Energia, forza e materia. Lo sviluppo della fisica nell’Ottocento

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Energia, forza e materia. Lo sviluppo della fisica nell’Ottocento

Table of contents :
Energia, forza e materia......Page 1
Colophon......Page 6
Premessa......Page 7
Indice......Page 9
I. La struttura concettuale della fisica dell’Ottocento......Page 11
Il contesto della teoria fisica......Page 12
La fisica dell’energia e l’interpretazione meccanicistica......Page 14
L’etere e le teorie di campo......Page 17
Problemi di fisica molecolare......Page 19
Lo status dell’interpretazione meccanicistica......Page 20
La storiografia della fisica......Page 22
Nota al capitolo I......Page 24
II. Il contesto della teoria fisica: energia, forza e materia......Page 25
La fisica di Laplace......Page 28
Il rifiuto dei fluidi imponderabili nella fisica inglese......Page 33
Fresnel e l’etere solido ed elastico......Page 35
L’etere luminifero e la spiegazione meccanicistica......Page 40
Fourier e i metodi matematici delkz fisica......Page 43
L’etere elettrico......Page 46
I processi di conversione e l’unità della natura......Page 50
L’unità della natura: calore e lavoro meccanico......Page 52
Helmholtz e la conservazione dell’energia......Page 58
Note al capitolo II......Page 62
Carnot e la potenza motrice del calore......Page 63
Thomson e i problemi della tennodinamica......Page 68
Clausius e le leggi della termodinamica......Page 70
Thomson: la conservazione e la dissipazione dell’energia......Page 72
L’emergere della fisica dell’energia......Page 76
Conversione e conservazione: i concetti di forza e di energia......Page 78
L’irreversibilità: Clausius e l’entropia......Page 83
Irreversibilità e cosmogonia......Page 86
La fisica dell’energia e la spiegazione «dinamica»......Page 89
Note al capitolo III......Page 92
IV. Materia e forza: teorie dell’etere e del campo......Page 95
Le teorie del campo di Faraday......Page 96
Thomson: etere e campo......Page 105
La teoria del campo di Maxwell......Page 109
Etere e campo nella fisica inglese, 1880-1900......Page 122
Le teorie dell’etere e della forza nella fisica tedesca......Page 129
Hertz e le onde elettromagnetiche......Page 134
Il problema del moto attraverso l’etere......Page 139
Lorentz e la concezione elettromagnetica della natura......Page 144
Note al capitolo IV......Page 148
V. La teoria della materia: problemi di fisica molecolare......Page 151
L’atomismo chimico......Page 152
La fisica molecolare: la teoria cinetica dei gas......Page 160
Problemi di struttura molecolare......Page 167
La fisica molecolare e la termodinamica......Page 173
La termodinamica chimica e l’energetica......Page 181
Note al capitolo V......Page 185
VI. Il declino della concezione meccanicistica del mondo......Page 187
Note al capitolo VI......Page 193
Bibliografia......Page 195
1. La struttura concettuale della fisica dell’Ottocento......Page 197
2 . Il contesto della teoria fisica: energia, forza e materia......Page 199
3 . La fisica dell’energia e l’interpretazione meccanicistica......Page 206
4 . Materia e forza: teorie dell’etere e del campo......Page 209
5 . La teoria della materia: problemi di fisica molecolare......Page 216
6. Il declino della concezione meccanicistica del mondo......Page 221
Indice dei nomi......Page 225

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UNIVERSALE PAPERBACKS IL MULINO 167.

a

Juliet e Timothy

PETER H. HARMAN

ENERGIA, FORZA E MATERIA Lo sviluppo della fisica nell'Ottocento

IL MULI NO

ISBN 88- 15-0032 1-6 Edizione originale: Energy, Force, and Matter. The Conceptual Deve/op­ ment of Nineteenth-Century Physics, Cambridge, Cambridge University Press, 1982. Copyright © 1982 by Cambridge University Press, Cam­ bridge. Copyright © 1984 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tra­ duzione di Giuseppe Bruzzaniti. Revisione di Francesco Mulargia.

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effet­ tuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non au­ torizzata.

PREMESSA

Il periodo che va dal 1800 al 1 900 corrisponde a una fase particolare dello sviluppo concettuale della fisica, deli­ mitata da una parte - dal tardo Settecento in poi - dal crescente affermarsi di un tipo di ricerca condotta a un li­ vello piu quantitativo e piu matematizzato, insieme all'e­ mergenza di una fisica unificata fondata su di una scuola di interpretazione meccanicistica, e dall'altra - nel primo Novecento - dal sorgere delle teorie quantistiche e relati­ vistiche. In questo lavoro ho cercato di fornire un'analisi dello sviluppo della fisica nel diciannovesimo secolo in una forma accessibile al lettore privo di una conoscenza specia­ listica di fisica e di matematica. La trattazione è centrata sui maggiori problemi concettuali della fisica ottocentesca: l'emergere della fisica dell'energia e della termodinamica, l� teoria dell'etere luminifero ed elettromagnetico, la fisica molecolare e la termodinamica statistica e, infine, il predo­ minio del programma meccanicistico. Il libro inizia con un esame della trasformazione dello scopo della scienza fisica nella prima metà del diciannovesimo secolo. Sono grato a John Heilbron per aver letto una parte del manoscritto e a Crosbie Smith per aver letto l'intero mano­ scritto di questo libro: da entrambi ho ricevuto utili consi­ gli. Sono anche grato al responsabile della Cambridge Uni­ versity Library per il permesso di riprodurre documenti ap­ partenenti alla biblioteca e al consiglio della Royal Society per l'assegnazione di una sovvenzione per la ricerca intra­ presa per preparare questo libro. P.H.H.

5

INDICE

I.

L a struttura concettuale della fisica del­ l'Ottocento

p.

9

II.

Il contesto della teoria fisica: energia, forza e naateria

23

III.

La fisica dell'energia e l'interpretazione naeccanicistica

61

IV.

Materia e forza: teorie dell'etere e del canapo

93

V.

La teoria della naateria: problenai di fisica naolecolare

149

VI.

Il declino della concezione naeccanicistica del naondo

185

Bibliografia

195

Indice dei nonni

223

7

CAPITOLO PRIMO

LA STRUTTURA CONCETTUALE DELLA FISICA DELL'OTTOCENTO

Nel diciannovesimo secolo il termine «fisica» acquista connotazioni nuove e dense di significato. Benché tale ter­ mine fosse ancora usato in senso tradizionale per riferirsi alle scienze naturali in generale, all'inizio del diciannove­ simo secolo esso cominciò a essere usato in un senso piu moderno e specialistico per denotare lo studio della mecca­ nica, dell'elettricità e dell'ottica, utilizzando una metodolo­ gia matematica e sperimentale. Negli anni Settanta dell'Ot­ tocento, nell'articolo intitolato «Scienze Fisiche», nella nona edizione dell'Enciclopedia Britannica, James Clerk Maxwell identificava lo scopo della fisica coll'interpreta­ zione meccanicistica enunciata nel diciassettesimo secolo come «meccanizzazione dell'immagine del mondo», che cer­ cava di spiegare i fenomeni fisici per mezzo della struttura e delle leggi del moto di un sistema meccanico. In una espo­ sizione critica della corrente teoria fisica, The Concepts and Theories of Modern Physics ( 1 881), Johan Bernhard Stalla diede una definizione piu dettagliata della struttura teorica della fisica cosf come era concepita dai teorici contempo­ ranei: La scienza fisica, oltre alle leggi generali della dinamica e alla sua applicazione all'interazione dei corpi solidi, liquidi e gassosi, comprende la teoria di quegli agenti che erano un tempo desi­ gnati come imponderabili: luce, calore, elettricità e magnetismo ecc., e che ora sono trattati come forme di moto, come differenti manifestazioni della stessa energia fondamentale 1 •

Nel diciannovesimo secolo la scienza fisica venne ad es­ sere definita dal ruolo unificante del concetto di energia e dall'interpretazione meccanici�tica. Il concetto di energia consenti alla scienza fisica una strutturazione nuova e unitaria e ricondusse la fenomenolo9

gia fisica nell'ambito della concezione meccanicistica della natura includendo in un'unica struttura concettuale, in­ sieme alla meccanica, il calore, la luce e l'elettricità. In tale periodo il problema fondamentale che caratterizzò lo svi­ luppo della fisica fu il modo in cui le innovazioni teoriche - il concetto di campo, la teoria dell'etere elettromagne­ tico e luminifero, il concetto della conservazione e della dissipazione dell'energia - furono formulate in accordo con la concezione meccanicistica della natura, secondo cui la materia in moto era la base di tutti i fenomeni fisici. La nostra indagine sarà incentrata su quegli argomenti chiave che definiscono la struttura della fisica nel dicianno­ vesimo secolo. Cominceremo con analizzare lo sviluppo, av­ viato intorno al 1850, di una particolare disciplina della fi­ sica il cui scopo principale fu la ricerca di un linguaggio quantitativo e matematizzato, che elevò la legge di conser­ vazione dell'energia a principio unificante nel ruolo di in­ terpretazione meccanicistica delle basi fondamentali della teoria fisica. La struttura della teoria fisica nel diciannove­ simo secolo verrà dunque analizzata centrando l'attenzione sullo status dei concetti di energia, forza e materia nella fi­ sica di quel periodo. Descriverò lo sviluppo dei concetti di conservazione e dissipazione dell'energia, il sorgere delle teorie di «campo» (che rendevano conto della trasmissione della forza tra corpi attraverso l'azione del «campo») e lo studio della fisica molecolare. Un profilo preliminare del campo d'azione di questa analisi darà la possibilità di una veduta d'insieme dello sviluppo concettuale della fisica nel diciannovesimo secolo.

Il

contesto della teoria fisica

Nel diciottesimo secolo la fisica dei fenomeni meccanici era analizzata soltanto da un punto di vista matematico, senza fare alcun riferimento agli atomi e alla natura delle forze; al contrario il calore e l'elettricità erano general­ mente spiegati supponendo l'esistenza sia di «fluidi» im­ ponderabili di calore e di elettricità, sia di forze agenti tra le particelle di tali «fluidi» e gli atomi della materia ordina­ ria. Queste teorie dal carattere speculativo e in generale

lO

qualitativo erano nettamente separate dalla scienza esatta e quantitativa della meccanica, benché fin dagli ultimi anni del diciottesimo secolo fossero stati fatti vari tentativi, che segnarono l'inizio dell'unificazione concettuale della scienza fisica, per trattare matematicamente il calore e l'e­ lettricità. Gli sforzi volti alla costruzione di una fisica unificata si svilupparono lungo quattro direttrici significative: l) P.S. Laplace e i suoi seguaci formularono una teoria matematica delle forze tra particelle tale da poter essere ap­ plicata tanto ai fenomeni meccanici quanto a quelli ottici e termici. Benché, tra il 1815 e il 1825, i nuovi sviluppi del­ l'ottica e della termologia sostituissero tale teoria, il rilievo dato da Laplace alla matematizzazione e alla formulazione di una immagine unificata del mondo fisico fu fondamen­ tale per i successivi sviluppi della teoria fisica. 2) Nel 1822, la pubblicazione della teoria matematica del calore di Joseph Fourier consenti l'applicazione dell'a­ nalisi matematica, che precedentemente era applicata sol­ tanto ai problemi meccanici, allo studio del calore. Supe­ rando questa tradizionale dicotomia e sottolineando la di­ stinzione tra rappresentazione fisica e rappresentazione ma­ tematica, il lavoro di Fourier svolse un ruolo molto impor­ tante nella creazione di una fisica unificata. Negli anni Quaranta William Thomson, influenzato dall'analogia ma­ tematica tra la teoria del calore di Fourier e la teoria dell'e­ lettrostatica, esplorò le analogie fisiche e matematiche tra le leggi del calore e dell'elettricità da una parte e, dall'altra parte, la meccanica delle particelle e dei fluidi e i mezzi ela­ stici. L'uso che Thomson fece del metodo dell'analogia fi­ sica, in cui il comune formalismo matematico illuminava le relazioni concettuali tra fenomeni assai diversi, sottolineò ulteriormente l'unità dei fenomeni fisici. 3) La teoria ondulatoria della luce di Augustin Fresnel, secondo cui la luce si propagava attraverso le vibrazioni di un etere meccanico, condusse l'ottica all'interno della strut­ tura della concezione meccanicistica della natura. Negli anni Trenta la teoria ondulatoria della luce era general­ mente accettata, e i fisici proposero una grande varietà di teorie, nel tentativo di fornire una teoria meccanica coe­ rente dell'ottica. La teoria meccanica dell'etere ottico

11

forni un esempio paradigmatico per il programma mecca­ nicistico. 4) Negli anni Quaranta la formulazione della legge di conservazione dell'energia sottolineò ulteriormente l'unità della fisica, riconducendo i fenomeni termici, luminosi, elettrici e magnetici all'interno della concezione meccanici­ stica della natura. All 'inizio del diciannovesimo secolo i fi­ sici analizzarono la interconversione luce-calore, e elettrici­ tà-magnetismo. Gli esperimenti di Hans Christian Oersted nel 1820 e di Michael Faraday nel 183 1 , che stabilirono la connessione tra forze elettriche e magnetiche, furono di particolare importanza al fine di giustificare l'idea dell'u­ nità e della convertibilità delle «potenze» o «forze» natu­ rali, un'idea che fu riformulata negli anni Quaranta come il principio di conservazione dell'energia. Gli esperimenti di James Prescott Joule stabilirono l'equivalenza tra calore e lavoro meccanico, e in un saggio del 1847 Hermann von Helmholtz espresse la relazione tra meccanica, calore, luce, elettricità e magnetismo, trattando questi fenomeni come differenti manifestazioni dell'energia. Helmholtz formulò la legge di conservazione dell'energia come un teorema di matematica e di meccanica, sottolineando come il ruolo unificante del concetto di energia fosse espressione della concezione meccanicistica della natura. Attorno al 1850 la legge della conservazione dell'ener­ gia aveva fornito una nuova struttura per le teorie fisiche fondata sulla concezione meccanicistica della natura; essa respingeva l'ipotesi di forme anomale della materia, assu­ mendo invece che le particelle di materia ordinaria in moto dovessero essere considerate come l'elemento fondamentale della teoria fisica. Il modo in cui i problemi fisici.della luce, del calore e dell'elettricità venivano trattati era tale da con­ sentirne un'analisi matematica e ciò favori molto l'unifi­ cazione della fisica.

La fisica dell'energia e l'interpretazione meccanicistica Lo studio delle relazioni tra calore e lavoro meccanico ebbe un'importanza fondamentale nella fisica del dician12

novesimo secolo. La formulazione delle leggi della «termo­ dinamica» andò a colmare la scissura che si era determinata tra scienza della meccanica e scienza del calore e, nello stesso tempo, contribui al consolidarsi della concezione meccanicistica della natura. Mentre i fisici del diciottesimo secolo avevano considerato i processi meccanici e quelli non meccanici come processi relativi a differenti sistemi fisici, la dimostrazione dell'equivalenza tra lavoro meccanico e ca­ lore fatta da Joule negli anni Quaranta dell'Ottocento con­ senti, insieme alla legge della conservazione dell'energia, l'unificazione dei processi termici e meccanici. La scienza della termodinamica focalizzò la sua atten­ zione sulla direzione del flusso di calore nella produzione di lavoro, e nella determinazione del principio di equivalenza tra calore e lavoro. Nel 1850 Rudolf Clausius, formulando le basi concettuali della termodinamica, risolse il problema che era stato sollevato da Thomson, dell' apparente con­ flitto tra la teoria delle macchine termiche, proposta da Sadi Carnot nel 1824, e la teoria di Joule secondo cui il ca­ lore era consumato nella produzione di lavoro meccanico. Carnot aveva sostenuto che il fattore cruciale nella produ­ zione di lavoro attraverso una macchina termica era la dif­ ferenza di temperatura nella macchina: il lavoro era gene­ rato grazie al passaggio di calore da un corpo caldo a uno piti freddo, e il calore, nel corso del processo, si conservava. Clausius dimostrò che la teoria di Carnot - tutte le volte che un certo lavoro veniva compiuto da una macchina ter­ mica una data quantità di calore passava da un corpo caldo a uno piti freddo - non era in contraddizione con quella di Joule - tutte le volte che del calore produceva lavoro ve­ niva consumata una quantità di calore proporzionale al la­ voro prodotto - a condizione di abbandonare l'assunzione di Carnot che nella produzione di lavoro per mezzo di una macchina termica il calore dovesse conservarsi. ll principio di Joule e la teoria di Carnot nella forma modificata da Clausius fornirono cosf la base delle due leggi della termo­ dinamica. Thomson e Clausius formularono la scienza della termo­ dinamica in termini meccanicistici, e sostennero che il prin­ cipio di equivalenza tra calore e lavoro era coerente con la teoria meccanicistica che considerava il calore costituito dal 13

moto delle particelle dei corpi. Pur aderendo alla conce­ zione meccanicistica della natura, Thomson evitò qualun­ que riferimento ad un modello meccanicistico dei processi termici; Clausius, al contrario, pensò di rendere le leggi della termodinamica intelligibili rifacendosi a una teoria dei moti molecolari. Il riferimento a un modello della disposizione moleco­ lare divenne fondamentale per l'interpretazione di Clausius della seconda legge della termodinamica. Thomson, propo­ nendo nel 185 1 la sua versione della termodinamica, so­ stenne che l' argomento chiave era la spiegazione dei pro­ cessi termici irreversibili. La concezione di Thomson della seconda legge della termodinamica era tale da sostenere la dissipazione di energia nei processi irreversibili. Le due leggi della termodinamica non erano tuttavia in contraddi­ zione: infatti, benché l'energia fosse dissipata, essa non era distrutta, ma semplicemente trasformata in un'altra forma di energia. Negli anni Cinquanta e Sessanta Clausius cercò di elaborare alcuni concetti con cui poter fornire una mi­ sura della direzione dei processi termici e chiarificare cosi la natura dei processi irreversibili. Il suo concetto di «en­ tropia» denotava il carattere direzionale dei processi fisici: la legge dell'aumento dell'entropia divenne cosi la forma piu usuale per esprimere la seconda legge della termodina­ mica. Clausius cercò di dare una spiegazione dell'entropia fondandola su un modello meccanicistico della disposizione e del moto delle molecole, un modello che ebbe per lui un ruolo piu fondamentale del concetto stesso di entropia. Benché la relazione tra entropia e modelli di disposi­ zione delle molecole divenisse il soggetto privilegiato del di­ battito scientifico, i fisici erano tuttavia d' accordo nel so­ stenere che le leggi della termodinamica fornissero un'e­ spressione della concezione meccanicistica della natura. Thomson sostenne che tutte le forme di energia erano forme di energia meccanica e si sforzò di rendere il con­ cetto di energia· il nucleo della concezione meccanicistica della natura. Sempre negli anni Cinquanta e Sessanta Thomson e W .J. Macquorn Rankine elaborarono un nuovo modello della teoria fisica in cui il concetto fondamentale era quello di energia; essi tentarono di rendere piu chiara la base matematica e fisica del principio di conservazione del14

l'energia interpretandolo come una riformulazione e una generalizzazione della dottrina della convertibilità delle «forze» naturali. Il Treatise on Natura/ Philosophy (1867) di Peter Guthrie Tait e di Thomson, fondato sul concetto di energia e sull 'interpretazione meccanicistica, divenne il te­ sto della nuova struttura della fisica, facendo entrare il con­ cetto di energia nella struttura concettuale della meccanica.

L 'etere e le teorie di campo Il concetto di «campo» fisico, attraverso il quale si sup­ poneva che le forze elettriche e magnetiche fossero distri­ buite nello spazio e mediate dall'azione del campo fisico, emerse nella fisica britannica intorno al 1850; il suo ulte­ riore sviluppo fu in relazione con l'elaborazione di teorie meccaniche dell'etere in grado di spiegare la costituzione fi­ sica del campo. Negli anni Trenta e Quaranta del dicianno­ vesimo secolo, Faraday aveva sostenuto che le forze elettri­ che erano trasmesse tra particelle in un mezzo ambiente e usò il concetto di «linee di forza» per rappresentare la di­ sposizione delle forze elettriche e magnetiche nello spazio. Queste teorie fornirono il fondamento concettuale che con­ senti di ipotizzare l'azione mediante svolta dal campo esi­ stente nello spazio tra i corpi elettrizzati e magnetizzati. Nel formulare le teorie dell'elettricità e del magnetismo ne­ gli anni Cinquanta Thomson e Maxwell fecero riferimento al concetto di campo piuttosto che a quello di forze agenti a distanza direttamente tra corpi elettrizzati e magnetizzati attraverso distanze spaziali finite. Per spiegare la struttura fisica del campo, Thomson pro­ pose di rappresentare la sua azione attraverso dei vortici molecolari nell'etere; piu tardi, tuttavia, egli concepf l'e­ tere come un mezzo continuo, rappresentando il campo di forza attraverso un continuum etereo. Negli anni Cin­ quanta e Sessanta dell'Ottocento Maxwell formulò una se­ rie di teorie fisiche e matematiche del campo facendo riferi­ mento sia ai concetti fisici introdotti da Faraday, sia alla nozione di vortice molecolare introdotta da Thomson per elaborare un modello meccanico capace di rappresentare 15

l'azione del campo nella trasmissione delle forze attraverso l'azione di particelle nell'etere. La teoria dell'etere fisico di Maxwell del 1861 - 1 862 forni una teoria sistematica della propagazione delle forze elettriche e magnetiche, utiliz­ zando il concetto di etere meccanico inteso come un mo­ dello illustrativo, piuttosto che come una definitiva spiega­ zione fisica. Maxwell rifini ulteriormente la sua teoria del campo fisico in un lavoro pubbl icato nel 1 865 e benché continuasse a darne un'interpretazione di tipo meccanico, sottolineò che i fenomeni elettromagnetici erano prodotti dal moto di particelle materiali nell'etere; egli abbandonò ogni tentativo di formulare uno specifico modello mecca­ nico del campo e utilizzò, invece, i metodi della meccanica analitica di Lagrange: un formalismo piu generale e non le­ gato a uno specifico modello meccanico. La teoria di Maxwell del campo elettromagnetico ebbe un'implicazione inattesa: la velocità delle onde elettroma­ gnetiche che si propagavano nell'etere era identica alla ve­ locità della luce. Questo fatto condusse Maxwell all'identi­ ficazione dell'etere elettromagnetico con quello luminifero e alla sua «teoria elettromagnetica della luce», attraverso la quale il concetto di luce fu interpretato come una vibra­ zione elettromagnetica nell'etere e l'ottica fu unificata con l'elettromagnetismo, che era fondato su una teoria mecca­ nica dell'etere. La scoperta sperimentale delle onde elettro­ magnetiche fu annunciata nel 1888 da Heinrich Hertz e fu immediatamente interpretata come una sensazionale con­ ferma del campo elettromagnetico. In particolare i fisici continentali ritennero di potersi servire piu ut ilmente della teoria del campo elettromagnetico di Maxwell piuttosto che delle varie versioni della teoria dell'azione a distanza che era stata sviluppata dai fisici tedeschi nel diciannovesimo secolo. Dall'ultimo decennio del secolo il concetto di campo fi­ sico subf una grande varietà di interp retazioni. Alcuni fi­ sici inglesi cercarono di integrare la teoria di Maxwell del campo elettromagnetico e il concetto di continuum etereo introdotto da Thomson; altri fisici, invece, svilupparono al­ cune formulazioni delle equazioni del campo elettromagne­ tico che non erano basate su un mo dello meccanico dell'e­ tere. L'approccio piu radicale fu tuttavia adottato da H. A. 16

Lorentz che propose una fisica universale fondata su con­ cetti puramente elettromagnetici; con la sua teoria, Lorentz forni anche una spiegazione degli esperimenti eseguiti da Michelson e Morley negli anni Ottanta, che avevano dato origine a serie d ifficoltà nella spiegazione della relazione sussistente tra etere e materia. Nella teoria dell'elettrone di Lorentz la materia era concepita in termini di particelle ca­ rich e (elettroni) e le relazioni tra etere e materia erano spie­ gate come un'interazione tra elettroni e campo elettroma­ gnetico. Lorentz, spogliando l'etere dalle sue proprietà meccaniche, sostenne una concezione elettromagnetica della natura piuttosto che una concezione meccanicistica. All'inizio del nuovo secolo lo sviluppo del concetto d'etere e delle teorie di campo si pose dunque come una seria alter­ nativa all'egemonia della concezione meccanicistica della natura.

Problemi di fisica molecolare La concezione meccanicistica della natura ricevette un ulteriore supporto negli anni Cinquanta e Sessanta del di­ ciannovesimo secolo dallo sviluppo della teoria cinetica dei gas elaborata da Clausius e Maxwell, la quale supponeva che i gas consistessero di particelle di materia in moto. I fi­ sici cominciarono cosi a potenziare la teoria molecolare della materia. Su tale teoria si basarono, negli ultimi anni dell' Ottocento, le speculazioni sulle proprietà della materia, ma divenne evidente che la teoria cinetica dei gas non avrebbe potuto spiegare in maniera soddisfacente la strut­ tur a molecolare. Inoltre i risultati ottenuti dalle indagini spettroscopiche sembravano in conflitto con le conclusioni cui si perveniva attraverso la teoria dei gas. Questi pro­ blemi condussero a un piu ampio dibattito intorno alla na­ tura dei mode lli molecolari e i dubbi che sorsero a r iguardo della teoria cinetica dei gas posero degli interrogativi estre­ mamente seri alla concezione meccanicistica della natura. I problemi della teoria molecolare della materia si fon­ davano anche sull'interpretazione della termodinamica: la teoria dei gas di Maxwell si fondava, infatti, sull'introdu17

zione di n u a teoria statistica dei moti molecolari, ed egli si riferf a questa teoria nella sua analisi della seconda legge della termodinamica. Maxwell introdusse il famoso para­ dosso del «demone» proprio per dimostrare che ogni inter­ pretazione molecolare della seconda legge doveva essere ba­ sata su un'analisi statistica del moto di un immenso numero di molecole. L'analisi di Maxwell consisteva nell'osservare che nel moto casuale delle molecole le fluttuazioni continue e spontanee delle singole molecole attraverso cui il calore veniva trasferito da un corpo piu freddo a uno piu caldo non costituivano una violazione della seconda legge della termodinamica: infatti tale legge, essenzialmente statistica, si applicava a un numero di molecole molto grande e non al comportamento di molecole singole, quindi ogni interpreta­ zione della seconda legge della termodinamica fondata su una teoria del moto di molecole singole (come suggerito da Clausius) non doveva essere presa in considerazione. In un abbozzo del 1877, Ludwig Boltzmann mise in re­ lazione l'entropia con l' analisi statistica del moto moleco­ lare, definendo in maniera statistica l' aumento irreversibile di entropia nei processi naturali. Boltzmann cercava di di­ fendere la concezione meccanicistica, che consisteva nel pensare la natura costituita da particelle di materia in moto, spiegando la seconda legge della termodinamica in termini di una teoria statistica dei moti molecolari. Questa interpretazione della termodinamica venne tuttavia attac­ cata negli anni Novanta. Max Planck sottolineò la validità assoluta del concetto di entropia e criticò l'interpretazione boltzmanniana dell'entropia intesa come concetto stati­ stico. Planck mise in dubbio l'intelligibilità di una spiega­ zione dell'entropia tratta dalla teoria cinetica dei gas. Que­ sto rifiuto dell'idea che l'entropia dovesse essere spiegata in base a principi meccanici della materia in moto mise in dubbio l'intera interpretazione meccanicistica.

Lo status dell'interpretazione meccanicistica Benché negli anni Novanta dell' Ottocento l'interpreta­ zione meccanicistica fosse sottoposta a numerose critiche, il 18

meccaructsmo o, come era spesso definito, la concezione «dinamica» del mondo, che presupponeva un' ontologia di particelle di materia in moto intese come il substrato sotto­ stante alla realtà fisica, dominò la teorizzazione fisica otto­ centesca. Userò il termine «ontologia» per definire assun­ zioni intorno ai costituenti fondamentali della realtà fisica in quanto distinte dalle ipotesi e dai modelli specifici sulla realtà. L'ontologia della teoria dinamica delle particelle di materia in moto fu fondamentale per il principale pro­ gramma della fisica ottocentesca, ossia la spiegazione dei fe­ nomeni fisici attraverso la struttura e le leggi del moto di un sistema meccanico. Tuttavia, i fisici riconobbero il note­ vole divario tra la presupposizione dell'ontologia della con­ cezione meccanicistica del mondo e l'invenzione di modelli meccanici ipotetici per rappresentare i fenomeni fisici; e la relazione tra realtà fisica e rappresentazioni simboliche uti­ lizzate per descriverla fu un tema di importanza fondamen­ tale. Molti fisici misero in rilievo il divario tra la struttura della realtà fisica e la rete teorica che l'avvolgeva, e le di­ scussioni intorno allo status concettuale dei modelli mecca­ nici utilizzati per rappresentare i fenomeni si intrecciarono con i dibattiti sulla natura della realtà fisica, dando cosf all'interpretazione meccanicistica la forma di un pro­ gramma coerente. I fisici usarono l'interpretazione meccanicistica in tre modi. n primo si rifaceva alle teorie stilla configurazione e sul moto di particelle di materia, tentando di spiegare i fe­ nomeni naturali attraverso la disposizione delle particelle di materia e delle forze agenti tra di esse. n secondo implicava l'assunzione di modelli meccanici con ruote e molle e la co­ struzione di dispositivi meccanici come rappresentazione dei fenomeni; questi modelli meccanici non erano necessa­ riamente intesi come rappresentazioni della realtà; la loro funzione era di dimostrare che i fenomeni potevano in linea di principio essere rappresentati con dei meccanismi; la co­ struzione meccanica rendeva intelligibili i fenomeni. Il terzo senso in cui venivano formulate le interpretazioni meccanicistiche implicava il tentativo di evitare ogni specu­ lazione sulla struttura fisica del sistema meccanico utiliz­ zato per rappresentare i fenomeni. I teorici che utilizza­ vano questo approccio ritenevano che fosse impossibile ela19

borare un unico modello meccanico per ogni fenomeno, e si rifacevano al formalismo astratto della dinamica analitica di Lagrange: in tale approccio le equazioni del moto venivano ottenute indipendentemente dalla struttura delle connes­ sioni del sistema meccanico; i fenomeni erano tuttavia in­ terpretati ugualmente alla luce della spiegazione meccanici­ stica anche se non erano rappresentati da uno specifico e visualizzabile modello meccanico. La tensione tra mode lli fisici e matematici dei sistemi meccanici, e la relazione tra rappresentazioni meccaniche e realtà fisica, svolsero un ruolo fondamentale nel dar corpo alle teorie ottocentesche sulla realtà fisica. Maxwell in par­ ticolare discusse questi problemi in modo sofisticato e auto­ revole, ed esaminò le assunzioni piu appropriate che dove­ vano guidare la formulazione delle teorie fisiche poste alla base dell'elaborazione di nuove teorie in quel periodo. Con­ sapevo li del divario esistente tra teoria e realtà, molti fisici del diciannovesimo secolo misero in evidenza non solo gli obiettivi, ma anche i limiti della scuola di interpretazione meccanicistica.

La storiografia della fisica I profon di mutamenti concettuali che l a fisica ha subito nel Novecento, l' abbandono del concetto di spazio e di tempo assoluti nella teoria della relatività di Einstein, e dei concetti di causalità e di determinismo nella meccanica quantistica, hanno portato a introdurre nella descrizione dello sviluppo della fisica una scissura tra fisica classica o «newtoniana» e fisica «moderna». L'idea che la fisica del diciottesimo e del diciannovesimo secolo fosse monolitica e caratterizzata da una struttura concettuale unificata, e che il suo dominio sia stato superato soltanto con l'a vvento della fisica «moderna», è profondamente radicata nella sto­ riografia della scienza. Questa interpretazione tradizionale è sostenuta da una de scrizione della rivoluzione scientifica del diciassettesimo secolo che travisa le implicazioni di una tale rivoluzione intellettuale per gli sviluppi posteriori della scienza. La rivoluzione scientifica è stata tradizionalmente 20

descritta come una rivoluzione filosofica in cui le spiega­ zioni dei fenomeni naturali vennero espresse con leggi mec­ caniche. La «meccanizzazione de ll 'immagine del mondo» culminereb be nella sintesi newtoniana di meccanica e astro­ nomia, e il consolidamento de lla meccanica newtoniana e del programma di spiegazione meccanicistica avr èbbe for­ nito il modello per la fisica classica nei successivi due secoli. Benché i mutamenti nella concezione della natura de­ terminatisi nel diciassettesimo secolo fossero profondi, sa­ rebbe sbagliato considerare tale transizione come una rivo­ luzione scientifica, se con questo termine si intende che gli sviluppi successivi possano essere compresi in base alle ca­ tegorie scientifiche proposte in tale periodo. L'aggettivo «newtoniana» applicato alla fisica del diciottesimo e del di­ ciannovesimo secolo mette implicitamente sullo stesso piano la filosofia naturale di Newton e la fisica di questo ultimo periodo ed è perciò fuorviante. Gli sviluppi della mecca nica razionale nel diciottesimo secolo mostrano un si­ gnificativo scostamento dalle assunzioni meccaniche e ma­ tematiche della filosofia naturale di Newton, e la fisica dei «fluidi» imponderabili delle sostanze attive e delle forme anomale di materia che era comune nella fisica del Sette­ cento, contrasta con la teoria di Newton de lla natura, ben­ ché la forma di tali teorie fisiche fosse notevolmente in­ fluenzata dai lavori speculativi di Newton. Nonostante il prevalere del programma di interpretazione meccanicistica e l'occasionale riferimento a una teoria «newtoniana» (come nella teoria laplaceana delle forze attrattive e repul sive), il termine «newtoniana» è fuorviante quando viene applicato alla fisica del diciannovesimo secolo; le innovazioni concet­ tuali della fisica ottocentesca - la conservazione dell'ener­ gia, la teoria del cam po fisico, la teoria della luce come vi­ brazioni di un etere elettromagnetico e il concetto di entro­ pia - non possono essere definite «newtoniane». L'imma­ gine di una fisica classica monolitica, che dà luogo ad u na concezione del mondo unificata, ignora i sensazionali svi­ luppi della fisica del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Benché il termine «classico» sia appropriato quando è usato per distinguere le assunzioni filosofiche della fisica del di­ ciottesimo e diciannovesimo secolo dalle concezioni relati­ vistiche e indeterministiche della fisica contemporanea, il 21

termine «newtoniano» è scorrett o se impiegato per definire la struttura e il contenuto de ll a fisica del diciannovesimo secolo; usandolo, si nascondono i principi concettuali e la visione del mondo fisico che furono peculiari di questo pe­ riodo.

NOTA AL CAPITOLO PRIMO l J.B. Stallo, Concepts and Theories of Modern Physics, rist. Cam­ bridge (Mass.), 1960, p. 60.

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CAPITOLO SECONDO

IL C ONTEST O DELLA TE ORIA FISICA: ENERGIA, F OR ZA E MATERIA

Nel 1 850 la teoria fisica rivela, nello stile e contenuti, un netto contrasto con quella dominante nel 1 800 . Attorno al 1 850 i limiti e la coesione interna della scienza della «fi­ sica» erano chiaramente formulati, ed essa aveva raggiunto u n'unità e un contenuto concettuale nuovi e ben definiti. Attorno al 1850 alcune delle principali tematiche della fi­ sica dell' Ottocento erano state formulate: l'u nificazione dei fenomeni fisici all'interno di un'unica struttura esplicativa, il primato del programma meccanicistico come programma esplicativo, la matematizzazione dei fenome ni fisici e il ruolo di guida nella formulazione delle teorie fisiche svolto dalla rappresentazione matematica e, infine, l'enunciazione del principio di conservazione dell'energia come principio u niversale e legge unificant e. L'emergenza di questi temi vasti e unificanti contrastava con la disomogeneità della teoria fisica nel 1 800. Questa generale disgiunzione nella fisica ottocentesca può essere illustrata dal contrasto tra i Philosophiae natura­ lis principia mathematica (1687) e l'Opticks ( 1 704) di New­ ton. Il paradigma proposto da Newton nei Principia era quello di una «meccanica razionale» intesa come scienza matematica; e benché egli esprimesse la speranza che tutti i fenomeni fisici potessero essere inquadrati attraverso analo­ ghi metodi matematici (illustrando le proprie intenzioni con la trattazione matematica della rifrazione ottica) , nell' Op­ ticks fondò la sua trattazione dei problemi ottici e chimici su una metodologia sperimentale e su una struttura teore­ tica speculativa: una fisica atomistica che, nelle ultime edi­ zioni del trattato, venne spinta fino a includere una gran varietà di agenti esplicativi, come forze, principi attivi ed etere. Questa disparità di metodi e di modelli si ripercosse sugli scritti di teoria fisica del diciottesimo secolo. 23

La teoria matematica della natura di Newton, che com­ pariva nei Principia, trovava il suo fondamento nella rivolu­ zione verificatasi nella matematica del sedicesimo e dicias­ settesimo secolo. La geometria analitica che Newton aveva assimilato da Descartes conduceva in matematica a uno spostamento dal visivo all'astratto: la rappresentazione vi­ siva era infatti sostituita da equazioni che esprimevano delle relazioni tra quantità geometriche. I metodi di calcolo sviluppati indipendentemente da Newton e da Leibniz, che erano relativi alla trattazione di quantità infinitesimali, si rivelano particolarmente adatti per la soluzione dei pro­ blemi fisici di meccanica, soprattutto per lo studio delle forze e del cambiamento del moto. Nei Principia Newton rappresentò la traiettoria descritta dal moto di un pianeta sotto l'influenza della forza gravitazionale come una serie di segmenti rettilinei inf initesimi, considerando la forza at­ trattiva come una serie di impulsi di forza discre ti. Le ricer­ che dei matematici continentali, che ut ilizzavano il calcolo differenziale di Leibniz, si rivelarono estremamente frut­ tuose nella soluzione dei problemi meccanici ; le relazioni tra le quantità fisiche erano espresse da relazioni tra quan­ tità geometriche, che erano rappresentate da simboli alge­ brici. La separazione dell'analisi dalla geometria nel diciot­ tesimo secolo condusse allo sviluppo di metodi molto ela­ stici per esprimere matematicamente le quantità fisiche ; i simboli matematici venivano svincolati dalla loro interpre­ tazione geometrica ed utilizzati direttamente nella rappre­ sentazione delle quantità fisiche: in tal modo anche con­ cetti fisici molto complessi potevano essere rappresentati matematicamente. I geometri continentali, tra i quali Jo­ hann Bernoulli , suo figlio Daniel, d' Alembert e Eulero ese­ guirono sofisticate analisi matematiche di problemi mecca­ nici relativi ai fluidi e ai mezzi elastici. All'interno della tradizione della «meccanica razionale», le leggi matemati­ che della meccanica erano formulate sulla base dei concetti sperimentali di tempo, massa e lunghezza, eliminando tutte le entità esplicative ipotetiche e non osservabili. La matematizzazione dei fenomeni fisici raggiunse i suoi maggiori successi nello studio della meccanica. Benché sia la teoria newtoniana della luce, che interpretava que­ st'ultima come un' «emissione» di co rpuscoli sottoposti a 24

forze agenti tra le particelle di materia ordinaria e i corpu­ scoli della luce, sia la teoria della luce di Eulero, in cui essa era intesa come un'onda che si propagava in un fluido, fos­ sero fondate su argomenti matematici, la luce era sovente considerata analoga al «fuoco» e rappresentata come un «etere» fluido imponderabile. Questi «fluidi» venivano im­ maginati come particelle «sottili» (poiché potevano pene­ trare nello spazio vuoto esistente tra le particelle della ma­ teria ordinaria), con la proprietà di respingersi mutuamente (tale proprietà era chiamata «elasticità») e di essere attratte dalla materia ordinaria. Questa teoria veniva applicata ai fenomeni elettrici, termici e chimici, che erano spiegati supponendo l'esistenza di forze interparticellari e di fluidi eterei. L'etere newtoniano e le forze interparticellari, special­ mente come erano state proposte nelle «Queries» poste in appendice alle varie edizioni dell'Opticks, svolsero un ruolo importante nello sviluppo di queste teorie. I primi com­ mentatori di Newton dettero particolare rilievo al concetto newtoniano di forza attrattiva a breve raggio d'azione; tale concetto forniva la base di una teoria della chimica che por­ tava a una fisica quantitativa delle forze chimiche, essendo i diversi elementi chimici considerati come differenti strut­ ture composte da atomi legati da forze. Alla metà del di­ ciottesimo secolo tale teoria era decisamente sostenuta dai chimici francesi che erano alla ricerca di una scienza delle forze chimiche («affinità») come chiave per la spiegazione delle reazioni chimiche; e benché fossero stati fatti alcuni tentativi per quantificare la teoria delle forze chimiche, es�a rimaneva ancora largamente qualitativa. Negli anni Quaranta del diciottesimo secolo l'attenzione fu rivolta al cop.cetto newtoniano di forza repulsiva, sotto lo slancio di un rinnovato interesse per l'etere «elastico» e «sottile» di Newton, le cui particelle erano appunto caratterizzate dalla proprietà di interagire mediante forze repulsive. Un altro concetto che suscitò interesse e condusse all'elaborazione di una concezione dualistica della natura fu il concetto di fuoco del chimico olandese Herman Boerhaave, inteso come principio attivo che si contrapponeva alla forza at­ trattiva della materia ordinaria. Anche la teoria dell'elettri­ cità di Benjamin Franklin si fondava sull'esistenza di un 25

dualismo tra la materia ordinaria, sede delle forze attrat­ tive, e una «atmosfera» elettrica repulsiva che circondava le partice lle della materia ordinaria; l'elettrizzazione a vveniva grazie al «fluido» elettrico che penetrava nei pori intersti­ ziali dei corpi elettrizzati. Questa materia elettrica era ana­ loga sia all'etere di Newton, sia al fuoco di Boerhaave. Alla f ine del secolo i fluidi imponderabili erano utilizzati per spiegare l 'elettricità, il magnetismo, la luce e il calore; ben­ ché molti teorici utilizzassero una molteplicità di fluidi per spiegare questi differenti fenomeni (uno o due fluidi per l 'elettricità, uno per il calore, e il «flogisto» come principio imponderabile della combustione) , altri proposero una teo­ ria dell 'etere unificata in cui i fluidi imponderabili erano considerati come modificazioni diverse dell'etere; in questa concezione dualistica della natura le trasformazioni di una sostanza eterea, attiva e repulsiva bilanciavano la forza at­ t rattiva della materia ordinaria. Nel diciottesimo secolo lo studio de i fenomeni del ca­ lore, del magnetismo e dell'elettricità era largamente quali­ tativo, ma verso la fine del secolo ci furono alcuni tentativi per sottoporre questi fenomeni a un' analisi quantitativa e matematica. Tali sviluppi furono favoriti dal miglioramento della precisione degli st rumenti scientifici e dalla crescente professionalizzazione dei fisici. Il lavoro di Joseph Blac k, di Lavoisier e di Laplace sul calore, quelli di Tobias Mayer, Lambert e Coulomb sul magnetismo, quelli di Volta, Henry Cavendish e Coulomb sull 'elettrostatica, utilizzavano tutti, per la costruzione delle loro teorie, delle misure precise e dei criteri quantit ativi. La quant ificazione dell' elettrosta­ tica, che stab ili l'enunciazione della legge della forza elet­ trostati ca, fu particolarmente importante nello stabilire il paradigma della sperimentazione accurata, della quantifica­ zione, e della ricerca di leggi matematiche come metodolo­ gia e obiettivi caratteristici della fisica ottocentesca.

La fisica di Laplace La teoria delle forze interparticellari e dei fluidi impon­ derabili raggiunse la sua forma piu esauriente nei lavori di Pierre - Simon de Laplace ( 1 749 - 1 827) e della sua scuola nei 26

primi vent'anni del diciannovesimo secolo. Laplace riteneva che la r ifrazione ottica, la coesione dei solidi, l'azione capil­ lare e le reazioni ch imiche fossero il risultato di una forza attrattiva esercitata dalle particelle di materia, e sosteneva che con la formulazione della legge della forza interparticel­ lare a breve raggio d'azione si sarebbe raggiunto, nella fi­ sica terrestre, lo stesso livello di perfezione che la legge della gravitazione universale di Newton aveva raggiunto nella fisica celeste. Non era la prima volta che si tentava di raggiungere tali obiettivi: A . C . Clairaut, negli anni Trenta e Quaranta del diciottesimo secolo, aveva infatti già di­ scusso una teoria matematica delle forze molecolari a breve raggio d' azione nel suo lavoro sulla rifrazione ottica e sui fenome ni della capillarità. Ciò nonostante il modo in cui Lapl ace trattò la rifrazione e la capillarità nel volume del 1805 del suo Traité de mécanique céleste e nei supplementi pubblicati nei due anni seguenti, forniva un resoconto si­ stemat ico e matematico di questi fenomeni in term ini di forze molecolari. Laplace aveva sottolineato con particolare intensità l'universalità di un tale programma esplicativo os­ servando ; inoltre, che al di là dell'applicazione ai fenomeni termici e ottici e alla teoria dell'azione capillare, «sarebbe utile introdurre uno studio di questo tipo [delle forze mole­ colari] nelle dimostrazioni della meccanica» 1• Ciò portò La­ piace a respingere la tradizione della meccanica razionale a favore di una nuova fisica universale fondata sull'ipotesi dei moti e delle forze molecolari, una teoria della natura ca­ pace di essere applicata tanto ai problemi della meccanica quanto ai fenomeni ter mici, ottici ed elettrici, fenomeni che tradizionalmente erano stati spiegati ricorrendo alle forze interparticellari. I prin dpi di questo programma fu­ rono enunciati nella maniera piu esplicita da Siméon-Denis Poisson ( 1 7 8 1 - 1 840) come una teoria di «meccanica fisica» che avrebbe dovuto sostit uire la «meccanica analitica» colti­ vata dai matematici del diciottesimo secolo nello studio dei problemi meccanici 2 • Poisson evidenziò che la teoria delle forze molecolari poteva essere applicata a problemi mecca­ nici, quali lo studio delle corde flessibili, delle superfici ela­ stiche e della pressione nei fluidi. L'importanza che la scuola di Laplace diede all'unifica­ zione, abolendo la divisione tra la meccanica e i fenomeni 27

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FIG. 2.1. Calorimetro a ghiaccio di Lavoisier e Laplace (1783). L'apparato era alto circa un metro ed era costituito da tre contenitori metallici cilin­ drici messi uno nell'altro. Il recipiente piu esterno conteneva ghiaccio frantumato, in modo da isolare il recipiente interno dal calore am­ biente. Nel contenitore interno era sospeso un cestello contenente la sostanza di prova; tale cestello era in contatto con uno strato di ghiac­ cio che veniva fuso dal calore prodotto dalla sostanza. L'acqua di fu. sione era raccolta e pesata, essendo la quantità di ghiaccio fuso propor­ zionale al calore emesso dalla sostanza. Lavoisier e Laplace determina­ rono i calori specifici di una grande varietà di sostanze, cioè le quan­ tità di calore richieste per alzare masse uguali di sostanze differenti, dello stesso numero di gradi prendendo come riferimento standard il calore specifico dell'acqua che veniva assunto uguale a uno. Il metodo, se non l'apparato, fu opera di Laplace. L'esperimento forni un esempio importante di precisa sperimen­ tazione volta ad ottenere misure numeriche di quantità fisiche, un ideale di quantificazione sottolineato da Biot nel suo vasto trattato di fisica. Nel loro saggio Lavoisier e Laplace precisarono di non aver as­ sunto alcuna ipotesi intorno alla natura del calore; piu tardi, tuttavia, aderirono alla teoria del calore fondata sul «calorico», che era soste­ nuta da Biot. L'interesse per la calorimetria e lo sviluppo dei concetti di quantità di calore, di calore specifico e di calore latente delle so­ stanze favorirono l'accettazione dell'ipotesi del calorico che si asso­ ciava o interveniva direttamente in combinazione con le sostanze ma­ teriali. (Tratto da Jean-Baptiste Biot, Traité de physique expérimentale et mathématique, 4 voli., Paris, 1816, vol. IV, pl. V, fig. 66).

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termici, luminosi ed elettrici, ebbe un'influenza determi­ nante sullo sviluppo della fisica del diciannovesimo secolo, anche se il concetto di Laplace, di una meccanica fisica ba­ sata sulla supposizione di forze molecolari, cadde in discre­ dito. Di pari importanza fu l'incoraggiamento dato da La­ piace allo sviluppo di lavori sperimentali accurati come con­ troparte delle sue teorie di fisica matematica. Jean-Baptiste Biot ( 1 774- 1 862) nel suo Traité de physi­ que expérimentale et mathématique ( 1 8 16), che ebbe grande influenza, sostenne l'importanza di una sperimentazione precisa e della determinazione di misure quantitative delle quantità fisiche, sottolineando la necessità di procedure e strumenti nuovi che migliorassero l'accuratezza e la preci­ sione degli esperimenti. Biot presentò come paradigma del­ la fisica un metodo matematico e sperimentale; l'analisi quantitativa doveva essere lo scopo della teoria fisica. Laplace mirava a una fisica quantificata che compren­ desse la teoria dei fluidi imponderabili; la sua teoria del ca­ lore e dei gas si fondava sulla supposizione di un fluido im­ ponderabile di calore, denominato «calorico» da Lavoisier e dai suoi colleghi, che circondava le particelle della materia. Le proprietà del calorico si supponeva che dipendessero dal modo in cui esso era combinato con la materia ordinaria. Le proprietà elastiche dei gas venivano attribuite alla mag­ gior quantità di calorico posseduta dalle particelle dei gas rispetto alle particelle dei solidi e dei liquidi. Laplace rite­ neva che le proprietà dei gas fossero determinate dalla rela­ zione tra le forze attrattive esercitate dalle particelle della materia ordinaria e le forze repulsive esercitate dalle parti­ celle del calorico. La teoria del calorico era strettamente collegata alla fisica quantificata di Laplace e, nella sua teo­ ria dei gas, raggiunse una forma estremamente sofisticata. Nel sostenere l'applicabilità universale del suo pro­ gramma di fisica molecolare, Laplace fece appello al lavoro del suo collega Claude-Louis Berthollet ( 1 748- 1 822) . Ber­ thollet sosteneva che l'affinità chimica era il risultato delle forze attrattive tra le particelle di materia, ritenendo proba­ bile che l'affinità chimica e l'attrazione gravitazionale fos­ sero la stessa proprietà. Lo studio dettagliato di Berthollet mise in rilievo le difficoltà inerenti alla costruzione di ta­ vole di affinità chimiche, le quali dovevano fornire sia una 29

classificazione delle tendenze relative delle sostanze chimi­ che a combinarsi una con l'altra, sia una misura quantita­ tiva delle differenti forze attrattive delle sostanze chimi­ che. Egli diede rilievo al fatto che l'attività chimica delle sostanze dipendeva non semplicemente dalla loro affinità ma anche dalla loro massa. La complessità dei fenomeni chimici metteva in pericolo la costruzione di una fisica quantificata delle affinità, facendola apparire inapplicabile. Tuttavia, la chimica sistematica e matematica di Berthollet forni una teoria coerente delle affinità chimiche, una teo­ ria delle forze molecolari che probabilmente aiutò Laplace nella formulazione del suo programma di fisica molecolare. Laplace esercitò un'influenza dominante sulla comunità dei fisici della Francia napoleonica, ricorrendo al mecenati­ smo per dirigere le ricerche a sostegno della sua teoria delle forze molecolari, e incoraggiando studi matematici e quan­ titativi sperimentali di problemi fondamentali per il suc­ cesso della sua teoria. Biot e François Arago ( 1786- 1853) intrapresero uno studio sperimentale sulla rifrazione ottica nei ·gas, sostenendo che le loro osservazioni fornivano una misura delle forze molecolari. Etienne-Louis Malus ( 1 775- 1 8 12) forni in base ai principi di Laplace la spiega­ zione del fenomeno della rifrazione doppia, una soluzione di cui Laplace stesso si appropriò per sostenere l' applicabi­ lità della sua teoria delle forze molecolari ai fenomeni ot­ tici. Nel rendere nota la sua scoperta della polarizzazione della luce Malus sostenne una interpretazione basata sull ' i­ potesi che le proprietà asimmetriche della luce fossero pro­ dotte dalle forze molecolari agenti tra le particelle della luce e la materia ordinaria. La fisica di Laplace, unita alla teoria delle affinità chi­ miche di Berthollet, offriva un programma di ricerca coe­ rente e unitario, che applicava forze molecolari definite ma­ tematicamente alla meccanica, al calore, alla luce e alla chi­ mica. Nonostante il suo successo e le sue promesse, questa teoria subf presto degli attacchi, favoriti anche dal de­ clino, con la caduta di Napoleone nel 1815, dell'influenza di Laplace e Berthollet. La teoria delle affinità chimiche fu messa in dubbio dall'atomismo chimico di John Dalton, che forniva una quantificazione dei pesi relativi degli atomi de­ gli elementi chimici, piuttosto che una teoria matematica 30

delle forze chimiche. La teoria del calorico, come tutte le teorie dei fluidi imponderabili, venne attaccata, e la teoria ondulatoria della luce fu proposta come alternativa all'ot­ tica corpuscolare, che aveva rappresentato l'elemento cen­ trale delle teorie di Laplace. La fisica di Laplace ebbe tutta­ via un influsso duraturo: essa, infatti, nel dar rilievo alla necessità di metodi sperimentali esatti e quantitativi e a una fisica unitaria e matematizzata che aboliva la divisione tra la meccanica e gli altri fenomeni fisici, stabili gli obiettivi, anche se non la struttura dei concetti fisici, che avrebbero dominato, nel corso dell'Ottocento, l'edifica­ zione di una scienza della fisica unificata. Gli ideali di ma­ tematizzazione e sperimentazione quantitativa e una conce­ zione unitaria del mondo fisico, insieme all'elaborazione di modelli della realtà fisica che potevano essere formulati ma­ tematicamente e sottoposti a verifiche sperimentali, infor­ marono gli sviluppi della fisica ottocentesca.

Il rifiuto dei fluidi imponderabili nella fisica inglese L'abbandono dei fluidi imponderabili costituf uno de­ gli sviluppi piu significativi nella trasformazione della fisica che si verificò all'inizio dell'Ottocento. In Inghilterra la critica alle teorie dei fluidi imponderabili era situata nel contesto della dominante teoria dualistica in cui un etere repulsivo e imponderabile bilanciava il potere attrattivo della materia ordinaria. In Inghilterra i tre principali critici delle teorie dei fluidi imponderabili erano collegati alla Ro­ yal Institution, fondata nel 1 799 come risposta al crescente interesse per l'applicazione pratica della ricerca scientifica intesa come strumento di progresso sociale e scientifico. Benjamin Thompson, conte di Rumford ( 1 753-18 14), aveva respinto la teoria del calore inteso come un fluido im­ ponderabile nel 1 798, sostenendo che tale teoria non riu­ sciva a spiegare la generazione di calore per frizione. L'in­ venzione della batteria elettrica e la scoperta della decom­ posizione dell'acqua nel 1800 condussero Humphry Davy ( 1778 - 1 829) a formulare una teoria dell'elettricità fondata sulle forze dell'affinità chimica, rinunciando cosi al con­ cetto di fluido elettrico. Thomas Young (1773-1829) in una 31

serie di articoli scritti tra il 1 799 e il 1 804 respinse il con­ cetto di luce intesa come fluido elastico analogo al fuoco per difendere una teoria ondulatoria della luce. Rumford respinse la teoria dei fluidi imponderabili in fa­ vore di una teoria in cui gli effetti del calore erano interpre­ tati come l'esito dell'interazione tra il moto delle particelle della materia ordinaria e le vibrazioni dell'etere ambiente. Supponendo un dualismo tra materia ordinaria e etere, egli asseri che le vibrazioni dell' «atmosfera» eterea attorno alle particelle di materia ordinaria venivano comunicate all'etere e quindi alle altre particelle di materia ordinaria. La teoria dualistica di Rumford ricorda le teorie tradizionali dell'e­ tere: egli tuttavia non concepiva l'etere come un fluido im­ ponderabile, sostenendo che fossero le vibrazioni dell'etere, e non il flusso di un fluido elastico, a dare origine agli effetti del calore. Young, nelle sue prime discussioni sul modo in cui l'e­ tere agiva, aveva adottato una teoria in cui l'atmosfera ete­ rea circondava le particelle di materia ordinaria, supponendo una sostanza eterea universale che egli riteneva potesse es­ sere una modificazione del fluido elettrico, e sostenendo che il calore, la luce e le forze coesive e repulsive dei corpi erano dovute all'etere. Benché egli abbandonasse il tentativo di edificare una visione del mondo unificata in base a un etere elettrico (forse perché non riusciva a dare con questi principi una spiegazione soddisfacente della coesione e della repul­ sione) , il concetto di un etere «luminifero» come mezzo di propagazione della luce e del calore radiante divenne l' ele­ mento centrale della sua ottica. Young difese tenacemente l'etere luminifero e la teoria ondulatoria della luce e rifiutò cosi sia la teoria newtoniana dell' «emissione» luminosa, in­ tesa come proiezione di raggi di corpuscoli discreti di luce, sia il concetto di luce intesa come fluido etereo, elastico e analogo al fuoco. Il principio dell'interferenza delle onde lu­ minose di Young, un concetto che aveva sviluppato dalle sue prime ricerche sui fenomeni acustici, utilizzava le onde di luce coalescente per spiegare la diffrazione della luce, suppo­ nendo che le onde luminose potessero sovrapporsi o annul­ larsi l'una con l'altra dando origine a bande di luminosità e di oscurità. Young trasformò cosi la teoria dell'etere unifi­ cato nella sua teoria ondulatoria della luce. 32

In uno dei suoi pr imi studi anche Davy aveva segnalato il suo impegno verso la teoria unificata dell'etere; e benché

abbandonasse il concetto di fluido elettrico, la dottrina del­ l'unità delle potenze naturali, che era caratteristica della teoria unificata dell'etere, continuò a indirizzare le sue teo­ rizzazioni. Egli elaborò una teoria elettrica dell'affinità chi­ mica, sostenendo che le potenze elettriche e quelle chimi­ che erano talmente interconnesse che le forze elettriche e chimiche erano probabilmente identiche. La teoria dei fluidi imponderabili fu messa in dubbio in modo sempre piu marcato nei primi anni del diciannove­ simo secolo. I concetti di equilibrio delle potenze naturali e di unità e interconversione dei fenomeni naturali continua­ rono a esercitare un'influenza significativa nello sviluppo della fisica ottocentesca, nonostante che queste idee finis­ sero per essere separate dalla teoria dei fluidi impondera­ bili. Faraday e Joule svilupparono il concetto dell'equ ilibrio delle potenze ne ll a teoria della convertibilità e indistruttibi­ lità delle potenze o «forze» naturali e questo fu uno dei nodi concettuali che intorno al 1 850, dopo diverse trasfor­ mazioni, venne spiegato come la conservazione dell'energia.

Fresnel e l'etere solido ed elastico La teoria ondulatoria de ll a luce proposta da Augustin­ Jean Fresnel ( 1 788- 1 827) contribui notevolmente all'ab­ bandono de lle teorie dei fluidi imponderabili. Le orig ini del lavoro di Fresnel debbono essere ricercate nella sua opposi­ zione allo schema teorico dei fluidi imponderabili, alla teo­ ria del calorico e alla teoria corpuscolare della luce. Nel 1814, all'epoca dei suoi primi interessi per l'ottica, Fresnel aveva espresso il sospetto che la luce e il calore fossero con­ nessi alle vibrazioni di un fluido. La sua adesione a un con­ cetto de ll a luce come una forma di moto di un mezzo fu fondamentale per la sua teoria ottica. Entro il 182 1 , Fre­ snel aveva riformulato la scienza dell'ottica nei termini della dinamica di una propagazione ondulatoria di un mezzo: l'etere lum inifero. Egli respinse la teoria corpusco­ lare de ll a luce, in quanto implicava che i corpuscoli di luce fossero una forma anomala della materia, cioè un fluido im 33

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FIG . 2 . 2 . Bande di diffrazione discusse da Fresnel nel suo primo saggio sulla dif­ frazione della luce (1816). Fresnel studiò la diffrazione della luce quando un capello o un altro oggetto sottile era illuminato da un raggio di luce molto fine, osservando un' alternanza di bande chiare e scure. Egli interpretò questo effetto riferendosi alla natura ondulatoria della luce e al principio d'interferenza delle onde luminose. Le bande chiare nascevano dove le onde luminose riflesse dal diffrattore (AB) e quelle procedenti direttamente dalla sorgente luminosa (S) erano in fase rinfor­ zandosi perciò una con l'altra; le bande scure avevano invece luogo quando le vibrazioni provenienti dalla sorgente luminosa e quelle ri­ flesse dal diffrattore erano in opposizione di fase, cancellandosi dunque l'una con l' altra. Fresnel riusd a dimostrare che le posizioni delle bande di diffra­ zione ipotizzate dalla sua trattazione dell'interferenza delle onde lumi­ nose erano in accordo con i valori ottenuti sperimentalmente. La sua spiegazione delle bande di diffrazione attraverso l'interferenza costrut­ tiva e distruttiva di onde luminose forn! un importante argomento a favore della teoria ondulatoria della luce, un'interpretazione che fu for­ temente corroborata dalla conferma sperimentale delle sue previsioni teoriche. Arago, che aveva già aderito alla teoria ondulatoria della luce, rifer{ favorevolmente sul lavoro di Fresnel e sollecitò quest'ultimo a compiere ulteriori ricerche. Biot replicò dando un'interpretazione cor­ puscolare della diffrazione, e i sostenitori dell'ottica corpuscolare di La­ piace, per refutare la teoria ondulatoria della luce e trovare una spiega­ zione corpuscolare della diffrazione, proposero un concorso su questo soggetto. Il primo premio del saggio di Fresnel, sottoposto all'Accade­ mia di Parigi nel 1 819, costitu! un'importante vittoria per la teoria on­ dulatoria della luce. Durante il giudizio, Poisson sostenne che la teoria di Fresnel aveva l'inaspettata conseguenza che il centro dell'ombra di un disco usato come diffrattore doveva essere illuminata: tale risultato fu confermato sperimentalmente. (Tratto da Oeuvres comp/ètes d'Augu­ stin Fresnel, a cura di H. de Senarmot, E. Verdet, e L. Fresnel, 3 voli., Paris, 1866-1870, vol. I , p . 23).

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ponderabile; nella sua teoria erano le vibrazioni dell'etere a spiegare i fenomeni ottici. Respingendo una divisione tra materia ordinaria e sostanze imponderabili, Fresnel mirava a una fisica unificata fondata sulle proprietà meccaniche dell'etere, concepito come una forma della materia ordina­ ria. Egli abbandonò dunque la teoria dell' «emissione» cor­ puscolare in favore della teoria che concepiva la propaga­ zione della luce come ondulazioni nell'etere luminifero. Fresnel si familiarizzò con la complessità dell'ottica cor­ puscolare contemporanea solo in seguito al suo incontro con Arago nel 1 8 1 5 ; egli, non essendo ancora a conoscenza del lavoro di Young, propòse una spiegazione della diffra­ zione ottica attraverso il principio di interferenza. Egli suf­ fragò la sua interpretazione delle bande di diffrazione come interferenza costruttiva e distruttiva di onde luminose, con ricerche sperimentali che rivelarono una stretta corrispon­ denza tra le posizioni delle bande di diffusione ipotizzate e quelle osservate. n suo saggio sulla diffrazione ottica pre­ sentato nel 1 8 1 9 al concorso dell'Accademia di Parigi for­ niva una teoria matematica dell'interferenza delle onde lu­ minose. Benché Fresnel risultasse vincitore (la sua teoria ri­ cevette una inaspettata conferma sperimentale durante l'e­ same) il suo saggio non condusse a una brusca conversione dei seguaci di Laplace alla teoria ondulatoria della luce. Il fenomeno della polarizzazione della luce riflessa sco­ perto da Malus nel 1808 implicava che la luce possedeva delle proprietà asimmetriche, e questo era uno dei problemi maggiori per la teoria di Fresnel. Mentre Malus e Biot spie­ gavano la polarizzazione della luce come moti asimmetrici delle particelle luminose, le onde che si propagavano nell'e­ tere introdotte da Fresnel non potevano possedere quelle proprietà di asimmetria che i fenomeni di polarizzazione implicavano. Fresnel comprese che l'analogia tra le onde lu­ minose e quelle sonore, che era stata utile nel suggerire il concetto di interferenza, era falsa. Se la teoria ondulatoria della luce era corretta, nasceva l'esigenza di un'analisi piu profonda delle proprietà meccaniche dell'etere, poiché le proprietà asimmetriche della luce polarizzata erano incom­ patibili con l'ipotesi di Fresnel che le onde luminose fossero vibrazioni longitudinali in un mezzo (come le onde sonore) che vibrava nella stessa direzione di propagazione delle 36

onde. Young, per spiegare la polarizzazione, propose ciò che egli chiamò una «spiegazione imperfetta»: la luce era costi­ tuita da una «vibrazione trasversale» come le ondulazioni di una corda pizzicata, che erano vibrazioni perpendicolari alla direzione in cui si propagavano le onde 3 • Per spiegare i fenomeni di polarizzazione, Fresnel fece invece l'ipotesi che le vibrazioni che costituivano la luce consistessero di due componenti perpendicolari fra loro, cioè di una combinazione di vibrazioni longitudinali e tra­ sversali; la polarizzazione distruggeva la componente longi­ tudinale. Attorno al 1 82 1 , come risultato di un accurato la­ voro sulla natura della polarizzazione ottica, Fresnel com­ prese che le vibrazioni di cui la luce era costituita erano sol­ tanto trasversali. Come mezzo in cui le vibrazioni trasver­ sali si propagavano, propose un modello di etere formato da molecole legate insieme da forze agenti a distanza. In rispo­ sta alle critiche avanzate da Poisson, secondo cui le onde trasversali non potevano essere trasmesse in un mezzo fluido, Fresnel dichiarò che il problema non consisteva tanto nel futile tentativo di respingere la teoria ondulatoria della luce, quanto nella ricostruzione della teoria dell'etere. Fresnel si rese conto che un etere fluido non poteva pro­ durre delle vibrazioni trasversali: per dare origine a queste era necessario che l'etere fosse rigido. L'elaborazione di un modello meccanico dell'etere non era stata certamente la sua intenzione primitiva ed egli l'aveva intrapresa soltanto come supporto della sua teoria ondulatoria della luce. La conclusione che le onde luminose erano vibrazioni trasver­ sali gli pose il problema di costruire un modello meccanico dell'etere capace di trasmettere onde trasversali, piuttosto che longitudinali; tale problema divenne uno degli aspetti caratteristici dell'ottica del diciannovesimo secolo. Il lavoro di Fresnel fu di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica ottocentesca, poiché forni come paradigma dell'unificazione dei fenomeni fisici la costru­ zione di un modello meccanico. La costruzione di tali mo­ delli divenne cosf l'aspetto centrale della teorizzazione fi­ sica. Le leggi dell'ottica e, implicitamente, quelle degli altri fenomeni fisici potevano essere inserite all'interno della spiegazione meccanicistica e rese intelligibili attraverso il ri­ ferimento alla meccanica dei solidi e dei fluidi. 37

L 'etere lumini/ero e la spiegazione meccanicistica Il lavoro di Fresnel dette avvio a una serie di indagini intorno alle proprietà fisiche volte a stabilire le basi mate­ matiche dei principi dell'ottica e la precisa struttura mec­ canica dell'etere. Augustin-Louis Cauchy { 1 789- 1 857), in un'importante lavoro sulla teoria della luce pubblicato nel 1 830, formulò un metodo matematico per trattare i prin­ cipi dell'ottica in cui veniva assunto, come premessa fonda­ mentale, un etere con le proprietà meccaniche di un mezzo solido ed elastico. La principale innovazione introdotta da Cauchy fu quella di dimostrare che la propagazione delle vibrazioni trasversali della luce poteva essere ottenuta dalle equazioni differenziali del moto di un solido elastico. La difficoltà in cui la sua formulazione si imbatteva era che Cauchy non riusciva cosi a giustificare le sue assunzioni intorno alla struttura molecolare dell'etere solido ed ela­ stico; né riusciva a giustificare le condizioni al contorno che egli aveva posto per derivare le leggi dell'ottica. Quindi il lavoro di Cauchy, benché fosse matematicamente piu sofi­ sticato di quello di Fresnel, andava incontro a difficoltà si­ mili: la struttura meccanica dell'etere solido ed elastico di Cauchy era discutibile e la sua relazione con i principi del­ l' ottica rimaneva oscura. L'opera di Cauchy ebbe una particolare influenza in In­ ghilterra dove stimolò numerose ricerche sulle fondazioni meccaniche dell'ottica e sulla struttura dell'etere. Una nuova generazione di matematici e fisici, tra cui John Her­ schel { 1 798- 1871), William Whewell {1 794- 1866) e Geor­ ge Biddel Airy {1801-1892) , tutti sostenitori, negli anni Trenta, della teoria ondulatoria della luce, aveva introdotto la matematica analitica continentale negli insegnamenti ma­ tematici di Cambridge. La teoria ondulatoria della luce, specialmente nella forma elaborata da Cauchy {nella quale le leggi dell'ottica erano derivate dalle equazioni differen­ ziali del moto di un solido elastico) , esemplificava la loro fi­ ducia nell'applicazione della matematica ai problemi fisici. Nonostante le obiezioni dei sostenitori della teoria newto­ niana dell' «emissione» luminosa, secondo i quali alcune delle ipotesi della teoria ondulatoria non erano state confer­ mate sperimentalmente, i sostenitori della teoria ondulato38

ria ne sottolinearono il livello matematico estremamente so­ fisticato e difesero l'ipotesi dell'etere luminifero come una valida base per l'ottica. George Green ( 1 793- 1841), in un importante saggio pubblicato nel 1 838, tentò di fornire una sicura base mec­ canica per la teoria dell'etere solido ed elastico, derivando le leggi dell'ottica da una funzione matematica che espri­ meva analiticamente le proprietà meccaniche dell'etere. Criticando le assunzioni di Cauchy intorno alla struttura molecolare dell'etere, Green sottolineò la differenza che esisteva tra la realtà fisica e qualunque modello utilizzato per rappresentarla, e la difficoltà di specificare la struttura dell'etere luminifero. Egli sostenne che era preferibile assu­ mere, «come base del nostro ragionamento, un principio fi­ sico generale piuttosto che certi modi d'azione che, dopo tutto, potrebbero essere molto diversi dai meccanismi uti­ lizzati dalla natura» 4 • Il saggio di Green fu di grande im­ portanza poiché offriva, in alternativa alla costruzione di specifici modelli meccanici, una spiegazione fondata sulla dinamica analitica. Questo tipo di interpretazione, che i fi­ sici inglesi chiamarono teoria «dinamica», era basata sul formalismo della dinamica analitica introdotta da Joseph­ Louis Lagrange (1 736- 1 8 13) nella sua Mécanique analytique ( 1 788) e non era collegata ad alcun modello fisico; essa for­ niva una giustificazione dell'intelligibilità delle spiegazioni meccaniche dei fenomeni. Un simile approccio al problema di giustificare la teoria meccanica dell'etere solido ed elastico fu adottato da James MacCullagh (1809- 1847) . Nel suo Essay towards a dynami­ cal theory of crystalline reflexion and refraction, scritto nel 1839, MacCullagh cercò di stabilire un legame tra i principi dell'ottica e della meccanica, utilizzando i metodi della di­ namica analitica di Lagrange per derivare le leggi dell'ot­ tica. MacCullagh sostenne che l'elasticità dell'etere non di­ pendeva dalla sua distorsione o compressione, ma soltanto dallo spostamento rotazionale dei suoi elementi, e derivò le leggi della propagazione della luce da una funzione analitica dipendente dall'elasticità rotazionale dell'etere. Nel riba­ dire che «la costituzione del mezzo luminifero è completa­ mente sconosciuta», MacCullagh presentò la propria «teoria dinamica» della luce come l'unico modo appropriato per la 39

costruzione della teoria; ammise però che la sua giustifica­ zione dell'elasticità rotazionale (senza alcun riferimento a un modello meccanico) «non poteva essere considerata suf­ ficiente da un punto di vista meccanico». Il lavoro di Mac­ Cullagh rimase controverso e la sua teoria dell'etere rota­ zionalmente elastico ebbe un'influenza rilevante soltanto quando, con la diffusione negli anni Settanta della teoria elettromagnetica della luce di Maxwell, fu dimostrato che la rotazione era una fondamentale proprietà meccanica del­ l'etere. Un approccio alternativo all'elaborazione di una teoria dell'etere solido ed elastico fu seguito da George Gabriel Stokes (18 19-1903) in una serie di saggi pubblicati negli anni Quaranta. Evitando ogni speculazione sulla struttura molecolare dell'etere, e dunque cercando di evitare le diffi­ coltà presenti nell'opera di Cauchy, Stokes dette partico­ lare rilievo alla struttura fisica del suo modello d'etere. Egli formulò una teoria matematica di un solido continuo ideale analoga alla teoria di Eulero sulla meccanica dei mezzi fluidi, in cui le equazioni del moto di un fluido continuo erano derivate senza far riferimento alla sua struttura mole­ colare. Benché Stokes supponesse l'etere dotato di una struttura particellare, cercò di non utilizzare alcuna ipotesi molecolare per spiegare la propagazione della luce attra­ verso l'etere. Egli suppose che l'etere doveva comportarsi come un fluido rispetto alla terra e ai pianeti che si muove­ vano attraverso esso, ma come un solido elastico rispetto alle vibrazioni che costituivano la luce. Egli rappresentò l'e­ tere come una gelatina di acqua e colla; un miscuglio conte­ nente poca colla si sarebbe comportato come un fluido per i grandi corpi in moto traslatorio e, nello stesso tempo, avrebbe posseduto ancora quell'elasticità che permetteva la produzione di piccole vibrazioni trasversali corrispondenti alla trasmissione della luce. Stokes evitò cosi una teoria della struttura molecolare dell'etere, ma, per rappresen­ tarne l'elasticità, impiegò il suo modello meccanico di acqua e colla. Il lavoro sulla dinamica dell'etere iniziato da Fresnel ebbe dunque un'influenza determinante nel promuovere il programma fondato sulla teoria meccanicistica della natura. Le teorie di MacCullagh, Green e Stokes offrirono ap40

procci contrastanti al problema dell'interpretazione mecca­ nicistica dei fenomeni fisici. La teoria dell'etere di Stokes implicava l'assunzione di una rappresentazione meccanica, un riferimento a un analogo meccanico tratto dall'espe­ rienza comune. I lavori di MacCullagh e di Green, invece, si rifacevano a una spiegazione meccanicistica attraverso la dimostrazione dell'applicabilità di equazioni analitiche e ge­ neralizzate del moto. I fisici non sempre considerarono questi due approcci alla costruzione della teoria come alter­ native contraddittorie, vedendoli a volte come due proce­ dure compatibili ed anche complementari. I limiti dei mo­ delli figurativi erano noti, e il carattere astratto del formali­ smo dinamico di Lagrange era spesso giudicato insufficiente quanto a realismo. La costruzione di spiegazioni meccanici­ stiche fondate su modelli fisici o sulla teoria dinamica la­ grangiana divenne cosi una caratteristica distintiva della fisica inglese che fu successivamente applicata, da William Thomson e da Maxwell, alla rappresentazione dell'elettro­ magnetismo.

Fourier e i metodi matematici della fisica Nella sua Théorie analytique de la chaleur (1822) Jean­ Baptiste-Joseph Fourier ( 1 768- 1830) dette un contributo di fondamentale importanza per la creazione di una fisica uni­ ficata fondata su principi matematici. Occupandosi della teoria matematica del calore, Fourier respinse non tanto la teoria del calore come fluido imponderabile (il calorico) re­ sponsabile della forza repulsiva che separava le particelle della materia ordinaria, quanto evitò tutte le questioni rela­ tive alla natura fisica del calore. Egli inquadrò lo studio del calore nella tradizione della meccanica razionale, fondando la sua teoria su equazioni differenziali che definivano la tra­ smissione del calore e che erano indipendenti da qualsiasi ipotesi fisica. Fourier presentò la sua teoria del calore come analoga, dal punto di vista metodologico, alla teoria matematica della gravità di Newton: la causa della gravità rimaneva sconosciuta, ma i suoi effetti potevano essere scoperti dal­ l' osservazione e sottoposti all'analisi matematica. Fourier 41

pensava alla teoria analitica del calore come a un'estensione del dominio concettuale della meccanica razionale. Egli tratteggiò la storia degli studi matematici della meccanica, da Archimede, Galileo e Newton fino ai tentativi dei geo­ metri del diciottesimo secolo, mettendo in rilievo che tale tradizione si era limitata allo studio dei problemi di dina­ mica e di statica e allo studio dei principi del moto e dell'e­ quilibrio dei corpi solidi e fluidi; queste teorie meccanicisti­ che non si applicavano agli effetti del calore, che compren­ devano un insieme particolare di fenomeni. Nondimeno le equazioni analitiche utilizzate nello studio delle proprietà meccaniche dei corpi potevano essere applicate a un in­ sieme vastissimo di fenomeni. Fourier dichiarò che «l' ana­ lisi matematica è estesa quanto la natura stessa»; la chia­ rezza e l'universalità del linguaggio matematico permette­ vano di esprimere tutti i fenomeni attraverso leggi matema­ tiche, rivelando cosf l'unità e l' armonia delle leggi naturali. Nel considerare la teoria matematica del calore all ' in­ terno della struttura della meccanica razionale, Fourier poté evitare le ipotesi sulla natura del calore. Cosf come la meccanica razionale era basata su quantità osservabili, la matematica di Fourier era basata sugli effetti del calore e non sulle sue cause ipotetiche: sulla distribuzione della tem­ peratura dei corpi e non sul modo in cui la potenza repul­ siva del calore determinava gli stati fisici delle sostanze ma­ teriali. Fourier dichiarò che i principi della teoria erano de­ rivati da «un piccolo numero di fatti primari» i quali erano poi sottoposti all' analisi matematica: si trattava di un me­ todo analogo alle procedure della meccanica razionale . Il lavoro di Fourier sul calore trae la sua origine da uno studio della trasmissione del calore tra particelle discrete; stimolato probabilmente da un saggio di Biot sul flusso di calore in una barra metallica, Fourier si rivolse a un'inda­ gine sul flusso di calore nei corpi solidi presentando nel 1807 il suo lavoro all'Institut de France. Tale lavoro fu svi­ luppato nel 18 1 1 fino a includere l' analisi della diffusione del calore nei corpi di dimensione infinita; questa versione rivista vinse il concorso bandito dall'Institut sulla diffu­ sione del calore, nonostante le obiezioni fatte da Lagrange ad alcune discussioni matematiche di Fourier. Il lavoro di Fourier contraddiceva anche l' allora dominante stile di La42

place nella costruzione delle teorie, e Poisson continuò a opporsi alla meccanica analitica di Fourier e a sostenere la meccanica della fisica di Laplace. Nella sua teoria del calore Poisson utilizzava il modello fisico del fluido calorico irra­ diato direttamente a distanza. I metodi matematici di Fou­ rier erano invece assai differenti, incentrandosi sull'espres­ sione dell'equazione differenziale della diffusione del ca­ lore, invece di postulare un modello fisico per rappresen­ tare il flusso del calore. Fourier fondava la sua ipotesi rela­ tiva alla trasmissione del calore sulla distribuzione della temperatura nei corpi solidi e liquidi, dimostrando che la trasmissione del calore poteva essere intesa come comunica­ zione di calore tra molecole. Il calore trasmesso tra due mo­ lecole di una sostanza era proporzionale alla differenza tra le loro temperature ed era una funzione, che variava in base alla natura della sostanza, della loro distanza. Il flusso di calore era messo in relazione alla differenza di tempera­ tura; assumendo che il calore si conservasse durante il flusso, Fourier ottenne l' «equazione di continuità» (deri­ vata dall'analisi di Eulero del flusso di un fluido) , un'equa­ zione differenziale che metteva in relazione flusso di calore e gradiente di temperatura. Tale equazione, che era formal­ mente identica ai risultati di Poisson, nell'analisi di Fourier non era fondata su un modello fisico: la natura del calore non era presa in considerazione. Fourier mirava a ridurre i problemi fisici a questioni di analisi matematica. La sua teoria era fondata su leggi empiriche della distribuzione della temperatura che potevano essere controllate speri­ mentalmente. Le equazioni della propagazione del calore erano derivate dai fatti fondamentali relativi alla distribu­ zione della temperatura; quindi, qualunque fosse la natura del calore, la sua propagazione poteva essere rappresentata da queste equazioni differenziali. La teoria analitica del calore di Fourier ebbe importanti implicazioni per la successiva fisica matematica. Egli aveva allargato la struttura della meccanica razionale fino a inclu­ dere il problema della propagazione del calore e questo for­ niva un paradigma per una fisica matematica non limitata a problemi strettamente meccanici. Il metodo di Fourier mise inoltre in rilievo il primato delle leggi matematiche e la di­ stinzione tra teoria matematica e sua interpretazione fisica. 43

Tale distinzione si rivelò particolarmente importante nell'e­ laborazione di una teoria dell'elettrostatica che William Thomson fece nel 1 842 utilizzando un formalismo matema­ tico analogo alla teoria matematica della distribuzione del calore fatta da Fourier, col quale espresse un'analogia tra la conduzione termica e l'attrazione elettrostatica. Thomson propose un modello geometrico comune sia alla conduzione elettrostatica che a quella termica, in cui la distribuzione dell'elettricità era rappresentata da un flusso di una forza elettrica e la distribuzione del calore da un flusso di calore. L'equazione di continuità poteva perciò essere applicata alla teoria dell'elettricità, inoltre la continuità o conserva­ zione del flusso di calore implicava la conservazione del flusso della forza elettrica. L'unificazione di questi feno­ meni implicata dall'equazione di continuità era tuttavia una unificazione matematica piuttosto che fisica, un'unità tra forme geometriche piuttosto che un'analogia fisica tra ca­ lore ed elettricità. Il lavoro di Fourier metteva in risalto l'importanza di un formalismo matematico che fosse indipendente da una teoria sulla costituzione della materia, indicando una distin­ zione tra matematica e rappresentazione fisica. Benché i fi­ sici del diciannovesimo secolo non evitassero l'uso di mo­ delli fisici, la loro costruzione di modelli fu distinta dalla rappresentazione della realtà fisica. Come Green aveva os­ servato nel presentare la sua teoria meccanica dell'etere, c'era una distinzione tra la supposizione di un modello e il «meccanismo utilizzato dalla natura».

L 'etere elettrico La teoria dell'etere luminifero forniva un modello fi­ sico per la propagazione della luce attraverso lo spazio in un mezzo ambiente. La scoperta dell'elettromagnetismo fatta nel 1 820 dal fisico dant:!se Hans Christian Oersted ( 1 777 - 1 85 1) condusse all'elaborazione di una teoria della propagazione delle forze elettriche in un etere elettrico. Il concetto di «atmosfere» elettriche circondanti le particelle della materia ordinaria era comune negli articoli dei fisici teorici del diciottesimo secolo, ma negli ultimi anni di quel 44

secolo esso fu trasformato nel concetto di «sfera di atti­ vità», lo spazio in cui le forze elettriche si manifestavano. Nel discutere le basi fisiche della distribuzione spaziale del­ l' elettricità, molti teorici attribuirono l'azione elettrica alle tensioni di un mezzo etereo. Le relazioni tra elettricità e magnetismo e le possibili connessioni tra i fluidi magnetici ed elettrici erano discusse frequentemente, ma tali feno­ meni, benché l' analogia tra elettricità e magnetismo fosse ampiamente acquisita, erano ancora concepiti come indi­ pendenti. La scoperta dell'azione di una corrente elettrica su un ago magnetico fatta da Oersted trasformò la scienza elet­ trica, mettendo in rilievo l'unità dei fenomeni elettrici e magnetici. La scoperta dell' «elettromagnetismo» fu il cul­ mine delle ricerche di Oersted sull 'elettricità, in cui fu gui­ dato dalla sua convinzione relativa all'unità delle forze della natura. Egli seguiva una concezione della natura in cui l'elettricità, il magnetismo, il calore e la luce erano ma­ nifestazioni di un'unica forza, e cercava di spiegare i feno­ meni naturali come conflitti tra forze attrattive e repulsive. Queste idee erano luoghi comuni nella fisica del tardo Set­ tecento, ma Oersted fu influenzato dal modo in cui esse trovavano espressione nella Naturphilosophie tedesca, che sottolineava l'unità della natura e la polarità delle forze, e dalla teoria di Kant per cui le forze fondamentali di attra­ zione e repulsione erano le proprietà che definivano la ma­ teria. Oersted considerò una corrente elettrica un'oscilla­ zione dinamica, una ondulazione delle forze prodotte da un conflitto tra forze attrattive e forze repulsive. Egli osservò che l'ago magnetico si spostava in direzioni opposte quando era posto al di sopra o al di sotto del filo che trasportava la corrente elettrica e dedusse che le potenze elettriche ondu­ latorie nel filo producevano un moto circolare nello spazio circostante. L'esperimento di Oersted implicava che le forze elettriche e magnetiche agivano lungo dei cerchi ed erano distribuite spazialmente. La scoperta di Oersted sugged una molteplicità di ipotesi per spiegare la disposizione spaziale delle interazioni elettromagnetiche. I fisici descrissero tali forze geometrica­ mente, attraverso curve magnetiche che riempivano lo spa­ zio, oppure rappresentarono le forze magnetiche attraverso 45

vortici di fluido magnetico in un etere ambiente. Per spie­ gare la propagazione dell'azione elettromagnetica André­ Marie Ampère ( 1 775- 1 836) propose un'ipotesi alternativa basata su una analogia con la propagazione delle onde lumi­ nose. Ampère estese i risultati di Oersted con la dimostra­ zione dell'esistenza di interazioni fra fili percorsi da cor­ rente, sostenendo che il magnetismo poteva essere spiegato attraverso le correnti elettriche, ed elaborò una teoria ma­ tematica dell'elettromagnetismo basata sulle forze attrat­ tive e repulsive agenti tra elementi infinitesimi di corrente. Ampère spiegò la propagazione dell'azione elettromagnetica ricorrendo alla concezione dell'etere luminifero di Fresnel. Egli sostenne che l'etere era costituito da fluidi elettrici po­ sitivi e negativi; i fenomeni elettromagnetici traevano ori­ gine da una perturbazione dei fluidi elettrici, mentre la luce era il risultato delle vibrazioni del fluido. L'etere lumini­ fero ed elettromagnetico che pervadeva lo spazio forniva un modello fisico per la propagazione dell' azione elettroma­ gnetica e già negli anni Venti dell'Ottocento il concetto di un etere che mediava le interazioni elettromagnetiche e propagava la luce, era definitivamente stabilito. La scoperta di Oersted suggerf anche la ricerca di altri effetti elettromagnetici, una ricerca che condusse alla sco­ perta dell'induzione elettromagnetica da parte di Michael Faraday ( 1 7 9 1 - 1 867) nel 1 83 1 . Faraday scopri che il pas­ saggio di una corrente elettrica in un filo (il circuito prima­ rio) avvolto attorno a una parte di un anello di ferro indu­ ceva una corrente transitoria in un filo (il circuito seconda­ rio) avvolto attorno all'altra parte dell'anello. Per spiegare l'induzione transitoria dell'elettricità che aveva luogo nel circuito secondario quando il circuito primario era chiuso, Faraday suggerf che l'effetto fosse prodotto dalla propa­ gazione di «un'onda di elettricità» ' . Egli sostenne che le azioni elettriche e magnetiche si propagavano nel tempo e che dovevano essere considerate come il risultato di un moto progressivo; egli paragonò la diffusione delle forze magnetiche alla trasmissione delle onde luminose e sonore in un mezzo ambiente. Faraday era a conoscenza delle spe­ culazioni di Oersted e di Ampère sulla propagazione delle onde elettromagnetiche e probabilmente conosceva anche le prime teorie sulla funzione di veicolo dell' azione elettrica 46

FIG . 2 . 3 .