Fichte e l’anarchia del commercio. Genesi e sviluppo del concetto di “Stato commerciale chiuso”

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Diego Fusaro

Fichte e l’anarchia del commercio Genesi e sviluppo del concetto di “Stato commerciale chiuso”

il melangolo

opuscula / 222 Il presente studio monografico affronta il problema della genesi e dello sviluppo del concetto di “Stato chiuso dal punto di vista commerciale” nella rifles­ sione di Johann Gottlieb Fichte. Prendendo in esa­ me la non esigua bibliografia sul tema e le più re­ centi acquisizioni della Fichte-Forschung, il saggio cerca di mostrare come sia possibile rintracciare, nel percorso teorico fichtiano, una correlazione essen­ ziale tra il fondamento della dottrina della scienza come “sistema della libertà” e la teoria dello Stato chiuso commercialmente così come viene sviluppa­ ta da Fichte a partire dal 1800. La “chiusura com­ merciale” appare a Fichte, nella specifica congiun­ tura storica in cui si trova a operare, la sola via per reagire all’“anarchia commerciale” e, dunque, per rendere praticabile la dottrina della scienza come inesausto sforzo di razionalizzazione dell’esistente.

ISBN 978-88-7018-941-4

€22 ,0 0

9 7 88 8 7 0 189414

D iego F usaro (Torino, 1983) insegna “Storia della filosofia” presso l’Università San Raffaele di Milano. È studioso della filosofia della storia e delle strutture della temporalità storica, con particolare attenzione per il pensiero di Fichte, Hegel, Marx e per la “storia dei concetti” tedesca. Dirige la collana filosofica “I Cento Talleri” dell’editrice II Prato ed è il curatore del progetto internet “La filosofia e i suoi eroi” (www.filosofico.net). Tra i suoi studi più recenti: Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo (Bompiani, 2012), Idealismo e prassi. Fichte, Marx e Gentile (Il melangolo, Genova 2013), Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione (Bompiani, Milano 2014).

In copertina: Konstantin Juon, Nuovo pianeta, 1921. Mosca, Galleria Tret'jakov.

opu scula 1222

Copyright © 2014, il nuovo melangolo s.r.l. Genova - Via di Porta Soprana, 3-1 www. ilmelangolo .com ISBN 978-88-7018-941-4

Diego Fusaro

Fichte e l’anarchia del commercio Genesi e sviluppo del concetto di “Stato commerciale chiuso”

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il melangolo

Il conflitto degli interessi commerciali è frequentemente l’autentico motivo delle guerre, per le quali si tende sempre a cercare un ordine di motivi differenti. In tal maniera, viene assoldata una metà del pianeta contro i princìpi politici di una popolazione, per quanto si dice, mentre la guerra è, in verità, indirizzata contro il suo commercio e a detrimento degli stessi reclutati. J.G. F ichte, L o Stato commerciale chiuso Le epoche umane come i rapporti umani sono gli uomini che li foggiano, e nessuna forza airinfiiori di essi. J.G. F ichte, Discorsi alla nazione tedesca

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI RELATIVE ALLE OPERE DI J.G. FICHTE

GA = G esam tausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, a cura di R. Lauth e H. Jacob, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1962 ss. M

= Werke. Auswahl in sechs Bänden, a cura di F. M edicus, Meiner, Leipzig 1908-1912 e 19623.

N S = Nachgelassene Schriften, a cura di H. Jacob, II, Schriften au s den Jahren 1790-1800, Junker und Dünnhaupt, Berlin 1937. SW = Sämmtliche Werke, a cura di I.H. Fichte, Veit, Berlin 1845-1846.

1.

SU LLA PRESUNTA KEHRE N EL PERCORSO FILOSOFICO-POLITICO DI FICHTE

Guardati dall’assecondare, per interesse o per brama di gloria presente, il gusto cor­ rotto del tuo tempo: sforzati di rappresenta­ re l’ideale che sta davanti alla tua anima, e dimentica tutto il resto. J.G. F ichte, Sistema di etica

Già da un numero tutt’altro che esiguo di anni la FichteForschung, se non in modo unanime sicuramente nella maggior parte delle sue prestazioni, si è congedata dall’idea, per lungo tempo egemonica, secondo la quale il percorso fichtiano sareb­ be contraddistinto, sul piano teoretico, dalla decisiva frattura segnata dalla pubblicazione della Bestimmung des Menschen del 18001. A partire da tale opera-soglia, come è noto, si era soliti secondo una linea interpretativa pioneristicamente propugnata dallo stesso Schelling2 - identificare, nel percorso fichtiano, un

1. Cfr., ad esempio, G. Z öller , Neuere Resultate der Fichte-Forschung, in “Philosophischer Literaturanzeiger” , n. 49 (1996), pp. 389-394. 2. Dopo l’esposizione del 1801 e quella del 1804 della Wissenschafts­ lehre, Schelling, nella sua Esposizione dei veri rapporti della filosofia della natura con la dottrina migliorata di Fichte, sosteneva che Fichte aveva mutato la propria filosofia assumendo i princìpi dello stesso Schelling, senza nemmeno curarsi di renderli conciliabili con il sistema della dottrina della scienza dì un tempo. Si veda R. L auth, Kann Schellings Philosophie von 1804 als System bestehen? Fichtes Kritik, in “ Kant-Studien” , n. 85 (1994), pp. 48-77.

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nuovo inizio, vuoi anche una radicale frattura, che avrebbe con­ dotto il pensatore di Rammenau a un diverso modo di intendere e di praticare la filosofia, ridefinendo integralmente il codice della Wissenschaftslehre (= WL). In forza di tale svolta, da intendersi per certi versi come l’e­ quivalente funzionale della Kehre nel percorso teorico heideg­ geriano, si verificherebbe un transito (ora salutato dagli inter­ preti come un geniale guadagno teorico, ora stigmatizzato come un’inattesa ricaduta nella Schwärmerei) dal cosiddetto ideali­ smo soggettivo (la soggetto-oggettività soggettivamente intesa, secondo la formula critica della Dijferenzschrift hegeliana3), con al centro l’idea dell’agire umano come fondamento del reale, all’Assoluto come fondamento dato di ogni scienza possibile. Un tale passaggio dall’Io a Dio4 (con in mezzo - a mo’ di spar­ tiacque - VAtheismusstreit5), ossia dalla prima filosofia (sog­ gettivistica, critica e prassistica) alla seconda (oggettivistica, speculativa e teologica), in cui l’essere cessa di essere dedotto dal fare e si assume come fondamento realmente dato l’automa-

3. Cfr. G.W.F. H egel, Differenz des Fichteschen und Schellingschen Systems der Philosophie, 1801 ; tr. it. a cura di R. Bodei, Differenza tra il siste­ ma filosofico fichtiano e schellinghiano, in Id., Primi scritti critici, Mursia, Milano 1971. Sull’interpretazione hegeliana di Fichte nella Differenzschrift, cfr. soprattutto H. G irndt, Die Differenz des Fichteschen und Hegelschen System der Philosophie in der Hegelschen “Differenzschrift", Bouvier, Bonn 1967. 4. È a partire dalla Neue Darstellung der Wissenschaftslehre 1801/02 che il pensiero trascendentale di Fichte muta sul piano concettuale, poiché dal­ l’Io si passa al “sapere dell’Assoluto” ( Wissen des Absoluten). Si veda, ad esem­ pio, J. S tolzenberg, Zum Theorem der Selbstvernichtung des absoluten Wissens in Fichtes Wissenschaftslehre von 1801, in “ Fichte-Studien” , n. 17 (2000), pp. 127-140. 5. Con le parole di Twesten a Brandis del 30 marzo 1811, in seguito a una visita fatta a Fichte: “parlavamo del rapporto tra la sua vecchia dottrina della scienza e quella nuova. Esso è il seguente. Nella vecchia dottrina della scienza egli parte dall’Io puro che viene presupposto e dal quale viene dedotto tutto il resto. Adesso invece va ancora più in alto e deduce a sua volta questo stesso Io puro come forma necessaria della manifestazione di Dio” (J.G. Fichte im Gespräch. Berichte der Zeitgenossen, a cura di E. Fuchs in collaborazione con R. Lauth e W. Schieche, 6 voll., Stuttgart/Bad Cannstatt 1978-1992,1, pp. 311-312). 8

nifestarsi dell’essere assoluto (l’apparire di Dio come sapere assoluto), è oggi stato, come si diceva, ampiamente ridimensio­ nato dagli interpreti: i quali, senza sottovalutare le novità e le acquisizioni teoriche, spesso decisive, che vengono rapidamen­ te succedendosi nel Denkweg fichtiano, hanno preferito inten­ derle come momenti plurali di un percorso in sé profondamente unitario67. Una tale rilettura, del resto, non soltanto è suffragata dallo stesso Fichte, il quale, come è noto, ha sempre insistito sull’intima unitarietà dell’impianto della WL nonostante i continui rimodellamenti che la caratterizzano (si veda, a questo proposi­ to, tra le tante, la programmatica affermazione Aq\YAnweisung zum seligen Leberf), ma trova un proprio robusto punto di soste­ gno nella considerazione svolta da Ives Radrizzani e supportata da un solido impianto argomentativo: se davvero Fichte avesse cambiato sistema o anche solo effettuato una vera “ rivoluzione di paradigma” (nel senso attribuito da Kuhn a tale espressione), allora avrebbe anche dovuto mutare il principio su cui tutto il sistema si regge, cosa che invece non ha mai fatto8. D ’altro can­ to, che Fichte ripubblichi nell’estate del 1801 la Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre del 1794-95 è la prova tangibile

6. Si veda, tra i molti studi orientati in questo senso, P.L. Oesterreich e H. T raub, Der ganze Fichte: die populäre, wissenschaftliche und metaphilo­ sophische Erschliessung der Welt, Kohlhammer, Stuttgart 2006. 7. “Queste lezioni, insieme con quelle di recente apparse sui Tratti fon­ damentali dell 'epoca presente e su L’essenza del dotto, rappresentano una dot­ trina compiuta in forma popolare e sono, tutte insieme, l’esito della riflessione che da sei o sette anni sto sviluppando senza tregua, con maggior cura e in età più matura, circa la prospettiva filosofica che io adottai tredici anni or sono, e che se, come auspico, ha operato più di un mutamento in me, ciò non di meno da quel tempo non ha subito alcuna modificazione in alcuna delle sue parti” : J.G. F ichte, Werke. Auswahl in sechs Bänden (= M), a cura di F. Medicus (Mei­ ner, Leipzig 1908-1912 e 19623), V, p. 105. Cfr. L. Pareyson, Fichte: il sistema libertà, Mursia, Milano 1976 (seconda edizione rivista: prima edizione 1950), pp. 157 ss. 8. I. Radrizzani, Vers la fondation de l'intersubjectivité chez Fichte. Des Principes à la Nova Methodo, Vrin, Paris 1993, p. 43.

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del fatto che egli, nonostante tutti i ripensamenti del caso, anco­ ra si riconosca nelle strutture della WL codificate sei anni pri­ ma9. La svolta transzendentalphilosophisch, condotta in direzio­ ne di un idealismo trascendentale che invera Kant nell’atto stes­ so con cui lo affranca dalle scorie del dogmatismo che ancora infettano il suo sistema, resta il solido fondamento su cui le varie esposizioni della WL vengono ridefinendosi: esso costitui­ sce, per così dire, il coefficiente di unitarietà che permette di leggere tutte le prismatiche Darstellungen della dottrina della scienza come parti del System der Freiheit inteso come impian­ to in sé unitario in tutte le articolazioni del suo sviluppo. In particolare, è merito di Radrizzani10 aver mostrato come la Bestimmung des Menschen, comunque la si voglia intendere, lungi dal costituire una rottura nel Denkweg fichtiano, presenti non pochi elementi di continuità con i testi e con le soluzioni del “primo Fichte” , non soltanto con la dottrina della scienza nova methodo, di cui è - almeno in parte - un’esposizione in forma di populäre Lehre, ma anche con la stessa Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre del 1794-95 e con la Erste Einlei­ tung del 1797. In particolare, il principale tratto comune - vero e proprio orizzonte di senso dell’intera riflessione teoretica di Fichte - andrebbe ravvisato nell’antidogmatismo e nella simme­ trica insistenza sul fa re come fondamento dell’essere, con annessa defatalizzazione dell’esistente ricondotto al versante soggettivo (la deduzione dell’essere dal fare, del fatto dall’atto, del reale dalla prassi). Questo principio, lungi dall’essere rinne­ gato dal “ secondo Fichte”, costituirebbe il fondamento della sua riflessione e delle importanti innovazioni teoriche che essa vie­ ne guadagnando dopo il 1800.

9. Cfr. G. R ametta, Fichte, Carocci, Roma 2013, p. 77. 10. Cfr. I. Radrizzani, The P lace o f the Vocation ofM an in Fichte s Work, in D. B reazeale e T. Rockmore (a cura di), New E ssays on Fichte’s Later Jena Wissenschaftslehre, Northwestern University Press, Evanston 2002, pp. 317344.

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Ora, se è vero che la Fichte-Forschung ha, con buone ragio­ ni, disarticolato il precedente paradigma dicotomico incentrato sulla fallace idea della Kehre teoretica, non si può non rilevare, per contrasto, come non si sia ancora effettuata, con eguale radi­ calità, un’analoga operazione sul cóté della filosofia politica e sociale di Fichte: la quale, salvo eccezioni pur degne di nota", persiste tenacemente nell’interpretare la riflessione socio-politi­ ca del pensatore di Rammenau alla luce di quella presunta rot­ tura epistemologica che, essenzialmente concomitante rispetto a quella teoretica, si consumerebbe anch’essa a partire dal 1800. In una simile prospettiva, Der geschlossene Handelstaat svol­ gerebbe, sul piano socio-politico, una funzione del tutto analo­ ga a quella svolta dalla Bestimmung des Menschen sul versante teoretico, configurandosi come lo spartiacque decisivo, il momento della Kehre, del trapasso a una nuova visione che, rispetto a quella precedente, andrebbe intesa nei termini di una mera frattura senza punti di continuità1112. Le conseguenze della mancata disarticolazione del para­ digma della Kehre sul versante socio-politico sono ampiamente note e, per questa ragione, sarà qui sufficiente farvi cenno, com­ pendiandole, in forma volutamente icastica, in quello che, ad oggi, continua a essere il principale pregiudizio a cui è inerzial­ mente legata l’ermeneutica propria della Fichte-Forschung: il “giovane Fichte” , giacobino e rivoluzionario, nemico dello Sta­

11. Delle quali la più significativa resta, a nostro giudizio, l’eccellente studio di A. M asullo , Fichte: Vintersoggettività e l ’originario, Guida, Napoli 1986. Si vedano, inoltre, i contributi raccolti nel recente volume curato da J.-C. Goddard e J. Rivera de Rosales, Fichte et la politique (Polimetrica, Monza 2008), il quale assume come tesi di fondo l’unitarietà del percorso filosoficopolitico di Fichte. 12. Come suggerisce Tom Rockmore, “la filosofia politica fichtiana assume forme differenti: la difesa della Rivoluzione francese, la difesa del popo­ lo tedesco quando il paese è occupato dai Francesi, l’analisi dell’economia poli­ tica e della teoria del diritto naturale” (T. Rockmore, Fichte et la philosophie politique aujourd’hui, in J.-C. G oddard e J. R ivera de Rosales, Fichte et la politique, cit., p. 473).

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to e dei tiranni, cosmopolita e difensore dei guadagni della Rivoluzione francese, strenuamente in cerca dell’emancipazio­ ne del genere umano kantianamente inteso “da un punto di vista cosmopolitico” , passerebbe disinvoltamente, a partire dalla ste­ sura di Der geschlossene Handelstaat, a una visione reazionaria e statalistica, anti-illuministica e saldamente conservatrice, poi destinata a trovare conferma nelle successive Reden an die deutsche Nation, del 1808, in cui la letteratura secondaria si è varia­ mente sbizzarrita a scorgere in statu nascendi le radici delle peggiori sciagure del Novecento. Fintantoché era ancora in vigore il paradigma della Kehre teoretica e della sua idea cardinale del transito fichtiano dalla pro­ spettiva astratta illuministica a quella romantica e nazionalistica13, era pressoché scontato intendere le due svolte - teoretica e politi­ ca - in stretta relazione tra loro: quasi come se il transito dalla filosofia dell’Io a quella di Dio comportasse necessariamente, eo ipso, l’abbandono del pensiero politico della libertà e dell’eman­ cipazione e l’adesione a una concezione autoritaria e reazionaria, orbitante attorno al fuoco prospettico dello Stato etico e commer­ cialmente chiuso. Tuttavia, dopo che, come si è visto, la tesi della rottura teoretica ha smarrito la sua tenuta, a sopravviverle è uni­ camente la visione dominante della rivoluzione di paradigma in ambito socio-politico e nella concezione della Staatsform. In forza di tale tesi, che - lo ripetiamo - ancora non ha smarrito, né ha visto significativamente ridimensionata, la pro­

13. Cfr., ad esempio, A. R avà, Studi su Spinoza e Fichte, Giuffrè, Mila­ no 1958, pp. 254-255: “Fichte sta, quasi Giano bifronte, al confine tra i due secoli. Nello svolgimento del suo pensiero vanno distinte due fasi principali: per la prima egli è uomo del secolo decimottavo, è, pur su basi kantiane, prettamente razionalista, manca di ogni senso storico, concepisce il diritto come nettamente separato dalla morale e lo stato come puro organismo giuridico e di sicurezza; nella seconda fase egli appartiene già interamente al secolo decimonono, la sua filosofia ha un elemento irrazionalistico ed è quasi la base speculativa del romanticismo, la storia assume nel sistema un posto sempre più dominante e lo stato viene concepito come la suprema organizzazione delle forze economiche e morali della nazione” .

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pria egemonia, diventa possibile disgiungere troppo disinvolta­ mente il cosiddetto “primo Fichte” dal “ secondo” e, per questa via, intendere la sua riflessione politica a partire da Der gcschlossene Handelstaat come un episodio della reazione o, secondo una linea non di rado egemonica, come un primo pas­ so sia verso il nazionalsocialismo precorso dalle Reden (così, tra i tanti, Arnold Gehlen14), sia verso lo stalinismo preconizzato in Der geschlossene Handelstaat (si veda, tra i molti, Nico Wallner15), o magari anche - non stupirebbe che così venisse inter­ pretata la Staatslehre del 1813 - come una diabolica sintesi tra i due regimi totalitari. La “ rischiosa categoria del precorrimen!o” 16, come la definiva Foucault, ostenta in questi casi una chia­ ra vocazione ideologica: essa si rivela l’arma ideologica tramite cui demonizzare preventivamente il codice filosofico-politico I ichtiano attribuendogli la responsabilità per le tragedie storiche posteriori. È, appunto, in grazia di una tale dicotomia semplificatoria c, insieme, generatrice di fraintendimenti ermeneutici che la let­ teratura critica, ieri come oggi (e non alludiamo qui che alla migliore), si avvolge in paradossi di ogni genere, presentando il filosofo di Rammenau in maniera contraddittoria e - secondo l’acuto suggerimento di Manfred Buhr - screditandolo, a secon­ da del punto di vista dell’interprete, come “ democratico e rea­ zionario, giacobino e uomo delle tenebre, cosmopolita e sciovi­ nista prussiano-tedesco, idealista soggettivo, irrazionalista, mistico, e poi al contrario idealista oggettivo, razionalista, pan­

14. Cfr. A. G ehlen, Deutschtum und Christentum bei Fichte, Junker und Dünnhaupt, Berlin 1935, p. 12. 15. Cfr. N. Wallner , Fichte als politischer Denker, Niemeyer, Halle 1926, p. 125. Cfr. anche F.W. K aufman, Fichte and National Socialism, in “American Political Science Review” , n. 36 (1942), pp. 460-470. 16. M. F oucault, L’Archéologie du savoir, 1969; tr. it. a cura di G. Bogliolo, L ’Archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultu­ ra, Rizzoli, Milano 20095, pp. 170-171.

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teista, ateo” 17. Non vi è accusa che non sia stata rivolta alla filo­ sofia politica fichtiana. Fichte non compare, è vero, tra gli autori chiamati da Pop­ per a sedere al banco degli imputati in The Open Society and Its Enemies: e, tuttavia, sul fatto che il pensatore di Rammenau, a partire dal 1800, sia un nemico dell "open society non vi è alcun dubbio. Che il pensiero liberale lo consideri tale, a ogni latitudi­ ne e a ogni gradazione, è provato, oltretutto, dal fatto che Isaiah Berlin annoveri il pensatore di Rammenau tra i “nemici della libertà umana” 18 (enemies o f human liberty)', dove la libertà, naturalmente, è sempre e solo quella liberale, che pensa l’indi­ viduo astratto e anticomunitario, protetto dalle intrusioni statali e libero di abitare lo spazio sociale ridotto a puro piano delle transazioni mercantili. Si tratta, in effetti, del concetto di libertà contro cui combatte strenuamente Fichte (e alla cui luce è pos­ sibile leggere, come vedremo, Lo Stato commerciale chiuso): non certo per negare tout court la libertà, bensì per promuover­ la in una diversa accezione, che sia forma e contenuto, che sia, appunto, una libertà non liberale, in ciò risvegliando i suoi con­ temporanei - ma poi, a maggior ragione, noi che siamo vittime dell’incubo àeWend ofhistory19 - dal sonno dogmatico dell’au­ tomatica identificazione, tutto fuorché ideologicamente neutra, tra la libertà e la sua declinazione liberale. La Wirkungsgeschichte del pensiero politico del “ secondo Fichte” è costellata da fraintendimenti ed equivoci, dovuti al modo stesso con cui si è impostato il problema, assumendo sur­ rettiziamente come fondamento indiscusso (l’hegeliano noto

17. M. B uhr, Revolution und Philosophie. Die französische Revolution und die ursprüngliche Philosophie Fichtes, Deutscher Verlag der Wis­ senschaften, Berlin 1965, p. 29. 18. Cff. I. B erlin , Freedom and its Betrayal. Six Enemies o f Human Liberty, 2002; tr. it. a cura di G. Ferrara degli Uberti, La libertà e i suoi tradito­ ri, Adelphi, Milano 2005. Si tratta del testo, pubblicato postumo, di alcune con­ ferenze radiofoniche tenute nel 1952. 19. Cff. F. F ukuyama, The End o f History and the Last Man, 1992; tr. it. a cura di D. Ceni, La fine della storia e l ’ultimo uomo, Rizzoli, Milano 1992.

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che non è conosciuto20) una visione essa stessa erronea, quella secondo cui si darebbe una Kehre nell’elaborazione politica e sociale di Fichte. Non è questa la sede per prendere in esame tut­ ta la ricca gamma di interpretazioni che si inscrivono in questa serie di equivoci, poggianti su una tale indebita assunzione. Pasti qui rammentare che già Max Wundt, nel suo lavoro mono­ grafico del 1927, si domandava se Fichte fosse un democratico e, anziché cercare la risposta nella sua filosofia o nelle sue rela­ zioni con l’epoca, la lasciava irrisolta perché convinto che un simile problema, dai testi, e in particolare dal mutamento pro­ spettico subentrato con la data-soglia del 1800, non potesse di fatto essere risolto21. Senza le esitazioni tra cui oscilla Wundt, Emil Lask, nel suo Fichtes Idealismus und die Geschichte (1902), interpreta il pen­ satore di Rammenau direttamente come un irrazionalista puro (Fichte come “romantico e mistico”22, per riprendere la nota for­ mula da Galvano Della Volpe impiegata in riferimento a Hegel), preparando de facto la strada alle future letture naziste. Può esse­ re ancora interessante rammentare come Wilhelm Windelband interpreti Fichte come un teorico della monarchia assoluta, a par­ tire dallo Stato commerciale chiuso, e come Friedrich Meinecke lo etichetti come un pangermanista legato all’idea di Stato auto­ ritario23. Ancora Lukäcs, in Die Zerstörung der Vernunft ( 1954), legge come razionalista rivoluzionario il “primo Fichte” e come irrazionalista distruttore della ragione il “ secondo”24.

20. “Das Bekannte überhaupt ist darum, weil es bekannt ist, nicht erkannt” : G.W.F. Hegel , Phänomenologie des Geistes, 1807; tr. it. a cura di V Cicero, Fenomenologia dello Spirito, Bompiani, Milano 2000, p. 85. 21. M. Wundt, J. G. Fichte, Stuttgart 1927, ristampato presso Frommann, Stuttgart 1976. 22. Si veda G. Della Volpe, Hegel romantico e mistico (1793-1800), Le Monnier, Firenze 1929. 23. Cfr. F. M einecke, IVeltbuergertum und Nationalismus, München 1915, terza edizione, pp. 96-125. 24. G. L ukàcs, Die Zerstörung der Vernunft, 1954; tr. it. a cura di E. Amaud, L a distruzione della ragione, Mimesis, Milano 2011,2 voll., I, pp. 11-12.

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Un caso apparentemente antitetico, ma in verità segretamente complementare, è quello del già menzionato Manfred Buhr. Questi, nel suo Revolution und Philosophie. Die französi­ sche Revolution und die ursprüngliche Philosophie Fichtes (1965), aspira a prendere posizione contro le letture mistifican­ ti di Fichte, ma finisce in parte, egli stesso, per presentare un’in­ terpretazione che risulta non meno fuorviante: infatti, Buhr, per sua esplicita ammissione25, sostiene la necessità di interpretare Fichte in chiave marxista, come “uno dei pensatori più progres­ sivi che il mondo borghese abbia prodotto”26. È del tutto con­ vincente l’operazione ermeneutica che Buhr compie nel tentati­ vo di mostrare il nesso ineludibile tra la Rivoluzione francese, la WL e le opere politiche del primo Fichte (ancorché risulti fran­ camente eccessivo intendere il Naturrecht jenese del 1796-97 come un’opera toto genere giacobina): e, tuttavia, Buhr finisce, anche al di là delle sue intenzioni, per introiettare il paradigma della Kehre, come emerge nitidamente dal fatto che egli, per fare salva la visione rivoluzionaria di Fichte, già tutta tesa verso il marxismo (secondo la Nachwirkung della WL sul marxismo che si trova anche in Roger Garaudy27), scelga consapevolmen­ te di evitare un’attenta analisi delle opere politico-sociali suc­ cessive al 1800. Le prestazioni interpretative più recenti - salvo, come già si diceva, alcuni casi degni di nota (sui quali torneremo) - si inscrivono esse stesse in questa linea ermeneutica, condividen­ do in modo spesso irriflesso il presupposto della svolta di para­ digma. Un tale modello ermeneutico, d ’altro canto, si presta a essere conservato non solo perché, come spesso accade, si è cri­ stallizzato in una sorta di presupposto inerziale, come se si trat­ tasse di un dato di fatto indiscutibile, ma poi anche per il fatto

25. Cfr. M. B uhr, Revolution und Philosophie. Die französische Revolu­ tion und die ursprüngliche Philosophie Fichtes, cit., p. 11. 26. Ivi, p. 41. 27. Si veda soprattutto R. G araudy, La méthode antithétique de Fichte, in Id., Dieu est mort, PUF, Paris 1962.

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die, a ben vedere, meglio si sposa con il principio di quella “ pigrizia storiografica” che, nelle sue soluzioni ermeneutiche, è fatalmente attratta dal principio della semplicità e del risparmio ili energie interpretative28. Nel caso della cosiddetta Kehre, la storiografia può addirittura risolvere il problema liquidandolo preventivamente: come se, appunto, si trattasse di una semplice incoerenza di Fichte, vuoi anche di una contraddizione real­ mente esistente nel suo percorso teorico, attraversato da una sor­ ta di faglia sismica situata nel 1800. Per questa via, il senso profondamente unitario della filosofia politica fichtiana viene smarrito e, con esso, è in pari tempo compromessa la compren­ sione della vocazione eminentemente politica degli stessi princì­ pi della WL.

28. Sul tema della “ storiografia pigra” e dell’ideologia che la anima, ci permettiamo di rinviare al nostro Minima mercatalia. Filosofìa e capitalismo, Bompiani, Milano 2012 (saggio introduttivo di A. Tagliapietra), pp. 45 ss.

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2. LA FICHTE-FORSCHUNG E L’UNITÀ D ELLA FILOSOFIA POLITICA FICHTIANA

Per un mondo oggettivo, che non sia prodotto della libertà, non rimane spazio alcuno. J.G . F ichte , E tica 1812

Contro la linea interpretativa dominante che abbiamo poc’anzi tratteggiato, sia pure solo a grandi linee e nelle sue strutture di fondo, prende le mosse il nostro lavoro. Il suo obiet­ tivo consiste, innanzitutto, nel tentativo orientato a mostrare come la stessa profonda unità teoretica che accompagna la riflessione fichtiana, e su cui con diritto ha soffermato l ’atten­ zione la più recente Fichte-Forschung, debba essere individuata anche in sede socio-politica. L’idea di un Fichte pensatore uni­ tario è, dunque, da noi pienamente assimilata e, insieme, ampliata, fino a ricondurre entro i confini di questo paradigma anche il suo itinerario socio-politico1. Lo stesso Fichte, del resto, nel già menzionato passaggio às\Y Anweisung, allude esplicitamente all’unità del proprio per­ corso non soltanto in riferimento all’elaborazione teoretica,

1. In questo orizzonte si situa, ad esempio, il lavoro di G. Duso, Con­ traddizione e dialettica nella form azione del pensiero fichtiana, Argalia, Urbino 1974.

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includendovi, invece, anche la tematica socio-politica: la quale, del resto, con buona pace dei teorici della Kehre, è indisgiungibilmente connessa con i princìpi della WL. Se è unitaria quest’ultima (senza che ciò comporti, ga va sans dire, l’annulla­ mento o il ridimensionamento delle svolte e delle acquisizioni), non può che rivelarsi tale anche la sua declinazione socio-poli­ tica, condotta - citando lo stesso Fichte - nach Principien der Wissenschaftslehre23. Del resto, lo stesso concetto di “ filosofia applicata” (angewandte Philosophie), così caro a Fichte, rivela chiaramente come le discipline come la storia e la politica, oltre a essere a pieno titolo parti del System der Freiheit, siano il luo­ go in cui si ricongiungono il pensiero filosofico e l’esistenza pratica degli uomini, in un fecondo ristabilimento di quel lega­ me tra filosofia e vita apertamente tematizzato dalla WL?. Il problema che si pone per una lettura che aspiri a mostra­ re l’unità politica della riflessione di Fichte è facilmente identi­ ficabile: come rendere ragione di tale unità al cospetto dell’evi­ dente transito del pensatore di Rammenau dall’originaria difesa appassionata della Rivoluzione francese e del cosmopolitismo dell’estinzione dello Stato alla teoria dello Stato commercial­ mente chiuso e della nazione tedesca? È lecito - e, se sì, in che maniera e su quali basi - individuare un’unità profonda sottesa a tale lampante discontinuità? Come ricondurre a un comune orizzonte espressivo due opere tanto diverse per temi e soluzio­ ni come la Bestimmunge des Gelehrten jenese del 1794, in cui è centrale il tema dell’estinzione dello Stato, e Der geschlossene Handelstaat del 1800, al cui centro troviamo codificata l’idea dello Stato etico e commercialmente chiuso rispetto all’estero? Sono questi i grandi temi che tenteremo di affrontare nel presente lavoro. Anticipando apoditticamente fin da ora quanto nel seguito del nostro studio dovremo argomentare in forma

2. Cfr. C. A madio , Logica della relazione politica: uno studio su “La dottrina delta scienza" (1794/5) diJ.G. Fichte, Giuffrè, Milano 1998; lo., Mora­ le e politica nella “Sittenlehre" (1798) di J.G. Fichte, Giuffrè, Milano 1991. 3. G. Rametta , Fichte, cit., p. 274.

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estesa, Lo Stato commerciale chiuso segna indubbiamente - e sarebbe impossibile sostenere il contrario - un mutamento di prospettiva sui temi della politica e della società: e, tuttavia, tale metamorfosi prospettica non deve essere intesa come una Keh­ re', come una brusca svolta che segna l’abbandono del prece­ dente punto di vista. Al contrario, come proveremo a mostrare, si tratta di una svolta che, per tenere ferme le acquisizioni poli­ tiche e sociali guadagnate in precedenza, deve rideclinarle su nuove basi, in coerenza con il mutato contesto sociale e politico e, in particolare, con il concreto mondo storico scaturito dalla Rivoluzione francese4. Per questa via, la svolta non è negata, ma è assunta come prova dell’unità del pensiero fichtiano: senza di essa, i princìpi politici e sociali fondati in precedenza da Fichte si sarebbero rivelati incapaci di rispondere alle sfide del presente, lo Stand der vollendeten Sündhaftigkeit, l’“ epoca della compiuta pecca­ minosità” 5 (così nei Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters del 1805) contraddistinta dall’“ anarchia del commercio” 6 (secondo la stringente formula dello Stato commerciale chiuso). Compendiando il senso della nostra linea interpretativa in una formula volutamente schematica, potremmo sostenere che Fichte ravvisa nella svolta il solo modo per fare salva l’unità del suo pensiero: tale svolta riformula in modo alternativo, portan­ doli - avrebbe detto Gramsci - “ all’altezza dei tempi” i princìpi guadagnati in precedenza; i quali, se venissero mantenuti in for­ ma immutata, risulterebbero ipso facto inservibili in un presen­ te che si è venuto radicalmente trasformando rispetto al tempo in cui Fichte li aveva pensati. La tematizzazione dello Stato commercialmente chiuso e portatore di istanze etiche non è in

4. Cfr. G. L ebholz, Fichte und der demokratische Gedanke. Ein Beitrag zur Staatslehre, Freiburg i.Br. 1921. 5. J.G. F ichte , Die Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters, 1805; tr. it. a cura di A. Carrano, / tratti fondamentali dell ’epoca presente, Guerini, Milano 1999, p. 89 (GA, I, 8, p. 201). 6. Id., Der geschlossene Handelsstaat, 1800 (SfV, III, p. 453).

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contraddizione con la dottrina jencse dell’estinzione della Staatsform, ma ne è —per paradossale che ciò a tutta prima pos­ sa apparire - una coerente declinazione7. Secondo quanto evi­ denziato da Kuno Fischer, nel suo monumentale lavoro Fichtes Leben, Werke und Lehre, “ Fichte fa parte di quei pensatori i cui sistemi non sono già completi quando iniziano la loro carriera letteraria e che, con il progredire di quest’ultima, non cambiano il loro compito, bensì lo penetrano più profondamente”8. Per rendere conto della nostra tesi, che abbiamo qui enun­ ciato in forma consapevolmente apodittica, e che sarà compito del presente lavoro corroborare argomentativamente, ci soffer­ meremo principalmente sulle pagine dello Stato commerciale chiuso, lo scritto più difficilmente collocabile di Fichte. Nella misura in cui in esso è custodito il senso della cosiddetta svolta, comprenderne la portata, il senso e - questo il punto - la profon­ da continuità con le opere precedenti permetterà di decifrare l’u­ nità espressiva del sistema politico-sociale di Fichte, in coeren­ za con la stessa unità teoretica legata al progetto proteiforme e, insieme, unitario della WL. Da un diverso angolo prospettico, Lo Stato commerciale chiuso costituisce la “ scena originaria” della cosiddetta Kehre ed è, dunque, da lì che occorre muovere per interrogare il senso dell’unità della riflessione politica di Fichte, nel tentativo di suffragarla. Nel nostro lavoro, benché l’oggetto d ’analisi privilegiato sia rappresentato dall’opera del 1800 (la quale, sia detto per inciso, permette anche di destrutturare il pregiudizio circa l’in­ competenza di Fichte in materia di economia politica9), non

7. Cfr. Z. B atsCHA, Gesellschaft und Staat in der politischen Philoso­ phie Fichtes, Europäische Verlagsanstalt, Frankfurt a.M. 1970. 8. K. F ischer , Fichtes Leben, Werke und Lehre, Winter, Heidelberg

1892, p. 664. 9. Cfr. H.J. S chmidt , Politische Theorie und Realgeschichte. Zu Johann Gottlieb Fichtes praktischer Philosophie (1793-1800), Lang, Frankfurt a.M. 1983, p. 343. Sul nesso tra la filosofia di Fichte e l’economia politica classica, si veda P. C hamley , Economie politique edt Philosophie chez Steuart et Hegel, Dalloz, Paris 1963, pp. 198-208.

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potremo, ovviamente, esimerci dal richiamarci agli scritti antei iot i, per mostrare contrastivamente le differenze: ma non potre­ mo neppure dispensarci dal compiere incursioni negli scritti successivi o contemporanei, per seguire, sia pure a tratti e per cenni (e, dunque, senza alcuna pretesa di esaustività), il Denkireg di Fichte, il suo snodarsi in forme sempre nuove, dovute al contesto sociale e storico in continua evoluzione, e, insieme, nel m io mantenersi fedele ai princìpi filosofici sui quali si era venu­ to costituendo, fin dalla fase jenese, il System der Freiheit. In particolare, lo scopo del presente lavoro non consiste nell’analizzare tout court la cosiddetta svolta politica e sociale di Fichte, ma, più modestamente, neH’esaminare come essa si 11 fletta e si determini nelle pagine dello Stato commerciale chiu­ so. 11 nostro studio, pertanto, assumerà anzitutto la forma di un confronto serrato con l’opera del 1800 e, al tempo stesso, si spingerà senza tregua al di là dei confini di quel testo, perché affronterà un nucleo di problemi che, in esso sviluppati o abboz­ zati, tornano in opere contemporanee e successive o, in non rari casi, sono anticipati in testi precedenti. In tal maniera, si proverà a corroborare la tesi dell’unità della filosofia politica di Fichte, in cui, come nel caso della sua filosofia teoretica, le svolte e i ripensamenti non contraddicono, e anzi confermano, l’impianto strutturalmente unitario della sua riflessione. L’analisi della genesi e dello sviluppo del concetto di Stato commerciale chiu­ so costituirà, nel presente lavoro, la base per indagare sull’unità teorica del Denkweg fichtiano. È nostra convinzione - e la sua dimostrazione costituisce il nerbo del presente lavoro - che la comprensione dello Stato com­ merciale chiuso o, più precisamente, del suo enigma, permetta di comprendere il senso e i fondamenti della cosiddetta Kehre, in particolare la sua valenza di svolta che, secondo quanto già accen­ nato, rende possibile il mantenimento dell’unità del sistema fich­ tiano in riferimento al mutato contesto sociale e politico10. Rite­

10. ne,

Sulla concretezza come cifra della riflessione fichtiana, cff. K. C ro -

Fichtes Theorie konkreter Subjektivität. Untersuchungen zur “ Wissen­

niamo che sia degna della massima attenzione l’allusione alla concretezza storica, alla congiuntura e, con essa, all’intreccio tra quadro storico e dimensione simbolica che accompagna ogni ela­ borazione teorica, compresa naturalmente quella fichtiana. Infatti, la tesi che verremo sviluppando, e che già possiamo anticipare in forma embrionale, si regge sull’idea - troppo spes­ so obliata negli studi filosofici e, segnatamente, in quelli su Fichte - in accordo con la quale non è possibile decifrare il pen­ siero di un autore, le sue svolte e ripensamenti prescindendo dal contesto storico, sociale e politico. Afferrare il senso di tali svol­ te è, pressoché sempre, impossibile senza prestare la debita attenzione ai mutamenti sociali e politici che ritmano la concre­ tezza storica. Variando una felice formula di Gram sci11, la filo­ sofia - ogni filosofia - non si sviluppa da altra filosofia, quasi fosse attivo un insondabile principio di partenogenesi delle idee le une dalle altre, ma è una continua soluzione di problemi sol­ levati dal reale sviluppo storico. Alla luce di queste considerazioni preliminari, la Staats­ lehre del 1813, le Reden, o, ancora, D er Patriotismus und sein Gegentheil (1807) compongono una galassia di testi che, in cer­ ta misura, si inscrivono nella svolta avviata dallo Stato commer­ ciale chiuso in coerenza con la mutata prospettiva storica. Ciò non significa, naturalmente, che i contenuti di quei testi siano già tutti racchiusi, in concreto, nell’opera del 1800; vuol sem­ plicemente dire che, senza la comprensione della svolta dello Stato commerciale chiuso, non si potrebbe decifrare l’orizzonte di senso in cui essi vengono a incastonarsi. Lo stesso richiamo, sia pure solo tangenziale, che a quei testi faremo nelle pagine

schaftslehre nova methodo", Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2005; G. G urwitsch, Fichtes System der konkreten Ethik, Tübingen 1924 [ristampato

presso Olms, Hildesheim 1984],

11. A. G ramsci , Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Cro­ ce, 3a ed., Einaudi, Torino 1952, p. 234: “la filosofia non si sviluppa da altra

filosofia, ma è una continua soluzione di problemi che lo sviluppo storico pro­ pone”.

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clic seguono sarà unicamente finalizzato a una più profonda comprensione della prospettiva inaugurata dall’opera del 1800 r, dunque, a una più chiara visione del concetto di Stato com­ mercialmente chiuso. La molteplicità dei testi e dei plessi teorici esplorati non dovrà, pertanto, trarre in inganno. Il fuoco della nostra analisi convergerà stabilmente, infatti, su un problema unitario e facil­ mente circoscrivibile. In parte l’ abbiamo già adombrato. Potremmo compendiarne il senso complessivo nella maniera seguente: il transito dal “primo” al “ secondo Fichte” in ambito politico, lungi dal potersi intendere come una svolta contradditloria, è una ridefinizione coerente della propria visione emancipativa, fondata secondo i princìpi della WL; una ridefinizione lampante nella transizione dalla Missione del dotto del 1794 allo Stato commerciale chiuso del 1800 - dovuta al mutato contesto sociale e politico e all’irruzione sulla scena di una nuova poten­ za, VHandelsanarchie, che nel volgere di pochi anni Fichte identificherà con la vera scaturigine del presente compiutamente peccaminoso12. L’applicazione dei princìpi della WL, e più precisamente del suo codice politico, non può declinarsi, nel nuovo orizzonte storico (per le ragioni che esamineremo a tem­ po debito), se non nella forma tenuta a battesimo dallo Stato commerciale chiuso. In questo consiste l’enigma dello Stato commerciale chiu­ so, opera con cui Fichte muta prospettiva per fare salvi i princì­ pi precedentemente elaborati e, dunque, per paradossale che possa apparire, per non dover abbandonare la declinazione socio-politica del System der Freiheit. Più precisamente, per poter fare salvi i guadagni precedentemente acquisiti in sede politica e, insieme, per rimanere coerente con il nucleo della WL, Fichte è chiamato a operare una svolta, codificando lo Sta­ to commercialmente chiuso. Si tratta, a tutti gli effetti, di un

12. L’ha adombrato efficacemente C. C esa , Fichte, i romantici, Hegel, in Storia delle idee politiche, economiche e sociali, voi. IV, 2, diretta da L. Firpo, UTET, Torino 1975.

mutamento il cui fine è la conservazione del proprio System der Freiheit e, di più, come vedremo, di un cambiamento che è teo­ ricamente esigito dalla stessa impostazione filosofico-politica del “primo Fichte” . Prova ne è, del resto, che, con il passaggio al “secondo Fichte”, l’obiettivo resta invariato, come vedremo, e invariata rimane pure l’espressività politica di fondo che ani­ ma la riflessione fichtiana, identificabile con l’ideale orientati­ vo dell’emancipazione del genere umano pensato come un sog­ getto singolare-collettivo, ossia come un unico Io - con la gram­ matica della WL - che si dà concretamente nella molteplicità caleidoscopica degli “ io empirici” 13. La Missione del dotto del 1794 e lo Stato commerciale chiuso del 1800, il Fondamento del diritto naturale del 1796-97 e i Discorsi alla nazione tedesca del 1808 orbitano ugualmente intorno a questo fuoco prospettico, al di là di ogni presunta rottura epistemologica: solo propongono diverse strategie concrete per raggiungerlo, in armonia con il contesto storico, sociale e politico che va senza posa riconfigu­ randosi. A un’attenta analisi, come vedremo, a rimanere invariati, nonostante le discontinuità più apparenti che reali, non sono solo il telos e l’espressività politica di fondo del progetto fichtiano: tale resta anche il percorso stesso tratteggiato da Fichte per portare a compimento il suo orientamento ideale. In che sen­ so? Come vedremo, Lo Stato commerciale chiuso non si pone come una rottura, bensì come una coerente esplicitazione delle tesi cosmopolitiche al centro della Missione del dotto jenese (in parte già precorse nelle due Revolutionsschriften), che così potremmo compendiare e con le quali, nel seguito del nostro lavoro, ci misureremo da vicino: finché l’umanità non sarà auto­ nomamente etica, e dunque in grado di fare a meno dello Stato, quest’ultimo continuerà a svolgere la sua imprescindibile fun­ zione di educatore del genere umano. Se, poi, come accade nel presente compiutamente peccaminoso dell’anarchia commer-

13. Cfr. D. J ulia , Fichte, la philosophie ou la conquete de la liberté,

L’Harmattan, Paris 2002.

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fiale, il genere umano è massimamente distante dalla propria autonomia etica, ne segue more geometrico che lo Stato dovrà intervenire in modo massimamente robusto, secondo la forma che, sia pure diversamente declinata, troviamo al centro dello Stato commerciale chiuso o dei Discorsi alla nazione tedesca o, ancora, della Dottrina dello Stato del 181314. Da una diversa prospettiva, in un’epoca in cui Vethos comunitario viene dissolto dalla spinta centrifuga dell’individualismo anomico e possessivo scaturito dalla prosa reificante dell’Handelsanarchie, spetta allo Stato intervenire per porre la Gemeinschaft al riparo dalla sua dissoluzione, ossia per garanti­ re il processo di moralizzazione ed emancipazione del genere umano15. Capovolgendo i noti versi di Hölderlin (wo aber Gefahr ist, wächst das Rettende auch16), dove aumenta il peri­ colo, lì deve essere potenziato anche lo strumento in grado di salvare. Tale è, appunto, per Fichte la potenza etica dello Stato come remedium infirmitatis, il cui fine resta stabilmente quello di educare l’umanità in senso etico, affinché essa, in prospetti­ va, possa condurre la sua esistenza facendo a meno della forma statale. Da un diverso angolo prospettico, per contraddittorio che possa apparire, l’impianto al centro dello Stato commerciale chiuso si configura, secondo quanto già accennato, come una coerente declinazione dei princìpi politici della Missione del dotto jenese, rendendo possibile leggere il cosiddetto “ secondo Fichte” come una conseguente e niente affatto contraddittoria applicazione del primo in un contesto storico e sociale mutato. Prova ne è, oltretutto, che il fine dello Stato individuato nel

14. Si veda G. Duso, Libertà e Stato in Fichte. La teoria del contratto sociale , in G. Duso (a cura di), Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 273-309. 15. Su questo tema, ci permettiamo di rinviare al nostro saggio La com­ piuta peccaminosità. La critica della società capitalistica nei “Grundzüge ” di Fichte, in “Filosofia Politica”, n. 1 (2013), pp. 97-116. 16. F. H ö lderlin , Patmos, 1802, in Id., Sämtliche Werke und Briefe, a cura di M. Knaupp, 3 voll., Hanser Verlag, München-Wien, I, 1970, p. 379.

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1794 - la sua Vernichtung, al cospetto di un’umanità finalmen­ te in grado di essere etica in forma autonoma e non più sulla base della pressione coercitiva dell’apparato normativo - per­ mane stabilmente, fino alla fine del percorso teorico fichtiano. Alla luce di quanto siamo venuti finora sostenendo, nel presente lavoro l’unità socio-politica del pensiero di Fichte, posta in stretta connessione con la stessa WL, costituirà la base di quella che, nella nostra lettura, rappresenta la cifra comples­ siva della filosofia politica fichtiana: proponiamo di qualificar­ la, in forma volutamente ossimorica, come un comunitarismo cosmopoliticol7. La compiuta peccaminosità dell’epoca dell’a­ narchia commerciale generante la disaggregazione della comu­ nità ad opera delle algide leggi economiche del do ut des indu­ ce Fichte ad articolare un sistema della scienza filosofica della verità in grado di rifondare, su nuove basi, la razionalità di un nuovo vivere comunitario. Quest’ultimo è chiamato a rendere possibile l’instaurazione di un legame gemeinschaftlich destina­ to a diventare sempre più consapevole (sul piano dell’autoco­ scienza dell’umanità) e sempre più esteso (fino a coincidere con l’umanità tutta), dando luogo a una comunità universale18, A costituire il comune sfondo concettuale di opere tanto eterogenee come la Missione del dotto jenese e lo Stato com­ merciale chiuso, il giovanile Beitrag zur Berichtigung der Urtheile des Publikums über die französische Revolution e i D iscor­ si alla nazione tedesca, il Naturrecht di Jena e la Staatslehre del 1813, è, allora, una visione che è comunitaria (muovendo dalla codificazione dell’etica sociale come Sittlichkeit radicata nella dimensione della Gemeinschaft19) e, insieme, cosmopolitica (delineando un modello razionale di universalizzazione gradua-

17. Lo stesso figlio del filosofo, Hermann Fichte, restò sempre convinto della profonda unitarietà della filosofia del padre. Cfr. A. B oynton T hompson, The Unìty o f Fichte ’s Doctrine o f Knowledge, Ginn, Boston 1895. 18. Ce ne siamo occupati nel nostro studio Idealismo e prassi. Fichte, Marx e Gentile, Il Melangolo, Genova 2013. 19. Si veda L. F onnesu , La società concreta. Considerazioni su Fichte e Hegel, in “Daimon. Revista de filosofia”, n. 9 (1994), pp. 231-248.

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le e progressiva, mediata dalla prassi, dei comportamenti umani conformi al genere umano in quanto tale). Uontologia della tirassi con cui, come cercheremo di mostrare sia pure solo per cenni (vi abbiamo più ampiamente insistito in altra sede20), si identifica complessivamente il progetto teorico della WL (con la sua deduzione dell’essere dal fare, in una vera e propria ridecli­ nazione dell’ontologia come attologia21) diventa la condizione di possibilità del comunitarismo cosmopolitico tematizzato in sede socio-politica. Quest’ultimo, lungi dall’essere garantito dal ritmo della storia e da sue presunte leggi oggettive, secondo le ingenue e sempre in voga visioni fatalistiche coerenti con il Dogmatismus avversato da Fichte, deve essere concepito come l’esito della libera prassi umana, secondo quell’intreccio a geometrie varia­ bili tra la possibilità ontologica e la necessità morale che, come vedremo, diventa la cifra della filosofia della storia e della poli­ tica fichtiana. L’ontologia della prassi costituisce il cuore del progetto fichtiano della conformazione del non-Io all’Io, nel quadro di un pensiero comunitario che muove dalla scissione dell’epoca e assume la filosofia come fondamento veritativo di una superiore sintesi sociale che, per attuarsi kantianamente “ da un punto di vista cosmopolitico” , necessita della prassi sociale umana e della potenza etica statale22. Alla luce di quanto siamo venuti sostenendo, possiamo ora, per sommi capi, tracciare la mappa del nostro lavoro e delle sue articolazioni. In primo luogo, tenteremo di mostrare come la WL, lungi dal nascere come Atena dalla testa di Zeus, sorga in simbiosi con il concreto mondo storico di cui Fichte è abitatore, in particolare come assimilazione della Rivoluzione francese

20. Rimandiamo al nostro Idealismo e prassi. Fichte, Marx e Gentile, cit., soprattutto al secondo capitolo. 21. Cfr. I. T homas-F ogiel , Fichte. Réflesion et argumentation, Vrin, Paris 2004, p. 178. 22. Si veda M. Ivaldo, Fichte: l ’orizzonte comunitario dell’etica (le lezioni del 1812), in “Teoria”, 2006, pp. 37-54.

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nella forma di un’ontologia della prassi e della libertà per cui il fare è a fondamento dell’essere. In secondo luogo, affronteremo la teoria dell’estinzione dello Stato, elaborata soprattutto nelle lezioni jenesi sulla Missione del dotto (e anticipata nel Beitrag), evidenziandone i punti di tangenza con 1’impianto della WL (in particolare, adombrando in quale senso e su quali basi la si pos­ sa concepire come una coerente declinazione socio-politica del­ l’ontologia della prassi del System der Freiheit). In seguito, prenderemo in esame l’enigma dello Stato com­ merciale chiuso. Evidenzieremo come l’opera del 1800 debba essere letta in continuità, e non in rottura, con la precedente tesi dell’estinzione della Staatsform, configurandosi essa stessa come un coerente sviluppo socio-politico dei princìpi della WL. Cercheremo di argomentare puntualmente quanto abbiamo fin qui enunciato in forma apodittica circa l’idea di una svolta il cui fine è riconfermare (e non certo congedare) le acquisizioni pre­ cedenti della filosofia politica fichtiana. Muoveremo, poi, a un’attenta disamina del testo dello Sta­ to commerciale chiuso, nella forma di un commentario volto a far emergere i nuclei portanti dell’opera del 1800. In questo modo, la nostra tesi verrà corroborata tramite un confronto diretto con il testo, condotto tenendo in considerazione soprat­ tutto l’articolato lavoro monografico di Andreas Verzar, D as autonome Subjekt und der Vernunftstaat. Eine systematisch­ historische Untersuchung zu Fichtes “Geschlossenem Handels­ sta a t" von 18002i (1979). Da ultimo, nella conclusione si proverà non solo a tirare le fila dello studio e dell’enigma dello Stato commerciale chiuso, ma anche, in maniera convergente, a mostrare l’importanza, per il nostro presente, della prospettiva di un testo tanto anomalo e difficilmente collocabile. Le contraddizioni dell’oggi compiutamente peccaminoso, ma forse anche le eventuali soluzioni, pos-

23. A. V erzar, Das autonome Subjekt und der Vernunftstaat. Eine syste­ matisch-historische Untersuchung zu Fichtes "Geschlossenem Handelsstaat’' von 1800, Bouvier, Bonn 1979.

sono essere fecondamente inquadrate e, di più, praticate a parti­ re dalla prospettiva fichtiana. La compiuta peccaminosità della globalizzazione - è questo il nome pudico e anodino con cui si contrabbanda oggi l’anarchia commerciale stigmatizzata da I iehte - corrisponde a una inedita fase di sottomissione della politica all’economia a cui la prospettiva fichtiana (il ripristino deH’egemonia politica tramite lo strumento di uno Stato la cui funzione resta quella di rendersi superfluo) può indubbiamente offrire spunti e suggestioni in vista dell’elaborazione di strategie oppositive.

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3. I ICHTE FILOSOFO D ELLA CONCRETEZZA STORICA N EL DIBATTITO STORIOGRAFICO

Il non-Io è esso stesso un prodotto dell’Io che determina se stesso, e non è nulla di assoluto e posto fuori dall’Io. J.G. F ichte, Fondamento dell’intera dottrina della scienza

Vi è una consolidata e, almeno apparentemente, intramon­ tabile tradizione interpretativa che tende a leggere l’opera e il pensiero di Fichte come se fossero i prodotti di un “metafisico puro” , attento soltanto alle questioni teoretiche e del tutto estra­ neo a quelle storiche, politiche e sociali. Quando non venga interpretato unilateralmente come un puro teoreta, il pensatore della WL viene surrettiziamente “ sdoppiato” in due diverse e opposte figure: da un lato, il Fichte metafisico puro, e, dall’al­ tro, il Fichte “ storico” , che si occupa di questioni politiche e sociali a prescindere dal suo impianto m etafisico1. Come ha osservato Ravà, “ lo studio della filosofia sociale, politica e giu-

1. Ancorché l’elenco dei testi basati su tale impostazione sia alquanto lungo, ci limitiamo qui a segnalare come esempio paradigmatico di questa posi­ zione il pur pregevole volume di C. C esa , Fichte e il primo idealismo, Sansoni, Firenze 1975. Cfr. anche Id ., Introduzione a Fichte, Laterza, Roma-Bari 1994.

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ridica di Fichte è rimasto sempre staccato dall’esame dei fonda­ menti speculativi del sistema”2. Per questa via, non soltanto si tradisce lo spirito dell’im­ presa della WL, ossia secondo quanto chiarito fin dalle lezio­ ni sulla Bestimmung des Gelehrten del 1794 - la volontà di fon­ dere virtuosamente pensiero e azione, teoresi e prassi trasfor­ matrice, nell’inedita figura di una filosofia che si fa mondo: si pregiudica anche la possibilità di comprendere l’essenza stessa della produzione teorica fichtiana, che è venuta maturando in un nesso simbiotico con il succedersi frenetico degli eventi storici del suo tempo, ora registrandoli, ora metabolizzandoli (è il caso della Rivoluzione francese), ora promuovendoli attivamente (l’opposizione operativa all’occupazione napoleonica, nelle Reden an die deutsche Nation). Del resto, come ha suggerito Gurvitch, “ Fichte è stato il primo a scoprire la realtà del sociale e, aggiungeremmo, l’intervento del Noi, dei gruppi, delle Nazioni, in quanto soggetti collettivi della conoscenza e della moralità” 3: con l’ovvia conseguenza che sarebbe un’operazione del tutto equivoca - peraltro contraria alla lettera, oltre che allo spirito, della stessa filosofia di Fichte - pretendere di interpre­ tare il sistema fichtiano disgiungendo la dimensione teoretica da quella sociale, politica e storica. Se, come riteniamo4, tra i compiti di una storia critica del­ le idee deve annoverarsi anche il rovesciamento, la riformula­ zione e la trasfigurazione delle ricostruzioni storiche e delle proposte interpretative prospettate monoliticamente dalla storio­ grafia pigra e accettate inerzialmente dalla impersonalità mag­ gioritaria dei lettori, allora l’arcipelago delle opere fichtiane sia dei cosiddetti “ scritti popolari” , sia delle sempre nuove e mai definitive Darstellungen della WL - potrebbe costituire il luogo

2.

A. R avà , Intoduzione atto studio della filosofia di Fichte, 1909, ora

in Id ., Studi su Spinoza e Fichte, cit., p. 261. 3. G. G urvitch, Dialectique et sociologie, Flammarion, Paris 1962, p. 61. 4. Su questo tema, ci permettiamo di rinviare al nostro Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo, cit., capitolo I.

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privilegiato per l’esercizio di una storiografia filosofica non dogmatica. In una simile luce, diventa possibile far emergere un nuovo profilo di Fichte, mostrando come il suo pensiero - lun­ gi dal configurarsi come un vuoto e astratto esercizio teoretico, sideralmente distante dalla concretezza storica - sia animato da una proficua interazione tra la dimensione storica e quella teo­ retica e, di più, come la stessa metafisica fichtiana venga strut­ turandosi a partire da un serrato confronto con le dinamiche del­ la storia reale5. La WL si costituisce a partire dalla realtà e si vie­ ne strutturando nella forma di una visione trascendentale dell’e­ mancipazione come compito inesauribile. In particolare, il non-detto di larga parte delle ricostruzio­ ni di Fichte6 tende a ridimensionare, quando non a rimuovere, l’incidenza che sulla genesi della WL ha esercitato la Rivoluzio­ ne francese. Non si tratta qui di ricordare semplicemente il fat­ to, ampiamente noto, che Fichte interviene pubblicamente - sia pure in forma anonima nel dibattito con le due Revolutions­ schriften del 1793, con cui si schiera apertamente in difesa del­ la integrale legittimità della Rivoluzione. In modo ben più radi­ cale, occorre mostrare come gli eventi scaturiti dall’ 89 francese abbiano fortemente condizionato la struttura stessa della WL, a tal punto da determinarne lo sviluppo in direzione di una vera e propria ontologia della prassi umana orientata all’instaurazione di rapporti liberi secondo ragione. Come sottolineato da Buhr7 (e, sulla sua scia, da un nume-

5.

Cfr., ad esempio, P. S alvucci, Grandi interpreti di Kant: Fichte e

Schelling, Argalia, Urbino 1963. 6.

Si veda, come caso paradigmatico, l’eccellente lavoro di L. Parey ­

Fichte: il sistema libertà, cit., pp. 168 ss. 7. Si veda M. B uhr , Revolution und Philosophie. Die ursprüngliche Phi­ losophie Johann Gottlieb Fichtes und die französische Revolution, cit.; Id., Die Philosophie Fichtes und die französische Revolution, in AA.VV, Republik der Menschheit. Französische Revolution und deutsche Philosophie, Pahl-Rugenstein, Köln 1989, pp. 104-117; Id., Die Philosophie Johann Gottlieb Fichtes und die Französische Revolution, in Id . e D. L osurdo , Fichte: die Französische Revo­ lution und das Ideal vom ewigen Frieden, Akademie Verlag, Berlin 1991. son ,

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ro tutt’altro che esiguo di interpreti), nella genesi della WL la Rivoluzione ha svolto un ruolo decisivo per la centralità della libertà pratica e dell’indipendenza della soggettività umana; centralità che si traduce nella concezione fichtiana dellVc/r come Tätigkeit, come libera azione umana, e dunque come Welt­ schöpfer, come origine del mondo oggettivo-sociale. L’opera coraggiosa di un’umanità che lotta per far convergere l’oggettività storica, sociale e politica con la propria soggettività, eman­ cipandosi dall’asservimento e, insieme, lottando per una piena Anerkennung di sé come un unico soggetto (contro le tradizio­ nali forme di disuguaglianza giuridicamente sancite), viene tra­ dotta da Fichte in un’ontologia della prassi fondata sulla prati­ cità di una ragione il cui compito primario è di permeare in modo sempre più capillare e pervasivo la struttura del reale8. Come evidenziato da Garaudy9, la kantiana praktische Vernunft viene da Fichte declinata nella forma di una revolutionäre Ver­ nunft, che conforma liberamente, tramite l’azione, il non-Io all’Io, la serie delle oggettivazioni alla soggettività agente. A proposito della Rivoluzione francese, tra l’aprile e il maggio del 1795, dopo aver già composto le due Revolutions­ schriften, Fichte instaura un celebre raffronto diretto tra le virtù liberatrici del proprio System der Freiheit e quelle dell’agire rivoluzionario del popolo francese: Il mio sistema è il primo sistema della libertà (das erste System der Freiheit). Come quella nazione [la Francia ] libera l’umanità dal­ le catene materiali, il mio sistema la libera dal giogo delle cose in sé

8. Cfr. A. L a Vopa, The Revelatory Moment: Fichte and thè French Rev­ olution, in “Central European History”, n. XXII (1989), pp. 130-159. 9. R. G a r a u d y , La méthode antithétique de Fichte, cit., p. 142: “il

trionfo della Rivoluzione ha reso caduchi i compromessi di Kant e il dualismo filosofico che ne era l’espressione. Il radicalismo rivoluzionario di Fichte esige un monismo della libertà. La Rivoluzione francese e il principio kantiano della autonomia, il fatto storico e l’idea non sono, per Fichte, che due aspetti, esterno ed interno, due espressioni di una medesima libertà. [...] Il problema insieme teorico e pratico, che si pose Fichte, è di fare entrare la Rivoluzione francese [...] nella realtà della vita tedesca”.

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( von den Fesseln der Dinge an sich), dalle influenze esterne e, nel suo primo principio, presenta l’ uomo come un essere autonomo10.

Con il Kant della seconda Kritik, Fichte scopre la libertà umana (superando il proprio iniziale determinismo fatalistico di inarca wolffiana11) e, sull’onda degli eventi innescati dall’ 89 francese, la determina come libera azione pratica che trasforma il mondo. Per la Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre del 1794-95, praktisch significa “ che tutto deve concordare con l'Io, che ogni realtà deve essere posta assolutamente dall’ Io” 12: la praticità della ragione allude alla sua capacità di determinare liberamente l’oggettività sociale, storica e politica13, per porre in essere oggettivazioni sempre più conformi (ma mai definitiva­ mente tali) alle potenzialità ontologiche del genere umano tra­ scendentalmente pensato come Ich, come un unico soggetto agente: “non è l’agire a dover essere determinato dall’oggetto scrive Fichte - , ma, al contrario, è l’oggetto a dover essere deter­ minato dall’agire” 14. Vera e propria “teoria trascendentale dell’azione” 15, la WL

10. J.G. F ichte, Briefwechsel (= BF), Kritische Ausgabe, a cura di H. Schulz, Haessel, Leipzig 1930 (seconda edizione), I, p. 419. Cfr. X. Tiliette, l ichte, la Science de la liberté, Vrin, Paris 2003. 11. Cfr. R. P reul , Reflexion und Gefiihl. Die Theologie Fichtes in seiner vorkantischen Zeit, Gruyter, Berlin 1969. Sul determinismo del primo Fichte, si veda inoltre A.G. W idfeuer , Vernunft als Epiphänomen der Naturkausalität. Zu Herkunft und Bedeutung des ursprünglichen Determinismus J.G. Fichtes, in

"Fichte-Studien”, n. 9 (1997), pp. 62-82. 12. J.G. F ichte , SW, I, p. 264. Si veda C. B inkelmann , Theorie der prak­ tischen Freiheit. Fichte - Flegel, De Gruyter, Berlin 2007. 13. Come suggerito da Roger Garaudy, "la prassi, per Fichte, nonostante il suo vocabolario kantiano e il suo idealismo, è l’impegno dell’uomo, nella sua totalità, in uno sforzo collettivo per fare la storia, per trasformare la natura e costruire la società” : R. G araudy , Clefs pour Marx, 1972; tr. it. a cura di M. Feldbauer, Karl Marx, Sonzogno, Milano 1974, p. 47. 14. J.G. F ichte, System der Sittenlehre, 1798; tr. it. a cura di E. Peroli, Sistema di etica, Bompiani, Milano 2008, pp. 177-179 (GA, I, 5, p. 85). 15. P. B aumanns , Fichtes ursprüngliches System: sein Standort zwischen Kant und Flegel, Frommann, Stuttgart 1972, pp. 204-205.

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viene costituendosi nella forma di un'ontologicizzazione della Rivoluzione fran cese'6, ossia di una trasposizione sul piano ontologico dell’evento storico della Rivoluzione come grandio­ so superamento, tramite la prassi trasformatrice, delle oggetti­ vazioni dell’Io; ossia come gesto titanico di un’umanità non più intesa come il teatro passivo delle attività dei tiranni, bensì come una soggettività rivoluzionaria1617 che opera sulla scena della sto­ ria affinché la serie delle oggettivazioni da essa stessa posta in essere venga tolta, trasformata e riconfigurata in vista di un suo graduale adattamento alla ragione della soggettività agente. È in questo senso che, come si è detto in precedenza, sen­ za considerazione della concretezza storica la WL resta incom­ prensibile nelle sue strutture portanti e nella sua espressività politica di tipo rivoluzionario. Come sottolineato da Buhr, “ la concezione di Fichte, per cui tutto deriva dalla libera attività creatrice dell’uomo è una convinzione che egli maturò soprat­ tutto in relazione con la sua trattazione della Rivoluzione fran­ cese” 1819, oltre che dalla scoperta della ragion pratica kantiana. Con le parole di Gueroult, “Fichte è il solo filosofo il cui sistema abbia subito l’influenza profonda della Rivoluzione come fatto storico'"'9. Tramite la mediazione degli eventi della Francia rivoluzionaria, il pensatore di Rammenau perviene alla

16. Su questo aspetto, si vedano i seguenti studi: P.P. D ruet , La politisation de la métaphysique idéaliste. Le cas de Fichte, in “Revue philosophique de Louvain”, 1974, pp. 678-711; F.L. L endvai, Die Wissenschaftslehre Fichtes im Zusammenhang mit seiner Geschichts- und Religionsphilosophie, in “FichteStudien”, n. 11 (1997), pp. 229-240. 17. Cfr. T. R ockmore e D. B reazeale (a cura di), Fichte. Historical Contexts, Contemporary Controversies, Humanities, Highlands 1994. 18. M. B uhr , Revolution und Philosophie. Die französische Revolution und die ursprüngliche Philosophie Fichtes, cit., p. 106. “La teoria fichtiana del­ l’Io è il compendio astratto-teoretico dell’individuo libero, senza vincoli del ‘Contributo’, come per converso la teoria dell’individuo dello scritto sulla Rivo­ luzione è l’applicazione della concezione dell’Io alle questioni dello Stato e del­ la società” (ivi, pp. 103-104). 19. M. G ueroult , Fichte et la Révolution frangaise, in “Revue philosophique”, 1940, p. 99.

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codificazione dell 'unabhängige Tätigkeit, libera e volta all’e­ mancipazione ad opera di una soggettività {Ich) che, lungi dal comprendere esclusivamente il singolo individuo o un aggrega­ to di io empirici, è il concetto trascendentale del genere umano concepito come un unico soggetto agente in vista dell’autoco­ scienza di sé come soggetto unitario e, insieme, della confor­ mazione del mondo oggettivo alla ragione umana, secondo “ l’e­ sigenza che tutto debba concordare con l’io, che ogni realtà deb­ ba essere posta assolutamente dall’io”20. Per un verso, Fichte scorge negli eventi che attraversano febbrilmente la Francia rivoluzionaria la prova della sua visione dell’uomo come homo faber, in grado di determinare in modo attivo l’esistente. Per un altro verso, egli viene delineando le strutture della WL nella forma di una trasposizione sul piano teoretico-ontologico della Rivoluzione. Lungi dall’essere il pro­ dotto di un utopismo astratto e sconnesso dal concreto terreno sociale e politico, come credeva Lukàcs, la filosofia di Fichte “ rappresenta la teoretizzazzione di una coscienza storica (Theoretisierung eines geschichtlichen Bewusstseins)’'’1'. Il nicht-Ich della WL si configura come metafora non solo della società feudale-signorile, bensì di tutti gli ostacoli che si frappongono tra Vlch e il pieno dispiegamento della libertà umana lungo l’asse mobile della storia22. Secondo quanto evidenziato da Gurvitch, “ il punto di partenza di Fichte è l’ Umanità reale in atto. Per lui

20. J.G. F ichte, M, I, p. 456. 21. M. B uhr , Revolution und Philosophie. Die französische Revolution und die ursprüngliche Philosophie Fichtes, eit, p. 11.

22. Ci sembra, allora, condivisibile il giudizio di Buhr, secondo il quale “le questioni della Rivoluzione francese sono per Fichte il problema fondamen­ tale anche nella filosofia teoretica” : ivi, p. 94. Già Lukàcs, del resto, nonostan­ te le sue riserve verso l’elaborazione fichtiana, ne aveva posto in evidenza lo stretto legame con il concreto quadro storico, spingendosi a formulare la tesi secondo cui “la filosofia di Fichte è la traduzione nell’idealismo dell’attivismo rivoluzionario del tempo”: G. L uk à cs , Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft, 1948; tr. it. a cura di R. Solmi, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, Einaudi, Torino 1960, 2 voll., II, p. 347.

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è questa che incarna lo Spirito infinito”23, l’Io trascendentale come fondamento della WL. Come è stato suggerito da Pasquale Salvucci, “ la WL è la coscienza della possibilità oggettiva per l’uomo di modificare la staticità di quella situazione che Kant aveva creduto (si badi, per fedeltà alla situazione storica, di fatto) immodificabile”24. La soppressione del Ding an sich equivale, appunto, alla rimozione di ogni oggettivazione sociale e politica pensata come indipen­ dente dall’agire umano e, dunque, come tale da dover essere accettato supinamente come un destino25. L’oggetto esiste sem­ pre come risultato storicamente mediato di un porre: può, di conseguenza, sempre da capo essere trasformato ad opera della prassi che l’ha posto in essere e che nihil a se alienum putat. Le realtà oggettive cessano, dunque, di essere pensate come immo­ dificabili e intrascendibili: “ l’uomo - così nella Missione del dotto jenese - deve cercare di modificarle, e di farle corrispon­ dere con la pura forma del suo Io”26. Poste dalla Setzung sog­ gettiva, possono da essa venire modificate. Come ha sottolineato Giuseppe Duso, “ il legame del pen­ siero di Fichte con la rivoluzione appare assai stretto, nel dupli­ ce senso che l’evento storico è visto dal filosofo con gli occhi della sua nascente concezione dell’uomo e che il suo stesso pro­ cesso speculativo è spinto e incalzato dagli interrogativi teorici posti dalla rivoluzione”27. Sembra condivisibile il giudizio di Buhr, secondo il quale “ le questioni della Rivoluzione francese sono per Fichte il problema fondamentale anche nella filosofia

23. G. G urvitch, Dialectique et sociologie, cit., p. 60. 24. P. S alvucci, Grandi interpreti di Kant: Fichte e Schelling, cit., p. 49.

25. Cfr. J. T a b e r , Fichte 's Emendation o f Kant, in “Kant-Studien”, n. 74 (1984), pp. 442-459. 26. J.G. F i c h t e , Einige Vorlesungen über die Bestimmung des Gelehrten, 1794; tr. it. a cura di D. Fusaro, Missione del dotto, Bompiani, Milano 2013, pp. 197-199 (SW, VI, p. 298). 27. G. Duso, Libertà e Stato in Fichte: la teoria del contratto sociale, cit., p. 274.

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teoretica” 28. Che Ylch della WL si identifichi con il genere uma­ no unitariamente pensato nella sua storia è, d’altro canto, testi­ moniato da innumerevoli passi dell’opera fichtiana, considerata anche in fasi diverse. La Sittenlehre jenese del 1798, ad esem­ pio, chiarisce che “ la rappresentazione dell’ Io puro è la totalità degli enti razionali, la comunità dei santi”29. Sull’onda degli eventi della Francia rivoluzionaria, Fichte si propone esplicitamente di riscrivere ab imis fundamentis la prima Kritik kantiana sulla base della seconda, ossia di rifonda­ le l’impresa filosofica sulla base della praktische Vernunft, a sua volta determinata come prassi trasformatrice che accorda l’og­ getto con il soggetto facendolo corrispondere pienamente ad esso30. L’oggetto cessa di essere un ens realissimum, un dato da rispecchiare adeguandovi la propria mente e diventa un proces­ so storico di acquisizione di autocoscienza da parte dell’umanità che opera nella storia e che deve superare prassisticamente le proprie oggettivazioni in vista di una loro piena conformità con il genere umano pensato come un unico Ich. È questo il grande insegnamento che il pensatore di Rammenau trae dalla Rivolu­ zione, grandioso processo con cui l’umanità pensata come un unico Io ha superato prassisticamente le proprie oggettivazioni in vista di un loro accordo con la ragione. Johann Georg Rist che di Fichte fu uditore a Jena - così descrive il contegno del

2 8 . M . B u h r , Revolution und Philosophie. Die französische Revolution und die ursprüngliche Philosophie Fichtes, cit., p. 94. Si veda inoltre I d . , Die Philosophie Johann Gottlieb Fichtes und die Französische Revolution, cit., p.

55: “la rivoluzione è il problema fondamentale anche nella filosofia teoretica” (p. 55), ed è anzi “la base delle sue riflessioni teoretico-filosofiche”. 29. J.G. F i c h t e , GA, I, 5, p. 230. 30. “L’opera della filosofia è dunque essenzialmente pratica, e la Metafi­ sica è per Fichte come per Spinoza, sia detto senza dimenticare la differenza che separa i due sistemi, un’Etica: il suo scopo è di determinare le condizioni secon­ d o le quali lo Spirito puro o la Libertà si realizzano” : X . L é o n , La philosophie de Fichte, cit., p. 459.

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nostro autore: “ sembrava che avesse dichiarato guerra al mondo, opponendogli il proprio io” 31. Se è vero che VIch fichtiano è unità concettuale del piano logico e di quello storico, diventa allora comprensibile in che sen­ so la metafisica di Fichte, per un verso, non sia adattiva e con­ templativa rispetto alla strutturazione del reale, e, per un altro ver­ so, debba essere letta, nel suo processo genealogico, in costante riferimento alla Rivoluzione francese non meno che a Kant e al successivo dibattito sul Ding an sich. A suffragarlo in modo nien­ te affatto evanescente è, d’altra parte, il modo palingenetico, sul piano pratico-politico, in cui Fichte concepiva la WL e l’effettivo impatto che, a suo giudizio, il System der Freiheit avrebbe avuto per il futuro del genere umano. Più precisamente, la WL era, agli occhi del suo autore, “ il sistema filosofico destinato ad accompa­ gnare e ad illuminare l’inizio di una fase nuova, quella decisiva, della storia del genere umano”32, secondo un tema che, attraver­ sando l’intera sua produzione, troverà il momento culminante nel prospetto cronosofico abbozzato nella Geschichtsphilosophie dei Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters del 1806. Non deve sfuggire che “ nell’ultimo anno delle antiche tenebre” era stata la rivelativa datazione che il pensatore di Rammenau aveva apposto in una delle due Revolutionsschriften. La Rivoluzione viene, infatti, assunta non già come punto d ’ap­ prodo del processo emancipativo, ma come suo momento pro­ pulsivo, in grado di schiudere una nuova fase della storia uma­ na intessuta di progressi e di sempre nuove acquisizioni: “ la destinazione dell’umanità - così nella Missione del dotto del 1794 —è l’ininterrotto avanzamento della cultura e l’ininterrot­ to dispiegamento omogeneo di ogni disposizione e bisogno del­ l’umanità in quanto tale”33.

31. H. S chulz (a cura di), Fichte in vertraulichen Briefen seiner Zeitge­ nossen, Haessel, Leipzig 1923, p. 65. 32. C. C esa ,J.G . Fichte e I ’idealismo trascendentale, Il Mulino, Bologna 1992, p. 43. 33. J.G. F ichte, La missione del dotto, cit., p. 301 (SW, VI, p. 336).

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La stessa WL - che fonda ontologicamente ciò che il popo­ lo francese ha fatto - può configurarsi come un guadagno fon­ damentale in grado di favorire questo processo di emancipazio­ ne, a patto che venga recepita e adottata come piattaforma teo­ rico-pratica di riferimento. Con le parole impiegate da Fichte nel 1801, nel Sonnenklarer Bericht, “una volta che la dottrina della scienza sia accettata e universalmente diffusa tra coloro a cui si rivolge, Finterò genere umano sarà liberato dal cieco caso e per lui non esisterà più il destino. L’intera umanità apparterrà a se stessa, sotto la dipendenza del suo stesso concetto: essa farà di se stessa ciò che vorrà con libertà assoluta” 34. Tramite la svolta trascendentale (kein Objekt ohne Subjekt), il concetto stesso di destino viene destrutturato e resta solo la libera prassi autodeterminantesi dellTo che pone sé e il non-Io. Altrove, in termini convergenti (che ben rivelano l’incan­ cellabile portata socio-politica della WL come System der Frei­ heit), scrive Fichte: “ quando la dottrina della scienza sarà com­ presa e accettata il governo dello Stato non procederà più alla cieca, ma sarà ridotto a regole fisse e princìpi. I rapporti umani saranno subito portati a tal punto che agli uomini non solo sarà facile, ma quasi necessario essere cittadini onesti e ordinati” 35. C’ome la Rivoluzione libera l’umanità dalla tirannia e dalle cate­ ne, così la WL affranca il genere umano dal fatalismo del Ding an sich e codifica l’opera coraggiosa di un’umanità che, affi­ dandosi solo alle proprie forze, si batte ininterrottamente per corrispondere pienamente a se stessa, per acquistare lo statuto di fine in sé, nella forma del libero autosviluppo autonomo e non più eterodiretto (“ Fininterrotto dispiegamento omogeneo - così nella Bestimmung des Gelehrten jenese - di ogni disposizione e bisogno dell’umanità in quanto tale”36). Quanto sia stata decisiva per Fichte e per l’elaborazione della WL l’esperienza della Francia rivoluzionaria, emerge niti-

34. In, M, III, pp. 530-533. 35. Ibidem. 36. Id ., La missione del dotto, cit., p. 301 (SW, VI, p. 336).

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damente tanto dalla Grundlage der gesamten Wissenschaftsleh­ re quanto, e forse in misura ancora maggiore, dalla Erste Ein­ leitung alla dottrina della scienza del 1797 e dalla sua contrap­ posizione frontale tra Idealismus e Dogmatismus"’1. Il dogmati­ smo - spiega Fichte38 - è l’atteggiamento tipico di chi accetta il mondo nella sua datità, assumendolo come un dato empirico fat­ tuale, come una “cosa in sé” che deve essere rispecchiata sul piano gnoseologico: “per il dogmatico, tutto ciò che compare nella nostra coscienza è prodotto di una cosa in sé {alles, was in unserem Bewusstseyn vorkommt, Product eines Dinges an sich)”39. Di conseguenza, “ ogni dogmatico coerente è necessa­ riamente fatalista”40, poiché “ il principio dei dogmatici è la fede nelle cose”41 e nella morta positività del reale. In antitesi con il dogmatismo, VIdealismus è per Fichte la sola filosofia della libertà, poiché muove dall’Io e dalla sua atti­ vità creatrice e trasformativa, assunta come principio assoluto e schlechtin unbedingt. A debita distanza dal dogmatismo di chi, come Kant, parte dal presupposto che si dia un oggetto che cade al di là del campo d ’azione del soggetto, l’idealismo muove dal­ la convinzione che il soggetto sia autenticamente libero e che non si dia nulla a prescindere dalla sua azione: “ il conflitto tra idealista e dogmatico è, propriamente parlando, la scelta tra il sacrificare all’indipendenza d e ll’io (Selbstständigkeit des Ich) l’indipendenza della cosa, ovvero, al contrario, l’indipendenza

37. Cfr. R. B randt , Fichtes Erste Einleitung in die Wissenschaftslehre, in “Kant-Studien”, 1978, pp. 67-89; G. C ogliandro , Note sulla prima e seconda introduzione alla Wissenschaftslehre (1797), in “Archivio di filosofia”, n. 68 (2000), pp. 311-322. 38. Cfr. J.G. F i c h t e , Erste Einleitung in die Wissenschaftslehre, 1797; tr. it. a cura di C. Cesa, Prima introduzione alla Dottrina della scienza, in Id., Pri­ ma e Seconda Introduzione alla dottrina della scienza, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 15 ( SW, I, pp. 428 ss.). 39. Ibidem. 40. Ibidem.

41. Ivi, p. 19 (SW, I, p. 429).

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dell’io all’indipendenza della cosa (Selbstständigkeit des Dinges)’H1. La filosofia critica kantiana ha posto, nella seconda Kritik, il fondamento della libertà assoluta dell’ Io; ora, se si vuole vera­ mente mettere a frutto tale acquisizione, occorre affrancarsi dal presupposto dogmatico della prima Kritik, ossia dal manteni­ mento di una “ cosa in sé” sussistente a prescindere da tale libertà ab-soluta. Come ha sottolineato Gurvitch, in Fichte il “rigetto delle premesse dogmatiche della filosofia kantiana è legato all’u­ manesimo realista ed eroico della Rivoluzione francese”43. Come Fichte precisa a più riprese44, lo scontro insanabile tra le due diverse posizioni filosofiche del Dogmatismus e delVIdealismus mette capo, anzitutto, a due diversi interessi prati­ ci: l’illimitata conservazione dell’esistente, per il dogmatico; la libera trasformazione della realtà in vista del suo accordo con la ragione, per l’idealista. Come ha evidenziato Claudio Cesa, per l ichte la “cosa in sé” è “un fantasma che occorre rimuovere per garantirsi la libertà”45, ossia per svincolare la prassi da ogni morta positività data. In termini convergenti, Salvucci ha soste­ nuto che “Fichte teorizza nello sforzo infinito la volontà d’agi­ re dell’uomo che ha compiuto la Rivoluzione, che non conside­ ra più la realtà come immodificabile (la cosa in sé)”46. L’interesse fichtiano è, quindi, anzitutto pratico, non teore­ tico. La sua funzione espressiva primaria coincide con la defatalizzazione dell’esistente: l’oggetto non è un dato naturale che dev’essere rispecchiato gnoseologicamente e conservato politi­ camente, secondo i canoni deWadaequatio, ma è, all’opposto, una libera Setzung del soggetto stesso, la cristallizzazione della

42. Id., Prima introduzione alla Dottrina della scienza, cit., pp. 16-17 (SW, 1, pp. 428 ss.). 43. G. G urvitch , Dialectique et sociologie, cit., pp. 9-60.

44. “Il motivo ultimo della differenza tra l’idealista e il dogmatico è quin­ di la diversità del loro interesse (Verschiedenheit ihres Interesse)” '. J.G. F i c h t e , Prima introduzione alla Dottrina della scienza, cit., p. 17 (SW, I, pp. 428 ss.). 45. C. C e s a , J. G. Fichte e l'idealismo trascendentale, cit., p. 134. 46. P. S alvucci, Grandi interpreti di Kant: Fichte e Schelling, cit., p. 27.

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sua azione che, in quanto tale, nulla ha di definitivo o intra­ scendibile. In quanto esito della libera attività del soggetto, l’oggettività non presenta alcun carattere destinale: può sempre di nuovo essere trasformata dalla libera prassi che l’ha posta in essere (risuona qui, in prospettiva, l’andamento foto genere fichtiano delle undici Thesen über Feuerbach di Marx47). Come evidenziato da Duso, fin dai testi giovanili, il pensiero fichtiano si rivela intimamente animato dal “bisogno di un sapere del­ l’uomo che non si rifugi nell’atmosfera di un’astratta specula­ zione, ma sia direttamente legato alla comprensione dell’espe­ rienza. Il sapere da una parte appare congiunto con l’utilità e il bene dell’uomo, e perciò in stretto contatto con la tematica morale, dall’altra richiede la conoscenza del mondo degli uomi­ ni, senza della quale non ci può essere vero sapere”48. Alla luce di quanto sostenuto, diventa chiaro in che senso e su quali basi la Strebungsphilosophie di Fichte, con “ quell’atti­ vismo sfrenato, quel senso prometeico della vita”49 che la con­ traddistingue, possa con diritto essere considerata un umanesi­ mo radicale50. Lo sforzo della ragione è, esso stesso, quello del­ la creazione, mediata dall’agire, di un’umanità finalmente fine a se stessa, trasformando la storia nella vicenda del diventare uomo dell’uomo, ossia della graduale conformazione dell’uma­ nità alle proprie potenzialità ontologiche. Secondo quanto chia­ rito nelle lezioni sulla Missione del dotto jenese, “ la destinazio­ ne dell’umanità è l’ ininterrotto avanzamento della cultura e l’i­ ninterrotto dispiegamento omogeneo di ogni disposizione e bisogno dell’umanità in quanto tale”51.

47. Abbiamo dedicato a questo tema il IV capitolo del nostro Idealismo e prassi. Fichte, Marx e Gentile, cit. 48. G. Duso, Contraddizione e dialettica nella formazione del pensiero fichtiano , cit., pp. 69-70. 49. E. O pocher , G.A. Fichte e il problema dell’individualità, CEDAM, Padova 1944, p. 11. 50. Cfr. P. S alvucci, Grandi interpreti di Kant: Fichte e Schelling, cit., pp. 27-34. 51. J.G. F ichte , Missione del dotto, cit., p. 301 (SU', VI, p. 336).

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L’umanesimo radicale di Fichte, con la sua “ soggettività autarchica, trionfante, veramente prometeica” 52, assume il gene­ re umano come titanicamente in lotta per umanizzarsi umaniz­ zando il mondo e rendendolo sempre più conforme a sé, al libe­ ro sviluppo delle proprie potenzialità. Sono allora fuorvianti le lesi di chi, come - tra i tanti - Pantaleo Carabellese53, accusa l ichte di aver trascurato il mondo degli uomini e della comunità. Risultano, invece, convincenti le parole di Pareyson: Tutta la filosofia di Fichte è pedagogia, nel senso più alto e com­ piuto del termine, nel senso cioè che la stessa filosofia, pur avendo in sé un valore soltanto rappresentativo e speculativo, tuttavia ha la fun­ zione di migliorare l’uomo e di realizzare un’età finalmente buona, in cui tutti gli errori dello spirito umano vengano eliminati col trionfo della ragione accordata con se stessa54.

Il tema della defatalizzazione del mondo oggettivo in fun­ zione del soggetto umano, già al centro della Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre, trova la sua più coerente declina­ zione nella Wissenschaftslehre nova Methodo (1796-1799). Qui I ichte - tramite il “nuovo metodo” dell’unificazione del pratico c del teoretico - mostra more geometrico come il mondo ogget­ tivo si risolva nell’attività del pensiero del soggetto, nella con­ sapevolezza che tutto ciò che si può pensare presuppone l’atto ilei pensiero, l’azione del conoscere: “ la base di ogni coscienza deve nascere mediante l’agire” 55. Il conoscere, dunque, non come inerte contemplazione dell’essente quale presupposto del pensiero, bensì come azione creatrice e cosmogonica, che, ponendosi, pone anche il mondo oggettivo nell’atto del cono-

52. I. T h o m a s - F o g i e l , Fichte. Réflesion et argumentation, cit., p. 238. 53. P. C a r a b e l l e s e , Il problema teologico come filosofia, Senato, Roma 1931, pp. 45-53. 54. L. P a r e y s o n , L ’estetica di Fichte, a cura di C . Amadio, Guerini, Mila­ no 1997, p. 48. 55. J.G. F i c h t e , Wissenschaftslehre 1798 “nova methodo”, 1798, in 7SS, II, p. 565; tr. it. a cura di A. Cantoni, Teoria della scienza 1798 nova methodo, Istituto Editoriale Cisalpino, Milano 1959, p. 214.

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scere56. Lungi dall’essere il presupposto del pensiero, il non-Io ha il pensare quale presupposto: in coerenza con i principi della dottrina fichtiana della Seinsetzung, l’essere è dedotto dall’azio­ ne, il fatto dall’atto. Procedendo in modo transzendentalphilo­ sophisch e facendo sorgere geneticamente il proprio oggetto nella forma della Vorstellung des Vorstellenden51, la WL si reg­ ge sul principio trascendentale per cui l’esperienza come fatto si risolve nell’atto che produce attivamente il fatto dell’esperienza. *' Con le parole della Wissenschaftslehre nova Methodo: “ l’io si pone semplicemente, cioè senza ogni mediazione. È insieme soggetto e oggetto. L’io diviene solo col porre se stesso, non è prima già sostanza, ma il porsi come ponente è la sua essen­ za”58. Secondo quanto già chiarito dalla Grundlage jenese del 1794-95, l’Io, ponendosi, si contrappone un non-Io: VIch si pone allora come pensante e come pensato, come soggetto atti­ vo e come esito dell’attività del pensare (non abbiamo mai coscienza di un oggetto esterno e autonomo, ma sempre del pen­ siero oggettivato come pensato). Io e non-Io si danno sempre nello spazio di una relazione di opposizione e di identità, per cui il non-Io è posto come oppo­ sto all’Io e, insieme, come coincidente con esso (la coincidenza soggetto-oggettiva). Il non-Io, ancora una volta, esiste come esi­ to dell’atto di posizione dell’ Io stesso: il dogmatismo - philosophia pigrorum - vede solo l’oggetto, obliando l’atto che lo pone, e dunque il soggetto che lo pensa, e, per questa via, non perviene alla pienezza dell’autocoscienza e resta paralizzato al momento dell’opposizione, che pensa il soggetto e l’oggetto come ontologicamente diversi e reciprocamente indipendenti.

56. “ Se qualche cosa è per noi fatta in un certo modo, è perché la vedia­ mo così attraverso il nostro fare” : In , NS, II, p. 540. 57. Id ., GA, I, 2, p. 361. 58. Id ., Teoria della scienza 1798 nova methodo, cit., p. 43 (NS, II, p.

356 ).

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4. SOGGETTO-OGGETTIVITÀ: WISSENSCHAFTSLEHRE E MONDO STORICO

La presupposizione potrebbe essere questa, che il grande Io universale, l’ intero genere umano, si debba elevare alla moralità, proprio la sua, dell’intero genere umano. J.G. F ichte, Etica 1812

Dal punto di vista dell’idealismo pratico di Fichte quale viene prendendo forma nella Grundlage del 1794-95 e nelle successive Darstellungen della WL (pur con tutte le novità e le svolte teoriche che le contraddistinguono1), l’oggetto non è altro che il soggetto che si è oggettivato a se stesso: è il soggetto a porre l’oggetto a sé contrapponendolo (l’ Io si pone come deter­ minante il non-Io). Quest’ultimo, dunque, è opposto e, insieme, identico al soggetto stesso (questo il segreto del codice della idealistica Subjekt-Objektivität). L’oggetto è il soggetto conside­ rato non come attività-in-atto (Tat-Handlung), ossia come azio­ ne al presente, ma come risultato di quell’attività, come prassi oggettivata ( Tat-Sache): esso non si presenta, pertanto, con gli opachi tratti dell’ immodificabilità, bensì come risultato sempre trascendibile e mai definitivo dell’agire. E questa la cifra della

1. Si veda l’ormai classico M. G ueroult , L ’évolution et la structure de la doctrine de la Science chez Fichte, 2 voli., Paris 1930 [ristampa anastatica in

un unico volume presso Olms, Hildesheim 1982].

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praxologische Dialektik fichtiana, come l’ha battezzata Klaus Hammacher2. Così nella Naturrechtslehre jenese: Il filosofo trascendentale deve assumere che tutto ciò che è, è sol­ tanto per un io, e che tutto ciò che deve essere per ini io, può esserlo soltanto mediante l’ io. L’ intelletto comune invece dà a ciò che è e all’io una esistenza indipendente. Afferm a che il mondo sempre sarebbe, anche se lui non fosse3.

La defatalizzazione del mondo oggettivo viene condotta, ancora una volta, mostrandone la genesi soggettiva, umana, sociale e pratica. L’azione precede l’essere (esse sequitur operari), il quale rimanda all’azione che l’ha posto e senza la quale non potrebbe, appunto, essere. Secondo quanto sostenuto nella Sittenlehre jenese del 1798, “è l’essere che deve essere dedotto dal fare”4 (ist das Seyn aus dem Thun abzuleiten). Lo spirito è, per sua stessa natura, capacità di far sì che il reale come datità e fattualità non annulli l’ideale come l’assolutamente transcendens, ma al contrario lo traduca nella realtà, e ne produca la tra­ sformazione. Propriamente, l’essere esiste solo per chi abbia obliato il fare da cui esso deriva come esito, ossia per chi veda l’oggetto dimenticando l’atto della visione che lo rende visibile. Come si chiarisce nell’Etica 1812, “l’essere, concretamente vero, è spiri­ tuale: non vi è altro essere. [...] Questo essere spirituale non è morto, come si comprende da sé, mentre al di là di questo non ci sarebbe proprio nulla. Diviene morto attraverso il fatto che noi lo raffiguriamo, lo guardiamo, e dimentichiamo questa

2. Cfi. K . Hammacher, Fichtespraxologische D ialektik, in “Fichte-Stu­ dien”, n. 1 (1990), pp. 25-40. 3. J.G. F ichte, SW, III, p. 24. 4. Id ., Sistem a di etica, cit., p. 123 (GA, 1 ,5, p. 66). Cosi a proposito di Fichte sosteneva Ernst Bloch, nelle sue lezioni tubinghesi sull’idealismo tede­ sco: “l ’azione era già posta alla base della sua filosofia teoretica” (E. B loch, L'idealism o tedesco e dintorni. D alle Leipziger Vorlesungen, a cura di V. Scalo­ ni, Mimesis, Milano 2011, p. 74).

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nostra vita nel guardare”5. È questo il principìum flrmissimum della WL, in ogni sua esposizione. Ciò significa che, sul piano ontologico, l’azione è priorita­ ria rispetto all’essere, come sul piano socio-politico la prassi lo è rispetto all’oggettività delle istituzioni sociali, politiche, giuri­ diche. In quanto poste dal Vernunftwesen, queste ultime posso­ no sempre di nuovo essere tolte dalla sua Setzung e nuovamen­ te poste secondo modalità sempre più prossime all’ideale (asin­ toticamente rinviato, secondo la logica della schlechte Unend­ lichkeit che Hegel rimprovererà alla fichtiana soggetto-oggetti­ vità soggettiva) di un’umanità pienamente conforme a sé. La Tathandlung des Ichs assurge, pertanto, a condizione di possibilità della realtà: non si dà mai oggetto senza soggetto, tanto nel senso gnoseologico (l’oggetto ci si dà sempre tramite la mediazione attiva del soggetto, ossia come pensato di un pen­ sare in atto), quanto nel senso socio-politico (le oggettivazioni sociali esistono sempre in forza di una Setzung, di un atto della soggettività umana che le ha poste), quanto, ancora, in quello storico (non si danno accadimenti che non siano prodotto della libera prassi umana). Come programmaticamente si sostiene nella Sittenlehre jenese, “ secondo il punto di vista trascendenta­ le il mondo è fatto {wird gemacht), secondo il punto di vista comune è dato {ist gegeben)”6. L’intera opera fichtiana, se letta in trasparenza, può fecon­ damente essere interpretata come una titanica reazione all’alie­ nazione moderna, a cui il Wissenschaftslehrer si oppone tramite il primato assoluto dell’ azione (determinantesi in ogni ambito dalla morale alla gnoseologia, dalla politica alla Gotteslehre come primato dell’agire sull’essere, della prassi sulla contem­ plazione, dell’atto sul fatto)7. Mostrando come l’oggetto dipen­ da dalla mediatezza del porre del soggetto, la Transzendental-

5. J.G. F ichte, GA, II, 13, p. 330. 6. Id., Sistem a di etica, cit., p. 803 (GA, I, 5, p. 308). 7. Abbiamo approfondito questo tema nel capitolo II del nostro Ideali­ smo e prassi. Fichte, M arx e Gentile, cit.

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Philosophie spezza la mistica della necessità e mostra la libertà pratica dell’Io come fondamento del reale. Con le parole della Destinazione dell’uomo del 1800, “non tremerai più innanzi a una necessità che esiste solo nel tuo pensiero, non tremerai di venir schiacciato da cose che sono i tuoi prodotti” 8. Nella Wissenschaftslehre nova Methodo non meno che nel­ la Grundlage del 1794-95, il primato dell’atto sul fatto, dell’agire sull’essere vale tanto sul piano gnoseologico, quanto su quello pratico e socio-politico9. Nella prospettiva dell’idealismo trascendentale, “è l’attività pratica che fonda la realtà del mon­ do” 10. Il principio dell’idealista “non è qualche cosa di dato, ma è trovato da un atto libero di attività, nella libera azione dell’autoporsi” 11, nella prassi che determina sé e l’oggetto (e che deve determinare sé determinando l’oggetto). La dottrina della scien­ za nova methodo è costellata di passaggi che adombrano l’unitarietà del piano teoretico, di quello pratico e di quello socio­ politico, connessi tramite il primato dell’azione determinante l’oggetto: “in generale non so nulla immediatamente dell’ogget­ to: so solo del mio fare, ed in virtù di un certo modo di vedere il mio fare, ottengo l’oggetto” 12. E ancora: “ il non-io è il deter­ minabile continuo in ogni determinazione, che esso riceve in virtù della libertà dell’io” 13. L’essente, in ogni sua determina­ zione, è l’esito di un porre soggettivo, configurandosi dunque come prassi cristallizzata in oggettivazioni che sempre da capo possono essere trasformate ad opera dell’ azione che le ha crea-

8. J.G. F ichte, L a destinazione d ell’uomo, cit., p. 68 (SW, II, p. 240). 9. R. L auto, Il cuore della concezione pratica di Fichte, in “Annuario filosofico” , n. 18 (2002), pp. 103-116. Si veda, inoltre, M. M arcuzzi (a cura di), Fichte, la philosophiepratique, Publications de l’université de Provence, Aix en Provence 2008. 10. P. S alvucci, L a costruzione d ell’idealismo. Fichte, QuattroVenti, Urbino 1984, p. 210. 11. J.G. F ichte, Teoria della scienza 1798 nova methodo, cit., p. 36 (NS, II, p. 347). 12. Id ., NS, II, p. 540. 13. Id., NS, II, p. 589.

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le. La realtà, pertanto, è l’esito sempre riprodotto della libertà del l’agire. In essa non vi è nulla di fatale o di intrascendibile: fatum non datur14. Occorre insistere su questo delicato plesso teorico, da cui si evince l’intreccio alchemico, nella riflessione fichtiana, tra istanze ontologiche e gnoseologiche, da una parte, e istanze socio-politiche e storiche, dall’altra. Tale intreccio, che permet­ te di comprendere in che senso la politica sia sempre pensata da Fichte come dedotta nach Principien der Wissenschaftslehre, trova il proprio cardine in quella medìatezza del porre che defatalizza l’oggettività correlandola alla soggettività agente e alla sua libera Tätigkeit. Sul piano gnoseologico, si muove dalla con­ vinzione che l’oggetto esista indipendentemente da noi, per poi acquisire coscienza del fatto che esso sussiste sempre e solo nel­ la soggetto-oggettività, cioè nell’atto del pensiero che, pensan­ dolo, lo pone (risolvendosi la dualità di pensante e pensato nel­ l’unità del pensare in atto). Analogamente, sul piano storico, si procede dalla convin­ zione che il mondo oggettivo si dia in forma autonoma rispetto a noi (come oggettivamente oggettivo), per poi acquisire gra­ dualmente coscienza, tramite la mediazione temporale, dell’oggettività non oggettiva di quel mondo15: vale a dire del suo esi­ stere come mediato dal porre socio-politico, e dunque della pos­ sibilità concreta di mutarne la configurazione agendo16. In que­ sta luce, la cifra della WL - l’Io si determina nella sua opera di inesauribile determinazione del non-Io - è, a un tempo, gnoseo­ logica e socio-politica: la Rivoluzione francese e la svolta trans-

14. Si veda l’imprescindibile L. S iep, Praktische Philosophie im deut­ schen Idealism us, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1992. 15. Il non-Io - scrive Fichte nella Grundlage der gesamten Wissen­ schaftslehre del 1794-95 - “è esso stesso un prodotto dell’Io che determina se stesso, e non è nulla di assoluto e posto fuori dall’Io” : Id ., GA, I, 2, p. 361. 16. Sulla figura della possibilità nella dialettica hegeliana, si veda, ad esempio, T. Pinkard, Hegel 's D ialectic. The Explanation o f Possibility, Tempie University Press, Philadelphia 1988.

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zendentalphilosophisch di Kant ne costituiscono il presupposto storico e filosofico. Dal punto di vista della WL, come ricorderà ancora la cre­ puscolare Etica 1812, “non resta alcuno spazio per un mondo oggettivo, che non sia prodotto della libertà” 17. Ciò non signifi­ ca naturalmente, contro i fraintendimenti a cui da sempre è sot­ toposto il pensiero fichtiano, che il mondo oggettivo non esista: vuol dire, al contrario, che la sua esistenza è dedotta dal fare, esistendo la objektive Welt come prodotto dell’ attività ponente dell’Io schlechthin unbedingt. L’obiettivo teorico della WL come System der Freiheit consiste nella negazione non già del reale, bensì del suo carattere fatale, ossia dell’erranza del pensare astratto che intende l’essere come oggettività data e indipenden­ te dalla prassi umana18. Tutto ciò che è, si dà sempre mediato dal pensare in atto, ed esiste dunque come pensato di un pensare, come prodotto della coscienza che si pone a sé contrapponendo un non-Io e risol­ vendo l’opposizione nell’unità dell’atto coscienziale. Al tempo stesso, sul piano politico, sociale e storico, ogni realtà esiste sempre come risultato di un fare umano, come oggettivazione indefinitamente riprogrammabile della prassi umana: secondo quanto già sostenuto ai tempi del Beitrag, “non troveremo mai nella storia del mondo se non ciò che vi abbiamo messo” 19. Per questo, nella Grundlage del 1794-95 Fichte sostiene che il non­ io “è esso stesso un prodotto dell’Io che determina se stesso, e non è nulla di assoluto e posto fuori dall’Io”20. La realtà sociale non è una cosa in sé immutabile e tale da dover essere asetticamente registrata nella sua datità. È, al con-

17. J.G. F ichte, GA, II, 13, p. 331. 18. Su questo tema, si veda rimprescindibile lavoro di I. S chOssler , Die Auseinandersetzung von Idealism us und Realism us in Fichtes Wissenschaftsleh­ re, Klostermann, Frankfurt a.M. 1972. Cfr., inoltre, M. Roy, L a doctrine de la Science de Fichte: idealism e speculatif et reatisme pratique, L’Harmattan, Paris

2010. 19. J.G. F ichte, GA, 1 , 1, p. 203. 20. Id ., GA, I, 2 , p. 361.

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Irario, prassi oggettivata e sempre trasformabile, identità in movimento tra l’umanità e le sue oggettivazioni, tra Yordo orditians della ragione e i suoi prodotti storici. Uomnimoda determinabilitas è la cifra del reale pensato come esito sempre ripro­ grammabile della prassi umana. L’Io fichtianamente determinantesi nel porre il non-Io, allude al carattere non definitivo del mondo oggettivo: il quale coincide non già con una natura data a cui adattarsi, secondo il canone de\Vadaequatio gnoseologica e politica, bensì con l’ esito temporalmente mediato della prassi soggettiva, sempre di nuovo trasformabile in vista del suo accor­ do con il soggetto stesso21. In questa luce si spiega in che senso, ancora nella Staatsleh­ re del 1813, Fichte individui nella vicenda eristica e nella Rivolu­ zione francese i due più grandi eventi della storia umana. Essi rap­ presentano l’irruzione della novitas nell’orbo temporum, rivelan­ do come la storia non sia strutturata meccanicisticamente, come sequenza di accadimenti prevedibili e necessitati, ma presenti invece come propria cifra caratterizzante la possibilità. La vicen­ da eristica e la Rivoluzione francese adombrano, in altri termini, come sia sempre possibile cambiare il corso delle cose, al di là della mistica della necessità ideologicamente connotata: in questo modo, tali eventi suffragano l’ontologia della prassi della WL. Ritraducendo l’ ontologia in un’ inedita attologia (sulla cui base verrà costituendosi la dialettica attualistica di Gentile22) e identificando l’essere con il prodotto del fare, e dunque il fare con il sapere (non essendovi essere non mediato dalla coscienza del soggetto), la WL può legittimamente aspirare a porsi come scientia scientiarum, configurandosi come sapere sapentesi (vuoi anche come das Sehen sehen23), vale a dire come fonda­ mento metafisico di tutte le scienze, che ad essa stanno come il

21. Cfr. W.M. Martin, Idealism and Objectivìty. Understanding Fichte’s Jen a Project, Cambridge University Press, Cambridge 1998. 22. Cfr. soprattutto H.S. Harris , Fichte e Gentile, in “Giornale Critico della Filosofia Italiana” , 1964, pp. 557-578. 23. J.G. F ichte, GA, II, 6, p. 372.

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fondato sta con il fondamento24. Il suo obiettivo, sul piano cono­ scitivo, consiste nel comprendere il comprendere o, se si prefe­ risce, nel sapere il sapere, riconducendolo alla praticità dello spirito come attiva produzione che si determina determinando il proprio oggetto25. Perché, allora, l’Io deve negarsi, ponendosi come non-Io? A questa domanda, seguendo le coordinate della WL, è possibi­ le rispondere secondo due modalità segretamente complementa­ ri. In primo luogo, per acquisire coscienza di sé, il soggetto agente deve diventare oggetto (e, dunque, oggetto della sua stes­ sa azione conoscitiva). Deve, in altri termini, porsi come ogget­ to di sé, istituendo la polarità tra il conoscente e il conosciuto: non soltanto perché, per guadagnare coscienza di sé, deve porre un conosciuto, e dunque oggettivarsi (facendosi, da Tat-Handlung, Tat-Sachè), ma anche perché, per poter essere cosciente di sé come Io, deve distinguersi rispetto a qualcosa che sia diffe­ rente da esso, ossia che sia un non-Io. In questo senso, la coscienza del non-Io risulta, allora, essa stessa funzionale alla coscienza che l’Io acquista di sé: coscienza e autocoscienza si configurano, infatti, come momenti reciprocamente mediati. Come precisato nella dottrina della scienza nova methodo, “ogni coscienza è autocoscienza. È questo il fondamento della dottrina della scienza”26. Conoscere la realtà significa sempre, ineludibilmente, conoscere il proprio pensare la realtà: come già si è visto, il nostro rapporto con il reale è sempre mediato dal pensiero pensante, con la conseguenza che il realismo, in ogni sua declinazione27, è sempre ingenuo, giacché si fonda sull’o­

24. Cfr. In, GA, I, 2, pp. 129-130. 25. D. B reazeale, D er Satz der Bestimmbarkeit. Fichte’s Appropriation and Transformation ofM aim on ’s Principle ofSynthetic Thinking, in “Internatio­ nales Jahrbuch des Deutschen Idealismus” , n. 1 (2003), pp. 115-140. 26. J.G. F ichte, GA, i y 2, p. 205. 27. Si veda, a questo proposito, il recente dibattito intorno al cosiddetto new realism . Cfr. soprattutto M. F erraris, M anifesto del nuovo realism o, Later­ za, Roma-Bari 2012; Id. e M. D e C aro (a cura di), Bentornato realtà. Il nuovo realism o in discussione, Einaudi, Torino 2012.

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blio del fatto che l’essere si dà per noi come pensato di un pen­ sare. In questo risiede, per inciso, il principio idealistico dell’intrascendibilità del pensiero, ossia, con la grammatica di Genti­ le, l’idea che “non si possa trascendere l’atto del pensiero”28 (non vi è essere se non nel pensiero che lo pensa). In secondo luogo, se l’Io è strutturalmente attività in atto (inesauribile esito del proprio porsi libero e incondizionato), allora esso deve sempre di nuovo agire su un oggetto. Deve, cioè, sempre da capo trasformare le cristallizzazioni in cui si è oggettivato. Per questo, l’Io sempre di nuovo si contrappone un non-Io, superandolo e riponendolo come opposto rispetto a sé. L’essere dell’Io si risolve nell’azione volta a oggettivarsi e a superare le proprie oggettivazioni, in vista della loro piena iden­ tità con l’Io stesso. Quest’ultima è sempre differita. Se, infatti, fosse raggiunta in actu, allora l’Io cesserebbe di essere la unab­ hängige Tätigkeit che strutturalmente è. Si attua, in questo modo, un ritmo per cui l’Io, nel suo sviluppo, si nega senza sosta - facendosi non-Io - per poter essere pienamente se stesso, ossia per superare attivamente, mediante l’azione, la propria negazio­ ne sempre da capo posta29. L’Io si risolve, di conseguenza, in energia pratica, in continua negazione del proprio negarsi. Per essere attività, la fiamma sempre rinnovantesi dell’Io non può stare staticamente, in forma inerte. Deve, appunto, negarsi sem­ pre di nuovo, ossia oggettivarsi, e poi sempre di nuovo superare la negazione continuamente posta e tolta. È questa, come si diceva, la logica del conoscere, ma poi anche della storia del genere umano. Entrambe si risolvono in questo inesauribile processo di oggettivazioni e loro superamen­ ti, di smarrimento e poi di ritrovamento di sé nell’altro, di rico­ noscimento deU’alterità dell’oggetto e di sua risoluzione nell’i­ dentità con il soggetto. Quest’ultimo si perde nelle proprie

28. G. G entile, Sistem a di logica come teoria del conoscere, 1917-1922, Le Lettere, Firenze 2003,2 voll., II, p. 376. 29. Si veda, ad esempio, C. Hanewald, Absolutes Sein und Existenzge­ wissheit des Ich, in “Fichte-Studien” , n. 20 (2003), pp. 13-25.

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oggettivazioni, per poi comprenderne la vera natura di oggetto posto dal soggetto e, dunque, trasformabile dalla sua prassi. L’oggetto è di nuovo superato dal porsi, ad opera del soggetto, di una nuova e più alta oggettivazione, più conforme al soggetto stesso. Il soggetto si aliena nell’oggetto, per poi ritornare a sé arricchito, perché transitato per la potenza del negativo e final­ mente autocosciente. È in quest’orizzonte che si comprende in che senso la dia­ lettica idealistica, lungi dal presentare lo statuto di apologia del­ l’esistente, riveli, a uno sguardo ermeneuticamente limpido, la sua vera natura di defatalizzazione del reale colto nel suo ine­ sauribile farsi ad opera della prassi umana30. L’agire sempre rico­ minciato è la sua essenza e, insieme, il suo ideale orientativo. Dal punto di vista transzendentalphilosophisch della WL, la propria negazione (il farsi oggetto del soggetto) è, per l’Io, condizione imprescindibile per la piena corrispondenza con sé. Come si è detto, per poter essere unabhängige Tätigkeit, il soggetto deve oggettivarsi e agire sull’oggetto da lui stesso posto; per poter acquisire piena coscienza di sé, deve farsi oggetto a sé medesi­ mo. Sta qui il segreto dell’Io che si nega ponendo il non-Io: l’Io esiste nell’atto sempre ricominciato del negare la propria nega­ zione. Per diventare soggetto autocosciente, l’Io deve diventare oggetto di se stesso, sdoppiandosi nella relazione di opposizione e identità di soggetto e oggetto: in quanto oggetto, il non-Io è opposto all’Io, alla pura soggettività agente; ma, in quanto libera posizione dell’Io, e dunque Io pensato non come azione, ma come suo risultato, il non-Io coincide con l’Io stesso31. Questo movimento di autooggettivazione comporta, eo ipso, imo sdoppiarsi del soggetto secondo la dualità soggettooggetto. Uoggettivazione che il soggetto fa di se stesso può,

30. W. J anke, H istorische Dialektik. Destruktion dialektischer Grundfor­ men vom Kant bis M arx, Gruyter, Berlin 1977. 31. Si veda M. G oetze, D as praktische Ich in der "W issenschaftslehre" und in der frühromantischen Philosophie des Lebens, in “ Fichte-Studien” , n. 19 (2002), pp. 137-147.

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ullora, diventare la base per l’acquisizione dell’autocoscienza mediata dalla prassi (l’uscire fiiori di sé dall’in sé originario come condicio sine qua non per la conquista dell’in sé e per sé), ossia per il ritrovamento di sé nella propria stessa oggettivazio­ ne. In questo caso, lo sdoppiamento dell’Io posto in essere con la sua oggettivazione diventa la base per il compito della ricon­ quista dell’unità dopo la scissione: e questo nel senso tanto del­ la consapevolezza che il non-Io è l’Io stesso pensato come a sé oggettivato, quanto del compito di conformare il non-Io all’Io tramite l’azione, trasformando il nesso di identità e opposizione in una relazione di pura identità (ossia di identità dell’identità e della non-identità). La storia come libera e mai definitiva sequenza delle libe­ re oggettivazioni dell’Io si regge, per Fichte, su una continua oscillazione tra il costituirsi e il perdersi dell’Io stesso per mez­ zo delle sue realizzazioni, tra l’acquisire coscienza di sé e delPoggettività posta come proprio prodotto o l’alienarsi dogmati­ camente in una cosa tra le tante32. Per questo motivo, una volta di più, YIch è, sul piano logico, il principio primo della metafi­ sica dell’idealismo pratico e, al tempo stesso, sul piano dell’es­ sere sociale, rappresenta il concetto trascendentale del genere umano, inteso come Io unitario e titolare di attività autosuffi­ ciente. Quest’ultima può determinarsi unicamente in rapporto con le oggettivazioni che l’Io stesso ha posto. L’oggetto, pertan­ to, deve essere inteso come Tat-Sache, e dunque come “oggetto posto” , come “resistenza” naturale e sociale a tutti i progetti di emancipazione e di ringiovanimento del mondo33.

32. Cfr. R. Picardi, Il concetto e la storia: la filo so fia della storia di Fichte, Il Mulino, Bologna 2009; I. R adrizzani e t a u i , Laphilosophie de l ’histoire chez Fichte, Colin, Paris 1996. 33. Cfr. E. Acosta, Vier Bedeutungen des Wortes Nicht-Ich in Jen aer Periode Fichtes Wissenschaftslehre, in S. R afic e M. Pfeiffer (a cura di), D as Selbst und seinAnderes. FestschriftJur K laus Kaehler, Alber, Freiburg 2009, pp. 98-108. Si veda anche U. B aumann, Fichte in Berlin: spekulative Ansätze einer Philosophie der P raxis, Wehrhahn, Hannover 2006.

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Concepito come libero attore e come demiurgo della pro­ pria storia, il genere umano è, allora, chiamato a corrispondere a sé34: e questo secondo le due modalità reciprocamente inner­ vate e solo in abstracto disgiungibili della conformazione prati­ ca dell’oggetto al soggetto e dell’acquisizione dell’autocoscien­ za, da parte della molteplicità nomade degli io empirici, di esse­ re parti di un’unica soggettività coincidente con il genere uma­ no pensato come un unico Ich. Come, nell’ambito conoscitivo, la molteplicità dei pensati è risolta nell’unità dell’atto del pen­ siero pensante, così, sul piano storico, la pluralità nomade degli io empirici si risolve nell’unità del genere umano concepito come Io unitario e fine a se stesso35, È anche per questa ragione che, in luogo del termine Gemeinschaft, Fichte preferisce spes­ so impiegare quello di Gemeinwesen, che allude direttamente all’idea ontologica ancor prima che politica della comunità d’es­ senza e dunque, in seconda battuta, di scopi e di origine. In una simile prospettiva, la storia acquista per Fichte lo statuto di sequenza degli atti liberi con cui il soggetto - l’uma­ nità pensata come un unico Io - opera per rendere sempre più conformi a sé le proprie oggettivazioni e per acquisire una sem­ pre più profonda coscienza di sé come soggetto unitario, in modo che gli io empirici tendano - così in Über die Würde des Menschen - “a unificarsi e a formare un solo spirito in più cor­ pi. Tutti sono un’intelligenza e un volere e sussistono come coo­ peratori al grande e unico possibile piano dell’umanità”36. Nel suo monumentale Von Kant bis Hegel, Richard Kroner ha mostrato come la WL delinei, ben prima della dialettica hege­

34. Cfr. B. Willms , D ie totale Freiheit. Fichtes politische Philosophie, Westdeutscher Verlag, Köln-Opladen 1967. 35. Cfr. A. Honneth, L a necessità trascendentale dell'intersoggettività. Sul secondo teorema del saggio su l diritto naturale di Fichte, in “Rivista di Filo­ sofia” , n. 89 (1998), pp. 213-238. 36. J.G. F ichte, Züricher Vorlesungen über den B egriff der Wissen­ schaftslehre, 1794; tr. it. a cura di M. Ivaldo, Lezióni di Zurigo. Sul concetto del­ la dottrina della scienza, Guerini, Milano 1997, pp. 113-115 (GA, I, 2, pp. 8182).

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liana, il processo del Sich-seiner-bewusst-werdeti31 attraverso il quale “l’Io diventa Io” 38. Sia pure occultandola dietro l’inces­ sante e, a tratti, ingenerosa polemica antifichtiana, Hegel avreb­ be, allora, metabolizzato, sia pure declinandolo in modo origi­ nale, uno dei principali assunti della WL39, ossia l’idea secondo la quale lo sviluppo della cultura umana è il frutto di ima autoctisi (e non di un’emanazione divina), secondo un processo nel quale il negativo è un ostacolo necessario che deve essere stori­ camente prodotto per poi poter essere superato, generando l’a­ vanzamento e il dispiegamento dell’emancipazione40. In questo senso, come suggerito ancora da Kroner, Fichte ha anticipato Hegel nella misura in cui das Denken in Fluss bringt41. Anche autori molto distanti tra loro come Jules Vuillemin42 ed Edith Diising43 hanno variamente sostenuto che la WL, prima della Phänomenologie des Geistes, pone in essere “i trat­ ti fondamentali del programma di una storia idealistica dell’au­ tocoscienza”44 del genere umano trascendentalmente inteso37894012

37. R. K roner, Von Kant bis H egel, Mohr, Tübingen 1921-1924, 2 voll., 1, p. 562. 38. Ivi, I, p. 562. 39. Cfr. F. F ischbach, Fichte et H egel: la reconnaissance, PUF, Paris 1999. 40. Cfr. G. Vasta, Storicità e m etastoricità d ell’alienazione nella “Feno­ menologia dello Spirito” di G.W. Hegel, ILA, Palermo 1981; G. Rohtmoser, Théologie e aliénation dans la pensée du jeune Hegel, Beauchesne, Paris 1970; P. C ornehl, D ie Zukunft der Versöhnung: Eschatologie und Emanzipation in der Aufklärung, bei H egel und in der Hegelschen Schule, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1971. 41. R. K roner, Von Kant bis H egel, eit, I, p. 437. 42. “Esiste dunque una fenomenologia dello spirito, perché la filosofia consiste nel riprodurre la dialettica immanente dei fenomeni, cioè la storia del­ la coscienza” : J. V uillemin, L’héritage kantien et la revolution copemicienne, PUF, Paris 1954, p. 73. Quella della Grundlage del 1794-95 è la storia dellaprise de conscience de soi p a r le Je (ivi, p. 89). 43. E. D osino , H egel’s “Phänom enologie” und die idealistische Geschichte des Selbstbewusstseins, in “Hegel-Studien”, 28, 1993, p. 109. 44. Ibidem.

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come un soggetto unitario; a tal punto che, non senza buone ragioni, vi è stato chi, come Adriano Bugliani, ha espressamen­ te parlato di una “Fenomenologia dello spirito fichtiana”45.

45. A. B ugliani, L a storia della coscienza in Fichte, 1794-1798, Gueri­ ni, Milano 1998, p. 122.

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5.

VISIONE COMUNITARIA E TEORIA DELL’ESTINZIONE DELLO STATO A PARTIRE DAL BEITRAG

Se mai il fme ultimo venisse completamente raggiunto, non sarebbe davvero più necessaria alcuna costituzione politica. J.G. F ichte, Contributo per rettificare i giudizi delpubblico sulla Rivoluzionefrancese

La Rivoluzione francese, non meno della praktische Ver­ nunft kantiana, ha modellato il pensiero fichtiano, spingendolo verso l’assunzione dei problemi interconnessi della libertà e del­ la liberazione come fulcro del proprio filosofare. Non è qui importante, ai fini della nostra analisi, ima ricostruzione com­ plessiva del giudizio fichtiano della Rivoluzione anche negli scritti successivi. Su questo punto, ci paiono convincenti sia gli argomenti di chi, come Martial Guéroult1, ha chiarito in che sen­ so, dal punto di vista fichtiano, la rivoluzione venga sempre intesa come legittima, ma sia sempre più messa in dubbio la sua “saggezza”2, sia quelli - solo apparentemente in contraddizione

1. Cfr. M. Guéroult, Fichte et la révolution frangaise, in ItL, Etudes sur Fichte, Hildesheim, New York 1974, pp. 152-246. 2. Come ha sottolineato Lauth, nel Beitrug sulla Rivoluzione francese in realtà “manca la seconda parte, storica, ove doveva essere trattato ciò ch’era pro­ prio della situazione del momento. L’interesse prioritario era il giudizio sulla legittimità della rivoluzione” (R. L auth , Il pensiero trascendentale della libertà. Interpretazioni di Fichte, Guerini, Milano 1996, a cura di M. Ivaldo, p. 308).

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con questa posizione - di chi ha sostenuto che non vi è mai, in Fichte, un rinnegamento del proprio entusiasmo originario per l’evento rivoluzionario. È in questa cornice teorica che deve essere inquadrata la vexata quaestio dello Stato nella riflessione fichtiana. Tale pro­ blema, come cercheremo di mostrare, è direttamente connesso con la WL e con la sua passione trasformatrice e non può esse­ re affrontato a prescindere da essa, come si ostina a fare la sto­ riografia pigra. Senza perdere di vista la tutt’altro che esile bibliografìa su questo tema34, occorre anzitutto segnalare come l’aporia dello Stato commerciale chiuso - ossia, come si è det­ to, Timprowiso transito di Fichte dalla tematizzazione della necessaria estinzione della Staatsform alla codificazione dello Stato forte e commercialmente chiuso - rivelerebbe, stando alle letture più consolidate, non soltanto una contraddizione interna alla riflessione fichtiana. Di più, essa sembrerebbe porre in con­ traddizione gli stessi princìpi della WL, il suo pathos antiadattivo e defatalizzante, la sua stessa essenza di System der Freiheit. Da una diversa angolatura, come già si è detto, il “primo Fichte”, “giacobino e sovversivo” , secondo l’immagine - certo tutt’altro che neutra - che di lui veniva veicolata negli ambienti conservatori, nemico dello Stato oppressivo quando non dello Stato in quanto tale, risulterebbe del tutto incompatibile con il “secondo Fichte”, quello che, dopo la sofferta vicenda delVAtheismusstreit*, si reinsedia nell’Università e pare conciliarsi con lo status quo, tematizzando la necessità di uno Stato forte e sovrano, commercialmente chiuso e organicisticamente struttu­ rato. Questa nuova fase della riflessione politica fichtiana sem­

3. Senza addentrarci nella ingens stiva della letteratura secondaria sul problema dello Stato in Fichte, ci limitiamo qui a segnalare due lavori partico­ larmente significativi, dei quali terremo conto nelle pagine che seguono: K. Hahn, Staat, Erziehung und Wissenschaft bei J. G. Fichte, Beck, München 1969; G. Duso e G. R ametta (a cura di), L a libertà nella filo so fia classica tedesca: politica e filo so fia tra Kant, Fichte, Schelling e Hegel, Angeli, Milano 2000. 4. Cff. Y. E stes e C. B rowman, J.G . Fichte and thè Atheism Dispute (1798-1800), Ashgate, Burlington 2010.

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brerebbe, pertanto, costituire una confutazione non solo delle convinzioni jenesi relative allo Stato, ma anche, in forma ben più radicale, degli stessi princìpi della WL come ontologia della prassi orientata all’emancipazione del genere umano pensato come un unico Io. Come spiegare questa improvvisa Kehre? E, soprattutto, come può essa coniugarsi con l’immagine dell’idealismo fichtiano che abbiamo delineato in precedenza, presentandolo come una forma di filosofia della trasformazione e della libertà, per sua vocazione avversa al dogmatismo e all’inerzia conservativa, tesa a superare ogni barriera che ostacoli l’unificazione in atto de! genere umano? Non è forse racchiuso nel concetto stesso di uno Stato chiuso l’abbandono dell’infinito processo emancipativo del genere umano codificato dai princìpi della WL? Su questa aporia se ne innesta un’altra, a cui occorre fare riferimento per poter comprendere in tutta la sua portata l’enigma fichtiano dello Stato commercialmente chiuso: dall’accetta­ zione integrale della Rivoluzione francese, encomiata (sia pure con riserve sulla saggezza) nelle Revolutionsschriften e assunta come fondamento ontologico del prassismo trascendentale del­ la WL, Fichte volge rapidamente alla critica feroce del mondo storico che dalla Rivoluzione è scaturito, qualificandolo come “anarchia commerciale” nello Stato commerciale chiuso e come “epoca della compiuta peccaminosità” nei Tratti fondamentali del tempo presente. Come si spiegano queste inversioni di ten­ denza? È possibile, in antitesi con la soluzione monoliticamen­ te prospettata dalla storiografia pigra, individuare in questo per­ corso teorico un coefficiente di unitarietà e di coerenza? Come già si è sottolineato, per sciogliere l’aporia, la sto­ riografia dominante, che spiega obscurum per obscurius, si limita a rilevare la presenza di un’irrisolvibile contraddizione interna all’evoluzione del Denkweg fichtiano: come se il pensa­ tore di Rammenau, in modo improvviso e immotivato, abban­ donasse l’entusiasmo originario per la Rivoluzione (approdando a una critica feroce del mondo che da essa ha preso forma) e l’i­ deale dell’estinzione dello Stato (passando alla tematizzazione di uno Stato forte, autoritario e commercialmente chiuso). 65

Come già abbiamo evidenziato, la nostra posizione è, su questo punto, diametralmente opposta. Si tratterà pertanto, nel­ le pagine che seguono, di ricostruire alcuni snodi decisivi che caratterizzano la posizione, o, meglio, le differenti posizioni di Fichte intorno allo Stato, nel tentativo di mostrare come la con­ traddizione sia solo apparente5. In particolare, occorrerà mostra­ re la genesi e lo sviluppo del concetto dello Stato commercial­ mente chiuso aH’intemo della riflessione fichtiana, prendendo le mosse dagli scritti giovanili e dalla loro tematizzazione della Vernichtung della forma statale. A un’attenta analisi, la rifles­ sione di Fichte non soltanto non abdica mai alla propria origi­ naria istanza critico-trasformatrice (l’endiadi di ontologia della i prassi e comunitarismo cosmopolitico, cifra della vis dialectica fichtiana), ma, per rimanere fedele ad essa, deve di necessità mettere a tema ima sferzante requisitoria del cosmo socio-poli­ tico scaturito dalla Rivoluzione e, insieme, codificare uno Stato forte e - saremmo hegelianamente tentati di dire - “etico” qua­ le è quello delineato in D er geschlossene Handelsstaat. È dai testi del “primo Fichte” che occorre, dunque, prende­ re le mosse. Nelle Revolutionsschriften e, in particolare, nel Bei­ trag il tema dell’estinzione dello Stato è virtualmente racchiuso tra le pieghe di un discorso incentrato sull’idea dell’avanzamen­ to illimitato del processo emancipativo del genere umano, ritma­ to da prassi e moralità, da autodeterminazione e affrancamento dai vincoli socio-politici6. In specie, Fichte difende con rigorosa passione l’idea che non possa esistere costituzione immodifica­ bile. Infatti, rientra tra i diritti inalienabili dell’umanità la possi­ bilità di perfezionarsi, vuoi anche nella forma della rimozione di vincoli che essa stessa ha preventivamente posto. L’immodificabilità della costituzione risulta, pertanto, contraddittoria, giacché

5. Questa tesi è sostenuta anche da I. R adrizzani, "Nation-contrat” ou “nation-génie ”? D es diversesfigures de la nation chez Fichte, in J.-C. G oddard e J. R ivera de Rosales (a cura di), Fichte et la politique, cit., pp. 108 ss. 6. R. S trecker, Die Anfänge von Fichtes Staatsphilosophie, Meiner, Leipzig 1916-1917.

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si regge sull’ammissione secondo cui il genere umano ha rag­ giunto una condizione definitiva e non necessita più di progredi­ re ed evolversi7. La critica all’idea di un contratto sociale defini­ tivo e non trasformabile, nel Beitrag, può con diritto essere letta come una precoce critica del fatalismo dogmatico, ossia dell’i­ dolo polemico costante della WL in tutte le sue Darstellungen. Scrive Fichte nel Beitrag'. L a promessa di non cambiare mai volontà sarebbe una promessa di non aumentare e perfezionare la propria condizione. Una tale pro­ m essa nessun uomo ha il diritto di farla. Ognuno ha il dovere, e quin­ di anche il diritto inalienabile, di lavorare all’infinito al proprio per­ fezionamento e di seguire in ogni caso il convincimento che gli sem­ bra migliore8.

Già in queste accorate note in difesa della Rivoluzione scorgiamo, in filigrana, i tratti fondamentali che andranno ad animare l’impresa teorica della WL, la sua lotta inesausta contro il fatalismo e la granitica ideologia dell’immodificabilità dell’e­ sistente, nell’idea che la Bestimmung dell’umanità coincida con il processo di costante Vervollkommnung pratica di sé e del mondo oggettivo: “la clausola che nel contratto sociale stabili­ sce che esso dovrebbe restare immutabile - così nel Beitrag sarebbe quindi la più recisa contraddizione con lo spirito dell’u­ manità”9. Infatti, “è un diritto inalienabile dell’uomo quello di poter annullare, anche unilateralmente, quando vuole, qualsiasi suo contratto; l’indissolubilità e l’etema validità di un qualsivo­ glia contratto è la più netta contraddizione al diritto dell’uma­ nità in sé” 10, ossia al proprio illimitato perfezionamento11.

7. Si veda I. Radrizzani, L a Doctrine de la science et l ’engagement historìque, in “Revue de Métaphysique et morale” , n. 1 (1996), pp. 23-47. 8. J.G. F ichte, Contributo p er rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese, cit., p. 172 (SW, VI, p. 160). 9. Ivi, pp. 113-114 (SW, VI, p. 106). 10. Ivi, p. 171 (SW, VI, p. 180). 11. Cfr. A. L asson , Johann Gottlieb Fichte im Verhältnis zu Kirche und Staat, Scientia, Aaalen 1968.

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Il tema tornerà ampiamente negli scritti successivi. Ancora nella Sittenlehre jenese del 1798 si chiarirà che “completamen­ te contraria al diritto è solo quella costituzione che ha per fine di conservare tutto com ’è attualmente (alles, wie es gegenwär­ tig ist)” 1213.Non è un caso che, nello scritto del 1793, sia pure in un impianto in cui la prospettiva comunitaria e anti-individualistica non ha ancora preso forma (pur essendo già virtualmente racchiusa in esso), già si consideri l’umanità come un unico sog­ getto che, agendo, progredisce (Vorgang der Menschheit12), e che per progredire deve materializzare la propria libertà in una relazione pratica con il mondo oggettivo. Per questo, come sug­ gerito da Cesa, “l’uomo fichtiano, fin daU’inizio, vede il proprio ‘perfezionamento’ in ima cornice sociale, nella quale si con­ fronta con esseri simili a lui” 14: la Bestimmung dell’uomo, come quella del dotto, è intrascendibilmente radicata nella società, ossia nel nesso comunitario che lega l’io empirico agli altri io empirici come parti dell’unico Io coincidente con l’umanità in avvicinamento asintotico alla propria emancipazione15. In que­ sto risiede quello che Marco Ivaldo ha qualificato come “l’oriz­ zonte comunitario dell’etica” 1617fichtiana. Come si diceva poc’anzi, nelle Revolutionsschriften sono poste in nuce le basi tanto per la codificazione dei princìpi del­ la WL, quanto per la formulazione della teoria dell’estinzione dello Stato. In estrema sintesi e senza alcuna pretesa di esausti­ vità, ci limitiamo a ricordare come nel Beitrag Fichte aveva dife­ so la legittimità della Rivoluzione da quanti l’avevano messa in discussione - in particolare August Wilhelm Rehberg, nelle Untersuchungen über die französische Revolution11 - e aveva

12. J.G. F ichte, Sistem a di etica, cit., p. 819 (GA, I, 5, p. 313). 13. Id ., GA, I, 1, p. 254. 14. C. C esa , Introduzione a Fichte, cit., p. 78. 15. C. D e Pascale , Fichte und die Gesellschaft, in “Fichte-Studien” , n. 24 (2003), pp. 95-102. 16. M. Ivaldo, Fichte: l ’orizzonte comunitario d ell’etica (le lezioni del 1812), cit., pp. 37-54. 17. Cfr. L. S osoe, Kant et Rehberg sur la Théorie et Praxis, in L ’Année

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sostenuto strenuamente il diritto di un popolo a modificare il contratto e anche ad annullarlo per via rivoluzionaria. Ora, spiega Fichte nel Beitrag, un’umanità in asintotico avvicinamento al suo scopo supremo, ossia il rendere la propria volontà del tutto conforme alle leggi della ragione, renderebbe co ipso superfluo ogni apparato statale18. Così scrive il pensato­ re di Rammenau in un passo che (eccezion fatta per il forte richiamo alla teoria sei-settecentesca dello Stato come poderosa macchina artificiale) racchiude integralmente quanto nella M is­ sione del dotto jene se si sosterrà circa l’estinzione della StaatsJorm: Una ruota dopo l ’altra, nella macchina di una tale costituzione politica, resterebbe oziosa e verrebbe eliminata. [...] Se mai il fine ultimo venisse completamente raggiunto, non sarebbe davvero più necessaria alcuna costituzione politica. L a macchina si fermerebbe, perché nessuna pressione si eserciterebbe più su di essa. L a legge uni­ versale della ragione unificherebbe tutti gli uomini nella più comple­ ta unanimità di sentimenti e nessun’altra legge avrebbe più a vegliare sulle loro azioni19.

Un’umanità finalmente moralizzata, che fosse imago vivente della ragione, non necessiterebbe più della pressione coercitiva statale per fare ciò che farebbe spontaneamente, ade­ rendo in forma libera al dovere. Sono già qui embrionalmente abbozzati tutti i temi portanti della dottrina fìchtiana della Ver­ nichtung dello Stato. Il tema verrà esplicitato e approfondito soprattutto nel 1794, nella seconda delle cinque lezioni sulla Missione del dotto tenute a Jena. Riprendendo le acquisizioni

/ 793, Kant: su r L a Politique et L a Religion, a cura di J. Ferrari, Vrin, Paris 1995, pp. 145-150. Nel 1795, J.B. E hrard, medico e discepolo di Kant, pubblica Über dos Recht des Volks zu einer Revolution, in cui difende la rivoluzione e delegit­ tima la ribellione: cfr. G. R auler, Aufklärung. Les Lumières allem andes, Flammarion, Paris 1995, pp. 376-380. 18. Sì veda G. Rametta, Fichte, cit., pp. 50-51. 19. J.G. F ichte, GA, 1 ,1, p. 253.

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portanti della prima lezione (in particolare, l’idea che la Bestim­ mung dell’uomo stia nel proprio mai definitivo perfezionamen­ to nell’ambito della società), Fichte le sviluppa e le approfondi­ sce in coerenza con i princìpi della WL. In rivendicata antitesi con quelle che Marx definirà le “robinsonate” , il pensatore di Rammenau mostra come l’uomo non sia un essere isolato, ma già da sempre un ente comunitario: egli vive con i suoi simili e, di conseguenza, solo in comunità con essi può realizzare piena­ mente le proprie potenzialità ontologiche20. Il terreno delle relazioni intersoggettive deve, dunque, essere identificato con la società, il solo luogo in cui possa real­ mente esprimersi la morale. Vi è già qui, in nuce, un tema che verrà approfondito e radicalizzato negli scritti fichtiani succes­ sivi, già a partire dal Naturrecht jenese del 1796-97 e dalla dot­ trina della scienza nova methodo. Lo potremmo qualificare nei termini di un approfondimento sempre maggiore dell’eticità comunitaria. Se nel Beitrag l’ente razionale finito accede al con­ tratto statale dopo essersi già formato come soggetto seguendo la legge morale (a tal punto che la società attesta, kantianamen­ te, una relazione sussistente tra enti morali già formati), e se nel­ la Bestimmung des Gelehrten del 1794 affiora nitidamente l’i­ dea che la morale viene costituendosi unicamente nel nesso intersoggettivo di tipo comunitario, il percorso successivo di Fichte sarà quello di mostrare sempre più come la relazione intersoggettiva sia fondativa dell’io21, in un sempre più marcato approfondimento della prospettiva comunitaria coerente con la WL22.

20. Cfr. W. Weischedel, D er frühe Fichte: Aufbruch der Freiheit zur Gemeinschaft, Frommann, Stuttgart 1973 [ma prima edizione 1939]. 21. C. A madio, M orale e politica nella Sittenlehre (1798) di J.G . Fichte, cit., p. 4. 22. Non è, a questo proposito, condivisibile la tesi di Philonenko, secon­ do cui, nella Grundlage del 1794-95, l ’altro è puro non-lo (“autrui est tout d’abord non-moi”): A. Philonenko , L a liberti humaine dans la philosophie de Fichte, Vrin, Paris 1966, pp. 152 ss.

Del resto, sappiamo - è la stessa WL nova Methodo a con­ fessarlo - che imo degli aspetti del kantismo da cui Fichte più aspirava a congedarsi era il solipsismo trascendentale, in forza del quale Kant non era mai stato in grado di spiegare “come io giunga all’ammissione di esseri razionali fuori di me”23 e, di conseguenza, dal punto di vista fichtiano, aveva concepito le relazioni intersoggettive come momento secondario24. Tanto in sede teoretica tramite VIch denke, quanto in sede morale con l’i­ dea di “autonomia”, il soggetto di Kant è non solo pensato, ma trascendentalmente costituito in modo solipsistico, prescinden­ do da ogni legame che potrebbe porlo in rapporto organico e costitutivo con gli altri componenti della comunità in cui è inse­ rito: i problemi sociali sorgono per Kant solo in seconda battu­ ta, dalla connessione a posteriori dei singoli soggetti individua­ li25.

23. J.G. F ichte, NS, II, p. 476. “Che Kant non si sia dichiarato su questo punto, è il segno più lampante del fatto che il criticismo kantiano non è com­ piuto. [...] In Kant il principio dell’assunto di esseri razionali al di fuori di noi non si presenta come un principio di conoscenza, bensì come un principio pra­ tico, come egli ha evidenziato nella formula del suo principio morale: io devo agire in maniera che il mio modo di agire possa diventare principio di una legi­ slazione universale. Ma allora io devo ammettere altri esseri razionali al di fuo­ ri di me, perché altrimenti come posso riferire ad essi la legge?” (Id ., Teorìa del­ la scienza 1798 nova methodo, cit., pp. 150-151; NS, II, p. 477). 24. Contro corrente è, su questo tema, la lettura di Philonenko, che inter­ preta il problema delPintersoggettività in Fichte come coerente sviluppo del tema kantiano della comunicazione: “è condotto nello stesso movimento a con­ siderare la comunità umana fondata sulla comunicazione come l’Assoluto” (A. Philonenko, L a libertà humaine dans la philosophie de Fichte, cit., p. 40). L’i­ dea di comunicazione, centrale in Kant, in Fichte “acquista un valore costituti­ vo e s’incarna nelle relazioni giuridiche e comunitarie” (ivi, p. 41). Sul tema del­ la comunicazione in Kant, cff. A. Tagliapietra, Tra corpo e spirito. Kant e l'ab ­ bozzo di un 'antropologia della conversazione, in “I Castelli di Yale” , 2011, pp. 115-147. 25. Solo la crepuscolare Anthropologie in pragm atischer Hinsicht (1798) compirà un estremo tentativo di recupero dell’empiria e di ricongiungimento del "cielo stellato” e del mondo, prendendo in esame l’uomo come individuo empi­ rico che è immediatamente in relazione con gli altri come “maschera sociale” .

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È in questo senso che Fichte - come evidenziato da Mas 10 - procede animato dal “programma di superare l’individuai smo astrattamente pluralistico in ima struttura comunitaria d l’umano”2627, che assuma la vis unitiva della comunità non come momento secondario (frutto dell’unione delle solitudi individuali, secondo la via kantiana), bensì come atto geneti dell’uomo in quanto tale, rispetto al quale l’individuo risulti i momento secondario e, potremmo dire, ricavato per astrazio dall’impianto gemeinschaftlich. Come per Hegel, anche Fichte, soprattutto a partire dal 1800, la comunità etica è prio taria rispetto all’individuo, che senza di essa non è possibile, concepibile. È in questo senso che, con Gurwitsch, quello Fichte (in modo lampante dal Naturrecht jenese) può con i to essere qualificato come un “sistema dell’etica concreta’ vicino a Hegel più che a Kant. Del resto, come ha significatimente suggerito Ivaldo, il male in Fichte consiste soprattutto n concentrarsi sul proprio io individuale empirico, assolutizzan la propria soggettività e annullando quella altrui, oltre che ne l’abbandono dell’azione in favore delle logiche del dogma" smo28. Su questa prospettiva fecondamente comunitaria si ree anche la Sittenlehre jenese del 1798, con la sua fondazione un’etica della concretezza e dei costumi sociali tesa a supe 11 formalismo individualistico kantiano2930. Ciascun Vemunftwef sen scorge kantianamente in ogni Io un fine in se stesso, ma, insieme, coglie se stesso come mero mezzo per la realizzazione dell’umanità come un unico Io. Ed è in questo senso che, ciascuno, la propria individualità “scompare ed è annullata”3' in quella “dimenticanza di sé” (Vergessenheit seiner selbst) c’

26. A. Masullo , Fichte: l'intersoggettività e l ’originario, cit., p. 40. 27. Cfr. G. Gurwitsch, Fichtes System der konkreten Ethik, cit., pp. 123 88.( 28. M. Ivaldo, Il problema del male in Fichte, in “Verifiche” , n. 4 (1989), pp. 401-420. 29. Cfr. A. M asullo , Fichte: l'intersoggettività e l'originario, cit., pp. 87l ss. 30. J.G. F ichte, GA, I, 5, p. 231.

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pone in essere una relazione autenticamente intersoggettiva e rispettosa di ogni singolo Io come membro del genere umano. Là dove le individualità si feticizzano in forma assolutizzata, dimenticando tanto i singoli Io quanto l’umanità come intero vivente, allora si ha non già virtù, bensì egoismo, giacché “la vera virtù consiste nell’agire, nell’agire per la comunità”31. L’e­ poca che assolutizza le individualità non può che rivelarsi com­ piutamente peccaminosa, complici le prestazioni àz\YHandel­ sanarchie. Il tema affiora nitidamente anche dalle pagine del Naturrecht jenese, in cui Fichte lascia emergere come la ragione sia originariamente ima sola e subisca poi una lacerazione che la pluralizza, affinché il raggiungimento dell’unità al più alto gra­ do dell’unità autocosciente diventi l’esito di un processo pratico implicante mediazione temporale e acquisizione di consapevo­ lezza (dapprima nella forma coercitiva dell’apparato statale, in seguito grazie al dispiegamento dell’eticità): L’umanità è un unico intero organizzato e organizzante della ragione; essa fu divisa in più membri uno indipendente dall’altro, e già l ’istituzione naturale dello Stato sopprime provvisoriamente que­ sta indipendenza, e fonde quantità singole in un intero, finché l’eti­ cità fa dell’intera specie un’unità32.

Perché la virtù possa dispiegarsi, ognuno deve aspirare a produrre “l’assoluto accordo”33 (dìe absolute Übereinstimmung) di sé con gli altri e con l’intero comunitario. Gli individui costi­ tuiscono una pluralità irriducibile e possono divenire una tota­ lità solo se comunicano e si pongono in relazione, in una con­ vergenza della ragione frammentata nella pluralità in una sinte-

31. Ibidem. 32. Id ., Grundlage des Naturrechts nach Principien der Wissenschafts­ lehre, 1796-1797; tr. it. a cura di L. Fonnesu, Fondamento del diritto naturale secondo i princìpi della dottrina della scienza, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 179 {SW, IH, p. 203). 33. Id., GA, I, 5, p. 212.

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si che faccia sì che ciascun Vemunftwesen si concepisca e a= sca come parte integrante di un tutto a lui superiore34. Un simile obiettivo non può non implicare, ancora ima vo’ ta, la risoluta opposizione alPanomia delle solitudini nomadi iff preda all’“isolamento” (Verselbständigkeit) imposto facto, con il dovere della comunità di farsi imago D ei: l’ente razionale finito diventa io solo comprendendosi come parte del­ la comunità, ossia come frammento dell’intero scisso e tale da dover essere ricostituito operativamente. Così nella Sittenlehre del 1812: “la presupposizione potrebbe essere questa, che il grande Io universale, l’intero genere umano, si debba elevare alla moralità, proprio la sua, dell’intero genere umano”37. Secondo quanto sottolineato da Giovanni Cogliandro, dopo il 1800, in modo sempre più intenso, per Fichte “la comunità è

34. Cfr. A. Masullo, Fichte: l'intersoggettività e l 'originario, cit., pp. 65 ss. 35. J.G. F ichte, GA, I, 5, p. 230.

l’assoluto visibile”38. L’io rende visibile la comunità e, insieme, si mostra unicamente in essa, perché può agire moralmente o immoralmente solo all’interno e rispetto alla Gemeinschaft39. In questa prospettiva - questo il nerbo della Sittenlehre del 1812 — la comunità si riconosce come unica realtà sussistente per sé, scoprendosi come antecedente rispetto a ogni individuo. In seconda battuta, forte di tale acquisizione teorica, essa agisce concretamente per realizzare rimmagine di Dio nel mondo, ossia per portare ogni individuo alla piena moralità, in quanto membro della totalitas comunitaria. È per questa via fondata, sul piano ontologico, la prospet­ tiva socio-politica della comunità organica40 e tendente al cosmopolitismo, essendo la ragione a cui allude la WL la tota­ lità del genere umano come soggetto in sé unitario. Fichte solle­ va questo problema richiamandosi, tra l’altro, a Leibniz e alla sua concezione del nesso plurale e, insieme, strutturalmente uni­ tario delle monadi: “come si accordano tra loro i pensieri delle monadi? Leibniz dà questa risposta: se tutte le intelligenze sono una, ma separate, bisogna che questi frammenti convivano gli uni con gli altri”41, e, più precisamente, che acquistino coscien­ za di essere frammenti di un intero. Nel suo importante lavoro su Fichte e Leibniz42, Ivaldo ha mostrato come l’armonia prestabilita leibniziana venga da Fich-

38. Si veda G. C ogliandro, L a dottrina morale superiore di J.G . Fichte. L’"E tica” 1812 e le ultime esposizioni della dottrina della scienza, Guerini, Milano 2005, p. 237. 39. Ivi, p. 241. 40. A. M asullo , Fichte: l'intersoggettività e l ’originario, cit., p. 145: ‘Tindividualità dell’io, gli ‘altri’ e la ragione come intero di tutti gli io - comu­ nità - sono trascendentalmente dedotti dal discorso filosofico, dai primi impac­ ciati tentativi della M issione del dotto, attraverso la svolta decisiva del Diritto naturale, fino alla seconda Dottrina della scienza (la ‘nova methodo’) ed al Sistema della dottrina m orate’. 41. J.G. F ichte, NS, U, p. 248. 42. Clir. M. Ivaldo, Fichte e Leibniz: la comprensione trascendentale della monadologia, Guerini, Milano 2000.

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te metabolizzata e declinata nel senso di una teoria dell’intersoggettività43. Non soltanto in Leibniz vi è già l’idea dell’azio­ ne come prerogativa quintessenziale dell’Io, nella misura in cui la monadologia si regge sull’assunzione dell’attività come essenza della sostanza (in una vera e propria anticipazione del­ l’ attività autoctica dell’Io fichtiano come actus pum s esserteli): Con i Principes de la nature et de la gràce fondés en raison (§1), occorre intendere la “sostanza come un essere capace di azione (un Étre capable d Action)”44, ossia come puissancé, d ’agir. Seguendo Ivaldo, l’intera teoria deH’intersoggettività fichtiana dovrebbe, pertanto, essere intesa come una traduzione sul piano etico-politico dell’ontologia monadologica leibnizia-na45. Come è noto, la caratteristica fondamentale del mondo leibniziano delle monadi consiste nel suo essere unitario e, insieme, pluralizzato in una molteplicità di sostanze46. Il proble­ ma ontologico fondamentale diventa, allora, per la monadologia leibniziana, la coordinazione dell’unità e della molteplicità mediante la loro armonizzazione, proprio come, per Fichte, la difficoltà principale della visione intersoggettiva risiede nell’or­ ganizzazione della totalitas comunitaria con la pluralità degli io empirici. Scrive Fichte, “se tutte le intelligenze fossero una sola, e questa fosse divisa in pezzi, questi pezzi dovrebbero adattarsi l’uno all’altro”47, instaurando un’armonia reciproca volta a ren­ dere possibile l’unità nella molteplicità.

43. “Il teorema deU’armonia prestabilita, che Fichte valorizza in maniera originale come visione intersoggettiva ante litteram” : ivi, p. II. 44. G.W. L eibniz, Principes de la nature et de la gràce fondés en raison, 1714; tr. it. Princìpi razionali della Natura e della Grazia, in Id., Scritti filoso­ fici, a cura di M. Mugnai e E. Pasini, UTET, Torino 2000, 3 voll., Ili p. 444. 45. Cfr. K.V. Taver, Freiheit und Prädetermination unter dem Auspiz der prästabilierten Harmonie: Leibniz und Fichte in der Perspektive, Rodopi, Amsterdam 2006. 46. M. Ivaldo, Fichte e Leibniz: la comprensione trascendentale della monadologia, cit., pp. 123 ss. 47. J.G. F ichte, GA, IV, 1, p. 374.

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L’universo delle monadi leibniziane, proprio come il mon­ do sociale fichtiano, si presenta, dunque, come una totalitas divisa e frantumata, come un’unità plurale e come la totalità articolata di un molteplice, in cui i pezzi sono chiamati a coor­ dinarsi e a ricostituire l’unità. Vi è, tuttavia, una differenza deci­ siva, su cui Ivaldo ha puntualmente richiamato l’attenzione48: l'armonia prestabilita, che Leibniz ammette dogmaticamente, è per Fichte un compito della prassi, l’ideale attorno al quale orientare il pensiero e l’azione, secondo quanto già emergeva in Über die Würde des Menschen, del 1794. Fichte vi sosteneva la necessità, per gli io empirici, di riconfluire nella grande unità dello spirito puro, dell’Io come soggetto unitario coincidente con l’umanità qua talis. L’armonia delle monadi costitutivamen­ te intersoggettive deve, allora, essere istituita come pratica di incontro e di relazione armonica tra gli enti razionali finiti, par­ ti della ragione unitaria che si è frantumata per ritrovare la pro­ pria unità come esito di un’azione49. Con le parole di Ivaldo, “l’armonia è comunità etica in quanto apparizione originale del­ l’Uno assoluto in corrispondenza a un imperativo incondiziona­ to”50. È questa la linea interpretativa che permette di decifrare

48. M. Ivaldo, Fichte e Leibniz: la comprensione trascendentale della monadologia, cit., p. 126. “L’armonia trascendentale è non armonia ‘prestabili­ ta’, ma armonizzarsi di agenti liberi, costituiti da un’incessante ‘dialettica’ pra­ tica e immaginativa tra finità e infinitezza, non compiuti al modo della ‘cosa’, ma dati nel compito di formare se stessi” (p. 132). 49. “Il reciproco riconoscimento delle persone come esseri razionali, liberi ed autocoscienti, che entrando in rapporto di comunione tra di loro fon­ dano il diritto, la comunità civile e lo Stato, è sicuramente uno dei motivi di fon­ do che apre l’idealismo trascendentale ad una dimensione propriamente etica, interpersonale e comunitaria” : T. Valente« , Ifondam enti della libertà in J.G. l ichte. Studi sul prim ato del pratico, Editori Riuniti Press, Roma 2012, p. 254. 50. Ivi, p. 132. Per Ivaldo Leibniz è il modello dell’intersoggettività fichtiana: “il soggetto leibniziano è essenzialmente un soggetto ‘intersoggettivo’ . Usso è infatti costruito da relazioni, rinvìi, che lo pongono fin dall’inizio in una connessione di inter-espressione con gli altri soggetti che formano la struttura fondamentale della realtà essente. Non è sbagliato perciò asserire che l’univer­ so leibniziano è un universo né monistico né semplicemente pluralistico - se con

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l’unità del tema comunitario nella riflessione fichtiana, conside­ rata in tutte le sue prismatiche evoluzioni e in tutti i suoi molte­ plici ripensamenti.

ciò si omette la dimensione della relazione - ma è essenzialmente ‘intersogget­ tivo’” (ivi, p. 256). SuU’interpersonalità (ivi, pp. 341 ss.): ogni riflettente coglie se stesso,e, insieme, percepisce l’altro riflettente e, insieme, percependo l’altro riflettente, ogni riflettente coglie se stesso come riflettente. La riflessione di ogni riflettente si rivela così come un riflettersi a partire dal riflettersi dell’altro.

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6.

LO STATO COME MEZZO E NON COME FINE NELLA MISSIONE DEL DOTTO DEL 1794

Lo Stato, come d’altra parte tutte quante le istituzioni umane che non sono nient’altro che mezzi, è orientato al proprio stesso annientamento: l’obiettivo di ogni governo è di rendere accessorio il governo. J.G. F ichte, M issione del dotto

Lasciando a margine la questione, a cui in questa sede abbiamo solo accennato, dell’approfondimento dell’eticità comunitaria (l’intero Denkweg fichtiano potrebbe essere letto secondo la proposta interpretativa euristicamente feconda di Masullo1 - come un graduale passaggio dal punto di vista della morale a quello dell’etica centrato sull’idea di Aufforderung2 come vincolo comunitario), torniamo ora alla seconda lezione della Missione del dotto del 1794. La relazione reciproca dei Vemunftwesen coincide con la società, teatro dell’agire degli

1. Si veda A. M asullo , Filosofìa morale, Editori Riuniti, Roma 2005. 2. Sulla nozione di Aufforderung, cfr. E. DOsing, Sittliche Aufforderung, luchtes Theorie der Interpersonalität in der "W issenschaftslehre nova methodo ” und in der "Bestimmung des Menschen ”, in A. M ues (a cura di), Transzenden­ talphilosophie als System. D ie Auseinandersetzung zwischen 1794 und 1806, Meiner, Hamburg 1989, pp. 174-197; J. R ivera de Rosales, D ie Begrenzung. VomAnstoss zur Aufforderung, in “Fichte-Studien” , n. 16 (1999), pp. 167-190.

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uomini e, dunque, sola possibilità del loro essere autenticameli-1 te morali. A dover caratterizzare la società è anzitutto la libertà, in un fecondo rimando per cui il singolo Vernunftwesen è libero1 solo se la società nel suo insieme lo è e, in modo simmetrico, la società è libera solo se tutti i suoi membri lo sono in senso pie­ no. Il problema principale che - così nella seconda lezione jenese sul Gelehrter - la filosofia è chiamata a risolvere per poter approdare al rango di Wissenschaft, senza superare il qua­ le non potrebbe neppure fondare quel “diritto naturale fondato razionalmente” che Fichte codificherà compiutamente due anni dopo, nella Grundlage des Naturrechts, suona in questa manie­ ra3: come può l’uomo ammettere che vi siano enti esterni rispet­ to a lui e a lui simili (ugualmente morali), se tali enti non sono dati immediatamente nella pura autocoscienza, ma sono offerti nella sfera ingannevole dell’empiria? Solo in questo modo, del ; resto, diventa possibile la fondazione della Bestimmung dell’uo­ mo nella società come prassi di attiva trasformazione di sé e degli altri. La società - si insiste in questa seconda lezione - è “ la rela­ zione reciproca degli esseri razionali”4, ossia il nesso che essi instaurano organicamente tra loro secondo libertà5. Ora, il con­ cetto stesso di società non è possibile se non si fonda il presup­ posto dell’esistenza degli altri (e dunque della Anerkennung) come Vernunftwesen a noi esterni e, non di meno, razionali e morali quanto noi. L’esperienza mostra ininterrottamente che esistono altri enti esternamente rispetto a noi, ma non potrà mai dimostrare che a questa rappresentazione corrisponda qualcosa di reale, vale a dire se effettivamente esistano enti razionali indi­

3. Si veda P. D obouchet, Philosophie et doctrine du droit chez Kant, Fichte et Hegel, L’Harmattan, Paris 2005. 4. I.G. F ichte, M issione del dotto, cit., p. 185 {SW, VI, p. 293). 5. Su questo aspetto, cfr. A. Honneth, L a necessità trascendentale delVintersoggettività. Sul secondo teorema del saggio sul diritto naturale di Fich­ te, cit., pp. 213-238.

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pendenti dalla nostra rappresentazione, ossia enti che siano e ugiscano moralmente e razionalmente a prescindere dal fatto che noi ce li rappresentiamo come tali. Il problema era stato recentemente sollevato da Jacobi, che l’aveva risolto tramite il ricorso alla fede: “è per fede che noi sap­ piamo che abbiamo un corpo e che fuori di noi esistono altri cor­ pi e altri esseri pensanti. Rivelazione veritiera! Rivelazione mera­ vigliosa!!”6. Fichte impiega la formula di Jacobi e, al tempo stes­ so, aspira a dimostrare razionalmente la credenza circa l’esisten­ za di altri Vernunftwesen. In particolare, al fine di dimostrare quanto attestato in modo vago dalla rappresentazione, Fichte ricorre a una duplice strategia argomentativa, condotta lungo due snodi concettuali che si richiamano a vicenda e di cui l’uno costituisce il coerente sviluppo dell’altro: a) se è vero che al razionale deve corrispondere il reale (nel senso della libera tra­ sformazione dell’oggetto secondo i princìpi del soggetto), è anche vero che in noi è saldamente radicato il concetto dell’azio­ ne conforme a ragione, mediante il quale valutiamo le azioni che l’esperienza ci mostra7. È di conseguenza necessario - spiega Fichte - che esistano Vernunftwesen a noi esterni ed essi stessi alfieri di quelle azioni morali che continuamente esperiamo intorno a noi e di cui pure non siamo noi gli artefici; b ) se la mia libera azione modifica a tal punto il fenomeno che esso non può più essere spiegato a partire da quella legge a cui si conformava in precedenza, ma solo a partire da quella che io gli ho libera­ mente impresso agendo su di esso, allora, dove questo processo si verifichi in altri casi non determinati direttamente da me, dovrò ugualmente ammettere, per estensione, che vi sia un altro Vernunftwesen che imprime liberamente la sua legge al fenome­ no esattamente come accade con la mia stessa azione trasforma­ trice.

6. F.H. J acobi, Werke, a cura di C.J.F. von Roth e F. Koppen, IV, Leipzig 1812 ss., pp. 210-211. 7. Ci permettiamo di rinviare alla nostra monografia Un titano in lotta per l ’umanità: Fichte e la missione d ell’intellettuale, in J.G. F ichte, M issione del dotto, cit., pp. 5-169.

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Per questa via, è razionalmente fondata l’esistenza di altri Vemunftwesen nella M issione del dotto di Jena. E evitato il soli­ psismo e, insieme, sono poste le basi per la fondazione di “una comunità conforme a imo scopo; e questo è ciò che chiamo una società”8. La stessa tendenza a trovare fuori di noi altri esseri razionali coincide, per Fichte, con quell’“istinto sociale” che è coessenziale all’essere al mondo dell’uomo, ossia alla Destina­ zione dell’uomo nella società, secondo il titolo che reca questa seconda lezione sulla M issione del dotto jenese. In coerenza con questa fondazione della socievolezza del­ l’uomo e della sua naturale vocazione all’esistenza comunita­ ria9, Fichte svolge un’ampia digressione sulla natura dell’uomo aristotelicamente concepito come £