Ermeneutica delle migrazioni. Saggi, discorsi, contributi 8857516520, 9788857516523

Il volume si propone di fare il punto sul complesso concetto di ellenismo e sulla sua 'fortuna', cioè sull

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Ermeneutica delle migrazioni. Saggi, discorsi, contributi
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Il mondo globalizzato è solcato dai flussi migratori. !..'.altro vive accanto a noi e ci interroga. Di questa questione concreta eppure densa di spunti di riflessione si è occupato il grande filosofo Paul Ricoeur. Questo libro riunisce per la prima volta tutti i suoi testi su questo argomento . Maestro dell'ermeneutica , la scienza dell'interpretazione, Ricoeur approfondisce in direzione teoretica il concetto di alterità e di straniero, confrontandosi con il fenomeno storico delle migrazioni contemporanee. Da queste pagine dense, scritte in diversi periodi del la situazione migratoria, emerge una vera e propria filosofia della migrazione. Speculazione e concretezza di analisi si uniscono fornendo un'occasione preziosa di riflessione, soprattutto perché proposta da un grande nome che ha fatto la storia della filosofia mondiale.

Paul Ricreur

ERMENEUTICA DELLE MIGRAZIONI Saggi, discorsi, contributi a cura di Renato Boccali

MIMESIS / VOLTI

rial du Fonds Ricoeur

ijESIS EDIZIONI (Milano- Udine) o/ti,n. 81 857516523 csisedizioni .it 1mento, 33 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) fax: +39 02 89403935 [email protected]

INDICE

INTRODUZIONE

Ermeneutica del legame interumano. Estraneità, ospitalità, dialogo di Renato Boccali

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ERMENEUTICA DELLE MIGRAZIONI SAGGI, DISCORSI, CONTRIBUTI

I.

«MIGRAZIONI E ERRANZE». INTRODUZIONE

II.

STRANIERO, IO STESSO

III.

L'ESTRANEITÀ DELLO STRANIERO

IV.

LA CONDIZIONE DI STRANIERO

V.

MOLTEPLICE ESTRANEITÀ

VI.

FRAGILE IDENTITÀ: RISPETTO DELL'ALTRO E

VII. VIII.

IL DIALOGO DELLE CULTURE.

IDENTITÀ CULTURALE

FONTI

CULTURE, DAL LUTTO ALLA TRADUZIONE

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7 RENATO BOCCALI

INTRODUZIONE Ermeneutica del legame interumano. Estraneità, ospitalità, dialogo

1. I flussi migratori di epoca contemporanea richiedono un pensiero «complesso», capace di riflettere adeguatamente sull'inedita condizione antropologica innescata dai processi di globalizzazione. L'interdipendenza dei nuovi assetti economici prodotti da finanza e mercati mondializzati assieme alla trasformazione delle dinamiche della vita sociale, del tessuto della convivenza civile, delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione nell'era della rete globale hanno dato vita a una nuova e polimorfa identità planetaria. A una metamorfosi antropologica, dunque, radicata nelle ambigue articolazioni dei processi storici avviati già alla fine del XIX secolo, che ha prodotto un volto inedito del fenomeno migratorio, sia per quanto riguarda la direzione dei flussi sia per la «tipologia» della migrazione, determinando una vera e propria costruzione sociale e istituzionale della figura del migrante. Già agli inizi del secolo scorso Simmel segnalava che il modo adeguato per concepire lo straniero consiste nel «leggere» la sua presenza all'interno del complesso sistema di relazioni della comunità di accoglienza, secondo la prospettiva della particolare configurazione spaziale e determinazione sociologica a cui dà vita. Lo straniero come «forma sociale», quindi, che acquista consistenza solo in un contesto relazionale, occupando determinati spazi sociali e condensando in sé aspetti inquietanti di vicinanza e lontananza, di presenza e provvisorietà1. Si tratta di pensare lo straniero come inserito all'interno di un campo intersoggettivo che comporta una diramazione interpretativa implicante da un lato la relazione con l'alterità, dall'altro la relazione con la comunità. O, detto altrimenti, una fenomenologia dell'intersoggettività e un'ermeneutica delle relazioni interpersonali comunitaCfr. G. Simmel, «Excursus sullo straniero», in Sociologia [1908], tr. it. di G. Giordano, Milano, Edizioni di Comunità, 1989, pp. 580-584.

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rie. Questo doppio approccio non può essere concepito se non in maniera unitaria giacché la descrizione fenomenologica dell'Altro passa per un'ermeneutica del legame ihterumano, coniugando la necessità dell'immanenza trascendentale dell'Altro con l'empirismo della radicale concretezza storica della comunità. Siamo condotti in direzione di una vera e propria fenomenologia dell'incontro in cui l'Altro si presenta non soltanto come alterità ma anche come soggetto culturale che si inserisce all'interno di una comunità intersoggettiva. Inevitabilmente questo comporta il proliferare di un coacervo di interrogativi e di dubbi, anche relativi alla possibilità o necessità di scelte concrete. Lo straniero, nelle sue diverse declinazioni, si offre infatti come un elemento instabile e ambivalente all'interno di una comunità di accoglienza. Ha uno scarso radicamento territoriale, manca di un passato comune condiviso con i membri della comunità ospitante, appare lontano dal loro spazio sociale ormai consolidato e riconosciuto, è portatore di una diversità culturale spesso legata a un differente sistema di riferimenti cognitivi e morali. Tutto questo si scontra con le esigenze di inclusione sociale generatrici al contempo di culture dell'accoglienza così come di culture del rifiuto e dell'espulsione. Occorre quindi «pensare di più, pensare altrimenti» la condizione dello straniero in tutta la sua estraneità, alterità e fragilità. A offrirci un valido contributo ci viene incontro l'ermeneutica del sé di Paul Ricreur che nei saggi qui proposti si declina in una vera e propria ermeneutica del legame interumano. Si tratta di scritti di varia origine e spesso d'occasione, sicuramente «minori» rispetto alle grandi opere teoretiche, ma non per questo meno rilevanti. Al contrario in questi saggi, interventi a convegni, interviste, articoli di giornale l'autore percorre le pieghe dei fenomeni concreti determinati dai flussi migratori per sondare il rapporto tra estraneità e migrazione, offrendoci così un'analisi della condizione di straniero e, correlativamente, del nostro essere a nostra volta stranieri. Attraverso un continuo gioco di rimandi tra fenomenologia della storia e ermeneutica della tradizione si articolano i sentieri della fragile identità e della molteplice estraneità. Così, l'accadere della presenza dell'estraneo si mostra nella sua vivente concretezza, benché all'interno di un quadro interpretativo teoreticamente fondato.

Introduzione di Renato Boccali

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La produzione ricceuriana si caratterizza fin dall'inizio per un impegno attivo nei confronti della «sfida dell'Altro» biforcandosi tra una riflessione di ordine teoretico, da un lato in aperto confronto con la fenomenologia e dall'altro con la teologia, e una riflessione di ordine pratico-politico volta a una concreta filosofia dell'azione ed effetto della sua partecipazione all'azione sociale e civile. I due tipi di riflessione, pur se autonomi nella metodologia d'indagine, si intersecano quanto all'oggetto, producendo nel corso del tempo un intreccio chiastico sempre più profondo in cui teoresi e empiria si animano l'un l'altra. La centralità antropologica è dunque una cifra costante del pensiero di Ricceur e negli scritti che qui vengono proposti in traduzione - alcuni per la prima volta, altri perché ormai di difficile reperibilità o perché dispersi in una serie diversificata di pubblicazioni - essa assume una piega concreta alla luce dei macrofenomeni storico-sociali e culturali connessi ai flussi migratori. I temi dell'accoglienza, dell'ospitalità, dell'integrazione sono strettamente correlati agli ingenti spostamenti di popolazione a livello mondiale che impongono problemi di convivenza, di identità, di difesa dei diritti, rendendo urgente un'appropriata riflessione sulla figura dell'Altro come straniero. Tutte le scienze umane sono chiamate ad abbozzare delle risposte pratiche in una situazione di estrema contingenza. Anche la filosofia non può esimersi da questo compito e Ricceur ne è sempre stato cosciente: la prova dello straniero passa per la presa in carico di una fenomenologia degli eventi storici aperta all'ermeneutica del legame interumano; possibile soltanto alla luce di un lungo percorso, di una «lunga via» che attraversi saperi contigui e complementari. La filosofia esce così dal suo isolamento teoretico coniugando idealismo e realismo, provando ad abbozzare delle risposte a sintesi aggiornata. Qui risiede l'interesse degli scritti ricceuriani riuniti per la prima volta e proposti in anteprima al pubblico italiano. Essi accompagnano l'ultimo scorcio di riflessione del filosofo francese a partire dagli anni '90 del secolo scorso fino alle soglie della sua morte, regalandoci l'occasione di poter osservare da vicino il suo laboratorio di pensiero. Si ritrovano infatti temi portanti elaborati in testi come Sé come un altro, La memoria, la storia l'oblio o Percorsi del riconoscimento oltre a richiami continui al tema della traduzione, vero e forse ulti-

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mo modello ermeneutico dì lavoro che l'autore ci lascia in eredìtà2 • Dall'ermeneutica del sé alla fenomenologia dell'uomo capace per giungere allo sforzo per esistere o al desiderio d'essere tramite la prassi offerta dal paradigma traduttivo, passando per il lavoro del lut-

to e della memoria. Nonostante la loro intrinseca eterogeneità, questi testi presentano un'unità e una compattezza dovuta alla virtuosa circolarità ermeneutica della pratica filosofica ricceuriana caratterizzata dall'osmosi continua tra gnoseologia, ontologia e filosofia pratica. I testi qui proposti sono quindi legati alla «saggezza pratica» o phronesis, secondo l' accezione aristotelica cara a Ricceur, orientati non tanto alla questione dell'alterità quanto alla concreta presenza dell'Altro, incarnata dalle diverse.figure straniero. Ne risulta un affresco unitario e non riduttivo, in grado di raffigurare la variegata pluralità delle esperienze legate alla condizione di straniero e indicare possibili piste per la sua accoglienza e ospitalità. Nello stesso tempo assume una nuova luce la riflessione sull'estraneità dello straniero e di noi stessi, sull'alterità dell'Altro che non conosciamo e quella a noi più intima, che spesso ignoriamo, infine sulla fragilità dell'identità, individuale e collettiva, di colui che viene ospitato ma anche di colui che ospita. 2. Un'ermeneutica del legame interumano che proponga una vera fenomenologia dell'incontro non può che muovere dalla dissimetria del riconoscimento. Quella dell'io che vuole rendere conto dell'Altro come estraneo o alter ego, a partire dalla datità originaria e autosufficiente di una coscienza trascendentale in quanto trasposizione appercettiva, posta sotto il segno della percezione analogica in grado di produrre l'accoppiamento (Paarung); ed è questa la via fenomenologica proposta da Husserl a partire dalle Meditazioni cartesiane. Oppure quella opposta che muove dall'Altro nella sua totale distanza 2

P. Ricceur, Sé come un altro [1990], tr. it. e ed. di D. !annotta, Milano, Jaca Book, 2001; Percorsi del riconoscimento [2004], tr. it. e ed. di F. Polidori, Milano, Raffaello Cortina, 2005; La traduzione. Una sfida etica [2004], tr. it. di I. Bertoletti e M. Gasbarrone, D. Jervolino (ed.), Brescia, Morcelliana, 2001; Tradurre l'intraducibile. Sulla traduzione, tr. it. e ed. di M. Oliva, Città del Vaticano Roma, Ubraniana University Press, 2008. Per una riflessione sul paradigma traduttivo a partire da Ricceur cfr. D. Jervolino, Per una filosofia della traduzione, Brescia, Morcelliana, 2008.

Introduzione di Renato Boccali

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rispetto all'io, la cui unica e vera epifania è quella del volto, che apre all 'altri.rp.enti che essere, in direzione antiontologica e antignoseologica; e questa è la via etica di Levinas a partire da Totalità e infinito e Altrimenti che essere o al di là dell 'essenza3 • Andare all'Altro partendo dall'io significa riconoscere la priorità dell'io e quindi seguire una via conoscitiva che precede e fonda quella etica. Al contrario, andare all'io partendo dall'Altro significa riconoscere la priorità etica dell'Altro nella sua manifestazione sempre sfuggente rispetto al dominio della totalità e quindi antifondativa di qualsiasi conoscenza. Le due vie segnano due logiche irriducibili l'una all'altra e inconciliabili: una fondata sulla medesimezza del polo ego l'altra sull'ipseità del polo alter. Eppure questa «dissimmetria originaria» può forse essere abbordata mettendo in campo un altro tipo di logica, orientata a una fenomenologia dell'azione il cui perno è l'ermeneutica del sé. Non più l'io, non più l'Altro, ma Sé come un altro, implicante percorsi del riconoscimento secondo la doppia accezione grammaticale del termine: riconoscere (dimensione attiva) e farsi riconoscere (dimensione passiva). Si procede allora dalla dissimmetria originaria alla reciprocità attraverso il paradosso del «l'un l'altro» in cui la resistenza della dissimmetria originaria si scontra con l'idea di reciprocità, in grado di combattere sia l'oblio della dissimmetria sia la sua logica antinomica grazie alla fenomenologia della mutualità. I legami di mutualità sono infatti figure elementari della reciprocità che implica, di rigore, rapporti sistematici. La mutualità ne è l'aspetto più intimo, che si declina appunto come mutuo riconoscimento. Riconoscersi non equivale allora a identificarsi, proprio perché la mutualità comporta la reciprocità, quindi quella giusta distanza che evita l'unione fusionale garantendo intimità e rispetto. I percorsi del riconoscimento passano 3

Cfr. E. Husserl, Meditazioni cartesiane [1931] con l'aggiunta dei Discorsi parigini, tr. it. di F. Costa, Milano, Bompiani, 1988, si veda in particolare la V; E. Levinas, Totalità e infinito. Saggio sull'esteriorità [1971], tr; it. di A.Dell'Asta, S. Petrosino (ed.), Milano, Jaca Book, 2006; Id., Altrimenti che essere o al di là dell'essenza [1978], tr. it. di S. Petrosino e M. T. Aiello, S. Petrosino (ed.), Milano, Jaca Book, 2006. Per la discussione di questi temi cfr. P. Ricreur, Percorsi del riconoscimento, cit., pp. 175-183 e Altrimenti. Lettura di «Altrimenti che essere o al di là dell'essenza» di Emmanuel Levinas [1997], tr. it. e ed. di I. Bertoletti, Brescia, Morcelliana, 2007.

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per la fenomenologia dell'uomo capace, di quell'uomo cioè capace di riconoscersi come passibile di imputazione, aprendosi così alla possibilità del mutuo riconoscimènto inteso come riconoscimento di sé e, nel contempo, apertura all'Altro, giacché «la lotta per il riconoscimento si disperderebbe all 'intemo della coscienza infelice se agli umani non fosse dato di accedere a un'esperienza effettiva, ancorché simbolica, di mutuo riconoscimento, sul modello del dono cerimoniale reciproco» 4 (p. 173). La logica della reciprocità si basa quindi sulla gratuità, sui paradossi del dono e del controdono e sul carattere festivo dello scambio5 • È dunque il mutuo riconoscimento il modello della reciprocità a cui occorre pensare per sfuggire all 'oppòsizione dell'io e dell'Altro e per poter trovare una prassi efficace, al livello operativo di una fenomenologia dell'incontro. Per farlo Ricceur propone di prendere in considerazione il paradigma della traduzione come modello di ospitalità linguistica «ove al piacere di abitare la lingua dell'altro corrisponde il piacere di ricevere presso di sé, nella propria dimora d'accoglienza, la parola dello straniero»6 • La traduzione si presenta quindi come il luogo di un vero e proprio dono cerimoniale, quello del ricevere, dare accoglienza e ospitalità all'Altro prendendo atto della dissimmetria originaria ma realizzando anche un mutuo riconoscimento, una reciprocità in grado di fondare la possibilità di un comune abitare. La traduzione comporta necessariamente la presa d'atto senza appello della separatezza primigenia descritta anche dal mito babelico, ma lungi dal ridursi a mera costatazione essa risponde fattivamente con una presa in carico della dissimmetria ponendo un vero e proprio «compito» al traduttore: quello di spezzare il «debito» delle lingue sostituendo ad esso il paradigma del perdono che, appartenendo all 'economia sovrabbondante del dono, eccede la logica della reciprocità andando oltre l'etica, verso l'ordine della carità7 • 4 5

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P. Ricreur, Percorsi del riconoscimento, cit., p. 173. È nel terzo studio che I 'autore sviluppa il tema del mutuo riconoscimento pp. 171-274. Cfr. M. Mauss, Saggio sul dono [1925], in Teoria generale della magia e altri saggi, tr. it. di F. Zannino, Torino, Einaudi, 1965, pp. 155-292; Lévi-Strauss·, «Introduzione al!' opera di Marce! Mauss» in M. Mauss, op. cit.; Marce! Henaff, Le prix de la vérité. Le don, l'argent, la philosophie, Paris, Le Seui!, 2002. P. Ricreur, «Sfida e felicità della traduzione», in La traduzione, op. cit., p. 50. È a quest'ordine della carità che Ricreur fa riferimento in particolare in «Quale

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La traduzione rende quindi comparabili gli incomparabili, offrendosi come vero luogo per la prova dell'estraneo 8 • Prova che implica un guadagno, assieme ad un'inevitabile perdita fino all'accettazione della differenza del proprio e dello straniero e dell'impossibilità della totalità declinata sotto forma di universalità. «La felicità del tradurre diviene un guadagno allorché, legato alla perdita dell'assoluto linguistico, accetta lo scarto tra l'adeguazione e l'equivalenza, l 'equivalenza senza adeguazione. Qui sta la felicità. Riconoscendo e assumendo l'irriducibilità della coppia del 'proprio' e dello straniero, il traduttore trova la sua ricompensa nel riconoscimento dell 'intrascendibile statuto di dialogicità dell'atto di tradurre come orizzonte ragionevole del desiderio di tradurre» 9 • Questo implica un doppio lavoro. Da un lato il superamento delle resistenze nei confronti dello straniero inteso come minaccia per la propria identità linguistica. Dall'altro il lavoro del lutto rispetto all'ideale di una traduzione perfetta e quindi dell'abolizione completa delle differenze tra le lingue. Si crea così un'ospitalità linguistica che accoglie lo scambio delle memorie, la narrazione incrociata e l'apertura a «l'un l'altro» nella consapevolezza, inevitabile, che qualcosa è irrimediabilmente perduto. Ecco allora il senso del lavoro del lutto, quello di permettere una riconciliazione con la perdita e con le sue «figure» - l'inestricabile, l 'inconciliabile e I'irreparabile 10 - e riaprire il lavoro delle memorie, con la possibilità di configurare nuove costellazioni di senso. Creando uno «spazio d'esperienza» [Erfahrungsraum] in cui l' «orizzonte di attesa» [Erwarungshorizont] apra alle condizioni di un futuro passato, come direbbe Koselleck 11 , in cui sia realmente possibile una memoria

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nuovo ethos per l'Europa?» quando afferma che «La carità resta un di più , quel di più della compassione e della tenerezza in grado di offrire la motivazione profonda, l'audacia e lo slancio allo scambio delle memorie» (p. 90), oltre che in «Il dialogo ecumenico. Traduzione e perdono», entrambi contenuti in La, traduzione, cit. È questo il titolo dell'opera di Antoine Berman, La, prova dell'estraneo. Cultura e traduzione nella Germania romantica [1984], tr. it. e ed. di G. Giometti, Macerata, Quodlibet, 1997 che viene ampiamente utilizzata come riferimento concettuale da Ricceur. P. Ricceur, «Sfida e felicità della traduzione», cit., p. 49. Cfr. P. Ricceur, «II dialogo ecumenico. Traduzione e perdono», cit., p. 102. Cfr. R. Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici [1979], tr. it. di A. Mari etti Solmi, Bologna, Clueb, 2007.

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felice. Una memoria rivisitata dal progetto del futuro, pur con tutte le sue contraddizioni e difficoltà, che sembra essere quella condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per quello che Hannah Arendt ha efficacemente definito la dimensione orizzontale del «voler vivere insieme». 3. I percorsi della molteplice estraneità non possono che prendere le mosse da una fenomenologia dell'alterità posta sotto il segno dell'ermeneutica del sé. Ricreur parla esplicitamente di una funzione «-meta» derivata dalla teoria platonica dei generi maggiori e dalla teoria aristotelica delle molteplici accezioni dell'essere. I due generi sommi per Platone sono infatti lo Stesso e l'Altro. L'Altro è propriamente il genere ultimo rispetto a movimento, quiete, essere, non-essere e stesso, come emerge dai Dialoghi cosiddetti metafisici. La fenomenologia dell'alterità posta sotto il segno della dialettica dello Stesso e dell'Altro viene bilanciata dall'ermeneutica dell'agire proposta da Aristotele tramite la meta-categoria dell'essere come atto e potenza. La dispersione delle modalità fenomenali dell'alterità, la disseminazione delle sue figure sul piano fenomenologico, è compensata dalla funzione di «raccolta» dei diversi elementi tramite le metacategorie di atto e potenza che, nella rnedesimezza, fondano «raccogliendo» un'ermeneutica dell'agire dispersa nei registri del linguaggio, del racconto, dell'azione, dell'imputazione morale e della politica. Spetta allora a un'antropologia filosofica creare il legame tra i due tipi di discorsi, di primo e di secondo grado, quello di una fenomenologia ermeneutica e quello della metafisica, correlando alla dispersione del patire la funzione di raccolta dell'agire. Si delineano le condizioni per poter pensare una fragile identità, esposta al rischio dell'attestazione e alla prova dell'esistenza. «L'attestazione - afferma Ricreur - è quella sorta di confidenza o di sicurezza (statuto epistemologico non dossico) che ciascuno ha di esistere (statuto ontologico) sul modo del sé (statuto fenomenologico)» 12 • Una modalità di riconoscimento di sé, quindi, che passa però per l'articolazione di un'identità ipse, quella della soggettività umana colta nel suo concreto atto di esistere, in rapporto all'identità continua 12

P. Ricreur, Sé come un altro, cit., p. 382.

Introduzione di Renato Boccali

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dell'idem, che connota la medesimezza del «se stesso» nello scorrere del tempo. Il sé si rivela dunque una condizione contingente e carnale, una realtà attestante ma non fondativa in senso forte, unitaria nella molteplicità delle sue esperienze, identica a se stessa, eppure sempre diversa da sé. È qui che risiede la sua fragilità. Nell'impossibilità di avere un'identica consistenza nel corso del tempo a causa della minaccia di distruzione interna prodotta dal cambiamento. Ma anche nell 'impossibilità di scartare l'estraneità che ci abita e di ridurre le molteplici forme dell'alterità- del corpo proprio, dell'altro uomo e della coscienza morale come foro interiore. E infine nell'impossibilità di eliminare la violenza fondatrice, la barbarie originaria che rende sempre precaria la conquista della civiltà da parte dell'uomo. O, sul piano più strettamente personale, la conquista della razionalità rispetto alla dimensione pulsionale e inconscia. L'alterità appartiene quindi alla costituzione ontologica dell 'ipseità, disvelando una dimensione fondamentalmente passiva per la quale all'affermazione dell'io deve sostituirsi un'ermeneutica del sé. L'Altro si pone come limite, come differenza estranea, impedendo l'autofondazione di se stessi e mostrando la vera identità di un sé frammentario, che non si possiede se non a partire dall'Altro, in quanto essere-in-relazione. E aprendo uno spazio etico come luogo di incontro dinamico tra lo Stesso e l'Altro. «Il termine 'alterità' resta allora riservato al discorso speculativo, mentre la passività diventa l'attestazione stessa dell'alterità» 13 • La passività del farsi riconoscere che scuote dall'oblio della dissimmetria originaria facendo saltare il «paradigma di immunizzazione» 14 • Ric