Filosofia, grammatica e retorica nel pensiero antico

Table of contents :
Premessa. Il linguaggio «articolato»: L’esigenza del modello. Articolazione fonica, grammaticale, sintagmatica e semantica. La concezionc del corpo in fase omerica e nell’arte greca arcaica. Corpo umano e corpo sacrificale. Platone e Aristotele e la dottrina sulle lettere e la sillaba: Dall’enunciato all’alfabeto e all’analisi. La mimesi articolatoria del mondo nel «Cratilo» (426 d-427c). Il fonosimbolisrno postplatonico. La chiusa del «Cratilo» neIl’economia della teoria platonica. Vocali, scmivocali, mute e sillaba nel cap. XX dclla «Poetica». La traduzione araba e la tradizione manoscritta del cap. XX della «Poetica». L’evoluzione della dottrina sugli stoikheia. I caratteri dello stoikheion secondo Aristotele: L’essere indivisibile. L’essere continuo. L’essere asemantico. L’analisi subfonematica dopo Aristotele. Il semplice e il complesso nella teoresi aristolelica della forma linguistica: Il carattere logicizzante del punto di vista aristotelico. L’elemento e la frase. L’elemento e la parola. Nomi semplici e nomi composti. Ptosis e onoma aoriston: La natura linguistica del «caso». La natura logica del «nome indefinito». Il discorso secondo Aristotele: Termine, congiunzione, paratassi e ipotassi. Le due vie dell’unità del discorso. Paratassi sindetica e ipotassi ciclica. La «congiunzione» nel cap. XX della «Poetica». Le categorie aristoteliche tra grammatica e linguaggio: I termini della questione. La presunta origine grammaticale delle categorie. Genesi semantico-concettuale delle categorie. La «scienza della grammatica» al tempo di Aristotele. L’ordinamento seriale dei casi della declinazione: Il valore documentario della «Techne» di Dionisio Trace. L’ordinamento dei casi in epoca prearistotelica e aristotelica. Cleocare e Dionisio Trace. Varrone e Apollonio Discolo. L’arbitrarietà dell’ordinamento occidentale dei casi. Lucilio e l’ingresso dei nomi dei casi nella teoria della grammatica. L’origine prosodica della nozione di «liquida»: Fortuna e ambiguità del termine «liquida». Le «liquide» nella teoria antica della prosodia. Varrone sulla finitezza degli elementi e sulla non definibilità del sistema della lingua. Semantica e origine di «tenuis» ed «exilis» nella terminologia dei grammatici latini. Per la storia della nozione di «poliptoto» nell’antichità: Della presunta staticità dei sistemi retorici. Il poliptoto nella teoria moderna della retorica. Le strutture linguistiche del poliptoto. Il poliptoto nella storia. La dottrina stoica dell’onomatopea in Dante: «Nomina sunt consequentia rerum». Dagli Stoici ad Agostino. Da Agostino a Dante. Indice dei nomi degli studiosi moderni citati. Indice delle fonti. Indice dei termini e delle nozioni considerate.

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i..ESSICO h-ntt.llflUAt& EullOPIIO

WALTER BELARDI

FILOSOFIA GRAMMATICA E RETORICA NEL PENSIERO ANTICO

Edition, Jdl'Ate:neo

LESSICO INTELLETTUALE EUROPEO XXXVII

LESSICO INTELLETTUALE EUROPEO

WALTER BELARDI

FILOSOFIA GRAMMATICA E RETORICA NEL PENSIERO ANTICO

CENTRO DI STUDIO DEL C.N.R.

Edizioni dell'Ateneo

a T11ilio Grtgory

è

Secondo le norme del Lessico l ntdlettude Europeo questo volume stato sottoposto all'approvazione dì E. Coseriu e G. Pugliese Carratelli

PREMESSA

li presente volume contiene i risultati di ricerche svolte, nella maggior parte, nell'ultimo quindicennio, quali sviluppo di un interesse che cominciò a concretizzarsi nel 1950, H o introdotto i necessari collegamenti, e ho rinnovato e aggiornato il testo dei saggi già pubblicati (due sono inediti). Poiché il discorso generale è ora incentrato tutto su momenti importanti del pensiero antico intorno al fatto linguistico, ho tralasciato molte pagine, specie quelle nelle quali mi soffermavo a esaminare posizioni teoretiche della linguistica contemporanea. Pertanto nessuno dei lavori ha conservato integralmente la forma originaria. li filo della tematica passa necessariamente attraverso livelli diversi : filosofico e retorico, oltre che propriamente grammaticale, giacché il costituirsi di una teoresi specifica sulla forma linguistica è stato lento e graduale, e ha preso avvio da osservazioni intuitive elementari e poi da speculazioni filosofiche, metricistiche e retoriche sul linguaggio. Il tema del linguaggio in Aristotele cadeva fuori dei confini del volume presente; per esso rimando il lettore a li linguaggio nella filosofia di Aristotele, Roma 1975, 292 pp. 1 • Qui invece la maggior pane degli argomenti aristotelici conceine piuttosto la teoresi e la tassinomia dei fatti di lingua. Anche la questione della «ca tarsi », pur se questa è stata intuita da Aristotele secondo uno schema razionale che è parallelo a quello che sottostà alla nozione del signifi care e del comprendere attraverso la lingua, non rientrava nella cornice del presente libro (per essa si veda il mio scritto Cornei/le, Racine e la calarti tragica, in Scritti in onore di Giovanni Macchia, II, Milano 1983, pp. 11-24). Il volume si conchiude con Dante. Di fatto con il Rinascimento l'Occidente torna a pensare in modo nuovo sul tema dell 'espressione linguistica. Guglielmo di Mwbeca mette per la prima volta Aristotele a disposizione di Tommaso quando D ante aveva tred ici anni circa; ma bisogna attendere il Valla, nel 1498, perché la Poetica torni a circolare e a produrre i suoi effetti.

1 Alcuni capitoli del libro sono stati ristampati, con aggiunte, nella « Rivista di studi crociani », 12, 4 (1975), 23 pp. Aggiungi« Studi e saggi linguistici », 21 (198 1), pp. 79-83.

Pnmusa

In D ante, dunque, accanto a intuizioni nuove, sopn.vvive ma anche _ si può d~e - si conchiude la tracliz.ione dd pensiero antico sul linguaggio e sulla Itngua. . . Luogo e data di pubblicazione originaria dei singoli capitoli (non ripeto 11 tttolo quando esso sia rimasto identico) :

. I: ~,hu,!a lingN~stùo I rrhema (Ol'porto ntl pensiero gnm arçaia,, in Stlldi in 0110n d, V . Pumu, Bresw 1969, pp. 111-1 24. II: in «Ricerche linguistiche », 6 (1974), pp. 1-86. III : !I « si1,11iftral~» ~tlfo,uma, in «Word », 23 (1967), pp. 25-361, pp. ~ ; ~;. In Mtmorra d1 M. Bar,hitsi - « Riv. di cult. d . e medicv. », 18 (1976), 1

. V : in SINdi JN Varrone, ml/a relorita, sloriografia , pouia Ialina - Strilli in onore d, B. Ripo1ali, Rieti-Milano 1979, pp. 11 -21. VI: Stmanli,a di 0Uv8Eaµo~ , >. Più indietro nel tempo troviamo l'analogia con il « gioco degli scacchi», che segna certamente, con il suo richiamo in• tuitivo ai concetti di coerenza sistematica e di funzionalità, l'inizio di una consapevole linguistica sincronica. A parte tale analogia, era il modello logico della « loi de Dualité » che, secondo il Saussure, poteva dare un aiuto dcci• sivo alla teoresi sulla lingua. In quei tempi, in Italia, si andava affermando il modello dcli'« opera d'arte», dell'espressione estetica. La fortuna di questo modello rappresentò, di fatto, un maggiore interesse per lo studio del dato intuitivo consegnato nel testo o nel lessico 3 , e quindi per lo studio del !in• guaggio individuale, anche se la grande sacrificata rimaneva precisamente la tcorfa deUa lingua come sistema di funzionalità in potcllZll, dato il aratterc attuoso del prevalente indirizzo di pensiero. Nell'Ottocento, l'epoca neo• grammatica è contraddistinta dalla fiducia nel valore definitorio ed esegetico del modello dcli'« evento fisico», regolato da leggi oggettive e inderogabili. La validità di tale modello fu l'ipotesi di lavoro sottesa alla elaborazione del. le leggi fone tiche, che conflui nel Grundriss del Brugmann. In precedenza erano state le scienze biologiche ad offrire, come schema illustrativo del· l'essere e dell'evolversi delle lingue, il modello dcli'« organismo naturale», che nasce si sviluppa e muore, che dà vita, quale capostipite semplice e quindi perfetto, ad organismi più complessi, e che, infine, occupa lo spazio temporale.geografico secondo un principio rigorosamente genealogico. La com• pless!tà dei fenomeni riscontrabili in tale spazio e la non.linearità degli svi• lupp1 furono più tardi rese evidenti mediante il modello delle «onde)), che si d_iffondono circolarmente, si rifrangono, si intersecano; e con ciò la glotto-log1a da naturalistica si avviava a divenire storica. Si direbbe che ciascun modello, a suo tempo, ha « funzionato » a dovere, se ci è dato constatare che nessuno di questi modelli ha segnato, con il suo affermarsi, un arresto o una involuzione delle ricerche linguistiche. 1

Ma anche un totale disinteresse per lo studio dc:! dato conoscitivo consegnato nel testo o nel lessico.

L'w'genz.a del modello

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Dobbiamo allora concludere che al pensiero critico che elegga come suo oggetto la «lingua)) è connaturata la tendenza a ricercare in altre cose (oggetti o nozioni astratte) schemi sui quali adattare sia la virtualità sia l'attualità linguistica, per conseguire, attraverso l'obiettivazione e il ricorso al tertium comparationis, quell'intendimento che alla teoresi diretta sembra meno age~ vole, o che comunque risulta meno efficace se anicastico. Questa tendenza a obiettivarsi ndle cose e a confondere in una ucità indistinta oggetto e nominazione è notoriamente una caratteristica ancora più accentuata nel pensiero non scientifico, pronto a cogliere le suggestioni che ai sensi possono giungere dal mondo esterno •. Per quanto riguarda più da vicino il nostro tema, non è da passare sotto silenzio il fatto che l'affinità, anzi la convertibilità tra discorso e circostanza giunge persino a riflettersi nel lessico di alcune lingue. Rammenteremo appena come il gestire deictico (indocur. *deyk.-, *1ekw-) trapassi nel «dire» presso molte nazioni indoeu• ropee (cfr. lat. di.O, tcd . 1agen, etc.), ovvero come il sostantivo che segna il « discorso )), visto nella sua globalità, possa, occasionalmente o in modo stabile, passare a segnare J' « argomento » del discorso stesso, I'« oggetto )) nel senso più indetcrmirn1to possibile. Cfr. A 652 vùv 8è f'r.o,; !ptwv, 1t«Àw &yyi:Àoc; dµ' 'Ax_LÀ'i)l « nunc vero rem dicturus, nuntius redibo Achilli », P 701 IT~M:t8n 'Ax_t.À~t xa.xò" frtoc; àyy&Àéo'V't'a. « Pelidac Achilli malam rem nuntiaturum », Sofocle, O.T., 1144 Ilpò,; ·t't "t'OÙTO "t"oGr.o,; l> - ««cosa» è confermato dalle valenze dell'arabo a111r « ordine, istruzione», plur. 11111iir «affari » (cfr. anche la locuzione n,ahmii yak,m min amrin « comunque stia la cosa>>) e similmente dell'ebraico biblico dtibàr, ara• maico biblico (e poi siriaco) mi/latti, etiopico nagar, etc.

Pertanto, solo l'avvertita affinità tra il dire (poetico) e la gestizione (orchestica) che l'accompagnava può aver suggerito alla prima scienza dei ritmi in Grecia l'introduzione di denominazioni metaforiche come notl(, a&.xwì..oi;, ~Cl.a~c;, a.o~x.dov, auÀÀct~~ 8, che si rifanno chiaramente allo schema corporeo dell'uomo, considerato nelle sue parti e nella dinamicità del suo agire o del suo procedere. Altri termini che avr.anno fortuna nella grammatica come &.p&pov, xWì..ov, O'Uv3e:aµoc; (cfr. Eur., Hipp. 199) debbono necessaria• mente essere accettati come una testimonianza evidente che la forma dell'enun• ciato era stata concepita primieramente secondo il modello della form a del corpo. Alcuni di questi termini non rinviano necessariamente al corpo umano; potrebbero altrettanto bene riferirsi al corpo della vittima sacrificale (vedi oltre); ma altri come ~a~, auìJ.D.~~ e 8&:xwÀoc; richiamano soltanto il corpo dell'uomo, considerato anatomicamente e dinamicamente. Il termine n:e:p(o8oc; si aggiunge a confermare che il circuito delle parole è il circuito dei passi dell'uomo, magari intorno a un altare, al quale rimanda certamente anche 6 anov8e:i:'oc;, mentre ò -rpox.o:i:'oc; fa gruppo con ~ n:e:p(o8oc;.

• CTr. M. Vumcr, RMts. etymol. WQrJtrb., II, Hddelbcrg 1955, p. 518. 1 Cfr. A. Waldc . J. Pokorny, Vgl. Wiirlerb. der idg. Spra,bm, I, Betl in-Lcipzig 1930, p. 246, e F. K lugc, EJymol. Wiirltrb. der de11Jtdxn Spradx, 1 t• cdiz., Berlin-Leipzig 1934, s.v. • CTr. J. Baliu, TM Formmntrl of SJrutJural Pro1odit Ana/ysi1 and Pbonemiu, in « Acta Ling. Hungar. • • 15 (1965), p. 229 sgg.

ArtùolazJone Jonùa, grammatùale, linJagmatiea e se111aJ1ti,a

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2 . ARTICOLAZIONE FONICA, GRAMMATICALE, SINTAGMATICA E SEMM'TlCA.

La quali6ca principe del linguaggio fonico, ancora oggi viva nella nostra cultura occidentale, è quella di «articolato ». Non so quanti sarebbero in grado di dare una risposta immediata e univoca, se interrogati sul perché di questa qualifica, che univoca, di fatto, non è mai stata, se non forse nella mente di chi per primo coniò questa metafora. Se la domanda fosse rivolta a uno strutturalista, la risposta potrebbe rinviare all'impiego tecnico del termine «articolazione», proposto da A. Martinet per illustrare appunto ciò che egli ha egregiamente individuato come « la double articulation linguistique » o. Epperò la nozione di « linguaggio articolato » è pervenuta a noi carica di una pluralità di accezioni, concresciute per via, tra le quali è facile perdersi, e nelle quali si è sovente perduta Ja tv"Iv metaforica originaria. Una rapida ricognizione delle testimonianze ci assicura, però, che questa vis si è mantenuta per lungo tempo, ovvero che essa è pronta a riaffiorare, come quando Cicerone scrive (de oral., 2, 359) multa s1mt verba q,uu quasi articuli ,onertunt membra orationiJ, qwe formari similitudine nulla po.rsw,/; eorHm ftngendat nmt nobi.r imagines q11ib111 semper utam11r (cfr. anche 3, 186). Signi6cativo è anche l'impegno del grammatico Pompeo (5, 99, 13) nel definire « artus » e « articulus »: ar/111 dicimus membra maiora, arJiculos minora membra in on;ni corpore. Ciò che del linguaggio viene cosl designato, con immagini proprie dell'idea del corpo, ~ l'enunciato, la fras~ (a questa si riferisce ancora la « doppia articolazione » di A. Martinet), non la lingua come sistema. E ciò è comprensibile: l'enunciato è quell'aspetto del linguaggio che cade sotto i nostri sensi, e perciò facilmente può essere scambiato per il fatto primario, quando non avvenga che sia ritenuto l'unica «realtà» linguistica in senso assoluto: da Bhartrhari (Vtikyapadiya, I , 73) a Benedetto Croce, molti sono stati dell'avviso che le parole (e analogamente i fonemi) non fruiscano di una esistenza separata al di fuori della frase 10• Ora, presso gli autori greci e latini troviamo traccia non di una ma di molte accezioni per i gruppi lessicali cli &.p&pov e cli ar/111, quando riferiti ad aspetti della «parole»; e tra le varie

• A. Martinct, La do11bl1 artiNdaJkm linguùHque, in « Travaux du Cerclc ling, dc Copcnhaguc », 5 (1949), pp. 30-.47. Vedi anche i suoi Elimm/1 de linguillique glniral,, Paris 1960, pp. 17-19 (in trad. italiana, Bari 1967, p. 18 sgg.). H A costoro, sensibilizzati a scorgere solo le correlazioni sin1agmatichc, C sfuggito il principio fondamcn1alc che ogni elemento di lingua resta definito da due tipi di correlazioni, sintagmatica e paradigmatica. Il secondo tipo si può dare da solo, mentre il primo si accompagna sempre al secondo, data l'immane112.2 del paradigma nel sintagma.

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Il linlJ"'!Jio .: arlicolalo »

«articolazioni» possibili secondo il pensiero antico, due coincidono nella sostanza con le due «articolazioni» illustrate dal Martinct. La frase di Senofonte (Mtmorab., 1, 4, 12) yÀWaaa. &p&pot TY)v 111tsl nome delle parti più solide della carne). u « GonAemcnt • secondo il Boiucq, s.v., che però non pone il problema n~ adduce alcun ind.Wo di oricnmncnto, e che, pure citando il Frocbdc, non dichiara la sua divergenza. Si noti ancora come nessuno dei vocaboli citati dal Boisacq per la comparazione implichi l'esser gonfio, tumefatto, ma solo l'esser solido e robusto.

r

«a~.

La (Onnz/on, dtl torpo in jas, omtrfra , nell'ari, uua ar,aùa

19

cora vivo di termini come arlfrolaz.ion,, arli,o/o, mtmbro, e simili, si storicizza., dunque, quando tale adeguamento sia considerato nd quadro della mentalità greca di tipo arcaico, nella qwile predomina l'intuizione delle parti e ddle giunture dd corpo umano e della dinamicità che le caratterizza. La prima .: analisi linguistica » occidentale ha scoperto dunque in questa intuizione un modello idoneo a render conto della dinamicità che caratterizza le « parti » ddla lingua messe in atto dal procedimento espressivo, e oggettivate nell'enunciato. Testimonianza d i siffatta maniera d'intendere la fisicità della persona umana ~ offerta peraltro non solo dal lessico omerico ma anche dall'arte figurativa greca arcaica. Come ha dimostrato G. Krahmer 24, nell'arte greca arcaica il corpo non è concepito come un complesso organico e unitario, in cui le singole parti Si condizionino ndla rappresentazione reciprocamente, bcnsl ~ visto proprio come una costruzione che si raggiunge figurativamente mettendo insieme le singole parti. Cosl ogn i organo rimane distinto nella sua perfezione e compiutezza, staccato con nitidi contorni dal suo vicino. In questa fase arcaica le figure sono ven.mente « insiemi• di µ1:m e yui:a:, membra con forti muscoli, distinte le une dallé altre da giunture (&p&pa:) fortemente accentuate mediante il contrasto tra il loro aspetto, diremo cosl, filiforme e i fasci muscolari contigui. Anche l'arte, dunque, denunzia in maniera ben visibile qud particolare modo di vedere le cose in forma te articolata», che è proprio dei Greci di quesra lontana. era.

4.

CoRPO UMANO E CORPO SACIUFI CALE.

La centralità dell'immagine della vittima sacrificale nd pensiero antico e delle pratiche che si svolgono su di essa e intorno ad essa non può essere qui dimenticata, perché quest'immagine si è senz'altro affiancata all'altra del corpo umano in questa ricerca di modelli su cui proiettare l'insieme e le parti del discorso. Già A. Traglia, Elimologia el sinonimia in Nigidio Fig11l0, in J. Collart (et al. ), Varron, gramm. ani. el s!JliII. fai. , Paris 1978, p. 279, aveva fatto notare che il tipo dell'etimologia xa.-.à. 8d>.uow prevalente in Nigidio, ma presente anche in certe etimologie varronianc, sembra corrispondere a un concetto e a un criterio propriamente pitagorico, secondo il quale la parola è quasi un organismo da scomporre nei suoi dementi, come appunto si 14 G. Krahmer, Fi'f.Nr 1111d &llllll ,;, tkr .ig:,plisthm mul U-Urbistb-artbaistbm K1111st, 28. Htllisches Winckelmannspr., Ha.Ile 1931 (citato da B. Snell).

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li li1tgll4g&io « arti.ola/o •

fa in anatomia. quando si seziomno i corpi degli animali. Ma il primo sezionamento degli animali è stato quello sacrificale. Orbene Svcobro, /I laglio

J.

tklla poesia,· noie mli, origini san-ifoali della poetira grua, contributo al convegno sul « T2glio delle ca.mi», Siena 1983~, ha dimostrato che qua.1chc termine tecnico della metricistica antica come 81.«(p,;a~, Toµl), x6µ~. non si spiega se non viene riferito metaforicamente al taglio sacrificale della vittima eseguito dal µ.&.yupoç, del quale l'anatomista è l'erede diretto . .8. anche vero che nella cultura greca classka, da Aristofane in poi, sono molte le occasioni - illustrate da J. Svcnbro - nelle quali lo scrittore, per dar conto del discorso o del verso, si rifà al modello della spartizione della vittima. li corpo e il taglio nel sacrificio sembrerebbero stare in parallelismo con l'oggetto e il metodo in sede di analisi di fatti espressivi n. Tuttavia una certa quota della terminologia della grammatica antica non si spiega con il solo modello della vittima smembrata o con il modello della globalità del sacrificio. Occorre, come si è visto, tenere co nto anche del modello concorrenziale del corpo umano e della sua dinamicità.

i;tr;,

11 Vedi già in e Anruilcs d'économics, soc., civil. », 37 (1982), pp. 95)..964. H Anche per altri settori della vita culturale e sociale della gfCCitt antica si è sentito il bisogno di trovue am.logic. In particolare il sistema politico t stato proiettato sull'immagine della «cucina» e della e spartizione»; cfr. da ultimo N. I.on.Il%, /.J, tiJI 10•111t 1111/iM ti p,,rlai,, in e Annalcs », cit., 36 (1981), pp. 614-622..

Il

PLATONE E ARISTOTELE E LA DOTTRINA SULLE LETTERE E LA SILLABA

1. 0ALL'BNUNCIAT0 ALL'ALFABETO E ALL'ANALISI.

Se la prima riflessione dell'uomo greco sui fatti formali di lingua ha per oggetto l'enunciato come entità globale e tuttavia segmentabile, cioè i( articolata», l'introduzione in Grecia della scrittura alfabetica e il suo perfezionamento come scrittura fonematica, grazie alla elaboru.ione originale di grafemi per le unità vocaliche 1, offre in un secondo tempo alla mentalità greca un campo ecccziorule all'esercizio delle facoltà dcJl'analizurc e del classificare. L'oggetto di studio da.pprim2 si presenta confuso nelle sue componenti grafica, articolatoria e aru.stica ; né la funzionalità riesce a essere distinta dalla sostanza materiale. La u.ssinomia degli clementi dell'alfabeto, gli aro~xi:t« o yl)«!,1,..,_«-r«, è, pertanto, il primo programma d'analisi che viene immaginato e avviato a realizzazione. Ma il fine tassinomico è perseguibile purché si affronti almeno il piano della sostanza, cioè il processo anicolatorio o l'impressione uditiva o entrambi insieme, fin tanto che una separazione netta dei due momenti non riesce agevole (per secoli il termine cpwv/i resta polivalente). Non c'è dubbio che la situazione alfabetica, con il suo ordinamento seriale immotivato e con la iconicità dei suoi elementi grafici, conferisce carattere di assolutezza alle lettere ~ingole, e all'analisi è, forse, più remora che stimolo. Sl che il primo passo volto a intravvedere rapporti tra le diverse unità, e ragioni di aggruppamento di queste in sottoclassi deve essere stato denso di incognite e di illuminazioni. Il passaggio dall'alfabeto malo all 'alfabeto ,onsideralo, dalla prassi alla teoria, costituisce, a ragione, il capitolo iniziale della

1 Le distinxioni quantitative mancate nel caso di A I Y non tolgono che nel complcuo la scrittura greca sia a base fone.m:nica. Sul motivo della distinzione solo paniale tra vocali brevi e lunghe in greco vedi quanto dico in e Ricerche linguistiche », 6 (197-4), p. 363 1g.

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P/olo1t1 1 An"sloltft , lo tktlrina 11111, ltlltrt , la sil/11ba

storia della grammatica occidcnta1c. Ma i nomi e, insieme, le ipotesi operative di coloro che si dettero inizialmente a tale compito non c'è dato conoscere,

e non è, quindi, possibile rifare puntualmente il cammino di si ardua csplor:uione i cui cominciamenti si perdono nella poeticità del mito (Philtb.,

181>-> (426 d-427 e).

Il Cralilo di Platone è passato alla storia della cultura soprattutto per le sue «etimologie» e per il problema di fondo che esse suscitano con la loro presenza nel tessuto generale del dialogo. Ma famoso è rimasto nei secoli anche quel passo in cui Platone parla dell'impiego delle lettere da parte dell'accorto nomothetc che primo costitul i nomi originari. È dottrina comune - e le radici di essa si perdono nella stessa antichità classica - riconoscere nel passo una intuizione (la prima nella cultura occidentale) del fonosimbolismo, ossia della possibilità di affidare al suono prodotto dalla pronuncia delle lettere la funzione di « esprimere » direttamente, di evocare le cose, in una specie di sensoriale « pictura mundi» realizzabile con i suoni fonici dei nomi e valutabile udìtivamente, senza intervento veruno della funzione lessicale del vocabolo, la quale perciò in questa prospettiva, verrebbe a occupare un posto secondario e accessorio ai fini del significare. Anzi gli esempi contenuti nel passo citato del Cratilo (il suono del rho sarebbe lo strumento più idoneo per esprimere il movimento, etc.) costituirebbero già il passaggio, dalla ffi._tajzionLJ!IDi_~ e, a una prima forma di indagine concreta, di natura psicologica, su tali preswui rapporti fra il suono di lingua e l'oggetto designato 2. Fra le numerose testimonianze di tale maniera di lntendere il brano platonico possiamo ricordare quella abbastanza recente di R. Pfeiffer, che, in un suo libro fondamentale sulla storia della tradizione culturale antica, cosl si esprime: « Socrates' suggestion that the rudimentary sounds of the primary words possibly have a particolar significance may give him a claim to be the ancestor of a theory called ' sound-symbolism ', which is still alive in our own days » '· La convinzione, infatti, di una perfetta continuità lineare su questo tema tra Platone e la scienza moderna è tanto piena e diffusa da essere accolta perfino nei manuali generali di linguistica. Tra i più recenti ricorderemo l'ltttroduziotte alla linguistica teorica di J. Lyons (London 1968, trad. ital. Bari

1 Cfr. A . Pagliaro, Sommario di ling11irJùa arioturopea, Roma 1930, p. 15. La scarsità di riferimenti a scritti filosofici, che si noterà nelle presenti pagine, dipende dal fatto, già messo in rilievo da altri (cfr. M. Lcroy, cit. nella nota 5), che presso gli storici della filo• sofia le parti propriamente linguistiche del Crafi/o non hanno suscitato grande interesse. 1 R. Pfciffer, A Hùtory of C/auifal S,hclanhip, Oxford 1968, pp. 61-65 (specialm. p. 61: « ~W f... J may be an 'imitative sound• as in fei:v », etc). CTr. anche H. Steinthal, Ges,hithlt dtr Sprathwù1. , 2&ediz., I, Bcrlin 1891, p.103: «Hiermit ist Plato dcr Erfindcr des onomatopoctischcn Prinzips der Sprache ».

La mimui articolatoria del mondo ntl « Cratilo »

25

1971, p. 6 sg.), tra i meno recenti l'Introduzione alla glottologia di C. Tagliavini (Sa. ediz .• I, Bologna 1963), dove si legge (p. 25 sg.) che «la teoria del simbolismo fonetico {di Platone] è stata, mutatis mutandis, ripresa dalla linguistica moderna»; ma non soltanto da questa, occorre aggiungere; prima ancora, erudizione e curiosità linguistiche di altri ambienti, impressionati pur essi più dall'aspetto superficiale che dal senso interiore del testo platonico, ne avevano tratto ispirazione. G. W. Leibniz, per esempio, dopo una panoramica che sembra risentire molto del Cratilo per gli stessi vocaboli selezionati come « prova » (R, egli dice, è impiegato per Pfw, rinnett, etc. « pour signifier un mouvement violent et un bruit te! que celuy de certe lettre )>; L « designe un plus dowc [mouvement] » [cfr. nel Crati/o il riferimento al yÀuxU], come in lenis, /ahi, etc.), conclude: « sans parler d'une infinité d'autres semblables appellations qui prouvent qu'il y a quelque chose de nature! dans l'origine des mots qui marque un rapport entre les choses et !es sons et mouvemens des organes de la voix » 4 • Anni or sono, M. Leroy è tornato sull'argomento in un saggio dal titolo « Étymologie et linguistique chez Platon » 5, osservando che il Cratilo merita attenzione da parte dei linguisti oltre che per la questione delle etimologie anche per altri punti, collaterali ma non per questo meno significativi: « on y trouve déjà, noyés dans une foule de considérations hétéroclites, des cm_bryons d'une méthode correcte et l'énoncé dc quelques principes qui sont Ics piliers de la grammaire comparée et de la grammaire historique, mais qui, bien entendu n'apparaissent dans le dialogue que sporadiquement, sans convinction ni méthode )). M. Leroy indica quattro punti o principi di metodo: « Souci de remonter awc formes anciennes du langage [421 d} ... Recommandation de recourir à l'enseignement des dialectes [396 a-b; 398 b; 4-08 e-409 a, 410 b-c] ... Introduction de la notion d'empru.nt à des langues étrangères [409 c-410 a] . Appel enfin à la phonétique impressive [426 c-427 e])>. 7 Circa i primi tre punti è da convenire pienamente con M. Leroy che a Platone va riconosciuto il merito di avere intuito, sia pure episodicamente, l'importanza di siffatte necessità di metodo. Il quarto punto, invece, andrebbe - a nostro avviso - veduto sotto altra luce.

4 G. W. Leibniz, No1111ta11X mail, Ili (Phi/oJoph. Sthriftm, VI, Bcrlin 1%2, p. 281 sgg.). Per W. von Humboldt e altri vedi E. Cassircr, Philosophit dtr rymbol. Formtn, I, 2& ediz. Oxford 1954, p. 141 sgg., e L. Méridicr, Platon: (( Cralyft » (testo e trad. con 'notizia' introduttiva), Paris 1950, p. 26. • M. Leroy in i< Bull. de la Classe dcs Lcttrcs dc l'Acad. roy. de Bclgique », ser. V, t. 54 (1968), pp. 121 -152.

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Platone t Ari.rlote/e , la dottrina mli, letlert e la sillaba

Non crediamo che sia sufficiente dire con M. Lcroy, nell'intento di circoscrivere la «priorità» di Platone in questo settore, che nella pagina del Grati/o in cui si parla dei valori di P A I etc. si è ancora « en plein subjectivisme, en plcine fantaisie poétique » (sarebbe la stessa riserva formulabile per le «etimologie»). Piuttosto par giusto giungere a negare che una medesima motivazione stia alla radice sia degli studi moderni di fonetica « impressiva>> sia dell'interesse per le lettere quale si rileva nella pagina citata del Cratilo. NQLncm cr_e.dJamo .che Platone, trattando del valore . imitativo delle lettere, si riferisca al loro suono e alla impressione uditiva che tale suono può provocare. Se con il termine onomatopea si intende - come si deve, per tradizione - non un generico « formare nomi ►> ~ « aptare adfecti~ bus vocem » (per usare parole di Quintiliano, VIII, 6, 31; cfr. Eustazio ad A 34, µLµouµlv7J -roùç -rWv crwµ;hwv ~xouç), cioè formare nomi imitando il suono associato o «associabile>► alla cosa o azione designata, certaJllènte - come si vedrà - la pagina citata del Cratilo non ha niente a che fare con l'onomatopea, perché proprio il suono della fonazione è tra i fatti d~l lin~ guaggio articolato quello che Socrate nella sua argomentazione toglie di mezzo come fenomeno che non riguarda l'attività del foggiatore di nomi. M. Leroy, poi, riflettendo una dottrina da lungo tempo costituita e ampiamente diffusa, aggiunge in forma di parafrasi e di commento: « le A évoque ce qui est liquide, glissant: Àe:i'.o,:;, ÀL7t'ocp6,:;, etc. (427 b) - il nous est resté l'appellation traditionnelle de 'liquides ' qui, intégréc à la terminologie grammaticale par Denys de Thrace, est encore conservée aujourd'hui pour désigner ces types de phonèmes ». Anche su questo punto ci sembra di dovere dissentire, poiché - come vedremo - non è possibile connettere la denominazione tradizionale di «liquide» (Oyp&.) con ciò che Platone fa dire a Socrate sul valore di A, di P e di N (di M Platone non parla). Una prima osservazione è da fare a proposito della frase >. Se Platone si fosse espresso effettivamente con simili parole, usando Uyp6,:; o un suo sinonimo, è certo che l'origine del termine tecnico ùyp&. sarebbe da scorgere in questo passo del Cratilo. Platone dice, invece, 6-n 8~ ÒÀta-&&.vet µ&.1La-ro; Èv -rei> M~8ix Y) yÀW-r-rlX xo;-rt8Wv, &:ipoµotWv Wv6µctae: -r&. .e ÀeL/X xlXl ocÙTÒ -rò 61ta3&.v.:Lv XIX! -rò ÀLTt'Clf>Ò\I xocl TÒ xoiv.W8tç XIXl d:ÀÀIX Tt'&.V-rlX T). A questo passo è da aggiungere una breve ripresa in 434 c: -.ò 81 M~81X -ré;i ì,.dtp xlXl µotl1Xxé;i X(,d o!,:; vuv8~ Èì,.lyoµev « il lambda conviene al liscio, al molle e alle altre cose che abbiamo ricordato poco fa ►>. Platone, dunque, non solo non nomina l'UypOv, il 'liquido•, ma adduce nozioni (' liscio, untuoso, glutinoso, vischioso, appiccicoso', •scivolare' e poi •molle') che non coincidono con quelle del nucleo semantico centrale di UypO,:; ( cioè ' liquido, umido, scorrevole '). Tra le nozioni di ' scivolare ' (ò),ia&&.vew) e di 'fluido, scorrevole' (UypO,:;) è innegabile una certa contiguità e quindi facilità di scambio, ma non si tratta di valori semantici, per cosi dire, sinonimici. Soltanto perifericamente le due sfere nozionali, quella indicata da Platone e quella implicata dal termine gramma~icale Uyp&:, si toccano nel punto in cui anche ùy~~ viene a s.egnarç n,ella 1i~a comune _ciò che è 'molle, tenero, flessuoso' (cfr. µoc1ctx6ç in 434 c). Ma è troppo poco per potere asserire che la connotazione semantica, per la quale Uyp6ç è potuto diventare termine tecnico in grammatica, è stata suggerita dal passo del Cratilo sul lambda. Se fosse stato proprio questo passo a offrire all'anonimo esperto l'idea di denominare con-Un nome descrittivo apposito il lambda (ma anche M N P) sarebbe stato logico ritrovare come tecnicismo o ì,.e:r« 7 o ÀLTt'ctplX o µctÀctx&: o yì,.uxllX etc., piuttosto che Oyp&:.

1 Vediamo comparire y.Àw(Ò in questa serie: pcrcbé l'idea di 'dolce' è associata .41. qu c:113: di _• micie', il dolcificante dell'epoca, naturalmente «y).!ax1-oi;, yÀotW8l)ç ». Erra L. Mé~idier traducendo (( poisscux »; inutilmente altri 'dokiastro ', semmai meglio altri 'sciropposo'. Cfr.Aristotelc, Caleg., 9 a 33-34: -tò ;d).t T4'>yÀuxU"fl)~« 8t89:.&ixt yÀux&À~r.«t. Contro eventuali sospetti di corruttela del testo (in molti punti e più volte l'incomprensione ha cercato di giustificarsi immaginando che il testo non sia più quello genuino) sta una testimonianza indiretta di Dionisio d i Alicarnasso (vedi infra p. 46). 1 In effetti si è creduto di poter individuare una categoria grammaticale di *cr.otxdox U!ox - *liJJtroe liws, attrave rso un passo di Varronc (D, l.L., V, 133, Kcnt): op«) mediante tale lettera, poi in Tp6µoi;; ' tremito ', poi in TP«xùi; ' aspro, ruvido '•, e ancora in verbi come xpol>t:tv 'unarc, percuotere', &pa:Uetv 'spaccare', !pi:lxctv 'spczZ2re ', &pU1tTnv 'rompere', >t~ lo strumento. ~[a "l"ptr,(E\, oltre che lectio difficiltOr, l: nel codici più anuchr e autorevoh, ed l: sostenuto internamente da 434 e ('tt) pi:> 'tjj 9opiit; y&.p èa-n xi:d poù v6Y,att; « ~ l'intdlezione del movimento e del Auire [poUt; = poT)] »). Del resto, anche un altro stoikheion, oltre A e P, si conforma a tale immagine del movimento: (426 e) Ti;> Sè a.~ lWT« ,rp&; Tà. MJtTà. 1tciYT«, & 8~ µ> opporle, potendo imitare l'una il «ruvido» l'altra il «liscio». Non si vede, quindi, come la nozione grammaticale di «liquide» possa riflettere il pensiero di Platone espresso in questo passo del Cratilo. E sarebbe sorprendente il fatto che solo quanto Platone dice intorno a A (e, fo parte, ~ P~ avrebbe dato origine nella tradizione grammaticale alla a.tcgoria delle hqwde, mentre le « fantasie » su altri stoikhcia (I ) come un liquido «limpido» sembrerebbe provare, diciamo cosi, sperimentalmente, che il termine ùypci ha una motivazione semantica ineccepibile, se non fosse che anche M N e P, e più tardi Z, erano considerati òypci. Sicché i giudizi dei moderni mal si accordano con il contenuto del testo di Platone, anche se in prima istanza · sembrano confermarlo.

Jb,

• R. Jakobson, Ob1tnalion1 sur I, tlammtnJ pbofl()/ogiqut du tonso1111t1 nei Promdings of Jrd lnJ,rn. Congr. of P/)(mtJi& Stimm, Ghcnt 1938, p. 40. 10 M. Grammont, Traili d, pbonllù1111, 2~ cdiz., Paris 1939, p. 71.

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Platone e Arùtote/e

t

la doflrina

.Illl!t

ltflert t la 1illaba

Ancora più interessante -perché ci offre la chiave per spiegare la « coincidenza» tra le osservazioni di Platone e ciò che sembra essere il risultato delle ricerche della fonetica moderna - è un ampio passo che si trova a p. 408 del trattato di M. Grammont, e che trascriviamo con poche abbreviazioni. « L'/ que l'on a vu plus haut exprimer le bruit du glissement ou d'une manière plus générale la liquidité en tant qu'elle comporte un bruit, peut convenir aussi bien à un glissement muet, et meme à l'état de liquidité. C'est le cas pour les mots cou/er, !aver [... ], liquide lui-mème [... ]. Ce phonème peut aussi peindre l'état de ce qui est glissant camme dans lat. Jevis 'poli', fr. poli, liue, gr. 1e:i:oç 'lisse ', ou de ce qui est visqueux, autre manière d'~tre glissant, comme dans fr. colle, huile [... ]. Si la liquide est combinée avec une occlusive, celle-ci ne fait que l'appuyer et la mettre en lumière, loin d'en effacer la valeur. Cet effet est surtout sensible quand l'occlusive est sonore [... ], comme dans fr. glisser (... ], lat. glus, glutm 'colle, gomme, glu ', [... ] gr. y>-lcrxpo> (che si interessa a illustrare i procedimenti di traduzione di aspetti del reale, movimenti, stati d'animo, qualità materiali e morali, in fatti e sequenze fonetiche), sembra dunque garanzia assoluta che la fonetica moderna è ancora perfettamente sulla linea magistralmente intuita da Platone. Se un Grammont, nel secolo nostro, per esporre i principi della fonetica simbolica, fa suo, con ampliamenti e precisazioni ulteriori, il passo del Cratilo, dovrebbe avere piena ragione chi sostiene la priorità cli Platone in questo campo. A pretendere la precisione massima, l'unica rettifica da proporre sarebbe, semmai, nell'ambito della teoria del Grammont, la correzione di « phonétique impressive» (che si ritiene indagata nel Cratilo) in « expressive ». Infatti la parafrasi del passo del Grati/o è contenuta nel paragrafo dedicato dal Grammont ai « mots expressifs ». Ma a questo punto, proprio una lettura attenta e parallela del brano del Cralilo e dei due passi del Grammont ci assicura che il discorso di Platone ha un orientamento suo proprio che i posteri hanno misconosciuto. Mentre il Grammont e con lui, in genere, i moderni insistono, giustamente, nel sottolineare come con certi suoni del linguaggio il parlante sia

LA mimesi articolatoria del mon&, nel « Cratilo

>>

33

in grado di evocare per mimesi suoni della natura (è la radice dell'onomatopea), ovvero di tradurre nella forma acustica dell'espressione idee di colori, di odori, di durezza, di mollezza, di gravezza, di leggerezza, di movimenti, di stasi etc., Platone non guarda all'asp,ctto acustico-uditivo ma rileva (problematicamente, e lo vedremo) un par::. llelismo mimetico tra la realtà e l'aspetto motorio o plastico dell'apparato di fonazione; inoltre la realtà considerata è eminentemente una realtà di moti e di forze, o di qualità in relazione con moti o forze (cfr. 415 b-e). Che al di là dello stoikheion Platone abbia l'occhio ai movimenti e agli atteggiamenti della lingua e delle labbra risulta immediatamente evidente da alcune frasi del tutto esplicite: (426 e) M,pix yd:p otµixL T1jv yÀW.ra.v Ev -roU-r«d auÀÀa.{»i:ç 'C'à: 1rp&yfl.(l•« µEµ~µ7Jµév1X xo:-.&87JM yLyv6µ.cvo:· 6µw,; 8ì &.v!Xyx'/}, (426 b) ci µiv .oLvuv !yW fla&rjµo:~ 7rtpl 'C'ctlv npW't"WV Ovoµ&.,wv 1t&vu µoL 8oxti: U(3pt0'1"t>.n. Socrate, dunque, non manca di avvertire i suoi interlocutori dell'aspetto ridicolo e temerario di tale avventurosa indagine. In questa parte del dialogo, Socrate sta svolgendo una argomentazione dialettica che muove da una preliminare adesione al la dottrina eraclitca dell'eterno fluire (di ciò è ampio riAesso anche nelle etimologie addotte da Socrate) u e al postulato di un nesso naturale fra gli stoikhcia e particolari oùa[o:t, per poi pervenire, invece, alla tesi (che sta a cuore a Platone) secondo la quale il conoscere ha per oggetto non le parole ma direttamente le cose: il conoscere non si avvantagg ia affatto, anzi può trovare ostacoli, se cerca di giungere alle cose mediatamente attraverso le parole (439 b, ily«r.t)&1,1-6; come termine tecnico vedi E. Bcnvcniste, in « Journ. dc psychologic » 1951 - Probli,1111 d, linguirliqu, glnlrale, P:aris 1966, trad. ital. :Milano 1971 , pp. 390-400; ma l'attribuzione a Platone di tale assestamento non è accettabile; come risulta dal Filebo, 17 d, anche questa nozione perviene a Platone da un :ambiente di esperti, ol '1tp6o~; vedi C. Tricber, Dit Dil1llxtir, in « Hermes », 27 [1892], pp. 210-248, in partic. p. 237: Pu&µhç - • die Qu:antitit dcr Sii ben »). Più indietro nel tempo, A rchino, che perorò (403/2) l'adozione in Atene dcll':al&beto di tipo milesio (cfr. M. Guarducci, Epigrafia gr,;a, I, Ro ma 1967, p. 87), si er:a interessato a ,ilcvare aspetti :articolatori, pct quanto ci risulta da una testimonianza di Alessandro di Mrodisia (infra p. 86). Per altro, le espressioni brachilogiche d i Platone nel Cralilo intomo :all'anicola:tione si g iustificano solo davanti :a un pubblico preparato a intenderle. Sintomatici di tale diffuso intereSIC per !':articolazione sono due altri punti del Cratilo: 404 d tùcr.oida •eufonia' e 414 d 'fÒ 3l OT6s,ia. xMnov:cç • modellando l'articoluione '. • CTr. A. Pagliaro, N,.,n saggi, cit., p. 75; M. Lcroy, Lu srrmds (OMrlfflll d, la lm.PJ·· stiqw 111odnM, 2f> cdiz., Bruxelles 1971, p. 5 e il cii. Etymol. ti linguist. ,htt Plafa,r, p:assim.

La mimui arlùolaloria dtl mondo nt/ • Cralilo »

43

Il Grammont giunge a dire che I dà l'impressione di un suono che fila, cola, che seivola, e che ~ limpido e liquido. Ciò che invece Platone dice ~ che aJcune lettere sarebbero in grado di imitare le cose h"i«, µ«)4.d. o Tpor.x.b. etc., per qualche loro caratteristica articolatoria che può essere considerata oggettivamente analoga alla essenza di tali cose (arrotondamento labia le: ratondità; grande apertura: grandezza ; sottile fessura : sottigliez.za) o che può essere messa astrattamente in rapporto con tale essenza attravetso un procedimento di implicazione concettuale (lo scivolare della lingua implica il liscio, l'untuoso e la nozione stessa di scivolare; il tremare della punta della lingua implica il moto, il tremito, la durezza, il frantumare, il far girare; l'appoggiarsi della lingua implica la stabilità; la risonanza interna l'interiorità; il soffio labiale e il sibilo implicano il soffi.o, il freddo, etc.). Quindi Platone non intende dire e non dice di fatto che per la loro attitudine mimetica certe lettere assumono partitamente le caratteristiche del >.t!ov, del µixÀixx6v, del TpixxV, del MITT6v, dello lflux.p6v, dell'fvSov, dcll'!b.-ixl, etc., ovvero che esse hanno cale attitudine per essere «naturalmente,. >-.E?«, Tpa.x.!«, etc. Cosi, invece, ha creduto la cultura successiva e greca e occidentale di dover leggere nella pagina del Cralilo. A favorire tale travisamento devono aver concorso due espressioni usate da Platone: 0-tl mtUµ«-t~l) -tlX ypr:iµµ.a-tor. (per 4> 'Y t e Z), e 0Tt µty«À.oUvTo: Toùi; ~xouç. &.xa;pL 8È xo:t à.YJ8~i; TÒ I: xo:t 1tÀ11:ovà.ao:v aq:,6Spo: ì.u1tct· &'l'jptWSoui; yà.p xo:l ii>.6you µi.Mov ~ >.oytx~i; tq:,à.1tTca-&o:t SoxEt q>t.)v~ç O avptyµ6i; « Questi [se. i già detti] sono i modi di pronuncia delle lettere

' semivocali', Esse non dànno tutte una stessa impressione uditiva. li A, la più dolce delle semivocali, dà una impressione piacevole, invece una impressio ne uditiva di ruvidcua è data dal P che eccelle nella sua classe ; occupano una posizione intermedia M e N che dànno il suono attraverso il mso e producono una risonanza come di corno; sgraziato e spiacevole è il I:, e, se si usa in eccesso, dà molta noia; il sibilo, infatti, sembn tipico di voce ferina e senza senso piuttosto che cli voce razionale"· Espressioni platoniche (Platone: yì.uxU, Tp«):IJ; Dionisio rispettivamente:

l i Jonol'i111Nlùmo po,1pl,#onùo

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y>.uxlJTo:TOv, -rp~x\Jvcl) sono qui u impiegate a segnare idee assai diverse

dalle idee platoniche; non diciamo immotivate e arbitrarie, ma diverse, e anticipatrici, in certo modo, delle idee moderne (non indugiamo tra i grammatici latini) sulla virtù evocativa connaturata a certi «suoni•• e sicure capostipiti, comunque, della concezione vulgata dell'esistenza di suoni «dolci" o «aspri•• «molli" o «duri•• «chiari» o «scuri» e simili 11 • Queste, come è noto, sono qualifiche descrittive ormai abituali nella terminologia grammaticale di tipo scolastico, nella quale assolvono da tempo una funzi one adeguata alle necessità del distinguere empirico, ma la loro presenza può essere segnalata non di rado anche in sede più tecnica , per esempio nella fonetica prefonematica di M. Grammont. Perfino nella codificazione dei primi risultati dell'analisi fonospettrografica si è creduto bene, di recente, di poter atti ngere per suggerimenti terminologici (e nozionali) a questa sfera di impressioni audiocinestetiche. Nello schema di classificazione binaria jakobsoniana, fondata su una precisa analisi articolatoria condotta in parallelismo con la nuova anal isi spettrografica, si incontra, per esempio, l'alternativa «stridulo» - «morbido», messa in rapporto con la presenza di bordi rugosi (cfr. il Tpo:x!J di Platone) o lisci (cfr. il ì.t.i:ov) del diaframma articolatorio, o l'alm « gnve » - «acuto», indipendente, si osservi, dall'altezza musicale del tono laringeo. Siffatta inclinazione a rilevare l'impressione soggettiva (ma non individuale, certo) esercitata dall'articolazione ma sopnttutto dal suono, come pwe la tendenza a sopravvaluta.re il principio del fonosimbolismo in sede esteticolettenria :u si spiegano come traccia lasciata nell'ambito scientifico di R. Si veda anche uno acolio marciano a Dionisio Trace (H ilgard, p. 334, r. 37 1gg.) TÒ P. 'l"Ò 3l A où!lv TOUTwv fxtt, tòç,wW:c:pov 81 -:-Wv oi> ed «emotivo» dei suoni di lingua e sulla funzione di tale valore nella cosiddetta lingua poetica, si ispira soprattutto a scritti giovanili di M. Grammont sulla « phonétique impressive».

4.

L A CHIUS A DEL

« CRATILO »

NELL'ECONOMIA DELLA TEORIA PLATONICA.

La convinzione diffusa che il passo qui studiato del Grati/o costituisca la prima analisi del potere evocativo del suono dei fonemi in assoluto o quando siano calati in certi vocaboli dipende non solo dalla oscurità di molte frasi pronunciate da Socrate, che restano ambigue e enigmatiche fino a quando non si riesca a scoprire il punto di vista di tutto il discorso, cioè la proporzione sopra illustrata, ma dipende anche dal fatto che le pagine 426 d-427 c non sono lette abitualmente come continuazione diretta di altre pagine precedenti, e il loro contenuto non è visto come conseguenza di premesse ben precise.

a mantenere intatto il proprio valore paradigmatico, e soprattutto non inurfcrisce minimamente con la possibilità, garantita ad ogni utente della lingua, di attribuire a posteriori una motivazione secondaria al segno stesso, secondo una dimax che dall'espressività più elementare: giunge idealmente alle più sofisticate e complesse mozioni della funzione poetica; quasi paradossalmente, l'arbitrarietà, mi nimamente: intaccata sul piano della /angut, agisce proprio come motivazione - ci si perdoni il bisticcio -- della ricerca di motivazione affannosamente perseguita sul piano della parak, in seno a cui, sotto certe condizioni e /o in determinati contesti, i segni linguistici appaiono tutti virtualmente motivabili. Oltrepassare i limiti di queste affermazioni {... ) significa rompere il delicato equilibrio di un'analisi fonos imbolica idealmente: sospesa ira linguistica e mitopoiesi: ogni pur piccolo e insensibile spostamento verso quest'ultima, benché affascinante e carico di illecebre per lo stesso accanito scienziato positivista, non può che gettare irrimediabilmente la ricerca nelle malcerte spirali del soggettivismo più impressionistico». 30 L. Jakubinskij, O z.vuleax rtixotvornogo jazylea e S/eoplmie odina/ewyx p/avnyx [come si vede, le «liquide» I e r sono le articolazioni più esposte a questo tipo di rilevamento, ovvero le più «espressive»]" praktilrshm i pqetilerhmjaz.yleax, apparsi rispettivamente nel I e nel II volume di Potti/ea. Sborni/e po leorii poeti{u /eogojazylea, Pietroburgo 1916-1917, quindi ristampati in PoeJi/ea, 1919, pp. 37-49 e 50-57.

La ,hiusa dtl « Cralilo » ntll'u onomia thlla teoria platonùa

49

Scoperta la proporzione implicita non possiamo eludere una domanda: perché Socrate a questo punto del dialogo istituisce un rapporto tra particolari articolatori organologici del significante e particolari fisici del denotato? e perché ritiene che la presenza di un ta le rapporto sia garanzia di verità della nominazione? Se le nostre considerazioni precedenti non fossero state sufficienti per cancellare il mito di un Platone interessato alla funzione evocatrice dei suoni di lingua, la risposta che si può dare a queste domande, rileggendo il Grati/o, può risolvere definitivamente la questione. ln 422 e, Socrate osserva che se, in difetto di tpw\17j e di yì.ilna:, si desiderasse rappresentare (lìYJì.oUv) le cose, ci si servirebbe dei gesti ('r«i:> il pensiero. 11 silenzio di Cratilo, dunque, ricordato esplicitamente da Aristotele e lasciato supporre (o evocato) da Platone, viene in pratica motivato dai due filosofi alla stessa maniera, solo che in Platone la motivazione è più ricca 8'. Questi nel dialogo pone Cratilo di fronte al problema non solo della possibilità di asserire il vero, ma anche della possibilità di asserirlo con parole adeguate. Per conseguenza implicita, Cratilo viene a trovarsi di fronte al dilemma della scelta (non tra gesti e asserzioni verbali ma) tra gesti somatici e gesti articolatori nella fonazione, i quali ormai, agli occhi di Cratilo, risultano spesso distribuiti nelle parole in modo improprio, quando non in modo assurdo, come a imitare il contrario di ciò che si vorrebbe. si sono chics1i se il Ctatilo del dialogo omonimo sia la stessa persona della quale ci parla Aristotele (cfr. anche Af,taph., 987 a 32 sg., dove si dice che Cratilo eracliteo fu maestro di Platone giovane) e se dietro il Cratilo platonico non ci sia magari un «tipo» generico piuttosto che un individuo storico. Ma vedi L. Méridier, op. rii., p. 36, e M. Lcroy, EtyttJ/Jkgie, cit,, p, 130. C'è un argomento decisivo da far valere contro tali ipotesi. li passo di Aristotele, dt,, prosegue ricordando il rimprovero che Crati!o moveva a Eraclito a proposito dell'affe~mazione che non ci si può bagnare due volte nel medesimo fiume. Cratilo sosteneva, infatti, che non è possibile farlo nemmeno una volta (o:ù't'Q,; yd.p ~no où8' &mx~). Poiché Platone nel Grati/o si propone di combattere l'eraclitismo (sia pure nei suoi sviluppi più recenti o protagorei, come sostiene E. Duprécl), la scelta di un personaggio come Cratilo, più eracliteo di Eraclito, e la intitolazione del dialogo al suo nome, assumono il valore di un programma. Si veda anche D.J.Allan, in «Amcr. Journ. of Philol.», 1952, pp. 271-284. H CTr. L. Méridier, op. eit,, p. 36; A. Pagliaro, op. fit., loe. eil. Vedi invece M. Lcroy, Erymologit cit., p. 130, che segue più da vicino il detto di Aristotele. 17 Il fatto non ci stupisce non eucndo questo l'unico caso in cui i due filosofi presen• tano con qualche divenid panicolari dottrinari altrui. Il rapporto che Polo di Agrigento scorgn2 tra li,i.nctplot e Tqv,), e tra cim:tplot e TU~ non è dichi2rato proprio :alla stessa maniera da Aristotele (Mttapb., 981 a 4-5) e da Platone (Gorgia, 448 c), e non è dato sa• pere quale delle due notizie sia esatta (ammesso che una delle due si2 esatta).

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Platont t Ari.1tottl1 , la doJlrùta mli, ltJltr, t la sillaba

Nessuno - ci sembra - si è chiesto se la leggenda ~ sorta nella scia del dialogo platonico, come proiezione poetica delle necessarie conclusioni logiche di esso. o se, invece, Platone ha scritto il dialogo « in presenza • di quelJa leggenda (o verità che sia). La seconda. possibilità ci permetterebbe di giustificare meglio il dialogo. Certi aspetti evasivi, enigmatici del dialogo sarebbero tali per noi, non per i contemporanei di Platone se ad essi era già nota la decisione ultima di Cratilo. In W caso non sarebbe vero quc1 che si dice, ci~ che il dialogo si chiude lasciando in sospeso la questione. La conclusione della questione resterebbe affidata alle circostanze sapute, e la trama del dialogo si prolungherebbe in una trama di conoscenze vissute. Jl rifugiarsi di Cratilo in un sistema di espressione e di comunicazione cosl assurdo, perché cosl poco umano aa, sarebbe appunto per Platone la dimostrazione definitiva che la funzionalità del linguaggio non va ricercata nel principio di adesione mimetica del gesto articolatorio alla q>Uaii;. Indizi della n otorietà e della cronologia dell'aneddoto su Cratilo si possono desumere da Aristotele, Rhet., 1411 b 1-2: 6li; 1t1tpt Kp«TUì.ov Alc:rx(v11c:;, 6n 8ur.attwv x«t 'toi:v :xcpotv 8t.a.ad1'.ùv « come Eschlnc dice di Ccatilo, che fuchiava e agitava le mani». Aristotele adduce l'aneddoto come esempio di rose notissime (& fo«ai), e precisa che Eschine se ne era servito. Orbene tale Eschine sarà molto probabilmente Eschine il Socratico, chiamato cosi per la sua amicizia con Socrate; sicché sembra ragionevole dedurre che l'aneddoto er.a già noto prima della data di composizione del C ratilo. Per una serie di circostanze che potremmo dire «avverse ,. a wn intelligenza immediata (complessità e, diciamolo pure, astrusità del ragionamento, brachilogia e ambiguità del dettato, funzione dialettica, e quindi relativa, di certe affermazioni e, forse, necessità di integrare il testo con la conoscenza di una situazione es terna di vita vissuta o di un aneddoto fan tasioso) la tradizione cultunle greca e occidentale, astraendo dal contesto del Crafi/Q alcune frasi, e dando ad esse un significato assoluto, ha preso l'appareru:a superficiale per verità sostanziale, e ha riconosciuto in queste pagine tanto un antecedente della teoria grammaticale delle «liquide·)), quanto i fondamenti primi della teoria dell'onomatopea (in senso proprio) e del simbolismo fonico-uditivo. I nserite, invece, nel loro contesto, le pagine sulle lettere risultano comprensibili. In esse non è anticipazione del concetto antico di « liquida » né del concetto antico e moderno di onomatopea, né traccia di una sensibilità per il valore evocativo del suono di certi fonemi, né, infine, una

n Il costituini di spcci2li linguaggi a guti in particolari comunitl (religiose etc.; J. Vendryes, Gra1nm11irt ,1 pspbokJ,fa, Pai:is 1950, p. 5 sgg.; G. van RitDberk, LI llllJl"l' 1i1MI t.btt k1111oinu, Amsterdam 1954) risponde a nec:cuitl specific:he, e non si pone come alternativa a una assoluta inadeguateua del linguaggio articolato.

dr, fJdr

U

thùm1 Ml « Cralilo » Nll'11onomia della ltoria platonita

53

valutazione in senso edonistico dei movimenti articolatori nell'atto di parola, come invece in D ionisio di Alicamasso. C'è, invece, la testimooianza. di una prima penetrazione nell'amlisi articolatoria; e ciò ha un suo preciso signi6.cato nella storia delle origini ddla cultura linguistica. Oltre a questo si può ammettere, ma. la cosa non è direttamente verificabile, che certe correlazioni di cui Platone si serve per i suoi fini dialettici derivino non da una selezione arbitraria e intenzionale ma da un principio di necessità inerente alla nostr:l struttura psico-fisica, come insegna la psicologia moderna. Poiché a tale condiziomimento pare che non sia dato sottrarsi, gli esempi addotti da Pla~ tone, nell'intento di saggiare lo spessore e la consistenza del principio di correlazione tra forme riconosciute dell'articolazione e «essenze» riconosciute nelle cose, vanno presi semmai come testimonianza di tale condizionamento automatico piuttosto che come prova dell'esistenza di un primo interesse verso una indagine di tipo psico-linguistico. Nel discorrere su.Ile lettere, Platone ha in vista ben altro che il fonosimbolismo; ha in vista il principio stesso della funzionalità del linguaggio e della sua furu:ione tra le due possibilità, in alternativa, del conoscere e del comunicare la conoscenza acquisita.

5. VOCALI, SEMIVOCALI, MI.TrE B SILLABA NEL CAP. XX DELLA « POETICA ».

T«Offji; [sci.I. q)(a)vijt;) 8è µ.ipYJ 't6 n: q)l'.ùVÌ)EV x~t ,ò iJµ(t;il'.ù\lOV xa.l &.,;,wvov. lanv 3è q:>W\IOV 8è 'tÒ µtTIX 1tpoal3oì.ijc:; l:XO'-' fl'.ù'Njv clxoUO'TI)v, o!ov ,ò l: x.1:d -rò P. &.qJl'.ùVOV 8~ 'tÒ µ.1:'tà: 1tpo~ì.ijc:; x.ot-&' otÒTÒ µt\' oò8cµl«v l-,_ov fl'.ù~v, µe,à: 8l 'tWv i::x.6V't'wv ,wà: q>l'.ù'Nj'-' yt\lO!U"ov clxovO"t6v, o!ov 'tÒ x«l ,ò 1:1 (1456 b 24-31 ). La notorietà di questo passo è pari, si potrebbe dire, ai problemi che esso comporta. li senso letterale stesso non è certo. Per noi , sulla base degli argomenti che esporremo appresso, esso va inteso nel modo seguente: « le parti di questa [voce] sono la vocale e la •semivocale' u e muta; è vocale 40 quando non presenta contatto [della lingua] e ha voce udibile; ' semivocale ', invece, quella che ha voce udibile e presenta contatto [di lingua o di labb~], come il

r

,. ~ cosa ovvia, ma g iova ricordarla, che noi moderni con 11mNIDCùvi] and conscquently do not constitute a auÀÀa.{3~. The ~µ(i:pwvov constitutes half a auì.ì.a;~~ [nella redazione a stampa: ipeùviJ], that is, it can be complemented by a membcr of either one of the other categories to constitute one, and its presence in a group of sounds is sufficient to impart to that grouping the character of a avì.ì.iX(3~. The ipCùvijev already constitutes a syllable by itself; any addition (1tpoa~oì.~) to it makes the syllable redundant. This vicw is borne out by Aristotle's own examples of syllable structure (iX, yp, ypa;) ». [Questo testo ha poi subito alcune leggere modifiche nella stampa. Notevole però la riduzione a due sole possibilità sillabiche, rA e rPA, nel testo aristotelico «emendato » dal Rosén I] Approviamo senza riserva o condizione l'osservazione concernente O'UjJ,i:pCùvov, dissentiamo invece su molti altri punti. C:Crto ipwv~ev = ipCù'njv lxov (e similmente &ipCùvov; per ~jJ,li:poovov vedi oltre). Ma se fosse vero anche ciò che il Rosén dice poi, cioè che per Aristotele alcuni stoikheia conterrebbero un gruppo di espressione fonica oi=ganizzato autonomamente, vale a dire capace di far sillaba, occorrerebbe che avlla;(3~ all'epoca di Aristotele fosse detto comunemente dell'uno e non del molteplice, come invece è d'uso e come significa il suo etimo. Presso l'alessandrino Eroda, III, 22, è dato trovare, per il vero, auÀÀa:{3~ riferito a una sola lettera: Ì1tla-ra:nL 3' où8' &J-ipiX O'UÀÀa:{3'1jv yvii':iviXl wvijV' e il suo significato. Il Rosén sul finire dc1la relazione cita tre esempi «aristotelici» di «syllablc structurc»: A, r P, rPAso. Purtroppo egli non fornisce indicazione della fonte. Se gli esempi fossero veramente di Aristotele, A isolato sarebbe proprio un rapprcscnt2.ntc (seppure abusivo) dei q:,wYYjCVTa. nel senso anzidetto di -rijc; q>oovijc; cn,ll«~Y)v lt_ov-r«, cioè A, da solo, conterrebbe « an autonomous organized grouping of ph onic utterance ». Ma c'è un passo (ben noto) della Poetica da cui risulta che, almeno in una occasione, A ristotele non ha abusato in tal modo di aull«~Tj.

E dovrebbe essere un passo decisivo perchf definitorio: (1456 b 34-37) au>J..a.PY) St ta.~ q)W'Nj oiO"l')µo.; auv3t"N) t~ CXip6lvou xa.l ipwvt)v lx_oVTo.;· xa.t yap ,ò P oivtu TOÙ A aull«PY) xa.l µe.a TOÙ A, o!ov 'tÒ rPA « la ' sillaba • è una voce senza signifia.to, formata di una lettera muta e di una che ha voce; infatti rP pur senza A è' sillaba', come pure con A, come fPA ». Nella versione abbiamo racchiuso tra virgolette il termine sillaba, perchf - come è chiaro il nostro uso di tillaba (abusivo, direbbe Dionisio) non coincide con quello di Aristotele. Aristotde se ha scritto queste righe con convinzione, cosa di cui non possiamo permetterci di dubitare, non può mai avere pensato che un semplice A possa essere una au>J..1?.pTj. Può essere interessante ricordare come in armeno esista una plunilità di termini per indicare le sillabe, alcuni dei quali sembrano nettamente specializzati nell'armeno immediatamente posteriore all'oskedar; si distingue, infatti, talvolta (un poco per influenza stessa di Dionisio?) tra p'alarowl'iwn 'unione, comprensione ', per il tipo (C)CVC(C); vang 'suono, voce', per i tipi CV e VC, e hn!'ow111n 'suono, voce' (o anche vang) per il tipo V, per n on dire di altri termini come !Mg, hegmay e il p restito .rilkba_y/sivlcba_y 61 •

r

6.

LA TRADUZIONE A.RABA E LA TRADIZIONE MANOSCRITTA DEL CAP. XX DELLA

« POETICA

1t.

Sappiamo be.ne che da molte parti si d ubita della integrità e correttezza del testo aristotelico pervenutoci, che contiene la definizione della •sillaba•. Poich~ assicurarci ddl'affidabiliti di questo testo è necessario tanto a questo punto quanto piò avanti quando discuterem o ddl'~µ{qiwvov, un breve excursus si rende indfapcnsabile. Già prima che si conoscesse la versione araba di Abii Bi!r Matti ibn YUnus al-Qanni'i (m. 940 d. C.) &11 si era pronti H a dar più fiducia a uno scolio marciano a D ionisio T race (au>J..a.{37) fo-n xix.,a 'ApLa.o·rl:ÀYJ" ipwv~ oiCJl'jµo.; auy,mµ.tv') cb.-ò ipw\l'Yjf:'n'o.; xa.l «11Wvou, iJ q)-r-r,r- U,- (nel cod.: ~':ili) y ~ ':ill l--ol, (nel. cod.: c,JI) ~I ,)

.!O>, u,....,.,.

':il,

u.,.....-

~ I .;,A

~r-

y,lb;:il ,:.,~. lii ,:.,15 \)\ (nel cod.: ~ I ) yU..~1 ~ I ~ 1 JI, y U.;;,I ..,- 1, .,n, (nel cod.: oli) .,i1 J.J I e, (nel cod.: yL.,;;J I)

(n el cod. : yw.;il)

11111 ammli 'l-iqti/ab11 l'llllllm 11111ra/r.hb1111 (ta.JNI) 111adlilin 11111rawb1111 min i4aqisin mM~.,.,;,;,, 111a /,i 111140wwitin wa dililr.A anna 'I-Cima wa 'r-rli'a bila aiift l11Jlli iqli/aban ief!i kana inna111D .:,ahin11 iqli/iban ,;a•a alift ltikin al-éim11 wa 'r-rli'11 wa a/if11 hfJa iqti1ib1111

u Resa accessibile da J. Tkatsch (A. Gudeman ed altri), Di, arabiuh, Ub~r11l,:_1111g dtr Po,li/t:, Aris1olll111111d di, Gr1111dlag, d,r Krili/t:, dts griuhiubln T1xl11, Wien.Lcipzig 19281932, 2 voli. N A. Hilgard, S,ho/UI ;,, Dian. Thra,. A rltllf gramm. (- Gramm. Graui, I iii), Lcipz.ig 1901,p. " A. Hilgud, cit. , « ci. Aristot. Poct. 1456 b 34, qui locus bis verbis emendatur •· A. Hilgard non si è accorto che lo scoliasta con il suo discor50 vuol significare che la de• finizionc di AdJtotcle suppone il concetto d i &ç,c.ivov, mentre quel la di Dionisio (! ... ] 6 Bt A1.0\I001.0,; liyil [ .. ,]) implia il concetto di alJµç,À)Q~-fi, OÙ ~ ":'i OTOlXtia. W ~Yr,111 xc:,il &ftùYrjv lxov) segue un esempio pure con due elementi (rP), essendo rPA un ampliamento successivo del nucleo minimo 511 • Lo scolio marciano cade in una banale casistica, degna della pedanteria di grammatici che si perdono in fatti marginali , laddove Aristotele in questi righi mira, come è solito fare, all'essenziale. Lo scolio indica le possibili combinazioni in modo tale (VC, VVC, VCC) che proprio i tipi di sequenze più frequenti (CV, CVC) restano esclusi, come resta escluso l'~µ.(rptùvov che pure è oggetto di pari interesse da parte di Aristotele. L'ordine di successio ne previsto nello scol io (VC) ricorda piuttosto lo stesso ordine che appare in Mtlapb. 1041 b 17 (tò ç>tùvrjr:v xcrl &rptùvov) che non l'ordine che figura nella Potlira greca.(~ d.q>Wvou x:2.l yltùYrjv lx,ov.oç). Nello scolio ricorrono dei plurali estranei allo stile del pan.grafo corrispondente della P otlira grea. come della Metaftsira, dove si mira, invece, a una generalizzazione essenziale del!e singole occorrenze sillabiche. Infine - e ci sembra l'argomento decisivo -l'esempio de1 greco, rP, si accorda con la definizione che prevede la combinazione di u02 muta non con una vocale ma con un elemento che abbia « voce » (lç i¾rpWvou xo:l ç>tùW)v l:x:oV"To&évT(ù\l yà.p Tèt. µèv oòxé-rt l(J'T(v, o!ov 1j aà.p~ xa:t 1/ auìJ.a:~7). 'l'à. at a.OtXit°ilt l(J'TL, xa.l TÒ 7tUp xa.t 1j yij. !rsTL\I ilpa: 'l'L Yj auìJ.a.~fi, oò µ6vov Tà. aTOLXit°ia. TÒ cpc.:,~«d ..a q:>wvfitV't'a. xa.l 'tà. µfo:x xa.'tà. -ròv a.ò-Tòv 'tp61t0v1 lWwvfitvra.) e le medie ('tlX µtaa. = le• semivocali') fin che, coltone il numero totale, dette il nome di stoikheion a ciascuna unità dell'insieme»". Le discordanze tra Platone e AristotcJe sono l'uso di µfoa., ancora acritico, in Platone e di ~µ(qiwvov in Aristotele; la definizione delle semivocali come « senza q:>wv'JJ ma con gi&6yyoi; » in Platone e, invece, ~ con qiwviJ ma insieme con npoa~oì.T) » in Aristotele.

«

M Del resto, lo 11cuo discono di logia sugli insiemi riprende un motivo platonico che t nel TNltlo, 202e, 203c, dove per di pii>. figura già l'uempio della• sillaba• e dei suoi componenti, le lettere. u Sull'errore, frequente nell'Ottocento (Fisc.bcr, Baumgatten, Stallbaum, Deuschle, Cluscn) di scorgere in questo brano quatuo classi invece di Ire (come primo vide lo Sc.hmidt) informa R. Bonghi, DiaUJgbi di Plata111, V, Roma 1885, p. 395.

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L'1110l11tio111 d,//a do/Irina 1111,li sloiJdNia

Le semivocali, senza q>w=, appare un poco forzata anche l'accc:z.ionc di « inudibile•• attributo di conaonanti pcrfctamcnte udibi li come le occlusive sonore, anc.hc duranti la « tenuta • della loro articolazione. Per tardi tentativi di attenuazione della presunta inudibiliri. degli~ vedi H. Stcinthal, Gmhirhtt dtr Sprath.,ir1111rrh,,ft, 2- edi:z., li, Bcrlin 1891, p. 201, che conclude quindi: e Die Einteilung bcruht also nur auf dc.r Quantitit der HOrbarkcit und das heisst zuglcich dcs Wohlk.langu. Coglie, invea:, il senso piò antico del vaca.bolo una breve e semplice osscrvuionc di M. Grammont , Traili, cit., p. 31 nota: « Le mot grc) dal punto di vista strutturale della lingua greca risulta del resto già da testimonianze di antichi. Cosi, infatti, uno scolio marciano a Dionisio Trace, Hilgard, S,holia cit., p. 334 r . 27: l)µ.(cpoov:x 8è ì.tyor.«L 6:1J..Ci.Jv fo,t x:xx6qiCi.Jv:x, &>crntp &.q:i(l)vov tlyoµ.tv TÒ11 Tp::xy4>8òv TÒ11 xa.x6 µfo~ deve riferirsi anche alle altre due precedenti coppie di contrari (x12l 8 « ~ >«d tjiù.(r.,yn , xa.t µYpm xixt ~pa.x_U·:-1rn), allora. abbiamo di fron te a noi un Aristotele che opera tranquillamente - come era uso generale - con il concetto di «medio» in sede di classificazione fonetica. A questo punto si potrebbe dire che 'tjµ(çi(a)vo\l non è un termine più infelice di µiaov usato poche righe dopo per le sonore, per le ancipiti e per il circonflesso. AnU, a chi fosse mosso dal desiderio di riconoscere ad Aristotele meriti, anche quando questi sono minimi o perfino discutibili, potrebbe sembrare che 1'1jµ(oov-lj, e pertanto tali lettere furono dette, negativamente, &ip6lva.. Solo in un'epoca cosi remota e in una cultura linguistica cosl elementare 11 i due termini non suscitano più per noi alcuna difficoltà di interpretazione. Platone, Aristotele, gli Stoici e la grammatica posteriore verranno dopo a costruire su questa base elementare altre idee e altri termini creando nella classificazione e nella terminologia una situazione complicata per funzionalità diacritiche e semantiche non sempre perspicue e trasparenti, e quindi instaurando un equilibrio precario. La linguistica moderna che scopre vocali sorde e che nelle occlusive « medie» riconosce sperimentalmente delle sonore con oscillazioni laringee anche più ampie di quelle che si verificano nelle voca1i (presso le quali intervengono con capacità definitoria le formanti generate nelle cavità superiori), porterà questo equilibrio precario al limite di rottura, per la contraddizione insanabile

in tpwvf}cvt:t, µ.iao: e «11wvot. Il pubblico dovcv:a. essere prcp:a.r:a.to a trarre il dovuto signific:a.to di un:a origine remot:a d:al richiamo al mito di Thcuth che non è invenzione di Platone. Plut:a.rco (Quaut. ton,., IX , 3, 2) ci conferma che Thcuth cr:a. considcr:ato inventore delle lettere (e non è notizi:a di provcnicn:za platonica, per la menzione, che Plut:arco fa poi, del geroglifico dell'ibis premesso :alla scrittura, cosa. confcrmat:a. dai geroglifici egiziani). J. Ccrnf, Tbotb os Crtator of Languagt, in « J oum. of Egypti:an Arch:acol. », 34 (1948), p. 121 sg., adduce un documento cgizi:a.no dal quale Thcuth (tf!,wty) risulta essere colui « who distingulshed (or scp:aratcd) thc tonguc of onc country from anothcr », che :a.vcv:a. distinto cioè i lingu:aggi str:anicri. Dunque l'attività del distinguere forme cd clementi del lingu:aggio car:a.tterizzav:a qucst:a figur:a di divinità, e il pubblico di Pl:a.tonc ne doveva essere a conoscenza. Il riferimento di Platone, perciò, risultava oreciso e puntuale ; rimandav:a :a un'epoca remota e non potcv:a essere preso per un:a. allusione scherzosa :al contcmpor:anco lppi:a, j cui meriti, per :a.ltro, nel campo dcll:a dottrin:a delle lettere non vcniv:a.no con ciò diminuiti. • 1 Elementare m:a non csclusiv:amentc :antica, se nel 1863 M. Thausing (Das notiirlithl Lautqrttm), :alle soglie, dunque, dcll:a fonctic:a. scientifica, ripercorre incons:a.pevolmcntc g li stessi primi passi della Grcci:a antica, teorizzando un:a disposizione ger:archic:a. n:aruralc dei « suoni articol:ati », rcgolat:a dal principio dell'iscurimcnto (Vcrdumpfung) progr-essivo dcll:a voce (Stimmton), che :appare int:att:a. in tutt:a !:a su:a. purezza solo nell:a vocale a, laddove l'interferenza meccanica, che le p:a.rti mobili articolatorie creano al pass:a.ggio dello Stimmton, determinerebbe via vi:a. il decadimento del Ton stesso.

88

Platont e Arùloltlt t la do/trina 111/lt l1lltr1 t la sillaba

che discende dal classificare «sonori » alcuni ~.tyn«L x«Mm:p inl -rWv i1ttOTI)f,1WV x«l Tùlv Myv. [ ... J TOX ycip affL)'._lli:'ct n-p6upa. Tùl~ Bl«ypixf,tµciTwv tjj Tci;tL, xa:l in-1 T'ìji; yp!:tf,tµ«nx~; T,:Ì a-T'OL)'._ti:'ct '1t"p6up!:t Tùlv cru>J.a:~Wv, i1d Te Ti:lv Myv òµo(c,:u:; · TÒ y&.p npoo(µ Lov T'ìjt; 8L')P/atwç np6-n:pov ~ Tci;t~ ictt(v « L 'anteriorità si può dichiarare con riferimento a un certo or-

dine .. C1~ ha _Juo_go, per ..o~, ma il « composto » ora è detto Smì..oUi; ora auµmrrì.eyµtvoç. Invero ciò potrebbe essere facilmente giustificato: non esistendo ancora al tempo di Aristotele una scienza linguistica, sarebbe ragionevole attendersi che non esistano nemmeno termini tecnici sufficientemente adeguati e stabili. Ma il problema non è soltanto terminologico : in un passo Aristotele sembra che chiami « semplici » nomi di persona che sono chiaramente composti. Dunque le difficoltà vanno al di là dei termini: sono sostanziali. La situazione si presenta complicata per vari ordini di fatti.

1) 1 nomi di persona composti, come KcOJ..tmtoç, 0c68wpoç sono detti ora doppi (8~1tM.) nella Poetica, 1457 a 12, ora - secondo alcuni interpreti semplici (&1tM.) nel De interpreta/ione, 16 a 23. 2) La medesima qualifica di doppio è usata per indicare vari nomi composti : a) 0e:6Swpoç, in cui il secondo componente 8ù>po" « non significa» (Poetica, cit.); b) nomi composti di due parti, delle quali due parti può essere significativa solamente una («ma poi tale distinzione tra parte significativa e parte non significativa sparisce nel nome risultanre », Poetica, 1457 a 33) ovvero tutte e due (ibid. 33-34);

110

Il umplitt t il to111plmo 1ttl/11 t1ort1i arùtottlùa

e) liv-r(µLµot; « imitatore, contr:ufattorc » e :,:.povo-rpLfki:v « passare il tempo», Rhtlorùa, 1406 a 29 e 37 (cfr. 1404 b 29).

3) Il sostantivo tna.x-rpoxéÀlJç « nave da corsa», nel De inltrprelaliont, è detto ora composto (auµm r.4-yfJ,&ov, 16 a 23 sgg.), ora, a distanza e in

maniera non diretta, doppio (&m).oUv, 16 b 32). Il ~u.adr~, ~un~uc, è assai complicato; a mio avviso non soltanto per la tcr~1.molog1a 1mp1egata, ma anche per il fatto che sulla questione si è ormai depositata una spessa coltre di interpretazioni discutibili. I critici per di più

hanno cercato sovente di attribuire ad Aristotele personali concezioni sulla compos!z!onc nominale, cogliendo qua e là spunti che possono sembrare suggcsuv1, senza promuovere invece quell'indispensabile lavoro di coordinamento delle affermazioni aristoteliche, sparse ed ellittiche, al fine di ricostruire il « testo » di Aristotele sulla composizione nominale e verbale. La varietà di voci della critica può essere ricondotta a tre posizioni tipiche. . Alcuni ~itcngono. che tut~o. possa ridursi a una « terminologia imprec1s~ ma faolmente ncomporubtle [che] non compromette il pensiero » di Armatele, e che la duplice dcnom.inazioae di cui sopra sia una « mera svi::iat:',~inologica, nata dalla tendenza alla sommarietà, che si corregge da nabil~:t~~e che il testo della Poetica in 1457 a 31 sgg. sia corrotto insaTra l'ottimismo semplicistico da un lato e la rinuncia pessimistica dall'altro, si colloa un'altra tesi, fondata sulla convinzione di un differente v~lore, per dire cosi, di chiarezza scientifica, tra l'l11terpretazJ011e e la Poelita : ciò che ~ detto nella seconda deve essere inteso alla luce di ciò che è detto nella prima, nell~ qua~e il « punto di vista [di Aristotele] appare pi\l chiaro)). Secondo tale tesi, Anstotcle avrebbe distinto dal semplice il doppio funzionalmente se_mplice (il nome proprio composto) e il doppio funziona lmente composto (11 nome comune composto). Il problema di fondo di Aristotele sarebbe stato un problema di semantica u . Cominciamo dal De interprt!alione, 16 a 19-27, riferendone il testo, di cui è indispensabile procedere ad una analisi.

Nomi 1t111pliri e 110111i ro111p,s1i "O\IOf,L« µè\l O~\I la-rL q)WV1j O'Yjf,L«V't'LXtj x«'t'CÌ. auv&-fiXYj\l il\lCU XP6\IOU, 1iç !Ll)· 8è-.i µipoç ila-rl O'Y)i,t«Y't'LXÒ\I x.cr.wpLa~O\I' b yà.p Tij> K«>.).\7t7t'Oç TÒ (1t1to My~ 't'ij> x«ÀÒl/1 saggi d, trtllfa stmanlita, Mc11ina-Fircnzc 1956, za cdi:t. 1963, p. 105 sgg.). 10



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Il semplice e il romplwo nella ltortsi arùtoJe/ita

sarebbe stato dichiarato semplice, nd secondo invece avrebbe fatto un discorso di morfologia, e perciò 0e68wpoç sarebbe stato chiamato doppio, Movendo da queste prime ipotesi, mi ero poi inoltrato in un tentativo di esegesi generale delle due prospettive diverse. Indubbiamente una sollecitazione verso gli aspetti formali è evidente nella Poetica, come nell'lnttrpretazione è evidente il prevalere di una problematica del significare. Ma un particolare mi ha costretto a rinunciare tota lmente ai risultati ai quali ero arrivato: nel rileggere ancora una volta il De interpreta/ione ho notato che Aristotele nell'addurre KiÀÀm1toç non lo chiama 0'.1tÀoùv anche se il suo discorso tuttavia è tale da potere ingenerare l'impressione die egli così in effetti lo cataloghi. L'impressione nasce da quel y&.p e dal fatto che la ~rase « _nei composti non si verifica quel che si verifica nei semplici >> viene 1mmed1atamente dopo l'esempio di Ka.).).~mt'oc;. Ma y&.p può avere il valore di «perfino>>, nel senso che K&.lli,moc; p~ò essere stato presentato come caso estremo, in cui non si direbbe a prima vista, per essere esso un composto, che viga il principio della non significanza d~lle ~arti del nome per sé stesse. Una traduzione secondo questo punto di vista riesce agevole e perfettamente plausibile: « Il nome è una voce semantica, per convenzione, senza indicazione di tempo; nessuna sua parte è semantica se viene isolata. Perfino in (un composto come) 13 Ki1ì.L1moc; l'elemento bt1toc; nulla indica per sé stesso, come (invece) nella locuzione xo:ÀÒc; bmoc; ' un buon cavallo '. In verità nei semplici le cose non stanno come nei com~osti: in quelli, infatti, la parte non è semantica per alcun verso, in questi, mvece, la par!e intende significare ma non esprime nulla in quanto isolata, come accade 10 È1to:x,poxéì,l)c;, dove xéì.11c; non indica nulla per sé stesso». ~me si vede, che KIXÀÀt1t1toc; sia qui per Aristotele un « semplice >) è una mferenza, non un dato di fatto. Visto che nella Poetica 0i::68wpoc; è dichiarato doppio, e qui nell'Interpretazione nulla osta a intendere doppio anche ~&.1ì.t1t7t'oc;, pare legittimo - fino a prova contraria - non accettare qud che il test~ non dice, cioè che KIXMLmtoc; sia da Aristotele qualificato «semplice». Rimossa questa prima difformità - del resto solo apparente _ tra Interpretazione e Poetica, ne rimangono in verità altre. Nella mia tesi non c'è l'intenzione pregiudizievole di eliminarle, bensl di prenderne atto e di trovarne poi una motivazione. 11 • L'au_to rizzazione _a sottint~ndere questa precisazione, « un composto come », ci viene propno dalla Poetica, dove 11 passo sull'!lvo!J-0[ presenta analo gie strettissime con il nostro dell'lnt"prelaz}o1", insieme a specifiche differenze. In particolare nella Pottka la qualifica di 811tì.0UV è esplicita: 1457 a 11: !lvo!J-0[ 8é fo·n cpwVl) .où;: G'lj(.Let:(vu [scii. 't"Ò µi:poc;] f1,Év 1 «>J..' oò x«&'

Prima di procedere a estrarre gli schemi profondi, è opportuno rilevare che xqwp!.O'jdvov funziona in I (1) come in II (4); che xqwp~a~v equivale a x«&' «&t6; che (,rnoç in « >UV.ò; {rrn:oç » « «ù-rò xa.&' «&.ò O'l)µtt.!vu », come si può dedurre da (2). Dunque, in ogni luogo dove si dice « per sé stesso » si sottintende « separato, isolato, dal tutto, dal composto di cui fa parte ». Per un minimo di coerenza, infine, mi sembra che un « per sé stesso, rispetto al tutto di cui è parte » è da supplite nel vuoto presentato da DI (8).

«ù-r6, b)ç 1tpodpY)Tcu. (7) P01tiea, 1457 a 10 : Ovoµi:t ai la-rt rpoov'Ì) GUv.9-t':l] :(vovToç xe>:l &:GYjµou· TÒ 8! €)( Cfl'Jµi:uv6v,wv atJy-

Esistono difficoltà per la critica testuale ma sono superabili e di fatto supe:ate .(si veda, per esempio, l'edizione di C. Gallavotti): 11. prtmo O"l']!J,«lv6v-rwv figura come cruµ~a:tv6VTwv in B («il nome semplice non nsulta composto da termini congiunti»), ma la rumsio - osserva Gallavotti - è contro la lezione di B, perché l'araba concorda con A e con Guglielmo; . 1tÀ~v ... &:GYjµou manca in Guglielmo (e in alcuni codd. descritti), probabtlment~ perché nel codice che egli ha usato per la sua traduzione (« affine ad A ») esisteva lacuna dovuta a un salto dal primo &:GYjµou al secondo; il secondo x.a:l &:GYjµou manca nell'araba; invece di iv -:c'.p bv6µan, suggerito dal Margoliouth sulla base dell'araba (Margoliouth vorrebbe far seguire a òv6µo:·n un Wc;), e già prima da Spengel e ahlen, A presenta èv -rc'.p òv6µ.a:-roç, e B iv -.c;i Ov6µa:-.o, segni di una corruzione profonda per questo passo in tutto il ramo « occidentale » ~) della tradizione.

'Y

Per la critica del contenuto la difficoltà comincia quando Aristotele dice_ che il doppio è fa tto di costituenti semantico e asemantico, oppure di costttuenti entrambi semantici, « ma ' semantico e asemantico• (e• semantico

Nomi semplùi e nomi ,om_posti

117

e semantico') non nell'ambito del nome (composto)», con ciò intendendo egli dire che tali qualifiche non vanno intese in riferimento a come i costituenti funzionano nel composto 15 • Dal momento che poco prima, nella Poetùa, Aristotele aveva asserito che èv Ti;> 0t:o36p> della grammatica per sé stessa. Tale essendo il progressivo enuclearsi della grammatica dalla storia della cultura generale e della filosofia - con abbandono del senso primo di « arte dello scrivere >> - allo storico di tali origini toccherà di sceverare attentamente tutto ciò che potrebbe essere detto specifico linguistico da quel che linguistico non è, se non nell'aspetto esteriore dell'espressione, quando è dominante al livello del contenuto una problematica che è in genere razionalistica e in particolare, spesso, schiettamente logica. Tra 7t1'WaLç e 6'1oµa. à.6p~a"t'ov corre esattamente - a mio avviso una diversità di questo genere, essendo il primo una nozione che già possiamo chiamare linguistica, e il secondo una nozione propriamente logica che è in certo modo di ascendenza platonica, ancorché A. Pagliaro sia stato di parere contrario, avendo ravvisato tra Ovoµa. &6pLa"t'ov e 7t1'Wa~ç una specie di rapporto gerarchico come tra «generico>> e «particolare)), da considerare entrambi in una prospettiva affatto linguistica. La differenza sostanziale di interpretazione concerne il modo di intendere il posto e il senso dell'Ovoµo: IX6pLO"T0'1 nel contesto principalmente del De inlerpreletlione aristotelico, dove esso ricorre congiuntamente a n..WaLç. Tuttavia, poiché nella tesi del Pagliaro l'un termine è visto in rapporto all'altro, il disaccordo sul primo dei due punti coinvolge in certa misura anche il secondo, cioè la nozione di 1tTWaLç in Aristotele. Epperò soltanto il menzionare questo secondo equivale a richiamare non uno ma molti pro-

122

Pto.IiJ

t

onoma aorùton

La

natura ling11ùlira del « oa.ro »

123

blemi; ritengo infatti che sul ruolo del «caso» nel pensiero antico sussistano ancora molti interrogativi per i quali converrebbe proporre risposte nuove e un non meno nuovo metodo di accesso. Nello studiare il termine 7tTù>atç applicato dagli antichi a vari fatti di lingua ~ necessario separare nettamente il problema della sua etimologia nozionale (quella fo rmale-letterale è di per sé evidente) dal problema del suo impiego, quale ci risulta dalla documentazione. Inoltre, nell'ambito di tale impiego, l'aristotelico va considerato a parte. Solo cosl si può evitare di attribuire ad Aristotele, e magari anche a pensatori più antichi di lui, punti di vista e teorie che sono di stampo prettamente peripatetico o stoico. In epoca postaristotelica, una esigenza largamente sentita di trovare il motivo dì questo applicare la nozione di « caduta » a fenomeni linguistici ha suggerito più di una immagine - la caduta di un dado da gioco, di uno stilo su una tavoletta cerata - quale modello rappresentativo di ciò che si riteneva essere una caduta, o diretta (Op&fJ o e:ò-&e:Ia:) od obliqua {1tÀa:yla:), del nome dal pensiero esistente nell'anima, sull'esempio, forse, del Ttelelo platonico (206 d), in cui si dice dell'opinione (OO~a:) riflessa, effigiata (lxTUr.oUµe:-Joc;) , nelle parole che fluiscono dalle labbra. Intorno a questi modelli si è discusso e scritto assai dal Barwick e dal Pohlenz in poi. :È. chiaro che i postaristotelici proponevano modelli siffatti per venire a capo della etimologia nozionale del termine, la quale ovviamente consiste in una metafora. Eppure la individuazione di tale metafora sfuggente dovrebbe essere l'ultima delle nostre preoccupazioni 1 , dal momento che l'impiego di 1tTJ.' Éurw 6vofLCl &.6p\a.ov. A tale passo il Pagliaro fa precedere (op. rit., p. 29) la parafrasi seguente: « Dopo avere ribadito che nessuno dei nom i è per natura (cpùau), ma sorge solo quando il segno (cpwvfi) diventa simbolo (aùµfx)).ov), il che mai avviene nelle voci degli animali che sono rumo ri non analiz.ubili graficamente (ot &.yp&.µ.fLClTO\ 4,6cpcn), aggiunge che né la nozione negativa oùx oi-,3-pwnoc; è un nome, né ciò che con il nome deve essere chiamato : infatti il nome non è una ddinizione, né una negazione. Si deve quindi assumere che il nome è indetermimtto •· A dire il vero no n mi sembra che questa parafrasi sia molto aderente al testo, specialmente là dove si dice « ... né ciò che con il nome deve essere chiamato : infatti il nome non è •.. ». Più fedele sarebbe una interpretazione come questa : • • non-uomo ' non è un nome; e non esiste neppure un modo di dire [cioè un !Svoµ.11] con cui si possa designarlo; ' non-uomo• non è nemmeno un discorso, né una negazione; tuttavia, per intenderci , chiamiamolo 'nome indefinito '», quantunque a rigore ·- aggiunge Aristotele in 19 b 5-6 - la cosa che esso designa si trovi ad essere senza nome: btd 3ì: l:a-r( 'T\ x.ot'TIX ·nvoc; Tj x«:r&.cpa.aLç; a't)µa.{vouacx, ToU-ro 8é ta-rw ~ 0voµa. 7j "TÒ clvW"YUj.1.0V « poiché l'affermazione indica qualcosa di alcunché, tale qualcosa o h2 un no me o è un quid senza nome ». li nocciolo della questione è appunto se per Aristotele oUx &.v&pwrtoc; ~ o non è una « nozione negativa». Indubbiamente siamo di fronte a una espressione linguistica di tipo formalmente negativo, ma possiamo convenire che il « signatum ,. sia un v61jµ.« à.noq,a.,\x6v? 11 Pagliaro ritiene ciò possibile, e in proposito scrive: « Che Aristotele si sia rifatto alla nozione negativa per dimostrare il carattere indeterminato del 'vocabolo', non può de-

La natura logùa del « nome indefinito 1t

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stare meraviglia: invero nel fatto stesso che possono essere indicate cose, in quanto cose alle quali un nome non si applica, mostra come in sostanza la nozione del nome ha una validità astratta, tanto che rispetto ad esso si può qualificare alcunché di concreto mediante la negazione; cioè una cosa a cui quel nome non si applica. (&.v~wµov) ». Veniamo dunque ad esaminare detta « nozione negativa», non prima, però, di avere espresso perplessità sul la inferenza di validità astn tta di un'etichetta a partire da una sua non applicabilità (non dimentichiamo, per altro, che Aristotele ha superato la concezione del linguaggio come nomenclatura). Si aggiunga ancora che l'idea di uno schema oppositivo tra cosa o assieme di cose da un lato e nome o nozione di nome, a dette ,01e utranei, dall'altro, non risulta esplicitata in nessun luogo aristotelico, e sembra del tutto al iena dalla maniera abituale di Aristotele di concepire contrari e contraddittori, ontologici o semantici. È vero che Aristotele non ignora le nozioni puramente negative: l' « ignoranza » (&.yvo\a.), per esempio, è una nozione negativa, come risulta da Top. 14~ a 3-9, perché il termine che la designa viene usato non come wia privazione (a--dp'ljou;) ma come una negazione (x,n ' à.rc6cpa.ow). « È considerato ignorante non ciò che non possiede scienza ma piuttosto ciò che si~ ingannato; infatti non diciamo che sono ignoranti gli esseri inanimati e gli infanti, cosicché ' ignoranza ' non va considerata come privazione di scienza » 7• Ora, posto che oUK &.v&p)

In limine, Aristotele si preoccupava soprattutto di descrivere le possibili opposizioni tra proposizioni secondo come risultano dall'applicare tutte le possibilità di distribuzione della particella negativa. Uno sguardo alle sue «tavole» di affermazione e negazione presentate in 19 b rende evidente la genesi logico-proposizionale, non semantico-paradigmatica, dell'6voµ.a. &6pta-.ov. Immaginiamo - egli dice - di aggiungere il verbo fo-rtv a 8lx«toc; e a oò S(x(Itoc;: avremo due giudizi affermativi sull'« uomo». Se formuliamo anche i negativi rispettivi arriveremo ad avere quattro giudi2i: 1) Écrn Slxa.Loc; 1X'l&pw1toc; 2) fo-rtv où S(xcuoç &v&pw1toc;

3) oòx ÉmL S(xa~oc; &v&p(l)n-oc; 4) oUx fo-rtv oò S(xa;.oç &v&pw1toç

Si hanno cosl due coppie di opposti. Ma altre due seguiranno in parallelismo se poniamo, « come una sorta di soggetto » ( Wc; Ò1toxd.µev6v -rt) la combinazione « non uomo >> (-rò oòx &v-&pc.moi;): 5) fo-rt Slx«.oc; oòx &v&pw1toç 6) fo-rLv oU S(xi:uoc; oùx &v&pw1toc;

7) oòx lcrn Slxa~oc; oòx &v&ptù1toi; 8) oòx fo-rLV oò Slx(ILOç oòx ~v&pw-

''°' Una volta che si è trasformato da positivo in negativo il predicato, « il terzo adiacente» e perfino il soggetto, si sono esauriti tutti i modi di distribuire la particella negativa. È palese, in questa operazione. l'esigenza di saggiare l'effetto semantico di ogni combinazione sintagmatica, sia naturale sia artificiale, nello spirito di una convenzionalità che dà fondo a ogni possibilità meramente teorica. Ma le parti artificiose di questa tavola non possono avere ovviamente una semantica di immediata trasparenza; anzi, a non stare accorti, si può restare ingannati nel credere che tutti gli otto giudizi vertano su un medesimo sostrato, positivo o negativo che sia. Tali parti artificiose sono estranee alla lingua greca corrente se non alla lingua greca di una sofistica ambigua. Infatti, questi « nomi indefiniti », una volta coniati, indicano pur qualcosa di unitario (lv y.Xp 1twc; m')µ«(vet xrxl -rò > tocca indifferentemente a qualsivogha oggetto, sia reale sia non reale, oùx 6.v3-p(l)1toc;: come non è una negazione cosl non è una nozione negativa. Esso è propriamente - vorrei dire - un procedimento negativo di significazione positiva : la locuzione oùx &.v3-p(o)n-oc;: non esprime la nozione di « uomo » in senso negativo, quasi u n Ev«.v-:-(ov d cli'&.v3-p(a)1toc;:, alla maniera, per esempio, in cui l' e< insipienza » si correla con la « sapienza », dacché le sostanze non hanno contrari secondo Aristotele, ma serve a sottrarre al tutto l'uomo, e perciò essa è in grado di significare (non affermare) ogni unità del restante, cioè della totalità meno uomo 9. Il precedente dell'oùx &.v&pw1toç aristotelico si trova - come è noto nel Sojitta di Platone. Nel confutare la filosofia parmenidea, ivi si dichiara, fra l'altro, quanto segue: « quando diciamo il non-essere, a quanto pare, non diciamo un qualcosa di contrario all'essere, ma soltanto un qualcosa di diverso» (ò1t6Ta.v -rò µ~ òv À!ywµ.t:v, Wr; Éotxcv, oùx Cvixv-rlov Tt Àiyo~v -roU 6v--ror; ID' inpov µ6110v, 257 b) ; e poco più avanti : « non concorderemo con chi pretende che negazione voglia dire contrario, ma ammetteremo soltanto questo, che il no e il ni accennano a un alcunché di diverso dai nomi che vengono dopo la negazione, o, piuttosto, da quelle cose che sono designate con questi nomi » (ollx &p', Éva.v--rlov 6-ra.v &.n-6q:io:a~ ).éy,J,ixt G"l)µ.ot(vi:w, cruYX_c.>PlJG6µ.t:&o: , --roaoU-rov 8è µ6vov, 0-rt --rWv il>J.wv Tt µlJWEt TÒ µ~ xo:l TÒ oG 1tpo-n.&i-µ.i:vix .-Wv Cm6VT!ùV Òvoµ.&.-r(s)v, µiUov 8è --rWv 1tpo:yµ.&.-rtùv ~pt &.TT' ilv xtl)'fo:t .-à. E:mq:i~yy61J-CVIX ~pov ~r; &.1toq:i1Xae(s)ç òv6µa.-.a., 257 b-c). Per quanto l'angolatura platonica sia qui volta a fini dd tutto particolari, certo Aristotele con il suo non-tale si ritrova perfettamente in queste argomentazioni del Sofista, e ciò è prova ulteriore, se pur ve ne fosse bisogno, che l'occorrere del non-tale nella sperimentazione delle possibilità tagme-

U

natura logùa del « no,ne indefinito »

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miche - potremmo dire - della negazione nella proposizione apofantio non ha nulla a che vedere con la 1t-rWa~ quale modificazione del nome e del verbo a partire dalle loro forme fondamentali del nominativo e della terza persona, indispensabilmente operative nel tipo elementare ed essenziale del giudizio. A questo stadio del discorso diventa quasi un gioco convertire le già viste «tavole» aristoteliche in una combinazione di diagrammi di John Veno. La conversione riuscirà tutt'al tro che superflua, anche se essa è elementare: dimostrerà a chi parla il linguaggio dei giorni nostri che il tema del « nome indefinito» trattato da Aristotele nel suo linguaggio è appunto un tema logico e non uno linguistico-grammaticale. Sia A la classe di tutti e soli gli clementi che sono ciascuno &v&ptù1toi:;. Sia /1 la classe di tutti e soli gli elementi che sono ciascuno 8(xcu or;. Sia E la classe di tutti e soli gli clementi che sono ciascuno una predicazione di esistenza. Avremo allora (la cifra dopo il segno di uguaglianza rinvia al numero d'ordine degl.i atti elementi delle tavole aristoteliche sopra addotte; la sopralineatura indica la complementazione negativa):

• Al 31 x«-tcì ~ à6p1aro: à.vn,al~t òv6µa:ro: xa:l piJµ.a:=, otov bd 'fOÙ µl) li.v&pw1toç )(O;l µT) 8()(0;!001.u;v iia«q:ii:c;. Secondo A. Pagliaro 1 « il commento che segue [all'esempio « tyW 8' . «lJ-roUc; »] mostra palesemente che il nome a6v8taµoc; è dato non solo alla particella di congiunzione, bcnsl alla proposizione che essa introduce e al legame interno che porta ad una espressione unitaria le parti della proposizione principale; [(testo greco)]. Nel caso della principale, è palese che GUv3i:crµoi; è usato nello stesso valore con cui è usato nella definizione del ).6yoi;, cioè di vincolo logico che lega insieme le parti di una proposizione o di un periodo. {... ] In altri termini, il GUv3tcrµoç della ~~, non è altro se non la traduzione formale di quel GUv3taµoç che si richiede nel Myoi; ,.. Già poco prima, A. Pagliaro aveva scritto che il termine GUv8taµoç « appare usato, non solo nel significato tecnico-grammaticale di parte del discorso, bcnsl wche in quello propriamente logico-retorico di leg2mc necessario fra gli clementi della rappresentazione», e poco più avanti (p. 8) ribadirà che nel citato passo il O'Uv3,aµoç è « considerato sotto un duplice aspetto, quello strettamente formale della particella congiuntiva e quello del nesso sintattico che essa comporta ». Per il Pagliaro, il testo della Poelico riActterebbe « in modo ancora più netto [... ] tale complessa maniera di cogliere l'individualità funzionale del segno it. Un riesame di 1407 a 20 sgg. è, dunque, tanto più necessario in quanto in tale passo si sono voluti scorgere gli stessi aspetti teorico-grammaticali che emergerebbero dal XX della Poelico. Per ricapitolare, secondo la tesi ora esposta, nel passo della R etorico citato, O'Uv3taµoç significherebbe tre cose: 1) particella di congiunzione, 2) proposizione introdotta da tale particella, 3) lega me (o nesso o vincolo) sintattico (o concettuale o logico o logico-retorico) fra gli clement i della rappresentazione e della proposizione. Mentre il primo significato è ovviamente scontato, il secondo e il terzo appaiono inaccettabili. Se il passo va inteso come segue, in esso davvero non si ravvisa alcun riferimento al O'U"3,aµot; come « proposizione » o come « nesso etc. ». « (PCI esempio si consideri la frase seguente:) • ego vero, 1 A. P3gliuo, Il rapi/o/o li1'gt1ifliro cit. , p. 5 (- Nuori 100,i, p. 85).

Termine, ,ongùmz_ione, para/assi , ipolassi

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postquam [Cleon] mihi rcm narraverat - venerat enim O con supplicans et orans - profectus sum cum illis '. In questa frase, infatti, molti aov3i:aµol sono stati inseriti prima del O'Uv3tcrµoç destinato a essere posto in corrispondenza. Nel caso, dunque, che l'intervallo tra ( l:yW 3t ) e inopMµl')v sia notevole (come di fatto è), la frase risulta non chiara it. Dunque, Aristotele stesso ci dice chiaramente che l' > - che a torto il Diels pensava di espungere, non avendo bene inteso il passo - e che l'intervallo tra questo e ly~ 3i è occupato dai O'Uv8taµ.o~ seguenti: « ... bttt µol dmv ~~ yà.p 10.twv 81:6µcv6ç n xi:d 3t,; i.Wv) o perché è unitaria la logica interna delJa detta forma verbalizzata. A un esame attento, questa interpretazione, per quanto riguarda la seconda parte dell 'alternativa posta da Aristotele, non regge.

1 H. Bonio;, J11dtx Arillottlkus ( (fotomccc.) Berlino 1961, 724 b 22: • niungcnt.ia scd ctiam coniuncta intcr 27b 121. I R. Prciffcr, Hirlor.J o/ C/assitaJ p. 144.

Aristoltlis op. cx ree. I. Bckkcr, V), 1870, 2• cdi.%. vidctur tamen OU...&ojl.0/. non solum vocabula coIC ondonis membra significare {rbtlor.] 1407 • 24, Stbolorsbip, Oxford 1968,

tn.d. ital., N3poli 1973,

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li dis,orso Jttondo Arisloltlt

Innanzi tutto va detto che il periodo sopra citato prosegue immediatamente cosl: ..., 1toÀÀol 8! ot r.o~ xa.l µ'1) lv YJ ol &.GUvlktot • (non bisogna

parlare pib di 16gos unico ma di) più 16goi quando sono indicate più cose e non uru sola, ovvero quando le espressioni sono asindetiche ,.. Ora, cosa intenda Aristotele per «asindeto » lo apprendiamo da Rhtlor. 1413 b 29-34, nel corso di una illustrazione delle differenze tra lingw. scritta e lingua parlata: xa.l -rii ciGUvStrcr. t!>aor:i'.mtl,;· cd j).3ov, ii7tl)VTI')act, t811:6µ71v. » civi:iyxYJ yà:p 1'.17toxp(vca&cu xa.l µ1) W,; lv Àtyov-rot -rei> «Ò't'{fl ~ ' nl. -r6V(i) c!m:r'l. f-n lx,itt !3,6v Tt ..a ciauv8c-r«· èv (a~ yiip xp6v