Filosofia della matematica. L'eredità del Novecento 8815085106, 9788815085108

La sistemazione strutturalista sembrava aver chiuso le ricerche logiche, drammatiche ed esaltanti, che avevano caratteri

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Filosofia della matematica. L'eredità del Novecento
 8815085106, 9788815085108

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,, J matcnwt.ici sono plalonisti nei giorni di lavoro e for·malisti la dome­ nica»: il «rnot d'esprit» del gruppo Bourbaki, partigiano e fuorviante, ha segnalo un'epoca recente della storia della matematica, durante la quale la sistemazione strutturalista sembrava aver chiuso le ricerche logiche, drammatiche ed esaltanti, che avevano caratterizzato la crisi dei fondamenti tra fine Ottocento e inizio Novecento. Ma nuove scoper­ te e nuove attività, in particolare connesse con il calcolatore, sono venu­ te affermandosi nel mondo reale e non nella astratta rarefazione bour­ bakista, riqualiticando la matematica come attività mnana. L'autore presenta in modo rigoroso e informato, dissipando molti fraintendi­ menti, le principali correnti di fùosofia della matematica che hanno caratterizzato il Novecento e che ancora restano significative: non solo le più note come platonismo, formalismo e costmttivismo, ma anche la posizione fenomenologica di Godei, il naturalismo, il fallibilismo, l'em­ pirismo, le discussioni stùla dimostrazione. Acl ispirare il libro è la con­ vinzione che le conquiste del logicismo, del clecluttivismo, dello struttu­ ralismo, della logica siano un patrimonio di conoscenze sulla matema­ tica con valore permanente: non è necessario adottare le filosofie che li hanno prodotti per riconoscere il valore di tali risultati.

Galniele Lolli insegna Logica matematica all'Università di Torino. Con il Muli­ no ha pubblicato fra l'altro: «Introduzione alla logica formale» (1991), «Incom­ pletezza» (1992), «Capire la matematica» (1996) e «Beffe, scienziati e su·egoni» (1998). Segnaliamo inolLTe «La crisalide e la farfalla. Dmme e matematica>> (B ol­ lati Bminghieri, 2000).

€ 17,50 Covcr design: ì\liguel Sal & C. In copertina: ,\ndré Weil (Gollinga, 19i7). l�laborazione dell'immagine: J.""rancesca Vacrn .. 1·i

Società ecliLTice il Mulino

ISBN 88-15-08510-6

l l Ili 9788815085108

I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull 'insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet:

http://www mulino it .

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GABRIELE LOLLI

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Filosofia della matematica L'eredità del Novecento

IL MULINO

ISBN 88- 15-085 10-6 Copyright © 2002 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Indice

Presentazione PARTE PRIMA: LA FILOSOFIA DELLA MATEMATICA n problema filosofico Ontologia Epistemologia Metodologia A-priori Riduzionismo Nuove tendenze 8. Le risposte dei matematici

l. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

PARTE SECONDA: FILOSOFIE DELLA MATEMATICA l. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15.

Norninalismo Realismo Platonismo Fenomenologia Naturalismo Logicismo Formalismo Semiotica Costruttivismo Strutturalismo Deduttivismo Fallibilismo Empirismo Forme e modelli La filosofia spontanea dei matematici

p.

7 15 19 23 33 39 45 47 51 57 67 69 75 83 111 119 131 145 157 163

179

187 195 207 229 239

Conclusioni

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Indice dei nomi

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Presentazione

In questo libro si delinea una panoramica delle filosofie della matematica del Novecento, soprattutto di quelle che nella seconda metà del secolo hanno rappresentato opzioni abba­ stanza condivise e che lo sono ancora ai giorni nostri. Tra le filosofie con queste caratteristiche, Solomon Feferman ha recentemente elencato: platonismo, strutturalismo, naturali­ smo, predicativismo, costruttivismo e formalismo'. n nostro ventaglio è più ricco, abbiamo incluso posizioni forse meno articolate ma significative, magari solo espressione di un'insod­ disfazione o di un disagio - con le giustificazioni della scelta che speriamo convincenti. Si noterà uno sbilanciamento a favore della contemporaneità, perché il Novecento è stato un secolo molto lungo in campo scientifico, e per la matematica in particolare; alcune problematiche di cento anni fa, che avevano le loro radici per di più nella seconda metà dell 'Ottocento, appaiono oggi proprio di un'altra epoca, altra temperie; è difficile sentire il de te loquitur. Potremmo dire, in modo più consono alle intenzioni, che vogliamo presentare l'eredità di filosofia della matematica che il Novecento ci ha trasmesso. Non si tratta di un'introduzione alla filosofia della mate­ matica. Un'introduzione fornisce strumenti per continuare ad approfondire, mentre noi non vogliamo invitare il lettore a proseguire sulle strade tracciate dalle filosofie esistenti. Co­ noscerle è importante, per sapere cosa hanno pensato coloro che si sono interrogati sulla matematica, e soprattutto perché lo hanno fatto e quando, e per rispondere a quali problemi, in quali contesti. Ma in generale, come si vedrà, proprio per la

1 In S. Fefennan, H.M. Friedman, P. Maddy, J.R Steel, Does mathematics need new axioms?, in «The Bulletin of Symbolic Logie», 6, 2000, n. 4, pp. 401-46.

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Presentazione

loro dipendenza dal momento storico, le filosofie sono tutte datate, a meno che non siano generiche - per la matematica non esiste nessuna filosofia perenne. Questo non significa che non siano stati acquisiti e non si trovino in alcune di esse risultati di valore permanente. Un esempio tipico di posizioni che qualifichiamo generi­ che, senza intendere il termine in senso spregiativo, è il realismo, ma lo stesso si potrebbe dire di altre posizioni. n realismo è una posizione filosofica che ha poco a che fare con la specificità della matematica, anzi la oscura e confonde le idee trattando i numeri come altre parole astratte del linguag­ gio naturale. Può darsi che acquisti in generalità e interesse filosofico, ma si tarpa le ali come filosofia della matematica perché parte da un misconoscimento clamoroso. Le parole numeriche infatti sono diverse e sono imparate in modo diverso dai nomi comuni, almeno a prestar fede alle conclu­ sioni dei recenti studi psicolinguistici2• Quest'osservazione pone il problema di come si debba fare filosofia della matematica, con quali strumenti ed in riferimento a quale matematica. Quella che un lettore incon­ tra nell'esposizione del pensiero della maggior parte degli autori filosofi consiste di qualche operazione con i numeri naturali e di qualche teorema della geometria euclidea piana; poi, un salto coraggioso porta direttamente alla teoria degli insiemi, o meglio alla definizione insiemistica degli enti matematici più astratti. Non è la matematica conosciuta dai matematici che la fanno o che la usano, né quella imparata dai bambini; è del tutto assente l'affascinante ed inesauribile mondo dei sistemi numerici; mai un teorema vero, anche semplice, ad esempio uno di quei teoremi sui grafi che parlano di party e delle persone che si conoscono o sono estranee; la teoria degli insiemi si riduce al linguaggio e agli assiomi, della cui origine e funzione è difficile farsi una ragione senza sviluppare a livello avanzato la teoria matematica. 2 Si veda A. Kanniloff-Smith, Beyond Modularity, Cambridge, Mass., The Mrr Press, 1992; trad. it. Oltre la mente modulare, Bologna, TI Mulino, 1995, cap. V, Il bambino come matematico, pp. 156-58.

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Presentazione

Si dice di solito, con non celato disprezzo, che è la matematica di cui si parla nei corsi di logica per filosofi dei college americani. Oltre ad un corso di logica, quegli studenti possono avere frequentato la storia della filosofia, ma i filosofi del passato avevano riferimenti matematici molto limitati. Si pensi che la filosofia della matematica, e non solo della matematica, di Kant poggiava su due proposizioni: la prima è «7 + 5 12» e la seconda è la proposizione 1.32 degli Elementi di Euclidd. n lettore deve essere preparato a questi incontri; se ne sarà respinto o deluso, trarrà la morale che crede opportu­ na. Anche solo per iniziare a parlare di filosofia della matematica, occorrerebbe conoscere alcune tappe fonda­ mentali della sua storia; un caso clamoroso è quello della geometria proiettiva, mai menzionata tra gli episodi filoso­ ficamente rilevanti; si parla magari delle geometrie non euclidee, per il loro interesse fisico e logico, ma dal punto di vista matematico quella che ha avuto conseguenze fatali per il modo stesso di concepire e fare matematica è stata la geometria proiettiva, sia nella versione sintetica che anali­ tica. Bisognerebbe conoscere la matematica del Novecento, o come minimo essere in grado di seguire un'esposizione della stessa4• Se il lettore prende per buona la presentazione della matematica implicita in molta filosofia, rischia di girare a vuoto. Fanno eccezione alcune posizioni per capire le quali occorre al contrario conoscere troppa matematica; altre rifiutano la premessa sulla necessità di essere familiari con la matematica contemporanea, ritenendo la filosofia =

prioritaria e indipendente dalla quantità di risultati mate­

matici accumulati, con l'ovvia assunzione pregiudiziale che la (natura della) matematica sia sempre la stessa. n problema di come ci si debba attrezzare per fare filosofia della matematica, non è però argomento del presente libro, che si riferisce a come la si fa, o la si è fatta finora. 3 La somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due retti. 4 Ad esempio, P. Odifreddi, La matematica del Novecento, Torino,

Einaudi, 2000.

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Presentazione

Emergerà ogni tanto nella discussione critica delle vane pos1z1oru. L'esposizione è una panoramica veloce ma, crediamo, sufficiente e precisa. Le scelte sono come sempre riduttive, e soggettive; sono state escluse idee originali ma che non hanno avuto seguito; non è dedicato un capitolo a parte alla fonda­ zione categoriale - che pure fa la sua comparsa - nonostante essa pretenda di offrire una radicale revisione dell'organizza­ zione concettuale della matematica. In parte l'ambizione categoriale è giustificata, se la ricerca sui fondamenti è intesa in un modo non tradizionale; se invece sono viste solo come proposta di organizzazione concettuale, le categorie presen­ tano gli stessi problemi degli insiemi; questi ultimi sono maggiormente legati ad una problematica filosofica classica, mentre le categorie hanno comunque il merito di porre alla base della matematica un concetto specifico - quello di funzione - che non appartiene al discorso quotidiano natu­ rale; la teoria della categorie è tuttavia compatibile con diverse filosofie di base, sia con il realismo che con il formalismo. Ciascuno troverà ovviamente altre esclusioni non condi­ vise. La filosofia della matematica è una disciplina che continua a essere coltivata con assiduità e con un numero notevole di contributi5; forse perché non ci sono conclusioni definitive, e si può sempre tornare sugli stessi problemi con nuove idee e nuovi argomenti. n nome della disciplina suggerisce che essa interessi sia filosofi sia matematici, ma

' A titolo esemplificativo, citiamo alcune pubblicazioni recenti, in modo volutameme disordinato, senza pretesa di completezza: S. Shapi­ ro, Thinking about Mathematics, Oxford, Oxford Univ. Press, 2000; M. Sreiner, The Applicability o/ Mathematics as a Philosophical Problem, Cambridge, Mass., Harvard Univ. Press, 1998; J.R. Brown, Philosophy of Mathematics, New York, Routledge, 1999; M. Potter, Reason's Nearest Kin, Oxford, Oxford Univ. Press, 2000, e altri citati in seguito. Inoltre è da segnalare la rivista, «Philosophia Mathematica», fondata nel 1964 ma rinnovata a partire dal 1993 e ricca in ogni numero - tre all'anno - di comributi e dibattiti. Esiste anche una e-list di discussione /om-digest sui fondamenti della matematica; per informazioni: http:/l www . math.psu.edu/simpson/fom/. --

lO

Presentazione

nei due campi essa può essere intesa in modo diverso e possono essere apprezzate problematiche e conclusioni di­ verse. In verità la filosofia della matematica, che è difficile e richiede una sintesi di conoscenze e capacità complementari, non è molto apprezzata né dagli uni né dagli altri, a meno che non si riduca a formule di uso facile e consolatorio. Essa peraltro viene alimentata da esponenti di entrambe le categorie; la parola viene qui data con maggiore frequenza ai matematici, innanzitutto perché sono meglio conosciuti dall'autore, in secondo luogo perché sono meno conosciuti dal pubblico colto, e peggio ancora spesso messi in secondo piano anche quando avrebbero un ruolo principale, e infine perché in generale dicono cose più pertinenti. Anche i potenziali lettori si dividono probabilmente in due categorie, quelli che sono più interessati alla filosofia e quelli che sono più interessati alla matematica. n libro è concepito soprattutto per questi ultimi, per i quali in particolare è pensata la prima parte d'introduzione filosofica. Speriamo che la difficoltà di accontentare entrambi non abbia l'effetto di scontentarli entrambi.

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PARTE PRIMA

La

filosofia della matematica

Conviene avvertire subito, prima di entrare in argomento, che dallo studio della filosofia della matematica non ci si deve aspettare la risposta a tutte le domande che un matematico o un utente della matematica, docente, studente, ingegnere1 , è probabile che si ponga, in modo naturale, in relazione alla sua disciplina e al suo lavoro; non solo non si ricava la risposta a tutte le domande, ma neanche a poche, e forse neanche qualcosa che sia una risposta. Al contrario, ci si trova a confrontare nuove domande, con problemi mai incontrati. Una ragione è che la filosofia, come disciplina istituzionalizzata, anche la filosofia della matematica, è un'altra cosa rispetto alla matematica, come anche rispetto alla sua didattica. Ogni disciplina tende a crescere intorno a problemi esoterici, con una propria logica interna. Un'altra ragione, collegata alla prima, è che sussiste uno iato permanente tra molti problemi discussi nella filosofia della matematica e lo stato di quest'ultima e i suoi problemi attuali. Le questioni filosofiche tendono ad essere le stesse nel corso dei millenni, mentre la matematica cambia, e in certi periodi, in particolare da due secoli a questa parte, in modo rapido e tumultuoso; i filosofi cercano in continuazione di adattare le loro domande ad una realtà elusiva e in movimen­ to; nel migliore dei casi sono indietro di una generazione nello sforzo di attenzione e adattamento - cosa che peraltro vale anche per la maggioranza dei matematici - ma le domande 1 D'ora in avanti con «matematico» intenderemo un utente della matematica, di qualunque genere, in questo senso ampio, che ne com­ prende vari più specializzati. Dal contesto si capirà quando ci si riferisce propriamente al ricercatore creativo, al cosiddetto working mathematidan.

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LA filosofia della matematica

che pongono tendono a essere sempre le stesse, salvo quando la matematica ne impone con forza di nuove2• La filosofia procede rivolta verso il passato, come l'angelo di Walter Benjamin, ed ha il futuro dietro le spalle 3• In termini più prosaici, è come un sarto che prenda le misure per un vestito, ma il cliente ad ogni prova continua a crescere. La disciplina peraltro esiste, e sono programmati corsi con questo titolo, anche in curricula didattici. Una ragione utilitaristica importante per familiarizzare con l'argomento è che i temi e le discussioni di filosofia della matematica sono il canale principale attraverso cui all'esterno, tra colleghi di altre discipline, genitori, giornalisti, divulgatori, editori si viene a conoscere, o a pensare di conoscere qualcosa della matema­ tica. Per poter discutere con loro, per correggere eventual­ mente le loro opinioni, occorre essere consapevoli di che cosa sanno gli interlocutori, e saper argomentare sul loro piano, non mettersi in contrasto e in isolamento opponendo che la matematica è un'altra cosa. L'etichetta «filosofia>> inoltre conferisce alle conoscenze diffuse una patente di cultura autorevole. n matematico talvolta ha l'impressione che i non addetti ne sappiano di più, o conoscano aspetti più profondi della sua materia - i fondamenti - di quanto lui stesso conosce, e non di rado sviluppa un senso d'inferiorità. Occorre dire infine che la filosofia della matematica ha (almeno) due anime. Da una parte è filosofia vera e propria, non ha nulla a che fare con la matematica, e sotto questo aspetto non ci sarebbe alcuna sconvenienza per il matematico ad ignorarla o a non capirla. D'altra parte essa può anche avere legami con lo sviluppo della matematica, sia nella riflessione condotta o recepita dai matematici, sia nell'in­ fluenza che esercita, come fattore culturale - anche attraverso

2 Confidiamo di offrire nel seguito esempi che corroborano opinioni drastiche come questa e altre analoghe; ma il lettore che non ne sia convinto ha il diritto di formarsi un proprio giudizio su ogni affermazione controversa. 1 W. Benjamin, Angelus Novus, Torino, Einaudi, 1962, p. 76.

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·La filosofia della matematica i canali sopra detti - sugli obiettivi della disciplina, la sua presentazione nell'insegnamento, il suo apprezzamento nella società, con quel che ne segue. Dal confronto il matematico può allora trarre vantaggio per una migliore comprensione e valorizzazione della sua stessa disciplina e del proprio lavoro. Questo è anche uno dei motivi per cui abbiamo scelto di privilegiare la contemporaneità, invece di iniziare da Atene, o dalle città ioniche o dall'India, come non sarebbe impensabile fare. Al massimo s'inseguono le radici di alcune filosofie nell'Ottocento, non più indietro. Premettiamo un tentativo di descrizione degli obiettivi e dei procedimenti della filosofia, nonostante non siano affatto facili da precisare, perché possono essere nuovi per molti lettori. Non altrettanto si può fare purtroppo con la matema­ tica, per i lettori filosofi, la si può soltanto citare. La prima parte è un esercizio di pura filosofia, che può essere saltata da chi sia insofferente nei suoi riguardi, o la trovi troppo difficile, come capiterà ai matematici. Tutti gli argomenti trattati saranno ripresi in concreto nella seconda parte, nella discus­ sione delle varie filosofie. La prima parte potrebbe anche essere letta in un secondo momento, da chi sia già familiare con la terminologia filosofica, e voglia prima informarsi sul panorama delle filosofie della matematica, e in un secondo tempo confrontare le proprie impressioni - meglio se soste­ nute da un'ampia lettura diretta delle fonti indicate - con quelle dall'autore, nel quadro di una discussione sui compiti della filosofia.

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l.

IL PROBLEMA FILOSOFICO

La prima legittima curiosità del lettore è probabilmente quella di sapere che cosa sia la filosofia della matematica. Una caratterizzazione frequente, diretta e plausibile, è che essa sia la risposta a un problema specifico, alla domanda «che cosa è la matematica>>. Di risposte a questa domanda, nella storia del pensiero occidentale, se ne incontrano a iosa, tanto più frequenti quanto più ci avviciniamo ai nostri tempi - forse perché la matematica diventa sempre più complicata e importante. Lasciamo da parte le risposte classiche articolate di filosofi come Platone o Kane; una veloce carrellata sulle dichiarazioni di filosofi e matel\latici porta a costruire facilmente una lista, largamente non esaustiva, di risposte come quelle sotto elencate2• R. DESCARTES (1628) Dovrebbe esistere una scienza generale che spieghi tutto quello che si può conoscere sull'ordine e sulla misura, considerate indipendentemente da ogni applicazione a un particolare soggetto... e invero questa scienza ha un nome proprio, consacrato da un lungo uso, vale a dire matematica.

}.W. MELLOW (1902) La Matematica Superiore è l'arte di ragionare su rela­

zioni numeriche tra fenomeni naturali.

1 Qualche informazione sulla filosofia di questi pensatori dovrebbe essere per tutti un residuo della cultura liceale; per rinfrescare la memoria si possono vedere i libri di Potter e Shapiro sopra citati, oppure anche Les philosophes et /es mathématiques, a cura di E. Barbin e M. Caveing, Paris, Ellipses, 1996. 2 Molte di queste, e altre, si trovano ad esempio in RE. Moritz, Memorabilia Mathematica, Washington D.C., Mathematical Association of America, 1914.

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La filosofia della matematica J.J. SYLVESTER (1844) Numero, posto, combinazione [sono] le tre sovrappo­ ste, distinte ma intersecantesi sfere di pensiero alle quali tutte le idee matematiche possono essere riferite... le tre nozioni cardinali di Numero, Spazio e Ordine.

E. PAPPERITZ (1891) L'oggetto della matematica pura consiste delle relazioni che possono essere concettualmente stabilite tra elementi comunque concepiti in modo arbitrario, assumendo solo che siano contenuti in una molteplicità ordinata.

G. CHRYSTAL (Enc. Brit. 9• ed.) Ogni concetto che sia definitivamente e completamente determinato per mezzo di un numero fmito di precisazioni, ad esempio assegnando un numero fmito di elementi, è un concetto matematico. La matematica ha come sua funzione quella di sviluppare le conseguenze implicite nella definizio­ ne di un gruppo di concetti matematici.

F.

KLEIN

(1902)

La matematica in generale è fondamentalmente la scienza delle cose evidenti.

G.D. FITCH (1910) La matematica pura è una collezione di teorie ipoteti­ che, deduttive, ciascuna costituita da un preciso sistema di concetti o simboli primitivi, non definiti, e di assunzioni non contraddittorie primitive, non dimostrate (di solito chiamate assiomi), insieme alle conseguenze logicamente deducibili da esse con processi rigidamente deduttivi senza alcun appello all'intuizione.

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Il problema filosofico

B.

RussELL

(1901)

La matematica pura consiste solamente di asserzioni dd genere che, se una proposizione così e così è vera di una qualunque cosa, allora la proposizione così e cosà è vera di quella stessa cosa.

B. PEIRCE (1850) La matematica è la scienza che trae le conclusioni necessarie.

A.N.

WHITEHEAD (1898)

L'intera matematica consiste nell'organizzazione di una serie di ausili all'immaginazione nd processo dd ragiona­ mento.

NovALIS

( 1901)

La matematica pura non ha a che fare con le grandezze. Essa è solo la dottrina della notazione di operazioni di pensiero tra loro ordinate che sono diventate meccaniche.

C.S. PEIRCE (1881) [La matematica] è lo studio di costruzioni ideali (spesso applicabili a problemi reali) e la scoperta attraverso di esso di rdazioni prima sconosciute tra le parti di queste costruzioni. J.F. HERBART

(1890)

Tutto quello che le più grandi menti di ogni tempo hanno ottenuto nella comprensione delle /orme per mezzo di concetti è racchiuso in una grande scienza che è la mate­ matica.

E.W. HoBSoN (1910) Forse la descrizione meno inadeguata dello scopo ge­ nerale della matematica pura moderna - non la chiamerei

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lA filosofia della matematica

una definizione- sarebbe dire che essa tratta della/orma, in un senso molto generale del termine.

Troppa grazia, verrebbe da dire, ma subito dopo: che torre di Babele. Anche senza grandi conoscenze, è facile riconoscere che ciascuna tesi è influenzata sia dalla cultura generale sia dallo stato della matematica del tempo - che nell'Ottocento hanno subito forti e rapide fluttuazioni; cia­ scuna usa termini che rimandano a problematiche non del tutto evidenti e che richiederebbero approfondimenti; cia­ scuna tesi appare peraltro più una formula condensata che non un'analisi; probabilmente è solo la conclusione di un'a­ nalisi filosofica. Non è chiaro peraltro se lo scopo dell'analisi filosofica sia quello di produrre conclusioni riassunte da tesi del genere, oppure se queste siano il punto di partenza pregiudiziale delle analisi stesse, alle quali ora conviene rivolgersi.

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2.

ONTOLOGIA

Ritorniamo perciò alla domanda su cosa sia la filosofia della matematica, e alla spiegazione che si tratta di un'inda­ gine sulla natura della matematica - per incominciare a usare termini filosofici, quale «natura>>. Ma viene da chie­ dersi perché una tale indagine dovrebbe interessare, o essere parte, o un capitolo della filosofia. La filosofia s,'interessa di tutto, o solo delle cose importanti, e di quali? E vero che esiste anche la filosofia dans le boudoir, ma tradizionalmente la filosofia era divisa in quattro parti: metafisica, logica, etica ed estetica. Un matematico che dovesse indicare tra questi un rag­ gmppamento affine al suo indicherebbe probabilmente la logica, e si meraviglierebbe a sapere che la collocazione più frequente della filosofia della matematica è nel settore della metafisica. Invece il contatto awiene proprio nella parte prima e più autenticamente filosofica della filosofia. L'incon­ tro si realizza nel seguente modo. Se la matematica è un'indagine, o un discorso, dovrebbe avere un oggetto suo proprio. Vedremo dopo che se è una scienza, allora non solo ha un oggetto, ma si suppone che fornisca conoscenze su di esso, e le conoscenze devono essere vere. Dall 'oggetto della disciplina si passa agli oggetti di cui essa parla, o che indaga. n passaggio non è così automatico come potrebbe sembrare. Altre scienze permet­ tono una descrizione non problematica del loro oggetto in quanto si presentano come studio di oggetti, macroscopici o microscopici, del mondo reale; la caratterizzazione vale per la botanica, per la biologia, anche per la fisica; in verità i loro oggetti spesso sono solo quasi oggetti naturali, perché esse studiano idealizzazioni ottenute in gran parte con l'uso della matematica, ma questa è una tipica questione da rinviare alla filosofia della scienza. Per la matematica non si può rispondere allo stesso modo, nessuno osa sostenere che gli enti di cui parla la matematica esistano nel mondo fisico, neanche un empirista radicale, e neanche in relazione alla geometria euclidea. 23

La filosofia della matematica Esce l'esistente, entra l'essere; esce il mondo, entra l'antologia - sono i giochi di prestigio della filosofia. Per fare intervenire l'antologia, o scienza dell'essere', gli oggetti della matematica sono visti come casi particolari, o particolarmente interessanti, di altri tipi di entità astratte, con maggior predi­ lezione per gli universali: il numero è l'universale partecipato, distribuito, o presente nei singoli numeri. Di tali enti capita poi che esista addirittura una scienza, a differenza che per le altre astrazioni, sicché la metafisica trova nella matematica altro pane per i suoi denti, non solo ontologico, e forse trova anche un modello. Se gli oggetti della matematica sono di rilevanza metafi­ sica, se matematica e antologia s'intersecano, almeno in parte, ciò significa che i matematici qualche volta fanno metafisica: o sono fornitori dei metafisici, offrendo loro entità da studiare, oppure sono loro collaboratori, interessandosi per aspetti diversi della stessa realtà. La descrizione di queste entità tuttavia, e delle loro proprietà, è il compito specifico dei matematici. Non è altrettanto chiaro quale sia quello del metafisico. n suo compito è dire che cosa esiste, in senso non contingente, non riferito cioè a ciò che nasce e che muore - se c'è qualcosa che esiste senza nascere e morire. Resta dunque forse alla filosofia, o questa s'arroga il compito di dimostrare innanzi tutto che gli oggetti matematici esistono, quindi che il parlare di essi non è vuoto, che al contrario è affidabile, anzi è il più garantito di tutti i discorsi. Ma forse che i matematici non dimostrano l'esistenza dei loro oggetti, anzi non hanno inventato loro garanzie forti cle11a correttezza dei loro discorsi, le dimostrazioni? Cos'altro c'è da aggiungere? Accettata l'esistenza degli enti matematici, un compito ulteriore potrebbe essere quello di giustificarla nel concerto dell'essere, di mostrare la loro necessità, o la loro 1 L'ontologia applicata è invece una recente proposta di inglobare e regolare i discorsi sugli aspetti del mondo che sfuggono alle scienze. La parola «ontologia» è usata anche fuori dalla fùosofia, per esempio in biologia, dove indica lo studio di come si sviluppano forma, struttura, capacità dell'individuo dal momento in cui l'uovo viene fertilizzato.

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Ontologia

possibilità, o la loro ragionevolezza, le relazioni con le altre facce dell'essere, oppure il tipo di essere in cui sono da classificare - quindi forse anche il tipo di discorso che è possibile condurre su di essi, sempre che enti diversi richie­ dano discorsi diversi. Ma quali strumenti hanno i filosofi per fare questo lavoro, diversi dagli strumenti in uso da parte dei matematici? Questa sarà una domanda ricorrente, e sempre presente in sottofondo. Non ne hanno nessuno, a parte un addestramento professionale a spezzare il capello in quattro; i filosofi hanno la buona abitudine di non smettere mai di porre questioni; producono inesauribili pilpul, esercizio in sé commendevo­ le, anche fuori dal Talmud, ma talvolta gratuito. Platone ad esempio sosteneva che la filosofia, la sua dialettica, era superiore al metodo dei matematici perché questi ultimi fermavano la loro indagine regressiva agli assiomi, mentre i filosofi andavano oltre, o dicevano di voler andare oltre nell'analisi. La discussione plasma, crea, sposta i problemi. Invece di una risposta si ha un nuovo problema. Siccome non si fa che parlare, il problema spesso si trasforma, riflessivamente, in un problema relativo al linguaggio che si usa. Come esempio di un tale spostamento consideriamo il caso degli universali. Immaginiamo il decorso di una discussione fittizia, chiedendo venia in anticipo per eventuali inevitabili grossolanità. Gli universali sono enti astratti, così chiamati perché condivisi da molti individui; un esempio tipico è la bellezza. Platone parlava di Forme. n problema ontologico è se esistano o no. Realista è chi afferma che esistono, con successive precisazioni e distinzioni. Negare che esista la bellezza è problematico, non perché significhi affermare che tutto è brutto, ma perché la frase «la bellezza non esiste>> ha come soggetto «la bellezza» e in una concezione forte del linguaggio l'uso di un termine come soggetto sembra impli­ carne l'esistenza. Anche negare l'esistenza di qualche ente implica parlame, e nel caso dell 'essere affermarne l'esistenza. n paradosso risale a Parmenide: il non-essere è. 25

La filosofia della matematica

L'idea che il linguaggio riveli l'essere si trova in Aristotele, dove la struttura dell'essere è isomorfa a quella della predi­ cazione. Appare assai paradossale quest'idea che il balbettio umano, di poco superiore a quello animale, evoluto dai suoni di pericolo e di richiamo sessuale riveli l'essere. Eppure essa continua a essere diffus a, e presente in varie forme anche non esplicitate o riconosciute (nel Tractatus di Ludwig Wittgen­ stein, ad esempio). La sua permanenza e tenacia deve dipen­ dere proprio dal fatto che il linguaggio è l'unico strumento che si ha per studiare l'essere. Diciamo subito, in considera­ zione di analogie che sono spesso proposte, che questo non è vero per la matematica, la quale ha a disposizione anche il confronto sperimentale con la realtà come criterio di control­ lo, e prima ancora d'ispirazione. Inoltre il linguaggio mate­ matico non si limita a fluire; che esprima qualcosa o no, per essere accettato deve essere irregimentato secondo regole che hanno una loro giustificazione specifica. Chi non accetta che il linguaggio riveli l'essere ha ovvia­ mente qualche difficoltà a fare antologia, e spesso finisce per irretirsi in uno studio del linguaggio. Nominalista è chi nega che gli universali esistano, accettando solo l'esistenza degli individui, o oggetti concreti (non materiali, ma singolari). Un nominalista potrebbe argomentare in questo modo: >. Dopo di che, invece di dire che qualcosa è bella si dice altrettanto bene che qualcosa possiede bellezza. Da una parte allora, la proprietà richiede il suo posto nd concerto dell'essere, dall'altra il nome, una volta che ci sia, può legittimamente essere il soggetto di altre frasi grammaticali. La grammatica regola l'uso della parola e noi possiamo fare un mucchio di affermazioni con «bellezza>> come soggetto. Queste affermazioni possono addirittura essere organizzate in una teoria il cui oggetto è la bellezza, ad esempio in estetica. Se queste parole hanno significato, nd senso che le possiamo usare per i nostri scopi comunicativi, è possibile tuttavia che quello che dà loro significato siano proprio le regole dd linguaggio. Ci si chiede allora se la filosofia prima abbia a che fare o debba avere a che fare con le entità oppure con le parole. L'analisi linguistica svuota la questione ontologica, o la trasforma, anche se la trasforma in una problematica che non ha a sua volta risposte conclusive. Quando arriviamo a enunciati come , è discutibile che questo possa essere reso da , dove la certificazione è una prova, la natura della quale dipende dai contesti. La definizione risale in effetti a Platone, quindi non si è riusciti a fare molto meglio, e ciò nonostante essa non è priva di difficoltà per le stranezze e i paradossi che ingenera4• Applicato alla matematica, come fanno gli epistemologi, il concetto di «credenza» o «convinzione» (ingl. belie/), con il problema connesso di quale sia l'evidenza dei matematici per le loro convinzioni, provoca un senso di inadeguatezza, o di spaesamento. Le credenze delle persone sono in generale separate e indipendenti, pluralistiche nelle loro ragioni e nelle loro funzioni, anche contraddittorie. In matematica al con­ trario tutto si tiene, tutte le conoscenze sono legate tra loro e hanno una natura relazionale. Fanno eccezione in parte solo

4 Ad esempio, iu balie a questa definizione di «conoscenza» esiste­ rebbero verità assolutamente inconoscibili, come la seguente asserzione

l

nessuno conosce questa asserzione

l

che è un'affermazione vera che nessuno può conoscere, come si verifica facilmente. Esistono anche conoscenze wote, come la frase che Achille Campanile suggerisce come alternativa allo scettico Pirrone: «Noi non sappiamo che una cosa sola: di sapere soltanto questa cosa», con il che si dice una verità incontrovertibile che non dice niente; si veda A. Campanile, Giovinotti, non esageriamo ( 1929), Milano, Rcs Libri, 2001, p. 187.

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Epistemologi4

gli assiomi, ma discutere degli assiomi come vedremo è proprio quello che i matematici non fanno ; essi li accettano o per ragioni storiche, per sedimentazione evolutiva, oppure con una giustificazione convenzionale. Discutere degli assiomi invece è forse proprio la caratte­ ristica della filosofia dell a matematica. La filosofia si chiede Che cosa è che funge da evidenza conclusiva per gli assiomi matematici?'

dando per scontato che ci sia o ci debba essere un'evidenza conclusiva; allo stesso modo si chiede quale evidenza appor­ tino alle convinzioni le dimostrazioni; anche se intesa in senso non psicologistico, la domanda presuppone che quella sia la funzione delle dimostrazioni. Sulla conoscenza sono possibili comunque almeno due tipi di domande diverse: come la si acquisisce e come la si giustifica, o la si convalida. Le filosofie della matematica si distinguono tra loro a seconda che siano interessate alle origini oppure solo alla giustificazione dd prodotto finito usualmente considerato matematica. L'alternativa per la filosofia della matematica è se essa debba interessarsi a come la matematica è entrata nella storia e a come la si acquisisce individualmente, oppure se debba interessarsi della matematica così come è, come è sanzionata in uno dei vari modi ritenuti rilevanti - che possono essere la tradizione, i manuali, la comunità scientifica o altro. Nd primo caso la discussione delle origini introduce nel quadro anche dementi non matematici o pre-malt=tnat..ki ; la matema­ tica potrebbe derivare da esperienze concrete, fisiche o sociali, e da attività in origine non (ancora) matematiche; l'acquisizione della matematica potrebbe coinvolgere lo stu­ Jio psicologico della maturazione intellettuale; potrebbe comportare errori o ripensamenti. Nd secondo caso di solito la psicologia è esclusa, e certamente lo sono gli errori; dal 5 M.D. Resnik, Mathematics as a Science o/ Patterns, Oxford, Oaren­ don, 1997.

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La filosofia della matematica

punto di vista filosofico tradizionale la matematica è un insieme di verità, e le verità filosofiche non hanno sfumature, gradi di approssimazione, revisioni; riguardano l'essere, e sono prodotte dalla ragione, non dall'esperienza.

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4.

METODOLOGIA

Considerate le difficoltà filosofiche della nozione di conoscenza, o l'eccessivo impegno metafisico della tradizione razionalista, il termine «epistemologia» è ora usato da alcuni studiosi per indicare una riflessione critica sui procedimenti che ci danno la conoscenza che abbiamo - qualunque sia la sua problematica definizione - vale a dire le conoscenze scientifiche: un'indagine sulla loro validità, le loro fonti, i loro limiti, le loro garanzie; come le acquisiamo, come ne assicu­ riamo la validità, non in un senso psicologico, e neanche trascendentale, quanto piuttosto metodologico1• In questo senso l'epistemologia coincide con quella che era anche chiamata filosofia della scienza2, o metodologia, prima che quest'ultima parola diventasse obsoleta nella reazione al posi­ tivismo logico. Una ragione per preferire comunque il termine «episte­ mologia» è che il suo uso è (relativamente) nuovo, e potrebbe segnare uno spartiacque. Per un lungo periodo del ventesimo secolo le filosofie della matematica prevalenti avevano le loro radici nei progetti fondazionali dell'inizio del secolo, motivati dalla cosiddetta crisi dei fondamenti, tutte con l'obiettivo di fornire una sicura e definitiva base per la matematica, una garanzia assoluta della sua verità e certezza. A prescindere dal fallimento o dalla confutazione di questi progetti, oggi nessu­ no è più interessato ai grandi programmi, si preferisce una comprensione articolata dello sviluppo storico e della sempre mutevole natura della pratica matematica: non il prodotto finito e imbalsamato ma i lavori in corso. n termine «metodologia» ha una connotazione legata al neopositivismo, all'idea di un metodo scientifico e all'uso

1 Si riconosce in un progetto del genere la parentela con il naturalismo di Quine, di cui parleremo ohre, ma non la coincidenza; in Italia ad esempio la metodologia era stata proposta indipendentemente da Nicola Abbagna­ no negli anni Cinquanta. 2 Così ad esempio nel dizionario di Lalande.

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La filosofia della matematica

quasi esclusivo di tecniche formali. Evoca negli scienziati il timore che si voglia insegnar loro come devono fare il loro lavoro, come se lasciati a se stessi si potessero trovare in difficoltà. La tentazione normativa della metodologia non è tuttavia esclusiva del neo-positivismo. lmre Lakatos, discusso più avanti, non ne è immune. Dalla metodologia generale, come egli chiamava la filosofia critica di Karl Popper, egli ha derivato - parole sue - una metodologia della matematica, che non è chiaro se pretenda di descrivere solo come la matema­ tica viene fatta oppure come dovrebbe essere fatta. Ad ogni modo oggi, come abbiamo accennato, a diffe­ renza dell'interesse formale della metodologia positivista per le teorie mature e i prodotti finiti della scienza, si tende a pensare che la principale funzione [della filosofia] dovrebbe essere quella di accompagnare ed aiutare il costante processo sociale che produce la matematica3•

Questo atteggiamento ha fatto emergere nuovi problemi, di carattere psicologico, storico, sociologico, e interessi che richiedono forse anche competenze non filosofiche. Ad esempio, la precedente citazione poggia sulla tesi che dobbiamo prendere atto che la matematica è un'attività pubblica. Che occorre in un contesto sociale e che ha conseguenze sociali. Porre un problema, formulare una definizione, dimostrare un teorema non sono, nessuno di questi, atti privati... Perciò una filosofia della matematica è strettamente analoga ad una concezione della natura di oggetti materiali che appartengono all 'esperienza pubblica.

Nuovi tipi di questioni dovrebbero nascere da questi interessi, ai quali oggi è conferita una più sentita priorità. Tuttavia, anche nel contesto di articolate considerazioni storiche e sociali, la filosofia o epistemologia della matematiJ N.D. Goodman, Mathematics as an objedive science, in «.Amer. Math. Monthly>>. 86, 1979, n. 7, pp. 540-5 1.

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Metodologia

ca, o metodologia che dir si voglia, dovrebbe continuare ad essere una riflessione su una disciplina che si caratterizza come un tipo di conoscenza, o una disciplina che fornisce conoscenza. Tale condizione è necessaria se si vuole evitare di trasfe­ rirsi su problematiche puramente sociologiche o storiche, se si vuole cioè continuare a fare filosofia. La sociologia della · scienza ha in effetti l'ambizione di sottrarre la scienza al dominio esclusivo della filosofia, e alcune sue teorizzazioni estreme4 si capiscono solo sotto questa luce: per vincere la battaglia accademica, il sociologo cerca di provare che non esiste nulla che si possa considerare conoscenza oggettiva, che tutta la conoscenza è socialmente determinata. Se si prende in considerazione con favore il punto di vista dell'epistemologia, s'incontra tuttavia un'altra eccezione pre­ liminare all'inoltrarsi nel discorso filosofico: infatti è discuti­ bile che la matematica debba essere considerata un corpo di conoscenze. Se alla domanda ingenua «Che cosa è la matematica?» si risponde con «La matematica è lo studio di ... » allora, oltre eventualmente a dover precisare i puntini, probabilmente gli oggetti di studio - i numeri, le funzioni, lo spazio - sembra che ci si impegni a quanto è implicito nella parola «studio», al fatto che normalmente studiare qualcosa significa acquisire qualche conoscenza relativa all'argomento studiato, e che le conoscenze sono vere. Tutti questi impegni sono a maggior ragione impliciti anche nel considerare la matematica una scienza. La risposta potrebbe tuttavia essere differente, l'inizio

potrebbe suonare «La matematica è la costruzione di ... », per esempio costruzione di algoritmi. La matematica potrebbe essere un atto di creazione, non di conoscenza; le creazioni dovrebbero forse essere conosciu­ te, almeno dai loro creatori, ma non è detto che tutti la pensino così; anzi, identificare le creazioni, anche mentali, con � In particolare il programm a forte di David Bloor, discusso in G. Lolli, Be/le, scienziati e stregoni, Bologna, D Mulino, 1998.

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lA filosofia della matematica

la loro conoscenza è considerata una fallacia filosofica'. Come esempio contrario si pensi ad un programma per calcolatore che è lasciato girare in modo da interagire con altri e modi­ ficarsi; dopo un po' di tempo neanche il suo creatore è in grado di dire cosa fa il programma. Una simile possibilità era ritenuta plausibile dai padri dell'intelligenza meccanica, a cominciare da Alan Turing; sembra tuttavia un po' forzata per le costruzioni matematiche, che sono sotto controllo permanente da parte dei loro creatori e sono modificate solo con espliciti atti di coloro che le utilizzano. Potrebbe, la matematica, essere una forma d'arte, e le testimonianze in tal senso sono numerose: Le forme di un matematico, come quelle di un pittore o di un poeta, devono essere belle (G.H. Hardy) . C'è una cosa di cui i non matematici non si rendono conto, ed è che la matematica è in realtà quasi interamente un soggetto estetico (J.H. Conway).

Dichiarazioni di questo genere potrebbero anche espri­ mere una posizione filosofica, ma una filosofia che finisce lì; se la matematica è arte, va studiata come arte; al più si può continuare a discutere, in generale, se l'arte dia anche cono­ scenza. La matematica potrebbe anche essere un'arte nel senso di una tecnica o di un insieme di tecniche e di strumenti. E infine la risposta potrebbe essere multipla, la matematica è molte cose, sia una scienza che un'arte, e altro. Anche ammesso che la matematica sia conoscenza, non ci

1 «L'idea che la nostra attività costruttiva assicuri un accesso episte­ mico alla costruzione è un errore riconosciuto, anche se allettante. Non c'è alcuna garanzia quasi-cartesiana di conoscenza per i prodotti del nostro pensiero», secondo S.]. Wagner, Logicism in Proof and Knowledge in Mathematics, a cura di M. Detlefsen, London, Routledge&Kegan Paul, 1992 , pp. 65- 109. Troviamo in verità oscura quest'osservazione, ed in particolare discutibile come vedremo in rdazione al logicismo, a cui si riferisce. ,

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Metodologia

si può poi accontentare del significato ingenuo del termine, i distinguo abbondano. Si confronti la seguente dichiarazione di Mark Steiner6: Considero come un dato (per la fùosofia della matematica) l'assunzione che la maggior parte delle persone conosce qualche verità matematica, e che alcune persone ne conoscono molte,

con quella di Morris Kline 7: La matematica è di più che non un metodo o un'arte; è un corpo di conoscenze con un contenuto che è utilizzabile dai fisici, dagl i scienziati sociali, dai filosofi, dai logici e dagli artisti. La matematica è un corpo di conoscenze, ma non contiene alcuna verità.

Le opinioni come si vede sono varie. La conoscenza è pure abilità, è «sapere come», o cono­ scenza procedurale - come si dice - contrapposta a quella dichiarativa, che è conoscenza di fatti, esprimibile attraverso proposizioni. Una distinzione ulteriore è introdotta dai filo­ sofi tra la «conoscenza di» e la «conoscenza che». La «cono­ scenza che» non richiede (forse) di precisare o supporre la natura degli enti a cui le verità conosciute si riferiscono. La conoscenza che «2 + 2 4» non richiede necessariamente la conoscenza di , la riduzione non è ammissibile. In tale ottica, il linguaggio della filosofia dovrebbe però 49

LA filosofia della malei1Ultica

essere esclusivamente il linguaggio comune, il linguaggio dell'esperienza non analizzata; è difficile capire quale tipo di filosofia si possa costruire in questo modo, a meno di non limitarla a una descrizione di quello che le persone fanno, o meglio dicono di fare; soluzione che qualcuno in effetti suggerisce come unica ragionevole soluzione per la filosofia di explaining away se stessa. Ma la filosofia ha invece un suo vocabolario tecnico, che vuole diverso sia da quello comune sia da quello scientifico. D'altra parte il principio di oggettività, per quanto utile per un confronto delle varie filosofie, è in sé discutibile; chiedere che una filosofia riconosca in partenza il valore di determinati elementi significa aver già fatto una scelta sulla rilevanza essenziale di tali elementi, nel caso di Goodman la cosiddetta pratica quotidiana e gli aspetti da lui messi in evidenza. Posizioni come quella di Goodman rientrano in un panorama di nuove proposte e filoni di filosofia della mate­ matica che si sono delineate a partire dagli anni Settanta2•

2 L'anno di pubblicazione dell'articolo di Goodman è lo stesso di quello di Hersh, discusso più avanti.

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7.

NUOVE TENDENZE

Fino a pochi anni fa, sembrava che le opzioni disponibili per una presa di posizione filosofica sulla matematica fossero limitate, e oltre a tutto esaurite (secondo il giudizio di coloro che si sentirono in dovere di proporre un rinno­ vamento della filosofia stessa1): il logicismo, l'intuizionismo e il formalismo, che erano state ereditate dalle scuole fondazionali della prima parte del ventesimo secolo. Queste filosofie derivavano da programmi formulati all'interno della matematica, e questa era stata una delle ragioni del loro successo, della loro accettazione da parte dei matema­ tici, o almeno del fatto che erano conosciute da essi e probabilmente capite. Esse avevano soppiantato altri modi tradizionali di filosofeggiare sulla matematica, sia del pas­ sato sia del loro tempo, sicché il pensiero di alt.ri filosofi - in particolare di filosofi francesi, come Ferdinand Gonseth2, non in primo piano nel mondo matematico - era caduto nell'oscurità e nella dimenticanza, anche con un certo dispregio. La prima parte del secolo è stata il periodo dell' episte­ mologia matematizzata. La riflessione sulla matematica dove­ va essere condotta con strumenti e concetti matematici, fosse al modo della metamatematica di Hilbert, come studio delle teorie formalizzate, o fosse ricostruzione radicale ben fondata come nell'intuizionismo di Brouwer. Anche il formalismo utilizzava nozioni di una teoria matematica, quella dei sistemi

1 R Hersh, Some proposals /or reviving the philosophy o/ mathematics, in «Advanees in Mathematics», 3 1 , 1979, pp. 3 1-50, ristampato in New Directions in the Phi/osophy o/ Mathematics, a cura di T. Tymoczko,

Princeton, Princeton Univ. Press, 1 998, pp. 9-28. Si veda anche P.]. Davis e R. Hersh, The Mathematical Experience, Basel, Birkauser, 198 1 ; trad. it. L'erperienza matematica, Milano, Comunità, 1986 e il più recente R Hersh, '«'hat is Mathematics, Really, Oxford, Oxford Univ. Press, 1997 ; trad. it. Cosa è davvero la matematica , Milano, Baldini&Castoldi, 2001. 2 Si veda il suo Les Mathématiques et /a réalité, Paris A. Blanchard, 1936. ,

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La filosofia della matematica

formali, e s'ispirava e s'appoggiava all'organizzazione assio­ matica delle teorie. Quella stagione è finita, non tÙtimo per il disincanto seguito al fallimento dd programma di Hilbert, su cui tanto avevano contato i suoi contemporanei; oggi si contendono la scena altre proposte: alcune hanno o pretendono di avere come riferimento lo stato attuale della matematica, e sono anch'esse, in un modo diverso, cariche di matematica, provano ad interloquire con essa; altre danno di nuovo spazio ai temi, ai problemi e ai modi di trattarli propri della tradizione filosofica che ha preceduto la crisi fondazionale da cui sono nati i programmi matematizzati ­ tradizione che come abbiamo detto ha sempre avuto la mate­ matica come argomento di interesse privilegiato, o come pro­ blema o come modello. Rimane una reciproca estraneità delle ricerche, le une hanno scarsa dignità filosofica, le altre scarso interesse per i matematici. Quando, circa trent'anni fa, è iniziata la reazione alla predominanza delle posizioni classiche del logicismo, del formalismo e dell'intuizionismo, queste scuole sono state denunciate come sterili e stantie. Non è vero che fossero divenute imbalsamate, anche se naturalmente ciascuna conti­ nuava ad essere fedele ai propri presupposti originali, ancor­ ché modificati; anzi, le scuole fondazionali continuavano a stimolare nuove ricerche. TI peccato di cui erano accusate era in verità un peccato originale, non di vecchiaia, il peccato del fondazionalismo, di voler fornire cioè una base sicura e definitiva per la certezza e l'affidabilità della matematica. La persistenza dell'errore era individuata nel loro uso della logica matematica (accusa tra l'altro ingiustificata nel caso dell ' in­ tuizionismo puro). I loro progressi in effetti erano resi possibili da un uso sofisticato degli strumenti della logica matematica; le loro risposte erano quindi certamente tutto fuorché dirette, erano difficilmente comprensibili, e quindi denunciate come vuote3• ) Parleremo di queste scuole, ma senza entrare in deuagli tecnici. Per chi è in grado di capire, citiamo soltanto alcuni degli argomenti in relazione ai quali la ricerca logica fondazionale ha apportato progressi nella seconda

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Nuove tendem.e

Bisogna ammettere che il loro lavoro ha prodotto qualcosa che assomiglia poco alla matematica classica; qualcosa che non può neanche essere proiettato diretta­ mente sui suoi problemi; i matematici non vi riconoscevano la loro disciplina, sia nella presentazione che nelle tecniche Oe dimostrazioni formalizzate per esempio, o i nuovi con­ cetti intuizionistici) . I sistemi fondazionali avevano fatto quello che ci si aspetta dal lavoro filosofico, oppure quello che le lunghezze d'onda fanno ai colori, avevano fatto scomparire la matematica. TI risultato era coerente con il loro obiettivo, perché il loro scopo non era descrittivo, e neanche normativa (salvo per l'intuizionismo), era un lavo­ ro con una giustificazione particolare: se s'inforcano oc­ chiali speciali che fanno vedere solo la struttura molecolare, e non le qualità primarie, il giallo non si vede più, si vedono in compenso altre cose interessanti. Tuttavia niente in questo mondo vive isolato; i sistemi fondazionali esistevano, e avevano qualcosa a che fare con la matematica, i filosofi ne discutevano e in certi contesti, qualche volta anche nell'insegnamento, quei sistemi sostitui­ vano la matematica, o erano visti come una specie di mate­ matica perfetta, con false e pericolose ricadute sulla sua unmagme. Ecco perciò che i critici hanno attaccato le scuole fonda­ zionali sulla base del fatto che la presentazione della mate­ matica nella veste formalizzata forniva un'immagine sbagliata e deformata della stessa, e quindi anche le filosofie collegate proponevano una spiegazione falsa della matematica. Si è .

.

metà del ventesimo secolo: l'analisi del concetto di predicatività, cuhninata in E. Nelson, Predicative Arithmetic, Princeton, Princeton Univ. Press, 1986 è uno di questi; lo stesso concetto di «infinitesimo», nella matematica non s tand ard , è un fiore all'occhiello del logicismo; poi, l'analisi logica dei

vari sottosistemi dell'Analisi; la teoria dei grandi cardinali; lo studio della matematica intuizionista, per cui si veda ad esempio Metamathematica/ Investigations o/ Intuitionistic Arithmetic and Analysis, a cura di A.S. Troelstra, Berlin, Springer, 1973, e si potrebbe continuare; ma è da segnalare anche l'aggiornamento filosofico del logicismo in M. Steiner, Mathematical Knowledge, eit.

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La filosofia della matematica

espressa l'esigenza di u�a nuova filosofia che rappresentasse la matematica in un modo più conforme alla sua realtà. La principale corrente critica è stata chiamata empirismo dai suoi sostenitori: il motivo è che il loro intento è quello di mostrare che le procedure della matematica non sono diverse da quelle delle cosiddette scienze empiriche, per la precisione delle scienze naturali. In verità le nuove posizioni, sotto la pretesa di fornire una rappresentazione fedele della matematica contemporanea, affrontavano anch'esse un problema filosofico tradizionale, quello di stabilire che cosa sia essenzialmente la matematica. TI loro obiettivo era, ed è, quello di determinare il ruolo della matematica all'interno del complesso delle attività umane, di assegnarle il posto giusto, di darle quindi una sorta di giustificazione, anche se non la giustificazione della sua certezza. Gli empiristi prendono una posizione anche sulla natura di questa certezza; essi sostengono che se le procedure di scoperta e di conferma sono simili a quelle delle scienze naturali, anche il tipo di conoscenza è simile, quindi precario, non assoluto, rivedibile, perché al di là delle procedure non c'è nulla di più fondamentale o di più garantito. La nuova filosofia della matematica, qualunque essa sia, «deve liberare sia i filosofi che i matematici dalle costrizioni fondazionali>>4• Ma il peccato fondazionale è condiviso da entrambe le categorie, anzi sono «i filosofi [che] tendono a pensare in termini di fondamenti»; i matematici dovrebbero perciò diffidare della filosofia, in questo senso. D'altra parte essi non dovrebbero neanche usare la logica, cavallo di Troia attraverso cui il fondazionalismo si insinua, e prediletto proprio dai filosofi. Si teme che sia lo strumento stesso, con i suoi poteri, magnificati perché sconosciuti, che possa indur­ re una volontà di potenza sovrumana. n pregiudizio polemico nei confronti della logica mate­ matica ripropone il problema di quali possano o debbano essere allora gli altri strumenti dell'arsenale dell'epistemolo­ gia, al di là (della descrizione) del ragionamento e delle 4 T. Tymoczko,

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New Direclions, cit., p. 4.

Nuove tendenze

tecniche puramente matematiche. Non sembra saggio, in reazione all'epistemologia matematizzata, andare all'estremo opposto e dimenticare o ignorare tutti gli importanti contri­ buti della metamatematica. n ventesimo secolo è stato il secolo del linguaggio - logica, filosofia del linguaggio, filosofia analitica, linguistica, calcolatori - ed è impensabile che i contributi che vengono da questo versante non siano rilevanti. La storia, la psicologia del ragionamento, o le scienze cogni­ tive in genere faranno la loro parte. La filosofia come tale ha da offrire la saggezza distillata da millenni di dibattiti e di an alisi un contributo di valore - ma nessuno strumento -

specifico.

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8.

LE RISPOSTE DEI MATEMATICI

In tutto il corso della storia, la metodologia della mate­ matica è sempre stata cura e preoccupazione precipua ed esclusiva dei matematici. Essi vi si dedicano più o meno intensamente a seconda delle necessità del loro periodo storico. I momenti di più intensa attività sono i cosiddetti periodi del rigore; di solito si cita la seconda metà dell'Otto­ cento, ma un altro di questi periodi è la fine del Seicento e, andando indietro, il tempo stesso di Euclide1 • L'ovvia ragione del coinvolgimento diretto dei matematici è che solo essi conoscono abbastanza matematica per discutere i suoi pro­ blemF.

La necessità dell'impegno in prima persona dipende dal fatto che in ogni epoca i matematici hanno avuto i loro problemi. Pitagora aveva le grandezze incommensurabili e i rapporti che non si lasciavano misurare; nel Settecento faceva impazzire la convergenza delle serie infinite; nell'Ottocento c'era la questione della continuità; poi sono venuti gli insiemi infiniti, e le preoccupazioni della non contraddittorietà. Viene da chiedersi se la filosofia della matematica debba essere sempre motivata e guidata da qualche preoccupazione, più o meno angosciante. Per quella fatta dai matematici la risposta è positiva, e quella fatta dai matematici è in genere la più interessante; è giusto prestare attenzione alle domande tradi­ zionali, e discutere come si possa, o non si possa rispondere ad esse, ma non bisogna neanche legarsi le mani, e la migliore filosofia è quella che tiene conto soprattutto dello stato della matematica. Esiste una forma di filosofia della matematica che si presenta semplicemente come una lista di argomenti: l'infini-

1 È nota la battuta relativa al rigar martis come effetto del rigore portato dalla moderna formalizzazione. Non si applica ovviamente alle altre epoche del rigore. 2 Lo stesso si potrebbe dire forse per la fisica e altre scienze, ma non

siamo autorizzati a giudicare.

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La filosofia della matematica

to, la complementarità tra discreto e continuo, il metodo assiomatico, la probabilità, per citare solo alcuni ragionevoli candidati. Talvolta simile impostazione riflette una visione filosofica dello sviluppo della matematica3, per accrescimenti naturali o razionali; in generale tuttavia l'indice è costituito semplicemente da concetti che sono entrati da poco nel dominio della matematica. Per esempio oggi noi non mette­ remmo nella lista il continuo, che invece alla fine dell'Otto­ cento era un argomento scottante; aggiungeremmo invece la teoria della calcolabilità. Se una presentazione del genere non è fatta per illustrare una tesi filosofica preconcetta, si tratta di genuina epistemo­ logia, cioè riflessione critica su alcuni concetti, teorie o stru­ menti4. n problema è come sceglierli. In determinati periodi si verifica un cambiamento nel modo di fare matematica, e allora le novità si prestano e chiedono di essere discusse'; per esempio questo è successo quando il metodo assiomatico è diventato universale e ha visto il fiorire di molte nuove teorie. Abbiamo vissuto, in quel caso, un episodio di filosofia della logica più che della matematica. Uno dei concetti discussi in tale occasione è stato quello di assioma. Per rispondere a cosa è un assioma, si può iniziare a guardare i dizionari, dove è raccolta la saggezza del passato. Una risposta comune è «proposizione evidente universalmen­ te riconosciuta»6; in alcune filosofie della matematica si trova invece che gli assiomi sono proposizioni arbitrarie, o conven­ zioni. Un matematico moderno direbbe al contrario che gli

3 Potrebbe essere il caso, ad esempio, di L. Brunschvicg, Les étapes de la philosophie mathématique (1912), Paris, A. Blanchard, 198 1 , o di F. Gonseth, Les Mathématiques et la réalité, cit e Les Fondements des mathématiques ( 1 926), Paris. A. Blanchard, 1974. 4 Un'esposizione così impostata è in G. Lolli, Capire la matematica, Bolofna, D Mulino, 1996. Si veda ad esempio proprio il titolo, oltre che il contenuto, di H Meschkowski, Wandlungen des mathematischen Denkens, Braunschweig, Vieweg, 1956; trad. it. Mutamenti nel pensiero matematico, Torino, Boringhieri, 1963 . 6 S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Torino, UTET. .•

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Le risposte dei matematici

assiomi sono definizioni di classi di strutture matematiche, e che non sono affatto evidenti, ma neanche arbitrari. Un logico interessato ai fondamenti si preoccupa però degli assiomi non per ogni teoria ma per «i concetti di numero, insieme, fun­ z ion e che soggiacciono a tutti gli altri concetti matematici»7• Sono questi, i cosiddetti assiomi fondazionali, di cui si discute in genere nella filosofia della matematica, e il matematico deve esserne awertito. In altri momenti succede che, quando sono costruite nuove teorie matematiche per nozioni prima usate solo in modo informale e ingenuo, oppure addirittura nozioni non scientifiche, si presentino ambiguità e paradossi, che in verità rivelano le inconsistenze del senso comune, che diventano ora oggetto di attenzione. Un esempio tipico è la teoria della p r ob abilità. In generale in questi casi i problemi riguardano n on la matematica ma le concezioni popolari; discuterli e chiarirli è un doveroso lavoro educativo, che è utile peraltro non solo per le persone comuni; anche lo specialista può trarre vantaggio da queste analisi, per esempio per non essere intralciato dai vecchi e magari contraddittori significati por­ tati dalle parole comuni, che vengono utilizzate in matematica con le nuove precise determinazioni. Le cure costanti dei matematici per le specifiche difficoltà con cui sono alle prese non hanno mai impedito loro di conservare un atteggiamento ottimistico per quel che riguar­ da la loro disciplina e il suo futuro. Le soluzioni matematiche via via trovate per superare gli ostacoli che di volta in volta si sono presentati non sono risposte alla domanda su cosa sia la matematica, tanto meno risposte in formule condensate. Sono nuova matematica. Pronunciamenti sulla natura della mate­ matica sono peraltro stati sempre espressi volentieri, senza dubbi né inibizioni, come abbiamo visto nella carrellata ini­ ziale, a cui conviene ora tornare. Abbiamo già detto che tutte le citazioni dovrebbero essere inquadrate nel loro contesto storico, culturale e pro-

7 S. Feferman et al. , Does mathematics need new axioms?, cit.

59

La filosofia del/4 matematiCII

blematico. Sono figlie del loro tempo, ma non in modo univoco; dichiarazioni alternative e contraddittorie possono essere contemporanee, mentre le stesse posizioni possono ri­ correre in tempi diversi. Molte di queste enunciazioni sono irriconoscibili rispetto a quello che ci si aspetta da risposte filosofiche; sono proba­ bilmente più comprensibili ai matematici, o almeno evocano in loro qualcosa di familiare; usano termini matematici, della matematica del loro periodo, insieme a termini che sono forse anche tipici della cultura generale (ad esempio «forme»); non usano nozioni logiche tecniche - a parte un riferimento generico alla logica, quando c'è - le quali hanno fatto la loro comparsa nel seguito del ventesimo secolo. Se oggi dovessimo proporre prese di posizione analoghe a quelle sopra citate, da parte di matematici contemporanei, troveremmo ancora prevalenti quelle con riferimento alla forma, o sinonimi come «pattem»8• Le citazioni sopra riportate sono state ordinate in modo non cronologico, per indicare una tendenza; anche se in ogni momento diverse posizioni si contendono la supremazia, esiste, e si potrebbe documentarlo meglio con un numero maggiore di citazioni, uno spostamento negli ultimi due secoli da una visione più realista ad una più formale - realista non nel senso dell'esistenza degli universali, ma di riferimento al mondo fisico. Nel 1800 era largamente diffusa l'idea che la matematica avesse che fare direttamente con la struttura dello spazio fisico e del tempo, e che fornisse il paradigma di un pensiero puro che arriva a fornire informazioni rilevanti sul mondo fisico9• a

Era quindi diffusa in particolare l'idea che la matematica fosse un modello per la filosofia. Nel 1900 abbiamo in primo

8 S. Mac Lane, Mathematics: Fonn and Function, Berlin, Springer, 1986; M.D. Resnik, Mathematics as a Science of Pattems, cit. 9 J.P. Burgess e G. Rosen A Subject with no Object, Oxford, Oxford Univ. Press, 1997. ,

60

Le risposte dei matematici

la teoria degli insiemi e gli spazi astratti, di cui non è facile rendere conto1 0• Si è passati anche, come interrogativo filosofico princi­ pale, dal problema gnoseologico «come è possibile conosce­ re» (Kant e le categorie di spazio e tempo) al problema metafisico di cosa sono queste cose che non sembrano di questo mondo. Oppure, se non si è interessati al problema metafisico, a come sia possibile che tali discorsi trovino a­ posteriori riscontro, o applicazione nel mondo, e che cosa li sorregga nel momento in cui sono elaborati senza un riferi­ mento alla realtà. Nel passaggio tra le due epoche, si è incominciato a parlare di una realtà matematica, che si sostituiva a quella fisica1 1 • La realtà matematica è rimasta nelle filosofie realiste, ed è invece scomparsa anch'essa in altre posizioni. Secondo alcuni, il modo come si presenta la matematica insiemistica astratta del primo Novecento è una ragione del fiorire di diverse filosofie che sono rivolte soprattutto ad una reinterpretazione, o ad una ricostruzione della matematica (interpretazione nominalista, o rielaborazione costruttivista, come vedremo), essendo quella ufficiale indigeribile. A questa drammatica visione si potrebbe opporre che quello degli insiemi non è che un linguaggio, un linguaggio che si è imposto anche per ragioni di comodità e opportunità, ma che caratterizza solo una fase storica, e non contiene l'essenza della matematica. Un'automobile è sempre un'automobile, dalle prime Ford alle Ferrari, anche se la carrozzeria è irriconoscibile. Saremmo, con un'idea del genere, all'estremo opposto del linguaggio che rivela l'essere, e dovremmo affrontare problemi non banali sulla natura del linguaggio in generale, e dei linguaggi scientifici in particolare. Ma sostenere che la matematica è cambiata è già una

piano

Ibidem. Per maggiori informazioni su questo passaggio, si veda G. Lolli, La matematica: i linguaggi e gli oggetti, in ScienZtJ e Filosofia. Saggi in onore di Ludor,ico Geymonat, a cura di C. Mangione, Milano, Garzanti, 1985, pp. 10 11

213-40.

61

La filosofia della matematica

filosofia, o un impegno filosofico. Almeno se s'intende che la matematica è cambiata e cambia in modo tale che non ha senso porsi il problema della sua natura (immutabile). Lo stesso problema si ha con qualsiasi oggetto in evoluzione. Ogni parte di un'automobile può subire drastici cambiamen­ ti: il motore può essere collocato dietro o davanti, essere a scoppio o elettrico; le gomme da piene diventano pneumatici; il volante non è detto che debba essere e non è sempre circolare. Chiameremmo forse «automobile» un mezzo di trasporto molto simile nell 'abitacolo alle attuali, ma che non ha quattro ruote e si muove su di un cuscino d'aria? Che cosa è che definisce un'automobile? Non l'etimologia del muoversi da sola, perché non è vero che si muove da sola. Nel caso della matematica, l'etimologia ci direbbe solo che è uno studio, un'attività volta ad imparare - ma non che cosa. Una questione interessante è se la filosofia si possa interessare agli oggetti variabili. Per conservare un'entità al di sotto del cambiamento, si potrebbe sostenere che nella matematica sono cambiati e si sono arricchiti i metodi, ma l'oggetto è pur sempre, al fondo, lo stesso, rappresentato ad esempio dai numeri. Una posizione del genere non regge però ad una considerazione seria della matematica; non si può sostenere che tutta la parte astratta della matematica è solo in funzione dei risultati che si possono ottenere sui numeri, anche se questo è un criterio pratico e filosofico importante (che ritroveremo nella riflessione di Godei e dei platonisti); se nuovi metodi permettono di ottenere risultati che non sono ottenibili senza di essi, è difficile usare la parola 9• Quest'operazione si chiama anche reificazione, o iposta6 W.O. Quine, Set Theory and its Logic, Cambridge, Mass . , The Bclknap Press, 1 963 . 7 K. Go dei , Russell's Mathematical Logic, in The Philosophy o/ Bertrand Russe/l, a cura di P.A. Schilpp, Evanston, ID., The Library of Living Philosophers (New York, The Tudor Publishing Company), 1944, pp. 125-63, ristampato in Philosophy o/ Mathematics, a cura di P.

Benaccrraf e H. Putnam, Oxford, Blackwell , 1964 , pp. 2 1 1 -32, ora inserito in K. Godei, Collected Works, vol. II, a cura di S. Fefennan et al. , Oxford, Oxford Univ. Press, 1990, pp. 1 19-41; trad. it. lA logica matematica di Russe/l, in C. Cellucci, IA /ilosofia della matematica, cit., pp. 8 1 - 1 12. 8

J.P. Bu rgess e G. Rosen, A Subject with No Object, cit. P.J. Cohen, Comments on the Foundations o/Set Theory, in Axiomatic Set Theory, a cura di D. Scon, vol. l, Providence, Rl., AMs, 197 1 , pp. 9-15. 9

73

Filosofie della matematica

tizzazione; mentre sul piano psicologico è difficile scoprirne i meccanismi, è più agevole seguime l'evoluzione storica. Enrico Giusti1 0 ad esempio ha indicato alcuni stadi ricorrenti: Nuove teorie, nuove importanti scoperte, creano nuovi oggetti matematici. Questi appaiono dapprima, in maniera non ancora materializzata, sotto forma di metodi dimostrativi, di strumenti d'indagine; talvolta nell'antichità più remota come procedure operative. La loro importanza induce a studiarli di per sé, indipen­ dentemente dal contesto in cui sono stati introdotti, anche in vista di una utilizzazione nelle stesse o in altre circostanze: le procedure dimostrative diventano oggetto di studio . In alcuni casi - non molti; la matematica in fondo ruota intorno a pochi oggetti - si assiste a un fenomeno di oggettualizzazione delle procedure . .. Un indice di questa cristallizzazione è rappresentato da un terzo stadio, spesso contemporaneo e intrecciato con il secondo, in cui appaiono come soluzioni di problemi. Quando queste tre fasi si sono compiute, si dice che è stato scoperto un nuovo oggetto matema­ tico. .

.

In questo modo si riesce a rendere ragione di un modo di esprimersi, senza impegnarsi in una fede ontologica, e apren­ do invece interessanti prospettive di analisi storiche e logiche.

10 E. Giusti, Ipotesi sulla natura degli en# matematici, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 75. 74

2.

REALISMO

La posizione opposta del realismo sembrerebbe, a diffe­ renza del nominalismo, proprio solo una dichiarazione di fede, un pronunciamento preliminare che non ha influenza sul lavoro matematico, ma che apre al massimo, ai suoi sostenitori, alcuni problemi eminentemente filosofici. n no­ minalismo almeno costringe i suoi adepti a sporcarsi le mani con la matematica, a porre restrizioni o proporre ricostruzio­ ni, mentre il realismo appare di natura più contemplativa. n realismo è stato forse la prima filosofia della matematica in senso stretto, sostenuta cioè da matematici anche in modo parzialmente autonomo da filosofie generali; è stato fin dal­ l'inizio della matematica greca il modo di sostenere la dignità teorica della disciplina, di distinguere la geometria dall'agri­ mensura, l'aritmetica dalla logistica, offrendo loro innanzi tutto un oggetto loro proprio, al di là dei metodi di misura e calcolo. Lo troviamo infatti, con accenti platonici, in Proclo (IV sec. d.C.): le idealizzazioni della scienza geometrica sono idee innate, precedenti e indipendenti da ogni esperienza 1 • Questa tradizione scende fino a Descartes2: Quando io immagino un triangolo, sebbene non ci sia forse, in

alcun luogo dd mondo una tale figura fuori del mio pensiero, e non ci sia mai stata, non per ciò tuttavia, cessa di esservi una certa natura,

forma, o essenza determinata di questa figura, la quale è immu ­ tabile ed eterna, né io l'ho inventata, né dipende dal mio spirito in alcun modo.

o

In seguito l'atteggiamento realista si articola meglio e si arricchisce, di fronte alla cresciuta complessità della matema­ tica n realismo nell'età moderna è la culla comune di diverse .

1 Proclo,

Commento al primo libro degli Elementi di Euclide, a cura di

M. Timpanaro Cardini, Pisa, Giardini, 1978. 2 R Descartes, Méditations métaphysiques (1641, 1647); trad. it. Meditazioni meta/isiche, Bari, Laterza, 1986, p. 60.

75

Filosofie della matematica

concezioni, anche in conflitto tra loro, sia dal punto di vista ontologico che epistemologico. Non è detto infatti che il realismo accetti l'esistenza di tutti gli oggetti della matematica, di tutti quelli di cui si parla in ogni angolo della matematica. n taglio tuttavia dipende in generale da considerazioni non prettamente filosofiche; di solito è motivato da interessi o preferenze scientifiche, o matematiche, sul modo di fare matematica. Vedremo il ta­ glio di Quine, che si potrebbe chiamare realismo scientifico, secondo cui tutti gli enti matematici che servono nella scien­ za hanno una legittima pretesa di esistenza, per quanto astratti siano (i numeri reali per esempio), ma solo quelli; il resto si può classificare come si vuole, esercitazione formale, o fantasia. n realismo semplice - per usare una terminologia di Penelope Maddyl - sostiene che la teoria degli insiemi, ovvero in questo contesto la matematica, è lo studio di un universo oggettivo, l'universo degli insiemi; il platonismo rigoglioso (ingl. Plenti/ul Platonism) invece è la posizione che afferma l'esistenza di un mondo oggettivo in corrispondenza di ogni teoria non contraddittoria formulata nella logica del primo ordine. Le due posizioni hanno conseguenze divergenti; nell'ot­ tica della prima, proposizioni come l'Ipotesi del Continuo", che sono indecidibili5 nella teoria corrente accettata, la teoria di Zermelo-Fraenkel ZFC o sue estensioni, hanno nondimeno un valore di verità, ancora a noi sconosciuto, nell'universo di cui gli assiomi ZFC sono una descrizione, ovviamente incom­ pleta. Nella seconda ottica, applicata alla teoria degli insiemi stessa, queste proposizioni non hanno un valore di verità; ci sono universi in cui sono vere e universi in cui sono false; ci sono diversi universi. 3 P. Maddy, How lo be a naturalist about mathematics, in Truth in Mathematics, a cura di H.G. Dales e G. Oliveri, Oxford, Oxford Univ. Press , 1998, pp. 161-80. 4 L'ipotesi dd continuo è l'ipotesi che non esistano cardinalità infinite intermedie tra quella dei numeri naturali e quella dei numeri reali. � Significa che non sono né dimostrabili né refutabili.

76

Realismo

Non sorprenda l'apparente ossimoro; anche in alcune interpretazioni della meccanica quantista si parla di universi (materiali) paralleli; in matematica, il termine «universo» può essere preso alla lettera, da parte del realista semplice, oppure può essere eliminabile, per altri che pure lo usano per comodità. Con «universo» s'intende la totalità degli insiemi di cui una teoria assicura l'esistenza; di teorie ce n'è più d'una perché quella comunemente accettata è incompleta, e sempre una teoria degli insiemi (con una logica effettiva soggiacente) sarà incompleta. Chi dedica la sua ricerca alle dimostrazioni d'indipendenza, o le incontra in modo rilevante nelle sue indagini, difficilmente confesserà di pensare ad un solo universo; non riuscirebbe a dare un senso al lavoro che fa; i suoi modelli sarebbero solo artifici tecnici formali. Spesso la filosofia dei matematici è solo tm modo di dare senso ed importanza a quello che fanno, un completamento psicologico; così chi lavora in teorie che si pensano o si vorrebbero categoriche, cioè con una sola realiz­ zazione, alla conoscenza della quale è rivolta la sua ricerca, tende a essere realista, dapprima in relazione ai suoi oggetti, e poi per democratica concessione in relazione a tutti; chi studia teorie con molte realizzazioni, o modelli, ed è interessato proprio a sfruttare la diversità dellP. realizzazioni, è in genere orientato ad una posizione rigogliosa, se è realista. Tra questi ultimi si trovano soprattutto algebristi, tra i primi analisti. n realismo non è tuttavia vincolato alla considerazione degli insiemi. Non è una tesi del realismo che gli oggetti della matematica siano insiemi. Un platonismo rigoglioso come quello descritto da Maddy, ma senza la richiesta che i modelli di ciascuna teoria siano insiemi, ha in effetti i suoi sostenitori6• Lo si potrebbe chiamare strutturalismo, nome che è riservato ad una posizione particolare discussa più avanti. Chiamiamo strutturalismo la semplice tesi che ogni teoria non contrad­ dittoria individua una classe di strutture, i suoi modelli, e parla di essi, senza impegnarci a dire che cosa sono le strut-

6 Ad esempio M. Steiner, Mathematical Knowledge, eit.

77

Filosofie del/4 matematica

ture; e chiamiamo strutturalismo platonista o platonismo rigoglioso quello in cui le strutture sono a loro volta insiemi. In certe versioni di realismo e di strutturalismo, il tenta­ tivo di ridurre oggetti e strutture agli insiemi potrebbe met­ tere in pericolo sia la loro vera natura sia la loro reciproca indipendenza. Nella terminologia filosofica tradizionale, nd contrasto tra lo strutturalismo e il realismo semplice incontriamo la problematica del pluralismo o dd monismo della realtà. Gli oggetti matematici sono tutti essenzialmente della stessa natura, oppure esistono diversi tipi di oggetti, ognuno con una natura e una realtà proprie? Quando gli argomenti della matematica erano soltanto il numero, lo spazio e l'ordine, nessuno pensava che si trattasse della stessa cosa - anche se con la geometria analitica qualche anticipazione di scenari futuri iniziava ad insinuarsf. L' atteg­ giamento monista inizia ad avere senso solo dopo il periodo dell'aritmetizzazione dell'Analisi8, e con l'awento successivo di una teoria degli insiemi unificante. Perfino un formalista potrebbe sottoscrivere lo struttu­ ralismo: ogni teoria si regge sulle sue gambe, per il formalista come sistema formale non interpretato, ma con la possibile aggiunta innocua, o meglio, non matematica, dell'assunzione che la non contraddittorietà implichi l'esistenza; basta affer­ mare che questa assunzione, o questo risultato logico, è un'appendice metafisica di nessun interesse o rilevanza per la matematica9• Sospettiamo che Bourbaki, strutturalista e formalista, accetterebbe questa presentazione. In effetti 10:

7 Si ricordi anche che nella matematica greca pre-euclidea i numeri erano forme geometriche. 8 Per una storia dell'aritmetizzazione rinviamo a L. Geymonat, Storia e filosofia dell'Analisi infinitesimalt•, Torino, F.lli Bocca, 1948. 9 In verità l'argomento, che fa uso della massimalità, è molto simile a quello delle prove antologiche dell 'esistenza di Dio. 10 J. Dieudonné, Les méthodes axiomatiques modernes et les fonde­ ments des mathématiques, in Les grands courants de 14 pensée mathématique, a cura di F. Le Lionnais (1948), 2• ed. arricchita Paris, A. Blanchard, 1962, pp. 543-55.

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Realismo Sui fondamenti, noi crediamo alla realtà della matematica, ma naturalmente quando i filosofi ci attaccano con i loro paradossi noi corriamo a ripararci dietro al formalismo e rispondiamo: «La matematica è solo una manipolazione di simboli privi di significa­ to», e poi scriviamo il Capitolo l e 2 [degli Elements] con la teoria degli insiemi. Finalmente siamo lasciati in pace e possiamo tornare aUa nostra matematica e farla come abbiamo sempre fatto, con la sensazione che ha ogni matematico di lavorare con qualcosa di reale. Probabilmente questa sensazione è un'illusione, ma è molto como­ da. Questo è l'atteggiamento di Bourbaki nei confronti dei fonda­ menti.

Il realismo non è neanche caratterizzato da una preoc­ cupazione ontologi ca, almeno in filosofia della matematica; può essere interessato in primo luogo, o esclusivamente, alla verità delle affe rmazioni matematiche. Secondo Michad Re­ snik1 1 il vero realismo si caratterizza per tre tesi: l ) gli enti di cui si parla nelle teorie matematiche esistono; 2) le teorie che li riguardano sono (in larga misura) vere; 3 ) la loro verità è indip en dente dalla nostra conoscenza e, nd caso siano cono­ sciute, dal nostro modo di conoscerle. Tuttavia i tre aspetti si possono trovare disgiunti, in filosofia nessuno dà ordini, o nessuno li rispetta. TI realista semplice è un realista non solo ontologico ma anche per quel che riguarda i valori di verità; il platonista rigoglioso è un realista ontologico, accetta la realtà degli enti, ma n on la verità delle proposizioni matematiche, perché accetta solo verità relative alle strutture. Accanto ad un realismo ontologico si ritrova dunque un realismo gnoseolo­ gico, o logico, che non è altro che l'accettazione dd principio aristotelico di bivalenza per ogni affermazione. Una formulazione dd realismo dei valori di verità, che sembra dovuta a Michad Dummett è la seguente12: 11

M.D. Resnik, Mathematics as a Science o/Patterns, cit. Citato da H. Putnam, What is mathematical Truth, in Philosophical Papers, 2 voli. , Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1975, ristampato in T. Tymoczko, New Directions, cit., p. 57 ; trad. it. Che cosa è la verità matematica , in H. Putnam, Matematica, materia e metodo, Milano, Adelphi, 1993 , pp. 80-98. 12

79

Filosofie della matematica Un realista (rispetto a una teoria o a un tipo di discorso) sostiene che l) gli enunciati della teoria o del discorso sono veri o falsi, e 2) che ciò che li rende veri o falsi è qualcosa di esterno - vale a dire non si tratta, in generale, dei nostri dati sensoriali, attuali o potenziali, o della struttura della nostra mente, o del nostro linguaggio e così via. D qualcosa di esterno deve certamente essere reale, ma non necessariamente rappresentato dalle entità a cui gli enunciati appaiono volersi riferire (questo richiederebbe una pre­ liminare teoria del significato) . Potrebbe essere qualunque cosa, per esempio la società. Sulla base di questa formulazione, è possibile essere realisti rispetto al discorso matematico senza impegnarsi sull'esistenza di «oggetti matematici».

È difficile imm aginare da dove potrebbe venire l'idea di una simile forma di realismo se non dalla riflessione sulla matematica; prima di enunciarlo, occorre riconoscere un sostanziale corpo di affermazioni che siano ritenute vere. Un realismo senza oggetti potrà essere riconosciuto nel logicismo; per Gottlob Frege i numeri erano concetti; la questione fondazionale non era quella degli oggetti, ma dell 'oggettività della matematica, contrapposta al suo essere, o essere fondata, nelle nostre menti, sia le menti individuali sia una mente collettiva o trascendentale. Per sostenere che i concetti sono esterni, è sufficiente rifiutare la nozione della mente (e dire che esistono). Dal punto di vista di Dummett, Kant non sarebbe da considerare un realista, ma è probabil­ mente un realista gnoseologico. Identificati gli enti matematici con i concetti, resta da vedere come sia possibile assumerli come oggetto di studio. Bisognerà spiegare quale facoltà ci permetta di avere, come si dice, accesso epistemico ad essi. Per Frege, sarà la logica, altrettanto oggettiva e non mentale, ma non è evidente che non ci siano problemi: studiare i concetti è equivalente ad usarli correttamente, oppure è possibile fare considerazioni non logiche, errate ad esempio, sui concetti? Allora occorre una facoltà di accesso, che non si vede come possa essere altro dalla mente, precedentemente espulsa. Sono problemi che si potranno porre nella discussione del logicismo. n realismo dei valori di verità, autonomo o accoppiato a quello antologico, solleva una curiosa questione, di carattere 80

Realismo

logico ma soprattutto psicologico, relativa al fatto che la questione stessa non viene sollevata. Si tratta del teorema di Tarski sull'indefinibilità della verità. Alla luce di questo teo­ rema, parlare di verità matematiche è inevitabilmente con­ dannato all a vaghezza, se il linguaggio è informale, oppure al rinvio indefinito a metalinguaggi rigorosi sempre più proble­ matici. Non si capisce perché tanto chiasso sia sollevato a proposito (e a sproposito) del teorema di Godei, mentre si glissa elegantemente su quello di Tarski, assai più significativo e rilevante per la filosofia13• Non che non siano versati fiumi d'inchiostro sull'argomen­ to'\ a studiare tutti i modi possibili di evademe le conseguenze, e non dover quindi ammettere che la filosofia possa trattare come suo argomento tipico un concetto imprecisabile, e usarlo addirittura a fondamento della filosofia della matematica. Ma la semplice e brutale conseguenza del teorema di Tarski è che per definire la verità delle proposizioni matematiche nell'universo degli insiemi (o della matematica) occorre una teoria in cui tale universo sia un oggetto, quindi una teoria che provi la non contraddittorietà della matematica esistente. Se si vuole andare avanti per questa strada, non si vede dove si possa andare a p a rare In alternativa alla definizione di verità, si possono dare definizioni di verità locali per singole teorie, quelle sfruttate dal platonismo rigoglioso per affermare l'esistenza di modelli ; tali nozioni locali di verità hanno tuttavia una funzione poco più che pleonastica; vedremo un uso di questa possibilità da parte di Resnik per una forma di realismo ingenuo, e appunto pleona­ .

stico.

Ogni realista dovrebbe appendersi davanti al posto di

st ud io un cartello con la scritta Memento Tarski.

n

Una spiegazione potrebbe essere nella formulazione volgare cor­

rente del teorema di Godd, che sembra valorizzare e privilegiare la verità sulla dimostrabilità. 14 Per alcuni aspetti delle discussioni in corso, rilevanti per la ma tem atica, si veda M.D. Resnik, Mathematics as a Science o/ Pattems, cit., cap. 2.

81

3.

PLATONISMO

n platonismo è una forma di realismo ontologico mate­ matico che i suoi sostenitori dicono sia la posizione preferita dalla maggioranza dei matematici contemporaneP . Famosi matematici viventi che sono platonisti dichiarati sono tra gli altri Roger Penrose e Alain Connes2• Sembrerebbe una posizione facile e netta - un riferimento a Platone e via - e invece non è così; si presenta sia nella versione semplice che in quella rigogliosa, sia monista e sia pluralista. Riferito all'ontologia matematica, il nome è recente, si è incominciato ad usarlo nella prima metà del ventesimo se­ colo ma l'esplicita e chiara espressione del platonismo è pre­ cedente, risale alla fine dell 'Ottocento4: 1,



Io credo che i numeri e le funzioni dell 'Analisi non siano il prodotto arbitrario dd nostro spirito; penso che esse esistano al di fuori di noi con lo stesso carattere necessario della realtà oggettiva, e che n oi le incontriamo, le scopriamo e le studiamo come fanno i fisici, i chimici e gli zoologi.

Un analogo riferimento agli oggetti di studio

naturali è fatto da un filosofo contemporaneo�: 1

delle scienze

Almeno di quelli creativi. La precedente citazione sull'atteggiamento

di Bourbaki nei confronti dei fondamenti è stata trasformata da Dieudonné

(tradizione orale) nd mot d'espnt che i matematici sono platonisti nei giorni

feriali e formalisti la domenica, sul sagrato della chiesa. z lt Penrose, The Emperor's New Mind, Oxford, Oxford Univ. Press, 1 989; uad. it. La nuova mente dell'imperatore, Milano, Addphi, 1990 e Shadows o/ the Mind Oxford, Oxford Univ. Press, 1994; trad. it. Ombre sulla mente Milano, Mondadori, 1998; J.-P. Changeux e A. Connes, Matière à penser, Paris, Odile Jacob, 1989; trad. it. Materia e pensiero, ,

,

Torino, Bollati Boringhieri, 1991. 1 Sembra che sia stato proposto da Paul Bemays, Sur le platonism dans Ics mathématiques, in «L'Enseignement Mathématique», 34, 1935-36, pp.

52-69. 4 Ch. Hermite (1 894) in Co"éspondance d'Hermite et Stie/tjes, Paris, Gauthier-Vill ars, 1905 , t. II, p. 3 98. 5 M. Steiner, Mathemalical K.nowledge, cit. p. 87.

83

Filosofie della matematica La considerazione della matematica come una scienza in sé implica che i numeri naturali, gli oggetti di studio di questa scienza, sono oggetti nello stesso senso che le molecole sono oggetti.

C'è da meravigliarsi per la faciloneria del paragone. Gli oggetti della scienza, come le citate molecole, appaiono e scompaiono. Richiedere per gli oggetti matematici lo stesso stato non sembra garantire gli stabili fondamenti desiderati dai platonisti, e dal punto di vista ontologico è un'eresia, perché l'essere non muta. Un tempo gli oggetti delle scienze erano solo macro-oggetti visibili, come piante e animali; gli oggetti matematici non erano certo allora dello stesso genere. Poi gli oggetti delle scienze sono diventati micro e invisibili, come quelli matematici. Pare che si dovrebbe dire il contrario, e cioè che gli oggetti della scienza sono (diventati} simili a quelli della matematica. Un'analoga perplessità tornerà a presentarsi a proposito dell'empirismo. Che cosa succederebbe se gli oggetti matematici risultas­ sero un giorno essere come il flogisto, e scomparissero? Che sollievo per gli studenti ! Eppure è proprio questo riferimento agli oggetti delle scienze naturali che unifica le diverse varianti del platonismo. ll periodo di Hermite era quello della comparsa sulla scena e al cuore dell'Analisi di funzioni che non potevano essere rappresentate da semplici formule, come voleva Eule­ ro, ma dovevano essere considerate come oggetti in sé, com­ piuti e naturalmente infiniti. Le origini del platonismo matematico possono dunque essere rintracciate nella separazione tra la matematica e il mondo fisico che si è realizzata nel corso di un processo culminato nell'Ottocento. Quando si credeva che il mondo fosse stato creato da Dio in forme matematiche, che il libro della natura fosse scritto in linguaggio matematico (Galileo), il problema della natura degli enti matematici non era dram­ matico. La matematica semplicemente, e meravigliosamente , esprimeva le caratteristiche numeriche e geometriche dd nostro mondo. Le sue verità erano verità su e di questo mondo, ancorché verità necessarie. Anche eventuali Forme platoniche non vivevano nell'Iperuranio, ma costituivano la 84

Platonismo

trama e l'ordito del mondo. Aristotelismo e platonismo pote­ vano continuare a combattersi, sul piano metafisica e anche su quello gnoseologico, ma con scarsi riflessi sulla matematica. Questa filosofia che si potrebbe chiamare Pitagoreismo rina­ scimental-moderno non è più recuperabile ed è diventata improponibile. Nel Seicento c'erano solo geometria e algebra, iniziava appena il calcolo infinitesirnale; alla fine dell'Ottocento la matematica comprendeva teorie come quella degli insiemi, delle funzioni di variabile reale e complessa, la geometria proiettiva, le geometrie non euclidee. Rispetto a Frodo, si era staccata troppo da campi allagati dal Nilo. Mentre geometria e algebra proponevano teorie che non descrivevano e misuravano il mondo macroscopico tridimen­ sionale, gli analisti dovevano farsi una ragione di una congerie di n uovi oggetti infittiti - le funzioni di cui parla Hermite. Ma la risposta platonista di Hermite non è l'unica possibile. Negli stessi anni, Georg Cantor e Richard Dedekind, i creatori della teoria degli insiemi, contra Herrnite parlavano invece di una matematica libera, libera creazione della mente, e Frege sosteneva che i numeri naturali erano concetti. Recisi i legami naturali, si pone il problema di trovare una spiegazione nuova per la matematica, e allora ci sono sostan­ zialmente due opzioni: una realtà sua propria oggettiva, ed un'esistenza nella mente, o prodotta dalla mente, una crea­ zione dello spirito, o della ragione. Dopo Hermite, molti altri famosi matematici hanno confessato di essere platonisti convinti e irriducibili, ad esempio Hardf: La realtà matematica giace fuori di noi, e la nostra funzione è

quella di scoprirla e osservarla, e i teoremi che noi dimostriamo, e che in modo magniloquente descriviamo come nostre «creazioni» sono

semplicemente i resoconti delle nostre osservazioni.

6 G.H. Hardy, A

Mathematician's Apology, Cambridge, Cambridge

Univ. Press , 194 1 , pp. 63-64.

85

Filosofie della matemahea

Ai giorni nostri, Connes7: Ritengo di essere piuttosto vicino al punto di vista realista. Per me la lista dei numeri primi, tanto per fare un esempio, ha una realtà più stabile della realtà materiale che ci circonda. Possiamo parago­ nare il lavoro di un matematico a quello di un esploratore alla scoperta dd mondo.

Ma il fascino del platonismo poggia soprattutto sull'au­ torità di Godei, che non si è limitato ad un atto di fede, ma ha cercato di argomentarlo. Egli parla soprattutto di classi, perché appartiene al periodo in cui la teoria degli insiemi era stata appena riconosciuta come la cornice di tutta quanta la matematica8• Classi e concetti possono tuttavia essere anche concepiti come oggetti reali, e precisamente le classi come «pluralità di cose» o come strutture che consistono di una pluralità di cose, e i concetti come le proprietà e le relazioni fra le cose, che esistono indipen­ dentemente dalle nostre definizioni e costruzioni. Sembra a me che l'assunzione di tali oggetti sia altrettanto legittima dell'assunzione dei corpi fisici e che ci sia altrettanta ragione di credere nella loro esistenza. Essi sono necessari per ottenere un soddisfacente sistema di matematica nello stesso senso che i corpi fisici lo sono per una teoria soddisfacente delle nostre percezioni sensoriali e in entrambi i casi è impossibile interpretare le proposizioni che si vogliono asserire su queste entità come propo­ sizioni sui «dari>>, cioè nd secondo caso sulle effettive percezioni sensoriali. Si noti che Godei parla in modo avveduto di corpi fisici,

non degli ambigui oggetti della teoria fisica. Egli ha forse in mente un'accettazione preliminare dei corpi fisici come quella ' a cui si appella ad esempio Nicholas Goodman, supra, un as7 1n J.-P. Changeux e A. Connes, Matière à penser, cit., p. 20. 8 K. Godei, Russe/l's Mathematical Logic, cit. Godei sta commentando con favore, e parafrasando, espressioni di Russell, così come, più oltre, l'affermazione che gli assiomi sono giustificati dalla storia e dalla pratica matematica.

86

Platonismo

sunzione che è necessaria per non ridurre i discorsi fisici alle sen sazioni soggettive e stabilire una base di oggettività. Go dei era consapevole che nel momento in cui si propone una simile tesi occorre rispondere contestualmente alla più sp on tanea e ovvia domanda che viene da porre al platonismo, e che in seguito è stata effettivamente avanzata da Paul Bcn acerraf 9• Si tratta dell'interrogativo sulla specifica facoltà 0 sul tipo d'esperienza che ci potrebbe mettere in grado di st ab ilire una connessione tra i due domini così eterogenei del cervello materiale e delle entità astratte. n platonismo onta­ logico deve essere accompagnato da una teoria epistemologi­ ca a meno di accontentarsi del mistero, per quel che riguarda i rapporti tra realtà platonica e realtà materiale, sia essa il mondo esterno sia quello interno rappresentato dal cervello; del mistero si accontentava Hennite10: ,

Queste nozioni dell'Analisi. .. costituiscono un tutto di cui solo parte ci è rivelata, in modo incontestabile ancorché misterio­ samente associata con l'altra totalità delle cose che percepiamo per mezzo dei sensi. una

L'obiezione che gli ipotizzati enti platonici non possono

essere conosciuti è basata su di un principio che i filosofi

chiamano teoria causale della conoscenza. La teoria, per dirla all a buona, ritiene necessario che quello che viene conosciuto causi la conoscenza, nel senso di stabilire un contatto ed un'influenza di qualche genere sul soggetto conoscente. Ne segue una specie di sillogismo:

9 P. Benacerraf, Mathematical truth, in «}oumal of Philosophy», 70, 197 3 , p p. 661 -80, ristampato in P. Benacerraf e H. Putnam, Philosophy o/

Mathematics, 28 ed. ampliata, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1983 , PP:

403 -20. Per

un

bilancio dei dibattiti che hanno seguito il suo primo

tmcolo, si veda P. Benacerraf, What Mathematical Truth could noi be - I, in

cfe Philosophy o/1998, Mathematics Today, 33

a cura di M. Schirn, Oxford, arendon Press, pp. -75 . 10 Citato da A. Dresden, Some philosophical aspects o/mathematics, in .o >35•

M. Velman, Underrtanding Consciousness, London, Roudedge, 2000. G.M. Edelman e G. Tononi, Consciousness - How Matter becomes llt1agination, Lon don , Penguin Books , 2000 . Non citiamo altro della vasta l4

l�

letteratura recente sulla coscienza.

109

4.

FENOMENOLOGIA

Questo è un termine difficile per una filosofia difficile, che non discuteremo in dettaglio, perché non si può neanche dire che sia una filosofia della matematica. Nel presente contesto, indica una riflessione che trae origine e ispirazione dalla filosofia Ji Edmund Husserl (1859-1938). Husserl è stato dapprima un matematico, allievo di Karl Weierstrass - ha scritto una Filosofia dell'aritmetica ed è stato un interlocutore di Cantor e di Frege ­ quindi si è dedicato alla costruzione della sua fenomenologia. Per quel che riguarda la matematica, la fenomenologia non è una filosofia compiuta e non è molto conosciuta1; il suo interesse attuale dipende dalla circostanza che Godei stesso nella seconda parte della sua vita ha riflettuto, studiato, ed ha ripetutamente invitato a studiare la filosofia di Husserl; alla luce di questo fatto, e d elle concordanze che vedremo, la posizione di Godei in verità non dovrebbe essere classificata come platonismo, ma come fenomenologia2• Prima ancora di Godei, Hermann Weyl è stato debitore di molte sue ispirazioni nei confronti di Husserl; Weyl aveva studiato a Gottingen quando Husserl vi insegnava, e con lui intrattenne una corrispondenza in occasione della pubblica­ zione di Das Kontinuum, 1918, opera molto lodata da Hus­ serl, che apprezzava l'attestarsi di un matematico, finalmente, sull ' intuizione logico-matematica3• La visione di Weyl è così

1 Matematici e fdosofi della matematica influenzati da Husserl nella

pdma metà del secolo sono stati tra gli altri O. Becker e F. Kaufmann; si veda ad esempio O. Becker, Mathematische Existenz. Untersuchungen zur Logik und Ontologie mathematischer Phanomene, in «]ahrbuch fiir Philo­ sophie und phanomenologische Forshung», 8, 1927, pp. 439-809 e Beitrlige

::ur phanomenologische Begriindung der Geometrie und threr physikalischen Amt-•endungen, ibidem, 6, 1923 , pp. 385-560; F. Kaufmann, Das Unendliche in der Mathematik und seine Ausscha/tung, Wien, Franz Deuticke, 1930. 2 R. Tieszen, Godel's path /rom the incompleteness theorems (1 93 1) to phenomenology (1961), in «The Bulletin of Symbolic Logio>, 4, 1998, n. 2, pp. 1 8 1 -203 . 1 D. van Dalen, Four /etters o/ E. Husser/ lo H. Wey/, in «Husserl Studies>), l , 1984, pp. 1-12.

111

Filosofie della matematica

personale e sfaccettata che avremo modo di parlarne ancora a più riprese, in particolare a proposito del costruttivismo, e nell'occasione parleremo anche di Husserl. Un altro famoso seguace e propagandista contemporaneo di Husserl è stato Gian-Carlo Rota4• Idee e parole chiave della fenomenologia sono le seguenti: •

la conoscenza umana, inclusa la conoscenza matema­ tica, esibisce ed è caratterizzata dall 'intenzionalità, il che significa che la conoscenza è sempre rivolta a qualcosa, è spinta dall'interesse per qualcosa; anche la coscienza è sempre coscienza di qualcosa; • gli atti cognitivi sono prospettici, e non possono mai cogliere insieme tutte le prospettive di un oggetto o di un argomento; non si ha mai esperienza di qualcosa in un atto unico; • la mente categorizza; gli atti cognitivi in ogni istante si riferiscono sempre a certe categorie di oggetti, e queste categorie si possono chiamare concetti, o essenze; • le essenze esprimono quello che è dato dall ' esperienza in un determinato stadio della conoscenza; esse sono univer­ sali, ma hanno vincoli e restrizioni, sicché non ogni cosa può essere una loro esemplificazione; noi sappiamo che certe cose sono esempi di un'essenza, e che altre non lo sono; in questo senso si può dire che • noi abbiamo una presa su di una categoria, in ogni dato stadio della conoscenza, una presa che può diventare più precisa col passare del tempo, come risultato di diversi raffinamenti; • non abbiamo mai una presa completa o perfetta di un'essenza; il lavoro di chiarificazione è sempre attuale e necessario; questo non significa che le essenze che conoscia­ mo, per quel che le conosciamo, o che cogliamo di esse, non siano utili nella nostra esperienza; • «cogliere le categorie» è la stessa cosa di «intuire le 4 G.-C. Rota, Discrete Thoughts, Basel, Birkhauser, 1986; trad. it. Pensieri discreti, Milano, Garzanti, 1993 , capp. 12, 13 e 20.

1 12

Fenomenologia

essenze»; si usa la parola «intuizione» perché un'essenza ci è data in modo immediato, quando riflettiamo sulla nostra esperienza, come un dato precedente la nostra analisi di essa o il confronto con altre, precedente anche la nostra consapevolezza che esista o no un'esemplificazione dell'es­ senza. Husserl distingueva la scienza dei fatti dalla scienza ddle essenze; la fenomenologia non è una scienza naturale, perché le essenze non sono né oggetti né fatti. La scienza delle idee tuttavia è possibile, è la fenomenologia, la quale per realizzarsi non deve scimmiottare le scienze naturali. Husserl si opponeva al punto di vista che chiamava natura­ listico, che «rende così difficile per tutti noi vedere le "essenze", o le "idee" o piuttosto, - dal momento che noi lo facciamo - noi per così dire le vediamo in continuazione ­ difficile per noi accettare che esse abbiano il particolare valore che appartiene loro, invece di cercare assurdamente di naturalizzarle. Intuire le essenze non nasconde maggiori difficoltà o segreti "mistici" di quanto comporti la perce­ zione ... Ma non si deve in alcun caso identificare prematu­ ramente, per così dire, "cose" con "fatti empirici". Fare così significa chiudere gli occhi davanti alle idee, le quali, dopo tutto, in larga misura sono date in modo assoluto nell'intui­ zione immediata»5• A prima vista la matematica non c'entra molto; ma non bisogna sottovalutare l'impatto emotivo di trovare un filosofo contemporaneo che afferma che è possibile una scienza delle essenze; si sostituisca «enti matematici» a «essenze» e si avrà una prospettiva in cui la matematica può essere rimessa sul trono della razionalità. Husserl criticava il platonismo e il realismo matematico in genere come posizioni ingenue, in quanto pongono le essenze al di fuori di ogni possibile esperienza. Esse trattano le essenze come cose-in-sé, mentre noi siamo intenzionalmente orientati v�rso le essenze, ed abbiamo accesso ad esse grazie all'inten­ Zione. ' Citato da R Tieszen, Godel's path, cit.

1 13

Filosofie della matematica

Sulla base del breve riassunto terminologico proposto, e ricordando i frequenti inviti di Godei a leggere Husserl, s'incomincia a capire quale significato si debba dare ai discorsi di Godei sulla percezione razionale. Dovremmo rileggere le citazioni sopra riportate alla luce del contesto husserliano. In effetti i due ordini di riflessioni si illuminano a vicenda. Quelle di Godei possono essere viste come uno sforzo di chiarire e giustificare alcuni cardini della fenomenologia: la percezione razionale con cui cogliamo i concetti matematici più generali e le loro relazioni è analoga all'intuizione sensibile; entrambe sono sotto alcuni aspetti vincolate o forzate; in entrambi i casi è possibile patire illusioni; ciascuna mostra una sorta di inesauribilità. Un altro tema husserliano si ritrova nella discussione del problema del continuo da parte di Godei. In tale occasione egli afferma che è possibile una fondazione soddisfacente della teoria degli insiemi di Cantar se si è disposti a concedere che gli oggetti matematici esistano indipendentemente dalle nostre costruzioni e dalla nostra capacità di avere un'intui­ zione di ciascuno di essi singolarmente. Si richiede soltanto che il concetto generale iterativo di insieme (meglio, il concetto dell'iterazione del concetto «insieme di», che porta alla gerarchia cumulativa degli insiemi) sia sufficientemente chiaro in modo da riconoscere la correttezza e la verità degli assiomi che lo riguardano. Non è necessario avere un'intui­ zione diretta del continuo per risolvere l'ipotesi del continuo, potrebbe essere sufficiente una presa adeguata sulla gerarchia cumulativa. In definitiva si richiede soltanto che i «concetti matematici generali» siano colti in modo sufficientemente chiaro, e non è necessaria l'intuizione di ogni esemplificazione individuale dell'essenza in esame per ottenere una chiarifica­ zione dell'essenza stessa. Con un esplicito riferimento a Husserl, Godei afferma che 6• Gli assiomi forti dell'infinito, in particolare, costituiscono una serie di assiomi che richiedono molte percezioni razionali indipendenti, nella direzione di un'esplicazione del significato del concetto generale di insieme. Gli assiomi non sono subito evidenti dall'inizio, ma lo diventano nel corso dello sviluppo della matematica; già per capire il primo assioma dell'infinito, ad esempio, si deve prima aver sviluppato in grado conside­ revole la teoria degli insiemi. Gian-Carlo Rota non pensava agli insiemi quando parlava di matematica; Rota ha lasciato importanti contributi sulle geometrie finite e la matematica discreta. Ha scritto poco su Husserl, limitandosi a cercare di chiarire e rendere compren­ sibili alcune parol> non vuoi dire che si entri nel dominio della logica formale, la quale anzi cade sotto il peccato materiale e riduzionista della teoria degli insiemi. Infatti Husserl auspica e

si dedica ad una riforma della logica; propone un certo

numero di relazioni che la logica matematica ignora e ne tenta la formalizzazione: le relazioni temporali, >. Ricordiamo brevemente la strategia di Dedekind; egli inizia proponendo una definizione di «infinito», come insie­ me che ammette un'iniezione propria in sé; quindi definisce il sistema dei numeri naturali come il più piccolo, a meno d'iso­ morfismi, insieme infinito, cioè come il più piccolo insieme dotato di un'iniezione in sé, che è la funzione «successore», e con un solo elemento che non appartiene all'immagine, cioè lo zero. n principio di induzione matematica è un'immediata conseguenza della definizione, così come, meno immediato, il teorema di ricorsione. La definizione di Dedekind può essere interpretata, con piccoli cambiamenti d'enfasi, sia come una definizione data all'interno della teoria degli insiemi, sia come la definizione di una struttura (egli usa la parola «sistema»), sia in modo assiomatico; tutte queste possibilità non si erano ancora divise in alternative separate; non a caso Peano darà indipendente­ mente gli stessi principi di Dedekind in forma di assiomi. Non interessano tuttavia nel presente contesto i dettagli5, sono invece rilevanti le considerazioni preliminari di Dedekind6• Questa memoria può essere capita da chiunque possegga quello che usualmente si chiama il semplice buon senso; non si richiede alcuna conoscenza tecnica né fùosofica né matematica. Mi rendo conto tuttavia che molti lettori riconosceranno a fatica nelle forme oscure che presento loro i numeri che per tutta la vita li hanno accompagnati come amici fedeli e familiari. Essi si spaventeranno per le lunghe [non così lunghe, si tratta dopo tutto solo di 59 pagine N.d.A] , successioni di inferenze semplici che corrispondono alla nostra comprensione progressiva, per la dissezione fattuale delle

' Chi è interessato alla versione oggi comune può consultare G. Lolli, Dagli insiemi ai numeri, cit., cap. 4. 6 TI modo come è arrivato alla definizione è spiegato da Dedekind in una famosa lettera a H. Keferstein, pubblicata in inglese nell'antologia a cura di J. Van Heijenoort, From Frege to Godei, Cambridge, Mass . , Harvard Univ. Press, 1967 , pp. 98-103 .

13 4

Logicismo ca tene di ragionamento da cui le leggi dei nwneri dipendono, e si spazientiranno a essere costretti a seguire per esteso dimostrazioni di verità che sono allo stesso tempo evidenti e certe. Tuttavia, proprio in questa possibilità di ridurre tali verità ad altre più semplici, grazie a non importa quanto lnnghe e apparentemente artificiali successioni di inferenze, io riconosco nna prova convin­ cente che il loro possesso o la fiducia in esse non è data dalla coscienza interna ma si conquista sempre solo con nna più o meno completa ripetizione delle singole inferenze ... Così fin dalla nascita, in continuazione e in misura crescente noi siamo indotti a correlare cose a cose e ad usare la facoltà della mente da cui dipende proprio la creazione del numero; ma con l'esercizio continuo di questa pratica, anche senza nno scopo definito, nell a prima infanzia e con la conseguente formazione di giudizi e catene di ragionamento, noi acquisiamo nn bagaglio di reali verità aritmetiche alle quali in seguito i nostri insegnanti faranno riferimento come a qualcosa di semplice, evidente, dato nella coscienza interna; e così succede che molte nozioni complesse (come quella dd numero di un insieme di cose) vengono a essere erroneamente considerate semplici.

Molti rilievi interessanti sono suggeriti dalla discussione di Dedekind, oltre prima di tutto al fatto che pensa e riflette - come non si crede che facciano gli scienziati. Si noti la tesi che la nozione logica di base è quella di «corrispondenza>>; oggi potremmo dire «morfismo» e arruolare Dedekind tra i sosteni­ tori di una fondazione categoriale. Un altro punto da sottoli­ neare è che questa nozione è logica, ma si acquisisce con l'esperienza e la ripetizione; egli pensa all'interiorizzazione di nozioni complicate in termini familiari, e in questo senso semplici, di esperienza interiore. La ricostruzione logica delle nozioni a cui siamo abituati fa riemergere quanto precede la loro interiorizzazione. Le ombre formali sono il portato necessario del riduzionismo. Dedekind propone un'interessante, anche se dubbia, ipotesi sull'acquisizione del concetto di numero da parte dei bambini parallela ed inversa alla sua ricostruzione analitica. Infine Dedekind anticipa una risposta all'obiezione ri­ g u ar d an te il fatto che una presentazione logica dei numeri è destinata ad aumentare la lunghezza delle dimostrazioni, un'obiezione che sarà in effetti sollevata, prima da Wittgen­ stein e quindi dagli empiristi, e che si riferisce a un fenomeno che Dedekind sembra considerare naturale.

135

Filosofie della matematica

Nella prefazione alla seconda edizione, nel 1893 , Dede­ kind spiega come, un anno dopo la pubblicazione della sua memoria, il cui contenuto peraltro aveva perfezionato già da alcuni anni , egli sia venuto a conoscenza del lavoro di Frege, i Grundlagen der Arithmetic, che era apparso nel 18847• Dede­ kind riconosce le differenze nella presentazione e nell'impo­ stazione di base - le operazioni sui sistemi da lui eseguite erano del tipo di quelle che sono state, in quegli anni e in seguito, incorporate nella teoria degli insiemi; nonostante ciò egli ammette che vi sono «punti di stretto contatto» tra le due opere, specialmente dal § 79 (di Dedekind) in avanti. Averli riconosciuti è un merito notevole, ché l'opera di Frege non è stata capita, né era conosciuta, da molti. Nel suo lavoro, Frege introduce la nozione di ancestrale di una relazione, in seguito detta chiusura transitiva di una relazione, e definisce la totalità dei numeri naturali attraverso l'ancestrale della relazione di successore. Questa a sua volta è esplicitamente definita, nella terminologia logica di Frege relativa ai concetti, in termini di corrispondenze, e da essa risulta la sua famosa definizione che ogni numero è un concetto di concetti; ma non è la definizione dei singoli numeri che è essenziale, quanto quella dell'intera catena. La definizione di Dedekind parla del più piccolo insieme chiuso rispetto al successore, quella di ancestrale di Frege considera la più piccola relazione transitiva che estende la relazione data, sempre la relazione di successore. In un certo senso Frege riuscì quindi meglio di Dedekind a presentare una costruzione basata sul fondamentale principio del contare. Dal paragrafo 79 in avanti, quando Dedekind dispone del teorema di ricorsione, le due esposizioni corrono poi in effetti parallele. L'obiettivo di Frege, come pure di Dedekind, era quello mostrare, contro Kant, che le verità aritmetiche sono di analitiche a-priori. Dedekind non menziona Kant, ma le sue osservazioni sul fatto che i numeri non sono fondati sull'in7 G. Frege,

Die Grundlagen der Arithmetik, Breslau, Kobner, 1884 ;

trad. it. !fondamenti delfaritmetica, in Logica e an'tmetica, cit., pp. 2 1 1 -34 9.

136

Logicismo

ruizione sono indicative del suo orientamento e dei suoi riferimenti. D'altra parte, allora la filosofia si studiava. n logicismo dovrebbe evitare l'incommensurabilità tra oggetti e soggetto conoscente, perché è lo stesso soggetto che prima definisce gli oggetti, quindi li studia. Le perplessità sulla non garanzia di un accesso epistemico alle costruzioni mentali non dovrebbero sussistere in questo caso, in quanto ]'accesso epistemico consiste solo nel dedurre le conseguenze delle definizioni8• Altre sono le questioni che si affollano; bisogna precisare cosa si vuole ottenere e cosa si ottiene con una definizione. Se definire significa isolare una tra molte entità pre-esistenti si ricade nel realismo, e le definizioni non hanno una funzione diversa da quella dell'indicare una cosa, o del descriverla; non è drammatico che siano o no complete, si possono sempre arricchire e migliorare. Se definire significa creare liberamen­ te. o solo col vincolo della non contraddittorietà, nel senso che q� a n to viene definito acquista la sua esistenza solo nel momento della definizione, e vive solo nella definizione, allora q u a n do si esaminano con cura le definizioni stesse si scoprono difficoltà impreviste dalla semplice problematica antologica. S'incontra ad esempio il problema dell'impredicatività. La definizione di un ente si dice impredicativa se fa riferimento alla totalità degli enti a cui viene ad appartenere quello che si vuole definire. Fare riferimento significa usare una quantificazione universale su tale totalità. Nei discorsi comuni non ci si accorge che tale caratterizzazione meriti di essere notata, perché non si definiscono che cose esistenti, e attraverso la definizione le si mettono solo in una luce particolare: >, offrendo come esempio l'insieme S dei suoi pensieri, con l'argomento che se s è un pensiero, ed l indica il pensiero che s può essere oggetto di pensiero, si ha una funzione successore nell'insieme dei pensieri. Se la dimostra­ zione di Dedekind non è accettabile, bisogna postulare l'esi­ stenza di un insieme infinito. Se si fa una postulazione di esistenza, «infinito» non sembra più un concetto logico. La teoria degli insiemi con i suoi assiomi esistenziali non do­ vrebbe essere parte della logica, nella quale si dovrebbero avere al massimo principi per definire enti a partire da altri enti; ma di fatto anche nella logica si sono dovute accettare assunzioni esistenziali. Così la logica viene ad essere incorporata nella teoria degli insiemi. A sua volta la logica all'inizio intendeva incorporare quella che poi è diventata teoria degli insiemi: la logica di F rege era una logica di ordine superiore, o una teoria dei tipi 10, nella quale si poteva quantificare su entità di qualunque ordine. Frege stesso ammise che i principi di collezione e correlazione usati da Dedekind erano simili in spirito al suo famigerato assioma (o Grundgesetz) V, l'assioma di com­ prensione non ristretto da cui segue l'antinomia di Russcll.

Dedekind, nella prefazione alla terza edizione ( 1 9 1 1 ) del suo saggio, allude ai dubbi che nel frattempo sono emersi riguardo alla fondatezza della sua costruzione, ed è chiaro che si riferisce ai problemi della teoria degli insiemi. La sua fede nell'interna armonia della nostra logica non ne era 10

Per una presentazione del sistema di Frege e della teoria dei tipi, si

veda W.S. Hatcher, Foundations o/ Mathematics, Philadelphia, Saunders, 1 968; t rad. it. Fondamenti della matematica, Torino, Boringhieri, 1973 .

139

Filosofie della matematica

tuttavia stata scossa. Egli si dice fiducioso che ulteriori indagini rigorose sulla capacità del nostro spirito di creare nuove determinate entità a partire da elementi determinati farà giustizia della sua impostazione. Non è che un altro modo di esprimere la certezza che la teoria degli insiemi sarà sistemata in modo adeguato; l'assiomatizzazione di Zermelo era appena stata proposta, nel 1908 e iniziava a raccogliere il consenso universale. La teoria degli insiemi ha ora una formulazione larga­ mente accettata, e ha per il matematico il vantaggio di essere una teoria matematica, il che forse spiega da una parte la sua accettazione come teoria fondamentale, e dall'altra il sospetto che non sia logica. Coloro che approvano che la matematica sia e debba essere fatta nel quadro della teoria degli insiemi sono in generale considerati gli eredi del logicismo. Tutti sanno che il logicismo è giusto a metà. Quello che è giusto è l'identificazione della matematica con la teoria degli insiemi ... Quello che è sbagliato è l'epistemologia 1 1 •

L'epistemologia non è sbagliata, ma piuttosto si trova in alto mare. La differenza tra la logica e la teoria degli insiemi non sta forse tanto nel contenuto di fatto degli assiomi, quanto nella loro scelta, non logica in quanto opportunistica; le restrizioni all'assioma di comprensione sembrano dettate da ragioni puramente pragmatiche, per evitare i paradossi (anche nelle teorie completamente diverse da ZFC, come le New Foundations di Quine12). Non è così per coloro che credono nella gerarchia cumulativa, ma questi sono platonisti. Inoltre la teoria matematica degli insiemi è formulata nella logica del primo ordine, e presenta il fenomeno dd relativismo dei modelli. Anche questo è un problema che riguarda le definizioni, è il problema dell'unicità; in assenza di 11

N.D. Goodman, Mathematics as an Objective Science, cit. W.O. Quine, New foundations /or mathematica/ logic, in «.Amer. Math. Monthly», 44, 1937, pp. 70-80. 12

140

Logicismo unicità, Frege contestava che gli assiomi fornissero una definizione. Definire un concetto come «numero» o «conti­ nuo» significa dare una definizione che abbia un'unica realizzazione, se si considera la relazione semantica tra la formula definiente e ciò che è definito. Nella logica del primo ordine non ci sono teorie categoriche - cioè con un solo modello - salvo alcune banali. Se la categoricità è l'obiettivo, bisogna cercare qualche altra logica. Come abbiamo già detto, solo la logica del secondo ordine, Q di ordine superiore sembrerebbe assicurare l'unicità di strutture come i naturali o la gerarchia cumulativa; i sostenitori della logica del primo ordine ribattono che si tratta di un'illusione, dovuta alla circolarità delle assunzioni insiemistiche nascoste in tali co­ siddette logiche. Per Quine, la logica del secondo ordine è teoria degli insiemi mascherata, un > • D'altra parte formulare la teoria degli insiemi in una logica del secondo ordine non viene naturale (le teorie delle classi sono un sostituto inadeguato, riducibile al primo ordine); al matematico piace di meno perché lo disturba dover imparare qualcosa di non matematico prima di inco­ mmctare. Si può continuare a proporre un logicismo emendato, ma emendare il logicismo significa in pratica decidere, e trovare un accordo, su cosa sia la logica; le opzioni non sono molte, e nessuna ha la totalità dei consensi; le difficoltà incontrate da Frege e Russell non sono superabili. Aveva provato Rudolf Carnap ad evitarle, al simposio di Konigsberg sui fondamenti della matematica del 1 93 0 , dove aveva

presentato la posizione logicista 1 4,

in mancanza di altri

logicisti sopravvissuti e attivi. Carnap illustrò ivi le due tesi del logicismo, la prima che i concetti matematici possono essere derivati da concetti logici per mezzo di definizioni esplicite, la

n W.O. Quine, Phi/osophy o/Logic, Englewood Cliffs , Prentice-Hall, 1986, cap. 5 . 14 R . Camap, Die /ogizistische Grundlegung der Mathematik, in «Erkenntnis», 2, 1 93 1 , pp. 91-12 1 , ora in inglese in P. Benacerraf e H. Putnam , Phzlosophy o/Mathematics, eit., pp. 3 1 -4 1 .

141

Filosofie della matemati'ca

seconda che i teoremi possono essere dedotti da assiomi logici con deduzioni puramente logiche. Dopo aver discusso le varie difficoltà e i tentativi di soluzione, Carnap rilevò le affinità del programma sia con l'intuizionismo, nel rifiuto delle defini­ zioni assiomatiche, sia con il formalismo, nel senso che il prodotto finale del logicismo doveva essere un sistema for­ male tale che le definizioni e le deduzioni potessero essere svolte all'interno del sistema. In vista delle idee generali di Carnap sul principio di tollerenza1', cioè sulla possibilità di scegliere la logica che si vuole, purché la si dichiari, il logi­ cismo apparve da allora annacquato in una specie di formali­ smo. Esistono oggi filosofi e logici che si dichiarano neo­ logicisti e che cercano di realizzare il programma di Frege in modo meno ambizioso, tenendo conto di quello che si può fare e di quello che è si dimostrato inattuabile. Frege aveva usato l'inconsistente assioma V per derivare il principio che «per due concetti F e G, il numero di F è uguale al numero di G se e solo se F e G hanno la stessa numerosità», dove quest'ultima nozione era definita senza utilizzare i numeri, in termini di corrispondenze. Da questo principio, detto princi­ pio di Hume, Frege derivava tutta l'aritmetica, nel quadro di quella che oggi s'individua come una logica del secondo ordine impredicativa. L'idea dei neo-logicisti è quella di riproporre tale impostazione, a partire dal principio di Hume. Questo principio non è una verità logica, e neanche una definizione del concetto di numero, ma può essere pensato come una spiegaztone della nozione di uguaglianza di cardi­ nalità. Se questa spieea7.ione può essere considerata analitica, come essi pensano, con varie sfumature, si realizza comunque l'obiettivo del logicismo di dimostrare l'analiticità dell'arit­ metica. I dubbi riguardano al solito l'uso della logica del secondo ordine, e la necessità di fare ricorso comunque a qualche forma di astrazione, come si manifesta ad esempio nel principio di Hume; anche se questa particolare astrazione è non contraddittoria, a differenza dell'assioma V di Frege, non 15 R Camap, Sintassi logica de/ linguaggio, cit., § 17, pp. 88

142

ss.

Logicismo si

vede come delimitare in modo naturale le astrazioni legit­

time da quelle pericolose16•

D'altra parte c'è chi sostiene che il logicismo non va sal­ perché è una filosofia sbagliata; ad esempio non soddisfa il principio di oggettività perché riconosce sì che la matema­ tica consiste di verità indipendenti dalle attività soggettive, ma non fornisce qualcosa di oggettivo a cui le verità si riferiscono; quando si espandono le definizioni, le verità risultano solo logiche, come vuole il nome, e dipendono solo dalla struttura interna, alla fin fine sintattica. La critica rimprovera al logi­ cismo di essere quello che è. Si pretende anche che un logicista coerente dovrebbe usare solo la logica per stabilire le verità matematiche, ma «ogni matematico sa che il suo lavoro migliore non è basato sul puro ragionamento ma su una caratteristica specie d'il­ luminazione che egli chiama "intuizione". La parola "intui­ zione" si riferisce alla facoltà di percepire proprietà di una struttura che, sul momento, egli non è in grado di dedurre»17• Quest'altra critica è superficiale; a parte il fatto, già rilevato a proposito dd platonismo, che chi la muove ha i suoi problemi con il rapporto tra intuizione e deduzione, essa disegna un logicista un po' meccanico; il logicista può accettare che le proprietà implicite nella definizione di un concetto si ricavano poco alla volta, sempre per deduzione, ma allo stesso tempo concedere ampio spazio alle più diverse strategie euristiche, di come si scdgono le proprietà da indagare ed eventualmente verificare, come si può provare ad anticipare il risultato di una dimostrazione e simili comportamenti esplorativi, che sono del tutto soggettivi, e come tali accettabili, pur essendo distinti dalla logica oggettiva che alla fine dovrebbe trionfare.

varo

16

Si veda S. Shap iro , Talking about Mathematics, cit., cap. 5, pp. 1 13 1 8 , sui lavori di Crispin Wright, Nei! Tennant e altri. Diversi contributi sull'argomento sono raccolti in M. Schirn, The Philosophy o/ Mathematics today. ci t. 17

N.D. Goodman, Mathematics as an Objective Science, cit.

143

7.

FORMALISMO

Una filosofia che contende al platonismo la pretesa di essere

la più amata dai matematici è il formalismo. Essa avrebbe

l'ambizione di appianare o dissolvere tutti i problemi':

Al matematico medio che vuole solo credere che il suo lavoro è quella di evitare ogni

ha basi sicure, la scelta più allettante

difficoltà facendo appello al programma di Hilbert. Si considera un gioco formale e l'unica preoccupazione rimane quella della non contraddittorietà.

la matematica come

Un bd piccolo problema davvero. Ma il formalismo non è necessariamente una ritirata di fronte alle difficoltà; è possibile abbracciarlo perché ci si crede, per ragioni del tutto positive, e così è stato nelle sue prime formulazioni moderne dd dician­ novesimo secolo. Ad esempio, Frege si è trovato a polemizzare con posizioni formaliste, che proponevano la classica equipa­ razione ddla matematica con il gioco degli scacchi2: La concezione formale dei numeri si pone limiti più modesti della concezione logica. Essa non indaga sull'essenza e il signifi­ cato dei numeri, ma indaga sull'uso che si fa dei numeri nell'a­ ritmetica. L'aritmetica poi, per la concezione formale, è un giocare con segni i quali si dicono per l'appunto vuoti, volendo con ciò affermare che ad essi (nel gioco del calcolo) non spetta nessun altro contenuto se non quel che viene loro attribuito in considerazione del loro comportamento rispetto a certe regole di connessione (regole del gioco). In modo analogo il giocatore di scacchi si serve delle sue figure: attribuisce loro certe proprietà che condizionano il loro comportamento nel gioco, e le figure sono soltanto il segno esterno di questo comportamento. Certa­ mente, fra il gioco degli scacchi e l'aritmetica è necessaria un 'importante distinzione. Le regole degli scacchi sono arbitrarie, mentre il sistema delle regole dell'aritmetica è costituito in modo che i numeri possono venir correlati, per mezzo di semplici

1 P.J. Cohen, Comments on the /oundations o/ set theory, cit.

2 ]. Thomae, cit. da Frege, qui di seguito.

145

Filosofie della matematica assiomi, a certe verità intuitive, con la conseguenza che ci rendono un servigio essenziale nella conoscenza della natura.

La risposta di Frege è altrettanto classica3: La questione è del tutto ovvia. Come si distingue l'aritmetica formalista da un gioco puro e semplice? A questa domanda Thomae risponde richiamandosi al servigio che essa ci può rendere nella spiegazione della natura. Ciò può basarsi solo sul fatto che i numeri significano qualcosa, mentre al contrario le figure degli scacchi non significano niente. Questa può essere la sola ragione per cui si attribuisce all'aritmetica maggior dignità del gioco degli scacchi. Ma ciò che determina tale distinzione risiede per Thomae all'infuori dell'aritmetica, cosicché questa, in sé e per sé, è dello stesso rango del gioco degli scacchi e va chiamata arte o gioco, piuttosto che scienza. Malgrado che i segni numerici denotino qualcosa, è possibile, secondo Thomae, prescindere da questo senso e consi­ derarli semplicemente come figure che si maneggiano in base a certe regole. Se si volesse riandare ai significati, proprio in essi le regole troverebbero la loro fondazione; ma qui questo succede, per così dire, dietro le quinte; sulla scena dell'aritmetica formalistica non è dato osservare nulla di tutto dò.

Nelle obiezioni di Frege è contenuta tutta la problema­ tica del fomlalismo. n formalismo nega che la matematica sia conoscenza di qualche realtà, e la considera più vicina ad un'attività puramente deduttiva e Iudica. Gli oppositori sono preoccupati dalla mancanza di significato4: Immaginiamo di chiedere a un formalista in cosa consiste secondo lui il con t�n uto ciel tf'orem a fondamentale dell'aritmetica� . Se egli è un formalista rigoroso, deve rispondere che, di per sé, il teorema non ha alcun contenuto . . . L'impressione che abbia un contenuto è data dal fatto che esso gioca un preciso ruolo nelle

l G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Jena, Pohle, 1893-1902; trad. it. parziale I principi dell'aritmetica ( 1893 - 1 902), in Logica e aritmetica, cit., pp. 534-35. 4 N.O. Goodman, Mathematics as an Obfective Science, cit. ' Ogni numero è scomponibile in modo unico in fattori primi [N.d.A. ].

146

Formalismo attività in cui siamo coinvolti. Esso è come una posizione che s'incontra di frequente nel gioco degli scacchi. Se diamo una descrizione più precisa delle nostre attività simboliche, ad esempio presentando un particolare sistema formale che codifica una parte della matematica, allora siamo anche in grado di dare un resoconto preciso del ruolo del teorema fondamentale dell'aritmetica. Po­ tremmo mostrare una o più dimostrazioni formali del teorema nel nostro sistema, e dare esempi dell'uso del teorema nella dimostra­ zione di altri. Per il formalista tuttavia, il teorema non ha alcun significato al di là del ruolo che svolge nelle nostre attività simboli­ che; non è un'affermazione relativa ai numeri naturali, dal momento che per lui non esistono oggetti di questo genere.

In questa descrizione è adombrata, e attribuita al forma­ lista, una teoria del significato - il ruolo giocato nelle attività in cui siamo impegnati - che non sarebbe dispiaciuta a Wittgen­ stein, per fare solo un nome. I matematici che discutono di filosofia non sono sempre familiari con la ricchezza dei temi filosofici; in questo caso Nicholas Goodman presenta la posizione che descrive come rinunciataria o astensionista, rispetto al significato, perché crede che il significato possa essere concepito solo in modo referenziale. Ci sono almeno due momenti nella trattazione di un sistema formale. Uno è la deduzione meccanica, cieca, all'in­ terno del sistema, usando le regole del sistema. L'altro è la costruzione del sistema stesso, la scelta del linguaggio e degli assiomi e delle regole, che delimitano il gioco complessivo delle possibili attività simboliche interne. Non è chiaro se per il formalista debbano essere separati e solo uno dei due, e

quale, sia matematica. La matematica potrebbe essere la

totalità dei sistemi presenti e futuri, piuttosto che l'attività deduttiva interna ad alcuni di essi. Esistono diverse varianti del formalismo; alcune insi­ stono che la non contraddittorietà è l'unico requisito neces­ sario per un sistema formale; la non contraddittorietà tut­ tavia, per il secondo teorema d'incompletezza di Godei, non può essere dimostrata all'interno del sistema, se il sistema codifica una parte abbastanza ricca dell'aritmetica; per un matematico che lavora all'interno dell'aritmetica formale, una dimostrazione della sua non contraddittorietà 147

Filosofie della matematica

appare come una dimostrazione non matematica, esterna al suo sistema. Altre versioni del formalismo non richiedono neanche la non contraddittorietà; la scelta del sistema è arbitraria; la competizione tra sistemi è probabilmente risolta da misure varie esterne di successo - posto che le si possano definire - o interne, come complicazione tecnica o bellezza delle manipo­ lazioni, criteri sempre non matematici. Il problema non risolto di tutte le posizioni formaliste che affermano che i sistemi formali sono matematica, non solo che la rappresentano, è la giustificazione dell'applicabilità della matematica - che emerge già nello scambio tra Frege e Thomae. L'applicabilità appare come un incredibile colpo di fortuna, l'improbabile circostanza che i sistemi con cui preferiamo giocare (per motivi estetici, di tradizione o altro) siano anche quelli di maggiore utilità. Vero è che anche le altre filosofie non riescono molto meglio, anche se alcune preten­ dono di avere la risposta. Il logicismo sosteneva di aver risolto il problema dell'ap­ plicabilità della matematica. Supponiamo di fare l'inferenza che, se sul tavolo ci sono sette mele e cinque pere e nessun altro frutto, allora sul tavolo ci sono dodici frutti, e di giustificarla facendo appello a 7 + 5 12. La difficoltà consiste nel fatto che 7 è il nome di un numero, o così si pensa, mentre «sette» è un predicato dell'insieme delle mele che sono sul tavolo. Frasi e formula non si agganciano tra loro. Secondo Frege tuttavia, un'attribuzione numerica non è mai l'attribu­ zione di un numero a un oggetto o un insieme di oggetti, ma piuttosto a un concetto: «sette mele sul tavolo» afferma Num(A) = 7 dove A è il concetto «mele sul tavolo»; così un numero non è un concetto, ma un concetto di concetti, come appunto nella definizione fregeana. Ora 7 e 5 compaiono anche nelle prime premesse, e l'inferenza attraverso 7 + 5 12 segue facilmente e correttamente in maniera logica6• =

=

6 M. Steiner, in The ApplicaMity o/ Mathematics as a PhilosophiCIII Problem, cit., sostiene che Frege ha ragione a considerare del tutto soddisfacente la sua soluzione. 148

Formalismo

La questione delle applicazioni aritmetiche è stata affron­ tata dal punto di vista formalista da Haskell Curry;, che ha concluso che non ci sono problemi: in ogni sistema formale aritmetico ci sono regole per generare in modo effettivo i numerali, ad esempio iterando arbitrariamente la scrittura di l ; un'affermazione che un insieme ha una determinata nu­ merosità significa che l'insieme può essere messo in corri­ spondenza biunivoca con un segmento iniziale della succes­ sione dei numerali; l'affermazione naturalmente non è inter­ na, non è matematica, come è giusto, perché è un'applicazione della matematica. I sistemi formali sono il modo di presentare le teorie matematiche assiomatizzate quando si precisi il linguaggio e si convenga di usare una logica ricorsivamente enumerabile, una logica cioè in cui le conseguenze si ottengono iterando l'applicazione di alcune regole sin tattiche. La logica del primo ordine è di questo tipo, sicché è possibile e corretto affermare che tutte le teorie matematiche - con la logica del primo ordine - sono sistemi formali. Taie equiparazione vale però per le teorie sviluppate, mature, con gli assiomi definitiva­ mente fissati, in modo che se si usano altre assunzioni si sa che si ricade in un'altra teoria. Se ad esempio nella teoria dei semigruppi si assume la commutatività si cade nella teoria dei monoidi. Non vale per le teorie in /ieri, e neanche per le parti ancora da sviluppare delle teorie assiomatizzate. L'aspetto esplorativo della ricerca matematica non è neanche menzio­ nato in una filosofia formalista. n formalismo che sostiene che la matematica consiste e

si esaurisce nel fare deduzioni formali è ovviamente troppo

limitativo; non era questa la posizione di Hilbert, la cui problematica è del tutto assente dalla disputa Frege-Tho­ mae; per Hilbert la presentazione delle teorie come sistemi formali era solo un artificio tecnico in vista dell'applicazione

7 H.B. Cuny, Outlines o/ a Formalist Philosophy o/ Mathematics, Amsterdam, North Holland, 195 1 , e Foundations o/ Mathematical Logic ( 1 963 ), New York, Dover, 1976.

149

Filosofie della matematica

degli strumenti della logica matematica all'indagine sulle loro proprietà logiche, prima fra tutte la non contradditto­ rietà. Nient'altro. La citazione iniziale è del tutto fuorviante, ma purtroppo tipica di un'idea che si è diffusa e che è dura a morire. Le indagini metamatematiche concepite da Hilbert non gli impedivano di proclamare che la fonte dei problemi e dei concetti matematici era nella fisica e nella geometria intuitiva; per Hilbert alcune affermazioni almeno, quelle combinatorie, avevano un significato, prese isolatamente, indipendentemente dal ruolo che giocavano nella rete deduttiva. Hilbert aveva una grande visione, personale e del tutto originale rispetto al formalismo ottocentesco. n suo punto di partenza era la negazione dell'esistenza dell 'infinito attuale in natura, e la constatazione che non era tuttavia possibile sviluppare la matematica, o accettare quella che era stata sviluppata, limitandosi a teorie che parlassero del finito. Si pensi anche solo alla nozione di limite e al calcolo differen­ ziale. Le parti elementari dell'aritmetica che trattano di costruzioni combinatorie di oggetti hanno un significato e un valore di verità indiscusso. Le stesse costruzioni si realiz­ zano sui simboli, che sono oggetti concreti, e il riconoscimen­ to e la manipolazione di oggetti concreti e di simboli sono una pre-condizione di ogni forma di pensiero. n pensiero che si esprime nella costruzione e nella manipolazione di oggetti finiti e di simboli è chiamato da Hilbert finitario. La sua giustificazione è di tipo kantiano, a­ priori. Taie forma di pensiero è nello stesso tempo logica e matematica, inscindibilmente intrecciate; non è possibile porre una di queste a fondamento dell'altra. L'aritmetica finitaria è vera e completa. L'idea nuova di Hilbert è che gli enunciati infinitari, che coinvolgono quantificazioni su totalità infinite, giochino nelle deduzioni lo stesso ruolo che gli elementi ideali - i cosiddetti punti all'infinito, per esempio - giocano in altre parti della matematica: quello di permettere una teoria più armoniosa, più scorrevole, meglio integrata, e più profonda. Si pensi alle coniche, che non sono ciascuna una curva particolare, indi­ pendente dalle altre, ma sono unite in una teoria proprio 150

Formalismo

grazie ai punti all 'infinito8: Infine feci la conoscenza dei due punti immaginari all'infinito I (chiamati da qualche aficionado della geometria proiettiva lsacco c G iacobbe [ingl. ]acob]). Questi punti possedevano una realtà doppiamente assurda, lassù all'infinito (ovunque esso sia) ... al di là dell'immaginazione visiva... Una conica era un cerchio se e solo se passava per i punti I e J. Ecco il mistero; e la triplice tensione tra ciò rh c era visivamente imm aginabile, il simbolico e il virtuale assumeva una qualità sensuale. cJ

Se Hilbert fosse riuscito a dimostrare che gli elementi ideali erano innocui, nel senso che non aggiungevano nulla di nuovo (e quindi falso) alle verità relative ai domini concreti, finiti e decidibili - che cioè le teorie astratte erano estensioni conservative di quelle elementari - allora non ci sarebbe stato bisogno di fornire loro un'interpretazione; quindi non ci sarebbe stato bisogno di una giustificazione degli insiemi infiniti apparentemente invocati nella formulazione di quelle teorie, ma si sarebbe stati legittimati ad usarle, sfruttando i vantaggi che fornivano in termini di semplicità e potenza deduttiva; si sarebbe potuto estendere agli insiemi infiniti la logica classica, naturale nei domini finiti, con il suo principio del terzo escluso, contestato dagli intuizionisti; in una parola si sarebbe potuto salvare il paradiso di Cantor della matema­ tica moderna. Con il senno di poi, non è difficile individuare un'incon­ gruenza nel fatto che per Hilbert il tribunale supremo è quello della matematica classica ereditata dal passato prossimo, e nello stesso tempo questo tribunale ha bisogno di una legit­

timazione ulteriore; la matematica accettata è accettabile solo in base al giudizio di un altro tribunale, quello dell a matema­ tica finitista. Se riesce, il programma di Hilbert stabilisce la certezza delle verità matematiche, che è cosa diversa dal fatto che le verità matematiche siano certe, o che siano verità; quest' af8 Ph.J. Davis, The Education o/a Mathematician, Natick, Mass., A K Peters, 2000, p. 62. Si tenga presente che Davis è un empirista radicale.

15 1

Filosofie della matematica

fermazione ha senso solo in una visione realista, platonica o logicista. Per ottenere il suo risultato, la via indicata da Hilbert era quella di formalizzare le teorie matematiche, rendendole insiemi di simboli, e di rappresentare le dimostrazioni con derivazioni formali, quindi anch'esse come oggetti finiti. Su questi oggetti si poteva ragionare con i metodi aritmetici finitisti. La dimostrazione di non contraddittorietà di questi sistemi avrebbe garantito la conservatività della loro estensio­ ne e la possibilità di trattare l'infinito come elemento ideale9• Al simposio di Konigsberg del 1930 sui fondamenti della matematica10, la posizione formalista fu presentata da John von Neumann, membro della scuola di Hilbert, e la sua esposizione fu in effetti dedicata alla teoria della dimostrazio­ ne di Hilbert. Questo sanzionò definitivamente l'equivoco uso del termine, che è rimasto ancora oggi. Sia per la ragionevolezza del programma che per la grande promessa che conteneva, sia per il suo fascino che per l'autorità di Hilbert, la maggior parte dei matematici si convinsero che la sua impostazione - brevemente il formali­ smo - fosse la fondazione matematicamente più accettabile. La convinzione è ancora diffus a, come abbiamo visto, nono­ stante il suo fallimento, o almeno il suo arenarsi, dal momento che secondo alcuni il programma non è stato definitivamente sepolto dal secondo teorema d'incompletezza e si potrebbe riproporre con un rafforzamento dei metodi finitaci. Così affascinante è per i matematici l'ipotesi di Hilbert che molti oggi si dicono formalisti professandola come fede, pur accettando nello stesso tempo che non sia dimostrabile 9 Per maggiori dettagli storici e tecnici, si veda G. Lolli, Hilbert e la logica, in Atti del Convegno per il centenano dei «Grundlagen» di Hilbert (Catania, 1 999), in «Le Matematiche», 55 , 2000, suppl. l, pp. 93 -126. Si veda anche M. Detlefsen, Hilbert's Program, Dordrecht, Reidd, 1986 e G. Kreisd, Hilbert's Programme, in «Dialectica», l2, 1958, pp. 346-73; trad. it. Il programma di Hilbert, in C. Cdlucci, LA filosofia della matematica, cit., pp. 185-22 1 . 10

Pubblicato su «ErkenntniS», 193 1 , pp. 91-12 1 , ora in P. Benacerraf Philosopby o/Mathematics, cit., pp. 3 1 -54.

e H. Putnam,

152

Fo171111lismo

neppure attraverso l'astruso giro della formalizzazione inte­ grale. Ad esempio Abraham Robinson, già citato, afferma La mia posizione riguardo ai fondamenti della matematica è t) le totalità infinite non esistono in nessun senso della parola . . . le frasi che pretendono di parlame sono prive di significato. it1 Nondimeno, noi dovremmo cont inuare il commercio della matematica «come al solito», cioè dovremmo comportarci come se le totalità infinite esistessero realmente.

basata sui due seguenti punti fermi o principi:

Taie auto-inganno si realizza ancora considerando le

teorie come oggetti formali, e ringraziando il fatto che le

regole della logica formale permettono di replicare formal­ mente ogni argomento possibile; la loro non contraddittorietà tuttavia è solo garantita da un'evidenza induttiva; peraltro, al Ji fuori dell'impostazione ipotizzata da Hilbert, la non con­ traddittorietà da sola non garantirebbe neanche il carattere di estensione conservativa, che non sussiste, come Godei ama spesso notare per giustificare la fecondità dei nuovi assiomi. La non contraddittorietà serve solo a non banalizzare il gioco. Al di là dell'ispirarsi al pensiero così sofisticato e artico­ lato di Hilbert, il formalismo moderno non può più far leva sul suo programma. Non promette certezze come sua giu­ stificazione. Esso piuttosto, così come quello antico di Tho­ mae, ambisce soprattutto a liberare la matematica e la filosofia della matematica da ogni assunzione metafisica, come quelle che spiccano nel platonismo e nell'intuizionismo. Un formalista moderno che insiste sull'atteggiamento anti-metafisico è Haskell Curry. Nel suo pensiero si può riscontrare una traccia dell'influenza del clima neo-positivista. Curry distingue due possibilità o punti di vista generali, il contenutismo (ingl. contensivism, un neologismo che egli costruisce dal tedesco Inhalt) e il formalismo. Chiama forma­ lismo ogni fùosofia in cui gli oggetti della matematica non sono specificati, o, se lo sono, la loro natura non è rilevante per la validità dei teoremi, sicché questi siano invarianti rispetto alla loro eventuale sostituzione. U formalista secondo Curry asserisce che i numeri naturali 153

Filosofie della matematica

sono qualunque sistema di oggetti a cui si applica la teoria formale nota come aritmetica. Egli accetta e fa pieno uso del teorema di completezza e dei modelli non standard; non vieta l'uso di un linguaggio semantico, e neanche un'interpretazio­ ne platonista o intuizionista del suo sistema, ma insiste che viene prima la teoria formale, per quel che riguarda l'essenza della matematica. Al centro si colloca dunque la dimostrazio­ ne. n formalismo fornisce almeno una chiara definizione e criteri di riconoscimento della dimostrazione. Così il formalista vorrebbe non negare contenuti e inter­ pretazioni, ma restare indipendente da ogni forma di conte­ nutismo. Non ambisce a presentare un'unica teoria generale per la matematica, perché sa per il teorema di Godei che non può esistere un'unica teoria che esaurisca tutte le dimostra­ zioni matematiche. Non è quindi preoccupato della prolife­ razione delle teorie degli insiemi. Poiché non esiste una teoria privilegiata, per il formalista la matematica è la scienza generale dei metodiformali. Per quanto anti-metafisico e tendenzialmente nominali­ sta, il formalista è disposto ad ammettere che alcune forme d'intuizione giocano un ruolo nella matematica, se sono intuizioni di natura linguistica, o se sono almeno passibili di una formulazione linguistica, e se sorgono da uno sviluppo naturale dell'esperienza, e non pretendono di avere un carat­ tere a-priori. Infine Cuny concede che alcune deboli assunzioni metafi­ siche sono inevitabili, e sono di due tipi; la prima riguarda al solito la natura dei simboli, che non sono mere iscrizioni, ma classi di equivalenza d'iscrizioni equifonni; la seconda è la disponibilità illimitata di spazio e tempo, anche al di là dei confini fisici, per l'esecuzione delle costruzioni matematiche. Taie assunzione non sembra compatibile con il formalismo stretto, quello secondo cui fare matematica è fare dimostrazioni formali, perché derivazioni arbitrariamente lunghe non possono essere svolte, vi si può solo ragionare sopra metamatematica­ mente, ma in modo essenziale, non come abbreviazione. La non contraddittorietà non è una condizione indispen­ sabile per Curry, oltre a non essere dimostrabile. Le teorie sono costruite con cura e attenzione e sono sviluppate finché 154

Formalismo rimangono utili, semplici e ragionevoli secondo i criteri del tempo, e non c'inducono in errore. Ma nulla è assoluto, e nulla è assolutamente certo. Sono evidenti gli influssi empiristi e nominalisti, in questo tentativo di costruire una filosofia più ricca, che soddisfi in parte il principio di oggettività.

155

8.

SEMIOTICA

n formalismo non dice molto sui simboli e sulla partico­ lare attività simbolica che si manifesta nella matematica,

riflessione che pure sarebbe importante per la sua compren­ sione; un'altra disciplina esplicitamente dedicata a tale studio è la semiotica; ci si aspetterebbe un maggiore interesse dei suoi cultori per la matematica; invece, nonostante l'illustre precedente di C.S. Peirce, gli studi semiotici sulla matematica sono rari, ideologicamente motivati all'interno di tendenze post-moderniste e condotti da persone incompetenti. Ma questo è quanto offre oggi la cultura ed è bene esserne informati. Un esempio è Brian Rotman, che propone un'interpreta­ zione della matematica come una macchina immaginifica controllata dalla scrittura' . Finora non ci sarebbe stata, secondo Rotman, una teorizzazione del linguaggio matematico, perché nei suoi riguardi ha prevalso il realismo; invece gli oggetti matematici non possono essere scorporati dall'attività discorsi­ va che dà loro significato, quindi sono inseparabili da pratiche storico-sociali: «Gli oggetti a cui sembra che il linguaggio si riferisca sono essi stessi formati, facilitati, evocati, creati dagli stessi strumenti discorsivi usati per nominarli». La matematica è una specie di retorica storicamente condizionata, un'attività il cui obiettivo è quello di realizzare la persuasione, anche se esso è stato sempre mimetizzato, nell 'età moderna: . n soggetto non può integrare, perché l'integrazione è un processo «senza fine» di addizione3; allora a chi è rivolto il comando? Si precisa una divisione del ma­ tematico in tre: una Persona, un Soggetto, un Agente.

2 Ad esempio George Lakoff; si veda G. Lakoff e R.E. Nuiiez, The metaphorical structure o/ mathematics: Sketching out cognitive /oundations /or a mind-Based mathematics, in Mathematical Reasoning: Analogies, Metaphors an d Images, a cura di L. D. English, London, Lawrence Erlbaum Associates, 1997 , pp. 21-89. Una discussione di Lakoff è in G. Lolli, La meta/ora in matematica, in La parola al testo, scritti per Bice Martana Caravelli, a cura di G.L. Beccaria e C. Marello, Alessandria, Dell 'Orso, 2002, pp. 22 1 -32. 3 Come se non esistessero le formule per l'integrazione in termini finiti, ma si dovesse sempre applicare la definizione mediante le approssimazioni convergenti di somme.

158

Semiotica

La Persona fa la matematica informale nel Metacodice, il Soggetto risponde agli imperativi «dimostriamo», «definia­ mo», l'Agente è una versione idealizzata di sé che esegue gli imperativi come un automa operando solo con segni senza significato. Siccome è «disincarnato», non situato, può anche andare avanti all'infinito: «è una versione idealizzata e tron­ cata, un modello o simulacro del Soggetto portato all' esisten­ za dall'immaginazione per eseguire azioni che vanno oltre le capacità fisiche e cognitive del Soggetto in quanto essere corporeo». n Soggetto, in risposta ad un imperativo, imm agina un mondo «in essere», cioè crea un mondo con l'immaginazione, e assegna un proprio sosia, Agente, ad eseguire varie azioni immaginate4• Nel passaggio dalla Persona al Soggetto si dimenticano, nel senso dei funtori dimenticanti, gli indicali, nel passaggio all 'Agente anche senso e significato. La Persona è il matematico informale; ad esempio > confidando che «la matematica idealistica tro­ vasse la sua giustificazione nelle applicazioni alla fisica». Se torniamo indietro nel tempo, seguendo queste indica­ zioni, troviamo in effetti esponenti del costruttivismo molto più filosoficamente motivati di quanto appaia dall ' atteggia­ mento pragmatico di Bishop e degli altri cultori odierni, tutti rivolti a dimostrare teoremi senz' altri uzzoli per la testa. La base dell 'inturzionismo, come predicato da Luitzen Egbertus Jan Brouwer9 a partire dal 1907, è una tesi sulla radicale frattura tra pensiero e linguaggio. La matematica è prodotto della mente umana; l'espressione linguistica non è matematica e non è neanche una rappresentazione della matematica; il linguaggio serve solo a comunicare, a permet­ tere agli altri di (cercare di) seguire il proprio pensiero10• n pensiero umano qualche volta è idealizzato dagli intuizionisti,

9 Dell'ampia letteratura, citiamo soltanto D. van Dalen, Mystic, Geometer and Intuitionist: The Lt/e o/ L.E.]. Brouwer, vol. l , Oxford, Oxford Univ. Press, 1999 e W.P. van Stigt, Brouwer's lntuitionism, Amsterdam, Elsevier, 1990. 10 L.E.J . Brouwer, Historical background, principles and methods o/ intuitionism, in «South Mrican Journal of Science», 49, 1952, pp. 139-43; trad. it Fondamenti storia; principi e metodi dell'intuixionismo, in C. Cellucci, La filosofia della matematica, cit., pp. 223 -3 1 . Altri scritti introduttivi di Brouwer e Heyting sono pubblicati nella stessa antologia alle pp. 233-67. Le opere filosofiche di Brouwer sono pubblicate in L.E.]. Brouwer, Collected Works (a cura di A. Heyting), vol. l , Amsterdam, North

168

Costruttivismo

ma più spesso consiste proprio di atti individuali di pensiero, non esiste per essi una mente collettiva - in particolare la mente non è infinita, e lavora sempre con un ammontare finito di informazioni. La matematica consiste in costruzioni della mente, la prima delle quali è quella dei numeri naturali, fondata sulla percezione di un passaggio di tempo, dello scindersi di \m momento di vita in due cose distinte, l'una delle quali cede il posto all'altra ma è conservata dalla memoria. La forma vuota della biunità così generata è l'intuizione di base della matematica.

L'intuizione del tempo ricorda Kant; Brouwer chiamava Kant un proto-intuizionista, ma la sua intuizione è molto diversa, creativa, non si limita come in Kant a rendere non vuoti i concetti. Naturalmente quest'intuizione è ancora diversa da quella di cui parlano i platonisti. La parola «in­ t u izione» è usata in molti quartieri a cavallo del secolo. Benché il pensiero di Brouwer sia del tutto originale, con forti venature di misticismo, egli stesso riconosce qualche antesignano, tra i tanti nemici del formalismo o del logicismo. Tra i predecessori dell'intuizionismo sono talvolta classi­ ficati i matematici francesi noti come semi-intuizionisti, Emile Bore!, René Baire, Henri Lebesgue e lo stesso Poincaré1 1 • Tutti hanno in comune la tesi che la base e l'unica parte assolutamente garantita della matematica è rappresentata dai numeri naturali. L'intuizione dei numeri naturali è irriduci­ bile, i numeri sono oggetto di un'intuizione primaria; su questa base si possono solo usare metodi che trattino entità definibili; si deve rifiutare l'infinito attuale (con varie sfuma-

Holland, 1975. La letteratura sull'intuizionismo è sconfinata; una presen­

tazione accessibile sia della logica che della matematica intuizionista si trova in M. D ummett, Pri'nciples o/Intui'tionism, Oxford, Clarendon Press, 1977. 11 Qualche notizia sui semi-intuizionisti, in relazione alla nascente teoria degli insiemi, si trova in G. Lolli, Dagli insiemi' ai numeri, cit., Parte l. Sul predicativismo di Poincaré si veda A. Cantini, Una nota sulla concezione semi-intuizionista della matematica, in «Rivista di Filosofia», 69, 1 978, pp. 465 ·86.

169

Filosofie della matematica

ture, qualcuno rifiuta anche l'infinito potenziale), e l'assioma di scelta - che per un costruttivista coerente invece è lecito, perché se i dati sono costruttivamente presentati, le scelte si possono fare con un procedimento sistematico. Tutti gli enti matematici per Brouwer sono costruzioni della mente; anche la parola «costruzione» ricorda Kant, ma ha un significato diverso, generalissimo; in Kant aveva il senso tecnico delle costruzioni geometriche con riga e compasso. Oltre all'intuizione di base, per Brouwer la mente ha altre capacità di costruire nuove entità matematiche, in particolare le succes­ sioni di numeri. Per la costruzione (di strani sostituti) del continuo Brouwer, che non finirà mai di lavorarci sopra, introdurrà molti concetti nuovi, le successioni legiformi, le successioni di libera scelta, gli spiegamenti, le specie; formulerà originali metodi dimostrativi, come il teorema di sbarramento, analoghi intuizionistici dell'induzione e del lemma di Konig, classicamente equivalenti ad essi ma tutti ostici ai matematici, anche se alcuni sono utili per capire meglio la continuità. Osserva Brouwer che se una costruzione eseguita viene messa in forma linguistica, ad essa si possono applicare trasformazioni linguistiche; il risultato è qualcosa che a sua volta può essere la descrizione di una costruzione possibile, nel qual caso il linguaggio funziona come una specie di scorciatoia; ma questo è lecito e garantito solo se nelle trasformazioni si sono usati alcuni principi logici e non altri; il principio di non contraddizione è accettabile, quello del terzo escluso no. Per la giustificazione di queste tesi, è più trasparente l'esposizione di altri autori, che nello sfor7.o di rendere convincente l'intuizionismo hanno preso in considerazione sistematicamente la logica; tra questi un posto preminente spetta ad Arend Heyting, l'allievo di Brouwer che nel 1930 espone i principi dell'intuizionismo12 e per farlo si riferisce esplicitamente a Husserl. 12

A. Heyting, Die lntuitionistiche Grundlegung der Mathematik, al simposio di Konigsberg del 1930, cit., traduzione inglese in P. Benacerraf e H. Putnam, Phi/osophy o/ Mathematics, cit., pp. 42-49.

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Costruttivismo

Una proposizione matematica per Heyting esprime un'aspettativa o, in termini fenomenologici, un'intenzione. Un'asserzione, un'affermazione di una proposizione, è il riconoscimento del soddisfacimento dell'intenzione; tale è sempre il suo significato. A differenza della proposizione o dell'intenzione, l'asserzione è un fatto empirico - per modo di dire, non ci sono ad esempio limitazioni di spazio e tempo. L'aspettativa si soddisfa con una costruzione, con l'esibizione di un oggetto; il non soddisfacimento di un'a­ spettativa, non temporaneo ma definitivo, si realizza con una prova d'impossibilità. Dunque asserire la negazione di una proposizione è impegnativo. La prova d'impossibilità si ha dimostrando che l'assunzione porta ad una contrad­ dizione. Anche le dimostrazioni sono costruzioni. L'inten­ zione di non-p è soddisfatta da una prova che p è assurda. Con le parole di Becker, citato da Heyting, la negazione è l'intenzione di una contraddizione contenuta nell'intenzio­ ne ongmarta. Una disgiunzione, per considerare uno dei connettivi tradizionali, è anch'essa un'intenzione; si può asserire solo se si è asserita una delle due proposizioni disgiunte; quindi p o non-p si può asserire solo se o si ha una dimostrazione di p o si ha una dimostrazione che il soddisfacimento di p porta ad una contraddizione. Le due proposizioni p e «è provabile che p» esprimono due intenzioni diverse, soddi­ sfatte la prima da una costruzione relativa all'argomento di cui parla p, la seconda da una costruzione che è una dimostrazione di p. Analogamente «non è provabile che f>)) e «è provabile che non-p» e:sprimono due intenzioni diverse, la seconda chiaramente più forte della prima; è facile immaginare situazioni in cui né p è soddisfatta, né si ha una dimostrazione che p è assurda; è facile soprattutto se la matematica è concepita, coerentemente con l'idea di una produzione da parte di un soggetto creativo, come dipen­ dente dal tempo, come l'insieme delle costruzioni eseguite, non come un insieme di verità. Si ha quindi la non validità del principio del terzo escluso. Amleto era un intuizionista, visto che per lui to be or not to be era un problema, e non una tautologia. Altre presentazioni della logica dell'intui17 1

Filosofie della matematica

zionismo la giustificano come un calcolo di soluzione di problemP'. In ogni caso, per ogni p, p o non-p è l'aspettativa di una costruzione matematica, quindi la logica dipende dalla mate­ matica, lungi dal fondarla. La logica usata nella matematica viene quindi costruita a partire dalla nozione matematica di prova. Michael Dum­ mett14 ha usato quest'idea come fondazione della logica in generale, della semantica, usando una nozione primitiva di prova in modo intuizionista. Heyting si dedicherà soprattutto alla logica e all' aritme­ tica1', piuttosto che al continuo, e costruirà una logica formale intuizionista, uno di quei sistemi formali contro i quali prote­ sta anche Bishop. La logica intuizionista ha interessanti se­ mantiche, sia in termini di mondi possibili, sia in termini di soluzione di problemi, sia in termini di funzionali. Tali sistemi sono interessanti in teoria della dimostrazione per misurare la forza delle varie teorie16; ma è vero che con essi scompare un po' la carica eversiva dell'intuizionismo. Ha incominciato Godei a mostrare quello che è noto come il principio della doppia negazione, prima per la logica, poi per l'aritmetica, vale a dire che ogni teorema classico è tale che la sua doppia negazione (cioè che è impossibile dimostrare che è assurdo) è intuizionisticamente derivabile. I sistemi intuizionisti forni­ scono quindi dimostrazioni di non contraddittorietà relativa per la logica e l'aritmetica classica. Prima del suo annacquamento logico, l'intuizionismo di

u A.N. Kohnogoroff, Zur Deutung der intuitionistische Logik, in «Mathematische Zeitschrifu>, 35, 1932, pp. 565; A. Grzegorczyk, A phtlosophically plausible interpretation o/ intuitionistic logic, in «lndagatio­ nes Mathematicae», 26, 1964, pp. 596-601 . 1 4 M . Dummett, The Logica! Basis o/ Metaphysics, Cambridge, Mass., Harvard Univ. Press, 199 1 ; trad. it. La base logica della metafisica, Bologna, TI Mulino, 1996. 15 Si veda A. Heyting, Intuitionism. An Introduction, Amsterdam, North Holland, 1956. 16 Si veda ad esempio A.S. Troelstra, Metamathematical Investigation o/ Intuitionistic Arithmetic and Analysis, cit.

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Costruttivismo

Brouwer negli anni Venti ha goduto di un notevole ascolto. Brouwer era un grande geometra, è stato nemico acerrimo di Hilbert non solo per la filosofia della matematica, ma anche in dispute accademiche. Hilbert era spaventato del suo successo nella questione dei fondamenti, e parlava di putsch a propo­ sito della rivoluzione intuizionista; fu anche per difendere la matematica dalla minaccia di Brouwer che si dedicò seria­ mente alla teoria della dimostrazione. Weyl invece era tra quelli per i quali Brouwer rappresentava la vera rivoluzione. Weyl ha flirtato con l'intuizionismo per un breve periodo. Ma prima di approdare all'intuizionismo, egli aveva elaborato una sua personale versione di costruttivismo17• Fin dall'inizio Weyl si è dichiarato idealista trascendenta­ le, rifacendosi più a Fichte che a Kant, con correzioni hus­ serliane. Nelle sue opere spesso raccomanda di rivolgersi al pensiero di Fichte. Da Kant impara che la conoscenza ri­ chiede concetti e intuizione, e la sua opera si può considerare proprio uno studio dei rapporti tra concetti teorici formali e intuizione. Nell'idealismo di Weyl la verità oggettiva non è negata, ma deve essere affrontata a partire dal dato assoluto che è la pura coscienza. Anche il mondo reale è dato come oggetto intenzionale dell'attività della coscienza18• Come in Husserl, pensare per Weyl è sempre pensare a qualcosa (il che esclude forse che pensare una legge logica sia pensare), e le intenzioni possono essere soddisfatte o meno. Per sapere che un oggetto corrisponde ad un'intenzione, e che il pensiero quindi non è vuoto, occorre un'evidenza, e la fonte dell'evidenza è l'intuizione. Per la matematica, il punto di partenza può essere un'in­ tuizione qualunque, seguita dalla sua ripetizione e dall'intui­ zione della ripetizione che porta all'intuizione dell'iterazione di un'intuizione qualunque. Questo soltanto, non le infinite

17 Si veda R Tieszen, The philosophical background o/ Weyl's mathe­ matical constructi'vism, in , 14, 1992, n. 3 , pp. 4-13. Non è vero peraltro quanto affenna ivi Mathias, che Bourbaki non abbia mai parlato dei teoremi di in com­ pletezza di Godei; lo ha fatto, sia pure in modo riduttivo, nelle note storiche, sotto la voce Metamatematica; si veda N. Bourbaki, Elémenls d'histoire des mathématiques. Paris, Hermann , 1960; trad. it. Elementi di storia della matematica, Milano, Feltrinelli, 1963 , pp. 55-56. Un'osserva­ zione marginale ma significativa, che rivela il segno di una menralità veramente strutturalista, è che la presentazione del primo teorema d'in· completezza, nella versione di Bourbaki, afferma che l'aritmetica è non categorica. Naturalmente la formulazione è corretta, ma raramente usata. 11 R Hermann, Mathematics and Bourbaki, in «The Mathematical lntelligencer», 8, 1986, n. l, pp. 32-33.

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11.

DEDUTTIVISMO

Con «deduttivismo» s'intende la tesi che la matematica è l'insieme delle affermazioni della forma «Se ... allora ... » che sono logicamente valide (in inglese si chiama anche zfthen­ imt) . Questa posizione attribuisce un ruolo essenziale alla logica nella definizione della matematica, ma un ruolo, e una logica, molto più deboli che nel logicismo. La logica a cui si riferisce il deduttivismo è la logica del primo ordine, o comunque una logica con una chiara definizione semidecidibile di conseguenza logica; il suo ruolo è solo deduttivo. Si rileva una differenza simmetrica con il logicismo: questo almeno all'inizio prendeva per buoni i sistemi logici costruiti storicamente, per quel che riguarda la scelta di assiomi e regole, con una fiducia empirica nella loro adeguatezza, e si interessava delle definizioni e degli assiomi fondazionali; nel deduttivismo le questioni riguardanti le definizioni sono del tutto trascu­ rate; esso si caratterizza per l'importanza data all'organiz­ zazione ipotetico-deduttiva delle teorie matematiche, dove gli assiomi sono considerati al massimo definizioni implici­ te. Nessuna definizione per mezzo di assiomi individua in modo unico strutture infinite, quale quella dei numeri naturali, come era invece l'ambizione del logicismo. n deduttivismo non s'identifica con il formalismo perché non richiede che le deduzioni siano formalizzate; non a caso si parla di condizionali logicamente validi, in termini semantici. La logica è tuttavia formale, e con un teorema di completezza, di modo che le deduzioni delle conseguenze potrebbero anche essere formali. Chiedere che la relazione di conseguen­ za logica sia semidecidibile è praticamente la stessa cosa che chiedere che valga un teorema di completezza, cioè che la logica stessa, anche se data semanticamente, sia assiomatizza­ bile con un sistema di assiomi logici e regole d'inferenza effettive. La già citata logica del secondo ordine è un esempio di logica che non ha questa proprietà, ma che in compenso (per questo?) è più forte espressivamente, permettendo in particolare di formalizzare teorie categoriche. Quindi il de1 87

Filosofie della matematica

duttivismo sfrutta i risultati della logica moderna per scegliere proprio una logica debole, e ci si chiede il perché. Da un punto di vista filosofico la posizione non sembra ben fondata; ma il deduttivismo non si può apprezzare in termini astratti; esso, come lo strutturalismo, è il portato della storia recente della matematica, e della scoperta del metodo assiomatico. Lo stesso processo che ha portato all'emergere della nozione di struttura ha anche permesso di chiarire la natura del metodo assiomatico. Uno dei commentatori più attenti del fenomeno è stato Federigo Enriques1 , di cui parafrasiamo alcune osservazioni, a testimonianza di come un contemporaneo l'ha vissuto. «Diversi movimenti di pensiero», con origini varie ma tutti favoriti dall a liberazione da un appiattimento realistico sulla natura, «s'incontrano in un medesimo concetto riforma­ tore». Questi movimenti sono: la geometria proiettiva, le geometrie non euclidee, la costruzione di modelli per la geometria (Riemann, Beltrami), l'algebra e la logica in lnghil­ terra, l'aritmetizzazione dell'Analisi, i fondamenti dell'Analisi e la fisica anche, con la nuova idea, favorita dalla filosofia positivista, che il compito della fisica sia quello di costruire modelli della realtà. Nonostante questi diversi movimenti «concorrano tutti nella riforma della logica contemporanea, questa riforma si afferma pienamente soltanto attraverso la critica dei principi della geometria, per la quale i pensatori matematici acquista­ no coscienza matura di una rivoluzione compiuta nei secoli>>. La critica dei principi della geometria consiste nella reinterpretazione formale del metodo assiomatico ereditato da Euclide. Si fa iniziare con Joseph D. Gergonne, e con il concetto a lui dovuto di definizione implicita; Gergonne parlava di definizione implicita quando, pur non conoscen· dosi il significato di un termine che compare in un enunciato, la comprensione dell'enunciato permette di dare un senso anche a quel termine. Le definizioni implicite prenderanno la 1 F. Enriques, Per la stona della logica, Bologna, Zanichelli, 1922 , ristampa anastatica 1987 , in particolare cap. 3.

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Deduttivismo

forma della definizione di un sistema di concetti primitivi per mezzo di un sistema di proposizioni. La fecondità dell'idea è stata chiarita da un principio generale di sostituibilità dei concetti che ha il suo germe nel principio di dualità (dello stesso Gergonne, 1826): i teoremi della geometria di posizione si presentano sempre a coppie, sicché ogni teorema ha il suo duale ottenuto scambiando . All'inizio e per un certo periodo questo è un principio, o forse solo un'osservazione, senza una giusti­ ficazione, fino alla sistemazione della geometria proiettiva da parte di K.G.C. von Staudt. Ma è soprattutto Julius Pliicker, secondo Enriques, che «facendo riposare la legge di dualità sull a considerazione delle coordinate di rette e piani, permette un identico trattamento analitico delle relazioni correlative» (le teme di numeri possono ora essere sia punti che cerchi). Quello di Pliicker non è solo uno sviluppo della geometria analitica, ma una nuova tecnica logica: > - la logica allora è

un

organon di critica.

Una teoria che è quasi-empirica nel senso detto può essere sia empirica che non empirica nel senso solito del termine: è empirica solo se i teoremi di base sono enunciati di base spazio-temporali

singolari.

L'ultima frase è una precisazione del termine «quasi­ empirico» che mostra comt: «l{uasi» non alluda ad un' ap­ prossimazione, non significhi che la matematica si avvicina ad essere empirica, ma rimandi ad altri criteri di classificazione. Sono sbagliate le presentazioni del pensiero di Lakatos', secondo cui egli «non sostiene che la matematica è proprio come la scienza empirica; al massimo è quasi-empirica>>. L'indebolimento suggerito da «al massimo» è fuorviante, Lakatos vuole sostenere che la matematica non è a-priori e 5 Ad esempio ad opera di Tymoczko, in New Directions, cit., p. 29.

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Filosofie della matematica

assoluta, e nel far questo cambia il significato di «empirico», per tenersi lontano da vecchie e sterili dispute, così come aveva fatto il suo maestro nei confronti della verificabilità. «Fallibilismo» è il termine usato da Lakatos per sottolineare il carattere scientifico (ingl. science-likeness) della matematica, e cioè che la conoscenza matematica e quella scientifica in generale sono dello stesso genere, dal punto di vista della metodologia popperiana. Nel brano sopra riportato si notano purtroppo diverse confusioni. Innanzi tutto una teoria matematica è considerata, in modo che non si può dire rivoluzionario, un sistema deduttivo. In questo un matematico può riconoscere i suoi oggetti; un po' meno nell'iniezione di valori di verità ad alcuni enunciati, che è un'operazione che non viene mai eseguita; al massimo alcuni enunciati, gli assiomi, sono supposti tacita­ mente veri; ma sono supposti veri perché sono scelti come assiomi, e non viceversa; supporli veri significa soltanto che si esamineranno le loro conseguenze, e per le proprietà dell'im­ plicazione materiale non c'è bisogno di considerarli falsi (nelle interpretazioni in cui sono falsi, l'implicazione continua a valere). Quello che non si è mai visto fare è attribuire il valore falso ad alcuni enunciati. La chiusura deduttiva di un insieme di assiomi è chiamata teoria euclidea; una teoria quasi-empirica sarebbe una teoria non euclidea; ma ci sono molti modi per non essere la chiusura deduttiva di un insieme di assiomi. Potrebbe ad esempio-non-essere una chl�s�ra, cioè essere un insieme di enunciati fortemente incompleto, nonostante la possibilità di aggiungervi teoremi; in questo caso tuttavia la mancata chiusura è solo un fatto storico, e vale in realtà per tutte le teorie esistenti; la chiusura s'intende sempre in senso poten­ ziale, e mai attualizzata. Potrebbe esserci davvero un sistema in cui alcuni enunciati sono etichettati falsi, e pure usati come premesse in qualche argomento? Potrebbe - le loro negazioni sarebbero etichettate come vere - ma non si è mai visto, e non se ne vede lo spirito. Nel seguito Lakatos si spiega meglio; gli enunciati falsi non sono premesse, sono eventualmente conclusioni; non si capisce allora però come si faccia ad etichettarli dall'inizio

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Fallibilismo

come falsi. Non si capisce neanche che cosa sono le ipotesi verso cui all 'indietro si trasmette la falsità. Non possono essere gli assiomi, che sono veri, e allora cosa sono? Forse quello che Lakatos vuoi dire, con la sua prosa patetica nell'ambizione e confusa, è che talvolta deducendo si arriva a risultati che non sono graditi, che non sono quelli che ci si aspettava, o non corrispondono alla funzione di modello a cui la teoria doveva servire; diciamoli b revemente falsi, e all ora ovviamente questo fatto si ritrasmette all'indietro agli assiomi, e questi dovranno essere etichettati come falsi, ma allora cambiati. Ma la distinzione di Lakatos tra un percorso all ' ingiù di trasmissione di verità e uno all'insù di trasmissione di falsità è senza senso; posto che il sistema è deduttivo e il legame tra le proposizioni è deduttivo, il legame tra premesse e conclusioni è unico; le premesse implicano la conclusione. La logica insegna che allora la negazione della conclusione implica la negazione di qualcuna delle premesse. La logica è sempre la stessa. Se si vuole esprimere questa classica legge logica, la legge di contrapposizione, in termini semantici, dicendo che la falsità della conclusione implica la falsità di una delle premesse, è lecito, ma sono due modi equivalenti di considerare la stessa relazione deduttiva. Se chi costruisce la teoria privilegia le premesse, considererà vere le conclusioni; se è scontento delle conclusioni che lo deludono o non corrispondono a quello a cui voleva arrivare, modificherà le premesse, che viene a ritenere false. Tuttavia queste conside­ razioni sulla verità e falsità si fanno alla fme, o comunque dopo la deduzione, non sono per nulla iniezioni a-priori di valori di verità.

In definitiva, non si ha in Lakatos una definizione di teoria quasi-empirica; s'intravede soltanto il desiderio di considerare teorie in corso d'opera e nella fase in cui ancora non è consolidato l'insieme delle assunzioni certe della teoria, ma si esperimenta su possibili deduzioni per vedere se una scelta di assiomi è opportuna o risponde agli obiettivi per cui si costruisce la teoria stessa. Tutto questo è buon senso, e non per nulla è quello che avviene normalmente nella costruzione e sviluppo di una teoria matematica, o di diverse teorie se si decide che certi assiomi sono utili per un 201

Filosofie della matematica

tipo di conclusioni desiderate, mentre vanno abbandonati e sostituiti per altre. Prima del consolidamento, potrebbe essere opportuno non parlare ancora di assiomi, ma pop­ perianamente di congetture. La cancellazione delle congetture falsificate quando la falsità è retro-trasmessa pone il problema dei cosiddetti falsificatori potenziali, un problema che sussiste anche per la filosofia generale di Popper; nel caso della matematica vedremo in seguito in cosa potrebbero consistere, anche se certamente non sono decisioni iniziali di etichettare come falsi alcuni enunciati di base. Osserviamo tuttavia intanto che è curioso usare il termine «euclideo» per le teorie così chiamate da Lakatos, per qualcosa cioè che con la matematica non dovrebbe avere nulla a che fare, dal momento che «tutta la matematica è quasi-empirica» - allora neanche Euclide è matematica. Infatti «gli studi fondazionali hanno inaspettatamente portato alla conclusione che una riorganizzazione euclidea della matematica come un tutto potrebbe essere impossibile; che almeno le teorie matematiche più ricche sono, come le teorie scientifiche, quasi-empiriche». Quest'osservazione è probabilmente un accenno ai teo­ remi di incompletezza, ma è rivolto contro la possibilità di un'unica e definitiva teoria che abbracci tutta la matematica; si tratta di una questione diversa da quella dell'organizzazione euclidea delle singole teorie. Le teorie incomplete come l'aritmetica, peraltro, non diventano affatto, in ragione della loro incompletezza, quasi-empiriche nel senso di Lakatos, perché nessun loro assioma viene falsificato. Si vorrebbe capire che giudizio è dato agli sforzi compiuti da tanti matematici per dare un'organizzazione euclidea, vale a dire a quanto pare non matematica, alle loro teorie. S'inco· mincia a sospettare che Lakatos non stia parlando della matematica ma di una metodologia della matematica. Così è infatti: egli considera l'assiomatizzazione delle teorie un im ­ perativo metodologico sbagliato, che probabilmente ritiene possa essere scalzato; in fondo secondo Lakatos i successi sono pochi e insignificanti; salva solo la teoria dei gruppi. D'altra parte egli descrive anche l'evoluzione tipica delle ·

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Fallibilismo

teorie euclidee in termini che oscillano tra lo storico e l'ideologico: Lo sviluppo di una teoria euclidea consiste di tre stadi: il primo è la fase pre-scientifica di tentativi ed errori che costituisce la preistoria del soggetto; esso è seguito dal periodo fondazionale che riorganizza la disciplina, lima le propaggini dubbie, stabilisce la struttura deduttiva del nucleo sicuro; resta allora solo la soluzione di problemi all' interno del sistema, rappresentata so­ prattutto dalla dimostrazione o confutazione di congetture inte­ ressanti. [La scoperta] di un metodo di decisione per la teoria può eliminare del tutto questo stadio e porre la parola fine allo sviluppo.

La matematica quasi-empirica al contrario è una rivolu­ zione permanente di congetture audaci, teorie rivali, critiche, confutazioni (tutta la terminologia di Popper). Essa non raggiunge mai lo stadio della formalizzazione, il secondo stadio. O non dovrebbe raggiungerlo, perché in verità «fino ad ora nessuna teoria matematica informale ha potuto evitare di essere formalizzata» - per effetto della metodologia per­ versa. Le ragioni di questo grande auto-inganno collettivo non sono chiare. Resta il fatto che la matematica quasi-empirica in definitiva, nonostante il suo essere la vera matematica, esiste solo in forme temporanee e instabili. Lakatos era consapevole del fatto che il punto debole della sua metodologia, lasciando perdere la storia reale, era rappresentato dai falsificatori potenziali. Nelle scienze, sono in generale i fatti o gli enunciati protocollari che hanno la forza di prevalere su di u n a t�oria, nel senso che, se tra di essi e le previsioni di una teoria sussiste un disaccordo, la pesantezza dei fatti (peraltro sempre carichi di teoria) li fa prevalere. Potrebbero anche essere altre teorie, meno az­ zardate o con un maggior contenuto empirico - ma non è facile definire questi concetti senza ricadere nella proble­ matica dell'empirismo. n problema di definirli, peraltro, è di rilevanza drammatica, perché «non si dovrebbe fare facili concessioni al fallibilismo» e «come si può prendere sul serio il fallibilismo senza prendere sul serio la possibilità della falsificazione?». 203

Filosofie della matei'IUltica

Lakatos ha provato senza successo a indicare come esempi di falsificatori potenziali gli enunciati aritmetici in base ai quali si accettano o si rifiutano assiomi forti del­ l'infinito, appoggiandosi alle riflessioni di Godei sull'argo­ mento. n fatto che gli assiomi dell'infinito abbiano conse­ guenze sull'aritmetica elementare, tuttavia, può essere usato solo per la decisione di accettarli o meno; non si vede un caso di teorie in conflitto. Non si trovano esempi di teorie matematiche in conflitto tra le quali la scelta sia risolta da un falsificatore, come nel caso delle teorie fisiche. Succede piuttosto che entrambe le teorie sopravvivono per proprio conto. Nel caso degli assiomi dell'infinito, poi, in base alle conseguenze ritenute all ettanti essi possono essere accettati piuttosto che rifiutati; rifiutata è la loro negazione, ovvia­ mente, ma la congettura audace è l'assioma positivo, di esistenza di un nuovo grande insieme, che viene accettato e non confutato. La miglior descrizione di un ipotetico controesempio potenziale che Lakatos riesce a dare è la seguente: ammettia­ mo pure che quando una teoria è stata assiomatizzata, nessun controesempio può essere proposto - a meno che la teoria non sia contraddittoria - che possa essere esso stesso forma­ lizzabile nel linguaggio della teoria; un possibile controesem­ pio può allora venire solo dalla trattazione informale dell'ar­ gomento di cui la teoria si propone come sistemazione; abbiamo esempi di tal fatta quando la teoria è in corso di formazione, o nel primo stadio dello sviluppo delle teorie euclidee. Succede quando stiamo matematizzando un con­ cetto informale; allora un enunciato infonnale può essere un falsificatore della teoria provvisoria. Episodi del genere sono in effetti frequenti e noti nella storia della matematica; Lakatos non ne fa menzione, ma il caso della teoria della probabilità sarebbe una ricca fonte di esempi pertinenti. Una fase provvisoria ed esplorativa del genere è senza dubbio affascinante ed interessante, più che altre fasi tranquille, o staccate dal riferimento informale anche se queste non mancano di momenti avventurosi, solo che li si voglia vedere ed analizzare nei termini dovuti, invece di sovrapporre loro una metodologia importata dalle ·

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Fallibilismo

altre scienze. Sembra ad ogni modo perverso sostenere che una teoria bella e importante come la teoria dei gruppi, che Lakatos apprezza ma per cui ammette che non esistono falsificatori potenziali, non sia matematica, in base alla decisione che la matematica deve essere, per imposizione metodologica, quasi-empirica.

205

13.

EMPIRISMO

Lakatos ritiene che la matematica sia come le altre scienze,

nel senso di essere scientificamente caratterizzata dalla falli­

bilità; anche Hilary Putnam sostiene che >, ed è quin­ di, come quella, provvisoria e fallibile; Putnam si colloca tuttavia nel solco dell'empirismo tradizionale, come si evince dall a sua caratterizzazione dei metodi quasi-empiricP: Con metodi «quasi-empirici» intendo metodi che sono analo­ il fatto che gli enunciati singolari che sono «generalizzati per induzione», usati p�:r mettere alla prova le «teorie» e simili, sono essi stessi il prodotto di calcoli invece di essere «resoconti osservativi» nel senso solito.

ghi ai metodi delle scienze fisiche, eccetto per

Entrambe le posizioni configurano una versione rinnova­ ta dell'empirismo come filosofia della matematica. L' empiri­ smo infatti da sempre è stata una delle opzioni in filosofia della matematica - Aristotele era al riguardo un empirista - ma come ipotesi sull'origine e sulla formazione dei concetti ma­ tematici, problema a cui i nuovi empiristi non prestano at­ tenzione. La tesi portante dell'empirismo tradizionale era che gli enti matematici non esistono a prescindere dagli oggetti fisici da cui sono astratti, e che un atto di astrazione appunto è implicato nella creazione di numeri e figure. Nell'Ottocento, J ohn Stuart Mill2 è stato il rappresentante principale della fondazione empirista, ed è- stato di conseguenza il bersaglio delle critiche di Frege3• Tra le obiezioni principali, Frege contestava che i numeri fossero proprietà degli aggregati, mettendo in luce le difficoltà di tale concezione soprattutto per l e O. Per quel che riguarda l'origine del numero nell'aPutnam, What is Mathematical Truth, cit. ].S. Mill , A System o/Logù:, 1842; trad. it. Sistema di logica, a cura di M. Trinchero, Torino, Urnr, 1 988. � G. Frege, I fondamenti dell'aritmetica, cit. 1 H.

2

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Filosofie della matematica

strazione dalle differenze degli oggetti di un insieme, Frege chiedeva se prima si astraesse e poi si riunisse - nel qual caso tutte le differenze scomparivano e la riunione non poteva che produrre un solo elemento - o se prima si riunisse e poi si astraesse; ma indicava la difficoltà di astrarre ad esempio da tutte le reciproche differenze di 1 .000 oggetti senza andare in confusione e perdere il conto. Ancora, se si astrae dall'oggetto Luna, si ottengono vari concetti, come quello di satellite della Terra, di satellite in genere, di corpo celeste non fornito di luce propria, ma non compare mai il numero l . Dal punto di vista logico, Frege contestava il principio fondamentale del­ l' empirismo, che ogni definizione oltre a stabilire il significato dell'espressione debba enunciare un fatto osservativo; si chiede ironicamente quale fatto fisico corrisponda alla defi­ nizione del numero 777.864. La tendenza empirista era a fme Ottocento più diffusa di quanto ricordino le storie che riportano il solo nome di J. Stuart Mill , circostanza che giustifica l'accanimento di Frege. Tra gli altri Pasch", che nonostante le sue lucide considera­ zioni sulle dimostrazioni formali non era un deduttivista, ha proposto una fondazione dell'aritmetica basata sul concetto di cosa, un concetto primitivo che include nomi e avveni­ menti, con una relazione di antecedenza e (immediata) conseguenza che porta alla formazione del concetto di catena di avvenimenti, e quindi ai numeri naturali. Pasch pensava anche che la matematica fosse essenzialmente imperfetta, a meno che non si avesse la decidibilità di una teoria. L'empirismo di Mill è stato riproposto ai giorni nostri dai sociologi della scienza5, per contestare l'a-priori, e si ritrova in tutti coloro che pensano che calcoli e dimostrazioni debbano essere considerate manipolazioni fisiche. In generale tuttavia l'empirista indica il radicamento concreto in tali attività, ma

Grundlagen der Ana/ysis, Leipzig, Teubner, 1909. Know/edge and Soda/ Imagery, Chicago, Chicago Univ. Press, 197 6 ( 1 991 2 ); trad. it. IA dimensione sociale della conoscenza, Milano, Raffaello Cortina, 1994, capp. 5 e 6. Si veda anche G. Lolli, Beffe, scienziati e stregoni, cit. 4 M. Pasch, � D. Bloor,

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Empirismo

cerca di giustificare un salto nel formale e nel simbolico prodotto da qualche capacità che se non è la squalificata astrazione deve essere tuttavia una capacità (non molto diversa) di vedere forme o pattem. Per i sociologi, il di più è una trasformazione delle manipolazioni in regole, per una sanzione convenzionale sociale. Rappresentante di un empirismo radicale è invece Philip Davis6, il quale sostiene che si devono prendere in considera­ zione solo le capacità degli esseri umani in quanto animali biologici, e prendere sul serio il fatto che ogni comunicazione c ogni pensiero si svolgono attraverso lo scambio o l'uso di elementi materiali. Ne segue che considerazioni empiriche sono obbligatorie fin dall'inizio della manipolazione simbolica. I simboli sono token materiali, tracce fisiche, macchie o vibrazioni, e due di questi simboli possono essere solo quasi identici. La loro manipolazione è quindi un fatto fisico soggetto a tutte le imprecisioni, vaghezze e anche per fortuna regolarità statisti­ che dell'universo. Tra le assunzioni di una matematica che diventa inevitabilmen­ platonica dovremmo elencare: Assioma O. Possono essere creati simboli distinti. Possono essere create copie di un dato simbolo. I simboli possono essere manipolati, riprodotti e concatenati con fedeltà assoluta. I simboli possono essere riconosciuti come uguali o diversi, come detta il bisogno. Un platonista potrebbe obiettare che l'Assioma O non è necessario in quanto la matematica esiste senza bisogno di un supporto materiale. Un non platonista, in particolare un matema­ tico che conosca la teoria della comunicazione, ribatterà che tale affermazione è un non senso. Noi eseguiamo tutti i nostri atti solo con una certa probabilità di successo.

te

Un assioma del genere è stato effettivamente proposto, tempo fa, ed ha subìto gli strali dell'ironia di Frege: «Un 6

Ph.]. Davis, Fide/ity in mathematical discourse: Is one and one really in lle

motivazioni che hanno condotto agli assiomi nella teoria degli insiemi. Nella scelta degli assiomi, esempi di argomenti non deduttivi se ne trovano a volontà, perché la codifica di un gruppo di assiomi è sempre una decisione condizionata dalla storia o dall'opportunità. Gli assiomi non possono certo essere dedotti; al massimo si considerano le loro conseguenze deduttive. A proposito della teoria degli insiemi, è il caso di ricordare che Zermelo usa proprio un argomento d'indispensabilità sulla loro adeguatezza deduttiva, rispetto alle necessità della scienza matematica (non olisticamente di tutta la scienza). n J. Rotman, Journey into Mathematics, Upper Saddle River, N.J., Prentice-Hall, 1998, p. 4. 14 M.D. Resnik, Mathematics as a Science o/ Patterns, cit., p. 138.

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Filosofie della matematica

matematica viene artatamente mutilata con l'eliminazione delle dimostrazioni, che non rientrano facilmente nello sche­ ma della ricerca empirica, ancor più che con il platonismo. Da parte empirista, la dimostrazione rigorosa, che viene identifi­ cata con la sua presentazione formale, è considerata un retaggio di un periodo in cui le menti erano offuscate dal fondazionalismo, dall'idea cioè della verità assoluta; l'attività matematica genuina è un'altra. Nel migliore dei casi, le dimostrazioni hanno un ruolo tecnico come parte di un procedimento falsificazionista, una strategia popperiana di congetture e confutazioni, come abbiamo visto in Lakatos; oppure restano come un mezzo secondario utile, quando lo è, per pervenire a verità in modo lento, ma in fondo senza rischi. Secondo Putnam, il vantaggio delle dimostrazioni come strumento di conoscenza è che non aumentano il rischio di contraddizioni; proprio per questo, sono gli esperimenti che introducono verità nuove rischiose e quindi interessanti. Con tale programma, l'empirismo è una filosofia inaccettabile, se non riesce a cogliere le connessioni, che pure ci sono, ed a integrare le funzioni di esperimenti e dimostrazioni 15• Per sostenere le tesi dell'empirismo, non serve l' argomen­ tazione filosofica, servono conferme dalla pratica e dalla storia, che si cercano in alcuni esempi, significativi ma se non rari sempre minoritari. Tutta la matematica moderna, la matematica euclidea di Lakatos, sembra allora una grande illusione e un lavoro sprecato, un lave's labour lost di costru­ zione di dimostrazioni, con pochi casi, emarginati, da risco­ prire e rivalutare, di procedimenti empirici. Per gli esempi, si saccheggia Etùero, il personaggio a cui si rifanno tutti coloro che sostengono la prevalenza di metodi empirici, o euristici, non rigorosi, nel cuore della matematica . Lakatos ha messo al centro della sua discussione il teorema sui poliedri; Putnam e Mark Steiner16 usano lo stesso esempio " Prime indicazioni per un programma di ricerca del genere sono in G. Lolli, Espen'menti e dimostravoni, in Educazione matematica e sviluppo sociale, a cura di N.A. Malara, Soveria Mannelli , Rubbettino, 2001, pp. 85-128. 16 M. Steiner, Mathematical Knowledge cit. , pp. 103-107. ,

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Empirismo

euleriano del valore della serie degli inversi dei quadrati; entrambi lo prendono in realtà pari pari da George Polya 17 • La dimostrazione in questione è basata fondamentalmen­ te su di una coraggiosa analogia tra serie e polinomi per la scomposizione in prodotto di fattori lineari, e sulla conferma empirica che l'analogia fornisce un risultato numericamente vcrificabile con alta approssimazione, e fornisce anche altri risultati credibili o già ottenuti per altra via accettabile (a di fferenza, occorre ricordar!o, di altre analogie tra serie e polinomi che erano invece deleterie, come l'estensione del­ l'associatività, con i ben noti paradossi sulle serie). Putnam e Steiner dimenticano tuttavia, a differenza di Polya, una coda della storia. Eulero aveva indubbiamente una grande fiducia nel procedimento analogico usato, sulla base dei risultati numerici e di alcune altre conseguenze dd s u o metodo: «Per il nostro metodo, che può apparire ad alcuno non sufficientemente affidabile, emerge qui una grande conferma [la somma della serie alterna degli inversi dei dispari, dovuta a Leibniz] . Perciò, non dovremmo dubitare affatto delle altre cose che sono derivate con lo stesso metodo». Ma è anche vero che ha continuato a dubitare, a verificare e a riprovare finché non ha trovato u n a dimostrazione, complicata ma accettabile secondo i canoni del tempo18• Anche il termine «quasi-esperimenti» è preso da Eulero, probabilmente via Polya (certamente da parte di Lakatos). Proprio a Polya si deve il rinnovato interesse per i metodi di Eulero. TI suo volume su Induzione e Analogia in Matematica si apre con una citazione da uno scritto di Eulero del 1756 intitolato Spedmen de usu observationum in mathesi pura che conferma non solo la presenza di procedimenti non dimo­ strativi in matematica, ma anche la loro frequenza e soprat­ tutto la loro presenza alla coscienza dei matematici, i quali si 1 7 G . Polya, Matbematics and P!dusible Reasoning, vol. 1: lnduction and Analog_v in Matbematics, Princeton, Princeton Univ. Press, 1954, pp. 17-22 . 18 Ibidem, p. 21.

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sono sempre posti, e hanno felicemente risolto il problema della loro integrazione con la dimostrazione19• In questo lavoro, Eulero dichiara che la dimostrazione delle congetture a cui si è peiVenuti con un'induzione empirica selVe non solo a togliere tutti i dubbi, ma ad aumentare la nostra «cognizione dei numeri»; e nel giudicare della sua utilità non dobbiamo considerare solo le applicazioni esterne, ma anche quelle interne al processo stesso di organizzazione del pensiero. Eulero non è unico nel suo modo di procedere, altri matematici, grandi e meno grandi, hanno usato l'induzione empirica nel loro lavoro. Gauss dichiarava che arrivava ai suoi risultati con sperimentazione sistematica. «Tuttavia a me [Polya] Eulero sembra unico sotto questo aspetto: egli si sforza di presentare accuratamente l'evidenza induttiva rile­ vante, in dettaglio, in chiaro ordine. La sua presentazione è la "candida esposizione delle idee che lo hanno condotto a quelle scoperte" [Condorcet] e ha un fascino particolare»20• Come si è visto, la figura di Polya ha un ruolo decisivo come ispiratore del nuovo empirismo; i filosofi empiristi e anti-fondazionalisti lo citano e lo usano come il loro alleato più forte nel campo matematico, ma poi devono ammettere che «nonostante tutte le sue innovazioni, Polya resta una figura di transizione nella filosofia della matematica. Egli aprì la strada al quasi-empirismo senza mai compiere l'ultimo passo nella sua direzione... [l quasi-empiristi] spingono la sua analisi un passo avanti mettendo in discussione l' assun­ zione che le dimostrazioni siano completamente sicure, al di là di ogni contestazione e finali>>21• La posizione di Polya è sintetiz7.ata infatti dalla seguente dichiarazione22•

19 Per una discussione più approfondita si veda G. Lolli, Espeninenti e dimostrazioni, cit. 20 G. Polya, Mathematics and Plaust"ble Reasoning, cit. p. 90; nelle successive pp. 91-100, Polya traduce la memoria di Eulero sulla scoperta dd comportamento della somma cr dei divisori primi di un numero. 21 T. Tymoczko, New Directions, cit. p. 97. 22 G. Polya, Mathematics and Plausible Reasoning, cit., p. vi. 216

Empirismo La matematica è considerata una scienza dimostrativa. Ma 4uesto è solo uno dei suoi aspetti. La matematica compiuta presentata in forma compiuta appare come puramente dimostrati­ va, consistente solo di dimostrazioni. Ma la matematica in forma­ zione assomiglia a ogni altra conoscenza umana in formazione. Si deve congetturare un teorema prima di dimostrarlo; si deve con­ getturare l'idea della dimostrazione prima di sistemare i dettagli. Si devono combinare osservazioni e seguire analogie; si deve provare e riprovare. n risultato del lavoro creativo del matematico è il ragionamento dimostrativo, una dimostrazione; ma la dimostrazio­ ne è scoperta attraverso un ragionamento plausibile, attraverso congetture.

Merita di essere meditata l'osservazione che