Ermeneutica trascendentale e fondazione ultima di filosofia e scienza. Introduzione al pensiero di Karl-Otto Apel 8881015226, 9788881015221

Nel volume si ricostruiscono, per un verso, le categorie centrali della filosofia trascendentale moderna attraverso un&#

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Ermeneutica trascendentale e fondazione ultima di filosofia e scienza. Introduzione al pensiero di Karl-Otto Apel
 8881015226, 9788881015221

Table of contents :
Premessa#Borrelli, Michele
La ricostruzione trascendentalermenutica della filosofia moderna#Borrelli, Michele
La pragmatica trescendentale e la complementarità delle metodologie#Borrelli, Michele
Filosofia tra ermeneutica e pragmatica trascendentale#Borrelli, Michele
Etica ed emancipazione nell'ermeneutica trascendentale#Borrelli, Michele
Ermeneutica trascendentale e fondazione ultima : note conclusive#Borrelli, Michele

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METODOLOGIA DELLE SCIENZE SOCIALI Direttore della Collana: Michele Borrelli Direttori delle singole aree scientifiche: Dietrich Böhler Libera Università di Berlino. Area scientifica: Pragmatica discorsiva e Etica del Discorso

Franco Bianco †

III Università di Roma. Area scientifica: Ermeneutica Filosofica

Michele Borrelli Università degli Studi della Calabria. Area scientifica: Pedagogia Generale

Michele Cometa Università di Palermo. Area scientifica: Letteratura Tedesca

Alberto Mario Damiani Università Nacional di Rosario – Conicet. Area scientifica: Filosofia Moderna

Reinhard Hesse Università di Freiburg. Area scientifica: Etica e Filosofia Politica

Stefano Crespi Università di Milano. Area scientifica: Sociologia Generale

Franco Crispini Università degli Studi della Calabria. Area scientifica: Storia della Cultura e delle Idee

Daniele Gambarara Università degli Studi della Calabria. Area scientifica: Filosofia del Linguaggio

Matthias Kettner Università Witten/Herdecke Alfred-Herrhausen. Area scientifica: Filosofia Pratica Moderna

Elmar Klinger Università di Würzburg. Area scientifica: Teologia Fondamentale e Storia Comparata delle Religioni

Wolfgang Kuhlmann Università di Erfurt. Area scientifica: Pragmatica Trascendentale

Giacomo Marramao III Università di Roma. Area scientifica: Filosofia Politica

Elio Matassi III Università di Roma. Area scientifica: Filosofia della Storia

Marcel Niquet Università di Francoforte. Area scientifica: Antropologia Filosofica e Filosofia Pratica

Eligio Resta Università Federico II di Napoli. Area scientifica: Sociologia Generale

Marcello Zanatta Università degli Studi della Calabria. Area scientifica: Storia della Filosofia Antica

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Michele Borrelli

Ermeneutica trascendentale e fondazione ultima di filosofia e scienza Introduzione al pensiero di Karl-Otto Apel

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Proprietà letteraria riservata © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy Stampato in Italia nel mese di ottobre 2008 per conto di Pellegrini Editore Via De Rada, 67/C - 87100 Cosenza Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672 Sito internet: www.pellegrinieditore.it E-mail: [email protected]

I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

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INDICE

Premessa ................................................................. pag. 1. La ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna ....................................... 1.1 Presupposti per un cambiamento di paradigma ................................................ 1.2 Il superamento del paradigma della teoria della verità come corrispondenza e del paradigma trascendentalcoscienzialistico di verità ....................................................... 1.3 La ricostruzione postmetafisica della filosofia prima ................................... 1.4 Ripresa e trasformazione del progetto (kantiano) di fondazione ultima della filosofia teoretica e pratica ................. 1.5 Il paradigma dell’intersoggettività nella filosofia trascendentale ...................... 2. La pragmatica trascendentale e la complementarità delle metodologie ............... 2.1 La pragmatica trascendentale dell’etica del discorso ................................................. 2.2 Il confronto con il riduzionismo scientistico 2.3 Il confronto con il riduzionismo fenomenologico-ermeneutico ..................... 2.4 L’assunzione della metodologia “critica ideologica” e la dialettica di complementarità degli orizzonti dei giochi linguistici ...........

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3. Filosofia tra ermeneutica ................................... e pragmatica trascendentale .............................. pag. 75 3.1 Ermeneutica e pragmatica trascendentale ... » 75 3.2 L’ermeneutica della fattività ...................... » 83 3.3 L’ermeneutica filosofica ............................ » 90 3.4 L’ermeneutica trascendentale ...................... » 97 4. Etica ed emancipazione nell’ermeneutica trascendentale ........................ 4.1 La trasformazione della filosofia trascendental-solipsistica e trascendentalcoscienzialistica in ermeneutica trascendentale.............................................. 4.2 L’intreccio dialettico di comunità argomentativa ideale e comunità comunicativa reale nell’etica del discorso .. 4.3 L’istanza trascendentale della ragione ........

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» 103 » 111 » 122

5. Ermeneutica trascendentale e fondazione ultima. Note conclusive .................................................. » 127 5.1 L’etica universale nell’era della civilizzazione tecno-scientifica e la sua fondazione trascendentale ........................... » 127 5.2 L’etica del discorso come etica della corresponsabilità planetaria................ » 132

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Premessa

Con la presente introduzione al pensiero di Karl-Otto Apel si spera di offrire, al lettore comune e non solo all’esperto, un profilo sintetico, possibilmente chiaro e rigoroso, dell’impostazione teoretica di Karl-Otto Apel, uno dei massimi e più discussi pensatori del mondo contemporaneo. Nel volume si ricostruiscono le categorie centrali della filosofia trascendentale moderna attraverso tutta una serie circostanziata di riferimenti che vanno da Descartes a Vico, da Kant a Husserl passando, tra l’altro, per la filosofia analitica (da Wittgenstein a Royce), l’ermeneutica fenomenologica (da Heidegger a Gadamer) e la semiotica di Peirce. Inoltre, si mette a fuoco la grande elaborazione trascendentalermeneutica apeliana di fondare su basi semiotiche – unitamente alla riformulazione della filosofia trascendentale moderna e soprattutto alla riformulazione della filosofia trascendentale kantiana, nonché alla rifondazione di filosofia e scienza in chiave di fondazione ultima – un progetto postmetafisico di ricomposizione dei presupposti della struttura trascendentale del pensiero che rivoluziona il modo di intendere la conoscenza, la comprensione, la verità e, in ultima istanza, la stessa filosofia. Col suo progetto postmetafisico di fondazione (ultima) di filosofia e scienza, Karl-Otto Apel si propone – ripercorrendo soprattutto le impostazioni di Aristotele, Descartes, Vico, Husserl e le impostazioni della filosofia analitica – di ridisegnare un terzo paradigma della philosophia prima, un paradigma della conoscenza non più coscienzialistico o soggettivistico, ma intersoggettivo che si basa tanto sulla comunità argomentati7

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va storica quanto sulla comunità comunicativa ideale (illimitata)1. In questo suo tentativo completamente originale e unico di ricostruzione/trasformazione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, Apel recupera, tra l’altro, i canoni della semiosi triadica tracciata da Peirce (rappresentazione iconica, rappresentazione indessicale e rappresentazione simbolica)2, che gli permettono di superare la semiosi diadica di Kant. Una struttura conoscitiva, quest’ultima, nella sua sostanza solipsistica (o trascendentalsolipsistica similmente a quella teoretizzata successivamente da Husserl), concepita cioè, ancora, sulla relazione soggetto-oggetto della conoscenza. In rinvio alla semiosi sviluppata da Peirce, Apel riesce a portare alla luce, rispetto ai paradigmi tradizionali della filosofia prima, non solo l’inaggirabile a priori o funzione trascendentale del linguaggio, ma anche l’inaggirabile a priori trascendentale della comunità argomentativa e, quindi, l’intersoggettività come condizione di possibilità di ogni pretesa di validità e di verità. Nel suo originale progetto di trasformazione della filosofia, Apel tramuta la svolta linguistica (linguistic turn) e la svolta pragmatica (pragmatic turn) della filosofia analitica in svolta trascendentalsemiotica, partendo dal presupposto che solo

1 Affinché ci si possa rapportare a qualcosa in quanto qualcosa, come a qualcosa che abbia senso e significato, vi è bisogno di una comunità linguistica che permetta di accedere all’uso della parola e alle rispettive regole grammaticali. In altri termini: non c’è segno o significato che non rinvii all’ a priori di una reale comunità comunicativa e linguistica. Inoltre: non c’è possibilità di avanzare una pretesa di validità se non rapportandosi al discorso con gli altri. All’interno del discorso con gli altri possiamo articolare giudizi, argomentare, prendere posizione e confrontarci con altri giudizi e argomenti. Ma nel rimettersi al discorso e alle sue regole, oltrepassiamo già sempre il contesto strettamente localistico, per entrare nella comunità comunicativa universale, base di fondazione e legittimazione della validità dei nostri argomenti o controargomenti. Si passa dall’a priori della comunità comunicativa all’a priori della comunità argomentativa ideale o illimitata. La comunità comunicativa universale o illimitata rappresenta l’istanza di validità del nostro pensiero.

Cfr. K.-O.Apel, “Szientismus oder transzendentale Hermeneutik”, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. II, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1973, p. 171.

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Premessa

la trasformazione trascendentalsemiotica del paradigma linguistico permette una fondazione (anche ultima) di filosofia e scienza. Nell’interpretazione semiotica, qui proposta, non si lasciano dubbi sul fatto che, per quel che attiene alla conoscenza in generale, la stessa coscienza (soggettiva) risulta mediata triadicamente. In altri termini, non viene mai meno l’intreccio triadico tra oggetto-di-conoscenza, segno, ossia interpretazione segnica di qualcosa in quanto qualcosa e interprete. Interprete di una conoscenza mediata da segni; interprete, quindi, non più solitario (sul modello descartianokantiano-husserliano), ma (e ciò costituisce il punto fondamentale della trasformazione apeliana della filosofia moderna) appartenente, al contempo, ad una comunità argomentativa reale (storica) e ad una comunità argomentativa (ideale, controfattuale) illimitata. La ricostruzione-trasformazione postmetafisica della filosofia moderna su basi trascendentalermeneutiche o trascendentalsemiotiche, come proposta da Apel, ha anche il vantaggio di chiudere definitivamente con la distinzione-opposizione tra scienza dello spiegare (della natura: sapere nomologico) e scienza del comprendere (spirituale: sapere storico). I due a priori qui menzionati (quello del linguaggio e quello della comunità argomentativa) sono, infatti, presupposti inaggirabili sia della conoscenza delle scienze naturali sia della conoscenza delle scienze spirituali. Con questi due a priori, o meglio con la messa in luce dei presupposti, appunto, inaggirabili del discorso (di ogni discorso), sulla linea teoretica delle evidenze acquisite dall’ermeneutica (Heidegger/Gadamer), viene offerta la possibilità di spingersi, postweberianamente – oltre gli scetticismi-relativismi postmodernistici, in generale, o radicalizzati in particolare, com’è il caso della detrascendentalizzazione di Derrida, del contingentismo pragmaticistico di Rorty o del relativismo linguistico di Wittgenstein – su un piano postcartesiano, postkantiano e posthusserliano di fondazione (ultima) di filosofia e scienza e, pertanto, anche su un piano di fondazione (ultima) della filosofia teoretica e pratica e, 9

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di conseguenza, su un piano di fondazione (ultima) di norme, morale ed etica. La trasformazione postmetafisica della filosofia (trascendentale), che Apel porta a compimento, si pone, pertanto, in totale controtendenza rispetto al contesto generale di diffusa detrascendentalizzazione: dal decostruzionismo di Derrida al neopragmatismo radicale di Rorty, dai giochi linguistici di Wittgenstein alle conquiste, non riflettute fino in fondo e rimaste non-problematizzate, della fenomenologia ermeneutica di Heidegger e Gadamer. Ma anche Habermas, che col suo concetto di pragmatica universale o meglio ‘pragmatica formale’, è stato sempre vicino al progetto di pragmatica trascendentale di Apel, nonché Putnam, che col suo realismo interno si era posto, inizialmente, insieme ad Apel e allo stesso Habermas su un piano di condivisione dell’esclusione di ogni metafisica esterna per la fondazione di filosofia e scienza, si vedono oggi concordi, contro Apel, nel confutare il paradigma della filosofia trascendentale (del soggetto o della coscienza), sulla base di una logica interamente detrascendentalizzata che caratterizza, com’è noto, non solo la svolta linguistica ermeneutico-pragmatica, ma anche la filosofia più recente. In contrasto con questo programma di detrascendentalizzazione, in cui lo stesso concetto di trascendentale sembra significare metafisica, Apel avanza un paradigma postontologico, postdescartiano, postkantiano e posthusserliano di filosofia trascendentale. Al paradigma ontologico premoderno e al paradigma epistemico della modernità (soggettivismo trascendentale), Apel fa seguire la pragmatica linguistica trascendentale (o filosofia linguistica o semiotica) della comunicazione intersoggettiva. In questo passaggio Apel non rifiuta, neopragmatisticamente o postmodernisticamente, il soggetto (trascendentale) o meglio la funzione trascendentale dell’autocoscienza, per adagiarsi su posizioni transsoggettive o di pura contingenza storica, per esempio sul modello di Rorty. Il cambiamento di paradigma teoretizzato consiste, invece, nella presa di coscienza e valorizzazione dei due a priori sopra menzionati: l’a 10

Premessa

priori del linguaggio e l’a priori della doppia comunità argomentativa (reale e illimitata). In altri termini, il soggetto trascendentale e l’autocoscienza dell’Io sono correlati in funzione trascendentale agli altri Io come partner della comunità comunicativa (discorsiva) reale e illimitata e non costituiti, per esempio, husserlianamente sulla base dell’autocomprensione del soggetto pensante. A dire il vero, quel che si rifiuta è solo l’idea che la possibilità dell’autoriflessione o dell’autocoscienza possa essere ritenuta pensabile solo a partire dalla supposizione di una relazione conoscitiva soggetto-oggetto, cioè senza tener conto del doppio a priori, a cui abbiamo fatto riferimento: linguaggio e comunità discorsiva. Ciò che ci preme sottolineare è che, nell’impostazione elaborata da Apel, questo doppio a priori è di rilevanza fondamentale per ogni pretesa di validità (se riferita agli atti linguistici o all’argomentazione). Si può provare, infatti, che lo stesso discorso premette delle proposizioni incontestabili se non per via di un’autocontraddizione performativa3 e che esistono, quindi, delle condizioni trascendentali, addirittura inaggirabili, di possibilità di validità intersoggettiva, a priori, che non solo rendono il discorso apeliano controcorrente rispetto al paradigma linguisticoanalitico e di detrascendentalizzazione in generale, ma danno la possibilità di ricostruire, in senso trascendentalermeneutico o semiotico, sia la filosofia moderna sia la filosofia in genere, in quanto la logica semiotica qui proposta precede ogni possibile conoscenza, vuoi che si tratti della conoscenza riferita Esempi di autocontraddizione performativa: “Tutto è relativo e non c’è validità assoluta”. La proposizione si (auto-)contraddice, perché per avere validità reclama la validità che al contempo nega. “Tutto è fallibile”, è un’autocontraddizione performativa. Infatti, se applichiamo alla proposizione il principio del fallibilismo, diventa fallibile anche la proposizione che dichiara che tutto è fallibile, ma colui che l’articola la ritiene ovviamente valida e non fallibile. Sul problema delle contraddizioni performative vedi: M. Kettner, “Ansatz zu einer Taxonomie performativer Selbstwidersprüche”, in: Transzendentalpragmatik, a cura di A. Dorschel, M.Kettner, W. Kuhlmann, M. Niquet, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1993., pp. 187-211. 3

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alle scienze dello spiegare vuoi della conoscenza riferita alle scienze del comprendere. Se si parte da queste fondamentali innovazioni, non credo si possa dubitare del fatto che la filosofia e la scienza trovino, oggi, nell’impostazione elaborata da Apel, non una base, ma la base trascendental-ermeneutica inaggirabile di una loro autofondazione, di una loro autogiustificazione e, non da ultimo, di una loro autoappropriazione4. Una base che si pone sia al di là di un’ermeneutica relativistica che sacrifica le sue condizioni di possibilità al pluralismo di monadi linguistiche5 (Wittgenstein), sia al di là di un’ermeneutica ontologica che riduce le sue condizioni di possibilità alla priorità dell’interpretandum (Gadamer) o di un’ermeneutica che restringe le sue condizioni di possibilità all’evento (a-razionale) epocale dell’essere (Heidegger). Non c’è per Apel teoria filosofica della scienza che possa fare a meno di rispondere alla domanda kantiana relativa alle condizioni di possibilità e validità della scienza. Ma, d’altro canto, per Apel è anche indubbio che la risposta alla domanda non riconduce alla filosofia kantiana di una coscienza traSul contesto vedi D. Böhler, „Dialogreflexive Sinnkritik als Kernstück der Transzendentalpragmatik. Karl-Otto Apels Athene im Rücken“, in: Reflexion und Verantwortung. Auseinandersetzungen mit Karl-Otto Apel, (a cura di D.Böhler/M.Kettner e G. Skirbekk), Frankfurt a.M., 2003, pp. 15-43, soprattutto pp. 20-22.

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5 Cfr. K.-O.Apel, “Die Kommunikationsgemeinschaft als transzendentale Voraussetzung der Sozialwissenschaften”, in neue hefte für Philosophie, 2/3, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1972, pp. 1-40; per il contesto cfr. p. 40. Cfr. anche Idem, Lezioni di Aachen e altri scritti, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2004; Idem, Cambiamento di paradigma – La ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2005; Idem, Ermeneutica e filosofia trascendentale in Wittgenstein, Heidegger, Gadamer, Apel, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2006. Cfr. inoltre: M. Borrelli, Lettere a Kant – La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, Pellegrini, Cosenza, 2°. Ed. 2008; cfr. inoltre: M. Borrelli/M.Kettner, Filosofia trascendentalpragmatica – Transzendentalpragmatische Philosophie. Scritti in onore di Karl-Otto Apel per il suo 85° compleanno, Pellegrini, Cosenza, 2007.

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Premessa

scendentale in generale o in quanto tale (“Bewusstsein überhaupt”), piuttosto al linguaggio e alla comunità discorsiva o linguistica. E ciò per il fatto che una filosofia trascendentale moderna deve porsi primariamente il compito di riflettere sul senso e sulle implicazioni di senso dell’argomentare in generale. Quale pur sia la posizione di colui che argomenta e quale lo scetticismo e il dubbio che si possono articolare anche contro lo stesso argomentare, se questo dubbio e questo scetticismo debbano avere un senso, non si può aggirare quell’istanza ultima data con i due a priori sopra menzionati: linguaggio e comunità argomentativa o linguistica. In altri termini, anche colui che si pone contro l’argomentare, se vuole dare credibilità e validità al suo argomento deve comunque argomentare e non può, pertanto, mai porsi esternamente ai due a priori del linguaggio e della comunità linguistica o argomentativa, piuttosto ha sempre già presupposto e implicitamente sempre già riconosciuto le premesse trascendentali che non solo sono alla base di ogni argomentazione, e anche della propria, ma che sono implicite sempre e comunque anche alla ( e ad ogni) teoria della conoscenza e della scienza nel gioco linguistico trascendentale di una comunità comunicativa o discorsiva illimitata. Quel che vale per l’argomentazione in generale, vale per la fondazione (ultima) in particolare. Pensare in termini di fondazione o d’impossibilità di fondazione (Hans Albert) significa sempre e comunque argomentare. Ma per argomentare fondatamente, ogni argomentante deve far sue alcune determinate premesse. La fondazione ultima, di cui Apel si serve per la trasformazione semiotica della filosofia moderna, è da intendere non come scoperta o riscoperta di assolutismi per via deduttiva o induttiva, ma in senso trascendentalpragmatico come rinvio, cioè, a premesse o presupposizioni che non possono essere contestate, in quanto anche colui che contesta se ne serve già implicitamente per poter avanzare la sua contestazione. Con questa soluzione riflessiva del problema della fondazione (ultima), Apel può ribattere con fermezza alle critiche di Albert, secondo le quali, ogni fondazione ultima rima13

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ne imbrigliata nel trilemma di Münchhausen, vale a dire: o nel regresso infinito (la ricerca dei fondamenti ultimi è un correre infinito all’indietro senza possibilità di giungere ad un fondamento ultimo) o nel circolo vizioso (si sfocia in apparenti fondamenti ultimi già implicitamenti supposti) o nel decisionismo (si pone fine al procedimento fondativo o argomentativo per decisione o scelta)6. L’ermeneutica trascendentale sviluppata da Apel, nel passaggio dalla coscienza solitaria alla comunità linguistica o discorsiva (e in generale: dalla “sintesi trascendentale dell’appercezione” (Kant) alla “sintesi comunicativa dell’interpretazione”), raccoglie, dunque, due elementi importanti e irrinunciabili: da un lato, propone una riflessione trascendentale nel senso kantiano; dall’altro un riferimento pragmatico, deciso o fondamentale, alla comunità comunicativa storica e reale. Trascendentale e empirico non sono kantianamente separati e irriducibili, ma dialetticamente interconnessi. Ciò ha un motivo ben preciso. Se la comprensione è solo situativa, contestualizzata, non c’è possibilità per un comprendere-meglio, ma solo un comprendere diverso (sul modello di Gadamer). In quest’ultimo caso la comprensione sarebbe indissolubilmente legata ad un relativismo indiscutibile: e come potremmo poi distinguere tra interpretazione corretta e interpretazione errata, se la comprensione può essere solo e soltanto diversa? La soluzione che propone Apel non è l’assolutizzazione del relativismo storico proposta da Gadamer né il relativismo fallibilistico di Albert o il contestualismo teoretizzato da Rorty. Il contesto e il relativo, il situativo e la contingenza sono importanti e costituiscono, in ultima analisi, la comunità comunicativa o argomentativa reale. Ma alla comunità comunicativa reale, Apel lega la comunità comunicativa ideale o illimitata. Sappiamo, peraltro, che Apel pensa ad un’ermeneutica postmetafisica, ma la sua riflessione 6 Cfr. K.-O.Apel, „Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft“, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. II, cit., 2.3.3., pp. 405 sgg..

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Premessa

ingloba, allo stesso tempo, una dimensione normativa che ha suscitato e suscita nella discussione filosofica odierna un forte dissenso. Si interpreta questa dimensione normativa o tentativo di fondazione ultima come un resto non superato di metafisica. Di questo parere è per esempio l’ultimo Habermas7. Ma in Apel, non si tratta, ovviamente, di condividere la priorità dell’interpretandum rispetto all’interprete (Gadamer) né l’evento (a-razionale) epocale della storia dell’essere o un altro possibile assolutismo. Piuttosto, la dimensione normativa, di cui parla Apel, è legata al rinvio ermeneutico sulle premesse inaggirabili del discorso o dell’argomentazione; dall’altro, è riferita alla controfattualità costituita dalla comunità comunicativa ideale o illimitata. La fondazione (ultima), non essendo un fatto di deduzione da princìpi o da assiomi (ritenuti validi), ma fatto di riflessione, è un atto di autofondazione o meglio: un atto di autofondazione della ragione8, retto dall’evidenza che non si può razionalmente aggirare la razionalità argomentativa del discorso se si tratta di un discorso serio. In altri termini: la fondazione ultima (riflessiva) non è la ricerca di un principio metafisico unico, assoluto e universale, ma la mes-

Scrive Habermas: „Apel vertraut am Ende doch den infalliblen Gewissheiten eines direkten, also voranalytisch vergegenwärtigenden Zugriffs auf die sprachlichen Intuitionen eines besonnenen-reflexionsgeübten Argumentationsteilnehmers. Denn das transzendentalpragmatische Argument, dem die Rolle einer „Letztbegründung“ zugedacht ist, hat in Wahrheit den Stellenwert einer präsuntiv unbeirrbaren, jedenfalls diskursiv nicht nachprüfbaren Vergewisserung. Wäre es ein Argument, dann stünde es in einem sprachlichen Kontext, der so viele Angriffsflächen bietet, wie er Facetten hat.“. Cfr. J. Habermas, „Zur Architektonik der Diskursdifferenzierung. Kleine Replik auf eine grosse Auseinandersetzung“, in Reflexion und Verantwortung. Auseinandersetzungen mit Karl-Otto Apel. A cura di D. Böhler, M. Kettner e G. Skirbekk, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2003, pp. 44-64, citazione p. 64. Vedi anche ed in senso critico su Habermas: W. Kuhlmann, Reflexive Letztbegründung. Untersuchungen zur Transzendentalpragmatik, Freiburg/München 1985; W. Kuhlmann, „Bemerkungen zum Problem der Letztbegründung“, in: Transzendentalpragmatik, a cura di A. Dorschel, M. Kettner, W. Kuhlmann, M. Niquet, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1993.

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Cfr. K.-O.Apel, Transformation der Philosophie, vol. II, cit., p. 330 sgg..

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sa in evidenza di quelle premesse sempre già tacitamente implicite al discorso. Assieme al primo Habermas, ma in discordanza netta con l’ultimo Habermas, Apel parte dal presupposto che in ogni atto argomentativo-discorsivo si avanzano alcune pretese di validità inaggirabili che vanno dalla pretesa di una verità implicita (alle proposizioni) alla pretesa di comprensibilità proposizionale. Queste pretese non sono solo universali, ma anche necessarie. E sono proprio queste pretese universali e allo stesso tempo necessarie che rendono possibile l’idea di un’etica normativa non solo sul piano di comunità comunicativa ideale o illimitata, ma anche sul piano applicativo o di comunità comunicativa reale o storica. A differenza dell’obbligatorietà puramente morale di Kant, nell’etica del discorso di Apel i bisogni concreti umani hanno una fondamentale rilevanza etica. Ciò spiega il bisogno che ha spinto Apel a sviluppare una parte B dell’etica comunicativa, riferita alla comunità comunicativa reale da affiancare alla parte A dell’etica della responsabilità (riferita alla comunità comunicativa illimitata). Quest’ultima, all’interno dei discorsi reali, assume il ruolo di principio regolativo, in quanto nella comunità comunicativa reale, si tratta, in ultima analisi e a lungo raggio, di realizzare possibilmente la comunità comunicativa ideale. Se il progetto di trasformazione della filosofia moderna è posto su basi postmetafisiche, l’obiettivo implica una dimensione etico-emancipativa planetaria su basi dialogiche o discorsive. Se da un lato si tratta di tener conto dei particolarismi legati alle singole comunità comunicative reali, storiche e alle diversità dei singoli contesti sociali e linguistici, dall’altro non bisogna perdere di vista il principio regolativo, controfattuale, della comunità linguistica ideale, universale o illimitata. Il relativismo della comunità comunicativa storica deve essere affiancato dall’universalismo della comunità comunicativa controfattuale o ideale9. In questa dialettica, se da un lato si apre alla possibi9

Cfr. K.-O.Apel, “Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft und die

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Premessa

lità di corrispondere ai bisogni delle comunità comunicative reali e di cercare soluzioni globali o planetarie che corrispondano agli interessi di tutti, dall’altro si evitano gli assolutismi (anche quelli relativistici), in quanto l’elemento controfattuale è quel principio regolativo proiettato continuamente nel futuro, mai riducibile, come sottolineava già Kant, a una determinata contestualizzazione storica.

Grundlagen der Ethik”, in Idem, Transformation der Philosophie, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1976, vol. II, pp. 338-435.

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1 La ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna

1.1 Presupposti per un cambiamento di paradigma Nel contesto argomentativo del tentativo, qui in discussione, di cambiamento di paradigma o trasformazione trascendentalpragmatica della filosofia moderna e di fondazione ultima trascendentalpragmatica della filosofia teoretica e pratica, è da porre la supposizione di tre paradigmi che si susseguono relativamente alla prima philosophia: la metafisica ontologica di Aristotele, la filosofia trascendentale della coscienza da Descartes1 a Husserl e appunto la filosofia trascendentalermeneutica o trascendentalsemiotica di Apel. Bisogna subito puntualizzare che Apel, muovendo da un approccio di pragmatismo come realismo critico del senso, si pone su un piano di netta discordanza col paradigma della filosofia prima (della metafisica ontologica) di verità come equiparazione – nel senso di Aristotele – tra nous (intellectus) e oggetti o meglio di verità come corrispondenza, o nella versione poi successiva, in Tommaso d’Aquino, di adaequatio rei et intellectus (cioè di verità come equiparazione di coscienza e cose in quanto oggetti di conoscenza e come relazione tra due oggetti di conoscenza); anzi suppone che questa premessa ontologico-metafisica riduca la relazione soggetto-oggetto della Cfr. K.-O.Apel, “Das cartesische Paradigma der ersten Philosophie: eine kritische Würdigung aus der Perspektive eines anderen (des nächsten?) Paradigmas“, in Idem, Descartes im Diskurs der Neuzeit, a cura di W. F. Niebel, A. Horn, H. Schnädelbach, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 2000, pp. 207-229. 1

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conoscenza all’aporia di una «relazione intramondana» che, in certo qual modo, può essere pensata solo metafisicamente e dall’esterno2. Non è un caso se quest’aporia che avvolge il rapporto conoscenza e cose da un punto di vista esterno alla relazione di conoscenza soggetto-oggetto sia stata, come Apel rileva, tematizzata già da Kant, il quale partiva giustamente dal presupposto che noi non possiamo comparare i nostri giudizi di conoscenza se non con altri giudizi di conoscenza, il che confina la dimostrazione di un concetto di verità sul modello di adaequatio intellectus et rei in un regressus ad infinitum, a prescindere dal fatto che i giudizi di conoscenza non possono comunque essere paragonati alle cose-in-sé inconoscibili. Per aggirare il problema ed evitare un idealismo soggettivo, Kant pensò di dover ricondurre la verità empirico-realistica della conoscenza all’affezione dei sensi nelle cose-in-sé, ma rimase in ogni modo imbrigliato in un concetto metafisico di relazione tra mondo fenomenico e mondo noumenico. Sarà il tentativo fenomenologico postmetafisico di Husserl, a fornire una prima soluzione al problema, in quanto in esso sarà evitato lo schematismo legato alla premessa ontologico-metafisica della relazione soggetto-oggetto e configurata un’evidenza per corrispondenza3. Infatti, abbandonata la supposizione kantiana delle cosein-sé-inconoscibili, quindi la prospettiva esterna della conoscenza, Husserl può concepire la relazione della verità della conoscenza nell’ottica postmetafisica di autoriflessione interna della conoscenza, come giudizio di percezione o noema di quell’intenzione che si compie nell’esserci stesso del fenomeno e che, in chiave di conoscenza, si presenta sotto forma di evidenza in quanto relazione di attuazione. Nell’ottica della tra2 Cfr. K.-O.Apel, «Husserl, Tarski o Peirce? Per una teoria trascendentalsemiotica del consenso della verità», in Cambiamento di paradigma. La ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, a cura, traduzione e presentazione di M.Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2005, p. 191. 3

Cfr. ivi, p. 190.

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sformazione qui proposta, la teoria husserliana dell’evidenza della verità regge, però, fintantoché, nel riscatto di pretese di verità, è lecito presumere una condivisione di interpretazione linguistica unitaria. Un ampliamento significativo della teoria fenomenologica dell’evidenza, come elaborata da Husserl, è offerto, per quanto riguarda appunto la comprensione postmetafisica e, quindi, il rapporto interno della conoscenza, dalla teoria logico-semantica di Tarski. Una teoria, infatti, secondo Apel, che, a differenza del concetto di verità teorizzato da Husserl, in cui non si riflette niente affatto sulla pre-interpretazione linguistica dell’evidenza denominata fenomenologica, delimita l’analisi del significato di «vero» all’esplicazione del predicato «è vero», riferito, però, sempre a proposizioni di un linguaggio di un determinato costrutto. Ma, analogamente alla prima, anche quest’operazione regge solo nei casi in cui il riscatto di determinate pretese di verità, avanzato con determinate proposizioni, si basi su un’interpretazione linguistica unitaria di fenomeni dati, come nella comunicazione quotidiana. Il riscatto, invece, non è più pensabile se siamo di fronte a problemi di comprensione tra culture diverse e le loro differenti interpretazioni del mondo, nel qual caso, infatti, la constatazione della verità di qualcosa non è solo questione di evidenza della percezione, ma di comunicazione ermeneutica sull’interpretazione linguistica corretta di fenomeni in quanto simboli4. Come può notarsi da questi brevi accenni di delimitazione del problema relativo alle pretese di verità, nella teoria fenomenologica (prelinguistica) dell’evidenza di Husserl, in cui si considera solo la parte trascendentalsolipsistica della relazione soggetto-oggetto, senza tener conto del fatto che la conoscenza è già mediata dal significato intersoggettivamente valido di segni linguistici, non si trova nessun elemento che lasci trasparire un’interpretazione dei fenomeni a partire dai co4

Cfr. ivi, pp. 194 sgg..

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soggetti della comunità argomentativa. Vale altrettanto per la teoria semantica (astratta) della verità di Tarski, in cui come si faceva or ora rilevare non si considera se non la problematica dell’interpretazione pragmatica dei rispettivi linguaggi di un determinato costrutto. Apel, come qui di seguito si avrà modo di rimarcare, rinverrà, invece, alcuni elementi importanti della sua idea di trasformazione della filosofia trascendentale, accanto agli influssi dovuti al linguistic turn e all’ermeneutica di Heidegger e Gadamer, soprattutto nella semiotica sviluppata da Peirce e nel tentativo di Royce di applicare questa semiotica alla sociologia storicamente comprendente. Vediamo più da vicino i punti salienti di questa trasformazione in chiave trascendentalpragmatica della filosofia trascendentale5. Il progetto di cambiamento di paradigma o di ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, che Apel porta avanti mediante il concetto di pragmatica trascendentale, è da comprendere, come abbiamo sopra rilevato, anche e soprattutto nel senso di una pragmatica linguistica trascendentale o semiotica trascendentale. Apel, infatti, in questo suo progetto di trasformazione della filosofia trascendentale e di fondazione ultima trascendentalpragmatica della filosofia teoretica e pratica, si basa soprattutto sull’ambito teorico-linguistico o semiotico, anche se non mancano altre suggestioni che vanno dalla rilettura hintikkiana di Descartes alla topica di Vico fino alle condizioni quasi-trascendentali delle categorie di storicità e temporalità messe in risalto dalla fenomenologia di Heidegger e dall’ermeneutica di Gadamer. Anzi, in certo qual modo, Apel ritiene che queste condizioni quasi-trascendentali costituiscano istanze strutturali inaggirabili per la comprensione del mondo della vita. Tuttavia se si vuole sotOttima la sintesi che traccia D. Böhler. Cfr. D. Böhler, “Dialogreflexive Sinnkritik als Kernstück der Transzendentalpragmatik. Karl-Otto Apels Athene im Rücken“, in: Reflexion und Verantwortung. Auseinandersetzungen mit Karl-Otto Apel, a cura di D. Böhler, M. Kettner, G. Skirbekk, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 2003.

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trarre questa comprensione al relativismo della contingenza del contesto storico, si richiede un programma ermeneuticotrascendentale di riflessione in cui ha sempre ancora un ruolo decisivo la domanda kantiana sulla ricerca delle condizioni di validità della conoscenza e, di conseguenza, la domanda sulle condizioni di validità di fondazione ultima6 di filosofia e scienza. Solo allora è possibile portarsi anche oltre il progetto di una filosofia trascendentale sempre ancora metafisica com’è quella moderna. Bisogna, dunque, rilevare che la ricostruzione apeliana della filosofia trascendentale in chiave trascendentalermeneutica e linguistica, i cui impulsi, che se hanno origine in Hamann, Herder, Humboldt, sconfinano nella filosofia analitico-linguistica – dalla teoria dell’atto linguistico di Peirce a Wittgenstein – costituisce una novità assoluta nel panorama filosofico contemporaneo. Una novità non rinvenibile lontanamente nelle impostazioni a cui Apel rimane teoreticamente obbligato, come quelle, per esempio, elaborate da Heidegger, Gadamer, Wittgenstein, Austin, Searle e dallo stesso fondatore del pragmatismo americano Peirce la cui semiotica si dimostrerà, come evidenzieremo successivamente, d’importanza fondamentale per l’impostazione trascendentalpragmatica, nonché per il recupero di un rinnovato concetto di trascendentale7. È un programma di cambiamento di paradigma e di traSul problema della fondazione ultima vedi: K.-O.Apel, “Das Problem der philosophischen Letztbegründung im Lichte einer transzendentalen Sprachpragmatik. Versuch einer Metakritik des ‚Kritischen Rationalismus’, in B.Kanitscheider (a cura di), Sprache und Erkenntnis. Festschrift für G. Frey, Innsbrück, 1976, pp. 55-82; Idem, „Fallibilismus, Konsenstheorie der Wahrheit und Letztbegründung“, in: Forum für Philosophie Bad Homburg (a cura di), Philosophie und Begründung, Frankfurt a.M. 1987, pp. 116-211. Cfr. anche: H.Albert, Transzendentale Träumereien. Karl-Otto Apels Sprachspiele und sein hermeneutischer Gott, Hamburg 1975; J.Habermas, in A.Honneth/H.Joas (a cura di), Kommunikatives Handeln, Frankfurt a.M. 1991, pp. 185 sgg.; cfr. anche: J. Habermas, Erläuterungen zur Diskursethik, Frankfurt a.M., 1991. 6

7 Cfr. K.-O.Apel, “Von Kant zu Peirce: die Semiotiche Transformation der transzendentalen Logik”, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. II, Frankfurt a.M., 1973, pp. 157-177.

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sformazione trascendentalermeneutica della filosofia moderna coraggioso e unico nella sua controtendenza, se si considera che la propensione generale della filosofia contemporanea segue, come sottolinea in termini molto chiari e inequivocabili Rorty, un percorso ormai di detrascendentalizzazione generale radicale che ha suggerito, se non imposto, l’abbandono di quel realismo interno formulato da Putnam (e poi da Putnam abbandonato) che accomunava pensatori come Habermas, lo stesso Putnam, e Apel nel tentativo unitario condiviso di cercare un’esplicazione non-esternalistica, quindi internalistica, ossia epistemica o pragmatico-discorsiva della verità e, dunque, un’esplicazione di verità non più riconducibile alle teorie della corrispondenza o adaequatio. L’idea comune ai tre filosofi qui menzionati si basava sul presupposto che la filosofia critica non potesse e non dovesse concedere nessuna forma di metafisica esternalistica, in cui la relazione, per esempio tra l’intelletto umano e le cose esistenti, venisse presentata da prospettiva appunto esterna. Habermas, Putnam e Apel difendevano comunemente l’assunto secondo cui non avrebbe avuto alcun senso distinguere tra verità e risultato di giustificazione discorsiva della pretesa di verità, se contro questo risultato non si fossero potuti più avanzare argomenti critici (se si fosse, quindi, raggiunta l’«ultimate opinion» (ovverosia l’“opinione ultima” o “argomentazione ultima”), nel senso formulato insistentemente da Peirce)8. Questa “opinione ultima” o “argomentazione ultima” offre ciò che chiamiamo verità. Fu proprio Habermas, con la sua teoria universalpragmatica, ad aprire la via ad una verità postmetafisica, ma non per questo irrilevante criteriologicamente. Apel, sviluppando la 8 Cfr. K.-O.Apel, «Pragmatismo come realismo critico del senso sulla base di idee regolative – In difesa di una teoria peirceana della realtà e della verità», in Cambiamento di paradigma, cit., p. 214. Idem, “Wahrheit als regulative Idee”, in Reflexion und Verantwortung, cit., pp. 171-196. Cfr. anche, A. Wellmer, „Der Streit um die Wahrheit. Pragmatismus ohne regulative Ideen“, in Reflexion und Verantwortung, cit., pp. 143-170.

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dimensione epistemologico-semiotica delle condizioni ideali del discorso come teoria universalpragmatica della verità, aveva elaborato le condizioni di applicabilità di tale teoria ai criteri di verità come coerenza, evidenza esperienziale ecc., ponendo l’idea regolativa della formazione del consenso nella comunità comunicativa ideale al di sopra della valutazione di tutti i criteri disponibili9. Il distaccamento di Habermas e Putnam da questo realismo interno, quindi dall’idea comune dell’identità di verità e giustificazione razionale (discorsiva, epistemica), conduce ora nuovamente alla separazione tra verità (assoluta, raggiungibile definitivamente) e giustificazione razionale (sempre fallibile) di pretese di verità e validità raggiungibili nel discorso. Habermas, infatti, ha ormai da tempo abbandonato il presupposto della teoria del discorso, secondo cui riteniamo vera una proposizione se può essere difesa con motivi convincenti in tutti i possibili contesti, ossia se regge tutti i tentativi di invalidazione in condizioni rigorose di un discorso razionale10. Il fatto che siano date queste condizioni argomentative, oltre tutto le uniche, in quanto all’uomo non è data altra possibilità per una presa diretta delle condizioni di verità se non per via interpretativa, come lo stesso Habermas afferma, non impedisce di ritenerle insufficienti se pensiamo in termini di constatazione della verità11. Nel senso dell’ultimo Habermas, la verità è un «concetto trascendente la giustificazione che non si può far coincidere nemmeno col concetto di supponibilità giustificabile idealmente»12. Riprendendo le suggestioni di Lafont e Wellmer, Habermas parte ora dal presupposto che la verità implica un momento strettamente non-epistemi-

Cfr. K.-O.Apel, „Pragmatismo come realismo critico di senso sulla base di idee regolative…”, in Cambiamento di paradigma, cit., ivi, p. 222. 9

10 11 12

Cfr. ivi, p. 223.

Cfr. ibidem. Ivi, p. 217.

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co, in altri termini: la realtà o il mondo oggettivo (Lafont) o il mondo reale esistente, così la formula dello stesso Habermas. Questo rinnovato sdoppiamento di verità e giustificazione razionale-discorsiva riporta la validità intersoggettiva sul piano (rortyano) di comunicazione riuscita in un concreto contesto storico di argomentazione, a cui ora sta di fronte «un mondo reale», separato, quindi, dalla pretesa di giustezza morale13. Per la pragmatica trascendentale qui in discussione, viene nuovamente a cadere la pretesa di validità universale, intersoggettiva della capacità di consenso per principio del discorso, dato che si può parlare tutt’al più solo di pretesa di giustificazione in condizioni ideali di una razionalità discorsiva di volta in volta contestualmente situata14. In pari tempo, vengono a mancare i due piani di riflessione determinanti per la logica (normativa) della ricerca: il piano dell’accettabilità razionale riferito di volta in volta ad un determinato contesto di consenso e il piano di metacriterio trascendente il contesto del consenso razionale ideale. Questo abbandono del doppio piano riflessivo-normativo dell’argomentazione, da ottica trascendentalpragmatica, provoca la perdita del legame interno tra teoria della verità e teoria del discorso, ossia tra pretese di verità universali, che trascendono il determinato contesto, e l’esigenza normativa del riscatto di pretese di verità riferite ad un discorso illimitato di comunicazione15. Ma come determinare il significato della verità se essa viene separata dalla sua possibile esplicazione pragmatica in concetti di possibile giustificazione a favore di un piano trascendente-giustificativo, non più raggiungibile dalle possibilità di esplicazione discorsiva, se non convalidando nuovamente un rapporto metafisico-esternalistico?16. In che cosa dovrebbe consistere 13 14 15 16

Cfr. ivi, p. 218. Cfr. ivi, p. 223.

Cfr. ivi, p. 216.

Cfr. ivi, p. 224.

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il «momento-non-epistemico» postmetafisico di cui si fa sostenitore Lafont e che procurerebbe validità intersoggettiva alla pretesa di verità dell’argomentazione? Se seguiamo fino in fondo l’argomentazione apeliana, un concetto che trascende la giustificazione della verità potrebbe ricevere la sua legittimazione solo da un concetto che corrisponde alla realtà e che è supposto indipendente sia dalla conoscenza ogni volta fattuale sia indipendente dalla possibile conoscenza raggiunta peirceanamente in the long run. Il momento-non-epistemico verrebbe, però, in questo caso a corrispondere alla riabilitazione delle cose-in-sé-inconoscibili di Kant. Né possiamo, secondo Apel, ritornare all’esplicazione semantica astratta di Tarski di una verità in un determinato costrutto linguistico, perché se è pur vero che quest’esplicazione evita le implicazioni ontologico-metafisiche ed epistemologiche tipiche delle impostazioni tradizionali, è anche vero che non offre nessun criterio di rilevanza per un orientamento normativo logico-scientifico di ricerca della verità17. Com’è facile scorgere, la trasformazione-ricostruzione della filosofia trascendentale, perseguita in chiave trascendentalpragmatica o semiotica, trova nella filosofia contemporanea, orientata alla detrascendentalizzazione, il suo punto di contrasto più irriducibile. Il che è alquanto strano se si considera che il termine trascendentale in Kant significava il superamento della metafisica dogmatica a favore di una riflessione filosofica critica. Paradossalmente, nella filosofia contemporanea, il termine trascendentale ha assunto vieppiù il significato obsoleto di «metafisico» o addirittura di riabilitazione del metafisico18. Se si prescinde dall’insostenibile impostazione alogica di Derrida, il quale è dell’opinione che l’affermazione

17

Cfr. ivi, p. 221.

Cfr. K.-O.Apel, «Riflessione trascendentalpragmatica: le prospettive centrali di un’attuale trasformazione kantiana», in Cambiamento di paradigma, cit., p. 160. 18

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di un signifié è impedita dalla differance19, può notarsi che lo stesso Wittgenstein – che nel Tractatus logico-philosophicus porta avanti una riflessione strettamente trascendentale sulle condizioni linguistiche della descrizione del mondo – smentisce in ultima analisi l’accertamento della «forma logica» del linguaggio e del mondo perché non dicibile sensatamente. Se spostiamo l’accento sulla fenomenologia e/o ermeneutica, alla funzione trascendentale della riflessione non è riservato un destino migliore, anche se le determinazioni della «pre-struttura» dell’esser-nel-mondo come «fatticità» e «storicità» della precomprensione-del-mondo (Heidegger) e la «pre-struttura» della comprensione del mondo e di sé (Gadamer) farebbero presumere necessariamente che oltre al condizionamento storico di conoscenza e verità debba esserci sempre e comunque qualcosa come una istanza di un’implicita pretesa di validità universale, quindi un concetto filosofico di verità20. 1.2 Il superamento del paradigma della teoria della verità come corrispondenza e del paradigma trascendentalcoscienzialistico di verità Questo scenario radical-relativistico spinge Apel a riprendere e sviluppare la riflessione trascendentale di Kant sulle condizioni di possibilità di validità delle pretese di verità, non solo in rinvio alla filosofia coscienzialistica o del soggetto, ma anche in rinvio alle scoperte ermeneutiche e fenomenologiche che si dimostrano in ogni modo indispensabili anche in chiave trascendentalsemiotica. Bisogna, quindi, premettere che il progetto apeliano di trasformazione-ricostruzione in chiave trascendentalermeneutica della filosofia kantiana e moderna,

Se ciò fosse vero, come sottolinea Apel, questa affermazione di Derrida, dovrebbe essere a sua volta impedita (ivi, cfr. p. 161). 19

20

Cfr. ibidem.

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nonché di fondazione ultima della filosofia teoretica e pratica, è, come sopra si notava, un tentativo di elaborazione di un nuovo paradigma, di un terzo paradigma della philosophia prima, successivamente a quello di Aristotele e a quello di Descartes, sulla base di un’impostazione strettamente pragmatico-trascendentale linguistica o semiotica. Nonostante non manchino elementi di condivisione, l’impostazione apeliana si differenzia in modo paradigmatico da quella aristotelica, da quella descartiana e da quella husserliana che Apel ritiene un’ultima articolazione riflessiva del paradigma di una fondazione ultima della conoscenza e dei suoi possibili oggetti all’interno di una riflessione trascendentale sempre ancora orientata descartianamente alla coscienza del soggetto conoscente. Il punto che rivoluziona i paradigmi di fondazione, così come sviluppati da Descartes e Husserl e che porta al cambiamento di paradigma qui presentato in chiave trascendentalpragmatica, è la presa di coscienza che la conoscenza non rinvia all’Io penso come soggetto singolo e isolato, ma all’intersoggettività della comunità discorsiva e al linguaggio come struttura che precede già sempre ogni articolazione di pretesa di validità. Nel paradigma (di conoscenza) descartiano, come in quello husserliano, nonostante le differenze esistenti tra i due approcci, il linguaggio e, più precisamente, la relazione-segnica non formano la condizione di possibilità di costituzione di (ogni) validità e ciò non solo in senso oggettivo (in relazione alle scienze della natura), ma anche in senso di autoconoscenza riferita al soggetto conoscente, per cui la costituzione di validità non viene discussa in rapporto all’intersoggettività della conoscenza quale intendersi comunicativamente o discorsivamente su qualcosa, ma in rapporto all’autocoscienza del soggetto pensante come «solipsismo metodico», o in termini husserliani come «solipsismo trascendentale». Husserl, che secondo Apel, per certi versi, va indubbiamente al di là dell’insostenibile scissione tra «apparenze» (Erscheinungen) e «cosa in sé» (Ding an sich) inconoscibile dell’«idealismo trascendentale» di Kant, non ha tenuto conto del conoscere prelinguisti29

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co-intuitivo e ha così fallito il tentativo di portare a termine il progetto di una fondazione ultima trascendentale di filosofia e scienza puntando esclusivamente sul soggetto. Progetto che Apel si propone ora di riprendere e concludere mediante il paradigma trascendentalpragmatico dell’intersoggettività, cioè su basi riflessive di una ricostruzione trascendentalermeneutica, trascendentallinguistica o meglio trascendentalsemiotica della filosofia moderna. Il tentativo trascendentalpragmatico o trascendentalermeneutico avanzato isola filosoficamente Apel dall’«empirismo logico», dal «razionalismo critico», dal «neopragmatismo», nonché dagli approcci fenomenologici e da quegli indirizzi di filosofia analitica che, in rinvio a Heidegger-Wittgenstein, hanno contribuito alla svolta ermeneutica e linguistica (linguistic turn) in filosofia. Ma non per questo, nelle sue riflessioni trascendentalpragmatiche, Apel fa a meno di servirsi e anche ampiamente tanto dell’ambito ermeneutico quanto dell’ambito semiotico (soprattutto riallacciandosi a Peirce come abbiamo sopra anticipato). Quantunque nelle posizioni postmodernistiche si rifiuti per principio ogni possibilità di fondazione razionale di filosofia e scienza, finendo addirittura per cadere in una critica tanto radicale della ragione da privare quest’ultima di ogni suo fondamento, Apel non solo difende la domanda sulla possibilità di fondazione ultima, ma si pone in parte sulla linea di Descartes e Husserl, anche se rivoluziona il loro paradigma di partenza, e completa la relazione (descartiana e ancora husserliana) soggetto-oggetto con la relazione trascendentale soggetto-cosoggetto dell’intendersi comunicativo o dell’intendersi discorsivo. Come Apel non si stanca di far notare, l’inaggirabile intendersi discorsivo (o intersoggettivo) della relazione trascendentale soggetto-oggetto vale non meno per proposizioni radicalizzate e «universalizzate» come: «Je pense, donc j’existe» o «Cogito, ergo sum». Anche queste note proposizioni presuppongono, a ben vedere e indipendentemente dalle obiezioni sollevate da Peirce e Wittgenstein contro Descartes e se il «dubbio» sia in definitiva universalizzabile o meno, la certezza (paradigmati30

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ca) dell’uso di un linguaggio determinato: l’uso linguistico di significati, vale a dire un linguaggio e una comunità comunicativa ed espressiva all’interno delle quali le proposizioni vengono articolate e trovano le condizioni di possibilità di validità o di confutazione o come scrive Wittgenstein:«Lo stesso gioco del dubitare presuppone già la certezza»21. Husserl, similmente a Descartes, e nonostante abbia messo in primo piano l’istanza trascendentale della conoscenza che lega soggetto e oggetto, non ha presupposto, come si anticipava sopra, nessuna prestruttura linguistica o intersoggettività a monte della ricerca e delle condizioni di validità, piuttosto si è fermato, sempre ancora, ad un «solipsismo trascendentale» tramite cui «costituire», in rinvio alla coscienza trascendentale (del soggetto solitario), l’esistenza di un mondo esterno. Pertanto, parimenti a Descartes, Husserl non è riuscito a pensare in termini di comunità linguistica e di cosoggetti nel gioco linguistico trascendentale dell’argomentare e comunicare su qualcosa; analogamente a Descartes non ha presupposto che le pretese di validità debbano essere (e siano) avanzate in senso responsabile dai cosoggetti dell’argomentazione e siano ad essi imputabili. In rinvio all’inaggirabile struttura trascendentaldiscorsiva di ogni pensare, si nota che la certezza del dubbio si basa sulle certezze del gioco linguistico trascendentale che precede il dubbio stesso. Nell’impostazione apeliana dobbiamo ritenere certezze paradigmatiche tutte quelle proposizioni dell’argomentare sensato che non possono essere confutate senza cadere (nell’atto stesso dell’argomentare) in autocontraddizioni performative. In altri termini, siamo internamente ad un’autocontraddizione performativa ogniqualvolta il «contenuto proposizionale delle nostre proposizioni contraddice il senso implicito o esplicito degli atti illocutivi attraverso cui vengono formulate proposizioni nel contesto paradigmatico 21 L. Wittgenstein, On Certainty, Basil Blackwell, Oxford 1969; trad. it. di M. Trinchero, Della certezza, Einaudi, Torino 1978, p. 22.

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dell’argomentazione»22. Il che conduce necessariamente alla conseguenza che le regole dell’argomentazione seria premettano già sempre, quindi a priori, un’intersoggettività a cui si legano, habermasianamente, alcune pretese di verità ineludibili: una pretesa di senso; una pretesa di verità; una pretesa di veridicità; una pretesa di giustezza morale, non da ultimo una pretesa di consenso per chiunque aspiri ad una qualsiasi pretesa di verità su quel che linguisticamente, di volta in volta, si articola o viene da altri articolato23. Tutte queste presupposizioni dell’argomentare, che non possono essere confutate senza autocontraddizione performativa né dedotte da premesse senza cadere in un circolo vizioso, costituiscono gli elementi di fondazione ultima trascendentalpragmatica della conoscenza in generale e della filosofia teoretica e pratica in particolare24. A differenza di Aristotele, Descartes e Husserl, Apel avanza allora un paradigma completamente nuovo di philosophia prima, un paradigma non più ontologico-metafisico o coscienzialistico-metafisico, ma trascendentalpragmatico, postmetafisico, orientato non solo ed esclusivamente alla relazione-soggetto-oggetto (sul modello delle scienze naturali), piuttosto, contemporaneamente, nella complementarità dei giochi linguistici, sempre anche alla relazione soggettocosoggetto della comunicazione comunicativa e, quindi, all’intersoggettività degli argomentanti nel discorso25.

22 Cfr. K.-O. Apel, «Il paradigma cartesiano della prima philosophia: una trattazione dall’ottica di un altro (del prossimo?) paradigma», in Cambiamento di paradigma, cit., p. 21. 23 24 25

Ibidem.

Cfr. ivi , p. 22. Cfr. ivi, p. 27.

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1.3 La ricostruzione postmetafisica della filosofia prima Come si è potuto notare, il paradigma della pragmatica linguistica trascendentale o semiotica non sopprime il soggetto trascendentale, o meglio la funzione trascendentale dell’autocoscienza a favore di strutture transsoggettive di sistemi sociali (Luhmann) o di un anonimo «dischiudimento dell’essere» (Heidegger). Il soggetto trascendentale e l’autocoscienza dell’Io-penso sono ripensati, piuttosto, nella loro funzione trascendentale all’interno della funzione del linguaggio. In altri termini, il soggetto pensante deve comprendersi, fin dall’inizio, sia in rapporto alla realtà, in quanto cosoggetto empirico, sia in rapporto alla comunità argomentativa idealmente illimitata. Col che, ovviamente, la possibilità di autoriflessione (pensata fin qui sempre con riferimento al singolo soggetto), in base alla trasformazione linguistica della filosofia richiesta da Apel, è costitutivamente integrazione del soggetto pensante nella comunità comunicativa, quindi sempre anche prodotto intersoggettivo. Si tratta allora di abbandonare anzitutto l’idea che l’autoriflessione avvenga soltanto sulla base del presupposto riguardante la relazione conoscitiva soggetto-oggetto e di pensare poi anche e soprattutto in termini di mediazione a priori della conoscenza mediante il linguaggio e la comunicazione, e recuperare, infine, un paradigma postkantiano e posthusserliano che permetta una trasformazione critico-linguistica della filosofia trascendentale. Con le dovute distanze, Apel si pone all’interno di quella svolta linguistica ermeneutico-pragmatica della filosofia del XX secolo che vede compiere il passaggio da Kant a Husserl e Heidegger, o meglio dal soggetto trascendentale alla prestruttura dell’«esser-nel-mondo», o più precisamente all’a priori del linguaggio e della storicità della precomprensione del mondo della vita (Gadamer), senza dover e voler abbandonare l’idea di una fondazione ultima trascendentale della filosofia teoretica e pratica. Idea quest’ultima che allontana Apel radicalmente dal filosofare linguistico-analitico dell’ordinary lan33

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guage d’ispirazione tardo-wittgensteiniana, non meno che dal neopragmatismo di Richard Rorty e dal relativismo radicale di postmodernisti come Derrida, incluso, non da ultimo, quel concetto gadameriano di un comprendere ermeneutico in cui si rinuncia all’ideale metodico delle scienze dello spirito (cioè al comprendere meglio) a favore del solo ed esclusivo comprendere diversamente. Se, dunque, l’ermeneutica filosofica offre ad Apel l’irrinunciabile a priori della «precomprensione del mondo della vita» e il linguistic turn, in generale, l’altrettanto irrinunciabile a priori semiotico, bisogna d’altro canto rilevare che il risvolto relativistico conseguente a questi due a priori (si veda esemplificativamente la posizione del comunitarismo di J. Rawls) e che pervade ogni conoscenza e comprensione in generale e la filosofia pratica in particolare, si pone nel frattempo in radicale antitesi ad ogni pretesa di fondazione, di vincolatività e validità generalizzate. Come Apel mette in luce, i teorici della filosofia trascendentale del soggetto (da Descartes a Kant, da Hegel a Husserl, non meno dei predecessori del linguistic turn: Hamann, Herder e von Humboldt) si sono fermati al «solipsismo trascendentale» non presupponendo un a priori trascendentale linguistico: un a priori trascendentale dell’intersoggettività, anche se, dal pubblico räsonnement di Kant allo spirito oggettivo di Hegel, si è ritenuto indispensabile il consenso degli altri. Apel scorge la prima traccia di abbozzo della condizione di possibilità del superamento del solipsismo trascendentale qui rilevato solo nel Wittgenstein delle Philosophische Untersuchungen e, più precisamente, nella domanda wittgensteiniana sulla possibilità di un «linguaggio privato». Ma Wittgenstein, se da un lato ha superato il solipsismo metodico o trascendentale, dall’altro non ha dato risposta alcuna alla domanda da lui stesso avanzata sul criterio normativo delle giuste regole che vincolano una comunità (Regel-Gemeinschaft), ovverosia sul senso della ragione pratica. Tutt’altro: il rinvio wittgensteiniano alle «abitudini» di una «forma di vita» reale ha spostato la filosofia sociale e l’etica su un piano radicalmente relati34

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vistico, nel senso che non si può più parlare ragionevolmente su qualcosa indipendentemente dalla forma di vita di comunità concrete che applicano una determinata norma26. Un esempio evidente di questo relativismo è offerto dal centrismo culturale del menzionato neopragmatista radicale Rorty, il quale situa le pretese di validità solo ed esclusivamente nei contesti di comunità storico-contingenti. All’interno della filosofia linguistico-analitica un discorso a parte è dato invece, per Apel, dal «principle of charity» di Davidson, il quale condivide col tardo Wittgenstein la premessa secondo cui non si può separare la comprensione di significati linguistici dalla supposizione della verità oggettiva di enunciati, ma proprio per questa ragione ritiene giusto affermare che sul piano dell’interpretazione radicale si è costretti ad ammettere che le proposizioni di ogni comunità che può usare un linguaggio sono vere. In questo «principle of charity», che Davidson di tanto in tanto definisce «argomento trascendentale», Apel rileva una controtendenza rispetto alla «detrascendentalizzazione» della filosofia in generale (come sostenuta appunto da Rorty) e del relativismo d’ispirazione tardo-wittgensteiniano, ma non per questo una risposta adeguata alla domanda sulla giustezza delle regole della ragione pratica. La risposta a quest’ultima farebbe presumere, invece, un criterio necessariamente normativo. Se il paradigma della filosofia trascendentale prelinguistica del solipsismo metodico è stato messo giustamente in discussione e superato dal paradigma della filosofia (trascendentale) linguistica o semiotica, è anche vero che sarebbe errato mettere in discussione il paradigma menzionato per ultimo (che si presenta come terzo dopo quello ontologico-metafisico di Aristotele e quello metafisico-coscienzialistico da Descartes a Husserl) in quel che sono gli stessi presupposti argomentativi delle condizioCfr. K.-O.Apel, «“De nostri temporis studiorum ratione” o: il principio trascendental-ermeneutico dell’autoappropriazione come ratio della formazione filosofica (quasi-cartesiana) e scientifico-spirituale (quasi-vichiana) nel nostro tempo», in Cambiamento di paradigma, cit., p. 96. 26

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ni (universalmente valide) di possibilità del pensare e del filosofare; nel qual caso verrebbero a mancare i presupposti dell’a priori dell’argomentazione linguistica e, di conseguenza, i presupposti della comunicazione intersoggettiva27. Ne è prova il fatto che anche colui che dubita di tutto deve premettere un discorso argomentativo che non può in alcun modo aggirare, se vuole argomentare in termini di dubbio: un gioco linguistico trascendentale che permetta, in altre parole, l’articolazione di proposizioni in senso di dubbio o di fallibilità. Ma l’articolazione è possibile solo premettendo pretese di verità che devono poter essere ritenute sensate da una comunità argomentativa e, in condizioni ideali, suscettibili di consenso e intersoggettivamente valide, ovverosia confermate o confutate28. Nell’a priori del discorso argomentativo di una comunità comunicativa (in via di principio illimitata), o meglio nelle presupposizioni riflessivamente non aggirabili dell’argomentazione sono individuabili i presupposti di superamento del relativismo che accomunano empirismo logico, razionalismo critico, neopragmatismo e filosofia analitica d’ispirazione heideggeriano-wittgensteiniana, nonché l’ermeneutica gadameriana del «comprendere solo diversamente» e ogni altro relativismo radicalizzato à la Derrida. La chiave di lettura apeliana dimostra che anche Wittgenstein incorre nel medesimo errore di ignorare i presupposti inaggirabili dell’atto argomentativo. Wittgenstein ha gioco facile nella confutazione dei giochi linguistici attribuibili ad altre scuole filosofiche, ma non prende per niente in considerazione la tematizzazione riflessiva del proprio gioco linguistico, la qual cosa vale del resto non meno per la filosofia linguisticoanalitica che per la «teoria dei tipi» di Russell e, in ugual misura, per la concezione tarskiana della separazione tra linguaggio-oggettuale e metalinguaggio che per altri giochi linguistici 27 28

Cfr. ivi, p. 98.

Cfr. ivi, p. 101.

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in generale. L’autoappropriazione riflessiva della propria certezza e la riflessione sulla pretesa di validità, che ognuno tacitamente o espressamente presuppone nell’avanzare un argomento o un controargomento, riconducono o a certezze di verità trascendentali circa le pretese di validità suscettibili a priori di consenso in quanto certezze paradigmatiche dello stesso gioco linguistico trascendentale a cui nessuno può rinunciare se fa seriamente uso del discorso argomentativo, quindi nemmeno lo scettico o colui che articola un dubbio (sia esso universale o espresso nell’atto stesso dell’argomentare), né confutare senza cadere in autocontraddizioni performative, o riconducono a certezze che potrebbero essere ritenute vere definitivamente solo se si mostrassero suscettibili di consenso in una comunità comunicativa illimitata. Questa evidenza che è legata alla struttura stessa del discorso è significativa non solo nell’ambito della pretesa di legittimità della verità filosofica, ma anche nell’ambito di legittimità della verità scientifica e, addirittura, della scienza empirica nella misura in cui queste verità sono subordinate al principio fallibilistico. Quanto qui espresso non interessa allora solo ed esclusivamente l’ambito strettamente logico dell’argomentazione, ma sempre e comunque l’ambito etico di ogni argomentare. Si può qui dimostrare che anche il procedimento metodico dei processi scientifici della verità si incentra, nell’interpretazione postkantiana e posthusserliana di Apel, su un’idea regolativa che deve soddisfare due condizioni trascendentali di validità: primo, possiamo seguire una regola, come rileva per esempio giustamente Wittgenstein, solo in una comunità-di-regole (Regel-gemeinschaft); secondo, la pretesa di verità della validità universale, intersoggettiva, presume, anche nel caso dell’esempio di Wittgenstein, una comunità-di-regole illimitata. Entrambe le condizioni trascendentali dimostrano che dalle certezze trascendentalpragmatiche sopra menzionate non possono essere separati i fondamenti normativi che formano l’etica stessa del discorso e, quindi, i suoi presupposti. La differenza fondamentale che separa il paradigma trascendentalerme37

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neutico o semiotico di Apel dall’impostazione wittgensteiniana dei giochi linguistici e dall’impostazione puramente deontologica kantiana o filosofico-trascendentale in generale è la scoperta e tematizzazione dei presupposti normativi, inaggirabili del discorso. Apel riconduce i fallimenti di fondazione delle filosofie trascendentali precedenti, ma anche delle etiche in generale, proprio alla mancata tematizzazione dei presupposti normativi del discorso. Per giungere a questa tematizzazione è stata determinante, ovviamente, la svolta linguisticoermeneutico-pragmatica odierna in filosofia; ma d’altra parte dobbiamo all’a priori della prestruttura dell’esser-nel-mondo di cui s’è detto, o meglio all’a priori della storicità della precomprensione del mondo (Heidegger/Gadamer) proprio quel relativismo ermeneutico antifondazionale in filosofia e scienza che ha causato l’abbandono di ogni dimensione normativa di un possibile progresso della scienza naturale e in generale. La risposta a questo relativismo antifondazionale, che si lega al cambiamento di paradigma qui messo in discussione o all’ermeneutica trascendentale in chiave semiotica, è orientata alla ricostituzione di questa dimensione normativa del discorso, facendo leva, come più volte rilevato, sulla logica semiotica della ricerca di Peirce, o meglio sull’idea regolativa della formazione del consenso come prodotto di processi inferenziali di un’interpretazione segnica ininterrotta. Apel, in ultima analisi, intende ricostituire l’idea regolativa del possibile progresso della cultura quale oggetto delle scienze ermeneuticoricostruttive e critico-valutative29 nel senso di un’alternativa al relativismo postwittgensteiniano e alla riduzione ermeneutica del comprendere al solo «comprendere diversamente» (Gadamer). Si tratta, dunque, come già si è detto, del ritorno riflessivo a quelle premesse inaggirabili del pensiero, interpretate Cfr. K.-O.Apel, “De nostri temporis studiorum ratione” o: il principio trascendentalermeneutico dell’autoappropriazione come ratio della formazione filosofica (quasi-cartesiana) e scientifico-spirituale (quasi-vichiana) nel nostro tempo”, in Cambiamento di paradigma, cit., p. 111. 29

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però alla luce di una pragmatica linguistica. Quest’ultima è, come abbiamo sottolineato, alla base della fondazione dell’ermeneutica trascendentale e dirige la sua riflessione non solo sul solipsismo metodico o trascendentale, ma anche sull’a priori del linguaggio e dell’intersoggettività che sostengono le presupposizioni inconfutabili del gioco linguistico trascendentale dell’argomentare. Compito dell’autoappropriazione riflessiva è allora la presa di coscienza dell’ineludibilità della ragione argomentativa e la necessità ad essa susseguente di una sua riconduzione riflessiva alle pretese universali di validità di ogni argomentare serio a sfavore, come si è già avuto modo di argomentare, di una riduzione relativistica, per esempio in senso wittgensteiniano o gadameriano o in senso rortyano o postmodernistico in generale, che riporta le pretese di validità su un piano di puro contingentismo storico30. 1.4 Ripresa e trasformazione del progetto (kantiano) di fondazione ultima della filosofia teoretica e pratica La riconduzione all’ineludibilità della ragione argomentativa, se per un verso si dispiega nel doppio senso di discorso come medium di fondazione (concreta) di norme e di discorso come a priori razionale di fondazione dell’etica, deve proprio in rinvio a quest’ultima rendere possibile l’individuazione di quel principio etico da cui devono già sempre esser guidati tutti i discorsi argomentativi in quanto discorsi pratici di fondazione delle norme31. Se come sottolinea l’etica dei princìpi tradizionale, orientata a Kant, i discorsi pratici di fondazione delle norme presuppongono essi stessi un principio etico 30

Cfr. ivi, p. 112.

Cfr. K.-O.Apel, «Etica del discorso come etica della responsabilità – Una trasformazione postmetafisica dell’etica kantiana», in Cambiamento di paradigma, cit., p. 120. Cfr. anche K.-O.Apel, “Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft”, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. 2, §2.3.5, pp. 423 sgg.. 31

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come criterio formale che consente tanto il procedere quanto il risultato a cui si aspira, è anche vero che l’etica dei princìpi di Kant non riconduce affatto il principio criteriologico dei discorsi pratici al principio normativo dello stesso discorso. Tutt’altro e come abbiamo rilevato: la riconduzione kantiana avviene ancora su un piano pre-comunicativo e con riferimento all’Io autarchico. In ragione di ciò, il cambiamento in chiave trascendentalpragmatica consiste essenzialmente nel passaggio da una fondazione pre-comunicativa della legge morale ad una fondazione comunicativa della legge morale. Ciò avviene come articolazione riflessivo-argomentativa dell’a priori ineludibile che è alla base della stessa discorsività. Kant, secondo Apel, doveva fallire la fondazione ultima trascendentale della legge morale proprio perché si basava ancora su un principio soggettivo della ragione, su un principio, come si è avuto modo di rilevare, appunto precomunicativo e non comunicativo, tant’è vero che l’ineludibile kantiano (ma anche descartiano e husserliano) è l’Io penso separato dalla dimensione trascendentale dell’intersoggettività. L’assenza di cosoggetti del discorso nella fondazione dell’etica spiega non solo l’aporia di Kant di dover introdurre come spiegazione un «fatto evidente della ragione», ma anche il dover configurare un piano metafisico-intelligibile separato dal mondo esperienziale. Non potendo evincere libertà e autonomia dei partner dell’agire morale dall’evidenza trascendentale del senso del pensiero in quanto argomentare, Kant si raffigura una libertà metafisica di esseri di ragione puri intelligibili separata dalla libertà di un’autonomia e una volontà date con l’uomo empirico. Da quanto qui delineato solo in via sommaria si evince che in Kant la fondazione ultima della legge morale è retta da una libertà e un’autonomia metafisiche della volontà come «ratio essendi», delle quali è impossibile ogni dimostrazione e conoscenza, per cui libertà e autonomia derivano, secondo il primato della ragion pratica, dal dover-essere della legge morale, «presupposta già valida in quanto “ratio cognoscendi”, quindi 40

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dal Sollen la cui validità a sua volta deve essere prima fondata dalla libertà nel senso di ragione autonoma legislatrice»32. La costruzione testé menzionata di questo circolo vizioso non offre a Kant la possibilità di dedurre trascendentalmente la validità della legge morale (pretesa nella Metafisica dei costumi), per cui egli è costretto a situare le condizioni di possibilità di fondazione ultima sull’evidenza rilevata di un presunto «fatto della ragione». Nella sua trasformazione linguistico-pragmatica della filosofia moderna, Apel evita l’aporia kantiana di mondo noumenico e mondo fenomenico, sostituendo l’a priori dell’Io-penso con l’a priori dell’«Io-argomento» e può così portare allo scoperto due presupposti inaggirabili sconosciuti alla filosofia trascendentale coscienzialistica e del soggetto in generale e kantiana in particolare: primo, sia nell’argomentare pubblico che nell’argomentare individual-soggettivo siamo sottoposti sempre e comunque alle condizioni normative della possibilità di un discorso argomentativo ideale come unica pensabile condizione se vogliamo riscattare le nostre pretese normative di validità che di volta in volta avanziamo; secondo, l’accettazione del discorso argomentativo è al contempo riconoscimento dei fondamenti etici che strutturano per principio il discorso medesimo. Come può agevolmente scorgersi, al solipsismo metodico di Kant (vale altrettanto per il solipsismo trascendentale di Husserl) è sconosciuta l’inaggirabile appartenenza complementare di ogni argomentante alla comunità comunicativa reale e alla comunità comunicativa ideale (da anticipare, nel senso di Apel, controfattualmente), come sono sconosciute ovviamente le scoperte recenti dovute all’ermeneutica filosofica e alla pragmatica linguistica e cioè: la precomprensione storicamente condizionata e l’intesa con gli altri membri della comunicazione. Scoperte che da Gadamer a MacIntyre, da Williams a Rorty, riportano però la comunica-

32

Ivi, p. 123.

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zione reale su basi di consensualità solo storico-contingente33. La novità della trasformazione trascendentalpragmatica, che legittima il cambiamento di paradigma qui avanzato, non consiste tanto nel riconoscimento, oggi obsoleto, dei presupposti ermeneutico-filosofici e pragmatico-linguistici testé menzionati, quanto nella messa in luce della comunità argomentativa ideale anticipata controfattualmente, ignorata, come nel caso di Kant e Husserl, anche dalla pragmatica linguistica che parte da Heidegger e Wittgenstein e si conclude nel relativismo generalizzabile della filosofia odierna. Come si è avuto modo di evidenziare sopra, Apel riconosce nella comunità argomentativa l’istanza inaggirabile per l’articolazione di norme ideali, valide universalmente, legate a quelle premesse normative ineludibili date con l’argomentazione che esprimono un principio etico-discorsivo e permettono una trasformazione postmetafisica del principio di universalizzazione, da Kant configurato ancora come imperativo categorico e per conseguenza non portato affatto a termine. La trasformazione linguistico-pragmatica della conoscenza ultima, che porta Apel con Kant oltre Kant e oltre la filosofia trascendentale moderna in generale, si concretizza nel sostituire la validità di legalità delle massime dell’agire che ogni singolo kantianamente deve volere, con l’idea regolativa della capacità di consenso di tutte le norme valide per tutti gli interessati34. Come si può notare, la decifrazione postmetafisica del «regno dei fini», così come postulato da Kant, e intesa ora come idea regolativa della comunicazione umana, può consistere solo nella capacità universale di consenso tra partner della comunicazione argomentativa sul piano dell’intersoggettività. Nell’ottica trascendentalpragmatica o trascendentalsemiotica «il fatto evidente della ragione» si concretizza, dunque, nel riconoscere che con la ragione comunicativa, in quanto razionalità discorsiva, 33 34

Cfr. ivi, p. 126. Cfr. ivi, p. 128.

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abbiamo già sempre riconosciuto la validità della legge morale nella forma del principio etico del discorso35. Da quanto finora sviluppato emergono due punti importanti per il cambiamento di paradigma proposto: primo, nella trasformazione trascendentalpragmatica dell’etica kantiana, l’etica del discorso, come qui concepita, delega agli stessi interessati la fondazione concreta delle norme, il che garantisce al massimo l’adeguatezza di queste alla situazione contingente non trascurando, però, al tempo stesso, il principio di universalizzazione che definisce strutturalmente il discorso; secondo, l’etica del discorso parte si dall’analogia trascendentalpragmatica «regno dei fini»-«comunità argomentativa ideale» (anticipata controfattualmente), ma al contempo anche dall’a priori della comunità argomentativa reale a cui ogni destinatario dell’etica sempre già appartiene. Apel evita così il dualismo insostenibile tra regno dei fini e regno fenomenico, l’aporia kantiana, cioè, in cui l’uomo è al contempo «cittadino di due mondi». Per portare a termine il progetto kantiano di fondazione ultima della filosofia teoretica e pratica, Apel nel suo cambiamento di paradigma si serve di un a priori dialettico, vale a dire dell’intreccio tra a priori dell’idealità e a priori della fattualità. La novità di Apel, rispetto a tutta la filosofia trascendentale e non solo quella kantiana, consiste appunto nel considerare già nella fondazione ultima del principio dell’etica tanto la norma (anticipata controfattualmente) fondamentale della fondazione consensuale delle norme, quanto la norma fondamentale della responsabilità riferita al contesto storico. La riconduzione della validità delle norme a questo a priori dialettico consente ad Apel di poter far convergere, in certo qual modo, nel suo progetto di trasformazione linguistico-pragmatica della filosofia moderna, la tradizione che si riconnette a Peirce, Mead, Wittgenstein, Tarksi, per fare solo alcuni nomi, nonché le scoperte dell’ermeneutica filosofica, come l’a priori della 35

Cfr. ibidem.

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fattualità (Faktizität), la storicità dell’umano esser-nel-mondo (Heidegger/Gadamer) e l’appartenenza ad una determinata «forma di vita» (Wittgenstein), senza dover rinunciare all’a priori delle presupposizioni universali, inaggirabili, della razionalità del discorso argomentativo36, come avviene – successivamente proprio a Heidegger e al tardo Wittgenstein – nelle proposte neopragmatiche (per esempio in Rorty e Rawls) e postmodernistiche (per esempio in modo completamente radicale in Derrida). 1.5 Il paradigma dell’intersoggettività nella filosofia trascendentale Un punto di contestualizzazione rilevante del paradigma avanzato all’interno della trasformazione trascendentallinguistica o semiotica della filosofia trascendentale kantiana e in generale, che Apel si propone di ricostruire, rimane non da ultimo proprio il superamento, sopra menzionato, della metafisica dualistica dei due mondi, problema lasciato irrisolto da Kant, come si è rilevato, ma fondamentale in chiave di fondazione ultima della filosofia teoretica e pratica. Ad esso congiunto e non meno importante, in chiave di cambiamento di paradigma, è la tematizzazione del problema che vede la validità della formazione concettuale realscientifica limitata all’esperienza possibile, ossia imbrigliata nella dipendenza della conoscenza scientifica dall’affezione dei sensi nel reale, esternamente quindi alla coscienza che fa sorgere la domanda sul senso stesso del reale. Qual è la soluzione che viene avanzata nell’ermeneutica trascendentalsemiotica elaborata da Apel? Nel dar risposta a questa domanda, bisogna subito premettere che l’etica in prospettiva trascendentalpragmatica non solo può fare a meno dell’aporia kantiana dei «due mondi», ma si 36

Cfr. ivi, p. 135.

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porta oltre la logica della tradizione filosofica trascendentalsoggettivistica, già prima messa in evidenza, perché non parte da un ideale normativo di esseri puri della ragione separato dal contesto reale, da un punto d’osservazione astratto esternamente al contesto storico o dalla relazione descartiana tra soggetto-oggetto, piuttosto dai partecipanti alla comunità discorsiva di un’eticità storicamente concretizzata (reale) in forme specifiche di vita, senza rinunciare, però, ad un punto d’osservazione universalistico, com’è il Sollen, per esempio, in Kant o l’istanza trascendentale della comunità argomentativa ideale nel nostro caso specifico. In questo suo tentativo trascendentalpragmatico, Apel rinviene un elemento fondamentale nella domanda sollevata dal pragmatista Peirce sul senso del reale che in situazione di ricerca37 dobbiamo sempre già premettere. Da prospettiva pragmatistica, infatti, il senso del reale non può essere decifrato come Ding an sich nel senso di un realismo metafisico esterno, ossia nel senso di una teoria metafisica della corrispondenza (di un realismo esterno), e nemmeno come the known conosciuto/riconosciuto de facto, ma come quel conoscibile/ riconoscibile in the long run. La soluzione che qui Apel prospetta, sulla scia pragmatistica di Peirce, come realismo critico del senso, si concretizza nel sostituire il dualismo aporetico kantiano di cosa-in-sé-inconoscibile (Ding an sich) e apparenze (Anschauungen) con la distinzione tra conosciuto, con riserva fallibilistica, e conoscibile come possibilità proiettata ininterrottamente nel futuro. Peirceanamente la verità è idea regolativa; col che si rende giustizia sia al criterio normativo dell’approssimazione alla verità in the long run sia al principio fallibilistico rispetto a tutti i risultati fattuali del processo di ricerca. In altri termini, la verità è quel consenso che si

Cfr. K.-O.Apel, ivi, cit., p. 167. Cfr. anche K.-O.Apel, “Von Kant zu Peirce. Die semiotische Transformation der Transzendentalen Logik“, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. 2, pp. 157-177.

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raggiungerebbe se la ricerca potesse essere portata a conclusione in condizioni ideali comunicative di comprensione intersoggettiva ed epistemiche, procedendo ovviamente oltre il consenso di un contesto storico-fattuale in infinitum. Apel ritiene la duplicità di senso, qui rilevata, di esplicazione controfattuale, da un lato, e possibilità realmente data, dall’altro, il punto centrale che regge il rapporto interno (potenziale, quindi in infinitum) tra pretesa di verità e pretesa di giustificazione38. In quest’ottica di realismo critico del senso, che non fa più uso di un realismo metafisico esterno, si avanza una premessa fondamentale, il fatto cioè che la verità (= conoscenza del reale) non è più il possesso di una coscienza finita o di una comunità particolare, ma, nel senso di Peirce, il prodotto inferenziale di una conoscenza ultima linguisticamente non più (argomentativamente) superabile nella comunità comunicativa di ricerca. In definitiva, si tratta di un’idea regolativa di verità (a cui, come lo stesso Kant constatava, non potrà ovviamente corrispondere mai niente di empirico39). Ora riassumendo: qual è il contesto che regge il cambiamento di paradigma della trasformazione apeliana della filosofia trascendentale moderna, nonché di fondazione ultima della filosofia teoretica e pratica? In primo luogo, la trasformazione semiotica del problema della conoscenza che vede già in Peirce sostituire le rappresentazioni della propria coscienza (in senso kantiano) con la rappresentazione segnica del reale e, per conseguenza, la sintesi dell’appercezione con la sintesi dell’interpretazione linguistica40; in secondo luogo, 38 Cfr. K.-O.Apel, “Pragmatismo come realismo critico del senso sulla base di idee regolative – In difesa di una teoria peirceana della realtà e della verità”, in Cambiamento di paradigma, cit., p. 233.

39 Cfr. K.-O.Apel, “Riflessione trascendentalpragmatica: le prospettive centrali di un’attuale trasformazione kantiana”, in Cambiamento di paradigma, cit., p. 168. 40

Cfr. ivi, p. 169.

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l’inclusione dell’intersoggettività (sconosciuta, come si è rilevato, in Kant e nei filosofi del soggettivismo trascendentale) che vincola la conoscenza non solo alla relazione soggetto-oggetto, ma anche alla relazione soggetto-cosoggetto. La novità semiotica di Peirce non consiste solo nell’aver messo in rilievo tre diversi tipi di segni (icon, index e symbol) a cui corrispondono i tre piani di primità, secondità e terzità, ma nell’aver chiarito che si giunge alla conoscenza vera o falsa proprio sul piano della terzità, ossia proprio sul piano dell’interpretazione concettual-linguistica della percezione attraverso i simboli: sono questi, infine, a completare i processi inferenziali abduttivi41. In termini di teoria della verità, o meglio di consenso su ciò che è vero (o falso), la verità dovrebbe essere intesa peirceanamente come risultato di tutti i tipi di processi inferenziali (deduzione, induzione e abduzione), tenendo fermo il processo ad essi interconnesso dell’interpretazione segnica. Apel rileva una doppia importanza proprio nella triplicità della semiosis avanzata da Peirce: primo, essa, a differenza della semantica formale, non astrae dall’interprete dei segni e dalle sue premesse di verità; secondo, l’interprete dei segni non è più un soggetto solitario, ma è situato all’interno della comunità interpretativa e della formazione di consenso42. Questa trasformazione semiotica della filosofia trascendentale, che in Peirce si concretizza nelle tre categorie di rappresentazione iconica, rappresentazione indessicale e rappresentazione simbolica, offre come abbiamo rilevato sopra, il punto di partenza per una radicale neofondazione delle categorie della logica della conoscenza in Kant e della filosofia trascendentale in generale. Ultimando il discorso, si potrebbe dire che all’idea della «sintesi dell’appercezione» di Kant qui subentra l’idea regolativa del consenso ultimo della comuni-

Cfr. K.-O.Apel, “Husserl, Tarski o Peirce?” in Cambiamento di paradigma, cit., p. 201. 41

42

Cfr. ivi, p. 204.

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tà illimitata dell’interpretazione. La rappresentazione segnica del reale sposta infatti, come si è detto, la domanda di validità dal piano della relazione soggetto-oggetto al piano dei processi inferenziali sintetici nel senso dell’orientamento all’idea regolativa dell’interpretazione logica ultima (dell’ultimative logical interpretation), o meglio dell’opinione ultima/ definitiva (ultimate opinion) e non solo dell’interpretazione immediata (dell’immediate interpretans). Accanto a questa trasformazione linguistica della logica kantiana e della ricostruzione in chiave trascendentalermeneutica della filosofia moderna, che ha conseguenze rilevanti sul piano della teoria della conoscenza e della teoria della scienza, in ultima analisi anche e soprattutto rispetto alla domanda fondamentale sulla possibilità di accesso alle condizioni di possibilità di validità ultima di filosofia e scienza, un punto cruciale che si vuole ancora evidenziare, all’interno del cambiamento di paradigma reclamato, rimane la fondazione delle scienze spirituali, o meglio delle scienze sociali «comprensive» (il discorso di fondazione vale ovviamente anche per le scienze naturali). Nel recupero della domanda fondazionale relativamente alle scienze, Apel, per un verso, ha tenuto presente il discorso diltheyano sulla necessità di portare a conclusione la critica kantiana della ragione (valorizzando sia la «psicologia comprendente» dell’ermeneutica di Schleiermacher sia la teoria dello «spirito oggettivo» di Hegel) e, per altro verso, completando la teoria kantiana dell’esperienza con l’esperienza ermeneutica. Col suo nuovo e originale paradigma, Apel porta avanti un progetto di trasformazione della filosofia trascendentale riprendendo l’orientamento linguistico-filosofico e semiotico sopra menzionato, nonché il discorso delle scienze comprendenti. Da un lato la distinzione del tardo Dilthey tra «comprendere pragmatico» relativamente ad una «sfera comune» della vita sociale e «comprendere conforme all’arte», e dall’altro e, in modo determinante, l’applicazione di Josiah Royce della semiotica peirceana alla sociologia storicamente comprenden48

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te43. Proprio nell’approccio di Royce, accanto ovviamente ad altri spunti come quelli già menzionati provenienti, per esempio, dall’ermeneutica linguistica di Gadamer sulle orme di Heidegger, Apel individua quel rapporto inaggirabile di complementarità metodologica tra conoscenza della natura mediata segnicamente, nel senso della relazione soggetto-oggetto (conoscenze nomologiche), e conoscenza ermeneutica (comprendente), intrasoggettiva/intersoggettiva, mediata anch’essa segnicamente, che sarà per lui di fondamentale importanza nel tentativo di fondazione delle scienze sociali (tentativo com’è noto completamente assente in Kant e nei filosofi coscienzialistici o soggettivistici) e decisivo e, quindi, determinante anche per dare una risposta definitiva alla disputa inconciliabile tra scienze dello spiegare (naturali-fisicali) e scienze del comprendere (riflessive-spirituali)44. Come si è rilevato, in Kant non c’è traccia che spieghi il linguaggio e la comunicazione come condizioni di mediazione aprioristica della conoscenza (anche naturale) e che documenti l’a priori del processo intersoggettivo di interpretazione come condizione trascendentale di possibilità e validità della conoscenza complementare alla relazione soggetto-oggetto. E tuttavia, proprio in termini di domanda sulle condizioni di possibilità e validità della conoscenza, la riflessione trascendentale di Kant sembra ad Apel più attuale dei tentativi del comprendere ermeneutico nel senso di «storia dell’essere» come accadimento-verità (Heidegger) o del «comprendere solo diversamente» condizionato dalla storicità dell’essere (Gadamer) sopra menzionato, poiché in questi tentativi viene meno, secondo Apel, quell’elemento fondamentale che Kant definiva Richtmaß, e che per esempio in Royce è formulato

43 Cfr. K.-O.Apel, “Riflessione trascendentalpragmatica: le prospettive centrali di un’attuale trasformazione kantiana”, in Cambiamento di paradigma, cit., p. 174. 44

Cfr. ivi, p. 176.

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come processo intersoggettivo d’interpretazione orientato ad un principio regolativo. La perdita di questo elemento normativo provoca il rifiuto della scienza e l’orientamento comune, soprattutto a Heidegger e Gadamer, ad una conoscenza e ad una comprensione situate solo storico-temporalmente e che nel loro relativismo devono presumere l’esclusione della possibilità di un «comprender-meglio» (quindi di un progresso), regolato normativamente. Col concetto di complementarità metodologica o dei giochi linguistici, Apel vuole conferire al processo d’interpretazione un principio regolativo di formazione di consenso che non graviti solo sul controllo di conoscenze empiricamente obiettivabili (sul modello delle scienze naturali), ma anche sulla vincolatività normativa di orientamento a fini (sul modello delle scienze comprendenti)45. Proprio nella ricomposizione di questo principio regolativo risiede un punto chiave per la possibilità di una trasformazione della filosofia trascendentale in generale e kantiana in particolare; in altri termini: quel passaggio possibile da una filosofia trascendentale ad un’ermeneutica trascendentale che dovrebbe permettere di ricucire, anche e soprattutto in funzione di fondazione dell’etica (del discorso), la distinzione non più conciliabile in Kant di Erscheinungen e Ding-an sich. Kant, con la sintesi dell’appercezione o l’Io-penso, non ha avuto la possibilità di fondare l’etica. Tant’è che, per dare validità all’imperativo categorico, ha dovuto, peraltro, ricorrere al «fatto evidente della ragione», cioè alla supposizione di un «regno dei fini» intelligibile, ossia alla supposizione di una comunità di puri esseri ragionevoli (separata dal mondo fenomenico). Ma, come Apel mette poi subito in chiaro, in Kant non si tratta se non di una «prefigurazione metafisica della comunità ideale della comunicazone»46, che adempiuta dovrebbe signi45 46

Cfr. ivi, p. 177. Ivi, p. 180.

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ficare il superamento del soggetto trascendentale. Nell’innovazione trascendentalpragmatica elaborata da Apel, il soggetto-ragione è ora la comunità discorsiva ideale, formata dal reciproco riconoscimento di cosoggetti autonomi della legislazione morale. La comunità discorsiva è la premessa inaggirabile di una fondazione non solo dell’etica e della filosofia pratica, ma anche della filosofia teoretica e della scienza in generale. Se consideriamo fino in fondo questa ipotesi, è facile scorgere che la riflessione trascendentale non dà prova dell’Io-penso, ma dell’Io-argomento (come membro di quella comunità discorsiva illimitata inaggirabile) e che l’Io-argomento, e solo esso, è fonte di fondazione (anche in senso di fondazione ultima) di filosofia e scienza. Nello stesso tempo, l’Io-argomento chiarisce che si tratta di una fondazione ultima trascendentalpragmatica (e non deduttiva) che riconduce cioè a presupposizioni di validità inaggirabili degli atti argomentativi e linguistici, a presupposizioni inconfutabili, considerato che precedono cioè la possibilità stessa della possibile confutazione: sono le inconfutabili premesse paradigmatiche di tutti gli argomenti, quindi anche le premesse paradigmatiche di tutti i controargomenti. Questa ipotesi forte di fondazione che ha spinto nel frattempo Habermas, come abbiamo rilevato, a prendere le distanze dall’impostazione di Apel a favore di una presa di posizione in cui si ritiene che tutte le presupposizioni di atti linguistici debbano essere accessibili alla verifica empirica, e Putnam a rinunciare al suo realismo interno, segna il punto finale nella svolta apeliana della trasformazione della filosofia trascendentale nel doppio senso dell’inaggirabile mediazione tra comunità argomentativa ideale (anticipata controfattualmente), quale istanza a priori di legislazione o meglio di fondazione autonoma e reciproca di norme, che si concretizza nel principio di formazione e universalizzazione del consenso, e comunità argomentativa reale situata, nel senso di Heidegger e Gadamer, sempre anche storico-temporalmente. La presa di coscienza di questa mediazione offre ad Apel il terreno solido e originale per il cambiamento di paradigma 51

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menzionato: un paradigma non più ontologico (sul modello di Aristotele), non più soggettivistico (sul modello da Descartes a Husserl) e neppure più metafisico. Un paradigma appunto trascendentalpragmatico o semiotico che si basa sui presupposti etici della comunità argomentativa (reale e ideale), che offre la possibilità di pensare sia in chiave di fondazione ultima di filosofia e scienza sia in chiave di applicabilità delle norme ai contesti pratici dell’agire umano.

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2 La pragmatica trascendentale e la complementarità delle metodologie

2.1 La pragmatica trascendentale dell’etica del discorso La pragmatica trascendentale dell’etica del discorso di Apel si pone, come si precisava nel capitolo precedente, su un piano nuovo di ricerca delle condizioni di possibilità di fondazione. Più specificamente, si tratta di ricostruire, su basi trascendentali, non solo la dimensione ermeneutica delle scienze sociali, ma di mettere in luce, al tempo stesso, le condizioni di possibilità di fondazione ultima di filosofia e scienza. È un tentativo sempre e comunque di riflessione trascendentale; Apel, infatti, non intende fuoriuscire dalla dimensione trascendentale (kantiana), piuttosto integrare e rielaborare quest’ultima in parte superandola e in parte trasformandola in un passaggio fondamentale che rivoluziona il modo di porsi della filosofia rispetto alle sue possibilità di autofondazione. Si tratta del passaggio dalla filosofia trascendentale dell’a priori del soggetto alla filosofia trascendentale dell’a priori dell’intersoggettività, come a priori della comunità comunicativa, ossia del passaggio dall’Io penso, per principio solitario di Descartes, Kant e sempre ancora di Husserl, all’argomentazione o, meglio, alla comunità comunicativa dei partecipanti al discorso. Il passaggio dall’Io penso alla comunità comunicativa, oltre a sostituire il paradigma tradizionale della coscienza col paradigma dell’argomentazione e a situare i presupposti della conoscenza nell’argomentatività intersoggettiva dei partecipanti al discorso, mette allo scoperto un presupposto trascendentale inaggirabile che precede già sempre ogni possibilità 53

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dello stesso discorso e la cui negazione condurrebbe a quella forma di autocontraddizione che, come abbiamo sottolineato, Apel definisce performativa. Il presupposto inaggirabile è l’a priori del linguaggio e dell’argomentare, ossia l’a priori della comunità comunicativa. Prima ancora che ci si possa rapportare a qualcosa di determinato, di significativo o che abbia un senso, si è sempre, infatti, rinviati ad una comunità linguistica da cui attingere l’uso linguistico e le regole grammaticali. Riallacciandosi, per certi versi, contemporaneamente a Peirce, Wittgenstein e Heidegger, Apel introduce l’a priori della reale comunità comunicativa linguistica come premessa di senso e significato. Il soggetto solitario, sciolto dalla comunità comunicativa, non potrebbe rapportarsi a nulla, nemmeno a se stesso. Il fatto di essere già sempre preceduti da una comunità comunicativa, apre l’Io all’orizzonte di senso. Ogni pretesa di validità premette il discorso con altri, il confronto con domande e obiezioni che derivano dalla comunità comunicativa. Ma già la pretesa stessa ci riporta all’argomentazione, ossia nell’universo del discorso illimitato al cui interno senso e significato trovano possibilità di vincolatività e controllabilità. Ogni pretesa di validità non è riconducibile, come era il caso in Descartes, Kant e sempre ancora in Husserl, all’Io penso in quanto soggetto trascendentale al singolare, ma all’a priori della comunità argomentativa ideale illimitata. È questa la base e l’istanza di ogni validità del pensiero. Facendo leva sul principio trascendentale e sulla trasformazione del principio di universalizzazione di Kant, Apel ritiene possibile non solo l’accesso alla fondazione delle scienze sociali, ma anche l’accesso all’etica del discorso nel senso di fondazione ultima razionale. La gran varietà di questioni che Apel ha aperto con questo suo originale programma trascendentale di fondazione ultima ha dato avvio, non da ultimo e ci preme ricordarlo, a tutta una serie di dispute con Odo Marquard, Hermann Lübbe, Hans Albert, Richard Rorty, Jacques Derrida, Jean-François Lyotard, John Rawls, Peter Winch, Karl Heinz Ilting, Hans54

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Georg Gadamer, Noam Chomsky, Hans Jonas e, non da ultimo, con Jürgen Habermas, nonché, in generale, tra fondazionalismo e non-fondazionalismo, tra certismo e fallibilismo, e, ancora, ad interpretazioni che, tra l’altro, vedono in Apel il teorico che ha tentato non solo un’integrazione sistematica di pensiero analitico e pensiero continentale ma di conciliare anche gli scolari di Wittgenstein con quelli di Heidegger e Gadamer all’interno di quella che oggi potrebbe essere definita una Sprachphilosophie1. Ma nonostante i vari tentativi di collocazione, la pragmatica trascendentale di Apel e, soprattutto, la necessità e possibilità di fondazione ultima ad essa legate si pongono in contrasto sia con il pragmatismo (per certi versi, incluso anche quello di Peirce), sia con il razionalismo critico di Popper, nonché con la teoria fallibilistica (Albert) che si ritiene a priori o per principio incompatibile con l’idea del fondamento ultimo di qualsiasi conoscenza. Per meglio evidenziare queste convergenze e nello stesso tempo far emergere i punti centrali di divergenza relativamente alle altre impostazioni filosofiche, si cercherà di tracciare le linee fondamentali della pragmatica trascendentale di Apel sia in rapporto alle condizioni ermeneutico-trascendentali di possibilità di fondazione ultima di filosofia e scienza sia in rapporto alle condizioni etiche inaggirabili di possibilità dell’argomentare con la tematizzazione dei seguenti tre passi analitici: – Il confronto con il riduzionismo scientifico; – Il confronto con il riduzionismo fenomenologico-ermeneutico; – L’assunzione della metodologia “critica ideologica” e della dialettica di complementarità degli orizzonti dei giochi linguistici. Ritorniamo, innanzitutto, sui presupposti dell’argomentazio-

1 Cfr., su questo punto, F. D’Agostini, Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent’anni, pref. di G. Vattimo, Raffaello Cortina, Milano 1997, p. 63 e p. 168.

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ne sviluppata da Apel, da un lato, come risposta alla riduzione scientistica (Peirce e Popper), dall’altro, come risposta alla riduzione fenomenologico-ermeneutica (Heidegger e Gadamer)2, che gli servirà, come preciseremo ancor meglio in seguito, per il passaggio dall’Io penso alla comunità comunicativa3. 2.2 Il confronto con il riduzionismo scientistico Analogamente al tentativo trascendentalpragmatico di Apel di portarsi oltre le aporie kantiane di fondazione etica trasformando il soggetto solitario in soggetto-comunità o discorso, anche Peirce aveva pensato più che in termini di superamento, in termini di “trasformazione della filosofia”, come sostituzione dell’apriorismo dell’evidenza solipsistica con il consenso-verità metodicamente controllabile, fissato dalla comunità sperimentale e interpretativa degli scienziati. Nondimeno, il consenso-verità di Peirce rimane ancora legato alla logica della metodologia scientistica, in cui si esclude a priori ogni fondazione normativa. Apel, infatti, è costretto a parlare di aporia dello scientismo non solo rispetto alla filosofia analitica e al criticismo razionalistico di Popper, ma anche in rapporto al consenso-verità dello stesso Peirce. Mentre la filosofia analitica si regge sulla distinzione tra conoscenza oggettiva e decisioni di valore o etiche come campi separati e non rapportabili l’un l’altro4, Apel parte dal presupposto che, in ragione 2 Vedi K.-O.Apel, “La pragmatica trascendentale e la complementarità delle metodologie”, in: Lezioni di Aachen e altri scritti, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2004, pp.17-37. 3

Vedi ivi, capitoli primo, secondo, terzo e quarto.

Cfr. K.-O. Apel, Transformation der Philosophie, vol. II, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 5a ed. 1993, p. 368. Cfr. inoltre: K.-O.Apel, “Die Metaphysik des Logischen Positivismus und ihre pragmatische Auflösung”, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. I, cit., pp. 308-320. Cfr. inoltre, K.-O.Apel, “ ‘Methodischer Solipsismus’ als transzendentale Voraussetzung der Idee der ‘Einheitswissenschaft’”, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. II, cit., pp. 233-245. 4

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di tale distinzione, la filosofia teoretica non solo è incapace di dare risposta alla pretesa di validità intersoggettiva, ma è anche nell’impossibilità di porsi il problema di fondazione e validità. Con la distinzione/separazione tra conoscenza fattuale (oggettiva) e valori (soggettivi), la filosofia analitica – come riflessione metaetica – contraddice la sua possibile legittimazione e fondazione. Come può la filosofia analitica legittimare i suoi criteri di validità se si autocomprende quale semplice descrizione oggettiva e spiegazione neutrale nel senso della scienza avalutativa? La critica è diretta, ovviamente, anche al principio fallibilistico, come mostra con chiarezza l’esempio seguente di W. Kuhlmann tratto da Reflexive Letztbegründung versus radikaler Fallibilismus (in Zeitschrift für allgemeine Wissenschaftstheorie, 16 Jg., 1985, Heft 2, p. 358 sgg.): Secondo il principio, tutto è incerto Ma è certo, che tutto è incerto? No, anche ciò è incerto Ma che è incerto che tutto è incerto, è certo?

In contrasto con un fallibilismo radicale secondo cui tutto è fallibile, Apel cerca risposta alla soluzione del problema della fondazione in una concezione ermeneutica non neutrale, ossia trascendentale che premetta, cioè, già sempre una fondazione normativa del suo comprendere etico. Non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che parlare di comprensione etica è possibile solo in rinvio ad un’istanza etica, ossia in rinvio all’a priori della comunità argomentativa o comunicativa. Quest’ultima precede tanto la “critica” di cui parla la Scuola di Popper quanto la “critica ideologica” formulata da Theodor Geiger ed Ernst Topitsch. Sia l’una sia l’altra premettono – e come potrebbe essere diversamente? – un’etica normativa5. La fondazione dell’etica non è, allora, un prodotto di ricerca scientifica, ma è av5

Cfr. ivi, p. 391.

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venuta prima ancora che le scienze umane potessero costituirsi come istanza etica. Ciò è comprovato, non da ultimo, dal fatto che la stessa “oggettività” della scienza avalutativa ha sempre presupposto e presuppone la validità intersoggettiva di norme sociali6. Anche l’oggettività normativo-neutrale delle scienze empirico-analitiche è costretta a riconoscere quest’istanza di validità e l’intersoggettività che già da sempre la precedono7. Se trasferiamo il problema della domanda di validità alla logica, il risultato è identico. La validità logica (di argomenti) può essere controllata solo sulla base di una possibile comprensione intersoggettiva, ossia presupponendo la possibilità di formazione di consenso intersoggettivo8. A monte della validità logica non c’è, come ha pensato Popper, un’etica della logica come ricerca parallela di metaetica e logica della ricerca (Logik der Forschung), ma il rientro nelle condizioni trascendentalpragmatiche di possibilità della logica (e con ciò della scienza), cioè l’a priori della comunità comunicativa9. Si può e si deve notare che anche le operazioni nomologiche delle scienze avalutative premettono una comprensione dialogica di senso e di legittimazione (di validità) attraverso la comunità comunicativa. La logica scientifica di per sé normativa rinvia già sempre ad un’ermeneutica anch’essa normativa e questa, a sua volta, ad un’etica altrettanto normativa10. Si potrebbe obiettare popperianamente, che se la fondazione premette la validità della logica e questa a sua volta la validità dell’etica, non ci sarebbe più possibilità di fondare sia la logica sia l’etica, poiché ogni tentativo di fondazione condurrebbe ad un regressus ad infinitum. L’argomento, secondo Apel, è però valido solo se con “fondazione ultima” (Letztbegründung) in filosofia e 6 7 8 9

Cfr. ivi, p. 395. Cfr. ivi, p. 399. Cfr. ivi, p. 402.

Cfr. ivi, pp. 402-403.

10

Cfr. ivi, p. 406.

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della filosofia si intende un procedere deduttivo nell’ambito di un sistema assiomatico. Se, però, si prescinde da una riduzione argomentativa di tal tipo, l’impossibilità di poter fondare la logica, perché essa stessa è già sempre da premettere in ogni fondazione, non parla a sfavore della possibilità della sua fondazione; fa capire, invece, che siamo di fronte all’impostazione tipica di una fondazione filosofica secondo la riflessione trascendentale rispetto alle condizioni di possibilità e di validità di ogni argomentare. In altri termini, l’essere di fronte alla non-possibilità di fondazione, poiché condizione di possibilità di ogni fondazione, non costituisce un’aporia insolubile all’interno del procedimento di deduzione; significa, piuttosto, che siamo alla presenza di un’evidenza (Einsicht) nel senso della riflessione trascendentale11. In quest’ultima il problema di validità e di fondazione non è più questione di metodo (scientifico) ma si estende alla filosofia teoretica in generale, interessa, cioè, la stessa possibilità di una filosofia critica. Diversa è l’argomentazione di Popper il quale con filosofia critica intende non la comprensione interpersonale di bisogni e scopi sociali, ma la generalizzazione dell’ideale metodico scientifico-naturale e del rapporto tecnologico di esso con la prassi. Questa diversità di impostazione tra Popper e Apel ha conseguenze anche sul piano pratico. Con “società aperta”, Apel intende qualcosa di diverso di un sistema tecnologico-sociale basato, popperianamente, sul paradigma metodologico di unitarietà della scienza. “Società aperta”, nel senso di Apel, è partecipazione di cittadini emancipati all’elaborazione comunicativa di informazioni tecnico-scientifiche e alle stesse decisioni su norme e finalità di scienza e tecnica12. Con razionalità critica non bisogna intendere, sic et simpliciter, accettazione

Cfr. K.-O. Apel, Transformation der Philosophie, vol. I, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 5a ed. 1994, p. 14.

11

12

Cfr. ivi, p. 15.

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delle regole del metodo scientifico, ma partecipazione comune, su basi argomentative, alla fissazione del senso e dei limiti di provvedimenti tecnologico-sociali e l’organizzazione sociale di comunicazione e interazione di cittadini-soggetti. Da un lato, il problema dell’organizzazione della comunicazione interessa la struttura della società e le possibilità in essa riposte di una comunicazione possibilmente libera da costrizioni e da dominio; dall’altro, è chiamata in causa per principio la riflessione trascendentale rispetto alle condizioni di possibilità e di validità di una conoscenza intesa non solo in senso scientifico-naturale e di una prassi sociale intesa anch’essa non solo in senso tecnico o tecnico-sociale13. Con il paradigma scientistico-tecnicistico dell’ideale metodico della scienza unitaria, per Apel, si sorvola sul fatto che si è già adoperato e fissato e, quindi, assolutizzato un interesse conoscitivo come misura unica di argomentazione critica, sottraendolo alla stessa discussione critica14. In conformità a questa riduzione scientistica dell’interesse conoscitivo, la società non è che oggetto di scienza e tecnica, anche se la società reale è sempre anche il soggetto dei bisogni e degli interessi materiali e, in quanto tale, soggetto ideale normativo della conoscenza e dell’argomentazione. Per la filosofia e le scienze sociali critiche la società è allora sia l’oggetto della trattazione sia il soggetto virtuale della trattazione15. Questo doppio senso Cfr. ivi, p. 16. Cfr. anche K.-O.Apel, “Szientistik, Hermeneutik, Dialektik, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. 2, cit., pp. 145-154.

13

14

Cfr. K.-O.Apel, Transformation der Philosophie, vol. I, cit., p. 17.

Cfr. ivi, p. 18. In termini apeliani: „Es käme hier also darauf an, die reale Gesellschaft selbst, die das Subjekt der materiellen Bedürfnisse und Interessen ist, zugleich als normativ ideales Subjekt der Erkenntnis und der Argumentation zu behandeln. Die Gesellschaft wäre also nicht lediglich Objekt der Wissenschaft und Technik, wie im technokratischen Szientismus, der stillschweigend immer schon ein elitäres Subjekt der Wissenschaft und Sozialtechnologie voraussetzt; und sie wäre andererseits auch noch nicht das reale Subjekt der Wissenschaft; aber sie müsste in der Philosophie und in den kritischen Sozialwissenschaften als Objekt behandelt werden, das zugleich virtuelles Subjekt der Wissenschaft ist.“ (Ivi, p. 17). 15

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che definisce la società contrasta radicalmente la logica della razionalità metodica scientistica e il concetto ad essa legato di unitarietà della scienza (Einheitswissenschaft). Sulla base di questi presupposti, la filosofia diventa essenzialmente critica, ma critica anche nel senso dell’accertamento delle condizioni di possibilità e di validità della stessa critica16. Come può notarsi, si tratta allora di un accertamento non separabile dall’ambito della riflessione trascendentale rispetto alle condizioni di possibilità e di validità della conoscenza in generale, di un accertamento, quindi, impensabile nei termini della logica della Scuola di Popper. Infatti, in questa si rifiuta per principio la riflessione normativo-trascendentale. Fuoriescono, così, dalla logica critico-razionalistica (di unitarietà della scienza) sia i paradigmi di ermeneutica scientifico-spirituale sia i paradigmi di dialettica critico-sociale, ossia quei paradigmi capaci di spingersi oltre l’autoesperienza sociale intesa come ripetitività sperimentale storica e che offrono la possibilità di ricostruire l’autoesperienza della società in quanto storia. 2.3 Il confronto con il riduzionismo fenomenologico-ermeneutico Con Heidegger e Gadamer, la fenomenologia di provenienza husserliana prende la forma di fenomenologia ermeneutica. La critica fenomenologico-ermeneutica al processo di assottigliamento al quale è stata sottoposta la teoria della conoscenza, inclusa la critica della conoscenza di provenienza kantiana, è formulata in termini decisamente più radicali. Ed è, appunto, con la radicalizzazione della riflessione sul “comprendere” che la fenomenologia ermeneutica ha potuto portare

16 Cfr. ivi, p. 24. Cfr. inoltre, K.-O.Apel, „Das komplementäre Verhältnis von Szientistik und Hermeneutik (Kritik der Idee der Einheitswissenschat), in Idem, Transformation der Philosophie, vol. II, cit., pp. 101-120.

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alla luce strutture quasi-trascendentali che chiudono, secondo Apel, definitivamente con lo schematismo cartesiano-kantiano della relazione soggetto-oggetto ed aprono, al tempo stesso, ad una nuova metodologia della comprensione17. Appartiene a queste strutture soprattutto la “pre-struttura esistenziale” del comprendere, che dobbiamo ad Heidegger, quale struttura dell’essere-nel-mondo (In-der-Welt-sein). La prestruttura esistenziale si spinge indubbiamente oltre l’ideale teorico-conoscitivo ancorato nei presupposti della tradizione metafisicoontologica. Come struttura del co-essere (Mit-Sein), oltrepassa radicalmente il solipsismo metodico della tradizione teorica descartiana; come struttura della pre-comprensione, sempre già linguisticamente e storicamente determinata, si contrappone, con la configurazione del “circolo ermeneutico”, all’alternativa tradizionale apriorismo/empirismo; come struttura del Sich-vorweg-Sein dell’esistenza, in quanto cura (Sorge) riferita al futuro, può contestare la possibilità – che in Husserl rimane sempre ancora intatta – di una conoscenza di qualcosa in quanto qualcosa18. Il puro osservatore dei fenomeni non ha alcuna possibilità di interferire (cognitivamente) in ciò che, diversamente dallo spiegare, è essenzialmente storicità né di svolgere una funzione rilevante per la comprensione filosofica della scienza, giacché sono gli stessi fenomeni a dover essere rilevanti nel senso di un quadro di riferimento teorico-sociale. Col che anche l’interesse conoscitivo tecnico, in quanto a priori della costituzione scientistica di senso, non può sottrarsi alla domanda di vincolatività normativo-metodologica e di validità19. Piuttosto, la rilevanza della normatività metodologica interessa il comprendere filosofico di ogni forma di conoscenza e di comprensione di senso, ogni scienza e conoscenza scientifica. 17 18 19

Cfr. ivi, p. 25. Cfr. ivi, p. 33.

Cfr. ibidem.

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Il comprendere ermeneutico teorizzato da Apel, assume un’importanza specifica proprio dal punto di vista filosofico a causa della sua rilevanza normativo-metodologica. Ogni rinvio al trascendentale (kantiano) – ciò non vale meno per le ermeneutiche di provenienza fenomenologica – ha come conseguenza ineludibile l’introduzione della domanda concernente la legittimazione filosofica di validità della conoscenza20. Mantenendo fermi questi presupposti, Apel riformula il problema della verità e della validità nel senso or ora espresso non di superamento, ma di trasformazione della filosofia trascendentale kantiana, cioè nel senso dell’assunto che ogni ricorso alla critica della ragion pura non può rinunciare alla domanda relativa alle condizioni di possibilità della scienza e cioè alla domanda riferita alle condizioni di validità di essa. Un’ermeneutica che cerca risposta alla domanda relativa alle condizioni di possibilità del comprendere, deve trascendere il fenomeno “così come esso è” e si presenta. Intanto perché i fenomeni sono, come evidenzia la pre-struttura del comprendere, già “sempre costituiti”, non devono essere affatto prima “costituiti” dal soggetto. Nell’atto soggettivo del pensiero, si dà infatti risposta a un mondo già costituito. Ma pure accettando alcune categorie heideggeriane, Apel rimane del parere che alla filosofia trascendentale kantiana non si può dar risposta con la filosofia del Seinsgeschick (di Heidegger)21, ma solo con un’ermeneutica trascendentale che, ponendo la domanda sulle condizioni di possibilità del comprendere, si spinge oltre il lasciare “tutto così com’è” (Wittgenstein) fino alla domanda che include il senso e la validità del senso. Apel, distaccandosi dall’ermeneutica di Gadamer, non distingue tra condizioni di possibilità del comprendere (nel senso della costituzione della problematica fenomenologica) e legittimazione metodologicamente rilevante della comprensione-di20 21

Cfr. ivi, p. 34. Cfr. ivi, p. 44.

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senso (nel senso della domanda di validità kantiana); piuttosto lega la domanda di possibilità del comprendere, al contempo e inscindibilmente, alla domanda metodologicamente rilevante della validità del comprendere; parte, quindi, dal presupposto che non si risponde alla domanda relativa alla possibilità del comprendere col mostrare la struttura di un Seinsgeschehen22, ossia riducendo il comprendere ad una semplice struttura-diaccadimento e privandolo, quindi, di ogni criterio. È necessario, invece, premettere, già sempre, un criterio che distingue il comprendere adeguato dal comprendere non-adeguato. Se prendiamo come punto di riferimento la storicità del processo di comprensione, come formulata da Gadamer, notiamo che, anche in questo caso, non si può dar risposta alla domanda riferita alla possibilità del comprendere storico senza l’inclusione di un criterio di riferimento. Per Apel, questo criterio è il possibile progresso. Senza un criterio di senso del genere, non si può distinguere tra evidenza (Einsicht) trascendentalermeneutica e spiegazione empirico-analitica di possibilità dell’accadimento storico. Tenendo fermo quanto detto, si deve inoltre aggiungere che rispetto alla superiorità virtuale dell’interpretandum, Apel riscatta l’Einsicht di Hegel sulla pretesa di principio del comprendere come autopenetramento riflessivo dello spirito e come coscienza dell’altro, ritenendo impossibile ripiegare sull’immagine, puramente “temporale”, della mediazione intrinseca al comprendere, nel senso di un accadimento-verità o nel senso di un accadimento-di-senso (Heidegger, Gadamer), e salvaguardare, al tempo stesso, il momento di riflessione trascendentale relativo alla validità del comprendere. Nel discorso ermeneutico-trascendentale dell’a priori della comunità argomentativa si tratta, ad ogni modo, di salvaguardare – non solo rispetto alle ermeneutiche fenomenologiche, ma anche rispetto ad una teoria scientifica che riconosce come metodologicamente rile22

Cfr. ivi, p. 73, n. 49.

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vanti solo la descrizione e la spiegazione di dati esperibili nell’osservazione, tramite regole apportate all’oggetto dall’esterno – l’evidenza hegeliana del sapersi (Sich-Wissen) dello spirito nell’esser-altro (Anderssein), come condizione di possibilità di attribuire senso e validità teorico-scientifica a qualcosa. Si può notare, così, che la necessità di attribuzione di senso e la necessità del riconoscimento di validità del senso si rivelano intrinseche anche alla logica della teoria scientifica analitica, nonostante questa cerchi di porsi su un piano di neutralità. Dal punto di vista dell’autoriflessione qui teorizzata, anche la teoria scientifica analitica è analisi linguistica, ossia analisi di senso. È così confermato che anche la teoria scientifica analitica non può procedere solo in conformità del senso inerente al paradigma della sua metodologia scientistica, ma deve altresì ripiegare ermeneuticamente sulle relazioni-di-senso interne al suo stesso modo scientifico di procedere23. In risposta alla riduzione, la soluzione qui teorizzata si avvale di più metodologie. Apel lega, intanto, “scienza (empirica)” e “ermeneutica” e affianca ad entrambe la “critica ideologica”. In quest’intreccio, si possono porre in un rapporto di reciprocità le impostazioni di metodo delle scienze e le loro condizioni di possibilità di conoscenza, per un verso smitizzando il riduzionismo del concetto di “scienza unitaria” (“unified science”), fondamentale per la logica neopositivistica, e, per altro verso, articolando la complementarità tra “scienze empiriche” e “scienze ermeneutiche”, ossia tra “scienze della natura esplicative” e “scienze dello spirito comprendenti”. Se la complementarità delle metodologie è rivolta esplicitamente contro il monopolio e il riduzionismo dell’epistemologia empirico-analitica, con la metodologia della “critica ideologica” Apel si porta oltre il riduzionismo dell’ermeneutica (anche fenomenologica), situandosi su un piano di “mediazione dialettica” tra “spiegazione delle cause” e “comprensione di senso” (utilizzando e 23

Cfr. ivi, pp. 59-60.

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superando così la distinzione di Dilthey)24. Questa mediazione dialettica è pensata ovviamente anche oltre l’approccio del soggettivismo kantiano, anche se rispetto all’approccio neopositivistico la teoria della conoscenza di Kant si rivela, per Apel, meno riduttiva. Mentre Kant, infatti, si avvale della “logica trascendentale” per il chiarimento delle condizioni di possibilità dell’esperienza, con l’intento di costituire l’esperienza tramite una “sintesi categoriale”25, nel neopositivismo questa sintesi categoriale non svolge più alcun ruolo, in quanto esso, come si è già rilevato, si basa sulla logica formale matematizzata e sul presupposto che “ogni conoscenza”, per esser tale, deve essere ricondotta rigorosamente a dati d’esperienza26 suffragabili sul piano empirico. Sulla base di questo presupposto, il neopositivismo liquida, secondo l’analisi che sviluppa Apel, non solo il problema dell’interesse conoscitivo che, come fa notare Habermas27, scorre già sempre in ogni metodologia, ma anche il problema della normatività data, in analogia, sempre anche con i fondamenti della logica di ogni scienza. Il neopositivismo può così, apparentemente, da un lato salvaguardare il presupposto di una “scienza unitaria”, libera da interessi, e dall’altro condannare la distinzione metodologica che rinvia a Dilthey in quanto “teologia secolarizzata dello spirito” o “metafisica dello spirito”28. Definita così la “Logic of Science”, il comprendere divenCfr. K.-O. Apel, “Szientistik, Hermeneutik, Ideologiekritik: Entwurf einer Wissenschaftslehre in erkenntnisanthropologischer Sicht”, in Wiener Jahrbuch für Philosophie I, 1968, pp. 15-45 (anche in Apel, Transformation II, 1973); trad. it., “Scientificità, ermeneutica e critica ideologica”, in Ermeneutica e critica dell’ideologia, a cura di G. Ripanti, Queriniana, Brescia, 1979, pp. 25-59, qui p. 31. 24

25 26

Cfr. ivi p. 32. Cfr. ibidem.

Vedi J. Habermas, Erkenntnis und Interesse, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1968. 27

28 Cfr. K.-O. Apel, “Szientistik, Hermeneutik, Ideologiekritik: Entwurf einer Wissenschaftslehre in erkenntnisanthropologischer Sicht”, trad. it., cit., p. 33.

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ta una “sezione logica dello spiegare”, una componente solo “euristica” che non trova giustificazione logica, ma al più psicologica29 e che è costretta, quindi, a rimanere fuori dal terreno della scienza. Se ci si avvale di questi presupposti, il comprendere delle scienze dello spirito non svolge più nessun ruolo rilevante all’interno della “Logic of Science”30. A differenza del monismo metodologico riduzionistico del neopositivismo, Apel postula l’inaggirabile complementarità degli approcci metodologici, partendo dall’assunto che le diverse metodologie si completano a vicenda e rinviano allo stesso rapporto strutturale delle condizioni linguistiche di possibilità e validità delle loro conoscenze. Ne è prova il fatto che lo scienziato non può solus ipse spiegare qualcosa o esprimersi in termini di validità31. Pensare in termini di validità – ciò vale per ogni metodologia – rinvia, invece, già sempre ad una comunità linguistica. Anche alla comunità di sperimentazione degli scienziati della natura corrisponde sempre e comunque una comunità semiotica (C. S. Peirce), un’“intesa intersoggettiva” ineludibile, perché condizione di possibilità di “scienza” e scienza “oggettiva”. Ciò vale per ogni tipo di scienza e per i presupposti di ogni scienza. L’intesa linguistica è metodologicamente inaggirabile, complementare ad ogni scienza (oggettiva)32, perché precede lo stesso concetto di oggettività e verità. È in questo senso che, per Apel, sono necessarie sia le scienze “descrittive” ed “esplicative” che presuppongono il rapporto soggetto-oggetto sia le scienze “d’intesa” o ermeneutiche che presuppongono il rapporto di intersoggettività. Le prime ri-

29

Cfr. ivi, p. 34.

Cfr. Hempel e Oppenheim in H. Feige e M. Brodbeck (a cura di), Readings in the Philosophy of Science, New York 1953, pp. 677-88, ivi, p. 319 sgg. 30

31 Cfr. L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen I, Suhrkamp, Frankfurt a. M., p.197 e pp. 199, 243, 256.

Cfr. K.-O. Apel, K.-O. Apel, “Szientistik, Hermeneutik, Ideologiekritik, cit., p. 43.

32

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guardano la prassi tecnica, le seconde la prassi sociale, ossia il comprendersi su norme e condizioni di possibilità di mediazione di senso. Al concetto di scienza che si regge sul rapporto soggetto-oggetto, qui si affianca, anzitutto, il concetto ermeneutico di scienza. Entrambi i concetti non possono isolarsi o contrapporsi, piuttosto presuppongono, come si osservava prima, la necessità della mediazione dialettica tra ‘spiegazione’ (delle scienze sociali) e tra ‘comprensione’ storico-ermeneutica (delle scienze spirituali), quindi un terzo tipo di scienza: la “critica ideologica”. A monte delle stesse metodologie Apel pone, però, la comunità comunicativa, l’intesa o mediazione intersoggettiva. È quest’ultima, infatti, il vero presupposto di ogni conoscenza, essendo essa l’istanza di mediazione in cui si decidono le condizioni di ogni possibilità di consenso e verità e, quindi, di conoscenza, ossia i giochi linguistici delle regole di validità e legittimità. Si entra così nella logica trascendentalpragmatica dei presupposti del discorso o, meglio, nell’a priori dell’argomentazione di cui ci occuperemo nel paragrafo seguente. 2.4 L’assunzione della metodologia “critica ideologica” e la dialettica di complementarità degli orizzonti dei giochi linguistici Nella proposta di trasformazione della filosofia, sviluppata da Apel in rinvio a Kant e a Peirce, avvalendosi, come si è prima evidenziato, non dell’Io penso ma dell’a priori della comunità comunicativa, viene alla luce che il “superamento” del “solipsismo metodico” della teoria filosofica tradizionale della conoscenza comporta necessariamente il riconoscimento di quell’istanza normativa di senso a priori, data già sempre in ogni scelta metodologica e in ogni procedimento di conoscenza. Come si è in precedenza rilevato, fondamentale per questa conclusione è stata la scoperta heideggeriana della “pre-struttura” ermeneutica del comprendere che ha permesso ad Apel 68

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di attuare il passaggio, senza riserve e rivoluzionario, dalla filosofia trascendentale del soggetto alla filosofia trascendentale della comunità argomentativa. Bisogna precisare, però, che la comunità argomentativa non è in nessun modo da intendere nel senso di una filosofia trascendentale che si basa sull’ipostatizzazione di un “soggetto” o di una “coscienza in generale”, quali garanti metafisici della validità intersoggettiva della conoscenza, ma nel senso dell’a priori della comunicazione intersoggettiva33. Questa, infatti, linguisticamente precede già sempre ogni possibilità di attribuzione di senso e ogni possibilità di riconoscimento di senso rispetto sia alla validità sia alla verità. Nella comunicazione linguistica, che forma l’a priori di ogni comprendersi su senso, verità e validità, si è, allora, comunque situati all’interno di una teoria di consenso ineludibile; virtualmente si è già sempre nella “verità”. Parlare di “evidenza” (Einsicht), di conoscenza o di possibilità di verità è solo possibile nell’ambito del consenso interpersonale. E ciò non vale meno per il riconoscimento di validità delle stesse teorie. Queste devono la loro validità al “gioco linguistico trascendentale”, dato con l’illimitata comunità comunicativa, mai aggirabile perché ci precede già sempre in ogni nostro atto di pensiero. Se si segue la logica trascendentalpragmatica, la trasformazione ermeneutica della filosofia trascendentale è pensabile solo nella direzione semiotico-ermeneutica dell’a priori della comunità comunicativa34. Quest’ultima, come si dimostra, non è un gioco linguistico tra singoli individui ma la stessa Gattung umana o società35, che ha bisogno, ogni qualvolta si tratta di senso, di validità, di verità o validità di senso (Sinn-Geltung), del “gioco linguistico trascendentale”36. Quali

33 34

Cfr. K.-O. Apel, Transformation der Philosophie, vol. I, cit., p. 60, nota 90. Cfr. ivi, p. 59, stessa nota.

Vedi K.-O.Apel, “L’etica del discorso come risposta alla situazione dell’uomo nel presente”, in Lezioni di Aachen cit., capitoli I, II, III. 35

36

Cfr. K.-O. Apel, Transformation der Philosophie, vol. I, cit., p. 60.

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pur siano i paradigmi di riferimento, la specie umana è “condannata” a priori alla comunicazione intersoggettiva37, alla riflessione trascendentale, ossia all’autoaccertamento trascendentale, che avviene, in tutte le conoscenze sostanziali, nella comunità argomentativa con l’inter-comunicazione su quel che riguarda il senso e la validità del senso. Distaccandosi dalla contingenza degli accadimenti-di-senso, su cui si regge la Seinsgeschichte heideggeriana, per Apel, la specie umana (come soggetto quasi-trascendentale) riconquista proprio nell’a priori della comunità comunicativa un’autoposizione di responsabilità solidale. È nell’a priori della comunità argomentativa e non nella contingenza che la riflessione trascendentale rispetto alle condizioni di possibilità e validità del comprendere si riconosce nella possibilità di costituirsi come fondazione ultima (Letztbegründung) della filosofia. Infatti, colui che non si sottrae all’argomentazione filosofica, è costretto già sempre a presupporre implicitamente l’a priori dell’argomentazione. Chi argomenta, premette, da un lato, una comunità argomentativa reale, di cui egli, attraverso il processo di socializzazione, è membro, e, dall’altro, una comunità comunicativa ideale che, in via di principio, deve esser capace di comprendere adeguatamente il senso dei suoi argomenti e di giudicarne la veridicità38. L’a priori dell’argomentazione non si può mettere in discussione in nessun modo senza mettere in discussione, contemporaneamente, i presupposti di senso e la validità del proprio argomentare. L’a priori dell’argomentazione vale per ogni argomentare, anche per il contro-argomento e fa, dunque, di essa un luogo fondamentale ineludibile all’interno della “prestruttura” trascendentalermeneutica di ogni comprendere39. In rinvio all’a priori della comunità argomentativa, diventa 37 38 39

Cfr. ivi, p. 61.

Cfr. K.-O. Apel, Transformation der Philosophie, vol. II, cit., p. 429. Cfr. K.-O. Apel, Transformation der Philosophie, vol. I, cit., p. 68.

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inoltre ineludibile la complementarità degli orizzonti dei giochi linguistici trascendentali sia rispetto al sapere disponibile, oggettivo, scientifico-tecnologico sia rispetto al sapere comunicativo-ermeneutico che è sempre intersoggettivamente premesso indipendentemente dai paradigmi scelti. Se ci rivolgiamo alla prassi della conoscenza, riemerge subito l’inaggirabile complementarità sia del momento causale, strumentale-statistico e, se si vuole, nomologico del modello empirico-analitico di scienza, sia del momento decisionale della riflessione scientifico-spirituale, legato ad ogni agire umano libero, responsabile40. In questo contesto di ermeneutica trascendentale, libertà decisionale e determinazione causale non sono ambiti antitetici, piuttosto ambiti che si premettono, reciprocamente, come giochi linguistici complementari. Ma la trasformazione della filosofia, voluta da Apel, non si ferma al riconoscimento della semplice reciprocità degli ambiti. Si proietta, piuttosto, nella capacità, data con l’a priori della comunità argomentativa, di evincere la possibilità che porta al consenso per ciò che attiene alla scelta degli interessi conoscitivi. La scelta interessa, infatti, tanto i singoli individui quanto la società e la sua sopravvivenza in generale di fronte alle sfide che si pongono all’uomo nella situazione storica. Sfide con le quali Apel si confronta soprattutto con la parte B della sua etica del discorso come preciseremo successivamente41. Con l’autoesperienza storica della comunità comunicativa e l’autoesperienza storica della persona si costituisce un terzo interesse conoscitivo, cioè quello dell’automediazione dialettica della comunicazione ermeneutica stessa o dell’autoemancipazione42. Apel, come si è rilevato, non solo non abbandona

40

Cfr. ivi, p. 70.

Vedi K.-O.Apel, “L’etica del discorso come etica della corresponsabilità dinanzi alle costrizioni oggettuali di politica, diritto e economia di mercato”, in Lezioni di Aachen, cit., cap. III. 41

42

Cfr. K.-O. Apel, Transformation der Philosophie, vol. I, pp. 72-73.

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l’istanza critica hegeliana del sapersi (Sichwissen) o dell’autopenetramento riflessivo, ma la pone a monte degli stessi paradigmi scientifici, partendo dal presupposto che il senso funzionale dell’automediazione linguistica può esplicarsi solo a partire dalla complementarità tra conoscenza-della-natura e comunicazione-interpersonale, ossia nell’intreccio tra spiegare e comprendere come momenti all’interno della stessa dialettica. Il divenir coscienti dell’autoestraneamento dipende, da un lato, dal superamento delle costrizioni causali interiori della quasinatura dell’uomo e della società e, dall’altro, dal superamento delle costrizioni legate alla riflessione dell’autocomunicazione umana, istanza che già sempre ci precede. Col criterio dell’intreccio dei tre interessi conoscitivi, si può accedere a princìpi regolativi del possibile progresso conoscitivo che valgono sia per il progresso scientifico-tecnologico sia per il progresso della comunicazione interpersonale, sia per il progresso emancipativo43. Si apre qui a quella possibilità teorico-conoscitiva e teorico-scientifica, su basi antropologiche e filosofico-sociali, che – a partire dalla riflessione sui possibili orizzonti di senso della mediazione di conoscenze e prassi di vita – permette di formulare princìpi regolativi con riferimento al progresso metodico dell’orientamento umano nel mondo in generale44. Apel sviluppa così un concetto di filosofia trascendentale che non tiene separate e in concorrenza fra di loro ma vincola normativamente le decisioni metodologiche. A partire da Kant, l’istanza normativa di riflessione critica rispetto alla validità è denominata filosofia trascendentale45. Ma, diversamente da Kant, Apel introduce nella riflessione sulla possibilità della conoscenza, la riflessione sulle condizioni linguistiche della filosofia trascendentale e sulle condizioni linguistiche di possibilità della costituzione di senso intersog43 44 45

Cfr. ivi, p. 74. Cfr. ivi, p. 75.

Cfr. ivi, p. 76.

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gettivamente valida. Ampliando la prospettiva kantiana, l’ermeneutica trascendentale di Apel trova allora il proprio gioco linguistico nell’autoriflessione in quanto struttura contrassegnata all’interno di quella pre-struttura, secondo la quale, heideggerianamente, dal comprendere si è sempre già preceduti. In Apel, come si è evidenziato, questa pre-struttura linguistica è l’a priori della comunità argomentativa, in quanto premessa all’autocomprensione trascendentalermeneutica della filosofia. Apel pertanto vede nella prestruttura linguistica l’unità sintetica di trasformazione della filosofia teoretica. Ed è parimenti nell’a priori dell’argomentazione che, a suo parere, anche la ragione pratica può trovare il fondamento di un’etica intersoggettivamente valida46. Il compito per la realizzazione della comunità comunicativa (ideale) implica, infatti, nel senso della teoria della comunicazione qui proposta, il superamento della società classista, l’eliminazione di tutte le asimmetrie del dialogo interpersonale socialmente condizionate47. Si tratta, alla fin fine, di realizzare nella comunità comunicativa reale la comunità comunicativa ideale. Il primo obiettivo è condizione necessaria del secondo, il secondo obiettivo dà al primo il senso della possibilità di autoemanciparsi48. In definitiva, Apel situa nell’ermeneutica trascendentale dell’intersoggettività comunicativa non solo le condizioni di possibilità della pretesa di validità intersoggettiva, ma anche la possibilità di fondazione ultima (in filosofia) della filosofia, ossia la possibilità della scienza stessa e di ogni filosofare critico.

46 47 48

Cfr. ibidem.

Cfr. K.-O. Apel, Transformation der Philosophie, vol. II, cit., p. 432. Cfr. ivi, p. 431.

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Filosofia฀tra฀ermeneutica฀e฀pragmatica฀trascendentale

3 Filosofia tra ermeneutica e pragmatica trascendentale

3.1 Ermeneutica e pragmatica trascendentale1 Le riflessioni sviluppate da Karl-Otto Apel devono essere ritenute, indipendentemente dalla significatività che, di volta in volta, e in base alle scuole e agli indirizzi di pensiero che si privilegiano, si vuole assegnare alle dispute attuali (uno degli esempi più interessanti è la discussione che va sotto il nome di analitici e continentali)2, punto inaggirabile e di approdo del discorso filosofico contemporaneo. Ovviamente parliamo di un discorso filosofico (di ogni discorso filosofico) che non intenda rinunciare, a priori, alla domanda circa le condizioni di possibilità di fondazione. Di un discorso filosofico, peraltro, che ritiene necessario non abbandonare, e ancor meno di principio, la domanda relativa alla ricerca del fondamento di validità (universale) della conoscenza e, quindi e non da ultimo, di non desistere da ogni pretesa argomentativa di verità 1 Cfr. K.-O.Apel, Auseinandersetzungen – In Erprobung des transzendentalpragmatischen Ansatzes, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1998. Cfr. inoltre: K.O.Apel, „Wittgenstein und das Problem des hermeneutischen Verstehens“, in Idem, Transformation der Philosophie, cit., vol. I, pp.335-337; K.-O.Apel, „Heideggers philosophische Radikalisierung der ‚Hermeneutik’ und die Frage nach dem ‚Sinnkriterium’ der Sprache“, in Idem, Transformation der Philosophie, cit., pp. 276-302.

La disputa è tra la filosofia anglosassone-scandinava (= analitica) e la filosofia europea-continentale (= fenomenologia), cfr. al riguardo il lavoro dell’allieva di G. Vattimo: F. D’Agostino, Analitici e continentali, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1977. 2

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e in definitiva dall’argomentabilità dei presupposti (etici) dello stesso (e del proprio) argomentare. Nel qual caso, però, al partecipante (ad ogni partecipante) al discorso (scientifico o filosofico) verrebbero meno le pretese di validità delle proprie asserzioni e, di conseguenza, il senso della giustificazione argomentativa di volta in volta avanzato. Le riflessioni di Apel interessano, come si faceva rilevare nei capitoli precedenti, le condizioni di possibilità di ogni argomentare (anche ermeneutico) e, quindi, le condizioni di possibilità di ogni comprensione e comunicazione, verità e giustificazione, senso e di critica del senso. Queste riflessioni chiamano in causa, come si è visto, sia i giochi linguistici di Wittgenstein e l’ermeneutica dell’esserci (Dasein) (del primo Heidegger), sia la storia dell’essere (del tardo Heidegger) e la pretesa di universalità dell’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer. Quali sono gli interrogativi trascendentalpragmatici che fanno da sfondo a queste riflessioni e che accomunano e, al contempo, distinguono le posizioni qui oggetto di analisi? Gli interrogativi di base sono i seguenti: è il logos del discorso argomentativo a far dipendere il suo fondamento di validità dal senso temporale dell’essere e, quindi, dalla storia (epocale) dell’essere o sono la temporalità dell’essere e la storia epocale dell’essere a ricevere dal discorso argomentativo il loro fondamento di validità? In modo più generalizzato: la pretesa di validità di un’asserzione filosofica (di ogni asserzione filosofica) dipende dal logos della temporalità e della storicità dell’essere o dal logos sovratemporale e sovrastorico del discorso argomentativo? Detto diversamente: è possibile ancora parlare di pretesa universale della validità in riferimento a un logos trascendentale o tutto dipende dagli stili di vita o di vivere e forme di vita (Wittgenstein) o da aperture storiche (Heidegger) razionalmente non controllabili? E ancora: è possibile parlare di fondazione, o meglio di fondazione ultima, nonché di etica del discorso e fondazione dell’etica o fondazione di norme, in ultima analisi, di fondazione della scienza e della filosofia? 76

Filosofia฀tra฀ermeneutica฀e฀pragmatica฀trascendentale

A queste domande risponde l’ermeneutica trascendentale di Apel, sfidando, come abbiamo più volte rilevato, tutti i relativismi e gli scetticismi che accompagnano il pensiero moderno e quello più recente. Rispondere a questi interrogativi significa, però come si è fatto più volte notare, portarsi oltre i confini designati sia da un’ermeneutica della comprensione dell’esserci (del primo Heidegger) o, in generale, della storia dell’essere (ultimo Heidegger), sia da un’ermeneutica filosofica situata tutta entro i limiti della comprensione storica, com’è quella delineata da Gadamer, né è sufficiente, come mostra con chiarezza il discorso di Apel, la consapevolezza dei giochi linguistici di Wittgenstein. Da ottica trascendentalermeneutica o trascendentalpragmatica, si rivendica, rispetto all’ermeneutica di Heidegger e all’ermeneutica di Gadamer, nonché ai giochi linguistici di Wittgenstein, la domanda relativa alla pretesa di validità (universale) che, come pretesa filosofica, è assegnata – se vogliamo costituzionalmente -, non da ultimo, al domandare stesso e, in modo più generalizzato, al discorso argomentativo (ad ogni discorso argomentativo), nonché ed in ultima analisi: ad ogni asserzione messa in gioco nel discorso filosofico serio. Ma entriamo ancor più da vicino nell’impostazione apeliana, qui preannunciata, per analizzare lo sfondo a partire dal quale, se da un lato – con la svolta linguistica ed ermeneutica in filosofia – è stato possibile superare la filosofia coscienzialistica della modernità, dall’altro si è generato uno status di incertezza ormai generalizzata sulle possibilità autofondative del discorso filosofico che ha gettato dubbio e scetticismo sulla condizione relativa alla pretesa di validità (universale) delle proposizioni (di ogni proposizione) e ha condotto al relativismo radicale della pura contingenza storica. E proprio riguardo a questa caduta nella contingenza storica, si può dimostrare che è di fondamentale importanza il ruolo storico giocato soprattutto dalle impostazioni teoretiche di Wittgenstein e Heidegger (non sottovalutando, però, nemmeno il contributo che, in questo senso, proviene dall’ermeneutica 77

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filosofica di Gadamer), alle quali Apel assegna3 due possibilità di interpretazione: da un lato, la possibilità, aperta da Wittgenstein e Heidegger, di una trasformazione e ricostruzione postmetafisiche della filosofia, considerando il gioco linguistico discorsivo che è impegnato nella ricerca delle condizioni di possibilità e di validità della critica del senso e, quindi, della critica filosofica linguistica o di un’ermeneutica critica; dall’altro la possibilità di interpretazione, aperta anch’essa da Wittgenstein e Heidegger, della negazione del senso della filosofia. Di una filosofia, cioè, a cui Wittgenstein e Heidegger negano, a priori, ogni pretesa di verità e che, di conseguenza, nel caso di Wittgenstein è ridotta solo ancora ad autoterapia, nel caso di Heidegger è ridotta a metafisica della presenza, per cui sarebbe giusto reclamarne la radicale distruzione e sperare nell’avvento o evento (a-razionale) delle radure epocali dell’essere. Tra queste due interpretazioni, quella vincente (come dimostrano tra l’altro il postmodernismo di Lyotard e il decostruttivismo di Derrida) è quest’ultima: ossia la tendenza al misconoscimento radicale delle possibilità fondative di senso e verità legate al discorso filosofico e la susseguente corsa all’autodistruzione o autoannientamento della ragione filosofica. Passiamo, intanto, alla prima interpretazione, cioè all’importanza decisiva che, secondo Apel, a prescindere dalla seconda interpretazione, bisogna assegnare alla svolta critico-linguistica ed ermeneutica in filosofia avviata da Wittgenstein e Heidegger. Indubbiamente, per questa svolta fu rilevante la critica che, come si anticipava sopra, Wittgenstein ed Heidegger svilupparono contro il mentalismo o coscienzialismo della filosofia moderna, o meglio: contro la riduzione della realtà a mondo interiore, a percezione, a sensazioni oppure a rappresentazioCfr. K-.O.Apel, “Wittgenstein e Heidegger – Ripensamento critico e ampliamento di un confronto”, in Idem, Ermeneutica e filosofia trascendentale in Wittgenstein, Heidegger, Gadamer, Apel, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2006, pp. 217-255. 3

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ni. Col concetto di critica del senso e critica del linguaggio di Wittgenstein e con la svolta ermeneutica della fenomenologia (Heidegger), si può superare – come evidenzia Apel4 – il paradigma del pensiero moderno della filosofia della coscienza che assegnava la priorità della certezza all’immanenza della coscienza e al solipsismo metodico e assolutizzava la relazione soggetto-oggetto della conoscenza5. Rilevante per la conoscenza non è, ora, come rimarca Apel, la visione post-occamica, o meglio post-cartesiana, cioè l’evidenza dell’esperienza interiore (o la certezza soggettiva dell’esperienza interiore), ma l’evidenza intersoggettiva6. Vale a dire che accanto alla relazione soggetto-oggetto, bisogna considerare in senso complementare la relazione soggetto-co-soggetto7. In altri termini: non solo non si può assegnare alla coscienza interiore rispetto all’intersoggettività priorità conoscitiva, ma nemmeno le si può conferire un proprio campo di conoscenza specifica, in quanto sia le pretese di conoscenza che le pretese di verità e, non da ultimo, il contenuto stesso del senso che viene ad espressione in queste pretese, rinviano (come evidenziava già Wittgenstein) ad un linguaggio condiviso con altri e non ad un linguaggio privato. Il linguaggio si eleva ad a priori della conoscenza e della comunicazione, della

4 Cfr. K.-O.Apel, “Die Herausforderung der totalen Vernunftkritik und das Programm einer philosophischen Theorie der Rationalitätstypen”, in Concordia, II, 1987, pp. 2-23. Cfr. M. Borrelli, “La ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna come possibilità di fondazione ultima di filosofia e scienza”, in K.-O. Apel, Cambiamento di paradigma. La ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2005, pp. 19-52. 5 Per la tematizzazione del contesto rinvio al mio saggio: “La pragmatica trascendentale e la complementarietà delle metodologie”, in K.-O.Apel, Lezioni di Aachen e altri scritti, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2004, pp. 17-37. 6

Cfr. K.-O.Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale, cit., pp. 217, sgg..

Cfr. K.-O.Apel, “La dimensione ermeneutica della scienza sociale e il suo fondamento normativo”, in Idem, pp. 79-119. 7

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validità e della giustificazione. Detto nel senso dell’ermeneutica trascendentale di Apel: il nuovo paradigma della filosofia non consiste nel comprendere isolato (nell’ego cogito), ma nella validità intersoggettiva del comprendere, nel comprendere qualcosa in quanto qualcosa e nell’intendersi intersoggettivamente su qualcosa. Ma comprendere qualcosa o intendersi su qualcosa, se si segue anche Wittgenstein, non è, appunto, il prodotto dell’esperienza interiore, isolata, del singolo soggetto, ma espressione dell’esperienza legata al mondo esterno8, o meglio: è espressione di un’esperienza di comprensione pubblica legata a regole e criteri (pubblicamente) controllabili e correggibili. Il prezzo, però, che si è pagato con la messa allo scoperto dell’a priori del mondo della vita (Lebenswelt), e, quindi, della fattività e storicità dell’essere-nel-mondo (Heidegger) o dell’intreccio fra giochi del linguaggio e modi di vivere (Lebensformen), è l’aver consegnato la pretesa di validità della scienza al relativismo e le pretese di validità universale delle proprie proposizioni all’a priori della fattività della storia dell’essere o di determinati giochi linguistici. La contraddizione performativa che è venuta creandosi in questo passaggio dalla filosofia della coscienza alla svolta linguistica ed ermeneutica, o meglio nel relativismo susseguente alla svolta linguistica ed ermeneutica, trova espressione e conferma, da un lato, nel neopragmatismo e nel postmodernismo, dall’altro nell’autoannullamento, come abbiamo sopra evidenziato, delle possibilità fondative della filosofia. La collocazione della critica del senso dell’ultimo Wittgenstein nel relativismo dei giochi linguistici9 legati a determinati modi di vivere, va di pari passo con la riduzione heideggeriana della verità a In Essere e Tempo, Heidegger parla espressamente dell’esserci, come essere-nel-mondo (in-der-Welt-sein), ovverosia come con-essere (Mitsein), cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit, Max Niemeyer, Tübingen, 1993, cap. IV, p. 148, § 26, pp. 152-162.

8

9 Cfr. L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford, 1958, tr. it. di M. Trinchero, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino, 1967.

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evento temporale di dischiudimento fattuale-storico di aperture al senso dell’essere. Similmente a Wittgenstein, Heidegger non intende il concetto di verità nel senso universale (controfattuale) di validità, ma nel senso di apertura fattuale (storicamente condizionata) di dischiudimento dell’esser(ci). Così sintetizzata, la linea teoretica che unisce Wittgenstein e Heidegger nel parallelismo della prima possibilità di interpretazione, in cui, come si faceva rilevare, entrambi i pensatori concordano con la critica al mentalismo o coscienzialismo della filosofia moderna e aprono alla svolta critico-linguistica ed ermeneutica in filosofia, si tratta ora di richiamare l’attenzione sul parallelismo della seconda possibilità di interpretazione: la decostruzione della comprensione del mondo e dell’idea di verità della metafisica occidentale. Ora qual è il punto di riferimento per questa evocata decostruzione? Indubbiamente, il presupposto della decostruzione o distruzione è il frutto dell’assolutizzazione dell’a priori della contingenza o, per meglio dire, del sempre nostro (je-unsere) mondo della vita storicamente condizionato, a monte del quale non ci si può porre data, appunto, la diversità inaggirabile dei modi di vivere o forme di vita e, di conseguenza, la molteplicità dei giochi linguistici. Effettivamente, in questa logica si deve escludere una comprensione comunicativa (un intendersi su qualcosa, ovvero: ogni possibilità di fondazione) tramite il linguaggio. Riassumendo si può, dunque, tener fermo che al relativismo sincronico (dell’approccio di Wittgenstein) corrisponde il relativismo diacronico (di Heidegger)10 delle radure (epocali) del mondo originate dalla storicità dell’essere, in ultima analisi: il relativismo derivante, da un lato, dall’inaggiCfr. K.O.Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale in Wittgenstein, Heidegger, Gadamer, Apel, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2006, §§ 1.2.1. e 4.1. Cfr. anche sul contesto: K.-O.Apel, “Wittgenstein und Heidegger. Die Frage nach dem Sinn von Sein und der Sinnlosigkeitsverdacht gegen alle Metaphysik”, in: Idem, Transformation der Philosophie, vol. I, cit., pp. 225-275. 10

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rabilità della molteplicità dei giochi linguistici e, dall’altro, il relativismo derivante dall’inaggirabilità delle radure epocali della storia dell’essere. Il relativismo di Wittgenstein ha origine, quindi, nel presupposto che ogni linguaggio è situato in una determinata Lebensform, con determinati costumi, usanze e convenzioni: ciò, per Wittgenstein, fa presumere, anzi conferma o convalida l’impossibilità per il linguaggio di spingersi, oltre la contingenza dei molteplici giochi linguistici, verso le condizioni di possibilità di un’intesa unitaria. Questa riduzione del gioco linguistico filosofico alla storicità di determinati modi di vivere pone Wittgenstein – così Apel – sullo stesso piano heideggeriano di riduzione alla fattività in cui l’essere-nel-mondo è ‘progetto’ storicamente ‘gettato’. Se seguiamo Wittgenstein e Heidegger non c’è, evidentemente, possibilità per il discorso filosofico di portarsi a monte dei giochi linguistici di volta in volta storicamente dati. Ma questo riduzionismo non è, certo, la conclusione necessaria del gioco linguistico filosofico, piuttosto esso è espressione – come mette in luce Apel – di una dimenticanza-del-logos11, ovverosia è un ‘deficit di riflessione’ rispetto, addirittura, ai presupposti del proprio gioco linguistico-filosofico e alle pretese di validità del proprio discorso. Wittgenstein – secondo Apel – confonde il suo gioco linguistico con i giochi linguistici che prende in esame, col che ovviamente vengono effettivamente a cadere le pretese di validità della propria argomentazione. Ma anche Heidegger non fa di meglio, infatti si affida, in un primo momento, alla fattività dell’essere-nel mondo come ‘progetto gettato’ (primo Heidegger), poi, addirittura, all’evento epocale della radura della storia dell’essere (secondo HeidegAlla dimenticanza dell’essere (Seinsvergessenheit), messa in evidenza da Heidegger nei confronti dell’ontologia metafisica del pensiero occidentale, Apel risponde con la dimenticanza del logos (Logosvergessenheit) nei confronti del pensiero della Destruktion teoretizzato da Heidegger. Sul concetto di Destruktion, cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., § 6, pp. 19 sgg.; tr. it. di P. Chiodi, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 1992, pp. 37-46.

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ger). In entrambi i casi si annullano le pretese di validità del proprio gioco filosofico e si apre, come in Wittgenstein, non ad uno schiarimento della critica del senso, ma a ciò che Apel definisce la paralizzazione della ragione12. Cerchiamo, ora, di entrare più precisamente nel confronto, qui oggetto di tematizzazione, tra ermeneutica e pragmatica trascendentale iniziando col discorso heideggeriano sulla distruzione dell’ontologia metafisica della pura presenza. 3.2 L’ermeneutica della fattività Bisogna subito dire che la domanda di fondo, su cui si ergeva tutta l’impostazione ermeneutica heideggeriana, che centralmente era quella del problema del senso dell’essere (Sinn von Sein), faceva presumere, come non dimentica di mettere in risalto Apel (rispetto, per esempio, al neokantismo del XIX secolo, alla fenomenologia trascendentale di Husserl e all’ontologia ed etica da Scheler ad Hartmann) una radicale rivoluzione, non da ultimo, circa il modo con cui superare il tradizionale concetto ontologico-metafisico di conoscenza e mettere allo scoperto l’essere e il suo senso. In che cosa consisteva questa rivoluzione della conoscenza? In una formula alquanto approssimativa si deve subito dire che l’innovazione riguardo alla conoscenza consisteva, ora, nella riproposizione del problema del senso dell’essere in generale (o Seinsfrage). Essendo la Seinsfrage il modo in cui la metafisica tradizionale poneva il problema dell’essere in quanto problema dell’ente come tale, bisognava ‘capovolgere’ la Seinsfrage in Frage nach dem Sein (domanda sull’essere), vale a dire: in problema dell’essere come tale13.

Cfr. K.-O.Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale, cit., § 1.3., pp. 74 sgg..

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Cfr. M.Heidegger, Sein und Zeit, cap. I, soprattutto § 1-5, pp. 2-19; tr. it., cit.,

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Ma alla domanda, se vogliamo, relativa al metodo, si legava, ovviamente, anche una domanda che si estendeva al ‘contenuto’ e cioè: all’essentità dell’essente, cercata dalla metafisica tradizionale in principi fissi e stabili, sovratemporali o sovrastorici, Heidegger, già in Essere e Tempo, aveva contrapposto l’esserci (Dasein) da individuare, però, nella temporalità e nella finitudine della situazione storica essendo l’esserci costitutivamente temporalità e storicità14. Da un punto di vista della teoria della conoscenza o più specificatamente dell’ermeneutica, si trattava ora, pertanto, di porsi su un piano interno, quasi-autoriflessivo di comprensione dell’essere dell’uomo, essendo questi l’unico ente, come non sfuggiva ad Heidegger di sottolineare, capace di fungere da interrogato e porsi il problema vero della filosofia che è quello del senso dell’essere. Ciò portava ad una comprensione nuova dell’uomo. L’ente-uomo (il Dasein, l’esserci) è l’unico ente tra gli enti la cui comprensione (dell’essere) è costitutiva del modo di essere della sua esistenza15. In altri termini, l’esserci è la condizione costitutiva del problema dell’essere e del suo senso in generale, ovverosia condizione costitutiva della possibilità di comprensione del senso dell’essere: talché l’ente-uomo (diversamente da ogni altro ente) è l’unico ente a rapportarsi in modo esecutorio e riflessivo al proprio essere nella forma specifica, da Heidegger definita, di un aversi-nell’essere e dell’auto-cura (Selbstsorge) che si situano strutturalmente non in costituzioni fisse e sovrastoriche, ma, appunto, nella temporalità. La cura

pp. 18-37. Cfr. K.-O.Apel, “Heideggers philosophische Radikalisierung der ‘Hermeneutik’ und die Frage nach dem ‘Sinnkriterium’ der Sprache”, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. I, cit., pp.178-334.

Per Heidegger, l’esserci è temporale non solo perché esiste nel tempo, ma perché la temporalità è il suo stesso modo di essere. Cfr. Sezione seconda, § 45, pp. 283 sgg.: “Il fondamento ontologico originario dell’esistenzialità dell’esserci è la temporalità”, ivi, p. 287, e “il progetto di un senso dell’essere in generale può essere posto in atto solo nell’orizzonte del tempo” (ivi, p. 288). 14

15

Ivi, cfr., § 31, pp. 182 sgg. e § 32.

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(Sorge), come si dice alla fine della prima parte dell’analitica dell’esistenza di ‘Essere e Tempo’16, è l’insieme di esistenzialità che Heidegger individua nell’essere-avanti-a-sé, nella fattività (essere-già-in) e nel decadimento (essere-presso)17. In una formula: è la temporalità (Zeitlichkeit) estatica, riferita, cioè, non solo al presente, ma anche al passato e al futuro, a rendere possibile l’unità di esistenza, fattività e decadimento e a stabilire, così, le condizioni di possibilità della costituzione di tutti i modi dell’essere, ovverosia: l’insieme della struttura della cura. In definitiva, l’esserci in quanto fondamentalmente temporalità non è stabile e fisso, ma un poter-essere18. E, se è così, la risposta alla domanda circa il senso dell’essere non si dà, allora, partendo da categorie o princìpi sovrastorici, ma orientandosi all’esserci nella sua finitudine. In altre parole: solo a partire dall’esserci, nelle sue condizioni storico-temporali19, si può trovare risposta al senso dell’essere. Col che, come sottolinea Apel, Heidegger apriva il campo non solo ad Ivi, Cfr. §§ 39, 40, 41. Heidegger scrive: “Il poter-essere in vista di cui l’esserci è, ha il modo di essere dell’essere-nel-mondo… La possibilità ontologica del volere richiede costitutivamente l’apertura preliminare dell’“in-vista-di-che” in generale (L’‘essere-avanti-a-sé’), l’apertura di ciò di cui si può prendere cura (il mondo, come l’‘in-che’ dell’‘esser-già’), e infine il comprendente autoprogettamento dell’esserci nel poter-essere per la possibilità dell’ente ‘voluto’ (ivi, pp. 242-243). 16

Heidegger testualmente: “Sich-vorweg-schon-sein-in-(der-Welt) als Sein-bei (innerweltlich begegnendem Seienden). La cura è quindi: l’“essere-già-avantia-sè-nel (mondo) come essere-presso l’ente che viene incontro (come intramondano)”. Versione tedesca: Sein und Zeit, cit., § 50, p. 52; versione it., Essere e tempo, cit., p. 305.

17

Per Heidegger l’esserci è un poter-essere (come un prendersi cura degli entipresenti); in quanto poter-essere, l’esserci non trova mai compimento in nessuna delle forme di realizzazione ontica. Da questa definizione di cura, l’esserci non ha mai un rapporto completamente concluso col proprio essere.

18

19 Scrive Heidegger: “Ma la temporalità è anche la condizione della possibilità della storicità, quale modo d’essere temporale dell’esserci stesso, a prescindere dal problema se e come l’esserci sia un ente che è ‘nel tempo’. Il carattere della storicità viene prima di ciò che si designa col termine storia…” (ivi, § 6, pp. 37-38).

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una ontologia dell’esistenza, ma anche e soprattutto ad un metodo di conoscenza evidentemente non ancora sufficientemente riflettuto e cioè: ad un comprendere dall’interno, o meglio apriva ad un’ermeneutica nuova, appunto dell’esserci, tenendo fermo il presupposto che è la temporalità l’istanza che, in ultima analisi, offre l’orizzonte per l’interpretazione del senso dell’essere in generale. Comprendere l’esserci (dall’interno), che ricorda ovviamente il riferimento di Dilthey alle scienze dello spirito diversamente dallo spiegare riferito alle scienze nomologiche della natura, significava aprire ad un’ermeneutica (ontologica) dell’esserci, poiché, per Heidegger, si trattava (questo vale per lo meno per la ricerca sviluppata in Essere e Tempo) dell’accesso all’essere dell’esserci (temporale). Ciò dava all’impostazione heideggeriana, indubbiamente, per un verso la possibilità di oltrepassare la metafisica (che Heidegger definiva) della pura o semplice presenza (Vorhandenheit) dell’ontologia tradizionale, in cui si assegnavano all’essere i caratteri di stabilità sovrastorici; per altro verso la possibilità di ricostituire non solo la temporalità dell’esserci dell’uomo nell’interezza di passato, presente e futuro, e quindi nelle condizioni di possibilità della progettazione (geworfener Entwurf)20, bensì di recuperare altresì (il che non è meno rilevante dal punto di vista della conoscenza), appunto, proprio dall’interno, anche la domanda dell’essere dell’esserci. L’essere dell’esserci è l’e-sistenza. Il suo modo d’essere è un Zusein-habens (avere-da-essere). Ciò lo differenzia costitutivamente dal modo di essere dell’essere oggettivo21 degli oggetti d’esperienza, per esempio nel senso di Kant. L’esserci è sempre già essere nel mondo in comprensione; l’esserci in quanto autocura, ha costituito, nella loro esperibilità, i modi di essere dell’essente. Ciò, ovviamente, ha conseguenze per i di-

20

Cfr., cap. VI, § 39, pp. 180-184; tr. it. pp. 227 esgg.

Cfr. K.-O.Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale in Wittgenstein, Heidegger, Gadamer, Apel, cit., §§ 1.2.1; 1.2.2, pp. 47 sgg. e 4.4.1, pp. 217 sgg.

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versi modi di possibilità di accesso alla costituzione del senso e della comprensione, quindi per la conoscenza in generale, come mostra il fatto che al solipsismo trascendentale (Husserl) o all’ego cogito (Descartes), Heidegger poté contrapporre il con-essere (Mit-sein), essendo l’esserci intrinsecamente un essere-nel-mondo (in-der-Welt-sein) esposto già sempre al con-mondo (Mitwelt), oltre che al proprio mondo (Selbstwelt), dall’orizzonte dell’aver a che fare con cura. Come è facile scorgere, l’Heidegger della svolta (Kehre) pone, però, mano ad un cambiamento radicale di prospettiva che travolge i termini di conoscenza fin lì sviluppati a partire dall’analitica dell’esserci. Travolto viene, anzitutto e fondamentalmente, il problema della verità. Problema non più posto e discusso a partire dall’esserci e dal carattere di apertura dell’esistenza, ma ora, dopo la svolta, a partire dall’essere stesso e dalle sue aperture, in cui l’esserci, di volta in volta, è storicamente situato. In altri termini, per il tardo Heidegger, non è più il tempo, nel senso degli esistenziali estatici, il punto di riferimento della Destruktion dell’ontologia tradizionale, ma l’essere temporale stesso nel succedersi delle epoche della storia. Anzi è la stessa epocalità dell’essere nel suo darsi e sottrarsi a formare l’orizzonte di senso e della verità22. Stando a quanto appena detto, la dimenticanza dell’essere (Seinsvergessenheit) non trova più spiegazione nella distruzione-differenza tra il ‘si’ (Man) e l’‘autenticità’ (Eigentlichkeit), ma solo ancora nell’apertura dell’e-sistenza in quanto star-fuori-dall’esserci nell’apertura dell’essere. Detto ancora diversamente: fondamentalmente, non sono più l’uomo e la sua progettualità o l’autenticità alla quale l’uomo, essendo l’unico ente tra tutti 22 La categoria centrale di Heidegger è, ora, l’evento o accadimento (Ereignis), o meglio: l’essere come Ereignis. Nell’essere come Ereignis si dà la dif-ferenza (Unter-schied) e la ricomposizione della divergenza: “La differenza di essere ed essente è in quanto differenza di tramandamento e avvento l’insieme svelante-velante di entrambi” (M. Heidegger, Identität und Differenz, Neske, Pfullingen, 1957, p. 57).

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gli altri enti che può essere ciò che progetta, il punto di riferimento di ogni pensiero e del senso del pensiero, ma l’essere stesso; talché l’uomo è ormai solo ancora custode dell’essere, o meglio solo un pastore. Non è l’essere ad ascoltare l’uomo, ma è l’uomo a porsi in ascolto dell’essere; anzi, egli è attento e pronto ad ubbidire (hörig) alla voce (dell’essere). Come valutare, in termini di conoscenza ermeneutica, questa Kehre che Heidegger ha imposto all’esserci, su cui fin lì si erano centrati e raccolti gli sforzi del suo pensiero, travolgendone, come si diceva sopra, il ruolo di fondamentalità che assumeva ancora in Essere e Tempo? Che cosa rimane ancora della ‘distruzione’ della metafisica avanzata, con fermezza e rigore, da Heidegger e che cosa rimane dello stesso Dasein se ora sono la storia o la temporalizzazione (Zeitigung)23 dell’essere, o meglio l’essere-evento (Seins-Geschick), ovverosia l’epocalità della storia dell’essere, il punto di partenza e di approdo dell’ermeneutica heideggeriana? Qui crollano i fondamenti di un pensiero che si presentava, dopo Kant, come una nuova rivoluzione della Denkungsart. Ed infatti, a dire il vero, se è all’opera l’invio (Geschick) o l’epocalità dell’essere stesso, non cade anche l’intento di Heidegger, reclamato con enfasi, di Destruktion24 della metafisica? Ma quanto detto, se è vero, dovrà 23 Heidegger chiudeva Essere e Tempo con i seguenti interrogativi: “La costituzione ontologico-esistenziale della totalità dell’esserci si fonda nella temporalità. Il pensiero estatico dell’essere in generale non potrà essere reso possibile che da una modalità originaria di temporalizzazione della temporalità estatica stessa. Come si deve interpretare questo modo di temporalizzazione della temporalità? C’è una via che conduca dal tempo originario al senso dell’essere? Il tempo si rivela forse come l’orizzonte dell’essere?” (M. Heidegger, Essere e Tempo, tr. it., cit., p. 520).

Nel paragrafo sesto di Essere e Tempo, Heidegger pone il problema dell’essere a partire dalla Destruktion. Egli scrive: “Questo compito è da noi inteso come la distruzione del contenuto tradizionale dell’ontologia antica, distruzione da compiersi sotto la guida del problema dell’essere, fino a risalire alle esperienze originarie in cui furono raggiunte quelle prime determinazioni dell’essere che fecero successivamente guida” (ivi, p. 41). Heidegger continua: “In conformità alla tendenza positiva della distruzione, bisogna innanzitutto chiedersi se ed entro 24

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quindi valere in modo analogo anche per il problema del fondamento della dimenticanza dell’essere (Seinsvergessenheit)25. Questa dimenticanza, ora infatti, nemmeno è data più da un determinato porsi dell’esserci, o meglio dal porsi determinato dell’ente verso il suo essere, ma è un risultato della storia dell’essere che è indipendente dall’esserci. Se quanto detto ha consistenza, le conseguenze interesseranno anche un altro fondamento teorico del pensiero heideggeriano: l’imporsi del Gestell o della tecnica e il nichilismo ad esso legato nel pensiero occidentale. Infatti, anche nel Gestell non sono più allora all’opera l’esserci e la sua autoprocurata dimenticanza (dell’essere), ma l’epocalità dell’essere, se vogliamo: nel Gestell non si avrebbe altro che il compimento del ‘destino’ metafisico susseguente al darsi e sottrarsi epocali dell’essere. Come valutare il travolgimento che Heidegger ha riservato ai propri fondamenti teorici? Indubbiamente bisogna partire dal presupposto che Heidegger fa riferimento, diversamente da Kant che era interessato all’ oggettività della conoscenza, ad un concetto sempre ancora e comunque temporale di verità, anche se situato, in un primo momento, nell’apertura dell’esserci e poi, e in definitiva ed esclusivamente, nel darsi o sottrarsi (quindi a-razionale) epocale dell’essere. Col che non viene solo meno l’idea di ‘verità trascendentale’, ma anche l’idea di ‘validità generale’ o di ‘validità intersoggettiva’ che nelle loro conseguenze relativistiche costituiranno, come si anticipava sopra, i presupposti di tutte le ermeneutiche postmodernistiche dei nostri giorni. L’Heidegger post-Kehre se, da un lato, ha

quali limiti, nel corso della storia dell’ontologia in generale, l’interpretazione dell’essere è stata tematicamente connessa al fenomeno del tempo, e se la problematica della temporalità, qui indispensabile, è stata e poteva essere elaborata in modo fondamentale” (ivi, pp. 41-42).

Scrive a tal proposito Heidegger: “All’inizio (§ 1), è stato mostrato che il problema del senso dell’essere, non solo non è stato risolto né adeguatamente formulato, ma è caduto nell’oblio, nonostante tutto l’interesse per la ‘metafisica’” (cfr. ivi, § 6, p. 40). 25

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revocato l’identità aletheia-verità, dall’altro ha tenuto ferma, nonostante tutto, come evidenzia Apel26, la priorità della radura-di-senso storica rispetto all’idea di verità universalmente valida, giacché la prima costituisce, appunto, l’istanza che precederebbe quest’ultima e, quindi, la struttura che schiuderebbe e limiterebbe le possibili domande e, in ultima analisi, la verità delle stesse proposizioni. Nulla togliendo alla rilevanza teorico-conoscitiva della radura-di-senso, nell’ermeneutica trascendentale di Apel non si dà meno valore al fatto che la verità delle proposizioni sia temporalmente indipendente e, di conseguenza, valida intersoggettivamente e per ogni essere-di-ragione, quindi: universale. Quale valore di validità, di giustezza o di verità avrebbero potuto reclamare l’ermeneutica dell’esserci o l’ermeneutica dell’evento o della storia dell’essere (e in generale: le proposizioni o la pretesa di validità implicita nelle stesse proposizioni heideggeriane), se validità, giustezza e verità sono storicamente dipendenti dall’epocalità dell’essere che può darsi come sottrarsi indipendentemente da ogni intervento o volontà dell’uomo? Come giudicare una validità che si sottrae all’argomentabilità e ai presupposti dell’argomentazione e si situa esclusivamente nell’Ereignis e Geschick della storia dell’essere? Prima di dare una risposta più precisa a queste domande, passiamo al confronto tra ermeneutica trascendentale ed ermeneutica filosofica. 3.3 L’ermeneutica filosofica Come Apel rimarca27, l’ermeneutica filosofica elaborata da 26 Cfr. K.-O.Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale, cit., §3.2.1, pp. 181 sgg..

27 Cfr. ivi, § 4.2, pp. 233 sgg. Cfr. anche, K.-O.Apel, “Szientismus oder transzendentale Hermeneutik”, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. II, cit., pp. 178 sgg.; cfr. inoltre Idem, “Der dialektische Ansatz der Transzendentalphi

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Gadamer, in Verità e metodo, condivide con l’impostazione heideggeriana della temporalità un punto fondamentale, cioè: l’identità tra comprendere e modo temporale di essere dell’esistenza umana28. A rigore, per quanto riguarda il nesso comprensione temporalità, Gadamer si trova d’accordo sia con l’ermeneutica dell’esserci del primo Heidegger che con l’ermeneutica della storia dell’essere del secondo Heidegger, pur distaccandosi dalle conclusioni heideggeriane dell’‘invio dell’essere’ o del possibile ‘nuovo inizio ’ di una storia dell’essere. Nell’ermeneutica del Dasein, o meglio nella precomprensione (dipendente linguisticamente o culturalmente) dell’inder-Welt-sein di Heidegger, Gadamer vede il punto di partenza di ogni comprensione. In altri termini: anche per Gadamer la precomprensione è alla base dello stesso essere-nel-mondo e forma, quindi, la struttura portante di ogni interpretazione29. Di qui l’intuizione significativa che non si può separare (come aveva tentato nonostante tutto ancora Dilthey) un puro procedimento ‘oggettivo’ del comprendere o dell’interpretazione dalla prassi dell’applicazione ‘soggettiva’ del comprendere. Non si può, cioè, separare l’interprete dall’interpretandum. Di qui, inoltre, la scoperta ermeneutica della storicità della comprensione30, ovvero la messa in risalto dell’evidenza che l’interpre-

losophie und die Vermittlung von Hermeneutik durch Ideologiekritik”, ivi, pp. 52 sgg..

28 Su questa svolta avviata da Heidegger, Gadamer fa notare: “Solo, infatti, in base alla portata ontologica attribuita da Heidegger alla comprensione intesa come un ‘esistenziale’, e in base alla interpretazione temporale da lui data al modo di essere dell’esserci, è divenuto possibile pensare la distanza temporale in tutta la sua fecondità sul piano ermeneutico” (H.-G.Gadamer, Verità e metodo, tr. it. di G. Vattimo, Bompiani, Milano, 1994, p. 347). Cfr. K.-O.Apel, “Wahrheit versus Methode?”, in Idem, Transformation derPhilosophie, vol. 1, cit., pp. 22-68.

29 Cfr. H.-G.Gadamer, Verità e metodo, cit., ivi, “Elementi di una teoria dell’esperienza ermeneutica”, punto 1, “La storicità della comprensione intesa come principio ermeneutico”, pp. 312 sgg.. 30 “La coscienza ermeneutica esperta sarà dunque quella che include in sé una coscienza storica” (ivi, p. 349).

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te non può porsi dall’esterno dell’interpretandum, che, anzi, il compito dell’ermeneutica, come vuole Gadamer (ma sarebbe ovviamente da discutere), è dimostrare il senso di appartenenza tra interprete e oggetto d’interpretazione31. Ma un altro elemento fondamentale, che va anche oltre l’influenza heideggeriana, emerge dall’impostazione ermeneutica di Gadamer. Questo elemento è dato dal rapporto storicità-interprete. In altri termini, in Gadamer, alla storicità della comprensione si lega anche il rapporto interprete-interpretandum; il rapporto interprete-interpretandum struttura il discorso ermeneutico sia nella relazione Io-tu (della comunicazione) che nella relazione Io-testo (dell’interpretazione). Ed è qui il luogo, però, in cui, almeno dalla prospettiva trascendentalermeneutica della critica avviata da Apel, che si fa avanti con forza un problema di fondo irrisolto dell’ermeneutica gadameriana: come accordare, cioè, la prospettiva, d’ispirazione heideggeriana, della radicale storicità del comprendere, quale accadimento temporale della verità, alla possibile intesa (intersoggettiva) nel dialogo dei partecipanti al discorso? Intanto, per dar risposta alla domanda, anzitutto alla luce dei presupposti gadameriani, bisogna partire dalla supposizione che la condizione di possibilità dell’interpretazione è dovuta al fatto che l’interprete stesso, nella sua ‘precomprensione’ del mondo, sottostà al condizionamento ontologico del processo di tramandamento della storia che egli si accinge ad interpretare, o meglio a ‘ perfezionare’. In altri termini: l’interprete è all’interno di un nesso ontologico di mediazione di tradizione dal quale non può storicamente fuoriuscire, né può l’interprete annullare la differenza tra il suo orizzonte di precomprenSul contesto, testualmente: “La comprensione non va intesa tanto come un’azione del soggetto, quanto come l’inserirsi nel vivo di un processo di trasmissione storica, nel quale passato e presente continuamente si sintetizzano”. Gadamer conclude: “È questo che si tratta di mettere in luce nella teoria ermeneutica, che troppo spesso invece è stata dominata dall’idea di un ‘procedimento’ (soggettivo) da svolgere secondo un determinato metodo” (ivi, p. 340).

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sione e l’orizzonte di senso dell’interpretandum32. Indubbiamente questa interpretazione di ermeneutica concilia il modello-del-dialogo di cui Gadamer si serve (in rinvio alla tradizione socratico-platonica) col modello storicoontologico a cui egli fa riferimento (in rinvio ad Heidegger33). Ma la domanda di fondo dell’ermeneutica trascendentale di Apel mostra che la scappatoia gadameriana non risolve affatto il problema centrale del come comprendere, interpretare e valutare in modo normativamente giusto e adeguato. In altri termini, secondo Apel: la fusione di orizzonti non dice ancora nulla sulle condizioni di possibilità di un comprendere normativamente valido. Domanda tanto più significativa quanto più si parte dal presupposto (anche gadameriano) che la comprensione ermeneutica tende ad un comprendersi (dialogico) sulle cose aspirando, non da ultimo, ad un consenso fondato. Ma come si giunge ad un consenso fondato? Tra la ‘pre-comprensione’ o i ‘pregiudizi’, a partire dai quali l’interprete, appunto, interpreta e il ‘presupposto della perfezione’ (Vorgriff der Vollkommenheit) da cui si parte con riguardo all’interpretandum, Gadamer assegna priorità metodico-euristica a quest’ultimo. Il rischio, come fa notare Apel, è doppio: non solo interprete ed interpretandum (tradizione-interprete) non sono sullo stesso piano simmetrico di comunicazione34, e, quindi, Scrive Gadamer: “Un orizzonte del presente come qualcosa di separato è altrettanto astratto quanto gli orizzonti storici singoli che si tratterebbe di acquisire uscendo da esso. La comprensione, invece, è sempre il processo di fusione di questi orizzonti che si ritengono indipendenti tra loro” (ivi, p. 356). 32

33 I riferimenti espliciti ad Heidegger si trovano anche nel concetto stesso di tradizione e linguaggio, come questo passo mette bene in luce: “Il modo di essere della tradizione non è ovviamente qualcosa di sensibilmente immediato. Essa è linguaggio, e l’udire che la comprende, interpretando i testi, inserisce la verità di essa in un proprio modo di rapportarsi linguisticamente al mondo. Questa comunicazione linguistica tra presente e tradizione, come abbiamo visto, è l’accadere che si verifica in ogni comprensione…Questa struttura dell’esperienza ermeneutica, che contrasta così radicalmente con l’idea di metodo della scienza, si fonda a sua volta sul carattere di evento che è proprio del linguaggio…” (ivi, p. 529). 34

Non si capisce bene fino a che punto Gadamer si renda conto di questa asim-

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non solo il dialogo non avviene nella pariteticità dialogica dei partecipanti alla scambio di comunicazione, ma la simmetria può facilitare anche l’immunizzazione dell’interpretandum nei confronti di ogni possibile critica dell’interprete, diretta, per esempio, come confutazione alle sue pretese di validità messe in gioco nel ‘dialogo’. Ora, come chiarisce Apel, il processo ermeneutico (se, sulle orme di Heidegger, non si voglia solo intenderlo come accadimento storico-temporale di mediazione della tradizione) non è solo fusione di orizzonti, ma disputa argomentativa e discorsiva; non è necessariamente solo consenso, ma anche dissenso, critica e ricerca di nuovi orizzonti e misure orientative all’interno della comunità comunicativa. Ciò però significa che, diversamente da Gadamer, le norme da discutere e vincolanti socialmente non possono essere semplicemente attinte dalla tradizione o dall’influire storico” (Wirkungsgeschichte) a partire dall’interpretandum, ma possono e devono essere, come scrive Apel35, non meno il prodotto anche della coscienza ermeneutica dell’interprete, ovverosia, più che il prodotto di una fusione di orizzonti priva di criteri o che sottostà in modo determinante all’influire storico all’interno del quale la coscienza dell’interprete è comunque situata, il prodotto di un processo di riflessione capace di interrogare e, quindi, anche di opporsi ad una presunta pretesa di validità e di proporsi, pertanto, anche come alternativa o possibile

metria, egli infatti scrive: “È dunque pienamente giustificato parlare di un dialogo ermeneutico. Da ciò consegue però che il dialogo ermeneutico, come il dialogo vero e proprio, deve costruirsi un suo comune linguaggio, e questa elaborazione di un linguaggio comune, anche qui come nel dialogo vero e proprio, non è in alcun modo il semplice apprestamento di uno strumento in vista della comprensione. Anche tra gli interlocutori di questo ‘dialogo’, come fra due persone, ha luogo una comunicazione che è più di un semplice adattamento reciproco. Il testo porta ad espressione un certo contenuto, ma che ciò accada dipende in definitiva dall’interprete. Entrambi sono partecipi di questa operazione” (Verità e metodo, cit.,, p. 446).

35 Cfr. K.-O.Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale, cit., §§ 3.1, 3.2, pp. 173 sgg..

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progresso di comprensione o di riflessione ermeneutiche. Per Apel, siamo giunti qui, però, ad uno dei nodi centrali irrisolti dell’ermeneutica filosofica di Gadamer: la supposizione dell’impossibilità di un comprendere progressivamente meglio o in modo più giusto per la differenza ineliminabile che la distanza storica creerebbe tra l’interprete e l’interpretandum36. Se seguiamo Gadamer, infatti, non c’è nessuna possibilità di un comprendere meglio condizionato dal tempo, tant’è che ogni epoca comprenderà (se comprenderà) a modo suo (un testo o un’opera) ma sempre solo diversamente37. In prospettiva gadameriana, si tratta di trovare l’orientamento normativo in ciò che è dato della storia nel cui influire siamo sempre già parte o partecipi. Che cosa rimane, a questo punto, del dialogo e del discorso argomentativo tra presente e passato? O meglio: che cosa rimane ancora del confronto tra pretese di validità tramandate storicamente e pretese di validità avanzate dal presente nei confronti della tradizione e della storia? Nei termini dell’interrogare conciso di Apel: “il ‘consenso’ sulla cosa con un Tu è solo una questione di conservazione (o semmai di ‘perfezionamento’) dell’assenso sociale che deve effettivamente sempre già reggere la vincolatività normativa della tradizione culturale o può consistere anche in un nuovo assenso che, prima d’ogni altra cosa, deve essere acquisito mediante un confronto (critico-ermeneutico) con la tradizione ed il suo ‘influire storico’?38 E ancora: che cosa ne è della ‘produttività’ della distanza temporale, del topos che “si potrebbe (o dovrebbe) comprendere un autore meglio di quanto lui non comprenda

36

Ibidem.

Scrive Gadamer: “La comprensione non è mai, in realtà, un ‘capir meglio’, né nel senso del sapere meglio le cose in base a concetti più chiari, né nel senso della superiorità che possiederebbe la consapevolezza rispetto al carattere inconscio della produzione. È sufficiente dire che, quando in generale si comprende, si comprende diversamente” (Verità e metodo, cit., p. 346). 37

38

Cfr. K.-O.Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale, cit., §§ 3.1..3.2.4.2.

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o abbia compreso se stesso”39 o del Richtmass di cui parlava Kant, se il consenso non è altro che l’assenso tramandato dall’interpretandum, più precisamente: se la comprensione non va oltre il comprendere diversamente? Per Apel non ci sono dubbi sul fatto che Gadamer non abbia mai realmente varcato il limite in direzione di un’ermeneutica dialogica, piuttosto si sia imbrigliato in una concezione ermeneutica temporalstorica di stampo heideggeriano, in cui è appunto la temporalità dell’essere o la storia epocale dell’essere, attraverso le sue radure, a determinare geschickhaft i presupposti di possibili giudizi. All’interno di questa prospettiva temporalistica non è previsto nessuno scambio veramente dialogico tra interprete ed interpretato, come forse potrebbe e dovrebbe far presumere il circolo ermeneutico40. Né, d’altronde, vi sono presupposti ermeneutici storicamente indipendenti che, come a priori della comprensione, aprano ad un dialogare discorsivo su un piano di reciprocità tra la tradizione e l’interpretandum. Dal momento che, per Gadamer, tutto sembra essere storicamente condizionato e storicamente dipendente, è da escludere un’istanza normativa trascendentale-riflessiva che possa portarsi a monte del circolo vizioso dato con la condizionatezza e la determinatezza storiche. Ciò ha anche l’effetto che in Gadamer non solo il problema di una comprensione critica della tradizione non si pone affatto, ma che nella sua ermeneutica regni anche, indisturbato, solo ed esclusivamente l’interpretandum. In definitiva, se in Heidegger è la storia epocale dell’essere, in Gadamer (nonostante il richiamo costante al dialogo) è l’interpretandum (= la tradizione) a dettare legge sulla comprensione, la conoscenza e la verità. A questa situazione, di stagnazione e senza via d’uscita, di un’ermeneutica ridotta a semplice contemplazione del richiamo dell’essere o dell’interpretandum o

Cfr. H.-G. Gadamer, Wahrheit und Methode, Mohr/Siebeck, Tübingen, 1990, p. 195; tr. it., cit., p. 232. 39

40

Cfr. ivi, tr. it., cit., pp. 312 e sgg..

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subordinata all’intreccio di giochi linguistici e modi di vivere (Wittgenstein) storicamente condizionati, che lasciano spazio solo al relativismo della contingenza storica (Rorty), cerca risposta, come abbiamo visto, l’ermeneutica trascendentale di Apel con l’intento di far luce sulle condizioni di un consenso valido possibilmente in senso universale, ovverosia col tentativo di fondare in senso ultimo la filosofia (trascendentale). Vediamone più accuratamente la logica intrinseca di alcune delle argomentazioni centrali. 3.4 L’ermeneutica trascendentale Apel concepisce la pragmatica universale – che negli anni settanta ha condiviso con Jürgen Habermas e sostenuto assieme a quest’ultimo partendo dall’architettonica teorico-conoscitiva o antropologico-conoscitiva di tre interessi conoscitiviguida (Erkenntnisleitenden Interessen): quello tecnico, quello ermeneutico e quello emancipativo – come trasformazione della filosofia trascendentale classica e, quindi, come superamento della filosofia-del-soggetto, da Descartes, attraverso Kant fino ad Husserl. Il principio della pragmatica universale o della pragmatica (linguistica) trascendentale – come si faceva rilevare, condiviso inizialmente anche da Habermas41 – si basa sulla comunicazione linguistica, o meglio sul discorso come

41 Sulle divergenze tra Apel e Habermas, vedi i seguenti tre saggi: “Normative Begründung der ‘Kritischen Theorie’ durch Rekurs auf lebensweltliche Sittlichkeit? Ein transzendentalpragmatisch orientierter Versuch, mit Habermas gegen Habermas zu denken”; “Das Problem des offenen strategischen Sprachgebrauchs in transzendentalpragmatischer Sicht. Ein zweiter Versuch, mit Habermas gegen Habermas zu denken”; “Auflösung der Diskursethik? Zur Architektonik der Diskursdifferenzierung in Habermas’ Faktizität und Geltung. Dritter, transzendentalpragmatisch orientierter Versuch, mit Habermas gegen Habermas zu denken” (i tre saggi corrispondono ai capitoli 11, 12 e 13 della raccolta di saggi: K.-O.Apel, Auseinandersetzungen – In Erprobung des transzendentalpragmatischen Ansatzes, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1998).

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condizione quasi-trascendentale di possibilità di riscatto delle pretese di validità dell’argomentazione. Il termine apeliano di pragmatica (linguistica) trascendentale intende marcare il fondamento riflessivo di validità dell’inaggirabile discorso argomentativo. Rispetto alle ricadute nei semplici contingentismi (uno dei tanti esempi è Rorty), ma anche rispetto alle ermeneutiche sempre ancora storicistiche di Heidegger e Gadamer e alla concezione dei giochi linguistici di Wittgenstein, al fallibilismo anche dell’ultimo Habermas, al decostruzionismo di Derrida e al postmodernismo di Lyotard, si nota subito la fruttuosità dell’ermeneutica trascendentale di Apel, che provoca, ovviamente, non solo una necessaria restrizione dell’apriorismo kantiano, ma, mettendo allo scoperto le presupposizioni inaggirabili del discorso argomentativo, o meglio di ogni discorso argomentativo, apre per la prima volta, nella storia della filosofia, ad un tipo nuovo (non metafisico) di fondazione42. Nulla togliendo al fatto che rimane di fondamentale importanza sostituire la critica della conoscenza dell’età moderna con la critica del senso riferita al gioco linguistico (Wittgenstein)43, è indubbio, dopo quanto già finora sviluppato, che anche il tardo Wittgenstein, al pari delle ermeneutiche di Heidegger e Gadamer, e l’ultimo Habermas o i postmodernisti come Derrida non solo non risolvono il problema relativo alle condizioni di possibilità di fondazione o di validità di asserzioni filosofiche o scientifiche in generale, ma cadono, come abbiamo anticipato in più di una occasione, anche nel dogmatismo di reclamare per le proprie asserzioni pretese incontestabili di validità. Pretese che tacitamente stanno alla base delle loro argomentazioni come in ogni argomentazione, ma che sono sottratte sistematicamente ad ogni (auto-) riflessione critica. Questa con-

In tal contesto, rinvio al mio saggio: “La fondazione ultima e il rapporto con l’etica del discorso”, in K.-O.Apel, Lezioni di Aachen e altri scritti, cit., pp. 65-75.

42

43 Cfr. K.-O.Apel, “Wittgenstein und das Problem des hermeneutischen Verstehens”, in Idem, Transformation der Philosophie, cit., pp. 335-376.

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traddizione di fondo è dovuta al fatto che si rimane imbrigliati in una sorta di storicismo, di contingentismo o di fallibilismo in cui in definitiva tutto è storico, non vi sono verità assolute, tutto è contingente o legato ad un determinato modo sociale di vivere o ad un determinato gioco linguistico e conseguentemente: ogni verità e ogni validità sono storico-contingenti, mai universalizzabili o oggettivamente fondabili. In quest’ottica relativistica e storicistica non si prende in considerazione, come mette in chiaro Apel, la differenza tra la prestruttura del comprendere linguistico e della comprensione del mondo effettivamente relativi alla storicità di un determinato contesto storico e la prestruttura dell’analisi linguistica filosofica (che è al di sopra del contesto storico) di cui ogni argomentazione sempre già si avvale inaggirabilmente e che non può affatto ulteriormente relativizzare o storicizzare in riferimento alle (anche sue) pretese di validità ripiegando, a sua volta, su determinati giochi linguistici (Wittgenstein), radure della storia dell’essere (Heidegger), influire storico (Wirkungsgeschichte) (Gadamer), fallibilismo (Albert) o quant’altro si voglia. A ben riflettere, e come facevano presumere le domande iniziali di fondo del confronto qui oggetto di discussione, prima ancora di ogni enunciazione filosofica in generale, ma anche di ogni articolazione o formulazione, siano esse gli approcci ermeneutici di Heidegger o Gadamer, la concezione dei giochi linguistici di Wittgenstein o i vari scetticismi o relativismi odierni, si pone il logos a priori inaggirabile del linguaggio: il logos a partire dal quale (e non viceversa come fanno sospettare le ermeneutiche di Heidegger e Gadamer, l’approccio di Wittgenstein, i fallibilismi e decostruzionismi vari) è possibile parlare di radure, di essere, di gioco linguistico o, più in generale, di scetticismo, relativismo, nonché di conoscenza e comprensione, ecc. Ogni argomentare si trova necessariamente all’interno dell’a priori del logos del linguaggio. Nessuno può argomentare fuori dall’argomentazione, come nessuno può discutere fuori dal discorso. Non ci sono, dunque, argomentazioni con le quali dimostrare che le conseguenze relativistiche sus99

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seguenti a posizioni strettamente storicistiche, come quelle qui discusse di Heidegger e Gadamer o legate alla contingenza di determinati modi sociali di vivere sul modello di Wittgenstein, scalfiscano minimamente il terreno solido su cui si ergono le pretese di validità del discorso. Tutt’altro mostrano il discorso e l’argomento discorsivo: anche il relativista più convinto e lo scettico più radicale non possono dubitare che al discorso argomentativo appartengono, di principio, le pretese inggirabili che nella pragmatica trascendentale di Apel formano la conditio sine qua non del concetto di discorso: la pretesa di senso, la pretesa di comprensibilità, la pretesa oggettiva di verità (riferita al mondo esterno), la pretesa soggettiva di veridicità (riferita al mondo interno), la pretesa intersoggettiva moralenormativa di giustezza (riferita al mondo sociale)44. Qual pur sia il relativismo e lo scetticismo che si ritiene giusto seguire, ogni argomentante, quindi anche l’argomentante scettico e il relativista, si troveranno collocati sempre già nei presupposti (etici) dell’argomentare discorsivo se intendono sostenere seriamente le loro posizioni relativistiche o scettiche. Anche lo scettico e il relativista devono fare i conti, ogni volta che intendano argomentare, con la ‘doppia struttura ’ (così il termine apeliano) del discorso che comporta un ripensamento differenziato della struttura (del logos) del linguaggio umano, che a partire da Aristotele si vide limitato alla struttura della frase proposizionale e della logica apodittica e, quindi, esterno ad una considerazione in chiave dialogica ed autoriflessiva come qui avanzata nella proposta pragmatico-trascendentale di Apel. La ‘doppia struttura ’ del linguaggio garantisce che la pretesa del senso o la pretesa della comprensione non dipendano solo dalla corretta forma linguisti44 Cfr. M. Borrelli, “L’etica del discorso e i suoi presupposti emancipativi”, in K.-O.Apel, Lezioni di Aachen, cit., pp. 39-64. Cfr. Inoltre: K.-O.Apel, “Wissenschaft als Emanzipation? Eine kritische Würdigung der Wissenschaftskonzeption der ‘Kritischen Theorie’, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. II, pp-128-154.

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ca (sintattica e semantica) di una proposizione, poiché la corretta forma linguistica e la comprensibilità di una proposizione non eliminano necessariamente il rischio che possa venir meno la consistenza pragmatica del gioco linguistico all’interno del quale il senso della proposizione trova validità e la comprensione si avvera. Alla corretta forma linguistica bisogna legare, allora, l’altrettanta fondamentale significatività della dimensione dialogico-riflessiva del discorso che, come Apel ha più volte evidenziato, rinvia, appunto, alle indiscutibili presupposizioni dell’argomentazione che lo strutturano. Si può notare, anzi, che a dispetto di ogni relativismo e scetticismo, in ogni argomentazione seria, siamo in presenza di ciò che Apel definisce un duplice a priori (etico) della comunicazione45: da un lato, l’appartenenza ad una comunità reale di comunicazione (che rappresenta, certamente, come dimostrano le ermeneutiche di Heidegger e Gadamer, la fattività della nostra precomprensione dell’essere-nel-mondo condizionata dall’influire storico o, nel senso wittgensteiniano, dal rispettivo gioco linguistico di un determinato modo di vivere), dall’altro, l’appartenenza, anticipata controfattualmente, ad una comunità ideale della comunicazione (il cui obiettivo è poter-giungere, o meglio tendere al raggiungimento di un consenso riguardo alle pretese morali di giustezza nel senso di pretese valide universalmente e non solo in senso contingentistico o storicistico). Con il duplice a priori della comunicazione, qui avanzato, si entra parimenti nel vivo dell’argomentazione trascendentalpragmatica della fondazione ultima e dell’etica del discorso ad essa legata. Apel, come dimostreremo nei capitoli successivi, non solo rivendica la priorità del discorso come punto di partenza di ogni enunciazione e, quindi, anche di ogni comprensione, legittimità, validità o verità, ma anche la possibili45 K.-O. Apel, Lezioni di Aachen, cit., vedi soprattutto pp. 187-219 nonché il mio saggio “L’etica del discorso e i suoi presupposti emancipativi”, ivi, pp. 39-64

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tà di una fondazione trascendentalpragmatica ultima, nonché etica, della filosofia46. La fondazione ultima è da intendere, come nei capitoli precedenti è stato sottolineato, in senso trascendentalpragmatico-riflessivo. Ciò significa che non siamo dinanzi alle pretese aristoteliche di ricerca argomentativa di “fondamenti ultimi” né sono chiamate in causa le procedure classiche di deduzione, induzione e in senso di Peirce: abduzione. La fondazione ultima trascendentalpragmatica non sostituisce le metafisiche tradizionali con una nuova metafisica. Propone, piuttosto, una svolta completamente nuova in filosofia: la fondazione è situata all’interno dell’argomentazione intersoggettiva, in altri termini: all’interno dell’autoriflessione dell’argomentare stesso come “fondamento ultimo”. E l’argomentazione non è aggirabile. Le sue regole, se non possono essere contestate senza cadere in un’autocontraddizione performativa, valgono nel senso di “fondazione ultima”. Pertanto non si tratta, come in Strawson47, di presupposti logico-semantici, oggettivamente dimostrabili, di una ‘metafisica descrittiva’ riferita a categorial schemes, ma dei presupposti di ogni argomentazione, la dimostrazione o dimostrabilità dei quali avviene su basi strettamente riflessive. Sono presupposti che valgono a priori e non vengono meno partendo da un olismo postquiniano e postdavidsoniano in cui si mette in dubbio lo status trascendentale degli schemi categoriali. Per il fatto che ogni mettere in dubbio avviene sempre e comunque all’interno dell’argomentazione del discorso filosofico ed esso come abbiamo visto non è aggirabile, anzi anche in una sua negazione o in un suo rifiuto conferma la possibilità strettamente riflessiva di fondazione ultima trascendentalpragmatica di cui parla Apel.

Cfr. M. Borrelli, Lettere a Kant – La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, Pellegrini, Cosenza, 2005; 2a ed., Pellegrini, Cosenza, 2008. 46

47

Cfr. K.-O. Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale, cit., § 4.3, p. 255.

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Etica฀ed฀emancipazione฀nell’ermeneutica฀trascendentale

4 Etica ed emancipazione nell’ermeneutica trascendentale

4.1 La trasformazione della filosofia trascendental-solipsistica e trascendentalcoscienzialistica in ermeneutica trascendentale Come si è cercato di anticipare, Apel ha sviluppato un quadro sistematico di riformulazione della filosofia trascendentale ridefinendola in rapporto all’etica kantiana e mettendo a fuoco soprattutto la necessità di trasferire la fondazione alinguistica e monologica di quest’ultima su un piano di legittimazione trascendentale e pragmatico-linguistica o semiotica. In questo originale tentativo, Apel porta a compimento, come si è messo in evidenza in più occasioni di questa trattazione, la sua trasformazione trascendentale della filosofia traducendo l’unità pre-comunicativa dell’Io penso in una unità di validità intersoggettiva di conoscenza formulata linguisticamente. Ciò avviene, sostituendo la facoltà conoscitiva a priori di un soggetto giudicante concepito categorialmente (in senso kantiano) col senso conoscitivo di derivazione di una comunità comunicativa come comunità di interpretazione. Quest’ultima rinvia obbligatoriamente ad un’idea regolativa e, nel caso specifico, all’“a priori della comunità comunicativa”, in cui l’Io penso si trasforma – mediato semioticamente – in un Io che avanza pretese di validità all’interno ora, però, dell’accesso a condizioni di possibilità di validità del senso condiviso non soggettivamente ma comunicativamente e mediato dialogicamente. Nell’ermeneutica trascendentale di Apel, le condizioni trascendental-a-priori (che kantianamente venivano situate in un soggetto 103

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conoscente concepito categorialmente) sono, infatti, sostituite da condizioni trascendentalpragmatiche di possibilità di validità; esse, cioè, non sono più un prodotto di un Io solus ipse, ma di un Intersoggetto situato all’interno del dialogo. Ciò indica, soprattutto, che le condizioni di possibilità di costituzione di senso sono mediate dialogicamente ed esistono, quindi, solo in quanto possibilità di mediazione dialogica tra i partner del discorso. Si tratta, in questo senso, di un duplice a priori: di una comunità comunicativa come istanza di possibilità di pretese di senso e di validità in generale e come comunità interpretativa del mondo di vita, cui seguono una responsabilità reciproca e corresponsabilità sul piano della riflessione trascendentalfilosofica della situazione comunicativa o, meglio, argomentativa all’accesso etico-discorsivo in quanto tale1. La trasformazione della filosofia trascendentale qui formulata ha, dunque, precise implicazioni per la contestualizzazione e la giustificazione fondativa dell’etica: in tal senso bisogna infatti, da un lato, riconoscere la norma fondamentale (Grundnorm) a priori, fondata in senso trascendentalpragmatico e, dall’altro, quella dei discorsi pratici cui quella norma rimette e nei quali si realizza la fondazione di norme situazionali mediante la ricerca di consenso da parte di tutti i membri della comunità reale di comunicazione2. La comunità ideale è un’istanza di validità regolativa non aggirabile, ma sempre già premessa nei partecipanti al discorso, rispetto alla quale si decide ciò che è vero e ciò 1 Cfr. H. Burckhart, “Karl-Otto Apels transzendentale Pragmatik und Ernst Cassirer Philosophie der symbolischen Formen – Eine Konfrontation”, in D. Böhler, M. Kettner, G. Skirbekk (a cura di), Reflexion und Verantwortung – Auseinandersetzungen mit Karl-Otto Apel, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2003, pp. 122-140.

Orbene, l’aspetto più interessante e originale della proposta apeliana consiste nella necessità di una parte B dell’etica, intesa come un’etica della responsabilità o della co-responsabilità, sulla quale si basano le condizioni di applicabilità del principio etico-normativo previamente dato nella parte A (vedi “L’etica del discorso come etica della corresponsabilità dinanzi alle costrizioni oggettuali di politica, diritto e economia di mercato”, in Lezioni di Aachen, cit, cap. III, in particolare § 3.2.2., pp. 230 sgg.. 2

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che è falso, valido o non valido, ossia ciò che di volta in volta si ritiene valido in un discorso di validità in una comunità comunicativa illimitata3. Appartengono ai presupposti inaggirabili di ogni discorso valido non solo il rispetto reciproco dei possibili soggetti quali partner paritetici del discorso, ma anche, come si sottolinea nell’ultimo Apel, la corresponsabilità che si assumono i partner del discorso. La corresponsabilità di quest’ultimi non interessa solo la possibilità degli stessi discorsi, ossia la comunità comunicativa reale, quindi l’umanità e il suo ambiente, ma anche il progresso dei discorsi e il miglioramento delle condizioni comunicative secondo l’idea regolativa di una comunità argomentativa ideale e, per conseguenza, il “liberamento e la realizzazione di umanità”, in breve: l’utopia critico-emancipativa che include l’etica del discorso e che sostengono le sue presupposizioni inaggirabili. Questa impostazione linguistico-trascendentalpragmatica, ossia riflessiva della trasformazione della filosofia, permette ad Apel di porsi fuori – come si è evidenziato nei capitoli precedenti – non solo dalle concezioni ontologico-metafisiche e trascendentali della filosofia coscienzialistica, ma anche dalle postulate detrascendentalizzazioni di cui si fanno carico i discorsi pragmatistici dei postmoderni, soprattutto Richard Rorty e non da ultimo, Albrecht Wellmer e, di recente come si è già sottolineato più volte, anche se in modo diverso, Jürgen Habermas4.

L’impostazione trascendentalpragmatica apeliana è già visibile in Die Idee der Sprache in der Tradition des Humanismus von Dante bis Vico, in Archiv für Begriffsgeschichte, vol. 8, Bouvier, Bonn 1963. Diversamente dalle spiegazioni nomologiche delle scienze naturali, la realtà storica della cultura è in dipendenza di ciò che gli esseri umani pensano di essa, in quanto in essa scorre sempre già la storia dello spirito. Cfr. sul contesto, Wahrheit als regulative Idee“, cit., ivi, p. 180.

3

Cfr. J. Habermas, “Zur Architektonik der Diskursdifferenzierung. Kleine Replik auf eine große Auseinandersetzung”, cit., pp. 44-64. Vedi, anche, al riguardo, “La fondazione ultima e il rapporto con l’etica del discorso”, in Lezioni di Aachen, cap. IV, soprattutto § 4.1, pp. 262 sgg.. Secondo Habermas, la comunicazione contiene già tutto, per cui le intuizioni morali non hanno bisogno del rischiaramento

4

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Riprendendo l’impostazione trascendentale kantiana di domanda delle condizioni di possibilità dell’esperienza, Apel situa quest’ultime nel linguaggio e nel suo a priori, istituendo così una mediazione tra la filosofia trascendentale kantiana e la ‘svolta linguistica’ (linguistic turn) della filosofia contemporanea, della quale furono protagonisti, fra gli altri come si è avuto modo nei capitoli precedenti di evidenziare, da un lato, Peirce e Wittgenstein e, dall’altro, Heidegger e Gadamer. In questo cambiamento radicale di paradigma, Apel parte da una ricezione critica del pragmatismo di Peirce. In quest’ultimo, Apel ha scorto, come si è avuto modo di rilevare nei capitoli precedenti, una trasformazione semiotica della filosofia kantiana, determinata dalla concezione delle “idee regolative”. Peirce, cioè, non aveva solo rifiutato il “trascendentalismo” dei princìpi a priori di Kant costitutivi dell’esperienza e della sintesi dell’appercezione o della “coscienza in genere”, ma lo aveva anche sostituito con una deduzione quasi-trascendentale dei ‘motivi di validità’ dei procedimenti inferenziali sintetici (induzione e, soprattutto, abduzione) e con processi di interpretazione dei simboli5. In questa trasformazione del trascendentalismo kantiano avanzata da Peirce, Apel ha individuato una trasformazione dell’epistemologia, in quanto, ora, tutte le proposizioni o meglio i giudizi (i giudizi di verità non meno che i princìpi a priori), all’interno di questa logica semiotica, verrebbero intesi solo come sedimentazioni di procedure inferenziali6. Punto centrale della trasformazione della logica trascendentale kantiana non è in Peirce la sintesi di singole individuali rappresentazioni nella coscienza, ma la sin-

dovuto a filosofi (cfr. J. Habermas, Moralbewusstsein und kommunikatives Handeln, Frankfurt a.M., 1987, p. 108.

5 K.-O. Apel, “Wahrheit als regulative Idee”, in D. Böhler, M. Kettner, G. Skirbekk (a cura di), Reflexion und Verantwortung – Auseinandersetzungen mit KarlOtto Apel, cit., p. 172. 6

Cfr. ivi, p. 173.

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tesi del procedimento inferenziale di interpretazione simbolica in una comunità illimitata7. All’interno di questi presupposti, si ascrive alla verità la convergenza dei procedimenti inferenziali e di interpretazione di una comunità illimitata di ricerca. La realtà “del reale”, che corrisponde alla verità, viene a sua volta intesa come quel riconoscibile “in the long run” (Peirce) che non può mai essere “riconosciuto” fattualmente. Consiste in ciò fondamentalmente la sostituzione avanzata da Peirce nei confronti della logica trascendentale kantiana in cui si distingueva tra “apparenze” (Erscheinungen) e cosain-sé (Ding-an-sich)8. Nell’interpretazione apeliana, Peirce è riuscito a superare i resti di metafisica kantiana che percorrono la filosofia pratica nella differenziazione dei “due mondi” (Erscheinung, da un lato e Ding-an-sich, dall’altro), con la citata distinzione tra ciò che è conoscibile “in the long run” e ciò che è fattualmente conosciuto, ossia con la distinzione-unificazione tra idee regolative e principio-fallibilistico. Una posizione quest’ultima, per Apel, vicina oltretutto al “realismo interno” di Putnam9. Col che Apel, però, non concede nulla, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, ai postmodernisti della detrascendentalizzazione e non abbandona affatto la distinzione kantiana tra “trascendente” e “trascendentale”, che per lui costituisce invece, sempre ancora, un “punto di partenza utile” per la filosofia critica10 o, meglio, per la teoria scientifica critica. Le citate esplicazioni peirceane del senso dei concetti di “verità” e “realtà” seguono la “massima pragmatica” della spiegazione di senso di concetti in genere: seguono questa massima poiché indicano i procedimenti della prassi-di-ricerca che bisogna seguire, come si è detto, “in the long run” per evincere la rispo7 8 9

Cfr. ibidem. Cfr. ibidem.

Cfr. ivi, p. 175.

10

Cfr. ibidem.

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sta, anche se in modo approssimativo, alla domanda di senso dei concetti11. Se seguiamo l’interpretazione apeliana, il senso normativo di tutti i concetti consisterebbe, come in Peirce, nelle “idee regolative”. E sono proprie quest’ultime a collegare Apel in qualche modo al pragmatismo peirceano. Come la filosofia in generale così anche la concezione della verità come consenso, sviluppata da Apel, ha il suo punto di riferimento essenziale nel tentativo semiotico e di critica del senso cui Peirce aveva sottoposto la filosofia kantiana. L’interpretazione peirceana si basa, infatti, sulla concezione delle idee regolative, quindi sull’abbandono del “trascendentalismo” dei princìpi costitutivi a priori dell’esperienza e della sintesi dell’appercezione o, meglio, della “coscienza in genere” in favore di una “deduzione quasi-trascendentale” dei fondamenti di validità dei processi inferenziali sintetici e dei rispettivi processi di interpretazione dei segni12. Ora, in che cosa dovrebbe consistere effettivamente la trasformazione semiotica dell’epistemologia kantiana? Nell’interpretazione che Apel pensa di rinvenire nella logica semiotico-trascendentale di Peirce, la trasformazione consiste sostanzialmente nel fatto che tutti i giudizi o, meglio, tutte le proposizioni (tanto i giudizi di percezione quanto i princìpi a priori) sono considerati non un prodotto del soggetto solitario, ma sedimenti di procedure inferenziali. In questo senso, alla sintesi soggettivistica kantiana “je meiner Vorstellungen im Bewußtsein” subentra, in Peirce e soprattutto nella radicalizzazione apeliana, una sintesi intersoggettiva di procedure inferenziali e di procedure interpretative segniche, in ultima istanza: l’intersoggettività della comunità comunicativa illimitata. Se seguiamo a rigore la logica trascendentalsemiotica cui si ispira

Cfr. ivi, p. 173. Sul contesto vedi inoltre: K.-O.Apel, “Szientismus oder transzendetale Hermeneutik”, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. II, cit., p. 203.

11

12

Cfr. K.-O.Apel, “Wahrheit als regulative Idee”, cit., ivi, p. 172.

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la lettura che Apel dà dell’interpretazione peirceana, la verità è ora la convergenza di processi inferenziali e interpretativi della comunità dei ricercatori, per cui il senso normativo di tutti i concetti sono le stesse idee regolative, che anche in Kant erano determinanti per il completamento dell’esperienza13. In prospettiva semiotico-trascendentale la verità può, certo, esser distinta in nomologica, immutabile, assoluta e giustificazione fattuale perché in dipendenza da condizioni storico-temporali, ma una distinzione di tal tipo non parla a sfavore del necessario nesso interno che lega verità e giustificazione14. A dire il vero, se seguiamo attentamente Apel, questo nesso interno è sostenuto da una circostanza inaggirabile e cioè dal fatto che ogni pensare in termini di pretesa di verità è possibile solo in rinvio ad una giustificazione tramite argomenti discorsivi. È indubbio che la pretesa di validità (universale/intersoggettiva) che ogni pretesa di verità presuppone se, per un verso, ha il suo riferimento nella realtà fattuale, per altro verso, non può fare a meno della giustificazione all’interno della comunità discorsiva illimitata. Conferma quanto qui presupposto il fatto che la verità non solo non rispecchia di per sé il reale, ma si esprime solo nel consenso della comunità comunicativa; ha bisogno cioè, sempre e necessariamente della giustificazione discorsiva. Senza questa interconnessione non sono pensabili né la verità né la giustificazione, tant’è che la liquidazione della seconda liquida anche la prima15. Come si è rilevato, Apel cerca una via d’uscita dall’aporia, in precedenza menzionata, nel-

13 14

Cfr. ivi, p. 173. Cfr. ivi, p. 181.

In questa che è l’aporia che pervade sempre ancora la logica non solo delle scienze nomologiche, ma anche dell’attuale controversia sul concetto di verità in generale, vedi le posizioni di Wellmer e Habermas (per quanto riguarda il primo: “Der Streit um die Wahrheit. Pragmatismus ohne regulative Ideen”, in Reflexion und Verantwortung, ivi, pp. 143-170; per quanto riguarda il secondo, “Zur Architektonik der Diskursdifferenzierung. Kleine Replik auf eine große Auseinandersetzung”, ivi, pp. 44-64). 15

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l’interconnessione dei due tipi di giustificazione in questione (una giustificazione qui e ora sempre fallibile e una giustificazione della verità assoluta) all’interno di un concetto di verità come idea regolativa di legittimazione discorsiva16, cioè con riferimento alla logica trascendentale kantiana, allargata, però, all’intersoggettività dei partecipanti al discorso. Nel contesto trascendentale kantiano, l’idea regolativa funge ovviamente da orientamento, ma non da punto fattuale di realizzazione empirica. Ma questa differenza non conferma il presupposto di Wellmer e, soprattutto, di Derrida dell’inesistenza fattuale, nella comunicazione ‘normale’, di un senso di segni intersoggettivamente condivisibile. Per Apel è vero invece il contrario e cioè che “la negazione semioticista derridiana di un ‘significato trascendentale’, a favore di un puro gioco segnico, si invalida addirittura performativamente da sé”17. Tenendo fermo quanto detto sopra, la pragmatica trascendentale di Apel si porta decisamente al di là della proposta di Peirce. Questo passaggio postpeirceano si avvera in Apel nel mettere allo scoperto, con la radicalizzazione della riflessione trascendentale, le presupposizioni inconfutabili dell’argomentazione18; inconfutabili perché già sempre premesse prima ancora che si possa entrare in un discorso valido. Queste presupposizioni costituiscono tanto la base del principio di fallibilismo di ogni conoscenza esperienziale finita (la critica è rivolta soprattutto ad Albert), quanto l’idea regolativa di verità quale consenso dell’illimitata comunità discorsiva. Se viene a cadere la premessa che non sia per principio possibile un consenso intersoggettivo, viene anche meno ogni possibilità di discorso riferito alla conoscenza in generale, poiché quest’ultimo non avrebbe senso senza il primo19. Contro ogni discorso antime16 17 18 19

Cfr. K.-O. Apel, “Wahrheit als regulative Idee”, cit., pp. 182-183.

Cfr. ivi, pp.185-186.

Cfr. ivi, p. 175.

Cfr. ivi, p. 176.

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tafisico à la Rorty e in genere, Apel difende la riflessione trascendentale riferita alle condizioni di possibilità della validità intersoggettiva riconvalidando la filosofia trascendentale, ossia la filosofia trascendentalcritica di cui egli è oggi il teorico indiscusso, avvalendosene per il superamento di quel tipo di metafisica priva di senso che si può definire, in termini kantiani, dogmatische o, meglio, transzendent-überschwengliche Metaphysik. Contestare la filosofia metafisica, non può significare, secondo Apel, prendere distanza dalla filosofia trascendentale in generale, giacché proprio quest’ultima consente di mettere a fuoco e superare quanto di dogmatismo è sempre ancora implicito nella prima. 4.2 L’intreccio dialettico di comunità argomentativa ideale e comunità comunicativa reale nell’etica del discorso Nel suo elaborato e convincente tentativo di fondazione ultima dell’etica del discorso, Apel ha mostrato che non c’è nessun discorso relativo alla dimensione-soggetto-oggetto che possa definirsi o ritenersi “moralmente neutrale”20. E ciò indipendentemente dal fatto che si assegni alle scienze spirituali o culturali una posizione epistemologica speciale. Ovviamente, il rapporto tra la realtà del reale e la conoscenza umana nelle scienze culturali e spirituali è diverso da quello delle scienze naturali, orientate nomologicamente e in senso avalutativo21. Anzi, in senso kantiano, si dovrebbe notare che la realtà storica della cultura non trova spiegazioni nomologiche in quanto non siamo al cospetto di leggi di natura, ma al più alla presenza di regolarità storicamente dipendenti22. In sintonia con Peirce, Apel ha infatti premesso, per la comunità degli scien20 21 22

Cfr. ivi, p. 178. Cfr. ivi, p. 180.

Cfr. ibidem.

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ziati della natura, un’etica. Ma l’etica degli scienziati a cui fa riferimento Apel, non è il paradigma “selfsurrender”23, cioè il paradigma di autorinuncia di tutti gli interessi individuali in favore dell’interesse per la verità della scienza come formulato da Peirce. Nell’etica del discorso di Apel si tratta, soprattutto e per lo più, di considerare tutti gli interessi suscettibili di discorsività degli individui e di sottometterli non all’interesse di verità della scienza, ma al procedimento di formazione argomentativa di consenso. Questa non mira empiristicamente al reperimento della verità sul reale, bensì all’identificazione di norme di azione moralmente giuste24. Come rilevato in precedenza, nell’ermeneutica o pragmatica trascendentale si parte dal presupposto che bisogna distinguere tra un concetto di verità immutabile e, se vogliamo, assoluta e un concetto di giustificazione dipendente da fattori personali, culturali e, quindi, fattuali e storici; ma a questa legittima distinzione Apel contrappone l’altrettanto legittimo postulato del rapporto interno tra verità e giustificazione25. Col che Apel rinvia necessariamente alla sua trascendentalpragmatica dei presupposti del discorso, attraverso la quale può dimostrare che non vi può essere nessun’altra risoluzione per le pretese di verità se non quella di una giustificazione attraverso argomenti. La risoluzione delle pretese di verità non si avvera nel procedere scientifico delle scienze naturali, nella datità empiricamente esperibile, piuttosto nei presupposti del discorso, quindi nel processo di giustificazione con pretesa di universalità e, perciò, di validità intersoggettiva, che costituiCfr. K.-O.Apel, “Von Kant zu Peirce: die semiotiche Transformation der transzendentalen Logik, in Idem, Transformation der Philosophie, vol. II, cit., pp. 157-177. Nell’etica del discorso si tratta proprio di considerare tutti gli interessi suscettibili di discorsività degli individui e il ‘self-surrender’ consiste nel sottoporre questi interessi al procedimento della formazione consensuale argomentativa. Cfr. sul contesto anche K.-O.Apel, “Wahrheit als regulative Idee”, ivi, p. 178. 23

24 25

Cfr. “Wahrheit als regulative Idee”, cit., ivi, p. 178. Cfr. ivi, p. 181.

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scono la pretesa stessa di verità. Da ciò si evince che la pretesa di verità non trova esplicazione nel rapporto col reale, ma anzi e soprattutto nell’idea di giustificazione data col/dal consenso di una comunità discorsiva illimitata. Si può facilmente notare, la verità, in senso apeliano, ha un legame trascendentale e si comprende peirceanamente come idea regolativa di giustificazione discorsiva; quest’ultima permette di distinguere tra giustificazione qui e ora contingente e giustificazione come verità assoluta. Accanto alla semiotica peirceana, Apel non nasconde di servirsi al tempo stesso dell’ermeneutica gadameriana, anche se pure in questo caso con le dovute distanze come si è rilevato più volte in precedenza, nonché della filosofia analitica (in particolare della corrente di Austin e Searle), per avanzare la sua svolta radicale verso una trasformazione trascendentalpragmatica della filosofia trascendentale kantiana26. Indicando nella comunicazione razionale la condizione trascendentale di ogni conoscenza e di ogni azione, Apel ne sviluppa in modo sistematico le implicazioni sul piano etico27 sia a livello formale sia a livello sostanziale. Per quel che riguarda quest’ultimo, nel programma etico apeliano è contenuto un riferimento emancipativo anche marcato in direzione della realizzazione delle condizioni di possibilità ideali di dialogo

26 Per Apel è possibile interpretare sia la concezione wittgensteiniana del “gioco linguistico” sia la concezione peirceana della Community in modo che si possa, da un lato, tener fermo il ruolo funzionale dell’idealismo trascendentale di Kant e, dall’altro, mediarlo con un realismo e perfino materialismo storico della società (Cfr. K.-O. Apel, “Die Kommunikationsgemeinschaft als transzendentale Voraussetzung der Sozialwissenschaften”, in Id., Transformation der Philosophie, vol. I, cit., p. 224). Per la mediazione Hegel-Marx, cfr. K.-O. Apel, “Reflexion und materielle Praxis. Zur erkenntnisanthropologischen Begründung der Dialektik zwischen Hegel und Marx”, in Hegel-Studien, Beiheft 1, 1964, pp. 151-166. 27 Vedi K.-O. Apel, “Das Problem der Begründung einer Verantwortungsethik im Zeitalter der Wissenschaft”, in E. Braun (a cura di), Wissenschaft und Ethik, Frankfurt a. M., Lang, pp. 11-52.

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che eliminino gli ostacoli della comunicazione28. Questo riferimento viene alla luce, non da ultimo, nel contrasto proprio con l’ermeneutica di Gadamer. Non a caso e diversamente da Gadamer, Apel si chiede se il comprendere progressivamente meglio la realtà culturale non dipenda anche da un processo di progresso che non è solo conoscenza vera, ma – come condizione di possibilità – anche prassi moralmente più giusta29. Quest’ultima premetterebbe anche “il progresso della conoscenza ermeneutica e critico-ideologica della realtà culturale umana”30. Apel assegna all’etica il compito di smascherare le ideologie e tendere alla comunità ideale (parte A dell’etica del discorso) entro quella reale (parte B dell’etica del discorso). In termini apeliani: “Il punto culmine del nostro a priori mi sembra consistere in ciò che esso designa il principio di una dialettica (al di qua) di idealismo e di materialismo. Chi argomenta, infatti, presuppone già sempre due cose al tempo stesso: primo, una comunità reale di comunicazione, di cui egli stesso è diventato membro attraverso un processo di socializzazione, e, secondo, una comunità ideale di comunicazione che sia capace per principio di comprendere adeguatamente il senso dei suoi argomenti e giudicare definitivamente della loro verità”31. Realizzare la comunità ideale di comunicazione implica conseguentemente anche il superamento della società divisa in classi e cioè: “l’eliminazione di tutte le asimmetrie, socialmente condizionate, del dialogo interpersonale”32.

Cfr. sul contesto anche L. Bagetto, Etica della comunicazione. Che cos’è l’ermeneutica filosofica, Paravia, Torino 1999, p. 48. 28

29

Cfr. K.-O. Apel, “Wahrheit als regulative Idee”, cit., p. 180.

Cfr. K.-O. Apel, “Regulative Ideen oder Wahrheitsgeschehen? Zu Gadamers Versuch, die Frage nach den Bedingungen der Möglichkeit richtigen Verstehens zu beantworten”, in Id., Auseinandersetzungen - in Erprobung des transzendentalpragmatischen Ansatzes, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1998, pp. 569-608. 30

K.-O. Apel, “Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft und die Grundlagen der Ethik”, in Id., Transformation der Philosophie, vol. II, cit., p. 429. 31

32

Ivi, p. 432.

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Dal punto di vista morale, la prospettiva apeliana non lascia dubbi sul fatto che si mettono in gioco due princìpi regolativi fondamentali: primo, è in questione, in ogni agire, la garanzia di sopravvivenza del genere umano come sopravvivenza della comunità reale di comunicazione; secondo, è in questione, inoltre, la realizzazione della comunità ideale di comunicazione entro quella reale33. Posta in questi termini, la strategia della sopravvivenza riceve il suo vero significato mediante una significante strategia d’emancipazione, che nell’epoca della scienza dovrà avvalersi di un armamentario scientifico riconducibile sia alle scienze storico-ermeneutiche della comunicazione che accrescono la comprensione del senso sia alle scienze sociali critico-emancipative: psicoanalisi e critica dell’ideologia, che mirano all’autocomprensione riflessiva degli individui34. La novità epistemologica, introdotta da Apel rispetto alla posizione della vecchia Scuola di Francoforte, pertiene alla tesi secondo cui la dimensione ermeneutica della scienza sociale, nonché la necessità e possibilità della sua fondazione normativa sono da capire solo se la teoria della conoscenza viene fondata non solo in rinvio alla relazione soggetto-oggetto della conoscenza empirico-analitica, ma anche in rimando ad una struttura trascendentalpragmatica del comprendere comunicativo e della formazione di consenso su quacosa nel mondo35. Ci preme sottolineare che con scienze sociali Apel intende tutte quelle scienze che, da un lato, si occupano della realtà sociale, nello spazio e nel tempo e che condividono con le scienze della natura l’interesse conoscitivo di obiettivazione, ma che, dall’altro, partecipano, più o meno, all’interesse conoscitivo del comprendere comunicativo e, così, alla dimensione

33 34

Cfr. ibidem.

Cfr. ivi, p. 433.

Cfr. K.-O.Apel “La dimensione ermeneutica della scienza sociale e il suo fondamento normativo”, in Lezioni di Aachen, cit., pp. 79 sgg. 35

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ermeneutica della conoscenza, semplicemente perché trattano della realtà dell’essenza umana e delle sue conquiste. Il taglio antiscientista e anticoscienzialista della sua strategia concettuale portano Apel a ripensare l’etica weberiana, che, in considerazione delle conseguenze della tecnica moderna, deve essere trasformata in un’etica della corresponsabilità. Max Weber aveva, infatti, tenuto conto della questione che concerne la responsabilità relativa alle conseguenze, ma aveva trattato questa problematica in forma monologica e non era riuscito a fornire, dal punto di vista apeliano, una fondazione etica sufficientemente radicale e convincente. Apel rimane del parere, invece, che la logica della scienza non solo si debba concepire come scienza normativa36, ma anche che la logica e con essa al tempo stesso tutte le scienze e le tecnologie, presuppongano come condizione di possibilità un’etica37. A sua volta, anche la condizione normativa del linguaggio esige che rispettino le sue regole di fronte a una comunità ideale di interlocutori38. In tale prospettiva, la pragmatica apeliana si interessa centralmente delle condizioni soggettive e intersoggettive che permettono un accordo di senso e la formazione di consenso nella comunità idealmente illimitata degli scienziati39. Apel, in contrasto con Habermas, che nel frattempo – come si accennava nei capitoli precedenti – ha optato per una metodica pragmatico-fallibilista detrascendentalizzata40, vuole assicurare alla ragione una fondazione certa sul modello delle scienze trascendentali

Cfr. K.-O. Apel, “Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft und die Grundlagen der Ethik“, in Id., Transformation der Philosophie, vol. II, cit., pp. 379 sgg.

36

37

Cfr. ivi, pp. 378 sgg.

Cfr. L. Bagetto, Etica della comunicazione. Che cos’è l’ermeneutica filosofica, cit., pp. 48-49. 38

39 Cfr. I. Mancini, Aspetti e problemi dell’ermeneutica, Milella, Lecce 1988, p. 83.

40 Vedi K.-O.Apel, “Etica del discorso, democrazia e diritto internazionale (dei popoli)”, in Idem, Lezioni di Aachen e altri scritti, cit., pp. 261 sgg..

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e a tale scopo rifiuta non solo la possibilità di fondare una semiotica comunicativa sulla base del razionalismo critico proposto da Popper41, ma partendo dal problema del fondamento ultimo, alla luce della pragmatica trascendentale del linguaggio, si pone in radicale contrasto col presupposto del fallibilismo conseguente (Albert), secondo cui l’idea del fondamento ultimo è incompatibile con l’idea di conoscenza42. La logica vuole, però, che il principio fallibilistico né può essere applicato nei confronti di se stesso senza cadere nella paradossalità di una contraddizione performativa né può essere compreso senza rinvio alla premessa del gioco filosofico linguistico e, in ultima istanza, senza un riferimento, per così dire, a “certezze paradigmatiche”43. E quali sono le certezze paradigmatiche del discorso riflessivo della filosofia se non le presupposizioni di ogni argomentazione seria che non possiamo confutare senza l’autocontraddizione performativa nè fondare deduttivamente senza petitio principii44? Appartengono a queste presupposizioni trascendentalpragmatiche ineludibili sia la premessa (illimitata) di validità intersoggettiva, ossia la capacità di consen-

Cfr. F. Caputo, Scienza pedagogica comunicativa: Jürgen Habermas, pref. di M. Borrelli, «Pedagogia Teoretica», collana fondata e diretta da M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza 2003, cap. 9. Fondazione ultima o fallibilistica, pp. 217249, spec. pp. 217-222. 41

Cfr. H. Albert, “Die Ansprüche der Transzendentalpragmatik im Lichte des konsequenten Fallibilismus”, in H. Albert, Die Wissenschaft und die Fehlbarkeit der Vernunft, Mohr, Tübingen 1982, pp. 58-94; trad. it. di M. Borrelli, “Le pretese della pragmatica trascendentale alla luce del fallibilismo conseguente”, in M. Borrelli (a cura di), Quaderni Interdisciplinari - Metodologia delle scienze sociali, vol. 2, collana fondata e diretta da M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza 2000, pp. 11-56; qui spec. § 2. Obiezioni al razionalismo critico: la critica della pragmatica trascendentale, p. 14. Apel si pone, così, in contrasto con il trilemma di Münchhausen, formulato da Albert che nasce quando si cerca una base certa della conoscenza (cfr. ibidem). 42

43 Cfr. K.-O. Apel, “Regulative Ideen oder Wahrheitsgeschehen? Zu Gadamers Versuch, die Frage nach den Bedingungen der Möglichkeit richtigen Verstehens zu beantworten”, cit., p. 190. 44

Cfr. ivi, p. 190.

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so sul senso, sia le inaggirabili pretese di verità che di volta in volta si avanzano. Ed è qui, a parere di Apel, che “può essere ricostituita riflessivamente la base di partenza trascendentale (e, appunto, perciò non trascendente-metafisica) per l’anticipazione controfattuale del consenso ultimo quale idea regolativa di una teoria del discorso della verità”45. Come si è osservato in più occasioni, Apel non contesta il principio fallibilistico della logica scientifica, ma lo ritiene argomentabile nel principio discorsivo e limitato nel senso di premesse trascendentalfilosofiche. Detto diversamente: le pretese di verità della scienza non possono pretendere validità a partire da quest’ultima, ma solo da quel consenso ultimo ascritto alla comunità illimitata di ricerca. Consenso che a sua volta si presenta – e ciò nel frattempo dovrebbe essere ovvio – come campione di misura (Richtmaß) di approssimazione continua e mai come consenso fattuale ultimo46. Se si segue il discorso fino in fondo, è senz’altro evidente che l’etica dell’argomentazione non è solo condizione di possibilità per la giustificazione logica e scientifica, dal punto di vista anche empirico, delle opinioni, ma può e deve dimostrarsi, anche e soprattutto, un dovere morale47. Il senso dell’argomentazione morale si può esprimere nel principio secondo cui tutti i bisogni degli esseri umani, quali pretese virtuali, devono trasformarsi in richieste della comunità dell’argomentazione e sono da sintonizzare, mediante l’argomentazione, con i bisogni di tutti gli altri umani48. Questo spiega perché la società (reale) non è solo oggetto di scienza e tecnica, ma anche il soggetto dei bisogni e degli interessi materiali in generale e deve esser pensata anche

45 46

Ibidem.

Cfr. ivi, p. 191.

Cfr. K.-O. Apel, “Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft und die Grundlagen der Ethik”, in Id., Transformation der Philosophie, vol. II, cit., pp. 397 sgg.

47

48

Cfr. ibidem.

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come soggetto ideale normativo della conoscenza e dell’argomentazione49. Con l’a priori della comunità comunicativa e la prestruttura heideggeriana del comprendere, Apel pone effettivamente fine all’antitetica metodologica tra comprendere e spiegare, tra scienze naturali e scienze dello spirito, tra giudizio di fatto e giudizio di valore, tra scienza valutativa e scienza avalutativa50 e apre a un’etica trascendentale non solo formale dell’intersoggettività (parte A), ma anche della responsabilità e che valuta, infine, le conseguenze dell’azione morale (parte B)51. È in questa prospettiva dialettica di intreccio tra parte A e parte B dell’etica del discorso che Apel segue, anche se solo parzialmente, l’etica di Hans Jonas.52 In verità, con Jonas 49 Cfr. M. Borrelli, “Filosofia trascendentale dell’intersoggettività. Cenni introduttivi al discorso filosofico di Karl-Otto Apel”, in M. Borrelli (a cura di), Quaderni Interdisciplinari - Metodologia delle scienze sociali, vol. 1, collana fondata e diretta da M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza 1998, p. 13; cfr. altresì il riferimento alla posizione teorica di Adorno in Id., Pedagogia come ontologia dialettica della società, Pellegrini, Cosenza 5a ed. riv. e ampl., 2006 (1a ed., 1998, 2a ed. riv. e ampl. 1999), cap. 11. La dialettica negativa: apertura all’ontologia pedagogica, pp. 329-341.

50 Cfr. M. Borrelli, “Filosofia trascendentale dell’intersoggettività”, cit., p. 15. Cfr. altresì K.-O. Apel, Die Erklären/Verstehen – Kontroverse in tranzendentalpragmatischer Sicht, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1979.

Cfr. F. D’Agostini, Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent’anni, cit., p. 389. 51

Si vedano, in particolare, sulla problematica della responsabilità umana, i seguenti scritti: H. Jonas, Philosophical Essays. From Ancient Creed to Technological Man, The University of Chicago Press, Chicago 1974; trad. it. di G. Bettini, ed. it. a cura di A. Dal Lago, Dalla fede antica all’uomo tecnologico. Saggi filosofici, il Mulino, Bologna 1991; Id., Gnosis und spätantiker Geist, I: Die mythologische Gnosis (1934), ristampa anastatica, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen 1978, e il secondo volume, Gnosis und spätantiker Geist, II/1: Von der Mythologie zur mystischen Philosophie, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen (1954 ), 3a ed. Göttingen 1966; Id., Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation, Insel Verlag, Frankfurt a. M. 1979; trad. it. di P. Rinaudo, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, introd. di P. P. Portinaro, Einaudi, Torino 1993; Id., Technik, Medizin und Ethik. Zur Praxis des Prinzips Verantwortung, Insel Verlag, Frankfurt a. M.1985; trad. it. di P. Becchi e A. Benussi, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, Einaudi, Torino 1997; Id., Philosophie. Rückschau und Vorschau 52

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condivide fondamentalmente due questioni: in primo luogo, i termini di una fondazione etico-filosofica, specialmente molti aspetti della sua diagnosi in relazione ai pericoli globali riguardanti l’irreversibilità delle conseguenze della tecnica nel mondo contemporaneo; in secondo luogo, la necessità di elaborare un’etica della responsabilità orientata al futuro che sia capace di superare il soggettivismo kantiano e l’aporia ad esso legata della possibilità di trasferibilità dell’etica sul piano dell’applicabilità empirica53. Questa necessità, per Apel, è dettata – indipendentemente dalle razze e dalle culture – dalla civiltà scientifico-tecnica che ha posto l’umanità a confronto con una problematica etica comune, e cioè il “doversi assumere, su scala planetaria, una responsabilità solidale” per gli effetti delle proprie azioni cui dovrebbero corrispondere “norme valide intersoggettivamente o, almeno, il principio fondamentale di un’etica della responsabilità”54. Sebbene sia d’accordo con Jonas sulla necessità di mantenere la comunità reale di comunicazione (parte B), Apel sostiene che l’esigenza di preservare la vita è un diritto di tutti gli esseri umani e che, nella sua teoria, questa esigenza è garantita nei presupposti della comunità ideale di comunicazione (parte A)55. Tuttavia, a prescindere

am Ende des Jahrhunderts, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1993; trad. it. e a cura di C. Angelino, La filosofia alle soglie del duemila. Una diagnosi e una prognosi, il melangolo, Genova 1994.

Cfr. K.-O. Apel, “Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft und die Grundlagen der Ethik”, in Id., Transformation der Philosophie, vol. II, cit., p. 358 sgg. Vedi, inoltre, di Apel “L’etica del discorso come etica della corresponsabilità dinanzi alle costrizioni oggettuali di politica, diritto e economia di mercato”, in Lezioni di Aachen, cit., pp. 221 sgg.. 53

54 K.-O. Apel, “Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft und die Grundlagen der Ethik”, in Id., Transformation der Philosophie, vol. II, cit., p. 361.

55 Questa è un’originale proposta etico-discorsiva che pretende qualcosa come una mediazione tra quelle due forme di etica che Max Weber aveva chiamato etica della convinzione (Gesinnungsethik) ed etica della responsabilità (Verantwortungsethik), o quelle che vengono designate come etica deontologica ed etica teleologica. Apel apre, col suo progetto della parte B, una nuova prospettiva

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dal fatto di condividere con Jonas la necessità di prestare attenzione alle condizioni di vita e sopravvivenza dell’umanità, Apel mette in rilievo, col suo modello etico, un’esplicita dimensione utopico-emancipatoria che è dettata dalla distinzione/integrazione tra comunità reale di comunicazione e comunità ideale di comunicazione. Nel principio utopico-emancipatorio articolato da Apel è inclusa l’esigenza etica della corresponsabilità di cooperare alla trasformazione delle condizioni della comunità reale di comunicazione in considerazione delle condizioni della comunità ideale di comunicazione. In altri termini, quando argomentiamo pubblicamente e anche se siamo in presenza di un pensiero empirico solitario, presupponiamo, in ogni momento sempre e comunque, condizioni normative di possibilità di un discorso argomentativo ideale come unica condizione per la realizzazione delle nostre pretese normative di validità. Si tratta cioè di una comunità ideale che siamo costretti ad anticipare controfattualmente: chi argomenta deve far valere le condizioni e i presupposti ideali universalmente validi della comunicazione. A questi si aggiungono tra gli altri i presupposti morali rilevanti come la corresponsabilità degli interlocutori nella soluzione dei problemi, eguali diritti di tutti i partecipanti e la capacità universale di consenso. Il momento chiave dell’etica discorsiva è determinato dall’idea regolativa seconda la quale tutte le norme valide sono suscettibili di consenso da parte di tutti gli interessati, senza con questo ricorrere più a massime di azione inscritte nella coscienza solipsistica della tradizione.

(vedi di Apel, “Problemi di applicazione dell’etica del discorso”, in Lezioni di Aachen, cit., pp. 187 sgg. .

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4.3 L’istanza trascendentale della ragione La corresponsabilità trascendentale56 non coincide, come si può evincere dal percorso delineato finora, con nessuna responsabilità individuale concreta, né corrisponde a una responsabilità individuale postconvenzionale, fa riferimento invece alla capacità di progetto e risoluzione discorsiva di tutti e davanti a tutti i membri della comunità ideale di comunicazione ogni qualvolta si tratta della soluzione di temi argomentabili. Il carattere pragmatico-trascendentale del fondamento della corresponsabilità non è tuttavia sufficiente per l’applicazione pratica. Bisogna fare i conti con le motivazioni e, soprattutto, con la libertà umana. In altri termini, il tratto trascendentale dei fondamenti della responsabilità non conduce necessariamente alla realizzazione di azioni responsabili né può essere garanzia per queste. Se discutiamo, è perché intendiamo risolvere qualche problema del mondo della vita. L’essere umano, essendo costituito linguisticamente (Gadamer) non può vivere né sopravvivere, soprattutto non può vivere bene, senza argomentare. L’argomentazione è una questione vitale per l’essere umano. Tanto per la soluzione dei suoi problemi bio-psico-materiali che per tutte le questioni politiche, culturali, religiose, ecc., l’essere umano deve esporre argomentativamente le sue idee con riferimento alle situazioni, per esempio accettare o respingere proposte. L’etica del discorso, nell’intreccio di parte A e parte B, si propone soprattutto di risolvere due questioni chiave per ogni teoria etica: il problema della fondazione (parte A) e il problema 56 Per Apel, come per Habermas, il compito del discorso argomentativo consiste nel decidere su pretese di validità: pretesa di senso intersoggettivamente valida (il suo assolvimento è premessa a tutte le altre pretese di validità); pretesa di verità (in quanto pretesa di consenso universale); pretesa di franchezza o di veridicità (che deve essere contenuta in ogni atto linguistico con cui si avanza una pretesa di validità); pretesa di giustezza normativa (moralmente rilevante e con cui si esige, dal partner della comunicazione, l’assenso a una pretesa di verità) (cfr. K.-O.Apel, “La dimensione ermeneutica della scienza sociale e il suo fondamento normativo”, in Lezioni di Aachen, cit., pp. 79 sgg..

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dell’applicazione delle norme (parte B). Il compito dell’etica del discorso consiste (seguendo la via strettamente riflessiva e non deduttiva per quel che riguarda i presupposti a priori della situazione argomentativa) nella fondazione trascendentalpragmatica del principio morale e delle norme fondamentali come ad esempio l’uguaglianza dei diritti e la corresponsabilità di tutti i membri della comunità dell’argomentazione che costituiscono le condizioni di possibilità dei discorsi nonchè l’esigenza della realizzazione dei discorsi pratici per la soluzione di tutti i problemi e conflitti del mondo della vita. L’etica del discorso sorge dalla significativa differenziazione tra l’anticipazione (controfattuale) delle condizioni ideali dell’a priori linguistico (parte A) e le condizioni reali di interazione nella comunità di comunicazione (parte B) ed è progettata per risolvere le situazioni conflittuali nelle quali la fondazione dell’a priori linguistico deve essere articolata col mondo della vita che è frequentemente governato dagli interessi e dal potere. Se l’etica del discorso può anticipare le condizioni ideali della comunicazione per la soluzione dei conflitti, non può ovviamente presupporre i conflitti concreti e reali che si presentano nel contesto storico della vita. Come l’esperienza conferma, nella realtà, per la soluzione dei conflitti, non ci sono solo il dialogo e l’argomentazione, ma anche, e soprattutto, le negoziazioni strategiche, la difesa dei propri interessi, l’uso della forza e della violenza. Ma proprio in ragione di ciò, la rilevanza dell’etica del discorso non viene affatto meno per la prassi del mondo della vita né può essere sostituita dall’azione strategica, tutt’altro. Si può a ben donde affermare che la comunicazione è di per sé un fenomeno etico-politico, un’officina di costrutti linguistici e di mediazione umana inaggirabile di segni57. 57 Cfr. U. Fadini, “L’etica nell’età della tecnica: A. Gehlen e K.-O. Apel”, in AA.VV., Etica e linguaggi della complessità, Franco Angeli, Milano 1986, p. 165. Vedi di Apel, in particolare, su questo tema K.-O.Apel, “L’etica del discorso come etica della corresponsabilità dinanzi alle costrizioni oggettuali di politica, diritto e economia di mercato”, in Lezioni di Aachen, cit., pp. 221 sgg..

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Da questa mediazione linguistica si può e si deve partire anche e soprattutto nazionalmente ed internazionalmente per articolare e per risolvere in modo più ragionevole e pacificamente i molteplici problemi della convivenza umana58. Appare generalmente scontato che nessuno che comunichi attivamente in un dialogo critico possa rimanere immune alla parola dell’altro. Eppure ciò non toglie niente al fatto che la prassi del mondo della vita continua a mostrarci che la gran maggioranza delle conversazioni e dei dialoghi si basano su stratagemmi strategici, di inganno o intrigo, di corruzione, ecc.. Per non soccombere a questa situazione, l’etica del discorso propone, come articolazione della/nella prassi due forme fondamentali di razionalità: la razionalità comunicativo-consensuale, orientata all’intesa con gli altri, e la razionalità strategica (Habermas)59. Tutto ciò è necessario perché nella realtà del mondo della vita, non sono poche le situazioni che cospirano contro le esigenze ideali dell’etica del discorso (parte A) e contro la trasformazione dei condizionamenti asimmetrici tipici della vita reale. Se si tiene conto dei contesti strategici reali, sembra essere utopico pensare di poter creare la giusta simmetria per portare avanti discorsi specificatamente etici. In ragione di ciò, l’etica del discorso non solo non persiste dal sostenere che gli esseri umani, in quanto esseri razionali e raQuestione particolarmente delicata che Apel affronta nel saggio “L’etica del discorso come risposta alla situazione dell’uomo nel presente”, cfr. Lezioni di Aachen”, cit. pp. 121 sgg.. 58

59 Sul contributo metodologico di Habermas si rinvia ai seguenti scritti: M. Borrelli, “La ragione come processo di emancipazione del Gattungssubjekt nella Teoria Critica (Horkheimer/Adorno/Habermas)”, in Id. (a cura di), La Pedagogia Tedesca Contemporanea, vol. II, «Pedagogia Teoretica», collana fondata e diretta da M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza 1996; Id., Pedagogia come ontologia dialettica della società, cit., cap. 8. La pragmatica universale: Jürgen Habermas, pp. 287-303; Id., “La pragmatica universale e la struttura emancipativa del discorso in Jürgen Habermas”, in Qualeducazione, n. 64, Pellegrini, Cosenza 1/2 –2003, pp. 27-42; si veda altresì l’ampia e differenziata monografia di F. Caputo, Scienza pedagogica comunicativa: Jürgen Habermas, cit., nonché la mia Prefazione alla stessa, pp. 7-21.

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gionevoli, non possano rinunciare alla competenza linguistico-dialogica senza ledere alla propria dignità60, ma comprende anche la responsabilità etica come disposizione a discutere azioni e decisioni di tutti e di fronte a tutti. In definitiva, si tratta di una comprensione radicale di responsabilità: l’essere umano ha responsabilità non solo verso i membri della sua propria comunità ma anche verso tutti gli esseri umani, verso l’umanità nel suo insieme61. È facile scorgere che con l’intreccio di parte A e parte B dell’etica del discorso, il principio etico-discorsivo della corresponsabilità (planetaria) fa leva sul presupposto che l’etica non può basarsi semplicemente sulla coscienza del singolo, ma necessita allo stesso tempo delle coscienze di tutti gli altri soggetti partecipanti al discorso. Nessun’azione (o decisione moralmente) corretta può rinunciare all’esame comunicativointersoggettivo riguardo alla validità universale del principio morale e tantomeno può sottrarsi dal valutare le conseguenze dirette ed indirette che scaturiscano dall’azione in una determinata situazione storica62. Di fronte alla situazione concreta,

Per la genesi del termine e della dottrina dell’etica del discorso cfr. J. Habermas, “Diskursethik. Notizen zu einem Begründungsprogramm”, in Id., Moralbewußtsein und kommunikatives Handeln, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1983.

60

61 Cfr., su tale tematica, M. Borrelli, “Introduzione all’etica del discorso: KarlOtto Apel”, in Qualeducazione, n. 66, Pellegrini, Cosenza 4-2003, pp. 4-13.

62 Questo discorso è sviluppato in modo estremamente articolato in: K.-O.Apel, Lezioni di Aachen e altri scritti, cit., cfr. cap. III: “L’etica del discorso come etica della corresponsabilità dinanzi alle costrizioni oggettuali di politica, diritto e economia di mercato”, pp. 221 sgg.. Per una valutazione della proposta etica apeliana si rimanda ad alcuni miei scritti già menzionati: M. Borrelli, “L’ontologia trascendentale dell’intersoggettività: Karl-Otto Apel”, in Id., Pedagogia come ontologia dialettica della società, cit., cap. 6, pp. 265-277; Id., “Filosofia trascendentale dell’intersoggettività. Cenni introduttivi al discorso filosofico di Karl-Otto Apel”, in Id. (a cura di), Quaderni Interdisciplinari - Metodologia delle scienze sociali, vol. I, cit.; quest’ultimo anche in Id. (a cura di), La Pedagogia Tedesca Contemporanea, vol. III, «Pedagogia Teoretica», collana fondata e diretta da M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza 1999, Sezione Filosofica, pp. 271-283; Id., “Introduzione all’etica del discorso: Karl-Otto Apel”, cit.

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il principio etico-discorsivo di corresponsabilità sostiene che non solo la soluzione dei problemi e conflitti bensì già anche la determinazione adeguata degli interessi e delle aspirazioni individuali e collettive, che stanno in gioco, devono essere intersoggettivamente esplorate, vagliate e convalidate in un procedimento discorsivo-argomentativo orientato al consenso. In definitiva, il principio di corresponsabilità, che lega dialetticamente la parte A e la parte B dell’etica del discorso, forma l’istanza normativo-trascendentale di emancipazione che accompagna la riflessione riguardo alla soluzione dei problemi non solo della nostra società o di singole società, ma anche i problemi che interessano ognuno nel mondo e quindi l’umanità intera63).

Sulla linea teoretica qui in discussione e con riferimento alla struttura discorsiva della pedagogia interculturale, vedi M. Borrelli, H. Essinger, Political Education in Classes with Students from Different Cultural and Ethnic Backgrounds, in Council of Europe/Conseil de l’Europe, Strasbourg 1985, The CDCC’s Project n. 7 “The education and cultural development of migrants”, pp. 12-15; M. Borrelli, H. Essinger, “Interculturele pedagogick”, in Stimulans Informatieblad Over Onderwijsvoorrang, 5E Jarrgang n. 3, Maart 1987, Hoevelaken (Olanda) 1987, pp. 8-10; M. Borrelli, “Interkulturelle Pädagogik als Wissenschaft der Erziehung”, in Demokratie-Lernen als politische und pädagogische Aufgabe (Scritti in onore di Kurt Gerhard Fischer per il suo sessantesimo compleanno), Metzler, Stuttgart 1988, pp. 205-231; M. Borrelli, “Intercultural pedagogy: foundations and principles”, in D. Buttjes e M. Byram (a cura di), Mediating Languages and Cultures, Multilingual Matters, Clevedon/Philadelphia 1990, pp. 275-286; cfr. altresì H.-J. Roth, “Exemplarische Analysen zu kulturtheoretischen Ansätzen: Lutz Götze und Gabriele Pommerin - Karl-Heinz Dickopp - Helmut Essinger - Michele Borrelli - Georg Auernheimer - Wolfgang Nieke”, in Id., Kultur und Kommunikation. Systematische und theoriegeschichtliche Umrisse Interkultureller Pädagogik, Interkulturelle Studien, vol.10, Leske e Budrich 2002. 63

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5 Ermeneutica trascendentale e fondazione ultima. Note conclusive

5.1 L’etica universale nell’era della civilizzazione tecno-scientifica e la sua fondazione trascendentale Come si è sottolineato nei capitoli precedenti, le ricerche di Apel si sono incentrate sin dal 1973, anno di pubblicazione del suo ampio e sistematico lavoro Transformation der Philosophie, intorno al tema della fondazione ultima dell’etica nell’epoca della scienza1. Dalle idee sviluppate già in quella che può essere definita un’operazione rivoluzionaria di trasformazione della filosofia, è nata l’“etica del discorso”, diventata un punto di riferimento ineludibile del recente discorso filosofico, proposta teorica che costituisce il nucleo forte della riflessione di Apel e il cui complesso e articolato apparato categoriale attraversa ormai tutti gli ambiti epistemici del sapere contemporaneo e rappresenta non soltanto un passaggio obbligato per comprendere il senso profondo e problematico che caratterizza i transiti della filosofia, ma ha suscitato e suscita domande2 per le conseguenze che essa dischiude più propriamente anche nell’ambito della riflessione politica. Dal singolare incontro tra filosofia analitica, ermeneutica e sociologia critica, si è svilup-

Vedi K.-O.Apel, Transformation der Philosophie, voll. I, II, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1976; cfr. inoltre: K.-O.Apel, „Das Problem der Begründung einer Verantwortungsethik im Zeitalter der Wissenschaft“, cit., pp. 11-52.

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2 Si veda, non da ultimo, in D. Böhler, M. Kettner, G. Skirbekk (a cura di), Reflexion und Verantwortung – Auseinandersetzungen mit Karl-Otto Apel, cit..

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pata, per merito di Apel e Habermas3, la cosiddetta “etica del discorso” o dell’argomentazione ovvero della comunicazione, che nella versione più compiuta e radicale di Apel si basa sulla convinzione di poter fondare le possibilità costitutive della ragione su un piano in cui l’a priori linguistico (Sprach-Apriori) costituisce il presupposto trascendentale ineludibile che apre alla possibilità di fondazione ultima. Prescindendo dalla disputa con Habermas, l’etica del discorso di Apel è motivata, non da ultimo, dal fatto che la situazione dell’uomo ci pone di fronte ad una paradossalità mondialmente rilevante: per un verso, si fa avanti il bisogno di reclamare, mai come oggi, un’etica universale e vincolante per la società umana, soprattutto nell’era che attraversiamo della civilizzazione tecno-scientifica e della globalizzazione, per altro verso sperimentiamo come la fondazione razionale di un’etica universale non è mai stata tanto difficile quanto oggi6. Apel vede l’uscita da questa paradossalità nel passaggio verso un concetto comunicativo di ragione che corrisponda all’a priori della comunità comunicativa. Si può notare che sono nuovamente le premesse inaggirabili della situazione argomentativa a costituire in Apel la base della possibile soluzione del problema. Infatti, vale per le premesse dell’etica ciò che vale per le premesse del discorso in generale. La pretesa dell’etica del discorso è mostrare le ragioni che giustificano la questione del perché agire moralmente, attenersi al senso di ciò che è giusto, seguire norme e

3 Nella Prefazione al volume Moralbewusstsein und kommunikatives Handeln, Habermas dichiara che nessuno, fra i filosofi viventi, ha segnato profondamente le sue idee come Karl-Otto Apel” (cfr. J. Habermas, Moralbewußtsein und kommunikatives Handeln, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1983). Sul confronto delle rispettive prospettive d’indagine intorno ad alcuni pregnanti nuclei di riflessione, vedi di Apel “Etica del discorso, democrazia e diritto internazionale (dei popoli)” e “L’etica del discorso come etica della corresponsabilità dinanzi alle costrizioni oggettuali di politica, diritto e economia di mercato”, Lezioni di Aachen, cit., pp. 261-276 e pp. 221-225. 6

Vedi K.-O.Apel, Lezioni di Aachen e altri scritti, cit., capitoli I, II, III.

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leggi7. Questa pretesa dell’etica del discorso – come si è già rilevato – ha un carattere strettamente filosofico-trascendentale, ma certamente non più nel senso puramente kantiano, bensì nel senso di una trasformazione e avviamento pragmatico-linguistico della pretesa kantiana di una fondazione trascendentale ultima della legge morale. Il proposito di Apel è quello di mostrare che l’interpretazione di quest’ultima non è una formulazione strettamente formale che ignora l’orizzonte di costruzione politico-sociale ove, in ultima istanza, necessariamente la moralità si risolve, piuttosto che essa si configura all’interno del suo trasferimento sul piano pratico-sociale. Con la “svolta trascendentalpragmatica”, Apel intende riprendere e, al tempo stesso, superare le aporie del metodo filosofico kantiano di analisi trascendentale. Se in Kant “trascendentale” designa un tipo di analisi filosofica a priori in cui si cerca di determinare le “condizioni di possibilità” della conoscenza, in Apel, “pragmatica trascendentale” è il gioco trascendentale del linguaggio, cioè la riflessione sulle condizioni linguistiche della filosofia trascendentale e la riflessione sulle condizioni linguistiche di possibilità della costituzione di senso, valido intersoggettivamente. A differenza della razionalità pratica kantiana, la razionalità non sarà coscienzialistica e, quindi, soggettivistica, bensì dialogica, ossia discorsiva. Siamo più precisamente davanti a una razionalità che affonda le sue radici nel linguaggio umano, nella sua dimensione trascendentalpragmatica. Apel introduce,

7 Scrive Apel: “Proprio oggi, vi è bisogno di una risposta vera, razionalmente convincente alla domanda: perché essere poi morali? Ossia: perché nel rappresentare interessi divergenti bisogna ritenere tutti gli altri, per principio, equiparati nei diritti? Oppure: perché assumersi per le conseguenze delle proprie azioni, soprattutto per le conseguenze future di attività collettive, almeno una corresponsabilità?” (vedi di Apel, “La fondazione razionale ultima dell’etica del discorso come via d’uscita dalla crisi delle risorse interne dell’etica nel XX secolo”, in Lezioni di Aachen e altri scritti, pp. 149-182. Vedi anche K.-O.Apel, “L’etica del discorso e i suoi presupposti emancipativi” e “L’etica del discorso come etica della corresponsabilità dinanzi alle costrizioni oggettuali di politica, diritto e economia di mercato”, ivi, pp. 39-59 e pp.221-255.

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qui, alcuni elementi completamente nuovi e originali comprendendo l’etica del discorso come una mediazione tra la domanda kantiana di autonomia della volontà e la domanda hegeliana di eticità (Sittlichkeit). All’interno di questa configurazione, il compito dell’etica del discorso si evince attraverso la riflessione sui presupposti a priori della situazione argomentativa, nella fondazione trascendentalpragmatica del principio morale e delle norme fondamentali, per esempio nel presupposto ineludibile dell’uguaglianza dei diritti e della corresponsabilità di tutti i membri della comunità dell’argomentazione che costituiscono le condizioni di possibilità dei discorsi, come l’esigenza della realizzazione dei discorsi pratici per la soluzione di tutti i problemi e conflitti del mondo della vita. Riguardo, soprattutto, all’ambito della soluzione argomentativa di conflitti e problemi, è importante riportare alla memoria le due forme di razionalità menzionate nei capitoli precedenti: la razionalità discorsiva e la razionalità strategica. Dalla constatazione della differenza tra razionalità discorsiva e razionalità strategica segue il riconoscimento della necessità di una conciliazione tra entrambe come parte di una stessa strategia etica. Per giustificare questo programma, Apel ricorre alla distinzione weberiana dell’etica, cercando proprio di conciliare quello che era inconciliabile in Weber: l’etica della convinzione con l’etica della responsabilità8. Si prende in considerazione le condizioni reali dell’azione per riconoscere che le persone sono obbligate ad agire sempre anche strategiNell’etica della convinzione, l’individuo morale agisce secondo la convinzione che deve fare una tale cosa perché è la norma. Nel caso dell’etica della responsabilità, prima di agire l’individuo deve pensare alle conseguenze del suo atto (Weber). Ogni agire orientato in senso etico, secondo Weber, può oscillare tra due massime radicalmente diverse e inconciliabilmente opposte: può esser, cioè, orientato secondo l’«etica della convinzione» (Gesinnungsethik), oppure secondo l’«etica della responsabilità» (Verantwortungsethik) (cfr. M. Weber, “Politik als Beruf”, in Max Weber Gesamtausgabe, vol. I/17, a cura di W. Mommsen, Tübingen 1992. Vedi a questo riguardo K.-O.Apel, “Problemi di applicazione dell’etica del discorso”, in Lezioni di Aachen, cit., pp. 187-255). 8

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camente, ma allo stesso tempo ad agire comunicativamente, a coordinare le azioni in accordo con pretese normative di validità che, nel discorso argomentativo, possono essere giustificate solo attraverso una razionalità non strategica. Apel sviluppa, dunque, un programma di etica, ove la razionalità strategica operi sotto la guida di un télos etico nella soluzione degli ostacoli che intralciano la comunicazione e l’applicazione di norme consensuali. Per questo motivo, egli, come abbiamo sottolineato, distingue nell’etica del discorso due parti: una, la parte A, deontologica, che ha a che vedere con la fondazione della norma fondamentale (Grundnorm) come principio procedurale su cui, a sua volta, basare norme situazionali: il principio, cioè, della necessità che tutte le norme fondamentali devono essere capaci di consenso nelle loro conseguenze per tutti gli interessati; l’altra è la parte B che si occupa di creare le condizioni storiche di applicazione della norma fondamentale. Succede infatti che non sempre, in una situazione, sia possibile applicare con responsabilità la norma fondamentale. Pertanto, l’etica del discorso nella sua parte B si preoccupa di prendere in considerazione la problematica della possibile mancanza concreta di buona volontà di alcuni individui di esporre e risolvere dialogicamente i problemi, sia per quel che riguarda l’ambito del mondo della vita in generale sia per quel che riguarda l’ambito dell’economia o della politica in particolare, nonché la possibilità reale di instaurare un dialogo aperto e franco superando manipolazione e costrizioni9. Apel inaugura, dunque, con la parte B un peculiare paradigma di applicabilità dei princìpi etici: “Ogni etica, – così Apel – per la sua applicabilità, deve premettere la buona volontà degli esseri umani, la domanda ‘che cosa devo fare?’. Bisogna, dunque, circoscrivere la competenza dell’etica del discorso, come quella di ogni etica, all’ambito di applicabilità del suo principio. In tal caso esso è l’ambito della disponibilità a discorsi pratici”: vedi K.-O.Apel, “Problemi di applicazione dell’etica del discorso”, in Lezioni di Aachen , cit., pp.187-255; vedi inoltre, “L’etica del discorso come etica della corresponsabilità dinanzi alle costrizioni oggettuali di politica, diritto e economia di mercato” e “Etica del discorso, democrazia e diritto internazionale (dei popoli)”, in ivi, pp. 221-255 - e pp. 261-276.

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5.2 L’etica del discorso come etica della corresponsabilità planetaria Poiché non è possibile sperare che tutti i partecipanti ai discorsi pratici, che si realizzano nel mondo della vita, decidano e agiscano sempre in accordo con la morale, sorge la domanda: è lecito operare in forma morale quando gli altri non decidono né agiscono moralmente? A questa questione, l’etica del discorso risponde con la categoria della responsabilità, di come ci si deve comportare quando gli altri non sono disposti a dialogare, a trattare discorsivamente i problemi e a risolvere in forma pacifica e giusta i conflitti, considerando che il concetto filosofico etico-discorsivo di responsabilità, che caratterizza l’etica del discorso, non deve essere confuso con i diversi significati empirici individuali e istituzionali del termine, per esempio con la responsabilità assegnata sulla base di un ruolo o la responsabilità esercitata da una persona concreta in un determinato incarico, in una funzione pubblica, ecc.; tutti questi concetti sono accezioni derivate o secondarie da un punto di vista filosofico. In secondo luogo, il concetto di corresponsabilità è ancorato, a livello trascendentale, nei presupposti a priori dell’argomentazione. Si tratta di una responsabilità che è compresa specificamente come corresponsabilità a priori trascendentale e che può essere rischiarata solo attraverso una riflessione sui presupposti a priori della situazione argomentativa, che contengono già le norme etiche fondamentali di una corresponsabilità che agisce, quindi, come parametro di responsabilità anche per la trasformazione delle istituzioni. Attraverso la riflessione trascendentale è possibile individuare, per Apel, i presupposti a priori della situazione argomentativa. Chi fa una domanda o afferma o discute un’idea con pretesa di validità per se stesso o per altri, e si presenta come membro corresponsabile per la ricerca della verità di un enunciato o della correzione di una norma, presuppone non solo una capacità cognitiva quanto una capacità di corresponsabilità dialogica. Queste capacità – che a priori sono di ogni partecipan132

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te al discorso – devono essere sviluppate come competenza acquisita per intervenire efficientemente nei discorsi concreti e per cooperare, secondo le proprie possibilità, alla ricerca della conoscenza della verità, nonché per la determinazione dell’operare corretto e per la sua possibile applicazione nella prassi. La prassi argomentativa costituisce così una situazione nella quale si sta necessariamente implicati non solo quando si discutono questioni di validità relazionate con la verità, ma anche quando si riflette sulla portata e sul senso del concetto di responsabilità. In altri termini: il concetto di corresponsabilità trascendentale è ancorato nei presupposti a priori della situazione argomentativa. Tra questi presupposti si comprende, per esempio, la pariteticità di tutti i partecipanti al discorso alla corresponsabilità solidale di tutti verso tutti gli altri partecipanti su tutti i problemi, aspirazioni, interessi, ecc., che possono essere argomentabili, cioè suscettibili di essere trattati e risolti in forma discorsiva. Se Kant cercava di portare allo scoperto i presupposti che fanno razionale la coscienza dell’imperativo, l’etica del discorso si sforza di scoprire quelli che fanno razionale l’argomentazione, quelli che fanno di essa un’attività con senso. In questo senso, la situazione linguistica ideale è anche l’idea regolativa centrale. Indubbiamente, un’idea regolativa è l’idea di una situazione che non sappiamo se avrà mai possibilità di realizzazione, ma che la nostra ragione, per essere in “sintonia con se stessa” (Kant), ci impone: per esempio che ci sia pace nel mondo o che la distribuzione di ricchezza sia giusta. Per questo motivo, quelli che lavorano alla realizzazione dell’idea regolativa operano kantianamente al servizio dei presupposti della nostra ragione. L’idea serve come meta per la nostra azione e come criterio di valutazione delle situazioni concrete. La situazione linguistica ideale, come idea regolativa, è una meta per i nostri dialoghi reali e, al tempo stesso, una misura per valutare la possibilità di convergenza con essa. Urge, dunque, prendere sul serio nelle distinte sfere della vita sociale l’idea che tutte le persone siano interlocutori va133

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lidi che devono essere tenuti in conto nelle decisioni che li riguardano, in modo che possano partecipare ad esse attraverso un dialogo nelle condizioni più prossime alla simmetria. Saranno decisioni moralmente corrette, non quelle che si prendono dalla maggioranza tout court, bensì quelle in cui tutti ed ognuno dei partecipanti siano disposti a dare il loro consenso, perché soddisfano interessi universalizzabili. Nella pragmatica trascendentale dell’etica del discorso, chiunque pretenda di argomentare sul serio su norme deve presupporre: che tutte le persone siano interlocutori validi e che, pertanto, quando si dialoga su norme che riguardano quest’ultimi, devono essere tenuti in conto e difesi gli interessi di tutti; che non qualunque dialogo ci permette di scoprire se una norma è corretta, bensì solo quel dialogo che si attiene ad alcune regole che permettono di realizzarlo in condizioni di simmetria tra gli interlocutori. Questo procedimento discorsivo si attiene a determinate regole: qualunque individuo capace di linguaggio ed azione può partecipare al discorso; chiunque può problematizzare qualunque affermazione; chiunque può introdurre nel discorso qualunque affermazione; chiunque può esprimere le sue posizioni, desideri e necessità; non può impedirsi a nessun parlante di far valere i suoi diritti, mediante coazione interna o esterna al discorso. Per comprovare se la norma è corretta, occorre attenersi anche a due princìpi: il principio di universalizzazione che è una riformulazione dialogica dell’imperativo kantiano di universalità e il principio dell’etica del discorso, per il quale hanno validità solo le norme che sono suscettibili di accettazione in tutti i partecipanti al discorso. Si dichiarerà corretta una norma se tutti i partecipanti al discorso sono d’accordo nel dargli consenso perché soddisfa non gli interessi di un gruppo o di un individuo, bensì interessi universalizzabili. Col che, è facile presumere che l’accordo o il possibile consenso ai quali aspiriamo differiranno totalmente dai patti strategici, dalle negoziazioni. In una negoziazione reale, gli interlocutori tentano di strumentalizzarsi reciprocamente per raggiungere ognuno le pro134

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prie mete individuali; in un dialogo essi si apprezzano reciprocamente come interlocutori altrettanto autorizzati e mirano al raggiungimento di un accordo che soddisfi interessi universalizzabili. Per tal motivo se la razionalità dei fatti mostra un fondamento razionale strumentale, la razionalità dei dialoghi si regge sul presupposto etico-comunicativo10. Da quanto esposto si nota il rilievo dell’etica del discorso per la prassi del mondo della vita e, soprattutto, il fatto che essa non può mai essere sostituita dall’azione strategica. Il contrario si deve supporre: la razionalità dell’interazione sociale non si esaurisce nella razionalità strategica. Come Apel dimostra, quest’ultima non è affatto sufficiente per la soluzione su scala planetaria dei problemi umani e morali. Solo dalla razionalità comunicativa o discorsiva, solo da una razionalità non strategica dei partecipanti al discorso si può pensare ad una razionalità etica in senso globale, ad una ragion pratica legislatrice anche nel senso di Kant.

10 Vedi a tale proposito K.-O.Apel, “La dimensione ermeneutica della scienza sociale e il suo fondamento normativo”, in Lezioni di Aachen, cit., pp. 79-116.

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Stampato da Pellegrini Editore - Cosenza

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