Fede e scienza. La polemica su « Materialismo ed empiriocriticismo » di Lenin

Oltre a « Fede e scienza » con cui Bogdanov rispondeva al materialismo di Lenin facendo leva sull'empiriocriticismo

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Fede e scienza. La polemica su « Materialismo ed empiriocriticismo » di Lenin

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Nuovo Politecnico 128

Einaudi 1982

ALEKSANDR BOGDANOV LJUBOV' AKSEL'ROD PAVEL JU S KEVI C

VLADIMIR BAZAROV MAKSIM GOR'KIJ

FEDE E SCIENZA La polemica su «Materialismo ed empiriocriticismo>> di Leni n

C. L. 5409-8

È singolare e significativo che, mentre Materialismo ed empirio­ -:riticismo di Lenin ( 1909) è stato tradotto nelle maggiori. lingue del mondo , l'opera di Aleksandr Bogdanov, contro cu i quel Ubro èra diret to , sia invece rimasta pressoché sconosciuta. Soltanto a pochi specialisti è noto infatti che il p r incipale «imputato» della requisiforia filosofica di Lenin replicò subito con lo scri tto . Fçde e scienza (r9ro), poi sottoposto a una sistematica censura.delsi­ lenzio nell'Urss, e finora mai tradotto . Eppure, a parte il valor�

dell'argomentazione,- fondata su una revisione dei principi mar­ xisti in base al con ce tto di empiriocriticismo di Mach, -·si tpat.ta di un li bro estremamente rivelatore, che getta luce sull� .natura intellettuale di Lenin e sul leninismo. L'oblio cui è stato cQndan­ nato riconferma l'oscurantismo pseudoscientifico di cui propr�o Bogdanov aveva fatto una lucida analisi. Ripubblicarlo oggi:signi� fica non soltanto offrire un testo vivo e attuale alla lettura , mari­ paràr e a un torto sto r ico . Un'altra breve opera p olemica di Bogdanov, Le avventure di una scuola filosofica, una lettera inedita di Gor'kij e tre scritti di Ak­ s el 'rod , Bazarov e Juskevic ricostruiscono i te rmini della discus­ :;ione su filosofia, scienza e p ol itica , viva nella Russia del primo Novecento. Un ampio saggio introduttivo di Vittorio Strada illu­ stra il senso storico e attual e della prima «scomunica>> lanciata da Lènin contro un bolscevico di s sidente .

Aleksandr A. Bogdanov (x873-I928), economista, filosofo e scrittore, iniziò l.a sua attività politica passando dal populismo rivoluzionario alla socialde­ mocrazia . Pur ess:-:ndosi schierato con Lenin al tempo della sci s sione t;ra hol· >cevichi e menscevichi, ruppe con questi nel 1909. Espulso dal grupp(l bol­ s cev ico fondò con Lunacarskij e Gor'kij una scuola di p arti to elaborando la ;eoria della «cultura proletaria», oggetto di una polemica che si fece partico­ larmente serrata dopo la rivoluzione d'Ottobre. Medico di professione, mori Jurante un esperimento di autotrasfusione del sangue-interpretato come un mi ci di o .

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ISIJN

88-o6-0J409·CJ

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r982 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino

Traduzimu di Marilla Boffito e Nikita Strada ISBN 88-06·05409·0

Aleksandr Bogdanov Ljubov' Aksel'rod Vladimir Bazarov Maksim Gor'kij

Pavcl Juskevic

FEDE E SCIENZA La polemica su

Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin A cura e con un saggio di Vittorio Strada

Indice

VITTORIO p. 3

S TRADA

Né fede né scienza

ALEKSANDR BOGDANOV 55

I 49

Fede e scienza Le avventure di una scuola filosofica

Appendice ORTODOKS (LJUBOV ' AKSEL 1ROD) 207

Recensione a Materialismo ed empiriocriticismo

VLADIMIR BAZAROV 2x5

Dalla prefazione a Su due fronti

PAVEL JUSKEVIC 23 8

Da Le colonne dell'ortodossia filosofica

265

Da una lettera inedita di Maksim Gor'kij a Natal'ja B . Malinovskaja

Come già con altre opere fondamentali per la storia del marxi­ smo (v. I. LENIN, Che fare? e L. TROCKIJ, Letteratura e rivoluzione, entrambe da me curate per l'editore Einaudi) e per la storia della cultura russa (A. HERZEN, A un vecchio compagno e G. Lul e «piu rivoluzionario ancora», e piu concreti criteri di giudizio si richiedevano. Lasciamo quindi da parte la disputa inutile sulla maggiore o minor « rivoluzionarietà» e anche sulla maggiore o minore au· tenticità «proletaria» diLenin e di Bogdanov, e vediamo, in modo non congetturale ma sulla base di un testo, in che punto davvero Bogdanov non aveva capito Lenin, le cui posizioni bolsceviche egli aveva pur fatto proprie con grandissimo zelo. Questo ci porterà a uno degli strati piu profondi, e meno osservati, del conflitto tra i due primi « leninisti». In un passo del suo libro Fede e scienza Bogdanov, ana­ lizzando i procedimenti polemici usati da Lenin contro i machi s t i russi, ricorda i procedimenti usati dai menscevi­ chi nella loro polemica contro il Che fare? e li considera altrettanto sommari e sproporzionati. Scrive Bogdanov: Tutto questo mi ricorda molto un episodio della polemi­ ca intercorsa tra le due frazioni politiche dei marxisti russi. Una volta, nel Che fare?, il bolscevico N. Lenin si lasciò sfuggire che autonomamente, senza l'aiuto dell'intelligen­ cija socialista, la classe operaia è incapace di elevarsi al di sopra delle idee del tradunionismo e di giungere all'ideale socialista. La frase era saltata fuori del tutto casualmente nel fervore della polemica con gli «economisti » e non ave­ va alcun legame organico con le idee fondamentali dell'au­ tore. Ciò non imped1 ai pubblicisti menscevichi di concen­ trare per tre anni la loro esultante polemica sulla suddetta frase di Lenin, con la quale egli avrebbe dimostrato una volta per tutte il carattere antiproletario del bolscevismo 9•

Trascuriamo per ora il punto di partenza di questa riflessione di Bogdanov, cioè lo spirito e lo stile della pole­ mica di Lenin con i machisti russi, aspetto sul quale ci sof­ fermeremo a suo tempo, e consideriamo invece la sostan­ za della riflessione. Bogdanov afferma che come i mensce9 ALEKSANDR BOGDANOV, Padenie ve/ikogo fetiJì;(.ma, Moskva 1910, p. 193, trad. it. nel presente volume, p. II4.

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vichi deformavano le idee del Che fare?, attribuendo po­ lemicamente un significato centrale e rivelatore alla famo­ sa tesi leniniana circa il rapporto tra «spontaneità» e «co­ scienza» nel movimento operaio, cosi Lenin svisa il senso delle teorie dei machisti russi, caricandole, come vedremo e come è ben noto a ogni lettore di Materialismo ed empi­ riocriticismo, di intenzioni che essi non avevano. Il fatto è però che il paragone di Bogdanov è sbagliato sia perché lo stile della polemica di Lcnin coi machisti è ben diverso da quello usato dai menscevichi nei riguardi del Che fa­ re?, sia perché, soprattutto, i menscevichl avevano ragio­ ne nell'individuare nella tesi del rapporto tra «spontanei­ tà» e «Coscienza» il fulcro e la novità del Che fare? e, in generale, del pensiero leniniano, come oggi, col senno di poi, è evidente per chiunque, anche se diverso può essere l'atteggiamento verso il contenuto delle critiche mosse al­ lora a Lenin dai menscevichi. Ma l'errore di Bogdanov è molto indicativo perché indica il suo modo particolare di intendere il testo fondatore del bolscevismo, il Che fare?, 10• e quindi di essere bolscevico Sta qui, mi sembra, la prima divergenza tra Bogdanov e Lenin, divergenza anteriore alla rottura dei loro rapporti e alla stessa polemica filosofica, ma profondamente salda­ ta a quella rottura e a quella polemica. Sul piano della sto­ ria delle idee un equivoco come quello di Bogdanov non deve stupire: la novità del leninismo-bolscevismo era tale da consentire, nel suo stato iniziale, la compresenza di sfu­ mature diverse, tanto piu che, come abbiamo detto, il le­ ninismo non nasce bell'e pronto e definitivamente com­ piuto, ma attraversa un lungo periodo di formazione, dal Che fare? alle Tesi di aprile, dentro una realtà storica na­ zionale e internazionale quanto mai complessa. Del testo lo stesso Lenin, nel suo «oppottunismo», era disposto ad attenuare la sua intuizione centrale del rapporto «spanta10 Anche Lunacarskij era convinto allora che Lenin non avesse capito fino in fondo il proprio bolscevismo e che solo Bogdanov e il suo gruppo avesse fornito al bolscevismo coerenti basi filosofiche, salvaguardandolo cosi da «deviazioni» politiche come quelle che, secondo Bogdanov e Lu­ nacarskii, Lenin imprimeva allora al bolscevismo con una tattica «mode­ rata».

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ncità-coscienza » e al I I Congresso del Posdr userà l 'im­ magine, poi spesso citata, della « curvatura del bastone», secondo cui, poiché gli « economisti » « avevano curvato il bastone da una parte », cioè avevano accentuato il mo­ mento « spontaneistico », Lenin « per raddrizzar!o » aveva dovuto « curvarlo dalla parte opposta » 11• E, come dirà in un'altra occasione, rifacendosi a quel suo intervento al II Congresso, « proprio perché noi raddrizziamo con ener­ gia la curvatura, il nostro ccbastone" sarà sempre quello piu diritto » 12• Ammesso pure che, a causa della polemica con gli « economisti », la « curvatura del bastone » operata da Lenin in senso inverso sia stata particolarmente forte, resta il fatto che Lenin restò, naturalmente, sempre sicuro che il « bastone »- partito da lui « raddrizzato » con l'orga­ nizzazione centralistica e « cosciente » dei « rivoluzionari di professione » fosse quello teoricamente giusto e prati­ camente necessario e che invece il « bastone » menscevico fosse inaffidabile e infido. E ancora, per capire l 'equivoco di Bogdanov, si pensi che Lenin stesso , il cui pensiero era guidato dalla categoria dell'«ortodossia » anche nelle sue piu straordinarie innovazioni , era dapprima convinto che la sua teoria della « coscienza » immessa dal di fuori nel proletariato fosse sostanzialmente in regola col pensiero di Kautsky, senza rendersi conto in un primo tempo del­ l'abisso che separava la tesi kautskiana, storicamente ov­ via, che il marxismo non era nato all'interno del proleta­ riato, ma era stato creato da intellettuali di estrazione borghese, e la sua tesi, pagata con la scissione all'interno della neonata socialdemocrazia russa, secondo cui autono­ mamente la classe operaia è incapace di giungere alla co­ scienza socialista, tesi capitale del leninismo ricca di im­ plicazioni nella tradizione giacobino-populista russa e di sviluppi in senso statale-autoritario. Lenin trasforma la classe operaia da sostanza storica, animata da una propria dinamica, in funzione ideologica, regolata da una raziona­ lità sovrapposta. È questa razionalità organizzatrice che 11 VLADIMilt 197I, p. 28r. 12

1.

lbid., p. 474·

LENIN,

Che /al'c?, a cura di Vittorio Strada,

Torino

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vivifica l'argilla tradunionistica di cui è fatto il Golem proletario. Che cosi stessero le cose se ne accorse ben presto lo stesso Bogdanov, il cui scontro con Lenin andava al di là delle questioni tattiche legate alle scelte della frazione bolscevica dopo la sconfitta della rivoluzione del r 90 5 e si aggravò sempre piu, e irreparabilmente, passando dal pia­ no strettamente :filosofico a quello etico-politico, cioè al modo stesso di intendere il proletariato, le sue capacità e prospettive e quindi il rapporto tra esso e l'intelligencija rivoluzionaria e quello tra la «cultura proletaria» e il par­ tito. Se, alla luce di queste considerazioni e degli eventi stessi del periodo dello scontro tra Lenin e Bogdanov, an­ diamo a rileggere la conclusione di un articolo in cui, in polemica soprattutto con Rosa Luxemburg, Bogdanov di­ fendeva il Che fare? al tempo della sua collaborazione con Lenin, ci accorgiamo che già allora nelle sue argomenta­ zioni c'erano delle sfumature che lo differenziavano da Le­ nin e che si manifesteranno in forma accentuata e svilup­ pata piu tardi, d opo il distacco da Lenin, nell'elaborazio­ ne del concetto di «cultura proletaria » . Scriveva Bogda­ nov in quell'occasione, concludendo la sua polemica con la Luxemburg: La base organizzativa della socialdemocrazia russa è co­ stituita dall'avanguardia cosciente e in sviluppo del prole­ tariato russo; sia le condizioni della vita produttiva sia le condizioni della lotta di classe hanno dato a questa avan­ g uardia un'educazione sufficiente nello spirito di un a disci­ plina fraterna perché sia possibile accingersi a lla creazione di un'organizzazione di partito armoniosa, la piu centraliz­ zata po ssibile 13•

Manca in Bogdanov ciò che in Lenin era esplicito e in parte implicito e poi attuato nella pratica: non solo l'« im­ missione» della «coscienza» nella massa proletaria, di per sé condannat a al «tradunionismo», ma la necessità co­ stante di una verifica e purifìcazione di questa « coscien­ za » e quindi di un centro verificatore-purifìcatore che stesIl

Ibid., p. 3)'8.

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se al di sopra dello stesso gruppo dei «rivoluzionari di professione». E non si trattava, naturalmente, di un cen­ tro composto di generica intelligencija rivoluzionaria, ver­ so la quale anzi, secondo la teoria leniniana, andava man­ tenuto un atteggiamento duramente critico, come infatti farà sempre Lenin, ma di un nucleo adamantino assai ri­ stretto che, finché fu vivo Lenin, si identificò con Lenin stesso, anche quando contro questo nucleo individuale si trovava tutto il suo stesso partito fermo su posizioni «ar­ retrate». Lo scontro tra Lenin e Bogdanov ebbe proprio questo senso: la «coscienza» rivoluzionario-marxista pu­ ra (Lenin) che lotta contro la «coscienza» impura, corrot­ ta dagli influssi «borghesi» e capace di contaminare le passive masse proletarie. Di qui il paradosso di una minu­ scola e neonata chiesa scismatica, quella bolscevica, i cui due massimi dirigenti si dividono ostilmente in un «orto­ dosso» e in un «eretico», convinto quest'ultimo, ovvia­ mente, di essere lui l'«ortodosso» bolscevico, ma a torto, poiché che cosa fosse il bolscevismo meglio lo sapeva il suo fondatore, Lenin, che in Materialismo ed empiriocri­ ticismo lanciò la sua prima grande «scomunica» contro !'«eresiarca» Bogdanov. Ma era davvero la prima « scomunica�>? E lo «stile» della polemica di Lenin era davvero qualcosa di nuovo forgiato apposta contro Bogdanov e i machisti russi? Pos­ siamo capovolgere il giudizio di Bogdanov: non è vero che Lenin usasse contro i machisti i procedimenti che i mcnscevichi avevano usato contro di lui, ma è vero inve­ ce che anche contro i machisti Lenin usava i procedimenti che egli aveva già usato contro i menscevichi e contro tut­ ti gli altri suoi avversari politici. Questo è un punto di particolare importanza, di un'importanza tutt'altro che formale, perché è vero che l'oggetto della polemica svolta da Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo è filosofi­ co, anzi per lo piu gnoseologico, ma è vero anche che la sostanza del contendere sta altrove. Non si vuole sostene­ re la tesi superficiale che il discorso @osofico di Lenin sa­ rebbe una «copertura» per un discorso politico. Al con­ trario, nella polemica di Lenin contro Bogdanov e i ma­ chisti russi politica e filosofia sono profondamente intrec-

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date, anzi amalgamate, ed è proprio questo loro amalga­ ma che, attuato nelle specifiche forme leniniste, costitui­ sce un fatto storicamente e, direi, epocalmente nuovo, sul quale bisogna riflettere. Dobbiamo infatti «debanalizzare» Materialismo ed empiriocriticismo, togliergli quella patina di ovvietà che la sua assunzione a «classico» del marxismo-leninismo gli ha sovrapposto. Da piu di due millenni il problema gno­ seologico è analizzato e dibattuto dalla filosofia occiden­ tale e, come tutti i grandi problemi filosofici, si può rite­ nere che continuerà ad essere analizzato e dibattuto, con­ tinuando ad avere la serie di soluzioni diverse che finora ha trovato. In questo senso le teorie gnoseologiche «dia­ lettico-materialistica» di Lenin e «empiriomonistica» di Bogdanov o « empiriocriticistica » dei machisti si inseri­ scono in un ampio e intricato insieme di soluzioni, pur nei loro reciproci contrasti connesse da una logica di svi­ luppo storico, e sarà diritto e compito di una specifica ri­ cerca gnoseologica argomentare per la soluzione di Lenin o p er quella di Bogdanov o per altre diverse da entram­ be. Non è su questa via che d possiamo mettere in uno studio come il no str o , che vede il contrasto tra Lenin e Bogdanov non su un piano teoreticistico, ma in una pro­ spettiva storico-culturale. Ma proprio in questa prospetti­ va, che ci sembra forse piu importante di una ricerca tec­ nicamente g no seologi c a , emerge la novità dell'intervento filosofico di Lenin: novità non teorico-gnoseologica, cer­ tamente, ma politico-intellettuale. Prima ancora di vede­

re in che cosa consiste questa novità, conviene porre men­ te alla novità s tessa della fortuna di Materialismo ed em­ piriocriticismo , e proprio qui compiere una prima « deba­ nalizzazione» per re s ti tuire alla nostra percezione una nuova capacità di meraviglia e quindi di problematizza­ zione e comprensione. Non è significativo, infatti, che i seguaci di Lenin, in Russia e fuori di Russia (persino nel­ l 'Eu ropa occidentale dalle pur ricche e antiche tradizioni di pensiero critico!), si siano ben guardati da uno studio storico-filologico di Materialismo ed empiriocriticismo, ripetendo, del resto, verso quest'opera lo stesso atteggia­ mento acritico mantenuto nei riguardi del Che fare??

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Materialismo ed empiriocriticismo usd nel I909 a Mo­ sca, firmato «VI. Il'in », uno dei piu di cento pseudoni­ mi 14 usati da Vladimir Il'ic Ul'janov, alias Lenin, e aveva il sottotitolo significativo Osservazioni critiche su una filosofia reazionaria. Il libro aveva una preistoria che poi vedremo nelle sue linee essenziali. L'accoglienza imme­ diata fu tanto negativa che persino un filosofo plechano­ viano del campo difeso da Lenin, L. Aksel'rod (Orto­ doks) 15 ne fece una recensione duramente critica 16• Ma la risposta piu tagliente e profonda venne, naturalmente, dal campo avverso e consistette nell'ampio intervento di Bog­ danov Fede e scienza 17• Dopo l'uscita di Materialismo ed empiriocriticismo successero tali e tanti avvenimenti, che investirono anche la vita della socialdemocrazia russa nel­ le sue due tendenze bolscevica e menscevica, da conferire alle occupazioni filosofiche di Lenin un carattere pura­ mente episodico. Ma dopo la vittoria bolscevica nell'otto­ bre del I 9 I 7 la polemica con Bogdanov si riaccese nuova­ mente. In questione non era piu, direttamente, il proble14 Si veda al proposito I. N. voL'PER, Psevdanimy Lenina, Lenin­ grad 1968. 15 Si tra tta di Li ub ov ' Isaakovna Aksel'rod (r863-1946), nota con lo pseudonimo « Orto doks >:>, socialdemoctatica che si occ up ò di filosofia e di estetica c fu seguace di Plechanov, da non confondere con Pa vel Borisovic Aksel'rod (r8;;o-r928), uno dei leader d e l menscevismo. 16 Sulle accoelienze r i serv ate a Materialismo ed empiriocriticismo ne l· le rec�::nsioni si veda N. VAJ.ENTINOV, Vstreci s Leninym, New York 1953, p . .�37· Il libro è particolarmente importante per la conoscenza di tutta la polemica di Lenin contro i machis ti . In appendice al vo l. XIII (Moskva 1936) della terza ecl..i zione dei Soèineniia di Lcni n sono riprodotte ddle recensioni (di A. I. Avraam'ov, M. Bu lg ako v , I. A. !l'in e L. I. Aksel'rod· Ortodoks) a Materialismo ed empiriocriticismo. In esse anche i recensori favorevoli alle idee di Lenin rilevano la grossolanità del linguaggio usato da Le ni n contro i suoi avversari filosofici. Il noto filosofo russo Ivan !l'in scrive, ad esempio, in una breve nota apparsa il 29 settembre 1909 nel giornale « Russkie v ed om ost i >:>: «Non si può non rilevare il tono sorpren­ dente in cui è scritt a tutta l'opera; la sguaiataggine e la scorr ettezza lette­ raria giungono qui davvero alle colonne d'E rco le e a volte trapassano in un vero e proprio oltraggio alle piu elementari norme della decenza» (v. 1. I.ENIN, Soéinenija cit., vol. XIII, p. 328). Nell'appendice citata non sono però riportate le principali risposte che a Materialismo ed empiriocri­ ticismo furono da te subito dopo la sua pubblicazione, cioè gli scritti di Bogdanov, Bazarov e ]u�kevic da noi p er la prima volta qui raccolti e tra­ dotti. Si veda la recensione di Ortodoks alle pp. 207-14 del presente vo­ i 4·"ljllll'l! lume . 17 Lo s critto di BOGDANOV, Vera i nauka, fu pubblicato in a ppendice al

suo libro Padenie velikogo fetisizma cit.

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ma gnoseologico, ma quello dell'organizzazione della cul­ tura («proletaria») in un paese ormai dominato dai bol­ scevichi. E la polemica non si svolgeva piu tra due politi­ ci e intellettuali uguali nella loro posizione all'interno del­ Ia società, bensf tra il capo del nuovo stato e un teorico influente ma estraneo al potere (Bogdanov non era neppu­ re rientrato nel partito, a differenza, per esempio, di un suo ex compagno di idee come Lunacarsldj, divenuto com­ missario, cioè ministro, della pubblica istruzione). In que­ ste circostanze Lenin nel r920 pubblicò una seconda edi­ zione del suo vecchio libro con un articolo di V. I. Nev­ 18 skij (al quale Bogdanov rispose con moderata polemica) e con una breve prefazione in cui si diceva che sotto il sembiante della «cultura proletaria» Bogdanov diffonde­ va «concezioni borghesi e reazionarie». Questa definizione data nel r920 alle concezioni di Bogdanov sulla «cultura proletaria» richiede una breve riflessione. Per chi conosce le intransigenti posizioni pre­ se ripetutamente da Lenin contro la «cultura proletaria» (e vedremo poi la sostanza di questo contrasto) la defini­ zione leniniana non contiene nulla di nuovo. Ma il fatto che nel r920 Lenin, riproponendo con schiacciante auto­ rità politica il suo vecchio libro, ne estenda la carica pole­ mica contro un Bogdanov ormai storicamente sconfitto, tutto ciò dimostra che per Lenin Materialismo ed empi­ riocriticismo non era un episodio di una lotta politico­ ideologica passata, ma aveva un significato permanente c, in questo senso, Lenin ha la responsabilità diretta, oltre a quella indiretta derivante dal sistema totalitario creato da lui e non da Bogdanov, della deleteria canonizzazione che anche quel libro, oltre a tutta l'opera leniniana, acquistò nell'Urss e nel movimento comunista dipendente dal­ l'Urss. Che Lenin nei Quaderni filosofici abbia approfon­ dito le sue conoscenze in fatto di filosofia rispetto a quel­ le, per suo stesso riconoscimento, superficiali che egli ave­ va quando scrisse Materialismo ed empiriocriticismo 19 19 Si veda il suo scritto O kritikach «Tektologii», pubblicato in ap­ pendice alla prima parte della terza edizione della VseobJéafa organiza­ cionnaja nattka (tcktotogija), Moskva·Leningrad r925. 19 Si veda, ad esempio, la sua ammissione, in una lettera a Gor'kij del

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non consente di affermare, come spesso fa qualche euro­ leninista filosofico, che nei Quaderni Lenin avrebbe rag­ giunto vette di raffinatezza e profondità filosofiche non ancora toccate in un libro polemico come Materialismo ed empiriocriticismo. Questo libro del 1 9 0 9 resta il testo fondamentale del credo filosofico di Lenin e i Quaderni ne sono una frammentaria precisazione. Ed entrambi i libri avrebbero avuto tutt'altra sorte e sarebbero stati conside­ rati le prove curiose fatte da un politico in campo fi.losofi­ co, se il sistema che il Lenin politico aveva creato non li avesse trasformati in testi sacri per tutti i sottoposti di quel sistema, testi dotati della potenza mostruosa di non p oter essere criticati e di dover essere esaltati come genia­ li in una serie di paesi europei, a cominciare dalla Russia, ricchi un tempo anche di un libero pensiero filosofico. E questo in pieno xx secolo e non per opera di chissà quali selvaggi invasori, ma in nome della classe operaia e del so­ cialismo « scientifico » . « Deban alizzare » le opere fi.losoii­ che di Lenin vuoi dire non solo riportarle al loro contesto e al loro signi:B.cato reali, ma anche « accorgersi » di que­ sto fatto abnorme che di solito viene accettato come paci­ fico e normale, tanto ormai una parte della cultura è stata spiritualmente a s s ervi t a al sistema di prassi e di id e e crea­ te da Lenin . Materialismo ed empiriocriticismo e i Qua­ derni filosofici sono diven tat i , nell' Urs s e nell'area di pae­ si ad essa sottoposti, ma anche (soprattutto in passato ) in vari paesi occidentali, la fonte di infinite, stu cchev oli , os­ sessive citazioni, parafrasi, apologie. In questo senso que­ sti due libri sono parte integrante del leninismo, anche di un l eninis mo formalmente imperfetto ( ma perfetto so­ stanzialmente) come è a volte, negli ultimi tempi, certo 2' febbraio 1908, di essere semplicemente un « marxista di base (riadovoi marksist) in filosofia �> e di non essere « abbastanza competente » in que­ stioni filosofiche (cito dal volume V. I. Lenin i A. M. Gor'ki;, Moskva 1969, pp. 31 e ,30, testo importante per la storia della polemica politico­ filosofica di Lenin e dei suoi rapporti con l'autore della Madre:), ammissio­ ne che non era frutto di falsa modestia ma che, d 'altra parte, non impedi a Lenin di farsi rapidissimamente quella cultura filosofica che egli ritene­ va necessaria (ma che, in realtà, era superficiale) per poter scrivere Mate­ rialismo ed empiriocriticismo, libro al quale egli annetteva un grandissimo significato politico-teorico, come rh-ulta dalla sua insistenza per farlo usci· re il piu presto possibile.

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euroleninismo che sorvola sulle non raffinate esercitazioni polemico-filosofiche di Lenin, le quali però si saldano con tutto il corpo della sua teoria e della sua prassi . La polemica di Lenin contro Bogdanov e i machisti rus­ si introduceva una frattura nella tradizione della ricerca e della discussione filosofica europea non solo per la violen­ za e la rudezza del linguaggio , che vennero censurate per­ sino dalla sorella di Lenin :w, e per i procedimenti usati che furono analizzati da Bogdanov nella sua risposta Fede e scienza, ma anche per la sostanziale riduzione della rifles­ sione gnoseologica e in generale di tutta la filosofia alla politica, anzi a un partito politico . Si affermava qui quel concetto d i « partitarietà » (partijnost') che Lenin aveva già proclamato per la letteratur a 2' , concetto che avrebbe costituito la base dell'organizzazione culturale sov ietica . A sottolineare la novità e l 'anormalità di questo evento all ' interno dello stesso movimento socialdemocratico del tempo si ricordi che Kautsky, cons ultato da un operaio russo a proposito del rapporto tra marxismo e machismo, rispose, in una lettera intitolata Su Marx e su Mach, di­ chiarando che, e ssendo il «marxismo non una filosofia ma una scienza basata sull'esperienza, un modo particolare di intendere la società », i p roblemi filosofici erano cosa che « coi compiti del nostro partito hanno a che fare quanto il dibattito tra marxismo e darwinismo » e che non c'era « nulla di piu sbagliato che conferire a questo prob le ma il s ignifica to di un problem a di partit o » 22• È evidente che la nozione di «ortodossia » di Kautsky e quella di Lenin già su questo punto non secondario erano profondamente 20 Si veda, ad esempio, la lettera del 12 marzo 1909 alla sorella A . I . Ul'janova-Elizarova, che si occupava della pubblicazione di Materia­ lismo e empiriocriticismo e che avrebbe voluto ammorbidite certe espres­ sioni troppo pesanti del fratello: « Per favore, non attenuare niente dei passi contro Bogdanov, Lunacarskii e C. � impossibile attenuare [ . . .] Il punto è che i nostri machisti sono nemici disonesti, abietti e vigliacchi del rnarxismo in filosofia » (v. I. LENIN, Polnoe sobranie socineni; , vol. LV, Moskva 1 96;;, p . 280). 2l Si vedano sulla « partitarietà » i due saggi della Storia del marxismo già cit. 22 K. K AtJTSKIJ, O Markse i Mache, in « Vozrozdenie », 9-I2, 1909, p . 77· Traggo la citazione da Iz istorii filoso/ii XIX veka, a cura di I. K. Luppol, Moskva 1933, p . 38;;.



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diverse. Tanto diverse che, se in Kautsky !'«ortodossia» marxista aveva un significato laico, in Lenin essa assume­ va un carattere nettamente «religioso» e non per nulla tutta la risposta di Bogdanov è, fin dal titolo Fede e scien­ za, una denuncia della mentalità «cattolica» di Lenin, del­ la sua pretesa inquisitoriale di difendere la fede nella san­ ta Materia cosi come egli la intendeva, lanciando contro i suoi avversari non una critica razionale per analizzare i supposti errori, ma l'anatema di essere «reazionari» e « borghesi» (anatema ripetuto nella prefazione a Materia­ lismo ed empiriocriticismo del r9 20). Credo che l'accusa mossa a Lenin di avere una forma mentis non laica ma re­ ligiosa (assumendo qui il concetto di religione non nella sua purezza spirituale ma nelle sue fanatiche perversioni) sia stata mossa per la prima volta da Bogdanov, un uomo dunque vicino a Lenin e alle sue posizioni politiche. A questo proposito è utile rivolgere l'attenzione a un passo trascurato ma illuminante di Lukacs contenuto nella sua opera giovanile sul dramma moderno : Il marxismo è forse la sintesi piu crudele e rigorosa do­ po il cattolicesimo medievale [ . . .] . Per la sua espressione [ . . .] sarebbe adeguata solo una forma che fosse altrettanto rigorosa come l'arte piu autentica del cattolicesimo medie­ vale, [ . . .] non già l'arte sorta con il nostro tempo [che] spin­ ge l'individuale a esasperarsi e a scomporsi in una miriade di sfum ature 23 •

Direi che sta qui, in nuce, Io spirito della futura milizia marxista e comunista di Lukacs e la sua stessa tcorizzazio­ ne del «realismo socialista» (col conseguente rifiuto del­ l'arte moderna, poi definita «reazionaria» e «borghese»). Lukacs, come riferisce Ernst Bloch, da giovane avrebbe voluto entrare in un monastero, attratto non dalla dottri­ na ma dall'ordine e dal rigore antiborghese della vita mo­ nacale, e nel partito marxista-leninista vide la realizzazio­ ne di questo suo profondo impulso 24 • Ma in Lukacs c'era 23 G. LurUi.cs , Il dramma moderno dal naturalismo a Hofmannsthal, Milano 1980, p. n o . 2 4 S i veda la conversazione con Ernst Bloch pubblicata i n appendice a MICHAEL LOWY, Pour une :rociologie des intellectuels révolutionnaires. L'évolution politique de Lukacs. I9D9-I929, Paris 1976.

20

VITTORIO S TRA DA

anche quella struttura etico-intellettuale altamente « ge­ suitica » che è stata colta da Thomas Mann nella figura eli Naphtha della Montagna incantata 25• Luk:ks stesso iniziò il suo noviziato marxista-leninista incorrendo nell', ma di q1.1ella « personalità » collettiva che è il partito e che, al vertice, si in­ carna nella personalità singola del suo capo, di cui è quasi i nevitabile il « culto » o comunque la canonizzazione. 4 Su tutti gli aspetti immediatamente politici del conflitto tra Lenin e Bogdanov rimando al già c itato articolo di ]utta Schcrrer nella Storia del

marxismo. 5 Si veda la lettera del 2 dicembre I 909 a I. I . Skvorcov-Stepanov, do­

ve Lenin spiega le ragioni del suo « avvicinamento ai menscevichi-plecha­ noviani » in uno di quei grandi quadri storici in cui il leader bolscevico era solito collocare, con indubbia genialità politica, le sue d eci sioni tatti­ che. Quadro storico ricco di precisi riferimenti alla storia europea dell'ul­ timo secolo, sul cui sfondo Lenin vedeva l'azione rivoluzionaria in Rus­ sia, ma insieme tanto dinamico e fluido da fargli di re che « tutto dipende

VITTORIO STRADA vico ) ma perché l'opposizione :filosofica generale tra lui e Bogdanov, di cui era consapevole fin dall'affiliazione di B ogdanov al bolscevismo, era diventata troppo grande, tanto grande da trapassare ormai sul piano politico, sia s trategico sia tattico. Si capisce cosi perché Lenin inter­ pretasse la sua polemica con Bogdanov come una « com­ pleta ro ttura e una guerra piu aspra che coi menscevi­ chi » 6, usando , anche in lettere private contro il suo ex collaboratore Bogdanov e i suoi associati, espressioni co­ me « banda di avventurieri » 7• E a Gor'kij scriveva che il patto stipulato tra lui e Bogdanov nella seconda metà del I9 0 4 , patto « tacito » e che « tacitamente espungeva la filo­ sofia come sfera neutrale » 8, era finito e .

Secondo Bogdanov, il materialismo, a l pari dell'ideali­ smo, è il frutto di quello che egli chiama il metodo della « sostituzione » (podstanovka) . Spieghiamo questo concet­ to con l'esempio assai semplice fatto da Bogdanov : quel­ lo dell'atomismo di Democrito che spiega ogni fenomeno solitamente considerato > e « spiri­ to » sono considerati da Bogdanov alla luce del « lavoro » , inteso come rapporto attivo e trasformativo dell'uomo con la natura. Il lavoro è o rganizzazione : esso « organizza il mondo per l'umanità » J. Spesso , dice Bogdanov, an­ che il concetto di lavoro cade sotto gli schemi di quel­ la che egli chiama la mentalità persona che nacque in Corsica nel r 7 6 9 , fu tenen­ te d'artiglieria , generale della repubblica, primo console , imperatore d i Francia, consegui tali vittorie , sub1 talaltre sconfitte, · fu tenuto prigioniero nell'isola di Sant'Elena ecc. ecc. Nel pensiero contemporaneo il nome di un uo­ mo è indissolubilmente legato all'illusione individualisti­ ca dell'un ità dell'«io », illusione completamente smasche­ rata dalla fisiologia e dalla psicologia. Si assume che sia morto lo stesso uomo, lo stesso « individuo », lo stesso « io » che è figurato negli avvenimenti trascorsi collegati al nome di « Napoleone » . Ma questo « io » si rinnova alcune volte fisiologicamente e psichicamente nella vita dell'or­ ganismo , e soltanto l'ininterrotta gradualità dei suoi mu­ tamenti permette di conservare la consueta illusione. Dal punto di vista fisiologico, ormai il « corpo » di Napoleone morente era sino all'ultima molecola diverso dal « corpo » di Napoleone che aveva avuto il comando ad Austerlitz ; -

-

JJEDE E S CIENZA

psichicamente, l 'insieme delle impressioni e delle sensa­ zioni che costituivano l'« io » dei suoi ultimi anni di vita era del tutto diverso da quello che aveva costituito l'« io » del giovane generale repubblicano . Perciò nell'idea che l'uomo contemporaneo esprime con le parole « Napoleone morf il 5 maggio r 8 2 I » vi è già un indubbio errore : nel soggetto si pensa una grande personalità socioculturale, laddove il predicato si riferisce a un povero rudere, stori­ camente irrilevante. Veniamo ora al concetto di « morte » . Anche questo è ben lontano dall'essere cosi assoluto come crede chi non conosce il meccanismo dell'agonia . Nella moderna medici­ na è consuetudine considerare momento della morte l'in­ terruzione del battito cardiaco e dell'attività respiratoria ; ma esistono già motivi per dubitare che tale criterio sia valido per sempre. Mi è capitato di leggere in un manuale russo di chirurgia che grazie alla respirazione artificiale non solo è possibile rianimare persone cadute in un pro­ fondo deliquio, ma talvolta è addirittura accaduto di ri­ portare in vita persone da poco defunte. E questa non è la vuota bravata di uno scienziato materialista, ma la consta­ tazione di un fatto che può realmente verificarsi, data l'at­ tuale concezione della « morte » . Se il cuore si è già ferma­ to e il respiro è cessato, l'uomo « è morto » ; ma se nello stesso tempo non si è verificata una profonda distruzione delle cellule, può rivelarsi sufficiente mettere in funzione meccanicamente gli organi inerti perché tutto il processo vitale sia ripristinato. Ma in questo caso che « morte » è questa? Ci si può aspettare perciò che con le ulteriori con­ quiste della medicina, quando di per sé l'arresto del cuore e degli organi della respirazione non svolgerà piu quel ruolo definitivo e decisivo che svolge ora nell'interruzione della vita, sarà considerata « morte » non questa circostan­ za, ma uno stadio di distruzione delle cellule al quale il ri­ pristino della vita sarà ormai affatto impossibile anche per i metodi altamente evoluti di quell'epoca. E da quell'alto osservatorio che sarà stato allora raggiunto gli attuali dati relativi alla morte degli uomini con tutta probabilità sem­ breranno semplicemente inesatti. Ecco qua dunque una verità assoluta, eterna !

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A L E K S ANDR B OGDANOV

Non dico poi che il medico che constatò la morte di Na­ poleone non era affatto un medico « assoluto » e poteva sbagliarsi nel determinare il momento della morte, scam­ biando per morte un profondo deliquio o letargia come indubbiamente è accaduto ad altri medici. In tal caso la « verità eterna » di V. Il' in si rivelerebbe . . . un « errore eterno » . Passerò ora al terzo concetto : l a data storica. Tutto è qui convenzionale: sia l'era sia il computo del tempo. È quasi certo che l'evento a partire dal quale è consuetudine calcolare gli anni non si verificò precisamente quando si suppone sia accaduto, ammesso che abbia mai avuto luo­ go . La data « 5 maggio r 8 2 r » è del calendario gregoriano, per il calendario giuliano sarebbe stato il 2 3 aprile. A dire il vero, il calendario giuliano è meno esatto del gregoria­ no, ma da un punto di vista astronomico rigoroso anche quest'ultimo zoppica un po', e nel r82 r il suo errore ri­ spetto al « tempo ideale » ammontava già a tredici ore e un . quarto . Purtroppo non so a che ora Napoleone mori, né ho voglia di mettermi alla ricerca di simili minuzie, ma potrebbe risultare piu corretto riferire quel fatto « assolu­ to ed eterno » al 4 e non al 5 maggio . Con questo siamo ben lontani dall'aver esaurito tutti i dati e tutte le possibilità che dimostrano il carattere rela­ tivo della proposizione cronologica esaminata; penso pe­ rò che per una « banalità assoluta ed eterna » questo sia piu che suffìd.cnte. Le cose stanno di gran lunga peggio riguardo alle verità che meritano questa definizione, quali per esempio l 'affer­ mazione che la terra « ha avuto la storia che è esposta nel­ la geologia » . Basti notare che « la storia che è esposta nella geologia » fu una sino a Charles Lyell ( fondata sulla teoria dei cataclismi) e divenne un'altra, affatto diversa (evolutiva) dopo Charles Lyell ; e anche oggi per molti aspetti non è piu quella di Lyell . E se V . !l'in sa con asso­ luta certezza che adesso essa è stabilita per sempre e non può piu subire cambiamenti sostanziali, la fonte di tale sua certezza può essere una soltanto, e cioè la fede, la fede c1eca.

FEDE E SCIENZA V. Esaminiamo adesso un altro punto di vista dello stesso autore sulla stessa questione : « la verità assoluta è forma­ ta dalla somma delle verità relative » e tramite le verità relative « noi incontestabilmente ci avviciniamo ad essa » . Non è la prima volta che un marxista russo ha a che fare con questo punto di vista. Sette anni fa avanzarono quell'opinione - in dimensio­ ni, è vero, anche piu ampie - i marxisti legali che andaro­ no a finire nell'idealismo. In particolare, Berdjaev predi­ cava una tale teoria del progresso. Lo sviluppo è in gene­ rale avvicinamento agli ideali assoluti: alla verità assolu­ ta, al bene assoluto, alla bellezza assoluta. Il progresso della conoscenza consiste nell'ininterrotto avvicinamento

alla verità assoluta, attraverso le verità relative.

Come si vede, lo stesso dice V. !l'in . Soltanto , egli ta­ ce sul « bene e la bellezza assoluti » , onde resta da sapere se taccia perché non li ammette o soltanto p erché la sua è un'opera filosofica concernente esclusivamente i problemi della conoscenza . Se interpretiamo il suo silenzio in senso a lui favorevole, ci rendiamo conto che egli accoglie sol­ tanto un terzo di quell'ideale trino che per i nostri ideali­ sti è la formula della divinità. Non c'è bisogno di dire che i nostri idealisti presero a prestito questa formula dagli idealisti occidentali. Già Leibniz l'aveva delineata con grande chiarezza nella sua scala gerarchica delle monadi fini te che riflettono la mo­ nade assoluta e nella loro limitata conoscenza s 'avvicina­ no sempre piu alla verità assoluta di quella. Per quel che riguarda la formula di V. Il'in - la natura assoluta s'espri­ me nella verità assoluta incarnantesi in una serie di verità relative che costituiscono la scala gerarchica dell'avvicina­ mento all'assoluto - essa è puramente sch ellinghiana. Cosi Il'in combatte con gli idealisti ! Ora ricorderò brevemente come noi combattemmo con loro . In primo luogo mostrammo che il concetto di « asso­ luto » è del tutto fittizio, poiché il contenuto dei concetti viene attinto solo dall'esperienza, e nell'esperienza non vi

ALEKSANDR BOGDANOV è né può esservi alcunché di assoluto. Pensare l'assoluto significa cadere in una banale contraddizione logica (nien­ te affatto dialettica) . Richiamammo l'attenzione anche sul fatto che la teoria « assoluta » del progresso è un'assurdi­ tà . « Avvicinarsi » all'assoluto attraverso il relativo, ossia a ciò che è infinitamente lontano attraverso il finito è asso­ lutamente impossibile, poiché l '« infinito » è un simbolo matematico con significato negativo. Alla grandezza infi­ nita si possono aggiungere ( o sottrarre) quante si voglia grandezze finite, ma essa per questo non cambia : tale è la caratteristica matematica delle grandezze infinitamente grandi . Aggiungete a un grande cubo quante superfici, li­ nee e punti volete : il suo volume resterà lo stesso ; infatti il volume è « infinito » rispetto alla superficie, cosi: come questa Io è rispetto alla lunghezza . La distanza che ci se­ para dall'« assoluto » non varia, sia che procediamo in avanti o indietro, a destra o a sinistra, e parlare di un « av­ vicinamento » all'assoluto equivale a burlarsi della logica, nonché di qualsiasi aspirazione progressista. Parlammo anche del sostegno clericale alla propaganda dell'assoluto . La gente si abitua e si attacca a questa fin­ zione, che diventa un bisogno al quale non si può piu ri­ nunciare, come non si può rinunciare all'abituale narcoti­ co . Ma nella scienza, fredda e chiara, la gente non trova modo di soddisfare questa brama, in quanto la scienza con tranquilla fermezza respinge la verità assoluta. Allora gli uomini si mettono a cercarla da un'altra parte ; la religio ­ ne e la mistica stanno già in agguato e s 'impadroniscono della loro anima tanto piu facilmente in quanto essi han­ no già una fede : nell'assoluto infatti si può soltanto cre­ dere, conoscerlo non è p o ssibile : esso è fuori dell'espe­ rienza. Riprendere adesso tutta questa polemica a proposito del libro di V. Il'in non credo valga la pena: né le « verità assolute » del maestro cechoviano che mori pronunziando le parole « la Volga sfocia n el Mar Caspio » né l'assoluto conoscitivo di Berdjaev indurranno in particolare tenta­ zione il nostro lettore 1 • 1

Ho dedicato a questi problemi gran parte del

mio libro b: psicholo-

FEDE E S CIENZA

71

VI.

Ma chi ha indotto in tentazione V. Il'in? Egli dice En­ gels e Dietzgen. È vero? V. Il'in cita il s eguente passo dell'Antiduhring : « La sovranità dei pensiero si realizza in una serie di uo­ mini che pensano in modo assolutamente privo di sovrani­ tà; la conoscenza che ha incondizionata pretesa di verità si realizza in una serie di errori relativi ; né l'uno né l 'altra possono realizzarsi altrimenti che mediante una durata in­ finita della vita dell'umanità. Abbiamo qui la s tessa contraddizione che si aveva già sopra, tra il carattere, rappresentato necessariamente come assoluto, del pensiero umano e il suo realizzarsi in singoli individui il cui pensiero è limitato, contraddizione che può risolversi solo nel progredire infinito, nella successione del­ le generazioni umane che, almeno per noi, è praticamente infinita. In questo senso il pensiero umano è nella stessa misura sovrano e non sovrano e la sua capacità conoscitiva è, nella stessa misura, limitata ed illimitata. Sovrano e illi­ mitato per la sua disposizione [Anlage] , la sua vocazione, la sua possibilità, la sua m èta finale nella s toria; non sovrano e limitato nella sua espressione singola e nella sua realtà di ogni momento . Lo s tesso si ha per le verità eterne » [p. 1 3 0] 1 •

Ma dov 'è qui l'idea fondamentale d all a quale muove V. Il'in, e cioè che esiste la verità assoluta? Non se ne par­ la nemmeno.' Si dice che essa potrebbe realizzarsi soltanto attraverso un numero infinito di generazioni ; ma conver­ rete che questa possibilità ideale e matematica, ossia pu­ ramente simbolica, non ha niente a che vedere con la real­ tà. Si affe rma che il pen s i ero è « assoluto » o illimitato (pa­ rola che viene usata come sinonimo esplicativo della parogii o bscestva [Dalla psicologia della società] , Sankt-Peterburg 19062: v. per esempio le par ti Che cos'� l'idealismo (su Berdjaev) , I problemi dell'i­ dealismo, Echi del passato (su Bulgakov) ecc.

1 [Le citazioni dall'Antiduhring (sia quelle di Lenin, in Materialismo ed empiriocriticismo, sia quelle di Bogdanov) seguono la trad . i t . di Gio­ vanni De Caria ora ris tampata in K. MAI!X e F. ENGELS, Opere complete , vol. XXV, Editori Riuniti, Roma I974, pp. r-314] .

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ALEKS ANDR BOGDANOV

la « assoluto ») per tendenza ; ma è evidente che la parola

( p . I 1 4 ). Per una persona che pensi in termini scientifici e non religiosi, in modo libero e non autoritario, una simile di­ chiarazione è qualcosa di inaudito. Ma come ! Se un teori­ co qualsiasi avesse detto una sciocchezza o una falsità in una qualche occasione, ci sarebbe forse da « vergognarsi » a far parte della scuola della quale egli fosse stato uno dei fondatori? Che cosa accadrebbe se si scoprisse che Engels in un qualche punto si è lasciato sfuggire uno strafalcio­ ne? Sarebbe la fine, Il'in romperebbe col marxismo . . . Ta­ le infatti è la logica del sentimento religioso : il profeta ha mostrato la sua umana debolezza? Basta ! Non è un profe­ ta, la sua fede è falsa, gli altri profeti, che a lui si sono ac­ compagnati, sono a loro volta falsi profeti, bisogna cerca­ re una nuova fede ! In sostanza lo stesso Il'in ammette il carattere autori­ tario del suo pensiero, e ha sufficiente onestà intellettuale da confessarlo apertamente: E non gridate, signori machisti, che io faccio appello al­ le « autorità » : le nostre grida contro le autorità non fanno che mascherare il fatto che voi alle autorità del socialismo (Marx, Engels, Lafargue, Mehring, Kautsky) sostituite le autorità della borghesia (Mach, Petzoldt, Avenarius, gli im­ manentisti) Meglio per voi sarebbe non sollevare il proble­ ma delle « autorità » e del « principio di autorità » [p. 244] . .

Tanto, ci si dice, senza autorità non si può stare : se voi non riconoscete queste, vuol dire che ne riconoscete altre . E se qualcuno non volesse affatto riconoscere delle auto­ rità in quanto autorità, ossia considerare i riferimenti alle loro opinioni tali da sostituire adeguatamente la ricerca e l'argomentazione ? Ma non raccontatemi storie ! obietta V. Il'in, forse che esistono al mondo persone simili? E non è possibile convincerlo, poiché il pensiero di tipo au­ toritario è il piu chiuso in se stesso, il piu incapace di com­ prendere e ammettere altri possibili tipi di pensiero. È evidente che le concezioni di V. Il'in soddisfano pie-

FEDE E S CIENZA

77

namente il criterio del « principio di autorità » . Il loro ca­ rattere religioso è quindi stabilito in modo indubitabile .

VIII.

Il pensiero religioso non si è mai distinto per la sua esattezza. Tuttavia all'epoca della sua fioritura era dotato di grandissima concretezza e chiarezza. Oggi, trovandosi in decadenza, esso va perdendo anche questi tratti e di­ venta estremamente confuso e oscuro. I suoi concetti so­ no indeterminati e instabili, difetto che esso cerca di com­ pensare cavillando sulle parole. Il significato delle parole è sempre stato decisivo nelle ideologie autoritarie : le pa­ role sono appunto ciò in cui le supreme autorità s i espri­ mono e quindi le parole soltanto sono indiscutibili; l 'or­ todosso si riconosce soltanto dalla « confessione », ossia dall'esplicita professione delle debite formule verbali. Perfettamente in linea con tale psicologia della fede, ecco le righe che si possono leggere neiia prima pagina dell'opera di V. !l'in, dopo l'elenco degli autori ai quali egli dichiara guerra, autori molto diversi l'uno dall'altro per le loro concezioni circa la filosofia del marxismo : Tutte queste persone non possono ignorare che Marx ed Engels, decine di volte, hanno chiamato [corsivo mio] le lo­ ro concezioni :filosofiche materialismo dialettico. E tutte queste persone, unite nonostante le nette differenze delle loro opinioni politiche dall'ostilità contro il materialismo dialettico, pretendono ancora di essere marxisti in filoso­ fia ! [p. 1 5] . -

-

Accenno solo d i passata al fatto che u n numero rilevan­ te degli autori da lui elencati (per es . , io e B azarov) han­ no manifestato la loro « ostilità contro il materialismo dia­ lettico » in quanto hanno dimostrato il carattere antidia­ lettico e metafisica delle concezioni di Plechanov e della sua scuola, e richiamo invece l'attenzione del lettore sul­ l'idea centrale della citazione : Marx ed Engels « si chia­ mavano » in quel modo, voi cosf non vi chiamate e avete l'ardire di considerarvi marxisti in filosofia ! La dialettica,

ALEKS ANDR BOGDANOV tramutata in religione, è passata qui nel suo opposto. Per la vecchia dialettica che nei processi della vita e del movi­ mento ritiene impossibili categorici « sf-s1 », > del mondo dell'epoca delle formazioni geo­ logiche secondarie nelle forme di contemplazione degli it­ tiosauri e degli archeopterigati, gli animali superiori di quel periodo ; rappresentarcelo nelle nostre forme di con­ templazione è scorretto, poiché allora gli organi sensori dell'uomo ancora non c'erano e quindi le cose non pote­ vano avere la corrispondente « apparenza ». Adesso s 'intromette nella polemica anche Il'in. Da che parte sta ? Dalla parte di Bazarov, che non riconosce altro essere se non quello « sensibile » o dalla parte di Plecha­ nov che riconosce l'essere non sensibile, privo di « appa­ renza » e quindi anche di forme, durezza, odore, ecc . ? Ahimè ! Nonos tante l a sua prima concezione « machista » al proposito, egli si mette con la massima risolutezza dalla parte di Plechanov.

·

Bazarov ritiene di aver preso Plcchanov con le mani nel sacco. Se le cose in sé, dice egli , non hanno alcuna apparen­ za oltre all'azione sui nostri organi dei sens i , significa che esse non esis tevano nell'epoca secondaria altrimenti che co­ me « appatenza » degli organi dei sensi degli ittiosauri. E questo sarebbe il ragionamento di un materialista ? ! Se !'« apparenza » è il risultato dell'azione della « cosa in sé » sugli organi dci sensi, dò s ignifica forse che le cose non esi­ stono indipende11temente da qualsi asi o.rgano dei sensi? [p . 79] 2 • 1 [V. Bazarov, Ja. Berman, A. Lunacarskij , P. Juskevic, A. Bogdanov, L Gel'fond, S. Suvorov, Oéerki po filosofii marksizma, Sankt-Peterburg 1908] . 2 [La parola « apparenza » è tradotta con « forma » nell'ed. it. cit .] .

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ALEKSANDR BOGDANOV

Ci si domanda se questo virtuoso sdegno sia ragionevo­ le. È chiaro a tutti - e probabilmente persino a Il'in - che la parola « apparenza » è usata da Plechanov e da Bazarov per designare in generale il carattere sensibile e non quel­ lo specificamente ottico delle cose. E poiché non è in al­ cun modo possibile rappresentarsi l'essere extrasensibile ma ci si può rappresentare solo l'essere sensibile, e que­ st'ultimo è per Plechanov del tutto dipendente dagli « or­ gani di senso » esistenti, è indubbio che da questo punto di vista le « cose » delle formazioni giurassiche, cretacee, ecc. vanno rappresentate appunto nelle forme di percezio­ ne dei sauri di allora. La cosa naturalmente non è facile, ma è possibile che Plechanov ne venga comunque a ca­ po. Ma perché Il'in si arrabbia ? E perché con Bazarov? Se fosse rimasto fedele alla sua prima posizione, da noi esposta sopra, V. Il'in avrebbe dovuto arrabbiarsi con Plechanov e dirgli pressappoco questo : « Egregio mae­ stro, ciò che lei dice delle cose prive di apparenza sono castronerie. Non esistono altre cose se non quelle sensibi­ li, ossia dotate di " apparenza " , volume, durezza, odore, di tutto questo insieme o in parte e forse di molto altro ancora che le nostre percezioni non colgono ma le perce­ zioni di altri esseri possono cogliere. L' " apparenza " della cosa per noi è soltanto una " parte " o un " aspetto " di quell' " apparenza " incomparabilmente piu ricca di conte­ nuto che ha la cosa in sé. Invano lei propaganda sotto il nome di materialismo questa metafisica, per la quale lei viene deriso assai giustamente da Bazarov, che su questo punto mi è compagno di idee » . Invece Il'in strilla all'indirizzo di Bazarov : « Giochi di prestigio [ . . .] l'ignoranza non è un argomento [ . . .] confu­ sione imperdonabile [ . . .] disonestà intellettuale » ecc. ( tut­ to questo a p . 8o ). Come si è potuti arrivare a tale incon­ gruenza? La spiegazione si riduce a due momenti. A causa del­ l 'indeterminatezza del pensiero religioso e del preponde­ rante significato che per esso rivestono le forme verbali di confessione, V. Il'in non è in grado di distinguere la sua posizione principale da quella di Plechanov, poiché anche quest 'ultimo « si chiama materialista dialettico » , laddove

FEDE E S CIENZA

Bazarov tale « non si chiama » . In secondo luogo, bisogna sostenere l'autorità; che succederebbe, invero , se ogni Ba­ zarov si permettesse di rivolgere una critica libera . . . a chi? A Plechanov in persona ! E quale critica? La piu irriveren­ te e canzonatoria . No , il lettore capirà da sé che qui non era possibile fare a meno di una sgridata . . . E s e poi !l'in rivela qui una concezione delle « cose » del tutto diversa da quella che proprio lui aveva sostenu­ to con calore nella maggior parte del suo libro, forse che si può cavillare su simili quisquilie ? Tanto piu che oltre a questa seconda, egli ha sullo stesso argomento anche una terza opinione.

XII.

Si può considerare il riflesso di una cosa come una « parte » di essa o un suo « aspetto » ? Evidentemente no ; sono concetti affatto diversi, e sarebbe strano, per esem­ pio, considerare la propria immagine nello specchio una parte del proprio corpo o un « aspetto » di esso. Il rappor­ to qui è un altro, e precisamente è un nesso causale : l'im­ magine riflessa è condizionata da > esso pone elementi dinami­ ci. Non ci soffermeremo su questa differenza; importante

è che l'analisi ci porti a questi o quegli elementi, e di essi dovremo contentarci, senza per ora scomparii oltre. Abbiamo dunque ottenuto gli elementi dell'esperienza . Ci si domanda se siano gli stessi per il « fisico » e per lo « psichico » o se siano diversi . Sono gli stessi, sia per la concezione « machistica » sia per quella empiriomonistica : tanto i fenomeni « fisici » quanto quelli « psichici », i > ( La voce del so­ cial-democratico ), r9o8, n. 8-9] .

Quale magnifico sprezzo di un vero specialista, che co­ nosce la storia della filosofia sino a Venevi tinov e alla con­ tessa N. N., 11ei riguardi di un povero ignorante che osa dire la sua ! Ma, tanto per cominciare, diciamo due parole sulla so­ stanza del problema. Riuscite a immaginare « la struttu­ ra >> di un oggetto che non abbia « apparenza » , cioè pro­ prietà sensibili? Provateci . Il fatto è che la « struttura » è un'astrazione nata dall'esperienza sensibile, al pari della « forma » e dell'« apparenza » . La struttura presuppone le diverse parti dell'oggetto e il loro rapporto reciproco . Tutto questo senza alcun' apparenza, non è vero ? Ora vediamo la cultura di questo vero specialista . . . Non mi considero uno specialista di storia della :filosofia, ma, poiché mi occupo di filosofia da circa vent'anni, non ho potuto non venire a conoscenza, strada facendo , dei momenti importanti del suo sviluppo. E devo ammettere che quando lessi la citata lezione di « storia della :filoso­ fia » di Plechanov, sulle prime non potevo credere ai miei occhi. Il concetto di forma come legge o struttura dell'og­ getto è il contributo di Hegel alla dottrina logica della

/orma ! È vero che molti storici della filosofia considerano Ari­

stotele un grande plagiatore, ma non mi era mai passato per la testa che fosse riuscito a rubare un « contributo di Hcgel » . . . Va detto che il concetto di forma su indicato venne enunciato con precisione da Aristotele nella Meta­ fisica e prima ancora nella Fisica.

126

ALEKSANDR BOGD,ANOV

Riporterò a titolo dl esempio alcuni passaggi dell'una e dell'altra opera ( se ne possono trovare quanti se ne vuole ) . M a i l sostrato è uno in quanto al numero, due in quanto alla forma [ . . .] la forma, però, è una, come l'ordine o la mu­ sica o qualche altra di tali determinazioni [cioè, evidente­ mente, è la legge o struttura, non è vero? La fisica, I, 7, 25] . E poiché la natura è duplice, cioè come materia e come forma, c poiché quest'ultima è il fine e tutto il resto è in virtu del fine, questa sarà anche la causa, anzi la causa fina­ le [nell'originale « at·ti.a ft ou �ve.xa », tutta la conformità a legge, come la intende Aristotele . La fisica, II, 8 , 3] . In un altro senso costituiscono la causa, la specie, il mo­ dello, cioè la definizione dell'essenza sostanziale [oggi si di­ rebbe la legge, che determina la struttura] e i generi di que­ sta (per esempio causa dell'ottava sono il rapporto di due a uno [la legge ! ] e in generale il numero [la struttura!] ), c le parti che si trovano nella definizione [la citazione è presa dal passo nel quale si parla dei tipi di causa: materia, for­ ma, movimento e fine ultimo : La metafisica, V, 2 , 2 5] . Divengono per opera dell'arte tutte le cose la cui forma è contenuta nell 'anima [qui « forma » significa l'idea artisti­ ca dell'opera, ossia la legge della sua struttura] , e intendo per forma l'essenza sostanziale e la sostanza prima di cia­ scuna cosa. E anche i contrari in un certo senso hanno la stessa forma [sarebbe questo !'« aspetto esteriore » ? ] , per­ ché sostanza della privazione è la sostanza opposta alla pri­ vazione, per esempio la sostanza della malattia è la salute, dal momento che la malattia è costituita dall'assenza di sa­ lute [La metafisica, VII, 7, 3 0] 2 •

, riferimento che non può verificare esatta­

mente chi non abbia ascol t ato le conferenze. Al contrario, coloro che vi as­ sistettero potrebbero magari domandare a N. Lenin da quali fonti egli ab­ bia attinto informazioni cosf complete su quelle conferenze da ritenere possibile riferirvisi ufficialmente. Il fatto è che lui non ha presenziato a nessuna; nemmeno a quella a cui era stato invitato espressamente, cioè il dibattito sul libro qui a nal izz a to di V. Il'in .

ALEKSANDR BOGDANOV sofìche, la collaborazione a un importante lavoro storico­ sociale. Riteniamo che il difficile compito di elaborare una com­ piuta concezione proletaria del mondo debba essere assol­ to collettivamente e che la lotta tra le sfumature teoriche non debba nascondere alla nostra coscienza l'unità del grande compito pratico. La storia mostra che ogni sistema di idee - sia esso re­

ligioso, fìlosofìco, giuridico o politico - per quanto fosse

rivoluzionario al momento in cui nacque e intraprese la sua lotta per la supremazia, prima o poi diventa un impe­ dimento e un ostacolo allo sviluppo ulteriore, diventa cioè una forza socialmente reazionaria. Ha potuto sfuggire a questa fatale degenerazione soltanto la teoria che si è ele­ vata al di sopra di essa coscientemente, che ha saputo ren­

derne conto e metterne in luce le cause. Questa teoria è

stato il marxismo. II marxismo ha mostrato che ogni sistema di idee è il risultato organico, il derivato di rapporti sodolavorativi determinati, al di fuori dei quali il suo senso vitale si per­ de inevitabilmente e quindi si altera . Nell 'avvicendarsi delle forme sociolavorative sta la spiegazione del desti­ no delle ideologie . Nell'epoca dello sviluppo progressivo di determinati rapporti di ptoduzione l'ideologia che si crea sulla loro base è progressiva, poiché è al loro servi­ zio, n e favorisce lo s vilupp o , li rafforza . Ma quando il lo­ ro sviluppo si è compiuto e a sostituirli cominciano a fa r­ si avanti forme nuove, piu perfette, quella ideologia, in quanto continua a sostenere e rafforzare le vecchie forme inferiori , diventa conservatrice e quindi reazionaria . So­ pravvivendo alla propria base sociolavorativa essa diven­ ta « le mort qui saisit le vif » 4• Allora lo sviluppo sociale ne esige la distruzione. Ciò ammesso, era inevitabile che il marxismo, l'ideolo­ gia della classe piu progressiva, rifiutasse di attribuire a qualsias i sistema di idee, compreso il proprio, un valore assoluto . A se stesso pose l 'esigenza di uno sviluppo inin4

[Il morto che afferra il vivo - citazione marxiana] .

FEDE

E S C !ENZA

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terrotto in conformità coi mutevoli rapporti di vita del p:oletariato . E il marxismo procede appunto per questa VIa. Ma il vecchio mondo non poteva rassegnarsi all'idea che nel suo seno fosse nata e vivesse una dottrina non soggetta al suo destino, non sottoposta alla sua legge di degenerazione ideologica, una dottrina che esso non era in grado di trasformare, entro il debito termine, da orga­ nismo vivo e limpido in un torbido e maligno vampiro. Dopo una lunga e vana battaglia, il vecchio mondo ricor­ se a un estremo rimedio : creò un vampiro a immagine e somiglianza del suo nemico e lo mandò a combattere con­ tro la giovane vita. Il nome di questo fantasma è « marxi­ smo assoluto » . I l vampiro compie il suo lavoro . Penetra nelle file dei combattenti, si attacca a chi non lo riconosce sotto il suo rivestimento e talora raggiunge il suo scopo : trasforma i militanti da cui ieri veniva un utile contributo in accaniti nemici del necessario sviluppo del pensiero proletario. La nostra patria - un paese che ha un giovane movi­ mento operaio e una cultura non ancora consolidata, un paese che conduce una lotta tormentosa cd estenuante ­ ha dato a questo fantasma le sue vittime forse migliori : G. Plcchanov non molto tempo fa, adesso V. Il'in, per tralasciare altre forze meno cospicue, ma a suo tempo an­ ch'esse molto utili alla causa comune . I compagni caduti in balia di questo fantasma ci fanno compassione e noi cerchiamo di guarirli , magari con mez­ zi severi, se non possiamo altrimenti. Ma con il vampiro ci comportiamo come ci si deve comportare con tutti i vampiri : tagliargli la testa e tra:figgergli il cuore ! Di fronte alla nostra classe e a noi sta un grande lavo­ ro : creare una cultura nuova per la quale tutto il passato e il presente sono soltanto il materiale, mentre le forme si vanno delineando solo vagamente . Far entrare in struttu­ re plastiche e infinitamente flessibili un contenuto collet­ tivo che si sviluppa infinitamente è il compito di questa cultura; la collaborazione armoniosa della collettività è il suo strumento . Noi siamo impegnati in un lavoro prepa­ ratorio, che compiamo nella lotta e tra le contraddizioni :

ALEKSANDR BOGDANOV tale è il nostro destino storico e noi lo accettiamo in quan­ to oggettivamente dato. Ma per quel che sta in noi, dob­ biamo sin d'ora, nell'ambito della nostra classe, nel corso del suo lavoro culturale, attuare l 'armonia lavorativa che è il nostro ideale sociale ; quanto alla lotta interna da cui è accompagnato questo lavoro nella nostra collettività na­ scente, essa va considerata dal punto di vista dei suoi risultati obiettivi : come collaborazione inconsapevole e spontanea, e perciò ancora disarmonica. Su questa via noi comprenderemo la connessione lavorativa delle genera­ zioni, e il nostro ideale ci apparirà come l'irrefutabile con­ clusione del passato e del presente di tutta l'umanità.

Le avventure di una scuola filosofica

Traduzione di Nikita Strada.

Per ogni osservatore attento, che sia capace, senza ab­ bandonarsi alle impressioni del momento, di cogliere il corso della vita nel suo insieme e nella sua successione, è evidente che le forze sociali del nostro paese sono anco­ ra lungi dall'essere giunte all'equilibrio, col quale si con­ cludono le epoche di crisi e iniziano le epoche di svilup­ po « organico » , tranquillo . Questo equilibrio si consegue quando si stabilisce una radicale corrispondenza fra le « forze produttive » della società, da un lato, e i suoi « rap­ porti di produzione )> assieme alla « sovrastruttura politi­ co-giuridica », dall'altro . Per la Russia questo significa o una soluzione reale della questione agraria e un regime de­ mocratico di diritto ; oppure la distruzione delle forze pro­ duttive, c he degraderebbero al livello circa della Turchia, senza tuttavia venirsi a trovare in una sostanziale contrad­ dizione con il dominio del giogo dei proprietari terrieri nei rapporti agrari e della burocrazia nella vita politica; oppure un reale compromesso agrario e politico , cioè la riorganizzazione dei rapporti fondiari, all'incirca sul mo­ dello della loro organizzazione prussiana, feudal-borghe­ se, con un regime costituzional-moderato, e anche qui con una non indifferente distruzione delle forze produttive, in questo caso, è vero, parziale, ma pur sempre abbastanza profonda. Nessuno di questi tre esiti è ancora presente : quindi la crisi non è esaurita . . . Date queste condizioni, l a stagnazione attuale nella lot­ ta delle forze sociali può avere solo un significato : la crisi non è piu esteriore, il suo lavoro continua in profondità, dove si forma la coscienza politica e giuridica delle classi sociali, dove avviene la preliminare organizzazione delle forze sociali, l'organizzazione degli umori e delle idee di

ALEKSANDR BOGDANOV classe. Ci sono molti dati che permettono di affermare che questo processo si svolge con enorme celerità perfino fra le masse contadine, cosi inerti e conservatrici nelle epoche « organiche » . Per quel che riguarda il proletaria­ to, si tratta di una classe che non conosce né battute d'ar­ resto, né riposo nello sviluppo della propria coscienza, una volta che questa si è svegliata. Il proletariato in questo periodo ha fatto un'esperienza maggiore di tutte le altre classi, e adesso con tutta la sua energia cerca di padroneg­ giare e sistemare questa sua gigantesca esperienza . Questo stato di cose, u n a calma esteriore dietro alla quale si nasconde un enorme lavoro ideologico-organizza­ tivo, offre ai teorici della lotta proletaria la condizione piu opportuna per occuparsi in modo intensivo di quelle sfere dell'ideologia proletaria che sono meno elaborate perché si trovano piu lontano dall'immediata lotta di classe. Tale è la sfera della filosofia. Bisogna sfruttare il momento « opportuno » per introdurre anche qui il piu possibile chiarezza proletaria di idee, determinatezza e purezza di tendenze . Quando ricomincerà la tempesta, di nuovo non ci sarà piu « tempo per la :filosofia » . Invece l 'integrità filo­ sofica della concezione del mondo è quanto mai importan­ te per comprendere con chiarezza il senso e i fini della lot­ ta sociale e per attuarvi con fermezza una coerente tattica di classe. La filosofia è la piu alta forma organizzatrice del­ l 'ideologia di classe, la forma in cui si riassumono e sotto il controllo della quale si trovano tutte le altre. Ecco perché io ritengo opportuno e tempestivo occu­ parmi appositamente in questo articolo della critica delle opinioni :filosofiche, piuttosto diffuse, a quanto pare, nel no�tro ambiente, e nello stesso tempo segnate, secondo la mia profonda convinzione, dal marchio di un eclettismo, ossia di un compromesso di idee, che sostanzialmente non è proletario . Mi riferisco alla scuola di Plechanov . La cri­ tica deve considerarla con particolare attenzione anche perché questa scuola dichiara apertamente le proprie pre­ tese di essere l'unica cd esclusiva rappresentante della filosofia proletaria . Alcuni miei compagni, e io stesso, sono intervenuti piu di una volta contro le idee e le pretese di Plechanov e dei

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DI

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suoi allievi. I n questo articolo voglio dare piu o meno il quadro sistematico della loro attività filosofica. Comincerò dai componenti della scuola. I suoi dirigen­ ti, G. V. Plechanov e N. Bel'tov \ sono estremamente vi­ cini fra loro nelle vedute, se non si considerano certe con­ traddizioni nei particolari, che rileverò poi. Quindi seguo­ no : L. Ortodoks, N. Rachmetov, N. Rach-ov, A. Debo­ rin. Tutti esplicitamente e ufficialmente riconoscono Ple­ chanov come loro maestro. Nelle loro concezioni si può trovare una certa confusione, ma assolutamente mai nes­ suna opposizione nei riguardi dei capi. La scuola quindi è molto compatta e omogenea, circostanza molto favorevo­ le, ovviamente, per la scuola, ma anche per la critica che la studia . . . I.

La materia, cosa in sé.

La scuola di Plechanov si autodefinisce materialista, e tutta la sua visione del mondo si basa sulla « materia » . M a s e il lettore pensasse che s i tratti di quella comune ma­ teria della quale si occupano la fisica e la chimica e le leg­ gi del moto che Newton ha studiato, quella materia a cui Lavoisier ha dato una patente di eternità che invece la teo­ ria moderna dell'elettricità sta vanificando, la materia che si riduce all'inerzia, all'impenetrabilità, al colore, alla tem­ peratura e a ogni sorta di « proprietà sensibili » , se dun­ que il lettore pensasse che la costruzione filosofica dei no­ stri « materialisti » poggi proprio su di essa, farebbe un grosso errore . No, questa materia, a loro parere, non è ab­ bastanza stabile e resistente. Essa si trova tutta nella sfe­ ra dell'esperienza, ma che cos'è l'esperienza ? L'esperien-· za non è che « le nostre sensazioni, e le forme degli ogget­ ti sorte in base ad esse » , come dice Plechanov ( note a Ludwig Feuerbach di Engels, ed. 1 9 0 5 , p . 9 7 ), oppure « l'insieme delle sensazioni soggettive », come si esprime Ortodoks ( Filosofskie ocerki [Saggi filosofici] , p . 8 4 ), « la intera somma delle mie individuali esperienze interiori, 1

[Pseudonimo di Plcchanov] .

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dei miei atti conoscitivi e dei loro risultati stratificati nel­ la mia coscienza », insomma il « mondo interiore » della singola psiche, come ritiene Rach-ov (K filosofii marksiz­ ma [Per una filosofia del marxismo] , 1 9 08, pp. r 6- r 7 ). In breve, !'« esperienza », secondo l'unanime giudizio di tut­ ta la scuola, è solo soggettiva, solo indivi dual e, solo psi­ chica. Tali sono tutti i « fenomeni », coi quali la scienza ha direttamente a che fare, anche se questi fenomeni era­ no definiti :fisici, materiali e in qualunque altro modo . Si capisce che nella filosofia dei nostri materialisti non si par­ la di essi, cioè della volgare « materia » empirica. « Ma di quale altra? » , si domanderà il lettore. Della materia che è cosa in sé. Se tutta l 'esperienza n on è altro che « impressioni sog­ gettive » , allora è necessario per essa, da una parte, un soggetto , che riceve le « impression i » , e, dall'altra, qu a l­ cosa, dal quale il s oggetto riceve queste impressioni. Il s o ggetto è l ' « io » , qu el lo s tesso che, secondo l 'ironica e sp ressio n e di Marx, è il « proprietario delle esperienze vissute » , a cui appartengono tutte queste « impressioni » e « sensazioni » che formano l'« esperienza » e che nei la­ vori della s cuola di Plechano v sono immancabilmente ac­ compagnate dall'epiteto « mi e » ( a volte, tanto per cam­ biare, c'è « nostre », ma non nel senso di una proprietà collettiva delle « esperienze vissute » ) . Invece quello che produce nel « soggetto » le impressioni è l' chiaramente non aggiunge né cambia nulla nella tesi di Holbach : egli in­ fatti parlava della « natura » della materia di per sé, e non della « n atura » dei suoi riflessi sensibili ; se si conosce so­ lo la seconda, vuoi dire che non si conosce nulla della pri­ ma; e non si ottiene alcuna consolazione. Confrontate ancora con questo il seguente chiarimento di Plechanov : S e ammetto che l a lumaca i n un modo o nell'altro vede « il mondo esterno », sono costretto ad ammettere che la « visione» in cui il mondo esterno appare alla lumaca è de­ terminata dalle proprietà del mondo realmente esistente [ibid. , p. 1 04] .

Proprio queste « proprietà », dalle quali sono determi­ nate le rappresentazioni sia della lumaca sia dell'uomo, sono interessanti e costituiscono la « vera natura » della materia in quanto tale; e di esse sappiamo soltanto che : in primo luogo, esistono, e, in secondo luogo, . . . sono ignote . Ortodoks finisce di dire ciò che non è stato detto da Plechanov, e a proposito della domanda « che cos 'è la ma­ teria? » afferma : Tale domanda è priva di qualsiasi senso scientifico e di qualsiasi contenuto ragionevole . La materia è materia, essa è un fatto primario, punto di partenza sia dell'esperienza esteriore, sia di quella interiore, perché « nessuna azione è possibile se non sulla materia e attraverso la materia » [pa­ role di Claude Bernard] . E poiché la materia è un fatto pri­ mario, è chiaro che non può essere determinata da un 'altra causa che stia al di fuori di essa; ne consegue che la mate­ ria è da noi conosciuta mediante le azioni che esercita su di noi [Filosofskie oéerki cit ., p. 74] .

« È conosciuta medi an te le azioni che esercita » , il che significa che si conosce la sua azione, ma che la materia stessa non è conosciuta , e cosi vi si impedisce di doman­ dare che cosa essa sia . E vi diventa tutto piu chiaro, se vi dichiarano che la « X » da voi cercata è un « fatto prima­ rio » ? Anzi sarebbe stato piu interessante s aperne almeno qualcosa. E inv ece , non azzardatevi a fare domande. La

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domanda stessa è già un'eresia e forse perfino nel senso non filosofico, ma religioso della parola : Dare una definizione assoluta e compiuta della materia è, ovviamente, impossibile [spiega Deborin] perché ciò pre­ supporrebbe la conoscenza di tutto l'insieme delle cose e delle proprietà [Dio mio ! Ma chi ha mai preteso un orrore come una « definizione assoluta e compiuta »?] Definire la materia, che è il primo fondamento di tutto l'esistente, con un'altra causa è altrettanto assurdo o altrettanto fondato, quanto è fondato pretendete da un teologo una spiegazione circa la causa del suo Dio [« Sovremennaj a zizn' » ( Vita con­ temporanea ), r907, 2 , pp. 205-6] .

Ho insistito sul fatto che un concetto cosi indefinito e cosi indefinibile non può essere la base di una qualsiasi concezione filosofica del mondo . Ecco che cosa mi rispon­ de N. Rach-ov : La materia è proprio dò che si trova alla base dell'evo­ luzione storica e mentale dell'uomo. [Ma l'evoluzione men­ tale non è forse anche storica?] Ecco tutto. La filosofia non può fornire una risposta piu precisa; per riceverla bisogna rivolgersi alle altre scienze, in primo luogo a quelle natura­ li, quindi alla storia [K filosofii marksizma cit., p. 76] .

Rivolgiamoci dunque alle scienze naturali : H, certamente, avremo risposte chiare e precise, poiché tale è il linguaggio di queste scienze , né può essere altro . « Che cos'è la materia ? » , domandiamo . Con questo ter­ mine - comincia a rispondere la scienza, - si designa un determinato gruppo di fenomeni . Un momento, - inter­ rompiamo , - non si tratta di ques to . State parlando di fe­ nomeni, cioè dell'esperienza? - Sf, certo e di cosa altro si dovrebbe parlare ? - risponde la scienza con stupore . - Noi dobbiamo parlare delia materia fuori dall'esperien­ za; N. Rach-ov ci ha promesso che voi ci avres te dato una definizione piu « precisa » di questa materia, perché, guar­ da un po', la « filosofia » non ci riesce : invece di una de­ finizione viene fuori soltanto una ripetizione di parole. - Non so proprio di che cosa stiate parlando , - risponde con freddezza la scienza, - io mi occupo dell'esperienza; ciò che ne è al di fuori non mi riguarda. Vi avr anno dato .

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un indirizzo sbagliato. Non conosco il sig . Rach-ov . . . non lo conosco a:!Iatto . Ma lasciamo la questione, chiaramente insolubile per la scuola, di una definizione diretta della sua « materia » , e cerchiamo almeno delle indicazioni indirette s u ciò che essa è . Prima di tutto, se l a « materia >> è causa delle sensazio­ ni, vuoi dire che ad essa è applicabile la legge di causalità. In questo Plechanov vede la principale prerogativa della sua « cosa in sé » rispetto a quella kantiana, che è incono­ scibile, per cui la legge di causalità ad essa non è veramen­ te applicabile e, ad onta dello stesso Kant, non può essere la « causa » dei fenomeni. Ma ci si domanda : da dove viene questa prerogativa della « cosa » di Plechanov ? La legge di causalità è sorta dall'esperienza, questo è indubbio, e i nostri materialisti non lo negano . La « co­ sa in sé » si trova fuori dall'esperienza, c'est son métier, come avrebbe detto Heine, ed è appunto solo questo ciò che ne abbiamo saputo finora. In che modo la legge di causalità è finita oltre i limiti dell'esperienza? Non è for­ se questa un'evidente violazione di confini, un'illegittima incursione di una legge dei fenomeni in un campo ad essa estraneo, un vero e proprio « abuso di potere »? çerto che lo è . La situazione diventa anormale. Da essa sono possi­ bili soltanto due vie d 'uscita: o persistere nell'affermazio­ ne che « la vera natura della materia ci è ignota », e allora rinunciare a dettar legge in casa d 'altri, non applicare cioè la legge dell'esperienza nel mondo al di là dall'esperienza ; o riconoscere sul serio la legge di causalità applicabile alle « cose in sé », e allora rinunciare alla triste idea che la lo­ ro « vera n a tura », tranne la proprietà di generare sensa­ zioni, ci è « ignota » e dire esplicitamente che essa è come la « natura » dell'esperienza. La prima via d'uscita porta al kantismo, la seconda al­ l'empiriomonismo . La prima non credo che alletti qual­ cuno tra di noi, e su di essa non c'è bisogno di fare un di­ scorso particolare . La seconda per ora la spiegherò in po­ che parole. Il mondo dell'esperienza, fisica e p sichica, si compone

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tut to di elementi cromatici, s paziali , sonori, termici , tatti­ li, ecc . Le combinazioni di questi el ementi formano i vari « fenome ni », sia « fisici », sia « p s i ch ic i ». Se la le g g e di causalità, de do t t a per tutti questi fenomeni, cioè per il mondo degli elementi, uniti da svariati rapporti, è appli­ cabile anche alle « cose in sé », anzi proprio essa serve da immediato legame tr a i « fenomeni » e le « cose », allora è chiaro che sia i « fenomeni » sia l e « cose in sé » h anno la stessa natura. Le « cose in sé » sono allora la diretta conti­ nuazione del mondo degli elementi dell'esperienza, e s ono soltanto combinazioni di elementi, di ques ti e forse di al­ tri a noi per ora sconosciuti, ma si trat ta sempre d i ele­ menti , sostanzialmente non dissimili dagli elementi del­ l 'esperien za . Allora alla cono s cen za si pone il p roblem a di determi n are quali sono le combinaz i oni di elementi ch e formano le « cose in sé », p ro blema , forse, difficile, ma fondamen t almen te risolvibile. L'empiriomonismo ci dà il modo per ri s olverlo . Il seguente ragionamento di Bel' tov mostra fino a che punto sono inevitabili le conclus ioni da me qui esposte, se , riconoscendo la « cosa in sé », si riconosce a n che l ' ap­ plicabilità ad essa della legge di causali tà . Egli, volendo i llustrare il rapporto tra « cose in sé » e « fenomeni », si serve di questa analogia presa in prestito da Spcncer :

Immaginiamo un cilindro e un cubo. Il cilindro è il sog­ getto, il cubo l'oggetto. L'ombra, che cade dal cubo sul ci­ lindro, è la rappresentazione. L'ombra non assomiglia af­ fatto al cubo: le linee rette del cubo diventano in essa spez­ zettate, le sue superfici piane, incurvate. E, nonostante ciò, a ogni cambiamento del cubo corrisponderà un cambiamen­ to della sua ombra. Possiamo immaginare che qualcosa di simile avvenga nel processo di formazione della rappresen­ tazione. Le sensazioni, suscitate nel soggetto dall'azione esercitata su di esso dall'oggetto, non sono affatto simili a quest'ultimo, come non sono simili al soggetto : eppure a ogni cambiamento nell'oggetto corrisponde un cambiamen­ to nella sua azione sul soggetto [Kritika nafich kritikov ci t . , p . 199] .

Considerate attentamente questo esempio. Perché è possibile in gener al e l'azione dell'oggetto-cubo sul sogge t-

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te-cilindro ? Perché appartengono allo stesso mondo di elementi : alle forme geometriche. I loro elementi sono dello stesso tipo, spaziali e cromatici, ovviamente in va­ rie combinazioni. Se la loro « vera natura » non fosse la stessa -, per esempio, se l'oggetto è un cubo e il sogget­ to una melodia, - non ci sarebbe allora l'azione dell'« og­ getto » s ul « soggetto » , non ci sarebbe l'« ombra �> . Ma che cos 'è questa ombra-rappresentazione nell'esempio di Bcl'tov-Spencer? Di nuovo una combinazione di quegli elementi cromatici e spaziali, di cui è composto sia il cubo­ oggetto, sia il cilindro-soggetto, e non di altri, come, per esempio, quelli termici 1• Risulta che la « rappresentazio­ ne » ( e per Bel'tov essa ha lo stesso significato di « espe­ rienza » ) non può essere nient'altro che una nuova combi­ nazione degli stessi elementi di cui sono composte le « co­ se in sé » . Dunque la « natura » di queste « cose » fonda­ mentalmente è del tutto appurata : esse sono altre combi­

nazioni di elementi identici a quelli dell'esperienza.

A proposito, noterò che il modo di esprimersi di cui mi sono servito qui per esporre queste conclusioni non è af­ fatto felice, ed in generale non è il mio, ma sono obbliga­ to ad usarlo perché mi tocca prendere come punto di par­ tenza idee altrui, da me criticate. Tutte queste « vere na­ ture » , « cose in sé » e tutte le altre « materie » filosofiche sono estremamente adatte, nell'impiego astratto, a creare una gran confusione e un'atmosfera pedantesca. Ma biso­ gna discuterne, poiché per i nostri eroi proprio H sta il nocciolo della questione. E risulta che, nell'ambito delle mie premesse, essi sarebbero dovuti necessariamente arri­ vare alla concezione empiriomonistica delle « cose in sé » , come effettiva esperienza indiretta, come mondo di ele­ menti, se solo avessero potuto concepire il proprio pensie­ ro fino in fondo. Passo al problema dello spazio e del tempo . Che cosa sono? « Forme soggettive dell'intuizione », - rispondono Naturalmente, supponiamo, un cubo di legno può agire su una corda il s uo suono. Ma questo è possibile proprio perché, e solo perché, sia il cubo di legno sia la corda acustica appartengono alla stessa sede di complessi - concreta esperienza fisica - c comprendono in sé una massa di elementi dello stesso ordine : nell'uno e nell'altro caso, ele­ menti di durezza, spaziall, cromatici, ecc.

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acustica, cambiandone

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Plechanov e Bel'tov, d'accordo con Kant. Ma non soltan­ to forme soggettive. Tutto il problema consiste nel determinare se a queste forme di conoscenza corrispondono alcune forme o rappor­ ti delle cose. I materialisti, naturalmente, non possono ri­ spondere a questa domanda che affermativamente. [Piu oltre Bel'tov chiarisce : ] Le forme e i rapporti delle cose in sé non possono essere come ci sembrano, cioè come ci appaiono, dopo essere state « tradotte » dal nostro cervel­ lo . Le nostre rappresentazioni delle forme e dei rapporti delle cose non sono che geroglifici, ma questi geroglifici de­ signano in modo preciso queste forme e questi rapporti, e ciò è sufficiente per conoscere le azioni che le cose in sé esercitano su di noi, e per influire a nostra volta su di essè [Kritika na'fich kritikov cit. , p. 234] .

Tutto questo andrebbe benissimo : vada pure per i ge­ roglifici. Ma a questo punto nasce un inaspettato malinte­ so tra N. Bel'tov e Plechanov. N. Bel'tov non ha alcun dubbio sul fatto che le « cose in sé » abbiano determinate « forme », solo che queste forme ci sono ignote, e noi sia­ mo costretti a contentarci dei loro « geroglifici » . Invece Plechanov fa un'affermazione completamente diversa. Egli cita questa frase di Secenov : « Quali che siano gli oggetti in sé c per sé, indipendente­ mente dalla nostra coscienza, - e non importa se le nostre impressioni da essi ricevute siano solo segni convenziona­ li, - in ogni caso a una somiglianza e differenza dei segni da noi avvertibile corrisponde una somiglianza e una differen­ za reale. In altre parole, le somiglianze c le differenze che una persona può trovare in oggetti sensibili sono somiglian­ ze e differenze reali » . [E, a proposito d i queste parole, Plechanov osserva :] Questo è giusto. Bisogna soltanto notare che il signor Se­ cenov si esprime in modo non del tutto esatto . Quando am­ mette che le nostre impressioni sono solo i segni conven­ zionali delle cose in sé, sembra che ammetta anche un'« ap­ parenza » di queste cose a noi ignota, inaccessibile alla no­ stra coscienza. Ma l'« apparenza » è proprio solo il risultato dell'azione esercitata su di noi dalle cose in sé; fuori di que­ sta azione esse non hanno alcuna apparenza. Perciò con­ trapporre la loro « app arenza », come esiste nella nostra co-

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scienza, all'« apparenza » che esse avrebbero nella realtà, si­ gnifica non rendersi conto di quale concetto sia collegato alla parola « apparenza » [note a Ludwig Feuerbach di En­ gels, ed I905, p. r o3] . .

È chiaro che in tutto il ragionamento citato, la parola « apparenza » è usata non nello stretto significato , ottico, ma in uno assai piu vasto, nel senso della forma e delle proprietà in generale. Se ci fossero dei dubbi al riguardo, basta rivolgere l'attenzione al testo della citazione di Se­ cenov : 1f la parola « apparenza » non è mai usata, ma si parla solo eli « somiglianze » e « differenze », espressioni che si riferiscono a qualsiasi « proprietà » ; tuttavia Ple­ chanov critica questa formulazione, in quanto dà modo di dedurre che le cose in sé abbiano una propria « apparen­ za » . Risulta quindi che « la cosa in sé » non ha alcuna pro­ prietà; tutte le sue proprietà sono i « risultati » sensibili delle sue azioni esercitate su eli noi. Quindi queste pro­ prietà sensibili non sono affatto « geroglifici » delle forme e dei rapporti delle cose stesse, in sé, perché le « forme » e i « rapporti » sono già proprietà, e H non ce ne sono, e non c'è niente da indicare con « geroglifici » fuorché le proprie­ tà stesse. Della validità di questa interpretazione delle idee di Plechanov garantisce lo stesso Plechanov. Nella vecchia edizione dello stesso opuscolo ( Ludwig Feuerbach con le note di Plechanov, ed. r 8 92, p. 9 9 ) in quel punto delle annotazioni si diceva : Le nostre sensazioni sono una specie di geroglifici che ci portano a conoscenza di quello che succede nella realtà. I geroglifici non as so m igliano agli avvenimenti trasmessi da loro. Ma possono tr asmettere esattissimamente s ia gli avve­ nimenti stessi, sia, e questo è l 'importante, i rapporti che ci sono tra loro. Invece nell'edizione del 1 9 0 5 Plechanov cancella que­ sta frase, rifacendo tutta la parte corrispondente della no­ ta, e chiarisce : « nell 'annotazione della prima edizione [ .] mi sono espresso in modo non del tutto esatto, e solo poi ho avvertito tutti gli inconvenienti di questa inesattezza » (p. 103 ) . .

.

LE AVVENTURE DI UNA S CUOLA FILOSOFICA Bel'tov, come abbiamo già visto, nel libro del 1906 par­ Ia appunto di « geroglifici che esprimono le forme e i rap­ porti delle cose stesse in sé » , cioè riconosce alle « cose in sé » quello stesso « aspetto » o proprietà, che Plechanov nel 1 89 2 ammetteva , ma che rifiutò nel 1 9 0 5 . Dal punto di vista di Bel'tov, per esempio, ai rapporti spaziali dell'e­ sperienza « corrispondono alcune forme o rapporti delle cose » ; dal punto di vista di Plechanov, invece, le cose « stesse in sé » non possono avere carattere spaziale, poi­ ché ciò indica già una certa « forma » o « apparenza » . Mi sono soffermato s u questo problema per far vedere come, in sostanza, i piu autorevoli autori della scuola in questione vadano poco d'accordo tra loro, nonostante la loro solidarietà esteriore. La cosa è di relativamente scar­ sa importanza 2• Ma, a ben guardare, si tratta del concetto :filosofìco fondamentale della data scuola: come è oscuro, vago , confuso ! Che cosa può spiegare questo concetto ? E, soprattutto, come può spiegare l'esperienza nel suo in­ sieme? 2 L'ultima opera di Plc�anov, l'opuscolo Osnovwye voprosy marksiz­ ma [Le qu estioni fondamentali del marxismo] , sembra confermare la svol­ ta decisiva nelle sue idee ri guardanti la « materia l>. Dico che vengono conside­ rate come oggetti « sensibili », cioè ccime dati dell'esperienza. Ma c'è an­ che un passo che può essere interpretato come un diretto rifiuto delle con­ cezioni precedenti. Plechanov cita Feuetbach: , ecc. , sia nel senso metafisica sia in quello vaga­ mente fisico . Proprio questi concetti sono stati profonda­ mente trasformati dalla scienza del XIX secolo e dell'ini­ zio del xx. La filosofia può progredire solo se mantiene un inscindibile e vivo legame con lo sviluppo della scienza nel suo insieme, e non segnando stancamente il passo fra concetti consueti, ma indeterminati 1 • 1 Là dove non c'è un legame reale con la scienza, di solito fa la sua comparsa l'« apparato dell'erudizione » : citazioni su citazioni, senza fine. Questo è uno dei mali della scuola in esame. La riflessione del lettore è continuamente frammentata da nomi e testi, molto spesso stranieri, senza traduzione, per lo piu inutili. Si prenda l'ultimo opuscolo di Plechanov, Osnovnye voprosy marksizma cit . , un opuscolo essenzialmente divulgati­ vo di una sessantina di pagine: le citazioni sono alcune centinaia, e né quelle in inglese, né quelle in tedesco e neppure quelle in francese antico

ALEKSANDR BOGDANOV E questa sorpassata :filosofia delle « verità eterne » è ca­ pace di portare una profonda confusione nelle menti gio­ vani e inesperte. Un giovane compagno, energico e foco­ so, mi diceva con amarezza : - Lei non sa quel che sta fa­ cendo. Respingendo l 'assolutezza della verità, predicando che la nostra verità è soltanto una verità temporanea, lei mina la forza dei lavoratori . Perché lottare, se domani le p arole scritte sul mio vessillo forse diventeranno un er­ rore ? Cosa si può rispondere ? Naturalmente, tutto si può ca­ pire in modo sbagliato e di tutto si può abusare. La com­ battiva idea della verità relativa, idea che chiama l'umani­ tà ad avanzare senza fine e senza arresti, può diventare per qualcuno uno suumento per giustificare la sua mancanza di carattere, la sua indifferenza o fiacchezza . Ma chi capi­ rà questa idea, capirà anche che, combattendo per la ve­

rità del suo tempo, egli combatte per tutte le verità futu­ re, che nasceranno da essa per darle il cambio.

Come gli esseri umani, le verità vivono, lottano, muoio­ no. Ma se un uomo muore, vuoi dire forse che ha vissuto inutilmente ? E se una verità è morta, bisogna dire lo stes­ so? Certo, spesso gli uomini vivono il proprio tempo sen­ za dare frutti, o perfino danneggiando la società, ma la ve­ rità mai . Lavoisier appaltatore era dannoso per la società e fu giustiziato ; ma l'opera del grande chimico Lavoi­ sier - la sua verità - è rimasta . Tra poco morirà anch'es­ sa, ma senza di essa non sarebbe mai nata la nuova, ancor piu grande verità che la sostituirà. Ci si può forse dispiacere di questo? sono tradotte: i n questo modo è p i u facile intimid ire il lettore, facendo­ gli sen tire la profondità dell'erudizione dell'autore. I due terzi delle cita­ zioni sono superflui . Riporto un esempio veramente classico : rimi borghesi della nazione. Fortunn­ tamente per l'Inghilterra i vecchi signori feudal i si erano massacrati reci­ procamente durante la guerra delle due Rose. I loro st1ccessori , quantun­ que generalmente rampolli delle stesse vecchie famiglie, discendevano da linee collaterali cosi lontane, che costituivano un corpo completamente nuovo , con abitudini e tendenz e ben piu borghesi che feudali. Essi cono· scevano perfettamente il valore dd denaro e incominciarono immediata­ mente ad aumenta re le loro rendite fondiarie , espellendo centinaia di pic­ coli fittavoli e sosti tuendoli con delle pecore. Enrico VI II , dissipando in donazioni e prodigalità le terre della Chiesa, creò una legione di nuov i grandi proprietari fond iari borghesi . Allo stesso risultato portarono le ininterrotte confische di grandi domini, che si cedevano poi a piccoli o grandi nuovi venuti, continuate dopo di lui sino alla fine del secolo XVII. Per conseguenza a partire da Enrico VII l' " aristocrazia " inglese non pen­ sò affatto a ostacolare lo sviluppo della produzione industriale, ma cercò anzi di trarne un beneficio » (« Die Neue Zeit >) , r892-93, vol . I , n. 2: Pre­ fazione all'edizione inglese [L'evoluzione del socialismo cit. , pp . .50-.5 r )] . 2 Per giustizia si deve ammettere che alcune osservazioni marginali di Engels hanno potuto favorire lo sviluppo dell'errata teoria di Bel'tov. In quella stessa prefazione inglese all'opuscolo L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza egli scriveva: « Con Hobbes il materialismo si pre­ sentò sulla scena come difensore dell'onnipotenza monarchica, e fece ap­ pello alla monarchia assoluta per mantenere sotto il giogo quel puer robu­ stus sed malitiosus che era il popolo. E anche per i success ori di Hobbes, Bolingbroke, Shaftesbury, ecc., la nuova forma deista del materialismo re­ stò una dottrina aristocratica , esoterica, e perciò odiata dalla borghesia non solo per la sua eresia religiosa, ma anche per le sue connessioni poli-

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L'idea di un'autonomia interiore dello sviluppo ideolo­ gico, in generale, si presenta piuttosto spesso in Bel'tov e nella sua scuola. Quando per la prima volta ho letto in un suo libro, che la « psicologia » delle classi progressive « si modifica nel senso dei rapporti di produzione dai quali sa­ ranno sostituiti col tempo i vecchi rapporti economici al tramonto » e che in particolare « la psicologia del proleta­ riato già si adegua ai nuovi, futuri rapporti di produzio­ ne » (p. 1 5 2 ), ho pensato che si trattava semplicemente di una infelice scelta di espressioni. Pensavo che un marxista e un materialista non potesse parlare seriamente di ade­ guamento a ciò che non c'è ancora; sarebbe stato un con­ cetto di sviluppo puramente idealistico. Avevo interpre­ tato quelle parole (in una recensione) nel seguente mo­ do : l'ideologia del proletariato (Bel'tov usa la parola « psi­ cologia » come sinonimo di « ideologia », il che è ovvia­ mente errato ) si adegua a rapporti di produzione propria­ mente proletari, si ha cioè una collaborazione tra compa­ gni, rapporti che però ora predominano soltanto nella vi­ ta lavorativa del proletariato, ma non nella società come complesso ; tuttavia essi predomineranno in tutta la socie­ tà, quando questa sarà trasformata dal proletariato ; e so­ lo in questo senso sono detti - con un'espressione infeli­ ce, naturalmente - « futuri » . Ma c'è motivo d i credere che mi sbagliavo nella mia ot­ timistica interpretazione. Almeno, alcuni « allievi » della scuola esigono in modo esplicito che l'ideologia si adegui ai futuri rapporti. Portando a termine il mio lavoro sull'empiriomonismo, ho considerato le sue idee nell'ottica di tipi classisti di pensiero e sono giunto alla conclusione che, in sostan­ za, essi corrispondono all'ideologia del proletariato. Nel­ lo stesso tempo, ho dimostrato che il quadro del mondo da me rappresentato riflette nella sua struttura la totalità tiche antiborghesi » [tra d. i t., p. _12] . L'aristocrazia di cui qui si parl a è, come abbiamo visto, in sostanza l'alta borghesia, i latifondisti capitalisti; essa è contrapp osta alla maggioranza della borghesia. Comunque, lo stesso Engcls considerava come particolari e meno importanti le opinioni simili a quelle da noi prese in considerazione; non gli veniva neppure in mente di farne una teoria dello sviluppo ideologico .

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dei rapporti sociali nella società contemporanea, dei rap­ porti tra i quali il proletariato d'oggi vive. Da questo ho tratto due conclusioni. La prima riguarda la veridicità sto­ rica della concezione del mondo : ritengo che verità del proprio tempo possa essere appunto soltanto una visione del mondo che rifletta l'ordine sociale di questo tempo nel suo insieme ( ovviamente, dal punto di vista delle forze progressive di questo ordine) . La seconda conclusione era che « in questo quadro, se lo si considera esatto per la conoscen­ za contemporanea, difficilmente ci si può aspettare qualche mutamento radicale prima di una riorganizzazione radica­ le della vita sociale, poiché l'attuale struttura della società deve creare la tendenza alla conservazione di questo fon­ damentale schema conoscitivo » (Empiriomonizm cit., par­ te III, p . r58] . AI che Deborin dichiara : Ma è vero anche il contrario : un dato schema conosciti­ vo deve creare la tendenza alla conservazione o giustifica­ zione dell'ordine dato della società. Perciò, signor Bogda­ nov, chi aspiri a una radicale riorganizzazionc della società deve lottare contro il suo schema conoscitivo [« Sovremen­ naja zizn' », I 907, I , p . 260] . Applichiamo la logica di Deborin alla teoria del plusva­ lore di Marx. Questo schema conoscitivo, senza dubbio, riflette esattamente determinati rapporti della società con­ temporanea, e perciò, a mio parere, deve conservare la propria forza finché questi rapporti non saranno trasfor­ mati in modo radicale, cioè finché non sarà eliminato lo sfruttamento ; infatti questi rapporti creeranno la tenden­ za alla sua conservazione. Ma dal punto di vista di Debo­ rin in questo caso è proprio questo schema che « deve creare la tendenza alla conservazione o giustificazione » dei rapporti dati, cioè dello sfruttamento, e quindi « è ne­ cessario lottare » contro di esso. La conclusione è assolu­ tamente inevitabile ! C'è bisogno di analizzare a fondo questa concezione ? C'è bisogno di ripetere per essa tutte le obiezioni del socialismo scientifico contro quello utopi­ stico ? C'è bisogno di dimostrare che l'ideologia del prole-

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tariato in lotta è il frutto della realtà in mezzo alla quale esso vive ed è il riflesso, dal punto di vista del proletaria­ to, proprio di questa realtà e non di un'altra che ancora non c1è ? Non penso che sia necessario per dei marxisti. Ma se la teoria di Bel'tov si permette, in questo modo, tanta disinvoltura là dove si tratta dell'esatta applicazio­ ne del materialismo storico, essa però dimostra grandissi­ ma severità quando si pone il problema del rafforzamento e della diffusione dei principi di questa dottrina. Qui, ohi­ bò ! , non si può ammettere alcun eccesso. Nella formulazione fondamentale di Marx si dice che l 'essere sociale degli uomini determina il loro pensiero e che i rapporti di produzione determinano l'ideologia. Vie­ ne subito da pensare che, forse, questo rapporto, espres­ so col termine generico « determinare », in realtà sia piu stretto e profondo e che l'ideologia sia « determinata » dalla produzione già nel suo nascere, cioè sia derivata dal processo di produzione. Se cosi fosse davvero, è evidente che l'idea marxiana non ne sarebbe indebolita, ma anzi rinforzata e irrobustita. Marx stesso, a quanto pare, non si era so:ffermato su questo problema. Perché ? Penso perché ai suoi tempi il materiale scientifico era troppo scarso per risolverlo . Ma da allora il materiale si è accumulato. L'analisi psicofisiobiologica del lavoro , da un lato, e le conoscenze dall'altro, hanno dimostrato che l'unità ideo­ logica elementare - il concetto - è composta dalle stesse parti costitutive, fisiologiche e psichiche, che compongo­ no anche l'atto lavorativo elementare . Anzi, i filologi han­ no creato una teoria, secondo la quale nell'umanità primi­ tiva gli elementi ideologici - parole-concetti - sorsero di­ rettamente dagli atti sociali-lavorativi, come loro contra­ zione psico-fisiolo gica ; e questa « teoria delle radici prima­ rie » è accolta da autorevoli pensatori e studiosi. La scienza moderna, quindi, dà ogni motivo per ac­ cettare la nascita originaria dell'ideologia dal processo di produzione, il che evidentemente permette di indagare piu a fondo sia la struttura delle ideologie, sia il loro svi­ luppo. Un filosofo tedesco, il marxista Dietzgen, propendeva

ALEKS ANDR BOGDANOV per l 'idea che cosf si originasse l'ideologia, anche se non esaminò direttamente la questione. Plechanov non pote­ va, naturalmente, trascurare questa eresia, ed egli infatti censura molto energicamente Dietzgen perché si permet­ te espressioni come : « l'essere sociale produce il pensie­ rm> ( l'ideologia) e altrettali. Questo, secondo Plechanov, è confusione, idealismo , « rnachismo » e perfino il che è peggio di tutto - « affinità col signor Bogdanov » ( « Sovre­ mennyj mir », [« Mondo contemporaneo »] , VIII , r 9 07 ) . L 'affinità qui sussiste realmente, poiché nei miei articoli ho sistematicamente sviluppato l'idea dell'origine dell'i­ deologia dal processo tecnico lavorativo . Ma sono portato a pensare che, senza una sostanziale confutazione - cosa di cui P1echanov non si degna di occuparsi - questa affini­ tà non è un argomento sufficiente per respingere un'idea scientifica. La scuola di Bel'tov, dunque, anche nella filosofia socia­ le, dichiarando a parole la propria ortodossia a ogni piè sospinto , cerca nei fatti di limitare e indebolire la tenden­ za marxista fondamentale . -



La lotta con gli empiriocritici.

Dopo aver esaminato la situazione interna della scuola, passo ora a esaminare la sua politica esterna attuale. Il contenuto principale di questa politica è costituito dalla lotta col « machismo », l'empiriocriticismo e l'empiriomo­ nismo . La scuola si è occupata con impegno del machismo e dell'empiriocriticismo. Si tratta delle forme piu sviluppa­ te del positivismo contemporaneo , di una sua corrente molto autorevole che ha bisogno di una seria critica affin­ ché l'ideologia proletaria possa prendere da essa ciò che è veramente valido, sempre che, naturalmente, qualcosa di valido ci sia. Come si è comportata la critica e a che cosa ha portato? La base di tutta la critica è costituita da un determina­ to concetto di esperienza. Che cos'è l'esperienza? La scuola bel'toviana dichiara

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all'unanimità e ripetutamente che l'esperienza consiste soltanto di sensazioni e rappresentazioni soggettive, indi­ viduali, l'insieme delle esperienze psichiche vissute . « L'esperienza è composta dalla somma delle nostre sen­ sazioni », dice Ortodoks (Filosofskje ocerki ci t . , p . I 7 3 ) « Noi abbiamo realmente a che fare soltanto con le nostre sensazioni e con le immagini degli oggetti che da esse de­ rivano >> , conferma Plechanov ( note a Ludwig Feuerbach cit., p . 9 7 ) . « L'esperienza consiste nei nostri vissuti sog­ gettivi » , dichiara N. Rachmetov, e poi chiarisce : « L'e­ sperienza oggettiva non esiste, già per il fatto che l'espe­ rienza, come atto del soggetto della conoscenza, è unita inseparabilmente con esso, con questo soggetto (K. filo­ so/ii marksizma cit. , pp . 3 0 e 5 4 ) . Dunque è del tutto chiaro : l 'esperienza è l'insieme del­ le « mie » esperienze vissute, delle « mie » sensazioni, rap­ presentazioni, ecc. « Mio » è l'aggettivo preferito in tutta la scuola in applicazione a ogni contenuto dell 'esperienza, un aggettivo sul quale, come vedremo , è costruito tutto il piano della campagna contro il « machismo » . Una simile concezione dell'esperienza è molto diffma nella filosofia. Essa è propria, per es . , del kantismo e di tutte le scuole individualistiche . Ma è l'unica possibile ? O è l'unica esistente nel nostro tempo? No, non solo non è l'unica, ma, oggigiorno, non è nep­ pure la dominante. Anzi, anche nella « scuola » essa è, all'occorrenza, sosti­ tuita da un'altra, phS. sensata. La cosa si capisce : non si può pensare, senza fare violenza su se stessi, che tutto il mondo dei fenomeni nella sua enorme ricchezza, che tutto il materiale con cui la conoscenza ha direttamente a che fare, che tutto questo sia soltanto l 'insieme delle « mie » impressioni e rappresentazioni soggettive. Perciò Orto­ doks, per esempio, non appena si è trattato della cono­ scenza autentica, scientifica e non « gnoseologica », comin­ cia subito a dire cose del tutto diverse : .

Tutti i risultati ottenuti dalla scienza devono essere rico­ nosciuti come leggi oggettive in quanto sono dedotti in ba­ se a dati oggettivi) cioè a fenomeni dell'universo [Filosof­ skie ocerki cit., p. I I 8] .

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I « fenomeni dell'universo » , cioè in ogni caso i d ati dell 'esperienza, risultano dati oggettivi. Dove sono anda­ te a finire tutte le affermazioni precedenti, secondo cui l'e­

sperienza oggettiva non esiste, ma esiste solo quella sog­ gettiva ? Ho detto che oggi la concezione soggettivo-individuali­ stica dell'esperienza non può piu essere considerata domi­ nante, come lo era nella scuola di Kant e in altre ad essa affini. Essa è stata screditata dalla scuola di Mach e dagli

empiriocritici.

La cosa principale e fondamentale che caratterizza l'a­ nalisi dell'esperienza compiuta da Mach è la critica di­ struttiva dell'idea individualistica secondo cui l'esperien­ za apparterrebbe a un « soggetto » o . Deborin, per identificarmi con gli empiriocritici, mi cita in modo tale che all'inizio della citazione aggiunge due parole e ne omette alla fine una dozzina di mie, senza arrivare al punto ; e come risul­ tato si ha, agli antipodi di quanto ho scritto, che io mi ri­ conosco niente meno che empiriocritico e « democratico » in filosofia ( recensione in « Sovremennaja zizn )> , 1 9 07, I, pp. 25 2-5 3 ) . Soltanto Bel'tov è riuscito a perfezionare questo pro­ cedimento ( nel suo opuscolo, p. 6 5 ). Egli prende un p a­ ragrafo di un mio libro (Bmpiriomonizm cit. , parte I, 33 ed., p. 1 9 ) , dove si espone il punto di vista degli empiria­ critici sulla connessione dello psichico e del :fisico, e ne omette l 'inizio e la :fine, dove si dice che questo punto di vista non è il mio e che non sono d'accordo con esso. In questo modo, un'opinione da me confutata mi viene feli­ cemente attribuita, e poi Rach-ov svolge contro di me la sua enfasi . Eppure Rach-ov non è originale. Questo mede­ simo sistema fu applicato, prima di lui, da un seminarista, che voleva dimostrare attraverso la Sacra scrittura l'inesi­ stenza di Dio : in un salmo di Davide, diceva lui, sta scrit­ to : « Dio non esiste ! » In realtà prima di queste parole nel salmo si legge : « dice il folle in cuor suo » . 1 • . .

1 Ho definito con franchezza questo tipo d i polemica, svolta mediante citazioni alterate, nella mia O tkrytoe pis'mo tov. Plechanovu [Lettera aperta al compagno Plechanov] ( « Vestnik zizni » [« Il messaggero della

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Ortodoks e Rachmetov hanno poi tentato di criticare le mie idee sull'esperienza in quanto organizzata « indivi­ dualmente » o « collettivamente » . Essi hanno trovato il modo di non capirmi in modo cosi radicale che con tutta la mia buona volontà non posso qui sbrogliare la matassa aggrovigliata da loro a questo proposito : occorrerebbe troppo tempo e troppo spazio . In breve, dalle loro parole risulta che, a mio parere, sarebbe la « società organizzata a inventare la natura » (p. I 7 9 , Filosofskie ocerki cit . di Ortodoks ). Il lettore può vedere quanto ciò sia conforme al vero. Per quel che riguarda i capi della scuola, N. Bel'tov e G. V. Plechanov, malgrado i miei inviti, finora non han­ no mai criticato veramente le mie idee, ma si sono limita­ ti a chiamarmi innumerevoli volte « eclettico » , « revisio­ nista », « idealista », e soprattutto « signor Bogdanov » z. Una volta un capo della « scuola » , ricordando ai marxi­ sti pratici l'esempio di Federico Guglielmo di Prussia, il quale aveva proposto al filosofo Wolff di scegliere tra l'impiccagione e l 'esilio entro ventiquattro ore, suggeriva loro assai chiaramente l'idea dell'opportunità di analoghe misure nei riguardi degli « empiriocritici » (Kritika nasich kritikov cit., pp. Iv-v ). Si tratta, ovviamente, di un esilio « ideologico », ma non per questo, naturalmente, il senso amministrativo di quel metodo di critica muta di un ette 3• vita »] , 1907, 7), dicendo che questa « non è critica, ma . . . criminalità ». Ora Plechanov nel suo articolo, scritto in risposta alla mia lettera aperta, riferisce questa mia affermazione cosf: « Lei afferma che alcuni miei com­ pagni di idee le muovono un'accusa quasi " criminale" ». Si tratta davvero di una malattia ereditaria della « scuola » . 2 Per i lettor i meno informati chiarirò in che consiste l a forza proban­ te di quest'ultimo argomento. Nella nostra famiglia internazionale si per­ mette di usare il titolo di « signore » : si usa soltanto rivolgendosi a perso­ ne che sono fuori delle sue organizzazioni. Dunque la cosa si riduce sem­ plicemente a dare ai lettori una falsa informazione, che deve predisporre in una certa direzione quelli tra essi che appartengono alla menzionata or­ ganizzazione internazionale. Nel suo ultimo articolo (giugno·luglio 1907) Plechanov agli epiteti so­ pra enumerati ha aggiunto alcune autentiche ingiurie. Si capisce che qui non le riferirò: ch i vuole può rivolgersi all'originale. 3 Questo comico incidente ebbe un seguito. Nell'articolo sopra men­ zionato, Plechanov dichiara che non avrebbe mai potuto neppure conce­ pire una proposta impossibile come quella di esiliarmi dal marxismo dal momento che io non mi sono mai trovato entro i suoi confini . Benissimo, tuttavia l'augurio fu espresso in modo chiaro per tut ti quelli che sanno

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Non potevo, naturalmente, riconoscere convincente una critica di questo genere. Ma ecco che appare un articolo di Plechanov dedicato esclusivamente a me : un interven� to dal promettente titolo Materialismus militans. Che co� sa ne è venuto fuori ? Nello spazio di una ventina di pagi­ ne il mio critico è riuscito a non superare i confini degli identici « metodi di critica » . . . Può sembrare inverosimile, ma è cosf; chiunque legga l'articolo suddetto se ne con­ vincerà e probabilmente con lo stesso stupore che ho pro� vato io . . . Nessuna delle questioni filosofiche, che erano da chiarire, viene veramente esaminata. All'infuori della po� !emica, per cosf dire, assoluta, cioè non comprendente in sé nessun contenuto riguardante la filosofia, lf si ha sol� tanto una prolissa divulgazione di verità molto note e piu volte divulgate, come quella che il materialismo nel XVIII secolo era l'ideologia della borghesia rivoluzionaria e che anche Engels era materialista e apprezzava i materialisti francesi, mentre non era d'accordo con gli scettici e gli agnostici ; quindi che anche ora esiste uno scienziato ma� terialista, Ernst Haeckel, ecc . . . I n che modo tutto questo materiale storico-divulgativo possa servire alla confuta­ zione delle idee filosofiche dell'empiriomonismo, non è affatto chiarito, e non credo che possa esserlo mai. Le co� se restano allo stato di prima per un tempo indeterminato . Una cosa sola mi pare utile rilevare in questo articolo, come fatto estremamente caratteristico e capace di spiega� re molte cose in tutta la psicologia della « scuola » . Esso consiste in quanto segue . In uno degli articoli precedenti ( Empiriomonizm cit. , parte III, prefazione ) avvertivo che la definizione di materialismo usata da Bel'tov « è molto ampia e questo ha i suoi inconvenienti » . Essa si riduce al riconoscimento della « na tura » come da to primario e del­ lo « spirito » come dato secondario . L'indeterminatezza di questa antitesi rende oscuri i confini tra la scuola e apre la via alFarbitrio in questo senso . Farò notare , per esempio , leggere e intendere quello che leggono, e fu espresso da Bel'tov. Come può ora Plechanov dichiararlo impossibile? In quel l o stesso articolo Plechanov ri corda di di Kant è finita. Le sostanze chimiche che si formano negli organismi animali e vegetali restarono « cose in sé » fino a che la chimica organica non si mise a prepararle l'u­ na dopo l'altra; quando ciò avvenne, la « cosa in sé » si tra­ sformò in una cosa per noi, come per esempio l'alizarina, materia colorante della robbia, che non ricaviamo piu dalle radici della rabbia coltivata nei campi, ma molto a piu buon mercato e in modo piu semplice dal catrame di carbone . Ogni differenziazione misteriosa, sottile, ingegnosa tra il fenomeno e la cosa in sé è un'assoluta assurdità filosofica. . .

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APPENDICE

Leggiamo poi a p . I I 6 : In effetti ogni uomo ha osservato milioni di volte la tra­ sformazione semplice ed evidente della « cosa in sé » in fe­ nomeno, in « cosa per noi » . Questa trasformazione non è altro che la conoscenza [corsivo mio] .

E i nfine alcune righe piU. sotto lo stesso pensiero è raf­ forzato dal seguente passo di J. Dietzgen : . . . > ci deve essere qualcosa di « cor­ rispondente » allo spazio e al tempo . In tal modo il nesso causale tra la materia e i suoi fenomeni diventa impensa­ bile e si dissolve anche la premessa fondamentale del ma­ terialismo trascendente 3• A un materialista immanente questa scappatoia geroglifica, naturalmente, non si addice affatto. Il'in, secondo il suo solito, anche qui cerca di te­ nere il piede in due staffe. Dapprima egli dichiara solen­ nemente che « il materialismo [ .] deve inevitabilmente riconoscere anche la realtà obiettiva dello spazio e del tempo >> (p. 1 7 1 ), ma poi parla del « riflesso » del tempo e dello spazio reale nelle nostre sensazioni di spazio e di tempo . Ma se esiste non soltanto lo spazio, contempora­ neo e oggettivo, e soggettivamente da noi percepito, se il nostro spazio è soltanto il riflesso o la copia dello spazio reale che si trova fuori di esso, ci si domanda : dove si acquista questo « fuori » ? Dov'è la sede dello spazio og­ gettivo ? Il « nostro » spazio e il >) deve essere tracciata a partire da Descartes - non a caso il primo sol ip sista che si ricordi è stato un anonimo malebranchista ( cfr. Lange, Storia del materialismo) - e persino piu addietro, a par­ tire da Agostino, con le idee del quale ha tanto in comune il « dubbio metodico » di Descartes . . . Ahimè, soltanto il sa­ pere è la misura di se stesso e del non sapere, ovvero - in armonia con la maniera polemica di Il'in - come dice Kant : « l'ignoranza non ha coscienza di es sere tale » . Ho già rilevato che i primi colpi al concetto di sostan­ za furono infetti non da Berkeley, ma da L ocke . Ma nep­ pure Berkeley ha distrutto questo concetto interamente ; egli ha eliminato soltanto la sostanza corporea ( la mate­ ria) per appigliarsi con piu forza all'idea della sostanza spirituale, di cui aveva bisogno per le sue speculazioni teologiche e spiritualistiche. Di questo Il'in non fa parola, forse perché non vuole dirlo, ma forse perché non lo s a : mica si può tener d'occhio tutto, quando con cinemato­ grafica velocità ci si trasforma in filosofo. Eppure il rico­ noscimento della sostanza spirituale differenzia nettamen­ te Berkeley già da Hume che venne dopo di lui. Se Il'in ritiene di tanta importanza il fatto che B erkeley abbia troncato la « materia », la comune logica dovrebbe sugge­ rirgli che un passo non meno importante è anche l ' elim i­ nazione dello « spirito » . Il materialismo riconosce come fondamentale la sostanza fisica (materia) e l'idealismo quella psichica ( spirito ) ; il realismo nega entrambi questi tipi di sostanza e quindi anch'esso può essere tanto poco confuso con l'idealismo berkeleiano quanto col materiali­ smo hobbesiano. Ma Il'in non lo capisce o non ha interes­ se a capirlo ; a lui infatti serve piantare un cavillo - prima che ci si raccapezzi ne passerà del tempo ! - e solo di sfug­ gita, di tanto in tanto, egli menziona la linea humiana, presente n el machismo accanto al « berkeleismo » .

APPENDICE Che cosa resta della grande scoperta di !l'in? Restano alcune false affermazioni e il fatto della sua completa in­ comprensione della differenza tra le idee di Mach, Avena­ rius, ecc. e la teoria di Berkeley. Ma anche in quest'ultimo fatto egli da tempo è già stato prevenuto da vari critici e persino da compagni eli idee di Mach. Persino qui il no­ s tro filosofo - solito destino degli inventori-autodidatti russi - non riesce a dire una parola nuova. Egli non ha capito Mach e non lo ha capito esattamente nella misura e nel modo in cui non lo hanno capito alcuni autori stra­ nieri. Per chiarire la differenza tra l'idealismo berkeleiano e la concezione di Mach mi permetto di citare un brano di un mio articolo che tratta di Kleinpeter, un seguace di Mach che non ha capito il suo maestro : La confusione della teoria idealistica (Berkeley) con la dottrina del realismo critico contemporaneo costituisce una grossolana deformazione di quest'ultimo. Kleinpeter non deve aver semplicemente capito il nuovo contenuto delle idee di Mach e dei suoi seguaci e per via di una certa ine­ sattezza terminologica si è lasciato sfuggire il mutamento copernicano di punto di vista che essi hanno compiuto. Nella scienza, nella filosofia, nella vita non sono rari i ca­ si in cui un semplice spostamento di punto di vista, una semplice impostazione del problema, per dirla alla buona, alla rovescia, getta una luce inattesa e nuova sul problema studiato. Per centinaia e migliaia d'anni si è studiato il mo­ to dei corpi celesti, partendo dal presupposto dell'immobi­ lità della terra; ne risultava un quadro confuso, difficile da semplificare. Ma arrivò Copernico con l'ardita idea di capo­ volgere tutti i rapporti : immobile, suppose egli , non è la terra, ma il sole e questa supposizione aprf subito per l'a­ stronomia iJlimitate prospettive. Kant ragionava cosi: « Si è ritenuto sinora, che ogni nostra conoscenza debba regolar­ si secondo gli oggetti : tutti i tentativi di stabilire su di es­ si , attraverso concetti, qualcosa a priori, mediante cui fosse allargata la nostra conoscenza, caddero tuttavia, dato tale presupposto, nel nulla . Per una volta si tenti dunque, se nei problemi della metafisica possiamo procedere meglio, ritenendo che gli oggetti debbano conformarsi alla nostra conoscenza. Già cosi, tutto si accorda meglio con la deside­ rata possibilità di una conoscenza a priori degli oggetti, la quale voglia stabilire qualcosa su di essi, prima che ci ven-

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gano dati» (Critica della ragione pura [Torino 1 957, p. 23] . Corsivo mio). Da questo mutamento del punto di vista, che lo stesso Kant paragona all'opera di Copernico, è nata la critica kantiana e con essa una buona metà di tutto il pen� siero filosofico dell'ultimo secolo. Nella scienza dell'elettri� cità fino circa alla metà del xrx secolo predominava la teo· ria secondo cui l'elettricità è un particolare fluido impon� derabile che si diffonde lungo i cosiddetti conduttori ed è fermato nel suo movimento dai non�conduttori (isolatori ) . Faraday e Maxwell hanno rivoluzionato tutto questo cam� po della scienza, guardando le cose alla rovescia : il luogo d'azione delle forze elettriche non sono i conduttori, ma, al contrario, l'etere che li circonda; i conduttori sono dei vuoti in questo etere : corpi elettricamente non trasparen� ti, mentre gli isolatori sono gli analoghi dei corpi traspa� renti. « Alla rovescia » hanno guardato le cose anche Avena� rius, Mach e i pensatori ad essi affini. Mach nella sua Ana� lisi delle sensazioni cita questo curioso ragionamento del fisiologo Hering: « La materia onde sussistono i fatti visi� vi, sono appunto le sensazioni visive. Il sole che tramonta, come fenomeno visivo, è un disco piano, rotondeggiante, di color arandone : consiste adunque in sensazioni visive. Noi lo possiamo pertanto designare come una sensazione rotondeggiante, di color arancione. Tale sensazione noi ab� biamo quando a noi appare il sole » [E. Mach, Analisi delle sensazimzi, Torino 1 9 03 , p . 33 nota] . Le sensazioni dunque non sono parte della mia coscienza, del mio « io », non sono in me, come pensano gli idealisti, ma sono là dove appaio� no, sono fuori di me. Per usare un'espressione schematica: non le sensazioni sono in me, ma io sono nelle sensazioni, in questo consiste la rivoluzione copernicana attuata dalla filosofia scientifica contemporanea, rivoluzione che ha tolto ogni terreno alla teoria idealistica del mondo come rappre­ sentazione del soggetto. Ma la sensazione fuori di me non è piu una « sensazione » nel tradizionale senso soggettivo della parola, bensf è una « cosa », un « elemento » o comun� que la si voglia chiamare, un elemento che in una certa combinazione si presenta come lo psichico e in un'altra co� me il fisico 4• Dalla prefazione alla traduzione del libro di Kleinpeter Tcaria della delle sciem:e naturali contemporanee, in corso di pubblicazio· presso la casa ed itrice �ipovnik. 4

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to elimina ogni sorta di sopravvivenze animistiche sotto forma di anima sostanziale, di « io », di « psichico » consi­ derato come aspetto interiore del « fisico », ecc. Il duali­ smo - o, se si vuole, la duplicità di psichico e fisico qui resta, ma la cosa si svolge su un piano del tutto diverso rispetto a quello che finora di solito si è avuto. Il cervello - secondo questo punto di vista - non genera la « sensa­ zione » del tavolo verde al quale sono seduto, non suscita questa sensazione, non è la « sede » del colore verde, ecc. , poiché il colore verde insieme col tavolo è una cosa parti­ colare, che si trova fuori del cervello. Il cervello è soltan­ to la condizione, data la quale si ha la « sensazione » del colore verde e il verde da cosa diventa sensazione. È per Mach questa « sensazione » del colore verde la copia del colore verde « in sé e per sé » oppure è il risultato dell'a­ zione esercitata sul cervello dal movimento di certe parti­ celle, ecc . ? No. È quello stesso colore verde che in un'al­ tra connessione, come cosa, figura nella serie fisica. Come un uomo può essere contemporaneamente padre e figlio, senza sdoppiarsi, ma restando la stessa persona presa pe­ rò in differenti rapporti rispetto alle altre persone, cosi anche il « verde » può manifestarsi e sotto forma di feno­ meno fisico e sotto forma di fenomeno psichico. Ma un uomo è sempre un figlio, anche senza essere necessaria­ mente un padre. Cosi' il verde è sempre fisico, ma soltanto se si osservano determinate condizioni risulta anche psi­ chico. Queste condizioni sono la presenza di un organi­ smo vivente dotato di sistema nervoso, ecc. Il rapporto tra il cervello e la sensazione è appunto il rapporto tra la condizione e il condizionato, un legame di corrisponden­ za, un legame di parallelismo, un legame epifenomenico. Da sua immagine, come ho già detto nel mio libro sul Ma­ terialismo , può servire il rapporto tra la frase scritta ( o detta) e il suo senso ovvero, in generale, tra il simbolo e il simbolizzato. Prendiamo, ad esempio, la seguente pro­ posizione : « V. Il'in non capisce niente né del machismo, che egli respinge, né del materialismo, che egli difende, anche se su questi argomenti ha scritto uno sciatto volu­ me di quattrocento pagine » . L'insieme dei segni grafici, da cui è composta questa -

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frase, è l'analogo del fisico, del fenomenico, dell'oggetti­ vo; invece il senso di questa frase è l'analogo dello psi­ chico, dell'epifenomenico (termine di Huxley), dell'eiet­ tivo ( termine di Clifford) . Questo senso non è generato né suscitato dai segni grafici ; la serie delle lettere non è la sede o l'organo del senso; il senso non si trova né nelle lettere, né chissà dove dietro le lettere, ma nello stesso tempo esso è una « serie dipendente », come direbbe Ave­ narius, rispetto alle lettere in quanto « serie indipenden­ te ». Senza le lettere ( o segni sensibili analoghi) il senso non può esistere, mentre possono esistere combinazioni di lettere o di segni prive di senso (cosi come vi sono pro­ cessi fisici - persino nel cervello - privi del loro epifeno­ meno psichico, mentre ogni « psichico » ha immancabil­ mente un membro « fisico » che gli corrisponde) . Il lega­ me tra il simbolizzato e il simbolo - legame epifenome­ nico - è un tipo particolare di dipendenza funzionale, logica o comunque la si voglia chiamare, tipo che non ha nulla in comune col rapporto casuale (nelle sue diverse forme) . L'epifenomeno è un fenomeno in sovrappiu, che non conta in senso fisico. È, per cosi dire, un fenomeno imponderabile. Il suo valore energetico è uguale a zero. Per !l'in tutto ciò, naturalmente, è come se fosse scrit­ to in turco, come in turco per lui sono scritte le chiare enunciazioni di Mach e Avenarius. Nel corso di decine di pagine egli si confonde disperatamente tra le citazioni di Avenarius, Mach, Pearson, Bazarov, li mette a confronto tra loro, poi li separa, poi di bel nuovo li avvicina, insom­ ma suda le proverbiali sette camicie per tessere i suoi in­ trighi filosofici, ma senza alcun costrutto : come si era im­ merso in questo mare di citazioni, cosi egli ne è emerso 5 • 5 Non mancano q u i , naturalmente, l e letture parziali e gli altri meto­ di della critica materialistica autenticamente il'iniana. Bazarov afferma che A venarius non �tarà a discutere contro la tesi che il pensiero è una fun­ ?.ione del cervello. Riportata questa affermazione, Il'in si indigna : «è una vera c propria falsi tà » . E la dimostrazione? Eccol a. Nel Concetto umano del mondo Avenarius dice che il cervello non è la dimora, la sede, il co­ struttore, l'organo , il portatore, il sostrato, ecc. del pensiero . Mentre nel­ le sue Osservazioni alla psicologia egli dichiara decisamente che le rappre­ sentazioni « non sono funzioni (fisiologiche, psichi che, psicofisiche) del cervello » , ecc. (ll'in, p. 83) . In tal modo tutta la teoria di Avenarius sulla serie dipendente e indi-

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Per lui il problema si pone sempre nei vecchi termini mitologici di « spirito » e « corpo » che il positivismo con­ temporaneo ha eliminato. Con la tenacia di un picchio egli batte sempre sullo stesso chiodo : lo spirito è secon­ dario e derivato, una funzione del cervello, un riflesso del mondo esterno, oppure lo spirito è primario e la sua fun­ zione è il corpo . . . Oh, perché per il brando Ho ceduto il mio bastone! E da te, arcana quercia, Sono stata affascinata ! . . . 6 • Perché, perché Il'in è stato strappato all'aratro della questione agraria? 7 • Passiamo adesso al problema della « cosa in sé » , il piu nefasto per tutti i nostri ortodossi. Tuttavia, per quanto si confonda in questo problema, Plechanov rispetto al mi­ serevole balbettio di Il'in si staglia come un Monte Bian­ co di profondità filosofica. Il'in s 'ingegna qui di essere inferiore persino a se stesso, il che, del resto, non gli im­ pedisce affatto di trovarsi sempre in un eccellente stato d'animo. La « cosa in sé » per Il'in non si distingue dal fenome­ no : l'inafferrabile, inconoscibile cosa-noumeno kantiana pendente, cioè ciò su cui si regge la sua Critica dell'esperienza pura, è can­ cellato con un solo tratto di penna, e sol tanto perché per l'espress ione di questa dipendenza logica Avenarius non ha usato termini che parlino del­ la dipendenza di un altro tipo (causale, spaziale) . Quanto alla citazione dalle Osservazioni, Il'in altera fraudolentemente le cose. Per Avcnarius la dipendenza tra il cervello e il pensiero non è effettivamente una funzione di tipo fisiologico, psichico o psicofisico, ma una funzione in senso logi­ co, matematico. Se Il'in si fosse presa la briga di leggere come si deve questo articolo di Av enariu s e di prendere ciò che si dice nel suo seguito nel volume successivo, avrebbe visto che Avenarius, mentre respinge il parallelismo metafisica, come egli d ice , del fisico e dello psichico, accetta esplicitamente il parallelismo logico (funzionale) (v. « Vierteljahreschrift fi.ir wissenschaftliche Philosophie » del 190,, pp. 13 sgg.) . L'uomo che dimostra una cosf radicale incomprensione della teoria di colui che egli chiama lo « smorfioso Avenarius » e che non ha neppure let­ to come si deve l'opera dell'autore da lui criticato, osa gettare a un altro l'accusa di falsità! 6 [Versi della Pulcella d'Orléans di Friedrich Schiller nella traduzione di Vasilij Zukovskij] . 7 [Riferimento ai problemi agrari, di cui Lenin si era occupato e di cui era considerato uno specialista] .

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è da lui respinta. Tutto il mondo è in via di principio co­ noscibile e di fatto esso è sempre piu conosciuto. Questa crescita della conoscenza è appunto la trasformazione del­ la « cosa in sé » in « cosa per noi » . . . Ma, cercherà a questo punto di interrompere Il'in qual­ che incauto lettore, i machisti in sostanza dicono la stessa cosa, evitando soltanto di usare la parola « cosa in sé », alla quale nella storia della filosofia sono legate associa­ zioni ben determinate e cattive. Ma Il'in non ne vuoi neppure sentire parlare : per i ma­ chisti, come egli ha bene imparato, ci sono soltanto le sen­ s azioni, per loro non ci sono affatto cose, sono dei solipsi­ sti, e via dicendo e raccontando la solita filastrocca. I ma­ terialisti, invece, partono non dalle sensazioni, bensf dagli oggetti che si trovano fuori della mente, « copie » , « im­ magini », « fotografie » dei quali sono le no s tre s ensazi oni e idee. Questa formula delle sensazioni che copiano, rifletto­ no, fotografano, ecc. gli oggetti esterni Il'in la ripete de­ cine di volte, senza neppure sospettare quanto essa sia micidiale per il suo materialismo. Consideriamola, in ef­ fetti, piu da vicino. Vedo davanti a me un tavolo verde. È una mia espe­ rienza, una mia sensazione, una mia percezione soggetti­ va. Che cosa gli corrisponde nell'ordine oggettivo, cioè, ad esempio, quando gli volto le spalle? Abbiamo già visto le diverse risposte date dai machisti, dai kantiani , da ma­ terialisti scientifico-naturali, da Mill, da Plechanov, ecc. Che cosa mai pensa a questo prop os ito Il'in? Che cosa dice quando riposa dalla « stroncatura » dei machisti? Per quanto sia strano per uno che ha scritto decine e centinaia di pagine su questo argomento, Il'in non dice un bel nien­ te in modo diretto a questo proposito, e noi solo per via indiretta dobbiamo dedurre quale è l'essenza del suo « ma­ terialismo ». In un punto !l'in cita queste p arol e di Willy : Come dogma il realismo ingenuo non sarebbe altro che la fede nelle cose in sé, esistenti al di fuori dell'uomo ( ausserpersonliche), nella loro forma sensibile-tangibile

[p. 7I] .

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Willy ha detto questo analizzando la teoria di Avena­ rius, ma la cosa per noi non ha importanza. Importante è che Willy qui dà una corretta caratteristica del realismo ingenuo, definendolo come la teoria secondo cui le cose esistono indipendentemente dall'uomo nella forma sensi­ bile in cui esso le percepisce : il tavolo verde esiste come tale e indipendentemente dal fatto che io lo guardi o no. Questo punto di vista è difeso - lasciamo da parte il pro­ blema di Avenarius e della sua coordinazione fondamen­ tale - da Mach e da Petzold. Che atteggiamento assume verso questo ragionamento Il'in? Egli lo munisce del se­ guente curioso commento : I n altri termini: l'unica teoria della conoscenza che si ac­ corda realmente col « realismo ingenuo » è, secondo Willy, il materialismo ! [p. 73] .

Dunque la teoria dell'esistenza delle cose nella loro for­ ma tattilmente sensibile ovvero, in altre parole, il reali­ smo ingenuo o , in altre parole ancora, il machismo è per Il'in materialismo ! 8• E questo egli lo afferma con esultan­ za, con un punto esclamativo ! E a pp. 77-78 con lo stesso entusiasmo parla del « materialismo » di Willy. Cose del­ l'altro mondo ! Temo che dei perfidi maghi perseguitino Il'in come un tempo fecero col cavaliere della Mancia e che gli abbiano sostituito la dolcissima Dulcinea del ma­ terialismo con la rozza Aldonza del machismo. Speriamo che il fedele Sancio Pancia di Il'in, autore dell'articolo Ne po doroge [Per strade diverse] 9 , non debba inferire a 8 Questa curi os a assimilazione del machismo da parte di chi dalla mi­ nima aperta allusione al m achismo è messo in uno stato di incapacità di intendere e di volere, si spiega - per non parlare già della causa generale, cioè della mancata comprensione sia del machismo, sia del materialismo col fatto che Willy usa l 'espressione di cosa « in sé ». Queste due porolet­ te « in sé » (o le parole equivalenti : « obiettivo » , ecc.) producono su Il'in un effetto magico. Con questa semplice esca gli s i può far inghiottire qual­ siasi arno. Lo abbiamo già visto con l 'esempio dei berkeleiani « oggetti sensibili in s é » - Si veda anche a pp . I I9-26 i ragionamenti sulla materia, la realtà obiettiva, ecc. 9 [Riferimento a un articolo di L. Kamenev, apparso nel febbraio del r909 nel giornale bolscevico uscita a Mosca nel r909, che provocò vivaci discussioni in tutti

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sandt·

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Tutta questa gente che grida urbi et erbi : « sono un marxista » , « sono un proletario » e subito dopo mette i piedi in faccia al prossimo, sputandogli per di piu addos­ so, mi è odiosa quanto tutti i lor signori; ognuno di loro è per me « un misantropo che trastulla la propria fanta­ sia » , come li ha definiti Leskov. L'uomo è una canaglia, se in lui non pulsa la coscien�a viva del suo legame con gli altri, se è disposto a sacrificare il sentimento di solidarietà all'amor proprio. Nel suo libro Lenin è cosL La sua polemica sulla verità non ha per scopo il trionfo di questa, ma solo quello di dimostrare : « io sono marxista ! il miglior marxista sono io ! » Come ogni buon pratico, egli è un conservatore spaven­ toso. « La verità è immutabile » : questa è una tesi neces­ saria a tutti i pratici ; se gli si dice invece che ogni verità è relativa, essi vanno su tutte le furie, poiché non possono non sentire il terreno mancargli sotto i piedi. Ma ci si può infuriare anche in buona fede : Lenin non ne è stato ca­ pace. Nel suo libro c'è il pubblicista inferocito, ma non c'è il :filosofo : me lo vedo davanti come un individualista fatto e finito che difende innanzi tutto le abitudini di pen­ siero che hanno improntato il suo « io » in un certo modo e per sempre. È un caso disperato. Probabilmente anche nella pratica egli adesso sarà piu angusto e peggiore. Insomma, la sua opera, sciatta, inetta, mediocre, susci­ ta un'infinità di tristi pensieri. Ad A[leksandr] Alek[sandrovic] consiglio questa epigrafe per il suo articolo sul libro di Lenin 5 : - Ma che va dicendo? - Si è ridotto cosi a furi a di leggere la Bibbia. - Guarda che idea ha avuto, quello stupido!

( da Odnodum 6 di Leskov) . gli ambienti cui turali russi per la sua critica dell'intelligencija radicale e rivoluzionaria] . 5 [Si tratta di Fede e scienza di A. Bogdanov] . 6 [Qui Gor'kij riporta, variandolo, un passo del racconto di Nikolaj Leskov Il fissato] .

MAKSIM GOR'KIJ

Tante cose belle a tutti e due ! Sono contento, molto contento che A [leksandr] A[leksandrovic] lavori . Saluti da tutti noi. A. P. 7 7

[Cioè Aleksej Pdkov, vero nome di Maksim Gor'kij] .

Finito di stampare il 30 aprile I982 per conto della Giulio Einaudi editore s. p. a.

presso l'Officina Grafica Artigiana U. Panelli, Torino

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