Galeni vocum Hippocratis Glossarium / Galeno, Interpretazione delle parole difficili di Ippocrate: Testo, Traduzione e Note di Commento 3110480727, 9783110480726

This volume contains the first critical edition of Galen’s glossary of Hippocrates, the only surviving lexicographical w

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Galeni vocum Hippocratis Glossarium / Galeno, Interpretazione delle parole difficili di Ippocrate: Testo, Traduzione e Note di Commento
 3110480727, 9783110480726

Table of contents :
Premessa
Sommario
Bibliografia
Introduzione
Conspectus siglorum
Testo e traduzione
Note di commento
Indices

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CORPVS MEDICORVM GRAECORVM EDIDIT

ACADEMIA BEROLINENSIS ET BRANDENBVRGENSIS

V 13,1

GALENI VOCVM HIPPOCRATIS GLOSSARIVM EDIDIT, IN LI NGVAM ITALICAM VERTIT, COM M E NTATVS EST

LORENZO PERILLI

DE GRUYTER AKADEMIE FORSCHUNG BEROLINI IN AEDIBVS WALTER DE GRUYTER MMXVII

GALENO INTERPRETAZIONE DELLE PAROLE DIFFICILI DI IPPOCRATE

TESTO, TRADUZIONE E NOTE DI COMMENTO DI

LORENZO PERILLI

DE GRUYTER AKADEMIE FORSCHUNG WALTER DE GRUYTER, BERLIN 2017

Dieser Band wurde im Rahmen der gemeinsamen Forschungsförderung von Bund und Ländern im Akademienprogramm mit Mitteln des Bundesministeriums für Bildung und Forschung und mit Mitteln des Regierenden Bürgermeisters von Berlin, Senatskanzlei – Wissenschaft und Forschung erarbeitet.

ISBN 978-3-11-048072-6 E-ISBN (PDF) 978-3-11-048196-9 ISSN 0070-0347 Library of Congress Cataloging-in-Publication Data A CIP catalog record for this book has been applied for at the Library of Congress. Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.de abrufbar. © 2017 Walter de Gruyter GmbH, Berlin /Boston Druck und Bindung: Hubert & Co. GmbH & Co. KG, Göttingen ♾  Gedruckt auf säurefreiem Papier Printed in Germany www.degruyter.com

PREMESSA Quam bene, alii judicabunt; magno certe cum labore. (Paolo Manuzio)

Il tempo trascorso da quando, la prima volta, misi mano a questa edizione – vent’anni sono passati da allora – ha inevitabilmente lasciato tracce di sé, e tracce non giovevoli, come accade per ogni impresa che resti per troppo tempo irredenta. Ha però anche consentito di maturare familiarità con un testo tutt’altro che lineare, e di evitare forse – è almeno l’auspicio – qualche approssimazione di troppo. In più di un’occasione ho temuto che, come non era riuscito né a Johannes Ilberg un secolo fa né a Wolfgang Fauth negli anni Settanta di giungere alla pubblicazione del testo, pur dopo tanto impegno, lo stesso dovesse essere il destino di questo nuovo tentativo. Il lavoro è stato sostenuto, fin dagli esordi e poi ripetutamente, dalla Alexander von Humboldt-Stiftung, istituzione di ineguagliata apertura, lungimiranza, generosità. Non ripagabile è il debito nei confronti di Ernst Vogt, che ha dapprima reso possibile l’impresa e più tardi seguìto con profittevole (per me) attenzione il suo progredire: a Monaco, nell’opulenza bibliografica offerta dalla Bayerische Staatsbibliothek e dalla Biblioteca dell’Istituto di Filologia Classica, si è svolta tutta la prima parte del lavoro, valendosi tra l’altro del consiglio esperto di Winfried Bühler e dell’aiuto disinteressato di Viktor Tiftixoglu e Ioannis Chatzakis, capaci di trovare per me nelle librerie di Atene copie di opere altrimenti irraggiungibili. Il lungo tempo impiegato per portare a compimento l’edizione ha consentito di sperimentare la generosità di molti colleghi e amici. Sincera è la gratitudine nei confronti di Carl Joachim Classen, per l’appoggio costante e l’amicizia di cui mi ha onorato; fu lui, tra l’altro, a farsi tramite, a Gottinga, di una visita a casa di Wolfgang Fauth che, con inusuale cortesia e animo di collaborazione scientifica, mi concesse copia della sua edizione provvisoria del testo, mai pubblicata, aggiungendovi anche la prefazione; così come Gerhard Fichtner volle mettere a mia disposizione molti anni fa i preziosi files (in formato Tustep, all’epoca una vera stravaganza) delle sue bibliografie ippocratica e galeniana. A Benedetto Marzullo devo costanti sollecitazioni e incoraggiamento; il suo sguardo mai indifferente ha accompagnato a lungo il procedere del lavoro. Jutta Kollesch e Diethard Nickel non solo hanno da subito – era il 20 dicembre del 1995 – reagito positivamente accogliendo la proposta di edizione nella serie del CMG e mettendo a mia disposizione i preziosi materiali dell’archivio del Corpus, ma sempre sono stati prodighi di consigli della cui competenza e benvenuta severità chiunque abbia avuto occasione di frequentarli può giudicare. Fin dai tempi di Berlino, poi ad Amburgo, Christian Brockmann è stato un riferimento per me essenziale, assicurandomi con grande generosità condizioni di lavoro ideali e uno scambio di idee sempre remunerativo: ho con lui un profondo debito di riconoscenza, per il sostegno incondizionato, e anche per le peregrinazioni lungo l’Alster.

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Premessa

Nella stessa Amburgo ho presto trovato in Anargyros Anastassiou un interlocutore disponibile, attento, severo, massimamente competente, e capace anche di un ottimο moussaka; e lì del pari ho avuto da Dieter Irmer consigli, critiche, obiezioni, sempre costruttive, sempre pronte (Herr Perilli, Sie sind beratungsresistent!, ebbe a esclamare una volta, spazientito): la biblioteca dell’ Index Hippocraticus ha ospitato le nostre discussioni, e le mie ricerche. Vivian Nutton e Philip van der Eijk, wissenschaftliche Gastgeber ineccepibili a Londra e Berlino, mi hanno consentito di lavorare indisturbato per qualche tempo nei migliori istituti: la Wellcome Library ha reso accessibile tutto quel che ancora mancava. Brigitte Mondrain ha avuto la cortesia di effettuare in mia vece alcune verifiche sui codici parigini, Klaus Fischer quella di discutere alcuni punti problematici del Proemio. Giovamento e rassicurazione ho potuto trarre dalla invidiabile competenza di alcuni amici: Amneris Roselli, ἀκριβεστάτη, mi ha fatto dono del suo tempo e del suo sapere, salvando testo e traduzione da mende grandi e piccole e discutendo con me per intere giornate; Ivan Garofalo ha verificato puntigliosamente il testo fornendo suggerimenti, congetture, confutazioni, e mettendomi a disposizione la sua non comune conoscenza del greco; dell’esperienza di Stefania Fortuna si è avvantaggiata l’introduzione codicologica, e ulteriore profitto il lavoro ha tratto dalla invidiabile acribia di Vito Lorusso e Stefano Valente, ad Amburgo: esplicite tracce della loro revisione sono nelle note e in apparato, molto altro è rimasto sotto la superficie visibile. Di uno scambio serrato, che ha dato frutti preziosi, sono sinceramente grato a Roland Wittwer, controparte attenta e propositiva per il CMG all'Accademia di Berlino, la cui pazienza è stata messa più volte alla prova, e a Wolfram Brunschön per il prezioso e specialistico supporto nella realizzazione degli indici e in tutta la fase conclusiva del lavoro. Tutti, alla Arbeitsstelle sono sempre stati solleciti nel caso di un riscontro, ma anche per il celebre caffè del CMG o per un pranzo alla vicina Gaststätte del Konzerthaus. Barbara, Matilde e Jacopo, infine, hanno imparato – volenti o nolenti – a convivere con Galeno: difficilmente lo dimenticheranno. Gratias omnibus meritissimas ex intimis animae meae medullis. Roma, 21 ottobre 2016 L.P.

SOMMARIO

Bibliografia ........................................................................................................................................ Introduzione ..................................................................................................................................... A. Le fonti..................................................................................................................................... I. I manoscritti greci............................................................................................................... a) Manoscritti della classis prior ....................................................................................... 𝟷. Laurentianus plut. 𝟽𝟺,𝟹 ........................................................................................... 𝟸. Parisinus Gr. 𝟸𝟷𝟺𝟸 .................................................................................................... 𝟹. Vaticanus Gr. 𝟸𝟽𝟽 ..................................................................................................... 𝟺. Urbinas Gr. 𝟼𝟾 ......................................................................................................... 𝟻. Jenensis G.B. f. 𝟹𝟷 ................................................................................................... 𝟼. Parisinus Gr. 𝟸𝟸𝟻𝟻 .................................................................................................... 𝟽. Hauniensis Gr. 𝟸𝟸𝟺 .................................................................................................. 𝟾. D’Orville 𝟹 ............................................................................................................... 𝟿. Marcianus Gr. App. cl. V 𝟷𝟻 .................................................................................... 𝟷𝟶. Holkhamensis Gr. 𝟿𝟸 ............................................................................................... 𝟷𝟷. Bruxellensis 𝟷𝟷𝟹𝟺𝟻–𝟺𝟾 ............................................................................................. 𝟷𝟸. Berolinensis Gr. 𝟷𝟸𝟷 ................................................................................................. 𝟷𝟹. Metochion Panagiou Taphou 𝟻𝟶𝟽 ........................................................................... 𝟷𝟺. I marginalia del Vaticanus Gr. 𝟸𝟽𝟼 ........................................................................... b) Manoscritti della classis posterior ................................................................................. 𝟷. Marcianus Gr. 𝟸𝟼𝟿 ................................................................................................... 𝟸. Parisinus Gr. 𝟸𝟷𝟺𝟶 .................................................................................................... 𝟹. Parisinus Gr. 𝟸𝟷𝟺𝟹 .................................................................................................... 𝟺. Parisinus Gr. 𝟸𝟷𝟺𝟺 .................................................................................................... 𝟻. Baroccianus 𝟸𝟶𝟺 ....................................................................................................... 𝟼. Parisinus Gr. 𝟸𝟷𝟺𝟻 .................................................................................................... 𝟽. Parisinus Gr. 𝟸𝟷𝟺𝟷 .................................................................................................... 𝟾. Monacensis Gr. 𝟽𝟷 ................................................................................................... 𝟿. Laurentianus plut. 𝟽𝟺,𝟷 ........................................................................................... 𝟷𝟶. Parisinus Gr. 𝟸𝟸𝟾𝟽 .................................................................................................... 𝟷𝟷. Mutinensis α. T. 𝟷. 𝟷𝟸 ............................................................................................... 𝟷𝟸. Vaticanus Gr. 𝟸𝟽𝟾 ..................................................................................................... 𝟷𝟹. Vindobonensis Suppl. Gr. 𝟷𝟹 .................................................................................. 𝟷𝟺. Vossianus Misc. I 𝟷𝟹 ................................................................................................. II. Le relazioni tra i codici ....................................................................................................... a) Classis prior ................................................................................................................... 𝟷. I codici A H R e l'intermediario γ ........................................................................... 𝟸. Il correttore A𝟸, la sua dipendenza da M e il rapporto con B e N ........................... 𝟹. Indipendenza di R da H/N ..................................................................................... 𝟺. Discendenza di N Q da H e segni di contaminazione con la classis posterior ....... 𝟻. La discendenza di R: i codici U C E e il gruppo D Li O ..........................................

𝟷𝟷 𝟸𝟻 𝟸𝟻 𝟸𝟻 𝟸𝟿 𝟸𝟿 𝟹𝟷 𝟹𝟸 𝟹𝟸 𝟹𝟹 𝟹𝟻 𝟹𝟼 𝟹𝟼 𝟹𝟽 𝟹𝟾 𝟹𝟾 𝟹𝟿 𝟹𝟿 𝟺𝟶 𝟺𝟷 𝟺𝟷 𝟺𝟺 𝟺𝟺 𝟺𝟻 𝟺𝟻 𝟺𝟼 𝟺𝟼 𝟺𝟼 𝟺𝟽 𝟺𝟽 𝟺𝟾 𝟺𝟾 𝟺𝟿 𝟺𝟿 𝟺𝟿 𝟺𝟿 𝟺𝟿 𝟻𝟶 𝟻𝟷 𝟻𝟸 𝟻𝟸

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Sommario

𝟼. Lo strano caso di Ald. e Ho e il loro rapporto con A ............................................. 𝟽. L'ipotesi di un intermediario tra A e Ald. Ho: l'Anonymus Harvardianus? ......... b) Classis posterior ............................................................................................................ 𝟷. Il codice M, responsabile della redazione epitomata, e il problema dell'ordinamento alfabetico .................................................................................... 𝟸. Il principale discendente di M: I ............................................................................. 𝟹. Peculiarità di I rispetto a M e occasionale vicinanza al testo della classis prior ...... 𝟺. Indizi di contaminazione tra le due classi di manoscritti ....................................... 𝟻. La discendenza di I: il caso di F ............................................................................... 𝟼. La discendenza di F: i codici G Mut Vi .................................................................... 𝟽. Altri codici discendenti da M I e altre tracce di contaminazione ........................... 𝟾. Peculiarità di P K, e il codice Voss ........................................................................... 𝟿. Considerazioni conclusive sulle relazioni tra i manoscritti .................................... III. Le opere a stampa............................................................................................................... a) Edizioni del testo greco ................................................................................................. b) Traduzioni ..................................................................................................................... c) Lavori moderni (XIX–XX secolo) .............................................................................. IV. Il ruolo delle edizioni a stampa .......................................................................................... V. Conclusioni sulla tradizione del testo ................................................................................ VI. Stemma codicum................................................................................................................ B. L’opera e le sue caratteristiche ................................................................................................. I. Titolo e datazione ............................................................................................................... II. Ordine alfabetico ................................................................................................................ a) Redazioni duplici .......................................................................................................... b) Diffusione del criterio alfabetico .................................................................................. c) L’ordine alfabetico nella tradizione manoscritta del Glossario .................................... d) L’ordinamento nel II sec. d.C.: Arpocrazione .............................................................. III. I precedenti e le fonti ......................................................................................................... a) La lessicografia ippocratica fino a Galeno .................................................................... b) Fonti immediate di Galeno ........................................................................................... c) Panfilo ........................................................................................................................... d) Il Glossario e i Commenti ............................................................................................. IV. La lessicografia posteriore .................................................................................................. a) Sinossi............................................................................................................................ b) Orione ........................................................................................................................... c) Esichio ........................................................................................................................... V. Caratteristiche del Glossario .............................................................................................. a) Tipologie delle glosse .................................................................................................... b) Struttura delle glosse e rapporto con Ippocrate........................................................... 𝟷. Il confronto con Erotiano e il ruolo del testo ippocratico ..................................... 𝟸. Il modo di lavorare di Galeno nel Glossario ........................................................... 𝟹. Rapporto con Ippocrate ......................................................................................... c) Il Proemio ..................................................................................................................... d) Singolarità delle glosse e incongruità sintattiche.......................................................... e) «Didymus’ oddities» ................................................................................................... VI. I loci Hippocratici .............................................................................................................. V II. Titoli di opere ippocratiche citati nel Glossario................................................................. VIII. Autenticità dell'opera......................................................................................................... C. Criteri editoriali generali .......................................................................................................... I. Traduzione .......................................................................................................................... II. Apparati e note di commento............................................................................................ Conspectus siglorum.........................................................................................................................

𝟻𝟻 𝟻𝟿 𝟼𝟷 𝟼𝟷 𝟼𝟼 𝟼𝟽 𝟽𝟷 𝟽𝟹 𝟽𝟻 𝟽𝟼 𝟽𝟾 𝟽𝟿 𝟾𝟶 𝟾𝟶 𝟾𝟷 𝟾𝟸 𝟾𝟹 𝟾𝟿 𝟿𝟷 𝟿𝟸 𝟿𝟸 𝟿𝟺 𝟿𝟻 𝟿𝟼 𝟿𝟿 𝟷𝟶𝟷 𝟷𝟶𝟸 𝟷𝟶𝟹 𝟷𝟶𝟻 𝟷𝟶𝟽 𝟷𝟶𝟿 𝟷𝟷𝟷 𝟷𝟷𝟸 𝟷𝟷𝟹 𝟷𝟷𝟺 𝟷𝟷𝟼 𝟷𝟷𝟽 𝟷𝟷𝟽 𝟷𝟷𝟽 𝟷𝟷𝟾 𝟷𝟸𝟶 𝟷𝟸𝟷 𝟷𝟸𝟷 𝟷𝟸𝟺 𝟷𝟸𝟻 𝟷𝟹𝟶 𝟷𝟹𝟷 𝟷𝟹𝟸 𝟷𝟹𝟹 𝟷𝟹𝟺 𝟷𝟺𝟶

Sommario Testo e traduzione ............................................................................................................................. Note di commento ............................................................................................................................ Indices ............................................................................................................................................... A. Index nominum ...................................................................................................................... B. Index verborum ....................................................................................................................... C. Voces, quae in LSJ desiderantur .............................................................................................. D. Index nominum plantarum et animalium ............................................................................. E. Index locorum Hippocraticorum ...........................................................................................

9 𝟷𝟺𝟸 𝟸𝟿𝟷 𝟹𝟾𝟷 𝟹𝟾𝟷 𝟹𝟾𝟸 𝟺𝟶𝟻 𝟺𝟶𝟻 𝟺𝟶𝟾

BIBLIOGRAFIA1

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Ulteriori indicazioni bibliografiche, di lavori citati una sola volta, sono fornite nel corso del testo.

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Bibliografia

Hippokrateszitate in den übrigen Werken Galens einschließlich der alten Pseudo-Galenica, 2001; Teil I: Nachleben der hippokratischen Schriften bis zum 3. Jahrhundert n. Chr. unter Einschluß des Caelius Aurelianus sowie der Kompilatoren Oreibasios, Aëtios aus Amida, Alexandros aus Tralleis und Paulos aus Aigina, 2006; Teil III: Nachleben der hippokratischen Schriften in der Zeit vom 4. bis zum 10. Jahrhundert n. Chr., 2012 J . A n d r é , Notes de lexicographie botanique grecque, Paris 1958 ‒ , Les noms des plantes dans la Rome antique, Paris 1985 A n o ny m i L e x i c o n in orationes Gregorii Nazianzenii, ed. J. Sajdak, in: Symbola grammatica, Krakau 1927, pp. 153–177 (= Latte – Erbse, Lexica Graeca Minora, 166–190) A n o ny m u s A n t i a t t i c i s t a v. Valente A N RW = Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II 37,2, hrsg. v. W. Haase, Berlin – New York 1994 Ἀ ν τ ι α τ τ ι κ ι σ τ ή ς , ed. I. Bekker, Berlin 1833 Ap i o n v. Ludwich Ap o l l o n i i S o p h i s t a e Lexicon Homericum, ed. I. Bekker, Berlin 1833 Ap o l l o n i i C i t i e n s i s In Hippocratis De articulis commentarius, edd. J. Kollesch et F. Kudlien, tradd. J. Kollesch et D. Nickel, CMG XI 1,1, Berlin 1965 A r e t a e u s , ed. C. Hude, CMG II, Berlin 19582 A r i s t o p h a n i s B y z a n t i i Fragmenta, ed. W. J. Slater, Berlin 1986 B a ṙ k ʻ G a ł i a n o s i: the Greek-Armenian dictionary to Galen, ed. trad. J. Greppin, Chicago 1985 G . B e r g s t r ä ß e r , Über die syrischen und arabischen Galen-Übersetzungen, Abh. für die Kunde des Morgenlandes XVII 2, Leipzig 1925 I o . S t e p h . B e r n a r d u s , Miscellaneae observationes criticae novae in auctores veteres et recentiores, tom. IX, Amstelaedami 1749, pp. 1020–1056 S . B h a y r o , Syriac medical terminology: Sergius and Galen’s Pharmacopia, Aramaic Studies 3/2, 2005, pp. 147–165 L . J . B l i qu e z , Roman surgical spoon-probes and their ancient names (μήλη, μηλωτίς, μηλωτρίς, specillum), Journal of Roman Archaeology 16, 2003, pp. 322–330 V. B o u d o n - M i l l o t , À propos de l’Hippocrate de Venise (Marcianus gr. 269; col. 533): nouvelles observations sur les signatures, Revue des Études Grecques 117, 2004, pp. 759–766 ‒ , Prolégomènes à l’édition du traité de Galien Sur l’exercice avec la petite balle: du nouveau sur le Laurentianus plut. LXXIV,3, in: Storia della tradizione e edizione dei medici greci (Atti del Convegno, Paris 2008), edd. V. Boudon-Millot, A. Garzya, J. Jouanna, A. Roselli, Napoli 2010, pp. 71–87 C h r . B r o c k m a n n , Textkritische Überlegungen zu Ioannikios als Schreiber von Galen- und Aristotelestexten, in: B. Atsalos – N. Tsironi, edd., Actes du VIe Colloque International de Paléographie Grecque (Drama 2003), Athen 2008, I, pp. 895–922 S . B y l , Méthode philologique (ou) et analyse codicologique, Revue belge de philologie et d’histoire 64, 1986, pp. 62–67 G . C a r d i n a l i , Parole singolari dei glossari ippocratei, Maia 4, 1951, pp. 298–309 P . C h a n t r a i n e , La formation des noms en grec ancien, Paris 1933 ‒ , Dictionnaire étymologique de la langue grecque, Paris 1968–1980 G . C h o e r o b o s c i Epimerismi in Psalmos, ed. T. Gaisford, Oxonii 1842 C M G = Corpus Medicorum Graecorum C . G . C o b e t , Ad Galenum, Mnemosyne 8, 1859, pp. 434–436 ‒ , Ad Galenum (continuantur), Mnemosyne 9, 1860, pp. 21–48

Bibliografia

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IN T RODUZIONE

A. Le fonti I. I manoscritti greci Il Glossario ippocratico di Galeno è tramandato, per intero o in parte, in 28 manoscritti greci1. La trasmissione risulta duplice, e i codici si possono dividere in due classi: una classis prior e una classis posterior2. Alla classis prior appartengono 14 codici, che tramandano la redazione integrale del Glossario (con l’eccezione del Vaticanus Gr. 276, che contiene soltanto alcune glosse annotate in margine a scritti di Ippocrate); ad essi è per estensione affine il testo adottato nelle edizioni a stampa a noi note. Alla classis posterior si ascrivono altri 14 manoscritti, contenenti una redazione epitomata del testo. In tale redazione breve spicca innanzitutto l’assenza del Proemio; è omesso inoltre un numero considerevole di glosse, e numerosissime sono quelle la cui estensione è ridotta, ove più ove meno, rispetto al testo integrale. Tra le due classi vi sono segni certi di contaminazione. Una duplicità di trasmissione, la coesistenza cioè di una redazione completa e di una decurtata, non è insolita per testi di questo genere. Essi sono costitutivamente soggetti a rimaneggiamenti, e soprattutto a epitomi, e questa multiformità ha trovato in più casi riscontro in redazioni parallele che danno vita a linee in genere autonome di tradizione. Esempi non mancano: le cosiddette Glosse erodotee, il Glossario di Erotiano, il Lessico Tittmanniano (Zonara), tutti presentano una comparabile duplicità di trasmissione3. Non solo all’epoca bizantina si deve il fenomeno, poiché già per età più antica sappiamo di qualcosa di analogo: esempio significativo, per restare in epoca e in ambito vicini a quelli di Galeno, è la filiazione originatasi dal grande lessico in 95 libri di Panfilo, a quanto sappiamo ordinato alfabeticamente, ma solo in misura limitata: l’opera fu subito e più di una volta epitomata nell’arco di pochi decenni, e ridotta da 95 a 5 libri. In ambito medico, si ricorderanno almeno le due epitomi del lessico di Bacchio (III sec. a.C.) realizzate rispettivamente da Epicle di Creta e da Apollonio Ofis4. Una ulteriore importante differenza tra le due classi di manoscritti è rappresentata dall’ordinamento alfabetico in cui le glosse si susseguono. Nei codici appartenenti alla prima classe e contenenti il testo integrale, si osserva un ordine alfabetico rigoroso, 1

2

3 4

Vengono riprese in questa Introduzione, con modifiche e aggiornamenti, anche argomentazioni già pubblicate in sedi non sempre facilmente accessibili. Specifiche indicazioni sono fornite in nota. Secondo la denominazione di Ilberg, De Galeni Glossario, pp. 331ss. Dopo i lavori di Ilberg, sarà H. Diels a fornire un elenco dei codici allora noti nel suo Catalogo: H. Diels, Die Handschriften der antiken Ärzte. I. Teil: Hippokrates und Galenos, Abh. d. Königl. Preuß. Akademie d. Wiss. 1905, phil.-hist. Kl. 3, Berlin 1905, ora anche online sul sito del CMG. Cf. a questo proposito infra, pp. 95s. Cf. infra, p. 103.

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Le fonti

che tiene conto non solo delle prime lettere di ciascun lemma, ma dell’intera parola, come nei moderni vocabolari: in questo senso, il Glossario di Galeno è il primo esempio conservatosi di opera dell’antichità classica in rigoroso ordine alfabetico. Nei codici appartenenti alla seconda classe, l’ordine alfabetico è invece più libero, e a uno sguardo superficiale si direbbe tener conto soltanto della prima lettera di ciascun lemma. Delle conseguenze che questo comporta si dirà più avanti. classis prior: 𝟷. 𝟸. 𝟹. 𝟺. 𝟻. 𝟼. 𝟽. 𝟾. 𝟿. 𝟷𝟶. 𝟷𝟷. 𝟷𝟸. 𝟷𝟹. 𝟷𝟺.

Laurentianus plut. 74,3 (XII ex.–XIII inc.) A Parisinus Gr. 2142 (ca. 1310) H (Hb) Vaticanus Gr. 277 (1360–65 vel paulo antea) R Urbinas Gr. 68 (ca. 1360–80) U Jenensis G.B. f. 31, olim Mosquensis (XIV med., vel potius XIV II) C Parisinus Gr. 2255 (XIV ex., fort. XV inc.) E Hauniensis Gr. 224 (XV I) N D’Orville 3 (XV I inc.) D Marcianus Gr. App. cl. V 15 (XV I inc.: ante 1525) O Bodl. Holkhamensis Gr. 92 (olim 282) (XVI inc.) Ho Bruxellensis 11345–48 (XV I) Li Berolinensis Gr. 121 (olim Phillippicus 1525) (XV I) Q Metochion Panagiou Taphou 507 (olim Constantinopolitanus) (XVII) Const Vaticanus Gr. 276: excerpta (glossae aliquae in mg. operum Hipp. additae)

classis posterior: 𝟷. 𝟸. 𝟹. 𝟺. 𝟻. 𝟼. 𝟽. 𝟾. 𝟿. 𝟷𝟶. 𝟷𝟷. 𝟷𝟸. 𝟷𝟹. 𝟷𝟺.

Marcianus Gr. 269 (X) Parisinus Gr. 2140 (XII, fort. XIII) Parisinus Gr. 2143 (XIV I) Parisinus Gr. 2144 (XIV I: ante 1345) Baroccianus 204 (XIV–XV ) Parisinus Gr. 2145 (XV; fort. XIV ex.) Parisinus Gr. 2141 (XV ) Monacensis Gr. 71 (ca. 1480) Laurentianus plut. 74,1 (XV ex.) Parisinus Gr. 2287 (XV–XV I) Mutinensis α. T. 1.12 (olim gr. 233) (ca. 1500) Vaticanus Gr. 278 (1512) Vindobonensis Suppl. Gr. 13 (XV I) Vossianus Misc. I 13 (XV I II)

M I J F B P G Mo L K Mut W Vi Voss

A questi codici vanno aggiunti i due Parisini Graeci 2625 (pars vetustior saec. XIII, rec. XIV ) e 2626 (XII), sigla A, del lessico bizantino Suda (ciascun codice contiene una metà dell’opera), recanti in margine alcune glosse del Glossario galeniano. Queste erano state qui e là introdotte nel testo della Suda nella edizione Bernhardy, poi identificate come interpolazioni negli Addenda a quella stessa edizione, quindi obliterate

I manoscritti greci

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nella edizione Adler5. Alcune glosse mediche annotate in margine (insieme a molte altre di diversa provenienza) sono contrassegnate dalla dizione κατ' ἰατρούς. Di un codice, recante la redazione integrale del testo, appartenuto a Ḥunain ibn Isḥāq – che non ritenne di tradurre il testo trattandosi di un lessico – non v’è traccia6. Due ulteriori codici, del tutto marginali, si possono qui brevemente ricordare per completare il quadro dei materiali manoscritti esistenti. Si tratta di due codici Vossiani della seconda metà del XVII sec., conservati a Leiden. Il primo, Vossianus gr. F 57 ff. 141r–142r, è dovuto alla mano di Isaac Vossius, e contiene nient’altro che un breve « index scriptorum laudatorum in Galeni lexico Hippocratico » (insieme a indici degli autori citati in varie altre opere, tra cui Erotiano, la Suda, scoli); il secondo, siglato OII 116–121, è una copia del precedente7. Inoltre, prima a Berlino (cod. Berolinensis Gr. 275), ora a Cracovia (Bibliotheka Jagiellonska), si conserva una collazione manoscritta (a me non accessibile) dei glossari di Erotiano e Galeno eseguita da C. Waigel sui codici vaticani8. A puro titolo documentario sia infine ricordato che una trascrizione del testo del Glossario (Paris, Bibliothèque Nationale, Ms. n° 44) fu realizzata intorno al 1800 per l’edizione progettata da Edouard-François-Marie Bousquillon (al tempo « docteur regent » della Facoltà di Medicina di Parigi, ricopriva anche una delle due cattedre di greco al Collège de France, concentrandosi sulla filosofia greca e sulla medicina di Ippocrate). Il testo è copiato sulla base del manoscritto I, e reca nei margini una gran quantità di varianti tratte da altri codici o forse da edizioni a stampa. Il manoscritto non ha alcun valore testuale.

5 6

7 8

Si vedano le note alle glosse α 5 e α 11. Che il noto traduttore arabo possedesse un manoscritto greco del Glossario è sicuro, cf. Bergsträßer nr. 107; Sezgin p. 137 n. 149. Ḥunain ne riteneva tuttavia impossibile la traduzione. Nel suo rendiconto sulle traduzioni in arabo e in siriaco di opere di Galeno, Ḥunain scrive: « Kitāb fī Alfāẓ Buqrāṭ, Sein Buch Über die Wörter des Hippokrates. Dieses Buch besteht auch aus einem einzigen Teil. Er verfolgt darin das Ziel, die ungewöhnlichen Wörter des Hippokrates in seinen sämtlichen Büchern zu erklären. Es ist nutzlich für die, die auf griechisch lesen; was aber die anlangt, die nicht auf griechisch lesen, so brauchen sie es nicht, und es ist überhaupt nicht möglich, es zu übersetzen. Eine Handschrift davon befindet sich unter meinen Büchern » (cf. Bergsträßer, cit.; Meyerhof, Über echte und unechte Schriften, p. 537 nr. 22; anche in Sezgin, cit.). Poiché la redazione epitomata del testo si deve al copista del Marciano 269 nel X secolo, e Ḥunain è precedente, il suo manoscritto avrà contenuta la redazione integrale. Cf. K. A. De Meyier, Codices bibliothecae publicae Graeci, Lugduni Batavorum 1965, pp. 58s. Cf. C. De Boor, Verzeichnis der griechischen Handschriften der königlichen Bibliothek zu Berlin, II, Berlin 1897, pp. 142s.: « Sammlung C. Waigel’s zu griechischen Medicinern, … VII 23: Collationen vatikanischer Handschriften zu Erotian’s und Galen’s Glossarium vocum Hippocratis ».

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Le fonti

Sinossi cronologica dei manoscritti (con esclusione di Vat. 276):

classis prior

classis posterior X sec. Marcianus 269 XII sec.

Laurentianus 74,3

Parisinus 2140 XIV sec.

Parisinus 2142 Vaticanus 277 Urbinas 68 Jenensis G.B. f. 31 Parisinus 2255

Parisinus 2143 Parisinus 2144 Baroccianus 204

XV sec. Hauniensis 224

Parisinus 2145 Parisinus 2141 Monacensis 71 Laurentianus 74,1 Parisinus 2287 XVI sec.

D’Orville 3 Marcianus App. cl. V 15 Holkhamensis 92 Berolinensis 121 Bruxellensis 11345–48

Mutinensis α. T.1.12 Vaticanus 278 Vindobonensis Suppl. 13 Vossianus Misc. I 13 XV II sec.

Metochion Panagiou Taphou 507 Di entrambe le classi di manoscritti, il codice più antico – rispettivamente il Laurentianus Gr. 74,3 e il Marcianus Gr. 269 – è anche il capostipite degli altri manoscritti superstiti. Entrambi sono codici molto noti, il primo per le opere di Galeno, il secondo per le opere di Ippocrate. Per alcuni codici della classis posterior è forse da ipotizzare la contaminazione con un ramo diverso di tradizione, di cui non sopravvivono testimoni (v. infra, p. 71).

I manoscritti greci

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Il Glossario, con la sua caratteristica di essere da un lato un’opera di Galeno, dall’altro un Hilfsmittel per la lettura di Ippocrate, è tramandato solo in un caso in manoscritti contenenti opere di Galeno (Laur. 74,3) mentre più spesso si legge in manoscritti ippocratici (17), nei quali è posto in posizione iniziale e a volte associato alla Vita attribuita a Sorano o al lessico di Erotiano. Altri codici contenenti il Glossario sono manoscritti miscellanei (Galeno e Ippocrate, come nel Vindob. Suppl. 13; Galeno e Erotiano nel Marc. App. cl. V 15; Erotiano e Oribasio nel D’Orville 3; Erotiano, Proclo e Tolemeo nel Bruxellensis 11345–48; Dioscoride, Ippocrate e opere varie nel Paris. 2287; Palladio e scoli a Ippocrate nel Berolin. 121; le Glosse erodotee e Gregorio di Corinto nel Metochion Pan. T. 507). In due casi (Vossianus Misc. I 13 e Jenensis) si tratta di codici che, nello stato in cui sono a noi pervenuti, contengono il solo Glossario. a) Manoscritti della classis prior 1. Laurentianus plut. 74,3 Laurentianus 74,3 (= A, spesso contrassegnato come L). Manoscritto membranaceo risalente alla fine del XII secolo, meno probabilmente all’inizio del XIII9, è l’unico codice contenente il Glossario che raccolga soltanto opere di Galeno (complessivamente 21, per tre delle quali – De constitutione artis medicae, De optimo docendi genere, De comate – è codex unicus). Il manoscritto, descritto ripetutamente nelle edizioni di Galeno e oggetto di studi specifici10, è conosciuto come uno dei più importanti codici galeniani11. Si è ipotizzata una vicinanza della scrittura del codice a quella dell’officina di Ioannikios (G. Cavallo e altri), collocata dagli studiosi dapprima in Italia meridionale, poi e più plausibilmente a Costantinopoli (Wilson)12: anche il Marc. 269 (M), capostipite dell’altra famiglia di codici, è transitato per quella città (v. 9

10

11

12

Al secolo XII lo collocano Bandini, Diels, Ilberg, Wilson, Nickel, Boudon; agli ultimi anni del medesimo secolo lo assegnerebbe Mondrain; tra XII e XIII la Prefazione al De constitutione artis medicae (CMG V 1,3) di S. Fortuna, che ora concorda (per litt.) con il XII; ipotizzavano con qualche esitazione il XIII secolo Wachsmuth, Helmreich. Si citano qui soltanto alcuni dei numerosi lavori sul manoscritto, nei quali sarà possibile reperire indicazioni sui lavori precedenti: per il Glossario, studio di riferimento è stato a lungo Ilberg, De Galeni Glossario, pp. 331ss.; sulle diverse mani all’opera nel codice si sofferma Nickel pp. 223– 232 (le note 1–3 per la bibliografia precedente); cf. inoltre Boudon, Galien. Introduction générale, pp. CLXXIVs. e 252–256; Boudon, Prolégomènes, pp. 71–87, dove, in particolare alla p. 75s., si trovano abbondanti indicazioni bibliografiche, all’interno di una panoramica sui principali codici galeniani. Sul possessore del manoscritto Demetrios Angelos a Costantinopoli alla metà del XV secolo cf. Mondrain, Jean Argyropulos, pp. 237ss.. Per la descrizione e l’elenco delle opere, vale ancora il Catalogo di Bandini (Florentiae 1770, rist. Lipsiae 1961), III pp. 48ss. Cf. N.G. Wilson, A mysterious Byzantine scriptorium, pp. 161–176; G. Cavallo, La trasmissione scritta della cultura greca antica in Calabria e in Sicilia tra i secoli X–XV: consistenza, tipologia, fruizione, Scrittura e Civiltà 4, 1980, pp. 213–226. Su Ioannikios, dedito alla trascrizione di testi filosofici e scientifici, molto è stato scritto; cf. il quadro complessivo di P. Degni, I manoscritti dello ‘scriptorium’, pp. 179–248, dove il codice tuttavia non risulta tra quelli associati all’entourage dello scriba, e le analisi di dettaglio critico-testuale di Chr. Brockmann, Textkritische Überlegungen zu Ioannikios, pp. 895–922, riprese dallo studioso anche in studi più recenti sui codici del commento di Galeno al De articulis.

A

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A2

A3 A4

Le fonti

infra), dove comunque il Laurenziano si trovava almeno alla metà del XV secolo, nel momento in cui entrò in possesso di Demetrios Angelos. Il codice consta di 192 fogli scritti; il Glossario è contenuto ai fogli 22r–37v, e lo precedono altri due trattati (Adv. Lycum e Adv. Iulianum), mentre lo segue il De optima secta. Le iniziali delle glosse non sono rubricate. Il foglio 22 presenta, nella parte inferiore centrale, un foro, evidentemente già presente al momento della scrittura poiché il testo prosegue regolarmente. Il codice rivela, per le diverse opere, interventi dovuti a mani diverse, sia tra le righe che a margine; D. Nickel, per il De foetuum formatione, individua con sicurezza fino a cinque mani, compresa quella del copista. Anche per il Glossario, come per altre opere, il Laurenziano si dimostra di difficile lettura. La quasi sistematica omissione di desinenze e l’uso frequentissimo di abbreviazioni, peraltro non sempre univoche, non agevola il lavoro dell’editore. Anche la lettura diretta non sempre aiuta a sciogliere i dubbi, mentre è stata d’aiuto una digitalizzazione di buona qualità. La difficoltà connessa ad abbreviazioni e omissioni si accentua nel caso di un lessico, poiché in questo genere di opera tipicamente mancano quei contesti più ampi che facilitano all’editore l’integrazione delle finali mancanti. Una seconda mano aggiunge talora supra lineas le desinenze. I primi tre fogli, 22r–23r, contenenti il Proemio e le glosse fino all’inizio di αἱματόφλοιβοι στάσιες (α 26), sono scritti da una mano diversa dal resto; in questa prima parte le parole vengono più spesso scritte per intero, l’uso delle abbreviazioni è molto più limitato che nel prosieguo. A partire dal f. 23v interviene invece un’altra mano, all’incirca contemporanea della precedente, e a sua volta diversa da quella (che chiameremo A4 e che si direbbe poco più tarda, e usa un inchiostro leggermente più chiaro) che aggiunge nel margine destro del foglio 23r un elenco contenente i primi lemmi (senza glossemi), con alcune omissioni, attinti a un codice di scarsa qualità, come attestano i frequenti errori13. Ma tra la mano che scrive il testo e A4 si inseriscono almeno altre due mani: chiamiamo A2 quella che apporta a più riprese aggiunte in margine, attinte da altri codici, e che integra supra lineam sia alcune desinenze mancanti o abbreviate sia alcune correzioni14; e A3 quella che apporta altre aggiunte marginali visibili in particolare al f. 27v e 28r, usando un inchiostro diverso, più chiaro, rispetto alle altre mani. Sia A2 che A3 sono da considerarsi precedenti sia rispetto alla trascrizione di γ sia a quella dell’antigrafo di Ald. e Ho. I principali interventi di A2 e il suo rapporto con gli altri codici, soprattutto della classis posterior, sono registrati infra, cf. p. 50 e qui sotto alla n. 15, mentre ad A3 si devono i seguenti: al f. 27v aggiunge in mg. prima ἐν ἄλλῳ ἐέρχονται (ad ε 9), poi ἕλεια. ἄγρια (ad ε 32) e ἐκχύμωσις. χυμῶν ἔκχυσις (ad ε 29), quindi, al f. 28r (ad ε 69), ἐν ἄλλῳ ἐπώιδες γρ. τὸ δυσειδὲς καὶ οἷον ἐπόζον: la stessa mano aveva aggiunto al margine 13

14

I lemmi ripetuti in margine sono i seguenti: ἀγγηλιδωτόν – ἀγγυρομήλη – ἀγγιλθές – ἄγροφον – ἀγυιά – ἀδάξασθαι – ἀδηνέως – ἀέτωμα – ἀθέλγεται – ἀθήρ – ἀψώρηκτος – ἀγλύη – αἰγόκερας – αἰγύπτιον ἔλαιον – αἰγύπτιον μῦρον λευκόν – αἰγύπτιον μῦρον – αἰγυπτίας στυπτηρίας – αἰεί – αἰθάλη – αἰθιοπικόν – αἰθύλικες – αἱμαλός – αἱματόφλοιβοι στάσιες. In verità, si potrebbe sospettare che siano più d’una le mani che apportano correzioni e aggiunte supra lineam; la distinzione tuttavia non si può stabilire con certezza, e in ogni caso le correzioni che potrebbero distinguersi dalle altre sono pochissime e non significative – in genere desinenze che esplicitano le abbreviazioni o le omissioni del copista principale.

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interno del f. 25r uno ἤγουν in forma abbreviata in riferimento a α 12015. Lo stesso scriba del testo sembra apportare qualche correzione supra lineam, cf. e.g. ad α 103 (cf. anche infra, p. 50). Il manoscritto Laur. 74,3 è il capostipite di questo ramo della tradizione, contenente il testo nella sua redazione integrale, in ordine alfabetico corretto e con il Proemio. 2. Parisinus Gr. 2142 Parisinus 2142 (= H, i.e. Hb). Codice cartaceo di 547 fogli, contenente la collectio Marciana degli scritti ippocratici, appartiene, per Ippocrate, alla famiglia del Marcianus Gr. 269. Il codice risale al XII sec., ma tale datazione vale soltanto per la prima parte (e non tutta) del manoscritto (siglata comunemente Ha): danneggiatasi, la seconda metà (ff. 309ss.) e una parte della prima (ff. 1–45 e altri fogli singoli) furono reintegrate da una mano dell’inizio del secolo XIV, collocabile più precisamente intorno al 131016. Il Glossario apre il codice e occupa i fogli 1r–11v, ma si deve anch’esso alla mano più tarda che scrive la seconda parte del manoscritto (Hb): lo segue la Vita di Ippocrate, a sua volta dovuta alla mano posteriore. Per le opere di Ippocrate sono attive più mani. È importante notare che, a differenza di quanto accade per Ippocrate, per il Glossario il codice non dipende dal Marciano né da uno dei suoi discendenti, poiché reca il testo integrale e non quello epitomato, ivi compreso il Proemio. Le iniziali dei lemmi sono rubricate. Il codice è privo del primo foglio, il testo del Proemio del Glossario è mutilo e inizia con p. 148,1 σύμαχε, cioè con la sezione contenente alcune citazioni dai Daitaleis di Aristofane. Esso presenta due ulteriori importanti lacune: tra i fogli 6 e 7, dove si trovano tre fogli bianchi (che non sono considerati nella paginazione), il testo manca dell’intera sezione che va da ι alla prima parte di μ: si ferma al f. 6v con il lemma ἴκταρ (ι 3), e riprende al f. 7r con λου τῆς νήσου di μ 36. Ancora lacuna tra σ 77 (il testo si interrompe con συνηρμοσμένα ὡς) e υ 13 (riprende con υ 14 ὑπερχωλήσει): in questo caso la lacuna si colloca tra la fine di una pagina e l’inizio della successiva, manca dunque almeno un foglio, senza che ciò tuttavia sia rilevabile nella numerazione dei fogli o nella legatura. A partire dal f. 11r la scrittura si fa via via più fitta, fino a diventare confusa. Il codice è danneggiato da evidenti macchie di umi15

16

Gli altri interventi di rilievo di A2 sono registrati alle glosse α 1, 14, 26 sub fin., 28, 43, 51, 58, 82, 85, 91, 99, 103, 120, 122, 123, 125, 136, 140, 144, 145, 148, 160, 165, β 9, 14, 16, δ 2, 19, ε 11, 24, 33, 34, 56, 76, 80, 83, θ 14, ι 8, κ 12, 17, 23, 30, 36, 86, λ 6, 9, 12, μ 9, 14, 16, 18, 20, 24, 33, ν 1, 3, ξ 2, o 4, 6, 20, 23, π 3, 6, 7, 20, 21, 27, 35, 44, 66, σ 10, 19, 20, 23, 24, 26, 30, 35, 42, 53, 62, 63, 74, 85, 86, τ 9, 13, 27, υ 11, 15, 19, 26, 27, φ 7, χ 6, 8, 11, ψ 5, ω 2. Cf. Grensemann, Hippokratische Gynäkologie, pp. 69–76; Jouanna, L'analyse codicologique, pp. 50–62. M. Formentin, I codici greci di medicina, p. 38, assegnava la prima parte del codice al secolo XIII. Un riesame del codice è in F. Giorgianni, Hippokrates. Über die Natur des Kindes (De genitura und De natura pueri), Wiesbaden 2006, pp. 101s. Su molti dei codici ippocratici contenenti anche il Glossario si veda Irigoin, Le rôle des recentiores, pp. 9–17, e già Ilberg, Zur Überlieferung des hippokratischen Corpus, pp. 444ss.; Nachmanson, ESt, pp. 2s.; notizie brevi ma accurate sui codici ippocratici sono reperibili nei vari volumi dei Testimonien zum Corpus Hippocraticum di A. Anastassiou e D. Irmer (TeCH), utile è ancora l’analisi di S. Byl nella introduzione all’edizione di Hippocratis De diaeta, ed. R. Joly, pp. 49–74.

H

Hb

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Le fonti

dità, che in qualche occasione rendono ardua la lettura. È vicino a R, ma da esso indipendente, e discendente di A, presumibilmente per il tramite di un codice intermedio. 3. Vaticanus Gr. 277 R

Vaticanus Gr. 277 (= R). Codice cartaceo di 2 + 475 fogli, molto noto negli studi ippocratici, risale alla seconda metà del XIV secolo e più precisamente agli anni tra il 1360–6517, ma non è escluso che si debba risalire qualche anno più indietro, alla metà del secolo. Il Glossario è contenuto ai ff. 12r–24r, ed è preceduto dall’Index Marcianus degli scritti di Ippocrate (f. 11r) e seguito dalla Vita (24v). Il codice è costituito da quaternioni, ad eccezione dei ff. 1–10, che formano un quinione e contengono (a partire da 2r) il lessico di Erotiano, probabilmente aggiunto in un secondo momento, come può indicare anche il fatto che l’Erotiano è scritto (dalla stessa mano del resto, si direbbe) in caratteri di dimensioni molto ridotte rispetto al resto del manoscritto e non rispetta i margini. Per Ippocrate, il codice appartiene alla famiglia marciana ed è copiato (contaminato) su I e Ha+Hb. Anche in questo caso, come già per H, il testo del Glossario è quello integrale e con Proemio, di nuovo rivelandosi per il Glossario una linea di tradizione diversa da quella del resto del codice. R è stato spesso considerato (come ad es. in TeCH) un aiuto nella lettura di A, dal quale dipende, senza però le sue abbreviazioni e omissioni. Oltre al testo completo, contiene in forma di annotazioni marginali a varie opere ippocratiche (particolarmente numerose in margine ad Artic. e a Morb. II) 29 glosse tratte dal Glossario, in forma più o meno abbreviata18. 4. Urbinas Gr. 68

U

Urbinas 68 (= U). Il bel codice di 437 fogli risale all’ultimo quarto del XIV secolo, verosimilmente agli anni 1375–80, o, come proposto in seguito, al 1360 o poco dopo19. Contiene la collezione marciana di Ippocrate, ma del Glossario invece si ha anche qui il testo completo e con Proemio. Dopo alcuni preliminari dovuti a una mano posteriore (probabilmente quella di Teodoro Lascaris), tra cui uno schema della malattie, il Glossario di Galeno apre la serie delle opere ai ff. 3r–15v, ed è seguito dalla Vita. Le iniziali dei lemmi sono rubricate. Il testo è trascrizione di quello di R, ivi comprese le 29 glosse registrate in margine ad alcuni scritti ippocratici.

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Così Jouanna, L'analyse codicologique, p. 60 n. 23, cf. anche 61 n. 27; sul codice si veda già Ilberg, Zur Überlieferung, pp. 451s.; ma descrizioni del manoscritto si trovano in numerose edizioni di Ippocrate, a partire da Littré (vol. X, p. LX). Questi marginalia sono trascritti da Ilberg, Das Hippokratesglossar des Erotianos, pp. 115s., e non si riportano qui per esteso perché privi di interesse per la costituzione del testo. Per la prima datazione cf. Jouanna, L'analyse codicologique, p. 60; per la seconda, uno studio del codice inserito nel gruppo dei manoscritti ippocratici del XIV secolo è in Mondrain, Lire et copier Hippocrate, p. 406, e R. Stefec, Die griechische Bibliothek des Angelo Vadio da Rimini, Römische Historische Mitteilungen 54, 2012, n. 165, che vorrebbe riconoscere nel codice la mano di Vadio, umanista riminese, in margine al f. 10r del Glossario (dove si legge τιάρας). Ilberg, Zur Überlieferung, datava il codice al sec. XV. La datazione è naturalmente connessa con quella di R. Sul codice cf. ora G. Ecca, Note sul Vat. Urb. gr. 68 e sullo scolio a Praecepta I 1, in Ecdotica dei testi medici greci (Atti del VII Colloquio internazionale, Procida 2013), Napoli 2016, pp. 247– 261.

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5. Jenensis G.B. f. 31 Jenensis G.B. f. 31 (= C, olim Mosquensis)20. Il codice, considerato perduto da oltre due secoli e citato da Diels, nel suo Catalogo, tra parentesi quadre e con un punto interrogativo, è tornato alla luce pochi anni orsono nella Biblioteca Universitaria di Jena. Datato nel catalogo di Jena, sulla base delle filigrane, alla metà del XIV sec.21, va collocato piuttosto, stando all’analisi filologica, verso la fine del secolo, comunque dopo l’Urbinas 68, di cui è apografo. In cima al primo foglio contenente il Glossario, si legge: « Scriptus, ut videtur, circiter 1530 ». Segue la sigla « Hyq. »; la mano che scrive questa annotazione sembra risalire al XV III sec. Quanto alla datazione del codice, le filigrane richiamano esempi risalenti alla prima metà del XIV secolo (cf. Briquet 3205 e 3206, rispettivamente del 1329 e del 1342)22: ma questa datazione (che darebbe al codice una posizione stemmatica di significativo rilievo) non è confermata dall’analisi filologica (v. infra, p. 52). L’iniziale dei lemmi è rubricata. L’ultima menzione diretta del codice, fino al fortunato ritrovamento, era stata fatta nel 1789 da C.G. Gruner, all’epoca Professore di medicina a Jena, nella premessa alla pubblicazione delle « congetture galeniche » di Cornario (ovvero le note in margine all’esemplare dell’edizione Aldina conservato nella Biblioteca di Jena)23, dove scriveva (p. 11): « additurus sub calcem libelli … varias lectiones Galenicas, e codicibus Mosquensibus desumtas, et a cl. Matthaei benevole mecum communicatas ». Gruner parla di codici Mosquenses al plurale, e senza specifico riferimento al Glossario. È lecito però pensare, sulla base di quanto apprendiamo da Franz, che tra questi codici fosse anche il nostro. Era stato per primo I.G.F. Franz infatti, nella sua edizione di pochi anni prima24, a registrare le lezioni del codice Mosquense relative al Glossario. Gli studiosi successivi, da G. Helmreich (nei suoi quaderni personali conservati a Berlino presso il CMG) a W. Fauth (edizione inedita del Glossario, ca. 1970) e oltre, si affidano alle sue indicazioni. Ma anche Franz non aveva mai visionato il manoscritto, e si serviva della collazione che Christian Friedrich (von) Matthaei (1744–1811), l’estensore dei Cataloghi della Biblioteca Sinodale di Mosca, aveva fatto pervenire allo stesso Gruner. Cf. Franz, p. XXII: « accesserunt vero variae lectiones e Mosquensi codice, quas viro illustri Ioh. [immo Chr.] Godofredo Grunero, professori artis medicae in Universitate literaria, quae Ienae floret, … humanissime miserat Cel. Matthaei, quique pro suo erga nos favore eas ad nos transire iussit, ut in usum nostrum converteremus ». Contrariamen20

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24

Del codice mi sono occupato in « Nuovi » manoscritti, di cui riprendo qui le conclusioni. Qualche accenno alle vicissitudini avevo fornito, prima che il manoscritto tornasse alla luce, in Perilli, La tradizione manoscritta, p. 431s. A. von Stockhausen, p. 697. von Stockhausen, cit. Iani Cornarii … coniecturae et emendationes Galenicae, edidit C. G. Gruner, Ienae 1789 (già Progr. Univ. Jen. I–IV, 1788–89: arriva però solo alla pag. 105 del primo tomo dell’Aldina, allo scritto An in arteriis natura sanguis contineatur). Iohann Georg Friedrich Franz pubblicava a Lipsia nel 1780 gli Erotiani Galeni et Herodoti Glossaria in Hippocratem, ex recensione Henrici Stephani, graece et latine, aggiungendo alle sue proprie annotazioni le « Emendationes Henrici Stephani, Bartholomaei Eustachii, Adriani Heringae etc. », e soprattutto una « varietatem lectionis ex manuscriptis codd. Dorvillii et Mosquensi ».

C

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Le fonti

te però a quanto affermava Franz (p. XIX), e sulla sua scia Ackermann nella Historia Literaria Cl. Galeni (V, p. 437 Fabricius = XX, p. CXXXIX Kühn)25, il Matthaei nel suo catalogo dei manoscritti della Biblioteca Sinodale non aveva, né avrebbe, descritto questo manoscritto: in nessuno dei tre suoi cataloghi di quella collezione (1776; 1780; 1805) si dà notizia del codice. L’unico di cui si possa dire con certezza aver avuto tra le mani questo codice è Matthaei. Tra il 1789 (pubblicazione delle coniecturae et emendationes Galenicae di Cornario da parte di Gruner) e il 1811 (anno della morte di Matthaei), il manoscritto dovette arrivare a Jena, e finire nella biblioteca personale di Gruner: il codice risulta infatti registrato nel catalogo dei libri di Gruner, redatto poco dopo la sua morte, nel 1818, nel quale si legge: « Ein altes griechisches Msc. welches sich anfängt του μεγαλου Ἱπποκρατου etc. ein Besitzer hat oben darüber geschrieben: Scriptus, ut videtur, circiter 1530 »26. Dopo essere riaffiorato a Jena il codice è ora registrato sotto la segnatura Ms. G.B. f. 3127, che rinvia alla Biblioteca di Wolfgang Maximilian Freiherr von Goethe, nipote del poeta, il quale nel 1880 cedette alla Biblioteca universitaria di Jena i propri libri28. Il codice, come oggi si presenta, consiste di soli 8 fogli, recanti il testo del Glossario. Sul foglio di guardia, Matthaei stesso (la cui grafia è facilmente riconoscibile) trascrisse il testo di alcuni Ὑγιεινὰ παραγγέλματα di Oribasio, copiandolo dal Mosq. gr. 27929. Al foglio di guardia fa séguito il testo del Glossario. Si tratta con ogni probabilità di fogli estratti da un manoscritto più ampio, che non è stato possibile fino ad ora identificare. Che Jenensis e Mosquensis coincidano, mostra non solo la corrispondenza (quasi totale) delle lezioni con quelle registrate da Franz, ma già il fatto che il codice si interrompe in corrispondenza del lemma φυτευτηρίων: manca l’ultimo foglio, che avrà contenute le glosse successive. Lo stesso dato rilevava Franz (p. 595 n. 12): « desinit hic cod. Mosq. ». Pertanto, o il codice nelle mani di Matthaei era già mutilo, e quindi l’informazione sull’explicit difettoso proviene da Matthaei stesso; oppure, Matthaei aveva fatto pervenire le pagine del manoscritto a Gruner già prima del 1780, quando 25 26

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Dettagli bibliografici infra, n. 39. Catalogus Bibliothecae Chr. Gottfr. Gruner, Pars I, Libri Medici, Jena 1818, p. 361, Nr. 5831. Attingo questi dati da A. von Stockhausen, cit. A. von Stockhausen, p. 697. Cf. von Stockhausen, cit., p. 684s. Questa è però una segnatura fuorviante, erroneamente attribuita al codice nel 1968, dopo che, con la distruzione dell’edificio centrale della biblioteca nell’ultima Guerra, il catalogo dei libri del Goethe minore era andato perduto. Che il codice sia arrivato materialmente a Jena, non sorprenderà chi consideri le vicende biografiche del Matthaei, i suoi spostamenti tra Germania e Russia, e la sua attitudine disinvolta nei confronti dei codici che maneggiava: nelle biblioteche anche minori della Sassonia si conservano non pochi materiali risalenti a Matthaei, collazioni, annotazioni marginali e altro, non sempre adeguatamente catalogati. Ulteriori dettagli sulla questione in Perilli, « Nuovi » manoscritti. Non sarà un caso che proprio Gruner abbia pubblicato anche questo testo, in Oribasii medicinalium collectorum liber II et fragmentum aliud e codice Mosquensi nunc primum Graece et Latine, un fascicoletto edito a Jena nel 1782. Gruner, che aveva ricevuto le collazioni di Matthaei prima del 1780 (anno della edizione di Franz, che quelle collazioni utilizza), aveva avuto dunque per quella via anche il testo dell’Oribasio. Che Matthaei avesse inviato già allora a Gruner, invece che una collazione, il codice stesso, non è impossibile, anche se sia Gruner che Franz non fanno mai cenno a un codice ma sempre a lezioni comunicate da Matthaei.

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Franz pubblica il suo lavoro, e nel separarle dal resto del codice non poté fare a meno, per non danneggiare l’opera che seguiva il Glossario, di rinunciare ad asportare l’ultimo foglio. Gli otto fogli risultano essere stati piegati nel mezzo, forse allo scopo di essere spediti, o trasportati. La legatura attuale risale al restauro effettuato nel 1961. 6. Parisinus Gr. 2255 Parisinus 2255 (= E). Doppio codice, in due tomi (il secondo è indicato per Ippocrate come D), è il testimone più completo a noi giunto delle opere di Ippocrate. Datato nel catalogo di Omont al XV sec., è stato leggermente retrodatato da Ilberg e Schubring al XIV, verosimilmente gli anni finali del secolo. Il Glossario si trova ai ff. 25r–53r, seguito dalla Vita, e fa parte della famiglia di R. Nel codice sono all’opera, oltre alla mano principale, almeno altre due mani, che integrano additamenta marginali; l’una (E2) facendoli precedere dal siglum γρ', con il quale introduce correzioni o varianti che attinge a una edizione a stampa, verosimilmente quella di Cornario, dalla quale è del resto copiata la seconda sezione del codice30; l’altra (E3) che aggiunge in margine al Glossario alcuni scoli che sono stati oggetto di pubblicazione e analisi da parte sia di Ilberg che di Nachmanson31. In corrispondenza dell’inizio del Glossario si legge, in caratteri rubricati (riporto la trascrizione/ricostruzione di Ilberg e Nachmanson, verificata sul codice): * * * (εἰσιν legit Ilberg, falso) αἱ ἐπὶ τῶν | ελίδων ἔξωθεν γε|αμμέναι παρα|ημειώσεις εἰσὶν | τῶν ἡρωδιανοῦ (lege ἐρωτιανοῦ) | λύκου· τὰ μὲν σχό| τοῦ λύκου, αἱ δὲ λέξεις | τῶν περὶ γλωσσῶν | ρωδιανοῦ (lege ἐρωτιανοῦ). Seguono dieci annotazioni glossematiche32: α 55 ἅλες τὸ ἁλμυρὸν φλέγμα παρ' Ἱπποκράτει ἐν τῷ α' περὶ νούσων καὶ ἐν τῷ βʹ α 82 ἄμπωτις = Erot. fr. V III β 9 βλητοί = Erot. fr. XLV III ε 50 ἕλκεα = Erot. fr. XXXIV κ 64 κοτίδι = Erot. fr. XLIX λ 13 λεπτὰ οὖρα τότε εἰσίν, ὅτε κατὰ τὰ κυρτὰ τοῦ ἥπατος ὠμοὶ πλεονάζουσι χυμοί σ 36 σπάδων κατὰ γραμματικοὺς ὁ εὐνοῦχος λέγεται, παρ' Ἱπποκράτει δὲ τὸ ἐν τῷ φλεβίῳ σπάσμα. καὶ γὰρ τὰ σπάσματα σπάδωνα (sic) καλοῦνται (anche questo scolio di origine erotianea secondo Ilberg l.c.) τ 4 τερηδών = Erot. fr. L τ 5 τέρμινθος = Erot. fr. XIII ω 3 ὠργισμένον = Erot. fr. LII 30

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Cf. Diller, Die Überlieferung, pp. 13–22, che indaga la questione a partire dal testo del De aëribus e di altre opere ippocratiche non comprese nelle collectio Marciana; Rivier, Recherches sur la tradition, pp. 106 e 155–157, conferma l’ipotesi di Diller e la estende a altre opere della collectio (come il De morbo sacro). Ilberg, De Galeni Glossario, pp. 335ss.; Nachmanson, ESt, p. 152s.; pp. 179ss.; una tra le tante descrizioni del codice è quella di K. Schubring, Die Überlieferung, pp. Xss. La numerazione è quella delle glosse alla cui altezza, approssimativamente, le annotazioni sono scritte.

E

E2 E3

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Le fonti

Le glosse non erotianee potrebbero risalire al Lico citato nel primo testo. Se così fosse, e se questi fosse identificabile con l’empirico di Napoli, o con Lico di Macedonia, dei quali pochissimo sopravvive, si tratterebbe di un caso di notevole importanza: Nachmanson ritiene comunque, a ragione, che lo scoliasta attingesse con ogni probabilità ad annotazioni marginali di un altro codice. Nei fogli iniziali il testo del Proemio è intersperso tra quello delle glosse: il fol. 27r-v contiene la prima parte del Proemio, ma il foglio successivo contiene le glosse da α 88 a α 123; riprende poi il Proemio, che si alterna allo stesso modo con altre glosse, mentre il fol. 32v è per larga parte rimasto bianco. Se dal punto di vista codicologico il codice meriterebbe ulteriore analisi, esso invece non ha rilievo per la costituzione del testo, salvo il caso di singole correzioni; è stato però oggetto di attenzione per gli scoli marginali e per il nesso con Cornario. 7. Hauniensis Gr. 224 N

Hauniensis Gr. 224 (= N)33. Datato alla prima metà del XV sec., il codice, di 2 + 336 fogli, contiene il Glossario ai ff. 1v–12r, facendolo precedere dall’indice del contenuto e seguire dalla Vita. In cima alla prima pagina, sopra al titolo dell’opera Γαληνοῦ τῶν Ἱπποκράτους Γλωσσῶν ἐξήγησις, si legge un θρασϋβουλου di non univoca interpretazione, che il catalogo di Schartau riporta, senza mostrare sospetti, come fosse la prima parola del titolo stesso, prima del nome di Galeno. Il manoscritto documenta per Ippocrate la collectio Marciana, mentre del testo del Glossario reca la redazione integrale. È stato dimostrato dipendere, per Ippocrate, da H. Lo stesso sembra valere per il Glossario: tuttavia, mentre in H il nostro testo è mutilo della parte iniziale, N reca il Proemio per intero; e mentre H presenta due lunghe lacune (v. supra), N ha il testo completo: venne quindi copiato prima della perdita del foglio iniziale e dei fogli centrali di H. Ma N aggiunge anche, a differenza di H e insieme con B, due glosse assenti dal resto della tradizione (α 14a e α 14b, su cui v. infra ad B, p. 45), e integra una seconda parte nella interpretatio di α 31: aveva dunque la possibilità di consultare almeno un altro codice, o di collazionare materiali diversi (Erotiano?). Su questo, v. infra, sulle relazioni tra i codici. 8. D’Orville 3

D

D’Orville 3 (= D, olim Dorvillianus X 1.1.3)34. Pervenuto nel 1804 alla Bodleian Library di Oxford, dove ricevette l’attuale legatura, il codice cartaceo di 1 + 256 ff. è datato nel catalogo di Madan al XV sec., ma risale piuttosto all’inizio del XV I, come mostrano le filigrane35. Contiene la Sinossi e le Ecloghe di Oribasio (ff. 1–144), il nostro Glossario (ff. 144v–165v), seguono Erotiano e due opere attribuite a Galeno (le 33

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Sul codice, oltre alle Prefazioni delle edizioni di Ippocrate, cf. A. Nelson, Zur Kopenhagener Handschrift des Hippocrates, Eranos 6, 1905–6, pp. 45–49; Rivier, Recherches sur la tradition, pp. 142–144, 147. Descrizione dettagliata nel catalogo dei Codices Graeci Haunienses di B. Schartau, Copenhagen 1994, pp. 84–87. Anche di questo codice, e del presunto Amstelodamensis, mi sono occupato in altra sede, cf. Perilli, « Nuovi » manoscritti. Cf. Nachmanson, ESt, pp. 28–31.

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spurie Definitiones e la Introductio sive medicus). L’ordine dei due glossari di Galeno e Erotiano era originariamente invertito, Galeno seguiva Erotiano (come nei codici a questo imparentati, i.e. Vatic. 277, Bruxellensis 11345–48, Marc. App. cl. V 15); ma uno spostamento di fogli avvenuto prima del 1749 (data in cui il codice fu collazionato da Bernardus, di cui subito), ha alterato la sequenza36. Il codice è costituito da tre tipi di carte diverse, ma tutte di origine italiana e tra loro contemporanee; quella del Glossario reca una filigrana Briquet 5963. Il codice va associato per il Glossario in particolare a O e Li. Con questo codice va identificato anche quello che nel Catalogo di Diels è indicato come Amstelodamensis, rimasto finora un codice fantasma e, come il Mosquensis, corredato da Diels di un punto interrogativo. È lo stesso manoscritto che Franz denomina Dorvillianus. L’equivoco nasce verosimilmente proprio dall’edizione di Franz, che nella Prefazione (p. XV I) menziona quattro codici manoscritti, l’ultimo dei quali descritto come « in Bibliotheca Ioh. Phil. Dorvillii codex Amstelaedamensis », la biblioteca di D’Orville padre, Jacques (Franz fa riferimento invece al figlio Jean, che la eredita). Il codice era stato collazionato da Iohannes Stephanus Bernardus, medico di Amsterdam, sull’edizione dello Stephanus, e la collazione pubblicata37. L’equivoco nella denominazione del codice (Amstelodamensis / Dorvillianus) si spiega dunque senza difficoltà. D’Orville, peraltro, nella sua Premessa aggiungeva che « is Codex … continet praeterea quosdam Oribasii libros »: come l’attuale D’Orville 338. Al citato Franz attinse Ackermann (medico oltre che classicista) nella sua Historia Literaria Claudii Galeni39, dove annotava: « Cod. Amstelodamensem contulit Jo. Ph. Dorvillius », con una duplice imprecisione, poiché il codice fu collato dal Bernardus e non dal D’Orville, e poiché il D’Orville in questione non è Jean (Johannes) ma Jacques. Diels dovette ricorrere a sua volta proprio ad Ackermann: trascurando però il riferimento a D’Orville, egli si trovò a postulare erroneamente l’esistenza di un codice ulteriore. 9. Marcianus Gr. App. cl. V 15 Marcianus Gr. App. cl. V 15 (= O). Nel codice di ff. 160, una volta appartenuto alla famiglia patrizia veneziana dei Nani (donde la precedente denominazione di Nanianus 36

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Il codice si trovava in origine a Firenze, dove Antonio Francesco Gori, archeologo amico di Jacques Philippe D’Orville, lo acquistò per lui nel 1745 al prezzo di 3 zecchini, grazie a una fortunata coincidenza: scrive infatti Gori in una lettera del 25.11.1745, che « si Cocchius [i.e. Antonio Cocchi] Florentiae erat, facile non habuissem; tunc enim rusticabatur ». Le lettere di Gori a D’Orville sono nel codice di Oxford Madan 17377, Latin letters to D’Orville from Antonius Franciscus Gorius; cf. Nachmanson, ESt, p. 30. Nella Miscellaneae Observationes Criticae novae in auctores veteres et recentiores, tom. IX, Amstelaedami 1749 (il glossario di Galeno alle pp. 1020–1056), alle quali era preposta una premessa di mano dello stesso Jac. Phil. D’Orville. Su D’Orville, Professore di storia, eloquenza e greco ad Amsterdam, le notizie essenziali sono in F. Madan, A summary catalogue of Western manuscripts in the Bodleian Library at Oxford, vol. IV, Oxford 1897, p. 37. È reperibile nella Bibliotheca Graeca del Fabricius V 377–500 (IV ed., Hamburgi 1790–1809), ristampata nel primo volume del Galeno edito da Kühn (Lipsiae 1821, XVII–CCLXV, qui p. CXXXIX).

O

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Le fonti

249) ed entrato in possesso della Biblioteca Marciana per legato testamentario dopo il 1796, il Glossario occupa i fogli finali, 142v–158r. Datato dal catalogo di Mioni alla metà del XV I sec., va collocato in realtà anteriormente al 1525, forse tra gli anni 1518– 1520. La filigrana delle pagine del Glossario infatti, piuttosto che con Briquet 444 (1529, Firenze) di Mioni, o (meglio) Briquet 445 (1531–34), va confrontata con V. Mosˇin, Anchor watermarks, Amsterdam 1973, 298 (1518, Croazia) e 300–301 (1520, Fabriano = Zonghi 1630–1631), cf. anche G. Piccard, Wasserzeichen. Anker, Stuttgart 1978, I 342 (1518, Oberösterreich). Dopo alcuni fogli bianchi (1–18), il codice contiene nella prima parte, fino al f. 119v, i commenti di Galeno al primo e al terzo libro delle Epidemie di Ippocrate; segue un quinione bianco, quindi il glossario di Erotiano (125r–142v), che precede quello di Galeno. Titoli e lemmi sono rubricati, i lemmi interni sono generalmente sottolineati in rosso. Lo scriba è il medesimo per l’intero codice. Il codice è imparentato con Li e D. 10. Holkhamensis Gr. 92 Ho

Bodleianus Holkhamensis Gr. 92 (= Ho, olim 282). Il codice non era stato fino ad ora segnalato negli studi sul Glossario di Galeno40, mentre è noto come codice ippocratico contenente parte degli scritti della collectio Vaticana (così detta dal Vatic. Gr. 276), che da un certo punto in poi sono però in una sequenza diversa da quella usuale. Risalente al primo quarto del XV I sec. (contemporaneamente alla pubblicazione dell’edizione Aldina sia di Galeno che di Ippocrate, o poco prima), il codice fu copiato da Costantino Mesobote, attivo a Padova (da dove il nostro codice proviene) nella cerchia di Zaccaria Calliergi e successivamente a Venezia e Bologna (Repertorium, I nr. 224, p. 124s.). Al Mesobote si dovettero diversi dei manoscritti poi utilizzati per l’Aldina41. Codice tardo, dunque, esso deve la sua notorietà al fatto di essere stato utilizzato come antigrafo dell’edizione aldina di Ippocrate, insieme ad altri codici tra cui spiccano il Parisinus Gr. 2141 e il Parisinus Gr. 225342. Per il Glossario, che apre il codice ai ff. 1r–23r, Ho è in rapporto molto stretto con l’Aldina (quella di Galeno), ma non si può dire però che ne sia stato il modello (cf. infra). Peculiarità importante, esso reca la redazione integrale del testo, ma non il Proemio. 11. Bruxellensis 11345–48

Li

Bruxellensis 11345–48 (= Li). Il codice di 104 ff., appartenuto al medico ed erudito inglese Thomas Linacre (di qui il siglum), fu scritto (almeno il fascicolo contenente il Glossario) nella prima metà del XV I sec., come indicano le filigrane (Briquet 493: 1524–30) del quinto quaternione e del ternione che lo segue: poiché Linacre morì nel 1524, questa data sarà da assumersi come terminus post quem non. Il Glossario si trova ai ff. 25r–45v, preceduto dall’Erotiano (1r–24v). Il codice è costituito da tre fascicoli separati scritti da tre mani diverse su carte diverse ma pressappoco contemporanee, il 40 41 42

Se ne riferisce in Perilli, « Nuovi » manoscritti, pp. 192–199. Cf. su questo S. Fortuna, Nicolò Leoniceno, pp. 443–464 (su Ho cf. p. 445). Cf. Diller, Die Überlieferung, pp. 9ss.; W. H. S. Jones, Hippocrates, vol. II, Cambridge/Mass. 1959, p. LI; Schubring, Die Überlieferung, pp. XIIIs.; Jouanna, Hippocrate. Airs Eaux Lieux, pp. 87 e 155s. n. 304, e L'Hippocrate de Modène, p. 281 e n. 32, sul correttore di Ho che interviene per preparare il codice in vista della pubblicazione a stampa; Potter, p. 244.

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primo contenente i due glossari, il secondo (47r–76r) la Hypotyposis astronomicarum positionum di Proclo e il terzo (77r–104v) il primo libro e parte del secondo della Geografia di Tolemeo. Tutti sono appartenuti a Linacre, e almeno il primo, che qui interessa, è passato dapprima per il convento dei Gesuiti di Bruxelles, quindi nel 1794 per Parigi, Bibliothèque Nationale, per tornare pochi anni dopo (1815) a Bruxelles. L’iniziale dei lemmi del Glossario è rubricata. Come per il testo di Erotiano, anche per il nostro Glossario il codice è imparentato con O e D, ma nessuno dei tre dipende dall’altro; tutti sembrano risalire a un medesimo antigrafo e possono essere raggruppati insieme. Tutti e tre tradiscono inoltre una origine italica, le filigrane sono pressappoco contemporanee, e persino le dimensioni (30/32 x 22 cm circa, specchio di scrittura circa 22,5 x 12,5) risultano analoghe43. 12. Berolinensis Gr. 121 Berolinensis Gr. 121 (= Q, olim Phillippicus 1525). Codice di ff. 111, risalente al XV I sec.; la prima parte del codice fino a 98r è databile, stando alla sottoscrizione, al dicembre 1540, e fu scritta da Valeriano Albini da Forlì, che fu attivo come copista tra il 1528 e il 154844. Il Glossario occupa i fogli 99r–111v, e fu dunque aggiunto posteriormente a quella data; è scritto, infatti, da una mano diversa. Oltre al Glossario, il manoscritto contiene gli scoli di Palladio al libro sesto delle Epidemie. A causa della caduta di un foglio il testo del Glossario si interrompe con il lemma ψέφαρα. I fogli 109–110 sono fuori posto: dovrebbero essere collocati prima di 107–108. Inoltre, il testo manca del Proemio; e presenta due lunghe lacune, coincidenti con quelle di H: da ι (termina con ἴκταρ) alla prima parte di μ (riprende con μήτρη, omettendo le lettere finali della glossa precedente, per lui incomprensibili), e da σ 77 a υ 14 (non leggendo bene, unisce le due glosse e dopo συνηρμωσμένα ὡς aggiunge, come fosse il prosieguo, περχωλήσει κτλ., omettendo l’iniziale ὑ, per poi riprendere con ὑπερψυχῆ). Di entrambe le lacune il copista non sembra consapevole, poiché il testo prosegue (i salti si trovano entrambi nel corso della pagina) senza né spazi né indicazione alcuna. Da H, palesemente, il codice dipende.

Q

13. Metochion Panagiou Taphou 507 Metochion Pan. Taph. 507 (= Const, olim Constantinopolitanus 507). Il codice, datato al XV II sec. e per lungo tempo irreperibile nel corso del ’900, fu copiato da una edizione a stampa: quella dello Stephanus, come già supponeva Nachmanson (ESt, p. 36s.), che non aveva visto il codice, sulla base della sola identità dei titoli delle opere, particolarmente indicativa per Erotiano. Va tuttavia osservato che per il Glossario di Galeno viene omesso il Proemio, presente nella edizione Stephanus, e questo appare un dato piuttosto singolare. Il manoscritto contiene il glossario di Erotiano seguito da quello galeniano, quindi le cosiddette Glosse erodotee e il trattato sul dialetto ionico di Gregorio di Corinto; sono esattamente, e nella medesima sequenza, le 43

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Cf. Nachmanson, ESt, pp. 55ss. Nel catalogo di R. Calcoen, Inventaire des manuscrits scientifiques de la Bibliothèque Royale Albert 1er, III, Bruxelles 1975, p. 55, l’amplissima bibliografia omette di riportare il puntuale contributo di Nachmanson. Su Valeriano cf. M. Sicherl, Die Vorlagen des Kopisten Valeriano Albini, Illinois Classical Studies 7/ 2 (1982) pp. 323–358.

Const

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Le fonti

opere della edizione Stephanus. Non abbiamo altri codici che presentino lo stesso insieme di trattati. Il codice si trova oggi ad Atene, presumibilmente trasferitovi tra il 1938 e gli anni dopo la Guerra, insieme con numerosi altri codici, alcuni dei quali scomparsi nel tragitto45 – il più famoso dei quali è il Palinsesto di Archimede riaffiorato alcuni anni orsono in una vendita all’asta e recentemente pubblicato. Del nostro codice si ha traccia nel Catalogo di Papadopoulos – Kerameus, che in proposito ristampa l’articolo di Bethmann, Reise durch Deutschland und Italien in den Jahren 1844–1846, IX, 1847, pp. 645–58 (qui p. 651) apparso nel 1847 nello « Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde zur Beförderung einer Gesamtausgabe der Quellenschriften deutscher Geschichte des Mittelalter ». Il codice, di piccolo formato, contiene il Glossario ai ff. 97r–181v, una estensione di quasi cento pagine inconsueta per un’opera breve come la nostra, generalmente racchiusa in pochi fogli. La scrittura è molto larga, e ogni foglio contiene pochissime parole (il primo foglio contiene le sole prime tre glosse). Il manoscritto fu ancora nelle mani di R. Reitzenstein, che ne riferì per lettera a Nachmanson nel giugno 1916 (cf. ESt, p. 37, n. 1): « Erwähnen möchte ich, dass sich in Konstantinopel in der Bibliothek des griechischen Patriarchats eine sehr junge Erotianhandschrift findet, die mir vor 17 Jahren einmal durch die Hände ging. Was ich damals mit dem Druck verglich, war freilich ohne jede Bedeutung ». La stessa valutazione è da riferirsi al nostro Glossario. 14. I marginalia del Vaticanus Gr. 276 Si aggiunge ai codici della prima classe il Vaticanus Gr. 276, con i suoi excerpta: il codice, uno dei più importanti per Ippocrate, descritto in dettaglio in tutte le pertinenti edizioni, risale al XII sec. ed è il prototipo della collectio Vaticana del Corpus Hippocraticum. Contiene per il Glossario soltanto alcune glosse annotate in margine ai fogli compresi tra il 180 e il 192, attinte ad un codice appartenente alla classis prior, quella contenente il testo integrale del Glossario (non tutte le glosse citate, infatti, ricorrono nella redazione epitomata). ᾶ Dieci sono quelle introdotte dal siglum Γ (Γαληνοῦ) e precisamente46: 1. f. 180r ἀρικύμων· ταχέως ἐγκύμων γινομένη (in mg. ad Steril. V III 424,11 L.: ἀρικύμων) = α 151. 2. f. 180v ἄνθη· κέρατα ἐρυθρὰ καὶ ὕφαιμα (in mg. ad Steril. V III 426,19 L.: ἄνθει ὀπτῷ) = α 116 (πτύσματα pro κέρατα A; gl. om. M). 3. f. 181r λίθον μέλαινα· ὃν καὶ μυλίτην ὀνομάζουσι κόχλακα (in mg. ad Steril. V III 430,23 L.: λίθον μέλανα) = λ 21.

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Per lungo tempo la vicenda ha conservato aspetti poco chiari; come osservava all’epoca M. Richard (Répertoire des bibliothèques et des catalogues de manuscrits Grecs, Paris 1958, nr. 444), « la localisation actuelle de cette collection (scil. Metochion Panagiou Taphou) est officiellement un mystère ». Le glosse sono state accuratamente edite (solo un paio di sviste minori è stato necessario correggere) da Nachmanson, ESt, pp. 212ss., insieme con altre quattro derivanti da Erotiano e tre da un Etimologico (forse il Genuinum).

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4. f. 182v ἰθαγενές· γνήσιον. ἀλλὰ με ἶσον ἰθαγενέσσιν ἐτίμα (in mg. ad Steril. V III 446,9 L.: ἰθαγενὲς) = ι 2. 5. f. 183r ἔκμαγμα· τὸ δὲ συνεστραμμένον φύραμα καὶ τὸ κροκόμαγμα (in mg. ad Steril. V III 450,16 L.: ἔκμαγμα) = ε 15. 6. f. 183r σιπυίδα· πυξίδα. δηλοῖ δὲ ἄλλως τοὔνομα κεραμεοῦν τι σκεῦος εἰς ὃ ἄλφιτα ἐμβάλλεται (in mg. ad Steril. V III 450,18 L.: σιπυίδα) = σ 16. 7. f. 191v διῆσαι· διασεῖσαι ἐν β̅  γυναικείων δηλοῖ καὶ τὸ διηθῆσαι καὶ τὸ διελεῖν (in mg. ad Cord. IX 80,12 L. = p. 190,13 Duminil: διήσει) = δ 15. 8. f. 191v φορύξαντες· φυράσαντες (in mg. ad Cord. IX 80,13 L. = p. 190,14 Duminil: φορύξας) = φ 37. 9. f. 192v αἰών· βίος (in mg. ad Carn. V III 608,22 L.= p. 200,25 Joly αἰών) = α 31. 10. f. 192v ἀνακῶς· φυλακτικῶς (in mg. ad Carn. V III 614,6 L. = p. 202,20 Joly ἀνακῶς) = α 92. Dal codice non si ricava dunque molto. Va segnalato che il De carnibus, al cui margine lo scoliasta colloca le due ultime annotazioni, è opera mai citata nella letteratura medica antica, Galeno incluso, e le due glosse qui indicate possono avere altro referente (v. ad loc.). L’annotazione marginale nr. 2, dal f. 180v, si riferisce ad un passo ippocratico incongruo rispetto al contenuto della glossa, e indica un lavoro non particolarmente accurato da parte dell’estensore, come anche l’analisi degli altri marginalia, in particolare alcuni di quelli erotianei, mostra. Né era da aspettarsi di più: era infatti consuetudine riferire il lemma di un lessico a un qualunque luogo classico nel quale esso ricorresse, spesso senza verificare che effettivamente la explicatio si adattasse al passo chiosato; Galeno stesso, nel momento in cui nel Glossario quasi mai fornisce l’indicazione dell’opera di Ippocrate cui il lemma va riferito e dà alla sequenza dei lemmi un ordinamento alfabetico, generalizza il proprio obiettivo rendendo non più individuabile il luogo di partenza. b) Manoscritti della classis posterior 1. Marcianus Gr. 269 M)47.

Marcianus Gr. 269 (= Uno dei più importanti manoscritti ippocratici esistenti. Prototipo della collectio Marciana, appartenuto al Cardinale Bessarione, il suo ruolo nella trasmissione del Glossario è decisivo, e richiede specifica analisi; il testo del Glossario non è integrale ma epitomato e in ordine alfabetico non rigoroso, ed è privo del Proemio. Il manoscritto, nella sua struttura generale, è stato esaurientemente esaminato da un punto di vista sia codicologico che filologico; costituito da 1 + 462 fogli, esso risale al X secolo, verosimilmente alla prima metà. Il Glossario è premesso agli scritti di Ippocrate, nell’unico quinione dell’intero codice (costituito quasi interamente da quaternioni), è preceduto da un bifolio recante l’indice delle opere ippocratiche, e seguito nell’ultimo foglio del quinione dalla Vita. Il testo è disposto su due 47

Dettagli sul codice e sul suo ruolo nella trasmissione del Glossario sono in Perilli, La tradizione manoscritta e L'ordinamento. Ribadisco e aggiorno qui le principali risultanze di quegli studi, confermatesi con il procedere dell’indagine.

M

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Le fonti

colonne diseguali, una per i lemmi, l’altra, più larga, per gli interpretamenta; su due colonne, ma assai diverse per dimensioni da quelle del Glossario, è scritto anche il resto del manoscritto48. Si è a lungo ritenuto che il testo del Glossario fosse dovuto a uno scriba diverso rispetto al resto del manoscritto, ad una mano che veniva spostata da Mioni, nel catalogo dei manoscritti Marciani, fino al XII secolo: « scriba unus totum librum descripsit, si tamen excipias f. Iv saec. XI exaratum et ff. 2–11, quae manus saec. XII inseruit » (p. 391)49. In verità, la mano del Glossario presenta caratteristiche non molto dissimili da quella che scrive il resto del manoscritto, ed è stata infine identificata con l’altra50. La stesura del testo è da collocare dunque a sua volta non oltre la metà del X secolo, e non alla fine del secolo come si è ritenuto. Il primo quinione era già compreso nella prima numerazione del codice, risalente presumibilmente al XII sec. Analoghe a quelle dell’Ippocrate sono tutte le altre caratteristiche, inchiostro, numero di righe per pagina, uso dello iota ascritto e degli spiriti angolari, sporadico inserimento di lettere maiuscole nella minuscola (spesso Ν o Η, come in β 10 e ε 36, cf. σ 69; spicca la desinenza finale ΕΙΝ in τ 15, identica a quella che ricorre nell’Ippocrate, ad esempio nel Giuramento al f. 12r). In particolare, si può segnalare una certa somiglianza tra la mano che scrive il Glossario e quella del testo di Ippocrate, cf. e.g. ff. 279, 293. Il primo foglio del quinione reca nel margine inferiore una annotazione, si direbbe una nota di possesso (τῆς περιβλέπτου θεοτόκου), che sembra rinviare alla presenza del manoscritto a Costantinopoli, località di transito anche per altri codici ippocratici contenenti il Glossario, come ad esempio il Paris. 2143, ma soprattutto il Laur. 74,3 (A), come indica il ruolo di Demetrio Angelo e il nesso con Ioannikios, entrambi connessi con quella città (per A, cf. supra, la descrizione). Questa compresenza di A e M nella medesima città potrebbe forse aiutare a spiegare i punti di contatto tra i due codici,

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Il manoscritto, recentemente oggetto di nuova analisi codicologica da parte di P. Degni, Qualche considerazione sui più antichi corpora, pp. 295–310, è analizzato in tutte le edizioni di Ippocrate, dalla descrizione di Daremberg stampata in Littré, in poi (cf. in particolare Ilberg, ap. Kühlewein, I, pp. XV III–XXI, e Zur Überlieferung, pp. 449–451, nonché le edizioni ippocratiche di Gomperz, Heiberg, Alexanderson, Joly, Jouanna, il περὶ φυσῶν di Nelson, etc.). Lo studio di riferimento si deve a J. Irigoin, Tradition manuscrite et histoire du texte, pp. 1–13 e L'Hippocrate du cardinal Bessarion, pp. 161–174; da segnalare è ancora almeno A. Anastassiou, Zur Frage der Struktur, pp. 17–33; la descrizione è dettagliata nel catalogo di E. Mioni (che suscita però perplessità quanto alla datazione della prima parte del codice contenente il Glossario), notizie utili sono ancora, tra molte altre pubblicazioni, in Rivier, Recherches, passim; Formentin, I codici greci, pp. 37–42, e A margine dell’Ippocrate bessarioneo, pp. 487–505; cf. già L. Labowski, An unnoticed letter of Bessarion, pp. 366–375, integrato da Bessarion's Library, p. 509. Il codice è stato approfonditamente studiato da J. Jouanna, L’Hippocrate de Venise, pp. 193–210, cf. inoltre V. Boudon-Millot, À propos de l’Hippocrate de Venise, pp. 759–766. Per il nostro Glossario, una descrizione specifica è in Ilberg, De Galeni glossario 338–340 (da usarsi con cautela per quanto attiene all’ordinamento alfabetico e alla omissione di glosse, conclusioni inficiate da errori di collazione, v. infra). Altrove, lo stesso Mioni propendeva per l’XI secolo, cf. Mioni – Formentin, I codici greci in minuscola, p. 37, dove si parla per il primo quinione di una mano « posteriore di un secolo » rispetto a quella del resto del manoscritto. Cf. Jouanna, L’Hippocrate de Venise; Formentin, A margine dell'Ippocrate; Degni, Qualche considerazione, p. 299.

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che si direbbero discendere dalla stessa linea di tradizione e forse dipendere da un medesimo antigrafo (cf. infra, pp. 63 e 90). Nel Glossario risultano attive tre mani differenti, una che scrive il testo e, rivedendolo, effettua correzioni e forse aggiunge qualche glossa; una seconda, di età successiva, che interviene supra lineam e talora anche nel testo, correggendo e inserendo segni diacritici, spesso mancanti: questa mano è molto simile, e comunque contemporanea, a quella che scrive alcuni dei marginalia ad Ippocrate, come si evince confrontando ad es. il γρ. καὶ διακατονευε, scritto in margine ad ὀνεύεσθαι al f. 6r, con i marginalia in Ippocrate ad es. al f. 265r o 267v; una terza mano, ancora diversa dalle altre, che reintegra sia il titolo (κόν) sia i lemmi delle prime sette glosse (ἀγκυλιδωτόν – ἀγλίης, con l’eccezione di ἄγροφον e di αγυα) su un frustulo di pergamena accostato al resto del primo foglio, evidentemente danneggiato, nell’angolo superiore sinistro; questa mano aggiunge anche, sul retro del frustulo, la parte finale delle interpretationes corrispondenti (gll. α 84, 85, 91, 92, 93, 97: gll. 86–90 et 94– 96 om. M). Il foglio 6v reca in basso a sinistra il disegno di una civetta, dovuto a mano posteriore alla prima. Chi scrive il Glossario aveva probabilmente a disposizione un solo quinione, e in questo doveva trovare spazio sufficiente per le opere da trascrivere, cioè il Glossario e la Vita di Ippocrate attribuita a Sorano. Quest’ultima opera mostra nella parte finale i segni di questa esigenza: la dimensione dei caratteri e degli spazi si riduce progressivamente, e lo specchio di scrittura si prolunga ben oltre il margine inferiore rispetto al Glossario e al resto del manoscritto. Antigrafo doveva essere un codice in minuscola, dunque non molto più antico: lo dimostra a π 38 la vox nihili γ χηφινη, dovuta presumibilmente al fraintendimento del siglum da minuscola γχ, per γίνηται, che doveva essere presente nell’antigrafo, mentre nella parte restante sarà da leggere ἢ φίνῃ. Nella stessa direzione, ma con minor sicurezza, sembra portare la forma tachigrafica (somigliante a υγ, e così fraintesa dal Paris. 2140 e dai moderni editori) per ἀπὸ in α 29 (ο απο αινου); un siglum non perspicuo in κ 24, probabilmente dovuto a una abbreviazione non ben compresa dallo scriba nel suo antigrafo; e qualche altro caso (π 44, σ 64). Altre sigle o abbreviazioni tipiche della scrittura minuscola, che risultano oscure allo scriba, vengono riportate meccanicamente. Cf. κ 23 καταφρονέοντα (110, 1): all’inizio dell’interpretatio, M ha un siglum poco chiaro ( ); il Laur. 74, 3 reca ἐντ, quindi ἐν ἔτει post corr., accolto da altri codd. (e.g. Vatic. 277, ma anche Paris. 2140); Helmreich congetturava ἑαυτοῦ; Kühn ha τὸν ἀνετέως. Invece, un errore dovuto, si direbbe, a impropria divisione di parole in μ 9 (ἤτης ἴσως per ἡ ζήτησις) fa pensare che l’errore, tipico di una trascrizione da maiuscola, fosse presente già nell’antigrafo, e che modello di questo fosse dunque un codice in maiuscola. M reca, in corrispondenza della glossa τ 13 τηλέφ(ε)ιον, un segno in margine ( ) di cui non è chiaro il significato, forse un segno di richiamo presente nell’antigrafo e riprodotto tal quale, ovvero un invito a prestare attenzione, forse ζ seguito da ί, i.e. ζήτει. (Potrebbe trattarsi anche di un segno indicante omissione, cf. e.g. T. W. Allen, Notes on abbreviations in Greek manuscripts, Oxford 1889, p. 17 n. 2, nel qual caso si potrebbe pensare a un rinvio alla glossa seguente, presente in A e qui omessa).

M2

M3

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Le fonti

Il codice M è il capostipite a cui risalgono, direttamente o indirettamente, tutti gli altri manoscritti della classis posterior, nonostante che nei discendenti si possa osservare in più di un caso la presenza di contaminazione, sia tra codici della stessa classe, sia tra codici di classi diverse. Si può dimostrare che il copista del Marciano è il responsabile dell’epitome del testo e del sovvertimento dell’ordine alfabetico, originariamente rigoroso. Le conclusioni di Ilberg sul codice e sul suo ruolo per il testo del Glossario sono falsate da importanti errori di collazione51. Su questo, e sulle altre peculiarità del codice e la sua attendibilità, v. infra. 2. Parisinus Gr. 2140 I

Parisinus 2140 (= I). Datato alla seconda metà del XII sec., il codice di grande formato era sottovalutato da Ilberg, che lo datava al XIV sec., mentre ebbe un ruolo di rilievo come tramite tra i manoscritti ippocratici più antichi e i recentiores (cf. infra). Il codice, di 426 ff., si apre ai ff. 1v–8v con il Glossario, come M, seguito dalla Vita e dagli scritti di Ippocrate52. Il foglio 1r contiene il pinax marciano delle opere di Ippocrate, disposto su due colonne; ma l’ultima parte in basso della colonna di destra, terminato il pinax, è occupata dalle prime voci del Glossario, e suddivisa a sua volta in due piccole colonne, una per i lemmi, l’altra per gli interpretamenta. Lo spazio essendo molto ridotto, questi ultimi non sono in genere completi. Le glosse riportate su questa parte del primo foglio vanno fino a α 24 αἰθύλικες (con l’attesa omissione delle voci non presenti nella classis posterior). Il primo lemma di questa serie sul f. 1r è rubricato, il titolo lo era prima di venire riscritto in nero. Il resto del testo, da 1v in avanti, è scritto invece a piena pagina, senza l’uso di colonne né a capo tra un lemma e il successivo. Il codice, pur essendo verosimilmente il tramite tra M, da cui è copiato, e i principali recentiores della classis posterior, raramente fornisce informazioni degne di nota dal punto di vista critico-testuale. Esso mostra rispetto ad M anche alcune differenze che sembrano doversi spiegare ipotizzando la sporadica consultazione da parte dello scriba di un secondo esemplare oggi non individuabile. Sul testo e sul confronto con M, cf. infra53. 3. Parisinus Gr. 2143

J

Parisinus 2143 (= J). Codice ippocratico di 397 ff. contenente la collezione Marciana e vicino a F (con cui condivide per lo più anche le filigrane) e a L, è collocabile nella prima metà del XIV sec. Reca le iniziali dei lemmi rubricate, e il Glossario apre il codi51 52

53

Si veda più avanti, la discussione di dettaglio. Sul codice cf. Irigoin, Le rôle des recentiores, il quale proponeva una datazione al XIII sec.; J. Jouanna, L'analyse codicologique, ne fa « una delle chiavi della storia dei recentiores ippocratici » (p. 62); si veda anche Byl, Méthode philologique, pp. 62–67, che non condivide alcune delle conclusioni del citato lavoro di J. Jouanna; Mondrain, Lire et copier Hippocrate, pp. 363–369, 384, studia il codice per il suo ruolo decisivo come tramite verso il folto gruppo dei manoscritti ippocratici del XIV secolo, dei quali nell’articolo vengono indagati soprattutto J e F. Per questo codice – verificato una prima volta personalmente – devo alla cortesia di Brigitte Mondrain successivi controlli su elementi di dubbio e sulla corretta lettura delle glosse riportate in basso alla fine del primo foglio.

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ce (ff. 1v–10r), seguito dalla Vita. È uno dei codici coinvolti nel grossolano errore di collazione di Ilberg, il quale riteneva che ne fossero omesse le glosse ε 78–ε 84, che invece sono tutte presenti (v. infra). Discende da M per il tramite di I. La presenza del termine ἀνελκύσας alla gl. α 110 lo collega a P K Voss. 4. Parisinus Gr. 2144 Parisinus 2144 (= F). Cartaceo di 397 ff., discendente dalla linea di I ma con numerose peculiarità sue proprie, vicino a J, il codice è databile alla prima metà del XIV sec. (ante 1345). Contenente la collectio Marciana, ricco di annotazioni marginali alle opere ippocratiche (qualche inserzione interlineare riguarda anche il Glossario), il codice è arricchito ai ff. 10v e 11r da due famose raffigurazioni, una delle quali rappresentante Ippocrate, l’altra il Granduca Alessio Apocauco, committente del codice. Il Glossario si legge ai ff. 1r–8r, l’iniziale dei lemmi è rubricata. È interessante notare che i fogli contenenti il Glossario sono separati dal corpo del codice, che inizia con la Vita attribuita a Sorano, dai due ritratti, quasi a segnalarne l’estraneità. Non rilevante per la costituzione del testo delle glosse, presenta una peculiarità che conferma la presenza di contaminazione nella trasmissione del nostro testo: la redazione del testo è quella epitomata di M, ma il foglio I che precede il Glossario reca anche l’inizio del Proemio, evidentemente proveniente da un codice della classis prior. Il testo occupa le prime righe nella pagina, nella cui parte inferiore si legge di nuovo, ripetuto, l’inizio del Proemio. Nel primo caso, che si estende per poco più di 12 righe del codice, il testo arriva fino a τινος ἐξηγήσεως (142,16); nel secondo, più breve, si ferma a πᾶσαν ἐξηγήσασθαι τὴν (142,8). I due blocchi di testo sono dovuti a mani diverse, la prima somigliante, o forse identica, a quella che scrive il resto del Glossario, l’altra successiva. Il titolo che precede il primo di questi brani di testo reca: προοίμιον τοῦ Γαληνοῦ εἰς τὴν ἐξήγησιν τῶν Ιπποκράτους Γλωσσῶν. Anche sul ruolo di questo codice, come di J, per il Glossario il giudizio di Ilberg è inficiato dai dati di una collazione inesatta.

F

FII

5. Baroccianus 204 Bodleianus Baroccianus 204 (= B)54. Cartaceo di 409 ff., datato dal catalogo di Coxe (1853) al XIV sec., al XV invece da Nachmanson (ESt, p. 221). Contiene la collezione Marciana, preceduta dal Glossario (ai ff. 1r–8r) e dalla Vita55. Una mano posteriore integra alcune lettere ad inizio riga dei diversi fogli, cadute per danno materiale; al f. 1r, dalla stessa mano sono aggiunte in una rasura, al posto in cui era in precedenza la glossa α 14, poi erasa, due glosse, i.e. α 14a ἀντιάσας· ἥγουν μεταβαλὼν ἢ μετασχών [ἀντιάσας· μετασχών, μεταλαβών N] e α 14b ἄλες· ἀντὶ τοῦ ἀθρόον, che non si ritrovano in altri manoscritti ad eccezione di N, il quale tuttavia reca anche α 14, mentre paralleli ricorrono nella lessicografia, cf. per la prima (termine già omerico) Apion, Gloss. Hom. 221,11, Hesych. α 5375 e 5378, Et. M. 114,7, per la seconda (a

54

55

Sul codice cf. A. Rivier, Recherches, pp. 127ss., e B. Mondrain, Lire et copier Hippocrate, pp. 370–372. Daremberg (Notice et extraits, p. 40) informava, erroneamente, che il codice avrebbe contenuto l’Erotiano invece che il nostro testo.

B

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Le fonti

parte Hipp. Epid. VII 1,18 ἔστι δ' ὅτε καὶ ἅλες ἑλκύσας πάλιν ἀθρόον ἐξέπνε), Et. Gen. α 443,13 etc., Et. M. 61,29, Phot. α 968. 6. Parisinus Gr. 2145 P

Parisinus 2145 (= P). Voluminoso codice di 590 ff. risalente all’inizio del XV sec., o forse alla fine del XIV, Ex Bibliotheca Huraultii Boistallerii reca la collezione Marciana preceduta dal Glossario (ff. 1r–12r) e dalla Vita. L’iniziale dei lemmi è rubricata, la scrittura ordinata. Il f. 8, per un errore in fase di legatura, è capovolto (basso/alto) e la sequenza invertita (8v/8r). Il f. 1r reca in basso l’annotazione Ex Bibliotheca Huraultii Boistallerii (la precedente segnatura era infatti Hurault.-Reg. 2671). La presenza di ἀνελκύσας alla gl. α 109 lega il codice a J K Voss, nel percorso che conduce alla edizione dello Stefano. Il codice è connesso alla linea di I, ma ha una posizione stemmatica quasi isolata per le numerose peculiarità (però mai significative) rispetto agli altri recentiores della stessa classe. 7. Parisinus Gr. 2141

G

Parisinus 2141 (= G). Codice di 349 ff., risalente al XV sec., contiene la collezione Marciana preceduta dal Glossario (ai ff. 1r–6v) e dalla Vita. L’ipotesi che fosse stato copiato da Cesare Strategos è stata successivamente smentita, e in esso è stata ipotizzata piuttosto la mano di Giovanni Battista Opizzoni, responsabile dell’Aldina di Galeno (Mewaldt, Fortuna)56. L’iniziale dei lemmi è rubricata. Una mano posteriore aggiunge in margine varie glosse, tra cui α 1, α 3, α 6, α 7, e τῆς ὀροφῆς di α 10, mancanti nel testo, e integra anche supra lineas il testo attingendo a un codice più completo; assume rilievo tra i marginalia α 1, che presenta la lezione difficilior di A M ἅμματος (pro ἅρματος), a differenza dei recenziori. Apografo di F, il codice è servito da copia tipografica per l’edizione Aldina di Ippocrate del 152657. 8. Monacensis Gr. 71

Mo

Monacensis 71 (= Mo)58. Spesso datato al 1531, a partire dal Catalogo e da una annotazione alla fine del manoscritto stesso, o persino al 1551 da Littré, il codice fu scritto in realtà alla fine del XV secolo, come vide per primo K. Schubring nella edizione del De carnibus (p. XIIs.), e più precisamente intorno al 1480. Dovuto a due mani principali, esso contiene sia la collectio Marciana, sia parte della Vaticana, i cui scritti vengono inseriti sia nel corso del manoscritto (accade con il De medico, inserito dopo il Prognostico), sia soprattutto dopo la fine degli scritti marciani. Il codice era a disposizione di Cornario per l’Ippocrate, come egli stesso informa nella epistula nuncupatoria, il quale non sembra però averne fatto uso per il Glossario, che apre il manoscritto ai ff. 1v–8v ed è seguito dalla Vita. Il testo del Glossario è occasionalmente accompagnato da annotazioni marginali, soprattutto evidenti al principio del testo con l’ag56 57

58

Cf. Fortuna, Nicolò Leoniceno e le edizioni Aldine, p. 457. Cf. in proposito Rivier, Recherches, pp. 150ss. e i diversi editori di Ippocrate (ad es. Poeppel per Coac., Grensemann per Octim.). Sul codice sono disponibili gli studi dettagliati di Mondrain, La collection de manuscrits grecs, pp. 174s.; Un manuscrit d’Hippocrate, pp. 201–214.

I manoscritti greci

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giunta delle glosse α 4 e α 16, e al f. 4r, dove il copista annota, in margine a κ 58, λείπει ἐντεύθεν λέξις τις e al rigo successivo, in margine a κ 61, οἶμαι δὲ κόρην λέγειν τὴν πόαν. Un λείπει è annotato, all’interno del testo, dopo il lemma περινηένατος (π 21), che segue l’altra glossa περινεήματος· περικλύσματος (π 20), dove evidentemente il copista percepisce la difficoltà, o si trova di fronte a una lacuna (cf. infra, app. ad loc.). Il codice appartiene alla classis posterior, con un testo epitomato e privo del Proemio, ma registra anche alcune glosse provenienti da un esemplare della classis prior, come accade ad es. per α 17 e altre, soprattutto della sezione iniziale. Dunque un chiaro esempio di contaminazione; del resto, il copista del testo ippocratico disponeva di almeno un testimone sia della collectio Vaticana che della Marciana. Il previsto intervento del rubricator non c’è stato, e i lemmi mancano quindi dell’iniziale ad eccezione del primo (e di ἀθέλγεται, dove però non è in rosso); rubricato è il titolo. Il testo del Glossario è costellato di errori in misura irritante. 9. Laurentianus plut. 74,1 Laurentianus 74,1 (= L). Scritto verso la fine del XV secolo per Lorenzo de’ Medici, il lussuoso codice di 356 fogli contiene la collezione marciana di Ippocrate, quasi per intero. Esso presenta eleganti ornamenti, con particolare evidenza sulla prima pagina del Glossario (collocato in apertura, ai ff. 1v–8r), dove spicca lo stemma mediceo e una lettera gamma maiuscola accuratamente dipinta che si estende sull’intera pagina e la incornicia sui due lati sinistro e superiore. Il nostro testo è seguito dalla Vita; l’iniziale dei lemmi è rubricata. Come per Ippocrate, anche per il Glossario di Galeno il codice è vicino a J e agli altri manoscritti ad esso affini (tra cui F), ma non ne è apografo. Mentre i margini delle opere ippocratiche ospitano frequenti annotazioni, lo stesso non accade per il Glossario. Una rilevante peculiarità è che, pur omettendo il Proemio e la prima glossa, il copista sembra attingere per alcune glosse della prima parte (fino ad α 19: cf. in particolare α 17 e 18) ad un codice della classis prior. Si direbbe cioè che lo scriba cambi antigrafo dopo la prima serie di glosse, il cui testo è più completo di quello derivato da M, e richiama l’analogo fenomeno rilevabile in Mo.

L

10. Parisinus Gr. 2287 K)59.

Parisinus 2287 (= Il codice di 589 ff., miscellaneo, è databile al XV sec. (XV– XV I sec. secondo la maggior parte degli editori). Il Glossario è ai ff. 191r–202r, i lemmi sono interamente rubricati. È preceduto dalla Materia medica di Dioscoride (1r–180v) e dagli Alexipharmaca attribuiti al medesimo (181r–190r), nonché da brevi excerpta da Galeno (Antidotum Mithridati, XIV 152,14–154,7 K.) e da Paolo di Egina sul f. 190rv, e seguito da un Lexicon plantarum nominum Arabicorum; tra il f. 214v e il f. 222r contiene l’unica opera ippocratica, il De ulceribus. Seguono (267v–271v) il capitolo De succedaneis di Paolo di Egina, un De diebus faustis et infaustis, mentre oltre metà del codice è occupato dal Viaticum peregrinantium di Abu Diafar Achmed ibn Ibrahim 59

Descrizione in D. Raupach, Die handschriftliche Überlieferung der hippokratischen Schrift De ulceribus, Diss. Göttingen 1965; M. Cronier, Quelques aspects de l'histoire du texte du De materia medica de Dioscoride, in: Ecdotica e ricezione dei testi medici greci. Atti del V Convegno Internazionale (Napoli 2004), a cura di V. Boudon-Millot, A. Garzya, J. Jouanna, A. Roselli, Napoli 2006, pp. 43–65.

K

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Le fonti

(ff. 274r–561v), seguíto dal De medicamentis evacuantibus attribuito a Giovanni Damasceno (561v–582r), e da qualche foglio di Remedia varia. Il codice è imparentato con P Voss. dalla presenza del termine κυρτώματος alla fine della prima glossa in luogo di ἅρματος, e dall’aggiunta di ἀνελκύσας in α 109, presente anche in J. Poiché la voce κυρτώματος si ritroverà nell’intera tradizione a stampa del Glossario, il codice si pone su una linea che influisce, probabilmente per il tramite dello Stephanus, sulla costituzione della vulgata. 11. Mutinensis α. T. 1. 12 Mut

Mutinensis α. T. 1. 12 ( = Mut, olim gr. 233)60. Il codice, da considerarsi unitariamente con gli altri due codici ippocratici mutinensi 220 (α. O.4.8) e 227 (α. O.4.14), risale all’inizio del XVI sec. e più precisamente, come indica la filigrana, intorno all’anno 1500. I due altri codici associati sono collocabili entro il 1526. Composto da 196 fogli, reca il Glossario ai ff. 3v–12r. Nella parte restante, il codice contiene varie opere di Ippocrate (Aphorismi, Epidemiae, De natura hominis, De genitura, De natura pueri, De articulis). Se considerato insieme con i due altri manoscritti ad esso associati, come rileva J. Jouanna, si osserva che esso ripropone con alcune eccezioni, e con l’inserzione di un trattato (De aëribus aquis locis) della collectio Vaticana, la sequenza della collectio Marciana. I tre codici erano forse intesi a servire alla predisposizione della edizione Aldina di Ippocrate, anche se poi in realtà gli editori veneziani preferirono ricorrere ai loro antigrafi (vale a dire, G e Ho). Il testo del Glossario si presenta in una redazione ancora più ridotta rispetto a quella già breve della classis posterior, una redazione analoga a quella di altri codici come ad es. G Vi, e si deve a un copista che oltre al Glossario, che viene posto in apertura del codice, scrive i ff. da 167r alla fine (195r), mentre un secondo scriba, identificato con Bernardino Sandri di Cremona, scrive la parte restante del testo (Repertorium I nr. 39). 12. Vaticanus Gr. 278

W

Vaticanus 278 (= W). Il codice dell’inizio del XV I sec., e risalente precisamente al 1512, comprende IX + 1003 fogli. Contiene le opere di Ippocrate precedute dal Glossario ai ff. 3r–25r, di mano del ravennate Marco Fabio Calvo (Repertorium IIIA, 432), che operò prima per i Medici a Firenze, poi a Roma per Clemente V II e tradusse Galeno e Ippocrate, avendo accesso a numerosi codici tra cui i Vaticani 276 e 277, che gli servirono da antigrafi insieme con altri. Il testo del Glossario ha sulla pagina una singolarissima disposizione su tre colonne; su ognuna di esse, si ha una parola per ciascun rigo, senza accenti né spiriti né altri segni diacritici o di interpunzione. Lo stesso accade con l’indice delle opere ippocratiche, che precede il nostro trattato. In margine, una quarta colonna più piccola reca, ripetute, singole parole del testo (alcune ricorrono più di una volta), quasi si trattasse di un esercizio: si direbbe che l’estensore ripetesse qui i verba notabiliora, con l’eccezione dei lemmi, ordinandoli secondo una sorta di lemmatizzazione, come fosse il lavoro preliminare per un indice (un supporto per il Dictionarium Magnum di Favorino? cf. p. 84). Sembra doversi escludere che si tratti di varianti annotate in margine da un manoscritto diverso; le lezioni sono per lo 60

Sul codice è disponibile lo studio di J. Jouanna, L’Hippocrate de Modène.

Le relazioni tra i codici

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più le stesse che si ritrovano già nel testo, in alcuni casi normalizzate al nominativo come se fossero preliminari a un lavoro di lemmatizzazione, e non portano alcun contributo. Sono forse traccia del lavoro di Calvo alla sua interpretazione e traduzione di Ippocrate e Galeno. 13. Vindobonensis Suppl. Gr. 13 Vindobonensis Suppl. 13 (= Vi). Codice di III + 362 fogli datato al XV I sec. Contiene fino al f. 257v dieci opere ippocratiche, e dal f. 260r (nel mezzo, fogli bianchi) l’Ars medica, il De antidotis 1–2 e il De theriaca ad Pisonem di Galeno. Il Glossario apre il codice ai ff. 2r–12v, e come anche G Mut manca non solo del Proemio ma anche della prima glossa.

Vi

14. Vossianus Misc. I 13 Vossianus Misc. I 13 (= Voss). Codice della seconda metà del XV I sec., composto da ventuno fascicoli diversi: il Glossario occupa il fasc. 13, ff. 2r–8r, scritto su due colonne da due scribi diversi, uno che scrive la prima colonna e metà della seconda del primo foglio, e un secondo che si incarica di proseguire fino alla conclusione. Secondo l’antico catalogo dei codici di Leiden (1716), i Vossiani miscellanei sono « MSS. volumina, in quae Vossiani haeredes conjecerunt omne genus chartarum » (p. 400). Il codice fu tra quelli a disposizione dello Stephanus per la sua edizione; sappiamo che almeno alcuni dei fascicoli furono in suo possesso, e si possono ancora leggere sporadiche annotazioni marginali di mano dello studioso61.

Voss

II. Le relazioni tra i codici Come già detto, i due codici più antichi, A e M, sono anche rispettivamente i capostipiti delle due classi di manoscritti. a) Classis prior 1. I codici A H R e l'intermediario γ Tra A e i codici successivi sembra doversi ipotizzare un momento di passaggio, un intermediario (γ), ora perduto, dal quale sono stati trascritti sia H che R. I due codici H R, infatti, presentano non poche divergenze rispetto ad A, mentre anche tra H e R sono rilevabili differenze importanti; vi sono tuttavia casi che dimostrano che entrambi sono nella discendenza del Laurenziano, sia pure mediata, e il caso più eloquente è α 146 ἀρακίδας· πυρήνας ἀρακοίσους, ὄσπριον δέ ἐστιν ὀνομαζόμενον H R α 146 ἀρακίδας· πυρίνας ἀρακοίσους, ὄσπριον δέ ἐστιν ὁ ἄρακος A α 147 ἀρβύλαι· ὑποδέματα τὰ βαθέα A α 148 ἄργης· ὄφις τις οὕτως ὀνομαζόμενος A 61

Così il Catalogo di K. A. De Meyier, Codices Vossiani Graeci et miscellanei, Lugduni Batavorum 1955, ad loc.; e già il catalogo antico, p. 400s. (Catalogus librorum tam impressorum quam manuscriptorum Bibliothecae Publicae Universitatis Lugduno-Batavae, Lugduni ap. Batavos 1716).

γ HR

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Le fonti

Qui H R omettono la fine di α 146 (ὁ ἄρακος) e le due glosse successive (α 147 ἀρβύλαι e α 148 ἄργης), e spostano alla fine di α 146 l’ὀνομαζόμενο(ς) che era alla conclusione di α 148, mutando la desinenza per accordarla con ὄσπριον. La derivazione da A è dimostrata dal riscontro paleografico: infatti, in A lo ὁ (articolo che precede ἄρακος) è posto alla fine della riga in α 146, mentre ὀνομαζόμενος si legge a sua volta all’inizio della seconda riga che segue. L’omissione è dunque dovuta al salto di una riga. Essendo H e R indipendenti l’uno dall’altro (v. infra), l’ipotesi di un intermediario γ tra A e gli altri codici è avvalorata, oltre che da diversi altri casi, dalla omissione in H/N62 e in R dell’ultima glossa della lettera λ (λ 27 λυῶδες· παρακοπτικόν), presente in A e in altri codici della classis prior così come in quasi tutti quelli della classis posterior; ed inoltre dall’inizio della lettera ω: ωδι· ξεν ἡρακλιαι, e la successiva (= ω 1) ὤδει τοῦ κακοῦ· Ἀρκεσιλάῳ δὲ καὶ κακὸν ὠδί, δηλονότι χωρὶς τοῦ ι γράφεται οὐχ ὡς τὸ μετ' αὐτὸ σὺν τῷ ι, entrambe omesse da H R. Ulteriore elemento che parla in favore di una fonte comune perduta di H R rispetto ad A è l’aggiunta dopo α 167 di una glossa (che nei codici è collocata prima dell’attuale α 47 o, come in H, in margine) αὕτως· ματαίως, che manca in A ed è presente invece negli altri codici della stessa famiglia a partire da H R. Un caso di inversione in ι 12 illustra una divergenza tra N (H è privo di questa sezione) e R, dove invece N coincide con A (mentre la lezione di R si ritroverà nei codici posteriori): τῶν ἰσχίων καὶ τῆς ὀσφύος A H: τῆς ὀσφύος καὶ τῶν ἰσχίων R recc. Vi sono segni che indicano che alcuni codici della classis posterior sono stati contaminati su quelli della classis prior (già a livello di γ e poi in seguito): i dettagli più avanti (pp. 52 e 71). Si deve ricordare che la difficile leggibilità di A può aver determinato errori nei codici successivi, o interpretazioni diverse da un codice all’altro. H/N è, tra tutti e ad eccezione di Ald. e Ho, il codice più vicino ad A, con il quale condivide numerose lezioni che sono differenti da quelle di tutti gli altri codici della classis prior e non giustificabili con errori o correzioni dello scriba. 2. Il correttore A2, la sua dipendenza da M e il rapporto con B e N A2 A3 BN

I principali correttori di A (A2 e A3: a meno che non si tratti di un unico correttore; cf. supra, p. 30 e n. 14) presentano coincidenze con le lezioni di un codice della classis posterior, forse I, che potrebbe essere stato utilizzato come riscontro, nonché con il codice B, anch’esso appartenente alla classis posterior, e con N (classis prior). Che A3 dipenda da un codice della famiglia di M è dimostrabile: il correttore, infatti, aggiunge in margine a ε 24–25 le due glosse ε 32 + ε 29 ἔλεια, ἄγρια et ἐκχύμωσις, χυμῶν ἔκχυσις: ciò evidentemente perché egli si trova a collazionare M o un suo discendente, che, dato il sovvertimento dell’ordine alfabetico, reca in sequenza ε 24 ἔκρηγμα, ε 32 ἔλεια, ε 25 ἐκσυριγγοῦται, ε 29 ἐκχύμωσις. Il correttore, giunto a ε 24, osserva sul nuovo codice due glosse (ε 32 e ε 29) che gli sembra di non vedere nel suo testo (sono più avanti, nella giusta posizione alfabetica) e le copia in margine. Vi sono prove della dipendenza anche di A2 dalla famiglia di M, come si può vedere in ο 62

Il codice Hauniense N, apografo di H, lo sosituisce per le parti mancanti in H, cf. supra la descrizione dei due manoscritti.

Le relazioni tra i codici

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6, dove il correttore copia extra ordinem e supra lineam il testo della classis II (v. ad loc.). Cf. anche le coincidenze di A2 (o A3?) con M in υ 25 e υ 26, dove il correttore con l’aggiunta di una α supra lineam corregge ὑποψάφερα in ὑποψάφαρα, come nei codici della seconda classe. Non tutti gli interventi di A2 / A3, naturalmente, dipendono dalla famiglia di M: in σ 42, ad esempio, A2 ha un testo diverso da M (aggiunge ἄρτῳ dopo σποδίτῃ), e si tratta di una integrazione derivata dal testo ippocratico, evidentemente dovuta alla difficoltà di accettare una glossa in cui, come in altri casi, manca l’oggetto a cui il lemma si riferisce. In ogni caso, che i correttori avessero a disposizione un altro codice da cui trarre le proprie lezioni è esplicitamente dichiarato dall’aggiunta ἐν ἄλλῳ dovuta ad A3 in margine sia al f. 27v che 28r in relazione alle due glosse di ε di cui si è detto supra, p. 30. Numerosi dei casi registrati supra, n. 15, attestano coincidenza delle lezioni di A2 con codici sia della classis I (a partire da R) che II, ma non sempre è possibile stabilire una relazione di anteriorità. 3. Indipendenza di R da H/N Che R non dipenda da H/N è dimostrato innanzitutto dalla sequenza delle glosse κ 68–73, che in N (questa sezione manca in H) è confusa e diversa da quella di A e di R (in N, la sequenza è κ 68, 69, 72, 70, 71, 73); inoltre, a differenza di H/N e di A, il codice R presenta due volte, a breve distanza, la stessa glossa (κ 71b κραίνουσιÝ λήγουσι): questo può essere un errore di R e non dimostrare nulla, ma la glossa ripetuta è separata dalla precedente (κ 69) da altre due glosse, e potrebbe a sua volta rinviare a un antigrafo diverso da H/N. Il fatto che in questa sezione N abbia un ordine di glosse errato, e R abbia una ripetizione di glossa, sembra suggerire l’esistenza di un antigrafo caratterizzato da difficoltà di lettura o da aggiunte marginali. Si può integrare questo dato con qualche ulteriore elemento. Il caso più eloquente è σ 83 σφάκελος· … γίγνηται τρόπον· οἶσθα δὲ ὅτι καὶ περὶ τούτου A σ 83 σφάκελος· … γίγνηται τρόπον ἒπι ὀστέω· οἶσθα δὲ ὅτι καὶ περὶ τούτου N σ 83 σφάκελλος· … γίγνηται τρόπον· οἶσθα δὲ ὅτι καὶ περὶ τούτου R Inoltre, l’inversione ι 12 ἰξύας· τὸ μεταξὺ τῶν ἰσχίων καὶ τῆς ὀσφύος A ι 12 ἰξύας· τὸ μεταξὺ τῶν ἰσχίων καὶ τῆς ὀσφύος N ι 12 ἰξύας· τὸ μεταξὺ τῆς ὀσφύος καὶ τῶν ἰσχίων R e le variazioni erronee ν 3 νεόμ(ενον)· … παρὰ τὸ νινι· τὸ παραγινόμενον ἀπὸ τοῦ νεῖσθαι A ν 3 νεόμενον· … παρὰ τὸ νεῖν τὸ παραγινόμενον ἀπὸ τῆς νεῖσθαι H ν 3 νεόμενον· … παρὰ τὸ νεῖν· τὸ παραγόμενον ἀπὸ τοῦ νεῖσθαι R ο 20 ὀροκονπίδ()· … φησὶ δὲ διοσκουρίδης τὴν ἐμόρι γενομέν(ην) ὀροκοντ(ι)() ὀνομάζεσθαι A ο 20 ὀροκωντίδιος· … φησὶ δὲ Διοσκουρίδης τὴν αἱμόριην γενομένην ὀροκωνίτην ὀνομάζεσθαι H ο 20 ὀροκωνπίδιος· … φησὶ δὲ διοσκουρίδης τὴν ἐμόρι γενομένην ὀροκωνίτην ὀνομάζεσθαι R

H/N, R

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Le fonti

Si aggiunga, che il testo κνυζούμενος ἀπὸ τοῦ αὐτοῦ καὶ ὁ ἐπὶ τῶν κυνῶν κνυζηθμός pertiene correttamente, in A, alla glossa di κ 53, mentre diventa in R una nuova glossa. 4. Discendenza di N Q da H e segni di contaminazione con la classis posterior NQ

Dalla linea di H discendono direttamente i soli N e Q. N ne è notoriamente apografo anche per le opere di Ippocrate, ed è importante per le due lunghe sezioni che H omette (cf. supra, la descrizione), e per la parte iniziale del Proemio, mancante in H. Fu evidentemente copiato prima della perdita del foglio iniziale e dei fogli centrali di H, e per queste parti dell’opera può essere utilizzato in sua vece. Rispetto al suo antigrafo, N aggiunge parte di una interpretatio (α 31, post βίος add. καὶ ὁ νωτιαῖος μυελός), e due glosse: α 14a ἀντιάσας· μετασχών, μεταλαβών e α 14b ἄλες· ἀντὶ τοῦ ἀθρόον. Le due glosse si ritrovano, nel resto della tradizione, soltanto in B (v. supra, p. 45, anche per i riscontri con la lessicografia), che tuttavia omette α 14, che viene erasa e nel cui spazio le due glosse aggiuntive sono inserite. Il testo di α 14a in B è inoltre leggermente diverso, cf. supra. B appartiene tuttavia alla classis posterior: la consonanza con N indica dunque contatti, o contaminazione, tra le due classi. Che in N sia presente contaminazione con codici dell’altra classe dimostra anche la glossa ι 11 ἰξίου, dove N reca ἰξίου e φύλλα della classis posterior invece di ἰξίον e φύλλον di A. Del resto, la contaminazione tra le due classi di manoscritti sarà confermata da numerosi altri esempi63. In altri casi N risulta isolato, cf. e.g. κ 64 τῇ παρεγκεφαλίδι A R: τῆς παρεγκεφαλίδος N, o κ 67 τὴν σύζευξιν A R: σύζευξις, mentre le glosse κ 68–72 sono in N in una sequenza diversa da quella di A R. Q reca la stessa grande lacuna delle glosse centrali di H (dopo ἵκταρ), ma sembra non avvedersene e continua a scrivere di seguito, assegnando a ι 3 (ἵκταρ) la fine della interpretatio di μ 36 (μήλου τῆς νήσου). Cf. supra, p. 31. Lo stesso accade tra σ 77 e υ 13. Dove H e N discordano, Q segue H. 5. La discendenza di R: i codici U C E e il gruppo D Li O

UCE

Dalla linea di R, discendono la maggior parte dei codici della classis prior. Apografo diretto di R è U: su questa parentela, ben nota, non è necessario soffermarsi; per menzionare un esempio si può fare il caso di κ 73, dove al posto di un misterioso ην μισι του di A, in R è presente una lacuna di circa sei lettere; la stessa lacuna è in U. Gli altri codici riportano il testo di A o tentano soluzioni per sanarlo. Apografo di U è C: in questo caso, il risultato dell’analisi filologica contraddice l’ipotesi di datazione avanzata per C nel catalogo dei codici della Biblioteca Universitaria di Jena64. Poiché si può dimostrare che C è copiato da U, e poiché la datazione di U è relativamente sicura, C è più tardo di quanto ipotizzato al momento della riscoperta del codice, e va collocato almeno dopo il 1360, forse anche dopo il 1380. Il suo ruolo nello stemma perde dunque di importanza, mentre sarebbe stato di notevole rilievo se la datazione fosse stata precedente. La dipendenza di C da U è presto dimostrata da un caso eloquente di omissione e incongrua fusione di due glosse: 63 64

Cf. in proposito Perilli, Tradizione manoscritta ippocratica e galeniana, pp. 25–42. V. supra, la descrizione del codice.

Le relazioni tra i codici

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Così U (e già A H R): ο 5 οἰσοφάγος· ὁ τῆς γαστρὸς στόμαχος· οἷον οἰσοφάγος τις ὤν. ο 6 οἰσυπίδας· προβάτου ῥύπον συνεστραμμένον· δηλοῖ δὲ καὶ ἐρίου ῥυπαροῦ μαλλόν. In C invece si legge una unica glossa: ο 5 οἰσόρυπον συνεστραμμένον· δηλοῖ δὲ καὶ ἐρίου ῥυπαροῦ μαλόν. C tralascia quasi tutta la prima glossa e l’inizio della seconda, e crea la vox nihili οἰσόρυπον dalla fusione dell’inizio di ο 5 con la parte centrale di ο 6: la spiegazione è data dalla posizione delle parole sul codice U, dove οἰσο di οἰσοφαγος (l’accento non è segnato) è collocato alla fine della riga, mentre ῥύπον della glossa ο 6 si trova all’inizio della seconda riga successiva. Il salto di una riga ha dunque determinato l’errore65. Il caso sarebbe di per sé sufficiente. Si può fornire per completezza qualche ulteriore esempio: omissioni: α 36 ἐν τῷ ante περὶ διαίτης om. U C, praebent A R H μ 43 μύτις· … καὶ τὸ ἐν τῆ σηπία. ἀλλὰ καὶ ἰχθύς τις κτλ. post σηπία add. ἐνωονουλχο(ς) A: spatium praebent R H, nihil notant U C lezioni erronee: α 43 ἀκροαπίς· γλῶσσα … ἀδιόρθωτος ὑπὸ δυσκινησίας. ἀκροαπίς R U C: ἀκραπίς H: ἀκρωπίς A || ἀδιόρθωτος U C: ἀδιάρθρωτος ARH ε 70 ἐπωκεστέρη A H, R ut vid.: ἐπωστέρη U C π 65 πυθμενόθεν A H R: πρυθμενόθεν U C suddivisione in più glosse: κ 53b κνυζούμενος ἀπὸ τοῦ αὐτοῦ καὶ ὁ ἐπὶ τῶν κυνῶν κνυζηθμός. textus pertinet in A H ad κ 53 (κνῦμα); ut novam glossam praebent R U C μ 24 μεσόδμη· ἡ καθ' ἕνα οἶκον εἰς δύο μεμερισμένων διορίζουσα, τοῦ δοκοῦ εἶρξις· μ 24b μόκωσις· οἷον μεσοδμή τις οὖσα· (κτλ.); ex una glossa duae factae sunt in R U C, qui μόκωσις κτλ. ut novam glossam praebent trasposizione e aggiunta: μ 37 μίτρη· κάλυμμά τι καὶ οἷον ἕλιγμα· … ἔστι δὲ καὶ κιρσώδης κτλ. τι post ἕλιγμα habent A H, post κάλυμμα transp. R U C || καὶ ante κιρσώδης add. U C Della famiglia discendente da R, forse con uno o più passaggi intermedi, fanno parte anche i tre codici D Li O, imparentati tra loro ma nessuno discendente dall’altro. Si conferma quanto Nachmanson aveva osservato già in relazione al Glossario di Ero65

La riproduzione di queste righe del codice è in Perilli, « Nuovi » manoscritti, dove sono riportati anche altri esempi.

D Li O

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Le fonti

tiano. D abbonda di errori, omette diverse glosse, a volte per errori da simile a simile, altre senza ragione evidente66. La stretta connessione tra Li e D, e la medesima provenienza, è confermata dalla seguente selezione di esempi: α 26 (il testo base qui trascritto per il riscontro è quello di R): lezioni erronee: αἱματόφλοιβοιστασιες (duo verba, αἱ-βοι+στ., Li)· οὕτως μὲν οἱ περὶ τὸν Διοσκουρίδην (…)· ὅτι καὶ ἀλλαχοῦ φησιν, ἐν τῇσι (τοῖσι D Li O) φλυζούσῃσιν αἱμοῤῥαγίῃσι σχῆμα εὑρετόν· οἱ πλείους μέντοι γράφουσιν αἱματοφλέβοι στάσιες (αἱμοτοφλέβοις τάσιες D Li O), καὶ δηλοῦσθαι νομίζουσιν ἐκ τοῦ ὀνόματος τὰς (τάσιν D Li O) πλήρεις αἵματος κεκυρτωμένας φλέβας. ο 20 ὀλοκωκωνίτιδος D Li O (ὀλοκωνίτιδος A) omissioni: in D Li O sono omesse quasi per intero le glosse ε 33–35 e σ 46. Tuttavia, i due codici D e Li non sono copia uno dell’altro, cf. e.g. omisioni: α 126 καὶ ἀπεβήσσετο· τῶν ἄλλων σχεδὸν ἁπάντων ἀπεβήσσετο om. D, hab. Li O μ 42 οὕτως ὀνομάζει ἐκ τοῦ φυτοῦ, ὅπερ αὐτός φησιν ὑπὸ om. D, hab. Li O υ 19 ὑπομύσερα· δυσώδη καὶ ἄξια τοῦ μυσάττεσθαι: gl. om. D, habet O: Li praebet lemma, omittit interpr., et post lemma addit ὑπόκοιλα, ταπεινότερα (quae ad gl. 21 spectant) υ 20 (ὑπονησαμένη) gl. om. Li, habent D O υ 21 ὑπόξηρα· ὑπόκοιλα, ταπεινότερα: lemma om. Li, qui interpr. ad υ 19 refert, habent D O Aggiunta e lacuna: μ 43 (testo di R): μύτις· καλεῖται μὲν οὕτως καὶ τὸ ἐν τῆ σηπία (………) ἀλλὰ καὶ ἰχθύς τις ὑπὸ τοῦ ἱπποκράτους δηλοῦται· spatium post σηπία habent D O, ubi μέλαν praebet Li; post μέλαν add. ὅπερ in textu et ἐν τῶ et cetera in mg. (quae legere non possum) Li2 Li è superiore a D, perché ha meno omissioni. La glossa σ 65, come anche alcuni degli esempi riportati, sembra parlare in favore di una fonte comune: omissione e lezioni erronee: στρυμάργου· οἶδα καὶ ταύτην τὴν γραφὴν ὁ διοσκουρίδης φησὶν οὐ μόνον τοῦ (τοῦ om. D Li O) στομάργου (στομάχου Li) ἀλλὰ καὶ τοῦτο οὐχ ὡς κύριον ὄνομα, 66

La collazione di D effettuata da J. St. Bernardus per D’Orville e da questi pubblicata (cf. supra, p. 37 n. 37) è sostanzialmente attendibile, anche se non manca qualche svista.

Le relazioni tra i codici

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(…) καὶ ἄλλα πολλὰ κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον ἐπίθετα, καθάπερ μυιοχάνης (μιοχάνης D, μυιο- Li, μυλο- O)· ἀγράπους· γρυπαλώπηξ (ῥυπαλ. D Li O). O coincide a volte con Li, a volte con D (ma rispetto a D evita le omissioni più grossolane), cf. e.g. μ 42 et 43 citt. Si può notare che il solo O, a differenza degli altri codici, ha dello spazio in ο 21 dopo il corrotto ἐμόρι. Le glosse σ 65 e υ 19–21 (citt.) suggeriscono ancora per D Li O un antigrafo comune, confermato dal caso seguente: omissione e trasposizione: υ 25 ὑποψέφαρα· ζοφοειδῆ, ὑπομέλανα: gl. habet O, om. D; lemma tantum habet Li, qui interpr. τραχύτερα· τὸ γὰρ ψαφαρὸν ἔγκειται τῷ ὀνόματι hic posuit, ad gl. υ 26 (ὑποψάφερα) immo spectantem: l’antigrafo di D e Li aveva quindi entrambe le glosse 25 e 26, perché Li conserva il lemma di υ 25, e omette quello di 26, mentre D conserva il lemma di 26 e omette quello di 25. O le reca entrambe. Si potrebbe ipotizzare che O sia stato antigrafo degli altri due codici: ma da un lato, come detto, alcuni dati parlano piuttosto in favore di una fonte comune, dall’altro non ci sono elementi decisivi che confermino una discendenza diretta, e la stessa cronologia – i tre manoscritti sono stati vergati più o meno nella stessa epoca – lascia qualche dubbio; vi sono inoltre casi che sembrano parlare contro questa ipotesi, come ad es. α 126 πολλὰ μετεκόσμησαν codd.: πολλάκις ἐκόσμησαν O; così anche μ 43 (s.v. μύτις) post τὸ ἐν τῆ σηπία lacunam praebet O (et D): μέλαν Li (alia add. Li2 in text. et in mg.), cf. forse anche, per quanto poco significativo, σ 63 στομάργου D O: στομάχου Li e ibid. μυλοχάνης O: μιοχάνης D: μυιοχάνης Li; υ 18 ὑπόπυον D O: ὑπόπνουν Li. Risulta più prudente porre i tre codici sullo stesso piano. U e E sono molto vicini, ma più che dipendere l’uno dall’altro si direbbero entrambi dipendenti da una stessa fonte (R), forse con un intermediario nel caso di E. Il (tardo) correttore di E attinge alle edizioni a stampa, presumibilmente Cornario (cf. supra, n. 30), di cui restituisce le lezioni, generalmente in margine.

UE

6. Lo strano caso di Ald. e Ho e il loro rapporto con A Un caso particolare è costituito dalla edizione Aldina (che vale instar codicis e come tale viene qui indagata) e dal codice Ho. Essi sono i testimoni oggi superstiti più vicini ad A, da cui sembrano discendere in linea diretta: con la probabile mediazione di un codice ora perduto (v. infra). Essi richiedono pertanto una trattazione approfondita. Il testo del Glossario in Ho inizia dal foglio 1r del codice, dunque dall’inizio del manoscritto: manca però del Proemio. Poiché all’inizio del testo a noi giunto manca anche qualsiasi indicazione di titolo o autore, e l’opera comincia ex abrupto con le glosse della lettera α, si dovrà forse pensare alla perdita di un foglio, perdita precedente la numerazione delle pagine; oppure considerare il codice come un testo di lavoro, ad esempio nell’ambito della preparazione di una edizione a stampa. Come per l’Ippocrate, anche per il testo del Glossario Ho si dimostra vicinissimo all’Aldina (di Galeno però: non di Ippocrate), con la quale rivela coincidenza quasi

Ald. Ho

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Le fonti

perfetta nelle lezioni particolari. Tuttavia, il codice non può essere stato alla base del testo dell’edizione Aldina del Glossario, come si vedrà. Per il testo di Ippocrate, Ho è stato dimostrato essere sulla linea di discendenza del Vaticanus gr. 276. Per il Glossario non è così: Vat. gr. 276 reca infatti, a corredo di Ippocrate, il testo del Glossario nella redazione abbreviata e appartiene alla classis posterior, mentre Ho reca il testo integrale, sia pure decapitato del Proemio. Ho e Ald. sono strettamente connessi tra loro. Si deve però escludere sia che Ho sia antigrafo di Ald., sia l’inverso, mentre si dovrà ritenere che entrambi derivino da una fonte comune. Poiché Ho era presente nella stamperia Aldina (fu usato per l’edizione di Ippocrate), non si può escludere che il codice fosse di tanto in tanto compulsato dagli editori del Glossario. Pur presentando infatti un testo particolarmente vicino l’uno all’altro, che li distingue da tutti gli altri testimoni posteriori ad A, sussistono delle differenze, anche rilevanti, mentre Ho presenta in più delle omissioni che invece Ald. non ha (il che esclude la possibilità che Ho fosse la fonte degli editori veneziani). La più evidente è naturalmente l’assenza del Proemio in Ho. Vi sono tuttavia ulteriori omissioni da parte del solo Ho, di cui si può fornire qualche esempio (sottolineata è la sezione omessa; il testo delle glosse è quello di Ald.): omissioni di Ho: α 46 ἀλαΐα φθίσις· οὕτως ὠνόμαστο ἐν τῷ περὶ τόπων τῶν κατὰ ἄνθρωπον· ἡ οἷον τυφλὴ καὶ ἀόρατος. α 98 ἀναπρεῖσαι· ἀνατρῖσαι, ἐκπρεῖσαι. α 118 ἀνθινὸν ἔλαιον· τὸ κρίνινον· καὶ ἔριον λέγεται· τὸ δὲ αὐτὸ καὶ σούσινον καλεῖται. α 119 ἀνθινὸν μύρον· ὅπερ καὶ σούσινον μύρον καὶ κρίνινον μύρον· διαφέρει κτλ. β 12 βολβιτία· τὰ ὑπὸ τῶν πολλῶν ὠσμυλία προσαγορευόμενα· γένος δέ ἐστι τοῦτο μικρῶν πολυπόδων. ω 2 ὠδεῖ· οἰδαλεάνει, δῆλον δὲ κτλ. Ho non può essere dunque antigrafo di Ald. Per quanto riguarda il rapporto con il capostipite A si può stabilire quanto segue. L’analisi dei testimoni porta per molti aspetti in direzione dell’ipotesi che A sia anche la fonte più immediata di Ald. e Ho, i quali danno conto anche di parte delle correzioni di mano posteriore presenti in margine in A (A2). Testimonianza chiarissima del nesso diretto tra Ald. e A (non riguarda Ho, perché si tratta del Proemio che Ho omette) è una duplice lacuna posta all’inizio del Proemio (al rigo 16 in A), riprodotta tal quale in Ald.:
γοῦν βιβλία διοσκουρίδης γράψας
ἐπικληθεὶς κτλ.,

laddove nella vulgata si legge πολλὰ γοῦν βιβλία Διοσκουρίδης γράψας, οὐχ ὁ ἐπικληθεὶς κτλ.

Le relazioni tra i codici

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Altri casi indicano la stretta parentela tra A e Ho Ald., e tra questi uno è particolarmente indicativo: lezione erronea: α 165 ἀυαψιτ· ξηραντικὴ νόσος A, laddove in margine al codice A una mano posteriore aggiunge la variante del lemma ἀναντή, e mediante una serie di punti posti sopra il lemma indica che questo doveva essere eliminato perché erroneo; in Ho e Ald. si ha invece ἀυαντὶ ἢ ἀυαψητις Ald., ἀυαντὶ ἢ ἀυαψὴ τίς Ho. Ho Ald. hanno un testo che tiene presenti quasi sistematicamente anche gli interventi di A2, e questo indica verosimilmente che l’antigrafo di Ho Ald. è stato copiato su A dopo le correzioni (non è invece plausibile che A2 attinga a Ho Ald. perché la mano del correttore non è così tarda). Come esempio si può addurre quello di μ 16, in cui laddove A reca διὰ τοῦ Περὶ ἑλκῶν, e la mano che corregge scrive supra lineam ἐν τῷ, gli Aldi e Ho hanno il doppio ἐν τῷ διὰ τοῦ. Altro caso significativo è quello (già osservato per H R) di λ 27 λυῶδες: la glossa, presente in A e in Ho Ald., è omessa da R e dal resto della tradizione della classis prior, mentre è presente in quasi tutti i codici della classis posterior: Ho Ald. non dipendono dunque da uno dei codici superstiti successivi ad A e appartenenti alla classis prior. L’ipotesi della contaminazione di più codici appartenenti alle due diverse classi sembra doversi qui escludere; vi sono tuttavia altri casi in cui si rileva una prossimità tra Ho Ald. e la famiglia di M, cf. e.g. σ 64 στρυβλήν· στρεπτόν τι. Ma alcuni elementi importanti argomentano contro l’ipotesi che A sia la fonte diretta di Ho Ald., mentre dimostrano la vicinanza di Ho e Ald. tra loro e la loro distanza dagli altri recenziori: cf. e.g. lezione erronea: α 10 τρίγωνον A cett.: περιστερεών Ho Ald. β 18 οὗ μέμνηται διοκλῆς κτλ. A cett.: οὗ μ. διοσκουρίδης Ho Ald. omissione: β 16 βουβάλλιον· τὴν ἀγριοσυκῆν: la glossa è aggiunta in margine su A da A2 e inserita nel testo da R e dai suoi eredi; è omessa invece da Ho Ald. Da segnalare è anche omissione: θ 7, 8, e (parzialmente) 9: presenti in A e in tutti gli altri codici, vengono omesse da Ho e Ald. Si tratta di una omissione che si direbbe meccanica, forse per caduta di un rigo nell’antigrafo. La edizione BasileenseH curata da Cornario contiene le due glosse θ 7 e 8 omesse da Ald. e Ho, ma omette a sua volta il θρίξ iniziale di θ 9 e, come Ald., inizia un rigo con γράφεται δὲ κτλ. (che in Cornario rappresenta l’inizio di una nuova glossa, mentre in Ald. il prosieguo, incongruo, della precedente). Anche Cornario è probabilmen-

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Le fonti

te fuorviato da un esemplare difettoso, diverso però da Ho Ald. e dal loro antigrafo. La BasileenseG di Gemuseo ha invece il testo completo, e così lo Stefano. Rilevante è il fatto che in β 18 la lezione διοσκουρίδης, in luogo del διοκλῆς di A (e degli altri codici della stessa classe, mentre nella classe II il nome è omesso), si ritrovi poi nelle edizioni a stampa: a conferma del fatto che queste discendono (anche) dalla linea dell’Aldina. Nelle note stampate in margine alla edizione Giuntina curata da M. Nizolio (poi riprese tra l’altro in quella di Mercuriale del 1588), si osserva in proposito che « Codices duo vetustissimi Graeci habent in loco Diocles, cuius Galenus saepius meminit » etc. La nota sarà del Gadaldini, curatore del testo greco su cui la Giuntina è basata (v. infra, sulle traduzioni latine). Non sembra, dunque, che A possa essere considerato antigrafo diretto di Ho Ald. Da segnalare è inoltre l’inizio della sezione ω (assente nella vulgata, negli altri codici e nelle edizioni antiche posteriori all’Aldina67). Qui, sia A, sia Ho sia Ald. recano delle voces nihili, simili ma l’una diversa dall’altra: ω 1 ωδι· ξεν ἡρακλιαι A ω 1 ωδεῖ· αιξεν ἡρακλ.* Ald. ω 1 ωδεῖ· ζω [vel ζε legendum] ηρακλιαι Ho Non si può escludere a priori che, in linea almeno teorica, Ald. e Ho risalgano, per via di intermediari, a un codice più antico di A, dal quale anche quest’ultimo fu copiato: questa ipotesi, tuttavia, non appare ulteriormente argomentabile, e sembra poco probabile per chi conosca la tradizione manoscritta di Galeno. Va ancora segnalato un caso come quello di ι 7, dove A reca tre glosse: 1) ἰνέει· κενοῖ

2) κενιιθμὸς, κένωσις

3) κενιεῖται, κενοῦται.

La seconda e la terza glossa, iniziando con κ, sono evidentemente fuori ordine alfabetico, oltre che voces nihili. Ho ha il testo di A; Ald. reca invece non tre, ma un’unica glossa: ἰνέει· κενοῖ· καὶ ἰνι*θμὸς, κένωσις, καὶ ἰνεῖται, κενοῦται. I due καὶ, che in Ald. sostituiscono i due κ iniziali della seconda e della terza glossa di A, possono essere dovuti a correzione congetturale di Ald. in un testo in cui, oltre alla morfologia, anche l’ordine alfabetico (che vorrebbe ι invece di κ) è palesemente alterato; anche se non si può escludere a priori che A e Ald. avessero entrambi un antigrafo recante una forma abbreviata di καὶ, che A fraintende e considera lettera iniziale della parola che segue, suddividendo il tutto in tre glosse, mentre Ald. intende correttamente.

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La glossa successiva alla prima, anch’essa omessa dagli altri codici (presente invece nelle edizioni posteriori alla Aldina), recita in A Ho Ald ωδι (ὤδει A) τοῦ κακοῦ· Ἀρκεσιλάῳ δὲ καὶ κακὸν ὠδί (ὠδέ Ho Ald), δηλονότι χωρὶς τοῦ ι γράφεται οὐχ ὡς τὸ μετ' αὐτὸ (αὐτοῦ Ho Ald) σὺν τῷ ι. Essa era verosimilmente collegata alla glossa precedente, e così Helmreich proponeva di scrivere, unificando: ὤδει· ὦζεν. Ἡρακλεῖ ὤδει ἐπὶ τοῦ κακοῦ· Ἀρκεσιλάῳ δὲ κτλ.

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7. L'ipotesi di un intermediario tra A e Ald. Ho: l'Anonymus Harvardianus? Il testo del Glossario, nell’edizione Aldina, è estremamente difettoso. Gli editori veneziani riproducono sistematicamente il loro antigrafo con tutti i suoi aspetti problematici, talora lacune, talaltra troncamenti, voces nihili, difficoltà sintattiche. Ciò dimostra un lavoro forse affrettato, o reso impervio dalle difficoltà poste da un antigrafo di ardua decifrazione come A, o come un apografo di A. Sembra doversi escludere un lavoro di rifinitura e correzione attenta. Per quel che riguarda il Glossario, Ald. appare riproduzione puntuale di un antigrafo, senza interventi congetturali o correttivi di rilievo. Se fosse perduto A, lo sostituirebbe, instar codicis, proprio Ald. Ho non può essere stato copiato su Ald., poiché, pur essendo i due testimoni all’incirca coevi, Ho è servito come base per l’edizione veneziana di alcuni trattati di Ippocrate, ed è dunque ad essa anteriore. L’idea che Ho sia stato copiato, per il Glossario, dal modello usato dagli Aldi come esemplare di stampa, è destinata a restare a sua volta priva di riscontri. L’ipotesi che meglio dà conto delle diverse caratteristiche fin qui elencate sembra essere quella di una fonte comune, un codice apografo diretto di A, molto fedele anche nei troncamenti, che tuttavia presenta rispetto ad A differenze dovute presumibilmente a modesti interventi dello scriba, più difficilmente a collazione di un codice ulteriore. Un lavoro del genere conduce in direzione di una copia realizzata su preciso mandato di un editore, come poté essere Aldo stesso o i suoi eredi, per predisporre un esemplare da utilizzare per la stampa: si spiega così la fedeltà estrema all’antigrafo anche nelle lacune pur facilmente colmabili, nelle abbreviazioni di desinenze, nelle voci erronee. Il lavoro potrebbe essere opera di un copista il cui mandato fosse proprio quello di non apportare cambiamenti di rilievo68. L’ipotesi più verosimile, allo stato attuale delle conoscenze, è che il tramite tra A e Ald. Ho sia stato il cosiddetto Anonymus Harvardianus. Si tratta, com’è ormai noto, di un collaboratore di Aldo Manuzio, un copista impiegato nella tipografia veneziana allo specifico scopo di preparare esemplari per la stampa, il quale copiò tra l’altro diversi codici di Niccolò Leoniceno, che in nome del’amicizia con gli Aldi gli aveva reso accessibile parte della sua ricca biblioteca; l’Harvardianus preparò anche il manoscritto usato per l’edizione Aldina di Teofrasto, e soprattutto a lui si dovettero gli esemplari da cui fu stampata l’Aldina di Aristotele. Il copista risulta in relazione con Galeno principalmente per aver preparato l’esemplare di stampa della spuria Historia philosopha, tuttora contenuta nel manoscritto da cui l’anonimo prende il nome, Harvardianus gr. 17; ma al medesimo personaggio si possono far risalire con ogni probabilità anche gli esemplari di stampa di altre opere di Galeno, tra cui il Quod qualitates incorporeae sint, inoltre almeno De affectuum dignotione et curatione e De constitutione artis medicae. Queste opere egli copiò proprio dal nostro Laurentianus 74,3 (A): ed è altamente probabile che anche il Glossario fosse tra gli scritti da lui riprodotti e fatti pervenire a Venezia. L’Harvardianus 17 è costituito da 7 diverse parti che appartenevano in origine a manoscritti diversi, dei quali esse sono quel poco che resta, e fu fatto rilegare come attualmente lo vediamo da A.A. Renouard, l’esperto della storia della stamperia 68

Sugli esemplari manoscritti delle edizioni Aldine dei medici greci cf. il quadro complessivo di S. Fortuna, Nicolò Leoniceno e le edizioni Aldine.

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aldina, nelle cui mani era pervenuto tra il 1819 e il 182569. Il codice contiene tra l’altro parti di opere di Aristotele e, ai ff. 155–173 che chiudono il codice, lo pseudo-Galeno, l’unica opera del codice attuale che si legga ancora per intero70. È noto che gli esemplari di stampa erano destinati, una volta concluso il lavoro, alla distruzione, come lo stesso Aldo dichiara nella premessa al secondo volume dell’Aristotele, nel 1497 (esemplari « quae dilaceranda impressoribus traderentur, perirentque » etc.); ma qualcosa dell’Harvardianus era stato salvato da Giovanni Gregoropulo, impiegato da Aldo come correttore. L’anonimo copista, essendo all’epoca ancora precluso l’accesso ai codici della collezione veneziana del Bessarione, fu inviato da Aldo a Firenze, per trarre vantaggio dalla ricchissima collezione medicea di manoscritti greci; scelse per Galeno il codice più antico e pregiato, A, e insieme con questo l’altro Laurenziano 74,5, da cui copiò almeno il De usu respirationis, il De praecognitione, il De sectis. È assai verosimile che il copista detto Anonimo di Harvard trascrisse dal prezioso 74,3 (A) anche altre opere di Galeno, tra cui forse il Glossario, destinate alle mani degli stampatori veneziani e infine alla distruzione. Questa trascrizione si dovette per sua natura attenere alla massima fedeltà rispetto all’antigrafo, riportandone ogni caratteristica, anche quelle difettose: si spiegherebbero così i difetti poi rimasti nell’Aldina del Glossario. Essendo perduto il testo trascritto (forse) dall’Harvardiano, la verifica diretta è preclusa; ma è possibile il raffronto con il testo, conservato, della Historia philosopha, che fornisce indizi tali da rafforzare l’ipotesi71: dall’analisi compiuta da Hermann Diels, primo editore moderno dell’opera, e poi ripresa da Paul Moraux, emergono falsi scioglimenti delle abbreviazioni di A, abbreviazioni riprodotte tal quali (e poi eventualmente fraintese nella stampa), cambiamenti apportati dal copista, in meglio o in peggio, o riproduzione di voces nihili: esattamente gli stessi fenomeni rilevabili nella Aldina del Glossario rispetto ad A, che ritroverebbero dunque una plausibile spiegazione72. 69

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Tra la data del catalogo della sua personale biblioteca, in cui non è citato, e quella della seconda edizione delle sue Annales de l'imprimerie des Aldes, dove invece è presente. Cf. M. Sicherl, Griechische Erstausgaben, pp. 106s., inoltre sull’anonimo almeno Ph. Hoffmann, Un mystérieux collaborateur d'Alde Manuce, pp. 45–143 e Autres données, pp. 673–708. Che l’Aldina dipenda per diverse opere da un codice copiato da A, ora perduto, era stato affermato a più riprese, già ad esempio da G. Helmreich (Galeni scripta minora III, p. 5), H. Wagner (Galeni qui fertur libellus, pp. V Iss.), J. Kollesch (Galeni De instrumento odoratus, CMG Suppl. V, Berlin 1964, pp. 15ss.), S. Fortuna (Galeni De constitutione artis medicae, pp. 35ss.). Dettagli delle caratteristiche del testo della Historia philosopha, quale trascritto dall’Anonymus Harvardianus e poi stampato da Aldo, sono in Moraux, Aristoteles Graecus, pp. 81–83; già Diels, nella sua dissertazione De Galeni Historia Philosopha, Bonnae 1870, p. 5, pur non conoscendo il tramite tra il codice Laurenziano e l’Aldina aveva postulato almeno la possibilità di un passaggio intermedio; nei Doxographi Graeci (cf. pp. 234, 238), egli considera invece il Laurenziano come l’antigrafo diretto dell’Aldina. La stampa del testo nell’edizione Aldina di Aristotele è del 1497, e nell’edizione di Galeno il testo è ristampato a partire dall’Aristotele. Descrizione completa e dettagli della storia del codice sono in Moraux, Aristoteles Graecus, pp. 110–117. Altro possibile candidato avevo precedentemente ipotizzato (Perilli, « Nuovi » manoscritti, p. 198) nel perduto codice di Nicolò Leoniceno copiato da A, e registrato nel relativo inventario

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Quale fosse, in questa situazione, la posizione di Ho, non è stato finora possibile acclarare. In ogni caso, Ho è sensibilmente peggiore dell’Aldina: già problematica quest’ultima, nei casi di discordanza il codice bodleiano offre in genere il testo meno attendibile, aggiungendo errore a difficoltà, e omettendo non pochi passaggi. Si conferma così anche la notevole difficoltà del lavoro dell’editore Aldino, le cui frequenti pecche, e la rinuncia a emendarle, sono dovute probabilmente alla qualità dell’antigrafo e alla fretta di portare a termine la stampa. L’Aldina è simile, ma superiore ad Ho, che sarà quindi addotto in apparato solo nei rari casi in cui abbia lezioni peculiari. b) Classis posterior 1. Il codice M, responsabile della redazione epitomata, e il problema dell'ordinamento alfabetico M è all’origine di tutti i manoscritti successivi recanti la redazione epitomata e male alfabetizzata del testo, è il codice più antico del Glossario ed ebbe un ruolo decisivo nella storia della tradizione. Si può dimostrare, infatti, che lo scriba del Glossario è anche l’autore dell’epitome, e il responsabile del sovvertimento dell’ordine alfabetico, originariamente rigoroso. Una constatazione, questa, che cambia in modo sostanziale l’interpretazione dei dati e i criteri della recensio. J. Ilberg, nei suoi studi sulla tradizione manoscritta del Glossario, aveva osservato quanto segue: « Ordine compositae sunt collectionis Marcianae voces Hippocraticae paulo liberiore. Etenim cum in prioris classis libris hoc modo sese excipere soleant singulae, ut non solum primae litterae sed insequentium quoque ratio habeatur, in Marciano haec lex haud raro contemnitur, ita quidem, ut hoc de codice verborum Photii similia possis usurpare (cod. 145 p. 99a Bk.), quibus Helladii describitur glossarium: οὐδὲ κατὰ πάσας τὰς συλλαβὰς τὴν τοῦ στοιχείου τάξιν φυλάττει, ἀλλὰ κατὰ μόνην τὴν ἄρχουσαν ». Concludeva, pertanto: « Qua ratione cum lexicographos haud paucos asseruisse glossas notissimum sit (cf. Ritschelii praef. ad Thom. Magistr. p. XV sq.), genuinum Marciani esse ordinem Galenianum facile suspiceris, quem lectorum commodo studens immutaverit, qui prioris librorum classis scriberet archetypum »73. Risulta infatti con evidenza, che nei codici della classis posterior, rispetto agli altri, l’ordinamento alfabetico è meno rigoroso, e sembra rispettare solo la prima lettera (o le prime due lettere) di ciascun lemma. L’ipotesi di Ilberg, secondo cui que-

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come A 73, plausibilmente usato come modello per l’Aldina di Galeno: tuttavia, nell’inventario superstite delle opere in esso contenute il Glossario non figura (che fosse erroneamente sfuggito?), e il ruolo di questo codice come Druckvorlage è stato messo almeno parzialmente in dubbio dagli studi sull’edizione Aldina di Galeno e sull’Harvardianus (cf. Sicherl, Griechische Erstausgaben, p. 107 n. 373). La descrizione del codice A 73 di Leoniceno è in D. Mugnai Carrara, La biblioteca di Nicolò Leoniceno, Firenze 1991, pp. 99s., 129ss. La mediazione dell’Anonymus Harvardianus mi appare ora più plausibile. Sul codice perduto di Leoniceno si veda anche S. Fortuna, nella Premessa all’edizione del De constitutione artis medicae. Come osserva Nutton (De placitis Hippocratis et Platonis in the Renaissance, in: Le opere psicologiche di Galeno, Atti del terzo colloquio galenico internazionale, a cura di P. Manuli e M. Vegetti, Napoli 1988, pp. 295s.), la vendita della biblioteca di Leoniceno nel 1524, seguita alla sua morte, coincide bene temporalmente con la stampa, in più d’un caso affrettata, del Galeno aldino. Ilberg, De Galeni Glossario, p. 340.

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sto ordinamento più libero va ritenuto originario, successivamente modificato per comodità del lettore dall’autore dell’archetipo della classis prior – ipotesi pure di per sé convincente, e che ha goduto di largo favore – non può però essere accolta. Allo stesso modo, non può essere accolta la conclusione di Ilberg (presente sia nelle sue pubblicazioni sia nei suoi appunti personali, sia nelle pagine superstiti, manoscritte, dell’apparato da lui abbozzato per il Glossario), secondo la quale accanto a M conservavano la propria indipendenza almeno F, J, e L. Egli rilevava, non poter questi codici dipendere da M, data la presenza in essi di glosse assenti in M: non potendo dipendere neanche l’uno dall’altro, per differenze irriducibili, andrebbero pertanto utilizzati sistematicamente per la costituzione del testo: « unusquisque propriam iuxta Marcianum habet auctoritatem, quam ob rem integri erant excutiendi ». Si tratta di conclusioni inficiate da errori importanti nella collazione di M, riguardanti sei glosse: « Hi quidem loci argumento sint descriptos e Marciano non esse libros illos [scil. F J L]: Glossae κίθαρον· θώρακα p. 111, 16 et πιτύλοις· εἰρεσίαις ἢ κώπαις p. 131, 3 omittuntur in Marciano, extant in Parisinis F J. Vocem ἡδυσμένον p. 81, 17, glossas μάσθλης· θέρμης (δέρμα correxit Foesius Oec. H. p. 241) p. 120, 4, μαχαιρίδι ὀξυβελεῖ· τῷ φλεβοτόμῳ p. 120, 9, ὀργάσαθαι· ἀναμίξαι, συγκεράσαι p. 126, 14 solus omittit Marcianus, extant in Paris. F J itemque in Laur. 74, 1 »74. In realtà, tutte e sei queste glosse sono anche nel Marciano. L’affermazione si basa su altrettanti errori nella collazione: Ilberg, le cui collazioni sono in genere accuratissime, aveva affidato a Kühlewein il compito di approntarne una per il manoscritto di Venezia; in un foglio conservato tra le carte di Ilberg, recante alcuni suoi interrogativi successivi alla prima collazione di Kühlewein, e le relative risposte di Kühlewein stesso, si trovano inesattezze analoghe, dovute all’organizzazione del testo sulla pagina del manoscritto75. In realtà, si può dimostrare invece che da M dipendono tutti gli altri codici della classis posterior, spiegandosi con l’ipotesi della contaminazione divergenze anche significative contenute in alcuni dei recentiores. Il dato più importante è che, se lo scriba del Marciano è l’autore della versione epitomata del Glossario ed il responsabile delle alterazioni nell’ordine alfabetico, ipso facto tutti i codici che presentano le medesime caratteristiche ne dipendono, quali che possano essere le specificità di ciascuno. Se è così, inoltre, si può affermare che fino a quando fu scritto il Marciano la tradizione del Glossario aveva seguito un’unica linea; e che la bipartizione che oggi si constata risale al decimo secolo. Il copista di M ha realizzato una versione breve del Glossario perché aveva a disposizione un solo quinione del manoscritto, nel quale il testo, se trascritto per intero, non avrebbe trovato spazio. Va innanzitutto osservato, che il comportamento dello scriba e di conseguenza il testo del Glossario in M è chiaramente diviso in due parti: una prima metà, nella quale 74 75

Ilberg cit., p. 340. Un esempio tratto da questo foglio manoscritto in cui Ilberg sottoponeva a Kühlewein alcune domande: alla domanda di Ilberg, « nach ἐξάραγμα, σύτριμμα folgt welche Glosse? », Kühlewein risponde: ἐξαρίαται: ἐκκενοῦται κτλ., mentre in realtà il ms. reca in quel punto ἐξείνει, glossa che è di seguito sulla stessa riga della precedente (mentre a capo è ἐξαρίαται), e dunque può indurre in errore chi cerchi ogni glossa su una nuova riga. La personale esperienza con il manoscritto non fa che confermare la facilità con cui si può incorrere in errori siffatti.

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sono omesse molte glosse e molte delle rimanenti sono fortemente abbreviate; e una seconda metà che omette molto poco, quasi nulla, e abbrevia molto poco. In questa seconda parte, il testo di M manifesta una evidente e significativa affinità con il testo della classis prior (A). Un rilevamento quantitativo dei materiali, al fine di evidenziare le differenze tra la redazione epitomata e la redazione completa, dà il risultato seguente: Il Glossario contiene 887 glosse (erano 903 nella vulgata di Chartier e Kühn). Complessivamente, nel Marciano risulta omesso l’intero Proemio, e inoltre: – omesse: 162 glosse (pari al 18% ca. del totale); – abbreviate: 108 glosse (decurtate di oltre il 50% rispetto al testo fornito dai codici della classis prior, basando questo computo sul numero di parole omesse). Insieme, il numero delle glosse omesse e delle glosse fortemente decurtate ammonta a circa il 30% del totale. Questa percentuale, tuttavia, è disomogeneamente distribuita nel testo: – 1a metà (da α a κ compresa): glosse omesse + glosse decurtate = ca. 45% del totale; – 2a metà (da λ a ω): glosse omesse + glosse decurtate = ca. 14%. Più in particolare: – nella prima metà le glosse omesse sono 125, nella seconda metà soltanto 37. – Una ulteriore comparazione: mentre della lettera κ, che comprende 92 glosse (94 nella vulgata), ne vengono omesse 23, della lettera σ, che ne comprende altrettante, non ne è omessa nessuna. Man mano che lo scriba procede nel lavoro di copiatura, omette sempre meno. Le stesse considerazioni valgono per quanto riguarda le interpretationes: mentre nella prima parte rarissime sono quelle che superano in lunghezza, e comunque di poco, la singola riga di codice, nella seconda parte il testo di alcune glosse si estende anche per 6 o 7 righe. Ciò equivale a dire, che nella seconda metà M ha un testo quantitativamente (ma in realtà anche per contenuto) molto vicino a quello di A. Il testo del Glossario sembra quindi nettamente suddividersi in due sezioni, che illustrano il peculiare modo di procedere dello scriba. Il comportamento del copista di M, come accennato, è in larga misura condizionato da esigenze di spazio. Il meccanismo risulta il seguente: nel caso di glosse molto brevi, o di glosse che occupino sulla sua pagina una riga e metà della successiva, per sfruttare lo spazio offerto dall’intera riga il copista procede in avanti alla ricerca della prima glossa sufficientemente breve da poter essere inserita nello spazio residuo, e la copia in quel punto. Ciò spiega perché la quasi totalità delle glosse che risultano extra ordinem siano anticipate. Un esempio servirà a chiarire. La glossa κ 48 κνήματα· ξύσματα (fol. 5r) riceve nei codici della classis prior la corretta collocazione alfabetica (ed è più completa, aggiungendosi καὶ κνῆσαι τὸ ξύσαι, omesso da M); la sequenza dei lemmi è κίων – κλήιθρον – κλιμακείου (om. M) – κλισμόν (om. M) – κνημαίου – κνήματα. In M, la situazione è la seguente:

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κίων· τὸ ἐκ τῶν θηριδίων ἄθροισμα τῶν τὸν σῖτον κνήματα· ξύσματα· ∟διαβιβρωσκόντων, ὧν ἕκαστον κίκονον ὀ νομάζεται· κλήιθρον· ὁ περὶ τὴν κατάποσιν τόπος ὑπὸ τοῖς παρι σθμίοις· Lo spazio residuo all’inizio della seconda riga della interpretatio relativa a κίων (prima di διαβιβρωσκόντων) non poteva accogliere nessuna delle glosse che immediatamente seguivano, troppo estese76; è perfettamente adatto, invece, a κνήματα, la prima glossa sufficientemente breve (una volta privata della seconda parte della interpretatio), che lo scriba pertanto anticipa, per poi riprendere la normale sequenza. Questo accade sistematicamente. Non è casuale, del resto, che nel caso di glosse extra ordinem si tratti regolarmente (pochissime le eccezioni, dovute ad altre ragioni) di glosse brevi: dove non vi sia questione di spazio, l’ordine alfabetico è sempre rispettato, anche per lunghe serie di glosse, e a volte risulta persino più corretto rispetto ai codici dell’altra classe. Nel caso di una glossa che aggiunge nel margine inferiore (ἀντίρινα, fol. 2v), forse nel corso della revisione, e per questo extra ordinem, il copista aggiunge un richiamo nel margine per indicare la corretta collocazione alfabetica (tra ἀντικοντώσιος e ἄορτρον): altri esempi si potrebbero aggiungere. Due casi sono particolarmente rivelatori. La glossa σ 11 σιαλώδεα (fol. 7v–8r) si legge una prima volta extra ordinem, dopo σατυρισμοί, anticipata perché era la prima glossa abbastanza breve da poter essere inserita nel poco spazio residuo, secondo l’uso appena chiarito (7v): σατυρισμοί· οἱ παρὰ τὰ ὦτα προμήκεις ὄγκοι τῶν ἀδένων. σιαλώδεα· λιπαρὰ πίονα· ∟ἔνιοι δὲ τὰς τῶν αἰδοίων ἐντάσεις ἤκουσι σαυρίδιον· ἡ καρδαμὶς βοτάνη ἀπὸ τῆς κατὰ τὸ σχῆμα (κτλ.) Ma la stessa glossa si legge anche più avanti, nella corretta posizione alfabetica (la posizione di σιτώδει è solo apparentemente extra ordinem) (8r): σητανίωι· τῶι ἐκ τοῦ ἐνεστηκότος ἔτους πυρῶι τουτέστιν σιάλου δαιδὸς καὶ σιάλου αἰγός τοῦ λιπαροῦ ∟κατὰ τὸ ἔαρ ἐσπαρμένον σιτώδει· ἤτοι ἐκ τῶν σιτανίων πυρῶν ἢ διασεσεισμένων σιαλώδεα· λιπαρὰ, πίονα· ∟καὶ λεπτῶν ἀλεύρων τουτέστι καθαρῶν. Questa reduplicazione è uno dei casi che meglio rivela come lo scriba, nel cercare di colmare uno spazio vuoto, procedesse in avanti alla ricerca di una glossa breve; indi76

Si consideri che per scrivere il prosieguo della interpretatio il copista non poteva tornare alla estrema sinistra della pagina, perché, nella disposizione del testo su due colonne di larghezza diseguale, quello spazio era riservato ai lemmi.

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viduatala, la trascriveva, ripromettendosi di eliminarla e verosimilmente contrassegnandola sul suo antigrafo a questo scopo; nel caso in questione, dimentica di averla già inserita (dimentica forse di contrassegnarla), e la copia di nuovo. L’apparente inversione nell’ordine (σιτώδει andrebbe dopo σιαλώδεα) è presente anche nei codd. della cl. I: si spiega con un errore di itacismo e una omissione, poiché in luogo di σιτώδει è da leggere qualcosa come σητώδει, come già Helmreich suggeriva (Kühn ha σιτανώδει ) . Un ulteriore esempio fornisce conferma che può considerarsi definitiva. Si tratta ancora una volta di una glossa ripetuta due volte. La glossa è η 11 ἠραχνίωκεν, che in M troviamo anticipata extra ordinem (senza che se ne possa individuare la ragione con sicurezza), con una interpretatio non troppo dissimile da quella dei codici dell’altra classe e della vulgata: risulta collocata tra ἠγκίστρευται e ἠγκυροβολεῖται, ma occupa una intera riga, e non valgono pertanto in questo caso le considerazioni su esposte circa le glosse brevi anticipate. Al suo primo ricorrere la glossa recita: ἠραχνίωκεν· διαπέπλωκεν πολλοῖς καὶ λεπτοῖς φλεβίοις ὥσπερ ἀράχνιον. Nella redazione completa il testo recita: ἠραχνίωκεν· λεπτοῖς ἅμα καὶ πολλοῖς φλεβίοις, ὥσπερ ἀράχνης ὑφάσματι διαπέπλωκε. Si direbbe che il nostro codice offra in questa prima occorrenza una sintesi del testo, secondo un uso tipico del copista. Poco più avanti, con la corretta collocazione alfabetica, troviamo ancora una volta lo stesso lemma: diversa è tuttavia la interpretatio, che coincide letteralmente con la prima parte di quella che si legge in A e nella vulgata (λεπτοῖς ἅμα καὶ πολλοῖς φλεβίοις). Se ne può concludere, che il copista avesse di fronte il testo della glossa nella sua forma integrale, quale troviamo nei codici recanti la redazione completa; nel primo caso in cui cita la glossa, egli opta per una parafrasi; nel secondo, dimenticando di aver già scritto la glossa, si mostra più fedele, riportando esattamente la prima parte dell’interpretatio e semplicemente omettendone la seconda. La glossa si conclude perciò piuttosto bruscamente, restando incompleta: il lemma è non a caso preceduto in margine da un piccolo segno di spunta, certo un richiamo che evidenzia una situazione particolare (pur non essendone del tutto chiaro il senso: ma presumibilmente vale delendum). Non è raro, in questo codice, che per motivi di spazio una interpretatio venga palesemente riassunta o parafrasata, ovvero del tutto omessa la sua parte finale. L’antigrafo aveva verosimilmente un testo completo, e con il corretto ordine alfabetico, come del resto dimostra già la seconda parte del testo, dove, venendo meno progressivamente la preoccupazione del risparmio dello spazio, il copista può riportare fedelmente anche glosse molto ampie: l’attendibilità del codice cresce, quindi, procedendo verso la seconda metà. La glossa ε 43 è la prima in M di una estensione superiore alla riga: e al diminuire delle omissioni di M, il testo si fa più vicino a quello di A, confermando una fonte analoga per entrambe le famiglie di codici. A questa sostanziale consonanza tra A e M evidenziabile soprattutto nella seconda parte dell’opera, si aggiungono esempi di concordanza in errore che mostrano forse per i due codici una prove-

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nienza comune. Questo sembrerebbe confermato dai due casi seguenti (altri dettagli in apparato ad l.): π 21 περινεήματος· περικλύσματος περινηενατος M περινεήματ()· περικλύσματ() περινηένατο(ς) A Comunque si voglia qui costituire il testo, è evidente che si tratta di lezioni difettose dipendenti probabilmente dalla stessa fonte. χ 12: Al lemma χήμην segue in M la voce χηραμύντιν, e ugualmente in A (con le consuete abbreviazioni) χηραμυντ̂̈ ʹ, che in γ diventa χεραμύν τι(να). La cautela si impone, anche di fronte a casi così espliciti, poiché i notevoli cambiamenti apportati da M soprattutto nella prima parte del testo rendono ogni conclusione incerta. Ma appare acclarato almeno che i due codici discendevano dalla medesima linea di tradizione: ulteriori esempi in questo senso sono a p. 90. Come già anticipato, lo scriba del Glossario aveva presumibilmente a disposizione un solo quinione da anteporre a un codice già completo (e costituito interamente da quaternioni): qui lo scriba doveva trovare spazio sufficiente per le opere da trascrivere, il Glossario e la Vita di Ippocrate dovuta a Sorano, e a questo si dovrà anche il sacrificio del Proemio, che del resto sarà stato di rilievo secondario agli occhi di chi intendesse l’opera come uno strumento per la comprensione dei testi ippocratici. 2. Il principale discendente di M: I I

Erede diretto di M, e verosimile tramite tra M e gli altri recentiores della classis posterior, è I: che tuttavia presenta così tante e così rilevanti divergenze, da far ipotizzare numerosi interventi del copista stesso e forse contaminazione. Come accennato (cf. supra, la descrizione del codice), la serie delle prime 24 glosse è in I mal documentata, poiché esse furono (ri)trascritte, probabilmente dopo la originaria copiatura del testo, nell’ultima parte della colonna di destra del foglio 1r contenente il pinax marciano delle opere di Ippocrate. Il testo di queste glosse è fortemente decurtato anche rispetto al testo della classis posterior, e non può essere assunto per trarre conclusioni. La dipendenza da M è dimostrata da alcuni casi in cui la disposizione della scrittura sulla pagina di M o difetti materiali del codice influenzano I. È il caso della sequenza alfabetica delle glosse α 122–125 ἀντικοντώσιος, ἄορτρον, ἀπαρτί, che nel Marciano sono nella corretta sequenza, mentre a partire da I risultano in ordine diverso (ἀντικοντώσιος, ἀπαρτί, ἄορτρον). Così si presenta M:

Il copista, leggendo la prima glossa (ἀντικοντώσιος), giunto alla fine della riga scende sulla successiva per copiare il finale σκηπῶν καλεῖται. Quindi, invece di tornare indietro sulla stessa riga per riprendere da ἄορτρον, va ancora a capo e copia ἀπαρτί; giunto tuttavia alla fine della riga, imbattendosi in ἑκατέρωθεν (che va collocato dopo μέρος alla fine della seconda glossa), si accorge di aver omesso qualcosa,

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cioè la glossa precedente (ἄορτρον), e la reinserisce nel punto in cui si trova; lo ἑκατέρωθεν, che crea difficoltà per la sistemazione piuttosto confusa della glosse, viene nuovamente trascurato. Il primo manoscritto a essere indotto in errore è I, a cui tengono dietro gli altri recentiores. Altro errore congiuntivo: trasposizione: π 67 πυρίας· τοὺς διαπύρους κόχλακας ἢ θρυματα διακαῆ ἀπὸ σκωρίας σιδήρου. M π 68 πυρήνας· τοὺς χόνδρους. εἴρηται δὲ ἐπὶ λιβανωτοῦ. M π 67 πυρίας· τοὺς διαπύρους κόχλακας ἢ θρυματα διακαῆ. I B K P π 68 πυρῆνας· τοὺς χόνδρους. εἴρηται δὲ ἐπὶ λιβανωτοῦ ἀπὸ σκωρίας σιδήρου. J P In questo caso, la parte finale di π 67, ἀπὸ σκωρίας σιδήρου, si trova in M alla fine del rigo inferiore, dopo la glossa successiva, come spesso accade per problemi di spazio (analogamente al caso precedente ora citato). Il copista di I non se ne avvede, e la copia come fosse la conclusione della glossa seguente. La diretta dipendenza di I da M è attestata anche da altri errori e lezioni peculiari che si spiegano soltanto a partire dal Marciano; basterà qui soffermarsi brevemente sui più eloquenti di essi. Nella glossa σ 62, la prima parola dell’interpretatio, che in A come nella vulgata è στρεπτόν, in M (fol. 8v) è di lettura problematica a causa di un piccolo foro nella pergamena: si legge στρεπ.αρι seguito da τι, la lacuna occupa lo spazio di una singola lettera, della cui parte inferiore si intravede un residuo. I reca in questo caso proprio στρεπαριτι, vox nihili (mentre verosimilmente si dovrà scrivere, con A post corr. e R, στρεπάρι τι, con il finale -ον che sarà stato in origine abbreviato nel codice). α 29 ὁ ἀπὸ Αἴνου κτλ.: in M (fol. 2r) in luogo di ὁ ἀπὸ Αἴνου si è letto finora, anche da parte degli studiosi moderni, qualcosa come ουγαινου: analoga improbabile lezione reca I (ουγ..ένου vel sim.: un danno materiale ha determinato una piccola lacuna): ma quello che è interpretato come υγ è in realtà un siglum per ἀπὸ. In π 62, I omette la conclusione della glossa (ὡς ἐν β' περὶ νούσων τῷ μείζονι), che in M è collocata in conclusione della riga seguente, alla fine della glossa successiva, della qual cosa verosimilmente il copista di I non si accorge. 3. Peculiarità di I rispetto a M e occasionale vicinanza al testo della classis prior Rispetto ad M, tuttavia, I presenta numerosissime lezioni peculiari, alcune delle quale penetrate nella vulgata a stampa. Queste si lasciano spiegare con l’ipotesi della contaminazione che lo legherebbe ad almeno un codice oggi perduto, diverso da quelli esistenti; chi voglia seguire un principio d’economia, potrà tuttavia ricondurne la gran parte a interventi congetturali e modifiche del copista stesso. In questo senso porterebbe il raffronto con la tradizione del lessico platonico dello Pseudo-Didimo, in particolare con il codice L (Laur. plut. 80,13, del XIV secolo), che offre un caso singolarmente affine e tende da un lato a epitomare il testo (nel nostro caso, I ha a sua volta numerose omissioni di intere glosse – come α 41, α 52, μ 14, ρ 8, ρ 11, σ 17, σ 40,

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υ 22, χ 2 – o di parti di esse, ma tende altrove ad ampliare il testo), dall’altro ad alterazioni di vario genere, anche di significativa ampiezza77. Questi gli esempi principali di divergenza tra M e I, per i quali si osservano in qualche caso coincidenze di I con A2 , e per i quali va osservato il crescere dell’entità degli interventi nel mentre si procede verso la seconda metà del testo (si elencano anche divergenze non significative sul piano stemmatico, perché indicative del modo di lavorare del copista, mentre si danno solo pochi dei numerosi casi di omissione; per la stessa ragione, e per mostrare l’evoluzione del comportamento del copista, si segue qui l’ordine delle glosse e non la tipologia di errore. In neretto i numeri dei casi più indicativi): α 28 αἱμόκερχνα· κερχνεῖν ἐπὶ αἵματος ἐκχύσει. M αἱμόκερχνα· κερχνεῖν λέγεται ἐπὶ αἵματος ἐκχύσει. I (così anche A2) α 120 ἀναίθυνται· εἰς τὸ ἄνω ἀπεύθυνται. M ἀνέθινται· ἤγουν εἰς τὸ ἄνω ἀπεύθυνται. I α 123 ἀντίρινα· πόα τις ἣν καὶ βουκράνιον καὶ … M ἀντίρινα· πόα τις ἣν καὶ βουκράνιον καλοῦσι καὶ … I (così anche A2) α 152 ἄρις· … καὶ βοτάνη τις ἐστιν. M ἄρις· … καὶ βοτάνη τις οὕτω καλουμένη78. I δ 24 δυσήνιος· ὁ μὴ εὐκόλως ἀνιώμενος. M δυσήνιος· ὁ μὴ εὐκόλως ἀνιώμενος. ἔστι δε καὶ ὁ δυσχαλίν… I2 (v. app.) ε 2 ἐγγαστρίμυθος· ἡ … φθεγγομένη τὸ δοκεῖν ἀπὸ γαστρός. M ἐγγαστρίμυθος· ἡ … φθεγγομένη καὶ δοκοῦσα ἀπὸ γαστρός. I θ 7 θράνον· δίφρον ἀφοδευτικόν. M θράνον· τὸν ἀφοδευτικόν δίφρον. I θ 9 θρίξ· τὴν τρίχα. M θρίξ· τὴν τρίχα δηλοῖ. I θ 14 θώρηξις· οἴνωσις. M θώρηξις· οἴνωσις ἤτοι (ἡ s.l. add.) μήτη. I (così anche A2) ι 2 ἰθαγενὲς· γνήσιον, ἀλλά με ἶσον ἰθαγενέσσιν ἐτίμα. M ἰθαγενὲς· τὸ γνήσιον· καθά(περ) φησιν ὁ σοφός. ἀλλά με ἶσον κτλ. I ι5 ἱμερωθεῖσαι· ἀνδρὶ μιγεῖσαι M ἱμερωθεῖσαι· ἀντὶ τοῦ τῆς ἐπιθυμίας τυχοῦσα ἀνδρᾶσι μιγεῖσαι I79 κ 7 καλλιωνύμου· ἰχθύος τινὸς οὕτως ὀνομαζομένου. M καλλιωνύμου· ἰχθύος οὕτω καλουμένου. I κ 12 καρχήσιον· τῷ ἐπάκρῳ τῷ ἱστίῳ ἔχει δὲ τροχηλίαν. M καρχήσιον· τὸ ἐπάκρῳ τῷ ἱστίῳ τῶ ἔχοντι τροχηλίαν. I

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Si veda l’introduzione di S. Valente all’edizione del testo, I lessici a Platone, pp. 225–229. Qui οὕτω καλουμένη è diverso sia da M (ἐστιν) sia da A (οὕτως ὀνομάζεται). Anche in questo caso I si allontana da A M. Questa glossa esemplifica in modo chiaro le innovazioni di I che poi si perpetueranno nella tradizione per ritrovarsi infine nell’edizione di Kühn; una alterazione del genere sembra doversi imputare alla contaminazione di un altro codice a noi ignoto piuttosto che alla originalità del copista.

Le relazioni tra i codici

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κ 33 καυλὸς· ἡ μὲν ῥίζα τῆς πόας σίλφιον ἰδίως ὀνομάζεται, καῦλος δὲ καὶ τόπος. M καῦλος· ἡ μὲν ῥίζα τῆς πόας ταύτης σίλφιον ἰδίως ὀνομάζεται· ἔστι καὶ καῦλος τίς τόπος. I κ 36 κάχρυος ῥίζαν· … τὰς κάχρυας τὰς πεφρυγμένας κριθὰς ἀκουστέον. M κάχρυος ῥίζαν· … τὰς κάχρυας τὰς πεφρυγμένας κριθὰς λέγει. I κ 49 κνῆστρον· ὅπερ καὶ κνέωρον ἤγουν μαχαίριόν ᾧ ξύεται ὁ τυρός. M κνῆστρον· ὅπερ καὶ κνέωρον λέγεται. ἔστι δὲ μαχαιρίδιον ὑφ'οὗ ξύεται ὁ τυρός. I κ 53 κνῦμα· … καὶ ὁ ἠρέμα στενάζων· ἐπὶ δὲ τῶν κυνῶν κνυζηθμός. M κνῦμα· … δηλοῖ δὲ καὶ τὸν ἠρέμα στενάζοντα· ἐπὶ δὲ τῶν κυνῶν γίνεται κνυζηθμός. I κ 66 κοτυληδόνας· πληθυντικῶς τὰ στόματα … M κοτυληδόνας δὲ· τὰ στόματα … I κ 80 κύβιτον· τὸ ὀλέκρανον …τὸν κόνδυλον τοῦ βραχίονος. M κύβιτον· τὸ ὠλέκρανον … τὸν κόνδυλον τοῦ βραχίονος εἶναι λέγει. I λ 8 λεβηρίδα· τὸ τοῦ ὄφεως γῆρας· ἔνιοι δὲ κόγχην κενήν. M λεβηρίδα· τὸ τοῦ ὄφεως γῆρας· ἔνιοι δὲ τοῦτο λέγουσιν κόγχην κενήν. I μ 3 μαλακίοισι· ὅσα τῶν ἐνύδρων ἀκάνθας οὐκ ἔχει, πολύπους σηπία καὶ τὰ ὅμοια. M μαλακίοισιν· ὅσα τῶν ἐν θαλάσσῃ ἀναίμων καὶ μὴ ἐχόντων ἀκάνθας, ἅπερ εἰσίν ἥ τε σηπία καὶ ὁ πολύπους καὶ ὅσα τοιαῦτα. I μ 13 μέλαιναν ῥίζαν· τὴν τοῦ ἀσπαλάθου τοῦ ἀρωματικοῦ ῥίζαν + μ 14 μελαῖνης· πόλις ἐστιν κατὰ τὸ κρισαῖον πεδίον νομὰς ἀγαθὰς ἔχουσα. M μέλαιναν ῥίζαν· τὴν τοῦ ἀσπαλάθου τοῦ ἀρωματικοῦ ῥίζαν ἀπὸ μελαίνης τινος πόλεως νομὰς ἀγαθὰς ἐχούσης κατὰ τὸ κρισαῖον πεδίον. I μ 24 μεσόδμη· ἡ καθ' ἕνα οἶκον εἰς δύο διαμερίζουσα δόκωσις, τινὲς δὲ καὶ τὸ ὑπερκείμενον τέγος μεσόδμην καλοῦσι. M μεσόδμη· ἡ καθ' ἕνα οἶκον εἰς δύο διαμερίζουσα τοῦ δοκοῦ εἶρξις, τινὲς δὲ καὶ τὸ ὑπερκείμενον στέγος μεσόδμην καλοῦσιν. I (τοῦ – εἶρξις anche A2s.l., R) μ 28 μήλην διαστοματίδα· τὸν διαστολέα. M μήλην διαστοματίδα· τὸν διαστολαία δηλοῖ. I μ 42 μυρτίδανον· πέπερι. διοσκουρίδης δὲ ἀνώμαλον καὶ ὀχθώδη, περὶ τὸ τῆς μυρρίνης πρέμνον. M μυρτίδανον· πέπερι. I (un caso di omissione, ma non banale) ν 1 ναυσιώσιες· … μετενήνεκται δὲ ἀπὸ τῶν ἐπὶ ταῖς ναυτίαις ἐμούντων τοὔνομα αἷμα. M ναυσιώσιες· … μετενήνεκται δὲ ἀπὸ τῶν ἐν ναυτίαις ἐμούντων. I ξ 2 ξύμη· κνησμός. M ξύμη· ὃ καλεῖται κνησμός. I ο 4 οἴσπη αἰγός· ὁ περὶ ταῖς θριξὶν τῆς ἕδρας συνεστραμμένος ῥύπος. M οἴσπη αἰγός· ὁ περὶ ταῖς θριξὶν τῆς αἰγὸς συνεστραμμένος ἐγγενόμενος ἐν τῆ ἕδρα, ῥύπος. I (= A2) ο 7 ὄκρις· ἐξοχὴ προμήκης. M ὄκρις· ἐξοχὴ μεγίστη. I

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ο 20 ὀροκωνπίδος· ἑτέρα γραφὴ τῆς ὀλοκωνίτιδος, … φησὶ δὲ διοσκουρίδης τὴν εμορει γεννωμένην ὀροκωητιν ὀνομάζει ται. M ὀροκωνπίδος· ἑτέρα γραφὴ περιέχει τῆς ὀλοκωνίτιδος, … φησὶ δὲ διοσκουρίδης τὴν εμορει γεννωμένην ὀροκωνίτιν ὀνομάζεσθαι. I π 12 πέζαι· ἐν τῷ β τῶν γυναικείων οὕτως γέγραπται καὶ οἱ πόδες (…) πέζαν φησὶ τὸν πόδα καλεῖν ἀρκάδας καὶ δωριεῖς. ὁ δὲ ἱπποκράτης ἔοικεν ἢ τὸ πεδίον καλούμενον τοῦ ποδὸς οὕτως ὠνομακέναι ἢ τὰ σφυρά M πέζαι· οἱ πόδες ὡς γέγραπται ἐν τῷ δευτέρῳ τῶν γυναικείων, οὕτως ἔχει καὶ οἱ πόδες (…) λέγει τὸ πέζαν εἶναι τὸν πόδα λεγόμενον ἀρκάσι καὶ δωριεῦσι. ὁ δὲ γε ἱπποκράτης ἔοικεν ἢ τὸ πεδίον καλούμενον τοῦ ποδὸς οὕτως ὀνομάζειν ἢ τὰ σφυρά. I π 30 πήρινα· τὸν περίναιον, … καὶ τὴν ἕδραν. M πήρινα· τὸν περιναῖον, … καὶ τὴν ἕδραν λέγειν δοκεῖ. I π 43 ποίην· τὸ φύλλον ὅμοιον οἰνάρῳ τὴν φύσιν αιτινες της κισσαμπέλου. M ποίην· τὴν ἔχουσαν τὸ φύλλον ὅμοιον οἰ οἰνάρῳ τὴν φύσιν ὡς τὸ τῆς κισσαμπέλου. I π 51 πράμνειος· οἶνός τις οὕτως ὀνομάζεται μέλας καὶ αὐστηρός. M πράμνειος· οἶνός μέλας καὶ αὐστηρός. I π 54 προαυξέας· … τὰς … γινομένας, ὅτι καὶ αὐτοὺς οὕτως ἐνίοτε καλεῖ τοὺς προβεβηκότας. M προαυξέας· … ἤγουν τὰς … γινομένας, ὅτι καὶ αὐτοὺς τούτους τοὺς προβεβηκότας ἐνίοτε οὕτως καλεῖ. I π 66 πυοί· τὰ πρῶτα γάλακτα τὰ ἐξ ἑαυτῶν πηγνύμενα. M ποίη· τὰ πρωτογάλακτα τὰ ἐξ ἑαυτῶν πηγνύμενα. I σ 5 σελάχεσιν· οὕτως καλεῖται ὅσα λεπίδα οὐκ ἔχει καὶ ζωοτοκεῖ. M σελάχεσι· τοῖς ἐκ τῶν ἰχθύων λεπίδας μὴ ἔχουσι καὶ ζωοτοκοῦσιν. I σ 31 σκορδινᾶσθαι· διατείνεσθαι καὶ μάλιστα μετὰ χάσμης. M σκορδινᾶσθαι· διατείνεσθαι καὶ μάλιστα τὸ μετὰ χάσμης τεινόμενον. I σ 33 σκύτα· τὰ κατὰ τὸν αὐχένα. M σκύτα· τὰ κατὰ τὴν σκυταλίδα τοῦ αὐχένος. I τ 12 τέως· τό τε ἕως καὶ τὸ τηνικαῦτα καὶ τὸ πρότερον. M τέως· καὶ τὸ τηνικαῦτα δηλοῖ καὶ τὸ πρότερον. I τ 13 τηλέφειον· ὅπερ καὶ ἀίζωον ἄγριον … M τηλέφειον· εἶδος βοτάνης ὅπερ καὶ ἀείζωον ἄγριον … I φ 1 φαγεδαίνη· ἕλκη ἀναβιβρωσκόμενα. M φαγεδαίνη· τῆ φερούση ἕλκη ἀναβιβρωσκόμενα. I φ 7 φήρεα· αἱ περιμήκεις … ἐξοχαὶ οἵας καὶ οἱ σάτυροι ἔχουσιν. ἔνιοι δὲ καὶ φῆρες καὶ θῆρες καλοῦνται, ἵν' ᾖ οἷον φηρία κτητικῶς εἰρημένα. M φήρεα· αἱ παραμήκεις … ἐξοχαὶ οἵας καὶ οἱ σάτυροι ἔχουσιν. ἔνιοι δὲ καὶ φῆρες καὶ θῆρες. I φ 22 φλιάς· ξύλα ὀρθὰ πεπηγότα κατὰ ἀντικρῦ καθάπερ καὶ τῶν νεύρων φ̇λ̇ε̇β̇(ες). M φλιάς· τὰς ἐν ξύλοις ὀρθοῖς ἐμπεπηγμένα καθά(περ) δὴ καὶ τῶν νεύρων φλέβες. I

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φ 32 φοινίκη ἡ νόσοςÝ ἡ κατὰ φοινίκην … πλεονάζουσα δηλοῦσθαι δὲ κἀνταῦθα δοκεῖ ἡ ἐλεφαντίασις. M φοινίκη· νόσος ἥτις κατ' αὐτὸν τὸν τε τῆς φοινίκης τόπον … πλεονάζει· δοκεῖ δὲ αὕτη ἡ ἐλεφαντίασις εἶναι. I φ 39 φύλλια· ἡδύσματα κηπαῖα, ἃ τοῖς ὠνουμένοις τὰ λάχανα προσεπιτιθέασιν …M φύλλια· ὡσαύτως ἡδύσματα κηπαῖα … I Frequenti rispetto a M sono in I alcuni cambiamenti di elementi non essenziali, come i verbi di dire o intendere (ὀνομάζειν / καλεῖν / λέγειν / ἀκούειν: quest’ultimo, che ricorre nella forma ἤκουσαν, viene sistematicamente sostituito, in genere con λέγουσιν; fa eccezione ad es. σ 57), le particelle e congiunzioni (γάρ, καί, δέ), altri elementi del discorso (articoli, forme del verbo essere, come ἐστί). Non mancano, oltre a quelli elencati, ulteriori esempi, di minore rilievo: se da lato si dimostra una specifica coincidenza con A2, che si direbbe dunque dipendere da I (cf., tra i vari esempi, il caso di θ 14 e quello di ο 4), evidenti sono anche numerose modifiche deliberate da attribuirsi al copista stesso (un esempio per tutti, σ 5, dove adatta la forma della flessione nella interpretatio a quella del lemma). Alcuni casi potrebbero far pensare a contaminazione con un codice perduto. Se non si avessero prove chiare della dipendenza di I da M, si dovrebbe dire che i due codici siano indipendenti. 4. Indizi di contaminazione tra le due classi di manoscritti Se quella della contaminazione con un codice perduto resta un’opzione, tutt’altro che chiaro è comunque il tipo di codice che può essere servito da ulteriore riscontro. Si trattava forse di un manoscritto vicino alla classis prior ma diverso da tutti quelli oggi superstiti, poiché, in diversi casi di divergenza tra I e M, il codice I coincide con A. Vi sono diversi casi, tuttavia, in cui I non coincide né con A né con M, e per alcuni di questi sembra difficile (sebbene non sia impossibile) ricorrere soltanto all’ipotesi di congetture, correzioni o sviste del copista. Sembra talvolta più semplice supporre l’esistenza di almeno un altro codice che abbia influenzato I: cf. i casi, sopra riportati, delle glosse (in ordine di rilevanza) φ 32, ι 5, φ 1, α 15280. La glossa χ 7 (χελύσκιον ξηρόν), in cui A reca ἀνακαμπτομένης, mentre R ha ἀναχρεμπτομένης, segnala per I, la cui lezione è ἀναχραμπτομένης, una vicinanza con la famiglia di R. Del resto anche A. Rivier, Recherches, nello studiare i medesimi codici per la tradizione del De morbo sacro, aveva marginalmente osservato di non escludere, per il testo del Glossario, « la possibilità di un contatto tra I e il modello diretto di R » (p. 112 n. 3). Contaminazione sicura tra i codici delle due classi (al livello di γ per la classis prior) mostra la glossa κ 10. Nel testo di A, si legge: κάρικον· κάρικον τι οὗτως ὀνομάζει. οὗ καὶ τῆς σκευασίας ἐν τῷ περὶ ἑλκῶν γράφει.

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Il testo di A si vorrà ricavare dall’apparato critico delle singole glosse.

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In R N (e nei recenziori), invece: κάριον· σύνθεσις σκευασίας οὗ καὶ τὴν σκευασίαν ἐν τῷ περὶ ἑλκῶν γράφει. Poiché M – dunque la classis posterior – reca κάριον· σύνθεσις σκευασίας, la contaminazione è evidente. Che il copista di I, inoltre, non si limiti a trascrivere meccanicamente, ma introduca del suo, mostra ad esempio il caso seguente: χ 20 χυτριδεα· χύτραν. M I χ 21 χυτρίδεον· χύτραν. M: om. I χ 22 χύτρινον· χύτραν. M: χύτρινον· ὁμοίως καὶ πάλιν χύτραν. I Qui, delle tre glosse analoghe l’una all’altra presenti in M, I omette la seconda, e alla terza aggiunge un ὁμοίως καὶ πάλιν che vale evidentemente come rinvio all’interpretamentum precedente. Il codice I è il tramite principale che riconduce al Marciano buona parte dei recenziori di epoca successiva. A dimostrare che I è un tramite fondamentale, basterebbe la già citata inversione nella sequenza alfabetica di α 122–125: questa, originatasi dalla disposizione del testo sulla pagina di M, viene riproposta da tutti gli altri codici. Tuttavia, diversi dei recenziori, pur concordando frequentemente con I, presentano talora concordanza con M contro I (cf. infra, l’esempio ρ 13 e altri), a dimostrare un percorso più complesso e non facile da districare con esattezza. Da I sembrano derivare due linee di discendenza. Dalla principale, alla quale risalgono quasi tutti i codici successivi, sembra distaccarsi B, che presenta alcune peculiarità sue proprie. È indubbio che B derivi da I: ma diversi casi portano a pensare che sia contaminato con un altro codice, e che sia in parte distinto dalla linea di discendenza che accomuna gli altri testimoni derivati da I. B

B condivide con I tutti i casi riportati nell’elenco delle divergenze tra M e I, contro M; tuttavia, anche tra B e I non mancano divergenze, che portano a ipotizzare contaminazione tra B e un altro codice (la principale è ρ 13, dove B registra una parte di testo omessa da I e presente nei codici della classis prior). Esempi per B diverso da I: omissione: ρ 13 τοῖς τῆς ἀγχούσης M B: om. I aggiunte: α 14a et 14b add. B (sim. N; cf. supra p. 45) σ 66 τόποις γινόμεναι add. I: τόποις add. B varianti: α 29 οὐγ..ένου I: ὁ ἀπὸ αἴνου B α 123 ἀντίρινα I: ἀρτίρυον B π 3 βαθυτέρα I: παχυτέρα B

Le relazioni tra i codici

σ 62 σ 86 υ 20 φ 23 χ7

ω3

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στρεπαρίτι I: στρεπταρίτι B σφυράδες M I: σπυρ- I s.l.: σπηράδες B ὑπονυσσαμένη M I: ὑπονησαμένη B φλεγεαί M B: φλογιαί I χελύσκιον ξηρόν· … τὸ χελύσκιον τὸ βραχὺ βηχίον … ἀνακαμπτομένης M χελύσκιον ξηρόν· … δηλοῖ δὲ τὸ βραχὺ καὶ ὀλίγον βηχίον … ἀναχραμπτομένης I χελύσκιον ξυρόν· ὑποκοριστικῶς εἴρηται· τὸ χελίσκιον τὸ βραχὺ καὶ ὀλίγον βηχίον, … ἀναχρεμπτόμενον B ὠμηλέσειν et τὸ ἄλλως ἄλευρον M I: ὠμηλέσι et τὸ ἄλλο πᾶν ἄλευρον B

Vi sono poi numerose glosse (almeno due decine) in cui B presenta delle differenze rispetto a I, ma si tratta sempre di casi meno indicativi perché potenzialmente dovuti a congetture dello scriba o a suoi errori. 5. La discendenza di I: il caso di F Un intero gruppo di manoscritti deriva a sua volta da I, ma quasi tutti i testimoni che ne fanno parte presentano peculiarità loro proprie che possono far ipotizzare da un lato contaminazione, sia con codici della classis prior sia con altri testimoni non meglio identificabili, dall’altro lato percorsi della tradizione oggi non ricostruibili con precisione, nonché frequenti e a volte indiscriminati interventi degli scribi (come in F). Molti di questi codici sono imparentati tra loro, ma solo in alcuni casi è possibile stabilire una filiazione diretta; mai, comunque, questi manoscritti forniscono contributi rilevanti per la costituzione del testo, salvo qualche sporadica singola lezione. Non sembra dunque opportuno affollare questa descrizione dedicata ai codici e ai loro rapporti del gran numero di lezioni singolari o di peculiarità dei diversi manoscritti; si forniranno le informazioni più rilevanti per ciascun testimone, soffermandosi più in dettaglio su F, anche a titolo di esemplificazione più generale. F: il codice concorda spesso con I; ma a volte con B contro I; a volte con M contro I B; a volte con M B contro I; a volte ha lezioni sue proprie, che si discostano in modo anche sostanziale dagli altri codici. Numerose le omissioni soprattutto nella parte finale: nella quale F sembra semplicemente abbreviare, parafrasare, inventare. La peculiarità di F, e la sua contaminazione con un codice della classis prior, è confermata dalla presenza delle prime righe del Proemio. Il codice è senza dubbio della discendenza di I, con cui condivide numerose peculiarità (quasi tutti i casi dell’elenco riportato supra) e anche le omissioni di alcune glosse rispetto ad M, ma ne resta non chiaro l’antigrafo diretto (o i codici contaminati) a causa di una serie di divergenze da M o da I o da B. Esempi più significativi di divergenze e lezioni singolari: F isolato in omissioni: ρ 10 ῥήνικας: ἀρνακίδας M I B: glossam omittit F σ 61 ἐν τούτῳ δέ ἔνι (ἔστι τι I B) στρογγύλον, ὃ καλοῦσι μυτιδανόν M I B: om. F σ 62 στρεπ.αρι τι M: στρεπαρίτι I: στρεπταρίτι B: στρεπτάριον F || ἐν τῷ περὶ αἱμορροΐδων καὶ συρίγγων om. F σ 63 (στρυμάργου): glossam omittit F

F

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σ 85 ἐν μὲν τῷ περὶ παρθ(ένων), τὸ ἀπὸ τῆς τοὺς λίθους βαλούσης σφενδόνης ὠνόμασεν, εἰς ἀνάληψιν κόλου χρήσιμον· ἐν δὲ τῷ περὶ ἀφόρων, et καὶ ὅσα τε τούτοις παραπλήσια om. F σ 87 τρία σημαίνει M: τρία ταῦτα σημαίνει I B: om. F τ 3 ὡς ἐν τῷ περὶ παθῶν λέγει M: ὡς ἐν τῷ περὶ παθῶν δοκεῖ λέγειν I B: om. F (alia multa hic illic omittit F, e.g. sub τ 6, 13, 22, υ 2, gl. τ 23–24 et χ 22 om., etc.) varianti e false lezioni: α 11 παρηθεῖται M B, παραθεῖται I: παρεθεῖσα F α 123 ἀντίρινα M I: ἀρτίρυον B: ἀρτίρινα F α 125 ἀπαρτί M: ἀπαρτίως B (I non legitur): ἀπυρσίως F α 173 ἀχιλληϊάδας κριθάς M I B: ἀχελληφάδας F (κριθάς om.) κ 53 ὀνοματοπεποίηται M I B: ὅνομα ὃ πεποίηται F μ 24 τινες M I B: ἔνιοι F π 12 πέζαι· … ὁ δὲ γε ἱπποκράτης ἔοικεν ἢ τὸ παιδίον (πεδίον M I B) καλούμενον τοῦ ποδὸς οὕτως ὀνομάζειν (ἢ τὰ σφυρά add. M I B) F π 13 πέλλα· πέλια (πέλλια I) ὑπόκιρρα τὰ δὲ αὐτὰ καὶ πελληρὰ ὀνομάζει. ζηνόδοτος δὲ ἐν ταῖς ἐθνικαῖς λέξεσιν (τοὺς add. I B) σικυωνίους φησὶ τὸ κιρρον πελον (πέλλον I B) ὀνομάζειν M I B (πέλλα – ὀνομάζει om. F) ζηνώδης δὲ ἐν ταῖς ἐθνικαῖς λέξεσι τοὺς σικιαμίνους φησὶ τὸ κηρρὸν πέλλον ὀνομάζειν F π 35 πλαταμών· ἔφαλος πέτρα λεία, ταπεινή, περὶ ἣν πλατύνεται τὰ κύματα M πλαταμών· ἔφαλος πέτρα λεία, πλατινὴ ἔνθα πλατύνεται τὰ κύματα I B πλαταμών· ἔφαλος πέτρα, λίαν (nova gl.) πλατινὴ ἔνθα πλατύνεται τὰ κύματα F σ 64 χαλκῖτης (-ις I B) M I B: χαλκή F σ 76 ἐσκιασμένον M I B: συνεσκιασμένον F φ 32 φοινίκη ἡ νόσος· ἡ κατὰ φοινίκην καὶ κατὰ τὰ ἄλλα ἀνατολικὰ μέρη πλεονάζουσα δηλοῦσθαι δὲ κἀνταῦθα δοκεῖ ἡ ἐλεφαντίασις M φοινίκη· νόσος ἥτις κατ'αὐτὸν τὸν τε τῆς φοινίκης τόπον καὶ κατὰ τὰ ἄλλα ἀνατολικὰ μέρη πλεονάζει· δοκεῖ δὲ αὕτη ἡ ἐλεφαντίασις εἶναι I B φοινίκωνος· (…) ἡ αὐτὴ φοινίλη νόσος λέγεται· ἥτις κατὰ τῶν φοινίκων τινῶν (…) καὶ τῆς ἀνατολῆς F F concorda con M B contro I in aggiunta: ρ 13 τοῖς τῆς ἀγχούσης M B F: om. I F concorda con M contro I B: α 120 ἀναίθυνται: εἰς τὸ ἄνω ἀπεύθυνται M ἀνέθυνται· εἰς τὸ ἄνω ἀπεύθυνται F ἀνέθινται· ἤγουν εἰς τὸ ἄνω ἀπεύθυνται I B θ 9 τὴν τρίχα δηλοῖ I B: τὴν τρίχα M F κ 80 διοσκουρίδης δὲ τὸν κόνδυλον τοῦ βραχίονος εἶναι λέγει I B: διοσκ. δὲ τὸν κόνδυλον τοῦ βραχίονος M F F concorda con I contro M e in modo diverso da B: κ 56 sub fin. add. εἶναι φασίν I F: add. φασίν B

Le relazioni tra i codici

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π 3 παχυτέραν M: παχυτέρα B: βαθυτέρα I F σ 30 σκνηρύνει· σκελετεύει. καὶ σκνηρύνεται, σκελετεύεται M: καὶ κτλ. om. I B F: σκληρύνει B σ 66 τόποις γινόμεναι add. I F: τόποις add. B F è vicino a B e diverso da I: α 29 οὐγ..ένου I: ὁ ἀπὸ αἴνου B: ὁ ἀπο τῆς αἴνου (ὁ ἀπὸ add. manus post. ut vid.) F (M reca un siglum per ἀπὸ, facilmente fraintendibile) F isolato ma sulla linea di I: λ 24 λίριον· τὸ κρίνον ἔλαιον οἱ δὲ μετὰ τοῦ ν λίρινον M λίριον· τὸ κρίνινον ἔλαιον· οἱ δὲ μετὰ τοῦ ν λίρινον λέγουσιν I λίριον· τὸ κρίνινον τινες δὲ μετὰ τοῦ ν λίρινον λέγουσιν B λίριον· τὸ τῶν κρίνων ἔλαιον· οἱ δὲ μετὰ τοῦ ν λίρινον λέγουσιν F μ 9 μάτος· ἤτης ἴσως καὶ τὸ ζητεῖν ματεῖσθαι M μάτος· ἡ ζήτησις ὅτι ματεῖσθαι τὸ ζητεῖν I B μάτος· ἡ ζήτησις ὡς ἐν τῷ ματίσθαι τὸ ζητεῖν F π 48 οἱ δωριεῖς M: ὡς οἱ δωριεῖς φασιν I B: ὡς οἱ δωριεῖς F 6. La discendenza di F: i codici G Mut Vi Da F dipende direttamente G, da cui discendono poi Mut e Vi. F e G coincidono ad es. in diverse lezioni particolari tra quelle sopra citate, e inoltre nel titolo, nelle omissioni, e in numerose altre circostanze. Anche in G non mancano casi peculiari: cf. e.g. α 11 παρεῖται (παρηθεῖται M, παρεθεῖσα F), α 19 ante ἀκάνθης add. Αἰγυπτίας (come L, Mo, Mut, W, Vi), ma non rivestono rilievo particolare. G fu copiato da F dopo l’intervento della seconda mano di F, come dimostrano α 29, dove l’addendum ἤγουν ὁ αἰνείτης dovuto su F al correttore si ritrova in G, e α 109 dove analogo addendum supra lineam della mano posteriore, ἤγουν κρεμάσας, è riprodotto in G nel testo (però scritto ἤως κρεμάσας: in F ἤγουν è scritto in forma abbreviata e poco perspicua, si spiega facilmente la confusione). W ha la medesima giunta, mentre L e Mo recano il solo κρεμάσας, discendendo dalla stessa linea ma con un tentativo di dare al testo miglior forma (rinunciando almeno allo ἤγουν). Su G è copiato Mut (che pure presenta in alcuni casi lezioni peculiari): cf. e.g. varianti e lezioni erronee: α 11 παρεῖται G Mut Vi (παρηθεῖται M, παρεθεῖσα F) α 173 ἀχελληφάδας G Mut Vi (post F) π 67 κόχλακας all.: κόλακας G Mut Vi π 68 λιβανοτοῦ all. (praeter K): κλιβανοτοῦ G Mut Vi σ 61 τὸ ἰνδικόν all.: τοῦ ἰνδικοῦ G Mut Vi σ 62 στράβην· στρεπταριον F: στράβην· στρεπταρίδα G Mut Vi (erat στρύβλην· στρεπαρίτι ἐν τῷ περὶ αἱμορροΐδων καὶ συρίγγων I). Da Mut, o dallo stesso G, dipende Vi, che condivide tutte le singolarità ricordate.

G Mut Vi

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Le fonti

7. Altri codici discendenti da M I e altre tracce di contaminazione

J Mo L W

Alla linea derivante da M e I vanno ricondotti poi alcuni ulteriori manoscritti che sono certamente vicini tra loro, e tuttavia presentano ciascuno delle peculiarità tali da far escludere una dipendenza diretta l’uno dall’altro. Si tratta di J, Mo, L, W; ancora sulla stessa linea ma a parte vanno considerati P e K. Come si è già osservato, nel codice G vi sono aggiunte marginali o interlineari che rinviano a un codice della classis prior; e lo stesso accade con F, dove è riportato l’inizio del Proemio. I mss. J Mo L W a loro volta presentano chiare tracce di contaminazione con uno o più codici contenenti il testo nella redazione completa. In tutti questi casi, tale contaminazione sembra però riguardare soltanto la prima parte del testo, all’incirca le prime trenta glosse, e non è identica nei diversi testimoni. Poiché anche questi codici, come tutti i recenziori, non hanno rilevanza per la costituzione del testo, basti qui segnalare qualche esempio: α 10 ἀέτωμα· τὸ εἰς ὕψος ἀνατεταμένον τῆς ὀροφῆς M L ἀέτωμα· τὸ εἰς ὕψος ἀνατεταμένον alii (G: τῆς ὀροφῆς add. manus post.) ἀέτωμα· τὸ εἰς ὕψος ἀνατεταμένον τῆς ὀροφῆς ὥσπερ τρίγωνον Mo W (et codd. prioris classis) α 14 ἀγλίη (ex manu post.: erat fort. αἰγίς vel ἀγλίης) ἡ ἐν τοῖς ὀφθαλμοῖς ἀπόλευκος οὐλὴ καὶ οἱ λευκανθίζοντες ἐπίπαγοι M ἀγλίης· ἡ ἐν τοῖς ὀφθαλμοῖς ὑπόλευκος οὐλή· καθάπερ ἐν τῷ μείζονι προρρητικῷ· καὶ οἱ λευκανθίζοντες ἐπίπαγοι· ὡς ἐν κωακαῖς προγνώσεσιν Mo W (et codd. prioris classis) glossam omittunt B J G Mut L V Vi, initium tantum praebet I; de P et K vide infra α 17 Αἰγύπτιον ἔλαιον λευκόν· τὸ ἀπὸ τῶν κρίνων τὸ καλούμενον σούσινον M, alii (τὸν κρίνων K; τὸ ante ἀπὸ om. J) Αἰγύπτιον ἔλαιον λευκόν· τὸ ἀπὸ τῶν κρίνων σκευαζόμενον, ὅπερ καὶ κρίνινόν τε καὶ σούσινον ἔλαιον ὠνόμασται L Αἰγύπτιον ἔλαιον λευκόν· τὸ ἀπὸ τῶν κρίνων σκευαζόμενον, ὅπερ καὶ κρίνινόν τε καὶ σούσινον ἔλαιον ὠνόμασται· ὅπερ καὶ μετώπιον ὠνόμασθαι (= ex α 19)· ὅπερ καὶ μενδήσιον ὠνόμασθαι σκευαζόμενον διὰ τῶν κρίνων καὶ ἀρρωμάτων. διὰ τοῦτο μῦρον οὐκ ἔλαιον προσαγορεύεται. τὸ δ' αὐτὸ καὶ κρινόμυρον καὶ σούσινον μῦρον ὠνόμασθαι (= ex α 18) Mo Αἰγύπτιον ἔλαιον λευκόν· τὸ ἀπὸ τῶν κρίνων τὸ καλούμενον σούσινον καὶ κρίνονον καὶ μετώπιον ὠνόμασται W La fusione in α 17, in Mo, di elementi provenienti da tre glosse diverse può essere dovuta a errore nella trascrizione (si ricordi che Mo è codice assai difettoso); si tratta tuttavia di una alterazione consistente, che potrebbe anche confermare che il codice attinge, per le glosse della classis prior, ad un codice diverso da quelli che conosciamo, o forse a un antigrafo in cui queste glosse erano almeno in parte delle aggiunte marginali che il copista non distingue l’una dall’altra, o comunque scritte o disposte sulla pagina in modo tale da ingenerare confusione.

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α 18 Αἰγύπτιον μύρον λευκόν· τὸ κρινόμυρον M, alii Αἰγύπτιον μύρον λευκόν· τὸ κρινόμυρον ὅπερ καὶ μενδήσιον ὠνόμασται, σκευαζόμενον διά τε κρίνων καὶ ἀρρωμάτων, διὰ τοῦτο μύρον, οὐκ ἔλαιον προσαγορεύεται· τὸ δ' αὐτὸ καὶ κρινόμυρον καὶ σούσινον μύρον ὠνόμασται L Αἰγύπτιον μύρον λευκόν· τὸ κρινόμυρον καὶ μενδήσιον ὠνόμασται, σκευαζόμενον διά τε κρίνων καὶ ἀρωμάτων, διὰ τοῦτο μύρον, οὐκ ἔλαιον προσαγορεύεται καὶ σούσινον μύρον W La glossa α 3, che è omessa da tutti i codici della classis posterior a partire da I (con la sola eccezione dunque di M), è invece presente in Mo: che tuttavia risalirà non a M, ma a un codice della classis prior; spia ne è l’uso di σκορόδου, tipico dei codici con la redazione completa, invece di σκόρδου di M. α 5 è aggiunta da Mo in margine e omessa da tutti i codici della stessa classe; mentre per altre glosse a Mo si accompagna W: la glossa α 6, presente in M come αγυα: ἀσθενῆ, è omessa da tutti i codici della classis posterior a partire da I: è presente invece in Mo W, ma nella forma ἀγρίια· ἀσθενῆ. La glossa α 8 ἀγχόμενος· πνιγόμενος, omessa da tutti i codici della classis posterior, compreso questa volta M, ricorre in Mo W. E così via sistematicamente per la parte iniziale del testo, si veda ancora α 24 αἰθυλικές· οἱ ἐπιπολῆς τοῦ δέρματος συνισταμένοι ἐρυθροὶ κύκλοι. M, alii αἰθυλικές· οἱ ἐπιπολῆς τοῦ δέρματος συνισταμένοι ἐρυθροὶ κύκλοι ὅμοιοι τοῖς ἀπὸ πυρὸς συνιστάμενοι, καὶ ἀπὸ τοῦ αἴθειν ὠνομασμένοι καὶ αἰθυλικώδεα τούτοις ὅμοια Mo (= cl. prior) In altri casi, Mo coincide con L, cf. e.g. α 109 ἀνείσας· ἐν ὕψει ἀνωτάτω κρεμάσας, dove F e altri hanno ἤγουν κρεμάσας (cf. supra), e M si ferma ad ἀνωτάτω. Analoghe coincidenze ad es. in κ 74, μ 8. Mo, che non può dipendere da F perché reca parti che F omette, rientra comunque nella discendenza di I; è un codice molto difettoso, ricco di errori, che fu messo da Occo a disposizione di Cornario (che per il Glossario non poté trarne giovamento) per la confezione della edizione Basileense di Ippocrate81. Quanto a W, il codice sembra dipendere da Mo o avere con esso una fonte comune, contaminata nella parte iniziale con glosse della classis prior che in Mo e W vengono riportate ora nel testo ora (in Mo) in margine, in maniera a volte diversa. Se non fosse per alcune differenze soprattutto nella prima parte, il codice si direbbe un apografo di Mo. Rientra comunque in questo gruppo di manoscritti82.

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Così informa Cornario stesso nella epistola che introduce il testo ippocratico; cf. anche Mondrain, Un manuscrit d'Hippocrate, p. 212; La collection de manuscrits grecs d'Adolphe Occo, p. 175. Per il Corpus Hippocraticum, secondo gli editori, il codice è strettamente connesso con R e con altri codici tra cui L, o perché ne dipende, o perché entrambi sono copiati da un medesimo esemplare, cf. e.g. S. Byl in R. Joly, ed. De diaeta CMG I 2,4, p. 64 n. 2.

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Le fonti

L ha a sua volta le proprie peculiarità, alcune delle quali rinvenibili negli esempi ora citati, ma in generale coincide con la famiglia I F più di quanto non accada per i codici Mo W. 8. Peculiarità di P K, e il codice Voss PK

I due ulteriori codici P e K hanno una posizione loro propria, più isolata rispetto agli altri, ma discendono comunque dalla stessa linea e sono in più di un caso vicini a B, talvolta a F (come in α 11). In alcuni casi presentano un testo inspiegabile: cf. e.g. α 14 ἀγλίη (lemma ex corr., cf. p. 76)· ἡ ἐν τοῖς ὀφθαλμοῖς ἀπόλευκος οὐλὴ καὶ οἱ λευκανθίζοντες ἐπίπαγοι M ἀγλίη· ἡ τοῦ ὀφθαλμοῦ κόρη. γλεῦκος. οὐλή. ἡ λευκανθεῖσα κόρη. καὶ τοῦ οἴνου P ἀγλίη· ἡ ἐν τοῦ ὀφθαλμοῦ κόρη. γλεῦκος οὐλήÝ ἡ λευκαθῆσα κόρη. καὶ τοῦ οἴνου K (γλεῦκος οὐλὴ κτλ. come nuova glossa) In altri casi meno eclatanti non è possibile intendere l’origine di un testo diverso da quello di tutti gli altri testimoni: e.g. α 1 ἀγκυλιδωτόν· ἀγκύλην ἔχον· εἴρηται δὲ ἐπὶ κυρτώματος P K: qui gli altri codici hanno ἅμματος oppure ἅρματος in luogo di κυρτώματος: ma quest’ultima lezione si ritroverà ancora nel codice Voss e di lì nell’edizione dello Stephanus, fino a entrare nel testo della vulgata riprodotto da Kühn (dove si legge ἐπὶ ἅρματος ἢ κυρτώματος). Di dove la lezione abbia origine, tuttavia, non è stato possibile ricostruire. Le lezioni singolari sono altrove condivise con altri codici, ad es. con J, cf. α 109 (cit. supra), dove M ha ἀνείσας: ἐν ὕψει ἀνωτάτω (a cui alcuni mss. aggiungono κρεμάσας vel sim., cf. supra), mentre J P K (seguiti da Voss) recano ἀνείσας: ἀνελκύσας ἐν (ἐν om. P) ὕψει ἀνωτάτω. Cf. inoltre: α 12 ἀθήρ· τό τῆς κριθῆς ὀξὺ καὶ τοῦ πώγωνος τὸ ἄκρον M ἀθήρ· τὸ τῆς κριθῆς καὶ ὁ τοῦ πώγωνος ῥύπος P K e l’errore singolare di omissione e trasposizione σ 63: K omette l’inizio della interpretatio οἶδε καὶ ταύτην τὴν γραφὴν ὁ διοσκουρίδης, οὐ μόνον τὴν στομάργου, presente invece in P; inoltre in K il testo della glossa è presentato come il prosieguo della precedente. Numerosi sono i casi di singole varianti, anche se nel complesso i due codici dovranno farsi anch’essi rientrare nel gruppo derivato da M e I, ma con un certo grado

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di autonomia e soprattutto con la probabile influenza di un codice oggi non più disponibile, dal quale ricevono quelle lezioni così peculiari83. Il caso di δ 19 (δίοπ[τ]οςÝ νεὼς ἐπιμελητής, κτλ.) è particolarmente eloquente e permette di raggruppare i codici recenziori tra loro in maniera inequivoca: in luogo del testo tràdito dagli altri codici, infatti i manoscritti J L Mo W P K Voss hanno (δ 19a) δίοπτον· τὸ διαφαινόμενον, la quale glossa è registrata da Chartier nelle note e già da Cornario nella traduzione latina, che reca entrambe le glosse δ 19 e δ 19a (la seconda recita « δίοπτον· transparens »). I codici F G Mut Vi hanno invece il testo del resto della tradizione. In questo secondo gruppo di codici, il dato corrisponde alla rappresentazione stemmatica; nel primo caso lo stemma dà solo parzialmente conto del fenomeno (si vorrebbe infatti ipotizzare discendenza diretta dal codice più antico della serie), ma le numerose altre peculiarità dei codici recenziori impediscono una semplificazione ulteriore e conclusioni che sarebbero facilmente contraddette. Si dovrà ipotizzare da un lato contaminazione, dall’altro l’esistenza di uno o più esemplari perduti (come in questo caso ι). Il codice Voss è apografo di P: fu in possesso di Henri Estienne (lo Stephanus autore della edizione dei Glossari di Erotiano e Galeno, insieme con il Lessico Erodoteo e l’opera sui dialetti di Gregorio di Corinto) ed ebbe dunque un ruolo nel costituirsi di un testo vulgato, come mostra il caso del citato κυρτώματος (α 1). 9. Considerazioni conclusive sulle relazioni tra i manoscritti Un fenomeno evidente, che si evince dai casi già discussi, è quello della contaminazione tra manoscritti delle due diverse classi: indubbia per quanto riguarda l’influenza della classis prior sulla classis posterior, è anche dimostrabile nell’altra direzione. Il fatto che vi siano codici ippocratici discendenti diretti del Marciano nei quali il testo del Glossario è copiato invece non dal Marciano ma da un’altra linea di tradizione, e che alcuni di questi codici, come H e R, siano indipendenti tra loro, pone l’interrogativo, se sia mai esistito un antigrafo comune, cioè almeno un codice contenente il Glossario nella redazione completa e gli scritti di Ippocrate secondo la collezione Marciana, perché resta difficilmente spiegabile che codici indipendenti tra loro attingano tutti per Ippocrate a un codice (contenente la collezione Marciana) e per il solo Glossario, invece, ad un codice diverso contenente la redazione integrale del testo84. 83

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Sarà utile ricordare ad esempio che il codice Atheniensis 1477 è stato identificato come tramite tra I e F J per alcune opere di Ippocrate della collectio Marciana; collezione che tuttavia, trattandosi di un codice mutilo, vi è presente solo in parte. Non è dato sapere se nella parte mancante fosse contenuto in origine anche il Glossario, ma si tratta comunque di una conferma di un tramite tra I e gli altri recentiores. Sul codice, e sulla questione, cf. Mondrain, Lire et copier Hippocrate, pp. 385–394, anche P. Pérez Cañizares, Some aspects of the manuscript tradition of Hippocrates’ Affections, in: Storia della tradizione e edizione dei medici greci (Atti del VI Colloquio internazionale, Paris 2008), edd. V. Boudon-Millot, A. Garzya, J. Jouanna, A. Roselli, Napoli 2010, pp. 11–32 (p. 28). Cf. Perilli, Tradizione manoscritta ippocratica e galeniana; un significativo caso parallelo è quello messo in evidenza da A. Pietrobelli per il Commento di Galeno a Regime delle malattie acute: in questo caso, la contaminazione risulta sistematica e complessa, non solo per i lemmi ippocratici,

Voss

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Le fonti

Lo stemma cerca di dare conto, per quanto possibile, di questo reciproco ‘scambio’ di materiali tra codici di famiglie diverse, che non porta comunque vantaggi all’editore. Infatti, per quanto indubbia la complessità e la varietà della tradizione manoscritta, resta fermo che solo i codici più antichi hanno rilevanza per la costituzione del testo. Gli apografi, quale più quale meno accurato, solo molto raramente offrono singoli contributi di qualche significato. Un raffronto sinottico tra tutti i testimoni ha evidenziato numerosissime divergenze, di maggiore o minore momento, che a un’analisi accurata si rivelano frutto di contaminazione o di deliberati interventi del copista (è il caso di F nella parte finale). Ma anche i testimoni più antichi creano all’editore non poche difficoltà: M, a causa dell’epitome a cui sottopone il testo, che spesso impedisce di distinguere gli interventi del copista epitomatore dal testo originario; A, a causa delle numerosissime abbreviazioni e omissioni di desinenze, e per una complessiva difficoltà di lettura. Lo stesso carattere del testo, le imperfezioni stilistiche e sintattiche, non aiutano la decisione dell’editore. III. Le opere a stampa a) Edizioni del testo greco La prima trasposizione a stampa del testo del Glossario quale preservato da almeno un codice appartenente alla classis posterior si dovette a Guarino Favorino e fu pubblicata nel 1523 interspersa nel suo Magnum ac perutile dictionarium (cf. infra, p. 83). Editio princeps è Ald.: edizione Aldina di Galeno del 1525–26, tomo V. Due le edizioni Basileensi del Glossario, contemporanee: Bas.G: una nelle opere complete di Galeno pubblicata apud Cratandrum nel 1538, tomo V curato da Hieronymus Gemusaeus, pp. 705–719, che certamente ebbe a disposizione oltre all’Aldina almeno un codice della classis prior che spiega alcune delle differenze rispetto a Bas.H, l’edizione dovuta a Cornario (per un esempio cf. supra, p. 57, il caso di θ 7–9); Bas.H: l’altra Basileense, delle opere di Ippocrate, pubblicata nello stesso anno 1538 a cura di Jano Cornario presso Froben, pp. 542–562. Cornario, in una breve Premessa al testo del Glossario (p. 542), scrive di aver corretto frequentemente il testo con l’aiuto di un « codice antico »: παλαιοῦ τινὸς ἀντιγράφου (cf. infra, p. 85). Dovette trattarsi di codice diverso dal Monacensis 71, pure nelle sue mani e contenente anche il Glossario ma nella redazione epitomata e con l’aggiunta di molti difetti85. Altro codice

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per i quali essa era in qualche modo prevedibile, ma per lo stesso testo delle note di commento galeniane. Cf. A. Pietrobelli, Contaminations dans la tradition, pp. 167–195. Nel suo Census (cf. p. 261: 1538.18; 294, nr. 148), Richard Durling elenca questa edizione come se si trattasse di traduzione latina: è in realtà il testo greco. L’aggiornamento del lavoro di Durling (lavoro ricchissimo, ma non ancora completo) ha proceduto in seguito sotto la guida di Stefania Fortuna.

Le opere a stampa

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nelle mani di Cornario fu a quanto sembra il Parigino E, contenente la redazione completa del testo: e con il quale Cornario condivide almeno alcune delle sue correzioni, che dal codice verosimilmente discendono: è il caso del Proemio, dove sia E che la Basileense di Cornario (insieme al gruppo ρ) hanno il corretto λέξον invece del λέξων di A nella prima citazione da Aristofane (p. 146,2), una correzione non banale, e condividono il finale ἐπιγεγραμμένων, poi penetrato nella vulgata in luogo di ὑπογεγραμμένων (p. 148,19), e ad α 27 la variante ἐκπιέξας. In molti altri casi, tuttavia, il testo della Basileense, laddove si distingue dal resto della tradizione, è diverso da quello di E. Cornario, inoltre, registrò nel margine della propria edizione Aldina di Galeno, conservata a Jena, le sue annotazioni, già accuratamente collazionate da Jutta Kollesch per il CMG; avendo egli tuttavia pubblicato sia la propria edizione del testo sia, separatamente, la traduzione latina, tali marginalia perdono di rilievo. Seguono: Steph.: edizione di Enrico Stefano edita nel 1564 nel Dictionarium medicum, pp. 54–104 (testo) e 154–178 (note); Chart.: edizione di René Chartier, nel secondo tomo delle opere di Ippocrate e Galeno pubblicato nel 1638 a Parigi, pp. 79–107; Franz: edizione di Io. Georg Fr. Franz insieme con Erotiano e le Glosse erodotee, Lipsiae 1780; testo alle pp. 400–600. Kühn: riproposizione nel 1830, non migliorata, di Chart.; testo alle pp. 62–157.86 b) Traduzioni Non vi sono traduzioni latine antiche portatrici di tradizione, né traduzioni arabe o in altre lingue. Le traduzioni latine di maggior rilievo, comprese nelle traduzioni cinquecentesche del totus Galenus, sono le seguenti: Corn. Lat.: traduzione latina di Jano Cornario, pubblicata nel volume V II delle opere di Galeno (Basileae 1549; Lugduni 1549–51). Il Cornario Latino del 1549 presenta in più di un caso un testo migliore rispetto all’edizione del testo greco (Bas.H) curata dallo stesso erudito undici anni prima; si basa su almeno un nuovo manoscritto, poiché registra lezioni assenti in BasH. Ras.: traduzione di Giovan Battista Rasario, pubblicata a Venezia nella edizione di Galeno apparsa apud Valgrisium, 1562. 86

Si può segnalare che nel 1564, lo stesso anno della edizione di Stephanus, Ioannes Gorraeus (Jean de Gorris) pubblicò a Parigi i suoi Definitionum medicarum libri XXIIII, literis Graecis distincti, un corposo lessico medico che registra tra i suoi lemmi anche quelli del Glossario, in greco, con la corrispondente interpretazione che è spesso traduzione latina di quella del lessico galeniano con aggiunta di ulteriori integrazioni, fino a trattazioni vere e proprie. L’opera fu ristampata postuma nel 1578 ed ebbe poi ulteriori edizioni, delle quali quella uscita nel 1622, curata e ampliata dal nipote omonimo, medico di Luigi XIII, divenne standard. Sul piano testuale non sono da attendersi contributi; la data della prima edizione, contemporanea allo Stephanus, rende però il lavoro di un certo interesse storico.

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Le fonti

Niz.: traduzione di Mario Nizolio, pubblicata nella edizione delle opere di Galeno curata da Agostino Gadaldini presso Giunta nel 1541–42, e poi spesso riedita. Merc.: Girolamo Mercuriale, alla fine della edizione del testo di Ippocrate (Venezia, Giunta 1588), stampa, affrontandoli, il testo greco e latino del Proemio basandosi sulla edizione dello Stephanus, mentre riproduce per il resto la traduzione di Nizolio, ivi comprese le annotazioni marginali. Vi sono inoltre le traduzioni pubblicate a fronte del testo greco in alcune delle edizioni antiche, delle quali quella di Mario Nizolio fu ristampata da Chartier87 e poi da Kühn, e si è dunque imposta come vulgata88. c) Lavori moderni (XIX–XX secolo) Una edizione rimasta inedita fu approntata negli anni Settanta del ’900 da W. Fauth (Göttingen) su suggerimento di K. Deichgräber. Questa edizione, compresa la Prefazione, è stata generosamente messa dall’autore a mia disposizione. Reca un testo certo migliore di quello vulgato, mentre l’apparato critico vale come regesto di materiali ma non sempre è affidabile e non usa le relazioni stemmatiche tra i codici per stabilirne una gerarchia, ma li elenca in modo seriale. Abbozzi manoscritti di collazioni e di un apparato critico si conservano presso l’Archivio del Corpus Medicorum Graecorum di Berlino; si devono a J. Ilberg (collazioni e apparato: a Ilberg era stata affidata l’edizione del testo per il CMG), G. Helmreich, Thomas Karrer (per il Vat. 277, codice che dovette collazionare forse per intero, poiché anche Helmreich ne usò le collazioni per l’edizione del De elementis di Galeno), Iwan von Müller, e Hugo Kühlewein, che realizzò alcune collazioni per Ilberg, in particolare quella del Marciano 26989, commettendo però errori decisivi che portarono fuori strada Ilberg nelle sue conclusioni sui rapporti tra i manoscritti. In dettaglio, tali materiali consistono in: apparato critico delle lettere da α a ε (Ilberg; ma manca il testo a cui l’apparato si riferiva); un foglio contenente richieste avanzate da Ilberg a Kühlewein per la verifica di alcuni punti del codice M; collazione dei codici Laur. 74,3 (A), Paris. 2142 (H), Paris. 2255 (E), Urbin. 68 (U), Vat. 277 (R) (Ilberg); raffronti tra Paris. 2144 (F), Paris. 2143 (J) e Laur. 74,1 (L), di cui sono annotate le divergenze (Ilberg, agosto – settembre 1886); collazione Vat. 277 (anonima, ma di Thomas Karrer, trasmessa a Ilberg, che si trovava allora a Roma, da Iwan von Müller, cf. Ilberg, De Galeni Glossario, p. 335n.); collazione dell’Aldina di Jena e collazione del codice Phillip. 1525 (= Berolin. 121, Q ), inviate da E. Lüddeckens a K. Schubring a 87 88

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Cf. S. Fortuna, René Chartier e le edizioni latine di Galeno, p. 318. Non hanno connessione diretta con il Glossario ippocratico, né pertinenza specifica (pur ricorrendo in essi alcuni termini comuni), opere come il Glossario galeniano greco-armeno (Baṙkʻ Gałianosi: the Greek-Armenian dictionary to Galen), che registra principalmente termini della farmacologia di Simpl. med., o le cosiddette Glossae medicinales pubblicate da Heiberg, ovvero le voci indagate da K.-D. Fischer, Die Listen medizinischer Gerätschaften im Onomastikon des Pollux und in den Hermeneumata Monacensia, in: From Epidaurus to Salerno. Symposium held at the European University Centre for cultural Heritage (Ravello, Aprile 1990), Rixensart 1992, pp. 139–146. Cf. Ilberg, De Galeni Glossario 338; Zur Überlieferung, p. 450 n. 1. Sugli errori nella collazione si veda supra, p. 62, e Perilli, La tradizione manoscritta.

Il ruolo delle edizioni a stampa

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Kiel; collazioni di G. Helmreich dei codici Mon. 71 (Mo), D’Orville 3 (D), Mosquensis (evidentemente sulla base della edizione di Franz), Marc. App. cl. V 15 (O), Aldina e Basileensis (di Galeno, ed. Gemusaeus) comparate con l’edizione Kühn, riscontri con Cornario, collazione del cod. Laur. 74,3 (A), raffronto con ed. Chartier90. Sia Ilberg che Helmreich annotano in margine osservazioni varie e le proprie conclusioni sui rapporti tra i manoscritti. La scrittura di Helmreich è decifrabile solo con difficoltà. Ilberg ha proposto comunque numerosi interventi anche testuali, molti dei quali registrati in apparato, sia nei suoi appunti che nei lavori pubblicati91. Molte osservazioni e suggerimenti sono nelle dettagliate Erotianstudien di E. Nachmanson, editore del Glossario di Erotiano: di queste si è dato qui conto solo in misura molto limitata, si tratta però spesso di osservazioni che meritano considerazione. Com’è da attendersi, anche le edizioni più antiche del lessico di Erotiano contengono non solo citazioni ma anche osservazioni spesso pregevoli riguardanti il testo galeniano, e si dovranno ricordare a questo proposito sia l’edizione di Klein, sia quella più antica di Bartholomaeus Eustachius (Erotiani Graeci scriptoris vetustissimi vocum, quae apud Hippocratem sunt, collectio) uscita nel 1566 presso Giunta, dunque soltanto due anni dopo l’edizione dello Stephanus (le osservazioni di Eustachio sono poi in buona parte riprese dal regesto di Franz, cf. supra n. 24); Nachmanson fornisce le informazioni essenziali. IV. Il ruolo delle edizioni a stampa Le edizioni a stampa ora elencate meritano, insieme con altre opere, qualche cenno ulteriore. Episodio peculiare della trasmissione del testo del Glossario, nella forma da esso assunta nella redazione epitomata, è rappresentato dal Mega Lexicon di Guarino Favorino da Camerino (Varinus Phavorinus Camers), pubblicato a Roma da Zaccaria Calliergi nel 1523 sotto il titolo Magnum ac perutile dictionarium quodquidem Varinus Phavorinus Camers Nucerinus piscopus ex multis variisque auctoribus in ordinem alphabeti collegit: tra i multi variique auctores, non tutti, anzi non molti ancora adeguatamente indagati, c’è anche Galeno con il Glossario. L’opera di Favorino esce due anni prima dell’Aldina: egli, che cita quasi tutte le glosse galeniane, dovette attingere dunque a codici manoscritti. Favorino non solo fu allievo prediletto del Poliziano che nell’Epist. V II 2 ne tesse l’elogio, studente di greco con Demetrio Calcondila, e poi al fianco di Giano Lascari, infine cattedratico di greco alla Sapienza di Roma: ma, già da tempo nella cerchia medicea di Firenze come precettore, nel 1510 divenne bibliotecario della raccolta privata dei Medici dopo che essa era stata portata due anni prima a Roma, città dove egli si era intanto trasferito: ricorderà nella dedica del Dictionarium la possibilità di τὴν παλαιὰν σου καὶ βελτίστην βιβλιοθήκην μεταχειρίζεσθαι. Egli ebbe dunque accesso da un lato ai codici medicei, che contribuì ad arricchire anche per quanto riguarda la medicina (ebbe ad esempio l’incarico di far copiare nel 1514 il testo delle Epidemie ippocratiche); d’altro lato, è noto che egli fosse stato inti90

91

Di questi materiali Helmreich pubblicò parte dei risultati in Handschriftliche Verbesserungen (collazione del Laur. 74,3 e del Marc. App. cl. V 15) e Zu dem Hippokratesglossar (collazione del Monacensis 71). In particolare in De Galeni Glossario, ma anche in Die Hippokratesausgaben des Artemidoros e in Das Hippokrates-Glossar des Erotianos.

Phav.

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Le fonti

mo del Papa Leone X, e che avesse accesso ai codici vaticani (il suo nome è tra l’altro nei registri di prestito della Biblioteca, i codici Vat. lat. 3964 e 3966 pubblicati da M. Bertola nel 1942). Usò infatti per il Mega Lexicon una gran messe di materiali della lessicografia ed erudizione antica e bizantina, non solo ad esempio l’opera di Esichio, di cui poté fruire nella stampa aldina (cf. Latte, Hesychii Lexikon I, XXXIII), ma anche gli etimologici, Arpocrazione, Zonara, Eustazio, gli scoli, e molto altro, ricorrendo sia a opere a stampa che manoscritte, e facendo pura opera di compilatore, trascrivendo cioè le sue fonti tal quali. Tra i testi che trascrisse sistematicamente vi fu ad esempio il Lexicon Vindobonense, nella forma in cui esso è contenuto nel codice Vaticanus gr. 1292; così come sistematicamente egli trascrisse il testo del nostro Glossario. Attingendo però, in quest’ultimo caso, a un codice della redazione epitomata della famiglia discesa da I. In gioco entrano Mo, L, e W, ai quali il testo di Favorino sembra più affine, come indica, tra altre, la glossa α 109. W non si presta a fare da antigrafo (è quel singolare codice vaticano scritto su tre colonne da Fabio Calvo a Roma nel 1512 come strumento di lavoro, nel quale su ogni riga di ciascuna colonna è collocata una sola parola, senza diacritici, una sorta di elaborato preliminare a un indice: forse destinato proprio a facilitare un lavoro come quello di Favorino?); Mo, o un suo apografo, sembrano i candidati più probabili, stando al testo; ma L era nella biblioteca medicea di cui Favorino era curatore, e dunque è di qui, o anche di qui, che si dovrà partire, nonostante alcune incongruenze, ad esempio quella della glossa α 11, in cui anche Favorino reca l’aggiunta ὥσπερ τρίγωνον, che non è in L ma in Mo W e nei codici della classis prior. Nulla toglie, che più di un codice fosse a lui accessibile, eventualmente sia L che W: a meno di voler ipotizzare – e si tratta certo di ipotesi verosimile – che fonte di Favorino fosse un antigrafo da collocarsi a metà strada tra W e Mo. La questione, qui marginale, meriterebbe ulteriore approfondimento. Nelle edizioni successive, fino a quella stampata nel 1712 a Venezia, le aggiunte, anche dal Glossario galeniano, saranno numerose, ma quel che qui conta è naturalmente il solo testo del 1523. Il dizionario di Favorino non ha valore per la costituzione del testo, ma ne ha per la sua storia, era ben noto peraltro al Foes e al ThGL dello Stephanus: deve essere considerato instar codicis descripti, e rappresenta la prima trasposizione a stampa del testo del Glossario, precedente l’Aldina. Ald.

Dell’Aldina si è già detto: il suo testo è molto vicino a quello di A, il codice più autorevole e completo, ma è anche molto difettoso, una trascrizione poco più che meccanica di un antigrafo ricco di compendi e di non facile lettura. Del resto, i tomi III e V del Galeno aldino sono notoriamente i più trascurati di quell’impervia edizio-

92

Cf. il dettagliato lavoro di A. Guida, Il Dictionarium di Favorino, cui attinge la riassuntiva voce del Dizionario biografico degli italiani curata da M. Ceresa, vol. 45 (1995). Sulla figura di Favorino, E. Mestica, Varino Favorino Camerte, Ancona 1888. Ulteriore specifica indagine è quella di E. Villani, Il Magnum ac perutile dictionarium di Varino Favorino Camerte: indagine sulla sezione psi e i testi della prefazione, Aevum, 87, 2013, pp. 579–598. Ma Favorino non fece altro che una variegata conflazione di testi lessicologici, che pure ebbe enorme successo. Nei lunghi elenchi di possibili fonti di Favorino presentati da Guida e sulla sua linea dalla Villani, o da altri, non compare Galeno.

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ne93. Le cui tormentose vicende si rispecchiano in qualche modo anche nella confezione materiale del volume. L’esemplare conservato presso la Staatsbibliothek di Monaco di Baviera, che ha la peculiarità di essere appartenuto a Pier Vettori (Petrus Victorius, del quale si legge il nome sul frontespizio), l’illustre umanista e editore di numerosi classici presso la stamperia di Aldo Manuzio, ha una numerazione di pagine estremamente confusa (mancano ad esempio, nel quinto volume, le pp. 217–244, numerose altre sono invertite, alcuni numeri ripetuti; fenomeno non nuovo94, ma qui portato all’estremo); il Glossario si trova nel volume quinto, sorprendentemente collocato dopo i commenti a Epidemie e prima dei commenti a Articolazioni, Fratture, e Officina. Le pagine recano una numerazione originaria 1–6, poi corretta a mano in 211– 216. La numerazione 1–6 è presente anche nell’Aldina Jenensis, e in quella della Bibliothèque Nationale di Parigi. In quest’ultimo esemplare, tuttavia, le opere previste nel quinto volume si trovano in realtà nel terzo; quelle previste nel terzo sono, viceversa, nel quinto. Gli indici, invece, sono al loro posto (l’indice del terzo volume è nel terzo, ma si riferisce alle opere contenute nel quinto; l’inverso per l’altro volume). Secondo l’indice, il Glossario ippocratico è l’ultima opera del quinto volume; in realtà, si ritrova stampato all’inizio (del volume terzo), coerentemente con la numerazione delle pagine. Nella copia verificata da P. Potter (p. 259), il Glossario risulta essere l’ultima opera del volume quinto, addirittura dopo la pagina contenente il siglum del delfino della casa editrice. Due furono le edizioni del Glossario pubblicate a Basilea nello stesso anno, a poche centinaia di metri di distanza95. In un caso, il Glossario è unito alle altre opere di Galeno; nell’altro, è pubblicato a corredo degli scritti di Ippocrate. Le edizioni di Basilea si basano certamente anche sull’Aldina, che fece comunque da apripista per tutti i lavori successivi; ma altrettanto certamente si giovarono della consultazione di codici e della competenza degli editori. Curatore del testo del Glossario nella edizione ippocratica fu infatti il Cornario, che sappiamo accurato ed esperto correttore del testo ippocratico; il quale fa precedere il testo del Glossario da una breve epistola prefatoria in greco (p. 542 dell’Ippocrate Frobeniano del 1538) indirizzata a quelli che chiama τοῖς φιλιπποκρατείοις, nella quale definisce il trattatello di mole ridotta ma prezioso (μικρὸν μέν, ἀλλὰ λυσιτελέστατον) e dichiara di accingersi a pubblicarlo poichè nelle edizioni di Galeno esso è in pessime condizioni: τοῦτο τὸ βιβλίον ἐν τοῖς γαληνικοῖς πάντως κεκακωμένον ἔχεται. Disponendo egli, scrive, di un codice antico, ha potuto su questa base largamente emendare il difficile stato del testo: παλαιοῦ τινὸς ἀντιγράφου ἡμῶν προηγουμένου πάντα σχεδὸν ἀνωρθώκαμεν. Anche questo codice non era però affidabile, οὐκ ὀλίγων καὶ ἐν ἐκείνῳ τῷ ἀντιγράφῳ διεφθαρμένων, ed è stato dunque necessario servirsi, conclude, della antica glossografia e degli stessi scritti di Galeno; come dire, del proprio ingegno. 93 94 95

Cf. ad es. Nutton, John Caius, p. 43. Cf. i cinque esemplari verificati da Potter, The editiones principes, p. 261 n. 39. La Basileense di Ippocrate fu stampata nell’officina di Froben, che era all’epoca ubicata nella Bäumleingasse, nell’edificio detto « Zum Luft » e oggi noto come Erasmushaus (in quegli anni, la stamperia si era temporaneamente trasferita dalla sede storica della cosiddetta « Haus zum Sessel », sita nel Totengässlein); la Basileense di Galeno stampata dall’editore Andreas Cratander vide la luce nell’ « Haus Zum schwarzen Bären », sul St. Petersberg, oggi Petersgasse 13–15.

Bas.

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Le fonti

Curatore del tomo V (e del III) della edizione galeniana e dell’annesso Glossario fu invece il Gemuseo, anch’egli ottimo conoscitore di greco, con studi di medicina alle spalle. Il Glossario non dovette esercitare particolare attrattiva sugli studiosi e soprattutto sui lettori, che spesso avevano orientamento non puramente filologico quanto piuttosto medico. Entrambe le edizioni Basileensi danno un testo sensibilmente innovativo rispetto all’Aldina. In molte di queste innovazioni le due edizioni, che pure recano un testo in parte diverso, coincidono in modo sorprendente; ciò fa pensare a un incrocio di materiali o di informazioni nella Basilea del tempo. Cornario era del resto in rapporti amichevoli con Gemuseo, dal quale aveva ricevuto un esemplare del testo di Ippocrate (forse il Paris. 2255), come si legge nella epistula nuncupatoria alla sua edizione (e cf. ad es. Rivier p. 154 n. 3): niente di più facile che, lavorando allo stesso testo nello stesso momento, vi fosse stato uno scambio almeno parziale di dati. Sappiamo ora anche (grazie a Gundert, pp. 85–100) che la Basileense di Galeno ebbe come punto di partenza l’esemplare dell’Aldina annotato da John Clement, un exemplar ex Anglia transmissum conservato ora, incompleto, presso la Biblioteca dell’Università di Leiden. Steph.

Stephanus. Il Dictionarium medicum, pubblicato da H. Stephanus nel 1564 presso H. Fugger, si presenta già dal frontespizio come una serie di « expositiones vocum medicinalium » tratte dai principali esponenti della medicina antica a partire da Ippocrate, alle quali « Lexica duo in Hippocratem … praefixa sunt », vale a dire quelli di Erotiano, allora inedito; e quello di Galeno, che si vuole « multo emendatius quam antea excusum ». In realtà, pur non menzionandoli nel frontespizio, Stefano aggiunge anche l’edizione del breve cosiddetto Lessico erodoteo (Λεξικὸν τῶν Ἡροδοτείων λέξεων, pp. 105–109) e del trattatello sul dialetto ionico di Gregorio di Corinto (Ἐκ τῶν παρὰ Κορίντῳ περὶ τῆς ἰάδος διαλέκτου, pp. 109–112)96. Alla fine del corposo volume, alle pp. 577–608, lo Stefano pubblica anche (mi sembra sia spesso sfuggito: il frontespizio non ne fa menzione) il testo di due sezioni dell’Onomastico di Polluce, rispettivamente la prima, dal quarto libro, Περὶ τῶν ἰατρικῶν ὀνομάτων e l’altra, dal secondo libro, contenente Τῶν τοῦ ἀνθρωπίνου σώματος μερῶν ὀνόματα. Alle pp. 154–178 sono contenute le sintetiche annotazioni dello Stefano al testo del Glossario galeniano (che occupano circa la metà dello spazio dedicato a quelle sull’inedito Erotiano), e sono osservazioni di ordine precipuamente testuale, oltre a contenere qualche rinvio a passi soprattutto ippocratici o ad Erotiano, Esichio, e altre opere. Le congetture e le correzioni proposte nelle annotazioni, talora di un certo interesse, non sono registrate nel testo, che in sé resta dunque contributo di limitato rilievo. Stefano fa riferimento soprattutto agli interventi di correzione del traduttore e cercatore di manoscritti Petrus Gillius, inviato dal re di Francia a Costantinopoli in cerca di nuovi testi tra il 1544 e il 1547, e menziona nella Prefazione (p. 4): « (Galenus) cuius lexicum quum et antea esset ad Hippocratis lectionem utilissimum, longe tamen utilius Petri 96

L’opera dello Stephanus ebbe diretta influenza su quelle successive, che continuarono ad associare le Glosse erodotee ai lessici medici (forse attribuendone la paternità al medico empirico Erodoto di Tarso, maestro di Sesto Empirico), fino a canonizzarle come Herodoti Dictionarium vocum Hippocratis nell’edizione ippocratica veneziana di Gerolamo Mercuriale (1588). L’equivoco perdurerà ancora nella edizione dei Glossari ippocratici del Franz (Erotiani, Galeni et Herodoti Glossaria in Hippocratem), di cui subito.

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Gillii ex vet. cod. emendationes reddiderunt ». Come si è già osservato, Stefano disponeva per il nostro Glossario almeno del codice Voss, oltre che, evidentemente, delle edizioni a stampa. Nel Thesaurus Graecae Linguae (1572) confluiranno numerose migliorie dello stesso Stefano, poi integrate in quell’opera dalle osservazioni di Foes, degli Angli, dei Dindorf. In buona parte dei casi, le sue lezioni coincidono con quelle della edizione Basileense di Galeno (Bas.G), talora con Bas.H, più rari sono i suoi contributi originali, e il suo nome ricorre dunque di rado in apparato. A. Foes, nella sua Oeconomia Hippocratis del 1588, l’unico lessico ippocratico mai pubblicato (i moderni succedanei, come quello ateniese del 1997, essendo non più che volenterose approssimazioni), sistematicamente utilizza il Glossario galeniano con numerosissime proposte di emendamento, indicazioni di loci Hippocratici a cui ricondurre le glosse, e approfondita discussione delle glosse stesse. Non si dovrà esitare, tanto più ove si consideri l’epoca della pubblicazione, a definire l’opera un contributo straordinario, tuttora prezioso. Non sono pochi i casi nei quali indagini svolte con l’ausilio degli strumenti più moderni hanno finito per condurre laddove Foes era già arrivato oltre 400 anni fa. Molti degli interventi di Foes saranno poi ripresi nella nuova edizione del Thesaurus Graecae Linguae approntata dagli Angli (1816–1828). Il ThGL è a sua volta dunque un prezioso strumento di lavoro per l’editore del Glossario.

Foes

Altre edizioni, come quella ippocratica di Mercuriale uscita ancora a Venezia per Giunta (1588), non rappresentano contributi significativi per quel che riguarda il testo. È tuttavia non privo di interesse il fatto che l’edizione di Mercuriale contenga in sequenza i Glossari di Galeno, Erotiano, Erodoto (segue dunque la linea dello Stephanus), stampando il testo, anche greco, del Proemio di Galeno (del lessico vero e proprio sono in greco i soli lemmi), e omettendo invece per intero il Proemio di Erotiano. Nelle annotazioni in margine al testo è rilevabile l’uso delle precedenti edizioni a stampa, in particolare con riproduzione di quel che era in margine nelle precedenti Giuntine di M. Nizolio (per un esempio cf. supra, p. 58). Il testo di Stefano serve da base per la edizione di Chartier, pubblicata nel 1638 con testo greco e traduzione latina a fronte, il quale annota: « Hanc exegesin seu explicationem dictionum exoletarum Hippocratis utilem esse ad doctrinam Hippocratis percipiendam omnes iudicant; Cuius interpres habetur prior Marius Nizorius [immo Nizolius] Bruxellensis, emendator vero Augustinus Gadaldinus; hunc quoque libellum emendavit, annotavit, Graeceque dedit typis Henricus Stephanus a quo hunc mutuati sumus »97. Due sono dunque le opere a cui Chartier si richiama: la Giuntina del 1541–42, e l’edizione di Stefano, dal cui testo greco egli prende le mosse, pur discostandosene. Queste informazioni Chartier fornisce in appendice al volume II, alla p. 402 della sezione intitolata « In singulos tomi secundi ΤΩΝ ΕΙΣΑΓΩΓΙΚΩΝ tum

97

Del Gadaldini si dice, nella pagina iniziale del Glossario (p. 71), che « hunc librum … ex plurium Graecorum codicum collatione pluribus in locis nuperrime emendavit ».

Chart.

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Le fonti

Hippocratis tum Galeni libros concisae notae, ac variae lectiones »98. Si tratta, per il Glossario, di una serie di migliorie, in più d’un caso attinte anch’esse alle annotazioni dello Stefano. Franz

Il Franz, nel 1780, pubblica a Lipsia il testo dei tre Glossari ippocratici correnti, « ex recensione Henrici Stephani »: Galeno, Erotiano, il cosiddetto Lessico erodoteo. Stampa il testo di Stephanus; scrive, che per l’Erotiano « textum Graecum quod concernit Stephani lectionem ubique retinuimus », e che « Galenus ex eadem Stephani editione aeque cum Stephani emendationibus, Heringae observationibus aeque ac nostriis prodiit ». Ancora Stefano dunque: a cui « varias quoque lectiones ab H. Stephano et Bernhardo collectas adiecimus, accesserunt vero variae lectiones e Mosquensi codice … Plures autem ex Aldi, Charterii, Iuntae editionibus … Neque abesse voluimus observationes, quae ad marginem Iuntinae editionis ad Galeni Glossarium erant notatae, quum et commode locum propter brevitatem habere poterant, et propter utilitatem non facile exulare debebant » (p. XXII–XXIII). L’edizione di Franz si segnala dunque principalmente in quanto regesto di annotazioni: le note a pie’ di pagina raccolgono numerose informazioni, e sotto il testo greco è una sorta di apparato recante le varianti dei codici D’Orville e Mosquensis (ora Jenensis), le lezioni dell’Aldina e di altre edizioni (in particolare Cornario). Ma il titolo promette più di quanto sia poi mantenuto.

Kühn

Kühn, infine, ripropone nel 1830 – data della stampa dell’ultimo tomo del suo Galeno nel quale è contenuto anche il Glossario – il testo di Chartier: senza però tener conto delle « concisae notae ac variae lectiones » né dei « menda graeca ac latina emendata », cioè gli errata corrige raccolti alla p. 407 di Chartier. Questa edizione, per la sua accessibilità, ha fornito quello che è rimasto fino ad oggi il testo di riferimento. Il testo del Glossario, in sostanza, è rimasto fino ad oggi fermo alle edizioni cinquecentine di Cornario, Gemuseo, Stefano, agli interventi di Gadaldini, alle congetture di Foes, alla traduzione di Mario Nizolio, giacché i lavori che li hanno seguìti le hanno riprodotte apportando, e solo in alcuni casi, informazioni in nota e raccogliendo varianti di alcuni codici ulteriori ma non rilevanti, come nel caso di Franz. È da sottolineare come l’accurato lavorio di Foes non abbia invece avuto risonanza nelle edizioni posteriori.

98

Chartier stesso spiega l’uso del termine « isagogiche » per le opere raccolte nel secondo volume (tra cui anche Erotiano): « Quae εἰσαγωγικά secundus tomus complectitur, Medica sunt Hippocratis et Galeni opuscula, quibus artis Medicae rudimenta et praecepta breviter summatimque edocentur » (p. 400). Su Chartier e i suoi lavori a Ippocrate e Galeno cf. soprattutto l’intervento di J. Kollesch, René Chartier als Herausgeber und Fälscher, nonché gli Atti del Convegno parigino del 7–8 ottobre 2010, René Chartier (1572–1654) éditeur et traducteur d'Hippocrate et Galien, edd. V. Boudon-Millot, G. Cobolet, J. Jouanna, Paris 2012, in cui si assiste anche a qualche tentativo di rivalutare il lavoro editoriale del dotto francese.

Conclusioni sulla tradizione del testo

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Nel primo resoconto sul « Corpus Medicorum Antiquorum », pubblicato da Hermann Diels nel 190899, il Glossario risulta tra le opere già assegnate a un editore: in questo caso, Johannes Ilberg, dei cui lavori preparatori si è detto (p. 82). V. Conclusioni sulla tradizione del testo I codici di riferimento per la costituzione del testo sono il Laurenziano A e il Marciano M, capostipiti ciascuno del proprio ramo della tradizione, quella completa (classis prior) e quella epitomata (classis posterior). Il Vaticano R aiuta nella decifrazione di A, codice di lettura non sempre facile; il Parigino I media tra M e i recentiores della classis posterior, con numerose varianti dovute all’ingegno del copista e alcune derivate forse dalla contaminazione con un altro codice: interventi degni di menzione, ma mai o quasi mai tali da essere accolti nel testo. I due folti gruppi di recenziori presentano, con poche eccezioni, numerose peculiarità – varianti, omissioni, addenda, lezioni singolari – in genere prive di interesse testuale e significative invece per la storia del testo e la collocazione stemmatica, in rari casi meritevoli di menzione in apparato. C’è un forte elemento di contaminazione, che riguarda soprattutto I, F, il gruppo L Mo J, ma anche i discendenti di A e la stessa seconda mano che opera sul codice; ed è spesso una contaminazione tra codici appartenenti a classi diverse: elementi della classis prior si ritrovano nell’altra (brani del Proemio, intere glosse soprattutto nella parte iniziale del testo), ed elementi della classis posterior sembrano essere filtrati nella redazione integrale forse per la mediazione delle mani che correggono A, forse anche più tardi. Interessante, e meritevole di approfondimento ulteriore, è che il testo del Glossario non segua quasi mai la storia degli altri testi contenuti nei manoscritti in cui esso si legge. Sebbene si accompagni spesso nei codici a testi ippocratici, sporadicamente a testi di Galeno, raramente esso discende dagli stessi codici da cui discendono queste altre opere, sebbene il testo del Glossario, nella forma completa o epitomata, fosse presente sia negli antigrafi che negli apografi: il Glossario sembra aver vissuto in larga misura, per così dire, di vita stemmatica propria. La costituzione del testo resta spesso incerta: i recenziori aiutano poco; il codice M, il più antico, appare spesso superiore ma è epitomato e fortemente rielaborato, e l’attendibilità delle sue lezioni va valutata caso per caso, crescendo nella seconda metà del testo; il codice A, omettendo spesso desinenze e spesso facendo uso di abbreviazioni, è in più di un caso un codice da interpretare piuttosto che da leggere. La redazione di M è più fortemente rimaneggiata nella prima metà del testo; nella seconda, quando A e M si trovano a coincidere con maggior frequenza, il testo si fa più sicuro. (È singolare che proprio nella seconda metà del testo, quando M sembra omettere e alterare meno, aumentino gli interventi creativi di I.) Tra le edizioni a stampa, più rilevanti perché innovative sono le due Basileensi, dovute rispettivamente a Cornario e a Gemuseo, legate da evidenti affinità e tuttavia non prive di differenze. 99

Bericht über den Stand des interakademischen Corpus Medicorum Antiquorum und erster Nachtrag zu den in den Abhandlungen von 1905 und 1906 veröffentlichten Katalogen: Die Handschriften der antiken Aerzte, « Abh. d. Königl. Preuß. Akademie d. Wiss. », phil.-hist. Kl. 1907, 2, Berlin 1908.

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Le fonti

A giudicare soprattutto dalla seconda metà del testo, si direbbe che A e M avessero di fronte a sé un antigrafo molto simile, e forse persino lo stesso, potendosi dunque postulare in via di ipotesi un archetipo comune da collocarsi al nono secolo come suggeriscono alcuni errori da minuscola, v. p. 43. Errori congiuntivi di particolare significato sono già stati rilevati (a p. 66), e sarebbero di per sé sufficienti a dimostrare il nesso tra i due codici. Alcune decine se ne possono ancora aggiungere; se ne segnala qui una selezione: α 14 ἀγλίης A M: αἰγίς Foes α 50 ἀλαιάζειν A M: ἀλεάζειν R Ho I α 97 ἀναπλάζεις· διπλάζεις A M: ἀνάπλασις· διάπλασις Foes α 109 ἀνείσας A M: ἀνεκάς Helmr. ε 6 ἐγχαλίνωται A M: ἐγκεχαλίνωνται Foes ε 18 ἐκμίενται A M: ἐκμιαίνεται Steph. ε 18 ἐμυλήθη (extra ord.) A M: ἐμωλύθη scripsi ε 55 ἄγριον A M: ἀραιόν scripsi ε 81 εὐεσίης A M: εὐθεσίης Ald. η 2 ἐγκαταπέφυκεν A M: ἐμπέφυκεν scripsi θ 5 θλάσιν A M: θλάστῃ Ilbg. ι 13 ἡ πόσις A M: ἡ πίεσις Schleusner κ 25 κατιαλλόμεναι A M: κατειλλόμεναι Helmr. κ 33 τόπος A M: ὁ ὀπός Bas.G+H κ 82 κυνχνίδα A M: κυλιχνίδα Bas.H μ 26 μετακύρας A M: μετακέρασμα scripsi π 13 πελληρὰ A M: πελιδνὰ scripsi σ 30 σκηρά A M: σκληρά A2 s.l. σ 61 μαρτιδανοῦ A M: μυρτιδάνου γ σ 84 προκειμένοις A M: προσκειμένοις Bas.G+H σ 84 ἄντικρυς A M: ἀντιγράφοις Corn.Lat. σ 88 σχελίδα A M: σχεδιάδα Bas.G+H τ 27 τυφλώδης A M: τυφώδης R φ 17 τὸ οἷόν γε (γε om. A) A M: ἀπὸ τοῦ Foes φ 22 νεύρων A M: θυρῶν Foes φ 42 φυτάνοι (φύ- M) A M: φυταλιά Helmr. χ 7 ἀνακαμπτομένης A M: ἀναχρεμπτομένοις Helmr. Ne risulta una conferma all’ipotesi che i due codici principali risalissero a un antigrafo comune e che la tradizione fosse quindi unitaria prima della realizzazione della epitome nel decimo secolo.

91

Stemma codicum

VI. Stemma codicum ω classis prior

classis posterior

M A

I

A2/A3

γ H

ι R

F

J

U ρ C E

N

Q

B

G

Mo

L

W

Phav.

P

θ

D Li O

K

Bas.G

Bas.H

Vi

Ho

Ald.

Mut

Voss

Steph. Chart. Kühn

= contaminazione = dipendenza incerta contaminazione diffusa: - della classis prior in ι e Mo - della classis posterior in γ e N

92

L’opera e le sue caratteristiche

B. L’opera e le sue caratteristiche I. Titolo e datazione Nei codici della classis prior, fa testo il titolo di A, rispetto al quale non ci sono variazioni di rilievo: Γαληνοῦ τῶν Ἱπποκράτους γλωσσῶν ἐξήγησις. Nei codici della classis posterior, al contrario, il titolo dell’opera si presenta con una notevole varietà, e in particolare nel modo seguente: M: FG:

ἱπποκράτους λεξικόν ἱπποκράτους λεξικόν, κατὰ ἀλφάβετον (e, prima del frustulo di Proemio in F, προοίμιον τοῦ Γαληνοῦ εἰς τὴν ἐξήγησιν τῶν Ἱπποκράτους γλωσσῶν, che conferma la contaminazione di F con un codice della classis prior) L: ἱπποκράτους λεξικὸν κατὰ στοιχεῖον J: λεξικὸν ἱπποκράτους κατὰ στοιχεῖον Mut: ἱπποκράτους λεξικὸν κατὰ ἀλφαβέτου IBMoKW: κατὰ στοιχεῖον ἱπποκράτους λεξικὸν PVoss: λεξικὸν κατὰ στοιχεῖον ἱπποκράτους La tradizione araba (nella Risāla, cf. supra, p. 27 n. 6) reca il titolo Kitāb fī Alfāẓ Buqrāṭ – Sulle parole di Ippocrate. Galeno fa riferimento al Glossario, nelle altre sue opere, nel modo seguente: – In De libris propriis 9,13 (6): XIX 37,1s. K. = p. 162,2s. Boudon, l’opera è menzionata senza ulteriore specificazione come ἡ τῶν παρ' αὐτῷ (scil. Ἱπποκράτει) γλωττῶν ἐξήγησις: la citazione è collocata nel capitolo 9, che reca il titolo Περὶ τῶν Ἱπποκρατείων ὑπομνημάτων, nel quale si intendono comunemente « I commenti ippocratici »; ma il termine ὑπομνήματα ha comunque valenza ben più ampia della moderna nozione di « commento ». La menzione del Glossario è preceduta da quella del De diaeta in morbis acutis secundum Hippocratem e seguita da quella dell’Adversus Lycum. – In Hipp. Epid. V I comm. I 29: XV IIA 879,2 K. = CMG V 10,2,2, p. 47,24s. recita: ἀκριβέστερον μὲν οὖν περὶ τῶν ζητουμένων παρ' Ἱπποκράτει λέξεων (espressioni oscure arab.) ἑτέρωθι πεπραγματεύμεθα (ma su questo passo, di dubbia interpretazione, cf. infra, 109 e n. 130). Stando a Galeno, dunque, e in particolare al suo trattato autobibliografico, il titolo sarebbe verosimilmente τῶν παρ' Ἱπποκράτει γλωττῶν ἐξήγησις: non troppo lontano da quello fornito dai codici della classis prior. Quanto alla datazione dell’opera, elemento chiave è la dedica all’amico Teutrante che apre il Proemio: di questo personaggio, infatti, nel De indolentia si dice che morì nel primo attacco della « peste », quando Galeno aveva 33 anni e si trovava per la prima volta a Roma, cf. De indol. 34–35, p. 12,6–17 Boudon – Jouanna = 15,165 Kotzia: ὡς ἐγενόμην ἐν Ῥώμῃ τὸ πρῶτον, ἔτος ἄγων τρίτον πρὸς τοῖς τριάκοντα, πολίτην τε καὶ συμφοιτητὴν ἐμὸν ὀνόματι Τεύθραντα διατρίβοντα κατὰ τὴν πόλιν

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εὗρον, ὃς διεδέδεκτο τὰς Εὐμενοῦς τοῦ ἰατροῦ διφθέρας, ὄντος μὲν καὶ αὐτοῦ Περγαμηνοῦ, φιλοφαρμάκου δὲ καὶ πολυφαρμάκου πάντων τῶν ἰατρῶν μάλιστα. καὶ αὗται δὲ αἱ γραφαὶ (διφθέραι cod., Kotzia) ἐν ἑνὶ σχεδὸν ἐξ ὅλης τῆς οἰκουμένης ἦσαν συνηθροισμέναι διὰ τὰς ἐπιγενομένας ἀποδημίας αὐτῷ (αὐτοῦ Kotzia), μεθ' ἃς ἐν Ῥώμῃ διετέλεσεν ἄχρι θανάτου. ταύτας οὖν τὰς διφθέρας ὁ Τεύθρας ἀποθανὼν ἐν τῇ πρώτῃ τοῦ λοιμοῦ καταβολῇ κατέλιπέ μοι μετ' ὀλίγον χρόνον τῆς ἧς εἶπον ἀνόδου, τὸ πρῶτον εἰς Ῥώμην μοι γεγονέναι (γεγονότι Kotzia). Teutrante era concittadino di Galeno, era stato suo compagno di studi, e possedeva le preziosissime διφθέραι del medico di Pergamo Eumene, il più abile di tutti i medici nei preparati farmacologici: era, questa, una personale collezione di testi di medicina raccolti nei numerosi viaggi effettuati in tutto il mondo. Carte che, alla morte di Teutrante avvenuta in occasione del primo apparire della epidemia che colpì la città, furono affidate a Galeno stesso. Teutrante morì dunque intorno al 166 d.C.; a quella data, il Glossario doveva essere già stato completato (cf. Prooem., init.), così come l’altra opera dedicata allo stesso φίλτατε Τεῦθρα, il De pulsibus ad tirones (1: V III 453,4 K.). Fu dunque composto tra il 162 (data dell’arrivo di Galeno a Roma) e il 166. Il De comate, ricordato nella glossa κ 90 (κῶμαÝ καταφορά. γέγραπται δὲ ὡς οἶσθα ἡμῖν περὶ τούτου βιβλίδιον) è a sua volta databile ante 166. Anche le Definitiones pseudogaleniane risultano indirizzate allo stesso dedicatario (XIX 346,6 K. ἰατρῶν ἀρίστε Θεῦθρα – immo Τεῦθρα), ma trattandosi di opera spuria si dovrà considerare il riferimento come posticcio100. Il nome di Teutrante si legge inoltre, con maggiori dettagli, nel De venae sectione adversus Erasistrateos. Qui Galeno, nel riferire delle discussioni relative alla dottrina erasistratea e dei contrasti circa il ricorso (o il mancato ricorso) alla flebotomia, racconta di un intervento pubblico di un Teutrante ancora molto giovane (νεανίσκος), che gli altri medici stentano a prendere sul serio a causa della sua età (1: XI 193,6–194,6 K.): λεγόντων δ' αὐτῶν ἔτι ταῦτα Τεύθρας τις ἐμὸς πολίτης ἅμα καὶ συμφοιτητής, ἦν δὲ πάνυ τὸν τρόπον ἐλεύθερος, οὐ κάμψεις, ἔφη, τούτους ποτέ, τοὺς μηδὲ ἄχρι τοσούτου σωφρονοῦντας, ὡς μεμνῆσθαι τῶν δι᾽ Ἐρασίστρατον ἀποθανόντων. διὰ τί γὰρ ἄλλο, ἔφη, τοὺς προκεχειρισμένους ὑπ᾽ αὐτῶν ἀρρώστους ἀποθανεῖν συνέβη, πλὴν ὅτι παρελείφθη τὸ τῆς φλεβοτομίας βοήθημα; … τῇ δ᾽ ὑστεραίᾳ προκομίσας τὰ τῶν διαιρέσεων Ἐρασιστράτου βιβλία τοῖς φιλοσόφοις ἅπασιν ἀνεγίνωσκε, … ἅμα προσκαλούμενος τοὺς πρεσβύτας ἰατροὺς εἰς διάλογον. ἐκεῖνοι μὲν οὖν οὐκ ἀφικνοῦντο, μικρότερον ἑαυτῶν εἶναι νομίζοντες ἁμιλλᾶσθαι νεανίσκῳ. Anche nel corpo del Glossario, alla fine della glossa κ 37 (κέδματα) si ha un ulteriore cenno al dedicatario, laddove si legge come significativa notazione: ἰδίᾳ δέ σοι τοῦτο ἐξηγησάμεθα, ὥσπερ καὶ ἄλλας τινὰς λέξεις, che informa sulla destinazione privata e personale dell’opera, e lascia intuire criteri di scelta di lemmi legati all’occasione: Galeno avrebbe da una parte selezionato materiali da opere preesistenti (sue e 100

Sul Teutrante dedicatario delle Definitiones cf. Kollesch, Untersuchungen, p. 62, che, argomentando in favore di una datazione dell’opera in epoca precedente Galeno (tra il 70 e il 150 a.C.), ipotizza che il nome sia stato alterato (o inserito) dopo che l’attribuzione dell’opera a Galeno si era imposta. Che i Teutrante ricorrenti nelle diverse opere siano uno e un solo personaggio (e non due omonimi) sosteneva già J. Ilberg, Aus Galens Praxis, p. 205.

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altrui), dall’altra aggiunto ex novo alcune voci in considerazione del destinatario. Ciò corrisponde a quanto affermato all’inizio del Proemio, dove Galeno dice di aver realizzato il Glossario come una scelta di materiali al fine di una consultazione rapida. Una tale retrodatazione del Glossario all’età giovanile di Galeno pone problemi che restano irrisolti circa il rapporto con le fonti a cui l’operetta attinge: in particolare con le altre opere galeniane di cui si trovano nel Glossario tracce evidenti, ma che sappiamo essere state scritte più tardi: spicca in particolare il caso del commento al sesto libro delle Epidemie, di cui si dirà. II. Ordine alfabetico Il Glossario ippocratico è tramandato in due redazioni, una completa e una epitomata. Nella prima, le glosse sono in rigoroso ordine alfabetico, come in un moderno dizionario, se si eccettuano pochi errori; nella seconda, l’ordine alfabetico non è rigoroso, e sembrerebbe corrispondere alla pratica antica di tener conto solo della prima o delle prime due/tre lettere di ciascuna parola. Si è però dimostrato (supra, p. 61), a proposito del manoscritto M, come questa alterazione dell’ordine alfabetico sia intervenuta tardi, nel momento stesso della confezione del codice Marciano. Questa scoperta produce un rovesciamento rispetto alle più consuete vicissitudini delle opere lessicografiche, nelle quali un ordinamento alfabetico originario o non esisteva affatto o non era rigoroso, e sarebbe stato di regola introdotto nel corso di rielaborazioni successive, in particolare in età bizantina – una ricostruzione che pure è largamente condivisa e ben fondata. La sua formulazione forse più chiara si deve a un fine conoscitore della materia come J. Tolkiehn101, il quale scriveva: « Desgleichen war streng alphabetische Anordnung der einzelnen Artikel im Altertum ziemlich selten, trotz der vielfach auf den Titeln gebrauchten Zusätze κατὰ στοιχεῖον oder per litteras », e concludeva che « streng alphabetische Anordnung ist vielmehr gewöhnlich ein Zeichen späterer Entstehung oder Bearbeitung eines Werkes ». Fu Fr. Ritschl a tentare di fornire un quadro più articolato, nella prefazione all’Ecloga vocum atticarum di Thomas Magister (Halis Saxonum 1832, XVs.): « Quadruplex autem forma fuit lexicorum componendorum », scriveva Ritschl, ricordando i lessici privi di qualunque ordine alfabetico (ad es. Frinico), quelli integralmente alfabetizzati come le opere moderne (Suda, Stefano di Bisanzio, etc.), quindi quelli che tengono conto soltanto della prima lettera o di più d’una. Il Glossario di Galeno, insieme con il Lessico dei dieci oratori di Arpocrazione, dimostra però che l’introduzione dell’ordine alfabetico rigoroso nella lessicografia occidentale risale almeno al II secolo d.C.102 Queste sono le prime opere a noi giunte per intero dal mondo greco, che seguano un tale criterio in modo rigoroso: ma almeno su papiro sono conservate testimonianze forse più antiche (cf. infra, p. 97). 101 102

RE XII 2, 1925, col. 2434. Riprendo, per agio del lettore e completezza di argomentazione, le principali risultanze di indagini anticipate in singoli contributi (Perilli, L'ordinamento; e già anche La tradizione manoscritta). Non è questa la sede per articolare in modo completo un’indagine che sarebbe complessa; per un aggiornamento sugli sviluppi degli studi e indicazioni bibliografiche si consulterà Valente, Alphabetical dictionaries.

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a) Redazioni duplici Esempi di redazione duplice analoga a quella del Glossario non mancano, sia quanto alla completezza dell’opera (redazione integrale e redazione epitomata che procedono fianco a fianco) sia quanto all’ordinamento delle voci (ordinamento alfabetico rigoroso, in parallelo con ordinamento alfabetico secondo la sola prima lettera, ovvero ordinamento alfabetico in parallelo con ordinamento secondo altri criteri, ad esempio secondo la sequenza del testo dell’opera chiosata). Significativo è l’esempio offerto dalle cosiddette Glosse erodotee, che hanno a lungo condiviso il destino dei lessici ippocratici, dopo l’edizione dello Stephanus (cf. supra, p. 86): « Exstat autem huius libelli duplex forma, altera … per singulos Historiarum libros … accommodata, altera ad litterarum ut aiunt ordinem disposita », scriveva l’editore H. Stein nella premessa103, dove si è vista poi « eine mechanische, wahrscheinlich erst byzantinische Kompilation » (Erbse, in Lexica Graeca Minora, p. XII). Spicca per noi il lessico ippocratico di Erotiano: questo rispettava in origine la sequenza degli scritti ippocratici a cui attingeva, e venne in seguito anch’esso doppiamente epitomato – quella oggi superstite è l’epitome di un’epitome – e quindi « alfabetizzato », tenendo però conto della sola prima lettera di ciascun lemma104. Una singolare affinità, nella presenza di due redazioni delle quali una completa e l’altra compendiata, con differenze nell’ordinamento alfabetico, si può segnalare tra la tradizione del Glossario di Galeno e quella del Lessico Tittmanniano (Zonara), quale indagata da K. Alpers105. Questi rilevava « die sonderbare Tatsache, daß die Reihenfolge der Glossen in den verschiedenen Rezensionen so sehr voneinander abweicht » (p. 19), avanzando la seguente ipotesi: da un originale ricco di aggiunte marginali, sarebbero derivate più copie, in ciascuna delle quali i marginalia avrebbero ricevuto una diversa collocazione nel testo. Caso analogo è individuato da Alpers nell’Etymologicum Gudianum: « Zu einem (alphabetischen) Haupttext fügen mehrere mit der ersten Hand gleichzeitige Schreiber zahlreiche Zusätze und Ergänzungen an allen Rändern und zwischen den Zeilen zu. Hier gehen die im Bestande und in der Reihenfolge der Glossen stark voneinander abweichenden späteren Handschriften auf drei oder vier Abschriften des Originals zurück, in denen die Marginalglossen unterschiedlich eingeordnet wurden » (p. 20). Per avere un’idea più precisa della situazione, almeno relativamente ai lessici di età bizantina, è utile approfondire il modo di procedere dei copisti del lessico di Zonara, quale ricostruita, in ipotesi, da Alpers: « Der Kompilator des Lexikons dürfte sich einen Codex rubriziert haben, erstens nach Zweibuchstabengruppen, zweitens, um die Masse des Stoffes über die Zweibuchstabenordnung hinaus zu gliedern und damit benutzbarer zu machen, nach den grammatischen Kategorien ἀρσενικόν, θηλυκόν, etc. In diesen vorbereiteten Räume schrieb er dann die Exzerpte aus seinen zahlreichen Quellen, von denen viele nicht-alphabetisch waren ». Ove lo spazio predisposto si 103

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H. Stein, Glossae in Herodotum, in: Herodoti Historiae, II, Berlin 1871, pp. 441–482 (p. 447), rist. in K. Latte – H. Erbse, Lexica Graeca Minora, Hildesheim 1965, pp. 191–230. Cf. Ilberg, Das Hippokrates-Glossar des Erotianos, pp. 101ss.; Nachmanson, ESt, pp. 257ss., 260ss., 490ss. Das attizistische Lexikon des Oros, p. 17; cf. inoltre l’ampia disamina dello stesso Alpers, « Zonarae » Lexicon, pp. 732–763.

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rivelasse insufficiente, supplivano i margini. La fase successiva prevedeva che, « während nun der Hyparchetyp (scil. della redazione abbreviata) … seine Vorlage in einer beliebigen Glossenfolge kopierte (und offenbar auch bereits epitomierte), so daß die Alphabetisierung sich nur auf zwei Buchstaben erstreckt, suchte die Vorlage, von der die Vulgata abstammt, das Glossenmaterial genauer zu alphabetisieren » (p. 19). Tale procedura non manca di conferme. Testi pur così distanti, né solo cronologicamente, sono pur sempre strutturalmente affini: proprio le loro peculiarità strutturali li predispongono a manipolazioni quali quelle rilevate. Anche per il Glossario di Galeno è possibile confutare l’ipotesi, che la redazione più breve e imperfettamente alfabetizzata sia quella originaria, mentre la redazione più completa sarebbe frutto di un ampliamento posteriore: in realtà, la redazione breve è frutto di un lavoro di selezione e abbreviazione, dovuto a una ragione puramente materiale come lo spazio disponibile sul codice (cf. supra, p. 61). La stessa percentuale relativamente ridotta di glosse extra ordinem106 avrebbe potuto indurre al sospetto; tuttavia, combinandosi il dato con quello clamoroso della decurtazione, esso era sfuggito fino al momento di studiare in dettaglio la disposizione delle glosse su M. b) Diffusione del criterio alfabetico Il criterio dell’ordinamento alfabetico si impone presumibilmente in età alessandrina, ne abbiamo la prima attestazione almeno nel Pap. Hibeh 175 (ca. 260–240 a.C.), contenente una successione di lemmi che condividono le stesse due prime lettere; ma si può andare forse ancora più indietro e arrivare alle γλῶσσαι di Zenodoto di Efeso, a cui si dovrebbe l’introduzione del nuovo e più funzionale ordinamento, rispetto agli Ἄτακτα del predecessore Filita o anche al consueto ordinamento per ambiti semantici (pesci, uccelli, venti, etc.) attestato ad esempio nelle Ἐθνικαὶ ὀνομασίαι del successore Callimaco o negli onomastici in genere (si pensi, per restare in epoca alessandrina, alle Λέξεις di Aristofane di Bisanzio)107. L’origine prima andrà ricercata in ambiente orientale, almeno babilonese. Le liste lessicali, infatti, intese come vocaboli disposti in una sequenza dotata di preciso significato, costituiscono un tratto peculiare di quella cultura a partire – stando alle testimonianze rinvenute – dal IV millennio a Uruk, in cui tavolette di questo tipo sono venute alla luce nel quarto livello del tempio di Eanna, poi a Ebla e Susa. Liste redatte in scrittura cuneiforme elencano animali, piante, manufatti, professioni, toponimi; inoltre, più tardi, divinità, sillabari, tabelle di concordanze matematiche. Intorno alla metà del III millennio a Ebla cominciano ad apparire liste bilingui, con traduzione del termine sumerico in altre lingue, prima lingue semitiche locali, poi accadico. Questi vari generi di liste conobbero una evoluzione sistematica, raggiungendo sistematicità.

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Alpers (Oros, 19n.) ne segnala sia nell’uso amministrativo (rinviando a Daly, Contributions to a history of alphabetization, pp. 46s.), sia in Orione, sia nel Glossario contenuto sul verso del papiro menandreo 244 in C. Austin, Comicorum Graecorum fragmenta in papyris reperta, Berlin 1973. Daly era propenso a credere che il Glossario galeniano fosse stato alfabetizzato già da Galeno, e già Helmreich, nelle Verbesserungen, aveva usato il criterio alfabetico per alcune delle sue correzioni. Ulteriori dettagli in Valente, Alphabetical dictionaries.

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La cosiddetta enciclopedia babilonese detta « HAR-ra=hubullu » sembra offrire una catalogazione onnicomprensiva, in forma di lista, di tutta la realtà108. I lessici ippocratici rivestono in questa evoluzione un ruolo di rilievo. Al Glossario di Glaucia (seconda metà del II sec. a.C.), che appartiene al primo gruppo di opere di questo tipo, è riconosciuto l’ordine alfabetico dei lemmi. Al filone degli studi ippocratici la problematica era familiare: al momento dell’intervenire di Galeno, la via era da tempo tracciata. Sebbene il suo predecessore Erotiano avesse seguito un metodo diverso nella successione delle glosse, era però ordinata alfabeticamente una delle verosimili fonti principali di Galeno, la grande opera lessicografica di Panfilo (di cui infra, p. 107), a quanto risulta da Suda π 142, benché non sia chiaro in che misura109. In tutte le opere finora ricordate l’ordinamento prende in considerazione, a quanto sappiamo, soltanto la prima lettera, raramente le prime due, di ciascuna parola. Fa eccezione probabilmente Diogeniano, del quale Esichio, nella Epistola prefatoria del suo lessico ricorda che λέξεις … ὁμοῦ πάσας καθ᾽ ἕκαστον σοιχεῖον συντέθεικε. … προέθηκε δὲ κατ᾽ ἀρχὴν ἑκάστης λέξεως τριῶν ἢ τεσσάρων στοιχεῖον τάξιν, al fine di facilitare il reperimento delle voci. Si parla qui di prime lettere di ogni voce tenute in considerazione da Diogeniano: questo equivale a un ordine alfabetico sufficientemente sistematico, seppure non completo. Insieme con l’opera di Arpocrazione, di cui si dirà tra breve, un caso di lessico conservato su papiro fornisce un parallelo del Glossario galeniano per quel che concerne l’ordinamento delle voci. Si tratta di un papiro di una certa estensione che mostra un ordine alfabetico che tiene conto dell’intero lemma e non soltanto delle prime sue lettere: è il caso di POxy. 1802+4812, comprendente una sequenza abbastanza completa di una ventina di voci, tra quelle ricostruibili dai diversi frustuli superstiti, relativi alle lettere κ λ e soprattutto μ110. Questo lessico, contenente una singolare raccolta di voci dialettali e voci derivate da lingue del Vicino Oriente con spiegazione o traduzione e indicazione della fonte, è di incerta datazione, il papiro è comunque datato alla seconda metà del secondo secolo, dunque contemporano a Galeno; importante è in particolare in fatto che il lessico in questione si ponga nella linea dell’opera di Panfi108

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Su questi temi cf. J. Krecher, Schreiberschulung in Ugarit. Die Tradition von Listen und sumerischen Texten, Ugarit Forschungen, 1, 1969, pp. 131–158; A. Archi, Transmission of the Mesopotamian lexical and literary texts from Ebla, in: P. Fronzaroli (ed.), Literature and literary language at Ebla, Firenze 1992, pp. 1–39; A. Cavigneaux, Lexikalische Listen, in: Reallexikon der Assyriologie, 5, 1976–80, pp. 609–641; un quadro riassuntivo è offerto da H. Hunger in Liste lessicali e tassonomie, pp. 334–339. In epoca pre-bizantina il criterio alfabetico (più o meno esteso) caratterizzava, oltre alle opere già ricordate (Zenodoto, Glaucia, Panfilo, Glossario erodoteo, Pap. Oxy. 1802), almeno anche la Συναγωγή atticista di Valerio Pollione (II sec.), il lessico dei retori di Giuliano e quello platonico di Boeto (cf. Phot., Bibl., 150 e 154s.), nonché l’opera di Cecilio di Calatte (I sec. d.C.), Ireneo di Alessandria (I sec.), Paxames, Apione (I sec.), Erennio Filone (I–II sec.; attestato in estratti bizantini), Elio Dionisio (I–II sec.), Pausania (II sec.), Elio Erodiano (II sec.), Metodio (V sec.). L’elenco è solo indicativo, le opere segnalate sono talora perdute, talaltra conservate in scarni frammenti, l’ordine alfabetico spesso limitato alle prime lettere o alla prima sillaba. Di questo lessico è disponibile l’edizione commentata di F. Schironi, From Alexandria to Babylon. Al terzo – quarto secolo d.C. risalgono POxy. 47.3329 e PSI 8.892; cf. su questi e sui papiri in genere, con indicazioni circa l’ordinamento alfabetico, E. Esposito, Fragments of Greek lexicography in the papyri, Trends in Classics, 1, 2009, pp. 255–297.

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lo e Diogeniano, e trovi non a caso precisi riscontri in Esichio. L’ordinamento è rigoroso111. Galeno, che attinge largamente ai lessici disponibili, introduce a sua volta una successione alfabetica completa, identica a quella dei moderni dizionari. La tecnica è meno elementare di quanto possa oggi apparire. Nell’incipit del Proemio del Glossario si fa riferimento in modo esplicito all’operazione: ἔσται δὲ … ἡ τάξις τῷ λόγῳ κατὰ τὴν τῶν γραμμάτων τάξιν, ἀφ̓ ὧν αἱ γλῶτται τὴν ἀρχὴν ἔχουσι. Nel parlare di ἀρχή delle glosse, Galeno resta su un piano generico, e si direbbe piuttosto pensare alla sola prima lettera di ogni parola: ma in altre opere è Galeno stesso a fornire elementi di valutazione circa la τάξις del discorso, che in un glossario si identifica con la successione dei lemmi. Nel De ordine librorum suorum (V 1: p. 100,21 Boudon = XIX 60,8 K.), a proposito dei suoi (perduti) 48 libri di παρὰ τοῖς Ἀττικοῖς συγγραφεῦσιν ὀνόματα, egli afferma: ἐπύθου μου καὶ περὶ τῆς πραγματείας, ἐν ᾗ τὰ παρὰ τοῖς Ἀττικοῖς συγγραφεῦσιν ὀνόματα κατὰ τὴν τῶν πρώτων ἐν αὐτοῖς γραμμάτων ἤθροισται τάξιν. L’affermazione corrisponde a quella del Glossario. Non è chiaro, se con l’uso del plurale (τῶν πρώτων γραμμάτων, τὴν τῶν γραμμάτων τάξιν) si intendano indicare almeno le prime due (o più) lettere. Non sembra così (il plurale è generico) nella conclusione di un lungo e importante passo nel quale Galeno si confronta con Panfilo, rivendicando la scelta dell’ordinamento alfabetico, cf. De simpl. med. V I Prooem.: XI 792,4 K.: καὶ μέντοι καὶ τὴν τάξιν … τῆς γραφῆς ἔγνων χρῆναι κατὰ στοιχεῖον ποιήσασθαι, πρῶτα μὲν ἐκεῖνα γράψας τῶν φυτῶν ὧν αἱ προσηγορίαι τὴν ἀρχὴν ἔχουσιν ἀπὸ τοῦ ἄλφα στοιχείου, δεύτερα δὲ ὅσα ἀπὸ τοῦ β, καὶ οὕτως ἤδη τρίτα τε καὶ τέταρτα καὶ πέμπτα καὶ τἄλλα ἐφεξῆς ἅπαντα κατὰ τὴν τῶν γραμμάτων τάξιν. Spicca qui l’uso di κατὰ στοιχεῖον. La precisazione che segue conferma il ricorso a precedenti repertori analogamente organizzati: οὕτω δὴ καὶ Πάμφιλος ἐποιήσατο τὴν περὶ τῶν βοτανῶν πραγματείαν. Modello è dunque Panfilo (cf. anche infra, p. 107)112. Subito dopo, nel riferire più diffusamente del περὶ βοτανῶν, Galeno fa una sorta di storia dei lessici e onomastici di argomento soprattutto botanico e farmaceutico prodotti fino ad allora, citando vari autori tra cui con speciale frequenza Panfilo stesso113. Anche altrove Galeno dimostra piena consapevolezza del problema. Lo si evince ad esempio da De simpl. med. V II Prooem.: XII 2,8 K.: εἰρήσονται δ' ἐν τούτῳ τῷ βιβλίῳ καὶ τῷ μετ' αὐτὸ τῶν ὑπολοίπων φυτῶν αἱ πρῶται δυνάμεις, τὴν τάξιν τῆς διδασκαλίας κᾀνταῦθα κατὰ τὴν τάξιν τῶν γραμμάτων ποιησαμένων ἡμῶν, ἀφ' ὧν ἄρχονται. ἐν μὲν οὖν τῷ πρὸ τοῦδε μέχρι τοῦ ι προήλθομεν· ἐνταυθοῖ δὲ τὴν ἀρχὴν ἀπὸ τοῦ κ ποιησόμεθα τοσοῦτον. Nel De simplicium medicamentorum temperamentis ac facultatibus Galeno offre infatti una sequenza integralmente « alfabetizzata » di voci, analoga a quella del Glossario: e il carattere dell’opera 111

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Che il testo, come si ipotizza nella edizione appena citata, risalga al periodo compreso tra il primo secolo a.C. e il primo d.C., resta da dimostrare. Il fatto che in esso siano citati autori che vanno dal quarto al primo secolo a.C. non può considerarsi argomento decisivo. I principali passi galeniani relativi a Panfilo sono estesamente citati, e le risultanze analizzate da Schoenemann, De lexicographis antiquis, pp. 73ss., che propende inoltre per l’identificazione del Panfilo autore del lessico botanico con il lessicografo. Si veda su questo Wellmann, Die Pflanzennamen, pp. 371s. n. 1.

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(non un lessico, ma un trattato contenente descrizioni farmaceutiche che si estendono ciascuna per più pagine) rende ancora più evidente la convinzione dell’utilità di quel criterio, rivendicato come innovativo114. Il Glossario trova pertanto un parallelo, nell’ambito dello stesso Galeno, tutt’altro che irrilevante; all’inizio dell’opera si susseguono i paragrafi relativi a Ἀβροτόνου (XI 798, 16), Ἄγνος (XI 807, 6 ), Ἀγρώστεως (XI 810, 9), Ἀγχούσης τέταρτόν (XI 811, 10), Ἀγαρικοῦ ῥίζα (XI 813, 11, extra ord.), Ἀγήρατόν (XI 814, 12, extra ord.), Ἀδίαντον (XI 814, 14), Ἀείζωον (XI 815, 6), Αἰγίλωψ (XI 815, 14), e così via115. Della questione era consapevole chi si occupasse dell’opera, come mostra il traduttore siriaco Sergio di Rēš‘ainā, che su tale ordinamento si sofferma più d’una volta nella sua « Introduzione al sesto trattato di Galeno dal libro dei medicamenti semplici » (il prologo alla traduzione dell’opera) scrivendo nell’accingersi alla traduzione siriaca (dal cod. BL Add. 14,661, 2v, trad. Siam Bhayro)116: « he … is teaching about things in order when consequently he begins with the herbs (medicinal plants) and affirms clearly the strength and efficacy of each and all of them, after putting them in the language of the Greeks in the order of the letters from alpha and until o », proseguendo: « then he begins, moreover, in the order of the letters and teaches concerning every other material that is taken for a remedy … In this discourse … the writer commences on the discussion, as we said, by setting down in it all the plants whose name begins with the first letter, namely alpha, up to the ninth, that is iota. And with this he completes the sixth discourse ». Di particolare interesse è il fatto che Sergio, per rispettare l’ordinamento dell’originale, decide di traslitterare i lemmi della farmacopea galeniana. c) L’ordine alfabetico nella tradizione manoscritta del Glossario Come si è accennato, Ilberg riteneva invece che l’ordinamento irregolare di M fosse quello originario, e che uno scriba si fosse successivamente adoperato per facilitare il compito del lettore, mettendo in ordine quel che non lo era, e realizzando la redazione presente in A. In realtà, la sequenza irregolare di M era dovuta allo spostamento di glosse effettuato dallo scriba principalmente allo scopo di guadagnare spazio. Per le inversioni nell’ordine alfabetico di M si possono fornire dei dati numerici: su 887 glosse complessive, quelle extra ordinem sono in M 98, circa il 10%; e glosse extra ordinem certamente per motivi contingenti, legati cioè allo spazio di questo specifico manoscritto, sono 77; restano 21 glosse, di cui 13 potrebbero essere spiegate anch’esse con motivi di spazio, ma non con altrettanta sicurezza; soltanto 8 glosse, meno 114

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Più avanti nell’opera (XII 210,6 K.) il principio viene ribadito: λεχθήσονται δ' ἐφεξῆς οἱ καθ' ἕκαστον ἴδιον κατὰ τὴν τῶν γραμμάτων τάξιν, ἀφ' ὧν αἱ προσηγορίαι τῶν φαρμάκων ἄρχονται, cf. 209,1 e 247,9. Si veda anche il commento a Epidemie 3: οἱ δ' ἐν τῷ μεταξὺ τούτων χαρακτῆρες ἅπαντες μέν εἰσι διὰ τῶν γραμμάτων, ἃ σημαίνει τὰ στοιχεῖα τῶν φωνῶν, πλὴν τοῦ κάτωθεν ἀπεστιγμένου δέλτα (II 5: CMG V 10,2,1, p. 82,19 = XVIIA 612,4 K.). Un caso analogo di sequenza rigorosamente alfabetizzata è nello spurio Liber de succedaneis (περὶ ἀντεμβαλλομένων), in cui la serie dei farmaci per i quali si suggerisce un sostituto è introdotta da un eloquente κατὰ στοιχεῖον, ὥς τινες ἐθέλουσι, τοῦτο ποιήσωμεν (XIX 723,6): la serie è affine a quella appena riportata, forse da essa dipendente. Altri dettagli in Perilli, L'ordinamento, pp. 43s. Cf. S. Bhayro, Syriac medical terminology, pp. 147–165.

100

L’opera e le sue caratteristiche

dell’1%, sono propriamente extra ordinem, senza che se ne possa individuare la causa con chiarezza, e in questi rari casi l’origine sarà da ricercare in errori veri e propri, ovvero nell’antigrafo se non in Galeno stesso: si consideri, che di queste ultime glosse alcune sono extra ordinem anche nei codici della classis prior, e così restano anche nella presente edizione. Questo il dettaglio del Marciano, e il raffronto con A (si tenga conto che alcune glosse, che nella nostra edizione sono registrate come una unica glossa, nelle precedenti edizioni e nei codici risultano essere due voci separate: ma i casi sono limitati e dunque non condizionano i risultati del computo): Lettera

no glosse

omesse da M

decurtate > 50%

extra ord. per ragioni di spazio

extra ord. forse per ragioni di spazio

extra ord. per altri motivi

extra ord. in A

α β γ δ ε ζ η θ ι κ λ μ ν ξ ο π ρ σ τ υ φ χ ψ ω

176 23 14 24 87 1 13 14 19 92 27 46 5 2 24 69 21 92 28 28 45 23 6 8

64 8 6 10 7 0 2 4 1 23 9 10 1 0 2 4 1 0 1 0 2 2 1 4

43 6 3 7 4 0 2 4 2 15 5 11 1 2 1 0 0 2 0 0 0 0 0 0

4 1 0 2 17 0 2 0 1 7 2 1 0 0 2 5 5 12 3 3 7 2 1 0

2 2 0 1 2 0 0 0 0 1 0 3 0 0 0 2 0 0 0 0 0 0 0 0

3 0 0 0 0 0 1 1 0 1 0 0 0 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0

3 2 0 0 4 0 0 0 1 2 0 3 0 0 3 2 0 6 3 2 2 2 0 0

Totale

887

162

108

77

13

8

36

Ordine alfabetico

101

d) L’ordinamento nel II sec. d.C.: Arpocrazione Il Lessico dei dieci oratori di Valerio Arpocrazione offre la conferma decisiva che nel secondo secolo d.C. l’ordinamento alfabetico rigoroso era stato ormai introdotto: una novità che non sarebbe più stata abbandonata. Il già ricordato lessico su papiro POxy 1802 + 4812 era forse di poco precedente (v. supra, p. 97). L’ordinamento sistematico del Lessico di Arpocrazione era ricondotto da Daly (32ss.), che seguiva l’opinione comune, a una revisione bizantina: una ipotesi successivamente smentita dal ritrovamento di una fondamentale testimonianza papiracea, di cui subito. Il caso è sorprendentemente affine a quello del Glossario di Galeno117. La conclusione di Keaney (p. 423) recita: « On the basis of the evidence set out above it is fair to say that he [scil. Harpocr.] was one of the first to have attempted absolute alphabetization ». L’affinità tra il Glossario di Galeno e il Lessico in questione va oltre questa constatazione generale, e investe sia le vicissitudini relative alla tradizione manoscritta sia le peculiarità della sequenza alfabetica o del mancato rispetto della stessa. Entrambe le opere risalgono al medesimo periodo, il secondo secolo dopo Cristo, entrambe ci sono giunte in una duplice redazione; per Arpocrazione l’epitome risale a poco prima dell’850 (ma i codici sono di molto posteriori), mentre la redazione più completa è conservata in manoscritti non anteriori al 1300: anche le date sono confrontabili. Il caso del Glossario di Galeno è privilegiato, essendosi conservato il codice (il Marciano, X sec.) al cui copista è da ascrivere l’epitome stessa, e il sovvertimento della sequenza; ma per il Lessico dei dieci oratori disponiamo di un frammento papiraceo 2 di grande importanza (PRyl. 532 = Pack 458: pressappoco contemporaneo all’opera!) che, per quanto di ridotta estensione, conferma l’esistenza dell’ordinamento alfabetico in epoca vicinissima alla stesura dell’opera, e ascrivibile con ogni plausibilità all’autore stesso. Persino la percentuale di glosse dislocate rispetto alla sequenza corretta è analoga nelle due opere: ammonta a poco meno del 10% in Arpocrazione (122 su 1247 glosse), è di pochissimo inferiore alla stessa cifra nel codice M di Galeno (98 su 887). Il secondo secolo è un fortunato punto di arrivo: al quale si devono le prime opere in ordine alfabetico integrale giunte fino a noi dall’antichità pre-bizantina: esse coesistono con repertori che invece, come l’Onomastico di Polluce, continuano a privilegiare altri criteri, come quello per temi. Il Lessico platonico di Timeo è un ulteriore esempio di opera alfabetizzata. Introdurre un ordine alfabetico rigoroso, invece che, ad esempio, un ordinamento basato sulla sequenza delle opere analizzate (come in Erotiano), ha un significato tutt’altro che marginale: implica una funzione diversa dell’opera, un diverso lettore, un diverso modo di lavorare dell’autore e un suo diverso obiettivo. Se un’opera come quella di Erotiano era evidentemente intesa come immediato supporto per chi leggesse Ippocrate – costui poteva tenere accanto a sé allo stesso tempo scritti di Ippocrate e lessico di Erotiano, poiché le due opere procedevano in parallelo, e consultare il lessico ogni volta che, nel corso della lettura, un termine gli apparisse difficile –, un’opera ordinata alfabeticamente perdeva questa fruibilità diretta: non essendo quasi mai indicato da quale opera proviene il termine, e mancando spesso informazioni sul contesto, il lettore non era più in grado di connettere il lemma con uno specifico passo o alme117

Si deve a J. J. Keaney una pertinente indagine, cf. Alphabetization in Harpocration's Lexicon.

102

L’opera e le sue caratteristiche

no con una specifica opera. Il lessico diventava così un dizionario ippocratico generale, per la consultazione sporadica o persino per l’autoapprendimento di una lingua altamente tecnicizzata. Anche se, va osservato, un Glossario come quello di Galeno è del tutto inadeguato a questo scopo. III. I precedenti e le fonti Il testo di Ippocrate costituì a partire dall’età alessandrina un oggetto privilegiato per le analisi lessicografiche e la redazione di stumenti esegetici specifici. La stessa lessicografia si ritiene creazione dell’ambiente alessandrino: ma la glossografia lungamente la precede, nasce prestissimo, a fini didattici, costituendo un’indispensabile attività di corredo all’adeguata comprensione e interpretazione del testo omerico, dei lirici e – ad Atene in particolare – dei testi legislativi (quelli soloniani, che infatti Galeno cita nel Proemio quando parla delle « tavole girevoli »). Ogni testo, insomma, la cui comprensione richiedesse specifico supporto. La γλωσσῶν ἀπόδοσις rientrava nella paideia greca come terza parte costitutiva della γραμματική secondo la classificazione di Dionisio Trace (V I 1), nel secondo secolo a.C. Noi dobbiamo principalmente a Erotiano la possibilità di ricostruire una storia della lessicografia e glossografia ippocratica dell’antichità, che fu anche per Galeno di importanza primaria. Una ricostruzione dettagliata richiederebbe uno studio separato: bastino qui poche informazioni essenziali118. Galeno mostra piena consapevolezza delle vicende e delle caratteristiche della tradizione che lo aveva preceduto, quando si sofferma, nel Proemio del Glossario, sulla distinzione tra lessicografia e glossografia (διωρισμένου δὴ σαφῶς τί μέν ἐστι γλῶττα, τί δὲ λέξις), separando le γλῶσσαι, che dice essere oggetto del suo lavoro sulla linea inaugurata per Ippocrate da Bacchio di Tanagra, dalle più generali λέξεις, che dice di voler lasciare invece al predecessore Dioscoride, e a cui si riserva semmai di dedicarsi nei Commentari. Le γλῶσσαι designavano, in senso stretto, espressioni rare o non più di uso corrente, già secondo Aristotele (Poet. 21: 1457b4); con λέξεις si intendevano più in generale tutti i termini ricorrenti in forma o significato tali da richiedere una spiegazione, indipendentemente dal loro essere usuali o inusuali119. Nel Proemio (par. 4), Galeno dichiara di voler rac118

119

Sulle fonti di Galeno, a partire soprattutto dai commenti a Ippocrate ma con conclusioni che si possono estendere anche alle altre opere, un’analisi puntuale è in Manetti – Roselli, Galeno commentatore, pp. 1569–1635. Ne emerge tra l’altro un ruolo preminente dell’empirico Eraclide di Taranto, a cui Galeno attingeva certamente in modo diretto, e un uso vasto e articolato, a volte spregiudicato, di numerosi altri autori, medici e non, ai quali ricorreva in modo mediato o immediato, con frequente riferimento a manoscritti e a questioni di costituzione del testo. Per il rapporto in particolare con gli erofilei cf. anche von Staden, Galen as historian, pp. 205–222, mentre sulle fonti più antiche (peripatetiche), di prima e seconda mano, si sofferma Mansfeld, Prolegomena, pp. 144s.; piuttosto scettico nei confronti di Galeno, e in favore di un uso soprattutto di materiali di seconda o di terza mano e di appunti personali o ricordi dei commenti dei maestri o di altri predecessori, è Smith, The Hippocratic tradition, pp. 146–160, e passim. La distinzione tra γλῶσσα e λέξις, a proposito di Aristofane di Bisanzio, è evidenziata da Pfeiffer, History of classical scholarship (cito dalla traduzione tedesca rivista e integrata, p. 244). Il termine glossa avrà una significativa evoluzione semantica, arrivando a significare la parola tout court, come ha verificato Holtz, Glossaires et grammaire dans l'antiquité, pp. 1ss.

I precedenti e le fonti

103

cogliere e illustrare sia quelle voci un tempo correnti (ὅσα τοῖς ἄλλοις παλαιοῖς ὑπάρχοντα συνήθη) ma ormai non più familiari (οὐκέτι … ἐν ἔθει νῦν), sia quella terminologia della quale Ippocrate fa un uso peculiare, ὅσα κατά τινα τρόπον ἴδιον αὐτὸς ἐποίησεν ὁ Ἱπποκράτης. Egli dichiara di voler preliminarmente precisare che cosa significa interpretare le sole γλῶσσαι rispetto alla πᾶσα λέξις: un sintagma, quest’ultimo, che ricorre più volte nel Proemio, ed è di interpretazione non univoca, dovendosi probabilmente intendere con esso l’intera terminologia, il lessico dell’autore nella sua interezza, piuttosto che, ad esempio, « l’intera frase » (per dire la quale Galeno usa, in chiusura del Proemio, il termine ῥῆσις). Non mancano paralleli, uno dei quali è fornito dal Lessico platonico di Timeo, rilevante perché databile all’incirca alla stessa epoca: nella brevissima epistola dedicatoria che lo apre, si leggono i princìpi dell’operazione, per cui (p. 92 V.) ἐξέλεξα τὰ παρὰ τῷ φιλοσόφῳ γλωσσηματικῶς ἢ κατὰ συνήθειαν Ἀττικὴν εἰρημένα, οὐχ ὑμῖν μόνοις τοῖς Ῥωμαίοις ὄντ’ ἀσαφῆ, ἀλλὰ καὶ τῶν Ἑλλήνων τοῖς πλείστοις, τάξας τε ταῦτα κατὰ στοιχεῖον καὶ μεταφράσας ἀπέστειλά σοι, νομίσας καὶ αὐτὸν ἕξειν σε παιδ{ε}ιὰν οὐκ ἄμουσον. I termini scelti sono dunque quelli glossematici o d’uso peculiarmente attico, oscuri ai Romani ma anche a molti dei Greci, da ordinarsi κατὰ στοιχεῖον, secondo la tendenza dell’epoca, e da parafrasare: il tutto offerto a un preciso destinatario. a) La lessicografia ippocratica fino a Galeno Un quadro schematico dei principali esponenti della lessicografia ippocratica dagli Alessandrini a Galeno si può così configurare120: III a.C. Senocrito di Cos (τῶν παρ' Ἱπποκράτει λέξεων συναγωγή), Callimaco erofileo, Euforione di Calcide (λέξις Ἱπποκράτους in sei libri: su Euforione glossatore di Ippocrate scrissero Aristocle di Rodi e Aristea di Rodi). Bacchio di Tanagra, λέξεις Ἱπποκράτους διὰ τριῶν συντάξεων al quale, secondo il Proemio del Glossario di Galeno, « fornisce numerosi esempi » (da opere poetiche?) Aristofane di Bisanzio (ex coni.: Aristarco codd., v. infra, nota a Gal. Gloss., Prooem. 144,16). Contro l’opera di Bacchio scrive il contemporaneo Filino di Cos, erofileo ed empirico. II–I a.C. Apollonio Ofis e Epicle realizzano ciascuno una epitome del lessico di Bacchio: Epicle la riorganizza introducendovi l’ordinamento alfabetico. Ancora contro Bacchio scrivono Eraclide di Taranto (πρὸς Βακχεῖον περὶ τῶν Ἱπποκράτους λέξεων) e Dioscoride Phacas (Lessico in 7 libri). Contro Eraclide, sempre sull’attività glossografica, scrivono Apollonio di Cizio (18 libri contro Eraclide, 3 libri contro Bacchio) e Lisimaco di Cos; la notizia che anche Glaucia empirico abbia scritto un lessico κατὰ στοιχεῖον contro Eraclide, è problematica sul piano cronologico. Sestio Nigro scrive tra l’altro una ὕλη ἰατρική di contenuto medico-botanico, dalla quale molto 120

Altri autori di cui ancor meno è noto non sono qui registrati. Un elenco per quanto possibile completo di editori, commentatori, glossatori di Ippocrate fino a Galeno, con la relativa datazione, è in TeCH I, pp. 510–514. Sulla lessicografia ippocratica in età alessandrina cf. almeno Nachmanson, Est; Wellmann, Hippokratesglossare; von Staden, Lexicography in the 3rd century B.C., e Herophilus, pp. 427–439, 453–455, 485–500.

104

I d.C.

II d.C.

L’opera e le sue caratteristiche

passò nei successori. Vi furono poi Antigono di Alessandria, che fu forse, come ipotizzava Wellmann (Hippokratesglossare, p. 68), bacino di raccolta di una quantità di materiali precedenti Erotiano, e Didimo (sul quale si dirà infra, pp. 108 e 124). Glossario ippocratico di Erotiano, secondo il quale « tutti i grammatici illustri si sono occupati del lessico di Ippocrate ». Dioscoride glossografo, Lessico ippocratico che fu, come quello di Erotiano, fonte diretta di Galeno. Galeno.

Speciale importanza ebbe per Galeno, verosimilmente, il Lessico ippocratico di Dioscoride, che seguiva un ordine alfabetico e viene più volte citato esplicitamente nel Glossario anche per dettagli quali sono i segni critici o di interpunzione, e da cui senza dubbio Galeno attinse alcuni, e forse non pochi, dei suoi materiali, anche relativi alle fonti più antiche e utilizzate da Dioscoride; queste andavano, come informa lo stesso Galeno nel Proemio (par. 4), da Nigro a Panfilo, da Teofrasto a Crateua a Eraclide di Taranto121. Un esempio dell’uso che Galeno fa del Lessico di Dioscoride è in In Hipp. Epid. VI comm. VIII, CMG V 10,2,2, p. 500,38 (arab.), dove si fa riferimento dapprima all’edizione dioscoridea del testo di Ippocrate, subito dopo al Lessico: « Dioskurides … hat den Ausdruck, welcher denjenigen bedeutet, “dem das Brechen schwer fällt”, etwas abgeändert, so daß der Sinn wurde “der Zarte”, und er hat dieses Wort in dem, was er an Kommentar zu den Ausdrücken des Hippokrates verfaßt hat, erläutert, und damit stimmt das Wort des Quintus überein ». E subito dopo Galeno cita un passo dal Lessico di Dioscoride, che da un lato conferma che egli ne faceva uso, dall’altro informa sul carattere di quell’opera: « Dies sind seine Worte: er sagt: “der Zarte ist derjenige, welcher schon durch das Geringfügige Schaden nimmt und durch das Große mehr als die anderen geschädigt wird, und bei dem der Schaden länger dauert » (è la nostra glossa δ 24). Già prima, a 480,16, Galeno aveva rilevato la differenza tra l’attività editoriale di Artemidoro Capitone, autore di una edizione di Ippocrate, e Dioscoride, che alla edizione concorrente aveva aggiunto anche un Lessico, dal quale evincere quale fosse la sua interpretazione: « Da jedoch Kapiton zu der Lesart, mit der er sich zufrieden gab, keinen Kommentar geschrieben hat und auch keine

121

Su Dioscoride e il suo Lessico cf. anche Roselli, Galeno e le edizioni ippocratiche; Manetti – Roselli, Galeno commentatore, pp. 1615–1632. Wellmann, Die Pflanzennamen, ad es. pp. 371s. n. 1, aveva già messo in evidenza il ruolo decisivo di tramite svolto da Dioscoride, in quel caso per la terminologia botanica. Capire quando Galeno abbia preso conoscenza del lavoro di Artemidoro Capitone e di quello di Dioscoride sarebbe essenziale: un tentativo ben argomentato è quello di A. Roselli, nel lavoro appena citato, e ancora in Galeno e la filologia nel II secolo: si evidenzia una notevole differenza nel numero di citazioni dei due predecessori tra le opere giovanili, in cui sono quasi assenti, e quelle della maturità, in cui ricorrono con regolarità, e con particolare evidenza nel commento a Epidemie VI, come se Galeno le avesse conosciute, o avesse deciso di utilizzarle, solo in età avanzata. Nel giovanile Glossario, predomina Dioscoride in modo evidente (una citazione di Artemidoro contro venti di Dioscoride): questo dipenderà dalla tipologia dell’opera, innanzitutto, poiché Dioscoride aveva redatto un lessico e comunque annotato varianti, ma è da chiedersi se Galeno non potesse aver conosciuto l’opera di Dioscoride (almeno il lessico) molti anni prima di quella di Artemidoro.

I precedenti e le fonti

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Erklärung zu den Ausdrücken des Hippokrates gegeben hat, wie das Dioskurides macht, so kann man nicht wissen, in welchem Sinne er sie verstand ». b) Fonti immediate di Galeno Un’esame delle singole glosse del Glossario di Galeno porta a concludere che in molti casi si tratta di materiali che egli attinge ad altri scritti, sia di carattere lessicografico che d’altro genere. In particolare, oltre che a Dioscoride glossografo, Galeno sembra attingere almeno a Bacchio (forse indirettamente), a Erotiano (attraverso il quale verosimilmente provengono a Galeno materiali da altri predecessori come Zenone erofileo e Zeusi, cf. κ 8)122, ai suoi propri commenti agli scritti ippocratici e ad altri scritti esegetici del Corpus, infine alla grande enciclopedia di Panfilo123, forse attraverso le epitomi che della stessa furono fatte subito dopo la sua pubblicazione. Anche la Materia medica di Dioscoride di Anazarbo viene utilizzata ed esplicitamente citata, così come le Ἐθνικαὶ λέξεις di Zenodoto, e più volte si affaccia Teofrasto, la cui opera Galeno potrebbe aver citato per il tramite delle enciclopedie disponibili o i lessici specifici, ma anche aver compulsato direttamente; ricorrono poi interpretazioni di Crizia (δ 24), Callimaco (π 44), le ὀνομασίαι τῶν φαρμάκων di Menesteo, i nomi di Andrea, Senocrate, Crateua, Dioscoride alessandrino (cf. ι 6, dove questi nomi sono raggruppati, e il Proemio per alcuni di essi), e anche Aristotele e l’Anabasi di Senofonte, per una questione di grafia (cf. ο 24). Che le fonti a cui il Glossario attingeva fossero diverse sembra mostrare lo stesso andamento del testo: in particolare a partire da π 1, infatti, il lettore attento percepirà un cambiamento, le glosse si fanno più lunghe, e soprattutto (almeno per la parte iniziale di π) si fanno più rari se non assenti i riscontri con Erotiano (che riprendono in modo significativo a partire da σ 82) e anche con il resto della lessicografia, potendosi forse ipotizzare un mutamento di fonte che appare confermato ad esempio dal fatto che sia in π 12 che 13 si citano le Ethnikai lexeis di Zenodoto, una successione rara se non unica di citazione di una medesima fonte, titolo compreso. Resta da stabilire, se di queste opere Galeno facesse uso direttamente, o per il tramite di raccolte di materiali (cf. infra, p. 119). La presenza di strutture sintattiche all’apparenza incongrue, o di marche linguistiche difficilmente giustificabili, la tendenza a frammentare un testo unitario in più glosse, a unificare glosse originariamente separate, a riportare tal quali passaggi di esegesi senza preoccuparsi di adeguarli al nuovo contesto (su tutto questo cf. infra, p. 122), rinvia al modo di lavorare di Galeno, e al suo rapporto con le opere, altrui e pro122

123

Un elenco riassuntivo delle glosse che presentano punti di contatto con Dioscoride glossografo e con Erotiano è in Ilberg, De Galeni Glossario, pp. 346–350 e Die Hippokratesausgaben, passim, nonché più di recente in Manetti – Roselli, Galeno commentatore, pp. 1629–1633, cf. anche Giuliani, Il Glossario ippocratico, pp. 102s.; per Erotiano cf. anche l’edizione di Klein, p. XLVII n. 53, e Nachmanson, ESt, passim. Secondo Wellmann, Hippokratesglossare, p. 11, anche per i materiali erotianei il tramite con Galeno sarebbe stato il medesimo Dioscoride. Sul rapporto con Bacchio, Manetti – Roselli cit., p. 1615 ritenevano che vi fosse tra lui e Galeno il filtro almeno di Zeusi e di Eraclide di Taranto; sui materiali derivati da questi due ultimi eruditi cf. von Staden, Galen as historian, ad es. p. 212. Su questo cf. anche infra, p. 107s.

106

L’opera e le sue caratteristiche

prie, a cui attinge, talvolta meccanicamente: lessici, glossari, hypomnemata, marginalia. Si spiega allora meglio, senza necessità di correggere il testo, anche la forma impropria di alcune explicationes, che possono considerarsi residui di passi che in origine erano diversamente strutturati; così come la variegata tipologia delle fonti spiega la varietà delle interpretationes e dei campi semantici delle glosse stesse124. Del resto, che gli antichi grammatici dall’età alessandrina in avanti non partissero da zero per la realizzazione dei loro repertori, ma mettessero a frutto il sapere disponibile, è stato più volte e convincentemente affermato. Per la lessicografia, l’età imperiale è un momento decisivo di passaggio. La sistemazione della dottrina accumulata fino ad allora conduce all’elaborazione di nuovi strumenti sulla base di quelli già disponibili. Si introduce l’ordine alfabetico sistematico (II sec. d.C., se non prima), si redigono i primi veri lessici generali, e opere speciali come l’Onomastico di Giulio Polluce. Accanto a sillogi vastissime, sempre più circolano strumenti meglio praticabili come epitomi ed estratti. Monumentale è l’opera già ricordata di Panfilo, seconda metà del I secolo d.C. (intitolata περὶ γλωσσῶν καὶ ὀνομάτων, o περὶ γλωσσῶν ἤτοι λέξεων, chiamata anche γλῶσσαι o περὶ ὀνομάτων), che riuniva materiali provenienti da una serie di glossari e lessici specialistici, a partire da Aristofane di Bisanzio, Clitarco di Egina e Didimo. In 95 libri, era una summa della scienza precedente, soprattutto glossari e lessici specialistici, ed era suddivisa in sezioni in base all’argomento, sezioni che, al loro interno, erano ordinate alfabeticamente. Fu realizzata (secondo Suda π 142) con la collaborazione di uno Zopirione cui si dovrebbe la prima parte (α – δ). Panfilo venne epitomato, poco tempo dopo, dal procuratore delle biblioteche a Roma, Giulio Vestino, nel II d.C. (Ἑλληνικὰ ὀνόματα, forse in 30 libri), e l’epitome di Vestino venne a sua volta epitomata da Diogeniano di Eraclea (λέξις παντοδαπή), proprio all’epoca di Galeno. La λέξις παντοδαπή di Diogeniano è da identificare con ogni verosimiglianza con l’opera dal problematico titolo di Περιεργοπένητες, citata da Esichio nella premessa al suo Lessico come fonte principale. L’opera di Diogeniano, che faceva riferimento anche ad altre fonti (come Apollonio Sofista e Apione per le glosse omeriche, Teone e Didimo per le glosse comiche e tragiche), ebbe un grandissimo successo, e si pone come uno degli snodi di una ramificata intelaiatura (cf. anche sopra, p. 97 per l’ordinamento alfabetico dell’opera). Stando alla ricostruzione di Kurt Latte125, alle medesime fonti di Diogeniano risalgono Ateneo, Dioscoride, Erotiano, Galeno, Polluce, gli scoli più antichi alla tragedia, ad Aristofane, a Teocrito; allo stesso Diogeniano attingerebbero oltre ad Esichio gli scoli ad Eschine, Ermogene, Dione Crisostomo, Platone, Oribasio, Clemente Alessandrino, Gregorio di Nazianzo (in parte), l’Etymologicum Magnum e in parte Fozio, inoltre e 124

125

Sulle tipologie delle glosse e una serie di caratteristiche del Glossario cf. l’ampia analisi di Giuliani, Il Glossario ippocratico. Su questo, e su quanto segue, cf. anche Perilli, L'ordinamento, e Da medico a lessicografo, nonché Su Esichio. Sulle caratteristiche dell’attività linguistico-esegetica di Galeno, soprattutto ma non solo nei commenti, si sofferma per un quadro generale Skoda, Galien lexicologue. La Prefazione di K. Latte alla edizione di Esichio, pp. XLIIss., del 1953, è stata aggiornata da K. Alpers nella Premessa al terzo volume, π – σ, pubblicato da P.A. Hansen nel 2005, e integrata nel volume conclusivo, curato da Hansen e I. Cunningham, Berlin 2009.

I precedenti e le fonti

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già Timoteo di Gaza, Oro, Erodiano. La Synagoge (cf. infra) è snodo decisivo, punto di confluenza da un lato e fonte di molteplici filoni dall’altro. È un quadro che rende conto della articolata filiazione di opere che, se pure ebbero una fonte comune principale (Diogeniano e, almeno per suo tramite, Panfilo), in quel periodo fondamentale per lessicografia e glossografia greca che furono il primo e il secondo secolo d.C., conobbero altresì un travaso incrociato di materiali, che sconsiglia facili conclusioni. Rispetto a questa ricostruzione, non sono mancate nel tempo altre ipotesi: per citare un esempio, Cohn, RE IV 1 (1907) 547s., s.v. Erotianos, riteneva che fosse stato Diogeniano ad utilizzare l’opera di Erotiano, e che di qui discendessero le numerose corrispondenze tra Erotiano ed Esichio; era questa la linea inaugurata in realtà da Strecker (Zu Erotian, p. 270) in base alle risultanze della sua dettagliata analisi delle glosse erotianee. Vi furono poi lessici medici non specificamente ippocratici, come quelli di Rufo di Efeso, περὶ ὀνομασίας τῶν τοῦ ἀνθρώπου μορίων, e di Sorano, autore di un lessico etimologico intitolato περὶ ἐτυμολογιῶν τοῦ σώματος τοῦ ἀνθρώπου: questi rappresentarono le fonti della terminologia medica dell’Onomastico di Polluce (170 d.C.), che è organizzato per sezioni, alcune delle quali di specifico argomento medico126. Va sempre ricordato, tuttavia, che la perdita quasi totale dei materiali della lessicografia ippocratica, ma anche della lessicografia generale, precedente Galeno, e delle opere di genere enciclopedico, rende ogni conclusione estremamente incerta. Spesso, negli studi, si è creduto di poter basare una valutazione ad esempio sul ricorrere di una medesima glossa in Galeno e in Esichio, ma questo conduce a semplificazioni a cui non è quasi mai possibile dare credito. Una eccezione è costituita per noi dal Glossario di Erotiano, che precedeva Galeno di circa un secolo: ma anche nel confronto con questo testo, pur prezioso, non va dimenticato che la forma in cui a noi è giunto è drasticamente ridotta nelle dimensioni e alterata nel contenuto rispetto all’originale, che Galeno conosceva e della cui ricchezza e livello di dettaglio parte delle glosse superstiti può dare un’idea. c) Panfilo Quelle a cui Galeno attinge direttamente per il Glossario sono dunque sia opere specifiche su Ippocrate sia repertori generalisti, tra i quali spicca con ogni verosimiglianza, nonostante i dubbi talora espressi in proposito, proprio il lavoro di Panfilo, realizzato qualche decennio prima di Galeno: sia il περὶ βοτανῶν, sia e soprattutto il περὶ γλωσσῶν καὶ ὀνομάτων, il cui ordine alfabetico (almeno relativo alla prima lettera), criterio interno a ciascuna sezione tematica, viene esplicitamente apprezzato e recuperato da Galeno, cf. Simpl. med. V I Prooem.: XI 792,5 cit. supra, p. 98.

126

Melezio Monaco (VII–IX sec. d.C) compilò l’opera di Sorano (e risale quindi in ultima istanza a Orione) insieme con altri autori; i materiali superstiti furono pubblicati inizialmente da Cramer nel terzo volume degli Anecdota Graeca (Oxonii 1836, pp. 1–157) e sono ricordati frequentemente da Gaisford nella edizione dell’Etymologicum Magnum (cf. su questo anche Winter, Meletius und Orion, pp. 91–124). Esempi del rapporto del Glossario di Galeno con le possibili fonti sono in Perilli, Da medico a lessicografo, pp. 174–201, e nelle annotazioni alle singole glosse. Sul materiale medico in Polluce si vedrà ancora Zarncke, Symbolae ad Iulii Pollucis Tractatum.

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L’opera e le sue caratteristiche

Galeno conosce Panfilo, lo cita in diverse opere e anche nel Glossario, sia nel Proemio, al § 3, che ad α 4 (ἀγρίη κολοκύνθη), dove si legge ὡς καὶ Κρατεύας καὶ Διοσκουρίδης καὶ Πάμφιλος, una formulazione che ha fatto pensare all’uso, da parte di Panfilo, dei due predecessori citati prima di lui (così Wendel)127. Se questa ipotesi è accettabile, Galeno si sarebbe dunque limitato a trascrivere le fonti che trovava menzionate da Panfilo stesso, definito θαυμασιώτατος (Simpl. med. V I 1: XI 804,4 e V II 31: XII 31,12 K.), pur non mancando le critiche anche al suo indirizzo, come spesso in Galeno. Panfilo forniva inoltre numerose indicazioni dialettali (Ateneo informa di indicazioni circa l’uso linguistico di Ἀττικοί, Ἀχαιοί, Κύπριοι, Λάκωνες, Πάφιοι, Ῥωμαῖοι), e anche in Galeno non manca l’interesse per i localismi. Ma, come già osservato, appare in verità probabile che Galeno abbia fatto ricorso anche direttamente a Dioscoride. Nella introduzione al sesto libro di Simpl. med. (XI 792–798 K.), inoltre, Galeno fornisce una accurata descrizione del περὶ βοτανῶν panfileo, ancora frammista a critiche, ad esempio per aver descritto piante che non ha mai visto personalmente né verificato negli effetti, e aggiungendo piante superflue e inutili per il medico. Ciò conferma per il Pergameno una conoscenza diretta degli scritti di Panfilo, e informa di un’opera che doveva essere accuratamente suddivisa in sezioni tematiche, qui un elenco di piante di interesse farmacologico (che spiega la critica di Galeno sulla presenza di piante da lui ritenute fuori posto in quella sede). Di Panfilo purtroppo non si tramanda molto altro, la nostra fonte principale è Ateneo128, dove si legge ad esempio un elenco di nomi di recipienti per bere che Ateneo evidentemente trovava già raccolti e ordinati nella sua fonte. Che Galeno attingesse a Panfilo anche quando non lo nomina è probabile, anche perché data la sommarietà del Glossario è poco plausibile che egli rinunciasse a servirsi di un repertorio che riuniva tanti materiali; Panfilo, oltre tutto, aveva preceduto Galeno anche nel prediligere γλῶσσαι e ὀνόματα rispetto alle λέξεις, intendendosi queste ultime in senso ristretto come termini d’uso letterario. È inoltre Galeno stesso a fornire una informazione che può essere considerata rivelatrice: nel De indolentia (23b–24a, p. 9,14 Boudon – Jouanna = 10, p. 70,118 Kotzia), parlando della sua πραγματεία dei termini « di tutta la commedia antica » (τὴν τῶν ὀνομάτων πραγματείαν, ἣν ἐξέλεξα[το] (ἐξελεξάμην Kotzia) τῆς παλαιᾶς κωμῳδίας ὅλης), fa menzione dell’opera di Didimo, in cinquanta libri, che non solo era una delle fonti dello stesso Panfilo, ma era stata oggetto di un’epitome in seimila stichi realizzata da Galeno stesso: καὶ τὰ πολιτικὰ ἔφθανεν ( ἔφθασεν Kotzia) Δίδυμος τά τε γλωττηματικὰ πάντα ἐξηγήσασθαι διὰ πεντήκοντα βιβλίων, ὧν καὶ αὐτῶν ἐπιτομὴν ἐπεποιήμην ἐν ἑξακισχιλίοις στίχοις. Uno scritto finora ignoto, questa epitome dell’opera didimea; a conferma del fatto che Galeno non soltanto conosceva e compulsava i lessici dei predecessori, con preferenza per le opere che fossero dei bacini di raccolta dei materiali esistenti, ma ne estraeva le informazioni più rilevanti, così come faceva per le opere dei medici a lui precedenti, ad esempio gli empirici (cf. infra, p. 124).

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Cf. M. Wellmann, Die Pflanzennamen, p. 370; Wendel, Pamphilos, coll. 336s., che offre un’analisi eccellente. I frammenti tramandati da Ateneo sono raccolti da M. Schmidt nelle « Quaestiones Hesychianae » che accompagnano il quarto volume del suo Esichio (LXI–LXIX).

I precedenti e le fonti

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d) Il Glossario e i Commenti Fonte ulteriore del Glossario furono, stando a quanto lo stesso Galeno afferma nel Proemio, i suoi propri Commenti alle opere di Ippocrate. Quelli a noi disponibili hanno però con il Glossario un rapporto disuguale. Se in più di un caso si osserva una corrispondenza puntuale, a volte persino citazioni, spesso però la dissonanza tra le interpretazioni che Galeno fornisce nel Glossario e quelle dei Commenti disorienta, ponendo altresì problemi di datazione: se il Glossario è opera giovanile, come attestano le informazioni su Teutrante presenti nel De indolentia, rimane difficile spiegare le consonanze presenti ad esempio con il commento al sesto libro delle Epidemie, che si presenta come una delle opere del Galeno maturo. A un confronto tra le due opere, si direbbe infatti che il Glossario attinga al Commento, giacché non solo c’è coincidenza ma il Commento presenta argomentazioni più complete che nel Glossario si direbbero, come è da attendersi, ridotte all’essenziale. Contatti tra le due opere sono frequenti (e segnalati di volta in volta negli apparati e nelle note); ma un caso spicca sugli altri. Si tratta di μ 25: la glossa deriva direttamente dal commento al luogo ippocratico di Epidemie V I in questione (v. ad loc.). Si direbbe meccanicamente: infatti, mentre nel commento la formulazione (ἐκ τῶν μεσοκώλων, ὡς εἰ καὶ μεσεντερίων εἰρήκει) è congrua, nel Glossario risulta monca, tradendo l’origine da un contesto più ampio e diverso, in cui vi era spazio per una argomentazione che nel Glossario invece non trovava collocazione. Questo caso pone dunque, con ogni evidenza, il problema del rapporto del Glossario con le altre opere galeniane, che, secondo quanto si afferma nel Proemio, ne sarebbero state alla base. Se il Glossario è opera giovanile, una sua dipendenza dal Commento a Epidemie VI sarebbe da escludersi già solo sulla base della cronologia. Il commento è opera di complessità e maturità evidenti, ma della sua datazione posteriore si ha anche un riscontro oggettivo: nella parte sopravvissuta in traduzione araba, infatti, Galeno fa menzione della recente perdita dei libri nell’incendio verificatosi a Roma, a cui si riferisce anche il De indolentia (cf. Gal. In Hipp. Epid. VI comm. V III: CMG V 10,2,2, p. 492,2); quindi, poiché l’incendio risale al 191–192, l’opera dovrà essere stata di poco posteriore, e pertanto di quasi trent’anni più tarda rispetto al Glossario. Una ulteriore conferma del fatto che il Commento a Epidemie VI fu redatto più o meno nella stessa epoca del De indolentia è data dal fatto che entrambe le opere ricordano un medesimo episodio, quello del grammatico Filisto (o Filistide, o Filide: il nome è incerto) morto di dolore a seguito della perdita dei suoi libri nell’incendio (cf. De indolentia 7, p. 4,6 Boudon – Jouanna; In Hipp. Epid. V I comm. VIII: CMG V 10,2,2, p. 486,19–24, dove il nome è Callisto)129. Infine: nel commento a Epidemie V I (I 29: XV IIA 879,2: CMG V 10,2,2, p. 47,24) si ha un riferimento ad altra opera, nella quale Galeno dice di aver indagato le lexeis di Ippocrate: ἀκριβέστερον μὲν οὖν περὶ τῶν ζητουμένων παρ᾽ ῾Ιπποκράτει λέξεων ἑτέρωθι πεπραγματεύμεθα, νυνὶ δ' ἀρκέσει τοῖς γραμματικοῖς ἀκολουθήσαντα κατὰ τὴν ἐκείνων διάταξιν εἰπεῖν τι περὶ τῶν κατὰ τὴν πέμφιγα σημαινομένων. Tale opera è stata identificata con il Glossario stesso, né è nostra intenzione rimettere in discussione tale conclusione; si 129

Cf. in proposito la traduzione e le note ad loc. di Nutton, Avoiding distress; Jouanna – Boudon, Ne pas se chagriner, pp. 41s., e p. LXI; anche A. Roselli, Libri e biblioteche a Roma.

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L’opera e le sue caratteristiche

dovrà tuttavia notare il cenno al fatto che nel Glossario Galeno avrebbe dunque investigato la terminologia ippocratica ἀκριβέστερον, mentre è innegabile che al breve lessico quell’aggettivo poco si confà: tanto più a fronte di una discussione come quella, dettagliatissima, di πεμφιγώδεες (cf. nota a π 14) in cui Galeno inserisce quel riferimento. Come spiegare allora l’indubbia dipendenza del Glossario dal Commento (dovendosi escludere il percorso inverso, per la incongruità sintattica della glossa)? Una fonte comune? È possibile; ma è anche possibile, e forse probabile, che si tratti di una o più glosse inserite nel Glossario in un secondo momento, cioè non nel corso della prima stesura ma in seguito, in una sorta di aggiornamento del repertorio dopo che altre opere erano state redatte. In alternativa, non resterebbe che ipotizzare il ricorso ad appunti e materiali che il giovane Galeno aveva raccolto e che avrebbe poi variamente riutilizzato nelle diverse sue opere, come egli stesso del resto ricorda a proposito dei commenti (De libris propriis 9,4: p. 160,6–8 Boudon = XIX 34,14 K., cf. infra, p. 119). Un caso ulteriore di contatto sicuro tra il Glossario e i Commenti (ancora quello a Epidemie V I), è in γ 12, dove le due opere citano il medesimo passo di Teofrasto e sono palesemente connesse (cf. nota ad loc.)130. Per altri esempi di rapporto tra il Glossario e i commenti, tra cui spiccano quelli a Epidemie, si vedano le note relative alle glosse α 99, α 100, κ 25, μ 25, ν 1, π 26, π 48, π 65, ρ 2, σ 6, σ 9, σ 38, σ 74, χ 17, ω 1: insieme con quello ora citato di μ 25, l’altro di ρ 2 è forse il più indicativo. In sostanza, Galeno registra a volte nel Glossario interpretazioni che aveva invece respinto nei Commenti131, oppure dà come proprie interpretazioni che nei Commenti 130

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Circa il riferimento fatto da Galeno a sue ulteriori e più precise indagini sulla lexis di Ippocrate, si dovrà ricordare che non era il Glossario l’unica opera in cui questo era accaduto; ad es. in In Hipp. De fract. comm. I 1: XVIIIB 322,14 K. si ha un riferimento ad altra opera non troppo dissimile, laddove si legge ἐμοὶ δὲ καθ᾽ ἕτερον ἰδίᾳ γράμμα μικρὸν ἃ φρονῶ περὶ τῆς ῾Ιπποκράτους διαλέκτου δεδήλωται. È piuttosto da osservare che nel Glossario Galeno afferma di voler indagare le γλῶσσαι e non la λέξις, che era piuttosto oggetto di indagine riservato ai commenti o ad altre opere, come si apprende ripetutamente, ad esempio da Gal. In Hipp. Epid. I comm. II 58: CMG V 10,1, p. 80,3 (τὸ μὲν κυρίως ὀνομαζόμενον ἐξηγεῖσθαι κατὰ τὰς ἀσαφεῖς γίνεται λἐξεις) o da In Plat. Tim. comm., fr. 7: CMG Suppl. I, p. 16,7 (καθ᾽ ἑκάστην λέξιν ἐξήγησιν αὐτῶν ποιησάμενος), cf. anche De usu part. 8: p. 13,3 Helmr. = III 18,4 K.: (πρότερόν γε τὴν Ἱπποκράτους λέξιν ἐξηγησάμενος ἀσαφεστέραν τοῖς πολλοῖς οὖσαν); cf. Mansfeld, Prolegomena, p. 131, che approfondisce anche (pp. 150–153) l’opinione di Galeno sui problemi di oscurità linguistica, il suo obiettivo di scrivere utilizzando termini comuni per ottenere chiarezza, e il valore del concetto di ἐξήγησις. Mi chiedo se il rinvio fatto nel commento a Epidemie VI non debba essere inteso come un riferimento non a uno specifico scritto, ma all’insieme delle trattazioni che Galeno aveva fatto della terminologia di Ippocrate, tra le quali poteva rientrare anche il Περὶ τῶν ἰατρικῶν ὀνομάτων (De nominibus medicis) il cui primo libro, giunto fino a noi in traduzione araba (edd. Meyerhof – Schacht, Berlin 1931), affronta questioni di metodo e definizione, soffermandosi anche sulla distinzione tra Rede e Benennung, che a dire di Galeno i predecessori avrebbero frainteso (p. 25,1). In questo testo ci si sofferma peraltro a lungo sulla nozione di febbre, non diversamente da quanto accade nella trattazione di πέμφιξ etc., cf. ad π 14. Il fenomeno ha forse un significato diverso e meno positivo, comunque più complesso, rispetto a quello che Ilberg (De Galeni Glossario, pp. 343s.) gli attribuiva nell’osservare che il Glossario, fornendo interpretazioni discordanti da quelle dei commenti, avrebbe dimostrato un ruolo autonomo e non solo di epitome di altre opere.

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o in altre opere erano attribuite ad altri autori, o persino interpretazioni che aveva definite vulgate e alle quali ne aveva contrapposta una propria: un uso che appare tanto più problematico laddove l’interpretazione fornita nei Commenti risulta puntuale e utile, mentre quella, diversa, del Glossario appare priva di funzionalità (cf. α 76, δ 17, μ 40, σ 9, υ 7, ω 7)132. Va detto comunque che numerose esegesi fornite nel Glossario corrispondono effettivamente, nella sostanza se non nella forma, a quelle dei Commenti, rispondendo a quel principio che Galeno stesso dichiara nel Proemio di voler riprendere διὰ κεφαλαίων e χωρὶς ἀποδείξεως, dunque in forma ridotta all’essenziale e riordinata, quanto aveva già più approfonditamente investigato, αὐτὸ μόνον … τὸ κεκριμένον τε καὶ ἀποδεδειγμένον ἡμῖν ἐν ἑτέροις (Prooem., § 7): una formulazione che tuttavia già Ilberg (p. 344), che pure dava del Glossario e delle sue peculiarità una interpretazione in senso positivo, consigliava di prendere cum grano salis. E Ilberg stesso, sia pure solo nella chiusa di una breve nota133, aveva ammesso la estrema peculiarità del nostro testo, scrivendo che, stando al riferimento al Glossario contenuto nel Commento a Epidemie VI, cui s’è appena fatto cenno (XV IIA 879,2: CMG V 10,2,2, p. 47,24), « Das Glossar wäre also eher als Comm. zu Epid. V I abgefasst ». L’affermazione è estrema, ma rende bene l’idea, e del resto, tra i commenti di Galeno, quello a Epidemie V I mostra uno statuto speciale, essendo forse il più maturo, il più erudito, il più ricco di notizie anche sulle fonti e sul metodo di lavoro134. IV. La lessicografia posteriore Non si può affermare con sicurezza, se e quale ruolo il Glossario di Galeno abbia avuto rispetto alla lessicografia greca posteriore, fino alla piena età bizantina; si è potuta invece individuare in Esichio, dunque tra il V e forse il VI sec., una fase decisiva nella storia delle glosse mediche, in particolare ippocratiche135. È probabile, come già s’è detto, che Esichio risalisse alle stesse fonti di Galeno e ad altre ancora, riportandoci pertanto anche per il testo di Ippocrate a un’età anteriore a quella delle edizioni di Artemidoro Capitone e di Dioscoride. Ma glosse mediche, e più specificamente ippocratiche, che presentino motivo di interesse per chi guardi dalla prospettiva del Glossario galeniano, sono anche nei testi della lessicografia posteriore, dal Lessico platonico di Timeo, che presenta coincidenze a volte sorprendenti, alla Synagoge, che invece affiora meno di quanto ci si potrebbe attendere, sporadicamente a Stefano di Bisanzio; quindi Suda, Fozio, Etymologicum Genuinum e Magnum. Le opere di Oro, Elio Dionisio e Pausania atticista ricorrono occasionalmente, mentre solo di rado, seppure accade, ci si imbatte in Arpocrazione e in Polluce, che di Galeno furono pressappoco contemporanei. Ulteriore testimone che in più d’un caso si dimostra utile è Eustazio, che attinge in modo diretto e ampio alle fonti a lui disponibili, tra cui proprio Elio Dionisio e Pausania atticista. Dalla Synagoge in poi, i percorsi di tutte queste opere si 132

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La discussione dettagliata di questi casi è nella seconda parte (« Casistica ») di Perilli, Da medico a lessicografo, pp. 181–201. Ilberg, Über die Schriftstellerei des Klaudios Galenos IV, p. 618 n. 3 (rist. 1974, p. 119 n. 3). Cf. e.g. Manetti – Roselli, Galeno commentatore, p. 1554. La consonanza di Esichio con il Glossario galeniano è stata rilevata già da Ilberg, Strecker e altri; un rilevamento dei dati è reperibile anche in Giuliani, Il Glossario, passim.

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intrecciano in vario modo, lessicografia, glossografia, scoliografia dipendono l’una dall’altra, a volte in modo ricostruibile, altre meno. Quando Suda, Fozio, Etymologicum Genuinum, Lexicon Αἱμωδεῖν e Scholia Platonica, ad esempio, coincidono sostanzialmente con la Synagoge, si può affermare che da essa dipendono, e dunque possono, almeno in linea di principio, essere trascurati così come Eustazio quando coincide con le sue fonti; mentre Elio Dionisio, Pausania Atticista, Oro, Frinico, Arpocrazione forniscono alla Synagoge parte dei materiali136. Ma non sempre è facile, per le singole glosse, stabilire rapporti di dipendenza, e in più d’un caso anche quando due testi dipendono l’uno dall’altro può accadere che il più tardo dei due fornisca informazioni supplementari non prive di interesse. a) Sinossi Potrà essere utile riordinare in una breve sinossi le fasi principali della lessicografia greca in particolare nel suo nesso con la glossografia medica precedente, al fine di rendere al lettore meno impervio orientarsi nell’apparato dei loci similes e nelle connessioni stabilite nelle note alle glosse galeniane137. – Al quinto secolo risalgono due opere che avranno grande importanza per gli sviluppi futuri: l’etimologico di Orione Tebano (v. sotto), e quello di Metodio (da non confondere con il vescovo bizantino): il primo sarà fonte diretta dell’Etymologicum Genuinum, del Gudianum e del cosiddetto Zonara; il secondo lo sarà del Genuinum e del cosiddetto Lessico Αἱμωδεῖν (di epoca incerta). La organizzazione del Genuinum in relazione a Metodio è peculiare e interessante: cf. R. Reitzenstein, Geschichte der griechischen Etymologika, Leipzig 1897, p. 45s. – V–VI d.C.: Esichio (v. anche infra, p. 114). È lui stesso a dire nella premessa le sue fonti: la principale è Diogeniano, da cui gli derivano, tra moltissime altre, le glosse mediche. Del suo lessico, tràdito in un solo manoscritto, circa una glossa su tre, dunque un numero altissimo, è considerata interpolata; e si ritiene tuttavia che la forma a noi pervenuta della sua opera sia ridotta rispetto all’originale. In particolare, le interpolazioni provengono da opere paremiografiche, da lessici biblici, e soprattutto dal cosiddetto Glossario di Cirillo (il patriarca di Alessandria, prima metà quinto sec. d.C.): in 136

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Su questi temi si vedrà l’introduzione alla edizione della Synagoge di I. Cunningham, che per evidenziare i rapporti tra alcune di queste opere li visualizza in uno stemma. Cf. L. Cohn, Griechische Lexicographie, in: K. Brugmann – A. Thumb, Griechische Grammatik, München 19134, pp. 672ss.; J. Tolkiehn, Lexicographie, RE XII 2, 1925, coll. 2432–2482; G. Goetz, Glossographie, RE VII 1, 1910, coll. 1433–1466; K. Alpers, Griechische Lexicographie in Antike und Mittelalter, in: H.-A. Koch – A. Krup-Ebert (edd.), Welt der Information. Wissen und Wissensvermittlung in Geschichte und Gegenwart, Stuttgart 1990, pp. 14–38; Id., Lexicographie (B. I–III), in: G. Üding – W. Jens (edd.), Historisches Wörterbuch der Rhetorik, II, Tübingen 2001, pp. 194–210; E. Degani, La lessicografia, in: Lo spazio letterario della Grecia antica, II, Roma 1995, pp. 505–27 (= Filologia e storia. Scritti di Enzo Degani, Hildesheim 2004, pp. 790– 812); un breve quadro aggiornato in S. Valente alla voce Etymological dictionaries: From Antiquity to the Byzantine period, in: Encyclopedia of Ancient Greek Language and Linguistics, ed. G.K. Giannakis, Leiden 2014. Si vedano inoltre le prefazioni alle edizioni moderne delle diverse opere, tra cui lo Oros di K. Alpers, il Fozio di Ch. Theodoridis, la Synagoge di Cunningham e i nuovi volumi di Esichio.

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realtà tale opera è posteriore a Cirillo, e fu progressivamente integrata con scolii omerici, euripidei, tucididei, demostenici, biblici. Le glosse mediche restano tra quelle dovute alla stesura originaria. – Dopo Esichio, un ruolo tutto particolare riveste la Synagoge (Συναγωγὴ λέξεων χρησίμων, già Lexicon Bachmannianum), risalente alla fine dell’VIII–IX sec. d.C., nata come rielaborazione, ordinata alfabeticamente, del lessico di Cirillo. Fu fonte di alcune delle principali opere lessicografiche posteriori, dalla Suda a Fozio, dal Genuinum al Lessico Αἱμωδεῖν, alla scoliografia, che dunque, quando coincidono con la Synagoge, non richiedono di essere a loro volta citati. Vale osservare che in relazione al Glossario di Galeno le coincidenze tra la Synagoge e la lessicografia posteriore sono soltanto sporadiche. – La lessicografia bizantina ha quindi una tappa per noi importante nel lessico di Fozio (IX d.C.), che ha tra le sue numerose fonti ancora Diogeniano. – La Suda (ca. 1000 d.C.), enciclopedia alfabetica (ma secondo l’ordine, tipicamente tardo, detto κατ᾽ ἀντιστοίχειαν); tra le sue fonti sembrano essere stati anche Giulio Vestino, l’epitomatore di Panfilo, e Panfilo stesso, ma la Premessa all’opera, da cui si traggono queste notizie, è di discussa autenticità. – Vengono poi i grandi Etimologici: di cui il principale è il Genuinum, della seconda metà del IX sec., da cui discendono il Gudianum (X–XI d.C.), il Magnum (XI–XII d.C.), che attinge anche a Stefano di Bisanzio, al Gudianum e a varie fonti grammaticali, e l’Etymologicum Symeonis (XII d.C.). Il Genuinum attinge a Metodio, Erodiano, Orione, Oro, etc., in un modo sistematico per cui cf. Reitzenstein, GGE, pp. 45s. – Infine il lessico falsamente attribuito a Giovanni Zonara (XII–XIII d.C.: Lexicon Tittmannianum), che si rifà a vari etimologici e a numerose altre opere. b) Orione La complessità dei percorsi glossografici e lessicografici, le articolate e spesso non più distinguibili ramificazioni, il rischio di semplificare, sono ben evidenziate da quanto accade nel caso di Orione, che può considerarsi indicativo del modo di lavorare di questi autori: nella sua opera etimologica egli attinge sistematicamente, e in un preciso ordine, per ogni lettera alle stesse fonti: in sequenza, scolii ai poeti, in particolare Omero; Sorano; Erodiano De orthographia e περὶ παθῶν; l’opera etimologica di Eraclide Pontico; Filosseno; Erodiano, Simposio e Epimerismi. Per le glosse mediche, Orione attinge poi all’opera di Sorano Sui nomi delle parti del corpo umano, e dove Orione è difettoso può soccorrere l’Etimologico Magno, e ancora talvolta l’Etimologico Gudiano e persino Zonara, qualche traccia è ancora in Polluce (tra le cui fonti erano sia Rufo che Sorano). Si può anche sospettare che persino un autore tardo come l’estensore dell’Etymologicum Magnum disponesse di un testo di Orione più completo del nostro, poiché glosse che derivano da Sorano > Orione sono nell’Etimologico più ampie che nell’Orione conservato138. Un buon esempio, poi, della complessità dei rapporti tra le diverse opere, e della difficoltà di ricostruire percorsi che potevano farsi ampiamente ramificati, è rappresentato dall’ampio, eccellente studio che E. Wenkebach ha dedicato alla glossa π 14 πεμφιγώδεες (su cui cf. n. ad l.), dalla cui ricostruzione si evince da un lato tutto l’in138

Così Paul Voigt, Sorani Ephesii liber de etymologiis.

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teresse di una analisi approfondita di ciascun caso, dall’altro però l’impegno che richiederebbe estendere a tutte le glosse, o anche solo a quelle che più lo meritano, una analoga indagine139. c) Esichio Su Esichio ci si dovrà specificamente soffermare140. « In singulis tamen rerum scriptoribus nullus est, e quo plures glossae depromptae sint, quam ex uno sunt Hippocrate » (Moritz Schmidt, Quaestiones Hesychianae, in Hesychii Alexandrini Lexicon, IV, p. CLXV ). Ippocrate, per chi consideri i singuli rerum scriptores, risulta essere la fonte più presente in Esichio: le glosse mediche sarebbero superate, quanto a numero complessivo, solo da quelle risalenti all’oratoria attica e alla storiografia. Sono computi da prendere con cautela, per ovvie ragione e poiché non sempre l’individuazione della fonte di una glossa si può considerare sicura: ma forniscono una indicazione non trascurabile. La lessicografia medica antica era forse quella più regolarmente esercitata, e il peculiare tecnicismo del lessico medico ben si prestava a un esercizio esegetico. Chi operi un raffronto tra i lessici di Erotiano, Galeno ed Esichio, si troverà a constatare con una certa regolarità che un termine glossematico è attestato nella lessicografia soltanto o principalmente in questa triade, per Erotiano spesso anche nei cosiddetti frammenti: in più di un caso con tre interpretationes differenti. Tre percorsi della tradizione, che a volte si sovrappongono tra loro, a volte si somigliano, a volte seguono vie diverse. Si tratta di fenomeni che possono risultare significativi, e si possono schematizzare come segue: Glosse esichiane identiche in Galeno o in Erotiano; Glosse esichiane a cui corrispondono glosse simili in Galeno o in Erotiano; Glosse esichiane parzialmente simili a quelle di Galeno o di Erotiano, ma in Esichio più ampie e frutto presumibilmente della coagulazione di più fonti; Glosse che hanno una sostanza non dissimile da quella di Galeno e Erotiano, ma forma diversa; Glosse con lemma corrispondente, ma interpretationes del tutto diverse da quelle di Galeno o Erotiano; Glosse che ricorrono simili in Galeno o Erotiano, ma in Erotiano sono più ampie che non in Esichio; Glosse che presentano affinità in Erotiano, Galeno, Esichio, ma sembrano riferirsi a loci e auctores classici differenti.

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Il nesso del nostro testo con una tradizione che risale almeno ad età alessandrina emerge anche dal confronto tra la terminologia di Apollonio Rodio e il Glossario galeniano in Erbse, Homerscholien, pp. 187ss. Cf. anche supra, p. 106. Prezioso è il repertorio offerto da A. Anastassiou e D. Irmer nel vol. IV dei TeCH. Un elenco puntuale delle glosse galeniane confrontabili con Esichio è in Ilberg, De Galeni Glossario, pp. 351–353, il quale riteneva che la frequente congruenza fosse da ascrivere al ricorso all’enciclopedia di Panfilo. Tutti gli esempi di glosse esichiane in cui ricorre il nome di Ippocrate, e il loro raffronto con quelle di Erotiano e di Galeno, sono per esteso in Perilli, Su Esichio, dove si troveranno anche ulteriori dettagli sulla questione qui riassunta.

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Una delle difficoltà consiste nel separare quanto nei tre autori, ma in particolare in Esichio, trae origine da Diogeniano, rispetto a quanto deriva da stratificazioni posteriori, di cui l’esempio più noto e evidente è quello delle glosse dette di Cirillo. La filiazione Panfilo – Diogeniano – Esichio fa risalire le glosse esichiane a un’età e a fonti di sicuro interesse. Una caratteristica delle glosse mediche di Esichio (intendendo glosse i cui lemmi risalgono a testi di medicina, ma che non sono necessariamente di contenuto medico) è che esse risultano in più di un caso particolarmente vicine ai « frammenti » di Erotiano. Questo dato di fatto può essere riformulato diversamente: le glosse mediche di Esichio risultano particolarmente vicine agli scoli contenuti in alcuni manoscritti ippocratici, in particolare R (Vat. gr. 277) e M (Marc. gr. 269), in genere considerati frammenti del Glossario ippocratico di Erotiano. I frammenti erotianei si sono dimostrati attribuibili a Erotiano soltanto in quei casi per i quali si abbia una conferma esterna, mentre numerosi sono trascritti o da Esichio, o dalla fonte a cui attingono tanto Esichio quanto altri compilatori e forse lo stesso Erotiano: vale a dire Diogeniano, attraverso il quale giunge a Esichio la ricchezza della lessicografia e glossografia ippocratica dall’età alessandrina in avanti. Il Lessico di Esichio contiene, tra le sue circa 51.000 glosse, numerosi lemmi medici. Esichio lamenta nella Prefazione che le sue fonti, evidentemente repertori generalisti, non menzionavano l’autore e l’opera da cui il lemma era tratto, e rivendica di aver integrato egli stesso quell’indicazione attingendo ad altri repertori, come Aristarco, Apione, Eliodoro. (οὐ μόνον αὐτῶν τῶν χρησαμένων τὰ ὀνόματα προσγέγραψα, ἀλλὰ καὶ τὰς ἐπιγραφάς, πάντων μὲν ἀπὸ τῶν ἀντιγράφων προστιθείς, οὐδαμοῦ δὲ πονεῖν παραιτησάμενος). Il nome di Ippocrate come referente della glossa ricorre quindi in 14 casi, di cui due dubbi (α 5432 e δ 1360). Questi sono così distribuiti: 7x α, 4x β, 2x δ, 1x κ. Dopo la lettera κ, nessuna glossa è più assegnata esplicitamente a Ippocrate. Esichio sembra aver gradualmente rinunciato all’impresa, assai ardua, di recuperare la fonte della glossa141. Un esame comparato delle glosse in cui Esichio menziona il nome di Ippocrate e dei Glossari di Galeno e di Erotiano, conferma la varietà delle situazioni142. Queste le glosse esichiane in questione, con quelle corrispondenti in Erotiano e in Galeno: 1. 2.

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Hesych. α 2216 αἰών Hesych. α 3193 ἅλμα

Erot. α 70 desideratur ap. Erot. et

Gal. α 31 Gal.

Sulle glosse esichiane e la loro pertinenza al testo di Ippocrate cf. ora TeCH III passim e Index pp. 473–479. A parte le quattordici glosse in cui Esichio stesso menziona Ippocrate come fonte, Kurt Latte (per la sezione da lui edita, α – ο) individuava 89 glosse riferibili a Ippocrate, che portano il numero complessivo a 103 voci. Si tratta di un numero estremamente prudente. M. Schmidt, nelle Quaestiones Hesychianae, da un sondaggio sulle prime 5000 glosse ricavava 73 lemmi ippocratici, nella stessa sezione in cui Latte ne individuava soltanto 23; K. Strecker (Zu Erotian, Hermes 26, 1891, pp. 262–307), confrontando le sole 770 glosse di Erotiano con Esichio, rinviene in quest’ultimo ben 263 voci di provenienza ippocratica. L’indice dell’edizione di Schmidt (V, pp. 107–109) registra oltre 400 luoghi da mettere in correlazione con Ippocrate; pochi meno sono quelli che l’attenta disamina di A. Anastassiou e D. Irmer (TeCH III) ha ritenuto come meritevoli di considerazione per il Corpus Hippocraticum. Interessante analisi approfondita resta quella di Strecker, Zu Erotian.

116

L’opera e le sue caratteristiche 3. 4. 5.

6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.

Hesych. α 4067 ἀμφιμήτριον Hesych. α 5421 ἀντιλαβαί (dub.) Hesych. α 6432 ἀπολελαμμέναι

desid. ap. Erot. desid. ap. Erot. Erot. α 8

Hesych. α 7572 ἀρχαία φύσις Hesych. α 8894 ἄχνη πυρός Hesych. β 136 βαλβίς Hesych. β 740 βλιχῶδες Hesych. β 870 βουβάλιον Hesych. β 1117 βρῆγμα Hesych. δ 1360 †διασαφῶν Hesych. δ 1794 δίκαιον Hesych. κ 1976 κέδματα

Erot. α 19 Erot. α 76 Erot. fr. 42 Erot. β 8 desid. ap. Erot. desid. ap. Erot. (dub.) Erot. δ 8 Erot. fr. 54 et κ 15

et

Gal. α 87 Gal. desid. ap. Gal. Gloss., exstat in Comm. ad Prorrh. XVI 683 desid. ap. Gal. desid. ap. Gal. Gal. β 2 desid. ap. Gal. Gal. β 16 Gal. β 19 (dub.) desid. ap. Gal. Gal. κ 37

Numerose altre, come si è detto, sono le glosse esichiane che presentano motivo di interesse in relazione al Glossario galeniano: di queste si troverà traccia nell’apparato dei loci similes. V. Caratteristiche del Glossario Il Glossario è aperto da un Proemio, il cui interesse consiste da un lato nelle osservazioni relative ad alcuni predecessori nell’esegesi ippocratica, dall’altro in ampie citazioni da Aristofane, in particolare dai Daitaleis; infine, nella puntualizzazione dei princìpi operativi che avrebbero presieduto alla realizzazione dell’opera. Al Proemio segue la serie delle glosse. Come in ogni Glossario, ogni voce costituisce una entità autonoma. Le glosse sono piuttosto disuguali: per ampiezza, per tipologia della interpretatio, per classe semantica di appartenenza dei lemmi. I lemmi erano fin da principio in rigoroso ordine alfabetico (cf. supra, p. 98), che teneva conto dell’intera parola e, in caso di lemmi compositi, anche delle parole successive143. Solo raramente viene indicata l’opera ippocratica a cui la glossa si riferisce. Nei lemmi, non sono individuabili con sicurezza casi di normalizzazione, sebbene anche per il nostro Glossario sia stato ipotizzato questo fenomeno, tipico di alcuni lessici soprattutto generalisti (per cui le forme nominali sono spesso normalizzate al nominativo singolare o plurale, o all’accusativo, le forme verbali invece alla prima o alla terza persona, o all’infinito). In Galeno, i lemmi si direbbero in genere addotti nella forma in cui ricorrevano nella fonte; quando un lemma ricorre in Ippocrate in una forma diversa rispetto a quella attestata nel Glossario, non è possibile stabilire se sia normalizzato o si riferisca invece a un locus Hippocraticus diverso da quello identificabile (questo può valere anche nel caso in cui il termine sia hapax nel nostro Ippocrate); ovvero se la divergenza si debba al fatto che Galeno attinge, direttamente o indirettamente, ad altra fonte (un repertorio, un’opera esegetica) senza preoccuparsi di verificarne la congruità con il testo ippocratico. Accade infatti che a volte la glossa galeniana risulti esse143

Maggiori dettagli in Perilli, Da medico a lessicografo, di cui si aggiornano e sviluppano in quel che segue gli elementi essenziali.

Caratteristiche del Glossario

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re stata direttamente estratta da un contesto più ampio, talora discorsivo – un commento, ad esempio –, e che dunque il lemma non fosse citato nella forma in cui ricorre in Ippocrate ma in quella richiesta dal contesto nel quale era inserito. Non è possibile individuare eventuali criteri che presiedettero alla scelta dei lemmi. a) Tipologie delle glosse Le glosse si presentano in una varietà di tipologie. I campi semantici a cui si riferiscono sono diversi, non solo voci di pertinenza medica (affezioni, malattie, manifestazioni delle malattie, termini anatomici), ivi compresa la terminologia riferita agli strumenti medico-chirurgici, o voci farmacologiche (rimedi di vario genere) o relative a recipienti e utensili; sono presenti anche, e non rari, termini botanici, zoologici, mineralogici (in genere connessi con la farmacologia), architettonici, etnici, o generici, inclusi in quanto tecnicismi o arcaismi, o ancora per l’uso metaforico o idiomatico, o perché forme dialettali. A voci nelle quali si ha una corrispondenza simmetrica tra un lemma, costituito da un unico termine, e un singolo interpretamentum, si alternano voci in cui i glossemi riportano dapprima un interpretamentum, poi nomi di interpreti precedenti ai quali esso risale (e.g. α 4), ovvero glossemi più ampi, esplicativi o persino discorsivi, con opinioni di predecessori, spesso non accolte da Galeno, e con una più dettagliata argomentazione. Talora si hanno citazioni da autori classici diversi da Ippocrate. Ci sono anche lemmi, in particolare aggettivi, per i quali non viene dato il significato ma ci si limita a fornire il sostantivo a cui si riferiscono (una tipologia del meccanismo della « coppia contigua »)144; frequenti sono le voci in cui il lemma è spiegato mediante una serie sinonimica, e non mancano le glosse di tipo etimologico, né lemmi dei quali viene indicato non il significato ma la sola categoria di appartenenza (botanica, zoologica, etc.). In alcuni casi si ha nell’ambito di una stessa glossa la spiegazione di una serie di lessemi affini tra loro, in altri casi un termine può ricorrere sia come lemma, sia (altrove) come interpretamentum. b) Struttura delle glosse e rapporto con Ippocrate 1. Il confronto con Erotiano e il ruolo del testo ippocratico Il Glossario di Galeno è profondamente diverso da quello di Erotiano, che può valere come rappresentante della glossografia ippocratica precedente e nasce come testo di supporto diretto per la lettura di Ippocrate. Lì, le glosse erano in origine ordinate in base all’opera ippocratica in cui venivano individuate, alla quale sono direttamente connesse (solo in seguito saranno disposte alfabeticamente). Le glosse di Erotiano, per quanto possiamo vedere da ciò che ne rimane, erano almeno in parte molto ricche e dettagliate, dense di citazioni sia dai predecessori che da autori classici, a partire da Omero, e presentavano una struttura perfettamente adeguata a un glossario specialistico. Un tale Glossario poteva essere usato anche come una sorta di commento linguistico al Corpus Hippocraticum. Ilberg ipotizzava un autore che scriveva le sue 144

Sulla « coppia contigua », cf. Marzullo, La coppia contigua in Esichio, cui fa riferimento Hunger, Die hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, p. 633. Cf. anche Tosi, Studi sulla tradizione indiretta dei classici greci, Bologna 1988, pp. 127ss., e sotto, nota a σ 68.

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L’opera e le sue caratteristiche

annotazioni in margine a un esemplare di Ippocrate, per poi riportarle una dopo l’altra, nel medesimo ordine, in un nuovo manoscritto, aggiungendo una premessa e dando al tutto una forma più compiuta. In realtà, che Erotiano avesse davanti a sé il testo ippocratico dal quale estrarre i lemmi bisognosi di esegesi non può considerarsi acclarato. Ma è necessario, innanzitutto, porsi un interrogativo fondamentale: quale testo ippocratico? Noi sappiamo che in età alessandrina « Ippocrate » era già un autore consolidato. Non è un caso, se i più antichi lessici rivolti ad un singolo autore giunti fino a noi sono quelli ippocratici. Ma il testo che leggevano gli alessandrini era un testo diverso dal nostro, ed era un testo diverso anche da quello che leggeva Galeno. Erotiano, a sua volta, offre nei suoi lemmi lezioni che spesso si distaccano da quelle dei nostri manoscritti ippocratici. In questi ultimi, il testo degli alessandrini sarebbe giunto, secondo il giudizio di Franz Pfaff, « rielaborato e annacquato »: anche a causa proprio dei Glossari d’ogni tipo, che avevano favorito l’interpolazione nel testo di lectiones faciliores tratte dagli interpretamenta (interpretamentum pro lemmate), un fenomeno noto che non richiede qui approfondimento. L’esempio di Erotian. μ 9 è istruttivo: qui la glossa recita μᾶσσονÝ Βακχεῖος μέν φησιν ἔλασσον, Ἡρακλείδης δ᾽ ὁ Ταραντῖνος πλεῖον, mentre i codici ippocratici (siamo nel De locis in homine 43: p. 73,8 Joly = V I 336,11 L., μάσσον προσενέγκηται Joly) riportano la coppia πλέον ἢ ἔλασσον, in un esempio di « coppia contigua » in direzione inversa, che passa dai lessici al testo invece che percorrere la via contraria. Molte lezioni dell’Ippocrate originale dovettero andare perdute per queste vie145. Tale indebolimento del testo ippocratico, in cui a lessemi più antichi di caratura alta si sostituì un greco più familiare, dovette essere fenomeno diffuso e precedente Erotiano, e contribuire a rendere viva l’esigenza di una nuova edizione che ristabilisse un dettato accettabile: le edizioni saranno poi due, ad opera di Artemidoro Capitone e di Dioscoride, realizzate tra il 117 e il 138146. Ma Erotiano, così come Galeno, nel selezionare i lemmi, sembra non aver avuto davanti a sé il testo corrente di Ippocrate, bensì attingere alle opere più antiche redatte dai glossografi che lo avevano preceduto sulla base di un testo « alto », mentre caratteristiche più corrive sembrano affiorare nel testo ippocratico citato nelle explicationes, quasi ad indicare che si trattasse di edizioni di epoche diverse e di diversa qualità. Il testo che Erotiano aveva sul tavolo appare generalmente peggiore anche di quello dei nostri manoscritti, nel senso di una maggiore elementarità del dettato. In ogni caso, quale che fosse il nesso di Erotiano con il testo ippocratico e con le edizioni precedenti, irruppero poco più tardi Artemidoro e Dioscoride. 2. Il modo di lavorare di Galeno nel Glossario Le loro edizioni conosce Galeno, che le compulsa: anche per Galeno, tuttavia, è da chiarire in che modo egli lavorasse e a quale testo di Ippocrate facesse riferimento. Che anch’egli attingesse per le sue glosse a opere precedenti, è chiaro; il Glossario è opera 145

146

Cf. Pfaff, Die Überlieferung des Corpus Hippocraticum, di cui si riprendono qui alcune conclusioni. Cf. Roselli, Galeno e la filologia, p. 71.

Caratteristiche del Glossario

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giovanile, risalente a quando Galeno poteva avere ancora nella memoria, e negli appunti, le lezioni dei suoi maestri, e a quando poteva ancora disporre dei propri libri, almeno i primi che aveva raccolto. Questo Sondergut, fatto di memoria, appunti sparsi, e consultazione di libri avrà egli messo a frutto nel Glossario, che di tale varietà di fonti porta ben visibili le tracce. Proprio l’attività esegetica di Galeno e le sue analisi di dettaglio dovettero contribuire a consolidare il testo di Ippocrate, che da allora andò soggetto alle consuete traversie di ogni trasmissione manoscritta, ma non ad alterazioni sostanziali come sembrano intravedersi nella fase alessandrina. Galeno usava verosimilmente come base per il suo lavoro di commento il testo ippocratico di Artemidoro147, che è stato giudicato più maneggevole148, e con questo confrontava dove necessario quello di Dioscoride, criticamente più ricco e dotato di qualche sorta di apparati, la cui peculiarità dell’annotare varianti Galeno ricorda di frequente. Galeno dichiara più di una volta, in particolar modo nei commenti, di attingere a ulteriori manoscritti, che arrivavano ad essere vecchi anche di trecento anni, ma quanto questo corrisponda a verità, se questi manoscritti fossero accessibili a lui solo e non anche agli editori che lo avevano preceduto, se – soprattutto – essi fossero portatori di un testo migliore, resta non chiarito. Dall’esame dei commenti galeniani emergono, anche in relazione al Glossario, ulteriori peculiarità che richiedono di essere spiegate. È Galeno stesso a dire nel De libris propriis (9,4: p. 160,6–8 Boudon = XIX 34,14 K.) che per la prima serie di commenti non ha utilizzato opere altrui ma piuttosto la sua memoria e i materiali delle lezioni che aveva seguito, mentre per la seconda serie, tra cui spiccano i commenti a Epidemie II, III, V I, Prorretico, De natura hominis, De aeribus, dice di aver utilizzato i lavori dei suoi predecessori149. Quali predecessori, e consultati in che modo? Secondo Pfaff, quel che Galeno dice non è vero: o lo è solo parzialmente, giacché avrebbe fatto uso piuttosto di selezioni e raccolte di materiali dai predecessori, come quella predisposta da Rufo di Samaria, un palestinese emigrato a Roma, di cui Galeno stesso informa nei commenti 6–8 al libro VI delle Epidemie, conservati in arabo. È opinione condivisa, che Pfaff abbia esagerato l’importanza di Rufo di Samaria, personaggio prima ignoto e scoperto proprio con la pubblicazione del commento arabo ora citato; e che Galeno abbia fatto uso almeno anche dei commenti degli empirici, e probabilmente in modo diretto, poiché dichiara esplicitamente di averli letti per intero e di averne tratto estratti (cf. In Hipp. Epid. V I comm. V II, e così ancora per Sabino; ma in ogni caso è plausibile che Galeno, se pure aveva conosciuto quei testi, non ne facesse uso continuo – operazione disagevole, che avrebbe richiesto uno sforzo e una quantità di tempo notevolissimi –, ma utilizzasse da un lato le sue schede, dall’altro opere di compendio. Del resto, se egli stesso può dire a più riprese che i propri libri erano conservati non presso di sé, ma in depositi fuori di casa, al sicuro, si può immaginare che la consultazione di quei testi non sempre fosse agevole. E mi chiedo, accogliendo una riflessione di Pfaff (che a questo proposito è più radicale), se il fatto che i rimproveri di Galeno ad Artemidoro sulla costituzione del testo e la lingua si concentrino principalmente nel

147 148 149

Cf. su questo, oltre a Pfaff cit., Diller, Rec. a Galeni in Hippocratis Epidemiarum, p. 233. Così Pfaff e Diller, citt. Che fosse realmente questo il caso, resta da dimostrare. Cf. Manetti – Roselli, Galeno commentatore, p. 1560, 1569; Roselli, Galeno e le edizioni ippocratiche, p. 20.

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L’opera e le sue caratteristiche

secondo gruppo di commentari (in particolare Epidemie II, III, VI e Prorretico) dipenda dal fatto che in quella seconda fase egli disponeva di una raccolta basata sui materiali più antichi (lessici e commenti) di cui potesse agevolmente fare uso150, o se invece, come ipotizza A. Roselli, la spiegazione sia da ricercare nel mutato atteggiamento del Galeno maturo. A me pare di poter dire che all’epoca della stesura del Glossario questo avesse Galeno sulla sua scrivania: testo di Dioscoride per le varianti e i riscontri di dettaglio; forse, il testo di Artemidoro (poteva trattarsi di un esemplare della edizione di Artemidoro sul quale erano stati annotati interventi e proposte di Dioscoride?); raccolte di passi dai commenti altrui; appunti dalle lezioni dei suoi maestri; lessico di Dioscoride; lessico di Erotiano; la riduzione operata da Diogeniano dell’enciclopedia di Panfilo secondo l’adattamento già elaborato da Giulio Vestino; l’epitome da lui stesso realizzata dell’opera di Didimo sul lessico della commedia, utile per gli esempi e per alcuni termini comuni a Ippocrate. Quanto di questo Galeno abbia poi effettivamente utilizzato, non è facile da dimostrare. Non si può naturalmente escludere l’uso occasionale di altre opere, ma la fretta e l’approssimazione con cui il Glossario è redatto non incoraggia questa ipotesi. 3. Rapporto con Ippocrate L’opera di Galeno, al confronto di quella di Erotiano, ha una struttura elementare. I glossemi, o interpretationes, sono avari di informazioni; quasi mai recano l’indicazione dell’opera ippocratica a cui il lemma risale; e l’ordinamento è fin da principio quello alfabetico, ad indicare che l’opera era concepita per un uso indipendente. La raccolta appare quindi destinata a costituire un repertorio di termini medici che Galeno si augura utile anche τοῖς τὰ πρῶτα γράμματα μεμαθηκόσι: in questo modo si spiega meglio, forse, il disinteresse che a volte si rileva nei confronti del lemma e della sua forma, e di conseguenza è forse meglio comprensibile il fatto che oltre il 30% dei lemmi non sia reperibile in Ippocrate, e che molte altre voci ricorrano nel Corpus Hippocraticum senza che però si possa privilegiare una occorrenza rispetto ad altre, in modo tale che complessivamente circa il 50% delle glosse non è localizzabile con sicurezza. Concorrono certo altre ragioni, come opere perdute, lacune nel testo o varianti non più attestate: ma queste da sole non appaiono sufficienti. Ciò non significa che il nesso con il testo di Ippocrate andasse del tutto perduto, e di questo testimoniano sia le glosse in cui è presente un rinvio a un’opera, sia la presenza di discussioni su varianti testuali: le quali sembrano però a volte una presenza incongrua, poiché in assenza di un modo per capire a quale opera e passo ci si riferisse, difficilmente il lettore avrà potuto mettere realmente a frutto quel tipo di informazioni. Anche l’annuncio fatto nel Proemio, per cui Galeno dichiara di non fare distinzione nel Glossario tra opere autentiche e spurie, sembra un segno proprio del fatto che l’interesse non era unicamente rivolto a Ippocrate ma più generale, tanto più che sono presenti glosse che, a quanto sappiamo, potrebbero essere riferite persino alle tarde Epistole (cf. θ 3).

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È quella che Pfaff attribuiva a Rufo di Samaria.

Caratteristiche del Glossario

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c) Il Proemio Il Proemio mostra, rispetto al resto dell’opera, la mano di Galeno, e un maggior grado di rifinitura. Da quanto lì Galeno dichiara, se evince quanto segue: – tra gli autori con i quali Galeno si confrontava spiccano Dioscoride glossografo e Bacchio, l’autore del più autorevole glossario ippocratico in età alessandrina (144,1, 144,16, 148,14, 148,20); a Dioscoride, il cui testo era evidentemente accessibile, Galeno rinviava chi volesse notizie sui termini più comuni (148,14); – nello studiare solo le « glosse » e non le lexeis, Galeno dichiara di aver deliberatamente omesso molti materiali, tra cui i termini botanici (144,8), con alcune eccezioni (148,9); ciononostante, rispetto a quella di Bacchio la sua opera sarebbe stata molto più completa (148,20), un’affermazione per la quale, di fronte al testo del nostro Glossario, appare lecito sorprendersi; – i materiali del Glossario fornirebbero una trattazione ridotta e frutto di selezione di quanto trattato in altre sue opere (148,19); – l’ordine delle glosse sarebbe stato quello alfabetico (142,6); – le opere ippocratiche prese in considerazione erano non solo quelle autentiche ma anche le spurie (148,19); – il trattato si configurava in modo da essere utile non solo all’amico Teutrante che lo aveva sollecitato a scriverlo, ma anche a un pubblico più ampio, compresi i principianti (148,11s.); – infine, un certo significato può avere la scelta delle commedie di Aristofane come opere da cui trarre, nel Proemio, esempi di termini glossematici: alla lingua di Aristofane e della commedia Galeno aveva dedicato specifici trattati, e Aristofane era autore ricorrente per lessicografia e glossografia. Solo alcune di queste indicazioni trovano nel corpo del Glossario un riscontro coerente: altre sono palesemente contraddette (come la affermata maggiore completezza rispetto a Bacchio, la provenienza delle glosse da altre opere dello stesso Galeno, l’omissione di lemmi botanici, che sono invece in numero proporzionalmente significativo). d) Singolarità delle glosse e incongruità sintattiche Il Glossario presenta delle anomalie, che inducono a credere che l’autore non abbia operato direttamente uno spoglio delle opere ippocratiche; forse, almeno in alcuni casi, non ha neppure verificato sul testo di Ippocrate quanto attingeva dalle sue fonti. Le sue glosse sono per lo più elementari, talvolta la interpretatio omette di fornire il significato del lemma (fenomeno non raro nella lessicografia, ma inatteso in un’opera che si suppone di sussidio alla interpretazione di un testo ed esplicitamente rivolta anche ai principianti); talaltra il greco appare rudimentale, in alcuni casi sintatticamente inatteso. Frequenti sono incongruità formali di cui si può ipotizzare la scaturigine nel rapporto con le fonti e nel modo di lavorare, ma che nondimeno non poteva-

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L’opera e le sue caratteristiche

no non disturbare il lettore già antico151. Connessa a questo aspetto è la complessiva povertà, anche quantitativa, del Glossario: se nel Proemio Galeno proclama di non voler trascurare nessuna glossa, di voler aggiungere quelle, numerose, tralasciate a suo dire da Bacchio, di voler prendere in considerazione sia opere autentiche che spurie, a tutto questo l’opera attualmente esistente non dà risposta. L’autore verosimilmente attinge, non sempre con attenzione, da fonti diverse, che taglia talora in modo meccanico e in qualche caso improprio, senza adeguata considerazione della sostanza, omettendone indicazioni rilevanti senza le quali cambia il senso dell’informazione fornita (e.g. κ 8); può frammentare una glossa presente unitariamente nella sua fonte in due o forse più glosse autonome, senza curarsi di dare ad esse forma adeguata alla nuova suddivisione (e.g. α 16, σ 55, λ 20, vedi l’elenco qui sotto a p. 123); altrove, sembra unificare in un’unica glossa interpretamenta che nella fonte erano relativi a due lemmi differenti, e in modo tale che non solo si trovano riuniti interpretamenta di significato diverso, ma si perde la corrispondenza con il testo di Ippocrate, poiché originariamente (nella fonte a cui Galeno attinge) ci si riferiva a due luoghi diversi (e.g. σ 40). Accade poi, stando a quanto sembra di poter giudicare, che Galeno riprenda e trasformi in lemma voci che nei predecessori ricorrevano all’interno della interpretatio in quanto formanti del lemma, addotte allo scopo di spiegarlo (ω 7): nasce ancora una volta il sospetto, che il rapporto con il testo di Ippocrate sia falsato, e che Galeno non si preoccupi di riportare un lemma nella forma in cui esso ricorre in Ippocrate. Se le cose stanno così, se questa ipotesi è accettabile, allora anche il tentativo di individuare il locus Hippocraticus sulla base della coincidenza con il lemma nella forma flessa non sempre è privo di rischi. E di conseguenza, il testo ippocratico a cui il Glossario fa riferimento in questi casi non è quello utilizzato da Galeno, ma quello utilizzato dai suoi predecessori – la qual cosa riporterebbe a un testo più antico. Ulteriore occasione di riflessione offre la glossa ε 38, all’apparenza innocua: ἔλυτρα· σκεπάσματα. Chi osservi però che il lemma, in quella forma, non ricorre in Ippocrate; che esiste una corrispondente glossa di Erotiano (ε 59) che reca il lemma nella forma in cui ricorre in Ippocrate (al dativo plurale); che la interpretatio di quest’ultima glossa presenta chiara coincidenza con quella di Galeno, poiché il testo recita: ἐλύτροισιν· ἔλυτρα λέγονται τὰ περιεκτικὰ τῶν σωμάτων, οἷον σκεπάσματα, chi osservi questi dati converrà forse che la glossa di Galeno appare verosimilmente tratta piuttosto da un testo come quello di Erotiano, e che il testo galeniano mostra un sostanziale disinteresse per la forma del lemma ippocratico. Nella costituzione del testo del Glossario, tali peculiarità non restano senza conseguenze: infatti, laddove si sarebbe tentati di correggere per restituire coerenza al greco o per trovare una corrispondenza con il testo ippocratico, ogni intervento rischia di diventare improprio, se la mancanza di coerenza può essere dovuta al modo di lavorare dell’autore e non a un errore originatosi nel corso della tradizione. Esempi di casi in cui l’editore potrebbe essere portato a correggere, e che invece appaiono segnali non privi di significato circa l’origine delle glosse, sono costituiti dall’uso di marche linguistiche inattese, come il τε isolato in inizio di glossema (in

151

Va da sé che per uno scritto come il Glossario non valgono, già per la tipologia dell’opera, le considerazioni di chiarezza stilistica e semplicità linguistica di cui in Mansfeld, Prolegomena, pp. 149ss.; gli elementi inattesi sono però tali da suscitare comunque perplessità.

Caratteristiche del Glossario

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seconda posizione dopo la prima parola) (cf. α 74, α 121, β 18); la formula ἐστὶ τὸ αὐτό di β 11, in assenza del termine del confronto a cui l’espressione rinvia; l’αὐτοί sintatticamente privo di referente, se non implicito, di α 16, dove Ilberg infatti correggeva in Αἰγύπτιοι; il sintagma ὅπερ καί ad introdurre una interpretatio (e.g. α 15, α 22). Si tratta in quest’ultimo caso di una formula che, a differenza del Glossario, è rara nella lessicografia greca superstite, dove non si riscontra all’inizio della interpretatio (è due volte in Polluce, una in Arpocrazione, due volte nell’intero Esichio, 17 nella Suda, invece 23 volte nel Glossario, nonostante la limitata estensione dell’opera); ricorre più volte negli etimologici, dove il sintagma serve spesso a introdurre una semplice variazione grafica, talora dialettale, del lemma (tipica di quel genere di opere), prima o dopo che dello stesso venga fornita la spiegazione. Mi chiedo, se nel Glossario quest’uso possa indicare che la interpretatio sia stata estratta da un contesto più ampio, e resa autonoma senza alcun adattamento. Le glosse χ 13–17 (cf. ad locc.) possono essere un ulteriore esempio di come il Glossario è stato costruito. Il commento a Epidemie VI (II 18: CMG V 10,2,2, p. 79) dimostra che probabilmente almeno alcune di queste voci erano parte di una discussione complessiva, di un unico passo, poi smembrato. Se è così, è allora del tutto coerente che alcune di queste glosse (14 e 15) non ricorrano in alcun luogo ippocratico. Ciò confermerebbe l’ipotesi, fatta per numerose glosse, che l’assenza di locus Hippocraticus si spieghi in più d’un caso non con opere perdute o con variae lectiones, ma con le caratteristiche stesse di un glossario che vuole essere lessico generale e non supporto alla lettura di Ippocrate, e con la conseguente assunzione a lemma di voci che con il testo di Ippocrate hanno a che fare a volte solo indirettamente. Cf. anche le serie σ 26, 27, 28; τ 22, 23, 24; φ 18, 20, 21; φ 25, 26, 27; χ 20, 21, 22; forse υ 25 e 26 insieme con ψ 4 e 5; coppie come α 18 e 19; α 22 e λ 20; ρ 17 e 19; φ 31 e 32; e poi glosse che nell’attuale disposizione sono distanti ma che forse in origine erano un tutt’uno, come ad esempio α 10 e τ 26; α 15 con β 17 ed ε 60; α 16 con κ 77; β 8 con π 37; π 11 con φ 14; ι 6 con μ 42 e σ 61. Si vedano le note ad locc.: alcuni casi, come quello di α 16 con κ 77, si possono considerare sicuri. Se si aggiunge che più glosse possono risalire a uno stesso passo ippocratico o sequenze di glosse discendere da una stessa opera (peculiarmente gli scritti ginecologici e Epidemie V I), si intenderà come il Glossario sia costruito a blocchi, con modalità diverse, che vanno dalla trascrizione diretta di interpretazioni dei glossari già esistenti, sia ippocratici che generalisti, alla trascrizione di materiali da commenti, all’utilizzo di appunti e schede personali di Galeno, alla trascrizioni di note marginali. Di queste varie modalità restano tracce chiaramente identificabili. Questo – il fatto cioè che un unico testo sia stato deliberatamente suddiviso dall’autore stesso in più glosse – ha fatto sì che nella nostra costituzione del testo si sia quasi sempre rinunciato a riunificare due glosse in una: salvo quei pochi casi di glosse contigue in cui il testo, così separato, risultasse incongruo o non comprensibile, e in cui la suddivisione apparisse dovuta non a una scelta dell’autore ma agli accidenti della trasmissione.

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L’opera e le sue caratteristiche

e) « Didymus’ oddities » Il caso del De Demosthene di Didimo – che andò soggetto a rielaborazioni e riduzioni, su una linea che porterà fino al Lessico di Arpocrazione, che da Didimo è ritenuto in buona parte dipendere152 – dimostra che il modo di lavorare degli antichi eruditi poteva essere a volte tutt’altro che accurato. S. West ha sostenuto, con buoni argomenti, che l’opera di Didimo (I sec. a.C.) presenta incongruenze, contraddizioni, errori, che la fanno risultare nel complesso come « hasty », « slapdash and ill-digested », caratterizzata da « lack of care … rather than mere clerical incompetence », sintomi che « should surely diminish our confidence in Didymus elsewhere ». « Even if we make every allowance for the hazards of transmission, there are some oddities in this work which can only be due to sheer thoughtlessness on the part of the author »153. In puntuale analogia con quanto accade per il nostro Glossario, « it looks as if Didymus has combined two authorities here without adequately digesting them ». Nell’uso delle fonti, egli « has evidently looked up his lexicographical files and reproduced the information which he found there without dovetailing it to its present context. The slight clumsiness might easily have been eliminated; it is surely significant that Didymus did not take the trouble to do so ». Il suo è « lack of interest »: certo si potrebbe ipotizzare che l’opera di Didimo, come spesso accadeva e come proprio Galeno lamenta, fosse entrata in circolazione incompleta e senza essere stata da lui « licenziata per la stampa », ma questa non appare spiegazione verosimile. Piuttosto, la gran quantità degli scritti attribuiti a Didimo fa sì che non sia sorprendente che egli lavorasse con « haste, inaccuracy, and superficiality ». «W hat we have here is potted scholarship, hurried compilation rather than intelligent re-interpretation, and that is no proper activity for a learned man ». Che alcuni di questi aspetti emergano anche dall’analisi del Glossario galeniano mi sembra significativo. Pur non potendosi estendere il giudizio su Didimo in tutta la sua durezza a Galeno, è tuttavia incontestabile che un’opera come il Glossario non mostri grande accuratezza né partecipazione da parte dell’autore – se non, come era da attendersi, nel Proemio, che sembra a sua volta dire ben più di quanto effettivamente si legge nella sezione delle glosse. Appare legittimo chiedersi se il Glossario sia da considerarsi opera compiuta oppure no, se non si tratti forse di un abbozzo, di un lavoro incompiuto, forse una serie di schede, di quegli appunti dei quali Galeno stesso ci informa ad esempio quando, nel Commento al sesto libro delle Epidemie (In Hipp. Epid. VI comm. VII, 7,2: CMG V 10,2,2, p. 412–13 = fr. 360d Deichgräber, Die griechische Empirikerschule, p. 415,14ss.), racconta di aver letto per intero le opere degli Empirici su Ippocrate e di averne tratto una serie di appunti: « Ich habe sie alle außer ganz wenigen gelesen und für mich selbst Auszüge aus dem gemacht, was die geschrieben haben, welche die Handschriften abschrieben ». Mi chiedo, insomma, se anche il Glossario rifletta un lavorare per schede, per Auszüge, a volte più attenti a volte più meccanici, che attendevano di essere 152

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Diels ipotizzava che si trattasse di una riorganizzazione di estratti provenienti da un hypomnema, e che il rapporto con il lessico di Arpocrazione fosse da considerare sicuro, mentre più problematico era quello con gli scoli a Demostene, cf. Diels – Schubart, Didymos, p. XI, LI et passim. Più di recente, cf. Pearson – Stephens, Didymi in Demosthenem commenta, Stuttgart 1983. Cf. West, Chalcenteric negligence, pp. 288–296.

I loci Hippocratici

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rivisti e uniformati, eventualmente ampliati (cf. anche il paragrafo seguente). A lungo mi sono chiesto – per quanto Galeno non fornisse appigli in tal senso – se non si dovesse ipotizzare che Galeno avesse delegato ad altri la poco emozionante compilazione del repertorio, riservando a sé invece la stesura del Proemio, e una revisione poi non portata a compimento: il fatto che, grazie a scoperte recenti, il Glossario si sia dimostrato opera giovanile, rende meno plausibile questa via. La scomparsa degli altri scritti lessicologici di Galeno, da lui stesso menzionati nel De libris propriis (dedicati a Cratino, Aristofane, Eupoli, agli ὀνόματα comici in generale, inoltre l’onomastico attico in 48 libri, e altri ancora), preclude ogni ulteriore verifica. VI. I loci Hippocratici Nonostante tutte le asperità circa le caratteristiche del Glossario, e nonostante che il rapporto con il testo ippocratico, come si è ora ricordato, sia assai incerto, si è comunque cercato di segnalare per ciascun lemma un plausibile locus Hippocraticus di riferimento. Poiché tuttavia un nesso con uno specifico passo appare spesso (per circa una glossa su due) difficile da individuare con sicurezza, l’indicazione del luogo va interpretata come un supplemento di informazione. Dove possibile, per individuare un luogo di riferimento si è fatto ricorso, come è d’uso, innanzitutto a Erotiano, le cui glosse erano originariamente ordinate sulla base dell’opera ippocratica a cui si riferivano (un ordinamento che gli studiosi si sono sforzati di recuperare), con maggiore fedeltà al testo. Solo in un numero limitato di casi il nesso può essere considerato sufficientemente sicuro. Il non reperitur, vale a dire l’assenza del lemma nel testo di Ippocrate che noi oggi leggiamo, è a volte indizio di una peculiare origine della glossa galeniana, che può provenire ad esempio da un commento o da altra opera (cf. e.g. φ 18, 20, 21 e supra, p. 109). Tale estrapolazione delle glosse galeniane da contesti (esegetici, glossografici) spesso più ampi fa sì che solo in alcuni casi si possa individuare un nesso univoco con un passo ippocratico; spiccano naturalmente quei casi, non molto frequenti, nei quali Galeno stesso rinvia nella explicatio a un’opera o riporta un citatum: sebbene, per paradosso, anche in questi casi non sempre il lemma sia reperibile nel testo a noi giunto, fenomeno che si dovrà ricondurre alle vicende a cui il testo era andato soggetto dall’età alessandrina a quella di Artemidoro Capitone e Dioscoride, di cui s’è detto, e all’uso da parte di Galeno di edizioni diverse, sia pure con la prevalenza di quella di Artemidoro. Quanto alle opere ippocratiche, Galeno dichiara nel Proemio di non fare distinzione tra autentiche e spurie, e – qualunque sia il valore che si intende riconoscere a questa affermazione – è indubbio che essa non agevola nella ricostruzione. Sappiamo, ad esempio, che Galeno non considerava De mulierum natura opera ippocratica, come del resto aveva fatto prima di lui Erotiano, e dunque si è generalmente propensi a pensare che le non poche glosse che appaiono ricollegabili a questo trattato lo siano perché ne esiste generalmente una redazione parallela in De mulierum affectibus: tuttavia, se è vero (e non è detto che lo sia) quel che si dice nel Proemio sulla mancata distinzione tra opere autentiche e spurie, anche questo elemento viene meno, come conferma il caso di μ 45 (cf. nota ad loc.); per prudenza, per le glosse presenti solo in

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Mul. nat. si è premesso al rinvio un « cf. »154. Un altro caso che merita segnalare è quello di Coacae praenotiones, che Erotiano non comprendeva tra le opere ippocratiche, e che dunque Nachmanson nella sua edizione esclude dalle possibili fonti: accade però che vi siano, sia in Erotiano che in Galeno, lemmi per i quali Coac. appare l’unica possibile fonte oggi disponibile, e dunque si dovrà decidere se pensare a un’opera perduta o a una variante non più attestata, o invece considerare, almeno per Galeno, anche quell’opera per i possibili riscontri. Un esempio è in κ 72. Altri casi, come ad esempio quello già segnalato delle Epistole, saranno indagati di volta in volta. Potrà essere utile riportare qui il quadro delle opere ippocratiche utilizzate da Erotiano nella specifica sequenza in cui quegli le leggeva, secondo la ricostruzione di Nachmanson, che segue quelle di A. Heringa (1761) e di J. Ilberg (1893), e che a p. XIX dell’edizione offre l’elenco seguente155: « I. SEMIOT ICA: Prognosticum. Prorrheticus I. De humoribus. De diaeta (?). Epidemiae I–V I. Aphorismi. II. PHYSICA ET AET IOLOGICA: De genitura. De natura pueri. De natura hominis. De aëre, aquis et locis. De flatibus. De morbo sacro. III. T HERAPEUT ICA: Lex. De humidorum usu. De sanitate. De locis in homine. De prisca medicina. De arte. De medici officina. Vectiarius (i.e. capita quaedam amissa, De ossium natura, Vectiarius). De ulceribus. De capitis vulneribus. De vulneribus et telis. De fracturis. De articulis. De victu acutorum. De morbis I. De septimanis. De morbis III. De morbis II. De affectionibus interioribus. De morbis IV (?). De mulierum affectionibus I–II. De sterilibus. De haemorrhoidibus. De fistulis. De alimento. IV. Presbeuticus. Iusurandum ». Il volume II 1 di TeCH offre un tentativo di ricondurre le glosse ai singoli passi del CH; ma il lungo elenco finale lì reperibile in appendice, contenente glosse non assegnabili a un passo preciso (o perché il lemma è ignoto a Ippocrate, o perché lo si ritrova in più occorrenze tra le quali non si hanno elementi per operare una scelta), è rivelatore. Nella gran parte dei casi le connessioni tra glosse e loci Hippocratici proposte da TeCH sono risultate condivisibili. L’Index Hippocraticus di Amburgo ha valorizzato e messo a frutto, investigandole in modo sistematico, le glosse galeniane. Le glosse potenzialmente riferibili allo scritto, perduto, De vulneribus et telis, già studiate da Ilberg e Nachmanson, sono ora analizzate da M. Witt156, e a questo proposito giova 154

155 156

Così Ilberg, Das Hippokratesglossar, pp. 139s., rilevava una sovrapposizione tra Mul. affect. e Mul. nat. nelle glosse citate da Erotiano, ma ammetteva la possibilità che alcune glosse dalla seconda opera fossero identificabili come fonti; Nachmanson, ESt, p. 437 (cf. anche p. 415), riprende la questione, e pur orientato a escludere Mul. nat. dalle fonti di Erotiano, lascia aperta la possibilità, non essendo possibile avere prova del fatto che Erotiano abbia utilizzato quell’opera, né dimostrare che l’abbia ignorata. Nell’edizione di Mul. nat. di F. Bourbon, p. CXXIX si segnala come l’opera non rientrasse tra quelle che Galeno considerava autenticamente ippocratiche. In TeCH I, pp. XXVII–XXVIII sono reperibili gli elenchi proposti dai tre studiosi. Nel volume Weichteil- und Viszeralchirurgie, pp. 47–57, l’autore riparte dalle attribuzioni proposte da C. Salazar, Fragments of lost Hippocratic writings, e sottopone a dettagliata verifica caratteristiche e attribuzione delle glosse; cf. anche pp. 234–239 per la testimonianza di Paolo di Egina, per il quale C. Salazar (p. 544) giudicava « more than likely » la conoscenza del trattato di Ippocrate. Per quanto riguarda le glosse di Esichio, TeCH III, p. 394 ritengono che quelle più verosimilmente riconducibili a Vuln. et tel., insieme ad altre plausibili, siano α 2216 αἰών, 7310 ἄρμη, 8134 ἄτρακτος, σ 1478 σπερχόμενος, τ 1243 τράμις.

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ricordare che Paolo di Egina, in una sezione intitolata Περὶ βελῶν ἐξαιρέσεως della sua opera (V I 88), attinge con ogni probabilità all’omonima opera perduta di Ippocrate e ne fornisce testimonianza: lì sono attestate due delle glosse galeniane riferibili a Vuln. et tel., i.e. α 163 e τ 8. Anche lo scoliasta agli Alexipharmaca di Nicandro sembra aver avuto ancora accesso alla medesima opera, se così si deve interpretare la testimonianza relativa alla glossa α 103, cf. nota ad loc.: un lemma, che non ha riscontro in Ippocrate ma che stando alla sequenza di Erotiano dovrebbe derivare da Vuln. et tel., viene citato con un breve contesto, e attribuito ad Ippocrate, dallo scoliasta ad Alexiph. 81c 1. Numerose glosse, in particolare con riferimento a Dioscoride, sono oggetto d’indagine anche sul piano della costituzione testuale in Manetti – Roselli, Galeno commentatore157. Un tentativo analitico di indicare i luoghi di riferimento per i glossari di Erotiano e di Galeno è nel singolare volume di K. Mitropoulos, Γλωσσάριον ῾Ιπποκρατείου Συλλογῆς (Ἰδίᾳ κατ᾽ Ἐρωτιανόν καί Γαληνόν), Athenai 19822, che stampa sinotticamente il testo delle glosse dei due testi, insieme con altri materiali, registrando il possibile luogo ippocratico, mentre il testo dei due Proemi è riprodotto, parzialmente, nel corso della Introduzione (pp. 4–8)158. Le glosse di Galeno e di Erotiano potenzialmente riferibili ai diversi scritti ippocratici sono state regolarmente indagate e per quanto possibile edite da J. Jouanna per le opere da lui curate nella Collection des Universités de France, in apposite sezioni delle introduzioni ai vari volumi e in vari articoli; lo stesso hanno fatto gli editori successivi per la stessa collana e per i volumi CMG, ove opportuno, come anche è accaduto in altre edizioni ippocratiche, per le quali il Glossario offrisse riscontro. Alcune peculiarità relative al rapporto con il Corpus Hippocraticum emergono dall’analisi del testo. La prima è la decisa prevalenza, tra le possibili opere ippocratiche di riferimento, degli scritti ginecologici e di quelli nosologici di Malattie (con netta prevalenza di Morb. II e di Affect. int.), insieme con le Epidemie. A chi compulsi la lista dei possibili loci Hippocratici nell’Index locorum tale aspetto apparirà evidente. La seconda peculiarità consiste nel fatto che alcune sequenze di glosse sembrano relative, in blocco, alla medesima opera ippocratica. Il caso più eloquente è quello di De mulierum affectibus. Colpisce già l’inizio del Glossario, in cui a Mul. affect. si possono ricondurre le glosse α 1, α 3, (α 4), α 6, α 8, (α 16), α 17, α 18, (α 19), α 20, quindi l’intero blocco α 69, α 70, α 71, α 72, α 73, α 75159. Numerosi sono gli altri esempi, basti ricordare qui μ 13, μ 14, μ 16, μ 17, nonché ο 2, ο 3, ο 4, e ancora π 45, π 46, π 47. Questo fenomeno, che si ripete anche per altre glosse e, sebbene in misura meno eclatante, per altre opere ippocratiche, non può essere considerato casuale, soprattutto in un’opera che segue l’ordinamento alfabetico dei lemmi e con un Corpus così ampio com’era già ai tempi di Galeno quello ippocratico. 157 158

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Di A. Roselli cf. anche Un corpo che prende forma. Il lavoro di Mitropoulos, pubblicato la prima volta nel 1978 con il titolo Γλωσσάριον ῾Ιπποκράτους, non è utilizzabile per chi cerchi acribia critico-testuale, e già la riproduzione del testo di Kühn è manchevole in più punti, sebbene si possa apprezzare lo sforzo di raccogliere sinotticamente informazioni. Si tratta di una sorta di ulteriore lessico ippocratico basato sui due glossari e su altri riscontri. Devo la copia in mio possesso del raro volume alla cortesia di Viktor Tiftixoglu (Monaco di Baviera) e di Ioannes Chatzakis (Atene), di cui ho potuto apprezzare la generosità. Quelle indicate tra parentesi tonde sono attribuzioni possibili o probabili.

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L’opera e le sue caratteristiche

Se e quali conclusioni si possano trarre da questi dati non è chiaro; trascurarli sarebbe tuttavia troppo sbrigativo. Prima di tentare un’ipotesi, si aggiunga un’osservazione di Foes. Nella Oeconomia Hippocratis, alla p. 499 (ad π 25), si legge: « Ac certe suspicor huius vocis explicationem apud Gal. apponi, tanquam variae cuiusdam lectionis apud Hip. adscriptionem et expositionem. Cuius generis est fere totius Exegeseos Galeni maxima pars, ut cuiuis pene constat ». L’osservazione, che può apparire anacronistica, è però indicativa. A chi lo analizzi nella sua interezza, infatti, il Glossario si può effettivamente presentare come la rielaborazione di una raccolta, che fosse di variae lectiones o di materiali diversificati; questo dato, insieme con il prevalere del nesso con alcune specifiche opere di Ippocrate, come quelle ginecologiche o Epidemie, e con le sequenze di glosse tratte da una medesima opera, fa pensare che tra le fonti di Galeno fosse da ascrivere anche un qualche specifico repertorio relativo a quelle opere: sia che fosse un’opera edita, sia che fossero « schede » (per così dire) di lavoro, materiali non rifiniti, una sorta di regesto di annotazioni realizzato forse dallo stesso Galeno, a cui attingere di volta in volta. Ciò contribuirebbe a spiegare anche le frequenti asperità sintattiche, stilistiche, linguistiche presenti nel testo (si veda quanto osservato al paragrafo precedente). Una ipotesi concreta è che si trattasse già della stessa edizione ippocratea di Dioscoride: questa doveva recare infatti numerosi scoli marginali in forma di varianti con brevi discussioni, note a Galeno che ne fa uso in modo sistematico. Più ancora, almeno in alcuni casi, Galeno fa uso del Lessico ippocratico redatto da Dioscoride, e da questo attinge lemmi che non sono poi entrati nella tradizione manoscritta superstite e risultano quindi oggi irreperibili nel testo di Ippocrate160. Si prenda un’opera come quella di Erotiano: in essa i lemmi si susseguivano non alfabeticamente, ma nella posizione in cui si trovavano nell’opera ippocratica da cui erano stati via via estratti, e in questo modo quel glossario si proponeva di essere d’aiuto a chi leggesse Ippocrate, potendo costui compulsare il testo erotianeo quando si trovasse in difficoltà nel corso della lettura. Si può immaginare che un’opera di questo tipo fosse stata successivamente sottoposta, da parte di chi volesse farne uso, a riordinamento alfabetico all'interno delle singole sezioni relative ciascuna a una specifica opera ippocratica, mettendo così in sequenza le glosse relative a quella stessa opera. A lavori del genere potrebbe aver attinto Galeno, insieme ad altri materiali più o meno rifiniti, a cui s’è accennato (supra, p. 118); è da chiedersi, se non fosse stato anche questo il frutto del lavoro di Diogeniano, e se il riordinamento delle glosse erotianee nella forma che oggi conosciamo non avesse avuto manifestazioni più antiche di quelle, bizantine, a cui siamo soliti pensare. Il predominare, tra le fonti delle singole glosse, delle opere ginecologiche e nosologiche di Ippocrate, Epidemie incluse (in particolare il libro V I), documentato dall’Index locorum Hippocraticorum, è come si diceva elemento non trascurabile nella ricostruzione delle fonti del Glossario, e si direbbe confermare il ricorso a lavori specialistici focalizzati su singole opere o gruppi di opere. Gli elenchi nell’Indice documentano anche come siano numerosi i singoli passi di Ippocrate dai quali derivano più glosse: questo informa che una tipologia di fonti era costituita da opere che commentavano gli scritti ippocratici passo per passo, al modo ben testimoniato dai commenti dello 160

Cf. infra, nota ad α 26 e Manetti – Roselli, Galeno commentatore, p. 1632.

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stesso Galeno. Questi materiali, che in origine dovevano trovarsi insieme in un’unica trattazione, furono poi suddivisi in più parti autonome al momento di riorganizzarli in ordine alfabetico e fonderli con quelli provenienti da fonti diverse. Qualche esempio. Mul. affect. II 133 è alla base di almeno tredici glosse, di cui quattro in immediata successione: σ 10 σιάλου δαιδὸς (V III 288,13 L.), λ 23 λίπα (VIII 288,13 L.), ε 57 ἔξουρα (VIII 288,15 L.), σ 90 σκινδάλαμος (lemma interno s.v. σχινδυλήσει) (VIII 288,18 L.). Questo il testo del passo ippocratico: μετὰ δὲ τὰς πυρίας πειρῆσθαι προστιθέναι τῶν προσθέτων τῆς σιάλου δαιδὸς τῆς πιοτάτης, χρίσμα δὲ λίπα ἔστω, ποιέειν δὲ μῆκος μὲν δακτύλων ἕξ, πλῆθος δὲ πέντε ἢ ἕξ, εἶδος δὲ ἔξουρα. εἶναι δὲ θάτερον θατέρου σμικρῷ παχύτερονÝ (…) φυλασσόμενον ὅκως σχινδαλμὸς μηδεὶς ἔσται. Da una stessa frase di Steril. 235 sono ricavate tre glosse: ε 15 ἔκμαγμα (VIII 450,16 L.) e μ 1 μαγίδα (V III 450,16 L.) derivano dall’espressione ἔκμαγμα ὅσον μαγίδα del testo ippocratico, e rappresentano dunque quella che si può definire una « glossa contigua » (una variante della coppia contigua, su cui cf. supra, p. 117) disarticolata nel momento in cui i due termini, ritenuti entrambi glossematici, sono stati assunti a lemma e collocati alfabeticamente; poco dopo (V III 450,18 L.) σ 16 σιπυΐδα. Questa la frase: θεραπεία ἐπὶ τὸ αὐτὸ νόσημαÝ ἴριν εὐώδεα κόψας καὶ διασήσας χωρὶς, κυπείρου ἴσον, καὶ ἔκμαγμα ὅσον μαγίδα, οἴνῳ ἀνθοσμίῃ διεῖναιÝ εἶτα ἀλειμματῶδες ποιέειν, καὶ ἐς σπλῆνας ἀλείψας μῆκος σπιθαμῆς, ἐς σμικρὴν σιπυΐδα ἐνθείς, ὅκως μὴ παραπνέῃ, προσθέσθω. Ancora un esempio, tra i numerosi possibili: da Fist. 3 derivano quattro glosse: (V I 448,15–450,3 L.) il lemma φ 41 φύσιγγα ricorre nel testo cinque volte nello stesso passo, inoltre dal medesimo testo derivano (VI 450,6 L.) γ 5 γῇ … σμηκτρίδι, (V I 448,24–450,9 L.) σ 62 στροβίλην anche in questo caso con quattro occorrenze contigue, infine (VI 450,2 L.) κ 31 κατοπτῆρι. Questo il testo completo: ἔπειτα ὀθόνιον βύσσινον τιθυμάλλου ὀπῷ τοῦ μεγάλου δεύσας, καταπάσσων ἄνθος χαλκοῦ ὀπτὸν τετριμμένον, στροβίλην ποιήσας ἴσην τῇ σύριγγι τὸ μῆκος, ῥάμμα διεὶς δι᾽ ἄκρας τῆς στροβίλης καὶ αὖθις διὰ τῆς φύσιγγος, ὕπτιον κατακλίνας τὸν ἄνθρωπον, κατοπτῆρι κατιδὼν τὸ διαβεβρωμένον τοῦ ἀρχοῦ, ταύτῃ τὴν φύσιγγα διεῖναιÝ καὶ ὁκόταν παρακύψῃ ἐς τὸν ἀρχόν, ἐπιλαμβανόμενος ἕλκειν, ἄχρις οὗ ἡ στροβίλη διωσθῇ καὶ ἰσωθῇ τῷ τε ἄνω καὶ τῷ κάτωÝ ἐπὴν δὲ ἐσωσθῇ, βάλανον ἐνθεὶς κερατίνην ἐς τὸν ἀρχὸν, γῇ διαχρίσας σμηκτρίδι. Si osservi infine il caso di σ 64 (στυπτηρίη χαλκίτις) e di χ 1 (χαλκίτις στυπτηρίη), che si possono considerare l’una il reciproco dell’altra. Riferite, si direbbe, a due passi diversi di De ulceribus, poco distanti l’uno dall’altro (la prima a Ulc. 14: V I 418,3 L., la seconda a Ulc. 18: V I 422,14 L), sembrano suggerire che il testo che ne è alla base fosse un commento progressivo al testo di Ippocrate, a margine del quale (o comunque in corrispondenza di ciascun passo) veniva volta per volta spiegato il valore del lemma. Ciò appare incongruo in un dizionario generale quale Galeno dichiara di voler comporre, e di nuovo lascia ipotizzare una varietà di fonti. In particolare, è questo il tipico caso di un autore che si trovi a redigere note marginali di commento a un’opera, e che ripete la stessa spiegazione in due passi diversi essendo difficile per il lettore tornare indietro a recuperare la nota precedente: mentre l’ordinamento alfabetico è destinato precisamente a superare questo genere di difficoltà rendendo così

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L’opera e le sue caratteristiche

superfluo questo tipo di ripetizioni e caratterizzando un’opera la cui fruizione non è più legata allo specifico testo di partenza. Fenomeni come quelli fin qui analizzati si ripetono in numerose occasioni (uno sguardo alla successione dei passi nell’Index locorum Hippocraticorum ne darà conto, e nelle singole note sono sempre segnalati i dati rilevanti), e anche in questi casi si dovrà escludere la casualità. Si considerino inoltre le serie di glosse che originariamente costituivano forse un tutt’uno, e le conclusioni che si possono trarre in proposito circa le modalità compositive dell’opera, di cui si è detto. VII. Titoli di opere ippocratiche citati nel Glossario Nel Glossario si citano delle opere ippocratiche i seguenti titoli161: 𝟷. αʹ περὶ νούσων τὸ μικρότερον (Il primo libro minore Sulle malattie), titolo alternativo per Hebd., cf. infra nr. 20 [α 101; κ 34; μ 36] 𝟸. βʹ περὶ νούσων τὸ μικροτέρον (Il secondo libro minore Sulle malattie) corrisponde a Morb. III: i nr. 1, 2 e 20 erano considerati forse come riferiti a un’unica opera, di cui i due titoli di περὶ ἑβδ. e περὶ νούσων τὸ μικρ. potevano rappresentare la prima e la seconda parte162 [α 12] 𝟹. αʹ περὶ νούσων τὸ μεῖζον (Il primo libro maggiore Sulle malattie) corrisponde a Morb. II [α 74; 124; 140; 142; β 19; ε 16; κ 76; 81; μ 7; 19] 𝟺. βʹ περὶ νούσων τὸ μεῖζον (Il secondo libro maggiore Sulle malattie) corrisponde a Affect. int. [α 71; 74; 117; 121; 161; δ 3; κ 66; 71; λ 4; π 60; 62; ρ 1] 𝟻. αʹ τῶν γυναικείων (Morb. mul. I) [α 71; 136; 161; θ 5; κ 78; ν 3; σ 68] 𝟼. βʹ τῶν γυναικείων (Morb. mul. II) [α 73; α 116; β 11; δ 15; ε 83; ι 3; κ 2; 43; 46; λ 23; π 12; τ 6; 22; φ 2; 40] 𝟽. βʹ τῶν ἐπιδημιῶν (Epid. II) [κ 22; σ 55; υ 6] 𝟾. γʹ τῶν ἐπιδημιῶν (Epid. III) [α 100] 𝟿. δʹ τῶν ἐπιδημιῶν (Epid. IV ) [σ 41] 𝟷𝟶. εʹ τῶν ἐπιδημιῶν (Epid. V ) [α 12; 126] 𝟷𝟷. ϛʹ τῶν ἐπιδημιῶν (Epid. V I) [α 87; 116; σ 24; 70] 𝟷𝟸. ζʹ τῶν ἐπιδημιῶν (Epid. V II) [α 43] 𝟷𝟹. κατ' ἰητρεῖον (Off.) [α 82] 𝟷𝟺. Κῳακαὶ προγνώσεις (Coac.) [α 4; 116] 𝟷𝟻. μοχλικόν (Mochl., cf. nr. 27 e 33) [ι 13; σ 77] 𝟷𝟼. περὶ αἱμορροΐδων καὶ συρίγγων (Haem. + Fist.) sembrano essere note a Galeno come un’unica opera, e non due scritti separati come invece oggi163 [π 30; σ 62] 𝟷𝟽. περὶ ἄρθρων (Artic.) [σ 85] 𝟷𝟾. περὶ ἀφόρων (Steril.) [δ 1; ε 14; 15; 16; σ 85] 𝟷𝟿. περὶ διαίτης ὀξέων (De victu acut.) [α 125; κ 33; μ 26] 161

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Per la forma dei titoli degli scritti ippocratici si vedrà TeCH II 1 (ma anche gli altri volumi), all’inizio delle sezioni relative a ciascuna opera. Cf. Mansfeld, The pseudo-Hippocratic tract, pp. 6–12; anche Nachmanson, ESt, p. 413, Potter, Morb. III, pp. 57s., e TeCH II 1, p. 338. L’anteporre Haem. a Fist. in questo modo di citare l’opera è apparso problematico, cf. A. Anastassiou, Gnomon 52, 1980, pp. 308s., e TeCH II 1, p. 280.

Autenticità dell'opera

𝟸𝟶. 𝟸𝟷. 𝟸𝟸. 𝟸𝟹. 𝟸𝟺. 𝟸𝟻. 𝟸𝟼. 𝟸𝟽. 𝟸𝟾. 𝟸𝟿. 𝟹𝟶. 𝟹𝟷. 𝟹𝟸. 𝟹𝟹. 𝟹𝟺. 𝟹𝟻.

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περὶ ἑβδομάδων (Hebd., cf. nr. 1 e 2) [α 41; 167] περὶ ἑλκῶν (Ulc.) [κ 10; μ 16] περὶ ἐμπύων (Morb. I) [α 74] περὶ παθῶν (Affect.) [τ 3] περὶ παιδίου φύσεως (Nat. puer.) [λ 2] περὶ τόπων τῶν κατὰ ἄνθρωπον (Loc. hom.) [α 46; θ 4; κ 8; 73; λ 13] ‹περὶ› τρωμάτων καὶ βελῶν ἐξαιρέσιος (De vuln. et tel.) [κ 89] περὶ φλεβῶν ὃ πρόσκειται τῷ μοχλικῷ (Sulle vene in appendice a Mochl.) corrisponde a Oss. (cf. 15 e 33) [π 5] περὶ φύσεως ἀνθρώπου (Nat. hom.) [α 136] περὶ χυμῶν (Hum.) [θ 4] περὶ ὡρῶν καὶ τόπων καὶ ὑδάτων (Aër.) [σ 59] προγνωστικόν (Progn.) [μ 15] προρρητικὸν μεῖζον vel δεύτερον (Prorretico maggiore o secondo) corrisponde a Prorrh. II [α 14; 77; β 4; κ 23; μ 8; υ 22] προσκείμενα τῷ μοχλικῷ (Appendice a Mochl., cf. 15) corrisponde anch’esso, come il nr. 27, al nostro Oss.164 [κ 66] προσκείμενα τῷ περὶ τῶν ἐν κεφαλῇ τρωμάτων (Appendice a Vuln. cap.) non ci è pervenuto, né abbiamo altra notizia di uno scritto cosiffatto165 [ε 14; σ 84] προσκείμενα τῷ περὶ διαίτης (Appendice a Vict.) corrisponde a Acut. (Sp.) [α 36] VIII. Autenticità dell'opera

L’inautenticità del Glossario fu ipotizzata da L. Edelstein166, da un lato sulla base della sostanziale indifferenza dell’autore nei confronti della nozione di « scritti ippocratici », che contraddice l’attenzione al problema rilevabile nei commenti galeniani, dall’altro a causa dell’errore cronologico presente nel Proemio, in cui la datazione di Aristarco è considerata anteriore (o contemporanea) a quella di Bacchio, mentre in realtà fu largamente posteriore. Nessuno dei due argomenti, tuttavia, sembra sufficiente per negare l’autenticità dell’opera. Il primo argomento è generico, il Proemio parla di scritti autentici e non, e le glosse per le quali è possibile individuare un riferimento a specifiche opere di Ippocrate si pongono sulla linea riscontrabile ad esempio in Erotiano; la differenza di atteggiamento rispetto ai commenti si spiega con l’approssimazione nella stesura dell’opera, con il ricorso a fonti precedenti, enciclopediche e lessicografiche, e soprattutto con la composizione dell’opera in età giovanile e i mutamenti di prospettiva intervenuti nel tempo. Quanto alla difficoltà della datazione di Aristarco rispetto a Bacchio, da più parti è stato proposto di superarla accogliendo nel testo la plausibile (e paleograficamente ben spiegabile) congettura di J. Klein, che corregge Aristarco in Aristofane (di Bisan164 165

166

Sulla possibile interpretazione di questa duplicità di titoli cf. TeCH II 1, p. 392. Cf. M. Hanson nella premessa all’edizione di Vuln. cap (CMG I 4,1), p. 51, che cita un passo del commento galeniano a Acut. (In Hipp. De victu acut. comm., prooem.: CMG V 9,1, p. 271,18– 20). Περὶ ἀέρων und die Sammlung der hippokratischen Schriften, Berlin 1931, p. 145 e n. 3.

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Criteri editoriali generali

zio), restituendo congruità alla cronologia; ma anche qualora, come in questa edizione, si preferisca non correggere il testo tràdito, si può immaginare una svista da parte dello stesso Galeno167. Anche le numerose divergenze di sostanza tra il Glossario e i Commenti possono dare sostegno a chi volesse dubitare dell’autenticità dell’opera, ma per molte di esse, come si è visto, si possono proporre spiegazioni basate sul modo di lavorare dell’autore e sul rapporto con le fonti; si ricordi ancora una volta che il Glossario precedette di molti anni i Commenti. Resta tuttavia aperto il problema, accennato sopra (p. 109), della consonanza con alcuni dei commenti databili al Galeno maturo, ma questo è un problema piuttosto di cronologia interna che non di autenticità. Il Proemio presenta comunque chiari tratti dello stile galeniano. C. Criteri editoriali generali Il Glossario di Galeno imporrebbe, quanto ai criteri editoriali, una scelta: considerare il testo come un’opera di lessicografia, che debba in quanto tale sottostare ai peculiari criteri in uso per questo tipo di testi (almeno a partire dall’edizione della Suda di Ada Adler: si potranno su questo utilmente consultare le introduzioni alle edizioni moderne delle opere lessicografiche, ad esempio a quella di C. Theodoridis al lessico di Fozio, che reca anche indicazioni bibliografiche); oppure considerare il Glossario come l’opera di un autore classico, Galeno, la cui edizione richiederebbe criteri in parte diversi. La strada che qui si è seguita cerca di contemperare le due prospettive: se resta fermo il fatto che, pur trattandosi di un lessico, esso non è stato redatto da un tardo compilatore ma da un autore direttamente coinvolto nello studio e nell’uso di quella terminologia, vale tuttavia anche la constatazione che si tratta pur sempre di un repertorio basato su altri repertorii preesistenti. Nello stabilire il testo delle glosse si è quindi tenuto conto del riscontro fornito dalle altre opere galeniane, con particolare riguardo per i Commenti a Ippocrate; degli altri Glossari analoghi disponibili, che sappiamo noti a Galeno, in particolare quello di Erotiano, l’unico superstite sia pure in una forma fortemente epitomata e rimaneggiata; delle opere lessicografiche posteriori, tra cui spicca quella di Esichio, che sappiamo risalire verosimilmente alle stesse fonti di Galeno, almeno in parte; del testo ippocratico, con la cautela dovuta al fatto che Galeno nel Glossario non sembra seguire direttamente Ippocrate quanto piuttosto gli interpreti di Ippocrate. Tuttavia, non si è seguito il criterio invalso da tempo quanto alle edizioni di opere di lessicografia – su cui peraltro il dibattito prosegue da oltre quarant’anni –, secondo il quale nelle edizioni di lessici per quasi ogni corruttela, anche palmare (che non sia dovuta alle vicende della trasmissione successiva al testo in questione), sarebbe auspicabile utilizzare la crux e riferire in apparato circa la lezione corretta o plausibile: il caso del Glossario di Galeno esula da tali meccanismi, è opera di autore classico di cui possediamo parte delle fonti (Erotiano, Commenti e altre opere di Galeno, opere di Ippocrate) e di cui è stato possibile ricostruire almeno in parte il metodo di lavoro. La costituzione del testo si basa dunque sulla ricerca di un equili-

167

Sulla questione della inautenticità (e contro tale ipotesi), Diller, Zur Hippokratesauffassung des Galen, pp. 167–170; von Staden, Lexicography, pp. 566s.; TeCH II 1, p. XII n. 5.

I. Traduzione

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brio tra i criteri di una edizione critica di opera classica e il carattere lessicologico del testo168. Criterio ulteriore, anche per interventi congetturali o per la scelta tra varianti, è quello dell’ordinamento alfabetico delle glosse: se questo, come si detto, si dovette originariamente a Galeno, dovrà anche valere come guida, e dunque una lezione che restituisca l’ordine corretto dovrà essere privilegiata; anche se in alcuni casi le condizioni del testo e della sua tradizione manoscritta non permettono di evitare incogruità (glosse che restano extra ordinem), che fossero dovute a Galeno stesso, o alle vicende della trasmissione. Le peculiarità sopra evidenziate del rapporto con le fonti hanno portato a non correggere i casi di incongruità sintattiche che pure non mancano nel testo, considerandoli spia di fenomeni genetici. A differenza tuttavia di quanto accade in genere nelle edizioni di opere lessicografiche, non si è esitato a intervenire congetturalmente, anche sui lemmi, qualora il testo tràdito fosse insoddisfacente e i riscontri fornissero conferma giudicata sufficiente (soprattutto ove si tratti di repertori e fonti precedenti Galeno o di altre sue opere, ovvero di Esichio, che attingeva almeno in parte alle medesime fonti di Galeno), giacché le condizioni della tradizione manoscritta del Glossario, per quanto numerosi siano i codici, restano assai inadeguate. Il risultato di una trascrizione sostanzialmente diplomatica piuttosto che critica si può osservare nell’edizione Aldina, mentre i codici R e H testimoniano di un primo passo in avanti verso una lettura critica della loro fonte. Chi voglia scorrere la Oeconomia Hippocratis di Foes vedrà quanto numerosi fossero i casi in cui il testo del Glossario si presentava insoddisfacente all’autore, che propone continui aggiustamenti, spesso plausibili, e anche solo gli articoli di J. Ilberg e G. Helmreich testimoniano in tal senso. Si consideri, del resto, quanto scriveva Foes nella Prefazione alla Oeconomia (p. 7): « Nunc vero cum Erotiani aut Galeni Lexicum Hippocraticum tam varie et ambigue descriptas dictiones contineat, ut ad divinandum magis quam ad cognoscendum collectae esse videantur, non parvi, neque inutilis (ut opinor) est laboris, non solum earum unamquamque ad stationem revocare, et velut loco suo ponere, verumetiam germanam cuique explicationem et usum ad Hippocratis sensum accommodare. » I. Traduzione Giorgio Pasquali la sconsigliava vivamente, in Filologia e storia (Firenze 1920, p. 31): « In primo luogo – scriveva – sono intraducibili i lessici ». Si riferiva alla lessicografia tardoantica e bizantina, ma tradurre un glossario resta impresa assai discutibile, come Ḥunain ibn Isḥāq aveva ben visto dodici secoli fa, rinunciandovi. Le esigenze della collana in cui il libro appare, e il potenziale interesse da parte di lettori non specialisti (storici della medicina, ad esempio), hanno suggerito di attentarsi comunque all’impresa, certo poco remunerativa per l’estensore. La traduzione cerca di rispettare l’andamento del testo originale, con le sue incongruenze. Serve a poco: principalmente, a illustrare il modo in cui l’editore ha pensato di intendere il testo. In genere, forme verbali o nominali che ricorrono come lemmi in forma flessa sono tradotti o nella forma stessa, ove questo apparisse tollerabile, oppure rispettivamente all’infinito o al 168

Una riflessione più ampia sul tema è in Perilli, Filologia minore.

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Criteri editoriali generali

nominativo. Al lemma, sempre traslitterato, segue tra parentesi una traduzione nei casi in cui la interpretatio galeniana non fornisca una vera esegesi, o dove quest’ultima differisca dal senso comunemente attribuito al termine. Non è tradotto negli altri casi, o quando non sia possibile individuarne in modo attendibile il preciso significato. II. Apparati e note di commento Pur essendo stata raccolta, nel corso del lavoro, una quantità ragguardevole di materiali, molto più estesa di quanto presentato negli apparati, è parso opportuno offrire al lettore solo quanto fosse di più immediata utilità. Il testo è accompagnato da tre apparati e da note di commento al Proemio e alle glosse, e integrato da diversi indici, utili soprattutto per intendere il rapporto con il testo ippocratico: 1. Un apparato dei loci Hippocratici a cui si presume che le singole glosse possano essere ricondotte; 2. Un apparato critico; 3. Un apparato dei loci similes, collocato sotto la traduzione. Dei loci Hippocratici si è detto. L’apparato critico – negativo come da norme editoriali, con rare eccezioni ove la chiarezza lo richiedesse – registra sistematicamente le varianti significative offerte dai codici A e M, e segnala sempre le omissioni di M; se il testo adottato è di M o A, l’apparato menziona solo il codice che diverge, non l’altro: per M, si consideri che soprattutto nella prima metà dell’opera gli interventi del copista sono frequenti, sia che si tratti di abbreviazione, sia di deliberato aggiustamento del testo delle interpretationes, e dunque il suo testo è spesso incerto e va utilizzato non tanto come portatore di varianti vere e proprie, quanto come aiuto per una eventuale ricostruzione dell’originale. L’apparato riporta inoltre con una qualche regolarità le varianti o le letture di γ (ovvero dei singoli codici H/N e R), talvolta quelle di I (soprattutto per la seconda metà del testo), sporadicamente quelle di altri codici; sono invece menzionati con una certa frequenza gli interventi delle edizioni antiche, in particolare le due Basileensi, che in più d’un caso offrono migliorie o tentativi comunque apprezzabili. L’Aldina coincide sistematicamente con A, ed è dunque citata solo ove diverga dal codice, se rilevante; offre un testo quasi mai utile e spesso divergente da quello delle edizioni successive, diversamente dal testo delle due edizioni Basileensi che risulta spesso accolto dagli editori posteriori. Con frequenza ricorre il nome di Foes, intendendosi non l’edizione ma la Oeconomia Hippocratis (sui cui meriti cf. supra, p. 87). Per il Proemio, omesso dai codici della famiglia di M (classis posterior), fa fede il solo codice A, con il raro supporto di altri testimoni da esso derivati (tra cui N, utilizzato per la prima parte del testo, che manca in H), e per le prime righe si aggiunge il codice F, che, pur appartenendo alla classe di M, contiene anche la parte iniziale del Proemio (cf. supra, la descrizione del codice).

Apparati e note di commento

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Il lettore noterà delle differenze nell’apparato critico tra la prima e la seconda metà del testo: nella seconda parte, come già illustrato, il testo è di costituzione meno difficoltosa poiché il codice M omette una minore quantità di materiali e, laddove sia meglio comparabile con A, offre un testo superiore (cf. e.g. σ 65); in questa sezione, vi è dunque minore necessità di ricorso ad altri testimoni o all’ingegno. D’altra parte, nella seconda parte si troverà citato più spesso ad esempio il codice I, per le sue divergenze dalle altre linee di tradizione, e meno spesso invece le edizioni antiche. Quando nell’apparato critico si rinvia a un testo di Ippocrate o di Erotiano in modo sommario, la citazione completa, compreso il testo, si troverà nell’apparato dei loci similes o in quello dei loci Hippocratici. L’apparato dei loci similes è selettivo: non si troveranno, dunque, tutti i luoghi della lessicografia in cui ricorra il medesimo lemma, come si legge negli apparati alla lessicografia bizantina, ma solo quei passi che siano sembrati più rilevanti rispetto alla glossa galeniana. Erotiano ed Esichio sono privilegiati. Il Glossario di Galeno non va considerato alla stregua di un lessico tardoantico; elencare in modo esaustivo tutti i possibili paralleli avrebbe portato a un inutilizzabile regesto. Lo stesso vale per i passi delle altre opere galeniane, annotati solo quando siano parsi specificamente rilevanti. Chi voglia, potrà del resto facilmente accedere alla massa indiscriminata di paralleli offerta dai moderni ritrovati digitali, o compulsare i ricchi apparati delle edizioni di testi lessicografici, i cui ultimi ed eccellenti prodotti sono i nuovi volumi del Fozio, dell’Esichio, la Synagoge, e altri ancora. Le note poste alla fine del testo, concernenti sia il Proemio che le glosse, rendono conto soltanto di alcuni dati essenziali, principalmente riscontri con altri testi, in particolare galeniani, e specifici problemi testuali o esegetici. Esse sostituiscono il vero e proprio commento che era stato previsto all’inizio del lavoro, poiché si è presto dimostrato che questo avrebbe comportato una estensione notevole e almeno triplicato il numero delle pagine, quasi ciascuna glossa richiedendo una trattazione specifica. Si è anche omesso di fornire per ciascuna glossa una specifica bibliografia: si segnala qui come punto di partenza per l’analisi dei lemmi il repertorio redatto come Anejo III al Diccionario Griego-Español: Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Repertorio Bibliográfico de la Lexicografía Griega, edd. P. Boned Colera, J. Rodríguez Somolinos et all., Madrid 1998. Per la terminologia botanica e l’identificazione delle piante, che resta spesso incerta ed è da considerare solo indicativa, si è fatto riferimento agli strumenti correnti, a partire da M. Wellmann, Die Pflanzennamen des Dioskurides, Hermes 33, 1898, pp. 360–422, a M. Moisan, Lexique du vocabulaire botanique d'Hippocrate, Québec 1990 e ancora G. Aliotta, D. Piomelli, A. Pollio, A. Touwaide, Le piante medicinali del « Corpus Hippocraticum », Napoli 2003. Delle glosse risalenti a Dioscoride si sono occupati in dettaglio sia Ilberg, Die Hippokratesausgaben e De Galeni Glossario, sia D. Manetti e A. Roselli, Galeno commentatore (cf. supra, n. 118), mentre le glosse attestate anche in Erotiano e prive di un locus Hippocraticus univoco sono analizzate da Nikitas, Ἔρευναι ἐπὶ τῶν πηγῶν τοῦ λεξικοῦ τοῦ Ἐρωτιανοῦ, Athenai 1971; que-

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Criteri editoriali generali

ste indicazioni bibliografiche saranno registrate nelle note alle singole glosse solo in qualche caso per noi più rilevante. Nei rinvii ai passi galeniani è sempre indicata l’edizione moderna, ove disponibile, e il passo dell’edizione Kühn. Al fine di non appesantire gli apparati, sono riportate dei passi citati solo singole parole o, quando fosse di particolare rilievo, una breve frase; ove sia parso opportuno, il testo è registrato con maggiore ampiezza nelle Note. Per Ippocrate, sono fornite le indicazioni di passi di edizioni moderne nei casi in cui queste siano edite (compresa per Mul. affect. quella, parziale, di Countouris); non, invece, nel caso di dissertazioni o tesi rimaste tali e non accessibili al lettore169. Nota sullo iato e i numerali: Sull’uso dello iato in Galeno vi sono opinioni diverse. La convinzione, a lungo diffusa, secondo la quale Galeno avrebbe evitato ogni forma di iato, ha condotto a interventi sistematici di adeguamento, non sempre convincenti, del testo nelle edizioni. Ora non più così prevalente anche per altre opere di Galeno, tale convinzione si applica solo marginalmente a un testo come quello del Glossario, campione di approssimazione sintattica e stilistica. Si sono dunque evitati casi di iato particolarmente stridenti, ma si è preferito non intervenire in casi comunque tollerabili, sia nel Proemio che, soprattutto, nel testo delle glosse170. I numerali ricorrono in riferimento ai libri di Ippocrate o altri autori che vengono menzionati. In M questi riferimenti sono quasi sempre omessi, soprattutto nella prima metà del testo; in A, nella seconda parte vengono generalmente utilizzati i sigla alfabetici (α', β' …), nella prima parte le sigle sono invece sciolte e si ha la forma del numerale per esteso, dovuta, si presume, all’intervento dello scriba. Si è deciso di restituire sempre la forma abbreviata, più plausibilmente vicina all’originale171.

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È il caso, in particolare, di Hipp. Prorrh. II (B. Mondrain) e Aphor. (C. Magdelaine). L’edizione di S. Valente per l’Antiatticista, uscita quando il testo era già impaginato, è addotta nelle note. Ph. De Lacy, nella edizione del De placitis Hippocratis et Platonis, pp. 53–55, si è dato cura di elencare 23 tipologie di iato ammesso in Galeno (stando ai manoscritti di quel trattato), per concludere, correttamente, che « the considerations relevant to the study of hiatus in Galen are far from clear; in the absence of clear guidelines, hiatus has generally been allowed to stand » (p. 55). Galeno affronta esplicitamente, nelle sue opere, il problema del modo di scrivere i numeri. Egli si dichiara favorevole alla soluzione proposta da Menecrate, che permetteva di evitare che, nelle ricette, i numeri, scritti usando una sola lettera, venissero deliberatamente e facilmente alterati: il metodo consisteva nello scrivere i numeri per esteso, e non per sigle (dunque, non ζ' ma ἑπτά). Questo tuttavia conferma che la modalità corrente nella scrittura dei numeri era quella che ricorreva alle sigle, e che la preoccupazione di Galeno era rivolta specificamente alle ricette, per le quali esistevano degli esemplari ufficiali di riferimento conservati nelle biblioteche. Si ricordino qui i due passi di Comp. med. gen. V II 9: XIII 995,6-8 K. e De antidotis I 5: XIV 31,9–32,8 K.: in entrambi, Galeno chiama la scrittura dei numeri per intero ὁλογράμματα (titolo menecrateo), ovvero, come spiega nel primo testo, ὅλαις ταῖς συλλαβαῖς, risalendo appunto a Menecrate; nel secondo passo si legge: τὰ δὲ δὴ βιβλία τὰ κατὰ τὰς βιβλιοθήκας ἀποκείμενα, τὰ τῶν ἀριθμῶν ἔχοντα σημεῖα, ῥᾳδίως διαστρέφεται, τὸ μὲν πέντε ποιούντων ἐννέα, καθάπερ καὶ τὸ ο, τὸ δὲ ιγ, προσθέσει μιᾶς γραμμῆς, ὥσπερ γε καὶ ἀφαιρέσει μιᾶς ἑτέρας, διὰ τοῦτο ἐγώ, καθάπερ ὁ Μενεκράτης ἔγραψε βιβλίον, ἐπιγράψας ὁλογράμματα αὐτοκράτορος, καθότι τὰ μὲν ζ, διὰ δυοῖν γέγραπται συλλαβῶν, οὐ διὰ τοῦ ζ μόνον, τὰ δὲ κ διὰ τριῶν, οὐ διὰ τοῦ

Apparati e note di commento

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Nota sui titoli delle singole sezioni del testo: Nel codice M, ogni sezione del testo è preceduta, in margine, dall’indicazione ἀρχὴ τοῦ α, ἀρχὴ τοῦ β, etc., con qualche eccezione, come nel caso di ξ, dove si legge, sempre in margine, la sola lettera; in A, invece, ricorre la sola lettera alfabetica maiuscola a centro riga (dunque Α, Β, etc.), e ogni sezione comincia su una nuova riga, ad eccezione di alpha, che segue direttamente nel testo dopo il Proemio ed è preceduta dall’indicazione ἀρχὴ τῶν λέξεων τοῦ ἄλφα, da noi espunta (v. sub fin. Prooem.) anche per l’uso del termine λέξεων, che contraddice quanto argomentato proprio nel medesimo Proemio sulla distinzione tra λέξις e γλῶσσα. In realtà, non è dato sapere se Galeno avesse usato di tali intestazioni, o se si tratti di aggiunte dei copisti: si è scelto qui di privilegiare la soluzione più economica, e di seguire il codice A (salvo il caso della lettera α) indicando la sola lettera dell’alfabeto.

κ μόνον, τὰ δὲ τριάκοντα διὰ τεττάρων, οὐ διὰ τοῦ λ μόνον, καὶ τἄλλα ὁμοίως, οὕτω ποιήσω καὶ αὐτός. Allo stesso scopo di evitare falsificazioni è apprezzabile, aggiunge ancora Galeno, il metodo di scrivere le ricette usando la metrica della versificazione.

ΓΑΛΗΝΟΥ ΤΩΝ ΠΑΡ ΙΠΠΟΚΡΑΤΕΙ ΓΛΩΤΤΩΝ ΕΞΗΓΗΣΙΣ

GALENO IN T ERPRE TAZIONE DELLE PAROLE DIFFICILI DI IPPOCRAT E

CONSPEC T VS SIGLORV M

A A2, A3 M M2

= = = =

Laurentianus plut. 74,3; s. XII ex.–XIII inc. eiusdem codicis correctores Marcianus Gr. 269; s. X eiusdem codicis corrector

Raro memorantur: B C D E F FII H H2 Ho I I2 J K L Li Mo Mut N O P R R2 U Voss

= = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = =

Baroccianus 204; s. XIV–XV Jenensis G.B. f. 31, olim Mosquensis ; s. XIV med., vel potius XIV II D’Orville 3; s. XVI inc. Parisinus Gr. 2255; s. XIV ex., fort. XV inc. Parisinus Gr. 2144; s. XIV, ante 1345 eiusdem codicis scribae duo qui initium Prooemii in fol. I bis add. Parisinus Gr. 2142; ca. 1310 eiusdem codicis corrector Bodleianus Holkhamensis Graecus 92; s. XV I inc. Parisinus Gr. 2140; s. XII, fort. XIII eiusdem codicis corrector Parisinus Gr. 2143; s. XIV I Parisinus Gr. 2287; s. XV–XV I Laurentianus plut. 74,1; s. XV ex. Bruxellensis 11345–48; s. XV I Monacensis Gr. 71; ca. 1480 Mutinensis α. T. 1. 12; ca. 1500 Hauniensis Gr. 224; s. XV I Marcianus Gr. App. cl. V 15; s. XVI inc., ante 1525 Parisinus Gr. 2145; s. XV, fort. XIV ex. Vaticanus Gr. 277; ca. 1360–1365 eiusdem codicis corrector Urbinas Gr. 68; ca. 1360–80 Vossianus Misc. I 13; XV I II

γ ρ ι

= = =

consensus codicum R H consensus codicum D Li O E consensus codicum F Mo L J

Conspectus siglorum

141

Ald. Bas.G Bas.H Bas.G+H Corn.Lat. Steph. Foes Chart. Franz Kühn edd.

= = = = = = = = = = =

editio Aldina, 1525–26 editio Basileensis operum Galeni, 1538 (cur. Gemusaeo) editio Basileensis operum Hippocratis, 1538 (cur. Cornario) editionum Basileensium consensus versio Latina a Jano Cornario edita, 1549 editio Henrici Stephani, 1564 A. Foesius, Oeconomia Hippocratis, 1588 editio R. Charterii, 1638 editio Io. G. F. Franzii, 1780 editio C. G. Kuehnii, 1830 editores ab Aldo usque ad Kuehnium

ESt Fauth IndHp LSJ TeCH ThGL

= = = = = =

E. Nachmanson, Erotianstudien editio W. Fauth, typis non impressa J.-H. Kühn, U. Fleischer et alii, Index Hippocraticus H. Liddell – R. Scott – H. S. Jones, A Greek–English Lexicon A. Anastassiou – D. Irmer, Testimonien zum Corpus Hippocraticum Thesaurus Graecae Linguae ab Henrico Stephano confectus

Sigla codicum Hippocratis, qui in apparatu locorum Hippocraticorum adhibita sunt, apud IndHp et TeCH reperiuntur.

ΓΑΛΗΝΟΥ ΤΩΝ ΠΑΡ ΙΠΠΟΚΡΑΤΕΙ ΓΛΩΤΤΩΝ ΕΞΗΓΗΣΙΣ

Τὰς παρ' Ἱπποκράτει γλώττας, ὦ Τεῦθρα, βουληθέντι σοι διὰ βραχυτάτων ἡμᾶς ἐξηγήσασθαι, προθύμως ὑπήκουσα, τοῖς τοιούτοις ἐπιθυμήμασιν ὑπηρετεῖσθαι τὰ κάλλιστα κάλλιστον εἶναι νομίζων. ἔσται δ' ὡς αὐτὸς ἐκέλευσας ἡ τάξις τῷ λόγῳ κατὰ τὴν τῶν γραμμάτων τάξιν, ἀφ' ὧν γλῶτται τὴν ἀρχὴν ἔχουσι, πρότερόν γε διορισαμένοις ἡμῖν ὅπῃ διαφέρει τοῦ πᾶσαν 63 ἐξηγήσασθαι τὴν Ἱπποκράτους λέξιν τὸ τὰς γλώττας μόνας. ὅσα∣τοίνυν τῶν ὀνομάτων ἐν μὲν τοῖς πάλαι χρόνοις ἦν συνήθη, νυνὶ δ' οὐκέτι ἐστί, τὰ μὲν τοιαῦτα γλώττας καλοῦσι καὶ ταύτας ἐξηγησόμενος ἔρχομαιU τὰ δ' ἄλλα πάντα ὅσα ζητήσεως μὲν οὐχ ἥττονος ἢ ταῦτα προσδεῖται, συνήθη δέ ἐστιν ἔτι καὶ εἰς τόδε, κατὰ τὰς τῶν συγγραμμάτων αὐτῶν ἐξηγήσεις ἄμεινον ἐπισκοπεῖσθαι. 2 Τί[ς] γὰρ ἡ «κρίσις» καὶ τί τὸ «θεῖον» καὶ τί τὸ «ἀρτίως» καὶ τί[ς] ἡ «ἐπ' ἄκρον εὐεξία» καὶ πάνθ' ὅσα τοιαῦτα λόγου μὲν παμμήκους εἰς ἐξήγησιν δεῖται, συνήθη δέ ἐστιν οὐδὲν ἧττον ἢ «βίος» καὶ «βραχὺς» καὶ «τέχνη» καὶ «μακρὰ» καὶ «καιρὸς» καὶ «ὀξύς»· καίτοι καὶ τούτων ἔνια δεῖταί τινος ἐξηγήσεως. ὅθεν ἔμοιγε καὶ θαυμάζειν ἐπῆλθε τῶν ἅπασαν ἐξηγεῖσθαι τὴν Ἱπποκράτους λέξιν ἐπαγγειλαμένων, εἰ μὴ συνίασιν ὅτι πλείω παραλείπουσιν ὧν διδάσκουσι.

XIX 62 K. Prooem.

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13  ἡ κρίσις] Hipp. Aph. I 1: IV 458,4 L., etc. τὸ θεῖον] Progn. I 1: p. 3,4 Jou. = II 112,5 L., etc. τὸ ἀρτίως] Aph. I 20: IV 468,8 L. 13sq.  ἡ ἐπ' ἄκρον εὐεξία] Aph. I 3: IV 458,13 L. 15sq.   βίος – ὀξύς] Aph. I 1: IV 458,3 L. 1sq.  Tit. Γαληνοῦ τῶν Ἱπποκράτους γλωσσῶν ἐξήγησις A: correxi, coll. Gal., Libr. propr. IX: p. 162,2–3 Boudon = XIX 37,1–2 K.: Ἱπποκράτους λεξικόν M: προοίμιον τοῦ Γαληνοῦ εἰς τὴν ἐξήγησιν τῶν Ἱπποκράτους γλωσσῶν F: varia alii codd. classis II: Sulle parole di Ippocrate Ḥunain post tit. add. Τὸ προοίμιον Steph. 3  Ἱπποκράτους N F γλώττας Steph., cf. tit. et infra l. 6 etc.: γλώσσας A 4  ἡμῖν A: corr. Bas.G+H: ὑμῖν γ: με F 5  τὰ] τε A: corr. F Bas.H 6  αἱ ins. Bas.H 7   διωρισαμένοις A: corr. Bas.G, cf. Gal., Usu part. V II 3: I p. 377,2 γε] τε A: om. F: corr. Bas.H Helmr. = III 519,1 K. (πρότερόν γε … διηγησαμένοις ἡμῖν): διωρισαμένων F: διορισαμένων FII Fauth: διωρισμένου scripserim, coll. infra (p. 148,16), cf. Ps.-Gal., An animal sit 2: p. 4,10 Wagner = XIX 162,15 K. (προδιωρισμένου ἡμῖν W.) ἡμῖν] ἡμῶν F Fauth ὅπῃ] ὅτι FII Bas.H 8  μόνας om. R: μόνον F Bas.H 10  ἐξηγησάμενος A: corr. R 11  ἦ ταῦτα A: corr. F: εἶ ταῦτα γ: om. edd. 13  τί[ς] corr. Bas.H καὶ τί τὸ θεῖον post 14 εὐεξία transp. F ἀρτίως] ἀπαρτίως Steph., coll. α 125 τί[ς]II correxi, coll. Gal., Meth. med. I 9: X 68,13–14 K. 15  ἢ βίος F: βίου A 16  post ἐξηγήσεως desinit Prooem. in F 18  συνίσασιν Lehrs (De Aristarchii studiis Homericis, p. 45) ὅτι] εἲ μὴ A: corr. R

GALENO INTERPRETAZIONE DELLE PAROLE DIFFICILI DI IPPOCRATE

Poiché hai espresso il desiderio, caro Teutrante, che noi spiegassimo nella forma più concisa possibile le parole difficili (glosse) che si trovano in Ippocrate, volentieri ho accettato di farlo, giacché credo cosa eccellente dare seguito a tali desideri nel migliore dei modi. Come tu stesso hai chiesto, l’ordine dell’esposizione sarà quello della sequenza delle lettere con le quali le glosse iniziano, non prima però di aver noi stabilito in che cosa differisce l’interpretare l’intero lessico di Ippocrate dall’interpretarne le sole glosse. Infatti, quelle parole che anticamente erano d’uso comune, ma ora non lo sono più, queste chiamano glosse, e queste mi accingo a interpretare: mentre su tutte le altre, che richiedono non meno di queste una indagine ma sono tuttora in uso, è preferibile indagare mediante le interpretazioni fornite negli scritti su quelle opere. 2 Che cos’è infatti « crisi », che cos’è « divino », che cos’è « completamente », e che cos’è « stato di salute al limite », e tutte le cose del genere, richiedono per essere interpretate una ben lunga argomentazione, ma sono d’uso comune non meno di « vita » e « breve » e « arte » e « lunga » e « momento opportuno » e « fuggevole »; quantunque anche alcune di queste richiedano una qualche interpretazione. Mi è quindi capitato di restare sorpreso di quanti hanno proclamato di interpretare l’intero lessico di Ippocrate, se non hanno neanche capito che tralasciano più di quel che spiegano.

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γοῦν βιβλία Διοσκουρίδης γράψας, ἐπικληθεὶς ἐκεῖνος ὁ Ἡροφίλειος, ἀλλ' ὁ νεώτερος ὁ κατὰ τοὺς πατέρας ἡμῶν, οὐχ ὅπως τὸ ἥμισυ μέρος, ἀλλ' οὐδὲ τὸ τρίτον ἢ τέταρτον ἐξη|γήσατο τῆς ὅλης λέξεως· τούτῳ μέν γε πρὸς τοῖς ἄλλοις καὶ δύο ταῦτα ἐξ ἐπιμέτρου καθ' ὅλον πεπλημμέληται τὸν λόγον· ὀνομάτων τε σαφεστάτων μνημονεύειν μὴ ὅτι πολλῆς ἀλλὰ μηδὲ ἐλαχίστης ἐξηγήσεως δεομένων, καὶ τούτων αὐτῶν πλεονάκις. Ταῦτά τε οὖν ἡμεῖς περιίδωμεν καὶ πρὸς τούτοις ἔτι τὸ διηγεῖσθαι τὴν ἰδέαν ἑκάστου φυτοῦ καὶ βοτάνης καὶ τῶν μεταλλευομένων, ἤδη δὲ καὶ τῶν ἰχθύων καὶ τῶν ζῴων ὅλων, ὅσων ἂν ἑκάστοτε τύχῃ μεμνημένος ὁ Ἱπποκράτης, ἅπερ ὁ Διοσκουρίδης οὐκ αἰδεῖται μεταγράφων ἐκ τῶν Νίγρου τε καὶ Παμφίλου καὶ Διοσκουρίδους τοῦ Ἀναζαρβέως καὶ πρὸ τούτων Κρατεύα τε καὶ Θεοφράστου καὶ Ἡρακλείδου τοῦ Ταραντίνου καὶ ἄλλων μυρίων· οὕτως δὲ καὶ πόλεων ὀνόματα διηγεῖται γνωριμωτάτων καὶ ἄστρων ὁμοίως ἐπιφανεστάτων, ἃ μηδὲ ἂν παῖς ἀγνοήσειε [ταῦτα]· ταὐτὰ δὲ καὶ ἄλλοι πολλοὶ τῶν ἐξηγησαμένων ἁμαρτάνουσιν. εἰ τοίνυν ταῦτά τις περιέλοι πάντα, τὰς γλώττας ἂν∣ἐξηγήσατο μόνας, ὥσπερ ὁ Ἡροφίλειος ἐποίησε Βακχεῖος, Ἀριστάρχου τοῦ γραμματικοῦ τὸ πλῆθος αὐτῷ τῶν παραδειγμάτων ἀθροίσαντος, ὥς φασιν. ἡμεῖς δέ, ὡς οἶσθα, πλείω κἀκείνων ἐκλέξαντες ἐν ὑπομνήμασιν ἔχομεν· ἃ τάχ' ἂν εἰ βουληθείης καὶ αὐτὰ διὰ μακροτέρας διεξόδου συνθείημέν σοι. Νυνὶ δὲ τὸ κεκριμένον καὶ δι' ἐκείνων τῶν μακρῶν ὑπομνημάτων ἀποδεδειγμένον ἀξιώσαντί σοι διὰ κεφαλαίων ἔχειν, ὁ λόγος ὅδε σύγκειται περιέχων οὐ μόνον ὅσα τοῖς ἄλλοις παλαιοῖς ὑπάρχοντα συνήθη τῶν ὀνομάτων οὐκέτι ἐστὶν ἐν ἔθει νῦν, ἀλλὰ καὶ ὅσα κατά τινα τρόπον ἴδιον αὐτὸς ἐποίησεν ὁ Ἱπποκράτης ἢ μετενεγκὼν ἀπὸ τοῦ συνήθους ἢ σχῆμα περιθεὶς ἕτερον ἢ τὸ σημαινόμενον ὑπαλλάξας. ὅτι γὰρ ἐποίουν οἱ παλαιοὶ πολλὰ τῶν ὀνομάτων αὑτοῖς, δέδεικται μὲν ἱκανῶς καὶ πρὸς Ἐρατοσθένους ἐν τοῖς Περὶ ἀρχαίας κωμῳδίας, δείξαιμι δ' ἄν σοι κἀγὼ νῦν διὰ βραχέων ἐπὶ παραδειγμάτων ὀλίγων ὑπὲρ τοῦ γινώσκειν ἐναργέστερον, οἷον μέν τι ἡ γλῶττά ἐστιν, οἷον δέ τι καὶ τὸ παραπλήσιον αὐτῇ τὸ γεγονὸς ὑπό τινος τῶν∣παλαιῶν.

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26  Ἐρατοσθένους] p. 17 Strecker 1  πολλὰ om. A, qui spatium (4–5 litt.) reliquit: restituit R 1sq.   ἐπικληθεὶς ἐκεῖνος scripsi (coll. e.g. Gal. Protr. 13: CMG V 1,1, p. 144,20 = I 34,4 K. ὁ Μίλων ἐκεῖνος ὁ Κροτωνιάτης): οὐχ ὁ ἐπικληθεὶς Φακᾶς Bas.G+H, fort. recte: ἐπικληθεὶς ἐκεῖνος A (spatio 5–6 litt. ante ἐπικλ. relicto): ὁ ἀναζαρβεὺς ἐπικληθείς, ἐκεῖνος γ 2  Ἡροφίλιος A: corr. R 9  τύχῃ] τύχοι N 11   τῶν add. Schoenemann (De lexicographis antiquis, p. 75) 14  ταῦτα seclusi: om. codd. praeter A ταὐτὰ] ταῦτα A: corr. Valente 16  ἐξηγήσατο A: corr. Steph. ὁ Ἡροφίλος ἐποίησε Βάκχιος A: corr. Cobet (Ad Galenum – contin., p. 22), Klein (in edit. Erotiani p. XXIII adn. 25): ὁ Ἡρόφιλος ἐποίησε καὶ Βάκχιος Ald. Ἀριστάρχου] Ἀριστοφάνους Klein (in ed. Erot. p. XXIVsq., cum adn. 28), fort. recte; contra Slater (in ed. Aristoph. Byz., p. XV ), cf. adn. 18  ἐκλέξαντες] ἐκλείψαντες A: corr. 24   Helmr.: ἐλλείψαντες γ 20  κεκρυμμένον γ ὑποδεδειγμένον R (ἀπο- voluit R2 ut vid.) σημαίνον A: corr. R (cf. infra, p. 148,7 τοῖς σημαινομένοις ὑπαλλάττει)

delle parole difficili di Ippocrate, Prooem. 𝟸 – 𝟺

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Dioscoride ad esempio – non quello soprannominato Faca, il famoso erof ileo, ma il Giovane, contemporaneo dei nostri padri –, che pure ha scritto molti libri, non ha interpretato non dico la metà dell’intero lessico, ma neppure la terza o la quarta parte; e oltre a molte altre cose, ha commesso in sovrappiù questi due altri errori nell’intera sua opera: l’aver menzionato parole chiarissime, che non richiedono una lunga ma neppure una minima interpretazione; e l’averlo fatto ripetutamente. 3 Queste noi dunque lasciamole stare, e oltre a queste omettiamo anche di spiegare l’aspetto di ciascuna pianta e erba e quello dei metalli, e poi ancora dei pesci e di tutti gli animali che ad Ippocrate capita di menzionare di volta in volta, quelli che Dioscoride non ha ritegno di trascrivere dalle opere di Nigro, di Panf ilo, di Dioscoride A nazarbeo, e prima di loro da quelle di Crateua, Teofrasto, E raclide di Taranto e innumerevoli altri. E così spiega in dettaglio anche i nomi di città conosciutissime e quelli di astri anch’essi noti a tutti, che neppure un bambino potrebbe ignorare. Anche molti altri interpreti commettono gli stessi errori. Se dunque uno omettesse tutte queste cose, si troverebbe a spiegare le sole glosse, come ha fatto Bacchio l’erof ileo, per il quale, a quanto dicono, il grammatico A ristarco aveva raccolto una quantità di esempi. Noi, come sai, ne abbiamo raccolti in numero anche maggiore di loro, nelle note di commento. Se tu lo volessi, potrei rapidamente raccogliere insieme per te anche questi, con una esposizione più ampia. 4 Ora, però, poiché tu domandi di avere per sommi capi quello che è stato selezionato e spiegato in quelle lunghe note, ecco composta quest’opera, che contiene non soltanto quelle parole che erano familiari per gli altri antichi e ora invece non sono più in uso, ma anche quelle che Ippocrate stessso creò in modo a lui peculiare, o dando senso diverso a parole d’uso comune, o adottando una forma diversa, o mutando il significato. Che infatti gli antichi creassero per proprio uso molte parole, è sufficientemente dimostrato già da E ratostene nei libri Sulla commedia antica, e anch’io te lo posso dimostrare ora in breve con pochi esempi, in modo da riconoscere più chiaramente che cos’è una glossa, e che cos’è invece ciò che, nato per mano di qualcuno degli antichi, ad essa somiglia.

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Galeno, Interpretazione

5 Νομίζω δή σοι τὰ ὑπὸ Ἀριστοφάνους ἀρκέσειν τὰ ἐκ τῶν Δαιταλέων, ὧδέ

πως ἔχοντα· «πρὸς ταύτα αὖ λέξον Ὁμήρου γλώττας· τί καλοῦσι κόρυβα;» προβάλλει γὰρ ἐν ἐκείνῳ τῷ δράματι ὁ ἐκ τοῦ δήμου τῶν Δαιταλέων πρεσβύτης τῷ ἀκολάστῳ υἱεῖ πρῶτον μὲν τὰ «κόρυβα» τί ποτ' ἐστὶν ἐξηγήσασθαι, μετὰ δὲ τοῦτο «τί καλοῦσιν ἀμενηνὰ κάρηνα»· κἀκεῖνος μέντοι ἀντιπροβάλλει τῶν ἐν τοῖς Σόλωνος ἄξοσι γλωττῶν εἰς δίκας διαφερούσας ὡδί πως· «ὁ μὲν οὖν σός, ἐμὸς δ' οὗτος ἀδελφός, φρασάτω τί καλοῦσιν ἰδύους» .