Filologia del Nuovo Testamento. La tradizione e la trasmissione dei testi 9788843073207

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Filologia del Nuovo Testamento. La tradizione e la trasmissione dei testi
 9788843073207

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Caro cci editore

@ Manuali

Come sono arrivati nno a noi i testi dei libri che formano il Nuovo Testamento, e come si usano le moderne edizioni? I manoscritti, le traduzioni antiche e le citazioni dei padri della Chiesa ci offrono testimonianze uniformi o tramandano la fisionomia di testi vivi, che hanno permesso alla parola della Scrittura di crescere nel tempo con i suoi interpreti? Il manuale, nel rispondere a queste domande, introduce allo studio storico dei testi e dei testimoni del Nuovo Testamento e della loro trasmissione, informando sulle tendenze recenti della critica testuale neotestamentaria e suggerendo alletto re itinerari e strumenti per un approfondimento personale. Riccardo Maisano, professore di Filologia neotestamentaria all'Università di Na poli "L'Orientale", ha pubblicato saggi di letteratura cristiana e bizantina, storia della sto rio grana, storia degli studi. Ha curato edizioni e traduzioni di autori tardoantichi e medioevali, tra cui Temistio , Girolamo , Romano il Melodo , Giovanni Mosca , Giorgio Sfranze.

€ 16,00

Riccardo Maisano

Filologia del Nuovo Testamento La tradizione e la trasmissione dei testi

Carocci editore

Ai miei allievi di Salerno, di Cosenza e dell'Orientale di Napoli, insieme ai quali ho molto imparato (1969-2.013)

t• edizione, giugno 2014

© copyright 2014 by Carocci editore S.p.A., Roma

Finito di stampare nel giugno 2014 da Eurolit, Roma ISBN

978-88-430-7320-7

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Premessa

9

Abbreviazioni e awertenza

1. 1.

2..



11

La formazione dei testi 13 Il racconto della passione 14 La raccolta dei detti di Gesù 19 Le lettere di Paolo 26 3.1. La prima ai Tessalonicesi l 3.2.. La prima ai Corinzi l 3-3- La seconda ai Corinzi l 3·4· Ai Galati l 3·5· Ai Filippesi l 3.6. Ai Romani l p. A Filemone

4· S· 6. 7·

Marco 38 Matte o 47 Luca e gli Atti degli apostoli 53 Le lettere della tradizione paolina

58

7.1. Ai Colossesi l 7.2.. Agli Efesini l 7·3· La seconda ai Tessalonicesi l 7·4· Le pastorali l 7·5· Agli Ebrei

8.

Giovanni

64

8.1. Il quarto vangelo l 8.2.. Le lettere

9· 10.

L'Apocalisse 71 Trattati in forma di lettere apostoliche

74

10.1. La Lettera di Giacomo l 10.2.. La Prima lettera di Pietro l 10.3. La Lettera di Giuda l 10-4- La Seconda lettera di Pietro 11.

Il canone

2.

Dalle prime testimonianze all'invenzione della stampa Classificazione dei testimoni 85 I papiri 88 I manoscritti 94

1.

2..



80

85

p. Codici in maiuscola l 3.2.. Codici in minuscola



Le antiche traduzioni

107

4.1. Traduzioni latine l 4.2.. Traduzioni siriache l 4·3· Traduzioni copte



Le citazioni dei padri della Chiesa

116

7

3. x.

Le edizioni a stampa 117 Cinquecento e Seicento 117 1.1. La Poliglotta Complutense l 1.2.. Erasmo da Rotterdam l 1.3. Il textus receptus

2..

Il Settecento tra conservazione e innovazione

124

2..1. Mill l 2..2.. Bencley l 2..3. Bengel l 2..4.Wettstein l 2..5. Griesbach



La svolta dell'Ottocento

131

3.1. Lachmann l p. Tischendorf l 3-3- Tregelles l 3·4· Westcott e Hort



Il Novecento

137

4.1. Nestle l 4.2.. von Soden l 4·3· Nesde-Aland l 4·4· Uso dell'edizione Nesde-Aland



Le risorse del secolo XXI

147

5.1. L' lnternational Greek New Testament Project l 5.2.. L' Editio Critica Maior l S·3· Il progetto Mare multilingue l 5·4· La Vetus Latina

4.

Metodi e scopi della filologia neotestamentaria Letture consigliate

157

Riferimenti bibliografici Glossario

169

Indice dei testi citati Indice dei manoscritti Indice analitico 178

8

163

171

177

153

Premessa

La British Library di Londra espone al pubblico nella Sir John Ritblat Gallery alcuni dei suoi tesori più preziosi, testimonianze di culture diverse riunite a illustrare il cammino percorso dalla civiltà di cui noi tutti siamo eredi. Accanto a documenti famosi - la pergamena originale della Magna Charta e i disegni di Leonardo, il primo libro stampato da Gutenberg e la prima edizione di Shak:espeare, gli autografi del Messiah di Hindel e della Ballata del carcere di Reading di Oscar Wilde, il tragico diario dell'esploratore polare Robert Scott ... - sono esposti due grandi manoscritti in caratteri greci maiuscoli, il codice Sinaitico e il codice Alessandrino dell'Antico e del Nuovo Testamento. La loro presenza nella mostra evidenzia il ruolo di primo piano che i testi delle Scritture hanno avuto e hanno nella storia della nostra civiltà. Questa guida introduttiva al~a tradizione e alla critica testuale dei libri del Nuovo Testamento ha lo scopo di contribuire a ripercorrere la storia di tali testi e di far conoscere alcuni elementi della disciplina che possono essere meno familiari a un pubblico non specialista. Per tale motivo, anziché esporre le enunciazioni teoriche e i procedimenti tecnici secondo schemi tradizionali, si è preferito ripercorrere la storia dei testi dalla loro formazione fino alle moderne edizioni, traendo da tale vicenda gli esempi utili per conoscere i principali problemi che la filologia neotestamentaria ha dovuto affrontare e i metodi in cui nelle diverse epoche ha cercato di risolverli. È consigliabile quindi la lettura continuativa di questo libro, piuttosto che una consultazione episodica. I termini tecnici nella loro prima ricorrenza sono contrassegnati da un asterisco, che rinvia al Glossario finale. L'assenza di definizioni astratte e la forma problematica dell'esposizione si ispirano all'invito alla prudenza critica che fu espresso una volta dalla scrittrice inglese Virginia Woolf (2011, p. 407 ): Degli scrittori non sappiamo nulla. Chiunque può inventare una teoria; all'origine di ogni teoria si trova quasi sempre il desiderio di dimostrare ciò che all'autore della teoria piacerebbe credere. Questo vuoi dire che le teorie e le ipotesi sono pericolose.

9

Filologia del Nuovo Testamento

Una conferma dell'opportunità di scegliere tale prospettiva nell'approccio alla nostra materia si può trovare nelle parole conclusive di un libro pubblicato in Gran Bretagna cento anni fa alla vigilia della prima guerra mondiale, e rimasto perciò senza eco, ma ricco di suggestioni originali e solida dottrina. L'enunciazione metodologica che contiene è sempre valida e può essere applicata anche alla presente esposizione (Edmundson, 1913, p. 237 ): Sono stato animato dalla speranza, se non di convincere quanti hanno scelto punti di vista diversi, almeno di stimolare la ricerca e suscitare un rinnovato interesse intorno a problemi che sono stati considerati questioni risolte, così da ricordare a quanti mi faranno l'onore di leggere queste pagine ciò che insegna l'esperienza: non sono molti i "risultati acquisiti dalla critica" che possono essere accettati senza la riserva mentale di un punto interrogativo.

È opportuno che il lettore abbia sempre sotto mano una copia del Nuovo Testamento, in modo da prendere visione dei passi che nelle pagine seguenti saranno richiamati soltanto col rinvio al capitolo e al versetto, ma di cui è necessaria la lettura diretta. Napoli, 10 gennaio 2.014 (v centenario della prima edizione del Nuovo Testamento greco)

lO

Abbreviazioni e avvertenza

Ap. A t. Col. I Cor. II Cor. E b. Ef Fil. Fm. Gal. Gc. Gd. Gv. IGv. II Gv. III Gv. Le. Mc. M t. I Pt. IIPt. Rm. ITm. uTm. I Ts. II Ts. Tt.

Apocalisse Atti degli apostoli Colossesi I Corinzi II Corinzi Ebrei Efesini Filippesi Filemone Galati Giacomo Giuda Giovanni I Giovanni II Giovanni III Giovanni Luca Marco Matteo I Pietro II Pietro Romani I Timoteo II Timoteo I Tessalonicesi II Tessalonicesi Tito

lp papiro (il numero in esponente rinvia all'elenco dei papiri neotestamentari secondo l'ordine in cui sono stati pubblicati) 11

Filologia del Nuovo Testamento

K, A, B, C, D ecc.: sigle tradizionali dei codici in pergamena del Nuovo Testamento (le descrizioni dei manoscritti e le corrispondenze con sigle e numeri dei codici sono riportate nel corso dell'esposizione) NA• 8

v. vv. s. ss.

Nesde-Aland, Novum Testamentum Graece, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 2012.

28th

revised edition,

versetto versetti seguente seguenti ll passo parallelo passo corrispondente Q documento Q (ted. Quelle), fonte dei detti di Gesù ricostruita sulla base dell'accordo tra Matteo e Luca (per l'indicazione dei capitoli e dei versetti di Q è usata convenzionalmente la numerazione di Luca). Le citazioni sono tratte generalmente da: La Bibbia. Nuovissima versione dai testi originali, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995 (numerose revisioni e ristampe in diversi formati). Nei casi in cui è necessario rendere il significato letterale del testo greco, la traduzione è stata appositamente rielaborata.

12

1

La formazione dei testi

Quando si pensa al ruolo che gli scritti del Nuovo Testamento hanno avuto in ogni epoca della nostra storia anche culturale e civile, viene spontaneo chiedersi in che modo questi scritti sono arrivati fino a noi e quale traccia hanno lasciato su di essi le vicissitudini della loro trasmissione. La risposta a tale domanda è compito della fìlologia, intesa come studio critico dei testi e della loro storia. Le pagine che seguono hanno lo scopo di ripercorrere le fasi che i testi del Nuovo Testamento hanno attraversato e capire fino a che punto, e con quali metodi e mezzi, è possibile ricostruire le forme testuali più prossime allo stadio iniziale. Di questo stadio iniziale, che va dalla seconda metà del I secolo·d.C. alla metà circa del II secolo, non possediamo una documentazione: non esistono autografi e non sono giunte fino a noi copie dirette degli originali. Le prime testimonianze su frammenti di codici papiracei risalgono alla seconda metà del II secolo, quando erano già trascorsi più di cento anni dalla stesura degli scritti più antichi e almeno cinquant'anni dalla stesura dei più recenti. Inoltre, la disposizione dei testi nei codici e nelle edizioni a stampa, come pure i nomi con cui i ventisette scritti sono conosciuti, non sono elementi significativi. La sequenza in cui gli scritti si trovano disposti nei testimoni più antichi e nelle moderne Bibbie non tiene conto dell'ordine cronologico della stesura, ma degli argomenti. Troviamo infatti al primo posto la storia di Gesù (i vangeli), quindi la storia della Chiesa primitiva e delle missioni apostoliche (gli Atti degli apostoli), a cui seguono le lettere degli apostoli (epistole di Paolo, Giacomo, Pietro, Giovanni, Giuda) e, in chiusura, la visione della fine dei tempi (l'Apocalisse). Neanche all'interno della sezione delle lettere la disposizione dei testi tiene conto della cronologia, ma segue invece un ordine decrescente di lunghezza. I nomi degli autori che la tradizione ci ha conservato sono stati accolti dalle Chiese cristiane fin dal II secolo, ma non tutte le attribuzioni trovano conferma nell'esame dei testi. In tredici lettere è indicato come mittente Paolo, e una quattordicesima (Ebrei), pur non avendo intestazione, nel finale vuole richiamarsi anch'essa all'apostolo; altre sette lettere sono attribuite a note figure apostoliche (Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda); due vangeli

13

Filologia: studio critico dei testi e della loro storia

1-11 secolo: gli anni irraggiungibili

L'ordinamento dei testi e le attribuzioni sono convenzionali

Filologia del Nuovo Testamento

sono attribuiti ad apostoli (Matteo e Giovanni), altri due a compagni e discepoli diretti degli apostoli (Marco interprete di Pietro, e Luca, autore anche degli Atti, compagno di Paolo); l'autore dell'Apocalisse, infine, dichiara di chiamarsi Giovanni. Se dunque si accettassero i dati tradizionali, la raccolta dei ventisette scritti dovrebbe essere attribuita a otto autori (Matteo, Marco, Luca, Giovanni, Paolo, Giacomo, Pietro e Giuda), tutti appartenenti alla generazione apostolica. I risultati a cui giunge la critica, anche se in forma problematica e con alcune residue incertezze, tracciano un quadro diverso, nel quale, come vedremo, è possibile identificare con il loro nome soltanto due personaggi: l'apostolo Paolo, autore di sette delle lettere a lui attribuite (Romani, I-II Corinzi, Galati, Filippesi, I Tessalonicesi e Filemone), e un profeta di nome Giovanni, autore dell'Apocalisse. I vangeli, gli Atti, I-III Giovanni ed Ebrei non hanno nel testo il nome dell'autore, mentre le altre sei lettere che hanno come mittente il nome Paolo (Ejèsini, Colossesi, II Tessalonicesi, I-II Timoteo e Tito) e le lettere che si richiamano a Giacomo, a Pietro e a Giuda sono opera di autori che hanno scritto sotto uno pseudonimo. Per proporre una ricostruzione del processo che portò alla formazione dei libri del Nuovo Testamento negli anni per noi irraggiungibili è necessario basarsi quindi su indizi interni, cercando innanzi tutto di individuare una possibile successione cronologica dei materiali costitutivi. 1.

Storia della passione: il primo documento scritto?

Da dove inizia in Marco il racconto della passione?

IL racconto della passione

Le molteplici tradizioni che hanno dato origine ai testi del Nuovo Testamento incominciarono probabilmente a prendere forma con il racconto dell'ultima settimana di Gesù a Gerusalemme e degli eventi che la segnarono. L'ipotesi che tale racconto abbia assunto assai presto forma scritta è suggerita dalla lunghezza della narrazione e dalla ricchezza di dettagli cronologici e topografici, caratteristiche riscontrabili nell'uso di questa fonte da parte di tutti e quattro i vangeli canonici. Gli ultimi tre capitoli di Marco in particolare conservano indizi utili per conoscere qualcosa di questo antico racconto. La maggior parte degli studiosi individua il punto iniziale in Mc. 14,1s. (il complotto contro Gesù); qualcuno ne riduce l'estensione indicando l'inizio in corrispondenza di Mc. 14,32 (la preghiera nel podere del Getsemani) o di Mc. 14,43 (l'arresto). Pesch invece (1982, pp. 18-54) si spinge indietro, fino a riconoscere i segni di un preesistente racconto della passione a partire da Mc. 8,27-33 (professione di fede messianica pronunciata da Pietro). Gli indizi stilistici, con la presenza di espedienti letterari e di unità testuali concatenate tra loro mediante richiami interni, secondo Pesch suggeriscono di individuare proprio nella sezione più ampia del vangelo di Marco (8,2716,8) l'impronta del testo preesistente, ripreso, ampliato e adattato in parte dal redattore a cui la tradizione ha dato il nome di Marco, ma tuttora distin-

14

1.

La formazione dei testi

guibile dai materiali che sono utilizzati nella prima metà del libro. Nell'ipotesi di Pesch il preesistente racconto della passione è riconoscibile nei seguenti passi: Mc. 8,27-33: professione di fede messianica e prima profezia di sofferenza e risurrezione; 9,2-13: trasfìgurazione e dialogo sulla passione e risurrezione; 9,30-35: seconda profezia di sofferenza e risurrezione, e successivo dialogo; 10,1.32-34.: terza profezia di sofferenza e risurrezione; 10,46-52: guarigione del cieco Bartimeo a Gerico; 11,1-23: in cammino verso Gerusalemme, maledizione del fico, dimostrazione messianica nel tempio; 11,27-33: questione dell'autorità; 12,1-7.34C-37= parabola del vignaiuolo, questione del tributo, ammaestramento sul messia; 12,41-44: l'elemosina della vedova povera; 13,1s.: profezia sul tempio; 14,1-16,8: congiura degli avversari; unzione; tradimento di Giuda; banchetto pasquale e preannuncio della fuga dei discepoli e del rinnegamento di Pietro; preghiera nel Getsemani; arresto, interrogatorio davanti al sinedrio, rinnegamento di Pietro; interrogatorio davanti a Pilato; crocifissione; morte, sepoltura e annuncio della risurrezione. Nelle sezioni sopra elencate i brani narrativi sono collegati tra loro da indicazioni di luogo uniformi, l'identificazione dei personaggi e dei tempi dell'azione drammatica è più accurata rispetto alle altre parti del testo, e, soprattutto, l'intero racconto si regge su un impianto costituito da numerose allusioni ai salmi dell'Antico Testamento che descrivono la figura del "giusto sofferente", da riferimenti ai cosiddetti "canti del Servo diJHWH" dei capp. so-53 del libro del profeta Isaia, e da alcune citazioni o riecheggiamenti dal libro del profeta Zaccaria. È stato notato (Pesch, 1982, pp. 18-54) che le allusioni al sommo sacerdote (Mc. 14,53-63) non sono accompagnate dall'indicazione del suo nome, come avviene invece nei passi corrispondenti degli altri vangeli. Ciò induce a supporre che la prima stesura della storia, utilizzata in seguito da Marco, fosse destinata a un pubblico che conosceva Caifa come sommo sacerdote ancora in carica. Poiché sappiamo dallo storico Flavio Giuseppe (Antichita giudaiche 18,35·95) che Caifa ricoprì la carica dall'anno 18 al37, è possibile che la storia della passione abbia preso forma prima di quest'ultima data. È stato notato inoltre il silenzio mantenuto dal racconto circa l'identità di due personaggi presenti all'arresto di Gesù, e perciò in diverso modo compromessi: a 14,47 non è detto il nome di chi ferisce il servo del sommo sacerdote; a 14,51 non è detto il nome del ragazzo che assiste all'arresto di Gesù ma riesce a sfuggire dalle mani delle guardie. È probabile che queste reticenze da parte del primo narratore fossero dovute al fatto che il racconto della passione entrò in circolazione in un'epoca in cui i

15

Indizi di arcaicità nella storia della passione

Filologia del Nuovo Testamento

Dettagli nella storia della passione

Il racconto dell'ultima cena

personaggi ricordati correvano ancora il rischio di essere perseguiti dalle autorità, dunque a poca distanza di tempo dai fatti narrati. Il racconto della passione doveva essere caratterizzato da una serie di dettagli, riguardanti nomi di luogo e di persone, che nel vangelo di Marco sono stati conservati. Notiamo in particolare i toponimi relativi a Gerusalemme e ai suoi dintorni (Betania, Betfage, l'Oliveto, il Getsemani, il Golgota); le identificazioni di Simone illebbroso guarito di Betania (14,3), di Simone di Cirene padre di Alessandro e Rufo (15,2.1), delle donne di Galilea (15,40.47; 16,1), di Giuseppe di Arimatea (15,43); l'indicazione dei luoghi di Gerusalemme con ricchezza di particolari (14,53-58 per la residenza del sommo sacerdote; 15,1.16 per la residenza del prefetto romano). Altri dettagli ancora, non reperibili in Marco e nei due vangeli che lo riprendono (Matteo e Luca), sono presenti nel quarto vangelo ( Gv. 18,1: il torrente Cedron; 19,13: il Litostroto, ebr. Gabbata; 19,2.5: Maria di Cleofa tra le donne rimaste presso la croce), ma non sappiamo se si tratta di particolari attinti dalla stessa tradizione o da una fonte diversa. È stato osservato (Theissen, 1991, pp. 166-99) che due dei personaggi presenti nel racconto, il Simone di Mc. 15,2.1 e la Maria di Mc. 15,40, sono identificati non con il nome dei loro padri, come richiesto dall'uso giudaico del tempo, ma con il nome dei figli. Questo fa supporre che i figli ivi ricordati (Alessandro e Rufo nel primo caso, Ioses e Giacomo il minore nel secondo) fossero, come Maria Maddalena e Salomè nominate nello stesso passo, personaggi noti ai primi destinatari del racconto, membri della più antica comunità, considerati perciò dalla prima generazione di credenti figure esemplari e testimoni privilegiati di eventi straordinari. Dovette dunque essere Gerusalemme il luogo in cui il racconto della passione ebbe origine: difficilmente le specificazioni e i dettagli sopra ricordati avrebbero trovato accoglienza e sarebbero stati tramandati con altrettanta precisione in ambienti lontani dalla città che era stata il teatro degli eventi narrati. D'altro canto, i ripetuti richiami alla Galilea (Mc. 14,2.8.70; 15,41; 16,7), insieme agli echi della lingua aramaica riscontrabili in alcuni passaggi-chiave (Mc. 15,2.2.·34·42.), fanno pensare anche ai Galilei di cui si parla inAt. 1,11; 2.,7, tornati in città dopo la fuga seguita alla condanna a morte di Gesù. Una sezione fondamentale del più antico racconto che i seguaci di Gesù ebbero a disposizione era la rievocazione dell'ultima cena consumata dal Maestro con i discepoli e la riflessione sul suo significato. L'apostolo Paolo già nel 54/55, scrivendo ai convertiti della comunità di Corinto (1 Cor. 11,2.3-2.6), si richiama ad essa come a una tradizione nota. Il confronto tra i quattro passi del Nuovo Testamento che la riportano (Mc. 14,2.2.-2.5; Mt. 2.6,2.6-2.9; Le. 2.2.,15-2.0; 1 Cor. 11,2.3-2.6: cfr. riquadro 1) conferma l'antichità della storia nota a Marco e, nello stesso tempo, offre un esempio delle rielaborazioni a cui anche le tradizioni scritte potevano essere soggette (Pesch, 1982., pp. 539-55). 16

1.

RIQUADRO 1

La formazione dei testi

L'ultima cena

Mc. 14,22-25

Mt. 26,26-29

Le. 22,19-20; 15-18

1 Cor. 11.23-26

Mentre mangiavano, Gesù prese il pane, pronunziò la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: Prendete e mangiate: questo è il mio corpo.

'9Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo che è dato per voi. Fate questo in memoria di me.

'llo ho ricevuto dal Signore quello che vi ho trasmesso: che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane '~e. rese grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me.

'lPoi prese un calice, lo benedì, lo diede loro e ne bevvero tutti. '~Egli disse loro: Questo è il mio sangue dell'alleanza, che si sta versando per molti.

'7

Quindi prese il calice, rese grazie e lo passò a loro dicendo: Bevetene tutti: 8 ' questo infatti è il mio sangue dell'alleanza, che sarà versato per molti in remissione dei peccati.

20

Allo stesso modo, alla fine della cena. prese il calice dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che è sparso per voi.

'1Allo stesso modo, dopo avere cenato, prese anche il calice dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, tutte le volte che ne berrete, in memoria di me.

'l Amen vi dico che non berrò più del succo della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio.

'91o vi dico: non berrò d'ora innanzi di questo frutto della vite, fino a quel giorno quando lo berrò con voi nuovo nel regno del Padre mio.

'lE disse: Ho desiderato grandemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima di patire, '6 perché vi dico che non la mangerò più finché non sia compiuta nel reg·no di Dio.'7E preso un calice, rese grazie e disse: Prendetelo e fatelo passare tra voi, '8 poiché vi dico che da questo momento non berrò più del frutto della vite finché non sia venuto il regno di Dio.

6 Quindi tutte le volte che voi mangiate questo pane e bevete a questo calice, annunziate la morte del Signore, finché egli venga.

"Mentre ancora mangiavano, egli prese il pane, lo benedì, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Prendete! Questo è il mio corpo.

'

6

'

L'esame comparativo permette di rilevare da parte di Matteo una ripresa del testo di Marco con poche differenze (al v. 28 Gesù specifica che il sangue è versato «in remissione dei peccati»; al v. 29 con due variazioni formali definisce il regno di Dio «regno del Padre mio» e specifica che berrà di nuovo insieme ai discepoli). La redazione di Luca appare invece articolata in due parti: i vv. 15-18 rappresentano una rielaborazione ampliata del v. 25 di Marco, con l'inserimento di un esplicito accenno all'avvento del regno di Dio; i vv. 19-20 si presentano come un testo misto, che tiene conto sia del passo di Marco, sia della tradizione liturgica affermatasi nel frattempo e basata sul motivo della commemorazione (v. 19: «Fate questo in memoria di me»). Il passo di Paolo, nonostante la composizione della sua epistola in un momento precedente i vangeli sinottici (Marco, Matteo e Luca), rappresenta lo stadio più recente della tradizione. Infatti il quadro delineato da Marco raffigura uh banchetto pasquale durante il quale è pronunciata una profezia di

17

Analisi comparativa del racconto

Filologia del Nuovo Testamento

La data della crocifissione

morte, mentre in Paolo viene descritta in funzione liturgica la celebrazione della cena del Signore, che include l'annuncio di una morte già avvenuta, ma rivolgendosi alla prospettiva di un imminente ritorno. Non a caso in Luca e in Paolo non leggiamo più l'inciso esplicativo che in Marco accompagna il riferimento al sangue, «che si sta versando [cioè: che sta per essde versato] per molti [un semitismo per indicare le moltitudini, cioè: per tutti]». L'accuratezza del racconto antico della passione comprendeva anche la cronologia, oltre che i luoghi e i personaggi. Doveva quindi estendersi anche alla data della crocifissione di Gesù, che rappresentava, insieme alla commemorazione dell'ultima cena, il punto culminante del racconto, e anzi ne costituiva la stessa ragion d'essere. Tuttavia, alcune incongruenze presenti ali' interno dei testi che in modo diretto o indiretto hanno attinto a questo racconto impediscono di farsi un'idea precisa sul dato originario: rimane infatti insoluta una contraddizione di fondo tra i sin ottici e il quarto vangelo. Leggendo il vangelo di Marco sembra di capire che la storia pone alla sera del giovedì un banchetto di tipo pasquale celebrato da Gesù con i discepoli. Segue l'arresto nella notte tra il giovedì e il venerdì, quindi il processo, la crocifissione alle ore 9 e la morte alle ore 15, durante la giornata pasquale del venerdì, giorno 15 del mese di Nisan (primo mese del calendario lunare ebraico adottato dopo l'esilio babilonese, coincidente con l'inizio della primavera e corrispondente al periodo tra marzo e aprile del calendario latino). La data e i riti della pasqua giudaica spno indicati nel Levitico (23,5s.; ricordiamo che secondo il computo giudaico la giornata si fa iniziare al tramonto del giorno precedente). Un accenno che si trova nelle parole che introducono la narrazione della sequenza finale (Mc. 14,1, parlando del giovedì: «Due giorni dopo doveva celebrarsi la festa di pasqua e degli azzimi») sembra essere l'indizio di un inquadramento cronologico diverso, che farebbe cadere la pasqua di quell'anno nel giorno di sabato. Se questa tradizione, di cui nel seguito dell'esposizione di Marco non vi è più traccia, fosse originaria, gli eventi narrati si sarebbero succeduti sì fra il tramonto del giovedì e il tramonto del venerdì, ma non nel giorno della pasqua giudaica, bensì nel giorno precedente la pasqua, cioè il 14 Nisan. Trattandosi di un giorno non festivo, si giustificherebbe l'accenno (Mc. 15,21) al fatto che Simone di Cirene tornava dal lavoro nei campi, e si spiegherebbe la riunione del sinedrio come in un qualunque giorno feriale. Ricordiamo, a questo proposito, che il racconto della passione che si legge nel vangelo di Giovanni presenta una sequenza simile a quella dei sinottici e ha molti punti in comune con Marco, ma anche molte differenze, e la divergenza più importante riguarda appunto la data della crocifissione. Nel quarto vangelo l'ultimo pasto di Gesù con i discepoli non è presentato come un banchetto pasquale ( Gv. 13,1s.), e il giorno che sta iniziando dopo il tramonto del giovedì non è il 15 Nisan, pasqua giudaica, ma il 14. Infatti i giudei accusatori di Gesù non vogliono entrare nel pretori o romano la mattina dopo per non contaminarsi prima del banchetto pasquale ( Gv. 18,28). A 19,14, infine, il

18

1.

La formazione dei testi

quarto vangelo dice esplicitamente che la morte di Gesù ebbe luogo il giorno precedente la pasqua. Inoltre, poiché nello stesso passo è detto che Gesù verso mezzogiorno si trova ancora al cospetto di Pilato, se ne deduce che la sua morte avverrà più tardi rispetto all'ora indicata dai sinottici. Molte ipotesi sono state formulate per tentare di spiegare le discrepanze e stabilire quale delle due tradizioni relative alla data della crocifissione ( 1s o 14 Nisan) sia primaria. È verosimile che dietro la modificazione del dato originario in un senso o nell'altro vi siano state ragioni teologiche. Per Marco far coincidere l'ultimo pasto di Gesù con la consumazione dell'agnello pasquale significava dare valore alla cerimonia dell'eucarestia attribuendone l'istituzione a Gesù stesso; viceversa, descrivere l'ultima cena come un normale banchetto e collocare invece la crocifissione nel pomeriggio precedente l'inizio della celebrazione pasquale, cioè nelle stesse ore in cui i sacerdoti nel tempio immolavano gli agnelli in ricordo della liberazione dalla schiavitù in Egitto, riaffermava la definizione giovannea di Gesù quale "Agnello di Dio", come fin dall'inizio del vangelo ( Gv. 1,2.9.36). L'unico dato cronologico che risale sicuramente all'antico racconto della passione è quello relativo al giorno della settimana in cui la morte di Gesù ebbe luogo, cioè un venerdì. Per la tradizione sinottica, con la possibile eccezione di Mc. 14,1S., si trattava di venerdì 15 Nisan, giorno della pasqua giudaica; per la tradizione giovannea si trattava invece di venerdì 14 Nisan, vigilia della pasqua giudaica. 2. la

raccolta dei detti di Gesù

Le parole pronunciate da Gesù durante il suo ministero nei villaggi intorno allago di Gennezaret e nelle regioni circostanti si diffusero in Galilea attraverso i predicatori itineranti che proseguirono la missione del Maestro dopo la sua scomparsa. Successivamente, con l'esigenza di far conoscere quelle parole a un pubblico più ampio e conservarne la memoria, i detti (loghia*) presero forma scritta. Anche se Gesù e i suoi primi interlocutori e seguaci parlavano in prevalenza l'aramaico, nel passaggio dalla tradizione orale alla forma scritta fu adoperata la koine*, lingua franca del tempo. Della raccolta di questi materiali fluttuanti e della loro prima redazione anonima in forma scritta i vangeli conservano testimonianze significative. Una collezione formata quasi e~ç!usivamente da detti di Gesù fu usata dai redattori dei vangeli di Matteo e di Luca. Questa collezione non è sopravvissuta in forma autonoma come il vangelo di Marco (anch'esso utilizzato da Matteo e da Luca), ma è possibile ricostruire il suo contenut