106. Venne altresì prescritta la conservazione del liber mandatorum presso il governatore accipiente107. Ne possiamo argomentare che anche nel caso del Codice Teodosiano la presentazione in senato possa aver costituito solo una delle fasi, e più precisamente l’atto iniziale, di una procedura di pubblicazione più complessa, che avrebbe ricompreso anche la successiva fase di effettiva riproduzione e diffusione (implicante l’attività dei constitutionarii) delle copie in forma autentica. Non a caso la data di entrata in vigore del Codice è stata svincolata dalla pubblicazione di quest’ultimo, per essere definita piuttosto con un termine temporale ben preciso. La stessa ampia posticipazione, da parte di Teodosio II, del termine iniziale di entrata in vigore è chiaramente motivata dall’esigenza di consentire all’apparato preposto di realizzare più esemplari possibili, in modo da assicurarne per tempo la più ampia diffusione. 4. Altro Sulla base delle conclusioni a cui si è più sopra pervenuti, il senato romano non avrebbe quindi manifestato alcuna formale approvazione nei confronti del ___________ 105 A Sardi tale comunicazione non sarebbe consistita in una vera e propria recitatio, bensì in un discorso, tenuto dal governatore stesso, nel quale sarebbe stato sostanzialmente recepito il contenuto delle disposizioni imperiali. Secondo l’ipotesi di Buckler, in un’iscrizione ritrovata a Sardi sarebbe infatti da riconoscere una parte proprio di questo discorso (tratto dal processo verbale redatto in quell’occasione), qui tenuto dall’eparca della Lydia. In esso si rifletterebbero non solo le misure della Nov. Iust. 17, bensì anche quelle della Nov. Iust. 8 (anch’essa del 535 d.C.), che sarebbe stata qui pubblicata assieme alla prima (cfr. W.H. Buckler, Un discours de consulaire sous Justinien, Byzantion 6 [1931] pp. 365-370). 106 Nov. Iust. 17.16: [vers. lat.] Mox autem ut ingredieris provinciam, convocatis omnibus in metropoli constitutis (dicimus autem deo amabili episcopo et venerabili clero et nobilibus civitatis), insinuabit haec nostra sacra praecepta sub gestorum insinuatione, et propones exemplar eorum publice non solum in metropoli, sed in aliis provinciae civitatibus, transmittens ea per officiales tuos sine damno, ut omnes agnoscant in quibus suscepisti cingulum, et videant, si haec conservas. 107 Nov. Iust. 17.17: Haec conservata apud te.

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Codice Teodosiano (inteso, nel suo complesso, quale fonte normativa). Ciò non vuol dire, però, che il senato non possa aver approvato uno specifico provvedimento imperiale, che, oggetto forse di recitatio in quella sede (sebbene i Gesta pervenutici non ne conservino traccia di insinuatio, ma di ciò abbiamo già cercato di dare una possibile spiegazione), vi sarebbe stato così, al tempo stesso, pubblicato. Che una formale pubblicazione di un provvedimento (o addirittura più di uno) sia effettivamente avvenuta sembrerebbe emergere dalle parole pronunciate da Fausto al termine delle adclamationes: questi difatti, dopo aver ordinato l’insinuazione nei gesta di quae lecta sunt, dichiara di annoverare tra i beneficia imperiali hanc quoque partem, e cioè quod per me magnitudini vestrae ea, quae pro legibus suis statuere dignati sunt, intimarunt. Anche qui viene usata un’espressione tecnica: intimari senatui vuol dire infatti portare a conoscenza, e quindi pubblicare – solitamente per mezzo di un magistrato – un provvedimento dinanzi al senato108, mediante recitatio dello stesso. Nel presente caso, l’oggetto di tale pubblicazione sarebbero state ea, quae pro legibus suis statuere dignati sunt. Ci sembra però che i pronomi si riferiscano non tanto a ciò che è appena accaduto, bensì a ciò che il prefetto sta per esporre109, e quindi non alludano né alla costituzione appena letta né all’intero Codice, ma piuttosto a quelle ulteriori precise disposizioni che, ___________ 108 Terminologia ancora riscontrabile in un’epistola inviata nel 533 d.C. dal re ostrogoto Athalarico a papa Giovanni, con cui il sovrano assicura a quest’ultimo che avrebbe avuto cura di far dare ampia diffusione al testo della stessa. Dal canto suo, la cancelleria papale avrebbe dovuto invece provvedere a darne conoscenza a tutti i vescovi (orate ergo pro nobis edicta nostra custodientes… sed quo facilius principis votum universorum mentibus innotescat, hoc senatui, hoc populis per praefectum urbis praecipimus intimari, ut generalitas agnoscat… vos quoque hoc universis… episcopis intimate: Cassiod., Variae 9.15.11). E difatti, nella comunicazione contemporaneamente inviata al praefectus urbi, quest’ultimo viene invitato a procedere immediatamente alla pubblicazione del citato documento: hoc vos ad notitiam senatus et Romani populi volumus sine aliqua dilatione perducere, precisando che questa avrebbe dovuto riguardare non solo il testo dell’epistola regia, ma anche il senatoconsulto adottato in relazione ad essa (e quindi, probabilmente, i relativi gesta senatus): tam definita nostra quam senatus consulta tabulis marmoreis praecipimus decenter incidi et ante atrium beati Petri apostoli in testimonium publicum collocari (Cassiod., Variae 9.16.2-3). Cfr. Å. J. Fridh, Terminologie et formules dans les Variae de Cassiodore [Studia graeca et latina Gothoburgensia II] (Göteborg 1956) p. 162 ss. Non si può essere pertanto d’accordo con Sirks, che traduce l’espressione intimari senatui con un generico 'to make the senate familiar' (Sirks, Observations V [2007] cit., p. 141: "… that they have made through me your Magnitude familiar with these, which they have deigned to establish for (or: as) their laws"). 109 Possibilità adombrata – per essere però subito esclusa – anche da Sirks, Observations V (2007) cit., p. 141, che è portato a identificare invece nell’ea, quae… statuere dignati sunt i precetti della CTh. 1.1.5, traendo da ciò un’argomentazione per confermare la propria ipotesi relativa all’approvazione, da parte di Valentiniano III, del solo programma codificatorio.

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Capitolo quarto: L’oggetto della seduta senatoria

assunte dagli imperatori dopo la realizzazione della raccolta, Fausto sta passando a esporre e che riguardano più propriamente l’editio del Codice. E’ nell’espressione pro legibus suis che va probabilmente riconosciuto il Codice Teodosiano, inteso quale raccolta di leggi che, pur conservando ciascuna l’indicazione del proprio autore, avrebbero dovuto da quel momento in poi essere ascritte, nella loro globalità, agli attuali sovrani. Il Codice ultimato sarebbe stato quindi oggetto di disposizioni imperiali che sarebbero state in quella sede pubblicate – intimatae appunto – al senato, il quale a sua volta le avrebbe 'approvate' con acclamazioni110. Ci sembra che tali disposizioni concernano proprio le modalità di pubblicazione, e quindi di edizione, riproduzione e diffusione ufficiali della compilazione, modalità che sarebbero pertanto state stabilite dall’imperatore, recepite dal senato e formalizzate, attraverso le adclamationes, in un senatoconsulto111. La maggior parte degli studiosi è concorde nel ritenere che il senato di Roma abbia espresso, in modo autonomo e, soprattutto, originale, attraverso la serie di adclamationes che esamineremo più avanti, una propria volontà riguardo alla procedura di riproduzione ufficiale delle copie del Codice Teodosiano da diffondersi nella pars Occidentis. Si è dato quindi notevole risalto al fatto che sia stato il senato ad assumere disposizioni su un aspetto formale così ___________ 110

Di 'approvazione' mediante adclamationes parla anche la De Marini, anche se non sembra attribuire a questo termine un senso tecnico: la studiosa, anch’essa dell’idea che la presentazione del Codice in senato ne abbia realizzato la pubblicazione in Occidente, afferma che mediante le acclamazioni i senatori "esprimono… alcuni suggerimenti per la sua applicazione", parlando poi anche di "acclamazioni che approvano la stabilizzazione dei testi" (De Marini Avonzo/Lanza, Critica testuale cit., p. 82). Tale 'approvazione', da intendersi come mero apprezzamento privo di alcun valore giuridico, sarebbe stata quindi espressa con riguardo ad alcuni temi particolari, e cioè quelli, più tecnici, relativi alla riproduzione e diffusione del Teodosiano. 111 Questa parrebbe essere anche l’opinione di Matthews: "The acclamations… correspond to what would in earlier times have been set out as a continuous senatusconsultum proposed in a sententia, no doubt in response to an imperial letter or oratio, and approved by vote… The difference is one of ceremonial presentation" (Matthews, Laying down the Law cit., p. 44 s.). Sulla reale dinamica dei rapporti tra la volontà dell’imperatore e quella del senato è, ad esempio, significativo un passo del Contra Symmachum di Prudenzio (scritto nei primissimi anni del V sec. d.C.), che celebra il decreto di chiusura dei templi pagani: Aspice quam pleno subsellia nostra senatu / Decernant infame Iovis pulvinar et omne / Idolium longe purgata ex urbe fugandum! / Qua vocat egregii sententia principis, illuc / Libera cum pedibus tum corde frequentia transit. / Nec locus invidiae est; nullum vis aspera terret; / Ante oculos sic velle patet, cunctique probatum, / Non iussum, sola capti ratione sequuntur (Prud., Contra Symm. I, 608-615). L’accento posto sulla sentita condivisione e partecipazione dei senatori alla decisione imperiale da loro approvata, a prescindere dal fatto che ciò fosse stato loro ordinato (il cuore è d’accordo con i corpi, che si spostano sul lato in cui li chiama la sententia imperiale; è la ragione che determina la loro volontà e la fa conformare a quella dell’imperatore, non per un ordine ricevuto, ma per profonda convinzione) lascia intuire quali fossero in realtà i rapporti normalmente intercorrenti tra i due organi.

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importante, esprimendo preoccupazioni di natura filologica riguardo alle redigende copie della codificazione. Ma è davvero pensabile che l’imperatore orientale abbia lasciato un così ampio margine alla volontà del senato romano proprio in relazione ad un’opera così importante e così 'sua', come il Codice che portava il suo nome? Ed è verosimile che il senato possa aver autonomamente assunto disposizioni inerenti l’aspetto formale del Codicedocumento imperiale, là dove la forma è elevata a elemento essenziale ai fini dell’applicabilità dello stesso? Difficile immaginare che, dopo aver curato nei dettagli la fase programmatica e di realizzazione della raccolta normativa, Teodosio non abbia provveduto anche a disciplinarne quella di riproduzione materiale, pubblicazione e diffusione, ma si sia limitato a consegnarne gli esemplari originali nelle mani dei prefetti del pretorio, lasciando decidere al senato come, e sotto quale forma, avrebbe dovuto diffondersi la sua 'creatura'. Troviamo invece più probabile che sia stato lo stesso Teodosio a predisporre anche le modalità di diffusione della compilazione, affidandone l’esecuzione ai prefetti del pretorio da lui incaricati di dirigere il Codice e, a tal fine, di presentarlo inter prima al senato. Tutto sembra procedere sui binari tracciati dall’imperatore, lungo un percorso prestabilito. Ma dinanzi al senato è probabilmente accaduto anche dell’altro: non bisogna infatti dimenticare la presentazione dei due constitutionarii da parte di Fausto. Come si vedrà più avanti, la presenza di tali funzionari in quel contesto dovette avere, a nostro parere, un significato preciso, implicante un riconoscimento altrettanto ufficiale, da parte del senato, dell’ingresso di Anastasio e Martino nel loro nuovo ufficio. Inoltre, va ricordato che i senatori hanno svolto una parte attiva nella scelta di Veroniciano, quale funzionario di loro fiducia da affiancare ai due constitutionarii nell’espletamento dei loro compiti. E però anche una tale scelta dev’essere stata probabilmente loro delegata dal princeps, tant’è vero che essa ha avuto bisogno di essere confermata da parte del suo rappresentante, Fausto, in quanto responsabile dell’organizzazione della pubblicazione e diffusione del Codice. Pur così ridimensionato, il ruolo del senato nei confronti della prima raccolta normativa ufficiale non va comunque sottovalutato. Più in generale, infatti, è possibile osservare come, nel corso della prima metà del V sec. d.C., vi fu un progressivo coinvolgimento di quest’organo assembleare nella disciplina delle fonti di produzione normativa. La costituzione di Valentiniano III del 426112 aveva difatti veste di oratio indirizzata al senato, e lo stesso Teodosio ha chiaramente inteso coinvolgere, nelle diverse fasi di questa impresa

___________ 112

290.

CI. 1.14.2; 1.14.3; 1.19.7; 1.22.5; CTh. 1.4.3; Sirks, From the Theodosian cit., p.

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codificatoria (dalla progettazione113 alla pubblicazione), anche il senato, nel segno di un grande rispetto formale, senza tuttavia riconoscergli autonomia decisionale, in linea con la politica di accentramento della funzione normativa ormai da tempo perseguita dal potere imperiale.

V. Le tesi di Sirks Lo studioso olandese A.J.B. Sirks, in una serie di recenti contributi dedicati al Codice Teodosiano114, è venuto sviluppando, a proposito del supposto apporto senatorio alla validità e alla vigenza di quest’ultimo in Occidente, una personale teoria che, negando radicalmente alcune delle opinioni più consolidate intorno a tali questioni, ha il pregio di ridestare l’interesse verso alcuni aspetti a cui riguardo ci si lascia generalmente cullare dalla placida corrente della communis opinio. Ma le sue riflessioni, per quanto utili a risvegliare da certe supine acquisizioni, giungono talvolta a conclusioni così estreme da richiedere a loro volta una verifica. In uno studio del 1983115, partendo dal presupposto della divisione legislativa tra le due partes imperii e della vigenza normale di una costituzione nella sola pars in cui la stessa era stata emanata, Sirks sosteneva che la validità della costituzione del 15 febbraio 438, e conseguentemente del Codice Teodosiano dalla stessa validato (e pubblicato), doveva essere delimitata al solo impero d’Oriente, essendo la detta costituzione indirizzata al solo praefectus praetorio Orientis. Sulla base del principio (affermato dallo stesso Teodosio) che l’estensione della validità di un provvedimento normativo all’altra pars imperii era subordinata a un’espressa accettazione da parte del rispettivo imperatore, egli osservava come tra le fonti a noi pervenute non si riscontri alcuna costituzione occidentale che, facendo, per così dire, da pendant alla NTh. 1, abbia approvato, e quindi recepito, il Codice nella pars Occidentis116. Lo stesso Autore tronca poi ogni possibile obiezione circa l’eventuale lacunosità della tradizione ___________ 113

La costituzione programmatica del 429 – e probabilmente anche quella del 435 – era infatti una oratio principis rivolta al senato costantinopolitano. 114 Sirks, From the Theodosian cit.; Observations (1985) cit., pp. 21-34; Food for Rome cit.; Observations on the Theodosian Code: lex generalis, validity of laws, AARC 14, 1999 (Napoli 2003) pp. 145-153; Observations V (2007) cit. 115 Sirks, From the Theodosian cit., passim. 116 Ibid., p. 275 ("there is no confirmation of the Theodosian Code by a western emperor") e passim, conferma che era stata invece necessaria per l’Oriente. Cfr. anche Sirks, Observations (1985) cit., p. 28 e 30 nt. 24, dove l’Autore, nel tentativo di trovare una spiegazione a tale atteggiamento di Valentiniano, osserva che "Dans l’Occident, la position de l’empereur envers le Sénat et ses sénateurs païens, et envers les troupes des barbares ariens, était moins forte, de telle sorte qu’elle ne rendait pas possible, probablement, de promulguer la même codification".

V. Le tesi di Sirks

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testuale affermando, in modo forse un po’ apodittico, che "our collection of Valentinian’s novels is good"117, al punto che – come egli nota – è pervenuta la NVal. 26, con la quale l’imperatore occidentale aveva accettato e confermato in blocco una serie di costituzioni orientali inviategli da Teodosio. A questo proposito, lo studioso in un primo momento esclude però che NVal. 26 potesse aver riguardato anche NTh. 1 e aver quindi comportato (indirettamente) anche l’accettazione del Codice per l’Occidente118. Più volte Sirks ribadisce quindi che la promulgation del Codice mediante la NTh. 1 sarebbe rimasta limitata all’Oriente e non avrebbe conferito, di per sé, allo stesso alcuna autorità – e quindi alcun vigore – per l’Occidente119, autorità che esso avrebbe potuto acquistare solo grazie a un’espressa conferma da parte del relativo imperatore. Lo studioso passa allora a esaminare la possibilità che, come da alcuni sostenuto120, tale conferma sia da ravvisarsi piuttosto nell’approvazione che sarebbe stata manifestata dal senato di Roma durante la seduta del 438 d.C. verbalizzata nei Gesta. Ma egli conclude col negare questa possibilità, giacché "we cannot find a single reference to suggest that the Theodosian Code was either confirmed for the West as an authoritative selection and edition"121. La stessa data della seduta senatoria – osserva acutamente Sirks –, così a ridosso del termine di entrata in vigore fissato da Teodosio, non avrebbe lasciato ai constitutionarii il tempo necessario a realizzare (con tutti gli accorgimenti che vedremo) un numero di esemplari del Codice tale da assicurarne l’auspicata diffusione122. Egli trova inoltre strano il fatto che ai fini dell’acquisto della validità in Occidente sarebbe stato sufficiente un senatoconsulto, quando per l’Oriente era stata necessaria una costituzione imperiale. A questo proposito, Sirks giunge a formulare una propria ipotesi: il senatoconsulto emesso dal senato romano avrebbe incorporato "a factual decision", limitata al solo aspetto della trascrizione degli esemplari del Codice123 che veniva affidata ai constitutionarii, ai quali questo stesso senatoconsulto avrebbe ___________ 117

Sirks, From the Theodosian cit., p. 276. Sirks, Observations (1985) cit., p. 28. 119 Sirks, From the Theodosian cit., p. 271. 120 Sirks cita espressamente Gaudemet, Wenger e la De Marini: ma questi ultimi due Autori non sembrano aver assunto l’asserita posizione (cfr. Sirks, From the Theodosian cit., p. 276). 121 Sirks, From the Theodosian cit., p. 277. 122 Ibid., p. 280. Anche qui la seduta senatoria sembrerebbe essere datata al 25 dicembre. Tuttavia precisa più avanti l’Autore che "no date whatsoever is mentioned in the Gesta", traendone argomento per confutare ulteriormente l’asserita conferma senatoria ("which would be rather strange if the Gesta had been dealing with the confirmation of the Code"). 123 Ibid., p. 279: "The best we can say is that it is a senatus consultum embodying a factual decision. The factual decision wich the Senate reached was to have three transcriptions made". 118

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Capitolo quarto: L’oggetto della seduta senatoria

conferito a tal proposito esclusiva autorità. Nella deliberazione del senato romano non sarebbe quindi da ravvisarsi nessuna formale conferma, né tantomeno pubblicazione alcuna, della silloge normativa per l’Occidente124, bensì una determinazione 'di fatto' rivolta esclusivamente ad affrontare il problema della possibile circolazione in Occidente (col pericolo di un’eventuale propagazione anche in Oriente) di esemplari non affidabili del Codice Teodosiano, ciò che avrebbe nuovamente riproposto all’attenzione, nelle sedi giurisdizionali orientali, la questione dell’affidabilità testuale delle fonti normative125. Lo stesso conferimento in via esclusiva ai constitutionarii dell’attività di riproduzione di ulteriori esemplari del Codice sarebbe stato suggerito da motivi puramente pratici. In conclusione, non risultando il Codice Teodosiano confermato né da una costituzione di Valentiniano III (dal contenuto analogo a quello di NTh. 1)126 né da un decreto del senato di Roma (quest’ultimo avrebbe sì deliberato, ma su tutt’altra questione), esso non avrebbe, secondo Sirks, mai ricevuto alcuna approvazione ufficiale – né, conseguentemente, alcuna pubblicazione – in Occidente, dove non sarebbe, quindi, mai entrato in vigore, per esservi invece utilizzato e applicato soltanto 'di fatto', sia pure "as an authoritative compilation"127. L’acquisto di una tale autorità, che non viene quindi del tutto negata, sarebbe avvenuto con modalità analoghe a quelle che già avevano condotto a un riconoscimento ufficiale dei codici Gregoriano ed Ermogeniano, in quanto l’imperatore occidentale, pur non avendo manifestato alcuna espressa accettazione (né in forma di approvazione del Codice, né tantomeno in forma di recezione in Occidente della NTh. 1), avrebbe consentito, in virtù del proprio pote ___________ 124

Ibid., loc. cit.; Observations (1985) cit., p. 28: qui Sirks sembra utilizzare il termine 'promulgazione' nel senso di 'accettazione' ("Le Sénat n’ordonnait pas sa promulgation… Il est évident qu’il n’y avait que l’empereur qui aurait pu ordonner une chose d’une si grande importance"). 125 Sirks, From the Theodosian cit., p. 280: "Theodosius was afraid that unauthorized (and therefore potentially corrupt) copies of his Code would begin circulating in the West and from there reach the East (he could of course control the emission of copies within his own territory). For that reason he asked Faustus to take precautions". L’ipotesi è confermata anche in Observations (1985) cit., p. 28. 126 Più tardi Sirks preciserà che la conprobatio di Valentiniano III, di cui si fa parola nella relatio di Fausto ai senatori, sarebbe consistita soltanto nel consenso al nuovo disegno di Teodosio e all’introduzione del Codice limitatamente all’Oriente (Observations V [2007] cit., p. 137. A ciò si potrebbe tuttavia obiettare che non vi sarebbe stata alcuna necessità di conprobatio formale da parte dell’imperatore d’Occidente, se la validità del Codice Teodosiano avesse dovuto estendersi alla sola pars Orientis, e ciò proprio in ragione del principio della 'separazione' normativa dallo stesso Sirks più volte richiamato. Sempre in quest’ultimo contributo, il passo in cui Fausto parla del Codex come utriusque principis praeceptione directus viene interpretato da Sirks nel senso di un consenso di Valentiniano al semplice invio dello stesso in Occidente, negando però che un tale invio potesse avere carattere di ufficialità. 127 Sirks, From the Theodosian cit., p. 284; v. anche Observations (1985) cit., p. 28 s.

V. Le tesi di Sirks

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re giurisdizionale supremo, l’utilizzo della silloge orientale nei fori dell’Occidente128. Da tutto ciò discenderebbe che, per questa pars imperii, la regolamentazione ufficiale delle fonti normative sarebbe rimasta ancora affidata, ancora dopo il 439, alla costituzione di Valentiniano III del 426. In un secondo momento, Sirks sembra però aver parzialmente modificato la sua iniziale posizione riguardo al ruolo del senato nei confronti della silloge normativa imperiale, arrivando difatti ad asserire che il provvedimento assunto dal senato di Roma non si sarebbe limitato a disciplinare la riproduzione di esemplari, ma avrebbe anche 'accettato' il Codice Teodosiano: a tale accettazione, degradata però anch’essa a decisione 'fattuale', viene tuttavia negato qualsiasi valore ufficiale129. Risulta così riconfermata dall’Autore l’idea della 'autoritatività di fatto' del Codice in Occidente, da ricondursi a un’iniziativa di Valentiniano III non concretizzantesi in una costituzione di recezione, ma assunta piuttosto nell’esercizio del suo potere giurisdizionale supremo130. Una più puntuale disamina della seduta senatoria del 438 d.C. è stata infine condotta dallo studioso olandese in un recente contributo131 dedicato in gran parte ai Gesta senatus e al ruolo svolto dal senato romano nei riguardi del Codice Teodosiano. Sirks, ribadendo le proprie contestazioni al riconoscimento, nella determinazione senatoria, di un’accettazione ufficiale del Codice per l’Occidente132, ha inteso affrontare la questione in modo radicale, intraprendendo una puntuale analisi del verbale relativo alla seduta in questione. Partendo questa volta dall’assunto che, in quella sede, il senato abbia effettivamente adottato una decisione formale e che questa sia consistita in un’approvazione, l’Autore si chiede, una volta escluso il Codice, quale ne sia stato ___________ 128 Sirks, From the Theodosian cit., p. 286: "No official confirmation is traceable and we have to assume that it had obtained its authority in a way similar to the acceptance of the Gregorian and Hermogenian Codes… Valentinian, as a supreme judge, was in a position to apply the Code in his jurisprudence". Le stesse considerazioni sono nuovamente ribadite a p. 301. 129 Sirks, Food for Rome cit., p. 113: "The Theodosian Code was in fact accepted by the Senate, and there was even a ruling meant to guarantee the authenticity of copies, but it was not ratified". 130 Ibid., p. 114: "the Code was authoritative in practice, probably because the emperor, as supreme judge, was able to enforce this authority by virtue of his jurisdiction". 131 Sirks, Observations V (2007) cit., pp. 131-151. 132 Secondo l’Autore, questa sarebbe la posizione generalmente assunta in dottrina (a titolo esemplificativo, vengono citati Liebs e Matthews, i quali sembrano in realtà aver espresso un’opinione diversa): ma, come abbiamo visto più sopra, essa è in effetti condivisa solo da alcuni studiosi, anche se il loro numero tende a crescere. La considerazione di Sirks potrebbe forse essere nata da una possibile confusione intorno al termine 'promulgazione', da lui inteso quale 'approvazione' (lo scambio è chiaro, ad esempio, nel riferimento a Matthews: cfr. Sirks, Observation V [2007] cit., p. 132).

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Capitolo quarto: L’oggetto della seduta senatoria

l’oggetto. Nell’esporre un ventaglio di possibilità, egli prende in considerazione i seguenti provvedimenti: le due costituzioni programmatiche di Teodosio II (del 429 e del 435, alternativamente considerate); un’ulteriore costituzione ipotizzata da Sirks, anch’essa di Teodosio e non meglio nota133, che sarebbe stata emanata nell’autunno del 437, in occasione cioè della consegna degli esemplari dei Codici ai prefetti134; la NTh. 1 e, infine, una determinazione autonoma del senato stesso, adottata quel giorno. L’Autore, premesso di non ritenere che la relatio di Fausto potesse, in sé, rappresentare una lex generalis135 (ma su questo credo non vi possano essere dubbi), esclude subito le due costituzioni programmatiche e la NTh. 1. Quanto alle prime, egli osserva che soltanto la costituzione del 429 d.C. sarebbe stata letta in senato, e che a tale lettura non appare essere seguita (in quanto, d’altra parte, non sollecitata) alcuna specifica approvazione da parte dei senatori, poiché nessuna delle acclamazioni che seguirono può essere letta in questo senso. Quanto invece alla NTh. 1, Sirks rileva (a parziale modifica delle sue precedenti posizioni) che essa sarebbe stata sì trasmessa a Valentiniano III, e sarebbe quindi giunta formalmente anche in Occidente, ma soltanto nel 447136, tra le costituzioni recepite dall’imperatore occidentale con la NVal. 26137. Lo studioso olandese passa quindi ad occuparsi delle adclamationes, rilevando anzitutto che non ve n’è alcuna in cui si possa leggere un accenno alla validità del Codice per l’Occidente: "there was no harm" nel fatto che il Senato avesse manifestato il desiderio che fossero realizzati più esemplari della silloge imperiale, inviati nelle province e conservati nei vari uffici dell’ amministrazione dell’Impero138, ma tutto ciò sembrerebbe, a suo giudizio, non aver niente a che vedere con la validità del Codice, né tantomeno implicarla. Quest’ultimo sarebbe quindi da considerarsi una mera, seppure utile, raccolta di costituzioni, né più né meno di quelle già in uso.

___________ 133 Ma di cui l’Autore crede di riconoscere le tracce in Gesta 2 (hanc quoque… constitui iuberet), ipotizzando che il prefetto Fausto si stesse riferendo a un provvedimento diverso dalle costituzioni programmatiche (Sirks, Observations V [2007] cit., p. 132; 137; 142). 134 Avvenuta, secondo lo studioso, poco tempo dopo le nozze di Valentiniano III. 135 Sirks, Observations V (2007) cit., p. 138. 136 Ibid, p. 135. Sirks nega che la NTh. 1 potesse essere stata premessa alla raccolta di costituzioni nella redazione occidentale del Codice Teodosiano, e ciò non solo prima, ma anche dopo il 447, mentre è propenso ad ammetterlo nel caso dei Gesta senatus (e della costituzione di Valentiniano III del 443). 137 A questo proposito viene da Sirks criticata l’opinione di Honoré, secondo cui la NTh. 1 non avrebbe avuto bisogno della conferma di Valentiniano III per aver vigore anche nella sua pars imperii (ibid., p. 133 s.). 138 Sirks, Observations V (2007) cit., p. 140.

V. Le tesi di Sirks

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Viene così contestata la tesi di Matthews, che vede nelle acclamazioni senatorie un vero e proprio senatoconsulto139. Esse non esprimerebbero, quindi, né un’approvazione del Codice che conferisse allo stesso validità ufficiale e neanche un’approvazione della costituzione del 429, recitata dinanzi all’assemblea senatoria più per motivi politici o ideologici, ma riguarderebbero, quale mero consenso ai dominorum praecepta140, esclusivamente le modalità di edizione del Codice141. Ad ogni modo, nelle acclamazioni senatorie non andrebbe ravvisata alcuna ratifica formale dello stesso. Sirks riconferma dunque, nelle loro linee generali, le precedenti posizioni: il Codice Teodosiano non avrebbe mai acquistato valore normativo nella pars Occidentis, in quanto ivi non ufficialmente recepito né approvato, né da Valentiniano III (che si sarebbe limitato ad approvarne il progetto e l’introduzione in Oriente) né, tantomeno, dal senato romano. L’invio di un esemplare originale da parte di Teodosio in Occidente non avrebbe avuto alcun carattere di ufficialità, e la conseguente edizione di ulteriori esemplari avrebbe costituito "a non binding edition"142. Nessun funzionario dotato di potere giurisdizionale sarebbe stato vincolato all’osservanza e all’applicazione del Codice. Questa situazione sarebbe però mutata solo nel 448 d.C., cioè dopo la recezione, da parte di Valentiniano III, delle costituzioni orientali – tra cui la NTh. 1 – inviate da Teodosio al collega ravennate: soltanto con l’emissione della NVal. 26, quindi, il Codice Teodosiano sarebbe divenuto fonte normativa valida ed esclusiva anche in Occidente143. Fin qui l’opinione di Sirks. Sebbene allo studioso olandese vada indubbiamente riconosciuto il merito di una rilettura delle fonti che non dia nulla per scontato e di una nuova vitalità nelle osservazioni, v’è però da dire che più di una sua posizione offre il fianco alle critiche. Alle osservazioni già mossegli in passato da Archi144, Honoré145 e Liebs146, che ci sentiamo di condividere, si può in questa sede aggiungere soltanto che, lungi da quell’assenza di qualsiasi uffi ___________ 139

Ibid., loc. cit. Se ben interpreto il pensiero dell’Autore: "as is also said in the constitution on the constitutionarii, the decisions of – again both – the emperors are valid, the consent of the Senate merely follows. It concerns the copying of the Code" (ibid., p. 143). 141 Ibid., p. 142 s. 142 Ibid., loc. cit. 143 Ibid., loc. cit.: "If, however, Nov. Theod. 1 was included in the batch of laws, sent by Theodosius to the West in 447, then it would have been re-promulgated in the West by virtue of Nov. Val. 26 of 448, but now in the name of Valentinian: the Code would have been exclusive source there then as well. This is, I think, the course taken". 144 G.G. Archi, I principi generali del diritto. Compilazione teodosiana e legislazione giustinianea, SDHI 57 (1991) p. 132 nt. 19. 145 Law in the crisis cit., p. 132. 146 Recens. a Sirks, Food for Rome cit., p. 365 s. 140

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Capitolo quarto: L’oggetto della seduta senatoria

cialità e formalità per l’Occidente, assenza che caratterizza invece la prospettazione della vicenda codificatoria offerta da Sirks (sia pure – secondo la sua posizione più recente – limitatamente al periodo 439-448 d.C.), dalla presente ricerca è sembrato emergere al contrario un carattere di assoluta ufficialità, che del Codice avrebbe addirittura riguardato, accanto alle fasi di progettazione e realizzazione, anche la presentazione (a Costantinopoli), recezione in Occidente, presentazione (a Roma), pubblicazione, edizione e diffusione. Non può difatti essere ritenuto verosimile che il coinvolgimento di tutte le più alte cariche dell’impero e dell’organo assembleare più rappresentativo, cioè il senato; la solenne cerimonia svoltasi alla corte orientale; la consegna del Codice fatta dalle mani dell’imperatore Teodosio a entrambi i prefetti del pretorio; l’ordine di directio loro impartito; il compito loro attribuito di far riprodurre e di diffondere il Codice ciascuno nella ripettiva area di competenza; la creazione di un ufficio ad hoc, strettamente legato alla prefettura del pretorio e con una competenza in via esclusiva; la predisposizione di norme precise, disciplinanti le modalità di riproduzione degli esemplari e rivolte anche a garantire loro un carattere di autenticità e particolare affidabilità; il porre la realizzazione degli esemplari destinati agli uffici a spese dello stato; l’altrettanto solenne seduta del senato romano; le testimonianze, nelle costituzioni posteriori al 439, dell’applicazione, presso i fori occidentali, di costituzioni esplicitamente tratte dal Teodosiano; l’emissione, da parte di Valentiniano III nel 443, di una costituzione volta a reprimere, coinvolgendo l’ufficio della prefettura urbana, gli abusi verificatisi in sede di riproduzione non autorizzata degli esemplari del Codice; non si ritiene verosimile – si diceva – che il quadro appena delineato non prefiguri e presupponga una vigenza ufficiale del Codice nell’intero impero romano, e quindi anche in Occidente, né si ritiene verosimile che esso possa e debba essere letto in termini di mera 'fattualità', con la chiave proposta da Sirks, secondo cui il senato romano avrebbe assunto una decisione 'di fatto'; il Codice avrebbe acquistato 'di fatto' autorità in Occidente; la disciplina della sua riproduzione sarebbe stata dettata da soli motivi pratici; Valentiniano III avrebbe acconsentito al 'solo' invio del Codice (cioè dell’esemplare materiale) in Occidente, consentendone sì, ma in via informale, ai propri giudici l’applicabilità, anch’essa però solamente 'di fatto'. Ci sembra che la ricostruzione dello studioso olandese nei termini appena descritti poggi sostanzialmente e unicamente sull’assenza, tra le fonti pervenuteci, di una costituzione occidentale di ufficiale ratifica della compilazione teodosiana. Ma ciò non può sorprendere, se solo si pensi allo stato generale della tradizione manoscritta, per lo più parziale e lacunosa, delle fonti tardoantiche, un aspetto di cui lo stesso Sirks è peraltro ben consapevole147. Inoltre, non po ___________ 147

Motivo per cui non si comprende perché l’Autore si aspetti dal Codex Ambrosianus il testo di una costituzione occidentale di ratifica, se questa fosse veramente esistita

V. Le tesi di Sirks

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chi sono gli indizi che, al contrario, depongono per una vigenza ufficiale della compilazione teodosiana in Occidente e, quindi, per una sua formale accettazione da parte del relativo imperatore. E d’altra parte, lo stesso studioso non esita a ipotizzare – sulla base di indizi piuttosto labili e, in fondo, senza una reale necessità – l’esistenza di quella che sembra essere una terza costituzione 'programmatica' di Teodosio, questa sì del tutto ignota, che sarebbe stata emanata nel 437 d.C. e anzi approvata dal collega occidentale148. A questi rilievi si aggiunga, inoltre, la possibilità che i Gesta senatus del 438 costituiscano una versione compendiata del verbale originale (ipotesi peraltro prospettata anche dallo stesso Sirks)149, i cui silenzi non necessariamente vanno interpretati come assenze originarie150. Concordiamo invece con lo studioso nel ritenere che il senato romano non avrebbe manifestato alcuna formale approvazione verso il Codice, ma solamente espresso il proprio consenso verso delle misure – imperiali – che avrebbero avuto ad oggetto le modalità di edizione dello stesso.

___________ (cfr. Sirks, Observations V [2007] cit., p. 144 s.): si sono ormai chiariti tutti i limiti di questa fonte manoscritta, già di per sé una sorta di monstrum. 148 Ibid., passim. 149 Ibid., p. 143. 150 Lo stesso Sirks nota difatti che "the Gesta do not relate everything" (ibid.).

Capitolo quinto

Riproduzione e diffusione ufficiale del Codex Theodosianus in Occidente Resta ora da esaminare la procedura predisposta per la riproduzione in via ufficiale degli esemplari del Teodosiano e per la loro diffusione, anch’essa in via ufficiale, nell’impero d’Occidente. Tale procedura, che dovette tener conto dei due aspetti più evidenti della compilazione, al tempo stesso documento pubblico e libro, può essere ricostruita attraverso l’analisi di alcune delle acclamazioni senatorie, integrate dalle misure esposte dal prefetto Fausto ai senatori, nonché da alcune osservazioni contenute nella constitutio de constitutionariis di Valentiniano III, anch’essa riferita alla riproduzione degli esemplari del Codice: un’attività che, all’epoca della sua emanazione, doveva essere in pieno svolgimento.

I. Aspetto documentale e veste libraria del Codex Theodosianus Sin dalla sua programmazione, il Codex Theodosianus sembra essere stato concepito e considerato, da un punto di vista formale, come un prodotto di cancelleria: e difatti talune delle adclamationes senatorie registrate nei Gesta – ci riferiamo soprattutto a quelle relative alle modalità di riproduzione del Codex – ne mettono in evidenza in modo non equivoco la natura di documento pubblico, sia pure sui generis1. A ben guardare, le modalità previste per la riproduzione e la diffusione di copie in forma autentica di questa raccolta ___________ 1

L’indirizzo più attuale della diplomatica tende difatti a un allargamento della categoria alla quale ricondurre il fenomeno documentario, arrivando ad includervi fonti trascurate dalla diplomatica tradizionale, come pure tende a un’estensione del concetto di 'forma' di uno scritto diplomatico. In tale ottica, anche un Codice ufficiale tardoantico è suscettibile di essere analizzato quale documento diplomatico, siccome prodotto da un’amministrazione pubblica (anzi la più alta, cioè la cancelleria imperiale), presentando peculiari tratti sia quanto alla "figura maggiore (complessiva e d’insieme)" sia quanto ai sottostanti caratteri minori, intrinseci ed estrinseci (scrittura, sigilli, etc.): per i nuovi orientamenti si veda G. Nicolaj, Frattura e continuità nella documentazione fra tardo antico e alto medioevo, in Morfologie sociali e culturali in Europa fra tarda antichità e alto medioevo. Settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo XLV (Spoleto 1998) pp. 953-986 e spec. pp. 954-961.

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Capitolo quinto: Riproduzione e diffusione del Codex Theodosianus

normativa – con l’adozione di una particolare procedura di trascrizione, di una scrittura priva di abbreviazioni, dell’uso di sigilli – sembrano in parte rispecchiare quelle stesse modalità abitualmente adottate nelle cancellerie pubbliche in occasione della riproduzione e diffusione, più in generale, di documenti ufficiali. Di certo la procedura che appare essere stata appositamente studiata per la riproduzione e diffusione del Codex doveva essere stata rafforzata rispetto a quella normalmente in uso, e ciò al fine di garantire la massima affidabilità del testo degli esemplari e, al tempo stesso, di ridurre al minimo il rischio di alterazioni dello stesso. Ma il Codice Teodosiano è anche, sotto l’aspetto fisico, un libro: il suo testo era materialmente contenuto all’interno di un intero codex2, intendendosi con ciò un prodotto librario, ed anzi articolato probabilmente in due volumina3. Nel procedere alla sua pubblicazione, edizione e diffusione fu certamente necessario tener conto di questo dato materiale. In ragione del fatto che i compilatori vi avevano autoritativamente e definitivamente4 (almeno nelle intenzioni dell’imperatore) fissato quello che da quel momento in poi avrebbe dovuto rappresentare il testo ufficiale delle costituzioni selezionate, e quindi il diritto vigente, il testo del Teodosiano avrebbe dovuto, per il futuro, essere conservato nella sua integrità e preservato da contaminazioni, corruzioni, falsificazioni. Ciò in quanto, accanto alla funzione più ___________ 2

Non ci si potrà qui soffermare sull’intrinseco legame sviluppatosi tra la nuova forma-libro e il 'codex' (inteso quale definizione, secondo i più, delle raccolte di costituzioni imperiali), tema già oggetto di numerosi studi, taluni dei quali tutt’ora fondamentali (per tutti F. Wieacker, Textstufen Klassischer Juristen [Göttingen 1959, rist. anast. Göttingen 1975]), e ancora oggi in corso di sviluppo (si veda da ultimo Sperandio, Il 'codex' cit., pp. 97-126, con dovizia di indicazioni bibliografiche). Come è stato notato, l’elemento religioso non dovette essere estraneo a questo processo: in età tardoantica, "der kaiserliche Gesetzgebungsbefehl sakrale Weihe anzustreben begann" (Wieacker, Textstufen cit., p. 94); da qui si giunse poi, in linea con la concezione cristiana dell’accettazione totale del testo sacro, alla configurazione di una pari solennità sacrale tra codice giuridico e codice religioso e a una più generale reverenza per il testo scritto, "che si accompagna all’esigenza di imporre l’osservanza del loro contenuto" (De Marini Avonzo/Lanza, Critica testuale cit., p. 84). Cfr. anche G. Cavallo, Libro e pubblico alla fine del mondo antico, in Id. (a cura di), Libri, editori e pubblico nel mondo antico3 (Bari-Roma 2002) p. 127. 3 Il Vat. Reg. lat. 886, l’unico manoscritto (dalle peraltro notevoli dimensioni), tra quelli pervenutici, contenente gli ultimi otto libri della redazione originaria del Codice Teodosiano, lascerebbe supporre che la compilazione fosse stata sin dall’inizio materialmente organizzata in due volumi distinti, all’interno dei quali i sedici libri sarebbero stati equamente ripartiti. 4 Sul carattere acquistato dal codice giuridico alla luce dell’assolutismo del potere imperiale da cui promanava scrive Cavallo: "in età tardoromana, in un’epoca caratterizzata da una concezione autoritaria del diritto, il codice giuridico, in quanto depositario delle leges… acquisì una dimensione autocratica che ne fece, accanto alla Chiesa, l’altro pilastro della civiltà medievale" (Cavallo, Libro e pubblico cit., p. 126).

I. Aspetto documentale e veste libraria del Codex Theodosianus

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pratica di costituire un repertorio di costituzioni caratterizzato da facile accessibilità e consultabilità, la codificazione imperiale ne aveva un’altra non meno importante: quella di garantire dell’autenticità testuale delle stesse, di assicurarne la piena efficacia probatoria e, indirettamente, di limitare gli abusi che sempre più spesso si verificavano nella pratica della recitatio dei testi normativi imperiali. Ma, come si dirà tra poco, le modalità di riproduzione dei libri nell’antichità erano tali per cui il rischio di corruzione testuale non poteva che aumentare in misura direttamente proporzionale al numero delle riproduzioni degli apografi. E però, solo con la riproduzione di un consistente numero di esemplari il Codice avrebbe potuto raggiungere uno degli scopi per cui era stato concepito: quello di rendere ampiamente conoscibili le costituzioni che da quel momento in poi avrebbero costituito l’esclusivo ius imperiale. In vista della programmata diffusione della raccolta normativa si rendeva quindi necessario predisporre, per la fase di riproduzione, una serie di 'cautele' che garantissero affidabilità e sicurezza al testo degli esemplari realizzati, per una maggiore tranquillità di tutti coloro che – giudici e parti processuali, o, più in generale, operatori del diritto – avessero dovuto servirsi della compilazione, soprattutto in un contesto giurisdizionale. L’originario intento di Teodosio, quello cioè di mostrare, attraverso il programmato 'codex magisterium vitae', chiaramente e definitivamente ai propri sudditi sequenda vitandaque5, si era, in questo senso, trasferito sulla codificazione effettivamente licenziata dalla sua cancelleria. Ma la collaudata procedura di riproduzione e diffusione in relazione a singoli documenti imperiali, così come usualmente adottata nelle cancellerie, non poteva adattarsi senz’altro al Teodosiano, o perlomeno non senza modifiche: per questo motivo le modalità di editio proprie dei documenti dovettero essere integrate con quelle tipiche dei libri6, sì da conferire alla procedura studiata per la riproduzione della silloge normativa di Teodosio peculiari caratteristiche. Ne consegue che le modalità di riproduzione di documenti pubblici sono venute qui a intrecciarsi con quelle tipiche della riproduzione di codici manoscritti, fino a dar vita a una procedura sì peculiare, ma che si avvaleva di esperienze da tempo consolidate. Questo aspetto emerge chiaramente, in particolare, da alcune delle adclamationes con cui i senatori romani salutarono il Codice, nonché dalle disposizioni esposte subito dopo da Fausto alla stessa assemblea e, indirettamente, anche da ___________ 5

CTh. 1.1.5. Come già visto, al verbo edere va ricondotta una molteplicità di significati. Per indicare l’editio di un libro nelle fonti vengono adoperati anche altri verbi, quali publicare, vulgare e i suoi composti, ferre, efferre, emittere: P. Fedeli, I sistemi di produzione e diffusione, in Lo spazio letterario di Roma antica (direttori: G. Cavallo / P. Fedeli / A. Giardina) II. La circolazione del testo (Roma 1989) p. 354. 6

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Capitolo quinto: Riproduzione e diffusione del Codex Theodosianus

alcune indicazioni contenute nella successiva costituzione de consitutionariis di Valentiniano III. Sono proprio queste specifiche disposizioni a suggerire un’analisi dell’aspetto dell’editio del Codice Teodosiano alla luce anche delle tecniche di edizione dei libri, oltre che dei documenti ufficiali, in uso nell’età tardoantica. Quanto all’editio di documenti pubblici, di questa è già stata illustrata la procedura in sede di analisi dell’aspetto documentale dei gesta senatus. Resta così da tratteggiare brevemente le modalità di produzione e circolazione libraria in età tardoantica, al fine di valutare se, e in quale misura, tale procedura sia stata adottata anche per la diffusione degli esemplari del Codice Teodosiano, e in quali punti quest’ultima presenti invece delle peculiarità. Come si vedrà tra breve, le misure adottate per l’editio del Codice mostrano, inoltre, una particolare attenzione al più generale problema della corruzione testuale e del falso: anche a quest’ultimo aspetto, già oggetto di ben più ampi e specifici studi, non si potranno fare in questa sede che dei brevi accenni.

II. Produzione e circolazione libraria in età tardoantica L’edizione di libri nel mondo antico7 non arrivò mai ad assumere carattere di ufficialità8, ma restò sempre un’attività privata, sia pure talvolta organizzata da editori professionisti e con modalità imprenditoriali. Una volta uscita dal calamo dell’autore, l’opera cominciava a vivere una vita propria e a diffondersi liberamente, per lo più senza seguire schemi precisi e prefissati. E’ ben noto che l’autore non aveva alcun diritto sulla propria opera, e quand’anche fosse stato in grado di predisporne, con propri mezzi o attraverso editori specializzati, una prima diffusione, non poteva comunque impedire che quest’ultima si realizzasse ulteriormente anche attraverso canali paralleli, all’insaputa – se non addirittura contro la volontà – dell’autore stesso. L’attività di trascrizione era difatti assolutamente priva di vincoli e restrizioni, e poteva essere eseguita direttamente anche dagli stessi lettori-consumatori. Chiunque poteva, inoltre, mettere in commercio un’opera altrui senza che vi fosse bisogno di alcuna autorizzazione. Tale assenza di limitazioni e, conseguentemente, ___________ 7

Numerosissimi sono i contributi su questo tema: a titolo meramente esemplificativo indichiamo Cavallo (a cura di), Libri, editori e pubblico cit.; Testo, libro, lettura, in Lo spazio letterario cit., pp. 307-341; Fedeli, I sistemi di produzione cit., pp. 343-378; V. Burr, s.v. Editionstechnik, in Reallexikon für Antike und Christentum IV, coll. 597-610 (con relativa bibliografia); H. Hunger, Schreiben und Lesen in Byzanz. Die byzantinische Buchkultur (München 1989); Wieacker, Textstufen cit., p. 72 ss. 8 Neanche quando committente era lo Stato, o meglio i suoi rappresentanti ufficiali (cfr. Fedeli, I sistemi di produzione cit., p. 347).

II. Produzione e circolazione libraria in età tardoantica

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di controlli favoriva, d’altro canto, anche la circolazione di scritti falsi, attribuiti arbitrariamente a questo o quell’autore, o persino l’appropriazione indebita della qualità di autore di opere scritte in realtà da altri. Mentre le fonti tramandano numerose notizie che attestano il fiorire di un’attività editoriale in forma imprenditoriale per l’età classica9, descrivendone talvolta anche le modalità, labili sono le tracce relative a una sua sopravvivenza, e ad eventuali forme di organizzazione, per l’età tardoantica; ciò ha fatto supporre che l’attività di produzione libraria, in passato esercitata professionalmente nelle stationes, si trovasse ormai in una fase di crisi e di contrazione10. L’edizione di libri venne così ad assumere a poco a poco carattere di individualità: sempre più spesso, infatti, erano gli stessi autori ad occuparsi della riproduzione e diffusione delle proprie opere, organizzando tali attività in forma del tutto privata e autosufficiente, mediante il ricorso ad amanuensi a pagamento e il coinvolgimento di amici fidati. Come è stato ben messo in risalto da Cavallo11, è proprio nella tarda antichità che tende a ricomporsi quella "dicotomia … tra fase di produzione del testo e fase di produzione del libro" che era stata invece una caratteristica del periodo precedente. Tuttavia, nonostante l’affermarsi progressivo di questa tendenza, anche per l’epoca tarda vi sono alcune testimonianze della sopravvivenza di officine librarie: in Italia le più importanti si trovavano a Roma e a Ravenna, anche se non ne mancavano a Milano, Aquileia, Napoli e in tutte quelle città famose per essere sede di centri di istruzione 'superiore', dove più folto era il pubblico di lettori. E’ ben noto il contributo offerto dal Cristianesimo alla diffusione della nuova forma-libro rappresentata dal codex: al pari del Giudaismo, anche questa era difatti una 'religione del libro'. Per la formazione del buon cristiano era fondamentale anzitutto la conoscenza dei dei praecepta, e quindi della Bibbia e del Vangelo; e fu proprio quest’ultimo, contenente il messaggio centrale della nuova religione, a scegliere ben presto, per ragioni di praticità ed economicità, questa particolare veste materiale. La sempre più ampia circolazione di un elevato numero di copie del Vangelo, in particolare, provocò un’alfabetizzazione più diffusa anche nei ceti medio-bassi. Accanto ai testi sacri, fiorì poi tutta una letteratura religiosa che toccò le vette più alte con le opere dei Padri della Chiesa e che conobbe anch’essa una grande diffusione. Come è stato osservato, la

___________ 9 Fu soprattutto a partire dal Principato che, grazie a un alfabetismo più diffuso, emerse un vero e proprio pubblico di lettori, fenomeno che determinò un incremento nella produzione libraria. 10 Mentre, di contro, un numero sempre crescente di centri ecclesiastici si dotava, oltre che di una biblioteca, anche di una propria officina libraria (che preluderà al medievale scriptorium). 11 Testo, libro cit., p. 317.

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produzione letteraria in età tardoantica assunse così una connotazione prevalentemente religiosa12. Sul versante 'laico', l’affermazione del codex sul rotolo papiraceo comportò l’esigenza di un più o meno sistematico lavoro di trascrizione delle opere antiche nella nuova forma libraria13, attività spesso preceduta da un lavoro di revisione ed emendazione del testo. Esponenti dell’aristocrazia – consoli, senatori, retori, membri di circoli culturali legati soprattutto al senato di Roma e alla corte ravennate – furono particolarmente impegnati in quest’attività di emendazione e trascrizione14, espressione di un "programma culturale e politico di affermazione di un’antica tradizione letteraria", programma per il quale "l’efficienza di un sia pur limitato sistema di produzione e diffusione del libro doveva costituire una condizione necessaria"15. Come si è detto, tanto la produzione letteraria quanto le modalità di edizione dei libri subirono, in età tardoantica, un radicale cambiamento. Ed è soprattutto nelle opere dei Padri della Chiesa – Girolamo, Ambrogio e Agostino in particolare –, le quali conobbero grande fortuna e diffusione16, che si trovano nume ___________ 12 E proprio il codice cristiano avrebbe costituito il modello (anche sotto l’aspetto materiale: mise en page, scrittura, formato, etc.) per quello giuridico: cfr. Cavallo, Libro e pubblico cit., p. 128 s. 13 Si veda a tal proposito, ad es., Cavallo, Libro e pubblico cit., pp. 83-162. Nel suo monumentale lavoro, Wieacker sosteneva che una tale attività di trascrizione sistematica avesse interessato anche i libri giuridici (Wieacker, Textstufen cit., pp. 93-119). Critico invece Cavallo, Libro e pubblico cit., p. 127 e nt. 230, secondo cui il carattere pratico di questa 'letteratura' ne avrebbe reso necessaria una trascrizione 'estemporanea': né sistematica, quindi, né tantomeno programmatica. 14 Cfr. Cavallo, Libro e pubblico cit., p. 93 ss. Questo intenso lavorio è attestato dalle particolari subscriptiones rinvenibili in numerosi manoscritti antichi (secc. IV-VII d.C.) contenenti opere della letteratura latina classica. Tali subscriptiones testimoniano l’impegno filologico dei nobili appartenenti alla classe senatoria (in particolare i Simmachi e i Nicomachi), la quale "hat nämlich Sinn und Aufgabe seines Lebens darin gesehen, die römische Erinnerung und das römische Geisteserbe zu pflegen und zu schützen": K. Büchner, Überlieferungsgeschichte der lateinischen Literatur des Altertums, in AA.VV., Geschichte der Textüberlieferung der antiken und mittelalterlichen Literatur I. Antikes und mittelalterliches Buch- und Schriftwesen (Zürich 1961) p. 351. Alle pp. 355-357 è riportato un elenco di tali interessanti subscriptiones, con relative indicazioni bibliografiche. In età tardoantica divenne più elevata la sensibilità nei confronti della produzione di copie particolarmente accurate e affidabili, "an die man sich halten konnte und die Autorität gewannen" (p. 357). 15 A. Petrucci, Scrittura e libro nell’Italia altomedievale, in A Giuseppe Ermini II (Spoleto 1970) p. 176. 16 Osserva Petrucci, sulla base di un calcolo statistico condotto sui manoscritti superstiti risalenti ai secc. V-VII, che circa i tre quarti della produzione libraria di quel periodo erano costituiti da Bibbie, Vangeli, commentari agli stessi, opere dei Padri della Chiesa (soprattutto i tre già citati) o di autori cristiani (lo studioso non trascura tuttavia quel fattore costituito dal caso, che gioca un ruolo rilevante nella conservazione degli stessi manoscritti): Petrucci, Scrittura e libro cit., p. 173 e tab. A.

II. Produzione e circolazione libraria in età tardoantica

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rose, pur se incidentali, notizie anche di natura tecnica sulla loro attività di scrittori e, al tempo stesso, 'editori' delle proprie opere17. Attraverso tali notizie è possibile venire a conoscenza di come, con l’entrata in crisi del sistema di produzione ruotante intorno alle officine librarie, il mezzo di diffusione più usato fosse progressivamente divenuto quello della trascrizione individuale18. L’autore stesso, avvalendosi di stenografi e scribi, provvedeva a realizzare con propri mezzi un numero limitatissimo di copie, o meglio 'esemplari autentici' di una sua opera, esemplari che venivano poi depositati presso amici fidati o anche presso biblioteche19, per esservi non solo conservati, ma anche messi a disposizione di tutti gli interessati, che potevano ottenerli in prestito e realizzarne così (o farne realizzare) una trascrizione per uso personale. Tale sistema di trascrizioni individuali non sembra essere (o comunque non essere più), per l’età considerata, una procedura eccezionale, né peculiare alla sola letteratura cristiana, bensì appare costituire il modo normale di edizione dei libri20: un modo che, anche se dai risultati incontrollabili e non del tutto prevedibili, riusciva ___________ 17

Interessanti contributi su questo tema in H.I. Marrou, La technique de l’édition à l’époque patristique, VChr 3 (1949) pp. 208-224; M. Caltabiano, Libri e lettori nelle lettere di Agostino recentemente scoperte, in Esegesi, parafrasi e compilazione in età tardoantica. Atti del Terzo Convegno dell’Associazione di Studi Tardoantichi, a cura di C. Moreschini (Napoli 1995) pp. 67-78. 18 Che mediante tale tecnica si realizzi una vera e propria editio è stato autorevolmente sostenuto e dimostrato da Marrou: "cette transcription individuelle [n’est] pas un pis-aller, mais la méthode normale sur laquelle les auteurs eux-mêmes comptaient pour assurer la diffusion, l’editio, de leurs oeuvres" (Marrou, La technique de l’édition cit., p. 217). L’Autore precisa, poi, che a questo termine deve darsi, per il periodo considerato, un significato più ampio e sfumato: " ' éditer ' , publier un livre consistait simplement, une fois la décision prise, à fixer définitivement la teneur du texte, à en exécuter ou en faire exécuter une copie soignée et à mettre en circulation cet exemplar-archétype en autorisant la lecture et la copie" (ibid.). Più propenso a operare una distinzione invece Cavallo, che parla di una 'tecnica dell’edizione' propria degli scritti cristiani, pur riconoscendola come predominante nella prassi e, anzi, come una delle cause della crisi delle botteghe librarie: "gli scritti di letteratura cristiana ebbero poco a che fare con il mercato librario vero e proprio… l’uso corrente… fu quello della trascrizione privata, fatta dall’interessato stesso o da scribi al suo servizio… Siffatto sistema di pubblicazione e diffusione, privato, di una letteratura quale quella cristiana in età tardoantica veniva ad accentuare la crisi delle botteghe librarie" (Cavallo, Libro e pubblico cit., p. 119 s.). 19 Gli esemplari conservati presso le biblioteche, in quanto particolarmente affidabili, vennero anzi a costituire il modello dal quale trascrivere – e sul quale collazionare ed emendare – tutte le copie successive, che avrebbero in ragione di ciò acquisito carattere di particolare correttezza. Di ciò testimonierebbero numerose copie delle opere di Origene, dalla subscriptio delle quali risulta che esse sono state collazionate con gli esemplari conservati nella biblioteca di Cesarea di Palestina, una sorta di 'centro di documentazione origeniana': cfr. G. Cavallo, Scuola, scriptorium, biblioteca a Cesarea, in Id. (a cura di), Le biblioteche nel mondo antico e medievale6 (Bari-Roma 2002) p. 69 s.). 20 Così Marrou, La technique de l’édition cit., p. 220.

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comunque a garantire una discreta e relativamente rapida diffusione degli esemplari21, innescando una catena potenzialmente illimitata nel tempo e nello spazio. Ma, pur preoccupati di favorire la più ampia diffusione delle proprie opere, nondimeno gli stessi autori dedicavano alle modalità di riproduzione e circolazione del testo grande cura e attenzione, sorvegliandone l’edizione e preoccupandosi di predisporre una procedura che preservasse il più possibile il testo da modifiche e alterazioni nel corso della trasmissione, o almeno che ne riducesse la percentuale di rischio. Questi tratti risaltano in modo evidente in molti degli scritti dei Padri della Chiesa, che dimostrarono in ciò sempre grande cautela: il rischio di uscire fuori dai rigidi confini dell’ortodossia, insito talvolta anche solo nella corretta grafia di una parola, era difatti sempre in agguato. Vediamo così, ad esempio, Agostino predisporre dettagliatamente e accuratamente le modalità tecniche di diffusione del suo De civitate Dei22: il vescovo ipponense prega Firmus, depositario e conservatore a Cartagine di uno dei primi esemplari da lui stesso inviatogli nel 426/427, di consentirne la trascrizione a chiunque vi fosse interessato. Al contempo, Agostino precisa all’amico che l’esemplare affidato alla sua custodia non avrebbe dovuto essere prestato a molte persone, ma solo a una o due: ciò vuol dire che dallo stesso esemplare avrebbero dovuto essere inizialmente tratte poche copie. Sarebbero state queste ultime quindi, e non il loro antigrafo, a servire da modello per la realizzazione delle ulteriori trascrizioni23. Tale particolare procedura, che con i suoi numerosi passaggi non sembrerebbe fornire, almeno secondo gli attuali canoni filologici, particolari garanzie contro il pericolo di alterazioni del testo24, sembra in primo luogo dettata dalla preoccupazione di salvaguardare l’integrità fisica dell’esemplare 'originale', da conservare non solo nella disponibilità di Firmus, ma anche quale testo particolarmente affidabile, sul quale poter eseguire in ogni tempo la collazione degli esemplari successivi. La tradizione testuale avrebbe quindi avuto origine da questo primo esemplare, non però in modo diretto, bensì mediato dalle prime (poche) copie. Ma, ancor più che in quelli di Agostino, anche in molti scritti di Girolamo sono contenute indicazioni riguardanti la loro edizione e diffusione, operazioni ___________ 21

Emblematica la vicenda di Agostino e del suo ripudiato De mendacio, pubblicato contro la sua volontà e che, nonostante tutti i suoi sforzi, egli non riuscì a 'ritirare dal mercato' (cfr. De Marini Avonzo/Lanza, Critica testuale cit., p. 65). 22 Sull’attività 'editoriale' di Agostino si veda E. Dekkers, Saint Augustin éditeur, in Troisième Centenaire de l’Édition Mauriste de Saint Augustin. Communications présentées au Colloque des 19 et 20 avril 1990 (Paris 1990) pp. 235-244. 23 Aug., Ep. 1*/A, 1-2. 24 Come notato da Marrou, La technique de l’édition cit., p. 219: "Méthode qui risque de multiplier à l’excès les intermédiaires entre une copie et l’archétype, et avec eux les risques de corruption".

III. Autenticità, corruzione testuale e falso (cenni)

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che vediamo realizzate con modalità del tutto analoghe a quelle appena descritte25.

III. Autenticità, corruzione testuale e falso (cenni) Come vedremo tra poco, tra i provvedimenti assunti per la riproduzione del Codice Teodosiano vi è una serie di disposizioni che richiamano immediatamente il problema dell’autenticità testuale, avvertito in modo tanto più urgente in quanto riguardante una raccolta di testi normativi, testo normativo essa stessa. Ben si può immaginare, infatti, quali più gravi conseguenze potesse avere il problema dei falsi in relazione ai documenti giuridici e, in particolare (per quello che qui rileva), alle costituzioni imperiali. Sebbene alla conservazione del loro testo 'autentico' provvedessero di norma le cancellerie (di emissione e di recezione), alle quali potevano in ogni tempo essere richieste delle copie in forma autentica, era soprattutto l’ulteriore propagazione di queste ultime, riprodotte anche in forma privata, a presentare delle insidie. Ma, a ben guardare, anche le stesse cancellerie dovettero diventare luoghi non più sicuri, soprattutto in tempi in cui la pressione di popolazioni barbariche su molti punti dell’impero, col loro seguito di saccheggi, incendi e distruzioni, aveva creato un generale clima di insicurezza. Come si può facilmente immaginare, bersagli sensibili della furia devastatrice erano in primis i luoghi legati all’esercizio del potere e alla gestione dell’amministrazione. E pertanto la stessa idea di realizzare quella raccolta di costituzioni che sarà appunto il Codice Teodosiano potrebbe essere letta anche in questa chiave: come risposta cioè all’esigenza, oltre che di fissare definitivamente un testo normativo, anche di darne la più ampia diffusione al fine di garantirne non solo la conoscibilità, ma anche la sua disponibilità per tutti gli operatori del diritto, fugando in tal modo anche il pericolo delle conseguenze di una possibile distruzione, e talvolta definitiva perdita, dei documenti conservati nei singoli archivi. Per comprendere appieno questi provvedimenti, che del Codice mettono in particolare evidenza ancora una volta l’aspetto di 'libro', è opportuno premettere alcuni cenni sui problemi ora considerati, in relazione alla più generale circolazione libraria. Nell’ambito dell’edizione di libri in età antica, quello della corruzione testuale26 costituiva senza dubbio un problema generalmente diffuso. Le modalità ___________ 25 All’attività di Girolamo quale 'editore' è stata dedicata un’ampia analisi da Arns, La technique du livre cit., p. 82 ss. e passim.

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di riproduzione degli esemplari tipiche per quell’epoca (e che rimarranno del resto in uso fino all’invenzione della stampa) non erano in grado di proteggerne il testo da accidentali alterazioni e modifiche; tutt’altro: la ripetuta trascrizione manuale, eseguita per di più talvolta sotto dettatura, portava insita in sé tutta una gamma di potenziali errori, il cui numero era direttamente proporzionale a quello dei passaggi subiti dal testo. Nella eliminazione di tali corruzioni, di cui spesso erano già gli stessi autori dell’opera a lamentarsi, si concentravano maggiormente gli sforzi 'filologici' degli utenti. Costoro, già poco dopo l’inizio della circolazione di un libro, si trovavano inevitabilmente alle prese col problema di ristabilirne il testo originale, individuando a tal scopo le copie migliori, collazionandole tra loro27, correggendo e annotando. Vi era poi il problema del falso. Questo poteva consistere o in una volontaria modifica di un testo altrui (nel suo contenuto), o nello spacciare come propria un’opera altrui, oppure, viceversa, nell’attribuire arbitrariamente a un proprio scritto un autore diverso. Per limitare la circolazione di testi falsi28 si arrivò a ideare e applicare tutta una serie di 'segni di riconoscimento' – sia esterni che interni al testo29 – che connotassero gli esemplari più affidabili (e soltanto quelli)30, consentendo così l’inequivocabile attribuzione di un determinato scritto a un preciso autore. I segni esterni, consistenti per lo più in una serie di elementi formali, dovevano costituire altresì una garanzia quanto al testo contenuto nell’esemplare. Tali accorgimenti, in quanto uniti a una serie di 'cautele' e precuazioni da adottarsi nella riproduzione del testo, avevano al tempo stesso come conseguenza anche quella di limitare il pericolo di modifiche testuali accidentali. ___________ 26 Nel vocabolario di Girolamo – verosimilmente abbastanza rappresentativo per il V sec. d.C. – a indicare tale fenomeno sono spesso utilizzati i verbi mutare, falsare, depravare, pervertere, corrumpere (cfr. Arns, La technique du livre cit., p. 180). 27 Intorno all’importanza assunta dall’emendatio soprattutto nella produzione libraria cristiana nel suo complesso, osserva Cavallo: "All’emendatio come operazione di routine del ciclo di produzione del libro, qual era stata nel mondo antico, subentra un’emendatio tutta tesa a salvaguardare l’autenticità testuale del libro stesso attraverso la collazione sistematica dell’antigrafo… solo il riscontro minuzioso della copia sul modello… poteva garantire l’affidabilità delle copie successive, purché a loro volta sottoposte ad emendatio" (Cavallo, Scuola, scriptorium cit., p. 68). Non è raro tuttavia il caso di emendazioni condotte senza servirsi dell’esemplare di collazione, come testimoniato da alcune subscriptiones. 28 Talvolta l’opera dei falsari si esprimeva in forme molto raffinate: in alcuni casi, per esempio, veniva raschiata dal manoscritto una parte del testo, che veniva poi riscritto nello stesso luogo e in forma esattamente identica. La manomissione avrebbe però ingenerato nel lettore il sospetto della falsità di quel brano, e lo avrebbe indotto a rigettarlo senz’altro (contro queste astuzie si leva, ad esempio, l’ira di Girolamo: cfr. Arns, La technique du livre cit., p. 184 s.). 29 Questi ultimi riconoscibili per lo più sulla base di principi di critica letteraria. 30 Sul problema dell’autenticità del libro cfr. Arns, La technique du livre cit., p. 173 ss.

IV. Modalità di riproduzione e diffusione ufficiale del Codex Theodosianus

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Quanto ai segni esterni, 'autentici', e quindi particolarmente affidabili, erano da ritenersi, in primo luogo, gli esemplari che contenevano delle annotazioni di mano dell’autore e/o una sua subscriptio autografa31. Bisogna però riconoscere che anche quest’ultima poteva essere falsificata, e che soltanto l’autore stesso era in grado di riconoscerla come propria. Un altro mezzo adoperato per garantire l’autenticità di uno scritto era poi l’anuli signaculum, anch’esso apposto dall’autore (o comunque dal soggetto abilitato ad attestarne l’autenticità) mediante il proprio anulus signatorius, dalla foggia unica. Un’ulteriore forma di garanzia di autenticità era poi rappresentata dal deposito del testo originale negli archivi32 o presso le biblioteche (la distinzione tra gli uni e le altre non è sempre stata così netta). Di grande rilevanza, nell’ottica sia della corruzione testuale sia del falso, era infine la figura del copista: determinanti erano le sue qualità di affidabilità e correttezza, di accuratezza e acribia nel collazionare e controllare il testo trascritto con il suo antigrafo33.

IV. Modalità di riproduzione e diffusione ufficiale del Codex Theodosianus In quanto avente ad oggetto un testo normativo imperiale, la procedura di riproduzione degli esemplari del Codice Teodosiano, che esamineremo tra poco, non ebbe come unico scopo quello della sua diffusione, bensì anche, e soprattutto, quello di consentirgli di esercitare la funzione prescrittiva che gli era propria. A tal fine la riproduzione del testo risulta assoggettata a una serie di requisiti formali e a una precisa sequenza di atti che hanno lo scopo di conferire, nel ___________ 31 Che veniva apposta il più delle volte alla fine dell’opera. Spesso nella subscriptio l’autore attestava di aver riletto personalmente il testo, in tal modo approvandolo implicitamente e riconoscendolo al tempo stesso come esente da errori o difformità. 32 Si intendono qui gli archivi privati o, nel caso di testi religiosi, gli archivi ecclesiastici, nei quali potevano essere depositate lettere o intere opere. 33 Esemplare in tal senso una nota di Ireneo, riportata da Girolamo e rivolta a tutti i futuri copisti (ai quali veniva addirittura imposto un giuramento): in essa troviamo espressa tutta la preoccupazione dell’autore per la correttezza e fedeltà della riproduzione del testo della propria opera: Hieron., De vir. ill. 35 (PL 23, 649B): Adiurote qui transcribis librum istum… ut conferas, postquam transcripseris et emendes illum ad exemplar, unde scripsisti, diligentissime: hanc quoque obtestationem simpliciter transferas, ut invenisti in exemplari; cfr. Arns, La technique du livre cit., p. 65 s.; 186 nt. 1. Si pensi solo che lo stesso Girolamo era stato spinto a realizzare una nuova traduzione della Bibbia soprattutto a causa, oltre che della triplice tradizione che si era venuta a creare nel tempo, anche delle quasi irrimediabili corruzioni presenti nei testi circolanti, corruzioni da attribuirsi in buona parte alla stratificazione di errori generati da copisti poco scrupolosi o, al contrario, desiderosi di chiarire, semplificare e, a loro modo, correggere ciò che non avevano compreso.

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Capitolo quinto: Riproduzione e diffusione del Codex Theodosianus

loro insieme, al testo stesso il requisito dell’autenticità, presupposto necessario per la sua applicabilità. A tali questioni è stato dato particolare risalto in un recente studio di Crescenzi34 dedicato alla definizione delle categorie di 'originale' e 'autentico', con particolare riferimento ai testi normativi tardoantichi, avendo presente soprattutto le vicende e la storia della tradizione della codificazione teodosiana e della compilazione giustinianea. Sulle modalità di riproduzione di queste due grandi compilazioni normative l’Autore ha condotto con grande competenza una raffinata e dettagliata analisi filologica, al punto che in questa sede non si potrà far altro che recepire gran parte delle sue conclusioni. Prima però di passare all’analisi della procedura di riproduzione e diffusione ufficiale del Codice Teodosiano in Occidente, è opportuno fare alcune precisazioni terminologiche. Esse si rendono necessarie soprattutto in quanto, in tale fase, assistiamo a un intrecciarsi di esemplari originali e copie dotate del carattere di ufficialità e autenticità, tra i quali non è sempre facile destreggiarsi. Crescenzi ha messo anzitutto in evidenza come, a proposito dei testi normativi, le categorie classiche di 'autore' e di 'originale' "si rivel[i]no insufficienti o addirittura svianti"35, e come, quanto alla riproduzione degli esemplari delle fonti normative imperiali di età tardoantica, "il discorso [sia] molto complicato"36, soprattutto a causa delle complesse relazioni tra il punto di vista 'materiale' e quello 'formale'. Non ci soffermeremo pertanto sul concetto di 'autore'37, atteso che il Codice Teodosiano deve considerarsi senza dubbio alcuno come ascrivibile all’imperatore-legislatore Teodosio II, che gli ha anzi espressamente attribuito il proprio nome. Rilevano qui invece soprattutto le categorie di 'originale' e 'autentico'. Quanto ai testi normativi, originale (in senso formale) è il testo approvato dall’imperatore e depositato in cancelleria38. Ma tale testo deve anche considerarsi autentico, in quanto questo carattere gli sia stato conferito da una serie di fattori in tal senso determinanti39.Tutti gli esemplari derivanti da un testo autentico, realizzati in conformità alle regole che ne disciplinano la riproduzione, sono anch’essi da considerarsi autentici, anche qualora non doves ___________ 34

Crescenzi, Authentica atque originalia cit., passim. Ibid., p. 278. 36 Ibid., p. 280. 37 Concetto che – come avverte Crescenzi (ibid., p. 277) – nel caso di testi normativi ha una rilevanza relativa, e che comunque non può porsi in termini individualistici e creativi: qui l’autore è il 'legislatore', appunto in quanto titolare della funzione di porre precetti normativi, indipendentemente dalla parte che egli vi abbia effettivamente svolto. 38 Ibid., p. 286. 39 Ibid., p. 288. 35

IV. Modalità di riproduzione e diffusione ufficiale del Codex Theodosianus

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sero essere perfettamente conformi all’antigrafo. In questo senso la categoria di 'autentico' viene a sovrapporsi, assorbendola, a quella di 'originale'40. Sulla scorta delle considerazioni dello studioso41, nell’adottare la terminologia da questi proposta, tralasciando l’idea di una possibile esistenza di un 'originale degli originali', definiamo pertanto 'originali' sia gli esemplari del Codice da conservarsi presso le due cancellerie imperiali – orientale e occidentale – sia quelli consegnati ai due prefetti del pretorio, d’Italia e d’Oriente, e solennemente presentati (almeno quello occidentale) al senato42. Definiamo poi 'esemplari prodotti in forma autentica' o 'copie in forma autentica'43 gli apografi discendenti dagli originali, realizzati secondo una determinata procedura da speciali funzionari a ciò ufficialmente abilitati. Tali esemplari, "in quanto manoscritti ufficiali, intrattengono con il concetto di originale una relazione specialissima, perché… ai fini della loro attendibilità formale sono per definizione parificati all’originale"44. Anche tali esemplari sono, quindi, portatori di un testo che deve ritenersi del pari ufficiale o autentico45. Poste tali premesse, consideriamo ora nel dettaglio la procedura di editio e conseguente diffusione delle copie in forma autentica del Codice Teodosiano, diffusione che era stata progettata per essere la più ampia possibile. Per la ricostruzione di tale procedura, nella quale, come si vedrà, il prefetto del pretorio Fausto avrà un ruolo determinante, dovremo servirci delle disposizioni in parte ___________ 40

Ibid., p. 287. Tali considerazioni sono in effetti condotte – ma solo in modo paradigmatico – sulle Institutiones giustinianee, e però suscettibili di estensione, come l’Autore stesso avverte, a tutte le compilazioni normative imperiali d’età tardoantica per le quali fossero state previste in via ufficiale particolari modalità di riproduzione e diffusione. 42 In effetti, non è noto quale rapporto materiale – se di dipendenza o di parità – intercorresse tra gli esemplari da conservarsi negli scrinia imperiali e quelli destinati all’ulteriore diffusione del Codice, e cioè se i secondi siano gli apografi dei primi, come sembra ritenere Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 296 ("Questi due codici, naturalmente, altro non possono essere che gli apografi ufficiali, ossia imperiali di un esemplare che, senza troppo ardimento, si può ritenere sia rimasto presso la cancelleria di Costantinopoli"), oppure se siano da considerarsi come tutti realizzati contemporaneamente. 43 Osserva Crescenzi, ibid., p. 287, che il concetto di 'autenticità' (di cui egli peraltro riconosce la relatività) è legato, quanto ai testi normativi, alla "necessità della certezza assoluta, che si raggiunge per mezzo dello strumento giuridico… è autentico solo ciò che l’ordinamento costruisce e di conseguenza riconosce come tale. E’ autentico solo ciò che un complesso di norme qualifica come tale. E’, inoltre, autentico soltanto ciò che viene in essere in conformità alle norme che disciplinano l’autenticità". 44 Ibid., p. 280. 45 Ibid., p. 288: "La tradizione dei testi prescrittivi… è condizionata dall’esistenza di un’entità formale – appunto l’autentico – il cui rapporto con i relativi apografi è altrettanto formale. Invero, gli esemplari che sono composti per copiatura del testo autentico… se sono redatti in conformità alle regole che disciplinano la sua riproduzione, sono essi pure autentici". 41

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Capitolo quinto: Riproduzione e diffusione del Codex Theodosianus

contenute nelle acclamazioni senatorie, in parte assunte dallo stesso prefetto, in parte, infine, desumibili dal tenore della posteriore costituzione de constitutionariis di Valentiniano III. Quanto alle acclamazioni del senato, quelle che in particolare, come è stato detto, ben mostrano l’intreccio degli interessi della politica relativa alla giustizia con quelli della cultura filologica46 e che "ci presentano… con brevi tratti espressivi tutte le ragioni della confusione nella quale… si dovevano trovare i giudici locali"47 sono le seguenti: Gesta 5 17) Plures codices fiant habendi officiis. Dictum X. 18) In scriniis publicis sub signaculis habeantur. Dictum XX. 19) Ne interpolentur constituta, plures codices fiant. Dictum XXV. 20) Ne constituta interpolentur, omnes codices litteris conscribantur. Dictum XVIII. 21) Huic codici qui faciendus a constitutionariis, notae iuris non adscribantur. Dictum XII. 22) Codices in scriniis habendi sumptu publico fiant, rogamus. Dictum XVI. 23) Fauste, aveas. Dictum XVII. … 26) Codices conscripti ad provincias dirigantur. [Dictum] XI. … 28) Paule, aveas. Dictum XII. … 30) Ut in scriniis publicis habeantur, rogamus. Dictum XII. 31) Ad curam pertineat praefecturae. Dictum XV. 32) Singuli praefecti signacula sua adhibeant. Dictum XV. 33) In officiis suis singulos codices habeant. Dictum XII.

Vengono poi le disposizioni esposte da Fausto: Gesta 7 Erit nunc meae diligentiae, secundum dominorum praecepta et desideria culminis vestri, ut hic codex fide spectabilis viri Veroniciani, quem amplitudinis vestrae mecum consensus elegit, nec non et fide Anastasii et Martini constitutionariorum, quos iam dudum huic officio inservire praeter culpam probamus, per tria corpora transcribatur, ut hoc quem detuli in officio praetoriani apicis remanente paris fidei viri magnifici praefecti urbi scrinia alterum teneant, tertium vero constitutionarii sua fide et periculo apud se edendum populis retinere iubeantur, ita ut nisi a

___________ 46

Wieacker, Textstufen cit., p. 39 sub c).: "Wie sich in dieser späteren Zeit justizpolitischen Interessen mit solchen der philologischen Kultur verbanden, zeigt das Protokoll der römischen Senatssitzung von 443 (sic)". 47 P. De Francisci, Osservazioni sulle condizioni della legislazione nei secoli IV e V, in Scritti in onore di A. Salandra (Milano 1928) p. 153.

IV. Modalità di riproduzione e diffusione ufficiale del Codex Theodosianus

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constitutionariis ex hoc corpore eorundem manu conscripta exemplaria non edantur. Si quidem erit meae diligentiae etiam illam tractare partem, ut conscriptus per hos alius codex ad Africam provinciam pari devotione dirigatur, ut illic quoque paris fidei forma servetur.

Infine la costituzione di Valentiniano III, emessa a Roma sul finire del 443 a seguito di problemi sorti durante la fase di riproduzione degli apografi ufficiali del Teodosiano. Di essa verrà riportata soltanto la parte rilevante ai nostri fini: Constitutio de constitutionariis … vidimus id, quod invictissimus princeps pater clementiae nostrae in custodiendi Theodosiani codicis observatione praecepit, a senatu diligentia maiore munitum, ut hi ad edenda exemplaria haberent tantum licentiam contributam, quos manebat periculum, si quid edita falsitatis habuissent. Et ideo vir. inl. p(raefectus) u(rbi), parens amicusque noster, ad cuius diligentiam pertinet observare diligentius, quod pro omnium cautela decrevit senatus, sciet vobis licentiam in edendis exemplaribus contributam, confectionem quoque memorati corporis vestro tantum periculo procurandam, nec habeant vel de editione vel de confectione commercium, cum ad vos certum sit redundare de falsitate discrimen…

Ritengo più opportuno tenere logicamente distinte le modalità di riproduzione (nel senso di trascrizione materiale) degli esemplari da quelle della loro diffusione, sia pure tenendo presente lo stretto intreccio tra le due fasi. Nella prima attività vediamo direttamente impegnati i constitutionarii, in particolare Anastasio e Martino, nonché Veroniciano, uomo di fiducia del senato: a costoro erano state difatti attribuite specifiche funzioni di autenticazione. Alla diffusione parteciparono invece, oltre ai citati personaggi, anche il prefetto del pretorio e, indirettamente, il praefectus urbis Romae. 1. La diffusione Seguendo un percorso inverso, la nostra indagine prenderà l’avvio dalla fase della diffusione degli esemplari, pur se cronologicamente successiva alla loro riproduzione; fase che si cercherà di ricostruire mediante l’analisi anzitutto di quanto enunciato a questo proposito dallo stesso Fausto. Nel discorso che seguì le acclamazioni dei senatori, quest’ultimo espose difatti le modalità con cui, dall’esemplare originale portato dall’Oriente, avrebbero dovuto essere tratte e diffuse le copie in forma autentica del Codice. Nell’indagare le modalità con cui la diffusione della compilazione teodosiana venne prefigurata, occorre partire da un dato che emerge nella NTh. 1. In questa costituzione l’imperatore orientale, celebrando la propria opera di codificazione e attribuendo alla stessa valore normativo, precisò che, a partire dal 1° gennaio 439, nell’esercizio dell’attività giudiziaria ci si sarebbe dovuti servire, quanto al ius principale, di quello tratto in via esclusiva ex his videlicet libris, qui … sacris habentur in scriniis. Veniamo così a conoscenza del fatto che, accanto agli – e forse prima degli – esemplari ufficiali consegnati ai due

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prefetti del pretorio, doveva esistere almeno un altro esemplare, da considerarsi anch’esso originale, che avrebbero dovuto essere depositato e conservato, secondo le disposizioni dell’imperatore, negli scrinia imperiali di Costantinopoli, e forse anche un ulteriore originale da conservarsi Ravenna. I tre (o quattro) esemplari erano tutti verosimilmente muniti, come già ipotizzato da Mommsen, di sottoscrizione autografa di entrambi gli imperatori48, forse anche del loro sigillo, e comunque "corroborat[i] dalle adeguate forme di autenticazione imperiale"49. Attraverso i Gesta senatus possiamo seguire le sorti dell’esemplare affidato al prefetto del pretorio d’Italia e dal quale, in qualità di archetipo50, avrebbe dovuto prendere l’avvio la procedura di editio del Codice Teodosiano in Occidente. Essa, come esposto dallo stesso Fausto, doveva svolgersi con le seguenti modalità: dall’esemplare consegnato personalmente dall’imperatore Teodosio II nelle mani del prefetto avrebbero dovuto essere trascritti tre apografi (hic codex… per tria corpora transcribatur) per opera dei constitutionarii Anastasio e Martino, o forse, più probabilmente, sotto la loro supervisione51 nonché sotto quella del vir spectabilis Veroniciano52, all’uopo scelto dal senato stesso (fide spectabilis viri Veroniciani… nec non et fide Anastasii et Martini constitutionariorum). I tre citati funzionari avrebbero dovuto garantire della perfetta conformità dei tre apografi rispetto all’originale (cioè l’antigrafo orientale), essendo chiamati a rispondere di falso per il caso di divergenze tra i due testi. Una volta esaurita questa prima fase, il codice portato dall’Oriente avrebbe dovuto essere depositato presso l’officium del prefetto del pretorio, verosimilmente la sua cancelleria, per essere ivi conservato (hoc quem detuli in officio praetoriani apicis remanente). Quanto ai tre esemplari, il primo (che però Fausto sembrerebbe definire come il secondo: alter), in quanto dotato di una par

___________ 48 Mommsen, Proleg. cit., p. XI. E’ altamente probabile che questi esemplari contenessero almeno la sottoscrizione di Teodosio II, il quale viene dipinto da fonti posteriori come un imperatore grafomane e distratto, che sottoscriveva, senza quasi neanche leggerlo, qualsiasi documento gli fosse stato posto dinanzi. Inoltre, come si è chiarito, la subscriptio autografa dell’autore (da intendersi nel senso lato di cui si è detto) era uno dei segni che concorrevano a garantire l’autenticità di un’opera. 49 Prendo in prestito quest’espressione da Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 279. 50 Sullo status filologico della tradizione occidentale del Teodosiano si veda ancora Crescenzi, op. cit., p. 297 ss. 51 Cfr. Matthews, Laying down the Law cit., p. 49. 52 Ben poco sappiamo di questo personaggio, che secondo alcuni sarebbe stato il primicerius notariorum, secondo altri un funzionario della cancelleria dello stesso prefetto del pretorio d’Italia (cfr. W. Enßlin, s.v. Veronicianus 1, PWRE VIII A,2, col. 1560).

IV. Modalità di riproduzione e diffusione ufficiale del Codex Theodosianus

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fides53 rispetto al suo antigrafo, avrebbe dovuto essere consegnato al praefectus urbis Romae, per essere custodito nei suoi scrinia; il secondo esemplare (definito però come tertium) avrebbe dovuto essere depositato e conservato presso i constitutionarii, che avrebbero dovuto servirsene quale antigrafo per realizzare l’editio populis del Codice, e cioè tutte le successive e future copie in forma autentica (tertium vero constitutionarii sua fide et periculo apud se edendum populis retinere iubeantur). E’ quindi da quest’ultimo esemplare, quale subarchetipo, che avrebbe avuto direttamente origine la diffusione più ampia del Codice Teodosiano. Fausto aveva inoltre previsto di far inviare un esemplare del Codice, anch’esso realizzato dai constitutionarii (conscriptus per hos alius codex), alla provincia d’Africa, verosimilmente al vicarius Africae54, di modo che anche nelle terre d’oltremare venisse conservata una copia (forma) dotata della medesima fides dell’originale (ad Africam provinciam pari devotione dirigatur, ut illic quoque paris fidei forma servetur)55. Ci sembra però che anche in questo caso ci si sia serviti quale antigrafo dell’esemplare orientale, piuttosto che della copia dello stesso in dotazione dei constitutionarii56. Non si saprebbe dire se questa copia africana dovesse dare origine in quelle terre a una diffusione analoga a quella organizzata dai constitutionarii57. Qualora si ammettesse questa ipotesi, però, si dovrebbe immaginare la costituzione di un ufficio analogo, in quanto dotato degli stessi poteri, ma operante a Cartagine, forse presso la cancelleria del governatore. Nulla di particolare venne invece previsto per le Gallie, né viene in alcuna evidenza la relativa prefettura del pretorio. Ma è certo che anche questa importante regione dell’impero dovette essere interessata dalla diffusione ufficiale ___________ 53 Si deve però supporre che tutti i tria corpora fossero dotati del medesimo carattere, che doveva accompagnare anche l’esemplare destinato all’Africa (ammesso che si trattasse di un ulteriore codice). Al concetto di fides di un documento pubblico si lega quello della sua autenticità (o credibilità). Il tema è però piuttosto intricato: per esso si rinvia alle osservazioni di G. Nicolaj, Originale, authenticum, publicum: una sciarada per il documento diplomatico, Scrineum 2 (2000) pubblicato in http://dobc.unipv.it/scrineum/nicolaj.htlm. Sulla fides degli esemplari ufficiali del Teodosiano, in quanto connessa alla fides dei constitutionarii (e di Veroniciano) e in relazione all’autenticità e all’efficacia probatoria del documento, si vedano le interessanti considerazioni di Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 305 ss. 54 Piuttosto che il proconsul Africae, che costituiva l’altra delle due magistrature di grado superiore (e indipendenti l’una dall’altra) alle quali era affidata la diocesi africana. 55 Il Codice Teodosiano avrà tuttavia vita breve in Africa, che verrà conquistata dai Vandali poco tempo dopo la sua entrata in vigore. 56 Di opinione contraria Matthews, Laying down the Law cit., p. 50. 57 Come sembra ritenere invece Matthews, Laying down the Law cit., p. 51, secondo cui il vescovo ariano Massimino e lo storico Sozomeno sarebbero stati in possesso di copie del Teodosiano derivanti proprio da quell’esemplare.

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del Teodosiano: la recezione dello stesso nella legislazione visigotica e l’uso tardo, testimoniato soprattutto per quest’area, di esemplari contenenti il testo originario del Teodosiano per integrare quello del Breviario rendono questa ipotesi molto verosimile. La consegna ai soli titolari delle prefetture considerate di maggior importanza, rispettivamente per l’Oriente e per l’Occidente, presupponeva forse che questi stessi dovessero provvedere alla diffusione degli esemplari anche per le aree ricadenti sotto le prefetture dei colleghi, anzitutto consegnando agli stessi una copia da conservare presso i loro uffici. Apparentemente può osservarsi una certa confusione nelle parole di Fausto: sembrerebbe che questi, nel conteggiare gli esemplari, abbia considerato come 'prima copia' l’esemplare originale ricevuto da Teodosio, definendo così come 'secondo' e 'terzo' corpus quelle che in realtà dovevano essere, nell’ordine, la prima e la seconda copia in forma autentica58. Sembrerebbe pertanto mancare all’appello una copia, cioè la terza, a meno che questa non sia da identificare in quella, menzionata successivamente, da inviare nella provincia d’Africa. Va però osservato che quest’ultima previsione è formulata in modo tale da sembrare oggetto di una disposizione 'aggiuntiva', che farebbe apparire la copia destinata ai territori d’oltremare come un ulteriore esemplare (alius codex) rispetto ai tre già menzionati59. Nella procedura di editio è possibile individuare due 'livelli': il primo, fondato sull’originale orientale, consisteva nella trascrizione dei tria corpora (ai quali va forse aggiunto un ulteriore esemplare da inviare in Africa); il secondo, fondato invece su uno di questi corpora, all’uopo depositato presso i constitutionarii e formalmente munito della stessa autenticità dell’esemplare orientaleantigrafo, consisteva nella realizzazione di un numero indefinito di copie in forma autentica dello stesso. I restanti due (o tre) corpora erano destinati ad essere custoditi presso gli scrinia di alti funzionari imperiali, probabilmente al solo scopo di rappresentare il 'testo ufficiale' del Codice e di servire eventualmente da 'esemplari di collazione', in quanto il loro testo doveva ritenersi munito della stessa fides del codex portato dall’Oriente60. ___________ 58

Tale confusione non era sfuggita a Mommsen, Proleg. cit., p. XI nt. 1: "In oratione hac quaedam perturbata sunt, puto culpa Fausti ipsius". Lo studioso riteneva perciò come più probabile che gli esemplari riprodotti dai costitutionarii fossero solo due: "Denique perverse dicitur tertium exemplum faciendum esse constitutionariis tradendum, cum ex tribus illis duo certe ab iisdem scribi debuerint". La soluzione appare chiara invece a Crescenzi, secondo il quale Fausto non ha contato le copie bensì i corpora, e pertanto il 'terzo' esemplare altro non sarebbe che quello da inviare in Africa (Crescenzi, op. cit., p. 295 nt. 70). 59 E difatti di "quatrième et dernier exemplaire" parla Du Caurroy (recens. a Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 415). 60 Il quale, come visto, sarebbe dovuto rimanere, per esservi conservato, presso gli scrinia del praefectus praetorio, la più alta carica dopo quella dell’imperatore.

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A differenza di quest’ultimo, però, nessuno degli altri esemplari avrebbe potuto ovviamente essere munito della originale sottoscrizione imperiale61. Ciò nonostante, essi erano da considerarsi parimenti autentici in quanto realizzati, nelle forme e secondo le procedure previste, sotto la responsabilità dei tre funzionari citati, che erano stati dotati di apposita licentia; nonché in quanto muniti di sigilli prefettizi e conservati presso gli archivi dei magistrati. Ci sembra quindi che delle prime tre (o forse quattro) copie vadano tenute ben distinte le funzioni: testi ufficiali e affidabili esemplari di collazione, quelle conservate presso gli scrinia dei predetti magistrati; esemplare di trascrizione, quell’unica copia rimasta a disposizione dei constitutionarii. Alla luce degli attuali criteri filologici, potrebbe apparire poco logica la scelta di eleggere ad antigrafo di tutte le copie ufficiali a venire del Codice Teodosiano, non già il manoscritto direttamente prodotto dalla cancelleria costantinopolitana, bensì una sua copia, sia pure realizzata sotto la responsabilità dei tre funzionari sopra menzionati e secondo una rigida procedura. Tale modo di procedere, come intuibile, presentava maggiori rischi, poiché è evidente che per ciascuna riproduzione aumentavano in misura direttamente proporzionale le probabilità che il testo subisse delle alterazioni62. Ma, a ben guardare, queste modalità di editio rispecchiano pienamente quelle tipiche dell’età tardoantica, come illustrate brevemente più sopra. Accanto all’esigenza di diffondere l’opera, vi era comunque la preoccupazione di conservare e preservare da possibili guasti alcuni esemplari, da considerarsi particolarmente affidabili. Si può difatti immaginare che l’esemplare in uso quale antigrafo presso i constitutionarii fosse inevitabilmente soggetto ad un più o meno rapido deterioramento fisico; inoltre, non potendo questo rimanere costantemente in un luogo chiuso e protetto, anche la sua stessa conservazione andava incontro a maggiori rischi. E’ infine ipotizzabile che, per agevolare le operazioni di trascrizione, i fascicoli si presentassero addirittura smembrati, in quanto tali non particolarmente adatti a costituire un affidabile esemplare di collazione. Veniamo così al secondo 'livello': quello della editio populis e della editio delle copie destinate agli uffici pubblici, operazioni che avrebbero assicurato una diffusione ad ampio raggio della codificazione. A questo proposito ci sembra possibile distinguere due diversi regimi: quello seguito per i funzionari imperiali e quello seguito per i privati. ___________ 61

Forse però di una sua copia. V. già Mari, L’armario del filologo (2005) cit., p. 233 s. Come osserva Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 302 ss., la tradizione dei testi legislativi va anzi presunta come contaminata, essendo ciò l’inevitabile risultato della indispensabile attività di collazione dell’apografo con l’antigrafo da parte di coloro che, in quanto preposti alla riproduzione, sono responsabili della conformità del testo. 62

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Nell’intento di rendere quanto più possibile conoscibile la compilazione normativa realizzata dalla propria cancelleria, Teodosio ebbe difatti in mente quali destinatari non solo i magistrati dell’impero dotati di funzioni giurisdizionali, ma tutti gli operatori del diritto, non ultime anche le scuole. Tuttavia, mentre per i primi sembra essere stata prevista una 'dotazione d’ufficio', da realizzarsi per iniziativa e a carico dell’amministrazione imperiale, i secondi avrebbero probabilmente dovuto avanzare specifica richiesta per ottenere una copia in forma autentica, sostenendo le relative spese63. Come emerge dalle acclamazioni, al prefetto del pretorio venne affidato (o, come riteniamo più probabile, solo riconosciuto) dal senato il compito di provvedere alla spedizione degli esemplari ufficiali della compilazione anche ad provincias (accl. 26), quantomeno a quelle che facevano ancora parte dell’impero d’Occidente. Pertanto, ad esclusione del prefetto del pretorio, del praefectus urbis Romae e, probabilmente, del vicarius Africae, tutti gli altri magistrati avrebbero ricevuto ciascuno una copia in forma autentica trascritta dall’apografo in possesso dei constitutionarii. Probabilmente tali esemplari vennero direttamente inviati dal prefetto del pretorio ai governatori provinciali (consulares, correctores, praesides) appartenenti alle diocesi italiciana e africana: senza quindi l’intermediazione dei vicarii, i quali, al pari degli altri magistrati, dovettero ricevere anch’essi una copia della codificazione. Secondo quella che sembra essere una richiesta del senato romano (accl. 22), tali esemplari avrebbero dovuto essere realizzati sumptu publico e, una volta ricevuti, avrebbero dovuto essere conservati presso l’ufficio (più precisamente, presso la cancelleria) di ciascun magistrato (accl. 17, 18, 22, 30, 33). Degna di nota appare questa insistenza sulla conservazione degli esemplari dei Codici presso gli officia e gli scrinia publica, e quindi presso gli archivi: quasi che la loro presenza in tali luoghi ne costituisse un’ulteriore forma di validazione e contribuisse anch’essa a conferire autenticità agli esemplari64. I magistrati – e in primo luogo il praefectus praetorio e il praefectus urbi – avrebbero dovuto provvedere ad apporre all’esemplare in loro dotazione i propri sigilli (accl. 18, 32). Non è possibile dire, invece, se gli esemplari ricevuti dagli altri funzionari dovessero anch’essi essere muniti di detti sigilli, o piuttosto di quelli dei destinatari. Ad ogni modo, la presenza dei sigilli avrebbe, da un lato, costituito un ulteriore segno di autenticità e ufficialità, per conseguire, dall’altro lato, il duplice fine di identificare con certezza l’esemplare ufficiale

___________ 63 Anche per Wieling, Die Einführung cit., p. 875, il rilascio di copie a privati sarebbe avvenuto "gegen Bezahlung, versteht sich". 64 Di questo avviso Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 318 s., le cui considerazioni ci sentiamo di condividere.

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(ad evitare così possibili scambi con copie false) e di impedirne eventuali manomissioni65. Il ruolo svolto in questa fase dalla prefettura del pretorio non può che implicare uno stretto contatto (configurato probabilmente in termini di dipendenza) tra il relativo ufficio e quello dei constitutionarii, che dovevano provvedere a realizzare quegli esemplari che il prefetto avrebbe poi spedito ai funzionari imperiali. Secondo taluni, però, anche la prefettura urbana avrebbe avuto un ruolo attivo nella fase di diffusione ufficiale del Teodosiano. Vediamo infatti che alle acclamazioni di lode rivolte al praefectus urbi Paolo (accl. 28-29) seguono: Ut in scriniis publicis66 habeantur, rogamus.… Ad curam pertineat praefecturae. (accl. 30-31). A fronte della genericità del testo, che nomina semplicemente la praefectura senza precisare quale, quest’ultima viene da taluni intesa come quella urbana, e ciò principalmente per due motivi: 1) le due acclamazioni appena viste seguono immediatamente le lodi rivolte al praefectus urbi; 2) sulla base di una certa interpretazione della costituzione de constitutionariis, si ritiene da parte di alcuni che questi ultimi ebbero a operare alle dipendenze, o comunque sotto il controllo, della prefettura urbana67. Cercheremo di confutare quest’ultima ipotesi più avanti, in quanto riteniamo più probabile che i constitutionarii (quantomeno Anastasio e Martino) avessero un legame piuttosto con la prefettura del pretorio, cioè con l’ufficio che aveva ricevuto dall’imperatore il compito di dirigere gli esemplari del Teodosiano nell’impero, che con la prefettura dell’Urbe. Ma, anche quanto al nesso tra le acclamazioni, è ben possibile che quelle rivolte a Paolo siano venute a spezzare solo in modo casuale la sequenza di acclamazioni inerenti la procedura di editio del Teodosiano, e che quindi non sia necessariamente da ravvisare un collegamento tra il destinatario di tali lodi e le disposizioni che ad essa seguono, relative alla diffusione delle copie in forma autentica presso gli scrinia publica. Anzi, a ben guardare, tali disposizioni non fanno altro che ripetere un concetto già espresso più volte in altre acclamazioni. ___________ 65 Sulla funzione dell’apposizione di signacula si vedano anche le ulteriori ipotesi di Matthews, Laying down the Law cit., p. 53. 66 La De Marini ritiene anzi che in questo caso gli scrinia publica vadano intesi nel senso di 'archivi provinciali' (cfr. De Marini Avonzo, Critica testuale cit., p. 36). Ma, se così fosse, ciò porterebbe a dover senz’altro escludere la prefettura urbana, in quanto non vi sono dubbi che la diffusione nelle province fosse compito del prefetto del pretorio. 67 Per Mommsen, Proleg. cit., p. XI, il rilascio di copie a privati sarebbe stato difatti curato, o comunque supervisionato, dalla prefettura urbana ("Commercium hoc ut recte fiat, cura est praefecti urbi"). D’accordo anche De Marini, Diritto e giustizia cit., p. 123.

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Non del tutto convincente è invece l’ipotesi che, nel quadro di un’eventuale divisione dei compiti, la cancelleria della prefettura dell’Urbe possa essere stata impegnata nella realizzazione degli esemplari da inviarsi presso gli uffici dei magistrati imperiali (fermo restando che quelli provinciali sarebbero stati di competenza del prefetto del pretorio), mentre ai constitutionarii sarebbe stato riservato il compito di provvedere a realizzare le copie in forma autentica richieste dai privati. Una tale soluzione appare difatti troppo farraginosa, poco pratica e antieconomica. Inoltre, non si giustificherebbero le parole di Valentiniano III, il quale, ancora nel 443, ricordava espressamente i constitutionarii come gli unici soggetti ad aver ricevuto in via esclusiva una licentia in relazione alla editio (comprensiva di realizzazione e commercio) di copie in forma autentica del Codice. Appare quindi improbabile che alla prefettura dell’Urbe possa essere stato attribuito, in questa oppure già in altra sede, un ruolo ufficiale nell’editio e conseguente diffusione ufficiale del Teodosiano per l’Occidente. Detto ufficio dovette piuttosto svolgere un ruolo di controllo e verifica, non tanto sull’attività dei constitutionarii stessi, quanto piuttosto sulla circolazione delle copie ufficiali e su eventuali abusi connessi a tale attività, costituiti dalla riproduzione di esemplari apparentemente autentici da parte di soggetti non autorizzati. In sintesi, nelle acclamazioni pertinenti alla fase di diffusione della compilazione teodosiana viene posto un particolare accento sui seguenti aspetti: la rilevante quantità delle copie da realizzarsi (plures codices fiant: accl. 17, 19); la loro diffusione presso tutti gli uffici pubblici, compresi quelli provinciali (codices conscripti ad provincias dirigantur: accl. 26), e la conservazione, garantita da sigilli (sub signaculis: accl. 18, 32), presso i relativi scrinia (in scriniis publicis o in officiis habentur: accl. 17, 18, 22, 30, 33). Ecco quindi chiaramente riemergere le due principali preoccupazioni dell’imperatore: l’ampiezza della diffusione del Codice e, al tempo stesso, l’assoluta affidabilità e inalterabilità del suo testo. 2. La riproduzione E’ oltremodo interessante il fatto che non solo la procedura di diffusione, ma la stessa produzione materiale degli esemplari in forma autentica sia stata oggetto di apposita disciplina. La cura con cui sono stati definiti gli aspetti formali della riproduzione, denotante in primo luogo l’esigenza di salvaguardare l’autenticità degli esemplari, ci riporta nuovamente all’ambiente delle cancellerie e all’attività di redazione dei documenti pubblici.

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a) I constitutionarii e il loro ufficio Nell’affrontare l’esame della riproduzione degli esemplari in forma autentica del Codice Teodosiano, dobbiamo tornare ad occuparci dei constitutionarii. Difatti, ad essi era stata attribuita in via esclusiva una licentia relativa all’editio di tali esemplari, e cioè alla realizzazione di copie trascritte dall’esemplare presso di loro depositato. Di quest’ultimo gli stessi avrebbero dovuto, al tempo stesso, curare la conservazione, verosimilmente presso i locali allestiti per lo svolgimento della loro attività. Cercheremo dapprima di ricostruire le figure di Anastasio e Martino, i loro rapporti con la prefettura del pretorio e le funzioni svolte in precedenza. Passeremo poi a considerare l’ufficio dei constitutionarii, analizzandone la struttura e le funzioni attribuite a questi 'pubblici ufficiali'. Il termine constitutionarii, che compare per la prima e unica volta proprio nei Gesta senatus del 438, è del tutto ignoto alla Notitia Dignitatum e non è presente neanche in nessuna costituzione conservata nel Codice Teodosiano e/o in quello Giustinianeo. Quest’ufficio, del quale fino alla scoperta dei Gesta senatus si ignorava del tutto l’esistenza, pur suscitando, almeno all’inizio, un certo interesse nell’ambiente scientifico, non ha tuttavia costituto oggetto di particolare analisi da parte degli studiosi, che pure avevano compreso la rilevanza del suo ruolo in relazione alla diffusione ufficiale del Codice Teodosiano in Occidente e alla connessa attività di riproduzione di exemplaria ufficiali dello stesso, alla quale i constitutionarii avrebbero dovuto attendere. Non solo dei constitutionarii in genere, ma anche di Anastasio e Martino in particolare, il cui ruolo si profila così rilevante, non conosciamo quasi nulla, fatta eccezione per quelle scarne notizie desumibili dai due documenti anzidetti (Gesta senatus e constitutio de constitutionariis). Ma proprio questi documenti, anzichè costituire le nostre poche certezze, devono essere a loro volta sottoposti a verifica. aa) I nomi Vanno presi anzitutto in esame i nomi dei due constitutionarii, che nella propria edizione dei Gesta senatus Mommsen definisce 'Anastasio' e 'Martino'68 e che erano presenti durante la seduta senatoria. Dalla inscriptio della costituzione di Valentiniano III del 443, di cui, come detto, essi sembrerebbero ___________ 68

Const. de constitutionariis (ed. Mommsen): DOMINI [NOSTRI] IMPP. CAESARES Il sistema onomastico dei tria nomina era, in età tardoantica, caduto quasi del tutto in disuso.

FLAVIO ANASTASIO ET HILARIO MARTINO.

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essere stati i destinatari, apprendiamo che i loro nomi completi sarebbero stati 'Flavio Anastasio' e 'Ilario Martino'. Ma, come osservava già Hänel69 a proposito delle corruzioni testuali di cui il Codex Ambrosianus C 29 inf. presenta grande abbondanza, non vi è "nihil corruptius nominibus propriis". E difatti nel testo manoscritto del verbale senatorio, ove i constitutionarii sono espressamente nominati in due diverse occasioni70, Martino è menzionato ben tre volte nella forma Marcius. Inoltre, gli stessi vengono definiti semplicemente quali Anastasius e Marcius, entrambi privi di praenomen. Tali considerazioni inducono a mettere in discussione il dato relativo ai nomi di questi due constitutionarii e a rivedere le lezioni scelte da Mommsen. E’ opportuno rilevare anzitutto che soltanto nella inscriptio della costituzione di Valentiniano III del 443 Marcius è citato come Hilarius Martinus. Quanto invece al testo manoscritto dei Gesta senatus, la forma Marcius, in quanto caratterizzata dalla particolarità ortografica costituita dall’uso della 'c' al posto della 't'71, va intesa come Martius. Sembra esservi quindi una discrepanza tra i Gesta, dov’è menzione di Marcius (Martius) e la costituzione di Valentiniano III, indirizzata a Hilarius Martinus. Attesa la notevole quantità di alterazioni testuali che caratterizza il testo dell’Ambrosianus, questa lieve differenza tra Marcius (Martius) e Martinus ben può essere spiegata come derivante dall’errore di un copista. Ma, tra le due, quale la forma corretta? Per l’editio princeps dei Gesta senatus, Clossius aveva scelto di emendare la forma Martinus, optando per la conservazione di Martius72. In tale scelta egli venne seguito da tutti gli studiosi che, prima di Mommsen, ebbero a realizzare un’edizione critica – o anche solo ad occuparsi73 – dei Gesta. Carlo Baudi di ___________ 69

Proleg. a CTh. cit., p. XI nt. 58. Gesta 1: ibi ingressis ex praecepto Anastasio et Martino constitutionariis; Gesta 7: nec non et fide Anastasii et Martini constitutionariorum. 71 V. più sopra p. 50. 72 Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 127 nt. 19: "sic enim excisa voc. n legimus". Va ricordato che, nella sua edizione, il giurista tedesco aveva addirittura adottato la denominazione Hilario Martio Quarto, accogliendo il suggerimento degli studiosi (in particolare Savigny e Klenze) che avevano collaborato alla restituzione filologica di quel passo e che avevano in tal senso modificato l’originario quantum che seguiva il nome di Martino/Martio. A questo proposito, però, lo stesso Autore manifestò, già nelle Notae criticae, le sue perplessità: "dubium movent Martii… nomina tria", perplessità ingenerate da due considerazioni: 1) Quartus era sempre stato, nel sistema onomastico romano, un praenomen (collocato in prima posizione, quindi, e non in terza); 2) nei Gesta, da considerarsi senza dubbio un documento solenne, compare sempre e soltanto un unico nome: quello di Marcius. 73 Nel lungo commento alle edizioni di Clossius e di Peyron, apparso su più numeri della Leipziger Literatur-Zeitung all’indomani della pubblicazione delle stesse, è addirittura conservata la forma Marcius (Neue Quellen des Römischen Rechts, 70

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Vesme aveva anzi cercato di fornire una giustificazione a tale scelta, e quindi una spiegazione al supposto errore del copista, ipotizzando che questi avesse scritto, in modo più o meno inconsapevole, Martinus anziché Martius a causa della maggiore familiarità con il primo nome, probabilmente perché questo doveva essere particolarmente diffuso nella sua epoca e/o nella sua regione74. Fu quindi Mommsen, poi seguito da Krüger, ad effettuare anche per questo caso una scelta innovativa, venendo ad adottare, senza addurre particolari spiegazioni, la forma Martinus in sostituzione di Marcius. Solo in tempi recenti sono state tuttavia manifestate delle perplessità su questa scelta75, perplessità che stimolano a una riconsiderazione di tale aspetto. Troviamo, per parte nostra, che alla scelta di Mommsen sembrerebbero contraddire almeno due motivi: anzitutto un semplice 'calcolo statistico', atteso che la forma Marcius/Martius è usata per ben due volte contro l’unica menzione di Martinus. Inoltre, la forma Marcius si trova all’interno del testo del verbale senatorio, in passi del manoscritto che non hanno presentato grandi problemi di natura filologica, mentre la forma Martinus compare in un passo che non solo costituisce un elemento esterno al verbale, ma che sin dall’inizio era apparso pesantemente corrotto e aveva perciò presentato numerose difficoltà ai filologi che si erano apprestati a interpretarlo76: stiamo parlando dell’inscriptio della costituzione di Valentiniano III, o meglio di quella porzione di testo che rappresentava – e nella quale si situava – il punto di passaggio tra il verbale senatorio e la costituzione stessa, passo nel quale non si riusciva a intravedere in modo chiaro il punto di cesura tra i due documenti, in quanto scritti l’uno di seguito all’altro, senza soluzione di continuità. Tale passo, caratterizzato da errori, concordanze sbagliate, lacune, sigle corrotte, era stato sin dalle prime analisi giudicato particolarmente oscuro e di difficile interpretazione77. Soltanto l’abile soluzione (ma anch’essa forse non completamente esente da pecche) proposta dal Baudi di Vesme avrebbe ___________ Leipziger Literatur-Zeitung n. 237 [28 Sept. 1824], col. 1889). Savigny aveva invece inizialmente creduto che si trattasse addirittura di due persone diverse (F.C. von Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' vom Jahre 438, ZGR 9 (1838) pp. 213-224 (anche in Vermischte Schriften III [Berlin 1850] pp. 255-269 e spec. p. 257). 74 Baudi di Vesme, Gesta cit., col. 10 nt. 1; In difficiliora duo loca e fragmentis Codicis Theodosiani a Clossio repertis coniecturae criticae, in Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Fasc. II (1840) pp. 1-31 e spec. p. 18. 75 Cfr. De Marini Avonzo, La filologia romanistica cit., pp. 245-263 e spec. p. 251 e nt. 31. 76 Sui tentativi di interpretazione del passo che era stato ritenuto essere la subscriptio del verbale senatorio si vedano la rassegna e le critiche in Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., passim. 77 Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 127 nt. 19: "ordo totius subscriptionis sic perturbatus est, et ab aliis subscriptionibus mirum in modum differt, ut vix sine mendo esse possit".

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trasformato questo testo incomprensibile nella chiara inscriptio e nell’incipit di una costituzione di Valentiniano III. Data la particolare problematicità di questo passo, non ci sembra si possa ritenere come maggiormente affidabile la forma Martinus, ivi contenuta, rispetto a quella di Marcius78. Quest’ultima, anzi, può essere considerata, per il XII sec. (epoca in cui il manoscritto è stato realizzato), quale lectio difficilior. Ne segue che la forma Hilarius Martius è da preferirsi, o almeno è altrettanto proponibile, rispetto a quella, privilegiata da Mommsen, di Hilarius Martinus. Ma anche sul nome di Flavio Anastasio gravano dei dubbi. L’attuale forma è, infatti, frutto di una più ampia modifica testuale compiuta sul passo corrotto di cui si è appena detto, passo che segue immediatamente la dichiarazione di editio dei Gesta senatus da parte dell’exceptor senatus Laurentius. Tale modifica era stata in origine suggerita dal Baudi di Vesme79, per essere poi accolta da Mommsen (e da Krüger), dopo aver già ricevuto l’avallo di Savigny80. Significativamente però, essa non aveva convinto Hänel, che difatti non l’ha adottata nella propria edizione dei Gesta senatus. La lezione manoscritta è la seguente: Dominis imprs et cesaribus flaviis anastasio et hilario martino quantum…. Come si vede, il nome flaviis concorda, in quanto plurale, con i titoli imperiali che precedono (Dominis imprs et cesaribus), e non invece con il nome anastasio, che lo segue. Sembrerebbe, quindi, che flaviis facesse parte piuttosto della titolatura degli imperatori81. La trasformazione operata dal Baudi comportò non solo la modificazione del caso dei primi elementi, che vennero trasformati in nominativo, ma anche il distacco, rispetto ad essi, del gentilizio flaviis, trasformato nel singolare flavio, che venne ad assumere il ruolo di primo nome di Anastasio: dunque, non più imperatores et caesares flavii, bensì Flavius Anastasius. A sostegno della detta modifica il Baudi addusse sostanzialmente quattro ragioni: 1) non si riscontrerebbero nelle fonti, per il periodo in questione, titolature imperiali di questo tipo, cioè caesares flavii; 2) la parola caesar ___________ 78 Supponendo, ovviamente, che vi sia identità tra i due personaggi, cosa che invece, come detto, era stata inizialmente scartata proprio da Savigny. Dopo l’intervento di Baudi di Vesme, però, lo studioso tedesco ritornò, a questo e ad altro proposito, sui propri passi. 79 Baudi di Vesme, In difficiliora cit., pp. 3-22. 80 Savigny, Nachtrag a Ueber die 'Gesta senatus' cit., pp. 270-278. 81 Dei quali, ad ogni modo, mancherebbero i nomi: una lacuna che in ogni caso permane e che non può essere colmata, se non in via deduttiva. La formulazione in esame era stata ritenuta 'insolita' già dallo stesso Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 127 nt. 19: "plane inusitata et fere nihil exprimens imperatorum designatio, quum inde a tempore Constantini M. omnes e Flavia gente oriundi fuerint".

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sarebbe stata, di conseguenza, frutto di una introduzione ex novo82, a causa di un malaccorto scioglimento, da parte del copista, di una originaria abbreviazione; 3) lo stesso deve dirsi per la forma flaviis, che sarebbe derivata da una originaria forma abbreviata fl.83. Di conseguenza, la concordanza, al plurale, con gli elementi testuali che precedono (anch’essi caratterizzati, secondo l’Autore, da una flessione errata quanto al caso) anziché con quello – al singolare – che segue, sarebbe da attribuirsi esclusivamente all’arbitrarietà del copista stesso; 4) ne risulterebbe così ristabilito l’equilibrio tra i nomi dei due constitutionarii, non apparendo plausibile che, all’interno di un documento ufficiale, siano stati menzionati l’uno con un solo nome e l’altro, invece, con due84. Riteniamo tuttavia opportuno sottoporre a verifica alcune delle affermazioni del Baudi in merito ai titoli imperiali in uso nel V sec. d.C. e, in particolare, a quelli di Caesares e Flavii; affermazioni sulle quali sembra reggersi parte della ricostruzione dello studioso. Da un’analisi delle fonti a nostra disposizione è possibile concludere che, contrariamente a quanto da questi sostenuto, più fonti coeve ai nostri documenti testimoniano della diffusione dell’uso, in documenti ufficiali e non, di entrambi questi titoli, impiegati ora alternativamente, ora congiuntamente. Quanto al titolo di Caesar, vengono in primo luogo alcune epistole inviate o ricevute dagli imperatori Teodosio e Valentiniano per lo più in occasione di sinodi o concili85, epistole conservateci per la gran parte nei relativi verbali. In ___________ 82 Baudi di Vesme, Gesta cit., col. 9 s. nt. 1: "nec voces etcesaribus ferri possunt: nullus enim tunc Caesar fuit… vox Flaviis nec sine imperatorum nominibus, si ad eosdem referatur, ferri potest, et quamvis ea verbis etcesaribus substituantur, iis tamen fuisset praemittenda; ac praeterea in inscriptionibus legum in Cod. Theod. semper omittitur"; In difficiliora cit., p. 4: "Nullus eo tempore de quo agimus Caesar fuit, sed iam ab anno CCCXXV uterque princeps Augusti dignitate potiebatur"; p. 18: "aliqua desunt, seu principum nomina et notae AA., quorum loco absurda et a contextu sive constitutionis, sive inscriptionis, sive etiam subscriptionis, si mavis, Gestorum prorsus aliena verba etcesaribus reperiuntur"; p. 19 s.: "Maior difficultas oritur e vocibus et Caesaribus… eas autem quas codex exhibet notas esse abiiciendas dubitari non possit… Corruptas igitur notas non intelligens librarius, ex ingenio emendavit, et cum imperatorum mentio praecessisset, ex iis vocem et cesaribus effingere se posse censuit". Anche per quanto riguarda il termine flaviis, l’Autore ritiene ingiustificata l’opinione di coloro "qui vocem inutili prorsus consilio ad imperatorum nomina retrahebant" (ibid.). 83 Baudi di Vesme, Gesta cit., col. 10 nt. 1: "ergo in ea [= vox Flaviis] mendum latet, ortum, ut videtur, ex male interpretata nota Fl."; In difficiliora cit., p. 19: "Quod autem pro Flavio scriptum sit Flaviis, id ex male interpretato scripturae compendio Fl., quo librarius sub Gestorum initium, et in ipsa Gestorum subscriptione utitur, factum esse evidens est". 84 Per il Baudi, In difficiliora cit., p. 19, è del tutto evidente che "vocibus Flaviis et Hilario exhiberi Anastasii et Martini praenomina". 85 In particolare i concili di Efeso (431 d.C.), di Antiochia (435 d.C) e di Calcedonia (451 d.C.). I rispettivi atti sono in greco, ma la traduzione latina è ad essi coeva.

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numerosi casi esse contengono nell’inscriptio la intitulatio completa degli imperatori, che spesso appare così formulata: Imperatores Caesares Theodosius et Valentinianus, victores, triumphatores, maximi, semper Augusti (con alcune varianti)86. Vi è poi un’epistola di Leone Magno a Teodosio, dove il destinatario è indicato come Caesari Teodosio, religiosissimo et piissimo Augusto87 Tali inscriptiones sembrano quindi attestare un uso normale del titolo di Caesares a designare gli imperatori regnanti. A testimoniare invece l’uso del titolo Flavius vi sono le inscriptiones di epistole inviate agli imperatori da vescovi o papi, tra le quali spicca una prex del vescovo Eusebio indirizzata agli amatoribus Christi religiosissimis et piissimis imperatoribus nostris Flaviis Valentiniano et Marciano perpetuis Augustis88. Vengono poi alcune formule di giuramento sulla Trinità e sugli imperatori, concepite per lo più come segue: adiurans sanctam et consubstantialem trinitatem et Flavii Theodosii Flaviique Valentiniani, orbis terrarum dominorum et semper Augustorum, pietatem ac victoriam (con leggere varianti)89. Ad esse va ad aggiungersi il protocollo dei gesta di ciascuna delle seduta del Concilio di Efeso (a. 431 d.C.), in cui l’anno è così indicato: Post consulatum dominorum nostrorum, Flavii quidem Theodosii XIII Valentiniani vero III, semper Augustorum90. L’appellativo Flavius, come si vede, è largamente usato: esso può precedere il nome di ciascun imperatore, nel qual caso verrà usato al singolare, oppure può seguire i nomi di entrambi, assumendo allora la forma plurale. Troviamo che i titoli di Caesares e Flavii, che finora abbiamo visto usati alternativamente, potevano essere impiegati, all’interno della stessa titolatura, anche congiuntamente. Ciò appare testimoniato, ad esempio, da una costituzione di Onorio, emessa il 14 ottobre 410 d.C., con cui l’imperatore aveva ordinato al tribunus et notarius Marcellino di convocare e presiedere un 'confronto' tra vescovi, donatisti e cattolici, effettivamente svoltosi poi a Cartagine nel 411 d.C91. Il testo di questa costituzione, insinuato all’interno del verbale delle relative sedute, era stato oggetto, per ordine del presidente, di ben due recitationes (in due diverse sedute). Per questo motivo possiamo essere abbastanza sicuri di possederne la versione integrale. La sua inscriptio completa è la seguente: Imperatores Caesares Flavii Honorius et Theodosius, pii, felices, victores, ac triumphatores, semper Augusti, Flavio Marcellino suo ___________ 86 Mansi, IV, coll. 1110A; 1111D [= 1130C]; 1118D; 1378C; V, coll. 278E; 966D; 1009D; 1083B; VI, coll. 587A; 614A. 87 Mansi, V, col. 1291A. 88 Mansi, VI, col. 587A. 89 Mansi, IV, col. 1351D; V, coll. 698B-702D; VI, col. 892C. 90 Mansi, IV, col. 1123A. 91 Cfr. supra p. 88 ss.

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salutem92. Vi è, infine, una costituzione di Marciano che risulta indirizzata ai cives Constantinopolitani ed essere stata letta durante il Concilio di Calcedonia (a. 451 d.C.), l’inscriptio della quale, in parte simile a quella appena vista, è: Impp. Caesares Flavius Valentinianus pontifex inclitus … et Flavius Marcianus pontifex inclitus93. Abbiamo insomma a che fare con fonti attestanti una formula di titolatura imperiale del tutto analoga – anche se più completa, in quanto comprensiva dei nomi degli imperatori – a quella riscontrabile nei Gesta senatus. Tanto l’appellativo di Caesares quanto quello di Flavii erano dunque del tutto consueti nei documenti ufficiali del V sec. d.C., particolarmente in quanto riferiti agli imperatori Teodosio e Valentiniano. Inoltre, come si è visto, durante la prima metà del V sec., gli imperatori erano talvolta definiti in sede ufficiale con entrambi gli appellativi di Caesares Flavii. Viene così a cadere una delle principali considerazioni del Baudi a favore della discussa modifica testuale: la presunta inusualità del titolo Caesar in quanto riferito ad un imperatore regnante. Di conseguenza, anche la stabilità delle altre ragioni addotte, in quanto collegate a quella appena confutata, sembra vacillare, finendo per connotare la modifica proposta dallo studioso subalpino – quella stessa accolta nell’edizione critica in uso – nel segno dell’arbitrarietà, o quantomeno diminuendone considerevolmente la probabilità. Una volta appurata la possibilità che il sostantivo flaviis si riferisse effettivamente a cesaribus e non ad Anastasius, possono avanzarsi dei dubbi anche sul praenomen di quest’ultimo constitutionarius94.

___________ 92 G. Conl. Carth. 1.4 [=3.24]. Questa fonte, e in particolare questa costituzione, era certamente nota a Mommsen, in quanto un frammento della stessa era stato dai compilatori inserito nel Codice Teodosiano (CTh. 16.11.3), tanto che nel relativo apparato critico lo studioso tedesco avverte che la versione integrale si trova "in gestis collationis Carthaginiensis a. 411"). 93 ACO 2.3.1-3 (p. 346 s.): di questa costituzione venne data lettura durante la terza seduta del Concilio di Calcedonia. Il suo testo è inserito negli atti del Concilio nella versio a Rustico edita. 94 Sebbene, a onor del vero, tale nome risulta essere stato diffusamente impiegato, soprattutto a partire dal IV sec. d.C. Sulle diverse implicazioni dell’uso del nome Flavius si veda A. Mócsy, Der Name Flavius als Rangbezeichnung in der Spätantike, Akten des IV. internationalen Kongresses für griechische und lateinische Epigraphik (Wien 1964) pp. 257-263.

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bb) L’ufficio Veniamo ora all’ufficio dei constitutionarii, in generale, e alle figure di Anastasio e Martino/Martio, in particolare. Di questi due constitutionarii conosciamo soprattutto le funzioni loro attribuite in relazione all’edizione del Codice Teodosiano. Nulla sappiamo invece delle mansioni da loro svolte in precedenza, né del ruolo che gli stessi avevano occupato nell’ambito degli uffici dell’amministrazione imperiale. Ma anche a proposito dell’attuale ufficio dei constitutionarii sorgono diversi interrogativi: anzitutto, si trattò di un ufficio nuovo, costituito ad hoc in vista dell’edizione ufficiale del Codex, oppure di un ufficio già esistente, che svolgeva però ordinariamente altra attività, seppure in qualche modo non troppo dissimile da quella che avrebbe dovuto d’ora in poi assolvere, forse legata proprio all’edizione e diffusione di singole costituzioni imperiali? Inoltre, la denominazione di questo ufficio era stata coniata ex novo oppure era già in uso? E ancora, quello dei constitutionarii era stato configurato come un ufficio autonomo, oppure si trovava alle dipendenze di un funzionario superiore? E, in tale ultimo caso, di quale ufficio si sarebbe trattato? Negli anni che seguirono la pubblicazione dell’editio princeps dei frammenti milanesi, l’aspetto, per così dire, 'amministrativo' dei constitutionarii e delle loro competenze non costituì oggetto di particolari analisi. In una recensione dell’edizione di Clossius pubblicata nella rivista francese Thémis, Du Caurroy ebbe a definire i constitutionarii come "archivistes, dépositaires et conservateurs des constitutions impériales"95, suggerendo genericamente un loro impiego, in posizione subalterna, all’interno di una cancelleria o, meglio, di un archivio. L’anno seguente Baro de Crassier, nella sua Dissertatio inauguralis, mostrava di aderire a quest’idea, definendo i constitutionarii come coloro che erano "archivo praepositi (Archivistes, dépositaires et conservateurs des constitutions)"96. Lo studioso precisò che ad essi era affidato il compito di realizzare "exemplaria omnium constitutionum et consequenter codicis". Nel 1851, in un articolo dedicato alle formalità (subscriptio ed editio) tipiche della documentazione giuridica, Mommsen avanzò l’ipotesi che i due constitutionarii (termine da lui reso in tedesco come "Gesetzabschreiber") menzionati nei Gesta senatus del 438 dovessero essere dei funzionari già appartenenti all’ufficio del prefetto del pretorio d’Italia, del quale sarebbero stati, più precisamente, gli exceptores normalmente incaricati di edere copie delle costituzioni imperiali che pervenivano alla cancelleria dello stesso prefetto, e che venivano ___________ 95 96

Thémis VI (1824) p. 412. Baro de Crassier, Dissertatio cit., p. 26 nt. 1.

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poi raccolte agli atti dell’ufficio97: un’attività che verosimilmente preludeva alla diffusione di tali provvedimenti mediante pubblicazione sub programmate, oppure mediante rilascio di exemplaria agli interessati, o ancora mediante inoltro di copie agli uffici dei iudices subordinati. Tale ipotesi poggiava, oltre che su una significativa frase pronunciata da Fausto durante la seduta senatoria in questione e riguardante Anastasio e Martino/Martio98, anche sulla circostanza che l’imperatore (o meglio: gli imperatori)99 aveva investito direttamente l’ufficio dei prefetti del pretorio rispettivamente d’Italia e d’Oriente del compito di diffondere (dirigere) ulteriormente, ciascuno nella propria pars100, il Codice Teodosiano. Anche per Mommsen, quindi, l’ufficio dei constitutionarii sarebbe stato preesistente al Codice stesso, e anzi già connotato da quella denominazione. Ma questa ipotesi non sembra aver trovato séguito né riscontri tra gli studiosi che, in epoca successiva, hanno dedicato studi anche di notevole rilievo al Codice Teodosiano e che si sono quindi occupati, più o meno incidentalmente, dei constitutionarii: tutti – tranne alcune eccezioni101 – senza prendere in considerazione l’idea di Mommsen, nemmeno per confutarla. Mentre sono state per lo più messe in evidenza, con riguardo a tali funzionari, le loro peculiari competenze relative alle modalità di riproduzione del Codice Teodosiano e la connessa responsabilità, cioè i due aspetti emergenti in modo più evidente dai Gesta senatus e dalla costituzione de constitutionariis, la questione del loro inquadramento amministrativo non è stata invece più affrontata, se non con fugaci cenni. Solo Gaudemet, a proposito delle loro funzioni di edizione del Codex, ebbe ad affermare, sia pure incidentalmente, che i constitutionarii avrebbero operato, per la loro attività di trascrizione e di editio degli esemplari (svolta verosimilmente a Roma), sotto il controllo del praefectus urbi102, probabilmente interpretando in tal senso le disposizioni di Valentiniano III contenute nella constitutio de constitutionariis.

___________ 97 Mommsen, Über die Subscription cit., p. 281: "zwei Gesetzabschreiber (constitutionarii), welche zwei mit der Edition der Abschriften kaiserlicher Verordnungen aus den Acten der Präfectur von Italien beauftragte Exceptoren dieser Präfectur gewesen sein werden". 98 Gesta 7: nec non et fide Anastasii et Martini, quos iam dudum huic officio inservire praeter culpam probamus. 99 Gesta 3: In manu est acceptus codex utriusque principis praeceptione directus. 100 Quanto all’Occidente, l’impero romano aveva già perduto le Gallie e la Spagna, mentre di lì a poco perderà anche l’Africa, conquistata dai Vandali. 101 Come Wenger, Die Quellen cit., p. 538 nt. 74, che si rifà espressamente all’ipotesi di Mommsen, senza nulla aggiungere. 102 Gaudemet, s.v. Théodosien (Code) cit., col. 1218.

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In tempi più vicini a noi, Volterra103, sempre sulla base degli elementi ricavabili a tal proposito dai Gesta senatus e dalla predetta costituzione di Valentiniano III, ha creduto di poter concludere che "la funzione dei constitutionarii era quella di conservare con la maggiore esattezza le costituzioni senza modificare in alcuna maniera il testo e di farne essi soli copia ad esclusione di qualunque altro. Una funzione pertanto, che presumibilmente doveva essere svolta nell’interno della cancelleria imperiale"104. Sembrerebbe, quindi, che per lo studioso i constitutionarii fossero dei funzionari inquadrati negli scrinia palatini, quelli cioè all’interno dei quali venivano normalmente prodotte e conservate le costituzioni imperiali. In riferimento ad Anastasio e Martino/Martio, poi, egli ha aggiunto che la definizione di constitutionarii sarebbe usata "ufficialmente nei Gesta ad indicare funzionari di alto livello"105. Matthews ha di recente messo in ancor maggiore evidenza il ruolo tecnico e professionale dei due menzionati constitutionarii, ipotizzando che essi sarebbero stati inviati in Occidente (verosimilmente da parte della corte orientale), assieme allo spectabilis vir Veronicianus (che lo storico ritiene essere "an eastern lawyer"), per svolgere il compito di supervisori dell’attività di riproduzione delle copie del Codice106. Da ultimo, Wieling ha genericamente parlato di "Kanzleibeamten"107. In sintesi, secondo le varie teorie finora esposte, i constitutionarii sarebbero stati degli archivisti, depositari e conservatori delle costituzioni imperiali; oppure exceptores del prefetto del pretorio d’Italia, normalmente incaricati di edere copie delle costituzioni imperiali pervenute all’ufficio; o ancora, conservatori delle costituzioni imperiali e unici soggetti abilitati a rilasciarne copia. Secondo alcuni essi sarebbero stati inquadrati nella cancelleria imperiale (d’Occidente); secondo altri avrebbero invece svolto le loro funzioni presso il praefectus urbi di Roma. E ancora: più in particolare, Anastasio e Martino/Martio sarebbero stati (alternativamente) exceptores di Fausto; oppure funzionari di alto livello; o infine funzionari della corte orientale, inviati in Occidente in qualità di supervisori della procedura di edizione del Codex Theodosianus. A fronte di una tale varietà di ipotesi, non sarà inutile tentare di approfondire l’indagine sulla figura dei constitutionarii e sul loro inquadramento professio ___________ 103 E. Volterra, Intorno alla formazione del Codice Teodosiano, BIDR 83 (1980) pp. 109-145 (anche in Scritti giuridici VI, pp. 281-317). 104 Ibid., p. 139. Non è chiaro se l’Autore intendesse riferirsi alle funzioni svolte in generale – e quindi anche prima della pubblicazione del Codice – oppure a quelle specificamente delineate nei documenti in esame. 105 Ibid. 106 Matthews, Laying down the Law cit., p. 49. 107 Wieling, Die Einführung cit., p. 871.

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nale nell’ambito dell’amministrazione imperiale. A tal fine possono rivelarsi preziose non solo le informazioni offerte dai Gesta, ma anche i loro silenzi. Sembra inoltre opportuno riprendere in considerazione e sottoporre a verifica proprio l’ipotesi di Mommsen, che presenta ancora spunti di un certo interesse. Cerchiamo anzitutto di comprendere chi fossero Anastasio e Martino/Martio e quale fosse la loro provenienza. Occorre anzitutto porre in rilievo il fatto che i loro nomi non sono accompagnati dall’indicazione di alcun rango né titolo: una circostanza che, come presto si dirà, appare in qualche modo significativa. Per la comprensione della loro provenienza viene invece in aiuto una frase pronunciata da Fausto e ad essi riferita: il prefetto, dopo aver menzionato Veroniciano come il responsabile per scelta senatoria dell’editio del Codice, afferma a proposito dei due constitutionarii: quos iam dudum huic officio inservire praeter culpam probamus108. Da queste parole, che ad un primo sguardo parrebbero essere di mera lode nei confronti dei due funzionari, sembrerebbe in primo luogo potersi dedurre che il prefetto del pretorio dovesse conoscerli bene e da lungo tempo, al punto da poterne attestare, oltre che il servizio prestato da lungo tempo (iam dudum) presso huic officio (espressione sulla quale si tornerà tra poco), anche il modo scrupoloso e corretto con cui lo stesso servizio era stato svolto (inservire praeter culpam). Appare opportuna una disamina analitica di ciascuno degli elementi che compongono questa breve frase. Va chiarito per prima cosa il significato che vi può avere il termine officium, tenuto conto che, nel linguaggio tardoantico, esso vale a esprimere principalmente due concetti109: quello di "complesso delle attribuzioni del titolare di una determinata carica" e quello di "complesso degli impiegati addetti, in qualità di dipendenti, a un determinato magistrato o funzionario, i quali costituiscono appunto l’'ufficio' di questi"110. Mentre il primo significato è riscontrabile più di frequente nel lessico in uso nel Principato, pur essendo ancora presente nei secoli successivi (ad esempio, nelle stesse rubriche dei titoli del Codice Teodosiano dedicati agli officia dei singoli funzionari dell’impero)111, il secondo sembra ricorrere più spesso nel linguaggio del legi ___________ 108

Gesta 7. Questo punto verrà esaminato più avanti. Un’acuta indagine sull’uso del termine officium e sui suoi significati nel linguaggio burocratico-legislativo dell’età tardoantica è stata condotta da G. Cervenca, Sull’uso del termine «officium» nella legislazione postclassico-giustinianea, in Studi in onore di Giuseppe Grosso III (Torino 1970) pp. 205-243, con dovizia di fonti. A questo proposito si veda anche F. Grelle, Le categorie dell’amministrazione tardoantica: officia, munera, honores, in A. Giardina (a cura di), Società romana e impero tardoantico I. Istituzioni, ceti, economie (Roma-Bari 1986) pp. 37-56 e spec. p. 45 ss. 110 Cervenca, Sull’uso cit., p. 207. Per il primo concetto v. anche P. Cerami, Potere e ordinamento nella esperienza costituzionale romana (Torino 1987) p. 82. 111 Probabilmente in ossequio alla tradizione dei libri de officio della giurisprudenza: Cervenca, Sull’uso cit., pp. 223-225; 230. 109

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slatore dell’età del Dominato, con una frequenza tanto maggiore quanto più recenti sono le costituzioni112. Anche nella Notitia Dignitatum la parola officium sta a indicare l’apparato burocratico, il complesso degli impiegati dipendenti da un funzionario imperiale. Ne sembra potersi arguire che l’officium a cui Fausto si sta riferendo dovesse consistere non tanto in un insieme di competenze e mansioni, quanto piuttosto nell’organizzazione amministrativa di un ufficio, al cui interno i constitutionarii si trovavano inseriti. Ciò sarebbe confermato anche dall’uso del verbo inservire, che nel linguaggio burocratico dell’età tardoantica stava a indicare prevalentemente la prestazione di un servizio presso un ufficio pubblico113. Ma, in tal caso, di quale ufficio si tratterebbe? Appare evidente che, in quanto rilasciata dal prefetto del pretorio d’Italia, una simile dichiarazione non poteva che riguardare il proprio ufficio ed essere quindi rivolta a dei funzionari che, inquadrati in una struttura organica, lavoravano alle sue dipendenze. E invero, difficilmente si può pensare che Anastasio e Martino/Martio operassero (o avessero operato) in altri uffici, come ad esempio quelli delle cancellerie imperiali – orientale o occidentale – o del praefectus urbi: se così fosse stato, non si vede come il prefetto del pretorio avrebbe potuto rilasciare una dichiarazione di carattere ufficiale, quale sembra essere quella in esame, riguardo a degli estranei. Né, tantomeno, si può pensare che i due constitutionarii fossero titolari di un autonomo officium, non facente cioè capo ad alcun superiore. Vi è poi un altro elemento che sembrerebbe deporre a favore dell’appartenenza di Anastasio e Martino/Martio all’officium del prefetto del pretorio; un elemento connesso alle ragioni della loro presenza durante la presentazione ufficiale del Teodosiano dinanzi al senato di Roma. Circa il loro ruolo in quel contesto, Matthews ha ipotizzato che i due constitutionarii avessero in custodia l’esemplare del Codice da presentare al senato114: e difatti, fu subito dopo il loro ingresso che il prefetto Fausto, preso il codice (che forse gli era stato porto proprio da uno dei constitutionarii)115, passò a dare personal ___________ 112

Alcune delle quali sono analizzate in Cervenca, Sull’uso cit., pp. 214-221. Thes. VII,1, s.v. inservio, col. 1881 s. In questa accezione il verbo regge il dativo, come nel nostro caso. 114 Matthews, Laying down the Law cit., p. 34. 115 Nel verbale della seconda seduta del Concilio di Calcedonia è conservato, tra gli altri documenti, il testo di una epistola synodica di papa Leone letta all’assemblea da Beronicianus devotissimus secretarius sacri consistorii… ex codice porrecto sibi ab Aetio archidiacono Constantinopolitanae ecclesiae (Mansi VI, col. 959C): come si vede, un tale modo di procedere doveva essere piuttosto comune. Inoltre, in analogia con la ritualità ormai impostasi nelle chiese, dove il Vangelo veniva, con una solenne cerimonia, portato processionalmente all’altare, si può immaginare che anche l’ingresso del libro-Codice Teodosiano dovesse essere connotato da una certa solennità, alla cui coreografia Anastasio e Martino/Martio dovettero probabilmente prendere parte. 113

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mente lettura di una costituzione tratta, come precisato nel verbale, ex codice Theodosiano libro primo sub titulo 'de constitutionibus principum et edictis'116. Ma, pur essendo questa ipotesi del tutto plausibile, a noi pare tuttavia che la presenza di Anastasio e Martino/Martio potesse essere anche – e forse in primo luogo – determinata da un’esigenza diversa e più formale. Troviamo che la frase sui constitutionarii pronunciata dal prefetto (quos iam dudum huic officio inservire praeter culpam probamus) abbia un valore pregnante, sì da potervi ravvisare non una semplice e gratuita lode, ma anzi una dichiarazione ufficiale, quale formale atto di scelta e attribuzione di funzioni: un atto consistente nell’ufficiale conferimento di un incarico, al quale si coordinerebbe a sua volta la praesentatio al senato dei due soggetti prescelti (come suggerito dal particolare accento posto proprio sulla loro praesentia). Diversi sono i fattori che sembrerebbero concorrere a sostegno di una tale interpretazione. In primo luogo, la presenza di due 'espressioni-chiave' come inservire praeter culpam e probare. Quanto alla prima, da uno spoglio condotto per lo più proprio su costituzioni del Codice Teodosiano emergerebbe che, più in generale, la dichiarazione, da parte di un magistrato, relativa all’assenza di culpa in un funzionario di rango inferiore nello svolgimento delle funzioni da questi precedentemente esercitate fosse condizione necessaria affinché quest’ultimo potesse conseguire una promozione interna all’officium, oppure ricoprire un nuovo incarico, o, ancora, ottenere dei benefici. Alcuni esempi ci vengono offerti dalle seguenti costituzioni, dove il concetto dell’assenza di culpa è espresso, in alternativa, anche attraverso gli avverbi inculpate, inculpatim, inculpabiliter e l’aggettivo inculpatus: CTh. 10.7.1 (317 Iul. 21) IMP. CONSTANTINUS A. AD BITHYNOS. Caesarianos in actu dumtaxat constitutos ad perfectissimatus vel ducenae vel centenae vel egregiatus dignitates non oportet admitti. Sed si inculpate conpleverint suum officium et ab omni vacent ratione fiscali iudicio, datam huiusmodi dignitatem prodesse eis oportet. DAT. XII KAL. AVG. GALLICANO ET BASSO CONSS.

Dopo aver stabilito l’impossibilità, per i Caesariani che erano ancora in actu… constitutos, di accedere alle dignitates elencate, l’imperatore prevede che essi vi potranno aspirare solo al compimento del loro servizio, a condizione che quest’ultimo fosse stato, tra l’altro, svolto inculpate. E’ logico supporre che tale ultimo requisito dovesse risultare da apposita dichiarazione, rilasciata probabilmente dal titolare dell’officium. CTh. 6.30.20 (413 Iun. 7) [= CI. 12.23.10]

___________ 116 Cioè la CTh. 1.1.5, in quanto contenente il primo programma dell’opera di codificazione.

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IMPP. HONORIUS ET THEOD(OSIUS) AA. IOHANNI P(RAEFECTO) P(RAETORI)O. Palatinos, qui sacrarum remunerationum rationem tractantes inculpatim [CI. inculpanter] ad calcem terminumque militiae pervenerint, nec non etiam adiutorem et primicerios diversorum officiorum praecipimus ea habere privilegia, quae…. DAT. VII ID. IVN. RA(VENNA) POST CONS. HON(ORII) VIIII ET THEOD(OSII) V AA.

In questo caso, si dispone l’attribuzione, anche a quei palatini sacrarum largitionum e rerum privatarum che avessero adempiuto le loro mansioni inculpatim (o inculpanter, nella versione giustinianea), di quei privilegi già in precedenza conferiti alla schola degli agentes in rebus. CTh. 6.23.4.2 (437 Mar. 16) [IMPP. THEODOSIUS ET VALENTINIANUS] AA. DARIO VIRO INL. P(RAEFECTO) P(RAETORI)O OR(IENTIS). … 2. Sed eos tum demum potiri decernimus beneficiis supra scribtis, cum continuos tredecim annos inculpatas excubias peregerint…. DAT.XVI[I] KAL. APRIL. CONST(ANTINO)P(OLI) POST CONSULATUM ISIDORI ET SENATORIS VV. [CC.]

Questa costituzione, con cui Teodosio II conferma per l’Oriente le disposizioni assunte da Valentiniano III in merito a determinati privilegi attribuiti a decuriones e silentiarii, prevedendone anzi di ulteriori, subordina il godimento di questi benefici e immunità al fatto, tra l’altro, dell’esercizio sine culpa (inculpatas excubias)117 delle loro funzioni per un lasso di tempo di tredici anni. Significativa è anche una Relatio di Simmaco contenente una richiesta, rivolta all’imperatore, di concessione di una praerogativa sollemnis per Petroniano, cornicularius presso l’ufficio dello stesso praefectus urbi e ormai al termine della sua carriera. Quest’ultima viene brevemente tratteggiata in questi termini: SYMM., Rel. 42 Petronianus urbanarum dudum cohortium miles ad corniculorum gradum inculpati laboris diuturnitate provectus more institutoque maiorum testimonium meruit castrensis industriae, quod ceteris quoque post honestum cursum stipendiorum iudicia detulerunt, ddd. imppp. Valentiniane Theodosi et Arcadi… dignum est igitur divina temporum vestrorum felicitate, ut peractam sine offensione militiam… praerogativa sollemnis exornet118.

Come si può vedere, Petroniano, proveniente dal ruolo delle cohortes urbanae, era giunto al grado di cornicularius (il più alto che la sua carriera gli consentisse di raggiungere) grazie a un lungo servizio prestato sine culpa (inculpati laboris diuturnitate), il che lascia presupporre che, a suo tempo, tale requisito dovesse aver costituito oggetto di attestazione specifica. Anche la richiesta di Simmaco, che era titolare dell’ufficio presso cui Petroniano era stato impiegato, è accompagnata da una dichiarazione attestante i meriti del suo subalterno ___________ 117 Excubiae è qui usato quale sinonimo di officium (v. Gothofr., ad h.l.; Thes. V,2, s.v. excubiae, coll. 1286-1288). Tale significato è attestato anche in Cassiod., Variae 5.41.5; 10.7.2; 11.19; 12.22.5. 118 Si veda a questo proposito Vera, Commento storico cit., pp. 311-316.

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(peractam sine offensione militiam, espressione apparentemente equivalente a sine culpa). Ancora Simmaco, in un contesto meno formale, nel raccomandare a Quintiliano un proprio domesticus, viene a dichiarare, adottando un linguaggio burocratico a lui evidentemente familiare, che questi in urbanis castris militiae stipendia sine offensione confecerit119. Un esempio ancor più eloquente della necessità di una dichiarazione riguardante lo svolgimento sine culpa delle mansioni precedentemente esercitate, onde poterne ricoprire delle nuove, è fornito da alcune formule di promozione conservate nelle Variae di Cassiodoro120 e relative, precisamente, agli uffici di tribunus et notarius, cornicularius e primiscrinius: Variae, 11.18 De corniculario qui egreditur. … et ideo Anthianum, qui praetorianis inculpabiliter paruisse perhibetur obsequiis, inter tribunos et notarios ad adorandos aspectus properet principales, ut iuxta consuetudinem praesentatus spectabilitatis decoretur insignibus. Variae, 11.19 De corniculario qui accedit. … et ideo supradictum assiduis laboribus comprobatum corniculariorum sumere censemus officium, ut iure inter primates assistat, qui tironum inculpabiliter egit excubias. Variae, 11.21 De primiscrinio qui accedit. … atque ideo Andreas, qui praetorianis fascibus inculpabiliter noscitur obsecutus, gradum feliciter primiscriniatus ascendat…

In Variae 11.18 è inoltre posto l’accento su una praesentatio iuxta consuetudinem in quanto facente parte del conferimento delle insegne della spectabilitas. Oltre a quelli sopra indicati, numerosi altri esempi mostrano che, per poter accedere ai gradi più alti della carriera amministrativa, espletare una nuova funzione, svolgere un nuovo incarico o anche solo ottenere un riconoscimento, il servizio già svolto in precedenza doveva essere fatto formalmente oggetto di riconoscimenti e, anzi, di lodi – verosimilmente da parte del titolare dell’officium presso il quale lo stesso servizio era stato prestato. Questi esempi mostrano altresì come necessario il fatto che, in relazione alle precedenti mansioni, fossero probati dallo stesso funzionario superiore l’affidabilità, la cor ___________ 119

Symm., Ep. 9.57. Sia pure all’interno della nuova amministrazione ostrogota, il linguaggio di Cassiodoro appare essere ancora strettamente legato a schemi, formulari, nomenclature propri della cancelleria tardoimperiale: cfr. a tal proposito Fridh, Terminologie et formules cit., passim. 120

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rettezza, l’assenza di culpa e, talvolta, la lunga durata del servizio prestato sotto di lui. Tale assunto sembrerebbe essere confermato da una serie di costituzioni regolanti alcune fattispecie inquadrabili anch’esse come promozioni o conferimenti di incarichi: CTh. 12.6.4 (365 Iun. 18) [= CTh. 7.6.1] IMPP. VAL(ENTINI)ANUS ET VALENS AA. AD MAMERTINUM P(RAEFECTUM) P(RAETORI)O. Ad virum clarissimum proc(onsulem) Afric(ae) dari litteras iubemus, ut, sive ex principalium sive ex honoratorum numero pro merito fidei suae industriaeque susceptor vestium electus fuerit… DAT. XIIII KAL. IVL. VAL(ENTINI)ANO ET VALENTE AA. CONSS.

Con questa costituzione, contenente disposizioni sulla nomina del susceptor vestium (militarium), si venne a stabilire che la scelta, da effettuarsi tra i principales e gli honorati, avrebbe dovuto basarsi sulla fides e industria dell’aspirante, qualità entrambe delineate quali requisiti oggetto di apposita valutazione. CTh. 10.2.2 (398 Oct. 27) IMPP. ARCAD(IUS) ET HONOR(IUS) AA. FIRMINO COM(ITI) SAC(RARUM) LARG(ITIONUM). Ne domus ad nostrum patrimonium pertinentes, quae sunt in diversis urbibus, ex neglegentia nostro aerario adferant detrimentum, omnes licitatione habita volumus venundari. Palatinos autem fide probatos ire praecipimus… DAT. KAL. NOVEMB. MED(IOLANO) HONOR(IO) A. IIII ET EVTYCHIANO CONSS.

Volendo evitare il deperimento delle domus che facevano parte del proprio patrimonium, con conseguente detrimentum per l’erario, l’imperatore Onorio decise di mettere tali immobili in vendita all’asta: la conduzione dell’affare sarebbe stata affidata, tra l’altro, a quei palatini dei quali fosse stata probata la fides. CTh. 6.27.20 (426 Dec. 23) IMPP. THEODOSIUS ET VALENTINIANUS AA. HELIONI PATRICIO ET MAGISTRO OFFICIORUM. Qui ex agentum in rebus numero militiae ordine ac labore decurso ducenae dignitatis meruerit principatum, aut qui viro inl(ustri) magistro officiorum ut probatus fuerit adiutor eo tempore, quo… DAT. X KAL. IAN. CONST(ANTINO)P(OLI) THEOD(OSIO) XII ET VAL(ENTINI)ANO II AA. CONSS. CTh. 6.27.21 (426 Dec. 23) [IDEM AA.] HIERIO P(RAEFECTO) P(RAETORI)O. Quicumque inpleto militiae suae ordine [ac l]abore finito ad ducenae pervenerit principatum, quis[que] magistri officiorum iudicio probatus extite[rit] tempore, quo iam honoratorum virorum coetibus in[s]eritur… DAT. X KAL. IAN. THEO[DO]SIO XII ET VAL(ENTINI)ANO II AA. CONSS.

Con queste due costituzioni, che, sebbene indirizzate a due magistrati diversi, mostrano di essere coincidenti nella sostanza se non nella forma, Teodosio II conferì sia a coloro che, provenendo dal ruolo degli agentes in rebus, avessero

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assunto la carica di princeps ducenarius, sia, a certe condizioni, agli adiutores del magister officiorum, il medesimo honor già in precedenza attribuito a chi aveva ricoperto la praefectura vicaria. Quanto agli adiutores, tale conferimento sarebbe dovuto avvenire, però, subordinatamente al rilascio di un’apposita dichiarazione da parte dello stesso magister officiorum (ut probatus fuerit; iudicio probatus extiterit). Vi è poi un altro provvedimento di Teodosio in cui si prospetta una situazione che sembrerebbe potersi ritenere per certi versi analoga a quella che pare profilarsi per i nostri due constitutionarii. Si tratta di una costituzione 'circolare', emanata a Costantinopoli nel 435 e inviata, oltre che al magister officiorum Valerio (il cui nome compare nell’inscriptio), anche ai prefetti del pretorio, al praefectus urbi e ad altri magistrati121: CTh. 6.28.8 (435 Ian. 29) IMPP. THEOD(OSIVS) ET VAL(ENTINI)ANVS AA. VALERIO MAGISTRO OFFICIORUM. Ex (a)gentibus in rebus principibus domesticos in suis actibus habere liceat eos, quorum fidem industriamque probatam sibi aestimant, etsi saepe eodem officio fuerint ante perfu(ncti). DAT. IIII KAL. FEB. CONST(ANTINO)P(OLI) THEOD(OSIO) A. XV ET QVI FVERIT NVNTIATVS

Con tale disposizione l’imperatore concesse ai principes provenienti dal ruolo degli agentes in rebus di servirsi in suis actibus anche di quei domestici, tratti dal loro stesso officium (e quindi già alle loro dipendenze), dei quali avessero ritenuto opportuno probare fidem industriamque. Ciò costituì un’eccezione al principio, stabilito pochi anni prima dallo stesso Teodosio II, che nessun magistrato provinciale potesse scegliere all’interno della provincia conferitagli i domestici e i cancellarii da tenere alle proprie dipendenze, mentre al suo ufficio avrebbero dovuto essere applicati solamente coloro che fossero stati sub fide gestorum electos122. Echi di un’analoga probatio, o comunque di una 'lode ufficiale' finalizzata a far ottenere al destinatario della stessa una promozione, sono ravvisabili ancora una volta in alcune formule (una delle quali già analizzata più sopra) riportate nelle Variae di Cassiodoro: ___________ 121

La subscriptio della costituzione, oltre a indicare luogo e data di emissione, contiene l’ulteriore annotazione, probabilmente di cancelleria: Eodem exemplo Isidoro p(raefecto) p(raetori)o, Regino p(raefecto) p(raetori)o Ill(yrici), Leontio p(raefecto) u(rbi), Theodoto com(iti) Aegypti, Abthartio com(iti) Or(ientis), Cleopatro p(rae)f(ecto)aug(usta)li, Hesychio procons(uli) Achaiae, Eustathio vicario Asiae, Nectario vicario Ponticae. Un esame di questa costituzione anche in A. Giardina, Aspetti della burocrazia nel basso impero (Roma 1977) p. 45 ss. 122 CTh. 1.34.3 (a. 423): IDEM AA. [= HONORIUS ET THEODOSIUS] ASCLEPIODOTO P(RAEFECTO) P(RAETORI)O. Nullus iudicum ad provinciam sibi commissam quemquam secum ducere audeat, cui domestici vel cancellarii nomen inponat, nec profectum ad se undecumque suscipiat, ne famae nota cum bonorum publicatione plectatur. Periculo enim primatium officii cancellarios sub fide gestorum electos iudicibus adplicari iubemus….

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Variae, 11.19 De corniculario qui accedit. … et ideo supradictum assiduis laboribus comprobatum corniculariorum sumere censemus officium, ut iure inter primates assistat, qui tironum inculpabiliter egit excubias. Variae, 11.22 De scriniario actorum. Iuste potentiora consequitur qui de commissa sibi negotii perfectione laudatur. et ideo Castellum… nostra auctoritas quoque actorum scriniarii curam praecepit obtinere.

Tornando dunque ai constitutionarii Anastasio e Martino/Martio, la probatio di Fausto sembra suggerire che il prefetto avesse attribuito loro nuove mansioni, conferito un nuovo incarico, disposto l’inserimento in un nuovo ufficio: la sua dichiarazione sembrerebbe cioè costituire un atto formale, finalizzato a far ottenere ai constitutionarii una 'promozione', o comunque ad ufficializzarla. E, a sua volta, la presenza di Anastasio e Martino/Martio dinanzi al senato di Roma potrebbe spiegarsi come dettata dall’esigenza di formalizzare, di fronte a quell’alto consesso, l’investitura ufficiale a svolgere l’importante e delicata funzione di curare la riproduzione delle copie ufficiali del Codice e di garantirne l’autenticità; investitura che, pur potendo aver già avuto luogo in precedenza, andava comunicata al senato per esservi solennemente ufficializzata. Con ciò si vuole intendere che l’atto formale di investitura potrebbe essere stato già compiuto dallo stesso prefetto del pretorio, al quale potrebbe essere stata concessa (forse proprio dall’imperatore) la facoltà di servirsi di personale – tratto dall’ufficio della prefettura – già conosciuto come esperto, qualificato, affidabile, e quindi particolarmente adatto a svolgere tale delicato incarico. Ricordiamo ancora che la cura di dirigere (e cioè di dare diffusione ufficiale, implicante l’attività di copia, che di tale diffusione costituiva necessario presupposto) gli esemplari del Codice Teodosiano nell’impero era stata dallo stesso imperatore attribuita proprio ai prefetti del pretorio, il cui ufficio era stato quindi direttamente coinvolto in tale attività. Quest’ultima non si discosterebbe, quanto alla sostanza, dal normale compito di dare diffusione, mediante pubblicazione diretta e/o inoltro presso altri uffici di rango inferiore, alle costituzioni imperiali; compito che veniva normalmente svolto dall’ufficio della prefettura del pretorio, le cui cancellerie erano appositamente organizzate allo scopo. Non è forse un caso, quindi, che la seduta senatoria si sia svolta nella domus ad Palmam del prefetto del pretorio Fausto, anziché nella Curia: ciò starebbe a sottolineare ancor più il coinvolgimento diretto dello stesso nel compito affidatogli, riconducendo così la sua figura all’interno del quadro delle modalità di organizzazione dell’attività di edizione del Codice Teodosiano. A favore di questa interpretazione deporrebbe, infine, la stessa costruzione sintattica della discussa frase: ut hic codex fide spectabilis viri Veroniciani,

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quem amplitudinis vestrae mecum consensus elegit, nec non et fide Anastasii et Martini constitutionariorum, quos iam dudum huic officio inservire praeter culpam probamus. Il conferimento dell’incarico da parte del prefetto ai due constitutionarii viene a porsi, anche stilisticamente, su un piano parallelo rispetto alla scelta del terzo membro – il vir spectabilis Veronicianus – fatta dal senato, e comunque approvata (forse in seno alla seduta in esame) dallo stesso Fausto123; per cui verrebbero a trovarsi, da un lato Veroniciano, in quanto scelto dai senatori, dall’altro lato Anastasio e Martino/Martio, in quanto lodati (e quindi scelti) dal prefetto del pretorio124. Con ciò non si vuole escludere la possibilità che l’autorità imperiale possa aver avuto un ruolo in tutto questo: lo stesso Valentiniano, qualche anno più tardi, ribadì che ai constitutionarii era stata attribuita in via esclusiva125 una licentia in ordine all’attività di edizione delle copie del Codice126: una licentia che non poteva che provenire dal potere imperiale. Potrebbe essere stato quindi lo stesso Teodosio (approvato poi anche da Valentiniano), non solo a ordinare al prefetto del pretorio di provvedere alla diffusione ufficiale della compilazione, ma anche a consentire a quest’ultimo di attribuire a persone di sua fiducia il compito di realizzarne copie ufficiali, ferma restando la derivazione imperiale dell’attribuzione dei relativi poteri127. A nostro giudizio, insomma, Anastasio e Martino/Martio potrebbero essere stati dei funzionari già alle dipendenze del prefetto del pretorio d’Italia. Resta ora da individuarne l’ufficio e i compiti. ___________ 123

Operazione forse compiuta nella fase iniziale della seduta e non documentata nel verbale. 124 Gesta 7: ut hic codex fide spectabilis viri Veroniciani, quem amplitudinis vestrae mecum consensus elegit, nec non et fide Anastasii et Martini constitutionariorum, quos iam dudum huic officio inservire praeter culpam probamus. 125 La costituzione del 443 sembra infatti parlare di una licentia contributa come di un dato di fatto: se tale attribuzione fosse stata fatta, come da taluni sostenuto, all’interno di questa costituzione, l’imperatore avrebbe certamente usato l’espressione tribuimus. 126 Const. de constitutionariis: vidimus id, quod invictissimus princeps pater clementiae nostrae in custodiendi Theodosiani codicis observatione praecepit, a senatu diligentia maiore munitum, ut hi ad edenda exemplaria haberent tantum licentiam contributam. 127 Una qualche analogia sembra presentare la costituzione, indirizzata da Valente al praefectus urbi di Costantinopoli, con la quale si ordinò a quest’ultimo di provvedere all’assunzione, a spese pubbliche, di antiquarios ad bibliothecae codices componendos vel pro vetustate reparandos quattuor Graecos et tres Latinos scribendi peritos (CTh. 14.9.2, a. 372), la cui scelta sembrerebbe essere stata lasciata allo stesso prefetto. Ancora, si può pensare alla stessa commissione incaricata di redigere il codice, ai cui membri Teodosio aveva consentito di avvalersi della collaborazione di esperti scelti da loro stessi (CTh. 1.1.5: Hos a nostra perennitate electos eruditissimum quemque adhibituros esse confidimus).

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Quanto alle funzioni dagli stessi svolte in precedenza, è presumibile che esse non fossero molto diverse da quelle che i constitutionarii vennero poi chiamati a svolgere in relazione all’edizione del Codice Teodosiano. Dalle informazioni ricavabili, direttamente e indirettamente, dai Gesta senatus e dalla costituzione di Valentiniano III del 443 è possibile dedurre che nel passato i constitutionarii: - avevano avuto a che fare con la scrittura – nel senso di redazione materiale – di documenti ufficiali, e particolarmente di costituzioni imperiali; - avevano dimestichezza con abbreviazioni e notae iuris (essendo stato loro vietato di farne uso); - avevano il potere di attribuire la loro fides a documenti ufficiali e alle eventuali loro copie. Tali competenze inducono a restringere il campo alla cerchia degli scribi e degli exceptores128, cioè di quel personale che aveva il compito di stenografare tutte le attività e le dichiarazioni ufficiali del titolare dell’ufficio e di redigere i relativi atti, secondo la procedura vista più sopra: composizione delle schedae sulla base del testo stenografato; redazione dell’authenticum (da conservarsi presso l’ufficio) e, da questo, trascrizione degli ulteriori exemplaria, della cui perfetta corrispondenza all’authenticum gli exceptores erano responsabili129. Una conferma del fatto che potesse trattarsi di personale di modesta qualifica può essere ravvisata nella circostanza che Anastasio e Martino/Martio sono indicati a verbale semplicemente con i loro nomi e la qualifica di constitutionarii, senza alcun titolo che ne indichi il rango: ciò denota chiaramente che gli stessi non dovevano aver ricoperto fino a quel momento alte cariche, e che erano, quindi, di basso rango e privi di titoli onorifici. Ciò impedirebbe di identificare i due constitutionarii con exceptores degli scrinia imperiali, poiché questi ultimi avevano ricevuto da Onorio, nel 413 (o 410), il rango di clarissimi130. Sappiamo invece che gli exceptores dell’ufficio del prefetto del pretorio avevano il medesimo rango di coloro che militavano nella legio prima131, e che non ___________ 128 Probabilmente quelli del ramo giudiziario-amministrativo: cfr. Jones, Il tardo impero romano cit. II, pp. 814-821. 129 Per inciso, gli stessi Gesta senatus del 438 sono stati editi da un exceptor (senatus). 130 CTh. 6.26.16: Peculiari praeceptioni nostrae favore praestamus, ut in scriniis memoriae epistularum libellorumque ab exceptoribus usque ad melloproximos dignitatem clarissimorum hono(rem)que percipiant…. Su questi aspetti cfr. anche Teitler, Notarii and exceptores cit., p. 80 ss. 131 CI. 12.36.6 (a. 444?): Impp. Theodosius et Valentinianus AA. Zoilo pp. Ius castrensis peculii tam scriniarios quam exceptores ceterosque, qui in officio tui culminis merendi licentiam habere noscuntur, ac si in legione prima adiutrice nostra militent, inviolatum habere praecipimus.

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raggiungevano quindi neanche il clarissimato. Inoltre, ipotizzando che Anastasio e Martino/Martio avessero avuto, nel corso della seduta senatoria in esame, anche il ruolo di custodi del Codice (o meglio, dei volumi che lo componevano), e che quindi lo avessero fisicamente portato nella sala e consegnato al prefetto Fausto, va osservato che un simile ruolo non si addiceva certo ad alti funzionari132. Ma, nell’ipotizzare che i due constitutionarii fossero già exceptores o scribi del prefetto del pretorio, occorre fare alcune precisazioni. Se è vero che qualsiasi funzionario (tranne poche eccezioni) appartenente ai vari gradi dell’ufficio della prefettura del pretorio aveva ricevuto la medesima formazione in quanto proveniente dal ruolo degli exceptores, un ruolo che rappresentava, per così dire, il gradino più basso della carriera interna, è però altrettanto vero che questo stesso ruolo era articolato in più livelli: all’interno del gruppo degli exceptores prestanti servizio presso l’amministrazione della prefettura del pretorio, il numero dei quali era piuttosto elevato133, si distingueva difatti un gruppo ristretto, formato dai trenta impiegati più anziani (Augustales), quindici dei quali (deputati) formavano un ulteriore gruppo scelto134. Vuol dire che, nell’ambito del ruolo degli exceptores, Anastasio e Martino/Martio potrebbero aver occupato una delle posizioni più elevate, o essersi trovati addirittura al termine della loro carriera135.

___________ 132 Eloquenti a tal proposito sono alcune considerazioni di Agostino, espresse nell’ambito della polemica tra Giudei e Cristiani: il vescovo africano considera, difatti, i Giudei come i librarii dei Cristiani, ai quali hanno recato e porto (un ufficio per lo più servile) i libri dell’Antico Testamento: Codicem portat iudaeus, unde credat christianus. Librarii nostri facti sunt, quomodo solent servi post dominos codices ferre (Aug., Enarr. in Psalm. 56.9 [CCSL 39, p. 700]). 133 Gli exceptores si articolavano in 15 scholae, all’interno delle quali l’avanzamento avveniva solo quando quelli anziani venivano promossi, messi a riposo oppure morivano (cfr. Jones, Il tardo impero romano cit. II, p. 816). 134 Cfr. Jones, Il tardo impero romano cit. II, p. 815 s. Secondo le informazioni ricavabili dal De magistratibus di Giovanni Lydo (De mag. 3.9-10), infatti, il corpo degli exceptores sarebbe stato articolato in due ordini: quello degli exceptores ordinari e quello degli Augustales, a capo dei quali vi erano, rispettivamente, il primiscrinius e il cornicularius, cariche che rappresentavano il vertice delle due carriere. In queste due figure sarebbero da individuare i due exceptores che ogni anno venivano congedati dal servizio (Lydus, De mag. III,9 p. 95 l. 23 s. ed. Wünsch; E. Stein, Untersuchungen über das Officium der Prätorianerpräfektur seit Diokletian [Amsterdam 1962] p. 31 ss.; J. Caimi, Burocrazia e diritto nel 'De magistratibus' di Giovanni Lydo [Milano 1984] p. 377; 418 s.). E potrebbero essere proprio le cariche di primiscrinius e di cornicularius ad essere state ricoperte da Anastasio e Martino/Martio, i quali sembrerebbero avere una lunga carriera alle spalle. 135 Come sembrerebbe suggerire, anche qui, proprio la precisazione quos iam dudum… inservire.

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Alla luce delle considerazioni appena effettuate, torniamo ora all’esame delle varie ipotesi espresse finora dalla dottrina sui constitutionarii, al fine di vagliarle criticamente. Non appare plausibile, anzitutto, che i constitutionarii fossero in qualche modo legati agli scrinia imperiali (orientali oppure occidentali), né tantomeno che – date le loro competenze – ne fossero gli exceptores, dal momento che, in virtù della ricordata costituzione di Onorio del 413 (o 410) d.C., persino tali funzionari avevano ricevuto un titolo onorifico: quello di clarissimi136. Diversamente, gli stenografi che hanno redatto il verbale senatorio del 438, sempre molto attenti ad attribuire a ciascuno dei presenti il rispettivo rango, non sarebbero potuti incorrere in una tale omissione a proposito dei nostri constitutionarii, i quali vengono, invece, molto semplicemente menzionati come 'Anastasio' e 'Martino'. Per gli stessi motivi va esclusa anche un’altra delle ipotesi: quella cioè secondo cui essi sarebbero stati degli 'alti funzionari'. Credo poi si debba escludere anche una loro provenienza dalla corte orientale: la circostanza che la presentazione dei due constitutionarii sia avvenuta dinanzi al senato di Roma sembrerebbe piuttosto denunciare che questi fossero legati all’amministrazione occidentale. Si può giungere così ad una prima conclusione. La natura e il contenuto della dichiarazione di Fausto, che sembrerebbe costituire una probatio ufficiale; l’indicazione a verbale di Anastasio e Martino/Martio semplicemente con i loro nomi privi di qualunque titolo onorifico; l’essere stato loro affidato un ruolo di grande responsabilità nella riproduzione materiale delle copie del Codice, delle quali avrebbero dovuto garantire l’affidabilità testuale, e cioè l’assoluta rispondenza al testo originale; lo stesso divieto di fare uso di abbreviazioni e di notae iuris nella riproduzione del testo, che testimonia implicitamente in loro una buona conoscenza delle stesse e quasi un’abitualità nel servirsene: tutti questi aspetti sembrerebbero corroborare ulteriormente l’ipotesi mommseniana che vuole i due constitutionarii quali exceptores (o scribi, forse anche con funzioni di archiviazione) tratti dalla cancelleria del prefetto del pretorio d’Italia, probabilmente scelti tra quelli di grado più elevato. Non è invece possibile dare una risposta certa al quesito se l’ufficio dei constitutionarii – con relativa qualifica – fosse già esistente oppure no; se, cioè, all’interno della numerosa categoria degli exceptores facenti parte dell’ufficio del prefetto del pretorio esistesse già un gruppo così denominato137, forse pro ___________ 136

CTh. 6.26.16 (v. più sopra nt. 130). Già il Du Caurroy e Baro de Crassier si erano espressi in tal senso. Del medesimo avviso sembrerebbe essere Volterra. Più di recente, si sono pronunciati per la preesistenza dell’ufficio dei constitutionarii anche Mari, L’armario del filologo (1999) cit., p. 123 137

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prio perché, come supposto da Mommsen, i suoi membri si occupavano della conservazione e della eventuale riproduzione di copie delle costituzioni imperiali pervenute all’ufficio; oppure invece se tale ufficio – con connessa qualifica – sia stato creato appositamente in vista del nuovo compito legato alla diffusione del Codice Teodosiano. Per la prima delle ipotesi sembrerebbe deporre il fatto che, sin dal loro ingresso dinanzi al senato, Anastasio e Martino/Martio sono già qualificati come constitutionarii, il che lascerebbe presupporre che l’ufficio fosse stato già costituito; e tuttavia non va trascurato l’assoluto silenzio di tutte le altre fonti su tale ufficio e sulla denominazione constitutionarius. Si può congetturare che l’assoluta novità rappresentata da una codificazione ufficiale possa aver reso necessaria la creazione, se non di nuovi uffici, almeno di nuovi titoli in relazione a peculiari competenze. Oltre che alla trascrizione del testo di singole costituzioni, la denominazione di constitutionarius potrebbe essere legata alla riproduzione dell’intero Codex Theodosianus in quanto inteso non solo come raccolta di constitutiones, ma esso stesso provisio imperiale. Né va trascurata l’eventualità che i constitutionarii potessero realizzare copie anche di singole costituzioni contenute nel Codice e da questo estratte138, atteso che lo stesso imperatore Teodosio aveva fatto divieto di ad forum et cotidianas advocationes ius principale deferre vel litis instrumenta conponere se non servendosi del materiale tratto dal Codice stesso. cc) Le competenze Resta un ultimo dubbio: deve ritenersi che Anastasio e Martino/Martio fossero gli unici componenti dell’ufficio, e quindi le uniche persone alle quali fosse riservata la qualifica di constitutionarii, oppure l’ufficio era composto da più scribi, denominati anch’essi constitutionarii? Il dubbio sorge a seguito della precisazione di Fausto, che i constitutionarii avrebbero dovuto provvedere all’editio degli exemplaria trascrivendoli di proprio pugno: ita ut nisi a constitutionariis ex hoc corpore eorundem manu conscripta exemplaria non edantur, un lavoro che sembra implicare l’impiego di un numero consistente di scribi.

___________ nt. 325; L’armario del filologo (2005) cit., p. 234 nt. 71, e Crescenzi, Authentica atque originalia cit., p. 290; 313. 138 Si vedano a questo proposito le considerazione di Crescenzi Authentica atque originalia cit., p. 321, il quale mette in dubbio "che i constitutionarii abbiano prodotto soltanto esemplari completi del Teodosiano", ritenendo al contrario probabile che qualsiasi interessato avesse potuto ottenere, a proprie spese, anche "copie autentiche di singole disposizioni di legge, di frammenti del codice imperiale, conformemente alle proprie necessità": una prassi che avrebbe dato luogo alla circolazione di esemplari non completi del Teodosiano, anch’essi però formati dai constitutionarii.

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Ci sembra che il tenore di questa frase escluda un riferimento ai soli due constitutionarii presenti alla seduta senatoria139: non è difatti immaginabile che i soli Anastasio e Martino/Martio potessero – quantomeno in tempi ragionevoli – materialmente produrre tutti gli esemplari necessari alla diffusione del Teodosiano, collazionarli con l’antigrafo, certificarne la conformità rispetto al testo di quest’ultimo e conferire così ad essi la propria fides. Dai due menzionati constitutionarii doveva quasi sicuramente promanare la dichiarazione di editio, attestante la provenienza dell’esemplare dal loro ufficio e, probabilmente, la sua conformità con l’antigrafo, atteso che su di essi gravava la relativa responsabilità. Non si può tuttavia escludere che, attesa la particolare delicatezza e importanza della prima fase di trascrizione, Anastasio e Martino/Martio possano aver, oltre che certificato come conformi, anche personalmente realizzato i primi tria corpora, quelli cioè direttamente trascritti dall’originale orientale. Come già ricordato, ai fini dell’editio populis i constitutionarii avevano ricevuto una licentia in via esclusiva: essi avrebbero dovuto attribuire la propria fides agli esemplari del Codice realizzati dal loro ufficio, svolgere cioè principalmente funzioni di 'certificazione', mediante, come sembra probabile, una dichiarazione in tal senso da apporsi sugli esemplari confezionati. Va ricordato che, nello svolgimento di tali funzioni di certificazione, ad Anastasio e Martino/Martio era stato affiancato Veroniciano (di cui nel verbale è specificato soltanto il rango di vir spectabilis)140, quale uomo di fiducia del senato. Il termine fides, usato in questo contesto, sta ad indicare proprio la funzione delle menzionate persone quali garanti dell’affidabilità e dell’ufficialità della copia realizzata, sia in quanto questa costituisse l’esatta riproduzione dell’originale, sia in quanto fossero state osservate, nelle modalità di confezione, le disposizioni per esse espressamente stabilite. A tale licentia esclusiva si collegava l’altrettanto esclusiva responsabilità penale per falso nel caso in cui circolassero copie difformi dall’originale, o comunque prive di quei requisiti formali ___________ 139 Non sembra di questo avviso Crescenzi, op. cit., p. 313, il quale anzi sostiene che "uno fosse adibito alla copia e l’altro al controllo del prodotto del primo, e alla successiva correzione". 140 Nulla sappiamo di questo personaggio, del quale non è precisata la carica rivestita. Savigny aveva ipotizzato che potesse trattarsi del primicerius notariorum (che aveva per l’appunto il rango di vir spectabilis), il quale, per le funzioni che gli erano proprie, aveva a che fare anche con la pubblicazione delle costituzioni imperiali (Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 268). E in effetti è attestata nelle fonti la recitatio di orationes imperiali al senato effettuata da un primicerius notariorum (CTh. 6.2.25). L’ipotesi di Savigny è stata di recente accolta anche da Teitler, Notarii and exceptores cit., p. 175. Secondo Mommsen, invece, Veroniciano potrebbe essere stato un magister scriniorum, forse da identificarsi con il Beronikianos segretario del concistoro che diede lettura, dinanzi ai vescovi riuniti nel Concilio di Calcedonia, di alcune epistole imperiali (Mommsen, Über die Subscription cit., p. 281; Proleg. cit., p. XI).

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che dovevano conferire loro, e quindi al testo in esse contenuto, il carattere di autenticità. La relazione tra questi aspetti – licentia, editio, fides e periculum –, oltre che dalle parole di Fausto (che si esprime in termini di editio sua fide et periculo), emerge ancor più chiaramente dalla constitutio de constitutionariis, dove Valentiniano ricorda che hi ad edenda exemplaria haberent tantum licentiam contributam, quos manebat periculum, si quid edita falsitatis habuissent, precisando all’indirizzo del prefetto dell’Urbe che vobis [rivolgendosi ai constitutionarii] licentiam in edendis exemplaribus contributam, confectionem quoque memorati corporis vestro tantum periculo procurandam. L’attribuzione in via esclusiva della licentia e del connesso periculum avrebbe indotto a individuare, a carico dell’ufficio dei constitutionarii, una responsabilità in termini oggettivi per il discrimen de falsitate (o crimen falsi), responsabilità estesa cioè anche agli esemplari eventualmente realizzati da altri soggetti. b) La procedura Raccogliamo ora i capi del discorso che siamo venuti sin qui sviluppando ricostruendo le varie fasi, sinora volutamente lasciate in ombra, della procedura di redazione delle copie in forma autentica, nonché le caratteristiche di queste. Torniamo quindi a considerare le acclamazioni più direttamente aventi ad oggetto la riproduzione delle copie del Codice: 17) 18) 19)

Ne interpolentur constituta, plures codices fiant. Ne constituta interpolentur, omnes codices litteris conscribantur. Huic codici, qui faciendus a constitutionariis, notae iuris non adscribantur.

Come si può osservare, esse sono prettamente relative agli aspetti formali del documento. La grande quantità di copie, tutte trascritte dal medesimo antigrafo, avrebbe dovuto allontanare il pericolo che si verificassero interpolazioni, nel senso di alterazioni del testo originale: l’elevato numero degli esemplari in circolazione avrebbe difatti reso più facile operare una collazione tra gli stessi ed accertare l’eventuale presenza di una intervenuta modifica. Il testo delle costituzioni selezionate nella silloge, in quanto già oggetto di rimaneggiamento e di epitomazione da parte dei compilatori, che erano stati bene attenti a conservare di ciascuna costituzione l’esatto contenuto dispositivo, non avrebbe dovuto essere più alterato. Per evitare tale pericolo, i constitutionarii avrebbero dovuto scrivere il testo litteris, cioè 'a piene lettere, per esteso'141, senza utilizzare alcun sistema di abbreviazioni, e in particolare le notae ___________ 141

Wieacker, Textstufen cit., p. 40: "d.h. ohne Siglen". A sostegno di tale interpretazione si è soliti invocare D. 37.1.6.2 (Paul. 41 ad ed.) dove Paolo riporta una

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iuris di cui veniva fatto largo uso tipicamente nei testi giuridici142. L’impiego di abbreviazioni e notae iuris avrebbe potuto difatti rendere il testo poco comprensibile ai 'non addetti ai lavori', contribuendo a ingenerare confusione sull’autentico contenuto del testo originale. E di divieti imperiali relativi all’uso di notae iuris nel senso ora considerato143 riferisce anche Isidoro di Siviglia144. L’assenza di notae iuris avrebbe, inoltre, contribuito a rendere la consultazione della codificazione più agevole e accessibile anche a coloro che non avessero una solida preparazione giuridica. V’è stato però chi ha inteso le notae iuris nel senso di 'commenti'145, un esempio dei quali sarebbe costituito dalle famose Notae di Paolo e Ulpiano a Papiniano146, dai Summaria antiqua147 o dalle stesse interpretationes visigotiche. Secondo alcuni, si configurerebbe pertanto un divieto, rivolto a chiunque e finalizzato anch’esso a eliminare una possibile fonte di interpolazioni e quindi di confusione, di apporre commenti sugli esemplari in forma autentica realiz ___________ citazione di Pedio: Notis scriptae tabulae non continentur edicto, quia notas litteras non esse Pedius libro vicesimo quinto ad edictum scribit, dalla quale emergerebbe chiaramente l’antitesi notae (iuris) / litterae. 142 Il sistema di abbreviazioni rappresentato dalle notae iuris è soprattutto un prodotto della scuola giuridica: cfr. L. Schiaparelli, Note paleografiche. Segni tachigrafici nelle 'notae iuris' II. I segni, Arch. st. it. 73/1 (1915) p. 278 s. Va aggiunto che tale sistema non era fisso e immutabile, in quanto venivano introdotte continuamente nuove e diverse forme di abbreviazione: ciò faceva sì che, a distanza di tempo, tali segni non fossero più comprensibili e che il loro scioglimento presentasse notevoli difficoltà, ingenerando spesso integrazioni arbitrarie e sempre più lontane dal testo originario. Gran parte dei problemi che i filologi incontrano nella resa di un testo giuridico palesemente affetto da mende dipende proprio da tali dinamiche: cfr. in proposito L. Schiaparelli, Avviamento allo studio delle abbreviature latine nel Medioevo (Firenze 1926) p. 7 s. 143 Anche Giustiniano, nella cost. Tanta § 22, stabilì il divieto di servirsi di abbreviazioni nel trascrivere le costituzioni contenute nella sua compilazione (Eandem autem poenam falsitatis constituimus et adversus eos, qui in posterum leges nostras per siglorum obscuritates ausi fuerint conscribere), proprio in quanto tali abbreviazioni favorivano spesso una distorsione del dettato originario delle disposizioni normative (nella costituzione si parla difatti di siglorum malitias). 144 Isid., Orig. I.23: Quaedam autem litterae in libris iuris verborum suorum notae sunt, quo scriptio celeris breviorque fiat… Cuius generis plurimas consimiles notas novicii imperatores a codicibus legum abolendas sanxerunt. 145 Wieacker, Textstufen cit., p. 40: "Kommentarverbot?"; Gaudemet, s.v. Théodosien (Code) cit., col. 1218; La formation cit., p. 47; Harries, Law and Empire cit., p. 66. 146 Si veda S. Solazzi, Per la storia della giurisprudenza romana III. CTh. 9.43.1 pr. e le note di Paolo e Ulpiano a Papiniano, in Scritti di diritto romano IV, pp. 522-526. 147 Contenuti nel Ms. Vat. Reg. lat. 886, la cui datazione è collocata molto in prossimità della pubblicazione del Teodosiano stesso, tali notazioni sono state di recente oggetto di una nuova edizione a cura di A.J.B. Sirks, Summaria Antiqua Codicis Theodosiani (Amsterdam 1996). Cfr. a questo proposito anche D. Liebs, Die Jurisprudenz im spätantiken Italien (Berlin 1987) p. 177 ss.

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zati dai constitutionarii, divieto che però non avrebbe riguardato le copie realizzate privatamente, o comunque per uso privato. Una tale interpretazione appare però da scartare: le disposizioni in esame sono difatti chiaramente rivolte ai constitutionarii e riguardano l’aspetto della redazione materiale degli esemplari ufficiali; né è pensabile che tali scribi potessero corredare di propri commenti le copie trascritte. D’altra parte, un divieto generale di apporre commenti mal si concilierebbe con le finalità anche 'didattiche' attribuite alla codificazione. Da quanto espresso dal senato emerge chiaramente "la preoccupazione di una sicura e corretta conservazione dei testi legislativi", frutto di una "reazione all’abitudine (delle cancellerie provinciali, dei tribunali, delle parti e dei loro avvocati) di utilizzare le leggi in base ad una documentazione scorretta"148. Osserva però Volterra che, nonostante le precauzioni adottate, delle costituzioni inserite nel Teodosiano venne comunque citato e applicato nella prassi un testo modificato149. 3. L’autore della procedura di editio del Codex Da parte della dottrina si è soliti attribuire la definizione della procedura di riproduzione e diffusione del Teodosiano appena esaminata al senato romano. Ciò in quanto alcuni degli aspetti salienti di queste operazioni costituirono oggetto delle acclamazioni senatorie durante la seduta del 438 d.C.: una circostanza dalla quale si è soliti dedurre che le misure ivi espresse siano da ricondursi alla effettiva volontà del senato. In ragione di ciò si è portati ad attribuire al senato di Roma una partecipazione attiva alla fase di pubblicazione della codificazione teodosiana, e quindi, in certo qual modo, alla stessa attività legislativa. Anche a questo proposito, però, sorgono alcuni dubbi, ingenerati non solo dalla sostanziale marginalità – peraltro riconosciuta da tutti gli studiosi – del ruolo svolto in generale dal senato romano, nel V sec. d.C., soprattutto in relazione al procedimento legislativo, ma anche da una più attenta lettura delle considerazioni espresse dal prefetto del pretorio e, ancora una volta, della costituzione di Valentiniano III de constitutionariis. Del ruolo svolto dal senato in relazione al Codice Teodosiano parleremo più avanti; sembra però opportuno anticipare alcune osservazioni in proposito. ___________ 148

De Marini Avonzo, Critica testuale cit., p. 36. Volterra, Intorno alla formazione cit., p. 140. Ciò risulterebbe dalla Consultatio, nella quale sono riprodotte alcune costituzioni provenienti, secondo quanto nella stessa indicato, dal Codice Teodosiano. 149

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Va anzitutto messo in rilievo che, nell’adottare le disposizioni relative alla produzione delle copie in forma autentica del Codice Teodosiano per l’Occidente, Fausto dichiara di seguire i dominorum praecepta e i desideria senatus: ciò costituirebbe un primo indizio del fatto che detta procedura non sarebbe stata pianificata in via autonoma ed esclusiva dal senato di Roma, bensì ad essa avrebbe partecipato lo stesso potere imperiale. Va altresì osservato che le acclamazioni non delineano che una parte della procedura, e che le disposizioni esposte da Fausto sono diverse da quelle espresse dal senato: di conseguenza esse non possono di certo provenire da quest’ultimo, neppure indirettamente. In quale relazione starebbero allora i desideria senatus (verosimilmente quelli espressi nelle acclamazioni) con i dominorum praecepta? Ci sembra che i primi non possano che costituire una semplice conferma dei secondi, fatta eccezione forse per alcune richieste marginali che potrebbero in effetti costituire, come si è già visto, una autonoma manifestazione di volontà del senato e che, in linea di massima, hanno una rilevanza limitata riguardo al nostro tema. Le acclamazioni senatorie ci sembrano pertanto esprimere contenuti in sintonia con misure verosimilmente già assunte dall’imperatore d’Oriente. Tale interpretazione ci sembra avvalorata dalle ancor più esplicite affermazioni di Valentiniano III contenute nella costituzione del 443: vidimus id, quod invictissimus princeps pater clementiae nostrae in custodiendi Theodosiani codicis observatione praecepit, a senatu diligentia maiore munitum. Nella costituzione si fa espresso riferimento ad una praeceptio di Teodosio, avente ad oggetto il suo Codice, la quale sarebbe stata rafforzata dal senato maiore diligentia: ci sembra che una tale praeceptio altro non potesse riguardare che la procedura di editio della silloge normativa. Tali misure appaiono difatti le uniche ad essere dotate di attualità (a differenza della costituzione programmatica letta ai senatori) e, di conseguenza, le sole che potessero essere formalmente confermate dall’assemblea senatoria; una conferma che sarebbe stata espressa nella ormai consueta modalità: quella delle adclamationes. Non apparendo il senato come l’organo competente a disciplinare in via autonoma l’aspetto formale della pubblicazione di un provvedimento normativo, è da ritenersi pertanto più probabile che, sugli aspetti considerati, vi sia stato originariamente un intervento imperiale, a cui si sarebbe coordinato un formale senatoconsulto. Della procedura di pubblicazione il senato poteva essere chiamato a far parte, ma solo come organo 'passivo', in qualità di assemblea formalmente ratificante, ma sostanzialmente spettatrice. Appare allora più probabile che sia stato lo stesso Teodosio II, il sovrano kallfgrafoj promotore di questa eccezionale iniziativa, a preoccuparsi anche dell’aspetto più tecnico relativo alle modalità di riproduzione materiale e diffusione del proprio Codice; soprattutto se e in quanto si considerino riproduzione e diffusione come fasi della complessa procedura di pubblicazione studiata per

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questa fonte normativa. Non deve stupire che l’imperatore possa aver disciplinato anche gli aspetti formali dell’editio del Codice, in quanto, come si è già avuto modo di vedere, il potere imperiale era intervenuto in precedenti occasioni a disciplinare i requisiti formali degli atti confezionati all’interno delle proprie cancellerie. Un’ulteriore conferma di quest’ipotesi potrebbe essere ravvisata nella circostanza che, oltre quella occidentale, anche la tradizione manoscritta orientale del Codice Teodosiano si presenta priva di notae iuris150. Questa 'uniformità' non può costituire una mera coincidenza, attesa la larghissima diffusione dell’uso di queste forme di abbreviazione nei testi giuridici e la conseguente necessità di un provvedimento ad hoc che ne inibisse l’impiego. Se, come ritenuto dai più, tale divieto fosse stato introdotto (per l’Occidente) da una disposizione del senato di Roma, bisognerebbe ipotizzare l’esistenza di un’analoga misura impartita forse dal senato costantinopolitano, e riguardante la riproduzione degli esemplari destinati ad essere diffusi in Oriente (sempre ammesso che in questa pars imperii si sia svolta una cerimonia analoga a quella documentata per l’Occidente dai Gesta senatus). Ma sembra più ragionevole intravedere a monte di questa disposizione fondamentale (al punto da essere ripresa anche da Giustiniano per la sua compilazione) un’unica volontà, quella cioè dello stesso imperatore, da rispettarsi tanto in Oriente quanto in Occidente, previa 'conferma', quanto a quest’ultimo, da parte del senato di Roma. Qualora si volesse accogliere tale ipotesi, andrebbe posto in risalto il fatto che, apparentemente per la prima volta, il potere imperiale non si sarebbe limitato semplicemente a commissionare la produzione di libri151 o a farsi direttamente carico della loro trascrizione152 bensì, proprio perché il 'libro' in questio ___________ 150 Come testimoniato, ad esempio, da P. Oxy. 1813, proveniente dall’Egitto e contenente alcuni frammenti del Teodosiano (CTh. 7.8.9-10), il testo dei quali è scritto in onciale B-R e privo di notae iuris, ad eccezione delle sole subscriptiones. 151 E’ il caso, ad esempio, di Costantino, che ordinò allo scriptorium di Cesarea cinquanta Bibbie su codice pergamenaceo destinate ad uso liturgico nelle chiese della nuova città di Costantinopoli (Euseb., Vita Const. 4.36). Analogo ordine venne fatto anche da Costanzo allo scriptorium annesso alla biblioteca di Gerusalemme (Athan., Apol. ad Const. 4). 152 Come era già avvenuto in passato. Le fonti ce ne riportano diversi esempi: in un’orazione di Temistio, pronunciata all’inizio del 357 in onore di Costanzo II, tra le iniziative assunte dall’imperatore viene ricordato l’incarico, da questi affidato a scribi professionisti, di trascrivere (probabilmente dai rotoli ai codici) libri di antichi autori che il tempo aveva ormai deteriorato (Themist., Orat. 4.59d-60c). Il medesimo spirito sembra animare l’analoga diposizione presa nel 372 dagli imperatori Valentiniano e Valente (CTh. 14.9.2), i quali, preoccupati per il cattivo stato in cui versavano molti degli esemplari conservati presso le biblioteche pubbliche, ordinarono al praefectus urbi di Costantinopoli, Clearco, di scegliere e nominare antiquarios ad bibliothecae codices componendos vel pro vetustate reparandos quattuor Graecos et tres Latinos scribendi peritos (cfr. Cavallo, Libro e pubblico cit., p. 91 s.).

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ne era un documento imperiale ufficiale e, al tempo stesso, una fonte normativa, ne avrebbe curato l’intera 'edizione', organizzandola e realizzandola direttamente nei diversi passaggi attraverso i suoi più alti magistrati. E non è un caso che l’impulso provenga dall’Oriente, dove l’autorità statuale aveva già mostrato questa sensibilità, facendosi carico della trasmissione della letteratura antica153. Va infine prospettata un’ultima possibilità: quella che sia stato invece lo stesso prefetto del pretorio a predisporre autonomamente – dal momento che l’imperatore gli aveva affidato il compito di diffondere il Codice in Occidente – le modalità di esecuzione dell’incarico ricevuto. Si pensi ancora una volta al tribunus et notarius Marcellino e a tutte le disposizioni da questo assunte in ordine alla formazione degli atti del confronto cartaginese e alla loro editio. E tuttavia, sebbene ciò sia senz’altro possibile, a ben guardare Fausto sembra sempre agire non soltanto su mandato imperiale, ma anche sulla base di precisi e dettagliati ordini ricevuti dal sovrano154.

V. NTh. 1, Gesta senatus e testo ufficiale del Codice Teodosiano Un’ultima questione dev’essere indagata: quella relativa all’aspetto fisico del testo ufficiale del Codice Teodosiano. Posto che questo doveva essere scritto senza abbreviazioni ed essere altresì autenticato, dichiarato cioè dai constitutionarii come conforme all’esemplare in loro possesso, ci si deve chiedere se, anche ai fini dell’acquisto del carattere di autenticità, il testo dovesse essere inoltre accompagnato, o meglio preceduto, da quei documenti che proprio il codex Ambrosianus C 29 inf. ha restituito: i Gesta senatus del 438 e, dal 443 d.C. in poi, la costituzione di Valentiniano III de constitutionariis, nonché il testo della NTh. 1, come sembrerebbe suggerire la sua insolita collocazione nel Codex Ambrosianus. Come si è già avuto modo di osservare, tra le particolarità che caratterizzano il manoscritto ambrosiano vi è quella dell’inusuale posizione del testo della NTh. 1, posto in modo da precedere la versione visigotica del Teodosiano, e ___________ 153 Interessanti a questo proposito sono le seguenti considerazioni di Cavallo: "Gli esemplari tardoantichi dei classici latini sono esemplari privati… In Oriente la prospettiva è un’altra: gli esemplari dei classici greci hanno l’anonimato delle copie ufficiali… A salvare gli autori antichi in Occidente è una classe, in Oriente è lo Stato" (Cavallo, Libro e pubblico cit., p. 104 s.). 154 Non del tutto lineare ci sembra, a questo proposito, Crescenzi, Authentica atque originalia cit., pp. 292-295, secondo il quale "il prefetto del pretorio impartisce… le disposizioni per la riproduzione del codex ricevuto", precisando poi che "egli prende atto di quelli che qualifica come praecepta dominorum e desideria culminis vestri" e infine che, "facendo proprie le raccomandazioni… del Senato, impartisce l’ordine di comporre tre esemplari".

V. NTh. 1, Gesta senatus e testo ufficiale del Codice Teodosiano

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però collocato sotto la rubrica De Theodosiani Codicis auctoritate, che appartiene invece più propriamente alla raccolta di Novelle di Teodosio; raccolta che, nello stesso Breviario, segue il Codice Teodosiano. Inoltre, nel manoscritto in questione questa stessa rubrica non solo è riportata nell’index titulorum relativo al Codice Teodosiano, ma figura addirittura come la prima del libro I. La stranezza di questa collocazione appare evidente se solo si consideri che la ricca tradizione manoscritta del Breviario Alariciano testimonia invece di una collocazione di tale costituzione tra le leges novellae di Teodosio, delle quali era anzi la prima. Nella compilazione elaborata dalla cancelleria visigotica, quindi, la NTh. 1 si presenta solitamente come del tutto esterna al Codice Teodosiano (o meglio, alla sua versione visigotica). Proprio la testimonianza del Codex Ambrosianus, che sembrerebbe anzi essere corroborata anche da altri manoscritti155, ha indotto taluni a domandarsi se la NTh. 1 potesse far parte della redazione ufficiale del Codice Teodosiano e se ne costituisse anzi un elemento introduttivo, in quanto rappresentava quel provvedimento imperiale con cui era stato attribuito al Codice valore normativo (vires auctoritatemque)156. E non è mancato chi ha ipotizzato che i Gesta senatus (nonché la costituzione di Valentiniano III del 443), in quanto collocati anch’essi, nel manoscritto milanese, prima del Codice, facessero parte della redazione ufficiale occidentale del Teodosiano157, svolgendo una funzione sostanziale di certificazione dell’autenticità degli esemplari ufficiali dello stesso. E’ stato difatti ritenuto che gli stessi constitutionarii avessero richiesto alla cancelleria del senato una copia del verbale in questione e l’avessero collocata in apertura del Codice, a giustificazione della loro attività e quale certificazione della autenticità degli esemplari prodotti, della provenienza degli stessi dall’ufficio a ciò competente e, quindi, della loro assoluta affidabilità. Per la stessa ragione, nella redazione ufficiale del Codice sarebbe stata inserita – ovviamente in un secondo momento – anche la costituzione di Valentiniano III con la quale si ribadiva l’esclusività delle funzioni dei constitutionarii e il conseguente divieto di mettere in commercio esemplari del Teodosiano altrimenti realizzati158. ___________ 155 Cioè il Codex Basileensis C III 1 e il Codex Bodleianus Arch. Seld. B. 16, che verranno esaminati tra breve. 156 NTh. 2 pr. 157 In questo senso già Mommsen, Proleg. cit., p. XI: "Ea gesta constitutionariis Anastasio et Martino… edita… ab his praemissa sunt exemplaribus per eos in Occidente divenditis". 158 Gaudemet, La formation cit., p. 47: "pour authentifier leurs copies, les constitutionarii reproduisaient au début les Acta senatus et la constitution de Valentinien III de

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Capitolo quinto: Riproduzione e diffusione del Codex Theodosianus

Ancora una volta il destino della NTh. 1 e quello dei Gesta senatus appaiono essere in qualche modo intrecciati. E dunque, al fine di valutare la plausibilità di tale ultima ipotesi, andrà dapprima sottoposta a verifica quella relativa alla NTh. 1. 1. Volterra e la 'costituzione introduttiva' del Codice Teodosiano Nel 1984 Edoardo Volterra pubblicò, negli Scritti in onore di Guarino, uno dei suoi ultimi studi dedicato alla 'costituzione introduttiva del Codice Teodosiano', intendendo con ciò la NTh. 1159. L’interesse dello studioso era stato attirato da un particolare aspetto legato alla tradizione manoscritta di questo provvedimento, che viene generalmente tramandato attraverso la Lex Romana Visigothorum. In essa tale costituzione, che chiamerò 'di validazione', è inserita tra le constitutiones novellae di Teodosio II, e quindi al di fuori del Codice Teodosiano, seguendolo. Accanto a questa tradizione ve ne sarebbe un’altra, rappresentata da tre manoscritti contenenti anch’essi il Breviario, nei quali la costituzione di validazione si trova invece collocata prima del Codice Teodosiano. Anzi, in uno di questi manoscritti questa si troverebbe ripetuta addirittura due volte, e cioè sia prima del Teodosiano che dopo, tra le Novelle. Le tre testimonianze manoscritte sono costituite, oltre che dal nostro Codex Ambrosianus C 29 inf., dal Codex Bodleianus Arch. Seld. B. 16 (Mo.: O) e dal Codex Basileensis C III 1 (Mo.: C). Una particolarità accomuna i primi due: al pari del manoscritto ambrosiano, anche quello di Oxford contiene, tra le altre cose, una redazione del Breviario di Alarico che presenta dei contatti con la versione originaria, cioè integrale, del Codice Teodosiano; una redazione cioè integrata con alcune costituzioni normalmente assenti dal Breviario. Il terzo manoscritto invece, cioè quello di Basilea, costituisce un apografo umanistico realizzato nel XVI sec.: lo stesso che venne utilizzato da Johannes Sichardus per quella che viene considerata la prima edizione a stampa del Codice Teodosiano (in realtà della Lex Romana Visigothorum)160. E difatti, nell’edizione di Sichardus del 1528 troviamo la costituzione di validazione di ___________ 443 qui leur donnait compétence pour faire ce travail". Tale tesi è approvata anche da Sirks, From the Theodosian cit., p. 279). 159 Volterra, La costituzione introduttiva cit., pp. 3083-3103. 160 J. Sichardus, Codicis Theodosiani libri XVI qiubus (sic) sunt ipsorum principum autoritate adiectae Novellae Theodosii, Valentiniani, Martiani, Maioriani, Severi, Caii Institutionum lib. II, Iulii Pauli Receptarum Sententiarum lib. V, Gregoriani Codicis lib. V, Hermogeniani lib. I, Papiniani Tit. I. Hiis nos adiecimus ex vetustissimis bibliothecis eo quod ad ius civile pertinerent et alterius etiam responsa passim in Pandectis legerentur, L. Volusii Metiani lib. de asse, Iulii Frontini lib. de controversiis limitum cum Aggeni Urbici Commentariis, Excudebat Basileae Henricus Petrus mense martio anno 1528.

V. NTh. 1, Gesta senatus e testo ufficiale del Codice Teodosiano

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Teodosio II posta all’inizio dell’opera, a precedere quindi il Codice Teodosiano. Tuttavia, anche in uno degli antigrafi del manoscritto di Basilea vi sono tracce di integrazioni che rivelano contaminazioni con una redazione del Teodosiano più completa rispetto alla sua versione visigotica. Volterra ha così effettuato un’indagine avente ad oggetto questa particolare tradizione manoscritta, allo scopo di comprendere le ragioni della presenza della costituzione di Teodosio II del 438 in una posizione 'anomala' rispetto a quella consueta. Quanto alla testimonianza del Codex Ambrosianus, l’Autore osserva dapprima: "E’ pertanto sicuramente documentato che il redattore del manoscritto del Codice Teodosiano, di cui un frammento è conservato nel Codice Ambrosiano, poneva come primo titolo del Codice il de Theodosiani codicis auctoritate, considerandolo come introduttivo al Codice stesso". Più avanti egli precisa che "il testo [scil. della costituzione di Teodosio] non risulta tratto da quello del Breviario". Volterra finisce però per attribuire la posizione anomala della costituzione di validazione all’autore (redattore? scriba?) del Codex Ambrosianus: "L’autore quindi dell’Ambrosianus presenta la costituzione come emanata da Teodosio e come quella che introduce il Codice Teodosiano"161. Quanto al Codex Bodleianus, Volterra ritiene che, anche in questo caso, "l’autore della raccolta di queste leges antiquariae… abbia… collocato all’inizio del Codice Teodosiano, come la prima legge, la costituzione del 15 febbraio 438, facendola apparire come quella introduttiva del Codice e come quella attribuente alla compilazione teodosiana l’assoluta ed esclusiva autorità legislativa. … Fra le Novellae di Teodosio non è riprodotta la costituzione di Teodosio del 15 novembre (sic) 438, conferma questa che l’autore delle leges antiquariae non la poneva fra le Novelle Teodosiane, ma la considerava come parte integrante del Codice Teodosiano e come introduzione a questo."162. Lo studioso conferma tale assunto ribadendo che "l’autore della raccolta delle leges antiquariae considerava autonomamente la costituzione teodosiana del 15 febbraio 438 come parte integrante e introduttiva del Codice Teodosiano"163. La collocazione della costituzione di validazione in apertura del Codice è così più volte ribadita come frutto dell’iniziativa personale dell’ignoto autore della peculiare raccolta. Quanto, infine, al Codex Basileensis e al suo antigrafo, che Volterra riteneva essere esclusivamente il Codex Murbacensis, l’Autore afferma, coerentemente con la propria linea di pensiero: "Risulta pertanto evidente che il redattore del ___________ 161

Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3093. Ibid., p. 3100. 163 Ibid., p. 3101. 162

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Codice [scil. Murbacense] intendeva porre la costituzione del 15 febbraio 438 come facente parte integrante del Teodosiano e come introduzione a questo"164. Date queste premesse, se ne dovrebbe dedurre che, per Volterra, la presenza della costituzione di validazione all’inizio dell’epitome visigotica del Codice Teodosiano sia frutto della privata e personale iniziativa degli anonimi redattori delle testimonianze manoscritte, oppure già degli antigrafi di queste, e che la molteplicità di tali testimonianze debba ascriversi a pura coincidenza. I suoi risultati però si limitano sostanzialmente a constatare l’esistenza di questa particolarità: "L’esame di questi tre manoscritti – scrive Volterra –, del tutto indipendenti fra loro, aventi origini assolutamente diverse, appartenenti a differenti epoche, redatti in luoghi e ambienti completamente separati, mostra l’esistenza di una tradizione che considera la costituzione teodosiana del 15 febbraio 438 non estranea al Codice, ma facente parte integrante di esso ed anzi costituente una specie di introduzione…"165. E la stessa espressione "tradizione che considera la costituzione teodosiana… facente parte integrante di esso [Codice Teodosiano] e anzi costituente una specie di introduzione" è sibillina: si tratta di una tradizione manoscritta che riflette una particolare redazione del Teodosiano stesso, circolante accanto alla forma epitomata elaborata dai Visigoti, oppure dobbiamo ritenere che siano stati degli individui (i copisti?) a considerare la costituzione di validazione una logica introduzione al Codice stesso, indipendentemente da qualunque effettiva presenza della stessa in una particolare redazione? Nonostante lo stesso Volterra avesse in quella sede avanzato il più che legittimo dubbio: "Non riusciamo a renderci conto per quale motivo la costituzione del 15 febbraio 438 non sia inserita all’inizio del Codice Teodosiano come introduttiva all’opera compiuta e come atto che attribuisce forza legislativa assoluta ed esclusiva a quanto è contenuto nel Codice stesso"166, le sue conclusioni non vanno oltre una presa d’atto dell’esistenza di questa 'inusuale' tradizione manoscritta della NTh. 1, e la stessa 'casualità' alla quale egli pare ricondurre questa tradizione sembra non convincerlo del tutto. Pur in presenza di una tale coincidenza in manoscritti che mostrano chiari segni che riconducono a una tradizione del Teodosiano indipendente dal Breviario, Volterra non è giunto a formulare alcuna conclusione in merito all’ipotesi se la costituzione di validazione di Teodosio II potesse originariamente, e quindi già nella redazione ufficiale del Codice Teodosiano, trovarsi anteposta allo stesso. ___________ 164 Ibid., p. 3102, forse fuorviato dalle indicazioni date da Meyer nel Conspectus subsidiorum contenuto in Th. Mommsen / P. Meyer, Codex Theodosianus II: Leges Novellae ad Theodosianum pertinentes… (Berolini 1905, Hildesheim 1990) p. VI. 165 Ibid., p. 3103. 166 Ibid., p. 3091.

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Il dubbio di Volterra, dicevamo, sembra legittimo: ci si aspetterebbe difatti che la costituzione di validazione del Teodosiano 'accompagnasse' in qualche modo il Codice: e non solo la sua versione orientale, bensì anche quella occidentale, dalla quale quasi certamente discendono le testimonianze considerate. Di certo, però, vi è solo che, nella compilazione visigotica, tale costituzione si trova inserita tra le Novelle di Teodosio, né sembra avere alcun legame formale-materiale col Teodosiano. In che senso si può allora parlare dell’esistenza di una tradizione manoscritta di tale costituzione che vede la stessa come anteposta al Codice? Sebbene i tre testimoni considerati siano effettivamente indipendenti tra loro, vi è comunque un aspetto che ne accomuna apparentemente almeno due: i loro contatti con una redazione integrale del Teodosiano. Ci si deve allora chiedere se questa insolita collocazione della costituzione di validazione all’inizio del Codice Teodosiano (nella sua versione visigotica) possa costituire un segno del fatto che tale provvedimento si trovasse anteposto al Codice già nella redazione ufficiale del Teodosiano, allo stesso modo in cui la Lex Romana Visigothorum è preceduta dal Commonitorium Alarici167 e le varie parti del Corpus Iuris di Giustiniano dalle rispettive costituzioni di validazione; oppure se una tale particolarità debba essere attribuita esclusivamente al caso. A questo punto ci sembra opportuno compiere quest’ulteriore passo, e cercare di comprendere a quali fattori sia da ricondursi questa particolare tradizione della NTh. 1. Condividendo con Volterra la giusta convinzione che i problemi relativi alle fonti di cognizione vadano affrontati ricorrendo all’esame diretto delle fonti stesse (nel senso delle testimonianze manoscritte che le hanno trasmesse fino a noi), poiché il manoscritto milanese è stato già analizzato più sopra, rivolgiamo ora la nostra attenzione agli altri due testimoni. a) Il Codex Basileensis C III 1 A proposito di questo manoscritto, erroneamente definito da Volterra talvolta anche come 'apografo bernense' (o 'bernese'), lo studioso scrive: "Il terzo documento è l’apografo di un antichissimo manoscritto di Murbach del secolo IX contenente il Breviario di Alarico, manoscritto andato perduto… Nell’antichissimo codice di Murbach il Codice Teodosiano iniziava con il titolo a lettere maiuscole DE THEODOSIANI CODICIS AUCTORITATE / Impp. Theodosius et Valentinianus Aug. Aug. Florentio / Praefecto Praetorio cui segue il testo della costituzione teodosiana del 15 febbraio 438 con la ___________ 167 Dal quale il Breviario stesso traeva autorità e valore normativo: nelle fonti manoscritte questo provvedimento è difatti definito anche come Auctoritas Alarici. Cfr. anche R. Lambertini, La codificazione di Alarico II (Torino 1990) p. 6 ss.

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subscriptio (Dat. XVI / Kal. Mart. Constantinopoli Theod. A. XVI a. Conss), senza l’interpretatio". Prosegue Volterra notando che "dopo il Codice sono riportate le Novelle… [esse] iniziano con la costituzione del 15 febbraio 438: nell’apografo del Codice murbacense viene così riprodotto due volte questo testo: una prima volta come introduzione al Codice Teodosiano ed una seconda come la prima delle Novelle teodosiane (fol. 84-85). … Dopo l’elenco delle rubriche segue il testo della costituzione 15 febbraio 438… La subscriptio è leggermente diversa da quella indicata per la stessa costituzione del 15 febbraio 438 (Dat. XV Kal. Martii Theodosius Aug. XV CCSS). Non vi è l’interpretatio visigotica."168. Atteso ciò, Volterra rimarca la scelta operata da Sichardus di porre, nella propria edizione del Teodosiano, la NTh. 1 all’inizio del Codice, ma non tra le Novelle: "Può così constatarsi che Sichardus considerava la legge teodosiana del 15 febbraio 438 come costituente l’introduzione al Codice Teodosiano e come facente parte di esso, tanto è vero che, malgrado la testimonianza dell’apografo bernense169, la esclude dalle novelle teodosiane"170. In una nota, infine, lo studioso aggiunge: "Dal confronto fra il testo dell’apografo bernese e il testo a stampa risulta che Sichardus ha accolto l’idea dell’antico redattore del Codice murbacense cioè che la disposizione del Teodosio del 15 febbraio 438 costituiva la prima norma del Codice Teodosiano. Nello stesso tempo ha però creduto di aggiungere, traendola da mss. del Breviario, la breve interpretatio che nel Codice Murbacense mancava sia all’inizio del Teodosiano, sia nella citata Novella I"171. Volterra pone quindi in rilievo come, tanto nell’apografo di Basilea, quanto anche nell’edizione di Sichardus, emerga chiaramente l’intenzione dei rispettivi redattori di considerare la costituzione di validazione come un elemento introduttivo e prefatorio, anzi, come la 'prima norma' del Codice Teodosiano. Ma, nelle sue osservazioni relative al manoscritto, lo studioso incorre in diverse imprecisioni, e dietro il suo ragionamento è possibile intravedere un equivoco di fondo, sul quale appare opportuno cercare di far chiarezza. A tal fine si è proceduto alla diretta ricognizione di questo manoscritto d’età umanistica, del quale appare utile ricostruire la genesi. La Basilea della prima metà del ’500 fu testimone di un grande fermento nel mondo culturale: la recente scoperta della tecnica di stampa aveva spinto gli Umanisti a curare nuove edizioni delle opere letterarie giunte dal mondo antico, soprattutto quello romano. Venne così avviata un’intensa attività di ricerca di ___________ 168

Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3101 s. E’ naturalmente l’apografo basileense. 170 Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3103. 171 Ibid., p. 3099 nt. 14. 169

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antichi manoscritti custoditi per lo più nelle biblioteche di monasteri o istituzioni religiose. Il fenomeno interessò anche l’ambiente giuridico, che all’epoca vedeva i suoi esponenti più significativi in Bonifacio Amerbach (allievo di Erasmo da Rotterdam), nel suo maestro Andrea Alciato e in Claude Chansonnet. Per iniziativa dello stesso Amerbach si diede inizio alle ricerche necessarie alla realizzazione di un’edizione a stampa del Codice Teodosiano e di altre fonti pregiustinianee, coinvolgendo allo scopo anche il giurista, letterato e filologo Johannes Sichardus, che tra il 1526 e il 1530 risiedette a Basilea172. Venne avviata così un’attività di raccolta dei documenti manoscritti più utili allo scopo, rivolgendo prevalentemente l’attenzione al Breviario Alariciano, che sino a quel momento rappresentava l’unica fonte di conoscenza, sia pure mediata, della codificazione di Teodosio. Non soltanto per comodità di studio, ma anche per la difficoltà di disporre dei manoscritti per il tempo necessario, Amerbach decise di far realizzare – sembrerebbe a proprie spese – un apografo di alcuni di essi, il quale venne poi utilizzato da Sichardus per realizzare quella che verrà considerata l’editio princeps del Codice Teodosiano173. Tale apografo, noto attualmente come Codex Basileensis C III 1174, redatto intorno al 1527175 e tutt’ora conservato, costituisce la trascrizione non già del solo Codex Murbacensis, come affermato da Volterra, bensì di quattro diversi manoscritti (o, rectius, di alcune porzioni di testo tratte dagli stessi), riprodotti per di più in momenti diversi e da più mani distinte. I quattro manoscritti sono: 1) il Codex Gothanus memb. I 84 (olim Moguntiacensis o Moguntinensis)176, del X sec., contenente, oltre a una raccolta di leggi franche e germaniche, anche la Lex Romana Visigothorum in una versione quasi integrale177 ___________ 172 I. Guenther, s.v. Johann Sichard, in P.G. Bietenholz / Th. B. Deutscher (a cura di), Contemporaries of Erasmus III (N-Z) (Toronto-Buffalo-London 1987) p. 247. 173 V. supra nt. 160. 174 Attualmente conservato presso la Universitätsbibliothek di Basilea, è stato da me sottoposto a una diretta ricognizione nel novembre 2003. Ulteriori notizie su questo apografo in Hänel, Proleg. a LRV, p. XLVI s. (n. 8); p. LXXIX (n. 58); Mommsen, Proleg. cit., p. XCV; P. Meyer, Prolegomena a Leges novellae cit., p. XXXIX; da ultimo si veda D. Liebs, Römische Jurisprudenz in Gallien (Berlin 2002) p. 111 nt. 108; 117 nt. 137. 175 E non nel 1521, come affermato da Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3103. 176 Mo.: G. Questo manoscritto è oggi conservato presso la Forschungs- und Landesbibliothek di Gotha ed è stato oggetto di una mia personale ricognizione nel febbraio 2004. Secondo le affermazioni degli studiosi, proprio in detto manoscritto sarebbe da identificare uno degli antigrafi del manoscritto di Basilea, sebbene un’annotazione di Bonifacio Amerbach contenuta nel Codex Basileensis C III 1, e relativa agli esemplari ivi trascritti, menzioni semplicemente un "exemp. Moguntin."

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2) un codex Augustensis a noi sconosciuto, che conteneva l’Epitome Aegidii178 3) il Codex Bernensis 263 (olim Argentoratensis)179, del IX sec., di origine gallica, ritrovato a Strasburgo dallo stesso Sichardus nel 1527 e contenente anch’esso un’epitome del Breviario 4) un Codex Murbacensis, di origine sconosciuta – e che a quell’epoca era in possesso del monastero di Murbach180 –, il quale conteneva la Lex Romana Visigothorum. Il manoscritto andò poi perduto. Tralasceremo di occuparci del secondo e del terzo di questi codici, in quanto in nessuna delle trascrizioni di questi due testimoni è presente la costituzione di Teodosio II del febbraio 438. Ci limitiamo a osservare solamente che, nell’apografo di Basilea, da tali manoscritti sono state trascritte le sole parti iniziali del testo in essi rispettivamente contenuto. I testi trascritti terminano quindi, quanto all’Epitome Aegidii del Codex Augustensis, in corrispondenza del tit. 24 del libro II del Codice Teodosiano; quanto all’epitome contenuta nel ___________ Descrizioni del codice gothano in Hänel, Proleg. a LRV, p. XLVI (n. 7); Proleg. a CTh. cit., p. XXVII; Mommsen, Proleg. cit., p. LXXII s.; Meyer, Proleg. cit., p. XXXVIII s. Va tuttavia segnalato che il manoscritto ha oggi una nuova cartulazione. Più recenti descrizioni in Dolezalek, Verzeichnis der Handschriften I cit., e in C. Hopf, Die abendländischen Handschriften der Forschungs- und Landesbibliothek Gotha. Bestandsverzeichnis. 1. Großformatige Pergamenthandschriften: Memb. I (Veröffentlichungen der Forschungsbibliothek Gotha 32) (Gotha 1994) pp. 62-64. 177 Un’accurata descrizione del contenuto di questo manoscritto in Hopf, Die abendländischen Handschriften cit., loc. cit. 178 Mommsen, Proleg. cit., p. CIV, CVII. Alcune delle lezioni del manoscritto, procuratogli da Sigismundus Ilsungus quando l’edizione era stata ormai quasi completata, sono riportate nell’avvertenza al lettore posta in fondo all’opera (Sichardus, Codicis Theodosiani libri XVI cit., f. 178r). 179 Cfr. Hänel, Proleg. a LRV, p. LXXII (n. 40); Proleg. a CTh., p. XXVI s.; Mommsen, Proleg. cit., p. XCV s. Da ultimo Liebs, Römische Jurisprudenz cit., p. 99 nt. 39; 110 nt. 104; 114 nt. 118. 180 Mo.: C (Proleg. cit., p. LXXIII s.). Questo manoscritto, scoperto da Pius Hier. Baldung nel 1518, venne per la prima volta menzionato in uno scritto di U. Zasius, Lucubrationes aliquot… elegantes… videlicet in legem secundam ff. de ori. iur. … (apud… Basileam 1518). Lo stesso Baldung ne parlò ad Amerbach in una lettera del 1521 (cfr. R. Stintzing, Geschichte der deutschen Rechtswissenschaft I [München & Leipzig 1880] p. 213 s.). Quest’ultimo, che stava maturando l’idea di realizzare un’edizione del Codice Teodosiano, fu spinto dal desiderio di vedere il manoscritto, attesa la particolare completezza del Breviario Alariciano e, soprattutto, delle Pauli Sententiae in esso contenute. Dal momento che il tipografo Froben, al quale il monastero di Murbach lo aveva concesso in comodato, si manifestava restio a darglielo, Amerbach pensò, al fine di potersene servire con più agio, di farne realizzare un apografo, affidando l’incarico a Claude Chansonnet. Tale copia venne poi messa a disposizione di Sichardus (cfr. P. Lehmann, Iohannes Sichardus und die von ihm benutzten Bibliotheken und Handschriften [München 1911]; Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3098 nt. 14).

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Codex Bernensis, anch’essa in corrispondenza della costituzione CTh. 2.24.1: in sostanza, le due trascrizioni sono relative alla medesima porzione di testo. L’escerto tratto dal manoscritto dell’Epitome Aegidii occupa, nell’apografo basileense, le cc. 29r-33r (distinte anche dalle lettere Į – İ)181; quello tratto dal Codex Bernensis occupa, sempre nello stesso apografo, le cc. 33r-47r (distinte dalle lettere İ – ȣ), nonché le cc. 238-239: ciò poiché lo stesso manoscritto è stato usato anche per integrare una parte mancante delle Pauli Sententiae tratte dal Murbacense. Sotto il profilo che qui interessa sono pertanto rilevanti solamente il primo e il quarto manoscritto, e cioè il Codex Murbacensis e il Codex Gothanus. aa) Gli antigrafi: il Codex Murbacensis Il Codex Murbacensis182 era un codice miscellaneo contenente, tra le altre cose, il testo del Breviario Alariciano in una redazione pressoché completa. Come si è detto, il manoscritto è andato perduto. Nella copia fatta realizzare da Amerbach, che è tutto ciò che di esso rimane, sono stati omessi il primo e parte del secondo libro del Teodosiano: e difatti l’apografo inizia solamente in corrispondenza di CTh. 2.25.1. Ciò è da attribuirsi probabilmente all’intenzione del copista di creare una continuità con le parti già trascritte dal Codex Bernensis e dal manoscritto dell’Epitome Aegidii, che, seppure nella forma di epitome del Breviario (e quindi un’epitome dell’epitome visigotica del Teodosiano), coprivano la prima parte del testo fino a CTh. 2.24. Attesa la mancanza della parte iniziale del testo del manoscritto murbacense, in quanto non trascritta, e poiché l’antigrafo è ormai andato perduto, non è possibile sapere, e neanche stabilire altrimenti, in quale modo si configurasse effettivamente l’incipit del testo del Breviario contenuto nel Codex Murbacensis; non è, cioè, possibile formulare alcuna ipotesi in merito al fatto se l’epitome visigotica fosse, oppure no, preceduta dal Commonitorium alariciano e da un index titulorum, né soprattutto se vi fosse contenuta, in una posizione iniziale e introduttiva rispetto al Codice Teodosiano, anche la costituzione di validazione di Teodosio II. In relazione alla parte non trascritta di questo testimone non si può far altro, quindi, che astenersi da ogni giudizio. Ma poiché, come si è detto, il Murbacensis conteneva apparentemente una versione tradizionale del Breviario, comprensiva anche della raccolta delle ___________ 181

La copia è stata realizzata dalla stessa mano che ha poi realizzato l’apografo del Codex Murbacensis e che, come è stato da altri notato, appartiene verosimilmente a Claude Chansonnet. 182 Nell’apografo basileense: cc. 50r-238v (o, secondo la precedente cartulazione, cc. 1-189).

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Novelle post-teodosiane, il suo apografo mostra solamente che la NTh. 1 (che nell’apografo basileense occupa le cc. 133r-134v) si trovava, senza alcuna differenza rispetto alla consueta tradizione manoscritta del Breviario, all’interno della raccolta di Novelle di Teodosio II. E a questo proposito va rilevato che, contrariamente a quanto asserito da Volterra, il testo della NTh. 1 tratto dal Murbacense non è privo dell’interpretatio visigotica, ma è da essa regolarmente accompagnato183. bb) Gli antigrafi: il Codex Gothanus memb. I 84 A questo punto, una volta chiarito che del manoscritto murbacense non è nota la parte iniziale e che esso conteneva la costituzione di validazione di Teodosio II tra le sue Novellae, il nostro interesse deve concentrarsi sul Codex Gothanus e sul testo del Breviario in esso contenuto, il cui apografo cinquecentesco venne realizzato dal teologo e umanista Johannes Cochlaeus184. Del Breviario l’apografo contiene la sola parte iniziale, arrestandosi in corrispondenza del titolo 14 del libro II della redazione visigotica del Teodosiano185. E qui può osservarsi che, sempre nell’apografo di Basilea, la costituzione di validazione appare effettivamente posizionata all’inizio del Breviario186, si direbbe quasi in luogo del Commonitorium che è, invece, del tutto assente, così come è assente un index titulorum. In più, detta costituzione appare priva di interpretatio visigotica: si direbbe quindi che non presenti ___________ 183 Cfr. Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3102. Tale asserzione è frutto probabilmente di una svista da parte dello studioso, forse originata dal fatto che, mentre il testo della costituzione termina nel recto della c. 134 dell’apografo basileense, l’interpretatio si trova nelle prime righe del verso della stessa carta. 184 Musicista, umanista, teologo controversista, nonché grande avversario di Lutero, del quale scrisse la prima biografia, Johannes Cochlaeus (Johann Dobneck, ma del suo nome esistono numerosissime varianti) trascorse il periodo successivo al suo rientro dall’Italia tra Frankfurt a.M. (dove giunse nel 1520), Köln e Mainz (dal 1526 al 1528), entrando in contatto con il circolo degli Umanisti che ruotava intorno all’area renana. Le sue dirette relazioni con Sichardus sono attestate anche in occasione della pubblicazione, da parte di Cochlaeus, del Chronicon di Cassiodoro (1528), opera dallo stesso scoperta in un manoscritto custodito presso la biblioteca di St. Stephan a Mainz: l’anno successivo, difatti, Sichardus pubblicò anch’egli un Chronicon basato su Chronica di numerosi autori antichi, tra i quali quello dello stesso Cassiodoro. Nella Praefatio l’autore ricorda espressamente Cochlaeus, "totius vetustatis studiosissim[us]", che gli avrebbe inviato il manoscritto di cui egli stesso si era servito (cfr. J. Sichardus, Praefatio a Chronicon divinum plane opus eruditissimorum autorum… [Basileae 1529] p. 2). 185 Cc. 12r-20v, indicate anche dalle lettere A-I. del Codex Gothanus. Ciascuna costituzione è accompagnata dalla relativa interpretatio, di ognuna delle quali sono state tuttavia riportate le sole prime parole. 186 E precisamente alla c. 12r-v.

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contatto alcuno col Breviario. E però, a ben guardare, essa è collocata sotto la rubrica De Theodosiani Codicis auctoritate: quella stessa che la caratterizza all’interno della raccolta delle Novelle di Teodosio recepita nel Breviario. A giudicare dal suo apografo, quindi, sembrerebbe che anche il manoscritto gothano (confuso da Volterra con il Murbacensis), al pari del Codex Ambrosianus, presenti la NTh. 1 quale 'costituzione introduttiva' alla versione alariciana del Codice Teodosiano, e ciò suggerirebbe così l’idea che la costituzione di validazione avesse analoga collocazione già all’interno della redazione ufficiale del Codice stesso. Anzi, forse proprio questa testimonianza manoscritta, per come rappresentata nell’apografo realizzato da Cochlaeus, potrebbe aver orientato la scelta di Sichardus nel 'conservare', nella propria edizione del Teodosiano, tale collocazione, eliminando per di più, in un certo senso in modo non del tutto giustificato, la NTh. 1 dalla collezione di Novelle contenuta nel Breviario. Da un diretto esame del manoscritto di Gotha, e da una sua collazione con l’apografo di Basilea, emerge però un’altra realtà. Anch’esso difatti, a differenza di quanto appare nel suo apografo, contiene una versione del tutto tradizionale (tranne che per la presenza di alcune integrazioni)187 della Lex Romana Visigothorum. La costituzione di Teodosio II del febbraio 438 non precede affatto il testo dell’epitome visigotica del Teodosiano, né occupa quindi, nel manoscritto gothano, alcuna posizione anomala; essa vi costituisce invece, in armonia con la tradizione del Breviario più frequentemente attestata, la prima tra le Novelle di questo imperatore, ed è per di più accompagnata dall’interpretatio visigotica, che invece non è stata trascritta nell’apografo188. Il manoscritto gothano, insomma, non presenta alcuna particolarità quanto alla costituzione in esame, né in relazione al suo testo, e neanche quanto alla sua posizione. Ma, se né nella parte nota del Codex Murbacensis, né nel Codex Gothanus, la NTh. 1 precede il testo del Breviario, mentre invece in entrambi i manoscritti essa è contenuta esclusivamente tra le Novelle, come si spiega la diversa posizione assunta dalla stessa nel Codex Basileensis? E’ presto detto: la collocazione della NTh. 1 in apertura del Breviario, così come la soppressione della relativa interpretatio, sono esclusivamente frutto di una personale iniziativa di Cochlaeus, che non fu un copista particolarmente fedele – sempre che egli non avesse ricevuto disposizioni in tal senso, cosa che, però, appare poco probabile. E’ stato quindi Cochlaeus a 'confondere le acque' col rielaborare il materiale da lui riprodotto, operando una trasposizione della ___________ 187 188

Precisamente di due costituzioni del libro XVI: Mommsen, Proleg. cit., p. LXXII. Come ho potuto personalmente accertare.

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costituzione in questione e inducendo così in errore buona parte di coloro che si sono affidati esclusivamente al suo apografo189. Sebbene questa circostanza fosse già nota a Meyer190, egli vi fa solamente un fugace cenno nell’edizione critica delle Novelle da lui curata, continuando per il resto a comprendere il manoscritto di Basilea tra i famosi 'tre manoscritti'; e altrettanto faranno Mommsen e Krüger. Indotto probabilmente in errore da questi illustri precedenti, Volterra continua così a considerare rilevante per il problema affrontato il manoscritto di Basilea: e però le sue conclusioni in proposito devono considerarsi viziate da questo errore di fondo. Nel caso del Codex Basileensis, il confronto con il suo antigrafo gothano ci dà quindi la certezza che la presenza in esso della costituzione di validazione a precedere il Teodosiano sia da attribuirsi a uno spostamento consapevolmente effettuato nel XVI sec. dal copista. b) Il Codex Bodleianus Arch. Seld. B. 16 L’ultima testimonianza è rappresentata dal Codex Bodleianus Arch. Seld. B. 16191. Si tratta di un manoscritto miscellaneo, conservato presso la Bodleian Library di Oxford192, sul quale abbiamo numerose notizie193. Anch’esso risalente alla prima metà del XII sec., e più precisamente, come appurato da ___________ 189 Oltre a questo fondamentale rimaneggiamento, l’apografo cochlaeiano della NTh. 1 presenta numerosi errori e comunque varie divergenze (frutto ora di una cattiva lettura, ora di personali tentativi di miglioramento) rispetto al suo antigrafo, ad ulteriore testimonianza della facilità e rapidità con cui un testo può subire alterazioni nel corso della sua trasmissione. 190 Allo studioso tedesco, che utilizzò, tra gli altri, anche il Codex Gothanus per la propria edizione critica delle Novellae post-teodosiane, il rimaneggiamento non era difatti sfuggito: "Ex nostro [scil. codice gothano] … descripta sunt codicis Basileensis C III 1 folia A-J… fol. A habetur novella Theod. 1, cuius verba ex libri nostri folio 285v deprompta et ante Theodosianum collocata Cochlaeus hic illic emendans vel corrumpens descripsit" (Meyer, Proleg. cit., p. XXXVIII s.). 191 Olim B. 32. 192 Summary Catalogue n. 3362. 193 Studi più approfonditi sul manoscritto e/o descrizioni più dettagliate dello stesso, oltre che nel citato Summary Catalogue, p. 619 s., anche in K. Witte, De Guilelmi Malmesburiensis codice Legis Romanae Wisigothorum dissertatio (Vratislaviae 1831); Hänel, Proleg. a LRV, pp. LV-LVII (n. 19); Mommsen, Proleg. cit., p. LXV, LXXXVII, XC, CXXXII; W. Stubbs, Preface a Willelmi Malmesbiriensis monachi De gestis regum anglorum libri quinque; Historiae novellae libri tres, vol. I (Rolls Series 90) (London 1887) pp. ix-cxl; B. Munk Olsen, L’étude des auteurs classiques latins aux XIe et XIIe siècles. Tome I. Catalogue des manuscrits classiques latins copiés du XIe au XIIe siècle (Apicius-Juvenal) (Paris 1982) p. 374 (C. 31). Le osservazioni che seguiranno si basano tuttavia anche su un esame diretto del manoscritto, effettuato personalmente da chi scrive nel giugno 2007.

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recenti studi, al 1129194, venne prodotto nello scriptorium dell’abbazia di Malmesbury, in Inghilterra. Il codice è appartenuto al famoso giurista e polymath John Selden, che vi appose la sua famosa nota di possesso e motto 'perf pantÒj tÁj œleuqerfaj', e ne fece anzi uso in molti suoi lavori. Alla morte di questi, avvenuta intorno alla metà del Seicento, il manoscritto, assieme alla impressionante biblioteca del giurista inglese, venne legato ai suoi esecutori testamentari, i quali lo donarono alla Bodleian Library, dove il manoscritto si trova tuttora. Alla sua realizzazione hanno contribuito due copisti, uno dei quali, come diversi studi hanno dimostrato195, è William of Malmesbury, il grande storico medievale autore dei Gesta regum Anglorum e dei Gesta pontificum Anglorum, il quale era anche librarius della stessa abbazia di Malmesbury196. Il codice contiene una compilazione di opere prevalentemente storiche, composte insieme in modo da formare una sorta di 'storia universale' in prospettiva romana: dalle origini, rappresentate dalla guerra di Troia, passando per l’età repubblicana e imperiale, fino ad arrivare al XII secolo stesso. Darete Frigio, Catone, Giustino, Orosio, Eutropio e Paolo Diacono, Giordane, Haimo Floriacensis (cioè Hugh di Fleury): questi gli autori selezionati, ai quali si aggiunge anche un contributo originale dello stesso William, in prosecuzione dei gesta di Hugh di Fleury197. ___________ 194

Munk Olsen, L’étude des auteurs classiques cit., loc. cit. Va pertanto definitivamente respinta l’opinione di Hänel, che collocava il manoscritto alla fine del XII sec. (Proleg. a LRV, p. LV). 195 N.R. Ker, William of Malmesbury’s Handwriting, EHR 59 (1944) pp. 371-376 e spec. p. 373 s. (anche in Books, Collectors and Libraries. Studies in the Medieval Heritage, ed. by A.G. Watson [London and Ronceverte 1985] pp. 61-66); R.M. Thomson, The manuscripts of William of Malmesbury (c. 1095 – c. 1143), in A.C. de la Mare / B.C. Barker-Benfield (ed.), Manuscripts at Oxford: an exhibition in memory of Richard William Hunt (1908-1979), Keeper of Western Manuscripts at the Bodleian Library Oxford, 1945-1975, on themes selected and described by some of his friends (Oxford 1980) pp. 27-29 e spec. p. 29. 196 Su William of Malmesbury si vedano i significativi studi di Stubbs, Preface a Willelmi Malmesbiriensis cit., p. ix ss.; M.R. James, Two ancient English Scholars: St. Aldhelm & William of Malmesbury (Glasgow 1931) (First David Murray Lecture); D.H. Farmer, William of Malmesbury’s Life and Works, in JHE 13 (1962) pp. 39-54; R. Thomson, William of Malmesbury, revised edn. (Woodbridge 2003). 197 Questo il contenuto nel dettaglio: la silloge è aperta da un breve brano tratto dagli Etymologiarum libri di Isidoro di Siviglia (c. 1r); vengono poi la Historia Daretis Phrigii de excidio Troiae nella traduzione latina di Cornelio Nepote, con il Prologo di quest’ultimo (cc. 1r-7va); alcuni excerpta ex libris Catonis de originibus (c. 7r); un excerptum ex Iustino (c. 7v-11r); brevi brani tratti ex catalogo virorum illustrium Gennadii, ex epistula Ieronimi ad Augustinum ed ex decretali Gelasii papae primi (tutti a c. 11ra); seguono Pauli Orosii Contra paganos libri VII (cc. 11ra-72vb); Eutropius De gestis Romanorum libri XV a Paulo monacho Cassinensi aucti (cc. 73ra-103va); Iordanis De gestis Romanorum ad Vigilium abbreviationis liber (cc. 103va-134vb),

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Come dimostrato da numerosi studi, autore della composizione di questa silloge storica fu lo stesso William of Malmesbury, che ha selezionato i testi, ne ha epitomato alcuni, ha inserito tra loro delle note di commento a carattere soprattutto biografico in relazione ai personaggi citati. Ma l’aspetto più interessante per noi consiste nel fatto che William ha completato questa 'storia universale' allegando ad essa un’appendice rappresentata da una raccolta di leges Romanae198. La funzione della presenza di questa appendix è, nelle intenzioni del monaco benedettino, chiaramente quella di arricchire ulteriormente la trattazione relativa al periodo tardoimperiale. Come egli stesso dichiara, dimostrando una certa conoscenza delle fonti giuridiche romane, si tratta delle costituzioni raccolte non nel Codice di Giustiniano, bensì piuttosto in quello di Teodosio, nonché di quelle costituzioni emanate dagli imperatori a lui successivi. William dichiara inoltre di voler aggiungere, per rendere più chiaro quanto v’era di obscurus nelle costituzioni, anche le Institutiones dei giuristi Gaio e Paolo (in realtà, per quest’ultimo di tratta delle Pauli Sententiae). A questo punto è chiaro che, nonostante quanto annunciato da William, non è il Codice Teodosiano ad essere riprodotto, bensì piuttosto la Lex Romana Visigothorum: ma, come vedremo, in una redazione molto rielaborata e, soprattutto, anch’essa integrata con elementi tratti da una redazione più completa del Teodosiano, e non solo. Osserviamo allora meglio questa raccolta di leges Romanae. A precederla troviamo una sorta di 'prefazione' scritta da William of Malmesbury; viene poi la costituzione di validazione di Teodosio, che si trova quindi anteposta, anche in questo testimone, al Codice Teodosiano. Segue il testo della versione visigotica del Teodosiano, ma di essa manca completamente il libro primo, e con esso il Commonitorium alariciano. Per questo motivo la numerazione dei libri è stata modificata, per cui il libro II è diventato I, il libro III è diventato II, e così via. Lo stesso libro I (cioè il II della LRV), che contiene prevalentemente disposizioni in materia processuale, è stato completamente rimaneggiato: molte costituzioni sono state trasposte da un titolo all’altro e quindi raggruppate in modo diverso rispetto all’ordine e alla ___________ integrati infine da una abbreviatio realizzata dallo stesso William: De gestis sequentium imperatorum (Willelmi abbreviatio Haimonis monachi Floriacensis: cc. 135ra-140rb). 198 Tale appendice, in realtà costituita da una redazione 'anomala' della Lex Romana Visigothorum, si compone dei seguenti elementi: una Epistula Theodosii minoris de confirmatione legum antiquarum (cioè la NTh. 1: cc. 140va-b), seguita dalla Codicis Theodosiani epitome visigothica, del tutto mancante però del primo libro (cc. 141r180ra), e dalle Novellae Theodosii, Valentiniani, Marciani, Maioriani, Severi, Anthemii (cc. 180rb-208ra). Vengono poi una Gaii Institutionum epitome visigothica in forma ulteriormente sunteggiata rispetto a quella comunemente nota (cc. 208ra-211rb) e, infine, le Pauli Sententiae (definite nel ms. come Pauli Institutiones ad filium), anch’esse in forma breviata (cc. 211rb-222va).

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sequenza propri del Breviario; la stessa sequenza dei titoli è stata modificata; sono state addirittura create nuove rubriche; alcune costituzioni del Breviario mancano; altre sono prive di interpretatio; di altre ancora (molto poche, in realtà) è invece riportata la sola interpretatio e non il testo: una caratteristica, quest’ultima, propria delle epitomi del Breviario. I libri che seguono sono molto meno perturbati, anche se è possibile osservare in essi alcuni dei fenomeni (in particolare la soppressione rispettivamente dell’interpretatio oppure del testo delle costituzioni) già riscontrati nel libro I (= II della LRV). Più interessante è invece il libro XV (= XVI della LRV), quello cioè contenente disposizioni in materia religiosa. Di nuovo sono riscontrabili in esso numerosi rimaneggiamenti, generalmente dello stesso tipo di quelli di cui si è detto a proposito del primo libro. Ma qui troviamo in più la presenza di integrazioni rispetto al testo del Breviario. In questo libro è ravvisabile lo stesso fenomeno che abbiamo già riscontrato nel Codex Ambrosianus C 29 inf.: la sua integrazione cioè attraverso l’inserimento di alcuni titoli e costituzioni originariamente assenti dalla redazione visigotica, e quindi prelevati, con ogni probabilità, da una versione integrale del Codice Teodosiano. La presenza di due costituzioni sirmondiane, poi, fa sospettare che siano state usate anche altre e diverse collezioni. Tuttavia, l’autore delle integrazioni non ha inserito tutti i titoli e tutte le costituzioni originariamente contenute nel libro XVI del Teodosiano (di cui conosciamo il testo completo, o quasi), ma ha apparentemente operato una selezione, oppure – come sembra più probabile – ha usato una sorta di 'florilegio'. Il Teodosiano è seguito dalle Novelle, il cui numero è stato notevolmente ampliato grazie all’uso, quasi certamente, di raccolte esterne al Breviario: vi compaiono oltre 20 nuove costituzioni di Teodosio II, quasi 30 di Valentiniano, una di Maioriano e tutte quelle di Anthemio, che erano completamente assenti dal Breviario. Manca però proprio la Novella 1 di Teodosio. Ciascun gruppo di Novelle è poi introdotto da una breve annotazione biografica relativa ai rispettivi imperatori, annotazioni nelle quali è possibile riconoscere lo stile di William of Malmesbury. Vengono quindi le Institutiones di Gaio, o meglio la loro epitome, il cui testo mostra però di aver subito una completa rielaborazione. Mancano invece del tutto i frammenti dei codici Gregoriano ed Ermogeniano; le Pauli Sententiae sono state breviate e il frammento di Papiniano è assente. A questo punto, occorre domandarsi se la presenza, all’interno del manoscritto, della costituzione di validazione quale prefazione del Codice Teodosiano sia oppure no da ricondursi all’uso di un antigrafo contenente una redazione completa del Teodosiano (la stessa usata per integrare il libro XVI), e se quindi la costituzione di validazione si trovasse anteposta al Codice già in

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questo antigrafo; in altre parole, se quella particolare posizione della costituzione di Teodosio potesse caratterizzare la redazione originaria del Teodosiano. Un esame del manoscritto rivela però alcuni indizi i quali farebbero piuttosto pensare che detta costituzione sia stata semplicemente prelevata dalle Novelle, dove doveva essere collocata, e anteposta al Codice Teodosiano, a costituire volutamente una sorta di introduzione allo stesso. Dobbiamo anzitutto richiamare alla mente un particolare importante: nella versione del Teodosiano contenuta nel manoscritto manca del tutto il primo libro: il Codice, cioè, è privo proprio della parte iniziale. Insomma, è probabile che, in uno stadio imprecisabile della trasmissione del testo, vi sia stata una perdita materiale della parte iniziale del Breviario. A questo punto, qualora si volesse ipotizzare che l’antigrafo del manoscritto oxoniense contenesse una redazione originaria del Teodosiano, dobbiamo considerare varie ipotesi: 1) l’antigrafo era già privo della parte iniziale: in tal caso, qualora si volesse ipotizzare che la costituzione di validazione fosse premessa al Codice, non si vede come si sia potuta conservare questa sola costituzione prefatoria; 2) l’antigrafo utilizzato era completo: ma allora non si spiegherebbe l’assenza del libro I. Riteniamo perciò più probabile che l’antigrafo adoperato fosse già mutilo della parte iniziale: ma in tal caso difficilmente esso poteva contenere la costituzione di validazione siccome anteposta al Codice. Ci sembra anzi che sia stata proprio la mancanza del primo libro del Teodosiano a indurre un qualche rielaboratore a creare, in un momento successivo a questa perdita testuale, un elemento 'introduttivo'; a tal fine egli avrebbe spostato la NTh. 1 per inserirla davanti al Teodosiano, in modo da conferire al testo un’apparenza di regolarità e di equilibrio. Che tentativi in tal senso siano stati effettuati è testimoniato anche dal fatto che si è provveduto ad attribuire ai libri superstiti del Codice una nuova numerazione. Entrambe le operazioni sarebbero quindi state finalizzate a rendere meno evidente la lacuna. In secondo luogo, la costituzione di validazione di Teodosio è l’unica a mancare proprio dalla raccolta delle Novelle di quest’ultimo. Non si vede perché colui che ha trascritto questa parte del Breviario, pur integrando la raccolta con numerose nuove costituzioni, abbia voluto omettere proprio questo fondamentale provvedimento. Anche per questo caso la giustificazione più plausibile dell’assenza della NTh. 1 resta quella che egli l’abbia spostata dalla sua sede originaria per collocarla dinanzi al Codice Teodosiano. Colui che ha operato un tale spostamento non doveva certo essere uno sprovveduto: se dotato di qualche nozione giuridica, si sarà accorto che questa costituzione rappresentava proprio l’elemento più adatto a costituire quella parte introduttiva mancante. Può darsi che egli conoscesse anzi il Codice di Giustiniano, e si sia accorto che in questo era presente un elemento simile.

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Posto quindi che riteniamo la posizione 'anomala' della costituzione di validazione di Teodosio II all’interno del manoscritto oxoniense frutto di un rimaneggiamento del testo e dello spostamento della stessa, resta da chiedersi se sia possibile individuare l’autore di una tale operazione. La domanda ne presuppone in realtà un’altra, e cioè se tutte le modifiche riscontrabili nel testo dell’intero Breviario siano da attribuirsi a un’unica persona (forse William of Malmesbury?), oppure se tali interventi siano piuttosto da ricondurre a più 'autori', magari succedutisi nel tempo, e se tra essi possa esservi stato pure il monaco benedettino. Il discorso è complesso nella stessa misura in cui può essere complessa la trasmissione di un testo contaminato e rielaborato. Qualsiasi risposta alla domanda sopra posta non potrebbe che contenere un’alta dose di ipoteticità. Si potrebbe difatti pensare che autore di tutti gli interventi sia stato lo stesso William, che disponeva forse di un antigrafo contenente una redazione del Teodosiano integro e di discrete conoscenze giuridiche; anche se non si vede la ragione per cui egli avrebbe dovuto modificare la disposizione delle costituzioni, creare nuovi titoli, accorparne alcuni, spezzarne altri, etc. Oppure egli disponeva di un testo già alterato, che si sarebbe limitato a trascrivere, inserendo però al tempo stesso alcuni propri brevi commenti di natura storica e biografica. Oppure, ancora, l’intervento di William si sarebbe spinto anche a spostare la NTh. 1 dalla propria sede, facendole precedere il Codice Teodosiano, al fine di conferire al testo, mutilo della parte iniziale, un aspetto più completo, corredandolo così di un elemento introduttivo. E, a ben guardare, l’equilibrio acquistato dall’intero testo a seguito dello spostamento di questa costituzione dimostra che vi è stato un lavoro di limatura: un tipo di lavoro che il nostro monaco benedettino era certo in grado di compiere. Per parte nostra, siamo più propensi a ritenere che William abbia usato un antigrafo contenente una versione del Breviario digià rimaneggiata, integrata, epitomata e – soprattutto – mancante del primo libro. Egli si sarebbe limitato a trascriverlo, inserendovi al tempo stesso i suoi commenti, e forse anche a spostare la Novella 1, ponendola davanti al Teodosiano: ciò solamente al fine di conferire all’intera appendix di leges Romanae un aspetto più omogeneo e di accentuarne il carattere storico. Riteniamo comunque che, con molta probabilità, la presenza in questo manoscritto della costituzione di validazione siccome anteposta al Teodosiano sia piuttosto da ricondursi a un rimaneggiamento tardo, e non rifletta invece alcuna 'versione originale' del Codice Teodosiano. c) Prime conclusioni Riassumiamo quanto esposto finora. La NTh. 1, che per ragioni di ordine cronologico non era stata assorbita dai compilatori costantinopolitani tra le

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leggi raccolte nel Codice Teodosiano, ci è pervenuta attraverso due diversi tipi di tradizione manoscritta199, e cioè: 1) attraverso il Breviario Alariciano, dove si trova all’interno della raccolta di Novelle di Teodosio II. Non è possibile sapere se tale costituzione occupasse questo posto già nelle raccolte di Novellae precedentemente esistenti200 e utilizzate dai compilatori visigoti, oppure se siano stati questi ultimi a inserirla nella raccolta delle Novelle di Teodosio II da loro elaborata per la Lex Romana Visigothorum201. Il testo della NTh. 1 è seguito da una breve interpretatio. Lo stesso Breviario è invece preceduto e introdotto dal Commonitorium di Alarico II202, collocato ufficialmente all’inizio della compilazione visigotica; 2) attraverso una tradizione legata comunque al Breviario, ma apparentemente indipendente dallo stesso. Di tale tradizione testimonierebbero in particolare due manoscritti (e non tre, come si è chiarito più sopra), e cioè il Codex Ambrosianus C 29 inf. e il Codex Bodleianus Arch. Seld. B. 16. Oltre ad essere accomunati dalla caratteristica di contenere entrambi versioni rimaneggiate (cioè ampliate, ma anche sunteggiate) del Breviario Alariciano, essi presentano la costituzione di Teodosio II del febbraio 438 in apertura del Breviario stesso. Un’altra particolarità comune ai due manoscritti consiste nel fatto che nelle versioni dell’epitome visigotica del Codice Teodosiano da essi offerte è sempre assente il Commonitorium. Nel caso del manoscritto milanese, inoltre, tale costituzione è collocata sotto la rubrica (visigotica!) De Theodosiani Codicis auctoritate203, mentre è priva di interpretatio. Va quindi ribadito che la contemporanea presenza della NTh. 1 sia in apertura del Breviario, sia tra le Novelle di Teodosio II, quale riscontrabile unicamente nell’apografo umanistico di Basilea, è da attribuire esclusivamente alla diversa provenienza dei materiali trascritti ed è, inoltre, frutto di un equivoco, non riflettendo pertanto alcuna 'tradizione manoscritta'. Al termine di tali precisazioni si può pervenire alle seguenti conclusioni: a) Nel manoscritto di Basilea C III 1, non era l’apografo del Codex Murbacensis, come sostenuto da Volterra, bensì quello del Codex Gothanus a presentare il testo della costituzione di validazione di Teodosio II all’inizio del Breviario (o, più esattamente, della versione alariciana del Codice Teodosiano). ___________ 199

Di questo aspetto si è occupato in parte anche Dovere, 'Ius principale' cit., p. 55

ss. 200

Su ciò si veda tra gli altri Liebs, Die Jurisprudenz cit., p. 188 ss. Sulla definizione di questa fonte normativa si veda Lambertini, La codificazione cit., p. 6 e nt. 2. 202 Su natura, contenuto e funzioni di questo documento ancora Lambertini, La codificazione cit., p. 6 ss. 203 Che è poi la rubrica sotto la quale questa costituzione è riportata nelle Novellae. 201

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Detta costituzione è posta sotto la rubrica De Theodosiani Codicis auctoritate ed è priva di interpretatio. La confusione tra i due manoscritti è da addebitarsi allo stesso Volterra, forse indotto in errore da alcune osservazioni di Meyer204. b) Il Codex Murbacensis doveva invece (presumibilmente) contenere una versione del tutto tradizionale del Breviario Alariciano: il suo apografo presenta la costituzione di Teodosio del 15 febbraio 438 come la prima delle Novellae di questo imperatore, regolarmente accompagnata dall’interpretatio. Ad ogni modo, poiché nell’apografo basileense la parte iniziale del Breviario stesso è stata del tutto tralasciata, nessuna affermazione in merito alla stessa potrà mai raggiungere il grado di certezza. c) Ma anche il Codex Gothanus contiene, sotto l’aspetto in esame, una versione del tutto tradizionale del Breviario. In esso la NTh. 1 è collocata all’inizio della raccolta delle Novelle di Teodosio II, inserita sotto la rubrica De Theodosiani Codicis auctoritate e seguita dall’interpretatio. La spiegazione della diversa posizione occupata dalla costituzione nell’apografo di Basilea emerge da una collazione tra quest’ultimo e il Codex Gothanus. Essa mostra difatti che l’apografo non riproduce una versione fedele, laddove il testo è stato modificata dal suo stesso copista, Cochlaeus, che ha intenzionalmente spostato il testo della NTh. 1 trascrivendolo prima di quello del Teodosiano. d) Nel denunciare l’esistenza di un terzo testimone manoscritto riconducibile a quella tradizione caratterizzata dalla presenza della costituzione di Teodosio del febbraio 438 in apertura del Teodosiano, Volterra (che ha probabilmente preso visione del solo apografo cinquecentesco) è stato quindi tratto in inganno, oltre che dal manoscritto basileense, anche – direttamente – da una effettivamente poco chiara indicazione di Meyer e da un’osservazione imprecisa di Krüger (anche quest’ultimo apparentemente caduto nel tranello)205, e – indirettamente – dal rimaneggiamento operato da Cochlaeus. e) Non esiste pertanto alcuna tradizione manoscritta 'mista', che presenti cioè la costituzione in esame tanto all’inizio del Breviario quanto tra le Novellae ___________ 204

In apertura dell’apparato critico che segue il testo della NTh. 1, Meyer difatti nota: "A ante Theodosianum similiterque OC (qui ita bis habet)" (Meyer, Leges Novellae cit., p. 5), frase che lasciar intendere un’affinità, sotto l’aspetto che qui interessa, del manoscritto C con gli altri due (A e O). In più, lo stesso Meyer, nel Conspectus subsidiorum et explicatio signorum, definisce il manoscritto C unicamente come "Murbacensis deperditi apographum Basileense C III 1". Allo studioso tedesco era però chiara la natura miscellanea del Codex Basileensis, così come altrettanto noti gli erano i suoi antigrafi. 205 Anche Krüger, che nella propria edizione critica del Codice Teodosiano pone la NTh. 1 come introduttiva allo stesso, afferma difatti che "Haec constitutio tam hoc loco legitur in Breviarii libris A O Basileensi C III 1, in quibus ex Theodosiano integro restituta est, quam in fronte collectionis Novellarum Theodosii" (P. Krüger, Codex Theodosianus. Fasciculus I, Liber I-VI [Berolini 1923] p. 11 nt. 1).

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Theodosii. Tale impressione può essere unicamente frutto della pura visione dell’apografo basileense, e non tiene conto della diversa provenienza del materiale ivi riprodotto. f) Nel realizzare la propria edizione del Codice, e soprattutto nell’anteporvi la NTh. 1, Sichardus non si è così vistosamente discostato, al contrario di quanto supposto da Volterra206, dall’apografo da lui utilizzato207, ma è stato anch’egli 'vittima' della trascrizione realizzata da Cochlaeus. Del tutto autonoma e consapevole è stata invece la sua scelta di escludere la NTh. 1 dalla raccolta delle Novelle, forse in quanto la sua presenza era ritenuta ormai superflua. 2. La NTh. 1 e il testo ufficiale del Teodosiano Torniamo ora alla domanda che abbiamo posto all’inizio: è possibile che la costituzione di Teodosio II del 15 febbraio 438 occupasse, nella redazione ufficiale del Codice Teodosiano, una posizione introduttiva rispetto allo stesso? Come abbiamo appurato, l’esistenza di una tradizione manoscritta della costituzione di validazione diversa da quella rappresentata dal Breviario Alariciano è solo apparente, e l’anomalia della sua collocazione in alcuni manoscritti va attribuita piuttosto al caso: così nel Codex Basileensis C III 1; così pure, con buona probabilità, nel Codex Bodleianus Arch. Seld. B. 16. Da questi due testimoni non può quindi concludersi per una presenza della costituzione di validazione di Teodosio II già nella redazione originaria del Teodosiano, con funzione anzi introduttiva rispetto a quest’ultimo. Qualche dubbio resta a proposito del Codex Ambrosianus C 29 inf.: da un lato, i contatti con una redazione integrale del Teodosiano sembrano innegabili; dall’altro, però, se osserviamo meglio la costituzione di validazione di Teodosio, noteremo che essa, pur non avendo l’interpretatio, è tuttavia riportata sotto la rubrica De Theodosiani codicis auctoritate, cioè quella stessa rubrica da cui è contraddistinta nel Breviario, all’interno della raccolta delle Novelle di Teodosio. Non può essere così del tutto esclusa l’ipotesi che la presenza della costituzione di validazione all’inizio del Codice Teodosiano sia ___________ 206

Volterra, La costituzione introduttiva cit., p. 3102 s. Tale scelta non sarebbe quindi, come vorrebbe invece Dovere, 'Ius principale' cit., p. 56 s., frutto di una scelta autonoma dell’editore cinquecentesco, né di una sua convinzione scientifica, apparentemente infondata e che sarebbe rimasta indimostrata fino al ritrovamento del Codex Ambrosianus C 29 inf.: "costui [scil. Sichardus], con apprezzabile autonomia ed estrema originalità, e prescindendo dal materiale manoscritto noto negli anni a lui contemporanei, intese porre la Saepe nostra clementia al principio del Codice". 207

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da attribuirsi, anche per questo caso, a uno spostamento successivo, e che la stessa provenga in realtà dalla raccolta di Novelle presente nel Breviario, o forse da una raccolta circolante in modo autonomo. L’assenza di interpretatio, difatti, non costituisce di per sé un segno decisivo dell’estraneità della costituzione al Breviario, in quanto questo elemento potrebbe benissimo essere stato soppresso: un fenomeno anzi frequentemente testimoniato nella tradizione manoscritta dello stesso Breviario. E tuttavia, non si saprebbe dare una risposta definitiva. In conclusione, riteniamo che le testimonianze manoscritte a nostra conoscenza non siano sufficientemente solide da poter fornire un sostegno all’ipotesi della presenza della costituzione di Teodosio del 15 febbraio 438 nella redazione ufficiale del Codice Teodosiano, con funzione 'introduttiva'. Con ciò non intendiamo escludere però la 'possibilità' di una tale presenza208: essa era sembrata del tutto logica già a Johannes Cochlaeus, che difatti ha sicuramente spostato quello che costituiva, lo ricordiamo, un provvedimento non solo introduttivo, ma anche attributivo di valore normativo alla compilazione209. Era sembrata logica, forse, anche allo stesso William of Malmesbury, o comunque all’ignoto autore del rimaneggiamento del Breviario contenuto nel manoscritto oxoniense, che con buona probabilità ha fatto altrettanto. Non si può di certo ignorare l’eventualità che gli esempi costituiti dallo stesso Commonitorium alariciano (provvedimento che può considerarsi per più aspetti l’equivalente della NTh. 1)210 e dalle costituzioni introduttive alle varie parti del Corpus iuris giustinianeo possano aver esercitato una certa influenza. Ma va anche considerato che gli stessi Alarico II e Giustiniano hanno probabilmente seguito ___________ 208

Di parere contrario invece Dovere, 'Ius principale' cit., p. 59: "credo comunque, con gli editori moderni e i loro referenti manoscritti, che non si possa ritenere verosimile la collocazione della Saepe nostra clementia in testa all’allora pubblicando Codice", ravvisando nel contenuto di tale costituzione un netto contrasto e anzi un’estraneità rispetto al programma esposto nel 429. Anche Sirks, Observations V (2007) cit., p. 135, non esclude la possibilità di un rimaneggiamento posteriore. 209 Anche a voler ammettere che il testo ufficiale del Codice sia stato formalmente consegnato ai prefetti prima dell’emanazione di questa costituzione, non può essere tuttavia esclusa la possibilità che questa, inviata anche a Valentiniano III, possa esservi stata annessa in un secondo tempo, dal momento che l’attività riproduttiva non ebbe inizio in Occidente che dopo la presentazione ufficiale del Teodosiano al senato di Roma, e quindi, secondo l’opinione dei più, sul finire del 438 (oppure già nella primavera, come da noi ipotizzato). Pharr ritiene anzi che la NTh. 1 sia stata composta anche con lo scopo di costituire la 'premessa' del Codice (cfr. Pharr, The Theodosian Code cit., p. 4 nt. 20: "NTh. 1 forms the logical preface of the Code and was probably composed for that purpose"). 210 Non ultimo sotto l’aspetto stilistico: "Non sembra potersi negare tra i due testi… l’esistenza di quel filo di comunicazione che, con intensità di volta in volta variabile, collega il modello con la creazione che ad esso si ispira" (Lambertini, La codificazione cit., p. 48 s.).

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una tradizione, un modello, il quale non poteva che essere rappresentato dal Codice Teodosiano, prima compilazione ufficiale di questo genere. 3. I Gesta senatus e il testo ufficiale del Teodosiano L’ipotesi che la NTh. 1 precedesse il testo del Teodosiano, pur dotata di una certa plausibilità, non risulta dunque confermata dalle fonti a nostra conoscenza. Ci si deve a questo punto domandare quali probabilità vi siano che il testo dei Gesta senatus del 438 (nonché della costituzione di Valentiniano III del 443) facessero parte della redazione occidentale originaria del Codice di Teodosio. L’unicità della testimonianza manoscritta che vede il verbale in questione siccome anteposto al Teodosiano fornisce, in realtà, un indizio ancor più labile e lascia maggiore spazio alla possibilità che la presenza di questi documenti quali premessi al Codice Teodosiano, a precedere nell’Ambrosianus anche la NTh. 1 e l’index titulorum, sia da attribuirsi al caso, nel senso cioè dell’iniziativa privata di qualcuno che, entrato in possesso delle copie di questi documenti (i quali dovettero con ogni probabilità costituire oggetto di pubblicazione, quantomeno a Roma, e quindi avere potenzialmente una certa circolazione) e riconosciutane la stretta attinenza con il Codice Teodosiano, abbia ritenuto opportuno integrarne un esemplare con detti testi211. Non può comunque escludersi del tutto che questi documenti – come è stato ipotizzato212 – facessero effettivamente parte della redazione ufficiale degli esemplari occidentali del Codice Teodosiano, e che servissero a dimostrare la legittimità delle funzioni dei constitutionarii e l’autenticità delle copie da essi prodotte; ciò potrebbe anzi giustificare anche la supposta forma epitomata del testo dei Gesta senatus, testo che nella sua integrità sarebbe stato sovrabbondante allo scopo. E tuttavia, in mancanza di prove più sicure, conviene astenersi dal fornire una risposta definitiva. ___________ 211

Lo stesso dubbio si trova espresso in Sirks, Observations V (2007) cit., p. 135, dove, a proposito del Codex Ambrosianus, si osserva: "Since this supplement was made after 506, it cannot be excluded that it was a composition and not a truthful copy of the beginning of a code of 438". Lo studioso tende però a dare maggior credito all’ipotesi che i Gesta senatus si trovassero effettivamente in testa alla redazione ufficiale del Codice Teodosiano, al contrario di NTh. 1: "where would they have got the copy of the Gesta Senatus from, if not from a code itself? Access to the archives in Rome seems unlikely. Thus the Gesta senatus… could have been at the beginning of a code, but they alone". 212 Mommsen, Proleg. cit., p. XI: "Ea gesta constitutionariis Anastasio et Martino… ab his praemissa sunt exemplaribus per eos in Occidente divenditis… Ab uno exemplarium eorum, quae constitutionarii hi scripserunt praepositis dictis gestis et adiecta hac monopolii confirmatione, descendit… certe codex Ambrosianus".

Capitolo sesto

La constitutio de constitutionariis I. Un enigma nel Codex Ambrosianus A pochi anni dalla prima pubblicazione dei Gesta senatus, Savigny, in un contributo del 1838 pubblicato nella rivista da lui fondata1, diede conto dello stato degli studi intorno a un passo particolarmente ermetico del ritrovato documento, passo nella cui ricostruzione filologica si erano cimentati diversi studiosi. Si trattava in particolare del punto in cui il testo della subscriptio dei Gesta confluiva in quello di una costituzione di Valentiniano III, emessa a Roma sotto il consolato di Maximo II et Paterio (443 d.C.) e che, nel Codex Ambrosianus, risultava essere stata trascritta di seguito al testo dei Gesta, senza soluzione di continuità. Le maggiori difficoltà, tali da indurre gli studiosi ad annoverare il passo in questione tra i "Räthsel"2 di cui il testo manoscritto si presentava ricco, erano da ricondursi principalmente alle seguenti cause: assenza di una 'cesura' riconoscibile tra l’elemento finale dei Gesta (e cioè la dichiarazione di editio che li accompagnava) e quello iniziale della costituzione di Valentiniano (cioè la sua inscriptio); presenza di elementi testuali che rinviavano a personaggi e aspetti il cui ruolo nel contesto appariva oscuro; copiosità di flessioni e concordanze palesemente errate nonché di lacune testuali, come sembrava di poter intuire. Il tutto complicato dall’abbondante uso, fatto dal copista, di abbreviazioni per contrazione, che rendevano ancor più ardua la ricostituzione del testo originale. Per una maggiore chiarezza del discorso, riportiamo qui di seguito una trascrizione pedissequa del testo manoscritto del passo in questione: (…) 7 alia manu: Fl. Laurencio exceptor amplissimi senat’ edidi subÿ VIII k. ianuarii dominis impĚs. et cesaribus.

___________ 1 Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., a cui deve aggiungersi il successivo Nachtrag zur vorstehenden Abhandlung del 1849, in Vermischte Schriften III, pp. 270278. 2 Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 255.

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Capitolo sesto: La constitutio de constitutionariis Flaviis anastasio 7 hilario Martino quantum consulƝ te viro inll fausto pfto ptro nominis nrƯs sub didns3 senatus amplissimi gesta testant’. Vidim’(...)

Attorno a questo passo – come, del resto, attorno all’intero documento – si era immediatamente sviluppato un grande interesse nell’ambiente scientifico, attesa l’unicità del testimone manoscritto e, conseguentemente, l’impossibilità di emendare il testo ricorrendo alla collazione con altri manoscritti, la cui assenza precludeva la scelta tra più varianti. Venne dagli studiosi anzitutto osservato che la struttura di quella che, sin dall’inizio, era sembrata a tutti costituire la subscriptio dei Gesta si presentava alquanto difforme dalle formule di subscriptiones sino ad allora note attraverso altri documenti antichi: parole insolite e sigle si presentavano affastellate in modo incongruente; la presenza di taluni elementi rimaneva inspiegabile e, nonostante i numerosi tentativi di dare un senso compiuto al brano, gli esiti di tali sforzi non sembravano del tutto soddisfacenti. Tuttavia, su un punto si era pressoché tutti d’accordo: il testo della costituzione di Valentiniano III, apparentemente privo di qualsiasi inscriptio (e cioè dell’indicazione degli imperatori emittenti e del destinatario del provvedimento), aveva inizio con la parola Vidim(us). Ciò da un lato implicava la parziale lacunosità della costituzione stessa quanto agli elementi formali posti solitamente in apertura; dall’altro lato, veniva invece a significare un’insolita ricchezza nella subscriptio dei Gesta, nella quale erano compresenti, oltre alla inequivocabile dichiarazione di editio da parte dell’exceptor senatus, numerosi altri elementi dei quali, tuttavia, non si riusciva a cogliere appieno né il significato né, soprattutto, la funzione svolta in quel contesto.

II. Diverse ipotesi ricostruttive Le critiche che la ricostruzione proposta nell’edizione di Clossius aveva sollevato e la varietà delle nuove e diverse soluzioni interpretative offerte successivamente dalla dottrina4, non soltanto tedesca, spinsero Savigny a tornare a riflettere sul problematico passo. Nell’articolo ad esso dedicato ___________ 3 Non è corretta la trascrizione dicias fatta da Hänel, Codex Theodosianus cit., col. 88 e nt. e, che nasce da un’errata lettura della seconda 'd', la cui pancia è stata scambiata per una 'c', mentre l’asta, in quanto leggermente tremolante, è stata scambiata per una 'i' (ma che è invece riscontrabile in questa forma anche in altri punti del testo); infine, è stata letta come 'as' quella che in realtà è una legatura 'ns'. 4 Una panoramica delle varie ricostruzioni in Hänel, Codex Theodosianus cit., col. 87 s. nt. e.

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l’Autore, ancor prima di prospettare una nuova ipotesi, passò in rassegna quelle nel frattempo espresse da altri studiosi. Ma, operando con la consueta rigorosa onestà intellettuale, il massimo romanista tedesco sottopose per prima a una stringente critica proprio quella soluzione che era stata da lui stesso e dal Klenze in un primo momento approvata per l’edizione di Clossius. Secondo questa prima ricostruzione, la subscriptio dei Gesta, databile anch’essa al 438, era da ritenersi nel suo complesso una dichiarazione interamente riconducibile all’exceptor senatus Laurentius e andava interpretata come relativa all’avvenuto rilascio ai due constitutionarii ivi menzionati di una copia del verbale senatorio. Il testo era stato in questa primissima fase così ricostruito: (…) Et alia manu Flavius Laurentius, exceptor amplissimi senatus edidi sub d. VIII Kal. Jan., Dominis Imperatoribus et Caesaribus, Flaviis, Anastasio et Hilario Martio Quarto, Consule te, viro illustri, Fausto, praefecto praetorio, dominis nostris. Subscripsi. Senatus amplissimi gesta testantur5.

Questo il senso da attribuirsi alla subscriptio: "Unter der Regierung der beiden Kaiser Flavii habe ich, der Exceptor Laurencius, den beiden Constitutionarien diese Ausfertigung gemacht unter dem Consulat des Faustus"6. Già in una nota alla propria edizione critica, tuttavia, Clossius per primo avvertiva che la ricostruzione concordemente approvata dai citati studiosi poneva "gravissima dubia"7: la designazione degli imperatori appariva difatti insolitamente priva dei nomi di costoro (ad eccezione del solo Flaviis, cioè del nomen comune a entrambi); i tre nomi di Martius (Hilario Martio Quarto) si ponevano in stridente contrasto con quello dell’altro constitutionarius, che si limitava al semplice Anastasio; inoltre, all’interno dei tria nomina di Martius il praenomen 'Quarto' occupava un’anomala posizione: senza considerare, poi, che lo stesso constitutionarius era, negli atti ufficiali del senato, per ben due volte designato semplicemente come Martio. Questi erano però solamente alcuni dei punti meno convincenti. Più in generale, Clossius si mostrava consapevole del fatto che "ordo totius subscriptionis ___________ 5

Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 17, riportato pedissequamente anche da Puggaeus, Theodosiani Codicis cit., p. 8, e da Wenck, Codicis Theodosiani cit., p. 7. Quest’ultimo, però, pur dichiarando che "Nihil tentavi in subscriptione nimis corrupta" (ibid., nt. c), corresse Subscripsi in subdidi nomen, seguendo in ciò Tafel. 6 Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 256. 7 Clossius, Theodosiani Codicis cit., p. 127 nt. 19.

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sic perturbatus est, et ab aliis subscriptionibus mirum in modum differt, ut vix sine mendo esse possit". Al contempo egli esprimeva però la sua disapprovazione nei confronti della diversa proposta formulata da Schrader (e da Clossius commentata in una nota), che aveva così trasformato il testo: Domino Imperatore et Caesare Flavio Anastasio quartum, et Hilario Martino Coss., et viro illustri Fausto…, ravvisando nell’imperatore Anastasio il destinatario del documento e datando perciò l’intera subscriptio – e quindi l’editio stessa dei Gesta – al 517 d.C, cioè quello che, coerentemente con la sua ipotesi, costituiva appunto il quarto anno di regno di quell’imperatore. Ma anche lo stesso Savigny, rendendosi conto che numerosi elementi della ricostruzione da lui approvata offrivano il fianco a diverse possibili critiche, a seguito di un ripensamento arrivò a dichiarare, nel suo ricordato scritto: "Aus vielen Gründen muß ich jetzt diesen Versuch verwerfen"8. Della soluzione da lui stesso inizialmente proposta non lo convinceva soprattutto l’insolita indicazione dell’anno, determinato non, come di consueto, attraverso la coppia consolare, bensì attraverso gli imperatori Flavii; né tantomeno lo convinceva la posizione del consolato, in quanto troppo distante dalla presunta data; e neanche l’indicazione in essa del nome di uno solo dei due consoli (cioè Fausto) era molto credibile. Savigny era inoltre consapevole di quali pesanti modifiche testuali (tra le quali andava annoverata anche la trasformazione di quantum in Quarto) si erano rese necessarie al fine di fornire un supporto all’intera ricostruzione. Egli avvertiva anche che l’identificazione nel constitutionarius Martius, più volte nominato nei Gesta, dell’Hilarius Martinus della subscriptio poteva creare delle difficoltà9. Al contempo però, non meno arbitrarie e insoddisfacenti vennero da Savigny giudicate le proposte di restituzione formulate, in alternativa a quella appena prospettata, da altri studiosi all’indomani della pubblicazione dei Gesta. Il giurista tedesco condusse la propria analisi anzitutto dividendo le varie soluzioni offerte dalla dottrina in tre gruppi, distinti sulla base delle diverse interpretazioni del riferimento cronologico contenuto nel documento. Nel dar conto di ciascuna di esse, le sottopose al contempo a una stringente analisi critica, mettendone in evidenza i punti deboli e censurando l’arbitrarietà di certe modifiche, a suo parere ingiustificabili, rispetto al testo manoscritto: da queste 'licenze', a giudizio di Savigny, non potevano scaturire altro che nuove e, forse, più gravi incongruenze, anch’esse difficilmente superabili. E ciò pur riconoscendo agli autori di queste congetture il merito di aver tentato di conferire un senso logico a un testo che ne appariva quasi totalmente privo. ___________ 8

Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 256. Ibid., p. 256 s. A questo ripensamento non furono forse del tutto estranee le pesanti critiche con cui l’ambiente scientifico aveva accolto l’edizione di Clossius, ritenuta sciatta, imprecisa e, per questo, talvolta ingannevole. 9

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Nel primo gruppo, a cui appartenevano le soluzioni che riconducevano la datazione della subscriptio al 438, cioè l’anno in cui la seduta senatoria era stata verbalizzata, figuravano, oltre all’ipotesi – che è stata vista più sopra – formulata dallo stesso Savigny e da Klenze, anche quella di due giuristi olandesi, C.A. den Tex e J. van Hall10, i quali avevano attribuito al passo il seguente senso: "Ich, der Exceptor Laurencius, habe diese Ausfertigung gemacht am 25. December für die beiden Kaiser Flavii, während Constitutionarien waren Anastasius und Hilarius Martius, und da Faustus den Senat zur Berathung aufforderte"11. Tale soluzione presentava – a detta di Savigny – elementi assolutamente estranei a ogni prassi dell’epoca a cui i Gesta risalgono: tali sarebbero, ad esempio, l’indicazione dell’anno realizzata attraverso la menzione dei constitutionarii; l’individuazione di entrambi gli imperatori quali destinatari dell’atto12; l’identificazione (che ora il giurista tedesco riteneva arbitraria) del constitutionarius Martius dei Gesta con l’Hilarius Martinus della subscriptio degli stessi; la presenza inspiegabile, perlomeno in quel contesto, dei nomi dei constitutionarii, i quali, secondo Savigny, "bei diesem Act (der Ausfertigung für die Kaiser) gar Nichts zu thun hatten"13; infine, la troppo radicale trasformazione di quantum in senatum. Al secondo gruppo appartenevano invece quelle soluzioni che identificavano l’Anastasius menzionato nella subscriptio non già con il constitutionarius già apparso nei Gesta, bensì con l’omonimo imperatore. Anche per questo caso decise furono le critiche che vennero mosse dallo studioso tedesco14 all’ipotesi, comune tanto a Schrader15 quanto a Wenck16, ma nondimeno giudicata del tutto improbabile, che, in virtù dell’interpretazione anzidetta, prevedeva la posposizione della data della dichiarazione dell’exceptor addirittura di circa un secolo, e cioè – attraverso la correzione di quantum in quartum – nel quarto anno di regno dell’imperatore Anastasio, corrispondente al 517 d.C. ___________ 10 Oordel – en uitlegkundige opmerkingen over nieuw ontdekte fragmenten der viif eerste boeken van den Codex Theodosianus, in Bijdragen tot Regtsgelerdheid en Wetgewing (Amsterdam 1826) pp. 1-39; 313-357. 11 Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 257. 12 Ibid., p. 257 s.: "Hierbei ist bedenklich erstens die gemeinschaftliche Ausfertigung für zwei so entfernt von einander residirende Kaiser". 13 Ibid., p. 258. 14 Ibid., p. 258 s. 15 Al quale Savigny rimproverava l’adozione di molteplici emendazioni e spostamenti per ottenere il risultato voluto, il quale appariva così: Domino Imperatore et Caesare Flavio Anastasio quartum, et Hilario Martino Coss. (citato in Savigny, op. cit., p. 258). 16 Wenck, Codicis Theodosiani cit., p. 7 nt. c: "nec quidquam certum videtur, quam ANASTASIO imperante id exemplum scriptum fuisse, e quo haec gesta descripsit Cod. Ambrosiani auctor".

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Un’analisi più attenta merita poi l’ipotesi – che Savigny inserì nel terzo gruppo – formulata da Hänel. Questi, infatti, a distanza di alcuni anni, durante i quali sulla questione della subscriptio dei Gesta era sceso il silenzio, era tornato ad occuparsi del problema in vista della preparazione di una nuova edizione del Codice Teodosiano. Rispetto alle ipotesi fino a quel momento avanzate, lo studioso aveva in un primo tempo17 optato per una soluzione radicalmente diversa, ritenendo che la linea di demarcazione che separa i Gesta dalla costituzione del 443 dovesse essere anticipata e collocata tra la parola Flaviis e la successiva Anastasio, e attribuendo così ciò che residuava al testo della disposizione di Valentiniano. I nomi Anastasio e Hilario Martio (così corretto rispetto all’originale manoscritto Martino), identificati nelle persone dei constitutionarii, venivano in tal modo ad essere ricompresi nella inscriptio della costituzione di Valentiniano III, della quale essi avrebbero rappresentato i destinatari. La costituzione si sarebbe pertanto presentata come lacunosa, sempre nell’inscriptio, limitatamente all’indicazione dell’imperatore emittente. Sebbene fortemente innovativa e non priva di un certo interesse, anche la ricostruzione di Hänel venne giudicata da Savigny come non del tutto convincente. Questi le obiettò una serie di carenze, consistenti nella inusuale mancanza, all’interno della presunta inscriptio della costituzione del 443, dell’indicazione dell’autorità emittente, nonché nell’incongruenza e nella mancanza di significato, rispetto al testo che seguiva, di quella che, in base all’ipotesi del giurista lipsiense, avrebbe dovuto costituire la praefatio del provvedimento imperiale stesso. A seguito di un ripensamento, avvenuto forse sulla scorta delle critiche ricevute, oppure indotto semplicemente da una più attenta riflessione, lo stesso Hänel, nella redazione definitiva della propria edizione del Codice Teodosiano pubblicata pochi anni dopo (1842), optò per una soluzione 'salomonica', limitandosi a riportare pedissequamente il testo del manoscritto, con tanto di errori e di sigle, e relegando la precedente soluzione in una nota. Così facendo egli rinunciava, almeno apparentemente, a ogni tentativo di restituzione critica del testo18, lasciando, in un certo senso, ai posteri l’onere di emettere 'l’ardua ___________ 17

Nel 1837 erano stati pubblicati i primi fascicoli dell’edizione critica di Hänel del Codice Teodosiano. Carlo Baudi di Vesme, con cui il giurista lipsiense aveva intrecciato un fitto rapporto epistolare, aveva avuto modo di constatare che l’ipotesi di Hänel relativamente alla parte finale dei Gesta si avvicinava alla propria, come lo studioso piemontese scrisse, nel gennaio 1838, in una lettera al giurista tedesco: "Erst dann sah ich dass meine Vermuthung am Schlusse der Gesta mit der Ihrigen, obwohl nicht im Ganzen, übereinstimmte; wie es auch anderwo oft im ganzen Werke der Fall gewesen ist". L’aggiunta dell’avverbio 'oft' dispiacque a Hänel: "fateor me hoc verbo ideo graviter pungi" (come rilevato da Moscati, Il carteggio cit., p. 46 e nn. 120, 121). 18 Cfr. l’apparato critico di Hänel ai Gesta, nt. e: "Sequentia edidi cum mendis et compendiis scripturae codicis, quum viderem textum, quem Clossius, a se editum esse, qualis in codice est, affirmat (Praef. p. XXVIII), hoc loco difficillimo et corrupto, non

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sentenza'. E però, pur adottando in via ufficiale tale posizione, lo studioso continuò a sostenere la propria tesi originaria, relegata nelle note di commento ai Gesta, e seguitò quindi a riconoscere nelle parole Anastasio et Hilario Martino l’inizio della costituzione del 443. Quest’ultima sarebbe stata da interpretarsi come uno "speciale mandatum imperatoris" rilasciato proprio ai constitutionarii19. Il giurista lipsiense sembra invece non aver tenuto in alcun conto la nuova ipotesi affacciata in quegli stessi anni da Carlo Baudi di Vesme (ipotesi sulla quale si tornerà più avanti): pur avendo, infatti, conosciuto e apprezzato le idee del giurista italiano, prospettategli da quest’ultimo nel corso di un fitto scambio epistolare, Hänel non ne fu mai persuaso del tutto20: al punto che, nonostante l’articolo in cui il Baudi rendeva pubblica la propria ricostruzione testuale fosse apparso nel 184021, nessun cenno ad esso compare nell’edizione critica di Hänel del Teodosiano, di due anni posteriore. Di fronte a questa 'voce fuori dal coro' rappresentata dal giurista lipsiense, Savigny ritenne opportuno ritornare sul tormentato passo e riconsiderare il rapporto sostanziale tra i due atti (i Gesta senatus e la costituzione del 443), nonché tra questi e lo stesso Codice Teodosiano22; questione che era stata sollevata già da Hänel23 e che si riteneva potesse contribuire a far luce su senso e funzione dell’oscuro passo. A seguito di nuove riflessioni in merito, Savigny arrivò a intravedere nella costituzione che segue i Gesta piuttosto una 'Bestallung' imperiale24 rivolta ai constitutionarii; la sua emanazione sarebbe stata, a suo giudizio, indotta dalla necessità di sostituire uno dei due originari ___________ accurate exhibitum esse". L’Autore riporta anche i tentativi di restituzione dello stesso Clossius (il quale, come ricordato, si avvalse, per la propria edizione del materiale tratto dal Codex Ambrosianus, della supervisione dello stesso Savigny e di Klenze), del Puggaeus, di Baro de Crassier, Wenck, Tafel e dei due giuristi olandesi. 19 Hänel, Codex Theodosianus cit., col. 89 s. nt. f. 20 Dopo aver, in un primo momento, concordato con il giurista piemontese riguardo la sua "extremae Gestorum partis restitutionem", sia durante la redazione che dopo la pubblicazione del saggio 'In difficiliora duo loca…', nella propria recensione a quest’ultimo Hänel propose una diversa lettura, in relazione alla quale il Baudi rispose, difendendo la propria tesi, negli 'Addenda et emendanda' (Baudi di Vesme, Codex Theodosianus cit., col. XIII s.). 21 Baudi di Vesme, In difficiliora cit., pp. 1-31. 22 Si tralasceranno in questa sede (per poi riprenderle più avanti) le considerazioni di Savigny a proposito della funzione di tali documenti e della loro presenza nelle copie del Codice Teodosiano, considerazioni che avevano influito sul nuovo e diverso modo di intendere la subscriptio. 23 Hänel, Codex Theodosianus cit., col. 89 s. nt. f. 24 Si tratterebbe della costituzione di Valentiniano III, la cui inscriptio, venne così ricostruita da Savigny (Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 262): Imp. Valentinianus Aug. Anastasio et Hilario Martino constitutionariis.

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funzionari25. Conseguentemente, lo studioso cercò di fornire una nuova soluzione al problema, basandosi questa volta non più soltanto sull’analisi testuale, bensì anche, coerentemente con la nuova impostazione storicistica dallo stesso data agli studi giuridici, su considerazioni di natura storica26. Nella nuova ricostruzione della subscriptio dei Gesta, presentata nell’articolo in esame, Savigny continuava tuttavia a rigettare l’idea di Hänel di 'spezzare' il passo, sì da attribuire una parte del testo di quelle 'sette righe' alla costituzione del 443. La sua nuova versione si presentava pertanto così: Et alia manu: Flavius Laurencius, exceptor amplissimi senatus, edidi sub die VIII. kal. januarii, dominis Imperatoribus et Caesaribus Flaviis, Anastasio et Hilario Martino, quantum, consulente viro inlustri Fausto Praefecto Praetorio, nominibus nostris subditis, senatus amplissimi gesta testantur27.

Il senso da attribuire a tale subscriptio sarebbe stato il seguente: "Ich, der Exceptor Laurencius, habe den Constitutionarien Anastasius und Hilarius Martinus (durch vorstehende Abschrift) mitgetheilt alles Dasjenige, welches die durch den Antrag des Faustus veranlaßten Verhandlungen des Senats bezeugen (edidi quantum senatus gesta testantur)"28. Questa ricostruzione, maggiormente rispettosa del testo manoscritto, pur confermando il ruolo dei constitutionarii quali destinatari dell’editio della copia dei Gesta, si presentava caratterizzata soprattutto dalla nuova scelta di conservare inalterate le parole dominis Imperatoribus et Caesaribus Flaviis e di intenderle, quindi, quali elementi indicativi dell’anno, che contribuivano così al completamento della data. Tale nuova prospettiva portò lo studioso – coerentemente con la propria ipotesi – a datare l’editio dei Gesta sulla base di una coppia consolare che fosse costituita da due imperatori29 (dei quali non sarebbe stato conservato il nome), individuando, fra le possibili date del 458 e del 46230, come più probabile la prima31. Questa così tarda editio di un ___________ 25 Questa la elaborata ricostruzione di Savigny (ibid., p. 261 s.): "Als im Jahre 438 die Gesta gemacht wurden, waren Constitutionarien Anastasius und Martinus. Der zweite starb, erhielt zum Nachfolger den Hilarius Martinus, und so wurde im Jahre 443 für beide Beamte (den bisherigen und den neuen) eine gemeinschaftliche Bestallung neu asgefertigt, welche wir hier vor uns haben". 26 Ibid., p. 263. 27 Ibid., p. 264. 28 Ibid., p. 264. 29 Precisa il giurista tedesco che "Hinter Flaviis kann Consulibus in der Abschrift ausgefallen sein" (ibid., p. 265). 30 Caratterizzate dai consolati rispettivamente di Leone e Maioriano e di Leone e Severo.

II. Diverse ipotesi ricostruttive

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esemplare dei Gesta sarebbe – come spiegato dallo stesso Savigny – da attribuirsi al fatto che, ogni qualvolta i constitutionarii avessero dovuto rilasciare (per l’Occidente) una copia in forma autentica del Codex Theodosianus, avrebbero dovuto apporvi anche una copia dei gesta senatus che attestasse la loro specifica ed esclusiva competenza, copia che avrebbe dovuto essere richiesta di volta in volta alla cancelleria che gestiva gli atti del senato. Lo stesso Autore non sottace comunque la presenza, in questa nuova ipotesi interpretativa, di una "kleine Inconsequenz", costituita dall’uso, da parte dell’exceptor autore della dichiarazione di editio, di esprimersi ora al singolare (edidi), ora al plurale (nominibus nostris)32. L’intera ricostruzione venne dallo stesso Savigny così riassunta: "438 waren Constitutionarien Anastasius und Martius. Der zweite starb, und an seine Stelle kam 443 Hilarius Martinus, welcher nun gemeinschaftlich mit dem noch lebenden Anastasius vom Kaiser Valentinian eine Bestallung erhielt. Im J. 458 ließ sich irgend Jemand durch sie ein Exemplar des Codex ausfertigen. Sie fügten diesem nicht nur eine Abschrift ihrer Bestallung von 443 bei, sondern auch eine Abschrift der Gesta senatus, welche sie zu diesem Zweck von dem Exceptor Fl. Laurencius besorgen und beglaubigen ließen"33 (Nel 438 erano constitutionarii Anastasius e Martius. Il secondo morì e al suo posto subentrò, nel 443, Hilarius Martinus, che ottenne, unitamente all’ancora vivente Anastasius, una nuova nomina dall’imperatore Valentiniano. Nel 458 qualcuno fece realizzare dai constitutionarii un esemplare del Codice. Questi vi allegarono non solo una copia dell’atto di nomina del 443, ma anche una copia dei Gesta senatus, che essi fecero, a questo scopo, rilasciare e autenticare dall’exceptor Fl. Laurencius).

___________ 31 Ibid., p. 265. Tuttavia, la ritrovata iscrizione sepolcrale già segnalata da Mommsen e relativa a un tale Laurentius (s)criba senatus, morto nel 451, sarebbe sufficiente, se effettivamente riferita al nostro Laurentius, già da sola a inficiare tale ipotesi. 32 Anche a questo punto controverso, però, lo studioso cercò di dare una spiegazione, immaginando che l’exceptor Flavius Laurencius ricoprisse lo stesso ufficio anche nel 438, quando ebbe luogo la seduta e la prima editio dei gesta, e che si sarebbe accorto del fatto che la copia autenticata rilasciata nel 458 sarebbe stata uguale a quella già edita nel 438, anch’essa autenticata con i suoi due nomi, Flavius e Laurencius: ciò giustificherebbe per Savigny l’uso dell’espressione nominibus nostris (ibid., p. 266). 33 Ibid., p. 266 s.

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III. La ricostruzione di Carlo Baudi di Vesme La pubblicazione, nel 184034, da parte del giurista italiano Carlo Baudi di Vesme, di un approfondito studio35 condotto sui frammenti del Codex Ambrosianus C 29 inf. e, in particolare, su tre passi particolarmente oscuri – tra i quali anche quello relativo al "finis gestorum, et quae eum proxime sequuntur"36 – relativi alla redazione visigotica del Codice Teodosiano, costrinse l’ambiente scientifico a riconsiderare tutte le ipotesi ricostruttive fino ad allora prospettate. Lo studioso subalpino era stato stimolato a riprendere lo studio dei Gesta senatus del 438 dopo aver letto il relativo articolo di Savigny, apparso in Germania due anni addietro37. Dalle riflessioni condotte su questo documento nacque un contributo nel quale il Baudi, prima di avanzare una nuova ipotesi, procedette anch’egli, mostrando una buona conoscenza degli elementi formali dei documenti pubblici di età tardoantica, a sottoporre a un’acuta revisione critica non solo la più recente soluzione prospettata dal grande giurista tedesco38, ma anche tutte quelle precedentemente espresse dagli altri editori, e a loro volta da quest’ultimo già criticate39, aggiungendo così le proprie a tali ultime osservazioni e mettendo in evidenza tutti i vizi, anche logici, delle ricostruzioni fino ad allora avanzate40. Una diversa considerazione venne però dal Baudi riservata alla soluzione offerta da Hänel41, in quanto ritenuta "vero propius"42. Nell’elogiare la fedeltà della trascrizione a stampa che il giurista lipsiense, scegliendo di attenersi al

___________ 34

Tale saggio era stato però letto dal suo Autore già nella primavera del 1839 all’Accademia delle Scienze di Torino, come rilevato da Moscati, Il carteggio cit., p. 55. 35 Baudi di Vesme, In difficiliora cit., pp. 1-31. 36 Ibid., p. 3. 37 Fu Hänel a inviargliene una copia da lui stesso trascritta (Baudi di Vesme, In difficiliora cit., p. 2; cfr. anche Moscati, Il carteggio cit., p. 54 e nt. 166; Il Codice Teodosiano cit., p. 162). 38 Baudi di Vesme, In difficiliora cit., p. 11 ss. 39 Si tratta dell’iniziale soluzione di Savigny e Klenze, adottata da Clossius, e di quelle, ad essa più o meno conformi, di Puggaeus, von Schröter, Schrader – riportata in una nota dell’edizione di Clossius –, Wenck, den Tex e van Hall. Lo studioso piemontese rilevò come alcuni degli errori nelle soluzioni proposte fossero dipesi dall’utilizzo, da parte degli studiosi, di cattivi apografi e/o trascrizioni, non perfettamente fedeli al testo manoscritto e, quindi, fuorvianti. 40 Relativamente alle quali, per non appesantire il discorso, non si esporranno tutti i rilievi critici loro mossi (per i quali, invece, si rimanda a Baudi di Vesme, In difficiliora cit., pp. 4-13), riservandoci però di esaminarne alcuni laddove ciò si renda necessario. 41 Il quale, pur non avendo ancora pubblicato l’intera edizione critica del Codice Teodosiano, ne aveva già dato alle stampe un primo fascicolo. 42 Baudi di Vesme, In difficiliora cit., p. 8.

III. La ricostruzione di Carlo Baudi di Vesme

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testo manoscritto, aveva curato per la propria edizione critica dei Gesta, il Baudi ne commentò le opinioni espresse dall’editore in una lunga nota43. Desideroso di affrontare il problema ab origine, dopo aver personalmente sottoposto il manoscritto a un’attenta analisi, traendone anche un nuovo apografo (sia pure non completo)44, il Baudi ebbe una brillante intuizione: una certa tipologia di errori tra quelli che, senza dubbio alcuno, affliggevano il testo dei Gesta poteva essere il frutto di un malriuscito tentativo, effettuato forse dallo stesso copista del Breviario45 oppure, più probabilmente, da qualcuno ancor prima di lui (nel qual caso tale fenomeno sarebbe stato già presente nell’antigrafo del manoscritto milanese), di 'sciogliere' delle originarie notae iuris e/o abbreviazioni che, probabilmente a causa della notevole distanza temporale, non si era più in grado di interpretare correttamente46. Sulla base di una tale premessa, il filologo che avesse desiderato ripristinare il testo originario del documento avrebbe dovuto ritenersi autorizzato a intervenire ancor più liberamente che in passato sul testo manoscritto pervenuto, al punto da potersi spingere fino a radicali mutamenti, non soltanto di desinenze, ma addirittura di intere parole. Proponendo una soluzione ancor più radicale di quella di Hänel, il Baudi ritenne di poter nuovamente ridisegnare il confine tra i due documenti, limitando la subscriptio dei Gesta alla sola ben riconoscibile dichiarazione di editio: Et alia manu: Fl(avius) Laurenti(us) exceptor amplissimi senat(us) edidi sub d(ie) VIII k(alendas) ianuarii. La restante parte del testo avrebbe dovuto ___________ 43 44

Hänel, Codex Theodosianus cit., coll. 88-90 nt. f. Sul quale si veda Moscati, Il carteggio cit., p. 53; Nuovi studi cit., p. 17 nt. 54; p.

73. 45

Personalmente sarei portata a scartare tale eventualità, dal momento che l’analisi del manoscritto, condotta nel primo capitolo di questo lavoro, ha messo in luce la professionalità, e quindi la mancanza di autonomia rispetto al testo da copiare, dello scriba autore del nostro frammento. 46 All’acutezza di tale osservazione va dato maggior risalto se solo si pensi che i lavori fondamentali sulle abbreviazioni e sulle notae iuris non apparvero che dopo l’inizio del XX sec.: primo fra tutti fu quello di L. Traube, Nomina sacra. Versuch einer Geschichte der christlichen Kürzungen (München 1907), con il quale l’esame delle abbreviature è stato elevato a studio scientifico. Anche le Notae latinae di Lindsay, ritenute la prima ampia raccolta veramente scientifica di abbreviature latine, vennero pubblicate soltanto nel 1915 (W.M. Lindsay, Notae latinae [Cambridge 1915]). Gli stessi Notarum laterculi erano stati editi, a cura di Mommsen, solo nel 1864 (H. Keil, Grammatici latini IV [Leipzig 1864, rist. anast. Hildesheim 1961], pp. 265-352). Nel 1926 lo Schiaparelli scriveva: "uno scrittore tardo, copiando un testo con siffatti compendii e ignorandone il valore, o li riferiva tal quali o li scioglieva impropriamente od ometteva forme e segni di cui ignorava la funzione e il valore; ed ecco che avvertita la presenza di tali caratteri siamo in possesso di nuovi elementi che concorreranno a determinare i caratteri e l’età della fonte" (Schiaparelli, Avviamento cit., p. 7 s.).

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essere invece attribuita alla costituzione di Valentiniano III47, della quale avrebbe costituito l’inscriptio. In contrapposizione a quanto sostenuto da tutti gli studiosi che l’avevano preceduto, quest’ultima era da ritenersi completa, in quanto indicante cioè (secondo l’interpretazione del Baudi) tanto l’autorità emittente quanto i destinatari del provvedimento. E difatti il suo testo venne dal giurista così ricostruito: DD. NN. IMPP. THEODOSIUS ET VALENTINIANUS AA. FLAVIO ANASTASIO ET HILARIO MARTIO.

48

Quantum, consulente viro illustri Fausto praefecto praetorio, numini nostro subdidistis, senatus amplissimi gesta testantur. Vidimus (...)49

Secondo il Baudi, il nome Flaviis, che nel manoscritto accompagnava i dominis imp(e)r(atoribu)s et c(a)esaribus, sarebbe derivato da un’originaria sigla Fl., che un qualche copista avrebbe sciolto rendendola arbitrariamente con l’ablativo plurale, sì da far concordare con cesaribus la parola così ottenuta. In ragione di ciò, tale nome è stato dal Baudi trasformato (o meglio ripristinato, a voler seguire il suo ragionamento) nel praenomen del constitutionarius Anastasio: in tal modo sarebbe stata eliminata una delle incongruenze non superate nelle precedenti ricostruzioni, rappresentata dall’apparente incompletezza del nome di un constitutionarius rispetto all’altro. Ulteriori modifiche testuali (numini nostro e subdidistis in luogo degli originali nominis nostris e sub didns) consentivano non solo di attribuire un nuovo significato all’intera frase Quantum – testantur, che veniva in tal modo a costituire l’incipit della costituzione del 443, ma anche di armonizzarla con il testo che seguiva. L’affascinante e dotta congettura del Baudi non poteva certo rimanere ignorata. Nel Nachtrag del 184950, un’appendice di Savigny al suo precedente articolo sui Gesta senatus, il giurista tedesco, ripudiando tutte le proprie precedenti ipotesi, sposava pienamente – o quasi51 – quella del Baudi, ritenendola senza dubbio alcuno come la più probabile. Sulla base di questa ipotesi, Savigny considerava del tutto plausibile la circostanza che la datazione nella subscriptio dei Gesta si arrestasse all’indicazione del giorno e mese e fosse invece priva dell’indicazione del consolato, accettandone la spiegazione data dal giurista piemontese: quest’ultimo riteneva difatti che tale indicazione ___________ 47

Baudi di Vesme, In difficiliora cit., p. 15: "Nos subscriptionem de ipsa gestorum editione, statim post ea habita facta a senatus exceptore, interpretamur, eiusque limites hos statuimus: Et alia manu: Flavius Laurentius exceptor amplissimi senatus edidi sub die VIII kal. ianuarii; cetera ad proximam constitutionem referrimus". 48 Si tratta, peraltro, di pura supposizione, dal momento che, come visto, il manoscritto presenta in questo punto un testo ben diverso. 49 Baudi di Vesme, In difficiliora cit., p. 16. 50 Savigny, Nachtrag cit., pp. 270-278. 51 Ibid., p. 270: "ich nur noch in Nebenpuncten von ihm abweiche".

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fosse stata volutamente omessa da coloro che avevano redatto il documento in quanto ritenuta superflua, essendo stata questa editio effettuata senz’altro durante il medesimo consolato indicato in apertura degli stessi Gesta. Alla luce di questa nuova ricostruzione, Savigny riconsiderò anche la stessa relazione intercorrente tra il verbale senatorio e la costituzione del 443, il cui testo si presentava ora apparentemente completo: quest’ultima non era più da considerarsi una 'Bestallung' per i nuovi constitutionarii, bensì costituiva, accogliendo l’interpretazione del Baudi, il chiarimento di un dubbio o la decisione di un conflitto creatosi tra i due ufficiali preposti al rilascio degli esemplari del Codice, da un lato, e il praefectus urbi (o, comunque, il suo officium), dall’altro, "über das Recht der Ausfertigung und Mittheilung von Abschriften des Codex"52. L’intervento imperiale sarebbe stato anzi sollecitato dagli stessi constitutionarii attraverso una richiesta formulata dal prefetto del pretorio Fausto53. Tutti gli elementi dell’inscriptio, così come ricostruita ed edita dal Baudi, vennero da Savigny passati in rassegna e tutte le proposte modifiche ritenute ragionevoli, in considerazione della nuova collocazione, e quindi della diversa funzione, di ciascun elemento; convincenti sembravano essergli, inoltre, le argomentazioni svolte dal giurista italiano a sostegno della nuova ipotesi. L’unico punto, relativamente marginale, sul quale Savigny propose una possibile modifica apparteneva al testo della costituzione del 443 ed era rappresentato dalla parola conspecione, che era stata inizialmente trasformata dal Baudi in conspectione54, ma per la quale il giurista tedesco proponeva la diversa lezione confectione, congettura che riceverà in effetti l’approvazione dello stesso Baudi nonché, successivamente, di Mommsen.

IV. Dubbi La soluzione cui era pervenuto Carlo Baudi di Vesme aveva affascinato tutti gli studiosi: Savigny si era, per così dire, inchinato ad essa, e anche Hänel aveva manifestato, già durante la redazione del saggio del Baudi ma anche dopo, all’apparire di quello, la propria approvazione verso la sua "extremae Gestorum partis restitutionem", salvo però proporne una diversa lettura in sede di recensione del saggio stesso55. Mommsen, infine, accoglierà nella propria edizione critica, sia pure con alcune modifiche, l’ipotesi ricostruttiva del ___________ 52

Ibid., p. 272. Il quale, però, nel 443 non ricopriva più quell’ufficio. Anche la soluzione del Baudi non è del tutto priva di incongruenze. 54 Baudi di Vesme, In difficiliora cit., p.16. 55 Su questa vicenda v. Moscati, Il carteggio cit., p. 56 e ntt. 179-183. 53

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giurista piemontese, senza peraltro attribuire al suo autore il dovuto risalto56. Con ciò sembrerebbe essere stata posta una pietra tombale su una questione che aveva affaticato per circa un secolo le menti più eccelse del panorama giuridico e filologico europeo dell’800, e che sembrava aver trovato definitiva soluzione. Se però l’attuale ricostruzione appare senza dubbio la più lineare tra quelle proposte in precedenza e ha, inoltre, il pregio di averne superato certe insanabili contraddizioni, essa non è a sua volta del tutto priva di pecche, punti deboli e lati oscuri57. Anzitutto, resta insolita l’assenza dei nomi degli imperatori dall’inscriptio della costituzione, che pure esordisce con la titolatura: Domini imperatores caesares. E’ vero però che ciò potrebbe ben trovare spiegazione in termini di una lacuna nella tradizione manoscritta. In secondo luogo, non può essere del tutto escluso, come si è cercato di dimostrare più sopra58, che il nome Flaviis appartenesse effettivamente anch’esso alla medesima titolatura imperiale, che verrebbe così a configurarsi come imperatores Caesares Flavii. Un ulteriore elemento che non trova ancora una sufficiente spiegazione è rappresentato dal ruolo di Fausto, che vediamo menzionato nel testo (ormai mommseniano) della costituzione del 443 ancora come prefetto del pretorio, mentre sappiamo che detto ufficio era stato da quello ricoperto per la seconda volta solo fino all’ottobre del 44259, quando Fausto venne sostituito da Paterio60, al quale successero, nel giugno del 443, Quadraziano61 e, nell’autunno dello stesso anno, Albino62. Era pertanto quest’ultimo, e non Fausto, ad essere titolare di quell’ufficio all’epoca in cui la costituzione venne emessa. Né è pensabile che la presunta richiesta che avrebbe dato origine alla risposta di Valentiniano III, emanata nel dicembre del 443, fosse stata formulata o comunque pervenuta all’imperatore – o, meglio, alla sua cancelleria – più di un anno prima: un ritardo del genere sarebbe stato del tutto inspiegabile, soprattutto data la delicatezza e urgenza della questione, connessa ___________ 56 E’ stato notato come, più in generale, "l’insigne studioso tedesco non rende pienamente giustizia all’opera dei giuristi piemontesi, il cui contributo alla ricostruzione del Codice risulta obiettivamente maggiore di quanto egli non abbia ritenuto" (Moscati, Il Codice Teodosiano cit., p. 170). 57 L’evidente corruttela nell’inscriptio della costituzione di Valentiniano III è ritenuta "non ancora emendata in maniera del tutto soddisfacente" anche dalla De Marini, che in una nota esprime le sue perplessità circa l’omissione dei nomi degli imperatori (indicati unicamente come Caesares) e la mancata emendazione di Martino in Marcio (De Marini Avonzo, La filologia romanistica cit., p. 251 e nt. 31). 58 Cfr. più sopra p. 238 ss. 59 Fausto fu prefetto del pretorio d’Italia nel 437-38 e nel 442 (PWRE VI.2, s.v. Anicius Acilius Glabrio Faustus n. 13, col. 2092; Martindale/Jones, PLRE II, p. 452). 60 NVal. 7.2. 61 NVal. 6.2. 62 NVal. 2.3; 12.

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al compito affidato ai constitutionarii che, come ricordiamo, erano responsabili in via esclusiva dell’edizione ufficiale del Codice Teodosiano in Occidente. E dunque, del Baudi va accolta senza riserve la fondamentale intuizione secondo cui il testo manoscritto potrebbe discostarsi, in alcuni punti anche notevolmente, dall’antigrafo usato dal copista (o, quantomeno, dall’archetipo), e che ciò sia in parte da attribuirsi a un malriuscito 'sforzo filologico' volto alla restituzione del testo originale attraverso un tentativo di sciogliere sigle, note e abbreviazioni delle quali non si possedeva più la chiave di decifrazione. A questa osservazione si può aggiungere che l’antigrafo utilizzato dal copistafilologo medievale (o, più probabilmente, da qualcuno già prima di lui) avrebbe potuto essere stato scritto con una grafia molto più antica, forse ricca di legature, e comunque nel complesso per lui difficilmente leggibile; agli errori originati dalle abbreviazioni avrebbero potuto aggiungersi, quindi, quelli derivanti da un’errata lettura, e conseguentemente errata interpretazione, delle parole. Occorre, inoltre, sempre tener conto della possibile presenza di lacune ed errori di trascrizione, giacché dall’analisi del manoscritto più sopra condotta è risultato che l’intero testo, così come pervenutoci, non è stato mai né collazionato né emendato dopo la sua stesura. Ciò premesso, va tuttavia osservato che il giurista piemontese, che pur era partito da una premessa brillante, non ha forse saputo trarne fino in fondo le possibili conseguenze, né sembra aver preso in considerazione tutte le possibili implicazioni della sua tesi, sforzandosi, sì, di dare una nuova lettura del testo, ma rimanendo sostanzialmente ancorato alla lettera dello stesso, senza osar andare più in là. E in effetti la sua ricostruzione, che pur presenta elementi di assoluta novità, si basa più su una diversa interpretazione delle parole presenti nel testo e su una loro diversa distribuzione, che non su un’effettivamente nuova e diversa ricostruzione dello stesso. Sembra così che la sua soluzione, pur accolta definitivamente da Mommsen, non possa mettere la parola 'fine' al problema dell’individuazione del confine tra i Gesta senatus e la cd. constitutio de constitutionariis. Ecco perché un nuovo esame del tormentato passo può, e forse deve, essere tentato, pur se i risultati non dovessero condurre molto più lontano. Crediamo che ogni tentativo di effettuare una nuova lettura dovrebbe essere posto in atto facendo 'un passo indietro', cioè tornando parzialmente 'zurück zu Savigny' e ai grandi studiosi dell’Ottocento, che avevano ritenuto il testo Et alia manu – testant(ur) complessivamente estraneo a quello della costituzione di Valentiniano III. Il limite di tale ipotesi risiede difatti nel non essere riuscita a spiegare in modo convincente quali fossero natura e funzione di quella che era ritenuta ancora essere una parte della subscriptio dei Gesta. Si cercherà allora di procedere a una nuova analisi di tutti gli elementi presenti nelle più che mai misteriose 'sette righe', a tal fine scomposte per individuare i loro elementi più significativi:

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Et alia manu: Fl. Laurencio exceptor amplissimi senat(us) edidi sub d(ie) VIII k(al.) ianuarii.

Il passo non presenta particolari problemi: si tratta della dichiarazione dell’exceptor senatus che accompagnava l’editio dei gesta. Sul documento originale (che non possediamo) questa dichiarazione era di certo stata redatta di pugno dallo stesso Flavius Laurentius – responsabile dell’editio stessa – e costituisce, ai fini del conferimento di autenticità al documento, l’equivalente della nostra sottoscrizione. La declinazione di Laurencio è palesemente errata. Sulla possibilità che ianuarii derivi da un originario iunii si veda quanto osservato più sopra63. Secondo Baudi di Vesme, in ciò seguito da Mommsen, la subscriptio dei Gesta si concluderebbe qui. La totale assenza di una qualsiasi indicazione relativa all’anno in cui l’editio sarebbe stata effettuata sarebbe, a giudizio degli stessi, da giustificarsi col fatto che il rilascio di tale copia dovette aver luogo durante lo stesso anno indicato in apertura del verbale stesso, cioè sotto il consolato di Teodosio e Fausto, anno che, di conseguenza, sarebbe stato sottinteso siccome implicito. Ma questa spiegazione non convince sino in fondo: pensando a questa dichiarazione dell’exceptor come a una sorta di 'autenticazione' della copia del verbale senatorio rilasciata dal suo ufficio, o comunque a una certificazione, dobbiamo supporre che il documento dovesse essere anzitutto affidabile: e tali erano da considerarsi solamente quei documenti completi di tutti i loro elementi. Anche qualora per editio si intendesse, nel caso in esame, il rilascio della copia e non la realizzazione dell’originale, ciò nondimeno la data avrebbe dovuto essere indicata con precisione per non dar adito a equivoci. E anzi, oltre a una data certa, comprensiva anche dell’anno (espresso, se non in modo esplicito, almeno implicitamente, e comunque mediante un espresso riferimento a un elemento già dato), tale dichiarazione avrebbe dovuto contenere anche l’indicazione del luogo, come normalmente riscontrabile in tutti i documenti ufficiali. A questo punto, constatata l’assenza di tali elementi, ci si deve chiedere se essa sia originaria oppure sopraggiunta; occorre domandarsi, cioè, se è possibile che detti elementi fossero effettivamente presenti nell’antigrafo, magari espressi in forma abbreviata o mediante l’uso di sigle. Un’eventuale risposta positiva a tale quesito porrebbe l’ulteriore interrogativo se detti elementi possano essere stati forse fraintesi dal nostro 'filologo' medievale, il quale, non essendo più in grado di risalire ai termini originari, potrebbe averli fraintesi, trasformandoli in altre e diverse parole. E comunque, l’analisi della ___________ 63

V. più sopra p. 131.

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porzione di testo che stiamo per intraprendere, più che condurre a una risposta, vuole dar corpo a tali dubbi. dominis impĚs et cesaribus flaviis

Contrariamente a quanto generalmente si ritiene, nel V sec. d.C. l’appellativo di Caesares Flavii, come peraltro è emerso più sopra64, era ancora tra quelli abitualmente rivolti agli imperatori, anche se l’appellativo Caesar era ormai chiaramente svincolato da qualsiasi implicazione relativa al sistema tetrarchico dioclezianeo. Ciò rende pertanto meno giustificabile la modifica di Flaviis in Flavio e la sua separazione dalla titolatura imperiale. Tutti questi elementi, che appaiono espressi in caso dativo, o al più ablativo (con qualche incertezza per quello abbreviato), sono stati dal Baudi e da Mommsen volti al nominativo, onde ottenerne così l’intitulatio imperiale relativa alla costituzione che segue. E’ però difficile pensare che il copista li abbia totalmente fraintesi, e ciò anche qualora essi fossero stati tutti espressi in forma abbreviata. Si tratta allora di provare a dare un senso al testo manoscritto, supponendo che esso corrisponda effettivamente a quello originario: la forma dativa potrebbe lasciar intendere che gli imperatori fossero in realtà i destinatari dell’editio dei Gesta, o comunque del loro invio. Ciò potrebbe aprire la strada a un’altra ipotesi, e cioè che il testo pervenuto sia quello della copia del verbale realizzata per essere inviata alla cancelleria imperiale. Ma, indipendentemente da ciò, e quindi pur a voler considerare che tali parole costituissero davvero l’intitulatio della constitutio de constitutionariis, resta comunque il fatto che l’espressione domini imperatores (che Mommsen avvertì il bisogno di integrare con l’aggiunta ex novo dell’aggettivo nostri) si presenta carente dei nomi degli imperatori. E invero l’uso, invalso già a partire dalla fine del IV sec. d.C. e ormai del tutto affermato, di premettere, negli atti ufficiali, ai nomi degli imperatori l’espressione domini imperatores65 – oppure la sigla DD.NN. (cioè domini nostri)66 – non arrivò mai a sostituire i nomi degli stessi, tantomeno nell’inscriptio di una costituzione. anastasio et hilario martino quantum

Sulla base delle considerazioni già manifestate in altra sede67, appare anzitutto opportuna la correzione di Martino in Martio. Quanto al caso in cui i nomi sono espressi, esso, anziché essere un dativo, così come proposto da ___________ 64

Per l’esame di questo aspetto rimandiamo a p. 238 ss. Cfr. ad es. Symm., Rel. 24. 66 Cfr. NTh. 11; 13; 14; 15.1; 16. Anche l’inscriptio della gran parte delle Relationes inviate dal praefectus urbi Simmaco agli imperatori contiene prevalentemente questa espressione. 67 V. supra p. 235 ss. 65

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Mommsen, che vorrebbe i due constitutionarii quali destinatari della costituzione, potrebbe essere inteso come ablativo, per i motivi che verranno esposti tra breve. Una tale intepretazione condurrebbe necessariamente a modificare la funzione di queste parole, rendendole estranee alla presunta inscriptio della costituzione di Valentiniano III. Un vero e proprio enigma è poi rappresentato da quantum: sebbene il Baudi, rigettando tutti i precedenti tentativi di emendazione, abbia lasciato inalterata questa parola, contestualizzandola all’interno del testo del provvedimento imperiale di cui veniva a costituire l’incipit, riteniamo che una tale ipotesi non possa soddisfare del tutto, in quanto la frase Quantum consulente … gesta testantur rimane comunque non del tutto chiara. E difatti l’avverbio quantum, oltre ad avere il significato tipico di 'per quanto', oppure a ricorrere in correlazione con tantum o con un aggettivo (o avverbio) di grado comparativo, ha, se oggetto di un verbo (nel nostro caso: testantur), sempre una sfumatura di 'quantità' che mal si addice al contesto in esame. Si può allora supporre che, anche per questo caso, vi sia stata un’incomprensione da parte dello scriba medievale, il quale potrebbe essersi trovato di fronte a una duplice difficoltà, costituita dalla presenza di un’abbreviazione, forse integrata con notae iuris e per di più espressa con una grafia antica (ad esempio una minuscola corsiva, tipica, peraltro, del V sec. d.C.), le cui lettere erano forse molto legate. Dietro la parola quantum potrebbe allora celarsi una abbreviazione per constitutionariis, dove le lettere con erano forse espresse con la nota iuris '9', poco familiare allo scriba ma molto simile nel tratto alla 'q' maiuscola da questi abitualmente usata (una sorta di grande 2 con l’occhiello quasi chiuso). Nella parola quantum sono inoltre presenti, come lettere rilevanti e caratteristiche, anche la 'n', la 't', la 'u' e la 'm' (forse originata da una 'n' e una 'r' – oppure una 's' – minuscole legate tra loro). Quantum potrebbe, quindi, essere frutto di un’errata ricostruzione del copista, il quale avrebbe travisato il senso dell’abbreviazione presente nel testo originario, oltre che mal compreso la grafia68. Se una tale ipotesi cogliesse nel segno, ci troveremmo in presenza dell’indicazione della qualifica dei due personaggi menzionati – anastasio et hilario martino constitutionariis –, allo stesso modo in cui, subito dopo, il nome di Fausto è accompagnato dalla qualifica di praefecto praetorio. consulƝ te viro inll. fausto pfto ptro

___________ 68

Questo fenomeno era tutt’altro che raro: la maggior parte delle fonti giuridiche giunte fino a noi, infatti, presentano non solo numerose parole espresse in forma abbreviata mediante l’uso di notae iuris, ma anche frequenti errori interpretativi, di portata anche notevole, indotti dalla presenza di abbreviazioni il cui significato non era più noto (o non era comunque noto al copista): in proposito si veda l’interessante contributo di Krüger, Ueber die Einwirkung cit., pp. 35-42.

IV. Dubbi

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Le parole viro inll. fausto pfto ptro non presentano particolari problemi: ragionevolmente inll. va inteso come riferentesi a viro, quindi al singolare, quale titolo onorifico riferito a Fausto, più volte qualificato vir clarus et inlustris anche nei Gesta senatus69, e l’intera espressione può essere conservata in caso ablativo. Le prime parole, consulƝ te, sono state dal Baudi e da Mommsen unite tra loro e interpretate come consulente. Così inteso, il verbo suggerirebbe, quale presupposto della pronuncia di Valentiniano, l’esistenza di una richiesta da parte del prefetto Fausto che, a fronte di un problema, avrebbe ritenuto opportuno consulere gli imperatori al fine di sollecitare un loro intervento risolutivo. Ma in effetti, per le ragioni di ordine cronologico sopra esposte, non si spiega il coinvolgimento di Fausto né tantomeno, attesa l’epoca, la sua qualifica di prefetto del pretorio. La parola consulƝ potrebbe allora essere effettivamente un sostantivo e costituire l’indicazione della carica ricoperta nel 438 dal prefetto. In tal caso il te sarebbe un elemento estraneo, e andrebbe quindi espunto: può difatti notarsi come l’espressione consulƝ te sia molto simile a bis consulƝ te presente in alcune acclamazioni riportate a verbale, una delle quali, anzi, precede di pochissimo nel testo quella in esame: nulla di più facile che il copista abbia saltato il rigo, ingannato dalla presenza della stessa parola in una posizione così ravvicinata70, e che abbia sostituito tale espressione all’originario consule. Sul possibile significato della presenza dell’indicazione relativa al console Fausto, da connettersi probabilmente con quella riferita ai due constitutionari, si tornerà tra breve. nominis nris

Anche qui è presente senza dubbio un errore, probabilmente dovuto a una cattiva lettura o interpretazione del testo. I due elementi, così come si presentano, non possono certo concordare tra loro, essendo l’uno – nominis – al genitivo singolare, l’altro – n(ost)ris – al dativo (o ablativo) plurale. L’emendazione numini nostro, proposta dal Baudi, o quella numinibus nostris, avanzata da Mommsen, è giustificabile solo in quanto queste parole vengano ricondotte al testo della costituzione del 443 e fatte pronunciare da Valentiniano III, che verrebbe così ad esserne l’autore. L’ipotesi cade però nel momento in cui si ritenga questa parte del testo come ancora appartenente alla ___________ 69

Gesta 1; 3; 4; 6; 7. Nel nostro manoscritto, il cui testo è disposto su due colonne, solo cinque righe separano l’acclamazione bis consulƝ te dall’esaminata espressione consulƝ te; una distanza ben inferiore (forse soltanto un rigo) poteva intercorrere tra le due espressioni se il testo dell’antigrafo (o dell’archetipo) fosse stato disposto su un’unica colonna. 70

Capitolo sesto: La constitutio de constitutionariis

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subscriptio dei Gesta, o comunque quale elemento ad essi fisicamente accedente e quindi pertinente. Nell’ipotesi di Savigny che precedeva la soluzione offerta dal giurista piemontese era stata proposta la correzione nominibus nostris: queste parole erano state, poi, unite alle successive sub dicìas (frutto in realtà di una cattiva lettura, da parte dello stesso, di sub didns)71, a loro volta trasformate in subditis, e l’intera espressione era stata intesa come costituente un’ulteriore dichiarazione proveniente dall’exceptor Laurentius. Lo stesso studioso non aveva, però, saputo trovare una spiegazione plausibile all’incongruenza del modo di esprimersi – una volta al singolare (edidi), una volta al plurale (nominibus nostris subditis) – dello stesso soggetto dichiarante, ma aveva comunque minimizzato il problema, riducendolo a una "kleine Inconsequenz" 72. Ma la presenza dei nomi dei due constitutionarii e del prefetto, unitamente al riferimento, appunto, ai nomina, potrebbe in effetti far supporre che la frase, pur palesemente perturbata, celi una loro dichiarazione, forse una testatio, come suggerito dal verbo testant(ur) alla fine del passo: Anastasio, Martino e Fausto (o forse solo i primi due, in rappresentanza – in quanto a ciò autorizzati – di quest’ultimo) potrebbero aver svolto così la funzione di testimoni all’atto nella redazione ufficiale dei Gesta, conferendo con i propri nomi autorità al documento. Oppure gli stessi potrebbero averne ufficialmente approvato la copia edita dall’exceptor Laurentius. Ci sembra, insomma, che l’intero passo in esame possa essere ancora ricondotto a un’attività documentale di cancelleria, e che sia anzi strettamente connesso ai Gesta, ponendosi come ad essi coevo. Ciò giustificherebbe l’impiego del titolo di prefetto (e forse anche di quello di console) con riferimento a Fausto. sub didns senatus amplissimi gesta testant’

Le prime due parole sono palesemente prive di senso e necessitano pertanto di modifiche. Giustamente è stato da tutti ipotizzato che dietro di esse si nasconda probabilmente un’unica parola, impropriamente spezzata. Si è ritenuto che il verbo richiamato sia subdere, che è quello normalmente impiegato ad indicare, nel linguaggio delle cancellerie, l’allegazione, a un documento da considerarsi principale, di ulteriori documenti73. In quanto verosimilmente riferito ai Gesta, esso lascerebbe intendere che questi ultimi siano stati fisicamente allegati al testo di un documento. Ma se così, di quale documento si tratterebbe? Forse è la relatio inviata da Fausto all’imperatore in un momento di poco successivo allo svolgimento della seduta senatoria ___________ 71

Cfr. più sopra p. 288 nt. 3. Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 266. 73 Cfr. Symm., Rel. 24; Nov. Iust. 25.1; 26.5.1; 30.11.1; 33; 105.2.4. 72

V. La costituzione di Valentiniano III del 443 d.C.

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verbalizzata; oppure potrebbe trattarsi della richiesta in forma di prex rivolta dai constitutionarii a Valentiniano III, richiesta che sarebbe stata corredata di una copia del verbale attestante le loro precipue ed esclusive funzioni; o ancora, tale documento principale potrebbe forse essere rappresentato dalla stessa costituzione di Valentiniano III del 443, la quale avrebbe riportato anche il testo dei Gesta quasi come una sorta di promemoria. Ma, per ritenere plausibili le ultime due ipotesi, bisognerebbe dare senz’altro credito alla soluzione di Mommsen, che vuole il testo dei Gesta senatus connesso alle vicende che hanno indotto all’emanazione della costituzione da parte di Valentiniano III; soluzione alla quale non si è in grado di offrire alcuna valida alternativa. Come si vede, con questa breve disamina si è inteso non tanto offrire soluzioni alternative alla ricostruzione attualmente accettata, quanto piuttosto rilevare i punti d’ombra che quest’ultima non ha del tutto eliminato. Ma anche le ipotesi in questa sede adombrate non possono spingersi al di là di mere congetture.

V. La costituzione di Valentiniano III del 443 d.C. Se i Gesta senatus non sono stati, sino ad oggi, oggetto di particolari analisi, ancor meno lo è stata la costituzione dell’imperatore d’Occidente, Valentiniano III, emessa a Roma sul finire del 443 d.C.74 (cd. constitutio de constitutionariis) e posteriore di cinque anni rispetto alla seduta senatoria oggetto delle nostre ricerche. Ma anche dietro l’apparente chiarezza di questo provvedimento imperiale si celano non pochi punti oscuri; colpa forse, anche in questo caso, di un testo non del tutto esente da mende e lacune. Ne riportiamo il testo nell’edizione di Mommsen, mantenendo però i nostri dubbi relativi all’incipit sopra analizzato. Per questo motivo l’analisi si incentrerà su quella porzione di testo che ha inizio da vidimus, e che appartiene senza dubbio alcuno alla costituzione di Valentiniano. DOMINI [NOSTRI] IMPP. CAESARES FLAVIO ANASTASIO ET HILARIO MARTINO.

Quantum consulente viro inl(ustri) Fausto praefecto praetorio numinibus nostris subdita senatus amplissimi gesta testantur, vidimus id, quod invictissimus princeps pater clementiae nostrae in custodiendi Theodosiani codicis observatione praecepit, a senatu diligentia maiore munitum, ut hi ad edenda exemplaria haberent tantum licentiam contributam, quos manebat periculum, si quid edita falsitatis habuissent. Et ideo vir inl. p(raefectus) u(rbi), parens amicusque noster, ad cuius diligentiam

___________ 74 Che erroneamente Volterra, Intorno alla formazione cit., p. 138, ritiene collocata, all’interno del Codex Ambrosianus, nel titolo (di fatto inesistente) De constitutionariis.

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Capitolo sesto: La constitutio de constitutionariis

pertinet observare diligentius, quod pro omnium cautela decrevit senatus, sciet vobis licentiam in edendis exemplaribus contributam, confectionem quoque memorati corporis vestro tantum periculo procurandam, nec habeant vel de editione vel de confectione commercium, cum ad vos certum sit redundare de falsitate discrimen, interminatione multae precibus comprehensae et sacrilegii poena constringi tam cognitionale officium quam eos, qui nostris minime paruerunt constitutis, omni obreptione cessante. DAT. X K. IAN. ROMAE MAXIMO II ET PATERIO VV. CC. CONSS.

Pur prescindendo dalle indicazioni contenute nell’inscriptio, per i motivi sopra esposti, può comunque affermarsi che, come emerge dal tenore del provvedimento, destinatari della costituzione erano i constitutionarii, in quanto titolari di una licentia detenuta in via esclusiva per la confectio e l’editio del Teodosiano. L’esplicito riferimento ad una prex ricevuta dall’imperatore, e che costituirebbe l’occasio legis di questo provvedimento, ha fatto classificare detto provvedimento come rescritto, in quanto emesso su una sollecitazione avanzata probabilmente dagli stessi constitutionarii. La costituzione di Valentiniano sembra, da un lato, contenere una sorta di riepilogo delle determinazioni già assunte nel 438 in ordine all’editio del Codice Teodosiano, determinazioni da intendersi così riconfermate; dall’altro lato, essa prevede una serie di nuove sanzioni di natura penale, adottate al fine di reprimere degli abusi, verosimilmente denunciati dagli stessi constitutionarii, verificatisi proprio nell’ambito delle operazioni di editio. Valentiniano osserva preliminarmente che le disposizioni di Teodosio II (l’invictissimus princeps pater clementiae nostrae) relative alla observatio75 della custodia del Codice Teodosiano sono state già in passato rafforzate dal senato con proprio decretum (a senatu diligentia maiore munitum; quod pro omnium cautela decrevit senatus): un chiaro riferimento alla seduta del 438 d.C.. Non si tornerà qui a sottolineare come sia evidente, a nostro avviso, la paternità imperiale di tali disposizioni, e quale sia stato nei confronti di esse il vero ruolo del senato. In base a dette disposizioni, il permesso (licentia) di realizzare e rilasciare copie in forma autentica (ad edenda exemplaria) del Codice Teodosiano era stato attribuito, in via esclusiva, a quei soggetti sui quali, al contempo, era stato previsto ricadesse la responsabilità per falso se le copie da loro edite, da considerarsi anch’esse quali pubblici documenti, avessero presentato delle difformità – quid falsitatis habuissent – rispetto all’originale: e cioè anzitutto rispetto all’antigrafo in loro possesso, nonché, probabilmente, anche rispetto alle copie conservate presso gli uffici giurisdizionali, le quali erano dotate della medesima autorità. Come sappiamo, tale licentia era detenuta in via esclusiva ___________ 75 Termine che sta a significare anche 'disciplina', e che richiama comunque l’osservanza di norme stabilite. Spesso si trova unito, come in questo caso, al verbo custodio (o al sostantivo custodia): v. ad es. CTh. 6.30.21; 11.16.21.

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dai constitutionarii: ci sembra però che dal tenore di queste frasi emerga con maggior forza la stretta interrelazione tra licentia per l’editio e connessa (eventuale) responsabilità per falso. Va quindi contestata una certa tendenza interpretativa, che vorrebbe detta licentia dei constitutionarii come attribuita per la prima volta da Valentiniano proprio con la costituzione in esame76. Il tenore di quest’ultima ci sembra chiaro: in essa detta licentia viene riconosciuta come già esistente, e semmai riaffermata. Ma già i Gesta senatus sono assolutamente chiari in proposito: ita ut nisi a constitutionariis ex hoc corpore eorundem manu conscripta exemplaria non edantur77. D’altronde, a voler ammettere il contrario non si vede su quale base gli stessi constitutionarii avessero potuto svolgere le loro funzioni fino a quel momento, né potrebbero spiegarsi le ragioni delle loro attuali lamentele. Dopo aver ricordato l’attribuzione in via esclusiva ai constitutionarii della licentia e la relativa imprescindibile responsabilità per falso, l’imperatore menziona esplicitamente il praefectus urbi per quello che sembra essere un vero e proprio 'richiamo all’ordine'. Al magistrato viene ricordato – in quanto sembra averlo dimenticato, verrebbe da dire – che a lui, più che ad ogni altro funzionario, proprio per il suo rapporto istituzionale con l’amplissimus ordo, spetta in modo particolare il compito di rispettare e osservare le disposizioni assunte (formalmente) dal senato pro omnium cautela ('per la protezione di tutti': nel senso, cioè, di assicurare forme adeguate a garanzia dell’autenticità delle copie del Codice) e, quindi, di dar esecuzione a tali misure. E però l’imperatore non si sta qui rivolgendo direttamente al prefetto, bensì ai constitutionarii, con cui Valentiniano sembra interloquire direttamente, come dimostrerebbe l’uso del pronome vobis. A questo proposito viene quindi nuovamente ribadita l’esclusività della competenza dei constitutionarii: vobis licentiam in edendis exemplaribus contributam, confectionem quoque memorati corporis vestro tantum periculo procurandam. Ancora una volta l’accento cade sul nesso tra licentia per l’editio e responsabilità: poiché è stata loro attribuita la licentia di provvedere alla redazione delle copie in forma autentica del Codice, essi saranno gli unici soggetti competenti per la confectio delle stesse, sopportandone però, in via altrettanto esclusiva, la relativa responsabilità. Ma, anche per questo caso, si tratta non già di un’attribuzione attuale, bensì del riconoscimento di una ___________ 76

Di questo avviso sembrerebbe essere, ad esempio, Hänel, che definisce questa costituzione uno "speciale mandatum" conferito da Valentiniano ai due constitutionarii Anastasio e Martino (Hänel, Codex Theodosianus cit., col. 89 nt. f). D’accordo anche De Marini, La filologia romanistica cit., p. 251; La politica legislativa cit., p. 132). 77 Gesta 7.

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situazione già preesistente, come suggerirebbe l’uso del participio passato contributam in relazione a licentiam. Il motivo per cui dette disposizioni ebbero bisogno di essere ribadite, e anzi accompagnate da ulteriori sanzioni per il caso in cui fossero rimaste inosservate, deve rinvenirsi nella frase successiva, con cui l’imperatore ordina seccamente: nec habeant78 vel de editione vel de confectione commercium. Il verbo al plurale, che appare così privo di soggetto, lascia comunque intuire che alcuni soggetti, estranei all’ufficio dei constitutionarii e quindi privi della necessaria autorizzazione, avessero preso a realizzare e diffondere copie del Codice Teodosiano in tutto simili a quelle ufficiali ma che, in quanto prive dei requisiti formali previsti, né realizzate dai soggetti a ciò abilitati e secondo la procedura stabilita, non potevano che essere considerate dei falsi. E proprio a questo proposito viene ribadito il principio – che pure urta con la nostra concezione di responsabilità penale – che del discrimen de falsitate in relazione a detti esemplari sarebbero stati chiamati a rispondere comunque e in ogni caso i constitutionarii. Non può dirsi con certezza se tale attività illecita fosse svolta a scopo di lucro (come pure è probabile), potendo l’espressione habere commercium essere intesa tanto nel senso di esercitare un vero e proprio commercio, quanto come un più generico 'occuparsi di, avere a che fare con'79. Se i constitutionarii restavano responsabili per il solo discrimen de falsitate, altre e diverse sanzioni erano invece inflitte agli autori di un tale abuso: in particolare la poena sacrilegii e una pena pecuniaria il cui ammontare, qui non precisato, era stato forse suggerito dagli stessi constitutionarii nella loro prex (interminatione multae precibus comprehensae). Le medesime sanzioni vennero inoltre inflitte anche all’officium cognitionale, verosimilmente da intendersi come quello della prefettura dell’Urbe, che avrebbe dovuto occuparsi di perseguire detto reato. Le misure imperiali avrebbero così inteso porre fine al subdolo inganno, alla obreptio, costituito da esemplari in tutto simili a quelli ufficiali.

___________ 78 Anche in questo caso, però, la tradizione testuale viziata da mende complica le cose: vi è stata, difatti, tra i filologi un’oscillazione nella lettura del verbo, da intendersi secondo taluni come habeat (lezione preferita da Hänel e Baudi di Vesme), secondo altri come habeant (Mommsen, Krüger). Nel primo caso, il soggetto cui è rivolto tale divieto sembrerebbe essere lo stesso praefectus urbi o, quantomeno, il suo ufficio. Sulla questione era intervenuto anche Savigny, proponendo di correggere la parola supposta corrotta con un salomonico e impersonale habeatur (Savigny, Ueber die 'Gesta senatus' cit., p. 268 s.). 79 Osservava già Baudi di Vesme, Codex Theodosianus cit., col. 10 nt. 1, che "Verum hoc loco habere commercium non est mercari… ut Sa. [scil. Savigny] interpretatur, sed se immiscere".

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Ma cosa può aver spinto l’imperatore a emanare un tale divieto? E per quale motivo esso avrebbe coinvolto la prefettura dell’Urbe? Quale poteva essere stata, in sostanza, l’occasio legis? Secondo Baudi di Vesme, "occasionem praebuisse praefectum Urbis aut cognitionale officium, qui in edendis vel saltem in conferendis et sua auctoritate firmandis Theodosiani Codicis exemplaribus commercium sibi vindicabant; quod ne fieret, hac constitutione vetitum fuit, ne de fide exemplarium alii testarentur, quam quos manebat periculum, si quid edita falsitatis habuissent … Constitutionarii … a praefecto Urbis aliisve in suo munere turbarentur, imperatoris praeceptum impetraverunt, quo non quidem ipsis edendorum exemplarium cura committeretur"80. Per lo studioso subalpino, insomma, si sarebbe verificato un conflitto di competenze tra i constitutionarii, da un lato, e il praefectus urbi con il suo officium, dall’altro, in quanto i membri di quest’ultimo, disattendendo le disposizioni del 438 d.C., avrebbero iniziato a realizzare arbitrariamente copie del Codice Teodosiano, pur non avendone la necessaria autorizzazione81. Ciò avrebbe spinto i constitutionarii a sollecitare un chiarimento da parte dell’imperatore, e anzi a proporre l’adozione di sanzioni per reprimere l’abuso. Ma è difficile pensare che l’ammonimento rivolto al praefectus urbi possa suggerirne un diretto coinvolgimento e che l’abuso fosse stato commesso proprio dal suo ufficio, presso i cui scrinia, come sappiamo, si trovava depositata una delle prime tre copie, anch’esse dotate del medesimo carattere di ‘originalità’ del codice orientale. La presenza a Roma non solo dei constitutionarii, ma anche dello stesso imperatore82 avrebbe reso una tale attività notevolmente rischiosa. Non deve ingannare la comminazione di una pena anche nei confronti dell’officium della prefettura, la cui responsabilità va ravvisata, come si vedrà tra poco, piuttosto nella scarsa diligenza con cui il fenomeno lamentato dai constitutionarii venne represso. E difatti del tutto diversa fu l’interpretazione fornita da Mommsen. Secondo lo studioso tedesco, i constitutionarii avrebbero svolto le loro funzioni alle dipendenze della prefettura urbana, il cui titolare avrebbe dovuto gestire l’attività di rilascio a privati, dietro pagamento, delle copie in forma autentica del Codice e, più in generale, avrebbe dovuto vigilare sulla circolazione delle ___________ 80

Baudi di Vesme, In difficiliora cit., p. 16 s. Questa sembrerebbe essere stata anche l’idea di Peyron, che, nel comunicare al Baudi le proprie considerazioni su alcuni punti controversi del testo, osservava a tal proposito che "I costituzionarii dovevano essi soli rispondere de editione et confectione, senza che il Vir illuster [scil. il prefetto dell’Urbe] vi si immischiasse haberet commercium" (BAV, Fondo Patetta. Autografi e documenti, cart. 46, fasc. 6, f. 366). 82 I soggiorni di Valentiniano III a Roma furono sempre più lunghi e frequenti e, d’altra parte, anche la costituzione in esame risulta essere stata emanata nell’Urbe. 81

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stesse, impedendo altresì che venissero diffuse copie realizzate da soggetti non autorizzati83. La costituzione in esame rappresenterebbe quindi una sollecitazione, rivolta sostanzialmente al praefectus urbi – anche se formalmente indirizzata ai constitutionarii –, ad esercitare una maggiore e più efficace vigilanza; una sollecitazione accompagnata da sanzioni penali (pena pecuniaria e poena sacrilegii) nei confronti non solo dei contravventori, ma anche dell’intero ufficio del prefetto. Insomma, la prefettura dell’Urbe sarebbe stata sollecitata a reprimere quello che potremmo oggi definire un vero e proprio fenomeno di 'pirateria', particolarmente lesivo nei confronti dei constitutionarii in quanto essi restavano comunque responsabili di crimen falsi anche per questi esemplari non autorizzati. E in effetti questa sembra essere la soluzione più plausibile. Non deve stupire il fatto che sia stata comminata la medesima sanzione tanto ai rei quanto all’ufficio che, incaricato di perseguirli, abbia mostrato in ciò un comportamento negligente: tale modo di procedere era, per l’epoca considerata, del tutto usuale84. Non del tutto chiariti restano però i rapporti tra i constitutionarii e il praefectus urbi. Secondo Mommsen, l’ufficio dei primi era sottoposto al secondo, che avrebbe dovuto esercitare funzioni di supervisione e controllo sulla loro attività, nonché vigilare sul rilascio ai privati degli esemplari realizzati. Ci sembra però che questa ricostruzione ponga dei problemi. Anzitutto, se così fosse, bisognerebbe ammettere che l’imperatore abbia indirizzato la sua costituzione direttamente a un ufficio subordinato alla prefettura dell’Urbe, anziché al praefectus urbi, per assumere delle disposizioni in realtà rivolte al prefetto stesso, in quanto contenenti per lo più sanzioni di natura penale e generale che soltanto a questi sarebbe spettato di applicare. A ciò potrebbe opporsi che anche il prefetto potrebbe aver a sua volta ricevuto una versione dello stesso provvedimento a lui indirizzata, e che quella a noi giunta sia la risposta data dall’imperatore direttamente ai constitutionarii interessati. In tal caso, però, ci sembra strano che le lamentele siano state avanzate all’imperatore direttamente dai constitutionarii e non dal praefectus urbi, con una propria suggestio. Probabilmente tali lamentele non intendevano coinvolgere direttamente il prefetto, ma far soltanto presente che l’attività propria dei constitutionarii veniva abusivamente esercitata da soggetti estranei al loro ufficio. E probabilmente nei soli confronti di questi ultimi sarebbe stata ___________ 83

Mommsen, Proleg. cit., p. XI. Numerosissime sono le costituzioni che puniscono, solitamente con una multa, la neglegentia degli officia chiamati ad applicare determinate disposizioni: a titolo esemplificativo si vedano CTh. 15.5.3 (con la comminazione, anche qui, della medesima poena stabilita per il reus); 1.15.16; 9.42.11; 13.5.38; 16.10.13). 84

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richiesta l’applicazione di una multa: non vi sarebbe stato quindi da temere alcunché, da parte dei constitutionarii, nel richiedere al prefetto dell’Urbe di avanzare tali richieste. Ma il modo di procedere effettivamente adottato sarebbe invece più plausibile se si volesse ammettere, come siamo propensi a ritenere, che i constitutionarii fossero indipendenti dalla prefettura dell’Urbe, costituissero cioè un ufficio autonomo, o al più subordinato ad altro e diverso ufficio: quello del prefetto del pretorio. E’ di certo verosimile che i constitutionarii svolgessero la loro attività a Roma, ma non per questo vi doveva necessariamente essere una relazione formale tra il loro ufficio e quello della prefettura urbana, né tantomeno quest’ultima doveva essere stata incaricata di sorvegliarne l’attività. Quanto poi all’estensione dell’esclusività della licentia in ordine all’editio degli esemplari del Codice Teodosiano, pare difficile immaginare che essa sia stata configurata come assoluta, tale da impedire qualsiasi riproduzione anche informale del Codice stesso (o di alcune sue parti). E’ più probabile che l’illecito, così come sembra emergere dal tenore della costituzione, consistesse nella riproduzione di esemplari in tutto simili a quelli ufficiali, cioè apparentemente dotati dei requisiti formali che ne attestassero l’autenticità. Sarebbe stato davvero troppo gravoso per i constitutionarii il dover rispondere di falso anche per qualunque copia informale – potenzialmente realizzabile da chiunque – del Teodosiano, tanto più che questa non avrebbe avuto già di per sé alcun valore 'legale'. Quanto ai rei, non si saprebbe dire se tra questi potessero esservi anche le cancellerie degli uffici di funzionari imperiali depositarie di una copia in forma autentica del Codice: certo è che, nel caso in cui esse avessero preso a rilasciarne a loro volta, e senza averne apposita licentia, delle copie, queste, proprio perché redatte da un ufficio pubblico normalmente dotato dello ius actorum conficiendorum, avrebbero potuto presentare un qualche aspetto di apparente 'ufficialità'. E’ interessante notare che la pena comminata per gli autori questo genere di falso fosse quella stessa normalmente prevista per altro e diverso reato: quello di sacrilegium, un reato classificato tra i più gravi85. Alla medesima pena gli imperatori erano ricorsi, ad esempio, anche in un altro caso di falso, quello cioè costituito dalla alterazione di monete86. Al pari di ciò, la produzione non ___________ 85 Al pari di quello di stupro, di adulterio e di violazione di sepolcri, il reo di sacrilegio non era, ad esempio, ammesso a godere dei benefici dell’indulgenza concessa in talune occasioni dagli imperatori (cfr. CTh. 9.38.7). 86 Cfr. CTh. 9.23.1 pr. Vi rientrava anche il caso di fusione di moneta coniata.

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autorizzata di esemplari del Codice Teodosiano poneva in essere, quindi, qualcosa di più di un semplice falso. Resta in sospeso un’ultima questione, e cioè se sia possibile affermare che la constitutio de constitutionariis facesse parte della redazione ufficiale occidentale del Codice Teodosiano, sia pure quale elemento introduttivo. I sostenitori di questa opinione ritengono che essa, al pari dei Gesta senatus, sarebbe stata inserita negli esemplari prodotti dai constitutionarii (ovviamente a partire dal 443)87. Ma proprio per il nesso che intercorre tra questi due documenti, rinviamo alle osservazioni svolte a tal proposito in relazione al verbale senatorio88.

___________ 87

Di alcune opinioni abbiamo già dato conto in sede di analisi dell’editio dei Gesta senatus. Ad esse si aggiunga quella di Bianchi Fossati Vanzetti, Le Novelle cit., p. 3, secondo cui "la costituzione de constitutionariis del 443… non poteva rientrare nella silloge per una ragione evidente: essa doveva servire da istruzione per le edizioni del Codice Teodosiano, alle quali era probabilmente premessa". La stessa aggiunge però in nota che "Non possiamo… essere certi che fosse premessa a tutte le edizioni del Codice" (ibid., nt. 5). 88 V. più sopra p. 264 ss.

Conclusioni Al termine di questa ricerca, le conclusioni cui si è pervenuti possono essere riassunte come segue. La nuova analisi descrittiva del manoscritto che ha restituito i Gesta senatus ha messo in luce alcuni aspetti sfuggiti agli studiosi che in passato lo avevano sottoposto a una pur attenta osservazione. Lo studio delle caratteristiche materiali del codice ha fornito ulteriori indizi a favore di una sua provenienza gallica; quello delle particolarità ortografiche e delle mende testuali ha consentito di proporre alcune modifiche all’edizione critica dei Gesta attualmente in uso. Il tentativo di ricostruzione della struttura formale tipica di un verbale senatorio e, quindi, degli elementi che concorrevano a comporlo, alla luce della documentazione proveniente da contesti diversi ma analoghi, è servito a verificare anzitutto se i Gesta senatus del 438 d.C. costituissero effettivamente, in origine, un verbale senatorio formato all’interno della competente cancelleria. In secondo luogo, ha consentito di mettere in luce alcune sue anomalie delle quali potrebbe costituire una ragionevole spiegazione il fatto che il testo a noi noto altro non sia che un sunto del verbale originario, la cui formazione, probabilmente da ricondursi alla stessa cancelleria, potrebbe trovare una spiegazione nelle possibili finalità per cui tale documento venne edito: dalla allegazione ad altri documenti – forse relazioni ufficiali di funzionari imperiali – alla sua acclusione al testo ufficiale (occidentale) del Codice Teodosiano, oppure al suo inserimento nel testo della costituzione di Valentiniano III de constitutionariis. Ciò ha fornito una nuova possibile chiave di lettura della seduta senatoria – che potrebbe essersi svolta, anziché nel dicembre 438, nel maggio dello stesso anno –, nonché dell’attività ivi compiuta, restando per acquisita la partecipazione del senato romano alla procedura di pubblicazione della silloge normativa teodosiana. Anche alcuni inspiegabili silenzi, a più riprese rilevati dagli studiosi, troverebbero così una giustificazione: intenzionato a redigere una sintesi del verbale originario, il personale della cancelleria senatoria potrebbe averne volutamente omesso larghe parti. Ma alcuni indizi sopravvissuti nel testo pur così decurtato deporrebbero a favore dello svolgimento di ulteriori attività nel corso della seduta: dalla recitatio di più costituzioni oltre quella insinuata nei

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Conclusioni

Gesta, all’approvazione di disposizioni imperiali, alla presentazione ufficiale dei funzionari preposti all’editio del Codice Teodosiano. Lo studio esegetico dei Gesta senatus, teso a chiarire cosa la seduta senatoria ivi documentata abbia rappresentato per il Codice di Teodosio e per la sua applicabilità in Occidente, ha reso necessarie alcune puntualizzazioni riguardanti la recezione e la pubblicazione di questa silloge normativa. Si è avuto così modo di chiarire, anche alla luce delle deliberazioni assunte in quell’occasione dal senato, che il Codice vi venne formalmente e ufficialmente pubblicato, e non anche recepito per esservi validato; né tantomeno esso vi fu meramente presentato di fatto. Tali precisazioni hanno inteso contribuire a sgombrare il campo da alcuni equivoci e oscillazioni che caratterizzano le opinioni espresse dalla dottrina soprattutto negli ultimi anni. E però la cerimonia che ebbe luogo a Roma non dovette esaurire la pubblicazione di una fonte normativa così particolare, il cui aspetto fisico di libro dovette rendere anzi necessaria la predisposizione, a tal fine, di una procedura più complessa, che ricomprendesse anche la fase di editio. In vista di ciò sarebbe stato predisposto un ufficio con specifiche competenze, quello dei constitutionarii, cui sarebbe stata attribuita in via esclusiva un’apposita licentia; ad essa era però riconnessa una responsabilità per falso nei casi di difformità delle copie ufficiali dal loro antigrafo contenente il testo autentico, o anche solo nel caso in cui la procedura non fosse stata strettamente osservata, e l’esemplare prodotto fosse quindi carente dei requisiti formali necessari ad assicurarne l’autenticità. La medesima responsabilità era estesa anche per quegli esemplari che, pur non essendo stati realizzati dai constitutionarii, presentavano comunque apparentemente le medesime caratteristiche delle copie in forma autentica del Codice. Ma l’articolata disciplina di editio, così accurata nei dettagli, difficilmente poté essere stata predisposta in via autonoma dal senato, il cui peso politico nei confronti del potere imperiale era ormai fortemente ridotto e la cui iniziativa in campo normativo era assolutamente residuale, e comunque subordinata a una specifica delega da parte dell’imperatore. E’ quindi più plausibile che fosse stato lo stesso Teodosio, l’artefice ideale della raccolta normativa, a concepire quella serie di misure che troviamo riflesse nelle acclamazioni dei senatori e nelle disposizioni assunte in merito dal prefetto del pretorio Fausto, a cui lo stesso Teodosio aveva affidato la cura della directio del Codice in Occidente. Può darsi che il prefetto, al quale era stato forse consentito di gestire tale operazione con una certa autonomia, avesse egli stesso predisposto le modalità con cui la diffusione avrebbe dovuto aver luogo, e che a tal scopo abbia costituito, o comunque organizzato, un apposito ufficio, quello dei constitutionarii, da conferire a personale fidato, scelto forse tra coloro che già operavano presso l’ufficio della stessa prefettura del pretorio.

Conclusioni

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E, per quanto riguarda proprio i constitutionarii, e in particolare i due presenti alla cerimonia, Anastasio e Martino/Martio, lo studio della fonte in esame ha consentito di delinearne con maggior chiarezza il profilo, la provenienza, le competenze. A ciò ha fornito un prezioso contributo anche la costituzione di Valentiniano III emessa a Roma nel dicembre del 443, anch’essa, al pari dei Gesta, sconosciuta fino alla scoperta di Clossius. Il tenore delle disposizioni ivi contenute non solo confermerebbe l’ipotesi della paternità imperiale della procedura e dei singoli dettagli relativi all’editio, ma contribuisce a una più precisa definizione delle competenze e delle responsabilità dei constitutionarii in ordine all’attività di riproduzione ufficiale del Codice Teodosiano (e forse anche di suoi estratti). Questa disposizione costituisce inoltre un’indiretta testimonianza di come la piaga che affliggeva la produzione documentale tardoantica – quella dei falsi – non avesse risparmiato neanche il Codice, nonostante tutte le cautele predisposte per preservarne il testo da alterazioni e conferire agli esemplari ufficiali la massima affidabilità. L’esame dell’editio del Codice Teodosiano ha fatto emergere la questione relativa all’aspetto materiale degli esemplari prodotti dai constitutionarii, ponendo la domanda se il testo ufficiale del Codice ricomprendesse anche quei documenti che caratterizzano la versione contenuta nel Codex Ambrosianus: gli stessi Gesta senatus, la constitutio de constitutionariis e la costituzione di validazione emessa da Teodosio II il 15 febbraio 438 (NTh. 1). Ad alcuni aspetti di questo tema era stato già dedicato un approfondito studio di Volterra, basato in primo luogo sulla tradizione manoscritta di tali fonti, e soprattutto sui testimoni più rilevanti. Questo lungo articolo, che pure contiene numerose considerazioni di estremo interesse, a un’attenta disamina ha tuttavia rivelato alcune debolezze, ingenerate in particolare da un equivoco sorto da alcune sviste relative proprio ai manoscritti utilizzati. Ripercorrere la strada tracciata da questo grande studioso ha fornito l’occasione per districare alcuni nodi e per cercare di fare chiarezza su un punto senza dubbio di grande interesse, anche per le sue implicazioni: quello della possibile collocazione della NTh. 1 all’interno della redazione originaria del Codice Teodosiano. Nel complesso, la seduta senatoria, di cui i Gesta forniscono un vivido – se pure parziale – resoconto, è risultata essere connotata da un carattere di solennità cui finora non era stato dato il giusto risalto, anche a causa di una lettura viziata da quell’idea di decadenza che in generale accompagna la visione dell’età tardoantica. L’ingresso del Codice Teodosiano in Occidente non dovette certo passare inosservato, ma ha richiesto anzi la collaborazione e l’impegno di tutte le più alte cariche dell’impero. La presente ricerca ha inteso contribuire a delinearne i rispettivi ruoli rispetto al primo grande tentativo – riuscito solo in parte rispetto agli originari disegni – di risistemazione delle fonti normative compiuto da Teodosio II.

Appendice: Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando (ed. Mommsen 1905)

1. Domino [nostro] Flavio Theodosio Aug(usto) [XVI] et Anicio Achillio Glabrione Fausto v.c. consulibus Anicius Achillius Glabrio Faustus v.c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius in domo sua, quae est ad Palmam; Fl(avius) Paulus v.c. et inl. urbis praefectus; Iunius Pomponius Publianus vir spectabilis vicarius urbis aeternae; proceres amplissimusque ordo senatus dum convenissent habuissentque inter se aliquamdiu tractatum, ibi ingressis ex praecepto Anastasio et Martino constitutionariis Anicius Achillius Glabrio Faustus v.c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius dixit: 2. Aeternorum principum felicitas eo usque procedit augmento, ut ornamentis pacis instruat, quos bellorum sorte defendit. Proximo superiore anno cum felicissimam sacrorum omnium coniunctionem pro devotione comitarer, peractis feliciter nuptiis hanc quoque orbi suo sacratissimus princeps dominus noster Theodosius adicere voluit dignitatem, ut in unum collectis legum praeceptionibus sequenda per orbem sedecim librorum compendio, quos sacratissimo suo nomine voluit consecrari, constitui iuberet. Quam rem aeternus princeps dominus noster Valentinianus devotione socii, affectu filii conprobavit. Adclamatum es: Nove diserte, vere diserte. 3. Anicius Achillius Glabrio Faustus v.c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius dixit: Vocatis igitur me et inl. viro illius temporis Orientis praefecto singulos codices sua nobis manu divina tradi iussit per orbem sui cum reverentia dirigendos, ita ut inter prima vestrae sublimitatis notioni provisionem suam sacratissimus princeps iuberet offerri. In manu est acceptus codex utriusque principis praeceptione directus. Constitutionarii praesentes sunt: si placet amplitudini vestrae, has ipsas leges, quibus hoc idem fieri iusserunt, amplitudo vestra relegi sibi iubeat, ut consultissimis aeternorum principum praeceptis consentanea devotione pareamus. Adclamatum est: Aequum est, placet, placet. 4. Anicius Achillius Glabrio Faustus v.c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius legit ex codice Theodosiano, libro primo, sub titulo 'de constitutionibus principum et edictis': DD. NN. IMPP. THEODO(SIVS) ET VALENTINIANVS AA. AD SENATVM. Ad similitudinem Gregoriani atque Hermogeniani codicis cunctas colligi constitutiones decernimus, quas Constantinus inclitus et post eum divi principes nosque tulimus edictorum viribus aut sacra generalitate subnixas. Et primum tituli, quae negotiorum

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Appendice: Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando

sunt certa vocabula, separandi ita sunt, ut, si capitulis diversis expressis ad plures titulos constitutio una pertineat, quod ubique aptum est, collocetur; dein, quod in utramque dici partem faciet varietas, lectionum probetur ordine, non solum reputatis consulibus et tempore quaesito imperii, sed ipsius etiam compositione operis validiora esse, quae sunt posteriora, monstrante, post haec ut constitutionum ipsa etiam verba, quae ad rem pertinent, reserventur, praetermissis illis, quae sanciendae rei non ex ipsa necessitate adiuncta sunt. Sed cum simplicius iustiusque sit praetermissis eis, quas posteriores infirmant, explicari solas, quas valere conveniet, hunc quidem codicem et priores diligentioribus conpositos cognoscamus, quorum scholasticae intentioni tribuitur nosse etiam illa, quae mandata silentio in desuetudinem abierunt, pro sui tantum temporis negotiis valitura. Ex his autem tribus codicibus, et per singulos titulos cohaerentibus prudentium tractatibus et responsis, eorundem opera, qui tertium ordinabunt, noster erit alius, qui nullum errorem, nullas patietur ambages, qui nostro nomine nuncupatus sequenda omnibus vitandaque monstrabit. Ad tanti consummationem operis et contexendos codices – quorum primus, omni generalium constitutionum diversitate collecta nullaque extra se, quam iam proferri liceat, praetermissa, inanem verborum copiam recusabit; alter omni iuris diversitate exclusa magisterium vitae suscipiet – deligendi viri sunt singularis fidei, limatioris ingenii, qui, cum primum codicem nostrae scientiae et publicae auctoritati obtulerint, adgredientur alium, donec dignus editione fuerit, pertractandum. Electos vestra amplitudo cognoscat: Antiochum virum inl(ustrem) exquaestore et praefecto elegimus; Antiochum virum inl(ustrem) quaestorem sacri palatii; Theodorum virum spectabilem comitem et magistrum memoriae; Eudicium et Eusebium viros spectabiles magistros scriniorum; Iohannem vir(um) spectabilem excomite nostri sacrarii; Comazontem atque Eubulum viros spectabiles exmagistris scriniorum, et Apellem virum disertissimum scholasticum. Hos a nostra perennitate electos eruditissi-mum quemquem adhibituros esse confidimus, ut communi studio vitae ratione deprehensa iura excludantur fallacia. In futurum autem, si quid promulgari placuerit, ita in coniunctissimi parte alia valebit imperii, ut non fide dubia nec privata adsertione nitatur; sed ex qua parte fuerit constitutum, cum sacris transmittatur adfatibus in alterius quoque recipiendum scriniis et cum edictorum sollemnitate vulgandum. Missum enim suscipi et indubitanter optinere conveniet, emendandi vel revocandi potestate nostrae clementiae reservata. Declarari autem invicem oportebit nec admittenda aliter, et cetera. DAT. VII K. APRIL. CONSTANTINOPOLI FLORENTIO ET DIONYSIO CONSS. 5. Adclamatum est: Augusti Augustorum, maximi Augustorum. Dictum VIII Deus vos nobis dedit, deus vos nobis servet. Dictum XXVII Romani imperatores et pii felices, multis annis imperetis. Dictum XXII Bono generis humani, bono senatus, bono rei publicae, bono omnium. Dictum XXIV Spes in vobis, salus in nobis. Dictum XXVI Ut vivere delectet Augustos nostros semper. Dictum XXII Orbe placato praesentes triumphetis. Dictum XXIV Haec sunt vota senatus, haec sunt vota populi Romani. Dictum X

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Liberis cariores, parentibus cariores. Dictum XVI Extinctores delatorum, extinctores calumniarum. Dictum XXVIII Per vos honores, per vos patrimonia, per vos omnia. Dictum XXVIII Per vos arma, per vos iura. Dictum XX Dispositioni vestrae gratias agimus. Dictum XXIII Constitutionum ambiguum removistis. Dictum XXIII Pii imperatores sic consulunt. Dictum XXVI Causis consulitis, quieti consulitis. Dictum XXV Plures codices fiant habendi officiis. Dictum X In scriniis publicis sub signaculis habeantur. Dictum XX Ne interpolentur constituta, plures codices fiant. Dictum XXV Ne constituta interpolentur, omnes codices litteris conscribantur. Dictum XVIII Huic codici, qui faciendus a constitutionariis, notae iuris non adscribantur. Dictum XII Codices in scriniis habendi sumptu publico fiant, rogamus. Dictum XVI Fauste, aveas. Dictum XVII Bis consulem te. Dictum XV Omnia explicas, neminem laedis. Dictum XIII Codices conscripti ad provincias dirigantur. [Dictum] XI Tantorum beneficiorum dignus perlator. Dictum X Paule, aveas. Dictum XII Consulem te. Dictum XI Ut in scriniis publicis habeantur, rogamus. Dictum XV Ad curam pertineat praefecturae. Dictum XII Singuli praefecti signacula sua adhibeant. Dictum XV In officiis suis singulos codices habeant. Dictum XII Ut ad preces nullae leges promulgentur, rogamus. Dictum XXI Aeti, aveas. Dictum XV Ter consulem te. Dictum XIII Excubiis tuis salvi et securi sumus. Dictum XII Excubiis tuis, laboribus tuis. Dictum XV Fauste, aveas. Dictum XIII Bis consulem te. Dictum X Desideria senatus ut suggeras, rogamus. Dictum XX Conservator legum, conservator decretorum. Dictum XVI His subreptionibus possessorum ius omne confunditur. Dictum XVII 6. Anicius Achillius Glabrio Faustus v.c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius dixit: Quae lecta sunt sui cum veneratione, gestis adhaerebunt et addentur. Hanc quoque partem inter beneficia aeternorum principum numero, quod per me magnitudini vestrae ea, quae pro legibus suis statuere dignati sunt, intimarunt. Adclamatum est: Fauste, aveas. Dictum XVI Bis te consulem. Dictum X Consuli oraculi. Dictum XIII

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7. Anicius Achillius Glabrio Faustus v.c. et inl., tertio expraefecto urbi, praefectus praetorio et consul ordinarius dixit: Erit nunc meae diligentiae secundum dominorum praecepta et desideria culminis vestri, ut hic codex fide spectabilis viri Veroniciani, quem amplitudinis vestrae mecum consensus elegit, nec non et fide Anastasii et Martini constitutionariorum, quos iam dudum huic officio inservire praeter culpam probamus, per tria corpora transcribatur, ut hoc quem detuli in officio praetoriani apicis remanente paris fidei viri magnifici praefecti urbi scrinia alterum teneant, tertium vero constitutionarii sua fide et periculo apud se edendum populis retinere iubeantur, ita ut nisi a constitutionariis ex hoc corpore eorundem manu conscripta exemplaria non edantur. Si quidem erit meae diligentiae etiam illam tractare partem, ut conscriptus per hos alius codex ad Africam provinciam pari devotione dirigatur, ut illic quoque paris fidei forma servetur. Adclamatum est: Fauste, aveas. Dictum XVI Bis consulem te. Dictum XV Omnium virtutum viro. Dictum X Et alia manu: 8. [CONSTITUTIONARIORUM EDITIO] Fl(avius) Laurentius exceptor amplissimi senatus edidi sub d(ie) VIII k. Ian.

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338

9.42.11: 31284 9.42.14: 19489 10.2.2: 250 10.7.1: 247 10.10.24: 1749 10.10.33: 19078 10.19.7: 18664 11.1.35: 19489 11.2.2: 19489 11.7.2: 19489 11.15.1: 19078 11.16.21: 30875 11.39.5: 102 11.39.8: 102 12.6.4: 250 13.3.14: 1749 13.5.14: 1749 13.5.26: 19590 13.5.38: 31284 14.1.1: 8523, 25, 19489 14.4.1: 13866 14.9.2: 253127, 263152 14.15.5: 1749 14.26.1: 1749 15.1.7: 19078 15.5.3: 31284 15.14.4: 8316, 19081 16.5.37: 166169 16.8.15: 1749 16.10.13: 31284 16.11.3: 110110, 1749, 24192 Const. de constitutionariis 17, 32 s., 36, 41 s., 61, 14283, 149, 166 s., 19286, 213, 226 s., 233, 235, 243, 253126, 259, 261, 264, 287, 301, 307-314 Constitutiones Sirmondianae 9: 19590 14: 19590 Corpus iuris civilis Codex

1.14.2: 8420, 203112 1.14.3: 8420, 18975, 77, 203112 1.19.7: 8420, 203112 1.22.5: 8420, 203112 7.62.32.2: 9879 7.62.32.4a: 9879 12.23.10: 247 12.36.6: 254131 Digesta Tanta, 22: 260143 2.13.1.1: 9563, 163157 2.13.11: 163157 37.1.6.2: 259141 50.16.56: 9460 Novellae 1 epil.: 198101 8: 200105 17: 198101, 199, 200105 17.16: 166169, 200106 17.17: 200107 25.1: 30673 26.5.1: 30673 30.11.1: 30673 33: 30673 105.2.4: 169179, 198101, 30673 Fragmenta Vaticana 249: 147101 Gesta senatus Romani de Theod. publ. 1: 72188, 114130 s., 115, 128, 12933, 13038, 23670, 30569 2: 70182, 119, 12211, 12517, 12725, 149106, 18768, 19799, 208133 3: 115, 12210, 123, 12517, 14181, 142, 149107 s., 24399, 30569 4: 142, 30569 5: 148103, 153124, 18038, 226 6: 116, 12414, 142, 14385, 147102, 148105, 30569 7: 199103, 226, 23670, 24398, 245108, 253124, 30569, 30977 8: 116135, 12936, 162

Indice analitico: fonti Interpretationes novellarum Theodosii 1: 17722 Notitia Dignitatum (ed. Seeck) Occ. 4,8: 8524 Novellae posttheodosianae Anthemii 2.1: 19695 Maioriani 1: 19591 7 pr.: 10492 7.3: 19489 Theodosii 1: 25, 28, 32-35, 40101, 41 s., 59, 61 s., 100, 1218, 1229, 12518-20, 12623, 12727, 14489, 145 s., 156140, 172 s., 1748, 10, 175-181, 18355, 19798, 204-209, 227, 264 s., 266, 268 s., 270, 274 s., 276189, 278198, 280-286, 317 2 pr.: 1218, 12521, 12623, 17721, 265156 3: 1228 3.6: 19489 7.3: 19489 11: 30366 13: 30366 14: 30366 15.1: 30366 16: 30366 17.1 pr.: 19489 22.2.11: 19489 23 pr.: 19489 25 pr.: 19489 26 pr.: 19489 Valentiniani 1.1: 1217 1.3.4: 14178, 19489 2.3: 30062 6.1: 19696 6.2: 30061 7.2: 30060

339

7.2.4: 1749 10.4: 19489 12: 30062 15.2: 14178 26: 12623, 12727, 18666, 205, 208 s. 26 pr.: 18665 29.2: 19489 35: 148103 II. Fonti non giuridiche ACO (Acta Conciliorum Oecumenicorum) 2.3.1-3: 24193 Acta Sanctorum Acta S. Restituti 7.11-13: 13452 Vita Sancti Fulgentii 1.37: 13452, 137 Ambrosius Epistulae 17.13: 165167 Anecdota (ed. Heimbach) III Edicta praef. praet. 19: 9982 Anonymus De rebus bellicis 21.1: 1202 Anonymus Valesianus 65: 137 66: 13452, 137 Athanasius Apol. ad Const. 4: 263151 Augustinus Breviculus collationis cum Donatistis

Indice analitico: fonti

340 1.9.9: 9042 1.9.12: 9042 2.2.2: 111120 2.2.8-9: 111120 2.3.12-13: 9672 2.3.14: 9351 2.3.35-37: 9670 3.1.2: 111120 De civitate dei Praef.: 9043 Enarrat. in psalm. 56.9: 255132 Epistulae 1*/A 1-2: 22023 158: 108103 160: 108103 161: 108103 163: 108103 (Ps.) Aurelius Victor Epit. de Caesar. 18.1.6: 161151 Cassiodorus Variae 1.4.18: 19692 3.31.2:19591 4.30: 13452 5.41.5: 248117 9.15.11: 201108 9.16.2: 19591 s., 201108 9.16.3: 201108 9.19.3: 19182 10.7.2: 248117 11.18: 249 11.19: 248117, 249, 252 11.21: 249 11.22: 252 12.22.5: 248117 Cassius Dio Historia romana 61.20.4-5: 152121

Chronica Gallica s.a. 438: 199102 Chronicon Paschale (ed. Dindorf) s.a. 437: 1203 Cicero Pro Sulla 14.41-42: 8628 in L. Catilinam 3.4 ss.: 815 Claudianus In Rufin. I: 19798 Collectio Avellana 14.1: 8318 14.8: 8318 15.1: 8318 16.8: 8418 19.3: 8418 34.4: 8418 103: 109104, 155137 Eusebius Caesariensis Vita Constantini 4.36: 263151 Excerpta Sangallensia s.a. 429: 13348 FIRA vol. I 30-40: 8734 45-48: 8838 47: 8735 49: 10388 vol. III 58: 113126 172: 112123 174: 112123 176: 112123

Indice analitico: fonti Gesta conlationis Carthaginiensis 1.1.1-19: 109109 1.1.13-17: 9044 1.2.1-2: 110116 1.2.4: 9248, 110112 1.2.5: 9248 1.3.16: 111118 1.4: 110110, 24192 1.4.70: 110117 1.5: 110110 1.6.2: 110117 1.10: 9046, 9668 1.10.72-73: 9460 1.10.85-97: 9669 1.10.88-89: 9354 1.10.100-102: 9355 1.14: 110110 1.16: 110110 1.18: 110110 1.20: 8942 1.40: 8942 1.55.3: 110114 1.55.4: 110114 1.55.5: 9248, 110114 1.55.6: 9248, 110114 1.57.1: 111118 1.58.2: 110117 1.99.8-10: 110112 1.132-133: 9351 1.151.2-3: 110117 1.217.14: 9248 1.222: 9353 1.222.8-10: 9669 1.223.10-11: 9562 2.4-5: 110115 2.43: 9249 2.45: 9457 2.53: 112124 2.54: 112124 2.55: 112124 2.61.23-25: 9460, 9670 2.62: 9460, 9670 2.63: 9460, 9670 2.64: 9670, 9773

341

2.71: 111120 2.73.5-6: 9565 2.74: 9671 3.3: 111120 3.4: 111120 3.4.7-10: 9567 3.5: 111120 3.6: 111120 3.6.2: 110117 3.24: 110110, 24192 3.29: 110110 3.240: 9248 3.272: 9248 Gregorius I Magnus Hom. in Ezechiel. 2.6.22: 13868 Hieronymus Commentaria in Evang. Matthaei Prolog.: 9879 De viris illustribus 35: 22333 Iohannes Lydus De magistratibus 3.9-10: 255134 Isydorus Hispalensis Originum s. etymologiarum libri 1.22: 9249 1.23: 260144 Sacror. concilior. nova et ampliss. collect. (ed. Mansi) vol. III 601A: 109104 vol. IV 1110A: 24086 1111D: 24086 1118D: 24086 1123A: 24090 1130C: 24086 1378C: 24086

Indice analitico: fonti

342 1351D: 24089 vol. V 278E: 24086 966D: 24086 1009D: 24086 1083B: 24086 1291A: 24087 vol. VI 587A: 24086 s. 614A: 24086 892C: 24089 939A-B: 14075 959C: 246115 Marcellinus Comes Chronicon s.a. 437: 1216 Plinius Jr. Panegyrici 75.1: 818 75.2: 818, 152120 Epistulae 4.9.18: 152120 Plutarchus Cato minor 16.3: 8734 Polemius Silvius Laterculus IV: 13347 Prudentius Peristephanon 9.23: 9249 Contra Symmachum 1.599-607: 13868 1.608-615: 202111 Salmo di Davide 8.2: 48 Seneca

Epistulae 90.25: 9249 Servius ad Aen. 1,697: 12931 SHA (Scriptores Historiae Augustae) Alex. Sev. 6.2: 106, 12931 6.3: 153124 7.1: 106 7.5: 153124 7.6: 153124 8.1-2: 106 9.1: 106 9.5: 106 10.8: 153124 56.9: 153124 Claud. 4.2-4: 154134 Comm. 18.10: 153124 18.15: 153124 19.7: 153124 Gord. 12.3: 8528 Heliogab. 4.1-2: 8838 Max. 16.1: 106, 12931 16.3: 153124 Tac. 5.1-2: 154134 Valer. 5.4: 106, 12931 5.8: 106 Socrates Scholasticus Historia ecclesiastica 22.13: 1203 Svetonius Aug.

Indice analitico: fonti 35.3: 12829 36: 817 58: 152119 Caes. 20: 804 Calig. 15.5: 158143 Domit. 23: 152119 Nero 46.3: 152119 Tiber. 73: 8212

Tacitus Annales 5.4: 8110 15.74.3: 803 Themistius Orationes 4.59d-60c: 263152 Zosimus 5.29.6: 13661 III. Fonti epigrafiche CIL

Symmachus Relationes 3: 8215, 19077 8: 19080 s. 8.3-4: 8317 s. 9.8: 8317 13: 8317 23: 13454 23.11-12: 8317 24: 8318, 30365, 30673 42: 248 43: 8317 45: 8317 46: 8317 48.1: 19077 Epistulae 1.13.4: 8419 3.38: 8419 4.5.1: 8419 6.22.4: 8419 9.57: 249119

1, 1 n. 21: 12829 1, 1 n. 22: 13039 6, 4.2 n. 31959: 8733 6, 4.3 n. 37114: 8733 8, n. 270: 8735 11, 1 n. 3614: 104 IV. Fonti papirologiche P. Lond. 2485: 74202 P. Oxy. 1813: 263150 P. Tjäder 4-5 A-B: 113126, 128 7: 113126, 128 8: 113126 10-11 A-B: 113126, 128, 114129 12: 113126, 114128 s. 14-15 A-B: 113126, 114128 31: 113126, 11428

343

Indice analitico: manoscritti

Basel, Universitätsbibliothek C III 1: 62147, 265155, 266 s., 269-273, 275 s., 282 s., 284 Bern, Burgerbibliothek Lat. 263: 272 s.

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Lat. 5766: 165 Reg. lat. 886: 152, 4, 61144, 74203, 74204, 2143, 260147

Milano, Biblioteca Ambrosiana A 47 inf.: 47116 C 29 inf.: 16 s., 18, 21, 2210, 23, 2420, 25, 2630, 27 s., 2945, 47, 30, 32, 3583, 37-77, 79, 124, 13142, 132, 166, 210147, 235 s., 264 s., 266 s., 275, 279, 282, 284, 286 s., 29318, 296, 30774, 317 C 75 sup.: 47116 D 94 sup.: 47116 Oxford, Bodleian Library Arch. Seld. B. 16: 61144, 62147, 265155, 266 s., 276-282, 284

Gotha, Forschungs- und Landesbibliothek memb. I 84: 271, 273-276, 282 s.

Paris, Bibliothèque Nationale 1339: 64152 9643: 165

Ivrea, Biblioteca Capitolare 17/XXXV: 2420

Torino, Biblioteca Nazionale D V 19: 55130

Indice analitico: nomi e autori Abthartius, comes Or.: 251121 Adriano, praef. praet.: 166169 Aetius, archid.: 246115 Agati, M.L.: 43107 Agostino, vesc.: 88, 9042 s., 170, 218, 21917, 220, 255132 Agrippina: 154133 Alarico I: 86, 133, 13661 Alarico II: 16, 266, 269, 282, 285 Albino, praef. praet.: 12623, 18666, 300 Alciato, A.: 271 Aldrete, G.S.: 152118 Alessandro, imper. di Russia: 213, 31 Alföldi, A.: 153126 Ambrogio, vesc.: 165167, 218 Amerbach, B.: 271, 272180, 273 Anastasio, constitut.: 129, 139, 141, 164, 167 s., 203, 226 s., 228, 233, 235 s., 238, 23984, 241 s., 243 s., 245 s., 247, 252-258, 265157, 286212, 288-295, 298, 303 s., 306 s., 30976 Anastasio, imp.: 164, 290 s. Anicius Acilius Glabrio Faustus: 18, 3685, 79, 99 s., 114131, 115 s., 118-129, 131136, 139, 141-144, 146-151, 155-158, 160, 162, 168, 172, 177, 18247, 53, 18359, 185, 18768, 194, 19799, 201-203, 206126, 208, 213, 215, 225-230, 243-246, 252 s., 255 s., 257, 259, 262, 264, 290, 299 s., 302, 304 s., 306, 316 Anthemio: 279 Antonia: 154133 Arangio-Ruiz, V.: 18359 Arcadio: 8318, 8523 Archi, G.G.: 1218, 12210, 14490, 14595, 14697, 1722, 209

Arnheim, M.T.W.: 1215 Arns, E.: 9045, 9352, 9774, 17724, 22125, 22226, 28, 30, 22333 Ashby, Th.: 13453 Athalarico: 19182, 19591 s., 201108 Augusto: 81, 8215, 8630, 12829 Baccari, M.P.: 13867 Bagnall, R.S.: 13143 Baldung, P. H.: 272180 Baldwin, B.: 152118, 153122, 124, 158142 Barker-Benfield, B.C.: 277195 Baro de Crassier, W.L.D.J.: 33 s., 14387, 14594, 150112, 151116, 242, 256137, 29318 Bartoli, A.: 8630 s., 8733, 13559, 13764, 159145 Batiffol, P.: 108101 s. Battelli, G.: 49120 Baudi di Vesme, C.: 2628, 34 s., 38, 55129, 68 s., 73199, 1204, 13451, 164161, 165, 181, 236-239, 241, 29217, 293, 296-299, 301-305, 31078 s., 311 Beck, J.L.W.: 2737, 3368 Bellicius: v. Iunius Valerius Bellicius Beronicianus, secr. s. consist.: 246115 Beronikianos: 258140 Bianchi Fossati Vanzetti, M.: 19590, 19797, 198100, 31487 Bianchini, M.: 13039 Bietenholz, P.G.: 271172 Bluhme, F.: 26, 2732, 2840, 29 Bollati, E.: 55130 Bonfante, L.: 8631 Bonfante, P.: 17616, 177, 18768 Borromeo, card. F.: 38, 46 s. Brandi, K.: 109104, 155137

346

Indice analitico: nomi e autori

Brandt, H.: 1202 Bresslau, H.: 108101, 109105 Bretone, M.: 18461 Breveglieri, B.: 74202 Briquet, C.M.: 43 Büchner, K.: 21814 Buckler, W.H.: 200105 Burian, J.: 152118 Burr, V.: 2167 Buttmann, Ph.: 26, 2841 Caballos, A.: 819, 154133 Caimi, J.: 255134 Caltabiano, M.: 21917 Campolunghi, M.: 13970 Cappelli, A.: 56132 s., 13039 Caravale, M.: 73202 Cassiodoro: 13452, 249, 251, 274184 Catilina: 80, 8628 Catone il Giovane: 8734 Catone il Vecchio: 277 Cavallo, G.: 74202, 2142,4, 2156, 2167, 217, 21812 s., 14, 21918 s., 22227, 263152, 264153 Cerami, P.: 245110 Ceriani, abate: 67162 Cervenca, G.: 18459, 18768, 245109 s., 111, 246112 Cesare: 80 Chansonnet, C.: 271, 272180, 273181 Chastagnol, A.: 8213, 8422, 8632, 1205, 13454, 14178, 154129 Cicerone: 37 s., 80, 9249 Cipriani, R.: 66160 Classen, P.: 8526, 9775, 10184, 10286, 10694, 116136 Claudio: 154133 Clearco, praef urbi: 263152 Cleopatrus, praef. Aug.: 251121 Clossius, W.F.: 21-34, 36, 38, 44, 66, 67164, 68, 74, 133, 164, 180 s., 23059, 236, 23777, 23881, 242, 288-290, 29218, 29639, 317 Cochlaeus, Joh.: 274 s., 283-285 Condello, E.: 50125

Conrat (Cohn), M.: 2420 Cornelio Nepote: 277197 Costantino, imp.: 16, 82, 8316, 9982, 13866, 147101, 17513, 18973, 19081, 19489, 263151 Costantino, praef. praet.: 9982 Costanzo II: 13972, 14075, 19078, 263151 s. Coudry, M.: 816, 11, 8839 Creifelds, C.: 17935 Crescenzi, V.: 55130, 12311, 12622, 13660, 14077, 155139, 167175, 1748, 18460, 199104, 224, 22542 s., 22849 s., 22953, 23058, 23162, 23264, 257137 s., 258139, 264154 Cristina, regina di Svezia: 152 Cuiacio, J.: 152 Danielou, J.: 54128 Daremberg, Ch.: 802, 12829 Darete Frigio: 277 Dario, praef. praet.: 122, 14697 David, M.: 153 Davidson, T.S.: 70176, 180, 72187, 194, 10184 s. , 14384 s. Davy, M.M.: 55128 De Francisci, P.: 13346, 13453, 18359, 18768 s., 22647 De Giovanni, L.: 17831, 18459 Dekkers, E.: 22022 de la Mare, A.C.: 277195 De Marini Avonzo, F.: 211, 225, 12726, 13037, 14489, 14697, 17619, 18459, 202110, 205120, 2142, 22021, 23366, 23775, 261148, 30057, 30976 De Martino, F.: 17831, 18358 De Prisco, A.: 49122 De Rossi, G.B.: 13453 De Ruggiero, E.: 802, 8111, 8736, 13453 Dessau, H.: 10695 Deutscher, Th. B.: 271172 Diocleziano: 8632, 87133 Dione Cassio: 152 Dobneck, Ioh.: v. Cochlaeus, Ioh. Dolezalek, G.: 66159, 272176 Domiziano: 8630

Indice analitico: nomi e autori Donato: 88 Dondin-Payre, M.: 1205, 13556 Dovere, E.: 3267, 3788, 14593, 95, 14699, 150112, 17830, 282199, 284207, 285208 Druso: 154133 Du Caurroy, A.M.: 2523, 3158, 60, 164, 182, 23059, 242, 256137 Du Tillet, J.: 152 Eck, W.: 819, 154133 Eliano, proc. Afr.: 9982 Eliogabalo: 8838 Enßlin, W.: 1192, 1203, 22852 Erasmo da Rotterdam: 271 Eudoxia: 120 Eusebio, vesc.: 240 Eusthatius, vic. Asiae: 251121 Eutropio: 277 Evodio, vesc.: 108103 Ezio: 139, 158, 159145 Farmer, D.H.: 277196 Fausto: v. Anicius Acilius Glabrio Faustus Fedeli, P.: 2156, 2167 s. Fernández, F.: 819, 154133 Ferrari, M.: 46113 Filip-Fröschl, J.: 17935 Firmus: 220 Flavio Marcellino, trib. et not.: 90, 92, 94, 9567, 96, 110110, 112124, 240, 264 Flavio Paolo, praef. urbi: 115132, 129, 13349, 139, 155, 158, 233 Florenzio, praef. praet.: 122, 125, 173, 18142 Fortunaziano, vesc.: 9567 Fraschetti, A.: 13661 Frezza, P.: 18769 Fridh, Å.J.: 201108, 249120 Fry, G.: 8632 Froben, Ioh.: 272180 Gaio: 15, 22, 278 s. 68 177 Garbarino, P.: 138 , 168 , 18870, 79, 81 84 88 190 , 191 , 194

72

,

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Gatti, G.: 13453 Gaudemet, J.: 40101, 108101, 18359, 18664, 19797, 205120, 243, 260145, 265158 Gengaro, M.L.: 66160 Germanico: 154133 Giardina, A.: 2156, 245109, 251121 Giordane: 277 Giovanni, papa: 201108 Girolamo: 9879, 218, 220, 22125, 22226, 28, 22333 Giulia Augusta: 154133 Giuliano, imp.: 8525, 102, 166169 Giuliano, pittore: v. Julianus Giulio Capitolino: 8528 Giustiniano: 20, 23, 54, 147101, 166169, 169, 199, 260143, 263, 269, 278, 280, 285 Giustino: 277 Gordiano: 8528 Gotofredo, J.: 27, 2943, 12211, 1733, 17615 Graesse, J.G.Th.: 56135 Graziano: 8215, 102 Gregory, K.: 44110 Grelle, F.: 245109 Grosso, G.: 18359 Guarino, A.: 18461, 266 Guenther, J.: 271172 Guidobaldi, F.: 13453, 55

Haimo Floriacensis: 277 van Hall, J.: 166168, 291, 29639 Hänel, G.: 2626, 28, 30 s., 34 s., 37 s., 64150, 66 s., 69174, 73200, 74 s., 133, 150, 164, 167, 236, 238, 271174, 272176, 179, 276193, 277194 2883 s., 292-294, 296 s., 299, 30976, 31078 Harries, J.: 76216, 168176, 17618, 260145 Haubold, Chr. G.: 25 Havet, L.: 70175 v. Heintze, H.: 8631 Hesychius, proc. Ach.: 251121 Hirschfeld, O.: 152117, 153122, 155135 s. Honoré, T.: 1217, 14596, 1734, 208137, 209

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Indice analitico: nomi e autori

Hopf, C.: 272176 s. Hugh di Fleury: v. Haimo Floriacensis Hugo, G.: 21 s., 25, 27, 2841, 17615, 182 Humbert, G.: 802, 816 Hunger, H.: 2167 Ilsungus, S.: 272178 Ireneo: 22333 Isidoro di Siviglia: 260, 277197 Isidorus, praef. praet.: 251121 Iunius Pomponius Publianus: 115132, 129, 139 Iunius Valerius Bellicius, praef. urbi: 8733 James, M.R.: 277196 Jones, A.H.M.: 1205, 1229, 13973, 254128, 255133 s., 30059 Jörs, P.: 17615, 182, 19285 Julianus, pictor: 47 Kantorowicz, H.: 70175, 71184 Karlowa, O.: 17514, 17617, 177, 17934, 182 Keil, H.: 29746 Ker, N.R.: 277195 Killy, W.: 212 Klauser, Th.: 152118, 153123 Klein, R.: 8215 Klenze, C.A.C.: 26, 23672, 289, 291, 29318, 29639 Krekler, I.: 2524 Kristeller, P.O.: 66160 Krüger, P.: 2313, 31, 37, 3896, 61141, 72187, 1215, 169178, 17616, 177, 17934, 183, 18768, 237 s., 276, 283, 30468, 31078 Kubitschek, W.: 802 Kübler, B.: 9564, 18459, 18769 Lambertini, R.: 269167, 282201 s., 285210 Lancel, S.: 8840 Lanciani, R.: 8629 s., 13453 Landsberg, E.: 212, 2312 Lanza, C: 13037, 14489, 202110, 2142, 22021 Lauer, Ph.: 64152

Laurentius, excep. senat: 116, 118, 12936, 130, 162 s., 238, 289, 294 s., 297, 29847, 302, 306 Lehmann, P.: 272180 Leone, imp.: 29430 Leone Magno: 240, 246115 Leontius, praef. urbi: 251121 Libio Severo, imp.: 29430 Liebs, D.: 2420, 17620, 17723, 18768, 207132, 209, 260147, 271174, 272179, 282200 Lindsay, W.M.: 29746 Lippold, A.: 13037 Liverani, P.: 13762 Livia: 154133 Lord, C.: 8631 Lowe, E.A.: 74202 Lugli, G.: 8631, 13453 Lutero: 274184 Luts, M.: 2522 Lydus, Ioh.: 255134 Maas, P.: 40103, 65153 Mader, P.: 17935 Maffei, S.: 153 Magistrale, F.: 74202 Magnus, senatore: 18976 Mai, A.: 22, 38 Maier, Chr. Ioh. C.: 2312 Maioriano: 10492, 279, 29430 Mallon, J.: 9147 Marcellino: v. Flavio Marcellino Marchetti Longhi, G.: 13454 Marciano: 241 Mari, P.: 165, 2313, 70175, 71184, 74202, 23162, 256137 Marini, G.: 112122, 125, 113126 Marotta, V.: 1192, 12313 Marrou, H.-I.: 152118, 21917 s., 20, 22024 Martindale, J.R.: 1205, 1229, 30059 Martinelli, N.: 40103 Martino, constitut.: 129, 139, 141, 164, 167 s., 169, 203, 226 s., 228, 233, 235-

Indice analitico: nomi e autori 238, 23984, 242-247, 252-258, 288-295, 298, 30057, 303-307, 30976 Martius: v. Martino Massimino, vesc.: 22957 Matthews, J.: 13037, 13557, 14077, 155, 157141, 159, 161152 s., 168176, 17933, 18459, 202111, 207132, 209, 22851, 22956 s. , 23365, 244, 246 Mazzarino, S.: 14178 Mentz, A.: 9249 Meyer, E.: 3267, 36, 271174, 272176, 276, 283 Mócsy, A.: 24194 Modestino: 163157 Mommsen, Th.: 165, 8, 20, 2317, 2420, 35 s., 38, 40, 50124, 57, 62147, 66, 68, 69174, 70176, 71186, 74 s., 76, 77216, 802 s., 9460, 9563, 9877, 10185, 1191, 1215, 12210 s., 123, 12415, 128, 12934, 130, 13142, 14180, 14283, 143, 155135, 156140, 159146, 163158, 165, 167, 169178, 17614, 182 s., 184, 19082, 19285, 193, 228, 23058, 23367, 235-238, 24192, 242 s., 245, 257, 258140, 265157, 268164, 271174, 272176, 178 s. , 275187, 276, 286212, 29531, 29746, 299, 301-305, 307, 31078, 311 s. Moreschini, C.: 17831, 21917 Moscati, L.: 153, 211 s., 228, 10, 2624 s., 28, 30, 3371, 75, 3476, 79, 3580, 3897, 29217, 29634, 37 , 29744, 29955, 30056 Munk Olsen, B.: 276193, 277194 Musca, D.A.: 18871 Näf, B.: 137 Nash, E.: 8631 Nectarius, vic. Pont.: 251121 Nelson, H.L.W.: 153 Nicolaj, G.: 74202, 76217, 2131, 22953 Niebuhr, B.G.: 152 s., 22, 28 Noailles, P.: 170180 Nörr, D.: 1202 Nurchi, P.: 46113 O’Brien Moore: 802, 10796, 154128

349

Olgiati, A.: 2315, 38, 46 s., 57136 Oliver, J.H.: 10389 Onorio: 8318, 89, 109110, 13661, 166169, 240, 250, 254, 256 Origene: 21919 Orosio: 277 Osiander: 2841 Palmer, R.E.A.: 10389 Paolo: v. Flavio Paolo Paolo, giurista: 259141, 260, 278 Paolo Diacono: 277 Papiniano: 260, 279 Paredi, A.: 46114 Paschoud, F.: 8632 Pasquali, G.: 70177 Paterio, praef. praet.: 287, 300, 308 Patetta, F.: 53127, 55130, 66 s. Pedio: 260141 Petiliano: 9249, 110115 Petretti, E.: 13973 Petroniano, cornic.: 248 Petronio Massimo, praef. praet.: 1205 Petrucci, A.: 3790, 41106, 45111, 49120 s., 21815 s. Peyron, A.: 2625, 27-30, 34, 61141, 23673, 31181 Pharr, C.: 13346, 14491, 14697, 285209 Pietro: 13662 Platner, S.B.: 13453 Plinio il Giovane: 152 Plutarco: 8734 Pollack: 9563 Pratesi, A.: 48119 Pretestato: 8318 Prudenzio: 13868, 202111 Publianus: v. Iunius Pomponius Publianus Puggaeus: v. Puggé Puggé, E.: 30, 33 s., 2895, 29318, 29639 Purpura, G.: 1228 Quadraziano, praef. praet.: 300 Quintiliano: 249

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Indice analitico: nomi e autori

Reginus, praef. praet. Ill.: 251121 Reiner, J.M.: 1203 Richardson jr., L.: 13453 Rodella, M.: 46114, 47117, 58139 Rodinò di Miglione, A.: 14076, 154130 Roueché, Ch.: 152118, 154131, 155136 Ruetche, Y.: 8632 Rusticus: 24193 Sabbadini, R.: 66159 Saglio, E.: 802, 12829 Salvenzio, praef. urbi: 19591 Sandulli, A.M.: 17936 Sargenti, M.: 17831 v. Savigny, F.C.: 152 s., 22, 25 s., 2732, 2840 s., 29, 3160, 55130, 164, 166, 167171 s. , 23672, 23773, 76, 238, 258140, 287 s., 2896, 290-296, 298 s., 301, 306, 31078 s. Scherillo, G.: 38 s., 68, 74 s. Schermaier, M.J.: 1203 Schiaparelli, L.: 260142, 29746 Schmidt, J.: 152118 Schrader, E.: 21 s., 2312, 25, 2841, 164163, 290 s., 29639 v. Schröter, A.W.: 151, 40104, 14387 s., 14698, 147100, 102, 29639 v. Schwind, F.: 19797 Seeck, O.: 1216, 13143, 13348 Seider, R.: 112122 Selden, J.: 277 Settimio Severo: 134 Severo: v. Libio Severo Shiel, J.: 56131 Sichardus, Joh: 3268, 266, 270 s., 272, 274184, 275, 284 Sidonio Apollinare: 18976 Sieben, H.J.: 108101, 109106-108, 111119, 121 Simmaco: 8215, 8318, 84, 8632, 13454, 165167, 19077, 80 s., 248, 30366 Sirks, A.J.B.: 40101, 1217, 12311, 12727, 13037, 13140 s., 14075, 14491, 14593, 171, 17512, 17618, 20, 17723, 17832, 17933, 18462, 18667, 18768, 19387, 197 97 ,

201108 s., 203 112 , 204-211, 260 147, 265158, 285208, 286211 Solazzi, S.: 260146 Soverini, P.: 10695 Sozomeno: 22957 Spangenberg, E.: 112123, 125, 113126 Sperandio, M.U.: 3687, 2142 Stein, A.: 802, 8527, 8628, 9775, 9881, 10492, 10694, 155135 Stein, E.: 255134 Steinby, E.M.: 13453, 55 Steinwenter, A.: 803, 8839, 8941 s. Stilicone: 13661 Stintzing, R.: 272180 Strategio, com. sacr. larg.: 169 Strauch, D.: 2628, 2732, 2840, 2945, 47 Stubbs, W.: 276193, 277196 Sunyol, D.G.M.: 64151 Svetonio: 804, 152, 158143 Tacito: 803 Tafel, Th.L.F.: 22, 2312, 2841, 2895, 29318 Talamanca, M.: 18459 Talbert, R.J.A.: 802, 8110 s. Tantillo, I.: 18976 Teitler, H.C.: 8527, 8840, 9043, 45, 108103, 254130, 258140 Temistio: 263152 Tengström, E.: 8840, 9249, 9352, 9566 Teodorico: 13452, 136 s., 19591 s. Teodosio I: 8318, 102, 10695, 19798 Teodosio II: 16-20, 24, 2947, 31-33, 35 s., 37, 61, 63, 79, 8418, 9879, 100, 102, 115, 172-175, 177, 181, 183, 185-187, 192, 194, 197, 200, 203-205, 206126, 208211, 215, 224, 228, 230, 232, 239-241, 248, 250 s., 253, 257, 262, 265-275, 278-286, 302, 308, 316 s. Teodoto, praef. urbi: 8523 den Tex, C.A.: 166168, 291, 29639 Theodotus, comes Aeg.: 251121 Thomson, R.M.: 277195 s. Tiberio: 819 s., 8212, 154133 Tirone: 9249

Indice analitico: nomi e autori Tjäder, J.-O.: 112 Traiano: 81 Traube, L.: 29746 Ulpiano: 153, 9563, 163, 260 Valente: 9147, 253127, 263152 Valentiniano I: 9147, 263152 Valentiniano II: 8215, 8318, 165167 Valentiniano III: 17, 19 s., 24-26, 3160, 32-37, 61, 8420, 9879,1192, 120, 1217 s., 122, 12311, 126, 12725 s., 27, 131 s., 13345, 139, 141, 14595, 14697, 148 s., 158, 159145, 160, 165, 167 s., 1711, 1734, 181, 18248, 18459, 186 s., 189, 19078, 192 s., 19590, 19797, 201109, 203, 204116, 206-210, 213, 216, 226 s., 234241, 243 s., 248, 253 s., 259, 261 s., 264 s., 269, 279, 285209, 286-288, 292, 29324, 295, 298, 300 s., 304 s., 307 s., 309, 31182, 315, 317 Valerio, mag. off.: 251 Vano, C.: 153, 211 Vera, D.: 8214 s., 8318, 13454, 248118 Veroniciano: 139, 14077, 203, 226 s., 228, 22953, 244 s., 252 s., 258 Villa Guglielmetti, G.: 66160 Vischer, E.: 2843, 2944 Vismara, P.: 152118 Volterra, E.: 153, 3267, 38 s., 62145, 147, 75, 12932, 14490, 17618, 18871, 244, 256137,

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261, 266-271, 272180, 274 s., 276, 282 s., 284, 30774, 317 Walters, D.: 76216 Warnkönig, L.A.: 2735, 3686, 1218, 12725, 13037, 17514, 181 Watson, A.G.: 277195 Wenck, K.F.Ch.: 30, 33 s., 66, 68, 73201, 74, 75213, 133, 13974, 164163, 2895, 291, 29318, 29639 Wenger, L.: 802, 8942, 1734, 177, 205120, 243101 Wetzler, Ch. F.: 17618, 18872 Wieacker, F.: 2142, 2167, 21813, 22646, 259141, 260145 Wieling, H.J.: 1203, 1218, 1229, 11, 13974, 14489, 157141, 161151, 153, 18459 s., 18666, 23263, 244 Wiemer, U.-H.: 151114, 152118, 157141, 158144, 159147, 160149, 161152 Wikenhauser, A.: 9249 Wilcken, F.: 26 Willelmus Malmesburiensis: v. William of Malmesbury William of Malmesbury: 277 s., 279, 281, 285 Winkel, L.C.: 1203 Witte, K.: 276193 Wood, I.: 76216, 168176 v. Wretschko, A.: 2420, 76216 Zasius, U.: 272180

Indice analitico: luoghi e cose notevoli

ab actis: 81 s., 85, 88 abbazia di Cluny: 54128 abbazia di Malmesbury: 277 abbreviazioni - in generale: 27, 47 s., 69, 71 s., 73, 124, 131 s., 214, 239, 254, 256, 259 s., 263 s., 297, 301, 304 - per contrazione: 72, 287 - per sigle: 72 - per troncamento: 72 Acilii: 1215, 135 acclamazioni - in generale: 8318, 111119, 152, 155 - del senato: 19, 97, 106 s., 108, 111, 116 s. 118 s., 128, 138, 13974, 14075, 142 s., 14594, 148103, 149, 151-162, 182, 189, 191 s., 193, 201 s., 208 s., 213, 215, 226 s., 232 s., 234, 259, 261 s., 305 acta - conciliari e sinodali: v. gesta - diurna: v. acta urbis - magistratuali: 147101 - militari: 154132 - populi: 818, 13867 - senatus: v. gesta senatus - urbis: 105 Acutum: 67164 adclamationes: v. acclamazioni adiutores: 248, 250 s. adulterio: 31385 adventus di Teodorico: 136 aedes Telluris: 134 aerarium: 80, 250 aeternitas: 13970 Africa: 229 s., 243100 agentes in rebus: 8318, 248, 250 s.

Aguntum: 56135, 67164 Agutianellum: 67164 Agutianum: 67164 allegatio: 98, 107, 117, 142 s., 147 s., 165, 201 Alsazia: 43 altare della Vittoria: 8215, 8632, 165167, 19077 Anicii: 135 Antico Testamento: v. Bibbia Aquileia: 217 Aquitania: 50 archivio: 84, 8629, 31, 88, 98, 117, 165, 168, 197, 221, 223, 231 s., 23366, 242 arco di Settimio Severo: 134 arte romanica: 54128 Atrium Libertatis: 8631, 13345, 159145 Atrium Minervae: 8630 s. auctoritas: 1192, 12727, 176, 180, 186, 265 Auctoritas Alarici: v. Commonitorium A. augustales: 255 autenticità: 18, 90 s., 96, 99, 105, 123, 14077, 167, 169, 210, 215, 221-225, 22848, 22953, 230, 232, 234, 252, 259, 264 s., 286, 302, 309, 313 authenticum: 9564, 66, 254

Basilea: 62147, 266 s., 270 s., 272, 274 s., 276, 282 s. Basilica di S. Pietro: 13662 battaglia di Azio: 8215 Berlino: 21 Betica: 10387 Bibbia: 54128, 217, 21816, 22333, 263151 biblioteca

Indice analitico: luoghi e cose notevoli - in generale: 15, 22, 21710, 219, 223, 263152, 271, 277 - Ambrosiana: 22 s., 2522, 38, 41105, 42 s., 46 s., 57136, 58 - Apostolica Vaticana: 152 - Capitolare di Verona: 153, 22 - di Cesarea: 21919 - del Collegio Borromeo: 46114 - di Gerusalemme: 263151 - di Gotha: 271176 - di S. Stephan (Mainz): 274184 - di Torino: 27 - Universitaria di Basilea: 62147, 271174 - Universitaria di Marburg: 2522 Bizacena: 152118 Breviario Alariciano: v. Lex Romana Visigothorum breviatores: 169 s. Caere: 104 caesariani: 247 cancellarii: 251 cancelleria - in generale: 8734, 89 s., 9147, 93, 95, 98, 105, 107, 113, 130, 160, 165, 169 s., 198101, 199 s., 213 s., 215, 221, 229, 232, 234, 242, 249120, 251121, 261, 306, 313 - di Alarico II: 16, 61, 265 - di Giustiniano: 20 - del praef. praet.: 228, 242, 252, 256 - del praef. urbi: 8318, 168, 234, 246, 311 - di Teodosio II: 79, 122, 125, 143, 166, 215, 231 s. - imperiale: 82, 8318, 91, 12416, 14697, 147 s., 160, 165167, 168, 1749, 17512, 180, 18357, 189, 192, 194, 2131, 224 s., 228, 244, 246, 263, 300, 303 - senatoria: 18, 84, 8631, 87 s., 111, 116 s., 118, 124, 130, 133, 162, 169178, 265, 295, 315 - papale: 201108 Carinae: 134 Cartagine: 88, 108101, 220, 229, 240

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carte di guardia: v. manoscritto carte solidali: v. manoscritto cartulazione: v. manoscritto cautio: 9567, 110117, 111120 censuales: 85 Cesarea di Palestina: 21919, 263151 Chalcidicum: 86 chartularii: 86 chiesa dei SS. Luca e Martina: 8629, 31 chiesa di S. Pietro in Vincoli: 8733 clarissimato: 255 Cluny: 54128, 64 Codex Gregorianus: 2420, 3687, 17513, 206, 279 Codex Hermogenianus: 2420, 17513, 206, 279 Codex Iustinianus: 2419, 235, 278, 280 Codex Theodosianus - in generale: passim - approvazione (receptio): 20, 35 s., 12311, 149 s., 167, 171 s., 178, 180193, 195, 200, 204-209, 211, 316 - costituzioni programmatiche: 199, 20, 2947, 39100, 61, 9147, 100, 116, 128, 12932, 141-145, 150, 158, 185, 19799, 204113, 208, 211, 247116, 262 - index titulorum: 25, 33, 40101, 41 s., 5963, 64150, 265, 273 s., 286 - pubblicazione: 17, 19 s., 36, 791, 143, 167, 171 s., 173, 175-181, 183 s., 185, 193-204, 206, 210, 214, 244104, 260147, 261 s., 315 s. - recezione: v. approvazione codex unicus: v. testimone unico codices notarum: 92 codices tabularum: v. codices notarum codicilli: 123 codicologia: 39 cohortes urbanae: 248 Colle Oppio: 134 Collegio Borromeo: 46114 comes sacrarum largitionum: 169 commentarium - dei consoli: 80

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Indice analitico: luoghi e cose notevoli

- del senato: 803, 98 - cottidianum: 104 s. Commonitorium Alarici: 269, 273 s., 278, 282, 285 compilatori visigoti: 63148, 282 concilio - in generale: 101, 107, 108101, 109106, 12931, 149, 239 - di Antiochia: 23985 - di Calcedonia: 14075, 23985, 241, 246115, 258140 - di Efeso: 23985, 240 concistoro: 101 s., 258140 congiura di Catilina: 80, 8628 conscriptio: v. descriptio constitutionarii: 18, 20, 73, 115, 139, 14077, 141 s., 165 s., 167 s., 169178, 170, 185, 199 s., 203, 205 s., 227-261, 264 s., 286, 289-295, 298 s., 301, 304-314, 316 s. consulares: 232 contromarca: 43107 cornicularius: 72, 248 s., 252, 255134 Corpus Iuris Civilis: 23, 269, 285 correctores: 232 Costantinopoli: 18 s., 8523, 119 s., 12210, 128, 12932, 149, 173, 182, 210, 22542, 228, 251, 253127, 263151 s. costituzioni Sirmondiane: 279 Cristianesimo: 217 Cristiani: 130, 217, 255132 culpa: 245, 247 s., 249 s., 253 curator actorum senatus: v. ab actis curia - Iulia: v. curia senatus - municipale: 9881, 101, 104 - senatus: 8215, 85 s., 8733, 10796, 108102, 12829, 133 s., 135, 137, 159145, 165167, 166, 18976, 19077, 252 custodes: 92 s. decurioni: 105, 248 delatores: 153124 s., 156, 159145 deputati: 255

descriptio: 93, 96, 98, 9982, 163, 169179 diacono: 109108, 111 diocesi - africana: 22954, 232 - italiciana: 232 diplomatica: 2131 dittico di Probiano: 8527 divina providentia: 1192 divinatio: v. emendazione congetturale documento pubblico: 803, 8840, 101, 163, 165, 213, 215 s., 22953, 234, 296, 308 domesticus: 249, 251 Domus Aurea: 134 domus ad Palmam: 115, 129, 132-137, 252 donatisti: 8942, 9249, 9457, 59, 96, 110110, 115 , 112124, 166169, 240 donazione: 8523, 101, 112, 147101, 165 Dorpat: 21, 31 editio - in generale: 90, 94-96, 98, 9982, 111, 113, 198101, 199, 215 s., 21918, 242, 258, 264 - dei gesta senatus: 79, 98, 116 s., 118, 127, 129 s., 131 s., 151, 162-168, 16978, 238, 287 s., 290, 294 s., 297, 299, 302 s., 31487 - di libri: 2156 Egitto: 263150 eparca della Lydia: 200105 Epitome Aegidii: 272 s. Epitome Gai: 278198 erario: v. aerarium errori: 40 s., 48, 55, 64150, 65, 69-73, 124, 147100, 159, 222, 22331, 33, 236 s., 276189, 292, 297, 301, 305 Europa: 20, 46112, 114 exceptor - in generale: 8527, 8840, 90, 92 s., 9457, 95 s., 9774, 108 s., 111 s., 117138, 163, 242, 244, 254 s., 256 - senatus: 18, 85, 8628, 97 s., 116 s., 118, 124, 130, 141 s., 151, 162 s., 167172,

Indice analitico: luoghi e cose notevoli 238, 254129, 288 s., 291, 295, 297, 302, 306 exemplar: 9564, 163 s., 166169, 167, 169, 308 s. exemplum: v. exemplar falso - in generale: 8734, 9147, 94, 174, 307-314, 316 - lex Cornelia de falsis: 62 fascicolazione: v. manoscritto Fasti: 164 felicitas: 1192 festività liturgiche: 13039 fides (publica): 74, 9457, 228 s., 230, 250 s., 254, 258 s. filigrana: 43 fiscales: 8525 follis senatorio: 8523 formule - di giuramento: 158, 240 - di promozione: 249 Foro: 134, 13662 Francia: 229, 2523, 42, 49 s., 56, 64, 67 s. Frankfurt a.M.: 274184 Gallia: 229, 243100 Germania: 25, 43, 56, 67, 108101 Gerusalemme: 263151 gesta - municipalia: 9881, 104 s. - conciliari e sinodali: 109, 111, 14179, 149 s., 153127, 155, 170, 240 - senatus: 80, 82, 85, 97, 99, 105 s., 107, 111, 160, 166, 201108, 216, 265158, 315 - sen. Rom. de Theod. publ.: 16-19, 21, 24, 2523, 26, 31-37, 40 s., 42, 54, 57, 59, 61 s., 65, 70176, 79, 99 s., 101, 103, 10694, 109104, 114, 117, 119, 1218, 1229, 11 , 123 s., 127 s., 130, 132, 13349, 13556, 13867, 14283, 143, 14697, 147 s., 150 s., 152, 153124, 155, 158, 161-164, 166 s., 168, 170, 1711, 173, 178-183, 18976, 192 s., 201, 205, 207, 208136, 211, 213,

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228, 235 s., 238, 241-245, 254, 263 s., 265 s., 286-299, 301 s., 303, 305 s., 307, 309, 314-317 Giudaismo: 217 Giudei: 255132 glosse preirneriane: 55130, 69 Gotha: 271176, 275 Goti: 87, 133 Göttingen: 21 gratiarum actio: 154133 Hessen: 43 Illirico: 120 Inghilterra: 277 insinuatio: v. allegatio instrumentarius: 86 interpolazioni: 259 s. interpretatio visigotica: 24 s., 35 s., 37, 39100, 59, 63, 260, 274 s., 279, 282 s., 284 s. ipercorrettismo: 50123 Istituzioni - di Gaio: 15, 22, 2739, 278 s. - di Giustiniano: 23, 38, 41 s., 45, 53 s., 55, 57, 60, 65, 68 s., 76216, 22541 Italia - in generale: 18, 20, 22, 2522, 42, 49 s., 56, 67 s., 79, 119 s., 121 s., 126, 128, 131 s., 133, 13973, 148, 159145, 187, 194, 217, 225, 228, 242 s., 244, 246, 253, 256, 274184, 30059 - Annonaria: 13973 - Suburbicaria: 13973 Italica: 103 ius actorum conficiendorum: 313 Köln: 274184 legatura: v. manoscritto legatus Karthaginis: 90 legge delle citazioni: 8420 legge di Gregory: 44 s. leggi franche: 271

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Indice analitico: luoghi e cose notevoli

leggi germaniche: 271 Leipzig: 21, 3054 letterine-guida: 60 lex Cornelia de falsis: v. falso lex Iulia de senato habendo: 12829 Lex Romana Visigothorum: 16, 23 s., 25, 28, 32, 3582 s., 36 s., 40 s., 54, 56, 59 s., 63 s., 65 s., 68 s., 71-77, 166, 230, 265275, 277198, 278-285, 297 liber mandatorum: 123, 199 s. librarii: 8525, 9249, 255132 libri d’ore: 48 licentia: 231, 234 s., 253, 258 s., 308 s., 310, 313, 316 lingua romanza: 50, 70 lis mota: 18977 lisière: v. manoscritto Littera Florentina: 74202 litterae caelestes: 9147 litterae communes: 9147 Lydia: 200105 Lyon: 64 maculature: v. manoscritto magister census: 85 magister officiorum: 82, 251 magister scriniorum: 258140 magister utriusque militiae: 139, 158 Mainz: 274184 Malmesbury: 277 manoscritto - carte di guardia: 42 s., 44, 57 - carte solidali: 45 - cartulazione: 43 s., 272176, 273182 - composito: 37, 42, 44, 51, 65 - dorso: 46 - fascicolazione: 42, 44 s. - fogli arrangiati: 52 - foratura: 52 - giustezza: 52 s., 59, 62 - intercolumnio: 51 s., 53, 55, 59 - lato carne: 45110, 50 - lato pelo: 44, 45110, 50, 52 - legatura: 42 s., 45 s.

- lisière: 50 - maculature: 46 - mise en page: 28, 21812 - nervi: 46 - organizzato: 37 - palinsesto: 22 - piatto: 45 - rasura: 48 - ribadimenti: 52 - richiamo: 44 - rifilatura: 43 s., 52, 60140 - rigatura: 52 s. - risguardia: 42, 44 s., 51, 58 - segnatura di fascicolo: 51 s., 76 - segno di richiamo: v. segno di rinvio - segno di rinvio: 55, 57 - smarginamento: 52 - specchio di scrittura: 42, 52 s. - taglio di piede: 44 Marburg: 2522 Medioriente: 46114 Milano: 22, 25 s., 27, 41105, 42, 8215, 217 miniatore: 59, 63, 72196 monete alterate: 313 Mons Acutus: 56135 Mont Agut: 56, 67 Monte Acuto: 67164 mutamenti fonetici: 50, 68 Murbach: 269, 272 Napoli: 217 neglegentia: 31284 neumi: 50, 64, 68 Nicomachi: 21814 nomina sacra: 48, 29746 Nordrhein-Westfalen: 43 nota d’acquisto: 47, 58 notarii - in generale: 8527, 9563 - ecclesiastici: 90, 108, 111, 163 notae - iuris: 27, 55, 69, 72187, 73, 156, 226, 254, 256, 259 s., 263, 297, 304 - tironiane: 49, 73, 8527, 92, 97

Indice analitico: luoghi e cose notevoli - tachigrafiche: v. notae tironiane note dell’Olgiati: 57136 notio: 127, 194, 196 notitia: 17512, 194 s., 196, 201108 Notitia Dignitatum: 1192, 235, 246 Novalesa: 64 Novelle post-teodosiane: 32, 35 s., 62147 s., 17512, 19590, 19797, 265 s., 267, 269 s., 274 s., 276, 278198, 279 s., 282-285 nozze di Valentiniano III: 1192, 120 s., 14697, 208134 officina libraria: 42, 217, 219 officium censuale: 85, 112 onciale 'B-R': v. scrittura opere di Cicerone: 23, 37 s., 41, 47116, 52, 57 s. oratio principis: 84, 8526, 9876, 103, 107, 149110, 150, 153, 182, 18357, 188-190, 192 s., 195, 203, 204113, 258140 ordo dignitatum: 139 ordo equester: 154133 Oxford: 3157, 266, 276

Padri della Chiesa: 217 s., 220 palatini rerum privatarum: 248 palatini sacrarum largitionum: 248 ad Palmam: 132, 137 particolarità ortografiche: 49, 68, 70, 1215, 236, 315 Pauli Sententiae: 2420, 272180, 273, 278 s. Pavia: 46114 plebs: 8418, 108102, 154133 poena sacrilegii: 310, 312 praerogativa sollemnis: 248 praesides: 232 precatio: 160, 18977 pragmatica sanctio: 18769 Presidente della Repubblica: 17936 prex: 240, 307 s., 310 primicerius notariorum: 22852, 258140 primiscrinius: 249, 255134 princeps ducenarius: 251

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Principato: 88, 106, 10796, 18871, 2179, 245 probatio: 251 s., 256 proceres: 115, 139 proconsul Africae: 90, 9147, 9982 proconsulares: 13972 programma: 9671, 9982, 166, 200, 243 Promulgationspatent: 176, 17725 s., 17934 propositio: 8421, 166169, 175, 198 Prosario dei Frati Minori: 64 prove di penna: 48 provincia d’Africa: 229 s. provisio: 127, 194, 257 Publikationspatent: 176, 17934 quaestor Augusti: 819 quaestores: 80 rabberciamenti: 71 Rappoltsweiler: 43 rasura: v. manoscritto Ravenna: 113126, 121, 13661, 217, 228 recensio: 2313, 40, 65 recognitio: 94 s., 114, 116 s., 118 registri - del censo: 83 - dei magistrati: 170 relatio: 8318, 107, 119, 121, 149, 157, 160, 165, 18768, 189, 206126, 208, 248, 30366, 306 restitutio natalium: 19081 Rhythmus in assumptione Mariae Virginis: 23, 41 s., 58, 61, 64, 66 Ribeauvillé: 43108 richiamo: v. manoscritto rifilatura: v. manoscritto rinascimento giuridico: 76 risguardia: v. manoscritto roboratio: 1749 Roma: 152, 16 s., 19 s., 24, 61, 74, 79, 82, 8523, 86, 8733, 99, 104, 108101, 109104, 119, 121, 127 s., 131 s., 133, 135-139, 141 s., 143, 14492, 14697, 149 s., 158144, 159145, 161, 165167, 166, 168, 171 s.,

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Indice analitico: luoghi e cose notevoli

181, 183, 18459 s., 185, 18768, 194, 202, 205 s., 207, 210, 217 s., 227, 243 s., 246, 252, 256, 261 s., 263, 285209, 286 s., 307, 311, 313, 316 s. rotolo di papiro: 218 sacrilegium: 313 Salmo di Davide: 48 salterio: 48 Sardi: 200105 scheda: 93, 98, 113, 254 schola - degli agentes in rebus: 248 - degli exceptores: 255133 scientia rei militaris: 1192 scriba - in generale: 23, 27, 54, 59, 64150, 68 s., 70178, 71 s., 73 s., 75 s., 80, 95, 97, 104, 112, 117, 162155, 219, 254 s., 256 s., 261, 263152, 267, 29745, 304 - senatus: 85, 97 - dei vescovi: 90 scrinia: v. cancelleria scriptio continua: 70182 scriptorium: 42, 54, 69, 21710, 263151, 277 scrittura - gotica: 46, 49, 54 - minuscola carolina: 42, 48 s., 53 s., 55, 66 - onciale: 49, 66, 73 - onciale B-R: 73202, 262150 - semionciale: 74203 Scuola Storica: 21 scuole di retorica: 124 secretarium - commune: 13454 - senatus: 86 - Tellurense: 8733, 134 segni di riconoscimento: 222 s. segni tachigrafici: v. notae tironiane senatoconsulto - in generale: 80, 819, 8526, 87 s., 103, 13972, 154, 188, 190, 192 s., 195, 201108, 202, 205, 209, 262

- de Bacchanalibus: 8734 - de Cn. Pisone patre: 819, 8735 - de nundinis saltus Beguensis: 8735 - de pretiis gladiatorum: 103 - tacitum: 8528 senatus legitimus: 12829 sigilli: 92 s., 160, 2131, 214, 228, 231 s., 234 signaculum anuli: 223 silentiarii: 248 Simmachi: 21814 sinodo: 101, 107, 109104, 12931, 155, 239 sistemi tachigrafici: 90, 9775, 9878 Smirat: 152118 Spagna: 10387, 243100 spectabilitas: 249 statio libraria: 217 stemma cognationum: 53 stenografi: 8527, 8628, 90, 93, 97, 219, 256 stile aquitano: 64, 68 stile dell’incarnazione: 56, 67 Strasburgo: 272 stupro: 31385 suggestio: 160, 312 Summaria Antiqua Codicis Theodosiani: 260 susceptor vestium: 250 Svizzera: 56, 67

tabulae - ceratae: 8527, 9250 - publicae: 80 taglio di piede: v. manoscritto tempio di Saturno: 80 Tessalonica: 121 testamento: 8523, 101, 112, 113126, 165 testatio: 306 testimone unico: 27, 40103, 65, 286 Tirolo: 56135 titolatura - in generale: 110, 117, 136, 139 - imperiale: 238, 240 s., 300, 303 Torino: 27

Indice analitico: luoghi e cose notevoli trasformazioni ortografiche: 50123, 70177, 1215 tribunus et notarius: 90 s., 9459, 96, 110110, 240, 249, 264 Tübingen: 21, 2522 tyrannus: 8316, 19081 Umanisti: 270, 274 Vandali: 22955, 243100 Vangelo: 217, 21816, 246115 verbale senatorio: v. gesta senatus Verona: 153, 22 vescovo: 88, 8942, 90, 9249, 9355, 9457 s., 60, 9567, 96, 10184, 107 s., 109108,

110110, 115, 112124, 14075, 149, 155, 165167, 200, 201108, 220, 22957, 240, 255132, 258140 vicarius - in generale: 72, 232 - Africae: 90, 229, 232 - Italiae: 139 - urbis Romae: 8527, 115, 139 violazione di sepolcri: 31385 virtus: 119 Visigoti: 268 vota - populi Romani: 138, 156, 158 - senatus: 138, 153, 156, 158, 191

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