Figlie del silenzio. Le tortuose vie del desiderio femminile tra guerra e tempo di pace

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Figlie del silenzio. Le tortuose vie del desiderio femminile tra guerra e tempo di pace

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Emilia Cece

FIGLIE DEL SILENZIO Le tortuose vie del desiderio femminile tra guerra e tempo di pace Quodlibet Studio

Indice

7

Prefazione Antonio Di Ciaccia

13

Introduzione

21

Il legame sociale tra monoteismo e oscurità del padre

29

Assolutismo e antisemitismo, due vie d'uscita: parricidio o femminilizzazione

37

Punto di dissolvenza dell'Imago paterna: la guerra dei bambini

47

La psicoanalisi in Germania tra il 1933 ed il 1945, la rettifica di Jacques Lacan

59

Gli anni Cinquanta, il dopoguerra e il superamento del concetto di nazione

67

Deregulation al femminile: convergenza sulle tesi di differenza di genere

s1

Ritorno a Freud e a un caso esemplare

93

Sintomo come risposta

101

Donne in azione per uscire dalla guerra

113

Figlie del silenzio: dire no al fallo in nome dell'amore

119

Gudrun Himmler: il Credo nell'amore del padre

6

INDICE

127

Hilde Speer: risposta a un tratto di obbedienza del padre per l'espiazione della colpa

131

Monika Erti figlia di Hans: combattere per farsi un nuovo nome

141

Il sacrificio come limite al godimento

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Disparità di genere e ritorno al corpo

15 5

La difficile testimonianza del reale in psicoanalisi

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Bibliografia

Prefazione Antonio Di Ciaccia

Gudrun Himmler, Hilde Speer, Monika Erti. Tre donne, tre capitoli per queste tre donne che sono al centro dell'elaborazione del libro, conferendogli anche il titolo che l'Autrice ha voluto dargli: Figlie del silenzio. Le tortuose vie del desiderio femminile tra guerra e tempo di pace. "Gudrun Himmler: il Credo nell'amore del padre". Agli occhi di questa bambina, il padre, Heinrich Himmler, era un eroe impegnato in grandi imprese, il cui artefice era colui che lei chiamava zio: Adolf Hitler. L'amore per il padre funzionava da velo e non permetteva che lei vedesse l'orrore, quell'orrore indicibile della Shoah, nonostante il padre le facesse visitare ogni mercoledì quelli che non erano dei semplici luoghi di lavoro, ma dei campi di concentramento. "Hilde Speer: risposta ad un tratto di obbedienza del padre per l'espiazione della colpa". Altro capitolo, altra storia. Questa figlia del più famoso architetto del Terzo Reich, che con le sue intuizioni aveva soggiogato perfino il Fiihrer, riuscì a mantenersi critica rispetto alla posizione di compiacenza che il padre aveva per delle idee che in fondo non gli appartenevano affatto. Nel dopoguerra, deputata al Parlamento tedesco, Hilde si batterà contro l'antisemitismo e per non far scomparire il tratto ebraico dalla società tedesca. "Monika Erti figlia di Hans: combattere per farsi un nuovo nome". Questo terzo capitolo racconta la storia di Monika, figlia del cineasta nazista Erti. Da un fatto di cronaca nera avvenuto ad Amburgo, dove fu ucciso l'assassino di Che Guevara, si arriva a scoprire che l'omicida vendicatore altri non è che Imilla, alias Monica Erti. Catturata qualche anno dopo in seguito a un'imboscata, verrà torturata e uccisa in Bolivia. Imilla è il contrario di Monika. Eppure c'è una continuità tra il desiderio di Monika e il desiderio di Imilla.

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ANTONIO DI CIACCIA

Tre figure di donne, tre figure di figlie. Ognuna con un destino a cui fa da controcanto la figura paterna. Tutte e tre, sebbene in modo diverso, immerse nell'ideologia mortifera del nazismo. Il tempo della guerra, del periodo postbellico, dell'ormai consapevolezza che quell'evaporazione del padre che nei detti di Lacan era ormai il segno dei tempi moderni che si erano imposti fin dal discorso della scienza galileiana e dall'Illuminismo si concretizza, al giorno d'oggi, in quelle cicatrici che portano il nome di segregazione, di campi di concentramento, di barriere, di muri e di fili spinati invalicabili. Al giorno d'oggi la segregazione non è più quella simbolica che viene imposta dal complesso di Edipo e che separa il soggetto dal godimento incestuoso. La segregazione è ormai, oggi, nel reale. Il riferimento nel testo dell'Autrice al passaggio di Lacan che commenta l'intervento di Michel de Certeau, gesuita e psicoanalista della sua École, tenuto alle Journées de l'École freudienne de Paris nell'ottobre del 1968, ci ricorda che Lacan non crede affatto ai tentativi di universalismo proposti all'epoca con l'intento di raccordare tra di loro non solo le generazioni, ma le genti e i popoli. Resta il problema di sapere quale impatto politico ha, potrebbe avere o dovrebbe avere la psicoanalisi nel nostro mondo, al di là di quei sembianti che fanno finta di garantire la pace nel mondo. Questo volume non si limita agli esempi citati. Altri sono tratti dalle osservazioni di Freud e a partire dalle elaborazioni di Lacan. In fondo l'Autrice si cimenta con il tentativo di mettere in luce, nell'opera di Sigmund Freud e soprattutto nell'insegnamento di Jacques Lacan, quelle linee che portano a una lettura che metta in risalto in quale modo alla questione del padre, problema eminentemente freudiano, risponda quella questione lasciata in sospeso da Freud: "Was will das Weib?", "Che cosa vuole la donna?". Sappiamo che è su questo punto che Lacan concentra il suo interesse poiché è solo a questo livello che si potrà avere una risposta valida. Con tale intento l'Autrice spazia in lungo e in largo sull'opera freudiana e sull'insegnamento di Lacan, con un occhio attento a diversi momenti della storia della nostra epoca e ai suoi risvolti. Tuttavia il suo interesse è calamitato soprattutto dalle variazioni che prende il desiderio quando lo si dice al femminile, desiderio il quale, come ogni desiderio, è desiderio dell'Altro. Altro che viene declinato, in questo volume, nelle sue molteplici valenze.

PRl!FAZIONE

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Mi permetto inoltre di sottolineare un aspetto del desiderio messo in luce dall'Autrice. Ella rileva che il desiderio, detto al femminile, ha delle equivalenze con quella funzione che Lacan chiama "desiderio dell'analista". Non a caso, infatti, come viene affermato da Lacan nella «Nota italiana», pubblicata negli Altri scritti (Einaudi), un analista, se è tale, opera nella sua funzione a partire da quel "nontutto" che Lacan era riuscito a reperire e in cui consiste quel "di-più" che è l'al di là del fallo e che non gli è però affatto complementare. Come sappiamo la logica aristotelica, pur nominandolo, non era riuscita a cogliere quella valenza nascosta di questo "non-tutto" in cui consiste l'apporto prezioso che la femminilità ha svelato, grazie alla psicoanalisi nell'elaborazione di Lacan, come costitutiva non solo delle donne, ma di ogni essere parlante. A questo punto occorre affermare con L'Uno-Tutto-Solo (Astrolabio), l'ultimo corso tenuto da Jacques-Alain Miller al Dipartimento di Psicoanalisi dell'Università di Parigi 8, che è proprio quello che viene da lui chiamato "il godimento femminile" ad aver indotto Lacan ad adottare la posizione contraria a quella ritenuta normale e del resto da lui stesso argomentata durante tutto il suo insegnamento, per arrivare ad asserire che se c'è un godimento di fondo, un godimento basilare, ebbene, non si tratta di quello su cui apparentemente si basano tutte le civiltà, ossia quello che fa leva sul fallo e sul potere che gli è correlativo. Infatti, al contrario di quanto viene generalmente creduto, alla base e come fondamento del godimento c'è unicamente e solo il godimento femminile.

a mia figlia Calia

Introduzione

Questo libro tratta innanzitutto di psicoanalisi ed in particolare di un suo intreccio con la storia, della sua evoluzione in relazione ad epoche diverse e dei cambiamenti che hanno riguardato l'istituzione della società analitica. Molti si sono interessati alle connessioni tra psicoanalisi ed altri saperi, ma tra storia e psicoanalisi c'è un rapporto particolare. La storia, con i suoi mutamenti epocali, intreccia inevitabilmente le storie singolari, ed il lettino freudiano, nella libera associazione, ne raccoglie snodi essenziali e parti maggiormente significative, riconducendo le verità di ognuno a quel punto di convergenza fondamentale rappresentato dai propri fantasmi in cui si serba la causa più intima delle proprie intenzioni, delle aspirazioni, del desiderio, con tutto ciò che tesse il filo della trama più privata del soggetto. Come il fragore della guerra irrompe sulla scena della storia per modificare i legami sociali ed i rapporti umani, così il passaggio all'atto interrompe il libero fluire del transfert per rappresentare un impossibile a dirsi. Entrambi gli eventi, nel mettere in luce una discontinuità critica, affondano le radici nel silenzio, rappresentando una irruzione di reale che, dall'ombra più angusta e profonda, lascia affiorare un appello o forse, una risposta. C'è un rapporto speciale, dunque, tra guerra e psicoanalisi, già riconosciuto da Freud e rielaborato tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, ripreso poi agli esordi del Secondo grande conflitto nel tentativo di risparmiare alle istituzioni psicoanalitiche quel pagamento di tragico pedaggio dovuto alle leggi razziali per l'aperto riferimento all'ebraismo dei membri della società di Vienna.

14

INTRODUZIONI!

Nel 193 2, nel suo carteggio con Einstein, dal titolo Perché la guerra? 1 Freud espose l'idea per cui i conflitti armati sono l'effetto di un godimento oscuro che egli chiamò "pulsione di morte", spinta combinata ad un'altra pulsione che, favorendo al contrario la convivenza civile e lavorando per la sopravvivenza, nominò "pulsione di vita". La guerra appare inevitabile, misteriosamente e contrariamente ad ogni auspicio degli esseri umani. Scoppia e dilaga in modo inesorabile, rompendo le barriere di contenimento di quei godimenti ostili e distruttivi specifici dell'essere umano; cresce come fiume in piena e mentre tracima gli argini distrugge i rapporti di vicinanza, le regole, i diritti, spezza i legami di solidarietà spingendo verso un individualismo di inaspettata ferocia. In questo ritorno regressivo ad un rapporto speculare con il proprio simile, alienato ed originario, istinti prima governati si evidenziano caoticamente trascinando gli esseri umani verso una dimensione intersoggettiva che lacera la continuità con le singole aspirazioni, con i desideri e con le stesse ordinarie passioni. È un prodotto degenerato della civiltà ma si accompagna a questa come un'ombra al suo oggetto, ne conserva i principi ideali ed i concetti fondanti esasperandoli, spingendoli verso l'eccesso, rinforzando idee di territorio e di appartenenza nonché valori identitari che vengono ridefiniti, delineati, irrigiditi, assolutizzati in una sorta di frammentazione e pluralizzazione caotica che, in un certo qual modo, cerca un accomodamento, un nuovo equilibrio più vitale che lavori contro la distruzione ma che sul rovescio, in controluce, conserva come un germe distruttivo che si riproduce. Tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, con l'ascesa del nazismo, Freud ebbe modo di riflettere approfonditamente su questi paradossi, facendo della guerra e delle conflittualità sociali un proprio punto di ricerca da allora rimasto caro alla comunità psicoanalitica e dal quale egli prese spunto per riproporre in modo nuovo assunti teorici fondamentali, per aprire ad un assetto innovativo poi raccolto dai suoi allievi alla sua scomparsa. Il filo rosso delle riflessioni freudiane sui conflitti bellici, nell'interpretazione fatta da Lacan successivamente e trasmessa attraverso

' S. Freud, A. Einstein, Perché la guerra? (Carteggio co11 Einstein) e altri scritti, trad. it. C.L. Musatti, S. Daniele, S. Candreva e E. Sagittario, Bollati Boringhicri, Torino 1975.

INTRODUZIONE.

15

il suo insegnamento, rinnova il compito per gli psicoanalisti di impegnarsi per la pace nel tentativo di passare da una logica di affermazione manipolativa del potere ad una logica orientata verso la libertà, che opera attraverso la parola per una evoluzione degli esseri umani, presi ognuno nella propria diversità e nella singolarità, nella vita come nel transfert di lavoro. Anche tra donne e guerra c'è un legame speciale, sia perché la femminilità è espressione di rottura di vincoli con le regole convenzionali stabilite dal potere, sia perché le donne, essendo poco propense ad identificarsi con una massa, risultano più ispirate ad una tendenza verso uno stile di espressione al tempo stesso singolare e poco convenzionale, comunque noncurante degli standard. Femminilità è sinonimo di creatività e, ogni donna, presa una per una, dimostra una certa affinità sia con il godimento silenzioso che con l'invenzione poetica, oltre ad esprimere un'attitudine peculiare a vivere senza sponda, al bordo del reale, quale incerta proprietaria di un corpo morbido, senza appendici e senza valore, pronta a tuffarsi dentro ogni esperienza priva di contenimento, pronta in definitiva al passaggio all'atto, eroico o meno che esso sia. Fu questa natura femminile che portò Lacan a considerare l'isterica come una storica presa nell'incertezza del proprio essere, in un ambiguo schieramento di genere, ma pronta a rispondere del reale per appellarsi alla storia, alla ricerca di un appiglio simbolico che le potesse conferire concretezza, per chiudersi nell'armatura 2 di un amore mitico, nell'armatura dell'amore verso il padre, per offrirsi ad un'arte o esprimersi con un ricamo di cesello elaborato intorno alla lettera con spunti poetici. La differenza di genere, attraverso la porta dell'ambivalenza isterica, entra di diritto nel campo di battaglia tra generi e della storia, non solo per lo scenario, per il racconto, non solo per la guerra tra sessi spesso lacerante, ma per lo stile stesso di ogni essere parlante che esprime nelle proprie isterie quell'aspetto penalizzante e di rinuncia che nella misoginia traduce una specifica rinuncia alla femminilità, la cui parola è presa sempre con riserva, alla quale ci si rivolge in extremis, come ad una supplenza. 2. Armature, in francese, è il termine utiliz1.atoda Lacan nel Seminario del 1976-1977, le1ione del 14 dicembre, inedito.

16

INTRODUZIONE

Punto di repere nel campo di battaglia, per le isteriche, rimane il legame speciale con il padre e la credenza nell'amore paterno che fu anche il punto di partenza della ricerca freudiana. La centralità ed ambiguità della figura paterna per Freud fu alla base di tutti i conflitti umani ed all'origine di ogni aggressività come di ogni pulsione distruttiva riconducibile alla posizione passiva di soggetti sottomessi nei confronti di padri ritenuti onnipotenti3. La guerra, pertanto, fu considerata dalla comunità analitica come un modo estremo per trasformare i legami sociali, lasciando prevalere logiche di affermazione del potere con una potenza che si esprime in modo improvviso. Essa altera l'articolazione tra singolarità e collettività e detta, di fatto, nuove regole per le generazioni future, alle quali si rimanda inavvertitamente l'elaborazione della colpa sprigionata dall'esperienza distruttiva e dagli orrori che inevitabilmente ne scaturiscono. Quella dell'insegnamento freudiano è un'epoca molto sofferta e significativa, inaugura una epistemologia adatta a comprendere appunto l'intreccio ed il bilanciamento delle pulsioni al passaggio di testimone alle generazioni future che, specialmente se cresciute in clima di guerra, finiscono secondo la nostra ipotesi con il delegare proprio alle donne un ruolo fondamentale e specifico nel riannodare il filo di Arianna del discorso sociale e ripristinare la rete di legami che risulta discontinua, sconnessa ed interrotta a causa della guerra. Questo testo, in sintesi, si propone come un laboratorio di rilettura della storia, come un esercizio dal quale la psicoanalisi può ricavare un insegnamento, esattamente come lo ricava dai casi clinici. Si propone di meglio definire, anche alla luce della psicoanalisi contemporanea, cosa ne è della funzione paterna durante le guerre e come si verifica il suo fallimento nel regolare l'equilibrio pulsionale dei singoli, come se ne siano servite quindi nelle fasi successive le figlie, nascoste nell'armatura dell'amore paterno, pronte a contenere quella effrazione di godimento affiorata, pur nella impossibilità di cancellare le tracce traumatiche che insistono accanto all'inevitabile vissuto di colpa. L'anello di tale congiuntura della trasmissione da padri a figlie si è ritenuto di poterlo reperire nel passaggio di consegne silenzioso di questa spinta distruttiva, finemente rielaborata attraverso una capa3

S. Freud, W.C. Bullit, Il caso Wilson, a cura di D. Tarizzo, Cronopio, Napoli

2.014.

INTRODUZIONll.

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cità di ridefinizione della storia, nella ricerca di una supplenza o di una nuova nominazione, attraverso un uso particolare del padre che, negli effetti traumatici o in eventi corporei lascia affiorare le tracce impresse nei corpi aperti a nuova decifrazione. Il rapporto tra padri e figlie è quindi focus di una osservazione clinica applicata, nello stile proprio della psicoanalisi, punto di repere per la costituzione di una funzione del desiderio femminile, nucleo centrale nella formazione del complesso paterno, che scolpendo il rapporto con la legge e con l'identificazione, definisce per ognuno oltre che per ognuna, anche la capacità di relazionare la propria vita a quella degli altri. Appunto nelle figlie ci proponiamo di inseguire gli effetti più oscuri dei padri: tra espiazione, desiderio e declino della funzione, nel loro essere punto di appoggio reale per l'evento di un nuovo soggetto "mascherato" dietro un resto sintomatico o dietro quel modo di godimento che serba dentro di sé un impossibile a dirsi che si traduce in silenzio privato. Questo testo si propone, così, di esplorare gli effetti della colpa e del silenzio dei padri seguendo le tortuose vie del desiderio delle figlie, nell'osservazione di un'epoca storica di particolare rilevanza, l'epoca oscura, collocata tra la fine della Seconda grande guerra mondiale ed il mondo che ne scaturì. La scelta del periodo storico è motivata dalla constatazione che vi fu una messa alla prova di un punto limite del discorso, un suo azzeramento attuato nel campo di concentramento. Nel tentativo di rintracciarne una specificità fuori discorso, inseguiremo questo desiderio femminile che, collocandosi nella traccia paterna, lasciò intravedere una spinta verso vie di uscita inaspettate e del tutto singolari, anche di segno politico-ideologico opposto talvolta ma sempre nel consolidamento e nella conferma di aspetti di identificazione paterna, rinforzati, per così dire, inseguendo un cambiamento e facendo buon uso del padre. Vedremo che tale desiderio ci condurrà al bordo estremo del discorso, tra colpe mai raccontate da padri criminali di guerra, tra narrazioni di testimonianze dell'Olocausto e storia documentale, dimostrando come la pulsione miri sempre alla distruzione dell'Altro, all'annientamento del discorso stesso, in ogni sua forma, passivizzando il soggetto alla mera volontà dcli' Altro.

18

INTRODUZIONI!.

Rintracceremo tra queste vie tortuose la dimensione dell'inenarrabile nei suoi effetti di ritorno, nella colpa generalizzata che lascia cadere il soggetto per poi farlo riemergere come effetto di un reale che tracima, interrogandolo di fronte alla vergogna in un susseguirsi di scelte estreme, insolite, negli eventi e nei fatti. Agli albori del nazionalsocialismo, concretizzandosi tra leggi ed editti, si erano sviluppate in Europa varie forme di persecuzione esitate nella promulgazione di Norimberga del 1935 e nei pogrom del 193 8. Tali leggi furono l'effetto ultimo dell'impellenza storica di giustificare abusi già avvenuti e protrattisi nel tempo, non per ordini ricevuti ma per le più disparate iniziative personali. Le leggi razziali, in definitiva, rappresentarono il prodotto finale di una folle, disorganizzata ed ingiustificata cattiveria, un grave passaggio all'atto della storia, una spinta alla distruzione detta poi "soluzione finale" in esecuzione ad una formale riunione tenuta a Wannsee il 20 gennaio 1942, periferia ovest di Berlino. Per l'ansia generale di essere scoperti dal mondo intero, dalla riunione esitò una precipitazione verso un tremendo ed osceno progetto protrattosi nel fallimentare tentativo di riprendere il controllo politico da parte di vertici gerarchici ormai all'apice di una situazione molto, molto degenerata. Un atto estremo, che nella sua avventatezza tentò innanzitutto di negare o giustificare le estremizzazioni per portare fuori dal caos la Germania, caduta in una cultura genericamente e gratuitamente antisemita, e che in secondo luogo si propose di centrare nuovamente un discorso politico sfaldato, facendo del problema ebraico e di ogni opposizione un'occasione per far prevalere lo strapotere di personaggi oscuri e figure anche poco significative che utilizzarono persecuzione, eccidi e fucilazioni di massa per ottenere meriti e vantaggi personali.4 La guerra fu solo caos tragico, inspiegabile mistero, ma anche epilogo di una banale sregolatezza, di una passionalità di infimo ordine che aveva spinto l'umanità oltre i limiti della legge. Abbiamo estratto da quest'epoca oscura tre esempi emblematici di figlie illustri che, oscillando tra amore, identificazione e difficoltà di sopportare l'eredità dei propri padri gerarchi del Reich, portaro4 P. Longcrich, Verso la soluzione finale. La conferenw di Wannsee, trad. it. V. Tortelli, Einaudi, Torino 2018.

INTRODUZIONI!

no su di sé gli effetti di questo pesante fardello: la figlia di Himmler che conservò un proprio credo nei confronti del padre vivendo nel prolungamento del suo sintomo, la figlia di Speer che si votò all'espiazione delle colpe paterne, la figlia di Erti che si costruì un'altra identità cambiando nome e realizzando la propria causa in un passaggio all'atto clamoroso realizzato attraverso un intrigo di portata intercontinentale. In controluce, tracceremo il profilo dei tre padri che anticiparono quello che sarà il declino dei padri dell'epoca moderna, ma sostennero il filo del desiderio per queste figlie, declinandone diverse uscite sintomatiche che consentiranno la ripresa del discorso sociale a partire da singolari invenzioni. Mentre la storia accompagnava questo cambiamento, la psicoanalisi non poté sottrarsi dall'avere un suo ruolo nello scenario politico, implicandosi in una svolta teorica ed aprendosi ad una nuova pratica clinica e ad inedite modalità di trasmissione. Uno sguardo di insieme sulla psicoanalisi dell'epoca, accompagnerà così il lettore nel percorso che apre il suo orizzonte ad un nuovo spaccato epocale in cui la psicoanalisi assumerà, progressivamente, un'importanza minore forse, ma una funzione etica decisa nel far fronte a sregolatezze distruttive e generalizzate sempre più comuni e pressanti. Risulterà, dalle vicende narrate, un'importanza sociale della pratica analitica confermata nel corso degli anni e la sua propensione per una pratica politica dell'inconscio.

Il legame sociale tra monoteismo e oscurità del padre

Nell'opera di Freud, la funzione paterna assume la sua importanza nel bilanciamento di aspetti antinomici nel riferimento a tre miti: Edipo, Totem e tabù, Mosè ed il monoteismo. Nel primo mito, il padre dimostra la sua centralità funzionale nell'identificazione attraverso il reperimento di un tratto caratteristico che risulta prezioso per costruire l'identità di figli e figlie. Una volta introiettati gli aspetti normativi, questi orientano il desiderio verso una doppia via: rivalità e desiderio di morte verso il genitore dello stesso sesso e/o sentimenti di amore nei confronti del genitore di sesso opposto. Quello verso il padre è un amore speciale che trova fondamento su di un credo, quasi una religione, che lascia trasparire un amore per la parola 1 e per il suo buon uso, una fiducia nell'ordine simbolico che consente di acchiappare un godimento non consentito, amore colpevole quindi che sull'altro versante comporta un suo lato oscuro relativo al marchio del padre reale, un marchio velato dal silenzio che per lui ed in nome suo, si fa insegna. Nel secondo mito, il padre è considerato invece supporto normativo nell'assunzione della regola dell'eccezione. Ne è il rappresentante il padre mitico originario che definisce il limite al godimento, regolato dall'evento della sua morte. Per le generazioni successive, infatti, la morte del padre mitico assume un valore a partire da questa versione colpevole dell'amore di cui il padre è la premessa per l'introiezione del sentimento di socialità insito nel legame tra pari, tra fratelli. Il terzo mito, partendo dalla figura di Mosè egizio e Mosè ebraico, riconosce invece al padre un valore centrale per l'obbedienza e la ' J. Lacan, Il trionfo della religione, Einaudi, Torino 2.006, p.

104.

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FIGLIE DEL SILl!NZIO

riconoscenza, valore fondamentale anche per l'acquisizione da parte dei figli di un equilibrio tra pulsioni opposte o contraddittorie, per conseguire una capacità di mediazione tra diverse spinte pulsionali da quelle più creative a quelle più oscure e crudeli. La colpa connessa al godimento paterno è situata, di conseguenza, nel rapporto con l'altro, con l'Altro simbolico aggiunge Lacan scrivendolo con "A" maiuscola, con il tessuto sociale che contorna di dettagli più o meno definiti l'ordinario ambito culturale delle nostre vite, che nel diventare discorso comune comporta un insieme di regole, giudizi morali e consuetudini. Mentre nella clinica dell'isteria Freud aveva messo il senso di colpa in relazione con una rappresentazione non rimossa, nella teoria del trauma, più tardiva, il senso di colpa venne messo in relazione con il reale paterno del quale il soggetto non riesce a farsi una rappresentazione, pur sentendosi implicato e colpevole del suo godimento. Questo reale, dunque, già per Freud sfuggiva al racconto ed alla coscienza stessa, scavando nell'ombra del soggetto una sua successiva via di uscita. Più di Freud, Lacan, già nel testo Nota sulla relazione di Daniel Lagache2, situa il rapporto ali' Altro sociale e sessuale in termini di desiderio e non più di identificazione, formalizzando in particolare il desiderio femminile in un materna S(A), che lo distingue da quello maschile, poiché lo mette in relazione ad una mancanza nell'Altro simbolico, vuoto irrappresentabile nel quale la donna non si iscrive ma con il quale intrattiene un legame speciale, costituendosi come essere fatto di mancanza, incarnando un significante di eccezione che, mancando al codice, non può essere espresso altrimenti se non con un silenzio. Un vissuto di colpa silenzioso connette, per Lacan, il desiderio femminile con una verità che manca nell'Altro e marchia in modo speciale il rapporto di ogni donna con il godimento paterno. Per ognuna, questo luogo segna un destino che annoda il desiderio singolare al reale senza nome, affidandone la rappresentazione ad una sorta di finzione, di mascherata, ad una rappresentazione scenica della vita che può compiersi snodandosi in agiti evidenti, pur nella ~ Id., Nota sulla re/azione di Datliel Lagache. Psicoa,,alisi e struttura della personalità in Id., Scritti, 2 voli., a cura di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974, voi. I.

IL LEGAME SOCIALE TRA MONOTEISMO E OSCURITÀ DEL PADRI!

23

rinuncia alle insegne falliche, per realizzare un legame speciale con l'Altro, da cui ricavarne consistenza. Nel 1960, in Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell'inconscio freudianoJ, Lacan, nel riprendere le riflessioni freudiane, mette a punto la funzione di alcuni aspetti immaginari costituenti l'io ed il narcisismo, facendo confluire le istanze dell'ideale dell'io e dell'io ideale in una dimensione identificativa, che nomina "tratto unario", dall'espressione freudiana Einziger Zug. L'introiezione di questo tratto, espressione di un primario legame affettivo di elevata intensità, è il punto di appoggio per la costituzione di un io immaginario che si rivolge al padre nell'intento di farne un modello simbolico, mentre il legame con la madre si limita a conservare le caratteristiche di un legame libidico da alcuni definito oggettua/e4. Successivamente, riportando la funzione patema sui tre registri R.s.1.s, Lacan riconduce l'identificazione a tre aspetti diversi: padre ideale, padre reale e padre del nome. Ricondotto a un nome, ad un significante puro che vuol dire qualche cosa senza correlati diretti con la rappresentazione, il padre diventa così il portatore di una sorta di offesa alla verità, mediatore dell'opportunità, da un altro punto di vista, di definire la struttura soggettiva combinando, al tempo stesso, aspetti immaginari e reali nella nominazioné. Il padre divenuto supporto simbolico resta, nella sua funzione, figura centrale e di raccordo con il disagio della civiltà espresso nella formazione del sintomo. Si tratta di un punto di snodo tra aspetti estremi che articolano credenza cieca e accettazione dei conflitti, un punto di appoggio all'insistenza ripetitiva di un godimento trasgressivo trasferito in modo silenzioso di generazione in generazione 7• 1

Id., Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell'inconscio freudiano, ivi,

voi. II. Riferito alla relazione primaria con l'oggetto originario di investimento libidico Reale, Simbolico ed Immaginario annodati tra loro da un quarto elemento, il nodo del sintomo o Sinthomo. 6 ]. Lacan, Il seminario. Ubro IV. La relazione d'oggetto(1956-1957), testo stabilito da J.-A. Miller, a cura di A. Di aaccia, Einaudi, Torino 1996, p. 233. 7 Tale funzione è considerata da Lacan una fondamentale operazione di supplcn1.a attribuita ad un significante speciale. 4

5

24

FIGLI!'. Dl'.L SILENZIO

Rimandata da Freud alla fase orale, specialmente per le bambine, l'introiezione dell'oggetto d'amore decide per il soggetto una prospettiva in direzione dell'essere o dell'avere (il fallo), facendo del sintomo un sostituto dell'investimento libidico e del legame. Tale operazione, se pure riduce al padre la preistoria del soggetto, attraverso uno stretto rapporto con l'ideale dell'io, Ideal-Ich, assume la funzione di permettere al soggetto di definirsi in modo singolare nel suo essere Uno. Nell'ultimo periodo del suo insegnamento, nel distinguere due aspetti dell'elaborazione simbolica, Lacan indica una relazione tra due diversi significanti chiamati a rappresentare, uno per l'altro, ogni soggetto, maschio o femmina che sia, attraverso significanti che come simboli algebrici vengono poi richiamati anche nelle formule dei quattro discorsi, con materni considerati rappresentativi del legame sociale per antonomasia: S1 ed S:z.. Il significante unario S, condensa il rimosso freudiano ed assume il valore di una traccia nascosta, adatta a fissare nel corpo aspetti di quel godimento singolare su cui si appoggia l'identità, è attinente quindi ad un resto libidico del godimento paterno. Il secondo significante S:z., invece, attiene al sapere, al sapere singolare, che si presenta come una aspirazione, come spinta ed intenzione, come pulsione di conoscenza che trasferisce non un sapere acquisito ma sempre da acquisire, un sapere in definitiva supposto ed incolmabile che si configura come una ipotesi e che, nel percorso analitico, viene continuamente spostato come in un costante esercizio critico, fino ad essere svuotato della sua stessa supposizione, dispiegato solo per essere diretto verso un unico ritorno, après-coup, in produzione di SiDue significanti, specifica Lacan, che operano indipendentemente l'uno dall'altro, senza tra loro interagire, che entrano in una dialettica dinamica disturbata ed alterata nel lavoro analitico dalla presenza concreta dell'analista, in carne ed ossa. Qui si rappresenta un luogo di impasse per l'isterica, che resta chiusa in un circuito deviato a rilanciare ogni sforzo nuovamente ed insistentemente in direzione del sapere, potremmo dire, in modo alquanto inconcludente. In sintesi, gli aspetti immaginari derivanti dalla figura paterna, chiamati a ricomporre quella discordanza che intercorre tra padre reale e padre simbolico, lasciano spazio ad una combinazione sin-

IL LEGAME SOCIALE TRA MONOTEISMO E OSCURITÀ DEL PADRE

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golare che si concretizza in un compito particolarmente importante per le figlie: prenderne gli effetti di ricaduta per farne qualcosa che non sia attinente esclusivamente ad un sapere ma che sia in grado di conferire loro una consistenza in direzione dell'essere o dell'avere. Il percorso dell'insegnamento di Lacan si colloca quindi precisamente nel solco freudiano, pur non ricalcandone esattamente lo sviluppo. Sigmund Freud, d'altronde, era stato impegnato nel passaggio dalla prima alla seconda fase delle sue ricerche, in profonde rielaborazioni ed interrogativi che lo spingevano ad ampliare o, perlomeno, ad adattare la teoria del trauma in una estensione dal singolo individuo all'umanità tutta, principalmente dopo la tragedia dell'Olocausto e delle persecuzioni razziali. Non mancheremo, in questo testo, di mettere in risalto tale significativa coincidenza storica. I tre saggi su L ·uomo Mosè e la religione monoteistica8 furono scritti in due riprese, nella sua Vienna i primi due ed il terzo a Londra, dove si ritirò in seguito alla persecuzione antisemita che lo colpì con molti altri colleghi. Questi saggi contengono tutti e tre una prima risposta agli interrogativi aperti dalla guerra mondiale, rappresentando quasi la base di partenza per una giustificazione alla propensione distruttiva insita nella natura umana. La questione centrale, per il Professore viennese, fu quella di trovarne una causa o forse anche una ragione che andasse oltre una lettura della storia, che spiegasse in modo più profondo perché tanto odio si fosse abbattuto proprio sul popolo ebraico, chiedendosi come fosse stato possibile portare avanti un progetto tanto orribile quanto complesso nella sua organizzazione. Avanzando una ricerca tra reperti storici ed ipotesi antropologiche, egli introdusse nella lettura della storia una questione etica di grande portata, che si snoda in pagine ricche di riferimenti storici, collegando il concetto di ripetizione del trauma, di rimozione e di ritorno del rimosso, all'espiazione della colpa ricondotta alla funzione paterna, nella sua articolazione al credo religioso, alla legge ed all'ambiguità dei sentimenti filiali. Due figure di Mosè, il Mosè egizio ed il Mosè madianita, sovrapposte fino a confondersi durante l'esodo delle popolazioni semitiche 8

S. Freud, L'uomo Mosè e la religio11emo11oteistica e altri scritti (1930-1938), in Id.,

Opere, 12 voli., a cura di C.L. Musatti, Bollati Boringhieri, Torino 1979, voi. XI.

FIGLIE DEL SILl!NZIO

dall'Egitto, dunque all'epoca del passaggio dalla religione politeista a quella monoteista fino all'Ebraismo prima ed al Cristianesimo poi, vennero da Freud ricollegate al padre totemico ed alla funzione del capofamiglia, nell'ipotesi che tra il totem animale come forma di religione primitiva, e l'istituzione di un Credo verso Dio, sorgesse come intermediario la figura dell'eroe quale primo grado della deificazione9. Lacan riprende il passo del testo freudiano proprio nel Seminario VII, L'etica della psicoanalisi1°, affermando che in ogni passaggio storico, dal delitto primordiale all'uccisione del Cristo, un sottile filo collega eccidio ed espiazione della colpa al tentativo di riconciliazione con Dio Padre, facendo del popolo ebraico contemporaneamente un popolo eletto e colpevole. L'ambiguità dei sentimenti verso il padre, proiettati e rappresentati nella doppia figura dei due Mosè, testimonia quindi, come per Freud, una oscurità strutturale che legatasi alla funzione paterna muove la storia, dando un senso alle forme di aggregazione e alle imprese, ma anche alle guerre, agli aspetti di colonialismo e di potere che si esercitano su popoli vicini nonché all'imposizione delle tradizioni e dei riti (circoncisione) che a questo si accompagnano. Lo sviluppo teorico freudiano potrebbe apparire oggi alquanto paradossale, poiché piuttosto che concentrare l'attenzione verso l'orrore delle persecuzioni, seguendo il filo rosso della storia ebraica, cercava la causa primaria in una colpa del popolo eletto sul quale si era abbattuta la ritorsione e la vendetta della storia. Possiamo quindi dedurne che una percezione colpevole aveva guidato le ricerche del Professore che, non volendo, esplicitava oltre ad una personale posizione nei confronti del proprio padre, una piena identificazione ad una cultura derivata direttamente dal Credo di stampo più ebraico che protestante. Lacan, per contro, nel Seminario VII L'etica della psicoanalisi, cita in proposito proprio l'Epistola ai Romani di Paolo da Tarso, in cui si afferma che è la legge a fare il peccato, riconducendo la questione tra legge e desiderio a quella dello snodo tra legge e godimento trasgressivo, dove proprio la prima dimostra di essere un mezzo che attraverso la prescrizione induce alla trasgressione: «Se il mito dell'oId., Opere cit., voi. 11, p. 449. J. Lacan, Il seminario. Libro VII. L'etica della psicoanalisi (1959-1960), testo stabilito da J.-A. Millcr, a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2008. 9

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rigine della Legge si incarna nell'assassinio del padre, è da qui che sono usciti i prototipi che vengono successivamente chiamati l'animale totem, e poi un certo dio, più o meno potente e geloso, e infine il dio unico, Dio Padre. Il mito dell'assassinio del padre è appunto il mito di un'epoca per la quale Dio è morto» u. Qualche anno dopo, durante l'insegnamento del 1962-1963, nel Seminario X L •angosda 1 2, Lacan ritorna sulla questione ebraica, ricordando che l'uomo, per effetto dell'ordine simbolico, in applicazione alla Legge paterna, come essere parlante, si trova a dover cedere qualcosa della propria carne, a perdere qualche pezzo lasciato a circolare nel formalismo logico che si costituisce per via della macchina significante e dice: Si dice, certo: È il tuo cuore che voglio e nient'altro. In questo modo si intende designare un non so che di spirituale, l'essenza del tuo essere o anche il tuo amore. Ma il linguaggio tradisce, qui come sempre, la verità. Il cuore è metafora solo se non dimentichiamo che non c'è niente nella metafora [... ] Il cuore può voler dire molte cose[ ... ] Per i semiti, ad esempio, il cuore è l'organo stesso dell'intelligenza •3.

Poco oltre, continuando, nello stesso seminario, fa riferimento all'oggetto di scambio del Mercante di Venezia di Shakespeare 1 4, il cui Shylock, nome ebraico, è chiamato a cedere la sua libbra di carne per portare a termine un affare: In effetti nessuna storia scritta, nessun libro sacro, nessuna Bibbia - per dire il termine - sa farci vivere più della Bibbia ebraica la zona sacra in cui viene evocata l'ora della verità, quella dell'incontro con il lato implacabile della relazione con Dio, con quella malvagità divina per cui è sempre con la nostra carne che dobbiamo saldare il debito. Dobbiamo chiamare con il suo nome questo ambito che ho appena sfiorato. Il nome che lo designa, e per noi dà valore ai diversi testi biblici che ho evocato, è correlativo a quello che viene chiamato sentimento antisemita sul quale tanti analisti hanno ritenuto di doversi interrogare, talvolta non senza successo, per determinarne le fonti 15.

lvi, p. 224. J. Lacan, Il seminario. Libro X. L'angoscia (1962-1963), testo stabilito da J.-A. Miller, a cura di A. Di Giaccia, Einaudi, Torino 2007. 13 Id., Il seminario. Libro VII. L'etica della psicoanalisi cit., p. 238. 14 W. Shakespeare, Il mercante di VeneZia, Feltrinelli, Milano 2013. 15 J. Lacan, Il seminario. Libro X. L'angoscia cit., pp. 238-239. 11

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Assolutismo e antisemitismo, due vie d'uscita: parricidio o femminilizzazione

Dalla lettura del problema politico dell'antisemitismo di Lacan, scaturiscono diverse questioni teoriche importanti che appartengono al cuore, all'intimo, della psicoanalisi: la colpa, il masochismo, la funzione paterna e la pulsione di morte. Questioni già affrontate da Freud, che in Lacan trovano uno sviluppo originale che orienta la questione paterna secondo una prospettiva volta principalmente a rettificare l'impostazione di una deriva teorica attribuita ai postfreudiani, per riposizionare la psicoanalisi. La funzione del padre, la divisione del soggetto dal campo dell' Altro e l'articolazione intorno alla funzione paterna, l'equilibrio tra desiderio e godimento vengono così collocati in definitiva come una condizione strutturale del par/essere, impegnato in una ripetizione pulsionale acefala, della quale egli costituisce uno scarto o un resto del godimento dell'Altro, lo scarto del discorso che prosegue mentre Io prende in ostaggio ponendolo come ultimo limite della parola, per introdurlo nel reciproco scambio come un prodotto. Si lascia intuire qui la pregnanza di quella che potremmo definire una dimensione "fuori discorso" che riporta direttamente alla struttura della psicosi o ad "un rovescio del discorso"1, del quale costituisce l'ombra. Un flusso che del discorso rappresenta un risvolto, l'effetto fuori-senso che si accompagna alla parola incontrandone l'interfaccia con il reale in cui il discorso scava, lasciando il segno di una resistenza entropica, della pulsione di morte che si manifesta come silenzio, resto reale di una lingua "muta". ' J. Lacan, Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi (1969-1970), a cura di A. Di Ciaccia, trad. it. C. Viganò e R.E. Man1.ctti, postfazione di J.-A. Millcr, Einaudi, Torino 2001.

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In questa topologia, a nostro avviso si colloca l'origine di parte della letteratura dell'epoca, che possiamo ricondurre alla funzione della lettera, indicata da Lacan come litorale della parola con il silenzio, dimenticata in qualche angolo del mondo per rammentare ciò che la parola non può esprimere2·, coerentemente con quanto affermato anche da Benjamin, Celan, Antelme e Duras. Il Campo di Concentramento fu il punto estremo di un binario morto al quale giunse tutta l'umanità, la sua ultima stazione e, nella struttura, mostra proprio questo rovescio del discorso nel passaggio dall'ordine simbolico al bordo del reale che marchiò i corpi segnandoli con un numero, una cifra, per portarli dallo sfruttamento sino alla morte per il lavoro. Ma non fu solo questo, poiché presagì anche la stretta correlazione tra la morte e la produzione, allorché questi corpi tradussero una materia prima riutilizzata e sequestrata da un progetto preciso di annientamento, da un esperimento di discorso che ne prevedeva il degrado e l'azzeramento totale, la riduzione degli esseri umani al livello di puro oggetto lasciato cadere nel vuoto dall'Altro dell'assolutismo segregativo, dell'Altro sociale, azzeramento o psicotizzazione del discorso che, una volta messo fuori legge, con tutte le ultime cose, veniva deliberatamente ridotto in cenere3. Dal versante della psicoanalisi, ci si dovette chiedere, per forza, come far parlare questa lingua muta e come raccogliere il problema della memoria, di questo "impossibile" racconto dell'accaduto, dimenticato con Auschwitz e dopo, ripetuto nelle tante Auschwitz che si sono susseguite nella storia, le Auschwitz della memoria di ognuno, private, singolari ed indicibili, che accompagnarono i corpi come ultimo luogo di una scrittura della memoria, offrendoli ad una pratica clinica per sempre modificata dalla necessità dell'ascolto del silenzio, della lingua dei traumi non detti, della lalingua primitiva degli eventi che, una volta diventati corporei, possono successivamente trasmettersi solo come scrittura. Robert Antelme, ad esempio, miracolosamente scampato ad anni di prigionia nel Campo di Auschwitz, in L 'espèce humaine, riferisce che essendo desideroso di raccontare a coloro che incontrava qualche cosa, rimaneva invece totalmente privo di parole, paralizzato dal riId., Il semi11ario sulla lettera rubata, in Id., Scritti cit., voi. I. B. Moroncini, Il discorso e la cenere. Il compito della filosofia dopo Auschwitz, prefazione di C. Colangclo, Quodlibct, Macerata 2006. 2

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torno prepotente di immagini troppo eloquenti e vivide, che nella sua percezione superavano le parole, mentre il corpo e l'aspetto fisico lo conducevano in un altro luogo, altrove, un altrove che lo precipitava nell'impossibilità di parlarne. Egli scrive: Ma si tornava allora, riportavamo nella carne la memoria della nostra vivida esperienza, sentendo un bisogno frenetico di dirla così come era. Si capì subito però che ci sarebbe stato impossibile colmare la distanza che si andava scoprendo, tra il linguaggio di cui non disponevamo e l'esperienza che quasi tutti stavamo ancora inseguendo dentro di noi. Ma come rassegnarci al tentativo di spiegare come eravamo arrivati a quel punto, immersi ancora come si era? Era impossibile. Appena si incominciava a parlarne, subito si soffocava. A noi stessi, ciò che si aveva da dire, appariva inimmaginabile4.

La psicoanalisi, di fronte a queste testimonianze, dovette chiedersi cosa farne di ciò che resta legato come immagine della traccia traumatica, come convocare quei corpi per una testimonianza di tale reale, come accogliere ciò che non poteva essere preso nel discorso. Dall'appello al sapere delle isteriche, dalle quali la psicoanalisi aveva preso le prime mosse, si giungeva al suo contrario, ad una esclusione per sempre dal sapere che era al tempo stesso esclusione dal simbolico. Ci si chiese dunque, in quale misura il sapere può convivere con l'inconscio allorché il soggetto veniva consegnato all'equivoco o alla conversione somatica da un godimento estraneo? Maurice Blanchot afferma in merito: Resta che costretto da una questione impossibile, egli non poteva trovare un alibi che nella ricerca del sapere, nella pretesa dignità del sapere: quest'ultima convenienza che noi crediamo si potrebbe accordare alla conoscenza. E come, in effetti, accettare e non conoscere? Leggiamo i libri su Auschwitz. Il voto di tutti laggiù, l'ultimo voto: sappiate ciò che è accaduto e non dimenticate, e, allo stesso tempo, non lo saprete mai5.

Una logica di letteratura di bordo può farsi strada attraverso questa scrittura limite, una logica non tutta-nella parola e nel linguaggio può • R. Antclmc, L'espèce humaitze, Gallimard, Paris 1957, p. 9; La specie umana, trad. it. G. Vittorini, Einaudi, Torino 1969, p. 6. 5 M. Blanchot, L 'écriture du désastre, Gallimard, Paris 19 80, p. 131; La scrittura del disastro, trad. it. F. Sossi, Il Saggiatore, Milano 2021, p. 104.

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forse nascere dalle ceneri del discorso, a condizione che, forse, la struttura stessa dell'inconscio venga ripensata, a condizione di rileggere Freud e la clinica dell'isteria per ridimensionare anche il sapere scientifico, che nell'epoca oscura aveva dato ampia prova di scarsa indipendenza dal dominio assoluto delle volontà nel periodo più buio dell'umanità. La diffusione di una sottile cultura di guerra ed antisemita che serpeggiava in Europa dimostrava più di ogni altra evidenza che linguaggio e godimento procedono di pari passo, seguendo l'uno l'altro, come un'ombra che invade la cultura con un colossale deposito di immagini parassitate dal simbolico, offrendosi come punto d'appoggio a convinzioni condivise, massificate, devianti, la cui stoffa restava intessuta al discorso comune, laddove l'uno serve solo se articolato all'altro per produrre quella che comunemente chiamiamo vita o, talvolta anche morte, mentre l'ordine ne intreccia il legame. Questo legame del discorso, che si tende tra la vita e la morte, condensa in sé un godimento del quale gli umani si nutrono e che chiamiamo storia, ma da cui prende consistenza un esercizio di sublimazione che, in definitiva, è l'unico godimento in piena attività che se ne ricava ed è detto intersoggettività. Si tratta di un godimento che prende un apparente valore comunitario, elargito in alcune contingenze da un Altro assoluto che detta legge, che dà ordini, che spinge ad agire e a produrre intenzioni o valori universali6• A questo punto di appoggio, che supponiamo abbia spinto verso ciò che abbiamo chiamato il passaggio all'atto della storia, al Campo di Concentramento, riconosciamo qui un valore emblematico. Architettato come perfezionamento, anzi come ottimizzazione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, il Campo assunse ben presto un valore scientifico, nei modi che poi il discorso capitalistico perfezionerà e riproporrà, ma che già allora si delineavano con precisione, come una forte specializzazione chiamata progetto scientifico. Medici, architetti, ingegneri vi furono impiegati e vi lavorarono alacremente. La struttura cresceva intorno alla centralità del lavoro, lo sfruttamento del lavoro, anticipando il futuro capitalismo produttivo, vale a dire l'impiego di persone impoverite economicamente e moralmen6 J.-A. Miller, Leparte110ire-symptc";me, lezione del 14 gennaio 1997, inedito, disponibile online (https://jonathanleroy.be/wp-content/uploads/2016/01/1997-1998-Lc-partenaire-symptome-JA-Miller.pdf).

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te da chiari provvedimenti e decreti di Stato, finalizzati a sfruttare meglio, cioè ad ottimizzare lo sfruttamento. Funzionò proprio come una gigantesca catena di montaggio e riproponeva l'invenzione del "lavoro scientifico" introdotta nella produzione industriale già dal 1913, a Detroit, da Henry Ford, ed esprimeva la concretizzazione di un'idea radicata appunto su di un approccio teso a perfezionare l'apparato produttivo attraverso la meticolosità organizzativa, esattamente come la scienza di laboratorio, basandosi per di più sulle scoperte di eugenetica nonché sulla ricerca medico-scientifica. Anche le scoperte di Darwin sulla razza e l'evoluzione umana furono per questo recuperate e sacrificate sull'altare dell'assolutismo, senza che se ne potesse ancora comprenderne la vera portata, equivocando il concetto stesso di codice (genetico}, portando la natura umana verso un obiettivo di chiarezza tanto totale e lampante quanto impossibile. Tutto venne in qualche modo allucinato. L'entrata in guerra rappresentò una precipitazione critica nella soluzione finale, per giungere quanto prima a conclusione, qualunque questa fosse, per fissare un punto di capitone che dimostrasse l'efficienza del discorso sociale attraverso la sua estremizzazione, la sua esasperazione: far coincidere l'essere umano con la materia prima riportando i corpi allo stato di bisogno primario, alla morte ed al riciclo della materia. Dapprima motivo di ricerca scientifica, l'antisemitismo divenne successivamente un punto di corto circuito olofrastico potente e segregante che operò nell'oscurità, mentre ogni singolo attore, ogni operaio, ogni guardia, ogni prigioniero, ogni anello della catena era necessariamente tenuto all'oscuro del fine ultimo delle proprie azioni, a dimostrazione della totale negazione del sapere. Primo Levi non mancò di descrivere, del campo di concentramento, la centralità di due oggetti assoluti che si erano rivelati fondamentali nella costruzione di questo panopticum scientifico sperimentale: la voce e lo sguardo. Furono queste le pietre miliari che fornirono consistenza ad una struttura agglutinata, cristallizzata, senza buchi. La voce planetarizzata e lo sguardo assoluto furono oggetti invadenti - afferma Lacan - perché in grado di invadere il fantasma e di squarciarne il velo per far prevalere un effetto di straniamento assoluto negli esseri umani presi nel dispositivo:

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C'è qualcosa di profondamente mascherato nella critica della storia che abbiamo vissuto. È presentificando le forme più mostruose e pretese superate dell'Olocausto, il dramma del nazismo. Ritengo che nessun senso della storia, fondato sulle pretese hegelo-marxiste, sia capace di rendere conto di quella risorgen1.a per cui si riverifica che l'offerta a dèi oscuri di un oggetto del sacrificio è qualcosa a cui pochi soggetti possono non soccombere, in una mostruosa cattura?.

Con questa effrazione del godimento, del quale la vittima del sacrificio al dio oscuro fornisce l'esempio più emblematico nell'impossibilità a sottrarvisi, si valicò l'estremo limite del discorso raggiungendo la fine del racconto ed il passaggio della storia sul suo rovescio, mentre l'ombra del silenzio copriva le vicende umane con una oscura coltre. La psicoanalisi fu chiamata lì, a convocare i corpi segnati dal trauma e a dedicarsi all'ascolto del silenzio, alla lettura di ciò che nel corpo si iscrive della guerra e del suo resto ed ancora oggi dimostra di avere un proprio ruolo nello stesso punto strutturale in momenti diversi di una storia che continua tra traumi, tra guerre simboliche e no, e genocidi. L'assetto teorico freudiano, fondato sul racconto e sul tentativo di mettere all'opera nel transfert una possibile interpretazione che agisse sul rimosso, lasciò il passo ad una pratica nuova che Freud aveva intuito e tentato di richiamare a partire dai traumi già della Prima guerra; con la Seconda il mondo intero stava cambiando e nulla sarebbe stato più come prima. A fronte di questo delirio collettivo, la psicosi non avrebbe potuto più essere considerata un punto limite del trattamento analitico, al contrario, a partire da un nuovo discorso sulla causalità psichica, ne diventò il nuovo paradigma, la centralità. Il posto del padre, come Freud aveva intuito, fortemente connesso a quello del delirio, non poteva non avere un peso nelle istituzioni analitiche ed il suo impatto ricadeva anche sulle istituzioni e sulle funzioni nel collettivo 8• 7 J. Lacan, Il seminario. Libro Xl. I quattro co11cetti fo11damentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2003, p. 270. 8 Ci siamo avvalsi, per quanto concerne l'istituzione analitica, dell'articolo di F. Baldini, Il posto del padre e la posizione di Freud, «Aut Aut», 197-198, settembredicembre 1983.

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Tale argomento aveva occupato Freud che, come padre della psicoanalisi, aveva già espresso le sue perplessità in merito al ruolo che egli stesso poteva ricoprire nella società psicoanalitica, circa la posizione di eccezione attribuitagli per il fatto stesso di essere stato fondatore di un nuovo impianto teorico costruito intorno ad una scoperta che voleva essere scientifica e che egli aveva nominato Inconscio attribuendole così il valore di un buco nel sapere. Freud temeva che tale posto avrebbe procurato non pochi problemi alla famiglia psicoanalitica e si era astenuto dal ricoprire una funzione direttoriale già dal 1910, come possiamo leggere nella sua lettera a Ferenczi del 6 ottobre: Io non sono quel superuomo psicoanalitico che Lei si è costruito nella sua immaginazione [... ] Una parte del mio investimento di cariche omosessuali è stata riassorbita cd adibita al miglioramento del mio "Io". Sono insomma riuscito a realizzare quello che non riesce al paranoico9.

Essere padre della psicoanalisi ed essere il capo della società psicoanalitica poneva dunque un serio problema politico e dovette apparire problematico a Freud, ancor più per il passo successivo che avrebbe dovuto comportare la definizione dello statuto della società. Tutto questo, e la nota è molto interessante, accadeva proprio mentre elaborava gli studi sulla psicosi paranoica e sul caso del presidente Schreber che riportava in causa la questione del Credo nel padre, con quell'alone di enigmatica oscurità collocato tra culto ed espiazione della colpa, come egli stesso aveva messo a fuoco nella clinica del caso. La psicosi paranoica, infatti, in quanto manifestazione di un credo assoluto nella figura paterna, portava all'evidenza ciò che può accadere nell'impatto nudo e crudo con il reale dell'Un-padre, che spinge ben oltre la metafora dell'amore propria dell'isteria, lasciando scorgere invece volontà di potenza e godimenti pervertiti. Freud si astenne saggiamente dal ricoprire incarichi istituzionali, dimostrando oltre alla già nota sensibilità clinica, una decisa abilità politica ed un equilibrio che tradiva il suo amore per un sapere scevro da volontà di dominio, una conoscenza messa a disposizione dell'umanità. 9 E. Jones, Vita e opere di Sigmund Freud, 3 voli., trad. it. A. Novelletto e M. Ccrletti Novcllctto, Il Saggiatore, Milano 1962, voi. II, p. 11.

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Preferì forse porsi come un buon padre di famiglia per evitare di mandare allo sbaraglio gli analisti, per scongiurare un disagio sociale e generale che avrebbe comportato il rischio di un esito nel delirio collettivo e la fine dell'assetto societario. Ciò che rende una invenzione "mitica", dopotutto, è solo la condivisione e poiché non è il padre ma l'ordine del discorso che delimita un campo, dovette garantire che non si saturasse in questo una condizione di assoluto, rinunciando ad una posizione di potere per riuscire a conservare il legame tra fratelli. Un gesto dunque, quello di astenersi, che trasformò il destino della psicoanalisi, non risparmiandole però il trascorrere di vicende ancora molto complesse. Il caso del presidente Schreber fu quindi politicamente decisivo, perché metteva in mostra le conseguenze pagate da un figlio esposto al dominio della figura paterna nell'assoluta supremazia della sua funzione: di insegnante, di promulgatore di legge, di uomo di potere e di figura di riferimento di amore assoluto. In sintesi, Freud giunse alle seguenti conclusioni: come un padre fonda le leggi della parola, il collettivo è tenuto ad obbedirvi e se il capo del collettivo psicoanalitico voleva effettivamente tenere in conto le acquisizioni ricavate dalla clinica delle psicosi, per non cadere nel delirio schreberiano che dimostrava nella sua espressione clinica nefaste evoluzioni, necessariamente doveva mettersi al riparo da quella doppia uscita che emergeva dalle due vie individuate dal presidente Schreber: parricidio o femminilizzazione? 10 L'astensione lo metteva certamente al riparo dal parricidio, riguardo alla femminilizzazione la questione, come vedremo dalla storia, fu molto complessa.

10 Si veda in proposito S. Freud, Osservazjo11i psicoa11a/itiche su di u11 caso di paranoia (deme11tia para,roides) descritto autobiograficamente (caso c/i11ico del preside11te Scbreber), in Id., Opere cit., voi. VI.

Punto di dissolvenza dcli' Imago paterna: la guerra dei bambini

L'attenzione di Lacan verso l'Imago paterna, risale a I complessi familiari nella formazione del/'individuo 1 • Il testo è del 1938 e fu redatto per la voce La famiglia nell' Encyclopédie française. Qui gli aspetti sociali rappresentavano, in una prima formulazione, ciò che successivamente Lacan delegherà ali' Altro simbolico. Il complesso di svezzamento, ivi trattato, descrive l'emancipazione di un figlio nel passaggio dall'Imago materna alla risoluzione di un complesso di intrusione caratterizzato dal rapporto aggressivo con il simile. V Imago del padre viene considerata in questo scritto ancora perno fondamentale per la formazione dell'individuo. Jacques-Alain Miller nel suo commento ai Complessi familiari, focalizza l'attenzione sulle modalità di oggettivazione, su quelle modalità cioè che ogni soggetto ha a sua disposizione ed utilizza per allontanare da sé un godimento traumatico che tende a ripetersi in una fissazione libidica. La questione che più ci interessa qui è come l'esperienza traumatica possa per un soggetto essere fonte di conoscenza, ovvero come possa essere elaborata, immaginata, cosa possano diventare le passioni che la accompagnano coinvolgendo l'esperienza corporea prima ancora del soggetto stesso ed inoltre, in quale misura sia possibile prevenire, aiutare un soggetto a non soccombere, dietro quali strumenti egli possa eventualmente riparare e proteggersi. Ciò che più ci preme mettere a fuoco è l'incontro traumatico con il reale, esperienza refrattaria alla comprensione perché caricata di un impossibile, di un impensabile, di una forma di pensiero inconcepibile, della quale rimangono solo tratti o frammenti che vengono più volte rielaborati nel corso della vita. ' J. Lacan, I complessi familiari nella formazione dell'itulividuo, a rura di A. Di Ciaccia, trad. it. M. Daubrcsse, postfazione di J.-A. Miller, Einaudi, Torino 2.005.

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La questione teorica, relativa alla funzione paterna nella struttura soggettiva è come un asse portante che si svolge in continuità con l'eredità freudiana, rivelandosi man mano più feconda nel mettere in luce un limite strutturale dell'essere umano che ha i suoi punti fragili e di cedimento proprio in relazione al sapere. La funzione paterna venne così rimaneggiata e, nello svolgersi dei suoi seminari, fu riportata in varie revisioni sino agli anni Settanta allorché si definì la rappresentazione della struttura in modo più fluido, nell'annodamento dei tre registri e nel nodo Borromeo: reale, simbolico, immaginario, al quale si aggiunge il nodo del sintomo. Nella figura a piatto del nodo, di seguito riportato in fig. r, Lacan fornì una rappresentazione sintetica degli effetti della funzione paterna nella strutturazione del par/essere. Vi trovano posto anche la vita, la morte, il corpo e tre fondamentali forme di godimento: godimento del senso, del sapere e godimento fallico. Tra questi godimenti è collocato nell'immagine dei tre registri anche l'oggetto fallico, individuato dapprima come oggetto separatore dall'Altro, successivamente rivalutato come significante d'eccezione (qi ), che separando dal corpo il godimento omonimo (godimento fallico) lo regola.

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1.

Rappresentazione grafica dell'annodamento dei tre registri con il sintomo.

PUNTO DI DISSOLVl!NZA DELL'IMAGO PATERNA: LA GUERRA DEI BAMBINI

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Già nel testo del 1938, Lacan non aveva trascurato di ricordare che: «La tendenza alla morte, che specifica lo psichismo dell'uomo, si spiega invece in maniera soddisfacente con la concezione che sviluppiamo qui, cioè che il complesso, unità funzionale dello psichismo, non risponde a delle funzioni vitali ma all'insufficienza congenita di tali funzioni» 2 • Nel commentare questo passo, Miller metterà poi in evidenza che se è vero che ogni legame tra l'individuo e la morte è da ricondurre all'Imago materna, come l'appello alla morte che si intravede nel passaggio all'atto del suicidio, è proprio la fragilità dell'Imago paterna, il suo sbiadire sino al fallimento della funzione sublimatrice che essa dovrebbe sostenere, che lascia scivolare il soggetto verso la spinta mortifera che lo porta a rifiutare la vita, o comunque a complicarsela. All'epoca di questo testo di Lacan, siamo agli albori del Secondo conflitto mondiale. A quel tempo era già consolidato l'asse Roma Berlino e la Germania aveva già preso accordi con l'Impero del Giappone per l'alleanza anticomunista. Nel mese di settembre Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia, firmatari del trattato di Monaco, costringevano la Cecoslovacchia a cedere le principali postazioni difensive. Il clima politico era già incandescente ed intriso di morte e il testo di Lacan suonava come un appello ai padri, quasi un memento all'importanza della loro funzione nella formazione delle future generazioni. Eravamo quasi al via, l'inizio della guerra si colloca precisamente meno di un anno dopo, al tempo dell'invasione della Polonia: molti padri vennero strappati alle loro famiglie, padri giovani e meno giovani non fecero mai più ritorno, tanto che il testo sui Complessi familiari, assunse un'aura tristemente profetica. I padri non riuscirono di fatto ad evitare il peggio poiché, ricondotti ad obblighi militari o richiamati all'ordine da regimi dittatoriali, mostrarono uno specifico punto di vulnerabilità. Possiamo seguire lo sviluppo di questo concetto negli anni successivi del seminario lacaniano. Circa trenta anni dopo, Lacan in una preziosa nota scritta, facendo seguito a un intervento al Congresso della École freudienne de Paris di Michel de Certeau, gesuita membro ,. Ivi, pp. 18-19.

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della Scuola di Lacan, prendendo spunto dalla clinica della nevrosi demoniaca afferma che la possessione del Diciassettesimo secolo era da inquadrare in un certo contesto relativo al padre che concerneva aspetti della struttura più profondi. Egli scrive: Io credo che nella nostra epoca la traccia, la cicatrice dell'evaporazione del padre è quello che potremmo mettere sotto la rubrica e il titolo generale della segregazione. Noi crediamo che l'universalismo, la comunicazione della nostra civiltà omogeneizzi i rapporti tra gli uomini. Al contrario, io penso che ciò che caratterizza la nostra era - e non possiamo non accorgercene- è una segregazione ramificata3.

La società tutta, infatti, mostrava gli effetti di tale fallimento come anticipato da Lacan. Nell'affacciarsi alla nuova epoca, seguendo il filo di ciò che possiamo considerare un fallimento delle forme discorsive, Lacan tracciò questo percorso che conduceva a diverse forme della «segregazione»4. Venne in luce così una discontinuità nel discorso che si presenta come una rottura, origine di un continuo interferire con il legame sociale, una causa di incomunicabilità: «segregazione ramificata, rinforzata, che fa intersezioni a tutti i livelli e non fa che moltiplicare le barriere» s. Il conflitto mondiale elevò mura e barriere nel caos della guerra cambiando le sorti dell'umanità, delle famiglie e delle nuove generazioni. La catastrofe umanitaria procurò nella sola Europa circa tredici milioni di orfani 6• Gli studi di Anna Freud sui traumi da separazione avevano, infatti, introdotto l'idea che, oltre agli aiuti materiali, per ripartire, fosse necessario un vero e proprio piano di ricostruzione psicologica associato alla denazificazione. Un versante raccapricciante in tema di ripopolamento fu, tristemente, proprio quello dell'assegnazione della nazionalità agli orfa3 La nota scritta venne consegnata personalmente ad Antonio Di Ciac.eia con altre preziose annotazioni di Lacan (Nota sul padre e l'universalismo, «La Psicoanalisi», 33, 2003). Il riferimento a M. dc Ccrtcau è relativo al suo intervento al Congresso di Strasburgo dcll'n, 12 e 13 ottobre 1968 dal titolo Ce que Freud fait de l'histoire in cui il padre gesuita commentava il testo freudiano del 1922 Una nevrosi demoniaca 11el secolo decimosettimo, in S. Freud, Opere cit., voi. IX. 4 J. Lacan, Nota sul padre e l"u11iversalismo cit., p. 9. 5 lvi, p. 9. 6 T. Zahra, I figli perduti, Feltri ne lii, Milano 201 2.

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ni di guerra ed ai bambini sopravvissuti alla Shoah. L'immaginario postbellico fu così specificamente segnato da conflitti tra famiglie, Paesi e movimenti politici per l'affidamento dei piccoli, di cui si trova traccia negli archivi di Stato ove furono raccolti i vari casi di contestazione legale e di contese internazionali che impedirono quasi sempre l'assegnazione dei piccoli?. Si trattava di un'anticipazione di un fenomeno mai più scomparso, ripresentatosi poi negli anni, ricomparso durante altre ricostruzioni, dopo altre guerre, dopo la Seconda guerra mondiale ma non solo, anche durante le migrazioni o durante i tanti genocidi: curdi, ceceni, palestinesi, siriani, afghani, tutsi in Ruanda, in Ucraina. In ogni guerra, il senso di appartenenza al mondo e all'umanità viene sconvolto anche se il conflitto punterebbe ad un rinnovamento che dovrà poi trasmettere nuovi valori nel passaggio di testimone alle generazioni successive, una trasformazione della cultura e degli ideali, un nuovo equilibrio tra nuovi credo e nuove colpe. Con l'affermazione «l'inconscio è la politica» 8 , tutti gli eventi storici prendono consistenza e passano al vaglio della psicoanalisi, superando il concetto tradizionale di storia e spostando il filtro dell'osservazione oltre le teorie di Marx ed Hegel, attestando dell'emergenza di un reale che soggiace alla narrazione dei fatti, mettendo in opera un interdetto da cui residua qualcosa di velato, articolato ad aspetti fantasmatici privati messi al servizio dell'io e del pensiero comune. Lacan afferma che il soggetto scompare dietro le quinte delle proprie pulsioni e che questo ha la sua incidenza sulla questione del senso. Afferma di poter esser certo di dare qualsiasi senso a qualsiasi parola se lo si lascia parlare abbastanza a lungo, alludendo alla centralità della parola in psicoanalisi e al suo incerto rapporto con la verità. Miller aggiungerà che la pulsione parla rispondendo di un suo ordine grammaticale ed insiste poiché è dotata di una sua memoria che rimane l'origine dell'ordine simbolico stesso9. 7 Celebre il caso dei fratelli Fmaly, ebrei austriaci confinati in Francia, adottati da madre francese e rivendicati in Palestina. 8 L'enunciato di Lacan, citato da Miller ( «La Psicoanalisi», 33 cit., p. 135) è: «Non dico nemmeno la politica è l'inconscio». Tale enunciato viene ripreso, chiarito cd argomentato da Miller alla luce di una propria riflessione in cui dice di poter affermare: «La politica è l'inconscio». 9 J.-A. Miller, A. Di Ciaccia, L'Uno-Tutto-Solo, Astrolabio, Roma 2018, p. 61.

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Se la memoria resta al servizio della pulsione quindi, ed ha i suoi algoritmi dettati da un godimento distruttivo, si tratta di prendere atto del disancoraggio della storia dall'obiettività e dalla verità, poiché l'ordine simbolico, la narrazione, nasce da una necessaria dissimulazione che lo rende funzionale alla necessità di preservare il legame sociale mentre affonda le radici nel godimento, mentre cioè fatti inenarrabili vengono trasmessi alle generazioni future in versione sublimata, come si farebbe con un credo mitico che si può meglio condividere. Ricordiamo, per antonomasia, il discorso del presidente Weizsacker ai tedeschi in occasione dei quarant'anni dalla fine della Seconda guerra: «cercare di dimenticare rende l'esilio più lungo; il segreto della redenzione risiede nella memoria». 10 L'esilio di un popolo dalle proprie colpe equivale alla sua redenzione da una colpa negata. Il rimosso, per definizione, non ha radice nella memoria e non riesce a mettersi sotto il significante mentre resta più saldamente ancorato all'immagine, indelebile, come traccia residua di un rapporto incosciente che il soggetto costruisce con un luogo nascosto e sepolto nel silenzio di qualche lontana esperienza (Antelme). Freud aveva distinto tre tipi di affetto che si accompagnano a questo godimento silenzioso: affetto di divisione, affetto malinconico, affetto di rancore. Sono questi che, fissando il godimento colpevole, ne costruiscono come un prolungamento sintomatico nelle generazioni successive. Il sintomo è in diretta connessione con il problema della trasmissione ed il funzionamento della metafora paterna come una sorta di eredità in successione che si trasmette dal padre al figlio, oltre la genetica e oltre la biologia. Assistiamo così ad una ripetizione specifica dei traumi di guerra, indelebili, e alla persistenza di quell'effetto fuori-senso che segna i corpi con la cicatrice dell'evaporazione della funzione regolatrice della metafora patema, una trasmissione silenziosa quindi che mette allo scoperto il fallimento della sua funzione per esporne il versante più oscuro, talvolta di canaglia, come un punto originario al quale solo un percorso analitico può ricondurre con un vero e proprio effetto di rettifica. 10 R. Wci1.siicker, presidente della Germania ovest, Discorso in occasione dei quarant' anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, disponibile online (https://mokcd.it/ blog/2015/o:z/01/richard-von-weizsacker-1920-20151).

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Non meravigli, dunque, che l'atteggiamento politico del discorso sull'Olocausto, al fine di scongiurare una ripetizione storica, si sia orientato su due versanti: da un lato verso la trasmissione e la riproposizione nella memoria, dall'altro verso la negazione, defilandosi in ogni caso, generalmente, dall'ammissione e dal riconoscimento delle colpe singolari. L'interrogativo di come si sia potuto consentire l'orrore rimase sempre senza risposta mentre, dopo la guerra, si sviluppò in una ostentazione del far sapere, del mostrare, attraverso un'aperta denuncia o la meticolosa ricerca della documentazione, per mettere allo scoperto ciò che una volta occultato sarebbe stato per sempre affidato all'indicibile della memoria. Furono allestite così vere e proprie vetrine dell'orrore, ove si mostrava tutto ciò che rimaneva, un enorme museo di resti ove si potevano trovare testimonianze di ogni tipo: i violini, le scarpe, le valigie, dai tatuaggi delle cifre stampate sui corpi al racconto dei superstiti alle generazioni future, ai diari dei sacrificati, agli oggetti rubati, finanche a documenti apparentemente insignificanti perché molto, troppo personali, ultimi, unici, poveri resti che potevano ancora dare una consistenza al reale della storia. L'umanità, posta di fronte a un senso di colpa mai abbastanza espiato, ne assunse il ricordo incancellabile anche nella cultura, nell'arte, nelle intenzioni singolari o direttamente nell'espiazione di quanti a quell'orrore avevano in qualche modo partecipato, come persecutori o come vittime, affidando ai sopravvissuti il compito di sopravvivere come meglio si poteva. Paradossalmente proprio i maggiori criminali di guerra si assolsero promuovendo l'immagine ideale dell'onesto lavoratore al servizio di obblighi verso la Patria. Ammisero, questi, di non sapere cosa stesse accadendo nella macchina del potere, né cosa stessero effettivamente facendo, affermando di essere semplicemente pronti a rispondere sempre ad ordini superiori, confermando così di essere delle parti, dei piccoli pezzi di un ingranaggio infernale. Più o meno femminilizzati quindi, o assenti o ancora, in quanto meri esecutori di leggi assolute che dovevano essere rispettate sino al parossismo, in molti casi questi padri furono ovviamente spinti al suicidio, ma era la funzione paterna che effettivamente volgeva al suo declino.

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Lacan, lucidamente, aveva collegato l'aspetto "enunciativo" della pulsione al problema etico, riconoscendo alla prima una autonoma dimensione storica che risultava dall'insistenza invariabile di quella memoria. Marie-Hélène Brousse ha recentemente attribuito alla psicoanalisi il valore di una esperienza comunque sovversiva 11, poiché punta all'attraversamento dello schermo immaginario garantito dal discorso comune verso un nuovo annodamento tra reale, simbolico ed immaginario, comportando la costruzione di sintomi singolari, peculiari, finalizzati ad acconsentire alla vita dopo l'attraversamento della morte e del peggio. La psicoanalisi però non ebbe né un felice sviluppo né vasta applicazione in Germania dopo la Seconda guerra, non solo per l'ampia rappresentanza di psicoanalisti di origine ebraica che durante il conflitto furono gravemente colpiti dalle persecuzioni, ma per le difficoltà generate dall'impatto con la colpa, intensa quanto generalizzata specialmente dopo la guerra, per l'impossibilità ad accogliere questi aspetti di responsabilità soggettiva che, riemersi nelle nuove generazioni, misero ogni soggetto di fronte alla questione di una propria causa o alla responsabilità personale, ricondotta appunto a quel godimento fuori legge che distrugge e genera. Ogni cura psicoanalitica, d'altronde, punta a circoscrivere il reale che emerge dall'attraversamento dell'angoscia ed esige l'attraversamento di quel punto di dissolvenza del velo fantasmatico che conduce oltre le identificazioni fondamentali, costruisce sintomi nuovi, talvolta silenziosi ma che acquisiscono sempre più consistenza come eventi corporei. Come vedremo di seguito, tre figlie amate e vezzeggiate diventarono il manifesto vivente di quel lato oscuro dei padri, rappresentandone una loro volontà, dimostrando che una scelta per quanto singolare era anche una rivendicazione e riproposizione del prolungamento narcisistico dei sintomi patemi. In Dovstoevskij e il parricidio, Freud, nel 1927, aveva messo in relazione il senso di colpa e l'angoscia di morte con la relazione ambivalente che il figlio maschio intrattiene con il padre, figura amata 11 M.-H. Brousse, Guerre se11za limite. Psicoa11alisi, trauma, legame sociale, Rosenberg & Sellier, Torino 2017.

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e temuta al tempo stesso, fonte di sentimenti di odio e di amore, affermando: Di regola è presente in lui oltre all'odio che vorrebbe eliminare il padre in quanto rivale, una certa dose di tenerezza. Entrambi questi atteggiamenti convergono nell'identificazione al padre: si vorrebbe essere al posto del padre perché lo si ammira e perché si vorrebbe essere come lui, ma anche perché lo si vorrebbe togliere di me1.zo. Ora, tutta questa evoluzione, cozza contro un potente ostacolo. A un certo punto il bambino impara a capire che il tentativo di eliminare il padre in quanto rivale sarebbe punito da quest'ultimo con l'evirazione. Per paura dell'evirazione, ossia nell'interesse della conservazione della propria virilità, il bambino rinuncia a possedere la madre e di togliere di mezzo il padre. Fin da quando questo desiderio è conservato nell'inconscio, esso costituisce il senso di colpa [... ] Un'ulteriore complicazione subentra allorché quel fattore costituzionale che chiamiamo bisessualità si è andato definendo più nettamente nel bambino. In questo caso la minaccia alla sua virilità rappresentata dall'evirazione forza in lui la tenden1.a a divergere in direzione della femminilità, a porsi piuttosto nella posizione della madre e ad assumere il suo ruolo di oggetto d'amore agli occhi del padre 1 2..

Il concetto di ambivalenza nei confronti del padre, che era stato centrale anche nel caso del presidente Schreber, lasciava emergere il doppio riferimento della struttura soggettiva: al padre e al fallo. Così l'articolazione tra funzione paterna ed oggetto fallico, anche per Lacan, dominò prima la scena nel Seminario IV (1956-1957)13 dedicato alla relazione d'oggetto e poi nel Seminario X (19621963)14 dedicato all'angoscia. Illuminata dalla particolare relazione all'oggetto per quanto concerne il versante della femminilità, la funzione paterna nel rapporto con le figlie focalizzava l'accento sulla possibilità da parte di queste ultime di non far riferimento solo o del tutto al significante fallico (cioè agli effetti della castrazione), ma di utilizzarlo in qualche modo facendone un vessillo non rinunciando però per questo ad un riscatto particolare di un godimento specifico, che le rende donne a prescindere dall'anatomia. Questo fallo, bizzarro ed estraneo oggetto che separa dal corpo il godimento, che scompare e ricompare in tanti sostituti anche nel corpo femminile, reinventato di volta in volta come posticcio o feticcio, 11

S. Freud, Dovstoevskij e il parricidio, in Id., Opere cit., voi. X, pp. 52.7-52.8.

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J. Lacan, Il seminario. Libro N. La re/azio11e d"oggetto cit.

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Id., Il seminario. Libro X. L'a11goscia cit.

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oltre a rendere le donne più esposte all'angoscia, pur risparmiando loro la paura dell'evirazione, le spinge verso l'invidia. Proprio questo oggetto le consacra così di fatto ad un godimento altro, muto, silenzioso, dal quale difficilmente si separano, ad un godimento senza fallo o non tutto sotto il dominio del fallo, in parte senza limite, diretto e misterioso, che si prova senza far ricorso ad alcun velo fantasmatico ma del quale, pur provandolo, le donne stesse non sanno dire.

La psicoanalisi in Germania tra il 1933 ed il 1945, la rettifica di Jacques Lacan

Le preoccupazioni di Freud in merito ad una possibile svolta an-

tisemita che avrebbe decretato la fine della psicoanalisi in Germania ed in Austria, aumentarono a partire dal 1930. La sua apprensione diventò piuttosto un pericolo concreto in seguito alla decisione di nominare Cancelliere del Reich, il 30 gennaio del 1933, Adolf Hitler, già leader del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori 1 • Hiltler non aveva alcuna idea dello Stato ma certamente aveva una chiara volontà, già all'epoca, di migliorare la posizione della razza ariana e la questione ebraica aveva già preso forma nel 1924 con la pubblicazione del Mein Kampf. Il nazismo rappresentava una specifica formulazione del discorso capitalistico, sotto le vesti di una particolare potenza seduttiva che aveva attratto diversi interessi economici delle classi dominanti, tanto che la sua investitura non apparve ai più fautrice di cambiamento, quanto piuttosto di consolidamento. Quando Wilhelm Reich pubblicò nel 1933 il suo saggio sulla psicologia delle masseJ, sotto il dominio fascista, egli finì col focalizzare l'attenzione più sugli aspetti demagogici che su quelli strutturali. Anche le idee antisemite non furono una originale invenzione del partito nazista, ma erano apparse già in alcune tesi ufficiali delle forze conservative ai tempi della Repubblica di Weimar. ' L. Sokolowsky, Psycboa,ialysis under Nazi Occupatio11, Routlcdgc, London 2022.

A. Hitler, Mein Kampf, Max Amano, Bcrlin 1925. W. Rcich, Die Masse,,psycbo/ogie des Fascbismus, Kicpcnhcucr & Witsch, Koln 1986; Psicologia di massa del fascismo, con un saggio di Adriano Zampcrini, trad. it. A. Wolf e F. Bclfiorc, Einaudi, Torino 2009. 2

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Fino al 1934, la psicoanalisi era stata una delle istituzioni di pubblica utilità più solide nel panorama della cultura mitteleuropea e, Sigmund Freud, per questo motivo, aveva ben presto percepito il pericolo dell'ondata antisemita, visto che gran parte degli psicoanalisti all'opera era di provenienza ebraica e che le radici intime dell'insegnamento non si separavano facilmente dalla cultura e dalle tradizioni originarie del fondatore. Si convinse così che la psicoanalisi non sarebbe stata risparmiata dall'ondata restauratrice del potere della razza ariana ed ebbe subito un chiaro e amaro presentimento del disastro che stava per incombere e concluse: «Il mondo sta per diventare una enorme prigione. La Germania è la sua peggiore cella. Ciò che accadrà in Austria è ancora incerto. Io prevedo sorprese paradossali per quanto riguarda la Germania»4. L'annessione dell'Austria alla Germania del 1938 lo persuase a lasciare la sua casa di Vienna per trasferirsi a Londra, durante la stesura dell'Uomo Mosè e la religione monoteistica. Cercò lì di individuare alcune ragioni dell'antisemitismo che ricavò dal tentativo di comprendere le psicologie delle masse e focalizzò l'attenzione su tre punti: - La gelosia verso il popolo considerato eletto; - La circoncisione che rappresentava un esplicito riferimento all'accettazione della castrazione, dunque la sottomissione alla legge; - Il fatto che l'antisemitismo, in definitiva, rappresentava la punta estrema di un anticristianesimo che proveniva prevalentemente dalle derivazioni protestanti. Lucidamente Freud affermò che nutrire la speranza del ritorno di un Padre buono, dopo l'uccisione del padre totemico, aveva esposto le masse ad una peculiare fragilità su cui la demagogia hitleriana aveva avuto troppo facilmente ragione. Anticipò inoltre che l'ondata di panico che si era diffusa a Vienna avrebbe interessato di lì a poco anche Berlino, e aveva intuito che la sua dipartita da Vienna avrebbe comportato serie difficoltà, principalmente per i colleghi tedeschi e austriaci. Dal 1930 l'Istituto di Berlino aveva formato decine e decine di psicoanalisti che si erano installati in diverse parti del mondo. Il regime nazionalsocialista era stato battezzato, tra l'altro, in una strana • S. Freud, Lettera del 1 o giug,,o 1933 a Marie B011aparte, in E. Joncs, The Ufe and Work of Sigmu11d Freud, 3 voli., Tue Hogarth Prcss, London 1957, voi. III, p. 194; Vita e opere di Sigmu11d Freud, cit., p. 194.

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atmosfera di scientificità, come già detto, grazie alle idee di derivazione darwiniana che avevano autorizzato un rinforzo del concetto di razza. Perciò, Freud, sapeva bene che questa atmosfera culturale si sarebbe presto scontrata con la psicoanalisi che rappresentava un fronte scientifico decisamente alternativo. Nonostante questa atmosfera, stranamente, l'Istituto di Psicoanalisi di Berlino mantenne gli standard in modo eccellente e, mentre gran parte degli analisti ebrei furono costretti all'espatrio, progressivamente vennero immessi nell'Istituto una quantità di docenti con indiscussa patente ariana. Man mano che avanzava il cambiamento, grazie agli effetti terapeutici della pratica analitica, venne poi acquisito il termine di psicoterapia, che con il tempo fu preferito a quello di psicoanalisi. Nell'aprile del 1933 Kretschmer rassegnò le dimissioni dalla posizione di presidente della Società di Psicoterapia Medica della quale Jung era stato vicepresidente dal 1930. Dopo di lui fu scelto come presidente Matthias Goring, appartenente ad una famiglia importante e in vista della Westphalia, il cui cugino Hermann Goring era un personaggio molto quotato nel terzo Reich per le sue qualità politiche. Questa famiglia, all'epoca, avendo l'onore di ricevere anche gli appoggi del Primo ministro della Cultura e dell'Educazione, fu di grande aiuto e sostenne nella sua scalata sociale Matthias Goring, che raggiunse rapidamente fama e prestigio permettendo un rafforzamento della società di psicoanalisi mentre, purtroppo, ne veniva snaturata la clinica nella pratica e nei suoi scopi. Nell'autunno del 1933 vi fu una prima scissione in due diversi rami delle associazioni di psicoterapia: una fu diretta da Goring, l'altra da Jung. La prima potette godere di appoggi politici e finanziamenti e prosperò notevolmente in poco tempo, fino a creare un nuovo istituto per la ricerca psicoterapeutica che raccolse gli psicoanalisti di razza ariana intorno all'insegna "Goring Institute". Fu Anna Freud, nel 1936, ad evidenziare ad Ernestjones che non sarebbe stato possibile mantenere a lungo posizioni di libertà e di indipendenza, intuendo che la situazione politica sarebbe a breve precipitata. Felix Boehm, tenace e caparbio, spinse in direzione di una ulteriore permanenza per poi far confluire tutti, nel momento in cui sorsero difficoltà, nel "Goring Institute", senza che trovassero ostacolo alcuno.

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Jones fu invece molto criticato nel corso di una visita a Berlino durante la quale, Nic Hoel, dovette fargli presente che non era pensabile che nella Germania nazista venissero tollerate autonomia di scienza e di pensiero, tanto meno alla società psicoanalitica creata da Sigmund Freud. Di lì a poco furono infatti arrestati dalla Gestapo sia Otto Feniche] che Edith Jacobson. Jones, avendo notato che Boehm diventava progressivamente più ansioso, arrivò a pensare che avrebbe dovuto sospendere le sue terapie e nel novembre 1935 cominciò a valutare la possibilità di chiudere l'Istituto di Berlino. Nel mese di dicembre si discusse dell'argomento, ma pochi si schierarono con Jones, la cui posizione decisamente minoritaria fu ritenuta una conferma che la psicoanalisi fosse presa in una deriva ideologica senza troppe vie d'uscita. Il 2 dicembre, in una lettera ad Anna Freud, infatti Jones comunicò che la sua missione berlinese era fallita e che aveva dovuto scontrarsi con la proverbiale capacità di rassegnazione dei colleghi ebrei. La figura di Boehm, in tutta la sua ambiguità, mescolata con la sua forza di convincimento e la sua ostinazione, finì con lo spingere diversi colleghi e autorevoli membri della società psicoanalitica di Berlino ad una ostinazione che, ben presto, masochisticamente, esitò nel loro arresto. Il 12 settembre 1936, la Quarta Divisione Criminale della Corte d'Appello di Berlino sentenziò l'arresto di Edith Jacobson condannandola a due anni e mezzo di prigionia e alla perdita dei diritti sociali. Edith fu la prima di una lunga lista di psicoanalisti. Inutile aggiungere che questo evento rappresentò l'inizio della fine dell'esperienza psicoanalitica in Germania. L'annientamento scientifico da parte dell'apparato di tutti i potenziali oppositori al regime iniziò proprio da lì, forse colpì la psicoanalisi per le sue radici ebraiche, o forse per ciò che aveva rappresentato come istituzione politica di grande utilità sociale o come alternativa all'assolutismo sempre più imperante, certo, era stata colpita duramente senza che nessuno potesse avere la forza di frenare tale repressione. Sigmund Freud si era occupato di queste riflessioni a partire dal 1910, dopo il congresso di Norimberga e procedette nel proprio approfondimento sulle nevrosi narcisistiche per il resto dei suoi giorni,

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quasi come se attraverso lo studio della clinica avesse pensato di poter acquisire strumenti per opporsi a quel delirio politico. Dalla clinica delle psicosi, che era parsa a Freud un punto limite oltre il quale la psicoanalisi non avrebbe mai potuto procedere, ripartì invece Lacan nel 1932, con la sua tesi di laureas, mentre Freud scriveva i suoi ultimi testi, mostrandosi molto sensibile al dibattito che interessava il discorso scientifico e psicoanalitico intorno alla psicosi. La disfatta politica della psicoanalisi, e la ritirata di fronte alle psiconevrosi narcisistiche, aveva toccato così un nucleo tematico e problematico che Freud aveva apertamente riconosciuto e sottolineato definendolo come scoglio e limite di ogni possibile trattamento, per la sua difficile presa nel discorso. Il punto limite della psicosi forniva, per contro, ad un giovane ed appassionato Lacan, un esempio clinico della questione paterna presa nel suo punto di fallimento estremo, di funzione problematica dalla quale erano scaturiti diversi punti di vista che si sventagliarono nelle varie posizioni teoriche circa la relazione oggettuale, tanto da spingerlo a fare nuova luce sulle difficili tematiche della coesione sociale, della libertà e delle spinte aggressive, molto implicate nel delirio paranoico. La psicosi del presidente Schreber metteva in evidenza anche i concetti centrali per l'acquisizione delle regole societarie, della legge, dell'espiazione della colpa, dell'identificazione soggettiva e del legame sociale. Se la Prima guerra mondiale aveva già mostrato la scarsa tenuta della funzione paterna di fronte alla pulsione di morte che serpeggiando avanzava in Europa silenziosamente, la questione del Capo caratterizzò la comunità psicoanalitica in modo peculiare durante la Seconda guerra mondiale, superando i confini del collettivo psicoanalitico, aveva interessato i governi e le nazioni, fino a trovare espressione nella sua forma più degradante, in un catastrofico cedimento dell'umanità verso la sregolatezza che, del potere, mostrava proprio il volto più paranoico, cinico e sprezzante, nella morale, nei costumi, nei modi del vivere quotidiano. Le riflessioni sul padre della psicoanalisi anticipavano e riflettevano contenuti generali che andavano ben al di là della società psicoanalitica, verso quella oscurità che dimostrava, come Freud aveva s J. Lacan, Della psicosi para11oica 11ei suoi rapporti con la perso11alità, a cura di G.B. Contri, trad. it G. Ripa di Meana, Einaudi, Torino 1980.

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presagito, che la civiltà non tutela dalla distruzione e che nessuna funzione paterna può arginare la guerra, ma anzi, che essa stessa la produce proprio nel tentativo di governarla. La scissione tra singoli e società appariva come uno specifico disagio che si esprimeva come dualità di due forze distinte: quelle del processo evolutivo del singolo e quelle che convengono invece nell'incivilimento verso il mercato, esplicito effetto e riferimento del discorso comune. Le tracce traumatiche comparvero nei racconti degli analizzanti come ferite irrisolte e punti ciechi di immagini indelebili che in silenzio mostravano effetti di guerra, razzismo o persecuzione, conseguenze dell'accentramento progressivo di significanti padroni isolati e disarticolati dal senso comune. Lacan affronterà il tema dell'eredità freudiana dopo la Seconda guerra mondiale, assumendone conseguenze e sviluppi, nello scritto: Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento delle psicosi6, spingendo al di là del padre e della psicosi quelle riflessioni che, a partire dal mito freudiano di Totem e tabù, coglieranno in pieno la necessità di considerare che per l'umanità e per la società intera stava per compiersi una svolta epocale. Lacan sostenne così un nuovo tipo di legame sociale, anche per la sua Scuola, individuando nello Stordito7 la problematicità del gruppo nella psicoanalisi. Vi possiamo leggere il suo desiderio di un legame speciale quando dice: «sbarazzato di qualsiasi necessità di gruppo [... ] dirò che misuro l'effetto di gruppo sull'oscenità immaginaria che esso aggiunge all'effetto di discorso» 8• Nel 1936 aveva scritto Nota sulla relazione di Daniel wgache. Psicoanalisi e struttura della persona/i-tà9, dopo aver assistito ad una parata nazista dei Giochi olimpici a Berlino, i cui dati di archivio sono giunti fino a noi attraverso la documentazione della regista del Fiihrer, Leni Riefenstahl, compagna e musa ispiratrice di Hans Erti. 10 6 Id., Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento de/le psicosi, in Scritti, voli., Einaudi, Torino 1974, voi. Il. 7 Id., Lo stordito, in Id., Altri scritti, testi riuniti da J.-A. Millcr, a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2.013, p. 445. s Ivi. p. 472.. 9 J. Lacan, Nota sulla relazione di Daniel Lagache. Psicoanalisi e struttura della personalità cit. 0 ' Vedi infra la storia di Monika Erti.

2.

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Nel 1947, dopo aver concluso una sua esperienza clinica condotta con Bion in Inghilterra su gruppi di traumatizzati dalla guerra e militari reduci, scrisse La psichiatria inglese e la guerra11 , rendendosi conto che la psicoanalisi avrebbe potuto offrire al mondo la possibilità di costituirsi come una base operativa contro il disagio della civiltà, in definitiva contro il nazismo, che ne rappresentava la forma assoluta del momento. La sua teoria sui gruppi emergeva così nelle sue linee generali già nel 1967 quando affermava che un analista si autorizza da sé. 12 Dichiarazione alla quale nel 1974 aggiunse che era necessario che vi fosse, con il singolo analista, qualcun altro, evocando in questo modo un'idea di scuola. Un analista si autorizza da sé quando riesce ad essere l'oggetto a piccolo per un altro, quando cioè riesce ad affrontare il morso della pulsione, poiché, avendo fatto un'analisi, può praticare e rimanere al posto giusto. Si tratta di trovare nella Scuola alla quale appartiene una posizione di garanzia che, in definitiva, rispetto all'istanza comune lascia ogni analista nella posizione di analizzante. Lacan riconobbe nella morte del padre mitico la condizione necessaria per fare di questa morte la possibilità di elevare a nuovo ordine simbolico la questione paterna, cogliendone esplicitamente dei riferimenti a Dio padre, poiché proprio nell'assolutismo imperante e nelle sfumature religiose appariva ormai il motivo di una guerra che, confondendone le ragioni, scivolava verso la confusione del delirio trasformando le finalità di ciò che avrebbe dovuto essere invece il pilastro a sostegno di una cultura dell'umanità: Ancor più a fondo, la relazione del padre con la legge, va considerata in se stessa: si troverà così la ragione del paradosso per cui gli effetti devastanti della figura paterna si osservano con maggiore frequenza nei casi in cui il padre ha realmente la funzione di legislatore o se ne vale, che egli sia effettivamente di quelli che fanno le leggi o che si ponga come pilastro della fede, come pietra di paragone dell'integrità o qualsiasi oggetto di devozione, come uomo di virtù o come virtuoso, come servitore di un'opera di salvezza, o mancanza di oggetto le si convenga, di nazione o di nazionalità, di salvaguardia o di salubrità, di legato e di legalità, del puro, del pire o dell'Empire 11 J. Lacan, La psichiatria inglese e la guerra, in Id., Altri scritti cit., pp. 101-125. "· A. Di Ciaccia, Un analista si autorizza da sé, 5 settembre 2018, disponibile online (www.psychiatryonline.it/node/7614).

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[... ]. Non occorre tanto per ottenere questo risultato, e nessuno di coloro che pratica l'analisi dei bambini negherà che essi percepiscono la menzogna della condotta sino alla devastazione'3.

Di fronte al nuovo Impero 14 , dopo la Seconda guerra, un Lacan ancora giovane, al quale toccò un posto non di Padre ma di eretico nella società psicoanalitica, cercò di riprendere il filo rosso dell'insegnamento freudiano per riportarlo al suo rovescio, scoprendo che anche in psicoanalisi si doveva correre il rischio di essere non amati, che proprio questo rischio non poteva essere evitato se si vuole tentare un rovesciamento dei principi. Nel Rovescio della psicoana/isi1 5, tra il 1969 e 1970, intuendo che la scoperta e la difesa del luogo dell'inconscio fosse una indicazione su come procedere nella comunità tutta e nella comunità psicoanalitica in primis, cominciò ad elaborare la teoria dei quattro discorsi, ai quali ne aggiunse un quinto, il discorso del capitalismo, arrivato sino a noi per consentire oggi l'affermazione che «l'Inconscio è la politica» 16• Non si trattava solo di un tema politico, ma della costruzione di un sistema logico che inquadrasse la psicoanalisi nella struttura più appropriata al suo funzionamento, la sua pratica e il desiderio dell'analista, in una possibile costituzione di scuola. Lacan si chiedeva: potranno mai gli psicoanalisti costituire un collettivo? Con Lo stordito, egli attribuì ad ogni analista una responsabilità singolare, affermando con decisione che tra collettivo e psicoanalisi non esistono punti in comune. Da lì considerò gli aspetti collettivi certamente importanti nella struttura, collocandoli in una dimensione immaginaria nella quale il ruolo della fascinazione assume un suo rilievo centrale, in simmetria, aura in cui il discorso dell'analista inserisce una differenza, una dissimmetria più che una uguaglianza, mettendo al lavoro la divisione tra due significanti distinti: S1 ed S2 • La psicoanalisi era sul punto di ridefinire di che stoffa fosse fatto il sapere, denunciava la vera natura del progresso scientifico, la 13 J. Lacan, U11a questio11e preliminare ad og11i possibile trattamento delle psicosi cit., pp. 575-576. 1• M. Hardt e A. Negri hanno trattato l'argomento del nuovo ordine della globalizzazione in Impero, Rizzoli, Milano 2001. 1 s J. Lacan, li semitlllrio. Libro XVII. Il rovesdo della psicoa11alisi cit. 16 Dobbiamo a J.-A. Miller il reperimento e il rilancio di questa espressione come svilupperemo oltre nel testo.

LA PSICOANALISI IN GERMANIA TRA IL

1933

l!D IL

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misura del luogo della verità e della finzione per ogni singolo essere parlante, insomma, ribaltando molti punti di vista considerati sino ad allora come assodati e imprescindibili, poteva ora puntare il dito sull'accaduto, estendendo la struttura di discorso dalla parola singolare alla narrazione degli eventi, ma non poteva non considerare il limite della parola. Chiesa ed Esercito, le due grandi istituzioni umane universali, al contrario, si ispiravano all'istituto collettivo come ad un continuum tra questi due diversi aspetti dell'ordine simbolico, chiudendo il Sapere nella dimensione di un assoluto, in ogni caso avulso dal reale, appoggiandosi a un assetto teorico, mai in grado di toccarlo e dunque incapace di incidere, di cambiarlo, dimostrando ulteriormente che del reale si può fare esperienza solo in solitudine, perché divide e separa l'umana esperienza riconducendola ad una dimensione solitaria dalla quale la singolarità può essere estratta e recuperata talvolta parlandone, ma solo nella contingenza, nell'amore o attraverso la messa in gioco di una pratica specifica, attraverso appunto la prassi dell'analista, che del reale si fa sembiante poiché gli tocca di essere alla fine rigettato, lasciato, quando si giunge al termine della cura. Questo sembiante del reale che l'analista è nella cura, anche se per un tratto, accanto a questa costruzione logica, trova appoggio sull'oggetto a piccolo, oggetto che ha una funzione logica per Lacan, diverso dall'oggetto dei postfreudiani. L'intuizione di questa funzione, in sintesi, modificherà il concetto stesso di oggettualità nella scansione temporale della cura, spingendo progressivamente l'oggetto fuori dall'immaginario per riconoscergli valore simbolico, di pura perdita e mancanza incarnata. Tale strumento, logico operativo, si rivelerà indispensabile per estrarre dall'esperienza umana solitaria una singolarità poi continuamente ritagliata all'interno dei gruppi. Il gruppo, così, possiamo dire con Lacan, oscillerà tra il reale come impossibile e l'illusione immaginaria, assumendo quest'ultima una sua funzione delicatissima di fusione, di coesione, mentre conferisce la caratteristica di una peculiare fragilità al legame sociale. Il simbolico, tra questi due registri, richiama ancora il discorso, che costituisce una più solida forma di legame - dirà Lacan - rivelandosi paradossalmente più proteso a ritagliare in una posizione ester-

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na alla produzione proprio la verità che rimane privata, singolare, inconscia, portando così allo scoperto il nocciolo dell'insegnamento freudiano che, come mostra la pratica clinica, rimane fondato sull'elaborazione dell'identità mentre l'essere risulta sospeso nell'incertezza, tra amore e morte.

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SINTOMO COME RISPOSTA

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Per la diagnosi di perversione, quindi, con Lacan possiamo individuare i seguenti punti di repere importanti: - Una questione inconscia è formulata nell'ordine simbolico ma viene proiettata narcisisticamente e regressivamente nell'Immaginario; - Una fissazione Immaginaria è al cuore del gioco metonimico che si esprime attraverso il passaggio all'atto; - Una fissità della posizione edipica definisce un legame passionale al padre dal quale la fanciulla non riesce a separarsi. Nella perversione il sintomo, quindi, rappresenta non una domanda, ma una risposta alla domanda pulsionale che proviene dall'Altro paterno, nella nevrosi, al contrario, abbiamo una domanda che si esprime metaforicamente nel sintomo; ne deriva, di conseguenza, una diversa regolazione dell'ordine simbolico che nella perversione dimostra la mancata risoluzione dell'uscita dal complesso edipico, una mancata separazione da un legame passionale, giocato a due con il padre. Per quanto riguarda il "caso di Dora "2., Freud aveva motivato la sua interpretazione a partire da una idea del fallo immaginario paterno come condensatore delle attenzioni della figlia attribuendo un valore alla potenza del padre, nel "caso della giovane omosessuale" parimenti, il fallo immaginario interviene ma nelle sembianze del bambino, del dono che ella avrebbe voluto dal padre. Si verifica così, per la seconda adolescente, una sorta di braccio di ferro con il padre che vede su due livelli alternativi il fallo e l'amore, dove la via di uscita comporta la rinuncia al fallo per ottenere, al contrario, l'amore paterno. La ragazza rivela di volersi prendere gioco del padre, lo provoca, gli dimostra che l'amore ha bisogno di rinunzie sistematiche se è amore assoluto, come dimostra di saper fare lei che si dedica alla dama mettendosi nella posizione di un cavalier servente, di chi poco spera e nulla chiede, perché le sue attese erano tutte rivolte verso il padre e, in fondo, si tratta di un ripiego provocatorio. Il fallo non ha solo valenza immaginaria, ma principalmente ha valenza simbolica. In questo caso, per Lacan, nomina qualche cosa, proprio per definire questo "niente" inserito nel posto dell'amore. Il dono man1 S. Freud, Frammento di un'analisi di isteria (caso clinico di Dora), in Id., Opere cit., voi. IV.

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cato istituisce il fallo simbolico ricavandolo dal fallo immaginario, riscoperto nella sua capacità di essere il significante della mancanza dell'Altro, della mancanza di padre, chiamato a significare la passione che la divora, sebbene questa sia insensata e fuori-senso. Il padre della giovane omosessuale è, nella sua funzione, un padre molto diverso dal padre di Dora, come diverso è il sentimento della figlia verso di lui. Mentre Dora sposta l'attenzione verso altre figure maschili, qui egli resta il suo oggetto d'amore e lei ama la dama in modo esemplare, come avrebbe dovuto, a suo avviso, fare suo padre con lei. C'è un vantaggio regressivo, inoltre, nel sintomo ed è quello di avere una figura materna nuova tutta per lei, un sostituto all'amore mancato del padre, che istituisce un transfert non sull'analista Freud, ma fuori analisi attraverso l'amore incondizionato rivolto verso qell' Altro che la dama è. Infine, tutto procede verso una teatralizzazione della scena, che continua in una sua fissità, inalterata, sino a quando la ragazza non incrocia lo sguardo di raccapriccio del padre. Si evidenzia, nei diversi momenti, una sostanziale differenza tra acting out e passaggio all'atto. Abbiamo, infatti, nella prima fase un acting out, indirizzato all' Altro ed attuato sulla prima scena che possiamo chiamare "la scena dell'Amore assoluto". Successivamente abbiamo invece un passaggio all'atto, che si attua sulla "scena della rottura con l'Altro" mettendo in opera una rottura del codice ed un intervento camuffato della catena simbolica attuando così il precipitarsi giù, lo scadere. Il passaggio all'atto costituisce di fatto un'uscita da una scena insopportabile, dove il suicidio è in realtà un preciso desiderio di morte rivolto verso il padre, ma si ribalta evidentemente verso il soggetto per i sensi di colpa che la giovane ne ricava. Il significante Niederkommen, che compare nella descrizione del caso, è linguisticamente un tratto metonimico che offre una chiave di lettura al caso. Per questo possiamo affermare che il desiderio prende una via perversa, perché non è instradato dalla figura linguistica della metafora ma piuttosto dalla metonimia. La diversa costruzione edipica della bambina si costituisce come supporto vivente di un enunciato simbolico e, nella vita reale, ha bisogno di un bambino concreto verso cui dirigere le sue cure. Il rapporto di cura, infatti, spesso rivela proprio un tratto perverso che si esplica in

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una volontà di potenza e, come vedremo, questo tratto emergerà come peculiare in ognuno dei casi storici che descriveremo di seguito. L'insorgere di una grave frustrazione, di una ferita narcisistica, arresta la circolazione della frase e rende necessaria una riconversione retrograda3, con una rotazione di 45 gradi in senso antiorario dello schema L4, che raffigura il rapporto tra immaginario. ed inconscio, l'annodamento tra narcisismo e ordine simbolico, dove l'inconscio, per Lacan è il discorso dell'Altro.

(Es) s ·------~---~ '' '

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(moi)a >--~---u@utre 6. Raffigurazione nello schema L dell'annodamento tra inconscio ed immaginario

Dal punto di vista della topologia, è qui interessante notare che il caso della giovane omosessuale, in presenza di una forte frustrazione corrispettiva di un intenso investimento libidico, mostra una regressione temporale alla fase dello specchio che denuncia un singolare funzionamento dell'immaginario, in rotazione antioraria di 45 gradi. Questa singolarità consiste, in pratica, nel ritorno ad una identificazione immaginaria regressiva, attuata senza passare per l'angoscia, senza incontrare quel sentimento che non mente e che Freud chiamò Unheimlischkeit, senza passare per il Perturbante quindi, senza paura e senza estraneità potremmo dire, senza limite, un atto che per questo abbiamo definito "eroico". 3 M.P. Rodrigucz Diégucz, De l'énigme au paradigme: La psychanalyse n'est pas homophobe, tesi di dottorato, &ole doctorale Pratiques etthi'.-oriesdu sens, Paris 8, 2015, inedito. 4 Lo schema L lo si trova raffigurato in J. Lacan, Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento delle psicosi cit., p. 545.

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Nella nevrosi, al contrario, è proprio la struttura che mostra come nel passaggio dal registro immaginario al simbolico non tutto passa, che c'è un residuo, un limite, definito dal fatto che qualche cosa si frena e non passa così agilmente dal simbolico all'immaginario e viceversa. Questa differenza tra nevrosi e perversione introduce nella clinica freudiana la problematica del passaggio generazionale che Lacan ritiene di poter riportare alla logica dei tre registri e alla messa in forma logica, attraverso la metonimia dell'oggetto a piccolo. Si comprende bene qui come viene utilizzata la nevrosi per illustrare la ftmzione logica di questo oggetto. Tale teorizzazione è completamente diversa da quella relativa alla relazione d'oggetto dei postfreudiani, poiché qui quest'oggetto ha consistenza logica e non oggettuale, resta misterioso, asimmetrico e sfuggente. Proprio nell'angoscia, tra l'altro, assume il massimo della sua evidenza e consente di definirne alcune caratteristiche servendo da approccio alla struttura, come evidenziato nella topologia. Diversamente dagli oggetti narcisistici, simmetrici, l'oggetto a piccolo dell'angoscia non passa dall'altra parte, nell'immagine allo specchio, non riesce ad avere una valenza chiara di ordine simbolico e per questo diciamo che è un oggetto non rappresentabile, più vicino al reale ma rappresentante di un limite che fa bordo tra i registri. L'oggetto si presenta come un residuo che resta, è un resto, rappresentato al centro tra i tre registri e compare anche nel buco della striscia di Moebius. Questa è una figura topologica con un solo bordo ed una doppia faccia, figura stabilizzata dal buco che mette in forma la struttura. L'oggetto a piccolo non vi è rappresentato ma è contenuto al suo interno, nel suo anello, appunto come vuoto. Si tratta infatti di un oggetto vuoto, di una parvenza, che struttura e mette in forma mentre attribuisce caratteristiche di consistenza, laddove questa manchi. Un oggetto che, una volta mancato al suo posto, può ritornare sulla scena in tanti modi. Di fronte a questo vuoto, il soggetto vacilla. Basti pensare alla dimenticanza del nome proprio (celebre quella di Signorelli) per Freud, per far reperire il senso di un vuoto che emerge nel soggetto errante, costretto a ripercorrere il percorso simbolico della sua storia, o almeno, di ciò che riesce a ricordare, cercando di reperirsi in una memoria fatta sostanzialmente di buchi.

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La questione è come e se si possa reperire questa mancanza, se l'oblio, il non detto del trauma potranno mai essere rivalutati all'acquisizione di un senso logico dal soggetto errante; se questa mancanza riguarda il soggetto o l'Altro, in quale misura non riguardi piuttosto esclusivamente l'Altro, ricadendo sul soggetto che finisce con il collocarsi e fissarsi, per incollarsi in questa mancanza simbolica dell'Altro, nel suo silenzio. In psicoanalisi il soggetto possiamo dire che si costituisce, a partire da un riflesso che lo riguarda, nell'identificarsi all'Ideale dell'io, a quella mancanza dell'Altro alla quale può dare un nome, inventandoselo. Possiamo considerare che il soggetto ha a sua disposizione solo una superficie di discorso in cui collocarsi, il discorso comune nella sua traduzione personale, non dunque semplicemente un ambito culturale che lo circonda, ma un Altro che lo sostiene nella significazione, in assenza della quale il soggetto è destinato a cadere giù, in un reale che lo annulla. Abbiamo già esaminato l'inconsistenza dell'Altro a partire dall'esperienza del campo di concentramento e dall'incapacità dei padri di rispondere della propria funzione nella particolare contingenza storica della guerra di fronte al vuoto oscuro e silenzioso dell'Altro, definito già come pulsione di morte. Qui ci limitiamo a ribadire che la condizione umana è presa in un complesso legame che articola la richiesta pulsionale ali' Altro in modo da potervisi riconoscere attraverso il linguaggio, unica chance per rendere la pulsione compatibile con i legami sociali. Si tratta di una condizione umana, non comune ad altri esseri viventi, in cui l'Altro e il soggetto sono tenuti a fare del proprio destino di morte qualche cosa che somigli ad un legame. Se, come abbiamo detto, lo spazio del soggetto è una superficie di discorso, si tratta qui di considerare a quali insegne paterne abbiano mai attinto queste figlie tanto amate, prese dal fascino della potenza del padre, nel desiderio di ricevere un proprio spazio sulla scena del mondo. Un ricordo di infanzia, una mancanza nella rappresentazione, rappresentano una x (una incognita) che si può postulare per affermare che qualcosa di sconosciuto, collocato fuori tempo e fuori dimensione, interroga il soggetto obbligandolo a rispondere, nella contingenza ed in un modo che abbia una coerenza in una logica personale. L'impatto con la pretesa dell'Altro costituisce talvolta il trauma che perdura in mancanza di risoluzione del complesso paterno. Tale

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trauma, però, non appartiene al dire né al detto, piuttosto al non detto, al silenzio al quale la psicoanalisi presta ascolto, un non detto che si fa strada quando il soggetto parla non nell'enunciato ma nell'enunciazione o negli atti. Vediamo di seguito alcuni sviluppi singolari di quanto qui anticipato.

Donne in azione per uscire dalla guerra

Nel 1947 al termine della Grande guerra, Lacan scrisse il testo La psichiatria inglese e la guerra 1 in cui, secondo il metodo comparativo, metteva a confronto i diversi modi di affrontare il discorso sulla guerra da parte dell'Inghilterra e della Francia, un testo in cui rielaborava dunque le teorie freudiane di Psicologia delle masse e analisi del/' Io2 • Per Lacan, non esiste un inconscio collettivo, ed essendo il soggetto della psicoanalisi effetto del linguaggio si tratta di riportare la guerra all'elaborazione simbolica dell'Altro sociale, dunque al discorso. Al soggetto resta eventualmente la propria capacità di differenziarsi con una posizione singolare dal discorso comune, escogitando un modo proprio di intrecciare con l'ordine del discorso la propria esperienza. Tra Inghilterra e Francia, secondo Lacan, si ripartirono due modalità di discorso che ebbero effetti anche sulla psichiatria clinica, esercitata con stili diversi nei due Paesi: un metodo iperrealista per gli inglesi, un metodo surrealista per i francesi. Due modalità che, riportate al discorso comune, riflettevano due diverse modalità di godimento. Ai francesi Lacan riconosceva una tendenza alla produzione di fantasmagorie che affiancano il discorso con fenomeni di grande portata scenica, agli inglesi invece, la diffusione di un misconoscimento sistematico esercitato come difesa dall'angoscia, che si esprimeva in una sorta di diniego attraverso la volontà di non volerne sapere o comunque di non voler approfondire. ' J. Lacan, La psichiatria i11glese e la guerra cit. z

S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell'Io, in Id., Opere cit., voi. IX.

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La Germania, possiamo ipotizzare, si assestò in una terza modalità complicata dalla difficile assunzione di una colpa che, per la sua scansione temporale, riportava a due tempi, come accennato nel caso freudiano della giovane omosessuale: colpa non elaborata e fissione dell'angoscia che squarcia il velo difensivo impedendo l'elaborazione di una uscita dal complesso paterno, inducendo alla ripetizione e all'azione. Nel Seminario XXI (1973-1974)3, Lacan riprenderà il concetto di etica già trattato nel Seminario VII (19 59-1960)4, per portare l'attenzione al di là della funzione paterna e denunciare come il discorso sociale si basava ormai su di una funzione paterna obsoleta e decaduta, riconoscendo la necessità per ognuno di farsi zimbelli del reale, di gestire in solitudine il proprio modo di godere di fronte alla catastrofe a cui aveva condotto l'assolutismo e l'affermazione di quei poteri patriarcali che avevano ceduto al dominio della pulsione di morte. Nei successivi Seminari XXIIS, XXIII 6 e nella Terza7, conferenza tenuta a Roma con un intervento al VII Convegno dell'École freudienne de Paris tenutosi a Roma dal 3 1 ottobre al 3 novembre 1974 al Conservatorio di Santa Cecilia. Lacan sviluppava una sua nuova elaborazione teorica sul padre, in continuità con le teorie freudiane che vennero però riprese in una prospettiva assolutamente nuova, alla luce di una prevalente attenzione al registro del reale. Si tratta del miglior tributo offerto dalla psicoanalisi, ancora più significativo dopo lo scompiglio creato dalla guerra e dal declino della funzione assoluta dell'autorità, una rielaborazione che forse tentava di tenere in conto anche il prezzo pagato dagli psicoanalisti. Il problema, per Lacan, non era infatti come garantire una continuità con l'eredità freudiana circa il padre, ma come rifondare e in qualche modo continuare a tener conto dell'inconscio alla luce dei nuovi contesti delineatisi dopo lo scontro mondiale in modo da poter fondare un assetto teorico sostenibile e coerente con la scuola da lui fondata. Il passo di questo avanzamento epistemologico si propose attraverso l'apertura ad altri paradigmi, più vicini a quelli logico3

J. Lacan, Il seminario. Libro XXI. Les no,z dupes erre,zt cit.

4

Id., Id., Id., Id.,

5 6

7

Il semi11ario. Libro VII. L'etica delta psicoanalisi cit. Il semi11ario. Libro XXII. R.S.I. (1974-1975), inedito. Il semi11ario. Libro XXIII. Il Si11thomo cit. La terza, «La Psicoanalisi», 12, 1993, pp. 11-38.

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matematici, per approdare ad una teoria adeguata ai mutamenti storici e commisurata alla fluidità delle scelte singolari, venute meglio alla luce con lo sgretolarsi dei regimi totalitari, del concetto di Stato, di collettivo e di nazione. I tre registri lacaniani, reale, simbolico ed immaginario,vennero così riportati ad una equivalenza. L'effetto principale fu l'accesso ad una nuova topologia del soggetto che, superata la messa in forma dei metodi più tradizionali ispirati dallo strutturalismo e dalla fenomenologia, non solo richiamava il fondamento del soggetto ad un vuoto simbolico costituente, ma tentava di ipotizzare e di riconoscere un certo potenziale sintomatico all'invenzione, più vicino forse alla psicosi che alla nevrosi, ma certamente corrispondente ad una esigenza di fluidità nel cambiamento. Possiamo ipotizzare che proprio il reale messo a nudo dalla guerra e la sensibilità politica di Lacan, proteso a considerare i cambiamenti sociali, siano confluiti verso una ridefinizione del concetto di Jouissance e di inconscio. A questi, certamente, si prestava meglio il nodo Borromeo come strumento di maggiore dinamicità e risalente ad una topologia più semplice con tre registri posti su di uno stesso livello. La messa a piatto sul piano, appunto, si prestava bene ad essere l'appoggio per la presentazione di soluzioni singolari evidenti anche nella presentazione clinica del declino della funzione patema, perché rendeva possibili gli annodamenti, nei punti cruciali e più significativi della scelta del soggetto. Riprendendo l'eredità freudiana di Inibizione, sintomo e angoscia8, emergevano così tre diverse forme del Nome del Padre, per nominare l'immaginario, il simbolico e il reale: alla nominazione del simbolico attraverso il sintomo, si aggiungevano infatti la nominazione dell'immaginario attraverso l'inibizione e la nominazione del reale attraverso l'angoscia.9 I tre registri, pur nel ritorno all'insegnamento freudiano, rappresentavano tre diversi effetti del padre, tutti e tre operativi nel discorso, collocati nella raffigurazione piana del nodo Borromeo, mettevano in evidenza l'articolazione con il corpo, la vita e la morte, di tre diversi godimenti: dell'Altro, fallico e il godimento del senso (figg. 2, 7).

8 S. Freud, lnibiZione, si11tomo e angoscia, in Id., Opere cit., voi. X. 9 J. Lacan, Il seminario. Libro XXII. R.S.I. cit., lezioni del 18 marzo e del 15 aprile 1975.

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7. Nodo Borromeo che chiude l'oggetto a piccolo.

Tali concetti, sviluppati nelle prime lezioni di R.S.I., furono poi ulteriormente precisati nella Terza 10• Qui Lacan (fig. 7) raffigura l'oggetto a piccolo racchiuso dai tre registri, e in effetti questo è rappresentato dalla parte più interna del nodo, che ha come bordi appunto le linee dei tre registri. In questo modo, oltre a ricordare che qualsiasi forma di godimento è da ricondurre ad un'unica nominazione riconosciuta da Freud, unanimemente come pulsione di morte, egli ribadisce che anche la lingua privata e la lalingua appresa dall'infante, quella lalingua che si accompagna alle prime soddisfazioni, trasferiscono del godimento sostitutivo nella lallazione, un elemento di godimento che trasporta un segno permanente assumendo un suo ruolo tra godimenti silenziosi inconsci dei quali si fa deposito per sempre. Il corpo, dunque, contribuisce a tale operazione derivata dall'effetto di un disagio che si manifesta attraverso la paura e l'angoscia che, occasionalmente, riaffiora. Ad esempio, può riemergere non appena il soggetto incontra dentro di sé questo stesso godimento, indicibile, che appare come estraneo e sconosciuto, pur essendo in qualche modo un marchio silenzioso che lo contagia, che lo angoscia e ne prescrive le azioni, anche quando, nel tentativo di distaccarsene lo riscopre come estraneo da se stesso e, allo stesso tempo, lo riconosce come godimento privato trattenendolo dentro di sé, incorporandolo.

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Id., La terza cit., p. r r •

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Per questo, avverte Lacan, proprio la memoria alla quale fu affidata la fiducia collettiva dopo la fine della guerra, dalle generazioni successive, rappresenta paradossalmente ciò che è possibile trasmettere attraverso il discorso, ma solo sul suo rovescio, come trasmissione silenziosa di un godimento estraneo che richiama in causa i padri e la loro funzione d'eccezione, espletata non senza conseguenze per le figlie. Il percorso intrapreso da Lacan, che rappresenta anche il tentativo di una ridefinizione dei principi della Psicologia delle masseII, accompagna il progressivo sfumare della funzione paterna, sino alla sua cancellazione, alla sua decadenza totale delineata da una proporzione inversa con ciò che accadde agli oggetti nel discorso capitalista, che furono elevati allo zenith: più salirono allo zenith gli oggetti della produzione industriale, più declinò infatti la funzione dei padri. Da qui prese a muoversi il nuovo funzionamento del discorso generato da una sorta di inerzia esercitata dall'oggetto a piccolo, che mentre promuoveva il consumo attraverso la maggiore potenza di significanti padroni, tentava di fissare il godimento agli oggetti presi nella metonimia dei circuiti viziosi, nel godimento del consumo come estraneo al soggetto, modificando lo stile stesso del legame sociale. La pulsione di morte, durante la guerra, aveva operato in silenzio per il discorso, aveva prescritto docilità assoluta ai significanti padroni e aveva portato in luce proprio la necessità di una estrema docilità umana mostrando la sua complementarità all'ordine simbolico, una corrispondenza nella coincidenza. Sostenuta anche da una politica dell'immagine e della fascinazione, aveva mostrato nell'idolatria del bello la mistificazione del male, portando banalmente in auge quelle forme assolute di ideali, di potere, di razza e di vittoria, rivelatesi con il tempo ideali vuoti che, frattanto, avevano asservito al discorso ogni forma di sapere sacrificando tutto alla produzione di beni di consumo e agli altari degli ideali assoluti. Si assistette ad una esibizione di un doppio del corpo: un corpo bello ostentato anche nella filmografia dell'epoca nazista e un corpo scarto, consunto, mostrato invece nei documentari dei ghetti, diffusi poi dagli Alleati con documentari dopo la liberazione. Con la divisione di Berlino, durante la guerra fredda, si era aperto poi il confronto tra diverse modalità di produzione capitalistica 11

S. Freud, Psicologia delle masse e a11alisi dell'Io cit.

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che inauguravano l'evidenza di una nuova crisi, economica e di forme politiche, che sfociò negli anni Settanta in diversi movimenti che apparivano in un certo qual modo rivoluzionari e di insurrezione, in particolare in Italia e in Germania. Lacan aveva però annunciato che la crisi del capitalismo era in corso e che questa formula discorsiva era destinata «a scoppiare» 12• In quanto variante del discorso del maitre (padrone), il discorso capitalista si presentava con l'inversione delle sue prime due lettere. La conseguenza che questa variazione comportava era che il significante maitre (S1) non sembrava più un sembiante attivo ma una dissimulazione.

l+.-Xfl 8. Il discorso capitalista.

La verità scompariva e il significante, diventato agente di discorso, era un soggetto ormai non docile, perché non voleva più farsi assoggettare. Si trattava di un soggetto libero, dis-assoggettato, dis-identificato, che ignorando quale fosse il significante che lo comandava era pronto a cedere se stesso in sacrificio per la libertà, docile verso qualsiasi godimento, addiction o godimenti solitari che potevano rispondere alla perdita di identità, spingendo il soggetto ad essere solo e sempre "soggetto d'azione" 13. Lacan aveva preannunciato: «Forse un giorno ci sarà un discorso chiamato così, il disagio della giovinezza, ma c'è qualcosa che urla, ed una nuova funzione non mancherà di sorgere, di intraprendere, salvo incidenti, un nuovo punto di partenza nell'istaurazione di ciò che chiamo discorso» 14. 11 J. Lacan, Del discorso psicom,alilico, in G.B. Contri, Lacan in Italia 1953-1978, La Salamandra, Milano 1978, disponibile online (www .opcraomniagiacomocontri.it/lacan-italia). 13 AA.VV., Sortir du discours capitaliste, «La cause du désir», 105, luglio 2020, p. 53. 1• J. Lacan, Del discorso psicoa11alitico cit.

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Nel passaggio di testimone, le generazioni successive avrebbero messo in atto un tentativo di uscire dal discorso capitalista che si manifestava su due versanti diversi dal punto di vista dei paradigmi del godimento 1 s. Nel Seminario VII, L'etica della psicoanalisi16 , Lacan aveva connesso il godimento con l'orrore. Parlò del godimento come di qualcosa che per capirlo si doveva passare attraverso il sadismo, e non sarebbe bastata una sola morte per renderne conto. Successivamente, nel Seminario XI I quattro concetti fondamentali17, lo stesso godimento venne messo da Lacan in rapporto con l'arte, con l'opera d'arte che attraverso il bello pacifica sempre gli esseri umani in epoche in cui di umano si incontra ben poco, accattivando lo sguardo catturato dall'anamorfosi. Il quarto paradigma del godimento 18, indicato da Miller, rende conto inoltre della possibilità che l'oggetto sguardo diventi elemento di un godimento particolare, un punto di riduzione della cosa, in grado di incarnarla e di riprodurla. Questa precisazione, che apre la strada verso una possibile nuova interpretazione di questo passaggio di testimone tra generazioni, diventò particolarmente significativa quando la pacificazione del culto della personalità stava per infrangersi, esattamente come si sgretola una religione anche se sapientemente costruita intorno al culto dei padri, un credo edificato con tecniche specifiche messe in atto per accattivare lo sguardo, mentre la pulsione di morte e qualsiasi godimento facevano effrazione come un impossibile che emergeva fuori simbolico. L'oggetto sguardo, che aveva svolto una funzione centrale per una sorta di ipnosi di massa generalizzata, lasciò emergere il suo punto di fuga verso un orizzonte estremo che, superate le immagini pacificanti, lasciava spazio ad un punto di dissolvenza in cui ogni eccesso mostrava unicamente un suo effetto di entropia e di perdita 19 • Tutto sommato, anche il lavoro alla cinepresa di Leni Riefenstahl e di Hans Erti, cineasti del regime ai tempi del Reich, aveva offerto

1

s

J.-A. Miller, J paradigmi del gadime11ta, a cura di A. Di Ciaccia, Astrolabio, Roma

2.001. 16

J. Lacan, J/ seminario. Libra VII. L'etica della psicoa11alisi cit.

11

Id., Il semi11aria. Libro Xl. I quattro concetti fa11damentali della psicoa11alisi cit.

18

J.-A. Miller, J paradigmi del gadime11ta cit., p. 2.0.

19

lvi, p. 30.

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spettacoli eccellenti agli occhi del mondo, non solo agli occhi della figlia di Hans, Monika 20 • Una intera generazione, infatti, visse nella dissolvenza della funzione paterna e negli effetti di un credo distorto che si omologava perfettamente ad uno slogan molto in auge: "Credere, obbedire, combattere" 21 • Come un'emergenza buia del reale che, bucando lo schermo, lasciava cogliere l'intenzione dei padri oltre la loro indifferenza e nella loro complicità, questo slogan diventò punto d'appoggio di un imperativo di godimento che passò nella cultura delle generazioni successive. Miller afferma: «C'è uno spostamento sensibile in Lacan tra la relazione con il godimento pensata come fantasma, e la relazione con il godimento pensata come ripetizione, poiché è proprio pensarla come ripetizione che lo condurrà a dare nuovo valore al sintomo» 22 • Le tortuose vie del desiderio femminile emergono così da un godimento non tenuto a bada dalla funzione paterna, dalla risposta ad una nuova segregazione che emerse dalla cicatrice dell'evaporazione della funzione dei padri, ma proprio per questo, tali vie consentono di intercettarne l'eccesso mortifero che si annoda ed indirizza la vita sulla strada all'azione, in una direzione spesso contorta e perversa in cui la soddisfazione non coincide evidentemente sempre con il proprio bene. Le guerre, certamente, comportano distruzione, sia dal punto di vista materiale che morale. L'oggetto del contendere, la lathouse che scatena i conflitti resta alla fine un abbaglio che coinvolge e si fa causa dell'entrata in guerra con un passaggio fulmineo, un attimo che coglie il momento per evidenziare la scarsa tenuta del simbolico di fronte ad un impossibile a dirsi 23. Ogni obiettivo militare, politico, comune o singolare, nella sua irruenza, viene per struttura continuamente rivalutato e misurato al simbolico, al quale si affida alla fine, per la versione dei fatti, una narrazione che si presenta come tentativo ultimo di riduzione simbolica. La guerra così, da un certo punto di vista, è una enorme macchina per la disciplina, in cui la distruzione è certa ma la narrazione deciderà dei vincitori e vinti. 20

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Vedi infra, nel paragrafo su Monika Erti, tutti i dettagli storici. Glauben, Gehorchen, Kiimpfe,i, in tedesco. J.-A. Miller, I paradigmi del godimento cit., p. 3 1. M.-H. Brousse (a cura di), Guerre senza limite cit., p. 18 5.

DONNI! IN AZIONI! Pl!R USCIR!! DALLA GUl!RRA

Von Clausewitz, un secolo prima della fine del Grande conflitto mondiale, aveva affermato che la guerra non è mai un evento isolato, ma uno strumento a disposizione della politica che serve a consolidare gli assetti sociali 2 4. La guerra, quindi, veicola pulsione di morte ma è innanzitutto integrata al discorso, non ne è né un fallimento né una interruzione, è prodotta anzi dal discorso stesso come sua parte integrante, e il discorso deciderà chi ne sarà vincitore e chi vinto. L'assetto bellico, una volta esplosa la guerra, non ha più alcun rapporto con l'oggetto invidiato e conteso, né con la questione di partenza che ha aperto le contese né con l'esca che sventola ancora sulle bandiere, ma è sempre evidenziabile una correlazione con il reale godimento che soggiace al discorso e lo spinge per mostrare una massima dissimmetria tra le parti in causa. Si tratta di una divisione intrinseca dell'oggetto che evidenzia come in ogni guerra sia in gioco dell'impossibile per ognuno, un insopportabile integrato proprio all'obiettivo militare, destinato ad essere superato singolarmente con la ricerca di una via di uscita singolare che fa obiezione all'insistenza ripetitiva distruttiva. Come in una epidemia, gli algoritmi della guerra sembrano averla vinta su ogni singola intenzione. Gli algoritmi discorsivi regolano le parti in cui la scelta verso l'azione o verso il sottrarvisi è del soggetto in questione, anche quando vi appare come errore, come una devianza che lo ripropone in una sorta di follia. Il vero vincitore di ogni guerra resta così l'algoritmo discorsivo al quale si indirizza ogni tensione nel campo del sapere2. 5 • Anche il regime nazista aveva utilizzato per questo scopo l'arte, la cinematografia, lo stile liberty e tutte le arti grafiche finalizzate alla propaganda. Mirava, attraverso ogni mezzo, ad una compattezza del senso di appartenenza alla nazione in cui ognuno avrebbe potuto riconoscersi: obiettivo minimo questo, che puntava, oltre la vittoria in campo, possiamo anche dire, al di là del bene e del male. L'amore per la patria ne rappresentava un ultimo ideale, come un estremo litorale pronto di lì a poco a cancellarsi. 24 C. von Clauscwitz, Della guerra, trad. it A. Bollati e E. Canevari, Mondadori, Milano 2017. ~s J. Lacan, La psichiatria inglese e la guerra cit., p. 102.

IIO

FIGLI!'. DP.L SILP.NZIO

Ogni sguardo doveva essere catturato dalle immagini, doveva essere indirizzato all'orizzonte nazionale ritornando sul singolo osservatore come sguardo persistente di un controllo rassicurante. Difficile immaginare come tale obiettivo minimo potesse sostenere ogni esigenza singolare anche oltre il confine della nazione, ma accadde proprio che questa appartenenza continuò dopo la guerra a consolidare legami orizzontali, rappresentando ancora un valore aggiuntivo e di supplenza che durò per le generazioni future. Anche i figli dovettero trasferirsi agli antipodi del globo e, dopo essere stati rifiutati dai nuovi governi, per punizione o per purghe politiche, furono costretti ad espatriare con le loro famiglie. La guerra non nutre eroi, ma è un esperimento di sottomissione di massa alla gerarchia. Pochi riescono, in genere, a sottrarvisi con grandi imprese e ad uscire dalle righe del discorso comune con posizioni d'eccezione, perché la guerra richiede comunque una condivisione, una interpretazione dei fatti comune, adatta a rifondare, dopo il tempo di distruzione, quello della ricostruzione. Si riscontra, così, una sorta di paradosso: di fronte alla necessità di dare una nominazione ad un reale del quale ognuno è testimone solitario, di fronte all'impossibile di una versione condivisa, il discorso comune assume il valore di atto performativo, come pura pulsione in esercizio che persevera e trascina. La ricaduta di tale perseveranza inevitabilmente ritornerà come Sinthomo 26 nel soggetto, secondo Lacan, rispondendo alla necessità di rifondare valori nei quali egli possa ancora sentire accolta la propria esistenza. Etica, religione, patria, famiglia, scienza, credo politici decidono di una sola appartenenza e gettano le basi di una nuova segregazione disposta da una legge che si fa sovrana e che accompagna anche il migrante verso il rifugio in un'altra terra e in un'altra comunità, dopo l'esodo. Nel passaggio dal prima al dopo dell'atto finale, tra soluzione finale ed intervento alleato, prima della messa in funzione di colpe o pentimenti, entrò in effetti in gioco come una forma di diniego: i padri si dissociarono dagli eccessi ai quali si erano lasciati andare, 26 J. Lacan, con Sirrtbomo, riprende l'antica grafia di Rabelais che esisteva già nell'italiano del Cinquecento per indicare il sintomo mettendolo in rcla1jone con il santo, il sant'uomo, che si fa portatore di un proprio segno di godimento singolare.

DONNE IN AZIONE PER USCIRE DALLA GUERRA

III

recuperarono una propria immagine più accettabile e, mentre la cinematografia si allineava alle nuove disposizioni, le collaborazioni fecero il resto, dissimulando l'accaduto allo sguardo delle masse. Nessuno doveva accorgersi del male che si era compiuto poiché ognuno si era limitato ad eseguire gli ordini, con la stessa sottomissione di sempre. Così quei padri si trovarono immediatamente esautorati, ridotti ad oggetti di scarto, messi a disposizione di altri governi, quasi femminilizzati, furono invogliati a rifarsi una loro vita altrove, tra nuove atrocità e altri abusi. Una versione cinica mostrava risorse inaspettate lasciando ognuno all'elaborazione singolare dell'accaduto, compito questo che toccava comunque la propria esistenza colpevole e, qualche volta, anche disperata 2 7. Come alle strategie belliche si era accompagnata la tecnica della tortura e della delazione, scellerata estrazione della "verità" dalla bocca del nemico, così questa tecnica segreta, evocando per sua struttura la pulsione perversa freudiana, consentì il trasferimento dello stesso paradigma di godimento verso un altrove, senza occultarlo ma importandolo in silenzio, con un'ostentazione spinta fino all'eccesso, fino a considerare "più esperti" i torturatori che riuscivano a reclutare un maggior numero di delatori. Dalla Germania, infatti, furono esportati così: esperti delle tecniche di spionaggio, di infiltrazione e di delazione. Molti emigrarono in massa verso l'America Latina dove, con intere famiglie al seguito, quei padri cercarono di rifarsi una vita. Alle figlie restò il compito di collocarsi nel nuovo paradigma con una sorta di proprio personale sacrificio, in un Paese nuovo o comunque radicalmente cambiato. La mancata informazione, la limitazione degli scambi sociali dovuta al periodo bellico, la tendenza all'omertà e al silenzio che caratterizzava intimamente le coppie tradizionali, accanto alla sperimentazione di nuove forme di legame intessute all'ombra di grandi ideali in una banalizzazione della relazione tra sessi e in nome di una falsa mistica del femminile, fecero in modo che uomini pronti ad adoperarsi per gli ideali della patria lasciassero intravedere un duplice fallimento: fallimento della femminilità che in primo luogo impediva 2 7 H. Arendt, La ba11a/ità del male. F.icbmmm a Gerusalemme, trad. it. P. Bemardini, Feltrinelli, Milano 2019.

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FIGLIE DEL SILENZIO

ad ogni donna di essere contenimento di quella perdita di godimento imposta dall'ordine di discorso, ma anche e principalmente un fallimento della funzione dei padri che, proiettati verso ideali di miglioramento della razza, avevano sacrificato i propri figli relegandoli allo stato di meri feticci della razza pura. La storia aveva riservato così, proprio alle donne, un luogo del silenzio complice, funzionale ed in perfetta simmetria con il mondo dei maschi e delle gerarchie. Accanto a questa falsa mistica, inoltre, avanzava un misconoscimento del sesso che edificava nell'androginia dei corpi scolpiti e statuari uno stesso glaciale silenzio, che degradava la femminilità nel luogo di un sesso muto e il corpo delle donne alla funzione di raccoglitore, ad una rinuncia pulsionale silenziosa, distruttiva, che mentre rappresentava l'identificazione al lato oscuro dei padri, imponeva paradossalmente alle figlie la necessità di cavarsela e di fare a meno del padre, di inventare una nuova concezione dell'amore cercando nuovi punti di appoggio per un desiderio reperito al bordo di questo godimento irriducibile alla castrazione, godimento che trasbordava, sregolato, di cui il padre trasmetteva solo la versione più reale.

Figlie del silenzio: dire no al fallo in nome dell'amore

Alle donne restava in sintesi il lavoro ultimo di prestarsi, con tutte se stesse e con tutto il corpo, ad essere il luogo di un sintomo mancato nei padri, un prolungamento del loro godimento opaco, per restituire con tutte sé stesse, qualcosa al futuro, affinché la vita potesse riprendere. Nel Seminario XXI Les non dupes errent1 , Lacan afferma che la scoperta del transfert è la verità dell'amore che declina verso l'inconscio come sapere. Richiama, in questo testo, il Freud di Psicologia delle masse e analisi dell'Io, rilevando che allorché l'amore verso il padre partecipa dell'identificazione, ne mostra un uso non metaforico della funzione paterna 2 • Si tratta dello sviluppo del concetto espresso da Lacan nel Seminario XX Ancora3, in cui egli indica che solo se l'uomo dice di no al fallo, acconsentendo alla sua castrazione, può accedere al corpo di una donna e fare l'amore come poesia, distanziandosi dall'atto perverso polimorfo al quale sarebbe costretto come portatore di quest'organo con un "uso" della donna, che la relegherebbe nella posizione di oggetto ricevente e passivo. Il "no" al fallo e l'accesso ad una funzione altra che dalla perdita consegue, per Lacan funge da passaggio al Nome, alla "nominazione". Proprio tale passaggio permette di collocare un godimento dell'Altro, extimo, spurio, in modo preliminare alla messa in esercizio dell'amore. Per queste figlie accade qualcosa di pedissequo laddove dire di no al fallo in nome dell'amore richiede un passaggio obbligato per le vie della paterversione, per ottenere attraverso un

' J. Lacan, I/ semittario. Libro XXI. Les 11on dupes errent cit. 2.

lvi, lezione del 19 marzo 1974.

3

J. Lacan, I/ semittario. Libro XX. A11cora cit.

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FIGLIE DEL SILENZIO

prolungamento di ciò che il fallo immaginario fu per questi padri, una riproposizione speculare di qualcosa che attiene ad un potere supposto nel quale, tali figlie, hanno creduto. Si tratta di un tentativo di salvare qualche cosa della funzione simbolica con un estremo atto d'amore che resta in carico alle generazioni future. Ma giusto in nome dell'amore, viene attuata una operazione che in qualche modo erode l'amore, per la necessità di prendere le distanze e di differenziarsi, per sottrarre qualcosa a quel godimento collocandolo diversamente, spostandolo e forse anche sublimandolo, demistificandolo proprio nell'uso di una via perversa che insegue e trasporta qualcosa dello sbiadito desiderio materno passando per via paterna, operazione che in definitiva andrà anche a discapito del padre. Si tratta, in extremis, di un ordine riparatore sostitutivo che in una generazione senza scrupoli attua un passaggio di discorso che sarà poi trasmesso per via matriarcale nella discendenza, facendo a meno della funzione di eccezione della funzione paterna, con uno spostamento extimo del godimento che interessa il corpo ceduto (lasciato cadere), un corpo che, diventato luogo di scrittura della volontà di godimento dell'Altro, ricava da questo spostamento una sorta di supplenza. Tale operazione, come si vede già anche nella psicogenesi del caso freudiano della giovane omosessuale, impone un nuovo statuto al corpo, sostituendo l'ossatura simbolica e sintomatica dell'isteria con un ordine ferreo che mette in gioco il corpo in toto, quasi fosse il corpo stesso un sostituto del fallo o un feticcio del padre, ceduto ali' Altro come incluso in una sua ingessatura che lo mette in una nuova funzione operativa, metaforica, come un'armatura o un perno preso in prestito per rispondere con una rigidità e una fiction (vedi la raffigurazione torica con un toro interno della fig. 5), condizionata dall'ordine paterno ma in riferimento ad una supplenza fuori-fallo. La falla strutturale del Nome del Padre, possiamo dire, viene così in-corporata al fine di poter completare con il corpo delle figlie una strutturale carenza discorsiva che altrimenti disferebbe il nodo e il legame sociale, che si fonda invece sulla sua tenuta. Il destino scritto dal godimento paterno prende il corpo delle figlie come supporto di scrittura e genera una sorta di ibrido che non rinuncia all'armatura dell'amore, ma la usa prelevando dei tratti simbolici

FIGLI!! Dl!L SJLl!NZIO: DIR!! NO AL FALLO IN NOME DELL'AMORE

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per una supplenza che, come in una follia ordinaria, può diffondersi in modo generalizzato e, eventualmente, assumere andamento epidemico in nuovi stili di una pluralità che si sfrangia in una dis-misura che prende i modi o la moda di nuova cultura4. Lacan si era interessato molto alla famiglia Joyce per la riformulazione di una teoria del sintomo. Se il sintomo di James Joyce, come dettagliatamente esposto nel Seminario XXIII Il Sinthomo (19751976), che era doversi fare un nome attraverso la scrittura e con la sua arte, veniva a supplire alla carenza del padre John che aveva delegato ai grandi ideali della Chiesa cattolica e gesuita la sua formazione per la propria incapacità di garantire una trasmissione di qualsivoglia insegnamento, la figlia di James presentava invece un corredo di sintomi che erano come il prolungamento dei sintomi patemi, l'estensione delle sue credenze, l'incarnazione delle sue potenti aspirazioni narcisistiche. Si può affermare in sintesi, riprendendo le formule della sessuazione di Lacan, che ci sono una correlazione diretta e un'omologia tra il padre e il sintomo tale da poter affermare che il padre fa da Sinthomo ed il Sinthomo stesso funge da Nome. Alla luce delle formule della sessuazione, per la posizione dell'eccezione che istalla la funzione paterna in alto a sinistras, è necessario però che ci sia una donna devota ad un solo uomo per fargli dei figli di cui egli si possa prendere cura paterna. Il sintomo del padre, nella sua funzione, consisterebbe, in questa logica, nel collocare il proprio godimento in una donna come forma riscoperta della castrazione, per non prenderselo mai a discapito dei suoi bambini, men che mai delle figlie. Una donna per l'uomo, di conseguenza, dovrebbe essere ciò che egli perde per accedere all'esperienza della parola. -4 L'andamento epidemico è riconoscibile oggi per i nuovi sintomi, anoressie e tossicomanie, ma possiamo reperirlo allo stesso modo nel modello di diffusione dei virus. Quelli raggruppati in codice, come dimostra anche il DSM IV, questi tradotti in cifre come in occasione della pandemia Covid 19 evidenziano quanto le pratiche di trattamento, psicocognitive o antivirali, si conformano secondo procedure di trattamento del simbolico, sen1.a senso ma numerate, repcrtoriu.ate. Così, man mano che proliferano i nuovi codici, nella progressiva tenden1.a a proporre campagne di massa generalizzate, si sottomettono i corpi segnandoli, come si farebbe di una preda caduta vittima di un cacciatore, identificandoli tramite una cifra o una croce qualsiasi, attraverso un numero, al fine di attestare l'incontro avvenuto con un aggiornamento del codice che li passa periodicamente in rassegna. s Vedi fig. 3, p. 73.

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FIGLIE. DEL SILENZIO

Qualcosa in questi padri era sfuggito alla castrazione e ad ogni rappresentazione. La dedizione dei padri all'ordine assoluto aveva avuto come effetto che queste figlie assumessero un proprio compito specifico per non essere del tutto, unicamente, relegate al luogo del feticcio. Il soggetto in ogni caso, per prendere posto in tale struttura, ha necessità di appoggiarsi a questo godimento irriducibile, di prelevarlo per costruire una propria singolare soluzione ed introdurre del desiderio attraverso una paterversioné. Il soggetto può assicurarsi così, in questo progresso, solo attraverso una supplenza narcisistica, una supplenza dell'Ego, affinché qualcosa del godimento irriducibile di cui il padre trasmette versione funga da sgabello lasciando che esso si ritrovi in una propria causa nel cercare una propria ragione per l'esistenza. La funzione del padre diventa dunque una funzione omologa a quella del Sinthomo. Laddove la funzione paterna è carente, la generazione successiva è chiamata a costruire il Sinthomo a partire da un prolungamento del padre reale, estendendone l'iscrizione al proprio corpo che è immolato per una causa che è singolare ma non propria, che viene prodotta attraverso un prolungamento di un godimento irriducibile alla castrazione, che insiste passando il testimone alla generazione successiva. La funzione che il Sinthomo assume parte così dal reale, omologamente a quanto accade per ogni causalità psichica, che trova un punto di origine nel reale. Si individua così una funzione di annodamento dei tre registri (reale, simbolico ed immaginario) svolta specificamente dal Sinthomo (da un quarto anello), espressione di ciò che il soggetto ha di più singolare, che mostra il corpo nella sua dimensione cava, pronto ad accogliere il soggetto nella possibilità di abitare il linguaggio attraverso non più la parola ma la lettera, ultimo tramite per poter dare consistenza al legame sociale al quale aggiunge il proprio tratto peculiare. Una volta ridotto il soggetto al suo livello di bisogno, effetto che la guerra produsse in maniera coerente e analoga a ciò che avvenne con l'introduzione della scienza moderna, mentre il mercato forniva una serie di oggetti di consumo, la deriva di un godimento ripetitivo spingeva il soggetto verso una inconsistenza. 6

J. Lacan, Il seminario. Libro XXIII. Il Sinthomo cit., p. 146.

FIGLI!! Dl!L SJLl!NZIO: DIR!! NO AL FALLO IN NOME Dl!LL'AMORI!

Di fronte a ciò, come è evidente, non sempre il parlessere dimostra di essere in grado di inventare una soluzione per non cadere nel vuoto, per non essere inglobato dal reale mortifero; talvolta tenta piuttosto di ripararsi nel legame sociale di cui può apprezzare un valore solo ed unicamente in nome di una propria causa da mettere in gioco. Vediamo di seguito, quindi, come si è resa operativa la traduzione singolare di quegli imperativi paterni, mutuati dall'Altro del discorso assoluto e trasmessi in riduzione simbolica attraverso uno spostamento fuori-senso; vediamo come questi significanti, prelevati e disarticolati a modo proprio da tre figlie del Reich, servirono ad ognuna per la costruzione di una supplenza sinthomatica singolare ricavata dallo slogan "Credere, obbedire, combattere"?, che partecipò alle soluzioni singolari con diverse modalità e tre diverse interpretazioni: 1. Gudrun Himmler: identificazione al prolungamento del godimento paterno attraverso il "Credo" nel suo amore; 2. Hilde Speer: identificazione ad un tratto di "obbedienza" del padre, per l'espiazione della colpa; 3. Monika Erti: che osò "combattere" per farsi un Sinthomo ed un nuovo nome. Di queste vite, possiamo dire come di tante altre, che segnarono il raccordo con un'epoca nuova, l'epoca del disamore e del fallimento della funzione dei padri.

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Uno dei precetti del catechismo dell'epoca nazista.

Gudrun Himmler: il Credo nell'amore del padre

Era detta "la bambolina" Gudrun Margarete Elfriede Emma Anna Himmler. Figlia di Heinrich Himmler, considerato uno dei maggiori artefici della Shoah, nacque 1'8 agosto 1929, unica figlia legittima ed amatissima dal padre. Altri due figli mai riconosciuti, furono completamente abbandonati e dimenticati. Il padre le aveva trasmesso i rudimenti della logistica militare e l'aveva sempre tenuta con sé nei viaggi e durante le ispezioni militari, girando con la bimba in braccio tra le file dell'esercito, in parata e ad ogni manifestazione pubblica. Mingherlino, miope, apparentemente fragile, con problemi di salute, questo padre da piccolo era stato tanto mite da non apparire in grado di reagire per eccessiva timidezza. Forse, questa caratteristica, velata dal potere e compensata nell'immaginario da una divisa indossata per tutta la vita, riuscì a trovare una via di supplenza in una compulsione, una passione per le strategie militari e la guerra che con insistenza lo condussero dapprima verso il successo e poi verso un tragico declino. Da adulto aveva rapporti saltuari e problematici con le donne tanto che arrivò a teorizzare che per lui, astenersene, fosse il toccasana che gli avrebbe consentito di attendere meglio ai suoi doveri. Aveva conosciuto la madre di Gudrun, Marga, in ambito militare, perché era infermiera e la corteggiò donandole libri di guerra e di massoneria. Delirava come altri sull'esistenza di un "complotto mondiale ebraico" che avrebbe interessato principalmente la Germania. L'unione con Marga non fu ben accetta dalla famiglia Himmler, di religione cattolica, perché Marga era una donna molto religiosa ma protestante e la famiglia Himmler temeva che questa scelta potesse essere malvista nell'ambito delle loro importanti amicizie, che avreb-

FIGLIE DEL SILENZIO

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be compromesso la carriera militare del figlio, alla quale tenevano più di ogni altra cosa. La "bambolina" nacque in un clima di contrasto che prendeva la forma di uno scontro religioso, fu subito soprannominata Piippi e di lei Marga era solita ripetere «Puppi ist Liebe und net» 1 • Appena sposati, i coniugi investirono i soldi di Marga in un vasto podere, sognando di poter vivere in campagna e nella natura coltivando un sogno bucolico che presto dovette finire male. L'azienda dichiarò fallimento pochi anni dopo e furono costretti a cederla. Si trasferirono così al centro di Monaco dove Heinrich si dedicò esclusivamente all'attività politica del partito nazionalsocialista. Dagli stessi dignitari del partito era considerato come un uomo «discreto, determinato ma senza polso", figura ideale, per eseguire ordini estremi, ai quali dedicava massima osservanza senza mai discuterne. Piippi ed il suo papà erano sempre assieme, la bambina lo accompagnava volentieri nei viaggi e in tutti gli spostamenti di lavoro. Nel 1933, padre e figlia erano assieme anche per la prima grande visita al campo di Dachau. Piippi aveva frequentato anche il Fiihrer con il quale era in stretta confidenza e che chiamava "zio" per indicare il grado di intimità raggiunto, un legame famigliare che prevaleva su tutti e per il quale i due non mancavano di incontrarsi ad ogni compleanno della bambina, alla quale il Fiihrer era solito donare regali preziosi. Man mano, diventata adolescente, Gudrun cominciò a soffrire di solitudine e di depressione, veniva lasciata ad una zia materna quando sua madre era impegnata nella Croce Rossa e il padre, essendo sempre più coinvolto nelle attività belliche, le scriveva solo lettere, frequenti, che si accompagnavano ad abbondanti pacchi dono, contenenti alimenti che era impossibile trovare altrove tipo formaggio e cioccolato. Agli occhi della bambina, il padre era un eroe impegnato in grandi imprese, nutriva verso di lui fiducia cieca e continuò ad adularlo anche nei momenti di maggiore difficoltà, alimentandone gli aspetti idealizzati che accompagnarono la sua crescita, prima da bambina e poi da adolescente. Quando la guerra cominciò a svolgere il suo corso e la situazione appariva già molto compromessa per la Germania, nel suo diario di ' «La bambolina è amabile cd educata».

GUDRUN HIMMLER: IL CREDO Nl!LL' AMORI! DEL PADRI!

I 2.1

adolescente scrive: «Credono tutti con tale fermezza nella vittoria che, in quanto figlia di quest'uomo particolarmente prestigioso ed apprezzato, sono costretta a crederci anche io, ed io credo, in tutto e per tutto»2.. Questa credenza in un padre onnipotente non vacillò mai nel corso della vita di Gudrun, e nella sua solitudine, potremmo dire che la bambolina sostenne il suo Credo come una forma di delirio, disposta a tutto effettivamente, come avrebbe fatto il padre stesso, un suo doppio, un suo prolungamento. La sua vita era protesa a ricevere complimenti e vezzeggiamenti dal padre, da bambina pregava la madre di tener nascoste le sue birichinate per non deluderlo, ricavandone sempre complicità. Non si allontanò mai da Gmund, dove aveva vissuto la seconda infanzia. Chiamata a testimoniare al processo di Norimberga nel settembre del 1945, affermò: «All'epoca della guerra non andavo mai da nessuna parte. Per cinque anni abbiamo vissuto in quella casa, io sono andata a scuola e non ho mai fatto altro».3 La volontà del padre era proprio questa, non aveva mai voluto che si trasferisse altrove, preoccupato per i bombardamenti che radevano a zero le più importanti città cercava di proteggerla a modo suo come una cosa preziosa. Così man mano Piippi visse in una perenne attesa del ritorno dei genitori, si ammalava spesso ed aveva vari disturbi nervosi, depressivi e digestivi, fissando un suo sintomo prevalente sulla mancanza del padre che sostituiva con le ghiottonerie invitatele da lui. A causa della depressione, il rendimento scolastico fu molto scarso. L'ansia cresceva mentre seguiva le vicende del conflitto mondiale temendo per l'incolumità del padre, che pur di mantenere un contatto con la ragazza voleva che venisse informata di ogni vicenda. Gudrun così finì per confondere e mescolare le battaglie del padre e le conquiste di nuove zone con gli acquisti di proprietà di famiglia in una sorta di fantasmagoria delle imprese paterne. Si creò una famiglia immaginaria i cui confini coincidevano con quelli della nazione, guardando all'Est come a una nuova proprietà che avrebbe fatto guadagnare al padre tanti soldi.

2

3

T. Crasnianski, I figli dei 11azisti, trad. it. F. Peri, Bompiani, Milano lbid.

2017

(c-book).

FIGLIE DEL SILENZIO

122

Quando nel luglio del 1944 il padre fece costruire un bunker antiaereo nel giardino di casa utilizzando i detenuti di Gmiind Dachau per effettuare il lavoro, Gudrun cominciò ad intuire che le vicende non giravano al meglio. Nel suo diario nel 1943 aveva annotato: «Non è da tutti avere un papà così prestigioso, sono pazza di gioia»4. Nel 1945, avendo realizzato che la situazione era ormai disperata, nella sua disforia scrisse: Non dipendiamo più che da noi stessi, e da noi ci sono talmente tanti tradimenti. Gli ufficiali abbandonano semplicemente il campo. Nessuno vuole più questa guerra [... ] E tuttavia ci sono tante persone che potrebbero combattere e che restano qui a battere fiacca[ ... ) Papà ha proclamato il Volkssturm il 18 ottobre con un discorso magnifico [... ] L'atmosfera generale è zero. Gé,ring, quel fanfarone, non fa nulla per cambiare la situazioneS.

Non aveva amici ma qualche volta frequentava due cugini. Durante la guerra non vide il padre più di una ventina di volte. Il rapporto con la madre era molto conflittuale. Rivide il padre per l'ultima volta nel novembre 1944. L'ultima conversazione telefonica fu nel marzo del 1945, l'ultima lettera la ricevette un anno dopo. Durante gli interrogatori con gli Alleati, con estrema sincerità, affermò di averlo sempre atteso. Quando venne arrestata insieme alla madre, erano entrambe in fuga verso la Val Gardena. Furono catturate in seguito alla delazione di Karl Wolff, ex capo di Stato maggiore e Obergruppenfiihrer, che tentò di negoziare vendendo informazioni su di loro in cambio della propria libertà. In tutto il periodo della carcerazione e dei processi, Gudrun non ebbe mai alcun dubbio sull'innocenza del padre e rimase orgogliosa del suo operato. Rimproverava quindi la sua condanna come una totale ingiustizia. Affermò che quando ogni mercoledì il padre la portava a visitare campi di concentramento sapeva di visitare detenuti condannati al lavoro. Raccontò che da piccola le era permesso di intrattenersi nei campi e raccogliere qualche fogliolina o qualche fiorellino. Di quelle "gite", come disse, le restavano infatti foto che la ritraggono con le treccine bionde e un cappottino blu, tra le braccia del padre, accanto 4

T. Crasnianski, I figli dei nazisti cit.

s Ibid.

GUDRUN HIMMLER: IL CRl!DO Nl!LL' AMORI! Dl!L PADRI!

12.3

al direttore della Gestapo ed il capo di Stato maggiore. La sua le era parsa una infanzia felice ed aveva seguito con entusiasmo la carriera in ascesa del padre da lei denominato "il babbo viaggiatore". Nella corrispondenza privata con la moglie e la figlia, il padre non aveva mai fatto e non avrebbe potuto far parola dei suoi compiti militari né delle sue azioni. Seppero ad un certo punto semplicemente di una partenza per Auschwitz quando dovette trasferirsi lì per la soluzione finale ed autorizzare l'uso del gas Zyklon B. Solo qualche volta aveva accennato a compiti molto difficili ai quale attendere. L'ossessione per il problema razziale, aveva costituito una supplenza compensando una proverbiale incapacità di reagire in Heinrich Himmler, ed il ruolo politico, rafforzato dalla divisa, aveva potuto letteralmente trasformare l'aspetto insicuro del ragazzo di buona famiglia che da chi lo conosceva bene veniva dipinto come "metà maestro di scuola e metà strampalato"". Il rapporto con Marga non era mai stato sereno. La moglie, donna forte e determinata, si sentiva trascurata mentre Himmler cominciava a convincersi che la monogamia fosse un'opera di Satana, una invenzione della chiesa Cattolica da abolire quanto prima. In nome di questa convinzione, autorizzò anche i suoi ufficiali che avevano problemi di coppia a convivere more uxorio con altre donne aprendo la strada alla concezione che la poligamia sarebbe stata consentita come soluzione alla crisi demografica sofferta all'epoca dalla Germania. Questa convinzione coinvolse con il tempo anche altre coppie autorevoli, come i coniugi Gobbels, Bormann, ed altri consiglieri di Hitler, diventando pian piano un modus vivendi da tutti giustificato dalla causa. Le famiglie vennero scompaginate e fu proprio Bormann a proporre che i figli di uno stesso padre fossero raccolti in un'unica grande casa e che occorresse una legge per consentire agli uomini sani e di particolare valore di avere più mogli perché si aveva bisogno di figli di donne sane, proponendo di eliminare per legge la categoria di illegittimità della filiazione. 6

1976.

A. Spcer, Memorie del Terzo Reich, trad. it. E. e Q. Maffi, Mondadori, Milano

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Nacquero così i Lebensborn, veri e propri centri di procreazione per donne ariane che accoglievano ragazze madri e consentivano di mantenere il segreto sulle nascite. Il primo aprì i battenti nel 1936, e Himmler vi organizzò incontri tra adolescenti allo scopo di combattere la piaga dell'omosessualità. Nel suo discorso pronunciato a Bad Tolz il 18 febbraio 1837, dichiarò: «Ritengo necessario vigilare affinché i giovani di quindici sedici anni incontrino ragazze a lezione di danza, in ogni serata, o in occasioni di altro tipo. L'esperienza prova che a quell'età il giovane è in equilibrio instabile. Se si innamora alla scuola di ballo o si trova una ragazza già a questa età, il pericolo è scongiurato per sempre»?. Si consolidava e si strutturava così quella supplenza intorno ad un credo nazionale e si legiferava anche, mentre il problema sessuale dell'adolescente Himmler non era che un ricordo che guidava silenziosamente le scelte dell'uomo adulto. La comunità tutta veniva a raccogliersi intorno a una legge d'eccezione, mentre la credenza nella pratica sessuale come lavoro forzato nell'idea di una prevenzione a favore della razza apriva la strada ad una perversione senza confini. Da vero uomo d'eccezione, Himmler, da insicuro ed incapace di reagire com'era, piegandosi agli ordini, riuscì effettivamente a dettare legge trascinando nel delirio e nel suo credo non solo la sua bambina ma una intera generazione di figli votati a prolungare nel tempo un sintomo d'eccezione. Gudrun, dal canto suo, proseguì fino all'impossibile l'opera paterna. Alla fine delle vicende belliche, dopo aver trovato asilo in un convento con il motivo attestato di un "ritardo mentale", finito ormai il processo di Norimberga e morto il padre in seguito ad avvelenamento autoimposto per rispondere a ordini superiori, negli anni Cinquanta ella cominciò a lavorare come sarta a Monaco, con molte difficoltà. Pian piano, prese ad interessarsi di politica e, nel 19 55 partecipò a Londra ad una prima iniziativa legata alle attività dell'estrema destra londinese con Oswald Mosley, figlio dell'ex ministro nazista von Ribbentrop. Raccolse poi oggetti d'arte e cimeli del nazismo nel proprio appartamento di Monaco, nel 1951 organizzò un'Associazione di Assistenza Silenziosa dedicata a internati e prigionieri di guerra, 7

T. Crasnianski, I figli dei nazisti cit.

GUDRUN HIMMLER: IL CREDO NELL'AMORE DEL PADRE

per soccorrere prigionieri che erano riusciti a sottrarsi alla giustizia, gerarchi o responsabili della Shoah, come Mengele e Eichmann, riparati in America Latina. L'Associazione, nominata appunto Stille Hilfe 8 salvò decine di criminali con un'attività certosina e operazioni clandestine, recuperando a nuova vita personalità di spicco del Reich come Barbie, Priebke, Stangl e Pavelié. Gudrun si impegnò personalmente per aiutare Anton Malloth, già direttore del Lager di Theresienstadt, poi condannato in Cecoslovacchia. Negli anni Sessanta infine, sposò Wulf Dieter Burwitz, scrittore simpatizzante del partito neonazista ed ebbe da lui due figli. Nemmeno con la maternità abbandonò le sue relazioni politiche e l'attività clandestina di aiuto silenzioso per il quale le fu attribuito l'appellativo di "principessa nazista" che consolidò, attraverso un Nome certamente speciale, un io tanto fragile quanto caparbiamente legato al credo paterno nelle sue più intime convinzioni.

8

Letteralmente «aiuto silenzioso».

Hilde Speer: risposta ad un tratto di obbedienza del padre per l'espiazione della colpa

Secondogenita di ben sei figli di Albert Speer, l'architetto di Hitler, fu Hilde. Nacque nel 1936 a Berlino. L'ascesa del padre fu rapida, architetto di indiscusso talento, a differenza di altri protagonisti dell'apparato nazista, ebbe riconoscimenti in tutto il mondo per genialità e competenze. Albert era nato nel 1905 nella Foresta Nera, già il nonno e il padre erano architetti e questa attività fu conservata dalle generazioni successive. Aveva una disfunzione del sistema nervoso simpatico ma una estrema vivacità intellettuale. Si formò negli studi di architettura a Monaco e a Berlino, nel 1927 lavorava già come urbanista e all'epoca della Repubblica di Weimar era già un progettista molto richiesto. Cresciuto in una famiglia dalle idee liberali in cui la politica non veniva considerata importante nella formazione dei figli, entrò in contatto con l'ideologia nazista passando per il registro dell'immaginario, poiché tra la cultura nazionalsocialista e le concezioni architettoniche del suo mentore Tessenow, gli sembrava di poter scorgere qualche nesso, uno stile che poteva riconoscersi come "lo stile di un popolo". Rimase profondamente "impressionato" dal discorso di Hitler pronunciato al Politecnico di Berlino, affascinato dall'energia che emanava da quell'uomo, dalla forza di persuasione e dalla voce, non simpatica ma dalla quale si sprigionava una sorta di "magia". Come egli stesso affermò, ne fu preso in modo tanto speciale da rimanerne stordito, avvinto, senza sapere nulla del suo programma politico e prima di aver compreso. Nel 1931, a ventisei anni era a Monaco, ove si rese conto di non riuscire ad avere committenze sufficienti per il suo autosostentamento e si propose per servigi da autista all'associazione

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degli autisti e meccanici del partito nazionalsocialista. Successivamente Karl Hanke, capo del partito politico della zona, gli propose di restaurare il circolo regionale del partito che avrebbe portato il nome di Hitler. Questo primo lavoro gli procurarono stima e raccomandazioni in alto loco. Venne così ingaggiato da Gobbels, capo della propaganda, per il restauro del quartier generale berlinese. Successivamente progettò un palco grandioso per la sfilata del Primo maggio illuminato da grandiosi fasci di luce che diedero vita ad una gigantesca cattedrale di ghiaccio. Il movimento nazista aveva così trovato in lui un uomo capace di evocare con grandiose trovate sceniche la potenza tedesca e lo stesso Fiihrer rimase sedotto dalle sue idee. Il significante "architettura", attraverso Speer, rappresentò un significante speciale, che aveva il dono magico di costruire potere attraverso l'immaginario, consolidando simbolicamente l'intero apparato politico. All'architetto così vennero affidati diversi cantieri dei quali riportava andamento e attività direttamente al Fiihrer. All'ombra di tale padre, i bambini Speer poterono vivere protetti in una splendida casa con panorama mozzafiato in Obersalzberg, poterono frequentare la scuola con altri bambini e venivano di tanto in tanto ospitati nella tenuta privata di Hitler. Ma in casa Speer non si respirava aria di nazionalsocialismo: nessun simbolo, nessuna uniforme, nessun vento di guerra. Albert era bello ed elegante e non volle seguire i comportamenti libertini dei suoi amici nazisti, che al contrario criticò apertamente considerandoli di cattivo gusto. Doveva però presenziare a serate e ricevimenti che considerava molto noiosi come altri impegni mondani che ritardavano la sua attività di architetto attivamente implicato nell'espansione nazista e nella costruzione dei Lager. Oltre a diventare un fondamentale pilastro del Regime, era molto apprezzato per la sua personalità e per la sua franchezza dallo stesso Fiihrer che vide in Speer la capacità di tenersi da parte, lontano dalle bassezze di molti altri collaboratori per dedicarsi anima e corpo al suo lavoro. Nell'aprile del 1945, quando le sorti della guerra cominciarono a chiarirsi, gli Speer ripararono nel Nord della Germania per

HILDE SPEER: RISPOSTA AD UN TRATTO DI OBBEDIENZA DEL PADRE

sottrarsi all'avanzare delle Forze alleate, ma Albert fu da queste arrestato nel 1945. Ciò costrinse la famiglia ad abbandonare la proprietà, confondersi nella massa e crescere senza padre, accusato di crimini di guerra. Questi eventi comportarono una rottura radicale dei figli con il padre dal quale si differenziarono in tutto il percorso che lo portò sino al processo di Norimberga. Albert, d'altronde, si rifiutò di vedere i figli per ben otto anni e alle prime visite dopo il 19 53 si comportò in modo assolutamente formale. Hilde, tra gli altri figli, si impegnò a mantenere i contatti con il padre e non mancò di sollecitare più volte il presidente della Germania di anticiparne la scarcerazione. Ragazza intelligente e di aperte vedute, Hilde aveva studiato ad Heidelberg storia, con una insegnante di famiglia ebrea, aveva animo sensibile e profondo ed era intenta, più degli altri, a capire come si fosse reso possibile che un padre come Albert si fosse messo al servizio del Regime. Cominciò così a interrogarlo con una serie di lettere in un carteggio che durerà per tutto il periodo dell'arresto ma che la lascerà delusa visti gli scarsi contenuti, peraltro poco significativi emersi dalla corrispondenza. Quando Speer uscì dal carcere non c'erano i figli a riceverlo e il ritorno a casa dimostrò semplicemente quanto il legame fosse ormai perduto. Hilde si laureò in sociologia, diventò educatrice e partecipò da attivista a numerose campagne politiche del partito dei verdi. Fu eletta anche come rappresentante della Camera a Berlino e vicepresidente tra il 1989 e il 1990. A differenza di molti coetanei Hilde non si risparmiò in critiche al nazismo e al padre, maturando la convinzione che si sarebbe dovuto riparare, restituire quanto era stato ingiustamente sottratto agli ebrei. Creò la Fondazione Zuriickgeben (restituzione) per sostenere e non far scomparire le radici ebraiche dalla società tedesca. Vendette allo scopo quadri di prestigio ricevuti dal padre e con il ricavato finanziò le attività della Fondazione. Ha ricevuto nel 2019 a Berlino il premio German Jewish History Award da parte della Fondazione Obermeyer, creata da un filantropo americano per premiare i tedeschi non ebrei che contribuiscono a mantenere la memoria degli orrori trascorsi. Ha dichiarato apertamente, in più occasioni pubbliche: «provo vergogna per ciò che è accaduto nel passato e, naturalmente

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provo vergogna per il fatto che è successo accanto a me, nella mia famiglia» 1 • Da vera Speer, si è mantenuta critica nei riguardi del cedimento paterno, accollandosene ogni colpa, impegnando la propria vita per riparare a modo suo servendosi del suo nome per lo scopo.

' G. Screny, Albert Speer: bis Battle with Truth, Macmillan, London 1995; cfr. anche l'articolo di F. Cappellani, La difficoltà di essere figlie di criminali 11aziste, «In Storia», 174, giugno 2022, disponibile online (http://www.instoria.it.)

Monika Erti figlia di Hans: combattere per farsi un nuovo nome

Un caso di omicidio di cronaca, per molti anni rimasto irrisolto, attira ancora la nostra attenzione. Avrebbe potuto rimanere nel mistero poiché l'assassino aveva agito con calcolo e precisione, lasciando sul luogo del delitto solo alcuni oggetti: una parrucca, un biglietto, un paio di occhiali, una colt acquistata in Italia e una borsetta 1 • Siamo ad Amburgo, nel primo di aprile del 1971, Heilwigstrasse 125. La vittima era Roberto Quintanilla Pereira, rappresentante del governo boliviano di stanza all'Elba, ex poliziotto e torturatore, sul quale pesava la gloria e la maledizione di essere stato responsabile dell'assassinio di Che Guevara, con l'aggravante di averne violato il cadavere facendogli tagliare le mani. Con molte difficoltà e con un iter caratterizzato dall'intreccio di due diverse procedure messe in atto dalla polizia tedesca e dal governo boliviano, si ricostruì con difficoltà la trama dell'assassinio risalendo con le indagini alla responsabilità di una donna, guerrillera dell'Esercito di Liberazione Nazionale boliviano, che successivamente si scoprirà essere Monika Erti, figlia di Hans Erti, cineasta tedesco, che con la sua professione si era distinto come valente sostenitore del regime nazista, e attivista del servizio di propaganda del Terzo Reich. Monika, nata il 17 agosto 1937, era stata sotto osservazione dei servizi segreti per anni, conosciuta nella sua seconda identità come Imilla la guerrillera, fu poi catturata durante un'imboscata il 12 maggio 1973. Nonostante le molteplici richieste della famiglia Erti, il corpo non fu mai restituito e non venne mai sepolto nella tomba che ancora porta il suo nome.

1

I particolari possono essere reperiti consultando J. Schreibcr, La ragazza che ve11dicò

Che Guevara cit.

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Due identità, quella di Monika Erti e quella della guerrillera Imilla, che apparentemente non trovavano facile unificazione né sintesi, sebbene l'una scaturisse dall'altra, come accade quando una seconda vita prende vigore dalla morte o quando l'attraversamento del reale comporta l'approdo ad una nuova identità nell'impossibilità evidente di modificare le proprie identificazioni. In questo caso si trattava evidentemente dell'identificazione al padre, o meglio a quel tratto di impotenza misconosciuto dal padre che, trasformato in maniacale affermazione di sé, in volontà di potenza carica di idealizzazioni, era stata punto di appoggio durante il percorso di crescita di una fanciulla totalmente ispirata dagli insegnamenti paterni, tanto da avere necessità, una volta diventata donna, di doverne fare a meno a condizione in qualche modo di servirsene. L'omicidio di Quintanilla non fu l'epilogo di una missione compiuta da un gruppo politico o da una mercenaria, né fu un delitto la cui trama era stata maturata tra le fila dell'ELN ma fu un passaggio all'atto di questa giovane donna cresciuta in perfetta sintonia con il romanzo famigliare della famiglia Erti, della quale conservava gli affetti, i legami con la patria ed altri valori fondamentali. La storia di Monika si snoda intorno al suo legame speciale con il padre, legame solido che trovava fondamento in un credo riposto negli stessi ideali universali, in un contesto storico in continuo fermento, fondato sulle capacità di combattere per una propria affermazione, tanto potente da poter essere trasferito dalla Germania alla Bolivia, tra la fine della guerra e gli anni della rivolta studentesca. Quando l'omicidio fu compiuto, erano gli anni del terrorismo, gli anni di piombo in cui tutto il mondo era messo di fronte all'evidenza che la guerra non era finita ma si trascinava oltre il concetto di nazione, con modi più crudi, diventando espressione di una pulsione mortifera che univa in un saldo e implicito legame le generazioni prese tutte in un disagio globale. La famiglia Erti, unita intorno alla figura del padre, era composta da tre figlie, Trixi, Monika e Heidi, e da Rally, la donna che lo aveva molto amato tollerandolo nonostante le sue assenze e i tradimenti. Di Hans sappiamo che era stato concepito da sua madre in seguito ad una violenza carnale. Nato indesiderato si era guadagnato una istintiva opposizione verso il genere femminile del quale subiva

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enorme fascino, conservando una forma di ossequiosa dipendenza che non gli consentiva dialettica ma devozione incondizionata e in qualche modo anche sincera. Arruolato dal Terzo Reich come corrispondente di guerra, fu cameraman con Leni Riefenstahl, che amò a lungo, con la quale comparve in numerosi filmati eroici a sostegno del Regime, realizzati con strumenti rudimentali ad altezze notevoli tra tempestose cime alpine. Fu tra i cameramen preferiti del generale Rommel, tanto da guadagnarsi la reputazione di «fotografo di Rommel». Il rapporto tra Hans e Monika, figlia preferita, nel passaggio dalla Germania alla Bolivia, scandisce il passaggio da una prima a una seconda vita. Hans, che avrebbe preferito un figlio maschio, aveva dedicato a Monika tutte le sue attenzioni, insegnandole le tecniche fotografiche, la passione per la natura e per le esplorazioni avventurose che venivano poi documentate con successo e portate avanti con intraprendenza, sempre apprezzate per l'indiscusso coraggio. Le spedizioni, che sovente rendevano necessario anche l'uso delle armi ed una capacità di sopportare la fatica, erano condotte assieme a Monika, sebbene richiedessero una notevole forza per una donna così giovane, di fatto ancora appena adolescente. La guerra aveva già mescolato vincitori e vinti, vittime e criminali di guerra, lasciando ad ogni attore la possibilità di riabilitarsi in una propria versione nuova o, se vogliamo, di reinventarsi, rilanciando così per ognuno la possibilità di farsi una vita altrove, affinché i vinti potessero sentirsi ancora vincitori senza dover cedere alle debolezze che la sconfitta comporta sul piano morale. In qualche modo, per qualche crepa, era ancora possibile per tutti negare le proprie implicazioni e le colpe per sentirsi ancora partecipi della storia sebbene molto, molto meno di quanto avessero auspicato di poter fare in Germania. Gran parte degli immigrati tedeschi in Bolivia negli anni Cinquanta, aveva perpetrato idee razziste anche dopo la guerra, rifiutando di mescolarsi con gli ebrei tedeschi anche lì, con quelli che essendo tra i più ricchi, sebbene ebrei, avevano seguito la stessa via continuando attività commerciali. Anche in Bolivia, insomma, si continuavano a dividere i territori ariani da quelli giudaici ed anche i cimiteri erano rigorosamente separati e distanti per dimostrare che un discorso, nella

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sua tenuta, si perpetua anche al di fuori dei confini nazionali, attraverso la morte e oltre. Hans Erti, alla fine della guerra, una volta arrestato dall'esercito alleato, aveva avuto come tanti il divieto di continuare a lavorare nel proprio Paese. Il suo viaggio in terra promessa si era compiuto con le sinergie di Croce Rossa, Vaticano e Forze alleate. Approdò così in Cile da dove ebbe poi la possibilità di trasferirsi in Bolivia, ove progettò di continuare le sue eroiche imprese da esploratore, memore degli anni giovanili in cui, da alpinista, aveva dimostrato di fare della cinepresa uno strumento di emulazione della natura incontaminata, ben prima di farla diventare strumento politico. Come con le sue tecniche cinematografiche, aveva fatto delle immagini uno strumento accattivante per mostrare agli occhi del mondo intero la potenza della nazione, mettendo in scena attraverso il film, ancora muto, parate e corpi ariani, belli in tutta la loro perfezione, per distrarre lo sguardo da quelli finiti invece nell'orrore delle fosse comuni. Aveva mostrato di se stesso sempre e solo le parti migliori, occultando una spinta verso godimenti poco propensi a farsi governare e una passione per la trasgressione che toccava il pericolo votandolo al fascino del rischio, all'essere un combattente ovunque per l'ostentazione delle sue imprese eroiche. La sua era una cinematografia che trovava fondamento nello spirito dei tempi, nello Zeitgeist, perché si offriva con pacificanti orizzonti di gloria, per invertire una cinica intenzione rivolta ad incorniciare il peggio e mostrarlo in tutta la sua grandiosa meraviglia, punto di fascino chiamato a rapire lo sguardo unicamente per rendere cieche le masse. In Bolivia, pur non interessandosi più di politica, Hans si era integrato in una piccola comunità di fuoriusciti dalla Germania, che continuarono da latifondisti e da colonialisti a collaborare con le polizie locali ed i servizi segreti in opposizione alle azioni dell'esercito di liberazione di ispirazione castrista. Fu amico stretto di Klaus Barbie, più noto come boia di Lione, che sotto il falso nome di Altmann attendeva indisturbato l'estradizione per essere poi processato come criminale di guerra in Francia. Il sogno di Hans era stato di riprendere in Bolivia la vita lì dove l'aveva lasciata prima della guerra, quando da giovane si era distinto

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per la sua capacità di documentare con la cinepresa la natura: cercare la libertà tra le vette e i ghiacciai, attraverso imprese non prive di pericoli. In questo sogno, dopo Leni, volle sempre Monika accanto, presente sin dalla sua prima adolescenza. Monika era la sua figlia preferita, molto amata, alla quale aveva insegnato con dedizione lo spirito dell'avventura, la sopportazione degli stenti e della fatica, l'amore per le montagne, la tecnica cinematografica e le capacità di programmazione e organizzazione per qualsiasi tipo di impresa. Come lui Monika era caparbia, intelligente e capace, anche se ribelle e poco propensa ad accettare passivamente le immigrazioni imposte a tutta la famiglia dalle vicende paterne. Quando Hans seppe che Monika era stata uccisa dall'esercito boliviano, disse che: «era sollevato dal fatto che la figlia se ne fosse andata in pace»2.. Monika, aveva a suo tempo trovato l'espressione di un sincero disagio adolescenziale in crisi di panico con convulsa partecipazione corporea, sebbene fosse una ragazza sportiva, piena di vita e tenace. Era sensibile e prendeva a cuore molte cose evidenziando sempre un versante molto, molto emotivo. La guerra aveva seppellito la sua fiducia nel mondo e dopo la fine del conflitto ebbe difficoltà a riaprirsi, aveva poche amicizie e fu necessario ritirarla dal collegio che pure aveva rappresentato per lei una sorta di nido protettivo. Sentendosi senza protezione si ammalò di una forma epilettica, transitoria, che con molta probabilità si avvicinava piuttosto ad una isteria. Dopo un periodo di isolamento e di ricovero psichiatrico le fu diagnosticata una forma transitoria di Corea di Huntington che le fu curata con cortisone ad alti dosaggi. Dopo il ricovero la sintomatologia diventò sporadica ma non mancarono altre crisi motorie che la madre calmava legando la ragazza al letto con le funi da scalatore del padre. Appariva così come l'esatta copia del genitore e si impegnava a gratificarlo con i suoi progressi. Lo psichiatra connotò come stress di adattamento quelle manifestazioni corporee che si avvicinavano, negli aspetti formali, alle crisi isteriche delle adolescenti "immature", ma che con molta probabilità mettevano in atto un suo rifiuto per il mondo.

2.

Ivi.

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Era una Erti, in ogni caso, ed esternava questo disagio in sbalzi di umore improvvisi che sembravano alternare nella stessa persona due opposti. Senza alcun cinismo, Monika era molto accattivata dai valori ugualitari ed anti-autoritari della rivoluzione, sentiva di dover agire, di dover fare qualche cosa per appartenere ali' Altro. Orgoglio del padre, lo aveva accompagnato in importanti spedizioni per documentazioni fotografiche, sopportando il disagio del viaggio nella foresta boliviana, le notti all'aperto e la paura degli animali. Per amor suo, pur non avendo gradito il trasferimento in Bolivia aveva provato a integrarsi in quella piccola comunità di tedeschi. Tentò di realizzare un suo sogno nel trovare presto marito ed avere bambini, facendo volontariato cattolico e cercando di aiutare i poveri. Sapeva che il padre avrebbe desiderato un figlio maschio ed avrebbe cercato di dargli almeno un nipote. A ventun anni sposò Hans, omonimo del padre, un tedesco orgoglioso di famiglia borghese e tenace vocazione nazista. Il passo fatto nel tentativo ancora una volta di compiacerlo non venne però apprezzato dal padre che, poco avvezzo ad essere messo in secondo piano e poco propenso ad accettare fallimenti, dichiarò la sua scelta quanto meno azzardata. Probabilmente, Hans Erti non era ancora pronto a lasciare partire la sua bimba dalla casa paterna ma non seppe esprimere questo suo affetto che si manifestava piuttosto in una morbosa possessività3. Monika, poco dopo sposata, perse in modo indolore un bambino tanto desiderato, dopo i primi mesi di gestazione. Venuto a mancare anche questo ultimo appiglio alla sembianza fallica, si lasciò prendere progressivamente da un godimento silenzioso che lasciava intravedere un tentativo di appoggio identificativo all'altra donna del padre: Hans aveva amato Leni Riefenstahl che, sfoggiava forza e bellezza senza pari, la madre Rally invece silenziosamente subiva ogni decisione, portando avanti il ruolo di vittima sacrificale. La femminilità si sventagliava nell'immaginario di Monika in disparate possibilità, tutte messe alla prova nel recuperare la distanza da un morboso attaccamento al padre. Una volta divorziata da Hans, Monika si rivolse al padre, confidandogli le sue passioni, la sua fame di giustizia, le sue letture, i 3

Riferimento al caso freudiano della giovane omosessuale.

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rapporti con i giovani boliviani. Gli chiese quindi di mettere a disposizione una parte della sua tenuta per le prove di addestramento dell'Esercito di Liberazione. Ma non ne ricevette un lasciapassare, piuttosto si vide negato ogni riconoscimento, così voltò le spalle definitivamente a quella gabbia dorata costruita dal padre intorno a lei e si arruolò nell'ELN con il nome di Imilla. Darsi un altro nome fu il primo passo per farsi un'altra vita, come d'altronde aveva fatto suo padre, anche se questa seconda venne alla luce troppo tardi, dopo la propria morte. Sebbene la famiglia non riuscisse a comprendere né l'una né l'altra, Imilla e Monika erano solo apparentemente inconciliabili perché erano uguali, non alternative: «il passaggio dall'alta società alla latitanza ha in sé qualcosa di commovente che ti avvince e non ti lascia più. Un fascino inquietante circonda Imilla, un fanatismo abbinato alla sensualità, un'irresistibile presenza che non ti consente di trovare scampo nell'impassibilità. Le scarse fotografie degli anni nell'Esercito di Liberazione Nazionale testimoniano come una tristezza sommessa si fosse insinuata sul suo volto»4 • Imilla era tutto ciò che era stata Monika: per i guerrilleros faceva di tutto e sapeva fare di tutto, dai lavori d'ufficio, all'archivio di informazione interna, alla cucina, alle esplorazioni, compreso l'uso delle armi, le esercitazioni in montagna, l'allevamento dei cavalli e tanto altro. Come Monika era tenace e non si arrendeva di fronte alle difficoltà, ma rispetto a lei, Imilla aveva rinunciato a molte, molte cose, e mentre Monika avanzava per tentativi, Imilla era completamente presa dalle proprie passioni. Tra le due, possiamo riconoscere il filo rosso del desiderio che si snoda nella sua continuità, nel passaggio che articola questo desiderio, mutuato dalla madre e dall'amante del padre, alla sua singolare dedizione al padre, con in più la constatazione che la rinuncia definisce in sé un sacrificio morale non senza la passione che ne metta in luce la causa al di là del senso. Tutto ciò che l'una aveva rifiutato, era ora diventato punto di appoggio per l'altra per portare avanti la sua opposizione sovversiva diretta verso il padre, mettendone in luce il punto di cedimento di una non più autorevole temerarietà. 4

J. Schrcibcr, La ragazza che vendicc) Che Guevara cit., p. 85.

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Imilla lo aveva voluto smascherare nella sua onnipotenza, mettendo in esercizio tra loro una distanza che dopo l'ultimo appello al riconoscimento le avrebbe consentito di tener meglio a bada l'angoscia e di abitare finalmente il corpo, a condizione di lasciarsi cadere, quasi di scivolare in un'altra, appartenendo non più a questo ma ad un altro mondo. La prevedibilità della progressiva deriva di Monika non autorizza nemmeno ad accettare la scusa attenuante che si sia trattato di una crisi di nervi, di una ricaduta nello squilibrio dell'infanzia[ ... ] Hans Erti era stanco del mondo là fuori e voleva vivere in un tempo che era lui a stabilire. Imilla lo riportava brutalmente al presente. Nel Terzo Reich il cameraman aveva conosciuto le tentazioni dell'estremismo, aveva sperimentato con la sconfitta personale i risultati della lealtà ad un ideale. Da allora si era tenuto lontano dalla politica. Ed ora ci si mette sua figlia, con le sue idee di sedizione e violenza [... ] la piccola principessa lo metteva di fronte ad enigmi insolubili, condannato a non poter accettare che con la sua decisione Monika aveva forse agito nel modo più adeguato alle circostanze politiche della Bolivia 5.

Amore, giustizia e verità diventarono man mano non valori, ma fumus di quel punto di dissolvenza della figura paterna, mentre nel nuovo scenario, si inquadrava un'altra versione del padre nel rigetto di quel punto di appoggio che era venuto a mancare, accecante ragione di vita per una figlia alla rimozione di un ultimo velo. Così, da figlia, espresse la sua risposta verso il padre, costruita pazientemente con tutta se stessa, con il corpo, per una vittoria da ottenere, da combattente, ad ogni costo. La guerra privata di Imilla si scriveva e si ricomponeva soltanto nell'ultimo scritto, sul biglietto lasciato cadere sulla scrivania di Quintanilla, con sole tre parole: « Victoria o muerte» 6 • In questo aut aut, fittizia alternativa per uscire dal romanzo famigliare, ripropose nella lettera la simmetria tra le due vite, tra una morte certa e la vittoria sempre possibile. Ertl-Imilla ritenne di votarsi alla morte in nome della vittoria esattamente come avrebbe fatto Hans, risolvendo così in una olofrase un'impresa che altri non avrebbero nemmeno preso in considerazione. Ivi, pp. 86-87. Pare che Imilla abbia lasciato sul luogo dell'assassinio un biglietto scritto a mano con queste tre parole. 5 6

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Monika era un figlio maschio mai nato, Imilla era invece profondamente donna, estrema come solo le donne e i folli sanno essere accettando di portare su di sé un destino esemplare. Quando un percorso si compie, si appoggia sempre ad atti esemplari come ad uno sgabello che serve per salire più in alto, come illustrato dal caso freudiano della giovane adolescente, il simbolico interviene in ogni più piccolo atto 7• Tutto questo, se Monika lo aveva sempre immaginato, Imilla lo aveva creduto e ne forniva dimostrazione vivente8• Aveva immolato la sua vita sull'altare di una sua guerra, al paradigma del mancato senso di colpa dei padri offrì in risposta la propria nuova vita o se vogliamo la propria morte, qualche cosa di proprio in comunque. Colpendo Quentanilla aveva colpito un doppio, quel suo doppio che era doppio del padre, un doppio di quel cinismo al quale si era più volte rivolta ma senza ricevere risposta, al quale ora dava la sua risposta mentre la vita dell'una si dileguava in quella dell'altra. Ma la tomba di Monika, preparata dal vecchio padre rimaneva vuota per sempre.

7

J. Lacan, Dei Nomi-del-Padre seguito da Il trio11fo della religio,ie cit., p. 30.

Per gli aspetti personali cd i dettagli della vita e del lavoro per l'ELN si può consultare anche R. Dcbray, La gringa. Storia di una guerrigliera, trad. it. T. Riva, Bompiani, Milano 1978. 8

Il sacrificio come limite al godimento

La clinica dell'isteria può essere considerata una clinica in trasformazione e può trovare delle soluzioni al dramma personale utilizzando anche dei luoghi comuni. Lo stile, le modalità, per questo motivo, portano l'impronta dei cambiamenti epocali. Tali figlie, amate e spesso vezzeggiate da questi padri, devote ed amorevoli, riconoscenti o meno, più spesso adirate per quanto avevano conosciuto nell'ambito delle mura domestiche, dovettero fare i conti con questi aspetti del reale. Senza alcun trattamento analitico, talvolta cadute in cure psichiatriche di orientamento discutibile, erano sollecitate dallo scorrere della vita a prendere posizione in quella mancanza dell'Altro che può farsi causa. Lacan, nel Seminario XVI Da un Altro all'altro (1968-1969), afferma: «Illustri esempi storici dimostrano che la soluzione può essere trovata in un equilibrio soggettivo alla sola condizione che venga pagato il giusto contributo all'edificio del sapere» 1 • In questo seminario egli rivede il concetto di godimento in relazione al discorso, elaborando una topologia dell'Altro bucato e riconoscendo all'isteria la peculiarità di mettere in gioco una spinta verso l'infinito in merito alla questione del godimento. Proprio riconoscendo alla posizione isterica una difficoltà specifica nel collocarsi in una dimensione di discorso sociale, Lacan evidenzia una messa in discussione dei valori fallici che evolve in direzione di una ricerca di un nuovo equilibrio tra godimento e sapere, non universale perché non attiene il luogo dell'Altro ma assunto singolarmente attraverso una topologia singolare molto complessa. J. Lacan, Il seminario. Libro XVI. Da utz Altro all'altro (1968-1969), testo stabilito da J.-A. Miller, a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2019. 1

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In queste tre figlie, alla luce dei concetti introdotti da Lacan, possiamo riconoscere come, con un attraversamento del concetto di identificazione, esse articolino la propria posizione soggettiva ad un limite che si concretizza nell'agito per far fronte a quello che possiamo definire un "prolungamento del padre". Un limite messo in esercizio in silenzio, per mancanza delle parole o per condurre oltre le parole stesse. Ricopre grande interesse la citazione di Lacan nel Seminario XI (1964) sull'Olocausto, che potremmo confrontare con lo sviluppo del Seminario XVI (1968-1969) circa l'uscita dall'impasse dell'isteria. Tra i due seminari è evidente una continuità, infatti, proprio in relazione al concetto di limite ove si sottolinea che il limite è tracciato non tanto dall'identificazione in sé, ma dall'impossibile del godimento. Il sacrificio filiale, nell'ostentazione dei fatti, è certamente dimostrativo di un passaggio verso il limite, verso la rinuncia di qualche cosa che si configura come uno scambio che articola il passaggio tra un Credo Assoluto e la vittima a lui consacrata. Questo aspetto di scambio, di passaggio consente la costruzione di nuovi rapporti orizzontali, una comunione che è, come uno scambio tra fratelli, un legame tra simili, che certamente ad un secondo giro si rivela meno distruttivo. In richiamo al mito totemico, alla divorazione di qualcosa che pure faccia corpo con il padre, questo tratto o pezzo del codice rende evidente che nel passaggio generazionale ciò che stiamo considerando è sostanzialmente un passaggio di testimone: dai padri alle figlie. Nella misura in cui queste figlie assumono il sintomo paterno su di loro, in qualche modo lo portano avanti e ne rettificano alcuni aspetti della funzione che avrebbe dovuto sostenere con più forza le pressioni della pulsione di morte. Essendo prevalso il silenzio sulla metafora, come espressione di quello stesso godimento che nella sua effrazione lasciava avanzare solo una guerra, alle generazioni successive resta un supplemento operativo, uno sforzo ancora, una supplenza che opera attraverso una metonimia e trasforma quel godimento in una guerra singolare, sofferta, portata avanti in privato da ogni figlia. Possiamo dire che queste figlie furono votate all'azione ed in questo modo attuarono un passaggio epocale. Più libere in relazione all'oggetto fallico, libere anche da obblighi militari e da gerarchie, occuparono un posto più controverso e anche più problematico ri-

IL SACRIFICIO COMI! LIMITI! AL GODIMl!NTO

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spetto a quanto non avessero fatto i loro padri. Si immolarono infatti come in sacrificio, con atti ed asserzioni coraggiose, eroiche. Bataille2. mette in evidenza come il sacrificio sia comunque analogo allo scambio poiché entrambi, sacrificio e scambio, mettono in gioco un non-senso, un fuori-senso per dire meglio e per dire ancora di più, lasciando scorgere da parte dell'essere sacrificale un tentativo di dominare la situazione attraversando l'interfaccia tra se stesso e una propria più intima verità. Il sacrificio riporta all'essere per la morte implicando un modo nuovo di intendere la vita, un attimo prima di votarsi a morire. Prefigura così un cambiamento del quale si suppone possano beneficiare anche altri. Lascia ben intravedere una modalità di instaurare di nuovo una qualche funzione laddove il Nome del Padre dichiara forfait, rifonda la legge morale3. L'atto sacrificale rinvia, infine, al concetto di morale kantiano, all'azione incondizionata e non subordinata a nessuno, all'azione eroica ancora più sovversiva. Nel Seminario XI Lacan affronta proprio la questione della relazione tra pulsione e questione morale, cercando di dare qualche indicazione agli analisti per quanto concerne il lavoro analitico. Richiama nell'ultimo capitolo la differenza radicale che intercorre tra ipnosi e pratica della psicoanalisi, che sebbene possano vantare una origine comune risalente all'intuito del Professor Freud, si distanziano tra loro precisamente per il peso diverso che occupa la suggestione, e per il valore legato alla suggestione oltre che ad aspetti ideali. Mentre l'ipnosi è costruita precisamente sulla manovra di accalappiare lo sguardo ed usa l'aura confusiva che dal significante ideale emana al soggetto nel suo reperirsi nel posto dell'oggetto, nel luogo della vittima quindi (rammentiamo che sguardo e voce furono gli oggetti messi in campo nella struttura perversa), Lacan ricorda al contrario che la psicoanalisi si è istituita come operazione di doveroso mantenimento di una giusta distanza tra I ed a4. G. Bataillc, La parte maledetta, trad. it. F. Scrna,Bollati Boringhicri, Torino 2015. Dario Moralcs, La limite et le sacrifice, in Limites Jouissatu:e, Sémittaire interne de l"ACF-JdF, Association dc la Cause Frcudicnnc, tic dc Francc-Bibliothèquc Conflucnts, Etrcchy 2008-2009, p. 25. '4 J. Lacan, Il seminario. Libro Xl. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi cit., p. 269. 2

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FIGLI!'. DP.L SILP.NZIO

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«Per darvi delle formule di riferimento - aggiunge - dirò che se il transfert è ciò che scosta il transfert dalla pulsione, il desiderio dell'analista è ciò che ve la riconduce»5. Perché dunque questa manovra di contrastare la naturale tendenza del transfert e ricondurre il lavoro dalla domanda del soggetto a quella dell'Altro che lo abbaglia, lasciandolo in balìa della pulsione acefala, a ciò che lo riduce ad esserne l'oggetto? Quale istanza potrebbe mai mobilizzare l'analisi, dunque, per scollare il soggetto nella sua domanda, spostandolo dalla più comoda posizione di vittima sacrificale ridotto a semplice oggetto delle pretese dell'Altro? L'analista, nella sua funzione, dapprima chiamato dal soggetto ad occupare il luogo di un Ideale, eticamente è tenuto in seguito a ridimensionarsi e a riposizionarsi nel luogo più scabroso dell'oggetto separatore, manovrando in questo territorio oscuro l'insostenibile inconsistenza che, con leggerezza, conduce e rettifica attraverso il proprio stesso desiderio. Lacan dice: «È da questa idealizzazione che egli deve decadere, per essere il supporto dell'a separatore, nella misura in cui il suo desiderio gli permette, in una ipnosi a rovescio, di incarnare lui, l'ipnotizzato» 6 • Si tratta di rivolgere quindi le nostre attenzioni di nuovo al luogo del sapere, luogo di importanza cruciale nella definizione del ruolo occupato dalla psicoanalisi in relazione alla scienza, alla comunicazione mediatica, al discorso comune ed agli effetti di ricaduta di tutto ciò sul soggetto, per meglio mettere a fuoco ciò che l'analista può incarnare attraverso il proprio desiderio. Lacan aggiunge: «C'è qualcosa di profondamente mascherato nella critica della storia che abbiamo vissuto. È presentificando le forme più mostruose e pretese superate dell'olocausto, il dramma del nazismo»?. Lacan evoca il desiderio dell'analista per scongiurare un paventato rischio che qualcosa di perverso venga perpetrato anche nella seduta analitica, consapevole del fatto che tale desiderio non è allo stato puro, ma è desiderio di mantenere la differenza assoluta che può intervenire divaricando la presa ambivalente dell'oggetto a piccolo e del marchio degli Sr. 5

6

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Ivi, p. 269.

lbid. Ivi, p. 270.

IL SACRIFICIO COME LIMITE AL GODIMENTO

1 45

Cerca quindi la ricaduta degli effetti del discorso analitico sul soggetto al lavoro sotto transfert nel taglio di reale che si incontra a bordo dell'esperienza analitica. Se l'analista quasi "risuona" attraverso un suo desiderio e "precipita" verso l'atto (interpretativo), al soggetto può accadere di cogliere una nuova chance per districarsi da una presa ipnotica che lo lega al lavoro transferale, per risvegliarsi con una manovra di estrazione da quel posto di vittima sacrificale in cui, pigramente, rimaneva. Qui, Lacan sottolinea, vi è una specifica dialettica del desiderio dell'analista e richiama gli analisti al rispetto di quella incognita rappresentata dalla sua funzione, da quella x radicata al tempo stesso nel corpo e nell'articolazione significante che ad un certo punto spinge all'urgenza di darci un taglio. Anticipando così lo sviluppo successivo dei quattro discorsi, nel Seminario XI Lacan traccia già le linee generali del desiderio dell'analista che, quasi come uno strumento chirurgico, può scalzare il soggetto da una posizione che rischia sempre di sconfinare nell'al di là del principio di piacere. Il reale in gioco può essere scalzato solo da questa manovra di taglio, confermando come una possibilità e non una certezza la sua estrazione; come si potrebbe fare cavando un dente dolente, l'analista attraverso il suo desiderio de-cade, a costo di dover assumere lui il ruolo dell'ipnotizzato, a costo di fare il tonto. La questione, complessa, viene qui richiamata solo per sottolineare che il reale si presentifica in analisi per un soggetto che è goduto dall'Altro e si propone di ritornare a quei significanti padroni con il compito di riorganizzare una propria morale, al di là dell'oggetto empirico che lo ha potuto interessare, oltre ogni oggetto concreto o di consumo, al di qua della caducità e della morte. Miller scrive: Lacan ha scritto un seminario che si intitola Di un discorso che non sarebbe del sembiante8 • È una formula rimasta misteriosa da quando il seminario è stato pubblicato, perché nel titolo è presente un condizionale in forma negativa. Ma sotto questa forma egli evoca un discorso che sarebbe del reale, questo vuole dire. Lacan ha avuto il pudore di non dirlo sotto questa formula

8 Id., Il seminario. Libro XVIII. Di un discorso che noti sarebbe del sembiante (1971), testo stabilito daJ.-A. Millcr, a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2010.

FIGLIE DEL SILENZIO

che io svelo, lo ha detto attraverso un condizionale negativo: di un discorso che sarebbe del reale, di un discorso che ha luogo a partire da un reale, come le matematiche. Era il sogno di Lacan mettere la psicoanalisi al livello delle matematiche9.

A partire da qui, possiamo confermare che l'inconscio stesso è una ipotesi, che può essere lavorata, elaborata, prolungata, ma resta una ipotesi che mette al lavoro il soggetto e l'analista, innanzitutto, sottoposto al dovere di farlo esistere, l'inconscio, ma in una coerenza che lo affranca ad uno statuto etico. Il sintomo, pertanto, più o meno sofferto dall'analizzante, chiama l'analista ad una lettura che Miller dice appunto si debba appartenere ad un altro ordine, al «leggere» 10 • Passando dal dover ascoltare il non detto alla necessità di poter leggere il sintomo, ci si assume la possibilità che ciò che non venga detto possa piuttosto iscriversi, che quindi venga almeno letto, talvolta anche rispondendo a criteri differenti che passano per il fuorisenso: omofonia, grammatica, logica 11 • La soddisfazione, nell'analisi sotto transfert, individua un campo che si delinea come al di là del desiderio. Il piacere, al contrario, si collega unicamente all'ordine simbolico che si articola come sostitutivo dell'oggetto perduto, ri-cavato, cavato più volte per ritornare alla metafora del dente e a quella manovra che, per sottolineatura, accento o interpretazione enigmatica, segna il punto di un progresso mentre mostra il guado di un confine, il guado di quel sentiero che delinea il godimento come impossibile, esterno, extime, segnando piuttosto un al di qua del limite. Per quanto riguarda il desiderio, dunque, possiamo dire che questo lascia una dimensione beante che mostra l'inciampo del soggetto in un oggetto empirico e, proprio lì, dove il gioco può sfuggirgli di mano, può trovarsi ad esserne egli stesso confuso, goduto dal padrone di turno che gli domanda. Queste due dimensioni, del desiderio e del godimento, doverosamente distinte da Lacan, riportano il sacrificio al concetto sadiano, a quel gioco che consiste nel ridurre il soggetto a mezzo per ac9 J.-A. Miller, Lire un symptome, «Mental», 26, 2011, p. 53 (trad. libera non controllata dall'autore). 10 Ivi, p. 57 (trad. libera non controllata dall'autore). 11 lbid.

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contentare la legge dell'Altro, per asservirlo e per esserne al tempo stesso l'agente cieco, nella sua sottomissione, perché sia la vittima che l'oggetto del sacrificio si identificano alla legge sovrana. «Il sacrificio significa che, nell'oggetto del nostro desiderio, tentiamo di trovare testimonianza della presenza del desiderio di questo Altro che chiamo qui il Dio Oscuro» 12 • In sintesi, avendo messo in luce un doppio versante del sintomo, l'uno verso il simbolico e l'altro verso il reale, possiamo affermare che l'addiction può essere elevata a modello di ciò che porta ad una reiterazione di godimento che è alla radice della ripetizione sintomatica. Miller afferma: L'interpretazione come saper leggere punta a ridurre il sintomo alla sua formula iniziale, vale a dire all'incontro materiale di un significante e di un corpo, lo choc del linguaggio sul corpo. Allora, certamente, per trattare il sintomo è necessario passare per la dialettica che muove il desiderio, ma si tratta anche di non farsi abbagliare dai miraggi della verità che questa decifratura aggiunge e mirare al di là della fissità del godimento, l'opacità del reale. Se voleste farlo parlare, questo reale, gli imputerei quello che dice il Dio d'Israele, nel cespuglio che brucia prima di dettare i suoi comandamenti, che sono l'abbigliamento per il suo realc:Je suis ce que je suis'3.

La traccia del desiderio dell'Altro, che si traduce sul versante reale con la sua volontà di godimento, è il limite di quell'oggetto extime che nella logica del sacrificio porta la barra per dividere sacrificante e sacrificato. Se nel fantasma sadiano è la burocrazia che domina, come nella guerra, mentre la burocrazia ordina e trasforma in contabilità le perdite, nella vita di tutti i giorni, come nella vita di queste tre donne, la posizione sacrificale ha rappresentato un tentativo di ristabilire l'Altro desiderante andando al di là della via paterna, oltre ciò che i padri erano stati. Hanno fatto così esistere un desiderio con la propria abnegazione, immolandosi per rifondare un possibile legame di discorso. In diversa misura e con le dovute differenze tra le varie situazioni citate, la dimensione del loro sacrificio non ha consentito nessun accesso al godimento, piuttosto ne ha rappresentato una funzione limi11

J. Lacan, Il seminario. Libro XVIII. Di u11 discorso che 110n sarebbe del sembia11te

cit., p. 269. 13

J.-A. Miller, Lire un sympMme cit.

FIGLIE DEL SILENZIO

te mettendo in evidenza l'aspetto dell'impossibile in un annodamento borromeo, strano, raggiunto per una via tortuosa. In questo modo, certamente estremo, il soggetto acconsente ad un'ultima possibilità di scrittura, organizzando in extremis la propria vita, nell'esclusione, nell'eccezione, nell'ombra o sulla scena, ma sempre ripristinando in modo singolare una trama discorsiva altrimenti interrotta dal silenzio.

Disparità di genere e ritorno al corpo

Emblema del potere maschile, il fallo per Freud rappresentava quel terreno della discordia tra sessi denominata penisnheid. L'organo maschile diviene invece con Lacan il punto di snodo di una doppia operazione: da referente corporeo a rappresentante nell'ordine simbolico e delle rappresentazioni tutte, un condensato di pratiche adatte a delocalizzare il godimento, pratiche centrali non solo per la psicoanalisi ma, in estensione, per l'ambito sociale ed istituzionale, per la funzione fondante della norma, sempre maschile. Per opera della castrazione, il fallo scrive nel corpo del soggetto le insegne paterne, fornendo una versione del maschile e del femminile senza peraltro essere vincolato ad uno specifico referente, operando quindi liberamente, in modo indipendente dai corpi e dall'anatomia. Mette in funzione un doppio aspetto, ridefinito attraverso la sua specifica funzione nell'ordine simbolico, nei due diversi stati: dell'essere e dell'avere. Il maschio lo ha, la femmina lo è. Sebbene sul piano immaginario questo fallo svolga apparentemente una funzione conformata, di rinforzo e di rappresentanza del potere, per la psicoanalisi viene a istituire esattamente la castrazione, la mancanza, un difetto di natura se vogliamo o un sembiante che marchia ogni corpo al di là del sesso anatomico, per separarlo dal godimento e consegnarlo ad una scansione temporale che richiama, per essenza, tutte le esperienze di perdita, inclusa la morte. L'esperienza di questa perdita, generalizzata, denota ogni essere parlante e il suo essere in vita, in quanto pezzo staccato e perduto, che si separa da un godimento mitico dell'Altro, mai più rinnovabile una volta separato dal corpo della madre e consacrato alla morte dalla vita 1 • 1 Id., Pezzi staccati. l11troduzio11e al Seminario XXIII. «Il sinthomo», a cura di A. Di Ciaccia, trad. it. L. Ceccherelli, Astrolabio, Roma 2.006.

FIGLIE DRL Sll.l!NZIO

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Proprio il fallo, pertanto, che sul piano simbolico la fa da padrone, tanto che Lacan ne ricorda il valore di significante con S1 (che chiama significante maitre correlato del Nome del Padre), regola nella sua funzione gli algoritmi del discorso proponendosi come punto di appoggio inerziale che ci rammenta quello che possiamo definire, nel versante simbolico, genericamente, "l'ordine". Pur attirando aspetti significativi socialmente condivisi, dalle cose più banali alle forme del potere istituzionale o le religioni, da un altro versante, questo si dimostra comunque una fixction (fissione e finzione al tempo stesso) poiché per dirla in breve richiama l'esperienza della morte, almeno rifacendosi alle due pulsioni freudiane. Ruotano così intorno al fallo la questione paterna e l'assunzione del genere, la sessualità che orienta in modo innovativo tutto ciò che, in epoche oscure, viene a rappresentare una dimensione culturale o di costumi. Talvolta prossima alla de-generazione ed a ciò che di essa si trasmette, l'assunzione di una propria sessualità al di là dell'anatomia rappresenta un attraversamento di un reale e partecipa di un'angoscia che toccando il corpo spinge a riflessioni su come poter fare un buon uso del padre utilizzandone finanche un prolungamento sintomatico, per produrre un proprio resto sintomatico:i.. Allorché il soggetto rivolge al fallo e al padre, l'interrogativo ritorna sul proprio essere, incontra comunque l'inconsistenza nell'Altro, un vuoto che dimostra che c'è del godimento irriducibile al fallo, che non parla, che resta fuori-senso per operare silenziosamente. Perciò, con le formule della sessuazione, si evidenzia che la questione della paternità presenta una sorta di diplopia del padre che deve essere elaborata dal soggetto con una sovversione che Io spinge ad una doppia ricerca vagando tra il reale e l'attribuzione simbolica, decidendo del suo essere mentre decide del suo genere. Questa problematica di genere, esplorata dalla psicoanalisi e della quale non mancano riscontri nella gamma di nuovi sintomi, fa della clinica del femminile la clinica del godimento fuori regola fallica, la clinica dell'eccedente che diventa impossibile, palesando la necessità per ogni donna di prendere parte ad una personale guerra, talvolta attraversando una propria analisi. 2

Il resto sintomatico dimostra l'insisten1.a del reale.

DISPARITÀ DI GENERE I! RITORNO AL CORPO

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Miller afferma: Quando diciamo di avere a che fare in analisi con degli esseri di linguaggio, noi interpretiamo, facciamo una riduzione. Riconduciamo l'essere di linguaggio al niente, al nulla. Il paradosso qui è quello del resto. C'è una x che resta, al di là dell'interpretazione freudiana. Freud ha approcciato questo in modi diversi. Ha messo in gioco la reazione terapeutica negativa, la pulsione di morte, ha esteso la prospettiva fino a dire che la fine dell'analisi, come tale, lascia sempre sussistere ciò che egli chiamava dei resti sintomatici. Oggigiorno la nostra pratica si è prolungata ben al di là del punto freudiano, ben al di là di quel punto ove per Freud l'analisi trovava il suo termine [... ] Nella nostra pratica noi assistiamo al confronto del soggetto con resti sintomatici. Si passa dunque dalla decifrazione della verità del sintomo e si arriva ai resti sintomatici senza dare lo stop3.

Piuttosto che la parità di genere abbiamo voluto qui valorizzare una differenza a partire dalla sua pratica, una disparità, prendendo in esame quella forza mitopoietica del singolare che conduce ogni soggetto, ancor più se donna, ad essere l'artefice della propria epica per circoscrivere con uno sforzo singolare, talvolta eroico, il reale che insiste. Il soggetto, dai dati storici riportati, è portato in epoche oscure e nell'assenza di sintomi paterni, ad utilizzare eventualmente un prolungamento delle sue credenze verso il padre, per acquisire una propria consistenza. Questa operazione che procede come una sovversione singolare o come guerra privata, per ognuna come per ogni soggetto, è una guerra affrontata al fine di mettere a lato spinte ancora più distruttive e prendersi cura della de-generazione che, provenendo dalla norma maschile, produce al contrario segregazione e incomunicabilità. Supponiamo qui, invece, che nell'ottica di una differenza di genere, l'inciviltà venga meglio regolata o accantonata indirizzando le pratiche verso un desiderio che possiamo dire sia per vie perverse comunque "orientato dal femminile", dunque nella rinuncia al potere4, più garantista nella capacità di preservare la mancanza e procedere in attesa J.-A. Miller, Lire un symptome cit., pp. 53, 55. Antonio Di Ciaccia, recentemente, nella Conversazione clinica sul desiderio dell'analista, ha precisato che il desiderio dell'analista si attiene a tre regole: rinuncia del potere, passaggio della domanda da transitiva a intransitiva, la domanda deve comunque puntare alla mancanza. 3

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FIGLI!! Dl!L SILl!NZIO

che in essa si produca del nuovo, verso un buon governo delle aspirazioni e delle spinte pulsionali, astenendosi dalla spinta al godimento prodotta dal discorso del consumo capitalistico, in una economia al riparo dalla naturale distruttività del genere umano. Ad ogni donna, socialmente più spesso disprezzata e declassata, è ancora demandata la responsabilità di generare (figli ma anche idee, mezzi, modalità di convivenza, nuove famiglie), proprio grazie a questa inconsistenza che non le consente di appoggiarsi ad una logica di appartenenza alla massa o a movimenti di opinione. Supponiamo, di conseguenza, che possa esserle affidato anche il compito di sovvertire la logica della guerra e del potere, per meglio sostenere nella singolarità le colpe, scansate dai padri, senza per questo rinnegarle, nel prolungamento del loro credo, facendone qualcosa di nuovo con una gestazione che nel corpo torico di ogni figlia può essere rielaborato, restituito in modo non convenzionale. Ognuna, a condizione che sia disposta ad abdicare da aspirazioni al potere, nel proprio piccolo spazio singolare, consuma per così dire questa sorta di ultima chance nell'essere portatrice di una supposizione-finzione di sapere che, da godimento autistico primitivo si sviluppa libera in direzione della creazione con ogni mezzo, anche con il riciclaggio dei resti, per una possibile restituzione ali' Altro. Confidando in questa piccola guerra quotidiana, laddove la ftmzione paterna nel suo declino ha già avuto effetto sulla lingua, producendo l'imposizione di olofrasi vuote e segreganti che si impongono sterilmente su questioni relative alla trasmissione del sapere scientifico, si potrebbe esplorare quel mare in cui scompare oggi il soggetto, maschio, femmina o di ogni altro genere non binario che sia, rappresentandosi come mera modalità, come modo di raccontarsi e di nominarsi piuttosto che di essere o di fare, ancor meno di vivere, rappresentando così la fragilità di quel "soggetto modale", citato da J. Lacan già nello Storditos. Tra padri e figlie, in tal caso, non si tratterebbe quindi più di costruire un legame, quanto piuttosto di reperire lo stampo di una prima esperienza, indispensabile, di delusione e di perdita, per poter mettere in esercizio un vuoto come segno di questa sperimentata distanza (e differenza) incolmabile. s

J. Lacan, Lo stordito cit.

DISPARITÀ DI GENERE E RITORNO AL CORPO

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Tale vuoto, che si rifà allo spazio e al tempo, rendendo conto del reale come discontinuità che intercorre, tra singolarità e generazioni, articolato, o anche no, al terreno della contesa fallica, è per definizione un salto logico chiamato ad esprimere un impossibile che prelude ad altro impossibile, generalizzato come impossibile scrittura del rapporto sessuale, della trasmissione tra singoli e impossibile del passaggio di testimone tra generazioni. Non è forse tale esercizio che impegna l'infans già alla separazione dalla madre e dal suo corpo? Non è forse questa già una pratica del femminile che comporta uno sforzo di elaborazione ulteriore, supplementare, per oltrepassare la metafora dell'amore e fronteggiare la pulsione di morte? Come affermò già Hanna Arendt, il mondo dell'eccesso è un mondo che si autodistrugge, mettendo comunque gli esseri parlanti di fronte al nodo dell'identità a partire dalla considerazione che si tratta di arrangiarsi unicamente con delle sembianze, di potersi narrare in qualche modo per pensare ad un futuro, per oltrepassare la storia e conquistare in questo spazio vuoto, ma di contesa, quella identità che può trovarsi solo fuori-storia, nel proprio atto, come quello di Amleto pronto a vacillare o a compiersi 6• Trasportata sul piano etico, dunque, la questione si traduce nel come mettere in opera questa distanza dal padre e servirsi di una logica che nella sua scansione temporale 7concerne progressivamente campi diversi, proponendo estensioni e nuove acquisizioni di sapere, di valori, di appartenenza di genere, di scelte di vita e, più in generale, di intenzioni di come posizionarsi nell'essere tra la vita e la morte. Le colpe di tali padri ed altre che continueranno a perpetrarsi, dopo che diverse perversioni, snodandosi in sequenze algoritmiche, si riproporranno nel sapere servile e funzionale ad altri poteri, in altre nazioni, in nuove epoche e via via, in altre guerre che scoppieranno altrove, dimostrano che la storia procede banalmente attraversando fantasmi fondamentali sempre sufficientemente perversi, sempre molto personali. Oggi, dopo che il sapere scientifico ha rivelato al mondo il suo volto crudele, alla fine della Seconda grande guerra, una volta con6

F. Di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer, Cronopio, Napoli

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J. Lacan, Il tempo logico e /'asserzione di certezza antidpata, in Id., Scritti cit., voi. 1.

2010.

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FIGLIE DEL SILENZIO

sumate le tragedie della soluzione finale e della bomba atomica e di altre terribili azioni, ai figli e alle generazioni successive giunge in eredità la scomparsa dei padri, la scomparsa delle famiglie, le scelte di solitudine o l'istituzione di aggregati multipli e codificati. Del padre, come suggerisce Lacan, si è dimostrato di poterne fare a meno, ma proprio nel momento in cui padri de-generi, uomini di rilievo o persone comuni, venivano giudicati finalmente come criminali di guerra e interdetti al mondo civile, le figlie avevano già raccolto molto prima di tale giudizio ogni eredità secondo le implicazioni etiche e alla luce di una possibile uscita da ogni convenzione.

La difficile testimonianza del reale in psicoanalisi

Testimoniare il reale ha dell'impossibile e ci riporta alla difficile esperienza della testimonianza dei superstiti del campo di concentramento mentre il resto sintomatico, alla fine dell'analisi riveste l'irriducibile del desiderio e sospende il soggetto al punto preciso della mancanza dell'Altro, lasciandolo smarrito, perso. Come nel campo di concentramento un soggetto tentava di reperire le proprie coordinate di fronte ai due oggetti che dominavano la scena, lo sguardo e la voce, così l'analizzante nel proprio lavoro di transfert si trova condotto al bordo di un reale, silenzioso, indicibile, irrappresentabile. Sostenuto inizialmente dallo sguardo che illumina la scena fantasmatica in cui può ancora vedersi rappresentato, man mano che l'analisi prosegue si trova solo nell'attraversare la scena fondamentale che lo riguarda, fuori dal campo visivo e dallo sguardo, a realizzare che è proprio lo sguardo che manca nella figura dell'analista che gli si nasconde alle spalle. Resta però la percezione della sua presenza, l'attesa della sua voce, ma anche questo filo sarà destinato in qualche modo a scomparire, per lasciare lo spazio vuoto di un saluto che non necessariamente verrà esplicitato o la promessa dell'ultima interpretazione che non ci sarà, di una qualsiasi percezione di una distanza che separa. L'attesa lascia maturare l'abbandono e la perdita. L'analizzante, prossimo alla fine analisi, sente che il suo corpo sta per essere riconsegnato al silenzio e non potendo fare altro, sogna. Il sogno appare, così, come un segno di vita, mentre tutto finisce 1 • • L'esperienza richiama l'inversione del sogno e della realtà, al tempo del campo di concentramento, come l'ha narrata Primo Levi: l'incubo era nel risveglio e l'impossibile a dirsi si trasformava in reale per la mancan1.a dell'interlocutore. In P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 2005.

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Solo il sogno può dire ancora qualche cosa, mentre la testimonianza del reale avanza nel silenzio che prende spazio. Prima o poi, se si tenta di immaginare di poter fare domanda di passe, ci si chiederà: si può dire qualcosa del reale o è meglio evitare ed arrestarsi di fronte all'impossibile? E ci si lascia andare ad appunti sui foglietti per ricostruire i punti nodali del percorso, ci si affida alla scrittura, si cerca consenso in quello che fu l'analista. Come Benjamin, Celan, Antelme e Duras, ci si affida alla scrittura per inventare quella per se stesso più idonea, quella che possa testimoniare del reale. 2 Fare riferimento al reale implica sempre una condizione disumana, una condizione cruda che richiama la paura dei sintomi infantili e riporta al senso di abbandono che da bambini si prova e di cui non si parla mai a nessuno. Questo abbandono alla detresse originaria disorienta nel suo essere prototipo del vuoto, solitaria, spinge a cercare da qualche parte la possibilità di far leva sulle proprie forze, per procedere da soli senza conoscere la strada per la quale si procede al buio che accompagna durante il percorso. Il desiderio femminile portato alle sue estreme conseguenze sfida e conduce verso la fine in modo peculiare. Lacan nel 1960 tentò di scrivere questo desiderio nel materna .K(~)3, poi sviluppato in quello già citato S(.K), per indicare il suo preciso riferimento al desiderio dell'Altro di cui il soggetto supposto Sapere è significazione. La forma del desiderio femminile, a partire da qui, evidenzia il suo definirsi in rapporto alla mancanza dell'Altro mettendo tra parentesi la significazione fallica. Si tratta di un desiderio che tende alla deflazione, che punta ad un segno meno per non saturare mai del tutto tale mancanza, per dare e ridare valore alla castrazione, perché comunque circoscrive l'oggetto al quale è riportata la barra tra significante e significato. In questo modo, tale desiderio rivela le sue tortuosità, ma mentre si adatta a diverse forme, si scontra con il problema che c'è dell'Uno nel godimento. ~

B. Moroncini, Il discorso e la ce11ere. Il compito della filosofia dopo Auschwitz cit.

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J. Lacan, Il seminario. Libro IX, L'identifiazzione (1961-1962), inedito.

LA DIFFICILE TESTIMONIANZA DEL Rl!ALE IN PSICOANALISI

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Tende così a sloggiare il fallo, perversamente, trovandosi a fare un nodo del godimento con un proprio senso che alloggia, spurio, nell'inconsistenza dell'Altro. Tale annodamento tra senso, godimento e significazione è sempre uno sforzo, una propria originale combinazione che ha della trovata e dell'invenzione al tempo stesso. Uno sforzo da artista, che dove non si trovano più parole affida l'ultimo atto all'invenzione. Non c'è una vera e propria traversata del fantasma a questa condizione, perché il termine dell'analisi non può non tenere conto del lutto per l'oggetto a piccolo che riveste l'analista e lo rappresenta riducendolo ad una persistenza silenziosa che si avvolge scomparendo nell'affetto del lutto prima di lasciarlo andare e rinnovarne la causa4.

Di queste vie tortuose viviamo, queste vie tracciamo e troviamo, come per le figlie delle quali abbiamo sin qui trattato. Si incontrano diverse tracce, solchi, forme, versioni: se nell'isteria il desiderio si articola al Nome del Padre reinventando la commedia del fallo, nella sua forma più assoluta e pura, questa, come si è visto, trasporta talvolta anche nella tragedia. Come per Antigone, nell'essere figlia, ogni donna pur di risplendere del suo bagliore si spinge a pagare anche con la propria morte quel desiderio ostinato di seguire il destino familiare realizzandone la legge, in un fuori tempo, nei tempi supplementari. Il desiderio al femminile è così un desiderio impuro, non tutto articolato al fallo o almeno, non necessariamente tutto, perché è un desiderio che ha un suo rapporto con quella lettera d'amore che si mostra nella sua consistenza di reale e che, proprio da questa, riceve la sua caratterizzazione al femminile. Troviamo echi della teoria della passe, formulata da Lacan nel 19675, che riguarda appunto la separazione tra analista ed analizzante o meglio tra l'analizzante e l'oggetto a piccolo che l'analista ha incarnato per lui alla fine della cura. La riduzione transferale, che, come già confermato da Miller non è senza resto, mostra del desiderio al femminile un resto ben esposto

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Id., Lo stordito cit., p. 484. Id., Proposta del 9 ottobre I 967 sullo psicoanalista della Scuola, in Id., Altri scritti cit.

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al momento della sua caduta, un resto che richiama necessariamente all'analizzante la questione dell'amore verso il padre come Nome, riportandolo alla nominazione del reale e al proprio sintomo con tutti i corollari che gli si accompagnano, intraprendendo la strada del faticoso quanto necessario superamento. Si tratta di una specifica difficoltà che emerge allo zenith nel chiudere la cura esponendo i due versanti di un crinale che oltre l'immaginario puntano al simbolico attraversando l'esperienza di un'angoscia specifica che spinge anche l'analista a dover meglio comprendere. Questa criticità evoca un tema delicato, quello della possibile o impossibile trasmissione della teoria della psicoanalisi nel suo legame con la teoria della fine dell'esperienza, per la psicoanalisi in intenzione come per quella in estensione. 6 Una lezione di Lacan risulta particolarmente significativa ed illuminante in merito. Il 17 febbraio 1976, al centro dello svolgersi del Seminario XXIII Il Sinthomo7, Lacan infatti, ritorna su quanto è successo a Joyce che, per supplire alle carenze del proprio padre, dovette rifarsi un nome proprio destrutturando in qualche modo, attraverso la sua arte, il linguaggio. Accadeva, a Joyce, che dei pensieri sopraggiungessero con una particolare concretezza che egli chiamava "parole imposte", pensieri che si formalizzavano in parole ambigue che egli doveva interpretare, operazione questa che dava origine ad elucubrazioni che spesso non si preoccupava di celare ma che emetteva, delle quali doveva rispondere. Egli, per sua stessa ammissione, si definiva un telepatico emittente, senza né segreti né riservatezza. Il prolungamento di tale sintomo paterno era toccato appunto alla figlia Lucia che, durante il suo internamento in clinica psichiatrica, si era autodefinita una telepatica, poiché riceveva le stesse parole imposte del padre, dimostrando inoltre di avere una tendenza al neologismo tanto quanto quella dimostrata nell'arte del padre che frantumava e smantellava le parole scritte fino a dissolvere il linguaggio, a ridurlo ad un puro suono nella deformazione che fuori-senso dava comunque ad intendere perfettamente quanto il fonema potesse farsi portatore del reale. 6 G. More!, Témoignage et Réel, «Acheronta», 13, 2001, parti I e II, disponibile online (www .acheronta.org/pdf/acheronta 13 .pdf). 7 J. Lacan, Il seminario. Libro XXIII. Il Sintbomo cit.

LA DIFFICILI! TESTIMONIANZA Dl!L Rl!ALI! IN PSICOANALISI

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Il Sintomo di Joyce e della figlia Lucia, nominato in questo seminario da Lacan Sinthomo, testimonia così della carenza dei padri e viene proprio al posto proprio della carenza, come un lapsus ed un motto di spirito vengono a testimoniare dell'Inconscio, scrivendolo. Lacan scrive di Joyce: Udiva per esempio qualcosa come sporco assassino politico che per lui equivaleva a sporco assistentato politico. Si vede bene come il significante si riduca a quello che è, ossia all'equivoco, a una torsione della voce. A sporco assistentato o sporco assassino qualificato come politico egli rispondeva tra sé e sé qualcosa che cominciava con un ma e che era la sua riflessione in proposito. A scombussolarlo era il pensiero che la riflessione che si produceva in aggiunta alle parole da lui considerate imposte fosse a sua volta nota a tutti gli altri. Egli era dunque, secondo la sua stessa espressione, un telepatico emittente [... ] Quel che mi spinge oggi a parlarvi di Lucia è proprio il fatto che Joyce, che la difese energicamente dall'internato, diceva di lei una cosa sola - che Lucia era telepatica 8•

L'esempio di Lacan, calzante e riconducibile a quanto qui descritto per queste figlie di padri nazisti, dimostra dunque la questione centrale che ridotta all'osso ci riporta alla trasmissione del reale ed alla trasmissione nell'insegnamento della psicoanalisi: - A partire da un sintomo irriducibile si può in ogni caso inventare e fabbricare qualche cosa che possiamo denominare con Lacan un Sinthomo; - In luogo di una identificazione al padre, nel caso della carenza della funzione paterna, resta alla figlia la possibilità di identificarsi ad un prolungamento del sintomo paterno e in tale prolungamento ella conferma una credenza nel padre che non è nei termini di una equivalenza ma di un rapporto; - Il Sinthomo non rende equivalente la figlia al padre ma rende operativo un rapporto speciale quanto conflittuale. Il rapporto con il padre, foriero sempre di colpa, fau'te9, cade con Lacan nell'equivoco perché richiama un errore, un errore di annodamento tra i tre registri che deve però rendere conto della differenza tra sessi. Una donna, afferma Lacan, è il Sinthomo per l'uomo mentre l'uomo per ogni donna è devastazione. 8 9

lvi, pp. 91-92. Faute significa colpa ma anche sbaglio, errore. Cfr. ivi, p. 94.

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FIGLIE DEL SILl!NZIO

La dimostrazione della non equivalenza tra sessi ci mostra quanto ciò che si viene a conoscere dal lettino non è altro che l'impossibile del rapporto sessuale e la sua sostituzione con un sintomo che costruisce un rapporto speciale con l'Altro. Come per la giovane omosessuale, l'adolescente del caso freudiano, il sintomo si configura anche qui come risposta, risposta alla carenza del padre che pretende di di-segnare un rapporto. Alla fine della cura, allo stesso modo, l'analizzante, posto di fronte ad una qualsiasi carenza dell'analista, ritorna a quella mancanza originaria, alla messa in parentesi dell'oggetto, che sotto le forme di un desiderio assoluto disegna le altrettanto tortuose vie del transfert. C'è da chiedersi se la teorizzazione di tutto questo, nel suo sviluppo che conduce sino alla messa in forma della teoria della passe, non abbia rappresentato per Lacan una motivazione alla propria singolare ricerca, una causa oltre che un proprio tentativo di costruire un suo nodo, un legame preciso nel prolungamento del sintomo del Padre Freud, per affidare al momento della separazione dall'analista una funzione nuova ed eternizzare quel Sinthomo costruito all'uscita, per fissarlo in un legame di Scuola, come risposta ad una solitudine. Come far passare la psicoanalisi nella vita di tutti i giorni? Come rendere conto del reale, indicibile e silenzioso, attraverso una psicoanalisi in estensione, non soltanto all'interno dell'esperienza solitaria che si snoda dal lettino con l'analista? Il problema della solitudine dell'esperienza umana occupò gran parte della giovane vita di Ingeborg Bachmann, scrittrice e poetessa nata in Austria nel 1926, vissuta in Germania e in Italia, prematuramente scomparsa a Roma, toccata dalla questione ebraica già dalla sua militanza nel Gruppo 47 10• Bachmann, durante le sue lezioni di Francoforte, esortò con forza le nuove generazioni ad avere fiducia nella letteratura, più che nella parola, confidando nella sua potenzialità di custodire i germi di un pensiero nuovo che strappasse dall'orrore l'umanitàn. 0 ' Laboratorio artistico nel quale molti poeti e letterati, tedeschi ed ebrei, tentarono di rifondare i principi per continuare a narrare ed a produrre opere d'arte anche dopo gli orrori della guerra. 11 Le le1foni furono pronunciate a Francoforte tra il 1959 e 1950. Cfr. I. Bachmann, Letteratura come utopia, trad. it. V. Perretta, Lezioni di Francoforte, Adelphi, Milano 1993.

LA DIFFICILETESTIMONIANZA DEL REALE IN PSICOANALISI

Riprendendo una celebre frase di Kafka, ella affermava che la letteratura deve essere come un'ascia per infrangere quel mare ghiacciato che è dentro di noi. Nel testo di una lezione dedicata all'Io, afferma: Che cosa è l'Io? Che cosa potrebbe essere? Un astro di cui posizione e orbita non sono mai state del tutto individuate e il cui nucleo è composto di sostanze ancora sconosciute. Potrebbe essere questo: miriadi di particelle che formano un "Io", ma al tempo stesso l'Io potrebbe essere un nulla, l'ipostasi di una forma pura, qualcosa di simile ad una sostanza sognata, qualcosa che definisce una identità sognata, cifra di qualche cosa che è faticoso da decifrare più del segreto dei codici. Ma esistono scienziati e poeti che si rifiutano di abbandonare l'impresa, e vogliono individuare, studiare, indagare e fondare l'Io, e rischiano in continuazione di uscire di senno. Essi hanno fatto dell'Io il terreno dei loro esperimenti, oppure hanno fatto di sé stessi il terreno sperimentale dell'lo 12 •

Durante una sua lezione cita il romanzo di Céline 1 3, Viaggio al termine della notte, in cui l'autore insiste attraverso l'uso di un alter ego, a passare qualche cosa della propria esperienza attraverso un particolare tipo di racconto in arg{Jtl4, a trasferire qualche cosa del reale. Nel sottolineare agli studenti il valore della scrittura letteraria, Bachmann precisa, di questo autore, che tra l'altro non aveva nascosto la sua aperta adesione a temi nazisti: Ogni evento è accidentale al massimo, visto che la vita dell'individuo singolo, per quanto interessante, ricca o addirittura densa di significati possa talvolta apparire a lui o ad altri, è del tutto priva di significato, qualora non compia una scelta e si rinunci a dare ordine a quel materiale grezzo che è "la vita". E per il lettore non ha alcun valore. L'Io di Miller e quello di Céline hanno un valore solo perché entrambi posseggono un linguaggio che riprodure, accentuandolo, il caos, essi parlano, parlano e parlano, fino a quando la loro vita è assorbita dal linguaggio. E Céline strepita e infuria con il suo arg6t e, in questo fiume di parole riesce a far sì che le sue storie di miseria, che altrimenti non interesserebbero nessuno, finiscano per rappresentare la miseria di tutti i popoli 15.

È un buon esempio questo, di come una donna, lngeborg Bachmann, articolando il suo discorso all'importanza non tanto della parola ma 12

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lvi, p. 58. L-F. Céline, Viaggio al tennine della 11otte, a cura di E. Ferrero, Corbaccio, Milano

1992. 14

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Gergo della malavita parigina. I. Bachmann, Letteratura come utopia cit., p. 63.

FIGLIE DRL SILl!NZIO

della lettera, attribuisca fiducia all'arte, in particolare alla letteratura, riuscendo a cogliere una possibilità di trasmissione nell'artificio letterario facendo del reale singolare una sua estensione all'universalità dell'esperienza umana. Per la psicoanalisi e per gli psicoanalisti moderni, resta da inventare di volta in volta, nel punto estremo dell'esperienza umana e nella più pura solitudine, un modo per trasmettere qualcosa del reale, o di scriverne, o più precisamente di iscrivere del reale con segno nuovo. Il desiderio femminile, impuro come quello dell'analista, come abbiamo tentato di far emergere dal tratto di storia esaminato all'ombra dell'esperienza della nostra clinica, nel preservare un rapporto con la barra posta sull'Altro, mentre riceve con la lettera del reale il carattere erotomanico della sua condizione, ritorna in modo nuovo al segno di un amore inedito che si iscrive uscendo fuori dalla serie, come un segno del nuovo tout court, che può essere fondamento di un qualche passaggio, che conduce altrove, una strada che può essere attraversata anche se qualcosa viene tramandato esclusivamente attraverso il silenzio.

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