Esoterismo dei numeri. Iniziazione all'aritmosofia

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VITTORIO DEMETRIO MASCHERPA

ESOTERISMO DEI NUMERI INIZIAZIONE ALL'ARITMOSOFIA

ATANÒR

©by Atanòr s.r.l.- Via Avezzano

n.

16- 00 182 Roma

Grafica: Cristina Carbonari

PREFAZIONE DELL'AUTORE

Vorremmo che questo libro fosse anzitutto uno strumento. Nostro scopo nello stendere queste considerazioni sui principi nu­ merici, infatti, non è stato quello di dichiarare o di comunicare delle verità, convinti come siamo che la Verità non sia una serie di dati o di concetti bensì un' esperienza, e che pertanto non possa essere enun­ ciata né trasmessa ma solo conseguita individualmente. Ciò che può essere trasmesso sono invece piuttosto gli strumenti in grado di condurre a quest 'esperienza: strumenti diversi per forma e per intenzioni enunciate, che coincidono con le "Vie di realizzazione" proposte dalle differenti Tradizioni sapienziali ed esoteriche. "Vie", appunto, e non mete. Sentieri da percorrere personalmente, lungo i quali si può essere guidati, ma non trasportati. E infatti la trasmissione di tali strumenti prende il nome di "inizia­ zione", a significare appunto il loro valore, che è solo potenziale benché determinante - rispetto al raggiungimento della destinazione, proprio come determinante e potenziale è il valore del/ 'inizio di un percorso rispetto alla sua meta. Determinante, perché l 'inizio è ciò che consente il movimento e ciò che, di fatto, lo pone in essere. Ma anche potenziale, in quanto non ne presuppone la conclusione, bensì solo l 'avvio. Anche la conoscenza, allora, può essere una Via, nel momento in cui non si qualifica come un fine da raggiungere ma come uno stru­ mento. Nel momento cioè in cui quello che importa non è tanto il capire inteso come una congruenza fra il nuovo oggetto e le preesistenti ca­ tegorie mentali -quanto l 'atto stesso del conoscere, in funzione di ciò che accade nella struttura complessiva dell 'essere umano durante questo atto.

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In una prospettiva iniziatica, infatti, ciò che viene ricercato ed en­ fatizzato nell 'atto del conoscere è il contatto intimo e profondo che si stabilisce fra soggetto e oggetto. Un contatto che porta a una recipro­ ca compenetrazione, e che ha quale suo scopo ultimo la fusione e poi l 'identità fra soggetto conoscente e soggetto conosciuto. Un approccio alla conoscenza, questo, che non è certamente sba­ gliato definire "mistico", nella misura in cui la ragione vi svolge lo stesso ruolo che, in una prospettiva devozionale, potrebbero svolgere l 'adorazione o la preghiera, e cioè il ruolo di un veicolo, di un medium o di un 'interfaccia. L 'esperienza che ne scaturisce, dunque, non può essere unicamen­ te riconducibile ad un ampliamento delle categorie mentali - come av­ viene durante l 'apprendimento ordinario - ma ha piuttosto il senso e la qualità di una modificazione totale dell 'essere, definita anche "co­ noscenza realizzativa ". "Realizzare", in questo senso - un senso che, peraltro, non è mol­ to dissimile da quello adottato nel linguaggio corrente - ha il valore di "cogliere in modo lampante una verità", "sapere oltre il capire", "acquisire certezza della realtà di un assunto". Una certezza che non è solo funzione dell 'aderenza a schemi e parametri logici, ma viene confortata e confermata da un senso ultra­ logico che corrisponde a quella "esperienza della verità" cui tendono le vie di conoscenza. In questa prospettiva strumentale della ragione e del ragionamen­ to, allora, assume un ruolo essenziale la natura del/ 'oggetto del ra­ gionare, che deve essere sufficientemente logico da poter consentire un impegno saldo ed efficace del/ 'intelletto, ma anche abbastanza esteso da poter/o condurre fino ai suoi estremi limiti e poi ancora oltre, /ad­ dove può prodursi la sublimazione de/l 'intelletto stesso e dove può tro­ vare spazio l 'esperienza mistica della conoscenza realizzativa. E se questo è l 'obiettivo di una via di conoscenza, allora forse non c 'è un oggetto del ragionare che sia migliore e più idoneo del numero. Emblema stesso della razionalità, injàtti, il numero diventa argo­ mento di pura speculazione .fìloso.fìca e metafisica quando considera­ to nella sua essenza e non nella sua applicazione: se ognuno è infatti .fàcilmente in grado di comprendere una quantità di tre oggetti e di di-

stinguer/a da una quantità di due, ben diverso è cercare di compren­ dere cosa sia il tre in se stesso o cosa il due in se stesso, quando non applicati agli oggetti e non tradotti in quantità. Un vero e proprio ponte, dunque, un veicolo di trascendenza in gra­ do di accompagnare la ragione oltre se stessa.

È in questa chiave che abbiamo scelto di parlare di numeri, con l 'intento di offrire a/ lettore non certo dichiarazioni dal sapore di dog­ mi - che chiuderebbero, anziché aprirla, la via verso una comprensio­ ne maggiore - ma nemmeno spiegazioni che si pretendono definitive. E infatti, benché non ci siamo accontentati di affermare ma abbia­ mo cercato di essere al massimo grado chiari ed espliciti, anche con frequenti ripetizioni e col ricorso ad esempi tratti dalla vita più quoti­ diana, ci rendiamo conto di non essere stati pienamente e totalmente esaurienti. Lo riconosciamo da un lato come un nostro limite, ma dall 'altro anche come un merito del/ 'opera, in quanto incentivo e stimolo a cer­ care e a creare, laddove le nostre non fossero sufficienti, rappresenta­ zioni mentali più efficaci e più idonee per tentare di concepire ciò che, in definitiva, è e rimane inconcepibile. Proprio per la loro vocazione strumentale, inoltre, non si troverà in queste pagine un 'abbondanza di citazioni autorevoli, né si incontre­ ranno continui rimandi al pensiero di sapienti, filosofi o profeti. E que­ sto non certo perché ci riteniamo da essi indipendenti o, peggio, ad es­ si superiori, bensì per una precisa volontà di non riparare i nostri ra­ gionamenti nel/ 'ombra larga della loro riconosciuta autorità. Pur dichiarando apertamente il nostro debito verso tutte le letture e i contributi dei quali abbiamo indubbiamente fruito, abbiamo perciò uti­ lizzato pochissimi espliciti rimandi o brevissime citazioni solo /addove ci è sembrato fossero utili per chiarire un concetto, e non per suppor­ tarlo attraverso testimonianze inconfutabili o anche solo prestigiose. Non vorremmo mai che una nostra considerazione venisse accettata o guardata con occhio di riguardo solo perché confortata da rimandi al pensiero pitagorico o neop/atonico, vedico o cabalistico, oppure, ancor peggio, perché espressa ne/ linguaggio ieratico della rivelazione.

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A llo stesso modo, però - ed è una preghiera che rivolgiamo a ogni lettore - vorremmo che ciò che abbiamo espresso non venisse valuta­ to per confronto con un proprio precedente database culturale, né dun­ que giudicato "vero" o "falso " in funzione della sua concordanza con il patrimonio delle conoscenze già acquisite. Forse alcune delle nostre riflessioni concordano con il pensiero dei grandi, forse altre no. Quello che chiediamo è semplicemente un esame diretto e non me­ diato, che impegni la ragione e non la memoria. Solo così, attraverso cioè la riflessione e la comprensione attiva, in quel "rigirarsi dentro" concetti e argomentazioni che la mistica me­ dievale efficacemente definì "ruminatio ", la mente si troverà coinvol­ ta in un contatto intimo e intenzionale con la sfera delle idee pure, dei simboli e degli archetipi, e le pagine che seguono potranno meritare quel titolo di "lniziazione al/ 'Aritmosofia " che, nel definirne il conte­ nuto, allo stesso tempo ne dichiara il progetto.

ZERO

Lo ZERO NON È UN NUMERO

È sufficiente rifarsi alle più semplici operazioni matematiche, scrit­ te secondo la notazione araba corrente, per rendersi subito conto delle peculiarità di questo principio rispetto alla serie delle cifre. La sua natura paradossale (e il paradosso rappresenta infatti - come vedremo - il modo più efficace per tentare di rappresentame l ' essen­ za) è già evidente nella considerazione che, pur non avendo apparen­ temente alcun valore proprio, è ciò nonostante in grado di influire sul valore di ogni altro termine. Più propriamente, nel sistema decimale l ' effetto dello ZERO su una cifra è duplice: da un lato la rende completamento di una serie (la de­ cina) e dall' altro base per la serie (decina) successiva. Tale effetto è già esplicito nella decade, laddove il l O rappresenta la piena espressione delle potenzialità contenute nel!' l - e dunque chiu­ de e conclude un processo - ma contemporaneamente crea la possibi­ lità per un ulteriore infinito sviluppo attraverso il principio della com­ binazione fra più cifre, principio che rimane sconosciuto fino al 9. Tratteremo meglio delle peculiarità del lO nel capitolo dedicato a tale principio, mentre quello che qui importa evidenziare è come sia la virtù dello ZERO a consentire questa possibilità. Il suo valore, dunque, apparentemente nullo, diviene evidente nel momento in cui consente ali ' l di diventare l O. Lo ZERO in sé, pertanto, non può essere considerato alla stregua delle altre nove cifre, in quanto, a differenza di quelle, la sua manife­ stazione abbisogna di un supporto, in mancanza del quale il valore che porta rimane inespresso. Ma poiché il lO, termine che completa e chiude il ciclo della mani­ festazione, non è altro che il primo termine, e cioè l ' l , a cui è applica­ to il valore dello ZERO, dobbiamo riconoscere che è proprio tale valo-

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re a fare la differenza fra l ' inizio e la.fine, e dunque in qualche modo a consentire lo svolgimento dell ' intero ciclo. E sarà proprio il l O, allora, a rendere parzialmente intelligibile la natura dello ZERO, natura che dovrà risultare dalla differenza fra il pri­ mo termine di un ciclo e l 'ultimo, fra l ' inizio e il compimento di un ' o­ pera, fra la potenzialità e l ' atto. Ma la differenza fra l ' inizio di un 'opera e il suo completamento, è l'opera stessa. E la differenza fra l ' l - il principio della manifestazione - e i l l O­ suo completamento - è lo ZERO. Dunque l 'intera opera della manifestazione è resa possibile dallo ZERO ed espressa per sua virtù. Ma ancora: così come aumentando i l valore dell'l si tende al 2, di­ minuendolo si tende allo ZERO. Dunque come i l2 viene "dopo " l 'l, co­ sì lo ZERO viene "prima". Questo nulla, dunque, questo non-valore che porta l ' l a divenire lO e l ' inizio a divenire compimento, e che racchiude in sé l ' intero senso del processo, esiste prima ancora dell' inizio stesso. Aumentando di valore, l ' l tende al lO (l ' inizio tende al compimen­ to); diminuendo di valore tende allo ZERO. Come dire che il massimo incremento di valore che l ' l può assu­ mere è rappresentato da quello stesso ZERO che peraltro rappresenta anche il punto di massimo decremento del suo valore. Così la fine si identifica con ciò che viene prima del! 'inizio.

Lo ZERO È AL DI LÀ DEL TUTTO

Questo principio, allora, che il pensiero corrente ed essoterico assi­ mila al nulla, è in realtà il "luogo " da cui proviene l 'origine del ciclo della manifestazione (l 'l) ma anche, allo stesso tempo, ciò che ne con­ sente il pieno esplicarsi, trasformando l 'l nel l O e l ' origine nel com­ pletamento. Lo ZERO perciò è il Vuoto, in quanto viene prima de li' origine, ma è anche il Pieno, in quanto porta l ' origine stessa alla sua completa ma­ nifestazione.

IO

Per questo, nello ZERO, il Vuoto non è limitato dal Pieno, né il Pie­ no dal Vuoto, essendo la sua natura comprensiva di entrambi. Lo ZERO, dunque, è il tutto, ma un "tutto" di ordine superiore a quello che ordinariamente viene contrapposto al nulla, dato che lo ZE­ RO stesso contiene anche questo senza che si generi alcuna contrappo­ stztone.

Lo ZERO È INEFFABILE E INCONCEPIBILE

Certamente la sua natura non può essere ridotta a un concetto né ad una rappresentazione mentale, poiché la mente è un "prodotto " della manifestazione, e un figlio non può generare il padre che l 'ha genera­ to. E nemmeno se ne può dire alcunché, in quanto ogni parola possibi­ le - così come la mente e i suoi concetti - sta in un qualche punto fra l 'origine e il compimento, e dunque non può esprimere la qualità di ciò che racchiude e supera sia l ' uno che l ' altro. Poiché ogni definizione si rivela sostanzialmente inadatta, i modi che appaiono più idonei per riferirsi alla natura dello ZERO sono l ' e­ spressione al negativo (dire "cosa non è ") e il paradosso, in quanto su­ peramento delle antinomie. Termini come "inconcepibile", "ineffabile" e "illimitato" - benché ancora inefficaci a fornirne una rappresentazione - cercano di indicare ciò che sta al di là della parola, del concetto e del limite, o meglio ciò che rimane quando sono eliminati ogni concetto, ogni parola e ogni li­ mite. È la Vacuità del buddhismo ("ku" o "sunyata"), intesa come realtà assoluta oltre ogni limitazione concettuale. A questo si riferisce Lao Tse quando afferma che "Il Tao che può essere detto non è l 'eterno Tao; il nome che può essere nominato non è l ' eterno Nome ", e questa è anche la ragione per cui il paradosso, li­ mite contro cui si infrange la ragione, appare forse come i l modo più efficace per dire ciò che non è dicibile. Così, ad esempio, nel sistema del koan zen viene proposta una do­ manda a cui non è possibile rispondere secondo logica: "Conosco il

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suono di due mani che battono, ma qual è il suono di una mano sola?" , oppure "Senza parlare e senza stare in silenzio, dimmi, presto, qual è la natura del Buddha?". In questo modo la mente, nel riflettere, va in sovraccarico, e si può produrre una sorta di corto-circuito, a seguito del quale nel tessuto della realtà logica si produce uno squarcio che con­ sente di gettare una rapida occhiata in ciò che non è sottoposto ai vin­ coli della logica: un' occhiata nel non-definito e nel non-limitato.

BENCHÉ INCONCEPIBILE, LA NATURA DELLO ZERO PUÒ ESSERE PARZIALMENTE SPERIMENTATA

Tale sperimentazione è l 'oggetto della mistica e delle pratiche di contemplazione-meditazione occidentali e orientali che, proprio per questo, riferiscono di uno stato di "pienezza" che deriva dalla "visione del vuoto" , di una "esperienza del nulla" attraverso la quale si rivela "l' alto e santo tutto di Dio", del l ' esistere in un "nessun posto" che equivale a un "dappertutto " , e della necessità di "respingere il sapere e il non sapere, l ' esistere e il non-esistere, per poter essere " . Ed è particolarmente significativo che mentre le parole e le espres­ sioni della mistica si rivelano straordinariamente simili in ogni tempo e in ogni tradizione, tanto da non lasciare alcun dubbio sul l ' identità del l ' esperienza di cui trattano, le divergenze e i conflitti sorgono nel momento e nella misura in cui dall 'esperienza diretta si passa alla sua rappresentazione, attraverso parole, concetti e sistemi religiosi . D'altra parte si è accennato più sopra al fatto che l 'esperienza dello ZERO è possibile (in modo assolutamente parziale) solo nel l O, e cioè do­ po che l'espressione dell'l attraverso la decade l 'ha resa in minima par­ te intelligibile. Ma il l O corrisponde alla molteplicità, e questo rende ra­ gione del fatto che tale esperienza - fondamentalmente una e identica sia poi di fatto rappresentata ed espressa all ' interno della diversità. Resta evidente, in ogni caso, che quanto dello ZERO può essere col­ to nel l O è solo un aspetto della sua potenza, e precisamente quell ' a­ spetto che corrisponde alla funzione di completamento di ciò che nell ' l ha origine, mentre resta in ogni caso inintelligibile la natura del­ lo ZERO in sé, e cioè al di fuori di ogni divenire.

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Come dire che attraverso lo studio del l ' esplicarsi dell 'l nel lO po­ tremo comprendere qualcosa dello ZERO, ma solamente in relazione a tale processo, e cioè a partire dali' l. Nulla potremo cogliere, invece, della natura dello ZERO in quanto esistente prima dell'l e indipenden­ te sia dall 'l che da ogni altro principio. Esotericamente (ma per ora lo enunciamo soltanto): trovare il 4 nel l O significa spiegare l 'l nel 4, e ciò rende ragione del perché sia pos­ sibile sperimentare parzialmente lo ZERO nel mondo creato.

Lo ZERO NON È IL VUOTO

Vogliamo ancora ripeterlo: trattare dello ZERO è impossibile e fon­ damentalmente inutile. Nulla di ciò che abbiamo detto o che potrem­ mo dire ha alcun valore ai fini di una comprensione che è, per defini­ zione, impossibile. Ci sembra invece importante ribadire un tema che abbiamo solo ac­ cennato - e che riprenderemo trattando del 2 e del principio che espri­ me - e cioè che anche le definizioni al negativo o quelle che fanno ri­ ferimento allo ZERO come "vuoto" sono fondamentalmente inefficaci e fuorvianti, in quanto fanno riferimento a un' assenza, e dunque in ogni caso a una limitazione. Trattare dello ZERO come di un vuoto, significa far riferimento a ciò che viene prima della manifestazione, e che in qualche modo la mani­ festazione stessa annulla o cambia "riempiendolo " . Ma se così fosse lo ZERO non comparirebbe più nella serie della decade, che si evolvereb­ be dallo ZERO stesso (il supposto "vuoto") tino al 9: l ' estremità "pie­ na" della manifestazione. E invece lo stesso principio è presente in entrambi gli estremi, sia nel l ' immanifesto che nel punto di massima manifestazione, nel vuoto come nel pieno. Lo ZERO non è vuoto e non è pieno, né vuoto-e-pieno, e nemmeno non-vuoto e non-pieno: è tutte queste cose e altro ancora, e insieme nulla di tutto ciò. Affermare che lo ZERO è assoluto e illimitato, d'altra parte, è anco­ ra una volta inesatto, poiché lo ZERO stesso è anche relativo e limitato

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(come attesta la sua presenza nel l0), ma contemporaneamente è al di là del concetto di limite e di assolutezza.

RAPPRESENTAZIONI G RAFICHE DELLO ZERO

Vale anche per la sua rappresentazione grafica quanto si è già detto a proposito del tentativo di definire concettualmente tale principio. Come la logica, anche l 'analogia non può che suggerire ciò che non riesce a contenere, col rischio che il dito venga scambiato per la luna che indica. Così il serpente Ouroboros che ingoia la sua stessa coda - forse la migliore rappresentazione dell'identità fra inizio e fine - contiene e suggerisce comunque l ' idea di una ciclicità, e dunque di un tempo e di uno spazio che, pur appartenendo allo ZERO, gli sono contemporanea­ mente estranei. Si potrebbe allora forse vederla così: solo nel momento in cui il serpente fosse arrivato ad inghiottire tutto se stesso, fauci comprese, solo allora potrebbe essere rappresentato mentre la sua bocca si acco­ sta alla coda! Dunque, ancora una volta, un paradosso. Anche il cerchio usato correntemente in matematica, benché insuf­ ficiente a definire completamente la natura dello ZERO, può essere co­ munque considerato come un' ottima approssimazione volta a sottoli­ neare sia la ciclicità del tratto grafico, in cui non esistono né inizio né fine, sia il nulla che esso contiene. All ' interno del cerchio infatti c'è un vuoto, e questo dato è altret­ tanto pregnante del tratto che lo definisce: è in questo spazio che si de­ finirà il punto originario, quel punto che, ruotando su se stesso, gene­ rerà una spirale volta a raggiungere, nella sua spira più esterna, quello stesso cerchio che contiene lo spazio da cui il punto si è generato. Il simbolo del cerchio, allora, dice: "Io sono ciò che contiene il vuo­ to, ma sono altro dal vuoto. In me si sviluppa un movimento che ha me stesso come sua destinazione. " Il che corrisponde esattamente a ciò che si può cogliere riflettendo sulla presenza dello ZERO a monte dell'l e, contemporaneamente, nel IO.

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UNO

L'UNO NON È L'UNICO

Ciò che è unico non ammette - per definizione e per essenza - al­ tri termini uguali a sé né in tutto né in parte. Il concetto, dunque, che la molteplicità possa sgorgare dal l ' UNICO per sua replicazione (l + l = 2; l + l + l = 3 ecc.) non ha senso, in quanto l ' UNICO è tale solo in virtù della sua unicità. Pertanto non possono esistere due unici, nemmeno se identici fra loro. E d'altronde, anche nel l ' esperienza più quotidiana, un gioiello o un capo d'abbigliamento possono essere definiti "unici" solo nella misu­ ra in cui non ne esistono altri, la replicazione dell 'unico esemplare de­ terminando ipso facto la cessazione dello stato di unicità di quel pro­ dotto. Anche l ' elemento replicante, d 'altra parte, non potrebbe essere a sua volta definito "un altro unico" , e dunque l ' espressione matematica "l + l = 2" deve necessariamente essere intesa in un' accezione diffe­ rente da "UNICO+ UNICO= 2", e questo perché, in essenza, "l" non è la stessa cosa che "UNico" . Né allo stesso modo si può considerare - come verrà discusso più avanti - il 2 come prodotto di una replicazione dell 'l, dal momento che l ' l, in quanto inizio, non può generare né ammettere un altro ini­ zio al quale sommarsi. Tornando però ali' l e ali 'UNICO, e avendone accertato la non-iden­ tità, si tratta ora di definirli entrambi, tanto in relazione allo ZERO - de­ finito in precedenza come "realtà assoluta" - quanto al l ' interno del processo di manifestazione che, a partire proprio dall ' l (e non dall ' U­ NICO!) culminerà nella pienezza del 10.

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L'UNICO È POTENZIALITÀ

Dal punto di vista del processo creativo, lo ZERO può essere concepi­ to in termini di assoluta possibilità, e cioè come quel vuoto che rende possibile ogni cosa, non contenendo né prevedendo alcuna limitazione!. È la notte che precede l ' alba in cui nulla è ancora stato creato, e dunque in cui tutto è possibile. Tutto. Cioè ogni cosa. Fermiamoci su queste due espressioni: "tutto" e "ogni cosa", per­ ché in esse è contenuta una chiave per comprendere il passaggio dallo ZERO ali ' UNICO, e poi ali' l . "Tutto": un concetto assoluto che non richiede alcuna specificazio­ ne. "Tutto" significa semplicemente . . . tutto! Una disponibilità economica illimitata consentirebbe al suo benefi­ ciario di acquistare tutto ciò che gli venisse in mente, senza alcuna li­ mitazione. Tutto: e cioè cosa? Immaginiamo di chiedere al possessore di tale assoluta disponibili­ tà un elenco completo di tutte le cose che potrebbero venirgli in men­ te e che, di conseguenza, potrebbe acquistare. Con questa operazione il concetto di "tutto", assoluto e indefinito, si è in qualche modo definito. "Tutto" si è trasformato in "tutte le cose che . . . ". È ancora una pos­ sibilità, ma una possibilità fatta di cose che possono essere nominate e immaginate. Non più un concetto universale, ma un contenitore (virtuale) pieno di cose (virtuali). E la possibilità è diventata potenzialità. La possibilità è un vuoto rispetto alla potenzialità che è un pieno. Possibilità è assenza di ogni limitazione. Potenzialità è riempire questa possibilità con tutto ciò che è possibile. Nel dare un contenuto al tutto, il vuoto si riempie. Ma di cosa si ri­ empie anzitutto? Non di cose effettive (non ancora! ), bensì di cose che potranno diventare effettive, cioè di potenzialità. Chi acquista un biglietto della lotteria è, fino al momento dell'e­ strazione, un potenziale vincitore.

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Cioè un vincitore in potenza. Gli è possibile vincere (possibilità), dunque può vincere (potenzialità). È l ' acquisto del biglietto che rende concreta la possibilità di vinci­ ta, e la trasforma in potenzialità. Chi ha acquistato il biglietto non ha vinto, ma esistono le premesse perché questo possa accadere. Proprio come un potenziale assassino non ha compiuto alcun cri­ mine, anche se esistono le premesse perché lo possa commettere. Ed ecco allora un ' altra coppia di definizioni: possibilità = assenza di impedimenti potenzialità = esistenza delle premesse necessarie coppia che riporta all ' altra, già vista: tutto = nulla escluso ogni cosa= l ' insieme di tutte le cose che . . . la quale, a sua volta, si completa e si compendia negli archetipi: ZERO= vuoto = assoluta possibilità UNico= pieno= l'insieme di tutto ciò che è possibile= assoluta potenzialità Nella cosmogonia cabalistica, il vuoto si concentra, raccogliendosi in un solo punto totipotente dal quale avrà origine la manifestazione. È la possibilità dello ZERO che diviene la potenzialità del l 'UNICO. È il punto in cui tutta la materia è contenuta con densità infinita: quel punto la cui "grande esplosione" (big bang) genererà l ' universo.

L'l È IL PRINCIPIO

Riprendiamo l 'esempio precedente: il beneficiario di una disponi­ bilità economica assoluta (possibilità illimitata= ZERO) che ha steso un elenco completo di tutte le cose che potrebbe acquistare (potenzialità totale = UNICO). È necessario, ora, che cominci a fare acquisti, altrimenti - di fatto - fra tutte le cose che potrebbe avere non ne avrà nessuna, rendendo così inefficace la propria potenzialità che non si trasformerà in atto. Bene: scattiamo un ' ideale istantanea del momento in cui il prota­ gonista del nostro esempio esce di casa per dar corso al suo progetto, e trasformare così l ' elenco in beni reali .

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È l'inizio. Il processo è già entrato nella sua fase realizzativa, anche se ancora non è stato realizzato nulla di concreto. Quell 'istantanea, quel momento, quell ' inizio è l 'l. È il principio del movimento, che rende inevitabili il movimento stesso e il processo che ne seguirà. E, in effetti, il concetto stesso di "inizio " è inconcepibile senza un seguito, senza il riferimento all ' azione o al processo che, appunto, ven­ gono iniziati. Ecco perché l ' l è un principio dinamico in sé, anche se si tratta di una dinamica che ancora risiede nel!' l stesso e che ancora non si è espressa (sarà il 2 ad esprimere la dinamica "residente" nell ' l !). È difficile immaginare un principio dinamico prima che questo ab­ bia agito generando un movimento, ed è per questo che siamo ricorsi ali 'analogia con un 'istantanea, che bloccando artificialmente il movi­ mento consente di cogliere il movimento stesso anche in assenza del­ l ' azione che viene agita. Certo non incontriamo questo problema nel l 'immaginare il vuoto assoluto - per sua natura atemporale e aspaziale - né la totale poten­ zialità dell' UNICO, che di per sé può restare tale per sempre. Diverso è invece per il principio, che, appunto in quanto principio (inizio), non può essere concepito separatamente dal suo svolgimento, se non attra­ verso un trucco come quello della fotografia. Avete una giornata libera dal lavoro e tutta per voi (possibilità); pen­ sate che vi piacerebbe andare al mare (potenzialità: la possibilità si è ri­ empita di un contenuto); decidete di andarci, e la potenzialità si fa atto. Ma c ' è un istante, un istante impercettibile - più un concetto che un tempo - in cui sapete per certo che andrete davvero. Un istante in cui la gita non è più una possibilità né qualcosa che state considerando, ma di fatto è già una realtà, anche se ancora non è in essere. È l ' inizio. Interfaccia fra immobilità (che non c ' è più) e movimen­ to (che non c ' è ancora). È quel!' l da cui inevitabilmente scaturirà il resto della decade. Il centro della spirale creativa che innesca e produce il movimento pur essendo di per sé immobile.

IX

UNA CONSIDERAZIONE SULLA RETORICA DEL " RITORNO ALL'l "

Capita spesso di leggere o ascoltare - sia nel contesto religioso che in altri, genericamente e non sempre a ragione definiti "esoterici " espressioni che fanno riferimento più o meno esplicito al concetto di "ritorno all 'unità originaria", inteso come un movimento di trascen­ denza o di perfezionamento volto a "ridurre il molteplice ali 'uno", !ad­ dove a tale movimento viene invariabilmente attribuito - quale pre­ supposto accettato a priori di ogni considerazione - un valore etico, evolutivo e di elevazione spirituale. Ora: poiché una vera comprensione passa necessariamente attra­ verso la messa in discussione dei presupposti, chiediamoci anzitutto: perché? Chiediamoci: cosa rende l ' l - e dunque l ' inizio - "migliore", o "preferibile" , o "più etico" di uno qualunque dei principi e degli stati dell 'essere che da esso procedono? Forse che il momento della nascita, in quanto inizio, è la parte più "elevata" e più "spirituale" della vita? O il seme lo stato eletto della pianta? O un qualunque inizio preferibile ali ' azione che se ne sviluppa, o il punto originario, a massa infinita, "trascendente" rispetto ali 'universo nato dalla sua esplosione? E ancora: se il disegno inerente al creato, la sua stessa ragion d' es­ sere, è la manifèstazione, e cioè il processo che rende esplicita la po­ tenzialità assoluta dell ' l fino a portarla alla sua piena espressione nel l O, cosa mai potrebbe - o dovrebbe - spingere un essere umano a ten­ tare di contrastare e addirittura pervertire tale disegno, impegnandosi nell'operare in direzione contraria alla manifestazione stessa? L' l si manifesta nel molteplice, così come il Dio personale delle re­ ligioni crea il mondo, in virtù di un atto e per una dinamica che, in mancanza di termini più appropriati, definiamo "amore". Ma l'uomo che aspira ali' elevazione, alla trascendenza e alla santità dovrebbe per­ seguire la sua realizzazione opponendosi a quest' atto d'amore, muo­ vendosi non dall'l ma verso l'l, e dunque nuotando in senso contrario alla corrente che motiva, sostiene e anima l ' universo. Quell 'universo che è appunto per definizione uni-versus, e cioè direzionato e con un

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verso unico e ben preciso che procede dall ' immanifesto verso la com­ pleta manifestazione. Chiamereste questo nuotare contro corrente "evoluzione"? La spirale creativa evolve irradiandosi dal punto originario: come altro definireste un movimento inverso a questo, se non involutivo?

È innegabile, d'altra parte, che il senso della "riunificazione" eser­

cita una traenza basica su ogni essere vivente. E basta considerare co­ me istintivamente ognuno si avvicina a ciò che ha valenza positiva (per piacere, attrazione, desiderio, volontà di possesso . . . ) e come invece tende ad allontanarsi da tutto ciò che è sentito come negativo (per pau­ ra, sfiducia, ribrezzo, odio . . . ) indipendentemente da ogni valutazione logica, per rendersi conto di quanto il valore della "riunificazione " sia parte stessa del tessuto vivente. Quasi che l ' universo in manifestazione fosse animato da due forze uguali e contrarie : una che lo spinge ad allontanarsi dal l ' l e dall'origi­ ne, per dar corso al progetto della creazione, e un'altra, ugualmente ba­ sica e forte, che muove gli esseri creati alla riunificazione di ciò che è sparso e molteplice. Addirittura noi esseri umani facciamo coincidere quest' energia uni­ ficante con il principio di "amore" , quello stesso amore che, motore della creazione, porta l 'unità a pro iettarsi nell ' infinita dispersione dei molti. C ' è contraddizione in questo? Certamente no, ma sarà solo la comprensione della natura degli ar­ chetipi dal 2 al 4 che potrà rendercene conto. Ciò che premeva evidenziare, con queste prime considerazioni sul tema, è come il far coincidere il concetto di "trascendenza" (o di "spi­ ritualità" , "etica", o "evoluzione") con quello di "ritorno all 'uno" , in­ teso come percorso inverso a quello creativo - che procede dali' l al l O sia da considerarsi quanto meno vuoto di significato reale, se non ad­ dirittura contro-iniziatico. La spirale procede verso la piena espressione del punto perché que­ sta è la sua intima natura e la sua ragion d'essere. E solo la piena espressione dell'l nel l O consentirà di cogliere ciò -

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che nell ' UNICO è pura potenzialità, e che con l ' l inizia a volgersi in at­ to. È solo al termine del percorso che l 'inizio si perde nella fine e la circonferenza appare, finalmente completa e completamente espressa. Solo nel pieno splendore di un fiore o di un frutto si può cogliere, manifesto, il potere del seme. Solo la vita realizza il progetto che si incarna in un embrione. E solo nella pienezza del lO può essere trovato l 'l.

NOTE Nel capitolo precedente abbiamo cercato - per quanto è possibile - di accostarci alla natura dello ZERO in sé, natura che, come si è visto, non è identificabile con i l con­

cetto di "vuoto". Se qui, al contrario, lo ZERO verrà in alcune circostanze definito "un vuoto" è perché non lo si considera più nella sua natura in sé, bensì dal punto di vista del processo di manifestazione. La stessa considerazione vale per il termine "immani­ festa", che si addice allo ZERO solo se questo viene rapportato alla manifestazione che

procede dali' l, mentre evidentemente non ha alcun significato se riferito allo ZERO in sé, che è per sua natura al di là del concetto stesso di manifestazione, e dunque non può nemmeno essere definito "immanifesto".

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DUE

IL 2 NON NASCE PER REPLICAZION E DELL'l

La forma più semplice e spontanea con cui il pensiero corrente si rappresenta la genesi del principio duale è senz' altro quella della du­ plicazione per sdoppiamento dell ' l. L' l dunque, attraverso un processo di raddoppiamento di sé oppu­ re di divisione di sé, darebbe origine ad una coppia, cessando da quel momento di esistere in forma unitaria per assumere una forma di esi­ stenza duale. Supportata dal l ' interpretazione più elementare e immediata della formula matematica " l +l=2", questa visione non si interroga in gene­ re più di tanto sulla natura del processo di duplicazione, semplicemen­ te citandolo come un' evidenza che non necessita di spiegazione. Basta d' altra parte soffermarsi anche solo brevemente sulle possi­ bili 'modalità di tale duplicazione, perché già emergano i limiti di que­ sta rappresentazione, in realtà abbastanza superficiale e frettolosa. Se infatti è una divisione quella che porta dall ' l al 2, allora i due termini che dali' l derivano non saranno uguali a questo ma ne costi­ tuiranno ciascuno una frazione, e dunque la loro somma non darà ori­ gine al 2, bensì non potrà che ricostituire l' l originario. La formula che rappresenta il processo, in questo caso, non sareb­ be " 1 +1=2", bensì "0,5+0,5= 1 " (oppure "0,3+0,7= 1 " o "0,2+0,8= 1 " ecc. , in funzione della precedente divisione dell 'l). Occorre allora cercare, per la formula " l + l =2" una diversa spiega­ zione. Una spiegazione che le consenta di mantenere un senso e che, soprattutto, possa rendere ragione della contemporanea esistenza di una coppia di " l " laddove, n eli' atto in cui è venuto in essere, l' l era uno solo !

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Se non può esserlo la divisione, in quanto le frazioni che ne deriva­ no non possono avere la natura del l ' intero, si può forse allora invoca­ re a fondamento della duplicazione dell ' l un processo di raddoppia­ mento? Un processo, cioè, tale per cui l ' l produce un altro se stesso che necessariamente non può che essere in tutto identico all 'originale - così da dare origine alla coppia che costituisce il 2? Due considerazioni basteranno a evidenziare la scarsa consistenza anche di questa possibilità. La prima tien conto di quanto già discusso nel capitolo precedente in relazione alla natura dell ' l , per evidenziare come non sia concepi­ bile il 2 come un "due volte l ' l ", né il 3 come un "tre volte l ' l " e co­ sì di seguito. Se infatti l ' l stesso coincide con l ' inizio del processo di espressione di quanto nel l ' UNICO è contenuto come potenzialità, affer­ mare che il 2 nasce da un raddoppio dell ' l - così come il 3 da una sua triplicazione ecc. - equivale ad affermare che il movimento è compo­ sto da una serie di inizi, ciò che rappresenta una contraddizione in ter­ mim. La seconda considerazione, invece, prende in esame le qualità di polarità e di contrapposizione che costituiscono la caratteristica prin­ cipale e determinante della coppia originaria e del principio di dualità. È da tale polarità e da tale contrapposizione, infatti, che può svilup­ parsi ogni espressione dinamica della coppia, e dunque ogni successi­ vo sviluppo numerico e cosmogonico. Ecco allora che l ' ipotesi di una coppia originaria come composta da due termini identici, quale si avrebbe appunto per raddoppiamento de l i ' l , porta con sé inevitabilmente l ' impossibilità stessa di ogni con­ trapposizione e di ogni polarità.

IL 2 NON È UN PRODOTTO DELL'l

La visione del 2 come qualcosa che procede dal i ' l attraverso la creazione o di un secondo termine - opposto e polare rispetto ali ' l ori­ gi nario - o di un nuovo e diverso principio duale, composto da due nuovi termini, supera forse alcuni dei limiti della precedente rappre­ sentazione, ma ne incontra altri, non meno definitivi.

2·1

La prima ipotesi, infatti, propone a fondamento della nascita del 2 la produzione, da parte dell ' l , di un principio a questo antitetico e con­ trapposto. L' l cioè, attraverso la creazione di un "- 1 " (meno uno), porrebbe le premesse per l ' esistenza di una coppia dalla cui polarità trarrebbe ori­ gine ogni successiva dinamica. È proprio la natura antitetica di questo secondo termine negativo e per ciò a volte identificato come "oppositore" o "avversario" dell'l - a costituire la base su cui si sviluppa tutta la "retorica del ritorno ali ' l " discussa nel capitolo precedente, che vede il principio duale quasi come una degradazione dell' unità originaria, attribuendo talvol­ ta al 2 stesso addirittura qualità "diaboliche" rispetto ali ' l identificato come "divino". Una visione, quella della "creazione dell' opposto", certamente tan­ to difficile da motivare quanto da sostenere (e infatti il più delle volte la discussione in tal senso impatta con qualche dogma o "mistero" di fede) nel momento in cui ci ponga il problema della provenienza di ta­ le principio. Se infatti la assoluta possibilità dello ZERO - come si è visto - è al­ la base della totale potenzialità dell'UNICO, a sua volta base, origine e ragjone di ogni successivo sviluppo del processo di manifestazione, non si può non chiedersi come possa esistere un principio "- 1 " che non sia stato possibile nello ZERO e potenziale nell ' UNICO ! Ecco allora che ogni discussione su l i ' origine del diverso (compresa la scivolosissima questione dell'esistenza del male) non può essere con­ dotta che attraverso complicati funambolismi filosofici o teologici, i quali peraltro non sono in grado di fornire una soddisfacente e definiti­ va soluzione al problema dell'esistenza di qualcosa che non può esiste­ re, dal momento che non ha possibilità né potenzialità di esistenza. Occorre allora, necessariamente, ammettere che in qualche modo anche il "-1" sia già contenuto all ' interno del l ' UNICO, c quindi del l ' l. Viceversa, come si è visto, non potrebbe esistere. La genesi del 2, allora, non consisterebbe in una "creazione" del principio negativo, bensì in una sua "estrom issione". Come dire che l ' l originario, producendo il "- 1 ", porrebbe in essere la coppia inizia­ le.

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Ma questo non è altro che un nuovo processo di tlil'isione, que ritorna a quanto già discusso in precedenza.

c

dun­

Né incontra miglior sorte l ' altra ipotesi creativa, c cioè quella se­ condo cui l ' l originario genererebbe non già un nuovo term ine a sé contrapposto, bensì due nuovi elementi , fra loro polari e opposti, che costituirebbero la dualità originaria. Non dunque:

o

genera

ma

genera

L' l originario genererebbe cioè due termini relativi, ciascuno che esprime e rappresenta un principio comunque contenuto nell ' l stesso. Questo però non risolve i problemi creati dall' ipotesi precedente: se infatti scegliamo - per amore di ricerca e conoscenza - di rinunciare al gioco di prestigio della "creazione dal nul la" (non potendosi definire lo stesso "nulla" se non come qualcosa comunque possibile, e dunque di necessità contenuto nella possibilità dello ZERO e nella potenzialità dell'UNICO), non possiamo che concepire anche questa seconda even­ tual ità come una divisione dell ' l . Addirittura, se nella creazione del "- l" l 'unità originaria risultava in qualche modo "diminuita" a causa della estromissione di questo, nella creazione dei due termini "+ l" e l l ' l originario cessa di esi­ stere, sdoppiandosi nei due aspetti positivo e negativo. E ciò è chiaramente impossibile, in quanto l ' l , principio e origine della manifestazione, non può per definizione cessare di esistere la­ sciando in essere la manifestazione stessa! "-

"

In un 'ottica relativa e temporale, infatti, noi possiamo concepire la manifestazione come un divenire, in cui ogni passaggio si sviluppa per trasformazione di un termine nel successivo : l ' l si trasforma nel 2, il 2 nel 3 , il 3 nel 4 e così via. È sufficiente però acquisire un 'ottica atem­ porale e assoluta, per rendersi conto che un termine successivo non può esistere al cessare de li' esistenza di quello precedente! Guardate il processo dal/ 'alto, con una visione che, anziché segui­ re le diverse fasi del movimento, lo abbraccia tutto con una sola oc­ chiata. Uscite dalla logica del "prima" e del "dopo", e considerate il processo nella sua interezza: tutto in una volta sola. Solo così sarà possibile accostarsi allo sviluppo della manifestazio­ ne senza il condizionamento e le limitazioni di una visione spazio­ temporale, e rendersi conto che in realtà il "dopo" non è possibile sen­ za che esista (senza che continui ad esistere) un "prima". Una linea nasce dal movimento di un punto, ma perché la linea pos­ sa esistere in quanto tale è necessario che il punto continui ad essere presente in ogni fase del suo stesso movimento, viceversa non esiste­ rebbe che un punto - benché in movimento - e non certo una linea che, per definizione,. è composta da molti punti . O, per meglio dire, dalle molte fasi di movimento di un punto. Un ' affermazione, quest' ultima, assolutamente centrale e determi­ nante per pervenire alla comprensione della natura esoterica del 2 e, forse, dell ' intera manifestazione. Un ' affermazione e un concetto che riprenderemo tra brevissimo, appena dopo essere ritornati, alla luce di tali considerazioni, sul l ' ipo­ tesi della coppia "+l" e "- 1 " come creazione operata dali' l originario. Una visione che abbiamo visto essere impossibile senza invocare il dogma di una improbabile "creazione dal nulla", e che risulta altresì impensabile in termini di sdoppiamento, in quanto questo presuppor­ rebbe la cessazione dell ' intero, trasformatosi in coppia, e dunque la cessazione de li' origine.

IL 2 È UN ASPETTO DELL' l IN MANIFESTAZIONE

11 2 allora non nasce per replicazione dell ' l né è altro rispetto a questo.

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N o n è un' entità differente (creata) dall ' l , né tantomeno un princi­ pio antitetico o contrapposto all 'unità. Il 2 non è "diabolico" rispetto all ' l che è "divino", e non rappre­ senta un principio di divisione né una qualche forma di "degradazio­ ne" dell 'unità originaria. È piuttosto un attributo dell ' l , un aspetto che è già suo proprio, ma che risulta evidente (manifesto) nel momento in cui la qualità dinami­ ca "residente" e implicita nell ' l in quanto inizio, viene esplicitata co­ me movimento. Abbiamo, nel capitolo precedente, definito l ' inizio come "un' inter­ faccia fra immobilità e movimento", e l ' l stesso come un' istantanea dell'attimo in cui la potenzialità si trasforma in atto. Sblocchiamo l ' istantanea, come si farebbe con il fermo-immagine di un filmato, e abbiamo l ' azione, naturale conseguenza dell ' espres­ sione delle potenzialità contenute nell ' UNICO. L'azione stessa, dunque, è possibile (contenuta nello ZERO), poten­ ziale (cioè realizzabile, e dunque contenuta nell ' UNICO) e procede svi­ luppandosi da un inizio (cioè dall ' l ) fino a pervenire alla sua comple­ ta espressione nel l O, dove potenzialità e realizzazione coincidono, mentre il cerchio si chiude. Ma allora l ' intero processo è già scritto nell ' inizio, come la pianta nel seme, e non occorrono nuovi termini (né creati né generati), essen­ do sufficiente, per lo svolgimento del processo stesso, che ciò che è contenuto nell' inizio si manifesti. Per questo affermiamo che il 2 - primo passo di questa espressione - non è un 'altra cosa rispetto all ' l , né rappresenta un suo prodotto, bensì un aspetto della sua manifestazione. Immaginate un gomitolo di spago, e poi lo stesso spago completa­ mente svolto : sono due entità diverse? Certamente no. Piuttosto aspet­ ti diversi, stati diversi della stessa entità: lo stato di "completamente avvolto" e lo stato di "completamente svolto". l : il gomitolo. l 0: lo spago. 2, 3 , 4, 5 , 6, 7, 8, 9 : aspetti (più che "momenti") del processo di svolgimento del gomitolo. E

appurato che il 2 non è da intendersi come un' entità diversa dall ' l ,

ma come un aspetto della sua manifestazione, vediamo ora di meglio definire la natura e le caratteristiche di questo particolare aspetto. Abbiamo affermato che la dinamica "residente" nell ' l si esprime attraverso il 2, e che proprio tale dinamica è la ragione del 2 stesso. Torniamo al gomitolo, e consideriamo come questo, in sé, non sia affatto necessariamente da considerarsi come la fase iniziale di un pro­ cesso destinato a culminare nello spago completamente svolto. Lo stesso gomitolo può essere usato per fermare un foglio di ap­ punti, o lanciato per colpire un qualche bersaglio, o regalato a un gat­ to perché lo insegua: tutte funzioni che non hanno nulla a che vedere con un processo di svolgimento né lo presuppongono. Ora diamolo in mano a un bambino, che probabilmente lo vedrà, lo intenderà e lo userà come una palla. A un certo punto, nel suo gioco, noterà che qualcosa spunta da quel­ la che per lui, fino a un attimo prima, era una massa compatta da far rotolare. Afferrerà questo "qualcosa" e noterà che si allunga sempre di più, mentre a quella strana palla succede qualcos 'altro. È a questo punto - e solo a questo punto - che la palla diventa un gomitolo. È a questo punto che acquista un senso il concetto di "svolgimento" c che lo stesso può essere considerato e poi (quasi certamente) attuato. Non prima. Prima l ' oggetto - per il bimbo- non era un gomitolo ma una palla. Ed è stata la visione di quel primo codino di spago emer­ gente a farglielo vedere da un altro punto di vista, e cioè in relazione a un possibile diverso gioco. Quel codino è il 2, e il movimento che lo rivela è la sua origine. Così l 'espressione della dinamica residente nell ' l genera il 2, il quale non è qualcosa di nuovo o diverso dall ' l , ma piuttosto l' eviden­ ziazione di un suo aspetto prima inespresso. 11 2 nasce dall ' l che si muove. O meglio : il 2 è il movimento del l' l . Abbiamo anche affermato essere l ' l , in quanto inizio, un' interfaccia fra immobilità e movimento: proseguiamo ora, considerando come l ' l im­ mobile coincida con l'UNICO, e l ' l in movimento si identifichi con il 2.

Rimane ora da definire cos ' è ciò che abbiamo definito come "mo­ vimento" o "dinamica".

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È l ' l attivo, l ' l in azione, l ' l che non si limita ad essere ma fa. E questo suo fare pone in essere la dualità originaria. Una dualità che non ha dunque relazione con ciò che l' l è (la sua natura - l ' abbiamo ben visto - non cambia, non si sdoppia né si mol­ tiplica né si limita) ma piuttosto con ciò che l ' l fa. Il punto originario non ha un verso: il concetto stesso di "verso" non ha significato nella sua condizione di non-movimento. Ma nell ' i­ stante stesso in cui inizia a muoversi - di fatto - un verso lo crea. E il verso, per sua natura, non è semplice ma duplice : destra/sinistra, al­ to/basso, centro/periferia, allontanamento/avvicinamento ecc. Di più: è il movimento stesso a rendere possibile il concetto di "im­ mobilità", proprio come è quel codino di spago che, trasformando la palla in un "gomitolo", permette di differenziarne una forma avvolta e una forma svolta, distinzione che prima non aveva alcun senso. Il punto in sé non è né fermo né in movimento, non è statico né di­ namico. Ma nel l ' attimo stesso in cui inizia a muoversi (a esprimere cioè la qualità del movimento che contiene, come ogni altra, allo stato potenziale), ecco che pone in essere, nello stesso istante, non uno ma due possibili stati, interdipendenti e reciprocamente necessari al punto che ciascuno trae senso solo dal contemporaneo esistere del l ' altro. Ancora un esempio. La cifra l in sé, in quanto rappresentazione di una quantità, non ha alcun segno positivo o negativo. Nel momento però in cui decido di "attivarla" portando la all ' interno di una dinamica fra quantità (com­ piendo quella che, non a caso, viene definita "operazione"), allora di­ venta necessario che definisca se si tratta di un numero positivo o ne­ gativo, e cioè che a quella cifra io attribuisca un segno "+" o un segno " " Diventa necessario, in altre parole, che decida cosa farne, di quella quantità, se aggiungerla (+ l ) o sottrarla (-l ). Non ho, con questo, "creato" due nuove e differenti entità, "+ l " e "- l ", fra loro differenti e differenti dall ' l in quanto valore, ma ho sem­ plicemente preso atto che, nel momento in cui quell ' l viene reso ope­ rativo, esistono ipso facto due possibilità. Ecco allora che l' l ha un valore assoluto che coincide con la sua

l()

natura nel momento in cui "non si preoccupa di agire", e un valore re­ nel momento in cui "si mette in gioco". Valore relativo che però l: concepibile solo come termine di una coppia. E allora la qualità di "positivo" o "negativo" non altera la quantità in se stessa, ma piuttosto definisce il modo in cui detta quantità - così attivata - entrerà nella dinamica dell ' operazione. lativo

IL PRINCIPIO DUALE IN MANIFESTAZIONE

Identificando e definendo il 2 come "una qualità di manifestazione del l ' I", abbiamo fin qui considerato il principio duale in rapporto al­ l'unità che lo precede nella serie numerica, e dunque dal punto di vista del la sua genesi. Abbiamo cioè spiegato come "nasce" il 2 a partire dal l ' l . D ' altro canto uno stesso essere umano può essere "spiegato" met­ tendolo in rapporto alle sue origini e alla sua nascita - e lo definiamo in questo caso "figlio" - ma anche considerato nella sua esistenza pro­ pria, e cioè in quanto "persona", o addirittura facendo riferimento ad altri esseri umani eventualmente da questo generati, e allora se ne par­ lerà come di un "genitore". È evidente che non si tratta di tre persone diverse ma di tre punti di vista, ciascuno che considera uno specifico aspetto dell 'esistenza del­ lo stesso essere, messo di volta in volta in relazione con il suo "prima", il suo "durante" e il suo "dopo". Proprio come la tappa di un percorso è contemporaneamente su c­ cessiva a quella che l 'ha preceduta, precedente rispetto a quella che se­ guirà, ma anche un luogo a sé, quando non la si consideri in relazione ad alcun itinerario. Allo stesso modo del 2 - come peraltro faremo per ogni principio numerico - abbiamo anzitutto descritto la genesi, e per far questo non abbiamo potuto che riferirei ali ' l , principio che lo precede nella serie. 112, d' altra parte, non è solo "effetto" o "figlio" del l ' l , ma è anche, co­ me vedremo nel prossimo capitolo, in qualche modo "causa" e "geni­ tore" del 3, ed è anche un principio a sé stante, con caratteristiche pro­ prie ben precise e definite.

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Il 2 dunque è sì una "qualità di manifestazione dell ' l ", ma è anche, all 'atto in cui questa qualità si manifesta, un nuovo principio. Anche perché occorre tener conto che di fatto la manifestazione è avvenuta, e che dunque in nessun caso noi troveremo all ' interno della manifestazione stessa un qualunque principio prima della sua espres­ sione, ma sempre e comunque dopo di questa! Proprio come all ' interno di una qualsiasi operazione non potremo mai incontrare l' l , ma sempre e comunque una sua espressione come numero positivo o negativo. Così le due possibilità di espressione dell ' l diventano, nella realtà espressa, due distinte entità. Due entità con proprie caratteristiche e con esistenza indipendente l ' una dall'altra. Il principio duale - si potrebbe dire - è diventato "i due". A volte all ' interno di un'operazione compare un valore positivo dell ' l , a volte un valore negativo: due variabili della stessa quantità (rispetto alla loro essenza), ma anche due entità diverse e indipenden­ ti nel l ' atto in cui entrano nel gioco della manifestazione. Il punto immobile - in quanto espressione della totipotenza dell ' U­ NICO - ha infinite possibilità di movimento:

alcune delle infinite possibilità di movimento

IL PUNTO

Possibilità, peraltro, che rimangono allo stato potenziale finché il punto non comincia di fatto a muoversi . 4t--------------------�

se

Il movimento del punto pone in essere una direzione. Una direzione che prima non esisteva (è importante sottolinearlo) non come possibilità e poi come potenzialità del punto.

Una direzione che non preesiste ma scaturisce dal movimento del punto stesso, il quale non si muove secondo una direzione, ma sempli­ cemente si muove, e definisce con ciò una direzione. Immaginate di essere immobili al centro di una distesa di sabbia dalla superficie intatta. Fate un passo e osservate le vostre impronte: avete definito una direzione. Non eravate diretti da qualche parte: sem­ plicemente vi siete mossi, e il movimento ha generato una direzione. IL MOVIMENTO DEL PUNTO

·----------·�

LA DIREZIONE

Chi osservasse le vostre impronte, d'altra parte, pur avendo chiara direzione del movimento, non saprebbe dire quale sia stato il punto di partenza e quale quello d' arrivo. Non saprebbe dire, cioè, se vi sie­ te mossi avanzando oppure indietreggiando rispetto alla posizione ori­ ginaria, né dunque quale sia stato il verso del vostro movimento. E questo perché quel vostro primo passo, nel definire una direzio­ ne, ha contemporaneamente posto in essere due possibilità di movi­ mento. la

Due possibilità ugualmente reali, indipendenti e con caratteristiche ben precise e differenti, benché, in essenza, fatte dello stesso movi­ mento dello stesso punto. Un punto che, a sua volta, è adesso diventato due punti, pur senza dividersi né moltiplicarsi né alterarsi in alcun modo. Adesso esistono un punto di partenza e uno di arrivo. Entrambi nuovi ed entrambi generati dal movimento. Quello originario, infatti, non era un punto di partenza . Non lo era finché non è partito per diventare un punto d'arrivo. In origine era un­ punto-e-basta, ma il movimento l ' ha reso partenza e arrivo. Due punti che sono lo stesso punto originario pur essendo diversi da questo e diversi fra loro.

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TRE

l L 3 NON È IL 2 + L'l

Dobbiamo ancora una volta, prima di accostarci allo studio di un principio numerico, sgombrare il campo dai luoghi comuni e dalle fra­ si fatte che, nella loro apparente logicità, vengono spesso scambiati per spiegazioni, e perciò continuamente riproposti fino a cristallizzarsi in dogmi, sbarrando così l ' accesso a ogni riflessione ex ante. Uno di questi - forse il più brillante e perciò maggiormente insi­ dioso - è quello che propone il 3 come somma del 2 con l ' l . "L' l genera il 2". recita questa tesi "Il 2 con l ' l da cui questo pro­ viene . . . fanno 3 ! " Disinvolto e dalla logica apparentemente inoppugnabile, questo simpatico calembour è utilizzato anche per spiegare la genesi del 4 ( Il 4 è il temario più l ' unità ! ", o anche, con un più esoterico ricorso al mi­ stero trinitario: "11 3 è l ' l e l ' l è il 3 : dunque 3 più l . . . 4 ! "), ma può allo stesso modo essere impiegato per ogni altro principio numerico, dato che, in ogni caso, ciascuno è riconducibile al principio preceden­ te . . . più l ! ''

Il 3 come somma dell ' l generatore e del 2 generato: dunque tre en­ tità. Ma lo sono davvero, tre entità? Abbiamo visto nascere il 2 come espressione di una qualità del l ' l ; come frutto della sua energia che da potenziale è diventata cinetica; come conseguenza del movimento del punto che, muovendosi, pone se stesso come "punto di partenza" e "punto di arrivo", portando così contemporaneamente in essere due diversi stati . E abbiamo anche visto come, proprio a seguito del l ' espressione duale dell' l , le due possibilità, entrambe presenti nella manifestazio­ ne, costituiscano di fatto due entità distinte.

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Chiediamoci ora: ha un senso sommare queste due entità con un principio che comunque già contengono, essendone l ' espressione? Se è vero che "+ l " e "- 1 " sono due diverse espressioni - una al po­ sitivo e una al negativo - della stessa quantità " l ", ha senso affermare che "+ l " e "- l ", insieme ali ' l , fanno 3? Sarebbe come dire che poiché Franco può stare sia seduto che in piedi, allora "Franco seduto", "Franco in piedi" e Franco . . . fanno 3 ! Affermazione che non è plausibile né logica, in quanto l 'entità-Franco è già presente in tutt ' e due le condizioni, e dunque non può essere a queste aggiunta come se fosse un'entità differente. Il fatto che noi utilizziamo segni grafici differenti per il principio l e per il principio 2 può sostenere forse in certa misura l ' equivoco, ma solo in una riflessione superficiale, dato che è sufficiente rifarsi alla genesi del 2 per rendersi conto che questo non è né può essere come abbiamo ampiamente discusso nel capitolo precedente - un ' en­ tità altra rispetto all ' l , e che dunque non può a questo essere ag­ giunta. Non possiamo d'altro canto negare la validità del l ' espressione ma­ tematica "2 + l 3", per chiarire la quale occorrerà dunque cercare un nuovo significato. Ciò che ci porterà, dopo che abbiamo spiegato l ' o­ rigine dei due termini che costituiscono il 2, a indagare ora la natura del rapporto che fra questi esiste. =

LA DIFFERENZA CHE UNISC E : OPPOSIZIONE, POLARITÀ, COMPLEMENTARITÀ

Come in un semplice gioco di enigmistica, provate ad appaiare i termini sotto riportati formando delle coppie secondo un criterio che non sia casuale ma logico:

giorno - maschio - basso - nero - femmina - destra - alto - bianco - notte - sinistra - movimento - grande - immobilità - piccolo Ora: fra le diverse possibilità di accoppiamento, una delle più sem­ plici e immediate è indubbiamente la seguente:

notte - giorno maschio -femmina basso - alto bianco - nero sinistra - destra grande - piccolo movimento - immobilità Ebbene: se avremmo potuto senza fatica ipotizzare una coppia "notte - nero", per l 'esperienza sensoriale che si accompagna alla percezione del buio, oppure "notte - immobilità", tenendo conto dell 'immobilità ca­ ratteristica del sonno notturno, quale logica, collegamento o affinità pos­ siamo invocare per giustificare l 'appaiamento della notte con il giorno? Cos 'hanno in comune fra loro eventi in sé radicalmente differenti come la notte e il giorno, o concetti come la destra e la sinistra, l 'alto e il basso, il movimento e l ' immobilità? Che cosa, in altre parole, ci consente di percepire il giorno e la not­ te così dissimili tra loro e ciò nonostante legati da una correlazione tan­ to forte ed evidente da porsi al di sopra di ogni discussione? Non certo un 'affinità o una somiglianza (cos' ha la luce di simile al buio, o il bianco di affine al nero?), ma piuttosto qualcosa che ce li fa intendere come intimamente collegati proprio in virtù di questa diffe­ renza essenziale. Una differenza che è talmente grande da essere la massima differenza possibile: non usiamo forse dire, di due persone che non hanno nulla (ma proprio nulla! ) in comune, che sono diverse "come il giorno e la notte"? Una diversità che è tanto radicale da costituire un collegamento esclusivo e inscindibile. Perché i due termini, diciamo, sono una coppia. E di questa differenza che li collega diciamo che è una opposizio­ ne, una polarità e una complementarità. Opposizione, a intendere il massimo della diversità possibile: nien­ te è più diverso da qualcosa di ciò che è il suo opposto. Polarità, a significare che i due termini stanno ai due estremi di un medesimo "qualcosa". Un "qualcosa" che, mentre li separa, allo stes­ so tempo li collega. Complementarità, a indicare che ciascuno dei due è tutto ciò che

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l 'altro non è, che ciascuno possiede tutto ciò che all 'altro manca in ri­ ferimento a un intero di cui i due termini sono le parti. Un intero però - si badi bene ! - che può essere intuito "a monte" o "a valle" delle parti (come loro origine o come effetto di una loro ipo­ tetica riunione), ma assolutamente impossibile da descrivere o da rap­ presentare in sé. Se infatti possiamo concepire la luce e il buio come opposti, polari e complementari, non è altrettanto facile creare una rappresentazione mentale di quell ' intero di cui luce e buio intuiamo essere le parti. Eppure non abbiamo dubbi : luce e buio, pur nella loro diversità estrema - anzi : proprio in virtù di questa ! - rimandano a una medesi­ ma entità che entrambe le comprende, e che insieme ne giustifica le ra­ dicali differenze e l ' inscindibile, esclusivo legame. Ecco allora che due termini, nel qualificarsi come opposti, si pon­ gono idealmente ai due estremi di un medesimo asse, di cui costitui­ scono i poli: un asse che trova fondamento e giustificazione in un me­ desimo intero intuìto dietro ai termini stessi. Un intero che di fatto non è presente come tale ma viene inevita­ bilmente evocato nella percezione di ogni coppia di complementari. Quasi un "profumo" di unità che emana dalla dualità espressa. E questo profumo è l ' idea dell ' l , la sua presenza nella manifesta­ zione del 2.

IL 3 È LA QUALITÀ UNITARIA DEL 2

Riprendiamo, per ampliarlo e portarlo a compimento, il concetto qui sopra appena introdotto. Due elementi che definiamo "opposti" sono caratterizzati da una di­ versità tale per cui l ' uno si qualifica come il contrario dell ' altro. Una diversità radicale e totale che però, mentre li distingue al di là di ogni dubbio, contemporaneamente associa i due termini con un le­ game tanto forte che l ' idea del l ' uno non può non richiamare alla men­ te l ' idea dell ' altro, e tanto esclusivo che ciascuno dei due termini non ammette quale suo opposto che l ' altro .

.\ X

Ma anche una diversità che, nel distinguere definitivamente, pone i due componenti della coppia di opposti come i due poli estremi di uno stesso asse o le due facce di una stessa medaglia, evocando con ciò l ' i­ dca di una comune appartenenza: un intero del quale i due termini rap­ presentano espressioni parziali. È il concetto di "complementarità", che trova applicazione ed è giu­ stificato solo rispetto a coppie in cui ciascun termine possiede esatta­ mente tutto ciò che ali ' altro manca. Anche la complementarità, come l 'opposizione, è possibile solo fra due termini. Non è concepibile che un termine abbia due o più opposti diversi fra loro, né due o più complementari 1 • Una complementarità, dunque, che facendo riferimento a un mede­ simo intero di cui i termini opposti sono le parti, idealmente li attrae uno verso l ' altro quasi a ricomporre - concettualmente se non concre­ tamente - la stessa comune origine. È ciò che motiva l 'attrazione fra gli opposti, fenomeno inspiegabile c ingiustificabile se non facendo ricorso a una sorta di "riconoscimen­ to" che porta gli opposti a cercarsi e a cercare, attraverso l'unificazio­ ne, la ricostituzione di un 'unità chiaramente percepita dietro ali ' oppo­ sizione e, in qualche modo, percepita proprio attraverso l ' opposizione. È l 'opposizione, infatti, a suggerire e a richiamare la complementa­ rità dei termini opposti. Osservate le seguenti figure:

Che cosa ci consente di riconoscerle come complementari rispet­ to a un intero - se non l ' intero stesso (un disco), evocato dalla con­ temporanea presenza delle due figure? Evocato eppure non presente. Richiamato alla mente come una co­ mune origine oppure come la conseguenza di un processo che, quando avvenisse, non costituirebbe qualcosa di nuovo o inaspettato, ma la realizzazione di qualcosa che già è implicito nelle forme stesse. -

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Perché quel disco - anche se non c'è ancora o non c ' è più - di fat­ to è presente! Non nell 'una o nell' altra, ma nella qualità del rapporto che le col­ lega. Lo possiamo intuire o evocare, infatti, solo attraverso la contem­ poranea percezione delle due forme. E ciò che definisce la complementarità delle due figure è proprio la loro opposizione, una presentando sporgenze esattamente dove l 'altra mostra rientranze, e viceversa; una presentando un pieno laddove l ' al­ tra evidenzia un vuoto. Un' opposizione che collega fra loro le due figure in un modo così necessario e inscindibile che anche in presenza di una soltanto po­ tremmo senza alcuna difficoltà immaginare l 'altra, quasi richiamata o evocata da questa. E d'altra parte, se chiedete a una persona di dire la prima parola che si presenta alla sua mente, per libera associazione, dopo che ne avrete voi pronunciata una, e dite: "destra", in una significativa quantità di ca­ si vi sentirete rispondere: "sinistra". Così se dite "bianco", vi verrà re­ stituito "nero", o "femmina" se avete detto "maschio", "basso" per "al­ to", "giorno" per "notte" e così via, secondo una logica per cui un ter­ mine richiama (evoca) il suo contrario. Vi è qualcosa dunque, all ' interno della dualità costituita da una cop­ pia di opposti, che, pur riconoscendone la diversità essenziale, ciò nonostante rimanda all ' unità. Qualcosa che, nel 2, parla dell ' l. Qualcosa che parla dell ' l attraverso il 2. Qualcosa che ci porta a pensare ali ' l , a vederne lo spirito, a sentir­ ne l ' eco, a percepirne il "profumo" mentre siamo in presenza del 2 . E questo "qualcosa" è il 3. Il 3 dunque è presenza del/ ' l nel 2 . È ciò che suggerisce una forma di identità fra "+ l " e "- 1 ", ciò che li rende collegati pur nella diversità radicale ed estrema. È la base del legame fra gli opposti : è amore, desiderio, attrazione. Un sentimento e un'energia che possono però manifestarsi e scatu­ rire solo quando i due termini complementari sono contemporanea­ mente presenti o evocati, essendo questo ricordo del/ ' l , questo rico-

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noscimento del/ 'unità una proprietà della coppia, e non di ciascuno dei singoli componenti. È infatti solo dalla contemporanea visione/percezione (reale o idea­ le) dei due termini che in noi può nascere l ' idea di quell ' intero che ­ origine dei due - viene in essi e attraverso essi colto intuitivamente. Il 3 , allora, è questa proprietà unitaria del 2. È questa energia che - invisibile e impercettibile in sé - scaturisce dal 2 e lo rende "coppia", paio complementare. È ciò che rende l ' opposizione un legame, collegando gli opposti fra loro indissolubilmente attraverso la percezione di quell 'asse che è con­ temporaneamente differenza e ponte attraverso la differenza. Una ratio nella differenza estrema a suggerire l ' idea dell'unità. Ciò che dell ' l è rimasto nel 2. Non l ' l nel 2 ma la sua presenza, ii suo profumo, il suo spirito. Come il profumo di un fiore è effetto del fiore stesso, e può evocarne l ' idea e la presenza aleggiando nell'aria anche in assenza di quel fiore che è sua causa, così il 3 è effetto di quell 'unità che è all 'origine del 2, e può dunque evocarne l ' idea e la presenza anche dopo che l ' l si è manifestato nel 2 . DAL 3 A L 4

Interrompiamo qui la trattazione del principio ternario, consapevo­ li di non averne ancora sufficientemente chiarito la natura e i signifi­ cati all ' interno del ciclo di manifestazione ma altrettanto consapevoli dell' impossibilità di proseguire nella discussione senza far riferimento al principio successivo. Non parleremo dunque, nel prossimo capitolo, soltanto del quater­ nario ma anche e soprattutto del passaggio dal 3 al 4, poiché è solo dal­ la comprensione del rapporto che intercorre fra questi due principi che può nascere una più definita intuizione delle qualità di ciascuno. Dunque prima di procedere, per prepararci ad affrontare questo es­ senziale passaggio - che senza alcuna esitazione vogliamo definire co­ me il cuore del cuore della conoscenza esoterica e nello stesso tem­ po per consolidare la base da cui spiccare il salto, ripercorriamo in una sintesi estrema le tappe del percorso. -

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La possibilità infinita, illimitata e indefinita dello ZERO si riempie di un contenuto: nasce così l ' UNICO, che

è

possibilità ancora illimitata

ma definita, dunque potenzialità. La potenzialità si fa atto : il punto a massa infinita diviene punto d ' i­ nizio.

È

l ' l , l ' istante della partenza, origine della spirale.

Nel momento stesso in cui l ' l inizia a manifestare le potenzialità contenute nell ' UNICO, d' altra parte, ogni sua espressione pone in esse­ re due possibilità, che divengono due possibili stati di manifestazione dell ' l : così nasce il 2 .

È

inevitabile però che queste due possibilità i n manifestazione, ben­

ché distinte, mantengano qualcosa dell' indiviso di cui rappresentano espressioni parziali: questo

qualcosa,

che si svela e si rende percepibi­

le nel momento in cui le due possibilità vengono considerate insieme e

è il principio temario. Un principio che - si badi bene - non riunisce la coppia ! Non è vero che "il 3 riporta il 2 al/ ' l "!

che

è una proprietà

della coppia di opposti,

Se così fosse non si avrebbe alcuna manifestazione successiva, né dunque mai si compirebbe la pienezza del l O ! Funzione e proprietà del 3 - l'abbiamo visto - è quella di rendere espli­

è presente nel 2, e non di annullare l'espressione dell' l !

cito quanto dell' l

È

vero invece che questa intuizione/percezione dell ' unità all ' inter­

no del duale genera una traenza, una spinta, un

desiderio di unità che è anche ricono­

consegue al riconoscimento della comune origine, che

scimento di identità nella sostanza e nell ' essenza, ancorché diversità nell ' espressione. Il 3 dunque

è

energia unificante, ed

è

proprio questa energia la

chiave che, dal 3, porrà in essere il quatemario, e con questo la base portante dell ' intera manifestazione.

NOTE C ertamente è pos sibile che più termini siano complementari rispetto a uno stes so intero, come quando lo stes so intero venga suddiviso in tre o più parti. C iò che qui si intende è che s e A è il complementare di B rispetto a un intero, non può esistere un ter­ m i n e C che sia diverso da B e contemporaneamente complementare ad A rispetto a quello stesso intero.

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QUATTRO DAL 3 AL 4

Il cuore del cuore della conoscenza esoterica. Il segreto dei segreti. mistero dell'universo e la chiave per comprendere la natura della realtà. La ragione del velo di Maya e la sostanza dell ' illusione. La pa­ rola perduta e il Nome di Dio. L'origine delle religioni, il significato della trascendenza, il potere del simbolo e del rito . . . Tutto è contenuto in questo passaggio, la cui piena comprensione rappresenta forse la vetta più elevata cui il pensiero può giungere pri­ ma che la mente si sciolga come nebbia al sole nell'incontrare l ' in­ concepibile. Una conoscenza il più delle volte presentata in forma oscura, enig­ matica, oppure celata entro il guscio impenetrabile dei dogmi e delle verità ri-velate. Una conoscenza, peraltro, che non può essere realmente assimilata senza l ' ausilio di quelle pratiche che rappresentano il vero patrimonio di ogni Via di realizzazione, in quanto consentono una trasformazione armonica e progressiva dell' intera struttura umana, rendendola capace di accogliere entro di sé un concetto, che è verità astratta, in qualche modo incarnandolo e rendendolo così reale, e cioè realizzando/o. Il

Siamo dunque arrivati, nel percorso lungo il sentiero della manife­ stazione, a definire il 3 come uno spirito di unità all ' interno dell ' op­ posizione, un'energia unificante che sprigiona proprio là dove la di­ versità è più esplicita ed evidente. Un' energia che però, abbiamo detto, non produce ritorno all ' l ben­ sì desiderio di unità, suggerendo l ' idea e la presenza dell ' l all ' interno del 2 . D i regola l a natura e g l i effetti d i quest' energia unificante vengono liquidati attraverso la retorica del "ritorno all ' l ", sostenendo che i/ po­ tere unificante del 3 riconduce ali ' l la dualità.

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Abbiamo affermato in chiusura del capitolo precedente che ciò è semplicemente falso, e ora cercheremo - sarà la base di partenza che ci consentirà poi di spiccare il salto dal 3 al 4 - di rendere ragione di quest'affermazione.

IL 3 NON RIPORTA IL 2 ALL' l

L' l è l 'indiviso, l ' inizio del movimento, l ' istante che traduce la po­ tenzialità in atto, il punto immobile, ma vibrante di energia, che sta per esplodere nella spirale creativa. Poi la fase attiva della manifestazione ha inizio, e l' l si esprime in forma duale nel modo che già abbiamo esaminato. Chiediamoci ora: è possibile invertire questo movimento? È possibile tornare a ciò che c 'era prima di ciò che è stato? È possibile tornare a una fase precedente a quella da cui si parte per invertire un movimento? Uscite di casa e poi tornateci: siete esattamente nella stessa condi­ zione in cui eravate prima di uscire? Il fatto di tornare a casa ha annul­ lato totalmente ciò che è accaduto nel periodo fra l 'uscita e il ritorno? Il fatto stesso che ora il vostro essere in casa sia l ' effetto, il risulta­ to di un' azione (il ritorno, appunto) che a sua volta è conseguente al­ l ' azione dell ' essere usciti, rende la condizione attuale diversa - nel­ l' essenza - da quella originaria. Non si può tornare all 'inizio ! Si può tornare in una condizione si­ mile a quella iniziale, ma non nella condizione del/ 'inizio. L' inizio viene prima del movimento, mentre il ritorno è conse­ guenza del movimento, e dunque lo contiene in sé. La stessa ragione del ritorno sta nel movimento che l ' ha preceduto, senza il quale, pe­ raltro, non si chiamerebbe né sarebbe "ritorno". Aprite gli occhi e poi richiudeteli : siete esattamente uguali a prima? Un cieco nato riesce ad ottenere la vista e poi la perde di nuovo: è uguale a prima? L' l viene prima della manifestazione, dunque è immanifesto. Il 2 è il primo atto della manifestazione, dunque col passaggio dall ' l al 2 la manifestazione è effettiva.

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Nel 2 l ' immanifesto si manifesta, dunque non è più immanifesto. Proprio come nell'atto l 'energia potenziale diviene cinetica, ces­ sando di essere potenziale. E la manifestazione può tornare allo stato immanifesto? È possibi­ le, attraverso un ipotetico "ritorno", annullare la manifestazione che ­ di fatto - è avvenuta? L' immobilità che segue al movimento non è uguale a quella che lo precede: potrà essere simile nella forma, ma la sostanza, l 'essenza, è radicalmente differente. Ancor più fortemente risalta questo concetto se, uscendo dal cam­ po degli esempi, torniamo a considerare il processo della manifesta­ zione, perché allora dobbiamo tener conto che lo stato che precede il movimento non è l 'immobilità, né è il buio la condizione che precede la luce, o il silenzio la condizione che precede il suono ! La distinzione fra immobilità e movimento, fra buio e luce, fra silen­ zio e suono, è appunto l 'effetto della manifestazione duale dell ' l , la cui qualità è pertanto differente da entrambe le condizioni che ne derivano. L' immobilità - abbiamo detto - non è la condizione che precede la manifestazione del movimento, poiché senza il concetto di movimen­ to anche quello di immobilità non ha alcun senso. Dunque è il movi­ mento (il primo movimento del punto) che pone in essere contempo­ raneamente entrambe le condizioni : quella di "in movimento" e quella di "immobile" in quanto "non in movimento". Dunque l ' immobilità è già nel regno del 2, proprio come il movi­ mento, che costituisce il suo polare opposto. Ma proprio il fatto che la condizione che precede ogni dualità sia per noi inconcepibile (qual è l ' intero di cui buio e luce rappresentano le parti? o la condizione in cui suono e silenzio sono indivisi?) non è altro che la rappresentazione, su scala microcosmica, del fatto che non è possibile vedere l 'l guardandolo attraverso il 2 ! Proprio come non è possibile tornare all ' l partendo dal 2 . Se "riuniamo" il bianco e il nero otteniamo u n grigio, che non è la condizione precedente alla loro differenziazione. Così se "riuniamo" il buio con la luce otteniamo un crepuscolo, che non è la loro comune ongme.

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Fondendo insieme il maschio e la femmina otteniamo l ' androgino, ma l 'androgino non è l 'indiviso, proprio perché in esso appaiono in­ sieme caratteri maschili e femminili, che sono una conseguenza della differenziazione. L'androgino stesso, allora, è ciò che viene prima guardato da dopo: è ciò che di più simile all ' indiviso si può concepire dopo che la sepa­ razione è avvenuta. Non è la stessa cosa - anche se in qualche modo ne contiene l ' in­ tuizione - proprio perché dal 2, che è l ' effetto, non è possibile risalire all ' l , che ne è la causa. Nella comune esperienza quotidiana spesso pretendiamo di "risali­ re" a una causa esaminandone gli effetti, ma proprio le difficoltà che incontriamo in questo processo sono la dimostrazione che ci è dato di conoscere di una causa solo quanto di essa è presente negli effetti ! E proprio come non si può pretendere di conoscere la realtà com­ plessiva di una rosa esaminandone i petali, o la complessità di un es­ sere umano analizzandone gli organi, così non è possibile risalire alla natura di una causa indivisa a partire da sue espressioni parziali. Eppure la traenza è forte, istintiva, immediata. Per virtù dell' ener­ gia unificante del 3, sappiamo con chiarezza che bianco e nero, luce e buio, maschio e femmina sono intimamente collegati pur nella loro dif· ferenza estrema. Intuiamo, al di là di ogni ragionamento, che ciascuna coppia di opposti rappresenta l 'espressione di un medesimo "qualco­ sa", un qualcosa che accomuna i due termini attraendoli uno verso l ' al­ tro nel riconoscimento della medesima sostanza che, pur nella diffe­ renza di espressione, ne costituisce l 'essenza. Un'energia che non a caso abbiamo assimilato al desiderio, e che può essere fisicamente avvertita avvicinando fra loro i due poli di un magnete. Un' energia che costituisce il motore della manifestazione, tanto nel micro quanto nel macrocosmo. Perché è vero che l 'energia unificante del 3 riporta il 2 all ' l . Ma non a quell 'l . . .

GENESI DEL QUARTO PUNTO

Se consideriamo il 2 nella forma di una qualsiasi polarità (ma­ schio/femmina, luce/buio, movimento/immobilità, alto/basso ecc.): r--------------------------- -----------------�

:

l

polo +

O

O

polo -

l

2

L - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - �

potremo rappresentare l 'energia del 3 come una reciproca attrazione che spinge i due poli ad unificarsi per ripristinare l 'unità originaria

polo +

O ----1�•

8

..,.OIIIIIt---- 0

pol o -

Un risultato che però - abbiamo visto - non può essere conseguito, dato che non è possibile un "ritorno" che ripristini l'unità originaria. Ed ecco allora che l ' energia del 3 produce una unificazione del 2, ma ottenendone un'unità che non è quella originaria. È vero che il 3 riporta il 2 all ' l - come abbiamo affermato poco più sopra - ma non a quel! ' l . Non a quell ' l che viene prima del 2, bensì a un l che dal 2 proce­ de. Non a quell ' l che del 2 è causa, bensì a un l che è effetto dell ' a­ zione del 3 sul 2. Un l che si può definire "di ordine inferiore" a quel lo, poiché appartiene all ' ambito della manifestazione. Un l che nasce dal 2 , e non quell ' l da cui il 2 è nato. Un l che non è più l ' inizio, ma è già parte del processo. L' l "visto" attraverso il 2. L' l così come può essere "ripristinato" dopo che si è manifestato nel 2. Di fatto, l 'unico l possibile dopo la manifestazione del 2 . Dunque non più l ' immanifesto, m a un nuovo termine che appartie­ ne totalmente all 'ambito della manifestazione: ancora un 'unità, ma

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un 'unità che sta su un piano inferiore all ' l e anche al 2 , poiché da que­ sto procede per effetto del 3 . E allora l o schema precedentemente usato per rappresentare tale ef­ fetto unificante del 3

polo +

r

· · · ······· · · · · · · · · · · · · · · · · ···· ···· ····· ············ · ·

. o ---'-----.

8

11111

r

········ ·····

.. ·· ·

· ·· ·

O

· · · · · · · · · · · · ····· · ·· ······· ·········-

3

polo -

:.. ................ .. . . . .......................................................... .. . ............. .. 1.. ...... . . . . . . . . . ... . .. . .... . . ... . .. . ..... .... . . . . . . .

2

andrà rivisto rispetto al termine centrale, distinguendo fra l 'unità che è origine del 2 (e che disporremo su un piano superiore, per significare che è precedente a questo), e quell 'altro termine che dal 2 procede, e che proprio per questo andrà disposto invece su un piano inferiore: :

:

l ' · · · · · · · · · · ·· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ··········· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · �

polo +

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.

.

.

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polo -

l

. . . . . .... . . . . . . .. . . . . . . .. . . . . . . .. . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

1 . . . . . . . . . . . . . .... . . . . . . . . . . . . . . . .

3

2

cioè

o

UNITÀ ORIGINARIA ( l )

0� -r:: " '' :�:��:� :: o

4X

QUARTO TERM INE

NARJA (3)

(EFFETTO DEL 3

SU L

2)

Un uomo e una donna: una coppia di principi polari e opposti. E il desiderio che li attrae, istintivamente e irresistibilmente, uno verso l ' altro. Un desiderio che - anche fisicamente - li porta verso un tentativo di fusione: nella vicinanza, nella frequentazione assidua, nel contatto, nell ' abbraccio, nel bacio, e infine nella penetrazione, ricerca estrema di unificazione nei corpi. Ma è una fusione impossibile, poiché non è ricomponendo il 2 che si ottiene l' l . C ' è però, in quest' atto simbolico ed estremo, un istante - un istan­ te soltanto - in cui sembra che l ' impossibile sia accaduto: un attimo in cui ogni senso di separazione sembra annullato, e la stessa esistenza in­ dividuale sembra sciogliersi in un esistere che non è "io" e "tu" e nem­ meno "noi", ma semplice esistere. Un profumo di ciò che viene prima del 2. Ma è proprio in quel l ' istante - in cui sembra che la fusione sia pos­ sibile, sia reale e sia accaduta - che in realtà avviene qualcos 'altro: il 2 si ricompone, sì, ma non nell ' l , bensì in un altro termine. Un termine che prima non c ' era, e che viene posto in essere come effetto della traenza del 2 verso l ' l : l 'amore ha portato la coppia a ge­ nerare un nuovo essere, che è frutto della fusione. E i due sono diventati uno, ma non quell ' l che li ha preceduti e in nome e per effetto del quale si sono cercati e attratti, bensì un l che a loro succede: un l che è loro figlio. Così la coppia, per effetto del l 'amore - che è desiderio di unità ­ diviene generativa, e la vita prosegue procedendo da essa. Ed è così che il 2, per effetto dell' energia unificante del 3, genera un quarto termine, in un evento che, se da un lato rappresenta in qual­ che modo "un'unità mancata", dall' altro consente al processo di mani­ festazione di proseguire verso la completa espressione delle potenzia­ lità contenute nell'UNICO.

IL QUARTO TERMINE

Dopo averne esaminata la genesi, proviamo ora a definire la natura di questo quarto termine: un termine che, abbiamo visto, può essere in-

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teso come la rappresentazione dell 'l su un piano inferiore al 2. Un termine, dunque, che proprio in virtù del processo che l ' ha po­ sto in essere, ha e contemporaneamente non ha la stessa natura dell ' l . Ha la stessa natura, in quanto, di fatto, è l ' l così come si manifesta nel 2 (e ciò che il 3 evidenzia è infatti proprio questa presenza), ma contemporaneamente non ha la stessa natura, in quanto non è l' l , ma, appunto, l ' l così come si manifesta nel 2. L' l raccontato dal 2 L' l guardato, colto, percepito, immaginato attraverso il 2, perché ogni volta in cui parliamo dell ' l , ogni volta in cui lo pensiamo o lo in­ tuiamo, non facciamo altro che parlarne, pensarlo o intuirlo come "ciò che viene prima del 2", o come "l'entità in cui la dualità è annullata". E d'altro canto, come immaginare ciò che viene prima della luce e del buio prescindendo, nel tentare di farlo, dalla nostra esperienza del­ la luce e del buio? Come cercare di conoscere l ' indiviso che non è movimento né im­ mobilità, se nella stessa formulazione siamo costretti a definirlo attra­ verso le sue espressioni - appunto movimento e immobilità? Non è possibile definire ciò che non è manifesto se non ricorrendo alla sua manifestazione. E dunque ciò che così verrà definito non po­ trà necessariamente che essere, a sua volta, prodotto e parte della ma­ nifestazione. Appunto il quarto termine. Un'entità che - lo ripetiamo - è l ' l pur senza esserlo, rappresen­ tandone la presenza su un piano che è inferiore al 2. La presenza del non-manifesto nella manifestazione. Una proiezione. Un eidolon 1 : la rappresentazione visibile di qual­ cosa che, per sua natura, non può essere vi sto. Ci viene in aiuto, ancora una volta, la ra ppresen tazione grafica, che illustrando attraverso linee e fo rm e la genesi del qua rto t e rm ine, allo stesso tempo ne chiarisce ulteriorm e n t e la n a t ura . Partiamo dal punto

(l' l ) :

o

)()

Nell' esprimere le sue potenzialità, il punto si manifesta in una for­ ma duale: ��------ ()------·�

Per sottolineame la derivazione dal i ' l , rappresentiamo la dualità, che così viene posta in essere, su un piano inferiore ali ' l stesso:

()

1\

()

()

Per effetto del 3 (che evidenzia nel 2 la comune origine e la comu­ ne sostanza), la dualità diviene coppia, e fra i due termini si esercita una traenza reciproca che è riconoscimento del/ ' l e tensione al/ 'unità:

()

1\

() �

� ()

Come conseguenza d i ciò, viene posto in essere un quarto termine:

()

1\

\l ()

51

Un termine che, abbiamo detto, può essere considerato come l 'l su un piano inferiore a quello del 2.

o

-����

0

--------------

- - - - - ----------

----------------

o

0

-----------------

Un termine che, proprio in virtù della sua genesi, è collegato all ' l da una relazione assolutamente particolare, in quanto ne rappresenta attraverso il 2 e il 3 - la proiezione su un piano manifesto:

A\ v o

Ma è proprio nella qualità di questo rapporto che nell ' immediato proveremo solo a definire, ma sul quale torneremo ancora e da pro­ spettive differenti - che può essere tro v at a la c h iave d i quel mysterium magnum che è la natura del reale: la n a t ura d e l mondo così come lo possiamo intendere e percepire, e, a l l o s t esso modo, l a nostra stessa realtà e natura.

REALTÀ ED ESSENZA DEL QUARTO TERMINE

Immaginiamo un credente di fronte a una statua o a una qualunque altra rappresentazione del suo dio. E chiediamoci : per lui quella statua è il dio? Certamente no: è solo legno intagliato o pietra scolpita ! E allora, se non lo è, possiamo senz 'altro immaginare che quello stesso credente si sentirà libero, in tutta serenità d ' animo, di fare il ti­ ro a segno con arco e frecce usando la statua come bersaglio, se di le­ gno, o di decapitarla e usame la testa come fermaporte. Certamente no: sarebbe blasfemo o, quanto meno, irriverente ! E allora, di nuovo: quella statua è il dio? Si faccia attenzione, però, a non rispondere a questa domanda con una definizione: parlare di "simbolo" o "analogia" non spiega il fatto, ma lo definisce soltanto. Se nel parlare comune le definizioni rappresentano una necessità e un comodo risparmio di tempo, in un percorso di conoscenza sono for­ se il peggior veleno, in quanto sigillano, con una parola, un concetto o un dato di realtà senza realmente spiegarlo. Dire che un caribù è "un ruminante artiodattilo" non ne esaurisce certo la realtà, né questa affermazione consentirebbe, a chi non ne avesse mai visto uno, di poter pensare di conoscerlo. Allo stesso modo, spiegare la statua del dio come "un simbolo", o parlare di "rimando analogico" non dice assolutamente nulla della rea­ le natura del fenomeno, ma semplicemente la definisce utilizzando termini che - familiari solo ne li 'uso ma non nel significato - di fatto sbarrano l ' accesso a ogni ulteriore sforzo di comprensione dando l ' im­ pressione "di essere già arrivati". E invece non è così : dire che la statua è un si mbolo non risponde al­ la domanda iniziale, ma sposta solo il problema. Il simbolo di un dio è quel dio? Se anche solo si volesse parlare di "associazione di idee" (quell'ef­ fige mi fa venire in mente il dio), ciò significherebbe che qualcosa del dio è comunque presente in quella statua, che infatti lo suggerisce a differenza di altre e diverse statue. Nell ' effige del dio, poi, c ' è qualcosa in più di un semplice richia-

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mo : c ' è una maggiore ricchezza nel significato, un maggior vigore evocativo, una maggiore presenza della divinità. A l punto che un atto compiuto in presenza della sua rappresentazione è come un atto com­ piuto in presenza dello stesso dio. Si può pregare ovunque, ma farlo di fronte a una rappresentazione sacra lo rende diverso. Si giura su un libro sacro, per rendere testimonianza davanti a un dio. Si offrono fiori, si brucia incenso, si accendono ceri di fronte a una statua come in presenza della divinità o del santo che questa rappre­ senta. Dunque un' effige non è solo un richiamo, un pretesto, un' occasio­ ne per "farsi venire in mente" il divino. L'effige di una mela certamente è in grado di richiamare alla men­ te il vero frutto, ma a nessuno verrebbe l ' istinto di addentare un foglio da disegno o un calco di gesso. E allora dobbiamo ammettere che quella statua è qualcosa di più di un semplice suggerimento. Dobbiamo ammettere che quella statua è in qualche modo il divino pur non essendolo. Così come il 4 è l ' l pur non essendolo. Così come la manifestazione è il palesarsi delle potenzialità conte­ nute nel ! ' l pur non essendo l ' l stesso. Il 4 dunque è la potenzialità del! ' l percepita attraverso la sua espressione nel 2 . L a natura del Creatore colta i n virtù del suo manifestarsi. Il Creatore manifesto che diviene sostanza della manifestazione. La Materia in quanto manifestazione prima: la pietra, il costituente di base per il quale potrà essere edificato l ' intero universo.

È reale? Sì. No. Forse . . . Il 4 è l ' immagine dell ' l proiettata oltre i l 2. La manifestazione (4) è l ' immagine del Creatore ( l ) nella sua espressione creatrice (2). È reale un ' immagine?

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Sì. No. Forse. Guardate un oggetto: un oggetto qualsiasi. Ciò che vedete è quell 'oggetto? No di certo. Non è quell ' oggetto ma un 'immagine di quell 'oggetto. Tant'è che la vostra percezione di esso è condizionata dallo stru­ mento (gli occhi e l ' intero apparato visivo), dalle condizioni ambien­ tali, dal l ' integrazione che l ' input visivo riceve a livello della corteccia cerebrale e da una quantità di altre variabili, ciascuna in grado di in­ fluire sull ' immagine, ma non certo sull ' oggetto in sé. Si pensi solo ai colori che noi "vediamo", e che non sono una ca­ ratteristica degli oggetti, bensì sensazioni prodotte da radiazioni elet­ tromagnetiche con una determinata lunghezza d' onda su particolari re­ cettori situati nella retina dei nostri occhi. Dunque le immagini sono reali? Sì, poiché le vediamo, ne parliamo, possiamo confrontarle ed elen­ carne le caratteristiche. No, poiché ciò che è reale è comunque l 'oggetto, e non l ' immagine che ne viene percepita. Forse, dato che, in ogni caso, non ci sarà mai dato di vedere l ' og­ getto in sé, ma sempre e soltanto una sua immagine. Dunque, per noi, la realtà visibile di quell 'oggetto è tutt'uno con la sua 1mmagme. .

.

E allora il 4 - la materia, e con essa l ' intero universo manifesto che ne procede - è reale? Sì: è la nostra stessa esistenza a testimoniarlo ! Lo tocchiamo, lo ve­ diamo, ne parliamo, ne siamo parte e ne facciamo esperienza in ogni modo possibile ! No, perché si tratta comunque di una "ricostruzione a posteriori" (ciò che viene prima della luce e del buio, ma pensato dopo che si è espres­ so come luce e buio), una sorta di "artefatto percettivo" (è l ' l visto, im­ maginato, percepito attraverso il 2). Perché è la proiezione, l' eidolon, l ' immagine dell' l - realtà prima onnipotenziale - e non l ' l stesso. Forse, poiché, in ogni caso, nell'universo manifesto non esiste al­ tro che la manifestazione, e attraverso la manifestazione non si può co­ gliere il non-manifesto.

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Dunque è vero che l ' universo materiale è un sogno, un ' illusione priva di ogni consistenza. Ma è altrettanto vero che è reale quanto più reale non si può, poiché lo stesso concetto di realtà - così come lo in­ tendiamo - origina con il 4. E allora la materia è reale per tutto ciò che viene dal 4 in poi. È reale su tutti i piani che stanno "al di qua" del piano del 4, men­ tre non lo è per quelli superiori. È reale per noi, che siamo della sua stessa sostanza, per noi che ne siamo parte, per noi che guardiamo "dal basso" e, guardando, vediamo qui riflessa la realtà dell ' l . Un' immagine, un riflesso: certo, ma per quanto del l 'oggetto è con­ tenuto nell' immagine, per quanto della luce del sole è contenuto in un suo riflesso, per quanto di un evento è contenuto nel suo ricordo, an­ che la realtà dell ' l è in qualche modo contenuta nel 4.

ALTRE CONSIDERAZIONI SULLA NATURA DEL 4

L'essenza del 4, la sua genesi dal 2 per opera del 3 , la presenza in esso della sostanza del l ' l . Nella comprensione di questi principi e di queste dinamiche pos­ siamo trovare una chiave per accostarci, anche con la mente, ai massi­ mi temi dell ' esistenza. Abbiamo detto della realtà del 4, imago dell ' l ma sostanza della manifestazione. Abbiamo detto della realtà dell'universo, e dunque anche della nostra stessa realtà. "Noi Siamo della materia di cui so n .fàtti i so�ni"2 . Il 3 porta il 2 a ricordare, a sognare l ' l . l � i l suo so g n o è il 4. Possiamo dire che un sogno non e s i s te ? ( 'Ili p u ò d i re c h e un sogno non esiste? E quando può dirlo? Può dirlo il sognatore, non certo uno dci IK'rso n a g g i d e l sogno. E può dirlo nel mom e n to del suo r i s v eg l i o , t' non certo mentre sta sognando. D ' altra parte, anche dopo i l r i s w g l i o non si può n e g a re l ' esistenza

del sogno, tant' è che se ne può parlare e si può ricordarlo. A volte ad­ dirittura se ne vivono gli effetti, e ciò che produce effetti non può es­ sere definito inesistente. E ancora: qual è la materia di cui so n fatti i sogni? Può esistere un sogno senza il suo sognatore? Può esistere in un so­ gno qualcosa che non sia nella mente di chi sogna? Se il 2 - nato dali' l ed espressione prima delle sue potenzialità - ri­ cordando la sua stessa origine ne sogna, può sognare qualcosa che non sia contenuto neli ' l ? E allora i l 4 parto del 2 fecondato dal 3 di cos 'è fatto? Di cos 'è fatto l'universo, e di cosa siamo fatti noi? -

-

Chiediamoci ora: è illusione il mondo (come sostengono certe af­ frettate traduzioni del pensiero esoterico orientale e occidentale)? Certamente è illusorio considerare realtà un sogno, ma non è certo illusorio considerarlo per ciò che è: un sogno, e dunque reale in quan­ to sogno! Così, allo stesso modo, il 4 è reale per quanto della realtà dell ' l contiene, mentre è irreale se considerato come un principio a sé stan­ te, autonomo e indipendente da quell ' l da cui mutua esistenza e so­ stanza. Ed ecco allora, nella genesi del 4, una chiave per comprendere l ' ambivalenza che da sempre impronta i rapporti dell'uomo con il mondo della materia: un mondo che è espressione del divino ma con­ temporaneamente luogo della perdizione; che accoglie e nutre l 'uma­ nità ma che deve essere abbandonato, superato, trasceso; che mostra il volto di dio ma acceca lo spirito confondendo i sensi di un uomo che, creatura, appare perso nella creazione. Casa, prigione e tempio. Sogno che mantiene nel sonno, oppure strumento per conoscere la realtà del sognatore e, con essa, la realtà del sogno. E proprio in quest'ultima affermazione, crediamo, può riassumersi il senso stesso dell 'esistenza, insieme con il cuore della vera spiritua­ lità e dell' esoterismo più puro. Che non è il rigetto del mondo, la sua reiezione attraverso un tra-

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scendimento che coincide con l ' astensione, l 'astrazione o il rifiuto. E non è nemmeno la cessazione del sogno che - ricordiamo lo - non è un "disturbo mentale" del creatore, ma pura espressione della sua vo­ lontà creatrice. Il sogno è la manifestazione, come il 4 è l ' l sul piano del manife­ sto. Dunque il senso del mondo, della vita e dell'esistere è l 'esistenza. Un significato che è indubbiamente il più vasto in assoluto, poiché non ce ne può essere uno più grande e più importante. E il percorso dell'uomo non può essere contrario a questo signifi­ cato. La via allora non è non può essere - quella di rinnegare il 4 per cercare l' l . Non può essere quella di uccidere il mondo per trovare Dio. Lo troveremo, ma solo abbandonandoci alla sua volontà, che è il fluire della manifestazione. Troveremo l ' l , ma alla fine del percorso. Lo troveremo nel mondo, e non rinnegando il mondo. Lo troveremo solo nel l O, che è la pienezza della sua espressione. -

Ecco allora che - come vedremo a partire dal prossimo capitolo - i principi dal 5 al l O corrispondono alle successive fasi del processo di manifestazione, ma anche possono costituire una sorta di "guida" per l ' evoluzione individuale: un percorso che, "discendente" per quanto ri­ guarda l ' espressione dell ' l , diventa "ascendente" per il creato e per le creature, in quanto conduce alla comprensione e alla realizzazione del progetto implicito nella manifestazione, che diviene esplicito nell'uni­ verso. Un percorso che, in ogni caso, è reso possibile dal 4, vero istante della creazione per quanto riguarda l ' universo materiale e unico prin­ cipio creativo concepibile per le creature che del l ' universo materiale sono parte integrante. Un principio però - l ' abbiamo ben visto - che non ha realtà propria, che non è realmente la fonte prima, l ' inizio, l ' assol uto, il creatore. Anche se con questo può essere confuso. E vista la portata degli argomenti che dovremmo toccare, ci fer-

miamo di proposito sulla soglia delle enormi implicazioni che da que­ sta riflessione potrebbero scaturire. Ci limitiamo ad alcune suggestioni, evocando tutte le tradizioni, le religioni e le eresie che riferiscono di un "dio malvagio" invidioso del­ la potenza del vero Dio, di un "Re del mondo" signore di questa terra, di un angelo prediletto e portatore della luce divina ma precipitato nel­ le viscere della terra per aver voluto rendersi uguale a Lui. Ma anche ricordando il peccato di idolatria (che è scambiare l ' immagine, l ' eido­ lon, per la divinità) e la proibizione, vigente in alcune tradizioni reli­ giose, di rappresentare in qualunque forma l 'Altissimo. Il 4 dunque come inizio e sostanza del mondo manifestato. Nel rapporto fra il 4 e l ' l , la chiave per comprendere la natura dia­ bolica e divina della materia. Una doppia natura che non è però so­ stanziale bensì deriva dalla possibilità/capacità dell'uomo di compren­ derne il segreto, realizzando (e cioè "rendendo reale") contempora­ neamente il mondo e se stesso. Ed è proprio questo passaggio che coincide - tanto nel macrocosmo della manifestazione quanto nel microcosmo del l 'uomo - con la na­ scita del 5 dal grembo del 4.

NOTE I l termine "idolo" (dal verbo greco eidomai = "mi mostro", "appaio", collegato al v. idein = "vedere", come nel latino video, videre e nello stesso italiano

vedere)

indica

appunto ciò che del dio può essere visto : un simulacro, u n ' immagine, q ualcosa che rende percepibile l ' essenza della divinità, per sua natura non appartenente

c

superiore

al piano della percezione. Dunque una sorta di "proiez ione" del divino sul piano della materia di cui l' uomo incarnato è parte.

2

Wi lliam Shakespeare: La Tempesta, atto IV scena l .

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ANCORA SUL QUATERNARIO

l 4 ELEMENTI

Dovrebbe essere ormai evidente che nel parlare di principi numeri­ ci ci si riferisce a stati della manifestazione - e cioè ai diversi stadi at­ traverso i quali il punto originario si esprime nella totalità del l O piuttosto che ad entità distinte dal punto di vista antologico o cosmo­ gomco. Questo significa, come abbiamo ampiamente discusso, che il 2 non rappresenta un ente distinto dali' l , quanto piuttosto uno stato nel qua­ le l ' l manifesta una dinamica che si qualifica come duale. Il che equi­ vale a dire che il 2 non è costituito dali' l più un 'altra entità, ma che lo stesso 2 non è altro che la forma espressa (e cioè duale) dell ' l . Allo stesso modo, il 3 non è "il 2 più un' altra cosa", ma lo stato nel quale la dualità evidenzia una qualità polare, e dunque la sua natura unitaria. Come dire che il 2 che fa parte del 3 non è lo stesso 2 che procede dali' l , ma ne rappresenta (in termini temporali, ammesso che abbia senso parlare di tempo prima del 4 ! ) uno stadio successivo: quello è semplicemente una doppia possibilità, questo è il 2 che "si accorge" della polarità che contiene, e "si ricorda" così di essere figlio dell ' l . Se il 2 che ricorda è il 3 , allora i l suo ricordo è il 4. In ogni stadio, dunque, è compreso l ' intero processo precedente mentre, nello stesso tempo, viene posto in essere un nuovo principio, che è insieme riassunto ed evoluzione di ciò che l ' ha preceduto. È per questo che possiamo dire che il quaternario è com pos to da quattro principi, pur coincidendo con il 4 che, a rigor di t e rm i n i do­ vrebbe rappresentare solamente il quarto di tali principi ! E d' altra parte, nel considerare - come faremo - le corrispondenze numeriche dei 4 elementi, non possiamo che trovare una perfetta rap­ presentazione di quanto appena espresso, constatando come q u i n e l l a

-

,

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materia (e cioè nel regno del 4) noi possiamo trovare una manifesta­ zione non solo del quarto elemento, la Terra, ma anche di Fuoco, Ac­ qua e Aria, che rappresentano proiezioni materiali dei principi prece­ denti. E proprio questa, allora, è la spiegazione della natura degli elemen­ ti stessi. Se il 4 è la materia-base per l ' edificazione dell'universo sensibile, detta materia non può che essere fatta della sostanza stessa del 4, e cioè della rappresentazione/presenza, nel quatemario, dei principi e del processo che costituiscono la sua ragion d' essere. Nell ' esaminare tali rappresentazioni/presenze, d 'altra parte, non possiamo che partire dal piano del binario, essendo la dualità la prima forma espressa delle potenzialità contenute nel l ' UNICO. L' l , infatti, costituendo l 'inizio, non può essere concepito che come istante astratto, dato che qualunque fase del movimento, mentre testi­ monia l ' esistenza dell ' inizio, è già a questo successiva. Come dire che l ' inizio può essere colto solo dopo che è divenuto movimento espres­ so, e dunque quando "non c ' è già più". Ecco dunque il motivo per cui si parla di una dualità originaria (yang/yin, sole/luna ecc.) come principio della manifestazione ! . E d ecco anche perché è improprio far corrispondere i l principio at­ tivo ali ' l e quello passivo (o ricettivo) al 2. Attivo e passivo, infatti, so­ no i due principi costituenti il binario: il 2 stesso è una componente at­ tiva e una passiva. Il fatto che la componente attiva del binario evochi nella nostra per­ cezione la qualità dinamica propria dell ' l (ciò che giustifica poi, sul piano del quatemario, la corrispondenza l -Fuoco e 2-Acqua), è sola­ mente un limite delle nostre capacità di rappresentazione. Un limite necessario, dato che per riuscire a concepire l ' l dovremmo poterei creare una rappresentazione mentale di qualcosa che è ancora non-ma­ nifesto. Ecco allora nascere, come conseguenza di tale impossibilità, l ' idea che il principio primo, l ' origine, abbia una qualità attiva e che, nell ' at­ to creativo, applichi tale qualità ad un principio "secondo", inerte e

passivo, a volte identificato con il "vuoto" da cui il divino crea l 'uni­ verso, o con la "materia primordiale" plasmata dal creatore. In realtà - come abbiamo ampiamente discusso trattando della ge­ nesi del 2 - tanto la qualità attiva quanto quella passiva trovano una ra­ gion d' essere solo sul piano del binario, essendo inconcepibile il con­ cetto di "azione" se non rapportato a qualcosa che "azione non è", e vi­ ceversa. Il vuoto di cui parlano alcune cosmogonie, dunque - quel vuoto che risulta così imbarazzante quando si tenti di conciliarlo con un divino illimitato - non è da considerarsi come un'antitesi dell ' l in quanto pie­ no, quanto piuttosto una delle due componenti del 2. Ancora una vol­ ta, infatti, i termini "vuoto" e "pieno" traggono significato l 'uno dal­ l 'altro, e questo non può che testimoniare la loro natura e la loro col­ locazione nel piano del binario. Troveremo questa dualità, opposta e complementare, rappresentata sul piano del quatemario come Fuoco e Acqua (anche simbolicamente fatti corrispondere - per i motivi che abbiamo visto - ai piani dell ' l e del 2). E poi il terzo principio, quello che nella manifestazione diverrà l'e­ lemento Aria, l ' energia unificante che porta la coppia a riconoscersi come tale. Elemento impalpabile (lo Spirito) che non compare "fisicamente" nel passaggio che porta alla genesi del 4 dal 2 ma che, di fatto, la pro­ voca. L'Aria, elemento del contatto, del rapporto, della mente che, pur immateriale, è causa e motore dell ' agire nella materia. Nel piano del temario, allora, troviamo ancora i due elementi del binario ma con qualcosa in più, qualcosa che sta fra loro come un pon­ te e li collega, spingendoli a un 'unità che è anche la loro comune ori­ gine. È il piano della trinità, rappresentata da un triangolo in cui il verti­ ce superiore è proprio quella comune origine evocata dal terzo ele­ mento, un terzo elemento che, peraltro, non compare nella rappresen­ tazione pur essendone in qualche modo l'artefice.

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E finalmente il quaternario, piano in cui l 'unità richiamata dal 3 vie­ ne sì raggiunta, ma ad un livello che è successivo al 2 e allo stesso 3 . Qui nasce l a Terra, precipitazione dell' idea evocata nel ternario, concretizzazione della creatività trinitaria, materializzazione dei prin­ cipi presenti nel piano superiore. Nel quaternario troviamo dunque: - la dualità dell'origine, qui divenuta Fuoco e Acqua; - lo spirito che li ha resi coppia, qui presente come Aria; - il prodotto della loro tensione all 'unità, e cioè la Terra. È solo su questo piano che i principi precedenti possono essere identificati con gli elementi : è su questo piano che i principi diventano elementi. Qui la coppia è Fuoco e Acqua. Qui l ' energia unificante è Aria. Qui l ' imago dell ' l è Terra. Con la precipitazione dei principi in elementi la triade creatrice ha di fatto creato il mondo sensibile: il triangolo è diventato un quadrato. Il 3 - si potrebbe dire - non è soltanto diventato il 4, ma ha anche posto in essere i quattro. E i quattro sono la pietra, la materia di cui è fatta la nostra realtà. La parola di 4 lettere (TETRAGRAMMATON) pronunciata dall' Altissi­ mo per creare l 'universo. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DEL QUATERNARIO

Anticipiamo qui alcune considerazioni che riprenderemo, tra breve, per discutere della genesi del 5 a partire dal piano del quaternario, e che ci servono ora per chiarire altri aspetti di quel fondamentale pas­ saggio che coincide con la nascita di fatto della realtà manifesta. · Si è detto dunque che l ' espressione dinamica dell'UNICO (e cipè l ' l ) pone in essere il 2 in quanto sua manifestazione binaria. Un passaggio che può essere rappresentato graficamente attraverso due linee (assumendo la linea come espressione dinamica del punto) orientate secondo i due piani che definiscono lo spazio.

Una linea verticale, a rappresentare la componente attiva-positiva­ maschile-solare-yang della coppia originaria, e una orizzontale, per la componente ricettiva2-negativa-femminile-lunare-yin. Ora: si può dire che, a livello del piano del binario, la situazione è questa:

Le due componenti, cioè, sono entrambe espresse in quanto doppia possibilità di manifestazione dell ' l . Una doppia possibilità che, una volta posta in essere, si qualifica, in quanto coppia di opposti, anche come polare e complementare. Questa qualificazione porta la coppia sul piano del temario, un pia­ no in cui le due linee non sono più indipendenti nel loro esistere ma "si scoprono" collegate. Ed è proprio questo collegamento (il 3 ) che mentre le unisce nel ri­ cordo della comune origine contemporaneamente prefigura il risultato della loro interazione. Per opera del 3, infatti, il 2 diviene 4.

Un simbolo - quello della croce per definire la realtà del la materia manifesta - che può ugualmente originarsi quale forma grafica della considerazione secondo cui l ' interazione fra i due termini della coppia:

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l ' evento che consente ali ' l di "pro iettarsi" sul piano della manifesta­ zione (cioè oltre al piano del 2), ponendo in essere quella corrispon­ denza 1 -4 che rappresenta - abbiamo visto - la chiave in grado di sve­ lare il segreto della natura della materia stessa. è

o •

O